Is love a mistake?

di Pinkproudhead
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - 30 giorni dopo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1-50 giorni dopo ***



Capitolo 1
*** Prologo - 30 giorni dopo ***


E quindi alla fine se ne era andato. Alla stazione, nemmeno una lacrima di addio, nessuno spazio per i sentimentalismi, l'aveva semplicemente guardata con un po' di tristezza in volto, una tristezza così forte da essere visibile a chiunque. Lei avrebbe voluto dire qualcosa, avrebbe voluto dirgli "aspetta", avrebbe voluto dirgli "parliamone", avrebbe voluto dirgli "non te ne andare".
Ma non aveva fatto niente di tutto questo, perchè avrebbe dovuto? La decisione era già stata presa, era già stata comunicata in toni forti e chiari, precisa e letale come una coltellata e cercare una mediazione sarebbe stato come conficcare il pugnale ancora più in profondità.
A questo pensava Dawn, in una mattina di Giugno qualsiasi, mentre aspettava che l'acqua bollisse e nel frattempo preparava l'infuso per tè, fuori l'estate stava iniziando a farsi sentire debolmente, un sole timido non era capace di riscaldare, a North Bay infatti fa quasi sempre freddo, ma perlomeno niente pioggia, e comunque i suoi raggi illuminavano la superficie del lago Nipissing che dalla finestra sembrava una distesa di luce danzante. Era meraviglioso. Intorno al perimetro pini, betulle, ed aceri erano più verdi che mai, sempre altissimi ed imponenti ma mai in modo dispregiativo, padri dall'aria un po' severa ma sempre dolci ed accondiscendenti immersi in un silenzio irreale interrotto solo dal borbottio del bollitore e, di tanto in tanto,dallo squittio di uno scoiattolo spintosi un po' troppo vicino all'abitazione, una modesta baita di legno sulla riva del lago, adibita principalmente a casa delle vacanze che restava disabitata per la maggior parte del tempo. Non era una consuetudine infatti che Dawn si trovasse lì in questo periodo dell'anno ancora così poco turistico e dal clima inospitale ma dopo gli ultimi eventi aveva bisogno di rimanere un po' da sola con i suoi pensieri.
Guardando il quadro più ampio, si ripeteva, non era durata a lungo, cinque mesi, nel corso di una vita non sono nulla, un' inerzia, eppure questa riflessione non la rassicurava. Lo sentiva, lo sapeva, che sarebbe finita in questo modo meschino, le era stato detto dalle stelle, dai tarocchi, l'aveva letto sul fondo del tè e ne aveva avuto anche una breve visione,ma non le era servito a niente, testarda aveva rinnegato il destino, lo scorrere naturale delle cose. Era evidente, era stata una stupida, non si può combattere ma ci si può solo armonizzare al flusso, nonostante delle volte vada contro la nostra volontà. Nonostante avremmo tanto voluto che non.
Questo posto così tranquillo, continuava però la sua mente parallelamente, sarebbe tanto piaciuto a Scott, molto di più che il suo appartamento nel college di Ottawa immerso nel caos frenetico della capitale. Non l'avrebbe mai scoperto però, perchè Scott non era lì, nè ad Ottawa, dove erano stati insieme, ma in Oklahoma, tornato dalla sua famiglia dalla quale aveva in precedenza cercato di scappare. Non le aveva dato nemmeno una spiegazione,solo un educato ben servito prima di salire sul treno, lei lo aveva guardato partire e poi aveva pianto. Per alcuni minuti non era riuscita a sentire più niente, nessuna emozione, seduta lì sulla panchina della stazione, poi la vita era continuata come al solito, solo un po' più triste.
Aveva provato a chiamarlo nei giorni successivi ma non aveva mai ricevuto risposta, finchè il telefono dall'altra parte non aveva persino smesso di squillare: numero inesistente adesso recitava la voce artificiale della segreteria. Impossibile rintracciarlo. Aveva ponderato l'idea di spedirgli una lettera, per chiarire alcune cose e cercare una spiegazione plausibile, ma si era accorta con rammarico di non sapere il suo indirizzo.
Il tè stava freddando ed era nel mezzo del riscaldamento per lo yoga quando da sotto il tavolo era apparso, appena sveglio, Bucky.
Bucky era un meticcio che le aveva portato un pomeriggio Scott, piuttosto preoccupato, dopo averlo trovato morente sul ciglio della strada.
"Questi stronzi" aveva esordito entrando di fretta "non si sono nemmeno degnati di fermarsi"
"Da quando ti importa dei cani?" aveva chiesto allora sorpresa mentre curava il cucciolo ma senza l'affanno di Scott, perchè, sin da quando era entrato nell'appartamento, aveva visto che sarebbe sopravvissuto.
"Ha importanza?"Aveva risposto lui bruscamente per celare questa debolezza. E aveva importanza alla fine? Si era limitata a scuotere la testa sorridendo e a continuare con le medicazioni.
Adesso Bucky la guardava fiducioso, scodinzolando in modo un po' sgangherato come avrebbe fatto per sempre a causa dell'urto, in attesa della pappa. Nonostante fosse allegro come al solito mentre gli versava da mangiare nella ciotola,sapeva che anche lui sentiva la mancanza di Scott . Quanto era strano il fatto che certi eventi una volta accaduti non possano essere resettati. Bucky era nella sua vita da poco eppure ricordava a stento una vita senza di lui e adesso non avrebbe mai più potuto dimenticarlo, eppure fino a qualche mese prima neppure sapeva della sua esistenza, forse nemmeno esisteva ancora. Adesso invece era indelebile. Mostrava un smania di uscire all'aria aperta.
-Certo,piccino- gli disse mentre si raccoglieva i lunghi capelli biondiossimi in una coda. Si infilò le scarpe e aprì la porta d'ingresso, Bucky schizzò fuori alla velocità della luce, riusciva a intravederlo con la coda dell'occhio. Investita dall'aria fresca si era decisa finalmente ad iniziare la giornata, non c'era molto da fare, ma sarebbe riuscita a cavarsela anche oggi.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1-50 giorni dopo ***


-E' pronta la cena!-
La voce di Emma riecheggiava per tutta la casa, il cortile e Scott la sentì persino sul tetto del fienile dove si era rifugiato dopo una giornata di lavoro stancante. Decise di ignorarla giusto per il tempo di finire la sigaretta e poi scendere a mangiare. Non che morisse dalla voglia di trascorrere una serata in famiglia, ma stava morendo di fame.
Il sole stava tramontando, tutto era caldo, di un arancione saturo e spavaldo, prima di spegnersi fino all'indomani. Erano arancioni le balle di fieno, erano arancioni i campi di grano, era arancione il silo, risplendeva d'arancione persino il metallo della metri trebbia. Ma, la cosa più importante, era arancione l'orizzonte, infinito, impossibile da delimitare. Inevitabile il paragone con la città, non se ne erano mai visti di tramonti così belli, l'orizzonte era sempre coperto dai grattacieli, non si capiva mai quando fosse giorno o meno. Gli erano mancati questi netti confini tra ciò che è e ciò che non è, il buio pesto e prepotente che avrebbe investito ogni cosa da lì a poco, le luci della fattoria non erano mai abbastanza potenti da fenderlo del tutto ma del resto non ne avevano nemmeno l'ambizione. Sentiva da sotto provenire le voci dei suoi fratelli che si affrettavano verso la cucina. Urla, strepiti e risate. Sarebbe stato l'ultimo come al solito e tutti gli avrebbero riservato uno sguardo bieco alla sua entrata, da quando se ne era andato era la cosa che facevano meglio, guardare e parlare di sottecchi, come se non fosse stato lì, come se non fosse loro fratello o loro figlio.
-E' pronta la cenaaa!- continuò Emma, sua madre, con tono scocciato, la sigaretta era finita, si alzò e, dopo aver preso la rincorsa, con un balzo incosciente e atletico si ritrovò dentro un pagliaio, ne uscì in fretta e si ritrovò a terra sull'asfalto polveroso, si diede una veloce ripulita e si diresse verso la casa.
Come aveva predetto, tutti erano già seduti, impazienti, aspettando il pollo. Come aveva predetto, tutti gli diressero una sguardo malevolo, per poi distoglierlo quasi in imbarazzo un secondo dopo. Una tavolata di nove persone pronte a scagliare la prima pietra,e lui era il decimo, prese il suo posto vicino a Christie, viso angelico, sette anni, la più piccola.
La prima pietra fu però scagliata, ovviamente, da William, suo padre, seduto a capotavola in modo arrogante e prepotente,con le gambe incrociate, il bicchiere pieno. Un' uomo di mezz'età molto alto, dalla corporatura robusta,barba incolta e capelli radi e rossastri, occhi incavati e scuri, dalla faccia rugosa che sembrava sul punto di sciogliersi, scottata lievemente dal sole e che, nonstante non avesse più di cinquant'anni,sembrava come rosicchiata dal tempo. Guardarlo gli diede il voltastomaco.
-Il ragazzo di città crede di poter presentarsi a cena quando gli pare- Ridacchiò in modo agghiacciante.
Nessuno fece una piega, Scott sentì la rabbia salirgli da dentro, si impose di non rispondere, a differenza di poco prima desiderò con tutto il cuore di non essere lì, di essere a qualsiasi altra parte, di essere di nuovo ad Ottawa, di essere con Dawn.
Ma William non demordeva, non gliel'avrebbe mai fatta pagare abbastanza, mai in una vita intera.
-Cosa c'è? La città ti ha mangiato la lingua? Non riesci nemmeno più a rispondere, non sembri neanche più mio figlio.- E quando mai era sembrato suo figlio? Non c'era stato un momento delle sua vita, che ricordasse, in cui si fosse preoccupato di lui, si era sempre divertito a sminuirlo ed umiliarlo, stuzzicarlo, e si era ricordato della sua esistenza paradossalmente solo quando aveva deciso di andarsene, e solo per demolirlo. Nella sua mente nessuno poteva fuggire dalla sua autorità, non gli importava di lui come figlio, ma come proprietà privata; andare al college non era stata una nuova prospettiva per il futuro, era stato un oltraggio. Ma alla fine aveva avuto l'ultima parola anche stavolta, aveva vinto, come sempre, lui era di nuovo lì, o no?
Continuava a non demordere, strinse i pugni, ogni secondo l'aria era sempre più carica di tensione. Non dovresti alimentare gli incendi che non sei in grado di controllare, gli aveva ripetuto spesso una vocina sottilissima e delicata che adesso era a chilometri e chilomentri di distanza
-Ecco qua!- esclamò Emma con falsa allegria, poggiando il vassoio sul tavolo con la speranza che la tempesta si allontanasse con la stessa velocità con la quale era arrivata.
Nonstante la sua deleteria ingenuità e la sua incapacità di agire, dentro Emma non c'era nulla di deliberatamente cattivo, nessuno dei suoi errori erano stati compiuti con malizia ma derivavano semplicemente dalla sua inetittudine e nel profondo del cuore, sul fondale nel quale non c'è spazio per il risentimento, Scott sapeva di volerle bene.
-Sta zitta!- le intimò suo marito. E fu quello che fece, semplicemente, rivolgendo a Scott un'espressione di sconfitta prese di nuovo posto.
Per un momento però sembrò veramente tutto passato in secondo piano, William iniziò a riempirsi il piatto di cosce di tacchino, trangugiandole il secondo successivo, ungendosi la barba e le mani in modo quasi tragicomico. Il vassoio passò di mano in mano finché non arrivò a Scott, non era rimasto molto, qualche peperone di contorno, una parte di petto, senza nessuna lamentela, si unì anche lui al pasto funereo.
-Allora- tentò di nuovo Emma per fare conversazione- domani arriverà il camion dal centro per caricare la farina, è tutto pronto?-
-Quegli schifosi- disse William- noi ci spacchiamo la schiena per la loro merda e non ci pagano un cazzo- Mentre parlava sputava piccoli pezzi pollo sulla tavola, Scott provò, e nello stesso tempo si meravigliò di quel sentimento, un moto di ribrezzo, ma era contento che la rabbia di suo padre si fosse focalizzata su qualche altro soggetto e il magone allo stomaco che sentiva diventò più lieve.
-Bhè- intervenne Benjamin, 14 anni,magro come un uccellino, biondastro e dall'aria incredibilmente fragile- io credo che sia un prezzo onesto, se pensi a quello di qualche anno fa, era molto peggio.
William mugugnò contrariato, non gli piaceva essere contradetto dalla realtà dei fatti
-Ma che vuoi saperne tu, sarà il costo della vita che si è alzato, fatto sta che non ci basta quasi più. Se pensi poi ai soldi che qualcuno ci ha sottratto sotto il naso per tutti questi anni.-
-Era il mio lavoro.- Intervenne allora Scott, che non riusciva più a sopportarlo. Sapeva di aver ragione tuttavia non riuscì ad alzare nemmeno gli occhi dal piatto, sul quale rimaneva solo qualche ossicino scarno, ed usò tutta la calma possibile, e il suo tono, in genere sprezzante e irriverente adesso sembrava quello di un agnellino nel giorno del macello.
La tensione salì alle stelle di nuovo, senti Christie trasalire e si sentì irrimediabilmente in colpa.
-Il tuo lavoro?- urlò il padre adesso furibondo - Che lavoro? Il cassiere? Ma chi vuoi prendere per il culo? Li hai rubati quei soldi! E non solo hai rubato, ma non gli hai neanche messi a disposizione della tua famiglia, la tua famiglia che ti ha dato tutto! No..tu li hai usati per la scuola prestigiosa, per fare il lord nella metropoli!
Il suo viso era paonazzo e adesso anche quello di Scott iniziava a colorarsi di rosso e i suoi occhi ad incupirsi.
-Metà di quei soldi li ho vinti! Cazzo! Ho vinto una borsa di studio! Cosa avrei dovuto fare, lasciare andare tutto in malora?-
-Avresti potuto sfruttarli per altro, il silo ha bisogno di essere ristrutturato da anni e lo sai bene!
Perchè si ostinava a non capire? Perchè si ostinava a continuare per la su strada? -Non è così che funzionano le borse di studio!
Le vene del collo di William erano in procinto di scoppiare da un momento all'altro, stava per avere un aneurisma, un infarto improvviso.
-Borsa di studio un cazzo! Complimenti al tuo studio splendente, non sei riuscito a superare nemmeno il primo anno di corso!
Scott si sentiva sfinito, sconfitto, quell'uomo spregevole aveva in un certo senso ragione su questo, sottolineava senza pietà il suo fallimento e questo lo faceva sentire esausto, spossato, era tutto inutile. -Io avrei finito.- Concluse alzandosi in fretta - Vado a dormire, buonanotte. 
-Scott..- sussurrò Emma triste
-Dove cazzo vai? Torna qui! Non ho finito!-
Sentì l'urlo quando ormai si trovava sulle scale, verso la camera a passo svelto, cercando un rifugio sicuro, come ricordava di aver fatto altre centinaia di volte da ragazzino. La camera non era in realtà una camera nel senso canonico del termine, ma consisteva in uno stanzone spoglio, cinque letti, il suo e quello dei suoi fratelli, due da una parte e tre dall'altra, un po' come in un dormitorio militare. Tutti avevano lo stesso copriletto di lino grigistrasto, lo stesso cuscino bianco, accanto ad ogni letto lo stesso comodino di legno grezzo, si riusciva a capire chi dormiva dove solo dai vestiti abbandonati sul letto, da qualche oggetto sparso sul comodino. Qualche fumetto per Benjamin, un stuolo di fazzoletti per Jordan, che soffriva di allergia, un modellino di una casa fatto con stecchi di ghiacciolo per Kevin che ultimamente si era appassonato al modellismo, un paio di giornalini porno rimediati chissà dove occultati da qualche volume di algebra ancora incelofanato per Ethan.
Il suo era l'ultimo della stanza dalla parte sinistra, accanto alla finestra che dava sul prato lasciato a riposo in attesa dell'estate, sul suo comodino, carta e penna.
Si sdraiò, era scomodo come una roccia, eppure ci si trovò rannicchiato con estremo piacere. Sarebbe tutto finito presto, se non come aveva sognato tante volte, perlomeno in un altro modo. Avrebbe potuto sposarsi con Ellen, la ragazza del negozio di caremelle giù in centro, che sapeva avere un debole per lui, anche non era niente di speciale ma gli avrebbe permesso di spostarsi, anche se di poco, dalla fattoria. Avrebbe potuto avere un'attività, magari sarebbe stato, se non felice, perlomeno sereno e sul momento non gli sembrò un'idea così malvagia.
Ma poi il pensiero vorticò rovinosamente e senza freni verso Dawn. Il pensiero di lei gli bruciava nelle vene come veleno, impossibile da digerire, in un certo senso ancora dolce sulla lingua.
Sapeva che il suo comportamento non era stato giusto e corretto nei suoi confronti. Ma non poteva spiegarle tutto prima, non perchè lei non avrebbe capito, ma anzi, avrebbe capito fin troppo bene e gli avrebbe fatto ritrovare il lume della ragione, l'avrebbe dissuaso dalla sua impresa suicida, eppure lui sapeva che era quella era l'unica scelta giusta. Adesso lei lo odiava, sempre se Dawn fosse effettivemente capace di un sentimento come l'odio, e lui si sentiva morire per questo, ma era la cosa giusta. Era una ragazza brillante, nonstante le sue stranezze, a discpapito del profondo dolore che era certo di averle causato sapeva che sarebbe andata avanti in fretta
e avrebbe costruito una vita migliore di quella che, ingenuamente, avevano immaginato insieme tante volte.
Ad un tratto gli prese una smania incontenibile di spiegarle il suo punto di vista, adesso che era tutto fuori fuoco e senza importanza, non poteva lasciarle un ricordo così meschino di lui.
Si rigirò nel letto più e più volte, scaccia questa idea del cazzo Scott, ma cosa hai intenzione di fare?
Guardò l'orologio sulla parete, erano le nove, fino alle undici nessuno sarebbe entrato in camera. Senza nemmeno rendersi conto si ritrovò chino su se stesso, e la sua mano veloce sul foglio iniziò a scrivere e scrivere e scrivere.

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