Mai Fidarsi del Nemico

di LazySoul
(/viewuser.php?uid=126100)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Slave life ***
Capitolo 2: *** Punishment ***
Capitolo 3: *** Pathetic (Draco’s point of view) ***
Capitolo 4: *** Transparent potion ***
Capitolo 5: *** Temporary safeness ***
Capitolo 6: *** Nightmare ***
Capitolo 7: *** Return the favor ***
Capitolo 8: *** Guiltness ***
Capitolo 9: *** Lunch ***
Capitolo 10: *** Friend's advice ***
Capitolo 11: *** We trust each other ***
Capitolo 12: *** Tell me a tale ***
Capitolo 13: *** I need you ***
Capitolo 14: *** The Deathly Hallows ***
Capitolo 15: *** Unexpected visit ***
Capitolo 16: *** Interrogatory ***
Capitolo 17: *** Just a chat ***
Capitolo 18: *** Handcuffs, Love and Peace ***
Capitolo 19: *** A crying girl and a little problem ***
Capitolo 20: *** Parseltongue ***
Capitolo 21: *** Let's be friends ***
Capitolo 22: *** Trust, love and fights ***
Capitolo 23: *** Captives ***
Capitolo 24: *** Loss ***
Capitolo 25: *** Tears ***
Capitolo 26: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Slave life ***


cap_1

Mai fidarsi del nemico

Slave life 

Mi svegliai grazie ad un leggero campanello che suonava fuori dalla mia cella.

Probabilmente se fossi stata pigra come Ron non l’avrei mai sentito e avrei continuato a dormire profondamente.

Sorrisi a quel pensiero, ma sapevo che la mia felicità si mostrava più simile ad una smorfia che ad un vero sorriso.

Mi strinsi addosso i miei indumenti rovinati e mi sollevai dal mio materasso di stracci, avvicinandomi alla porta della mia cella.

La serratura scattò con un suono secco e mi trovai davanti Breedy che mi porse la mia colazione, che consisteva in una semplice tazza di tè e un tozzo di pane.

Breedy era l’unico essere vivente con cui entravo in contatto da giorni ormai, tranne ovviamente i Mangiamorte durante la giornaliera seduta di tortura.

Studiai il piccolo elfo domestico e le sue orecchie a punta, contraendo la mia faccia in una smorfia mentre notavo che in fatto di vestiti lui era ridotto anche peggio di me.

Mi tornarono in mente le mie campagne per liberare gli elfi domestici e la mia associazione: C.R.E.P.A. e, come mi era accaduto poco prima, una piccola smorfia che non si avvicinava nemmeno lontanamente ad un sorriso comparve sulle mie labbra.

Come ogni giorno mi lasciai accompagnare silenziosamente fino alle cucine per poi passare in lavanderia, dove lavoravo quasi tutti i giorni, tranne quando dovevo pulire qualche stanza del castello.

Mi sarei aspettata di tutto dalla mia prigionia, ma non che mi costringessero ai lavori forzati.

In effetti quando, dopo la mia prima ora di tortura con Bellatrix Lestrange, che mi aveva lasciato una profonda cicatrice sull’avambraccio sinistro che riportava la scritta: “Mezzosangue”, mi avevano scaraventata all’interno della lavanderia avevo pensato fosse un pessimo scherzo e anche di cattivo gusto.

Poi avevo capito che non lo era affatto e che se volevo sopravvivere dovevo lavorare.

Ogni giorno vedevo a pochi metri di distanza Luna ed altri sopravvissuti, ma non ci era permesso di comunicare, quindi mi dovevo rassegnare a sentirmi solo un po’ meno sola del solito.

La prima volta che avevo rivisto Luna mi ero letteralmente lanciata su di lei e l’avevo stretta tra le braccia, piangendo e ridendo insieme.

Quando Bellatrix Lestrange era venuto a saperlo mi aveva Cruciata per dieci minuti interi in più rispetto al solito.

In fondo le condizioni in cui vivevo non erano nemmeno troppo pessime...

Anche se in realtà erano giorni che non mi sembrava più di vivere.

Continuavo a rivivere nella mia mente le ultime settimane e a chiedermi come avevo fatto ad essere così cieca da fidarmi di...

Non riuscivo nemmeno a pensare il suo nome, tanto ero arrabbiata, anzi furiosa con lui.

Se me lo fossi trovata tra le mani gli avrei tirato un bel pugno, proprio come il terzo anno e...

Strinsi forte le dita intorno al mio misero tozzo di pane e per la centesima volta ignorai il mio cuore sanguinante e ricacciai indietro le lacrime.

Poggiai la mia tazza di tè vicino al lavello dove pulivo gli indumenti, mi rimboccai le maniche ed afferrai alcuni panni, gettandoli nella tinozza d’acqua di fronte a me.

Avevo imparato a tenere lo sguardo basso per non attirare troppo l’attenzione, anche se con la coda dell’occhio cercavo di notare più cose possibili.

Non sapevo molto da quando la guerra era finita, ricordavo il risveglio, il dolore delle torture inferitemi, ma per il resto sapevo solo di essere ancora all’interno di Hogwarts che, da quello che avevo intuito dalle chiacchiere dei Mangiamorte o dalle parole deliranti di Bellatrix Lestrange era diventata la sede di Lord Voldemort e che ospitava al suo interno pochi giovani maghi che erano pronti ad entrare a far parte dei suoi ranghi.

Insomma, la scuola che era stata per me come una seconda casa per anni era diventata l’equivalente di una accademia militare per i sostenitori di Voldemort ed una prigione per tutti coloro che erano sopravvissuti a quella che era stata nominata Guerra di Hogwarts.

Da quello che avevo sentito alcuni professori erano stati rinchiusi come noi studenti, mentre altri erano riusciti a fuggire, ma di loro non si sapeva nulla.

Allo stesso modo nessuno sapeva dove Harry Potter ed il suo amico Ronald Weasley fossero finiti.

Infilai la mano in tasca e strinsi per pochi istanti le dita intorno al mio galeone incantato, cercando di trattenere la piccola smorfia-sorriso che mi stava nascendo sulle labbra screpolate.

Breedy lasciò cadere al mio fianco una grossa quantità di vestiti sporchi e io non potei fare a meno di digrignare i denti, lanciando una veloce occhiata ad un Mangiamorte che, incappucciato, se ne stava al centro della sala a dettare ordini a destra e a manca, senza preoccuparsi di star dicendo una quantità esorbitante di cose senza senso.

Provai l’istinto di lanciarmi verso di lui e di affogarlo nel primo lavello vuoto, ma venni distratta dalla mano ossuta dell’elfo domestico accanto a me: «Non ne vale la pena, signorina» disse Breedy con la sua voce rauca, aiutandomi a districare tra loro gli indumenti.

Una cosa che avevo notato da quando ero diventata una prigioniera era che perdevo molto più facilmente la pazienza e mi ritrovavo sempre in uno stato d’allerta, come se da un momento all’altro avessi dovuto tirare fuori la bacchetta e combattere…

Rischiai di rompere una camicia scrollandola mentre ricordavo a me stessa che io, una bacchetta, non ce l’avevo più.

Trattenni le lacrime e lasciai che la camicia cadesse nella tinozza d’acqua, mentre prendevo dei profondi respiri e provavo a ritrovare il controllo necessario sul mio corpo.

Tornai ai miei incarichi e ricevetti un triste sorriso d’incoraggiamento da parte dell’elfo domestico accanto a me.

Breedy era un ottimo amico, soprattutto quando si preoccupava di coprire i miei sbagli che, strano a dirsi per una persona precisa come me, erano molti.

Il fatto di non aver mai dovuto lavare nulla in vita mia all’inizio era un enorme ostacolo per me da superare, dato che non avevo idea di come e cosa dovessi fare.

Breedy era stato un ottimo maestro e molte volte se avevo sbagliato qualcosa aveva detto di esser stato lui. Gli ero riconoscente per questo, oltre che debitrice.

Lanciai una veloce occhiata a Luna, che come sempre si trovava poco distante da dove ero io e stava canticchiando mentre divideva gli indumenti secondo il colore e il tipo di tessuto.

Mi chiedevo ogni giorno da dove nascesse tutta la sua allegria o per lo meno quell’aria serena che sfoggiava. Avrei tanto voluto essere come lei, per poter vedere il lato positivo di ogni cosa, ma non ne ero capace.

Nacque sul mio viso la mia solita smorfia-sorriso, mentre distoglievo lo sguardo e mi accontentavo di sentirla vicina, anche se avrei tanto voluto correre da lei come la prima volta ed abbracciarla, chiedendole una delle sue solite perle di saggezza che le settimane prima mi avevano spesso aiutato.

Ebbi un leggero giramento di testa e mi aggrappai al lavello per non cadere.

Era la prima volta che mi capitava, ma sapevo che era causato dalla mancanza di pasti decenti e da un probabile calo di zuccheri o di pressione.

Quando ero piccola avevo avuto problemi d’asma che mi erano passati dopo mesi e mesi passati in piscina ad imparare a nuotare e mi chiesi se un’incorretta nutrizione potesse provocarmi nuovamente tali disturbi, ma scacciai subito il pensiero, concentrandomi sul mio compito ed ignorando l’espressione preoccupata di Breedy.

Dovevo essere forte, era quello che mi ero ripetuta sempre, fin dalla prima volta che avevo dovuto prendere il treno per Hogwarts, fin dal primo insulto…

E in quel periodo dovevo esserlo più che mai.

Svolsi la mia routine come ogni giorno, smistando i vestiti e pulendoli uno ad uno a mani nude.

Mi capitava sempre più spesso di chiedermi perché i maghi non avessero inventato qualcosa che assomigliasse ad una babbana lavatrice per pulire gli indumenti, sarebbe stato di sicuro più veloce che far pulire tutto a dei poveri elfi domestici e, in quel caso, a dei ragazzini.

Bevevo ogni tanto un po’ di tè o mangiucchiavo distrattamente dei bocconi di pane, cercando di smorzare i borbottii del mio stomaco affamato ed ignorando le occhiate di Breedy e la sua evidente preoccupazione.

Il Mangiamorte al centro della sala venne sostituito da uno meno rumoroso, che se ne stava lì, impalato come una statua e ogni venti minuti faceva un giro per la stanza, incutendo un po’ di terrore ad elfi e ragazzi, ma senza mai pronunciare nemmeno una parola.

Sembrava un’ombra, scura, silenziosa e...

Sussultai, sentendo il galeone che avevo in tasca scottarmi la pelle attraverso la stoffa.

Avrei voluto saltare dalla felicità, ma mi limitai a stringere forte i denti per il dolore alla gamba ed a tornare al mio lavoro.

Con Ron ed Harry non ci eravamo ancora sentiti dopo la nostra separazione, anche perché io, non avendo più la bacchetta, non potevo compiere l’incantesimo necessario per poter comunicare con loro.

Erano ormai quattro sere che andavo a dormire tardissimo a causa delle mie continue esercitazioni nel tentativo di compiere gli incantesimi elementari anche senza la bacchetta.

Inutile dire che ogni mio tentativo era miseramente fallito, tratte che per un lieve spostamento di un calzino sporco trovato a terra, grazie all’incantesimo Wingardium Leviosa. Anche se sospettavo che fosse stato lo spiffero d’aria che da una crepa del muro entrava nella mia cella ad averlo causato, continuavo a ripetere a me stessa di esser stata io, certa che un po’ di autostima in più non mi avesse fatto male.

Alzai lo sguardo per pochi secondi dal mio lavoro e vidi Luna farmi un cenno di saluto con la mano, gesto che ricambiai sorridendo.

Invece di tornare al lavoro mi persi ad osservare attentamente la stanza dove mi trovavo, non che dal giorno precedente fosse cambiata, ma speravo sempre che fosse comparsa durante la notte una nuova via d’uscita.

Analizzai con occhio critico l’unico ingresso che fungeva anche da uscita: un portone alto due metri scarsi di legno scuro, sul quale vi erano intarsiati dei bassorilievi floreali. Sarebbe stata una bella porta se non fosse stata quella della mia prigione.

Lanciai una veloce occhiata al soffitto basso lungo il quale facevano bella mostra di sé reti e reti di crepe sottili, mentre negli angoli alcune ragnatele ospitavano ragni dalle dimensioni piuttosto preoccupanti.

Se ci fosse stato Ron sarebbe già scappato a nascondersi da qualche parte per evitare che i ragni lo attaccassero e sbranassero senza pietà, urlando come una femminuccia.

Quel pensiero riuscì a migliorare di poco il mio umore, mentre sentivo il galeone raffreddarsi poco a poco nella mia tasca.

Promisi a me stessa di esercitarmi ancora ad usare la magia senza la bacchetta quella sera, anche se una causa del mio indebolimento poteva essere anche il dormire solo poche ore la notte.

Era da due giorni prima che mi capitava di avere sempre più forti mal di testa accompagnati da stanchezza e spossatezza, ma non avevo intenzione di diminuire i miei allenamenti durante la notte per poter avere qualche ora di sonno in più, certa che non sarebbe comunque cambiato nulla.

Tornai al mio lavoro, facendo finta di non notare la pelle screpolata ed arrossata dei dorsi delle mie mani o i piccoli calli che cominciavano a fare bella mostra di loro sui miei palmi.

Non sapevo chi aveva avuto l’idea di far lavorare noi prigionieri, ma avrei voluto andare a complimentarmi con lui o lei perché non c’era nulla di peggiore di saper di star aiutando il nemico e di non poter fare altrimenti se si voleva sopravvivere.

E certamente colui che aveva avuto quest’idea doveva saperlo perfettamente.

Il Mangiamorte al centro della sala continuava a rimanere lì, impalato come una statua e mi chiesi se lo conoscessi.

Studiai la sua statura e corporatura, notando come dovesse essere all’incirca poco più alto di me e, a causa del mantello non potevo dirlo con sicurezza, mi sembrava che fosse forse troppo magro per la sua costituzione.

Breedy, che era scomparso pochi istanti prima, tornò con un’espressione mortificata che conoscevo fin troppo bene e presi un profondo respiro per darmi coraggio, capendo cosa stesse per succedere ancora prima che lui me lo dicesse.

«Il signor Mangiamorte ha l’ordine di portarla dalla Signora», disse l’elfo domestico, indicandomi un altro individuo incappucciato, che fino a quel momento non avevo notato, vicino all’unico portone della stanza.

Annuii fingendo indifferenza, ma dentro di me ribollivo di rabbia e sentivo ogni organo interno contorcersi per la paura.

Sapevo cosa aspettarmi, ogni volta era più o meno simile alla precedente: domande su domande che mi venivano poste dalla voce stridula della “Signora”, che altro non era che Bellatrix Lestrange, il mio mutismo che la faceva andare su tutte le furie, minacce di morte, torture, dolore... tanto dolore, ma poi finiva e io mi ritrovavo scaraventata nella mia cella a leccarmi le ferite come un animale.

Sì, all’incirca era sempre la stessa routine.

Era come andare dal dentista, ed io lo sapevo bene dato che entrambi i miei genitori lo erano: ti sedevi sul lettino, soffrivi un po’ nel momento del controllo o dell’impianto dell’apparecchio o di qualsiasi altra “diavoleria babbana” per avere una dentatura perfetta, ma poi finiva e tu sapevi che non sarebbe durato molto il dolore, che presto sarebbe passato.

Non che la sofferenza causata dai ferretti dell’apparecchio che ti scavano le guance fosse minimamente paragonabile a quella della maledizione Cruciatus, ma il concetto alla base era simile.

«Certo», risposi, avvicinandomi al Mangiamorte e facendomi afferrare con poca grazie per il braccio, mentre venivo scortata fuori dalla lavanderia e finivo in cucina, dove alcuni sopravvissuti e molti altri elfi domestici erano affaccendati a cucinare.

Invece di andare verso le celle però venni portata nei sotterrai della scuola, vicino alla vecchia aula di Pozioni, in una stanza piuttosto ampia al cui interno si trovava Bellatrix Lestrange.

E per l’ennesima volta mi pentii di non averla uccisa durante la guerra, quando ancora ne avevo l’occasione.

«Buon pomeriggio, Mezzosangue. Spero che tu sia più disposta a parlare oggi», disse con la sua solita vocetta stridula ed infantile, mentre giocava con la bacchetta, attorcigliandosela tra i lunghi ricci scuri.

Il Mangiamorte mi lasciò il braccio e chiuse la porta a chiave dietro di noi.

Il mio cuore accelerò ulteriormente i battiti, ma cercai di rimanere il più impassibile possibile e forse funzionò, perché il ghigno irrisorio della strega scomparse dalla sua faccia, sostituito da una smorfia impaziente.

«Vedo che siamo di poche parole come sempre...», sibilò la donna, avvicinandosi a me e cominciando a girarmi in torno con un avvoltoio con la sua preda: «Tu puoi andare», disse all’uomo che, senza dire nulla, scomparve oltre la porta, chiudendola nuovamente a chiave.

«Legilimens!»

Ma per quanto Bellatrix Lestrange fosse forte non sarebbe mai riuscita a leggere i miei pensieri.

Ero in fondo la strega più brillante degli ultimi tempi e non le avrei permesso di sbirciare nei miei ricordi, inoltre l’occlumazia era una materia che mi aveva sempre incuriosita ed avevo svolto molte ricerche al riguardo, tanto da sapere come proteggere la mia mente senza aver bisogno di un bacchetta.

Sapevo però che a Bellatrix Lestrange questa mia capacità non faceva altro che mandare in bestia.

«Brutta sporca Mezzosangue!», la sentii urlare: «Crucio!»

Non riuscii più ad ostentare forza e mi accasciai a terra, provando a sostenermi con le braccia ma non resistetti a lungo ed alla fine mi arresi, cominciando a contorcermi ed ad urlare, sperando che smettesse sempre.

Ogni volta pensavo che sarebbe stato doloroso come la prima ora di tortura, ma mi dovevo sempre ricredere, la sofferenza sembrava aumentare di volta in volta, tanto che temevo di essere ad un passo dalla pazzia.

Centinaia di pugnali affilati e bollenti mi si conficcavano nella carne, lasciando dietro di loro pelle carbonizzata ed una sofferenza atroce che sembrava affettare più la mia anima che il mio corpo.

Ed urlare non serviva a nulla, come non serviva a nulla contorcersi, ma tutto quel dolore doveva trovare uno sfogo e quello era l’unico modo possibile, dato che mi sembrava di essere immobilizzata a terra da tutti quei pugnali che, trapassato il mio corpo parevano conficcarsi profondamente nel pavimento, impedendomi una maggior scioltezza di movimenti.

Quando la maledizione finì mi toccai involontariamente il corpo, come a volermi accertare di essere ancora tutta intera e con nessun dei profondi solchi di pugnale che avevo sentito sulla pelle e carne, anche se sapevo che le ferite fisiche erano sempre minime quando si trattava di Bellatrix Lestrange.

«Allora? Ti è venuta voglia di aiutarci? In fondo non chiedo molto, voglio solo sapere dove è finito il tuo caro amichetto, Potter»

Rabbrividii nel sentire la sua voce e gli innumerevoli picchi acuti del suo tono che da pacato poteva diventare un urlo isterico in meno di un secondo.

«Parla, sudicia Mezzosangue, parla! Parla! Crucio

I pochi respiri profondi che ero riuscita a fare durante la breve pausa tra una tortura e l’altra erano stati insufficienti e, oltre ai numerosi pugnali conficcati nel corpo, cominciarono a farmi male addome e polmoni a causa della mancanza d’aria e delle urla che non sarei riuscita a trattenere neanche se avessi voluto.

Questa volta la maledizione durò molto meno, ma mi lasciò quasi più spossata rispetto a prima.

Mentre provavo a riprendere fiato Bellatrix mi si avvicinò e mi tirò un doloroso calcio all’altezza dell’addome che mi privò nuovamente di aria nei polmoni.

«Oggi sono di fretta, ma domani vedrò di dedicarti più attenzioni, Mezzosangue»

Con quelle parole concluse la nostra piccola sessione di tortura, facendomi trascinare di peso da un Mangiamorte fino alla mia cella, al cui interno venni scaraventata con ben poca grazia.

Mentre la porta veniva chiusa a chiave mi raggomitolai sugli stracci che fungevano per me da materasso, stringendo le gambe al petto e permettendo finalmente a me stessa di piangere tutte le lacrime che avrei voluto versare durante la tortura.

E mentre i singhiozzi mi scuotevano interamente mi chiesi se stessi piangendo per la mia situazione di prigionia o a causa del mio cuore spezzato che continuava ad illudermi che prima o poi Malfoy sarebbe arrivato a salvarmi.



******************************************************************************

 

Ciao a tutti! :)

Come potete notare sono tornata con il sequel tanto promesso di “Mai scommettere col nemico” (chi non l’avesse letto gli consiglio di andare a farlo se no rischia di non capire molto di quello che ha letto per il momento xD)!

Siete contente? ;3

Parlando del capitolo so già cosa mi direte perché lo penso anche io: “Povera Hermione! Dove è finito Malfoy?”, ma perché il nostro caro biondino torni ci vorrà ancora un po’, se no sarebbe tutto troppo facile! xD

Ne approfitto per ringraziate tutte le persone che hanno recensito la prima parte di questa ff, chi l’ha inserita tra le seguite, chi tra le preferite e chi trale ricordate; vi adoro ragazze, siete state delle sostenitrici fantastiche e spero che anche questa seconda parte vi piaccia! ;)

Bene, ora dovrei dirvi quando posterò il prossimo capitolo, giusto? Beh, ammetto di non saperlo ancora anche perché non l’ho ancora scritto e domani non potrò farlo (dato che mio zio si sposa *-*), quindi secondo i miei calcoli dovrei farcela entro il 30, 31... ma non vi prometto nulla, se no rischio di deludervi di nuovo e non ci tengo per nulla...

Ok, direi che vi ho disturbato abbastanza.

Un bacio a tutti e faccio che augurarvi Buon 2014 (caso mai non riuscissi a scrivere il capitolo entro il 31, anche se cercherò di fare il possibile) :-*

LazySoul

p.s. Mi piacerebbe sapere che ne pensate di questo capitolo e se vi sembra abbastanza realistico, quindi RECENSITE! xD

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Punishment ***


cap_2 Punishment

 


Piansi a lungo quella sera, tanto che rischiai di addormentarmi a causa dei miei occhi stanchi ed arrossati.

Riuscii però a tenermi sveglia con un pensiero fisso: “Dovevo provare a contattare Ron ed Harry”.

Erano parecchie sere che continuavo a provarci, ma speravo che quella sarebbe stata la notte giusta.

Tirai fuori dalla tasca dei miei pantaloni il galeone, ricordando come, prima di venir perquisita l’avevo nascosto sotto tutti gli stracci che componevano il materasso del mio letto.

Quello era stato l’unico momento in cui ero stata costretta a separarmene e, anche se temevo di perderlo o che mi venisse preso, non potevo fare a meno di portarlo sempre nella mia tasca destra.

Era come se fosse diventato il sostituto della mia bacchetta, era l’unico che mi avrebbe potuto mettere in contatto con Ron ed Harry e di conseguenza era la cosa più preziosa che possedessi nella mia situazione di prigionia.

Me lo rigirai per alcuni secondi tra le mani, complimentandomi con me stessa per l’idea di utilizzare i galeoni che ci erano stati tanto utili l’anno precedente per contattare l’ES.

Ma il mio autocompiacimento non durò a lungo, dato che dovetti alla fine provare per l’ennesima volta ad utilizzare la mia magia senza il supplemento della mia bacchetta e, ovviamente, fallii miseramente.

Era difficile mantenere il controllo necessario per far fluire tutta la magia che sentivo nel mio corpo verso un unico punto, infatti dopo una decina di minuti di concentrazione ero solo riuscita a spostare una piccolissima percentuale, rispetto a tutto il potere che mi fluiva nelle vene, verso la mia mano destra.

Ma la fame e la stanchezza, sia fisica che mentale, non facevano altro che intralciarmi nei miei tentativi, tanto che dopo pochi minuti mi ritrovai ad ansimare ed a sudare come se avessi corso per cinque chilometri il che, per una ragazza poco atletica come me, erano l’equivalente di un suicidio.

Quando pensai di aver accumulato abbastanza potere sul palmo della mia mano provai a pronunciare l’incantesimo e, per pochi secondi, vidi una luce argentata comparire attorno al galeone e avvolgerlo in una bolla.

La sorpresa e la felicità per il mio tentativo riuscito mi fece perdere per pochi istanti la concentrazione e, così come era comparsa, la luce scomparve.

Imprecai, provando l’istinto di gettare via il galeone e di mettermi a piangere, ma non mi lasciai scoraggiare e provai ancora un paio di volte, cercando di concentrarmi maggiormente, ma ormai ero troppo stanca e mi rassegnai a provarci poi la sera successiva.

Riposi il galeone nella mia tasca destra e mi sdraiai tra gli stracci, ignorando il cattivo odore e la loro scomodità, mentre tornavo a piangere, vergognandomi della mia fragilità, ma non potendo fare altro se non disperarmi in solitudine.

 

***

 

Breedy quella mattina era parecchio circospetto, continuava a guardarsi intorno, ed a lanciare occhiate sospette dietro di sé, mentre andavamo verso la lavanderia.

Avrei voluto chiedergli cosa avesse, ma ottenni la risposta senza che fossi costretta a porre la domanda.

«Veloce, signorina», mi disse, facendo comparire dal nulla una fetta di quella che sembrava proprio una torta di zucca.

Sbarrai stupita gli occhi, lanciandomi occhiate allarmate intorno, prima di afferrare la torta e di morderne la punta.

La consistenza morbida e pastosa del dolce era davvero qualcosa di divino ed il sapore, così simile al succo di zucce di cui andavo pazza, era qualcosa di celestiale per le mie pupille gustative.

Avrei voluto avere più tempo per poterne mangiare un boccone per volta, assaporandone a fondo il gusto, ma fui costretta, per questioni di sicurezza, ad ingurgitare tutta la fetta in pochi bocconi.

Stavo ancora masticando quando arrivammo davanti al portone della lavanderia, così mandai tutto giù e mi passai la manica della maglia sulla bocca, eliminando ogni segno di briciole sul mio volto.

Prima di entrare però fermai Breedy, che camminava pochi passi davanti a me: «Grazie», gli dissi.

Lo vidi arrossire e fare un veloce gesto della mano, come per dire che era stato un piacere per lui farmi contenta.

Una volta dentro però non mi ci volle molto prima di perdere il mio poco buon umore.

Il Mangiamorte urlante era tornato, lui ed i suoi ordini insensati gridati a destra e a manca.

Gli lanciai uno sguardo di puro odio, prima di raggiungere il mio lavello e di afferrare nella mano destra la saponetta, mentre con la sinistra aprivo l’acqua e cercavo di regolarla sulla temperatura giusta.

Breedy lasciò cadere accanto a me i vestiti sporchi e come ogni giorno cominciò ad aiutarmi a smistarli.

Mi guardai intorno e, non vedendo la biondissima chioma di Luna ed il suo sorriso dolce, andai in panico, cominciando a girarmi su me stessa, cercando la mia amica ovunque.

Lanciai un’occhiata allarmata a Breedy, ma lui, con un gesto veloce della mano, mi ricordò di tornare al lavoro se non volevo finire nei guai.

Svolsi automaticamente ogni lavoro necessario, ma parte della mia mente era sempre in allarme ed all’erta, pronta a sondare ogni individuo all’interno della sala per cercare l’unica amica rimastami.

Passò quasi un’ora prima che vedessi finalmente comparire Luna, scortata da un Mangiamorte, con il volto abbassato e le gambe che sembravano non sorreggerla.

Mossi alcuni passi nella sua direzione, ma Breedy si piazzò davanti a me, con le braccia aperte e con una smorfia di compassione e tristezza sul volto.

Mi intimò di tornare al lavoro ed io, mordendomi a sangue il labbro inferiore, mi costrinsi a fare come mi aveva detto.

Non persi però di vista la mia amica, e la osservai per tutta la mattinata, sondandone i movimenti e cercando di abbinare ad ogni suo gesto uno stato d’animo.

Notavo con orrore che le dita e le mani continuavano a tremarle, mentre aveva lividi violacei sulle braccia e un taglio sulla fronte che le faceva gocciolare del sangue lungo la tempia e la guancia pallida.

Rischiai di correre da lei per aiutarla un centinaio di volte nel giro di mezz’ora, chiedendomi per quale motivo l’avessero torturata in quel modo; a me non avevano mai lasciato tanti segni sulla pelle, preferendo ferirmi nell’animo... perché a lei invece sembravano aver utilizzato la tecnica opposta?

Solo verso metà mattinata riuscii ad incontrare i suoi dolci occhi azzurri che, malgrado tutto, si illuminarono incontrando i miei e vidi comparire sulle sue labbra un debole sorriso che cercai di ricambiare con scarsi risultati.

Dopo di che il Mangiamorte di guardia cominciò ad urlarle contro, dicendole di svolgere il suo lavoro invece di perdere tempo a guardarsi intorno.

Una forza a me sconosciuta sembrò trattenermi dall’intervenire, come se qualcuno fosse entrato nella mia mente e mi avesse imposto di rimanere ferma.

Voltai il viso verso Breedy, rendendomi conto che era stato lui a farmi un incantesimo per impedirmi di muovermi dal busto in giù e, anche se una parte della mia mente lo ringraziò di cuore, l’altra avrebbe voluto avere ancora una bacchetta per poter schiantare lui ed il Mangiamorte.

Dopo quell’episodio però riuscii a calmare abbastanza i nervi da non aver più bisogno dell’incantesimo dell’elfo domestico per non saltare addosso  e prendere a calci nel sedere quell’ombra scura che continuava ad importunare ogni singolo prigioniero o elfo che gli si trovava di fronte.

Tornai al mio lavoro cercando di non lasciarmi distrarre da nulla, anche se a volte continuavo a guardare nella direzione di Luna per accertarmi che non stesse troppo male.

Stavo pulendo una camicia bianca quando udii il Mangiamorte urlare con un tono più forte del solito.

Alzai lo sguardo e vidi un ragazzino, che mi sembrava fosse di Tassorosso, tremare tutto mentre l’uomo in nero seguitava a strillare a due centimetri dal suo volto pallido e giovane.

Non ricordavo il nome di quel poveretto, ma ero certa che fosse solo del primo anno e sentii montarmi dentro una rabbia infinita, mentre stringevo le dita intorno alla saponetta e fissavo con odio la scena.

«Non ti devi mai fermare, chiaro? Devi lavorare, LAVORARE! Quelle camicie ti sembrano pulite?!», il Mangiamorte sollevò la bacchetta, con il chiaro intento di lanciare un incantesimo al ragazzino.

Sentii nuovamente le mie gambe bloccate dall’incantesimo di Breedy e, senza prestare attenzione alla vocina nella mia testa che mi diceva di non farlo, sollevai il braccio e lanciai la saponetta.

Mi resi chiaramente conto di quello che avevo appena fatto solo quando ormai l’oggetto stava compiendo una perfetta parabola diretto alla nuca dell’uomo in nero e mi pentii del gesto quando la saponetta era giunta con precisione a destinazione.

Mi imposi però di non sembrare in nessun modo scossa e rimasi con orgoglio e coraggio a fissare il Mangiamorte dritto in quelli che dovevano essere gli occhi, anche se erano coperti dalla sua maschera.

L’uomo in pochi passi mi aveva raggiunto e, con mio sollievo, aveva lasciato in pace il povero ragazzino che ora provava a trattenere le lacrime, mentre mi fissava con lo sguardo pieno di profonda gratitudine.

Non udii cosa disse l’uomo, anche se percepii chiaramente le parole chiave del discorso: “sporca Mezzosangue”... “pagherai”... “lavorerai”... “cucina”... “tutta la notte”.

Sentii perfettamente però il dorso della sua mano che colpì con forza la mia guancia sinistra, provocandomi un intenso bruciore in viso.

A quel punto avrei dovuto rimanere immobile, magari fingermi timorosa, dandogli la soddisfazione di avermi messo paura, ma ancora una volta mi mossi senza pensare a ciò che facevo e gli sputai dritto contro la maschera che portava sul viso.

Avrei pagato per vedere la sua espressione in quel momento, ma l’unica cosa che otteni fu un altro schiaffo che mi fece voltare il viso di novanta gradi.

«Crucio!», urlò l’uomo, mostrando di avere molta fantasia per quanto riguardavano le punizioni da infierire a noi “schiavi”.

Ma fui in grado di essere sarcastica solo un decimo di secondo, prima che il solito dolore di coltelli dalla lama infuocata mi trafiggesse interamente, facendomi cadere a terra, in ginocchio.

Non saprei come, ma riuscii a non urlare e, quando la tortura finì, fui fiera di me stessa per non aver supplicato perdono o pietà.

Ottenni ancora un calcio all’altezza dello stomaco, prima che quell’uomo mi afferrasse per i capelli, trascinandomi  fino alle cucine e mi lasciasse lì, a terra.

Mi sollevai in piedi a fatica, provando a combattere il tremore di braccia e ginocchia e, guardandomi intorno, vidi un centinaio di occhi che mi fissavano con stupore.

All’interno di quella stanza c’erano solitamente più elfi domestici che prigionieri, anche perché noi “schiavi” non potevamo usare la magia e questo penalizzava il nostro possibile contributo nel campo culinario.

Le dita del Mangiamorte afferrarono nuovamente una manciata dei miei capelli e mi trascinarono fino a farmi cadere davanti ad una scopa: «Pulirai tutto, da cima a fondo e potrai andartene solo quando avrai finito, lurida Mezzosangue»

Scomparve oltre la porta con poche veloci falcate e, quando fui certa che se ne fosse andato mi alzai in piedi lentamente, cercando di concentrare le mie forze sulle gambe per non cadere nuovamente a terra.

Mi appoggiai alla parete davanti a me, riprendendo fiato e cercando in tutti i modi di non piangere e rimasi immobile in quella posizione per alcuni istanti.

Presi poi la scopa e, ignorando il bruciore alla guancia e l’intenso dolore allo stomaco, cominciai a spazzare per terra.

Sentivo la presenza di un’altra persona nella stanza, ma non alzai lo sguardo, sapendo perfettamente che era un Mangiamorte.

Rischiavo spesso di inciamparmi sui miei stessi piedi, ma continuai come se nulla fosse a zigzagare tra gli elfi domestici per pulire per terra, provando ad essere abbastanza forte, anche se l’unica cosa che avrei voluto fare era rannicchiarmi in un angolo e piangere fino a quando non avrei avuto più lacrime a disposizione.

Speravo che il ragazzino che avevo aiutato non avesse avuto altre difficoltà e che la ferita di Luna all’altezza della tempia non sanguinasse più, ma per accertarmi della loro salute avrei dovuto aspettare fino al giorno dopo, quindi smisi di tormentarmi pensando a loro e cominciai concentrarmi maggiormente sul mio compito.

Quando ritenetti che il pavimento fosse abbastanza pulito afferrai uno straccio da un bancone e cominciai a spolverare ogni superficie piana che incontravo.

Tutte quelle pulizie mi ricordavano tremendamente la mia vita da babbana e tutti i pomeriggi che avevo aiutato mia mamma a pulire casa in vista dell’arrivo di qualche ospite per cena. Mia mamma, oltre ad essere una dentista, aveva la fissazione per le pulizie e, almeno una volta ogni due settimane, doveva trascorrere un intero week end a pulire qualsiasi cosa le fosse capitata in mano.

Era precisissima per quello che riguardava le pulizie e l’ordine e sapevo di aver preso da lei questo lato meticolosamente preciso con cui etichettavo ogni cosa e davo definizioni a tutto quello che potevo.

L’unica persona che non ero mai riuscita davvero a classificare era proprio Draco Malfoy...

Strinsi forte lo straccia tra le dita delle mani, che mi tremavano, e chiusi forte gli occhi per qualche istante, nel tentativo di cancellare il mio ultimo pensiero, ma con scarsi risultati.

Il portone della cucina si aprì con un colpo secco e vidi entrare a passo di marcia un nuovo Mangiamorte che prese il posto di quello precedente.

Non prestai loro molta attenzione concentrata nel scacciare dalla mia mente gli occhi chiari e caldi di un certo biondino che in meno di un mese era riuscito a farmi innamorare di lui, ma li sentii scambiarsi poche veloci parole.

Quando alzai lo sguardo mi stupii nel constatare che la figura appena entrata aveva qualcosa che me la faceva classificare come una donna, forse era la sua sagoma minuta e delicata, oppure il modo in cui era seduta, con le gambe accavallate, su una sedia.

Non la degnai però di molte attenzioni e tornai in fretta ai miei doveri, sperando di essere ignorata come facevo io con lei.

Le passai davanti solo per recuperare un altro straccio, dato che quello precedente l’avevo già riempito di polvere, ma per il resto non ci degnammo di molte attenzioni, lei troppo impegnata a limarsi le unghie e io troppo indaffarata a svolgere il mio compito.

Gli elfi erano silenziosamente efficienti, tanto che sembrava che non ci fossero nemmeno.

Avrei voluto allungare una mano ed afferrare qualcosa da mangiare per zittire il continuo borbottare del mio stomaco, oppure prendere semplicemente un bicchiere d’acqua per dare sollievo alla mia gola riarsa o alle labbra spaccate, ma riuscii chissà come ad ignorare la vocina affamata ed assetata nella mia mente, imponendomi di fare il mio dovere, anche se avrei voluto distruggere tutto quello che mi capitava a tiro, a partire da quella Mangiamorte che aveva qualcosa di familiare nella postura e nel modo in cui continuava a guardarsi le unghie perfettamente laccate da uno smalto color rosso acceso.

Quando passò l’ora di cena e gli elfi cominciarono a ritirare ogni spezia e condimento al proprio posto nella credenza mi resi conto che il mio lavoro invece era appena all’inizio, dato che in pochi secondi capii a chi spettasse pulire le centinaia di piatti che erano stati riportati vuoti dalla sala da pranzo.

Mi rimboccai le maniche e cominciai a darmi da fare, prendendo una spugna e riempiendola di detersivo per poi iniziare a scrostare energicamente tutte le pentole, i piatti, i bicchieri, le posate e i mestoli.

In meno di un’ora le dita erano già cotte, piene di quelle rughette sui polpastrelli causate dal contatto prolungato con l’acqua e i dorsi delle mani erano arrossati e screpolati.

Riuscii a trattenere le lacrime per il dolore e l’umiliazione solo perché sapevo che c’era ancora la Mangiamorte di “guardia”.

Non ce la facevo più a sopportare tutto quello e, anche se ero felice di non esser dovuta andare da Bellatrix almeno quel giorno, mi sentivo comunque ancora scossa dalla maledizione Cruciatus ricevuta da quel Mangiamorte ed ero fin troppo desiderosa di tornarmene nella mia cella per poter provare con le poche forze rimastemi ad usare la magia senza la bacchetta, prima di poter finalmente piangere e dormire.

Ci fu un altro cambio di guardia e, quando la Mangiamorte se ne fu andata, comparve nella mia mente il suo nome: Daphne Greengrass.

Ero certa che fosse lei perché ricordavo perfettamente come si limasse le unghie durante le ore di lezione, soprattutto quelle di Storia della Magia o di Trasfigurazione.

Avrei voluto correrle dietro per accertarmi che fosse lei ma, voltandomi, vidi l’ombra di un altro Mangiamorte al suo posto e desistetti, tornando a fissare la pila di piatti accanto a me.

Sospirai mentre riempivo per la ventesima volta la mia spugna di detersivo e, nel tentativo di combattere la stanchezza e le ginocchia che cominciavano a cedermi, cominciai a canticchiare nella mia testa una canzone babbana che piaceva tanto a mia mamma e che spesso metteva mentre faceva le pulizie.

Sperai che mamma e papà stessero bene dalla zia e che nessun Mangiamorte li avesse trovati in quella piccola casetta di campagna, anche se una parte di me cominciava già a prevedere il peggio.

Sbadigliai, mentre ciondolavo appena sulle caviglie.

Ero talmente stanca che non mi resi nemmeno conto che nella stanza era entrato un altro Mangiamorte.

Quando anche l’ultimo piatto fu pulito, asciugato e messo al suo posto nella credenza, provai ad appoggiarmi al bancone per non cadere a terra dalla stanchezza, mentre le ginocchia cedevano e la mente mi si annebbiava come se mi fossi trovata in un semplice sogno.

Delle braccia mi afferrarono prima che cadessi e mi sentii subito confortata dal calore di un altro corpo umano contro il mio.

Senza pensare a nulla affondai i volto contro il petto di quella persona inspirandone a fondo l’odore e sussultando, quando mi resi conto di conoscere fin troppo bene quella fragranza di menta, tabacco e liquore.

«No...», mormorai, mentre dita familiari affondavano contro la mia schiena, stringendomi a sé.

No, no, no, no, no!

Avrei voluto allontanarlo con tutte le poche forze che ancora possedevo, ma ormai era troppo tardi e calde lacrime avevano cominciato a bagnarmi il volto, mentre la consapevolezza di essermi addormentata e di star sognando il mio peggiore incubo si faceva strada nella mia mente, distruggendomi.

«Draco...», sussurrai, ma la voce mi si spense prima di poter dire altro.

«Ci sono qua io ora», mormorò contro il mio orecchio, provocandomi caldi e freddi brividi ovunque.

L’istante dopo mi ritrovai sollevata da terra e comodamente avvolta dalle sue braccia.

E, come ogni sogno che si rispetti, quando mi svegliai non aveva lasciato altro che un’odore familiare di menta, tabacco e liquore.

****************************************************************************************

Ciao! :)

Avete visto? Sono riuscita ad essere puntuale! ;)

Dunque, come potete vedere anche questo capitolo è dal punto di vista di Hermione, ma il prossimo ho deciso di metterlo con Draco pov, che ne dite?

Come al solito spero che vi sia piaciuto e ringrazio tutte le persone che hanno commentato il primo capitolo di questa storia, davvero grazie mille ed abbiate fede che prima o poi riuscirò a rispondere alle vostre recensioni! ;)

Spero di riuscire a scrivere presto il prossimo capitolo che comunque dovrei riuscire a postare entro il 6! ;)

Auguro a tutti un felice Anno Nuovo e vi mando un grosso bacio! :-*

LazySoul

p.s. Se avete voglia e tempo di lasciarmi una recensione mi fareste davvero felice ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Pathetic (Draco’s point of view) ***


cap_3 Pathetic (Draco’s point of view)

 


Il familiare solletico provocato da quella massa di capelli ricci contro il mio collo ed il mento mi fece aumentare la stretta intorno a quel corpo conosciuto, eppure tremendamente cambiato.

Sentii dolorose stille di rabbia nel petto nel constatare quanto fosse dimagrita, mentre la stringevo di più a me, godendomi il suo calore.

«No», la sentii mormorare, ma non le permisi di allontanarsi; era troppo debole e sarebbe finita col cadere a terra se non l’avessi sostenuta.

E, anche se il suo rifiuto mi fece male, non potevo affatto darle torto.

Se avessi potuto mi sarei rifiutato da solo.

«Draco»

Il mio nome sulle sue labbra mi fece sentire terribilmente in colpa.

Lei era stata la mia unica luce, l’unica che avrebbe potuto salvarmi e l’unica cosa che potevo fare era ricambiare il favore, anche se tutte le volte che ci provavo finivo col peggiorare le cose.

«Ci sono qua io ora», mormorai, piegandomi appena per passarle un braccio sotto le ginocchia e l’altro dietro la schiena, di poco sopra la vita.

Non meritavo di poterla stringere ancora tra le braccia e di poter vedere il suo viso dolce, ma in quell’istante mi ritrovai a ringraziare Dio, io che non ero mai stato credente.

Notai le sue occhiaie, la pelle pallida e tirata, le labbra screpolate e un livido violaceo sulla sua guancia sinistra e mi sentii distrutto, come se qualcuno mi avesse conficcato con forza la mano nel petto e mi avesse strappato il cuore senza il minimo riguardo.

La strinsi più che potevo al petto, mentre mi avviavo verso le celle.

Svenne dopo pochi passi, abbassando le palpebre su quegli occhi marroni che sembravano giudicarmi, ma allo stesso tempo venerarmi.

Non mi meritavo affatto quell’adorazione, lo sapevo, ma non potevo fare a meno di goderne.

Mi era mancata e, allo stesso modo in cui non avevo potuto fare altro che pensare a lei quando ero stato costretto ad allontanarmi da Hogwarts per ricevere il Marchio, da quando era stata imprigionata la mia mente sembrava si fermasse sempre su un unico pensiero fisso: lei.

Sentivo la sua voce ovunque, il suo odore, la sua risata, i suoi gemiti...

Mi morsi con forza il labbro inferiore, mentre mi imponevo di non pensare quell’unica notte che avevamo passato insieme e a come tutto fosse stato perfetto, come se fosse stato uno dei tanti sogni che mi avevano sempre perseguitato.

Sorrisi lievemente, chiedendomi come avrebbe reagito se le avessi detto che erano anni che la sognavo e che, a mano a mano che crescevo, i miei desideri notturni si erano fatti sempre più intensi e nient’affatto pudici.

Mi era entrata dentro allo stesso modo in cui i raggi del sole penetrano nel terreno dopo un lungo inverno, portando calore, rinascita, vita.

Oh, si, Hermione era il mio sole: bellissimo, splendente ed irresistibile.

Avrei voluto che fosse sveglia, anche se sapevo che quel pensiero era tremendamente masochista.

Se non fosse stata così stanca e provata probabilmente mi avrebbe picchiato ed insultato per minuti interi invece di dire un semplice e debole: erH«No» quando l’avevo stretta tra le braccia.

Sapevo che ci sarebbe voluto del tempo per poter aver di nuovo la sua fiducia, ma ero pronto ad aspettare fino a quando fosse stato necessario.

Avevo sbagliato tante volte con lei, soprattutto quando cercavo di mostrarle solo un lato di me, nascondendogli tutte le mie altre sfaccettature.

Arrivato davanti alla cella riuscii ad aprire la porta senza farle battere la testa contro la parete e mi sentii orgoglioso di me stesso per quel piccolo traguardo, mentre entravo e mi richiudevo col piede la porta alle spalle.

L’adagiai su degli stracci che si trovavano a terra e feci una smorfia, rendendomi conto di quanto la sua situazione fosse precaria.

Ero stato uno stupido la notte della battaglia, ma solo dopo l’avevo capito.

In mezzo a tutti quei maghi che combattevano agli sprazzi di luce che fuoriuscivano dalle bacchette ero andato in panico, ansioso di proteggerla nel modo migliore possibile.

Tornando indietro probabilmente l’avrei chiusa nella mia stanza nei sotterranei, invece di correre il più fretta possibile verso l’Infermeria, convinto che Madama Chips potesse aiutarla, non pensando affatto che era molto più probabile che i Mangiamorte entro la fine della notte avrebbero preso tutto il castello e che in quel luogo avrebbe rischiato la vita.

Ero stato stupido, convinto che i buoni ce l’avrebbero fatta...

Accarezzai i suoi capelli, ignorando il fatto che fossero sporchi e sfibrati, erano comunque stupendi e mi chiesi come facesse a sembrare una leonessa fiera ed orgogliosa con quel terribile livido violaceo sulla guancia sinistra e le occhiaie dello stesso colore.

Forse la vedevo bella per il semplice fatto che l’amavo.

Che strano pensare ai miei sentimenti, non li avevo mai davvero considerati, tendendo a rinchiuderli in qualche angolo del mio cuore, ma lei aveva spezzato ogni catena e li aveva liberti, permettendo loro di tormentarmi.

L’avevo desiderata per anni, convinto che fosse solo una voglia fisica e nient’altro, l’avevo trovata irresistibile dalla prima volta che l’avevo incontrata sul treno di Hogwarts e l’avevo aiutata a trovare quello stupido rospo, dalla prima volta che avevo incontrato quegli occhi marroni e avevo visto i suoi capelli ribelli e selvaggi così diversi dai miei.

«Cosa mi hai fatto, Granger?», sussurrai, affondando le dita tra i suoi capelli e ricordandomi quanto fosse stato bello fare l’amore con lei.

Brividi di desiderio si propagarono in tutto il mio corpo, mentre desideravo come un pazzo che si svegliasse, volevo litigare con lei, vedere nei suoi occhi quella luce selvaggia che li illuminava quando era furiosa con me, baciarla e spogliarla e...

Chiusi gli occhi, inspirando ed espirando lentamente per calmarmi e per evitare alla mia erezione di peggiorare ulteriormente.

Sarei dovuto uscire subito da quella stanza, anzi cella, ma sentivo la necessità di restare ancora.

Afferrai da terra un mantello mal ridotto e la coprii con esso, facendo attenzione a non lasciarle nemmeno un dito scoperto.

Mi sporsi verso di lei, ignorando la voce nella mia mente che mi diceva di non esserne degno, e appoggiai la mia bocca sulla sua guancia, pericolosamente vicino alle sue labbra socchiuse.

Inspirai il suo odore e gemetti nel percepire, oltre all’odore di sporco e di sudore, la fragranza familiare della sua pelle.

Mi scostai troppo bruscamente, allontanandomi come se mi avesse scottato e forse era proprio quello che aveva fatto dalla prima volta che l’avevo vista.

Mi aveva marchiato a fuoco.

«Meriti di meglio, Granger. Ma sono troppo egoista per permetterti di rendertene conto»

Avrei voluto tirare fuori la bacchetta e guarirla, ma era troppo presto, avevo ancor bisogno di dieci ore e poi avrei potuto liberarla.

“Dieci ore, solo dieci ore”, mi dissi, sperando che quel pensiero bastasse a non farmi fare qualcosa di sconsiderato, anche se solitamente ero piuttosto bravo a cacciarmi nei guai nel momento meno opportuno.

Ad esempio quando le avevo proposto quella scommessa anche se sapevo che presto o tardi i miei genitori mi avrebbero chiamato a casa per marchiarmi.

Sì, quella scommessa avrei proprio dovuto risparmiarmela, le avrei evitato di soffrire inutilmente.

Invece che in quell’orribile cella, si sarebbe ritrovata certamente in un qualche altro posto, al sicuro, con i suoi amici...

Feci qualche passo indietro, verso la porta della cella, ma senza distogliere gli occhi dal suo viso dai lineamenti rilassati per il sonno.

Appena avessi incontrato Daphne avrei dovuto come minimo ringraziarla.

Era stata lei quella sera a dirmi dove si trovava Hermione e potevo dire di essere arrivato giusto in tempo per evitare che si beccasse una commozione cerebrale. Allo stesso modo in cui ero debitore a Blaise che, proprio in quel momento, stava facendo il giro di ronda al mio posto e a Pansy, che l’avrebbe fatto il giorno successivo, quando io sarei stato troppo impegnato a liberare la donna che amavo dalla sua cella per poter svolgere il mio compito di Mangiamorte.

Mi avvicinai ancora una volta ad Hermione e questa volta il mio egoismo prevalse, portandomi ad appoggiare le mie labbra sulla bocca della ragazza addormentata che non sembrò accorgersi di nulla, anche se, quando mi allontanai di poco, potei vedere quello che sembrava un dolce sorriso sulle sue labbra.

«Tornerò presto a prenderti, Granger. Mancano dieci ore, solo dieci ore»

Mi costrinsi ad allontanarmi di nuovo e fu doloroso il pensiero di dover aspettare ancora, ma dovevo resistere, dovevo farlo per lei.

Si mosse nel letto, scoprendosi in parte,così tornai a rimboccarle le coperte e notai con una stretta al cuore una profonda cicatrice rossastra sul palmo della sua mano destra.

La rabbia che sentivo era devastante, sembrava che qualcosa dentro di me si fosse spezzato, come se una diga fosse crollata permettendo ai sentimenti negativi di prendere il sopravvento.

Avevano superato il limite, come si erano permessi di torturare in quel modo la mia Mezzosangue?

Poteva avere tutto il sangue sporco del mondo, ma non me ne sarebbe potuto importare di meno perché lei era solo mia e nessun’altro doveva toccarla.

Presto ci sarebbe stata un’altra guerra, sapevo che Potter e il suo smisurato ego sarebbero spuntati dal nulla per provare a sconfiggere l’Oscuro Signore. Era solo questione di tempo e poi avrei potuto schierarmi dalla parte dei buoni per vendicare Hermione.

Un ghigno si dipinse sul mio volto a quel pensiero, mentre il mio respiro si adattava a quello addormentato della Granger.

Mi sentivo terribilmente stupido, continuavo a stare lì a pochi passi da lei allontanandomi di poco un minuto e quello dopo tornando vicino a lei.

Davvero patetico.

Mi ero trasformato in un patetico essere pronto a fare qualsiasi cosa per una donna...

E se lei non mi avesse più voluto? Se fosse stata troppo arrabbiata con il sottoscritto per perdonarlo? Se non si fosse fidata più di me?

E se lei non mi amasse più?

Anzi la vera domanda era: lei mi aveva mai amato?

Le mie supposizioni sui suoi sentimenti si basavano su alcune sue parole pronunciate nel sonno, ma potevo prendere come vero un semplice “Ti amo” sussurrato poco prima che mi addormentassi dopo aver fatto l’amore con lei?

Avrebbe potuto benissimo star pensando a qualcun altro, magari stava sognando Lenticchia...

Strinsi forte le mani a pugno, quasi fossi stato pronto a prendere quel verme a cazzotti.

“Ti piace farti male Draco? Perché continui a pensare a certe cose?”, mi chiesi, avvicinandomi ancora una volta ad Hermione per lasciarle un altro bacio sulla guancia, prima di decidermi finalmente ad uscire da quella cella.

Fece un male cane andarsene, ma non mi voltai indietro, se l’avessi fatto avrei rischiato di portarla via con me ed era meglio non farlo, era troppo presto, dovevo aspettare ancora dieci ore.

Passai attraverso il lungo corridoio e mi fermai davanti ad una delle ultime celle, dove una vocina sottile stava canticchiando.

Fu strano riconoscere la sua voce, anche perché con lei non avevo mai instaurato nessun tipo di rapporto, tranne quello che di solito adattavo per chiunque; insultandola o ignorandola.

Eppure la voce della Lovegood  era difficile da confondere ed ero certo che ci fosse lei dietro a quella porta di legno.

Mi soffermai a pensare solo pochi minuti, prima di continuare a camminare e mi chiesi se avessi potuto aiutare anche lei allo scadere delle dieci ore.

Il piano avrebbe dovuto funzionare lo stesso anche se avessi salvato due persone invece di una soltanto.

Mi affrettai ad indossare la maschera da Mangiamorte, prima che qualcuno mi vedesse senza ed imboccai un altro corridoio, passando per le cucine per ritrovarmi poi vicino ai sotterranei della scuola.

Ci impiegai meno di cinque minuti ad arrivare nella mia camera e sorrisi nel notare al centro della stanza la figura bassa che l’attendeva.

«Padrone», disse l’Elfo Domestico facendo un inchino fin troppo profondo, prima di alzare i suoi grossi e tondi occhi verde acido.

«Parla», dissi semplicemente, certo che non avesse bisogno di ulteriori incitazioni.

«Le ho portato la torta come da lei richiesto e le ho preparato io stesso il tè, avevate ragione a proposito delle bevande avvelenate, i Mangiamorte mettono qualcosa nei pentoloni per i prigionieri, penso che sia qualcosa per indebolirli», l’Elfo annuì, con una smorfia di disgusto in viso, mentre giocava con l’orlo dello straccetto che aveva per vestito.

«Chi l’ha colpita?»

Breedy sussultò a quelle parole, facendosi scuro in viso: «La signorina non ha ascoltato, ha voluto difendere quel ragazzino, io le avevo detto di non farlo, ma lei non mi ha voluto dare retta. La signorina ha tirato una saponetta al Mangiamorte e gli ha sputato in faccia. Il Mangiamorte l’ha colpita e l’ha presa per i capelli e l’ha trascinata in cucina»

Provai un forte impulso omicida nei confronti di chiunque l’avesse trattata in quel modo, ma allo stesso tempo ero orgoglioso e contrariato per come si era comportata la Granger. Avrebbe dovuto starsene zitta in un angolo e non difendere nessuno, ma sapeva che per lei sarebbe stato impossibile.

«Chi era il Mangiamorte?»

«Avery», disse l’Elfo, senza distogliere lo sguardo dal mio.

Annuii lentamente: «Io ed Avery abbiamo fin troppi conti in sospeso, vedrò di trovare un modo per vendicarmi...»

Non aveva soltanto maltrattato la Granger meno di cinque ore prima, ma l’aveva anche Cruciata durante la Guerra di Hogwarts e mi pentivo ogni giorno che passava di non averlo ucciso in quel momento, quando ne avevo l’occasione.

Guardai l’Elfo: «Ora puoi andare. Ma ricordati: a mezzogiorno deve essere nella sua cella»

Breedy annuì: «Certo, signore»

«Ah! Stavo per dimenticarmene... voglio che anche Luna Lovegood sia nella sua cella alla stessa ora»

Forse se avessi aiutato la sua amica la Granger mi avrebbe insultato meno, anche se non avevo nessuna garanzia che questo accadesse.

«Sarà fatto, Padrone»

Dopo un profondo inchino l’Elfo scomparve con un ovattato Pop.

Era stata una fortuna avere Breedy come “infiltrato” tra gli altri Elfi Domestici che si trovavano ad Hogwarts e questo era dovuto principalmente a mio padre che per compiacere il suo Signore Oscuro aveva offerto di far trasferire alcuni Elfi di Malfoy Manor nella scuola per aiutare a gestire i prigionieri.

Breedy era sempre stato una specie di Elfo fidato per me, era lui che quando ero bambino si faceva inseguire con la scopa per farmi esercitare nel volo, lui che mi portava latte e biscotti quando ero in punizione, lui che mi avvisava quando mio padre era di buono o cattivo umore.

Mi portai le mani al viso, stropicciandomi gli occhi per la stanchezza.

Mi riavviai i capelli, prima di avvicinarmi al letto, lanciando solo una veloce occhiata al pentolone che ti trovava a pochi passi dal comodino, assicurandomi che il colore della pozione che ribolliva al suo interno fosse abbastanza chiaro.

Dieci ore, solo dieci ore.

Mi spogliai con calma, ripassando mentalmente il piano e appuntando in una parte della mia mente che avrei avuto bisogno della collaborazione di Blaise per salvare la Lovegood.

Sbuffai al pensiero che così facendo sarei stato doppiamente in debito nei confronti del mio amico, ma poi sorrisi, al ricordo di come fosse stato tutto merito suo se avevo finito per proporre quella stupida scommessa alla Granger.

Era stato Blaise a convincermi che dovevo assolutamente farmi avanti e che se non l’avessi fatto si sarebbe occupato lui stesso di avvicinarci in qualche modo.

Mi coricai sotto le coperte ghiacciate, tremando appena, mentre pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto avere il corpo caldo di una certa Mezzosangue tra le braccia e non solo per dormire, ma per...

Scacciai quei pensieri rigirandomi in modo da tenere sotto d’occhio il calderone.

Inspirai a fondo l’odore che impregnava le coperte e, oltre al mio, mi sembrò per pochi istanti di sentire anche quello più dolce e femminile della Granger.

Sì, stavo diventando davvero patetico.

****************************************************************************************

Buonasera a tutti! :)

Visto? Sono addirittura in anticipo! Contente? ;D

Allora, che ve ne pare di questo capitolo? A me è piaciuto scriverlo, infatti pensavo di fare anche il quinto o il sesto con un pov Draco... ma devo ancora organizzarmi, quindi non prometto niente... xD

Il prossimo capitolo non so quando arriva, ma entro sabato prossimo dovrei farcela ;)

Colgo l’occasione per ringraziarvi tutti di cuore, mi avete riempita di recensioni stupende e di complimenti che non credo di meritarmi, mi avete fatta sorridere come un’ebete per minuti interi e mi avete colmata di orgoglio. Potessi vi abbraccerei una ad una *-*

Felice Epifania :-*

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Transparent potion ***


cap_4

Transparent potion
 

 

Breedy quella mattina sembrava particolarmente allarmato, come se si aspettasse di vedere spuntare la Morte dal nulla da un momento all’altro.

Mi stupii di vedere che mi porgeva una fetta di torta di zucca e dei biscotti.

Avevo pensato che la sua gentilezza del giorno precedente non si sarebbe ripetuta così presto, ma mi dovetti ricredere mentre affondavo i denti in quei dolci e ne assaporavo a fondo il sapore.

Lo ringraziai, ma lui fece un veloce gesto della mano, come se fosse imbarazzato e volesse chiudere lì la faccenda.

Gli sorrisi e potei vedere chiaramente le sue guance, come anche le punte delle sue orecchie, arrossire.

Pensavo che dovessimo andare direttamente nella lavanderia come ogni giorno, ma l’Elfo svoltò, invece di continuare dritto lungo il corridoio che portava in cucina e io potei chiaramente sentire un brivido di paura propagarsi dolorosamente nel mio corpo infreddolito.

A quanto pareva il fatto di aver scampato le torture di Bellatrix Lestrange il giorno precedente era qualcosa che dovevo recuperare al più presto possibile.

Meno di due minuti e mi trovai davanti alla porta nei sotterranei, oltre la quale c’era la mia carnefice.

Lanciai un’occhiata veloce a Breedy, nervosa ed impaurita, anche se non l’avrei mai ammesso ad alta voce, prima di fare un profondo respiro e di fare segno all’Elfo di aprire la porta.

Bellatrix Lestrange quel giorno indossava un abito color prugna con corpetto rigido e la gonna che morbida arrivava fino a terra. I capelli ricci, ribelli e neri come il carbone le incorniciavano il viso affilato, sul quale spiccavano i suoi occhi scuri e pieni di follia. La bocca ere atteggiata in un sorriso sadico ed inquietante che mi fece accapponare la pelle su tutto il corpo.

«Sei tornata a farmi visita, Mezzosangue? Che gentile...», la sua voce stridula rimbombò nella stanza, mentre muovevo i primi passi nella stanza, concentrata su ogni singolo muscolo del mio corpo per evitare di fuggire alla prima occasione.

Sapevo per esperienza che non sarebbe servito a nulla e che avrei solo finito col fare aumentare le torture che la strega mi avrebbe imposto.

La Mangiamorte si avvicinò con quel suo passo traballante e fece un veloce gesto a Breedy per indicargli di uscire.

Due secondi dopo eravamo sole nella stanza.

«Dunque, Mezzosangue, ti è venuta voglia di rispondere? O sei ancora cocciutamente convinta di poter resistere alle mie torture?», sorrise, mettendo in mostra i suoi denti bianchi perfettamente dritti.

Non risposi, fissandola con tutto l’odio e l’astio che mi era possibile, mordendomi l’interno guancia per evitare di insultarla o di sputarle in faccia, certa che un comportamento simile avrebbe solo prolungato la mia agonia.

«No? La tua cocciutaggine mi fa ridere, Sangue sporco... in fondo io mi diverto un mondo a torturarti, quindi l’unica a rimetterci in questa situazione sei tu!»

Si avvicinò ancora e, quando mi fu a pochi centimetri di distanza, utilizzò la bacchetta per sollevarmi ulteriormente il mento.

I miei occhi incontrarono nuovamente i suoi, neri e pieni di una luce folle che mi faceva accapponare la pelle.

«Dov’è Potter?», chiese, muovendo appena la testa verso destra.

Non risposi e la luce divertita dei suoi occhi scomparve, sostituita da un sentimento molto simile al fastidio: «Non me lo vuoi dire?»

Rimasi zitta, mentre la guardavo orgogliosamente negli occhi; perché per quanto avessi paura non le avrei mai dato la soddisfazione di sottomettermi.

«Bene, bene... allora non mi resta che scoprire da sola ciò che voglio sapere...»

Ci furono pochi secondi di pausa, durante i quali Bellatrix Lestrange tolse la bacchetta da sotto il mio mento e fece un passo indietro, osservandomi da capo a piedi, come se avesse dovuto prendere le misure per confezionarmi un vestito nuovo.

«Legilimens!», urlò, compiendo un fluido movimento con la bacchetta, mentre io stringevo forte i denti e innalzavo più che potevo le mie barriere mentali.

Ringraziavo sempre le mie numerose letture durante i pomeriggi di studio, senza le quali, non avrei mai potuto apprendere come proteggere i miei pensieri da qualcun altro.

Grazie a tutto lo zucchero che circolava nel mio corpo, grazie alla torta di zucca e i biscotti gentilmente offerti da Breedy, non mi fu troppo difficile oppormi ai suoi continui tentativi di carpirmi qualche informazione.

Alla fine, parecchi minuti dopo, smise di attaccare la mia mente e, dopo avermi colpito al viso con uno schiaffo tirò fuori il suo asso nella manica: la Maledizione Cruciatus.

Soffrii come ogni volta le pene dell’inferno, mentre urlavo e mi contorcevo a terra, sentendomi umiliata e debole.

Riuscii miracolosamente a trattenere le lacrime per i primi dieci minuti, poi mi fu impossibile trattenere il pianto e venni scossa da violenti singhiozzi.

Continuavo a ripetermi che avrebbe smesso e che entro breve mi sarei abituata alla sofferenza, sentendo meno dolore, ma erano tutti pensieri senza fondamento che servivano per confortarmi solo per brevi istanti, prima che il dolore diventasse di nuovo insopportabile.

Bellatrix intanto sembrava non sapere se urlarmi contro perché continuavo a non parlare o se ridere fino alle lacrime per il piacere di vedermi così inerme a terra.

Ad un certo punto, anche se non avrei saputo dire quando, la tortura si concluse e mi ritrovai a terra, quasi priva di coscienza, mentre il mi corpo continuava a tremare per i muscoli indolenziti e i forti conati di vomito che provavo a trattenere nel mio stomaco sottosopra.

«Legilimens!»

Avrei voluto arrendermi, una parte di me stava già per farlo, ma all’ultimo mi riscossi, alzando le mie barriere mentali, anche se tutto sembrava maledettamente più difficile rispetto a prima.

A causa della mia resistenza psichica guadagnai un paio di altri Cruciatus che mi prosciugarono di ogni energia.

Quando il dolore finì ebbi giusto il tempo di sentirle dire che per quel giorno avevamo finito, prima di svenire.

 

***

 

Non sapevo chi mi aveva accompagnato nella mia stanza, probabilmente Breedy mi aveva fatto levitare per tutto il tragitto, ma ero contenta di essere lì.

Di sicuro entro poco qualcuno sarebbe arrivato per scortarmi in lavanderia, ma ero ancora troppo stanca e debole per anche solo pensare di muovere un muscolo, quindi cercavo di non pensare al lavoro che mi attendeva, cercando di riposare il più possibile.

Asciugai il viso rigato di lacrime contro uno degli stracci che componevano il mio letto e sussultai nel percepire il fantasma di un odore che mi era fin troppo familiare.

Emisi un gemito di sofferenza, mentre mi chiedevo per quanto ancora mi sarei torturata in quel modo, per quanto ancora avrei continuato a sperare che un certo “Furetto platinato” mi venisse a salvare...

Sorrisi appena, rendendomi conto che se fosse davvero arrivato a salvarmi probabilmente avrei finito col picchiarlo a sangue per avermi fatto aspettare tanto.

Senza pensarci affondai ulteriormente il viso contro quell’inutile pezzo di stoffa, illudendomi di sentire ancora l’odore della pelle di Malfoy.

Era ovvio che stessi incominciando ad impazzire, i segni erano fin troppo chiari: sentivo odori inesistenti, mi immaginavo Draco che mi impediva di cadere e che addirittura mi riportava in camera in braccio, quando probabilmente era stato sempre Breedy con un incantesimo levitante a trasportarmi la sera precedente.

Sì, stavo impazzendo.

Sospirai, chiudendo gli occhi, nel vano tentativo di tornare a dormire, ma mi ritrovai solo in un momentaneo stato di dormi-veglia.

Quando sentii la porta della mia stanza aprirsi tenni gli occhi ben chiusi, nella speranza che chiunque fosse entrato se ne andasse per non disturbarmi.

Era ridicolo come pensiero dato che qualunque Mangiamorte non ci avrebbe messo molto a capire che stavo fingendo o comunque a buttarmi giù dal letto a calci, ma la mia pazzia sembrava non permettermi di ragionare in modo lucido.

Alcuni passi rimbombarono sul pavimento mentre qualcuno si avvicinava.

Raggelai quando sentii chiaramente quella persona sedersi accanto a me e pensai a cosa avrei dovuto fare per scacciarla senza essere uccisa o torturata, ma non mi veniva in mente nulla di nulla.

Delle dita gentili percorsero una linea immaginaria che partiva dalla tempia fino ad arrivare al mento e non riuscii a trattenere un sussulto mentre le mie narici venivano invase completamente dall’odore della sua pelle.

«Stai dormendo o fai finta, Granger?»

Mi ritrassi di scatto, sollevandomi a sedere ed allontanandomi il più possibile da quella mano e dal proprietario.

Avevo gli occhi sbarrati per la sorpresa e la bocca contratta in una smorfia di costernazione.

Migliaia di emozioni mi si rincorrevano dentro mentre fissavo il viso pallido incorniciato da capelli chiari e sottili di Malfoy.

«A quanto pare facevi finta», disse, continuando a fissarmi.

La mia mente ancora faticava a rendersi conto che il suo precedente delirio era diventato reale, mentre stringevo convulsamente tra le dita quei stracci sotto di me, forse nel tentativo di evitare di avvicinarmi per abbracciarlo.

«Non parli?», mi chiese, con un tono di voce che sembrava ansioso e ricco di frustrazione: «Parlami»

Avrei voluto fare come mi chiedeva, anche perché sembrava ne avesse bisogno, ma una parte di me, quella incavolata nera con lui per avermi abbandonata al mio destino, prese il sopravvento all’ultimo minuto, proprio quando stavo per chiedergli perché fosse venuto a prendermi solo in quel momento.

Mi scagliai contro di lui, facendo finta di non sentire i miei muscoli ancora indolenziti protestare, e gli tirai uno schiaffo dritto sulla guancia destra.

Il suono di quel mio scatto d’ira sembrò rimbombarmi nelle orecchie per minuti interi, anche se probabilmente passarono solo pochi decimi di secondo, prima che lui sorridesse: «Penso di essermelo meritato»

Quel suo ghigno odioso mi fece infuriare ancora di più e non risposi più di me, mentre cominciavo a colpirlo in tutti i modi che mi erano possibili.

Mi aveva ferita, mi ero addormentata ogni sera pensando a lui, avevo pianto come una fontana pensando che gli fosse successo qualcosa, temendo che fosse morto e lui pensava che un semplice schiaffo bastasse?

Non saprei dire precisamente se incominciai a piangere dopo avergli tirato una botta al petto o prima di averlo spinto a terra, facendolo cadere dal mio “letto”, fattostà che mi ritrovai dopo poco a voltarmi per impedirgli di vedere le mie lacrime.

Avrei voluto abbracciarlo, sentire le sue braccia ed illudermi che mi avrebbe protetta, ma ero stanca di essere delusa da lui e dalle sue troppe promesse che poi non avrebbe mai mantenuto.

«Hermione...», sussurrò, ma non gli permisi di continuare.

Mi voltai, tirandogli un altro schiaffo: «Non ci provare neanche!», urlai, fuori di me dal dolore: «Sono stanca dei tuoi subdoli metodi per farmi cadere tra le tua braccia. Cosa vuoi ancora? Non ti è bastato prendermi in giro fino ad ora? Vuoi continuare ad infierire?»

Qualcosa passò attraverso i suoi occhi e capii di avergli fatto perdere la pazienza.

Mi afferrò per le spalle, avvicinandomi a sé: «Ho sbagliato, lo so e sono qui per aiutarti»

«Vuoi uccidermi?», gli chiesi con apatia, mentre mi rendevo conto che morire per mano sua sarebbe stato quasi bello.

«No!», esclamò, sembrando sinceramente sconvolto dalle mie parole.

«Allora non puoi aiutarmi»

Un lampo di profonda tristezza gli deformò i lineamenti del viso, rendendoli ancora più affilati di quanto già non fossero: «Non potrei mai ucciderti», sussurrò.

«E perché no?»

«Perché sono troppo egoista per farlo»

Il suo mormorio si perse tra i ricci dei miei capelli, mentre mi stringeva a sé.

«Cosa vuoi allora?», chiesi, mentre stringevo i denti nel disperato tentativo di non ricambiare l’abbraccio e di fingermi disgustata dal suo tocco, quando in realtà non avrei voluto altro che continuasse a stringermi a sé per sempre.

«Portarti via da qui», smise di abbracciarmi, guardandomi col volto stravolto dal rimorso.

«E come?»

“Non guardarmi così, finirò per cedere se non la smetti...”, continuavo a pensare, ma la sua espressione non cambiava.

«Con questa»

Tirò fuori dalla tasca una piccola boccetta contenente un liquido completamente trasparente.

Afferrò al mia mano, aprendola ed infilandoci dentro quel piccolo contenitore di vetro, prima di piegare le mie dita su di essa.

«Che cos’è?»

«Ti fidi di me?»

Tentennai, ma alla fine riuscii a rispondere con un convincente: «No»

«Un giorno tornerai a farlo», sussurrò, con un sorriso triste che mi provocò uno spasmo allo stomaco per quanto avrei voluto stringerlo tra le braccia in quel momento.

«Che cosa te lo fa pensare?»

«La luce nei tuoi occhi», sussurrò, abbassandosi verso di me ed appoggiando le sue labbra contro le mie, carezzandole fin troppo lentamente, ma abbastanza da farmi desiderare che non smettesse mai.

Mi prudevano le mani dalla voglia che avevo di affondarle nei suoi capelli, ma riuscii a trattenermi.

«Che luce?», chiesi con la voce roca quando smise di baciarmi.

«Quella che mi dice che tu non sei fredda ed indifferente quanto sembri in questo momento».

Sbarrai gli occhi, sentendomi come se mi avesse spogliata con un semplice sguardo ed in effetti era proprio quello che aveva fatto.

E la verità delle sue parole mi fece rendere conto di quanto ero stata stupida a credere di potergli nascondere tutti i miei sentimenti dietro alla freddezza della mia postura.

«Questo non cambia le cose», dissi, allontanandolo, mentre mi rigiravo tra le dita quella boccetta.

«Lo so, ma mi farò perdonare, te lo prometto», sussurrò a pochi centimetri dal mio viso: «Ma ora bevi»

Aggrottai le sopracciglia e gli lanciai uno sguardo diffidente: «Che cos’è?»

«Non c’è tempo per spiegarti il piano, entro poco arriveranno a chiamarti per tornare al lavoro e se non berrai quella pozione non potrò aiutarti»

Pensai alle mie opzioni, e presto mi resi conto che non ne avevo molto a disposizione, ma solo due.

La prima prevedeva che io gettassi a terra la fialetta che avevo in mano e che tirassi un altro schiaffo a Malfoy per poi scacciarlo e dirgli che non volevo più avere a che fare con lui.

Al mio orgoglio piaceva particolarmente quell’opzione, forse perché non comprendeva l’aiuto di nessun Furetto platinato per fuggire dalle grinfie dei Mangiamorte.

La seconda invece consisteva nel bere dalla boccetta e fidarmi ciecamente di Malfoy, cosa che avevo fatto già molte volte e che non sempre aveva portato a ottimi risultati.

Come ad esempio quando gli avevo permesso di convincermi ad accettare quella stupida scommessa (anche se metà di quella colpa era mia), oppure come quando mi ero addormentata accanto a lui una mattina e poi per giorni interi non l’avevo visto, ma soprattutto quando ero svenuta tra le sue braccia con la convinzione che sarebbe andato tutto bene e mi ero poi risvegliata in una cella maleodorante.

Scacciai quei pensieri, rendendomi conto che erano molte di più le volte in cui mi ero fidata di lui e lui non mi aveva delusa: ad esempio tutte le volte in cui ci eravamo ubriacati e lui aveva mantenuto la sua promessa di non toccarmi, quando eravamo andati a letto insieme, quando mi aveva aiutato a far aprire gli occhi ad Harry che alla fine si era messo con Ginny...

Pensare ad Harry mi ricordò il galeone che avevo in tasca ed un pensiero fulmineo attraversò la mia mente: dovevo aiutare Harry e Ron a tutti i costi e Malfoy era l’unico appiglio che mi rimaneva dentro al castello per poterlo fare...

Guardai il ragazzo che avevo davanti dritto negli occhi, rendendomi conto che, anche se avessi voluto gettarmi tra le sua braccia, ancora non mi fidavo del tutto di lui, ma dovevo provare.

Se non riuscivo a farlo per me dovevo almeno provarci per i miei amici.

Strinsi forte le dita intorno alla boccetta e presi due profondi respiri prima di stapparla.

Vidi gli occhi di Malfoy riempirsi di stupore e speranza, mentre un sincero sorriso di sollievo cominciava a comparire sulle sue labbra.

Fu allora che capii quanto ero innamorata di lui, tanto da averne paura, anche se sapevo che ci sarebbe voluto ancora tempo, tanto tempo, prima di potermi davvero fidare di lui senza pensarci due volte.

Anzi, forse quel giorno non sarebbe arrivato mai, ma non era colpa sua, o almeno non del tutto, il problema era la mia continua irrequietezza e voglia di controllo, era quello che mi impediva spesso di lasciarmi davvero andare, ma forse per lui un giorno ce l’avrei fatta...

Portai la boccetta alle labbra, ma poi mi fermai.

La scostai solo per potermi allungare e dare a Malfoy un veloce bacio sulle labbra.

Poi, prima di bere, sussurrai: «Non ti montare la testa, non ti ho ancora perdonato»

«Lo so, Hermione», disse, ma la sua voce mi giunse ovattata mentre il liquido mi scendeva lungo la gola, lasciando dietro di sé una forte sensazione di torpore.

Subito non provai nulla di particolare, poi, dopo un paio di minuti che sembrarono durare all’infinito sentii le gambe cedere e, se non fosse stato per Malfoy, sarei caduta.

«È la seconda volta che ti prendo al volo, dovresti fare più attenzione», sussurrò, stringendomi tra le braccia.

La consapevolezza di non aver sognato la sera prima si fece largo dentro di me, ma prima che potessi dire o anche solo pensare di dire qualcosa, ero svenuta.

 

****************************************************************************************

Buonasera a tutti! :)

Sono miracolosamente riuscita a postare oggi la storia, ammetto di aver temuto fino all’ultimo di non potercela fare, ma come potete notare: sono qua! ^^

Questo capitolo come vi è sembrato? Spero di aver reso abbastanza realistica la confusione di Hermione, che infatti non sa se fidarsi del nostro bellissimo Draco, che è arrivato a salvarla (*-*), anche se alla fine decide di bere la pozione. Il prossimo capitolo sarà pov Draco e spero di riuscire a postarlo entro sabato prossimo ;)

Vi ringrazio di cuore per tutte le stupende recensioni che mi avete lasciato e chiedo perdono per non aver ancora risposto a tutte, ma i professori hanno già cominciato a riempirci di interrogazioni e verifiche, quindi perdonatemi se ci metto sempre tanto :(

Bene, direi di avervi rotto abbastanza le scatole! xD

Un bacio a tutti! ;-*

LazySoul

p.s. Se avete voglia di lasciarmi una recensione e dirmi che ne pensate di questo capitolo ne sarei veramente felice! ;3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Temporary safeness ***


cap_5

Temporary safeness 

 

La strinsi a me per qualche secondo prima di adagiarla lentamente su quegli stracci.

Avevo il cuore che batteva all’impazzata, e non solo per la paura di sbagliare qualcosa, ma soprattutto per il modo in cui si era fidata di me, quasi senza pensarci...

Mi accarezzai la guancia offesa e sorrisi.

La mia tigrotta era più in forma che mai, ma era meglio che la portassi via da quella cella.

Le rubai un capello e uscii, lanciando uno sguardo a sinistra e poi a destra, vedendo con soddisfazione Blaise che usciva dalla cella della Lovegood.

Sentii dei rumori di passi e feci segno al mio amico di procedere.

L’istante dopo avevamo entrambi ingerito la Pozione Polisucco.

Mi fecero male le ossa, ma resistetti alla sgradevole sensazione e, quando il dolore finì, mi ritrovai davanti il Mangiamorte a cui avevo rubato l’aspetto.

Tutto stava procedendo come previsto e sorrisi al sussulto dell’uomo che avevo di fronte, mentre allungavo la bacchetta e lo pietrificavo.

Non controllai Blaise, certo che anche lui stesse facendo lo stesso e tirai fuori dalla tasca altra Pozione Polisucco mettendoci il capello della Granger e, strappando la maschera al Mangiamorte, gli feci ingoiare l’intruglio maleodorante.

Ritrovarmi davanti la Mezzosangue pietrificata pochi secondi dopo mi fece uno strano effetto, non del tutto piacevole, ma scacciai ogni pensiero, spostando il Mangiamorte all’interno della cella, facendolo cadere a terra.

Gli feci ingurgitare un po’ di Distillato della Morte Vivente e aspettai qualche secondo che la pozione facesse effetto.

Ritrovarsi nella stessa stanza con due Granger svenute e impossibilitate dallo schiaffeggiarmi mi fece sorridere, ma presto tornai serio, mentre mi occupavo di spogliare entrambe, scambiando i vestiti.

Sì, quella era davvero una situazione strana, che peggiorò ulteriormente quando il mio amico dei piani bassi sembrò svegliarsi di colpo, facendomi sembrare i pantaloni neri ancora più stretti di quanto già non fossero.

Mentre scambiavo i pantaloni mi resi conto che nella tasca di quelli della Granger c’era un galeone, pensai di lasciarli lì, ma poi mi resi conto che se Hermione aveva conservato quell’oggetto era perché doveva avere qualche valore. Così lo nascosi nella tasca dei miei pantaloni, pronto a restituirglielo quando si sarebbe poi svegliata.

Cercai di concentrarmi e di non pensare al corpo seminudo non di una, ma ben due Granger e alla fine riuscii a sollevare tra le braccia la vera Hermione vestita come un Mangiamorte.

Con la mia nuova costituzione robusta il corpo della Mezzosangue mi sembrava ancora più leggero, ma non mi persi in pensieri inutili ed uscii dalla cella, dove Blaise, o almeno intuii fosse lui, teneva in braccio la Lovegood.

«Dov’è?», chiese lui, sembrando parecchio spazientito, ma io gli feci gesto di tacere, mentre pronunciavo una semplice parola: «Breedy»

L’Elfo Domestico comparve all’istante e fece un profondo inchino.

«Tu sai cosa devi fare», appoggiai a terra la Granger e vidi Blaise, anche se avrei dovuto dire Mulciber, fare lo stesso con la ragazza bionda tra le sue braccia.

L’istante dopo la Lovegood e la Mezzosangue erano scomparse con Breedy.

Senza esitazioni infilai la maschera da Mangiamorte e, con Blaise alle calcagna, mi diressi con passo sostenuto verso lo “studio” della mia “cara zietta”.

Davanti alla porta cercai di trattenere i tremori alle mani, anche se era più forte di me, continuavo ad essere terrorizzato da quello che stavo facendo, ma dovevo farcela a tutti i costi.

Non per me, ma per Hermione.

Bussai alla porta e la voce squillante e scocciata di Bellatrix Lestrange m’invitò ad entrare.

«Rowle, Mulciber, cosa ci fate qui?», chiese stupita e contrariata.

Ingoiai, sentendo il groppo in gola aumentare, come anche il sudore.

«Le prigioniere sono morte», dissi, cercando di mostrarmi abbastanza sconvolto, timoroso e sottomesso.

Tutti sapevano che mia zia aveva la fama di Cruciare per qualsiasi cosa e speravo che non decidesse di prendersela anche con noi.

«Quali prigioniere?», chiese, affilando lo sguardo.

«La Lovegood e la Granger», rispose Blaise, dandomi man forte.

«Che cosa?!», esclamò mia zia, avvicinandosi a noi, prima di scansarci e di uscire in corridoio come una furia.

Il Distillato della Morte Vivente avrebbe dovuto impedirle di capire che i due Mangiamorte fossero ancora vivi, ma sentii comunque un brivido ghiacciato corrermi lungo la schiena, mentre le andavo dietro, sostenendo senza difficoltà il suo passo, anche se Rowle aveva qualche centimetro in meno di me in altezza e quindi le gambe più corte.

Mi tenni ad una certa distanza con Blaise, mentre Bellatrix entrava nelle celle delle due ragazze ed esaminava i corpi.

Quando uscì era livida da quanto era furiosa: «Non ero ancora riuscita a scoprire niente da loro, com’è potuto accadere?!»

«Forse il veleno nel cibo le ha indebolite troppo», azzardò Blaise, recitando perfettamente la sua parte.

Vidi l’espressione di mia zia diventare meditabonda, prima che un sorrisetto sadico comparisse sulle sue labbra: «Va beh, non importa, erano solo feccia e poi erano troppo testarde, sarebbero comunque morte presto...»

Rise, mettendo in mostra la perfetta dentatura bianca, mentre gli occhi sembravano luccicare: «Quelle stupide ragazzine, mi dispiace solo di non averle uccise io!»

Quando ritrovò il controllo fece un veloce gesto con le mani: «Liberatevi di loro»

Annuimmo e prendemmo ognuno un corpo, allontanandoci il più velocemente possibile: non volevamo rischiare che cambiasse nuovamente umore.

Uscimmo da un’uscita secondaria del castello, non incontrando nessun’altro sul cammino e ci spingemmo fino alla Foresta Proibita.

Con le bacchette legammo entrambi i Mangiamorte ad un albero in una piccola radura.

Non ci eravamo inoltrati troppo tra gli alberi, anche perché se l’avessimo fatto avremmo rischiato di perderci, ma eravamo abbastanza lontani dai sentieri battuti, in modo che nessuno avrebbe potuto trovarli.

«Li uccidiamo?»

Fu la voce di Blaise a spezzare il silenzio, ma se non l’avesse fatto io probabilmente mi sarei trovato io stesso a porgli quella domanda.

«Non voglio ucciderli, non ci riuscirei. Lasciamo che se ne occupino le creature della foresta»

Il mio amico annuì e, dopo aver controllato che le corde li tenessero ben ancorati all’albero uscimmo dalla Foresta Proibita.

 

***

 

Il mio sogno proibito si trovava sul mio letto, sdraiata a pancia in su, con le labbra socchiuse e i capelli sparsi intorno al volto.

Sfilai la maschera da Mangiamorte e mi avvicinai a lei.

Ormai gli effetti della Polisucco erano scomparsi ed ero riuscito ad entrare in camera mia senza problemi.

Non ero riuscito a portarla via da Hogwarts, ma almeno non era più in quella cella maleodorante e quello era già un passo avanti.

Pansy avrebbe tenuto nella sua stanza la Lovegood, anche perché ero certo che a Blaise non sarebbe piaciuta l’idea di avere la bionda in camera, anche se avrebbe dovuto occuparsene lui per un paio di giorni, dato che Pansy era partita senza preavviso per una missione fuori dalle mura di Hogwarts.

Quella mattina infatti ero stato costretto a chiedere a Goyle di sostituirmi, non potendo contare sulla mia ex fidanzata.

Mi sedetti sul letto accanto alla Granger e mi si strinse il cuore nel vederla così indifesa.

Le accarezzai il viso e sorrisi.

Mi sentivo un’imbecille mentre continuavo a guardarla dormire nel mio letto, così decisi di fare qualcosa di utile e mi diressi in bagno.

Presi alcuni flaconcini con all’interno shampoo e bagno doccia, allineandoli sul bordo della vasca da bagno, mentre aprivo l’acqua e controllavo che fosse abbastanza calda, ma non troppo.

Meno di dieci minuti dopo ero tornata in camera e mi aspettava la parte più difficile.

Spogliare una persona quando è addormentata non è affatto facile, soprattutto se tale persona è maledettamente attraente e ci si ritrova ad accarezzarle la pelle come un maniaco pervertito ogni due secondi.

Sospirai, mentre le sfilavo i pantaloni maschili e mi perdevo nella morbidezza delle sue cosce.

Avrei voluto fosse sveglia, per poter sentire i suoi gemiti ad ogni mio sfioramento.

Notando la sua  pelle d’oca, decisi di non perdermi troppo a fantasticare, anche perché non volevo che l’acqua nella vasca si raffreddasse.

Ma mi dovetti nuovamente fermare, quando vidi scritto sul suo braccio sinistro: “Mezzosangue”.

Rimasi a lungo a fissare quella cicatrice, che ormai tendeva ad un rosso sbiadito, ma ero certo fosse stato color vinaccia all’inizio.

Sfiorai la pelle sfregiata, sentendola ruvida sotto i polpastrelli e non più morbida come un tempo.

Una rabbia lacerante mi fece stringere forte le mani a pugno, certo che l’artefice ti quella scritta fosse mia zia.

Baciai la cicatrice, sfiorandone i contorni per qualche secondo ancora, prima di concentrarmi nuovamente sul mio lavoro e di tornare a spogliarla.

Fu emozionante ed eccitante toglierle il reggiseno e il resto della biancheria intima, anche se mi vergognavo di pensare a quanto fosse bella e desiderabile in un momento del genere.

Sapevo che mi avrebbe impedito di vedere il suo corpo per molto tempo, almeno fino a quando non mi avrebbe perdonato e fosse tornata a fidarsi completamente di me, quindi magari era per questo che mi godevo il più possibile la sensazione della sua pelle a contatto con mia.

La sollevai tra le braccia, e la lasciai andare solo quando la depositai con delicatezza all’interno della vasca da bagno.

Presi in considerazione l’idea di spogliarmi e di entrare nella vasca con lei, ma la scacciai subito.

Volevo prendermi cura di lei e possibilmente sembrare meno maniaco sessuale possibile, quindi rimasi vestito.

La insaponai e sciacquai facendo attenzione a non farla annegare.

Fu stupendo massaggiarle la testa, sentendo i suoi capelli sporchi e crespi diventare molto più morbidi e lucenti.

Farle quel bagno non fu certo una passeggiata, se fosse stata sveglia sarebbe stato molto più semplice lavarla, eppure, non riuscivo a togliermi dalla faccia il mio solito sorrisino beato che solo lei riusciva a farmi avere.

Stavo diventando sempre più patetico, non solo non riuscivo a pensare ad altro che a lei, a desiderare altre che lei, ma addirittura ero follemente innamorato.

Ero diventato quello che non avrei mai voluto essere: romantico e devoto.

Mi facevo paura da solo...

Quando finii di lavarla decisi di usufruire dei poteri magici perché da solo non ce l’avrei mai fatta senza combinare qualche disastro, quindi usai l’incantesimo Wingardium Leviosa per sollevarla, mentre l’avvolgevo in un enorme asciugamano verde.

Passai quasi tutto il pomeriggio ad asciugare i suoi capelli ed a pettinarli, ma non mi scoraggiai mai.

Era rilassante prendersi cura di lei, tenerla stretta tra le braccia mentre le spazzolavo i capelli, cercando di districare tutti i nodi, che erano fin troppi.

Secondo la descrizione della pozione sarebbe stata addormentata all’incirca diciotto ore, prima che l’effetto del Distillato della Morte Vivente fosse svanito, ma dato che vi avevo mischiato insieme una pozione che serviva per rigenerare tessuti e qualsiasi proteina utile al corpo non ero sicuro di quanto avrebbe dormito.

Mi faceva impressione non sentire quasi il suo battito ed il suo respiro, che erano talmente sottili, da sembrare inesistenti. Per non parlare del suo inusuale pallore...

Non avevo vestiti femminili nella mia camera e presi in considerazione l’idea di lasciarla sola qualche minuto per rubare qualcosa all’armadio di Daphne, ma scacciai quel pensiero e decisi di imprestarle qualcosa di mio.

Trasfigurai un paio dei miei boxer in semplici mutande femminili, molto simili a quelle che aveva indossato la prima ed unica volta che avevamo fatto l’amore.

Il ricordo di quella notte mi fece gemere piano, mentre le facevo indossare una mia maglia e la stringevo a me.

Avevo commesso una marea di errori, ma avrei fatto ammenda di tutto e non l’avrei più lasciata andare.

Controllai l’orologio e strinsi forte le mani intorno a lei, mentre l’adagiavo sotto le coperte del mio letto.

Anche se mi sarebbe piaciuto molto restare tutto il pomeriggio accanto a lei, stringendola a me, avevo dei compiti da svolgere che Goyle non sarebbe stato in grado nemmeno di capire.

Gli ero grato per avermi sostituito nella ronda dalle undici alle tredici, ma non avrebbe potuto andare al mio posto a parlare Piton.

Mi cambiai di vestiti, dato che quelli che avevo in precedenza erano fradici e lanciai un’ultima occhiata alla Granger, addormentata nel mio letto, prima di chiudere a chiave la porta.

Per i sotterranei non c’era molto gente, ma incontrai Goyle che, con un piatto colmo di pasticcini si stava abbuffando con Tiger. Lo ringraziai per avermi sostituito, dicendogli che ero stato male e lui annuì, come un bravo soldatino.

Ero piuttosto orgoglioso di avere un tale potere su quei due, soprattutto quando la loro fedeltà, che non si poteva certo definire amicizia, mi era utile.

Passai oltre e raggiunsi l’aula di Pozioni, dove Piton stava aspettando, dietro alla cattedra.

«Draco, la puntualità non è mai stata il tuo forte», mi riprese bonariamente, mentre apriva davanti a sé un libro, senza alzare lo sguardo.

«Ho avuto un contrattempo», dissi, e in effetti era quasi del tutto vero: «Di cosa mi volevate parlare?»

Piton sospirò, alzando finalmente lo sguardo su di me: «Sei sicuro che è ciò che vuoi?»

Aggrottai le sopracciglia, avvicinandomi di ancora qualche passo: «Non so di cosa stia parlando», ammisi, cercando di nascondere le mani che mi tremavano appena.

«Sei un ottimo pozionista e so che vuoi intraprendere la carriera di medico, ma sei sicuro di volerlo fare per aiutare il Signore Oscuro?»

«O forse qualche altra opzione?»

«Ci sono sempre più opzioni, Draco»

Abbassai lo sguardo, sapendo perfettamente che aveva ragione.

«Allora mi aiuti a trovarle», anche se il mio tono era freddo, ero certo che avesse notato la nota di supplica che c’era sotto.

Annuì, congiungendo le mani sulla cattedra: «Questo non è un luogo sicuro per parlarne, ma sono certo che, mentre io cercherò un luogo dove nessuno possa sentire la nostra conversazione, tu rifletterai su quel poco che ti ho detto. Ora va»

Annuii, felice che quell’incontro fosse stato breve: «Certo, professore»

«Ah, Draco», mi richiamò, facendomi fermare quando ormai ero alla porta: «Hai visto per caso Mulciber? Tuo padre lo stava cercando»

Un brivido freddo mi attraversò la schiena, ma riuscii a fingermi indifferente quando dissi che non l’avevo visto quel giorno.

Una volta uscito dall’aula di Pozioni tirai un silenzioso sospiro di sollievo e camminai a passo spedito verso la Biblioteca.

Avevo bisogno di un volume della Sezione Proibita per fare in modo che tutti pensassero che Mulciber e Rowle fossero morti durante una missione o qualcosa del genere.

Annuii tra me e me, mentre mi chiedevo come avevo fatto a non pensarci prima.

Salutai con un cenno il Mangiamorte che aveva preso il posto di Madama Pince e mi dispiacque non vedere la solito bibliotecaria zitella e puntigliosa che ti riprendeva ad ogni respiro troppo rumoroso.

La mia ricerca non diede molti risultati, ma trovai comunque due volumi vecchi ed ammuffiti che avrebbero potuto aiutarmi a trovare una soluzione al problema.

Nel tragitto verso la mia camera incontrai Daphne e la salutai con un cenno.

La ragazza mi affiancò all’istante, anche se stava andando dalla parte opposta del castello rispetto a me.

«Missione compiuta?», mi chiese.

Sentii chiaramente una nota di disgusto nella sua voce, ma finsi di non accorgermene.

«Certo. È filato tutto liscio»

«Un giorno mi dirai cosa ci trovi in quella Mezzosangue, Draco»

Io sorrisi: «Forse»

La sentii ridere, mentre se ne andava per la sua strada, lasciandomi solo.

Daphne era l’unica ragazza di cui mi fidavo senza esserci mai stato a letto insieme.

Avevo sempre pensato che l’amicizia tra uomo e donna non potesse davvero esistere, ma lei ed io eravamo la prova del contrario.

Lei e Blaise erano stati gli unici a conoscere in anticipo la sua stupida ossessione per la Granger e, se Blaise l’aveva presa sul ridere, Daphne invece era quella che mi aveva guardato con lo sguardo pieno di stupore misto ribrezzo mentre mi chiedeva se fossi impazzito.

Ma in fondo entrambi mi aveva appoggiato nella sua pazzia ed ero loro grato per questo.

Tornato in camera dalla Granger, la trovai ancora addormentata ed al sicuro.

Mi resi conto di aver avuto un peso al cuore fino a quel momento, ma ora che potevo constatare che stesse bene ero più tranquillo.

Passai il resto del pomeriggio e parte della sera a studiare i due volumi di pozioni ed incantesimi.

Mi resi conto di aver saltato la cena quando sentii chiaramente il mio stomaco brontolare, così, dopo aver chiamato Breedy gli chiesi di portarmi qualcosa da mangiare.

Oltre al cibo l’Elfo mi porto un’unguento che aveva “accidentalmente” preso in Infermeria e che aiutava a cicatrizzare le ferite.

Lo ringraziai e, dopo aver messo qualcosa sotto i denti mi occupai delle ferite della Granger, facendo attenzione a non dimenticarne nemmeno una.

Verso le undici di sera era stanco morto, tanto che faticavo a tenere gli occhi aperti così indossai il pigiama e mi misi sotto le coperte.

Approfittai della situazione per stringere tra le braccia Hermione, che cominciava a poco a poco ad avere la pelle un po’ più rosea, anche se ci sarebbero volute ancora delle ore prima che si svegliasse.

«Buona notte», dissi, anche se sapevo che non mi avrebbe potuto né sentire, né rispondere.

Affondai il viso tra i suoi capelli e mi sentii subito in paradiso.

****************************************************************************************

Buon pomeriggio :)

Sono in ritardo di un giorno, ma vi è andata bene, perché temevo di non farcela... come vi è sembrato questo capitolo? Il piano di Draco sembra aver funzionato... So che vi aspettavate lui ed Hermione per i boschi, lontani da Hogwarts, ma sarebbe stato troppo complicato, quindi sono ancora al castello xD

Ho creato una storia a parte ("Pieces of Life") dove sono inseriti capitoli inerenti a "Mai fidarsi del nemico", ma dal punto di vista di Luna e Pansy. Potete leggerli o meno, ma vi suggerisco di dare loro un'occhiata perché sono utili per comprendere la storia.

Adesso poi risponderò anche alle vostre stupende recensioni, abbiate fede! ;)

Grazie per il vostro continuo sostegno! :D

Un bacione,

LazySoul

p.s. Se avete voglia e tempo di lasciarmi una recensione per dirmi che ne pensate del capitolo ve ne sarei grata! ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Nightmare ***


cap_6

Prima di leggere, vi consiglio di leggere questo capitolo dal punto di vista di Luna Primo capitolo

 

Nightmare

 

Mossi alcuni passi.

Eppure dopo poco mi ritrovai esattamente al punto di partenza.

Aggrottai le sopracciglia e provai ad avanzare nuovamente, ignorando il pavimento scivoloso.

Guardai a terra e notai una strada lastricata in pietra bagnata dalla pioggia.

Solo in quell’istante mi resi conto di essere nel bel mezzo di un temporale.

Mi strinsi le braccia al petto, tremando per la sensazione di bagnato e freddo che mi penetrava nelle ossa.

Provai nuovamente a muovermi e questa volta riuscii ad avanzare di qualche passo, fino a quando mi trovai nei pressi di una casupola in legno.

Bussai a lungo alla porta, prima di notare che era aperta.

All’interno vi erano varie porte, tutte ugualmente ricoperte di ragnatele e rovinate dal tempo e dai tarli.

L’unica che riuscii ad aprire mi portò in una stanza mal illuminata con al centro Draco svenuto con delle catene pesanti intorno a polsi e caviglie.

Inorridii, correndo verso di lui ma, appena lo raggiunsi venni scaraventata all’indietro da una forza invisibile.

Gridai il suo nome, vedendo come il suo corpo a poco a poco impallidisse e diventasse più scarno, ma lui continuava a dormire.

Tentai a lungo ed inutilmente a raggiungerlo, provando a combattere contro quel campo di forza che me lo impediva, piangendo ed urlando fino a perdere la voce, mentre davanti ai miei occhi vedevo Malfoy aprire gli occhi un solo istante.

Nel suo sguardo lessi solo odio e disprezzo, poi il suo petto smise di alzarsi ed abbassarsi e il suo cuore cessò di battere.

Mi svegliai tra le lacrime, affondando le dita nel cuscino del letto e nascondendoci il viso, mentre cercavo di cancellare quell’immagine dalla mia mente, anche se sapevo che ormai era come una scritta indelebile che non mi avrebbe mai abbandonato.

«Hermione?», sussurrò la voce di Draco, preoccupata, mentre sentivo le sue braccia circondarmi e stringermi a sé.

Mi ci vollero alcuni secondi prima di rendermi conto di essere davvero con lui e a quel punto mi voltai, ricambiando l’abbraccio.

Fu fin troppo semplice mettere da parte la rabbia che avevo provato per lui e affondare il volto contro il suo petto.

«Sshh, va tutto bene», sussurrò contro i miei capelli, accarezzandomi la schiena e, anche se le coperte rendevano ogni nostro gesto impacciato e rallentato, mi sentivo come in un film, dove ogni istante era calibrato e perfezionato scena dopo scena.

Peccato non sapere quali sarebbero state le mie battute successive.

«Vuoi parlarne?», chiese in un mormorio, solleticandomi la pelle della fronte col suo caldo respiro.

«L’ho già dimenticato», mentii, imbarazzata in parte di essermi sentita tanto male per un semplice incubo senza senso, anche se vedere la figura di Draco morto davanti a me non era affatto stata una bella esperienza, non era da me essere così emotiva, tranne...

La consapevolezza che entro qualche giorno mi sarebbe arrivato il ciclo mestruale produsse sul mio viso una smorfia di fastidio mista a rassegnazione.

Era certamente quella la causa di tutte quelle lacrime che mi rigavano il viso.

Lo sentii ridacchiare piano e stringermi maggiormente a sé: «Fingerò di crederci solo perché non ho voglia di litigare»

«Non era una bugia», dissi, con il mio tipico tono testardo e petulante.

«Certo, e io sono Potter»

Le sue parole mi fecero sussultare.

Era da così tanto tempo che non vedevo il mio migliore amico che sentirlo nominare, anche se per scherzo, mi aveva provocato una fitta dolorosa.

«Non ti preoccupare, sono sicuro che stia bene»

Non sapevo se mi sarei dovuta stupire più per il fatto che non avesse detto qualcosa di malvagio e crudele sul mio amico o per il fatto che nella sua voce lessi una punta di speranza.

«Non mi hai ancora detto che pozione fosse quella che mi hai dato, anche se penso di averlo capito ormai», dissi, cambiando discorso, dato che non sapevo ancora se potevo fidarmi o meno di parlare con Malfoy dei miei amici fuggiaschi.

«Tu cosa pensi che fosse?»

«Distillato della Morte Vivente»

«E la signorina Granger riceve un altro Eccezionale in Pozioni!», sussurrò, imitando fin troppo bene la voce del professor Piton, anche se lui probabilmente mi avrebbe rifilato un: “Oltre ogni previsione” senza tanti complimenti.

«E tu per diciotto ore sei stato qui a fissarmi come un maniaco?»

«Certo che no, ho anche dormito»

Quell’ “anche” mi fece sorridere e malgrado tutto ero felice che avesse sprecato del tempo per vegliare su di me.

«Grazie», sussurrai piano, incerta se volessi davvero farmi sentire da lui o meno.

«Cosa hai detto?», chiese con un tono sorpreso e divertito che provocò di conseguenza anche la mia ilarità.

«Non lo ripeterò»

«Ah no? Ne sei sicura?»

«Sicurissima»

«Sai penso che tu abbia sottovalutato il potere della seduzione»

«Il potere della seduzione?», chiesi con un tono strozzato che mi fece vergognare, mentre sentivo chiaramente le sue mani percorrere la mia schiena fino ad arrivare ai fianchi, dove cominciò a massaggiarmi la pelle attraverso la stoffa.

«Dimmelo di nuovo», mormorò contro il mio orecchio, mordendo piano il lobo.

«No», dissi, fiera che la mia voce non avesse lasciato trapelare nessuna delle emozioni contrastanti che mi travolgevano in quel momento.

Fu sconvolgente come, in un unico veloce gesto riuscì a sovrastarmi col suo peso ed ad insinuare una mano sotto la maglietta che indossavo, stringendomi un seno.

Arrossii di colpo, sentendo ovunque una sensazione di caldo torpore, misto ad impazienza e aspettativa.

«Cos’hai intenzione di fare?», sussurrai, stringendo istintivamente le mani sulle sue spalle, conficcando le unghie nella sua pelle esposta.

Sfuggì ad entrambi un gemito roco quando ci baciammo e, anche se sapevo che subito dopo mi sarei pentita, non potei trattenermi dal muovere il mio corpo incontro al suo.

Avevamo fatto l’amore una sola volta eppure il mio corpo era già irrimediabilmente dipendente dal suo. Avrei voluto allontanarlo, dirgli di tenere la mani a posto, ma continuavo a pensare alle parole di Zabini: “Vi rincorrete come degli stupidi non capendo di aver già trovato ciò che stavate cercando, mentendo a voi stessi e agli altri”.

Ero stanca di nascondermi dietro gli alti valori dei Grifondoro, volevo fare di nuovo l’amore con lui. Avrei avuto tempo di pentirmi quando poi lui mi avrebbe di nuovo spezzato il cuore.

Quando il bacio finì ci guardammo negli occhi e ci sorridemmo.

Aprii la bocca per dirgli che lo amavo, ma dalle mia labbra non uscii alcun suono e l’istante perfetto svanì, lasciandomi un’amaro in bocca che solo le labbra di Malfoy, di nuovo contro le mie, riuscirono a mitigare.

Possibile che non riuscissi a dirgli quanto tenevo a lui?

Scacciai quel pensiero, concentrandomi sulle mani di Malfoy che, fin troppo intraprendenti, percorrevano il mio corpo con sicurezza mista a possessione e con un pizzico di dolcezza.

Chiusi di scatto le gambe quando sentii una sua mano scendere troppo in basso e sorrisi internamente quando mi guardò come se gli avessi impedito di aprire il regalo ricevuto per il suo compleanno.

Alzò un unico sopracciglio, sembrandomi incredibilmente provocante, ma resistessi all’impulso di cedere alle sue carezze e scossi fermamente la testa.

«Stai scherzando?», chiese, fissandomi con un misto di sconcerto e sofferenza.

«Nient’affatto», dissi con voce ferma, riuscendo senza troppi sforzi a liberarmi del suo peso e a mettermi seduta, allontanandomi di qualche prezioso centimetro da lui.

Era forte la tentazione di tornare tra le sue braccia, ma continuavo a pensare al sogno e allo sguardo di odio che Malfoy-incubo mi aveva lanciato prima di morire. E se fosse stata una premonizione?

Non avevo mai dato credito a certi fatti, ma sicuramente la Cooman e tutti gli appassionati di Divinazione avrebbero dato un’interpretazione nient’affatto positiva all’accaduto, quindi dovevo essere cauta.

Inoltre non ero disposta a fidarmi così tanto di lui.

Certo mi aveva salvata e gliene ero grata, ma avrebbe dovuto fare molto di più se voleva che tornassi a fidarmi più che ciecamente di lui.

In fondo era stato un bene non avergli detto che lo amavo.

Lo sentii fin troppo chiaramente sospirare e portarsi una mano tra i capelli, riavviandoseli in un gesto pieno di sensualità che scosse qualcosa dentro di me.

«Per quanto ancora mi punirai per non averti salvata subito?», chiese con un tono impassibile, ma nei suoi occhi e lineamenti tesi capii che quella situazione non gli piaceva affatto.

«Non lo so», ammisi, allontanandomi ancora di qualche centimetro, ma stando ben attenta a non scoprirmi, intenzionata a rimanere tra le calde coperte il più a lungo possibile.

«Pensi che non abbia sofferto abbastanza?»

Quando i suoi occhi incontrarono i miei seppi con sicurezza che non stava fingendo, ma sentivo comunque dentro di me qualcosa che mi impediva di tornare vicino a lui.

Non mi ci volle molto per capire che ad allontanarmi da lui era la voce dell’autoconservazione perché, se mi fossi lasciata ingannare ancora una volta, avrei finito col soffrire e ritrovarmi nuovamente con un cuore spezzato.

«Tu pensi invece che basti portarmi qui per aggiustare tutto e farmi dimenticare?», sussurrai, imponendomi autocontrollo, anche se faticai a non scoppiare a piangere.

Ero forte, il mio spirito non si sarebbe spezzato facilmente, ma dovevo ammettere che le torture di Bellatrix Lestrange mi avevano portato ad un passo dalla pazzia.

«Mi dispiace di non aver potuto fare qualcosa prima, ma avevo bisogno di tempo per organizzare un piano abbastanza dettagliato»

Annuii, sapendo perfettamente che aveva ragione, infatti a ferirmi non era stato quello.

«Perché mi hai consegnata a loro?», chiesi, non riuscendo ad impedire alla mia voce di uscire in un sussurro sofferente.

«Cosa?! No!», esclamò, cancellando la poca distanza tra i nostri corpi ed afferrando il mio viso tra le mani, accarezzandone i lineamenti: «Non ti ho consegnata, non potrei mai e poi mai farlo! È stato un mio errore certo, ma pensavo che fossi al sicuro, che non avessi rischiato nulla. Ero convinto che il bene avrebbe trionfato alla fine, invece hanno vinto i Mangiamorte e... è stato stupido portarti in Infermeria, ora me ne rendo conto, ma in quel momento, nel bel mezzo di una battaglia è stata la prima soluzione che mi è passata per la mente. Pensavo che Madama Chips ti avrebbe rimesso in forze mentre io cercavo di aiutare i tuoi amici e...»

Appoggiai un dito contro le sue labbra, sentendo calde lacrime rotolarmi lungo le guance e la consapevolezza che non mi aveva consegnato volontariamente al nemico farsi largo dentro di me.

«Quindi, tu...», accarezzai la sua guancia, a corto di parole.

Rimasi per qualche istante a riordinare le idee prima di sussurrare: «Grazie»

Lui sorrise, ma il suo era un sorriso triste: «La prossima volta ti chiudo in camera mia e ti affido a Breedy»

Aggrottai le sopracciglia, scrutandogli il volto con sorpresa e curiosità: «Come fai a...?»

Nella stanza si sentì un sonoro “pop” e l’istante dopo accanto al letto c’era proprio l’Elfo che mi era stato tanto vicino durante quei terribili giorni di prigionia.

«Signor Malfoy», disse, facendo un veloce inchino, prima di appoggiare sul comodino un vassoio argentato colmo di cibo: «Signorina Granger, come sta?» mi chiese, scrutando attentamente il mio volto.

«Meglio, grazie anche a te»

Lo vidi arrossire vistosamente, mentre abbassava lo sguardo con fare pudico e modesto, prima di lanciare un’occhiata furtiva a Malfoy.

«Ora Breedy deve andare, ha ancora molto lavoro da fare»

«Vai, ti chiamerò poi io»

L’Elfo domestico annuì, facendo un altro veloce inchino, prima di scomparire allo stesso modo in cui era comparso.

«Come fai a conoscerlo?», chiesi, finendo la domanda che prima era stata bruscamente interrotta.

«È stato uno dei pochi Elfi con cui sono andato d’accordo durante la mia infanzia, mi raccontava sempre le fiabe per farmi addormentare quando mia madre non poteva o era malata», ammise, asciugandomi il viso dalle calde lacrime che ancora lo rigavano: «Penso che sia l’unico con cui ho un rapporto quasi affettivo»

Rimasi sconvolta da quelle parole.

Malfoy, il grande sostenitore dell’obbligato servilismo degli Elfi Domestico, era “amico” di una di quelle creature?

«Continui a stupirmi», sussurrai con un filo di voce, non staccando lo sguardo dal suo.

«E stai solo cominciando a scoprire chi è il vero Malfoy, pensa cos’altro ti nascondo», disse con un tono scherzoso, ma sapevo che nelle sue parole si nascondeva un fondo di verità.

Lui nascondeva davvero molte cose dietro ad una maschera e in questo ci assomigliavamo.

«Colazione?», propose, allungandosi verso il comodino e scostando alcuni coperchi d’argento da dei piatti colmi di prelibatezze.

Sorrisi, portandomi le mani tra i capelli, scostandoli dal viso e constatando con un misto di sorpresa e incertezza che erano puliti. L’unica soluzione plausibile era che qualcuno mi avesse fatto un bagno e il solo che avrebbe fatto una cosa del genere, lo sapevo, era proprio Malfoy.

Gli lanciai uno sguardo d’accusa, mentre la mia guance si tingevano di un rosso acceso colmo d’imbarazzo: «Tu mi hai... perché?»

Mi vergognavo della mia incapacità di formulare una frase di senso compiuto, ma la situazione mi stava confondendo terribilmente. Possibile che trovassi dolce il fatto che si fosse preso cura di me? Possibile che allo stesso tempo mi facesse sentire profondamente a disagio quella situazione?

«Ti manca il complemento oggetto, temo», disse, ridacchiando sotto i baffi, mentre afferrava un pezzo di toast e lo imburrava con precisione, imbiancando ogni angolo.

«Mi hai lavata», lo accusai, neanche lo avessi beccato a compiere uno dei peccati capitali.

La sua espressione si addolcì ulteriormente, anche se percepivo una certa rigidità sulle sue spalle. Faceva bene a temermi, perché in quel momento faticavo io stessa a prevedere le mie future mosse.

«Preferivi rimanere altre diciotto ore sporca e sudata? Scusa se non ti ho chiesto il permesso, ma pensavo che ti avrebbe fatto piacere»

Il suo tono ironico mi fece stringere con forza le labbra, nel tentativo di non urlargli contro.

«Avrei potuto lavarmi benissimo da sola, una volta sveglia», gli feci notare, afferrando un biscotto ai cereali e mangiandolo con rabbia, sfogando quella sensazione di fastidio su quel povero alimento.

Non volevo fargli notare quanto il pensiero di esser stata coccolata da lui, anche se da svenuta, mi dava un senso di dolce torpore nelle membra.

Preferivo mostrargli l’altra parte di me; quella che avrebbe puzzato per giorni piuttosto che farsi lavare come una bambina da lui.

«Hey Leonessa, ritrai gli artigli, non ti ho mica violentata», sussurrò ad un centimetro delle mie labbra, lasciandovi un tenero bacio che sapeva di pane, burro e marmellata di lamponi.

Come potevo rimanere arrabbiata con lui quando si comportava così? Dove potevo trovare la forza di allontanarlo stizzita, quando ogni cellula del mio corpo mi scongiurava di stringerlo a me di non lasciarlo più andare?

«“Leonessa”?», chiesi allibita, sbarrando ulteriormente gli occhi, mentre lo vedevo prepararsi un altro toast.

«Preferisci “Grifoncina”?»

«Perché ci dovrebbe essere il diminutivo?», chiesi, non riuscendo a trattenere un sorriso, mentre mi portavo alle labbra un altro biscotto.

«Suona meglio col diminutivo, non trovi?», sussurrò contro le mie labbra, facendomi l’occhiolino.

Ero di nuovo di buon umore, possibile che gli bastasse così poco per controllare il mio umore?

«No», sussurrai, spostandomi, in modo da allontanare le mie labbra dalle sue, così da non sentire più il suo odore misto a quello della marmellata di lamponi.

Non ero mai stata un’amante delle confetture, forse perché quelle che provava a fare mia mamma lasciavano sempre in bocca un retrogusto pastoso e amarognolo che non sopportavo, eppure in quel momento, mi sarebbe piaciuto spalmargliene un po’ sulla bocca per...

Per la barba di Merlino! Ma che mi salvata in testa?!

«Forse “Gattina” è meglio ancora», sussurrò piano, accarezzandomi i capelli.

«Dici?», sussurrai, cercando di dare un po’ di contegno al mio tono, anche se uscì dalle mie labbra come un miagolio particolarmente imbarazzante.

«Oh sì, “Gattina” mi piace», mormorò prendendo un po’ di marmellata sul dito, prima di spalmarmela sulle labbra e di leccarla via con la sua lingua.

Possibile che mi avesse letto nel pensiero?

«Cosa stai facendo?»

«Provo a sedurti. Ci sto riuscendo?»

“Sì, e lo stai facendo maledettamente bene”, pensai, perdendomi in quelle iridi chiare.

Ma per quanto mi sarebbe piaciuto stringermi tra le sue braccia e dimenticare tutto il resto non potevo. Qualcosa dentro di me soffriva ancora e aveva bisogno di più tempo per cancellare l’immenso dolore che avevo provato durante quella settimana di prigionia.

Le sue labbra morsero piano le mie, ma io mi imposi di resistere e alla fine mi allontanai, anche se di mala voglia.

«Cosa devo fare perché tu torni a fidarti di me?»

«Ho bisogno di un po’ di tempo, tutto qui», mormorai, cercando di ignorare il suo tono sconsolato, ma alla fine non riuscii ad essere scostante quanto avrei voluto e finii coll’abbracciarlo stretto a me.

«Gattina?», sussurrò contro il mio orecchio.

«Cosa c’è, Furetto?», chiesi, sorridendo sotto i baffi.

«Che cos’è questo?»

Quando misi a fuoco il galeone che aveva in mano, lo riconobbi immediatamente sentendo il mio cuore perdere un battito e, guardando negli occhi guardinghi e incuriositi di Malfoy, capii che non avevo scelta e dovevo raccontargli tutto.

****************************************************************************************

Buongiorno :)

Sono in ritardo, un terribile ed imperdonabile ritardo, ma ormai dovreste essere abituate, no?

Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto e, per farmi perdonare almeno un po’ per la lunga attesa, vi lascio il link per una one-shot su Luna e Zabini il cui titolo è "Libertà momentanea" (cha fa parte di una raccolta di one-shot che spero di dedicare interamente a lei e magari anche a Pansy) se volete andarla a leggere e dirmi che ve ne pare mi farebbe piacere: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2466706

Vi ringrazio per le stupende recensioni e mando un bacio enorme a tutti! ;-*

LazySoul

P.S. Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare intorno alla fine di Febbraio o inizio di Marzo, dato che grazie al Carnevale ho una settimana di vacanza ;3

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Return the favor ***


cap_7
Dedico questo capitolo a tutte voi che continuate ad aggiungere questa storia tre le seguite, preferite e ricordate. Grazie :)

Return the favor

 

 

«Quello è un semplice galeone», disse, la voce traballante sull’ultima parola, gli occhi che non sfiorarono i miei neanche un istante e le mani che torturavano insistentemente il bordo della maglia che le avevo imprestato.

Possibile che non si fosse ancora resa conto che come bugiarda faceva davvero schifo?

Accennai un sorriso e posai nuovamente il galeone in tasca.

I suoi occhi si assottigliarono mentre seguiva il mio movimento.

Le presi il mento tra le dita e avvicinai il viso al suo: «Tua madre non ti ha mai insegnato che non si dicono le bugie?»

Arrossì di colpo, socchiudendo le labbra carnose e specchiando i suoi occhi scuri nei miei.

Avrei potuto (anzi dovuto) imporre a me stesso di resistere e probabilmente, se mi fossi impegnato, ce l’avrei anche fatta a non baciarla.

Solo che la sua bocca era così vicina e la tentazione così forte... per non parlare del mio amichetto dei piani bassi, ancora fin troppo attivo dall’interludio di pochi minuti prima, che ormai aveva preso il controllo del mio corpo.

Era proprio vero che noi ragazzi a volte tendiamo a non usare il cervello per ragionare...

Appoggiai le labbra contro le sue, leccandone i contorni con la lingua e sentendo ancora su di essere il sapore della marmellata di lamponi.

Le morsi piano, beandomi della loro morbidezza, prima di approfondire il bacio, in modo da far scontrare le nostre labbra.

Tempo zero e mi ero già dimenticato che le stavo parlando di una cosa seria e che volevo da lei delle risposte sincere: tutta colpa dell’attrazione fisica che mi spingeva verso di lei, neanche fosse stata una calamita e io un misero pezzetto di ferro.

Ero certo che mi avrebbe fermato, ma volevo approfittare della situazione il più possibile, così allungai la mano verso i suoi seni, stringendone uno attraverso la stoffa della sua maglietta leggera, beandomi della sua pienezza. Sentivo chiaramente la durezza del suo capezzolo tra le dita, mentre piccoli gemiti fuoriuscivano dalle sue labbra rosse e gonfie per i baci che continuavamo a darci.

Era così bella...

«Draco», sussurrò contro le mie labbra, afferrando numerose ciocche dei miei capelli per avvicinare ulteriormente i nostri volti: «Giurami che non mi lascerai più»

Persi un battito, o forse anche più di uno, prima che il mio cuore cominciasse nuovamente a pompare sangue ad una velocità impressionante.

Era ancora più rossa in viso rispetto a prima e potevo capirne il motivo; si era esposta, forse senza nemmeno rendersene conto ed ora aveva paura di essere derisa.

Sorrisi, facendo scontrare i nostri nasi, prima di appoggiare la fronte contro la sua: «Mai. Non ti lascerò mai più»

Ci stringemmo in un abbraccio, entrambi con le lacrime agli occhi, ma nessuno dei due disposto ad ammetterlo.

Ci eravamo fatti del male così spesso, senza nemmeno rendercene pienamente conto.

Entrambi troppo orgogliosi per poter ammettere le nostre colpe...

Nessuno è perfetto eppure avrei voluto esserlo per lei e mi odiavo per averla fatta soffrire.

Ma odiavo soprattutto il fatto che le avessi dato motivo di dubitare della fiducia nata tra di noi con così tanta fatica.

Avevo rovinato tutto, ma non avrei più permesso che accadesse.

No, non avrei mai commesso un errore così madornale.

Sentii le sue lacrime bagnarmi il collo e un singhiozzo scuotere il suo corpo troppo fragile.

«Non piangere», sussurrai, irrigidendomi appena, insicuro su come dovessi comportarmi per consolarla.

Non ero mai stato bravo con le dimostrazioni d’affetto tanto che tendevo ad evitarle il più possibile e, anche se lei era sempre stata l’eccezione alle mie molteplici regole, anche in quel momento non riuscivo a muovermi per darle il sollievo che avrei voluto.

Ero vissuto per anni in una immensa campana di cristallo che mi aveva impedito di essere influenzato dal mondo esterno, l’unico che poteva inculcare pensieri e opinioni nella mia mente era stato mio padre, il mio eroe.

Era stata lei, la Mezzosangue, a rompere quella campana e per farlo era bastato un pugno ben assestato il terzo anno.

Probabilmente l’avevo amata fin dal primo istante; quando l’avevo vista sul treno il primo anno.

Avevamo solo undici anni, eppure quegli occhi scuri e quei capelli indomabili mi avevano fatto un certo effetto che non avrei mai ammesso a me stesso. Era bellissima e così... determinata e libera.

L’avevo invidiata e desiderata fin dalla prima volta che avevamo parlato, odiando quella mia debolezza e nascondendola in un angolo nascosto del mio cuore per più di cinque anni.

E poi quell’anno non ero più riuscito a starle lontano...

Le sue mani, piccole ma forti, affondarono le dita affusolate tre i lembi della maglia del mio pigiama, mentre le lacrime continuavano copiose a bagnarmi il collo e la clavicola.

Era come se qualcuno mi avesse lanciato un “Pietrificus Totalus”, impedendomi di dirle qualcosa per consolarla, per farla stare tranquilla.

Nessuno mi aveva mai consolato in vita mia, forse perché non avevo mai dovuto affrontare dei problemi e di conseguenza non avevo motivo di dispiacermi di qualcosa di frequente...

Ogni volta che volevo qualcosa i miei me la davano, non facendomi mancare nulla e sapevo che questo mi aveva portato ad essere così tanto viziato ed egoista.

Si strinse maggiormente a me, i singhiozzi che la scuotevano ed io, impotente, che mi sentivo morire ad ogni lacrima che fuoriusciva dai suoi occhi.

«Non piangere», ripetei, dandomi mentalmente del coglione, chiedendomi cosa ci fosse che non andava in me.

Pochi minuti prima, quando si era svegliata piangendo, l’avevo consolata, l’avevo stretta a me e le avevo sussurrato all’orecchio parole dolci per calmarla.

Perché non ci riuscivo più?

Cosa cazzo c’era di sbagliato in me?

Gemetti piano quando le sue unghie mi si conficcarono nella pelle attraverso la stoffa leggera del pigiama e cercai automaticamente di allontanarmi, appoggiando una mano all’altezza del suo gomito sinistro.

Toccandola sentii chiaramente la pelle ruvida dove si trovava la cicatrice che le aveva lasciato mia zia e strinsi automaticamente le dita della mano destra a pugno per la rabbia.

Seguii i contorni della cicatrice; ad ogni centimetro di pelle che toccavo mi odiavo un po’ di più, fino a quando non giurai a me stesso che Bellatrix Lestrange avrebbe pagato per quello che le aveva fatto.

«N-non...», sussurrò, cercando di allontanare il braccio dalle mie dita, ma portandomi solo al aumentare ulteriormente la stretta e a chiudere gli occhi per cercare di rimanere calmo.

«Draco?»

Aprii gli occhi, notando come avesse spostato il viso, in modo da averlo ora alla stessa mia altezza. Aveva gli occhi arrossati e gonfi dal pianto e le gote rosate e bagnate da lacrime salate, le labbra atteggiate in una piccola smorfia e i capelli particolarmente indomabili.

Era bellissima anche così scarmigliata e in disordine, con quella semplice maglietta e la scritta “Mezzosangue” che spiccava rossastra rispetto alla sua pelle chiara.

Possibile?

Possibile che riuscisse a farmi innamorare di lei ogni istante di più?

Mi prese il viso tra le mani e mi accarezzo dolcemente le guance: «Promettimi che quello che ti sto per dire rimarrà dentro queste mura. Non dovrai dirlo a nessuno»

Annuii e sentii una sua mano spostarsi per afferrarmi con forza una ciocca di capelli in modo da avvicinare di più il viso al suo: «Promettilo», sussurrò, negli occhi una forza e una sicurezza che avrei voluto avere anche io.

«Lo prometto»

La vidi rilassarsi in parte e sentii la stretta tra i miei capelli diminuire.

«Su quel galeone ho posto un l’Incanto Proteus che mi permette di comunicare con Harry e Ron, entrambi hanno una copia di questo galeone, solo che senza bacchetta mi è impossibile entrare in contatto con loro...»

Rimasi di stucco, letteralmente con la bocca aperta come un pesce lesso.

E io che pensavo avesse solo un qualche significato affettivo o comunque fosse un oggetto privo di troppa importanza.

“Ammettilo, Draco, la tua ragazza è molto più intelligente di te”, mi disse una vocina dentro di me e non potei fare a meno di concordare con lei, anche se a voce alta non avrei mai pronunciato simili parole, nemmeno sotto tortura.

Tirai fuori dalla tasca il galeone e notai effettivamente che come cornice la circonferenza aveva l’intero alfabeto, invece che la scritta originale.

«Voglio aiutarti, ma non me andrò da Hogwarts», ammisi, fissandola dritto negli occhi.

«Cosa significa?», sussurrò con un filo di voce, aggrottando le sopracciglia.

Senza pensarci allungai una mano, passandole l’indice proprio al centro della fronte, in modo da distendere nuovamente la sua fronte.

«Significa che se me ne dovessi andare da qui tutti saprebbero che mi sono schierato con l’esercito avversario e i miei genitori, come anche i miei amici, rischierebbero di finire nei guai per colpa mia. Non voglio che ciò accada».

Vidi una scintilla di qualcosa d’indefinito nei suoi occhi e l’istante dopo le sue labbra erano contro le mie.

Fu il mio turno di aggrottare le sopracciglia: «Cosa ho fatto per meritarmi un bacio?»

«Te lo meriti perché penso che sia la prima volta che ti sento fare un ragionamento non egoistico»

Sbuffai scocciato, regalandole però poi un sorriso: «Ti ci dovrai abituare al mio egoismo»

«Ma io ci sono già abituata»

La sincerità nella sua voce mi provocò una fitta all’altezza del petto.

Come avevo potuto allungare una mano e prenderla per soddisfare un mio semplice capriccio? Ma soprattutto: come mi era potuto venire in mente che standoci insieme mi sarebbe passata l’ossessione che provavo nei suoi confronti?

Ero stato pazzo e cieco fin dal primo momento, non volendo capire e vedere che stavo rischiando di finire incastrato in qualcosa che non avrei saputo controllare e che mi avrebbe fatto male.

Ed ora eccomi lì: innamorato di Hermione Granger.

E il bello era che non mi facevo nemmeno schifo.

Che razza d’incantesimo mi aveva fatto? O aveva usato l’Amortentia?

«Rimango con te allora, li aiuteremo dall’interno», mormorò, facendomi l’occhiolino.

Le sue parole mi resero felice, anche se non avrei saputo dire precisamente il perché.

«C’è solo un problema», sussurrò, prendendo un altro biscotto dal vassoio della colazione e portandoselo in bocca.

Masticò piano, muovendo le labbra carnose in quel suo modo ingenuamente seducente, prima di scoccarmi un’occhiata seria e determinata: «Ho bisogno di una nuova bacchetta»

Aggrottai le sopracciglia a quella parole, sapendo perfettamente che non sarebbe stato affatto facile accontentarla.

Olivander si trovava imprigionato proprio in una delle stanze adibite a cella all’interno della scuola e, anche se l’avessi liberato non avrebbe potuto su due piedi costruirle una nuova bacchetta... avrei potuto commissionarne una però. Mio padre era amico di un giovane artigiano di bacchette bravo quanto Olivander e se gli avessi chiesto un favore forse...

«Potrei intanto provare la tua, magari funziona e a quel punto non avremmo bisogno di una nuova nell’immediato»

Aggrottai ulteriormente la fronte. Non era un mistero che odiassi condividere le mie cose; cosa le faceva pensare che le avrei fatto usare tranquillamente la mia bacchetta? E se me l’avesse rotta? Inorridii a quel pensiero, sbiancando in modo evidente.

«Non dirmi che hai paura che te la rompa!», urlò Hermione, guardandomi come se si fossi stato un bambino di due anni.

«Bisogna sempre considerare tutti i possibili scenari», spiegai, cercando di giustificarmi.

«Inizia allora a considerare lo scenario in cui, a partire da questa notte, dormi sul divano»

Sbarrai gli occhi, fissandola con un misto di sorpresa e incredulità.

Era impazzita? Non le avrei permesso di allontanarmi dal letto dove lei dormiva nemmeno se fossimo stati una coppia sposata che litigava ogni giorno. Cosa che in effetti eravamo... tranne che per il particolare di essere sposati. Ma per quello avevamo tempo...

Mi spaventò quel mio pensiero, che in effetti non avevo mai avuto il coraggio di formulare prima. Perché doveva spuntare proprio in quel momento?

Accantonai il problema, deciso a rielaborarlo in un futuro molto più lontano.

«Pensi che mi faccia spedire a dormire sul divano senza fiatare, Granger?», le chiesi, assottigliando lo sguardo.

Sul suo viso comparve quell’espressione che sembrava volermi sbattere in faccia quanto fosse superiore a me, quando tirava fuori quel suo sguardo altezzoso e saccente avrei voluto prenderla a schiaffi, per poi strapparle le mutande e...

«Non solo lo penso, ne sono certa», disse con tono ovvio, tirando fuori quella sua vocetta piena di sicurezza che odiavo con tutto me stesso.

«Temo che tu ti stia sbagliando di grosso, gattina», mormorai, abbassando apposta la voce sull’ultima parola, in modo da renderla maggiormente seducente, nettamente in contrasto rispetto al tono aspro con cui avevo pronunciato il resto della frase.

La vidi fremere e mi chiesi se per il desiderio o per la rabbia repressi: «Io penso invece che quello che si sta sbagliando di grosso sia tu, furetto»

Il suo tono acido mi fece ghignare: «Mettimi alla prova»

Vidi il suo sguardo assottigliarsi ulteriormente, tanto che mi era quasi del tutto impossibile vedere il colore scuro e tendente al colore del cioccolato amaro dei suoi occhi: «Va bene. Questa notte dormirai sul divano»

Si allontanò subito; sedendosi ad una quarantina di centimetri da me, ostentando uno sguardo freddo e impenetrabile. Ma io sapeva che tutto ciò che voleva era che facessimo la pace.

E io sapevo perfettamente come fare per levarle di dosso lo strato di ghiaccio che le era spuntato addosso nel giro di dieci minuti.

Senza pensare davvero a quello che stavo facendo le afferrai con forza la gamba sinistra, muovendola in modo da allontanarla abbastanza dall’altra così da potermici infilare in mezzo coi fianchi.

Era sconvolta, coi grandi occhi scuri sbarrati, ma nel suo sguardo lessi esattamente quello che speravo di trovarci: voleva essere sedotta.

«Solo se dormi sopra di me», le sussurrai all’orecchio, cominciando a baciarle piano il collo e la clavicola.

«Smettila», la sua protesta suonò debole alle mie orecchie, così continuai, sollevandole la maglietta e ricevendo da parte sua un pugno sul braccio che mi fece solo ridere sommessamente.

Cominciai a leccarle con fin troppo interesse l’ombelico, sentendola tesa sotto di me, come se non volesse dimostrarmi quanto le piacevano le mie attenzioni.

“Fai la dura, Granger?”, pensai, sfoderando il peggiore dei miei ghigni, mentre seguivo con le dita le fossette dei suoi fianchi, trovandole maledettamente sexy.

«Basta, Malfoy»

Possibile che la sua voce mi fosse sembrata un miagolio?

Ripensai a quando avevamo fatto l’amore e poi un pensiero improvviso mi attraversò la mente, facendomi sorridere contro la sua pancia: «Ho ancora un vecchio favore da ricambiare»

L’istante successivo avevo intrufolato una mano dentro le sue mutande, ormai tornate ad essere le mie, dato che l’incanto si era concluso.

Era calda bollente e... bagnata.

Le morsi piano la pancia, muovendo le dita dentro di lei.

Il suo forte gemito mi fece capire che avevo vinto.

«Vuoi ancora che dorma sul divano?», chiesi, raggiungendo con la bocca l’incavo tra i suoi seni, affondandoci il viso ed inspirando a fondo il suo odore.

«Sì», disse, riuscendo a ostentare abbastanza sicurezza da farmi ridere.

«Vuoi che mi ferma?»

«Sì», questa volta la sua sicurezza era letteralmente evaporata.

Ricordai quella volta che, durante la festa di Lumacorno a cui mi aveva invitato, lei aveva barricato entrambi in bagno e aveva deciso di giocare col mio “amico dei piani bassi”.

Dire che avevo fantasticato per anni su un momento simile era un eufemismo e quella volta, se non ci avessero interrotti, ero certo che mi sarei divertito parecchio.

Ero indeciso se continuare o fermarmi proprio sul più bello, sarebbe stato appagante in qualsiasi caso per me, sia che lei fosse stata soddisfatta o meno.

Volevo sottometterla e ce la stavo facendo: cosa volevo di più dalla vita?

Le sue mani si aggrapparono una al mio braccio e l’altra ai miei capelli, spingendomi a baciarla.

Giocai con le sue labbra, continuando però a torturarla con le dita.

«Draco», ansimò, cominciando a muovere i fianchi per venirmi incontro.

Era così cedevole, come cioccolato fuso tra le mie mani: dolce e calda.

«Mi vuoi, Hermione?», sussurrai contro le sue labbra, mordendogliele piano.

Vidi nei suoi occhi un lampo di paura: «No»

Quell’unico monosillabo mi fece più male della maledizione Cruciatus e, ferito dal suo rifiuto, mi allontanai; allo stesso modo in cui un animale sanguinante si ritira in un angolo per leccarsi un taglio mortale.

Rimanemmo a lungo a guardarci, il suo sguardo allucinato, come se non si fosse ancora resa conto di quanto mi aveva fatto male...

Non riuscii a rimanere in quella stanza un minuto di più, le lasciai il galeone sul comodino, insieme anche alla mia bacchetta e corsi fuori dalla mia stanza, mettendo all’ultimo il mantello nero.

Una volta fuori mi resi conto di non sapere bene dove volevo andare, ma una cosa era certa: qualunque posto sarebbe stato meglio della mia camera da letto.

****************************************************************************************

Eccomi qua :)

Coma va? Spero tutto bene e che il capitolo vi sia piaciuto! :)

Lo so cosa state pensando: "Alleluia per una volta è puntuale", ebbene sì, questa volta avendo avuto (grazie al Carnevale) una settimana di vacanza sono riuscita a scrivere il capitolo in tempo! xD

Parlando del capitolo, che ve ne pare? Non è troppo rosso vero? Ditemi di no, perché non ho voglia di cambiare il rating! :-/ E se avete suggerimenti per il prossimo sono pronta ad ascoltarli! ;)

E adesso mi lamento un po' (perché essendo una donna tendo a fare i capricci, quindi vi tocca sopportarmi! xD): perché non mi avete detto che non ve ne poteva fregare di meno della mia proposta di scrivere qualcosa su Luna e Blaise? Non che abbia intenzione di togliere la storia, anzi io e la mia cocciutaggine la continueremo fino alla fine! xD Solo che speravo in un paio di commenti in più, giusto per avere una vaga idea di come mi sia venuto, anche negativi. In fondo sono qui per migliorarmi... Va beh... In fondo vi capisco, avrete tante di quelle cose da fare che starete pensando: "Cosa vuole quest'isterica ancora?" e vi do perfettamente ragione...

(Lo so che sembra che mi stia contraddicendo da sola, ma in realtà è una dimostrazione del bifrontismo tassiano... Sì, la scuola mi fa male xD)

Detto ciò smetto di rompervi le scatole e svanisco per una settimana, promettendo di essere puntuale con l'ottavo capitolo per il prossimo sabato! ;)

Un bacio,

LazySoul

p.s. Se avete voglia di lasciarmi qualche recensione ve ne sarei grata ;-*

p.p.s. Il capitolo di Luna non vi è piaciuto, quindi ne ho scritto uno su Pansy e Nott che se volete trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2483600&i=1

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Guiltness ***


cap_8 Ciao! Vi scrivo solo il link di una piccola one-shot che fa da prequel a "Mai scommettere col nemico" (Se avete voglia di leggerla e dirmi che ve ne pare mi farebbe davvero piacere :3): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2488282&i=1
E qua trovate la storia Luna/Blaise e Pansy/Nott sempre legata a questa storia(vi consiglio di leggerla perché magari alcune cose che dico in quella storia, che sono inerenti alla trama, non li ripeto anche qua!): Pieces of Life



Guiltness

 

 

Le mani mi tremavano.

No, in realtà tutto il corpo sembrava scosso da continui tremori.

Il desiderio che solo lui era in grado di appiccare, come un incendio, dentro di me si era dissolto ormai, lasciando dietro di sé una fastidiosa insoddisfazione in mezzo alle gambe.

Ero orgogliosa di me stesse per esser riuscita a dire di no, inutile mentire a me stessa; se non gliel’avessi detto avrei finito col pentirmi.

Eppure mi sentivo comunque in colpa.

Il suo sguardo stupito e pieno di dolore...

Mi coprii il viso con le mani, come se, premendo le dita contro gli occhi, avrei potuto impedire alle lacrime di sgorgare.

I tremori vennero presto sostituiti dai singhiozzi.

Odiavo piangere, odiavo mostrarmi debole di fronte ad altre persone eppure prima, quando mi ero ritrovata stretta a Malfoy per chiedere un po’ di conforto, non mi ero affatto odiata.

Era tutto così confuso, tutto così difficile, tutto così sbagliato!

Perché non riuscivo più a fidarmi di lui?

Era come un blocco mentale; ogni volta che mi parlava, che mi baciava, non potevo fare a meno di pensare che avesse un doppio fine, che in realtà il suo unico scopo fosse quello di consegnarmi al nemico di nuovo.

In fondo avrebbe avuto senso, no? Rapirmi per portarmi ad avere fiducia in lui e poi, appena avesse scoperto tutto ciò che poteva, mi sarei ritrovata di nuovo in una cella buia ed umida.

Mi distesi su un fianco, raggomitolandomi su me stessa e stringendo con le braccia le gambe al petto.

Cercavo inutilmente di calmare il mio respiro, ma per quanto mi sforzassi continuavo a venir scossa dai singhiozzi, anche se ormai erano diminuiti in modo considerevole.

Fui costretta ad alzarmi quando ormai non riuscivo più a trattenere la mia vescica e il bisogno impellente di fare la pipì, così mi fiondai in bagno con le gambe malferme.

Sciacquandomi le mani, un po’ appiccicose e sporche a causa della colazione, ne approfittai per guardarmi allo specchio grande con cornice dorata che si trovava sopra il lavandino.

Ero davvero pallida, molto più del solito e le occhiaie spiccavano in modo inquietante, mentre gli zigomi non mi erano mai sembrati così spigolosi. E i capelli? I capelli erano la solita massa indistinta di ricci ribelli color castano scuro, mentre le labbra erano gonfie a causa dei baci di Malfoy.

Con che coraggio riusciva a guardarmi in faccia?

Ero bruttissima, non che fossi mai stata una bellezza, ma la prigionia non mi aveva giovato affatto, rendendo il mio viso tirato e troppo spigoloso.

Mi portai una mano sulla guancia, sentendo la pelle morbida, poi continuai la mia esplorazione toccandomi i capelli puliti, la fronte, il naso, le labbra...

Possibile che sentissi ancora la pressione della bocca di Malfoy contro la mia?

Scossi la testa e decisi di tornare in camera, cercando magari tra i cassetti qualcosa per coprirmi perché non avevo intenzione di passare la giornata in boxer e maglietta.

Il suo profumo impregnava ogni singolo granello d’aria della stanza e faceva male, eccome se faceva male.

Ogni volta che respiravo mi sembrava di ricevere uno schiaffo sulla guancia, mentre il ricordo di quel suo sguardo smarrito e pieno di dolore a causa del mio rifiuto, mi faceva sentire una stronza.

Aprii l’armadio e cercai al suo interno fino a quando non trovai un paio di pantaloni che facevano parte di un pigiama a quadri neri e grigi.

Per sbaglio inciampai su una pila di libri, facendo cadere una decina di volumi posti in equilibrio precario.

Mi inginocchiai a terra e li sistemai nuovamente, la mia attenzione venne però catturata da un piccolo libricino con la copertina marrone rovinata e su cui c’era una scritta a caratteri dorati: “Le fiabe di Beda il Bardo”

Lo sfogliai, incuriosita, mentre non riuscivo a trattenere un sorriso.

Sulla prima pagine c’era una dedica tutta svolazzante che non poteva appartenere che ad un pugno femminile: “Per ricordarti quanto era semplice l’infanzia. Con amore, D.”

Strinsi forte le mani intorno a quel libro, mentre una fin troppo familiare fitta di gelosia mi gelava il sangue nelle vene.

Chi diavolo era D.? Era irrazionale ciò che provavo, lo sapevo, eppure non potevo fare a meno di sfogliare ogni singola pagina di quel libro alla ricerca di altri indizi che potessero aiutarmi a capire chi fosse quella ragazza.

E se Draco fosse stato innamorato di lei?

Oh, Merlino! E se fosse stata lei la ragazza che aveva amato e molto sicuramente continuava ad amare in gran segreto?

Molto maturamente decisi di nascondere quel libretto dove lui non l’avrebbe trovato, anche se, insomma, essendo in camera sua non ero molto sicura di dove sarebbe potuto essere un posto simile.

Alla fine lo posai semplicemente sul letto, mentre mi guardavo intorno alla ricerca del nascondiglio perfetto.

Lo sguardo mi cadde però sul comodino dove, abbandonati a se stessi si trovavano il galeone incantato e la bacchetta di Malfoy.

Sbarrai gli occhi dalla sorpresa, dato che non mi ero resa conto che prima avesse lasciato entrambi in camera, prima di andarsene.

Mi avvicinai alla bacchetta e, senza pensarci la presi in mano, sentendo un leggera scarica alla mano.

Non era la mia bacchetta e questo il mio corpo lo sapeva, ma non sembrava nemmeno che questo provocasse qualche reazione negativa.

Con un leggero movimento del polso sussurrai: «Accio galeone»

L’istante dopo mi trovavo tra le mani la moneta.

Sorrisi, felice di poter usare finalmente la magia, dopo tanto tempo che provavo inutilmente a fare incantesimi senza bacchetta.

La mia contentezza era guastata dal litigio appena concluso malamente con Malfoy, ma non mi lasciai sopraffare da quella sensazione di inadeguatezza e trasfigurai i pantaloni del pigiama in un paio di jeans elasticizzati, prima di trasformarli nuovamente in un paio di pantaloni da ginnastica babbani.

Risi, prima di insonorizzare la stanza, pronta a provare a mettermi in contatto con i miei due migliori amici.

Avevo paura che il lieve legame che avevo creato con la bacchetta di Malfoy si concludesse da un momento all’altro, quindi non sprecai tempo e iniziai a pronunciare l’incantesimo, scrivendo sul bordo del galeone una semplice domanda: “State bene?”

Sapevo che il galeone avrebbe cominciato a scottare per avvisarli del mio messaggio, così non feci altro che aspettare una risposta, certa che presto o tardi avrei avuto loro notizie.

Nell’attesa mi sedetti sul letto di Malfoy e, per ingannare il tempo, iniziai a leggere le Fiabe di Beda il Bardo, curiosa di vedere quanto fossero diverse dalle fiabe babbane che io conoscevo bene.

La prima fiaba s’intitolava “Il mago e il pentolone salterino” e iniziai a leggerla con molto interesse, stupendomi che il messaggio principale del racconto fosse quello di aiutare i babbani e di non disprezzarli.

Possibile che a Draco Malfoy da piccolo leggessero quella fiaba? Probabilmente i suoi genitori la saltavano, o la modificavano se no non si sarebbe spiegato il motivo del suo odio verso tutto ciò che aveva qualche collegamento, anche se minimo, col mondo dei Babbani.

Stavo per iniziare la seconda fiaba, quando un forte bruciore alla mano destra mi fece sussultare.

Il libro di fiabe mi cadde ai piedi, mentre osservavo attentamente il galeone e la piccola scritta che era comparsa sul suo bordo: “Hermione, temevamo che fossi morta. Noi stiamo bene, ma tu?”

Sentii calde lacrime di sollievo scivolarmi lungo le guance e non potei trattenermi dal ridere.

Stavano bene! Bene!

Strinsi il galeone al petto e alzai gli occhi verso il soffitto: «Grazie, Merlino. Grazie», sussurrai con un filo di voce, prima di rispondere loro: “Sì, sto bene, non vi preoccupate per me. Dove siete?”

Aspettai in trepidante attesa una risposta, non distogliendo lo sguardo dal galeone neanche un istante.

Stavo per perdere le speranze, quando un forte bruciore mi fece sorridere e piangere insieme nuovamente.

“Per il momento Sirius ci ospita a Grimmauld Place, ma prima abbiamo trascorso un po’ di tempo alla Tana. Tu Hermione? Sei ancora ad Hogwarts”

Utilizzare la bacchetta di Malfoy stava diventando sempre più facile, mentre continuavo a lasciare incantesimi al galeone per ricevere ed inviare risposte.

“Si. Avete fatto qualche passo avanti per quanto riguarda gli Horcrux?”

“Come fai ad essere ancora ad Hogwarts? Sei imprigionata?”

Avevano ignorato la mia domanda e questo mi diede parecchio fastidio, ma ero lusingata e felice del fatto che si stessero preoccupando per me.

“No, non sono imprigionata”, li rassicurai.

“Ma come hai fatto a fuggire? E come fai a restare ad Hogwarts? Sei nascosta?”

Ed ora? Che potevo dire? Malfoy mi ha salvata ed ora sta cercando di sedurmi?

Feci una smorfia, certa che quella risposta non gli sarebbe piaciuta affatto, così decisi di censurarla un po’.

“Malfoy mi ha salvato”

Ero certa che ci avrebbero messo parecchio prima di digerire la situazione, così decisi di leggere anche la seconda fiaba: “La Fonte della Buona Sorte”.

Se la prima mi aveva piacevolmente sconvolto, la seconda mi lasciò direttamente a bocca aperta.

Possibile che Malfoy avesse letto quel libro? Sembrava impossibile da credere, in quanto si parlava di vicende che vedeva maghi e babbani collaborare in armonia e senza inutili pregiudizi...

Forse era un volume che non aveva mai avuto il permesso di leggere, se non da poco tempo, dato che il suo comportamento nei miei confronti stava migliorando di giorno in giorno; tanto che aveva quasi del tutto smesso di chiamarmi Mezzosangue e quando lo faceva usava un tono di voce così gentile che era impossibile non capire che non lo stava utilizzando per insultarmi, ma come se fosse un simpatico soprannome.

Il galeone bruciò di nuovo: “Non penso che fidarsi di Malfoy sia la cosa più saggia da fare”

Aggrottai le sopracciglia.

I miei amici non mi stavano dicendo nulla di nuovo, sapevo perfettamente che dovevo stare attenta ed ero convinta di essere abbastanza grande da poter capire da sola come fare per resistere alla tentazione e attrazione continua che esercitava nei miei confronti Malfoy.

“Non sono una bambina, so badare a me stessa”

Certo, il libro di fiabe che avevo sulle gambe non sembrava proprio essere una lettura adatta ad una persona adulta, ma leggendolo arricchivo la mia cultura generale.

“Certo, Hermione, ma è Malfoy!”

Ero certa che quella frase fosse opera di Ron, solo lui poteva parlare in quel modo nient’affatto maturo.

“Questo è l’ultimo dei nostri pensieri! L’importante è trovare gli Horcrux!”

“Siamo riusciti, grazie all’aiuto di Sirius, a distruggere il medaglione”

Sorrisi a quelle parole, cominciando a saltellare per la stanza come una pazza.

“Come?”

“Sirius ha detto che quel medaglione era quello appartenuto a Salazar Serpeverde e pensiamo che anche gli altri Horcrux si trovino in oggetti appartenenti ai fondatori delle altre case. Comunque con la spada di Godric Grifondoro”

La faccenda si faceva interessante. Da quel che sapevo a proposito dei fondatori delle case avevano in effetti tutti un oggetto che li caratterizzava: Salazar Serpeverde un medaglione, Tosca Tassorosso una coppa, Priscilla Corvonero un diadema e Godric Grifondoro la spada.

Dato che la spada non era un Horcrux e che il medaglione era già stato distrutto, mancavano il diadema e la coppa.

Eppure anche distruggendoli mancavano comunque altri due Horcrux...

Dovevo chiedere aiuto a Malfoy, lui di sicuro avrebbe avuto l’occasione di scoprire qualcosa che sarebbe potuto risultare utile per la ricerca.

Malfoy...

Con che coraggio lo avrei di nuovo guardato in faccia dopo quello che era successo?

“Cercherò più informazioni possibili, ragazzi. Comunque due possibili Horcrux potrebbero essere i diadema di Priscilla Corvonero e la coppa di Tosca Tassorosso. Dovremmo solo scoprire dove si trovano”

Presi di nuovo il libro di fiabe in mano, decisa a continuarlo in un altro momento e lo appoggiai sul comodino.

Sentii un rumore e mi voltai di scatto, vedendo due tende che in precedenza non avevo mai notato, forse perché erano scure come il colore delle pareti.

Mi avvicinai ad esse e le scostai, rivelando il verde fondale del Lago Nero.

Una delle due ante della finestra ospitava parte di quello che sembrava un grosso e terrificante tentacolo.

Chiusi nuovamente le tende, sentendo un sonoro pop dietro di me.

Voltandomi mi ritrovai davanti Breedy e non potei fare a meno di sorridere: «Ciao!»

Mi sembravano passati due minuti da quando era venuto a portare la colazione, mentre a quanto pare dovevano essere passate ore, dato che sosteneva un altro vassoio.

Lanciai un’occhiata ad un orologio a parete e vidi con stupore che era già mezzogiorno e mezzo.

Non potei fare a meno di preoccuparmi, chiedendomi dove fosse finito Malfoy.

Avevo bisogno di parlargli, dirgli quello che avevo scoperto...

«Breedy, sai dov’è Draco?», gli chiesi, avvicinandomi al piccolo Elfo Domestico che, dopo un profondo inchino, rispose: «È a pranzo con la sua famiglia. Devo riferirgli un messaggio?»

Non avrebbe mangiato con me, quindi?

Che ipocrita ed egoista che ero.

Litigavo con lui, lo scacciavo e poi mi aspettavo anche che sarebbe tornato per pranzo e che mi avrebbe chiesto scusa per colpe che lui non aveva?

«Potresti dirgli che vorrei parlargli per ciò che è successo?»

Che brava, stavo migliorando di giorno in giorno. Ora mandavo anche avanti l’elfo domestico per tastare il terreno e rimanere nelle retrovie! Da quando avevo cominciato ad essere così codarda e subdola?

«Anzi, meglio di no. Gliene parlo direttamente io quando tornerà»

Ci fu una breve pausa, interrotta solo dal rumore leggero del vassoio che veniva poggiato sulla scrivania.

«Tornerò, vero?», non riuscii a trattenermi e quelle parole mi uscirono di bocca, facendomi arrossire.

Vidi Breedy sorridere: «Certo che tornerà, signorina Granger. Se no dove dormirebbe? Sul divano?»

Possibile che non avesse detto quelle parole con qualche intenzione nascosta?

Forse sapeva quello che era successo e mi voleva far sentire in colpa...

Impossibile, anche se conoscevo Breedy da poco, ero certa che non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

«Eh già», dissi, ma dentro di me mi sentivo tremendamente in colpa.

Il medaglione, che tenevo ancora nella mano sinistra incominciò a bruciare proprio in quel momento, facendomi sussultare.

“Sirius indagherà. Ti terremo informata se ci saranno sviluppi. Ginny dice di ricordarti le sue lezioni. A cosa si riferisce?”

Sorrisi.

I miei amici riuscivano sempre a mettermi in buon umore, anche se per pochi secondi, anche se si trovavano dall’altra parte dell’Inghilterra.

“Ringrazia Ginny”

Lasciai volontariamente perdere la seconda domanda, certa che a porgerla fosse stato Ron.

Quando alzai lo sguardo Breedy se n’era già andato.

Mi rattristai al pensiero di essere nuovamente sola, ma cercai di scacciare quel vuoto opprimente mangiando.

Come primo avevo zuppa di zucca, poi c’era pesce, patatine, carote al forno e poi come dessert il mio preferito: biscotti al limone.

Mangiai tutto con gusto, soprattutto il dolce, prima di sedermi sul letto di Malfoy e di lasciarmi andare ad un profondo sospiro.

Chissà come stava andando il suo pranzo...

Si stava divertendo? Stava chiacchierando con i suoi genitori?

Non avevo mai conosciuto sua madre. Suo padre invece lo conoscevo fin troppo bene...

Feci una smorfia e mi coricai, cominciando a giocare distrattamente con una ciocca di capelli.

E se la nostra relazione fosse diventata qualcosa di serio? Se anche lui si fosse innamorato di me?

Come avrei fatto ad essere abbastanza per la sua famiglia?

Non avevo mai visto Narcissa Black in Malfoy, ma ero certo che fosse bellissima, bionda e con i lineamenti dolci. Allo stesso modo in cui ero certa del suo portamento regale, del suo sguardo freddo e della sua convinta convinzione che i babbani e i Mezzosangue fossero tutta feccia.

Sì, in fondo madre e figlio in qualcosa dovevano pur assomigliarsi, non era possibile che Malfoy avesse preso tutti i suoi lati peggiori dal padre, no?

Draco, Draco, Draco, Draco, Draco...

Possibile che non riuscissi a pensare ad altro?!

Scossi la testa sconsolata e mi sporsi per recuperare il libro di Fiabe, pronta a leggere ancora un paio di storie, per rilassarmi e cercare di pensare ad altro invece che al mio amante che ero riuscita, con chissà quale forza di volontà, a rifiutare.

La fiaba successiva a quelle che avevo già letto era: “Lo stregone dal cuore peloso” e, anche se il titolo era particolarmente buffo, ero certa che sarebbe stato davvero istruttivo come anche le altre storie.

Riuscii a malapena a leggere le prime due pagine, prima che una forte stanchezza mi colpisse.

A quanto pare il mio corpo aveva ancora bisogno di dormire per riprendersi da tutto lo stress accumulato.

Riuscii a malapena a formulare quel pensiero prima di cadere in un sonno tormentato.

****************************************************************************************

Ri-ciao a tutti :D

Sono riuscita a postare il anticipo! Ancora non ci credo... xD

Bando le ciance, come va? Io sto cominciando a stancarmi della scuola, voi? 

Va beh, ma non penso che vi interessi molto la mia vita da povera studentessa, quindi parliamo del capitolo. So che mi sbranerete viva perché non c'è Draco, ma siate clementi! Il prossimo capitolo lo volete con il pov Hermione o con il pov Draco? La maggioranza vince, quindi se avete tempo di mandarmi una recensione, fatemi sapere cosa preferireste ;)

Mando a tutti un enorme abbraccio e un super gigantesco bacio: le vostre recensioni sono sempre più stupende e, anche se non penso di meritarmi tutti i complimenti che ricevo, vi ringrazio dal profondo del cuore! *.* <3

Quando arriverà il prossimo capitolo? Eh, bella domanda... Spero davvero di riuscire a produrre qualcosa di decente per Sabato prossimo, massimo Domenica, ma se non doveste trovare nulla non disperate, vuol dire che sono più indaffarata del previsto e che ci metterò più tempo...

A presto! ;-*

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Lunch ***


cap_9

Ho aggiornato Pieces of Life  con un nuovo capitolo su Luna e Blaise che vi consiglio di leggere prima di questo, dato che Luna origlia una conversazione tra Draco e Blaise piuttosto importante ;)

 

 Lunch

 

 

Aspettai Blaise fuori dalla sua porta, in attesa che parlasse con la Lovegood a proposito dei nostri programmi per la giornata.

Mi sentivo vuoto senza la bacchetta, era come girare per il castello con addosso solo le mutande.

La sensazione era orribile.

Non riuscivo a capire, neanche analizzando la mia psiche nei minimi dettagli, il motivo per cui avevo ceduto.

Ero sempre stato troppo testardo ed orgoglioso per arrendermi, soprattutto quando sapevo che sarebbe stato davvero facile vincere. Eppure le avevo permesso di comandarmi a bacchetta, senza dire nulla, lasciandole il mio legno come mi aveva chiesto.

Forse lo avevo fatto per evitare di dormire sul divano oppure, molto più semplicemente, perché ero irrimediabilmente innamorato di lei...

Preferivo non pensarci e lasciarmi quella mattinata alle spalle, combattendo il vuoto doloroso che il suo rifiuto mi aveva causato all’altezza del petto in silenzio.

Non riuscivo a stare fermo, continuavo ad andare avanti ed indietro, fissando assente prima una parete del corridoio e poi l’altra.

Avrei voluto tornare indietro, prenderla tra le braccia, stringendola il più possibile, per dirle che mi aveva fatto male, ma che sapevo di essermelo meritato.

L’avevo fatta soffrire anche io in fondo, l’avevo abbandonata nelle mani di mia zia...

Possibile che fossi di nuovo tornare a pensare a lei? Non mi ero appena detto che dovevo lasciarmi la mattinata alle spalle?

«Ok, pronto. Andiamo?»

Mi bloccai con un piede sollevato, nel bel mezzo di un passo, e mi voltai verso Blaise, sorridendo appena.

Annuii non del tutto convinto di come sarebbe potuta essere la mia voce in quel momento e per questo desideroso di tenerla celata ancora un po’.

Non volevo ritrovarmi a frignare come un bambino, quindi tenere la bocca chiusa era il modo migliore per non perdere il controllo, come anche togliermi dalla mente quello che era successo.

Si avviò lungo il corridoio che portava alla sala comune Serpeverde e io lo seguii.

Mi portai una mano al viso, sfregandomi la guancia e il mento, dove cominciava a crescere un accenno di barba. Sbadigliai, coprendomi la bocca con il palmo.

Così facendo però sentii fin troppo chiaramente l’odore che Hermione aveva lasciato sulle mie dita, quel suo odore femminile che mi ricordava chissà perché le pesche in estate: calde e succose.

Contrassi la mascella, digrignando appena i denti, mentre il vuoto dentro di me si trasformava in rabbia e frustrazione.

Ero stato così vicino al riaverla, avrei potuto prenderla, fregandomene di quello stupido “no” e zittirla con un bacio...

E invece mi ero fermato.

Era stato il suo sguardo spaventato ad impedirmi di andare avanti.

Adesso che ero più lucido e ragionavo coi neuroni e non con l’amico dei piani bassi sapevo come doveva essersi sentita disorientata quella mattina.

Ero stato davvero uno stronzo.

L’avevo liberata da una settimana di prigionia e di stenti e la prima cosa che facevo era saltarle addosso e costringerla ad allargare le gambe?

Ero davvero un animale, un maiale dei peggiori.

Strinsi maggiormente i denti, mentre continuavo ad insultarmi.

Avevo sbagliato, ero stato troppo impulsivo, troppo egoista...

«Sai che se continui così rovinerai la tua dentatura perfetta?»

Sospirai, quasi riconoscente a Blaise per aver interrotto la sfilza d’insulti che mi stavo lanciando mentalmente.

«In questo momento non me ne potrebbe fregare di meno dei miei denti», dissi con tono aspro e scontroso.

«Ne riparleremo quando avrai tutta la dentatura rovinata e la Granger non ti vorrà baciare per il disgusto»

«La smetti di parlare della...», iniziai, ma venni interrotto subito da quella sua voce cantilenante da padre premuroso e preoccupato: «Draco, è inutile che cerchi di fare il duro. Ammettilo: hai bisogno di una mano per stabile un piano d’attacco; così da poterla riconquistare»

Sbuffai, mettendomi le mani in tasca, affiancandolo: «Non ho bisogno del tuo aiuto»

«Va bene, lascia almeno che ti dia un consiglio: falla impazzire di desiderio»

Un ghigno malizioso comparve sulle mie labbra a quelle parole. Quell’idea mi piaceva particolarmente.

Non sapevo se avrebbe funzionato, ma immaginarmi Hermione Granger che supplicava che la prendessi, nuda, sotto di me, beh era qualcosa che innalzava la mia eccitazione alle stelle.

Mi raffigurai la scena: io che uscivo dal bagno con solo un asciugamano intorno ai fianchi, lei che tentava di non farci caso per resistere e poi la capitolazione; lei in ginocchio davanti a me a supplicarmi, mentre lanciava l’asciugamano dall’altra parte della stanza...

Risi di me stesso e di quella fantasia che sarebbe rimasta insoddisfatta per sempre.

Lei non sarebbe mai capitolata, era un dato di fatto.

«Altri consigli? Magari qualcuno che facilmente potrei mettere in pratica?», chiesi, facendo un cenno ai pochi Serpeverde che si trovavano nella sala comune.

Uscendo indossai la maschera da Mangiamorte e Blaise fece lo stesso, mentre ci dirigevamo all’ala nord del castello, dove dovevamo fare la ronda.

«Dici che non cederebbe?», chiese con una smorfia di disappunto.

«Dico che per mettere in pratica un piano simile mi ci vorrebbe dell’Amotenthia o tanti mesi e tanta fortuna. Sfortunatamente non dispongo né di pozioni che causano innamoramento né della pazienza necessari per sedurla per così tanto tempo»

«L’hai già fatto una volta, perché non dovresti riuscirci di nuovo?»

«Lei mi odia», dissi, con voce sconsolata.

«Prima ti odiava ancora di più, però»

Sospirai: «La Mezzosangue è troppo imprevedibile. Ed è uno dei motivi per cui non riesco a togliermela dalla testa...»

«Secondo me però con la carta dell’astinenza prima o poi lei impazzirà e ti salterà addosso»

«Sì, ma quello che rischia di impazzire prima sono io»

Non potevo vedere la sua faccia, ma ero certo che stesse sorridendo: «Vero»

Trascorremmo alcuni minuti in silenzio, ascoltando ognuno il respiro dell’altro, senza dire una parola, prima che lui tornasse all’attacco con le sue idee: «Un regalo?»

«Che intendi?»

«Non so, qualcosa che vuole e che tu puoi procurarle... che ne so, dei vestiti? Un mazzo di rose rosse?»

Analizzai le sue parole ed annuii distrattamente: «Mi ha detto che vuole una nuova bacchetta»

«Perché non rivuole la sua?»

«Perché si è rotta durante la guerra», gli confidai, mentre raggiungevamo l’ala nord, che era quasi completamente vuota.

«Ah, non lo sapevo... beh, sarebbe un passo avanti», disse Blaise, annuendo con enfasi.

«Dovrei chiedere a Peter allora»

«Peter? Rischi che ne parli a tuo padre, sai che quell’uomo non è in grado di tenere la bocca chiusa su nulla...»

Blaise aveva ragione.

Peter non era proprio il tipo di persona che definiresti riservato, soprattutto quando andava ad ubriacarsi ai pub e spifferava tutto quello che gli passava per la mente a tutti quelli che gli si avvicinavano.

«Dovrò chiedere a Soledad allora», dissi, voltandomi appena verso di lui, per analizzare il linguaggio del suo corpo.

Appena pronunciai quel nome vidi chiaramente le sue spalle irrigidirsi e le mani chiudersi a pugno.

Avevamo conosciuto il padre di Soledad, Gabriel, due anni prima, durante una nostra vacanza in Spagna. Inutile dire che Blaise e Soledad avessero avuto una focosa relazione estiva terminata nel peggiore dei modi.

«Sei un fottuto bastardo, lo sai?»

«Stai ancora male per lei?», gli chiesi, stupito da quella sua relazione.

Non avevamo mai parlato molto di quella storia, anche perché lui ogni volta si richiudeva a riccio ed impediva a chiunque di capire cosa gli passasse per la testa.

«Fatti i fatti tuoi».

Sospirai, dispiaciuto che ancora una volta mi avesse chiuso la porta in faccia, impedendomi di entrare un po’ nella sua testa per provare ad aiutarlo.

Passammo altri minuti in silenzio, controllando che non ci fossero intrusi nell’ala nord ed ignorando i quadri e le loro imprecazioni ed insulti.

«Non ti meritava, Blaise»

Lo sentii sbuffare, mi sembrava un po’ incavolato: «Taci»

«Fammi capire: io devo sorbirmi i tuoi continui consigli impertinenti su come conquistare la Granger, ma io non posso cercare di consolare il mio migliore amico?»

«Esatto», disse, lanciandomi un veloce sguardo.

Non riuscii a scorgere la sua espressione per colpa della maschera, ma ero certo che non avesse il suo solito sorriso sulle labbra.

«Ci rinuncio», dissi, alzando le mani.

Tornammo nel più completo silenzio e ci rimanemmo per poco più di mezz’ora.

In quei trentasette minuti potei tranquillamente elaborare più di quattro piani per far tornare la Mezzosangue a fidarsi di me. La prima opzione era quella di risolvere tutto con del buon e sano sesso. La seconda quella di riempirla di fiori, cioccolatini e regali per addolcirla. La terza comprendeva entrambi in un’isola sperduta del Pacifico, io in ginocchio che le confessavo eterno amore e lei che ricambiava i miei sentimenti. La quarta invece prevedeva l’uso dell’Amortenthia.

In poche parole il terzo piano era impossibile, il quarto illegale, la prima era la più allettante e la seconda la meno compatibile con il mio carattere.

Immaginai di mettere in pratica tutte e quattro le opzioni, ma finii con l’immaginarmi semplicemente quattro scene diverse di sesso stupendo con la ragazza che amavo.

Diventavo di minuti in minuti più patetico.

«Te ne parlerò un giorno Draco, solo non oggi»

Le parole di Blaise mi fecero riemergere dallo stato di autocommiserazione in cui ero finito ed accennai un sorriso: «Ci conto»

La ronda e qualche veloce compito di controllo lungo il periodo della scuola ci tenne occupati fino all’ora di pranzo, quando, tornando al castello, ci dirigemmo verso le stanze che il signore oscuro aveva designato ai miei genitori.

Ogni aula o camera da letto del castello era stata adibita a cella o stanza per gli ospiti. Molti Mangiamorte risiedevano ad Hogwarts, alcuni permanentemente altri periodicamente.

I miei genitori facevano parte del secondo gruppo.

Erano stati invitati a stare nella nuova dimora del Signore Oscuro per una settimana, per dare una mano nell’organizzazione e gestione dei prigionieri. Ero certo però che non vedessero l’ora di tornare a Malfoy Manor, dove erano i padroni e non i servitori.

Ancora faticavo a credere che mio padre si sottomettesse ad un uomo viscido e senza scrupoli come il Signore Oscuro, ma capivo le sue ragioni.

Anche io in fondo ero stato costretto a diventare un Mangiamorte, a sottomettermi, a rinunciare alla mia libertà... Ripensandoci però, io non ero mai stato veramente libero. Da quel punto di vista ero la marionetta perfetta: abituato fin da giovane ad ubbidire agli ordini, rassegnato a non poter decidere nulla nella vita...

Mi ero stancato di essere un semplice burattino nel momento esatto i cui avevo baciato la Granger la prima volta.

Sorrisi a quel ricordo, pensando a come le sue labbra mi erano sembrate morbide, a come lei mi era sembrava così ingiustamente bella addormentata su quel libro... (1)

Nessuno doveva sapere però che dentro di me mi stavo ribellando, dovevo mantenere il segreto il più a lungo possibile.

Svoltando un angolo mi ritrovai di fronte a quelle che erano state le stanze dei Professori.

I miei genitori erano stati ospitati in quella appartenuta a Lumacorno e in parte in quella della Cooman, ma a loro parere, anche se gli ambienti erano ampi e ben arredati, quel posto era comunque una topaia.

Bussai alla porta, aspettando che qualcuno venisse ad aprire e, nel frattempo, lanciai una veloce occhiata a Blaise alla mia destra.

«Pronto per una riunione familiare?», mi chiese con tono ironico e io sorrisi: «Dipende»

«Da cosa?»

«Dall’umore di mio padre», ammisi, conscio che il mio migliore amico avrebbe capito al volo ciò che intendevo.

Stava ridacchiando quando ci venne ad aprire Breedy.

Sorrisi alla vista dell’elfo, anche se non potevo fare a meno di chiedermi cosa ci facesse lì: «Non lavori più in lavanderia?»

Lui scosse la testa: «I signori Malfoy hanno richiesto che li servissi durante il loro soggiorno ad Hogwarts»

Breedy aprì del tutto la porta, facendo entrare Blaise e me e, prima che raggiungessimo i miei genitori, lo fermai: «Le hai portato da mangiare?»

«Non ancora Signorino», fece un profondo inchino: «Breedy provvede subito»

Annuii, chiedendomi se la Granger si sarebbe offesa ulteriormente per il fatto che non avessi mangiato con lei, ma poi scacciai il pensiero, ancora arrabbiato per il suo rifiuto.

«Verso le tre o quattro del pomeriggio, appena avrai un po’ di tempo, porta la signorina Lovegood nella stanza con Hermione, va bene?»

Breedy fece un altro profondo inchino: «Certo, Padroncino»

Blaise, che nel frattempo si era tolto la maschera sorrise: «Stai diventando troppo malleabile, amico mio»

Lo fulminai con uno sguardo veloce, prima di aumentare il passo, stando dietro all’elfo che ci fece entrare in un altro ambiente.

Quell’improvvisata sala da pranzo sembrava quella che si trovava in casa mia, ma in miniatura.

Il tavolo in legno scuro, come le sedie che si trovavano i suoi lati, argenteria, porcellane e bicchieri di cristallo allineati ordinatamente sopra una tovaglia bianca ed immacolata.

I miei genitori erano già seduti, entrambi a capo tavola, si stavano fissando.

Quando ero piccolo mi bastava guardare nei loro occhi per capire di che umore fossero, ero contento che quella mia capacità non fosse svanita nel nulla.

Fu necessario una veloce occhiata e capii che erano nervosi.

Mio papà non si faceva la barba da giorni, mia mamma invece aveva il suo tipico aspetto impeccabile che la rendeva eterea e bellissima.

Erano due le donne che avevo mai amato nella mia vita e lei era una di esse.

I suoi occhi grigio chiaro, quando si posarono su di me, si addolcirono e la piccola ruga sulla fronte le si distese: «Buongiorno, tesoro. Com’è andata la giornata?»

Mi sedetti al tavolo e Blaise fece lo stesso, eravamo uno di fronte all’altro.

Voltai il viso verso destra e sorrisi appena a mia madre: «Buongiorno, madre. La giornata è stata tranquilla, grazie. La vostra?»

Odiavo darle del lei, era una cosa che mi faceva sempre sentire male.

Era come se volesse mantenere le distanze tra noi e questo mi faceva impazzire.

Voltai il viso verso quello mi mio padre: «Buongiorno anche a voi, padre»

Lui mi fece un ceno col capo, prima di tornare a fissare mia madre.

Non fossero stati i miei genitori non mi sarei sentito in imbarazzo, anzi, avrei trovato la situazione davvero divertente.

Studiando il loro linguaggio del corpo era ovvio che erano in disaccordo su qualcosa d’importante e che mio padre stava perdendo miseramente la sfida.

Sapevo che la tattica preferita di mia madre per ottenere ciò che voleva era l’indifferenze e, a volte, l’astinenza, probabilmente in quel momento le stava usando entrambe.

Ripensandoci, non era affatto divertente quella situazione.

Forse perché mi ricordava fin troppo bene quella che c’era tra me e la Granger.

«Anche io ho trascorso una lieta mattinata, grazie»

Non saprei dire quale fosse stato il segnale, fattostà che cominciarono ad entrare gli elfi domestici, che  all’incirca erano sei, e con cura  posarono le prime pietanze in tavola.

I primi minuti del pranzo li passammo in silenzio, anche se rischiai più volte di scoppiare a ridere per le facce che mio padre, quando pensava di non essere visto, lanciava a mia madre, come se la stesse implorando di fare la pace. Era altrettanto magnifico vedere come mia madre non lo degnava della minima attenzione e continuava a mangiare in modo impeccabile.

«Ho saputo che Pansy è andata in missione con Theodore», disse mia madre, spezzando l’imbarazzante silenzio e rivolgendomi una veloce occhiata.

Sapevo il motivo per cui aveva iniziato quel discorso, ma non ero disposto a lasciarla continuare: «La mia risposta è sempre no, madre»

Erano giorni che continuava a chiedermi il motivo per cui avevo voluto annullare il contratto matrimoniale con Pansy e cercava in tutti i modi di farmi tornare sui miei passi, convinta che prima o poi ce l’avrebbe fatta.

La sentii sospirare e poggiare la forchetta nel piatto: «Perché non mi parli del motivo, tesoro?»

“Perché se vi dicessi che sono innamorato di una Mezzosangue mi ritroverei rinchiuso in una cella a vita”.

«Non mi sento a mio agio con lei. È mia amica, certo, ma non credo che potrei mai amarla»

«Non tutti i matrimoni comprendono l’amore, Draco», disse mio padre, lanciando un’occhiata a mia madre.

Mi sembrò che nell’aria sfrigolasse pura energia elettrica quando i loro sguardi si incrociarono.

Per quanto si odiassero o litigassero in continuazione sapevo che i miei genitori si amavano, la prova ce l’avevo proprio davanti agli occhi.

«Io e tua madre siamo stati fortunati», sussurrò con la voce roca e leggermente tremante.

E poi accadde quello a cui non mi aspettavo avrei mai potuto assistere: una piccola lacrima salata rotolò lungo la guancia leggermente rosata di mia madre.

Non l’avevo mai vista piangere.

I miei genitori erano sempre stati il mio modello da seguire e anche io avevo sempre tentato in tutti i modi di non mostrare le mie debolezze a nessuno. Piangere in pubblico era disdicevole, lo sapevo. Eppure mia mamma lo stava facendo.

«Hai ragione tu, lo so che è così. Ma non possiamo fare nulla», disse mio padre, alzandosi da tavola e raggiungendo mia madre con pochi passi veloci.

In quell’istante, Blaise ed il suo imbarazzo decisero di battere in ritirata e con poche veloci parole disse che doveva proprio andare a svolgere i suoi compiti se no avrebbe rischiato delle punizioni.

I mie genitori non si resero nemmeno conto che se n’era andato, troppo presi a sussurrarsi qualcosa e io non potevo fare a meno di guadarli e di soffrire al pensiero che io non avrei mai potuto sposare la persona che amavo senza perdere il loro affetto.

Si ripresero dopo pochi minuti, per poi puntare i loro occhi chiari nei miei: «Draco, io e tua madre abbiamo preso una decisione che spero approverai»

Sentii una goccia di sudore freddo scivolarmi lungo la schiena, mentre mi imponevo di non distogliere lo sguardo e di rimanere impassibile a qualsiasi cosa avrebbero detto.

«Abbiamo deciso di tradire il Signore Oscuro», disse mia madre, gli occhi seri e decisi.

Per quanto mi sforzassi di non mostrare nessun sentimento non potei fare a meno di sorridere appena:  «Bene, perché io l’ho già fatto».

 

 

 

 

(1) Se volete sapere com’è andato questo fatidico primo bacio ho scritto una one-shot Failed Revenge che ne parla... Spero che vi piaccia ;)

****************************************************************************************

Hola! :)

Contente di questo pov Draco? ;D

Sono riuscita ad aggiornare con un ritardo di un solo giorno, quindi spero di non ricevere troppi pomodori addosso xD

Dunque... In questo capitolo si scoprono parecchie cose interessanti: Blaise è stato innamorato di una certa Soledad, il cui padre potrebbe servire per ottenere una nuova bacchetta per Hermione, Draco vuole trovare un modo per riconquistare la Grifondoro e i signori Malfoy progettano di tradire il Signore Oscuro... Se avete dubbi, domande, consigli o qualsiasi altra cosa, scrivetemi pure ;)

Vi ringrazio di cuore per le stupende recensioni, a cui devo ancora finire di rispondere, ma abbiate fede che prima o poi dovrei rispondere a tutti ;) 

Per il prossimo capitolo non so ancora bene quando potrò postarlo dato che domani mattina (o forse dovrei dire questa notte) alle  2.30 parto per Granada e sto via per una settimana, abbandonando il mio amato computer... diciamo quindi che per il prossimo sabato il capitolo non arriverà di sicuro, ma spero di poterlo postare intorno al 26...

Detto ciò spero che abbiate voglia di lasciarmi tante belle recensioni ;)

Un bacione enorme,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Friend's advice ***


cap_10 Friend's advice

 

 

A svegliarmi dal sonno senza sogni in cui ero finita fu un forte suono, simile ad uno strappo.

Istintivamente mi sollevai di scatto dal letto, ignorando il forte giramento di testa causato dal brusco movimento, afferrai la bacchetta di Malfoy, puntandola di fronte a me.

Ci impiegai all’incirca cinque secondi prima di riuscire a mettere a fuoco la scena che avevo di fronte e la metà per abbassare di nuovo la bacchetta.

«Breedy? Luna?», sussurrai, confusa, mentre mi domandavo se fosse tutto un sogno o la realtà.

Prima che potessi decidere se considerare ciò che vedevo finzione o no, mi ritrovai le braccia della mia amica intorno al collo e i suoi lunghi capelli a solleticarmi il viso.

Ricambiai l’abbraccio, stringendo il suo corpo ancora più magro di quanto ricordassi e sorridendo nel sentire il suo odore di fiori primaverili.

Sentii un altro rumore forte e capii subito che Breedy se n’era andato, senza lasciarmi tempo di parlargli e chiedergli notizie su Draco.

«Hermione, sono così felice di vederti sana e salva», disse Luna, stringendomi maggiormente a sé.

«Anche io Luna»

Rimanemmo per lunghi minuti in piedi abbracciate, dondolando appena prima su un piede e poi sull’altro, cullandoci a vicenda.

Senza che me ne rendessi conto eravamo entrambe in lacrime e ci sfregavamo la mano sulla schiena per darci conforto.

Quando riuscimmo a calmarci entrambe incominciammo a ridere, sedendoci sul bordo del letto di Malfoy, mentre continuavamo ad abbracciarci l’una all’altra.

«Sono riuscita a contattare Ron ed Harry questa mattina», le dissi, appena riuscii a ritrovare l’uso della voce.

«Come stanno?»

«Bene, stanno cercando un modo per sconfiggere l’Oscuro Signore e io vedrò di dare una mano per quanto mi sarà possibile...», risposi, annuendo tra me e me, mentre ripensavo alla conversazione avuta coi miei amici.

«Malfoy anche?»

«Cosa?», non riuscii a non sussultare nel sentire nominare il biondo Serpeverde, sentendomi ancora in colpa al ricordo di come lo avevo rifiutato e di quanto mi era sembrato triste in quel momento.

Tornando indietro probabilmente non avrei avuto tutta quella forza di volontà.

«Darà una mano?»

«Ancora non lo so... sinceramente non so nemmeno se posso fidarmi così tanto di lui...», ammisi, abbassando lo sguardo sulle coperte verdi del letto.

«Secondo me dovresti, in fondo ci ha tirati fuori da quella cella, no?»

Alzai il volto, incontrando gli occhi chiari di Luna, chiedendomi se avrei dovuto darle retta.

In fondo ogni volta che avevo seguito i suoi consigli ero sempre riuscita ad ottenere ciò che volevo, no?

«Ma se fosse tutto un piano architettato per trovare il nascondiglio di Harry e consegnarlo all’Oscuro Signore?»

«Allora non dirgli niente del Galeone, vedi prima se puoi fidarti di lui...»

«Gliene ho già parlato», ammisi, abbassando nuovamente lo sguardo e dandomi della stupida.

Perché non ci avevo pensato prima? Perché mi ero fidata di lui tanto da concedergli di sapere una cosa tanto importante, ma non abbastanza da fare l’amore con lui?

«Secondo me il tuo blocco nei suoi confronti è solo mentale, il tuo corpo in realtà si fida di lui...»

«Dici?»

«Io dico che hai solo paura di essere nuovamente ferita, ma che in realtà, nel profondo, sai di amarlo ancora»

Annuii distrattamente, torturando con le dita un lembo della coperta, prima di sollevare di colpo il viso, la mia attenzione concentrata sul verbo che aveva usato.

«Amare? Chi ha parlato di amore?», chiesi, con una smorfia in viso.

Sapevo di essere una pessima bugiarda, Malfoy me lo aveva ripetuto all’infinito, ma in quell’istante sperai che Luna ci cascasse e lasciasse cadere l’argomento.

«Hermione, è inutile che menti a te stessa. Secondo me ti farebbe bene ammetterlo ad alta voce, sai?»

Sospirai, sentendo chiaramente un peso all’altezza del petto abbandonarmi quando dissi: «Hai ragione, lo amo, ma non mi faccio troppe illusioni, so che lui...»

«Hermione?», m’interruppe Luna, prendendomi il viso tra le mani, in modo da impedirmi di abbassare nuovamente il volto: «Secondo me siete entrambi follemente innamorati, sai? Solo che avete paura che l’altro vi rifiuti»

«Non ho intenzione di servirgli il mio cuore su un piatto d’argento», ammisi, riuscendo comunque ad abbassare lo sguardo.

Luna sospirò, lasciando il mio volto: «Non so se sei più orgogliosa o testarda»

Mi morsi il labbro a quelle parole, sapendo perfettamente di starmi comportando come una bambina piccola, ma non potendo fare altrimenti.

Avevo bisogno di controllare tutto quello che mi circondava, era una cosa più forte di me e, guarda caso, Malfoy era l’unico che non riuscivo a tenere sotto controllo e che riusciva sempre a sorprendermi in qualche modo.

Era una cosa che mi mandava letteralmente fuori di testa, anche se spesso la sensazione di perdere la ragione era piacevole e liberatorio, spesso mi portava a prendere decisioni troppo in fretta ed a sbagliare.

Come ad esempio quando avevamo fatto l’amore, anche se avrei dovuto sesso.

Incredibile, proprio come avevo previsto, mi stavo pentendo di aver perso la verginità con lui e non sapevo se un giorno avrei potuto tornare a pensare l’opposto.

Mi strinsi le braccia intorno al corpo, all’improvviso colpita da brividi di freddo.

Non riuscivo più a capire ciò che provavo, sospinta verso due parti completamente opposte di me stessa da un vento che non riuscivo a controllare.

«Perdonare è difficile, lo so», sussurrò Luna, avvicinandosi e circondandomi tra le sue braccia.

Lasciai che poche lacrime mi bagnassero le guance, mentre fissavo intensamente la bacchetta che Malfoy mi aveva lasciato, chiedendomi se l’avesse fatto apposta oppure no.

«E fidarsi lo è ancora di più...», sussurrò contro i miei capelli: «Ma sai una cosa? Sono convinta che tu e Malfoy alla fine riuscirete a superare anche questo...»

«Come fai a dirlo?», singhiozzai, sentendo nettamente il mio cuore battere come un pazzo nel mio petto, mentre la mia razionalità provava in tutti i modi di imporsi sui miei sentimenti.

«Vi ho vista, sai? Quando vi guardate siete così carini... ti ricordi la festa di Lumacorno? Quando vi ho interrotto? Sembravate sul punto di mangiarvi a vicenda...»

Arrossii al ricordo, pensando a ciò che era poi successo in bagno rischiai di iperventilizzare.

Rimanemmo in silenzio a lungo, strette l’una all’altra, prima che riuscissi a riprendermi abbastanza da essere decentemente furba da spostare i riflettori verso la mia amica.

«E tu? Come stai? Draco mi ha detto che stai nella stanza di Pansy, giusto?»

«No, Pansy è in missione con Nott, quindi starò da Zabini per un po’...»

Non mi sfuggì il rossore che comparve sulle sue guance e ne approfittai per farmi un po’ gli affari suoi: «Come ti trovi con lui? È gentile spero...»

«Oh, certo che lo è!», esclamò, annuendo di continuo, quasi non riuscisse a smettere.

«Perché sei così agitata?»

Sussultò alle mie parole, prima di ridere, ma in modo troppo forzato per poter pensare che fosse a suo agio: «Agitata? No, è solo che...»

«Ti mette in imbarazzo stare in stanza da lui?»

Non riuscivo a capire se la sua agitazione fosse dovuta alla schiettezza di Zabini o al fatto di stare nella stessa camera con un ragazzo...

Luna abbassò lo sguardo e, quando tornò a guardarmi, vidi che sembrava più padrona di se stessa: «Semplicemente non sono abituata... poi con tutto questo verde mi chiedo come riuscirò a prendere sonno», indicò con la mano destra le coperte del letto di Malfoy e non potei fare a meno di sorridere.

«Capisco perfettamente!», esclamai, fingendomi triste all’idea di dormire nella tana delle serpi.

Osservai il suo aspetto, contenta che sembrasse più solare rispetto al giorno prima: «Hai mangiato colazione, vero?»

Lei annuì, sorridendomi appena, mostrando il suo lato svampito e dolce insieme: «Non ho mai mangiato così tanto in vita mia. Non riuscivo più a smettere di ingozzarmi di cibo... chissà cos’avrà pensato Blaise...»

«Blaise?», chiesi con tono malizioso, sorridendole: «Da quando Zabini è diventato Blaise?»

Non mi aspettavo una vera e propria risposta, pensavo che avrebbe eluso la domanda spostando i riflettori nuovamente verso di me, invece le comparve una semplice smorfia sul viso, prima che mi rispondesse: «Più o meno da quando mi ha vista in mutande e reggiseno»

Dire che rimasi a bocca aperta è un eufemismo.

Quasi mi slogai la mascella per lo stupore.

«Com’è potuto accadere?»,  domandai, forse con una voce leggermente più stridula del solito a causa della sorpresa.

« Diciamo che non aspetta di ricevere risposta prima di entrare in bagno», disse con tono divertito ed

imbarazzato, mentre giocava con una ciocca dei suoi biondi capelli.

«Oh, Merlino! Davvero?»

Non riuscivo a credere a ciò che stava succedendo, soprattutto al modo in cui Luna stava arrossendo.

«Sì, beh è stato parecchio strano...»

Fu un attimo, ma vidi comparire sul suo viso quel tipo di sorriso che ultimamente a me spuntava di continuo. Quel sorriso che mi ritrovavo in faccia ogni volta che pensavo a Malfoy, anche se avevo appena litigato con lui...

Non era difficile da capire ciò che stava succedendo e che presto anche la piccola e dolce Luna sarebbe stata colpita dalla freccia di Cupido.

Speravo solo di poterle essere vicina allo stesso modo in cui lei lo era sempre con me.

Senza pensarci le gettai le braccia intorno al corpo, stringendola in un forte abbraccio.

«Sai che per qualsiasi cosa io sono qua, vero?»

La sentii ridacchiare in modo sforzato: «Lo terrò a mente»

Quando ci separammo cominciammo a parlare di quanto fosse strano condividere la stanza con due Serpi, sottolineando i lati positivi e negativi.

Inutile dire che erano molti di più i lati negativi rispetto a quelli positivi.

«Vuoi qualcosa da mangiare?», le chiesi, indicando col capo il vassoio del pranzo su cui alcuni piatti di biscotti e dolci erano ancora intatti.

«No, grazie»

Mi alzai comunque, prendendomi un bicchiere d’acqua fresca.

Quando mi voltai verso il letto lo sguardo mi cadde sul comodino, dove facevano bela mostra di sé la bacchetta di Malfoy e il galeone.

Osservando attentamente la moneta notai come lungo la circonferenza ci fosse una scritta.

“Non dare retta a quello stupido di mio fratello, Malfoy ormai è cotto a puntino, stendilo!”

Sorrisi, convinta che non potesse essere altri se non Ginny, felice che fosse riuscita chissà come a rubare il galeone o ad Harry o a Ron per di scrivermi.

“Qualche consiglio?”, chiesi per scherzo, prima di voltarmi verso Luna, che mi osservava con gli occhi colpi di curiosità.

«Quello è il famoso galeone?», domandò allungando appena il collo.

Le mostrai la moneta, annuendo.

«Che c’è scritto?»

«Ginny dice che devo darmi da fare per conquistare Malfoy», ammisi, leggermente imbarazzata.

Luna cominciò a ridere: «È tipico di Ginny, direi»

Risi con lei, prima di sentire la moneta bruciare nel palmo della mia mano.

“Stuzzicalo!”

“Come?”

“Prova a sfruttare la terza abbondante di reggiseno che ti ritrovi, secondo me funzionerà”

“Non se fidarmi ancora di lui, Ginny”

“Hermione, ti ha salvato la vita, rischiando la propria. Cos’è che non ti convince della sua sincerità?”

“È se fosse tutto un piano architettato per farmi fidare di lui per poi tradirmi?”

“Pensi che Malfoy ne sia in grado? Ma hai visto come ti guarda?”

“In che senso?”

“Hermione, ma non lo capisci? È innamorato di te!”

Avrei voluto risponderle qualcosa di brillante, ma non ci riuscii.

Di nuovo dentro di me si svolse una battaglia all’ultimo sangue, nella quale il cuore e la mente sembravano essere equamente equipaggiati.

Era ovvio che mi fossi accorta di come mi guardava, insomma non ero poi così tanto cieca.

Eppure la mia parte razionale mi aveva sempre spinto a non dare troppo peso alla faccenda ed in fondo pensavo che fosse un bene.

Non volevo essere una di quelle ragazze che si nutrono di speranze vane nella vita ed avere come massima aspirazione un matrimonio un bel ragazzo.

Non volevo dare troppa corda alla vocetta nel mio cuore che analizzava quanto Malfoy fosse dolce e attento nei miei confronti, forse perché non mi piaceva illudermi.

Certo, ero anche io una sognatrice, anche se spesso prevaleva in me il lato razionale, non voleva dire che non avessi mai pensato, anche solo per un istante, che mi sarebbe piaciuto rimanere tra le braccia calde e protettive di Malfoy per tutta la vita.

Ma fino a quando non avessi avuto la conferma che i miei sentimenti erano ricambiati in qualche modo non sarei riuscita ad espormi.

Perché avrei dovuto rischiare di venir derisa da lui?

E sa anche lui pensasse lo stesso?

Strinsi forte le mani a pugno, persa nei miei pensieri.

«Che ti dice Ginny?», chiese Luna, lanciandomi un’occhiata preoccupata, probabilmente si era resa conto della mia tensione.

«Dice che Malfoy è innamorato di me», sussurrai, alzando lo sguardo per studiare la reazione della mia amica.

Luna abbassò per un attimo lo sguardo.

«Sai, credo che», incominciò, torturando con le dita l’orlo del suo golfino: «Ginny non sia del tutto nel torto»

Sbarrai gli occhi alle sue parole: «In che senso?»

«Ecco, vedi...»

La porta si spalancò di colpo, prima di richiudersi velocemente.

Ci voltammo entrambe verso l’ingresso della camera, dove Zabini e Malfoy ci stavano guardando a loro volta.

Blaise fece un cenno di saluto ad entrambe, prima di allungare una mano, invitando la mia amica a raggiungerlo.

Malfoy continuava a fissarmi, gli occhi chiari colmi di tristezza mista a quel tipo di dolcezza che dedicava sempre a me.

Se mi amasse davvero?

Pensai, non riuscendo a mia volta ad abbassare lo sguardo.

Luna mi fece un veloce cenno della mano, prima di avvicinarsi ai due ragazzi.

L’istante dopo era già uscita, seguendo Blaise oltre la porta.

Appena rimanemmo da soli in stanza, la tensione tra noi divenne sempre più pesante ed imbarazzante, tanto che non riuscii più a sostenere il suo sguardo e mi ritrovai a studiare il pavimento.

Cercai la più veloce via di fuga e, individuando la porta del bagno alla mia sinistra decisi di sfruttarlo.

«Vado a farmi una doccia», dissi, riuscendo a mantenere un tono di voce ed espressione neutra.

In realtà non volevo fare altro che saltargli al collo ed abbracciarlo, contenta che fosse tornato da me, anche se quella mattina l’avevo allontanato da me tanto brutalmente.

Guardandolo negli occhi non potevo fare a meno di chiedermi come cavolo fossi riuscita a rifiutare le sue avances quella mattina. Come cavolo c’ero riuscita?

Lui era così bello, dolce e seducente...

strinsi forte le labbra, imponendomi di non cedere e di continuare a mantenere le distanze.

Che poi non riuscivo a capire perché continuassi ad allontanarlo, quando in realtà l’unica cosa che volevo era stringerlo tra le mia braccia tanto da fargli male.

Era paura quella che mi teneva distante? Paura di soffrire per un suo rifiuto?

«Brava, continua a scappare»

Le sue parole ed il tono pieno di rancore e tristezza mi fecero immobilizzare, prima che mi voltassi per affrontarlo, pronta a dimostrargli quanto in realtà si sbagliasse.

Era più vicino di prima, non abbastanza da risultare una minaccia, ma quanto bastava per permettermi di percepire chiaramente la sua presenza vicina.

«Non sto scappando», dissi tra i denti.

«Dimostramelo allora»

Mi ci vollero alcuni minuti prima di capire che la sua era una sfida: se avessi indietreggiato gli avrei dimostrato di essere una vigliacca, ma se fossi rimasta ferma sarei comunque finita tra le spire di un serpente.

O forse avrei dovuto dire di un furetto?

Quando fu abbastanza vicino mi prese il mento tra le dita, alzandomi il viso con delicatezza.

«Cosa devo fare con te, mmh?», sussurrò, prima di baciarmi piano vicino alle labbra.

Sentii qualcosa dentro di me incrinarsi pericolosamente e capii di star cedendo.

Avrei voluto rispondergli qualcosa di brillante, ma la mia mente era offuscata dalle emozioni e dal desiderio irresistibile di baciarlo.

«Legarti al letto?», chiese piano, con gli occhi pieni di tristezza.

«Mi dispiace», sussurrai, pensando che quelle due parole pesassero un macigno, rendendomi però conto di quanto fosse stato semplice farle scivolare fuori dalle mie labbra.

La tristezza sul suo viso si dissipò a poco a poco, scomparendo quasi del tutto: «Sì, penso che ti legherò al letto»

Avrei voluto rispondere alle sue parole con qualcosa di arguto, ma mi ritrovai le labbra impegnate in un bacio inaspettato che divenne improvvisamente profondo e necessario.

L’istante dopo ero contro la porta col suo corpo che mi schiacciava contro il legno e la mente che non riusciva ad elaborare nessun pensiero razionale.

L’unica cosa che sapevo in quel momento era che non avevo intenzione di fermarlo.

****************************************************************************************

Buonasera a tutti :)

Scusate ma non ho tanto tempo, spero che il capitolo sia venuto decentemente, anche perché ho dovuto scriverlo due volte, dato che la prima versione l'ho per sbaglio cancellata (-.-") e non ho avuto nemmeno tempo di rileggerlo :(

Ne approfitto per augurare un felice compleanno a Giudy_cullen, spero che questo capitolo possa essere un buon regalo ;)

Grazie a tutti per le vostre stupende recensioni e chi segue, ricorda o preferisce la mia storia! ;-*

A presto,

LazySoul

p.s. Il prossimo capitolo dovrei riuscire a postarlo prima del 5, ma se non dovessi farcela arriverà massimo il 6 o il 7 ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** We trust each other ***


Cap_11 We trust each other

 

 

Per quanto mi piacesse baciarla sapevo che dovevo mantenere il totale controllo del mio corpo e non perdere la testa.

Avevo capito che non era pronta a riportare la nostra relazione su un piano fisico e non avevo intenzione di impazzire come era successo quella mattina.

La mia sopportazione aveva un limite e non volevo ritrovarmi ancora una volta con la voglia che avevo di lei inappagata.

L’unica soluzione possibile era quella di fermarmi prima che gli ormoni capissero ciò che stava succedendo e mi indirizzassero verso impulsi da animale.

Quindi, dopo pochissimi secondi, giusto il tempo di sentirla sciogliersi tra le mie braccia e di percepire chiaramente la consistenza del suo seno morbido contro il mio petto, la lasciai andare, facendo un passo indietro.

Ciò che mi trattenne dal legarla davvero al letto fu il ricordo di ciò che era successo quella mattina e di ciò che era stata costretta a sopportare nell’ultima settimana.

Non potevo fare l’animale, dovevo mantenere un certo contegno.

Mi avvicinai di nuovo, ma questa volta le baciai solo la fronte, impedendomi con la forza di fare qualcosa di sconsiderato.

Il profumo del mio bagnoschiuma sulla sua pelle mi fece sorridere.

«Com’è stata la tua giornata?», le chiesi, prima di abbracciarla in modo fin troppo amichevole, senza palparle né il sedere né il seno come avrei voluto fare, ma accarezzandole in modo rassicurante la schiena.

«Bene», sussurrò contro il mio collo, mentre il suo respiro mi provocava la pelle d’oca.

Non la lasciai andare subito, ma approfittai di quel momento di tregua il più a lungo possibile, prima di sciogliere l’abbraccio.

Mi tolsi il mantello e la cravatta, posando tutto sul cassettone accanto alla porta.

Le stavo dando le spalle per permetterle di avere un po’ di privacy.

Sapevo che quella versione di me, quella che non le saltava addosso alla prima occasione, era ancora nuova per lei, quindi dovevo darle tempo di assimilare tutto, sperando che non fraintendesse come suo solito le mie intenzioni.

«Hai preferenze particolari per la cena? Se vuoi posso chiedere a Breedy di...», mi si spense la voce alla vista dello sguardo stralunato di Hermione.

«Stai bene?», le chiesi, tornando verso di lei, preoccupato.

«Sì, scusa, è solo che sembra tutto troppo surreale»

«Surreale?»

«Si, insomma... io e te nella stessa stanza, a parlare di cena... mi sembra quasi di essere finita in un mondo parallelo», ammise, abbassando lo sguardo.

Sorrisi, capendo a cosa si stesse riferendo: «Tra poco ci troveremo a litigare su chi dovrà andare per primo in bagno la mattina e se sia il caso di girare per la camera nudi. Ti sembrerà strano ma ho una certa esperienza nel condividere camere da letto, anche se di solito i miei compagni di stanza sono ragazzi e non donne particolarmente attraenti...»

Un timido sorriso comparve sulle sue labbra e mi senti orgoglioso di esserne io la causa.

«“Donne particolarmente attraenti”? Stai cercando di fare il ruffiano, Malfoy?»

«Sto cercando di evitare di dormire sul divano», le spiegai con  tono cospiratorio, quasi volessi confidarle un segreto di stato.

Avevo sperato di vederla sorridere, ma sul suo viso invece comparve una piccola smorfia.

Anche per lei il ricordo di ciò che era successo quella mattina non era particolarmente piacevole?

In tal caso potevamo dire di essere in pieno accordo su qualcosa...

«Sei ancora arrabbiato?», mi chiese, sedendosi sul bordo del letto.

Avrei voluto correre da lei e lasciarmi cadere al suo fianco, ma mi trattenni e rimasi accanto al cassettone, in modo da mantenere una certa distanza.

Distanza che sapevo le serviva (allo stesso modo in cui era utile a me) per mantenere la mente lucida.

«E tu? Lo sei?», le chiesi.

Vidi sorpresa nel suo sguardo e in parte ne fui felice. Voleva forse dire che si era dimenticata il litigio a proposito della mia bacchetta? In tal caso voleva dire che la strada per tornare insieme come un tempo non era poi così lunga... forse.

«No...», rimase a pensare per qualche minuto, gli occhi che si perdevano per la stanza, provando in tutti i modi ad evitare i miei.

Poi il suo sguardo color nocciola si fissò nel mio: «Mi chiedo solo come mai alla fine hai lasciato la tua bacchetta a me. Da come ti comportavi sembrava che non volessi separartene»

Dovevo scoprirmi e lasciarle vedere quanto in realtà fossi debole e cedevole se si trattava di lei e delle sue richieste?

Il mio istinto di conservazione mi gridava di non lasciarle vedere il mio lato debole, mentre il mio cuore mi urlava l’esatto opposto.

Strinsi forte i denti e presi la mia decisione: «Volevo farti capire che mi fido di te»

Non era proprio tutta tutta la verità, ma era ciò che ci andava più vicino.

L’istinto di conservazione ed il cuore per il momento erano sullo stesso livello in quanto controllo delle mie azioni.

La vidi annuire: «Quindi ora siamo pari?»

Aggrottai le sopracciglia, pensando a cosa avesse voluto dire, prima di cedere all’evidenza di non saperlo e di chiederle spiegazioni.

«Nel senso che abbiamo appurato che io mi fido di te e che tu ti fidi di me, no?», spiegò.

Sorrisi: «Sì, direi che siamo pari»

Rimanemmo per alcuni istanti a guardarci negli occhi, persi entrambi nei nostri pensieri.

Continuavo a chiedermi se sarei davvero riuscito a comportarmi bene con lei.

Il fatto che ci fidassimo l’uno dell’altra non significava per forza che lei mie avesse perdonato tutti i miei sbagli, ma era già qualcosa...

Avrei voluto parlarle della mia giornata, dirle di aver trovato nei miei genitori degli alleati e che presto avremmo organizzato un attacco dall’interno per sconfiggere il Signore Oscuro, ma delle mille parole che volevo espellere dal mio corpo non ne uscì nemmeno una.

Avevo paura di rovinare quel momento di calma, parlando di nuovo di guerra e ricordandole tutto il dolore che la prigionia le aveva causato.

Rimandai quindi la discussione, deciso a regalarle una serata tranquilla e serena.

«Affamata?», le chiesi, avvicinandomi distrattamente al mio armadio, dal quale tirai fuori una maglia più pesante che le porsi, deciso a coprirla il più possibile: non volevo che si ammalasse.

«Un po’», ammise, arrossendo.

Accettò l’indumento e l’indossò senza fare storie, ringraziandomi: «Tu? Hai fame?»

Per quanto mi fossi ripromesso di fare il bravo mi ritrovai a pensare a tutto tranne che al cibo.

La mia mente da inguaribile pervertito si figurò l’immagine di una vogliosa Hermione Granger, nuda e sdraiata nel mio letto che mi chiedeva di mangiarla.

Chiusi per un istante gli occhi e presi un profondo respiro per calmare i bollenti spiriti.

«Sì, abbastanza», dissi, non riuscendo a pensare ad altro che al ricordo di quella prima ed unica notte passata insieme a fare l’amore e al desiderio di averla di nuovo tutta per me allo stesso modo.

Il silenzio tra noi due era una scomoda verità che non vedevo l’ora di cancellare, ma che, per il momento, non sapevo come gestire.

Mi sedetti sul letto al suo fianco e, senza considerare seriamente i pro e i contro di ciò che stavo facendo, le afferrai una mano, intrecciando le mie dita alle sue.

«Mi sono comportato da stupido questa mattina», ammisi, mentre col pollice disegnavo figure immaginarie sulla pelle morbida del suo palmo: «Hai ragione a volere una nuova bacchetta e questa mattina ho anche pensato a chi potrei rivolgermi per procurartene una nuova...»

Non la guardai in viso, perso nella contemplazione delle nostre mani intrecciate, ma sapevo con certezza che i suoi occhi erano fissi sul mio volto; quasi volessero analizzare ogni mio sentimento.

«Mio padre conosce molte persone e questo permette a me di conoscerne altrettante e appena tutto questo sarà finito andremo da un vecchio amico di mio padre che ho conosciuto un po’ di tempo fa, il signor Gabriel Martinez, l’equivalente di Olivander, però in Spagna, e compreremo una nuova bacchetta...»

Le labbra fresche di Hermione mi sfiorarono la guancia in un bacio: «Grazie», sussurrò contro la mia pelle, stringendo maggiormente la sua mano contro la mia.

Spostai lo sguardo sul suo viso e mi ritrovai con le sue labbra talmente vicine che non riuscii a resistere e alle fine le sfiorai appena e talmente piano che quello non si poteva davvero considerare un bacio, ma un timido e casto incontro.

«Hermione... io credo di...»

Ma non riuscii a finire la frase, interrotto dalle labbra della Grifondoro che tornarono sulle mie, soffocando la dichiarazione che ero pronto a farle.

Perché mi aveva fermato? Non era forse il sogno di ogni ragazza sapere di essere amata da qualcuno?

Forse non voleva che glielo dicessi perché non era pronta? O forse perché lei non mi amava e non mi avrebbe mai amato?

Provai a chiudere a chiave tutti quei dubbi in un angolino nascosto del mio cuore e, anche se continuavano a fare male e a richiedere la mia attenzione, li ignorai, dedicando tutta la mia attenzione a quel dolce corpo femminile premuto contro il mio e alla sensazione di beatitudine che il sentirmi così vicino a lei mi causava.

Mi prese il viso tra le mani, accarezzando con i pollici le mie guance e gli zigomi, senza distogliere per nemmeno un secondo lo sguardo dal mio: «Dimentichiamo tutto»

Aggrottai le sopracciglia alle sue parole, temendo il peggio: intendeva forse dire che voleva cancellare tutto quello che c’era stato tra di noi? Voleva che non la baciassi più?

«Non pensiamo più a quest’ultima settimana, va bene? Facciamo come se fossimo tornati indietro nel tempo, mmh? Come se...», rimase con la bocca socchiusa, pronta a dire qualcos’altro che però, sembrava le fosse rimasto incastrato in gola.

«Come se fossimo una coppia?», sussurrai, sperando di non star accelerando troppo le cose.

Mi aspettavo che si allontanasse e rialzasse tra noi il muro spesso e impenetrabile che la proteggeva dai sentimenti, ma ciò non accadde e i suoi occhi si addolcirono ulteriormente, mentre le labbra si aprivano in un sorriso che mi sciolse il cuore.

«Mi stai chiedendo di essere la tua ragazza Malfoy?»

«Pensavo che già lo fossi, ma credo che dovremmo darci una definizione, se no tu e la tua testolina razionale finirete coll’impazzire nel tentativo di capire che tipo di rapporto ci lega», le dissi, per scherzare, ma notai con orrore che lei non sembrava affatto divertita.

In un battito di ciglia distolse lo sguardo e mise venti centimetri buoni tra noi due, lasciandomi un vuoto fastidioso all’altezza del petto.

«Ti diverti a ridere di me, Malfoy?» chiese, con un tono di voce nervoso e scontroso.

Sospirai, capendo perfettamente di averla offesa, anche se non avevo capito in che modo.

«Granger, stavo scherzando. Sì, ti voglio come mia ragazza, voglio baciarti, abbracciarti e te lo sto dicendo perché so che tu hai bisogno di sentirtelo dire. Non era un’offesa la mia. Semplicemente so come sei fatta e sapevo che tu, essendo una persona molto razionale, avevi bisogno di “definire” il nostro rapporto in qualche modo», le spiegai, sperando di non aver peggiorato ulteriormente la situazione.

Speranza vana.

«Cosa ti fa pensare che io voglia essere la tua ragazza?», chiese, con il tono di voce basso e scontroso che solo una donna ferita nei sentimenti poteva avere.

Sospirai, arrendendomi all’evidenza che quella non era proprio la mia giornata per quanto riguardava questioni di cuore.

Pensai per alcuni istanti di ignorarla e chiamare semplicemente Breedy con la nostra cena, così da concludere la serata il più in fretta possibile, ma alla fine decisi di reagire in modo differente, sperando di non poter peggiorare ulteriormente la situazione già di per sé tesa.

Le presi il viso tra le mani e mi avvicinai nuovamente a lei, stanco di quel continuo tira e molla che mi rendeva nervoso: «Granger, non capisco come io sia riuscito ad offenderti, quando in realtà non ne avevo la minima intenzione, ma ti chiedo scusa. Pensavo che per te la tua intelligenza e razionalità fosse motivo di vanto ed è per questo che le ho nominate, non per farti arrabbiare. Per quanto riguarda l’essere la mia ragazza te lo sto chiedendo, non te lo sto imponendo o ordinando, anche se effettivamente la scommessa non è ancora finita e potrei benissimo farlo. È una tua scelta: vuoi o no essere la mia ragazza?»

In qualche modo ero riuscita in parte a calmarla, ma non del tutto, infatti la sua telegrafica risposta: «Ci devo pensare», non preannunciava nulla di buono, ma nemmeno una catastrofe.

«Preferenze per la cena?», le chiesi, nascondendo alla sua vista quanto male mi aveva fatto rimandando quella conversazione.

«No, va bene qualsiasi cosa», disse, distogliendo lo sguardo e prendendo in mano un libricino che non ricordavo di aver posato sul mio comodino: «Oggi ho letto questo»

Mi porse il volumetto e sorrisi immediatamente quando ne riconobbi la copertina: «Le Fiabe di Beda il Bardo», dissi: «Ti è piaciuto?»

«Non l’ho ancora finito», ammise: «Mi chiedevo chi te l’avesse regalato»

Quelle parole mi fecero sorridere ulteriormente perché, quanto avesse provato a controllare la voce e a non lasciar trapelare nessun sentimento, capii che in realtà l’aver letto la dedica all’inizio del libro l’aveva infastidita.

Avrei potuto inventarmi una storia per vedere se s’ingelosiva, ma sapevo che con il suo caratterino avrei finito solo col peggiorare ulteriormente la situazione già di per sé precaria, così optai per dirle la verità.

«Me l’ha regalato Daphne, la conosci no la Greengrass?», feci una piccola pausa, constatando con orgoglio crescente come, sapendo che era stata una donna a regalarmelo, i lineamenti del suo viso si fossero irrigiditi ulteriormente: «Da piccoli, avendo le tenute in campagna che confinavano passavamo molto tempo insieme durante l’estate e la sua balia ci leggeva sempre questo libro. Alla fine del primo anno qui ad Hogwarts me l’ha regalato, il suo è stato un gesto davvero... generoso, soprattutto perché sapevo quanto amasse questo libro da piccola...»

Hermione era sempre più gelosa e lo potevo capire chiaramente da come muoveva la gamba su è giù, come se sotto la pianta del piede ci fosse un enorme scarafaggio da uccidere.

«Io e Daphne siamo migliori amici da anni, all’incirca da quando ha ammesso di essere follemente innamorata della Patil e io e Blaise le abbiamo augurato buona fortuna e figli maschi. Sai, all’inizio penso che Blaise si fosse preso una cotta per lei, ma per fortuna gli è passata...»

Il piede smise di battere contro il pavimento e i suoi lineamenti si distesero all’istante: «Calì Patil?», sussurrò con stupore, guardandomi dritto negli occhi, quasi volesse capire se le stessi mentendo o meno.

«Padma Patil», precisai, facendo una piccola smorfia: «Dice che le piacciono le persone con cervello, credo che tu sia l’unica che non le va a genio... ma in fondo sappiamo tutti che l’odio tra Grifondoro e Serpeverde non è qualcosa che si può cancellare da un giorno all’altro... dalle tempo e anche lei finirà per adorarti, proprio come fa Blaise»

«Blaise non mi adora: mi sopporta, è diverso», disse, anche se continuava a ad avere un’espressione smarrita; di sicuro non si aspettava che Daphne, la bellissima Daphne, fosse lesbica.

«Mangiamo?», chiesi, sperando di non parlare più delle preferenze sessuali delle mie amiche o dei miei amici, ma di dedicare tutte le mie attenzioni a lei e a i suoi bisogni primari: nutrirsi e risposarsi.

«Va bene», disse, ma era ancora lì quell’espressione di curiosità inappagata ed ero certo che presto sarebbe tornata all’attacco con qualche nuova domanda riguardante Daphne e il suo orientamento sessuale.

Con un semplice incantesimo chiamai Breedy che, più veloce di quanto mi aspettassi mi comparve di fronte con in mano due vassoi: «I signori sono pronti per la cena?», chiese l’elfo domestico, con un profondo inchino, prima di apparecchiare per due e di porre in tavola le vivande.

«La signorina sta bene?», chiese con tono educato.

Hermione gli sorrise: «Sto bene, grazie. Tu?»

L’elfo, preso in contro piede sorrise in modo goffo: «Non mi lamento, signorina»

Presi la mano della Granger, chiedendomi quanto ci volesse ancora prima che ammettesse di voler essere la mia ragazza, ma non l’avrei forzata in nessun modo, forse...

Mi alzai, facendomi seguire da Hermione e, dopo averle scostato la sedia per farla sedere, andai ad occupare il posto di fronte a lei.

«Buon appetito, signori», disse Breedy, facendo un ultimo inchino prima di sparire con un “pop”.

Mangiammo per alcuni minuti senza dire nulla, sorridendoci quando i nostri occhi s’incontravano, ma senza parlare, prima che la sua curiosità tornasse a galla.

«Ma quindi, tu e la Greengrass non siete mai stati insieme?», mi chiese con sguardo indagatore, mentre masticava con gusto la sua pasta al ragù.

«No», le risposi, sapendo però che l’interrogatorio non era finito.

«Com’è possibile che la Greengrass si sia presa una cotta per Padma? Insomma, pensavo che le piacessero gli uomini! Ogni due settimane ne ha uno diverso appeso al braccio!»

«Vedi Granger, il fatto che Daphne si faccia vedere con dei ragazzi non significa niente. Sono solo delle inutili coperture», le spiegai, sentendomi vagamente in colpa nei confronti di Daphne, ma non potevo non raccontare tutta la verità ad Hermione se no avrei rischiato di rovinare il precario rapporto che ci legava.

«Ma allora, come...?»

«Granger? Ti dispiacerebbe smetterla? Non mi sento a mio agio a raccontarti i fatti di Daphne», ammisi.

Le avevo raccontato la verità, ma ora doveva smetterla di ficcare il naso, se no sarebbe giunta a conoscenza di troppi particolari e, a qual punto, sarebbe stata Daphne a staccarmi la testa a morsi.

«Hai ragione, scusa», sussurrò, mentre sul viso le compariva un broncio dispiaciuto.

«Non fare così», sussurrai: «Quando tu e Daphne sarete amiche per la pelle gliele potrai fare di persona tutte queste domande», dissi, facendole l’occhiolino.

Sorrise: «Io e la Greengrass amiche per la pelle? Sei impazzito forse?»

«Lo sai che sono pazzo di te, è inutile che continui a chiedere» mormorai, vedendola arrossire appena.

Quando finimmo di mangiare le concessi il primo turno in bagno, da bravo cavaliere purosangue quale ero, spingendola ad andare con una piccola e nient’affatto galante pacca sul sedere che la fece sussultare.

Prima di chiudere la porta del bagno si voltò verso di me: «Vuoi fare la doccia con me?», chiese, facendomi l’occhiolino e lasciandomi letteralmente a bocca aperta.

Con la salivazione a zero e gli occhi fuori dalle orbite per la sorpresa non dovevo essere un bello spettacolo, mentre il mio cervello cercava di resistere e di non spedire l’impulso alle mie gambe di correrle immediatamente dietro e alle mie mani di strapparle gli abiti di dosso.

«Scherzavo», disse, prima di scomparire oltre la porta e di chiudersela alle spalle, lasciandomi ulteriormente inebetito.

La sentivo ridere di gusto e non potei fare a meno di sorridere a mia volta: «Ride bene di ride ultimo, Granger, non te ne dimenticare», disse a bassa voce, prima di pensare ad una vendetta adatta alla situazione, per farle vedere quanto non le convenisse giocare col fuoco.

****************************************************************************************


Ciao a tutti :)

Ehm ehm.... *tossisce, imbarazzata*

Che vergogna, tornare dopo mesi con un nuovo capitolo...

Vorrei scrivervi pagine e pagine di scuse, ma credo che preferiate pagine e pagine di questa storia piuttosto, dico bene?

Potrei raccontarvi di quanto siano stati faticosi gli ultimi due mesi di scuola e delle verifiche e interrogazioni senza fine, oppure dell’ispirazione che era tranquillamente svanita nel nulla, ma so che a voi non importa e che siete arrabbiate con me...

Però lo sapete che non vi lascerei mai senza finale vero?

Anche se dovessi scomparire per anni interi tornerei comunque a scrivere questa storia, quindi non vi preoccupate ;) se per un po’ di tempo non sentite mie notizie abbiate fede che tornerò all’attacco!

*prega silenziosamente di esser stata almeno un po’ perdonata*

Parlando del capitolo: come vi sembra? Il nostro Draco vuole provare a conquistare Hermione  in modo platonico, ma allo stesso tempo si ritrova a dover macchinare una vendetta per la proposta scherzosa di Hermione... che dite, riuscirà a non mettere nuovamente la relazione su un piano fisico? Io ho i miei dubbi... ;D 

Per quanto riguarda Daphne invece, spero di non avervi sconvolte troppo xD

Sto rileggendo e rispondendo a tutte le vostre stupende recensioni e poco a poco dovrei riuscire a mettermi di nuovo alla pari...

Mi scuso ancora per essere scomparsa, ma vedrò di non farlo più :)

Un gigantesco bacio a tutti ;-*

LazySoul

P.S. se avete voglia di lasciarmi una recensione mi fareste davvero contenta, anche se so di non meritarmele...

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Tell me a tale ***


cap_12

Consiglio di leggere prima qua: Capitolo quinto

 

12. Tell me a tale

 

 

Appoggiata con la schiena alla porta del bagno sentivo fin troppo chiaramente le mani tremare.

Come mi era venuto in mente di fargli quella stupida proposta?

Strinsi forte le dita a pugno, così da bloccarne il tremore e presi un profondo respiro nel tentativo di calmarmi e di schiarirmi le idee.

Feci i pochi passi necessari e mi fermai davanti al lavandino ma non alzai lo sguardo: non avevo il coraggio di guardare il mio riflesso allo specchio.

Continuavo a pensare alla nostra conversazione e a quanto mi ero sentita male quando mi aveva detto che era stata una ragazza (proprio come avevo temuto) a regalargli il libro delle fiabe.

Ero gelosa, gelosa, gelosa!

Aprii il rubinetto e mi sciacquai il volto con dell’acqua fredda, nel vano tentativo di darmi una calmata.

Avrei voluto spazzolarmi i denti, ma ovviamente nel bagno di Malfoy non c’era un comune spazzolino da denti babbano, ma una confezione di pastiglie Sorriso Smagliante 24h, così mi accontentai di prenderne una e di sentirla sciogliere in bocca in meno di due secondi.

Se i miei genitori fossero venuti a conoscenza di certe pastiglie probabilmente ci sarebbero rimasti male...

Abbassai la tazza del gabinetto e mi sedetti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, mentre le mani mi sosteneva il volto. Guardavo senza vederla davvero la parete davanti a me, mentre nella mia testa un guazzabuglio di pensieri non mi davano pace.

Gli avevo parlato del galeone e lui non sembrava averne fatto parola con nessuno.

Forse avevo fatto bene a fidarmi di lui, forse non avrebbe fatto la spia, forse saremmo riusciti ad uccidere il Signore Oscuro, forse Malfoy mi amava davvero, forse anche io l’amavo davvero, forse saremmo riusciti a salvarci...

Forse, forse, forse!

Io volevo certezze, non dubbi!

Volevo aprire un libro e trovare tutto quello che c’era da sapere scritto nero su bianco.

Sarei dovuta morire? Sarei stata di nuovo tradita da Malfoy? Avrei rivisto i miei amici? Harry e Ron si sarebbero salvati? E Ginny? E Luna? E il mio amore? Che ne sarebbe stato del mio amore?

Andava bene tutto, avrei sopportato tutto. A me bastava sapere, così da potermi liberare di tutte le incertezze.

L’unica colonna solida della mia vita si stava sgretolando: la mia mente, la mia brillante mente su cui avevo fatto affidamento per anni ora non mi sembrava più così infallibile come un tempo.

Lanciai uno sguardo vacuo alla doccia; non avevo la forza di spogliarmi e lavarmi, in quel momento volevo unicamente cadere in un sonno nero privo di sogni e svegliarmi solo alla fine di quella guerra.

Mi sarebbe piaciuto essere la Bella Addormentata nel Bosco, incosciente nel mio letto in attesa del bacio del vero amore. Una volta sveglia sarebbero stati gli occhi di ghiaccio di Malfoy ad accogliermi?

Sospirai, accarezzandomi con le dita fredde le labbra, ricordando i troppi baci che Draco mi aveva rubato con o senza il mio permesso.

Se avessi potuto scegliere il mio principe azzurro avrei scelto lui, anche se era una decisione sciocca e illogica per molti versi.

Mi alzai e con passi titubanti tornai davanti al lavandino, dove alzai alla fine lo sguardo, incontrando il mio riflesso.

Il mio aspetta era sempre sciupato, anche se era tutto il giorno che mangiavo come se non ci fosse stato un domani. I capelli erano spettinati e sfibrati e le occhiaie sotto agli occhi profonde e scure.

In quel momento avrei preso volentieri un po’ di quella crema dall’odore disgustoso che si metteva Lavanda Brown prima di andare a dormire e che le rendeva la pelle morbida e lucente.

Mi passai una mano tra i capelli, nel tentativo di sistemarmi e osservai con occhio critico la mia tenuta nient’affatto femminile, rimpiangendo per l’ennesima volta la perdita della mia bacchetta che in una situazione simile mi avrebbe permesso di darmi una sistemata.

Sfiorai con le dita uno dei lividi che avevo all’altezza della clavicola destra, desiderando di poterlo far sparire e, solo in quell’istante, mi resi conto di quello che stavo facendo o, meglio, ciò che avrei fatto se solo ne avessi avuti i mezzi: mi stavo facendo bella per Malfoy.

Risi di me stessa e di quella parte della mia mente che continuava ad analizzare il mio aspetto nei minimi dettagli, sottolineandone i difetti e la loro gravità.

Diedi le spalle allo specchio e appoggiai la mano sulla maniglia della porta del bagno.

Una volta uscita come mi sarei comportata? Sarei riuscita a rimanere seria e composta dopo aver pensato a Malfoy come ad un principe azzurro? Sarei riuscita a guardarlo in faccia anche se sapevo quanto il mio aspetto fosse sciupato e sgradevole?

Scossi la testa nel tentativo di fare piazza pulita di tutti quei pensieri insidiosi e aprii la porta, uscendo dal bagno.

Mi aspettavo di trovarmi Malfoy subito davanti, magari con le braccia conserte, pronto a riprendermi per esser stata troppo a lungo nel suo bagno, invece lui non c’era.

O almeno c’era, ma non dove me lo sarei aspettato.

Draco era seduto sul bordo del letto, la schiena incurvata in avanti e tra le mani aveva il libro di fiabe, che stava leggendo.

Non alzò lo sguardo quando mi avvicinai, ma allungò silenziosamente una mano, sino ad afferrarmi per la vita e stringermi contro di sé.

«Vuoi che ti legga una fiaba per farti addormentare?», chiese, sollevando alla fine i suoi occhi verso i miei.

Sorrisi alle sue parole e gli baciai la fronte: «Certo che sì!»

Liberandomi dalla sua presa intorno alla vita mi coricai sul letto, sotto le coperte verde-argento che sapevano di lui e del suo bagnoschiuma.

«Pronta, puoi iniziare», gli dissi.

«Torno subito», mi disse, dirigendosi con quattro falcate verso il bagno: «Tu non ti addormentare».

Di nuovo sola sperai che tornasse presto, temevo di addormentarmi da un momento all’altro, ma volevo sentirlo raccontarmi una storia, quindi m’imposi di rimanere sveglia.

Le coperte erano calde e il materasso morbido, dettagli che, dopo una settimana di scomodità e privazioni facevano la differenza. Affondai il viso contro il cuscino ed inspirai a fondo l’odore di Malfoy misto a quello di lenzuola pulite.

Accarezzai l’idea di mettermi a saltare sul letto, per intavolare una battaglia dei cuscini contro il furetto appena fosse uscito dal bagno, ma la abbandonai subito.

Ero troppo stanca per fare qualsiasi cosa, anche rigirarmi nel letto era un’impresa titanica.

La porta del bagno si aprì e ne uscì Malfoy, con un’espressione vagamente inespressiva, quasi non sapesse se sorridere o meno.

«Comoda?», mi chiese, avvicinandosi  con passo cadenzato, fino a fermarsi al mio fianco.

Mi scrutò per qualche istante poi tirò fuori dall’armadio una coperta di lana: «Freddo?»

«Sto bene, grazie» risposi, lusingata dalle sue piccole attenzioni nei miei confronti.

«Allora, pronta?» domandò, coricandosi accanto a me, senza mettersi però sotto le coperte.

«Sì, raccontami una fiaba», lo incitai, voltandomi sul fianco verso di lui.

Malfoy si sporse fino ad afferrare il libro delle Fiabe di Beda il Bardo e iniziò a sfogliarlo: «Ce n’è una in particolare che vorresti sentire?»

Dato che avevo letto solo le prime due fiabe e che non conoscevo affatto il libro non sapevo cosa dirgli.

«Per me è indifferente», ammisi, sorridendo.

Lo vidi sfogliare a lungo il libricino, indeciso: «Non so quale scegliere», ammise, aggrottando le sopracciglia.

Mi morsi il labbro inferiore prima di pensare ad una soluzione: «Perché non te ne inventi una?»

Vidi lo stupore colorargli gli zigomi di un rosa tenue: «Io?», chiuse il libro e lo appoggiò sul comodino, mentre si passava una mano tra i capelli: «Devo inventarne una?»

Rimase per alcuni istanti con lo sguardo perso nel vuoto, prima di sorridere appena: «Va bene»

Si voltò sul fianco, così da potermi guardare comodamente in viso ed iniziò a raccontare: «C’era una volta un giovane mago che non aveva mai conosciuto la libertà... erano sempre stati i suoi genitori, una strega e un mago molto importanti nel mondo magico, a dirgli cosa fare e cosa non fare.»

Si zittì per qualche istante, seguendo con le dita gli arabeschi delle coperte verde-argento, poi riprese a parlare: «Solo a scuola il giovane mago riusciva a prendere le proprie decisioni, giuste o sbagliate che fossero, senza che nessuno gli dicesse nulla. Tutti avevano paura dei genitori del giovane mago e per questo gli permettevano a volte di non rispettare le regole.»

Sorrisi appena, capendo che stava parlando di se stesso e incitandolo ad andare avanti: «Nessuno gli diceva niente?»

«Certo che no! Nessuno! Tranne...», mi sorrise e afferrò la mia mano tra le sue, così da poterla stringere a piacimento: «Tranne una giovane Mezzababbana che non riusciva a tenere la boccaccia chiusa e aveva sempre qualcosa da ridire sul comportamento del giovane mago. Lui deciso a vendicarsi dell’impertinenza di quella saccentina so-tutto-io, decise di fargliela pagare. Un giorno, armato di tanta pazienza, andò in biblioteca a cercare un libro di incantesimi, alla ricerca di qualcosa da poter utilizzare contro di lei, in modo da farla stare zitta una volta per tutte», un’espressione di sofferenze gli attraversò il viso, come se un pensiero molesto lo avesse colpito senza preavviso: «Voleva sfogliare dei volumi in santa pace, ma si rese conto che seduta al tavolo e addormentata c’era proprio lei, la Mezzababbana. Avrebbe dovuto voltarsi e andarsene, oppure farle un incantesimo per vendicarsi della sua insolenza... ma non ci riuscì».

Aggrottai le sopracciglia alle sue parole, chiedendomi dove volesse arrivare.

«Le guardava la bocca e non poteva fare a meno di pensare che avesse delle labbra stupende e carnose: labbra da baciare e un viso così dolce... la saccentina so-tutto-io era una bella ragazza e lui non se ne era mai reso conto».

Sbarrai gli occhi e socchiusi le labbra, pronta a chiedergli se si stava inventando quella storia o stesse ricordando un evento reale, ma lui mi precedette: «Non mi interrompere, alla fine potrai chiedere tutto quello che vorrai, ma ora fammi finire, ok?»

Annuii.

La stanza cadde in un in un silenzio imbarazzante per pochi minuti, poi alla fine lui prese un respiro profondo e tornò a raccontare.

«E se per vendicarsi di lei le avesse dato un bacio? In fondo nessuno l’avrebbe mai saputo, la sua reputazione non ne avrebbe risentito e... voleva così tanto assaggiare quelle labbra, non aveva mai baciato una ragazza ed era certo che quelle labbra fossero vergini quanto le sue».

Socchiusi le labbra per lo stupore, ma non riuscii a dire nulla.

«La baciò, saggiando le sua labbra. Erano morbide e sapevano di biscotti al limone».

Sorrisi involontariamente, pensando a quanto amassi quei biscotti immersi nel succo di zucca o nel tè.

«Avrebbe voluto baciarla per sempre, ma aveva paura che qualcuno lo vedesse, così corse il più lontano possibile dalla biblioteca... Una volta in camera sua cercò di mettere in ordine i suoi pensieri confusi e contrastanti, ma tutto quello cui riusciva a pensare erano quelle labbra e a quanto gli era piaciuto baciarle...»

Un pesante silenzio cadde nella stanza, interrotto solo dai nostri respiri.

«La morale è: mai baciare una ragazza per vendicarsi di lei», sussurrò, guardandomi con quello sguardo pieno di desiderio che mi faceva sempre accelerare il battito cardiaco.

«Non ti sei inventato nulla, vero?», gli chiesi.

Mi sentivo come sull’orlo di un dirupo, pronta a lasciarmi cadere nel vuoto.

«No, non ho inventato nulla».

 E quelle parole mi fecero cadere dal dirupo: giù, giù, sempre più giù. I polmoni faticavano a respirare e il cuore era schiacciato dalla pressione della caduta.

«Quando?», riuscii a sussurrare, mentre le sue mani, ancora aggrappate alla mia, allentavano appena la presa.

«Ultimo giorno di scuola del terzo anno», disse, fissando i suoi grandi e tristi occhi grigio-azzurri nei miei.

Avrei dovuto essere furiosa: mi aveva rubato il mio primo bacio senza chiedermi il permesso, ma non ci riuscivo.

Ero contenta, contenta di avergli dato, anche se inconsciamente, il mio primo bacio, contenta di aver ricevuto a mia volta il suo primo bacio.

Eppure non riuscivo a parlare, dentro di me continuavo a provare quella fastidiosa sensazione di vuoto: continuavo a cadere e cadere...

Malfoy si alzò dal letto allontanandosi da me e dandomi le spalle.

Non poter vedere l’espressione sul suo viso mi rendeva inquieta.

Si era pentito di avermi confessato quella sua vendetta? Forse il mio silenzio continuato l’aveva messo in imbarazzo, in fondo al suo posto avrei gradito un commento. Qualsiasi commento sarebbe stato meglio del silenzio.

Si spogliò davanti a me, indossando una maglietta nera col logo dei “Rolling Wizards” (1) come pigiama e un paio di boxer grigi.

Rimase a lungo a piegare i vestiti e qualcosa mi suggeriva che lo stesse facendo perché aveva paura di voltarsi nuovamente verso di me, oppure perché voleva lasciarmi del tempo per elaborare quello che aveva detto.

Ciò che più mi stupiva era che dall’inizio del quarto anno il suo comportamento nei miei confronti non era cambiato rispetto a prima in nessun modo: aveva continuato ad insultarmi e a prendersi gioco di me e dei miei amici.

Ma perché? Se il bacio gli era piaciuto, se mi aveva trovata bella, perché aveva continuato a tenermi a distanza? Perché aveva continuato ad insultarmi?

Una volta che finì di piegare gli abiti si voltò verso di me e tornò verso il letto.

I suoi occhi guardavano ovunque, tranne nei miei e io non sapevo cosa fare.

Si coricò sotto le coperte, dandomi le spalle.

«Buona notte», mormorò e poi non disse più nulla.

Spense la luce e tutto si fece buio.

Non sopportavo quella sensazione di smarrimento che il suo ignorarmi mi causava, avrei voluto urlargli di girarsi e di dirmi che cosa gli stava succedendo.

Perché non mi parlava?

Mi morsi il labbro, forte prima di superare quei pochi centimetri che ci separavano e di avvolgerlo in un goffo abbraccio.

Affondai il viso contro la sua nuca, inspirando ed espirando l’odore muschiato della sua pelle.

«Perché l’anno dopo hai continuato ad insultarmi? Perché hai ideato quella stupida scommessa solo un mese fa? Avresti potuto baciarmi molto prima se solo avessi voluto...»

Non rispose subito, ma sentii le sue mani accarezzare il braccio con cui gli avvolgevo la vita.

«Non sono coraggioso, Granger. Questo ormai dovresti averlo capito», continuava a darmi le spalle, ma potevo quasi immaginarmi il suo sorriso amaro: «Ti ho dato quel bacio solo perché dormivi, fossi stata sveglia ti avrei insultata e basta... Davvero non capisci perché non ho provato a baciarti il quarto o il quinto anno?»

«No», gli dissi, sollevandomi così da poter sbirciare oltre la sua spalla la sua espressione.

Proprio come mi immaginavo i suoi lineamenti erano distorti in un sorriso triste, amaro che somigliava più ad una smorfia che ad un sorriso.

«Volevo dimenticare tutto, Granger: il tuo sapore, le tue labbra... gli ultimi due anni ti ho insultata ad ogni occasione proprio per esorcizzare quella piccola ma insistente parte di me che ti voleva ancora, che ti voleva di più. Negli ultimi due anni ho cercato in tutti i modi di dimenticarti e ci sono stati dei momenti in cui pensavo di avercela fatta, di essere guarito... per poi scoprire invece che i sogni c’erano ancora e che il ricordo di quel bacio era più forte che mai...»

Non riuscii a trattenermi e interruppi il suo discorso con una domanda: «Sogni?»

«Eri il mio incubo ricorrente», ammise.

Non era proprio ciò in cui speravo: insomma essere un incubo ricorrente non sembrava poi una cosa molto carina...

«Nei miei sogni, Granger, eravamo soli: io e te. Nessuno a giudicarci, nessuno ad imporci una maschera, nessuno a fermarci. A volte ci baciavamo soltanto, altre volte la stanza in cui ci trovavamo era provvista di letto: un letto con le coperte bordeaux, e tu ti trovavi nel mezzo, nuda e tutta per me. A volte i sogni erano anche gradevoli, altre volte erano una tortura...»

Rimanemmo in silenzio per alcuni lunghi istanti, persi nei nostri pensieri.

Sapevo fin dall’inizio che quello che ci legava era una scommessa, non mi sarei dovuta sentire triste solo perché avevo avuto la conferma che non era stato l’amore a farlo avvicinare a me.

Potevo però essere alla stesso tempo delusa e lusingata dal suo desiderio?

«Tocca me raccontarti una fiaba».

Quelle parole sfuggirono dalle mie labbra, prima che le potessi soppesare adeguatamente, ma non mi pentii di averle pronunciate.

«C’era una volta una ragazzina che aveva scoperto di avere dei poteri magici. Era felice di essere una strega, ma sapeva che non sarebbe stato facile per lei imparare tutto ciò che gli altri ragazzi nati nel mondo magico già sapevano, così durante la lunga estate precedente all’inizio della scuola la ragazzina studiò e studiò, cercando di imparare più cose possibili. E poi arrivò il giorno della partenza, salutò i suoi genitori, salì sul treno e si infilò nel primo scomparto vuoto, dove trovò un giovane ragazzo paffutello che le fece vedere il suo rospo da compagnia».

«Ed è così che la fanciulla s’innamorò del giovane Paciock?», m’interruppe lui, voltandosi verso di me con un sorriso sarcastico in volto.

«No», dissi: «E fu così che il rospo sfuggì dalle mani del ragazzino, che chiese aiuto alla giovane strega per ritrovare il fuggiasco».

Mi bloccai per pochi istanti, ripesando alla scena e a quanto era stato buffo vedere Oscar saltellare via, mentre Neville lo guardava con uno sguardo vacuo e allucinato.

«La giovane strega, mentre cercava il rospo s’imbatté in un altro giovane mago...» gli occhi di Malfoy a quelle parole incontrarono i miei e un luccichio di sorpresa sembrò animarli: «Non pensavo...», iniziò a dire, prima di interrompersi e di scuotere la testa: «Lascia perdere, vai avanti».

«Quel giovane mago era così bello», dissi, arrossendo, mentre il sorriso di Malfoy si allargava sempre di più: «La giovane strega gli chiese aiuto e lui le insegnò un incantesimo che l’avrebbe aiutata nella ricerca. Non parlarono molto, ma quelle poche parole bastarono ad illuderla di aver trovato un amico...»

Il sorriso di Malfoy scomparve, sostituito da una smorfia.

«Anche se i due giovani finirono in Case diverse, lei continuava a pensare che lui un giorno l’avrebbe salutata di nuovo, che le avrebbe parlato di nuovo», avvicinai ulteriormente il viso al suo e sussurrai: «Lei si era presa una cotta davvero terribile per lui, sai?»

Non riuscii a dire altro perché mi baciò, premendo con forza le sue labbra sulle mie per lunghi istanti paradisiaci.

«Davvero, Granger?» mi chiese, interrompendo il bacio: «Ma se mi hai detto di aver avuto una cotta per Potter... quante cotte hai avuto, mmh?»

«Non ci crederai ma capisco quando quello in cui spero è davvero un caso disperato e tu lo eri. Sapevo che non mi avresti più parlato e avresti continuato ad ignorarmi: sei stato tu col tuo insulto al secondo anno a farmi aprire gli occhi».

Mi accarezzò la guancia, piano, prima di sorridermi timidamente: «Ero un bambino davvero stupido e crudele».

«Eri?», chiesi, sollevando un sopracciglio.

«Ora sono un ragazzo stupido e crudele, non un bambino», specificò, dandomi un altro bacio.

Ridemmo per alcuni istanti, prima che ci perdessimo entrambi nei nostri pensieri.

Avrei voluto dirgli che la cotta non mi era affatto passata, ma che era tornata più potente di prima e che si era trasformata in un affetto così forte da sconfinare nell’amore, ma non ci riuscii, terrorizzata dal pensiero che le mie parole potessero spezzare il delicato equilibrio che si era creato tra noi.

«Buona notte, Draco», furono le uniche parole che riuscii a pronunciare.

«Buona notte, Hermione».

(1) Ebbene sì, mi sono inventata un nuovo gruppo musicale: i "Rolling Wizards" xD

****************************************************************************************

Buona Pasqua a tutti! :)

Sono davvero crudele, sono scomparsa per quasi un anno e mi dispiace davvero tanto :( spero comunque di essere riuscita a scrivere qualcosa di decente, nel caso contrario potete scrivermi altre recensioni negative, tanto ormai ci ho fatto il callo xD

Non so quando riuscirò nell’impresa di scrivere un nuovo capitolo, ma farò il possibile per non far passare troppo tempo... durante il breve ponte del 1 Maggio ad esempio dovrei avere un attimo di respiro dalla scuola e riuscire a scrivere qualcosa, ma in caso contrario vi avviso.

Vorrei ringraziarvi per le stupende recensioni che mi avete lasciato, a cui nei prossimi giorni cercherò di rispondere.

Bene, come al solito, nel caso vogliate lasciarmi una recensione mi fareste davvero felice e non mancherò di rispondervi (anche se potrebbe volerci un po’ di tempo) ^.^”

Ancora buona Pasqua :)

Baci,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** I need you ***


cap_13

Ciao a tutti! :)

Lo so cosa state pensando: “Oddio! È un miracolo! È riuscita a postare un nuovo capitolo!”

Ebbene sì, sono orgogliosa d’informarvi che ce l’ho fatta. Ma prima di lasciarvi alla lettura vorrei solo segnalarvi che ho aggiornato anche l’altra long “Pieces of Life” (avete presente, no? Quella che ha come protagoniste Luna e Pansy e i loro problemi di cuore... no? Beh, sarebbe ora che andaste a leggervela!) e quindi ho pensato di riportarvi qua il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3098141

 

Bene, ora vi lascio al capitolo, buona lettura! :D

 

 

 

 

 

 

13. I need you

 

 

Affondai le mani tra quei capelli scuri e ribelli; assaggiai con le dita la consistenza di qualche ciocca, sentendo una piacevole sensazione di solletico sui polpastrelli.

Inspirai a fondo, sentendo con gioia il suo odore: un dolce profumo di primavera, che mi provocava una sensazione di calore soffocante.

Un calore fastidioso...

Un incendio vero e proprio: iniziava dalle fondamenta della casa e, lentamente, ma inesorabilmente, asse di legno dopo asse di legno, arrivava fino al tetto.

Da fuori la casa sembrava un grosso falò, rosso, minaccioso, indomabile.

Indomabile come i suoi capelli.

Allentai la presa delle mie dita, non volevo farle male.

Andai alla disperata ricerca delle sue labbra. Dove siete? Dove vi nascondete?

Fu lei a lanciarsi su di me, consumando la mia bocca per minuti interi, accarezzandomi il viso con i suoi capelli ricci.

La sua impazienza, il suo desiderio mi mandavano letteralmente fuori di testa.

La spinsi contro il materasso, sovrastandola, godendomi i suoi gemiti mentre la spogliavo, piano.

Non mi fermare, amore, non mi fermare...

Avevo caldo, continuavo a bruciare.

Le afferrai le cosce, accarezzandola ovunque.

Mi sentivo come un animale.

Quando la penetrai urlò, forte, a lungo.

O forse ero stato io?

Le sue mani mi stringevano, le sue corte unghie erano conficcate nella mia carne e facevano male, ma il dolore non mi fece ritrarre.

Più forte. Di più. Voglio di più.

Non mi sentivo più attaccato al mio corpo, era come se stessi osservando la scena da una prospettiva diversa: ero seduto in poltrona accanto al letto e mi vedevo chiaramente fare l’amore con lei.

E poi cambiò qualcosa, non capii subito cosa, ma quando realizzai ciò che stava succedendo urlai.

Provavo a muovermi, volevo correre verso il letto e interromperli, ma non ci riuscivo, il mio corpo non rispondeva ai miei comandi.

Abbassando lo sguardo notai di avere i polsi e le caviglie rinchiusi in catene spesse e scure.

Mi dimenai, urlai.

Piansi.

Ma per quanto chiudessi gli occhi, continuavo a vederli, sul mio letto.

Lei era bella, sensuale, con le guance arrossate dall’emozione, le labbra gonfie e rosse, gli occhi lucidi. Gemeva e lo implorava di non smettere, affondava le unghie proprio dove le aveva affondate nella mia schiena.

Lui era sopra di lei; continuava a dirle quanto fosse bella, quanto l’amasse...

No, no, no, no...

Non riuscivo a sopportare quella scena.

Chiunque ma non lui, chiunque ma non Weasley!

No, no, no, no!

Hermione...

Mi svegliai col fiato corto e una fastidiosa patina di sudore su tutto il corpo.

Deglutii, cercando di calmare il battito impazzito del mio cuore, ma avevo la gola secca e continuavo a vedere nella mia mente le immagini di quell’incubo crudele.

Aprii gli occhi, deciso ad alzarmi e a fare due passi per il castello, nella speranza che il ricordo del sogno sparisse; ma mi trovai davanti il volto preoccupato della Granger che, sdraiata accanto a me, mi guardava.

«Ti ho svegliata?», chiesi, guardandomi intorno, nella vana speranza di trovare qualcosa che mi facesse capire che ora fosse.

O forse volevo solo evitare il suo sguardo?

«No», sussurrò.

Avrei voluto chiudere gli occhi e provare a riaddormentarmi, ma, ogni volta che abbassavo le palpebre, continuavo a vedere le immagini dell’incubo, come se mi si fossero impresse a fuoco nella retina.

«Ero già sveglia», mormorò, appoggiando le labbra contro la mia spalla: «Ne vuoi parlare?»

In quel momento avrei voluto avere la camera tutta per me, così da poter rimuginare su quell’incubo per il resto della notte e magari anche per buona parte del mattino.

Hermione si sollevò appena, appoggiando il gomito sul cuscino per sostenere il suo volto, mentre con l’altra mano giocava coi miei capelli. Mi accarezzò la fronte e poi gli zigomi, asciugandomi quelli che sembravano proprio residui di lacrime.

Voltai il viso, nel tentativo di sfuggirle; non volevo che mi vedesse in quello stato, non volevo che mi facesse domande, non volevo che provasse compassione.

Mi sentivo così vulnerabile tra le sue braccia.

Avrei voluto chiederle se amava ancora Weasley, se mi stava usando solo per tornare poi da lui... ma non riuscii a pronunciare nemmeno una parola.

Le sue labbra raggiunsero la mia tempia e vi lasciarono un bacio: «Odio vederti così», sussurrò, prima di voltare nuovamente il mio viso verso il suo: «Va tutto bene, Draco... sono qua».

La abbracciai, affondando il volto contro i suoi seni, inebriandomi nel suo odore primaverile.

«Ho bisogno di te» ammisi, affondando le dita contro la sua schiena, lasciandomi cullare dalla dolcezza delle sue parole: «Va tutto bene, ce la faremo, Draco. Insieme ce la faremo».

Afferrai i bordi della sua maglietta e gliela sfilai, così da sentire la morbidezza della sua pelle a contatto col mio viso.

La sentii gemere piano, mentre affondava le mani tra i miei capelli e mi teneva stretta a sé.

Le baciai a lungo i seni e il collo, assaporando ogni suo gemito e ogni centimetro della sua pelle bianca come il latte.

Non avevo paura che mi fermasse, sapevo che non l’avrebbe fatto.

Entrambi eravamo deboli e avevamo bisogno di trovare conforto l’uno tra le braccia dell’altro.

«Oh, Draco», sussurrò, baciandomi a lungo e senza tregua.

La sovrastai col mio corpo, mentre le sfilavo febbrilmente i pantaloni e l’intimo, impacciato dai miei movimenti ansiosi.

Volevo essere dentro di lei, volevo sentirmi di nuovo bene e al sicuro, protetto dalle sue braccia.

Provò a sfilarmi la maglia, ma la dovetti aiutare perché le sue dita continuavano a tremare.

Allungai la mano per stringere tra le dita il suo seno, ma ritrassi istintivamente il braccio, nascondendolo dietro alla schiena, mentre mi guardavo attorno alla disperata ricerca della maglia.

Non volevo che vedesse il Marchio Nero, non volevo vedere il disgusto nei suoi occhi.

Avevo appena individuato la maglia sul pavimento, quando sentii le sue braccia intorno al collo e la sua bocca contro la mia. Seduta davanti a me era irresistibile coi capezzoli turgidi e scuri, mentre potevo intravedere sulla sua pelle color del latte tante piccole lentiggini.

Fu lei ad afferrarmi l’avambraccio sinistro, prima che riuscissi a formulare un piano per rimettermi la maglia senza insospettirla.

Stavo per ritrarmi, quando sentii le sue labbra sul tatuaggio.

Avrei voluto dirle qualcosa, avrei voluto chiederle per quale motivo l’avesse fatto, ma lei mi precedette: «Non l’hai voluto tu, tu non sei così... tu sei molto di più».

Baciò di nuovo il Marchio, poi il mio braccio chiaro e la spalla e il collo.

Le sue parole mi diedero coraggio e la strinsi a me, contaminando la sua pelle color panna col nero del tatuaggio.

Dopo pochi secondi eravamo entrambi completamente nudi, i nostri vestiti erano sparsi un po’ ovunque e le coperte erano tutte sul pavimento.

In un breve momento di lucidità mi ricordai di fare un incantesimo contraccettivo poi, cercando di essere il più delicato possibile le entrai dentro, piano, assaporando il momento e la sensazione di benessere totale che l’averla così vicina mi provocava.

Hermione gemette forte, affondando le unghie nella mia schiena e stringendomi a sé con forza.

«Oh, Draco», sussurrò, abbandonando indietro la testa e chiudendo gli occhi per alcuni istanti.

Volevo cancellare quell’incubo dalla mia mente, sostituendolo con un ricordo, il ricordo della nostra seconda notte insieme, in cui avrei potuto dimostrarle quanto l’amavo.

«Hermione», la chiamai, affondando una mano tra i suoi capelli ribelli e scuri.

Quando tornò a guardarmi, puntando i suoi occhi lucidi per l’emozione nei miei, la baciai, cominciando a muovermi piano, assaporando ogni spinta, ogni suo gemito e ogni: «Oh, Draco» che le usciva dalle labbra.

Avevo un ricordo fin troppo nitido della prima volta che avevamo fatto l’amore e del modo impacciato con cui aveva ricambiato ogni mia carezza e bacio.

Questa volta invece sapeva quello che voleva.

Era diventata la ragazza sicura che infestava i miei incubi peggiori: una femme fatale.

Ad ogni bacio mi innamoravo sempre più di lei.

La strinsi maggiormente a me, godendomi la sensazione divina di averla realmente tra le mia braccia.

Non era un sogno e non lo sarebbe mai più stata. Non le avrei permesso di allontanarsi nuovamente da me per nulla al mondo.

Avrei fatto tutto ciò che sarebbe stato necessario per non deluderla una seconda volta.

«Oh, Draco».

Intrecciai le mia dita alle sue, baciandole ogni centimetro di pelle che riuscivo a raggiungere.

«Sei così bella...», sussurrai contro le sue labbra, prima di baciarla. Mi intrecciò le braccia al collo, rispondendo al bacio con una forza e una passione che mi fecero diventare ancora più vorace nei suoi confronti.

Senza preavviso, ribaltò le posizioni, sorridendomi proprio come avrebbe fatto una serpe; con un misto di malizia e sfida che mi fecero ghignare a mia volta.

«Ti piace?», le chiesi, lasciando a lei il comando dei giochi: «La vista da qui è stupenda», ammisi, sollevandomi sui gomiti per mordere piano uno dei suoi rosei capezzoli.

Mi allontanai dal suo seno solo per sbirciare la sua reazione e mi compiacqui nel constatare che apprezzava le attenzioni che le stavo elargendo.

«Non vale», ansimò e, appoggiando le mani sulle mie spalle, mi fece tornare sdraiato: «Stai giù», mi intimò mordendomi il labbro inferiore: «Comando io».

Le trattenni il viso, così da poter continuare il bacio e restituirle il morso: «Sì, signora».

Lo sfregare circolatorio del suo bacino contro il mio mi stava facendo perdere il lume della ragione e, dall’espressione persa del suo viso, intuii che anche lei fosse vicina alla fine.

«Vieni, Hermione, vieni con me».

Lei gemette, forte e, aumentando appena il ritmo, creò la frizione perfetta tra i nostri corpi che ci fece perdere contatto con la realtà e raggiungere l’orgasmo insieme.

Quando riemersi dal lungo istante di piacere mi resi conto di avere ancora entrambe le mani sul suo sedere, così ne approfittai per stringere le dita, saggiando la consistenza di quelle due colline perfette.

Lei mi stava sorridendo, più bella che mai, sdraiata su di me con la guancia contro il mio petto.

Spostai le mani, appoggiandole sui suoi fianchi, individuando subito col pollice il suo piccolo neo, quello che aveva a metà strada tra l’ombelico e il fianco sinistro.

«Potrei stare in questa posizione per sempre», sussurrò, baciandomi la pelle all’altezza dello sterno, poi sollevò il voltò allungandosi per darmi un bacio a fior di labbra.

«Già», risposi, distratto dalla sensazione di ruvido solletico che i suoi capelli mi causavano. Spostai le mani dai suoi fianchi solo per immergerli nei suoi ricci ribelli.

«Perché mi guardi così?», mi chiese, aggrottando appena le sopracciglia.

«Così come?»

Feci scivolare le mani lungo la sua schiena, saggiandone la morbidezza, poi percorsi il tragitto all’incontrario, seguendo la linea della sua colonna vertebrale.

«Come se...», si bloccò, gemendo piano quando spostai le mani sui suoi seni: «Come se mi venerassi».

Mi irrigidii appena alle sue parole, mentre incontravo i suoi occhi che, come sempre, riuscivano a scavarmi dentro e a raggiungere quella parte del mio cuore che normalmente nascondevo anche a me stesso.

Distolsi lo sguardo e, soppesando ogni parola, le dissi: «Ti ricordi quella sera, quando ti ho costretta ad accorciare la gonna della divisa, e tu eri così bella che ogni ragazzo in Sala Grande si è voltato a guardarti quando sei entrata?» sussurrai piano, prima di tornare a guardarla; vedevo dalla sua espressione confusa che non riusciva a capire dove volessi andare a parare: «Ti ho sognata così tante volte, Granger, che per me quella sera tu non eri reale, eri uno dei tanti incubi che mi lasciano sempre senza fiato», ammisi, cercando di sistemarle alcune ciocche ricce dietro all’orecchio destro.

«Dici che ti guardo come se ti venerassi, ma non sono sicuro che ossessione e venerazione significhino la stessa cosa... quella sera quando ci siamo fermati durante la ronda e ti ho chiesto se volevi che ci dividessimo i piani per fare più in fretta e tu mi hai guardato con quello sguardo... perché sei così irresistibile? Perché devi essere tutto quello che non posso avere? Tutto quello che non posso volere?»

Sembrava confusa, come se non riuscisse a cogliere perfettamente ciò che le stessi dicendo.

Ribaltai le posizioni, schiacciando il suo corpo morbido sotto il mio: «Non avrei mai dovuto baciarti il terzo anno, avrei dovuto andarmene e basta», affondai il viso contro la sua spalla: «Mi sarei risparmiato anni di sogni irrealizzabili, mentre tu non sapevi niente e continuavi ad andare dietro a Straccione e Sfigato, tirandoli fuori dai guai».

Lei non diceva niente, sembrava inerme tra le mie braccia, una bambola di porcellana privata degli abiti e della parola.

Mi scostai, con l’intento di rivestirmi e chiudermi in bagno, stravolto dalla sensazione di non essere abbastanza per lei.

Era ovvio che lei non mi avrebbe mai accettato interamente. Avevamo fatto l’amore perché, essendo esseri umani, eravamo deboli e predisposti a cedere alle tentazioni, ma lei non avrebbe mai colto quello che io provavo per lei e quanto i miei sentimenti fossero sinceri.

Le avevo mentito per anni, l’avevo insultata per anni e lei non sarebbe riuscita ad andare oltre quell’odio.

Le sue braccia mi avvolsero, trattenendomi su di lei, dentro di lei: «Non sono un sogno, sono reale».

Sorrisi, ma il mio era un sorriso amaro: «Ah, sì? Dimostramelo».

Le sue dita si strinsero ancora di più sulla mia schiena: «In che modo?», sussurrò, prima di baciarmi le labbra, piano.

«Io non sono brava in queste cose e lo sai, ma sono reale e ho bisogno di te. Sei l’unica e sola persona che mi fa sentire al sicuro malgrado tutto», disse, avvolgendomi i fianchi con le gambe: «Anche tu sei la mia ossessione, Draco».

Tornò a baciarmi, muovendo i fianchi, piano, come se avesse voluto fare ancora l’amore.

«So che c’ero anche io nel tuo sogno; continuavi a sussurrare il mio nome e a stringermi, come se volessi nascondermi o proteggermi. Anche io voglio proteggerti, Draco, voglio...»

Spinsi i fianchi contro i suoi, assecondando i suoi movimenti, mentre il mio respiro cominciava ad accelerare.

«Draco io voglio te... e in», gemette piano, proprio contro la mia bocca socchiusa: «In cambio voglio che tu prenda me».

Le divorai le labbra, prima di lasciarle un piccolo morso al labbro inferiore: «Quindi se dovesse spuntare Lenticchia e ti dicesse che ti ama tu non gli correresti dietro?»

Avevo bisogno di saperlo, il dubbio mi corrodeva il petto, impedendomi di respirare, o era forse il piacere di averla tra le braccia che mi lasciava senza fiato?

Rise, piano: «Sei geloso?»

«Sì», ammisi, aumentando la velocità delle spinte, come se avessi voluto fondermi con lei: «Non hai risposto», le ricordai.

«No, Draco, non gli correrei dietro».

Avevamo parlato abbastanza per i miei gusti e, stranamente, anche Hermione si zittì per qualche secondo, prima di iniziare a gemere per il piacere e a sussurrare il mio nome, mentre io sussurravo il suo.

Con quelle poche parole che aveva detto era riuscita chissà come a ridarmi un po’ di quella speranza di cui avevo bisogno.

Lei non sarebbe corsa da Lenticchia, era mia e, anche se non l’aveva detto esplicitamente, sapevo che mi amava proprio come io amavo lei.

 

***

 

Quando mi svegliai era mattina.

Una cascata di capelli ricci copriva metà del mio petto e del mio viso, mentre una mano bianca era appoggiata al mio fianco destro.

Mi mossi appena, cercando di non svegliarla, ma il suo: «Buongiorno», sussurrato con voce ancora addormentata, mi fece capire di non essere riuscito nell’intento.

«Buongiorno a te», dissi, soffiando via dal mio viso parte dei suoi capelli.

Sapevo che quella notte era stata la svolta decisiva, ci eravamo esposti, avevamo fatto l’amore una, due, tre volte senza mai fermarci e ci eravamo detti “Ti amo” senza aver avuto bisogno delle parole.

Io mi ero affidato a lei e lei si era affidata a me, tutto ciò che ci restava da fare era trovare un modo per sconfiggere il Signore Oscuro e i suoi seguaci più fedeli, come per esempio mia zia Bellatrix, e poi tutto sarebbe andato per il meglio perché saremmo stati insieme.

«Ieri volevo parlarti di una cosa, ma poi mi è sfuggito di mente», le dissi, accarezzandole distrattamente i capelli: «I miei genitori, quando sono andato a pranzo da loro, mi hanno detto che hanno intenzione di tradire il Signore Oscuro. Inoltre, grazie all’elevata posizione di mio padre tra i seguaci di Tu Sai Chi, ha accesso a delle informazioni che potrebbero esserci utili per sconfiggerlo».

Appena avevo pronunciato la parola “tradire”, il capo di Hermione si era sollevato e i suoi occhi intelligenti (anche se ancora un po’ appannati dal sonno), mi avevano guardato con un misto di stupore e interesse. Ad ogni parola i suoi occhi si erano spalancati sempre un po’ di più ed ora sul suo viso potevo leggere un sentimento che mi fece sentire il mago più felice al mondo; lei era orgogliosa di me.

«So quali sono gli Horcrux, dove si trovano e come fare per distruggerli, pensi che Potter e Lenticchia ci possano dare una mano anche se non sono propriamente nelle vicinanze?»

Hermione mi gettò le bracci intorno al collo, baciandomi sulle labbra con dolcezza e reverenza: «Oh, Draco».

Non avevo mai visto i suoi occhi brillare tanto e l’espressione sul suo volto mi fece desiderare di renderla così felice per il resto della vita.

 

 

 

*********************************************************************************

 

Ri-ciao :)

E finalmente Hermione e Draco hanno abbassato tutte le difese. Siete contente?

So che il discorso di Malfoy alla nostra Grifoncina non sembra avere molto senso, ma l’ho voluto scrivere per sottolineare come lui non sappia come comportarsi con lei: non vuole dirle che la ama perché ha paura che lei non gli creda, quindi cerca di conservare un po’ della sua dignità dicendole che non la venera, che lei è solo un’ossessione ecc. In questo capitolo infatti è Hermione che, per una volta è costretta ad esporsi un po’ di più...

Bene, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate voglia di lasciarmi un commentino (anche breve breve) per farmi sapere che ne pensate :)

Per quanto riguarda il prossimo capitolo cercherò, entro i primi di Giugno, di scriverlo e postarlo, ma nel caso ritardassi non disperate che farò il possibile per non farvi aspettare troppo! :)

Perfetto, direi che vi ho detto tutto... ah! Ovviamente se volete pormi qualche domanda o qualsiasi altra cosa potete sempre mandarmi un messaggio qua su EFP e io vedrò di rispondervi il prima possibile e in modo più esauriente possibile :)

Al prossimo capitolo!

 

Un BACIONE,

 

LazySoul

 

p.s. volevo solo proporvi, nel caso qualcuno fosse interessato, una one-shot originale che ho scritto e che, se volete, potete trovare qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2605934&i=1

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** The Deathly Hallows ***


cap_14

Consiglio di leggere prima qua: Capitolo settimo

 

 

14. The Deathly Hallows

 

 

Inspirai a fondo e sorrisi, godendomi la sensazione delle braccia forti che mi stringevano a sé.

Forse si stava davvero sistemando ogni cosa, risolvendosi al meglio.

Sapevo che Draco ed io, insieme, ce l’avremmo fatta.

Sciolsi l’abbraccio per dargli un veloce bacio sulle labbra: «I tuoi sanno che mi hai aiutato?»

Lui annuì: «Gliene ho parlato ieri, dopo che mi avevano comunicato la loro intenzione di tradire il Signore Oscuro».

Aggrottai appena le sopracciglia: «E hai anche riferito ai tuoi genitori cosa c’è tra di noi?»

Scosse la testa, imbarazzato: «Ho pensato di sganciare una caccabomba alla volta, altrimenti avrebbero dato di matto».

Sorrisi appena: «Hai fatto bene», lo rassicurai, accarezzandogli la guancia.

Rimanemmo per lunghi istanti a fissarci, persi nei nostri pensieri e nella calma e la sicurezza che trasmetteva lo stare vicini.

La sera prima di eravamo esposti entrambi e, senza che ci fosse stato bisogno di esprimere a voce le nostre emozioni, ci eravamo detti a modo nostro “Ti amo”.

Avevo sospettato, in fondo al mio cuore, di essere la ragazza di cui Blaise aveva parlato quella mattina, durante la colazione al tavolo Serpeverde, anche se non avevo mai permesso a me stessa di illudermi tanto da credere al mio sesto senso.

Draco aveva detto che mi aveva sognata per anni e che ero la sua ossessione…

Ero così felice che mi sarebbe piaciuto saltellare per la gioia.

«Cosa ti ha detto tuo padre?», gli chiesi, riscuotendomi dalla perfezione del momento, tornando ai problemi che ancora dovevamo risolvere, prima di poterci dedicare l’uno all’altra totalmente.

«È stata mia madre a convincerlo e sono contento che l’abbia fatto. Mio padre ha detto che il Signore Oscuro ha parlato con Olivander e si è convinto dell’esistenza della bacchetta di Sambuco e che grazie ad essa sarà in grado di sconfiggere Potter…»

Lo interruppi, posandogli un dito sulle labbra.

«Bacchetta di Sambuco? E Cos’è?», gli domandai, curiosa.

Lui rimase per qualche istante a scrutarmi in viso, prima di sfoggiare uno di quei suoi sorrisetti odiosi: «Lasciami assaporare questo momento per ancora qualche secondo, Granger».

Chiuse gli occhi e il suo ghigno si accentuò ulteriormente: «Hermione-so-tutto-io-Granger non sa una cosa che io so… mi sento un Dio in questo momento…»

Aprii la bocca, divertita e offesa allo stesso tempo dalle sue parole: «Hey!», esclamai, prima di colpirlo al braccio col pugno.

Lui mi sorrise, dandomi un piccolo bacio sulla fronte, prima di rispondermi seriamente, anche se sulle sue labbra continuava ad aleggiare un sorrisetto alla Malfoy: «La bacchetta di Sambuco si trova in una delle “Fiabe di Beda il Bardo”, che s’intitola “I doni della morte”. Nella fiaba tre fratelli, grazie alla magia, costruiscono un ponte per attraversare un fiume. La morte, che si sente presa in giro dalla loro astuzia finge di congratularsi con loro, concedendo a ciascuno di loro un dono. Il maggiore dei fratelli chiede una bacchetta imbattibile e potentissima, che la morte crea da un albero di sambuco. Il secondo chiede una pietra che gli permetta di far tornare in vita i morti, la pietra quindi della resurrezione. L’ultimo fratello chiede un mantello che gli permetta di essere invisibile. Il primo fratello dopo essersi vantato a lungo del potere della sua bacchetta viene ucciso nel sonno e la sua bacchetta  rubata. In questo modo la morte prende la sua anima. Il secondo fratello grazie alla pietra della resurrezione fa tornare dall’aldilà lo spirito della donna da lui amata, ma accortosi della tristezza di lei, finisce col suicidarsi per potersi unire a lei per sempre nell’aldilà. E così la morte ottiene l’anima anche del secondo fratello. Il terzo fratello intanto, grazie al mantello dell’invisibilità rimane nascosto alla morte per anni, fino a quando non decide che è giunta la sua ora e si consegna di propria spontanea volontà tra le braccia della morte, donando il mantello al figlio.»

Riflettei per qualche secondo sulle sue parole, poi annuii: «Quindi il Signore Oscuro crede di poter uccidere più facilmente Harry grazie a questa bacchetta potente e imbattibile… l’ha già trovata?»

«Non ancora, ma temo che Olivander prima o poi gli dirà ciò che vuole sapere…»

Annuii, sentendo una stretta al cuore al ricordano della mia prima visita a Diagon Alley, dove avevo acquistato la mia bacchetta da quel gentile signore coi capelli grigi e gli occhi acquosi e vivaci.

«Hai detto che sai quali sono gli Horcrux…», gli ricordai, sedendomi sul bordo del letto.

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo e, per la tensione del momento, iniziai a sfregare una mano contro l’altra, quasi volessi scaldarmi o accertarmi di possedere ancora tutte e dieci le dita.

«Sì, ce ne sono cinque, di cui tre sono già stati distrutti. Mancano la coppa di Tassorosso e la tiara di Priscilla Corvonero. Questo è tutto quello che so, il Signore Oscuro non ha condiviso altre informazioni con i miei genitori, ma potrei sempre cercare altre fonti…»

Mi alzai di scatto e gli presi una mano tra le mie: «Mi raccomando, fai attenzione, non voglio che tu ti metta inutilmente in pericolo, ok?»

Mi sarebbe piaciuto parlargli senza quel tremolio delle mani e della voce, che smascherava la mia eccessiva apprensione.

Malfoy spostò lo sguardo dalle nostre mani unite per guardarmi negli occhi.

Nelle sue due iridi grigie potevo notare un pizzico d’ilarità che subito non riuscii a comprendere, anche se mi fece sorridere.

«Penso, Granger, che tu mi stia confondendo con i tuoi due amici sfigati che si getterebbero nel fuoco senza fare una piega, pur di salvare il mondo magico…»

E addio al sorriso di poco prima.

«Non sono sfigati!», esclamai, cercando di sfoggiare l’espressione più corrucciata e infastidita del mio repertorio.

Lui si mise a ridere e, se non fossi stata troppo concentrata a mantenere il muso, ne avrei approfittato per godermi la sua contentezza e quel suono così naturale e spensierato che era la sua risata.

«È così facile farti arrabbiare, Granger… non so se sentirmi geloso per il tuo commento, o orgoglioso della lealtà che dimostri nei confronti di coloro a cui vuoi bene…»

Aprii la bocca per rispondergli, poi la richiusi, rendendomi conto di non saper cosa dire.

Draco mi sorrise appena, prima di darmi un breve bacio sulle labbra: «Dovrei essere geloso?», sussurrò contro la mia bocca.

Scossi la testa, insicura di riuscire a parlare correttamente con le sue labbra così vicine e i suoi occhi indagatori puntati nei miei.

«Bene», mormorò, prima di regalarmi uno di quei suoi baci mozzafiato che mi facevano perdere il contatto con la realtà.

Quando le sue labbra si separarono dalle mie, sentii una fitta di disappunto, che mi fece desiderare di riceverne presto un altro. 

«Devo andare, Granger», disse, passandomi il pollice sul labbro inferiore; gesto che mi fece fremere dalla punta dei piedi a quella delle orecchie, prima di vederlo alzarsi e iniziare a vestirsi.

Mi alzai a mia volta: «Dove vai?», chi chiesi, fingendomi indifferente, quando in realtà dentro di  me bruciavo per la curiosità.

«Ho una ronda che mi aspetta, inoltre devo andare da Piton», rispose, mentre si abbottonava una delle numerose camicie bianche che popolavano il suo armadio a muro.

«Piton!? Perché Piton?», domandai, confusa e preoccupata, avvicinandomi a lui.

«Perché mi dà lezioni di pozioni un paio di volte a settimana, per aiutarmi a migliorare. Dice che se voglio passare il test necessario per intraprendere la carriera di medimago, ci vorrà ancora del lavoro…».

Medimago? Piton? Lezioni?

Malgrado la situazione assurda, sorrisi.

«E così vuoi diventare medimago…»

Malfoy arrossì appena: «Sì», abbassò lo sguardo, sistemandosi i polsini della camicia, prima di nascondere l’espressione confusa e vulnerabile con uno dei soliti ghigni alla Malfoy: «E tu, Granger? Sarai la prossima professoressa di babbanologia qui ad Hogwarts?»

Tipico di Malfoy: nascondere le proprie debolezze facendo domande pungenti come dei Vespampiri. (1)

«Certo che no!», dissi semplicemente, coricandomi sul letto, in modo però da tenerlo d’occhio.

Lui si voltò per prendere una cravatta e io non potei fare a meno di abbassare lo sguardo per ammirare il suo magnifico lato B.

«Cosa allora?», domandò, continuando a darmi le spalle.

«Penso di averne avute abbastanza di avventure per una sola vita, vorrei un semplice e monotono lavoro da impiegata al Ministero della Magia, magari nel Dipartimento della Regolazione e Controllo delle Creature Magiche… mi interessa la tutela di ogni creatura… sai della mia associazione C.R.E.P.A?»

Non lo sentii ridere, ma dal movimento convulso delle sue spalle, ero certa che lo stesse facendo.

«Sì, Granger. Se non ricordo male l’anno scorso provasti a convincere Tiger e Goyle ad iscriversi, promettendo loro dei dolcetti. Per fortuna poi arrivò il sottoscritto, invitandoti gentilmente ad andare ad importunare qualcun altro…»

Assottigliai lo sguardo, desiderando che si voltasse per poterlo incenerire con un’occhiata.

«Lo ricordo fin troppo bene», dissi tra i denti, ricordando come il C.R.E.P.A era stato fin dall’inizio un gran fiasco e solo una decina di persone in tutta la scuola avevano deciso di aderirvi.

Lui si voltò, ghignando: «Se non ricordo male, non hai avuto molto successo…»

Senza pensarci due volte, mi alzai dal letto, puntando il mio indice contro il suo petto, desiderando di potergli sfondare la gabbia toracica e lo sterno con quel semplice gesto.

«Solo perché voi maghi siete così boriosi, snob e legati alle vostre stupide tradizioni da non riuscire a vedere oltre un palmo dal vostro naso! Altrimenti…»

«Oh, io ci vedo benissimo, Granger, fidati…», disse, guardando con una strana espressione all’altezza del mio petto, facendomi notare che la maglietta bianca che indossavo non riusciva a coprire decentemente il mio seno.

Alzai un braccio per coprirmi, anche se effettivamente capivo l’assurdità del gesto, prima di venir bloccata dalla sua mano.

«Basta litigare», mormorò divertito: «Ne discuteremo una volta che tutto questo sarà finito».

Mi diede un bacio rabbioso, o almeno così lo percepii, dato che mi sarebbe tanto piaciuto morderlo. Sfortunatamente si allontanò troppo in fretta, impedendomi di mettere in pratica il mio desiderio. 

«Bene, ora devo andare. Tra qualche minuto arriverà Breedy con la colazione e poi penso che la Lovegood ti raggiungerà per tenerti compagnia…»

Aprì la porta e si girò un’ultima volta per dirmi: «A dopo, Hermione», prima di scomparire, lasciandomi accaldata per il litigio e per il bacio.

Possibile che anche discutere con lui mi rendesse così… viva?

Mi lasciai cadere du schiena sul letto e sorrisi.

Non riuscivo a controllare in nessun modo la magnifica sensazione di essere amata e di amare a mia volta, anche se mai e poi mai mi sarei aspettata che ciò accadesse proprio con Draco Malfoy!

Anzi, forse il primo anno, quando avevo una terribile cotta per lui mi ero immaginata un paio di volte di sposarlo e di avere tanti bei bambini coi capelli biondi...

Ma ero una bambina ai tempi, ingenua e sognatrice, non sapevo nulla di nulla e vedevo Malfoy come un principe azzurro in miniatura vestito di verde e argento, quindi quei sogni idealizzati non contavano!

Certo, speravo nuovamente che si avverassero, ma questa volta sapevo di essere lontana dal poterli realizzare. C'era una guerra da combattere all'orizzonte e basse possibilità di vincerla, per non parlare della ancora più basse possibilità di sopravvivere entrambi allo scontro.

Un pensiero molesto e improvviso mi attraversò la mente, facendomi sussultare: "Come potrei sopravvivere senza di lui?"

Mi sollevai a sedere e poi mi alzai, facendo il giro della stanza a piedi un paio di volte, nel tentativo di schiarirmi le idee e scacciare dalla mente pensieri simili.

«Andrà tutto bene, Hermione, si sistemerà ogni cosa...»

Questa volta parlare a me stessa non servì a nulla, continuavo a sentire un nodo alla gola e lo stomaco sottosopra per la paura.

Dovevo pensare a qualcosa...

Forse esisteva un incantesimo o una pozione che potesse diminuire la probabilità di morire durante una battaglia? O magari una radice o un frutto che...?

Risi per svariati secondi della mia stupidità e ingenuità, prima di lasciarmi cadere sul letto con un sospiro sconsolato.

Solo fuggendo insieme avremmo avuto la certezza di sopravvivere entrambi...

Il pensiero di abbandonare i miei amici a combattere mentre Draco ed io ci mettevamo in salvo mi fece inorridire; per quanto l'idea potesse essere allettante non avrei mai e poi mai fatto una cosa simile!

Breedy annunciò la sua presenza con un sonoro "pop", prima di fare un inchino e appoggiare un vassoio colmo di cibo sul tavolino che probabilmente fungeva solitamente da scrivania.

«Buongiorno, signorina Granger», disse l'elfo, sorridendomi.

Breedy era proprio la distrazione di cui avevo bisogno per allontanare la guerra e la morte dalla mia mente.

«Buongiorno a te... Tu credi alla leggenda de "I doni della morte"? Pensi che esista la bacchetta di Sambuco?»

Breedy sbarrò gli occhi, poi si grattò il naso adunco prima di rispondermi: «Penso che la potenza di una bacchetta dipenda dal mago che la usa, non dalla bacchetta».

Annuii, mentre riflettevo sulle sue parole, poi, per chissà quale scherzo della mente mi ricordai un'altra parte della conversazione avuta con Malfoy e guardai Breedy con occhi indagatori: «Tu credi che sia giusto per gli elfi domestici essere trattati come schiavi?»

La domanda lo colse alla sprovvista, ma rispose lo stesso poco dopo, ponderando parola per parola: «È considerato un gran disonore essere liberati, perché significa che l'elfo non è stato in grado di soddisfare i desideri del padrone».

Aggrottai le sopracciglia: «Non hai risposto», gli feci notare.

Breedy arrossì e un'espressione imbarazzata gli alterò i lineamenti: «Non è compito degli elfi domestici dire se è sbagliato o giusto, signorina Granger».

Sbuffai, ma non insistetti, dato che mi ero resa conto del fatto che il povero elfo cominciava a sentirsi a disagio a causa della nostra conversazione.

«Grazie lo stesso», dissi semplicemente, certa che non sarei riuscita a cavargli di bocca qualcosa di minimamente utile per la mia causa.

«Breedy le augura una buona colazione, signorina».

«Grazie, a dopo, Breedy».

Nel giro di un decimo di secondo era sparito con un "pop", lasciandomi di nuovo sola.

 

Per colazione bevvi del tè e mangiai un croissant alla marmellata di fragole.

Pensai di continuare a leggere “Le Fiabe di Beda il Bardo”, ma temevo di non avere tempo per finire una delle storie prima che arrivasse la mia amica Corvonero.

Appena Luna mi avesse raggiunta l’avrei bombardata di domande a proposito del diadema di Priscilla Corvonero, oltre a chiederle se fosse a conoscenza dei doni della morte e se credesse nella loro esistenza.

Infine insieme avremmo provato a cercare un’idea per andare in giro per il castello a cercare il diadema, senza farci scoprire, ovviamente se si fosse trovato ad Hogwarts, altrimenti...

La porta si aprì di colpo, facendomi sussultare per lo spavento, mentre una scocciata Daphne Greengrass entrava, accompagnata dal costoso profumo Morgana, la nuova fragranza femminile di Penelope P. (2)

Si sbatté la porta alle spalle e, con un sorriso amaro da perfetta Serpeverde, mi punto contro la bacchetta.

Tutto avvenne troppo in fretta, tanto che non ebbi nemmeno il tempo di rendermi conto di cosa stava succedendo e di avere paura per la minaccia che costituiva quel legno a pochi centimetri dal mio naso.

«Ora, Granger, faremo due chiacchiere tra donne, tu ed io. Sono sicura che tu sia fiera di te stessa, scommetto che non deve essere stato facile trovare un filtro d’amore o un incantesimo o qualsiasi altra cosa tu abbia utilizzato, tanto potente da incantare Malfoy per anni. Sputa il rospo, Mezzosangue, dimmi cosa posso fare per togliergli quegl’insopportabili occhi a cuoricino dalla faccia e nessuno si farà male... forse».

Durante il discorso avevo provato ad interromperla un paio di volte, per spiegarle che si stava sbagliando, ma tutto quello che ottenni fu la bacchetta puntata ancora più vicina al mio povero naso.

«Sto aspettando», disse, assottigliando ulteriormente lo sguardo.

Chissà per quale motivo mi tornò alla mente l’artico di “IoStrega” che una mattina Ginny stava leggendo in Sala Grande, il cui titolo era: “Come comportarsi con le migliori amiche del nostro lui” (o qualcosa di simile).

Peccato che all’epoca fossi ancora cotta di Ron e pensavo che consigli simili non mi sarebbero serviti a niente.

Come mi sbagliavo!

 

 

 

 

 

(1) I Vespampiri sono presenti nel gioco di “Harry Potter e il Calice di Fuoco” per PlayStation2 (ebbene sì, ogni tanto gioco anche alla Play... non posso mica passare tutto il mio tempo a leggere e scrivere!). Comunque, per chi non avesse idea di che cosa sono, nel gioco sembrano delle api rosse enormi che ti pungono ogni volta che cerchi di fare qualcosa di utile nel gioco, facendoti cadere a terra. È per questo che le ho associate alle domande pungenti di Malfoy.

 

(2) Dato che sono una “scrittrice” e ho dei diritti in quanto tale, ne ho approfittato per inventarmi il nome di un profumo e la marca... inutile dire che ovviamente non penso che sia reperibile sul mercato xD

 

 

E dopo aver passato metà estate sui libri e aver finalmente finito il Liceo una volta per tutte, sono tornata con un nuovo capitolo! :D

Ciaoooo! Come va? :)

Io sono al settimo cielo, per essere riuscita finalmente a scrivere un capitolo abbastanza decente!

Non succede nulla di eclatante temo, tranne alla fine, con l’arrivo della cara Daphne...

(Che dite, Hermione riuscirà a calmarla? O interverrà qualcun altro in soccorso della nostra Grifondoro?)

... però spero che vi sia piaciuto e che abbiate voglia di lasciarmi una recensione, anche solo per dirmi che sono la solita ritardataria, o che la storia continua ad intrigarvi, anche se sono la solita ritardataria...

Ah! Comunicazione importantissima! Per i prossimi capitoli, pensavo di comunicarvi la data o possibile periodo di pubblicazione sul mio bio, così lo sfrutto per qualcosa xD

Mi è mancato tanto EFP e che cercherò in queste vacanze di scrivere, scrivere e ancora scrivere così da portarmi avanti col lavoro... fino all’inizio di Agosto però sarò in Croazia... quindi se mi scrivete qualche insulto e non ricevete subito risposta non è a causa della mia pigrizia, ma potrebbe essere colpa della mancanza di wi-fi...

Last but not least, vorrei dedicare un grazie speciale a: kasumi_89, kelia, mary000, ladyathena, loverdraco e lololove16 che hanno recensito il tredicesimo capitolo e a trislot ed elenamassara che mi hanno lasciato un commento al quinto capitolo di "Pieces of Life".

Un bacione immenso a tutti! ;*

A presto, 

LazySoul

p.s. Mi raccomando! Ditemi che ne pensate del capitolo! xD

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Unexpected visit ***


cap_15

15. Unexpected visit

 

Era in situazioni simili che capivo quanto fossero utili le bacchette e si acuiva in me il desiderio di possederne una.
Involontariamente guardai verso il comodino, ma mi resi subito conto che quel giorno Malfoy non mi aveva lasciato il suo legno in caso di necessità.
A quanto pareva ero costretta a farmi minacciare senza avere la possibilità di difendermi.
Fantastico.
«Non so di cosa tu stia parlando, Greengrass», le dissi, sperando di non averle dato l'impressione di star mentendo, altrimenti l'interrogatorio non sarebbe mai giunto ad una fine.
«Certo, Granger, fingiamo che io ti creda. Spiegami allora perché stai continuando ad illuderlo di provare lo stesso per lui? Solo per salvare te stessa e i tuoi amici straccioni? O per poter dire un giorno: "Ho avuto in pugno il cuore di Draco Malfoy e per pietà alla fine l'ho lasciato andare"?»
Aggrottai le sopracciglia e scossi la testa; ero indignata e offesa dalle sue false supposizioni ed ero intenzionata a dimostrarle che si sbagliava totalmente sul mio conto.
«Mi dispiace, ma non hai indovinato. Non ti sei minimamente avvicinata alla verità».
Avrei voluto continuare, ma la bacchetta della Serpeverde si era ormai puntata contro il mio petto, creando una pressione minima che mi fece gelare il sangue nelle vene e perdere per pochi secondi l'uso della parola.
«Io...», iniziai e avrei voluto dirle molte cose, farle capire che le sue erano tutte supposizioni senza fondamento, esponendole chiaramente i fatti, ma riuscii a dirle solo tre parole misere, rispetto a lungo discorso che avevo preparato: «Io lo amo».
E infondo, perché sprecare parole e parole, quando in effetti con quelle poche che avevo detto ero riuscita a spiegare l'inspiegabile?
In quale altro modo avrei potuto esprimere i miei sentimenti e la completa confusione che albergava il mio cuore?
Il secondo dopo la mia confessione, sentii scomparire la fastidiosa pressione all'altezza del petto e vidi la Greengrass guardarmi con una luce nuova negli occhi.
«Davvero?», chiese con tono casuale, come se stesse chiedendo conferma della temperatura esterna prima di uscire, mentre si rigirava la bachetta tra le mani. Sembrava più interessata allo spessore ed elasticità del legno tra le sue mani piuttosto che della mia risposta e il suo comportamento mi fece sorridere involontariamente: era passata dall'essere furiosa e pericolosa ad essere quasi timida e insicura.
La Greengrass era davvero buffa.
«Sì».
Lei annuì appena, poi posò la bacchetta nella tasca posteriore dei suoi pantaloni scuri.
«Va bene, ti credo e per il momento ho deciso di risparmiarti la vita. Sappi che se lo farai soffrire in qualsiasi modo io...»
«Daphne?»
Ci voltammo entrambe al suono di quella voce maschile, trovandoci davanti uno stupito Blaise Zabini e una sorridente Luna.
L'espressione della Greengrass cambio ulteriormente, il volto minaccioso, lasciò il posto ad un sorriso luminoso che metteva in mostra tutti e trentadue i denti.
«Ciao, Blaise», disse, salutando il suo amico per poi dedicare un'espressione di disprezzo alla Corvonero: «Lunatica», la apostrofò con un sorrisetto crudele sulle labbra.
Zabini fece una smorfia: «Si chiama Luna Lovegood. Trovo il tuo comportamento profondamente infantile e ingiusto.»
Non fui l'unica a rimanere con la bocca semi aperta per qualche secondo, anche la Greengrass era sconvolta quanto me, tanto che non riuscì a dire niente per quelli che sembrarono secoli.
Luna era rossa in viso e guardava Zabini di sottecchi, con gli occhi che sembravano brillarle.
«Vieni, Daphne, dobbiamo andare», disse Zabini, che non sembrava essersi reso conto delle tre stupite paia di occhi fissi su di lui.
Il Serpeverde prese la ragazza per il braccio e la portò oltre la soglia.
Prima di chiudere la porta fece un breve inchino: «Granger, Lovegood, a dopo».
Dopo il rumore che produsse la chiusura della serratura, si diffuse il suono della mia risata involontaria.
«Dimmi che è come penso», dissi a Luna, trascinandola sul letto, così da poterla torturare un po' con la mia curiosità, lasciando a dopo le domande a proposito di Priscilla Corvonero e il suo misterioso diadema.
«Al momento temo di avere più dubbi di te a proposito», sussurrò Luna, prima di nascondere il viso tra le mani per pochi istanti.
Sembrava stesse cercando di ritrovare il respiro o la calma… O forse entrambi.
Una volta che sembrò aver raggiunto il suo scopo, scostò le dita, in modo da guardarmi attraverso le fessure da lei create: «Mi ha davvero difesa davanti alla Greengrass, o mi sono immaginata tutto?»
La voce tremante con cui mi rivolse quella semplice domanda mi fece sorridere: «Temo che sia successo per davvero», le sussurrai, accompagnando le mie parole con un occhiolino.
Spostò del tutto le mani dal viso e le appoggiò sul ventre.
Aveva il volto chiazzato di rosso e le orecchie parevano incandescenti rispetto al biondo pallido di capelli.
Un dolce sorriso le comparve sulle labbra: «Ieri sera Blaise stava male, così l'ho aiutato come potevo. Temevo di aver esagerato con le attenzioni, dato che questa mattina era tornato freddo e distante, ma educato, come suo solito. Ora invece ho avuto la conferma che, qualsiasi cosa stia succedendo tra di noi, la sente anche lui.»
Il mio sorriso ad ogni sua parola, sembrava allargarsi sempre di più: «Quindi ti piace?»
«Come può non piacermi? È simpatico, divertente, educato e dolce... Per non parlare del fatto che non mi prende in giro come tutti gli altri quando parlo di cose che comunemente le persone normali non percepiscono... So che anche tu a volte pensi che io sia pazza».
Volevo interromperla, dicendole che non era affatto vero, ma lei aveva già alzato la mano per zittirmi.
«Ma va bene... In fondo so di non essere propriamente normale solitamente, eppure lui mi fa sentire bene; quando parlo mi ascolta e quando gli dico cose che lui non conosce, non cambia discorso, ma mi chiede spiegazioni...»
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, lei probabilmente persa nel ricordo della sera precedente, mentre io cercavo le parole giuste per dirle che non la consideravo affatto pazza. Strana, forse, ma in fondo non avrebbe avuto senso vivere in un mondo magico normale e monotono.
Volevo bene a Luna proprio perché riusciva a dire cose che nessuno si sarebbe aspettato di sentir dire...
«Questa notte ho sognato di baciarlo e ora ho paura che ciò si avveri», mormorò abbassando il viso, in modo da coprirsi i lineamenti con i lunghi capelli biondi.
«Perché hai paura? Hai detto che ti piace, no?», chiesi, cercando di capire quale fosse il problema.
«Sì, ma ieri sera abbiamo parlato e mi ha raccontato della sua ex ragazza e del fatto che gli ha spezzato il cuore. Non voglio essere una distrazione, vorrei che mi baciasse perché gli piaccio a mia volta e non per ripicca nei confronti di quell'altra ragazza... Capisci?», chiese, tornando a guardarmi.
«Sì, capisco», mormorai, fissando la porta della stanza a pochi passi da noi, chiedendomi se Malfoy avesse mai amato qualcun'altra.
«Cosa voleva la Greengrass?», chiese Luna, nell'impacciato tentativo di cambiare discorso.
«È convinta che io abbia fatto un incantesimo o rifilato una pozione d'amore a Malfoy, assurdo!», dissi, scuotendo il capo per sottolineare il mio ancora vivo stupore per l'accaduto.
«Davvero? Ed è per questo che ti puntava contro la bacchetta?», domandò allibita: «Certo che i Serpeverde sono esagerati, a volte».
Ci sorridemmo e calò nuovamente il silenzio nella stanza.
Dopo pochi secondi decisi di portare la conversazione sugli Horcrux, sperando che Luna fosse in grado di aiutarmi.
«Tu sai qualcosa a proposito del diadema di Priscilla Corvonero?»
Aggrottò appena le sopracciglia: «So quello che la maggior parte delle persone normalmente sa; cioè che è andato perduto e nessun essere vivente conosce la sua attuale collocazione… Vorrei poterti dire di più, ma non credo di essere la persona più adatta...»
Annuii appena alle sue parole, rendendomi tristemente conto di essere al punto di partenza.
«Come mai ti serve il diadema, Hermione?», domandò, mettendosi a gambe incrociate sul letto accanto a me, dondolando appena avanti e indietro, come se stesse seguendo il ritmo di una silenziosa canzone.
«Il diadema è uno degli Horcrux», le spiegai, copiando la sua posizione così da essere faccia a faccia.
Spalancò appena gli occhi, annuendo: «Forse c'è qualcuno che potrebbe sapere qualcosa in più rispetto a quel poco che ti ho detto, ma è molto difficile parlare con lei...»
Afferrai il suo braccio, stringendolo appena tra le mie dita: «Chi?»
Luna sospirò: «Come ti ho detto non è un essere vivente...»
Stavo per chiederle chiarificazioni, quando capii immediatamente a chi si riferisse: «La Dama Grigia».
Lei annuì: «Solitamente quando sono triste o pensierosa vado a trovarla e le parlo. Lei è molto timida con le persone che non conosce…»
«Grazie, Luna», le dissi, lasciando la presa sul suo braccio: «È comunque un passo avanti».
«Credi che potrei andare io a parlarle?»
«Non penso che Draco e Zabini saranno entusiasti della tua proposta, ma devo ammettere di essere stanca di queste quattro mura, ho bisogno di uscire e capisco il tuo desiderio di evadere!», sospirai, lasciandomi cadere sulla schiena, in modo da fissare il soffitto, sconsolata.
«Hai avuto altre notizie da Harry?», chiese Luna, guardando verso il comodino di Malfoy, dove il galeone incantato non aveva ancora dato segni di vita dall'ultima volta che era stato usato.
Scossi la testa: «Dopo manderò loro un messaggio per far sapere che sappiamo quali sono alcuni degli Horcrux, sperando che anche loro abbiano scoperto qualcosa di nuovo...»
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, prima che mi venisse in mente l'altra domanda che volevo porgerle: «Conosci la leggenda de "I Doni della Morte"?»
Luna mi sorrise: «È una delle "Fiabe di Beda il Bardo" che più mi hanno letto da piccola.»
Aveva il viso illuminato da una luce nuova, come se con le mie parole avessi avuto il potere di accendere un interruttore dentro di lei.
«Mio padre crede fermamente nell'esistenza del mantello, la pietra e la bacchetta donati dalla morte e penso che mi abbia trasmesso un po' della sua fissazione… Perché me lo chiedi?»
«Draco mi ha riferito che Tu Sai Chi è alla ricerca della bacchetta di Sambuco e che con essa vuole sconfiggere Harry».
Rimanemmo nuovamente in silenzio per qualche secondo, prima che Luna lo interrompesse, tornando al discorso precedente: «Una volta trovato l'Horcrux sapresti come distruggerlo?»
Le sue parole mi fecero capire quanto disorganizzata fosse la nostra missione.
Luna aveva sollevato una questione che prima non mi aveva nemmeno sfiorato la mente, anche se sarebbe stato meglio che l'avesse fatto.
Come distruggerli? Aveva funzionato il veleno di Basilisco il secondo anno e per l'anello ed il diadema era stata usata la spada di Grifondoro, che ora aveva Harry.
L'unica nostra possibilità era quella di scendere nuovamente nella Camera dei Segreti e recuperare una delle zanne di Basilisco.
Prima però dovevamo trovare l'Horcrux...
«Al momento l'unica soluzione che mi viene in mente è il veleno di Basilisco».
Luna annuì piano, passandosi una mano tra i lunghi capelli biondi.
«La guerra mi fa paura», sussurrò.
Stavo per dirle che era normale, che tutti hanno paura della morte e non bisogna vergognarsi, ma lei tornò a parlare prima che io potessi rassicurarla.
«Il punto è che non ho paura per me, ma per qualcun altro… Mi capisci, vero?», la sua voce era a malapena udibile.
Sospirai: «Sì, Luna, ti capisco».
Pensai a Draco e al fatto che non volevo perderlo ancora.
Stavamo insieme da così poco e volevo imparare, con il tempo, a conoscerlo sempre di più.
Volevo alzarmi ogni giorno a trovarlo addormentato accanto a me, volevo addormentarmi ogni sera col suo viso ad un palmo dal mio, volevo vivere con la certezza di averci almeno provato.
Se la guerra me l'avesse portato via avrei vissuto nei rimpianti, nei "se" e "forse", perdendo il contatto con il mondo reale; vivendo di sogni e ricordi…
«Quanto vorrei che tutto finisse presto», dissi, per colmare l'improvviso silenzio: «anche se ho paura di come finirà…»
«Staranno via tutto il giorno?», chiese Luna, lanciando uno sguardo veloce alla porta della stanza.
«Non lo so», ammisi, sorridendole appena.
Forse era per la situazione critica in cui ci trovavamo, o a causa di tutti i tristi pensieri che mi affollavano la mente, ma in quel momento avrei voluto avere Draco accanto, per accertarmi che andasse tutto bene e che fosse sano e salvo…
"Basta!", pensai: "Basta pensare sempre a lui!"
Ma per quanto me lo ripetessi non riuscivo a non preoccuparmi.
 

***

 
Nel giro di due ore riuscimmo, Luna ed io, ad analizzare ogni possibile scenario e scrivere numerosi appunti su una pergamena che avevo trovato sulla scrivania di Draco.
Una delle domande che ancora rimaneva priva di risposta era: "Come fare a liberare Hogwarts?"
Iniziare una guerra in così pochi era una pazzia, ma trovare il modo di far entrare i membri dell'Ordine, i professori e i ragazzi che erano riusciti a fuggire dalla scuola non era un giochetto da ragazzi…
Forse però con l'aiuto di Draco saremmo riusciti ad inventarci qualcosa.
Un altro dei problemi irrisolti consisteva nel doversi procurare una zanna di Basilisco, dato che nessuno di noi conosceva il serpentese, necessario per entrare nella Camera dei Segreti. Luna però mi rassicurò di aver visto in biblioteca un libro che parlava di questa rara lingua e magari Draco avrebbe potuto procurarcelo.
Inoltre bisognava organizzare il colloquio con la Dama Grigia per poter avere qualche informazione in più a proposito del diadema e, anche se Luna sperava di poterle parlare lei stessa, io temevo che né Draco né Zabini avrebbero approvato la sua proposta di interrogare da sola il fantasma.
Per non parlare del fatto che io ancora non avevo una bacchetta e Luna non sapeva dove la sua fosse finita…
Troppi problemi da risolvere e poche persone per occuparsi di tutto! 
Stavo giusto appuntando sulla pergamena il problema delle bacchette, quando bussarono alla porta.
Quel suono mi fece gelare il sangue nelle vene per un terribile secondo: mille pensieri mi attraversano la mente e, solo con l'entrata in circolo dell'adrenalina riuscii a muovermi.
Afferrai la pergamena e la piuma con una mano e il braccio di Luna con l'altra.
Subito pensai di nasconderci nell'armadio, ma ricordai che era organizzato a ripiani e sarebbe stato quindi impossibile nascondervisi all'interno.
Sotto il letto anche non sembrava un'opzione molto sicura, così optai per il bagno, ringraziando col cuore le tende della doccia, dietro le quali nascosi Luna, la pergamena e la penna, mentre io mi accovacciai all'altezza della serratura per sbirciare i movimenti nella camera da letto.
Sapevo che la porta della stanza era stata chiusa a chiave quando Zabini se n'era andato, ma sapevo altrettanto bene che un semplice "Alohomora" sarebbe bastato per aprirla come se nulla fosse.
«Draco?», chiamò una voce femminile, prima che la porta si aprisse.
Tutto quello che riuscii a vedere fu un lungo abito scuro e parte di un viso sconosciuto, prima che la donna si spostasse, avvicinandosi al letto, dove si sedette dandomi le spalle.
Sembrava che stesse studiando l'ambiente senza guardare nulla in particolare.
Non avevo idea di cosa potessi fare, a parte continuare a tenere d'occhio la figura che, malgrado appartenesse ad una persona sconosciuta, mi sembrava vagamente familiare. 
La donna si voltò soltanto una volta verso la porta del bagno, giusto i due secondi necessari per permettermi di vedere i suoi lineamenti delicati e le labbra rosate, poi era tornata nuovamente ad osservare l'ingresso della camera.
Inizialmente rimase immobile, poi sembrò diventare sempre più impaziente, mostrando la sua irrequietezza col movimento nervoso del piede, che si alzava e sollevava sempre più velocemente.
Distolsi lo sguardo solo per lanciare una veloce occhiata a Luna, che mi stava silenziosamente fissando, mentre torturava con le dita il bordo della maglietta che indossava.
L'oggetto più pericolosa nella stanza in cui mi trovavo era lo shampoo che, se usato correttamente sarebbe stato utile quanto uno spray al peperoncino babbano.
Sperai però di non doverlo usare e che la donna se ne andasse e basta.
Quando la paura scemò dal mio corpo, sostituita dalla ferma determinazione di proteggere Luna e me stessa, cominciai a chiedermi chi potesse essere quella donna.
Ovviamente era una seguace del Signore Oscuro e ovviamente conosceva Malfoy abbastanza bene da chiamarlo per nome.
Poteva essere un'amica della zia, oppure della madre... o la madre stessa.
Osservai con attenzione la figura sottile ed elegante della donna e i riccioli biondi che sfuggivano dalla rigida acconciatura, convincendomi sempre di più di avere davanti Narcissa Black in Malfoy in persona.
«Pensa di esser stata abbastanza in bagno, signorina Granger?»
Ripensai alle parole di Draco e al fatto che avesse parlato coi suoi genitori del mio salvataggio e un brivido freddo mi attraversò la schiena.
Narcissa Malfoy era lì per parlare con me?
Chissà perché, ma all'improvviso desideravo ardentemente avere con me il mantello dell'invisibilità di Harry, o, molto più semplicemente, essere dall'altra parte del mondo rispetto alla madre di Draco
Non mi sentivo pronta per un confronto con lei, eppure da brava Grifondoro ero pronta ad ascoltare tutto quello che mi avrebbe detto.
Rassicurai Luna con un gesto veloce, suggerendole di rimanere nascosta e mi sollevai in piedi, pronta ad affrontare la madre del ragazzo di cui ero innamorata.

****************************************************************************************

Ciao :D

Eccoci giunte alla fine di un altro capitolo...

Non succede molto... Daphne dice a Hermione di non spezzare il cuore a Draco, altrimenti poi se la vedrà con lei, Luna confessa i suoi sentimenti per Blaise, che sembra ricambiare (ma sarà davvero così??), Hermione e Luna cercano una soluzione ai mille problemi che hanno da affrontare e Narcissa decide di andare a trovare Hermione... chissà perché... xD

Ma questo lo scopriremo nel prossimo capitolo, che cercherò di postare domenica prossima o, al più tardi, lunedì.

Bene, vorrei infine ringraziare: kasumi_89, simmy_me, ladyathena, mangiolina e Voglio volare_ per aver recensito il capitolo precedente (tra l’altro vi devo ancora rispondere, ma vedrò di farlo al più presto, abbiate fede!)

Spero che vogliate lasciarmi una veloce recensione per dirmi che ne pensate della storia e del capitolo, se avete qualche suggerimento o qualche idea su quale sia il motivo che ha spinto Narcissa a fare visita alla nostra giovane Grifondoro o qualsiasi altra cosa vogliate farmi sapere, io sono qua e anche se non rispondo subitissimo, fidatevi che prima o poi lo faccio! ;D

Auf Wiedersehen! ^.^

 

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Interrogatory ***


cap_16

16. Interrogatory

 

 

Dopo mezz'ora di colloquio con Severus Piton nel suo studio, dove ripetei il mio desiderio di diventare medimago e la volontà di impegnarmi seriamente, uscii dalla porta con i mano una mezza dozzina di volumi che il professore di pozioni mi consigliava di studiare attentamente.

Non era intenzionato a dare loro un'occhiata prima di sera, dato che doveva ancora vedermi con Blaise e poi con i miei genitori, quindi rimpicciolii i tomi con un semplice incantesimo e li riposi in tasca.

Ero piuttosto soddisfatto di ciò che mi aveva detto Piton a proposito della mia naturale predisposizione nei confronti degli studi pozionistici e speravo che sperai che dopo un po' di impegno e molto studio, di ottenere il titolo di medimago che tanto agognavo. 

Quando ne avevo parlato con Hermione poco prima e lei mi aveva detto che aveva intenzione di trovare un noioso lavoro al Ministero come impiegata, all'inizio non ci avevo creduto. Da lei mi sarei aspettato un desiderio diverso, considerando la sua bravura nel parare il sedere ai suoi due amici e la sua conoscenza eccezionale per qualsiasi cosa, avevo temuto che mi dicesse di voler intraprendere la carriera di Auror.

Stranamente ero rassicurato da ciò che aveva detto, forse perché in questo modo la sua vita non sarebbe stato sul filo del rasoio ogni singolo giorno per combattere i cattivi…

Che strano pensare a certe cose quando si è parte dei cattivi…

Non potei fare a meno di immaginare un possibile scenario futuro: lei che tornava a casa dopo una noiosa giornata spesa dietro una scrivania, io che la raggiungevo a casa nostra poco dopo, raccontandole della stressante giornata al San Mungo. Poi avremmo mangiato cena insieme, parlando dei piani per il week end, per esempio andare a fare un picnic, o visitare qualche cittadina magica. Dopo cena avrei allungato la mano per stringere la sua e invitarla ad andare in camera da letto, dove l'avrei spogliata piano e fatto l'amore con lei, a meno che a cena non avessimo litigato; in tal caso avremo risolto tutto con del sesso riparatore in cucina, probabilmente sul tavolo ancora apparecchiato, per poi andare a dormire ridendo della nostra impulsività adolescenziale.

Era buffo riuscire ad immaginare ogni cosa e sapere che sarebbe potuta essere la realtà nel giro di qualche anno.

Strinse la bacchetta tra le dita,

sentendo dei passi avvicinarsi, e mi voltai per vedere chi avesse interrotto i miei sogni ad occhi aperti.

Mia zia, Bellatrix Lestrange, camminava cinque passi dietro di me, sfoggiando il suo solito sorriso la pazza furiosa.

Indossava uno dei suoi tanti abiti neri, stretti e scollati mentre i capelli erano sciolti ed aggrovigliati in ricci che apparivano come cespugli di rovi che ricadevano lungo la sua schiena.

«Nipote», mi chiamò con la sua vocetta stridula e fastidiosa, avvicinandosi a me, tanto da afferrarmi il braccio: «Sei occupato?»

Pensai di mentirle per togliermela dei piedi e poter raggiungere Blaise, per chiedergli se fossi riuscito senza problemi a portare Luna da Hermione.

Alla fine però optai per la verità: « nulla che non può essere prorogato», dissi, sorridendole come potei, e di sicuro il mio non fu un gran sorriso.

«Perfetto, perché vorrei che tu mi aiutassi ad interrogare un tuo vecchio professore recentemente ritrovato da Greyback... Forse ne sa qualcosa a proposito di Potter e del suo nascondiglio segreto!», il tono esaltato della sua vocetta mi fece drizzare i peli delle braccia e chiesi a Merlino perché mia zia avesse dovuto incontrare proprio me e non qualcun altro.

«Certo, zia», le dissi, chiedendomi a chi si riferisse, anche se, a pensarci bene, forse aveva un'idea su chi fosse lo sfortunato a cui si riferiva.

Seguii Bellatrix Lestrange lungo numerosi corridoi dei sotterranei, prima di entrare nella sua personale sala delle torture.

Seduto su una sedia, legato da alcune corde incantate, c'era proprio colui che mi ha aspettato di vedere: Horace Lumacorno, con una stupida espressione spaventata sul viso.

Mia zia ed io non indossavamo le consuete maschere da Mangiamorte e potei vedere negli occhi del prigioniero che aveva riconosciuto entrambi. 

Avrei voluto dire a Bellatrix Lestrange che da quel misero individuo non avrebbe ricavato nulla di interessante che potesse usare contro Potter, ma perché essere io la causa della sua collera o fastidio? Era meglio che lo scoprissi da sola e se la prendesse poi col professore.

Probabilmente Hermione non sarebbe stata fiera di certi pensieri, ma in fondo era stata lei a dirmi di non mettermi inutilmente in pericolo, e io stavo semplicemente seguendo il suo suggerimento.

«Inizio io, Draco, ti dispiace?»

Rimasi stupito dalla sua domanda, chiedendomi se stesse scherzando. Pensava davvero che avrei voluto iniziare io l'interrogatorio?

Feci un semplice gesto con la testa, per farle capire che aveva il via libera.

Il sorriso di mia zia si allargò ulteriormente: «Professor Lumacorno, da quanto tempo che non ci si vede... Si ricorda di me?»

Spostai lo sguardo da Bellatrix al prigioniero, che deglutiva rumorosamente mentre rivoli di sudore scivolavano lungo le sue tempie e il collo.

«Certo, s-signorina Black... Oh! Volevo, volevo dire signora Lestrange».

La voce del professor Lumacorno non mi era mai sembrata tanto spaventata e stridula. Non riuscivo a provare altro che disprezzo per quell'uomo, anche se sapevo di non essere molto più coraggioso di lui. Probabilmente in una situazione simile non sarei riuscito nemmeno a spiccicare parola per il terrore, perché, diciamocelo, mia zia non si potrebbe proprio definire una persona rassicurante...

«Sa, professore, ricordo chiaramente che il mio primo anno ad Hogwarts lei mi ha messo in punizione per aver copiato il compito di un mio compagno di classe», la voce di mia zia sembrava calma, quel tipo di calma che solitamente precede la tempesta.

Gli occhietti acquosi del professore sembravano enormi, rispetto al solito e non lasciavano il viso apparentemente sereno di mia zia. 

«Si ricorda?», domandò Bellatrix Lestrange, passandosi una mano tra i capelli ribelli con nonchalance.

«R-ricordo, sì», mormorò con un filo di voce l'uomo.

«E non è minimamente pentito?», chiese mia zia, avvicinandosi lentamente al professore, che ora aveva l'aspetto di un topolino con le spalle al muro.

«Io...», iniziò il prigioniero, prima di deglutire rumorosamente ancora una volta: «C-certo, sono mo-molto pentito».

Più che una risposta la sua sembrava un'altra domanda, ma mia zia non sembrò notarlo e sorrise, mostrando i denti gialli e poco curati, tipici di coloro che hanno passato anni della loro vita ad Azkaban.

«Mi fa piacere sentirglielo dire».

Nella stanza calò un silenzio di tomba, interrotto soltanto dal deglutire del professore e il rumore dei tacchi contro il pavimento, ad ogni passo di Bellatrix Lestrange verso il prigioniero.

«Ora, sarebbe così gentile da dirmi il nascondiglio di Potter?»

Aggrottai le sopracciglia; mia zia, la temuta pluriomicida, Bellatrix Lestrange, aveva appena chiesto cortesemente qualcosa?

Ero per caso finito in un altro universo? Un universo parallelo dove tutto era il contrario di tutto?

«Io... Io non l-lo so...», balbettò Horace Lumacorno, con un'espressione allibita. Mi chiesi se fosse stupito per il comportamento  umano di mia zia o magari per il fatto che Bellatrix Lestrange gli avesse posto proprio l'unica domanda a cui mai avrebbe saputo rispondere...

«Peccato...», sussurrò mia zia, girando intorno al prigioniero, come un predatore che intimorisce ulteriormente la preda senza via di scampo: «Crucio!»

Un lampo di luce colpì il corpo flaccido dell'uomo, che cominciò a contorcersi e a chiedere pietà.

Le urla erano atroci, tanto da farmi sentire in colpa; non avevo mai amato quel professore, ma in quel momento avrei voluto con tutto me stesso fare qualcosa per aiutarlo, anche se non potevo. Se mi fossi mosso in soccorso di quell'uomo la mia copertura sarebbe saltata e non avrei potuto salvare Hermione...

Hermione, chissà se stava bene. Starle lontano mi metteva sempre in ansia, anche se in effetti non la vedevo da quanto? Un'oretta? 

Merlino, sembravano secoli...

Ad un certo punto, non saprei dire quanto tempo fosse passato, Bellatrix Lestrange iniziò a ridere, poi sciolse l'incantesimo.

Il professore Lumacorno era senza fiato e continuava ad avere un'espressione di totale sofferenza in viso.

«Ora, le è per caso venuto in mente qualcosa che potrebbe essere utile alla sottoscritta per scovare Potter e i suoi amichetti?», chiese mia zia, con un tono di voce aspro e sprezzante: «Non vorrà per caso fare la fine di alcuni dei suoi studenti, troppo orgogliosi per rispondere a delle semplici domande...»

A quelle parole non potei fare a meno di stringere con forza i denti e assottigliare lo sguardo. Era ovvio che si stesse riferendo a Hermione e Luna ed il pensiero che la mia ragazza fosse stata torturata in quella stessa stanza per giorni non era affatto piacevole. 

«Studenti? C-che studenti?», questa volta la voce di Horace Lumacorno era a malapena udibile.

«Luna Lovegood, Colin Canon ed Hermione Granger, per esempio...»

Aggrottai le sopracciglia: Colin Canon? Non sapevo fosse stato rinchiuso anche quel ragazzino strambo che faceva foto a destra e a manca, altrimenti...

No, probabilmente non ci sarebbe stato nessun altrimenti... Cosa avrei potuto fare? Era già strano che Luna ed Hermione fossero "morte" lo stesso giorno... Per lui non avrei potuto fare molto...

«La Granger!», esclamò con un filo di voce Lumacorno, scuotendo sconsolato il capo.

«Era solo una sporca Mezzosangue, professore, nessuna grande perdita», ribatté mia zia, sorridendo da orecchio a orecchio.

Vidi negli occhi di Horace Lumacorno una tristezza che mi lasciò basito.

«Era una grande studentessa, la migliore del suo corso... », gli occhi del professore si puntarono nei miei, trasmettendomi con chiarezza quanto gli dessi ribrezzo.

Avrei voluto dirgli che il sentimento era reciproco, ma mi trattenni, dimostrandomi superiore a quello sguardo che sembrava volermi dare la colpa di tutto quanto era accaduto, compresa la "scomparsa" di Hermione.

«Sì, si risparmi le lodi», disse seccata mia zia, puntando nuovamente la bacchetta contro il prigioniero: «Legilimens!»

Il professore sbarrò gli occhi e poi li chiuse di scatto. 

Percepivo che tra mia zia e il prigioniero era in corso una vera e propria lotta mentale e mi chiesi chi stesse avendo la meglio e cosa Bellatrix sarebbe riuscita a scoprire dai pensieri di Lumacorno.

Dopo un paio di minuti vidi mia zia chiudere gli occhi e fare una terribile smorfia.

Studiando attentamente i suoi lineamenti notai come fosse più pallida del solito e sembrava avere anche un tic al naso, che storceva ogni quattro secondi.

«Bene, bene, bene... Quindi Potter sa...», sussurrò mia zia, con un tono di voce aspro.

Anche Lumacorno era pallido e sembrava pure deluso, probabilmente pensava di riuscire a gestire meglio una sua ex alunna...

«Sì», disse Lumacorno: «Harry sta cercando gli Horcrux».

A quelle parole diventai all'improvviso molto più attento alla conversazione.

«Grazie per l'aiuto, professore, la farò chiamare se avrò ancora bisogno di lei...», disse mia zia, mentre si dirigeva con fare pensoso verso la sua scrivania, giocherellando con la bacchetta: «Ah, Draco, ti dispiacerebbe andare da tuo padre e dirgli che ho bisogno di parlargli?»

Ero deluso dal fatto che non avessero detto nulla d'interessante, ma cercai di non lasciare trapelare nulla e annuii: «Certo, zia».

Uscii dalla stanza con uno strano peso sul cuore, forse causato dall'apprensione che, malgrado l'antipatia, provavo nei confronti di Lumacorno.

Mi incamminai verso le stanze dei miei genitori, dove speravo di trovarli più sereni rispetto al giorno precedente, salutando gli altri Mangiamorte che incontravo lungo la strada.

Ero quasi arrivato, quando qualcuno mi afferrò il braccio e mi fece entrare in uno dei tanti ripostigli per le scope della scuola.

Appena mi voltai, riconobbi Blaise.

«Amico, dove diavolo eri finito? Dovevamo incontrarci più di quaranta minuti fa! Hai idea di quanto mi sono preoccupato?», esclamò in un soffio di voce, per evitare che da fuori ci sentissero.

«Mi dispiace, ma ho incontrato per strada mia zia, che mi ha chiesto di accompagnarla... Sai com'è Bellatrix Lestrange... Se vuoi sopravvivere tendenzialmente non le dici di no, sempre che tu tenga alla tua vita, ovviamente...», dissi, appoggiandomi ad una delle pareti, sospirando.

Blaise annuì: «Va bene, sei perdonato».

«Luna l'hai portata da Hermione?», gli chiesi.

«Sì... Ah, a proposito, quando siamo arrivati in camera tua c'era Daphne che minacciava la tua ragazza con la bacchetta... Pensavo che avresti voluto saperlo...», disse Blaise, con tono casuale, come se stesse parlando del tempo o dei compiti assegnati dalla McGranitt per il week end.

«Cosa?!», esclamai, staccandomi di colpo dalla parete ed allungando la mano verso la maniglia della porta.

Avrei trovato Daphne e le avrei parlato chiaramente, dicendole che  non si doveva permettere mai più di trattare a quel modo Hermione, altrimenti...

Blaise mi fermò, appoggiandomi una mano sulla spalla: «Hey, Draco, rilassati! Hai tutto il tempo del mondo per prendere Daphne a calci, ora ho bisogno di chiederti una cosa», fece una breve pausa per accertarsi di avere la mia attenzione, poi proseguì: «Quando vuoi portarti a letto una ragazza con la quale non vuoi impegnarti, anche se lei è la tipica brava ragazza che non la dà via per nulla, come fai?»

Ero distratto da altri pensieri, ma capii subito a cosa alludesse e non potei non sbarrare gli occhi per la meraviglia: «Vuoi portarti a letto la Lovegood?!»

Blaise fece una strana smorfia: «Non è quello che ho detto io, ma fingiamo che sia vero... Cosa mi consiglieresti?»

Ero sconvolto, no di più: ero basito e non riuscivo a spiccicare parola.

«E per quale motivo sei all'improvviso interessato alla piccola e stramba Luna Lovegood? Cos'è successo?»

Sembrava si sentisse a disagio e non la smetteva di mordersi il labbro inferiore.

Restammo per un po' in silenzio, io in attesa che lui parlasse e lui concentrato mentre pensava ad una risposta.

«Il fatto è che mi piace! No, non è vero! Non mi piace poi tanto... Solo che... Insomma lei è così... L'altro giorno sono entrato in bagno e lei era in biancheria intima e... Merlino! Non faccio altro che pensare a lei e a quanto era bella e... Per non parlare del suo sorriso!»

Mi confondevo sempre di più, a mano a mano che andava avanti con quel suo discorso sconclusionato, e, nel profondo dentro di me, sapevo che il mio amico era spacciato. Non gli avevo mai visto gli occhi brillare così tanto, neanche quando stava insieme a Soledad.

«Il fatto è che... Ho paura di non piacerle in quel senso, temo che non voglia quello che voglio io...»

«E tu cosa vuoi?», lo interruppi, sperando che non dicesse: "Portarmela a letto", altrimenti ce ne sarebbe voluto di tempo per fargli capire che in realtà era innamorato!

«Voglio stringerla», sussurrò, guardandomi in modo strano: «Vorrei abbracciarla e baciarla e sentirla ridere e...»

«Proteggerla», gli suggerii e lui sorrise: «Sì! Proteggerla! Lei è così piccola e fragile e...»

«Dolce?», chiesi, sapendo già di ottenere una risposta positiva.

«Esatto!», esclamò, mentre gesticolava come un pazzo: «E poi ieri sera! Ieri sera avevo mal di testa e lei era così premurosa, gentile... Le ho parlato di Soledad e faceva male, ma meno... Non so come spiegarlo, ma lei è diversa».

Sorrisi: «Amico, benvenuto nel club delle persone innamorate», gli dissi allungando la mano, invitandolo a stringerla.

Non ottenni però il risultato sperato, dato che la sua espressione cambiò repentinamente: «Non sono innamorato».

Sospirai e gli diedi una pacca sulla spalla: «Che strano, non avrei mai pensato che si sarebbero invertiti i ruoli, eppure eccoci qua», gli dissi, facendo comparire sul suo viso una smorfia infastidita: «Un tempo, anni fa, mi dissi che dovevo agire, dovevo dire alla ragazza che mi piaceva ciò che provavo, invitarla al ballo e fregarmene di tutto e di tutti. Io ti ho dato ascolto dopo anni e spero che tu non sia lento quanto me nell'ammettere la sconfitta. Ora inizierà il periodo del rifiuto, dove tu penserai di volere solo del buon sesso e nient'altro, ma presto o tardi, capirai che avevo ragione e che sei perdutamente innamorato, o comunque sulla via per esserlo, e verrai con la coda tra le gambe a dirmi che avevo ragione».

Blaise sembrava furioso e mi guardava come se mi volesse uccidere con un'occhiata, provò a parlare ancora, ma io lo interruppi, sollevando la mano: «No, non ringraziarmi, amico. Ora, se non ti dispiace devo andare da mio padre a riferirgli un messaggio di mia zia. Tu intanto pensa a quello che ho detto. A dopo!»

Non gli lasciai il tempo di dire altro e uscii dallo stanzino delle scope, dirigendomi con passo spedito verso le stanze dei miei genitori.

Trovai nel piccolo salotto improvvisato solo mio padre, che beveva da un calice ormai mezzo vuoto.

«Padre, Bellatrix Lestrange mi ha detto di riferirti che vuole parlarti al più presto nelle sue stanze».

L’uomo sussultò appena e mi lanciò uno sguardo indagatore: «Ti ha detto il motivo?»

«Ha interrogato il professore Horace Lumacorno che sapeva degli Horcrux e ne aveva parlato ad Harry Potter, penso che ti voglia parlare di questo», gli risposi, appoggiandomi ad una delle poltroncine nella stanza.

«Va bene, grazie figliolo», si alzò in piedi e fece per uscire, quando lo bloccai, appoggiando la mano sul suo braccio: «Dov’è mia madre?»

«Non saprei. Ha detto che aveva bisogno di pensare ed è scomparsa», mi rispose, con una nota d’ilarità nella voce: «Quando t’innamorerai figliolo imparerai a non fare caso a certe stranezze...», disse, prima di uscire dalla porta, lasciandomi solo.

Sorrisi alle parole di mio padre, chiedendomi che espressione avrebbe fatto una volta che gli avessi confidato il nome della donna che avevo intenzione di sposare. 

Erano passate poco più di due ore da quando avevo lasciato sola Hermione e volevo andare ad assicurarmi che stesse bene e che Daphne non le avesse fatto male o l’avesse offesa in qualche modo.

Scendendo nei sotterranei non potevo fare a meno di pensare a quello che Blaise mi aveva detto e alla situazione assurda in cui ci trovavamo.

Non avrei mai pensato che Blaise finisse nella stessa trappola in cui ero finito io stesso anni prima e, malgrado la serietà della situazione, non potevo fare a meno di sorridere.

Perso nei miei pensieri andai a sbattere contro una persona, mi girai per vedere chi fossi e mi ritrovai di fronte la mia migliore amica.

«Daphne!», esclamai, afferrandole il braccio e trascinandomela dietro, verso i nostri dormitori: «Guarda te che fortuna! Stavo giusto cercando te!»

Vidi chiaramente spuntare sul suo viso un'espressione preoccupata, che ben si abbinava con la mia rabbia non poi tanto celata.

«Hey, Draco», disse lei, con un tono di voce flebile: «Come va?»

Le lanciai un'occhiata assassina, mentre lei provava a liberarsi dalla mia stretta sul suo braccio.

«Dobbiamo parlare, Daphne, del tuo comportamento», le dissi, spintonandola poco garbatamente all'interno dei dormitori, dove non c'era nessuno: «Forse pensavo che fosse ovvio, ed è per questo che non te ne ho parlato prima, ma gradirei che tu non minacciassi la mia ragazza, soprattutto ora che è ancora debole e priva di bacchetta. Puoi sfidarla a duello quando poi sarà in grado di mandarti col sedere per aria, chiaro?»

Daphne fece una smorfia e distolse lo sguardo per qualche secondo, poi tornò a guardarmi: «Volevo solo accertarmi che non ti stesse prendendo in giro», disse con tono pacato: «Scusa se ero preoccupata»

Sorrisi: «Eri? Ora non lo sei più? Ah, scuse accettate comunque».

Lei mi fece una linguaccia: «Sì, non lo sono più e sai perché?»

Storsi il naso, cercando di imitare la sua espressione impertinente: «No, perché?»

«Perché ho avuto la prova che anche lei è pazza di te quanto tu lo sei di lei...»

Sorrisi e le baciai la fronte: «E la mia parola non ti bastava?», le scompigliai i capelli e lasciai il suo braccio.

«No, volevo esserne sicura», ribatté, facendomi la linguaccia.

Il rapporto che avevo con Daphne era diverso rispetto a quello che avevo con Blaise, forse perché con lei avevo passato la mia infanzia, mentre con Zabini avevamo riallacciato i rapporti solo al terzo anno di scuola. 

Ero comunque affezionato ad entrambi e volevo il meglio per loro.

«Ti consiglio di andare a cercare Blaise, ha problemi di cuore», le dissi, sorridendo.

«Pensa ancora a quella troia spagnola?», chiede Daphne, con un tono indignato: «Vado a tirargli un paio di calci nel sedere per farlo rinsavire».

Stava per andarsene quando si voltò ancora una volta: «Ah, comunque, volevo dirti che la Granger ha un corpo che merita», mi fece l'occhiolino e scomparve oltre il ritratto della sala comune di Serpeverde, lasciandomi solo.

Sorrisi alle sue parole e mi diressi con passo spedito verso la mia camera da letto.

Non bussai prima di entrare, anche perché in fondo quella era la mia stanza e sorrisi alla vista di Hermione che, seduta sul mio letto stava chiacchierando con Luna.

Sorrisi: «Hey, ragaz...», il mio saluto rimase sospeso, mentre sbarravo gli occhi, rendendomi conto che quella non era affatto la Lovegood.

«Madre?», chiesi, sconvolto, fissando i miei occhi su entrambe le donne nella stanza.

Oh, Merlino, quella sì che era una situazione che avrei voluto rimandare di almeno mezzo decennio.

**********************************************************************************************************************

 

Hola, ¿qué tal? :)

Vi rendete conto che questa è la seconda volta in un mese che riesco ad aggiornare puntualmente?! :O

Non c’è altra scelta, vi tocca farmi una statua xD

Dunque, dunque... so che molti si aspettavano una bella chiacchierata tra Narcissa Malfoy ed Hermione Granger, e invece, per punirvi dei pochi commenti, ho deciso di raccontarvi la giornata di Malfoy ;P

No, sto scherzando! Semplicemente era importante la scena con Lumacorno, perché quello che Bellatrix dirà a Lucius sarà fondamentale tra poco... Quindi tenete a mente che i due hanno avuto una bella chiacchierata a proposito degli Horcrux!

Nel prossimo capitolo riprenderò dalla scena dove Hermione esce dal bagno, così vedremo di cosa hanno parlato lei e Narcissa prima dell’arrivo di Draco...

Che ne dite del delirio di Blaise? Ce la farà a schiarirsi le idee prima di spezzare il cuore alla dolce Luna?  

Accidenti! Tra l’altro sono due settimane che mi riprometto di posare un nuovo capitolo a “Pieces of Life”, magari la prossima domenica riesco a fare aggiornamento doppio! Incrociamo le dita! xD

Bene, direi che ho finito per questa settimana di scassare i cosiddetti, spero che vogliate lasciarmi tante belle RECENSIONI per illuminare le mie tristi e buie giornate da single...

Hasta el domingo, chichas/chichos! ;*

 

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Just a chat ***


cap_17

  17. Just a chat

 

 

Narcissa Malfoy era in fondo la madre di Draco e meritava un certo rispetto, così prima di uscire dal bagno mi preoccupai di sistemarmi – probabilmente malamente dato che non avevo a mia disposizione una bacchetta – vestiti e capelli, che come al solito erano un groviglio privo di senso.

Mi rassegnai quasi subito, certa che non sarebbe cambiato molto; sia che fossi uscita elegante ed ordinata sia che fossi uscita con i capelli spettinati e semplici vestiti, lei avrebbe comunque fatto una smorfia altezzosa, trattandomi come la povera Sanguesporco che ero.

Presi un profondo respiro e abbassai la maniglia, uscendo dal bagno con l’espressione più fiera e indifferente che riuscii a trovare. Sapevo che con le serpi non ci si doveva mai mostrare deboli, con Draco avevo commesso un terribile errore ed ora ne pagavo le conseguenze...

Mi chiesi da quanto fossi diventata così melodrammatica, anche perché l’unico effetto collaterale era l’essere irrimediabilmente e totalmente innamorata di lui; intanto cercavo di non mostrare l’ansia che la presenza della signora Malfoy mi provocava e con passi misurati mi avvicinavo al letto, fino ad esserle di fronte.

«Buongiorno, signora Malfoy», dissi, cercando di superare l’imbarazzo e mostrare un minimo di gentilezza: «Vuole bere qualcosa? Del tè?», chiesi, mostrandomi quantomeno ospitale.

Gli occhi blu scuro della donna sembravano ridere, anche se la sua espressione non era minimamente cambiata, mentre mi fissava con uno sguardo di malcelato disprezzo.

«Un tè sarebbe gradito, grazie», disse con la voce calma ed educata.

Beh, almeno non stavamo litigando come due liceali, ma stavamo cercando si essere civili l’una con l’altra.

«Breedy», chiamai, senza distogliere lo sguardo dalla donna che mi era di fronte.

Era inquietante la somiglianza con Draco.

«La signorina Granger ha chiamato?», chiese l’elfo domestico, prima di notare la presenza della madre di Draco: «Oh, Padrona», disse, facendo un veloce inchino.

«Ci prepareresti del tè, per favore? Solo se non hai altri impegni incombenti...», gli dissi, sorridendogli appena.

«Breedy torna subito, signorina».

Dopo un veloce inchino ad entrambe l’elfo scomparve con un lieve “pop”.

La signora Malfoy non disse niente, ma mi guardava attentamente, studiando ogni mio movimento e comportamento. Era come essere sotto osservazione o, meglio ancora, essere sotto interrogatorio in un’indagine di polizia.

«Ovviamente, signorina Granger non volevo spaventarla con la mia improvvisa e non preannunciata visita. In effetti speravo di trovarla sola, perché vorrei chiarire la mia posizione in questa faccenda... ah, e ovviamente anche quella di mio marito», disse, mentre accavallava la caviglia sinistra su quella destra e assumeva una posizione molto simile a quella che avevo visto in un film babbano, dove una ragazzina si ritrovava ad avere lezioni di bonton dalla nonna, che era la regina di un piccolo stato che si chiamava... com’è che si chiamava già? 1)

«Io e mio marito vorremmo essere utili alla causa, così che una volta che tutto questo sarà finito, sarà facile per noi andarcene per la nostra strada senza rispondere di delitti che non abbiamo commesso per nostro volere», continuò la strega, permettendomi di recuperare il filo del discorso.

Annuii alla sue parole, studiando le labbra arricciate in un’espressione di fastidio e gli occhi blu che studiavano il mio aspetto con la solita ilarità. Sembrava che stesse sottolineando la sua superiorità con quei suoi occhi da purosangue.

Era ufficiale, quella donna era irritante, ma non mi sarei mai e poi mai lasciata mettere i piedi in testa da lei, così sollevai ulteriormente il capo, approfittando del fatto che lei fosse seduta, per guardarla dall’alto e farla sentire piccola quanto una formichina appena nata.

«Capisco le sue motivazione, signora Malfoy. È per questo che ha detto a suo figlio che intende collaborare nella ricerca degli Horcrux?», domandai, incrociando le braccia al petto, mentre raddrizzavo ulteriormente la schiena.

Un “pop” improvviso mi fece sussultare, mentre vedevo che Breedy aveva preparato un vero e proprio banchetto, non solo un po’ di tè.

«Sul tavolino, Breedy», disse, la signora Malfoy, mentre si alzava e mi sorpassava per andare a sedersi dove di solito io e Malfoy mangiavamo insieme.

Il suo comportamento da "Regina suprema di ogni cosa" mi faceva davvero andare fuori di testa, ma resistetti, anche perché senza bacchetta ero piuttosto innocua e mi voltai a mia volta verso il tavolino.

Seguii le mosse della donna e mi impegnai a sedermi con altrettanta grazia sulla sedia di fronte alla sua.

Aggiunsi un po’ di latte alla mia tazza di tè, mentre cercavo di resistere ad afferrare i biscotti al limone che tanto amavo. Non potevo mica mostrare alla donna quanto fossi golosa!

Il modo in cui Narcissa Black in Malfoy beveva in tè era semplicemente perfetto. Aggiunse alla sua tazza mezzo cucchiaino di zucchero e, mentre ne girava il contenuto non si sentì il minimo suono molesto. Non aveva i gomiti appoggiati al tavolo, proprio come insegnava l’educazione, e le dita, pallide come il resto del suo incarnato, erano delicatamente appoggiate ai bordi della tazzina, mentre mi fissava col solito sorriso negli occhi.

«Come pensa di distruggere gli Horcrux?Horcrux?Horcrux», chiese, mentre avvicinava la tazzina alle labbra e ne beveva un sorso senza fare il minimo rumore.

Dopo aver passato anni circondata da Harry e Ron e il resto della famiglia Weasley si tende a dimenticare che solitamente durante i pasti non si devono sentire grugniti, versi animaleschi di vario genere, urla, litigi, rutti e quant’altro...

«Servirebbe la Spada di Grifondoro, ma penso di essere in grado di reperire all’interno del castello un’arma altrettanto potente ed efficace», risposi, mentre allungavo una mano ed afferravo uno dei biscotti al limone.

Accidenti. La golosità era stata più forte della mia forza di volontà.

«E sarebbe?», chiese,  con uno sguardo attento e guardingo, mentre ovviamente con gli occhi mi riprendeva per il modo meno che perfetto con cui stavo rigirando il mio tè.

Quella donna mi scatenava un istinto omicida che non pensavo di possedere.

«Per il momento non penso di voler condividere tale informazione», risposi, sorridendole nel modo più odioso che conoscessi.

Il sorriso negli occhi scomparve, sostituito da uno sguardo pieno di disprezzo e fastidio: «Non vedo perché non dovrebbe dirmelo, le devo forse ricordare che se non fosse per Draco lei ora non sarebbe qui?»

Strinsi forte tra le mani la tazzina e, dopo aver bevuto un lungo sorso di tè per cercare di tranquillizzarmi, la fulminai con un’occhiata: «Infatti, è stato Draco a salvarmi, non lei», dissi con tono pungente, afferrando un altro biscotto al limone.

La signora Malfoy non disse altro, sembrava che nel suo sguardo fosse tornato il sorriso e mi chiesi il perché; in fondo non le avevo detto ciò che lei voleva sapere, che motivo c’era di sorridere?

La donna finì il suo tè con una calma esasperante, mentre mi lanciava continuamente sguardi curiosi, irrisori o disgustati. Io intanto affogavo il mio disagio nella tazza del tè, facendo di tutto pur di non finirla a mia volta. Volevo che continuasse ad esserci silenzio; così io non avrei avuto modo di dire qualcosa che non avrei dovuto o voluto e lei non avrebbe avuto modo di insultarmi ulteriormente con le sue occhiate o di dirmi qualcosa di spiacevole.

La madre di Malfoy si alzò e mosse pochi passi lungo la stanza, osservando probabilmente il disordine del figlio, prima di accomodarsi nuovamente sul letto.

Finii a mia volta il tè, maledicendo le tazzine troppo piccole e non distolsi lo sguardo da quello di Narcissa Malfoy, anche se il sorriso nei suoi occhi mi innervosiva come non mai.

Quella donna era ancora più odiosa del figlio e del marito!

«Breedy!», chiamò lei, con un tono di comando che mi fece storcere il naso.

Quando l’elfo domestico arrivò, lei disse: «Ripulisci tutto, io e la signorina Granger abbiamo finito».

Né un “grazie” né un “per favore”; come si permetteva quella donna di trattare in quel modo un povero essere vivente?

Provai ad aiutare Breedy, ma lui in meno di due secondi aveva già preso tutto ed era scomparso con un veloce inchino e un sonoro “pop”. In quei brevi attimi mi era sembrato che avesse paura della signora Malfoy e mi chiesi quale potesse essere il motivo.

«Sa, signorina Granger, potrebbe anche raggiungermi, così possiamo continuare la nostra chiacchierata, vorrei porle giusto un altro paio di domande...», aveva un tono di voce che a primo impatto poteva sembrare cordiale, ma in realtà era un comando bello e buono, anche se addolcito da alcune paroline di circostanza.

Sorrisi in modo terribilmente falso, fingendomi a mia volta benevola nei suoi confronti, e mi accomodai sul letto accanto a lei, anche se mantenni una certa distanza di sicurezza. Sia mai che la sua falsità mi contagiasse!

«Volevo chiederle: lei, per caso, è una delle tante scopate abitudinarie di mio figlio?»

Avrei voluto mantenermi impassibile, ma la sua domanda mi lasciò a bocca aperte e col viso arrossato per la vergogna e l’imbarazzo.

Come si permetteva di insinuare... anche se in effetti... però, no! Non ero solo una “scopata abitudinaria”!

«Cosa glielo fa pensare, signora Malfoy?», dissi, una volta che mi ripresi dal tremendo imbarazzo, col tono più gelido che avevo nel mio repertorio.

«Semplice, signorina Granger, lei ha chiamato mio figlio “Draco” e dal modo in cui l’ha detto ho capito che non era forzato, lei chiama mio figlio in quel modo solitamente; quindi prima deve esserle sfuggito, forse per sbaglio, forse intenzionalmente, per farmi avere dei dubbi a proposito del rapporto che c’è fra voi due. Ora, lei potrebbe essere una cara amica, un’amante o entrambe le cose. Guardando la stanza ho notato che il divano non è stato utilizzato come giaciglio ultimamente e questo significa che avete dormito insieme, nello stesso letto. Ha sedotto mio figlio, signorina Granger? Spingendolo a liberarla e rischiare in questo modo la sua vita per salvare la vostra?», chiese Narcissa Malfoy, con gli occhi ridenti e i lineamenti induriti in un’espressione di concentrazione e disprezzo.

«Io...», incominciai, pronta a dirle chiaramente che io e suo figlio stavamo insieme, ci amavamo e... “No, Hermione, che combini?”, mi dissi, scuotendo la testa e distogliendo lo sguardo.

Non potevo dirle che io amavo suo figlio, non avrebbe capito, di sicuro non in quel momento. In un futuro lontano – forse – sarei stata accettata dai signori Malfoy come la ragazza del loro unico figlio, ma ero certa che nel particolare frangente in cui ci trovavamo non avrei ottenuto il riconoscimento da me sperato. Dovevao mantenere il mio sangue freddo e mentire alla donna che mi stava di fronte, dicendole chiaro e tondo che non avevo nessun tipo di relazione amorosa col suo adorato figlio, anche se non era affatto vero.

La porta si aprì di colpo, facendomi sussultare e voltare immediatamente da quella parte.

Sull’uscio comparve un sorridente e sereno Draco Malfoy: «Hey, ragaz...», il saluto s’interruppe di colpo, come se qualcuno gli avesse fatto un incantesimo “Silencio” e i suoi occhi si spalancarono, mentre metteva a fuoco la figura che era seduta acanto a me.

«Madre?», chiese, sconvolto, fissando negli occhi prima me, poi sua madre.

«Buongiorno, Draco», disse la donna, alzandosi per andare in contro al figlio, che si ricordò di chiudersi la porta alle spalle, prima di abbracciarla. I suoi occhi confusi rimasero incatenati ai miei mentre mi mimava con le labbra un: “Tutto bene?”. Annuii per non farlo preoccupare, ma una volta che quella donna se ne fosse andata, gli avrei chiesto di non farmela più incontrare per almeno altri dieci anni.

«Cosa ci fate qui, madre?», chiese Draco, sciogliendo l’abbraccio, in modo da guardare negli occhi Narcissa Malfoy.

«Volevo chiacchierare con la signorina Granger. Prima che tu c’interrompessi stavamo giusto parlando di te, sai?», uno sguardo guardingo comparve sul viso di Draco, che mi lanciò un’occhiata perplessa, prima di tornare a sorridere alla madre: «Davvero?», chiese, accompagnando la madre verso il letto, in modo da sedersi tra me e lei.

Il calore del corpo di Draco a pochi centimetri da me mi provocò uno strano effetto, come se la mia pelle ricordasse il piacere che mi aveva donato durante la notte...

Sentii una strana sensazione, un forte dolore alle tempie e capii all’istante che qualcuno stava cercando di leggermi la mente. Non mi lasciai prendere dal panico e schermai all’istante i miei pensieri, guardando con stupore verso la signora Malfoy, che continuava a sorridere con gli occhi.

«Ma come si permette!», esclamai a denti stretti, continuando a tenere alte le barriere per timore di perdere la concentrazione e lasciarle vedere qualcosa che non avrebbe dovuto.

«Granger?», chiese Malfoy, guardandomi stupito.

«Sta provando a leggermi la mente», dissi, rivolgendole lo sguardo più assassino che possedessi.

«Hai qualcosa da nascondere, ragazza? Un amore segreto, forse?», domandò Narcissa Malfoy, affilando lo sguardo. Questa volta non sembrava divertita.

«Madre, smettetela di infastidire e minacciare Hermione!», disse Draco, rivolgendo occhiate di fuoco alla donna alla sua sinistra.

La signora Malfoy smise nei suoi tentativi di assalto e guardò il figlio con uno sguardo vagamente allucinato: «Non ci posso credere, allora avete davvero una relazione», disse con un filo di voce, spostando velocemente lo sguardo da uno all’altra.

«Cosa dite, madre?», chiese Draco, accennando una risata divertita.

Guardandolo credetti che fosse davvero ferito, anzi oltraggiato, dalle insinuazioni di sua madre e che cercasse di nascondere tali sentimenti con quella semplice risata.

“Accidenti a te, Malfoy!”, pensai: “Sei davvero più bravo di me a mentire...”

Narcissa sembrava confusa dalla performance impeccabile del figlio e iniziò a guardare prima me e poi lui, come se si dovesse accertare della sincerità di entrambi.

«Penso che ora sia meglio che vada», disse, alzandosi in piedi nel solito modo impeccabile ed elegante. Mi chiesi se non avesse per caso sangue Veela, altrimenti come spiegare razionalmente tanta grazia?

Draco si alzò ed io feci lo stesso: «Certo, madre. Vi auguro una buona giornata», disse lui, dando un bacio sulla guancia alla donna che gli sorrise teneramente.

«Anche a te, Draco», disse, con un tono di voce strano, come se avesse voluto dire o chiedere qualcosa ma non ne avesse avuto il coraggio: «Spero di rivederla presto, signorina Granger».

Draco la accompagnò alla porta e sentii che la madre gli sussurrava qualcosa all’orecchio, lui irrigidì le spalle e sospirò, rispondendole con un tono di voce altrettanto basso.

Due secondi dopo lei era sparita e la porta era stata nuovamente chiusa a chiave.

Tirai un sospiro di sollievo e mi lasciai cadere sul letto, passandomi le mani tra i capelli un paio di volte, prima di sollevare lo sguardo verso Malfoy.

Quando incrociai i suoi occhi chiari, non potei fare a meno di sorridere in modo triste: «Mi odia», dissi semplicemente, sdraiandomi sulla schiena e coprendomi il viso con le braccia.

«Cosa te lo fa pensare?», chiese lui, coricandosi accanto a me.

«I suoi occhi hanno riso di me tutto il tempo», dissi semplicemente, voltandomi verso di lui, accarezzandogli il viso: «Le assomigli», mormorai piano, avvicinandomi per lasciargli un lieve bacio a fior di labbra.

Avrei voluto essere forte, resistere alla curiosità e non chiedergli cosa si erano sussurrati sulla porta, ma sentivo che sarei scoppiata entro poco.

«Ti ha fatto sentire molto a disagio?», chiese, rispondendo al bacio con altrettanta dolcezza.

«Ho cercato di non darle molta soddisfazione e ho risposto al disprezzo con altrettanto disprezzo», dissi, affondando le dita tra i suoi capelli: «Cosa ti ha detto?»

Ecco, la mia curiosità aveva preso il sopravvento.

«Quando?», domandò con tono distratto, mentre mi fissava il petto, probabilmente più interessato al mio seno che a quello che stavo dicendo.

«Prima che se ne andasse, vi siete detti qualcosa», specificai, appoggiando due dita sotto il suo mento, in modo da fargli alzare lo sguardo.

«Oh, sei furba Granger... prima mi tenti coi baci e poi mi chiedi di riferirti conversazioni private...», mormorò con il suo sorrisino da schiaffi stampato in faccia.

Io sbarrai leggermente gli occhi: «Non è vero!», esclamai, con finto tono offeso, cercando di allontanarmi da lui.

«Dove scappi, Hermione?», mi strinse più forte a sé e iniziò a ridere, mentre io cercavo di divincolarmi. Alla fine però vinse lui, schiacciandomi tra il materasso e se stesso.

Aprì la bocca per dirmi qualcosa, ma il rumore di una porta che veniva aperta ci fece sussultare ed allontanare all’istante l’uno dall’altra. Per fortuna non era quella d’ingresso ad essersi aperta, ma la porta del bagno, dalla quale uscì un’imbarazzata Luna Lovegood.

Cavolo! La presenza della signora Malfoy e, successivamente, quella di Draco mi avevano fatto totalmente dimenticare della mia amica Corvonero ancora chiusa nel bagno.

«Mi dispiace interrompere, ma ho pensato che voleste un po’ di privacy, Breedy magari potrebbe accompagnarmi nella mia stanza», propose, grattandosi il collo in modo imbarazzato.

Io arrossii  e scossi la testa: «Ma no, Luna, che ne dici di mangiare qua con noi? Potremmo allungare il tavolo, trasfigurare qualcosa in sedia e...»

Qualcuno bussò alla porta, interrompendo il mio discorso.

«Chi è?», chiese, Draco, tirando fuori dalla tasca la bacchetta.

«Sono Blaise», disse l’inconfondibile voce del moro.

Notai con un sorriso che Luna era arrossita al sentire quelle parole.

Draco aprì subito la porta e lo fece entrare nella camera: «Sei venuto a prendere la tua coinquilina per pranzo?», chiese il biondo, prima di passarmi distrattamente una mano intorno alla vita e fare uno di quei suoi ghigni malefici alla Malfoy.

«Sì», disse Blaise, allungando una mano verso Luna: «Andiamo?»

Lei sorrise, stringendo le sue dita tra quelle del moro: «Va bene. Buon appetito, ragazzi», disse, rivolta a Draco e me, mentre faceva “ciao” con la mano.

Luna e Blaise sparirono oltre la porta in pochi secondi e nella stanza cadde il silenzio.

«Dov’eravamo rimasti?», chiese Malfoy, voltandosi verso di me con un sorrisino sghembo che gli incurvava le labbra: «Ah, già», disse, spingendomi piano verso il letto: «Tu stavi sotto e io sopra, se non sbaglio».

Risi alle sue parole, schiaffeggiandogli scherzosamente il braccio, prima di afferrarlo per i capelli, abbassandolo alla mia altezza per tempestarlo di baci: «Sei terribile», mormorai contro la sua bocca, mordendogli il labbro inferiore: «Terribilmente irresistibile».

«Sei troppo vestita», ridacchiò, tirando verso l’alto la mia maglietta.

Resistetti e lo spinsi verso il letto, facendocelo cadere sopra. Lo raggiunsi all’istante, sedendomi a cavalcioni su di lui, iniziando a fargli il solletico e ricevendo a mia volta la stessa tortura.

Un sonoro “pop” annunciò la presenza di Breedy, che ci guardava dispiaciuto, probabilmente non voleva interromperci... o magari era imbarazzato per il nostro comportamento infantile.

«Breedy è dispiaciuto, non voleva interrompere, Breedy deve parlare col padroncino», disse, torcendosi le mani in modo contrito.

Feci per spostarmi, ma Malfoy mi trattenne, accarezzandomi lentamente e in modo tremendamente sexy i fianchi: «Parla, Breedy, ti ascolto», disse, sollevandosi sui gomiti per baciarmi appena sopra il bordo della maglietta.

«Il padrone Lucius ha detto di parlare solo col padroncino», disse l’elfo domestico, spostando il peso da un piede all’altro, mentre continuava a sfregarsi le mani, intrecciando le dita tra loro.

Mi irrigidii a quelle parole e provai nuovamente a scostarmi dal mio ragazzo, ma lui non mi lasciò nuovamente andare, stringendo semplicemente la presa intorno ai miei fianchi.

«Hermione non se ne va da nessuna parte, Breedy», il tono di voce di Draco era calmo e freddo, maledettamente simile a quello che Narcissa Black in Malfoy aveva usato con me durante la nostra chiacchierata.

«Breedy non può disubbidire, padroncino, Breedy deve...», Draco alzò una mano e lo interruppe: «Va a dire a Lucius che io ed Hermione siamo una squadra e che per risolvere la situazione e tornare alla pace nel mondo magico abbiamo bisogno del suo cervello. Tutto quello che devi riferirmi può ascoltarlo anche lei».

L’elfo scomparve in un baleno, lasciandomi perplessa a guardare Draco sotto di me: «Non è un problema», gli dissi, accarezzandogli il viso: «Potrebbe voler dirti qualcosa di personale, che una Mezzosangue come me non potrebbe capire o non dovrebbe sentire...»

Malgrado volessi sembrare calma, non potei trattenere una punta di ironia e amarezza.

«Granger, sappiamo entrambi quanto tu odi essere ignorata o tenuta all’oscuro di qualcosa... ah, a proposito, oggi ho incrociato la mia adorata zietta che mi ha fatto assistere all’interrogatorio di Lumacorno. Quello stupido di un professore si è lasciato sfuggire che Sfregiato è a conoscenza degli Horcrux, mia zia ha fatto due più due e ha capito che i tuoi amichetti stanno cercando di indebolire Voldemort privandolo di tutti i suoi pezzi di anima. Bellatrix mi ha chiesto di chiamarle mio padre, che penso voglia comunicarmi l’esito del loro colloquio...»

Annuii, insultando Lumacorno e la sua incapacità di mantenere delle informazioni simili, prima di sorridere: «Magari tuo padre ha scoperto qualcosa di interessante... ah, più tardi, se non ti dispiace, vorrei provare a contattare Harry per parlargliene».

Draco ricambiò il sorriso: «Certo».

Un sonoro “pop”, fece voltare entrambi verso il suono, dove Breedy continuava a torcersi le mani: «Il padrone non sembrava contento, ma ha detto a Breedy di parlare anche con la signorina Granger, perché si fida di padroncino. Padrone ha detto che Bellatrix Lestrange è andata alla Grincott a ritirare un oggetto importante. Padrone ha detto che l’oggetto è la Coppa di Tassorosso e che presto sarà a Hogwarts, dove la signora Lestrange la terrà al sicuro», disse l’elfo, cominciando a torturarsi le orecchie.

«La Coppa di Tassorosso ce l’aveva lei?», sussurrai, guardando prima uno poi l’altro: «Perfetto! Ora dovremmo solo togliergliela da sotto il naso e distruggerla!», sorrisi e mi alzai in piedi, abbandonando un deluso Malfoy sdraiato sul letto da solo: «Grazie, Breedy», esclamai, voltandosi verso l’elfo: «Dì al signor Malfoy che abbiamo ricevuto il messaggio e che siamo lieti della bella notizia».

Mi voltai verso Draco: «Finalmente qualcosa va nel verso giusto!»

«Il padrone ha anche detto di dire che padroncino dovrà decidere presto una moglie purosangue tra quelle presenti in questo elenco», disse l’elfo, allungando una pergamena a Draco.

Il sorriso mi morì sulle labbra e una smorfia di tristezza comparve al suo posto, mentre vedevo il mio ragazzo prendere l’elenco senza protestare.

«Grazie, Breedy», disse Draco: «Ora puoi andare».

Avrei voluto dire qualcosa per riempire il silenzio, avrei voluto chiedergli se avesse davvero intenzione di lasciare che suo padre lo limitasse nelle scelte in quel modo, se su quella pergamena ci fossero almeno dei nomi che conosceva, se per lui quello che c’era tra noi non avesse nessun significato...

Ma tutto quello che riuscii a fare fu allontanarmi e chiudermi la porta del bagno alle spalle; avevo bisogno di rimanere sola per qualche minuto.

________________________________________________________________________________________

1) Non so se avete presente il film "Pretty Princess", ma Narcissa mi ricorda la nonna, sempre elegante ed impeccabile in ogni cosa

****************************************************************************************

Hola, come va? :)

Finalmente sappiamo com'è andata la chiacchierata tra Narcissa ed Hermione... Spero che non siate rimaste deluse dal comportamento freddo della signora Malfoy, nel caso lo siate, vorrei solo dirvi che a mio parere non avrebbe avuto senso farle andare d'amore ed accordo fin dal primo incontro!

Blaise si è portato via Luna e, se volete, posso scrivere del loro pranzo nel prossimo capitolo di "Pieces of Life"... fatemi sapere!

Lo so che il capitolo non finisce proprio benissimo, ma spero che non vogliate lanciarmi pomodori marci per questo! In fondo c'era da aspettarselo che Lucius sarebbe tornato all'attacco e vedrete che Draco si farà perdonare, prima o poi!

Come sempre spero che vogliate lasciarmi qualche commento per farmi sapere cosa ne pensate della storia o del singolo capitolo o se avete dei dubbi... Insomma, se avete bisogno di qualcosa, chiedete pure! :)

Ora vado a mangiare pranzo perché ho tanta tanta tanta fame!

Un abbraccio a tutti e buon appetito! ;D

LazySoul

P.S. Mi raccomando, RECENSITE!

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Handcuffs, Love and Peace ***


cap_18

Consiglio di leggere prima qua: Capitolo sesto

 

 

18. Handcuffs, Love and Peace

 

 

Liquidai Breedy e osservai spaesato quella pergamena sigillata.

Pensavo che mio padre si fosse arreso, che avesse deciso di lasciarmi in pace... perché complicare ulteriormente le cose? Eravamo in guerra, possibile che lui non riuscisse comunque a pensare ad altro che alla discendenza?

Il rumore di una porta sbattuta mi fece alzare lo sguardo: Hermione era scomparsa oltre la porta del bagno.

«Perfetto», mormorai, lasciandomi cadere a peso morto sul letto: «Ci mancava solo la Granger gelosa», mi lamentai, stringendo con rabbia quello stupido elenco. Una minima parte della mia mente era vagamente soddisfatta del comportamento di Hermione; il fatto che si fosse chiusa in bagno voleva dire che non mi era indifferente e che quindi potevo supporre che lei tenesse a me quanto io tenevo a lei. Il resto della mia mente era concentrato nel trovare una strategia per risolvere tutto quel pasticcio.

Al momento non potevo dire a mio padre di andare a quel paese, potevo solo provare a farlo ragionare, dimostrandogli come fosse controproducente cercare una moglie in quel frangente.

Senza pensarci aprii il sigillo della pergamena e ci trovai elencati nomi e nomi di ragazze, alcune mai sentite nominare, altre invece le conoscevo vagamente; come per esempio Astoria Greengrass, la sorellina di Daphne.

Sospirai e piegai il foglio in tante parti, per poi aprire il cassetto del comodino e dimenticarmi dell’esistenza di quell’elenco per il resto dei miei giorni.

Nel cassetto però trovai qualcosa di particolarmente interessante: «Guarda, guarda», sussurrai, tirando fuori le manette che avevo utilizzato tempo prima per legare Hermione al letto.

Un sorrisetto malizioso mi sfigurò i lineamenti, mentre con gli occhi che luccicavano dall’impazienza tiravo fuori quell’oggetto babbano e lo nascondevo sotto il cuscino.

Avevo comprato quelle manette in un negozio di articoli simili a Madrid, quando con Blaise avevamo intrapreso il nostro tour della Spagna. La prima e unica volta che le avevo usate era stato con la Granger e non vedevo l’ora di replicare, sperando questa volta di non ritrovarmi Zabini in mezzo ai piedi.

Chiusi il cassetto, lasciandovi all’interno l’inutile elenco speditomi da mio padre e mi alzai, avvicinandomi al bagno, da cui non sentivo provenire alcun suono. Strano.

Bussai appena: «Hermione? Stai bene?», chiesi, preoccupato che si fosse sinceramente sentita male. Nella mia mente compariva gli scenari più terrificanti: era svenuta? Era caduta e si era fratturata qualcosa? Si era tagliata con... qualcosa?

Presi un profondo respiro, cercando di ridurre l’ansia che mi attanagliava il petto e provai nuovamente a bussare.

La porta si aprì di scatto e ne uscì una Hermione particolarmente furiosa, con le labbra arricciate in una smorfia e i capelli che assomigliavano ad una criniera intorno al suo volto di grifona pronta all’attacco.

Provai a metterle una ciocca di capelli dietro all’orecchio destro, ma mi beccai una sberla sulla mano e un’occhiataccia.

Ero ancora davanti alla porta e le bloccavo l’uscita. Sapevo che stavo rischiando grosso; quando era arrabbiata era sì un bello spettacolo, ma pericoloso: come ammirare una tigre nella foresta che si prepara per attaccare la sua preda,  anche se fossi proprio tu la preda, non potresti comunque fare a meno di rimanere a fissare la maestosità ed eleganze di quell’animale, fino a quando non sarebbe stato troppo tardi.

«Spostati», disse tra i denti, come se mi stessa insultando con quella semplice richiesta.

Era stupenda quando si arrabbiava, uno spettacolo della natura, ed era mia.

Mia e solo mia.

Non potei fare a meno di sorridere, compiaciuto e di fare un passo verso di lei, per baciarla.

Mi beccai una sberla sulla guancia, neanche troppo dolorosa, forse di avvertimento, o forse aveva sbagliato l’intensità del colpo, fattostà che non ascoltai la sottile vocina nella mia testa che mi diceva di lasciarle un po' di spazio e di tempo per calmarsi e sbollire la rabbia, e le afferrai il viso con entrambe le mani, costringendola a guardarmi negli occhi.

Era forte, ma non quanto me e per quanto cercasse di liberarsi non ci riuscì, così – forse per ripicca – affondò con forza le dita nelle mie braccia, facendomi sentire le unghie attraverso il tessuto della camicia e del golfino che indossavo.

Aveva il viso stravolto dalla rabbia, ma nei suoi occhi, anche se cercava di nasconderlo, c’era una punta di dolore e gelosia che mi fece sorridere nuovamente: «Dovresti ormai sapere che quando fai la gattina gelosa mi ecciti», sussurrai contro le sue labbra, rubandole un veloce bacio a stampo.

Cercò di liberarsi dalla mia presa, attanagliandomi con una mano i capelli e tirando con forza. In risposta strinsi maggiormente la mia stretta sul suo viso, vedendo comparire sui suoi occhi involontarie lacrime di dolore.

«Mi fai male», disse tra i denti, strattonando con forza i miei capelli e colpendomi al petto con la mano libera.

«Anche tu», mormorai, prima di lasciarla andare e di essere lasciato libero a mia volta dalle sue grinfie.

Rimanemmo a fissarci per pochi secondi, poi vidi emozioni contrastanti rincorrersi nei suoi occhi, l’istante dopo mi era letteralmente saltata addosso e le sua labbra erano premute con forza contro le mie. Risposi al bacio con altrettanta disperazione e rabbia, stringendo tra le dita grosse manciate dei suoi capelli, che tirai per tenerla vicina.

«Ti odio», disse tra le mie labbra, e mi chiesi come fossi riuscito a comprenderla, considerando che le nostre bocche erano premute con forza le une sulle altre.

Sorrisi, mordendole il labbro inferiore: «Sei solo gelosa», sussurrai contro le sue labbra, mentre la trascinavo con poca grazia verso il letto. In risposta ricevetti un pugno piuttosto forte all’altezza dello stomaco, che mi fece ridere: «Combattiva fino alla fine, eh, micetta?».

La lasciai cadere sul letto e sollevai le sue mani verso la testiera del letto, mentre la schiacciavo contro il materasso con il mio peso.

Nel giro di pochi minuti eravamo già stati interrotti due volte; prima dalla Lovegood, poi da Breedy, ma questa volta sarei riuscito nel mio intento, anche perché lei non avrebbe potuto sfuggirmi.

Le morsi delicatamente la spalla attraverso la maglia che indossava e poi il collo, dove iniziai a succhiare la sua pelle, nell’intento di lasciarle un succhiotto.

Sentirla fremere sotto di me mi causò un dolore lancinante all’altezza dell’inguine, dove qualcuno sembrava impaziente di mettersi all’opera. Ignorai il desiderio folle di affrettare le cose e strinsi entrambi i polsi nella morsa di una sola mano, mentre l’altra afferrava sotto il cuscino le manette.

Abbandonai il suo collo solo il tempo necessario per chiudere il metallo intorno alla tenera carne dei polsi ed assicurarlo alla testiera del letto.

Abbassai lo sguardo ed incontrai il suo; aveva gli occhi appannati dall’eccitazione e le labbra socchiuse.

Le diedi un bacio dolce e lento, mente sentivo le sue cosce stringersi intorno alla mia vita: «Voglio toccarti», disse, muovendo lentamente i fianchi contro i miei, facendomi fremere.

«Dopo», le dissi, prima di sciogliermi dalla sua stretta, scendendo dal letto.

La osservai mentre seguiva ogni mio movimento, forse chiedendosi dove stessi andando.

Imperturbai la stanza, poi controllai che fosse chiusa a chiave la porta e tornai verso il letto, dove feci un’incantesimo contraccettivo. Lasciai la bacchetta sul comodino e iniziai a spogliarmi, partendo dal golfino e poi la camicia.

Gli occhi di Hermione non si persero un solo movimento, sembravano implorarmi di liberarla: «Vorresti toccarmi?», le chiesi, sporgendomi verso di lei, lasciandole un bacio in fronte ed inspirando a fondo l’odore dei suoi capelli.

Aprì bocca, come per dire qualcosa, ma la richiuse subito.

«Vuoi giocare al gioco del silenzio?», le chiesi, mentre mi sfilavo la cintura e aprivo la patta dei pantaloni; il suo sguardo si abbassò, seguendo le mie dita.

Sorrisi e salii sul letto, sedendomi a cavalcioni su di lei, facendo però attenzione a non pesarle troppo. Tirai su la sua maglietta, coprendole il viso in modo che non potesse vedere cosa stessi facendo. Sentii chiaramente il suo respiro farsi più corto ed ammirai il modo sensuale in cui il suo petto si alzava e abbassava, mettendo ulteriormente in mostra il seno nudo di fronte a me.

Abbassai il volto ed iniziai a baciare ogni centimetro del suo petto, godendo della sensazione di calore contro le labbra e la morbidezza della sua pelle.

«Draco», gemette, spezzando il silenzio, mentre tentava inutilmente di muovere i polsi e liberarsi, allungai una mano, per bloccare i suoi movimenti: «Non farlo, rischi solo di farti male», sussurrai, mordendole piano un capezzolo.

«Voglio guardarti, voglio toccarti», sussurrò, muovendo una gamba, in modo da appoggiarla sul mio fianco e stringermi a sé.

Smisi di torturarle il petto ed iniziai ad abbassarle i pantaloni e l’intimo verso il basso, godendomi la vista del suo corpo nudo.

«Vuoi guardarmi?», le chiesi, iniziando ad accarezzare lentamente le sue cosce, allargandole sempre di più, così da potermici posizionare in mezzo.

«Sì», disse, tirando le braccia, come se avesse voluto stringermi.

Anche se quel gioco mi stava divertendo particolarmente, volevo che mi guardasse, volevo che mi toccasse e graffiasse la mia schiena nel momento di massimo godimento. Mi allungai verso la bacchetta sul comodino e feci evanescere la sua maglietta e gli ultimi indumenti che indossavo, così da essere finalmente pelle contro pelle.

I suoi occhi cercarono subito i miei: «Liberami», ordinò, minacciandomi con lo sguardo, anche se non mi ci volle molto per capire che il vero problema era il suo imbarazzo: si sentiva troppo esposta in quella posizione e voleva riguadagnare terreno e fare l’amore con me alla pari.

La baciai dolcemente e annuii: «Tra poco», le promisi, riempiendo di baci la sua gola, le spalle, l’incavo tra i seni e l’ombelico. Mi aspettavo altri gemiti o mormorii di piacere, ma tutto quello che ottenni furono le sue risate: «Basta», disse, contorcendosi nel tentativo di sfuggire alle mie labbra: «Mi fai il solletico», ammise, boccheggiando alla ricerca di aria.

Fu un duro colpo per il mio orgoglio, ma non lo diedi a vedere e scesi semplicemente con le labbra più in basso, facendola sussultare e fremere, ma non per il solletico questa volta.

«Draco», gemette, gettando indietro la testa e muovendo nuovamente le braccia imprigionate dalle manette, mentre cercava di venire più vicino alle mie labbra con il bacino.

Quando m’implorò nuovamente di liberarla non riuscii a resistere oltre e con un incantesimo le feci aprire le manette che le costringevano i polsi alla tastiera del letto.

«Grazie», sussurrò, prima di immergere le dita tra i miei capelli e di avvicinare le mie labbra alle sue.

Ci baciammo per pochi secondi, assaporando le rispettive bocche come se fosse stata la prima volta. Fu lei nuovamente ad interrompere il silenzio: «Ora fai l’amore con me», mormorò, intrecciando le sue gambe alle mie.

Non me lo feci ripetere due volte ed entrai dentro di lei, sentendola gemere forte ed affondare le unghie nella pelle della mia schiena. Iniziai a muovermi piano, portando lentamente entrambi verso il piacere e godendomi le mani di Hermione che, dopo esser state costrette lontano dal mio corpo dalle manette, non la smettevano di vagare sulla mia pelle con una dolcezza indescrivibile.

Non distolsi lo sguardo dai suoi occhi nemmeno per un istante, affascinato dalla loro espressività e dal modo in cui li socchiudeva a mano a mano che il piacere diventava sempre più intenso.

Dopo l’amplesso non parlammo per parecchi minuti, coricati vicini e persi ognuno nei propri pensieri. La prima a sollevarsi fu Hermione che, appoggiando una mano sul mio petto si sporse verso di me, lasciandomi un veloce bacio sul mento e poi sulle labbra.

Quel semplice gesto mi causò una fitta al petto: volevo svegliarmi accanto a lei per il resto della mia vita, godendomi semplici azioni come i baci che mi aveva appena regalato per sempre.

Le accarezzai i capelli, le cui punte mi sfioravano la pelle, facendomi il solletico, e le diedi a mia volta un bacio sulle labbra.

Hermione aprì la bocca, ma poi la richiuse, fissando gli occhi altrove; aveva il viso contratto in una triste espressione e non mi ci volle molto per capire che stava ancora pensando allo stupido elenco che mio padre mi aveva fatto portare da Breedy.

Le accarezzai la guancia, muovendole il capo in modo da incontrare di nuovo le sue iridi scure: «Pensi davvero che ti lascerei andare senza oppormi e combattere?», le chiesi con un filo di voce, scrutando la sua espressione corrucciata distendersi appena.

«Non hai detto nulla, pensavo...», iniziò, ma non le lasciai finire la frase, sfregandole col pollice le labbra gonfie per i baci che le avevo dato e rubato: «Eppure sai che...»

Incredibile, continuavo a dimostrarglielo in tutti i modi possibile che quello che provavo per lei non era una semplice cotta, eppure non riuscivo a tradurre a parole i miei sentimenti.

“Sei patetico, Draco, patetico”, mi dissi, mordendomi il labbro inferiore: “Non riesci neanche a dirle ti amo”.

«Lo so, Draco», mormorò, appoggiando la fronte contro la mia: «Non c’è bisogno di dirlo, lo so e tu sai che per me è lo stesso».

Annuii, sfregando il naso contro il suo, beandomi della calda e morbida sensazione dei suoi seni premuti contro il mio petto e delle sue mani che mi accarezzavano il viso dolcemente.

«Un giorno riuscirò a dirtelo», sussurrai, cercando di convincere non solo lei, ma me per primo.

Lei scosse il capo: «Solitamente sono un’accanita sostenitrice delle parole, ma in questo caso preferisco che mi dimostri ciò che provi, invece di dirmelo. Voglio leggerlo nei tuoi occhi, in ogni tuo gesto, non ho bisogno anche di sentirtelo dire, non al momento almeno».

Sorrisi e chiusi gli occhi, beandomi della calma del momento, prima di accarezzarle piano la schiena.

Sentii provenire dal suo addome un brontolio sospetto e non riuscii a trattenere una risata: «Hai fame?», le chiesi, vedendola diventare istantaneamente rossa in viso: «Sì», ammise, sollevandosi a sedere e poi in piedi.

La vista del suo corpo nudo che si muoveva per la stanza alla ricerca di qualcosa da indossare era qualcosa di maledettamente eccitante, ma avevo anche io fame e mi servivano energie, dato che le ultime rimastemi le avevo consumate facendo l’amore con lei.

Presi le manette, nascoste sotto il cuscino e me le rigirai tra le mani.

«La prossima volta sarò io a legarti», il tono malizioso della sua voce mi fece sorridere.

Alzai lo sguardo per incontrare il suo: «Non vedo l’ora».

Si morse il labbro, afferrò la mia camicia da terra e la indossò, sembrava stesse già pregustando la sua futura rivincita.

«Questo pomeriggio rimani con me?», chiese, cambiando argomento, mentre mi porgeva un paio di mutante e dei pantaloni scuri che aveva trovato nel mio armadio.

Il modo normale, quasi automatico, con cui mi passò i vestiti mi fece sorridere: «Sì, non ho altri impegni per la giornata».

Senza preavviso il suo volto si illuminò, diventando quasi raggiante: «Possiamo sentire i miei amici allora, e poi pensare ad un piano...», disse, avvicinandosi al comodino, giocherellando col suo galeone incantato: «Con Luna questa mattina abbiamo pensato a dove potrebbe trovarsi il diadema di Corvonero e ci è venuta in mente una persona che potrebbe saperne qualcosa», continuò, lanciandomi una veloce occhiata.

Incuriosito ed ammirato le chiesi chi fosse questa persona, la vidi arrossire alla mia domanda: «La Dama Grigia», sussurrò: «Luna sperava di andare di persona ad interrogarla», aggiunse, mordendosi il labbro inferiore: «Siamo entrambe stanche di rimanere chiuse tra quattro mura, sai?», disse con tono casuale, facendomi assottigliare lo sguardo: «Vorrei anche io contribuire alle ricerche in qualche modo... inoltre ci servirebbe un volume che tratti del serpentese, dobbiamo trovare il modo per scendere di nuovo nella Camera dei Segreti per prendere una delle zanne del basilisco, che servirebbe a distruggere gli Horcrux che riusciamo a recuperare...»

Alzai una mano, zittendola: «Troppe informazioni, inoltre ho smesso di ascoltarti dopo che hai detto di voler “contribuire alle ricerche”», ammisi con un filo di voce: «Vuoi farti ammazzare, Hermione?»

Il suo volto si arrossò di colpo: «Certo che no!», esclamò, facendo un veloce e brusco gesto con la mano.

«Allora spiegami come faresti a “contribuire alle ricerche” senza farti vedere dalle decine e centinaia di Mangiamorte che girano quotidianamente all’interno di ogni singolo corridoio di Hogwarts!», esclamai, alzandomi in piedi ed iniziando a vestirmi con movimenti secchi e frettolosi.

Andava tutto bene; avevamo appena fatto l’amore, ero rilassato, felice ed appagato. Possibile che lei dovesse sempre trovare il modo di irritarmi e farmi preoccupare con poche frasi?

«Esiste la pozione Polisucco», disse, risentita per il mio tono di voce aspro.

«E di chi vorresti prendere le sembianze?», chiesi, passandomi le mani tra i capelli ed abbassando il viso, per nasconderle l’espressione corrucciata e preoccupata.

«Non lo so», ammise, appoggiando una mano sulla mia spalla tesa: «Era solo un’idea, Malfoy. Io...»

Sollevai di scatto il viso, facendola sussultare: «Adesso sono tornato Malfoy, Granger?», chiesi con un tono di voce aspro. Mi feriva quando cercava di prendere le distanze appellandomi col mio cognome, invece di usare il mio nome.

Si inginocchiò di fronte a me, prendendomi il viso tra le mani e costringendomi a guardarla negli occhi: «Era solo un’idea, Draco... Non potrai tenermi nascosta qua dentro per sempre. Sono consapevole del pericolo, ma ho bisogno di fare qualcosa che non sia girarmi i pollici ogni giorno, sperando di vederti tornare e che non ti succeda nulla di male».

Avevo esagerato, sapevo di essermi appena comportato da serpe egoista ed esageratamente protettiva, ma l’dea di lasciarla girare per il castello da sola mi metteva addosso una strana e dolorosa sensazione d’inadeguatezza e impotenza.

Presi due profondi respiri ed annuii: «Ho esagerato», ammisi, passandomi nuovamente le dita tra i capelli, per poi coprire le sue mani, che si trovavano ancora contro le mia guance: «Ci penseremo, va bene?»

Un dolce sorriso comparve sul suo viso, facendo sciogliere il nodo dolorosa che mi stringeva all’altezza dello stomaco: «Grazie», mormorò, lasciandomi un breve e dolce bacio sulle labbra.

«Mangiamo?», proposi, in modo da cambiare argomento ed avere un po’ di tempo per capire perché l’amore dovesse essere così complicato.

Hermione annuì: «Certo».

Dopo aver chiamato Breedy chiedendogli il pranzo ci sedemmo entrambi a tavola, l’uno di fronte all’altra, aspettando che l’elfo tornasse.

«Dovremmo pensare ad un modo per sottrarre a tua zia la Coppa», disse lei, tamburellando con le dita sul tavolo: «Dove pensi che la possa aver nascosta?»

Scossi la testa: «Non ne ho la più pallida idea, forse era meglio se lo teneva alla Grincott, ad Hogwarts potrebbe averla nascosta ovunque», ragionai, incrociando le braccia al petto, pensieroso.

Un sonoro “pop” ci fece voltare entrambi verso Breedy, che stava facendo lievitare una decina di vassoi colmi di cibo. Con attenzione li adagiò sul tavolo e fece un breve inchino: «Buon appetito», disse, per poi scomparire con la stessa velocità con cui era comparso.

Hermione ed io iniziammo a mangiare con calma e in silenzio; non era però una situazione imbarazzante, ma pacifica e rilassante.

«Temo che Blaise sia innamorato della Lovegood», dissi con tono pensieroso, mentre tagliavo un pezzo di carne nel mio piatto.

Sentii un suono strozzato e, alzando lo sguardo, la vidi sbarrare gli occhi e battersi ripetutamente il petto, come se qualcosa le fosse andato di traverso. Mi alzai di scatto e le diedi qualche colpo sulla schiena, provando ad aiutarla: «Hermione? Stai bene?»

Mi fece un vago gesto con la mano e si riempì il bicchiere d’acqua bevendone un lungo sorso. Assistessi con sollievo al cambio repentino del suo colorito, che da rosso pomodoro tornò ad un normale rosa incarnato.

«Scusa», disse, tossendo appena: «Mi hai colto alla sprovvista», ammise, riprendendo a respirare normalmente.

Tornai al mio posto, continuando a guardarla, preoccupato che potesse avere un altro attacco simile.

«Te l’ha detto Zabini?», chiese curiosa, senza distogliere lo sguardo dal mio.

«Beh, lui ha detto di “volerla stringere e portarsela a letto”, ma da come ne parlava... non so... mi ricordava come gli parlavo di te qualche anno fa, quando pensavo che fossi solo una brutta ossessione e che saresti passata con un po’ di forza di volontà», ammisi, vedendola arrossire nuovamente, questa volta però non era sul punto di soffocare.

«Anche Luna è attratta da lui», disse, tornando a puntare i riflettori su di loro e non su noi due.

Sorrisi: «Speriamo che lo faccia penare un po’ prima di cedere, allora, non vorrei che il mio migliore amico spezzasse il cuore alla tua amica...», ammisi, rubando dal suo piatto una patata arrosto.

Lei mi lanciò una veloce occhiata di rimprovero, poi sorrise: «Fatico ancora a credere di esser stata il tuo sogno proibito per anni», mormorò.

Risposi con una smorfia imbarazzata: «Come mai?», le chiesi.

«Il primo anno avevo una cotta per te, te l'ho detto», sussurrò, avvicinando il capo, come se mi stesse rivelando il segreto più imbarazzante di tutti: «Ti ricordi?»

Sorrisi, ripensando alla sera prima, quando me ne aveva parlato

«Ricordo», dissi, avvicinando a mia volta il capo al suo.

«Stavo pensando che, se solo... se solo non ci fossero differenze come il sangue, la casa di appartenenza, eccetera, forse te ed io...», sussurrò, lasciando in sospeso la frase, mentre i suoi occhi si velavano di tristezza.

«Avremmo avuto più tempo per stare insieme», l’aiutai, appoggiando la mano sulla sua guancia, sentendo le sue dita stringere il mio polso.

Lei annui, piano, mordendosi il labbro inferiore e poi sospirò: «Meglio tardi che mai».

Sentii una fitta dolorosa al petto pensando a quanto dolore mi sarei risparmiato se il mondo magico in cui vivevamo fosse stato più tollerante nei miei e suoi confronti.

Volevo per i miei figli un mondo migliore, un mondo che avrei combattuto per creare, un mondo in cui io ed Hermione saremmo potuti stare insieme senza pregiudizi, cattiverie e minacce.

 

****************************************************************************************

Ciao :)

Scusate, volevo già postare il capitolo ieri, ma non l'avevo ancora corretto per bene e non volevo farvi leggere un obbrobrio pieno di errori grammaticali, quindi ho deciso di aspettare... Anche se non sono del tutto certa che il capitolo sia completamente corretto, mi sfuggono sempre degli errori, purtroppo... -.-

Ma tornando a noi: che ne pensate? Io trovo questo capitolo molto dolce, diciamo che rispetto ai precedenti capitoli, dove capitava sempre qualcosa di inaspettato è stato un capitolo piuttosto tranquillo e di passaggio... Presto dovranno andare alla ricerca degli Horcrux, contattare Harry e Ron, trovare un modo per farli entrare nel castello, sconfiggere l'Oscuro Signore... Ne hanno ancora di strada da fare! x

Ringrazio kelia, ladyathena, monica87mi, mangiolina, Iloveicecream e kasumi_89 per le loro stupende recensione ed invito tutti voi lettori silenziosi a dedicarmi dieci, massimo quindici minuti (se proprio avete tanto da dirmi), del vostro tempo per lasciarmi anche voi un commento! :)

Il prossimo capitolo arriverà la prossima settimana, ancora non so quando precisamente... preferireste lunedì o martedì?

Un bacione a tutti/e! ;*

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** A crying girl and a little problem ***


19. A crying girl and a little problem

 

Quando Breedy portò via i piatti sporchi del pranzo, chiesi a Draco di poter usare la sua bacchetta per mettermi in contatto con Harry e Ron ed aggiornarli a proposito della coppa e del piano, per il momento solo abbozzato, di Luna e me.

Malfoy non si oppose o sembrò minimamente contrario alla cosa, mi chiese se avrebbe potuto assistere e mi porse la bacchetta con un’espressione di fiducia e orgoglio che mi fece venir voglia di abbracciarlo stretto e non lasciarlo più.

Presi il galeone e mi sedetti al centro del letto a gambe incrociate, lasciando che Draco si coricasse appoggiando il capo sul mio grembo.

Non persi tempo e scrissi un semplice: “Ragazzi, ho novità. Voi come state?”, poi appoggiai sul mio palmo la moneta, nell’attesa che bruciasse, avvisandomi di aver ricevuto una risposta.

Mentre aspettavo, posai la bacchetta e, con la mano libera, presi a giocare coi capelli di Malfoy, godendo della sensazione di solletico e morbidezza che mi provocavano.

Passarono alcuni secondi, poi il mio sguardo, che si era incantato a fissare la parete, si posò nuovamente sul galeone; bollente sul mio palmo.

“Tutto bene. Tu? Racconta.”

“La coppa è a Hogwarts, c’è l’ha Bellatrix Lestrange. Lucius e Narcissa Malfoy vogliono aiutarci. Luna pensa di sapere chi potrebbe conoscere la collocazione del diadema. Draco Malfoy ed io cercheremo un modo per introdurci nella Camera dei Segreti per recuperare una zanna del Basilisco e distruggere gli Horcrux.”

Appena inviai il messaggio, mi resi conto che gli occhi chiari del Serpeverde mi stavano fissando con insistenza, così posai galeone e bacchetta, lanciandogli a mia volta un’occhiata indagatrice.

«Non ti permetterò mai e poi mai di girare da sola per i corridoi di Hogwarts senza una bacchetta o la mia protezione», disse; il tono di voce era serio e non ammetteva repliche.

Annuii, lo capivo, anch’io mi preoccupavo della sua incolumità ogni volta che metteva piede fuori da camera sua. La differenza era che lui aveva molte meno possibilità della sottoscritta di rimanerci secco. Aprii bocca, volevo fargli notare che io non gli avevo mai chiesto di girare per Hogwarts, in quelle particolari condizioni, da sola, ma venni interrotta dalla sua mano, che mi zittì, appoggiandosi sulle mie labbra.

«Ma capisco il tuo punto di vista e sono pronto ad accontentarti; andremo insieme nella Camera dei Segreti e tu non ti allontanerai da me per nessun motivo al mondo fino a quando non torneremo qua dentro sani e salvi, chiaro?»

Sentii gli occhi bruciarmi per la commozione trattenuta. Sapevo che avrebbe ceduto, non pensavo però di non dover insistere maggiormente per giungere al mio scopo.

Abbassai il volto, fino a quando le mie labbra e le sue non si sfiorarono in un dolce bacio di ringraziamento.

«Devi promettermi che non farai nulla si sconsiderato, ok? Appena metterai piede fuori da questa stanza sottostarai ai miei ordini e…»

Lo zittii con un altro bacio, annuendo con vigore: «Va bene, Draco, hai la mia parola.»

Gli sorrisi e lui ricambiò, anche se in modo meno entusiasta, si vedeva che era ancora molto preoccupato, oltre ad essere contento della mia felicità. E, oltre a quei sentimenti, notavo nei suoi lineamenti una punta di disagio, che non riuscii a decifrare.

«Sfregiato non ha ancora risposo?», chiese, distogliendo lo sguardo, per guardare nella direzione del galeone.

Non riuscivo a capire il suo comportamento, sapevo che aveva usato apposta quell’odioso soprannome per farmi ricordare chi lui fosse, quasi la mia gratitudine e l’amore che traspariva dal mio sguardo in quel momento fossero troppo per lui e avesse bisogno di ricevere uno sguardo di rimprovero per ristabilire l’ordine naturale delle cose.

Indugiai solo pochi secondi ancora sul suo volto, scuotendo il capo, realizzando ancora una volta quanto Draco Malfoy sarebbe rimasto sempre e comunque un mistero, non sarebbe importato quanto avrei scavato e scoperto, lui avrebbe di sicuro continuato a stupirmi e a dimostrarsi l’impossibile rompicapo che era.

Presi il galeone in mano, constatando di aver effettivamente ricevuto una risposta: “Fai attenzione, cercheremo di introdurci ad Hogwarts nei prossimi giorni, l’Ordine vuole attaccare ora che il nemico sembra aver abbassato le difese. Tienici informata e non fare nulla di stupido.”

Aggrottai le sopracciglia, chiedendomi se l’idea dell’Ordine fosse o meno saggia, prima di rassicurarli un’ultima volta, salutarli, e posare galeone e bacchetta sul comodino di Draco.

«Tutto bene?», chiese il Serpeverde, prendendo la mia mano destra tra le sue.

«Non lo so, hanno detto che vogliono attaccare Hogwarts al più presto, non so quanto possa essere una buona idea», ammisi, lasciando che le sue dita accarezzassero con dolce sicurezza la mia pelle.

«Li aiuteremo ad entrare e a vincere, non ti devi preoccupare di nulla.»

Annuii, lievemente rassicurata dalle sue parole, poi un altro pensiero mi fece tornare un’espressione di fredda sicurezza sul viso: «Dobbiamo fare in modo che quando decideranno di attaccare gli Horcrux siano distrutti, così Harry avrà la possibilità di uccidere una volta e per tutte Tu-Sai-Chi».

Malfoy annuì, anche lui era tornato serio, quasi l’avessi contagiato con la mia determinazione.

«Hai ragione», disse, sollevandosi a sedere e poi in piedi.

Nel giro di pochi secondi, mentre io continuavo a pensare a quante cose ancora dovevamo fare, Draco indossò il mantello, recuperò la sua bacchetta e la maschera da Mangiamorte.

«Dove vai?», chiesi, allarmata, aggrottando la fronte. Aveva forse mentito quando mi aveva detto che quel giorno avrebbe avuto il pomeriggio libero?

«Vado in biblioteca a cercare informazioni a proposito del serpentese e poi ruberò della Pozione Polisucco dalle scorte di Piton e chiederò a Blaise e Luna di unirsi a noi per discutere dei dettagli del piano», disse, abbassandosi un istante per darmi un bacio sulle labbra; quelle mie labbra che sembravano esser rimaste sotto shock a causa di quello che stava succedendo.

Non ebbi modo di rispondere, nel giro di due secondi era già uscito dalla stanza, lasciandomi letteralmente senza parole.

Sì, avevo appena avuto la conferma che Draco Malfoy sarebbe sempre rimasto un mistero per me.

Sorrisi e poi scoppiai a ridere, gettandomi di schiena sul letto per sdraiarmi e godere della comodità del materasso e delle coperte.

Tutto sembrava che si stesse risolvendo nel modo migliore, dovevo solo continuare a fidarmi di Draco, del mio nemico, per avere la certezza che non avrebbe permesso mai e poi mai a nessuno di farmi del male.

Nuovamente da sola in quella camera mi chiesi cos’avrei potuto fare mentre aspettavo il ritorno del suo proprietario. Presi in considerazione l’idea di fare un pisolino, o magari di approfittare del tempo libero per fare uno lungo bagno pieno di bolle per rilassarmi.

Ma i miei progetti sfumarono quando la porta della stanza si aprì all’improvviso, e una seria e fredda Pansy Parkinson fece il suo ingresso trionfale, con la maschera da Mangiamorte sotto il braccia e il suo tipico broncio da bambina viziata stampato in viso.

I suoi occhi scuri scandagliarono la camera centimetro per centimetro, prima di posarsi su di me.

Ricordavo bene l’ultima volta che avevamo parlato con lei; era stato prima della battaglia, quando avevo scoperto che mi aveva preso in giro, che mi aveva ingannata per impedire che Nott fosse ucciso.

«Granger», mi salutò, chiudendosi la porta alle spalle, prima di togliersi il mantello e accomodasi su una delle sedie vuote come se fosse stata camera sua e avesse avuto tutto il diritto di mettersi comoda: «Malfoy non c’è?»

Scossi la tesa, mettendomi a sedere sul bordo del letto: «No, è uscito pochi minuti fa».

La Parkinson, dopo aver udito le mie parole, sembrò sgonfiarsi, perdendo tutta la spavalda sicurezza che aveva mostrato fino a pochi secondi prima. Le spalle, che erano state impeccabilmente diritte, si  abbassarono e la schiena si ingobbì, mentre il viso venne oscurato da una malinconia tanto intensa da farmi sentire, malgrado ce l’avessi ancora un po’ con lei, partecipe del suo dolore e piena di compassione e pietà.

Era passata dall’essere la candidata perfetta per sfidare a colpi di bon ton ed etichetta la Signora Malfoy, al fantasma sbiadito di se stessa.

«Cos’è successo?», chiesi preoccupata, avvicinandomi a lei, fino a quando non mi trovai a pochi centimetri dalla sua figura accartocciata su se stessa.

«Parkinson?», la chiamai ancora, dopo aver aspettato infiniti secondi di ricevere una risposta.

Appoggiai una mano sulla spalla, sentendola subito irrigidirsi sotto la mia stretta, ma la ragazza non fece niente per sottrarvisi, si limitò ad alzare il viso, mostrandomi i suoi lineamenti stravolti dal dolore e calde lacrime rigarle la pelle chiara.

Un pensiero improvviso mi fece aggrottare la fronte e parlare: «É successo qualcosa a Nott?»

Immagini di guerra e dolore mi fecero gelare il sangue nelle vene e sperai, malgrado la Parkinson non fosse propriamente la mia migliore amica, che non fosse successo nulla di grave o di irrimediabile al ragazzo di cui diceva di essere innamorata.

Mi chiesi se il cuore della serpeverde non fosse un po’ troppo volubile, un attimo prima dedita a professare amore e fedeltà a Malfoy, quello dopo a correre dietro a Nott…

Mi diedi da sola dell’ipocrita e mi sentii in colpa per il mio pensiero ingiusto. Chi ero io - innamorata di Ron e poi dopo pochi giorni di Draco - per giudicarla?

In realtà eravamo più simili di quanto avremmo mai ammesso.

La Parkinson rispose alla mia domanda con una semplice scossa di capo e io mi sentii più leggera di prima; se Nott era sano e salvo allora magari il problema sarebbe stato relativamente facile, cosa poteva mai esser successo di altrettanto grave da farla piangere, dimentica del proprio orgoglio, davanti a me?

«Che ne dici di parlarne di fronte ad una tazza di tè? Potrebbe aiutarti a calmarti?», le chiesi, togliendo la mia mano dalla sua spalla, per sedermi a tavola di fronte a lei.

Pansy annuì.

Non persi tempo e chiamai subito Breedy.

L’elfo domestico comparve dopo meno di due secondi davanti a me con un profondo inchino: «La signorina Granger ha chiamato?», chiese, prima di notare la Parkinson e di fare un inchino anche a lei.

«Potresti portarci del tè, per favore?»

Breedy eseguì nuovamente una genuflessione e poi scomparve.

«Solo una feccia come te può trattare un elfo come se fosse un suo pari», disse con tono tagliente la Parkinson.

La guardai male, facendole capire di non aver apprezzato. Capivo il suo desiderio di insultarmi per sfogare la su collera e tristezza, per far diventare anche me misera e piangente proprio com’era lei in quel momento, ma non gliel’avrei permesso.

«E solo una stupida come te può trattare male la feccia che sta cercando di capirla, aiutarla e consolarla», ribattei.

Breedy tornò prima che potesse rispondermi e appoggiò con un altro inchino il vassoio, contenente la teiera, due tazzine, latte, limone, zucchero e dei biscotti al cioccolato, sul tavolo che divideva la Parkinson e me.

«Grazie, Breedy, ora puoi andare.»

Dopo il sonoro ‘pop’ della smaterializzazione dell’elfo, la stanza cadde in un silenzio teso.

La Parkinson teneva lo sguardo basso, non sembrava dispiaciuta per avermi insultato, ma solo triste.

«Hai intenzione di raccontarmi cos’è successo?», le chiesi, afferrando la teiera per versare del tè in entrambe le tazze.

Quella situazione mi ricordava la visita di quella mattina della signora Malfoy, anche se la purosangue che avevo davanti in quell’istante sembrava meno altezzosa e più sconsolata, rispetto all’impeccabile madre di Draco.

«Ho sbagliato a venire qui», disse, ma non si mosse di un millimetro: «Perché mai ho pensato che tu avresti potuto aiutarmi?»

La sua voce era bassa e pacata, sembrava stesse commentando il tempo o parlando di una notizia letta su un giornale, stava constatando l’ovvio.

Mi chiesi se dovessi insistere o meno e, quando decisi che ero troppo curiosa per aspettare, la Parkinson aprì nuovamente bocca e mi precedette: «Eppure tu sai come ci si sente… Non è vero?»

Fece nuovamente una breve pausa e poi sospirò e alzò lo sguardo, puntano i suoi occhi scuri nei miei: «Eri innamorata di Weasley quando lui ha baciato la Brown, quindi potresti intuire la mia sofferenza…»

Aggrottai le sopracciglia, stava parlando per caso di Malfoy e me? O Nott…?

«Theo ha una cotta per Daphne, vuole che lo aiuti a conquistarla.»

La Parkinson lanciò la bomba con un tono casuale, mentre girava il cucchiaino nella tazzina senza fare il minimo rumore.

Dire che rimasi senza parole sarebbe un eufemismo, quasi mi strozzai con il tè per la sorpresa.

«Ma Daphne…», iniziai a dire, prima di bloccarmi e cominciare a ridere.

La mia reazione non fu una delle migliori, ma la situazione era così contorta e al limite del possibile che non avrei potuto fare diversamente. Vedevo chiaramente che la Parkinson, di fronte a me, era a dir poco indignata dal mio comportamento inadeguato; sicuramente si stava dando della stupida, per aver pensato che io sarei potuta essere di qualche aiuto.

«Cavolo, che pasticcio!», esclamai, portandomi le mani a coprirmi il viso, un po’ per nascondere il sorriso che ancora mi illuminava il volto, un po’ per mostrarle la mia costernazione.

«Io non ci trovo nulla da ridere», sibilò la Serpeverde, linciandomi con un’occhiata di puro odio.

«Daphne è innamorata di un’altra persona, me ne ha parlato recentemente Draco», ammisi: «Altro che triangolo amoroso, questo sembra più un quadrato, se non addirittura un pentagono.»

Pansy posò subito la tazzina e rimase con gli occhi sbarrati dalla sorpresa a fissare il pavimento: «Daphne non nutre nessun interesse nei confronti di Nott, quindi?», chiese in un sussurro.

«Ne dubito fortemente», le risposi, grata di constatare come un tenue sorriso fosse comparso sulle sua labbra.

«Quindi…», iniziò, sollevando il capo, una punta di speranza ad addolcirle i lineamenti: «Nott non sarà mai ricambiato?»

 «No.»

Rimanemmo per qualche secondo in silenzio, io a sorseggiare il mio tè, contenta di averla aiutata, malgrado Pansy Parkinson non fosse la persona che preferivo al mondo, mentre lei continuava a passarsi le mani tra i capelli in modo nervoso.

Alcune lacrime le offuscarono la vista, prima di scivolarle oltre le palpebre e bagnarle il viso: «Mi sembra così sbagliato; essere felice di dover dare una così cattiva notizia a Theo…»

Prese uno dei tovagliolini di carta sul vassoio e si asciugò il volto, sorridendo debolmente: «Quando gli dirò che Daphne non è interessata a lui, ma a un altro… Theo finirà coll’odiarmi.»

Aprii bocca, avrei voluto consolarla, ma non ebbi il coraggio di emettere un fiato, insicura su cosa dire e timorosa di peggiorare soltanto la situazione. Pensai di specificare che Daphne non era innamorata di un lui, ma di una lei, poi però decisi di lasciare perdere e mi limitai ad affogare le mie parole nei biscotti al cioccolato e la tazza di tè. 

Mentre assistevo alla pazzia della Parkinson, che la portava a ridere e piangere contemporaneamente, sentii una dolorosa fitta sotto l’ombelico che mi spinse ad appoggiarvi una mano contro, nel vano tentativo di attutire il male.

Avevo la fronte aggrottata e perplessa quando arrivò la seconda fitta, che vide come protagonista non solo il basso ventre, ma anche la schiena, e l’inguine. A quel punto non avevo poi più molti dubbi su cosa mi stesse succedendo, era ovvio che mi fosse appena arrivato il ciclo.

Sospirai e alzai la testa, incontrando lo sguardo confuso della Serpeverde che fissava la mia mano sulla pancia, senza capire cosa stesse succedendo.

«Ti senti bene?», mi chiese, posando la sua tazza di tè ed alzandosi per avvicinarsi.

«Mestruazioni», dissi soltanto.

Ora il grande problema era: cosa fare? Ovviamente non avevo con me i comodissimi assorbenti Babbani e nemmeno quelli per streghe, per non parlare della pozione contro i dolori mestruali o le medicine Babbane che sortivano lo stesso effetto.

Pansy annuì, con uno sguardo di comprensione stampato in volto: «Torno subito», disse e uscì dalla stanza nel giro di due secondi, lasciandomi sola.

Io ne approfittai per correre in bagno e sedermi sul gabinetto per controllare la situazione; avevo ovviamente sporcato i boxer di Draco, ma non era nulla che un incantesimo o un po’ di acqua fredda e sapone non avrebbero potuto sistemare.

Mi portai nuovamente le mani sulla pancia e gemetti per i crampi, desiderando, non per la prima volta e probabilmente nemmeno per l’ultima, di essere nata maschio.

Sentii la porta della camera aprirsi e richiudersi, non sapendo chi fosse decisi di rimanere in silenzio a studiare la cadenza dei passi, chiedendomi se fosse tornata la Parkinson o se fosse Malfoy.

Sentii un lieve ‘toc-toc’ contro la porta del bagno: «Hermione?», chiamò la voce bassa e lievemente preoccupata di Draco.

Mi coprii il volto con le mai; che situazione di cacca di Schiopodo!

«Sì?», risposi, stringendo i denti per il dolore intenso.

«Posso entrare?»

Sbiancai di colpo; farsi vedere nello stato pietoso in cui mi trovavo da Draco Malfoy, in quel momento, non mi sembrava una buona idea, così risposi di no e sperai che non facesse di testa sua, entrando lo stesso.

Vidi la maniglia della porta del bagno abbassarsi ed ero già pronta ad insultarlo, quando la porta d’ingresso s’aprì e la voce squillante della Parkinson annunciò di essere tornata.

Mai avrei pensato di dirlo, ma ero contenta che fosse lì.

«Levati di mezzo, Malfoy», gli disse e il secondo dopo era entrata nel piccolo bagno, porgendomi un paio di pozioni contro i dolori mestruali ‘Dissipatore-Di-Dolore’, un paio di mutande pulite e un pacchetto degli assorbenti per strega più costosi in circolazione.

«Ora vado a tenere Draco occupato per un po’, tu fai con comodo», mi ordinò, puntandomi un dito contro a mo’ di minaccia.

«Grazie», le dissi, e lei mi rispose con un veloce gesto della mano, prima di tornare nella camera da letto, dove sentii chiaramente Malfoy cominciare a fare tante domande.

Misi le mutande, che scoprii essere magicamente adattabili ed elasticizzate, poi tirai fuori dalla confezione uno degli assorbenti, che sembrava una semplice pezza di cotone, a prima vista pareva anche poco confortevole, ma in realtà era molto morbida, si incollava magicamente al tessuto delle mutante, garantendo confort e sicurezza.

Non avendo una bacchetta sciacquai i boxer di Draco con l’acqua fredda, sfregando fino a quando la macchia non scomparve e poi li lasciai ad asciugare sul bordo della vasca.

Per ultima cosa afferrai la boccetta di ‘D-D-D’ e la bevvi tutta d’un fiato, storcendo le labbra al sapore amaro della pozione, che avrebbe fatto effetto nel giro di qualche minuto.

Quando uscii dalla camera, mi ritrovai a sorridere del modo in cui Malfoy fissava con fastidio la Parkinson, che continuava a blaterare a proposito di vestiti, trucchi, passerelle e sfilate di moda a cui sua cugina aveva la possibilità di assistere gratuitamente grazie alla sua posizione di spicco come scrittrice di articoli per ‘Strega&Moda’.

«Grazie, Pansy», le dissi, facendole sbarrare gli occhi dalla sorpresa, io per prima non mi raccapezzavo di averla chiamata per nome, ma mi sembrava il minimo dopo il suo aiuto.

La Parkinson afferrò il suo mantello, la sua maschera da Mangiamorte, bevve l’ultimo sorso del suo tè e poi uscì con sguardo alto e fiero dalla stanza, non assomigliando neanche un po’ allo straccio depresso che era entrato poco prima.

Draco mi si avvicinò all’istante, alzandomi il viso per scrutarmi negli occhi: «Stai bene? Cos’è successo?»

Mi chiesi se sarebbe stato meglio mentire o meno, poi optai per la verità e con un tenue sorriso gli dissi: «Mestruazioni».

Gli comparve sul volto un’espressione perplessa, poi una smorfia triste: «Capisco, ecco perché eri più intrattabile del solito ultimamente.»

Gli tirai una botta sulla spalla, facendolo gemere dal dolore.

«Lascia che ti dia un consiglio per il futuro: mai sfottere una donna col ciclo in piena crisi ormonale.»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Parseltongue ***




Consiglio di leggere prima qua: Capitolo ottavo

20. Parseltongue



Chiusi il volume con un colpo secco colmo di rabbia malamente repressa.

Presi un profondo respiro e sollevai lo sguardo.

Malfoy, seduto in poltrona a leggere la "Gazzetta del Profeta" non sembrò minimamente scalfito dal rumore della pagine sbattute le une contro le altre.

Avevamo passato l'intero pomeriggio in silenzio, lui a informarsi su ciò che stava succedendo nel resto del mondo magico, io a leggere il volume che aveva recuperato in biblioteca e che si era rivelato una totale perdita di tempo. Quel volume parlava solo della storia del serpentese, della sua bassa diffusione e dell'impossibilità di intraprenderne lo studio senza un maestro a conoscenza di quella lingua. In poche parole si era rivelata una lettura inutile.

Sbuffai, infastidita e mi alzai.

Cominciai a camminare avanti e indietro per la stanza, passandomi ripetutamente le mani tra i capelli per il nervoso.

L'unica soluzione possibile era mandare un messaggio via galeone e sperare che Harry potesse in qualche modo aiutarmi. Se fosse stato possibile per lui inviarmi la pronuncia esatta della parola necessaria per poter aprire la camera dei segreti sarebbe stato perfetto.

Mi diressi verso il comodino con rinnovata speranza, abbandonando il volume della biblioteca sul letto.

Presi in mano il galeone incantato e me lo rigirai tra le dita. Tutto quello che dovevo fare era recuperare la bacchetta di Malfoy e sperare che tutto procedesse per il meglio.

Voltandomi, incrociai lo sguardo di Draco, che seguiva i miei movimenti con curiosità malcelata: «Come procedono le ricerche?», mi chiese, tornando ad abbassare lo sguardo sulle pagine del giornale.

Provava a non darlo a vedere, ma sembrava divertito dal mio fallimento. Gli si leggeva in viso che, per quanto mi avesse dato carta bianca, una parte di lui ancora non era convinta che quella fosse l'unica soluzione possibile.

«Il libro si è rivelato inutile», ammisi, alzando gli occhi al cielo alla vista dell'espressione compiaciuta sul suo volto.

«Peccato», disse, tornando a leggere il giornale.

«Posso usare la tua bacchetta?», chiesi, avvicinandomi di qualche passo.

Lo vidi aggrottare le sopracciglia: «Come mai?»

Trattenni uno sbuffo infastidito e decisi che se l'era cercata e che non mi restava altra scelta.

Senza pensarci troppo lo raggiunsi, gli presi il giornale di mano e lasciai che cadesse ai nostri piedi, prima di prendergli il viso tre le mani e costringerlo a guardarmi negli occhi.

«Non farmi arrabbiare, non sono in vena di giochetti», usai un tono di voce piatto. Non mi sembrava il caso di urlargli contro; era già abbastanza facile offenderlo senza aver bisogno di rincarare la dose.

Alzò gli occhi al cielo: «Ed è comportandoti in questo modo che speri di ottenere un favore da me?»

Ecco appunto. Mi era bastato constatare l'ovvio per offenderlo.

Grandioso.

Non mi restava altro da fare, mi sarei dovuta sacrificare e baciarlo per farmi perdonare.

Sacrificio che ero più che ben disposta a fare.

Premetti la mia bocca contro la sua, addolcendo la presa delle mie mani sul suo viso; trasformandola in una carezza.

Percepii chiaramente le sue labbra sollevarsi in un sorriso, mentre rispondeva al bacio e immergeva una mano tra i miei capelli.

Non gli permisi di approfondire il bacio, scostandomi da lui: «Posso usare la tua bacchetta?»

Il sorriso sulle sue labbra si allargò ulteriormente: «Sei peggio di una serpe, Granger».

Per Malfoy quello doveva essere una specie di complimento, un apprezzamento inusuale, certo, eppure nei suoi occhi c'era orgoglio, ne ero certa. Quelle parole non vennero però recepite in quel modo dalle mie sinapsi, che mi fecero allontanare di un paio di passi.

Continuavo a fissare il colletto della camicia bianca che indossava Draco, quell'indumento gli stava divinamente; metteva ulteriormente in risalto il pallore del biondo e fasciava la sua figura in modo sensuale ed elegante. Malgrado ciò i miei occhi non riuscivano a vedere la camicia, avevano una visione sfocata della realtà e non riuscivano a mettere a fuoco.

"Sei peggio di una serpe".

"Sei peggio di una serpe".

"SEI PEGGIO DI UNA SERPE, GRANGER".

Chiusi gli occhi.

Quelle parole mi facevano male. Io non ero un serpe. No. Io ero una Grifondoro, una fiera Grifondoro.

Ma come avrei potuto dargli torto?

Mi ero comportata da serpe, avevo usato la seduzione, i miei baci, nel tentativo di convincerlo. Forse perché sapevo con certezza che avrebbero funzionato. Forse perché per ottenere ciò che volevo avrei fatto qualsiasi cosa, anche comportarmi da serpe, come aveva detto lui.

«Lo pensi davvero?», sussurrai, sollevando lo sguardo, in modo da osservare ogni sua reazione.

Draco mi accarezzò la guancia; dolcezza nel suo sguardo e anche tanta tristezza.

«Mezzosangue, penso di essere io la serpe. Tu sei la solita fiera e orgogliosa leonessa, che si abbassa a trucchetti da serpe occasionalmente, quando il sottoscritto non le lascia altre scelta. Non volevo offenderti».

Le sue parole erano proprio ciò che avevo bisogno di sentire per zittire la mia coscienza irrequieta: «Posso usare la tua bacchetta?»

«Sì, puoi, ma trattala bene», rispose, porgendomi il suo legno con la mano destra.

«Grazie, Draco».

Afferrai la bacchetta e, sedendomi sul letto, mandai un veloce messaggio ad Harry, chiedendogli come stessero e se avevano novità.

Mentre aspettavo una risposta ripensai alla conversazione che avevo appena avuto con Malfoy. Mi aveva mentito? Credeva davvero a ciò che aveva detto?

Da quando tutta quella faccenda era iniziata, da quando la scommessa era iniziata, mi ero spesso trovata in situazioni che non avrei mai pensato possibili. Mi ero ritrovata a mentire, a comportarmi in modo scorretto e a vestirmi in modo inappropriato.

Avevo più volte messo in discussione me stessa. Ero cambiata molto e l'accusa di essere un po' serpe, dopo tutto quello che era successo, non mi sorprendeva più di tanto.

Era da molto che non mi sentivo più l'incorreggibile Hermione Granger e tutta la colpa non si poteva imputare a Draco. Mi sentivo io stessa responsabile per quel cambiamento. Ovviamente il cambiamento non era stato radicale, ero sempre io, ma meno incorreggibile.

Alzai lo sguardo, Malfoy era tornato a leggere La Gazzetta del Profeta, ogni tanto mi lanciava delle veloci occhiate, quasi volesse tenermi d'occhio e assicurarsi che non avessi altre crisi d'identità.

Anche lui era cambiato.

Se avessi dovuto provare a spiegare cos'era successo tra di noi, avrei preso come esempio pozioni. Una materia che non avevo mai amato particolarmente, in gran parte la colpa era stata di Piton, ma mi sembrava l'esempio perfetto per spiegare ciò che era nato tra me e Malfoy. Eravamo due ingredienti diversi, che posti nello stesso calderone, avevano avuto una reazione, la quale ci aveva cambiati in un terzo elemento, migliore e più resistente.

Sorrisi, infine rincuorata.

Il galeone bruciò contro il mio palmo. Harry e l'Ordine stavano bene, stavano organizzando uno spostamento sicuro per giungere ad Hogwarts senza farsi scoprire dai Mangiamorte e Voldemort.

Stavano sfruttando la Mappa del Malandrino e la conoscenza sconfinata del castello di alcuni membri della resistenza per cercare il luogo in cui sarebbe stato più facile entrare all'interno delle mura del castello.

Ero contenta che si stessero dando da fare, ma mi sentii in colpa per non aver ancora fatto molto per aiutarli. E cosa avrei potuto fare, chiusa com'ero nel dormitorio dei serpeverde?

Sospirai e inviai un messaggio ad Harry, chiedendogli la parola per entrare nella Camera dei Segreti.

«Draco?», lo chiamai, vedendolo sollevare subito il capo: «Sì?», mi chiese, piegando il giornale, in modo da incrociare il mio sguardo.

«Se Harry dovesse rispondermi presto con la parola che ci serve, potremmo andare subito nella Camera dei Segreti a recuperare la zanna di basilisco?»

Malfoy sbarrò gli occhi: «Con subito, intendi ora?»

«Pensavo fossero sinonimi e che tu parlassi la mia stessa lingua», lo presi in giro, sollevando un sopracciglio.

Draco alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa in modo particolarmente drammatico: «Ci servono i capelli di Pansy per la pozione polisucco. Poi ci converrebbe informare Blaise e la Lovegood. E ovviamente Pansy, sarebbe sconveniente che due Pansy iniziassero a camminare come se niente fosse per il castello...»

«Manda un messaggio a Pansy, chiedile di passare da noi al più presto, e informa anche Zabini e Luna», gli diedi istruzioni, mentre afferravo carta e penna, pronta a trascrivere qualsiasi messaggio mi avessero inviato i miei amici.

«Una volta usciti da questo stanza dovrai fare tutto quello che ti ordino, ricordi? Non potrei sopportare di perderti un'altra volta», disse, il tono di voce duro, che non ammetteva repliche.

Le sue parole mi provocarono una piacevole fitta all'altezza dello stomaco, malgrado il modo brusco in cui le aveva dette: «Me lo ricordo, non ho intenzione di farci scoprire».

«Bene», disse, alzandosi in piedi. Lo vidi scrivere due biglietti e spedirli con la magia, entrambi i pezzi di carta scomparvero sotto la porta nell'arco di pochi secondi.

Fu in quel momento che sentii la mano bruciare, mentre Malfoy borbottava: «Ti sto assecondando solo perché prima facciamo questa cosa, prima saremo fuori pericolo».

Il messaggio di Harry riportava solo poche lettere, con alcuni suggerimenti di pronuncia; il termine corretto doveva essere "eesciahasssa".

«Abbiamo la parola», dissi, sorridendo.

Malfoy mi appoggiò la mano sulla spalla, poi mi fece segno di alzarmi.

Indossammo entrambi un mantello scuro, poi Draco si diresse verso il comodino e preparò una porzione di Pozione Polisucco per me.

Stranamente, malgrado fossero passati anni, ricordavo chiaramente il saporaccio di quell'intruglio, ma non avevo intenzione di tirarmi indietro.

«Sei sicura?», mi chiese, la voce gli tremava appena per l'apprensione e il nervosismo.

«Sono sicura».

Annuì, piano, passandomi il bicchiere colmo quasi fino all'orlo di Pozione Polisucco.

In quell'istante bussarono alla porta e Draco, prontamente, andò a vedere chi fosse.

Una radiosa Pansy Parkinson fece il suo ingresso, sfoggiando una sicurezza che, se non l'avessi vista piangere quella stessa mattinata, avrei creduto autentica.

«Cosa c'è di così tanto urgente da richiedere la mia presenza?», chiese, senza salutare, andando dritta al punto.

«Ho bisogno di un tuo capello», ammisi, sollevando il bicchiere di Pozione Polisucco, in modo da attirare la sua attenzione sul liquido poco invitante.

Una smorfia di disgusto apparve sul suo viso: «Immagino dovrò stare rinchiusa qua dentro fino a quando non tornerete».

«Immagini bene», confermò Malfoy, avvicinandosi a lei per prelevare un capello dalla sua chioma liscia e maniacalmente ordinata.

Appena il filo castano scuro fu recuperato, Draco lo lasciò scivolare all'interno del mio bicchiere.

Bevvi il contenuto senza pensarci troppo, certa che, se ci avessi rimuginato su, avrei finito col rifiutarmi di sottostare a una tale tortura.

La pozione sapeva, come ben ricordava, di cavolo stracotto e gli effetti furono immediati. Inizialmente iniziò a dolermi lo stomaco, poi fu il turno del bruciore, che colpì mi colpì interamente, senza tralasciare nessun centimetro di pelle. Infine comparve la tipica sensazione di scioglimento. Nel giro di pochi secondi il mio corpo cambiò: le gambe mi si accorciarono, la vita mi si assottigliò e il volto a forma di cuore venne sostituito da un ovale altrettanto pallido.

Allo stesso modo in cui era cominciata, la metamorfosi cessò. Niente più bruciore, niente più dolore allo stomaco.

Mi portai una mano al volto: «Ha funzionato?»

Malfoy annuì, porgendomi la maschera da Mangiamorte di Pansy: «Indossala per sicurezza».

«Andiamo».

Posai il bicchiere vuoto, indossai la maschera e mi diressi verso la porta. Prima di uscire mi ricordai del biglietto con su scritta la parola in serprentese e feci dietrofront per recuperarlo.

Una volta in corridoio Malfoy mi precedette lungo il corridoio, facendomi strada.

«Ricorda, non fare nulla di pericoloso», mi disse, con un tono apprensivo. Non potei vedere il suo volto, coperto dalla maschera da Mangiamorte, ma non ne avevo bisogno, riuscii ad immaginarmi lo stesso la sua espressione.

Sorrisi alle sue parole e allungai una mano per sfiorare il suo braccio: «Prometto di non fare nulla di sconsiderato».

«Bene».

L'ingresso alla Camera dei Segreti era nel bagno delle ragazze del secondo piano, quello che avevo usato spesso per esercitarmi di pozioni senza esser disturbata da anima viva. Ogni tanto ero costretta a intrattenere delle conversazioni con Mirtilla Malcontenta, che solitamente non era contenta di avermi tra i piedi, ma in generale era un ambiente accettabile.

Durante il tragitto incontrammo solo un elfo domestico che puliva degli arazzi e il fantasma di Sir Nicholas che ci guardò con sguardo sprezzante, prima di scomparire oltre un muro.

Arrivati alla porta del bagno ci chiudemmo dentro con un incantesimo.

Harry e Ron mi avevano fatto vedere più di una volta il rubinetto guasto che li aveva condotti alla Camera dei Segreti, soprattutto Ron che era stato fiero di raccontarmi la vicenda nei minimi dettagli.

«Ok, è questo», dissi, indicando il rubinetto in rame su cui era inciso un piccolo serpente.

Aprii il foglietto, che durante il tragitto - per il nervoso - avevo piegato più volte e presi un profondo respiro.

«Eesciahasssa», pronunciai la parola con voce tremante, sperando di aver segnato correttamente le lettere e aver seguito i suggerimenti che mi erano stati inviati via galeone.

Il rubinetto s'illuminò di una luce bianca e iniziò a girare. Nel giro di pochi secondi il lavandino prese a muoversi e scomparve, esponendo alla vista un grosso tubo abbastanza grande da lasciar passare un uomo.

Con gli occhi sbarrati mi voltai, incontrando lo sguardo di Malfoy.

«Sono impressionato», mormorò.

«A chi lo dici».

Rimanemmo qualche secondo ad osservare l'enorme tubo: «Vado prima io», mi proposi, facendo un passo avanti.

«No, vado prima io».

Mi superò senza permettermi di replicare e scomparve nel buio. Lo seguii a ruota, scivolando contro le pareti viscide del tubo. Durante tutto il tragitto tenni gli occhi chiusi, riaprendoli solo quando l'inclinazione del tubo cambiò, ritornando in piano. Fu in quel momento che venni scaraventata fuori, atterrando su un pavimento bagnato. Malfoy a pochi centimetri di distanza illuminò l'ambiente grazie alla magia, permettendo ad entrambi di vedere le pareti del tunnel di pietra in cui eravamo finiti.

Eravamo ricoperti quasi interamente di melma.

«Tutto bene?», mi chiese, appoggiandomi una mano sulla spalla.

«Credo di sì», risposi, tralasciando il fatto che le ginocchia ancora mi tremavano per l'apprensione.

Rimanendo vicini ci incamminando lungo il tunnel buio, allontanandoci dal tubo che ci aveva condotti fino a lì.

«Tu stai bene?», gli chiesi in un sussurrò che rimbombò più volte contro le pareti di pietra.

«Mi aspettavo qualcosa di più raffinato dal vecchio Salazar, un tubo sporco che conduce ad un tunnel sporco, Merlino!», sobbalzò e fece un passo indietro.

Sapevo perché aveva reagito in quel modo, avevamo pestato qualcosa che aveva scricchiolato in modo sinistro e quel qualcosa erano piccole ossa sporche.

«Sono... topi?!», chiese Malfoy, indignato: «Salazar mi delude sempre di più».

Ridacchiai sotto i baffi per il tono di voce oltraggiato, anche se ero schifata quando lui dell'ambiente in cui ci trovavamo.

La stanza era talmente buia che ci accorgemmo del Basilisco quando ormai era a meno di due metri da noi. Entrambi sussultammo alla vista dell'enorme cadavere, il cui corpo emanava un olezzo tremendo. Rimanemmo immobili per qualche istante, prima di avvicinarci con cautela alle fauci dell'animale che, spalancate, mostravano chiaramente le zanne acuminate.

Deglutii e mi convinsi ad allungare la mano verso l'unica arma a nostra disposizione per distruggere gli Horcrux.

Malfoy nel frattempo trasfigurò il teschio di un topo in una scatola in legno, abbastanza grande da contenere la zanna fino a quando non avessimo avuto bisogno di lei, ma non troppo ingombrante.

«Ottima idea», dissi, mentre - facendo attenzione a non ferirmi - afferravo la zanna e cercavo di dislocarla dalla sua attuale posizione.

Riuscii nell'impresa senza complicazioni e adagiai la zanna nel cofanetto in legno, sorridendo radiosa a Malfoy che, altrettanto felice, restringeva la scatola, in modo da poterla riporre nella tasca dei pantaloni senza problemi.

«Ce l'abbiamo fatta», constatai l'ovvio, abbracciando brevemente Malfoy.

«Devo ammettere che è stato più facile di quanto pensassi», mi sussurrò all'orecchio, stringendomi.

Fu solo quando, tornando indietro ci trovammo davanti al tubo nero da cui eravamo arrivati che ci rendemmo conto di un piccolo dettaglio che non avevamo calcolato.

«Come facciamo a tornare indietro?», chiese Draco, alzando la bacchetta in modo da illuminare gli spazi intorno al tubo, alla ricerca di un'altra via.

«Wingardium Leviosa?», proposi, aggrottando la fronte alla ricerca di una soluzione.

«Potremmo farci smaterializzare in camera mia da Breedy».

«Potresti chiamare la tua scopa volante con un "Accio"».

«Potremmo...», iniziò lui, ma venne interrotto da un sonoro 'pop'.

Ci voltammo entrambi verso destra, dove un sorpreso Breedy ci fissava con i suoi immensi occhi tondi: «Il signorino ha chiamato?»

Alzai gli occhi al cielo: «Direi di optare per il tuo piano a questo punto».

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Let's be friends ***




Consiglio di leggere prima qua: Capitolo nono

21. Let’s be friends

 

(Draco’s point of view)

 

«La doccia è mia» esclamò Hermione, alzando la mano e dirigendosi con passo spedito verso il bagno. A metà strada si fermò, si guardò intorno e aggrottò la fronte: «Dov’è finita la Parkinson?»

Smisi di fissare la sua espressione corrucciata e mi guardai intorno, rendendomi effettivamente conto che di Pansy non c’era nemmeno l’ombra.

Feci spallucce: «Non ne ho idea. Avrebbe dovuto aspettarci qua».

«Avrà avuto altro da fare», disse lei, con tono casuale, prima di chiudersi in bagno.

Mi sarebbe piaciuto seguirla e fare la doccia con lei, ma la situazione era delicata e non avevo tempo da dedicare alla mia attività preferita: fare arrossire la So-Tutto-Io-Hermione-Granger.

Avevamo recuperato la zanna, ma ci rimanevano ancora due Horcrux da trovare, e non avevamo nemmeno la certezza che fossero gli ultimi rimasti.

Tirai fuori dalla tasca il bauletto in cui avevo posto la zanna e, dopo averlo fatto tornare alla sua dimensione naturale, lo posai sul comodino accanto al galeone e alla Pozione Polisucco.

Fu in quell’istante, mentre adagiavo il bauletto in legno che mi resi conto di un dettaglio che avrei dovuto notare prima: la boccetta di Pozione Polisucco era quasi vuota.

Aggrottai le sopracciglia mentre la prendevo in mano e me la rigiravo tra le dita: «Non è possibile», dissi, cercando di ricordare quanta ne avesse usata Hermione per prendere le sembianze di Pansy.

Sfiorai con le dita le tacche disegnate sul vetro della boccetta. Hermione ne aveva bevute due, quindi…

«Pansy», mormorai, stringendo le labbra con disappunto in una linea sottile. Ma perché avrebbe dovuto prendere della pozione polisucco?

Sempre con la boccetta in mano mi diressi verso il tavolo e fu in quell’istante che vidi un foglio di pergamena bianco, tranne che per una piccola scritta, storta e nervosa che diceva: “Torno presto, P.”

Posai la boccetta e mi portai una mano al volto, sfregandolo con rassegnazione.

«Donne», sospirai, rendendomi conto che non sarei mai stato in grado di comprenderle, nemmeno se mi fossi messo d’impegno.

Presi la bacchetta e pulii la melma che mi lasciavo dietro ovunque andassi, tutta colpa dei luridi tubi nei quali ero stato costretto a scivolare per raggiungere la Camera dei Segreti.

Alzai gli occhi al cielo e cercai di togliermi il grosso dello sporco con un incantesimo, così da non lasciare impronte sul pavimento o sgocciolare fango scuro.

L’aiuto di Breedy era stato fondamentale; se non fosse stato per lui, chissà cosa ci saremmo dovuti inventare per di uscire da lì. Percorrere il tubo al contrario non sarebbe stato di sicuro facile o comodo, quindi ero, ancora una volta, in debito con quell’elfo domestico.

Presi dall’armadio dei vestiti puliti, un asciugamano e aspettai davanti al bagno che Hermione finisse la doccia.

L’attesa fu snervante, continuavo a leggere i titoli dei libri di scuola che avevo nella libreria accanto all’armadio; finii con l’impararli a memoria nell’arco di due minuti. Stavo per prenderne uno a caso in mano, così da leggerlo per far passare il tempo quando la porta del bagno si aprì di uno spiraglio.

Mi ritrovai a fissare l’occhio e parte dello zigomo di Hermione: «Posso avere un asciugamano e dei vestiti puliti?», chiese, mostrandomi un angolo di bocca sorridente.

Fissai i vestiti che tenevo tra le braccia e, con un sorriso sornione, glieli mostrai: «Intendi qualcosa di simile?»

L’angolo di bocca s’increspò in una smorfia, mentre l’occhio rideva divertito: «Esatto».

Spuntò da dietro la porta il suo braccio nudo, pelle bianca solcata da peluria dorata, e la sua mano si chiuse intorno a ciò che le stavo porgendo.

«Grazie», disse, prendendo vestiti e asciugamano.

Sentii la sua risata, poi la porta si richiuse, nascondendola alla mia vista.

Per qualche secondo la tentazione di abbassare la maniglia e irrompere nel bagno mi fece rimanere immobile dov’ero, ancora col braccio sollevato. Quando mi ripresi dal momento di debolezza sbuffai e voltai le spalle alla porta, tornando all’armadio, dove recuperai un altro asciugamano e dei vestiti.

Per quanto mi sarebbe piaciuto passare del tempo di qualità con la Saputella-So-Tutto-Io Granger, ero consapevole che avevamo altre incombenze. Per prima cosa non sarebbe stato male scoprire dove si fosse cacciata Pansy e il motivo per cui aveva deciso di prendere un po’ della pozione polisucco che avevo rubato dalle scorte di Piton. In secondo luogo dovevo chiedere a Blaise se lui e la Lovegood avessero trovato qualcosa a proposito di passaggi segreti o vie alternative per far sgusciare all’interno del castello Sfregiato e compagnia bella. Inoltre dovevo assolutamente parlare coi miei genitori e non solo per la questione fidanzamento, ma anche e soprattutto per scoprire se avessero idea di dove potesse trovarsi la coppa di Tassorosso. E infine dovevamo organizzare la gita alla torre di Corvonero, dato che la Lovegood doveva ancora parlare con la Dama Grigia e chiederle del suo diadema perduto.

Troppe cose da fare, ma per fortuna non avevamo limiti di tempo e potevamo organizzarci al meglio e, nella migliore delle ipotesi, riuscire a fare tutto in un paio di giorni.

In quell’istante Hermione uscì dal bagno; la massa di indomabili capelli ancora umida, i miei vestiti che le stringevano la zona dei fianchi e del seno e un dolce sorriso a illuminarle le labbra: «La doccia ora è tutta tua».

Quella ragazza mi avrebbe portato alla pazzia, me lo sentivo.

«Grazie», dissi, lasciandole un veloce bacio sulla guancia, prima di chiudermi la porta alle spalle e sparire dentro il bagno.

Battei il mio record personale e riuscii a fare la doccia e a vestirmi in una decina di minuti circa. Solitamente preferivo godermi il getto dell’acqua calda molto più a lungo, ma data la situazione in cui mi trovavo, non avevo tempo da perdere.

Il Mondo Magico non sembrava intenzionato a salvarsi da solo, sfortunatamente, e la mia presenza sembrava ampiamente richiesta negli ultimi tempi.

Una volta uscito dal bagno con un ampio sorriso sulle labbra (l’unico effetto che una doccia calda poteva avere su di me era quello di rendermi felice) trovai Hermione con un foglietto di pergamena in mano e uno sguardo corrucciato.

Quando i suoi occhi scuri incontrarono i miei, ebbi un’ulteriore conferma del fatto che qualcosa non andava.

«É per te», disse semplicemente, porgendomi il foglio.

Lessi le poche righe con un misto di confusione e noia: i miei genitori richiedevano la mia presenza al più presto e asserivano di dover discorrere di una questione importante.

Molto probabilmente volevano soltanto infierire ulteriormente a proposito della questione “fidanzamento-con-una-perfetta-sconosciuta” e cercare di convincermi a prendere una decisione al più presto.

Per quanto avrei preferito cenare tranquillamente con Hermione e concludere la serata con una bella dormita, sapevo di non potermi tirare indietro; prima avrei parlato con loro e prima avrei avuto modo di far crollare il piano malsano di mio padre.

«Devo andare, non posso ignorarli, anche se lo vorrei tanto», sospirai, infilando il foglietto in tasca e indossando il mantello.

Hermione annuì, nel suo sguardo c’era una punta di preoccupazione che mi feriva, ma come darle torto? Capivo i suoi timori meglio di quanto lei pensasse. Avevamo passato anni a infierire l’uno sull’altro, venivamo da ambienti molto diversi e lei nel mio mondo non sarebbe mai stata accettata a cuor leggero. Come potevo non capire il suo timore di essere messa da parte in favore di un partito più idoneo, di un partito approvato dai miei genitori e dall’ambiente sociale in cui vivevo?

Eppure il suo non fidarsi completamente di me non faceva altro che ferirmi.

Presi la maschera da Mangiamorte e posai la bacchetta nella tasca del mantello.

Hermione seguì ogni mio movimento con una certa cupezza: «Torna presto, ok? Io intanto chiedo a Breedy di lavarci i vestiti sporchi e di portarci qualcosa da mangiare».

Le sue parole mi bloccarono a pochi passi dalla porta. Senza pensarci mi avvicinai a lei e la baciai.

Forse fu un tentativo di conforto un po’ misero, ma era l’unico a cui avevo pensato e che ritenevo abbastanza efficace.

Accarezzai con dolcezza le sue guance, inspirando a fondo il suo buon odore e assaggiando le sue labbra con lentezza e desiderio.

«Sarò di ritorno prima che tu ti renda conto della mia assenza».

Mi stupii delle parole sdolcinate che erano uscite dalle mie labbra; con lei mi succedeva un po’ troppo spesso e la cosa cominciava a preoccuparmi seriamente. Appena la guerra fosse finita, mi sarei fatto vedere da un bravo medimago, o magari da uno psicologo babbano (a quel punto ero disposto a provare ogni possibile soluzione che il mondo magico e non era in grado di offrire).

«Allora sei già in ritardo» mormorò lei, con un tono altrettanto melenso.

Il fatto che non fossi l’unico ad aver perso la ragione mi rincuorò quel tanto necessario a farmi ridere sommessamente per qualche secondo.

«Basta smancerie, donna, devo andare», dissi, facendole alzare gli occhi al cielo con un sorriso divertito sulla labbra.

Le rubai un ultimo bacio a stampo e uscii da camera mia, indossando la maschera da Mangiamorte.

Una volta arrivato davanti alla porta che conduceva alle stanze dei miei genitori mi bloccai,tolsi la maschera, raccolsi tutto il mio coraggio, presi un profondo respiro e bussai.

Ad aprirmi fu mia madre, un volume stretto al petto e uno sguardo serio a irrigidirle i lineamenti: «Entra, caro», mi disse, scostandosi dall’uscio.

Appena misi piene nel piccolo salottino, mi stupii di trovare Pansy seduta sul divano, tra le mani stringeva un bauletto decorato finemente e sul viso aveva un’espressione di confusa rassegnazione. Davanti a lei mio padre, in piedi, la fissava con cupo biasimo.

«Ti ho fatto chiamare», iniziò lui, mentre mia madre chiudeva la porta alle mie spalle e la Parkinson mi lanciava uno sguardo colmo di speranza: «Perché ho visto la tua ex fidanzata, con le sembianze di Bellatrix Lestrange, entrare nella stanza di quest’ultima e uscirne con il bauletto che contiene la coppa di Tassorosso. Volevo chiederti se avevi qualcosa a che fare con questa faccenda».

Abbassai lo sguardo su ciò che aveva Pansy tra le mani e analizzai la scena che mi si presentava davanti con occhi nuovi.

Non ricordavo di aver direttamente parlato alla Parkinson degli Horcrux e dubitavo che Hermione l’avesse fatto. Non avevo idea di cosa avesse potuto farle credere che intraprendere un’azione tanto pericolosa sarebbe stata una buona idea. Rubare dalla stanza di mia zia un oggetto tanto prezioso, rischiando la vita… Ero senza parole. Ora però si spiegava la pozione polisucco che avevo notato mancare dalla boccetta e la scomparsa di Pansy da camera mia.

«Non proprio, diciamo che ha agito senza che io le dessi direttive al riguardo, ma è dalla nostra parte, padre», gli dissi, fissando il volto della Parkinson con occhi nuovi. L’avevo sempre vista come una ragazzina debole, ma dovevo ammettere che le sue ultime azioni mi avevano fatto ricredere.

«Oh», disse mio padre, corrugando la fronte e grattandosi pensosamente il mento: «Sono lieto di sentirtelo dire e sono felice che tua madre mi abbia consigliato di chiedere la tua opinione prima di cruciarla e tentare di carpirle informazioni».

Le dure parole di mio padre fecero sussultare la povera Pansy che, ancora seduta sul divano, lanciò all’uomo di fronte a sé uno sguardo di orrore e stupore insieme, prima di nasconderlo dietro ad apparente indifferenza.

«Grazie, madre», dissi con gli occhi sbarrati dallo sconcerto, appuntando mentalmente di presentare Hermione come mia fidanzata solo dopo essermi accertato che mio padre fosse disarmato: «Ora, se non vi dispiace io e Pansy torniamo nei sotterranei, è stata una lunga giornata e abbiamo tutti bisogno di riposare».

Mio padre annuì, voltandosi verso mia madre.

Feci segno a Pansy di raggiungermi e lei non se lo fece ripetere due volte, abbandonando il suo posto sul divano e, senza che le dicessi niente, diminuì le dimensioni del bauletto, che ancora stringeva tra le mani, e se lo infilò nella tasca dei pantaloni.

Quando alzai lo sguardo, vidi i miei genitori l’uno accanto all’altro, mio padre con un braccio intorno alla vita di mia madre e quest’ultima con la fronte appoggiata alla sua spalla. Fin da bambino non erano mancati i litigi tra i miei genitori, allo stesso modo in cui non erano stati pochi i periodi felici in cui avevo, sfortunatamente, assistito a smancerie ben peggiori; eppure quella scena mi sembrava troppo intima, tanto da mettermi a disagio.

«Buona notte», esclamai, dirigendomi verso la porta con Pansy che mi tallonava.

«Buona notte», risposero in coro i miei genitori, prima che scomparissi oltre la porta.

Una volta fuori, fissai a lungo la ragazza accanto a me che, con gli occhi sbarrati fissava il muro di fronte a sé.

Aprii bocca per tempestarla di domande, ma poi decisi di tacere, così da lasciarle qualche minuto per riflettere, prima di farle il terzo grado.

Iniziai a dirigermi verso la sala comune Serpeverde e non fui particolarmente sorpreso di sentire dietro di me e poi accanto a me i passi veloci della Parkinson.

I primi metri li percorremmo in silenzio. Fu Pansy a interromperlo: «Grazie, Malfoy».

Le lanciai un’occhiata veloce, sembrava ancora stravolta, ma leggermente più padrona di sé.

«Perché l’hai fatto?», le chiesi, riferendomi ovviamente alla sua missione suicida.

«Perché sono stupida, ecco perché», rispose, stringendosi nelle spalle, poi una risatina isterica le sfuggì dalle labbra: «Cavolo, quanto sono stupida. Cosa volevo dimostrare? Avrei potuto farmi uccidere… Tuo padre era ad un passo dal cruciarmi, per fortuna tua madre l’ha fatto ragionare all’ultimo».

Ci fu un breve silenzio, poi continuò: «Volevo dimostrare a me stessa di esserne in grado».

Le sue parole mi sembravano più indirizzate a se stessa che a me, come se si fosse dimenticata di avermi come interlocutore.

Alzò brevemente il suo sguardo su di me e i nostri occhi s’incrociarono: «Volevo dimostrarti di non essere la persona che tu credi. Non solo almeno».

La sua confessione mi fece sentire in colpa, sensazione che cercavo il più delle volte di ignorare, ma che ultimamente sembrava perseguitarmi.

«Pansy…», iniziai a dire, anche se non avrei saputo dire come volessi continuare la frase, talmente mi sentivo soffocare dal pentimento. L’avevo usata, per anni. Avevo usato lei e il suo amore nei miei confronti per cercare di dimenticare Hermione e la forte attrazione che sentivo nei suoi confronti. Ero stato uno stronzo.

Alzò la mano per impedirmi di continuare una frase che in realtà non sapevo come terminare.

«Prima o poi smetterò di considerarti il centro del mio universo, Malfoy, ho solo bisogno di tempo»,  ammise, con un triste sorriso: «Non è possibile smettere di amare una persona da un giorno all’altro, ci ho provato, ma non ci sono riuscita. Non sto cercando di farti pena, voglio solo essere sincera».

Ero sconvolto dalle sue parole e più che farmi pena mi faceva sentire ancora di più un essere abominevole.

«Vorrei solo chiederti di essere amici. Non posso cancellarti dalla mia vita dall’oggi al domani e ignorarti non serve a niente, ci ho già provato. Non ho intenzione di mettermi tra te e la Granger, è ovvio che non potrei mai avere la possibilità di vincere. Quindi, penso che rimanere amici sia l’unica soluzione».

Eravamo ormai arrivati di fronte alla sala comune, pronunciai la parola d’ordine e vi entrammo in silenzio.

Ero sorpreso dalle sue parole, non mi aspettavo tanta diplomazia da parte sua, forse perché l’avevo sempre considerata una persona isterica, senza in realtà conoscerla davvero.

La verità era che negli anni in cui eravamo stati assieme non mi ero mai preso la briga di conoscerla veramente, di ascoltarla ed esserle vicino come avrei dovuto in quanto fidanzato. Come aveva fatto ad innamorarsi di me? Di un essere tanto spregevole?

Ci fermammo davanti alla porta della mia stanza: «Sarei felice di rimanere tuo amico, Pansy. Mi dispiace di…»

Il suo abbraccio mi prese alla sprovvista e tutto quello che riuscii a fare fu ricambiare. Il suo odore familiare, così come la sensazione del suo corpo contro il mio, mi fece sentire una fitta di rimpianto. Se solo le avessi dato un’opportunità, se solo non fossi stato stregato dalla Granger…

«Non farla soffrire più di quanto tu non abbia già fatto. Per quanto sia diffide da ammettere, è una in gamba», disse Pansy, sciogliendo l’abbraccio e facendo un paio di passi indietro.

«Farò il possibile», la rassicurai, stupito.

La Parkinson tirò fuori dalla tasca il bauletto in formato mignon, porgendomelo: «Ancora non ho capito perché la coppa qua dentro sia così importante, ma conto sul fatto che prima o poi me lo spiegherete».

«Non sembri tu», mi lasciai sfuggire, facendola sorridere.

«Le persone crescono, cambiano. Al momento sto cercando di essere una versione migliore di me stessa, una più coraggiosa e sincera; non ha senso vivere di rimpianti», spiegò, fissando la propria mano protesa verso di me: «Merlino! Mi si è spezzata un’altra unghia!», esclamò con tono rabbioso.

Presi il bauletto con un sorriso sulle labbra, dietro alla corazza della persona matura c’era ancora la Pansy che mi aveva amato per anni senza chiedere nulla in cambio, quella a cui avevo finito col volere bene.

«Buona notte», le augurai.

«Sì, buona notte», mi rispose con tono scocciato, mentre si mordicchiava l’unghia.

Entrato nella mia stanza, trovai Hermione seduta sul letto con il libro delle Fiabe di Beda il Bardo tra le mani e un’espressione di serena curiosità dipinta sul viso.

«Sono tornato», le annunciai, appoggiando il bauletto sul tavolo e spogliandomi del mantello e della bacchetta: «Ho novità».

Hermione chiuse il libro e lo posò sul mio comodino: «Sì?», chiese, dirigendosi verso di me.

«Direi proprio di sì», esclamai, prima di notare il suo sguardo preoccupato: «C’è qualcosa che non va?»

«Harry mi ha mandato un messaggio», ammise, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il galeone incantato: «Dice che hanno trovato un modo alternativo per entrare nel castello».

Osservando la sua espressione, capii che non aveva ancora finito, ma non potei fare a meno di interromperla: «Direi che è un’ottima notizia».

«Vogliono attaccare questa notte».

Sbarrai gli occhi, guardandomi intorno con aria smarrita: «Questa notte?», ripetei, portandomi una mano tra i capelli: «Dobbiamo avvisare i miei, Blaise… Ci manca ancora il diadema! Non possono aspettare domani?»

«Temo di no, non sono riuscita a rispondergli perché avevi tu la bacchetta, ma da quello che ho capito vogliono colpire il prima possibile, non vogliono aspettare», disse, avvicinandosi a me.

Strinse le sue dita intorno alla mia mano destra: «Dobbiamo avvisare Zabini e Luna, devono parlare al più presto con la Dama Grigia», aggiunse, appoggiando la fronte contro la mia spalla: «Cosa volevano i tuoi?»

«Abbiamo la coppa di Tassorosso, grazie a un caso fortuito mio padre ha involontariamente aiutato Pansy a rubarla a mia zia».

Hermione si scostò, così da guardarmi dritto negli occhi: «Bene», mormorò con un sorriso sulle labbra. Strinse la sua mano nella mia, senza interrompere il contatto visivo, poi sbuffò e sul suo volto comparve una smorfia: «Non capisco perché io debba sempre avere il ciclo nei momenti meno opportuni».

Sollevai un sopracciglio, indeciso se ridere della sua espressione scocciata o consolarla.

Alla fine optai per la seconda; ero troppo giovane e bello per morire.

«Su, è solo una volta al mese», dissi, impacciato, posandogli la mano libera sulla spalla.

Gli occhi di Hermione si assottigliarono: «Solo una volta al mese», ripeté, lo sguardo di chi non aveva apprezzato il mio tentativo consolatorio.

Possibile che non riuscissi a combinarne una giusta?

«Vado a dire a Blaise le novità», dissi, facendo un passo indietro e districandomi dalla presa ferrea della sua mano che, più che stringermi amorevolmente le dita, stava cercando di staccarmele dal corpo.

«Bravo, Malfoy, vattene, perché potrei non rispondere delle mie azioni», sibilò lei: «Solo una volta al mese», ripete con voce rabbiosa, incrociando le braccia al petto e fulminandomi con lo sguardo.

«Torno presto», la rassicurai, una volta fuori, in corridoio.

«Ringrazia che non ho la bacchetta!»

Chiusi la porta e tirai un sospiro di sollievo.

Appunto mentale: mai sminuire le mestruazioni.

Altro appunto mentale: cercare un modo per farsi perdonare.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Trust, love and fights ***




Consiglio di leggere prima qua: Capitolo decimo

22. Trust, love and fights
 

«Solo una volta al mese», borbottai tra me e me, mentre mi dirigevo con passo di marcia verso il bagno.

Presi una delle pastiglie Sorriso Smagliante 24h, lasciando che mi si sciogliesse in bocca e poi tornai in camera, non riuscendo a stare ferma per il nervosismo.

Mi sfilai i pantaloni di Malfoy e la maglia, rimanendo in mutande davanti all'armadio, alla ricerca di qualcosa di comodo da indossare per la notte.

La maglietta che avevo usato fino a quel momento come pigiama era scomparsa, probabilmente l'aveva presa Breedy per lavarla o almeno era quello che avevo immaginato quando non l'avevo trovata al suo solito posto.

Mi passai le mani sulle braccia sfregando la pelle per il freddo, nel tentativo di scaldarla.

Ero indecisa se rubare una maglia o una felpa.

Se avessi avuto ancora la mia bacchetta avrei trasfigurato uno dei tanti completi eleganti di Malfoy in un semplice, caldo e comodo pigiama; bastava pensarlo per sentire un sorriso beato illuminarmi il volto. Probabilmente a Malfoy l'idea non sarebbe particolarmente piaciuta, ma io ero arrabbiata con lui al momento, quindi entusiasta di qualcosa che avrebbe potuto provocato il suo cattivo umore.

«Solo una volta al mese, vorrei vedere te», borbottai, mentre recuperavo alla fine un maglione color antracite, che doveva stare grande allo stesso Malfoy, dato che mi copriva abbastanza da nascondere il sedere.

Inspirai a fondo il profumo di pulito misto all'odore di Draco e un sorriso involontario comparve sulle mie labbra. In quel momento decisi che non gli avrei mai più restituito quell'indumento, l'avrei tenuto come ostaggio per sempre.

Mi diressi verso il letto e mi ci sedetti.

Harry non aveva specificato quando sarebbe avvenuto l'attacco e, dentro di me, speravo avremmo avuto qualche ora di sonno prima di dover combattere. Quel giorno, come quelli precedenti erano stati tremendamente stancanti; non solo mi era arrivato il ciclo, ma ero anche dovuta scendere nella Camera dei Segreti per recuperare la zanna del Basilisco. Non proprio la tranquilla giornata che avevo sperato di avere.

Appoggiai la schiena alla testiera del letto e intrufolai le gambe sotto le coperte, così da tenerle al caldo e chiusi momentaneamente gli occhi, in attesa di sentire la porta aprirsi e veder tornare Malfoy.

Ero proprio curiosa di vedere se avrebbe provato a scusarsi, o avrebbe eluso il litigio di poco di poco prima, fingendo che nulla fosse accaduto e parlandomi come se niente fosse.

Conoscendo la sua codardia probabilmente avrebbe optato per la seconda opzione e, in caso avesse notato che non stava funzionando, avrebbe iniziato a dire cose sdolcinate per rabbonirmi.

Feci una smorfia; la convivenza forzata non mi faceva affatto bene. Il fatto che cominciassi a prevedere le sue mosse era chiaramente segno della troppa intimità che stavamo condividendo.

Mi lasciai scivolare verso il basso, fino a quando non fui totalmente sdraiata sul materasso, la testa adagiata sul cuscino morbido.

Decisi che se avessi chiuso gli occhi per qualche istante non sarebbe successo nulla. Volevo solo riposare gli occhi, qualche secondo.

La mia mente cominciò quasi immediatamente a seguire fili logici assurdi, tanto che nell'arco di quelli che mi parvero dieci secondi, finii a pensare alla prozia Claire e a chiedermi come stessero i miei genitori. Con tutto quello che era successo avevo avuto poco tempo per pensare a loro e mi sentivo in colpa per non essermi preoccupata molto della loro situazione.

"Sono dalla prozia Claire, non hai nulla di cui preoccuparti", disse una vocina nella mia testa, e decisi di ascoltarla, nella speranza che avesse ragione.

Alla fine della guerra, se mai fossi sopravvissuta, avevo intenzione di andare subito da loro e accertarmi che stessero bene. E non lo facevo perché sapevo che la prozia Claire era una bravissima cuoca e mi avrebbe riempito di prelibatezze. Non solo almeno.

Mi avvolsi maggiormente nelle coperte, inspirando a fondo l'odore inebriante di Malfoy.

Cercai di ricordarmi di essere arrabbiata con lui per il suo commento superficiale ed estremamente inopportuno. Ma era difficile tenergli il muso, soprattutto quando mancavano poche ore all'inizio di una guerra le cui sorti erano impossibili da prevedere. Non volevo trascorrere quelli che sarebbero potuti essere i nostri ultimi momenti insieme a tenergli il muso.

Aprii gli occhi quando sentii la porta aprirsi e incontrai gli occhi chiari di Malfoy; aveva un'espressione guardinga e si richiuse l'uscio alle spalle facendo il minor rumore possibile.

«Ti ho svegliato?», chiese in un sussurro, posando il mantello e la bacchetta sul tavolo, prima di raggiungermi in poche falcate.

Spostai la testa, così da poterlo guardare in viso senza dovermi sollevare: «Non stavo dormendo», gli dissi, senza interrompere il contatto visivo.

Allungai una mano, facendola sgusciare da fuori le coperte e l'allacciai al tessuto morbido della manica del suo maglione: «Abbassati».

Sul suo viso era ben visibile la perplessità, oltre ad una punta di curiosità.

Si sedette sul bordo del letto, in modo da non schiacciarmi col suo peso e avvicinò il volto al mio.

La stanza era poco illuminata; il suo viso era solcato da zone d'ombra che mettevano in risalto i suoi lineamenti.

«Sei riuscito a parlare con Zabini e Luna?», gli chiesi, spezzando il silenzio.

Draco annuì: «Quando li ho lasciati si stavano preparando per andare dalla Dama Grigia», rispose, muovendo un braccio alla mia sinistra, in modo da sovrastarmi con la sua figura.

Il modo impacciato in cui si muoveva, come se temesse da un momento all'altro di mettere un passo in fallo e di essere sbranato mi fece sorridere: «Bene», dissi, allungando nuovamente la mano per afferrare la sua, disegnando cerchi concentrici col pollice sulla sua pelle.

Non potei fare a meno di immaginare la sua mano fredda a contatto col mio corpo bollente e il pensiero mi fece arrossire; sperai che il buio nascondesse il mio imbarazzo.

«Sono ancora arrabbiata con te», dissi, osservando le sue spalle irrigidirsi: «Ma non ho voglia di litigare», continuai, spostando la mano lungo il suo braccio, fino alla sua spalla.

Insinuai le dita tra i suoi capelli fini, poi gli afferrai la nuca e lo spinsi verso il basso, facendo scontrare le nostre bocche.

Lo sentii inspirare a fondo, mentre prendeva le redini del bacio, insinuando la sua lingua tra le mie labbra. Fu un bacio dolce, breve e intenso.

Prima che me ne potessi rendere conto aveva già allontanato il viso, così da poter allacciare i nostri sguardi: «Promettimi che rimarrai qua durante la battaglia», sussurrò, prima di assalire nuovamente le mie labbra.

Comprendevo la sua apprensione; non avevo una bacchetta, come avrei potuto difendermi? Ma c'erano tante altre cose che avrei potuto fare; avrei potuto aiutare i feriti, avrei potuto aiutare a nascondere i più giovani o a liberare i prigionieri dalle loro celle.

Non poteva impedirmi di essere utile, non potevo permetterglielo.

«Non ho intenzione di mettermi in prima linea, non sono pazza», mormorai, quando la sua bocca lasciò la mia: «Ma voglio poter dare una mano».

Uno sguardo colmo di tristezza attraversò il suo viso: «Se ti dovesse succedere qualcosa, io... Non hai la bacchetta, Hermione! Come potresti difenderti?»

Afferrai il suo viso tra le mani, impedendogli di interrompermi nuovamente con un bacio: «Ci sarai tu a proteggermi», sussurrai, sfiorandogli la fronte con le dita, in modo da distendere le rughe d'espressione che si erano formate.

Fu il mio turno di iniziare il bacio questa volta, stringendo con forse troppa foga i suoi capelli e facendolo gemere dal dolore.

«Non sono stato in grado di proteggerti l'ultima volta», sussurrò, il suo tono di voce colmo di rimpianto: «Dovresti aver imparato che non dovresti affidarti a me».

Risi delle sua parole, regalandogli un fugace bacio a stampo: «Sono stata pazza a fidarmi del nemico», gli diedi ragione, sorridendo tristemente: «Ma sono stata ancora più incosciente».

Draco sollevò un sopracciglio, osservandomi con curiosità: «Tu? Hermione Granger? Incosciente? Non ci credo».

Si districò dalla mia presa, giusto il tempo di sfilarsi le scarpe, poi si infilò sotto le coperte con me, avvolgendo il mio corpo bollente tra le sue braccia fredde. Rabbrividii per il contatto, ma non mi ritrassi.

«Invece dovresti crederci», sussurrai, giocando coi suoi capelli: «Perché oltre a fidarmi di te, ho finito coll'innamorarmi».

Quando quelle parole abbandonarono le mie labbra sentii una strana sensazione all'altezza dello stomaco; sembrava che una mano dalla forza disumana avesse lacerato la mia pelle e la carne in modo da poter arrotolare gli organi gli uni agli altri, creando uno strano groviglio doloroso.

Gli occhi di Malfoy erano colmi di stupore e non sembrava spaventato dalla mia confessione; ciò mi diede la forza di sorridergli, anche se timidamente.

«Innamorata del nemico», sussurrò, allargando le labbra in uno dei sorrisi più belli che avessi mai visto: «Non avrei mai pensato che fossi tanto sconsiderata».

«Lieta di essere ancora in grado di stupirti», dissi, sorridendogli.

«Durante la battaglia non ti allontanerai da me», mormorò, giocando coi miei capelli: «Rimarremo nelle retrovie, aiuteremo nelle mansioni che non richiedono necessariamente l'uso della magia e...»

«Draco», lo interruppi, desiderosa di porgergli una domanda che stazionava nel mio cervello da fin troppo tempo: «Non so se ti ricordi», borbottai, mordendomi il labbro inferiore: «Ma ogni tanto mi torna in mente quella sera, quando eravamo di ronda e...», le parole mi rimasero incastrate in gola; come avrei potuto chiederglielo?

«Sì?», chiese lui, con la fronte corrugata.

«Vorrei chiederti il perché di quella lacrima», sussurrai, sperando di non spaventarlo o farlo arrabbiare con la mia curiosità. Prima non avevo mai avuto il coraggio di chiedergli spiegazioni, ora pensavo che, dopo ciò che gli avevo confessato, per lui fosse d'obbligo rispondermi.
 

(N.d.A. Hermione fa riferimento al decimo capitolo di "Mai Scommettere col Nemico")
 

Aggrottò ancora di più la fronte, poi sembrò capire a cosa mi riferissi e uno sguardo incerto gli distorse i lineamenti.

«Non ricordo precisamente», provò a dire, ma io sollevai gli occhi al cielo e lo colpii al petto con la mano, pretendendo che mi dicesse la verità.

«Mi piacevi da anni e temevo, con la scommessa, di aver sbagliato tutto», mormorò, gli occhi chiusi e i lineamenti tesi: «Di averti portata tra le mie braccia nel modo peggiore che si potesse immaginare e che tu in realtà non saresti mai stata veramente mia».

Puntò i suoi occhi nei miei, c'era talmente tanta dolcezza e sentimento che non avevo bisogno di sentirgli dire le parole "Ti amo", erano lì, sul suo volto, nello sguardo e nel lieve sorriso che illuminava il suo viso.

«Pensavo che non saresti mai stata mia, che ci fossero troppi ostacoli tra di noi e che non saremmo mai riusciti a superarli. Ero certo che avrei finito col farti stare male, comportandomi nel modo sbagliato, dicendo», sorrise, facendomi pensare al nostro litigio precedente: «Sciocchezze e allontanandoti irrimediabilmente da me. Inoltre sapevo che avrei dovuto ricevere nell'arco di qualche settimana il marchio nero; il pensiero di come avresti potuto reagire alla vista del...»

Premetti le mie labbra contro le sue, interrompendolo.

Mi ero sempre domandata perché avesse reagito a quel modo quella sera di poche settimane prima, ma mai avrei potuto immaginare che il motivo dietro a quella lacrima ero proprio io. Una calda sensazione mi inondò il petto e lo stomaco, sostituendo la morsa di incertezza e preoccupazione che avevo provato fino a poco prima.

Saggiai le sue labbra con calma, cercando di trasmettergli tutto l'amore che provavo. Con quel bacio volevo dirgli che io ero lì e che non l'avrei lasciato andare, mai; che avrei combattuto al suo fianco ogni battaglia che la vita ci avrebbe destinato.

Mi strinse in un forte abbraccio, privandomi quasi del poco fiato che avevo in corpo.

Quel bacio dolce era diventato necessario e vorace; conteneva tutta la nostra paura, tutte le parole non dette e tutti i rimpianti che avevamo.

«E se rimanessimo qua?», chiese, appena riuscimmo a separarci quel tanto che bastava per guardarci negli occhi.

«Intendi nascosti in camera tua? Durante la battaglia?», domandai, la fronte aggrottata.

«Preferisco fare il codardo e sopravvivere, piuttosto che l'eroe e morire», sussurrò, chiudendo per pochi secondi le palpebre: «Non voglio perderti, non ora che ti ho finalmente trovata».

«Mi hai trovata sei anni fa, su un vagone del treno per Hogwarts», lo corressi, ridendo della sua espressione scocciata.

«Ecco la saccente Granger di cui non sentivo per nulla la mancanza», ribatté, facendo una smorfia particolarmente ridicola, tanto da sembrare un furetto; con il naso arricciato, le labbra strette e gli occhi chiusi a fessura in quel modo.

«Bugiardo», dissi, facendogli una linguaccia, senza riuscire a trattenere le risate, dovute alla sua precedente smorfia.

«Rimaniamo qua», ripeté, gli occhi colmi di speranza; non sembrava disposto ad arrendersi, malgrado pensavo fossimo già giunti al compromesso di non combattere in prima linea, ma di essere comunque utili nelle sorti della guerra rimanendo nelle retrovie.

«Non posso», ammisi, distogliendo lo sguardo.

Capivo perfettamente il suo punto di vista, ma non sarei riuscita a nascondermi sapendo che i miei amici avrebbero combattuto contro Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato per salvare il Mondo Magico.

«Dovevo provarci», mormorò, sollevandomi il mento, così da far scontrare i suoi occhi coi miei: «Rimarremo nelle retrovie, insieme».

Annuii, sorridendogli grata, prima di appoggiare il viso contro il suo petto, così da sentire il suo cuore battere forte a pochi centimetri dal mio orecchio destro e lasciarmi cullare dal suo ritmo cadenzato. Draco appoggiò il mento sulla mia testa, stringendo la presa intorno al mio corpo.

«Pensi che quando questa guerra sarà finita, le lezioni qui ad Hogwarts riprenderanno normalmente, come se nulla fosse accaduto?», chiesi in un sussurro, decisa a non voler disturbare la pace di cui sembravamo entrambi prigionieri.

«Penso di sì», rispose, posando un bacio contro i miei capelli: «Ti mancano le lezioni».

La sua affermazione mi fece sorridere; mi conosceva più di quanto fossimo entrambi disposti ad ammettere.

«Mi manca la monotona routine di lezioni, compiti e poi studio. Tutto questo stress, la paura...», mormorai, lasciando la frase in sospeso, mentre scuotevo appena il capo, sfregando la pelle delle guance contro il tessuto morbido del maglione che indossava Malfoy.

«Vedrai che presto sarà tutto finito», tentò di consolarmi Draco, baciandomi nuovamente il capo: «Sfregiato riuscirà a fare qualcosa di buono nella sua vita e a sconfiggere una volta per tutte il Signore Oscuro».

Alzai gli occhi al cielo, chiedendomi se sarebbe mai riuscito a comporre una frase sui miei amici senza insultarli.

«Dopo di che, vedremo di trovargli un hobby che non sia essere la causa principale di morti e guerre. Qualcosa di meno pericoloso, come giocare a scacchi o leggere».

Sbuffai e spinsi le mani contro il suo petto, allontanandomi da lui: «La smetti? Non è colpa di Harry se...»

Non mi lasciò finire: «Certo che è colpa sua, Sfregiato deve sempre essere al centro dell'attenzione, altrimenti...»

Fu il mio turno di interromperlo: «Non è vero! Se c'è qualcuno che vuole sempre essere al centro dell'attenzione, quello sei tu!»

Malfoy alzò gli occhi al cielo: «Ti risulta per caso che mi faccia chiamare "il bambino sopravvissuto" dall'intero Mondo Magico, facendomi acclamare come una divinità?», mi chiese con una smorfia in volto.

«Cosa c'entra?», ribattei, colpendolo al petto col palmo della mano: «Sei solo geloso del fatto che...»

L'istante dopo il corpo di Malfoy mi sovrastava e la sue labbra avevano zittito le mie con un bacio rabbioso. Affondai le dita tra i suoi capelli, tirandoglieli, nel tentativo di allontanarlo. Gli morsi le labbra, gli colpii il petto coi pugni e cercai di liberarmi dalla presa ferrea delle sue mani sul mio corpo, ma era tutto inutile.

Ero arrabbiata con lui per ciò che aveva detto, e il suo tentativo di rabbonirmi con un bacio mi faceva innervosire ancora di più.

Mugugnai contro le sue labbra, cercando di insultarlo malgrado la sua bocca premuta contro la mia non me lo permettesse.

Quando la sua mano destra raggiunse il mio petto, non potei fare a meno di gemere per il piacere; durante il ciclo il mio seno era particolarmente sensibile, tanto che ci vollero meno di tre secondi prima che i capezzoli mi si inturgidissero.

Non riuscivo a capire come finissimo sempre col litigare per delle sciocchezze; passando dall'andare d'accordo all'urlarci contro, per poi concludere il tutto con una sessione di baci e pomiciate che avrebbero fatto arrossire perfino la dea greca dell'amore, Afrodite.

«Insopportabile, furetto», provai a dire contro le sue labbra, anche se ciò che uscì dalle mia labbra fu qualcosa simile a: «Nsporable frto».

Sentii le sue spalle e il petto tremare per la risata che stava provando a trattenere. Lo colpii alla spalla con il pugno sinistro, ottenendo come risultato la libertà.

Il suo volto si allontanò dal mio e il suono della sua risata riempì il silenzio della stanza: «Sei adorabile quando cerchi di resistermi».

La sua arroganza mi fece assottigliare lo sguardo.

«Borioso che non sei altro», esclamai, cercando di sgusciare via dalla sua presa, ma ottenendo il risultato opposto: la sua mano si strinse ulteriormente sul mio seno destro, sottoponendo il capezzolo a una pressione tale da farmi chiudere gli occhi per il doloroso piacere.

Scostò le coperte quel tanto che bastava per permettergli di sollevare il maglione che indossavo, scoprendo il mio ventre e petto e coprendo il mio volto rosso per la vergogna.

«Cosa stai...?», cercai di chiedergli con la voce smorzata dal tessuto del maglione che mi impediva di vedere, ma un suono strozzato mi usci di bocca quando le sue labbra iniziarono a dedicarsi con fin troppa perizia ad una lenta e insopportabilmente dolce tortura al mio seno sinistro.

«Non ti fermare» lo incitai, mentre cercavo di liberarmi del maglione.

Appena finii la frase, le sue labbra si allontanarono dalla mia pelle. 

Quando riuscii a guardalo in viso, notai il suo sorriso compiaciuto e desiderai poterglielo cancellare dalla faccia con un pugno.

«La Lovegood e Blaise potrebbero arrivare da un momento all'altro, vuoi davvero che continui?», mi chiese, sollevando un sopracciglio, i lineamenti ancora distorti dalla soddisfazione.

Sospirai, esasperata, prima di togliermelo di dosso e sistemarmi il maglione, in modo da coprirmi per bene.

Le sue labbra percorsero la mia guancia e poi il mio collo: «Non volevo farti arrabbiare», mormorò contro la mia pelle, avvolgendomi in un abbraccio.

«Sei terribilmente sexy quando ti ostini a rispondermi pur di dimostrare di avere ragione», aggiunse.

Lo guardai, indecisa se urlargli contro, tirargli un pugno o baciarlo, quando il bussare alla porta fece irrigidire entrambi.

«Chi è?», chiese Malfoy, lanciando un'occhiata veloce all'orologio: erano quasi le dieci di sera.

Possibile che Luna e Zabini fossero stati tanto veloci?

Mi lasciai scivolare a terra, nascondendomi oltre il letto, accanto alle tende del baldacchino.

Proprio in quell'istante la porta si aprì: «Ciao, Draco!», esclamò una voce maschile che non apparteneva a Zabini.

Cercai di farmi più piccola, nella speranza di non essere notata dal nuovo arrivato.

«Nott, che ci fai qui?», chiese, Malfoy, la voce apparentemente rilassata nascondeva parecchio nervosismo.

«Sono passato per salutarti, da quando sono tornato dalla missione non sono riuscito a trovarti da nessuna parte. Prima, quando sono passato, ho trovato Pansy in camera tua. Siete tornati insieme?»

Mi lasciai scivolare ulteriormente, in modo da essere coricata contro il pavimento.

«No, non sapevo fosse qui», mentì Malfoy: «Ti ha per caso detto cosa voleva?», il tono di voce appariva annoiato ma allo stesso tempo contrariato. Era proprio bravo a mentire, tanto che non potei fare a meno di chiedermi se non avesse mai usato le sue doti da bugiardo contro di me.

«Le serviva una pergamena, per...», sentii la voce di Nott affievolirsi. Cadde il silenzio per qualche secondo: «Cosa ci fai con...?»

Sentii dei rumori forti, anche se non avrei saputo dire cosa stesse succedendo, poi la voce di Draco esclamò: «Pietrificus Totalus!»

Sollevai il capo, così da sbirciare oltre il bordo del letto.

Theodore Nott era immobilizzato, gli occhi sbarrati osservavano ora in modo cieco il bauletto  contente la coppa di Tassorosso, che si trovava in bella mostra sul comodino di Draco.

Osservai il biondo che, con la bacchetta puntata contro l'amico, lo fissava impassibile.

Gli occhi chiari di Malfoy cercarono poi i miei e i suoi lineamenti sembrarono addolcirsi quando mi trovarono.

In quel momento Blaise Zabini, con Luna, fece il suo ingresso nella camera, un sorriso trionfale a incurvargli le labbra.

«Perché c'è Nott pietrificato?», chiese il moro, con aria confusa, quando poi si rese conto della mia posizione, la sua fronte si aggrottò ulteriormente: «Granger, che ci fai a terra?»



 

****

Ciao a tutti!

Temevo di non farcela a pubblicare il capitolo entro oggi, diciamo che ho faticato molto a scriverlo e non sono sicura del risultato. Vi avevo promesso però di aggiornare la storia entro Sabato 16 Settembre, ed eccomi qua a mantenere la promessa :)

Spero che abbiate tempo e voglia di lasciarmi un commento, così da sapere la vostra opinione!

Il prossimo capitolo arriverà entro Sabato 23 Settembre e molto probabilmente sarà sempre dal punto di vista di Hermione.

Un bacio,

LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Captives ***


23. Captives

 



Quando mi sollevai in piedi, uscendo dal mio nascondiglio da dietro al letto, Malfoy mi lanciò contro un mantello, che usai per coprire le mie gambe nude.

«Qualcuno mi vuole rispondere?», chiese Zabini, spazientito, mentre si passava una mano tra i capelli.

«Nott è entrato senza preavviso, ho dovuto pietrificarlo per evitare che facesse domande a cui non potevo rispondere», disse Draco, guardando con rammarico la figura immobile dell'amico.

«Abbiamo il diadema», ci informò la voce delicata di Luna, facendo un passo avanti e porgendo il gioiello a Malfoy.

Feci il giro del letto, raggiungendoli e ammirando la tiara perduta di Priscilla Corvonero.

«Dove l'avete trovata?», chiesi, cercando di ignorare il corpo pietrificato di Theodore Nott a pochi centimetri di distanza.

«Nella Stanza delle Necessità, ci ha suggerito dove andare la Dama Grigia», spiegò Luna, sorridendo.

«Pensi che il veleno di un solo dente basti per distruggere entrambi?», chiese Malfoy, allineando sul tavolo la coppa, il diadema e la zanna di Basilisco.

«Lo spero», ammisi, legando il mantello intorno alla mia vita come un pareo, stanca di tenerlo su con le mani.

«Cosa ne facciamo di Theo?», chiese Zabini, osservando con la fronte corrugata il ragazzo pietrificato accanto al letto.

«Forse dovremmo chiamare anche Pansy», dissi: «Dovremmo informarla che Harry e l'Ordine attaccheranno questa notte».

«Devo avvisare anche i miei genitori», aggiunse Draco, recuperando dal suo baule delle pergamene e un calamaio.

«Cosa ne facciamo di Theo?», ripeté Zabini, questa volta con un tono di voce a dir poco spazientito.

Io e Malfoy ci guardammo negli occhi; capii dalla sua espressione che non aveva idea di come rispondere alla domanda del moro.

Mi voltai verso il Senrpeverde pietrificato, effettivamente la sua presenza era inquietante.

«Se lo spostassimo in bagno?», proposi e, sentendomi un po' in colpa per ciò che avevo appena detto, aggiunsi: «Altrimenti possiamo farlo tornare alla normalità e provare a spiegargli ogni cosa, potrebbe voler stare dalla nostra parte».

Malfoy scosse la testa, sembrava combattuto: «E se così non fosse? Mi dispiacerebbe dover praticare un Obliviate su di lui».

«Non sapremo mai come reagirebbe se non gli raccontiamo ciò che sta succedendo», propose Zabini, incrociando le bracci al petto.

«Prima dobbiamo distruggere gli Horcrux», dissi, indicando il tavolo e i tre oggetti allineati.

«Dobbiamo anche avvisare i miei genitori e Pansy», aggiunse Malfoy, mostrando le pergamene e il calamaio ancora tra le sue mani.

Zabini tirò fuori la sua bacchetta e con un incantesimo di levitazione trasportò il corpo pietrificato di Nott fino al bagno: «Io e Luna cercheremo di spiegare a Nott cosa sta succedendo, voi fate quello che dovete fare. Se ci dividiamo i compiti faremo prima».

Annuimmo all'unisono, d'accordo con il piano di Blaise.

Malfoy si sedette al tavolo e iniziò subito a scrivere, con la sua calligrafia nervosa, un breve biglietto per Pansy.

Con tutto il coraggio che avevo in corpo, strinsi tra le dita la zanna di Basilisco e la sollevai dal tavolo, occhieggiando con sguardo titubante prima il diadema e poi la coppa, indecisa su quale distruggere prima.

«Cosa diavolo sta succedendo?!», sentii gridare Nott, subito zittito, da Zabini: «Ti slegherò quando avrò finito di spiegarti ogni cosa, la stanza è insonorizzata, quindi puoi urlare quanto vuoi, Theo, nessuno ti può sentire».

Lanciando un'occhiata nervosa a Malfoy, notai come avesse quasi finito anche il messaggio indirizzato ai suoi genitori.

Ero l'unica che non stava facendo quello che avrebbe dovuto, così presi un profondo respiro e decisi di iniziare con la coppa.

Premetti la punta del canino contro il freddo metallo dell'oggetto, usando tutta la forza che avevo in corpo. Un urlo agghiacciante riecheggiò nella camera. Avevo la pelle d'oca e gli occhi sbarrati.

La coppa sembrò prendere fuoco, avvolta da fiamme che la consumarono in brevi istanti. L'urlo si affievolì fino a scomparire, lasciando dietro di sé qualche goccia di un liquido nero a macchiare il tavolo accanto alla coppa ormai irrimediabilmente distrutta.

Spostai lo sguardo, incontrando quello sconvolto di Malfoy: «Stai bene?», mi chiese, scrutando poi la zanna che ancora tenevo in mano.

«Penso di sì», risposi, cercando di regolarizzare il mio respiro e il battito impazzito del mio cuore.

«Breedy», chiamò Malfoy, mentre sigillava le pergamene che aveva terminato di scrivere.

Quando l'elfo domestico apparve, Draco gli consegnò le missive, dandogli istruzioni: «Vanno consegnate al più presto, una alla Parkinson e l'altra ai miei genitori, chiaro?»

Breedy annuì e fece un breve inchino, per poi scomparire con un sonoro 'pop'.

Appena rimanemmo soli nella stanza, Malfoy mi raggiunse e mi sfilò la zanna dalla mano destra, appoggiandola sul tavolo, prendendomi poi il viso tra le mani, in modo da far scontrare i nostri sguardi: «Sei sicura di star bene?», mi domandò, la preoccupazione nel suo volto era ben visibile.

Annuii: «Mi ha colto alla sprovvista», ammisi, lasciando che le mani di Draco mi sfregassero le spalle, dandomi conforto.

Si sentivano dal bagno le voci di Zabini e Nott, intenti a discutere, ma non riuscivamo a cogliere di cosa stessero parlando.

Appena riuscii a calmare il battito impazzito del mio cuore, tornai a impugnare la zanna.

«Vuoi che lo faccia io?», chiese Malfoy, appoggiando le mani sulle mie spalle e rimanendo alle mie spalle, per darmi conforto.

«Ce la faccio», lo rassicurai, prima di pugnalare il diadema di Priscilla Corvonero.

Questa volta ero pronta all'urlo che si sprigionò dall'oggetto delicato, ma non al liquido che somigliava in modo inquietante a sangue e che cominciò a sgorgare, creando una pozza sul tavolo.

Feci un passo indietro per la sorpresa, scontrando la schiena contro il petto di Malfoy.

Tutta la magia nera che impregnava i due oggetti fino a pochi secondi prima scomparve, dissolvendosi come una nube nera nell'aria della stanza, senza lasciare tracce dietro di sé.

Presi un profondo respiro e lasciai che le braccia di Draco mi avvolgessero in un abbraccio: «Ce l'hai fatta», mormorò al mio orecchio, lasciando un bacio lieve contro la mia guancia destra.

Annuii, grata della sua presenza alle mie spalle e delle sue braccia che mi sostenevano. Mi sentivo debole dopo la massiccia dose di adrenalina che aveva viaggiato nel mio organismo fino a pochi secondi prima.

«Ora dobbiamo solo aspettare che Sfregiato...», lasciò la frase in sospeso, allontanandosi da me con un gemito di dolore. Mi voltai verso di lui, cercando di capire cosa stesse succedendo.

Il volto di Malfoy era contratto in una smorfia di dolore, mentre premeva la mano destra sul suo avambraccio sinistro.

La porta del bagno si spalancò, Blaise ne uscì con un'espressione colma di sofferenza, quanto quella di Draco.

«Il Marchio», disse Zabini: «Il Signore Oscuro ci sta chiamando».

«Potty deve essere entrato nel perimetro del castello», aggiunse Draco, scoprendo il braccio sinistro, in modo da osservare il Marchio Nero, il quale sembrava pulsare, mentre i contorni si erano arrossati.

«La battaglia è iniziata», gli diede ragione Zabini, mentre dal bagno si sentiva Nott imprecare.

Il volto pallido di Luna emerse dal bagno, gli occhi azzurri sbarrati: «Cosa facciamo?»

Sperai che il mio sangue freddo, quello che mi aveva aiutato più di una volta nelle difficili circostanze in cui mi ero trovata con Harry e Ron, decidesse di darmi nuovamente una mano.

Aggrottando le sopracciglia, pensai a cosa sarebbe stato meglio fare.

Fissai i miei occhi su Zabini: «Nott è con noi?»

Il moro sospirò e scosse il capo: «Pensa che siamo dei pazzi a voler tradire il Signore Oscuro».

Annuii, dispiaciuta, una bacchetta in più non ci avrebbe fatto male nelle circostanze in cui ci trovavamo.

In quell'istante la porta della camera di Draco si spalancò, facendo entrare una scocciata Pansy Parkinson: «Svegliarmi alle dieci passate di notte con un elfo domestico è davvero troppo, Malfoy», disse la mora, chiudendosi la porta alle spalle in modo brusco: «Ho rischiato di avere un infarto».

Zabini alzò gli occhi al cielo: «La solita esagerata», borbottò.

«Harry sta attaccando il castello per liberarlo dal gioco di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato», le spiegai, cercando di farle capire che il motivo per cui era stata svegliata era piuttosto serio.

Pansy sbuffò: «Questo lo so, ho letto la lettera», spostò lo sguardo su Malfoy: «Anche se decifrare la tua pessima calligrafia è stato piuttosto difficile», si lamentò, con una smorfia in volto.

«Qualcuno ha intenzione di liberarmi?!», urlò la voce di Theodore Nott, facendoci sussultare tutti quanti.

La Parkinson aveva gli occhi fuori dalle orbite: «Che ci fa Theo qua?», chiese, prima di sbriciare oltre la porta del bagno, dove Nott era stato legato nella vasca.

«Pansy?», chiamò lui: «Non dirmi che sei anche tu dalla loro parte, sei per caso impazzita?»

La mora sospirò: «Mi dispiace, Theo», poi chiuse la porta del bagno: «Qual è il piano?», chiese, voltandosi verso di me.

In quell'istante mi resi conto che altre tre paia di occhi erano puntate su di me.

Mi chiesi distrattamente quando ero diventata il leader indiscusso del gruppo e sospirai.

«Dobbiamo liberare i prigionieri e qualcuno deve togliere il ricordo di ciò che è appena accaduto a Nott», dissi, dirigendomi verso l'armadio di Draco per recuperare dei pantaloni; non avevo intenzione di girare per il castello con un mantello a mo' di gonna.

Una volta vestita, tornai a guardare gli altri.

Pansy sollevò la mano, richiamando la mia attenzione: «Mi occupo io di Theo».

Annuii: «Bene, noi allora ci occupiamo dei prigionieri».

Fissai la Parkinson per qualche secondo, chiedendomi se sarebbe stata effettivamente in grado di cancellare la memoria al ragazzo che amava.

«Dobbiamo proprio cancellargli la memoria?», chiese Luna, i grandi occhi azzurri che osservavano dubbiosamente la porta del bagno.

«Cosa proponi?», domandai, indossando il mantello, per proteggermi dall'aria pungente.

«Non possiamo semplicemente lasciarlo qua?», suggerì la Parkinson.

Non ero sicura che fosse la migliore idea del mondo, ma non avevamo tempo da perdere in sottigliezze simili; se loro erano convinti che non ci fosse bisogno di togliergli la memoria, per me andava bene.

«Come preferite», dissi, scrollando le spalle e dirigendomi verso l'uscita: «Andiamo».

Draco era alle mie spalle, mi seguiva a ogni passo come se fosse stato la mia seconda ombra; con la bacchetta sfoderata e un'espressione concentrata in volto. Dietro di noi seguivano Blaise, Luna e Pansy.

Quest'ultima non sembrava particolarmente contenta di perdere le sue preziose ore di sonno, ma aveva anche lei la bacchetta sfoderata e sembrava abbastanza agguerrita, così smisi di preoccuparmi e mi concentrai su ciò che mi circondava.

La sala comune di Serpeverde era vuota. L'unico movimento giungeva dalle fiamme del camino, che illuminavano fiocamente l'ambiente, proiettando le nostre ombre sulle pareti della stanza.

Non udivamo nessun suono e non eravamo sicuri che quello fosse un buon segno.

Quando uscimmo in corridoio, la situazione in cui venimmo catapultati era completamente differente, tanto che Malfoy fece un paio di passi avanti, facendomi scudo col suo corpo.

C'era un gruppo di tre Mangiamorte che ci dava le spalle e si stava dirigendo verso la Sala Grande, urla e rumori di oggetti infranti giungevano fino a noi; facendoci realizzare di essere davvero nel bel mezzo di una battaglia.

Aspettammo, in silenzio, di essere soli, lasciando che il trio vestito di nero scomparisse nel buio del corridoio, prima di dirigersi verso la direzione opposta.

La cucina si trovava oltre il dipinto di una natura morta a pochi passi dalla sala comune di Serprverde; vi ero stata un paio di volte con Harry gli anni passati per andare a fare visita a Dobby e Winky e per cercare di promuovere la mia associazione per la tutela degli elfi domestici - C.R.E.P.A. - ma nessuno era sembrato particolarmente entusiasta della mia campagna.

Attraverso la cucina era possibile raggiungere la lavanderia e quindi il luogo dove erano rinchiusi i prigionieri.

Una volta arrivati davanti al quadro, superai Malfoy, iniziando a fare il solletico alla pera, così da far aprire il passaggio.

All'interno delle cucina il caos regnava sovrano; gli elfi erano agitati e non riuscivano a stare fermi, muovendosi lungo i tavoli e cercando un posto dove potersi nascondere. Breedy comparve subito accanto a noi, facendo un inchino: «Le lettere sono state consegnate».

«Ben fatto», disse Malfoy, annuendo distrattamente: «Breedy, abbiamo bisogno del tuo aiuto».

«Qualsiasi cosa», rispose l'elfo, inchinandosi nuovamente.

«Dobbiamo liberare i prigionieri, sai quanti Mangiamorte sono rimasti di guardia?», chiese Draco, muovendo alcuni passi lungo la sala, seguito a ruota da tutti noi.

«Tre o quattro», rispose Breedy, seguendoci lungo la sala.

Appena svoltammo l'angolo, diretti verso le celle, ci trovammo a pochi metri da due Mangiamorte che stava parlando tra loro in modo concitato. Ci bloccammo, cercando di non fare rumore, ma ormai si erano resi conto della nostra presenza, voltandosi nella nostra direzione con le bacchette sfoderate.

Il primo impulso era quello di armarmi a mia volta di bacchetta e lanciare loro contro qualche incantesimo, ma essendo utile quanto una babbana in quel frangente, decisi di appiattirmi contro il muro, lasciando che fossero Draco, Blaise e Pansy a occuparsi della minaccia.

«Pietrificus Totalus!», esclamò Malfoy, bloccando uno dei due Mangiamorte; mentre Zabini si occupava dell'altro, disarmandolo e imprigionandolo con un incantesimo Incarceramus.

Dato che le prigioni erano disposte lungo due corridoi paralleli, suggerii di dividerci in due gruppi: io, Draco e Breedy da una parte e Luna, Blaise e Pansy dall'altra.

«Sono d'accordo», disse Draco, mentre Luna non sembrava del tutto convinta: «Non ci converrebbe stare tutti uniti?»

«Divisi saremo più veloci a liberare i prigionieri», feci notare, mettendo tutti d'accordo.

Senza aspettare oltre ci dirigemmo verso i corridoi delle celle, facendo attenzione agli elfi domestici che continuavano a correre alla ricerca di un nascondiglio sicuro.

A guardia dei corridoi trovammo altre due guardie, riuscimmo anche questa volta a sfruttare l'elemento sorpresa, cogliendoli impreparati e schiantandoli entrambi.

Raggiungemmo i corridoi, dividendoci.

Draco non perse tempo, iniziando a lanciare l'incantesimo "Alohomora" ad ogni porta che incontrava, mentre io sbriciavo all'interno per controllare che gli occupanti stessero tutti bene.

Liberammo un paio di Tassorosso del secondo anno, Dean Thomas - che guardò me e Draco come se fossimo stati degli alieni, chiedendoci spiegazioni - e due Corvonero uno del primo e l'altro del terzo anno. Breedy intanto era rimasto all'inizio del corridoio a controllare che i Mangiamorte schiantati rimanessero a terra, pronto a chiamarci in caso contrario.

In una delle celle trovammo il Professore Lumacorno, che borbottava tra sé e sé, seduto su uno scomodo giaciglio.

«Signorina Granger!», esclamò appena mi vide, sollevandosi in piedi e venendomi incontro con passo malfermo. Si bloccò sui suoi passi quando si rese conto che accanto a me c'era Malfoy.

«Non si preoccupi professore, siamo qui per liberarla», lo rassicurai, facendogli segno di raggiungerci.

Una volta fuori dalla cella, Lumacorno sembrò tranquillizzarsi, cercando di mostrare il suo lato migliore agli studenti che avevamo liberato, nascondendo la sua paura.

La cella successiva era vuota; al centro dell'ambiente vi era soltanto uno scatolone, contenente una ventina di bacchette.

Gli studenti che avevamo liberato esultarono, accalcandosi intorno al contenitore e spintonandosi tra loro, il Professor Lumacorno si prese l'incarico di distribuire i legni, cercando di calmare i ragazzi, mentre io e Malfoy continuavamo ad aprire le celle.

Un paio erano vuote, mentre l'ultima conteneva una signora di spalle, che riconobbi solo quando si voltò, puntando i suoi occhi profondi nei miei. La Professoressa McGranitt, col volto più scarno di quanto ricordassi e un vestito viola scuro sporco e rovinato, ci guardava con stupore e meraviglia, mentre si sollevava a sedere sul giaciglio di stracci che occupava.

«Signorina Granger? Signor Malfoy?», disse, la voce piena della sicurezza che l'aveva sempre caratterizzata. Era bello sapere che per quanto il corpo sembrasse sconfitto, il suo spirito invece era ancora forte e pronto alla guerra.

«Minerva!», esclamò Lumacorno, comparendo accanto a noi, portando con se lo scatolone contenente le bacchette che ancora non erano state rivendicate: «Che piacere rivederla!»

La professoressa McGranitt osservò stranita l'espressione raggiante dell'uomo, prima di sollevarsi in piedi e raggiungerci con la fredda eleganza che la caratterizzava: «Peccato che le circostanze non siano delle migliori», disse lei, passandosi una mano tra i capelli, dove la sua usuale acconciatura severa era sostituita da una crocchia disordinata.

«Cosa sta succedendo?», chiese la McGranitt, dopo aver recuperato la sua bacchetta e aver fissato me e Malfoy dritto negli occhi.

«Harry accompagnato dall'Ordine sta attaccando il castello», dissi, seguendo la professoressa lungo il corridoio; stavamo tornando in lavanderia, dove speravamo di trovare anche Luna, Blaise e Pansy.

La McGranitt annuì, un debole sorriso a incresparle le labbra: «Hogwarts tornerà in mani sicure».

In quell'istante, vedemmo comparire di fronte a noi Breedy, gli occhi enormi sembravano colmi di paura: «Mangiamorte», disse semplicemente, indicando la fine del corridoio a qualche metro di distanza.

La McGranitt e Dean Thomas, seguiti da Draco e Lumacorno, si misero in posizione di difesa, mentre procedevano cautamente. Io rimasi indietro, con lo scatolone delle bacchette e i piccoli di Tassorosso e Corvonero, che sembravano terrorizzati.

Nascosi tutti dentro una delle celle, sbirciando attraverso la porta per tenere d'occhio la situazione esterna.

Una morsa mi stringeva lo stomaco in modo fastidioso, l'ansia mi stava consumando come la fiamma sciupava la cera della candela. Le mani mi tremavano, mentre fissavo la schiena di Malfoy a pochi passi e la rigidità della sua postura.

«Moriremo?», chiese la vocina sottile di una bambina di Tassorosso, mentre si stringeva alla sua compagna di casa.

«No, non moriremo», cercai di rassicurarle, sfoggiando un sorriso tirato che sperai interpretassero come fiducioso. I miei occhi si posarono su Breedy, accanto a me e pronto a difendermi da qualsiasi male; i suoi occhi sembravano adombrati dal mio stesso timore.

Il rumore di urla mi fece voltare nuovamente verso la porta; oltre le spalle di Malfoy riuscii a vedere un paio di Mangiamorte duellare con la Mcgranitt e Lumacorno; i professori ebbero la meglio.

Draco si voltò, cercandomi, quando i nostri sguardi s'incrociarono vidi chiaramente il sollievo sul suo volto stanco.

Uscii dalla cella, facendo segno a Breedy di rimanere: «Proteggili, sono troppo giovani per combattere e per il momento questo è un posto sicuro».

Raggiunsi Malfoy, intrecciando la mia mano destra alla sua sinistra, provando conforto dal contatto con la sua pelle: «Dobbiamo trovare un posto sicuro per i bambini», dissi, indicando alle nostre spalle.

Draco annuì: «Pensi che camera mia possa andare bene?», propose, mentre seguivamo i professori nella lavanderia.

«Con Theo?», chiesi, con una smorfia in viso.

Malfoy scosse la testa, pensieroso: «Hai ragione, non ci avevo pensato».

In quell'istante Zabini, Luna e Pansy sbucarono dal secondo corridoio, seguiti dal professor Vitius, Cho Chang, Palma Patil, Colin Canon, Susan Bones e una bambina del secondo anno di Grifondoro.

Porsi loro la scatola contente le bacchette, mentre la McGranitt si assicurava con occhiate preoccupate che stessero tutti bene.

In quell'istante un pensiero improvviso mi fece voltare verso Draco, preoccupata: «La Greengrass?»

Malfoy sembrò in apprensione quanto me, mentre si voltava verso la cella dove si trovavano i più piccoli e diceva con tono concitato a Breedy di recuperare Daphne, ovunque lei fosse e portarla da noi, dove sarebbe stata maggiormente al sicuro.

Breedy scomparve con un sonoro 'pop', mentre i professori discutevano su cosa fosse meglio fare in quel frangente e i ragazzi cercavano nella scatola la propria bacchetta.

«Non possiamo rimanere qua», tuonò la McGranitt: «Dobbiamo cercare un luogo sicuro dove nascondere i più piccoli», continuò, guardando con aria pensierosa Lumacorno: «Inoltre dobbiamo pensare ai feriti, il fatto che per il momento non ce ne siano non vuol dire che non ce ne saranno».

Vitius annuì, alzando in aria la bacchetta: «Sono assolutamente d'accordo».

«Propongo di dirigerci verso le cucine, ci faremo dire dagli elfi cosa sta succedendo», propose la McGranitt, dirigendosi con passo spedito verso la porta che l'avrebbe portata verso la sua meta, seguita dagli altri professori e gli studenti. Io, Draco e Susan accompagnavamo i più piccoli, mentre Pansy chiudeva la fila.

Breedy tornò pochi secondi dopo con un'assonnata Daphne Greengrass: «Cosa sta succedendo?», chiese la ragazza, sbadigliando, mentre sistemava la vestaglia che indossava, in modo da coprirsi meglio.

«Siamo sotto attacco Daph», le disse Blaise, osservando contrariato la sua mise: «Ti sembra il caso di combattere così svestita?»

La bionda sollevò il capo, mettendo in mostra il suo collo bianco: «L'elfo mi ha messo fretta, ho indossato la prima cosa che ho trovato».

Dean Thomas, con un sorriso malizioso in viso s'intromise: «Stai dicendo che sotto alla vestaglia non indossi niente, Greengrass?»

Daphne lanciò uno sguardo a dir poco annoiato al Grifondoro: «Temo non lo saprai mai, Thomas».

In quell'istante la voce melodiosa di Padma, così simile a quella della sorella, li zittì: «Non abbiamo tempo da perdere in discussioni inutili».

Daphne fissò i suoi occhi chiari e scaltri in quelli scuri e tenaci di Patil: «La continueremo in altro momento allora», mormorò, facendole l'occhiolino.

Mi voltai verso Draco, che sorrideva maliziosamente, mentre Pansy alle mie spalle sembrava a dir poco senza parole.

La battaglia si stava rivelando più interessante di quanto avessi pensato.

 

 

*****

Ciao a tutti! 🤗

Ho finito proprio ora di scrivere questo capitolo e non mi sembrava giusto farvi aspettare fino a sabato per poterlo leggere (inoltre mi devo ancora far perdonare per i mesi di inattività), quindi eccomi qua! 😁🎉

Come avete letto gli Horcrux sono stati quasi tutti distrutti, e si è formata una specie di Suicide Squad molto particolare che non so nemmeno io da dove sia spuntata fuori, composta da: Hermione, Draco, Blaise, Pansy, Luna, Daphne, Padma, Dean, Susan, Colin e Cho, guidati dalla McGranitt, Vitius e Lumacorno. Ce la faranno i nostri eroi? 🤔

Fino a questo momento non avevo mai pensare che vi avrei effettivamente fatto leggere qualche scena tra Padma e Daphne, convinta che non sarei riuscita a inserirle, invece ce l'ho fatta e spero vivamente che vi sia piaciuta! 😉

Il prossimo capitolo arriva entro sabato 23 Settembre e sarà, penso, il penultimo o, al massimo, terzultimo.

Detto ciò vi saluto e vi do appuntamento a sabato! 😘

Un bacio,

LazySoul

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Loss ***


24. Loss
 


Lasciai che la mano di Draco stringesse la mia, mentre entravamo nelle cucine di Hogwarts.

La McGranitt si stava consultando con un elfo domestico, mentre Vitius lanciava incantesimi protettivi intorno a noi, così da impedire ai Mangiamorte di coglierci alla sprovvista.

«Dobbiamo salire in Sala Grande e combattere», disse la professoressa, prima di voltarsi verso di noi, i suoi occhi si assottigliarono: «Signorina Greengrass, le sembra il caso?!», esclamò, fissando la vestaglia grigio perla di Daphne.

La bionda aprì bocca per rispondere, ma Blaise le tirò una gomitata, zittendola.

«I più piccoli rimarranno qui», annunciò la professoressa, indicando i ragazzini del primo, secondo e terzo anno: «Gli elfi li proteggeranno dai Mangiamorte, inoltre gli incantesimi del professor Vitius terranno chiunque abbia cattive intenzioni fuori dalle cucine».

Mi avvicinai ulteriormente a Malfoy, lasciando che la mia fronte si appoggiasse alla sua spalla.

Avrei voluto essere in qualsiasi altro posto in quel momento, la paura di perdere il ragazzo di cui ero innamorata mi terrorizzava a tal punto da non riuscire a ragionare lucidamente.

Lasciai vagare lo sguardo intorno a me, le labbra strette dei presenti, i loro volti consumati dalla paura e dalla stanchezza... Gli occhi, invece, erano colmi di rabbia, coraggio e determinazione.

Furono i loro occhi, dove la speranza ancora non era svanita, a farmi presagire la vittoria del bene sul male.

Voltai lo sguardo alla mia destra, incontrando gli occhi chiari di Draco.

Conoscevo quegli occhi da anni, li avevo sempre visti colmi di odio, di ribrezzo e di noia; rare le volte in cui li avevo colti realmente divertiti. Ora, quegli occhi che avevo finito coll'amare più di me stessa, sembravano volermi trasmettere la forza di cui avevo bisogno per non lasciarmi abbattere dalle circostanze.

Gli sorrisi debolmente, sporgendomi per lasciargli un bacio sulla guancia: «Grazie», gli dissi semplicemente, senza aggiungere altro, certa che potesse leggere nei miei occhi le parole che non avevo detto.

Lo stavo ringraziando per avermi intrappolata in una stupida scommessa, per avermi spinto ad osare, per avermi fatto innamorare di lui con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, per avermi amato con dolce insistenza e per avermi mostrato che la vita non era solo libri e voti, ma una miriade di emozioni che non mi ero mai preoccupata più di tanto di provare, convinta di bastare a me stessa.

«Io e il professor Vitius apriremo la fila, voi ragazzi seguiteci», tuonò la voce della McGranitt, svegliandomi dal sogno ad occhi aperti che stavo vivendo.

Draco mi diede un bacio in fronte, fermando il tempo: «Non ti allontanare da me», sussurrò contro la mia pelle, stringendo la presa intorno alla mia mano.

Lumacorno rimase indietro, dicendo di voler rimanere coi più piccoli per rassicurarli. La McGranitt non si oppose, dirigendosi verso l'uscita delle cucina con passo rapido e sicuro.

Vitius le trotterellava dietro, cercando di stare al suo passo, mentre noi studenti del sesto anno li seguivamo a pochi passi di distanza.

Percorremmo i sotterranei senza incrociare nessuno, avvicinandoci sempre di più al rumore di voci che giungeva dall'ingresso.

«Ragazzi, dividetevi in gruppi di due o tre, bisogna controllare anche i piani superiori, ci potrebbero essere altri prigionieri!», ci ordinò la McGranitt mentre giungevamo di fronte alla Sala Grande.

C'erano una trentina di persone di fronte a noi che duellavano; riconobbi alcuni volti, come quello di Moody, di Lupin e della signora Weasley, rendendomi conto che la guerra vera e propria si stava svolgendo all'esterno, da dove giungevano ulteriori grida.

Malfoy, stringendo la presa intorno alla mia mano mi spinse su per le scale, coprendoci le spalle con un incantesimo Protego.

Avrei voluto rimanere lì, combattere contro i Mangiamorte, cercare i miei amici, ma la confusione era troppa e non avendo la bacchetta non potevo pretendere che Malfoy facesse da scudo a me e se stesso in una situazione tanto complicata.

Cercare altri prigionieri ai piani superiori non mi entusiasmava particolarmente, ma andava fatto, inoltre avevo promesso a Malfoy che saremmo rimasti nelle retrovie e non avevo intenzione di rimangiarmi la parola data.

Sentii un rumore di passi alle nostre spalle e notai Pansy, Daphne e Susan seguirci, mentre gli altri rimanevano a combattere. Raggiungemmo il primo piano senza problemi e iniziammo a percorrerlo, controllando all'interno delle aule.

Fummo attaccati da un paio di Mangiamorte durante la nostra ricerca, ma Daphne risultò essere particolarmente dotata quando si trattava di schiantare qualcuno, malgrado il suo abbigliamento poco consono e l'aria stanca che sfoggiava.

Eravamo quasi al terzo piano quando sentimmo dei passi alle nostre spalle.

Quando ci voltammo Padma aveva appena svoltato l'angolo, correndoci incontro con il viso arrossato per lo sforzo: «Susan!», chiamò, facendo segno alla ragazza di sbrigarsi: «La McGranitt vuole che tu e la Granger scendiate, ha bisogno di voi per proteggere la scuola con un incantesimo, dice che siete le migliori».

Feci un passo verso di lei, ma la mano che era ancora stretta a quella di Malfoy mi impedì di allontanarmi ulteriormente. Fu in quel momento che mi ricordai di non avere più la mia bacchetta e che quindi non sarei potuta essere di nessun aiuto alla professoressa McGranitt.

Abbassai lo sguardo, sentendo le guance bruciarmi per la vergogna e il disappunto: «Io non ho la bacchetta, dubito di poter essere di qualche utilità», confessai, sentendo la mano di Malfoy stringere di più la mia, forse nel tentativo di darmi forza.

«Posso venire io», si propose Daphne, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori.

Padma la fissò con un sopracciglio sollevato e un'espressione a dir poco scettica in volto.

La Greengrass non si lasciò abbattere, anche se vidi chiaramente quanto le avesse dato fastidio la sfiducia della Corvonero.

«Come vuoi», disse semplicemente Patil, quando si rese conto che Daphne non aveva intenzione di arrendersi o tirarsi indietro.

La bionda Serpeverde sfoggiò un sorriso a dir poco compiaciuto, mentre s'incamminava, con passo sostenuto verso le scale, con Susan da una parte e Padma dall'altra.

«Daphne è interessata a una delle Patil», disse Pansy dopo qualche secondo, scuotendo la testa: «Vorrei proprio vedere che faccia farà Theo quando lo scoprirà», continuò, le labbra inarcate in un sorriso malizioso.

«Quando scoprirò cosa?», chiese la voce di Nott, alle nostre spalle, facendoci sussultare e voltare all'unisono.

Pansy si mise davanti a me e Draco, sfoderando la bacchetta, in posizione di difesa: «Ci penso io a lui», disse semplicemente, facendoci segno di andare.

Draco tentennò per qualche istante, guardando i suoi due amici con un'espressione mista tra confusione e tristezza: «Theo, cosa ci fai qua?»

«Siete pazzi a pensare che Potter possa...»

Un fischio acuto mi perforò i timpani, facendomi gemere dal dolore, mentre portavo entrambe le mani ai lati del volto, nel tentativo di coprire le orecchie e di impedire a quel fastidioso rumore di tormentarmi. Così com'era cominciato quel suono scomparve. Al suo posto sentii rimbombare nella mia testa una voce che non avevo mai udito e che mi fece venire la pelle d'oca: «State combattendo con valore, ma invano».

Mi voltai verso Malfoy, notando il suo volto pallido e gli occhi fissi nel vuoto, mi chiesi se anche lui potesse sentire quella voce.

«Io non desidero questo, ogni goccia di sangue magico versato è un terribile spreco. Per tanto ordino alle mie forze di ritirarsi. In loro assenza disponete dei vostri morti con dignità. Harry Potter, ora mi rivolgo direttamente a te, questa notte hai consentito che i tuoi amici morissero per te, piuttosto di affrontarmi di persona; non c'è disonore più grande. Raggiungimi nella foresta proibita e affronta il tuo destino. Se tu non lo farai ucciderò fino all'ultimo uomo, donna o bambino che cercherà di nasconderti a me».

Un fischio acuto mi perforò nuovamente i timpani, poi tutto cessò.

Annaspai, come se fossi rimasta in apnea per troppo tempo e mi voltai verso Draco, incontrando i suoi occhi chiari, specchio della preoccupazione che sapevo esserci nei miei.

Nott, senza dire nulla, se ne andò da dove era arrivato, un'espressione di soddisfazione in viso.

Pansy invece era immobile, la bacchetta ancora sfoderata e un'espressione colma di confusione.

Strinsi la mano di Malfoy nella mia e poi cominciai a camminare verso le scale.

Dovevo trovare Harry, convincerlo che andare nella Foresta Proibita non era la giusta soluzione e trovare un modo per nasconderlo da tutto e da tutti. Harry era il fratello che non avevo mai avuto, non avrei permesso che gli succedesse qualcosa di male.

«Dove stiamo andando?», chiese Malfoy, cercando di fermare la mia avanzata.

«Dobbiamo trovarlo», dissi semplicemente, strattonandolo più forte e notando come la Parkinson, con passo insicuro ci stesse seguendo.

«Chi?», chiese Draco.

«Harry, dobbiamo trovare Harry e convincerlo a non fare pazzie», gli spiegai, lanciandogli un'occhiata colma di supplica, nel tentativo di fargli capire ciò che provavo.

Comprensione attraversò il suo sguardo e un sorriso triste gli increspò le labbra: «Andiamo a vedere dove si nasconde Potty».

Non ebbi la forza di arrabbiarmi con lui per lo stupido soprannome che aveva affibbiato al mio migliore amico, contenta che non si fosse tirato indietro o avesse provato a protestare.

Una volta giunti al piano terra, entrammo nella Sala Grande, dove uomini, donne e perfino qualche ragazzino, si muovevano disordinatamente. Alcuni erano a terra, feriti, altri invece, erano morti.

Una zazzera di capelli rossi mi fece involontariamente sorridere, rincuorata, mentre la raggiungevo.

«Ronald!», esclamai, liberandomi dalla presa di Malfoy per gettare le braccia al collo del mio migliore amico.

«Hermione!», urlò lui, ridendo e stringendomi a sua volta, rischiando di soffocarmi con la sua mole.

Quando sciogliemmo l'abbraccio, fu bello incontrare i suoi occhi azzurri, limpidi e dolci; mi erano mancati.

«Dov'è Harry?», chiesi, guardandomi intorno, nella speranza di individuarlo tra la folla allo stesso modo in cui aveva precedentemente scovato Ron.

Il rosso di fronte a me scosse la testa: «Non ne ho idea».

Il sorriso scomparve dal mio volto, sostituito dal terrore: «Quando l'hai perso di vista?», gli chiesi, voltandomi.

Alle mie spalle, Malfoy mi fissava con disappunto, le braccia incrociate e gli occhi socchiusi.

Aggrottai le sopracciglia, non capendo la sua reazione: «Cosa succede?»

Senza dire nulla, Malfoy allungò la mano e mi afferrò il braccio, portandomi al suo fianco.

«Weasley», salutò il mio amico, stringendomi a sé.

Un sorriso comparve sulle mie labbra, appena capii che il suo strano comportamento era dettato dalla gelosia.

«Malfoy», ribatté Ron, affilando lo sguardo.

«Hermione!», mi sentii chiamare, voltandomi a destra.

Ginny mi stava venendo incontro, aveva un taglio sulla guancia e i capelli rosso fuoco legati in una treccia disordinata. Malgrado la difficile situazione in cui ci trovavamo, riusciva comunque ad essere bellissima.

«Ginny», mormorai, districandomi dalla stretta di Malfoy per raggiungerla a metà strada e gettarle le braccia al collo, abbracciandola stretta.

Rimanemmo avvinghiate l'una all'altra per lunghissimi secondi, prima di sciogliere l'abbraccio e sorriderci.

«Vedo che la tua guardia del corpo non ti perde di vista nemmeno un secondo», disse Ginny, guardando alle mie spalle.

Non avevo bisogno di voltarmi per capire a chi si stesse riferendo.

Scossi la testa, cercando di mascherare il mio imbarazzo con un sorriso: «Non so di cosa tu stia parlando», mentii, arrossendo furiosamente, mentre salutavo alle sue spalle Neville e Calì.

«Sei una pessima bugiarda», disse Ginny, sollevando gli occhi al cielo, prima di salutare Malfoy con un cenno della mano.

«Sai dov'è Harry?», le chiesi, sperando che almeno lei, la sua ragazza, potesse indicarmi dove si fosse andato a cacciare.

Il volto di Ginny si adombrò, mentre abbassava lo sguardo e scuoteva la testa, rassegnata: «L'ho perso di vista qualche secondo fa, non so dove sia finito».

«Pensi che sia...?», non riuscii a finire la frase; l'idea che il mio migliore amico potesse aver ascoltato le parole di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e deciso di corrergli incontro per farsi ammazzare era troppo dolorosa.

«Potter non può essere così idiota», commentò la Parkinson, sollevando gli occhi al cielo, mentre accanto a lei, Daphne cercava di ignorare le occhiate che i ragazzi lanciavano al suo abbigliamento, Ronald compreso.

«Non ne sarei così convinto», disse Malfoy, prima di puntare la bacchetta verso Daphne e trasfigurare la sua vestaglia nella divisa scolastica di Serpeverde.

«Oh, non ci avevo pensato», ridacchiò, Daphne, passandosi una mano tra i capelli.

«Certo», commentò Pansy, con un'espressione a dir poco esasperata.

Fissai i miei occhi in quelli di Ginny, per poi spostarli su di Ron; il dolore e l'incertezza erano gli unici sentimenti che riuscivo a decifrare.

Scossi la testa, facendo un passo indietro: «Non può averlo fatto», mormorai, cercando di auto convincermene.

Le mani di Malfoy mi strinsero le spalle, costringendomi a voltarmi e a premere il viso contro il suo petto. Non avrei definito i suoi modi gentili, era stato piuttosto brusca la sua presa, ma il gesto in sé racchiudeva tutta la dolcezza di cui avevo bisogno.

Poche lacrime bollenti mi bagnarono gli occhi, inumidendo il mantello del Serpeverde, che mi teneva stretta a sé; il volto nascosto tra i miei ricci e le labbra premute contro la mia tempia.

«Andrà tutto bene», sussurrò contro la mia pelle.

Scossi la testa: «Non puoi saperlo», gli risposi, stringendo tra le dita il suo mantello.

«Ora si spiega perché prendi sempre pessimi voti a incantesimi», disse la Parkinson, con un tono scocciato.

«Scusa?!», esclamò la voce ferita di Zabini.

«Meno di dieci minuti fa, Nott mi stava puntando contro una bacchetta. Il tuo Incarceramus è stato a dir poco inutile», rispose la mora.

Spostai appena il volto, godendomi l'espressione oltraggiata di Zabini, mentre Luna, accanto a lui, cercava di calmarlo.

La mano di Malfoy mi accarezzò la schiena: «Pansy non ha tutti i torni», commentò, appoggiando la guancia contro il mio capo; anche senza vederlo in volto potevo immaginare il suo ghigno malefico.

Lo sguardo furioso di Zabini si spostò su di noi: «Va al diavolo, Malfoy. Se non fosse stato per te non ci sarebbe stato bisogno di legarlo in primo luogo».

Sapevo perfettamente che quella loro scaramuccia era quello e niente altro; un semplice battibecco tra amici. Non dovevo preoccuparmi di ristabilire l'ordine prima che iniziassero a volare maledizioni senza perdono. Eppure mi sentii in dovere di tirare un lieve pugno contro lo stomaco di Malfoy, attirando la sua attenzione, in modo da potergli sussurrare all'orecchio di piantarla.

Mi asciugai i residui di lacrime e cercai di ritrovare la mia forza, prendendo un profondo respiro e allontanandomi dal profumo di Malfoy e dal calore del suo corpo.

«Dobbiamo cercare, Harry. Dobbiamo trovarlo prima che...», la mia voce si spezzò alla vista di George e Charlie Weasley che trasportavano all'interno della Sala Grande il corpo privo di vita di Fred.

Un forte singhiozzo mi scosse, mentre mi portavo una mano alla bocca, in modo da celare un grido di sofferenza, le lacrime che avevo tanto faticato ad asciugare tornarono prepotenti a bagnarmi il viso. Intorno a me sentii urla, vidi Ron e Ginny correre incontro ai fratelli, sentii le grida della Signora Weasley e vidi il volto distrutto di Arthur.

Le braccia di Malfoy tornarono ad avvolgermi, premendo il mio viso contro il suo petto, forse per impedirmi di vedere altro; ma ormai l'immagine del corpo inanimato di Fred si era impressa a fuoco contro le mie retine. Avevo già visto tutto quello che c'era da vedere.

Era una guerra, pensare che non ci sarebbero stati dei feriti o delle vittime era impensabile, ma mi ero illusa, nella mia ingenuità, che non ci sarebbero stati caduti tra coloro che conoscevo.

Continuavo a sentire la urla della signora Weasley, i singhiozzi e mi sembrava di percepire il loro dolore come se fosse stato tangibile.

Mi tremavano le mani e temetti che le ginocchia non mi potessero sostenere; cominciai ad avere paura. Una paura più consapevole rispetto a prima, più matura. Ero stata ingenua a pensare che il bene avrebbe trionfato senza che fosse necessario pagare un prezzo perché ciò avvenisse.

Malfoy mosse alcuni passi, trascinandomi con sé, fino a quando non si sedette su una delle panche che erano state disposte lungo le pareti. Mi fece sedere sulle sue ginocchia, continuando a tenermi stretta. Non disse nulla, continuando semplicemente a sostenermi, a non lasciarmi cadere.

Non era da me mostrarmi tanto debole di fronte agli altri, così cercai i ricompormi in breve tempo. Incolpai il ciclo e la stanchezza per il modo atipico in cui mi stavo comportando, cercando di non incontrare gli occhi di Malfoy o quelli di chiunque altro. Avevo bisogno di un momento da sola, ma in mezzo alla calca di gente che affollava la Sala Grande era impossibile.

«Stanno portando dentro altri caduti», disse Draco alle mie spalle, cercando di afferrarmi la spalla. Scrollai la sua mano, alzando il viso.

Masochista fino alla fine, volevo vedere chi ci aveva lasciato.

Cercai di farmi spazio tra la calca, per avere una visuale maggiore.

Remus Lupin, Alastor Moody, Colin Canon...

Chiusi gli occhi e presi un profondo respiro, combattendo contro le lacrime.

Non c'era tempo per piangersi addosso, dovevamo trovare Harry e sperare che non fosse stato tanto stupido da...

Un boato fuori dalle mura di Hogwarts mi fece sussultare, molti gridarono per lo spavento.

Fu la McGranitt, seguita da Vitius, a correre verso l'ingresso della Sala Grande, per andare a controllare cosa stesse succedendo. Avanzai a mia volta, desiderosa di conoscere cosa avesse provocato quel rumore.

Fuori dall'ingresso principale di Hogwarts, schierati ordinatamente a circa dieci metri di distanza, c'erano i Mangiamorte. Non indossavano la maschera, mostrando con fierezza il loro volto.

Individuai il viso di Theodore Nott, poco distante quelli di Narcissa e Lucius Malfoy.

La confusione era ben visibile sul mio volto, mi voltai alla mia destra, dove sapevo trovarsi Draco e mi resi conto che anche lui sembrava sorpreso.

I Mangiamorte aprirono un passaggio, così da far passare la figura pallida e vestita con un lungo mantello nero di Voldemort, che con un'espressione di trionfo in viso, fece segno ad Hagrid alle sue spalle di avanzare.

Il mezzo gigante stava trasportando qualcosa tra le braccia, sembrava un corpo.

Solo quando si fece più vicino capii che quell'involucro privo di vita era stato il mio migliore amico, Harry Potter.

Il respiro mi rimase incastrato in gola, mentre gli occhi mi si inumidivano nuovamente.

Non poteva essere.

No, non Harry.

La mano di Malfoy prese la mia, stringendo le mie dita fredde con forza.

Guardandomi intorno vidi che la maggior parte delle persone che si trovavano in Sala Grande erano uscite; le loro espressioni sconvolte, sofferenti e sprezzanti sembravano una replica della mia.

Voldemort avanzò, diminuendo la distanza tra di noi, poi si fermò a metà strada tra il suo schieramento e il nostro, un sorriso a deturpargli il volto.

«Harry Potter è morto», disse semplicemente, la voce aspra e trionfale, mentre Nagini, strisciava ai suoi piedi: «Harry Potter è morto!», urlò, lanciano uno sguardo alle sue spalle.

I Mangiamorte iniziarono a ridere, Bellatrix Lestrange stava addirittura improvvisando una danza per esprimere la sua gioia, mentre rideva sguaiatamente.

«É tempo di scegliere», continuò Voldemort: «Venite avanti e unitevi a noi, o morirete».

Nessuno si mosse.

Il mio sguardo continuava a scivolare verso destra, dove Hagrid continuava a stringere tra le braccia il corpo di Harry. Non ero riuscita ad abbracciarlo un ultima volta.

Sentii Draco irrigidirsi accanto a me e, tornando a concentrare la mia attenzione davanti a me, vidi Lucius Malfoy fare un paio di passi avanti, lo sguardo fisso su suo figlio: «Vieni», disse semplicemente, facendo un gesto nervoso con la mano.

Draco scosse la testa, aumentando la stretta delle sue dita intorno alle mie.

Voldemort spostò lo sguardo da Malfoy senior al figlio, lo sguardo all'apparenza impassibile.

Gli occhi azzurri di Narcissa erano incatenati ai miei, poi spostò lo sguardo verso Hagrid e nuovamente verso di me. Aggrottai le sopracciglia, non riuscendo a capire.

Neville, fece qualche passo avanti, zoppicando, attirando l'attenzione di tutti su di sé.

«E tu chi saresti?», chiese con tono derisorio Voldemort.

«Neville Paciock».

Un coro di risate si unì a quella follemente divertita di Bellatrix Lestrange.

«Sono certo che troveremo un posto anche per te nei nostri ranghi...» disse la voce compiaciuta di Voldemort, prima di venire interrotta dalla voce di Neville: «Vorrei dire una cosa».

Le risate cessarono e sul volto pallido di Voldemort comparve una smorfia contrariata.

«Non importa che Harry sia morto», iniziò Neville: «La gente muore tutti i giorni, amici, familiari. Sì, abbiamo perso Harry stanotte, ma lui è ancora con noi, qui dentro!», esclamò, portandosi una mano al petto, lo sguardo che vagava tra noi e i Mangiamorte: «E così Fred e Remus, Moody... Tutti loro non sono morti invano! Ma tu lo sarai perché ti sbagli, il cuore di Harry batteva per noi, per tutti noi! Non è finita!»

In quell'istante Neville estrasse dal cappello parlante, che teneva stretto tra le mani, la spada di Grifondoro, mentre un movimento alla destra del mio campo visivo mi fece sorridere: Harry era vivo.
 

*****

Ciao a tutti! 😁
Non è stato facile scrivere questo capitolo e spero vivamente che vi sia piaciuto! L'ho basato molto sulle scene dell'ultimo film (soprattutto per quando riguarda il discorso di Neville e quelli di Voldemort), mentre per il resto ho fatto del mio meglio per sembrare verosimile nella descrizione della battaglia e dei sentimenti di Hermione in un frangente tanto delicato.
Spero vogliate lasciarmi qualche commento, per farmi sapere la vostra opinione!
Un bacione enorme ❤️
LazySoul

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Tears ***


 

Questo capitolo contiene quattro punti di vista: quello di Padma, di Narcissa, di Luna e di Pansy. Spero che non sia troppo confusionario.

 Buona lettura!

 

25. Tears

 

Padma
 

Salii le scale di corsa, cercando ovunque; per i corridoi, nelle aule, chiedendomi dove fossero finite.

Quando raggiunsi il terzo piano mi fermai, riconoscendo le figure a pochi metri da me.

«Susan!» urlai, attirando l'attenzione del quartetto, cercando di riprendere il fiato: «La McGranitt vuole che tu e la Granger scendiate, ha bisogno di voi per proteggere la scuola con un incantesimo, dice che siete le migliori», aggiunsi, cercando di ignorare gli occhi chiari che mi squadravano con quello che interpretai come uno sguardo austero.

Susan fu subito al mio fianco, mentre la Granger scosse la testa sconsolata, trattenuta dalla mano di Malfoy: «Io non ho la bacchetta, dubito di poter essere di qualche utilità».

No potei fare a meno di provare pietà per lei. Avevo passato due giorni in prigione senza la mia bacchetta, prima che Zabini mi liberasse e potessi poi recuperare la mia bacchetta. Potevo immaginare lo sconforto e smarrimento che doveva provare Hermione.

Ero stata catturata due giorni prima, mentre io e mia sorella cercavamo di raggiungere il luogo segreto in cui si nascondeva Harry Potter con il suo esercito di ribelli. Era stata Calì a convincermi, era lei quella coraggiosa in famiglia, quella che non si arrendeva di fronte a nulla. Io, invece, per quanto le somigliassi fisicamente, ero meno temeraria e più un topo di biblioteca. Quando mia sorella mi aveva detto che voleva andare a combattere contro Coli-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, non ci avevo pensato due volte e le avevo detto che sarei andata con lei. I nostri genitori provarono a fermarci, impedendoci di uscire di casa. Non era la prima volta che cercavano di segregarci in camera nostra e io e Calì avevamo da anni elaborato un piano per fuggire senza farci notare. Non avevamo pensato però alle numerose pattuglie di Mangiamorte che setacciavano le città di notte alla ricerca di Harry Potter e dei suoi sostenitori. Ci ritrovammo circondate prima che potessimo renderci conto di quello che stava succedendo. Mia sorella, alla quale il coraggio non mancava, mi disse che li avrebbe tenuti occupati, così da permettermi la fuga. Alla fine però finirono per catturarmi, mentre lei riuscì a salvarsi.

Una voce melodiosa mi distolse dai miei pensieri: «Posso venire io», si offerse Daphne Greengrass, mettendo in mostra la sua dentatura perfetta.

Focalizzai lo sguardo su di lei, pentendomene subito, appena mi ricordai che indossava solo una vestaglia color grigio chiaro che metteva in mostra il suo fisico snello e provocante. Riuscii però a risultare abbastanza scettica, sollevando il sopracciglio destro, celando così la mia ammirazione.

Non riuscivo a capire se fosse seria e se davvero volesse dare una mano, o se semplicemente stesse cercando di provocarmi e innervosirmi come suo solito. 

Era dall'inizio dell'anno che me la ritrovavo ovunque: per i corridoi, in biblioteca, nelle aule studio... A lezione poi era un vero e proprio incubo. Non mancava giorno in cui non mi venisse incontro, abbagliandomi con la sua chioma dorata e i suoi sorrisi smaglianti, salutandomi e facendomi l'occhiolino. Non riuscivo a capire a che gioco volesse giocare. Un paio di volte mi ero chiesta se per caso fosse gay e quindi interessata a me, ma ogni volta smentiva le mie ipotesi presentandosi in Sala Grande a braccetto di qualche suo compagno di casa, al quale si preoccupava di infilare la lingua in gola davanti a tutti.

La osservai per qualche secondo, vedendo il fastidio nei suoi occhi e chiedendomi per la centesima volta cosa volesse da me.

«Come vuoi», le dissi, sospirando rassegnata. Non avevamo tempo prezioso da perdere; la McGranitt ci aspettava al piano terra e se la Greengrass era così ansiosa di aiutare non sarei stata io a impedirglielo.

Un sorriso a dir poco compiaciuto illuminò il volto della bionda.

Mi voltai, dandole le spalle, con l'intenzione di non lasciarmi distrarre dal modo in cui si stava avvicinando; muovendo le anche e le gambe con l'intento di provocarmi.

Avevo sempre pensato che lo facesse per prendermi in giro. Era stata la Edgecombe a spargere la voce della mia omosessualità a inizio anno. Tradendo la poca fiducia che avevo erroneamente riposto nelle sue mani e mettendomi al centro dei pettegolezzi per circa una settimana. Io avevo fatto di tutto pur di smentire la notizia, per paura che giungesse per caso alle orecchie dei miei genitori. Avevo passato notti intere in lacrime, raggomitolata nel mio letto a sperare che i pettegolezzi, le battutine e le cattiverie cessassero.

Alla fine era arrivato un pettegolezzo più interessante della mia presunta omosessualità e tutti avevano smesso di sussurrare il mio nome e ridacchiare o additarmi quando mi scorgevano per i corridoi. 

Ero tornata ad essere invisibile per tutti, tranne per Daphne Greengrass.

Mi voltai verso sinistra, cercando lo sguardo di Susan, ma incontrai invece quello scaltro e luminoso della Serpeverde. 

Tornai a guardare di fronte a me, ignorandola.

Eravamo in guerra e non avevo intenzione di lasciarmi distrarre da lei, non in una situazione tanto delicata. Mi sarei dedicata alla questione Daphne Greengrass una volta che tutto fosse finito.

Sempre che fossi sopravvissuta.

 


Narcissa
 

La mano di Lucius strinse forte la mia, le sue dita erano leggermente più tiepide rispetto alle mie e la sua sicurezza era ciò di cui avevo bisogno in quel momento.

Quando avevamo ricevuto la lettera di Draco eravamo accorsi in camera sua, volevamo chiedergli spiegazioni, capire come avesse ricevuto un'informazione tanto importante. Ma tutto ciò che avevamo trovato era stato Theodore Nott, legato nella vasca da bagno di nostro figlio.

Lucius lo aveva slegato, chiedendogli cosa fosse successo.

«Draco è impazzito, ecco cos'è successo», ci aveva risposto, ridendo amaramente: «Ha rubato un oggetto prezioso dalla camera di vostra sorella», aveva aggiunto, rivolto a me: «Vuole tradire il Signore Oscuro, tutto per colpa di quella Mezzosangue che gli ha fatto il lavaggio del cervello!»

Sussultai alle sue parole, cercando di recitare la parte della madre sconvolta e delusa: «Sei sicuro?», gli chiesi, mentre mio marito aggrottava le sopracciglia: «Quale Mezzosangue?»

Theodore ci raccontò cose che già sapevamo e altre che avevo intuito, senza però condividerle con mio marito.

«Mio figlio ha una relazione con una Mezzosangue?!», tuonò Lucius, il viso arrossato dal disgusto e la vergogna.

Io quello l'avevo immaginato quando avevo parlato con la Granger. Quella ragazza era letteralmente incapace di mentire, l'amore che provava per mio figlio era stato in bella mostra sul suo volto per tutto il tempo che avevo trascorso con lei. 

Sospirai, abbassando lo sguardo. La promessa che avevo fatto a mio figlio il giorno prima ora non aveva più senso. Gli avevo garantito che non ne avrei fatto parola con Lucius, che avrei mantenuto il segreto. Il giovane Nott aveva rovinato tutto.

«Con Hermione Granger per essere precisi», aveva ribadito il ragazzo, prima di dirigersi verso la porta: «Andiamo? Il Signore Oscuro ha chiamato».

Le dita di mio marito stringevano le mie con talmente tanta forza da farmi male, mentre seguivamo Theodore.

Non avevo bisogno di chiedergli come stesse, eravamo sposati da quasi vent'anni e lo conoscevo meglio di me stessa. Aveva bisogno di sbollire la rabbia e la delusione nei confronti di nostro figlio. Al momento non vedeva chiaramente la situazione, non come me.

«Lucius», lo chiamai, attirando la sua attenzione.

Fermai la nostra avanzata e feci in modo che i suoi occhi fossero puntati nei miei, lasciando che il giovane Nott corresse come un cagnolino verso il suo Signore.

«Se anche fosse vero», gli dissi, tenendo le mie mani sul suo volto, impedendogli di guardare da un'altra parte: «Sarebbe un bene».

I suoi occhi grigi mi scrutarono sconvolti: «Un bene?!», si liberò dalla mia presa e fece un paio di passi indietro, guardandomi come se fossi stata una pazza: «Come potrebbe essere un bene il fatto che nostro figlio...»

«Pensa a quando la guerra sarà finita, Lucius», gli dissi, avvicinandomi a lui di un passo:«Pensa a quando Potter avrà sconfitto il Signore Oscuro e il Ministero ci si rivolterà contro», continuai, prendendo la sua mano e appoggiandola contro le mie labbra: «Pensa a quando vorranno separarci, lasciandoci a marcire in celle diverse, nella stessa prigione».

Vidi nei suoi occhi chiari la tristezza che era specchio della mia e capii di avere tutta la sua attenzione: «Pensa a quando Hermione Granger, la migliore amica di Harry Potter, dirà in tribunale che noi li abbiamo aiutati, scarcerandoci o garantendoci una pena minore. Saremo liberi Lucius, liberi dal Signore Oscuro, liberi dalla minaccia di Azkaban».

Baciai la mano di mio marito, senza però perdere il contatto coi suoi occhi: «Se davvero nostro figlio ha una relazione con quella ragazza, dobbiamo solo aspettare che lui si stanchi di lei e sperare che ciò avvenga dopo che tutte le accuse contro di noi siano cadute».

«E se non dovesse accadere?», chiese mio marito, lo sguardo tormentato: «Se non si dovesse stancare di lei?»

«Ce ne preoccuperemo quando sarà il momento», gli dissi, sfiorando con le dita una ciocca di capelli che era sfuggita al suo codino, portandola dietro al suo orecchio.

Lucius si abbassò, premendo le sue labbra contro le mie. Eravamo sposati da anni, ma i suoi baci mi facevano ancora sentire come una ragazzina innamorata.

«D'accordo, Cissy», disse, la preoccupazione sul suo volto sostituita da determinazione e fiducia.

«Andiamo», gli dissi, afferrando la sua mano e dirigendomi verso l'ingresso di Hogwarts.

 

Luna

Il trambusto che seguì il risveglio di Harry, mi fece perdere di vista Blaise.

Molti Mangiamorte fuggirono, smaterializzandosi, altri invece attaccarono, incitati da Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e Bellatrix Lestrange.

Impugnai saldamente la bacchetta, che avevo ritrovato nello scatolone che Malfoy ed Hermione avevano recuperato nelle celle accanto alla lavanderia. Era bello riavere una bacchetta, sapere di essere nuovamente autonoma e non dover dipendere da Blaise e la sua protezione.

«Luna!», urlò la voce di Ginny accanto a me, attirando la mia attenzione.

Mi voltai giusto in tempo per vedere due Mangiamorte venirci incontro, provai a disarmare quello che mi stava per raggiungere, ma lo scudo protettivo che aveva alzato l'uomo, impedì al mio incantesimo di raggiungerlo.

Un lampo di luce raggiunse il Mangiamorte, facendolo cadere a terra, svenuto.

Mi voltai alla mia destra e incontrai gli occhi chiari di Blaise.

«Ti ero mancato?», chiese, facendomi l'occhiolino.

Era incredibile il fatto che fosse in grado di flirtare anche in una situazione simile.

Scossi la mia chioma bionda con aria incredula: «Siamo nel bel mezzo di una guerra», gli feci notare, mentre tornavo a guardare Ginny che, aiutata da Cho, stava riuscendo a sconfiggere il Mangiamorte che l'aveva attaccata.

Un urlo alla mia sinistra attirò la mia attenzione.

Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e Harry si stavano fronteggiando a pochi metri di distanza. Lo spettacolo era semplicemente incredibile.

Non vedevo il mio amico da qualche giorno, eppure era molto cambiato, sembrava invecchiato di anni. Aveva un'espressione concentrata mentre scagliava il suo Expelliamus contro l'avversario che contraccambiò con un Avada Kedavra.

I lampi di luce, quello rosso e quello verde, s'incontrarono a metà strada, producendo scintille.

Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato sembrava sicuro di sé, un sorriso vittorioso gli increspava le labbra sottili. Ai suoi piedi il suo grosso serpente, Nagini, strisciò nervosamente per qualche secondo, poi decise di allontanarsi, muovendosi verso l'ingresso di Hogwarts e spaventando molti dei combattenti che incontrava lungo il cammino.

Distolsi lo sguardo, concentrandomi sui Mangiamorte che erano rimasti e che sembravano intenzionati a mietere più vittime possibili.

Blaise protesse entrambi con un incantesimo, impedendo ad un lampo di luce rossa di colpirmi.

«Grazie», dissi, prima di aiutarlo a mettere al tappeto l'uomo che ci aveva attaccati.

«Figurati», rispose, rubandomi un bacio a fior di labbra, prima di impastoiare il nemico e sorridermi vittorioso.

Ci difendemmo da tutti gli attacchi successivi, facendo del nostro meglio per aiutare anche le persone intorno a noi in caso di bisogno.

Alla periferia del mio campo visivo continuavo a sbirciare il duello tra Harry e il suo avversario, sperando che presto il male venisse sconfitto.

Nagini apparve in quel momento nel mio campo visivo, si dirigeva verso di me, strisciando ad una velocità impressionante. Indietreggiai, andando a sbattere contro il petto di Blaise alle mie spalle; i serpenti mi avevano sempre terrorizzato.

Mi chiesi distrattamente perché non riuscissi a muovere un muscolo, e realizzai che era la paura; era il terrore cieco che mi appesantiva gli arti, impedendomi di reagire.

«Luna!», esclamò Blaise, cercando di spostarmi alle sua spalle per affrontare lui stesso il serpente.

Successe tutto molto velocemente.

L'istante prima il serpente si stava preparando ad attaccare, spalancando le fauci e mettendo in mostra le zanne lunghe quando il mio indice.

Quello dopo, un lampo argentato mi oscurò per un secondo la visuale.

La testa mozzata del serpente cadde a terra, mentre il corpo senza vita si accasciava, smettendo di fremere e avanzare.

Neville era accanto a me e Blaise, la spada di Grifondoro - ora insanguinata - contro il fianco e un'espressione di trionfo in volto.

Un urlo atroce sovrastò ogni rumore, facendo voltare tutti, compresi i Mangiamorte.

Tra Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e Harry non c'erano più i lampi di luce, il nemico era stato disarmato ed era a terra, l'espressione colma di sofferenza.

Tempo cinque secondi e il corpo di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato si era disciolto in un mucchietto di polvere sospinto via dal vento e disperso nell'aria.

Con gli occhi sbarrati fissai la scena, chiedendomi come fosse stato possibile.

Le braccia di Blaise mi circondarono da dietro: «Abbiamo vinto», mi sussurrò contro l'orecchio.

"Sono viva, siamo vivi", fu tutto quello che pensai, prima di scoppiare in lacrime.


 

Pansy


Corsi verso l'interno del castello, decisa ad allontanarmi dal trambusto.

Le urla e l'odore di morte mi avevano nauseata, tanto da impedirmi di essere utile durante lo scontro, per questo volevo mettere tra me e la battaglia la maggiore distanza possibile.

Non ero una coraggiosa Grifondoro e mai lo sarei stata.

Avevo rischiato già la vita per quel giorno, non avevo intenzione di rischiarla una terza o quarta.

Entrai in Sala Grande, dove i feriti e i morti giacevano a terra.

L'odore di quel luogo mi nauseò ancora di più, facendomi indietreggiare e correre verso i sotterranei. Avevo intenzione di raggiungere le cucine e rintanarmi al loro interno con Lumacorno e i bambini.

Un urlo alle mie spalle mi fece voltare.

Fu in quell'istante che vidi Theodore.

Era stata la Weasley a urlare, ma i miei occhi si erano subito spostati verso il moro Serpeverde a pochi metri di distanza, che cercava di disarmare Dean Thomas.

Tutto ciò che riuscii a sentire fu la voce acuta e fastidiosa di Bellatrix Lestrange gridare.

Poi un lampo di luce verde, una figura rossa che si gettava a terra per evitarlo e il corpo di Theo che cadeva a terra, senza vita.

Un fischio acuto sostituì le voci che mi circondavano. Gli occhi non riuscivano a spostarsi, rimanendo fissi su quel corpo riverso contro il pavimento dell'ingresso.

Gli occhi di Theo fissavano il soffitto senza vederlo, le labbra socchiuse e i capelli scuri che rendevano la sua pelle ancora più pallida.

Vidi indistintamente Dean Thomas accorrere verso la Weasley, aiutarla ad alzarsi e affrontare insieme a lei Bellatrix Lestrange.

Senza pensare al pericolo o al senso di nausea che continuava ad attanagliarmi lo stomaco, corsi verso il ragazzo che mi era stato vicino nel momento più buio della mia vita, lasciandomi cadere in ginocchio al suo fianco.

Lasciai che la bacchetta mi scivolasse di mano, mentre afferravo le spalle di Theo e le scuotevo, sollevandolo quel tanto che bastava per appoggiare il suo capo contro il mio grembo.

Gli sfiorai la pelle, ancora tiepida, del volto, cercando di pulirla dal sudore e dalla polvere.

Abbassai il capo e premetti le mie labbra contro le sue.

Non dissi niente, gli rubai solo un bacio, bagnandogli il volto di lacrime.

Il fischio alle orecchie venne sostituito nuovamente da voci e suoni.

La Weasley, Thomas e Lestrange non c'erano più.

Un urlo sovrastò tutti gli altri, creando un innaturale silenzio.

Accarezzai ancora il volto di Theo; un ultimo addio.

Un forte dolore alla nuca mi fece gridare.

Una mano aveva afferrato i miei capelli scuri e li stava tirando, trascinandomi lontano dal corpo privo di vita che avevo amato.

Cercai di liberarmi, allungai una mano per recuperare la bacchetta a terra, mentre l'altra cercava di allentare la presa sulla mia chioma.

«Taci, puttana», disse la voce roca di Greyback, mentre mi strattonava con maggiore forza, aumentando il dolore alla radice dei miei capelli.

La bacchetta mi scivolò dalle mani sudate, un grido strozzato mi sfuggì dalle labbra mentre cercavo di oppormi alla sua presa, per recuperare il mio legno, l'unica arma di difesa a mia disposizione.

Venni scaraventata contro le scale, la schiena e la nuca entrarono dolorosamente in contatto con la pietra e la mia vista si fece sfocata.

Potevo intuire i bordi della figura di Greyback, mentre si accovacciava accanto a me, dicendo cose che non riuscivo a comprendere.

Provai ad allontanarmi, ma i miei arti non rispondevano.

Sentii il rumore di qualcosa che veniva strappato, poi un dolore acuto mi bruciò il petto.

Calde lacrime mi rigavano il volto.

Vidi un lampo di luce, e la figura di Greyback scomparve.

L'ultima cosa che vidi furono un paio di occhi verdi.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Epilogue ***


Epilogue




Il vapore del treno avvolgeva gli studenti che correvano lungo il binario nove e tre quarti.

Mi strinsi nel cappotto e un timido sorriso mi increspò le labbra.

Voldemort era morto e il mondo magico si stava leccando le ferite, cercando di tornare alla normalità. Durante il periodo in cui ero stata imprigionata a Hogwarts il Ministero era stato governato dai Mangiamorte che seguivano le direttive del Signore Oscuro. Molte persone erano state ingiustamente catturate e imprigionate ad Azkaban, altre erano state giustiziate senza un processo.

I miei genitori, nascosti dalla prozia Claire erano sopravvissuti, ma così non si poteva dire di altri genitori o parenti. Avevo scoperto che gli zii e il cugino di Harry erano stati interrogati e torturati prima che Voldemort venisse sconfitto. Avevano cercato di carpire loro informazioni sulla possibile ubicazione del mio amico, non sapendo che non correva buon sangue tra Harry e i suoi parenti babbani e che quindi loro non erano a conoscenza di nulla.

Molti Mangiamorte erano morti durante la battaglia, altri erano stati imprigionati ad Azkaban, altri ancora erano riusciti a fuggire; come Bellatrix Lestrange e Mulciber.

Gli Auror stavano facendo il possibile per trovarli.

Hogwarts invece era rimasta chiusa per una settimana, durante la quale era stata restaurata da cima a fondo, grazie ai fondi stazionati dal Ministero. Quel periodo di tempo inoltre era stato concesso agli studenti e agli insegnanti per piangere i caduti.

La professoressa McGranitt era diventata preside e aveva deciso di riaprire le porte a tutti gli studenti che avessero voluto terminare l'anno scolastico.

Molti genitori avevano impedito ai figli di tornare, malgrado - con la morte di Voldemort - il pericolo fosse stato debellato.

Io ero riuscita a convincere i miei genitori a farmi tornare, rassicurandoli del fatto che sarei stata bene. Mi avevano accompagnato personalmente, come la prima volta, a Diagon Alley a comprare una nuova bacchetta, oltre ad aver insistito per accompagnarmi fino a King's Cross.

Una cascata di capelli rosso fuoco attirò la mia attenzione.

Trasportando il mio baule raggiunsi Ginny, passandole una mano intorno al collo e stringendola in un abbraccio.

«Hermione!», esclamò la voce della mia amica, subito seguita da quella di Ron.

Era bello rivederli.

In quella settimana ci eravamo scambiati lettere, ci eravamo incrociati a qualche funerale, ma non avevamo avuto tempo per stare da soli e goderci la compagnia l'uno dell'altro.

Harry era accanto a Ginny, gli occhiali che gli scivolavano sul naso e i capelli corvini spettinati come sempre.

«Ciao, Harry», lo salutai, districandomi dall'abbraccio di Ginny per gettargli un braccio al collo, mentre con l'altro afferravo Ron, stringendoli entrambi.

«Soffoco», si lamentò il rosso, pizzicandomi il fianco per liberarsi dalla mia presa.

«Come stai, Hermione?», mi chiese Harry, gli occhi preoccupati.

«Bene», dissi, cercando di non pensare alla guerra, alle morti, al dolore.

"Bene" non era la parola giusta, non quando era passata solo una settimana da quell'orrore, ma stavo cominciando ad accettarlo; ad accettare che la vita era anche composta dalla perdita e dalla sofferenza e non solo dalla gioia e abbondanza.
Non avevo il coraggio di chiedere ai miei amici come stessero, non dopo così poco tempo, non dopo la morte di Fred.

Il treno fischiò, annunciando che era ora di salire.

Recuperai il mio baule e mi affrettai verso la prima carrozza che incrociai, dicendo loro che li avrei visti più tardi.

Faticai a sollevare il baule mentre salivo sul treno, prendendomela coi libri che avevo voluto portarmi dietro in più rispetto a quelli scolastici.

Percorsi il corridoio, fino a quando non trovai lo scomparto che stavo cercando ed entrai.

Un paio di occhi chiari si posarono su di me, smettendo di guardare la folla fuori dal finestrino.

«Ciao», dissi semplicemente, un timido sorriso ad addolcire la curva severa delle mie labbra.

Draco allungò una mano, agganciando il dito all'orlo del mio cappotto, tirandomi a sé: «Ciao», sussurrò contro le mie labbra: «Come stanno i tuoi genitori?»

«Vogliono conoscerti», confessai, sedendomi accanto a lui: «Sei ufficialmente invitato al matrimonio di mia cugina come mio accompagnatore».

Nell'ultima lettera che ci eravamo scambiati io e il biondo, gli avevo confessato che convincere i miei genitori a farmi tornare a Hogwarts non sarebbe stato facile, ma che ci avrei provato, andando contro il loro volere se necessario e ignorando la loro ira.

Uno sguardo a dir poco terrorizzato comparve sul suo volto: «Intendi un matrimonio babbano?»

Risi, intrappolando il suo volto tra le mani e regalandogli un bacio a stampo.

«Devo pagare per lo spettacolo a luci rosse?», chiese la voce annoiata di Zabini, entrando nello scomparto e inciampando sul mio baule.

«Blaise, fai attenzione!», lo rimproverò Luna, prima di sorridere in modo affabile: «Ciao Hermione, Malfoy», ci salutò prendendo posto accanto al moro, di fronte a me.

«Ciao, Luna», la salutai, felice di vedere che lei e Zabini continuavano a frequentarsi e apparentemente ad andare d'accordo.

La porta scorrevole dello scomparto si aprì ancora, mostrando il volto pallido di Pansy Parkinson.

Non osavo immaginare come dovesse essere stato per le assistere alla morte di Theodore Nott e poi venire attaccata da Greyback, tutto nell'arco di pochi minuti.

Alle sue spalle c'era Daphne, impeccabile e sorridente: «É qui la festa?», chiese, scavalcando il mio baule ancora a terra e sedendosi accanto a me.

Pansy ci guardò per qualche secondo, poi chiuse la porta e se ne andò.

Non mi erano sfuggite le profonde occhiaie sotto ai suoi occhi e il fatto che non fosse minimamente truccata, diversamente dal solito.

Mi sarebbe piaciuto alzarmi e rincorrerla, per costringerla a parlare, ma ero sicura che non mi avrebbe detto nulla, scacciandomi in malo modo.

Le labbra di Draco si posarono contro la mia tempia, attirando la mia attenzione: «Facciamo una scommessa?»

Un sorriso comparve sulle mie labbra: «Sentiamo», lo incitai a continuare.

«Scommettiamo che al matrimonio di tua cugina riesco a conquistare il cuore dei tuoi genitori?»

«Sbaglio o hai appena accettato di partecipare a un matrimonio babbano?», chiesi, con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa per la sorpresa.

Draco si morse il labbro e mi sorrise: «Allora, scommettiamo?»

 

*****
 

Ciao adorate lettrice e adorati lettori! ❤️

So cosa state pensando: ma questo è un finale aperto!

ESATTO!

E sapete cosa vuol dire?

Che - FORSE - scriverò un seguito!

Tutto quello che vi posso dire sul sequel è il titolo: "Mai innamorarsi del nemico" e il fatto che, come in "Mai fidarsi del nemico", vedremo i punti di vista di altri personaggi oltre a quelli di Draco ed Hermione.

Prima però di cimentarmi in un'impresa tanto ardua, voglio dedicarmi a "Bound to you", che ho messo da parte in queste settimane e che sento il bisogno viscerale di continuare.

Quindi, vi scongiuro, non tartassatemi di messaggi su messaggi per chiedermi quando pubblicherò il seguito perché ancora non so nemmeno se avrò la forza di scriverlo, abbiate pazienza e leggete altre mie storie nell'attesa 😉

Un grazie di cuore a tutti voi: ai lettori silenziosi e a quelli meno silenziosi, a quelli che mi hanno riempito di complimenti e a quelli che mi hanno suggerito come migliorare. Senza di voi avrei abbandonato per sempre questa storia tanto tempo fa, ma grazie alla vostra insistenza, mi sono costretta a tornare e a mettermi in gioco, continuando ciò che avevo lasciato in sospeso: GRAZIE ❤️

Un bacio,

LazySoul

(p.s. Nel caso aveste domande a proposito della trama, cose che magari non ho spiegato bene o che vorreste approfondire, scrivetemi pure!)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2361353