Give me my coffee and go to Hell

di Lady_Erato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tu saresti? ***
Capitolo 2: *** Upper West Side ***



Capitolo 1
*** Tu saresti? ***


A fine settembre New York non voleva separarsi dalle temperature di agosto. Le foglie erano ancora verdi e saldamente attaccate ai rami. Un giovane scese dal suo taxi ad Harlem, all'incrocio tra la 136 West e la Broadway, entrando in un palazzo di mattoncini color terracotta con chiari infissi bianchi.

Alexander Lightwood era in piedi davanti ad un portone blu, come i suoi occhi,all'penultimo piano del condominio, con il cuore che fremeva come un uccellino nel suo petto ormai da uomo. Si trovava sulla soglia della sua nuova casa.

Per tutta la durata dell'ultimo trimestre, prima degli esami di fine anno e durante l'estate aveva pregato i suoi genitori di poter andare a vivere da solo. La sua vecchia abitazione gli stava stretta. Max era stato iscritto in un collegio svizzero, Isabelle e Jace non facevano altro che cercare di scollarlo dai libri, di smuoverlo ed i suoi genitori gli stavano addosso come piattole mettendolo sotto pressione nonostante il suo rendimento scolastico fosse più che eccellente. Ciliegina sulla torta, aveva bisogno di stare da solo per riflettere.

Avere Jace ogni santo giorno sotto i suoi occhi lo stava uccidendo. Lo faceva sentire terribilmente sbagliato e fuori luogo. Sia chiaro, non era a disagio per la sua omosessualità, di cui la famiglia era già a conoscenza, semplicemente non poteva essere innamorato di suo fratello. Izzy non si era dimostrata molto entusiasta della novità. ‹‹Mi lascerai da sola con Jace?- gli aveva domandato con occhi tristi- Sei proprio sicuro? Non ti sentirai solo?››. Non sarebbe stato da solo: avrebbe avuto la compagnia di sé e se stesso e poi li avrebbe comunque incontrati ogni giorno a scuola. Il suo fratellastro non fece una piega, anzi si offrì di cercargli la nuova sistemazione in un quartiere pieno di locali. ‹‹Magari alzi gli occhi da quei libri e li sposti su un bel culo bevendo una birra››. A quell'affermazione lo stomaco di Alec aveva iniziato a bruciare. Non beveva birra, non cercava nessuno che comprasse alcolici per lui e soprattutto non aveva occhi se non per il suo fratellastro.

Si ridestò da quei pensieri e cercò le chiavi nella tasca dei suoi jeans rigorosamente color pece, quando la serratura scattò con un leggero click, il suo stomaco fece una capriola.

Aveva cercato quell'appartamento in lungo ed in largo. Aveva letto gli annunci immobiliari di mezza città, confrontando vantaggi e svantaggi riguardo la struttura, la sua posizione, la metratura, i servizi ed anche il tasso di criminalità del quartiere. Un lavoro davvero certosino.

Appena entrato controllò minuziosamente che la ditta di traslochi avesse portato tutti gli scatoloni. Si guardò in torno ed effettivamente dovette ammettere che la sua nuova dimora era molto più accogliente che in foto.

Sì, rispetto alle foto. Era diventato affittuario, per cinquecento dollari al mese, di un'abitazione vista solo in foto. Riflettendoci si meravigliò di sé, un salto nel vuoto del genere non era davvero da lui.

Del resto cosa doveva fare? La quota d'affitto era davvero bassa rispetto ai suoi standard, ogni spazio era già arredato, esclusa la camera da letto per il cui montaggio aveva provveduto la ditta di traslochi, la zona era ottima e soprattutto ben collegata.

Si sedette sul divano blu notte assaporando un po' di beata solitudine. Chiuse gli occhi.

‹‹Emh- Alec balzò colto alla sprovvista- perdonami, tu saresti? ››.

Appoggiato alla parete d'ingresso del soggiorno c'era un ragazzo, ad occhio e croce qualche anno più grande di lui, che lo fissava con aria interrogativa. Aveva una candida camicia lunga in lino, fuori dai pantaloni neri a sigaretta, forse fino a metà coscia e dei mocassini con un evidente sigla, MG, in Swarovski. Non fu l'abbigliamento a lasciarlo perplesso, bensì le precise linee di eyeliner sugli occhi orientali color nocciola e le mani piene di anelli. Si alzò tentando in vano di portarsi alla stessa altezza del suo interlocutore, che lo sovrastava di qualche centimetro, cercando quanto meno una posizione di parità in quella situazione davvero irritante.

‹‹Sono Alexander Lightwood, abito qui. Tu chi saresti? ››.

L'altro alzò un sopracciglio perfettamente disegnato in una smorfia di evidente fastidio. ‹‹Perdonami fiorellino- calcò molto su questo nomignolo-ma credo tu sia in errore. Io abito qui, guarda-fece tirando fuori da una pochette in pelle nera con una testa di serpente in basso rilievo un foglio- questo è il mio contratto ››.

Alec si avvicinò con cautela, sfilandoglielo dalle mani leggermente tatuate, all'apparenza molto morbide. Lo analizzò notando che era perfettamente identico al suo. Tirò fuori il fascicoletto dalla sua cartella e glielo porse.

L'altro presunto inquilino storse la bocca in un sorriso amaro.

‹‹Credo proprio che ci abbiano truffati››.

Una divinità stava giocando con la tranquillità del povero Alexander, a quanto pare si stava divertendo davvero tanto.

Entrambi nella mezz'ora successiva provarono ripetutamente a chiamare l'agenzia immobiliare a cui si erano rivolti, ovviamente senza alcun successo. Il caso volle che sul contratto ci fosse l'indirizzo ed il numero telefonico della proprietaria.

‹‹Buongiorno signora, mi chiamo Magnus Bane, sono il suo affittuario, non il solo a quanto pare, possiamo incontrarci? Avrei un problema con il contratto e l'agenzia immobiliare non dà segni di vita- gesticolava molto, elegantemente, ma davvero troppo- Ci vediamo tra poco, la ringrazio››.

Il più grande fece cenno ad Alec di seguirlo, forse sarebbero riusciti a risolvere quella scomoda situazione.

Fortunatamente Mrs Wondor abitava proprio a dieci minuti di taxi da loro, sulla Central Park West, all'incrocio con la 102. Il silenzio nel veicolo era carico di nervosismo e solo in quel momento il ragazzo si accorse che Magnus aveva i capelli con dei evidenti riflessi smeraldini, come le scaglie dei draghi dei libri per bambini, quelli che leggeva a Max quando aveva quattro anni.

‹‹Perdonami se non mi sono presentato prima- il più grande gli porsela mano- mi chiamo Magnus Bane››.

Il giovane Lightwood liquidò quel gesto con uno sguardo.

‹‹Lo so, l'ho letto sul tuo contratto››, affermò tornando in un totale mutismo. Nei minuti seguenti valutò il suo comportamento per poi voltarsi verso l'altro.

‹‹Ora sono io a dovermi scusare. Ero così sollevato, stava andando tutto bene. Mi sono lasciato sopraffare dagli eventi, non è proprio da me››.

Magnus sorrise a quelle parole avvicinandogli nuovamente la mano che finalmente Alec si decise a stringere.

Entrambi guardarono fuori dal finestrino, riflettendo su eventuali soluzioni al loro problema.

Il ragazzo dagli occhi blu si passava tra le dita la maglia del suo orologio con le labbra leggermente dischiuse, totalmente preso dal suo film mentale. Bane gli rivolse un paio di occhiate soffermandosi sul movimento delle mani del giovane alienato su quel piccolo oggetto in acciaio. Constatò che aveva un qualcosa che gli ispirava un forte senso di responsabilità, aveva la faccia di qualcuno che si impegnava fino in fondo in qualunque cosa, uno di quelli che si sveglia la mattina ed è pronto a non farsi mettere sotto da nessuno. Probabilmente la sua era un'impressione errata ma gli angoli della sua bocca si curvarono comunque delicatamente verso l'alto.

La voce del tassista crepò quell'atmosfera delicata, quasi fuori dal tempo, che si era creata.

‹‹Siamo arrivati››.

Con un gesto fluido Magnus allungò una banconota, con uno sguardo del tipo: "Al ritorno paghi tu".

Entrando in ascensore Alec iniziò a pregare sperando di non dover né chiamare i suoi, né tornare nella sua vecchia casa. Non poteva saperlo,ma l'altro nella sua testa stava facendo lo stesso.

 

 

Salve a tutti !

Questa è la mia prima Malec e sinceramente devo ancora decidere quale piega prenderà. I personaggi potrebbero essere un po' OOC.

Come primo capitolo forse è un po' scarno, ma per la prima volta non sapevo davvero come iniziare.

Spero di leggere i vostri commenti, a presto!

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Capitolo 2
*** Upper West Side ***


Mrs Grace Wondor era una signora dall'aria austera sui settanta. Si può dire che casa sua era l'esatto specchio del suo aspetto esteriore. I mobili erano bianchi come i suoi capelli perfettamente ordinati in uno chignon fermato da un nastro in velluto perla. Il viso era leggermente allungato,gli zigomi alti ed il naso lungo e stretto aveva una trascurabile gobba, messa in ombra dagli occhi acqua marina. Era una donna molto riservata, aveva lasciato da una decina di anni la sua abitazione nell' Upper East Side,era azionista di maggioranza di una società che fabbricava tessuti per grandi case di moda. Stanca dell'ambiente si era trasferita nell'Upper West Side,decisamente più informale, ed aveva iniziato a scrivere romanzi rosa, tutti best seller. Nonostante non avesse più la vita frenetica di prima, ogni giorno indossava un completo di tutto rispetto, anche solo per stare a casa a prendere il the con le amiche.

Usciti dall'ascensore, Magnus suonò il campanello sistemandosi la camicia mentre Alec fissava la porta con notevole nervosismo,come se dovesse prendere fuoco in quel preciso istante. Thiara, la colf di Mrs Wondor li fece accomodare in salotto sulle poltrone bordeaux. L'unico tocco di colore deciso in quel appartamento. La padrona di casa scese le scale del piano superiore-ovviamente aveva acquistato attico e superattico comunicanti- in un completo che Bane riconobbe come uno Chanel dal rosa taffy, sorridendogli. Ad ogni suo passo le ballerine con l'iconica camelia emettevano un leggero rumore.

‹‹Signor Bane e signor Lightwood, non ho capito che tipo di problema avete con l'appartamento››. 

La voce di Grace era pregna di sfumature gentili e preoccupate.

‹‹Nonostante conosca entrambi da quando eravate nelle pance delle vostre madri, non mi sarei mai immaginata di trovarvi entrambi nel mio salotto››. 

Sorrise mostrando dei denti bianchi e perfetti, incorniciati da delle labbra toccate dai segni dell'età.

Si sedette sul divano grigio davanti ai suoi ospiti, oltre un tavolino in vetro dove Thalia aveva apparecchiato per un veloce brunch prima della sua seduta di fisioterapia.

Alec aprì bocca dopo quella che sembrò una frazione di secondo,esponendole il misfatto: entrambi avevano firmato un contratto, scoprendo solo quel giorno che avrebbero avuto un coinquilino e dell'agenzia immobiliare non vi erano segni di vita.

Il più giovane fu interrotto da Magnus: ‹‹Quindi vorremmo sapere se magari ha altri appartamenti in affitto, in modo da avere entrambi una sistemazione››.

Grace negò esaminando i contratti :‹‹Non ho altre sistemazioni, stando alla data di questi documenti Alexander –Alec rabbrividì sentendo il suo nome per intero- ha siglato per primo l'accordo, dunque pagando millequattrocento dollari al mese, invece dei settecento segnati, potrà stanziarsi nell'immobile, magari lasciando una stanza a te Magnus››.

Lui rispose con uno sguardo indecifrabile, guardando un punto non ben definito oltre le finestre verso Central Park.

Lasciarono l'appartamento e salirono su un taxi diretti verso quella che il più grande non sapeva se definire casa o meno.

Alec si rigirava tra le dita il cellulare, non sapendo se contattare o meno Izzy per un consiglio. Sembrò tornare in sé quando Magnus tirò fuori dalla pochette il suo mazzo di chiavi, porgendoglielo senza dire una parola. Quel gesto era pieno di rassegnazione e l'altro la percepì completamente.

Ad occhio e croce Bane non sembrava una persona di cui non poter fidarsi. Da quando l'aveva incontrato quella mattina non gli aveva dato modo di pensare altrimenti.

Scesi dal taxi lo vide prendere il cellulare. Capì al volo che stava chiamando la ditta di traslochi per far ritirare il mobilio della sua camera da letto. 

Il giovane Lightwood compì un gesto che sorprese entrambi. Posò lievemente la sua mano destra su quella dell'altro e gli sorrise facendo nascere sul volto di Magnus un'espressione interrogativa.

‹‹Senti, io non ho voglia di chiedere millequattrocento dollari ad i miei genitori. Mi sono accordato con loro per l'esatta metà. Guarda non so neanche come dirtelo, cioè- stava facendo una notevole fatica ad esporsi così tanto- Non mi sembri una cattiva persona, se vuoi possiamo essere coinquilini››.

 Il sorriso sulle sue labbra gli aveva illuminato gli occhi blu.

Il suo ipotetico coinquilino studiò mentalmente ogni opzione a sua disposizione.

Vivere con un perfetto sconosciuto o in qualche hotel cercando ogni maledetto giorno degli annunci su proprietà abbordabili?

Finalmente strinse la mano di Alec: ‹‹Affare fatto Alexander››.

 

A casa si sedettero a tavola e stilarono delle semplici regole per la convivenza.

I ripiani del frigo erano divisi, ognuno consumava ciò che acquistava. Non si poteva entrare nella stanza dell'altro senza permesso. Si potevano invitare amici solo dopo aver chiesto all'altro. Le aree comuni andavano pulite da entrambi a giorni alterni.

‹‹Alexander, ora devo uscire, ho un appuntamento con degli amici per cena, quindi ci vediamo domani mattina››.

Il coinquilino annuì :‹‹Sto uscendo anche io...Però ti prego,chiamami Alec››.

Magnus gli sventolò l'elenco delle regole sotto il naso con un sorriso sornione sul viso: ‹‹Non vado contro le regole! ››.

Alec sbuffò sonoramente e si preparò per fare della spesa per cena.

‹‹Magnus, dimenticavo. Ognuno non deve immischiarsi nella vita dell'altro››.

Lui lo guardò sbilenco fermandosi sulla via per la porta.

‹‹Non voglio dire che mi dai l'aria di un impiccione. Tengo alla mia privacy››.

Con queste parole si annodò una sciarpa nera al collo.

Quel giorno si trovò per la terza volta in ascensore con Magnus e lanciando un'occhiata ai riflessi sulle pareti specchiate vide effettivamente il giorno e la notte.

Il più giovane aveva una felpa nera,una t-shirt antracite, dei jeans strappati scuri e delle nike airmax ai piedi,lo stesso abbigliamento che indossava quella mattina.

 L'altro si girava tra le mani un foulard in seta variopinto sui toni del verde smeraldo,  cercando di annodarlo al polso destro, mentre il sinistro era occupato da un orologio molto elegante, un Cartier forse, risultava nel complesso incredibilmente chic e allo stesso tempo eccentrico con le spalle larghe strette in una giacca in vinile sopra una camicia così slacciata e larga da far intravedere la poca peluria del petto.

‹‹Sei fidanzato, Alexander? ››.

Alec alzò un sopracciglio:‹‹Si tratta di una cosa privata, che ti ho detto prima? ››.

Magnus finse di non essere irritato dalla risposta e si dedicò a stringere la setosa stoffa attorno al suo polso.

A Lightwood quel gesto parve infantile, ma anche un po' maniacale. Qualcosa dentro di se non trovava risposta ad una domanda che lui neanche si era lontanamente posto.

‹‹No,non sono fidanzato ed è una situazione di merda la mia››.

‹‹Se continui a fissare così il mio foulard si strapperà››.

Bane non aveva sentito la sua risposta? Aveva posto quella domanda per interesse o semplicemente per avviare una breve conversazione?

‹‹Vedi, ci tengo molto, facciamo così- incatenò il suo sguardo cioccolato all'oceano negli occhi di Alexander- io non ti faccio nessuna cazzo di domanda, ma tu fa in modo che non accada nulla a questo pezzo di stoffa semmai dovesse capitarti sottomano››.

Le pesanti porte metalliche si aprirono al pianterreno e Magnus schizzò fuori dall'ascensore come se ne andasse della sua stessa vita.

Il suo coinquilino lo vide allontanarsi come un felino nella caotica notte di Harlem.

"Non sarà un casinista mal fidato, ma qualche disturbo bipolare ce l'ha di sicuro"

 

 

 

 

Davvero non so che piega far prendere a questa fanfic, posso solo chiedervi scusa per eventuali errori (/orrori) di battitura 😅

 

A presto!

 

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