Mai Fidarsi del Nemico di LazySoul (/viewuser.php?uid=126100)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Slave life ***
Capitolo 2: *** Punishment ***
Capitolo 3: *** Pathetic (Draco’s point of view) ***
Capitolo 4: *** Transparent potion ***
Capitolo 5: *** Temporary safeness ***
Capitolo 6: *** Nightmare ***
Capitolo 7: *** Return the favor ***
Capitolo 8: *** Guiltness ***
Capitolo 9: *** Lunch ***
Capitolo 10: *** Friend's advice ***
Capitolo 11: *** We trust each other ***
Capitolo 12: *** Tell me a tale ***
Capitolo 13: *** I need you ***
Capitolo 14: *** The Deathly Hallows ***
Capitolo 15: *** Unexpected visit ***
Capitolo 16: *** Interrogatory ***
Capitolo 17: *** Just a chat ***
Capitolo 18: *** Handcuffs, Love and Peace ***
Capitolo 19: *** A crying girl and a little problem ***
Capitolo 20: *** Parseltongue ***
Capitolo 21: *** Let's be friends ***
Capitolo 22: *** Trust, love and fights ***
Capitolo 23: *** Captives ***
Capitolo 24: *** Loss ***
Capitolo 25: *** Tears ***
Capitolo 26: *** Epilogue ***
Capitolo 1 *** Slave life ***
cap_1
Mai
fidarsi del nemico
Slave life
Mi
svegliai grazie ad un leggero campanello che suonava fuori dalla mia cella.
Probabilmente
se fossi stata pigra come Ron non l’avrei mai sentito e avrei continuato a
dormire profondamente.
Sorrisi
a quel pensiero, ma sapevo che la mia felicità si mostrava più simile ad una
smorfia che ad un vero sorriso.
Mi
strinsi addosso i miei indumenti rovinati e mi sollevai dal mio materasso di
stracci, avvicinandomi alla porta della mia cella.
La
serratura scattò con un suono secco e mi trovai davanti Breedy che mi porse la
mia colazione, che consisteva in una semplice tazza di tè e un tozzo di pane.
Breedy
era l’unico essere vivente con cui entravo in contatto da giorni ormai, tranne
ovviamente i Mangiamorte durante la giornaliera seduta di tortura.
Studiai
il piccolo elfo domestico e le sue orecchie a punta, contraendo la mia faccia
in una smorfia mentre notavo che in fatto di vestiti lui era ridotto anche
peggio di me.
Mi
tornarono in mente le mie campagne per liberare gli elfi domestici e la mia
associazione: C.R.E.P.A. e, come mi era accaduto poco prima, una piccola
smorfia che non si avvicinava nemmeno lontanamente ad un sorriso comparve sulle
mie labbra.
Come
ogni giorno mi lasciai accompagnare silenziosamente fino alle cucine per poi
passare in lavanderia, dove lavoravo quasi tutti i giorni, tranne quando dovevo
pulire qualche stanza del castello.
Mi
sarei aspettata di tutto dalla mia prigionia, ma non che mi costringessero ai
lavori forzati.
In
effetti quando, dopo la mia prima ora di tortura con Bellatrix Lestrange, che
mi aveva lasciato una profonda cicatrice sull’avambraccio sinistro che
riportava la scritta: “Mezzosangue”, mi avevano scaraventata all’interno della
lavanderia avevo pensato fosse un pessimo scherzo e anche di cattivo gusto.
Poi
avevo capito che non lo era affatto e che se volevo sopravvivere dovevo
lavorare.
Ogni
giorno vedevo a pochi metri di distanza Luna ed altri sopravvissuti, ma non ci
era permesso di comunicare, quindi mi dovevo rassegnare a sentirmi solo un po’
meno sola del solito.
La
prima volta che avevo rivisto Luna mi ero letteralmente lanciata su di lei e
l’avevo stretta tra le braccia, piangendo e ridendo insieme.
Quando
Bellatrix Lestrange era venuto a saperlo mi aveva Cruciata per dieci minuti
interi in più rispetto al solito.
In
fondo le condizioni in cui vivevo non erano nemmeno troppo pessime...
Anche
se in realtà erano giorni che non mi sembrava più di vivere.
Continuavo
a rivivere nella mia mente le ultime settimane e a chiedermi come avevo fatto
ad essere così cieca da fidarmi di...
Non
riuscivo nemmeno a pensare il suo nome, tanto ero arrabbiata, anzi furiosa con
lui.
Se
me lo fossi trovata tra le mani gli avrei tirato un bel pugno, proprio come il
terzo anno e...
Strinsi
forte le dita intorno al mio misero tozzo di pane e per la centesima volta
ignorai il mio cuore sanguinante e ricacciai indietro le lacrime.
Poggiai
la mia tazza di tè vicino al lavello dove pulivo gli indumenti, mi rimboccai le
maniche ed afferrai alcuni panni, gettandoli nella tinozza d’acqua di fronte a
me.
Avevo
imparato a tenere lo sguardo basso per non attirare troppo l’attenzione, anche
se con la coda dell’occhio cercavo di notare più cose possibili.
Non
sapevo molto da quando la guerra era finita, ricordavo il risveglio, il dolore
delle torture inferitemi, ma per il resto sapevo solo di essere ancora
all’interno di Hogwarts che, da quello che avevo intuito dalle chiacchiere dei
Mangiamorte o dalle parole deliranti di Bellatrix Lestrange era diventata la
sede di Lord Voldemort e che ospitava al suo interno pochi giovani maghi che
erano pronti ad entrare a far parte dei suoi ranghi.
Insomma,
la scuola che era stata per me come una seconda casa per anni era diventata
l’equivalente di una accademia militare per i sostenitori di Voldemort ed una
prigione per tutti coloro che erano sopravvissuti a quella che era stata nominata
Guerra di Hogwarts.
Da
quello che avevo sentito alcuni professori erano stati rinchiusi come noi
studenti, mentre altri erano riusciti a fuggire, ma di loro non si sapeva
nulla.
Allo
stesso modo nessuno sapeva dove Harry Potter ed il suo amico Ronald Weasley
fossero finiti.
Infilai
la mano in tasca e strinsi per pochi istanti le dita intorno al mio galeone incantato,
cercando di trattenere la piccola smorfia-sorriso che mi stava nascendo sulle
labbra screpolate.
Breedy
lasciò cadere al mio fianco una grossa quantità di vestiti sporchi e io non
potei fare a meno di digrignare i denti, lanciando una veloce occhiata ad un
Mangiamorte che, incappucciato, se ne stava al centro della sala a dettare
ordini a destra e a manca, senza preoccuparsi di star dicendo una quantità
esorbitante di cose senza senso.
Provai
l’istinto di lanciarmi verso di lui e di affogarlo nel primo lavello vuoto, ma
venni distratta dalla mano ossuta dell’elfo domestico accanto a me: «Non ne vale la pena, signorina» disse
Breedy con la sua voce rauca, aiutandomi a districare tra loro gli indumenti.
Una cosa che avevo notato da quando ero
diventata una prigioniera era che perdevo molto più facilmente la pazienza e mi
ritrovavo sempre in uno stato d’allerta, come se da un momento all’altro avessi
dovuto tirare fuori la bacchetta e combattere…
Rischiai di rompere una camicia
scrollandola mentre ricordavo a me stessa che io, una bacchetta, non ce l’avevo
più.
Trattenni le lacrime e lasciai che la
camicia cadesse nella tinozza d’acqua, mentre prendevo dei profondi respiri e
provavo a ritrovare il controllo necessario sul mio corpo.
Tornai ai miei incarichi e ricevetti un
triste sorriso d’incoraggiamento da parte dell’elfo domestico accanto a me.
Breedy era un ottimo amico, soprattutto
quando si preoccupava di coprire i miei sbagli che, strano a dirsi per una
persona precisa come me, erano molti.
Il fatto di non aver mai dovuto lavare
nulla in vita mia all’inizio era un enorme ostacolo per me da superare, dato
che non avevo idea di come e cosa dovessi fare.
Breedy era stato un ottimo maestro e
molte volte se avevo sbagliato qualcosa aveva detto di esser stato lui. Gli ero
riconoscente per questo, oltre che debitrice.
Lanciai una veloce occhiata a Luna, che
come sempre si trovava poco distante da dove ero io e stava canticchiando
mentre divideva gli indumenti secondo il colore e il tipo di tessuto.
Mi chiedevo ogni giorno da dove
nascesse tutta la sua allegria o per lo meno quell’aria serena che sfoggiava.
Avrei tanto voluto essere come lei, per poter vedere il lato positivo di ogni
cosa, ma non ne ero capace.
Nacque sul mio viso la mia solita
smorfia-sorriso, mentre distoglievo lo sguardo e mi accontentavo di sentirla
vicina, anche se avrei tanto voluto correre da lei come la prima volta ed
abbracciarla, chiedendole una delle sue solite perle di saggezza che le
settimane prima mi avevano spesso aiutato.
Ebbi un leggero giramento di testa e mi
aggrappai al lavello per non cadere.
Era la prima volta che mi capitava, ma
sapevo che era causato dalla mancanza di pasti decenti e da un probabile calo
di zuccheri o di pressione.
Quando ero piccola avevo avuto problemi
d’asma che mi erano passati dopo mesi e mesi passati in piscina ad imparare a
nuotare e mi chiesi se un’incorretta nutrizione potesse provocarmi nuovamente
tali disturbi, ma scacciai subito il pensiero, concentrandomi sul mio compito
ed ignorando l’espressione preoccupata di Breedy.
Dovevo essere forte, era quello che mi
ero ripetuta sempre, fin dalla prima volta che avevo dovuto prendere il treno
per Hogwarts, fin dal primo insulto…
E in quel periodo dovevo esserlo più
che mai.
Svolsi la mia routine come ogni giorno,
smistando i vestiti e pulendoli uno ad uno a mani nude.
Mi capitava sempre più spesso di
chiedermi perché i maghi non avessero inventato qualcosa che assomigliasse ad
una babbana lavatrice per pulire gli indumenti, sarebbe stato di sicuro più
veloce che far pulire tutto a dei poveri elfi domestici e, in quel caso, a dei
ragazzini.
Bevevo ogni tanto un po’ di tè o
mangiucchiavo distrattamente dei bocconi di pane, cercando di smorzare i
borbottii del mio stomaco affamato ed ignorando le occhiate di Breedy e la sua
evidente preoccupazione.
Il Mangiamorte al centro della sala
venne sostituito da uno meno rumoroso, che se ne stava lì, impalato come una
statua e ogni venti minuti faceva un giro per la stanza, incutendo un po’ di
terrore ad elfi e ragazzi, ma senza mai pronunciare nemmeno una parola.
Sembrava un’ombra, scura, silenziosa
e...
Sussultai, sentendo il galeone che
avevo in tasca scottarmi la pelle attraverso la stoffa.
Avrei voluto saltare dalla felicità, ma
mi limitai a stringere forte i denti per il dolore alla gamba ed a tornare al
mio lavoro.
Con Ron ed Harry non ci eravamo ancora
sentiti dopo la nostra separazione, anche perché io, non avendo più la
bacchetta, non potevo compiere l’incantesimo necessario per poter comunicare
con loro.
Erano ormai quattro sere che andavo a
dormire tardissimo a causa delle mie continue esercitazioni nel tentativo di
compiere gli incantesimi elementari anche senza la bacchetta.
Inutile dire che ogni mio tentativo era
miseramente fallito, tratte che per un lieve spostamento di un calzino sporco
trovato a terra, grazie all’incantesimo Wingardium Leviosa. Anche se sospettavo
che fosse stato lo spiffero d’aria che da una crepa del muro entrava nella mia
cella ad averlo causato, continuavo a ripetere a me stessa di esser stata io,
certa che un po’ di autostima in più non mi avesse fatto male.
Alzai lo sguardo per pochi secondi dal
mio lavoro e vidi Luna farmi un cenno di saluto con la mano, gesto che
ricambiai sorridendo.
Invece di tornare al lavoro mi persi ad
osservare attentamente la stanza dove mi trovavo, non che dal giorno precedente
fosse cambiata, ma speravo sempre che fosse comparsa durante la notte una nuova
via d’uscita.
Analizzai con occhio critico l’unico
ingresso che fungeva anche da uscita: un portone alto due metri scarsi di legno
scuro, sul quale vi erano intarsiati dei bassorilievi floreali. Sarebbe stata
una bella porta se non fosse stata quella della mia prigione.
Lanciai una veloce occhiata al soffitto
basso lungo il quale facevano bella mostra di sé reti e reti di crepe sottili,
mentre negli angoli alcune ragnatele ospitavano ragni dalle dimensioni piuttosto
preoccupanti.
Se ci fosse stato Ron sarebbe già
scappato a nascondersi da qualche parte per evitare che i ragni lo attaccassero
e sbranassero senza pietà, urlando come una femminuccia.
Quel pensiero riuscì a migliorare di
poco il mio umore, mentre sentivo il galeone raffreddarsi poco a poco nella mia
tasca.
Promisi a me stessa di esercitarmi
ancora ad usare la magia senza la bacchetta quella sera, anche se una causa del
mio indebolimento poteva essere anche il dormire solo poche ore la notte.
Era da due giorni prima che mi capitava
di avere sempre più forti mal di testa accompagnati da stanchezza e spossatezza,
ma non avevo intenzione di diminuire i miei allenamenti durante la notte per
poter avere qualche ora di sonno in più, certa che non sarebbe comunque
cambiato nulla.
Tornai al mio lavoro, facendo finta di
non notare la pelle screpolata ed arrossata dei dorsi delle mie mani o i piccoli
calli che cominciavano a fare bella mostra di loro sui miei palmi.
Non sapevo chi aveva avuto l’idea di
far lavorare noi prigionieri, ma avrei voluto andare a complimentarmi con lui o
lei perché non c’era nulla di peggiore di saper di star aiutando il nemico e di
non poter fare altrimenti se si voleva sopravvivere.
E certamente colui che aveva avuto
quest’idea doveva saperlo perfettamente.
Il Mangiamorte al centro della sala
continuava a rimanere lì, impalato come una statua e mi chiesi se lo
conoscessi.
Studiai la sua statura e corporatura,
notando come dovesse essere all’incirca poco più alto di me e, a causa del
mantello non potevo dirlo con sicurezza, mi sembrava che fosse forse troppo
magro per la sua costituzione.
Breedy, che era scomparso pochi istanti
prima, tornò con un’espressione mortificata che conoscevo fin troppo bene e
presi un profondo respiro per darmi coraggio, capendo cosa stesse per succedere
ancora prima che lui me lo dicesse.
«Il signor Mangiamorte ha l’ordine di
portarla dalla Signora», disse l’elfo domestico, indicandomi un altro individuo
incappucciato, che fino a quel momento non avevo notato, vicino all’unico
portone della stanza.
Annuii fingendo indifferenza, ma dentro
di me ribollivo di rabbia e sentivo ogni organo interno contorcersi per la
paura.
Sapevo cosa aspettarmi, ogni volta era
più o meno simile alla precedente: domande su domande che mi venivano poste
dalla voce stridula della “Signora”, che altro non era che Bellatrix Lestrange,
il mio mutismo che la faceva andare su tutte le furie, minacce di morte,
torture, dolore... tanto dolore, ma poi finiva e io mi ritrovavo scaraventata
nella mia cella a leccarmi le ferite come un animale.
Sì, all’incirca era sempre la stessa
routine.
Era come andare dal dentista, ed io lo
sapevo bene dato che entrambi i miei genitori lo erano: ti sedevi sul lettino,
soffrivi un po’ nel momento del controllo o dell’impianto dell’apparecchio o di
qualsiasi altra “diavoleria babbana” per avere una dentatura perfetta, ma poi
finiva e tu sapevi che non sarebbe durato molto il dolore, che presto sarebbe
passato.
Non che la sofferenza causata dai
ferretti dell’apparecchio che ti scavano le guance fosse minimamente
paragonabile a quella della maledizione Cruciatus, ma il concetto alla base era
simile.
«Certo», risposi, avvicinandomi al
Mangiamorte e facendomi afferrare con poca grazie per il braccio, mentre venivo
scortata fuori dalla lavanderia e finivo in cucina, dove alcuni sopravvissuti e
molti altri elfi domestici erano affaccendati a cucinare.
Invece di andare verso le celle però
venni portata nei sotterrai della scuola, vicino alla vecchia aula di Pozioni,
in una stanza piuttosto ampia al cui interno si trovava Bellatrix Lestrange.
E per l’ennesima volta mi pentii di non
averla uccisa durante la guerra, quando ancora ne avevo l’occasione.
«Buon pomeriggio, Mezzosangue. Spero
che tu sia più disposta a parlare oggi», disse con la sua solita vocetta
stridula ed infantile, mentre giocava con la bacchetta, attorcigliandosela tra i
lunghi ricci scuri.
Il Mangiamorte mi lasciò il braccio e
chiuse la porta a chiave dietro di noi.
Il mio cuore accelerò ulteriormente i
battiti, ma cercai di rimanere il più impassibile possibile e forse funzionò,
perché il ghigno irrisorio della strega scomparse dalla sua faccia, sostituito
da una smorfia impaziente.
«Vedo che siamo di poche parole come
sempre...», sibilò la donna, avvicinandosi a me e cominciando a girarmi in
torno con un avvoltoio con la sua preda: «Tu puoi andare», disse all’uomo che,
senza dire nulla, scomparve oltre la porta, chiudendola nuovamente a chiave.
«Legilimens!»
Ma per quanto Bellatrix Lestrange fosse
forte non sarebbe mai riuscita a leggere i miei pensieri.
Ero in fondo la strega più brillante
degli ultimi tempi e non le avrei permesso di sbirciare nei miei ricordi,
inoltre l’occlumazia era una materia che mi aveva sempre incuriosita ed avevo
svolto molte ricerche al riguardo, tanto da sapere come proteggere la mia mente
senza aver bisogno di un bacchetta.
Sapevo però che a Bellatrix Lestrange
questa mia capacità non faceva altro che mandare in bestia.
«Brutta sporca Mezzosangue!», la sentii
urlare: «Crucio!»
Non riuscii più ad ostentare forza e mi
accasciai a terra, provando a sostenermi con le braccia ma non resistetti a
lungo ed alla fine mi arresi, cominciando a contorcermi ed ad urlare, sperando
che smettesse sempre.
Ogni volta pensavo che sarebbe stato
doloroso come la prima ora di tortura, ma mi dovevo sempre ricredere, la
sofferenza sembrava aumentare di volta in volta, tanto che temevo di essere ad
un passo dalla pazzia.
Centinaia di pugnali affilati e
bollenti mi si conficcavano nella carne, lasciando dietro di loro pelle
carbonizzata ed una sofferenza atroce che sembrava affettare più la mia anima
che il mio corpo.
Ed urlare non serviva a nulla, come non
serviva a nulla contorcersi, ma tutto quel dolore doveva trovare uno sfogo e
quello era l’unico modo possibile, dato che mi sembrava di essere immobilizzata
a terra da tutti quei pugnali che, trapassato il mio corpo parevano conficcarsi
profondamente nel pavimento, impedendomi una maggior scioltezza di movimenti.
Quando la maledizione finì mi toccai
involontariamente il corpo, come a volermi accertare di essere ancora tutta
intera e con nessun dei profondi solchi di pugnale che avevo sentito sulla
pelle e carne, anche se sapevo che le ferite fisiche erano sempre minime quando
si trattava di Bellatrix Lestrange.
«Allora?
Ti è venuta voglia di aiutarci? In fondo non chiedo molto, voglio solo sapere dove
è finito il tuo caro amichetto, Potter»
Rabbrividii nel sentire la sua voce e
gli innumerevoli picchi acuti del suo tono che da pacato poteva diventare un
urlo isterico in meno di un secondo.
«Parla, sudicia Mezzosangue, parla! Parla!
Crucio!»
I pochi respiri profondi che ero
riuscita a fare durante la breve pausa tra una tortura e l’altra erano stati
insufficienti e, oltre ai numerosi pugnali conficcati nel corpo, cominciarono a
farmi male addome e polmoni a causa della mancanza d’aria e delle urla che non
sarei riuscita a trattenere neanche se avessi voluto.
Questa volta la maledizione durò molto
meno, ma mi lasciò quasi più spossata rispetto a prima.
Mentre provavo a riprendere fiato
Bellatrix mi si avvicinò e mi tirò un doloroso calcio all’altezza dell’addome
che mi privò nuovamente di aria nei polmoni.
«Oggi sono di fretta, ma domani vedrò
di dedicarti più attenzioni, Mezzosangue»
Con quelle parole concluse la nostra
piccola sessione di tortura, facendomi trascinare di peso da un Mangiamorte
fino alla mia cella, al cui interno venni scaraventata con ben poca grazia.
Mentre la porta veniva chiusa a chiave
mi raggomitolai sugli stracci che fungevano per me da materasso, stringendo le
gambe al petto e permettendo finalmente a me stessa di piangere tutte le
lacrime che avrei voluto versare durante la tortura.
E mentre i singhiozzi mi scuotevano
interamente mi chiesi se stessi piangendo per la mia situazione di prigionia o
a causa del mio cuore spezzato che continuava ad illudermi che prima o poi
Malfoy sarebbe arrivato a salvarmi.
******************************************************************************
Ciao a tutti! :)
Come potete notare sono tornata con il
sequel tanto promesso di “Mai scommettere col nemico” (chi non l’avesse letto
gli consiglio di andare a farlo se no rischia di non capire molto di quello che
ha letto per il momento xD)!
Siete contente? ;3
Parlando del capitolo so già cosa mi
direte perché lo penso anche io: “Povera Hermione! Dove è finito Malfoy?”, ma perché
il nostro caro biondino torni ci vorrà ancora un po’, se no sarebbe tutto troppo
facile! xD
Ne approfitto per ringraziate tutte le
persone che hanno recensito la prima parte di questa ff, chi l’ha inserita tra
le seguite, chi tra le preferite e chi trale ricordate; vi adoro ragazze, siete
state delle sostenitrici fantastiche e spero che anche questa seconda parte vi
piaccia! ;)
Bene, ora dovrei dirvi quando posterò
il prossimo capitolo, giusto? Beh, ammetto di non saperlo ancora anche perché non
l’ho ancora scritto e domani non potrò farlo (dato che mio zio si sposa *-*),
quindi secondo i miei calcoli dovrei farcela entro il 30, 31... ma non vi
prometto nulla, se no rischio di deludervi di nuovo e non ci tengo per nulla...
Ok, direi che vi ho disturbato
abbastanza.
Un bacio a tutti e faccio che
augurarvi Buon 2014 (caso mai non riuscissi a scrivere il capitolo entro il 31,
anche se cercherò di fare il possibile) :-*
LazySoul
p.s. Mi piacerebbe sapere che ne
pensate di questo capitolo e se vi sembra abbastanza realistico, quindi
RECENSITE! xD
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Capitolo 2 *** Punishment ***
cap_2
Punishment
Piansi a lungo quella sera, tanto che
rischiai di addormentarmi a causa dei miei occhi stanchi ed arrossati.
Riuscii però a tenermi sveglia con un
pensiero fisso: “Dovevo provare a contattare Ron ed Harry”.
Erano parecchie sere che continuavo a
provarci, ma speravo che quella sarebbe stata la notte giusta.
Tirai fuori dalla tasca dei miei
pantaloni il galeone, ricordando come, prima di venir perquisita l’avevo
nascosto sotto tutti gli stracci che componevano il materasso del mio letto.
Quello era stato l’unico momento in cui
ero stata costretta a separarmene e, anche se temevo di perderlo o che mi
venisse preso, non potevo fare a meno di portarlo sempre nella mia tasca
destra.
Era come se fosse diventato il
sostituto della mia bacchetta, era l’unico che mi avrebbe potuto mettere in
contatto con Ron ed Harry e di conseguenza era la cosa più preziosa che
possedessi nella mia situazione di prigionia.
Me lo rigirai per alcuni secondi tra le
mani, complimentandomi con me stessa per l’idea di utilizzare i galeoni che ci
erano stati tanto utili l’anno precedente per contattare l’ES.
Ma il mio autocompiacimento non durò a
lungo, dato che dovetti alla fine provare per l’ennesima volta ad utilizzare la
mia magia senza il supplemento della mia bacchetta e, ovviamente, fallii
miseramente.
Era difficile mantenere il controllo
necessario per far fluire tutta la magia che sentivo nel mio corpo verso un
unico punto, infatti dopo una decina di minuti di concentrazione ero solo
riuscita a spostare una piccolissima percentuale, rispetto a tutto il potere
che mi fluiva nelle vene, verso la mia mano destra.
Ma la fame e la stanchezza, sia fisica
che mentale, non facevano altro che intralciarmi nei miei tentativi, tanto che
dopo pochi minuti mi ritrovai ad ansimare ed a sudare come se avessi corso per
cinque chilometri il che, per una ragazza poco atletica come me, erano
l’equivalente di un suicidio.
Quando pensai di aver accumulato
abbastanza potere sul palmo della mia mano provai a pronunciare l’incantesimo
e, per pochi secondi, vidi una luce argentata comparire attorno al galeone e
avvolgerlo in una bolla.
La sorpresa e la felicità per il mio
tentativo riuscito mi fece perdere per pochi istanti la concentrazione e, così
come era comparsa, la luce scomparve.
Imprecai, provando l’istinto di gettare
via il galeone e di mettermi a piangere, ma non mi lasciai scoraggiare e provai
ancora un paio di volte, cercando di concentrarmi maggiormente, ma ormai ero
troppo stanca e mi rassegnai a provarci poi la sera successiva.
Riposi il galeone nella mia tasca
destra e mi sdraiai tra gli stracci, ignorando il cattivo odore e la loro
scomodità, mentre tornavo a piangere, vergognandomi della mia fragilità, ma non
potendo fare altro se non disperarmi in solitudine.
***
Breedy quella mattina era parecchio
circospetto, continuava a guardarsi intorno, ed a lanciare occhiate sospette
dietro di sé, mentre andavamo verso la lavanderia.
Avrei voluto chiedergli cosa avesse, ma
ottenni la risposta senza che fossi costretta a porre la domanda.
«Veloce, signorina», mi disse, facendo
comparire dal nulla una fetta di quella che sembrava proprio una torta di
zucca.
Sbarrai stupita gli occhi, lanciandomi
occhiate allarmate intorno, prima di afferrare la torta e di morderne la punta.
La consistenza morbida e pastosa del
dolce era davvero qualcosa di divino ed il sapore, così simile al succo di
zucce di cui andavo pazza, era qualcosa di celestiale per le mie pupille
gustative.
Avrei voluto avere più tempo per
poterne mangiare un boccone per volta, assaporandone a fondo il gusto, ma fui
costretta, per questioni di sicurezza, ad ingurgitare tutta la fetta in pochi
bocconi.
Stavo ancora masticando quando
arrivammo davanti al portone della lavanderia, così mandai tutto giù e mi
passai la manica della maglia sulla bocca, eliminando ogni segno di briciole
sul mio volto.
Prima di entrare però fermai Breedy,
che camminava pochi passi davanti a me: «Grazie», gli dissi.
Lo vidi arrossire e fare un veloce
gesto della mano, come per dire che era stato un piacere per lui farmi
contenta.
Una volta dentro però non mi ci volle
molto prima di perdere il mio poco buon umore.
Il Mangiamorte urlante era tornato, lui
ed i suoi ordini insensati gridati a destra e a manca.
Gli lanciai uno sguardo di puro odio,
prima di raggiungere il mio lavello e di afferrare nella mano destra la
saponetta, mentre con la sinistra aprivo l’acqua e cercavo di regolarla sulla
temperatura giusta.
Breedy lasciò cadere accanto a me i
vestiti sporchi e come ogni giorno cominciò ad aiutarmi a smistarli.
Mi guardai intorno e, non vedendo la
biondissima chioma di Luna ed il suo sorriso dolce, andai in panico,
cominciando a girarmi su me stessa, cercando la mia amica ovunque.
Lanciai un’occhiata allarmata a Breedy,
ma lui, con un gesto veloce della mano, mi ricordò di tornare al lavoro se non
volevo finire nei guai.
Svolsi automaticamente ogni lavoro
necessario, ma parte della mia mente era sempre in allarme ed all’erta, pronta
a sondare ogni individuo all’interno della sala per cercare l’unica amica
rimastami.
Passò quasi un’ora prima che vedessi
finalmente comparire Luna, scortata da un Mangiamorte, con il volto abbassato e
le gambe che sembravano non sorreggerla.
Mossi alcuni passi nella sua direzione,
ma Breedy si piazzò davanti a me, con le braccia aperte e con una smorfia di
compassione e tristezza sul volto.
Mi intimò di tornare al lavoro ed io,
mordendomi a sangue il labbro inferiore, mi costrinsi a fare come mi aveva
detto.
Non persi però di vista la mia amica, e
la osservai per tutta la mattinata, sondandone i movimenti e cercando di
abbinare ad ogni suo gesto uno stato d’animo.
Notavo con orrore che le dita e le mani
continuavano a tremarle, mentre aveva lividi violacei sulle braccia e un taglio
sulla fronte che le faceva gocciolare del sangue lungo la tempia e la guancia
pallida.
Rischiai di correre da lei per aiutarla
un centinaio di volte nel giro di mezz’ora, chiedendomi per quale motivo
l’avessero torturata in quel modo; a me non avevano mai lasciato tanti segni sulla
pelle, preferendo ferirmi nell’animo... perché a lei invece sembravano aver
utilizzato la tecnica opposta?
Solo verso metà mattinata riuscii ad
incontrare i suoi dolci occhi azzurri che, malgrado tutto, si illuminarono
incontrando i miei e vidi comparire sulle sue labbra un debole sorriso che
cercai di ricambiare con scarsi risultati.
Dopo di che il Mangiamorte di guardia
cominciò ad urlarle contro, dicendole di svolgere il suo lavoro invece di
perdere tempo a guardarsi intorno.
Una forza a me sconosciuta sembrò
trattenermi dall’intervenire, come se qualcuno fosse entrato nella mia mente e
mi avesse imposto di rimanere ferma.
Voltai il viso verso Breedy, rendendomi
conto che era stato lui a farmi un incantesimo per impedirmi di muovermi dal
busto in giù e, anche se una parte della mia mente lo ringraziò di cuore,
l’altra avrebbe voluto avere ancora una bacchetta per poter schiantare lui ed
il Mangiamorte.
Dopo quell’episodio però riuscii a
calmare abbastanza i nervi da non aver più bisogno dell’incantesimo dell’elfo
domestico per non saltare addosso e
prendere a calci nel sedere quell’ombra scura che continuava ad importunare
ogni singolo prigioniero o elfo che gli si trovava di fronte.
Tornai al mio lavoro cercando di non
lasciarmi distrarre da nulla, anche se a volte continuavo a guardare nella
direzione di Luna per accertarmi che non stesse troppo male.
Stavo pulendo una camicia bianca quando
udii il Mangiamorte urlare con un tono più forte del solito.
Alzai lo sguardo e vidi un ragazzino,
che mi sembrava fosse di Tassorosso, tremare tutto mentre l’uomo in nero
seguitava a strillare a due centimetri dal suo volto pallido e giovane.
Non ricordavo il nome di quel
poveretto, ma ero certa che fosse solo del primo anno e sentii montarmi dentro
una rabbia infinita, mentre stringevo le dita intorno alla saponetta e fissavo
con odio la scena.
«Non ti devi mai fermare, chiaro? Devi
lavorare, LAVORARE! Quelle camicie ti sembrano pulite?!», il Mangiamorte
sollevò la bacchetta, con il chiaro intento di lanciare un incantesimo al
ragazzino.
Sentii nuovamente le mie gambe bloccate
dall’incantesimo di Breedy e, senza prestare attenzione alla vocina nella mia
testa che mi diceva di non farlo, sollevai il braccio e lanciai la saponetta.
Mi resi chiaramente conto di quello che
avevo appena fatto solo quando ormai l’oggetto stava compiendo una perfetta
parabola diretto alla nuca dell’uomo in nero e mi pentii del gesto quando la
saponetta era giunta con precisione a destinazione.
Mi imposi però di non sembrare in
nessun modo scossa e rimasi con orgoglio e coraggio a fissare il Mangiamorte
dritto in quelli che dovevano essere gli occhi, anche se erano coperti dalla
sua maschera.
L’uomo in pochi passi mi aveva
raggiunto e, con mio sollievo, aveva lasciato in pace il povero ragazzino che
ora provava a trattenere le lacrime, mentre mi fissava con lo sguardo pieno di
profonda gratitudine.
Non udii cosa disse l’uomo, anche se
percepii chiaramente le parole chiave del discorso: “sporca Mezzosangue”...
“pagherai”... “lavorerai”... “cucina”... “tutta la notte”.
Sentii perfettamente però il dorso
della sua mano che colpì con forza la mia guancia sinistra, provocandomi un
intenso bruciore in viso.
A quel punto avrei dovuto rimanere
immobile, magari fingermi timorosa, dandogli la soddisfazione di avermi messo
paura, ma ancora una volta mi mossi senza pensare a ciò che facevo e gli sputai
dritto contro la maschera che portava sul viso.
Avrei pagato per vedere la sua
espressione in quel momento, ma l’unica cosa che otteni fu un altro schiaffo
che mi fece voltare il viso di novanta gradi.
«Crucio!», urlò l’uomo, mostrando di
avere molta fantasia per quanto riguardavano le punizioni da infierire a noi
“schiavi”.
Ma fui in grado di essere sarcastica
solo un decimo di secondo, prima che il solito dolore di coltelli dalla lama
infuocata mi trafiggesse interamente, facendomi cadere a terra, in ginocchio.
Non saprei come, ma riuscii a non
urlare e, quando la tortura finì, fui fiera di me stessa per non aver
supplicato perdono o pietà.
Ottenni ancora un calcio all’altezza
dello stomaco, prima che quell’uomo mi afferrasse per i capelli,
trascinandomi fino alle cucine e mi
lasciasse lì, a terra.
Mi sollevai in piedi a fatica, provando
a combattere il tremore di braccia e ginocchia e, guardandomi intorno, vidi un
centinaio di occhi che mi fissavano con stupore.
All’interno di quella stanza c’erano
solitamente più elfi domestici che prigionieri, anche perché noi “schiavi” non
potevamo usare la magia e questo penalizzava il nostro possibile contributo
nel campo culinario.
Le dita del Mangiamorte afferrarono
nuovamente una manciata dei miei capelli e mi trascinarono fino a farmi cadere
davanti ad una scopa: «Pulirai tutto, da cima a fondo e potrai andartene solo
quando avrai finito, lurida Mezzosangue»
Scomparve oltre la porta con poche
veloci falcate e, quando fui certa che se ne fosse andato mi alzai in piedi
lentamente, cercando di concentrare le mie forze sulle gambe per non cadere
nuovamente a terra.
Mi appoggiai alla parete davanti a me,
riprendendo fiato e cercando in tutti i modi di non piangere e rimasi immobile
in quella posizione per alcuni istanti.
Presi poi la scopa e, ignorando il
bruciore alla guancia e l’intenso dolore allo stomaco, cominciai a spazzare per
terra.
Sentivo la presenza di un’altra persona
nella stanza, ma non alzai lo sguardo, sapendo perfettamente che era un
Mangiamorte.
Rischiavo spesso di inciamparmi sui
miei stessi piedi, ma continuai come se nulla fosse a zigzagare tra gli elfi
domestici per pulire per terra, provando ad essere abbastanza forte, anche se
l’unica cosa che avrei voluto fare era rannicchiarmi in un angolo e piangere
fino a quando non avrei avuto più lacrime a disposizione.
Speravo che il ragazzino che avevo
aiutato non avesse avuto altre difficoltà e che la ferita di Luna all’altezza
della tempia non sanguinasse più, ma per accertarmi della loro salute avrei
dovuto aspettare fino al giorno dopo, quindi smisi di tormentarmi pensando a
loro e cominciai concentrarmi maggiormente sul mio compito.
Quando ritenetti che il pavimento fosse
abbastanza pulito afferrai uno straccio da un bancone e cominciai a spolverare
ogni superficie piana che incontravo.
Tutte quelle pulizie mi ricordavano
tremendamente la mia vita da babbana e tutti i pomeriggi che avevo aiutato mia
mamma a pulire casa in vista dell’arrivo di qualche ospite per cena. Mia mamma,
oltre ad essere una dentista, aveva la fissazione per le pulizie e, almeno una
volta ogni due settimane, doveva trascorrere un intero week end a pulire
qualsiasi cosa le fosse capitata in mano.
Era precisissima per quello che riguardava
le pulizie e l’ordine e sapevo di aver preso da lei questo lato meticolosamente
preciso con cui etichettavo ogni cosa e davo definizioni a tutto quello che
potevo.
L’unica persona che non ero mai
riuscita davvero a classificare era proprio Draco Malfoy...
Strinsi forte lo straccia tra le dita
delle mani, che mi tremavano, e chiusi forte gli occhi per qualche istante, nel
tentativo di cancellare il mio ultimo pensiero, ma con scarsi risultati.
Il portone della cucina si aprì con un
colpo secco e vidi entrare a passo di marcia un nuovo Mangiamorte che prese il
posto di quello precedente.
Non prestai loro molta attenzione
concentrata nel scacciare dalla mia mente gli occhi chiari e caldi di un certo
biondino che in meno di un mese era riuscito a farmi innamorare di lui, ma li
sentii scambiarsi poche veloci parole.
Quando alzai lo sguardo mi stupii nel
constatare che la figura appena entrata aveva qualcosa che me la faceva
classificare come una donna, forse era la sua sagoma minuta e delicata, oppure
il modo in cui era seduta, con le gambe accavallate, su una sedia.
Non la degnai però di molte attenzioni
e tornai in fretta ai miei doveri, sperando di essere ignorata come facevo io
con lei.
Le passai davanti solo per recuperare
un altro straccio, dato che quello precedente l’avevo già riempito di polvere,
ma per il resto non ci degnammo di molte attenzioni, lei troppo impegnata a
limarsi le unghie e io troppo indaffarata a svolgere il mio compito.
Gli elfi erano silenziosamente
efficienti, tanto che sembrava che non ci fossero nemmeno.
Avrei voluto allungare una mano ed
afferrare qualcosa da mangiare per zittire il continuo borbottare del mio
stomaco, oppure prendere semplicemente un bicchiere d’acqua per dare sollievo
alla mia gola riarsa o alle labbra spaccate, ma riuscii chissà come ad ignorare
la vocina affamata ed assetata nella mia mente, imponendomi di fare il mio
dovere, anche se avrei voluto distruggere tutto quello che mi capitava a tiro,
a partire da quella Mangiamorte che aveva qualcosa di familiare nella postura e
nel modo in cui continuava a guardarsi le unghie perfettamente laccate da uno
smalto color rosso acceso.
Quando passò l’ora di cena e gli elfi
cominciarono a ritirare ogni spezia e condimento al proprio posto nella
credenza mi resi conto che il mio lavoro invece era appena all’inizio, dato che
in pochi secondi capii a chi spettasse pulire le centinaia di piatti che erano
stati riportati vuoti dalla sala da pranzo.
Mi rimboccai le maniche e cominciai a
darmi da fare, prendendo una spugna e riempiendola di detersivo per poi
iniziare a scrostare energicamente tutte le pentole, i piatti, i bicchieri, le
posate e i mestoli.
In meno di un’ora le dita erano già
cotte, piene di quelle rughette sui polpastrelli causate dal contatto
prolungato con l’acqua e i dorsi delle mani erano arrossati e screpolati.
Riuscii a trattenere le lacrime per il
dolore e l’umiliazione solo perché sapevo che c’era ancora la Mangiamorte di
“guardia”.
Non ce la facevo più a sopportare tutto
quello e, anche se ero felice di non esser dovuta andare da Bellatrix almeno
quel giorno, mi sentivo comunque ancora scossa dalla maledizione Cruciatus
ricevuta da quel Mangiamorte ed ero fin troppo desiderosa di tornarmene nella
mia cella per poter provare con le poche forze rimastemi ad usare la magia
senza la bacchetta, prima di poter finalmente piangere e dormire.
Ci fu un altro cambio di guardia e,
quando la Mangiamorte se ne fu andata, comparve nella mia mente il suo nome:
Daphne Greengrass.
Ero certa che fosse lei perché ricordavo
perfettamente come si limasse le unghie durante le ore di lezione, soprattutto
quelle di Storia della Magia o di Trasfigurazione.
Avrei voluto correrle dietro per
accertarmi che fosse lei ma, voltandomi, vidi l’ombra di un altro Mangiamorte
al suo posto e desistetti, tornando a fissare la pila di piatti accanto a me.
Sospirai mentre riempivo per la
ventesima volta la mia spugna di detersivo e, nel tentativo di combattere la
stanchezza e le ginocchia che cominciavano a cedermi, cominciai a canticchiare
nella mia testa una canzone babbana che piaceva tanto a mia mamma e che spesso
metteva mentre faceva le pulizie.
Sperai che mamma e papà stessero bene
dalla zia e che nessun Mangiamorte li avesse trovati in quella piccola casetta
di campagna, anche se una parte di me cominciava già a prevedere il peggio.
Sbadigliai, mentre ciondolavo appena
sulle caviglie.
Ero talmente stanca che non mi resi
nemmeno conto che nella stanza era entrato un altro Mangiamorte.
Quando anche l’ultimo piatto fu pulito,
asciugato e messo al suo posto nella credenza, provai ad appoggiarmi al bancone
per non cadere a terra dalla stanchezza, mentre le ginocchia cedevano e la
mente mi si annebbiava come se mi fossi trovata in un semplice sogno.
Delle braccia mi afferrarono prima che
cadessi e mi sentii subito confortata dal calore di un altro corpo umano contro
il mio.
Senza pensare a nulla affondai i volto
contro il petto di quella persona inspirandone a fondo l’odore e sussultando,
quando mi resi conto di conoscere fin troppo bene quella fragranza di menta,
tabacco e liquore.
«No...», mormorai, mentre dita
familiari affondavano contro la mia schiena, stringendomi a sé.
No, no, no,
no, no!
Avrei voluto allontanarlo con tutte le
poche forze che ancora possedevo, ma ormai era troppo tardi e calde lacrime
avevano cominciato a bagnarmi il volto, mentre la consapevolezza di essermi
addormentata e di star sognando il mio peggiore incubo si faceva strada nella
mia mente, distruggendomi.
«Draco...», sussurrai, ma la voce mi si
spense prima di poter dire altro.
«Ci sono qua io ora», mormorò contro il
mio orecchio, provocandomi caldi e freddi brividi ovunque.
L’istante dopo mi ritrovai sollevata da
terra e comodamente avvolta dalle sue braccia.
E, come ogni sogno che si rispetti,
quando mi svegliai non aveva lasciato altro che un’odore familiare di menta,
tabacco e liquore.
****************************************************************************************
Ciao! :)
Avete visto? Sono riuscita ad essere puntuale! ;)
Dunque, come potete vedere anche questo capitolo è dal punto di
vista di Hermione, ma il prossimo ho deciso di metterlo con Draco pov, che ne
dite?
Come al solito spero che vi sia piaciuto e ringrazio tutte le persone
che hanno commentato il primo capitolo di questa storia, davvero grazie mille
ed abbiate fede che prima o poi riuscirò a rispondere alle vostre recensioni!
;)
Spero di riuscire a scrivere presto il prossimo capitolo che
comunque dovrei riuscire a postare entro il 6! ;)
Auguro a tutti un felice Anno Nuovo e vi mando un grosso bacio! :-*
LazySoul
p.s. Se avete voglia e tempo di lasciarmi una recensione mi fareste
davvero felice ;)
|
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Capitolo 3 *** Pathetic (Draco’s point of view) ***
cap_3
Pathetic (Draco’s point of view)
Il familiare solletico provocato da
quella massa di capelli ricci contro il mio collo ed il mento mi fece aumentare
la stretta intorno a quel corpo conosciuto, eppure tremendamente cambiato.
Sentii dolorose stille di rabbia nel
petto nel constatare quanto fosse dimagrita, mentre la stringevo di più a me,
godendomi il suo calore.
«No», la sentii mormorare, ma non le permisi
di allontanarsi; era troppo debole e sarebbe finita col cadere a terra se non
l’avessi sostenuta.
E, anche se il suo rifiuto mi fece
male, non potevo affatto darle torto.
Se avessi potuto mi sarei rifiutato da
solo.
«Draco»
Il mio nome sulle sue labbra mi fece
sentire terribilmente in colpa.
Lei era stata la mia unica luce,
l’unica che avrebbe potuto salvarmi e l’unica cosa che potevo fare era
ricambiare il favore, anche se tutte le volte che ci provavo finivo col
peggiorare le cose.
«Ci sono qua io ora», mormorai,
piegandomi appena per passarle un braccio sotto le ginocchia e l’altro dietro
la schiena, di poco sopra la vita.
Non meritavo di poterla stringere
ancora tra le braccia e di poter vedere il suo viso dolce, ma in quell’istante
mi ritrovai a ringraziare Dio, io che non ero mai stato credente.
Notai le sue occhiaie, la pelle pallida
e tirata, le labbra screpolate e un livido violaceo sulla sua guancia sinistra
e mi sentii distrutto, come se qualcuno mi avesse conficcato con forza la mano
nel petto e mi avesse strappato il cuore senza il minimo riguardo.
La strinsi più che potevo al petto,
mentre mi avviavo verso le celle.
Svenne dopo pochi passi, abbassando le
palpebre su quegli occhi marroni che sembravano giudicarmi, ma allo stesso
tempo venerarmi.
Non mi meritavo affatto
quell’adorazione, lo sapevo, ma non potevo fare a meno di goderne.
Mi era mancata e, allo stesso modo in
cui non avevo potuto fare altro che pensare a lei quando ero stato costretto ad
allontanarmi da Hogwarts per ricevere il Marchio, da quando era stata imprigionata
la mia mente sembrava si fermasse sempre su un unico pensiero fisso: lei.
Sentivo la sua voce ovunque, il suo
odore, la sua risata, i suoi gemiti...
Mi morsi con forza il labbro inferiore,
mentre mi imponevo di non pensare quell’unica notte che avevamo passato
insieme e a come tutto fosse stato perfetto, come se fosse stato uno dei tanti
sogni che mi avevano sempre perseguitato.
Sorrisi lievemente, chiedendomi come
avrebbe reagito se le avessi detto che erano anni che la sognavo e che, a mano
a mano che crescevo, i miei desideri notturni si erano fatti sempre più intensi
e nient’affatto pudici.
Mi era entrata dentro allo stesso modo
in cui i raggi del sole penetrano nel terreno dopo un lungo inverno, portando
calore, rinascita, vita.
Oh, si, Hermione era il mio sole:
bellissimo, splendente ed irresistibile.
Avrei voluto che fosse sveglia, anche
se sapevo che quel pensiero era tremendamente masochista.
Se non fosse stata così stanca e
provata probabilmente mi avrebbe picchiato ed insultato per minuti interi
invece di dire un semplice e debole: erH«No»
quando l’avevo stretta tra le braccia.
Sapevo che ci sarebbe voluto del tempo
per poter aver di nuovo la sua fiducia, ma ero pronto ad aspettare fino a
quando fosse stato necessario.
Avevo sbagliato tante volte con lei,
soprattutto quando cercavo di mostrarle solo un lato di me, nascondendogli
tutte le mie altre sfaccettature.
Arrivato davanti alla cella riuscii ad
aprire la porta senza farle battere la testa contro la parete e mi sentii
orgoglioso di me stesso per quel piccolo traguardo, mentre entravo e mi
richiudevo col piede la porta alle spalle.
L’adagiai su degli stracci che si
trovavano a terra e feci una smorfia, rendendomi conto di quanto la sua
situazione fosse precaria.
Ero stato uno stupido la notte della
battaglia, ma solo dopo l’avevo capito.
In mezzo a tutti quei maghi che
combattevano agli sprazzi di luce che fuoriuscivano dalle bacchette ero andato
in panico, ansioso di proteggerla nel modo migliore possibile.
Tornando indietro probabilmente l’avrei
chiusa nella mia stanza nei sotterranei, invece di correre il più fretta
possibile verso l’Infermeria, convinto che Madama Chips potesse aiutarla, non
pensando affatto che era molto più probabile che i Mangiamorte entro la fine
della notte avrebbero preso tutto il castello e che in quel luogo avrebbe
rischiato la vita.
Ero stato stupido, convinto che i buoni
ce l’avrebbero fatta...
Accarezzai i suoi capelli, ignorando il
fatto che fossero sporchi e sfibrati, erano comunque stupendi e mi chiesi come
facesse a sembrare una leonessa fiera ed orgogliosa con quel terribile livido
violaceo sulla guancia sinistra e le occhiaie dello stesso colore.
Forse la vedevo bella per il semplice
fatto che l’amavo.
Che strano pensare ai miei sentimenti,
non li avevo mai davvero considerati, tendendo a rinchiuderli in qualche angolo
del mio cuore, ma lei aveva spezzato ogni catena e li aveva liberti,
permettendo loro di tormentarmi.
L’avevo desiderata per anni, convinto
che fosse solo una voglia fisica e nient’altro, l’avevo trovata irresistibile
dalla prima volta che l’avevo incontrata sul treno di Hogwarts e l’avevo
aiutata a trovare quello stupido rospo, dalla prima volta che avevo incontrato
quegli occhi marroni e avevo visto i suoi capelli ribelli e selvaggi così
diversi dai miei.
«Cosa mi hai fatto, Granger?»,
sussurrai, affondando le dita tra i suoi capelli e ricordandomi quanto fosse
stato bello fare l’amore con lei.
Brividi di desiderio si propagarono in
tutto il mio corpo, mentre desideravo come un pazzo che si svegliasse, volevo
litigare con lei, vedere nei suoi occhi quella luce selvaggia che li illuminava
quando era furiosa con me, baciarla e spogliarla e...
Chiusi gli occhi, inspirando ed
espirando lentamente per calmarmi e per evitare alla mia erezione di peggiorare
ulteriormente.
Sarei dovuto uscire subito da quella
stanza, anzi cella, ma sentivo la necessità di restare ancora.
Afferrai da terra un mantello mal
ridotto e la coprii con esso, facendo attenzione a non lasciarle nemmeno un
dito scoperto.
Mi sporsi verso di lei, ignorando la
voce nella mia mente che mi diceva di non esserne degno, e appoggiai la mia
bocca sulla sua guancia, pericolosamente vicino alle sue labbra socchiuse.
Inspirai il suo odore e gemetti nel
percepire, oltre all’odore di sporco e di sudore, la fragranza familiare della
sua pelle.
Mi scostai troppo bruscamente,
allontanandomi come se mi avesse scottato e forse era proprio quello che aveva
fatto dalla prima volta che l’avevo vista.
Mi aveva marchiato a fuoco.
«Meriti di meglio, Granger. Ma sono
troppo egoista per permetterti di rendertene conto»
Avrei voluto tirare fuori la bacchetta
e guarirla, ma era troppo presto, avevo ancor bisogno di dieci ore e poi avrei
potuto liberarla.
“Dieci ore, solo dieci ore”, mi dissi,
sperando che quel pensiero bastasse a non farmi fare qualcosa di sconsiderato,
anche se solitamente ero piuttosto bravo a cacciarmi nei guai nel momento meno
opportuno.
Ad esempio quando le avevo proposto
quella scommessa anche se sapevo che presto o tardi i miei genitori mi
avrebbero chiamato a casa per marchiarmi.
Sì, quella scommessa avrei proprio
dovuto risparmiarmela, le avrei evitato di soffrire inutilmente.
Invece che in quell’orribile cella, si
sarebbe ritrovata certamente in un qualche altro posto, al sicuro, con i suoi
amici...
Feci qualche passo indietro, verso la
porta della cella, ma senza distogliere gli occhi dal suo viso dai lineamenti
rilassati per il sonno.
Appena avessi incontrato Daphne avrei
dovuto come minimo ringraziarla.
Era stata lei quella sera a dirmi dove
si trovava Hermione e potevo dire di essere arrivato giusto in tempo per
evitare che si beccasse una commozione cerebrale. Allo stesso modo in cui ero
debitore a Blaise che, proprio in quel momento, stava facendo il giro di ronda
al mio posto e a Pansy, che l’avrebbe fatto il giorno successivo, quando io
sarei stato troppo impegnato a liberare la donna che amavo dalla sua cella per
poter svolgere il mio compito di Mangiamorte.
Mi avvicinai ancora una volta ad
Hermione e questa volta il mio egoismo prevalse, portandomi ad appoggiare le
mie labbra sulla bocca della ragazza addormentata che non sembrò accorgersi di
nulla, anche se, quando mi allontanai di poco, potei vedere quello che sembrava
un dolce sorriso sulle sue labbra.
«Tornerò presto a prenderti, Granger.
Mancano dieci ore, solo dieci ore»
Mi costrinsi ad allontanarmi di nuovo e
fu doloroso il pensiero di dover aspettare ancora, ma dovevo resistere, dovevo
farlo per lei.
Si mosse nel letto, scoprendosi in
parte,così tornai a rimboccarle le coperte e notai con una stretta al cuore una
profonda cicatrice rossastra sul palmo della sua mano destra.
La rabbia che sentivo era devastante,
sembrava che qualcosa dentro di me si fosse spezzato, come se una diga fosse
crollata permettendo ai sentimenti negativi di prendere il sopravvento.
Avevano superato il limite, come si
erano permessi di torturare in quel modo la mia
Mezzosangue?
Poteva avere tutto il sangue sporco del
mondo, ma non me ne sarebbe potuto importare di meno perché lei era solo mia e
nessun’altro doveva toccarla.
Presto ci sarebbe stata un’altra
guerra, sapevo che Potter e il suo smisurato ego sarebbero spuntati dal nulla
per provare a sconfiggere l’Oscuro Signore. Era solo questione di tempo e poi
avrei potuto schierarmi dalla parte dei buoni per vendicare Hermione.
Un ghigno si dipinse sul mio volto a
quel pensiero, mentre il mio respiro si adattava a quello addormentato della
Granger.
Mi sentivo terribilmente stupido,
continuavo a stare lì a pochi passi da lei allontanandomi di poco un minuto e
quello dopo tornando vicino a lei.
Davvero patetico.
Mi ero trasformato in un patetico
essere pronto a fare qualsiasi cosa per una donna...
E se lei non mi avesse più voluto? Se fosse
stata troppo arrabbiata con il sottoscritto per perdonarlo? Se non si fosse
fidata più di me?
E se lei non mi amasse più?
Anzi la vera domanda era: lei mi aveva
mai amato?
Le mie supposizioni sui suoi sentimenti
si basavano su alcune sue parole pronunciate nel sonno, ma potevo prendere come
vero un semplice “Ti amo” sussurrato poco prima che mi addormentassi dopo aver
fatto l’amore con lei?
Avrebbe potuto benissimo star pensando
a qualcun altro, magari stava sognando Lenticchia...
Strinsi forte le mani a pugno, quasi
fossi stato pronto a prendere quel verme a cazzotti.
“Ti piace farti male Draco? Perché continui
a pensare a certe cose?”, mi chiesi, avvicinandomi ancora una volta ad Hermione
per lasciarle un altro bacio sulla guancia, prima di decidermi finalmente ad
uscire da quella cella.
Fece un male cane andarsene, ma non mi
voltai indietro, se l’avessi fatto avrei rischiato di portarla via con me ed
era meglio non farlo, era troppo presto, dovevo aspettare ancora dieci ore.
Passai attraverso il lungo corridoio e mi
fermai davanti ad una delle ultime celle, dove una vocina sottile stava
canticchiando.
Fu strano riconoscere la sua voce,
anche perché con lei non avevo mai instaurato nessun tipo di rapporto, tranne
quello che di solito adattavo per chiunque; insultandola o ignorandola.
Eppure la voce della Lovegood era difficile da confondere ed ero certo che ci
fosse lei dietro a quella porta di legno.
Mi soffermai a pensare solo pochi minuti,
prima di continuare a camminare e mi chiesi se avessi potuto aiutare anche lei
allo scadere delle dieci ore.
Il piano avrebbe dovuto funzionare lo
stesso anche se avessi salvato due persone invece di una soltanto.
Mi affrettai ad indossare la maschera
da Mangiamorte, prima che qualcuno mi vedesse senza ed imboccai un altro
corridoio, passando per le cucine per ritrovarmi poi vicino ai sotterranei
della scuola.
Ci impiegai meno di cinque minuti ad
arrivare nella mia camera e sorrisi nel notare al centro della stanza la figura
bassa che l’attendeva.
«Padrone», disse l’Elfo Domestico
facendo un inchino fin troppo profondo, prima di alzare i suoi grossi e tondi
occhi verde acido.
«Parla», dissi semplicemente, certo che
non avesse bisogno di ulteriori incitazioni.
«Le ho portato la torta come da lei
richiesto e le ho preparato io stesso il tè, avevate ragione a proposito delle
bevande avvelenate, i Mangiamorte mettono qualcosa nei pentoloni per i
prigionieri, penso che sia qualcosa per indebolirli», l’Elfo annuì, con una
smorfia di disgusto in viso, mentre giocava con l’orlo dello straccetto che
aveva per vestito.
«Chi l’ha colpita?»
Breedy sussultò a quelle parole,
facendosi scuro in viso: «La signorina non ha ascoltato, ha voluto difendere
quel ragazzino, io le avevo detto di non farlo, ma lei non mi ha voluto dare
retta. La signorina ha tirato una saponetta al Mangiamorte e gli ha sputato in
faccia. Il Mangiamorte l’ha colpita e l’ha presa per i capelli e l’ha
trascinata in cucina»
Provai un forte impulso omicida nei
confronti di chiunque l’avesse trattata in quel modo, ma allo stesso tempo ero
orgoglioso e contrariato per come si era comportata la Granger. Avrebbe dovuto
starsene zitta in un angolo e non difendere nessuno, ma sapeva che per lei
sarebbe stato impossibile.
«Chi era il Mangiamorte?»
«Avery», disse l’Elfo, senza
distogliere lo sguardo dal mio.
Annuii lentamente: «Io ed Avery abbiamo
fin troppi conti in sospeso, vedrò di trovare un modo per vendicarmi...»
Non aveva soltanto maltrattato la
Granger meno di cinque ore prima, ma l’aveva anche Cruciata durante la Guerra
di Hogwarts e mi pentivo ogni giorno che passava di non averlo ucciso in quel
momento, quando ne avevo l’occasione.
Guardai l’Elfo: «Ora puoi andare. Ma ricordati:
a mezzogiorno deve essere nella sua cella»
Breedy annuì: «Certo, signore»
«Ah! Stavo per dimenticarmene... voglio
che anche Luna Lovegood sia nella sua cella alla stessa ora»
Forse se avessi aiutato la sua amica la
Granger mi avrebbe insultato meno, anche se non avevo nessuna garanzia che
questo accadesse.
«Sarà fatto, Padrone»
Dopo un profondo inchino l’Elfo
scomparve con un ovattato Pop.
Era stata una fortuna avere Breedy come
“infiltrato” tra gli altri Elfi Domestici che si trovavano ad Hogwarts e questo
era dovuto principalmente a mio padre che per compiacere il suo Signore Oscuro
aveva offerto di far trasferire alcuni Elfi di Malfoy Manor nella scuola per
aiutare a gestire i prigionieri.
Breedy era sempre stato una specie di
Elfo fidato per me, era lui che quando ero bambino si faceva inseguire con la
scopa per farmi esercitare nel volo, lui che mi portava latte e biscotti quando
ero in punizione, lui che mi avvisava quando mio padre era di buono o cattivo
umore.
Mi portai le mani al viso, stropicciandomi
gli occhi per la stanchezza.
Mi riavviai i capelli, prima di
avvicinarmi al letto, lanciando solo una veloce occhiata al pentolone che ti
trovava a pochi passi dal comodino, assicurandomi che il colore della pozione
che ribolliva al suo interno fosse abbastanza chiaro.
Dieci ore, solo dieci ore.
Mi spogliai con calma, ripassando
mentalmente il piano e appuntando in una parte della mia mente che avrei avuto
bisogno della collaborazione di Blaise per salvare la Lovegood.
Sbuffai al pensiero che così facendo sarei
stato doppiamente in debito nei confronti del mio amico, ma poi sorrisi, al
ricordo di come fosse stato tutto merito suo se avevo finito per proporre
quella stupida scommessa alla Granger.
Era stato Blaise a convincermi che
dovevo assolutamente farmi avanti e che se non l’avessi fatto si sarebbe
occupato lui stesso di avvicinarci in qualche modo.
Mi coricai sotto le coperte ghiacciate,
tremando appena, mentre pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto avere il corpo
caldo di una certa Mezzosangue tra le braccia e non solo per dormire, ma per...
Scacciai quei pensieri rigirandomi in
modo da tenere sotto d’occhio il calderone.
Inspirai a fondo l’odore che impregnava
le coperte e, oltre al mio, mi sembrò per pochi istanti di sentire anche quello
più dolce e femminile della Granger.
Sì, stavo diventando davvero patetico.
****************************************************************************************
Buonasera a tutti! :)
Visto? Sono addirittura
in anticipo! Contente? ;D
Allora, che ve ne
pare di questo capitolo? A me è piaciuto scriverlo, infatti pensavo di fare
anche il quinto o il sesto con un pov Draco... ma devo ancora organizzarmi,
quindi non prometto niente... xD
Il prossimo capitolo
non so quando arriva, ma entro sabato prossimo dovrei farcela ;)
Colgo l’occasione per
ringraziarvi tutti di cuore, mi avete riempita di recensioni stupende e di
complimenti che non credo di meritarmi, mi avete fatta sorridere come un’ebete
per minuti interi e mi avete colmata di orgoglio. Potessi vi abbraccerei una ad
una *-*
Felice Epifania :-*
LazySoul
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Capitolo 4 *** Transparent potion ***
cap_4
Transparent potion
Breedy quella mattina sembrava particolarmente
allarmato, come se si aspettasse di vedere spuntare la Morte dal nulla da un
momento all’altro.
Mi stupii di vedere che mi porgeva una
fetta di torta di zucca e dei biscotti.
Avevo pensato che la sua gentilezza del
giorno precedente non si sarebbe ripetuta così presto, ma mi dovetti ricredere
mentre affondavo i denti in quei dolci e ne assaporavo a fondo il sapore.
Lo ringraziai, ma lui fece un veloce
gesto della mano, come se fosse imbarazzato e volesse chiudere lì la faccenda.
Gli sorrisi e potei vedere chiaramente
le sue guance, come anche le punte delle sue orecchie, arrossire.
Pensavo che dovessimo andare
direttamente nella lavanderia come ogni giorno, ma l’Elfo svoltò, invece di
continuare dritto lungo il corridoio che portava in cucina e io potei
chiaramente sentire un brivido di paura propagarsi dolorosamente nel mio corpo
infreddolito.
A quanto pareva il fatto di aver
scampato le torture di Bellatrix Lestrange il giorno precedente era qualcosa
che dovevo recuperare al più presto possibile.
Meno di due minuti e mi trovai davanti
alla porta nei sotterranei, oltre la quale c’era la mia carnefice.
Lanciai un’occhiata veloce a Breedy,
nervosa ed impaurita, anche se non l’avrei mai ammesso ad alta voce, prima di
fare un profondo respiro e di fare segno all’Elfo di aprire la porta.
Bellatrix Lestrange quel giorno
indossava un abito color prugna con corpetto rigido e la gonna che morbida
arrivava fino a terra. I capelli ricci, ribelli e neri come il carbone le
incorniciavano il viso affilato, sul quale spiccavano i suoi occhi scuri e
pieni di follia. La bocca ere atteggiata in un sorriso sadico ed inquietante
che mi fece accapponare la pelle su tutto il corpo.
«Sei tornata a farmi visita,
Mezzosangue? Che gentile...», la sua voce stridula rimbombò nella stanza,
mentre muovevo i primi passi nella stanza, concentrata su ogni singolo muscolo
del mio corpo per evitare di fuggire alla prima occasione.
Sapevo per esperienza che non sarebbe
servito a nulla e che avrei solo finito col fare aumentare le torture che la
strega mi avrebbe imposto.
La Mangiamorte si avvicinò con quel suo
passo traballante e fece un veloce gesto a Breedy per indicargli di uscire.
Due secondi dopo eravamo sole nella
stanza.
«Dunque, Mezzosangue, ti è venuta
voglia di rispondere? O sei ancora cocciutamente convinta di poter resistere
alle mie torture?», sorrise, mettendo in mostra i suoi denti bianchi
perfettamente dritti.
Non risposi, fissandola con tutto
l’odio e l’astio che mi era possibile, mordendomi l’interno guancia per evitare
di insultarla o di sputarle in faccia, certa che un comportamento simile
avrebbe solo prolungato la mia agonia.
«No? La tua cocciutaggine mi fa ridere,
Sangue sporco... in fondo io mi diverto un mondo a torturarti, quindi l’unica a
rimetterci in questa situazione sei tu!»
Si avvicinò ancora e, quando mi fu a
pochi centimetri di distanza, utilizzò la bacchetta per sollevarmi
ulteriormente il mento.
I miei occhi incontrarono nuovamente i
suoi, neri e pieni di una luce folle che mi faceva accapponare la pelle.
«Dov’è Potter?», chiese, muovendo appena
la testa verso destra.
Non risposi e la luce divertita dei
suoi occhi scomparve, sostituita da un sentimento molto simile al fastidio: «Non
me lo vuoi dire?»
Rimasi zitta, mentre la guardavo
orgogliosamente negli occhi; perché per quanto avessi paura non le avrei mai
dato la soddisfazione di sottomettermi.
«Bene, bene... allora non mi resta che
scoprire da sola ciò che voglio sapere...»
Ci furono pochi secondi di pausa,
durante i quali Bellatrix Lestrange tolse la bacchetta da sotto il mio mento e
fece un passo indietro, osservandomi da capo a piedi, come se avesse dovuto
prendere le misure per confezionarmi un vestito nuovo.
«Legilimens!», urlò, compiendo un
fluido movimento con la bacchetta, mentre io stringevo forte i denti e
innalzavo più che potevo le mie barriere mentali.
Ringraziavo sempre le mie numerose
letture durante i pomeriggi di studio, senza le quali, non avrei mai potuto
apprendere come proteggere i miei pensieri da qualcun altro.
Grazie a tutto lo zucchero che
circolava nel mio corpo, grazie alla torta di zucca e i biscotti gentilmente
offerti da Breedy, non mi fu troppo difficile oppormi ai suoi continui
tentativi di carpirmi qualche informazione.
Alla fine, parecchi minuti dopo, smise
di attaccare la mia mente e, dopo avermi colpito al viso con uno schiaffo tirò
fuori il suo asso nella manica: la Maledizione Cruciatus.
Soffrii come ogni volta le pene
dell’inferno, mentre urlavo e mi contorcevo a terra, sentendomi umiliata e
debole.
Riuscii miracolosamente a trattenere le
lacrime per i primi dieci minuti, poi mi fu impossibile trattenere il pianto e
venni scossa da violenti singhiozzi.
Continuavo a ripetermi che avrebbe
smesso e che entro breve mi sarei abituata alla sofferenza, sentendo meno
dolore, ma erano tutti pensieri senza fondamento che servivano per confortarmi
solo per brevi istanti, prima che il dolore diventasse di nuovo insopportabile.
Bellatrix intanto sembrava non sapere
se urlarmi contro perché continuavo a non parlare o se ridere fino alle lacrime
per il piacere di vedermi così inerme a terra.
Ad un certo punto, anche se non avrei
saputo dire quando, la tortura si concluse e mi ritrovai a terra, quasi priva
di coscienza, mentre il mi corpo continuava a tremare per i muscoli indolenziti
e i forti conati di vomito che provavo a trattenere nel mio stomaco sottosopra.
«Legilimens!»
Avrei voluto arrendermi, una parte di
me stava già per farlo, ma all’ultimo mi riscossi, alzando le mie barriere
mentali, anche se tutto sembrava maledettamente più difficile rispetto a prima.
A causa della mia resistenza psichica
guadagnai un paio di altri Cruciatus che mi prosciugarono di ogni energia.
Quando il dolore finì ebbi giusto il
tempo di sentirle dire che per quel giorno avevamo finito, prima di svenire.
***
Non sapevo chi mi aveva accompagnato
nella mia stanza, probabilmente Breedy mi aveva fatto levitare per tutto il
tragitto, ma ero contenta di essere lì.
Di sicuro entro poco qualcuno sarebbe
arrivato per scortarmi in lavanderia, ma ero ancora troppo stanca e debole per
anche solo pensare di muovere un muscolo, quindi cercavo di non pensare al
lavoro che mi attendeva, cercando di riposare il più possibile.
Asciugai il viso rigato di lacrime
contro uno degli stracci che componevano il mio letto e sussultai nel percepire
il fantasma di un odore che mi era fin troppo familiare.
Emisi un gemito di sofferenza, mentre
mi chiedevo per quanto ancora mi sarei torturata in quel modo, per quanto
ancora avrei continuato a sperare che un certo “Furetto platinato” mi venisse a
salvare...
Sorrisi appena, rendendomi conto che se
fosse davvero arrivato a salvarmi probabilmente avrei finito col picchiarlo a
sangue per avermi fatto aspettare tanto.
Senza pensarci affondai ulteriormente
il viso contro quell’inutile pezzo di stoffa, illudendomi di sentire ancora
l’odore della pelle di Malfoy.
Era ovvio che stessi incominciando ad
impazzire, i segni erano fin troppo chiari: sentivo odori inesistenti, mi
immaginavo Draco che mi impediva di cadere e che addirittura mi riportava in
camera in braccio, quando probabilmente era stato sempre Breedy con un
incantesimo levitante a trasportarmi la sera precedente.
Sì, stavo impazzendo.
Sospirai, chiudendo gli occhi, nel vano
tentativo di tornare a dormire, ma mi ritrovai solo in un momentaneo stato di
dormi-veglia.
Quando sentii la porta della mia stanza
aprirsi tenni gli occhi ben chiusi, nella speranza che chiunque fosse entrato
se ne andasse per non disturbarmi.
Era ridicolo come pensiero dato che
qualunque Mangiamorte non ci avrebbe messo molto a capire che stavo fingendo o
comunque a buttarmi giù dal letto a calci, ma la mia pazzia sembrava non
permettermi di ragionare in modo lucido.
Alcuni passi rimbombarono sul pavimento
mentre qualcuno si avvicinava.
Raggelai quando sentii chiaramente quella
persona sedersi accanto a me e pensai a cosa avrei dovuto fare per scacciarla
senza essere uccisa o torturata, ma non mi veniva in mente nulla di nulla.
Delle dita gentili percorsero una linea
immaginaria che partiva dalla tempia fino ad arrivare al mento e non riuscii a
trattenere un sussulto mentre le mie narici venivano invase completamente
dall’odore della sua pelle.
«Stai dormendo o fai finta, Granger?»
Mi ritrassi di scatto, sollevandomi a
sedere ed allontanandomi il più possibile da quella mano e dal proprietario.
Avevo gli occhi sbarrati per la
sorpresa e la bocca contratta in una smorfia di costernazione.
Migliaia di emozioni mi si rincorrevano
dentro mentre fissavo il viso pallido incorniciato da capelli chiari e sottili
di Malfoy.
«A quanto pare facevi finta», disse,
continuando a fissarmi.
La mia mente ancora faticava a rendersi
conto che il suo precedente delirio era diventato reale, mentre stringevo
convulsamente tra le dita quei stracci sotto di me, forse nel tentativo di
evitare di avvicinarmi per abbracciarlo.
«Non parli?», mi chiese, con un tono di
voce che sembrava ansioso e ricco di frustrazione: «Parlami»
Avrei voluto fare come mi chiedeva,
anche perché sembrava ne avesse bisogno, ma una parte di me, quella incavolata
nera con lui per avermi abbandonata al mio destino, prese il sopravvento
all’ultimo minuto, proprio quando stavo per chiedergli perché fosse venuto a
prendermi solo in quel momento.
Mi scagliai contro di lui, facendo
finta di non sentire i miei muscoli ancora indolenziti protestare, e gli tirai
uno schiaffo dritto sulla guancia destra.
Il suono di quel mio scatto d’ira
sembrò rimbombarmi nelle orecchie per minuti interi, anche se probabilmente
passarono solo pochi decimi di secondo, prima che lui sorridesse: «Penso di
essermelo meritato»
Quel suo ghigno odioso mi fece
infuriare ancora di più e non risposi più di me, mentre cominciavo a colpirlo
in tutti i modi che mi erano possibili.
Mi aveva ferita, mi ero addormentata
ogni sera pensando a lui, avevo pianto come una fontana pensando che gli fosse
successo qualcosa, temendo che fosse morto e lui pensava che un semplice
schiaffo bastasse?
Non saprei dire precisamente se
incominciai a piangere dopo avergli tirato una botta al petto o prima di averlo
spinto a terra, facendolo cadere dal mio “letto”, fattostà che mi ritrovai dopo
poco a voltarmi per impedirgli di vedere le mie lacrime.
Avrei voluto abbracciarlo, sentire le
sue braccia ed illudermi che mi avrebbe protetta, ma ero stanca di essere
delusa da lui e dalle sue troppe promesse che poi non avrebbe mai mantenuto.
«Hermione...», sussurrò, ma non gli
permisi di continuare.
Mi voltai, tirandogli un altro schiaffo:
«Non ci provare neanche!», urlai, fuori di me dal dolore: «Sono stanca dei tuoi
subdoli metodi per farmi cadere tra le tua braccia. Cosa vuoi ancora? Non ti è
bastato prendermi in giro fino ad ora? Vuoi continuare ad infierire?»
Qualcosa passò attraverso i suoi occhi
e capii di avergli fatto perdere la pazienza.
Mi afferrò per le spalle, avvicinandomi
a sé: «Ho sbagliato, lo so e sono qui per aiutarti»
«Vuoi uccidermi?», gli chiesi con
apatia, mentre mi rendevo conto che morire per mano sua sarebbe stato quasi
bello.
«No!», esclamò, sembrando sinceramente
sconvolto dalle mie parole.
«Allora non puoi aiutarmi»
Un lampo di profonda tristezza gli
deformò i lineamenti del viso, rendendoli ancora più affilati di quanto già non
fossero: «Non potrei mai ucciderti», sussurrò.
«E perché no?»
«Perché sono troppo egoista per farlo»
Il suo mormorio si perse tra i ricci
dei miei capelli, mentre mi stringeva a sé.
«Cosa vuoi allora?», chiesi, mentre
stringevo i denti nel disperato tentativo di non ricambiare l’abbraccio e di
fingermi disgustata dal suo tocco, quando in realtà non avrei voluto altro che
continuasse a stringermi a sé per sempre.
«Portarti via da qui», smise di
abbracciarmi, guardandomi col volto stravolto dal rimorso.
«E come?»
“Non guardarmi così, finirò per cedere
se non la smetti...”, continuavo a pensare, ma la sua espressione non cambiava.
«Con questa»
Tirò fuori dalla tasca una piccola
boccetta contenente un liquido completamente trasparente.
Afferrò al mia mano, aprendola ed
infilandoci dentro quel piccolo contenitore di vetro, prima di piegare le mie
dita su di essa.
«Che cos’è?»
«Ti fidi di me?»
Tentennai, ma alla fine riuscii a
rispondere con un convincente: «No»
«Un giorno tornerai a farlo», sussurrò,
con un sorriso triste che mi provocò uno spasmo allo stomaco per quanto avrei
voluto stringerlo tra le braccia in quel momento.
«Che cosa te lo fa pensare?»
«La luce nei tuoi occhi», sussurrò,
abbassandosi verso di me ed appoggiando le sue labbra contro le mie,
carezzandole fin troppo lentamente, ma abbastanza da farmi desiderare che non
smettesse mai.
Mi prudevano le mani dalla voglia che
avevo di affondarle nei suoi capelli, ma riuscii a trattenermi.
«Che luce?», chiesi con la voce roca
quando smise di baciarmi.
«Quella che mi dice che tu non sei
fredda ed indifferente quanto sembri in questo momento».
Sbarrai gli occhi, sentendomi come se
mi avesse spogliata con un semplice sguardo ed in effetti era proprio quello
che aveva fatto.
E la verità delle sue parole mi fece
rendere conto di quanto ero stata stupida a credere di potergli nascondere
tutti i miei sentimenti dietro alla freddezza della mia postura.
«Questo non cambia le cose», dissi,
allontanandolo, mentre mi rigiravo tra le dita quella boccetta.
«Lo so, ma mi farò perdonare, te lo
prometto», sussurrò a pochi centimetri dal mio viso: «Ma ora bevi»
Aggrottai le sopracciglia e gli lanciai
uno sguardo diffidente: «Che cos’è?»
«Non c’è tempo per spiegarti il piano,
entro poco arriveranno a chiamarti per tornare al lavoro e se non berrai quella
pozione non potrò aiutarti»
Pensai alle mie opzioni, e presto mi
resi conto che non ne avevo molto a disposizione, ma solo due.
La prima prevedeva che io gettassi a
terra la fialetta che avevo in mano e che tirassi un altro schiaffo a Malfoy
per poi scacciarlo e dirgli che non volevo più avere a che fare con lui.
Al mio orgoglio piaceva particolarmente
quell’opzione, forse perché non comprendeva l’aiuto di nessun Furetto platinato
per fuggire dalle grinfie dei Mangiamorte.
La seconda invece consisteva nel bere
dalla boccetta e fidarmi ciecamente di Malfoy, cosa che avevo fatto già molte
volte e che non sempre aveva portato a ottimi risultati.
Come ad esempio quando gli avevo
permesso di convincermi ad accettare quella stupida scommessa (anche se metà di
quella colpa era mia), oppure come quando mi ero addormentata accanto a lui una
mattina e poi per giorni interi non l’avevo visto, ma soprattutto quando ero
svenuta tra le sue braccia con la convinzione che sarebbe andato tutto bene e
mi ero poi risvegliata in una cella maleodorante.
Scacciai quei pensieri, rendendomi
conto che erano molte di più le volte in cui mi ero fidata di lui e lui non mi
aveva delusa: ad esempio tutte le volte in cui ci eravamo ubriacati e lui aveva
mantenuto la sua promessa di non toccarmi, quando eravamo andati a letto
insieme, quando mi aveva aiutato a far aprire gli occhi ad Harry che alla fine
si era messo con Ginny...
Pensare ad Harry mi ricordò il galeone
che avevo in tasca ed un pensiero fulmineo attraversò la mia mente: dovevo
aiutare Harry e Ron a tutti i costi e Malfoy era l’unico appiglio che mi
rimaneva dentro al castello per poterlo fare...
Guardai il ragazzo che avevo davanti
dritto negli occhi, rendendomi conto che, anche se avessi voluto gettarmi tra le
sua braccia, ancora non mi fidavo del tutto di lui, ma dovevo provare.
Se non riuscivo a farlo per me dovevo
almeno provarci per i miei amici.
Strinsi forte le dita intorno alla
boccetta e presi due profondi respiri prima di stapparla.
Vidi gli occhi di Malfoy riempirsi di
stupore e speranza, mentre un sincero sorriso di sollievo cominciava a
comparire sulle sue labbra.
Fu allora che capii quanto ero
innamorata di lui, tanto da averne paura, anche se sapevo che ci sarebbe voluto
ancora tempo, tanto tempo, prima di potermi davvero fidare di lui senza
pensarci due volte.
Anzi, forse quel giorno non sarebbe
arrivato mai, ma non era colpa sua, o almeno non del tutto, il problema era la
mia continua irrequietezza e voglia di controllo, era quello che mi impediva
spesso di lasciarmi davvero andare, ma forse per lui un giorno ce l’avrei
fatta...
Portai la boccetta alle labbra, ma poi
mi fermai.
La scostai solo per potermi allungare e
dare a Malfoy un veloce bacio sulle labbra.
Poi, prima di bere, sussurrai: «Non ti
montare la testa, non ti ho ancora perdonato»
«Lo so, Hermione», disse, ma la sua
voce mi giunse ovattata mentre il liquido mi scendeva lungo la gola, lasciando
dietro di sé una forte sensazione di torpore.
Subito non provai nulla di particolare,
poi, dopo un paio di minuti che sembrarono durare all’infinito sentii le gambe
cedere e, se non fosse stato per Malfoy, sarei caduta.
«È la seconda volta che ti prendo al
volo, dovresti fare più attenzione», sussurrò, stringendomi tra le braccia.
La consapevolezza di non aver sognato
la sera prima si fece largo dentro di me, ma prima che potessi dire o anche
solo pensare di dire qualcosa, ero svenuta.
****************************************************************************************
Buonasera a tutti! :)
Sono miracolosamente riuscita a postare oggi la storia,
ammetto di aver temuto fino all’ultimo di non potercela fare, ma come potete
notare: sono qua! ^^
Questo capitolo come vi è sembrato? Spero di aver reso
abbastanza realistica la confusione di Hermione, che infatti non sa se fidarsi
del nostro bellissimo Draco, che è arrivato a salvarla (*-*), anche se alla
fine decide di bere la pozione. Il prossimo capitolo sarà pov Draco e spero di
riuscire a postarlo entro sabato prossimo ;)
Vi ringrazio di cuore per tutte le stupende recensioni
che mi avete lasciato e chiedo perdono per non aver ancora risposto a tutte, ma
i professori hanno già cominciato a riempirci di interrogazioni e verifiche,
quindi perdonatemi se ci metto sempre tanto :(
Bene, direi di avervi rotto abbastanza le scatole! xD
Un bacio a tutti! ;-*
LazySoul
p.s. Se avete voglia di lasciarmi una recensione e dirmi
che ne pensate di questo capitolo ne sarei veramente felice! ;3
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Capitolo 5 *** Temporary safeness ***
cap_5
Temporary safeness
La strinsi a me per qualche secondo
prima di adagiarla lentamente su quegli stracci.
Avevo il cuore che batteva
all’impazzata, e non solo per la paura di sbagliare qualcosa, ma soprattutto
per il modo in cui si era fidata di me, quasi senza pensarci...
Mi accarezzai la guancia offesa e
sorrisi.
La mia tigrotta era più in forma che
mai, ma era meglio che la portassi via da quella cella.
Le rubai un capello e uscii, lanciando
uno sguardo a sinistra e poi a destra, vedendo con soddisfazione Blaise che
usciva dalla cella della Lovegood.
Sentii dei rumori di passi e feci segno
al mio amico di procedere.
L’istante dopo avevamo entrambi
ingerito la Pozione Polisucco.
Mi fecero male le ossa, ma resistetti
alla sgradevole sensazione e, quando il dolore finì, mi ritrovai davanti il
Mangiamorte a cui avevo rubato l’aspetto.
Tutto stava procedendo come previsto e
sorrisi al sussulto dell’uomo che avevo di fronte, mentre allungavo la
bacchetta e lo pietrificavo.
Non controllai Blaise, certo che anche
lui stesse facendo lo stesso e tirai fuori dalla tasca altra Pozione Polisucco mettendoci
il capello della Granger e, strappando la maschera al Mangiamorte, gli feci
ingoiare l’intruglio maleodorante.
Ritrovarmi davanti la Mezzosangue
pietrificata pochi secondi dopo mi fece uno strano effetto, non del tutto
piacevole, ma scacciai ogni pensiero, spostando il Mangiamorte all’interno
della cella, facendolo cadere a terra.
Gli feci ingurgitare un po’ di
Distillato della Morte Vivente e aspettai qualche secondo che la pozione
facesse effetto.
Ritrovarsi nella stessa stanza con due
Granger svenute e impossibilitate dallo schiaffeggiarmi mi fece sorridere, ma
presto tornai serio, mentre mi occupavo di spogliare entrambe, scambiando i
vestiti.
Sì, quella era davvero una situazione
strana, che peggiorò ulteriormente quando il mio amico dei piani bassi sembrò
svegliarsi di colpo, facendomi sembrare i pantaloni neri ancora più stretti di
quanto già non fossero.
Mentre scambiavo i pantaloni mi resi
conto che nella tasca di quelli della Granger c’era un galeone, pensai di
lasciarli lì, ma poi mi resi conto che se Hermione aveva conservato
quell’oggetto era perché doveva avere qualche valore. Così lo nascosi nella
tasca dei miei pantaloni, pronto a restituirglielo quando si sarebbe poi
svegliata.
Cercai di concentrarmi e di non pensare
al corpo seminudo non di una, ma ben due Granger e alla fine riuscii a
sollevare tra le braccia la vera Hermione vestita come un Mangiamorte.
Con la mia nuova costituzione robusta
il corpo della Mezzosangue mi sembrava ancora più leggero, ma non mi persi in
pensieri inutili ed uscii dalla cella, dove Blaise, o almeno intuii fosse lui,
teneva in braccio la Lovegood.
«Dov’è?», chiese lui, sembrando
parecchio spazientito, ma io gli feci gesto di tacere, mentre pronunciavo una
semplice parola: «Breedy»
L’Elfo Domestico comparve all’istante e
fece un profondo inchino.
«Tu sai cosa devi fare», appoggiai a
terra la Granger e vidi Blaise, anche se avrei dovuto dire Mulciber, fare lo
stesso con la ragazza bionda tra le sue braccia.
L’istante dopo la Lovegood e la
Mezzosangue erano scomparse con Breedy.
Senza esitazioni infilai la maschera da
Mangiamorte e, con Blaise alle calcagna, mi diressi con passo sostenuto verso
lo “studio” della mia “cara zietta”.
Davanti alla porta cercai di trattenere
i tremori alle mani, anche se era più forte di me, continuavo ad essere
terrorizzato da quello che stavo facendo, ma dovevo farcela a tutti i costi.
Non per me, ma per Hermione.
Bussai alla porta e la voce squillante
e scocciata di Bellatrix Lestrange m’invitò ad entrare.
«Rowle, Mulciber, cosa ci fate qui?»,
chiese stupita e contrariata.
Ingoiai, sentendo il groppo in gola
aumentare, come anche il sudore.
«Le prigioniere sono morte», dissi,
cercando di mostrarmi abbastanza sconvolto, timoroso e sottomesso.
Tutti sapevano che mia zia aveva la
fama di Cruciare per qualsiasi cosa e speravo che non decidesse di prendersela
anche con noi.
«Quali prigioniere?», chiese, affilando
lo sguardo.
«La Lovegood e la Granger», rispose
Blaise, dandomi man forte.
«Che cosa?!», esclamò mia zia,
avvicinandosi a noi, prima di scansarci e di uscire in corridoio come una
furia.
Il Distillato della Morte Vivente
avrebbe dovuto impedirle di capire che i due Mangiamorte fossero ancora vivi,
ma sentii comunque un brivido ghiacciato corrermi lungo la schiena, mentre le
andavo dietro, sostenendo senza difficoltà il suo passo, anche se Rowle aveva
qualche centimetro in meno di me in altezza e quindi le gambe più corte.
Mi tenni ad una certa distanza con
Blaise, mentre Bellatrix entrava nelle celle delle due ragazze ed esaminava i
corpi.
Quando uscì era livida da quanto era
furiosa: «Non ero ancora riuscita a scoprire niente da loro, com’è potuto
accadere?!»
«Forse il veleno nel cibo le ha
indebolite troppo», azzardò Blaise, recitando perfettamente la sua parte.
Vidi l’espressione di mia zia diventare
meditabonda, prima che un sorrisetto sadico comparisse sulle sue labbra: «Va
beh, non importa, erano solo feccia e poi erano troppo testarde, sarebbero
comunque morte presto...»
Rise, mettendo in mostra la perfetta
dentatura bianca, mentre gli occhi sembravano luccicare: «Quelle stupide
ragazzine, mi dispiace solo di non averle uccise io!»
Quando ritrovò il controllo fece un
veloce gesto con le mani: «Liberatevi di loro»
Annuimmo e prendemmo ognuno un corpo,
allontanandoci il più velocemente possibile: non volevamo rischiare che
cambiasse nuovamente umore.
Uscimmo da un’uscita secondaria del
castello, non incontrando nessun’altro sul cammino e ci spingemmo fino alla
Foresta Proibita.
Con le bacchette legammo entrambi i
Mangiamorte ad un albero in una piccola radura.
Non ci eravamo inoltrati troppo tra gli
alberi, anche perché se l’avessimo fatto avremmo rischiato di perderci, ma
eravamo abbastanza lontani dai sentieri battuti, in modo che nessuno avrebbe
potuto trovarli.
«Li uccidiamo?»
Fu la voce di Blaise a spezzare il
silenzio, ma se non l’avesse fatto io probabilmente mi sarei trovato io stesso
a porgli quella domanda.
«Non voglio ucciderli, non ci
riuscirei. Lasciamo che se ne occupino le creature della foresta»
Il mio amico annuì e, dopo aver
controllato che le corde li tenessero ben ancorati all’albero uscimmo dalla
Foresta Proibita.
***
Il mio sogno proibito si trovava sul
mio letto, sdraiata a pancia in su, con le labbra socchiuse e i capelli sparsi
intorno al volto.
Sfilai la maschera da Mangiamorte e mi
avvicinai a lei.
Ormai gli effetti della Polisucco erano
scomparsi ed ero riuscito ad entrare in camera mia senza problemi.
Non ero riuscito a portarla via da
Hogwarts, ma almeno non era più in quella cella maleodorante e quello era già un
passo avanti.
Pansy avrebbe tenuto nella sua stanza
la Lovegood, anche perché ero certo che a Blaise non sarebbe piaciuta l’idea di
avere la bionda in camera, anche se avrebbe dovuto occuparsene lui per un paio
di giorni, dato che Pansy era partita senza preavviso per una missione fuori
dalle mura di Hogwarts.
Quella mattina infatti ero stato
costretto a chiedere a Goyle di sostituirmi, non potendo contare sulla mia ex
fidanzata.
Mi sedetti sul letto accanto alla
Granger e mi si strinse il cuore nel vederla così indifesa.
Le accarezzai il viso e sorrisi.
Mi sentivo un’imbecille mentre
continuavo a guardarla dormire nel mio letto, così decisi di fare qualcosa di
utile e mi diressi in bagno.
Presi alcuni flaconcini con all’interno
shampoo e bagno doccia, allineandoli sul bordo della vasca da bagno, mentre
aprivo l’acqua e controllavo che fosse abbastanza calda, ma non troppo.
Meno di dieci minuti dopo ero tornata
in camera e mi aspettava la parte più difficile.
Spogliare una persona quando è
addormentata non è affatto facile, soprattutto se tale persona è maledettamente
attraente e ci si ritrova ad accarezzarle la pelle come un maniaco pervertito
ogni due secondi.
Sospirai, mentre le sfilavo i pantaloni
maschili e mi perdevo nella morbidezza delle sue cosce.
Avrei voluto fosse sveglia, per poter
sentire i suoi gemiti ad ogni mio sfioramento.
Notando la sua pelle d’oca, decisi di non perdermi troppo a
fantasticare, anche perché non volevo che l’acqua nella vasca si raffreddasse.
Ma mi dovetti nuovamente fermare,
quando vidi scritto sul suo braccio sinistro: “Mezzosangue”.
Rimasi a lungo a fissare quella cicatrice,
che ormai tendeva ad un rosso sbiadito, ma ero certo fosse stato color vinaccia
all’inizio.
Sfiorai la pelle sfregiata, sentendola
ruvida sotto i polpastrelli e non più morbida come un tempo.
Una rabbia lacerante mi fece stringere
forte le mani a pugno, certo che l’artefice ti quella scritta fosse mia zia.
Baciai la cicatrice, sfiorandone i
contorni per qualche secondo ancora, prima di concentrarmi nuovamente sul mio
lavoro e di tornare a spogliarla.
Fu emozionante ed eccitante toglierle
il reggiseno e il resto della biancheria intima, anche se mi vergognavo di
pensare a quanto fosse bella e desiderabile in un momento del genere.
Sapevo che mi avrebbe impedito di
vedere il suo corpo per molto tempo, almeno fino a quando non mi avrebbe
perdonato e fosse tornata a fidarsi completamente di me, quindi magari era per
questo che mi godevo il più possibile la sensazione della sua pelle a contatto
con mia.
La sollevai tra le braccia, e la
lasciai andare solo quando la depositai con delicatezza all’interno della vasca
da bagno.
Presi in considerazione l’idea di
spogliarmi e di entrare nella vasca con lei, ma la scacciai subito.
Volevo prendermi cura di lei e
possibilmente sembrare meno maniaco sessuale possibile, quindi rimasi vestito.
La insaponai e sciacquai facendo
attenzione a non farla annegare.
Fu stupendo massaggiarle la testa,
sentendo i suoi capelli sporchi e crespi diventare molto più morbidi e lucenti.
Farle quel bagno non fu certo una
passeggiata, se fosse stata sveglia sarebbe stato molto più semplice lavarla,
eppure, non riuscivo a togliermi dalla faccia il mio solito sorrisino beato che
solo lei riusciva a farmi avere.
Stavo diventando sempre più patetico,
non solo non riuscivo a pensare ad altro che a lei, a desiderare altre che lei,
ma addirittura ero follemente innamorato.
Ero diventato quello che non avrei mai
voluto essere: romantico e devoto.
Mi facevo paura da solo...
Quando finii di lavarla decisi di
usufruire dei poteri magici perché da solo non ce l’avrei mai fatta senza
combinare qualche disastro, quindi usai l’incantesimo Wingardium Leviosa per
sollevarla, mentre l’avvolgevo in un enorme asciugamano verde.
Passai quasi tutto il pomeriggio ad
asciugare i suoi capelli ed a pettinarli, ma non mi scoraggiai mai.
Era rilassante prendersi cura di lei,
tenerla stretta tra le braccia mentre le spazzolavo i capelli, cercando di
districare tutti i nodi, che erano fin troppi.
Secondo
la descrizione della pozione
sarebbe stata addormentata all’incirca diciotto ore, prima che
l’effetto del
Distillato della Morte Vivente fosse svanito, ma dato che vi avevo
mischiato insieme una pozione che serviva per rigenerare tessuti e
qualsiasi proteina utile al corpo non ero sicuro di quanto avrebbe
dormito.
Mi faceva impressione non sentire quasi
il suo battito ed il suo respiro, che erano talmente sottili, da sembrare
inesistenti. Per non parlare del suo inusuale pallore...
Non avevo vestiti femminili nella mia
camera e presi in considerazione l’idea di lasciarla sola qualche minuto per
rubare qualcosa all’armadio di Daphne, ma scacciai quel pensiero e decisi di
imprestarle qualcosa di mio.
Trasfigurai un paio dei miei boxer in
semplici mutande femminili, molto simili a quelle che aveva indossato la prima
ed unica volta che avevamo fatto l’amore.
Il ricordo di quella notte mi fece
gemere piano, mentre le facevo indossare una mia maglia e la stringevo a me.
Avevo commesso una marea di errori, ma
avrei fatto ammenda di tutto e non l’avrei più lasciata andare.
Controllai l’orologio e strinsi forte
le mani intorno a lei, mentre l’adagiavo sotto le coperte del mio letto.
Anche se mi sarebbe piaciuto molto
restare tutto il pomeriggio accanto a lei, stringendola a me, avevo dei compiti
da svolgere che Goyle non sarebbe stato in grado nemmeno di capire.
Gli ero grato per avermi sostituito
nella ronda dalle undici alle tredici, ma non avrebbe potuto andare al mio posto a parlare Piton.
Mi cambiai di vestiti, dato che quelli
che avevo in precedenza erano fradici e lanciai un’ultima occhiata alla
Granger, addormentata nel mio letto, prima di chiudere a chiave la porta.
Per i sotterranei non c’era molto
gente, ma incontrai Goyle che, con un piatto colmo di pasticcini si stava
abbuffando con Tiger. Lo ringraziai per avermi sostituito, dicendogli che ero
stato male e lui annuì, come un bravo soldatino.
Ero piuttosto orgoglioso di avere un
tale potere su quei due, soprattutto quando la loro fedeltà, che non si poteva
certo definire amicizia, mi era utile.
Passai oltre e raggiunsi l’aula di
Pozioni, dove Piton stava aspettando, dietro alla cattedra.
«Draco, la puntualità non è mai stata
il tuo forte», mi riprese bonariamente, mentre apriva davanti a sé un libro,
senza alzare lo sguardo.
«Ho avuto un contrattempo», dissi, e in
effetti era quasi del tutto vero: «Di cosa mi volevate parlare?»
Piton sospirò, alzando finalmente lo
sguardo su di me: «Sei sicuro che è ciò che vuoi?»
Aggrottai le sopracciglia, avvicinandomi
di ancora qualche passo: «Non so di cosa stia parlando», ammisi, cercando di
nascondere le mani che mi tremavano appena.
«Sei un ottimo pozionista e so che vuoi
intraprendere la carriera di medico, ma sei sicuro di volerlo fare per aiutare
il Signore Oscuro?»
«O forse qualche altra opzione?»
«Ci sono sempre più opzioni, Draco»
Abbassai lo sguardo, sapendo
perfettamente che aveva ragione.
«Allora mi aiuti a trovarle», anche se
il mio tono era freddo, ero certo che avesse notato la nota di supplica che
c’era sotto.
Annuì, congiungendo le mani sulla
cattedra: «Questo non è un luogo sicuro per parlarne, ma sono certo che, mentre
io cercherò un luogo dove nessuno possa sentire la nostra conversazione, tu
rifletterai su quel poco che ti ho detto. Ora va»
Annuii, felice che quell’incontro fosse
stato breve: «Certo, professore»
«Ah, Draco», mi richiamò, facendomi
fermare quando ormai ero alla porta: «Hai visto per caso Mulciber? Tuo padre lo
stava cercando»
Un brivido freddo mi attraversò la
schiena, ma riuscii a fingermi indifferente quando dissi che non l’avevo visto
quel giorno.
Una volta uscito dall’aula di Pozioni
tirai un silenzioso sospiro di sollievo e camminai a passo spedito verso la
Biblioteca.
Avevo bisogno di un volume della
Sezione Proibita per fare in modo che tutti pensassero che Mulciber e Rowle
fossero morti durante una missione o qualcosa del genere.
Annuii tra me e me, mentre mi chiedevo
come avevo fatto a non pensarci prima.
Salutai con un cenno il Mangiamorte che
aveva preso il posto di Madama Pince e mi dispiacque non vedere la solito
bibliotecaria zitella e puntigliosa che ti riprendeva ad ogni respiro troppo
rumoroso.
La mia ricerca non diede molti
risultati, ma trovai comunque due volumi vecchi ed ammuffiti che avrebbero
potuto aiutarmi a trovare una soluzione al problema.
Nel tragitto verso la mia camera
incontrai Daphne e la salutai con un cenno.
La ragazza mi affiancò all’istante,
anche se stava andando dalla parte opposta del castello rispetto a me.
«Missione compiuta?», mi chiese.
Sentii chiaramente una nota di disgusto
nella sua voce, ma finsi di non accorgermene.
«Certo. È filato tutto liscio»
«Un giorno mi dirai cosa ci trovi in
quella Mezzosangue, Draco»
Io sorrisi: «Forse»
La sentii ridere, mentre se ne andava
per la sua strada, lasciandomi solo.
Daphne era l’unica ragazza di cui mi
fidavo senza esserci mai stato a letto insieme.
Avevo sempre pensato che l’amicizia tra
uomo e donna non potesse davvero esistere, ma lei ed io eravamo la prova del
contrario.
Lei e Blaise erano stati gli unici a
conoscere in anticipo la sua stupida ossessione per la Granger e, se Blaise
l’aveva presa sul ridere, Daphne invece era quella che mi aveva guardato con lo
sguardo pieno di stupore misto ribrezzo mentre mi chiedeva se fossi impazzito.
Ma in fondo entrambi mi aveva appoggiato
nella sua pazzia ed ero loro grato per questo.
Tornato in camera dalla Granger, la
trovai ancora addormentata ed al sicuro.
Mi resi conto di aver avuto un peso al
cuore fino a quel momento, ma ora che potevo constatare che stesse bene ero più
tranquillo.
Passai il resto del pomeriggio e parte
della sera a studiare i due volumi di pozioni ed incantesimi.
Mi resi conto di aver saltato la cena
quando sentii chiaramente il mio stomaco brontolare, così, dopo aver chiamato
Breedy gli chiesi di portarmi qualcosa da mangiare.
Oltre al cibo l’Elfo mi porto
un’unguento che aveva “accidentalmente” preso in Infermeria e che aiutava a
cicatrizzare le ferite.
Lo ringraziai e, dopo aver messo
qualcosa sotto i denti mi occupai delle ferite della Granger, facendo
attenzione a non dimenticarne nemmeno una.
Verso le undici di sera era stanco morto, tanto che faticavo a
tenere gli occhi aperti così indossai il pigiama e mi misi sotto le coperte.
Approfittai della situazione per
stringere tra le braccia Hermione, che cominciava a poco a poco ad avere la
pelle un po’ più rosea, anche se ci sarebbero volute ancora delle ore prima che
si svegliasse.
«Buona notte», dissi, anche se sapevo
che non mi avrebbe potuto né sentire, né rispondere.
Affondai il viso tra i suoi capelli e
mi sentii subito in paradiso.
****************************************************************************************
Buon pomeriggio :)
Sono in ritardo di un
giorno, ma vi è andata bene, perché temevo di non farcela... come vi è sembrato
questo capitolo? Il piano di Draco sembra aver funzionato... So che vi aspettavate
lui ed Hermione per i boschi, lontani da Hogwarts, ma sarebbe stato troppo
complicato, quindi sono ancora al castello xD
Ho creato una storia a parte ("Pieces of Life") dove sono inseriti capitoli inerenti a "Mai fidarsi del nemico", ma dal punto di vista di Luna e Pansy. Potete leggerli o meno, ma vi suggerisco di dare loro un'occhiata perché sono utili per comprendere la storia.
Adesso poi risponderò
anche alle vostre stupende recensioni, abbiate fede! ;)
Grazie per il vostro
continuo sostegno! :D
Un bacione,
LazySoul
p.s. Se avete voglia e
tempo di lasciarmi una recensione per dirmi che ne pensate del capitolo ve ne
sarei grata! ;)
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Capitolo 6 *** Nightmare ***
cap_6
Prima di leggere, vi consiglio di leggere questo capitolo dal punto di vista di Luna Primo capitolo
Nightmare
Mossi alcuni passi.
Eppure dopo poco mi ritrovai
esattamente al punto di partenza.
Aggrottai le sopracciglia e provai ad
avanzare nuovamente, ignorando il pavimento scivoloso.
Guardai a terra e notai una strada
lastricata in pietra bagnata dalla pioggia.
Solo in quell’istante mi resi conto di
essere nel bel mezzo di un temporale.
Mi strinsi le braccia al petto,
tremando per la sensazione di bagnato e freddo che mi penetrava nelle ossa.
Provai nuovamente a muovermi e questa volta
riuscii ad avanzare di qualche passo, fino a quando mi trovai nei pressi di una
casupola in legno.
Bussai a lungo alla porta, prima di
notare che era aperta.
All’interno vi erano varie porte, tutte
ugualmente ricoperte di ragnatele e rovinate dal tempo e dai tarli.
L’unica che riuscii ad aprire mi portò
in una stanza mal illuminata con al centro Draco svenuto con delle catene
pesanti intorno a polsi e caviglie.
Inorridii, correndo verso di lui ma,
appena lo raggiunsi venni scaraventata all’indietro da una forza invisibile.
Gridai il suo nome, vedendo come il suo
corpo a poco a poco impallidisse e diventasse più scarno, ma lui continuava a
dormire.
Tentai a lungo ed inutilmente a
raggiungerlo, provando a combattere contro quel campo di forza che me lo impediva,
piangendo ed urlando fino a perdere la voce, mentre davanti ai miei occhi
vedevo Malfoy aprire gli occhi un solo istante.
Nel suo sguardo lessi solo odio e
disprezzo, poi il suo petto smise di alzarsi ed abbassarsi e il suo cuore cessò
di battere.
Mi svegliai tra le lacrime, affondando
le dita nel cuscino del letto e nascondendoci il viso, mentre cercavo di
cancellare quell’immagine dalla mia mente, anche se sapevo che ormai era come
una scritta indelebile che non mi avrebbe mai abbandonato.
«Hermione?», sussurrò la voce di Draco,
preoccupata, mentre sentivo le sue braccia circondarmi e stringermi a sé.
Mi ci vollero alcuni secondi prima di
rendermi conto di essere davvero con lui e a quel punto mi voltai, ricambiando
l’abbraccio.
Fu fin troppo semplice mettere da parte
la rabbia che avevo provato per lui e affondare il volto contro il suo petto.
«Sshh, va tutto bene», sussurrò contro
i miei capelli, accarezzandomi la schiena e, anche se le coperte rendevano ogni
nostro gesto impacciato e rallentato, mi sentivo come in un film, dove ogni
istante era calibrato e perfezionato scena dopo scena.
Peccato non sapere quali sarebbero
state le mie battute successive.
«Vuoi parlarne?», chiese in un
mormorio, solleticandomi la pelle della fronte col suo caldo respiro.
«L’ho già dimenticato», mentii,
imbarazzata in parte di essermi sentita tanto male per un semplice incubo senza
senso, anche se vedere la figura di Draco morto davanti a me non era affatto
stata una bella esperienza, non era da me essere così emotiva, tranne...
La consapevolezza che entro qualche
giorno mi sarebbe arrivato il ciclo mestruale produsse sul mio viso una smorfia
di fastidio mista a rassegnazione.
Era certamente quella la causa di tutte
quelle lacrime che mi rigavano il viso.
Lo sentii ridacchiare piano e
stringermi maggiormente a sé: «Fingerò di crederci solo perché non ho voglia di
litigare»
«Non era una bugia», dissi, con il mio
tipico tono testardo e petulante.
«Certo, e io sono Potter»
Le sue parole mi fecero sussultare.
Era da così tanto tempo che non vedevo
il mio migliore amico che sentirlo nominare, anche se per scherzo, mi aveva
provocato una fitta dolorosa.
«Non ti preoccupare, sono sicuro che
stia bene»
Non sapevo se mi sarei dovuta stupire
più per il fatto che non avesse detto qualcosa di malvagio e crudele sul mio
amico o per il fatto che nella sua voce lessi una punta di speranza.
«Non mi hai ancora detto che pozione
fosse quella che mi hai dato, anche se penso di averlo capito ormai», dissi,
cambiando discorso, dato che non sapevo ancora se potevo fidarmi o meno di
parlare con Malfoy dei miei amici fuggiaschi.
«Tu cosa pensi che fosse?»
«Distillato della Morte Vivente»
«E la signorina Granger riceve un altro
Eccezionale in Pozioni!», sussurrò, imitando fin troppo bene la voce del
professor Piton, anche se lui probabilmente mi avrebbe rifilato un: “Oltre ogni
previsione” senza tanti complimenti.
«E tu per diciotto ore sei stato qui a
fissarmi come un maniaco?»
«Certo che no, ho anche dormito»
Quell’ “anche” mi fece sorridere e
malgrado tutto ero felice che avesse sprecato del tempo per vegliare su di me.
«Grazie», sussurrai piano, incerta se
volessi davvero farmi sentire da lui o meno.
«Cosa hai detto?», chiese con un tono
sorpreso e divertito che provocò di conseguenza anche la mia ilarità.
«Non lo ripeterò»
«Ah no? Ne sei sicura?»
«Sicurissima»
«Sai penso che tu abbia sottovalutato
il potere della seduzione»
«Il potere della seduzione?», chiesi
con un tono strozzato che mi fece vergognare, mentre sentivo chiaramente le sue
mani percorrere la mia schiena fino ad arrivare ai fianchi, dove cominciò a
massaggiarmi la pelle attraverso la stoffa.
«Dimmelo di nuovo», mormorò contro il
mio orecchio, mordendo piano il lobo.
«No», dissi, fiera che la mia voce non
avesse lasciato trapelare nessuna delle emozioni contrastanti che mi
travolgevano in quel momento.
Fu sconvolgente come, in un unico
veloce gesto riuscì a sovrastarmi col suo peso ed ad insinuare una mano sotto
la maglietta che indossavo, stringendomi un seno.
Arrossii di colpo, sentendo ovunque una
sensazione di caldo torpore, misto ad impazienza e aspettativa.
«Cos’hai intenzione di fare?»,
sussurrai, stringendo istintivamente le mani sulle sue spalle, conficcando le
unghie nella sua pelle esposta.
Sfuggì ad entrambi un gemito roco
quando ci baciammo e, anche se sapevo che subito dopo mi sarei pentita, non
potei trattenermi dal muovere il mio corpo incontro al suo.
Avevamo fatto l’amore una sola volta
eppure il mio corpo era già irrimediabilmente dipendente dal suo. Avrei voluto allontanarlo,
dirgli di tenere la mani a posto, ma continuavo a pensare alle parole di
Zabini: “Vi rincorrete come degli stupidi non capendo di
aver già trovato ciò che stavate cercando, mentendo a voi stessi e agli altri”.
Ero
stanca di nascondermi dietro gli alti valori dei Grifondoro, volevo fare di
nuovo l’amore con lui. Avrei avuto tempo di pentirmi quando poi lui mi avrebbe
di nuovo spezzato il cuore.
Quando il bacio finì ci guardammo negli
occhi e ci sorridemmo.
Aprii la bocca per dirgli che lo amavo,
ma dalle mia labbra non uscii alcun suono e l’istante perfetto svanì,
lasciandomi un’amaro in bocca che solo le labbra di Malfoy, di nuovo contro le
mie, riuscirono a mitigare.
Possibile che non riuscissi a dirgli
quanto tenevo a lui?
Scacciai quel pensiero, concentrandomi
sulle mani di Malfoy che, fin troppo intraprendenti, percorrevano il mio corpo
con sicurezza mista a possessione e con un pizzico di dolcezza.
Chiusi di scatto le gambe quando sentii
una sua mano scendere troppo in basso e sorrisi internamente quando mi guardò
come se gli avessi impedito di aprire il regalo ricevuto per il suo compleanno.
Alzò un unico sopracciglio, sembrandomi
incredibilmente provocante, ma resistessi all’impulso di cedere alle sue
carezze e scossi fermamente la testa.
«Stai scherzando?», chiese, fissandomi
con un misto di sconcerto e sofferenza.
«Nient’affatto», dissi con voce ferma,
riuscendo senza troppi sforzi a liberarmi del suo peso e a mettermi seduta,
allontanandomi di qualche prezioso centimetro da lui.
Era forte la tentazione di tornare tra
le sue braccia, ma continuavo a pensare al sogno e allo sguardo di odio che
Malfoy-incubo mi aveva lanciato prima di morire. E se fosse stata una
premonizione?
Non avevo mai dato credito a certi
fatti, ma sicuramente la Cooman e tutti gli appassionati di Divinazione
avrebbero dato un’interpretazione nient’affatto positiva all’accaduto, quindi
dovevo essere cauta.
Inoltre non ero disposta a fidarmi così
tanto di lui.
Certo mi aveva salvata e gliene ero
grata, ma avrebbe dovuto fare molto di più se voleva che tornassi a fidarmi più
che ciecamente di lui.
In fondo era stato un bene non avergli
detto che lo amavo.
Lo sentii fin troppo chiaramente
sospirare e portarsi una mano tra i capelli, riavviandoseli in un gesto pieno
di sensualità che scosse qualcosa dentro di me.
«Per quanto ancora mi punirai per non
averti salvata subito?», chiese con un tono impassibile, ma nei suoi occhi e
lineamenti tesi capii che quella situazione non gli piaceva affatto.
«Non lo so», ammisi, allontanandomi
ancora di qualche centimetro, ma stando ben attenta a non scoprirmi,
intenzionata a rimanere tra le calde coperte il più a lungo possibile.
«Pensi che non abbia sofferto
abbastanza?»
Quando i suoi occhi incontrarono i miei
seppi con sicurezza che non stava fingendo, ma sentivo comunque dentro di me
qualcosa che mi impediva di tornare vicino a lui.
Non mi ci volle molto per capire che ad
allontanarmi da lui era la voce dell’autoconservazione perché, se mi fossi
lasciata ingannare ancora una volta, avrei finito col soffrire e ritrovarmi
nuovamente con un cuore spezzato.
«Tu pensi invece che basti portarmi qui
per aggiustare tutto e farmi dimenticare?», sussurrai, imponendomi
autocontrollo, anche se faticai a non scoppiare a piangere.
Ero forte, il mio spirito non si
sarebbe spezzato facilmente, ma dovevo ammettere che le torture di Bellatrix
Lestrange mi avevano portato ad un passo dalla pazzia.
«Mi dispiace di non aver potuto fare
qualcosa prima, ma avevo bisogno di tempo per organizzare un piano abbastanza
dettagliato»
Annuii, sapendo perfettamente che aveva
ragione, infatti a ferirmi non era stato quello.
«Perché mi hai consegnata a loro?»,
chiesi, non riuscendo ad impedire alla mia voce di uscire in un sussurro
sofferente.
«Cosa?! No!», esclamò, cancellando la
poca distanza tra i nostri corpi ed afferrando il mio viso tra le mani,
accarezzandone i lineamenti: «Non ti ho consegnata, non potrei mai e poi mai
farlo! È stato un mio errore certo, ma pensavo che fossi al sicuro, che non
avessi rischiato nulla. Ero convinto che il bene avrebbe trionfato alla fine,
invece hanno vinto i Mangiamorte e... è stato stupido portarti in Infermeria,
ora me ne rendo conto, ma in quel momento, nel bel mezzo di una battaglia è
stata la prima soluzione che mi è passata per la mente. Pensavo che Madama Chips
ti avrebbe rimesso in forze mentre io cercavo di aiutare i tuoi amici e...»
Appoggiai un dito contro le sue labbra,
sentendo calde lacrime rotolarmi lungo le guance e la consapevolezza che non
mi aveva consegnato volontariamente al nemico farsi largo dentro di me.
«Quindi, tu...», accarezzai la sua
guancia, a corto di parole.
Rimasi per qualche istante a riordinare
le idee prima di sussurrare: «Grazie»
Lui sorrise, ma il suo era un sorriso
triste: «La prossima volta ti chiudo in camera mia e ti affido a Breedy»
Aggrottai le sopracciglia, scrutandogli
il volto con sorpresa e curiosità: «Come fai a...?»
Nella stanza si sentì un sonoro “pop” e
l’istante dopo accanto al letto c’era proprio l’Elfo che mi era stato tanto
vicino durante quei terribili giorni di prigionia.
«Signor Malfoy», disse, facendo un
veloce inchino, prima di appoggiare sul comodino un vassoio argentato colmo di
cibo: «Signorina Granger, come sta?» mi chiese, scrutando attentamente il mio
volto.
«Meglio, grazie anche a te»
Lo vidi arrossire vistosamente, mentre
abbassava lo sguardo con fare pudico e modesto, prima di lanciare un’occhiata
furtiva a Malfoy.
«Ora Breedy deve andare, ha ancora
molto lavoro da fare»
«Vai, ti chiamerò poi io»
L’Elfo domestico annuì, facendo un altro
veloce inchino, prima di scomparire allo stesso modo in cui era comparso.
«Come fai a conoscerlo?», chiesi,
finendo la domanda che prima era stata bruscamente interrotta.
«È stato uno dei pochi Elfi con cui
sono andato d’accordo durante la mia infanzia, mi raccontava sempre le fiabe
per farmi addormentare quando mia madre non poteva o era malata», ammise, asciugandomi
il viso dalle calde lacrime che ancora lo rigavano: «Penso che sia l’unico con
cui ho un rapporto quasi affettivo»
Rimasi sconvolta da quelle parole.
Malfoy, il grande sostenitore
dell’obbligato servilismo degli Elfi Domestico, era “amico” di una di quelle
creature?
«Continui a stupirmi», sussurrai con un
filo di voce, non staccando lo sguardo dal suo.
«E stai solo cominciando a scoprire chi
è il vero Malfoy, pensa cos’altro ti nascondo», disse con un tono scherzoso, ma
sapevo che nelle sue parole si nascondeva un fondo di verità.
Lui nascondeva davvero molte cose
dietro ad una maschera e in questo ci assomigliavamo.
«Colazione?», propose, allungandosi
verso il comodino e scostando alcuni coperchi d’argento da dei piatti colmi di
prelibatezze.
Sorrisi, portandomi le mani tra i
capelli, scostandoli dal viso e constatando con un misto di sorpresa e
incertezza che erano puliti. L’unica soluzione plausibile era che qualcuno mi
avesse fatto un bagno e il solo che avrebbe fatto una cosa del genere, lo
sapevo, era proprio Malfoy.
Gli lanciai uno sguardo d’accusa,
mentre la mia guance si tingevano di un rosso acceso colmo d’imbarazzo: «Tu mi
hai... perché?»
Mi vergognavo della mia incapacità di
formulare una frase di senso compiuto, ma la situazione mi stava confondendo
terribilmente. Possibile che trovassi dolce il fatto che si fosse preso cura di
me? Possibile che allo stesso tempo mi facesse sentire profondamente a disagio
quella situazione?
«Ti manca il complemento oggetto, temo»,
disse, ridacchiando sotto i baffi, mentre afferrava un pezzo di toast e lo
imburrava con precisione, imbiancando ogni angolo.
«Mi hai lavata», lo accusai, neanche lo
avessi beccato a compiere uno dei peccati capitali.
La sua espressione si addolcì
ulteriormente, anche se percepivo una certa rigidità sulle sue spalle. Faceva bene
a temermi, perché in quel momento faticavo io stessa a prevedere le mie future
mosse.
«Preferivi rimanere altre diciotto ore
sporca e sudata? Scusa se non ti ho chiesto il permesso, ma pensavo che ti
avrebbe fatto piacere»
Il suo tono ironico mi fece stringere
con forza le labbra, nel tentativo di non urlargli contro.
«Avrei potuto lavarmi benissimo da
sola, una volta sveglia», gli feci notare, afferrando un biscotto ai cereali e
mangiandolo con rabbia, sfogando quella sensazione di fastidio su quel povero
alimento.
Non volevo fargli notare quanto il pensiero
di esser stata coccolata da lui, anche se da svenuta, mi dava un senso di dolce
torpore nelle membra.
Preferivo mostrargli l’altra parte di
me; quella che avrebbe puzzato per giorni piuttosto che farsi lavare come una
bambina da lui.
«Hey Leonessa, ritrai gli artigli, non
ti ho mica violentata», sussurrò ad un centimetro delle mie labbra, lasciandovi
un tenero bacio che sapeva di pane, burro e marmellata di lamponi.
Come potevo rimanere arrabbiata con lui
quando si comportava così? Dove potevo trovare la forza di allontanarlo
stizzita, quando ogni cellula del mio corpo mi scongiurava di stringerlo a me
di non lasciarlo più andare?
«“Leonessa”?», chiesi allibita,
sbarrando ulteriormente gli occhi, mentre lo vedevo prepararsi un altro toast.
«Preferisci “Grifoncina”?»
«Perché ci dovrebbe essere il
diminutivo?», chiesi, non riuscendo a trattenere un sorriso, mentre mi portavo
alle labbra un altro biscotto.
«Suona meglio col diminutivo, non
trovi?», sussurrò contro le mie labbra, facendomi l’occhiolino.
Ero di nuovo di buon umore, possibile
che gli bastasse così poco per controllare il mio umore?
«No», sussurrai, spostandomi, in modo
da allontanare le mie labbra dalle sue, così da non sentire più il suo odore
misto a quello della marmellata di lamponi.
Non ero mai stata un’amante delle
confetture, forse perché quelle che provava a fare mia mamma lasciavano sempre
in bocca un retrogusto pastoso e amarognolo che non sopportavo, eppure in quel
momento, mi sarebbe piaciuto spalmargliene un po’ sulla bocca per...
Per la barba di Merlino! Ma che mi
salvata in testa?!
«Forse “Gattina” è meglio ancora»,
sussurrò piano, accarezzandomi i capelli.
«Dici?», sussurrai, cercando di dare un
po’ di contegno al mio tono, anche se uscì dalle mie labbra come un miagolio
particolarmente imbarazzante.
«Oh sì, “Gattina” mi piace», mormorò
prendendo un po’ di marmellata sul dito, prima di spalmarmela sulle labbra e di
leccarla via con la sua lingua.
Possibile che mi avesse letto nel
pensiero?
«Cosa stai facendo?»
«Provo a sedurti. Ci sto riuscendo?»
“Sì, e lo stai facendo maledettamente
bene”, pensai, perdendomi in quelle iridi chiare.
Ma per quanto mi sarebbe piaciuto
stringermi tra le sue braccia e dimenticare tutto il resto non potevo. Qualcosa
dentro di me soffriva ancora e aveva bisogno di più tempo per cancellare l’immenso
dolore che avevo provato durante quella settimana di prigionia.
Le sue labbra morsero piano le mie, ma
io mi imposi di resistere e alla fine mi allontanai, anche se di mala voglia.
«Cosa devo fare perché tu torni a
fidarti di me?»
«Ho bisogno di un po’ di tempo, tutto
qui», mormorai, cercando di ignorare il suo tono sconsolato, ma alla fine non
riuscii ad essere scostante quanto avrei voluto e finii coll’abbracciarlo
stretto a me.
«Gattina?», sussurrò contro il mio
orecchio.
«Cosa c’è, Furetto?», chiesi,
sorridendo sotto i baffi.
«Che cos’è questo?»
Quando misi a fuoco il galeone che
aveva in mano, lo riconobbi immediatamente sentendo il mio cuore perdere un
battito e, guardando negli occhi guardinghi e incuriositi di Malfoy, capii che
non avevo scelta e dovevo raccontargli tutto.
****************************************************************************************
Buongiorno :)
Sono in ritardo, un terribile ed imperdonabile ritardo, ma ormai
dovreste essere abituate, no?
Come
sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto e, per farmi
perdonare almeno un po’ per la lunga attesa, vi lascio il link
per una one-shot
su Luna e Zabini il cui titolo è "Libertà momentanea"
(cha fa parte di una raccolta di one-shot che spero di dedicare
interamente a lei e magari anche a Pansy) se volete andarla a leggere e dirmi che ve ne pare mi farebbe piacere: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2466706
Vi ringrazio per le stupende recensioni e mando un bacio enorme
a tutti! ;-*
LazySoul
P.S. Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare intorno alla fine di
Febbraio o inizio di Marzo, dato che grazie al Carnevale ho una settimana di
vacanza ;3
|
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Capitolo 7 *** Return the favor ***
cap_7
Dedico questo capitolo a tutte voi che continuate ad aggiungere questa storia tre le seguite, preferite e ricordate. Grazie :)
Return the favor
«Quello è un semplice galeone», disse,
la voce traballante sull’ultima parola, gli occhi che non sfiorarono i miei
neanche un istante e le mani che torturavano insistentemente il bordo della
maglia che le avevo imprestato.
Possibile che non si fosse ancora resa
conto che come bugiarda faceva davvero schifo?
Accennai un sorriso e posai nuovamente
il galeone in tasca.
I suoi occhi si assottigliarono mentre
seguiva il mio movimento.
Le presi il mento tra le dita e
avvicinai il viso al suo: «Tua madre non ti ha mai insegnato che non si dicono
le bugie?»
Arrossì di colpo, socchiudendo le
labbra carnose e specchiando i suoi occhi scuri nei miei.
Avrei potuto (anzi dovuto) imporre a me
stesso di resistere e probabilmente, se mi fossi impegnato, ce l’avrei anche
fatta a non baciarla.
Solo che la sua bocca era così vicina e
la tentazione così forte... per non parlare del mio amichetto dei piani bassi,
ancora fin troppo attivo dall’interludio di pochi minuti prima, che ormai aveva
preso il controllo del mio corpo.
Era proprio vero che noi ragazzi a
volte tendiamo a non usare il cervello per ragionare...
Appoggiai le labbra contro le sue,
leccandone i contorni con la lingua e sentendo ancora su di essere il sapore
della marmellata di lamponi.
Le morsi piano, beandomi della loro
morbidezza, prima di approfondire il bacio, in modo da far scontrare le nostre
labbra.
Tempo zero e mi ero già dimenticato che
le stavo parlando di una cosa seria e che volevo da lei delle risposte sincere:
tutta colpa dell’attrazione fisica che mi spingeva verso di lei, neanche fosse
stata una calamita e io un misero pezzetto di ferro.
Ero certo che mi avrebbe fermato, ma
volevo approfittare della situazione il più possibile, così allungai la mano
verso i suoi seni, stringendone uno attraverso la stoffa della sua maglietta
leggera, beandomi della sua pienezza. Sentivo chiaramente la durezza del suo
capezzolo tra le dita, mentre piccoli gemiti fuoriuscivano dalle sue labbra rosse
e gonfie per i baci che continuavamo a darci.
Era così bella...
«Draco», sussurrò contro le mie labbra,
afferrando numerose ciocche dei miei capelli per avvicinare ulteriormente i
nostri volti: «Giurami che non mi lascerai più»
Persi un battito, o forse anche più di
uno, prima che il mio cuore cominciasse nuovamente a pompare sangue ad una
velocità impressionante.
Era ancora più rossa in viso rispetto a
prima e potevo capirne il motivo; si era esposta, forse senza nemmeno
rendersene conto ed ora aveva paura di essere derisa.
Sorrisi, facendo scontrare i nostri
nasi, prima di appoggiare la fronte contro la sua: «Mai. Non ti lascerò mai più»
Ci stringemmo in un abbraccio, entrambi
con le lacrime agli occhi, ma nessuno dei due disposto ad ammetterlo.
Ci eravamo fatti del male così spesso,
senza nemmeno rendercene pienamente conto.
Entrambi troppo orgogliosi per poter ammettere
le nostre colpe...
Nessuno è perfetto eppure avrei voluto
esserlo per lei e mi odiavo per averla fatta soffrire.
Ma odiavo soprattutto il fatto che le
avessi dato motivo di dubitare della fiducia nata tra di noi con così tanta
fatica.
Avevo rovinato tutto, ma non avrei più
permesso che accadesse.
No, non avrei mai commesso un errore
così madornale.
Sentii le sue lacrime bagnarmi il collo
e un singhiozzo scuotere il suo corpo troppo fragile.
«Non piangere», sussurrai,
irrigidendomi appena, insicuro su come dovessi comportarmi per consolarla.
Non ero mai stato bravo con le
dimostrazioni d’affetto tanto che tendevo ad evitarle il più possibile e, anche
se lei era sempre stata l’eccezione alle mie molteplici regole, anche in quel
momento non riuscivo a muovermi per darle il sollievo che avrei voluto.
Ero vissuto per anni in una immensa
campana di cristallo che mi aveva impedito di essere influenzato dal mondo
esterno, l’unico che poteva inculcare pensieri e opinioni nella mia mente era
stato mio padre, il mio eroe.
Era stata lei, la Mezzosangue, a rompere quella campana e per farlo era bastato un
pugno ben assestato il terzo anno.
Probabilmente l’avevo amata fin dal
primo istante; quando l’avevo vista sul treno il primo anno.
Avevamo solo undici anni, eppure quegli
occhi scuri e quei capelli indomabili mi avevano fatto un certo effetto che non
avrei mai ammesso a me stesso. Era bellissima e così... determinata e libera.
L’avevo invidiata e desiderata fin
dalla prima volta che avevamo parlato, odiando quella mia debolezza e
nascondendola in un angolo nascosto del mio cuore per più di cinque anni.
E poi quell’anno non ero più riuscito a
starle lontano...
Le sue mani, piccole ma forti,
affondarono le dita affusolate tre i lembi della maglia del mio pigiama, mentre
le lacrime continuavano copiose a bagnarmi il collo e la clavicola.
Era come se qualcuno mi avesse lanciato
un “Pietrificus Totalus”, impedendomi
di dirle qualcosa per consolarla, per farla stare tranquilla.
Nessuno mi aveva mai consolato in vita
mia, forse perché non avevo mai dovuto affrontare dei problemi e di conseguenza
non avevo motivo di dispiacermi di qualcosa di frequente...
Ogni volta che volevo qualcosa i miei
me la davano, non facendomi mancare nulla e sapevo che questo mi aveva portato
ad essere così tanto viziato ed egoista.
Si strinse maggiormente a me, i
singhiozzi che la scuotevano ed io, impotente, che mi sentivo morire ad ogni
lacrima che fuoriusciva dai suoi occhi.
«Non piangere», ripetei, dandomi
mentalmente del coglione, chiedendomi cosa ci fosse che non andava in me.
Pochi minuti prima, quando si era
svegliata piangendo, l’avevo consolata, l’avevo stretta a me e le avevo
sussurrato all’orecchio parole dolci per calmarla.
Perché non ci riuscivo più?
Cosa cazzo c’era di sbagliato in me?
Gemetti piano quando le sue unghie mi
si conficcarono nella pelle attraverso la stoffa leggera del pigiama e cercai
automaticamente di allontanarmi, appoggiando una mano all’altezza del suo
gomito sinistro.
Toccandola sentii chiaramente la pelle
ruvida dove si trovava la cicatrice che le aveva lasciato mia zia e strinsi
automaticamente le dita della mano destra a pugno per la rabbia.
Seguii i contorni della cicatrice; ad
ogni centimetro di pelle che toccavo mi odiavo un po’ di più, fino a quando non
giurai a me stesso che Bellatrix Lestrange avrebbe pagato per quello che le
aveva fatto.
«N-non...», sussurrò, cercando di
allontanare il braccio dalle mie dita, ma portandomi solo al aumentare
ulteriormente la stretta e a chiudere gli occhi per cercare di rimanere calmo.
«Draco?»
Aprii gli occhi, notando come avesse
spostato il viso, in modo da averlo ora alla stessa mia altezza. Aveva gli
occhi arrossati e gonfi dal pianto e le gote rosate e bagnate da lacrime
salate, le labbra atteggiate in una piccola smorfia e i capelli particolarmente
indomabili.
Era bellissima anche così scarmigliata
e in disordine, con quella semplice maglietta e la scritta “Mezzosangue” che
spiccava rossastra rispetto alla sua pelle chiara.
Possibile?
Possibile che riuscisse a farmi
innamorare di lei ogni istante di più?
Mi prese il viso tra le mani e mi
accarezzo dolcemente le guance: «Promettimi che quello che ti sto per dire
rimarrà dentro queste mura. Non dovrai dirlo a nessuno»
Annuii e sentii una sua mano spostarsi
per afferrarmi con forza una ciocca di capelli in modo da avvicinare di più il
viso al suo: «Promettilo», sussurrò, negli occhi una forza e una sicurezza che
avrei voluto avere anche io.
«Lo prometto»
La vidi rilassarsi in parte e sentii la
stretta tra i miei capelli diminuire.
«Su quel galeone ho posto un l’Incanto
Proteus che mi permette di comunicare con
Harry e Ron, entrambi hanno una copia di questo galeone, solo che senza
bacchetta mi è impossibile entrare in contatto con loro...»
Rimasi di stucco, letteralmente con la
bocca aperta come un pesce lesso.
E io che pensavo avesse solo un qualche
significato affettivo o comunque fosse un oggetto privo di troppa importanza.
“Ammettilo, Draco, la tua ragazza è
molto più intelligente di te”, mi disse una vocina dentro di me e non potei
fare a meno di concordare con lei, anche se a voce alta non avrei mai
pronunciato simili parole, nemmeno sotto tortura.
Tirai fuori dalla tasca il galeone e
notai effettivamente che come cornice la circonferenza aveva l’intero alfabeto,
invece che la scritta originale.
«Voglio aiutarti, ma non me andrò da
Hogwarts», ammisi, fissandola dritto negli occhi.
«Cosa significa?», sussurrò con un filo
di voce, aggrottando le sopracciglia.
Senza pensarci allungai una mano,
passandole l’indice proprio al centro della fronte, in modo da distendere
nuovamente la sua fronte.
«Significa che se me ne dovessi andare
da qui tutti saprebbero che mi sono schierato con l’esercito avversario e i
miei genitori, come anche i miei amici, rischierebbero di finire nei guai per
colpa mia. Non voglio che ciò accada».
Vidi una scintilla di qualcosa
d’indefinito nei suoi occhi e l’istante dopo le sue labbra erano contro le mie.
Fu il mio turno di aggrottare le
sopracciglia: «Cosa ho fatto per meritarmi un bacio?»
«Te lo meriti perché penso che sia la
prima volta che ti sento fare un ragionamento non egoistico»
Sbuffai scocciato, regalandole però poi
un sorriso: «Ti ci dovrai abituare al mio egoismo»
«Ma io ci sono già abituata»
La sincerità nella sua voce mi provocò
una fitta all’altezza del petto.
Come avevo potuto allungare una mano e
prenderla per soddisfare un mio semplice capriccio? Ma soprattutto: come mi era
potuto venire in mente che standoci insieme mi sarebbe passata l’ossessione che
provavo nei suoi confronti?
Ero stato pazzo e cieco fin dal primo
momento, non volendo capire e vedere che stavo rischiando di finire incastrato
in qualcosa che non avrei saputo controllare e che mi avrebbe fatto male.
Ed ora eccomi lì: innamorato di
Hermione Granger.
E il bello era che non mi facevo
nemmeno schifo.
Che razza d’incantesimo mi aveva fatto?
O aveva usato l’Amortentia?
«Rimango con te allora, li aiuteremo dall’interno»,
mormorò, facendomi l’occhiolino.
Le sue parole mi resero felice, anche
se non avrei saputo dire precisamente il perché.
«C’è solo un problema», sussurrò,
prendendo un altro biscotto dal vassoio della colazione e portandoselo in
bocca.
Masticò piano, muovendo le labbra
carnose in quel suo modo ingenuamente seducente, prima di scoccarmi un’occhiata
seria e determinata: «Ho bisogno di una nuova bacchetta»
Aggrottai le sopracciglia a quella
parole, sapendo perfettamente che non sarebbe stato affatto facile
accontentarla.
Olivander si trovava imprigionato
proprio in una delle stanze adibite a cella all’interno della scuola e, anche
se l’avessi liberato non avrebbe potuto su due piedi costruirle una nuova
bacchetta... avrei potuto commissionarne una però. Mio padre era amico di un
giovane artigiano di bacchette bravo quanto Olivander e se gli avessi chiesto
un favore forse...
«Potrei intanto provare la tua, magari
funziona e a quel punto non avremmo bisogno di una nuova nell’immediato»
Aggrottai ulteriormente la fronte. Non
era un mistero che odiassi condividere le mie cose; cosa le faceva pensare che
le avrei fatto usare tranquillamente la mia bacchetta? E se me l’avesse rotta?
Inorridii a quel pensiero, sbiancando in modo evidente.
«Non dirmi che hai paura che te la
rompa!», urlò Hermione, guardandomi come se si fossi stato un bambino di due
anni.
«Bisogna sempre considerare tutti i
possibili scenari», spiegai, cercando di giustificarmi.
«Inizia allora a considerare lo
scenario in cui, a partire da questa notte, dormi sul divano»
Sbarrai gli occhi, fissandola con un
misto di sorpresa e incredulità.
Era impazzita? Non le avrei permesso di
allontanarmi dal letto dove lei dormiva nemmeno se fossimo stati una coppia
sposata che litigava ogni giorno. Cosa che in effetti eravamo... tranne che per
il particolare di essere sposati. Ma per quello avevamo tempo...
Mi spaventò quel mio pensiero, che in
effetti non avevo mai avuto il coraggio di formulare prima. Perché doveva
spuntare proprio in quel momento?
Accantonai il problema, deciso a
rielaborarlo in un futuro molto più lontano.
«Pensi che mi faccia spedire a dormire
sul divano senza fiatare, Granger?», le chiesi, assottigliando lo sguardo.
Sul suo viso comparve quell’espressione
che sembrava volermi sbattere in faccia quanto fosse superiore a me, quando
tirava fuori quel suo sguardo altezzoso e saccente avrei voluto prenderla a
schiaffi, per poi strapparle le mutande e...
«Non solo lo penso, ne sono certa»,
disse con tono ovvio, tirando fuori quella sua vocetta piena di sicurezza che
odiavo con tutto me stesso.
«Temo che tu ti stia sbagliando di
grosso, gattina», mormorai,
abbassando apposta la voce sull’ultima parola, in modo da renderla maggiormente
seducente, nettamente in contrasto rispetto al tono aspro con cui avevo
pronunciato il resto della frase.
La vidi fremere e mi chiesi se per il
desiderio o per la rabbia repressi: «Io penso invece che quello che si sta
sbagliando di grosso sia tu, furetto»
Il suo tono acido mi fece ghignare: «Mettimi
alla prova»
Vidi il suo sguardo assottigliarsi
ulteriormente, tanto che mi era quasi del tutto impossibile vedere il colore
scuro e tendente al colore del cioccolato amaro dei suoi occhi: «Va bene.
Questa notte dormirai sul divano»
Si allontanò subito; sedendosi ad una
quarantina di centimetri da me, ostentando uno sguardo freddo e impenetrabile.
Ma io sapeva che tutto ciò che voleva era che facessimo la pace.
E io sapevo perfettamente come fare per
levarle di dosso lo strato di ghiaccio che le era spuntato addosso nel giro di
dieci minuti.
Senza pensare davvero a quello che
stavo facendo le afferrai con forza la gamba sinistra, muovendola in modo da
allontanarla abbastanza dall’altra così da potermici infilare in mezzo coi
fianchi.
Era sconvolta, coi grandi occhi scuri
sbarrati, ma nel suo sguardo lessi esattamente quello che speravo di trovarci:
voleva essere sedotta.
«Solo se dormi sopra di me», le
sussurrai all’orecchio, cominciando a baciarle piano il collo e la clavicola.
«Smettila», la sua protesta suonò
debole alle mie orecchie, così continuai, sollevandole la maglietta e ricevendo
da parte sua un pugno sul braccio che mi fece solo ridere sommessamente.
Cominciai a leccarle con fin troppo
interesse l’ombelico, sentendola tesa sotto di me, come se non volesse
dimostrarmi quanto le piacevano le mie attenzioni.
“Fai la dura, Granger?”, pensai,
sfoderando il peggiore dei miei ghigni, mentre seguivo con le dita le fossette
dei suoi fianchi, trovandole maledettamente sexy.
«Basta, Malfoy»
Possibile che la sua voce mi fosse sembrata
un miagolio?
Ripensai a quando avevamo fatto l’amore
e poi un pensiero improvviso mi attraversò la mente, facendomi sorridere contro
la sua pancia: «Ho ancora un vecchio favore da ricambiare»
L’istante successivo avevo intrufolato
una mano dentro le sue mutande, ormai tornate ad essere le mie, dato che
l’incanto si era concluso.
Era calda bollente e... bagnata.
Le morsi piano la pancia, muovendo le
dita dentro di lei.
Il suo forte gemito mi fece capire che
avevo vinto.
«Vuoi ancora che dorma sul divano?»,
chiesi, raggiungendo con la bocca l’incavo tra i suoi seni, affondandoci il
viso ed inspirando a fondo il suo odore.
«Sì», disse, riuscendo a ostentare
abbastanza sicurezza da farmi ridere.
«Vuoi che mi ferma?»
«Sì», questa volta la sua sicurezza era
letteralmente evaporata.
Ricordai quella volta che, durante la
festa di Lumacorno a cui mi aveva invitato, lei aveva barricato entrambi in
bagno e aveva deciso di giocare col mio “amico dei piani bassi”.
Dire che avevo fantasticato per anni su
un momento simile era un eufemismo e quella volta, se non ci avessero
interrotti, ero certo che mi sarei divertito parecchio.
Ero indeciso se continuare o fermarmi
proprio sul più bello, sarebbe stato appagante in qualsiasi caso per me, sia
che lei fosse stata soddisfatta o meno.
Volevo sottometterla e ce la stavo
facendo: cosa volevo di più dalla vita?
Le sue mani si aggrapparono una al mio
braccio e l’altra ai miei capelli, spingendomi a baciarla.
Giocai con le sue labbra, continuando
però a torturarla con le dita.
«Draco», ansimò, cominciando a muovere
i fianchi per venirmi incontro.
Era così cedevole, come cioccolato fuso
tra le mie mani: dolce e calda.
«Mi vuoi, Hermione?», sussurrai contro
le sue labbra, mordendogliele piano.
Vidi nei suoi occhi un lampo di paura: «No»
Quell’unico monosillabo mi fece più
male della maledizione Cruciatus e, ferito dal suo rifiuto, mi allontanai; allo
stesso modo in cui un animale sanguinante si ritira in un angolo per leccarsi un
taglio mortale.
Rimanemmo a lungo a guardarci, il suo
sguardo allucinato, come se non si fosse ancora resa conto di quanto mi aveva
fatto male...
Non riuscii a rimanere in quella stanza
un minuto di più, le lasciai il galeone sul comodino, insieme anche alla mia
bacchetta e corsi fuori dalla mia stanza, mettendo all’ultimo il mantello nero.
Una volta fuori mi resi conto di non sapere
bene dove volevo andare, ma una cosa era certa: qualunque posto sarebbe stato
meglio della mia camera da letto.
****************************************************************************************
Eccomi qua :)
Coma va? Spero tutto bene e che il capitolo vi sia piaciuto! :)
Lo
so cosa state pensando: "Alleluia per una volta è puntuale",
ebbene sì, questa volta avendo avuto (grazie al Carnevale) una
settimana di vacanza sono riuscita a scrivere il capitolo in tempo! xD
Parlando
del capitolo, che ve ne pare? Non è troppo rosso vero? Ditemi di
no, perché non ho voglia di cambiare il rating! :-/ E se avete
suggerimenti per il prossimo sono pronta ad ascoltarli! ;)
E
adesso mi lamento un po' (perché essendo una donna tendo a fare
i capricci, quindi vi tocca sopportarmi! xD): perché non mi
avete detto che non ve ne poteva fregare di meno della mia proposta di
scrivere qualcosa su Luna e Blaise? Non che abbia intenzione di
togliere la storia, anzi io e la mia cocciutaggine la continueremo fino
alla fine! xD Solo che speravo in un paio di commenti in più,
giusto per avere una vaga idea di come mi sia venuto, anche negativi.
In fondo sono qui per migliorarmi... Va beh... In fondo vi capisco,
avrete tante di quelle cose da fare che starete pensando: "Cosa vuole
quest'isterica ancora?" e vi do perfettamente ragione...
(Lo
so che sembra che mi stia contraddicendo da sola, ma in realtà
è una dimostrazione del bifrontismo tassiano... Sì, la
scuola mi fa male xD)
Detto
ciò smetto di rompervi le scatole e svanisco per una settimana,
promettendo di essere puntuale con l'ottavo capitolo per il prossimo
sabato! ;)
Un bacio,
LazySoul
p.s. Se avete voglia di lasciarmi qualche recensione ve ne sarei grata ;-*
p.p.s. Il capitolo di Luna non vi è piaciuto, quindi ne ho scritto uno su Pansy e Nott che se volete trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2483600&i=1
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Capitolo 8 *** Guiltness ***
cap_8
Ciao! Vi scrivo solo il link di una piccola one-shot che fa da prequel a "Mai scommettere col nemico" (Se avete voglia di leggerla e dirmi che ve ne pare mi farebbe davvero piacere :3): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2488282&i=1
E
qua trovate la storia Luna/Blaise e Pansy/Nott sempre legata a questa
storia(vi consiglio di leggerla perché magari alcune cose che
dico in quella storia, che sono inerenti alla trama, non li ripeto
anche qua!): Pieces of Life
Guiltness
Le mani mi tremavano.
No, in realtà tutto il corpo sembrava
scosso da continui tremori.
Il desiderio che solo lui era in grado
di appiccare, come un incendio, dentro di me si era dissolto ormai, lasciando dietro
di sé una fastidiosa insoddisfazione in mezzo alle gambe.
Ero orgogliosa di me stesse per esser
riuscita a dire di no, inutile mentire a me stessa; se non gliel’avessi detto
avrei finito col pentirmi.
Eppure mi sentivo comunque in colpa.
Il suo sguardo stupito e pieno di
dolore...
Mi coprii il viso con le mani, come se,
premendo le dita contro gli occhi, avrei potuto impedire alle lacrime di
sgorgare.
I tremori vennero presto sostituiti dai
singhiozzi.
Odiavo piangere, odiavo mostrarmi debole
di fronte ad altre persone eppure prima, quando mi ero ritrovata stretta a
Malfoy per chiedere un po’ di conforto, non mi ero affatto odiata.
Era tutto così confuso, tutto così
difficile, tutto così sbagliato!
Perché non riuscivo più a fidarmi di
lui?
Era come un blocco mentale; ogni volta
che mi parlava, che mi baciava, non potevo fare a meno di pensare che avesse un
doppio fine, che in realtà il suo unico scopo fosse quello di consegnarmi al
nemico di nuovo.
In fondo avrebbe avuto senso, no? Rapirmi
per portarmi ad avere fiducia in lui e poi, appena avesse scoperto tutto ciò
che poteva, mi sarei ritrovata di nuovo in una cella buia ed umida.
Mi distesi su un fianco,
raggomitolandomi su me stessa e stringendo con le braccia le gambe al petto.
Cercavo inutilmente di calmare il mio
respiro, ma per quanto mi sforzassi continuavo a venir scossa dai singhiozzi,
anche se ormai erano diminuiti in modo considerevole.
Fui costretta ad alzarmi quando ormai
non riuscivo più a trattenere la mia vescica e il bisogno impellente di fare la
pipì, così mi fiondai in bagno con le gambe malferme.
Sciacquandomi le mani, un po’
appiccicose e sporche a causa della colazione, ne approfittai per guardarmi
allo specchio grande con cornice dorata che si trovava sopra il lavandino.
Ero davvero pallida, molto più del
solito e le occhiaie spiccavano in modo inquietante, mentre gli zigomi non mi
erano mai sembrati così spigolosi. E i capelli? I capelli erano la solita massa
indistinta di ricci ribelli color castano scuro, mentre le labbra erano gonfie
a causa dei baci di Malfoy.
Con che coraggio riusciva a guardarmi
in faccia?
Ero bruttissima, non che fossi mai stata
una bellezza, ma la prigionia non mi aveva giovato affatto, rendendo il mio viso
tirato e troppo spigoloso.
Mi portai una mano sulla guancia,
sentendo la pelle morbida, poi continuai la mia esplorazione toccandomi i
capelli puliti, la fronte, il naso, le labbra...
Possibile che sentissi ancora la
pressione della bocca di Malfoy contro la mia?
Scossi la testa e decisi di tornare in
camera, cercando magari tra i cassetti qualcosa per coprirmi perché non avevo
intenzione di passare la giornata in boxer e maglietta.
Il suo profumo impregnava ogni singolo granello
d’aria della stanza e faceva male, eccome se faceva male.
Ogni volta che respiravo mi sembrava di
ricevere uno schiaffo sulla guancia, mentre il ricordo di quel suo sguardo
smarrito e pieno di dolore a causa del mio rifiuto, mi faceva sentire una
stronza.
Aprii l’armadio e cercai al suo interno
fino a quando non trovai un paio di pantaloni che facevano parte di un pigiama
a quadri neri e grigi.
Per sbaglio inciampai su una pila di
libri, facendo cadere una decina di volumi posti in equilibrio precario.
Mi inginocchiai a terra e li sistemai
nuovamente, la mia attenzione venne però catturata da un piccolo libricino con
la copertina marrone rovinata e su cui c’era una scritta a caratteri dorati: “Le
fiabe di Beda il Bardo”
Lo sfogliai, incuriosita, mentre non
riuscivo a trattenere un sorriso.
Sulla prima pagine c’era una dedica
tutta svolazzante che non poteva appartenere che ad un pugno femminile: “Per ricordarti quanto era semplice l’infanzia.
Con amore, D.”
Strinsi forte le mani intorno a quel
libro, mentre una fin troppo familiare fitta di gelosia mi gelava il sangue
nelle vene.
Chi diavolo era D.? Era irrazionale ciò
che provavo, lo sapevo, eppure non potevo fare a meno di sfogliare ogni singola
pagina di quel libro alla ricerca di altri indizi che potessero aiutarmi a
capire chi fosse quella ragazza.
E se Draco fosse stato innamorato di
lei?
Oh, Merlino! E se fosse stata lei la
ragazza che aveva amato e molto sicuramente continuava ad amare in gran
segreto?
Molto maturamente decisi di nascondere
quel libretto dove lui non l’avrebbe trovato, anche se, insomma, essendo in
camera sua non ero molto sicura di dove sarebbe potuto essere un posto simile.
Alla fine lo posai semplicemente sul
letto, mentre mi guardavo intorno alla ricerca del nascondiglio perfetto.
Lo sguardo mi cadde però sul comodino
dove, abbandonati a se stessi si trovavano il galeone incantato e la bacchetta
di Malfoy.
Sbarrai gli occhi dalla sorpresa, dato
che non mi ero resa conto che prima avesse lasciato entrambi in camera, prima
di andarsene.
Mi avvicinai alla bacchetta e, senza
pensarci la presi in mano, sentendo un leggera scarica alla mano.
Non era la mia bacchetta e questo il
mio corpo lo sapeva, ma non sembrava nemmeno che questo provocasse qualche
reazione negativa.
Con un leggero movimento del polso
sussurrai: «Accio galeone»
L’istante dopo mi trovavo tra le mani
la moneta.
Sorrisi, felice di poter usare
finalmente la magia, dopo tanto tempo che provavo inutilmente a fare
incantesimi senza bacchetta.
La mia contentezza era guastata dal
litigio appena concluso malamente con Malfoy, ma non mi lasciai sopraffare da
quella sensazione di inadeguatezza e trasfigurai i pantaloni del pigiama in un
paio di jeans elasticizzati, prima di trasformarli nuovamente in un paio di
pantaloni da ginnastica babbani.
Risi, prima di insonorizzare la stanza,
pronta a provare a mettermi in contatto con i miei due migliori amici.
Avevo paura che il lieve legame che
avevo creato con la bacchetta di Malfoy si concludesse da un momento all’altro,
quindi non sprecai tempo e iniziai a pronunciare l’incantesimo, scrivendo sul
bordo del galeone una semplice domanda: “State
bene?”
Sapevo che il galeone avrebbe
cominciato a scottare per avvisarli del mio messaggio, così non feci altro che
aspettare una risposta, certa che presto o tardi avrei avuto loro notizie.
Nell’attesa mi sedetti sul letto di Malfoy
e, per ingannare il tempo, iniziai a leggere le Fiabe di Beda il Bardo, curiosa
di vedere quanto fossero diverse dalle fiabe babbane che io conoscevo bene.
La prima fiaba s’intitolava “Il mago e
il pentolone salterino” e iniziai a leggerla con molto interesse, stupendomi
che il messaggio principale del racconto fosse quello di aiutare i babbani e di
non disprezzarli.
Possibile che a Draco Malfoy da piccolo
leggessero quella fiaba? Probabilmente i suoi genitori la saltavano, o la
modificavano se no non si sarebbe spiegato il motivo del suo odio verso tutto ciò
che aveva qualche collegamento, anche se minimo, col mondo dei Babbani.
Stavo per iniziare la seconda fiaba,
quando un forte bruciore alla mano destra mi fece sussultare.
Il libro di fiabe mi cadde ai piedi,
mentre osservavo attentamente il galeone e la piccola scritta che era comparsa
sul suo bordo: “Hermione, temevamo che fossi morta. Noi stiamo bene, ma tu?”
Sentii calde lacrime di sollievo
scivolarmi lungo le guance e non potei trattenermi dal ridere.
Stavano bene! Bene!
Strinsi il galeone al petto e alzai gli
occhi verso il soffitto: «Grazie, Merlino. Grazie», sussurrai con un filo di
voce, prima di rispondere loro: “Sì, sto bene, non vi preoccupate per me. Dove siete?”
Aspettai in trepidante attesa una
risposta, non distogliendo lo sguardo dal galeone neanche un istante.
Stavo per perdere le speranze, quando
un forte bruciore mi fece sorridere e piangere insieme nuovamente.
“Per il momento Sirius ci ospita a Grimmauld
Place, ma prima abbiamo trascorso un po’ di tempo alla Tana. Tu Hermione? Sei ancora
ad Hogwarts”
Utilizzare la bacchetta di Malfoy stava
diventando sempre più facile, mentre continuavo a lasciare incantesimi al
galeone per ricevere ed inviare risposte.
“Si. Avete fatto qualche passo avanti
per quanto riguarda gli Horcrux?”
“Come fai ad essere ancora ad Hogwarts?
Sei imprigionata?”
Avevano ignorato la mia domanda e questo
mi diede parecchio fastidio, ma ero lusingata e felice del fatto che si
stessero preoccupando per me.
“No, non sono imprigionata”, li
rassicurai.
“Ma come hai fatto a fuggire? E come
fai a restare ad Hogwarts? Sei nascosta?”
Ed ora? Che potevo dire? Malfoy mi ha
salvata ed ora sta cercando di sedurmi?
Feci una smorfia, certa che quella
risposta non gli sarebbe piaciuta affatto, così decisi di censurarla un po’.
“Malfoy mi ha salvato”
Ero certa che ci avrebbero messo
parecchio prima di digerire la situazione, così decisi di leggere anche la
seconda fiaba: “La Fonte della Buona Sorte”.
Se la prima mi aveva piacevolmente sconvolto,
la seconda mi lasciò direttamente a bocca aperta.
Possibile che Malfoy avesse letto quel
libro? Sembrava impossibile da credere, in quanto si parlava di vicende che
vedeva maghi e babbani collaborare in armonia e senza inutili pregiudizi...
Forse era un volume che non aveva mai
avuto il permesso di leggere, se non da poco tempo, dato che il suo
comportamento nei miei confronti stava migliorando di giorno in giorno; tanto che
aveva quasi del tutto smesso di chiamarmi Mezzosangue e quando lo faceva usava
un tono di voce così gentile che era impossibile non capire che non lo stava
utilizzando per insultarmi, ma come se fosse un simpatico soprannome.
Il galeone bruciò di nuovo: “Non penso
che fidarsi di Malfoy sia la cosa più saggia da fare”
Aggrottai le sopracciglia.
I miei amici non mi stavano dicendo
nulla di nuovo, sapevo perfettamente che dovevo stare attenta ed ero convinta
di essere abbastanza grande da poter capire da sola come fare per resistere
alla tentazione e attrazione continua che esercitava nei miei confronti Malfoy.
“Non sono una bambina, so badare a me
stessa”
Certo, il libro di fiabe che avevo
sulle gambe non sembrava proprio essere una lettura adatta ad una persona
adulta, ma leggendolo arricchivo la mia cultura generale.
“Certo, Hermione, ma è Malfoy!”
Ero certa che quella frase fosse opera
di Ron, solo lui poteva parlare in quel modo nient’affatto maturo.
“Questo è l’ultimo dei nostri pensieri!
L’importante è trovare gli Horcrux!”
“Siamo riusciti, grazie all’aiuto di
Sirius, a distruggere il medaglione”
Sorrisi a quelle parole, cominciando a
saltellare per la stanza come una pazza.
“Come?”
“Sirius ha detto che quel medaglione
era quello appartenuto a Salazar Serpeverde e pensiamo che anche gli altri
Horcrux si trovino in oggetti appartenenti ai fondatori delle altre case. Comunque
con la spada di Godric Grifondoro”
La faccenda si faceva interessante. Da quel
che sapevo a proposito dei fondatori delle case avevano in effetti tutti un
oggetto che li caratterizzava: Salazar Serpeverde un medaglione, Tosca
Tassorosso una coppa, Priscilla Corvonero un diadema e Godric Grifondoro la
spada.
Dato che la spada non era un Horcrux e
che il medaglione era già stato distrutto, mancavano il diadema e la coppa.
Eppure anche distruggendoli mancavano
comunque altri due Horcrux...
Dovevo chiedere aiuto a Malfoy, lui di
sicuro avrebbe avuto l’occasione di scoprire qualcosa che sarebbe potuto
risultare utile per la ricerca.
Malfoy...
Con che coraggio lo avrei di nuovo
guardato in faccia dopo quello che era successo?
“Cercherò più informazioni possibili,
ragazzi. Comunque due possibili Horcrux potrebbero essere i diadema di
Priscilla Corvonero e la coppa di Tosca Tassorosso. Dovremmo solo scoprire dove
si trovano”
Presi di nuovo il libro di fiabe in
mano, decisa a continuarlo in un altro momento e lo appoggiai sul comodino.
Sentii un rumore e mi voltai di scatto,
vedendo due tende che in precedenza non avevo mai notato, forse perché erano
scure come il colore delle pareti.
Mi avvicinai ad esse e le scostai,
rivelando il verde fondale del Lago Nero.
Una delle due ante della finestra
ospitava parte di quello che sembrava un grosso e terrificante tentacolo.
Chiusi nuovamente le tende, sentendo un
sonoro pop dietro di me.
Voltandomi mi ritrovai davanti Breedy e
non potei fare a meno di sorridere: «Ciao!»
Mi sembravano passati due minuti da
quando era venuto a portare la colazione, mentre a quanto pare dovevano essere
passate ore, dato che sosteneva un altro vassoio.
Lanciai un’occhiata ad un orologio a
parete e vidi con stupore che era già mezzogiorno e mezzo.
Non potei fare a meno di preoccuparmi,
chiedendomi dove fosse finito Malfoy.
Avevo bisogno di parlargli, dirgli
quello che avevo scoperto...
«Breedy, sai dov’è Draco?», gli chiesi,
avvicinandomi al piccolo Elfo Domestico che, dopo un profondo inchino, rispose:
«È a pranzo con la sua famiglia. Devo riferirgli un messaggio?»
Non avrebbe mangiato con me, quindi?
Che ipocrita ed egoista che ero.
Litigavo con lui, lo scacciavo e poi mi
aspettavo anche che sarebbe tornato per pranzo e che mi avrebbe chiesto scusa
per colpe che lui non aveva?
«Potresti dirgli che vorrei parlargli
per ciò che è successo?»
Che brava, stavo migliorando di giorno
in giorno. Ora mandavo anche avanti l’elfo domestico per tastare il terreno e
rimanere nelle retrovie! Da quando avevo cominciato ad essere così codarda e
subdola?
«Anzi, meglio di no. Gliene parlo
direttamente io quando tornerà»
Ci fu una breve pausa, interrotta solo
dal rumore leggero del vassoio che veniva poggiato sulla scrivania.
«Tornerò, vero?», non riuscii a
trattenermi e quelle parole mi uscirono di bocca, facendomi arrossire.
Vidi Breedy sorridere: «Certo che
tornerà, signorina Granger. Se no dove dormirebbe? Sul divano?»
Possibile che non avesse detto quelle
parole con qualche intenzione nascosta?
Forse sapeva quello che era successo e
mi voleva far sentire in colpa...
Impossibile, anche se conoscevo Breedy
da poco, ero certa che non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
«Eh già», dissi, ma dentro di me mi
sentivo tremendamente in colpa.
Il medaglione, che tenevo ancora nella
mano sinistra incominciò a bruciare proprio in quel momento, facendomi
sussultare.
“Sirius indagherà. Ti terremo informata
se ci saranno sviluppi. Ginny dice di ricordarti le sue lezioni. A cosa si
riferisce?”
Sorrisi.
I miei amici riuscivano sempre a
mettermi in buon umore, anche se per pochi secondi, anche se si trovavano dall’altra
parte dell’Inghilterra.
“Ringrazia Ginny”
Lasciai volontariamente perdere la
seconda domanda, certa che a porgerla fosse stato Ron.
Quando alzai lo sguardo Breedy se n’era
già andato.
Mi rattristai al pensiero di essere
nuovamente sola, ma cercai di scacciare quel vuoto opprimente mangiando.
Come primo avevo zuppa di zucca, poi c’era
pesce, patatine, carote al forno e poi come dessert il mio preferito: biscotti
al limone.
Mangiai tutto con gusto, soprattutto il
dolce, prima di sedermi sul letto di Malfoy e di lasciarmi andare ad un profondo
sospiro.
Chissà come stava andando il suo
pranzo...
Si stava divertendo? Stava chiacchierando
con i suoi genitori?
Non avevo mai conosciuto sua madre. Suo
padre invece lo conoscevo fin troppo bene...
Feci una smorfia e mi coricai,
cominciando a giocare distrattamente con una ciocca di capelli.
E se la nostra relazione fosse
diventata qualcosa di serio? Se anche lui si fosse innamorato di me?
Come avrei fatto ad essere abbastanza
per la sua famiglia?
Non avevo mai visto Narcissa Black in
Malfoy, ma ero certo che fosse bellissima, bionda e con i lineamenti dolci. Allo
stesso modo in cui ero certa del suo portamento regale, del suo sguardo freddo
e della sua convinta convinzione che i babbani e i Mezzosangue fossero tutta
feccia.
Sì, in fondo madre e figlio in qualcosa
dovevano pur assomigliarsi, non era possibile che Malfoy avesse preso tutti i
suoi lati peggiori dal padre, no?
Draco, Draco, Draco, Draco, Draco...
Possibile che non riuscissi a pensare
ad altro?!
Scossi la testa sconsolata e mi sporsi
per recuperare il libro di Fiabe, pronta a leggere ancora un paio di storie,
per rilassarmi e cercare di pensare ad altro invece che al mio amante che ero
riuscita, con chissà quale forza di volontà, a rifiutare.
La fiaba successiva a quelle che avevo
già letto era: “Lo stregone dal cuore peloso” e, anche se il titolo era
particolarmente buffo, ero certa che sarebbe stato davvero istruttivo come
anche le altre storie.
Riuscii a malapena a leggere le prime
due pagine, prima che una forte stanchezza mi colpisse.
A quanto pare il mio corpo aveva ancora
bisogno di dormire per riprendersi da tutto lo stress accumulato.
Riuscii a malapena a formulare quel
pensiero prima di cadere in un sonno tormentato.
****************************************************************************************
Ri-ciao a tutti :D
Sono riuscita a postare il anticipo! Ancora non ci credo... xD
Bando le ciance, come va? Io sto cominciando a stancarmi della scuola, voi?
Va
beh, ma non penso che vi interessi molto la mia vita da povera
studentessa, quindi parliamo del capitolo. So che mi sbranerete viva
perché non c'è Draco, ma siate clementi! Il prossimo
capitolo lo volete con il pov Hermione o con il pov Draco? La
maggioranza vince, quindi se avete tempo di mandarmi una recensione,
fatemi sapere cosa preferireste ;)
Mando
a tutti un enorme abbraccio e un super gigantesco bacio: le vostre
recensioni sono sempre più stupende e, anche se non penso di
meritarmi tutti i complimenti che ricevo, vi ringrazio dal profondo del
cuore! *.* <3
Quando
arriverà il prossimo capitolo? Eh, bella domanda... Spero
davvero di riuscire a produrre qualcosa di decente per Sabato prossimo,
massimo Domenica, ma se non doveste trovare nulla non disperate, vuol
dire che sono più indaffarata del previsto e che ci
metterò più tempo...
A presto! ;-*
LazySoul
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Capitolo 9 *** Lunch ***
cap_9
Ho aggiornato Pieces of Life con
un nuovo capitolo su Luna e Blaise che vi consiglio di leggere prima di questo,
dato che Luna origlia una conversazione tra Draco e Blaise piuttosto importante
;)
Lunch
Aspettai Blaise fuori dalla sua porta,
in attesa che parlasse con la Lovegood a proposito dei nostri programmi per la
giornata.
Mi sentivo vuoto senza la bacchetta,
era come girare per il castello con addosso solo le mutande.
La sensazione era orribile.
Non riuscivo a capire, neanche
analizzando la mia psiche nei minimi dettagli, il motivo per cui avevo ceduto.
Ero
sempre stato troppo testardo ed
orgoglioso per arrendermi, soprattutto quando sapevo che sarebbe stato
davvero facile vincere. Eppure le avevo permesso di comandarmi a
bacchetta, senza dire
nulla, lasciandole il mio legno come mi aveva chiesto.
Forse lo avevo fatto per evitare di
dormire sul divano oppure, molto più semplicemente, perché ero
irrimediabilmente innamorato di lei...
Preferivo non pensarci e lasciarmi
quella mattinata alle spalle, combattendo il vuoto doloroso che il suo rifiuto
mi aveva causato all’altezza del petto in silenzio.
Non riuscivo a stare fermo, continuavo
ad andare avanti ed indietro, fissando assente prima una parete del corridoio e
poi l’altra.
Avrei voluto tornare indietro,
prenderla tra le braccia, stringendola il più possibile, per dirle che mi aveva
fatto male, ma che sapevo di essermelo meritato.
L’avevo fatta soffrire anche io in
fondo, l’avevo abbandonata nelle mani di mia zia...
Possibile che fossi di nuovo tornare a
pensare a lei? Non mi ero appena detto che dovevo lasciarmi la mattinata alle
spalle?
«Ok, pronto. Andiamo?»
Mi bloccai con un piede sollevato, nel
bel mezzo di un passo, e mi voltai verso Blaise, sorridendo appena.
Annuii non del tutto convinto di come
sarebbe potuta essere la mia voce in quel momento e per questo desideroso di
tenerla celata ancora un po’.
Non volevo ritrovarmi a frignare come
un bambino, quindi tenere la bocca chiusa era il modo migliore per non perdere
il controllo, come anche togliermi dalla mente quello che era successo.
Si avviò lungo il corridoio che portava
alla sala comune Serpeverde e io lo seguii.
Mi portai una mano al viso, sfregandomi
la guancia e il mento, dove cominciava a crescere un accenno di barba.
Sbadigliai, coprendomi la bocca con il palmo.
Così facendo però sentii fin troppo
chiaramente l’odore che Hermione aveva lasciato sulle mie dita, quel suo odore
femminile che mi ricordava chissà perché le pesche in estate: calde e succose.
Contrassi la mascella, digrignando
appena i denti, mentre il vuoto dentro di me si trasformava in rabbia e
frustrazione.
Ero stato così vicino al riaverla,
avrei potuto prenderla, fregandomene di quello stupido “no” e zittirla con un
bacio...
E invece mi ero fermato.
Era stato il suo sguardo spaventato ad
impedirmi di andare avanti.
Adesso che ero più lucido e ragionavo
coi neuroni e non con l’amico dei piani bassi sapevo come doveva essersi
sentita disorientata quella mattina.
Ero stato davvero uno stronzo.
L’avevo liberata da una settimana di
prigionia e di stenti e la prima cosa che facevo era saltarle addosso e
costringerla ad allargare le gambe?
Ero davvero un animale, un maiale dei
peggiori.
Strinsi maggiormente i denti, mentre
continuavo ad insultarmi.
Avevo sbagliato, ero stato troppo
impulsivo, troppo egoista...
«Sai che se continui così rovinerai la
tua dentatura perfetta?»
Sospirai, quasi riconoscente a Blaise
per aver interrotto la sfilza d’insulti che mi stavo lanciando mentalmente.
«In questo momento non me ne potrebbe
fregare di meno dei miei denti», dissi con tono aspro e scontroso.
«Ne riparleremo quando avrai tutta la
dentatura rovinata e la Granger non ti vorrà baciare per il disgusto»
«La smetti di parlare della...»,
iniziai, ma venni interrotto subito da quella sua voce cantilenante da padre
premuroso e preoccupato: «Draco, è inutile che cerchi di fare il duro.
Ammettilo: hai bisogno di una mano per stabile un piano d’attacco; così da
poterla riconquistare»
Sbuffai, mettendomi le mani in tasca,
affiancandolo: «Non ho bisogno del tuo aiuto»
«Va bene, lascia almeno che ti dia un
consiglio: falla impazzire di desiderio»
Un ghigno malizioso comparve sulle mie
labbra a quelle parole. Quell’idea mi piaceva particolarmente.
Non sapevo se avrebbe funzionato, ma
immaginarmi Hermione Granger che supplicava che la prendessi, nuda, sotto di
me, beh era qualcosa che innalzava la mia eccitazione alle stelle.
Mi raffigurai la scena: io che uscivo
dal bagno con solo un asciugamano intorno ai fianchi, lei che tentava di non
farci caso per resistere e poi la capitolazione; lei in ginocchio davanti a me
a supplicarmi, mentre lanciava l’asciugamano dall’altra parte della stanza...
Risi di me stesso e di quella fantasia
che sarebbe rimasta insoddisfatta per sempre.
Lei non sarebbe mai capitolata, era un
dato di fatto.
«Altri consigli? Magari qualcuno che
facilmente potrei mettere in pratica?», chiesi, facendo un cenno ai pochi
Serpeverde che si trovavano nella sala comune.
Uscendo indossai la maschera da
Mangiamorte e Blaise fece lo stesso, mentre ci dirigevamo all’ala nord del
castello, dove dovevamo fare la ronda.
«Dici che non cederebbe?», chiese con
una smorfia di disappunto.
«Dico che per mettere in pratica un
piano simile mi ci vorrebbe dell’Amotenthia o tanti mesi e tanta fortuna.
Sfortunatamente non dispongo né di pozioni che causano innamoramento né della
pazienza necessari per sedurla per così tanto tempo»
«L’hai già fatto una volta, perché non
dovresti riuscirci di nuovo?»
«Lei mi odia», dissi, con voce
sconsolata.
«Prima ti odiava ancora di più, però»
Sospirai: «La Mezzosangue è troppo
imprevedibile. Ed è uno dei motivi per cui non riesco a togliermela dalla
testa...»
«Secondo me però con la carta
dell’astinenza prima o poi lei impazzirà e ti salterà addosso»
«Sì, ma quello che rischia di impazzire
prima sono io»
Non potevo vedere la sua faccia, ma ero
certo che stesse sorridendo: «Vero»
Trascorremmo alcuni minuti in silenzio,
ascoltando ognuno il respiro dell’altro, senza dire una parola, prima che lui
tornasse all’attacco con le sue idee: «Un regalo?»
«Che intendi?»
«Non so, qualcosa che vuole e che tu
puoi procurarle... che ne so, dei vestiti? Un mazzo di rose rosse?»
Analizzai le sue parole ed annuii
distrattamente: «Mi ha detto che vuole una nuova bacchetta»
«Perché non rivuole la sua?»
«Perché si è rotta durante la guerra»,
gli confidai, mentre raggiungevamo l’ala nord, che era quasi completamente
vuota.
«Ah, non lo sapevo... beh, sarebbe un
passo avanti», disse Blaise, annuendo con enfasi.
«Dovrei chiedere a Peter allora»
«Peter? Rischi che ne parli a tuo padre,
sai che quell’uomo non è in grado di tenere la bocca chiusa su nulla...»
Blaise aveva ragione.
Peter non era proprio il tipo di
persona che definiresti riservato, soprattutto quando andava ad ubriacarsi ai
pub e spifferava tutto quello che gli passava per la mente a tutti quelli che
gli si avvicinavano.
«Dovrò chiedere a Soledad allora»,
dissi, voltandomi appena verso di lui, per analizzare il linguaggio del suo
corpo.
Appena pronunciai quel nome vidi
chiaramente le sue spalle irrigidirsi e le mani chiudersi a pugno.
Avevamo conosciuto il padre di Soledad,
Gabriel, due anni prima, durante una nostra vacanza in Spagna. Inutile dire che
Blaise e Soledad avessero avuto una focosa relazione estiva terminata nel
peggiore dei modi.
«Sei un fottuto bastardo, lo sai?»
«Stai ancora male per lei?», gli
chiesi, stupito da quella sua relazione.
Non avevamo mai parlato molto di quella
storia, anche perché lui ogni volta si richiudeva a riccio ed impediva a
chiunque di capire cosa gli passasse per la testa.
«Fatti i fatti tuoi».
Sospirai, dispiaciuto che ancora una
volta mi avesse chiuso la porta in faccia, impedendomi di entrare un po’ nella
sua testa per provare ad aiutarlo.
Passammo altri minuti in silenzio,
controllando che non ci fossero intrusi nell’ala nord ed ignorando i quadri e
le loro imprecazioni ed insulti.
«Non ti meritava, Blaise»
Lo sentii sbuffare, mi sembrava un po’
incavolato: «Taci»
«Fammi capire: io devo sorbirmi i tuoi
continui consigli impertinenti su come conquistare la Granger, ma io non posso
cercare di consolare il mio migliore amico?»
«Esatto», disse, lanciandomi un veloce
sguardo.
Non riuscii a scorgere la sua
espressione per colpa della maschera, ma ero certo che non avesse il suo solito
sorriso sulle labbra.
«Ci rinuncio», dissi, alzando le mani.
Tornammo nel più completo silenzio e ci
rimanemmo per poco più di mezz’ora.
In quei trentasette minuti potei tranquillamente
elaborare più di quattro piani per far tornare la Mezzosangue a fidarsi di me.
La prima opzione era quella di risolvere tutto con del buon e sano sesso. La
seconda quella di riempirla di fiori, cioccolatini e regali per addolcirla. La
terza comprendeva entrambi in un’isola sperduta del Pacifico, io in ginocchio
che le confessavo eterno amore e lei che ricambiava i miei sentimenti. La
quarta invece prevedeva l’uso dell’Amortenthia.
In poche parole il terzo piano era
impossibile, il quarto illegale, la prima era la più allettante e la seconda la
meno compatibile con il mio carattere.
Immaginai di mettere in pratica tutte e
quattro le opzioni, ma finii con l’immaginarmi semplicemente quattro scene
diverse di sesso stupendo con la ragazza che amavo.
Diventavo di minuti in minuti più
patetico.
«Te ne parlerò un giorno Draco, solo
non oggi»
Le parole di Blaise mi fecero
riemergere dallo stato di autocommiserazione in cui ero finito ed accennai un
sorriso: «Ci conto»
La ronda e qualche veloce compito di controllo
lungo il periodo della scuola ci tenne occupati fino all’ora di pranzo, quando,
tornando al castello, ci dirigemmo verso le stanze che il signore oscuro aveva
designato ai miei genitori.
Ogni aula o camera da letto del
castello era stata adibita a cella o stanza per gli ospiti. Molti Mangiamorte
risiedevano ad Hogwarts, alcuni permanentemente altri periodicamente.
I miei genitori facevano parte del
secondo gruppo.
Erano stati invitati a stare nella
nuova dimora del Signore Oscuro per una settimana, per dare una mano
nell’organizzazione e gestione dei prigionieri. Ero certo però che non
vedessero l’ora di tornare a Malfoy Manor, dove erano i padroni e non i
servitori.
Ancora faticavo a credere che mio padre
si sottomettesse ad un uomo viscido e senza scrupoli come il Signore Oscuro, ma
capivo le sue ragioni.
Anche io in fondo ero stato costretto a
diventare un Mangiamorte, a sottomettermi, a rinunciare alla mia libertà...
Ripensandoci però, io non ero mai stato veramente libero. Da quel punto di
vista ero la marionetta perfetta: abituato fin da giovane ad ubbidire agli
ordini, rassegnato a non poter decidere nulla nella vita...
Mi ero stancato di essere un semplice
burattino nel momento esatto i cui avevo baciato la Granger la prima volta.
Sorrisi a quel ricordo, pensando a come
le sue labbra mi erano sembrate morbide, a come lei mi era sembrava così
ingiustamente bella addormentata su quel libro... (1)
Nessuno doveva sapere però che dentro
di me mi stavo ribellando, dovevo mantenere il segreto il più a lungo
possibile.
Svoltando un angolo mi ritrovai di
fronte a quelle che erano state le stanze dei Professori.
I miei genitori erano stati ospitati in
quella appartenuta a Lumacorno e in parte in quella della Cooman, ma a loro
parere, anche se gli ambienti erano ampi e ben arredati, quel posto era
comunque una topaia.
Bussai alla porta, aspettando che
qualcuno venisse ad aprire e, nel frattempo, lanciai una veloce occhiata a
Blaise alla mia destra.
«Pronto per una riunione familiare?»,
mi chiese con tono ironico e io sorrisi: «Dipende»
«Da cosa?»
«Dall’umore di mio padre», ammisi,
conscio che il mio migliore amico avrebbe capito al volo ciò che intendevo.
Stava ridacchiando quando ci venne ad
aprire Breedy.
Sorrisi alla vista dell’elfo, anche se
non potevo fare a meno di chiedermi cosa ci facesse lì: «Non lavori più in
lavanderia?»
Lui scosse la testa: «I signori Malfoy
hanno richiesto che li servissi durante il loro soggiorno ad Hogwarts»
Breedy aprì del tutto la porta, facendo
entrare Blaise e me e, prima che raggiungessimo i miei genitori, lo fermai: «Le
hai portato da mangiare?»
«Non ancora Signorino», fece un
profondo inchino: «Breedy provvede subito»
Annuii, chiedendomi se la Granger si
sarebbe offesa ulteriormente per il fatto che non avessi mangiato con lei, ma
poi scacciai il pensiero, ancora arrabbiato per il suo rifiuto.
«Verso le tre o quattro del pomeriggio,
appena avrai un po’ di tempo, porta la signorina Lovegood nella stanza con
Hermione, va bene?»
Breedy fece un altro profondo inchino:
«Certo, Padroncino»
Blaise, che nel frattempo si era tolto
la maschera sorrise: «Stai diventando troppo malleabile, amico mio»
Lo fulminai con uno sguardo veloce,
prima di aumentare il passo, stando dietro all’elfo che ci fece entrare in un
altro ambiente.
Quell’improvvisata sala da pranzo
sembrava quella che si trovava in casa mia, ma in miniatura.
Il tavolo in legno scuro, come le sedie
che si trovavano i suoi lati, argenteria, porcellane e bicchieri di cristallo
allineati ordinatamente sopra una tovaglia bianca ed immacolata.
I miei genitori erano già seduti,
entrambi a capo tavola, si stavano fissando.
Quando ero piccolo mi bastava guardare
nei loro occhi per capire di che umore fossero, ero contento che quella mia
capacità non fosse svanita nel nulla.
Fu necessario una veloce occhiata e
capii che erano nervosi.
Mio papà non si faceva la barba da
giorni, mia mamma invece aveva il suo tipico aspetto impeccabile che la rendeva
eterea e bellissima.
Erano due le donne che avevo mai amato
nella mia vita e lei era una di esse.
I suoi occhi grigio chiaro, quando si
posarono su di me, si addolcirono e la piccola ruga sulla fronte le si distese:
«Buongiorno, tesoro. Com’è andata la giornata?»
Mi sedetti al tavolo e Blaise fece lo
stesso, eravamo uno di fronte all’altro.
Voltai il viso verso destra e sorrisi
appena a mia madre: «Buongiorno, madre. La giornata è stata tranquilla, grazie.
La vostra?»
Odiavo darle del lei, era una cosa che
mi faceva sempre sentire male.
Era come se volesse mantenere le
distanze tra noi e questo mi faceva impazzire.
Voltai il viso verso quello mi mio
padre: «Buongiorno anche a voi, padre»
Lui mi fece un ceno col capo, prima di
tornare a fissare mia madre.
Non fossero stati i miei genitori non
mi sarei sentito in imbarazzo, anzi, avrei trovato la situazione davvero
divertente.
Studiando il loro linguaggio del corpo
era ovvio che erano in disaccordo su qualcosa d’importante e che mio padre
stava perdendo miseramente la sfida.
Sapevo che la tattica preferita di mia
madre per ottenere ciò che voleva era l’indifferenze e, a volte, l’astinenza,
probabilmente in quel momento le stava usando entrambe.
Ripensandoci, non era affatto divertente
quella situazione.
Forse perché mi ricordava fin troppo
bene quella che c’era tra me e la Granger.
«Anche io ho trascorso una lieta
mattinata, grazie»
Non saprei dire quale fosse stato il
segnale, fattostà che cominciarono ad entrare gli elfi domestici, che all’incirca erano sei, e con cura posarono le prime pietanze in tavola.
I primi minuti del pranzo li passammo
in silenzio, anche se rischiai più volte di scoppiare a ridere per le facce che
mio padre, quando pensava di non essere visto, lanciava a mia madre, come se la
stesse implorando di fare la pace. Era altrettanto magnifico vedere come mia
madre non lo degnava della minima attenzione e continuava a mangiare in modo
impeccabile.
«Ho saputo che Pansy è andata in
missione con Theodore», disse mia madre, spezzando l’imbarazzante silenzio e
rivolgendomi una veloce occhiata.
Sapevo il motivo per cui aveva iniziato
quel discorso, ma non ero disposto a lasciarla continuare: «La mia risposta è
sempre no, madre»
Erano giorni che continuava a chiedermi
il motivo per cui avevo voluto annullare il contratto matrimoniale con Pansy e
cercava in tutti i modi di farmi tornare sui miei passi, convinta che prima o
poi ce l’avrebbe fatta.
La sentii sospirare e poggiare la
forchetta nel piatto: «Perché non mi parli del motivo, tesoro?»
“Perché se vi dicessi che sono
innamorato di una Mezzosangue mi ritroverei rinchiuso in una cella a vita”.
«Non mi sento a mio agio con lei. È mia
amica, certo, ma non credo che potrei mai amarla»
«Non tutti i matrimoni comprendono
l’amore, Draco», disse mio padre, lanciando un’occhiata a mia madre.
Mi sembrò che nell’aria sfrigolasse pura
energia elettrica quando i loro sguardi si incrociarono.
Per quanto si odiassero o litigassero
in continuazione sapevo che i miei genitori si amavano, la prova ce l’avevo proprio
davanti agli occhi.
«Io e tua madre siamo stati fortunati»,
sussurrò con la voce roca e leggermente tremante.
E poi accadde quello a cui non mi
aspettavo avrei mai potuto assistere: una piccola lacrima salata rotolò lungo
la guancia leggermente rosata di mia madre.
Non l’avevo mai vista piangere.
I miei genitori erano sempre stati il
mio modello da seguire e anche io avevo sempre tentato in tutti i modi di non
mostrare le mie debolezze a nessuno. Piangere in pubblico era disdicevole, lo
sapevo. Eppure mia mamma lo stava facendo.
«Hai ragione tu, lo so che è così. Ma non
possiamo fare nulla», disse mio padre, alzandosi da tavola e raggiungendo mia
madre con pochi passi veloci.
In quell’istante, Blaise ed il suo
imbarazzo decisero di battere in ritirata e con poche veloci parole disse che
doveva proprio andare a svolgere i suoi compiti se no avrebbe rischiato delle
punizioni.
I mie genitori non si resero nemmeno
conto che se n’era andato, troppo presi a sussurrarsi qualcosa e io non potevo
fare a meno di guadarli e di soffrire al pensiero che io non avrei mai potuto
sposare la persona che amavo senza perdere il loro affetto.
Si ripresero dopo pochi minuti, per poi
puntare i loro occhi chiari nei miei: «Draco, io e tua madre abbiamo preso una
decisione che spero approverai»
Sentii una goccia di sudore freddo
scivolarmi lungo la schiena, mentre mi imponevo di non distogliere lo sguardo e
di rimanere impassibile a qualsiasi cosa avrebbero detto.
«Abbiamo deciso di tradire il Signore Oscuro»,
disse mia madre, gli occhi seri e decisi.
Per quanto mi sforzassi di non mostrare
nessun sentimento non potei fare a meno di sorridere appena: «Bene, perché io l’ho già fatto».
(1) Se volete sapere com’è andato
questo fatidico primo bacio ho scritto una one-shot Failed Revenge
che ne parla... Spero che vi piaccia ;)
****************************************************************************************
Hola! :)
Contente di questo pov Draco? ;D
Sono riuscita ad aggiornare con un ritardo di un solo giorno, quindi spero di non ricevere troppi pomodori addosso xD
Dunque...
In questo capitolo si scoprono parecchie cose interessanti: Blaise
è stato innamorato di una certa Soledad, il cui padre potrebbe
servire per ottenere una nuova bacchetta per Hermione, Draco vuole
trovare un modo per riconquistare la Grifondoro e i signori Malfoy
progettano di tradire il Signore Oscuro... Se avete dubbi, domande,
consigli o qualsiasi altra cosa, scrivetemi pure ;)
Vi
ringrazio di cuore per le stupende recensioni, a cui devo ancora finire
di rispondere, ma abbiate fede che prima o poi dovrei rispondere a
tutti ;)
Per
il prossimo capitolo non so ancora bene quando potrò postarlo
dato che domani mattina (o forse dovrei dire questa notte) alle
2.30 parto per Granada e sto via per una settimana, abbandonando
il mio amato computer... diciamo quindi che per il prossimo sabato il
capitolo non arriverà di sicuro, ma spero di poterlo postare
intorno al 26...
Detto ciò spero che abbiate voglia di lasciarmi tante belle recensioni ;)
Un bacione enorme,
LazySoul
|
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Capitolo 10 *** Friend's advice ***
cap_10
Friend's advice
A svegliarmi dal sonno senza sogni in
cui ero finita fu un forte suono, simile ad uno strappo.
Istintivamente mi sollevai di scatto
dal letto, ignorando il forte giramento di testa causato dal brusco movimento,
afferrai la bacchetta di Malfoy, puntandola di fronte a me.
Ci impiegai all’incirca cinque secondi
prima di riuscire a mettere a fuoco la scena che avevo di fronte e la metà per
abbassare di nuovo la bacchetta.
«Breedy? Luna?», sussurrai, confusa,
mentre mi domandavo se fosse tutto un sogno o la realtà.
Prima che potessi decidere se
considerare ciò che vedevo finzione o no, mi ritrovai le braccia della mia
amica intorno al collo e i suoi lunghi capelli a solleticarmi il viso.
Ricambiai l’abbraccio, stringendo il
suo corpo ancora più magro di quanto ricordassi e sorridendo nel sentire il suo
odore di fiori primaverili.
Sentii un altro rumore forte e capii
subito che Breedy se n’era andato, senza lasciarmi tempo di parlargli e
chiedergli notizie su Draco.
«Hermione, sono così felice di vederti
sana e salva», disse Luna, stringendomi maggiormente a sé.
«Anche io Luna»
Rimanemmo per lunghi minuti in piedi
abbracciate, dondolando appena prima su un piede e poi sull’altro, cullandoci a
vicenda.
Senza che me ne rendessi conto eravamo
entrambe in lacrime e ci sfregavamo la mano sulla schiena per darci conforto.
Quando riuscimmo a calmarci entrambe
incominciammo a ridere, sedendoci sul bordo del letto di Malfoy, mentre
continuavamo ad abbracciarci l’una all’altra.
«Sono riuscita a contattare Ron ed
Harry questa mattina», le dissi, appena riuscii a ritrovare l’uso della voce.
«Come stanno?»
«Bene, stanno cercando un modo per
sconfiggere l’Oscuro Signore e io vedrò di dare una mano per quanto mi sarà
possibile...», risposi, annuendo tra me e me, mentre ripensavo alla
conversazione avuta coi miei amici.
«Malfoy anche?»
«Cosa?», non riuscii a non sussultare
nel sentire nominare il biondo Serpeverde, sentendomi ancora in colpa al
ricordo di come lo avevo rifiutato e di quanto mi era sembrato triste in quel
momento.
Tornando indietro probabilmente non
avrei avuto tutta quella forza di volontà.
«Darà una mano?»
«Ancora non lo so... sinceramente non
so nemmeno se posso fidarmi così tanto di lui...», ammisi, abbassando lo
sguardo sulle coperte verdi del letto.
«Secondo me dovresti, in fondo ci ha
tirati fuori da quella cella, no?»
Alzai il volto, incontrando gli occhi
chiari di Luna, chiedendomi se avrei dovuto darle retta.
In fondo ogni volta che avevo seguito i
suoi consigli ero sempre riuscita ad ottenere ciò che volevo, no?
«Ma se fosse tutto un piano
architettato per trovare il nascondiglio di Harry e consegnarlo all’Oscuro
Signore?»
«Allora non dirgli niente del Galeone,
vedi prima se puoi fidarti di lui...»
«Gliene ho già parlato», ammisi,
abbassando nuovamente lo sguardo e dandomi della stupida.
Perché non ci avevo pensato prima?
Perché mi ero fidata di lui tanto da concedergli di sapere una cosa tanto
importante, ma non abbastanza da fare l’amore con lui?
«Secondo me il tuo blocco nei suoi
confronti è solo mentale, il tuo corpo in realtà si fida di lui...»
«Dici?»
«Io dico che hai solo paura di essere
nuovamente ferita, ma che in realtà, nel profondo, sai di amarlo ancora»
Annuii distrattamente, torturando con
le dita un lembo della coperta, prima di sollevare di colpo il viso, la mia
attenzione concentrata sul verbo che aveva usato.
«Amare? Chi ha parlato di amore?»,
chiesi, con una smorfia in viso.
Sapevo di essere una pessima bugiarda,
Malfoy me lo aveva ripetuto all’infinito, ma in quell’istante sperai che Luna
ci cascasse e lasciasse cadere l’argomento.
«Hermione, è inutile che menti a te
stessa. Secondo me ti farebbe bene ammetterlo ad alta voce, sai?»
Sospirai, sentendo chiaramente un peso
all’altezza del petto abbandonarmi quando dissi: «Hai ragione, lo amo, ma non mi
faccio troppe illusioni, so che lui...»
«Hermione?», m’interruppe Luna,
prendendomi il viso tra le mani, in modo da impedirmi di abbassare nuovamente
il volto: «Secondo me siete entrambi follemente innamorati, sai? Solo che avete
paura che l’altro vi rifiuti»
«Non ho intenzione di servirgli il mio
cuore su un piatto d’argento», ammisi, riuscendo comunque ad abbassare lo
sguardo.
Luna sospirò, lasciando il mio volto: «Non
so se sei più orgogliosa o testarda»
Mi morsi il labbro a quelle parole,
sapendo perfettamente di starmi comportando come una bambina piccola, ma non
potendo fare altrimenti.
Avevo bisogno di controllare tutto
quello che mi circondava, era una cosa più forte di me e, guarda caso, Malfoy
era l’unico che non riuscivo a tenere sotto controllo e che riusciva sempre a
sorprendermi in qualche modo.
Era una cosa che mi mandava
letteralmente fuori di testa, anche se spesso la sensazione di perdere la
ragione era piacevole e liberatorio, spesso mi portava a prendere decisioni
troppo in fretta ed a sbagliare.
Come ad esempio quando avevamo fatto
l’amore, anche se avrei dovuto sesso.
Incredibile, proprio come avevo
previsto, mi stavo pentendo di aver perso la verginità con lui e non sapevo se un
giorno avrei potuto tornare a pensare l’opposto.
Mi strinsi le braccia intorno al corpo,
all’improvviso colpita da brividi di freddo.
Non riuscivo più a capire ciò che
provavo, sospinta verso due parti completamente opposte di me stessa da un
vento che non riuscivo a controllare.
«Perdonare è difficile, lo so»,
sussurrò Luna, avvicinandosi e circondandomi tra le sue braccia.
Lasciai che poche lacrime mi bagnassero
le guance, mentre fissavo intensamente la bacchetta che Malfoy mi aveva
lasciato, chiedendomi se l’avesse fatto apposta oppure no.
«E fidarsi lo è ancora di più...»,
sussurrò contro i miei capelli: «Ma sai una cosa? Sono convinta che tu e Malfoy
alla fine riuscirete a superare anche questo...»
«Come fai a dirlo?», singhiozzai,
sentendo nettamente il mio cuore battere come un pazzo nel mio petto, mentre la
mia razionalità provava in tutti i modi di imporsi sui miei sentimenti.
«Vi ho vista, sai? Quando vi guardate
siete così carini... ti ricordi la festa di Lumacorno? Quando vi ho interrotto?
Sembravate sul punto di mangiarvi a vicenda...»
Arrossii al ricordo, pensando a ciò che
era poi successo in bagno rischiai di iperventilizzare.
Rimanemmo in silenzio a lungo, strette
l’una all’altra, prima che riuscissi a riprendermi abbastanza da essere decentemente
furba da spostare i riflettori verso la mia amica.
«E tu? Come stai? Draco mi ha detto che
stai nella stanza di Pansy, giusto?»
«No, Pansy è in missione con Nott,
quindi starò da Zabini per un po’...»
Non mi sfuggì il rossore che comparve
sulle sue guance e ne approfittai per farmi un po’ gli affari suoi: «Come ti
trovi con lui? È gentile spero...»
«Oh, certo che lo è!», esclamò,
annuendo di continuo, quasi non riuscisse a smettere.
«Perché sei così agitata?»
Sussultò alle mie parole, prima di
ridere, ma in modo troppo forzato per poter pensare che fosse a suo agio: «Agitata?
No, è solo che...»
«Ti mette in imbarazzo stare in stanza
da lui?»
Non riuscivo a capire se la sua
agitazione fosse dovuta alla schiettezza di Zabini o al fatto di stare nella stessa
camera con un ragazzo...
Luna abbassò lo sguardo e, quando tornò
a guardarmi, vidi che sembrava più padrona di se stessa: «Semplicemente non
sono abituata... poi con tutto questo verde mi chiedo come riuscirò a prendere
sonno», indicò con la mano destra le coperte del letto di Malfoy e non potei
fare a meno di sorridere.
«Capisco perfettamente!», esclamai,
fingendomi triste all’idea di dormire nella tana delle serpi.
Osservai il suo aspetto, contenta che
sembrasse più solare rispetto al giorno prima: «Hai mangiato colazione, vero?»
Lei annuì, sorridendomi appena,
mostrando il suo lato svampito e dolce insieme: «Non ho mai mangiato così tanto
in vita mia. Non riuscivo più a smettere di ingozzarmi di cibo... chissà
cos’avrà pensato Blaise...»
«Blaise?», chiesi con tono malizioso,
sorridendole: «Da quando Zabini è diventato Blaise?»
Non mi aspettavo una vera e propria
risposta, pensavo che avrebbe eluso la domanda spostando i riflettori
nuovamente verso di me, invece le comparve una semplice smorfia sul viso, prima
che mi rispondesse: «Più o meno da quando mi ha vista in mutande e reggiseno»
Dire che rimasi a bocca aperta è un
eufemismo.
Quasi mi slogai la mascella per lo
stupore.
«Com’è potuto accadere?», domandai, forse con una voce leggermente più
stridula del solito a causa della sorpresa.
« Diciamo che non aspetta di ricevere
risposta prima di entrare in bagno», disse con tono divertito ed
imbarazzato,
mentre giocava con una ciocca dei suoi biondi capelli.
«Oh, Merlino! Davvero?»
Non riuscivo a credere a ciò che stava
succedendo, soprattutto al modo in cui Luna stava arrossendo.
«Sì, beh è stato parecchio strano...»
Fu un attimo, ma vidi comparire sul suo
viso quel tipo di sorriso che ultimamente a me spuntava di continuo. Quel
sorriso che mi ritrovavo in faccia ogni volta che pensavo a Malfoy, anche se
avevo appena litigato con lui...
Non era difficile da capire ciò che
stava succedendo e che presto anche la piccola e dolce Luna sarebbe stata
colpita dalla freccia di Cupido.
Speravo solo di poterle essere vicina
allo stesso modo in cui lei lo era sempre con me.
Senza pensarci le gettai le braccia
intorno al corpo, stringendola in un forte abbraccio.
«Sai che per qualsiasi cosa io sono
qua, vero?»
La sentii ridacchiare in modo sforzato:
«Lo terrò a mente»
Quando ci separammo cominciammo a
parlare di quanto fosse strano condividere la stanza con due Serpi,
sottolineando i lati positivi e negativi.
Inutile dire che erano molti di più i
lati negativi rispetto a quelli positivi.
«Vuoi qualcosa da mangiare?», le chiesi,
indicando col capo il vassoio del pranzo su cui alcuni piatti di biscotti e
dolci erano ancora intatti.
«No, grazie»
Mi alzai comunque, prendendomi un
bicchiere d’acqua fresca.
Quando mi voltai verso il letto lo
sguardo mi cadde sul comodino, dove facevano bela mostra di sé la bacchetta di
Malfoy e il galeone.
Osservando attentamente la moneta notai
come lungo la circonferenza ci fosse una scritta.
“Non dare retta a quello stupido di mio
fratello, Malfoy ormai è cotto a puntino, stendilo!”
Sorrisi, convinta che non potesse
essere altri se non Ginny, felice che fosse riuscita chissà come a rubare il
galeone o ad Harry o a Ron per di scrivermi.
“Qualche consiglio?”, chiesi per
scherzo, prima di voltarmi verso Luna, che mi osservava con gli occhi colpi di
curiosità.
«Quello è il famoso galeone?», domandò
allungando appena il collo.
Le mostrai la moneta, annuendo.
«Che c’è scritto?»
«Ginny dice che devo darmi da fare per
conquistare Malfoy», ammisi, leggermente imbarazzata.
Luna cominciò a ridere: «È tipico di
Ginny, direi»
Risi con lei, prima di sentire la
moneta bruciare nel palmo della mia mano.
“Stuzzicalo!”
“Come?”
“Prova a sfruttare la terza abbondante
di reggiseno che ti ritrovi, secondo me funzionerà”
“Non se fidarmi ancora di lui, Ginny”
“Hermione, ti ha salvato la vita,
rischiando la propria. Cos’è che non ti convince della sua sincerità?”
“È se fosse tutto un piano architettato
per farmi fidare di lui per poi tradirmi?”
“Pensi che Malfoy ne sia in grado? Ma hai
visto come ti guarda?”
“In che senso?”
“Hermione, ma non lo capisci? È
innamorato di te!”
Avrei voluto risponderle qualcosa di
brillante, ma non ci riuscii.
Di nuovo dentro di me si svolse una
battaglia all’ultimo sangue, nella quale il cuore e la mente sembravano essere
equamente equipaggiati.
Era ovvio che mi fossi accorta di come
mi guardava, insomma non ero poi così
tanto cieca.
Eppure la mia parte razionale mi aveva
sempre spinto a non dare troppo peso alla faccenda ed in fondo pensavo che fosse
un bene.
Non volevo essere una di quelle ragazze
che si nutrono di speranze vane nella vita ed avere come massima aspirazione un
matrimonio un bel ragazzo.
Non volevo dare troppa corda alla
vocetta nel mio cuore che analizzava quanto Malfoy fosse dolce e attento nei
miei confronti, forse perché non mi piaceva illudermi.
Certo, ero anche io una sognatrice,
anche se spesso prevaleva in me il lato razionale, non voleva dire che non
avessi mai pensato, anche solo per un istante, che mi sarebbe piaciuto rimanere
tra le braccia calde e protettive di Malfoy per tutta la vita.
Ma fino a quando non avessi avuto la
conferma che i miei sentimenti erano ricambiati in qualche modo non sarei
riuscita ad espormi.
Perché avrei dovuto rischiare di venir
derisa da lui?
E sa anche lui pensasse lo stesso?
Strinsi forte le mani a pugno, persa
nei miei pensieri.
«Che ti dice Ginny?», chiese Luna,
lanciandomi un’occhiata preoccupata, probabilmente si era resa conto della mia
tensione.
«Dice che Malfoy è innamorato di me»,
sussurrai, alzando lo sguardo per studiare la reazione della mia amica.
Luna abbassò per un attimo lo sguardo.
«Sai, credo che», incominciò, torturando
con le dita l’orlo del suo golfino: «Ginny non sia del tutto nel torto»
Sbarrai gli occhi alle sue parole: «In
che senso?»
«Ecco, vedi...»
La porta si spalancò di colpo, prima di
richiudersi velocemente.
Ci voltammo entrambe verso l’ingresso
della camera, dove Zabini e Malfoy ci stavano guardando a loro volta.
Blaise fece un cenno di saluto ad
entrambe, prima di allungare una mano, invitando la mia amica a raggiungerlo.
Malfoy continuava a fissarmi, gli occhi
chiari colmi di tristezza mista a quel tipo di dolcezza che dedicava sempre a
me.
Se mi amasse davvero?
Pensai, non riuscendo a mia volta ad
abbassare lo sguardo.
Luna mi fece un veloce cenno della
mano, prima di avvicinarsi ai due ragazzi.
L’istante dopo era già uscita, seguendo
Blaise oltre la porta.
Appena rimanemmo da soli in stanza, la
tensione tra noi divenne sempre più pesante ed imbarazzante, tanto che non
riuscii più a sostenere il suo sguardo e mi ritrovai a studiare il pavimento.
Cercai la più veloce via di fuga e,
individuando la porta del bagno alla mia sinistra decisi di sfruttarlo.
«Vado a farmi una doccia», dissi,
riuscendo a mantenere un tono di voce ed espressione neutra.
In realtà non volevo fare altro che
saltargli al collo ed abbracciarlo, contenta che fosse tornato da me, anche se
quella mattina l’avevo allontanato da me tanto brutalmente.
Guardandolo negli occhi non potevo fare
a meno di chiedermi come cavolo fossi riuscita a rifiutare le sue avances
quella mattina. Come cavolo c’ero riuscita?
Lui era così bello, dolce e
seducente...
strinsi forte le labbra, imponendomi di
non cedere e di continuare a mantenere le distanze.
Che poi non riuscivo a capire perché continuassi
ad allontanarlo, quando in realtà l’unica cosa che volevo era stringerlo tra le
mia braccia tanto da fargli male.
Era paura quella che mi teneva
distante? Paura di soffrire per un suo rifiuto?
«Brava, continua a scappare»
Le sue parole ed il tono pieno di
rancore e tristezza mi fecero immobilizzare, prima che mi voltassi per
affrontarlo, pronta a dimostrargli quanto in realtà si sbagliasse.
Era più vicino di prima, non abbastanza
da risultare una minaccia, ma quanto bastava per permettermi di percepire
chiaramente la sua presenza vicina.
«Non sto scappando», dissi tra i denti.
«Dimostramelo allora»
Mi ci vollero alcuni minuti prima di
capire che la sua era una sfida: se avessi indietreggiato gli avrei dimostrato
di essere una vigliacca, ma se fossi rimasta ferma sarei comunque finita tra le
spire di un serpente.
O forse avrei dovuto dire di un
furetto?
Quando fu abbastanza vicino mi prese il
mento tra le dita, alzandomi il viso con delicatezza.
«Cosa devo fare con te, mmh?»,
sussurrò, prima di baciarmi piano vicino alle labbra.
Sentii qualcosa dentro di me incrinarsi
pericolosamente e capii di star cedendo.
Avrei voluto rispondergli qualcosa di
brillante, ma la mia mente era offuscata dalle emozioni e dal desiderio
irresistibile di baciarlo.
«Legarti al letto?», chiese piano, con
gli occhi pieni di tristezza.
«Mi dispiace», sussurrai, pensando che
quelle due parole pesassero un macigno, rendendomi però conto di quanto fosse
stato semplice farle scivolare fuori dalle mie labbra.
La tristezza sul suo viso si dissipò a
poco a poco, scomparendo quasi del tutto: «Sì, penso che ti legherò al letto»
Avrei voluto rispondere alle sue parole
con qualcosa di arguto, ma mi ritrovai le labbra impegnate in un bacio
inaspettato che divenne improvvisamente profondo e necessario.
L’istante dopo ero contro la porta col
suo corpo che mi schiacciava contro il legno e la mente che non riusciva ad
elaborare nessun pensiero razionale.
L’unica cosa che sapevo in quel momento
era che non avevo intenzione di fermarlo.
****************************************************************************************
Buonasera a tutti :)
Scusate ma non ho tanto tempo,
spero che il capitolo sia venuto decentemente, anche perché ho
dovuto scriverlo due volte, dato che la prima versione l'ho per
sbaglio cancellata (-.-") e non ho avuto nemmeno tempo di rileggerlo :(
Ne approfitto per augurare un felice compleanno a Giudy_cullen, spero che questo capitolo possa essere un buon regalo ;)
Grazie a tutti per le vostre stupende recensioni e chi segue, ricorda o preferisce la mia storia! ;-*
A presto,
LazySoul
p.s.
Il prossimo capitolo dovrei riuscire a postarlo prima del 5, ma se non
dovessi farcela arriverà massimo il 6 o il 7 ;)
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Capitolo 11 *** We trust each other ***
Cap_11
We
trust each other
Per quanto mi piacesse baciarla sapevo
che dovevo mantenere il totale controllo del mio corpo e non perdere la testa.
Avevo capito che non era pronta a
riportare la nostra relazione su un piano fisico e non avevo intenzione di
impazzire come era successo quella mattina.
La mia sopportazione aveva un limite e
non volevo ritrovarmi ancora una volta con la voglia che avevo di lei
inappagata.
L’unica soluzione possibile era quella
di fermarmi prima che gli ormoni capissero ciò che stava succedendo e mi
indirizzassero verso impulsi da animale.
Quindi, dopo pochissimi secondi, giusto
il tempo di sentirla sciogliersi tra le mie braccia e di percepire chiaramente
la consistenza del suo seno morbido contro il mio petto, la lasciai andare,
facendo un passo indietro.
Ciò che mi trattenne dal legarla
davvero al letto fu il ricordo di ciò che era successo quella mattina e di ciò
che era stata costretta a sopportare nell’ultima settimana.
Non potevo fare l’animale, dovevo
mantenere un certo contegno.
Mi avvicinai di nuovo, ma questa volta
le baciai solo la fronte, impedendomi con la forza di fare qualcosa di
sconsiderato.
Il profumo del mio bagnoschiuma sulla
sua pelle mi fece sorridere.
«Com’è stata la tua giornata?», le
chiesi, prima di abbracciarla in modo fin troppo amichevole, senza palparle né
il sedere né il seno come avrei voluto fare, ma accarezzandole in modo
rassicurante la schiena.
«Bene», sussurrò contro il mio collo,
mentre il suo respiro mi provocava la pelle d’oca.
Non la lasciai andare subito, ma
approfittai di quel momento di tregua il più a lungo possibile, prima di
sciogliere l’abbraccio.
Mi tolsi il mantello e la cravatta,
posando tutto sul cassettone accanto alla porta.
Le stavo dando le spalle per
permetterle di avere un po’ di privacy.
Sapevo che quella versione di me,
quella che non le saltava addosso alla prima occasione, era ancora nuova per
lei, quindi dovevo darle tempo di assimilare tutto, sperando che non fraintendesse
come suo solito le mie intenzioni.
«Hai preferenze particolari per la
cena? Se vuoi posso chiedere a Breedy di...», mi si spense la voce alla vista
dello sguardo stralunato di Hermione.
«Stai bene?», le chiesi, tornando verso
di lei, preoccupato.
«Sì, scusa, è solo che sembra tutto
troppo surreale»
«Surreale?»
«Si, insomma... io e te nella stessa
stanza, a parlare di cena... mi sembra quasi di essere finita in un mondo
parallelo», ammise, abbassando lo sguardo.
Sorrisi, capendo a cosa si stesse
riferendo: «Tra poco ci troveremo a litigare su chi dovrà andare per primo in
bagno la mattina e se sia il caso di girare per la camera nudi. Ti sembrerà
strano ma ho una certa esperienza nel condividere camere da letto, anche se di
solito i miei compagni di stanza sono ragazzi e non donne particolarmente
attraenti...»
Un timido sorriso comparve sulle sue
labbra e mi senti orgoglioso di esserne io la causa.
«“Donne particolarmente attraenti”?
Stai cercando di fare il ruffiano, Malfoy?»
«Sto cercando di evitare di dormire sul
divano», le spiegai con tono
cospiratorio, quasi volessi confidarle un segreto di stato.
Avevo sperato di vederla sorridere, ma
sul suo viso invece comparve una piccola smorfia.
Anche per lei il ricordo di ciò che era
successo quella mattina non era particolarmente piacevole?
In tal caso potevamo dire di essere in
pieno accordo su qualcosa...
«Sei ancora arrabbiato?», mi chiese,
sedendosi sul bordo del letto.
Avrei voluto correre da lei e lasciarmi
cadere al suo fianco, ma mi trattenni e rimasi accanto al cassettone, in modo
da mantenere una certa distanza.
Distanza che sapevo le serviva (allo
stesso modo in cui era utile a me) per mantenere la mente lucida.
«E tu? Lo sei?», le chiesi.
Vidi sorpresa nel suo sguardo e in
parte ne fui felice. Voleva forse dire che si era dimenticata il litigio a
proposito della mia bacchetta? In tal caso voleva dire che la strada per
tornare insieme come un tempo non era poi così lunga... forse.
«No...», rimase a pensare per qualche
minuto, gli occhi che si perdevano per la stanza, provando in tutti i modi ad
evitare i miei.
Poi il suo sguardo color nocciola si
fissò nel mio: «Mi chiedo solo come mai alla fine hai lasciato la tua bacchetta
a me. Da come ti comportavi sembrava che non volessi separartene»
Dovevo scoprirmi e lasciarle vedere
quanto in realtà fossi debole e cedevole se si trattava di lei e delle sue
richieste?
Il mio istinto di conservazione mi
gridava di non lasciarle vedere il mio lato debole, mentre il mio cuore mi
urlava l’esatto opposto.
Strinsi forte i denti e presi la mia
decisione: «Volevo farti capire che mi fido di te»
Non era proprio tutta tutta la verità,
ma era ciò che ci andava più vicino.
L’istinto di conservazione ed il cuore
per il momento erano sullo stesso livello in quanto controllo delle mie azioni.
La vidi annuire: «Quindi ora siamo
pari?»
Aggrottai le sopracciglia, pensando a
cosa avesse voluto dire, prima di cedere all’evidenza di non saperlo e di
chiederle spiegazioni.
«Nel senso che abbiamo appurato che io
mi fido di te e che tu ti fidi di me, no?», spiegò.
Sorrisi: «Sì, direi che siamo pari»
Rimanemmo per alcuni istanti a
guardarci negli occhi, persi entrambi nei nostri pensieri.
Continuavo a chiedermi se sarei davvero
riuscito a comportarmi bene con lei.
Il fatto che ci fidassimo l’uno
dell’altra non significava per forza che lei mie avesse perdonato tutti i miei
sbagli, ma era già qualcosa...
Avrei voluto parlarle della mia
giornata, dirle di aver trovato nei miei genitori degli alleati e che presto
avremmo organizzato un attacco dall’interno per sconfiggere il Signore Oscuro,
ma delle mille parole che volevo espellere dal mio corpo non ne uscì nemmeno
una.
Avevo paura di rovinare quel momento di
calma, parlando di nuovo di guerra e ricordandole tutto il dolore che la
prigionia le aveva causato.
Rimandai quindi la discussione, deciso
a regalarle una serata tranquilla e serena.
«Affamata?», le chiesi, avvicinandomi
distrattamente al mio armadio, dal quale tirai fuori una maglia più pesante che
le porsi, deciso a coprirla il più possibile: non volevo che si ammalasse.
«Un po’», ammise, arrossendo.
Accettò l’indumento e l’indossò senza
fare storie, ringraziandomi: «Tu? Hai fame?»
Per quanto mi fossi ripromesso di fare
il bravo mi ritrovai a pensare a tutto tranne che al cibo.
La mia mente da inguaribile pervertito
si figurò l’immagine di una vogliosa Hermione Granger, nuda e sdraiata nel mio
letto che mi chiedeva di mangiarla.
Chiusi per un istante gli occhi e presi
un profondo respiro per calmare i bollenti spiriti.
«Sì, abbastanza», dissi, non riuscendo
a pensare ad altro che al ricordo di quella prima ed unica notte passata
insieme a fare l’amore e al desiderio di averla di nuovo tutta per me allo
stesso modo.
Il silenzio tra noi due era una scomoda
verità che non vedevo l’ora di cancellare, ma che, per il momento, non sapevo
come gestire.
Mi sedetti sul letto al suo fianco e,
senza considerare seriamente i pro e i contro di ciò che stavo facendo, le
afferrai una mano, intrecciando le mie dita alle sue.
«Mi sono comportato da stupido questa
mattina», ammisi, mentre col pollice disegnavo figure immaginarie sulla pelle
morbida del suo palmo: «Hai ragione a volere una nuova bacchetta e questa
mattina ho anche pensato a chi potrei rivolgermi per procurartene una nuova...»
Non la guardai in viso, perso nella
contemplazione delle nostre mani intrecciate, ma sapevo con certezza che i suoi
occhi erano fissi sul mio volto; quasi volessero analizzare ogni mio
sentimento.
«Mio padre conosce molte persone e
questo permette a me di conoscerne altrettante e appena tutto questo sarà finito
andremo da un vecchio amico di mio padre che ho conosciuto un po’ di tempo fa,
il signor Gabriel Martinez, l’equivalente di Olivander, però in Spagna, e
compreremo una nuova bacchetta...»
Le labbra fresche di Hermione mi
sfiorarono la guancia in un bacio: «Grazie», sussurrò contro la mia pelle,
stringendo maggiormente la sua mano contro la mia.
Spostai lo sguardo sul suo viso e mi
ritrovai con le sue labbra talmente vicine che non riuscii a resistere e alle
fine le sfiorai appena e talmente piano che quello non si poteva davvero
considerare un bacio, ma un timido e casto incontro.
«Hermione... io credo di...»
Ma non riuscii a finire la frase,
interrotto dalle labbra della Grifondoro che tornarono sulle mie, soffocando la
dichiarazione che ero pronto a farle.
Perché mi aveva fermato? Non era forse
il sogno di ogni ragazza sapere di essere amata da qualcuno?
Forse non voleva che glielo dicessi
perché non era pronta? O forse perché lei non mi amava e non mi avrebbe mai
amato?
Provai a chiudere a chiave tutti quei
dubbi in un angolino nascosto del mio cuore e, anche se continuavano a fare
male e a richiedere la mia attenzione, li ignorai, dedicando tutta la mia
attenzione a quel dolce corpo femminile premuto contro il mio e alla sensazione
di beatitudine che il sentirmi così vicino a lei mi causava.
Mi prese il viso tra le mani,
accarezzando con i pollici le mie guance e gli zigomi, senza distogliere per
nemmeno un secondo lo sguardo dal mio: «Dimentichiamo tutto»
Aggrottai le sopracciglia alle sue
parole, temendo il peggio: intendeva forse dire che voleva cancellare tutto
quello che c’era stato tra di noi? Voleva che non la baciassi più?
«Non pensiamo più a quest’ultima
settimana, va bene? Facciamo come se fossimo tornati indietro nel tempo, mmh?
Come se...», rimase con la bocca socchiusa, pronta a dire qualcos’altro che
però, sembrava le fosse rimasto incastrato in gola.
«Come se fossimo una coppia?»,
sussurrai, sperando di non star accelerando troppo le cose.
Mi aspettavo che si allontanasse e
rialzasse tra noi il muro spesso e impenetrabile che la proteggeva dai
sentimenti, ma ciò non accadde e i suoi occhi si addolcirono ulteriormente,
mentre le labbra si aprivano in un sorriso che mi sciolse il cuore.
«Mi stai chiedendo di essere la tua
ragazza Malfoy?»
«Pensavo che già lo fossi, ma credo che
dovremmo darci una definizione, se no tu e la tua testolina razionale finirete
coll’impazzire nel tentativo di capire che tipo di rapporto ci lega», le dissi,
per scherzare, ma notai con orrore che lei non sembrava affatto divertita.
In un battito di ciglia distolse lo
sguardo e mise venti centimetri buoni tra noi due, lasciandomi un vuoto
fastidioso all’altezza del petto.
«Ti diverti a ridere di me, Malfoy?»
chiese, con un tono di voce nervoso e scontroso.
Sospirai, capendo perfettamente di
averla offesa, anche se non avevo capito in che modo.
«Granger, stavo scherzando. Sì, ti
voglio come mia ragazza, voglio baciarti, abbracciarti e te lo sto dicendo
perché so che tu hai bisogno di sentirtelo dire. Non era un’offesa la mia. Semplicemente
so come sei fatta e sapevo che tu, essendo una persona molto razionale, avevi
bisogno di “definire” il nostro rapporto in qualche modo», le spiegai, sperando
di non aver peggiorato ulteriormente la situazione.
Speranza vana.
«Cosa ti fa pensare che io voglia
essere la tua ragazza?», chiese, con il tono di voce basso e scontroso che solo
una donna ferita nei sentimenti poteva avere.
Sospirai, arrendendomi all’evidenza che
quella non era proprio la mia giornata per quanto riguardava questioni di
cuore.
Pensai per alcuni istanti di ignorarla
e chiamare semplicemente Breedy con la nostra cena, così da concludere la
serata il più in fretta possibile, ma alla fine decisi di reagire in modo
differente, sperando di non poter peggiorare ulteriormente la situazione già di
per sé tesa.
Le presi il viso tra le mani e mi
avvicinai nuovamente a lei, stanco di quel continuo tira e molla che mi rendeva
nervoso: «Granger, non capisco come io sia riuscito ad offenderti, quando in
realtà non ne avevo la minima intenzione, ma ti chiedo scusa. Pensavo che per
te la tua intelligenza e razionalità fosse motivo di vanto ed è per questo che
le ho nominate, non per farti arrabbiare. Per quanto riguarda l’essere la mia
ragazza te lo sto chiedendo, non te lo sto imponendo o ordinando, anche se
effettivamente la scommessa non è ancora finita e potrei benissimo farlo. È una
tua scelta: vuoi o no essere la mia ragazza?»
In qualche modo ero riuscita in parte a
calmarla, ma non del tutto, infatti la sua telegrafica risposta: «Ci devo
pensare», non preannunciava nulla di buono, ma nemmeno una catastrofe.
«Preferenze per la cena?», le chiesi,
nascondendo alla sua vista quanto male mi aveva fatto rimandando quella
conversazione.
«No, va bene qualsiasi cosa», disse,
distogliendo lo sguardo e prendendo in mano un libricino che non ricordavo di
aver posato sul mio comodino: «Oggi ho letto questo»
Mi porse il volumetto e sorrisi
immediatamente quando ne riconobbi la copertina: «Le Fiabe di Beda il Bardo»,
dissi: «Ti è piaciuto?»
«Non l’ho ancora finito», ammise: «Mi
chiedevo chi te l’avesse regalato»
Quelle parole mi fecero sorridere
ulteriormente perché, quanto avesse provato a controllare la voce e a non
lasciar trapelare nessun sentimento, capii che in realtà l’aver letto la dedica
all’inizio del libro l’aveva infastidita.
Avrei potuto inventarmi una storia per
vedere se s’ingelosiva, ma sapevo che con il suo caratterino avrei finito solo
col peggiorare ulteriormente la situazione già di per sé precaria, così optai
per dirle la verità.
«Me l’ha regalato Daphne, la conosci no
la Greengrass?», feci una piccola pausa, constatando con orgoglio crescente
come, sapendo che era stata una donna a regalarmelo, i lineamenti del suo viso
si fossero irrigiditi ulteriormente: «Da piccoli, avendo le tenute in campagna
che confinavano passavamo molto tempo insieme durante l’estate e la sua balia ci
leggeva sempre questo libro. Alla fine del primo anno qui ad Hogwarts me l’ha
regalato, il suo è stato un gesto davvero... generoso, soprattutto perché sapevo
quanto amasse questo libro da piccola...»
Hermione era sempre più gelosa e lo
potevo capire chiaramente da come muoveva la gamba su è giù, come se sotto la
pianta del piede ci fosse un enorme scarafaggio da uccidere.
«Io e Daphne siamo migliori amici da
anni, all’incirca da quando ha ammesso di essere follemente innamorata della
Patil e io e Blaise le abbiamo augurato buona fortuna e figli maschi. Sai, all’inizio
penso che Blaise si fosse preso una cotta per lei, ma per fortuna gli è passata...»
Il piede smise di battere contro il
pavimento e i suoi lineamenti si distesero all’istante: «Calì Patil?», sussurrò
con stupore, guardandomi dritto negli occhi, quasi volesse capire se le stessi
mentendo o meno.
«Padma Patil», precisai, facendo una
piccola smorfia: «Dice che le piacciono le persone con cervello, credo che tu
sia l’unica che non le va a genio... ma in fondo sappiamo tutti che l’odio tra
Grifondoro e Serpeverde non è qualcosa che si può cancellare da un giorno all’altro...
dalle tempo e anche lei finirà per adorarti, proprio come fa Blaise»
«Blaise non mi adora: mi sopporta, è
diverso», disse, anche se continuava a ad avere un’espressione smarrita; di
sicuro non si aspettava che Daphne, la bellissima Daphne, fosse lesbica.
«Mangiamo?», chiesi, sperando di non
parlare più delle preferenze sessuali delle mie amiche o dei miei amici, ma di
dedicare tutte le mie attenzioni a lei e a i suoi bisogni primari: nutrirsi e risposarsi.
«Va bene», disse, ma era ancora lì
quell’espressione di curiosità inappagata ed ero certo che presto sarebbe
tornata all’attacco con qualche nuova domanda riguardante Daphne e il suo orientamento
sessuale.
Con un semplice incantesimo chiamai
Breedy che, più veloce di quanto mi aspettassi mi comparve di fronte con in
mano due vassoi: «I signori sono pronti per la cena?», chiese l’elfo domestico,
con un profondo inchino, prima di apparecchiare per due e di porre in tavola le
vivande.
«La signorina sta bene?», chiese con
tono educato.
Hermione gli sorrise: «Sto bene,
grazie. Tu?»
L’elfo, preso in contro piede sorrise
in modo goffo: «Non mi lamento, signorina»
Presi la mano della Granger,
chiedendomi quanto ci volesse ancora prima che ammettesse di voler essere la mia
ragazza, ma non l’avrei forzata in nessun modo, forse...
Mi alzai, facendomi seguire da Hermione
e, dopo averle scostato la sedia per farla sedere, andai ad occupare il posto
di fronte a lei.
«Buon appetito, signori», disse Breedy,
facendo un ultimo inchino prima di sparire con un “pop”.
Mangiammo per alcuni minuti senza dire
nulla, sorridendoci quando i nostri occhi s’incontravano, ma senza parlare,
prima che la sua curiosità tornasse a galla.
«Ma quindi, tu e la Greengrass non siete
mai stati insieme?», mi chiese con sguardo indagatore, mentre masticava con
gusto la sua pasta al ragù.
«No», le risposi, sapendo però che l’interrogatorio
non era finito.
«Com’è possibile che la Greengrass si
sia presa una cotta per Padma? Insomma, pensavo che le piacessero gli uomini! Ogni
due settimane ne ha uno diverso appeso al braccio!»
«Vedi Granger, il fatto che Daphne si
faccia vedere con dei ragazzi non significa niente. Sono solo delle inutili
coperture», le spiegai, sentendomi vagamente in colpa nei confronti di Daphne,
ma non potevo non raccontare tutta la verità ad Hermione se no avrei rischiato
di rovinare il precario rapporto che ci legava.
«Ma allora, come...?»
«Granger? Ti dispiacerebbe smetterla? Non
mi sento a mio agio a raccontarti i fatti di Daphne», ammisi.
Le avevo raccontato la verità, ma ora
doveva smetterla di ficcare il naso, se no sarebbe giunta a conoscenza di
troppi particolari e, a qual punto, sarebbe stata Daphne a staccarmi la testa a
morsi.
«Hai ragione, scusa», sussurrò, mentre
sul viso le compariva un broncio dispiaciuto.
«Non fare così», sussurrai: «Quando tu
e Daphne sarete amiche per la pelle gliele potrai fare di persona tutte queste
domande», dissi, facendole l’occhiolino.
Sorrise: «Io e la Greengrass amiche per
la pelle? Sei impazzito forse?»
«Lo sai che sono pazzo di te, è inutile
che continui a chiedere» mormorai, vedendola arrossire appena.
Quando finimmo di mangiare le concessi
il primo turno in bagno, da bravo cavaliere purosangue quale ero, spingendola
ad andare con una piccola e nient’affatto galante pacca sul sedere che la fece sussultare.
Prima di chiudere la porta del bagno si
voltò verso di me: «Vuoi fare la doccia con me?», chiese, facendomi l’occhiolino
e lasciandomi letteralmente a bocca aperta.
Con la salivazione a zero e gli occhi
fuori dalle orbite per la sorpresa non dovevo essere un bello spettacolo,
mentre il mio cervello cercava di resistere e di non spedire l’impulso alle mie
gambe di correrle immediatamente dietro e alle mie mani di strapparle gli abiti
di dosso.
«Scherzavo», disse, prima di scomparire
oltre la porta e di chiudersela alle spalle, lasciandomi ulteriormente inebetito.
La sentivo ridere di gusto e non potei
fare a meno di sorridere a mia volta: «Ride bene di ride ultimo, Granger, non
te ne dimenticare», disse a bassa voce, prima di pensare ad una vendetta adatta
alla situazione, per farle vedere quanto non le convenisse giocare col fuoco.
****************************************************************************************
Ciao a tutti :)
Ehm ehm.... *tossisce,
imbarazzata*
Che vergogna, tornare dopo
mesi con un nuovo capitolo...
Vorrei scrivervi
pagine e pagine di scuse, ma credo che preferiate pagine e pagine di questa
storia piuttosto, dico bene?
Potrei raccontarvi di
quanto siano stati faticosi gli ultimi due mesi di scuola e delle verifiche e
interrogazioni senza fine, oppure dell’ispirazione che era tranquillamente
svanita nel nulla, ma so che a voi non importa e che siete arrabbiate con me...
Però lo sapete che non
vi lascerei mai senza finale vero?
Anche se dovessi
scomparire per anni interi tornerei comunque a scrivere questa storia, quindi
non vi preoccupate ;) se per un po’ di tempo non sentite mie notizie abbiate
fede che tornerò all’attacco!
*prega silenziosamente
di esser stata almeno un po’ perdonata*
Parlando del capitolo:
come vi sembra? Il nostro Draco vuole provare a conquistare Hermione in modo platonico, ma allo stesso tempo si
ritrova a dover macchinare una vendetta per la proposta scherzosa di Hermione...
che dite, riuscirà a non mettere nuovamente la relazione su un piano fisico? Io
ho i miei dubbi... ;D
Per quanto riguarda Daphne invece, spero di non avervi sconvolte troppo xD
Sto rileggendo e
rispondendo a tutte le vostre stupende recensioni e poco a poco dovrei riuscire
a mettermi di nuovo alla pari...
Mi scuso ancora per
essere scomparsa, ma vedrò di non farlo più :)
Un gigantesco bacio a
tutti ;-*
LazySoul
P.S. se avete voglia
di lasciarmi una recensione mi fareste davvero contenta, anche se so di non meritarmele...
|
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Capitolo 12 *** Tell me a tale ***
cap_12
Consiglio di leggere prima qua: Capitolo quinto
12. Tell
me a tale
Appoggiata con la schiena alla porta
del bagno sentivo fin troppo chiaramente le mani tremare.
Come mi era venuto in mente di fargli
quella stupida proposta?
Strinsi forte le dita a pugno, così da
bloccarne il tremore e presi un profondo respiro nel tentativo di calmarmi e di
schiarirmi le idee.
Feci i pochi passi necessari e mi
fermai davanti al lavandino ma non alzai lo sguardo: non avevo il coraggio di
guardare il mio riflesso allo specchio.
Continuavo a pensare alla nostra
conversazione e a quanto mi ero sentita male quando mi aveva detto che era
stata una ragazza (proprio come avevo temuto) a regalargli il libro delle
fiabe.
Ero gelosa, gelosa, gelosa!
Aprii il rubinetto e mi sciacquai il
volto con dell’acqua fredda, nel vano tentativo di darmi una calmata.
Avrei voluto spazzolarmi i denti, ma
ovviamente nel bagno di Malfoy non c’era un comune spazzolino da denti babbano,
ma una confezione di pastiglie Sorriso Smagliante 24h, così mi accontentai di
prenderne una e di sentirla sciogliere in bocca in meno di due secondi.
Se i miei genitori fossero venuti a
conoscenza di certe pastiglie probabilmente ci sarebbero rimasti male...
Abbassai la tazza del gabinetto e mi
sedetti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, mentre le mani mi sosteneva il
volto. Guardavo senza vederla davvero la parete davanti a me, mentre nella mia
testa un guazzabuglio di pensieri non mi davano pace.
Gli avevo parlato del galeone e lui non
sembrava averne fatto parola con nessuno.
Forse avevo fatto bene a fidarmi di lui,
forse non avrebbe fatto la spia, forse saremmo riusciti ad uccidere il Signore
Oscuro, forse Malfoy mi amava davvero, forse anche io l’amavo davvero, forse
saremmo riusciti a salvarci...
Forse, forse, forse!
Io volevo certezze, non dubbi!
Volevo aprire un libro e trovare tutto
quello che c’era da sapere scritto nero su bianco.
Sarei dovuta morire? Sarei stata di
nuovo tradita da Malfoy? Avrei rivisto i miei amici? Harry e Ron si sarebbero
salvati? E Ginny? E Luna? E il mio amore? Che ne sarebbe stato del mio amore?
Andava bene tutto, avrei sopportato
tutto. A me bastava sapere, così da potermi liberare di tutte le incertezze.
L’unica colonna solida della mia vita
si stava sgretolando: la mia mente, la mia brillante mente su cui avevo fatto
affidamento per anni ora non mi sembrava più così infallibile come un tempo.
Lanciai uno sguardo vacuo alla doccia;
non avevo la forza di spogliarmi e lavarmi, in quel momento volevo unicamente
cadere in un sonno nero privo di sogni e svegliarmi solo alla fine di quella
guerra.
Mi sarebbe piaciuto essere la Bella
Addormentata nel Bosco, incosciente nel mio letto in attesa del bacio del vero
amore. Una volta sveglia sarebbero stati gli occhi di ghiaccio di Malfoy ad
accogliermi?
Sospirai, accarezzandomi con le dita
fredde le labbra, ricordando i troppi baci che Draco mi aveva rubato con o
senza il mio permesso.
Se avessi potuto scegliere il mio
principe azzurro avrei scelto lui, anche se era una decisione sciocca e
illogica per molti versi.
Mi alzai e con passi titubanti tornai
davanti al lavandino, dove alzai alla fine lo sguardo, incontrando il mio
riflesso.
Il mio aspetta era sempre sciupato,
anche se era tutto il giorno che mangiavo come se non ci fosse stato un domani.
I capelli erano spettinati e sfibrati e le occhiaie sotto agli occhi profonde e
scure.
In quel momento avrei preso volentieri
un po’ di quella crema dall’odore disgustoso che si metteva Lavanda Brown prima
di andare a dormire e che le rendeva la pelle morbida e lucente.
Mi passai una mano tra i capelli, nel
tentativo di sistemarmi e osservai con occhio critico la mia tenuta
nient’affatto femminile, rimpiangendo per l’ennesima volta la perdita della mia
bacchetta che in una situazione simile mi avrebbe permesso di darmi una
sistemata.
Sfiorai con le dita uno dei lividi che
avevo all’altezza della clavicola destra, desiderando di poterlo far sparire e,
solo in quell’istante, mi resi conto di quello che stavo facendo o, meglio, ciò
che avrei fatto se solo ne avessi avuti i mezzi: mi stavo facendo bella per
Malfoy.
Risi di me stessa e di quella parte
della mia mente che continuava ad analizzare il mio aspetto nei minimi
dettagli, sottolineandone i difetti e la loro gravità.
Diedi le spalle allo specchio e
appoggiai la mano sulla maniglia della porta del bagno.
Una volta uscita come mi sarei
comportata? Sarei riuscita a rimanere seria e composta dopo aver pensato a
Malfoy come ad un principe azzurro? Sarei riuscita a guardarlo in faccia anche
se sapevo quanto il mio aspetto fosse sciupato e sgradevole?
Scossi la testa nel tentativo di fare
piazza pulita di tutti quei pensieri insidiosi e aprii la porta, uscendo dal
bagno.
Mi aspettavo di trovarmi Malfoy subito
davanti, magari con le braccia conserte, pronto a riprendermi per esser stata
troppo a lungo nel suo bagno, invece lui non c’era.
O almeno c’era, ma non dove me lo sarei
aspettato.
Draco era seduto sul bordo del letto,
la schiena incurvata in avanti e tra le mani aveva il libro di fiabe, che stava
leggendo.
Non alzò lo sguardo quando mi
avvicinai, ma allungò silenziosamente una mano, sino ad afferrarmi per la vita
e stringermi contro di sé.
«Vuoi che ti legga una
fiaba per farti addormentare?», chiese, sollevando alla fine i suoi occhi verso
i miei.
Sorrisi alle sue parole e gli baciai la
fronte: «Certo che sì!»
Liberandomi dalla sua presa intorno
alla vita mi coricai sul letto, sotto le coperte verde-argento che sapevano di
lui e del suo bagnoschiuma.
«Pronta, puoi iniziare», gli dissi.
«Torno subito», mi disse, dirigendosi
con quattro falcate verso il bagno: «Tu non ti addormentare».
Di nuovo sola sperai che tornasse
presto, temevo di addormentarmi da un momento all’altro, ma volevo sentirlo
raccontarmi una storia, quindi m’imposi di rimanere sveglia.
Le coperte erano calde e il materasso
morbido, dettagli che, dopo una settimana di scomodità e privazioni facevano la
differenza. Affondai il viso contro il cuscino ed inspirai a fondo l’odore di
Malfoy misto a quello di lenzuola pulite.
Accarezzai l’idea di mettermi a saltare
sul letto, per intavolare una battaglia dei cuscini contro il furetto appena
fosse uscito dal bagno, ma la abbandonai subito.
Ero troppo stanca per fare qualsiasi
cosa, anche rigirarmi nel letto era un’impresa titanica.
La porta del bagno si aprì e ne uscì
Malfoy, con un’espressione vagamente inespressiva, quasi non sapesse se
sorridere o meno.
«Comoda?», mi chiese,
avvicinandosi con passo cadenzato, fino
a fermarsi al mio fianco.
Mi scrutò per qualche istante poi tirò
fuori dall’armadio una coperta di lana: «Freddo?»
«Sto bene, grazie» risposi, lusingata
dalle sue piccole attenzioni nei miei confronti.
«Allora, pronta?» domandò, coricandosi
accanto a me, senza mettersi però sotto le coperte.
«Sì, raccontami una fiaba», lo
incitai, voltandomi sul fianco verso di lui.
Malfoy si sporse fino ad afferrare il
libro delle Fiabe di Beda il Bardo e iniziò a sfogliarlo: «Ce n’è una in
particolare che vorresti sentire?»
Dato che avevo letto solo le prime due
fiabe e che non conoscevo affatto il libro non sapevo cosa dirgli.
«Per me è indifferente», ammisi,
sorridendo.
Lo vidi sfogliare a lungo il libricino,
indeciso: «Non so quale scegliere», ammise, aggrottando le sopracciglia.
Mi morsi il labbro inferiore prima di
pensare ad una soluzione: «Perché non te ne inventi una?»
Vidi lo stupore colorargli gli zigomi
di un rosa tenue: «Io?», chiuse il libro e lo appoggiò sul comodino, mentre si
passava una mano tra i capelli: «Devo inventarne una?»
Rimase per alcuni istanti con lo
sguardo perso nel vuoto, prima di sorridere appena: «Va bene»
Si voltò sul fianco, così da potermi
guardare comodamente in viso ed iniziò a raccontare: «C’era una volta un
giovane mago che non aveva mai conosciuto la libertà... erano sempre stati i
suoi genitori, una strega e un mago molto importanti nel mondo magico, a dirgli
cosa fare e cosa non fare.»
Si zittì per qualche istante, seguendo
con le dita gli arabeschi delle coperte verde-argento, poi riprese a parlare: «Solo
a scuola il giovane mago riusciva a prendere le proprie decisioni, giuste o
sbagliate che fossero, senza che nessuno gli dicesse nulla. Tutti avevano paura
dei genitori del giovane mago e per questo gli permettevano a volte di non
rispettare le regole.»
Sorrisi appena, capendo che stava
parlando di se stesso e incitandolo ad andare avanti: «Nessuno gli diceva
niente?»
«Certo che no! Nessuno! Tranne...», mi
sorrise e afferrò la mia mano tra le sue, così da poterla stringere a
piacimento: «Tranne una giovane Mezzababbana che non riusciva a tenere la
boccaccia chiusa e aveva sempre qualcosa da ridire sul comportamento del
giovane mago. Lui deciso a vendicarsi dell’impertinenza di quella saccentina
so-tutto-io, decise di fargliela pagare. Un giorno, armato di tanta pazienza,
andò in biblioteca a cercare un libro di incantesimi, alla ricerca di qualcosa
da poter utilizzare contro di lei, in modo da farla stare zitta una volta per
tutte», un’espressione di sofferenze gli attraversò il viso, come se un pensiero
molesto lo avesse colpito senza preavviso: «Voleva sfogliare dei volumi in
santa pace, ma si rese conto che seduta al tavolo e addormentata c’era proprio
lei, la Mezzababbana. Avrebbe dovuto voltarsi e andarsene, oppure farle un
incantesimo per vendicarsi della sua insolenza... ma non ci riuscì».
Aggrottai le sopracciglia alle sue
parole, chiedendomi dove volesse arrivare.
«Le guardava la bocca e non poteva fare
a meno di pensare che avesse delle labbra stupende e carnose: labbra da baciare
e un viso così dolce... la saccentina so-tutto-io era una bella ragazza e lui
non se ne era mai reso conto».
Sbarrai gli occhi e socchiusi le labbra,
pronta a chiedergli se si stava inventando quella storia o stesse ricordando un
evento reale, ma lui mi precedette: «Non mi interrompere, alla fine potrai
chiedere tutto quello che vorrai, ma ora fammi finire, ok?»
Annuii.
La stanza cadde in un in un silenzio
imbarazzante per pochi minuti, poi alla fine lui prese un respiro profondo e
tornò a raccontare.
«E se per vendicarsi di lei le avesse
dato un bacio? In fondo nessuno l’avrebbe mai saputo, la sua reputazione non ne
avrebbe risentito e... voleva così tanto assaggiare quelle labbra, non aveva
mai baciato una ragazza ed era certo che quelle labbra fossero vergini quanto
le sue».
Socchiusi le labbra per lo stupore, ma
non riuscii a dire nulla.
«La baciò, saggiando le sua labbra.
Erano morbide e sapevano di biscotti al limone».
Sorrisi involontariamente, pensando a
quanto amassi quei biscotti immersi nel succo di zucca o nel tè.
«Avrebbe voluto baciarla per sempre, ma
aveva paura che qualcuno lo vedesse, così corse il più lontano possibile dalla
biblioteca... Una volta in camera sua cercò di mettere in ordine i suoi
pensieri confusi e contrastanti, ma tutto quello cui riusciva a pensare erano
quelle labbra e a quanto gli era piaciuto baciarle...»
Un pesante silenzio cadde nella stanza,
interrotto solo dai nostri respiri.
«La morale è: mai baciare una ragazza
per vendicarsi di lei», sussurrò, guardandomi con quello sguardo pieno di
desiderio che mi faceva sempre accelerare il battito cardiaco.
«Non ti sei inventato nulla, vero?»,
gli chiesi.
Mi sentivo come sull’orlo di un dirupo,
pronta a lasciarmi cadere nel vuoto.
«No, non ho inventato nulla».
E quelle parole mi fecero cadere dal dirupo:
giù, giù, sempre più giù. I polmoni faticavano a respirare e il cuore era
schiacciato dalla pressione della caduta.
«Quando?», riuscii a sussurrare, mentre
le sue mani, ancora aggrappate alla mia, allentavano appena la presa.
«Ultimo giorno di scuola del terzo anno»,
disse, fissando i suoi grandi e tristi occhi grigio-azzurri nei miei.
Avrei dovuto essere furiosa: mi aveva
rubato il mio primo bacio senza chiedermi il permesso, ma non ci riuscivo.
Ero contenta, contenta di avergli dato,
anche se inconsciamente, il mio primo bacio, contenta di aver ricevuto a mia
volta il suo primo bacio.
Eppure non riuscivo a parlare, dentro
di me continuavo a provare quella fastidiosa sensazione di vuoto: continuavo a
cadere e cadere...
Malfoy si alzò dal letto allontanandosi
da me e dandomi le spalle.
Non poter vedere l’espressione sul suo
viso mi rendeva inquieta.
Si era pentito di avermi confessato
quella sua vendetta? Forse il mio silenzio continuato l’aveva messo in
imbarazzo, in fondo al suo posto avrei gradito un commento. Qualsiasi commento
sarebbe stato meglio del silenzio.
Si spogliò davanti a me, indossando una
maglietta nera col logo dei “Rolling Wizards” (1) come pigiama e un paio di
boxer grigi.
Rimase a lungo a piegare i vestiti e
qualcosa mi suggeriva che lo stesse facendo perché aveva paura di voltarsi
nuovamente verso di me, oppure perché voleva lasciarmi del tempo per elaborare
quello che aveva detto.
Ciò che più mi stupiva era che
dall’inizio del quarto anno il suo comportamento nei miei confronti non era
cambiato rispetto a prima in nessun modo: aveva continuato ad insultarmi e a
prendersi gioco di me e dei miei amici.
Ma perché? Se il bacio gli era
piaciuto, se mi aveva trovata bella, perché aveva continuato a tenermi a
distanza? Perché aveva continuato ad insultarmi?
Una volta che finì di piegare gli abiti si voltò verso di me e tornò verso il
letto.
I suoi occhi guardavano ovunque, tranne
nei miei e io non sapevo cosa fare.
Si coricò sotto le coperte, dandomi le
spalle.
«Buona notte», mormorò e poi non disse
più nulla.
Spense la luce e tutto si fece buio.
Non sopportavo quella sensazione di
smarrimento che il suo ignorarmi mi causava, avrei voluto urlargli di girarsi e
di dirmi che cosa gli stava succedendo.
Perché non mi parlava?
Mi morsi il labbro, forte prima di
superare quei pochi centimetri che ci separavano e di avvolgerlo in un goffo
abbraccio.
Affondai il viso contro la sua nuca,
inspirando ed espirando l’odore muschiato della sua pelle.
«Perché l’anno dopo hai continuato ad
insultarmi? Perché hai ideato quella stupida scommessa solo un mese fa? Avresti
potuto baciarmi molto prima se solo avessi voluto...»
Non rispose subito, ma sentii le sue
mani accarezzare il braccio con cui gli avvolgevo la vita.
«Non sono coraggioso, Granger. Questo
ormai dovresti averlo capito», continuava a darmi le spalle, ma potevo quasi
immaginarmi il suo sorriso amaro: «Ti ho dato quel bacio solo perché dormivi,
fossi stata sveglia ti avrei insultata e basta... Davvero non capisci perché
non ho provato a baciarti il quarto o il quinto anno?»
«No», gli dissi, sollevandomi così da
poter sbirciare oltre la sua spalla la sua espressione.
Proprio come mi immaginavo i suoi
lineamenti erano distorti in un sorriso triste, amaro che somigliava più ad una
smorfia che ad un sorriso.
«Volevo dimenticare tutto, Granger: il
tuo sapore, le tue labbra... gli ultimi due anni ti ho insultata ad ogni
occasione proprio per esorcizzare quella piccola ma insistente parte di me che
ti voleva ancora, che ti voleva di più. Negli ultimi due anni ho cercato in
tutti i modi di dimenticarti e ci sono stati dei momenti in cui pensavo di
avercela fatta, di essere guarito... per poi scoprire invece che i sogni
c’erano ancora e che il ricordo di quel bacio era più forte che mai...»
Non riuscii a trattenermi e interruppi
il suo discorso con una domanda: «Sogni?»
«Eri il mio incubo ricorrente», ammise.
Non era proprio ciò in cui speravo:
insomma essere un incubo ricorrente non sembrava poi una cosa molto carina...
«Nei miei sogni, Granger, eravamo soli:
io e te. Nessuno a giudicarci, nessuno ad imporci una maschera, nessuno a
fermarci. A volte ci baciavamo soltanto, altre volte la stanza in cui ci
trovavamo era provvista di letto: un letto con le coperte bordeaux, e tu ti
trovavi nel mezzo, nuda e tutta per me. A volte i sogni erano anche gradevoli,
altre volte erano una tortura...»
Rimanemmo in silenzio per alcuni lunghi
istanti, persi nei nostri pensieri.
Sapevo fin dall’inizio che quello che
ci legava era una scommessa, non mi sarei dovuta sentire triste solo perché
avevo avuto la conferma che non era stato l’amore a farlo avvicinare a me.
Potevo però essere alla stesso tempo
delusa e lusingata dal suo desiderio?
«Tocca me raccontarti una fiaba».
Quelle parole sfuggirono dalle mie labbra,
prima che le potessi soppesare adeguatamente, ma non mi pentii di averle
pronunciate.
«C’era una volta una ragazzina che
aveva scoperto di avere dei poteri magici. Era felice di essere una strega, ma
sapeva che non sarebbe stato facile per lei imparare tutto ciò che gli altri
ragazzi nati nel mondo magico già sapevano, così durante la lunga estate
precedente all’inizio della scuola la ragazzina studiò e studiò, cercando di
imparare più cose possibili. E poi arrivò il giorno della partenza, salutò i
suoi genitori, salì sul treno e si infilò nel primo scomparto vuoto, dove trovò
un giovane ragazzo paffutello che le fece vedere il suo rospo da compagnia».
«Ed è così che la fanciulla s’innamorò
del giovane Paciock?», m’interruppe lui, voltandosi verso di me con un sorriso
sarcastico in volto.
«No», dissi: «E fu così che il rospo
sfuggì dalle mani del ragazzino, che chiese aiuto alla giovane strega per
ritrovare il fuggiasco».
Mi bloccai per pochi istanti, ripesando
alla scena e a quanto era stato buffo vedere Oscar saltellare via, mentre
Neville lo guardava con uno sguardo vacuo e allucinato.
«La giovane strega, mentre cercava il rospo
s’imbatté in un altro giovane mago...» gli occhi di Malfoy a quelle parole
incontrarono i miei e un luccichio di sorpresa sembrò animarli: «Non pensavo...»,
iniziò a dire, prima di interrompersi e di scuotere la testa: «Lascia perdere,
vai avanti».
«Quel giovane mago era così bello»,
dissi, arrossendo, mentre il sorriso di Malfoy si allargava sempre di più: «La
giovane strega gli chiese aiuto e lui le insegnò un incantesimo che l’avrebbe
aiutata nella ricerca. Non parlarono molto, ma quelle poche parole bastarono ad
illuderla di aver trovato un amico...»
Il sorriso di Malfoy scomparve,
sostituito da una smorfia.
«Anche se i due giovani finirono in Case
diverse, lei continuava a pensare che lui un giorno l’avrebbe salutata di
nuovo, che le avrebbe parlato di nuovo», avvicinai ulteriormente il viso al suo
e sussurrai: «Lei si era presa una cotta
davvero terribile per lui, sai?»
Non riuscii a dire altro perché mi
baciò, premendo con forza le sue labbra sulle mie per lunghi istanti paradisiaci.
«Davvero, Granger?» mi
chiese, interrompendo il bacio: «Ma se mi hai detto di aver avuto una cotta per
Potter... quante cotte hai avuto, mmh?»
«Non ci crederai ma capisco quando
quello in cui spero è davvero un caso disperato e tu lo eri. Sapevo che non mi
avresti più parlato e avresti continuato ad ignorarmi: sei stato tu col tuo
insulto al secondo anno a farmi aprire gli occhi».
Mi accarezzò la guancia, piano, prima
di sorridermi timidamente: «Ero un bambino davvero stupido e crudele».
«Eri?», chiesi, sollevando un
sopracciglio.
«Ora sono un ragazzo stupido e crudele,
non un bambino», specificò, dandomi un altro bacio.
Ridemmo per alcuni istanti, prima che
ci perdessimo entrambi nei nostri pensieri.
Avrei voluto dirgli che la cotta non mi
era affatto passata, ma che era tornata più potente di prima e che si era
trasformata in un affetto così forte da sconfinare nell’amore, ma non ci
riuscii, terrorizzata dal pensiero che le mie parole potessero spezzare il
delicato equilibrio che si era creato tra noi.
«Buona notte, Draco», furono le uniche
parole che riuscii a pronunciare.
«Buona notte, Hermione».
(1) Ebbene sì, mi sono inventata un nuovo gruppo musicale: i "Rolling Wizards" xD
****************************************************************************************
Buona Pasqua a tutti! :)
Sono davvero crudele, sono scomparsa per quasi un anno e mi dispiace davvero tanto :( spero comunque
di essere riuscita a scrivere qualcosa di decente, nel caso contrario potete scrivermi
altre recensioni negative, tanto ormai ci ho fatto il callo xD
Non so quando riuscirò nell’impresa di scrivere un nuovo
capitolo, ma farò il possibile per non far passare troppo tempo... durante il
breve ponte del 1 Maggio ad esempio dovrei avere un attimo di respiro dalla
scuola e riuscire a scrivere qualcosa, ma in caso contrario vi avviso.
Vorrei ringraziarvi per le stupende recensioni che mi avete
lasciato, a cui nei prossimi giorni cercherò di rispondere.
Bene, come al solito, nel caso vogliate lasciarmi una recensione
mi fareste davvero felice e non mancherò di rispondervi (anche se potrebbe
volerci un po’ di tempo) ^.^”
Ancora buona Pasqua :)
Baci,
LazySoul
|
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Capitolo 13 *** I need you ***
cap_13
Ciao
a tutti! :)
Lo
so cosa state pensando: “Oddio! È un miracolo! È riuscita a postare un nuovo
capitolo!”
Ebbene
sì, sono orgogliosa d’informarvi che ce l’ho fatta. Ma prima di lasciarvi alla
lettura vorrei solo segnalarvi che ho aggiornato anche l’altra long “Pieces of
Life” (avete presente, no? Quella che ha come protagoniste Luna e Pansy e i
loro problemi di cuore... no? Beh, sarebbe ora che andaste a leggervela!) e
quindi ho pensato di riportarvi qua il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3098141
Bene,
ora vi lascio al capitolo, buona lettura! :D
13. I
need you
Affondai le mani tra quei capelli scuri
e ribelli; assaggiai con le dita la consistenza di qualche ciocca, sentendo una
piacevole sensazione di solletico sui polpastrelli.
Inspirai a fondo, sentendo con gioia il
suo odore: un dolce profumo di primavera, che mi provocava una sensazione di
calore soffocante.
Un calore fastidioso...
Un incendio vero e proprio: iniziava
dalle fondamenta della casa e, lentamente, ma inesorabilmente, asse di legno
dopo asse di legno, arrivava fino al tetto.
Da fuori la casa sembrava un grosso
falò, rosso, minaccioso, indomabile.
Indomabile come i suoi capelli.
Allentai la presa delle mie dita, non
volevo farle male.
Andai alla disperata ricerca delle sue
labbra. Dove siete? Dove vi nascondete?
Fu lei a lanciarsi su di me, consumando
la mia bocca per minuti interi, accarezzandomi il viso con i suoi capelli
ricci.
La sua impazienza, il suo desiderio mi
mandavano letteralmente fuori di testa.
La spinsi contro il materasso,
sovrastandola, godendomi i suoi gemiti mentre la spogliavo, piano.
Non mi fermare, amore, non mi
fermare...
Avevo caldo, continuavo a bruciare.
Le afferrai le cosce, accarezzandola
ovunque.
Mi sentivo come un animale.
Quando la penetrai urlò, forte, a
lungo.
O forse ero stato io?
Le sue mani mi stringevano, le sue
corte unghie erano conficcate nella mia carne e facevano male, ma il dolore non
mi fece ritrarre.
Più forte. Di più. Voglio di più.
Non mi sentivo più attaccato al mio
corpo, era come se stessi osservando la scena da una prospettiva diversa: ero
seduto in poltrona accanto al letto e mi vedevo chiaramente fare l’amore con
lei.
E poi cambiò qualcosa, non capii subito
cosa, ma quando realizzai ciò che stava succedendo urlai.
Provavo a muovermi, volevo correre
verso il letto e interromperli, ma non ci riuscivo, il mio corpo non rispondeva
ai miei comandi.
Abbassando lo sguardo notai di avere i
polsi e le caviglie rinchiusi in catene spesse e scure.
Mi dimenai, urlai.
Piansi.
Ma per quanto chiudessi gli occhi,
continuavo a vederli, sul mio letto.
Lei era bella, sensuale, con le guance
arrossate dall’emozione, le labbra gonfie e rosse, gli occhi lucidi. Gemeva e
lo implorava di non smettere, affondava le unghie proprio dove le aveva
affondate nella mia schiena.
Lui era sopra di lei; continuava a
dirle quanto fosse bella, quanto l’amasse...
No, no, no, no...
Non riuscivo a sopportare quella scena.
Chiunque ma non lui, chiunque ma non
Weasley!
No, no, no,
no!
Hermione...
Mi svegliai col fiato corto e una
fastidiosa patina di sudore su tutto il corpo.
Deglutii, cercando di calmare il battito
impazzito del mio cuore, ma avevo la gola secca e continuavo a vedere nella mia
mente le immagini di quell’incubo crudele.
Aprii gli occhi, deciso ad alzarmi e a
fare due passi per il castello, nella speranza che il ricordo del sogno
sparisse; ma mi trovai davanti il volto preoccupato della Granger che, sdraiata
accanto a me, mi guardava.
«Ti ho svegliata?», chiesi, guardandomi
intorno, nella vana speranza di trovare qualcosa che mi facesse capire che ora
fosse.
O forse volevo solo evitare il suo
sguardo?
«No», sussurrò.
Avrei voluto chiudere gli occhi e
provare a riaddormentarmi, ma, ogni volta che abbassavo le palpebre, continuavo
a vedere le immagini dell’incubo, come se mi si fossero impresse a fuoco nella
retina.
«Ero già sveglia», mormorò, appoggiando
le labbra contro la mia spalla: «Ne vuoi parlare?»
In quel momento avrei voluto avere la
camera tutta per me, così da poter rimuginare su quell’incubo per il resto
della notte e magari anche per buona parte del mattino.
Hermione si sollevò appena, appoggiando
il gomito sul cuscino per sostenere il suo volto, mentre con l’altra mano
giocava coi miei capelli. Mi accarezzò la fronte e poi gli zigomi, asciugandomi
quelli che sembravano proprio residui di lacrime.
Voltai il viso, nel tentativo di
sfuggirle; non volevo che mi vedesse in quello stato, non volevo che mi facesse
domande, non volevo che provasse compassione.
Mi sentivo così vulnerabile tra le sue
braccia.
Avrei voluto chiederle se amava ancora
Weasley, se mi stava usando solo per tornare poi da lui... ma non riuscii a
pronunciare nemmeno una parola.
Le sue labbra raggiunsero la mia tempia
e vi lasciarono un bacio: «Odio vederti così», sussurrò, prima di voltare
nuovamente il mio viso verso il suo: «Va tutto bene, Draco... sono qua».
La abbracciai, affondando il volto
contro i suoi seni, inebriandomi nel suo odore primaverile.
«Ho bisogno di te» ammisi, affondando
le dita contro la sua schiena, lasciandomi cullare dalla dolcezza delle sue
parole: «Va tutto bene, ce la faremo, Draco. Insieme ce la faremo».
Afferrai i bordi della sua maglietta e
gliela sfilai, così da sentire la morbidezza della sua pelle a contatto col mio
viso.
La sentii gemere piano, mentre
affondava le mani tra i miei capelli e mi teneva stretta a sé.
Le baciai a lungo i seni e il collo,
assaporando ogni suo gemito e ogni centimetro della sua pelle bianca come il
latte.
Non avevo paura che mi fermasse, sapevo
che non l’avrebbe fatto.
Entrambi eravamo deboli e avevamo
bisogno di trovare conforto l’uno tra le braccia dell’altro.
«Oh, Draco», sussurrò, baciandomi a lungo
e senza tregua.
La sovrastai col mio corpo, mentre le
sfilavo febbrilmente i pantaloni e l’intimo, impacciato dai miei movimenti
ansiosi.
Volevo essere dentro di lei, volevo
sentirmi di nuovo bene e al sicuro, protetto dalle sue braccia.
Provò a sfilarmi la maglia, ma la
dovetti aiutare perché le sue dita continuavano a tremare.
Allungai la mano per stringere tra le
dita il suo seno, ma ritrassi istintivamente il braccio, nascondendolo dietro
alla schiena, mentre mi guardavo attorno alla disperata ricerca della maglia.
Non volevo che vedesse il Marchio Nero,
non volevo vedere il disgusto nei suoi occhi.
Avevo appena individuato la maglia sul
pavimento, quando sentii le sue braccia intorno al collo e la sua bocca contro
la mia. Seduta davanti a me era irresistibile coi capezzoli turgidi e scuri,
mentre potevo intravedere sulla sua pelle color del latte tante piccole
lentiggini.
Fu lei ad afferrarmi l’avambraccio
sinistro, prima che riuscissi a formulare un piano per rimettermi la maglia
senza insospettirla.
Stavo per ritrarmi, quando sentii le
sue labbra sul tatuaggio.
Avrei voluto dirle qualcosa, avrei
voluto chiederle per quale motivo l’avesse fatto, ma lei mi precedette: «Non
l’hai voluto tu, tu non sei così... tu sei molto di più».
Baciò di nuovo il Marchio, poi il mio braccio
chiaro e la spalla e il collo.
Le sue parole mi diedero coraggio e la
strinsi a me, contaminando la sua pelle color panna col nero del tatuaggio.
Dopo pochi secondi eravamo entrambi
completamente nudi, i nostri vestiti erano sparsi un po’ ovunque e le coperte
erano tutte sul pavimento.
In un breve momento di lucidità mi
ricordai di fare un incantesimo contraccettivo poi, cercando di essere il più
delicato possibile le entrai dentro, piano, assaporando il momento e la
sensazione di benessere totale che l’averla così vicina mi provocava.
Hermione gemette forte, affondando le
unghie nella mia schiena e stringendomi a sé con forza.
«Oh, Draco», sussurrò, abbandonando
indietro la testa e chiudendo gli occhi per alcuni istanti.
Volevo cancellare quell’incubo dalla
mia mente, sostituendolo con un ricordo, il ricordo della nostra seconda notte
insieme, in cui avrei potuto dimostrarle quanto l’amavo.
«Hermione», la chiamai, affondando una
mano tra i suoi capelli ribelli e scuri.
Quando tornò a guardarmi, puntando i
suoi occhi lucidi per l’emozione nei miei, la baciai, cominciando a muovermi
piano, assaporando ogni spinta, ogni suo gemito e ogni: «Oh, Draco» che le
usciva dalle labbra.
Avevo un ricordo fin troppo nitido
della prima volta che avevamo fatto l’amore e del modo impacciato con cui aveva
ricambiato ogni mia carezza e bacio.
Questa volta invece sapeva quello che
voleva.
Era diventata la ragazza sicura che
infestava i miei incubi peggiori: una femme fatale.
Ad ogni bacio mi innamoravo sempre più
di lei.
La strinsi maggiormente a me, godendomi
la sensazione divina di averla realmente
tra le mia braccia.
Non era un sogno e non lo sarebbe mai
più stata. Non le avrei permesso di allontanarsi nuovamente da me per nulla al
mondo.
Avrei fatto tutto ciò che sarebbe stato
necessario per non deluderla una seconda volta.
«Oh, Draco».
Intrecciai le mia dita alle sue,
baciandole ogni centimetro di pelle che riuscivo a raggiungere.
«Sei così bella...», sussurrai contro
le sue labbra, prima di baciarla. Mi intrecciò le braccia al collo, rispondendo
al bacio con una forza e una passione che mi fecero diventare ancora più vorace
nei suoi confronti.
Senza preavviso, ribaltò le posizioni,
sorridendomi proprio come avrebbe fatto una serpe; con un misto di malizia e
sfida che mi fecero ghignare a mia volta.
«Ti piace?», le chiesi, lasciando a lei
il comando dei giochi: «La vista da qui è stupenda», ammisi, sollevandomi sui
gomiti per mordere piano uno dei suoi rosei capezzoli.
Mi allontanai dal suo seno solo per
sbirciare la sua reazione e mi compiacqui nel constatare che apprezzava le
attenzioni che le stavo elargendo.
«Non vale», ansimò e, appoggiando le
mani sulle mie spalle, mi fece tornare sdraiato: «Stai giù», mi intimò
mordendomi il labbro inferiore: «Comando io».
Le trattenni il viso, così da poter
continuare il bacio e restituirle il morso: «Sì, signora».
Lo sfregare circolatorio del suo bacino
contro il mio mi stava facendo perdere il lume della ragione e,
dall’espressione persa del suo viso, intuii che anche lei fosse vicina alla fine.
«Vieni, Hermione, vieni con me».
Lei gemette, forte e, aumentando appena
il ritmo, creò la frizione perfetta tra i nostri corpi che ci fece perdere
contatto con la realtà e raggiungere l’orgasmo insieme.
Quando riemersi dal lungo istante di
piacere mi resi conto di avere ancora entrambe le mani sul suo sedere, così ne
approfittai per stringere le dita, saggiando la consistenza di quelle due colline
perfette.
Lei mi stava sorridendo, più bella che
mai, sdraiata su di me con la guancia contro il mio petto.
Spostai le mani, appoggiandole sui suoi
fianchi, individuando subito col pollice il suo piccolo neo, quello che aveva a
metà strada tra l’ombelico e il fianco sinistro.
«Potrei stare in questa posizione per
sempre», sussurrò, baciandomi la pelle all’altezza dello sterno, poi sollevò il
voltò allungandosi per darmi un bacio a fior di labbra.
«Già», risposi, distratto dalla
sensazione di ruvido solletico che i suoi capelli mi causavano. Spostai le mani
dai suoi fianchi solo per immergerli nei suoi ricci ribelli.
«Perché mi guardi così?», mi chiese,
aggrottando appena le sopracciglia.
«Così come?»
Feci scivolare le mani lungo la sua
schiena, saggiandone la morbidezza, poi percorsi il tragitto all’incontrario,
seguendo la linea della sua colonna vertebrale.
«Come se...», si bloccò, gemendo piano
quando spostai le mani sui suoi seni: «Come se mi venerassi».
Mi irrigidii appena alle sue parole,
mentre incontravo i suoi occhi che, come sempre, riuscivano a scavarmi dentro e
a raggiungere quella parte del mio cuore che normalmente nascondevo anche a me
stesso.
Distolsi lo sguardo e, soppesando ogni
parola, le dissi: «Ti ricordi quella sera, quando ti ho costretta ad accorciare
la gonna della divisa, e tu eri così bella che ogni ragazzo in Sala Grande si è
voltato a guardarti quando sei entrata?» sussurrai piano, prima di tornare a
guardarla; vedevo dalla sua espressione confusa che non riusciva a capire dove
volessi andare a parare: «Ti ho sognata così tante volte, Granger, che per me
quella sera tu non eri reale, eri uno dei tanti incubi che mi lasciano sempre
senza fiato», ammisi, cercando di sistemarle alcune ciocche ricce dietro all’orecchio
destro.
«Dici che ti guardo come se ti
venerassi, ma non sono sicuro che ossessione e venerazione significhino la stessa
cosa... quella sera quando ci siamo fermati durante la ronda e ti ho chiesto se
volevi che ci dividessimo i piani per fare più in fretta e tu mi hai guardato
con quello sguardo... perché sei così irresistibile? Perché devi essere tutto
quello che non posso avere? Tutto quello che non posso volere?»
Sembrava confusa, come se non riuscisse
a cogliere perfettamente ciò che le stessi dicendo.
Ribaltai le posizioni, schiacciando il
suo corpo morbido sotto il mio: «Non avrei mai dovuto baciarti il terzo anno,
avrei dovuto andarmene e basta», affondai il viso contro la sua spalla: «Mi
sarei risparmiato anni di sogni irrealizzabili, mentre tu non sapevi niente e continuavi
ad andare dietro a Straccione e Sfigato, tirandoli fuori dai guai».
Lei non diceva niente, sembrava inerme
tra le mie braccia, una bambola di porcellana privata degli abiti e della parola.
Mi scostai, con l’intento di rivestirmi
e chiudermi in bagno, stravolto dalla sensazione di non essere abbastanza per
lei.
Era ovvio che lei non mi avrebbe mai
accettato interamente. Avevamo fatto l’amore perché, essendo esseri umani,
eravamo deboli e predisposti a cedere alle tentazioni, ma lei non avrebbe mai
colto quello che io provavo per lei e quanto i miei sentimenti fossero sinceri.
Le avevo mentito per anni, l’avevo
insultata per anni e lei non sarebbe riuscita ad andare oltre quell’odio.
Le sue braccia mi avvolsero,
trattenendomi su di lei, dentro di lei: «Non sono un sogno, sono reale».
Sorrisi, ma il mio era un sorriso
amaro: «Ah, sì? Dimostramelo».
Le sue dita si strinsero ancora di più
sulla mia schiena: «In che modo?», sussurrò, prima di baciarmi le labbra,
piano.
«Io non sono brava in queste cose e lo
sai, ma sono reale e ho bisogno di te. Sei l’unica e sola persona che mi fa
sentire al sicuro malgrado tutto», disse, avvolgendomi i fianchi con le gambe: «Anche
tu sei la mia ossessione, Draco».
Tornò a baciarmi, muovendo i fianchi,
piano, come se avesse voluto fare ancora l’amore.
«So che c’ero anche io nel tuo sogno;
continuavi a sussurrare il mio nome e a stringermi, come se volessi nascondermi
o proteggermi. Anche io voglio proteggerti, Draco, voglio...»
Spinsi i fianchi contro i suoi,
assecondando i suoi movimenti, mentre il mio respiro cominciava ad accelerare.
«Draco io voglio te... e in», gemette
piano, proprio contro la mia bocca socchiusa: «In cambio voglio che tu prenda
me».
Le divorai le labbra, prima di lasciarle
un piccolo morso al labbro inferiore: «Quindi se dovesse spuntare Lenticchia e
ti dicesse che ti ama tu non gli correresti dietro?»
Avevo bisogno di saperlo, il dubbio mi
corrodeva il petto, impedendomi di respirare, o era forse il piacere di averla
tra le braccia che mi lasciava senza fiato?
Rise, piano: «Sei geloso?»
«Sì», ammisi, aumentando la velocità
delle spinte, come se avessi voluto fondermi con lei: «Non hai risposto», le
ricordai.
«No, Draco, non gli correrei dietro».
Avevamo parlato abbastanza per i miei
gusti e, stranamente, anche Hermione si zittì per qualche secondo, prima di
iniziare a gemere per il piacere e a sussurrare il mio nome, mentre io
sussurravo il suo.
Con quelle poche parole che aveva detto
era riuscita chissà come a ridarmi un po’ di quella speranza di cui avevo
bisogno.
Lei non sarebbe corsa da Lenticchia,
era mia e, anche se non l’aveva detto
esplicitamente, sapevo che mi amava proprio come io amavo lei.
***
Quando mi svegliai era mattina.
Una cascata di capelli ricci copriva
metà del mio petto e del mio viso, mentre una mano bianca era appoggiata al mio
fianco destro.
Mi mossi appena, cercando di non
svegliarla, ma il suo: «Buongiorno», sussurrato con voce ancora addormentata,
mi fece capire di non essere riuscito nell’intento.
«Buongiorno a te», dissi, soffiando via
dal mio viso parte dei suoi capelli.
Sapevo che quella notte era stata la
svolta decisiva, ci eravamo esposti, avevamo fatto l’amore una, due, tre volte
senza mai fermarci e ci eravamo detti “Ti amo” senza aver avuto bisogno delle parole.
Io mi ero affidato a lei e lei si era
affidata a me, tutto ciò che ci restava da fare era trovare un modo per
sconfiggere il Signore Oscuro e i suoi seguaci più fedeli, come per esempio mia
zia Bellatrix, e poi tutto sarebbe andato per il meglio perché saremmo stati
insieme.
«Ieri volevo parlarti di una cosa, ma
poi mi è sfuggito di mente», le dissi, accarezzandole distrattamente i capelli:
«I miei genitori, quando sono andato a pranzo da loro, mi hanno detto che hanno
intenzione di tradire il Signore Oscuro. Inoltre, grazie all’elevata posizione
di mio padre tra i seguaci di Tu Sai Chi, ha accesso a delle informazioni che
potrebbero esserci utili per sconfiggerlo».
Appena avevo pronunciato la parola “tradire”,
il capo di Hermione si era sollevato e i suoi occhi intelligenti (anche se
ancora un po’ appannati dal sonno), mi avevano guardato con un misto di stupore
e interesse. Ad ogni parola i suoi occhi si erano spalancati sempre un po’ di
più ed ora sul suo viso potevo leggere un sentimento che mi fece sentire il
mago più felice al mondo; lei era orgogliosa di me.
«So quali sono gli Horcrux, dove si
trovano e come fare per distruggerli, pensi che Potter e Lenticchia ci possano
dare una mano anche se non sono propriamente nelle vicinanze?»
Hermione mi gettò le bracci intorno al
collo, baciandomi sulle labbra con dolcezza e reverenza: «Oh, Draco».
Non avevo mai visto i suoi occhi
brillare tanto e l’espressione sul suo volto mi fece desiderare di renderla
così felice per il resto della vita.
*********************************************************************************
Ri-ciao
:)
E finalmente
Hermione e Draco hanno abbassato tutte le difese. Siete contente?
So
che il discorso di Malfoy alla nostra Grifoncina non sembra avere molto senso,
ma l’ho voluto scrivere per sottolineare come lui non sappia come comportarsi
con lei: non vuole dirle che la ama perché ha paura che lei non gli creda,
quindi cerca di conservare un po’ della sua dignità dicendole che non la
venera, che lei è solo un’ossessione ecc. In questo capitolo infatti è Hermione
che, per una volta è costretta ad esporsi un po’ di più...
Bene,
spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate voglia di lasciarmi un
commentino (anche breve breve) per farmi sapere che ne pensate :)
Per
quanto riguarda il prossimo capitolo cercherò, entro i primi di Giugno, di
scriverlo e postarlo, ma nel caso ritardassi non disperate che farò il
possibile per non farvi aspettare troppo! :)
Perfetto,
direi che vi ho detto tutto... ah! Ovviamente se volete pormi qualche domanda o
qualsiasi altra cosa potete sempre mandarmi un messaggio qua su EFP e io vedrò
di rispondervi il prima possibile e in modo più esauriente possibile :)
Al
prossimo capitolo!
Un
BACIONE,
LazySoul
p.s.
volevo solo proporvi, nel caso qualcuno fosse interessato, una one-shot
originale che ho scritto e che, se volete, potete trovare qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2605934&i=1
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Capitolo 14 *** The Deathly Hallows ***
cap_14
Consiglio di leggere prima qua: Capitolo settimo
14. The Deathly Hallows
Inspirai
a fondo e sorrisi, godendomi la sensazione delle braccia forti che mi
stringevano a sé.
Forse
si stava davvero sistemando ogni cosa, risolvendosi al meglio.
Sapevo
che Draco ed io, insieme, ce l’avremmo fatta.
Sciolsi
l’abbraccio per dargli un veloce bacio sulle labbra: «I tuoi sanno che mi hai
aiutato?»
Lui
annuì: «Gliene ho parlato ieri, dopo che mi avevano comunicato la loro
intenzione di tradire il Signore Oscuro».
Aggrottai
appena le sopracciglia: «E hai anche riferito ai tuoi genitori cosa c’è tra di
noi?»
Scosse
la testa, imbarazzato: «Ho pensato di sganciare una caccabomba alla volta,
altrimenti avrebbero dato di matto».
Sorrisi
appena: «Hai fatto bene», lo rassicurai, accarezzandogli la guancia.
Rimanemmo
per lunghi istanti a fissarci, persi nei nostri pensieri e nella calma e la
sicurezza che trasmetteva lo stare vicini.
La
sera prima di eravamo esposti entrambi e, senza che ci fosse stato bisogno di
esprimere a voce le nostre emozioni, ci eravamo detti a modo nostro “Ti amo”.
Avevo
sospettato, in fondo al mio cuore, di essere la ragazza di cui Blaise aveva
parlato quella mattina, durante la colazione al tavolo Serpeverde, anche se non
avevo mai permesso a me stessa di illudermi tanto da credere al mio sesto
senso.
Draco
aveva detto che mi aveva sognata per anni e che ero la sua ossessione…
Ero
così felice che mi sarebbe piaciuto saltellare per la gioia.
«Cosa
ti ha detto tuo padre?», gli chiesi, riscuotendomi dalla perfezione del
momento, tornando ai problemi che ancora dovevamo risolvere, prima di poterci
dedicare l’uno all’altra totalmente.
«È
stata mia madre a convincerlo e sono contento che l’abbia fatto. Mio padre ha
detto che il Signore Oscuro ha parlato con Olivander e si è convinto
dell’esistenza della bacchetta di Sambuco e che grazie ad essa sarà in grado di
sconfiggere Potter…»
Lo
interruppi, posandogli un dito sulle labbra.
«Bacchetta
di Sambuco? E Cos’è?», gli domandai, curiosa.
Lui
rimase per qualche istante a scrutarmi in viso, prima di sfoggiare uno di quei
suoi sorrisetti odiosi: «Lasciami assaporare questo momento per ancora qualche
secondo, Granger».
Chiuse
gli occhi e il suo ghigno si accentuò ulteriormente:
«Hermione-so-tutto-io-Granger non sa una cosa che io so… mi sento un Dio in
questo momento…»
Aprii
la bocca, divertita e offesa allo stesso tempo dalle sue parole: «Hey!»,
esclamai, prima di colpirlo al braccio col pugno.
Lui
mi sorrise, dandomi un piccolo bacio sulla fronte, prima di rispondermi
seriamente, anche se sulle sue labbra continuava ad aleggiare un sorrisetto
alla Malfoy: «La bacchetta di Sambuco si trova in una delle “Fiabe di Beda il
Bardo”, che s’intitola “I doni della morte”. Nella fiaba tre fratelli, grazie
alla magia, costruiscono un ponte per attraversare un fiume. La morte, che si
sente presa in giro dalla loro astuzia finge di congratularsi con loro,
concedendo a ciascuno di loro un dono. Il maggiore dei fratelli chiede una
bacchetta imbattibile e potentissima, che la morte crea da un albero di
sambuco. Il secondo chiede una pietra che gli permetta di far tornare in vita i
morti, la pietra quindi della resurrezione. L’ultimo fratello chiede un
mantello che gli permetta di essere invisibile. Il primo fratello dopo essersi
vantato a lungo del potere della sua bacchetta viene ucciso nel sonno e la sua
bacchetta rubata. In questo modo la morte prende la sua anima. Il
secondo fratello grazie alla pietra della resurrezione fa tornare dall’aldilà
lo spirito della donna da lui amata, ma accortosi della tristezza di lei, finisce
col suicidarsi per potersi unire a lei per sempre nell’aldilà. E così la morte
ottiene l’anima anche del secondo fratello. Il terzo fratello intanto, grazie
al mantello dell’invisibilità rimane nascosto alla morte per anni, fino a
quando non decide che è giunta la sua ora e si consegna di propria spontanea
volontà tra le braccia della morte, donando il mantello al figlio.»
Riflettei
per qualche secondo sulle sue parole, poi annuii: «Quindi il Signore Oscuro
crede di poter uccidere più facilmente Harry grazie a questa bacchetta potente
e imbattibile… l’ha già trovata?»
«Non
ancora, ma temo che Olivander prima o poi gli dirà ciò che vuole sapere…»
Annuii,
sentendo una stretta al cuore al ricordano della mia prima visita a Diagon
Alley, dove avevo acquistato la mia bacchetta da quel gentile signore coi
capelli grigi e gli occhi acquosi e vivaci.
«Hai
detto che sai quali sono gli Horcrux…», gli ricordai, sedendomi sul bordo del
letto.
Rimanemmo
in silenzio per qualche secondo e, per la tensione del momento, iniziai a sfregare
una mano contro l’altra, quasi volessi scaldarmi o accertarmi di possedere
ancora tutte e dieci le dita.
«Sì,
ce ne sono cinque, di cui tre sono già stati distrutti. Mancano la coppa di
Tassorosso e la tiara di Priscilla Corvonero. Questo è tutto quello che so, il
Signore Oscuro non ha condiviso altre informazioni con i miei genitori, ma
potrei sempre cercare altre fonti…»
Mi
alzai di scatto e gli presi una mano tra le mie: «Mi raccomando, fai
attenzione, non voglio che tu ti metta inutilmente in pericolo, ok?»
Mi
sarebbe piaciuto parlargli senza quel tremolio delle mani e della voce, che
smascherava la mia eccessiva apprensione.
Malfoy
spostò lo sguardo dalle nostre mani unite per guardarmi negli occhi.
Nelle
sue due iridi grigie potevo notare un pizzico d’ilarità che subito non riuscii
a comprendere, anche se mi fece sorridere.
«Penso,
Granger, che tu mi stia confondendo con i tuoi due amici sfigati che si
getterebbero nel fuoco senza fare una piega, pur di salvare il mondo magico…»
E
addio al sorriso di poco prima.
«Non
sono sfigati!», esclamai, cercando di sfoggiare l’espressione più corrucciata e
infastidita del mio repertorio.
Lui
si mise a ridere e, se non fossi stata troppo concentrata a mantenere il muso,
ne avrei approfittato per godermi la sua contentezza e quel suono così naturale
e spensierato che era la sua risata.
«È
così facile farti arrabbiare, Granger… non so se sentirmi geloso per il tuo
commento, o orgoglioso della lealtà che dimostri nei confronti di coloro a cui
vuoi bene…»
Aprii
la bocca per rispondergli, poi la richiusi, rendendomi conto di non saper cosa
dire.
Draco
mi sorrise appena, prima di darmi un breve bacio sulle labbra: «Dovrei essere
geloso?», sussurrò contro la mia bocca.
Scossi
la testa, insicura di riuscire a parlare correttamente con le sue labbra così
vicine e i suoi occhi indagatori puntati nei miei.
«Bene»,
mormorò, prima di regalarmi uno di quei suoi baci mozzafiato che mi facevano
perdere il contatto con la realtà.
Quando
le sue labbra si separarono dalle mie, sentii una fitta di disappunto, che mi
fece desiderare di riceverne presto un altro.
«Devo
andare, Granger», disse, passandomi il pollice sul labbro inferiore; gesto che
mi fece fremere dalla punta dei piedi a quella delle orecchie, prima di vederlo
alzarsi e iniziare a vestirsi.
Mi
alzai a mia volta: «Dove vai?», chi chiesi, fingendomi indifferente, quando in
realtà dentro di me bruciavo per la curiosità.
«Ho
una ronda che mi aspetta, inoltre devo andare da Piton», rispose, mentre si
abbottonava una delle numerose camicie bianche che popolavano il suo armadio a
muro.
«Piton!?
Perché Piton?», domandai, confusa e preoccupata, avvicinandomi a lui.
«Perché
mi dà lezioni di pozioni un paio di volte a settimana, per aiutarmi a
migliorare. Dice che se voglio passare il test necessario per intraprendere la
carriera di medimago, ci vorrà ancora del lavoro…».
Medimago?
Piton? Lezioni?
Malgrado
la situazione assurda, sorrisi.
«E
così vuoi diventare medimago…»
Malfoy
arrossì appena: «Sì», abbassò lo sguardo, sistemandosi i polsini della camicia,
prima di nascondere l’espressione confusa e vulnerabile con uno dei soliti
ghigni alla Malfoy: «E tu, Granger? Sarai la prossima professoressa di
babbanologia qui ad Hogwarts?»
Tipico
di Malfoy: nascondere le proprie debolezze facendo domande pungenti come dei
Vespampiri. (1)
«Certo
che no!», dissi semplicemente, coricandomi sul letto, in modo però da tenerlo
d’occhio.
Lui
si voltò per prendere una cravatta e io non potei fare a meno di abbassare lo
sguardo per ammirare il suo magnifico lato B.
«Cosa
allora?», domandò, continuando a darmi le spalle.
«Penso
di averne avute abbastanza di avventure per una sola vita, vorrei un semplice e
monotono lavoro da impiegata al Ministero della Magia, magari nel Dipartimento
della Regolazione e Controllo delle Creature Magiche… mi interessa la tutela di
ogni creatura… sai della mia associazione C.R.E.P.A?»
Non
lo sentii ridere, ma dal movimento convulso delle sue spalle, ero certa che lo
stesse facendo.
«Sì,
Granger. Se non ricordo male l’anno scorso provasti a convincere Tiger e Goyle
ad iscriversi, promettendo loro dei dolcetti. Per fortuna poi arrivò il
sottoscritto, invitandoti gentilmente ad andare ad importunare qualcun altro…»
Assottigliai
lo sguardo, desiderando che si voltasse per poterlo incenerire con un’occhiata.
«Lo
ricordo fin troppo bene», dissi tra i denti, ricordando come il C.R.E.P.A era
stato fin dall’inizio un gran fiasco e solo una decina di persone in tutta la
scuola avevano deciso di aderirvi.
Lui
si voltò, ghignando: «Se non ricordo male, non hai avuto molto successo…»
Senza
pensarci due volte, mi alzai dal letto, puntando il mio indice contro il suo
petto, desiderando di potergli sfondare la gabbia toracica e lo sterno con quel
semplice gesto.
«Solo
perché voi maghi siete così boriosi, snob e legati alle vostre stupide
tradizioni da non riuscire a vedere oltre un palmo dal vostro naso!
Altrimenti…»
«Oh,
io ci vedo benissimo, Granger, fidati…», disse, guardando con una strana
espressione all’altezza del mio petto, facendomi notare che la maglietta bianca
che indossavo non riusciva a coprire decentemente il mio seno.
Alzai
un braccio per coprirmi, anche se effettivamente capivo l’assurdità del gesto,
prima di venir bloccata dalla sua mano.
«Basta
litigare», mormorò divertito: «Ne discuteremo una volta che tutto questo sarà
finito».
Mi
diede un bacio rabbioso, o almeno così lo percepii, dato che mi sarebbe tanto
piaciuto morderlo. Sfortunatamente si allontanò troppo in fretta, impedendomi
di mettere in pratica il mio desiderio.
«Bene,
ora devo andare. Tra qualche minuto arriverà Breedy con la colazione e poi
penso che la Lovegood ti raggiungerà per tenerti compagnia…»
Aprì
la porta e si girò un’ultima volta per dirmi: «A dopo, Hermione», prima di
scomparire, lasciandomi accaldata per il litigio e per il bacio.
Possibile
che anche discutere con lui mi rendesse così… viva?
Mi
lasciai cadere du schiena sul letto e sorrisi.
Non
riuscivo a controllare in nessun modo la magnifica sensazione di essere amata e
di amare a mia volta, anche se mai e poi mai mi sarei aspettata che ciò
accadesse proprio con Draco Malfoy!
Anzi,
forse il primo anno, quando avevo una terribile cotta per lui mi ero immaginata
un paio di volte di sposarlo e di avere tanti bei bambini coi capelli biondi...
Ma
ero una bambina ai tempi, ingenua e sognatrice, non sapevo nulla di nulla e
vedevo Malfoy come un principe azzurro in miniatura vestito di verde e argento,
quindi quei sogni idealizzati non contavano!
Certo,
speravo nuovamente che si avverassero, ma questa volta sapevo di essere lontana
dal poterli realizzare. C'era una guerra da combattere all'orizzonte e basse
possibilità di vincerla, per non parlare della ancora più basse possibilità di
sopravvivere entrambi allo scontro.
Un
pensiero molesto e improvviso mi attraversò la mente, facendomi sussultare:
"Come potrei sopravvivere senza di lui?"
Mi
sollevai a sedere e poi mi alzai, facendo il giro della stanza a piedi un paio
di volte, nel tentativo di schiarirmi le idee e scacciare dalla mente pensieri
simili.
«Andrà
tutto bene, Hermione, si sistemerà ogni cosa...»
Questa
volta parlare a me stessa non servì a nulla, continuavo a sentire un nodo alla
gola e lo stomaco sottosopra per la paura.
Dovevo
pensare a qualcosa...
Forse
esisteva un incantesimo o una pozione che potesse diminuire la probabilità di
morire durante una battaglia? O magari una radice o un frutto che...?
Risi
per svariati secondi della mia stupidità e ingenuità, prima di lasciarmi cadere
sul letto con un sospiro sconsolato.
Solo
fuggendo insieme avremmo avuto la certezza di sopravvivere entrambi...
Il
pensiero di abbandonare i miei amici a combattere mentre Draco ed io ci
mettevamo in salvo mi fece inorridire; per quanto l'idea potesse essere
allettante non avrei mai e poi mai fatto una cosa simile!
Breedy
annunciò la sua presenza con un sonoro "pop", prima di fare un
inchino e appoggiare un vassoio colmo di cibo sul tavolino che probabilmente
fungeva solitamente da scrivania.
«Buongiorno,
signorina Granger», disse l'elfo, sorridendomi.
Breedy
era proprio la distrazione di cui avevo bisogno per allontanare la guerra e la
morte dalla mia mente.
«Buongiorno
a te... Tu credi alla leggenda de "I doni della morte"? Pensi che
esista la bacchetta di Sambuco?»
Breedy
sbarrò gli occhi, poi si grattò il naso adunco prima di rispondermi: «Penso che
la potenza di una bacchetta dipenda dal mago che la usa, non dalla bacchetta».
Annuii,
mentre riflettevo sulle sue parole, poi, per chissà quale scherzo della mente
mi ricordai un'altra parte della conversazione avuta con Malfoy e guardai
Breedy con occhi indagatori: «Tu credi che sia giusto per gli elfi domestici
essere trattati come schiavi?»
La
domanda lo colse alla sprovvista, ma rispose lo stesso poco dopo, ponderando
parola per parola: «È considerato un gran disonore essere liberati, perché
significa che l'elfo non è stato in grado di soddisfare i desideri del
padrone».
Aggrottai
le sopracciglia: «Non hai risposto», gli feci notare.
Breedy
arrossì e un'espressione imbarazzata gli alterò i lineamenti: «Non è compito
degli elfi domestici dire se è sbagliato o giusto, signorina Granger».
Sbuffai,
ma non insistetti, dato che mi ero resa conto del fatto che il povero elfo
cominciava a sentirsi a disagio a causa della nostra conversazione.
«Grazie
lo stesso», dissi semplicemente, certa che non sarei riuscita a cavargli di
bocca qualcosa di minimamente utile per la mia causa.
«Breedy
le augura una buona colazione, signorina».
«Grazie,
a dopo, Breedy».
Nel
giro di un decimo di secondo era sparito con un "pop", lasciandomi di
nuovo sola.
Per
colazione bevvi del tè e mangiai un croissant alla marmellata di fragole.
Pensai
di continuare a leggere “Le Fiabe di Beda il Bardo”, ma temevo di non avere
tempo per finire una delle storie prima che arrivasse la mia amica Corvonero.
Appena
Luna mi avesse raggiunta l’avrei bombardata di domande a proposito del diadema
di Priscilla Corvonero, oltre a chiederle se fosse a conoscenza dei doni della
morte e se credesse nella loro esistenza.
Infine
insieme avremmo provato a cercare un’idea per andare in giro per il castello a
cercare il diadema, senza farci scoprire, ovviamente se si fosse trovato ad
Hogwarts, altrimenti...
La
porta si aprì di colpo, facendomi sussultare per lo spavento, mentre una
scocciata Daphne Greengrass entrava, accompagnata dal costoso profumo Morgana,
la nuova fragranza femminile di Penelope P. (2)
Si
sbatté la porta alle spalle e, con un sorriso amaro da perfetta Serpeverde, mi
punto contro la bacchetta.
Tutto
avvenne troppo in fretta, tanto che non ebbi nemmeno il tempo di rendermi conto
di cosa stava succedendo e di avere paura per la minaccia che costituiva quel
legno a pochi centimetri dal mio naso.
«Ora,
Granger, faremo due chiacchiere tra donne, tu ed io. Sono sicura che tu sia
fiera di te stessa, scommetto che non deve essere stato facile trovare un
filtro d’amore o un incantesimo o qualsiasi altra cosa tu abbia utilizzato, tanto
potente da incantare Malfoy per anni. Sputa il rospo, Mezzosangue, dimmi cosa
posso fare per togliergli quegl’insopportabili occhi a cuoricino dalla faccia e
nessuno si farà male... forse».
Durante
il discorso avevo provato ad interromperla un paio di volte, per spiegarle che
si stava sbagliando, ma tutto quello che ottenni fu la bacchetta puntata ancora
più vicina al mio povero naso.
«Sto
aspettando», disse, assottigliando ulteriormente lo sguardo.
Chissà
per quale motivo mi tornò alla mente l’artico di “IoStrega” che una mattina
Ginny stava leggendo in Sala Grande, il cui titolo era: “Come comportarsi con
le migliori amiche del nostro lui” (o qualcosa di simile).
Peccato
che all’epoca fossi ancora cotta di Ron e pensavo che consigli simili non mi
sarebbero serviti a niente.
Come
mi sbagliavo!
(1)
I Vespampiri sono presenti nel gioco di “Harry Potter e il Calice di Fuoco” per
PlayStation2 (ebbene sì, ogni tanto gioco anche alla Play... non posso mica
passare tutto il mio tempo a leggere e scrivere!). Comunque, per chi non avesse
idea di che cosa sono, nel gioco sembrano delle api rosse enormi che ti pungono
ogni volta che cerchi di fare qualcosa di utile nel gioco, facendoti cadere a
terra. È per questo che le ho associate alle domande pungenti di Malfoy.
(2)
Dato che sono una “scrittrice” e ho dei diritti in quanto tale, ne ho
approfittato per inventarmi il nome di un profumo e la marca... inutile dire
che ovviamente non penso che sia reperibile sul mercato xD
E dopo aver passato metà estate sui libri e aver finalmente
finito il Liceo una volta per tutte, sono tornata con un nuovo capitolo! :D
Ciaoooo! Come va? :)
Io sono al settimo cielo, per essere riuscita finalmente a
scrivere un capitolo abbastanza decente!
Non succede nulla di eclatante temo, tranne alla fine, con l’arrivo
della cara Daphne...
(Che dite, Hermione riuscirà a calmarla? O interverrà qualcun
altro in soccorso della nostra Grifondoro?)
... però spero che vi sia piaciuto e che abbiate voglia di
lasciarmi una recensione, anche solo per dirmi che sono la solita ritardataria,
o che la storia continua ad intrigarvi, anche se sono la solita ritardataria...
Ah! Comunicazione importantissima! Per i prossimi capitoli,
pensavo di comunicarvi la data o possibile periodo di pubblicazione sul mio
bio, così lo sfrutto per qualcosa xD
Mi è mancato tanto EFP e che cercherò in queste vacanze di
scrivere, scrivere e ancora scrivere così da portarmi avanti col lavoro... fino
all’inizio di Agosto però sarò in Croazia... quindi se mi scrivete qualche
insulto e non ricevete subito risposta non è a causa della mia pigrizia, ma potrebbe
essere colpa della mancanza di wi-fi...
Last
but not least, vorrei dedicare un grazie speciale a: kasumi_89, kelia,
mary000, ladyathena, loverdraco e lololove16 che hanno recensito il
tredicesimo capitolo e a trislot ed elenamassara che mi hanno lasciato
un commento al quinto capitolo di "Pieces of Life".
Un bacione immenso a tutti! ;*
A presto,
LazySoul
p.s. Mi raccomando! Ditemi che ne pensate del capitolo! xD
|
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Capitolo 15 *** Unexpected visit ***
cap_15
15. Unexpected
visit
Era in situazioni simili che capivo quanto fossero utili le
bacchette e si acuiva in me il desiderio di possederne una.
Involontariamente guardai verso il comodino, ma mi resi subito
conto che quel giorno Malfoy non mi aveva lasciato il suo legno in caso di
necessità.
A quanto pareva ero costretta a farmi minacciare senza avere la
possibilità di difendermi.
Fantastico.
«Non so di cosa tu stia parlando, Greengrass», le dissi,
sperando di non averle dato l'impressione di star mentendo, altrimenti
l'interrogatorio non sarebbe mai giunto ad una fine.
«Certo, Granger, fingiamo che io ti creda. Spiegami allora
perché stai continuando ad illuderlo di provare lo stesso per lui? Solo per
salvare te stessa e i tuoi amici straccioni? O per poter dire un giorno:
"Ho avuto in pugno il cuore di Draco Malfoy e per pietà alla fine l'ho
lasciato andare"?»
Aggrottai le sopracciglia e scossi la testa; ero indignata e
offesa dalle sue false supposizioni ed ero intenzionata a dimostrarle che si
sbagliava totalmente sul mio conto.
«Mi dispiace, ma non hai indovinato. Non ti sei minimamente
avvicinata alla verità».
Avrei voluto continuare, ma la bacchetta della Serpeverde si era
ormai puntata contro il mio petto, creando una pressione minima che mi fece
gelare il sangue nelle vene e perdere per pochi secondi l'uso della parola.
«Io...», iniziai e avrei voluto dirle molte cose, farle capire
che le sue erano tutte supposizioni senza fondamento, esponendole chiaramente i
fatti, ma riuscii a dirle solo tre parole misere, rispetto a lungo discorso che
avevo preparato: «Io lo amo».
E infondo, perché sprecare parole e parole, quando in effetti
con quelle poche che avevo detto ero riuscita a spiegare l'inspiegabile?
In quale altro modo avrei potuto esprimere i miei sentimenti e
la completa confusione che albergava il mio cuore?
Il secondo dopo la mia confessione, sentii scomparire la fastidiosa pressione
all'altezza del petto e vidi la Greengrass guardarmi con una luce nuova negli
occhi.
«Davvero?», chiese con tono casuale, come se stesse chiedendo
conferma della temperatura esterna prima di uscire, mentre si rigirava la
bachetta tra le mani. Sembrava più interessata allo spessore ed elasticità del
legno tra le sue mani piuttosto che della mia risposta e il suo comportamento
mi fece sorridere involontariamente: era passata dall'essere furiosa e
pericolosa ad essere quasi timida e insicura.
La Greengrass era davvero buffa.
«Sì».
Lei annuì appena, poi posò la bacchetta nella tasca posteriore
dei suoi pantaloni scuri.
«Va bene, ti credo e per il momento ho deciso di risparmiarti la
vita. Sappi che se lo farai soffrire in qualsiasi modo io...»
«Daphne?»
Ci voltammo entrambe al suono di quella voce maschile,
trovandoci davanti uno stupito Blaise Zabini e una sorridente Luna.
L'espressione della Greengrass cambio ulteriormente, il volto
minaccioso, lasciò il posto ad un sorriso luminoso che metteva in mostra tutti
e trentadue i denti.
«Ciao, Blaise», disse, salutando il suo amico per poi dedicare
un'espressione di disprezzo alla Corvonero: «Lunatica», la apostrofò con un
sorrisetto crudele sulle labbra.
Zabini fece una smorfia: «Si chiama Luna Lovegood. Trovo il tuo
comportamento profondamente infantile e ingiusto.»
Non fui l'unica a rimanere con la bocca semi aperta per qualche
secondo, anche la Greengrass era sconvolta quanto me, tanto che non riuscì a
dire niente per quelli che sembrarono secoli.
Luna era rossa in viso e guardava Zabini di sottecchi, con gli occhi che
sembravano brillarle.
«Vieni, Daphne, dobbiamo andare», disse Zabini, che non sembrava
essersi reso conto delle tre stupite paia di occhi fissi su di lui.
Il Serpeverde prese la ragazza per il braccio e la portò oltre la soglia.
Prima di chiudere la porta fece un breve inchino: «Granger, Lovegood, a dopo».
Dopo il rumore che produsse la chiusura della serratura, si
diffuse il suono della mia risata involontaria.
«Dimmi che è come penso», dissi a Luna, trascinandola sul letto,
così da poterla torturare un po' con la mia curiosità, lasciando a dopo le
domande a proposito di Priscilla Corvonero e il suo misterioso diadema.
«Al momento temo di avere più dubbi di te a proposito», sussurrò
Luna, prima di nascondere il viso tra le mani per pochi istanti.
Sembrava stesse cercando di ritrovare il respiro o la calma… O forse entrambi.
Una volta che sembrò aver raggiunto il suo scopo, scostò le
dita, in modo da guardarmi attraverso le fessure da lei create: «Mi ha davvero
difesa davanti alla Greengrass, o mi sono immaginata tutto?»
La voce tremante con cui mi rivolse quella semplice domanda mi
fece sorridere: «Temo che sia successo per davvero», le sussurrai,
accompagnando le mie parole con un occhiolino.
Spostò del tutto le mani dal viso e le appoggiò sul ventre.
Aveva il volto chiazzato di rosso e le orecchie parevano incandescenti rispetto
al biondo pallido di capelli.
Un dolce sorriso le comparve sulle labbra: «Ieri sera Blaise stava male, così
l'ho aiutato come potevo. Temevo di aver esagerato con le attenzioni, dato che
questa mattina era tornato freddo e distante, ma educato, come suo solito. Ora
invece ho avuto la conferma che, qualsiasi cosa stia succedendo tra di noi, la sente anche lui.»
Il mio sorriso ad ogni sua parola, sembrava allargarsi sempre di
più: «Quindi ti piace?»
«Come può non piacermi? È simpatico, divertente, educato e
dolce... Per non parlare del fatto che non mi prende in giro come tutti gli
altri quando parlo di cose che comunemente le persone normali non
percepiscono... So che anche tu a volte pensi che io sia pazza».
Volevo interromperla, dicendole che non era affatto vero, ma lei
aveva già alzato la mano per zittirmi.
«Ma va bene... In fondo so di non essere propriamente normale
solitamente, eppure lui mi fa sentire bene; quando parlo mi ascolta e quando
gli dico cose che lui non conosce, non cambia discorso, ma mi chiede
spiegazioni...»
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, lei probabilmente
persa nel ricordo della sera precedente, mentre io cercavo le parole giuste per
dirle che non la consideravo affatto pazza. Strana, forse, ma in fondo non
avrebbe avuto senso vivere in un mondo magico normale e monotono.
Volevo bene a Luna proprio perché riusciva a dire cose che nessuno
si sarebbe aspettato di sentir dire...
«Questa notte ho sognato di baciarlo e ora ho paura che ciò si
avveri», mormorò abbassando il viso, in modo da coprirsi i lineamenti con i
lunghi capelli biondi.
«Perché hai paura? Hai detto che ti piace, no?», chiesi,
cercando di capire quale fosse il problema.
«Sì, ma ieri sera abbiamo parlato e mi ha raccontato della sua
ex ragazza e del fatto che gli ha spezzato il cuore. Non voglio essere una
distrazione, vorrei che mi baciasse perché gli piaccio a mia volta e non per
ripicca nei confronti di quell'altra ragazza... Capisci?», chiese, tornando a
guardarmi.
«Sì, capisco», mormorai, fissando la porta della stanza a pochi
passi da noi, chiedendomi se Malfoy avesse mai amato qualcun'altra.
«Cosa voleva la Greengrass?», chiese Luna, nell'impacciato
tentativo di cambiare discorso.
«È convinta che io abbia fatto un incantesimo o rifilato una
pozione d'amore a Malfoy, assurdo!», dissi, scuotendo il capo per sottolineare
il mio ancora vivo stupore per l'accaduto.
«Davvero? Ed è per questo che ti puntava contro la bacchetta?»,
domandò allibita: «Certo che i Serpeverde sono esagerati, a volte».
Ci sorridemmo e calò nuovamente il silenzio nella stanza.
Dopo pochi secondi decisi di portare la conversazione sugli
Horcrux, sperando che Luna fosse in grado di aiutarmi.
«Tu sai qualcosa a proposito del diadema di Priscilla
Corvonero?»
Aggrottò appena le sopracciglia: «So quello che la maggior parte
delle persone normalmente sa; cioè che è andato perduto e nessun essere vivente
conosce la sua attuale collocazione… Vorrei poterti dire di più, ma non credo
di essere la persona più adatta...»
Annuii appena alle sue parole, rendendomi tristemente conto di
essere al punto di partenza.
«Come mai ti serve il diadema, Hermione?», domandò, mettendosi a
gambe incrociate sul letto accanto a me, dondolando appena avanti e indietro,
come se stesse seguendo il ritmo di una silenziosa canzone.
«Il diadema è uno degli Horcrux», le spiegai, copiando la sua
posizione così da essere faccia a faccia.
Spalancò appena gli occhi, annuendo: «Forse c'è qualcuno che
potrebbe sapere qualcosa in più rispetto a quel poco che ti ho detto, ma è
molto difficile parlare con lei...»
Afferrai il suo braccio, stringendolo appena tra le mie dita:
«Chi?»
Luna sospirò: «Come ti ho detto non è un essere vivente...»
Stavo per chiederle chiarificazioni, quando capii immediatamente
a chi si riferisse: «La Dama Grigia».
Lei annuì: «Solitamente quando sono triste o pensierosa vado a
trovarla e le parlo. Lei è molto timida con le persone che non conosce…»
«Grazie, Luna», le dissi, lasciando la presa sul suo braccio: «È
comunque un passo avanti».
«Credi che potrei andare io a parlarle?»
«Non penso che Draco e Zabini saranno entusiasti della tua
proposta, ma devo ammettere di essere stanca di queste quattro mura, ho bisogno
di uscire e capisco il tuo desiderio di evadere!», sospirai, lasciandomi cadere sulla schiena, in modo da fissare il
soffitto, sconsolata.
«Hai avuto altre notizie da Harry?», chiese Luna, guardando
verso il comodino di Malfoy, dove il galeone incantato non aveva ancora dato
segni di vita dall'ultima volta che era stato usato.
Scossi la testa: «Dopo manderò loro un messaggio per far sapere
che sappiamo quali sono alcuni degli Horcrux, sperando che anche loro abbiano
scoperto qualcosa di nuovo...»
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, prima che mi venisse
in mente l'altra domanda che volevo porgerle: «Conosci la leggenda de "I Doni della Morte"?»
Luna mi sorrise: «È una delle "Fiabe di Beda il Bardo"
che più mi hanno letto da piccola.»
Aveva il viso illuminato da una luce nuova, come se con le mie
parole avessi avuto il potere di accendere un interruttore dentro di lei.
«Mio padre crede fermamente nell'esistenza del mantello, la
pietra e la bacchetta donati dalla morte e penso che mi abbia trasmesso un po'
della sua fissazione… Perché me lo chiedi?»
«Draco mi ha riferito che Tu Sai Chi è alla ricerca della
bacchetta di Sambuco e che con essa vuole sconfiggere Harry».
Rimanemmo nuovamente in silenzio per qualche secondo, prima che Luna lo interrompesse, tornando al discorso precedente: «Una volta trovato l'Horcrux sapresti come distruggerlo?»
Le sue parole mi fecero capire quanto disorganizzata fosse la
nostra missione.
Luna aveva sollevato una questione che prima non mi aveva nemmeno sfiorato la
mente, anche se sarebbe stato meglio che l'avesse fatto.
Come distruggerli? Aveva funzionato il veleno di Basilisco il secondo anno e
per l'anello ed il diadema era stata usata la spada di Grifondoro, che ora
aveva Harry.
L'unica nostra possibilità era quella di scendere nuovamente
nella Camera dei Segreti e recuperare una delle zanne di Basilisco.
Prima però dovevamo trovare l'Horcrux...
«Al momento l'unica soluzione che mi viene in mente è il veleno
di Basilisco».
Luna annuì piano, passandosi una mano tra i lunghi capelli
biondi.
«La guerra mi fa paura», sussurrò.
Stavo per dirle che era normale, che tutti hanno paura della
morte e non bisogna vergognarsi, ma lei tornò a parlare prima che io potessi
rassicurarla.
«Il punto è che non ho paura per me, ma per qualcun altro… Mi
capisci, vero?», la sua voce era a malapena udibile.
Sospirai: «Sì, Luna, ti capisco».
Pensai a Draco e al fatto che non volevo perderlo ancora.
Stavamo insieme da così poco e volevo imparare, con il tempo, a conoscerlo
sempre di più.
Volevo alzarmi ogni giorno a trovarlo addormentato accanto a me, volevo
addormentarmi ogni sera col suo viso ad un palmo dal mio, volevo vivere con la
certezza di averci almeno provato.
Se la guerra me l'avesse portato via avrei vissuto nei rimpianti, nei
"se" e "forse", perdendo il contatto con il mondo reale;
vivendo di sogni e ricordi…
«Quanto vorrei che tutto finisse presto», dissi, per colmare
l'improvviso silenzio: «anche se ho paura di come finirà…»
«Staranno via tutto il giorno?», chiese Luna, lanciando uno
sguardo veloce alla porta della stanza.
«Non lo so», ammisi, sorridendole appena.
Forse era per la situazione critica in cui ci trovavamo, o a causa di tutti i
tristi pensieri che mi affollavano la mente, ma in quel momento avrei voluto
avere Draco accanto, per accertarmi che andasse tutto bene e che fosse sano e
salvo…
"Basta!", pensai: "Basta pensare sempre a lui!"
Ma per quanto me lo ripetessi non riuscivo a non preoccuparmi.
***
Nel giro di due ore riuscimmo, Luna ed io, ad analizzare ogni
possibile scenario e scrivere numerosi appunti su una pergamena che avevo
trovato sulla scrivania di Draco.
Una delle domande che ancora rimaneva priva di risposta era: "Come fare a
liberare Hogwarts?"
Iniziare una guerra in così pochi era una pazzia, ma trovare il
modo di far entrare i membri dell'Ordine, i professori e i ragazzi che erano
riusciti a fuggire dalla scuola non era un giochetto da ragazzi…
Forse però con l'aiuto di Draco saremmo riusciti ad inventarci qualcosa.
Un altro dei problemi irrisolti consisteva nel doversi procurare una zanna di
Basilisco, dato che nessuno di noi conosceva il serpentese, necessario per
entrare nella Camera dei Segreti. Luna però mi rassicurò di aver visto in
biblioteca un libro che parlava di questa rara lingua e magari Draco avrebbe
potuto procurarcelo.
Inoltre bisognava organizzare il colloquio con la Dama Grigia
per poter avere qualche informazione in più a proposito del diadema e, anche se
Luna sperava di poterle parlare lei stessa, io temevo che né Draco né Zabini
avrebbero approvato la sua proposta di interrogare da sola il fantasma.
Per non parlare del fatto che io ancora non avevo una bacchetta e Luna non
sapeva dove la sua fosse finita…
Troppi problemi da risolvere e poche persone per occuparsi di tutto!
Stavo giusto appuntando sulla pergamena il problema delle
bacchette, quando bussarono alla porta.
Quel suono mi fece gelare il sangue nelle vene per un terribile secondo: mille
pensieri mi attraversano la mente e, solo con l'entrata in circolo
dell'adrenalina riuscii a muovermi.
Afferrai la pergamena e la piuma con una mano e il braccio di Luna con l'altra.
Subito pensai di nasconderci nell'armadio, ma ricordai che era organizzato a
ripiani e sarebbe stato quindi impossibile nascondervisi all'interno.
Sotto il letto anche non sembrava un'opzione molto sicura, così
optai per il bagno, ringraziando col cuore le tende della doccia, dietro le
quali nascosi Luna, la pergamena e la penna, mentre io mi accovacciai
all'altezza della serratura per sbirciare i movimenti nella camera da letto.
Sapevo che la porta della stanza era stata chiusa a chiave quando Zabini se
n'era andato, ma sapevo altrettanto bene che un semplice "Alohomora"
sarebbe bastato per aprirla come se nulla fosse.
«Draco?», chiamò una voce femminile, prima che la porta si
aprisse.
Tutto quello che riuscii a vedere fu un lungo abito scuro e parte di un viso
sconosciuto, prima che la donna si spostasse, avvicinandosi al letto, dove si
sedette dandomi le spalle.
Sembrava che stesse studiando l'ambiente senza guardare nulla in particolare.
Non avevo idea di cosa potessi fare, a parte continuare a tenere d'occhio la
figura che, malgrado appartenesse ad una persona sconosciuta, mi sembrava
vagamente familiare.
La donna si voltò soltanto una volta verso la porta del bagno,
giusto i due secondi necessari per permettermi di vedere i suoi lineamenti
delicati e le labbra rosate, poi era tornata nuovamente ad osservare l'ingresso
della camera.
Inizialmente rimase immobile, poi sembrò diventare sempre più
impaziente, mostrando la sua irrequietezza col movimento nervoso del piede, che
si alzava e sollevava sempre più velocemente.
Distolsi lo sguardo solo per lanciare una veloce occhiata a Luna, che mi stava
silenziosamente fissando, mentre torturava con le dita il bordo della maglietta
che indossava.
L'oggetto più pericolosa nella stanza in cui mi trovavo era lo shampoo che, se
usato correttamente sarebbe stato utile quanto uno spray al peperoncino
babbano.
Sperai però di non doverlo usare e che la donna se ne andasse e basta.
Quando la paura scemò dal mio corpo, sostituita dalla ferma determinazione di
proteggere Luna e me stessa, cominciai a chiedermi chi potesse essere quella
donna.
Ovviamente era una seguace del Signore Oscuro e ovviamente conosceva Malfoy
abbastanza bene da chiamarlo per nome.
Poteva essere un'amica della zia, oppure della madre... o la madre stessa.
Osservai con attenzione la figura sottile ed elegante della donna e i riccioli
biondi che sfuggivano dalla rigida acconciatura, convincendomi sempre di più di
avere davanti Narcissa Black in Malfoy in persona.
«Pensa di esser stata abbastanza in bagno, signorina Granger?»
Ripensai alle parole di Draco e al fatto che avesse parlato coi
suoi genitori del mio salvataggio e un brivido freddo mi attraversò la schiena.
Narcissa Malfoy era lì per parlare con me?
Chissà perché, ma all'improvviso desideravo ardentemente avere con me il
mantello dell'invisibilità di Harry, o, molto più semplicemente, essere
dall'altra parte del mondo rispetto alla madre di Draco
Non mi sentivo pronta per un confronto con lei, eppure da brava
Grifondoro ero pronta ad ascoltare tutto quello che mi avrebbe detto.
Rassicurai Luna con un gesto veloce, suggerendole di rimanere nascosta e mi
sollevai in piedi, pronta ad affrontare la madre del ragazzo di cui ero
innamorata.
****************************************************************************************
Ciao :D
Eccoci giunte alla fine di un altro capitolo...
Non succede molto... Daphne dice a Hermione di non spezzare il
cuore a Draco, altrimenti poi se la vedrà con lei, Luna confessa i suoi sentimenti
per Blaise, che sembra ricambiare (ma sarà davvero così??), Hermione e Luna
cercano una soluzione ai mille problemi che hanno da affrontare e Narcissa
decide di andare a trovare Hermione... chissà perché... xD
Ma questo lo scopriremo nel prossimo capitolo, che cercherò di
postare domenica prossima o, al più tardi, lunedì.
Bene, vorrei infine ringraziare: kasumi_89, simmy_me,
ladyathena, mangiolina e Voglio volare_ per aver recensito il capitolo
precedente (tra l’altro vi devo ancora rispondere, ma vedrò di farlo al più
presto, abbiate fede!)
Spero che vogliate lasciarmi una veloce recensione per dirmi che
ne pensate della storia e del capitolo, se avete qualche suggerimento o qualche
idea su quale sia il motivo che ha spinto Narcissa a fare visita alla nostra
giovane Grifondoro o qualsiasi altra cosa vogliate farmi sapere, io sono qua e
anche se non rispondo subitissimo, fidatevi che prima o poi lo faccio! ;D
Auf Wiedersehen! ^.^
LazySoul
|
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Capitolo 16 *** Interrogatory ***
cap_16
16. Interrogatory
Dopo
mezz'ora di colloquio con Severus Piton nel suo studio, dove ripetei il mio
desiderio di diventare medimago e la volontà di impegnarmi seriamente, uscii
dalla porta con i mano una mezza dozzina di volumi che il professore di pozioni
mi consigliava di studiare attentamente.
Non
era intenzionato a dare loro un'occhiata prima di sera, dato che doveva ancora
vedermi con Blaise e poi con i miei genitori, quindi rimpicciolii i tomi con un
semplice incantesimo e li riposi in tasca.
Ero
piuttosto soddisfatto di ciò che mi aveva detto Piton a proposito della mia
naturale predisposizione nei confronti degli studi pozionistici e speravo che
sperai che dopo un po' di impegno e molto studio, di ottenere il titolo di
medimago che tanto agognavo.
Quando
ne avevo parlato con Hermione poco prima e lei mi aveva detto che aveva
intenzione di trovare un noioso lavoro al Ministero come impiegata, all'inizio
non ci avevo creduto. Da lei mi sarei aspettato un desiderio diverso,
considerando la sua bravura nel parare il sedere ai suoi due amici e la sua
conoscenza eccezionale per qualsiasi cosa, avevo temuto che mi dicesse di voler
intraprendere la carriera di Auror.
Stranamente
ero rassicurato da ciò che aveva detto, forse perché in questo modo la sua vita
non sarebbe stato sul filo del rasoio ogni singolo giorno per combattere i
cattivi…
Che
strano pensare a certe cose quando si è parte dei cattivi…
Non
potei fare a meno di immaginare un possibile scenario futuro: lei che tornava a
casa dopo una noiosa giornata spesa dietro una scrivania, io che la raggiungevo
a casa nostra poco dopo, raccontandole della stressante giornata al San Mungo.
Poi avremmo mangiato cena insieme, parlando dei piani per il week end, per
esempio andare a fare un picnic, o visitare qualche cittadina magica. Dopo cena
avrei allungato la mano per stringere la sua e invitarla ad andare in camera da
letto, dove l'avrei spogliata piano e fatto l'amore con lei, a meno che a cena
non avessimo litigato; in tal caso avremo risolto tutto con del sesso
riparatore in cucina, probabilmente sul tavolo ancora apparecchiato, per poi
andare a dormire ridendo della nostra impulsività adolescenziale.
Era
buffo riuscire ad immaginare ogni cosa e sapere che sarebbe potuta essere la
realtà nel giro di qualche anno.
Strinse
la bacchetta tra le dita,
sentendo
dei passi avvicinarsi, e mi voltai per vedere chi avesse interrotto i miei
sogni ad occhi aperti.
Mia
zia, Bellatrix Lestrange, camminava cinque passi dietro di me, sfoggiando il
suo solito sorriso la pazza furiosa.
Indossava
uno dei suoi tanti abiti neri, stretti e scollati mentre i capelli erano
sciolti ed aggrovigliati in ricci che apparivano come cespugli di rovi che
ricadevano lungo la sua schiena.
«Nipote»,
mi chiamò con la sua vocetta stridula e fastidiosa, avvicinandosi a me, tanto
da afferrarmi il braccio: «Sei occupato?»
Pensai
di mentirle per togliermela dei piedi e poter raggiungere Blaise, per
chiedergli se fossi riuscito senza problemi a portare Luna da Hermione.
Alla
fine però optai per la verità: « nulla che non può essere prorogato», dissi,
sorridendole come potei, e di sicuro il mio non fu un gran sorriso.
«Perfetto,
perché vorrei che tu mi aiutassi ad interrogare un tuo vecchio professore
recentemente ritrovato da Greyback... Forse ne sa qualcosa a proposito di Potter
e del suo nascondiglio segreto!», il tono esaltato della sua vocetta mi fece
drizzare i peli delle braccia e chiesi a Merlino perché mia zia avesse dovuto
incontrare proprio me e non qualcun altro.
«Certo,
zia», le dissi, chiedendomi a chi si riferisse, anche se, a pensarci bene,
forse aveva un'idea su chi fosse lo sfortunato a cui si riferiva.
Seguii
Bellatrix Lestrange lungo numerosi corridoi dei sotterranei, prima di entrare
nella sua personale sala delle torture.
Seduto
su una sedia, legato da alcune corde incantate, c'era proprio colui che mi ha
aspettato di vedere: Horace Lumacorno, con una stupida espressione spaventata
sul viso.
Mia
zia ed io non indossavamo le consuete maschere da Mangiamorte e potei vedere
negli occhi del prigioniero che aveva riconosciuto entrambi.
Avrei
voluto dire a Bellatrix Lestrange che da quel misero individuo non avrebbe
ricavato nulla di interessante che potesse usare contro Potter, ma perché
essere io la causa della sua collera o fastidio? Era meglio che lo scoprissi da
sola e se la prendesse poi col professore.
Probabilmente
Hermione non sarebbe stata fiera di certi pensieri, ma in fondo era stata lei a
dirmi di non mettermi inutilmente in pericolo, e io stavo semplicemente
seguendo il suo suggerimento.
«Inizio
io, Draco, ti dispiace?»
Rimasi
stupito dalla sua domanda, chiedendomi se stesse scherzando. Pensava davvero
che avrei voluto iniziare io l'interrogatorio?
Feci
un semplice gesto con la testa, per farle capire che aveva il via libera.
Il
sorriso di mia zia si allargò ulteriormente: «Professor Lumacorno, da quanto
tempo che non ci si vede... Si ricorda di me?»
Spostai
lo sguardo da Bellatrix al prigioniero, che deglutiva rumorosamente mentre
rivoli di sudore scivolavano lungo le sue tempie e il collo.
«Certo,
s-signorina Black... Oh! Volevo,
volevo dire signora Lestrange».
La
voce del professor Lumacorno non mi era mai sembrata tanto spaventata e
stridula. Non riuscivo a provare altro che disprezzo per quell'uomo, anche se
sapevo di non essere molto più coraggioso di lui. Probabilmente in una
situazione simile non sarei riuscito nemmeno a spiccicare parola per il
terrore, perché, diciamocelo, mia zia non si potrebbe proprio definire una
persona rassicurante...
«Sa,
professore, ricordo chiaramente che il mio primo anno ad Hogwarts lei mi ha
messo in punizione per aver copiato il compito di un mio compagno di classe»,
la voce di mia zia sembrava calma, quel tipo di calma che solitamente precede
la tempesta.
Gli
occhietti acquosi del professore sembravano enormi, rispetto al solito e non
lasciavano il viso apparentemente sereno di mia zia.
«Si
ricorda?», domandò Bellatrix Lestrange, passandosi una mano tra i capelli
ribelli con nonchalance.
«R-ricordo,
sì», mormorò con un filo di voce l'uomo.
«E
non è minimamente pentito?», chiese mia zia, avvicinandosi lentamente al
professore, che ora aveva l'aspetto di un topolino con le spalle al muro.
«Io...»,
iniziò il prigioniero, prima di deglutire rumorosamente ancora una volta:
«C-certo, sono mo-molto pentito».
Più
che una risposta la sua sembrava un'altra domanda, ma mia zia non sembrò
notarlo e sorrise, mostrando i denti gialli e poco curati, tipici di coloro che
hanno passato anni della loro vita ad Azkaban.
«Mi
fa piacere sentirglielo dire».
Nella
stanza calò un silenzio di tomba, interrotto soltanto dal deglutire del
professore e il rumore dei tacchi contro il pavimento, ad ogni passo di
Bellatrix Lestrange verso il prigioniero.
«Ora,
sarebbe così gentile da dirmi il nascondiglio di Potter?»
Aggrottai
le sopracciglia; mia zia, la temuta pluriomicida, Bellatrix Lestrange, aveva
appena chiesto cortesemente qualcosa?
Ero
per caso finito in un altro universo? Un universo parallelo dove tutto era il
contrario di tutto?
«Io...
Io non l-lo so...», balbettò Horace Lumacorno, con un'espressione allibita. Mi
chiesi se fosse stupito per il comportamento umano di mia zia o magari
per il fatto che Bellatrix Lestrange gli avesse posto proprio l'unica domanda a
cui mai avrebbe saputo rispondere...
«Peccato...»,
sussurrò mia zia, girando intorno al prigioniero, come un predatore che
intimorisce ulteriormente la preda senza via di scampo: «Crucio!»
Un
lampo di luce colpì il corpo flaccido dell'uomo, che cominciò a contorcersi e a
chiedere pietà.
Le
urla erano atroci, tanto da farmi sentire in colpa; non avevo mai amato quel
professore, ma in quel momento avrei voluto con tutto me stesso fare qualcosa
per aiutarlo, anche se non potevo. Se mi fossi mosso in soccorso di quell'uomo
la mia copertura sarebbe saltata e non avrei potuto salvare Hermione...
Hermione,
chissà se stava bene. Starle lontano mi metteva sempre in ansia, anche se in
effetti non la vedevo da quanto? Un'oretta?
Merlino,
sembravano secoli...
Ad
un certo punto, non saprei dire quanto tempo fosse passato, Bellatrix Lestrange
iniziò a ridere, poi sciolse l'incantesimo.
Il
professore Lumacorno era senza fiato e continuava ad avere un'espressione di
totale sofferenza in viso.
«Ora,
le è per caso venuto in mente qualcosa che potrebbe essere utile alla
sottoscritta per scovare Potter e i suoi amichetti?», chiese mia zia, con un
tono di voce aspro e sprezzante: «Non vorrà per caso fare la fine di alcuni dei
suoi studenti, troppo orgogliosi per rispondere a delle semplici domande...»
A
quelle parole non potei fare a meno di stringere con forza i denti e
assottigliare lo sguardo. Era ovvio che si stesse riferendo a Hermione e Luna
ed il pensiero che la mia ragazza fosse stata torturata in quella stessa stanza
per giorni non era affatto piacevole.
«Studenti?
C-che studenti?», questa volta la voce di Horace Lumacorno era a malapena
udibile.
«Luna
Lovegood, Colin Canon ed Hermione Granger, per esempio...»
Aggrottai
le sopracciglia: Colin Canon? Non sapevo fosse stato rinchiuso anche quel
ragazzino strambo che faceva foto a destra e a manca, altrimenti...
No,
probabilmente non ci sarebbe stato nessun altrimenti... Cosa avrei potuto fare?
Era già strano che Luna ed Hermione fossero "morte" lo stesso
giorno... Per lui non avrei potuto fare molto...
«La
Granger!», esclamò con un filo di voce Lumacorno, scuotendo sconsolato il capo.
«Era
solo una sporca Mezzosangue, professore, nessuna grande perdita», ribatté mia
zia, sorridendo da orecchio a orecchio.
Vidi
negli occhi di Horace Lumacorno una tristezza che mi lasciò basito.
«Era
una grande studentessa, la migliore del suo corso... », gli occhi del
professore si puntarono nei miei, trasmettendomi con chiarezza quanto gli dessi
ribrezzo.
Avrei
voluto dirgli che il sentimento era reciproco, ma mi trattenni, dimostrandomi
superiore a quello sguardo che sembrava volermi dare la colpa di tutto quanto
era accaduto, compresa la "scomparsa" di Hermione.
«Sì,
si risparmi le lodi», disse seccata mia zia, puntando nuovamente la bacchetta
contro il prigioniero: «Legilimens!»
Il
professore sbarrò gli occhi e poi li chiuse di scatto.
Percepivo
che tra mia zia e il prigioniero era in corso una vera e propria lotta mentale
e mi chiesi chi stesse avendo la meglio e cosa Bellatrix sarebbe riuscita a
scoprire dai pensieri di Lumacorno.
Dopo
un paio di minuti vidi mia zia chiudere gli occhi e fare una terribile smorfia.
Studiando
attentamente i suoi lineamenti notai come fosse più pallida del solito e
sembrava avere anche un tic al naso, che storceva ogni quattro secondi.
«Bene,
bene, bene... Quindi Potter sa...», sussurrò mia zia, con un tono di voce
aspro.
Anche
Lumacorno era pallido e sembrava pure deluso, probabilmente pensava di riuscire
a gestire meglio una sua ex alunna...
«Sì»,
disse Lumacorno: «Harry sta cercando gli Horcrux».
A
quelle parole diventai all'improvviso molto più attento alla conversazione.
«Grazie
per l'aiuto, professore, la farò chiamare se avrò ancora bisogno di lei...»,
disse mia zia, mentre si dirigeva con fare pensoso verso la sua scrivania,
giocherellando con la bacchetta: «Ah, Draco, ti dispiacerebbe andare da tuo
padre e dirgli che ho bisogno di parlargli?»
Ero
deluso dal fatto che non avessero detto nulla d'interessante, ma cercai di non
lasciare trapelare nulla e annuii: «Certo, zia».
Uscii
dalla stanza con uno strano peso sul cuore, forse causato dall'apprensione che,
malgrado l'antipatia, provavo nei confronti di Lumacorno.
Mi
incamminai verso le stanze dei miei genitori, dove speravo di trovarli più
sereni rispetto al giorno precedente, salutando gli altri Mangiamorte che
incontravo lungo la strada.
Ero
quasi arrivato, quando qualcuno mi afferrò il braccio e mi fece entrare in uno
dei tanti ripostigli per le scope della scuola.
Appena
mi voltai, riconobbi Blaise.
«Amico,
dove diavolo eri finito? Dovevamo incontrarci più di quaranta minuti fa! Hai
idea di quanto mi sono preoccupato?», esclamò in un soffio di voce, per evitare
che da fuori ci sentissero.
«Mi
dispiace, ma ho incontrato per strada mia zia, che mi ha chiesto di
accompagnarla... Sai com'è Bellatrix Lestrange... Se vuoi sopravvivere
tendenzialmente non le dici di no, sempre che tu tenga alla tua vita,
ovviamente...», dissi, appoggiandomi ad una delle pareti, sospirando.
Blaise
annuì: «Va bene, sei perdonato».
«Luna
l'hai portata da Hermione?», gli chiesi.
«Sì...
Ah, a proposito, quando siamo arrivati in camera tua c'era Daphne che
minacciava la tua ragazza con la bacchetta... Pensavo che avresti voluto
saperlo...», disse Blaise, con tono casuale, come se stesse parlando del tempo
o dei compiti assegnati dalla McGranitt per il week end.
«Cosa?!»,
esclamai, staccandomi di colpo dalla parete ed allungando la mano verso la
maniglia della porta.
Avrei
trovato Daphne e le avrei parlato chiaramente, dicendole che non si
doveva permettere mai più di trattare a quel modo Hermione, altrimenti...
Blaise
mi fermò, appoggiandomi una mano sulla spalla: «Hey, Draco, rilassati! Hai
tutto il tempo del mondo per prendere Daphne a calci, ora ho bisogno di
chiederti una cosa», fece una breve pausa per accertarsi di avere la mia
attenzione, poi proseguì: «Quando vuoi portarti a letto una ragazza con la
quale non vuoi impegnarti, anche se lei è la tipica brava ragazza che non la dà
via per nulla, come fai?»
Ero
distratto da altri pensieri, ma capii subito a cosa alludesse e non potei non
sbarrare gli occhi per la meraviglia: «Vuoi portarti a letto la Lovegood?!»
Blaise
fece una strana smorfia: «Non è quello che ho detto io, ma fingiamo che sia
vero... Cosa mi consiglieresti?»
Ero
sconvolto, no di più: ero basito e non riuscivo a spiccicare parola.
«E
per quale motivo sei all'improvviso interessato alla piccola e stramba Luna
Lovegood? Cos'è successo?»
Sembrava
si sentisse a disagio e non la smetteva di mordersi il labbro inferiore.
Restammo
per un po' in silenzio, io in attesa che lui parlasse e lui concentrato mentre
pensava ad una risposta.
«Il
fatto è che mi piace! No, non è vero! Non mi piace poi tanto... Solo che...
Insomma lei è così... L'altro giorno sono entrato in bagno e lei era in
biancheria intima e... Merlino! Non faccio altro che pensare a lei e a quanto
era bella e... Per non parlare del suo sorriso!»
Mi
confondevo sempre di più, a mano a mano che andava avanti con quel suo discorso
sconclusionato, e, nel profondo dentro di me, sapevo che il mio amico era
spacciato. Non gli avevo mai visto gli occhi brillare così tanto, neanche
quando stava insieme a Soledad.
«Il
fatto è che... Ho paura di non piacerle in quel senso, temo che non voglia
quello che voglio io...»
«E
tu cosa vuoi?», lo interruppi, sperando che non dicesse: "Portarmela a
letto", altrimenti ce ne sarebbe voluto di tempo per fargli capire che in
realtà era innamorato!
«Voglio
stringerla», sussurrò, guardandomi in modo strano: «Vorrei abbracciarla e
baciarla e sentirla ridere e...»
«Proteggerla»,
gli suggerii e lui sorrise: «Sì! Proteggerla! Lei è così piccola e fragile
e...»
«Dolce?»,
chiesi, sapendo già di ottenere una risposta positiva.
«Esatto!»,
esclamò, mentre gesticolava come un pazzo: «E poi ieri sera! Ieri sera avevo
mal di testa e lei era così premurosa, gentile... Le ho parlato di Soledad e
faceva male, ma meno... Non so come spiegarlo, ma lei è diversa».
Sorrisi:
«Amico, benvenuto nel club delle persone innamorate», gli dissi allungando la
mano, invitandolo a stringerla.
Non
ottenni però il risultato sperato, dato che la sua espressione cambiò
repentinamente: «Non sono innamorato».
Sospirai
e gli diedi una pacca sulla spalla: «Che strano, non avrei mai pensato che si
sarebbero invertiti i ruoli, eppure eccoci qua», gli dissi, facendo comparire
sul suo viso una smorfia infastidita: «Un tempo, anni fa, mi dissi che dovevo
agire, dovevo dire alla ragazza che mi piaceva ciò che provavo, invitarla al
ballo e fregarmene di tutto e di tutti. Io ti ho dato ascolto dopo anni e spero
che tu non sia lento quanto me nell'ammettere la sconfitta. Ora inizierà il
periodo del rifiuto, dove tu penserai di volere solo del buon sesso e
nient'altro, ma presto o tardi, capirai che avevo ragione e che sei
perdutamente innamorato, o comunque sulla via per esserlo, e verrai con la coda
tra le gambe a dirmi che avevo ragione».
Blaise
sembrava furioso e mi guardava come se mi volesse uccidere con un'occhiata,
provò a parlare ancora, ma io lo interruppi, sollevando la mano: «No, non
ringraziarmi, amico. Ora, se non ti dispiace devo andare da mio padre a
riferirgli un messaggio di mia zia. Tu intanto pensa a quello che ho detto. A
dopo!»
Non
gli lasciai il tempo di dire altro e uscii dallo stanzino delle scope,
dirigendomi con passo spedito verso le stanze dei miei genitori.
Trovai
nel piccolo salotto improvvisato solo mio padre, che beveva da un calice ormai
mezzo vuoto.
«Padre,
Bellatrix Lestrange mi ha detto di riferirti che vuole parlarti al più presto
nelle sue stanze».
L’uomo
sussultò appena e mi lanciò uno sguardo indagatore: «Ti ha detto il motivo?»
«Ha
interrogato il professore Horace Lumacorno che sapeva degli Horcrux e ne aveva
parlato ad Harry Potter, penso che ti voglia parlare di questo», gli risposi,
appoggiandomi ad una delle poltroncine nella stanza.
«Va
bene, grazie figliolo», si alzò in piedi e fece per uscire, quando lo bloccai,
appoggiando la mano sul suo braccio: «Dov’è mia madre?»
«Non
saprei. Ha detto che aveva bisogno di pensare ed è scomparsa», mi rispose, con
una nota d’ilarità nella voce: «Quando t’innamorerai figliolo imparerai a non
fare caso a certe stranezze...», disse, prima di uscire dalla porta,
lasciandomi solo.
Sorrisi
alle parole di mio padre, chiedendomi che espressione avrebbe fatto una volta
che gli avessi confidato il nome della donna che avevo intenzione di
sposare.
Erano
passate poco più di due ore da quando avevo lasciato sola Hermione e volevo
andare ad assicurarmi che stesse bene e che Daphne non le avesse fatto male o
l’avesse offesa in qualche modo.
Scendendo
nei sotterranei non potevo fare a meno di pensare a quello che Blaise mi aveva
detto e alla situazione assurda in cui ci trovavamo.
Non
avrei mai pensato che Blaise finisse nella stessa trappola in cui ero finito io
stesso anni prima e, malgrado la serietà della situazione, non potevo fare a
meno di sorridere.
Perso
nei miei pensieri andai a sbattere contro una persona, mi girai per vedere chi
fossi e mi ritrovai di fronte la mia migliore amica.
«Daphne!»,
esclamai, afferrandole il braccio e trascinandomela dietro, verso i nostri
dormitori: «Guarda te che fortuna! Stavo giusto cercando te!»
Vidi
chiaramente spuntare sul suo viso un'espressione preoccupata, che ben si
abbinava con la mia rabbia non poi tanto celata.
«Hey,
Draco», disse lei, con un tono di voce flebile: «Come va?»
Le
lanciai un'occhiata assassina, mentre lei provava a liberarsi dalla mia stretta
sul suo braccio.
«Dobbiamo
parlare, Daphne, del tuo comportamento», le dissi, spintonandola poco
garbatamente all'interno dei dormitori, dove non c'era nessuno: «Forse pensavo
che fosse ovvio, ed è per questo che non te ne ho parlato prima, ma gradirei
che tu non minacciassi la mia ragazza, soprattutto ora che è ancora debole e
priva di bacchetta. Puoi sfidarla a duello quando poi sarà in grado di mandarti
col sedere per aria, chiaro?»
Daphne
fece una smorfia e distolse lo sguardo per qualche secondo, poi tornò a
guardarmi: «Volevo solo accertarmi che non ti stesse prendendo in giro», disse
con tono pacato: «Scusa se ero preoccupata»
Sorrisi:
«Eri? Ora non lo sei più? Ah, scuse accettate comunque».
Lei
mi fece una linguaccia: «Sì, non lo sono più e sai perché?»
Storsi
il naso, cercando di imitare la sua espressione impertinente: «No, perché?»
«Perché
ho avuto la prova che anche lei è pazza di te quanto tu lo sei di lei...»
Sorrisi
e le baciai la fronte: «E la mia parola non ti bastava?», le scompigliai i
capelli e lasciai il suo braccio.
«No,
volevo esserne sicura», ribatté, facendomi la linguaccia.
Il
rapporto che avevo con Daphne era diverso rispetto a quello che avevo con
Blaise, forse perché con lei avevo passato la mia infanzia, mentre con Zabini
avevamo riallacciato i rapporti solo al terzo anno di scuola.
Ero
comunque affezionato ad entrambi e volevo il meglio per loro.
«Ti
consiglio di andare a cercare Blaise, ha problemi di cuore», le dissi,
sorridendo.
«Pensa
ancora a quella troia spagnola?», chiede Daphne, con un tono indignato: «Vado a
tirargli un paio di calci nel sedere per farlo rinsavire».
Stava
per andarsene quando si voltò ancora una volta: «Ah, comunque, volevo dirti che
la Granger ha un corpo che merita», mi fece l'occhiolino e scomparve oltre il
ritratto della sala comune di Serpeverde, lasciandomi solo.
Sorrisi
alle sue parole e mi diressi con passo spedito verso la mia camera da letto.
Non
bussai prima di entrare, anche perché in fondo quella era la mia stanza e
sorrisi alla vista di Hermione che, seduta sul mio letto stava chiacchierando
con Luna.
Sorrisi:
«Hey, ragaz...», il mio saluto rimase sospeso, mentre sbarravo gli occhi,
rendendomi conto che quella non era affatto la Lovegood.
«Madre?»,
chiesi, sconvolto, fissando i miei occhi su entrambe le donne nella stanza.
Oh,
Merlino, quella sì che era una situazione che avrei voluto rimandare di almeno
mezzo decennio.
**********************************************************************************************************************
Hola, ¿qué tal? :)
Vi rendete conto che questa è la seconda volta in un mese che
riesco ad aggiornare puntualmente?! :O
Non c’è altra scelta, vi tocca farmi una statua xD
Dunque, dunque... so che molti si aspettavano una bella
chiacchierata tra Narcissa Malfoy ed Hermione Granger, e invece, per punirvi
dei pochi commenti, ho deciso di raccontarvi la giornata di Malfoy ;P
No, sto scherzando! Semplicemente era importante la scena con
Lumacorno, perché quello che Bellatrix dirà a Lucius sarà fondamentale tra
poco... Quindi tenete a mente che i due hanno avuto una bella chiacchierata a
proposito degli Horcrux!
Nel prossimo capitolo riprenderò dalla scena dove Hermione esce
dal bagno, così vedremo di cosa hanno parlato lei e Narcissa prima dell’arrivo
di Draco...
Che ne dite del delirio di Blaise? Ce la farà a schiarirsi le
idee prima di spezzare il cuore alla dolce Luna?
Accidenti! Tra l’altro sono due settimane che mi riprometto di
posare un nuovo capitolo a “Pieces of Life”, magari la prossima domenica riesco
a fare aggiornamento doppio! Incrociamo le dita! xD
Bene, direi che ho finito per questa settimana di scassare i
cosiddetti, spero che vogliate lasciarmi tante belle RECENSIONI per illuminare
le mie tristi e buie giornate da single...
Hasta
el domingo, chichas/chichos! ;*
LazySoul
|
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Capitolo 17 *** Just a chat ***
cap_17
17. Just a chat
Narcissa
Malfoy era in fondo la madre di Draco e meritava un certo rispetto, così prima
di uscire dal bagno mi preoccupai di sistemarmi – probabilmente malamente dato
che non avevo a mia disposizione una bacchetta – vestiti e capelli, che come al
solito erano un groviglio privo di senso.
Mi
rassegnai quasi subito, certa che non sarebbe cambiato molto; sia che
fossi
uscita elegante ed ordinata sia che fossi uscita con i capelli
spettinati e semplici vestiti, lei avrebbe comunque fatto una
smorfia altezzosa, trattandomi
come la povera Sanguesporco che ero.
Presi un profondo respiro e
abbassai la maniglia, uscendo dal bagno con l’espressione più fiera e
indifferente che riuscii a trovare. Sapevo che con le serpi non ci si doveva
mai mostrare deboli, con Draco avevo commesso un terribile errore ed ora ne
pagavo le conseguenze...
Mi chiesi da quanto fossi
diventata così melodrammatica, anche perché l’unico effetto collaterale era
l’essere irrimediabilmente e totalmente innamorata di lui; intanto cercavo di
non mostrare l’ansia che la presenza della signora Malfoy mi provocava e con
passi misurati mi avvicinavo al letto, fino ad esserle di fronte.
«Buongiorno, signora Malfoy»,
dissi, cercando di superare l’imbarazzo e mostrare un minimo di gentilezza: «Vuole
bere qualcosa? Del tè?», chiesi, mostrandomi quantomeno ospitale.
Gli occhi blu scuro della
donna sembravano ridere, anche se la sua espressione non era minimamente
cambiata, mentre mi fissava con uno sguardo di malcelato disprezzo.
«Un tè sarebbe gradito, grazie»,
disse con la voce calma ed educata.
Beh, almeno non stavamo
litigando come due liceali, ma stavamo cercando si essere civili l’una con
l’altra.
«Breedy», chiamai, senza
distogliere lo sguardo dalla donna che mi era di fronte.
Era inquietante la somiglianza
con Draco.
«La signorina Granger ha
chiamato?», chiese l’elfo domestico, prima di notare la presenza della madre di
Draco: «Oh, Padrona», disse, facendo un veloce inchino.
«Ci prepareresti del tè, per
favore? Solo se non hai altri impegni incombenti...», gli dissi, sorridendogli
appena.
«Breedy torna subito,
signorina».
Dopo un veloce inchino ad
entrambe l’elfo scomparve con un lieve “pop”.
La signora Malfoy non disse
niente, ma mi guardava attentamente, studiando ogni mio movimento e
comportamento. Era come essere sotto osservazione o, meglio ancora, essere
sotto interrogatorio in un’indagine di polizia.
«Ovviamente, signorina Granger
non volevo spaventarla con la mia improvvisa e non preannunciata visita. In
effetti speravo di trovarla sola, perché vorrei chiarire la mia posizione in
questa faccenda... ah, e ovviamente anche quella di mio marito», disse, mentre
accavallava la caviglia sinistra su quella destra e assumeva una posizione
molto simile a quella che avevo visto in un film babbano, dove una ragazzina si
ritrovava ad avere lezioni di bonton dalla nonna, che era la regina di un
piccolo stato che si chiamava... com’è che si chiamava già? 1)
«Io e mio marito vorremmo
essere utili alla causa, così che una volta che tutto questo sarà finito, sarà
facile per noi andarcene per la nostra strada senza rispondere di delitti che
non abbiamo commesso per nostro volere», continuò la strega, permettendomi di
recuperare il filo del discorso.
Annuii alla sue parole,
studiando le labbra arricciate in un’espressione di fastidio e gli occhi blu
che studiavano il mio aspetto con la solita ilarità. Sembrava che stesse
sottolineando la sua superiorità con quei suoi occhi da purosangue.
Era ufficiale, quella donna
era irritante, ma non mi sarei mai e poi mai lasciata mettere i piedi in testa
da lei, così sollevai ulteriormente il capo, approfittando del fatto che lei
fosse seduta, per guardarla dall’alto e farla sentire piccola quanto una
formichina appena nata.
«Capisco le sue motivazione,
signora Malfoy. È per questo che ha detto a suo figlio che intende collaborare
nella ricerca degli Horcrux?», domandai, incrociando le braccia al petto, mentre
raddrizzavo ulteriormente la schiena.
Un “pop” improvviso mi fece
sussultare, mentre vedevo che Breedy aveva preparato un vero e proprio
banchetto, non solo un po’ di tè.
«Sul tavolino, Breedy», disse,
la signora Malfoy, mentre si alzava e mi sorpassava per andare a sedersi dove
di solito io e Malfoy mangiavamo insieme.
Il suo comportamento da "Regina suprema di ogni cosa" mi faceva
davvero andare fuori di testa, ma resistetti, anche perché senza bacchetta ero
piuttosto innocua e mi voltai a mia volta verso il tavolino.
Seguii le mosse della donna e
mi impegnai a sedermi con altrettanta grazia sulla sedia di fronte alla sua.
Aggiunsi un po’ di latte alla
mia tazza di tè, mentre cercavo di resistere ad afferrare i biscotti al limone
che tanto amavo. Non potevo mica mostrare alla donna quanto fossi golosa!
Il modo in cui Narcissa Black
in Malfoy beveva in tè era semplicemente perfetto. Aggiunse alla sua tazza
mezzo cucchiaino di zucchero e, mentre ne girava il contenuto non si sentì il
minimo suono molesto. Non aveva i gomiti appoggiati al tavolo, proprio come
insegnava l’educazione, e le dita, pallide come il resto del suo incarnato,
erano delicatamente appoggiate ai bordi della tazzina, mentre mi fissava col
solito sorriso negli occhi.
«Come pensa di distruggere gli
Horcrux?Horcrux?Horcrux», chiese,
mentre avvicinava la tazzina alle labbra e ne beveva un sorso senza fare il
minimo rumore.
Dopo aver passato anni
circondata da Harry e Ron e il resto della famiglia Weasley si tende a
dimenticare che solitamente durante i pasti non si devono sentire grugniti,
versi animaleschi di vario genere, urla, litigi, rutti e quant’altro...
«Servirebbe la Spada di
Grifondoro, ma penso di essere in grado di reperire all’interno del castello
un’arma altrettanto potente ed efficace», risposi, mentre allungavo una mano ed
afferravo uno dei biscotti al limone.
Accidenti. La golosità era
stata più forte della mia forza di volontà.
«E sarebbe?», chiese, con uno sguardo attento e guardingo, mentre
ovviamente con gli occhi mi riprendeva per il modo meno che perfetto con cui
stavo rigirando il mio tè.
Quella donna mi scatenava un
istinto omicida che non pensavo di possedere.
«Per il momento non penso di
voler condividere tale informazione», risposi, sorridendole nel modo più
odioso che conoscessi.
Il sorriso negli occhi
scomparve, sostituito da uno sguardo pieno di disprezzo e fastidio: «Non vedo
perché non dovrebbe dirmelo, le devo forse ricordare che se non fosse per Draco
lei ora non sarebbe qui?»
Strinsi forte tra le mani la
tazzina e, dopo aver bevuto un lungo sorso di tè per cercare di
tranquillizzarmi, la fulminai con un’occhiata: «Infatti, è stato Draco a
salvarmi, non lei», dissi con tono pungente, afferrando un altro biscotto al
limone.
La signora Malfoy non disse
altro, sembrava che nel suo sguardo fosse tornato il sorriso e mi chiesi il perché;
in fondo non le avevo detto ciò che lei voleva sapere, che motivo c’era di
sorridere?
La donna finì il suo tè con
una calma esasperante, mentre mi lanciava continuamente sguardi curiosi,
irrisori o disgustati. Io intanto affogavo il mio disagio nella tazza del tè,
facendo di tutto pur di non finirla a mia volta. Volevo che continuasse ad
esserci silenzio; così io non avrei avuto modo di dire qualcosa che non avrei
dovuto o voluto e lei non avrebbe avuto modo di insultarmi ulteriormente con le
sue occhiate o di dirmi qualcosa di spiacevole.
La madre di Malfoy si alzò e
mosse pochi passi lungo la stanza, osservando probabilmente il disordine del
figlio, prima di accomodarsi nuovamente sul letto.
Finii a mia volta il tè,
maledicendo le tazzine troppo piccole e non distolsi lo sguardo da quello di
Narcissa Malfoy, anche se il sorriso nei suoi occhi mi innervosiva come non
mai.
Quella donna era ancora più
odiosa del figlio e del marito!
«Breedy!», chiamò lei, con un
tono di comando che mi fece storcere il naso.
Quando l’elfo domestico
arrivò, lei disse: «Ripulisci tutto, io e la signorina Granger abbiamo finito».
Né un “grazie” né un “per
favore”; come si permetteva quella donna di trattare in quel modo un povero
essere vivente?
Provai ad aiutare Breedy, ma
lui in meno di due secondi aveva già preso tutto ed era scomparso con un veloce
inchino e un sonoro “pop”. In quei brevi attimi mi era sembrato che avesse
paura della signora Malfoy e mi chiesi quale potesse essere il motivo.
«Sa, signorina Granger,
potrebbe anche raggiungermi, così possiamo continuare la nostra chiacchierata,
vorrei porle giusto un altro paio di domande...», aveva un tono di voce che a
primo impatto poteva sembrare cordiale, ma in realtà era un comando bello e
buono, anche se addolcito da alcune paroline di circostanza.
Sorrisi in modo terribilmente
falso, fingendomi a mia volta benevola nei suoi confronti, e mi accomodai sul
letto accanto a lei, anche se mantenni una certa distanza di sicurezza. Sia mai
che la sua falsità mi contagiasse!
«Volevo chiederle: lei, per
caso, è una delle tante scopate abitudinarie di mio figlio?»
Avrei voluto mantenermi
impassibile, ma la sua domanda mi lasciò a bocca aperte e col viso arrossato
per la vergogna e l’imbarazzo.
Come si permetteva di
insinuare... anche se in effetti... però, no! Non ero solo una “scopata
abitudinaria”!
«Cosa glielo fa pensare,
signora Malfoy?», dissi, una volta che mi ripresi dal tremendo imbarazzo, col
tono più gelido che avevo nel mio repertorio.
«Semplice, signorina Granger,
lei ha chiamato mio figlio “Draco” e dal modo in cui l’ha detto ho capito che
non era forzato, lei chiama mio figlio in quel modo solitamente; quindi prima
deve esserle sfuggito, forse per sbaglio, forse intenzionalmente, per farmi
avere dei dubbi a proposito del rapporto che c’è fra voi due. Ora, lei potrebbe
essere una cara amica, un’amante o entrambe le cose. Guardando la stanza ho
notato che il divano non è stato utilizzato come giaciglio ultimamente e questo
significa che avete dormito insieme, nello stesso letto. Ha sedotto mio figlio,
signorina Granger? Spingendolo a liberarla e rischiare in questo modo la sua vita
per salvare la vostra?», chiese Narcissa Malfoy, con gli occhi ridenti e i
lineamenti induriti in un’espressione di concentrazione e disprezzo.
«Io...», incominciai, pronta a
dirle chiaramente che io e suo figlio stavamo insieme, ci amavamo e... “No, Hermione,
che combini?”, mi dissi, scuotendo la testa e distogliendo lo sguardo.
Non potevo dirle che io amavo
suo figlio, non avrebbe capito, di sicuro non in quel momento. In un futuro
lontano – forse – sarei stata accettata dai signori Malfoy come la ragazza
del loro unico figlio, ma ero certa che nel particolare frangente in cui ci
trovavamo non avrei ottenuto il riconoscimento da me sperato. Dovevao
mantenere il mio sangue freddo e mentire alla donna che mi stava di fronte,
dicendole chiaro e tondo che non avevo nessun tipo di relazione amorosa col
suo adorato figlio, anche se non era affatto vero.
La
porta si aprì di colpo, facendomi sussultare e voltare immediatamente da quella
parte.
Sull’uscio
comparve un sorridente e sereno Draco Malfoy: «Hey, ragaz...», il saluto
s’interruppe di colpo, come se qualcuno gli avesse fatto un incantesimo
“Silencio” e i suoi occhi si spalancarono, mentre metteva a fuoco la figura che
era seduta acanto a me.
«Madre?»,
chiese, sconvolto, fissando negli occhi prima me, poi sua madre.
«Buongiorno, Draco», disse la donna, alzandosi per andare in contro al figlio, che si ricordò di chiudersi la
porta alle spalle, prima di abbracciarla. I suoi occhi confusi rimasero
incatenati ai miei mentre mi mimava con le labbra un: “Tutto bene?”. Annuii per
non farlo preoccupare, ma una volta che quella donna se ne fosse andata, gli
avrei chiesto di non farmela più incontrare per almeno altri dieci anni.
«Cosa ci fate qui, madre?»,
chiese Draco, sciogliendo l’abbraccio, in modo da guardare negli occhi Narcissa
Malfoy.
«Volevo chiacchierare con la
signorina Granger. Prima che tu c’interrompessi stavamo giusto parlando di te,
sai?», uno sguardo guardingo comparve sul viso di Draco, che mi lanciò
un’occhiata perplessa, prima di tornare a sorridere alla madre: «Davvero?»,
chiese, accompagnando la madre verso il letto, in modo da sedersi tra me e lei.
Il calore del corpo di Draco a
pochi centimetri da me mi provocò uno strano effetto, come se la mia pelle
ricordasse il piacere che mi aveva donato durante la notte...
Sentii una strana sensazione,
un forte dolore alle tempie e capii all’istante che qualcuno stava cercando di
leggermi la mente. Non mi lasciai prendere dal panico e schermai all’istante i
miei pensieri, guardando con stupore verso la signora Malfoy, che continuava a
sorridere con gli occhi.
«Ma come si permette!»,
esclamai a denti stretti, continuando a tenere alte le barriere per timore di
perdere la concentrazione e lasciarle vedere qualcosa che non avrebbe dovuto.
«Granger?», chiese Malfoy,
guardandomi stupito.
«Sta provando a leggermi la
mente», dissi, rivolgendole lo sguardo più assassino che possedessi.
«Hai qualcosa da nascondere,
ragazza? Un amore segreto, forse?», domandò Narcissa Malfoy, affilando lo
sguardo. Questa volta non sembrava divertita.
«Madre, smettetela di
infastidire e minacciare Hermione!», disse Draco, rivolgendo occhiate di fuoco
alla donna alla sua sinistra.
La signora Malfoy smise nei
suoi tentativi di assalto e guardò il figlio con uno sguardo vagamente
allucinato: «Non ci posso credere, allora avete davvero una relazione», disse
con un filo di voce, spostando velocemente lo sguardo da uno all’altra.
«Cosa dite, madre?», chiese
Draco, accennando una risata divertita.
Guardandolo credetti che fosse
davvero ferito, anzi oltraggiato, dalle insinuazioni di sua madre e che
cercasse di nascondere tali sentimenti con quella semplice risata.
“Accidenti a te, Malfoy!”,
pensai: “Sei davvero più bravo di me a mentire...”
Narcissa sembrava confusa
dalla performance impeccabile del figlio e iniziò a guardare prima me e poi
lui, come se si dovesse accertare della sincerità di entrambi.
«Penso che ora sia meglio che
vada», disse, alzandosi in piedi nel solito modo impeccabile ed elegante. Mi
chiesi se non avesse per caso sangue Veela, altrimenti come spiegare
razionalmente tanta grazia?
Draco si alzò ed io feci lo
stesso: «Certo, madre. Vi auguro una buona giornata», disse lui, dando un bacio
sulla guancia alla donna che gli sorrise teneramente.
«Anche a te, Draco», disse,
con un tono di voce strano, come se avesse voluto dire o chiedere qualcosa ma
non ne avesse avuto il coraggio: «Spero di rivederla presto, signorina Granger».
Draco la accompagnò alla porta
e sentii che la madre gli sussurrava qualcosa all’orecchio, lui irrigidì le
spalle e sospirò, rispondendole con un tono di voce altrettanto basso.
Due secondi dopo lei era
sparita e la porta era stata nuovamente chiusa a chiave.
Tirai un sospiro di sollievo e
mi lasciai cadere sul letto, passandomi le mani tra i capelli un paio di volte,
prima di sollevare lo sguardo verso Malfoy.
Quando incrociai i suoi occhi
chiari, non potei fare a meno di sorridere in modo triste: «Mi odia», dissi
semplicemente, sdraiandomi sulla schiena e coprendomi il viso con le braccia.
«Cosa te lo fa pensare?»,
chiese lui, coricandosi accanto a me.
«I suoi occhi hanno riso di me
tutto il tempo», dissi semplicemente, voltandomi verso di lui, accarezzandogli
il viso: «Le assomigli», mormorai piano, avvicinandomi per lasciargli un lieve
bacio a fior di labbra.
Avrei voluto essere forte,
resistere alla curiosità e non chiedergli cosa si erano sussurrati sulla porta,
ma sentivo che sarei scoppiata entro poco.
«Ti ha fatto sentire molto a
disagio?», chiese, rispondendo al bacio con altrettanta dolcezza.
«Ho cercato di non darle molta
soddisfazione e ho risposto al disprezzo con altrettanto disprezzo», dissi,
affondando le dita tra i suoi capelli: «Cosa ti ha detto?»
Ecco, la mia curiosità aveva
preso il sopravvento.
«Quando?», domandò con tono distratto,
mentre mi fissava il petto, probabilmente più interessato al mio seno che a
quello che stavo dicendo.
«Prima che se ne andasse, vi
siete detti qualcosa», specificai, appoggiando due dita sotto il suo mento, in
modo da fargli alzare lo sguardo.
«Oh, sei furba Granger...
prima mi tenti coi baci e poi mi chiedi di riferirti conversazioni private...»,
mormorò con il suo sorrisino da schiaffi stampato in faccia.
Io sbarrai leggermente gli
occhi: «Non è vero!», esclamai, con finto tono offeso, cercando di allontanarmi
da lui.
«Dove scappi, Hermione?», mi
strinse più forte a sé e iniziò a ridere, mentre io cercavo di divincolarmi.
Alla fine però vinse lui, schiacciandomi tra il materasso e se stesso.
Aprì la bocca per dirmi
qualcosa, ma il rumore di una porta che veniva aperta ci fece sussultare ed
allontanare all’istante l’uno dall’altra. Per fortuna non era quella d’ingresso
ad essersi aperta, ma la porta del bagno, dalla quale uscì un’imbarazzata Luna
Lovegood.
Cavolo! La presenza della
signora Malfoy e, successivamente, quella di Draco mi avevano fatto totalmente
dimenticare della mia amica Corvonero ancora chiusa nel bagno.
«Mi dispiace interrompere, ma
ho pensato che voleste un po’ di privacy, Breedy magari potrebbe accompagnarmi
nella mia stanza», propose, grattandosi il collo in modo imbarazzato.
Io arrossii e scossi la testa: «Ma no, Luna, che ne dici
di mangiare qua con noi? Potremmo allungare il tavolo, trasfigurare qualcosa in
sedia e...»
Qualcuno bussò alla porta,
interrompendo il mio discorso.
«Chi è?», chiese, Draco,
tirando fuori dalla tasca la bacchetta.
«Sono Blaise», disse
l’inconfondibile voce del moro.
Notai con un sorriso che Luna
era arrossita al sentire quelle parole.
Draco aprì subito la porta e
lo fece entrare nella camera: «Sei venuto a prendere la tua coinquilina per
pranzo?», chiese il biondo, prima di passarmi distrattamente una mano intorno
alla vita e fare uno di quei suoi ghigni malefici alla Malfoy.
«Sì», disse Blaise, allungando
una mano verso Luna: «Andiamo?»
Lei sorrise, stringendo le sue
dita tra quelle del moro: «Va bene. Buon appetito, ragazzi», disse, rivolta a
Draco e me, mentre faceva “ciao” con la mano.
Luna e Blaise sparirono oltre
la porta in pochi secondi e nella stanza cadde il silenzio.
«Dov’eravamo rimasti?», chiese
Malfoy, voltandosi verso di me con un sorrisino sghembo che gli incurvava le
labbra: «Ah, già», disse, spingendomi piano verso il letto: «Tu stavi sotto e
io sopra, se non sbaglio».
Risi alle sue parole,
schiaffeggiandogli scherzosamente il braccio, prima di afferrarlo per i
capelli, abbassandolo alla mia altezza per tempestarlo di baci: «Sei terribile»,
mormorai contro la sua bocca, mordendogli il labbro inferiore: «Terribilmente
irresistibile».
«Sei troppo vestita»,
ridacchiò, tirando verso l’alto la mia maglietta.
Resistetti e lo spinsi verso
il letto, facendocelo cadere sopra. Lo raggiunsi all’istante, sedendomi a
cavalcioni su di lui, iniziando a fargli il solletico e ricevendo a mia volta
la stessa tortura.
Un sonoro “pop” annunciò la
presenza di Breedy, che ci guardava dispiaciuto, probabilmente non voleva
interromperci... o magari era imbarazzato per il nostro comportamento infantile.
«Breedy è dispiaciuto, non
voleva interrompere, Breedy deve parlare col padroncino», disse, torcendosi le
mani in modo contrito.
Feci per spostarmi, ma Malfoy
mi trattenne, accarezzandomi lentamente e in modo tremendamente sexy i fianchi:
«Parla, Breedy, ti ascolto», disse, sollevandosi sui gomiti per baciarmi appena
sopra il bordo della maglietta.
«Il padrone Lucius ha detto di
parlare solo col padroncino», disse l’elfo domestico, spostando il peso da un
piede all’altro, mentre continuava a sfregarsi le mani, intrecciando le dita
tra loro.
Mi irrigidii a quelle parole e
provai nuovamente a scostarmi dal mio ragazzo, ma lui non mi lasciò nuovamente
andare, stringendo semplicemente la presa intorno ai miei fianchi.
«Hermione non se ne va da
nessuna parte, Breedy», il tono di voce di Draco era calmo e freddo,
maledettamente simile a quello che Narcissa Black in Malfoy aveva usato con me
durante la nostra chiacchierata.
«Breedy non può disubbidire,
padroncino, Breedy deve...», Draco alzò una mano e lo interruppe: «Va a dire a
Lucius che io ed Hermione siamo una squadra e che per risolvere la situazione e
tornare alla pace nel mondo magico abbiamo bisogno del suo cervello. Tutto quello che
devi riferirmi può ascoltarlo anche lei».
L’elfo scomparve in un baleno,
lasciandomi perplessa a guardare Draco sotto di me: «Non è un problema», gli
dissi, accarezzandogli il viso: «Potrebbe voler dirti qualcosa di personale,
che una Mezzosangue come me non potrebbe capire o non dovrebbe sentire...»
Malgrado volessi sembrare
calma, non potei trattenere una punta di ironia e amarezza.
«Granger, sappiamo entrambi
quanto tu odi essere ignorata o tenuta all’oscuro di qualcosa... ah, a
proposito, oggi ho incrociato la mia adorata zietta che mi ha fatto assistere
all’interrogatorio di Lumacorno. Quello stupido di un professore si è lasciato
sfuggire che Sfregiato è a conoscenza degli Horcrux, mia zia ha fatto due più
due e ha capito che i tuoi amichetti stanno cercando di indebolire Voldemort
privandolo di tutti i suoi pezzi di anima. Bellatrix mi ha chiesto di chiamarle
mio padre, che penso voglia comunicarmi l’esito del loro colloquio...»
Annuii, insultando Lumacorno e
la sua incapacità di mantenere delle informazioni simili, prima di sorridere: «Magari
tuo padre ha scoperto qualcosa di interessante... ah, più tardi, se non ti
dispiace, vorrei provare a contattare Harry per parlargliene».
Draco ricambiò il sorriso: «Certo».
Un sonoro “pop”, fece voltare
entrambi verso il suono, dove Breedy continuava a torcersi le mani: «Il padrone
non sembrava contento, ma ha detto a Breedy di parlare anche con la signorina
Granger, perché si fida di padroncino. Padrone ha detto che Bellatrix Lestrange
è andata alla Grincott a ritirare un oggetto importante. Padrone ha detto che l’oggetto
è la Coppa di Tassorosso e che presto sarà a Hogwarts, dove la signora
Lestrange la terrà al sicuro», disse l’elfo, cominciando a torturarsi le
orecchie.
«La Coppa di Tassorosso ce l’aveva
lei?», sussurrai, guardando prima uno poi l’altro: «Perfetto! Ora dovremmo solo
togliergliela da sotto il naso e distruggerla!», sorrisi e mi alzai in piedi,
abbandonando un deluso Malfoy sdraiato sul letto da solo: «Grazie, Breedy»,
esclamai, voltandosi verso l’elfo: «Dì al signor Malfoy che abbiamo ricevuto il
messaggio e che siamo lieti della bella notizia».
Mi voltai verso Draco: «Finalmente
qualcosa va nel verso giusto!»
«Il padrone ha anche detto di
dire che padroncino dovrà decidere presto una moglie purosangue tra quelle
presenti in questo elenco», disse l’elfo, allungando una pergamena a Draco.
Il sorriso mi morì sulle
labbra e una smorfia di tristezza comparve al suo posto, mentre vedevo il mio
ragazzo prendere l’elenco senza protestare.
«Grazie, Breedy», disse Draco:
«Ora puoi andare».
Avrei voluto dire qualcosa per
riempire il silenzio, avrei voluto chiedergli se avesse davvero intenzione di
lasciare che suo padre lo limitasse nelle scelte in quel modo, se su quella
pergamena ci fossero almeno dei nomi che conosceva, se per lui quello che c’era
tra noi non avesse nessun significato...
Ma tutto quello che riuscii a
fare fu allontanarmi e chiudermi la porta del bagno alle spalle; avevo bisogno
di rimanere sola per qualche minuto.
________________________________________________________________________________________
1)
Non so se avete presente il film "Pretty Princess", ma Narcissa mi
ricorda la nonna, sempre elegante ed impeccabile in ogni cosa
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Hola, come va? :)
Finalmente
sappiamo com'è andata la chiacchierata tra Narcissa ed
Hermione... Spero che non siate rimaste deluse dal comportamento freddo
della signora Malfoy, nel caso lo siate, vorrei solo dirvi che a mio
parere non avrebbe avuto senso farle andare d'amore ed accordo fin dal
primo incontro!
Blaise
si è portato via Luna e, se volete, posso scrivere del loro
pranzo nel prossimo capitolo di "Pieces of Life"... fatemi sapere!
Lo
so che il capitolo non finisce proprio benissimo, ma spero che non
vogliate lanciarmi pomodori marci per questo! In fondo c'era da
aspettarselo che Lucius sarebbe tornato all'attacco e vedrete che Draco
si farà perdonare, prima o poi!
Come sempre spero che vogliate lasciarmi qualche commento per farmi sapere cosa ne pensate della storia o del singolo capitolo o se avete dei dubbi... Insomma, se avete bisogno di qualcosa, chiedete pure! :)
Ora vado a mangiare pranzo perché ho tanta tanta tanta fame!
Un abbraccio a tutti e buon appetito! ;D
LazySoul
P.S. Mi raccomando, RECENSITE!
|
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Capitolo 18 *** Handcuffs, Love and Peace ***
cap_18
Consiglio di leggere prima qua: Capitolo sesto
18. Handcuffs,
Love and Peace
Liquidai Breedy e osservai
spaesato quella pergamena sigillata.
Pensavo che mio padre si fosse
arreso, che avesse deciso di lasciarmi in pace... perché complicare ulteriormente
le cose? Eravamo in guerra, possibile che lui non riuscisse comunque a pensare
ad altro che alla discendenza?
Il rumore di una porta
sbattuta mi fece alzare lo sguardo: Hermione era scomparsa oltre la porta del
bagno.
«Perfetto», mormorai,
lasciandomi cadere a peso morto sul letto: «Ci mancava solo la Granger gelosa»,
mi lamentai, stringendo con rabbia quello stupido elenco. Una minima parte
della mia mente era vagamente soddisfatta del comportamento di Hermione; il
fatto che si fosse chiusa in bagno voleva dire che non mi era indifferente e
che quindi potevo supporre che lei tenesse a me quanto io tenevo a lei. Il
resto della mia mente era concentrato nel trovare una strategia per risolvere
tutto quel pasticcio.
Al momento non potevo dire a
mio padre di andare a quel paese, potevo solo provare a farlo ragionare,
dimostrandogli come fosse controproducente cercare una moglie in quel
frangente.
Senza pensarci aprii il
sigillo della pergamena e ci trovai elencati nomi e nomi di ragazze, alcune mai
sentite nominare, altre invece le conoscevo vagamente; come per esempio Astoria
Greengrass, la sorellina di Daphne.
Sospirai e piegai il foglio in
tante parti, per poi aprire il cassetto del comodino e dimenticarmi
dell’esistenza di quell’elenco per il resto dei miei giorni.
Nel cassetto però trovai
qualcosa di particolarmente interessante: «Guarda, guarda», sussurrai, tirando
fuori le manette che avevo utilizzato tempo prima per legare Hermione al letto.
Un sorrisetto malizioso mi
sfigurò i lineamenti, mentre con gli occhi che luccicavano dall’impazienza
tiravo fuori quell’oggetto babbano e lo nascondevo sotto il cuscino.
Avevo comprato quelle manette
in un negozio di articoli simili a Madrid, quando con Blaise avevamo intrapreso
il nostro tour della Spagna. La prima e unica volta che le avevo usate era
stato con la Granger e non vedevo l’ora di replicare, sperando questa volta di
non ritrovarmi Zabini in mezzo ai piedi.
Chiusi il cassetto,
lasciandovi all’interno l’inutile elenco speditomi da mio padre e mi alzai,
avvicinandomi al bagno, da cui non sentivo provenire alcun suono. Strano.
Bussai appena: «Hermione? Stai
bene?», chiesi, preoccupato che si fosse sinceramente sentita male. Nella mia
mente compariva gli scenari più terrificanti: era svenuta? Era caduta e si era
fratturata qualcosa? Si era tagliata con... qualcosa?
Presi un profondo respiro,
cercando di ridurre l’ansia che mi attanagliava il petto e provai nuovamente a
bussare.
La porta si aprì di scatto e
ne uscì una Hermione particolarmente furiosa, con le labbra arricciate in una
smorfia e i capelli che assomigliavano ad una criniera intorno al suo volto di
grifona pronta all’attacco.
Provai a metterle una ciocca
di capelli dietro all’orecchio destro, ma mi beccai una sberla sulla mano e
un’occhiataccia.
Ero ancora davanti alla porta
e le bloccavo l’uscita. Sapevo che stavo rischiando grosso; quando era
arrabbiata era sì un bello spettacolo, ma pericoloso: come ammirare una tigre
nella foresta che si prepara per attaccare la sua preda, anche se fossi proprio tu la preda, non
potresti comunque fare a meno di rimanere a fissare la maestosità ed eleganze
di quell’animale, fino a quando non sarebbe stato troppo tardi.
«Spostati», disse tra i denti,
come se mi stessa insultando con quella semplice richiesta.
Era stupenda quando si
arrabbiava, uno spettacolo della natura, ed era mia.
Mia e solo mia.
Non potei fare a meno di
sorridere, compiaciuto e di fare un passo verso di lei, per baciarla.
Mi beccai una sberla sulla
guancia, neanche troppo dolorosa, forse di avvertimento, o forse aveva
sbagliato l’intensità del colpo, fattostà che non ascoltai la sottile vocina
nella mia testa che mi diceva di lasciarle un po' di spazio e di tempo per
calmarsi e sbollire la rabbia, e le afferrai il viso con entrambe le mani,
costringendola a guardarmi negli occhi.
Era forte, ma non quanto me e
per quanto cercasse di liberarsi non ci riuscì, così – forse per ripicca –
affondò con forza le dita nelle mie braccia, facendomi sentire le unghie
attraverso il tessuto della camicia e del golfino che indossavo.
Aveva il viso stravolto dalla
rabbia, ma nei suoi occhi, anche se cercava di nasconderlo, c’era una punta di
dolore e gelosia che mi fece sorridere nuovamente: «Dovresti ormai sapere che
quando fai la gattina gelosa mi ecciti», sussurrai contro le sue labbra,
rubandole un veloce bacio a stampo.
Cercò di liberarsi dalla mia
presa, attanagliandomi con una mano i capelli e tirando con forza. In risposta
strinsi maggiormente la mia stretta sul suo viso, vedendo comparire sui suoi
occhi involontarie lacrime di dolore.
«Mi fai male», disse tra i
denti, strattonando con forza i miei capelli e colpendomi al petto con la mano
libera.
«Anche tu», mormorai, prima di
lasciarla andare e di essere lasciato libero a mia volta dalle sue grinfie.
Rimanemmo a fissarci per pochi
secondi, poi vidi emozioni contrastanti rincorrersi nei suoi occhi,
l’istante dopo mi era letteralmente saltata addosso e le sua labbra erano
premute con forza contro le mie. Risposi al bacio con altrettanta disperazione
e rabbia, stringendo tra le dita grosse manciate dei suoi capelli, che tirai
per tenerla vicina.
«Ti odio», disse tra le mie
labbra, e mi chiesi come fossi riuscito a comprenderla, considerando che le
nostre bocche erano premute con forza le une sulle altre.
Sorrisi, mordendole il labbro
inferiore: «Sei solo gelosa», sussurrai contro le sue labbra, mentre la
trascinavo con poca grazia verso il letto. In risposta ricevetti un pugno
piuttosto forte all’altezza dello stomaco, che mi fece ridere: «Combattiva fino
alla fine, eh, micetta?».
La lasciai cadere sul letto e
sollevai le sue mani verso la testiera del letto, mentre la schiacciavo contro
il materasso con il mio peso.
Nel giro di pochi minuti
eravamo già stati interrotti due volte; prima dalla Lovegood, poi da Breedy, ma
questa volta sarei riuscito nel mio intento, anche perché lei non avrebbe
potuto sfuggirmi.
Le morsi delicatamente la
spalla attraverso la maglia che indossava e poi il collo, dove iniziai a
succhiare la sua pelle, nell’intento di lasciarle un succhiotto.
Sentirla fremere sotto di me
mi causò un dolore lancinante all’altezza dell’inguine, dove qualcuno sembrava impaziente di mettersi
all’opera. Ignorai il desiderio folle di affrettare le cose e strinsi entrambi
i polsi nella morsa di una sola mano, mentre l’altra afferrava sotto il cuscino
le manette.
Abbandonai il suo collo solo
il tempo necessario per chiudere il metallo intorno alla tenera carne dei polsi
ed assicurarlo alla testiera del letto.
Abbassai lo sguardo ed
incontrai il suo; aveva gli occhi appannati dall’eccitazione e le labbra
socchiuse.
Le diedi un bacio dolce e
lento, mente sentivo le sue cosce stringersi intorno alla mia vita: «Voglio
toccarti», disse, muovendo lentamente i fianchi contro i miei, facendomi
fremere.
«Dopo», le dissi, prima di
sciogliermi dalla sua stretta, scendendo dal letto.
La osservai mentre seguiva
ogni mio movimento, forse chiedendosi dove stessi andando.
Imperturbai la stanza, poi
controllai che fosse chiusa a chiave la porta e tornai verso il letto, dove
feci un’incantesimo contraccettivo. Lasciai la bacchetta sul comodino e iniziai
a spogliarmi, partendo dal golfino e poi la camicia.
Gli occhi di Hermione non si
persero un solo movimento, sembravano implorarmi di liberarla: «Vorresti
toccarmi?», le chiesi, sporgendomi verso di lei, lasciandole un bacio in fronte
ed inspirando a fondo l’odore dei suoi capelli.
Aprì bocca, come per dire
qualcosa, ma la richiuse subito.
«Vuoi giocare al gioco del
silenzio?», le chiesi, mentre mi sfilavo la cintura e aprivo la patta dei
pantaloni; il suo sguardo si abbassò, seguendo le mie dita.
Sorrisi
e salii sul letto,
sedendomi a cavalcioni su di lei, facendo però attenzione a non
pesarle troppo. Tirai su la sua maglietta, coprendole il viso in modo
che non potesse vedere
cosa stessi facendo. Sentii chiaramente il suo respiro farsi più
corto ed ammirai
il modo sensuale in cui il suo petto si alzava e abbassava, mettendo
ulteriormente in mostra il seno nudo di fronte a me.
Abbassai il volto ed iniziai a
baciare ogni centimetro del suo petto, godendo della sensazione di calore
contro le labbra e la morbidezza della sua pelle.
«Draco», gemette, spezzando il
silenzio, mentre tentava inutilmente di muovere i polsi e liberarsi, allungai
una mano, per bloccare i suoi movimenti: «Non farlo, rischi solo di farti male»,
sussurrai, mordendole piano un capezzolo.
«Voglio guardarti, voglio
toccarti», sussurrò, muovendo una gamba, in modo da appoggiarla sul mio fianco e
stringermi a sé.
Smisi di torturarle il petto
ed iniziai ad abbassarle i pantaloni e l’intimo verso il basso, godendomi la
vista del suo corpo nudo.
«Vuoi guardarmi?», le chiesi,
iniziando ad accarezzare lentamente le sue cosce, allargandole sempre di più,
così da potermici posizionare in mezzo.
«Sì», disse, tirando le
braccia, come se avesse voluto stringermi.
Anche se quel gioco mi stava
divertendo particolarmente, volevo che mi guardasse, volevo che mi toccasse e
graffiasse la mia schiena nel momento di massimo godimento. Mi allungai verso
la bacchetta sul comodino e feci evanescere la sua maglietta e gli ultimi
indumenti che indossavo, così da essere finalmente pelle contro pelle.
I suoi occhi cercarono subito
i miei: «Liberami», ordinò, minacciandomi con lo sguardo, anche se non mi ci
volle molto per capire che il vero problema era il suo imbarazzo: si sentiva
troppo esposta in quella posizione e voleva riguadagnare terreno e fare l’amore
con me alla pari.
La baciai dolcemente e annuii:
«Tra poco», le promisi, riempiendo di baci la sua gola, le spalle, l’incavo tra
i seni e l’ombelico. Mi aspettavo altri gemiti o mormorii di piacere, ma tutto
quello che ottenni furono le sue risate: «Basta», disse, contorcendosi nel
tentativo di sfuggire alle mie labbra: «Mi fai il solletico», ammise,
boccheggiando alla ricerca di aria.
Fu un duro colpo per il mio
orgoglio, ma non lo diedi a vedere e scesi semplicemente con le labbra più in
basso, facendola sussultare e fremere, ma non per il solletico questa volta.
«Draco», gemette, gettando
indietro la testa e muovendo nuovamente le braccia imprigionate dalle manette,
mentre cercava di venire più vicino alle mie labbra con il bacino.
Quando m’implorò nuovamente di
liberarla non riuscii a resistere oltre e con un incantesimo le feci aprire le
manette che le costringevano i polsi alla tastiera del letto.
«Grazie», sussurrò, prima di
immergere le dita tra i miei capelli e di avvicinare le mie labbra alle sue.
Ci baciammo per pochi secondi,
assaporando le rispettive bocche come se fosse stata la prima volta. Fu lei
nuovamente ad interrompere il silenzio: «Ora fai l’amore con me», mormorò,
intrecciando le sue gambe alle mie.
Non me lo feci ripetere due
volte ed entrai dentro di lei, sentendola gemere forte ed affondare le unghie
nella pelle della mia schiena. Iniziai a muovermi piano, portando lentamente entrambi
verso il piacere e godendomi le mani di Hermione che, dopo esser state
costrette lontano dal mio corpo dalle manette, non la smettevano di vagare
sulla mia pelle con una dolcezza indescrivibile.
Non distolsi lo sguardo dai
suoi occhi nemmeno per un istante, affascinato dalla loro espressività e dal
modo in cui li socchiudeva a mano a mano che il piacere diventava sempre più
intenso.
Dopo l’amplesso non parlammo
per parecchi minuti, coricati vicini e persi ognuno nei propri pensieri. La
prima a sollevarsi fu Hermione che, appoggiando una mano sul mio petto si
sporse verso di me, lasciandomi un veloce bacio sul mento e poi sulle labbra.
Quel semplice gesto mi causò
una fitta al petto: volevo svegliarmi accanto a lei per il resto della mia
vita, godendomi semplici azioni come i baci che mi aveva appena regalato per
sempre.
Le accarezzai i capelli, le
cui punte mi sfioravano la pelle, facendomi il solletico, e le diedi a mia
volta un bacio sulle labbra.
Hermione aprì la bocca, ma poi
la richiuse, fissando gli occhi altrove; aveva il viso contratto in una triste
espressione e non mi ci volle molto per capire che stava ancora pensando allo
stupido elenco che mio padre mi aveva fatto portare da Breedy.
Le accarezzai la guancia,
muovendole il capo in modo da incontrare di nuovo le sue iridi scure: «Pensi
davvero che ti lascerei andare senza oppormi e combattere?», le chiesi con un
filo di voce, scrutando la sua espressione corrucciata distendersi appena.
«Non hai detto nulla,
pensavo...», iniziò, ma non le lasciai finire la frase, sfregandole col pollice
le labbra gonfie per i baci che le avevo dato e rubato: «Eppure sai che...»
Incredibile, continuavo a
dimostrarglielo in tutti i modi possibile che quello che provavo per lei non
era una semplice cotta, eppure non riuscivo a tradurre a parole i miei
sentimenti.
“Sei patetico, Draco,
patetico”, mi dissi, mordendomi il labbro inferiore: “Non riesci neanche a
dirle ti amo”.
«Lo so, Draco», mormorò,
appoggiando la fronte contro la mia: «Non c’è bisogno di dirlo, lo so e tu sai
che per me è lo stesso».
Annuii, sfregando il naso
contro il suo, beandomi della calda e morbida sensazione dei suoi seni premuti
contro il mio petto e delle sue mani che mi accarezzavano il viso dolcemente.
«Un giorno riuscirò a dirtelo»,
sussurrai, cercando di convincere non solo lei, ma me per primo.
Lei scosse il capo: «Solitamente
sono un’accanita sostenitrice delle parole, ma in questo caso preferisco che mi
dimostri ciò che provi, invece di dirmelo. Voglio leggerlo nei tuoi occhi, in
ogni tuo gesto, non ho bisogno anche di sentirtelo dire, non al momento almeno».
Sorrisi e chiusi gli occhi,
beandomi della calma del momento, prima di accarezzarle piano la schiena.
Sentii provenire dal suo
addome un brontolio sospetto e non riuscii a trattenere una risata: «Hai fame?»,
le chiesi, vedendola diventare istantaneamente rossa in viso: «Sì», ammise,
sollevandosi a sedere e poi in piedi.
La vista del suo corpo nudo
che si muoveva per la stanza alla ricerca di qualcosa da indossare era qualcosa
di maledettamente eccitante, ma avevo anche io fame e mi servivano energie,
dato che le ultime rimastemi le avevo consumate facendo l’amore con lei.
Presi le manette, nascoste
sotto il cuscino e me le rigirai tra le mani.
«La prossima volta sarò io a
legarti», il tono malizioso della sua voce mi fece sorridere.
Alzai lo sguardo per
incontrare il suo: «Non vedo l’ora».
Si morse il labbro, afferrò la
mia camicia da terra e la indossò, sembrava stesse già pregustando la sua
futura rivincita.
«Questo pomeriggio rimani con
me?», chiese, cambiando argomento, mentre mi porgeva un paio di mutante e dei
pantaloni scuri che aveva trovato nel mio armadio.
Il modo normale, quasi
automatico, con cui mi passò i vestiti mi fece sorridere: «Sì, non ho altri
impegni per la giornata».
Senza preavviso il suo volto
si illuminò, diventando quasi raggiante: «Possiamo sentire i miei amici allora,
e poi pensare ad un piano...», disse, avvicinandosi al comodino, giocherellando
col suo galeone incantato: «Con Luna questa mattina abbiamo pensato a dove
potrebbe trovarsi il diadema di Corvonero e ci è venuta in mente una persona
che potrebbe saperne qualcosa», continuò, lanciandomi una veloce occhiata.
Incuriosito ed ammirato le
chiesi chi fosse questa persona, la vidi arrossire alla mia domanda: «La Dama
Grigia», sussurrò: «Luna sperava di andare di persona ad interrogarla»,
aggiunse, mordendosi il labbro inferiore: «Siamo entrambe stanche di rimanere
chiuse tra quattro mura, sai?», disse con tono casuale, facendomi assottigliare
lo sguardo: «Vorrei anche io contribuire alle ricerche in qualche modo...
inoltre ci servirebbe un volume che tratti del serpentese, dobbiamo trovare il
modo per scendere di nuovo nella Camera dei Segreti per prendere una delle
zanne del basilisco, che servirebbe a distruggere gli Horcrux che riusciamo a
recuperare...»
Alzai una mano, zittendola: «Troppe
informazioni, inoltre ho smesso di ascoltarti dopo che hai detto di voler “contribuire
alle ricerche”», ammisi con un filo di voce: «Vuoi farti ammazzare, Hermione?»
Il suo volto si arrossò di
colpo: «Certo che no!», esclamò, facendo un veloce e brusco gesto con la mano.
«Allora spiegami come faresti
a “contribuire alle ricerche” senza farti vedere dalle decine e centinaia di
Mangiamorte che girano quotidianamente all’interno di ogni singolo corridoio di
Hogwarts!», esclamai, alzandomi in piedi ed iniziando a vestirmi con movimenti secchi
e frettolosi.
Andava tutto bene; avevamo
appena fatto l’amore, ero rilassato, felice ed appagato. Possibile che lei
dovesse sempre trovare il modo di irritarmi e farmi preoccupare con poche
frasi?
«Esiste la pozione Polisucco»,
disse, risentita per il mio tono di voce aspro.
«E di chi vorresti prendere le
sembianze?», chiesi, passandomi le mani tra i capelli ed abbassando il viso,
per nasconderle l’espressione corrucciata e preoccupata.
«Non lo so», ammise,
appoggiando una mano sulla mia spalla tesa: «Era solo un’idea, Malfoy. Io...»
Sollevai di scatto il viso,
facendola sussultare: «Adesso sono tornato Malfoy, Granger?», chiesi con un tono di voce aspro. Mi feriva quando
cercava di prendere le distanze appellandomi col mio cognome, invece di usare
il mio nome.
Si inginocchiò di fronte a me,
prendendomi il viso tra le mani e costringendomi a guardarla negli occhi: «Era
solo un’idea, Draco... Non potrai
tenermi nascosta qua dentro per sempre. Sono consapevole del pericolo, ma ho
bisogno di fare qualcosa che non sia girarmi i pollici ogni giorno, sperando di
vederti tornare e che non ti succeda nulla di male».
Avevo esagerato, sapevo di
essermi appena comportato da serpe egoista ed esageratamente protettiva, ma
l’dea di lasciarla girare per il castello da sola mi metteva addosso una strana
e dolorosa sensazione d’inadeguatezza e impotenza.
Presi due profondi respiri ed
annuii: «Ho esagerato», ammisi, passandomi nuovamente le dita tra i capelli,
per poi coprire le sue mani, che si trovavano ancora contro le mia guance: «Ci
penseremo, va bene?»
Un dolce sorriso comparve sul
suo viso, facendo sciogliere il nodo dolorosa che mi stringeva all’altezza
dello stomaco: «Grazie», mormorò, lasciandomi un breve e dolce bacio sulle
labbra.
«Mangiamo?», proposi, in modo
da cambiare argomento ed avere un po’ di tempo per capire perché l’amore
dovesse essere così complicato.
Hermione annuì: «Certo».
Dopo aver chiamato Breedy
chiedendogli il pranzo ci sedemmo entrambi a tavola, l’uno di fronte all’altra,
aspettando che l’elfo tornasse.
«Dovremmo pensare ad un modo
per sottrarre a tua zia la Coppa», disse lei, tamburellando con le dita sul
tavolo: «Dove pensi che la possa aver nascosta?»
Scossi la testa: «Non ne ho la
più pallida idea, forse era meglio se lo teneva alla Grincott, ad Hogwarts
potrebbe averla nascosta ovunque», ragionai, incrociando le braccia al petto,
pensieroso.
Un sonoro “pop” ci fece
voltare entrambi verso Breedy, che stava facendo lievitare una decina di vassoi
colmi di cibo. Con attenzione li adagiò sul tavolo e fece un breve inchino: «Buon
appetito», disse, per poi scomparire con la stessa velocità con cui era
comparso.
Hermione ed io iniziammo a
mangiare con calma e in silenzio; non era però una situazione imbarazzante, ma
pacifica e rilassante.
«Temo che Blaise sia
innamorato della Lovegood», dissi con tono pensieroso, mentre tagliavo un pezzo
di carne nel mio piatto.
Sentii un suono strozzato e,
alzando lo sguardo, la vidi sbarrare gli occhi e battersi ripetutamente il
petto, come se qualcosa le fosse andato di traverso. Mi alzai di scatto e le
diedi qualche colpo sulla schiena, provando ad aiutarla: «Hermione? Stai bene?»
Mi fece un vago gesto con la
mano e si riempì il bicchiere d’acqua bevendone un lungo sorso. Assistessi con
sollievo al cambio repentino del suo colorito, che da rosso pomodoro tornò ad
un normale rosa incarnato.
«Scusa», disse, tossendo
appena: «Mi hai colto alla sprovvista», ammise, riprendendo a respirare
normalmente.
Tornai al mio posto,
continuando a guardarla, preoccupato che potesse avere un altro attacco simile.
«Te l’ha detto Zabini?», chiese
curiosa, senza distogliere lo sguardo dal mio.
«Beh, lui ha detto di “volerla
stringere e portarsela a letto”, ma da come ne parlava... non so... mi
ricordava come gli parlavo di te qualche anno fa, quando pensavo
che fossi solo una brutta ossessione e che saresti passata con un po’ di forza
di volontà», ammisi, vedendola arrossire nuovamente, questa volta però non era
sul punto di soffocare.
«Anche Luna è attratta da lui»,
disse, tornando a puntare i riflettori su di loro e non su noi due.
Sorrisi: «Speriamo che lo
faccia penare un po’ prima di cedere, allora, non vorrei che il mio migliore
amico spezzasse il cuore alla tua amica...», ammisi, rubando dal suo piatto una
patata arrosto.
Lei mi lanciò una veloce
occhiata di rimprovero, poi sorrise: «Fatico ancora a credere di esser stata il
tuo sogno proibito per anni», mormorò.
Risposi con una smorfia
imbarazzata: «Come mai?», le chiesi.
«Il primo anno avevo una cotta
per te, te l'ho detto», sussurrò, avvicinando il capo, come se mi stesse
rivelando il segreto più imbarazzante di tutti: «Ti ricordi?»
Sorrisi, ripensando alla sera
prima, quando me ne aveva parlato
«Ricordo», dissi, avvicinando
a mia volta il capo al suo.
«Stavo pensando che, se
solo... se solo non ci fossero differenze come il sangue, la casa di appartenenza,
eccetera, forse te ed io...», sussurrò, lasciando in sospeso la frase, mentre i
suoi occhi si velavano di tristezza.
«Avremmo avuto più tempo per
stare insieme», l’aiutai, appoggiando la mano sulla sua guancia, sentendo le
sue dita stringere il mio polso.
Lei annui, piano, mordendosi
il labbro inferiore e poi sospirò: «Meglio tardi che mai».
Sentii una fitta dolorosa al
petto pensando a quanto dolore mi sarei risparmiato se il mondo magico in cui
vivevamo fosse stato più tollerante nei miei e suoi confronti.
Volevo per i miei figli un
mondo migliore, un mondo che avrei combattuto per creare, un mondo in cui io ed
Hermione saremmo potuti stare insieme senza pregiudizi, cattiverie e minacce.
****************************************************************************************
Ciao :)
Scusate,
volevo già postare il capitolo ieri, ma non l'avevo ancora
corretto per bene e non volevo farvi leggere un obbrobrio pieno di
errori grammaticali, quindi ho deciso di aspettare... Anche se non sono
del tutto certa che il capitolo sia completamente corretto, mi sfuggono
sempre degli errori, purtroppo... -.-
Ma
tornando a noi: che ne pensate? Io trovo questo capitolo molto dolce,
diciamo che rispetto ai precedenti capitoli, dove capitava sempre
qualcosa di inaspettato è stato un capitolo piuttosto tranquillo
e di passaggio... Presto dovranno andare alla ricerca degli Horcrux,
contattare Harry e Ron, trovare un modo per farli entrare nel castello,
sconfiggere l'Oscuro Signore... Ne hanno ancora di strada da fare! x
Ringrazio
kelia, ladyathena, monica87mi, mangiolina, Iloveicecream e kasumi_89
per le loro stupende recensione ed invito tutti voi lettori silenziosi
a dedicarmi dieci, massimo quindici minuti (se proprio avete tanto da
dirmi), del vostro tempo per lasciarmi anche voi un commento! :)
Il
prossimo capitolo arriverà la prossima settimana, ancora non so
quando precisamente... preferireste lunedì o martedì?
Un bacione a tutti/e! ;*
LazySoul
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Capitolo 19 *** A crying girl and a little problem ***
19. A crying girl and a little problem
Quando Breedy portò via i piatti sporchi del pranzo, chiesi a Draco di poter usare la sua bacchetta per mettermi in contatto con Harry e Ron ed aggiornarli a proposito della coppa e del piano, per il momento solo abbozzato, di Luna e me.
Malfoy non si oppose o sembrò minimamente contrario alla cosa, mi chiese se avrebbe potuto assistere e mi porse la bacchetta con un’espressione di fiducia e orgoglio che mi fece venir voglia di abbracciarlo stretto e non lasciarlo più.
Presi il galeone e mi sedetti al centro del letto a gambe incrociate, lasciando che Draco si coricasse appoggiando il capo sul mio grembo.
Non persi tempo e scrissi un semplice: “Ragazzi, ho novità. Voi come state?”, poi appoggiai sul mio palmo la moneta, nell’attesa che bruciasse, avvisandomi di aver ricevuto una risposta.
Mentre aspettavo, posai la bacchetta e, con la mano libera, presi a giocare coi capelli di Malfoy, godendo della sensazione di solletico e morbidezza che mi provocavano.
Passarono alcuni secondi, poi il mio sguardo, che si era incantato a fissare la parete, si posò nuovamente sul galeone; bollente sul mio palmo.
“Tutto bene. Tu? Racconta.”
“La coppa è a Hogwarts, c’è l’ha Bellatrix Lestrange. Lucius e Narcissa Malfoy vogliono aiutarci. Luna pensa di sapere chi potrebbe conoscere la collocazione del diadema. Draco Malfoy ed io cercheremo un modo per introdurci nella Camera dei Segreti per recuperare una zanna del Basilisco e distruggere gli Horcrux.”
Appena inviai il messaggio, mi resi conto che gli occhi chiari del Serpeverde mi stavano fissando con insistenza, così posai galeone e bacchetta, lanciandogli a mia volta un’occhiata indagatrice.
«Non ti permetterò mai e poi mai di girare da sola per i corridoi di Hogwarts senza una bacchetta o la mia protezione», disse; il tono di voce era serio e non ammetteva repliche.
Annuii, lo capivo, anch’io mi preoccupavo della sua incolumità ogni volta che metteva piede fuori da camera sua. La differenza era che lui aveva molte meno possibilità della sottoscritta di rimanerci secco. Aprii bocca, volevo fargli notare che io non gli avevo mai chiesto di girare per Hogwarts, in quelle particolari condizioni, da sola, ma venni interrotta dalla sua mano, che mi zittì, appoggiandosi sulle mie labbra.
«Ma capisco il tuo punto di vista e sono pronto ad accontentarti; andremo insieme nella Camera dei Segreti e tu non ti allontanerai da me per nessun motivo al mondo fino a quando non torneremo qua dentro sani e salvi, chiaro?»
Sentii gli occhi bruciarmi per la commozione trattenuta. Sapevo che avrebbe ceduto, non pensavo però di non dover insistere maggiormente per giungere al mio scopo.
Abbassai il volto, fino a quando le mie labbra e le sue non si sfiorarono in un dolce bacio di ringraziamento.
«Devi promettermi che non farai nulla si sconsiderato, ok? Appena metterai piede fuori da questa stanza sottostarai ai miei ordini e…»
Lo zittii con un altro bacio, annuendo con vigore: «Va bene, Draco, hai la mia parola.»
Gli sorrisi e lui ricambiò, anche se in modo meno entusiasta, si vedeva che era ancora molto preoccupato, oltre ad essere contento della mia felicità. E, oltre a quei sentimenti, notavo nei suoi lineamenti una punta di disagio, che non riuscii a decifrare.
«Sfregiato non ha ancora risposo?», chiese, distogliendo lo sguardo, per guardare nella direzione del galeone.
Non riuscivo a capire il suo comportamento, sapevo che aveva usato apposta quell’odioso soprannome per farmi ricordare chi lui fosse, quasi la mia gratitudine e l’amore che traspariva dal mio sguardo in quel momento fossero troppo per lui e avesse bisogno di ricevere uno sguardo di rimprovero per ristabilire l’ordine naturale delle cose.
Indugiai solo pochi secondi ancora sul suo volto, scuotendo il capo, realizzando ancora una volta quanto Draco Malfoy sarebbe rimasto sempre e comunque un mistero, non sarebbe importato quanto avrei scavato e scoperto, lui avrebbe di sicuro continuato a stupirmi e a dimostrarsi l’impossibile rompicapo che era.
Presi il galeone in mano, constatando di aver effettivamente ricevuto una risposta: “Fai attenzione, cercheremo di introdurci ad Hogwarts nei prossimi giorni, l’Ordine vuole attaccare ora che il nemico sembra aver abbassato le difese. Tienici informata e non fare nulla di stupido.”
Aggrottai le sopracciglia, chiedendomi se l’idea dell’Ordine fosse o meno saggia, prima di rassicurarli un’ultima volta, salutarli, e posare galeone e bacchetta sul comodino di Draco.
«Tutto bene?», chiese il Serpeverde, prendendo la mia mano destra tra le sue.
«Non lo so, hanno detto che vogliono attaccare Hogwarts al più presto, non so quanto possa essere una buona idea», ammisi, lasciando che le sue dita accarezzassero con dolce sicurezza la mia pelle.
«Li aiuteremo ad entrare e a vincere, non ti devi preoccupare di nulla.»
Annuii, lievemente rassicurata dalle sue parole, poi un altro pensiero mi fece tornare un’espressione di fredda sicurezza sul viso: «Dobbiamo fare in modo che quando decideranno di attaccare gli Horcrux siano distrutti, così Harry avrà la possibilità di uccidere una volta e per tutte Tu-Sai-Chi».
Malfoy annuì, anche lui era tornato serio, quasi l’avessi contagiato con la mia determinazione.
«Hai ragione», disse, sollevandosi a sedere e poi in piedi.
Nel giro di pochi secondi, mentre io continuavo a pensare a quante cose ancora dovevamo fare, Draco indossò il mantello, recuperò la sua bacchetta e la maschera da Mangiamorte.
«Dove vai?», chiesi, allarmata, aggrottando la fronte. Aveva forse mentito quando mi aveva detto che quel giorno avrebbe avuto il pomeriggio libero?
«Vado in biblioteca a cercare informazioni a proposito del serpentese e poi ruberò della Pozione Polisucco dalle scorte di Piton e chiederò a Blaise e Luna di unirsi a noi per discutere dei dettagli del piano», disse, abbassandosi un istante per darmi un bacio sulle labbra; quelle mie labbra che sembravano esser rimaste sotto shock a causa di quello che stava succedendo.
Non ebbi modo di rispondere, nel giro di due secondi era già uscito dalla stanza, lasciandomi letteralmente senza parole.
Sì, avevo appena avuto la conferma che Draco Malfoy sarebbe sempre rimasto un mistero per me.
Sorrisi e poi scoppiai a ridere, gettandomi di schiena sul letto per sdraiarmi e godere della comodità del materasso e delle coperte.
Tutto sembrava che si stesse risolvendo nel modo migliore, dovevo solo continuare a fidarmi di Draco, del mio nemico, per avere la certezza che non avrebbe permesso mai e poi mai a nessuno di farmi del male.
Nuovamente da sola in quella camera mi chiesi cos’avrei potuto fare mentre aspettavo il ritorno del suo proprietario. Presi in considerazione l’idea di fare un pisolino, o magari di approfittare del tempo libero per fare uno lungo bagno pieno di bolle per rilassarmi.
Ma i miei progetti sfumarono quando la porta della stanza si aprì all’improvviso, e una seria e fredda Pansy Parkinson fece il suo ingresso trionfale, con la maschera da Mangiamorte sotto il braccia e il suo tipico broncio da bambina viziata stampato in viso.
I suoi occhi scuri scandagliarono la camera centimetro per centimetro, prima di posarsi su di me.
Ricordavo bene l’ultima volta che avevamo parlato con lei; era stato prima della battaglia, quando avevo scoperto che mi aveva preso in giro, che mi aveva ingannata per impedire che Nott fosse ucciso.
«Granger», mi salutò, chiudendosi la porta alle spalle, prima di togliersi il mantello e accomodasi su una delle sedie vuote come se fosse stata camera sua e avesse avuto tutto il diritto di mettersi comoda: «Malfoy non c’è?»
Scossi la tesa, mettendomi a sedere sul bordo del letto: «No, è uscito pochi minuti fa».
La Parkinson, dopo aver udito le mie parole, sembrò sgonfiarsi, perdendo tutta la spavalda sicurezza che aveva mostrato fino a pochi secondi prima. Le spalle, che erano state impeccabilmente diritte, si abbassarono e la schiena si ingobbì, mentre il viso venne oscurato da una malinconia tanto intensa da farmi sentire, malgrado ce l’avessi ancora un po’ con lei, partecipe del suo dolore e piena di compassione e pietà.
Era passata dall’essere la candidata perfetta per sfidare a colpi di bon ton ed etichetta la Signora Malfoy, al fantasma sbiadito di se stessa.
«Cos’è successo?», chiesi preoccupata, avvicinandomi a lei, fino a quando non mi trovai a pochi centimetri dalla sua figura accartocciata su se stessa.
«Parkinson?», la chiamai ancora, dopo aver aspettato infiniti secondi di ricevere una risposta.
Appoggiai una mano sulla spalla, sentendola subito irrigidirsi sotto la mia stretta, ma la ragazza non fece niente per sottrarvisi, si limitò ad alzare il viso, mostrandomi i suoi lineamenti stravolti dal dolore e calde lacrime rigarle la pelle chiara.
Un pensiero improvviso mi fece aggrottare la fronte e parlare: «É successo qualcosa a Nott?»
Immagini di guerra e dolore mi fecero gelare il sangue nelle vene e sperai, malgrado la Parkinson non fosse propriamente la mia migliore amica, che non fosse successo nulla di grave o di irrimediabile al ragazzo di cui diceva di essere innamorata.
Mi chiesi se il cuore della serpeverde non fosse un po’ troppo volubile, un attimo prima dedita a professare amore e fedeltà a Malfoy, quello dopo a correre dietro a Nott…
Mi diedi da sola dell’ipocrita e mi sentii in colpa per il mio pensiero ingiusto. Chi ero io - innamorata di Ron e poi dopo pochi giorni di Draco - per giudicarla?
In realtà eravamo più simili di quanto avremmo mai ammesso.
La Parkinson rispose alla mia domanda con una semplice scossa di capo e io mi sentii più leggera di prima; se Nott era sano e salvo allora magari il problema sarebbe stato relativamente facile, cosa poteva mai esser successo di altrettanto grave da farla piangere, dimentica del proprio orgoglio, davanti a me?
«Che ne dici di parlarne di fronte ad una tazza di tè? Potrebbe aiutarti a calmarti?», le chiesi, togliendo la mia mano dalla sua spalla, per sedermi a tavola di fronte a lei.
Pansy annuì.
Non persi tempo e chiamai subito Breedy.
L’elfo domestico comparve dopo meno di due secondi davanti a me con un profondo inchino: «La signorina Granger ha chiamato?», chiese, prima di notare la Parkinson e di fare un inchino anche a lei.
«Potresti portarci del tè, per favore?»
Breedy eseguì nuovamente una genuflessione e poi scomparve.
«Solo una feccia come te può trattare un elfo come se fosse un suo pari», disse con tono tagliente la Parkinson.
La guardai male, facendole capire di non aver apprezzato. Capivo il suo desiderio di insultarmi per sfogare la su collera e tristezza, per far diventare anche me misera e piangente proprio com’era lei in quel momento, ma non gliel’avrei permesso.
«E solo una stupida come te può trattare male la feccia che sta cercando di capirla, aiutarla e consolarla», ribattei.
Breedy tornò prima che potesse rispondermi e appoggiò con un altro inchino il vassoio, contenente la teiera, due tazzine, latte, limone, zucchero e dei biscotti al cioccolato, sul tavolo che divideva la Parkinson e me.
«Grazie, Breedy, ora puoi andare.»
Dopo il sonoro ‘pop’ della smaterializzazione dell’elfo, la stanza cadde in un silenzio teso.
La Parkinson teneva lo sguardo basso, non sembrava dispiaciuta per avermi insultato, ma solo triste.
«Hai intenzione di raccontarmi cos’è successo?», le chiesi, afferrando la teiera per versare del tè in entrambe le tazze.
Quella situazione mi ricordava la visita di quella mattina della signora Malfoy, anche se la purosangue che avevo davanti in quell’istante sembrava meno altezzosa e più sconsolata, rispetto all’impeccabile madre di Draco.
«Ho sbagliato a venire qui», disse, ma non si mosse di un millimetro: «Perché mai ho pensato che tu avresti potuto aiutarmi?»
La sua voce era bassa e pacata, sembrava stesse commentando il tempo o parlando di una notizia letta su un giornale, stava constatando l’ovvio.
Mi chiesi se dovessi insistere o meno e, quando decisi che ero troppo curiosa per aspettare, la Parkinson aprì nuovamente bocca e mi precedette: «Eppure tu sai come ci si sente… Non è vero?»
Fece nuovamente una breve pausa e poi sospirò e alzò lo sguardo, puntano i suoi occhi scuri nei miei: «Eri innamorata di Weasley quando lui ha baciato la Brown, quindi potresti intuire la mia sofferenza…»
Aggrottai le sopracciglia, stava parlando per caso di Malfoy e me? O Nott…?
«Theo ha una cotta per Daphne, vuole che lo aiuti a conquistarla.»
La Parkinson lanciò la bomba con un tono casuale, mentre girava il cucchiaino nella tazzina senza fare il minimo rumore.
Dire che rimasi senza parole sarebbe un eufemismo, quasi mi strozzai con il tè per la sorpresa.
«Ma Daphne…», iniziai a dire, prima di bloccarmi e cominciare a ridere.
La mia reazione non fu una delle migliori, ma la situazione era così contorta e al limite del possibile che non avrei potuto fare diversamente. Vedevo chiaramente che la Parkinson, di fronte a me, era a dir poco indignata dal mio comportamento inadeguato; sicuramente si stava dando della stupida, per aver pensato che io sarei potuta essere di qualche aiuto.
«Cavolo, che pasticcio!», esclamai, portandomi le mani a coprirmi il viso, un po’ per nascondere il sorriso che ancora mi illuminava il volto, un po’ per mostrarle la mia costernazione.
«Io non ci trovo nulla da ridere», sibilò la Serpeverde, linciandomi con un’occhiata di puro odio.
«Daphne è innamorata di un’altra persona, me ne ha parlato recentemente Draco», ammisi: «Altro che triangolo amoroso, questo sembra più un quadrato, se non addirittura un pentagono.»
Pansy posò subito la tazzina e rimase con gli occhi sbarrati dalla sorpresa a fissare il pavimento: «Daphne non nutre nessun interesse nei confronti di Nott, quindi?», chiese in un sussurro.
«Ne dubito fortemente», le risposi, grata di constatare come un tenue sorriso fosse comparso sulle sua labbra.
«Quindi…», iniziò, sollevando il capo, una punta di speranza ad addolcirle i lineamenti: «Nott non sarà mai ricambiato?»
«No.»
Rimanemmo per qualche secondo in silenzio, io a sorseggiare il mio tè, contenta di averla aiutata, malgrado Pansy Parkinson non fosse la persona che preferivo al mondo, mentre lei continuava a passarsi le mani tra i capelli in modo nervoso.
Alcune lacrime le offuscarono la vista, prima di scivolarle oltre le palpebre e bagnarle il viso: «Mi sembra così sbagliato; essere felice di dover dare una così cattiva notizia a Theo…»
Prese uno dei tovagliolini di carta sul vassoio e si asciugò il volto, sorridendo debolmente: «Quando gli dirò che Daphne non è interessata a lui, ma a un altro… Theo finirà coll’odiarmi.»
Aprii bocca, avrei voluto consolarla, ma non ebbi il coraggio di emettere un fiato, insicura su cosa dire e timorosa di peggiorare soltanto la situazione. Pensai di specificare che Daphne non era innamorata di un lui, ma di una lei, poi però decisi di lasciare perdere e mi limitai ad affogare le mie parole nei biscotti al cioccolato e la tazza di tè.
Mentre assistevo alla pazzia della Parkinson, che la portava a ridere e piangere contemporaneamente, sentii una dolorosa fitta sotto l’ombelico che mi spinse ad appoggiarvi una mano contro, nel vano tentativo di attutire il male.
Avevo la fronte aggrottata e perplessa quando arrivò la seconda fitta, che vide come protagonista non solo il basso ventre, ma anche la schiena, e l’inguine. A quel punto non avevo poi più molti dubbi su cosa mi stesse succedendo, era ovvio che mi fosse appena arrivato il ciclo.
Sospirai e alzai la testa, incontrando lo sguardo confuso della Serpeverde che fissava la mia mano sulla pancia, senza capire cosa stesse succedendo.
«Ti senti bene?», mi chiese, posando la sua tazza di tè ed alzandosi per avvicinarsi.
«Mestruazioni», dissi soltanto.
Ora il grande problema era: cosa fare? Ovviamente non avevo con me i comodissimi assorbenti Babbani e nemmeno quelli per streghe, per non parlare della pozione contro i dolori mestruali o le medicine Babbane che sortivano lo stesso effetto.
Pansy annuì, con uno sguardo di comprensione stampato in volto: «Torno subito», disse e uscì dalla stanza nel giro di due secondi, lasciandomi sola.
Io ne approfittai per correre in bagno e sedermi sul gabinetto per controllare la situazione; avevo ovviamente sporcato i boxer di Draco, ma non era nulla che un incantesimo o un po’ di acqua fredda e sapone non avrebbero potuto sistemare.
Mi portai nuovamente le mani sulla pancia e gemetti per i crampi, desiderando, non per la prima volta e probabilmente nemmeno per l’ultima, di essere nata maschio.
Sentii la porta della camera aprirsi e richiudersi, non sapendo chi fosse decisi di rimanere in silenzio a studiare la cadenza dei passi, chiedendomi se fosse tornata la Parkinson o se fosse Malfoy.
Sentii un lieve ‘toc-toc’ contro la porta del bagno: «Hermione?», chiamò la voce bassa e lievemente preoccupata di Draco.
Mi coprii il volto con le mai; che situazione di cacca di Schiopodo!
«Sì?», risposi, stringendo i denti per il dolore intenso.
«Posso entrare?»
Sbiancai di colpo; farsi vedere nello stato pietoso in cui mi trovavo da Draco Malfoy, in quel momento, non mi sembrava una buona idea, così risposi di no e sperai che non facesse di testa sua, entrando lo stesso.
Vidi la maniglia della porta del bagno abbassarsi ed ero già pronta ad insultarlo, quando la porta d’ingresso s’aprì e la voce squillante della Parkinson annunciò di essere tornata.
Mai avrei pensato di dirlo, ma ero contenta che fosse lì.
«Levati di mezzo, Malfoy», gli disse e il secondo dopo era entrata nel piccolo bagno, porgendomi un paio di pozioni contro i dolori mestruali ‘Dissipatore-Di-Dolore’, un paio di mutande pulite e un pacchetto degli assorbenti per strega più costosi in circolazione.
«Ora vado a tenere Draco occupato per un po’, tu fai con comodo», mi ordinò, puntandomi un dito contro a mo’ di minaccia.
«Grazie», le dissi, e lei mi rispose con un veloce gesto della mano, prima di tornare nella camera da letto, dove sentii chiaramente Malfoy cominciare a fare tante domande.
Misi le mutande, che scoprii essere magicamente adattabili ed elasticizzate, poi tirai fuori dalla confezione uno degli assorbenti, che sembrava una semplice pezza di cotone, a prima vista pareva anche poco confortevole, ma in realtà era molto morbida, si incollava magicamente al tessuto delle mutante, garantendo confort e sicurezza.
Non avendo una bacchetta sciacquai i boxer di Draco con l’acqua fredda, sfregando fino a quando la macchia non scomparve e poi li lasciai ad asciugare sul bordo della vasca.
Per ultima cosa afferrai la boccetta di ‘D-D-D’ e la bevvi tutta d’un fiato, storcendo le labbra al sapore amaro della pozione, che avrebbe fatto effetto nel giro di qualche minuto.
Quando uscii dalla camera, mi ritrovai a sorridere del modo in cui Malfoy fissava con fastidio la Parkinson, che continuava a blaterare a proposito di vestiti, trucchi, passerelle e sfilate di moda a cui sua cugina aveva la possibilità di assistere gratuitamente grazie alla sua posizione di spicco come scrittrice di articoli per ‘Strega&Moda’.
«Grazie, Pansy», le dissi, facendole sbarrare gli occhi dalla sorpresa, io per prima non mi raccapezzavo di averla chiamata per nome, ma mi sembrava il minimo dopo il suo aiuto.
La Parkinson afferrò il suo mantello, la sua maschera da Mangiamorte, bevve l’ultimo sorso del suo tè e poi uscì con sguardo alto e fiero dalla stanza, non assomigliando neanche un po’ allo straccio depresso che era entrato poco prima.
Draco mi si avvicinò all’istante, alzandomi il viso per scrutarmi negli occhi: «Stai bene? Cos’è successo?»
Mi chiesi se sarebbe stato meglio mentire o meno, poi optai per la verità e con un tenue sorriso gli dissi: «Mestruazioni».
Gli comparve sul volto un’espressione perplessa, poi una smorfia triste: «Capisco, ecco perché eri più intrattabile del solito ultimamente.»
Gli tirai una botta sulla spalla, facendolo gemere dal dolore.
«Lascia che ti dia un consiglio per il futuro: mai sfottere una donna col ciclo in piena crisi ormonale.»
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Capitolo 20 *** Parseltongue ***
Consiglio di leggere prima qua: Capitolo ottavo
20. Parseltongue
Chiusi il volume con un colpo secco colmo di rabbia malamente repressa.
Presi un profondo respiro e sollevai lo sguardo.
Malfoy, seduto in poltrona a leggere la "Gazzetta del Profeta" non sembrò minimamente scalfito dal rumore della pagine sbattute le une contro le altre.
Avevamo passato l'intero pomeriggio in silenzio, lui a informarsi su ciò che stava succedendo nel resto del mondo magico, io a leggere il volume che aveva recuperato in biblioteca e che si era rivelato una totale perdita di tempo. Quel volume parlava solo della storia del serpentese, della sua bassa diffusione e dell'impossibilità di intraprenderne lo studio senza un maestro a conoscenza di quella lingua. In poche parole si era rivelata una lettura inutile.
Sbuffai, infastidita e mi alzai.
Cominciai a camminare avanti e indietro per la stanza, passandomi ripetutamente le mani tra i capelli per il nervoso.
L'unica soluzione possibile era mandare un messaggio via galeone e sperare che Harry potesse in qualche modo aiutarmi. Se fosse stato possibile per lui inviarmi la pronuncia esatta della parola necessaria per poter aprire la camera dei segreti sarebbe stato perfetto.
Mi diressi verso il comodino con rinnovata speranza, abbandonando il volume della biblioteca sul letto.
Presi in mano il galeone incantato e me lo rigirai tra le dita. Tutto quello che dovevo fare era recuperare la bacchetta di Malfoy e sperare che tutto procedesse per il meglio.
Voltandomi, incrociai lo sguardo di Draco, che seguiva i miei movimenti con curiosità malcelata: «Come procedono le ricerche?», mi chiese, tornando ad abbassare lo sguardo sulle pagine del giornale.
Provava a non darlo a vedere, ma sembrava divertito dal mio fallimento. Gli si leggeva in viso che, per quanto mi avesse dato carta bianca, una parte di lui ancora non era convinta che quella fosse l'unica soluzione possibile.
«Il libro si è rivelato inutile», ammisi, alzando gli occhi al cielo alla vista dell'espressione compiaciuta sul suo volto.
«Peccato», disse, tornando a leggere il giornale.
«Posso usare la tua bacchetta?», chiesi, avvicinandomi di qualche passo.
Lo vidi aggrottare le sopracciglia: «Come mai?»
Trattenni uno sbuffo infastidito e decisi che se l'era cercata e che non mi restava altra scelta.
Senza pensarci troppo lo raggiunsi, gli presi il giornale di mano e lasciai che cadesse ai nostri piedi, prima di prendergli il viso tre le mani e costringerlo a guardarmi negli occhi.
«Non farmi arrabbiare, non sono in vena di giochetti», usai un tono di voce piatto. Non mi sembrava il caso di urlargli contro; era già abbastanza facile offenderlo senza aver bisogno di rincarare la dose.
Alzò gli occhi al cielo: «Ed è comportandoti in questo modo che speri di ottenere un favore da me?»
Ecco appunto. Mi era bastato constatare l'ovvio per offenderlo.
Grandioso.
Non mi restava altro da fare, mi sarei dovuta sacrificare e baciarlo per farmi perdonare.
Sacrificio che ero più che ben disposta a fare.
Premetti la mia bocca contro la sua, addolcendo la presa delle mie mani sul suo viso; trasformandola in una carezza.
Percepii chiaramente le sue labbra sollevarsi in un sorriso, mentre rispondeva al bacio e immergeva una mano tra i miei capelli.
Non gli permisi di approfondire il bacio, scostandomi da lui: «Posso usare la tua bacchetta?»
Il sorriso sulle sue labbra si allargò ulteriormente: «Sei peggio di una serpe, Granger».
Per Malfoy quello doveva essere una specie di complimento, un apprezzamento inusuale, certo, eppure nei suoi occhi c'era orgoglio, ne ero certa. Quelle parole non vennero però recepite in quel modo dalle mie sinapsi, che mi fecero allontanare di un paio di passi.
Continuavo a fissare il colletto della camicia bianca che indossava Draco, quell'indumento gli stava divinamente; metteva ulteriormente in risalto il pallore del biondo e fasciava la sua figura in modo sensuale ed elegante. Malgrado ciò i miei occhi non riuscivano a vedere la camicia, avevano una visione sfocata della realtà e non riuscivano a mettere a fuoco.
"Sei peggio di una serpe".
"Sei peggio di una serpe".
"SEI PEGGIO DI UNA SERPE, GRANGER".
Chiusi gli occhi.
Quelle parole mi facevano male. Io non ero un serpe. No. Io ero una Grifondoro, una fiera Grifondoro.
Ma come avrei potuto dargli torto?
Mi ero comportata da serpe, avevo usato la seduzione, i miei baci, nel tentativo di convincerlo. Forse perché sapevo con certezza che avrebbero funzionato. Forse perché per ottenere ciò che volevo avrei fatto qualsiasi cosa, anche comportarmi da serpe, come aveva detto lui.
«Lo pensi davvero?», sussurrai, sollevando lo sguardo, in modo da osservare ogni sua reazione.
Draco mi accarezzò la guancia; dolcezza nel suo sguardo e anche tanta tristezza.
«Mezzosangue, penso di essere io la serpe. Tu sei la solita fiera e orgogliosa leonessa, che si abbassa a trucchetti da serpe occasionalmente, quando il sottoscritto non le lascia altre scelta. Non volevo offenderti».
Le sue parole erano proprio ciò che avevo bisogno di sentire per zittire la mia coscienza irrequieta: «Posso usare la tua bacchetta?»
«Sì, puoi, ma trattala bene», rispose, porgendomi il suo legno con la mano destra.
«Grazie, Draco».
Afferrai la bacchetta e, sedendomi sul letto, mandai un veloce messaggio ad Harry, chiedendogli come stessero e se avevano novità.
Mentre aspettavo una risposta ripensai alla conversazione che avevo appena avuto con Malfoy. Mi aveva mentito? Credeva davvero a ciò che aveva detto?
Da quando tutta quella faccenda era iniziata, da quando la scommessa era iniziata, mi ero spesso trovata in situazioni che non avrei mai pensato possibili. Mi ero ritrovata a mentire, a comportarmi in modo scorretto e a vestirmi in modo inappropriato.
Avevo più volte messo in discussione me stessa. Ero cambiata molto e l'accusa di essere un po' serpe, dopo tutto quello che era successo, non mi sorprendeva più di tanto.
Era da molto che non mi sentivo più l'incorreggibile Hermione Granger e tutta la colpa non si poteva imputare a Draco. Mi sentivo io stessa responsabile per quel cambiamento. Ovviamente il cambiamento non era stato radicale, ero sempre io, ma meno incorreggibile.
Alzai lo sguardo, Malfoy era tornato a leggere La Gazzetta del Profeta, ogni tanto mi lanciava delle veloci occhiate, quasi volesse tenermi d'occhio e assicurarsi che non avessi altre crisi d'identità.
Anche lui era cambiato.
Se avessi dovuto provare a spiegare cos'era successo tra di noi, avrei preso come esempio pozioni. Una materia che non avevo mai amato particolarmente, in gran parte la colpa era stata di Piton, ma mi sembrava l'esempio perfetto per spiegare ciò che era nato tra me e Malfoy. Eravamo due ingredienti diversi, che posti nello stesso calderone, avevano avuto una reazione, la quale ci aveva cambiati in un terzo elemento, migliore e più resistente.
Sorrisi, infine rincuorata.
Il galeone bruciò contro il mio palmo. Harry e l'Ordine stavano bene, stavano organizzando uno spostamento sicuro per giungere ad Hogwarts senza farsi scoprire dai Mangiamorte e Voldemort.
Stavano sfruttando la Mappa del Malandrino e la conoscenza sconfinata del castello di alcuni membri della resistenza per cercare il luogo in cui sarebbe stato più facile entrare all'interno delle mura del castello.
Ero contenta che si stessero dando da fare, ma mi sentii in colpa per non aver ancora fatto molto per aiutarli. E cosa avrei potuto fare, chiusa com'ero nel dormitorio dei serpeverde?
Sospirai e inviai un messaggio ad Harry, chiedendogli la parola per entrare nella Camera dei Segreti.
«Draco?», lo chiamai, vedendolo sollevare subito il capo: «Sì?», mi chiese, piegando il giornale, in modo da incrociare il mio sguardo.
«Se Harry dovesse rispondermi presto con la parola che ci serve, potremmo andare subito nella Camera dei Segreti a recuperare la zanna di basilisco?»
Malfoy sbarrò gli occhi: «Con subito, intendi ora?»
«Pensavo fossero sinonimi e che tu parlassi la mia stessa lingua», lo presi in giro, sollevando un sopracciglio.
Draco alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa in modo particolarmente drammatico: «Ci servono i capelli di Pansy per la pozione polisucco. Poi ci converrebbe informare Blaise e la Lovegood. E ovviamente Pansy, sarebbe sconveniente che due Pansy iniziassero a camminare come se niente fosse per il castello...»
«Manda un messaggio a Pansy, chiedile di passare da noi al più presto, e informa anche Zabini e Luna», gli diedi istruzioni, mentre afferravo carta e penna, pronta a trascrivere qualsiasi messaggio mi avessero inviato i miei amici.
«Una volta usciti da questo stanza dovrai fare tutto quello che ti ordino, ricordi? Non potrei sopportare di perderti un'altra volta», disse, il tono di voce duro, che non ammetteva repliche.
Le sue parole mi provocarono una piacevole fitta all'altezza dello stomaco, malgrado il modo brusco in cui le aveva dette: «Me lo ricordo, non ho intenzione di farci scoprire».
«Bene», disse, alzandosi in piedi. Lo vidi scrivere due biglietti e spedirli con la magia, entrambi i pezzi di carta scomparvero sotto la porta nell'arco di pochi secondi.
Fu in quel momento che sentii la mano bruciare, mentre Malfoy borbottava: «Ti sto assecondando solo perché prima facciamo questa cosa, prima saremo fuori pericolo».
Il messaggio di Harry riportava solo poche lettere, con alcuni suggerimenti di pronuncia; il termine corretto doveva essere "eesciahasssa".
«Abbiamo la parola», dissi, sorridendo.
Malfoy mi appoggiò la mano sulla spalla, poi mi fece segno di alzarmi.
Indossammo entrambi un mantello scuro, poi Draco si diresse verso il comodino e preparò una porzione di Pozione Polisucco per me.
Stranamente, malgrado fossero passati anni, ricordavo chiaramente il saporaccio di quell'intruglio, ma non avevo intenzione di tirarmi indietro.
«Sei sicura?», mi chiese, la voce gli tremava appena per l'apprensione e il nervosismo.
«Sono sicura».
Annuì, piano, passandomi il bicchiere colmo quasi fino all'orlo di Pozione Polisucco.
In quell'istante bussarono alla porta e Draco, prontamente, andò a vedere chi fosse.
Una radiosa Pansy Parkinson fece il suo ingresso, sfoggiando una sicurezza che, se non l'avessi vista piangere quella stessa mattinata, avrei creduto autentica.
«Cosa c'è di così tanto urgente da richiedere la mia presenza?», chiese, senza salutare, andando dritta al punto.
«Ho bisogno di un tuo capello», ammisi, sollevando il bicchiere di Pozione Polisucco, in modo da attirare la sua attenzione sul liquido poco invitante.
Una smorfia di disgusto apparve sul suo viso: «Immagino dovrò stare rinchiusa qua dentro fino a quando non tornerete».
«Immagini bene», confermò Malfoy, avvicinandosi a lei per prelevare un capello dalla sua chioma liscia e maniacalmente ordinata.
Appena il filo castano scuro fu recuperato, Draco lo lasciò scivolare all'interno del mio bicchiere.
Bevvi il contenuto senza pensarci troppo, certa che, se ci avessi rimuginato su, avrei finito col rifiutarmi di sottostare a una tale tortura.
La pozione sapeva, come ben ricordava, di cavolo stracotto e gli effetti furono immediati. Inizialmente iniziò a dolermi lo stomaco, poi fu il turno del bruciore, che colpì mi colpì interamente, senza tralasciare nessun centimetro di pelle. Infine comparve la tipica sensazione di scioglimento. Nel giro di pochi secondi il mio corpo cambiò: le gambe mi si accorciarono, la vita mi si assottigliò e il volto a forma di cuore venne sostituito da un ovale altrettanto pallido.
Allo stesso modo in cui era cominciata, la metamorfosi cessò. Niente più bruciore, niente più dolore allo stomaco.
Mi portai una mano al volto: «Ha funzionato?»
Malfoy annuì, porgendomi la maschera da Mangiamorte di Pansy: «Indossala per sicurezza».
«Andiamo».
Posai il bicchiere vuoto, indossai la maschera e mi diressi verso la porta. Prima di uscire mi ricordai del biglietto con su scritta la parola in serprentese e feci dietrofront per recuperarlo.
Una volta in corridoio Malfoy mi precedette lungo il corridoio, facendomi strada.
«Ricorda, non fare nulla di pericoloso», mi disse, con un tono apprensivo. Non potei vedere il suo volto, coperto dalla maschera da Mangiamorte, ma non ne avevo bisogno, riuscii ad immaginarmi lo stesso la sua espressione.
Sorrisi alle sue parole e allungai una mano per sfiorare il suo braccio: «Prometto di non fare nulla di sconsiderato».
«Bene».
L'ingresso alla Camera dei Segreti era nel bagno delle ragazze del secondo piano, quello che avevo usato spesso per esercitarmi di pozioni senza esser disturbata da anima viva. Ogni tanto ero costretta a intrattenere delle conversazioni con Mirtilla Malcontenta, che solitamente non era contenta di avermi tra i piedi, ma in generale era un ambiente accettabile.
Durante il tragitto incontrammo solo un elfo domestico che puliva degli arazzi e il fantasma di Sir Nicholas che ci guardò con sguardo sprezzante, prima di scomparire oltre un muro.
Arrivati alla porta del bagno ci chiudemmo dentro con un incantesimo.
Harry e Ron mi avevano fatto vedere più di una volta il rubinetto guasto che li aveva condotti alla Camera dei Segreti, soprattutto Ron che era stato fiero di raccontarmi la vicenda nei minimi dettagli.
«Ok, è questo», dissi, indicando il rubinetto in rame su cui era inciso un piccolo serpente.
Aprii il foglietto, che durante il tragitto - per il nervoso - avevo piegato più volte e presi un profondo respiro.
«Eesciahasssa», pronunciai la parola con voce tremante, sperando di aver segnato correttamente le lettere e aver seguito i suggerimenti che mi erano stati inviati via galeone.
Il rubinetto s'illuminò di una luce bianca e iniziò a girare. Nel giro di pochi secondi il lavandino prese a muoversi e scomparve, esponendo alla vista un grosso tubo abbastanza grande da lasciar passare un uomo.
Con gli occhi sbarrati mi voltai, incontrando lo sguardo di Malfoy.
«Sono impressionato», mormorò.
«A chi lo dici».
Rimanemmo qualche secondo ad osservare l'enorme tubo: «Vado prima io», mi proposi, facendo un passo avanti.
«No, vado prima io».
Mi superò senza permettermi di replicare e scomparve nel buio. Lo seguii a ruota, scivolando contro le pareti viscide del tubo. Durante tutto il tragitto tenni gli occhi chiusi, riaprendoli solo quando l'inclinazione del tubo cambiò, ritornando in piano. Fu in quel momento che venni scaraventata fuori, atterrando su un pavimento bagnato. Malfoy a pochi centimetri di distanza illuminò l'ambiente grazie alla magia, permettendo ad entrambi di vedere le pareti del tunnel di pietra in cui eravamo finiti.
Eravamo ricoperti quasi interamente di melma.
«Tutto bene?», mi chiese, appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Credo di sì», risposi, tralasciando il fatto che le ginocchia ancora mi tremavano per l'apprensione.
Rimanendo vicini ci incamminando lungo il tunnel buio, allontanandoci dal tubo che ci aveva condotti fino a lì.
«Tu stai bene?», gli chiesi in un sussurrò che rimbombò più volte contro le pareti di pietra.
«Mi aspettavo qualcosa di più raffinato dal vecchio Salazar, un tubo sporco che conduce ad un tunnel sporco, Merlino!», sobbalzò e fece un passo indietro.
Sapevo perché aveva reagito in quel modo, avevamo pestato qualcosa che aveva scricchiolato in modo sinistro e quel qualcosa erano piccole ossa sporche.
«Sono... topi?!», chiese Malfoy, indignato: «Salazar mi delude sempre di più».
Ridacchiai sotto i baffi per il tono di voce oltraggiato, anche se ero schifata quando lui dell'ambiente in cui ci trovavamo.
La stanza era talmente buia che ci accorgemmo del Basilisco quando ormai era a meno di due metri da noi. Entrambi sussultammo alla vista dell'enorme cadavere, il cui corpo emanava un olezzo tremendo. Rimanemmo immobili per qualche istante, prima di avvicinarci con cautela alle fauci dell'animale che, spalancate, mostravano chiaramente le zanne acuminate.
Deglutii e mi convinsi ad allungare la mano verso l'unica arma a nostra disposizione per distruggere gli Horcrux.
Malfoy nel frattempo trasfigurò il teschio di un topo in una scatola in legno, abbastanza grande da contenere la zanna fino a quando non avessimo avuto bisogno di lei, ma non troppo ingombrante.
«Ottima idea», dissi, mentre - facendo attenzione a non ferirmi - afferravo la zanna e cercavo di dislocarla dalla sua attuale posizione.
Riuscii nell'impresa senza complicazioni e adagiai la zanna nel cofanetto in legno, sorridendo radiosa a Malfoy che, altrettanto felice, restringeva la scatola, in modo da poterla riporre nella tasca dei pantaloni senza problemi.
«Ce l'abbiamo fatta», constatai l'ovvio, abbracciando brevemente Malfoy.
«Devo ammettere che è stato più facile di quanto pensassi», mi sussurrò all'orecchio, stringendomi.
Fu solo quando, tornando indietro ci trovammo davanti al tubo nero da cui eravamo arrivati che ci rendemmo conto di un piccolo dettaglio che non avevamo calcolato.
«Come facciamo a tornare indietro?», chiese Draco, alzando la bacchetta in modo da illuminare gli spazi intorno al tubo, alla ricerca di un'altra via.
«Wingardium Leviosa?», proposi, aggrottando la fronte alla ricerca di una soluzione.
«Potremmo farci smaterializzare in camera mia da Breedy».
«Potresti chiamare la tua scopa volante con un "Accio"».
«Potremmo...», iniziò lui, ma venne interrotto da un sonoro 'pop'.
Ci voltammo entrambi verso destra, dove un sorpreso Breedy ci fissava con i suoi immensi occhi tondi: «Il signorino ha chiamato?»
Alzai gli occhi al cielo: «Direi di optare per il tuo piano a questo punto».
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Capitolo 21 *** Let's be friends ***
Consiglio di leggere prima qua: Capitolo nono
21. Let’s be friends
(Draco’s point of view)
«La doccia è mia» esclamò Hermione, alzando la mano e dirigendosi con passo spedito verso il bagno. A metà strada si fermò, si guardò intorno e aggrottò la fronte: «Dov’è finita la Parkinson?»
Smisi di fissare la sua espressione corrucciata e mi guardai intorno, rendendomi effettivamente conto che di Pansy non c’era nemmeno l’ombra.
Feci spallucce: «Non ne ho idea. Avrebbe dovuto aspettarci qua».
«Avrà avuto altro da fare», disse lei, con tono casuale, prima di chiudersi in bagno.
Mi sarebbe piaciuto seguirla e fare la doccia con lei, ma la situazione era delicata e non avevo tempo da dedicare alla mia attività preferita: fare arrossire la So-Tutto-Io-Hermione-Granger.
Avevamo recuperato la zanna, ma ci rimanevano ancora due Horcrux da trovare, e non avevamo nemmeno la certezza che fossero gli ultimi rimasti.
Tirai fuori dalla tasca il bauletto in cui avevo posto la zanna e, dopo averlo fatto tornare alla sua dimensione naturale, lo posai sul comodino accanto al galeone e alla Pozione Polisucco.
Fu in quell’istante, mentre adagiavo il bauletto in legno che mi resi conto di un dettaglio che avrei dovuto notare prima: la boccetta di Pozione Polisucco era quasi vuota.
Aggrottai le sopracciglia mentre la prendevo in mano e me la rigiravo tra le dita: «Non è possibile», dissi, cercando di ricordare quanta ne avesse usata Hermione per prendere le sembianze di Pansy.
Sfiorai con le dita le tacche disegnate sul vetro della boccetta. Hermione ne aveva bevute due, quindi…
«Pansy», mormorai, stringendo le labbra con disappunto in una linea sottile. Ma perché avrebbe dovuto prendere della pozione polisucco?
Sempre con la boccetta in mano mi diressi verso il tavolo e fu in quell’istante che vidi un foglio di pergamena bianco, tranne che per una piccola scritta, storta e nervosa che diceva: “Torno presto, P.”
Posai la boccetta e mi portai una mano al volto, sfregandolo con rassegnazione.
«Donne», sospirai, rendendomi conto che non sarei mai stato in grado di comprenderle, nemmeno se mi fossi messo d’impegno.
Presi la bacchetta e pulii la melma che mi lasciavo dietro ovunque andassi, tutta colpa dei luridi tubi nei quali ero stato costretto a scivolare per raggiungere la Camera dei Segreti.
Alzai gli occhi al cielo e cercai di togliermi il grosso dello sporco con un incantesimo, così da non lasciare impronte sul pavimento o sgocciolare fango scuro.
L’aiuto di Breedy era stato fondamentale; se non fosse stato per lui, chissà cosa ci saremmo dovuti inventare per di uscire da lì. Percorrere il tubo al contrario non sarebbe stato di sicuro facile o comodo, quindi ero, ancora una volta, in debito con quell’elfo domestico.
Presi dall’armadio dei vestiti puliti, un asciugamano e aspettai davanti al bagno che Hermione finisse la doccia.
L’attesa fu snervante, continuavo a leggere i titoli dei libri di scuola che avevo nella libreria accanto all’armadio; finii con l’impararli a memoria nell’arco di due minuti. Stavo per prenderne uno a caso in mano, così da leggerlo per far passare il tempo quando la porta del bagno si aprì di uno spiraglio.
Mi ritrovai a fissare l’occhio e parte dello zigomo di Hermione: «Posso avere un asciugamano e dei vestiti puliti?», chiese, mostrandomi un angolo di bocca sorridente.
Fissai i vestiti che tenevo tra le braccia e, con un sorriso sornione, glieli mostrai: «Intendi qualcosa di simile?»
L’angolo di bocca s’increspò in una smorfia, mentre l’occhio rideva divertito: «Esatto».
Spuntò da dietro la porta il suo braccio nudo, pelle bianca solcata da peluria dorata, e la sua mano si chiuse intorno a ciò che le stavo porgendo.
«Grazie», disse, prendendo vestiti e asciugamano.
Sentii la sua risata, poi la porta si richiuse, nascondendola alla mia vista.
Per qualche secondo la tentazione di abbassare la maniglia e irrompere nel bagno mi fece rimanere immobile dov’ero, ancora col braccio sollevato. Quando mi ripresi dal momento di debolezza sbuffai e voltai le spalle alla porta, tornando all’armadio, dove recuperai un altro asciugamano e dei vestiti.
Per quanto mi sarebbe piaciuto passare del tempo di qualità con la Saputella-So-Tutto-Io Granger, ero consapevole che avevamo altre incombenze. Per prima cosa non sarebbe stato male scoprire dove si fosse cacciata Pansy e il motivo per cui aveva deciso di prendere un po’ della pozione polisucco che avevo rubato dalle scorte di Piton. In secondo luogo dovevo chiedere a Blaise se lui e la Lovegood avessero trovato qualcosa a proposito di passaggi segreti o vie alternative per far sgusciare all’interno del castello Sfregiato e compagnia bella. Inoltre dovevo assolutamente parlare coi miei genitori e non solo per la questione fidanzamento, ma anche e soprattutto per scoprire se avessero idea di dove potesse trovarsi la coppa di Tassorosso. E infine dovevamo organizzare la gita alla torre di Corvonero, dato che la Lovegood doveva ancora parlare con la Dama Grigia e chiederle del suo diadema perduto.
Troppe cose da fare, ma per fortuna non avevamo limiti di tempo e potevamo organizzarci al meglio e, nella migliore delle ipotesi, riuscire a fare tutto in un paio di giorni.
In quell’istante Hermione uscì dal bagno; la massa di indomabili capelli ancora umida, i miei vestiti che le stringevano la zona dei fianchi e del seno e un dolce sorriso a illuminarle le labbra: «La doccia ora è tutta tua».
Quella ragazza mi avrebbe portato alla pazzia, me lo sentivo.
«Grazie», dissi, lasciandole un veloce bacio sulla guancia, prima di chiudermi la porta alle spalle e sparire dentro il bagno.
Battei il mio record personale e riuscii a fare la doccia e a vestirmi in una decina di minuti circa. Solitamente preferivo godermi il getto dell’acqua calda molto più a lungo, ma data la situazione in cui mi trovavo, non avevo tempo da perdere.
Il Mondo Magico non sembrava intenzionato a salvarsi da solo, sfortunatamente, e la mia presenza sembrava ampiamente richiesta negli ultimi tempi.
Una volta uscito dal bagno con un ampio sorriso sulle labbra (l’unico effetto che una doccia calda poteva avere su di me era quello di rendermi felice) trovai Hermione con un foglietto di pergamena in mano e uno sguardo corrucciato.
Quando i suoi occhi scuri incontrarono i miei, ebbi un’ulteriore conferma del fatto che qualcosa non andava.
«É per te», disse semplicemente, porgendomi il foglio.
Lessi le poche righe con un misto di confusione e noia: i miei genitori richiedevano la mia presenza al più presto e asserivano di dover discorrere di una questione importante.
Molto probabilmente volevano soltanto infierire ulteriormente a proposito della questione “fidanzamento-con-una-perfetta-sconosciuta” e cercare di convincermi a prendere una decisione al più presto.
Per quanto avrei preferito cenare tranquillamente con Hermione e concludere la serata con una bella dormita, sapevo di non potermi tirare indietro; prima avrei parlato con loro e prima avrei avuto modo di far crollare il piano malsano di mio padre.
«Devo andare, non posso ignorarli, anche se lo vorrei tanto», sospirai, infilando il foglietto in tasca e indossando il mantello.
Hermione annuì, nel suo sguardo c’era una punta di preoccupazione che mi feriva, ma come darle torto? Capivo i suoi timori meglio di quanto lei pensasse. Avevamo passato anni a infierire l’uno sull’altro, venivamo da ambienti molto diversi e lei nel mio mondo non sarebbe mai stata accettata a cuor leggero. Come potevo non capire il suo timore di essere messa da parte in favore di un partito più idoneo, di un partito approvato dai miei genitori e dall’ambiente sociale in cui vivevo?
Eppure il suo non fidarsi completamente di me non faceva altro che ferirmi.
Presi la maschera da Mangiamorte e posai la bacchetta nella tasca del mantello.
Hermione seguì ogni mio movimento con una certa cupezza: «Torna presto, ok? Io intanto chiedo a Breedy di lavarci i vestiti sporchi e di portarci qualcosa da mangiare».
Le sue parole mi bloccarono a pochi passi dalla porta. Senza pensarci mi avvicinai a lei e la baciai.
Forse fu un tentativo di conforto un po’ misero, ma era l’unico a cui avevo pensato e che ritenevo abbastanza efficace.
Accarezzai con dolcezza le sue guance, inspirando a fondo il suo buon odore e assaggiando le sue labbra con lentezza e desiderio.
«Sarò di ritorno prima che tu ti renda conto della mia assenza».
Mi stupii delle parole sdolcinate che erano uscite dalle mie labbra; con lei mi succedeva un po’ troppo spesso e la cosa cominciava a preoccuparmi seriamente. Appena la guerra fosse finita, mi sarei fatto vedere da un bravo medimago, o magari da uno psicologo babbano (a quel punto ero disposto a provare ogni possibile soluzione che il mondo magico e non era in grado di offrire).
«Allora sei già in ritardo» mormorò lei, con un tono altrettanto melenso.
Il fatto che non fossi l’unico ad aver perso la ragione mi rincuorò quel tanto necessario a farmi ridere sommessamente per qualche secondo.
«Basta smancerie, donna, devo andare», dissi, facendole alzare gli occhi al cielo con un sorriso divertito sulla labbra.
Le rubai un ultimo bacio a stampo e uscii da camera mia, indossando la maschera da Mangiamorte.
Una volta arrivato davanti alla porta che conduceva alle stanze dei miei genitori mi bloccai,tolsi la maschera, raccolsi tutto il mio coraggio, presi un profondo respiro e bussai.
Ad aprirmi fu mia madre, un volume stretto al petto e uno sguardo serio a irrigidirle i lineamenti: «Entra, caro», mi disse, scostandosi dall’uscio.
Appena misi piene nel piccolo salottino, mi stupii di trovare Pansy seduta sul divano, tra le mani stringeva un bauletto decorato finemente e sul viso aveva un’espressione di confusa rassegnazione. Davanti a lei mio padre, in piedi, la fissava con cupo biasimo.
«Ti ho fatto chiamare», iniziò lui, mentre mia madre chiudeva la porta alle mie spalle e la Parkinson mi lanciava uno sguardo colmo di speranza: «Perché ho visto la tua ex fidanzata, con le sembianze di Bellatrix Lestrange, entrare nella stanza di quest’ultima e uscirne con il bauletto che contiene la coppa di Tassorosso. Volevo chiederti se avevi qualcosa a che fare con questa faccenda».
Abbassai lo sguardo su ciò che aveva Pansy tra le mani e analizzai la scena che mi si presentava davanti con occhi nuovi.
Non ricordavo di aver direttamente parlato alla Parkinson degli Horcrux e dubitavo che Hermione l’avesse fatto. Non avevo idea di cosa avesse potuto farle credere che intraprendere un’azione tanto pericolosa sarebbe stata una buona idea. Rubare dalla stanza di mia zia un oggetto tanto prezioso, rischiando la vita… Ero senza parole. Ora però si spiegava la pozione polisucco che avevo notato mancare dalla boccetta e la scomparsa di Pansy da camera mia.
«Non proprio, diciamo che ha agito senza che io le dessi direttive al riguardo, ma è dalla nostra parte, padre», gli dissi, fissando il volto della Parkinson con occhi nuovi. L’avevo sempre vista come una ragazzina debole, ma dovevo ammettere che le sue ultime azioni mi avevano fatto ricredere.
«Oh», disse mio padre, corrugando la fronte e grattandosi pensosamente il mento: «Sono lieto di sentirtelo dire e sono felice che tua madre mi abbia consigliato di chiedere la tua opinione prima di cruciarla e tentare di carpirle informazioni».
Le dure parole di mio padre fecero sussultare la povera Pansy che, ancora seduta sul divano, lanciò all’uomo di fronte a sé uno sguardo di orrore e stupore insieme, prima di nasconderlo dietro ad apparente indifferenza.
«Grazie, madre», dissi con gli occhi sbarrati dallo sconcerto, appuntando mentalmente di presentare Hermione come mia fidanzata solo dopo essermi accertato che mio padre fosse disarmato: «Ora, se non vi dispiace io e Pansy torniamo nei sotterranei, è stata una lunga giornata e abbiamo tutti bisogno di riposare».
Mio padre annuì, voltandosi verso mia madre.
Feci segno a Pansy di raggiungermi e lei non se lo fece ripetere due volte, abbandonando il suo posto sul divano e, senza che le dicessi niente, diminuì le dimensioni del bauletto, che ancora stringeva tra le mani, e se lo infilò nella tasca dei pantaloni.
Quando alzai lo sguardo, vidi i miei genitori l’uno accanto all’altro, mio padre con un braccio intorno alla vita di mia madre e quest’ultima con la fronte appoggiata alla sua spalla. Fin da bambino non erano mancati i litigi tra i miei genitori, allo stesso modo in cui non erano stati pochi i periodi felici in cui avevo, sfortunatamente, assistito a smancerie ben peggiori; eppure quella scena mi sembrava troppo intima, tanto da mettermi a disagio.
«Buona notte», esclamai, dirigendomi verso la porta con Pansy che mi tallonava.
«Buona notte», risposero in coro i miei genitori, prima che scomparissi oltre la porta.
Una volta fuori, fissai a lungo la ragazza accanto a me che, con gli occhi sbarrati fissava il muro di fronte a sé.
Aprii bocca per tempestarla di domande, ma poi decisi di tacere, così da lasciarle qualche minuto per riflettere, prima di farle il terzo grado.
Iniziai a dirigermi verso la sala comune Serpeverde e non fui particolarmente sorpreso di sentire dietro di me e poi accanto a me i passi veloci della Parkinson.
I primi metri li percorremmo in silenzio. Fu Pansy a interromperlo: «Grazie, Malfoy».
Le lanciai un’occhiata veloce, sembrava ancora stravolta, ma leggermente più padrona di sé.
«Perché l’hai fatto?», le chiesi, riferendomi ovviamente alla sua missione suicida.
«Perché sono stupida, ecco perché», rispose, stringendosi nelle spalle, poi una risatina isterica le sfuggì dalle labbra: «Cavolo, quanto sono stupida. Cosa volevo dimostrare? Avrei potuto farmi uccidere… Tuo padre era ad un passo dal cruciarmi, per fortuna tua madre l’ha fatto ragionare all’ultimo».
Ci fu un breve silenzio, poi continuò: «Volevo dimostrare a me stessa di esserne in grado».
Le sue parole mi sembravano più indirizzate a se stessa che a me, come se si fosse dimenticata di avermi come interlocutore.
Alzò brevemente il suo sguardo su di me e i nostri occhi s’incrociarono: «Volevo dimostrarti di non essere la persona che tu credi. Non solo almeno».
La sua confessione mi fece sentire in colpa, sensazione che cercavo il più delle volte di ignorare, ma che ultimamente sembrava perseguitarmi.
«Pansy…», iniziai a dire, anche se non avrei saputo dire come volessi continuare la frase, talmente mi sentivo soffocare dal pentimento. L’avevo usata, per anni. Avevo usato lei e il suo amore nei miei confronti per cercare di dimenticare Hermione e la forte attrazione che sentivo nei suoi confronti. Ero stato uno stronzo.
Alzò la mano per impedirmi di continuare una frase che in realtà non sapevo come terminare.
«Prima o poi smetterò di considerarti il centro del mio universo, Malfoy, ho solo bisogno di tempo», ammise, con un triste sorriso: «Non è possibile smettere di amare una persona da un giorno all’altro, ci ho provato, ma non ci sono riuscita. Non sto cercando di farti pena, voglio solo essere sincera».
Ero sconvolto dalle sue parole e più che farmi pena mi faceva sentire ancora di più un essere abominevole.
«Vorrei solo chiederti di essere amici. Non posso cancellarti dalla mia vita dall’oggi al domani e ignorarti non serve a niente, ci ho già provato. Non ho intenzione di mettermi tra te e la Granger, è ovvio che non potrei mai avere la possibilità di vincere. Quindi, penso che rimanere amici sia l’unica soluzione».
Eravamo ormai arrivati di fronte alla sala comune, pronunciai la parola d’ordine e vi entrammo in silenzio.
Ero sorpreso dalle sue parole, non mi aspettavo tanta diplomazia da parte sua, forse perché l’avevo sempre considerata una persona isterica, senza in realtà conoscerla davvero.
La verità era che negli anni in cui eravamo stati assieme non mi ero mai preso la briga di conoscerla veramente, di ascoltarla ed esserle vicino come avrei dovuto in quanto fidanzato. Come aveva fatto ad innamorarsi di me? Di un essere tanto spregevole?
Ci fermammo davanti alla porta della mia stanza: «Sarei felice di rimanere tuo amico, Pansy. Mi dispiace di…»
Il suo abbraccio mi prese alla sprovvista e tutto quello che riuscii a fare fu ricambiare. Il suo odore familiare, così come la sensazione del suo corpo contro il mio, mi fece sentire una fitta di rimpianto. Se solo le avessi dato un’opportunità, se solo non fossi stato stregato dalla Granger…
«Non farla soffrire più di quanto tu non abbia già fatto. Per quanto sia diffide da ammettere, è una in gamba», disse Pansy, sciogliendo l’abbraccio e facendo un paio di passi indietro.
«Farò il possibile», la rassicurai, stupito.
La Parkinson tirò fuori dalla tasca il bauletto in formato mignon, porgendomelo: «Ancora non ho capito perché la coppa qua dentro sia così importante, ma conto sul fatto che prima o poi me lo spiegherete».
«Non sembri tu», mi lasciai sfuggire, facendola sorridere.
«Le persone crescono, cambiano. Al momento sto cercando di essere una versione migliore di me stessa, una più coraggiosa e sincera; non ha senso vivere di rimpianti», spiegò, fissando la propria mano protesa verso di me: «Merlino! Mi si è spezzata un’altra unghia!», esclamò con tono rabbioso.
Presi il bauletto con un sorriso sulle labbra, dietro alla corazza della persona matura c’era ancora la Pansy che mi aveva amato per anni senza chiedere nulla in cambio, quella a cui avevo finito col volere bene.
«Buona notte», le augurai.
«Sì, buona notte», mi rispose con tono scocciato, mentre si mordicchiava l’unghia.
Entrato nella mia stanza, trovai Hermione seduta sul letto con il libro delle Fiabe di Beda il Bardo tra le mani e un’espressione di serena curiosità dipinta sul viso.
«Sono tornato», le annunciai, appoggiando il bauletto sul tavolo e spogliandomi del mantello e della bacchetta: «Ho novità».
Hermione chiuse il libro e lo posò sul mio comodino: «Sì?», chiese, dirigendosi verso di me.
«Direi proprio di sì», esclamai, prima di notare il suo sguardo preoccupato: «C’è qualcosa che non va?»
«Harry mi ha mandato un messaggio», ammise, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il galeone incantato: «Dice che hanno trovato un modo alternativo per entrare nel castello».
Osservando la sua espressione, capii che non aveva ancora finito, ma non potei fare a meno di interromperla: «Direi che è un’ottima notizia».
«Vogliono attaccare questa notte».
Sbarrai gli occhi, guardandomi intorno con aria smarrita: «Questa notte?», ripetei, portandomi una mano tra i capelli: «Dobbiamo avvisare i miei, Blaise… Ci manca ancora il diadema! Non possono aspettare domani?»
«Temo di no, non sono riuscita a rispondergli perché avevi tu la bacchetta, ma da quello che ho capito vogliono colpire il prima possibile, non vogliono aspettare», disse, avvicinandosi a me.
Strinse le sue dita intorno alla mia mano destra: «Dobbiamo avvisare Zabini e Luna, devono parlare al più presto con la Dama Grigia», aggiunse, appoggiando la fronte contro la mia spalla: «Cosa volevano i tuoi?»
«Abbiamo la coppa di Tassorosso, grazie a un caso fortuito mio padre ha involontariamente aiutato Pansy a rubarla a mia zia».
Hermione si scostò, così da guardarmi dritto negli occhi: «Bene», mormorò con un sorriso sulle labbra. Strinse la sua mano nella mia, senza interrompere il contatto visivo, poi sbuffò e sul suo volto comparve una smorfia: «Non capisco perché io debba sempre avere il ciclo nei momenti meno opportuni».
Sollevai un sopracciglio, indeciso se ridere della sua espressione scocciata o consolarla.
Alla fine optai per la seconda; ero troppo giovane e bello per morire.
«Su, è solo una volta al mese», dissi, impacciato, posandogli la mano libera sulla spalla.
Gli occhi di Hermione si assottigliarono: «Solo una volta al mese», ripeté, lo sguardo di chi non aveva apprezzato il mio tentativo consolatorio.
Possibile che non riuscissi a combinarne una giusta?
«Vado a dire a Blaise le novità», dissi, facendo un passo indietro e districandomi dalla presa ferrea della sua mano che, più che stringermi amorevolmente le dita, stava cercando di staccarmele dal corpo.
«Bravo, Malfoy, vattene, perché potrei non rispondere delle mie azioni», sibilò lei: «Solo una volta al mese», ripete con voce rabbiosa, incrociando le braccia al petto e fulminandomi con lo sguardo.
«Torno presto», la rassicurai, una volta fuori, in corridoio.
«Ringrazia che non ho la bacchetta!»
Chiusi la porta e tirai un sospiro di sollievo.
Appunto mentale: mai sminuire le mestruazioni.
Altro appunto mentale: cercare un modo per farsi perdonare.
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Capitolo 22 *** Trust, love and fights ***
Consiglio di leggere prima qua: Capitolo decimo
22. Trust, love and fights
«Solo una volta al mese», borbottai tra me e me, mentre mi dirigevo con passo di marcia verso il bagno.
Presi una delle pastiglie Sorriso Smagliante 24h, lasciando che mi si sciogliesse in bocca e poi tornai in camera, non riuscendo a stare ferma per il nervosismo.
Mi sfilai i pantaloni di Malfoy e la maglia, rimanendo in mutande davanti all'armadio, alla ricerca di qualcosa di comodo da indossare per la notte.
La maglietta che avevo usato fino a quel momento come pigiama era scomparsa, probabilmente l'aveva presa Breedy per lavarla o almeno era quello che avevo immaginato quando non l'avevo trovata al suo solito posto.
Mi passai le mani sulle braccia sfregando la pelle per il freddo, nel tentativo di scaldarla.
Ero indecisa se rubare una maglia o una felpa.
Se avessi avuto ancora la mia bacchetta avrei trasfigurato uno dei tanti completi eleganti di Malfoy in un semplice, caldo e comodo pigiama; bastava pensarlo per sentire un sorriso beato illuminarmi il volto. Probabilmente a Malfoy l'idea non sarebbe particolarmente piaciuta, ma io ero arrabbiata con lui al momento, quindi entusiasta di qualcosa che avrebbe potuto provocato il suo cattivo umore.
«Solo una volta al mese, vorrei vedere te», borbottai, mentre recuperavo alla fine un maglione color antracite, che doveva stare grande allo stesso Malfoy, dato che mi copriva abbastanza da nascondere il sedere.
Inspirai a fondo il profumo di pulito misto all'odore di Draco e un sorriso involontario comparve sulle mie labbra. In quel momento decisi che non gli avrei mai più restituito quell'indumento, l'avrei tenuto come ostaggio per sempre.
Mi diressi verso il letto e mi ci sedetti.
Harry non aveva specificato quando sarebbe avvenuto l'attacco e, dentro di me, speravo avremmo avuto qualche ora di sonno prima di dover combattere. Quel giorno, come quelli precedenti erano stati tremendamente stancanti; non solo mi era arrivato il ciclo, ma ero anche dovuta scendere nella Camera dei Segreti per recuperare la zanna del Basilisco. Non proprio la tranquilla giornata che avevo sperato di avere.
Appoggiai la schiena alla testiera del letto e intrufolai le gambe sotto le coperte, così da tenerle al caldo e chiusi momentaneamente gli occhi, in attesa di sentire la porta aprirsi e veder tornare Malfoy.
Ero proprio curiosa di vedere se avrebbe provato a scusarsi, o avrebbe eluso il litigio di poco di poco prima, fingendo che nulla fosse accaduto e parlandomi come se niente fosse.
Conoscendo la sua codardia probabilmente avrebbe optato per la seconda opzione e, in caso avesse notato che non stava funzionando, avrebbe iniziato a dire cose sdolcinate per rabbonirmi.
Feci una smorfia; la convivenza forzata non mi faceva affatto bene. Il fatto che cominciassi a prevedere le sue mosse era chiaramente segno della troppa intimità che stavamo condividendo.
Mi lasciai scivolare verso il basso, fino a quando non fui totalmente sdraiata sul materasso, la testa adagiata sul cuscino morbido.
Decisi che se avessi chiuso gli occhi per qualche istante non sarebbe successo nulla. Volevo solo riposare gli occhi, qualche secondo.
La mia mente cominciò quasi immediatamente a seguire fili logici assurdi, tanto che nell'arco di quelli che mi parvero dieci secondi, finii a pensare alla prozia Claire e a chiedermi come stessero i miei genitori. Con tutto quello che era successo avevo avuto poco tempo per pensare a loro e mi sentivo in colpa per non essermi preoccupata molto della loro situazione.
"Sono dalla prozia Claire, non hai nulla di cui preoccuparti", disse una vocina nella mia testa, e decisi di ascoltarla, nella speranza che avesse ragione.
Alla fine della guerra, se mai fossi sopravvissuta, avevo intenzione di andare subito da loro e accertarmi che stessero bene. E non lo facevo perché sapevo che la prozia Claire era una bravissima cuoca e mi avrebbe riempito di prelibatezze. Non solo almeno.
Mi avvolsi maggiormente nelle coperte, inspirando a fondo l'odore inebriante di Malfoy.
Cercai di ricordarmi di essere arrabbiata con lui per il suo commento superficiale ed estremamente inopportuno. Ma era difficile tenergli il muso, soprattutto quando mancavano poche ore all'inizio di una guerra le cui sorti erano impossibili da prevedere. Non volevo trascorrere quelli che sarebbero potuti essere i nostri ultimi momenti insieme a tenergli il muso.
Aprii gli occhi quando sentii la porta aprirsi e incontrai gli occhi chiari di Malfoy; aveva un'espressione guardinga e si richiuse l'uscio alle spalle facendo il minor rumore possibile.
«Ti ho svegliato?», chiese in un sussurro, posando il mantello e la bacchetta sul tavolo, prima di raggiungermi in poche falcate.
Spostai la testa, così da poterlo guardare in viso senza dovermi sollevare: «Non stavo dormendo», gli dissi, senza interrompere il contatto visivo.
Allungai una mano, facendola sgusciare da fuori le coperte e l'allacciai al tessuto morbido della manica del suo maglione: «Abbassati».
Sul suo viso era ben visibile la perplessità, oltre ad una punta di curiosità.
Si sedette sul bordo del letto, in modo da non schiacciarmi col suo peso e avvicinò il volto al mio.
La stanza era poco illuminata; il suo viso era solcato da zone d'ombra che mettevano in risalto i suoi lineamenti.
«Sei riuscito a parlare con Zabini e Luna?», gli chiesi, spezzando il silenzio.
Draco annuì: «Quando li ho lasciati si stavano preparando per andare dalla Dama Grigia», rispose, muovendo un braccio alla mia sinistra, in modo da sovrastarmi con la sua figura.
Il modo impacciato in cui si muoveva, come se temesse da un momento all'altro di mettere un passo in fallo e di essere sbranato mi fece sorridere: «Bene», dissi, allungando nuovamente la mano per afferrare la sua, disegnando cerchi concentrici col pollice sulla sua pelle.
Non potei fare a meno di immaginare la sua mano fredda a contatto col mio corpo bollente e il pensiero mi fece arrossire; sperai che il buio nascondesse il mio imbarazzo.
«Sono ancora arrabbiata con te», dissi, osservando le sue spalle irrigidirsi: «Ma non ho voglia di litigare», continuai, spostando la mano lungo il suo braccio, fino alla sua spalla.
Insinuai le dita tra i suoi capelli fini, poi gli afferrai la nuca e lo spinsi verso il basso, facendo scontrare le nostre bocche.
Lo sentii inspirare a fondo, mentre prendeva le redini del bacio, insinuando la sua lingua tra le mie labbra. Fu un bacio dolce, breve e intenso.
Prima che me ne potessi rendere conto aveva già allontanato il viso, così da poter allacciare i nostri sguardi: «Promettimi che rimarrai qua durante la battaglia», sussurrò, prima di assalire nuovamente le mie labbra.
Comprendevo la sua apprensione; non avevo una bacchetta, come avrei potuto difendermi? Ma c'erano tante altre cose che avrei potuto fare; avrei potuto aiutare i feriti, avrei potuto aiutare a nascondere i più giovani o a liberare i prigionieri dalle loro celle.
Non poteva impedirmi di essere utile, non potevo permetterglielo.
«Non ho intenzione di mettermi in prima linea, non sono pazza», mormorai, quando la sua bocca lasciò la mia: «Ma voglio poter dare una mano».
Uno sguardo colmo di tristezza attraversò il suo viso: «Se ti dovesse succedere qualcosa, io... Non hai la bacchetta, Hermione! Come potresti difenderti?»
Afferrai il suo viso tra le mani, impedendogli di interrompermi nuovamente con un bacio: «Ci sarai tu a proteggermi», sussurrai, sfiorandogli la fronte con le dita, in modo da distendere le rughe d'espressione che si erano formate.
Fu il mio turno di iniziare il bacio questa volta, stringendo con forse troppa foga i suoi capelli e facendolo gemere dal dolore.
«Non sono stato in grado di proteggerti l'ultima volta», sussurrò, il suo tono di voce colmo di rimpianto: «Dovresti aver imparato che non dovresti affidarti a me».
Risi delle sua parole, regalandogli un fugace bacio a stampo: «Sono stata pazza a fidarmi del nemico», gli diedi ragione, sorridendo tristemente: «Ma sono stata ancora più incosciente».
Draco sollevò un sopracciglio, osservandomi con curiosità: «Tu? Hermione Granger? Incosciente? Non ci credo».
Si districò dalla mia presa, giusto il tempo di sfilarsi le scarpe, poi si infilò sotto le coperte con me, avvolgendo il mio corpo bollente tra le sue braccia fredde. Rabbrividii per il contatto, ma non mi ritrassi.
«Invece dovresti crederci», sussurrai, giocando coi suoi capelli: «Perché oltre a fidarmi di te, ho finito coll'innamorarmi».
Quando quelle parole abbandonarono le mie labbra sentii una strana sensazione all'altezza dello stomaco; sembrava che una mano dalla forza disumana avesse lacerato la mia pelle e la carne in modo da poter arrotolare gli organi gli uni agli altri, creando uno strano groviglio doloroso.
Gli occhi di Malfoy erano colmi di stupore e non sembrava spaventato dalla mia confessione; ciò mi diede la forza di sorridergli, anche se timidamente.
«Innamorata del nemico», sussurrò, allargando le labbra in uno dei sorrisi più belli che avessi mai visto: «Non avrei mai pensato che fossi tanto sconsiderata».
«Lieta di essere ancora in grado di stupirti», dissi, sorridendogli.
«Durante la battaglia non ti allontanerai da me», mormorò, giocando coi miei capelli: «Rimarremo nelle retrovie, aiuteremo nelle mansioni che non richiedono necessariamente l'uso della magia e...»
«Draco», lo interruppi, desiderosa di porgergli una domanda che stazionava nel mio cervello da fin troppo tempo: «Non so se ti ricordi», borbottai, mordendomi il labbro inferiore: «Ma ogni tanto mi torna in mente quella sera, quando eravamo di ronda e...», le parole mi rimasero incastrate in gola; come avrei potuto chiederglielo?
«Sì?», chiese lui, con la fronte corrugata.
«Vorrei chiederti il perché di quella lacrima», sussurrai, sperando di non spaventarlo o farlo arrabbiare con la mia curiosità. Prima non avevo mai avuto il coraggio di chiedergli spiegazioni, ora pensavo che, dopo ciò che gli avevo confessato, per lui fosse d'obbligo rispondermi.
(N.d.A. Hermione fa riferimento al decimo capitolo di "Mai Scommettere col Nemico")
Aggrottò ancora di più la fronte, poi sembrò capire a cosa mi riferissi e uno sguardo incerto gli distorse i lineamenti.
«Non ricordo precisamente», provò a dire, ma io sollevai gli occhi al cielo e lo colpii al petto con la mano, pretendendo che mi dicesse la verità.
«Mi piacevi da anni e temevo, con la scommessa, di aver sbagliato tutto», mormorò, gli occhi chiusi e i lineamenti tesi: «Di averti portata tra le mie braccia nel modo peggiore che si potesse immaginare e che tu in realtà non saresti mai stata veramente mia».
Puntò i suoi occhi nei miei, c'era talmente tanta dolcezza e sentimento che non avevo bisogno di sentirgli dire le parole "Ti amo", erano lì, sul suo volto, nello sguardo e nel lieve sorriso che illuminava il suo viso.
«Pensavo che non saresti mai stata mia, che ci fossero troppi ostacoli tra di noi e che non saremmo mai riusciti a superarli. Ero certo che avrei finito col farti stare male, comportandomi nel modo sbagliato, dicendo», sorrise, facendomi pensare al nostro litigio precedente: «Sciocchezze e allontanandoti irrimediabilmente da me. Inoltre sapevo che avrei dovuto ricevere nell'arco di qualche settimana il marchio nero; il pensiero di come avresti potuto reagire alla vista del...»
Premetti le mie labbra contro le sue, interrompendolo.
Mi ero sempre domandata perché avesse reagito a quel modo quella sera di poche settimane prima, ma mai avrei potuto immaginare che il motivo dietro a quella lacrima ero proprio io. Una calda sensazione mi inondò il petto e lo stomaco, sostituendo la morsa di incertezza e preoccupazione che avevo provato fino a poco prima.
Saggiai le sue labbra con calma, cercando di trasmettergli tutto l'amore che provavo. Con quel bacio volevo dirgli che io ero lì e che non l'avrei lasciato andare, mai; che avrei combattuto al suo fianco ogni battaglia che la vita ci avrebbe destinato.
Mi strinse in un forte abbraccio, privandomi quasi del poco fiato che avevo in corpo.
Quel bacio dolce era diventato necessario e vorace; conteneva tutta la nostra paura, tutte le parole non dette e tutti i rimpianti che avevamo.
«E se rimanessimo qua?», chiese, appena riuscimmo a separarci quel tanto che bastava per guardarci negli occhi.
«Intendi nascosti in camera tua? Durante la battaglia?», domandai, la fronte aggrottata.
«Preferisco fare il codardo e sopravvivere, piuttosto che l'eroe e morire», sussurrò, chiudendo per pochi secondi le palpebre: «Non voglio perderti, non ora che ti ho finalmente trovata».
«Mi hai trovata sei anni fa, su un vagone del treno per Hogwarts», lo corressi, ridendo della sua espressione scocciata.
«Ecco la saccente Granger di cui non sentivo per nulla la mancanza», ribatté, facendo una smorfia particolarmente ridicola, tanto da sembrare un furetto; con il naso arricciato, le labbra strette e gli occhi chiusi a fessura in quel modo.
«Bugiardo», dissi, facendogli una linguaccia, senza riuscire a trattenere le risate, dovute alla sua precedente smorfia.
«Rimaniamo qua», ripeté, gli occhi colmi di speranza; non sembrava disposto ad arrendersi, malgrado pensavo fossimo già giunti al compromesso di non combattere in prima linea, ma di essere comunque utili nelle sorti della guerra rimanendo nelle retrovie.
«Non posso», ammisi, distogliendo lo sguardo.
Capivo perfettamente il suo punto di vista, ma non sarei riuscita a nascondermi sapendo che i miei amici avrebbero combattuto contro Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato per salvare il Mondo Magico.
«Dovevo provarci», mormorò, sollevandomi il mento, così da far scontrare i suoi occhi coi miei: «Rimarremo nelle retrovie, insieme».
Annuii, sorridendogli grata, prima di appoggiare il viso contro il suo petto, così da sentire il suo cuore battere forte a pochi centimetri dal mio orecchio destro e lasciarmi cullare dal suo ritmo cadenzato. Draco appoggiò il mento sulla mia testa, stringendo la presa intorno al mio corpo.
«Pensi che quando questa guerra sarà finita, le lezioni qui ad Hogwarts riprenderanno normalmente, come se nulla fosse accaduto?», chiesi in un sussurro, decisa a non voler disturbare la pace di cui sembravamo entrambi prigionieri.
«Penso di sì», rispose, posando un bacio contro i miei capelli: «Ti mancano le lezioni».
La sua affermazione mi fece sorridere; mi conosceva più di quanto fossimo entrambi disposti ad ammettere.
«Mi manca la monotona routine di lezioni, compiti e poi studio. Tutto questo stress, la paura...», mormorai, lasciando la frase in sospeso, mentre scuotevo appena il capo, sfregando la pelle delle guance contro il tessuto morbido del maglione che indossava Malfoy.
«Vedrai che presto sarà tutto finito», tentò di consolarmi Draco, baciandomi nuovamente il capo: «Sfregiato riuscirà a fare qualcosa di buono nella sua vita e a sconfiggere una volta per tutte il Signore Oscuro».
Alzai gli occhi al cielo, chiedendomi se sarebbe mai riuscito a comporre una frase sui miei amici senza insultarli.
«Dopo di che, vedremo di trovargli un hobby che non sia essere la causa principale di morti e guerre. Qualcosa di meno pericoloso, come giocare a scacchi o leggere».
Sbuffai e spinsi le mani contro il suo petto, allontanandomi da lui: «La smetti? Non è colpa di Harry se...»
Non mi lasciò finire: «Certo che è colpa sua, Sfregiato deve sempre essere al centro dell'attenzione, altrimenti...»
Fu il mio turno di interromperlo: «Non è vero! Se c'è qualcuno che vuole sempre essere al centro dell'attenzione, quello sei tu!»
Malfoy alzò gli occhi al cielo: «Ti risulta per caso che mi faccia chiamare "il bambino sopravvissuto" dall'intero Mondo Magico, facendomi acclamare come una divinità?», mi chiese con una smorfia in volto.
«Cosa c'entra?», ribattei, colpendolo al petto col palmo della mano: «Sei solo geloso del fatto che...»
L'istante dopo il corpo di Malfoy mi sovrastava e la sue labbra avevano zittito le mie con un bacio rabbioso. Affondai le dita tra i suoi capelli, tirandoglieli, nel tentativo di allontanarlo. Gli morsi le labbra, gli colpii il petto coi pugni e cercai di liberarmi dalla presa ferrea delle sue mani sul mio corpo, ma era tutto inutile.
Ero arrabbiata con lui per ciò che aveva detto, e il suo tentativo di rabbonirmi con un bacio mi faceva innervosire ancora di più.
Mugugnai contro le sue labbra, cercando di insultarlo malgrado la sua bocca premuta contro la mia non me lo permettesse.
Quando la sua mano destra raggiunse il mio petto, non potei fare a meno di gemere per il piacere; durante il ciclo il mio seno era particolarmente sensibile, tanto che ci vollero meno di tre secondi prima che i capezzoli mi si inturgidissero.
Non riuscivo a capire come finissimo sempre col litigare per delle sciocchezze; passando dall'andare d'accordo all'urlarci contro, per poi concludere il tutto con una sessione di baci e pomiciate che avrebbero fatto arrossire perfino la dea greca dell'amore, Afrodite.
«Insopportabile, furetto», provai a dire contro le sue labbra, anche se ciò che uscì dalle mia labbra fu qualcosa simile a: «Nsporable frto».
Sentii le sue spalle e il petto tremare per la risata che stava provando a trattenere. Lo colpii alla spalla con il pugno sinistro, ottenendo come risultato la libertà.
Il suo volto si allontanò dal mio e il suono della sua risata riempì il silenzio della stanza: «Sei adorabile quando cerchi di resistermi».
La sua arroganza mi fece assottigliare lo sguardo.
«Borioso che non sei altro», esclamai, cercando di sgusciare via dalla sua presa, ma ottenendo il risultato opposto: la sua mano si strinse ulteriormente sul mio seno destro, sottoponendo il capezzolo a una pressione tale da farmi chiudere gli occhi per il doloroso piacere.
Scostò le coperte quel tanto che bastava per permettergli di sollevare il maglione che indossavo, scoprendo il mio ventre e petto e coprendo il mio volto rosso per la vergogna.
«Cosa stai...?», cercai di chiedergli con la voce smorzata dal tessuto del maglione che mi impediva di vedere, ma un suono strozzato mi usci di bocca quando le sue labbra iniziarono a dedicarsi con fin troppa perizia ad una lenta e insopportabilmente dolce tortura al mio seno sinistro.
«Non ti fermare» lo incitai, mentre cercavo di liberarmi del maglione.
Appena finii la frase, le sue labbra si allontanarono dalla mia pelle.
Quando riuscii a guardalo in viso, notai il suo sorriso compiaciuto e desiderai poterglielo cancellare dalla faccia con un pugno.
«La Lovegood e Blaise potrebbero arrivare da un momento all'altro, vuoi davvero che continui?», mi chiese, sollevando un sopracciglio, i lineamenti ancora distorti dalla soddisfazione.
Sospirai, esasperata, prima di togliermelo di dosso e sistemarmi il maglione, in modo da coprirmi per bene.
Le sue labbra percorsero la mia guancia e poi il mio collo: «Non volevo farti arrabbiare», mormorò contro la mia pelle, avvolgendomi in un abbraccio.
«Sei terribilmente sexy quando ti ostini a rispondermi pur di dimostrare di avere ragione», aggiunse.
Lo guardai, indecisa se urlargli contro, tirargli un pugno o baciarlo, quando il bussare alla porta fece irrigidire entrambi.
«Chi è?», chiese Malfoy, lanciando un'occhiata veloce all'orologio: erano quasi le dieci di sera.
Possibile che Luna e Zabini fossero stati tanto veloci?
Mi lasciai scivolare a terra, nascondendomi oltre il letto, accanto alle tende del baldacchino.
Proprio in quell'istante la porta si aprì: «Ciao, Draco!», esclamò una voce maschile che non apparteneva a Zabini.
Cercai di farmi più piccola, nella speranza di non essere notata dal nuovo arrivato.
«Nott, che ci fai qui?», chiese, Malfoy, la voce apparentemente rilassata nascondeva parecchio nervosismo.
«Sono passato per salutarti, da quando sono tornato dalla missione non sono riuscito a trovarti da nessuna parte. Prima, quando sono passato, ho trovato Pansy in camera tua. Siete tornati insieme?»
Mi lasciai scivolare ulteriormente, in modo da essere coricata contro il pavimento.
«No, non sapevo fosse qui», mentì Malfoy: «Ti ha per caso detto cosa voleva?», il tono di voce appariva annoiato ma allo stesso tempo contrariato. Era proprio bravo a mentire, tanto che non potei fare a meno di chiedermi se non avesse mai usato le sue doti da bugiardo contro di me.
«Le serviva una pergamena, per...», sentii la voce di Nott affievolirsi. Cadde il silenzio per qualche secondo: «Cosa ci fai con...?»
Sentii dei rumori forti, anche se non avrei saputo dire cosa stesse succedendo, poi la voce di Draco esclamò: «Pietrificus Totalus!»
Sollevai il capo, così da sbirciare oltre il bordo del letto.
Theodore Nott era immobilizzato, gli occhi sbarrati osservavano ora in modo cieco il bauletto contente la coppa di Tassorosso, che si trovava in bella mostra sul comodino di Draco.
Osservai il biondo che, con la bacchetta puntata contro l'amico, lo fissava impassibile.
Gli occhi chiari di Malfoy cercarono poi i miei e i suoi lineamenti sembrarono addolcirsi quando mi trovarono.
In quel momento Blaise Zabini, con Luna, fece il suo ingresso nella camera, un sorriso trionfale a incurvargli le labbra.
«Perché c'è Nott pietrificato?», chiese il moro, con aria confusa, quando poi si rese conto della mia posizione, la sua fronte si aggrottò ulteriormente: «Granger, che ci fai a terra?»
****
Ciao a tutti!
Temevo di non farcela a pubblicare il capitolo entro oggi, diciamo che ho faticato molto a scriverlo e non sono sicura del risultato. Vi avevo promesso però di aggiornare la storia entro Sabato 16 Settembre, ed eccomi qua a mantenere la promessa :)
Spero che abbiate tempo e voglia di lasciarmi un commento, così da sapere la vostra opinione!
Il prossimo capitolo arriverà entro Sabato 23 Settembre e molto probabilmente sarà sempre dal punto di vista di Hermione.
Un bacio,
LazySoul
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Capitolo 23 *** Captives ***
23. Captives
Quando mi sollevai in piedi, uscendo dal mio nascondiglio da dietro al letto, Malfoy mi lanciò contro un mantello, che usai per coprire le mie gambe nude.
«Qualcuno mi vuole rispondere?», chiese Zabini, spazientito, mentre si passava una mano tra i capelli.
«Nott è entrato senza preavviso, ho dovuto pietrificarlo per evitare che facesse domande a cui non potevo rispondere», disse Draco, guardando con rammarico la figura immobile dell'amico.
«Abbiamo il diadema», ci informò la voce delicata di Luna, facendo un passo avanti e porgendo il gioiello a Malfoy.
Feci il giro del letto, raggiungendoli e ammirando la tiara perduta di Priscilla Corvonero.
«Dove l'avete trovata?», chiesi, cercando di ignorare il corpo pietrificato di Theodore Nott a pochi centimetri di distanza.
«Nella Stanza delle Necessità, ci ha suggerito dove andare la Dama Grigia», spiegò Luna, sorridendo.
«Pensi che il veleno di un solo dente basti per distruggere entrambi?», chiese Malfoy, allineando sul tavolo la coppa, il diadema e la zanna di Basilisco.
«Lo spero», ammisi, legando il mantello intorno alla mia vita come un pareo, stanca di tenerlo su con le mani.
«Cosa ne facciamo di Theo?», chiese Zabini, osservando con la fronte corrugata il ragazzo pietrificato accanto al letto.
«Forse dovremmo chiamare anche Pansy», dissi: «Dovremmo informarla che Harry e l'Ordine attaccheranno questa notte».
«Devo avvisare anche i miei genitori», aggiunse Draco, recuperando dal suo baule delle pergamene e un calamaio.
«Cosa ne facciamo di Theo?», ripeté Zabini, questa volta con un tono di voce a dir poco spazientito.
Io e Malfoy ci guardammo negli occhi; capii dalla sua espressione che non aveva idea di come rispondere alla domanda del moro.
Mi voltai verso il Senrpeverde pietrificato, effettivamente la sua presenza era inquietante.
«Se lo spostassimo in bagno?», proposi e, sentendomi un po' in colpa per ciò che avevo appena detto, aggiunsi: «Altrimenti possiamo farlo tornare alla normalità e provare a spiegargli ogni cosa, potrebbe voler stare dalla nostra parte».
Malfoy scosse la testa, sembrava combattuto: «E se così non fosse? Mi dispiacerebbe dover praticare un Obliviate su di lui».
«Non sapremo mai come reagirebbe se non gli raccontiamo ciò che sta succedendo», propose Zabini, incrociando le bracci al petto.
«Prima dobbiamo distruggere gli Horcrux», dissi, indicando il tavolo e i tre oggetti allineati.
«Dobbiamo anche avvisare i miei genitori e Pansy», aggiunse Malfoy, mostrando le pergamene e il calamaio ancora tra le sue mani.
Zabini tirò fuori la sua bacchetta e con un incantesimo di levitazione trasportò il corpo pietrificato di Nott fino al bagno: «Io e Luna cercheremo di spiegare a Nott cosa sta succedendo, voi fate quello che dovete fare. Se ci dividiamo i compiti faremo prima».
Annuimmo all'unisono, d'accordo con il piano di Blaise.
Malfoy si sedette al tavolo e iniziò subito a scrivere, con la sua calligrafia nervosa, un breve biglietto per Pansy.
Con tutto il coraggio che avevo in corpo, strinsi tra le dita la zanna di Basilisco e la sollevai dal tavolo, occhieggiando con sguardo titubante prima il diadema e poi la coppa, indecisa su quale distruggere prima.
«Cosa diavolo sta succedendo?!», sentii gridare Nott, subito zittito, da Zabini: «Ti slegherò quando avrò finito di spiegarti ogni cosa, la stanza è insonorizzata, quindi puoi urlare quanto vuoi, Theo, nessuno ti può sentire».
Lanciando un'occhiata nervosa a Malfoy, notai come avesse quasi finito anche il messaggio indirizzato ai suoi genitori.
Ero l'unica che non stava facendo quello che avrebbe dovuto, così presi un profondo respiro e decisi di iniziare con la coppa.
Premetti la punta del canino contro il freddo metallo dell'oggetto, usando tutta la forza che avevo in corpo. Un urlo agghiacciante riecheggiò nella camera. Avevo la pelle d'oca e gli occhi sbarrati.
La coppa sembrò prendere fuoco, avvolta da fiamme che la consumarono in brevi istanti. L'urlo si affievolì fino a scomparire, lasciando dietro di sé qualche goccia di un liquido nero a macchiare il tavolo accanto alla coppa ormai irrimediabilmente distrutta.
Spostai lo sguardo, incontrando quello sconvolto di Malfoy: «Stai bene?», mi chiese, scrutando poi la zanna che ancora tenevo in mano.
«Penso di sì», risposi, cercando di regolarizzare il mio respiro e il battito impazzito del mio cuore.
«Breedy», chiamò Malfoy, mentre sigillava le pergamene che aveva terminato di scrivere.
Quando l'elfo domestico apparve, Draco gli consegnò le missive, dandogli istruzioni: «Vanno consegnate al più presto, una alla Parkinson e l'altra ai miei genitori, chiaro?»
Breedy annuì e fece un breve inchino, per poi scomparire con un sonoro 'pop'.
Appena rimanemmo soli nella stanza, Malfoy mi raggiunse e mi sfilò la zanna dalla mano destra, appoggiandola sul tavolo, prendendomi poi il viso tra le mani, in modo da far scontrare i nostri sguardi: «Sei sicura di star bene?», mi domandò, la preoccupazione nel suo volto era ben visibile.
Annuii: «Mi ha colto alla sprovvista», ammisi, lasciando che le mani di Draco mi sfregassero le spalle, dandomi conforto.
Si sentivano dal bagno le voci di Zabini e Nott, intenti a discutere, ma non riuscivamo a cogliere di cosa stessero parlando.
Appena riuscii a calmare il battito impazzito del mio cuore, tornai a impugnare la zanna.
«Vuoi che lo faccia io?», chiese Malfoy, appoggiando le mani sulle mie spalle e rimanendo alle mie spalle, per darmi conforto.
«Ce la faccio», lo rassicurai, prima di pugnalare il diadema di Priscilla Corvonero.
Questa volta ero pronta all'urlo che si sprigionò dall'oggetto delicato, ma non al liquido che somigliava in modo inquietante a sangue e che cominciò a sgorgare, creando una pozza sul tavolo.
Feci un passo indietro per la sorpresa, scontrando la schiena contro il petto di Malfoy.
Tutta la magia nera che impregnava i due oggetti fino a pochi secondi prima scomparve, dissolvendosi come una nube nera nell'aria della stanza, senza lasciare tracce dietro di sé.
Presi un profondo respiro e lasciai che le braccia di Draco mi avvolgessero in un abbraccio: «Ce l'hai fatta», mormorò al mio orecchio, lasciando un bacio lieve contro la mia guancia destra.
Annuii, grata della sua presenza alle mie spalle e delle sue braccia che mi sostenevano. Mi sentivo debole dopo la massiccia dose di adrenalina che aveva viaggiato nel mio organismo fino a pochi secondi prima.
«Ora dobbiamo solo aspettare che Sfregiato...», lasciò la frase in sospeso, allontanandosi da me con un gemito di dolore. Mi voltai verso di lui, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Il volto di Malfoy era contratto in una smorfia di dolore, mentre premeva la mano destra sul suo avambraccio sinistro.
La porta del bagno si spalancò, Blaise ne uscì con un'espressione colma di sofferenza, quanto quella di Draco.
«Il Marchio», disse Zabini: «Il Signore Oscuro ci sta chiamando».
«Potty deve essere entrato nel perimetro del castello», aggiunse Draco, scoprendo il braccio sinistro, in modo da osservare il Marchio Nero, il quale sembrava pulsare, mentre i contorni si erano arrossati.
«La battaglia è iniziata», gli diede ragione Zabini, mentre dal bagno si sentiva Nott imprecare.
Il volto pallido di Luna emerse dal bagno, gli occhi azzurri sbarrati: «Cosa facciamo?»
Sperai che il mio sangue freddo, quello che mi aveva aiutato più di una volta nelle difficili circostanze in cui mi ero trovata con Harry e Ron, decidesse di darmi nuovamente una mano.
Aggrottando le sopracciglia, pensai a cosa sarebbe stato meglio fare.
Fissai i miei occhi su Zabini: «Nott è con noi?»
Il moro sospirò e scosse il capo: «Pensa che siamo dei pazzi a voler tradire il Signore Oscuro».
Annuii, dispiaciuta, una bacchetta in più non ci avrebbe fatto male nelle circostanze in cui ci trovavamo.
In quell'istante la porta della camera di Draco si spalancò, facendo entrare una scocciata Pansy Parkinson: «Svegliarmi alle dieci passate di notte con un elfo domestico è davvero troppo, Malfoy», disse la mora, chiudendosi la porta alle spalle in modo brusco: «Ho rischiato di avere un infarto».
Zabini alzò gli occhi al cielo: «La solita esagerata», borbottò.
«Harry sta attaccando il castello per liberarlo dal gioco di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato», le spiegai, cercando di farle capire che il motivo per cui era stata svegliata era piuttosto serio.
Pansy sbuffò: «Questo lo so, ho letto la lettera», spostò lo sguardo su Malfoy: «Anche se decifrare la tua pessima calligrafia è stato piuttosto difficile», si lamentò, con una smorfia in volto.
«Qualcuno ha intenzione di liberarmi?!», urlò la voce di Theodore Nott, facendoci sussultare tutti quanti.
La Parkinson aveva gli occhi fuori dalle orbite: «Che ci fa Theo qua?», chiese, prima di sbriciare oltre la porta del bagno, dove Nott era stato legato nella vasca.
«Pansy?», chiamò lui: «Non dirmi che sei anche tu dalla loro parte, sei per caso impazzita?»
La mora sospirò: «Mi dispiace, Theo», poi chiuse la porta del bagno: «Qual è il piano?», chiese, voltandosi verso di me.
In quell'istante mi resi conto che altre tre paia di occhi erano puntate su di me.
Mi chiesi distrattamente quando ero diventata il leader indiscusso del gruppo e sospirai.
«Dobbiamo liberare i prigionieri e qualcuno deve togliere il ricordo di ciò che è appena accaduto a Nott», dissi, dirigendomi verso l'armadio di Draco per recuperare dei pantaloni; non avevo intenzione di girare per il castello con un mantello a mo' di gonna.
Una volta vestita, tornai a guardare gli altri.
Pansy sollevò la mano, richiamando la mia attenzione: «Mi occupo io di Theo».
Annuii: «Bene, noi allora ci occupiamo dei prigionieri».
Fissai la Parkinson per qualche secondo, chiedendomi se sarebbe stata effettivamente in grado di cancellare la memoria al ragazzo che amava.
«Dobbiamo proprio cancellargli la memoria?», chiese Luna, i grandi occhi azzurri che osservavano dubbiosamente la porta del bagno.
«Cosa proponi?», domandai, indossando il mantello, per proteggermi dall'aria pungente.
«Non possiamo semplicemente lasciarlo qua?», suggerì la Parkinson.
Non ero sicura che fosse la migliore idea del mondo, ma non avevamo tempo da perdere in sottigliezze simili; se loro erano convinti che non ci fosse bisogno di togliergli la memoria, per me andava bene.
«Come preferite», dissi, scrollando le spalle e dirigendomi verso l'uscita: «Andiamo».
Draco era alle mie spalle, mi seguiva a ogni passo come se fosse stato la mia seconda ombra; con la bacchetta sfoderata e un'espressione concentrata in volto. Dietro di noi seguivano Blaise, Luna e Pansy.
Quest'ultima non sembrava particolarmente contenta di perdere le sue preziose ore di sonno, ma aveva anche lei la bacchetta sfoderata e sembrava abbastanza agguerrita, così smisi di preoccuparmi e mi concentrai su ciò che mi circondava.
La sala comune di Serpeverde era vuota. L'unico movimento giungeva dalle fiamme del camino, che illuminavano fiocamente l'ambiente, proiettando le nostre ombre sulle pareti della stanza.
Non udivamo nessun suono e non eravamo sicuri che quello fosse un buon segno.
Quando uscimmo in corridoio, la situazione in cui venimmo catapultati era completamente differente, tanto che Malfoy fece un paio di passi avanti, facendomi scudo col suo corpo.
C'era un gruppo di tre Mangiamorte che ci dava le spalle e si stava dirigendo verso la Sala Grande, urla e rumori di oggetti infranti giungevano fino a noi; facendoci realizzare di essere davvero nel bel mezzo di una battaglia.
Aspettammo, in silenzio, di essere soli, lasciando che il trio vestito di nero scomparisse nel buio del corridoio, prima di dirigersi verso la direzione opposta.
La cucina si trovava oltre il dipinto di una natura morta a pochi passi dalla sala comune di Serprverde; vi ero stata un paio di volte con Harry gli anni passati per andare a fare visita a Dobby e Winky e per cercare di promuovere la mia associazione per la tutela degli elfi domestici - C.R.E.P.A. - ma nessuno era sembrato particolarmente entusiasta della mia campagna.
Attraverso la cucina era possibile raggiungere la lavanderia e quindi il luogo dove erano rinchiusi i prigionieri.
Una volta arrivati davanti al quadro, superai Malfoy, iniziando a fare il solletico alla pera, così da far aprire il passaggio.
All'interno delle cucina il caos regnava sovrano; gli elfi erano agitati e non riuscivano a stare fermi, muovendosi lungo i tavoli e cercando un posto dove potersi nascondere. Breedy comparve subito accanto a noi, facendo un inchino: «Le lettere sono state consegnate».
«Ben fatto», disse Malfoy, annuendo distrattamente: «Breedy, abbiamo bisogno del tuo aiuto».
«Qualsiasi cosa», rispose l'elfo, inchinandosi nuovamente.
«Dobbiamo liberare i prigionieri, sai quanti Mangiamorte sono rimasti di guardia?», chiese Draco, muovendo alcuni passi lungo la sala, seguito a ruota da tutti noi.
«Tre o quattro», rispose Breedy, seguendoci lungo la sala.
Appena svoltammo l'angolo, diretti verso le celle, ci trovammo a pochi metri da due Mangiamorte che stava parlando tra loro in modo concitato. Ci bloccammo, cercando di non fare rumore, ma ormai si erano resi conto della nostra presenza, voltandosi nella nostra direzione con le bacchette sfoderate.
Il primo impulso era quello di armarmi a mia volta di bacchetta e lanciare loro contro qualche incantesimo, ma essendo utile quanto una babbana in quel frangente, decisi di appiattirmi contro il muro, lasciando che fossero Draco, Blaise e Pansy a occuparsi della minaccia.
«Pietrificus Totalus!», esclamò Malfoy, bloccando uno dei due Mangiamorte; mentre Zabini si occupava dell'altro, disarmandolo e imprigionandolo con un incantesimo Incarceramus.
Dato che le prigioni erano disposte lungo due corridoi paralleli, suggerii di dividerci in due gruppi: io, Draco e Breedy da una parte e Luna, Blaise e Pansy dall'altra.
«Sono d'accordo», disse Draco, mentre Luna non sembrava del tutto convinta: «Non ci converrebbe stare tutti uniti?»
«Divisi saremo più veloci a liberare i prigionieri», feci notare, mettendo tutti d'accordo.
Senza aspettare oltre ci dirigemmo verso i corridoi delle celle, facendo attenzione agli elfi domestici che continuavano a correre alla ricerca di un nascondiglio sicuro.
A guardia dei corridoi trovammo altre due guardie, riuscimmo anche questa volta a sfruttare l'elemento sorpresa, cogliendoli impreparati e schiantandoli entrambi.
Raggiungemmo i corridoi, dividendoci.
Draco non perse tempo, iniziando a lanciare l'incantesimo "Alohomora" ad ogni porta che incontrava, mentre io sbriciavo all'interno per controllare che gli occupanti stessero tutti bene.
Liberammo un paio di Tassorosso del secondo anno, Dean Thomas - che guardò me e Draco come se fossimo stati degli alieni, chiedendoci spiegazioni - e due Corvonero uno del primo e l'altro del terzo anno. Breedy intanto era rimasto all'inizio del corridoio a controllare che i Mangiamorte schiantati rimanessero a terra, pronto a chiamarci in caso contrario.
In una delle celle trovammo il Professore Lumacorno, che borbottava tra sé e sé, seduto su uno scomodo giaciglio.
«Signorina Granger!», esclamò appena mi vide, sollevandosi in piedi e venendomi incontro con passo malfermo. Si bloccò sui suoi passi quando si rese conto che accanto a me c'era Malfoy.
«Non si preoccupi professore, siamo qui per liberarla», lo rassicurai, facendogli segno di raggiungerci.
Una volta fuori dalla cella, Lumacorno sembrò tranquillizzarsi, cercando di mostrare il suo lato migliore agli studenti che avevamo liberato, nascondendo la sua paura.
La cella successiva era vuota; al centro dell'ambiente vi era soltanto uno scatolone, contenente una ventina di bacchette.
Gli studenti che avevamo liberato esultarono, accalcandosi intorno al contenitore e spintonandosi tra loro, il Professor Lumacorno si prese l'incarico di distribuire i legni, cercando di calmare i ragazzi, mentre io e Malfoy continuavamo ad aprire le celle.
Un paio erano vuote, mentre l'ultima conteneva una signora di spalle, che riconobbi solo quando si voltò, puntando i suoi occhi profondi nei miei. La Professoressa McGranitt, col volto più scarno di quanto ricordassi e un vestito viola scuro sporco e rovinato, ci guardava con stupore e meraviglia, mentre si sollevava a sedere sul giaciglio di stracci che occupava.
«Signorina Granger? Signor Malfoy?», disse, la voce piena della sicurezza che l'aveva sempre caratterizzata. Era bello sapere che per quanto il corpo sembrasse sconfitto, il suo spirito invece era ancora forte e pronto alla guerra.
«Minerva!», esclamò Lumacorno, comparendo accanto a noi, portando con se lo scatolone contenente le bacchette che ancora non erano state rivendicate: «Che piacere rivederla!»
La professoressa McGranitt osservò stranita l'espressione raggiante dell'uomo, prima di sollevarsi in piedi e raggiungerci con la fredda eleganza che la caratterizzava: «Peccato che le circostanze non siano delle migliori», disse lei, passandosi una mano tra i capelli, dove la sua usuale acconciatura severa era sostituita da una crocchia disordinata.
«Cosa sta succedendo?», chiese la McGranitt, dopo aver recuperato la sua bacchetta e aver fissato me e Malfoy dritto negli occhi.
«Harry accompagnato dall'Ordine sta attaccando il castello», dissi, seguendo la professoressa lungo il corridoio; stavamo tornando in lavanderia, dove speravamo di trovare anche Luna, Blaise e Pansy.
La McGranitt annuì, un debole sorriso a incresparle le labbra: «Hogwarts tornerà in mani sicure».
In quell'istante, vedemmo comparire di fronte a noi Breedy, gli occhi enormi sembravano colmi di paura: «Mangiamorte», disse semplicemente, indicando la fine del corridoio a qualche metro di distanza.
La McGranitt e Dean Thomas, seguiti da Draco e Lumacorno, si misero in posizione di difesa, mentre procedevano cautamente. Io rimasi indietro, con lo scatolone delle bacchette e i piccoli di Tassorosso e Corvonero, che sembravano terrorizzati.
Nascosi tutti dentro una delle celle, sbirciando attraverso la porta per tenere d'occhio la situazione esterna.
Una morsa mi stringeva lo stomaco in modo fastidioso, l'ansia mi stava consumando come la fiamma sciupava la cera della candela. Le mani mi tremavano, mentre fissavo la schiena di Malfoy a pochi passi e la rigidità della sua postura.
«Moriremo?», chiese la vocina sottile di una bambina di Tassorosso, mentre si stringeva alla sua compagna di casa.
«No, non moriremo», cercai di rassicurarle, sfoggiando un sorriso tirato che sperai interpretassero come fiducioso. I miei occhi si posarono su Breedy, accanto a me e pronto a difendermi da qualsiasi male; i suoi occhi sembravano adombrati dal mio stesso timore.
Il rumore di urla mi fece voltare nuovamente verso la porta; oltre le spalle di Malfoy riuscii a vedere un paio di Mangiamorte duellare con la Mcgranitt e Lumacorno; i professori ebbero la meglio.
Draco si voltò, cercandomi, quando i nostri sguardi s'incrociarono vidi chiaramente il sollievo sul suo volto stanco.
Uscii dalla cella, facendo segno a Breedy di rimanere: «Proteggili, sono troppo giovani per combattere e per il momento questo è un posto sicuro».
Raggiunsi Malfoy, intrecciando la mia mano destra alla sua sinistra, provando conforto dal contatto con la sua pelle: «Dobbiamo trovare un posto sicuro per i bambini», dissi, indicando alle nostre spalle.
Draco annuì: «Pensi che camera mia possa andare bene?», propose, mentre seguivamo i professori nella lavanderia.
«Con Theo?», chiesi, con una smorfia in viso.
Malfoy scosse la testa, pensieroso: «Hai ragione, non ci avevo pensato».
In quell'istante Zabini, Luna e Pansy sbucarono dal secondo corridoio, seguiti dal professor Vitius, Cho Chang, Palma Patil, Colin Canon, Susan Bones e una bambina del secondo anno di Grifondoro.
Porsi loro la scatola contente le bacchette, mentre la McGranitt si assicurava con occhiate preoccupate che stessero tutti bene.
In quell'istante un pensiero improvviso mi fece voltare verso Draco, preoccupata: «La Greengrass?»
Malfoy sembrò in apprensione quanto me, mentre si voltava verso la cella dove si trovavano i più piccoli e diceva con tono concitato a Breedy di recuperare Daphne, ovunque lei fosse e portarla da noi, dove sarebbe stata maggiormente al sicuro.
Breedy scomparve con un sonoro 'pop', mentre i professori discutevano su cosa fosse meglio fare in quel frangente e i ragazzi cercavano nella scatola la propria bacchetta.
«Non possiamo rimanere qua», tuonò la McGranitt: «Dobbiamo cercare un luogo sicuro dove nascondere i più piccoli», continuò, guardando con aria pensierosa Lumacorno: «Inoltre dobbiamo pensare ai feriti, il fatto che per il momento non ce ne siano non vuol dire che non ce ne saranno».
Vitius annuì, alzando in aria la bacchetta: «Sono assolutamente d'accordo».
«Propongo di dirigerci verso le cucine, ci faremo dire dagli elfi cosa sta succedendo», propose la McGranitt, dirigendosi con passo spedito verso la porta che l'avrebbe portata verso la sua meta, seguita dagli altri professori e gli studenti. Io, Draco e Susan accompagnavamo i più piccoli, mentre Pansy chiudeva la fila.
Breedy tornò pochi secondi dopo con un'assonnata Daphne Greengrass: «Cosa sta succedendo?», chiese la ragazza, sbadigliando, mentre sistemava la vestaglia che indossava, in modo da coprirsi meglio.
«Siamo sotto attacco Daph», le disse Blaise, osservando contrariato la sua mise: «Ti sembra il caso di combattere così svestita?»
La bionda sollevò il capo, mettendo in mostra il suo collo bianco: «L'elfo mi ha messo fretta, ho indossato la prima cosa che ho trovato».
Dean Thomas, con un sorriso malizioso in viso s'intromise: «Stai dicendo che sotto alla vestaglia non indossi niente, Greengrass?»
Daphne lanciò uno sguardo a dir poco annoiato al Grifondoro: «Temo non lo saprai mai, Thomas».
In quell'istante la voce melodiosa di Padma, così simile a quella della sorella, li zittì: «Non abbiamo tempo da perdere in discussioni inutili».
Daphne fissò i suoi occhi chiari e scaltri in quelli scuri e tenaci di Patil: «La continueremo in altro momento allora», mormorò, facendole l'occhiolino.
Mi voltai verso Draco, che sorrideva maliziosamente, mentre Pansy alle mie spalle sembrava a dir poco senza parole.
La battaglia si stava rivelando più interessante di quanto avessi pensato.
*****
Ciao a tutti! 🤗
Ho finito proprio ora di scrivere questo capitolo e non mi sembrava giusto farvi aspettare fino a sabato per poterlo leggere (inoltre mi devo ancora far perdonare per i mesi di inattività), quindi eccomi qua! 😁🎉
Come avete letto gli Horcrux sono stati quasi tutti distrutti, e si è formata una specie di Suicide Squad molto particolare che non so nemmeno io da dove sia spuntata fuori, composta da: Hermione, Draco, Blaise, Pansy, Luna, Daphne, Padma, Dean, Susan, Colin e Cho, guidati dalla McGranitt, Vitius e Lumacorno. Ce la faranno i nostri eroi? 🤔
Fino a questo momento non avevo mai pensare che vi avrei effettivamente fatto leggere qualche scena tra Padma e Daphne, convinta che non sarei riuscita a inserirle, invece ce l'ho fatta e spero vivamente che vi sia piaciuta! 😉
Il prossimo capitolo arriva entro sabato 23 Settembre e sarà, penso, il penultimo o, al massimo, terzultimo.
Detto ciò vi saluto e vi do appuntamento a sabato! 😘
Un bacio,
LazySoul
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Capitolo 24 *** Loss ***
24. Loss
Lasciai che la mano di Draco stringesse la mia, mentre entravamo nelle cucine di Hogwarts.
La McGranitt si stava consultando con un elfo domestico, mentre Vitius lanciava incantesimi protettivi intorno a noi, così da impedire ai Mangiamorte di coglierci alla sprovvista.
«Dobbiamo salire in Sala Grande e combattere», disse la professoressa, prima di voltarsi verso di noi, i suoi occhi si assottigliarono: «Signorina Greengrass, le sembra il caso?!», esclamò, fissando la vestaglia grigio perla di Daphne.
La bionda aprì bocca per rispondere, ma Blaise le tirò una gomitata, zittendola.
«I più piccoli rimarranno qui», annunciò la professoressa, indicando i ragazzini del primo, secondo e terzo anno: «Gli elfi li proteggeranno dai Mangiamorte, inoltre gli incantesimi del professor Vitius terranno chiunque abbia cattive intenzioni fuori dalle cucine».
Mi avvicinai ulteriormente a Malfoy, lasciando che la mia fronte si appoggiasse alla sua spalla.
Avrei voluto essere in qualsiasi altro posto in quel momento, la paura di perdere il ragazzo di cui ero innamorata mi terrorizzava a tal punto da non riuscire a ragionare lucidamente.
Lasciai vagare lo sguardo intorno a me, le labbra strette dei presenti, i loro volti consumati dalla paura e dalla stanchezza... Gli occhi, invece, erano colmi di rabbia, coraggio e determinazione.
Furono i loro occhi, dove la speranza ancora non era svanita, a farmi presagire la vittoria del bene sul male.
Voltai lo sguardo alla mia destra, incontrando gli occhi chiari di Draco.
Conoscevo quegli occhi da anni, li avevo sempre visti colmi di odio, di ribrezzo e di noia; rare le volte in cui li avevo colti realmente divertiti. Ora, quegli occhi che avevo finito coll'amare più di me stessa, sembravano volermi trasmettere la forza di cui avevo bisogno per non lasciarmi abbattere dalle circostanze.
Gli sorrisi debolmente, sporgendomi per lasciargli un bacio sulla guancia: «Grazie», gli dissi semplicemente, senza aggiungere altro, certa che potesse leggere nei miei occhi le parole che non avevo detto.
Lo stavo ringraziando per avermi intrappolata in una stupida scommessa, per avermi spinto ad osare, per avermi fatto innamorare di lui con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, per avermi amato con dolce insistenza e per avermi mostrato che la vita non era solo libri e voti, ma una miriade di emozioni che non mi ero mai preoccupata più di tanto di provare, convinta di bastare a me stessa.
«Io e il professor Vitius apriremo la fila, voi ragazzi seguiteci», tuonò la voce della McGranitt, svegliandomi dal sogno ad occhi aperti che stavo vivendo.
Draco mi diede un bacio in fronte, fermando il tempo: «Non ti allontanare da me», sussurrò contro la mia pelle, stringendo la presa intorno alla mia mano.
Lumacorno rimase indietro, dicendo di voler rimanere coi più piccoli per rassicurarli. La McGranitt non si oppose, dirigendosi verso l'uscita delle cucina con passo rapido e sicuro.
Vitius le trotterellava dietro, cercando di stare al suo passo, mentre noi studenti del sesto anno li seguivamo a pochi passi di distanza.
Percorremmo i sotterranei senza incrociare nessuno, avvicinandoci sempre di più al rumore di voci che giungeva dall'ingresso.
«Ragazzi, dividetevi in gruppi di due o tre, bisogna controllare anche i piani superiori, ci potrebbero essere altri prigionieri!», ci ordinò la McGranitt mentre giungevamo di fronte alla Sala Grande.
C'erano una trentina di persone di fronte a noi che duellavano; riconobbi alcuni volti, come quello di Moody, di Lupin e della signora Weasley, rendendomi conto che la guerra vera e propria si stava svolgendo all'esterno, da dove giungevano ulteriori grida.
Malfoy, stringendo la presa intorno alla mia mano mi spinse su per le scale, coprendoci le spalle con un incantesimo Protego.
Avrei voluto rimanere lì, combattere contro i Mangiamorte, cercare i miei amici, ma la confusione era troppa e non avendo la bacchetta non potevo pretendere che Malfoy facesse da scudo a me e se stesso in una situazione tanto complicata.
Cercare altri prigionieri ai piani superiori non mi entusiasmava particolarmente, ma andava fatto, inoltre avevo promesso a Malfoy che saremmo rimasti nelle retrovie e non avevo intenzione di rimangiarmi la parola data.
Sentii un rumore di passi alle nostre spalle e notai Pansy, Daphne e Susan seguirci, mentre gli altri rimanevano a combattere. Raggiungemmo il primo piano senza problemi e iniziammo a percorrerlo, controllando all'interno delle aule.
Fummo attaccati da un paio di Mangiamorte durante la nostra ricerca, ma Daphne risultò essere particolarmente dotata quando si trattava di schiantare qualcuno, malgrado il suo abbigliamento poco consono e l'aria stanca che sfoggiava.
Eravamo quasi al terzo piano quando sentimmo dei passi alle nostre spalle.
Quando ci voltammo Padma aveva appena svoltato l'angolo, correndoci incontro con il viso arrossato per lo sforzo: «Susan!», chiamò, facendo segno alla ragazza di sbrigarsi: «La McGranitt vuole che tu e la Granger scendiate, ha bisogno di voi per proteggere la scuola con un incantesimo, dice che siete le migliori».
Feci un passo verso di lei, ma la mano che era ancora stretta a quella di Malfoy mi impedì di allontanarmi ulteriormente. Fu in quel momento che mi ricordai di non avere più la mia bacchetta e che quindi non sarei potuta essere di nessun aiuto alla professoressa McGranitt.
Abbassai lo sguardo, sentendo le guance bruciarmi per la vergogna e il disappunto: «Io non ho la bacchetta, dubito di poter essere di qualche utilità», confessai, sentendo la mano di Malfoy stringere di più la mia, forse nel tentativo di darmi forza.
«Posso venire io», si propose Daphne, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori.
Padma la fissò con un sopracciglio sollevato e un'espressione a dir poco scettica in volto.
La Greengrass non si lasciò abbattere, anche se vidi chiaramente quanto le avesse dato fastidio la sfiducia della Corvonero.
«Come vuoi», disse semplicemente Patil, quando si rese conto che Daphne non aveva intenzione di arrendersi o tirarsi indietro.
La bionda Serpeverde sfoggiò un sorriso a dir poco compiaciuto, mentre s'incamminava, con passo sostenuto verso le scale, con Susan da una parte e Padma dall'altra.
«Daphne è interessata a una delle Patil», disse Pansy dopo qualche secondo, scuotendo la testa: «Vorrei proprio vedere che faccia farà Theo quando lo scoprirà», continuò, le labbra inarcate in un sorriso malizioso.
«Quando scoprirò cosa?», chiese la voce di Nott, alle nostre spalle, facendoci sussultare e voltare all'unisono.
Pansy si mise davanti a me e Draco, sfoderando la bacchetta, in posizione di difesa: «Ci penso io a lui», disse semplicemente, facendoci segno di andare.
Draco tentennò per qualche istante, guardando i suoi due amici con un'espressione mista tra confusione e tristezza: «Theo, cosa ci fai qua?»
«Siete pazzi a pensare che Potter possa...»
Un fischio acuto mi perforò i timpani, facendomi gemere dal dolore, mentre portavo entrambe le mani ai lati del volto, nel tentativo di coprire le orecchie e di impedire a quel fastidioso rumore di tormentarmi. Così com'era cominciato quel suono scomparve. Al suo posto sentii rimbombare nella mia testa una voce che non avevo mai udito e che mi fece venire la pelle d'oca: «State combattendo con valore, ma invano».
Mi voltai verso Malfoy, notando il suo volto pallido e gli occhi fissi nel vuoto, mi chiesi se anche lui potesse sentire quella voce.
«Io non desidero questo, ogni goccia di sangue magico versato è un terribile spreco. Per tanto ordino alle mie forze di ritirarsi. In loro assenza disponete dei vostri morti con dignità. Harry Potter, ora mi rivolgo direttamente a te, questa notte hai consentito che i tuoi amici morissero per te, piuttosto di affrontarmi di persona; non c'è disonore più grande. Raggiungimi nella foresta proibita e affronta il tuo destino. Se tu non lo farai ucciderò fino all'ultimo uomo, donna o bambino che cercherà di nasconderti a me».
Un fischio acuto mi perforò nuovamente i timpani, poi tutto cessò.
Annaspai, come se fossi rimasta in apnea per troppo tempo e mi voltai verso Draco, incontrando i suoi occhi chiari, specchio della preoccupazione che sapevo esserci nei miei.
Nott, senza dire nulla, se ne andò da dove era arrivato, un'espressione di soddisfazione in viso.
Pansy invece era immobile, la bacchetta ancora sfoderata e un'espressione colma di confusione.
Strinsi la mano di Malfoy nella mia e poi cominciai a camminare verso le scale.
Dovevo trovare Harry, convincerlo che andare nella Foresta Proibita non era la giusta soluzione e trovare un modo per nasconderlo da tutto e da tutti. Harry era il fratello che non avevo mai avuto, non avrei permesso che gli succedesse qualcosa di male.
«Dove stiamo andando?», chiese Malfoy, cercando di fermare la mia avanzata.
«Dobbiamo trovarlo», dissi semplicemente, strattonandolo più forte e notando come la Parkinson, con passo insicuro ci stesse seguendo.
«Chi?», chiese Draco.
«Harry, dobbiamo trovare Harry e convincerlo a non fare pazzie», gli spiegai, lanciandogli un'occhiata colma di supplica, nel tentativo di fargli capire ciò che provavo.
Comprensione attraversò il suo sguardo e un sorriso triste gli increspò le labbra: «Andiamo a vedere dove si nasconde Potty».
Non ebbi la forza di arrabbiarmi con lui per lo stupido soprannome che aveva affibbiato al mio migliore amico, contenta che non si fosse tirato indietro o avesse provato a protestare.
Una volta giunti al piano terra, entrammo nella Sala Grande, dove uomini, donne e perfino qualche ragazzino, si muovevano disordinatamente. Alcuni erano a terra, feriti, altri invece, erano morti.
Una zazzera di capelli rossi mi fece involontariamente sorridere, rincuorata, mentre la raggiungevo.
«Ronald!», esclamai, liberandomi dalla presa di Malfoy per gettare le braccia al collo del mio migliore amico.
«Hermione!», urlò lui, ridendo e stringendomi a sua volta, rischiando di soffocarmi con la sua mole.
Quando sciogliemmo l'abbraccio, fu bello incontrare i suoi occhi azzurri, limpidi e dolci; mi erano mancati.
«Dov'è Harry?», chiesi, guardandomi intorno, nella speranza di individuarlo tra la folla allo stesso modo in cui aveva precedentemente scovato Ron.
Il rosso di fronte a me scosse la testa: «Non ne ho idea».
Il sorriso scomparve dal mio volto, sostituito dal terrore: «Quando l'hai perso di vista?», gli chiesi, voltandomi.
Alle mie spalle, Malfoy mi fissava con disappunto, le braccia incrociate e gli occhi socchiusi.
Aggrottai le sopracciglia, non capendo la sua reazione: «Cosa succede?»
Senza dire nulla, Malfoy allungò la mano e mi afferrò il braccio, portandomi al suo fianco.
«Weasley», salutò il mio amico, stringendomi a sé.
Un sorriso comparve sulle mie labbra, appena capii che il suo strano comportamento era dettato dalla gelosia.
«Malfoy», ribatté Ron, affilando lo sguardo.
«Hermione!», mi sentii chiamare, voltandomi a destra.
Ginny mi stava venendo incontro, aveva un taglio sulla guancia e i capelli rosso fuoco legati in una treccia disordinata. Malgrado la difficile situazione in cui ci trovavamo, riusciva comunque ad essere bellissima.
«Ginny», mormorai, districandomi dalla stretta di Malfoy per raggiungerla a metà strada e gettarle le braccia al collo, abbracciandola stretta.
Rimanemmo avvinghiate l'una all'altra per lunghissimi secondi, prima di sciogliere l'abbraccio e sorriderci.
«Vedo che la tua guardia del corpo non ti perde di vista nemmeno un secondo», disse Ginny, guardando alle mie spalle.
Non avevo bisogno di voltarmi per capire a chi si stesse riferendo.
Scossi la testa, cercando di mascherare il mio imbarazzo con un sorriso: «Non so di cosa tu stia parlando», mentii, arrossendo furiosamente, mentre salutavo alle sue spalle Neville e Calì.
«Sei una pessima bugiarda», disse Ginny, sollevando gli occhi al cielo, prima di salutare Malfoy con un cenno della mano.
«Sai dov'è Harry?», le chiesi, sperando che almeno lei, la sua ragazza, potesse indicarmi dove si fosse andato a cacciare.
Il volto di Ginny si adombrò, mentre abbassava lo sguardo e scuoteva la testa, rassegnata: «L'ho perso di vista qualche secondo fa, non so dove sia finito».
«Pensi che sia...?», non riuscii a finire la frase; l'idea che il mio migliore amico potesse aver ascoltato le parole di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e deciso di corrergli incontro per farsi ammazzare era troppo dolorosa.
«Potter non può essere così idiota», commentò la Parkinson, sollevando gli occhi al cielo, mentre accanto a lei, Daphne cercava di ignorare le occhiate che i ragazzi lanciavano al suo abbigliamento, Ronald compreso.
«Non ne sarei così convinto», disse Malfoy, prima di puntare la bacchetta verso Daphne e trasfigurare la sua vestaglia nella divisa scolastica di Serpeverde.
«Oh, non ci avevo pensato», ridacchiò, Daphne, passandosi una mano tra i capelli.
«Certo», commentò Pansy, con un'espressione a dir poco esasperata.
Fissai i miei occhi in quelli di Ginny, per poi spostarli su di Ron; il dolore e l'incertezza erano gli unici sentimenti che riuscivo a decifrare.
Scossi la testa, facendo un passo indietro: «Non può averlo fatto», mormorai, cercando di auto convincermene.
Le mani di Malfoy mi strinsero le spalle, costringendomi a voltarmi e a premere il viso contro il suo petto. Non avrei definito i suoi modi gentili, era stato piuttosto brusca la sua presa, ma il gesto in sé racchiudeva tutta la dolcezza di cui avevo bisogno.
Poche lacrime bollenti mi bagnarono gli occhi, inumidendo il mantello del Serpeverde, che mi teneva stretta a sé; il volto nascosto tra i miei ricci e le labbra premute contro la mia tempia.
«Andrà tutto bene», sussurrò contro la mia pelle.
Scossi la testa: «Non puoi saperlo», gli risposi, stringendo tra le dita il suo mantello.
«Ora si spiega perché prendi sempre pessimi voti a incantesimi», disse la Parkinson, con un tono scocciato.
«Scusa?!», esclamò la voce ferita di Zabini.
«Meno di dieci minuti fa, Nott mi stava puntando contro una bacchetta. Il tuo Incarceramus è stato a dir poco inutile», rispose la mora.
Spostai appena il volto, godendomi l'espressione oltraggiata di Zabini, mentre Luna, accanto a lui, cercava di calmarlo.
La mano di Malfoy mi accarezzò la schiena: «Pansy non ha tutti i torni», commentò, appoggiando la guancia contro il mio capo; anche senza vederlo in volto potevo immaginare il suo ghigno malefico.
Lo sguardo furioso di Zabini si spostò su di noi: «Va al diavolo, Malfoy. Se non fosse stato per te non ci sarebbe stato bisogno di legarlo in primo luogo».
Sapevo perfettamente che quella loro scaramuccia era quello e niente altro; un semplice battibecco tra amici. Non dovevo preoccuparmi di ristabilire l'ordine prima che iniziassero a volare maledizioni senza perdono. Eppure mi sentii in dovere di tirare un lieve pugno contro lo stomaco di Malfoy, attirando la sua attenzione, in modo da potergli sussurrare all'orecchio di piantarla.
Mi asciugai i residui di lacrime e cercai di ritrovare la mia forza, prendendo un profondo respiro e allontanandomi dal profumo di Malfoy e dal calore del suo corpo.
«Dobbiamo cercare, Harry. Dobbiamo trovarlo prima che...», la mia voce si spezzò alla vista di George e Charlie Weasley che trasportavano all'interno della Sala Grande il corpo privo di vita di Fred.
Un forte singhiozzo mi scosse, mentre mi portavo una mano alla bocca, in modo da celare un grido di sofferenza, le lacrime che avevo tanto faticato ad asciugare tornarono prepotenti a bagnarmi il viso. Intorno a me sentii urla, vidi Ron e Ginny correre incontro ai fratelli, sentii le grida della Signora Weasley e vidi il volto distrutto di Arthur.
Le braccia di Malfoy tornarono ad avvolgermi, premendo il mio viso contro il suo petto, forse per impedirmi di vedere altro; ma ormai l'immagine del corpo inanimato di Fred si era impressa a fuoco contro le mie retine. Avevo già visto tutto quello che c'era da vedere.
Era una guerra, pensare che non ci sarebbero stati dei feriti o delle vittime era impensabile, ma mi ero illusa, nella mia ingenuità, che non ci sarebbero stati caduti tra coloro che conoscevo.
Continuavo a sentire la urla della signora Weasley, i singhiozzi e mi sembrava di percepire il loro dolore come se fosse stato tangibile.
Mi tremavano le mani e temetti che le ginocchia non mi potessero sostenere; cominciai ad avere paura. Una paura più consapevole rispetto a prima, più matura. Ero stata ingenua a pensare che il bene avrebbe trionfato senza che fosse necessario pagare un prezzo perché ciò avvenisse.
Malfoy mosse alcuni passi, trascinandomi con sé, fino a quando non si sedette su una delle panche che erano state disposte lungo le pareti. Mi fece sedere sulle sue ginocchia, continuando a tenermi stretta. Non disse nulla, continuando semplicemente a sostenermi, a non lasciarmi cadere.
Non era da me mostrarmi tanto debole di fronte agli altri, così cercai i ricompormi in breve tempo. Incolpai il ciclo e la stanchezza per il modo atipico in cui mi stavo comportando, cercando di non incontrare gli occhi di Malfoy o quelli di chiunque altro. Avevo bisogno di un momento da sola, ma in mezzo alla calca di gente che affollava la Sala Grande era impossibile.
«Stanno portando dentro altri caduti», disse Draco alle mie spalle, cercando di afferrarmi la spalla. Scrollai la sua mano, alzando il viso.
Masochista fino alla fine, volevo vedere chi ci aveva lasciato.
Cercai di farmi spazio tra la calca, per avere una visuale maggiore.
Remus Lupin, Alastor Moody, Colin Canon...
Chiusi gli occhi e presi un profondo respiro, combattendo contro le lacrime.
Non c'era tempo per piangersi addosso, dovevamo trovare Harry e sperare che non fosse stato tanto stupido da...
Un boato fuori dalle mura di Hogwarts mi fece sussultare, molti gridarono per lo spavento.
Fu la McGranitt, seguita da Vitius, a correre verso l'ingresso della Sala Grande, per andare a controllare cosa stesse succedendo. Avanzai a mia volta, desiderosa di conoscere cosa avesse provocato quel rumore.
Fuori dall'ingresso principale di Hogwarts, schierati ordinatamente a circa dieci metri di distanza, c'erano i Mangiamorte. Non indossavano la maschera, mostrando con fierezza il loro volto.
Individuai il viso di Theodore Nott, poco distante quelli di Narcissa e Lucius Malfoy.
La confusione era ben visibile sul mio volto, mi voltai alla mia destra, dove sapevo trovarsi Draco e mi resi conto che anche lui sembrava sorpreso.
I Mangiamorte aprirono un passaggio, così da far passare la figura pallida e vestita con un lungo mantello nero di Voldemort, che con un'espressione di trionfo in viso, fece segno ad Hagrid alle sue spalle di avanzare.
Il mezzo gigante stava trasportando qualcosa tra le braccia, sembrava un corpo.
Solo quando si fece più vicino capii che quell'involucro privo di vita era stato il mio migliore amico, Harry Potter.
Il respiro mi rimase incastrato in gola, mentre gli occhi mi si inumidivano nuovamente.
Non poteva essere.
No, non Harry.
La mano di Malfoy prese la mia, stringendo le mie dita fredde con forza.
Guardandomi intorno vidi che la maggior parte delle persone che si trovavano in Sala Grande erano uscite; le loro espressioni sconvolte, sofferenti e sprezzanti sembravano una replica della mia.
Voldemort avanzò, diminuendo la distanza tra di noi, poi si fermò a metà strada tra il suo schieramento e il nostro, un sorriso a deturpargli il volto.
«Harry Potter è morto», disse semplicemente, la voce aspra e trionfale, mentre Nagini, strisciava ai suoi piedi: «Harry Potter è morto!», urlò, lanciano uno sguardo alle sue spalle.
I Mangiamorte iniziarono a ridere, Bellatrix Lestrange stava addirittura improvvisando una danza per esprimere la sua gioia, mentre rideva sguaiatamente.
«É tempo di scegliere», continuò Voldemort: «Venite avanti e unitevi a noi, o morirete».
Nessuno si mosse.
Il mio sguardo continuava a scivolare verso destra, dove Hagrid continuava a stringere tra le braccia il corpo di Harry. Non ero riuscita ad abbracciarlo un ultima volta.
Sentii Draco irrigidirsi accanto a me e, tornando a concentrare la mia attenzione davanti a me, vidi Lucius Malfoy fare un paio di passi avanti, lo sguardo fisso su suo figlio: «Vieni», disse semplicemente, facendo un gesto nervoso con la mano.
Draco scosse la testa, aumentando la stretta delle sue dita intorno alle mie.
Voldemort spostò lo sguardo da Malfoy senior al figlio, lo sguardo all'apparenza impassibile.
Gli occhi azzurri di Narcissa erano incatenati ai miei, poi spostò lo sguardo verso Hagrid e nuovamente verso di me. Aggrottai le sopracciglia, non riuscendo a capire.
Neville, fece qualche passo avanti, zoppicando, attirando l'attenzione di tutti su di sé.
«E tu chi saresti?», chiese con tono derisorio Voldemort.
«Neville Paciock».
Un coro di risate si unì a quella follemente divertita di Bellatrix Lestrange.
«Sono certo che troveremo un posto anche per te nei nostri ranghi...» disse la voce compiaciuta di Voldemort, prima di venire interrotta dalla voce di Neville: «Vorrei dire una cosa».
Le risate cessarono e sul volto pallido di Voldemort comparve una smorfia contrariata.
«Non importa che Harry sia morto», iniziò Neville: «La gente muore tutti i giorni, amici, familiari. Sì, abbiamo perso Harry stanotte, ma lui è ancora con noi, qui dentro!», esclamò, portandosi una mano al petto, lo sguardo che vagava tra noi e i Mangiamorte: «E così Fred e Remus, Moody... Tutti loro non sono morti invano! Ma tu lo sarai perché ti sbagli, il cuore di Harry batteva per noi, per tutti noi! Non è finita!»
In quell'istante Neville estrasse dal cappello parlante, che teneva stretto tra le mani, la spada di Grifondoro, mentre un movimento alla destra del mio campo visivo mi fece sorridere: Harry era vivo.
*****
Ciao a tutti! 😁
Non è stato facile scrivere questo capitolo e spero vivamente che vi sia piaciuto! L'ho basato molto sulle scene dell'ultimo film (soprattutto per quando riguarda il discorso di Neville e quelli di Voldemort), mentre per il resto ho fatto del mio meglio per sembrare verosimile nella descrizione della battaglia e dei sentimenti di Hermione in un frangente tanto delicato.
Spero vogliate lasciarmi qualche commento, per farmi sapere la vostra opinione!
Un bacione enorme ❤️
LazySoul
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Capitolo 25 *** Tears ***
Questo capitolo contiene quattro punti di vista: quello di Padma, di Narcissa, di Luna e di Pansy. Spero che non sia troppo confusionario.
Buona lettura!
25. Tears
Padma
Salii le scale di corsa, cercando ovunque; per i corridoi, nelle aule, chiedendomi dove fossero finite.
Quando raggiunsi il terzo piano mi fermai, riconoscendo le figure a pochi metri da me.
«Susan!» urlai, attirando l'attenzione del quartetto, cercando di riprendere il fiato: «La McGranitt vuole che tu e la Granger scendiate, ha bisogno di voi per proteggere la scuola con un incantesimo, dice che siete le migliori», aggiunsi, cercando di ignorare gli occhi chiari che mi squadravano con quello che interpretai come uno sguardo austero.
Susan fu subito al mio fianco, mentre la Granger scosse la testa sconsolata, trattenuta dalla mano di Malfoy: «Io non ho la bacchetta, dubito di poter essere di qualche utilità».
No potei fare a meno di provare pietà per lei. Avevo passato due giorni in prigione senza la mia bacchetta, prima che Zabini mi liberasse e potessi poi recuperare la mia bacchetta. Potevo immaginare lo sconforto e smarrimento che doveva provare Hermione.
Ero stata catturata due giorni prima, mentre io e mia sorella cercavamo di raggiungere il luogo segreto in cui si nascondeva Harry Potter con il suo esercito di ribelli. Era stata Calì a convincermi, era lei quella coraggiosa in famiglia, quella che non si arrendeva di fronte a nulla. Io, invece, per quanto le somigliassi fisicamente, ero meno temeraria e più un topo di biblioteca. Quando mia sorella mi aveva detto che voleva andare a combattere contro Coli-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, non ci avevo pensato due volte e le avevo detto che sarei andata con lei. I nostri genitori provarono a fermarci, impedendoci di uscire di casa. Non era la prima volta che cercavano di segregarci in camera nostra e io e Calì avevamo da anni elaborato un piano per fuggire senza farci notare. Non avevamo pensato però alle numerose pattuglie di Mangiamorte che setacciavano le città di notte alla ricerca di Harry Potter e dei suoi sostenitori. Ci ritrovammo circondate prima che potessimo renderci conto di quello che stava succedendo. Mia sorella, alla quale il coraggio non mancava, mi disse che li avrebbe tenuti occupati, così da permettermi la fuga. Alla fine però finirono per catturarmi, mentre lei riuscì a salvarsi.
Una voce melodiosa mi distolse dai miei pensieri: «Posso venire io», si offerse Daphne Greengrass, mettendo in mostra la sua dentatura perfetta.
Focalizzai lo sguardo su di lei, pentendomene subito, appena mi ricordai che indossava solo una vestaglia color grigio chiaro che metteva in mostra il suo fisico snello e provocante. Riuscii però a risultare abbastanza scettica, sollevando il sopracciglio destro, celando così la mia ammirazione.
Non riuscivo a capire se fosse seria e se davvero volesse dare una mano, o se semplicemente stesse cercando di provocarmi e innervosirmi come suo solito.
Era dall'inizio dell'anno che me la ritrovavo ovunque: per i corridoi, in biblioteca, nelle aule studio... A lezione poi era un vero e proprio incubo. Non mancava giorno in cui non mi venisse incontro, abbagliandomi con la sua chioma dorata e i suoi sorrisi smaglianti, salutandomi e facendomi l'occhiolino. Non riuscivo a capire a che gioco volesse giocare. Un paio di volte mi ero chiesta se per caso fosse gay e quindi interessata a me, ma ogni volta smentiva le mie ipotesi presentandosi in Sala Grande a braccetto di qualche suo compagno di casa, al quale si preoccupava di infilare la lingua in gola davanti a tutti.
La osservai per qualche secondo, vedendo il fastidio nei suoi occhi e chiedendomi per la centesima volta cosa volesse da me.
«Come vuoi», le dissi, sospirando rassegnata. Non avevamo tempo prezioso da perdere; la McGranitt ci aspettava al piano terra e se la Greengrass era così ansiosa di aiutare non sarei stata io a impedirglielo.
Un sorriso a dir poco compiaciuto illuminò il volto della bionda.
Mi voltai, dandole le spalle, con l'intenzione di non lasciarmi distrarre dal modo in cui si stava avvicinando; muovendo le anche e le gambe con l'intento di provocarmi.
Avevo sempre pensato che lo facesse per prendermi in giro. Era stata la Edgecombe a spargere la voce della mia omosessualità a inizio anno. Tradendo la poca fiducia che avevo erroneamente riposto nelle sue mani e mettendomi al centro dei pettegolezzi per circa una settimana. Io avevo fatto di tutto pur di smentire la notizia, per paura che giungesse per caso alle orecchie dei miei genitori. Avevo passato notti intere in lacrime, raggomitolata nel mio letto a sperare che i pettegolezzi, le battutine e le cattiverie cessassero.
Alla fine era arrivato un pettegolezzo più interessante della mia presunta omosessualità e tutti avevano smesso di sussurrare il mio nome e ridacchiare o additarmi quando mi scorgevano per i corridoi.
Ero tornata ad essere invisibile per tutti, tranne per Daphne Greengrass.
Mi voltai verso sinistra, cercando lo sguardo di Susan, ma incontrai invece quello scaltro e luminoso della Serpeverde.
Tornai a guardare di fronte a me, ignorandola.
Eravamo in guerra e non avevo intenzione di lasciarmi distrarre da lei, non in una situazione tanto delicata. Mi sarei dedicata alla questione Daphne Greengrass una volta che tutto fosse finito.
Sempre che fossi sopravvissuta.
Narcissa
La mano di Lucius strinse forte la mia, le sue dita erano leggermente più tiepide rispetto alle mie e la sua sicurezza era ciò di cui avevo bisogno in quel momento.
Quando avevamo ricevuto la lettera di Draco eravamo accorsi in camera sua, volevamo chiedergli spiegazioni, capire come avesse ricevuto un'informazione tanto importante. Ma tutto ciò che avevamo trovato era stato Theodore Nott, legato nella vasca da bagno di nostro figlio.
Lucius lo aveva slegato, chiedendogli cosa fosse successo.
«Draco è impazzito, ecco cos'è successo», ci aveva risposto, ridendo amaramente: «Ha rubato un oggetto prezioso dalla camera di vostra sorella», aveva aggiunto, rivolto a me: «Vuole tradire il Signore Oscuro, tutto per colpa di quella Mezzosangue che gli ha fatto il lavaggio del cervello!»
Sussultai alle sue parole, cercando di recitare la parte della madre sconvolta e delusa: «Sei sicuro?», gli chiesi, mentre mio marito aggrottava le sopracciglia: «Quale Mezzosangue?»
Theodore ci raccontò cose che già sapevamo e altre che avevo intuito, senza però condividerle con mio marito.
«Mio figlio ha una relazione con una Mezzosangue?!», tuonò Lucius, il viso arrossato dal disgusto e la vergogna.
Io quello l'avevo immaginato quando avevo parlato con la Granger. Quella ragazza era letteralmente incapace di mentire, l'amore che provava per mio figlio era stato in bella mostra sul suo volto per tutto il tempo che avevo trascorso con lei.
Sospirai, abbassando lo sguardo. La promessa che avevo fatto a mio figlio il giorno prima ora non aveva più senso. Gli avevo garantito che non ne avrei fatto parola con Lucius, che avrei mantenuto il segreto. Il giovane Nott aveva rovinato tutto.
«Con Hermione Granger per essere precisi», aveva ribadito il ragazzo, prima di dirigersi verso la porta: «Andiamo? Il Signore Oscuro ha chiamato».
Le dita di mio marito stringevano le mie con talmente tanta forza da farmi male, mentre seguivamo Theodore.
Non avevo bisogno di chiedergli come stesse, eravamo sposati da quasi vent'anni e lo conoscevo meglio di me stessa. Aveva bisogno di sbollire la rabbia e la delusione nei confronti di nostro figlio. Al momento non vedeva chiaramente la situazione, non come me.
«Lucius», lo chiamai, attirando la sua attenzione.
Fermai la nostra avanzata e feci in modo che i suoi occhi fossero puntati nei miei, lasciando che il giovane Nott corresse come un cagnolino verso il suo Signore.
«Se anche fosse vero», gli dissi, tenendo le mie mani sul suo volto, impedendogli di guardare da un'altra parte: «Sarebbe un bene».
I suoi occhi grigi mi scrutarono sconvolti: «Un bene?!», si liberò dalla mia presa e fece un paio di passi indietro, guardandomi come se fossi stata una pazza: «Come potrebbe essere un bene il fatto che nostro figlio...»
«Pensa a quando la guerra sarà finita, Lucius», gli dissi, avvicinandomi a lui di un passo:«Pensa a quando Potter avrà sconfitto il Signore Oscuro e il Ministero ci si rivolterà contro», continuai, prendendo la sua mano e appoggiandola contro le mie labbra: «Pensa a quando vorranno separarci, lasciandoci a marcire in celle diverse, nella stessa prigione».
Vidi nei suoi occhi chiari la tristezza che era specchio della mia e capii di avere tutta la sua attenzione: «Pensa a quando Hermione Granger, la migliore amica di Harry Potter, dirà in tribunale che noi li abbiamo aiutati, scarcerandoci o garantendoci una pena minore. Saremo liberi Lucius, liberi dal Signore Oscuro, liberi dalla minaccia di Azkaban».
Baciai la mano di mio marito, senza però perdere il contatto coi suoi occhi: «Se davvero nostro figlio ha una relazione con quella ragazza, dobbiamo solo aspettare che lui si stanchi di lei e sperare che ciò avvenga dopo che tutte le accuse contro di noi siano cadute».
«E se non dovesse accadere?», chiese mio marito, lo sguardo tormentato: «Se non si dovesse stancare di lei?»
«Ce ne preoccuperemo quando sarà il momento», gli dissi, sfiorando con le dita una ciocca di capelli che era sfuggita al suo codino, portandola dietro al suo orecchio.
Lucius si abbassò, premendo le sue labbra contro le mie. Eravamo sposati da anni, ma i suoi baci mi facevano ancora sentire come una ragazzina innamorata.
«D'accordo, Cissy», disse, la preoccupazione sul suo volto sostituita da determinazione e fiducia.
«Andiamo», gli dissi, afferrando la sua mano e dirigendomi verso l'ingresso di Hogwarts.
Luna
Il trambusto che seguì il risveglio di Harry, mi fece perdere di vista Blaise.
Molti Mangiamorte fuggirono, smaterializzandosi, altri invece attaccarono, incitati da Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e Bellatrix Lestrange.
Impugnai saldamente la bacchetta, che avevo ritrovato nello scatolone che Malfoy ed Hermione avevano recuperato nelle celle accanto alla lavanderia. Era bello riavere una bacchetta, sapere di essere nuovamente autonoma e non dover dipendere da Blaise e la sua protezione.
«Luna!», urlò la voce di Ginny accanto a me, attirando la mia attenzione.
Mi voltai giusto in tempo per vedere due Mangiamorte venirci incontro, provai a disarmare quello che mi stava per raggiungere, ma lo scudo protettivo che aveva alzato l'uomo, impedì al mio incantesimo di raggiungerlo.
Un lampo di luce raggiunse il Mangiamorte, facendolo cadere a terra, svenuto.
Mi voltai alla mia destra e incontrai gli occhi chiari di Blaise.
«Ti ero mancato?», chiese, facendomi l'occhiolino.
Era incredibile il fatto che fosse in grado di flirtare anche in una situazione simile.
Scossi la mia chioma bionda con aria incredula: «Siamo nel bel mezzo di una guerra», gli feci notare, mentre tornavo a guardare Ginny che, aiutata da Cho, stava riuscendo a sconfiggere il Mangiamorte che l'aveva attaccata.
Un urlo alla mia sinistra attirò la mia attenzione.
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e Harry si stavano fronteggiando a pochi metri di distanza. Lo spettacolo era semplicemente incredibile.
Non vedevo il mio amico da qualche giorno, eppure era molto cambiato, sembrava invecchiato di anni. Aveva un'espressione concentrata mentre scagliava il suo Expelliamus contro l'avversario che contraccambiò con un Avada Kedavra.
I lampi di luce, quello rosso e quello verde, s'incontrarono a metà strada, producendo scintille.
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato sembrava sicuro di sé, un sorriso vittorioso gli increspava le labbra sottili. Ai suoi piedi il suo grosso serpente, Nagini, strisciò nervosamente per qualche secondo, poi decise di allontanarsi, muovendosi verso l'ingresso di Hogwarts e spaventando molti dei combattenti che incontrava lungo il cammino.
Distolsi lo sguardo, concentrandomi sui Mangiamorte che erano rimasti e che sembravano intenzionati a mietere più vittime possibili.
Blaise protesse entrambi con un incantesimo, impedendo ad un lampo di luce rossa di colpirmi.
«Grazie», dissi, prima di aiutarlo a mettere al tappeto l'uomo che ci aveva attaccati.
«Figurati», rispose, rubandomi un bacio a fior di labbra, prima di impastoiare il nemico e sorridermi vittorioso.
Ci difendemmo da tutti gli attacchi successivi, facendo del nostro meglio per aiutare anche le persone intorno a noi in caso di bisogno.
Alla periferia del mio campo visivo continuavo a sbirciare il duello tra Harry e il suo avversario, sperando che presto il male venisse sconfitto.
Nagini apparve in quel momento nel mio campo visivo, si dirigeva verso di me, strisciando ad una velocità impressionante. Indietreggiai, andando a sbattere contro il petto di Blaise alle mie spalle; i serpenti mi avevano sempre terrorizzato.
Mi chiesi distrattamente perché non riuscissi a muovere un muscolo, e realizzai che era la paura; era il terrore cieco che mi appesantiva gli arti, impedendomi di reagire.
«Luna!», esclamò Blaise, cercando di spostarmi alle sua spalle per affrontare lui stesso il serpente.
Successe tutto molto velocemente.
L'istante prima il serpente si stava preparando ad attaccare, spalancando le fauci e mettendo in mostra le zanne lunghe quando il mio indice.
Quello dopo, un lampo argentato mi oscurò per un secondo la visuale.
La testa mozzata del serpente cadde a terra, mentre il corpo senza vita si accasciava, smettendo di fremere e avanzare.
Neville era accanto a me e Blaise, la spada di Grifondoro - ora insanguinata - contro il fianco e un'espressione di trionfo in volto.
Un urlo atroce sovrastò ogni rumore, facendo voltare tutti, compresi i Mangiamorte.
Tra Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e Harry non c'erano più i lampi di luce, il nemico era stato disarmato ed era a terra, l'espressione colma di sofferenza.
Tempo cinque secondi e il corpo di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato si era disciolto in un mucchietto di polvere sospinto via dal vento e disperso nell'aria.
Con gli occhi sbarrati fissai la scena, chiedendomi come fosse stato possibile.
Le braccia di Blaise mi circondarono da dietro: «Abbiamo vinto», mi sussurrò contro l'orecchio.
"Sono viva, siamo vivi", fu tutto quello che pensai, prima di scoppiare in lacrime.
Pansy
Corsi verso l'interno del castello, decisa ad allontanarmi dal trambusto.
Le urla e l'odore di morte mi avevano nauseata, tanto da impedirmi di essere utile durante lo scontro, per questo volevo mettere tra me e la battaglia la maggiore distanza possibile.
Non ero una coraggiosa Grifondoro e mai lo sarei stata.
Avevo rischiato già la vita per quel giorno, non avevo intenzione di rischiarla una terza o quarta.
Entrai in Sala Grande, dove i feriti e i morti giacevano a terra.
L'odore di quel luogo mi nauseò ancora di più, facendomi indietreggiare e correre verso i sotterranei. Avevo intenzione di raggiungere le cucine e rintanarmi al loro interno con Lumacorno e i bambini.
Un urlo alle mie spalle mi fece voltare.
Fu in quell'istante che vidi Theodore.
Era stata la Weasley a urlare, ma i miei occhi si erano subito spostati verso il moro Serpeverde a pochi metri di distanza, che cercava di disarmare Dean Thomas.
Tutto ciò che riuscii a sentire fu la voce acuta e fastidiosa di Bellatrix Lestrange gridare.
Poi un lampo di luce verde, una figura rossa che si gettava a terra per evitarlo e il corpo di Theo che cadeva a terra, senza vita.
Un fischio acuto sostituì le voci che mi circondavano. Gli occhi non riuscivano a spostarsi, rimanendo fissi su quel corpo riverso contro il pavimento dell'ingresso.
Gli occhi di Theo fissavano il soffitto senza vederlo, le labbra socchiuse e i capelli scuri che rendevano la sua pelle ancora più pallida.
Vidi indistintamente Dean Thomas accorrere verso la Weasley, aiutarla ad alzarsi e affrontare insieme a lei Bellatrix Lestrange.
Senza pensare al pericolo o al senso di nausea che continuava ad attanagliarmi lo stomaco, corsi verso il ragazzo che mi era stato vicino nel momento più buio della mia vita, lasciandomi cadere in ginocchio al suo fianco.
Lasciai che la bacchetta mi scivolasse di mano, mentre afferravo le spalle di Theo e le scuotevo, sollevandolo quel tanto che bastava per appoggiare il suo capo contro il mio grembo.
Gli sfiorai la pelle, ancora tiepida, del volto, cercando di pulirla dal sudore e dalla polvere.
Abbassai il capo e premetti le mie labbra contro le sue.
Non dissi niente, gli rubai solo un bacio, bagnandogli il volto di lacrime.
Il fischio alle orecchie venne sostituito nuovamente da voci e suoni.
La Weasley, Thomas e Lestrange non c'erano più.
Un urlo sovrastò tutti gli altri, creando un innaturale silenzio.
Accarezzai ancora il volto di Theo; un ultimo addio.
Un forte dolore alla nuca mi fece gridare.
Una mano aveva afferrato i miei capelli scuri e li stava tirando, trascinandomi lontano dal corpo privo di vita che avevo amato.
Cercai di liberarmi, allungai una mano per recuperare la bacchetta a terra, mentre l'altra cercava di allentare la presa sulla mia chioma.
«Taci, puttana», disse la voce roca di Greyback, mentre mi strattonava con maggiore forza, aumentando il dolore alla radice dei miei capelli.
La bacchetta mi scivolò dalle mani sudate, un grido strozzato mi sfuggì dalle labbra mentre cercavo di oppormi alla sua presa, per recuperare il mio legno, l'unica arma di difesa a mia disposizione.
Venni scaraventata contro le scale, la schiena e la nuca entrarono dolorosamente in contatto con la pietra e la mia vista si fece sfocata.
Potevo intuire i bordi della figura di Greyback, mentre si accovacciava accanto a me, dicendo cose che non riuscivo a comprendere.
Provai ad allontanarmi, ma i miei arti non rispondevano.
Sentii il rumore di qualcosa che veniva strappato, poi un dolore acuto mi bruciò il petto.
Calde lacrime mi rigavano il volto.
Vidi un lampo di luce, e la figura di Greyback scomparve.
L'ultima cosa che vidi furono un paio di occhi verdi.
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Capitolo 26 *** Epilogue ***
Epilogue
Il vapore del treno avvolgeva gli studenti che correvano lungo il binario nove e tre quarti.
Mi strinsi nel cappotto e un timido sorriso mi increspò le labbra.
Voldemort era morto e il mondo magico si stava leccando le ferite, cercando di tornare alla normalità. Durante il periodo in cui ero stata imprigionata a Hogwarts il Ministero era stato governato dai Mangiamorte che seguivano le direttive del Signore Oscuro. Molte persone erano state ingiustamente catturate e imprigionate ad Azkaban, altre erano state giustiziate senza un processo.
I miei genitori, nascosti dalla prozia Claire erano sopravvissuti, ma così non si poteva dire di altri genitori o parenti. Avevo scoperto che gli zii e il cugino di Harry erano stati interrogati e torturati prima che Voldemort venisse sconfitto. Avevano cercato di carpire loro informazioni sulla possibile ubicazione del mio amico, non sapendo che non correva buon sangue tra Harry e i suoi parenti babbani e che quindi loro non erano a conoscenza di nulla.
Molti Mangiamorte erano morti durante la battaglia, altri erano stati imprigionati ad Azkaban, altri ancora erano riusciti a fuggire; come Bellatrix Lestrange e Mulciber.
Gli Auror stavano facendo il possibile per trovarli.
Hogwarts invece era rimasta chiusa per una settimana, durante la quale era stata restaurata da cima a fondo, grazie ai fondi stazionati dal Ministero. Quel periodo di tempo inoltre era stato concesso agli studenti e agli insegnanti per piangere i caduti.
La professoressa McGranitt era diventata preside e aveva deciso di riaprire le porte a tutti gli studenti che avessero voluto terminare l'anno scolastico.
Molti genitori avevano impedito ai figli di tornare, malgrado - con la morte di Voldemort - il pericolo fosse stato debellato.
Io ero riuscita a convincere i miei genitori a farmi tornare, rassicurandoli del fatto che sarei stata bene. Mi avevano accompagnato personalmente, come la prima volta, a Diagon Alley a comprare una nuova bacchetta, oltre ad aver insistito per accompagnarmi fino a King's Cross.
Una cascata di capelli rosso fuoco attirò la mia attenzione.
Trasportando il mio baule raggiunsi Ginny, passandole una mano intorno al collo e stringendola in un abbraccio.
«Hermione!», esclamò la voce della mia amica, subito seguita da quella di Ron.
Era bello rivederli.
In quella settimana ci eravamo scambiati lettere, ci eravamo incrociati a qualche funerale, ma non avevamo avuto tempo per stare da soli e goderci la compagnia l'uno dell'altro.
Harry era accanto a Ginny, gli occhiali che gli scivolavano sul naso e i capelli corvini spettinati come sempre.
«Ciao, Harry», lo salutai, districandomi dall'abbraccio di Ginny per gettargli un braccio al collo, mentre con l'altro afferravo Ron, stringendoli entrambi.
«Soffoco», si lamentò il rosso, pizzicandomi il fianco per liberarsi dalla mia presa.
«Come stai, Hermione?», mi chiese Harry, gli occhi preoccupati.
«Bene», dissi, cercando di non pensare alla guerra, alle morti, al dolore.
"Bene" non era la parola giusta, non quando era passata solo una settimana da quell'orrore, ma stavo cominciando ad accettarlo; ad accettare che la vita era anche composta dalla perdita e dalla sofferenza e non solo dalla gioia e abbondanza.
Non avevo il coraggio di chiedere ai miei amici come stessero, non dopo così poco tempo, non dopo la morte di Fred.
Il treno fischiò, annunciando che era ora di salire.
Recuperai il mio baule e mi affrettai verso la prima carrozza che incrociai, dicendo loro che li avrei visti più tardi.
Faticai a sollevare il baule mentre salivo sul treno, prendendomela coi libri che avevo voluto portarmi dietro in più rispetto a quelli scolastici.
Percorsi il corridoio, fino a quando non trovai lo scomparto che stavo cercando ed entrai.
Un paio di occhi chiari si posarono su di me, smettendo di guardare la folla fuori dal finestrino.
«Ciao», dissi semplicemente, un timido sorriso ad addolcire la curva severa delle mie labbra.
Draco allungò una mano, agganciando il dito all'orlo del mio cappotto, tirandomi a sé: «Ciao», sussurrò contro le mie labbra: «Come stanno i tuoi genitori?»
«Vogliono conoscerti», confessai, sedendomi accanto a lui: «Sei ufficialmente invitato al matrimonio di mia cugina come mio accompagnatore».
Nell'ultima lettera che ci eravamo scambiati io e il biondo, gli avevo confessato che convincere i miei genitori a farmi tornare a Hogwarts non sarebbe stato facile, ma che ci avrei provato, andando contro il loro volere se necessario e ignorando la loro ira.
Uno sguardo a dir poco terrorizzato comparve sul suo volto: «Intendi un matrimonio babbano?»
Risi, intrappolando il suo volto tra le mani e regalandogli un bacio a stampo.
«Devo pagare per lo spettacolo a luci rosse?», chiese la voce annoiata di Zabini, entrando nello scomparto e inciampando sul mio baule.
«Blaise, fai attenzione!», lo rimproverò Luna, prima di sorridere in modo affabile: «Ciao Hermione, Malfoy», ci salutò prendendo posto accanto al moro, di fronte a me.
«Ciao, Luna», la salutai, felice di vedere che lei e Zabini continuavano a frequentarsi e apparentemente ad andare d'accordo.
La porta scorrevole dello scomparto si aprì ancora, mostrando il volto pallido di Pansy Parkinson.
Non osavo immaginare come dovesse essere stato per le assistere alla morte di Theodore Nott e poi venire attaccata da Greyback, tutto nell'arco di pochi minuti.
Alle sue spalle c'era Daphne, impeccabile e sorridente: «É qui la festa?», chiese, scavalcando il mio baule ancora a terra e sedendosi accanto a me.
Pansy ci guardò per qualche secondo, poi chiuse la porta e se ne andò.
Non mi erano sfuggite le profonde occhiaie sotto ai suoi occhi e il fatto che non fosse minimamente truccata, diversamente dal solito.
Mi sarebbe piaciuto alzarmi e rincorrerla, per costringerla a parlare, ma ero sicura che non mi avrebbe detto nulla, scacciandomi in malo modo.
Le labbra di Draco si posarono contro la mia tempia, attirando la mia attenzione: «Facciamo una scommessa?»
Un sorriso comparve sulle mie labbra: «Sentiamo», lo incitai a continuare.
«Scommettiamo che al matrimonio di tua cugina riesco a conquistare il cuore dei tuoi genitori?»
«Sbaglio o hai appena accettato di partecipare a un matrimonio babbano?», chiesi, con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa per la sorpresa.
Draco si morse il labbro e mi sorrise: «Allora, scommettiamo?»
*****
Ciao adorate lettrice e adorati lettori! ❤️
So cosa state pensando: ma questo è un finale aperto!
ESATTO!
E sapete cosa vuol dire?
Che - FORSE - scriverò un seguito!
Tutto quello che vi posso dire sul sequel è il titolo: "Mai innamorarsi del nemico" e il fatto che, come in "Mai fidarsi del nemico", vedremo i punti di vista di altri personaggi oltre a quelli di Draco ed Hermione.
Prima però di cimentarmi in un'impresa tanto ardua, voglio dedicarmi a "Bound to you", che ho messo da parte in queste settimane e che sento il bisogno viscerale di continuare.
Quindi, vi scongiuro, non tartassatemi di messaggi su messaggi per chiedermi quando pubblicherò il seguito perché ancora non so nemmeno se avrò la forza di scriverlo, abbiate pazienza e leggete altre mie storie nell'attesa 😉
Un grazie di cuore a tutti voi: ai lettori silenziosi e a quelli meno silenziosi, a quelli che mi hanno riempito di complimenti e a quelli che mi hanno suggerito come migliorare. Senza di voi avrei abbandonato per sempre questa storia tanto tempo fa, ma grazie alla vostra insistenza, mi sono costretta a tornare e a mettermi in gioco, continuando ciò che avevo lasciato in sospeso: GRAZIE ❤️
Un bacio,
LazySoul
(p.s. Nel caso aveste domande a proposito della trama, cose che magari non ho spiegato bene o che vorreste approfondire, scrivetemi pure!)
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