Puppeteer

di Ray Wings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Photograph, Nickleback ***
Capitolo 2: *** Circus, Britney Spears ***
Capitolo 3: *** Who Knew, Pink ***
Capitolo 4: *** Hello, Adele ***
Capitolo 5: *** I lived, One Republic ***
Capitolo 6: *** Fireworks, Katy Perry ***
Capitolo 7: *** I have questions, Camila Cabello ***
Capitolo 8: *** Ehy Brother, Avicii ***
Capitolo 9: *** Happier, Ed Sheeran ***
Capitolo 10: *** Perfect, Ed Sheeran ***
Capitolo 11: *** Superheroes, The Script ***
Capitolo 12: *** Warrior, Beth Crowley ***
Capitolo 13: *** Bad Reputation, Avril Lavigne ***
Capitolo 14: *** So what, Pink ***
Capitolo 15: *** Welcome to my life, Simple plan ***
Capitolo 16: *** Try not to love you, Nickelback ***
Capitolo 17: *** Distance, Christina Perri & Jason Mraz ***
Capitolo 18: *** Save Myself, Ed Sheeran ***
Capitolo 19: *** Try, Pink ***
Capitolo 20: *** Already gone, Sleeping at Last ***
Capitolo 21: *** Chasing cars, Snow Patrol ***
Capitolo 22: *** A thousand years, Christina Perri ***
Capitolo 23: *** Lullaby, Nickelback ***
Capitolo 24: *** My immortal, Evanescence ***
Capitolo 25: *** Dressed in black, Sia ***
Capitolo 26: *** Dynasty, MIIA ***
Capitolo 27: *** Thinking out loud, Ed Sheeran ***
Capitolo 28: *** Not Alone, Red ***
Capitolo 29: *** Demons, Imagine Dragons ***
Capitolo 30: *** Savin me, Nickelback ***
Capitolo 31: *** Somebody to die for, Hurts ***
Capitolo 32: *** My Love, Sia ***



Capitolo 1
*** Photograph, Nickleback ***


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Note dell’autrice


Non so cosa sto facendo làlàlàlàlà xD
Vabbè, spiego… inizialmente avevo scritto questa storia di getto, raggiungendo non so per quale follia le 300 pagine, ma comunque avevo deciso di tenerla per me perché… non so ultimamente sono afflitta da una carenza d’autostima artistico spaventosa. “Faccio sempre storie con nuovi personaggi e love story drammatico/passionali” pensavo e mi abbattevo di fronte alla poca originalità che temevo di dimostrare. Ma alla fine ho mandato tutto a quel paese ed eccomi qui! Mi piace un sacco il risvolto che ho dato a Nina/Machiko (sì, chiarisco subito il doppio nome per evitare confusioni… sono la stessa persona! xD) e alla sua storia, come ho integrato tutto alla storia principale e il significato e l’importanza che le ho dato, perciò pubblico e basta u.u E se voi riuscirete ad andare oltre alle apparenze e aspettare qualche spiegazione in più tra qualche capitolo, potrete capire. Nina è uno strumento che utilizzerò per approfondire la psiche di uno dei personaggi che immagino amiamo tutti… un certo Toshinori :P alias OOOOOOORMAITO... e con questo spero di aver stimolato un pochetto la vostra curiosità, ma non aggiungo altro per non spoilerare.
Scrivo queste note prima del capitolo solo per darvi qualche indicazione di percorso per permettervi di fruirne meglio:
-I capitoli hanno come titolo una canzone (con relativo cantante). Ho preso questa scelta non solo perché Nina è una cantante e mi piaceva rendere il tutto più musicale, ma anche perché in un certo senso ogni canzone scelta è la colonna sonora di quel capitolo. Le parole e l’atmosfera rispecchiano ciò che succede o un aspetto importante di esso, infatti in fondo riporto anche un piccolo estratto significativo per far meglio comprendere l’anima dello scritto.
-Ho riempito tutto di flashback perché in alcuni punti sono più importanti che il riportare il semplice “ricordava di quella volta che…”. Sono veri e propri salti indietro e per differenziarli dal presente li ho scritti in corsivo. Perciò quando vedete il corsivo= passato, scrittura normale=presente.
-Ho avuto qualche problema con l'html (quanto lo odio -.-)... foooorse ho sistemato un po', ma comunque se avete problemi a leggere per colpa sua ditemelo che proverò a litigarci ancora -Non ricordo cos’altro volevo dire, se mi viene in mente lo aggiungo più avanti xD

Grazie dell’attenzione fino a qui, vi lascio alla storia, buona lettura!
Ray :3

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"Photograph", Nickelback




«Ottima performance, Nina. Ora va' pure in camerino a riposarti» scimmiottò la donna, non appena fu a una distanza abbastanza sicura da non poter essere sentita da Drew. Si stava lasciando alle spalle un palco ancora acceso, una folla di persone sedute sulle seggioline che ancora non avevano smesso di applaudire e un presentatore entusiasta del suo lavoro che elogiava la cantante appena uscita di scena. Complimenti che rivolgeva a chiunque mettesse piede lì sopra, dopo un po' perdevano di credibilità, ma aveva imparato ad accettare quella sfaccettatura del suo lavoro molto tempo prima. Ormai neanche ci faceva più caso. Con un lamento si sgranchì il collo, indolenzito. Il riposo era proprio quello che le ci voleva, finalmente l'aveva capito anche quel rompiscatole di Drew ed era riuscita a strappargli un paio di settimane di permesso. Dopo quasi vent'anni di frenetica carriera era inverosimile che ancora non avesse accumulato almeno dieci giorni di ferie, quale sindacato permetteva un simile sfruttamento? Non che se avesse deciso di continuare a fare l'eroe avrebbe potuto avere di meglio. No, probabilmente non se la passavano bene nemmeno i suoi ex colleghi. Anzi, era quasi certa che poteva considerarsi fortunata... almeno lei aveva un buon stipendio a darle la motivazione giusta per non mandare a quel paese chiunque.
E qualche bella lettera dei fan, se si scartavano le molestie sessuali e gli stalker. I pazzi erano veramente ovunque.
«Signorina Nina!» squittì Tiffany, la sguattera personale di Drew, anche se lui preferiva illuderla con l'appellativo "segretaria". In piedi davanti alla porta dei camerini, l'attendeva con una manciata di lettere e una borsa  piena di fogli bianchi e buste vuote da riempire, un paio di penne nel taschino, pronte all'uso, e un sorriso emozionato sul volto. Il suo lavoro, per quanto estenuante e al limite della legalità, la entusiasmava. Forse era il poter stare a fianco delle star la sua motivazione a non mandare a quel paese chiunque, in fondo aveva un diario pieno di cottarelle da prima liceo da enumerare tra cantanti e attori. Seguire Drew le permetteva ogni tanto di stringere la mano a uno di quei mariti invisibili che si portava nella testa e ciò le bastava. La sua ingenuità scaldava sempre il cuore di Nina, tanto che non riusciva a non sorriderle tutte le volte che la incrociava anche se non portava mai buone notizie. Drew era il poliziotto buono, "va' a riposarti un po'", e a Tiffany toccava fare il poliziotto cattivo: «Le lettere dei suoi fan e della carta per le risposte! Le auguro buon lavoro». Ovviamente doveva esserci l'imbroglio sotto quel "va' a riposarti", c'era sempre un imbroglio.
«Grazie, Tif! Gentilissima come sempre» disse con un velo di sarcasmo nella voce, cosa che la ragazzina non parve cogliere.
«È un piacere, Signorina Nina! Ah! Le ho tenuto questa da parte, in modo che non si confodesse con le altre!» aggiunse poi, estraendo una busta dalla tasca dei pantaloni.
«Sbirci nella mia posta e fai la selezione? Sei una stalker, per caso?»
«Cosa?» si agitò, cominciando già a tremare. Odiava commettere errori, odiava essere ripresa per qualcosa e non riusciva proprio a cogliere l'ironia nella voce di Nina. Eppure lavoravano insieme ormai da almeno due anni, possibile che ancora non avesse imparato a riconoscerla?
«Tranquilla» le fece un occhiolino, sperando di tranquillizzarla. «Non lo dirò a Drew».
La rassicurazione non parve servire a molto, ma la lasciò un po' confusa, in bilico tra la gioia di non perdere il suo lavoro e il rammarico per aver commesso un qualche errore di cui, sotto sotto, non ne era nemmeno totalmente colpevole.
«A dire il vero...» ammise imbarazzata, senza riuscire a proseguire.
«Queste le prendo io, che ne dici?» sorrise Nina, allungandosi a prendere la cesta di vimini colma di lettere. Visto che la ragazza si stava perdendo nel limbo della confusione non era sicura che avrebbe fatto quel passo di sua spontanea volontà nei prossimi minuti, e lei non aveva molto tempo a disposizione per quel lavoro prima che Drew fosse  piombato nel camerino pretendendo le risposte completate e trascinandola da qualche altra parte. Magari alla festa di quel produttore di cui aveva parlato tanto la settimana prima. Erano belli i tempi in cui le feste erano momento di gioia e divertimento e non causa di altro lavoro. E finché si trattava di cantare ed esibirsi poteva anche farcela, quando si trattava di relazionarsi e fare colpo su qualche pezzo grosso del giro era già più impacciata e meno capace.
Fortuna che in vent'anni qualche trucchetto l'aveva imparato... bastava sorridere sempre.
Afferrò cesta, borsa e la lettera tenuta da parte da Tiffany, che ancora stringeva tra le dita, e si voltò per entrare finalmente nel suo loculo protetto.
«A dire il vero...» balbettò ancora Tiffany, un istante prima che Nina potesse entrare nella stanza. «Il signor Drew l'ha aperta» e solo allora Nina fece caso alla linguetta spiegazzata che era stata richiusa in maniera impacciata. «E aveva chiesto di buttarla via. Ma non me l'ha ordinato, perciò l'ho conservata!» si giustificò. «Non so... si tratta del suo vecchio liceo, ho pensato che potesse essere importante».
"La Yuuei?" pensò sconvolta Nina, roteando la busta e scoprendo solo in quel momento il logo dell'istituto. Era passato così tanto tempo dal diploma ed era stato quello l'ultimo momento in cui aveva avuto un contatto con loro... cosa potevano volere a distanza di così tanti anni?
Sapeva bene che Tiffany non avrebbe mai fatto qualcosa che Drew non avesse voluto, senza una motivazione valida. Il "ho pensato che potesse essere importante" solo perché veniva dalla sua vecchia scuola non reggeva, sicuramente doveva essere importante. Senza il "penso".
«Grazie Tif» bofonchiò perplessa. «Non lo dirò a Drew», promise e questo sollevò la ragazza. Entrò e si chiuse la porta alle spalle, spingendola con un piede. Lasciò cadere la cesta piena di lettere sul tavolo, rovesciandone una decina nel movimento, la sacca a terra con un tonfo, la lettera della Yuuei vicino alle altre e finalmente si concesse la meritata sedia. Sospirò, lasciando uscire tutta la stanchezza in quel gesto, e fece cadere indietro la testa. Il calore dei faretti sullo specchio le davano una bella sensazione, sembrava di sentire il sole sulla pelle, tiepido e delicato come nei primi cenni d'estate. Socchiuse gli occhi, si distese sulla sedia e si lasciò avvolgere da quel tepore.
"La Yuuei".
Era passato così tanto tempo...

Lo stadio era talmente pieno che le urla emozionate degli spettatori erano udibili a miglia di distanza. Al centro del prato, pronto per l'uso, un palco era stato appena montato e non aspettava altro che entrassero in scena. Era giunto il momento, la professoressa Atsuko aveva appena terminato la presentazione d'inizio del festival sportivo. Un festival che era più una celebrazione mondiale ai nuovi eroi, che un vero e proprio festival dello sport, ma d'altro canto la Yuuei non era famosa per la sua discrezione. E     proprio questo modo di fare in grande aveva portato loro alla decisione di sfruttare la band della scuola per l'intro di una tale celebrazione.
Ogni anno si inventavano qualcosa di nuovo per pompare il tutto sempre di più e quell'anno avevano avuto la fortuna di avere tra gli studenti un gruppo di tale talento da finire alle finali di una delle gare di musica più rinomate del Giappone. Non avevano vinto per un pelo, ma avevano dato alla Yuuei ulteriore prestigio non solo nel campo degli eroi, e certo non potevano ignorare una tale carta da giocare.
Machiko fece un profondo sospiro, all'ingresso del campo, e si portò una mano al cuore nella speranza di calmarlo. Al suo fianco, Akane e Satsuki, le sue amiche e coriste, si stavano scaldando la voce con delle scale. Heikichi picchiettava sul muro con le bacchette, impassibile sul volto, ma agitato nelle mani. Era solo attraverso quelle bacchette che era possibile valutare i suoi stati d'animo, non c'era altro modo per riuscire a leggergli in volto, forse anche colpa di quegli occhiali da sole che per esigenza era costretto a portare sempre sul volto. Il suo Quirk lo rendeva particolarmente sensibile alla luce solare, gli irritava gli occhi e puntualmente finiva con il lacrimare come una ragazzetta piagnucolona. In ginocchio al suo fianco, Kamatari stata terminando di accordare la sua chitarra, concentrato e corrucciato come solo lui poteva essere.
Un altro sospiro... stavano per entrare in scena.
«Siete carichi?!» gridò Kinji, con tutto il fiato che aveva. Machiko si sentì morire dentro dallo spavento e per poco non svenne, ma si limito a reagire alla paura voltandosi verso il colpevole con tutta l'ira che aveva.
«Yamada, stupido!» gridò e fece uno strappo alle regole, utilizzando il proprio Quirk fuori consenso. Yamada si paralizzò, smettendo di saltellare emozionato, e, quasi al limite del soffocamento, una forza invisibile lo costrinse a saltare con forza contro il muro. Heikichi smise di picchiettare con le bacchette, sussultando per il colpo dell'amico al suo fianco, e si voltò a guardare Kinji che scivolava a terra portandosi dietro una colata di bava degno del peggior animale rabbioso. Si voltò a guardare Machiko, sapendola colpevole, e la posizione della sua mano destra confermò la sua teoria.
Machiko la burattinaia, la chiamavano. Dalla punta delle sue dita era in grado di generare dei fili invisibili che andavano ad ancorarsi ai tessuti muscolari e ne prendeva letteralmente il possesso, facendo fare al corpo delle persone ciò che desiderava in base a come muoveva le dita. Come una vera burattinaia. La maggior parte delle volte finiva per usarlo per fare in modo che Kinji si picchiasse da solo, non avendo la forza fisica sufficiente per punirlo personalmente. Quei due non smettevano mai di litigare, neanche un istante prima di un grande evento come il concerto di apertura del festival sportivo della Yuuei.
«Perché sei così violenta?» mormorò Kinji, dolorante.
«E tu perché sei così rumoroso?» lo sgridò Machiko, tremando ancora, forse per la paura, forse per l'agitazione.
«Stavo solo cercando di calmarvi! Eravate tutti così tesi!»
«Beh, non ha funzionato! Come sempre! Stupido!»
«Sei tu che sei sempre così acida! Così non troverai mai un ragazzo, lo sai?» gridò Kinji, furioso per essere stato trattato di nuovo come un fantoccio. La rabbia di Machiko raggiunse l'apice e altri fili invisibili partirono dalle sue dita, costringendo Kinji a prendersi a schiaffi da solo.
«Perché ti picchi da solo?» lo canzonò furibonda.
«Ahi! Finiscila!»
«Eh? Sei stupido?»
«Basta! Antipatica!»
«Stupido!»
«Acida!»
«Yamada stupido!»
«Sakamoto zitella!»
«Machiko!!!» una voce allarmata, che Machiko riconobbe subito come quella di Toshinori. Primo della classe, primo della scuola, il più quotato dalle aziende di Supereroi, alto, muscoloso, biondo... era il simbolo di quella scuola e ormai da anni anche suo migliore amico. Machiko smise di litigare con Kinji e si voltò a guardarlo, mentre le correva in contro. «Ma che fate? Vi hanno chiamato, perché non andate?»
«Ci hanno chiamato?» gridò lei, in preda al panico. Corse verso l'ingresso dello stadio, insieme al resto del suo gruppo, e lanciò uno sguardo fuori. Un silenzio imbarazzante era calato sull'intera tribuna e la professoressa Atsuki, col microfono in mano, guardava con altrettanto imbarazzo quell'ingresso tentando di improvvisare qualche battuta per rompere il ghiaccio e dar tempo ai ragazzi di raggiungerla.
«Ci hanno chiamato!!!» realizzò Machiko sentendosi svenire. «Ok! Niente panico! Yamada sistemati la camicia! Akane, Satsuki, schiaritevi la gola! Heikichi caricati! Kamatari la chitarra è pronta?» e il ragazzo annuì deciso, accennando un sorriso colmo di eccitazione.
«Ok! Siamo pronti! Siete pronti? Io sono pronta. Va bene. Allora andiamo, ok?»
«Machiko!» la chiamò nuovamente Toshinori, rompendo quell'incantesimo che la stava inghiottendo. La ragazza si voltò e lui le concesse uno dei suoi splendidi sorrisi, uno di quei sorrisi che lo costringevano a socchiudere gli occhi da quanto erano larghi e luminosi. Alzò infine il pollice destro, assicurandole così che sarebbe andato tutto bene. Il cuore di Machiko rallentò la sua corsa, i polmoni ripresero a respirare normalmente e la testa riuscì a lasciar spazio alla concentrazione, abbandonando il panico. Alzò a sua volta il pollice destro e rispose al sorriso. Sì, aveva ragione Toshinori... sarebbe andato tutto bene.
«Ed ecco che finalmente fanno il loro ingresso! Salutate con un caloroso applauso gli eroi della nuova generazione e finalisti del Japan Academy Music Award, I Powerful Guy! Heikichi Oota alla batteria, conosciuto anche come Spectrum! Kinji Yamada al basso, conosciuto anche come Supertone! Kamatari Nishikawa alla chitarra, conosciuto anche come Invisible Man! Akane Sawada, corista numero uno, conosciuta come Lady Bug! Satsuki Hoshino, corista numero due, conosciuta come TechnoGirl! E infine Machiko Sakamoto, cantante e leader del gruppo, conosciuta come Nina, la burattinaia!»

«La Yuuei» sospirò Nina, abbandonando il ricordo degli applausi della gente in quello stadio. Era passato così tanto tempo, che ormai erano solo un eco lontano che funzionava grazie al soffuso applauso che proveniva dal palco dello show che aveva appena lasciato, un paio di corridoi più indietro. Spostò lentamente lo sguardo alla lettera sul suo tavolo e il cuore, vibrante di ricordi, si concesse un battito più forte degli altri. La fissò, sempre più dura, sempre più intimorita.
Solo qualche altro giorno e sarebbe potuta andare in ferie un paio di settimane. In un'intervista, mossa dal divertimento che il presentatore riusciva a solleticarle, si era lasciata sfuggire l'idea che forse sarebbe potuta tornare qualche giorno a Tokyo. A casa sua.
Davvero poteva essere un caso se la Yuuei dopo anni aveva deciso di scriverle proprio in un momento come quello? E se invece fosse solo stato tutto nella sua testa? Se fosse stato solo una qualsiasi faccenda burocratica che rispuntava dopo anni, come succedeva a volte? Niente di rilevante, niente di cui preoccuparsi, solo illusioni...
«Al diavolo» gracchiò e si lanciò su quella busta maledetta che le stava facendo salire tanta angoscia. Con le mani tremanti l'aprì e ne estrasse il foglio stampato. Sul fondo riportava il timbro ufficiale della Yuuei, con la firma del preside Nezu.
"Solo una faccenda burocratica" pensò Nina, trovando conforto in quel timbro e quella firma così ufficializzanti. Sospirò, cercando il coraggio di cominciare a leggerla, e alla fine vinse su quella sensazione di timore scorrendo le righe scritte in un inglese perfetto. Si erano presi perfino la briga di tradurre tutto nella sua nuova lingua, forse pensando che non ricordasse il giapponese, dati i tanti anni di assenza. La gentilezza la fece sorridere, era proprio degna del preside Nezu.
E stranamente la tranquillizzò, permettendo alla dolorosa malinconia di lasciar spazio a una dolce nostalgia. Si poggiò col gomito sul tavolo e continuò a leggere, più serena, assorta come se stesse leggendo una lettera d'amore di qualche tenero fan.
«Situazione problematica, ragazzi problematici» bofonchiò, evidenziando quello che a quanto pareva era il motivo per cui la contattavano.
«Chiediamo gentilmente se fosse possibile la sua presenza, durante i suoi giorni di alloggio nella nostra meravigliosa città, per delle lezioni extracurricolari sull'importanza della gestione dei propri limiti e debolezze, ricordando quanto fosse stato importante per Lei il trattamento di queste problematiche e tante belle parole» sorrise, abbandonando il foglio sul tavolo e tornando a rilassarsi sulla sedia.
«Professor Nezu, adesso mi dai del Lei» mormorò, immersa nella nostalgia. «Così mi ferisci lo sai, non sono poi così vecchia» ridacchiò. Aveva improvvisamente una così gran voglia di rivederlo, salutarlo e di ripercorrere quei corridoi che avevano segnato la sua adolescenza e il resto della sua vita. Un tuffo nel passato... ma sì, ci sarebbe riuscita.
Sarebbe bastato affrontarlo col sorriso.



I miss that town
I miss their faces
You can't erase
You can't replace it
I miss it now
I can't believe it
So hard to stay
Too hard to leave it
If I could relive those days
I know the one thing that would never change

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Capitolo 2
*** Circus, Britney Spears ***


"Circus", Britney Spears




Izuku Midoriya raggiunse la scuola, come ogni mattina da pochi mesi a quella parte, ma qualcosa avrebbe sconvolto la sua quotidianità quel giorno. E non solo la sua, considerata la folla che trovò davanti all'ingresso della Yuuei. Curiosi a centinaia, accalcati l'uno sull'altro, e in testa a tutti questi riusciva distintamente a sentire il rumore dei flash e il vociare di alcuni giornalisti.
Si immobilizzò, sconvolto da un tale caos, e si chiese preoccupato come avrebbe fatto a raggiungere l'aula in tempo riuscendo a superare tutta quella folla.
«Izuku-kun!» la voce di Uraraka alla sua sinistra lo richiamò. Di fianco a lei era come sempre presente Iida, insieme a loro anche Ashido e Kaminari lo stavano aspettando. Kirishima sbucò con la testa da fuori la folla e volgendosi sempre a Midoriya gli fece cenno con la mano, prima di urlare: «Da questa parte! Ci hanno lasciato un passaggio libero!»
Midoriya corse verso di loro e insieme ai compagni si avviò verso la scuola attraverso il passaggio che Cementoss aveva creato per loro e che presenziava affinché solo gli addetti potessero attraversarlo.
«Ma che succede?» chiese il ragazzino al professore, sperando che potesse togliergli quella profonda curiosità.
«Ospiti importanti» rispose Cementoss.
«Importanti? Di chi si tratta?» chiese curiosa Ashido, affiancando il compagno.
«Colei che si occuperà del vostro corso supplementare sulla gestione dei limiti. È arrivata ieri dall'America, ha fama internazionale».
«Pff» sbuffò Bakugou, passando di lì proprio in quel momento. «Io non ho nessun limite da gestire» gracchiò contrariato e si allontanò.
«Fama internazionale?» si illuminò Midoriya, chiedendosi quale dei più grandi eroi avrebbe sostenuto quelle lezioni che ora bramava di affrontare più che mai.
«Midoriya-kun! Sbrigarsi! La campanella sta per suonare! Forza!» lo sgridò Iida e lo afferrò per il colletto della divisa per poterlo trascinare dentro il più velocemente possibile.
La campanella suonò non appena Midoriya mise piede nell'aula e Iida si asciugò il sudore della fronte, sospirando un rasserenato: «Appena in tempo». Si rassettò rapidamente la giacca e corse alla cattedra, per riprendere il suo ruolo di capoclasse e annunciare a tutti l'inizio delle lezioni, chiedendo di mettersi a sedere. Stranamente dovettero aspettare qualche minuto più del solito, prima di sentire il rumore dei passi di All Might nel corridoio e vederlo sbucare dalla porta trionfante, annunciandosi con un: «Eccomi qua!»
Un ingresso che sorprese i ragazzi più del solito.
"Non ha il suo costume!"
"Cos'è quel vestito elegante?"
"Ma questo è profumo?"
All Might notò la perplessità sul volto dei suoi alunni e colto da un attimo di imbarazzo si schiarì la gola, cercando di riprendersi con dignità optando per il proseguire come se niente fosse, facendo risultare quel suo abbigliamento normale.
«Dunque...» cominciò, gonfiando il petto con tutta la naturalezza che riusciva a mostrare. «Come tutti saprete oggi pomeriggio, dopo le lezioni, affronterete un corso supplementare sulla gestione dei propri limiti insieme a...» esitò per un istante, per poi riuscire a completare con naturalezza: «Alla professoressa Sakamoto, perciò in preparazione a questo nella nostra lezione di oggi parleremo proprio dei limiti di un supereroe! Può non sembrare vero, ma tutti hanno dei limiti, ragazzi miei, me compreso... Sì, Kaminari?» chiese vedendo l'alunno con la mano alzata.
«Non sappiamo ancora niente della professoressa Sakamoto, eppure qui fuori c'era una folla incredibile di curiosi e giornalisti per questo evento. Possiamo sapere di chi si tratta, più precisamente? È un eroe internazionale, giusto?»
«È davvero così famosa?» si accodò Mineta, emozionato talmente tanto che per poco non salì sul banco. Era una donna, una professoressa, e tanto famosa da avere una tale schiera di fan... doveva sicuramente essere anche bellissima.
«La conoscerete più tardi, torniamo alla nostra lezione» cercò di essere sbrigativo ma deciso, pronto a tornare a parlare prima che qualcun altro provasse a fare altre domande. Ma la cosa non si chiuse lì, in quanto la porta della classe si aprì e il preside Nezu fece il suo ingresso annunciando: «E invece la conosceranno subito».
«Un'emergenza!» urlò All Might, orientando l'orecchio verso la finestra. «Chiamano il mio nome, c'è bisogno di aiuto! Devo andare!» e saltò via dalla finestra senza dar tempo a nessun altro di fermarlo, lasciandosi alle spalle una folata di vento, cartacce e profumo.
"Ma che gli prende?" si chiese Midoriya perplesso. Sapeva bene che non poteva correre in aiuto di nessun altro, non ne aveva la forza, avrebbe dovuto occuparsi della scuola e basta anche se ancora cercava di risolvere crimini di minor difficoltà. Niente che un eroe di pattuglia non avrebbe potuto fare.
«Sapevo che sarebbe successo» sospirò il preside, prima di voltarsi verso Eraserhead, alle sue spalle: «Accompagnali tu in palestra, per favore. Nina è già lì che li aspetta».
«Avanti ragazzi, prendete le vostre cose e le tute. Sbrigatevi» disse Aizawa con l'enfasi annoiata che lo caratterizzava. I ragazzi si alzarono rapidamente, presero tutto e seguirono il professore fino alla palestra, facendo congetture su chi fosse questa professoressa Nina Sakamoto.
Si cambiarono negli spogliatoi e infine, dopo poco, raggiunsero finalmente le palestre.
"Affronta tutto col sorriso" pensò Nina, colta da un battito di cuore più forte del solito quando sentì le porte aprirsi. Piegata su una delle panchine, stava terminando di sistemare le sue cose dopo aver indossato il proprio costume da supereroina, quando sentì il vociare dei ragazzi rimbombare alle sue spalle.
"Il sorriso" pensò più decisa nell'infinito attimo in cui si sollevò dal suo lavoro e si voltò per dar loro il benvenuto.
Sorrise, radiosa, e li osservò entrare uno dopo l'altro nelle loro tute sportive. Il sentimento di nostalgia tornò a essere forte nel petto, rivedendo per un breve istante la propria sé più giovane di almeno una ventina d'anni che camminava tra loro. Al suo fianco, che ridevano, c'erano anche Akane e Satsuki, chissà magari stavano parlando di qualche ragazzo che le piaceva o delle loro aspirazioni per il futuro. Kinji le raggiunse correndo e urlando a più non posso, prima di tentare di assalirle per abbracciarle. Abbraccio che tutte e tre schivarono abilmente, lasciandolo cadere di faccia a terra. Heikichi in fondo al gruppo, silenzioso e isolato, Kamatari che sorrideva entusiasta della nuova sfida e stava già scaldando le gambe per lasciar sfogare il suo Quirk della supervelocità e infine, di fronte alla stessa Machiko, pochi passi più a avanti, Toshinori che si dava la carica con qualche mantra ridicolo e qualche mossa di prova per dar sfoggio del suo eroismo. Si allenava sempre molto su quelle stupide mosse, come se fossero addirittura più importanti della lotta in sé, solo per mettersi in mostra e dire agli altri "è arrivato il numero uno".
Tornò rapidamente al presente quando vide il preside Nezu, in fondo alla colonna di studenti, insieme ad Aizawa, chiudere la porta della palestra.
Il sorriso si fece più sincero e alzando una mano salutò con una grazia che poche volte i ragazzi avevano ammirato: «Ciao a tutti, sono Machiko Sakamoto, ma tutti mi conoscono come Nina».
La prima voce che si sentì fu quella di Mineta, che si lasciò scappare un urlo di gioia seguito da un'esaltata esclamazione: «Nina, la cantante!!!»
E di seguito anche altri compagni la riconobbero, lasciandosi andare ad esclamazioni più o meno gioiose, e riflessioni sul fatto che fosse chiaro quello sciame di giornalisti di fronte alla scuola quel giorno. Solo Midoriya parve estraniarsi da tutto quello per qualche istante, perso a scrutare ogni angolo del costume di Nina. Pantaloni aderenti neri, decorazioni a forma di note musicali blu, ballerine sottili azzurre, top azzurro, cardigan semitrasparente a palloncino che si chiudeva sul petto. Sul ventre scoperto erano adagiate altre note musicali e chiavi di pentagramma sempre dello stesso blu, che salivano fino al petto, sulle braccia, come se lei stessa fosse tutta un unico pentagramma. Cuffie con microfono vicino alle labbra, con le stesse decorazioni musicali. Il tutto si collegava alla sua cintura, dove erano appesi piccoli congegni elettronici per la regolazione del volume e una cassa circolare lungo tutto il bacino, sottile e leggera.
La riconobbe e si lasciò scappare un urlo sconvolto, prima di esclamare, indicandola: «Puppeteer! Nina la burattinaia!»
L'affermazione sorprese Nina a tal punto che sgranò leggermente gli occhi, guardando il ragazzino. Il sorriso sul volto si spense per un istante, colta da un'ondata di ricordi che non si aspettava di dover gestire tutti in un solo istante come quello.
«Sì» mormorò. «Come conosci quel nome? Erano anni che non lo usavo, sei troppo giovane per avermi visto usarlo».
«Midoriya è un nerd!» esclamò Aoyama, facendo scoppiare l'ilarità dell'intera classe. Nina sorrise, intenerita e in parte felice. Com'era dolce l'innocenza dei ragazzini, la loro complicità e quegli scherzi quasi da bulletti, ma che non facevano veramente male a nessuno. Che avrebbe dato per tornare indietro di tutti quegli anni e riprovare di nuovo quei bei momenti di gioia scolastica, quando ancora i sogni erano così motivanti e irraggiungibili.
«Ti chiami Midoriya?» chiese.
«Izuku Midoriya, piacere di conoscerla Signora Nina!» si chinò Midoriya, emozionato di trovarsi di fronte un altro degli eroi della storia passata e che tanto avevano da raccontare. Una vera fonte di esperienze e lezioni di vita e poco importava se non aveva avuto tutto il successo che magari poteva aver avuto invece uno come All Might. Lei, insieme a decine di altri eroi ormai della vecchia scuola, avevano fatto la storia.
«Signora?» sussultò Nina, contrariata dall'appellativo.
«S-Signorina!» gridò Midoriya nel panico, rendendosi conto dell'irritazione che le aveva recato. Ma Nina non reagì male come poteva aspettarsi, anche se una parte di lei avrebbe desiderato prenderlo e ribaltarlo di schiaffi... alla fine erano solo ragazzini. Sospirò divertita, mormorando sconfortata: «Accidenti, sono così vecchia ai vostri occhi. Non mi abituerò mai».
«No, affatto!» si avvicinò un emozionato Mineta. «Sei giovanissima e bellissima! Quanti anni hai? Venti?»
Nina osservò il ragazzino che ci stava palesemente provando con un tono affabile, da Don Giovanni, e non riuscì a non scoppiare a ridere.
«E tu come ti chiami, piccolo grappolo d'uva?»
«Minoru Mineta, al tuo servizio» e si inchinò con un elegante gesto della mano.
«Mineta-kun, dimmi un po'» disse Nina affabile, prima di inginocchiarsi per portarsi al la sua stessa altezza. «Ti andrebbe di combattere contro di me?»
«Cosa?» sussultò il ragazzino e la sua paura aumentò quando incrociò lo sguardo scintillante della donna. Aveva qualcosa dentro che faceva una gran paura! Quella donna era pericolosa, glielo diceva il suo sesto senso.
«Io veramente preferisco essere spettator...» balbettò, ma non riuscì a terminare la frase che Nina gli avvolse le braccia al collo e se lo portò contro, schiacciandoselo sulla spalla sinistra.
«Oh, andiamo! Sarà divertente, vedrai!» esclamò strofinando la propria guancia contro la testa del ragazzino e stritolandolo come un animaletto adorabile.
«Tutto quello che desideri!» si arrese Mineta, ormai KO, mentre un rivolo di sangue gli scendeva dal naso.
«E tu, Midoriya-kun il nerd! Vuoi combattere contro di me?»
«Io... sì, va bene!» balbettò Midoriya, emozionato, confuso e imbarazzato allo stesso tempo. Nina tornò in piedi, lasciando andare a terra un Mineta ormai distrutto, ed esclamò: «Darò la possibilità a cinque di voi di combattere contro di me contemporaneamente! Purtroppo sono poco allenata, altrimenti sarei riuscita a gestirne anche dieci, ma è davvero da tanto tempo che non affronto un combattimento serio» disse con un po' di rammarico. «Allora... chi ha voglia di affrontarmi? Ci sono ancora tre posti!»
Fece appena in tempo a finire la frase che Bakugou si fece avanti col suo sguardo duro e le mani nelle tasche.
«Il ragazzino coraggioso! Perfetto! Come ti chiami, tesoruccio?»
Mineta, che si stava rialzando in quel momento, nel sentire Bakugou venir chiamato "tesoruccio" ebbe un altro mancamento.
«Katsuki Bakugou» rispose seccamente. Nina gli si avvicinò e si chinò appena verso di lui, per guardarlo meglio in volto. Gli sorrise dolcemente e gli portò una mano sulla testa, scompigliandogli i capelli. Quei ragazzini gli portavano alla mente così tanti ricordi che non riusciva a non intenerirsi. Si sarebbe affezionata molto presto, lo sentiva.
«Benvenuto a bordo, Bakugou-kun».
Bakugou si irritò per la libertà presa dalla donna, scattò indietro con la testa, liberandosi della sua presa, e si sbrigò ad allontanarsi, mettendosi al centro della palestra. Non aveva parlato molto e aveva reagito in modo impertinente ed irruento. Un altro professore si sarebbe offeso del comportamento maleducato e avrebbe sfuriato, ma Nina non era un qualsiasi professore. Ripensò alle parole del preside Nezu: "situazione problematica e ragazzi problematici". Il primo tassello cominciava ad andare al suo posto. Lo sguardo si fece talmente sottile e tagliente che avrebbe fatto paura al suo peggior nemico e con un sorriso mormorò: «Molto interessante».
«Altri due posti, non siate timidi! Ma adesso voglio due ragazze! Non lasciate tutta la gloria agli uomini che poi si gonfiano come palloncini e diventano insopportabili».
«Vengo io!» disse Ashido, saltellando entusiasta.
«Voglio provarci anche io!» si aggiunse Asui, facendosi strada tra i compagni e raggiungendo Bakugou e il resto dei ragazzi in mezzo alla palestra.
«Molto bene» esclamò Nina e si andò a posizionare proprio al centro, in una situazione di svantaggio. Si tirò un braccio verso l'alto, poi l'altro, scaldandosi rapidamente.
«Vediamo se mi ricordo come si fa» mormorò, preparandosi.
«Non so, ma a me pare un po' sbruffona» bisbigliò Uraraka a Iida, al suo fianco. Nina riuscì a sentirla nell'eco della palestra vuota, ma ancora una volta decise di lasciar correre quei comportamenti considerati maleducati. Lei non poteva certo mettersi a criticare, vista la quantità innumerevole di volte che era stata sgridata per il suo comportamento, alla loro età. Sorrise semplicemente.
«Non limitatevi in nessun modo, non sentitevi in dovere di misurare la vostra forza e capacità per evitare di ferire un professore. Voglio che diate il meglio di voi, servirà anche a me per capire le vostre abilità. Chiaro?»
E gli alunni, ora concentrati, annuirono.
«It's Show time» sorrise e con un rapido gesto del dito accese la strumentazione che portava alla cintura. Dalle casse partì a un volume decisamente esagerato una base musicale pop a cui lei assecondò immediatamente con movimenti fluidi e decisi del bacino e delle gambe. Mosse impercettibilmente le dita, scaldandole probabilmente, e rimase nella sua posizione mentre i ragazzi della Yuuei intorno a sé saltarono in contemporanea verso di lei.
«Che fa?» esclamò sorpresa Uraraka.
«Balla?» balbettò Hagakure, altrettanto sorpresa.
E finalmente, a tempo di musica, mosse anche le braccia indirizzando tutte e dieci le dita verso i i ragazzini che l'avevano quasi raggiunta. Strinse le dita e nessuno di loro fu più in grado di muoversi. Bakugou, che era in volo nella parte opposta rispetto ad Asui, per inerzia andò a scontrarsi contro di lei. Midoriya rimase immobile, incapace di muoversi oltre, esattamente come Ashido e Mineta, con la sola differenza che quest'ultimo si lasciò andare ad un grido impanicato: «Non riesco a muovermi».
Nina ignorò le loro reazioni e ormai completamente avvolta dalla musica continuò a ballare sopra la musica che le sue casse trasmettevano. Mosse piedi, si spostò, roteo e mosse soprattutto le braccia innumerevoli volte, seguendo la musica e il ritmo. Mineta cominciò a ballare anche lui e poco dopo anche Ashido fece altrettanto, muovendosi alle spalle di Nina come fossero il suo corpo di ballo. Bakugou riuscì a muovere una mano abbastanza da posarla al suolo e creando un’esplosione riuscì a sollevarsi da terra anche senza far uso del suo corpo. Quel qualcosa che lo bloccava, al suo gesto improvviso, parve liberarlo e si affrettò per provare ad attaccarla dandosi lo slancio con un'altra esplosione. Le volò incontro, urlando carico, ma la sua mano parve nuovamente muoversi da sola. Si spostò verso il basso e si piantò a terra per frenare il suo volo, facendogli un male cane nello sfregare. Ciò bastò ad arrivare ai piedi di Nina, senza essere riuscito a colpirla. Ancora lei si mosse e i suoi piedi lo costrinsero ad alzarsi appena in tempo per vedersi arrivare addosso un Midoriya sconvolto e urlante a pugno serrato. Lo colpì in pieno viso, facendolo barcollare indietro, e Bakugou lo guardò nel peggior modo avesse potuto.
«Che cazzo fai, Deku?»
«Non lo so! Non riesco a controllare il mio corpo!» piagnucolò Midoriya, poco prima di partire di nuovo alla carica contro Asui, che si stava rialzando da terra.
«Attenta!» gridò Midoriya e Asui fece appena in tempo a saltare via, ma nuovamente qualcosa prese possesso del suo corpo e con uno slancio di gamba roteò su se stessa e colpì Midoriya dritto dietro la nuca con un calcio.
Il ragazzo cadde a terra frastornato e confuso, e Nina l'osservò di sbieco prima di effettuare un'altra piroetta a braccia larghe. Roteò il polso e questo bastò per far atterrare Asui in piedi sulle proprie gambe. Non si rese conto che Bakugou era di nuovo in piedi e libero di muoversi, e con un sorriso soddisfatto era al suo fianco pronto a colpirla.
«Sei tu che ci fai questo! Ma se ti distrai il tuo potere perde potenza!» esclamò contento per essere riuscito a smascherarla. Sferrò finalmente il suo pugno, ma Nina con un colpo di vita riuscì a tirare indietro il busto ed evitarlo. Approfittò dello slancio per fare una ruota all'indietro e con i piedi ben dritti, nel girare ne approfittò per colpire direttamente Bakugou con un calcio. Si girò subito verso il biondo, capendo che era lui il più pericoloso, e concentrò gran parte delle sue energie su di lui. Doveva neutralizzarlo subito. Ancora una volta Bakugou perse il controllo del suo corpo, le proprie mani partirono in automatico e cominciò a colpirsi da solo in pieno viso, allo stomaco, al petto, con Nina che gli ballava davanti con uno sguardo colmo di sfida. Il ragazzino era furbo e pericoloso, sicuramente una spanna al di sopra degli altri, ma non ancora al suo livello. Anche se aveva trovato parte del suo punto debole. In fondo, era proprio quello il senso della lezione: gestione dei propri limiti. Con un ultimo pugno Bakugou si lasciò cadere a terra, tramortito, e solo allora Nina ne approfittò per tornare a concentrarsi sugli altri. Con una mano era riuscita a tenere ancora fermi Asui e Ashido, lasciando momentaneamente libero Mineta e Midoriya. Il primo era troppo preso dalla contentezza di essere di nuovo in grado di muoversi per riuscire a fare qualcosa, il secondo invece si stava rialzando in quel momento ma perdeva un sacco di tempo in riflessioni e strategie. Quei pochi secondi non erano pericolosi per Nina, al contrario di quel Bakugou che andava tenuto impegnato tutto il tempo se non voleva vedersi fregata.
«Asui, perdonami!» gridò Midoriya correndo alle sue spalle. Quell'urlo catturò l'attenzione di Nina, che ribloccò Mineta con uno dei suoi fili, usò gli altri per Bakugou e tornò a concentrarsi sul piccolo nerd. Non poteva gestire i loro movimenti ma avrebbe potuto tenerli fermi per un po'. Provò a lanciare un filo contro Midoriya ma mancò la presa, nascosto com'era dietro Asui.
"La sta usando come scudo" pensò sorpresa dell'idea. "Ma io ho un piccolo soldatino dalla mia parte" sorrise e tornò a guardare Bakugou che si stava di nuovo mettendo in piedi. Era un ragazzino tosto, le piaceva.
«No, merda... di nuovo» disse, realizzando di essere di nuovo preso sotto possesso. «Lasciami andare subito!!!» gridò provando a generare alcune esplosioni nella speranza di liberarsi da qualsiasi cosa stesse usando per manipolarlo. Non lo seppe mai, ma i contraccolpi del suo Quirk che lui era abituato a gestire Nina riusciva a sentirli vibrare lungo i suoi fili, arrivare a lei e indolenzirla tanto che decine di volte perse la presa su di lui. Questione di decimi di secondo prima che ne riprendesse il controllo, un tempo troppo breve per permettergli di contrastarla, ma se lui l'avesse saputo non ci avrebbe messo molto a trovare il modo di volgere quella tecnica a suo vantaggio. Lo costrinse a scaraventarsi contro Midoriya. I suoi fili non potevano raggiungere il nerd, nascosto dietro Asui, ma i pugni del compagno sì. Midoriya non si mosse da dietro la ragazza ed attese nascosto, fintanto che l'amico non fu a portata di mano.
«Scusami Kacchan!» gridò Midoriya afferrandolo per il braccio, subito dopo aver schivato il pungo che Nina l'aveva costretto a tirare. Attivò quella piccola percentuale di potere che riusciva a gestire e con una mossa rubata all'arte marziale si voltò di spalle e scaraventò l'amico a terra con tutta la forza che aveva. Un impercettibile schiocco risuonò nelle orecchie di Nina nell'istante in cui si rese conto che la mossa di Midoriya aveva letteralmente strappato i suoi fili dal corpo di Bakugou.
«Esplodi! Ora!» gridò Midoriya e Bakugou lo fece probabilmente più per la furia di essere stato atterrato dal nerd che per obbedirgli veramente. La potenza dell'esplosione scaraventò i due contro Nina che, sorprendentemente, aveva smesso di ballare e li guardò avvicinarsi a lei a velocità di proiettile. Con un urlo Midoriya caricò parte della sua energia nel pugno che avrebbe sferrato di lì a poco e Bakugou, al suo fianco, fece altrettanto, pronto a farle esplodere la faccia.
Nè l'esplosione nè il super pugno di Midoriya ebbero luogo, anche ugualmente le loro braccia arrivarono caricate fino alla sua faccia, colpendola con una semplice energia da essere umano.
Sorpresi di quanto appena successo non riuscirono nemmeno a programmare un atterraggio che non fosse doloroso, rotolando a terra, mentre Nina al loro fianco cadeva, colpita.
«Ma cosa...?» chiese Bakugou, non capendo perché non fosse riuscito a generare un'esplosione. La sua risposta arrivò nell'istante in cui si voltò verso il professor Aizawa, intuendo e indovinando che doveva esserci il suo zampino. Aveva annullato le loro abilità nell'istante dell'impatto, consapevole che se li avesse lasciati finire probabilmente avrebbero uccisa Nina, troppo sconvolta per reagire da sola.
«Posso di nuovo muovermi» osservò Asui, felice e sorpresa.
«Non ballo più, evviva!!!» gridò Ashido, colma di emozione, abbracciando Mineta che era in lacrime. La musica dalla cassa di Nina cessò, sotto il click dell'interruttore che lei stessa aveva premuto. Si tirò in piedi e ridendo imbarazzata ammise: «Accidenti, sono proprio arrugginita!»
Midoriya vide la sua guancia arrossata, lievemente livida per il pugno che lui e Bakugou le avevano destinato, e colmo di sensi di colpa saltò in piedi urlando con le lacrime agli occhi: «Mi dispiace!!!»
«Non dovevi istigarli tanto senza neanche sapere quale fosse il loro Quirk» la brontolò Aizawa.
«Ma così non sarebbe stato divertente. E poi sapevo che c'eri tu a proteggermi, no?» e gli fece un occhiolino provocatorio.
«Quando si è messa a ballare pensavo ci stesse prendendo in giro, visto che la musica è il suo lavoro. Non immaginavo che invece fosse il suo Quirk, mi ha davvero preso di sorpresa. Riesce a impadronirsi dei corpi altrui tramite la musica, incredibile!» disse Asui, raggiungendo il trio Midoriya, Nina, Bakugou.
«No» bofonchiò Bakugou, alzandosi. «La musica non c'entra».
«Sorprendente, davvero sorprendente» commentò Nina, sentendo il fuoco nel petto accendersi sempre di più. Quel ragazzino era davvero incredibile.
«Non era la musica? E allora perché ballavo?» chiese Ashido, ancora traumatizzata dal fatto che abbia passato tutto il tempo del combattimento a ballare invece che darsi da fare.
«Non lo so... è qualcosa che fa con le mani!» disse ancora Bakugou.
«Fili! Sono i fili del burattinaio» disse Midoriya, collegandosi al suo nome per dare la spiegazione.
«Ed è per questo che per liberare il tuo amico hai usato la tua forza e la torsione del busto, proprio come si fa per un filo da cucito» commentò Nina.
«Sì, è così» asserì Midoriya.
«Sai, Midoriya...» disse Nina, rabbuiandosi nel tono di voce, e si osservò una mano, come se stesse cercando in essa le risposte. «Fino ad oggi, prima di te, solo una persona era stata in grado di spezzare così i miei fili».
Non disse chi era quella persona, ma Midoriya ebbe l'impressione di saperlo. Esisteva al mondo solo una persona che possedeva la stessa forza e lo stesso potere che lui aveva usato per rompere quei fili, e quella persona era All Might. Quel suo tono non lo rassicurò molto e temette di essere stato scoperto o che perlomeno lei avesse cominciato a sospettare il suo collegamento con il Simbolo della Pace.
«Dì un po', lo sapevi già?» chiese Nina, tornando a sorridere e abbandonando quell'espressione vitrea che solo una foto ricordo vecchia di anni poteva avere.
«No» balbettò lui. «Ecco, non ho molte informazioni su di Lei».
«Su di te» lo corresse lei. «Ti prego, non darmi di nuovo della Signora!» supplicò.
«C-certo!» balbettò Midoriya, prima di riprendere a spiegare. «Non è stata molto tempo sulla scena e comunque ciò è avvenuto prima della nostra nascita, le informazioni raccolte su Nina la Burattinaia erano legate solo a qualche documento dove spiegava che con l'uso della musica riusciva a manipolare il corpo delle altre persone. Però combattendo contro di te ho visto che mentre ballavi la parte del corpo che muovevi più di tutte erano le braccia e le mani, e le direzionavi verso di noi tutte le volte che tornavamo a perdere il controllo di noi. Come ha detto Kacchan, ho capito che era qualcosa che facevi con le mani. Ho ripensato al tuo soprannome, la burattinaia, e ho provato a... ecco, ho voluto provare».
«In pratica hai tirato a indovinare!» suggerì Nina, inarcando le sopracciglia intenerita.
«Beh, sì... era una scommessa, diciamo».
«Complimenti» sorrise Nina e chinandosi verso di lui gli diede un tenero buffetto sul naso. «Hai vinto la scommessa».
Midoriya arrossì imbarazzato, anche se sotto sotto doveva ammettere a se stesso che quel tono così gentile e delicato era rassicurante. Sembravano le carezze di una madre.
Nina si raddrizzò e si voltò verso il resto della classe, pronta a parlare a tutti quanti. «Mi presento meglio, a questo punto. Io sono Nina, l'eroe burattinaio. Il mio Quirk consiste in alcuni fili che riesco a generare dalla punta delle mie dita, invisibili all'occhio umano, praticamente indistruttibili... se non per alcune eccezioni» e Midoriya tornò a rabbuiarsi, preoccupato da quell'ultima affermazione. Lui era l’eccezione e probabilmente anche All Might lo era. «Questi fili hanno il potere di trasmettere piccolissime scariche elettriche ai muscoli ai quali si attaccano, scariche che, se avete studiato un po' di anatomia, sapete che li attivano e li fanno contrarre. Quindi ciò che faccio è semplicemente attaccare e staccare in continuazione i miei fili al corpo della persona che colpisco, attivando i suoi muscoli a piacimento e perciò facendolo muovere secondo la mia volontà. All'inizio non è stato semplice gestirlo, ma con un buono studio alle spalle e tanto allenamento ormai non ragiono più in termini di scarica ma di movimento del muscolo in sé. Mi viene tutto più naturale. Questo però è il corso speciale di gestione dei limiti ed è di questo che vi parlerò: i limiti del mio potere. Primo fra tutti, come il nostro caro Kacchan ha notato, se mi distraggo possono esserci problemi» e Bakugou grugnì infastidito nel sentirsi chiamare con lo stesso soprannome vezzeggiativo che Midoriya usava sempre, ma Nina lo ignorò e proseguì. «Come vi ho accennato è un potere molto complesso, devo coordinare bene scarica e ancoraggio per far fare determinati movimenti, ci vuole particolare attenzione. Se ho addosso più di un avversario la situazione si fa pericolosa. Secondo limite: il numero di fili. Sono molti, vero, infatti se avete visto durante la mia battaglia contro Midoriya, Asui e Kacchan ho continuato a far ballare per tutto il tempo Ashido e Mineta. Molti movimenti, molti fili, ma non infiniti. Infatti spesso dovevo lasciare qualcuno di loro libero momentaneamente, se volevo usarne più di uno su di una persona specifica. Ed erano questi i momenti in cui Kacchan e Midoriya hanno approfittato per colpirmi. Terzo limite, il più essenziale... ve lo mostrerò direttamente. Mineta caro, faresti ancora una volta da cavia, per favore?» chiese con dolcezza e fu solo questo a portare il ragazzino ad esclamare: «Assolutamente!», per poi pentirsene un istante dopo.
«Osservate attentamente, farò tutto ciò che ho fatto fin'ora ma senza musica». Alzò la mano in direzione di Mineta e dando lo slancio a un dito lo puntò contro il ragazzino. Un secondo dopo questo si trovò il braccio paralizzato. Nina mosse il dito su e giù e il braccio di Mineta fece altrettanto, incontrollato. Diede lo slancio ad altre due dita e cominciò a muoverle con una certa sequenzialità e precisione e Mineta si trovò nuovamente a ballare come aveva fatto poco prima. Alcuni dei suoi compagni risero soffusamente, cercando di nascondere la cosa dentro la propria mano, senza però riuscirci troppo.
«Mineta caro, ti diverti?» ridacchiò Nina, rendendosi conto di come fosse comica la situazione.
«No, basta! Per favore!» piagnucolò il ragazzino e solo allora Nina lo lasciò libero.
«Perdonami, eri così divertente» ridacchiò la donna, prima di tornare alla sua classe. «Avete visto?»
«Devi fare dei movimenti precisi con le dita e comunque i fili non si attaccano con immediatezza, ma c'è un gap di almeno un secondo per permettere loro di percorrere la distanza necessaria a raggiungere il bersaglio» osservò Yaoyorozu.
«Esatto! Tutto corretto! Posso sfruttare sia la scarica elettrica che la tensione, semplicemente muovo fisicamente il filo che tira in avanti il corpo ancorato, e in più devo aspettare quel secondo, secondo e mezzo, che il filo ci mette ad ancorarsi» e per dare dimostrazione lanciò un filo verso Aoyama e muovendo il proprio dito avanti e dietro mostrò che anche il braccio del ragazzino faceva altrettanto, dimostrando che erano fili fisici e come tali poteva usarli anche come corde vere e proprie.
«Il mio corpo si muove da solo!» si agitò lui, sentendosi afferrato.
«Quindi... eccolo! Gestione del proprio limite!» ed indicò la cassa alla sua cintura. «Muovendomi in continuazione, ballando, mescolo i movimenti necessari al mio Quirk con decine di altri che non servono a niente e in questo modo impedisco ai miei nemici di prevedere i miei attacchi. È una soluzione esterna, che non viene da me, ma dovete capire che i vostri costumi sono necessari anche a questo. Ad amplificarvi e sostenervi, non solo a rendervi più carini agli occhi delle telecamere. Se sapete di avere un limite, trovate la scappatoia per gestirlo e impedirgli di avere la meglio su di voi. Semplice, no? Compito per la prossima volta! Pensate a un vostro limite e provate a inventarne un raggiro qualsiasi. Lo proverete qui con me alla prossima lezione che sarà...?» e guardò Nezu.
«Domani dopo le lezioni» rispose il preside.
«Domani dopo le lezioni!» ripetè Nina. «Ora tornate pure in classe, ragazzi. È stato un piacere conoscervi» e volgendo lo sguardo a Bakugou aggiunse più decisa: «Davvero un grande piacere».
All the eyes on me
in the center of the ring,
just like a circus
When I crack that whip,
everybody gonna trip,
just like a circus
Don't stand there watching me,
follow me
Show me what you can do
Everybody let go,
we can make a dance floor,
just like a circus

Note dell'autrice
Prima precisazione che non ho fatto nell'altro capitolo e che mi sono ricordata che devo fare: L'ambientazione!
Allora, ho ambietato tutto nel gap temporale che va dall'attacco alla USJ, la prima comparsa dei supercattivi, al giorno del festival sportivo, però con qualche modifica. Mi sono presa una specie di licenza poetica e ho adattato alcuni particolari, a partire da Midoriya, che in realtà in quel momento della vera storia non aveva idea di come usare lo One For All senza frantumarsi e invece nella mia versione in minima parte riesce a sfruttarlo (lo usa subito per spezzare i fili di Nina). Un altro piccolo adattamento, come vedrete più avanti, riguarda il tempo di autonomia di All Might... l'ho allungato un pochetto, permettendogli di riuscire a tenere la propria forma potenziata per qualche ora (non ringraziarmi Toshinori, è stato un piacere u.u ahahha). Ah! Un'altra piccola modifica riguarda le ferite di Aizawa dopo l'attacco. Beh, facciamo finta che sia già guarito, suvvia xD avevo bisogno dei suoi poteri per dare un senso a determinate cose ahahah
E mi par basta.
Detto ciò... eccovi le prime pulci nell'orecchio: All Might sa dell'arrivo di Nina, si agghinda a festa (anche esageratamente, ma lo si ama anche per questo), poi scappa via con una scusa qualunque e che non sta in piedi, ma questo non sorprende il preside che sospira ammettendo che se lo sarebbe aspettato. Perché? (Ovviamente non risponderò io ma lo farà la storia stessa nei prossimi capitoli, volevo solo stimolare un po' la vostra curiosità xD).
E Nina, in questo secondo capitolo, oltre a molestare il povero Mineta, cominciare già a sospettare di Midoriya e interessarsi a Bakugou, ci spiega in maniera dettagliata come funziona il suo Quirk, con i pro e i contro (Sì, non ci ho dormito la notte per pensarci xD ma alla fine il risultato mi piace un sacco!).
Come per tutti i capitoli, la canzone scelta è un po' la colonna sonora dell'intero capitolo o un aspetto importante di esso. Ci ho perso giorni per sceglierla xD Per quanto non vada pazza per la Spears, questa canzone si adattava perfettamente a ciò che succedeva qui, non solo per il "Show me what you can do" che mi ha fatto saltellare sulla sedia da quanto ci stava bene, visto che mette alla prova i nostro studenti preferiti, ma anche per tutto il resto del testo che per ovvi motivi non ho potuto riportare per intero xD ma se ne avete voglia, potete andare a leggervelo per entrare più nello spirito di Nina e capirla maggiormente. E' una cantante, vive sul palco e lo fa con passione, mettersi in mostra è ciò che le piace più fare, per questo non si preoccupa di risultare ridicola con il suo show improvvisato in mezzo a un combattimento, o con gli atteggiamenti un po' eccentrici che ha con Aizawa o Mineta. Fa tutto parte del suo carattere.
Nel prossimo capitolo aggiungerò un altro importante tassello alla storia sia passata che presente della nostra Nina, perciò
Stay Tuned! :P

Ray

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Capitolo 3
*** Who Knew, Pink ***


"Who knew”, Pink



«È stato divertente, sembrava di assistere a uno spettacolo teatrale, con Mineta e Ashido che ballavano alle tue spalle» commentò Nezu, affiancato da Nina. Aizawa aveva riportato i ragazzi a lezione e loro due erano rimasti soli a parlare, mentre facevano il giro della scuola.
«Sì, mi sono divertita molto anche io. Era da tempo che non prendevo parte a una bella scazzottata vecchio stile» sorrise.
«La tua carriera da cantante non ti ha rammollita troppo, vedo».
«Devo dirti un segreto, Nezu caro. Drew crede che io vada in palestra tutte le sere, dalle diciannove alle ventuno. È una bugia... vado a prendere per i capelli qualche borseggiatore da quattro soldi. Giusto per tenermi allenata».
Nezu scoppiò a ridere alla confessione ed ammise: «Ti confesso che un po' me l'aspettavo. Mi ricordo di quando giravi tra questi corridoi vestita di quell'uniforme... eri in punizione almeno tre volte alla settimana. Nemmeno Toshinori riusciva a tenerti sotto controllo, e pensare che è diventato l'eroe più grande al mondo. Mi chiedo che ne possa essere della sua reputazione se si venisse a scoprire che ai tempi del liceo prendeva pugni da una ragazzetta alta la sua metà e forte nemmeno per un centesimo di quanto lo era lui».
«Già» ridacchiò Nina, anche se fu difficile per lei abbandonarsi completamente all'ilarità. «A proposito di Toshinori» si schiarì la gola, sperando di riuscire a infilare la domanda nel discorso senza essere troppo indiscreta. «Non era di turno lui con i ragazzi della prima A? Pensavo li avrebbe accompagnati in palestra».
«Ha avuto un’emergenza ed è dovuto scappare via» disse Nezu, nonostante sapesse perfettamente che si era trattata di una bugia. Ma certo non poteva dirle la verità, perciò si ingannò lui stesso e si convinse a credere ad All Might.
«C'era da aspettarselo» disse Nina con rassegnazione. «Non è cambiato affatto».
«Ti sorprenderebbe scoprire invece quanto lo sia. Anche tu, d'altra parte sei molto diversa da come ti ricordavo».
«Il taglio di capelli corto dici è troppo aggressivo?» ridacchiò Nina.
«Ricordo solo che i tuoi boccoli svolazzanti erano ipnotici al tempo, facevi strage di cuori tra i tuoi coetanei, Machiko».
«Machiko» ripetè Nina in un sussurro. «Era da un'eternità che non usavo più questo nome».
«Vedi? Sei cambiata».
«Andiamo, tutti cambiano con la mezza età!» cercò di sdrammatizzare.
«Come se tu ci fossi già arrivata».
«No... ma una decina d'anni passano in fretta, sai?»
«Vallo a dire a quei ragazzi della prima A, ne avrebbero di obiezioni».
«A proposito dei ragazzi della prima A, ho potuto inquadrare alcuni dei ragazzi problematici, ma le situazioni problematiche di cui mi parlavi?»
«Pare che si siano trovati coinvolti in brutte faccende con una banda di criminali intenzionati a mettere su un mondo criminale in contrasto col mondo degli eroi».
«Roba grossa?»
«Dipende da come si muoveranno da qui in poi».
«E Toshinori non gli ha già sterminati tutti?» chiese lei, incredula che il grande All Might non avesse già risolto la situazione.
«Te l'ho detto... situazioni problematiche. Comunque, oggi ti mostrerò un mondo che a te è sempre rimasto sconosciuto» sorrise Nezu, avvicinandosi a una stanza. «La sala professori! Benvenuta tra noi!» e spalancò la porta. Una folata di vento improvvisa si alzò nell'istante in cui questa si aprì del tutto, scompigliando i capelli di Nina, che fece appena in tempo a intravedere uno degli stivali gialli di Toshinori volare fuori dalla finestra e la possente voce di All Might che gridava: «Un'emergenza! Mi chiamano!»
Il loro primo incontro, dopo almeno vent’anni che non si vedevano, fu tra lei e il suo stivale. Un'intera notte insonne, centinaia di pensieri, malinconie e ricordi che ora volavano via da una finestra con una ridicola scusa. Una finestra che dava su di un mondo che in realtà non era stato inesplorato prima di allora... ma questo Nezu non poteva saperlo.


Machiko si affacciò nel corridoio con discrezione, guardandosi attorno. Era tutto vuoto. Ormai era sera inoltrata, gli studenti e gran parte dei professori erano già andati via, era certa che non avrebbe trovato nessuno per la sua strada. Nessuno a separarla dal suo ambito premio. Si avvicinò alla sala professori con discrezione, continuando a guardarsi attorno, e quando fu sicura di essere sola infilò un dito nel buco della serratura. I suoi fili partirono, entrando nella stanza dall'altro lato e cominciarono nella loro invisibilità a muoversi per tutta la sua ampiezza. Se c'era qualcuno dentro, si sarebbero ancorati e lei lo avrebbe sentito. Per l'ospite sarebbe stato solo un formicolio come un altro, niente di cui creare allarme. Niente, nessun ancoraggio, nemmeno negli angoli più nascosti. Non c'era nessuno. Ritirò i suoi fili e dopo essersi accertata di non essere osservata si chinò e infilò nella serratura una forcina per capelli. Era un'operazione pericolosa e delicata, ma si era allenata molto dopo che Kamatari le aveva insegnato come si faceva a scassinarle. Ebbe non poche difficoltà, la serratura della sua camera era diversa e più semplice di quella, ma alla fine riuscì nel suo intento. Entrò rapidamente e si richiuse la porta alle spalle, tirando un sospiro di sollievo.
«È fatta» sorrise emozionata. Ora doveva solo trovare il compito di algebra che il professor Hori aveva preparato per loro per il lunedì prossimo. Forse era la volta buona che fosse riuscita a prendere una sufficienza! Si affrettò e rovistò nei primi cassetti della prima scrivania a sinistra. Niente. Passò a quella dopo e poi quella dopo ancora, cercando e rovistando. Doveva essere lì, lo sentiva.
«Macchan!» l'improvvisa voce che provenne dalla finestra la terrorizzò a tal punto che lanciò un urlo, in barba alla sua copertura e al suo nuovo ruolo da ninja, e lanciò verso l'ospite indesiderato un libro di storia. Toshinori, aggrappato al cornicione della finestra, sorpreso dall'attacco non riuscì ad evitarlo e fu colpito in pieno. Perse l'equilibrio e cadde all'indietro, all'esterno dell'edificio.
«Toshinori!» gridò Machiko terrorizzata, raggiungendo la finestra incriminata, ma lui era per fortuna riuscito a restare aggrappato al cornicione e da lì si tirò su rapidamente, puntando il viso severo in quello dell'amica. «Che stai facendo?» la rimproverò.
«Che stai facendo tu! Mi volevi far venire un infarto per caso? Saltare così in alto non ti da diritto di passare dalle finestre, lo sai?»
«E tu non hai diritto di stare qua! Hai scassinato la serratura? Chi ti ha insegnato? Quel delinquente di Kamatari, giusto?»
«Kamatari è un bravo ragazzo, qui il delinquente sei tu! Ti giuro, stavo per morire di paura! Non fare mai più una cosa del gene...» la porta della sala professori si aprì in quell'istante, facendo entrare le voci di due professori della terza sezione. Toshinori afferrò d'istinto Machiko per il colletto della divisa e la tirò giù con sé, facendola cadere nel vuoto. Machiko riuscì a trattenersi nell'urlare per qualche strano miracolo, e sempre mossa da quello stesso miracolo fece l'unica cosa che le venne in mente per salvarsi la vita ed evitare che si sfracellasse a terra. Lanciò i suoi fili contro Toshinori, appeso al cornicione della finestra per una mano.Questi si ancorarono e si tesero abbastanza da bloccare la caduta di Machiko, che rimase miracolosamente appesa al suo stesso Quirk, agganciato al suo amico. Se fossero stati scoperti avrebbero passato guai seri, ma certo in quel momento le sgridate del preside sembravano zucchero filato in confronto alla paura appena superata di morire sfracellata a terra, cadendo dal penultimo piano di quel gigantesco edificio. Le voci dei professori nella sala si fecero intense e i due immobilizzati lì fuori trattennero il fiato, sospesi a un filo... e Machiko lo era letteralmente. Altre voci, ma questa volta provenivano dal corridoio di tre piani sotto, da cui, attraverso una delle finestre, era possibile vedere i piedi penzolanti nel vuoto della ragazza. Machiko sussultò e velocemente cercò di arrampicarsi sui suoi stessi fili, tirando su le gambe e pregando di non essere vista. Tutto quel muoversi strattonò anche Toshinori, che le rivolse uno sguardo contrariato, ma riuscì a mantenere comunque la posizione e il silenzio tombale. Fino a quando, finalmente, i due professori uscirono definitivamente dalla sala , facendola tornare vuota. Toshinori si sollevò appena, dando una sbirciata all'interno. Si assicurò che fosse vuota prima di arrampicarsi per mettersi definitivamente al sicuro, al suo interno. Afferrò il filo invisibile di Machiko e rapidamente la tirò su, facendo in modo che lo raggiungesse.
«Tutto bene?» chiese non appena la ragazza, abbarbicata al proprio filo come un koala terrorizzato, fu a portata di viso. Un pugno lo colpì in pieno sulla guancia prima che potesse arrivare qualsiasi tipo di risposta e per il colpo, dalla sorpresa e il lieve dolore recatoli, lasciò andare la presa del filo, facendo nuovamente cadere Machiko nel vuoto con un urlo. Toshinori si riprese rapidamente e si lanciò per afferrare nuovamente il filo invisibile e tirare di nuovo su l'amica.
«Questa volta aspetta di entrare e stare al sicuro, prima di colpirmi» sospirò affranto del comportamento tanto irruento della ragazza: era un vero maschiaccio, delle volte. L'aiutò a mettersi coi piedi a terra e Machiko potè nuovamente tornare a respirare. Poi diede a Toshinori un altro pugno in faccia.
«È questa la tua filosofia, eroe? Lanciare le persone fuori dalla finestra?» lo rimbeccò.
«Mi dispiace, devo lavorare sulla mia entrata in scena» mugolò Toshinori, prima di riprendersi e guardare Machiko con occhi emozionati. «Ehy! Ma quella cosa di usare i tuoi fili per appenderti l'avevi già fatto prima?»
«A dire il vero no, li ho sempre usati per il controllo dei corpi! È la prima volta che li uso direttamente come corde vere e proprie!»
«Eccezionale! Non credi sia un'idea grandiosa? E se lavorassimo a qualche combinazione di coppia? Del tipo che ti agganci al mio braccio e io ti lancio contro i cattivi» e mimò la scena, euforico della trovata.
«Oh!» si emozionò Machiko. «O magari potrei afferrarne uno, poi mi aggrappo a te e tu ci strattoni tutti e due per farci avvicinare a supervelocità e quando siamo vicini BAM! Gli tiri un bel cazzotto in faccia!»
«Grandioso! O posso usarlo per tirarti fuori da qualche situazione spiacevole, magari mentre sei accerchiata. Così i cattivi sbattono l'uno contro l'altro e tu SWISH voli via tirata dal tuo filo».
«Eccezionale! E poi...» ma altre voci dal corridoio li interruppero.
«Via! Via!» sussurrò Toshinori, chinandosi e porgendo la schiena a Machiko, che si arrampicò fino ad aggrapparsi alle sue spalle. Ed entrambi, finalmente, lasciarono la sala professori indenni, saltando giù in piena sicurezza sulle spalle del ragazzo che ogni giorno riusciva ad imparare sempre più ad usare quel suo enorme potere, tanto da arrivare perfino alle finestre del penultimo piano della Yuuei. Alle finestre della sala professori, pronto a tirar fuori dai guai una ragazzina nel pieno atto criminale di rubare un compito in classe.


«Nina» la donna finalmente si destò, togliendo lo sguardo da quella finestra socchiusa.
«Sì?» chiese, sperando di risultare naturale, e si voltò verso Midnight, seduta sul divano di fronte al suo, al centro della sala.
«Ti ho chiesto se vuoi del tè».
«Oh, scusami... il jet lag, sai, mi ha scombussolata un po'. Mi ero un attimo estraniata» ridacchiò, poggiando le spalle allo schienale del divano.
«Anche io ho fatto qualche lungo viaggio in aereo, un paio di volte, e posso capirti perfettamente» la difese Nezu. «A volte ti rimbambisce talmente tanto che cominci a vedere cose... ricordi mescolati a presenze, come se fossero qui. È terrificante, vero Mic?»
«Brr» rabbrividì Present Mic, stringendosi nelle sue stesse spalle. «Odio i fantasmi».
«Oh, ma dai! Un uomo grande e grosso come te!» rise Nina, dandogli un paio di pacche sulle spalle. «Dimmi un po', piuttosto... io e te non ci siamo già visti?» e aguzzò lo sguardo, cercando di delineare meglio la figura al suo fianco.
«Lo credo bene» rispose Nezu, sorseggiando il suo tè con un sorriso stampato in faccia. «Hizashi Yamada, il nome ti suggerisce qualcosa, Nina-chan?»
«Yamada... Hizashi?» spalancò gli occhi Nina, scrutando sempre meglio Mic che si sentiva invece sempre più a disagio. «Yamada!» esclamò Nina, quasi urlò. «Tu sei il piccolo Yamada! Il fratellino di Kinji! Non ci credo! Sei davvero il micro-Yamada?! Fatti guardare» e gli afferrò il volto, per studiarlo in ogni angolo e in ogni pelo. «Piccolo Yamada! Eri appena nato quando io e tuo fratello suonavamo nella nostra band! Ecco perché non mi ricordavo di te, eppure gli somigli così tanto! Così tanto!»
«Suonavi con mio fratello?» mormorò Mic, completamente a disagio per quella radiografia che Nina gli stava facendo.
«Lui suonava il basso. Supertone! È questo il suo nome da eroe! Aveva un orecchio incredibile, riusciva a cogliere ciò che per tutti noi era impercettibile. Il basso era lo strumento perfetto per lui. Io cantavo! E poi c'erano Kamatari, Heikichi, Akane e Satsuki! Eravamo un gruppo stupendo, chissà dove sono adesso! Tuo fratello come sta?» e solo allora lo lasciò andare.
«Sta bene, è in pensione anticipata per un infortunio, ma sta bene».
«Infortunio? Certo che il vostro è davvero un lavoro pericoloso, forse fare la cantante a tempo perso non è poi tanto male» sospirò, poggiando una guancia pigramente su un pugno e il gomito al proprio ginocchio. «Anche se a tratti pericoloso anche quello, soprattutto quando cercando di penetrare in casa tua per il solo gusto di rubarti le mutandine» e Mic quasi non morì soffocando nel suo tè. Nina gli diede un paio di colpi potenti dietro la schiena, senza scomporsi oltre, e concluse «Ce n'è in giro di pervertiti. Chissà, magari l'unico lavoro sicuro e divertente di questo mondo è proprio l'insegnante».
«Divertente sicuramente» rispose Midnight, emozionata. «Quei ragazzini hanno un tale fuoco dentro che non puoi far a meno di...»
«Ricordarti quando la ragazzina infuocata e fuori controllo eri tu e ti viene voglia di accenderli ancora di più per cibarti di quelle infantili sensazioni che non abbraccerai più in altro modo se non attraverso lo scintillio dei loro occhi» concluse Nina per lei.
Midnight rimase per un attimo sconcertata, poi riuscì a balbettare un poco convinto: «Sì... io stavo per dire "strizzarli tutti", ma anche così può andar bene».
«La mia era più poetica» sorrise Nina, divertita dalla sua reazione. «Piuttosto, quei ragazzini della prima A mi spiegava il preside Nezu che hanno già avuto i loro problemi col mondo esterno».
«Una banda di criminali li ha presi in ostaggio durante un'esercitazione per attirare All Might, ma se la sono cavata davvero alla grande» rispose Nezu.
«Sono ragazzini in gamba, stamattina mi hanno dato molto a cui pensare» confessò Nina, afferrando la sua tazza ormai tiepida di tè e portandosela alle labbra. Quel Midoriya che era riuscito a spezzare i suoi fili era il primo della lista. Non riusciva a liberarsi di un pensiero, ma certo era qualcosa che avrebbe dovuto chiedere solo al diretto interessato. Se mai un giorno avesse voluto chiedere: in fondo, non era certo una faccenda che la riguardava. Non più, da almeno vent'anni.
«Ah, li hai già conosciuti, dunque! Cosa ne pensi di questa nuova generazione?» chiese Midnight, incuriosita.
«Mineta è un pervertito piagnucolone, senza un briciolo di spina dorsale, Ashido è tutto aspetto e poca azione, non sa fare principalmente niente, Midoriya perde troppo tempo a pensare e non ha la più pallida idea di come gestire il suo potere, mi chiedo cosa ce l'abbia a fare, a Bakugou andrebbe messa una museruola e un guinzaglio, l'unica forse vagamente decente è Asui, ma ha ancora tanto da imparare, è tanto inesperta e poco sveglia. Gli altri li conoscerò domani».
«Ah... insomma, hanno fatto colpo, direi» mormorò Midnight, imbarazzata.
«Li ha decimati tutti!!!» gridò Mic, colto da moto ilare tanto forte da scompigliare i capelli alla sua vicina di posto.
«Oh, ehy! Vacci piano, microfono umano. Sono vecchia, ma è ancora presto per l'apparecchio acustico» disse, portandosi una mano all'orecchio appena assordato.
«In questo somigli tanto ad Eraserhead, anche lui tende ad evidenziare i difetti dei propri studenti , ma poi sa anche scorgerne i lati positivi ed enfatizzarli. È stato così anche per te, giusto, Nina?» chiese Nezu, prima di aggiungere. «Ti ho vista particolarmente interessata al nostro Bakugou».
«Il biondino esplosivo» sorrise Nina, sistemandosi nuovamente con la spalle al divano. Gli occhi si fecero più sottili, mentre perdeva nella bevanda scura lo sguardo, ripensando probabilmente all'incontro di quella mattina. «È riuscito a catturare la mia attenzione, lo ammetto. È sveglio, brillante e soprattutto molto impulsivo e pieno di energia... ha le carte in regola per essere un perfetto villain».
Midnight si rabbuiò alla confessione, ma nessuno riuscì a proferire parola e  tutti i presenti restarono con il proprio sguardo puntato al pavimento. In fondo, come avrebbero potuto darle torto?
«Sai cosa differenzia un ottimo eroe da un ottimo cattivo?» aggiunse Nina come se stesse recitando un mantra. «I battiti del cuore. Solo i battiti del cuore».
Bevve parte del suo tè in un unico sorso, lasciandone nella tazza più di metà, e lo posò sul tavolino un istante prima di alzarsi. «Farò il possibile, nel poco tempo concessomi, per entrare in contatto anche con quel muscolo e vedere cosa riesco ad aggiustare» disse, facendo un occhiolino. «Ora perdonatemi, ma credo che tornerò al mio albergo per farmi un lungo pisolino. Questi fusi orari possono uccidere una persona» disse, lasciandosi andare ad uno sbadiglio.
«Magari torno in serata per un altro tè, è bello stare in vostra compagnia, professori. Sì, credo che una volta che riuscirò ad andare in pensione diventerò una professoressa. Perché non ci ho pensato prima?» concluse un istante prima di chiudere la porta alle sue spalle. Tirò un profondo sospiro, respirando a pieni polmoni quell'aria intrisa di gessetto e odore di legno. Infine, a testa bassa, si incamminò.


If someone said three years from now
You'd be long gone
I'd stand up and punch them out
'Cause they're all wrong
I know better
'Cause you said forever
And ever
Who knew

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Capitolo 4
*** Hello, Adele ***


"Hello”, Adele





Un paio di occhiali scuri e un cappellino da baseball, ed era incredibile come nessun passante le avesse più rivolto lo sguardo, come se fosse diventata invisibile. I giapponesi erano famosi per la loro discrezione, poi bastava confondere un po' le idee, nascondendo appena gli occhi, che ogni tentativo di assalimento per autografi o foto finiva per scemare del tutto. Questo le permise di camminare per strada senza troppi ostacoli, assaporando l'odore di casa e di famiglia. Ripercorse la strada fatta migliaia di volte, i vecchi tempi della sua giovinezza, e trovò il negozio in cui lei, Yamada e Kamatari compravano Taiyaki, i dolcetti a forma di pesce con ripieno dolce. Era tappa fissa, prima di riuscire a raggiungere la fermata del treno, il pomeriggio dopo la scuola. Non c'era fine della scuola senza Taiyaki. Stranamente era ancora aperto, dopo così tanti anni. Entrò, spingendo delicatamente la porta che fece risuonare dei campanellini appesi sopra la sua testa.
«Buongiorno» salutò, guardandosi attorno.
«Oh, buongiorno!» rispose una femminile voce squillante, uscendo da una delle corsie. Una giovane ragazza, forse più giovane di lei. Come immaginava, aveva cambiato gestione e il signor Kuroda non c'era più. «Come posso esserle utile?» chiese diligentemente la ragazza. Meno male Kuroda sembrava aver lasciato il negozio in buone mani.
«Volevo un paio di Taiyaki da portare via», chiese cominciando a cercare il portafoglio nella sua borsa.
«Arrivano subito» e detto fatto, presto Nina si trovò con i suoi ambiti Taiyaki tra le mani.
«Grazie, buonagiornata» aveva cambiato nazione, ma non aveva dimenticato le buone maniere che le avevano insegnato tanto diligentemente.
«Buona giornata anche a lei!» e la porta si richiuse alle sue spalle. Tenne stretto al petto il sacchetto, infilò una mano al suo interno e ne estrasse il primo dolcetto. Il sapore era delizioso, proprio come se lo ricordava, colmo di dolcezza e una punta di nostalgia. Quante scorpacciate si era fatta, quando era ragazza. Seduta per terra, sul ciglio della strada, in qualche parco, sul tetto della scuola... ovunque era perfetto per mangiare i Taiyaki. Chissà che fine avevano fatto i suoi vecchi amici, voleva davvero rivederli. Ma dopo che era letteralmente scappata via dal giappone, senza lasciare loro nient’altro se non un messaggio in segreteria... l'avrebbero accolta a braccia aperte? Si sarebbero ricordati di lei? Akane e Satsuki sicuramente erano state quelle che l'avevano odiata di più: le aveva abbandonate. Si erano ripromesse di cantare per sempre insieme, diventare famose insieme, salvare il mondo insieme... e invece lei era fuggita, lasciandosi alle spalle solo una scia di telefonate ed sms.
Già... quel giorno che era scappata.
«Presto, corri, c'è All Might!» disse un bambino, correndo al suo fianco, seguito dal suo amico. «Da questa parte, sbrigati!» e girò a destra all'incrocio a nemmeno cento metri da lei.
"All Might" pensò, sentendo improvvisamente la gola chiudersi. C'era All Might. Era lì, dietro quell'incrocio. Ci si avvicinò, stringendo tra le dita la coda del suo pesce dolce quasi terminato. Dapprima delicatamente, con passo normale, quasi disinteressato, ma poi la mente cominciò a bombardarla e senza rendersene conto si trovò a correre nella sua direzione, lasciandosi cadere di mano il dolce.
«Toshi...» chiamò nell'istante in cui svoltò nella stessa via dei bambini. Ma niente. La strada era completamente deserta e sgombra, se non per le auto accalcate nel traffico, un passeggino dall'altro lato e i due bambini entusiasti schiacciati contro una vetrina a guardare lo schermo di alcuni televisori che trasmettevano una vecchia puntata del tg.
Si rilassò, sentendosi una stupida. Anche se fosse stato veramente lì, certo non gli sarebbe corsa incontro a braccia aperte. Non dopo quella volta, non dopo così tanti anni. E allora che senso aveva avuto correre nella speranza di vederlo, chiamando il suo nome? Perché continuava a cercarlo?
Si voltò a guardare la coda del suo dolcetto smarrita per strada e rubata appena in tempo da un gatto randagio. Lo lasciò correre via trionfante col suo premio, tanto lei aveva il secondo su cui tuffarsi. Se lo portò alle labbra e masticando raggiunse i due bambini, mettendosi alle loro spalle. Stava venendo trasmessa l'eroica azione di All Might che aveva sventato una rapina pochi giorni prima, una replica sicuramente, non troppo vecchia. Lo guardò, mentre usciva dal polverone del portone crollato con un mucchio di sopravvissuti sulla spalla sinistra, un altro mucchio sulla testa e una bambina terrorizzata avvinghiata al suo polpaccio.
«E tutto ok, sapete perché?» recitò la televisione. «Perché adesso ci sono io!»
Un sorriso timido, divertito, delicato, nacque sull'angolo destro delle labbra di Nina.
«All Right» mormorò divertita.


«Machiko!» la ragazza, sentendosi chiamare, distolse lo sguardo dal libro che stava leggendo. Aveva trovato un posto perfetto, sotto un albero, in riva al fiume, lontano da tutto e da tutti. In pace col mondo, col rumore del ruscello in sottofondo, era un ottimo posto dove lasciarsi andare alla lettura o allo studio, cullata dalle note della natura. Le piaceva starsene sola, l'aveva sempre ribadito, e nessuno osava andare a disturbarla quando si trovava lì. Nessuno tranne chi sapeva comprarsi il suo benestare: «Ho comprato i Taiyaki! Ne vuoi un po'?» urlò Toshinori, raggiungendola.
«Che gusto?» chiese la ragazza dubbiosa, mettendolo alla prova.
«Tutti i gusti!» esclamò lui entusiasta del fatto che comunque sarebbe andata, non avrebbe potuto sbagliare.
«Consenso accordato! Siediti pure!» si esaltò lei e lasciò al suo fianco il libro, lanciandosi in avanti per afferrare la busta di carta che Toshinori aveva tra le mani. Ne estrasse il primo dei dolcetti e se lo portò alle labbra, tirandone un morso vorace: «Cioccolato!» si esaltò, sentendo le papille gustative andare in fibrillazione.
«Ehy, non vorrai mica mangiarteli tutti!» lamentò Toshinori, sedendosi definitivamente a fianco dell'amica. In tutta risposta, Machiko tirò indietro la busta e lo fulmino con lo sguardo.
«Eddai, non essere egoista! Li ho comprati io, dammene almeno uno!» disse allungandosi per afferrare la busta.
«Se qui vuoi restare, tutti i Taiyaki mi devi lasciare! E' un proverbio giapponese!» disse lei, cercando di allontanare la busta dalle mani di Toshinori, che intanto si stava schiacciando contro di lei sempre più per riuscire ad arrivare all'ambito premio.
«Non essere bugiarda! Non esiste niente del genere!»
«Sì, ti dico!»
«Bugiarda! Bugiardissima!» e ringhiando sempre più furibondo finì col perdere l'equilibrio e cadere in avanti, tirandosi dietro anche Machiko. Entrambi finirono a terra, uno sull'altro, e i Taiyaki scivolarono dal sacchetto, rotolando lungo la sponda fin dentro al fiume. I due ragazzi si sollevarono e li osservarono nuotare via, come pesci veri, trascinati dalla corrente. Qualche secondo per realizzare e infine Machiko cominciò a piagnucolare: «Gli hai fatti cadere tutti, cattivo!»
«M-mi dispiace!» si impanicò Toshinori, vedendola così triste per aver perso la merenda nel fiume.
«Ti odio» piagnucolò ancora lei, come una bimba capricciosa, portandosi tra i denti quell'ultimo boccone di Taiyaki rimastole in mano. E questo fu il colpo di grazia per Toshinori, che rimase paralizzato dalla confessione. Morto dentro, ne rimaneva solo un involucro vuoto che era il suo corpo, e fissò l'amica a lungo, senza riuscire a destarsi da quell'oblio in cui era caduto.
«Te li ricompro più tardi» provò a mormorare con un filo di voce, ultimo attacco alla vita.
«Grazie, Toshi-chan!» si illuminò Machiko, unendo le mani davanti al viso e sorridendo allegramente. Nel vederla di nuovo rasserenata anche Toshinori riuscì a tornare in sè e tranquillizzarsi: Machiko a volte era proprio come una bambina, semplice e pura, con qualche capriccio, forse un po' impulsiva e violenta, ma sempre con innocenza. In un certo senso... era adorabile.
«Certo che, vista la tua velocità, avresti anche potuto tuffarti prima che cadessero e salvarli»osservò Machiko, tornando a sedersi al suo fianco e osservando il fiume che correva via.
«Ma ormai avevano toccato terra, non mi dirai che te li saresti mangiati lo stesso!» chiese sconvolto Toshinori.
«Chissà...» ammise lei, distogliendo lo sguardo imbarazzata per la confessione poco da signorina per bene.
«Cosa sei? Un animale?» le chiese lui, sempre più sconvolto.
«Uffa però» sbuffò lei, rannicchiandosi nelle sue stesse ginocchia. Non aveva ancora azzannato quelli con i fagioli azuka, i suoi preferiti, anche se Toshinori aveva promesso di ricomprarglieli comunque la cosa la riempiva di tristezza.
«Eddai, ti ho detto che mi dispiace, no?» provò a insistere lui.
«Sei l'eroe pasticcione. Sì, così dovrebbero chiamarti: Pasticcio-man!»
«Pasticcio-man sembra più qualcosa che si mangia» osservò lui divertito, poi si illuminò, ricordandosi di una cosa: «Domani ci faranno scegliere i nostri nomi da super-eroe! Tu hai già pensato al tuo?»
«Non saprei... magari qualcosa come Filo-girl».
«Filo-girl fa schifo» ammise lui senza troppi rigiri.
«E il tuo scommetto che invece è stupendo, non è vero, mister "ho il nome più figo del tuo"?» si irritò lei.
«Non ho mai detto questo! A dire il vero...» e si rabbuiò appena, prima di confessare: «Non saprei proprio che nome scegliere. Sono completamente senza idee. Vorrei qualcosa di grandioso, di unico, che sia semplice da ricordare e confortante da pronunciare. Insomma! Voglio diventare il simbolo della pace e voglio che il mio nome mi rispecchi, che dica al posto mio "Ehy! Stai tranquillo! Ci sono qua io, va tutto bene!"»
«Everything is all right» mormorò Machiko, pensierosa.
«Come hai detto?» strabuzzò gli occhi Toshinori.
«All right, va tutto bene. Sei sveglio durante le lezioni di inglese o fai solo finta di essere il primo della classe?»
«All Might!!!» saltò in piedi Toshinori, con gli occhi talmente colmi di felicità che per poco non gli uscivano dalle orbite.
«Non ho detto All Might, è all right!»
«Suona benissimo! All Might! Va tutto bene!»
«Ho detto all right!» insistè Machiko, sempre più furiosa per l'ottusità del ragazzo che neanche sembrava più ascoltarla.
«Non aver paura, giovane ragazzo! Perché adesso ci sono io!» recitò Toshinori, allargando le gambe, piazzandosi i pugni ai fianchi e gonfiando il petto. «E' tutto All Might!»
«E' all right, stupido! Smettila di dire All Might!» ringhiò Machiko. «Prova a dirlo così e nessuno ti prenderà più sul serio!»
«E' perfetto! Assolutamente perfetto! Grazie Macchan! Oh! Ho trovato il nome adatto a te!»
«Sei irrecuperabile» piagnucolò Machiko, rinunciando all'idea di placare la sua euforia. Quando Toshinori si eccitava per qualcosa era impossibile tenerlo al guinzaglio, diventava una trottola impazzita che sprizzava gioia a ogni giro.
«Nina!»
«Che razza di nome sarebbe Nina?» ringhiò lei per niente convinta.
«E' la donna più figa di tutto Tekken!» si entusiasmò lui.
«Non prenderò il nome di uno stupido personaggio di uno stupido videogioco! Stupido!»
«Lei non è stupida, ti dico che è la migliore! E' la mia preferita!»
«Mi prendi in giro? Sei un idiota! Ecco cosa sei!» ormai Machiko si era ritrovata ad urlare, completamente fuori di sè. Quel ragazzo la faceva uscire dai gangheri, era incredibile quanto fosse stupido.
«All Might!» bisbigliò invece lui, alzando il mento, tornando ad assaporare il suo nuovo nome da supereroe. Gli piaceva da impazzire.
«Vieni! Ti compro i Taiyaki!» disse senza aspettare che lei lo insultasse ancora e chinandosi in avanti l'afferrò per mano, prima di trascinarsela via, correndo verso il negozio.
«Aspetta, il mio libro!» provò a balbettare lei, allungando la mano libera nel vuoto. Ma fu tutto inutile e il libro rimase per sempre su quella riva, abbandonato. Machiko, a dirla tutta, non riuscì nemmeno a insistere troppo, ma la sua attenzione fu catturata dalla mano di Toshinori che nonostante la sua grande forza la stringeva con tale delicatezza. Era così calda e rassicurante.
Le guance si scaldarono appena e fu colta da una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
"Nina".


«Aiuto! Aiuto, la mia borsa!» gridò una voce femminile, roca, sicuramente anziana. Nina distolse lo sguardo dalle televisioni, dove avevano mandato in onda un secondo servizio, sempre dedicato ad All Might. Si voltò verso la fonte del baccano e la vide: una signora anziana a terra, che si rialzava con fatica, e un ragazzino di neanche vent'anni, coperto fin sopra il naso, che scappava con una borsa in mano.
«Ce n'è di gente maleducata, al mondo» sospirò Nina prima di sollevare una mano appena sopra il suo sacchetto, con discrezione. Le mani del burattinaio cominciarono a muoversi e tendere i suoi fili invisibili. Dall'altro lato della strada il criminale si bloccò improvvisamente, poi si voltò e tornò indietro sui suoi passi.
«Ma che... cosa mi succede?» lo sentì domandare confuso e colto da un moto di panico. Arrivò nuovamente di fronte all'anziana signora, che ora lo guardava altrettanto sconvolta, sorpresa del suo cambio di idea, tanto che non riuscì neanche a chiedere nuovamente aiuto.
«E adesso chiedi scusa e restituisci tutto alla legittima proprietaria» mormorò Nina tra sè e sè, prima di costringerlo a inchinarsi e allungare le mani in direzioni della donna, restituendole la borsa rubata.
«Oh, grazie giovanotto» disse lei soddisfatta, riprendendo la sua proprietà.
«Non c'è di che» balbettò lui, terrorizzato all'idea che la cosa che lo stava obbligando a fare ciò avesse potuto ritorcersi contro se non fosse stato gentile. E poi certo non avrebbe potuto ammettere che in realtà non erano quelle le sue intenzioni o, bloccato in quella posizione di svantaggio, avrebbe subito l'ira dei passanti senza potersi difendere.
«E non abbandonare più la retta via» disse la signora, prima di allontanarsi con la sua borsa ben salda tra le mani.
Nina rise tra sé e sé, divertita dalla scena, e attese che la signora fosse abbastanza distante da poter essere considerata al sicuro prima di lasciar andare il criminale e permettergli di rialzarsi da quell'imbarazzante posizione china. Il ragazzo si guardò attorno, confuso e spaventato, poi urlando terrorizzato scappò via e questo fece ridere la donna ancora di più. Giustizia era stata fatta. Si voltò, per tornare sui suoi passi, ma quasi non andò a sbattere contro uno degli eroi di pattuglia della zona. Ben fasciato nel suo costume, la guardava contrariato, anche se il viso parzialmente nascosto da un casco con visiera era facile cogliere la linea curva verso il basso delle sue labbra. Anche il suo corpo comunicava l'intenzione di una bella strigliata, gonfio nel petto, dritto davanti a lei e le braccia incrociate.
«Buongiorno! Bella giornata, vero?» chiese lei, naturale, e passò oltre. Magari l'aveva riconosciuta e sapeva del suo potere, magari poteva sospettare che ci fosse stata lei dietro la scena del criminale redimo, ma chi poteva confermarglielo? Nessuno vedeva i suoi fili.
«Torni a Tokyo per qualche giorno e non ti prendi la briga nemmeno di venire a salutare i tuoi amici?» l'ammonì l'uomo e questo la costrinse a bloccarsi. «L'america ti ha cambiata davvero molto!»
Nina affinò lo sguardo, cercando di cogliere i lineamenti del viso oltre la visiera scura, ma il cuore aveva già preso a battere forte da prima, nell'istante in cui aveva sentito quella voce. Una voce invecchiata di vent'anni, ma non per questo cambiata molto.
Nessuno poteva vedere i suoi fili... nessuno con una vista umana normale. La cosa non riguardava invece chi aveva una visione dello spettro visivo molto più ampio e potenziato.
«Heikichi?» chiese, incredula, e l'uomo in tutta risposta sorrise divertito.
«Spectrum!» quasi gridò, ormai convinta e colta da una gioia incredibile. «Sei davvero tu? Ma quanto ti sei fatto grosso!»
«Ho fatto un po' di palestra» disse lui, alzando le braccia e gonfiando i bicipiti. «Si nota tanto, dici?» chiese con una punta di vanità.
«Non ci posso credere! Heikichi!» disse ancora Nina, non riuscendo più a contenersi e andando ad abbracciare il suo vecchio amico. «Vedo che hai anche imparato a parlare» ridacchiò, canzonatoria. Ricordava che ai tempi del liceo era dura riuscire a fargli spiccicare parola, era sempre così cupo e silenzioso.
«Beh, sì... con questo lavoro impari ad ammorbidirti un po'» e neanche il tempo di dirlo che un gruppo di ragazzine passarono al loro fianco, bisbigliando tra loro emozionate: «Guarda... è Spectrum!»
Heikichi si voltò a guardarle e rivolgendo loro un sorriso sincero, alzò la mano e le salutò cordialmente. Le ragazzine ridacchiarono tra loro emozionate e rosse in volta si allontanarono rapidamente.
«Guarda guarda, Don Giovanni, che bel giro di fan che ti sei fatto» ridacchiò lei, sgomitandogli sul fianco.
«Oh, eddai... così mi fai passare per pervertito» ridacchiò lui, rosso in volto.
«E' bella la fama, eh?» insisté lei. «Dai, ammetti... ogni tanto te ne approfitti, eh?»
«Non essere sciocca! Sono un uomo sposato, io!» confessò lui con orgoglio, sottolineando come questo fatto gli impedisse di commettere atti disdicevoli.
«Che cosa?» strillò lei, sconvolta. «E con chi?»
«Oh, non so se la conosci...» disse con aria palesemente falsa. «Le piace farsi chiamare TechnoGirl.»
«Satsuki!!!» strillò ancora più forte Nina. «Ti sei accalappiato Satsuki?»
«Parla piano, così mi farai passare per uno squilibrato che sequestra le persone!»
«Ma... ma quando è successo? Voi due non avevate chissà quale feeling al tempo!»
«Vieni, camminiamo. Devo finire il mio giro di pattuglia» disse lui, incamminandosi, per poi cominciare a raccontare. «E' successo quando te ne sei andata. Non sei voluta venire a trovare nessuno di noi, ci hai solo mandato sms o lasciato messaggi in segreteria, raccontando l'accaduto, le tue motivazioni e chiedendo scusa. Non capisco perché non hai voluto conoscere ciò che pensavamo della faccenda».
«Tanto me l'avete fatto sapere lo stesso, mi avete bombardato di telefonate per almeno un mese».
«E tu non hai risposto a nessuna di queste» disse sospirando. «Nina, cosa ti era passato per la testa?»
«Mi dispiace, io...»
«No! Non sto parlando di quella faccenda con Toshinori, sto parlando di noi! Siamo sempre stati i tuoi migliori amici, hai davvero pensato che ti avremmo potuto biasimare? Nessuno di noi te ne ha mai fatto una colpa, te lo assicuro».
«Lo dici solo per rassicurarmi» mormorò lei, poco convinta.
«Non essere stupida! Senti... ricordi quando partecipasti a quel programma televisivo? I primi tempi, quando cercavi di farti un nome».
«Quello sulla gara di canto, sì, certo... è stata la mia iniziazione nella televisione, dopo mesi passati a cantare solo nei bar di ubriaconi».
«Esatto, erano passati mesi. Tu ci avevi piantato in asso, eri fuggita, non rispondevi a nessuna delle nostre chiamate, nè sms. Eri sparita. Ma quando abbiamo saputo della tua comparsa in televisione lo sai cosa abbiamo fatto?»
«Bevuto birra alla mia salute?» ironizzò lei.
«Anche! Ma l'abbiamo fatto tutti insieme davanti alla tv, tirando popcorn contro i tuoi avversari. Kamatari era diventato una vera e propria mitragliatrice tutte le volte che vedeva quella biondina... come si chiamava?» chiese ridendo al ricordo.
«Susy, credo» rise Nina. «Non ricordo bene neanche io, è passato così tanto tempo». Seguì un momento di silenzio, in cui entrambi si videro davanti agli occhi quella meravigliosa scena di Kamatari, con la sua ipervelocità, che lanciava popcorn contro la televisione. Ed entrambi scoppiarono a ridere.
«Comunque questo che c'entra con te e Satsuki?» chiese poi Nina.
«Oh, già!» si ricordò lui. «Beh, nessuno ti ha biasimato ma non posso negare che comunque sapere che eri fuggita in quel modo ci ha fatto male. Satsuki è stata quella che ne è uscita più distrutta di tutte, ti era molto affezionata. Comunque non so bene il motivo, forse ero l'ultima della rubrica e unico a non avere il telefono occupato ed essere riuscito a risponderle... ma mi telefonò. Aveva bisogno di conforto, di parlare, e da allora...»
«Te la sei fatta» concluse Nina in modo secco e diretto, lasciando Heikichi letteralmente paralizzato. Il viso rosso per l'imbarazzo, le parole che non uscivano più dalla sua gola e le gambe che sembravano non essere più in grado di svolgere la loro funzione. Si era dimenticato quanto potesse essere rude Nina, ormai non era più abituato ai suoi modi al limite della mascolinità. Forse proprio per questo andava tanto d'accordo con Kamatari e Yamada.
«Beh... ecco... non proprio... cioè non subito... ma...» balbettò confuso.
«E bravo, Heikichi!» rise lei, alzando il pollice in segno di vittoria.
«Doveva essere una storia più romantica» bofonchiò lui e Nina in tutta risposta scoppiò a ridere, divertita. Una risata cristallina, genuina, pura come quella di una ragazzina. Esattamente come se la ricordava.


Hello, can you hear me?
I’m in California dreaming about who we used to be
When we were younger and free
I’ve forgotten how it felt
before the world fell at our feet
There’s such a difference between us
And a million miles





NDA.

Quanti di voi si sono chiesti perché Machiko avesse scelto Nina come nome d'arte? Avanti, alzate le mani xD ecco la risposta! Non sono riuscita a farci incastrare la scena del giorno dopo, quando a scuola hanno dovuto annunciare il proprio nome, ma nella mia testa era una cosa tipo: lei imbarazzatissima che alla fine vinta alza la lavagnetta, facendo leggere all'intera classe il nome Nina. Il silenzio di tomba, nessuno che capisce, tranne Toshinori che si alza e col suo euforico entusiasmo ride e applaude. Machiko lo afferra con i suoi fili, lo costringe a tirarsi un pugno da solo e finisce nuovamente in punizione per l'atto violento xD fine scena post crediti ahahahah
Comunque... lui continua ad evitarla, e lei continua a guardarsi attorno nella speranza di vederlo. Ancora una volta la canzone scelta ha significato nella sua interezza, non solo nella frase che ho riportato, perciò se avrete voglia di andarvi a leggere il testo potreste coglierne qualche sfumatura in più che qui non risalta :)
Eeeeeed entra in scena Heikichi! Chi è Heikichi? Andatevi a ripassare il primo capitolo u.u
Per fare prima: è il vecchio batterista della sua piccola band di quartiere, insieme a Yamada, Satsuki, Akane e Kamatari. Una piccola reunion <3 ahahaha eee qui si accenna alla "fuga di quel giorno", in cui è andata via e non ha fatto altro che lasciarsi dietro una scia di messaggi. Non dimenticatevene, tornerà spesso a tormertarci xD cosa sarà successo "quel giorno"? E perché la nostra Adele canta per lei "Hello from the outside at least i can say that i've tried to tell you i' sorry for breaking your heart"?
Nel prossimo capitolo tornano protagonisti i ragazzini!
Grazie per aver letto fin qua e grazie a EngelDreamer per aver recensito il capitolo scorso! Scusami se non non sono riuscita a risponderti personalmente >.< prometto di farlo presto <3
Bye


Ray

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Capitolo 5
*** I lived, One Republic ***


I lived”, One republic




Nina entrò nella sua stanza d'albergo e si richiuse la porta alle spalle. Sbadigliando accese la luce e si avvicinò al letto, ormai esausta. Riuscire a superare la folla di giornalisti di fronte all'hotel era stato quasi più difficile che sopravvivere agli abbracci stritolatori di Satsuki quando l'aveva vista entrare in casa insieme a Heikichi. L'uomo l'aveva invitata a cena senza far sapere niente alla moglie, per riservarle la sorpresa di vedersela entrare dopo vent'anni di silenzio e distanza. Nina aveva temuto in una scarica di proiettili e colpi di karate per fargliela pagare, invece aveva dovuto subire solo tanto affetto represso quasi soffocatore. Era stata tanto dolce, a dire il vero, vederla tanto felice da scoppiare a piangere come una ragazzina. Era stata davvero una bella serata che aveva concluso in bellezza il suo secondo giorno di vacanza a Tokyo. Due giorni che era tornata in città, un'intera mattinata passata alla Yuuei eppure non era riuscita a incrociare Toshinori neanche una volta, se non per un suo stivale che volava via dalla finestra. Sarebbe rimasta lì per due settimane, prima o poi il confronto ci sarebbe stato, ma quell'attesa la straziava. Era come avere una vespa fastidiosa che le ronzava attorno... sapeva che prima o poi l'avrebbe punta, ma il non sapere quando e come le faceva venire il mal di stomaco.
Prese il cellulare dalla borsa e decise che era tempo di dar spazio alla voce della sua segreteria in cui, sicuramente, Drew aveva lasciato decine di messaggi durante la giornata. Aveva fatto bene a tenerlo spento fino ad allora, almeno si era potuta godere le sue passeggiate tra i ricordi e la cena a casa di Satsuki e Heikichi.
Lo accese e fece partire i messaggi di segreteria.
«Ci sono ventidue messaggi» recitò la voce elettronica.
«Oh, per favore!» piagnucolò lei... le cose erano anche peggiori di quello che si era aspettata.
«Primo messaggio» continuò la voce elettronica e dopo il classico "bip" di rito la voce di Drew echeggiò nella stanza di Nina: «Nina! Come vanno le tue vacanze? Sei arrivata? Tutto a posto? Non capisco perché non mi hai fatto sapere a che ora e che giorno avevi il volo! Sarei potuto venire a salutarti!»
«No, tu saresti venuto con me e sarebbe stato molto peggio» commentò Nina.
«Secondo messaggio» continuò imperterrita la voce elettronica: «Nina, ora che ci penso!» e di nuovo era Drew. «Non mi hai neanche detto in quale hotel alloggerai! Come posso contattarti se non mi fai sapere dove sei? Se ci fosse qualche emergenza? Ricordati che ormai sei adulta, certi comportamenti capricciosi non sono consoni a una donna della tua età!»
«Una donna della mia età?» storse il naso e dovette trattenersi dal lanciare il telefono dritto contro il muro. «Continua a parlare, io vado a fare pipì!»
«Terzo messaggio» ancora la voce elettronica e ancora la voce di Drew: «Nina! Ho visto i notiziari! Sei stata un'incosciente a farti vedere così in pubblico, non hai guardie del corpo al tuo fianco! Ora sanno tutti dove sei, sei in pericolo! Dimmi il nome dell'hotel, ti mando un paio di uomini fidati!»
Nina lo ignorò e andò in bagno, lasciando il cellulare sul comodino a parlare da solo, anche se purtroppo il volume era abbastanza alto da poterlo sentire ancora.
«Nina! Il notiziario ha detto che andrai qualche giorno alla Yuuei per un corso speciale! Cosa credevi di fare? Ne avevamo già parlato, mi avevi promesso che non saresti andata! Devi riposare, non caricarti di altro lavoro!»
«Nina! Ho parlato col produttore! Richiamami, ho ottime notizie!»
«Nina! Si può sapere quando ti deciderai ad accendere questo telefono? So bene che sei arrivata, avresti potuto almeno farmi sapere che stavi bene! Hai idea di quanto io mi preoccupi per te!»
«Nina! Ti avverto, questo comportamento da ragazzina capricciosa non mi piace affatto!»
«Nina! Mi hanno chiamato da tv otto! Andrai in onda non appena torni dalle tue ferie per un'intervista! Grandioso!»
«Nina! Sono molto preoccupato, perché non ti fai sentire? Stai bene, vero? Ricordati che la tua salute è la cosa più importante, ti prego promettimi che ti riposerai e non andrai in giro per la città a fare l'eroina».
«Nina! Ho ottime notizie! Forse riesco a liberarmi dal lavoro per la settimana prossima e riesco a raggiungerti! Così potrò assicurarmi personalmente che non farai sforzi e che stai bene!»
«Nina! Sono arrivate un sacco di lettere per te! Non sei felice? Non voglio far aspettare tutte queste persone perciò, non sapendo dove cercarti, ho deciso che spedirò tutto alla Yuuei! Troverai lì tutto quanto nei prossimi giorni, mi raccomando non dimenticarti delle persone che ti vogliono bene!»
«Nina! Hanno detto alla tv che hanno scoperto dove alloggi! Fantastico! Ti mando subito due uomini per proteggerti!»
«Per favore, Nina, puoi farmi sapere se stai bene? Non chiedo altro, sul serio!»
«...» il silenzio. Il bip era partito, la voce metallica aveva annunciato il nuovo messaggio, ma c'era solo silenzio. Nina guardò curiosa il telefono, chiedendosi se non avesse lui stesso deciso di porre fine alle sofferenze di Drew facendolo tacere a metà segreteria. Si affacciò a guardarlo. I minuti scorrevano, il messaggio stava effettivamente andando avanti.
«Drew il tuo telefono mi ha chiamata per sbaglio, hai impostato il mio numero per la chiamata rapida? Che scocciatura» e allungò una mano pronta a interrompere e mandare avanti al messaggio successivo manualmente. Nel sottofondo si sentì un bussare alla porta e improvvisamente la voce del preside Nezu: «All Might».
Il dito di Nina si bloccò, proprio come il suo respiro, e il cuore prese a battere in petto così forte da farle male. Il rumore di un tonfo, qualcosa che cadeva a terra, forse lo stesso cellulare.
«Sei in ritardo, lo sai? Gli alunni aspettano, hai la prima ora. Te lo sei dimenticato?» insistè il preside.
«Oh... già. Perdonami, preside. Corro sub...» e la chiamata si interruppe lì.
«Sedicesimo messaggio» insistè la voce elettronica, inconsapevole di quanto era appena successo. Di nuovo la voce di Drew, di nuovo lamentele e di nuovo "fantastiche notizie" che tanto fantastiche non lo erano mai. Nina lo interruppe a metà del diciassettesimo messaggio, ormai stufa. Tanto ormai aveva smesso di ascoltare. Lanciò il cellulare sul letto e tornò in bagno. Aprì l'acqua calda della vasca da bagno, rovesciò all'interno un po' di bagnoschiuma e cominciò a spogliarsi. Richiuse il rubinetto quando ormai la vasca era piena e si immerse all'interno, socchiudendo gli occhi, abbandonandosi a quel torpore.
«Sei sempre stato un tale imbranato con la tecnologia» mormorò tra sè e sè. «Non ti sei neanche accorto che era partita la segreteria».
Ormai completamente in balia delle sensazioni piacevoli e rilassanti che l'acqua calda stava avendo su di lei, quasi si addormentò, e nel torpore aggiunse un divertito: «Stupido Pasticcio-man».


All Might corse sorridente lungo i corridoi della Yuuei. Un altro giorno era cominciato, ma prima di entrare in classe aveva bisogno di riposarsi un po' in sala professori, lontano da occhi indiscreti, e tornare per un po' alla sua forma indebolita. Andava sempre peggio, riuscire a mantenere quella forma era sempre più difficile e se ogni tanto non faceva delle pause rischiava il collasso. Sentì la voce del preside all'interno, probabilmente come al solito impegnato a bere una tazza di tè, e fece il suo ingresso spalancando la porta e annunciandosi con un: «Eccomi qua!»
All'interno il preside era seduto su uno dei divani, intento a bere, esattamente come aveva previsto. Ciò che non aveva previsto era che di fronte a lui, che faceva altrettanto c'era anche Nina.
«E vado già via, i miei studenti aspettano!» disse a gran voce, dandosela a gambe e lasciandosi ancora una volta una folata di vento alle spalle. Nina e Nezu rimasero per qualche istante impietriti, a fissare la porta ancora spalancata e ora vuota. L'incontro era stato talmente rapido e strano che Nina non aveva neanche avuto il tempo di farsi prendere dal panico.
«Ormai credo che sia inutile continuare a fingere» disse Nezu, non trovando nessun modo per giustificare il comportamento dell'uomo.
«Lo sta palesemente facendo apposta» osservò Nina, ormai convinta del fatto che non ci fosse stato nessun impegno e nessun caso a impedir loro di incontrarsi, ma semplicemente Toshinori se la faceva sotto.
«Credo voglia evitarti» confessò Nezu. «Allora, cosa mi dicevi?»
«Sì, dicevo che questa mattina passando di fronte alla Galleria ho visto che per qualche giorno ci sarà una mostra di storia naturale. Ho pensato che la cosa ben si collegasse al mio corso sulla gestione dei limiti, visto che niente di meglio che la natura ci ha dimostrato per anni cosa voglia dire andare oltre ai propri limiti, adattarsi alle situazioni, agli ambienti ed evolversi per sopravvivere. Può essere un ottimo stimolo, secondo me, per quei ragazzi per capire il senso delle mie lezioni... e poi fare le gite è sempre bello e divertente, sono sicura apprezzeranno. E dopo la mostra li porterò a prendere un gelato!»
«Ti sei già affezionata a loro, o sbaglio? Eppure li hai visto solo una volta».
«Penso solo che quando ero giovane amavo le gite della scuola, erano divertenti, ed era bello poter uscire da queste mura ogni tanto. Mi hai poi confessato che hanno avuto una brutta esperienza e dopo allora non hanno fatto altro che rimuginarci, stando chiusi qui a dentro a riflettere e studiare il modo di rendersi migliori. Insomma, Nezu, sono ragazzi! Ogni tanto c'è bisogno di staccare la spina e vivere una vita normale».
«Stai ancora parlando di loro?» chiese il preside prima di sorseggiare un altro sorso del suo tè.
Nina rimase pensierosa qualche istante, poi sbuffò ed ammise: «E va bene, lo ammetto, lo faccio anche per me. Sono anni che non faccio cose normali come andare ad una mostra o prendermi un gelato al bar e questo posto... ecco, mi fa venir voglia di essere normale» ammise infine con un po' di imbarazzo.
«Il limite di un supereroe è che non può essere sempre e solo un supereroe. Siamo prima di tutto esseri umani, non è così?» chiese Nezu, sorridendo divertito e orgoglioso di aver trovato un significato da collegare a quella confessione di Nina con il motivo per cui lei era lì.
«Non tutti però pare abbiano questo limite» mormorò Nina, sorprendendo il preside. Alzò lo sguardo sulla ragazza e la vide assorta, a fissare la porta rimasta ancora aperta. Ne capì il significato, collegandolo facilmente a Toshinori e alla loro storia, e intuì che la cosa migliore da fare era tornare con la conversazione sui binari precedenti.
«Come hai ricordato tu, Nina, ci sono stati problemi l'ultima volta che abbiamo portato fuori i ragazzi. Nonostante le misure di sicurezza, hanno comunque rischiato la vita e questo ha sollevato un gran polverone nell'opinione pubblica. Per quanto sia combattuto, perché dimostrare che non abbiamo risentito di questo attacco tanto da portare i ragazzi in gita sarebbe un bel modo per ristabilire la pace, dall'altra non sono sicuro di poter correre il rischio che tutto ciò possa nuovamente accadere. Senza contare che per una gita ci vuole preavviso e soprattutto il consenso dei genitori, che non credo firmeranno in molti visto quanto questa ferita sia fresca. La tua è una bella idea e motivazioni nobili, degni della ragazza solare che ricordo correva per questi corridoi, non mi pento della scelta di averti fatto venire qui da noi per qualche tempo. Ma temo di non poter acconsentire alla tua richiesta».
«I ragazzi saranno in giro in gruppo nelle ore non scolastiche, insieme a una qualsiasi donna che non risulta nella lista dei professori, anche se verrà ufficializzata come gita non credo che la banda dei supercattivi possa cogliere l'occasione per colpire la scuola. E poi avevi detto che il motivo del loro attacco risiedeva in All Might, per colpire lui, e All Might non ci sarà. Niente obiettivo, niente attacco. Se poi vuoi sentirti più tranquillo puoi mandare in borghese un paio di tuoi collaboratori a fare la guardia».
«Non sottovalutare la pericolosità di quegli uomini, sono davvero una bella rogna, fidati. E comunque ripeto, ci vuole il consenso dei genitori e dato come stanno le cose non credo che rilasceranno le autorizzazioni».
«Capisco» ammise Nina, accasciandosi sul divano, dispiaciuta di non essere riuscita ad ottenere ciò che desiderava. Ma lei era Nina l'impulsiva, la ribelle, Nina la ragazza che era in punizione almeno tre volte alla settimana. Non sarebbe stato certo un cavillo burocratico e impedirle di realizzare quello che voleva.
«D'altro canto, qui si parla del tuo potere amministrativo sulla scuola e sulle attività scolastiche» proseguì, incrociando le braccia al petto e guardando il preside con uno strano scintillio negli occhi. «Se si tratta invece della gestione del loro tempo libero, fuori da queste mura, il tuo potere perde di efficacia, o sbaglio?»
Nezu capì dove la donna volesse arrivare e per quanto una parte di lui, quella più diligente, ammetteva di essere contro a quel genere di raggiri e disobbedienze, doveva ammettere che non poteva darle torto e forse non sarebbe nemmeno stata una cattiva idea, permetterle di sgarrare un po' le regole.
«In fondo io non sono neanche una professoressa, giusto?» insisté lei.
«Il tempo libero dei ragazzi è qualcosa che esula dalle mie responsabilità, almeno finché si tratta di attività che non possano recare danno all'immagine della scuola, e non penso che una mostra di storia naturale sia da considerarsi negativa. Se accettano di trovarsi tutti lì per un pomeriggio insieme e casualmente trovassero anche te, non sarebbe certo qualcosa di sconveniente e strano».
«E dopo offrirò a tutti loro un bel gelato!» esultò Nina, contenta di aver trovato il modo di poter passare un bel pomeriggio da normale essere umano in compagnia di quei ragazzi che tanto desiderava conoscere meglio.
«Prometti solo che baderai a loro. Non posso far a meno di preoccuparmi per quella brutta gente».
«Non temere, se quei tipacci dovessero farsi vedere dovranno vedersela col burattinaio» disse Nina e sorrise di un sorriso macabro. Non aveva avuto una grande carriera al tempo, ma solo perché non vi prestava troppa attenzione e perché presto aveva cambiato direzione prendendo la strada della musica. Ma i giorni in cui aveva combattuto il male, aveva sempre dato del filo da torcere a chi si piazzava sulla sua strada. Sapeva come farsi valere e certo non avrebbe permesso a nessuno di torcere un capello a quei ragazzini dagli occhi tanto infuocati.


Nina finì di indossare il suo costume e si scaldò un po', in attesa dei ragazzi in palestra. Non dovette aspettare molto per vederli arrivare, come sempre intenti a chiacchierare tra di loro, e ancora una volta Nina potè rivedersi tra quelle fila di soldatini in compagnia dei suoi vecchi amici. Era così dolce quando accadeva.
«Ciao a tutti! Ragazzi, venite con me!» disse lei, facendo cenno con la mano di seguirla. Uscirono dalla palestra dove si trovavano per percorrere un vialetto, lungo il campus dell'istituto, ed entrare infine in un altro edificio. Era molto più grande della palestra dove si erano trovati la prima volta ed era attrezzata di tutto ciò che poteva essere necessario a un allenamento di supereroi.
«Qui dentro potete sfogarvi come volete, distruggere ciò che desiderate, questo posto è attrezzato nel migliore dei modi. Ho rubato la chiave al preside, perciò possiamo starci quanto vogliamo» disse con un occhiolino, ma si affrettò ad aggiungere: «Sto scherzando, ci ha dato lui il permesso. Rubare è una brutta cosa, non si fa» come risultava falsa in certi insegnamenti forzati. Proprio lei cercava di dare nozioni di coscienza morale a quei ragazzi, lei che si era intrufolata in sala professori per rubare un compito o che cercava sempre di fuggire dalle lezioni passando dalla finestra, o molestava tutti quelli che aveva attorno per noia, facendo loro fare quello che desiderava col suo Quirk. Lei che aveva tutte le carte in regola per diventare un perfetto villain e forse lo sarebbe anche diventata se non ci fosse stato tutte le volte Toshinori a sgridarla e riportarla sulla retta via. Un carattere come il suo andava domato, solo un vero supereroe poteva riuscirci.
«Il qui presente professor Cementoss e il professor Ectoplasm ci daranno una mano» sorrise, presentando i due professori che si affiancarono a lei.
«Questo posto è opera mia» si sentì in dovere di specificare Cementoss, forse per tranquillizzar loro che avrebbero potuto fare tutto ciò che volevano.
«Dunque, l'altra volta vi avevo chiesto di riflettere su quali fossero i vostri limiti. Siete ancora inesperti, perciò credo che non sia stato difficile trovarli. Oggi vi chiederò semplicemente di tentare di raggirarli. Potete indossare i vostri costumi, sono già dentro gli spogliatoi, dopodichè tornate qui e sfogatevi fino a cadere per terra!» e i ragazzi, da bravi soldatini, marciarono fin dentro gli spogliatoi per cambiarsi.
«Sono anche fin troppo tranquilli» osservò Nina. «Dei bravi burattini».
«Detto da te fa venire i brividi» ammise Ectoplasm e la cosa fece ridere la donna. Non era la prima volta che qualcuno la guardava con inquietudine, il fatto che lei fosse in grado di manipolare i corpi altrui come un vero burattinaio non andava a genio a molte persone. Non c'era niente di più terrificante che non essere padroni del proprio corpo, forse per quello erano in molti a trovarla terrificante anche se non faceva niente.
«Ehm... Signorina Nina» chiamò una voce alle sue spalle e Nina si voltò radiosa, sorridente del fatto che fosse stata chiamata "Signorina".
«Dimmi tutto! Tu sei il rappresentante di classe, giusto? Come ti chiami?»
«Iida Tenya, molto piacere!» urlò diligente, chinandosi in avanti in segno di rispetto.
"Comportamento impeccabile" osservò Nina, un po' a disagio.
«Volevi dirmi qualcosa, Iida?»
«Sì! Ho ripensato a quello che ha detto l'altra volta, che è utile pensare a ogni mezzo possibile per raggirare l'ostacolo del proprio limite, infatti lei ha usato un mezzo abbastanza banale».
"Banale?" si chiese offesa. L'idea della musica era puro genio, non c'era niente di banale. Ma non lo fece notare al ragazzino, permettendogli di proseguire.
«Il mio Quirk consiste in una sottospecie di motore che ho nelle gambe e che mi permettono di correre a velocità molto elevate».
«Una supervelocità! Avevo un amico con un'abilità simile. Il suo problema più grande era che i muscoli si surriscaldavano troppo e se correva troppo veloce o per troppo tempo finiva col bruciarsi».
Iida alla confessione parve illuminarsi: «Il mio problema è simile! Usando troppo il motore si surriscalda e finisce con l'andare in panne per un po'. Diventa inutilizzabile. Avevo perciò pensato di modificare il mio costume, più che allenare il mio corpo, assemblando magari un sistema di raffreddamento ideale. Che ne pensa?»
«Penso che sia un'idea geniale! Dovresti andare e parlarne col dipartimento di supporto, sono certa troveranno il modo per aiutarti!»
«Grazie mille!» urlò ancora, inchinandosi nuovamente e Nina sobbalzò per l'improvviso scatto. Sembrava un vero soldatino da come si muoveva, era quasi raccapricciante.
"Questi ragazzi hanno decisamente bisogno di staccare la spina" pensò dispiaciuta. Non passò molto tempo che la classe fu pronta a cominciare il proprio allenamento, tutti ben dritti e orgogliosi nei propri costumi, e Nina li guardò marciare fin davanti a lei, aspettando indicazioni.
«Avete piena libertà di movimento e di sperimentazione, andate pure, io e gli altri professori gireremo tra voi e vedremo di aiutarvi uno per volta, nel caso ci sia bisogno. Avete domande?»
Nessuno proferì parola.
«Ottimo! Cominciate!»
I ragazzi si sparpagliarono, all'ordine, e ognuno cominciò a dare libero sfogo al proprio Quirk, cercando di inventarsi qualcosa pur di eseguire il compito affidato.
«Bene, è ora di cominciare» disse poi Nina tra sè e sè. «Cementoss, fai la cortesia di occuparti della location in modo che i ragazzi abbiano sempre lo spazio necessario. Ectoplasm, mi accompagni?»
«Sì» risposero in contemporanea e Nina lasciò Cementoss da solo al suo lavoro, mentre cominciava il giro tra i ragazzi.
«Sai quello che fai? Sembri improvvisare molto» chiese Ectoplasm, in un momento di dubbio.
«Io sono un'improvvisatrice nata» ridacchiò Nina. «E' inutile programmare qualcosa basandosi solo sulla carta. Ho bisogno di vederli in azione e inventerò qualcosa man mano, adatto alla loro particolare situazione. Cominciamo da lui... chi è e cosa fa?»
«Mashirao Ojiro. La sua coda è il suo Quirk. E' prensile e forte abbastanza da essere usata in battaglia. E' bravo nel corpo a corpo».
«Ma fa troppo affidamento su di essa. Ojiro!» lo chiamò, avvicinandosi. «Permettimi» disse e senza aspettare risposta lanciò uno dei suoi fili alla coda, paralizzandola. Ojiro rabbrividì e si lasciò sfuggire un «Che strana sensazione».
«Fa venire i brividi, eh?» ridacchiò Nina. «Ectoplasm, combatti contro di lui, per favore».
«Devo combattere così?» chiese Ojiro, poco convinto. «Non ti sarà d'intralcio, farò in modo che segua i tuoi movimenti. Semplicemente, non potrai usarla. Vediamo che sai fare».
Ojiro annuì e si mise in posizione, di fronte ad Ectoplasm.
«Se sei pronto, comincio» disse l'insegnante e il ragazzo annuì. I due cominciarono a combattere e Nina potè osservare come i movimenti di Ojiro, privato del suo quinto arto, si fossero fatti più lenti, goffi e soprattutto prevedibili. Ectoplasm riusciva sempre ad anticiparlo e colpirlo, mentre il ragazzino non aveva neanche modo di avvicinarsi. Dopo pochi minuti, Ojiro perse l'equilibrio dopo un calcio e cadde a terra, ansante.
«Accidenti, sono troppo debole» lamentò.
Nina gli ridiede indietro la sua coda e si avvicinò ai due.
«Fai movimenti precisi e classici, sei troppo prevedibile» disse Ectoplasm.
«Prima ti ho visto fare piroette e capriole, ora invece sei caduto per un calcio» aggiunse Nina.
«Non sono abituato a non avere la coda».
«Abituati» sorrise lei. «Il nocciolo della questione è questa, in questo preciso istante l'eroe è la tua coda, non tu. Tu sei il suo strumento, mentre invece dovrebbe essere il contrario. Sei cresciuto con lei, perciò è normale essere abituati a farci affidamento, è come essere abituati ad avere le gambe, ma tu sei qui dentro per diventare un eroe, non un uomo qualsiasi con la coda. So bene che adesso tu penserai "ma ce l'ho, ce l'avrò sempre, perché non sfruttarla al massimo?" ed io ti rispondo prontamente: un eroe non combatte solamente in piano, ma le situazioni sono svariate e a volte si tratta solo di portare in salvo qualcosa o qualcuno. La tua coda può farti molto comodo, usandola per trasportare cose e intanto ti permette di avere il resto del corpo libero per affrontare nemici o aprirti una via d'uscita. Se il corpo non è allenato, come ne esci da una situazione del genere? Potresti trovarti in situazioni in cui dovrai usarla per restare aggrappato a qualcosa e intanto dover combattere, se non sei allenato come farai? Ti consiglio di ignorare per un po' il tuo Quirk e allenarti esclusivamente su te stesso».
«Consiglio per migliorare il tuo Quirk, non usare il tuo Quirk» ironizzò Ectoplasm.
«Vuoi dirmi che il mio ragionamento è sbagliato?» chiese Nina, guardandolo storto.
«Assolutamente no. Era solo divertente da dire».
«Lavora sul tuo senso dell'umorismo, Ectoplasm, è questo il tuo limite» sbuffò Nina e si allontanò, ma prima di andarsene del tutto si voltò verso Ojiro e con uno strano sguardo ammiccante, colmo di sicurezza, quasi spaventoso, gli mormorò: «Plus Ultra, non è così?»
Ojiro annuì, più convinto e più carico, e si sollevò in piedi, ripetendo con un fuoco dentro che poche volte aveva avuto: «Plus Ultra!»
«Avanti il prossimo! Lei! La ragazzina spocchiosa che mi ha dato dell'arrogante».
«Spero tu non voglia vendicarti» rabbrividì Ectoplasm.
«Scherzi? La adoro! Finalmente qualcuno con un po' di palle!»
«Non usare certi linguaggi, per favore».
«Dimmi come si chiama».
«Uraraka Ochako, il suo Quirk è la levitazione. Fa levitare cose se le tocca e può levitare lei stessa, come sta facendo in questo momento».
«Controindicazioni?» si informò Nina.
«Se usa troppo tempo il suo potere le viene da vomitare».
L'osservò mentre galleggiava per aria. Interminabili secondi in cui trattenne il fiato, per poi lasciarsi andare e atterrare col fiatone.
«Uraraka, posso farti una domanda?» si avvicinò Nina.
«Sì, certo» si tirò su lei, cercando di ricomporsi.
«Ho visto che ti stai allenando principalmente sul galleggiare tu stessa, più che concentrarti sul far galleggiare le cose. Pensi che sia questo il tuo limite?»
«Penso che se riuscissi a migliorare questa abilità sarebbe di grande aiuto, più che impegnarmi nel far galleggiare altro».
«E il tuo costume? Che caratteristiche ha?»
«I polsini sono stretti, in modo da aiutare la nausea come i bracciali del mal d'aereo, così come il collare. Le scarpe facilitano l'atterraggio e il casco aiuta l'equilibrio lavorando direttamente all'interno del padiglione auricolare».
«Hai pensato a tutto tu?» chiese Nina, spalancando gli occhi e Uraraka, cogliendo la sorpresa sul volto dell'insegnante arrossì, ammettendo: «Beh, sì».
«Hai trovato il problema e anche le risposte da sola, proprio come ha fatto Iida. Questa classe è piena di astri nascenti, incredibile, mi chiedo che mi abbiano chiamata a fare» sorrise, voltandosi verso Ectoplasm.
«Sì, i ragazzi sono davvero in gamba» confermò lui.
«Senti» disse Nina, tornando a guardare la ragazzina, «mi è venuta un'idea, ma prima dimmi che ne pensi. E' una mia supposizione, smentiscimi se pensi che sia sbagliata, ma credo che la nausea causata dal tuo fluttuare sia dovuta sia alla fatica di usare il Quirk, proprio come quando fai fluttuare le cose, ma il tutto sia intensificato dal fatto che l'assenza di gravità la vivi tu stessa. E' lo stesso problema di molti astronauti, il fisico non è abituato a non avere una pressione costante che spinge verso il basso e i succhi gastrici risalgono, generando il vomito. Credi possa essere corretto?»
«Oh» si illuminò Uraraka. «Sì, ha senso! In effetti è più facile che stia male quando fluttuo io, che quando uso il mio potere sugli altri».
«Non ho conoscenze dirette, ma non sarà difficile trovare degli agganci. A neanche un'ora di treno da qui c'è una base per le esercitazioni spaziali. Principalmente è una palestra per astronauti, dove si allenano con macchinari particolari e in situazioni studiate proprio per gestire e ovviare problemi come questi. Se riuscissi a trovare il modo, ti piacerebbe andarci qualche volta e allenarti lì con loro? Con le loro conoscenze e strumentazioni, se le nostre supposizioni sono giuste, sarà più facile per te allenarti adeguatamente e quindi migliorare questo aspetto».
Gli occhi di Uraraka cominciarono a brillare a quell'idea. Non avrebbe mai neanche potuto immaginare un giorno di potersi esercitare insieme a dei veri esperti che avrebbero potuto aiutarla in un allenamento mirato. Qualcosa di esclusivo per lei, per diventare sempre più brava e più forte.
«Sì! Sì, mi piacerebbe tanto!» ammise in fibrillazione.
«Grandioso! Non ti prometto niente, ma ti assicuro che farò del mio meglio per permetterti di avere quest'occasione! Dai sempre del tuo meglio!»
«Plus Ultra!» gridò Uraraka entusiasta, prima di tornare ad allenarsi, più carica che mai.
«Bene... e ora, prima degli altri, voglio occuparmi di due dei miei casi preferiti» e sorridendo si avviò decisa verso la zona dell'edificio che stava letteralmente esplodendo.


Hope when the moment comes
You'll say...
I, I did it all
I owned every second
That this world could give
I saw so many places
The things that I did
Yeah, with every broken bone
I swear I lived

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Capitolo 6
*** Fireworks, Katy Perry ***


"Fireworks”, Katy Perry



«Katsuki Bakugou» annunciò lei stessa, avvicinandosi al ragazzino che si era interrotto solo nell'istante in cui li aveva visti avvicinare, avvolti dalla polvere. Non rispose e ansante rimase in ascolto. «Primo della classe alle medie, terzo in questo primo anno di liceo. Quirk: esplosioni. Parlami del tuo potere, Kacchan».
Bakugou fece una smorfia nel sentirsi chiamare in quel modo, ma non protestò. «Faccio esplodere il mio sudore» spiegò brevemente
«Disgustoso» ridacchiò. «Che altro?»
«Si tratta di un composto simile alla nitroglicerina e io lo faccio esplodere, niente di più e niente di meno. Ho fatto realizzare questi bracciali in modo da poter raccogliere il sudore in eccesso e poterlo usare per i colpi a lunga gittata».
«Cosa che in genere non puoi fare, giusto?»
«No» confermò Bakugou.
«Adesso ne hai accumulato abbastanza? Puoi mostrarmi questa tua arma segreta?» chiese Nina, mostrando un certo interesse. La cosa parve compiacere Bakugou, che si lasciò andare a un sorriso soddisfatto. Finalmente qualcuno cominciava a capire chi fosse il migliore, lì dentro. Sentiva l'interesse della donna nei suoi confronti maggiore rispetto a quello rivolto agli altri e questo non faceva che gonfiare il suo ego e il suo bisogno di primeggiare.
«Ne ho usato tanto, non ne ho molto a dire il vero, ma posso comunque ricavarne qualcosa».
«Sorprendimi, allora» sorrise Nina, facendo un paio di passi indietro per dare spazio al ragazzino. Il sorriso in volto di Bakugu si allargò, colto da un'irrefrenabile eccitazione. Con un urlo rabbioso, atto a caricarsi di energia, alzò il braccio e infine tirò la leva del proprio bracciare.
Un’esplosione partì dal suo polso come un vero colpo di cannone, sovrastato dal «Muori!!!» ringhioso del ragazzo, e si fece strada nel cemento, aprendo un vero e proprio buco nel muro che dava sull'esterno. Nina osservò l'enorme foro, lasciando che il vento le smuovesse la punta dei capelli e si perse in un’emozionante riflessione. Quel ragazzino era eccezionale, davvero unico.
«Questo mi darà un bel po' daffare» lamentò Cementoss, raggiungendoli e mettendosi al lavoro per ricostruire parte dell'edificio distrutto e tutto il suo contenuto. Lanciò un'occhiataccia a Nina, dando indirettamente a lei la colpa di quel disastro, ma d'altro canto era proprio quello il suo obiettivo fin dall'inizio. Spremere quei ragazzi come limoni e ricavarne il succo.
Bakugou fissò Nina intensamente, aspettandosi con orgoglio una qualsiasi parola soddisfatta da parte sua. La donna riuscì a coglierlo, quel desiderio ardente, e quasi con sfida, come una bimba capricciosa che negava la soddisfazione di darla vinta agli altri, affermò: «Hai una mira un po' imprecisa».
Il sorriso di Bakugou si indurì e lui rispose con un verso gutturale, contrariato. «Stronzate» bofonchiò, non riuscendo a trattenersi.
«Modera il linguaggio, moccioso!» lo rimproverò Nina, prima di lanciare verso di lui i suoi fili e bloccargli i muscoli della bocca, in modo da impedirgli di proferire altro. Bakugou si afferrò il mento e cercò in tutti i modi di liberarsi, mentre la rabbia saliva sempre più dentro di lui. Odiava quella donna e quella sua fastidiosa capacità di impadronirsi del suo corpo. L'odiava con tutto se stesso. Cercò di gridare, forse qualcosa che poteva sembrare un "lasciami andare", ma dalle labbra serrata uscivano solo lamenti indistinti. Strinse i pugni furioso, prima di perdere il controllo e lanciarsi contro di lei, intenzionato a darle una lezione. Non doveva permettersi di usarlo in quel modo, era violazione di privacy e un attacco diretto al suo orgoglio. Ma, come c'era da aspettarsi, Nina non gli permise di avvicinarsi e gli bloccò anche la funzionalità delle gambe, facendo in modo che si piantasse lì dov'era. Bakugou si dimenò, urlò, esplose dei colpi anche contro se stesso nella speranza di spezzare quei maledetti fili così come aveva fatto quell'idiota di Deku, ma non c'era niente da fare. Lei l'aveva in pugno.
«Adesso che ti sei sfogato, ascoltami bene» disse Nina, avvicinandosi a lui senza timore. Aveva le mani libere, poteva attaccarla in qualsiasi momento, ma lei non aveva paura. Era una donna con le palle e Bakugou sotto quello strato di rabbia e orgoglio in fondo celava un inespresso sentimento di ammirazione.
«Katsuki Bakugou, io resterò qui con voi solo per un paio di settimane. Non ho molto tempo a disposizione, ma ti prometto solennemente una cosa» si avvicinò al volto del ragazzino e con uno sguardo che metteva i brividi gli sussurrò, in un'intima confessione che solo lui avrebbe potuto e dovuto sentire: «Farò tutto ciò che è in mio potere per renderti il numero uno».
Qualcosa esplose nel petto del ragazzo, qualcosa che non era il suo Quirk. Smise di dimenarsi, anche se il respiro restò pesante e lo sguardo duro. Poteva vederlo, Nina, in quegli occhi colmi di fuoco tutta l'eccitazione che quella promessa aveva fatto ardere in lui. Lo lasciò andare, lentamente, ma con fiducia e come si aspettava Bakugou non mosse un muscolo nonostante tutta la furia scatenata in lui fino a quel momento. Restò a fissarla a lungo, dritto nel suo orgoglio e nella sua forza. Quel ragazzino aveva tutte le carte in regola per diventare un perfetto villain e lei aveva promesso che non glielo avrebbe permesso. Si sarebbe impossessata del suo cuore e l'avrebbe fatto battere dei battiti giusti, proprio come aveva detto al preside Nezu in sala professori il giorno prima. L'ancoraggio del suo filo, anche se metaforico, era appena venuto. Ora doveva solo dosare le scariche correttamente. Avrebbe risolto quel ragazzo problematico che a quanto pareva era uno dei motivi per cui Nezu l'aveva convocata alla Yuuei.
«Dimmi, Kacchan... qual è il tuo limite?» chiese lei, tornando al suo lavoro.
Bakugou si prese il suo tempo, forse ancora non del tutto convinto, o forse perché desiderava far credere che non se l'era fatta passare così facilmente. Ma lentamente sollevò una mano, l'osservò e ammise: «C'è un numero limitato di esplosioni che posso generare. Dopo, il mio fisico comincia a cedere e non reggerle più».
«I contraccolpi sono troppo potenti. Li ho percepiti anche io, durante i miei ancoraggi» osservò Nina, un istante prima di chinarsi e afferrare la mano del ragazzino. Se la tirò contro e cominciò a studiare quell'immenso raccoglitore di sudore che si era fatto costruire da tenere ai polsi. Ne osservò accuratamente l'esterno, poi l'interno e ci infilò una mano, cercando di tastarne la parte interna e capire bene come fossero stati costruiti. Bakugou la lasciò fare per un po', poi per aiutarla nel suo studio se lo sfilò e glielo porse, sotto lo sguardo sbigottito dei compagni che per la prima lo vedevano calmo e collaborativo. Che Nina fosse davvero riuscita a fare breccia nel suo cuore avvampato?
«Sono buoni» osservò lei, rigirandosi l'arma tra le mani e studiandola da ogni angolazione. Cinghie, imbottitura, materiale di costruzione... tutto era stato preparato con cura.
«Possono però essere migliorati. Ho sentito che al dipartimento di supporto c'è una ragazza molto brava in queste cose, scommetto che può trovare il modo di dissipare meglio la forza di rinculo e proteggere maggiormente gli arti» glielo restituì e tornò ad alzarsi in piedi. «Ma continua anche ad allenarti, più sarai forte e più sarà facile per te gestire un potere di questo calibro» e Bakugou annuì.
«Adesso voglio fare con un ultimo giochetto, prima di lasciarti ai tuoi allenamenti» ammise lei e cominciò ad allontanarsi, avvicinandosi ad Ectoplasm «Ho bisogno che fai una cosa per me, professore».
"Che intenzioni ha?" si domandò Bakugou, guardandola parlare col professore sottovoce. Ectoplasm annuì e lei si allontanò ancora di qualche metro, piazzandosi nuovamente di fronte a Bakugou.
Gli puntò un dito contro e disse: «Sessanta secondi. Ci sono esattamente quindici metri tra noi due e tu hai sessanta secondi di tempo per superarli, arrivare a me e darmi una bella lezione. Prometto non ti bloccherò» sorrise con malizia, prima di mostrare le proprie mani che andavano a nascondersi dietro la schiena. «Niente Quirk. Vieni qui e fammi nera, mascalzone».
C'era sicuramente l'imbroglio, non gli avrebbe certamente permesso di colpirla, anche se aveva promesso non avrebbe utilizzato il proprio Quirk. E probabilmente la fregatura stava proprio in Ectoplasm, con cui aveva parlato poco prima. Poco importava... se lei non poteva bloccarlo, non sarebbero stati due cloni da strapazzo a impedirgli di raggiungere il suo obiettivo.
«Ce ne metterò dieci!» annunciò lui.
«Non fare lo sbruffone che poi mi cadi di stile. Accontentati dei tuoi sessanta e fatteli bastare. Avanti, quando sei pronto, io ti aspetto».
«Arrivo!» urlò lui un istante prima di portarsi le mani dietro la schiena e usare le sue esplosioni come turbo per prendere il volo verso la donna. Urlò, sentendo già la vittoria in pugno, ma come c'era da aspettarsi tre dei cloni di Ectoplasm gli si piazzarono davanti. Li abbattè rapidamente e tornò in posizione per riprendere il volo, ma altri due cloni gli si misero davanti.
«Stiamo scherzando?» lamentò lui, scocciato dell'intralcio. Li fece fuori rapidamente, ma altri arrivavano al loro posto, impedendogli ancora di camminare.
«Hai ancora quaranta secondi, Kacchan! Io non mi sono mossa» urlò Nina dall'altro lato.
«Toglietevi dai piedi!» urlò Bakugou furioso, facendo esplodere violentemente i dieci che aveva davanti. Fece un altro passo in avanti, ma ancora venne bloccato. E sparò e sparò e avanzò di soli altri dieci centimetri.
«Trenta secondi» annunciò Nina.
Bakugou digrignò i denti e continuò a sparare in faccia a tutti quei cloni, avanzando, passo dopo passo, ma ancora troppo lentamente. «Non combattono neanche, stanno qui in mezzo solo per impedirmi di camminare! Che razza di allenamento sarebbe?» gridò lui contrariato, continuando a sparare e avvicinarsi lentamente.
«Quindici» disse ancora Nina e si rifiutò di rispondere alla sua domanda.
«Morite!!!» urlò Bakugou e con un ultimo sparo più potente degli altri si liberò la strada. Finalmente riuscì a vedere Nina dall'altro lato. Mancavano solo pochi passi e cominciò a correre, urlando per caricarsi.
«Cinque».
Un clone gli si piazzò davanti e lui gli sparò addosso, senza pensarci oltre.
«Quattro».
Ancora uno, ancora una volta.
«Tre».
Solo un passo.
«Due».
Altri due: ma quanti diavolo ce n'erano? Li fece fuori e si lanciò in avanti, sentendo l'acqua alla gola.
«Uno».
Tirò indietro il pugno.
«Tempo scaduto» e fu afferrato dallo stesso Ectoplasm, che lo fermò per il gomito. Aveva perso, non era riuscito a raggiungerla, per quanto fosse sembrato una sciocchezza. Se i cloni fossero arrivati tutti insieme non ci avrebbe messo molto a distruggerli tutti in una volta sola, ma loro continuavano ad arrivare uno dopo l'altro, giusto in tempo per impedirgli di procedere. Era frustrante. Era odioso.
«Hai fallito» gli disse Nina e lui digrignò i denti, furioso. «Stima dei danni: quanti colpi hai usato?»
«Non lo so, non li ho contati» ammise lui, frustrato, ma non per questo deciso a mandarla a quel paese. Se aveva fallito era stata solo colpa sua, doveva rendersi più forte e lei aveva promesso che l'avrebbe fatto.
«Settantotto colpi, per una cinquantina di avversari, di cui almeno tre di potenza superiore alla norma. Più di uno al secondo. Quanti ne può sopportare il tuo corpo?»
Bakugou digrignò i denti ancora di più, cominciando a capire dove volesse arrivare. Era stremato, aveva il fiatone, le braccia gli facevano un male cane.
«Non molte di più... non a una frequenza come questa».
«Ho chiesto espressamente a Ectoplasm di impedire ai suoi cloni di attaccare, quindi tecnicamente erano solo ostacoli inermi che ti si piazzavano davanti. Sarebbero potute essere colonne, per esempio, niente di minaccioso, eppure tu hai dato sfogo a tutte le energie che avevi per qualcosa che potevi semplicemente raggirare. Sei arrivato al limite, non ti sei risparmiato per qualcosa che invece avresti potuto prendere con più calma. Se io fossi stata una donna sotto un palazzo che stava crollando, sarei morta perché tu ti saresti preso la briga di distruggere tutte le macerie che ti si piazzavano davanti invece che correre a salvarmi. Capisci dove voglio arrivare?»
Capiva eccome e la cosa lo faceva incazzare ancora di più. Lui aveva bisogno di sfogarsi, aveva bisogno di dare sempre il massimo, aveva bisogno di andare oltre ogni limite. Solo così sarebbe arrivato primo.
«Il numero uno è colui che arriva prima degli altri, non chi si stanca di più per fare il giro largo per un senso di appagamento personale. Solo per fare lo sbruffone».
«Non sono uno sbruffone!» ringhiò lui, stufo di sentirsi appellare in quel modo.
«Sì, invece, che lo sei, moccioso!» rispose a tono Nina. Bakugou la fulminò. La rabbia correva tanto nelle sue vene che delle scintille scaturirino dalla punta delle sue dita, ma lei sostenne lo sguardo, severa e altrettanto incazzata.
«Sei il numero uno?» gli chiese Nina, con sfida, quasi con denigrazione. Il suo sguardo avrebbe fatto venire i brividi a chiunque. Si poneva una spanna sopra gli altri... lei era il burattinaio, sovrastava il palcoscenico, governava i propri burattini, nessuno poteva superarla. Era quello lo sguardo della burattinaia. «Rispondi quando qualcuno ti fa una domanda, moccioso! Sei o no il numero uno, adesso?» alzò il tono di voce, come una madre che rimproverava il proprio figlio.
«No, merda, adesso non lo sono! Sei contenta ora?» urlò anche Bakugou, piantando gli occhi colmi d'ira in quello della donna.
«E vuoi diventarlo, sì o no, moccioso del cazzo?»
«Sì!!!» urlò Bakugou con tutto il fiato che aveva. «Sì, sì, voglio essere il migliore!»
«E allora fallo! Che diavolo stai aspettando?»
«Devo diventare più forte, cazzo!» e urlò talmente forte che le vene sul collo si gonfiarono e parve quasi un ruggito, verso la donna che continuava a guardarlo con superiorità. Lo lasciò sfogare, lo lasciò urlare con tutto il fiato che aveva e quando lui non ce la fece più, ormai senza fiato, lei sorrise eccitata.
«Ben detto» sussurrò orgogliosa.
Sotto lo sguardo stupito di Bakugou, allungò una mano verso la sua testa e gli scompigliò affettuosamente quei suoi capelli pazzi. Avrebbe fatto di tutto per renderlo il numero uno, l'aveva promesso e sentiva di volerlo fare sempre di più. Gli voltò le spalle e si allontanò, affiancata da Ectoplasm, lasciandolo solo con la sua confusione ma quel rilassante senso di liberazione e soddisfazione. Urlare in quel modo, sfogarsi a tal punto, gli aveva fatto bene.
«Andrebbe punito per un simile linguaggio, se non fosse che hai cominciato tu a insultarlo» disse Ectoplasm. «Tappati le orecchie la prossima volta» gli rispose Nina, per niente pentita di quanto appena accaduto.
«Ci sei riuscita, non è così?» chiese ancora il professore, attirando così l'interesse di Nina. «Lo hai appena portato oltre il suo limite».
La donna sorrise divertita del fatto che fosse stata smascherata. «Il suo limite era il non riuscire ad ammettere a gran voce di avere limiti. Quando gli ho chiesto la prima volta quale fosse il suo limite mi ha raccontato del rinculo dei suoi colpi con un filo di voce, come se non volesse essere sentito. Dovevo farglielo urlare, che lui non era perfetto e che non poteva far altro che andare avanti. Se si fosse convinto di essere già il migliore non sarebbe avanzato di un solo passo. È brillante e incredibilmente forte, ma il suo carattere può diventare la sua rovina. Devo farglielo battere decentemente, quel cuore che si tiene segregato nel petto».
«Il preside Nezu ha fatto bene a chiederti di aiutarli, sei in gamba».
«Non è stato Nezu a scrivermi» confessò lei. «Anche se si nasconde dietro al suo nome, non è lui che ha avuto l'idea di chiamarmi».
«No? E chi allora?» chiese curioso Ectoplasm. Nina svoltò dietro a un immenso pilastro di cemento e si trovò di fronte al suo secondo caso interessante: Izuku Midoriya stava tirando pugni al vuoto, urlando ogni tanto uno «Smash» per darsi la carica necessaria. L'osservò a lungo, sempre più pensierosa, sempre più dubbiosa e forse sempre più convinta. Conosceva quel potere, non poteva essere un caso.
Tornò a guardare Ectoplasm e alzò le spalle, assumendo un'espressione innocente: «Chissà» sorrise, cercando di far cadere lì il discorso. Non si sarebbe messa a parlare con lui di certe faccende, non in quel momento per lo meno.
«Smash!» urlò nuovamente Midoriya, tirando un altro pugno al vuoto.
"Smash" pensò Nina, lasciando che i ricordi prendessero possesso di lei.
Lo ricordava, lo ricordava eccome tutte le volte che Toshinori si rifaceva vivo dopo gli allenamenti di Nana, la donna che l'aveva preso sotto la propria ala per far di lui l'eroe numero uno, il simbolo della pace. Ricordava come puntualmente avesse qualche parte del corpo che gli faceva un gran male, indolenzita o fratturata. Spesso non era possibile neanche toccarlo, che saltava sulla sedia urlando dal dolore. Ce n'era stato di lavoro da fare per Recovery Girl, al tempo.
«Midoriya» si avvicinò, lasciandosi alle spalle Ectoplasm. Il ragazzino si fermò nel suo allenamento e attese che la donna si fosse avvicinata. Un gesto impercettibile del dito e Midoriya si ritrovò con un braccio fuori uso. Saltò sul posto, osservandosi il braccio bloccato con sorpresa e panico.
«Liberati» ordinò Nina.
«Eh?» balbettò lui, confuso.
«È un ordine» insistè Nina, dura nella voce tanto quanto nel viso. Faceva davvero venire i brividi quel suo modo di guardare le persone dall'alto. Midoriya deglutì, dopodichè decise di obbedire e cominciò a usare la forza che aveva nel braccio destro per liberarsi dei fili che continuavano a mandare scariche al suo braccio, bloccandolo. Strinse i denti, ma niente si mosse.
«Mi prendi in giro?» lo fulminò Nina. «Non ti starai mica prendendoti gioco di me, vero?»
«Non mi permetterei m...» ma venne interrotto dal suo stesso braccio, che scattò contro la sua volontà verso il suo viso e gli piazzò uno schiaffo su una guancia. Neanche il tempo di realizzare cosa stesse accadendo, che Nina aveva preso il controllo anche del secondo braccio e ora lo tempestava di pugni con le sue stesse mani, colpendosi ora la guancia destra e ora la sinistra, senza risparmiarsi nella potenza.
«Che stai aspettando? Liberati!» ordinò con un tono di voce imperativo e aumentò la potenza dei colpi. «Liberati! Ora! Fallo! Usalo quel dannato potere! Liberati!»
E all'ennesimo urlo Midoriya rispose accontentandola. Usò parte del potere che All Might gli aveva trasmesso, quel poco che riusciva a gestire, e con un urlo caricatore riuscì a strattonare i fili che lo imprigionavano liberandosi. Nina l'osservò ancora più sconvolta. Non poteva sbagliarsi, non poteva essere che altrimenti. Quel ragazzino aveva dentro di sé il potere di All Might e quello di Nana, prima di lui. Lo One For All era stato passato a un nuovo successore.
"Allora... è questo il motivo per il quale mi hai fatto chiamare, Toshinori?" pensò, guardando Midoriya che si riprendeva dalla fatica. Il testimone era stato passato, presto ci sarebbe stato un altro simbolo della pace. Per All Might era davvero giunto il momento della fine. Qualcosa le si chiuse nel petto e per la prima volta da quando era arrivata sentì il desiderio di correre fuori, andare a cercarlo, parlargli... dopo vent'anni, parlargli ancora. Parlargli di nuovo.
«Il mondo ha bisogno di un grande Eroe. Un simbolo che racchiuda in sè tutto il bene di questo mondo e lo conceda a chi ne invocherà l'aiuto. Un simbolo di pace a cui fare appello. E io sarò quel simbolo, Machiko! Io sarò l'eroe portatore di pace, facendo sorridere chiunque incontri. Nessuno smetterà più di sorridere. Io sarò quell'eroe!» quell'eco nella sua testa portava sempre con sè il ricordo dello scintillio negli occhi di Toshinori. Un fuoco che sembrava avrebbe potuto riscaldare chiunque avesse avuto attorno per il resto della propria vita. Un fuoco inestinguibile... che invece adesso si stava spegnendo. Il passaggio del testimone, il mondo avrebbe per sempre avuto il suo All Might, ma per Toshinori sarebbe stato il capolinea. La fine di un sogno alimentato per trent'anni. E lei, che l'aveva visto nascere, che ne aveva alimentato la fiamma, avrebbe ora assistito alla sua cessazione. Quel sogno, quella ragione di vita, ora non gli apparteneva più. Quanto coraggio stava mostrando in quel momento, il ragazzino che si portava con affetto nei ricordi, con i suoi sorrisi e le sue promesse. Faceva così male al petto.
«N-Nina?» la richiamò Midoriya preoccupato del fatto che ancora non avesse proferito parola e che avesse assunto quell'espressione così sconvolta, così addolorata. Senza riuscire a liberarsi dai sentimenti che la stavano attanagliando, riuscì a balbettare: «Quanto riesci a usarne?»
«Come?» chiese Midoriya, non capendo bene cosa stesse cercando di domandargli.
«Quanto di quel potere riesci a domare senza andare in pezzi?»
Nina sapeva. Midoriya ne era convinto al settanta per cento: lei sapeva, aveva capito, non c'era altra spiegazione.
«Cinque» mormorò, affranto. «Cinque per cento».
«Così poco» sussurrò lei, forse rassicurata che ci fosse ancora tempo, che non fosse proprio la fine, o forse addolorata che il successore prescelto fosse tanto debole.
«Vieni con me» ordinò e insieme al ragazzo uscì dall'edificio dove il resto della classe si stava allenando. Indicò un albero, non molto lontano, prima di ordinare al ragazzino: «Corri fino a laggiù, più veloce che puoi».
Midoriya non capì il senso di quell'esercizio, ma ormai aveva rinunciato a capirla. Si mise in posizione e partì, imprimendo alle gambe la massima energia. Arrivò all'albero e tornò indietro, ansante.
«Più veloce» disse Nina.
Midoriya fece un grosso sospiro, recuperando fiato, e infine partì nuovamente. Più veloce, più energia. Corse a perdifiato e tornò indietro, più stanco che mai.
«Ancora più veloce» disse Nina.
«Eh?» chiese lui, sconvolto, ma in tutta risposta Nina lo fulmino e Midoriya ebbe i brividi lungo la schiena. Perciò decise di stare zitto e correre ancora. E ancora. E ancora. Sempre più veloce. Fino a quando: «Se vado più veloce di così mi andranno in pezzi le gambe».
«Allora è questo il tuo limite» disse lei. «Nel tuo caso non si può superare, se non con l'esercizio fisico. Allenati sempre, ogni giorno, diventa ogni giorno più forte e più grosso e riuscirai a superare la tua velocità da gambe a pezzi. Per il momento, però, superarlo non farà che peggiorare la situazione. Ma tieni a mente una cosa... è la tua energia che non può essere superata. La forza che imprimi nelle gambe. Prova a ragionare da solo, quale sarebbe un modo per aumentare la rapidità senza incidere ulteriormente sull'energia consumata?»
E Midoriya ci pensò qualche secondo prima di rispondere: «Fare passi più lunghi?»
«Passi più lunghi, stessa forza, lunghezza decimata, velocità aumentata. Se tu usassi il massimo della tua energia in passetti brevi ci metteresti una vita ad arrivare in fondo, al contrario se tu la usassi per ampliare la distanza percorsa, non andresti in pezzi ma saresti ancora più veloce. È questa l'immagine mentale su cui devi focalizzarti. Minimo sforzo, massimo rendimento. Amplia il tuo raggio d'azione e la tua forza non ti distruggerà».
«Ho capito!» annuì Midoriya, convinto e deciso a seguire il suo consiglio. Non desiderava altro che migliorare fino ad essere degno di quell'enorme responsabilità che gli era stata affidata.
«Vieni dentro, adesso, per favore. Tra poco sarete liberi di andare, ma prima voglio dirvi una cosa» disse lei, e rientrò nell'edificio, seguita dal ragazzino. Prese fiato, prima di gridare a gran voce: «STOP!»
Pian piano i rumori e le urla cessarono, lasciando spazio al silenzio.
«Ragazzi per favore, raggiungetemi solo un istante!» continuò Nina, prima di lasciar andare un sospiro silenzioso. E il viso si tirò improvvisamente in un sorriso che aveva tutta l'aria di essere davvero felice. Davvero un'ottima attrice.
"Basta affrontare tutto col sorriso" si ripeté, mentre attendeva di essere raggiunta dai membri della classe.
«Il nostro tempo scadrà tra pochi minuti e voi potrete tornare a casa. Mi dispiace tanto oggi non essere riuscita a seguire tutti quanti, per questo vi dico che se avete delle domande o dubbi impellenti ne possiamo tranquillamente parlare anche alla fine di questa lezione. Per tutti gli altri, non preoccupatevi perché questo sarà materia delle prossime lezioni e io terminerò il giro di ciascuno di voi. Prometto che farò del mio meglio per rendervi dei supereroi coi fiocchi, per quel poco che mi è concesso fare» e sorrise ancora, illuminandosi. «Se volete fermarvi qui un altro po' per allenarvi Cementoss e Ectoplasm saranno felici di concedervi un'altra mezz'ora qui dentro. Ma se vi sentite stanchi o avete impegni per il resto della giornata potete pure andare, per quanto mi riguarda la nostra lezione finisce qui. Detto questo, aggiungo solo una cosa: domani pomeriggio, dopo la nostra lezione, andrò al museo per una mostra di storia naturale. È qualcosa che esula completamente dagli obblighi della scuola, andrò solo per puro piacere personale, ma ci tengo a dirvi che se voleste unirvi a me ne sarei felicissima e ne potrei approfittare per darvi qualche nozione e stimolo in più, in merito a quanto stiamo facendo finora, collegandomi a ciò che vedremo durante la mostra. Non ci crederete ma il mondo animale ha davvero tanto da insegnare, quando si tratta di sopravvivenza e superamento dei limiti».
Un rumorio di sottofondo, mentre i ragazzi cominciavano a parlottare tra loro della mostra e della loro intenzione ad andare o meno.
«Un appuntamento fuori dalla scuola!» si lasciò andare Mineta. «Non me lo perderei per niente al mondo, bellissima Signorina Nina».
«Non avevo dubbi, Mineta» lo schernì Nina, smuovendo l'ilarità del resto della classe. «Non è importante che mi diciate ora se ci sarete o meno, se volete unirvi semplicemente mi troverete lì fuori. Ora potete anche andare» e con quelle ultime parole, finalmente la riunione improvvisata si sciolse. In molti decisero di andarsi a cambiare e tornare a casa, ma altrettanti restarono per quella mezz'ora che Cementoss e Ectoplasm avevano loro concesso. Dei veri e propri stakanovisti, proprio come lo era stato Toshinori.
Già... erano proprio come lui.


Do you know that there's still a chance for you
'Cause there's a spark in you
You just gotta ignite the light
And let it shine
Just own the night
Like the Fourth of July
'Cause baby you're a firework
Come on show 'em what your worth
Make 'em go "Oh, oh, oh!"
As you shoot across the sky

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Capitolo 7
*** I have questions, Camila Cabello ***


"I Have Questions”, Camila Cabello


Machiko pedalò il più velocemente che poté lungo la strada. Il traffico quel giorno era intenso, ma la cosa non l'avrebbe rallentata. Fece lo slalom tra le macchine con la sua bicicletta, svoltò, sgommando, e saltò sul marciapiede. Tagliò la strada ad un paio di ragazzi, scatenando così la loro collera, ma li lasciò sbraitare e continuò a correre. Schivò un paio di persone, prima di saltare giù dal marciapiede e continuare la sua folle corsa in strada. Girò in un vicolo, prese una scorciatoia lungo una strada in discesa esclusivamente pedonale, con delle lunghe scale, ma finalmente raggiunse la via per il fiume. Pedalò a lungo, prima di riuscire a trovarlo: Toshinori si trovava lungo l'argine, in una zona di calma e di pace, che correva in tuta chissà da quante ore. Testimone del fatto che fosse vittima di un infinito allenamento erano anche il suo fiatone e le goccioline di sudore sulla fronte, ma avrebbe corso per giorni, se fosse stato necessario.
«Toshi-chan!» urlò alle sue spalle Machiko, prima di riuscire a raggiungerlo. Rallentò e gli si affiancò, pedalando al suo stesso ritmo.
«Sei scappato via subito dopo la scuola e non ti ho più trovato, si può sapere che fine avevi fatto? Ti devo parlare!»
«Sto facendo allenamento» disse lui, parlando tra gli ansimi. «Non è evidente?»
«Lo stavi facendo anche ieri, e l'altro ieri, e io non riesco mai a trovarti!»
«Mi troveresti, se non fossi così lenta a uscire da scuola. Continui a fermarti almeno mezz'ora insieme ai ragazzi della tua band, come pretendi che ti aspetti?»
«Ritardare il tuo allenamento di mezz'ora non ti costerebbe niente».
«Se avevi così urgenza di parlarmi, puoi anche rimandare le chiacchiere con i tuoi amici».
«Insomma, che rompipalle che sei! Ed io che ero perfino venuta a portare buone notizie! Sai, che ti dico? Non te le meriti, ecco! Scusami tanto se ti ho disturbato mentre ti allenavi» e girando cominciò a risalire lungo la collinetta d'erba che riportava alla strada principale, che l'avrebbe poi riportata a casa. Toshinori rallentò il passo e la guardò andar via, col viso corrucciato. Forse aveva esagerato, non era stato carino con lei che invece l'aveva rincorso e cercato per mezza città. Ultimamente gli allenamenti di Gran Torino si stavano facendo sempre più duri, il potere concessogli da Nana cresceva dentro di lui, lei se n'era andata lasciandogli quella grande responsabilità da portare a termine e tutto ciò lo stava stremando.
«Machiko» provò a chiamarla, un istante prima di iniziare a correre dietro di lei. «Machiko, dai, aspetta! Mi dispiace! Macchan!»
Arrancò lungo la collina, prima di riuscire a raggiungerla e affiancarla. Unì le mani di fronte al viso e cercando di sorriderle, maldestramente, le chiese di nuovo scusa. Ma lei continuò a pedalare e guardare dritta di fronte a sé, ignorandolo.
«Se ti compro i Taiyaki mi perdoni? Quelli con i fagioli Azuka che ti piacciono tanto!»
«Mh» mormorò Machiko, guardandolo storto. «Forse» ammise.
«Allora, me la dici questa buona notizia?» insisté lui e solo allora Machiko inchiodò, lasciando dietro di sè una scia di polvere e sassetti. Toshinori si fermò, stupito, e le si avvicinò appena in tempo per farsi sbattere in faccia un foglio di giornale. Se lo allontanò dal viso il tanto necessario per riuscire a vederne il contenuto e si illuminò: «Ma questi siete voi! Tu e la tua band! Su una pagina di giornale!»
«Prima pagina, baby! Ci hanno voluto intervistare, visto il successo del Japan Academy Music Award e il fatto che ormai sono anni che apriamo il festival sportivo con la nostra musica. Stiamo diventando famosi, ti rendi conto?»
«Incredibile! Siete incredibili! È grandioso! Tutta Tokyo adesso vi conoscerà! Wow! È... incredibile!» continuò estasiato, non riuscendo a trovare altra parola per esprimere la gioia che provava in quel momento per lei.
«Ma non è tutto!» e puntò il dito a una riga precisa del trafiletto che era stato loro concesso. «Leggi qua!»
Pieno di curiosità Toshinori avvicinò nuovamente il foglio al viso e lesse: «"Sono questi i Powerful Guy, la band nascente che tanto sta facendo parlare di sè, famosi soprattutto per la canzone d'apertura del grandioso festival sportivo della Yuuei, prima scuola di supereroi del giappone che vede anche tra le nuove generazioni di cui si occupa grandi futuri eroi come..."» e si interruppe, sussultando.
«Come?» insistè Machiko, sorridendo con orgoglio. «Come chi, allora?»
E Toshinori, balbettando, lesse: «”Come Toshinori Yagi, in arte All Might, futuro simbolo della pace”».
«Inizialmente quando ho chiesto al giornalista di riportare il tuo nome con quella specifica dicitura mi ha guardato un po' storta, non credo mi abbia preso sul serio a dire il vero, in effetti il tutto sembra un po' forzato, ma è bastato usare un po' del mio sex appeal per convinc...» ma il monologo orgoglioso di Machiko fu interrotto da Toshinori, che quasi urlo, in preda alle lacrime: «Macchan!!!»
«Piangi? Mi prendi in giro?» strillò lei, guardandolo contrariata.
«Io... non so... che dire... grazie!!!» e continuò a piangere come un bambino, stritolando e rovinando quello straccio di giornale che ancora teneva tra le dita.
«Finiscila subito, mammoletta! I numeri uno non si comportano da ragazzette!»
«Mi dispiace» continuò lui, per niente intenzionato a smettere.
«Basta! Mi stai facendo incazzare!» urlò Machiko, afferrandolo per il colletto e cominciando a scuoterlo come un uovo strapazzato. Ma la sensibilità di Toshinori non conosceva limiti e dopo anni di duro allenamento, finalmente aveva potuto vedere il nome di All Might associato al suo sogno di pace impresso nero su bianco, sparso per tutta la città. Dopo tanti anni di duro lavoro era stata Machiko ad aprire per lui quella prima porta che avrebbe portato alla realizzazione di un idolo.
Lei non aveva mai smesso di credere in lui, neanche per un istante.


Nina ripose quel pezzo di carta rovinato dal tempo dentro la custodia di un dvd. Lo incastrò con cura, facendo in modo che non si rovinasse e che fosse potuto restare protetto al suo interno per altri vent'anni. Quello strappo di giornale che aveva conservato gelosamente, nonostante Toshinori glielo avesse quasi fatto a pezzi. Premette la linguetta al centro del dvd, alla destra del foglio di giornale, e ne estrasse il cd dal suo incastro. Si avvicinò alla televisione, l'accese e infilò il cd nel lettore dvd sotto di essa. Lo fece partire e si avviò verso il suo comodino, dove aveva posato un bicchiere colmo di vino ad aspettarla. La voce di un giornalista si fece strada dentro quelle quattro pareti che erano la stanza del suo albergo, esprimendo l'incredulità di fronte a quell'epica scena. Il treno era stato ribaltato, le fiamme divampavano, eppure c'era quell'uomo, quell'eroe, alto come una montagna, forte come un leone, che sorrideva. E sembrava facesse risplendere il sole con quel suo sorriso.
«Non avete niente da temere» disse All Might, ergendosi sopra il treno in fiamme carico di persone appena salvate. «Sapete perché? Perché adesso ci sono qua io!»
Stoppò l'immagine e bevette un sorso di vino, mettendosi a sedere per terra, con la schiena poggiata al letto dietro di lei. L'osservò, l'osservò a lungo l'uomo che aveva visto nascere dalla polvere e farsi strada fino al cielo, diventando non solo una stella tra le stelle, ma la più luminosa. Diventando il sole di una terra ormai fredda e buia. Mandò indietro il dvd e rimise play, facendo ripetere ad All Might: «Sapete perché? Perché adesso ci sono qua io!» e la sua fragorosa risata ne seguì, facendo vibrare le corde dell'animo.
Di nuovo stop, indietro e play.
«Adesso ci sono qua io!»
Stop e ancora indietro e ancora play.
«Perché adesso ci sono qua io!» e ancora risate. Nina si portò nuovamente il bicchiere alla bocca e questa volta lo tracannò fino all'ultimo sorso. Con la mano tremante si asciugò un rivolo sfuggito dalle labbra.
Il fiato le tremò in gola e fu costretta a socchiudere gli occhi, concentrandosi per ritrovare la calma. Allungò una mano nel vuoto e si riappropriò del telecomando. Si rannicchiò nelle sue stesse ginocchia e nascondendo il volto tra le braccia fece ripartire la registrazione, ascoltando per l'ennesima volta la risata di Toshinori rimbombarle nelle orecchie.
«All... right...»


La mattina dopo Nina arrivò a scuola in netto anticipo, rispetto al suo programma. Con passi pesanti, lo sguardo corrucciato e un bello strato di fondotinta a nascondere le occhiaie della notte appena passata insonne, raggiunse la sala professori. Si guardò attorno, sotto lo sguardo attonito di alcuni professori delle classi delle altre sezioni. Nessuno che conoscesse, ma loro sicuramente conoscevano lei.
«Mi servono i fascicoli degli alunni della classe prima A» disse lei, severa. Uno di quegli uomini, confuso e un po' intimorito, si limitò a indicarle un archivio in fondo alla stanza. Nina ci si avvicinò e aprì quella relativa alla classe di interesse. Passò in rassegna i cognomi fino a trovare quello che le interessava: Midoriya Izuku. Lo prese e si andò a mettere sul divano, immergendosi nella lettura.
Il ragazzino era stato dichiarato fino all'anno prima un senza poteri, poi improvvisamente il suo Quirk si era manifestato e aveva affrontato la prova d'ingresso, riuscendo a superarla solo tramite consenso dei professori, nonostante il suo punteggio pari a zero. Uno smidollato che improvvisamente era diventato un eroe. Non c'era molto altro, se non un sacco di informazioni anagrafiche e burocratiche sul suo rendimento alle medie. Doveva scoprire di più, doveva assolutamente sapere se sarebbe stato un degno erede del titolo di simbolo della pace. Non riusciva a darsi pace, ma doveva essere certa che Toshinori non stesse rinunciando alla sua identità invano. Lei era stata convocata per un motivo, e ora quel motivo era riuscire a scoprire se quel Midoriya meritava quel regno a discapito del Re fondatore.
Ripose il fascicolo e percorse a grande rapidità i corridoi della Yuuei, fino all'ufficio del preside.
«Ho bisogno di visionare alcune informazioni su Midoriya» disse spalancando la porta, senza neanche un saluto o un annunciazione. Nezu, impegnato in qualche carta burocratica, alzò gli occhi sulla donna dallo sguardo severo.
«I fascioli li trovi in sala professori, sono a disposizione di tutti in modo che nessuno sia privato delle informazioni necessarie alla propria pratica d'inseg...»
«Quei fascicoli sono carta straccia» lo interruppe Nina ed entrò nella stanza, richiudendosi la porta alle spalle. «Devo sapere di più».
«Non c'è molto di più, a dire il vero».
«Immaginavo che le informazioni rilevanti non fossero state racchiuse da nessuna parte se non nella mente degli interessati» osservò Nina, avvicinandosi alla sedia di fronte alla scrivania del preside. Ci si lasciò cadere sopra e con un sorriso soddisfatto aggiunse: «Allora sono venuta nel posto giusto». Sollevò gli occhi, puntandoli in quelli del preside, burattinaio intenzionato a prendere possesso di un altro burattino ma non attraverso i suoi fili. Quello sguardo legava l'animo e lo sottometteva, quello sguardo aveva per anni intimorito chiunque le si parasse davanti, causandole non pochi problemi, a dire il vero.
«Midoriya detiene lo One for All, non è così?»


All Might, nella sua forma più debole, speranzoso che ciò sarebbe bastato per non essere riconosciuto, entrò cauto a scuola. Ormai la campanella era suonata da un pezzo e il cortile esterno era praticamente deserto. Si nascose dietro a un colonnato e scattando dopo essersi assicurato che fosse tutto deserto riuscì finalmente ad entrare. Ora gli aspettava la parte più complessa. Camminò rapido, deciso a raggiungere il suo rifugio sicuro, una saletta ristoro che gli era stata concessa completamente per preservare la sua privacy e dargli un luogo sicuro in cui riposarsi. Ormai erano tre giorni che effettuava lo stesso rito per le sue entrate a scuola, sapendo perfettamente che non sarebbe riuscito a durare per sempre, che prima o poi quel confronto che lo terrorizzava tanto avrebbe dovuto averlo. Sapeva che non poteva fuggire per sempre, e non doveva farlo, ma per il momento si limitava a continuare a nascondersi fintanto che il coraggio non avrebbe finalmente fatto capolino. Forse proprio l'ultimo giorno di permanenza di Nina in quella scuola, chi avrebbe potuto dirlo? E pensare che era stato lui stesso a chiedere al preside Nezu di offrirle quel ruolo all'interno della scuola, dopo che aveva scoperto che sarebbe tornata qualche giorno a Tokyo. Chissà che gli aveva detto il cervello... probabilmente qualcosa di molto saggio, che ora invece si ostinava ad ignorare colto da una folle paura. Quella donna sapeva come far venire i brividi alle persone, se lo ricordava bene.
Si affacciò da un angolo e in quell'istante suonò la campanella del cambio dell'ora. Rabbrividì, colto di sorpresa, e cominciò a correre lungo il corridoio, schivando gli alunni che poco a poco uscivano dalle aule. Una vera corsa a ostacoli, che riuscì comunque a portarlo alle scale per i piani superiori e infine, alla fine del lungo corridoio dell'ultimo piano, alla sua saletta sicura. Entrò e sbattè la porta alle sue spalle. Aveva vinto anche quel giorno e poteva tirare un sospiro di solli-«All Might!»
La voce alle sue spalle gli fece battere il cuore talmente forte che non riuscì a trattenersi dall'esplodere nella sua forma potenziata, come un riccio che terrorizzato si raggomitolava improvvisamente e tirava fuori gli aculei.
«Cosa?» quasi urlò, voltandosi di colpo. Midoriya era seduto sul suo divanetto e lo guardava sconvolto: che gli prendeva?
«Oh, Midoriya, ragazzo mio» sospirò All Might, tornando a respirare e riuscendo a calmare i battiti del cuore. Si concesse perfino di tornare alla sua forma vulnerabile. «Sei solo tu, mi hai fatto spaventare».
«Chi altro sarebbe potuto essere, scusa?» chiese Midoriya sempre più sconvolto. Esisteva davvero qualcuno in grado di spaventare a tal punto l'uomo più forte del mondo?
«Nessuno, nessuno. È che non ero in condizioni adatte ad essere visto, lo sai no?» riuscì a cavarsela dando al suo segreto la colpa di quel mezzo infarto che aveva appena subito. Aveva bisogno di Recovery Girl, lo sentiva. Qualcosa non stava funzionando più come prima, le gambe si stavano come sciogliendo e presto avrebbe toccato il suolo. Si mise a sedere, sperando di riprendersi o almeno di non svenire prima che Midoriya non fosse di nuovo uscito dalla sua stanza.
«Dimmi, come vanno i tuoi allenamenti?» chiese, cercando un pretesto per far conversazione e dimenticarsi di quanto fosse appena accaduto.
Midoriya annuì, ma qualcosa gli rabbuiava il volto. «Bene, le lezioni di Nina penso potrebbero essere d'aiuto».
Un altro brivido lungo la schiena nel sentir pronunciare quel nome.
«Oh, bene, bene! E le lezioni di inglese, invece?»
«Inglese?» chiese Midoriya, guardandolo storto. Tentativo di cambiare conversazione numero due: fallito appieno. All Might cominciò ad agitarsi, balbettando scuse del tipo: «Sì, sai... l'struzione di un eroe è molto importante... anche nelle basi! E le lingue sono fondamentali... e...»
«Stai palesemente cercando scuse!» lo brontolò Midoriya, riuscendo così a fermare quel suo imbarazzante arrancare. «Piuttosto, vorrei farti una domanda riguardo proprio Nina».
«Sono molto impegnato!» rispose d'istinto All Might, ancora più agitato, immaginandosi per chissà quale motivo che il ragazzo gli avesse fatto la domanda che più temeva: perché la stava evitando?
«Eh?» chiese Midoriya, confuso, e questo portò alla mente di All Might che il ragazzino non avrebbe mai potuto sapere della storia che c'era tra loro due. Imbarazzato, rosso in volto, si schiarì la gola prima di cercare di riacquistare una dignità e chiese: «Perdonami, sono giorni difficili. Cosa volevi chiedermi?»
«Ecco...» cominciò Midoriya, un po' agitato su quanto stava per chiedere. Ma poi riuscì a formulare quella domanda che dal giorno prima gli bombardava la testa. «Lei sa di One For All?»
La domanda lasciò per un attimo All Might stupito. Conosceva Nina, non aveva mai messo in dubbio che lei un giorno avesse potuto capire che Midoriya era un ragazzo speciale, ma non si sarebbe mai aspettato che questo avvenisse così presto.
«Cosa ti ha fatto pensare che lei lo sappia?» chiese All Might, ora serio più che mai.
«Ha cominciato a comportarsi in maniera strana verso di me da quando, durante un combattimento d'esercitazione il primo giorno, ho rotto i suoi fili».
«Hai rotto i fili?» strabuzzò gli occhi All Might. Midoriya annuì, prima di aggiungere un po' turbato: «Mi guarda come se vedesse un fantasma. Mi fa venire i brividi».
«Quello è il suo modo di guardare chiunque, puoi star tranquillo. Non è una donna facile da gestire» cercò di tranquillizzarlo, ricordando come a volte perfino a lui metteva la pelle d'oca.
«Sì, ma poi... ecco, ha detto una cosa» e questo attirò nuovamente l'attenzione dell'uomo. «Ha detto che prima di me solo un'altra persona era stata in grado di rompere i suoi fili. Quella persona sei tu, non è vero?»
Midoriya era un ragazzo sveglio, intelligente ed attento. Una frase del genere l'aveva subito portato sulla giusta via, non ci aveva messo molto a fare due più due. E Nina...
«Sì» confessò con un filo di voce, lottando contro una dolorosa sensazione alla bocca dello stomaco. I ricordi da cui era scappato per tanto tempo, da cui era riuscito addirittura a liberarsi col passare degli anni, erano appena arrivati tutti insieme a travolgerlo come una valanga. Tutti quei ricordi, tutti insieme, i sorrisi, gli scherzi, i giochi, i pianti... soprattutto i pianti. E quel giorno... l'ultimo giorno che l'aveva vista, l'ultimo giorno che si erano parlati, prima che lei scappasse e lui decidesse di chiudere per sempre quella porta, rimasta aperta per quasi quindici anni. Il giorno che decise che sarebbe per sempre stato All Might, solo All Might, e mai più Toshinori.
Quella telefonata. La sua voce dolorosamente fredda.
"Abbi cura di te, All Might".
«Sì» confessò nuovamente, sentendo la valanga travolgerlo. «La forza di One For All è sempre stata l'unica in grado di spezzare i suoi fili. Conosce il mio segreto e credo che adesso conosca anche il tuo. Mentirti non servirebbe».
«È come immaginavo allora!» disse Midoriya, colto dal panico.
«Non aver paura. Può non sembrarlo, ma è una brava persona. Ti aiuterà, ora più che mai. Fidati di lei».
«Veramente a me sembrava una brava persona anche prima, nonostante il suo modo di guardarmi, hai davvero così paura di lei da credere che trasmetti questa sensazione?» chiese Midoriya un po' stranito.
«Quella donna è il demonio!» si giustificò All Might, preso dal panico.
«Ma hai appena detto di fidarmi!» strillò Midoriya, colto dallo stesso panico.
«Infatti è così!»
«Ma se è il demonio?»
«Sì, è terrificante!»
«Ma ti vuoi decidere, allora?!»
E i due continuarono a battibeccare a lungo, fino a quando il ragazzino non fu costretto a rientrare in classe per l'ora di lezione successiva. Aprì la porta senza sapere che le novità e le sorprese per quella mattina non sarebbero ancora finite. Una bella porzione dei suoi compagni era tutta raccolta intorno al banco di Mineta e parlottavano, come una setta intenta a organizzare qualche piano malefico. Perfino Bakugou, che se ne stava in disparte al suo banco, non faceva che fissarli, comunque interessato a ciò che stava accadendo, anche se orgoglioso non l'avrebbe dimostrato.
Midoriya si avvicinò, solleticato dalla curiosità, e riuscì a farsi strada tra Sero e Hagakure, fino a raggiungere il tavolino di Mineta. Il ragazzino se ne stava tranquillamente seduto, accerchiato dai compagni, un'espressione soddisfatta in volto, braccia incrociate al petto e una vecchia foto poggiata proprio di fronte a lui. Midoriya dovette storcere un po' il collo per riuscire a vederla, visto che era rivolta dall'altro lato, ma quando riuscì a distinguere le due sagome che si intravedevano sobbalzò, urlando: «Ma quello è All Might!»
«Visto!» esclamò Kirishima. «Anche Midoriya l'ha riconosciuto!»
«Sì, ma è un po' diverso» osservò Ashido.
«È una foto vecchia più di vent'anni, è più giovane, pettinatura un po' diversa e meno muscoloso, ma è lui! Si vede! È palese!» insistè Sero.
«Aveva da poco cominciato la sua carriera, lo conoscevano ancora in pochi, per questo girano poche foto così. Quando è diventato veramente famoso aveva già cambiato aspetto, ma quei lineamenti sono abbastanza riconoscibili» insistè Asui.
«Certo che è davvero incredibile...» osservò Uraraka, come rapita dalla foto. Midoriya le concesse un lungo sguardo, tornando a studiarla. All Might, sorridente come sempre, aveva lo sguardo rivolto alla figura al suo fianco. Una ragazza che rispondeva allo sguardo e al sorriso, teneramente stretta al suo braccio destro, in un atteggiamento che, non lasciava dubbi, andava ben oltre la semplice amicizia.
«Beh, avrà avuto il suo successo anche da giovane e poi è pur sempre un essere umano. Non ci vedo niente di strano nel fatto che uscisse con qualche ragazza» disse Ojiro.
«Sì, ma proprio con lei? È una bella coincidenza» osservò Ashido.
«Lei chi?» chiese Midoriya, storcendo ancora di più il collo. Mineta, notando la sua difficoltà e forse per rendersi ancora più orgoglioso della scoperta fatta, girò la foto per fare in modo che potesse vederla meglio.
«Andiamo, Midoriya! Non la riconosci?» chiese sconvolto Kirishima.
«Ha i capelli più lunghi, è leggermente voltata ma si vede perfettamente che è la professoressa Nina» spiegò Hagakure.
«Nina?» strabuzzò gli occhi Midoriya. La porta della classe si spalancò con un tonfo e tutti i ragazzi saltarono sul posto, affrettandosi a nascondere il cimelio che Mineta aveva riportato a galla. Yamada entrò in classe, squadrando i ragazzini da capo a piedi prima di chiedere contrariato: «Cos'è questo baccano, si può sapere?»
«Niente professore! Ci perdoni!» disse Iida diligentemente e il resto dei suoi compagni scappò ai propri posti, veloci come fulmini. Yamada decise di lasciarli perdere, questioni da ragazzini, chi non poteva capirli? E si andò a mettere alla cattedra, pronto a cominciare la sua lezione.
«Izuku-kun» sussurrò Uraraka, al suo fianco. Midoriya si voltò a guardarla e rimase sorpreso di vederla china, con lo sguardo affranto, colmo di una profonda tristezza. Le mani strette tra loro, sulle sue gambe.
«Non lo trovi molto triste?» chiese la ragazza, senza alzare gli occhi. «In quella foto sembrano così felici. Hai mai visto sorridere All Might in quel modo?»
Di sorrisi di All Might ne aveva visti a bizzeffe, anzi poteva sicuramente dire di non averlo mai visto non sorridere. Ma non poteva dar torto alla ragazza: in quella foto era sicuramente diverso. Ripensò alla conversazione appena avuta proprio col diretto interessato, al suo modo di fare. L'agitazione, le scuse, le giustificazioni... e poi quello sguardo mentre ammetteva che, sì, lei faceva parte di quel segreto. Insieme ai più fidati. Insieme ai più cari. Eppure la temeva così tanto e ancora si era rifiutato di vederla.
Uraraka non aveva visto tutto quello, eppure la sua sensibilità era comunque riuscita a raggiungerli, ad entrare in contatto con i loro sentimenti semplicemente guardando la fotografia. Era l'unica che non ne aveva spettegolato ma era rimasta in silenzio a fissarla con tristezza. Una tristezza che infine giustificò: «Chissà cosa gli è successo».


Do you care, do you care?
Why don't you care?
I gave you all of me
My blood, my sweat, my heart, and my tears
Why don't you care, why don't you care?
I was there, I was there, when no one was
Now you're gone and I'm here


I have questions for you





Note dell’autrice


Era da qualche capitolo che non scrivevo delle note, ma penso che ora sia abbastanza importante farlo, primo tra tutti per ringraziare chi legge.
Inizialmente il numero di visual per capitolo era abbastanza triste, ora invece ho visto che i numeri di stanno ingrossando e non so se è la stessa persona che chiude e riapre i capitoli cento volte oppure siete diventati in tanti, ma mi piace pensare alla seconda opzione xD
Perciò a tutti voi, GRAZIE!
E’ una storia uscita abbastanza di petto, ci ho riflettuto poco, ho semplicemente gettato sul foglio quello che volevo senza pensare se sarebbe piaciuto o meno per questo non avevo grandi aspettative, anche se ammetto che arrivata in fondo mi sono affezionata tantissimo alla mia Machiko e alla sua tormentata storia e soprattutto al Toshinori che sono riuscita a scolpire, senza andare OC (o almeno spero xD). Per questo vedere così tanti consensi, considerate anche le persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite e le recensioni, mi ha davvero rallegrato.



Premesse a parte, passiamo al capitolo vero e proprio. E’ un capitolo abbastanza importante, come i prossimi che seguiranno, perché le cose cominciano a prendere un po’ più forma. Abbiamo un primo spazio dedicato tutto a Toshinori, ai suoi pensieri e ciò che prova dal ritorno di Nina, anche se sono solo un primo accenno. Abbiamo in più un altro elemento importante: Nina sa dello One for All e ha capito che Midoriya è il successore, l’erede del suo “amico d’infanzia” Toshinori: come si comporterà d’ora in avanti a proposito di questo, visto che è stata parte essenziale della nascita di All Might?
Sì, ho messo volutamente “amico d’infanzia” tra virgolette perché, come si capisce dalla fine del capitolo e quella piccola riunione nella classe 1 A, ormai è abbasta palese che tra i due in passato non ci fosse stata solo amicizia. Ma ancora non si viene a capo del nodo. Come Uraraka si chiede: che cosa sarà successo?
In tutto questo Nina continua ad affogare lentamente nella malinconia, passando notti insonne, bevendo vino come se non ci fosse un domani e ascoltando la voce registrata di All Might al DVD (sì esatto! Si è registrata la puntata del tg dove si parla di lui!).
E vogliamo parlare del piccolo flashback dove Machiko pedala per tutta Tokyo, in barba alle regole stradali, seminando il panico tra i pedoni, solo per trovare Toshinori e fargli vedere la pagina di giornale dove lei ha costretto il giornalista ad accennare al “futuro simbolo della pace”? Quella è stata ufficialmente la prima apparizione di All Might sui media, ed è avvenuta grazie a Machiko (ho le mie ragioni a dire che lei è stata parte essenziale della nascita di All Might come tale).


La canzone scelta io l’adoro, ha nel ritmo e nella voce della cantante tutta la malinconia e il dolore che pian piano stanno uscendo fuori anche a Nina. Il testo poi è una perla (il trafiletto riportato è particolarmente importante), sia nel “i gave you all of me” che nel “i was there, i was there, when no one was” che nel “now you’re gone and i am here”. Ammetto che quella strofa si è contesa il posto con l’inizio della canzone (ma tanto ora ve lo riporto lo stesso e quindi peace and love):
Why did you leave me here to burn?
I'm way too young to be this hurt
I feel doomed in hotel rooms
Staring straight up at the wall
Counting wounds and I am trying to numb them all.
Vi consiglio di ascoltarla se volete entrare nell’animo profondo di Nina.

Bene! Ho finito queste immense NDA! (Ecco perché a volte non le faccio, sono enoooooooormi ._. non riesco a essere breve, spero di non avervi annoiato).

Io vi ringrazio ancora infinitamente tutti quanti, lasciatemi un pensiero se vi va e se volete restare un po’ più in contatto con me (anche per fangirlare un po’ sui nostri beniamini e tanti altri) vi linko la mia pagina fb dove ogni tanto provo a scrivere due parole xD
https://www.facebook.com/RayWingsScrive/

Il gatto in copertina si chiama Kira, è l’amore della mia vita e la mascotte di questa presunta scrittrice. Ogni tanto dirà anche lui la sua in pagina(sì, è un lui, conoscete Death Note?), non perdetevelo xD

A presto!



Ray

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Capitolo 8
*** Ehy Brother, Avicii ***


"Ehy Brother”, Avicii




Il traffico quel giorno era intenso, un po' fastidioso, ma solo un sottofondo disturbante che in qualche modo faceva compagnia alla sua attesa. Nina sedeva al tavolino del bar appena sotto al museo, gambe accavallate, schiena poggiata allo schienale e un frappè da sorseggiare. Come sempre, a nascondere la sua identità, c'era il sostegno di un paio di occhiali da sole e un cappellino da baseball. Ancora ne dubitava dell'utilità, ma finchè funzionavano e la gente si teneva lontana da lei avrebbe continuato a fidarsi del grande potere degli occhiali da sole.

Aveva addosso ancora la fatica delle lezioni tenute alla prima A, terminate neanche un'ora prima, e rifocillarsi con un frappè era quello che le ci voleva. Aveva scoperto e seguito gli incredibili poteri di Asui, Ashido e Sero. Aveva provato a parlare anche con Mineta, ma il ragazzino pensava troppo a farle la corte e poco a imparare a migliorarsi, perciò non aveva potuto far altro che ammutolirlo con un severo: «Mineta, il tuo limite per diventare un eroe è che non sei eroico. Cresci, poi magari torna a rivolgermi la parola».
Forse era stata un po' cattiva con lui, ma almeno l'aveva scosso abbastanza da provare a dargli un motivo per impegnarsi. E poi era di pessimo umore, non aveva la forza di accontentare i capricci di un ragazzino al suo primo incontro con gli ormoni. Il resto del pomeriggio l'aveva passato allenando personalmente Bakugou, verso il quale aveva fatto una promessa più importante sia a lui che al resto della scuola. Non le importava che trapelasse la sua preferenza verso il ragazzo, le gelosie tra ragazzini non erano cose di cui si sarebbe dovuta preoccupare.
Izuku Midoriya, di lui si sarebbe dovuta preoccupare. Ma il preside aveva fatto di tutto per impedirglielo e ancora non riusciva a liberarsi dal senso del dovere verso il suo superiore.
«È l'erede di All might, non è così?» aveva insistito notando il silenzio del preside, quando aveva chiesto se fosse il nuovo detentore dello One For All.
«Pensavo che ormai fossi fuori da queste faccende, da quando te ne sei andata vent'anni fa. La cosa adesso ha rilevanza per te?»
«Ha rilevanza per il mondo intero!» aveva gridato, permettendo a tutto quel nervoso e quelle terribili sensazione di sfociare in uno sfogo che ormai non teneva più. «Quali qualità ha quel ragazzino? È meritevole? Era un senza poteri! È stato allenato troppo velocemente, non è pronto!»
«Davvero non hai fiducia nel giudizio di Toshinori?» aveva chiesto Nezu, riuscendo a far breccia nel petto di Nina. Era bastato sentirlo nominare col suo vero nome, riportando alla mente del ragazzino della sua infanzia e non l'eroe che era diventato. «Fino a prova contraria anche lui era un senza Quirk, prima che Nana lo prendesse con sé. Quali credenziali aveva?»
Nina si era rimessa a sedere, sentendosi alle strette. Aveva permesso ai suoi sentimenti di traboccare senza ragionare e aveva detto cose che erano facilmente discutibili. Non era stato difficile per Nezu trovare una breccia.
«Era una persona dal cuore buono» aveva ammesso in un timido sussurro.
«Aveva la giustizia nel petto, correva in aiuto di chiunque anche sapendo di non avere la forza per aiutarla. Finiva sempre nei guai». Aveva riportato alla mente la figura di quel bambino di appena undici anni che puntualmente tornava da lei ricoperto di graffi e lividi.
«Ma ne usciva sempre sorridente e vincitore. L'allenamento di Toshinori è stato lungo e faticoso e quello di Midoriya sarà altrettanto, ma così come Toshinori ha avuto bisogno di Gran Torino Midoriya avrà ugualmente bisogno di aiuto» aggiunse Nezu.
«È per questo che mi ha fatto chiamare? È per questo che All Might ti ha chiesto di farmi venire qui, Nezu?»
«Queste sono faccende che discuterai con lui personalmente».
«Quando si deciderà a farsi vedere, quel cagasotto» aveva mormorato tra i denti, ma Nezu l'aveva ignorata e aveva proseguito: «Per il momento, io mi limiterò a farti vedere una cosa».
Aveva portato in avanti un televisore, abbassato la tapparella e infilato una cassetta nel registratore, presa da un archivio lì nel suo studio. Il video era partito con la voce di Yamada che presentava il test pratico d'ingresso dei ragazzi della prima A, con le dovute regole. Nezu aveva mandato avanti il video fino ad arrivare alla parte che gli interessava: Uraraka stesa a terra, in difficoltà, con uno dei robot, quello da zero punti, sopra di lei pronto a farle del male. Il resto dei ragazzi se l'era subito data a gambe, intenzionati a non perdere tempo con uno scarto inutile, bramosi di trovare la loro fonte di punteggio per entrare nell'ambita scuola. Avevano lasciato indietro la ragazzina, in difficoltà e in pericolo, dimenticandola lì, presi ognuno dal proprio egoistico obiettivo. Tutti, tranne Midoriya, che era tornato indietro. Allo scoccare degli ultimi secondi, con zero punti in tasca e una tragica situazione di imminente sconfitta, aveva lasciato perdere il suo desiderio per andare in aiuto dell'amica. Un puro gesto eroico, un forte senso della giustizia... un ragazzo dal cuore buono e l'eco della sua voce che chiamava Uraraka, che pian piano si trasformava in quella di Toshinori che chiamava Machiko.
La voce di Toshinori che, ricoperto di ferite, chiedeva preoccupato: «Stai bene?» e lei in lacrime che lo prendeva a calci, peggiorando la sua situazione, e gli dava dello stupido.
Avrebbe davvero messo in discussione quel Midoriya?
Nonostante però le prove fossero tutte a suo favore, nonostante sapesse che non poteva certo mettere in discussione la scelta di Toshinori, il cuore non riusciva a darle pace. Quel Midoriya portava sulle spalle un'ombra terrificante. Come poteva andarle incontro sorridente, sapendo quello che stava facendo al simbolo della pace? All'eroe più grande del mondo?
Non riusciva ad accettarlo. Non ci sarebbe riuscita.
«Nina!» la voce di Ashido attirò la sua attenzione, a pochi metri di distanza da lei, strappandola dai pensieri. La vide arrivare, insieme al resto dei suoi compagni, e si stupì quando li contò tutti.
«Siamo venuti tutti! Perfino lui!» rise Kirishima, indicando Mineta al suo fianco, che rosso in volto si girò dall'altra parte. Nina quel pomeriggio gli aveva dato una bella strigliata, eppure era di nuovo lì, non si era arreso solo perché lei l'aveva maltrattato. Sorrise, felice di vedere che in fondo si era sbagliata: un briciolo di eroismo, forse, quel piccolo grappolo d'uva ce l'aveva.
«Ciao ragazzi!» salutò, alzando una mano. «Finisco il mio frappè e andiamo. Volete qualcosa? Vi offro un gelato?»
«Oh! Un gelato!» si illuminò Kirishima.
«Yeah!» urlò Hagakure.
«Io voglio una fetta di torta!» disse Sero.
«Io un frullato!» disse Ashido e insieme al resto dei suoi compagni andò a prendere posto ai vari tavolini, intorno a Nina, suddivisi in vari gruppetti, ognuno intento a parlare e scherzare. Rimasta sola -Chi aveva il coraggio di sedersi vicino a lei?- Nina sorrise e li guardò intenerita dall'innocenza della loro età. Perfino Bakugou, serio e scorbutico com'era, aveva intorno Kirishima e altri ragazzi con cui parlare, anche se più che parlare lui si limitava a urlare e prendersela con tutti. Era bello vedere come nessuno desse peso a quel suo lato del carattere e riuscissero comunque a integrarlo e volergli bene. Sapeva quanto poteva essere bello avere qualcuno in grado di apprezzarti nonostante la paura che potevi fare e il tuo brutto carattere. Quel Kirishima in particolare gli sembrava molto affezionato. Era una persona buona, glielo si leggeva in faccia. Era il Toshinori di cui Bakugou aveva bisogno.
Le sue riflessioni vennero interrotte dall'ombra di Midoriya, che comparve al suo fianco, col suo bicchiere di gelato. La guardò intimorito, un po' tremolante a dire il vero, e rimase in silenzio a fissarla.
«Midoriya, che succede?» chiese lei, chiedendosi cosa gli passasse per la testa.
«Sono l'erede di One For All» confessò il ragazzino a bassa voce, in modo che solo lei potesse sentire. All Might gli aveva detto che doveva fidarsi, che lei l'avrebbe aiutato, e per farlo doveva partire dalla base: confessare apertamente ciò che lei sospettava, renderla partecipe di ciò che stava vivendo, totalmente.
Lo sguardo di Nina si indurì, prima che lei potesse dire: «Lo so».
Come sospettava, lei l'aveva scoperto già da prima.
«Siediti» gli ordinò e lui obbedì, mettendosi al suo fianco. Nina non gli rivolgeva lo sguardo, continuava a guardare i suoi compagni, assorta, ma sapeva che tutta la sua attenzione ora era lì con lui.
«Da quanto tempo?» gli chiese.
«Dal giorno del test d'ammissione» rispose e Nina strabuzzò gli occhi, guardandolo. «Da quel giorno stesso?» chiese conferma, stupita.
«Lui me l'ha dato quella stessa mattina, dopo avermi allenato per un anno intero».
«Perciò quella era la prima volta che lo usavi» mormorò Nina, ricordando il video che Nezu le aveva mostrato quella mattina stessa. «Ho visto la registrazione del tuo test» spiegò, notando lo sguardo confuso di Midoriya.
«Non sapevo controllarmi, ho usato subito tutto il potere che avevo e sono andato in pezzi. Devo imparare a...»
«Porti un limite da superare pian piano, con l'allenamento. Tutti i tuoi compagni stanno cercando di imparare da me come superare i propri limiti, tu invece devi imparare a starci dentro» ridacchiò divertita dalla comicità della situazione. «"Corso supplementare extrascolastico sulla gestione dei propri limiti", sono stata superficiale quando ho letto la lettera. Beh, certo non mi sarei aspettata di incontrarti... ma probabilmente l'obiettivo era proprio quello, chissà».
«Voleva...» azzardò Midoriya. «Voleva che ci incontrassimo?»
«Probabilmente voleva farsi beffe di me» mormorò Nina, colta da un improvviso sentimento di rancore che non riuscì a trattenere. Dopo tutto quello che c'era stato aveva avuto il coraggio di invitarla al giorno della sua fine, come a voler dire: "ehy, guarda! Tutto quello che abbiamo fatto fino a questo momento sta andando in fumo!".
Midoriya colse quel rancore, chiunque l'avrebbe colto, e non potè far a meno di pensare alla frase di Uraraka: "Sembravano così felici. Chissà cosa gli è successo".
«Era lui, vero? La persona che prima di me era riuscito a rompere i tuoi fili» chiese, desideroso di togliersi alcune curiosità. Lui si era aperto completamente, era giusto che lei facesse altrettanto, anche se All Might stesso glielo aveva confessato il giorno stesso.
«Sì, era lui» sospirò lei, mettendosi più comoda sulla sua sedia. «Quando Nana gli passò il suo potere divenne impossibile per me riuscire a prendere ancora il controllo del suo corpo. All'inizio fu frustrante, ma alla fine scoprii che se lo prendevo di sorpresa riuscivo a farsi dare almeno uno schiaffo, anche se non si faceva niente. Era diventato un passatempo, riuscire a impadronirmi di lui senza che se ne accorgesse» ridacchiò divertita.
«Vi conoscete da così tanto tempo» osservò Midoriya, assorto. Si rese subito conto di ciò che aveva appena detto e arrossì, imbarazzato, chiedendo meccanicamente scusa per essersi intromesso nei suoi affari personali.
«Va bene così, non c'è niente da nascondere» lo rassicurò Nina. In fondo quando aveva accettato quell'incarico alla Yuuei, l'aveva fatto con la chiara intenzione di calpestare quei ricordi e sfidare se stessa a rivivere certi ambienti senza subirne conseguenze. Voleva chiudere definitivamente quella porta. Fino a quel momento, però, non ci stava riuscendo un granché bene.
«Ci siamo conosciuti il primo anno delle medie. Lui al tempo era ancora un senza Quirk, ma presto avrebbe incontrato Nana e tutto sarebbe cambiato. Siamo stati amici a lungo».
"Ma poi qualcosa è successo e ora non riuscite più neanche a parlare l'uno dell'altro senza andare su di giri", pensò Midoriya ricordando come quella mattina All Might fosse teso come una corda di violino e sobbalzava tutte le volte che si accennava al discorso.
«Forse è per questo che ha detto che posso fidarmi di te, lo conosci da tanto, hai visto la sua crescita, sai in che modo si può sviluppare lo One For All. Probabilmente è per questo che crede che tu possa aiutarmi, hai visto esternamente i suoi progressi, puoi valutare anche i miei e...»
«Lui ha detto che puoi fidarti di me?» chiese Nina, ma fu ignorata, troppo preso com'era il ragazzino a fare congetture e collegamenti. Toshinori aveva detto al ragazzino che poteva fidarsi, che lei l'avrebbe aiutato. Riponeva in lei una tale sicurezza, nonostante tutto, non le portava rancore ma si fidava. Toshinori si fidava ancora di lei e non la detestava. La cosa, per quanto assurda, la rassicurò. Una sensazione dolce al petto. Una malinconia. Perché si ostinava a fuggire via, lei aveva così tanto bisogno di parlare, maledizione!
«Di' un po', moccioso!» e il tono improvvisamente minaccioso di Nina riuscì a distoglierlo dai suoi ragionamento. Ancora quello sguardo che metteva i brividi, mentre gli chiedeva: «Come sarebbe a dire che ti ha detto che puoi fidarti di me?» Lo afferrò per la testa e lo spinse contro il tavolino, schiacciandolo e strofinando animatamente la mano contro la sua cute, con la chiara intenzione di fargli del male: «Perché? Non ti fidavi di me prima che te lo dicesse lui? Eh? Credevi che io fossi una cattiva persona?» continuò a ringhiargli contro mentre lo bullizzava, ignorando le sue scuse e i suoi piagnucolii.
Si alzò, lasciandolo finalmente andare, dolorante e malconcio.
«Fine della ricreazione» annunciò lei, battendo le mani. «Chi viene con me a vedere qualche animaletto impagliato?»
E senza aspettare risposta si avviò verso l'ingresso del museo, seguita dal suo piccolo esercito di soldatini. Li guardò felice di vederli tanto animati e chiacchieroni, cosa che non facevano molto dentro le mura della scuola. Uscire un po' gli faceva bene, ricordarsi ogni tanto che prima di tutto erano ragazzini e che vivere una vita normale, con uscite di gruppo, non poteva che far bene. Entrarono, Nina pagò il biglietto per tutti e prese per ciascuno di loro un'audioguida, prima di annunciare: «Fatevi pure un giro, ascoltate cos'ha da dire per voi l'audioguida e se avete domande venitemi pure a cercare. Prima di lasciarvi andare però vi dico una cosa: il motivo per cui vi ho voluto portare qui è che ciascuno di questi animali, così come li vedete oggi o nelle immagini dei vostri libri, non sono uguali a quelli che c'erano tanti anni fa. La parola chiave è Evoluzione. Cambiano le condizioni ambientali, cambiano le esigenze e solo chi era in grado di cambiare se stesso, le proprie caratteristiche, chi meglio si adattava riusciva a sopravvivere. Ogni giorno c'erano limiti diversi e solo chi era in grado di superarli andava avanti. E così deve essere anche per voi... superate i vostri limiti, imparate da questi animali, evolvetevi e sopravvivete. E soprattutto divertitevi!» disse sorridendo. «Andate pure, io comincio dalla sala degli insetti. Mi trovate lì per qualsiasi cosa».
Ognuno prese la propria strada, i ragazzi si divisero entusiasti di quella gita fuori porta, anche se non ufficialmente organizzata -e forse proprio per questo la rendeva più divertente-. Nina si avviò verso la sala degli insetti e si sorprese nel vedere che Asui, Iida, Uraraka e Midoriya rimasero dietro di lei, seguendola. Si misero diligentemente le cuffiette e cominciarono ad ascoltare le spiegazioni della voce registrata, man mano che camminavano nella sala, spostandosi di zona in zona. Formiche, scarabei e scarafaggi, farfalle di ogni grandezza e colore, cavallette e ragni. Sui ragni Nina si fermò particolarmente, osservandoli ammirata e incuriosita, leggendo le didascalie non soddisfatta di quanto diceva la voce registrata. Uraraka le si affiancò, osservando anche lei gli animali e Nina le disse con ammirazione: «i fili del ragno sono incredibilmente resistenti ed elastici, possono intrappolare qualsiasi tipo di insetto. Se consideri l'incredibile forza che ciascuno di loro possiede, è davvero stupefacente. Lo sai che esiste un tipo di ragno in grado di tessere tele con diametro che va oltre un metro. Considerato che lui è grande neanche un centimetro è come se io riuscissi ad estendere i miei fili oltre a un paio di chilometri di distanza».
«Wow! Sarebbe in grado di catturare qualsiasi cosa!»
«Nessun rivale in battaglia» ridacchiò Nina, facendole un occhiolino. «Non combatto il crimine da anni, sono totalmente immersa nella mia carriera da cantante eppure continuo a sentire la mancanza di questa vita all'insegna del pericolo e della giustizia» confessò con un po' di malinconia. Nonostante il suo nome, la burattinaia, fosse spesso associato a qualcosa di negativo e le avesse creato molti problemi tra le persone, che tendevano a isolarla, amava il suo Quirk. Le piaceva essere la burattinaia.
«Ma allora perché se n'è andata?» chiese Uraraka istintivamente, ripensando a quella triste foto che la ritraeva felice al fianco di All Might. Si rese conto solo dopo di essere stata indiscreta e se ne vergognò molto, ma ormai l'aveva chiesto, non poteva tornare indietro e poi voleva veramente conoscere la risposta.
Se era così felice... perché se n'era andata?
Nina non rispose, ma continuò a fissare i ragni di fronte a sé. Il viso imperscrutabile, come una statua di cera. Era felice, non poteva negarlo, quella foto non lasciava spazio a dubbi e sicuramente era affezionata alla sua vita da eroina. Perché andarsene? Cos'era successo?
«Vieni, andiamo a vedere i vermi» mormorò Nina, voltandole le spalle e avviandosi verso la zona successiva. Il tono improvvisamente rabbuiato, addolorato, confermava che qualcosa l'aveva portata via da Tokyo contro i suoi desideri. Qualcosa doveva essere successo, qualcosa di così grave da convincerla a rinunciare a tutto ciò che aveva.
Un tremolio del terreno e le vetrate vibrarono. Nina si immobilizzò, ascoltando, mentre i ragazzi alle sue spalle si guardarono spaventati: «Che succede? Un terremoto?» chiese Asui.
«È già passato?» chiese Uraraka.
"Ci sono stati problemi l'ultima volta che abbiamo portato fuori i ragazzi. Nonostante le misure di sicurezza, hanno comunque rischiato la vita" recitò la voce di Nezu nella testa di Nina. Una beffa del suo cervello, a ricordarle che raggirare le regole, sgarrare, non portava mai niente di buono.
La terra tremò ancora ma questa volta più forte, tanto che Asui si aggrappò a Iida per riuscire a non cadere a terra. Dal piano superiore provenne un fracasso come di qualcosa che crollava.
«Merda!» disse Nina, ormai convinta che quello non fosse un semplice terremoto. Un attacco, che fosse da parte dei super cattivi o qualcun altro poco importava, ciò che contava ora era che tutta la prima A era sparpagliata per l'intero edificio. I suoi ragazzi, che lei aveva coraggiosamente portato fuori, erano in pericolo. Corse via, verso le scale, urlando con tutta la voce che aveva: «Iida, portali fuori immediatamente! Allontanatevi dall'edificio!»
«Sopra ci sono i grandi mammiferi! Kirishima e Bakugou li ho visti andare da quella parte!» gridò Uraraka, terrorizzata.
«Ci penso io, voi pensate solo ad andarvene! È un ordine, capoclasse!» si rivolse a Iida, ben sapendo che sarebbe stato l'unico tra loro che avrebbe fatto di tutto per obbedire, lui con la sua infinita diligenza. Li lasciò indietro e corse verso le scale col cuore che batteva all'impazzata. Non poteva permettere che si facessero male, nemmeno per sbaglio. Non poteva permettere che si facessero nemmeno un graffio! La terra tremò ancora, l'intero edificio tremò spaventosamente, minacciando di crollare da un momento a un altro. Si aggrappò alla balaustra e non appena riuscì a riacquistare stabilità riprese a correre. Arrivò al primo piano e una colonna cadde verso di lei, costringendola a schiacciarsi contro al muro per non essere colpita. Tossì per la polvere sollevata e si portò una mano alle labbra, prima di arrampicarsi su di essa e superarla, correndo verso la seconda rampa di scale che l’avrebbe portata alla sala dei grandi mammiferi, al secondo piano .
«Bakugou! Kirishima!» gridò, prima che un altro muro caddesse a terra e la costringesse a saltare via per evitare di essere travolta. «Koda! Ashido! Kaminari! Ragazzi, rispondete!»
«Nina!» a chiamarla fu Tokoyami, seguito da Mineta.
«Dove sono gli altri?» chiese Nina, correndogli incontro.
«Non lo sappiamo!» Mineta non fece in tempo a finire la frase che un altro muro crollò di fianco a loro e Nina si buttò sui ragazzi, per evitare che fossero colpiti dalle macerie. Si rialzò e dal fumo vide uscire, intenti a tossire, Kirishima e Bakugou. La mano di quest'ultimo fumava ancora, segno che aveva usato il suo Quirk fuori dalla scuola senza autorizzazione. Non sarebbe certo stata Nina a far la spia.
«State bene?» chiese lei.
«Dobbiamo uscire! Crolla tutto!» disse Kirishima, prima di farsi da parte e mostrare a Nina un gruppo di persone alle sue spalle: sette adulti e due bambini.
«Ci sono delle persone! Li abbiamo portati con noi, ma non sappiamo dove andare!» confessò Kirishima.
«Va bene, ci penso io» disse Nina, alzandosi e correndo ad aprire la finestra nel corridoio. Si voltò di scatto verso il gruppo di persone e lanciò su di loro i suoi fili, senza preavviso.
«Mi dispiace tanto, fidatevi di me, andrà tutto bene» disse repentina lei, prima di costringerli a correre verso la finestra. Piantò un piede sul muro e si preparò a ciò che la stava per aspettare, ignorando le urla e le maledizioni di chi in realtà stava cercando di salvare, solo perché non capivano cosa stesse cercando di fare.
«Ma che fai?» piagnucolò Mineta, temendo il peggio per quelle persone che stavano per fare un volo dalla finestra del secondo piano.
«Ragazzi, dovete reggermi!» urlò lei poco prima che i primi saltassero giù.
«Cosa?» chiese scioccato Mineta, cosa che non fecero Kirishima e Bakugou. I due ragazzi, fiduciosi della donna e sicuramente più svegli, obbedirono all'istante, afferrandola per le spalle e per i fianchi. Nina fece saltare l'intero gruppo fuori e usò tutta la forza che aveva in corpo per resistere al contraccolpo che avvenne di lì a poco. Le persone rimasero ancorate ai suoi fili e solo per quella corda invisibile che le tenevano legati a lei non caddero al suolo ma rimasero penzoloni. Nina fu sbalzata in avanti e sicuramente sarebbe caduta insieme a loro se i due ragazzini non l'avessero aiutata a tenerli, con l'ausilio d'emergenza dei loro Quirk. Bakugou aveva usato le sue esplosioni che rispondere al contraccolpo e Kirishima aveva invece conficcato i piedi nel cemento, indurendosi, per resistere di più. Tokoyami corse da loro e diede anche lui il suo contributo, cercando di tirare Nina indietro il più possibile, mentre Mineta correva ad affacciarsi per assicurarsi che quelle persone fossero ancora vive.
«Le faccio scendere!» annunciò Nina e con le mani tremanti per la fatica iniziò ad allungare pian piano i suoi fili, in modo che le persone ancorate a lei potessero raggiungere delicatamente il suolo. Un altro scossone e i ragazzi persero l'equilibrio, cadendo in avanti. Con un urlo Nina andò a schiantarsi contro il bordo della finestra, ma i suoi ragazzi furono svegli abbastanza da saltare in avanti e afferrarla di nuovo prima che potesse cadere giù.
Urlò di dolore e delle gocce di sangue scivolarono giù dalla punta delle sue dita, lungo i fili invisibili. Ma non lasciò la presa e continuò a farli scendere lentamente, sotto lo sguardo sorpreso ed emozionato di chi fuori assisteva alla scena.
«Ci siamo quasi!» annunciò forse più a se stessa che alle persone che stava soccorrendo. Un altro crollo, altri tremori, ma riuscirono a proseguire nel loro lavoro fintanto che Mineta non urlò con tutto il fiato che aveva: «Nina!»
«Che c'è?» ringhiò lei, scocciata per l'interruzione e si voltò a guardare che stesse accadendo. Un uomo alle loro spalle aveva appena sfondato un muro e li guardava minaccioso, un uomo dalla muscolatura incredibile e il viso da rinoceronte. Ridacchiò, leccandosi le labbra soddisfatto.
«Cazzo» mugolò Nina, sbiancando. Uno dei cattivi era lì dietro di loro, non sembrava neanche uno di quelli semplici da battere, e nessuno di loro poteva combattere, impegnati e tenere sospesi i sopravvissuti.
«Cazzo cazzo» insisté lei, cercando di velocizzare l'operazione, inutilmente. Se li allungava troppo rapidamente ne perdeva il controllo e loro cadevano nel vuoto, non aveva altra scelta che fare le cose con calma.
«Mineta incollami! Bakugou fallo esplodere!» gridò nell'istante in cui l'uomo rinoceronte prese la carica verso di loro. Bakugou sorrise, soddisfatto ed emozionato all'idea di combattere finalmente contro un vero cattivo, con il permesso della propria insegnante oltretutto. Tokoyami fece uscire Dark Shadow che afferrò Mineta, che ancora balbettava impanicato e certo non sarebbe stato rapido nell'esecuzione del compito, e lo lanciò verso di loro usandolo per incollare Nina al muro con i propri capelli. Ancora uno strattone e Nina digrignò i denti mentre Bakugou alle sue spalle con un urlò detonò le sue esplosioni dritto in faccia al rinoceronte. Kirishima andò ad aiutare l'amico, sapendo Nina ben fissata al muro, e indurendo il braccio cercò di colpire l'avversario con un pugno. Si alzò un gran polverone, dal quale emersero pochi secondi dopo le mani dell'uomo rinoceronte che andarono a serrarsi sul collo dei due ragazzini. Neanche un graffio. Nina li guardò e dovette lottare con tutte le sue forze contro il proprio istinto per impedirsi di lasciar andare quel gruppo di sconosciuti e correre in aiuto ai suoi studenti.
"Neanche un graffio! Neanche un graffio!" continuò a pensare, ormai pallida in volto. Le pupille talmente minuscole da essere quasi innaturali. Erano nei guai, in grossi guai e se lei non avesse fatto qualcosa presto sarebbero morti per colpa sua. Quei ragazzi che tanto si fidavano di lei, non poteva deluderli.
Doveva fare qualcosa.


What if I’m far from home?
Oh brother I will hear you call
What if I loose it all?
Oh sister I will help you back home
Oh, if the sky comes falling down, for you
There’s nothing in this world I wouldn’t do

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Capitolo 9
*** Happier, Ed Sheeran ***


"Happier”, Ed Sheeran






«Siamo qui! Li prendiamo!» una voce provenne da sotto di lei e degli uomini si fecero vedere. Gli eroi erano finalmente arrivati. Senza farselo ripetere due volte Nina lasciò la presa, facendo fare gli ultimi metri di volo ai superstiti che vennero presi al volo da chi era andato loro in soccorso.
«Staccati, uva!» ordinò a Mineta, che incredibilmente obbedì subito. Si liberò, si voltò di scatto e lanciò i suoi fili contro il nemico. Le mani che tenevano Kirishima e Bakugou per la gola si spalancarono sotto uno sforzo che non era il suo e li lasciò andare. Non fu difficile per lui capire di chi era la colpa e abbassando la testa, puntando il proprio corno contro la donna, le corse incontro travolgendo altri muri e altre macerie. Ormai l'edificio era prossimo a crollare e la sua unica priorità era portare in salvo i ragazzini. Li arpionò con una mano e l'altra la usò per virare il rinoceronte, facendogli abbassare ancora di più la faccia. Saltò, evitandolo e l'uomo colpì il muro alle sue spalle, sfondandolo e lanciandosi verso l'esterno del secondo piano. Nina gli atterrò sopra, aggrappandosi al suo corno e volò fuori insieme a lui. I ragazzi, arpionati, ebbero un trattamento altrettanto selvaggio, venendo trascinati fuori dai fili di Nina e trovandosi a mezz'aria insieme ai due. Caddero nel vuoto, urlando per lo spavento e sbracciandosi nel vuoto in cerca di un appiglio. Nina lasciò andare il rinoceronte e si voltò verso Mt. Lady, accorsa insieme agli altri per portare in salvo le persone dall'edificio crollante. L'arpionò, facendola rabbrividire senza capire il motivo, e le rimase attaccata mentre volava verso il suolo. Con un movimento circolatorio come quello di un pendolo e riavvolgendo i propri fili al punto giusto riuscì a dare ai ragazzi un atterraggio non proprio morbido, ma nemmeno pericoloso, facendo loro rotolare solo un po' nel cemento. Tornò in alto per lo slancio e lasciò Mt. Lady, guardando nuovamente il rinoceronte sotto di lei. Si stava rialzando, illeso. Era un osso duro, ma lei era incazzata nera e solo questo sarebbe bastato a farlo a pezzi. L'arpionò nuovamente e tirò i fili con uno scatto, riavvolgendoli contemporaneamente. Lo scatto le diede la spinta necessaria ad arrivargli addosso come un missile, piede ben dritto per colpirlo in pancia e un urlo caricatore. L'uomo cadde nuovamente a terra e lei rotolò qualche metro più avanti. Piantò il piede a terra e si rialzò, ricoperta di graffi, i vestiti stracciati, le dita sanguinanti, ma carica più che mai.
«Wooh! Rifacciamolo!» gridò Kirishima entusiasta, rialzandosi in piedi illeso.
«Forza, Nina! Fallo nero!» gridò Mineta, mentre venivano raggiunti dai compagni. Nina gli rivolse uno sguardo e rapidamente li contò per assicurarsi che fossero tutti. Per fortuna nessuno dei suoi ragazzi era rimasto all'interno, tutti stavano bene e soprattutto tifavano per lei. Sorrise come mai aveva fatto prima d'ora e alzò il pollice verso Mineta, in segno di ok. Un sorriso come quello solo una persona aveva il coraggio di indossarlo durante un combattimento. Lo stesso sorriso di All Might.
Nina si rialzò, stiracchiandosi per riprendersi dal colpo.
«Adesso ti do trenta secondi per darmi una spiegazione soddisfacente del perché hai distrutto il museo» disse e in quel momento Sutegoro, uno degli eroi professionisti che stavano aiutando l'evacuazione, colpì con un calcio il nemico, impedendogli di rispodere a Nina. Un colpo di corno e fu scaraventato via. Kamui Woods, un altro eroe, arrivò a dargli man forte ma un muro di fuoco si alzò tra loro, circondando la zona davanti all'ingresso del museo. Nina ne rimase chiusa all'interno, insieme a metà dei ragazzi della prima A che ancora erano lì vicino per aiutare Mineta e gli altri.
«C'è bisogno di un motivo per distruggere degli eroi in erba?» rise un uomo alla sua sinistra con un foro nel palmo della mano che ancora fumava. Una specie di lanciafiamme, con cui aveva creato quel muro di fuoco. Dall'ingresso dell'edificio uscirono altri due uomini, sorridenti e felici per la conquista che stavano per fare. Quattro avversari dai Quirk più o meno sconosciuti, più o meno pericolosi, contro una sola persona e un gruppo di ragazzini da proteggere.
"Merda" pensò, rendendosi conto della posizione di svantaggio, ma non smise di sorridere.
Con un urlo, il rinoceronte si alzò e la caricò, pronto a colpirla di nuovo.
"Non sei forte abbastanza" pensò lei arpionandolo. La sua forza era incredibile ma non paragonabile allo One For All. Non avrebbe potuto spezzare i suoi fili. Saltando lo evitò e lo costrinse ad andare addosso ai suoi colleghi. Ne colpì due, mentre il terzo riuscì a evitarlo. L'uomo con il lanciafiamme glielo puntò contro e fece fuoco. Nina scappò via, pensando principalmente ad allontanarsi dai ragazzi per evitare che venissero coinvolti e l'uomo la inseguì. Usò sempre il rinoceronte per colpirlo, prendendolo alle spalle e la cosa parve funzionare.
«Lasciami andare!» gridò il rinoceronte e furono quelle parole a dare una spiegazione.
«È lei che lo comanda!» disse il terzo uomo, prima di piantare le mani a terra e creare nell'asfalto come un'onda. Saltando al momento giusto Nina riuscì a non farsi ribaltare, ma così facendo fu costretta a lasciar andare il rinoceronte.
«E adesso dove atterrerai?» rise sempre l'uomo dell'asfalto, cambiando nuovamente conformazione di quest'ultimo e rendendolo vischioso come le sabbie mobili. Nina vi atterrò sopra e inevitabilmente cominciò ad essere trascinata giù, incapace di muoversi. Dall'ombra alle sue spalle un altro di quegli uomini comparve, un'ombra a cui non aveva fatto caso prima, un'innocua ombra che prese forma dell'avversario. Poteva muoversi attraverso di esse, nascosto, e brandiva un coltello con cui si preparò a colpirla dritta sul collo. Il lanciafiamme puntato contro, bloccata nelle sabbie mobili, un coltello pronto a colpirla e lei non riusciva a non pensare che i ragazzi fossero ancora intrappolati nel cerchio di fuoco e doveva farli uscire quanto prima.
«Adesso mi avete proprio rotto le palle» ringhiò e in una frazione di secondo, rapida come mai lo era stata prima, lanciò i suoi fili ovunque, arpionando tutti e tre gli uomini. Uno strattone di braccia, un movimento di dita e tutti e tre corsero e saltarono l'uno contro l'altro. Il potere dell'uomo dell'asfalto, colpito, cessò e Nina sentì il terreno indurirsi intorno a sè. Doveva uscire il prima possibile o sarebbe rimasta incastrata nell'asfalto. Lanciò i fili contro l'uomo rinoceronte e lo costrinse a correre il più velocemente possibile contro il muro del museo. Strattonò il polso e usò quella folle corsa per farsi trascinare via rapidamente, salvandosi, e costringendolo a colpire il muro in piena faccia. La cosa non sembrò fargli troppo male, se non fosse che quel colpo fece crollare un balcone proprio sopra la sua testa e andò a schiantarsi sopra di lui schiacciandolo.
I ragazzi alle sue spalle cominciarono a esultare ed applaudire, entusiasti per quanto era appena accaduto e per quanto avevano visto. Nina era riuscita a combattere contro quattro uomini da sola ed era stata scenografica e incredibile. Ma il muro di fuoco intorno a loro non parve cessare di bruciare e lentamente tutti e quattro gli uomini si alzarono da terra, compreso il rinoceronte sotto le macerie. La guardarono furiosi, decisi più che mai a farla fuori. L'uomo col lanciafiamme nella mano alzò la propria arma, ghignando, e la puntò contro i ragazzini. Nina strabuzzò gli occhi e con uno scatto corse verso di loro.
"Nemmeno un graffio" si ripetè, colta dal panico. Allungò una mano nella loro direzione, arrancando, invasa da un'improvvisa disperazione. Troppo lontana, troppo lenta. Cosa avrebbe fatto? Come li avrebbe salvati? Cosa poteva fare?
Si lanciò davanti a loro nell'istante in cui la bomba di fuoco li ebbe quasi raggiunti e fece solo ciò che l'istinto le disse di fare.
"I ragni sono davvero incredibili".
Incrociò le dita davanti a sé, utilizzando tutti i fili che aveva a disposizione.
"I miei fili sono praticamente indistruttibili".
Per una qualche forma di magia, o almeno quello poteva sembrare a vedere, il fuoco non li colpì ma deviò da tutte le parti, come se avesse incontrato davanti a sé un muro. Un sottile muro invisibile di fili indistruttibili intrecciati fittamente che si allargavano da ogni lato, racchiudendoli pian piano in una barriera.
«La tela del ragno» mormorò Uraraka, sorpresa ed emozionata per quanto stesse vedendo. Aveva preso spunto da quegli animali che tanto ammirava, ne aveva imparato le caratteristiche e le aveva usato per superare un proprio limite: quello di non riuscire a salvarli. Gestione dei propri limiti attraverso l'evoluzione, l'unica cosa che permette a un essere vivente di sopravvivere alle controversie dell'ambiente. Ma il fuoco continuava ad arrivare, Nina stava utilizzando tutte le sue risorse per proteggere i ragazzi e alla sua destra il rinoceronte stava già per riprendere la carica. L'uomo ombra sarebbe potuto sbucare da un momento a un altro e infine quello dell'asfalto stava già per posare le mani a terra e cambiare nuovamente la conformazione del terreno.
Da sola non sarebbe riuscita a resistere oltre.
Una risata confortante raggiunse le loro orecchie e fece alzare lo sguardo a tutti i presenti. Nina sobbalzò, tanto che per un istante la sua tela cedette, rischiando di far penetrare il fuoco all'interno. Riuscì a ripristinarla nello stesso istante, vincendo le proprie emozioni, ma non per questo si sentì più tranquilla. Quell'incontro... sarebbe davvero avvenuto? In quel momento? Dopo vent'anni, dopo venti lunghi e infiniti anni, dopo quell'ultimo giorno che l'aveva convinta definitivamente a prendere quell'aereo. Non si erano più rivolti la parola da allora, lasciando in sospeso faccende gigantesche come montagne, ed ora stava per rivederlo. Quella risata era vera, non più registrata. Era lì.
All Might atterrò al centro del cerchio di fuoco e con rapidità colpì l'uomo dell'asfalto, lanciandolo contro il muro del museo distrutto. Volò contro il rinoceronte e lo atterrò con un altro pugno. L'uomo con il lanciafiamme si distrasse, attirato da quanto stava accadendo ai suoi compagni e Nina ne approfittò per usare uno dei suoi fili ed arpionarlo. Riuscì a fargli deviare il getto delle fiamme, roteando su se stesso, fintanto che non sentì l'uomo nascosto nell'ombra urlare di dolore. Poteva nascondersi alla vista, celandosi nell'ombra, ma era pur sempre presente e il fuoco del compagno l'aveva appena colpito. Infine, sciogliendo definitivamente la tela, usò altri fili per arpionare l'uomo col lanciafiamme e costringerlo a tirarsi un potente pugno sul naso da solo. Tanto forte da stordirlo e farlo cadere a terra.
«Non dovete temere» rise All Might, voltandosi lentamente verso i ragazzi. «È tutto ok, perché adesso ci sono qua...» non riuscì a terminare la frase che Nina aveva di nuovo arpionato Mt. Lady, pochi metri fuori dal fuoco, l'aveva costretta a strattonare il braccio e aveva usato quella spinta per arrivare con una rapidità inaudita addosso ad All Might... piantandogli entrambi i piedi dritti in faccia. Il silenzio calò tra i ragazzi, sconvolti che la tanto adorata e gentile Nina non avesse perso tempo per prendere a calci niente di meno che All Might.
«Ciao Nina» bofonchiò lui, sotto le sue scarpe.
«Ciao Nina un corno!» gridò lei cominciando a scalciare, ancora appesa a Mt.Lady, colpendolo più e più volte in faccia. Sapeva che non gli avrebbe fatto niente, quell'uomo aveva la pelle d’acciaio, ma doveva sfogare tutta quella rabbia e quei sentimenti contrastanti che gli aveva fatto provare per tre giorni. «Ti sembra questa l'ora di arrivare, figlio di puttana? Abbiamo rischiato di morire almeno tre volte e tu arrivi quando ormai ho praticamente fatto tutto il lavoro sporco, è così che ti guadagni la gloria? È così che sei diventato il migliore? Facendo lavorare gli altri e prendendoti tu gli applausi! Senza contare che sono tre giorni che mi eviti come uno stupido ragazzino cagasotto, imbecille! Muori! Muori! Muori!» e mentre continuava a scalciare e ripetere a intermittenza "muori", i ragazzi non poterono far a meno di voltare lo sguardo verso Bakugou, notando inevitabilmente come quei due fossero in realtà più simili di quanto si potesse pensare. Da sotto le macerie si rialzò nuovamente il rinoceronte, urlando inviperito: «Adesso mi sono arrabbiato!»
Nina lo fulminò e senza attendere oltre gli lanciò contro i suoi fili. All Might allungò una mano nel vuoto, chiundendola a pungo e strattonò all'indietro. Non poteva vederli, ma sapeva che erano lì, sapeva come si muovevano nello spazio e in che modo afferrarli. Conosceva Nina a tal punto da usare il suo stesso Quirk a suo vantaggio. Il rinoceronte gli volò contro, strattonato dai fili di Nina.
«Mamma e papà stanno litigando!» brontolò lei e nell'istante in cui li raggiunse All Might lo colpì con un altro pugno stendendolo definitivamente.
«Non ti hanno insegnato che è maleducazione interrompere due adulti che parlano?» disse lui, dando corda alla compagna. Scuotendo la testa l'uomo dal lanciafiamme si riprese e, senza neanche alzarsi, glielo puntò contro sparando. All Might saltò via, evitando il getto, e Nina gli arpionò una gamba, facendosi trascinare in alto insieme a lui. Roteando per aria All Might diede un calcio al vuoto, ma questo servì a usare Nina come fionda e lanciarla contro il rinoceronte sotto di lui che ancora si ostinava ad alzarsi. Era incredibilmente forte e tenace. Con un urlo Nina gli atterrò in viso, riportandolo di nuovo a terra.
«Vediamo di calmarci, adesso, ok?» mormorò, stufa di vederlo muoversi. Decise di immobilizzarlo, impedendogli di reagire ancora, mentre All Might si occupava dell'uomo con il lanciafiamme. Un coltello volteggiò a mezz'aria e lei riuscì a scorgerlo in tempo solo grazie allo scintillio della lama. Lo schivò per un pelo e saltò via, abbandonando di nuovo l'uomo rinoceronte. Fece un paio di passi indietro, guardandosi attorno senza riuscire a vederlo, cercando l'ombra sul terreno. Ma si accorse che era dietro di lei solo troppo tardi, quando l'uomo ombra l'aveva già afferrata e puntato il coltello alla gola.
All Might afferrò l'uomo con il lanciafiamme e con potenza lo sbattè a terra, facendogli definitivamente perdere i sensi. Poi, senza guardarsi alle spalle, allungò una mano indietro. Nina si arpionò alle sue dita e lui non appena sentì il formicolio tipico dei suoi agganci, la tirò con uno strattone verso di sé. Si voltò e diede un pugno colpendo l'uomo ombra dietro la ragazza nell'istante in cui i due l'ebbero raggiunto, in volo, a una velocità strabiliante. Accolse Nina tra le braccia e le garantì un atterraggio morbido, lasciandola scivolare delicatamente con i piedi al suolo. Lei gli rimase per qualche istante aggrappata, facendosi mettere a terra con delicatezza. Fu quello l'istante in cui per la prima volta dopo vent'anni si guardarono nuovamente negli occhi. Fu come rientrare a casa dopo un lungo viaggio, uno di quelli stremanti, uno di quelli dove ci si perde e non si sa quando si potrà trovare un focolare acceso. Non c'era paura, né risentimento, né tristezza. Solo... casa.
Nessuna domanda aveva più senso. La porta delle questioni in sospeso venne chiusa definitivamente. Era tutto ok.
Si guardarono attorno, separandosi ma restando l'uno di fianco all'altro.
«Ne hanno prese abbastanza secondo te?» chiese Nina.
«Direi di scoprirlo dopo, ora portiamo loro via di qua» disse All might, voltandosi verso i ragazzi che, notò solo in quel momento, li guardavano con occhi trasognanti ed emozionati. Le loro mosse, il loro stile, erano stati incredibili. Avevano combinato ogni passo e ogni mossa in maniera perfetta, coordinandosi come nessuno aveva mai fatto prima. Non si vedevano da anni eppure l'affiatamento che avevano dimostrato sembrava quello tra due persone che per decenni non avevano fatto altro che allenarsi insieme. Questo dimostrava solo quanto ci fosse tra quei due, quanta sintonia, quanta storia alle spalle e mente i ragazzi erano concentrati più che altro su quanto fossero stati incredibili, perfetti come in una danza, sul fatto che avrebbero voluto imparare a combattere in coppia in quel modo così preciso, le ragazze non poterono far a meno di focalizzarsi su quel brevissimo sguardo che quei due si erano scambiati un attimo prima. La fotografia di quella mattina non mentiva... All Might e Nina erano stati insieme e quella loro relazione non era stata del tutto dimenticata, visto il modo in cui si erano guardati.
"Perché te ne sei andata?" si chiese Uraraka, colta ancora una volta da una tristezza infinita.
«Che forza!» urlò Kirishima. «Quando lui ha allungato la mano dietro e tu ti sei agganciata e poi BAM!!! Ha tirato te e il cattivo insieme per colpire solo lui!»
«E quando lui ha afferrato i suoi fili e li ha usati per strattonare il cattivo col corno? L'hai visto?» chiese emozionato Kaminari.
«Avete visto quando l'ha usata per lanciarla come una fionda? Eh? L'avete visto?» saltellò Mineta, emozionato quanto i compagni.
Un mugolio alla loro sinistra e il rinoceronte tremolante tentò di rialzarsi.
«Sta’ giù e non rovinare questo bellissimo momento!» ringhiò Nina, arpionandolo e costringendolo a tirar testate per terra fintanto che con un ultimo lamento non svenne.
«C'è ancora del sentimento tra loro» sussurrò Uraraka ad Asui, al suo fianco.
«Kero» rispose l'amica, inclinando la testa da un lato pensierosa. Quello sguardo che si erano scambiati alla fine, la delicatezza con cui si erano lasciati andare, quasi accarezzandosi, tutto dava ragione all'osservazione della ragazza. Che fosse davvero così?
«Bene, ragazzi miei, direi di levare le tende. Vi insegneremo in un altro momento e lottare in coppia e coordinare i vostri Quirk» disse Nina, mentre All Might si voltava si preparava a saltare.
«Vi chiedo cortesemente di tenere bocca e occhi chiusi, allacciare la cintura di sicurezza e non mangiare durante il volo. Grazie per aver scelto All Might Lines!» disse lei, ridendo divertita. All Might saltò e Nina con una mano si agganciò a lui, con l’altra arpionò i ragazzini, facendo in modo che tutti volassero fuori dal cerchio di fuoco.
«Spero non vi dispiaccia ma userò il mio Quirk su di voi per prepararvi all'atterraggio o rischierete di mettere male un piede e farvi male» comunicò lei.
«Il preside Nezu ti aveva detto di non portarli qui» disse All Might, abbassando lo sguardo verso Nina. «Perché li hai portati?»
«Il preside Nezu non ha potere su quello che faccio fuori dalla scuola!» brontolò Nina, per niente contenta di essere ripresa e brontolata in un momento come quello.
«Ma così li hai messi in pericolo, proprio come aveva detto lui».
«Sono tutti sani e salvi, non hanno nemmeno un graffio, non hai motivo di brontolare! I ragazzi non possono vedersi tutti insieme fuori dalla scuola per un gelato?»
«Non dire stupidaggini, volevi fare a tutti i costi quella gita e come al solito hai fatto di testa tua!»
«Nessuna gita, ho chiesto chi volesse accompagnarmi e sono venuti! Non mettere bocca su cose che non sai e si può sapere dove ci stai portando? In America? Non ti distrarre e facci scendere!»
All Might si rese conto che, preso dal bisogno di farle una lavata di capo, aveva dimenticato i ragazzini ancora aggrappati a loro due durante il loro volo. Ridacchiando imbarazzato, cominciò l'atterraggio e li fece tornare tutti coi piedi per terra.
«È stato da brivido» mugolò Mineta, con le gambe ancora tremolanti.
«Mi viene da vomitare» lamentò Ashido.
«Guarda cosa hai fatto! Stanno male!» lo sgridò Nina e All Might, grattandosi la nuca imbarazzato balbettò un: «Mi dispiace».
«Comunque non avresti dovuto portarli qui» aggiunse poi.
«Non era niente di ufficializzato e quelli non facevano nemmeno parte della banda dei supercattivi di cui tanto vi preoccupate, è stato un incidente che ho risolto abilmente».
«Avete rischiato la vita!»
«Se tu ti fossi fatto vedere prima nessuno avrebbe rischiato niente! Che facevi? Lavoravi all'uncinetto, nonnino?»
«Ho avuto i miei impegni» balbettò lui.
«Ma pensa un po'» incrociò le braccia Nina e aprì bocca, pronta a rispondergli ancora, quando furono interrotti da un coro di: «Eccoli! Li abbiamo trovati! Di qua!» e un fiume di giornalisti armati di microfoni e telecamere li assalirono poco dopo.
Domande su domande a cui loro risposero con gentilezza ed affabilità. Si vedeva che erano entrambi abituati alle telecamere, nessuno dei due si scompose e nonostante la battaglia appena superata, nonostante Nina fosse da testa a piedi ricoperta di sporcizia e graffi, riuscivano comunque a risultare piacevole ed affascinanti. Poco dopo, dietro ai giornalisti comparvero anche i fan che cominciarono a chiamarli per nome. Ognuno la propria schiera, chi era lì per Nina la cantante e chi per All Might l'eroe.
«All Might! Un autografo!»
«Nina! Facciamo una foto insieme!»
«All Might sei il più forte!»
«Nina sei bellissima!»
E tutti e due ridevano, ridevano e sorridevano come nessun altro sembrava essere capace di fare, distanti, lontani qualche metro l'uno dall'altro, di spalle, ognuno verso il proprio mondo.
«Nina mi firmi il cd?» chiese una ragazza avvicinandosi a stento, facendosi spazio tra le persone lì presenti.
«Certo!»
«Ma allora sei anche un’eroina! Che forza! Non lo sapevo! Sei la migliore!» disse un ragazzino.
«Hai visto come ha messo in salvo quel gruppo di persone calandole dalla finestra?»
«Ma che Quirk ha? Fa volare le cose?»
«No, idiota! Lei è la burattinaia, non conosci la sua storia?»
«Nina, firmi il mio quaderno?»
«Nina, posso fartela una fotografia?»
E a tutto Nina rispondeva sorridendo, sorridendo sempre e ringraziando, nonostante ciò che era appena successo. Nonostante la battaglia, la paura, il senso di impotenza, la rabbia e soprattutto l'incontro.
Alle sue spalle pian piano si alzò un coro che chiamava il nome di All Might. Dapprima debole, quasi inudibile, poi sempre più forte, fino a sovrastare tutto quanto. Tutti urlavano, colmi di gioia e ammirazione, il suo nome. Nina si voltò, sorpresa come se fosse appena stata risvegliata da un sogno. Lo ascoltò, quell'eco che diventava sempre più martellante. E lo vide, Toshinori che si sbracciava e salutava e rideva. Lo vide circondato da quello che era diventato il suo sogno, felice, e un strano sentimento di oppressione le chiuse la gola.
«All Might».


«Toshi-chan» chiamò Machiko, calandosi da sopra il ponte a testa in giù, con i lunghi capelli che svolazzavano sotto di lei e le mani ben strette al suo filo invisibile. «Che fai qui?» chiese, guardando l'amico seduto a terra, nascosto nell'ombra del ponte, con le ginocchia avvolte dalle propria braccia.
«Machiko! Come mi hai trovato?» chiese lui stupito di vederla.
«Ho trovato Gran Torino in città che ti cercava, ha detto che sei fuggito via dopo l'allenamento e ti sono venuta a cercare. Non è stato difficile trovarti, qui ci veniamo sempre a mangiare i Taiyaki di nascosto. Non sei molto fantasioso».
Toshinori fece un verso poco convinto, poi tornò a fissare di fronte a sè, silenzioso e pensieroso.
«Perché sei scappato?» insistè Machiko.
«Machiko» disse lui, pensieroso. «A cosa sei aggrappata?» le chiese poi poco convinto, guardandola nella sua posizione che tanto sembrava quella di un ragno che si calava dal soffitto. Con l'unica differenza che lei si arpionava solo a tessuto muscolare, non a qualsiasi cosa. Machiko puntò il dito verso l'alto, verso il ponte da cui era calata e rispose con innocenza: «A lui».
Toshinori si affacciò rapidamente e notò che schiacciato contro i pilastrini del corrimano del ponte c'era un uomo, incapace di muoversi, malconcio e privo di sensi.
«Lascialo andare subito!» gridò Toshinori, guardando sconvolto l'amica.
«Perché? È divertente! È un barbone, sta dormendo, non si è nemmeno accorto di niente».
«Machiko! Non puoi trattare le persone come burattini per accontentare ogni tuo capriccio. Non è un comportamento da eroe, anzi è proprio da delinquente. Lascialo andare!»
Machiko gli fece una linguaccia e offesa gli disse: «Rompipalle!»
Roteò su se stessa e si lasciò cadere a terra, staccando i suoi fili dall'uomo che, ormai libero, si stese a terra più rilassato.
«Continuerai a non piacere a nessuno se ti ostini a comportarti così» disse Toshinori, preoccupat. Quella ragazza era un vera testa calda, era difficile riuscire a correggerla.
«Sai quanto me ne importa» rispose lei a tono, prima di voltarsi e guardarlo. «Allora, me lo dici perché sei scappato o no? Gran Torino ti farà a pezzi quando tornerai, lo sai?»
Toshinori fece un altro verso poco convinto e abbassò lo sguardo, frustrato e colto da un doloroso sentimento.
«Ecco...» cominciò, grattandosi la nuca imbarazzato. «Nana è morta».
«Questo è già successo tempo fa, pensavo l'avessi superato ormai» lo interruppe Machiko.
«No, non è per quello» continuò lui imbarazzato e frustrato. «Nana è morta e io le ho promesso che sarei diventato il numero uno, che avrei fatto onore ai nostri predecessori e soprattutto che sarei diventato il simbolo della pace».
«Una promessa impegnativa, ma ormai è fatta, troppo tardi per tirarsi indietro» lo rimproverò Machiko.
«Lo so. Ma gli allenamenti di Gran Torino sono così duri e io nonostante mi impegni molto non riesco a superare nemmeno una delle sue prove. Sono un totale imbranato. E se Nana avesse sbagliato a dare a me il suo potere? Se io non fossi capace di mantenere la mia promessa?» neanche il tempo di finire la domanda che la sua stessa mano partì in direzione della sua guancia e si diede uno schiaffo improvviso, sotto l'azione dei fili di Machiko.
«Ma...?» chiese lui, stupito e dolorante.
«Non azzardarti mai più a dire una cosa del genere su di Nana!» lo rimproverò e il fatto che per la prima volta fosse lei a fare una ramanzina a lui lo lasciò scosso per un attimo. «Nana era una persona eccezionale e aveva una grande capacità di giudizio, non osare mai più dubitare della sua decisione. Ha scelto te perché sei l'unico che possa portare avanti questa tradizione e questo potere, non esiste altra persona al mondo che possa farlo, Nana lo sapeva e tu non sei nessuno per smentirla, è chiaro?» gridò, furibonda e Toshinori si raddrizzò intimorito dal suo tono. Annuì vigorosamente e quel suo sguardo timoroso, sottomesso e soprattutto convinto, fece calmare Machiko. Sospirò, ritrovando la calma, prima di ammettere: «So bene perché Nana ha scelto te».
«Davvero? E perché?» chiese lui, interessato e curioso.
«Perché vuoi salvare le persone. Punto. Vuoi salvare chiunque, vuoi veder sorridere chiunque e odi ogni sorta di ingiustizia, anche chi si approfitta di un barbone ubriaco addormentato per calarsi da un ponte. Sono sciocchezze, ma hai a cuore il benessere di tutti quelli che ti circondano. Ti ricordi quando mi scopristi a rubare una lattina di birra?»
«Dicevi di averla presa a un ladro e che quindi il furto era già commesso e tu non c'entravi niente» si ricordò Toshinori.
«Mi hai costretta a riportarla al venditore e porgere le mie scuse, anche se tecnicamente non ero stata io a rubarla».
«Peccato che poi quel negoziante si sia rivelato un folle e abbia cominciato a prenderci a bastonate» sospirò affranto, ricordando ancora quanto avesse fatto male.
«E tu ti parasti subito di fronte a me e ti prendesti anche tutti i colpi miei, facendomi uscire indenne» rise Machiko, al ricordo. «Vedi, è esattamente questo quello di cui parlo. Toshinori, tu pulisti quella scritta sul mio armadietto alle medie che mi chiamava "mostro" anche se non mi conoscevi. Correvi in mio aiuto quando i ragazzi mi prendevano di mira, anche se poi te ne davano di santa ragione. Mi hai accettata, mi hai accolta e sei stato l'unico a farlo».
«Avevi solo bisogno di un amico» ammise lui, grattandosi la nuca imbarazzato. «Te lo si leggeva in faccia la richiesta d'aiuto che mandavi tutte le volte».
«E solo tu l'ascoltavi».
«Beh... non potevo non farlo» confessò, sempre più imbarazzato.
«Infatti!» disse lei, guardandolo decisa. «Tu sei All Might e All Might risponde sempre alle richieste d'aiuto, giusto?»
La cosa parve rassicurarlo e annuì, più convinto.
«Non farti più vedere con quel muso lungo, chiaro? Hai promesso di salvare il mondo col sorriso sulle labbra e allora sorridi! A qualsiasi costo! E stai pur certo che tra qualche anno, quando tutti avranno imparato il tuo nome, una folla si riunirà intorno a te e comincerà a urlare piena di ammirazione "All Might! All Might! All Might"» e alzò le braccia, muovendo i pugni per aria e continuò a chiamare il suo nome, sempre più forte, sempre più emozionata e divertita, tanto che Toshinori ne venne travolto e cominciò a imitarla. L'eco di quel nome rimbombò sotto al ponte, mentre i due ragazzini ridendo divertiti continuavano ad agitare i pugni per aria e urlare sempre più, tifando insieme per la realizzazione di quel sogno.
Il sogno di un eroe acclamato e invincibile.


La folla continuò a invocare il nome di All Might, ritmica, sovrapponendosi al ricordo di Machiko e Toshinori sotto quel ponte, fino a cancellarlo. Lei aveva tifato per Toshinori più di chiunque altro, ma adesso non serviva più perché quella folla tanto sognata era diventata realtà. Lei non serviva più e vederselo spiattellato in faccia, dopo anni che l'aveva solo sospettato, faceva male e la rendeva felice allo stesso tempo. Felice per quel ragazzino sotto al ponte che era riuscito a vincere le sue paure e rendere realtà ciò che aveva sognato tanto intensamente. Un amaro sorriso le comparve in volto e silenziosa si fece strada tra la folla di giornalisti e fan, passando oltre, ignorando le domande, le richieste e si allontanò. Ancora una volta, decise di scappare.
Lei non serviva più.


'Cause baby you look happier, you do
My friends told me one day I'll feel it too
And until then I'll smile to hide the truth
But I know I was happier with you





Nda.


Chiedo umilmente scusa: non sono in grado di descrivere le scene d’azione >.< Nella mia testa sembrano fighissime, ma poi sulla carta sembrano il racconto di un bimbo che parla del suo cartone animato preferito -.-
Vi chiedo scusa se è stato noioso e a tratti confuso, ho fatto del mio meglio. Il punto della questione però è un altro: SI SONO INCONTRATI!
*Coro evangelico di esaltazione*
Dopo *conta sulle dita* dieci capitoli ecco che finalmente si sono rivolti la parola! E Nina l’ha accolto prendendolo a calci… ha fatto bene u.u

Spero di essere riuscita a scivolare oltre la mia incapacità di scrivere scene d’azione e essere stata in grado di farvi capire l’affiatamento che hanno dimostrato nel loro combattimento combinato. Quasi non si guardavano, eppure sapevano perfettamente che mosse avrebbe fatto l’altro e come usarle per amplificare l’azione. E nonostante tutto, nonostante dolore, vent’anni di separazione, il pericolo imminente, nonostante ogni cosa… non hanno fatto altro che bisticciare come due ragazzini xD
Comunque, altra cosa importante di questo capitolo sono gli accenni per quanto riguarda il vero carattere e il passato di Nina: All Might ricorda con rassegnazione come sia impossibile correggere il suo comportamento, la rimprovera di voler sempre fare di testa sua, e anche nel flashback Machiko non è stata proprio il massimo della gentilezza dato che ha usato un barbone moribondo per restare appesa tipo ragno giù dal ponte. Toshinori la rimprovera ancora, Toshinori la rimprovera sempre, come quella volta (come ricorda lei) che lui l’ha beccata a rubare della birra (oltretutto era minorenne! Macchan! Che combini?! xD). Ramanzina di rito e poi dritta a chiedere scusa e restituire la refurtiva. Anche Nezu aveva detto qualcosa, qualche capitolo addietro, sul fatto che fosse in punizione almeno tre volte alla settimana e che Toshinori impazziva nel tentativo di correggerla.
E alla fine… lei scappa di nuovo. L’eco della folla che chiama All Might le ricorda di quando a chiamare il suo nome, a incitarlo, era solo lei. Il dolore le chiude la gola e si allontana silenziosa sotto le note di Ed Sheeran che canta per lei “cause baby you look happier, you do?”
Quella canzone, cielo, è meravigliosa e perfetta per ciò che passa per la testa a Nina! Perché lei “nasconde la verità dietro un sorriso”, perché lei “sa che in realtà era più felice insieme a lui”.
Anche queste due strofe erano perfette, la prima perché ricorda lei che affoga il dolore nel vino, nel capitolo precedente, mentre sente la sua voce alla tv:
(
Sat on the corner of the room
Everything's reminding me of you
Nursing an empty bottle and telling myself you're happier
Aren't you?)
E la seconda perché è molto personale, molto feeling, magari anche un mezzo spoiler xD ma è intensa:

(Ain't nobody hurt you like I hurt you
But ain't nobody need you like I do
I know that there's others that deserve you
But my darling, I am still in love with you)
Insomma… sta canzone è di Machiko, punto u.u
ASCOLTATELA!!!!
Io come sempre ho scritto un secondo capitolo solo con le NDA, sono terribile xD
Ma riempio i vuoti dei capitoli precedenti che sono senza nda ahahaha

Come sempre vi ringrazio tantissimo, soprattutto Engel che è ancora onnipresente nelle recensioni e io l’adoro *-*
Al prossimo capitolo, che avrà come titolo ancora una canzone di Eddino (“Perfect”… giusto per fare un po’ di spoiler a gratis) perché è il re del romanticismo e questi capitoli saranno molto sad/fells/love.
Bye bye!


Ray





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Capitolo 10
*** Perfect, Ed Sheeran ***


"Perfect”, Ed Sheeran




Era per strada, stava tornando verso l'albergo, intenzionata a cambiarsi e ripulirsi. Aveva addosso calcinacci e macerie, graffi di ogni tipo, ma aveva preferito darsela a gambe quanto prima piuttosto che chiedere a qualche paramedico lì presente di darle un'occhiata. Non riusciva a stare lì, sommersa da quell'eco, neanche un minuto di più. Ora tutto era stato lasciato alle spalle e non doveva far altro che tornare nella sua stanza, prepararsi un bagno e lasciarsi andare al torpore del sonno quanto prima. Non c'era altro che desiderasse.
«Nina!» la voce di Uraraka e Asui suonarono all'unisono, alle sue spalle. La donna si voltò e con stupore vide che insieme a loro c'erano anche Ashido e Hagakure.
«Ragazze! Che fate qui?».
«Sei... sei ferita?» chiese Uraraka, ansimando per la corsa.
«Niente di grave, un paio di cerotti e sarò come nuova. Voi vi siete fatte controllare? Avete qualche ferita?» si preoccupò Nina, maledicendosi per non aver pensato prima a loro. Se n'era andata e li aveva lasciati soli. In buone mani, certo, ma dopo quello che era successo avrebbe anche potuto informarsi sul loro stato di salute. All Might le aveva ofuscato il cervello e l'aveva spinta ad agire d'impulso, risultando perfino egoista.
«Stiamo bene, nessun graffio» confermò Asui.
«Ma...» si affrettò a parlare Uraraka, colta da un guizzo di coraggio che parve morire pochi istanti dopo. Abbassò lo sguardo, intimorita, prima di riuscire ad ammettere: «Perché te ne sei andata?»
Una domanda banale che ultimamente si ripeteva molto spesso.
Nina sospirò, affranta, prima di confessare: «Scusatemi, sarei dovuta restare con voi. Non avevo molta voglia di restare in mezzo ai fotografi, ora che sono in vacanza, e me ne sono andata senza pensare a voi. Perdonatemi».
«Non importa» negò Asui, ma nonostante tutto lo sguardo delle ragazze restò vago e affranto.
«Ci vediamo domani a scuola, va bene? Ora andate a casa, i vostri genitori saranno preoccupati» sorrise Nina, sperando di tirar su loro il morale. Si voltò e cercò di tornare sui suoi passi e fu solo allora che Uraraka trovò il coraggio di urlarle, tirando finalmente fuori dal petto quel sentimento: «All Might ti è ancora affezionato!»
Nina si paralizzò, non sapendo se essere più sorpresa dalla confessione della ragazza o dal fatto che lei sapesse qualcosa. Riusciva solo a sentire un gran dolore al petto.
«Beh, ecco... così credo» balbettò Uraraka, tornando a rabbuiarsi.
«Si è voltato a cercarti, ma tu eri già andata via!» aggiunse Hagakure, facendo un passo in avanti e cercando di dare più rilevanza a quanto Uraraka aveva appena confessato.
«E vi siete guardati in quel modo, durante la battaglia! Eravate perfettamente in sintonia, sembravate leggervi nel pensiero» diede corda Ashido.
«Il primo giorno che sei arrivata, lui è entrato in classe ben vestito e profumato, ma poi è scappato via e non avete fatto in tempo a vedervi» disse anche Asui.
«Ragazze, ma di cosa state parlando?» chiese Nina, voltandosi e sorridendo loro con compassione. Tanti elementi messi insieme che avrebbero anche avuto senso, se avessero avuto una base di fondo. Così risultavano solo le fantasticherie di ragazzine del liceo a cui piaceva parlar d'amore.
«In quella foto sembravate così felici» mormorò Uraraka, che tra tutte sembrava quella che ne soffriva di più.
«Foto?» sobbalzò Nina, non capendo.
«Mineta ha trovato su internet una vecchia foto di una rivista, quando entrambi cominciavate la vostra rispettiva carriera. Non eravate molto famosi, ma qualche paparazzo già cominciava a interessarsi a quanto pare» spiegò Hagakure.
«Avete trovato... una foto nostra?» chiese Nina sconvolta. Davvero in giro potevano trovarsi cose tanto vecchie? Davvero esistevano ancora tracce di quel passato che non fossero solo ricordi impressi nel petto o cartoline nei diari? Cose tanto vecchie... da inumidire gli occhi.
Si sistemò meglio gli occhiali da sole, pregando che facessero il loro lavoro ora più che mai, e un amaro sorriso le si dipinse in volto.
«E io che vi credevo troppo calmi e diligenti» rise. «E invece siete dei tali impiccioni».
«Ci dispiace tanto!» sobbalzò Hagakure, sentendosi rimproverata.
«Uraraka» chiamò Nina, notando come tra tutte fosse quella più rattristata dalla faccenda. «È stato tanto tanto tempo fa. Ascolta...» e si chinò di fronte a lei, per riuscire a stabilire un contatto con quel viso che stava costantemente rivolto verso il basso.
«Siete ragazze giovani, emozionate dalla vita e probabilmente avete anche voi qualche ragazzo che vi piace, a cui siete tanto affezionate, ed è per questo che vi immedesimate tanto in quella fotografia».
«Allora è vero, stavano insieme!» sussurrò Hagakure ad Ashido, che aveva già le lacrime agli occhi per l'emozione. Nina si interruppe brevemente, riuscendo a sentirle e rendendosi conto di essersi in parte tradita, ma si limitò a sorridere divertita. Non era più la ragazzina che alle provocazioni di Yamada, che la chiamava "bella innamorata" tutte le volte che incrociavano Toshinori, rispondeva con agitazione e rabbia. Ormai era acqua passata e si limitò a proseguire nel parlare a Uraraka: «Probabilmente vedere come le cose sono cambiate vi rende tanto tristi per questo, temete che sia qualcosa di universale, che può succedere a tutti. Invece no. Ogni storia è diversa, ogni persona è diversa e prende decisioni diverse. Quella è solo una storiella come un'altra della nostra infanzia, poi siamo cresciuti, abbiamo inseguito sogni diversi e strade diverse, ma va bene così. Questo non significa che capiterà anche a voi, la storia è piena di eroi che invece alla fine vissero per sempre felici e contenti» ridacchiò. «Per esempio, avevo degli amici che durante tutta l'infanzia a malapena si rivolgevano la parola. L'ho rincontrati l'altro ieri e indovinate? Si sono sposati! Eppure lui continua a fare l'eroe. Ragazze, siete state tanto dolci a preoccuparvi per questa faccenda ma vi assicuro che non ce n'è bisogno. Ora...» sorrise, cercando di sembrare il più serena e tranquilla possibile. «Mi promettete che tornate subito a casa, tranquillizzate i vostri genitori, vi fate una bella doccia e poi mandate un bell'sms romantico al ragazzino del vostro cuore?» disse, alzandosi gli occhiali da sole e facendo un occhiolino alla ragazzina che aveva di fronte. Uraraka arrossì e anche se non parve del tutto tranquilla, annuì.
«Brava così» disse Nina e le accarezzò la testa, in un mero gesto affettuoso. Si raddrizzò nuovamente e alzando il pollice, aggiunse: «Domani cariche, eh! Cercate di riposare bene questa notte. Fate attenzione a tornare!» e se ne andò.
«Ci siamo davvero preoccupate per niente» sospirò Ashido.
«Come sarebbe stato romantico, però!» disse Hagakure, cominciando a incamminarsi verso casa, in compagnia delle amiche. «Dopo tanti anni, finalmente si rincontrano e scoprono di amarsi ancora. Un finale da film».
«Dovresti vederne meno alla tv» la riprese Asui.
«Non brontolare solo me, anche voi la pensavate uguale, altrimenti non saremmo qui tutte insieme».
«Io speravo così tanto in un abbraccio da film, dopo la battaglia» confessò Ashido, stringendosi il petto.
«Hai visto?» la indicò Hagakure, giustificandosi.
«Piuttosto! Nessuno ha negato quando Nina ha detto che abbiamo dei ragazzi che ci piacciono! Per quale motivo? Eh? Uraraka?» ridacchiò Ashido, avvicinandosi all'amica, che sobbalzò e arrossì.
«Ma di cosa parli?» strillò, colta dall'imbarazzo.
«Sei diventata tutta rossa, Uraraka-chan» le fece notare Asui, facendo ridere il resto delle compagne.
«Anche tu non hai negato!» si difese Uraraka.
«Oh, beh, mi sembrava maleducato interromperla» disse Ashido, voltandosi con uno sguardo trasognante.
«Stai mentendo, ti si legge in faccia!» insistè Uraraka.
«Cosa? C'è davvero qualcuno che ti piace? E chi è? Qualcuno della nostra classe?» chiese Hagakure, ora improvvisamente interessata.
«Ma no, non è nessuno» disse Ashido, palesemente falsa. E continuando a spettegolare tra loro, si allontanarono, verso casa.


Era il sette Luglio dei loro diciotto anni. L'ultimo anno di scuola, l'ultimo anno alla Yuuei prima di cercare di prendere il proprio posto all'interno del mondo. Toshinori aveva lavorato molto e continuava a farlo, incessantemente, ogni istante della sua vita. Il suo sogno di pace non si sarebbe mai estinto e avrebbe fatto di tutto per realizzarlo. Grondante di sudore, chiuso nella palestra ormai da ore, continuava ad allenarsi e a gonfiare quei muscoli che parevano crescere ogni giorno di più. Sarebbe diventato forte abbastanza da riuscire a gestire il cento per cento del potere che Nana gli aveva concesso, ne era determinato. Un altro piegamento, quando la porta si spalancò con un tonfo e per lo spavento quasi non si fece male.
«Gran Torino» lo vide entrare e rabbrividì. Cosa aveva in mente per lui? Quell'uomo lo terrorizzava.
«Che diavolo combini, ragazzo?» disse l'uomo con un tono di voce roco, severo. Il tono di voce che non preannunciava niente di buono.
«M-mi dispiace!» disse d'istinto Toshinori, senza neanche sapere cosa avesse sbagliato di preciso.
«Sciocco!» urlò Gran Torino, concedendogli un bel calcio nello stomaco.
«Ma perché?» piagnucolò lui, steso a terra. Almeno poteva dirgli dove aveva sbagliato, prima di prenderlo a calci. Perché era sempre così rozzo?
«Vatti a lavare, puzzi! Non puoi uscire così. E sei in ritardo!» gridò, prima di uscire dalla palestra.
«Uscire?» si domandò Toshinori, confuso. Poi qualcosa si illuminò nella sua testa e improvvisamente ricordò: «Il Tanabata*!»
Non che gli importasse poi molto delle feste tradizionali, anche se erano divertenti e adorava i fuochi d'artificio, ma in fondo aveva un obiettivo in testa da perseguire, doveva abbandonare certe piccolezze e concentrarsi solo su di esso. Però Machiko invece lo adorava, non si perdeva nemmeno un'occasione del genere, e gli aveva supplicato di andarci con lei. Era preoccupata per lui, non faceva che pensare ad allenarsi e spesso si dimenticava della vita reale, perciò lei quando poteva lo prendeva per le orecchie e ce lo trascinava. Non sopportava vederlo affogare in quel sogno come un'ossessione e faceva sempre di tutto per aiutarlo a staccare la spina ogni tanto, apprezzare la vita per ciò che gli donava, i semplici momenti di gioia. In fondo, era una maestra nel perditempo, se non ci pensava lei a certe cose non ci avrebbe pensato nessun altro. Per quanto Toshinori sbuffasse determinate volte, ritenendo tutto ciò una perdita di tempo, alla fine si ritrovava a ringraziarla. Era così gentile, ed era giusto che lui ogni tanto facesse qualcosa per ricambiare. Accontentare quei capricci era uno di quei modi.
Si sbrigò a lavarsi e prepararsi e quando fu pronto trovò Gran Torino ad aspettarlo fuori di casa.
«Vieni anche tu?» si sorprese.
«Sarò di pattuglia, in queste occasioni non si può mai stare tranquilli. Goditele finché puoi» era forse quello il motivo per cui era sembrato tanto severo nell'ordinargli di andarsi a preparare? «Comunque, mi gusterò segretamente qualche Taiyaki e qualche Dango» aggiunse, ridacchiando in maniera quasi minacciosa. «Machiko ti aspetta lì?» chiese infine, camminando di fianco al ragazzo.
«Sì. Ha detto che siccome sono in ritardo si avviava con le sue amiche e ci trovavamo direttamente lì».
«Sei un pessimo cavaliere!» lo brontolò Gran Torino, facendolo nuovamente tremare di paura.
«Mi dispiace!» piagnucolò di nuovo e questo gli fece guadagnare un altro colpo dritto sul fianco dal suo mentore.
«Sei grande! È ora di diventare un uomo! Stupido ragazzino!» lo sgridò furioso e lui in tutta risposta continuò a piagnucolare.
Non ci volle molto per raggiungere il luogo della festa, che quel giorno si teneva sulle sponde del fiume, in corrispondenza dell'enorme ponte che collegava le due rive. Una location importante, che richiamava il significato del Tanabata: il ricongiungimento delle divinità Orihime e Hikoboshi, rappresentate dalle stelle Vega e Altair, innamorati ma forzatamente costretti a restare separati per l'intero anno. Secondo la leggenda, queste divinità vivevano sulle due sponde separate dal fiume e aveva la possibilità di incontrarsi solo una volta all'anno, il sette luglio, grazie a un ponte che si formava per uno stormo di uccelli compassionevoli. Una storia romantica a cui i giapponesi erano molto affezionati, come molte altre storie. I mercatini e i negozi nei paraggi erano stati addobbati con decorazioni di bambù e strisce di carta colorate, luci, lanterne e araldi. Le strade erano affollatissime e in molti si accalcavano nei pressi dei banchetti per mangiare qualche dolce tradizionale, piatti tipici o tentare la fortuna con qualcuno dei giochi allestiti dai negozianti stessi. Era davvero un gran caos, ma il tramonto ormai stava lasciando spazio al cielo notturno e alle due stelle innamorate e questo bastava a rendere tutto abbastanza suggestivo da far sbocciare un sorriso. Toshinori si guardò attorno, non proprio a suo agio -avrebbe preferito restarsene chiuso in palestra un altro po'-, ma comunque incuriosito. Non gli sarebbe dispiaciuto passare un po' di tempo a quei banchetti.
«Non agitarti e pensa a goderti la serata. Siamo in molti a girare per le strade e pattugliare, non succederà niente che richiederà l'attenzione degli eroi. Come ogni anno» provò a tranquillizzarlo Gran Torino.
«Ma così la città resterà scoperta e potrebbero attaccare altrove!» disse Toshinori.
«O magari anche i cattivoni non disprezzano i Mochi caldi e la musica del karaoke e preferiscono spassarsela. Come biasimarli» sospirò Gran Torino. «Piuttosto, tu staccati da me e vai a cercare la ragazza. Dove si trova?»
«Non ne ho la più pallida idea» alzò le spalle Toshinori. «Ma conoscendola avrà preso d'assaltò il banchetto dei Taiyaki».
«Ha buon gusto» scoppiò a ridere Gran Torino, prima di indicare un punto non molto lontano, alla sua sinistra. «E invece eccola lì!»
Toshinori si voltò più e più volte, cercandola, fino a quando non riuscì a intravederla, nascosta dietro a un gruppo di uomini che parlavano in mezzo alla strada. Era inginocchiata di fronte a una vasca d'acqua con delle palline dentro e stava cercando di prenderne qualcuna con una palettina di carta*. Indossava per l'occasione uno Yukata* rosa con fiori rossi e aveva acconciato i capelli, tirandoli sulla testa e permettendo solo ad alcune ciocche di cadere da un lato, ondulate e leggere, ad incorniciarle il viso. La frangetta sulla fronte e un paio di ciocche le scendevano lungo le guance, un leggerissimo filo di trucco sugli occhi e un sorriso ad illuminare il tutto. Toshinori rimase qualche istante impietrito, sorpreso, in preda ad un incomprensibile batticuore. Gli occhi non vedevano che lei in mezzo a insignificanti ombre, luminosa e bellissima.
Gran Torino si portò le mani ai fianchi e sorrise nel vedere la ragazza: la conosceva bene, quei due erano sempre insieme quando Toshinori non era impegnato negli allenamenti o nello studio, ma quella sera era vestita in maniera deliziosa. Si voltò a guardare Toshinori, chiedendosi per un breve istante che stesse aspettando e perché non andasse da lei, e sorrise divertito quando colse la sua espressione imbambolata. Lo conosceva bene quello sguardo, lo sguardo del primo innamoramento, in fondo era stato ragazzo anche lui!
Sghignazzò e gli diede un paio di pacche sulle spalle, facendolo sussultare per essere stato colto in flagrante. Rosso in volto, deglutì, poco prima che Gran Torino lo spingesse con forza in avanti, tra la folla.
«A-aspetta» provò a chiamare Toshinori, vedendolo andar via. Non sapeva in realtà cosa volesse dirgli, forse solo trovare una giustificazione a quanto era appena successo, ma ovviamente l'uomo lo ignorò e si limitò a salutarlo con una mano, sparendo tra la gente.
«Toshi-chan!» lo chiamò Machiko, vedendolo. Gli corse incontro e ancora una volta Toshinori sentì la bocca dello stomaco chiudersi così forte da fargli quasi male.
«Uffa, ma non ti sei messo il tuo Yukata?» lo brontolò lei, imbronciandosi.
«Si doveva mettere?» balbettò lui, confuso e incapace di riprendere un colorito decente in volto.
«Certo, stupido! Guarda, un sacco di uomini ce l'hanno» brontolò lei ancora, indicando la gente per strada.
«Mi dispiace» bofonchiò lui, grattandosi la nuca, imbarazzato. Ma la cosa parve non avere importanza agli occhi di Machiko, che cambiò nuovamente espressione, illuminandosi.
«Toshi-chan! Non riesco a prendere le palline della vasca! Ci provi, tu?» chiese unendo delicatamente le mani davanti al viso, in segno di preghiera.
«Va bene» balbettò lui, ancora su di giri.
«Vieni!» saltellò Machiko prima di prenderlo per mano e tirarlo alla vasca. Un contatto che andò a peggiorare ancora di più quel dolore alla pancia. Toshinori si inginocchiò di fronte alla vasca, prese la palettina e osservò bene le palline che galleggiavano sulla superficie, pensando alla strategia migliore per prenderle. Machiko gli si mise di spalle e lo guardò entusiasta, in un certo senso fiduciosa che lui non avrebbe sbagliato.
Immerse la paletta in acqua, tentò di afferrare una delle palline ma la carta si ruppe. Sospirò, affranto per aver perso, e Machiko dietro di lui fece altrettanto.
«Che peccato» disse lei e questo bastò a dare fervore a Toshinori, che con volto deciso si tirò su le maniche prima di annunciare a gran voce: «Ci voglio riprovare!»
E continuò, ancora e ancora.
«Machiko!» la voce di Yamada provenne alle sue spalle e lei si voltò a salutarlo. Era insieme a Satsuki e Akane, che erano andate a cercarli non vedendoli arrivare, e insieme a lui c'erano anche Kamatari e Heikichi. Il gruppo era finalmente al completo.
«Ehy!!!» salutò felice Machiko alzando una mano.
«Ce l'ho fatta!!!» urlò in quell'istante Toshinori, alzandosi in piedi e stringendo un pugno infervorato. Machiko si voltò e lo vide con in mano la sua vittoria meritata: esplose di felicità e gli saltò al collo, appendendosi ed esultando.
Toshinori ebbe la sensazione di esplodere: Machiko gli era saltata addosso un sacco di altre volte, spesso la portava in spalla durante i suoi salti incredibili per tirarla fuori da qualche guaio, ma allora perché quella volta gli diede quella strana sensazione di bruciore al petto?
«Un premio alla signorina» annunciò il proprietario del banchetto, porgendo a Machiko una spilla per capelli decorata con un grosso fiore.
«Scusami tanto, il gioco l'ho vinto io e il premio lo danno a te?» brontolò Toshinori, volgendo uno sguardo storto a Machiko, ancora aggrappata alle sue spalle. E lei in tutta risposta gli fece una linguaccia.
«Perché io ho messo lo Yukata stasera e sono carina, tu invece no» borbottò lei per quel che poteva, continuando a fargli la linguaccia.
Era carina veramente. Era carina da impazzire. Come poteva contraddirla? Avrebbe voluto dirle qualcosa di adeguato, avrebbe voluto dirle che aveva ragione, quella sera era terribilmente carina, ma non riuscì a gestire le parole nella sua testa e si limitò ad osservarla in silenzio.
«Ehy! Piccioncini! Andiamo alle canne di bambù ad appendere i desideri! Venite?» urlò Satsuki, già avanti insieme al resto del gruppo. Questa volta non fu solo Toshinori ad arrossire, ma anche Machiko non uscì indenne da quell'appellativo, e i due si scambiarono uno sguardo imbarazzato. Machiko si affrettò a lasciarlo andare, sistemandosi maldestramente lo Yukata, e Toshinori si grattò nuovamente la nuca, volgendo lo sguardo altrove.
«Andiamo?» chiese lui, cercando di sembrare tranquillo.
«Sì» rispose lei, altrettanto agitata.
Satsuki e Akane si guardarono, scoppiando a ridere per la reazione dei due, e Yamada, al loro fianco, alzò le spalle negando con la testa. Chissà quando quei due avrebbero ammesso a loro stessi i propri sentimenti, ormai palesi a chiunque.
La serata proseguì completamente spensierata, proprio come Machiko l'aveva sognata. Mangiarono dolcetti di ogni tipo, fecero altri giochi, si ritrovò in qualche modo perfino coinvolta in un karaoke improvvisato a cui non aveva potuto dire di no e la sua voce, ormai ben allenata, addirittura famosa, attirò le orecchie e gli applausi di molti passanti. E in tutto questo Toshinori non potè che trovare sempre più conferma che quella sera era più luminosa che mai. Perfetta e speciale. Le luci della città sembravano messe lì apposta solo per illuminarle il volto nel migliore dei modi, le decorazioni alle abitazioni si addicevano al colore del suo Yukata, i movimenti delle lanterne e delle decorazioni di carta mossi dal vento accompagnavano quello dei suoi capelli. Sorrise, sorrise per tutta la sera e mai una sola volta riuscì a smettere di farlo.
Scrissero i loro desideri su di un cartiglio colorato e con un filo lo appesero ai bambù messi a disposizione per la festa. Pregarono le divinità affinchè i loro desideri prendessero realtà e infine si allontanarono, dirigendosi verso il fiume, dove ci sarebbero stati i fuochi d'artificio. Toshinori non potè far a meno di cedere però prima alla curiosità e leggere rapidamente ciò che Machiko aveva scritto sul suo cartiglio, chiedendosi se avesse seguito la sua ingenuità, desiderando Taiyaki gratis per un anno intero, o fosse stata più seria nel chiedere invece che la sua carriera di cantante sbocciasse come meritava, rendendola famosa.
Si sorprese nello scoprire che invece non c'era scritto niente di tutto questo. Si sorprese di scoprire che il pensiero di Machiko era andato a lui, al suo sogno di pace, pregando gli dei di rendere Toshinori presto il simbolo che tanto desiderava e per cui si stava impegnando. La dolcezza di quella ragazza poteva arrivare a tanto? Il suo affetto nei suoi confronti superava perfino ciò che desiderava per se stessa?
«Toshi-chan! Dai, non restare indietro! Ci prendono tutti i posti!» brontolò Machiko, avanti insieme al gruppo.
«Arrivo» balbettò lui, correndo per raggiungerli.
«Lo sai che è maleducazione leggere i desideri degli altri?» gli disse lei, una volta che l'ebbe accanto. Toshinori arrossì imbarazzato e ammise, colpevole: «Mi dispiace».
Ma lei non parve essersela presa, anzi gli sorrise di nuovo, forse addirittura contenta che lui l'avesse fatto. Non era una novità che lei si rendesse orgogliosa di essere la sua prima sostenitrice e fan in assoluto. Come riusciva ad essere così adorabile? E soprattutto, perché se ne accorgeva solo in quel momento?
Si sedettero sull'erba e attesero l'inizio dell'attrazione principale della serata: i fuochi d'artificio. E nell'attesa i ragazzi tirarono fuori tutti i dolcetti che erano riusciti a comprare, improvvisando un pic-nic di zucchero e pastelle su cui si fiondarono senza ritegno. Chiacchierando, scherzando e mangiando, finalmente cominciò l'evento tanto atteso e allora solo il silenzio fece padrone.
I magnifici colori esplodevano nel cielo, decorandolo e risplendendo negli occhi dei suoi spettatori. Uno scoppio dietro l'altro, un colore dopo l'altro, un'emozione dopo l'altra.
E su quella riva tutto cominciò a cambiare.
«Toshinori» sussurrò Machiko, senza staccare gli occhi dal cielo. Il viso sereno, sicuro di sé. Sorrideva, rilassata, coraggiosa sicuramente più di lui.
E lasciò uscire quel sentimento dal petto con una semplice frase.
Avventata, impulsiva e forte come nessuna persona riusciva ad esserlo, era stata lei a dichiararsi quella stessa sera con la sicurezza di un eroe di fronte a un nemico che sapeva avrebbe sconfitto. Non aveva avuto paura della risposta del ragazzo, non aveva avuto paura di rovinare tutto, forse perché quello sarebbe stato l'ultimo anno nella stessa classe e poi chissà cosa sarebbe successo ad ognuno di loro o forse semplicemente perché lei era Machiko e non pensava mai alle conseguenze. Seguiva il proprio istinto.
E il suo istinto le diceva che non avrebbe potuto lasciarlo andar via, quella sera, senza fargli sapere che era innamorata di lui.
Il cuore di Toshinori prese a battere così forte che il rumore nelle orecchie gli impedì di sentire gli scoppi dei fuochi d'artificio. Con un calcio, Machiko aveva sfondato una porta e lui aveva miracolosamente scoperto che era proprio ciò che desiderava. L'uomo più forte del mondo, era questo che sarebbe diventato, eppure non era riuscito a spiccicare una sola parola preso dal tremore e dall'emozione. Cosa si doveva dire in quei momenti?
Lasciò parlare i fuochi d'artificio e infine fece l'unica cosa che il suo, scarso, coraggio riuscì a permettergli. Cercò la mano della ragazza tra l'erba e quando la trovò, tremando, la strinse. Machiko lo lasciò fare, sorridendo divertita nel sentirlo così agitato e sudaticcio. Gli lanciò uno sguardo di traverso, cogliendo il suo rossore sul volto e non trattenne una risata. Com'era imbranato!
Si mosse e si avvicinò a lui, incrociò le proprie dita con le sue e infine gli poggiò la testa sulla spalla, tornando a guardare i fuochi sopra le loro teste insieme. Emozionati, una sensazione di liberazione alla bocca dello stomaco e la felicità nel petto.
Quelle dita sarebbero rimaste intrecciate ancora a lungo, non solo quella sera.


Una seconda notte in bianco non era proprio quello di cui aveva bisogno, ma il suo corpo sembrava essere deciso a ribellarsi. Era tornata in albergo, si era data una ripulita e poi si era lanciata tra le lenzuola nonostante l'ora, senza neanche avere la forza di cenare. Era stata ore a girarsi nel letto, senza riuscire a trovare una posizione comoda. Aveva persino provato a leggere un libro, ma le parole si mischiavano tra loro e non era riuscita a capirci molto. Alla fine, a mezzanotte passata, esasperata si era rivestita ed era andata in un locale a bere fino a tardi. Un uomo ci aveva provato con lei, uno dei tanti, ma la maggior parte li metteva fuori combattimento in una frazione di secondo con il proprio Quirk. A quell'uomo aveva invece deciso di dare una possibilità, forse perché ormai ubriaca persa o forse perché era talmente disperata che avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di togliersi dalla testa quel viso e quella voce. Perfino usare un rimpiazzo, un affascinante rimpiazzo. Avevano parlato per un po', lui l'aveva fatta ubriacare ancora, probabilmente nella speranza di riuscire a portarla al punto di non ritorno. E c'era quasi riuscito, se non fosse che Nina, all'ultimo, aveva avuto un ripensamento e aveva deciso di stenderlo proprio come tutti gli altri. Neanche lui era degno di averla. Nessuno sembrava esserlo.
«Siete solo degli scocciatori» aveva mormorato, uscendo dal locale. Non ricordava come, ma sapeva che alla fine era riuscita a ritornare alla sua stanza d'albergo e mettersi a dormire che ormai erano passate le quattro. Solo la mattina dopo aveva cominciato a rendersi conto della sciocchezza che aveva fatto ed era stata a lungo a pensare se chiamare Nezu e dirgli che non era nelle condizioni di andare a scuola. Avrebbe potuto dare la colpa alla battaglia del giorno prima, ma quello avrebbe dato ragione a lui, sulla pericolosità della sua idea, e alle ragazze sul fatto che non stesse affatto bene. Era arrivata al limite, doveva affrontare la faccenda e doveva farlo quel giorno stesso. Non avrebbe passato un'altra notte insonne per colpa di quell'uomo! E certo non aveva accettato di rivivere il passato per lasciarsi uccidere da esso.
Percorse i corridoi della Yuuei sbattendo i piedi per terra, decisa e incazzata allo stesso tempo, ed entrò in sala professori come un uragano. Si guardò attorno, puntando gli occhi sui presenti, ma nessuno di loro era chi stava cercando. Richiuse la porta, sbattendola, e si diresse verso la sala ristoro, la mensa, le aule. Aprì ogni singola porta dell'edificio ripetendo lo stesso rituale più e più volte, ignorando lo sguardo sconvolto di chi si parava di fronte, fintanto che non arrivò a un'altra sala che riportava scritto: "privato". Era talmente famoso, quell'idiota, che gli avevano dato una stanza privata tutta per sé. Aveva voglia di prenderlo a calci per giorni.
Spalancò la porta e Midoriya, all'interno, sobbalzò terrorizzato. Di fianco a lui, finalmente, c'era anche All Might.
«Nin...» provò a salutare quest'ultimo, alzando una mano, ma Midoriya scattò rapidamente verso l'uomo e gli piantò un pugno in faccia. Il ragazzino urlò terrorizzato e cominciò a piagnucolare: «Mi dispiace! Non sono stato io! Lo giuro!»
«Un'altra emergenza, All Might?» chiese Nina piena di collera. «Che fai, non scappi dalla finestra?»
«Fino a prova contraria ieri sei stata tu a scappare» rispose All Might e Nina, ormai furibonda, usò Midoriya nuovamente per riempirlo di pugni in faccia.
«Almeno lascia andare il ragazzo, lui non c'entra niente, poverino!» provò a dire l'uomo, restando impassibile di fronte ai colpi che tanto non gli avrebbero fatto neanche un graffio.
«Può liberarsi, se vuole!» ringhiò Nina, prima di fulminare Midoriya: «Perché non ti liberi?»
E il ragazzino piagnucolò sempre di più, terrorizzato da Nina e con le mani doloranti -la pelle di All Might sembrava fatta d'acciaio!-.
«Va bene, ho capito» sospirò All Might, alzandosi in piedi. Afferrò i fili invisibili di Nina e con uno strattone li strappò, liberando lui stesso il ragazzino, dimostrando ancora una volta quanto conoscesse quella donna e il suo Quirk.
«Midoriya, ragazzo mio, puoi lasciarci un attimo soli?» chiese con tono cupo e Izuku non se lo fece ripetere due volte, dandosela a gambe.
«È un cagasotto, proprio come te!» ringhiò ancora Nina, colta da una rabbia che poche volte aveva avuto e ancor meno era riuscita a gestire. All Might la ignorò e le si avvicinò, chiudendo la porta alle sue spalle, facendo in modo che quelle strilla non arrivassero al corridoio. «Siete proprio uguali, adesso capisco perché hai scelto lui! Due idioti piagnucoloni! E il mondo dovrebbe riporre la propria fiducia in uno così? Già fatico a capire come abbia potuto riporla in un vigliacco com...» ma non terminò la frase, non ci riuscì. Gli morì in gola nell'istante in cui con sorpresa All Might si era voltato verso di lei e l'aveva abbracciata, stringendosela al petto. Quel calore, quelle enormi braccia, quel rifugio sicuro che l'avvolgeva... ne aveva davvero sentito così tanto la mancanza? Lui le posò una mano dietro la nuca e se la spinse contro la spalla, con sicurezza, donandole quell'intensa sensazione di conforto, tanto improvvisa, tanto malinconica che le fece male la pancia.
«Che stai facendo?» mormorò con un filo di voce, non riuscendo a reagire in altro modo se non paralizzandosi.
«Mi dispiace» una confessione che andava ben oltre gli avvenimenti di quegli ultimi giorni. Una confessione che racchiudeva dentro di sè tutti gli ultimi vent'anni e che era riuscito con un colpo sicuro, diretto e potente, a distruggere. Un vetro che andava in frantumi, un vetro che aveva resistito a lungo a qualsiasi tipo di colpo, ora per un semplice sospiro era crollato... ecco come si sentiva. Cominciò a tremare, a respirare a fatica. La gola e gli occhi presero a bruciare.
«Lasciami andare» mormorò, ma restò inascoltata e All Might continuò a premerla contro se stesso.
«Ti ho detto di lasciarmi andare» insistè con più rabbia. Non poteva, non doveva comportarsi in quel modo. Non dopo tutto quello che lei aveva fatto per riuscire a superarlo, per riuscire a convincersi che era felice, che andava bene così. Non poteva far nascere in lei quel desiderio di riaverlo per sé, non dopo così tanto tempo, non con così poco.
«Lasciami!» quasi urlò e gli piantò le mani al petto, forzando per allontanarlo, lottando contro un muro invalicabile. «Lasciami! Lasciami!» insistè, cercando di colpirlo, di allontanarlo, di dimenarsi, fintanto che le lacrime non cominciarono inevitabilmente a sgorgare.
Strinse i suoi abiti tra le dita, piantandoci dentro le unghie, e ormai in preda a quei sentimenti affondò il viso contro la sua spalla e si lasciò andare a un urlo incazzato a pieni polmoni. Se non l'avesse soffocato in quel modo l'avrebbe sentito l'intera scuola e le spiegazioni non erano il suo forte. A pugni serrati cominciò a colpirlo, urlando come un animale in preda alla furia, sfogando in quel modo tutte le energie che aveva, fintanto che ormai sfinita non si lasciò andare al pianto, mormorando: «Esci dalla mia vita. Esci dalla mia testa. Ti prego».
All Might cominciò ad allentare la presa e lasciarla andare solo quando si convinse che ormai aveva smesso di sfogarsi, che ormai si era liberata di tutto, e non sarebbe saltata da tutte le parti distruggendo ogni cosa come un animale impazzito. Nina si portò le mani al volto, incapace ancora di mostrarsi in quelle condizioni, vergognandosi di quanto fosse stato semplice abbattere quella corazza che abilmente si era costruita.
All Might si allungò sul tavolino a fianco, prese un sacchetto e glielo mosse davanti al viso, annunciando con un gran sorriso: «Ti ho preso i Taiyaki per farmi perdonare».
I singhiozzi di Nina vennero interrotti da un accenno di risata, che andava facendosi sempre più potente, fino a prendere definitivamente il posto di tutto quel dolore. Si asciugò maldestramente il viso con le mani tremolanti e disse con la voce ancora rotta: «Sei un idiota».
Rise ancora, prima di riuscire a sentirsi più tranquilla e, riuscita a ripulirsi, afferrò il sacchetto.
«Da' qua!» disse, avvicinandosi al divano in mezzo alla sala.
"Funzionano ancora!" pensò All Might entusiasta di essere riuscito a gestire la situazione come ai vecchi tempi.
«Scusami per aver trattato il tuo allievo in quel modo. Aveva già abbastanza paura di me anche prima di questa sceneggiata» disse addentando il primo dei dolcetti a forma di pesce. «Così gli ho dato il colpo di grazia».
«Tranquilla, ci parlo io».
«Non c'è bisogno. Posso risolvere i miei problemi da sola» disse lei, alludendo al fatto che lui avesse sempre avuto questa tendenza a correre in soccorso di qualsiasi problema. Lo aveva fatto con lei quando erano ragazzi e aveva cominciato a farlo col mondo intero non appena era diventato adulto.
«Come preferisci» disse All Might, deciso ad accontentarla.
«Senti...» iniziò lei, osservando assorta il suo dolcetto mangiato per metà. Gli occhi ancora rossi e se ne strofinò uno, cercando di placare almeno il bruciore. «C'è una cosa che voglio dirti. È questo il motivo per cui sono venuta qui».
«Pensavo volessi solo picchiarmi fino allo sfinimento» ironizzò lui.
«Idiota» disse lei seccamente, ma riprese subito il discorso, ignorando quella pessima battuta: «Va bene così», recitò solenne. Si prese qualche secondo per mettere insieme i pensieri, le parole e lasciò All Might per qualche istante immerso nelle sue domande.
«Parlo di quello che è successo tra noi, parlo di quel giorno».
Quel giorno, quello dove Machiko era esplosa arrivando al punto di scegliere la fuga in America, una vita completamente nuova, lontano da tutto. Lontano da lui.
«Ho espresso io il desiderio di vederti realizzato nel tuo sogno, quel giorno di Luglio, sul fiume. E sono sempre stata io a incoraggiarti e pregare affinchè riuscissi ad arrivare dove volevi. È stato egoista da parte mia provare quei sentimenti di rabbia e tristezza tutte le volte che ti vedevo andar via».
«Nina...» provò a parlare lui, addolorato, ma lei lo interruppe con un severo: «No! Ascoltami! Se qui c'è qualcuno che deve chiedere scusa quella sono io. Hai creato qualcosa di eccezionale, sei andato ben oltre le aspettative. Le folle gridano il tuo nome, il tuo volto è ovunque, sei amato e adorato da chiunque. Rendi felici le persone e proteggi la pace, è eccezionale. Non mento quando dico che vederti oggi, qui, realizzato dopo tutto quello che è successo, mi riempie di gioia. Dico sul serio. Andarmene quel giorno è stata la scelta migliore, tu hai realizzato il tuo sogno e io il mio! È perfetto così, no?»
E dopo un attimo di riflessione, All Might disse addolorato e poco convinto: «Mi hai appena chiesto di uscire dalla tua testa».
Come poteva dire di essere felice, dopo quello che aveva appena fatto? Dopo quelle urla e quelle preghiere. Non poteva essere felice, non poteva essere vero.
«Lo so» disse lei repentina. «Perdonami». Fece un sospiro e si voltò a fissare fuori dalla finestra, cercando forse rifugio e forse il coraggio tra quelle nuvole che solcavano la città con una leggerezza che invidiava.
«Ero arrabbiata. Ero arrabbiata e disperata perché più percorrevi la tua strada e più ti sentivo scivolare via dalle mie dita. Eri il mio eroe, lo sei sempre stato da quel giorno di prima media. Il giorno in cui ci siamo conosciuti, te lo ricordi?» e sorrise malinconica. «Trovai la scritta sul mio armadietto, quelle orribili offese e non sapendo chi fosse stato non sapevo nemmeno con chi andare a prendermela. Di solito risolvevo da sola le mie questioni, usando il mio Quirk».
«Ti cacciavi sempre nei guai e ti facevi detestare sempre di più» ricordò lui.
«Ma quel giorno sei passato tu, il tuo primo giorno di scuola. Hai guardato la scritta, hai visto me in lacrime e hai cominciato a pulire. Non hai smesso fintanto che non era tutto brillante e questo ti costò una bella ramanzina perché avevi perso il primo giorno di lezione. Hai messo a rischio te stesso, solo per correre in mio aiuto. Hai cominciato a seguirmi, sentendo che avevo qualche problema, e hai cominciato a risolverli tutti. Dal primo all'ultimo, anche se eri un senza poteri, mettendoti persino a fare a botte con chi se la prendeva con me. Non hai mai smesso di essere il mio paladino della giustizia, fino a quando non sei diventato All Might. E allora sei diventato il paladino di tutti e io sono diventata gelosa».
«Ti ho lasciata indietro, non colpevolizzarti. Non cercare ancora una volta di farmi sorridere... la verità è che ho cominciato a voltarti le spalle» e dopo qualche istante trovò il coraggio di aggiungere, con un filo di voce: «Questo l'ho capito troppo tardi».
«Beh, sì, spesso mi lasciavi da sola a un appuntamento per correre ad aiutare una vecchietta ad attraversare la strada o per salvare un gattino dall'albero. E io pensavo: "Non è grave, perché corri sempre ovunque e mi molli da sola!", è vero» infierì lei.
«Mi dispiace» disse lui nuovamente, abbassando la testa colto dai sensi di colpa.
«Non c'eri mai, riuscivo a vederti ormai solo alla televisione. Quel giorno, al ristorante... è stata la goccia e ho pensato: "Voglio davvero vivere la mia intera vita così? Insieme ad un fantasma?" e sono scappata, decisa a cercare fortuna altrove, ovunque, ma lontano da qui».
«Quella sera, io...»
«Lo so cosa volevi fare. So benissimo cosa avevi intenzione di fare ed è per questo che sono scappata. Ma ho riflettuto tanto e in questi anni sono cresciuta, sono maturata e ho capito. Ho capito che erano così che le cose dovevano andare e l'egoista ero stata io. Se non me ne fossi andata, se avessi continuato a pretendere di avere Toshinori tutto per me, il mondo non avrebbe mai avuto All Might. Ho perdonato... ho perdonato te per avermi lasciato indietro e ho perdonato me stessa per essermi arrabbiata tanto. Sai, sono stata così felice quando ti ho visto in diretta internazionale la prima volta!» esclamò, brillando di un sorriso che Toshinori si era dimenticato da tempo quanto fosse riscaldante. Quello stupendo sorriso, esattamente uguale a quello che ricordava di tanti anni prima. Il sorriso che l'aveva sempre incoraggiato e ispirato. Gli anni non le avevano portato via nemmeno un briciolo della sua bellezza.
«Posso perdonare, posso giustificare, capire e accettare» mormorò lei, tornando a guardare fuori con aria ora più rilassata. «Ma non posso dimenticare. Mi sto trasformando in una vecchia malinconica, povera me» sospirò, chinando la testa in maniera melodrammatica per esprimere il suo dolore. «E quei ragazzini sono così pieni di vita come lo eravamo noi, mi appassionano e peggiorano la mia nostalgia».
«Ti guardavo, in televisione» ammise lui. «E ascoltavo le tue canzoni alla radio. Non mi sono perso nemmeno un'intervista» confessò e Nina lo interruppe con un inquietato: «Cosa sei? Uno stalker?»
Lui la ignorò e proseguì con un sincero: «Sono così fiero di te, Machiko».
Quel nome. Da quanto tempo non usava quel nome. Da quanto tempo non sentiva pronunciarlo dalla sua voce, in quel modo così dolce. Un'altra ondata di malinconia le trafisse la gola, ma questa volta ne reagì illuminandosi e sorridendo felice di quel complimento. Un sorriso tanto gioviale che per un istante, illuminata dai raggi del sole che penetravano dalla finestra, la trasformò nella luminosa ragazza di cui Toshinori si era innamorato tanto tempo prima.
Com'era dolce quella sensazione.


I found a love for me
Darling just dive right in
And follow my lead
Well I found a girl beautiful and sweet
I never knew you were the someone waiting for me
'Cause we were just kids when we fell in love
Not knowing what it was





NDA.


Come avrete notato ho messo un paio di asterischi durante il capitolo. Anche se ho cercato di rendere ugualmente comprensibile il testo, dando qualche spiegazione, aggiungo qualcosa nelle note.

*Il Tanabata= E’ una festa tradizionale Giapponese che si tiene il sette Luglio. E’ legata alla leggenda delle due stelle Altair e Vega, due amanti che era stati talmente tanto presi l’uno dall’altro da dimenticare ognuno i propri compiti. Così per ristabilire l’ordine l’Imperatore Celeste li punisce separando i due dalla via Lattea. Il 7 Luglio le due stelle si ricongiungono, la leggenda narra di un ponte creato da uno stormo di uccelli compassionevoli, e così è nata la festa delle stelle innamorate. Io ve l’ho un po’ riassunta, ma se siete curiosi qui c’è scritto molto:
http://sakuramagazine.com/ricorrenze-giapponesi-tanabata-matsuri-festa-delle-stelle-innamorate/
Un paio di caratteristiche della festa, oltre i fuochi d’artificio, è il fatto che gran parte delle decorazioni sono fatte di carta e c’è la tradizione dei cartigli appesi ai bambù. I giapponesi scrivono su dei cartigli colorati i propri desideri che poi appendono a delle canne di bambù.
*Il gioco delle palline nella vasca: è un gioco tradizionale che fanno i giappi. Sinceramente non so come si chiami, ma qui allego una foto giusto per farvi capire che intendo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Tanabata#/media/File:Asagaya_Tanabata_Festival.jpg
*Yukata: è un tipo di Kimono ma estivo e più informale che i giappi indossano in certe occasioni


Beh, non mi sento di dire molto su questo capitolo, penso parli già da solo (e sinceramente sono un po’ di fretta xD).
Perciò questa volta mi limiterò a ringraziarvi ancora e salutarvi :D
Ricordo che chi volesse mi può trovare sulla pagina fb Ray Scrive :
https://www.facebook.com/RayWingsScrive/
Anche solo per fangirlare un po’ (cosa che faccio anche più del dovuto).
Un saluto a tutti!
Ciaoooooo


Ray





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Capitolo 11
*** Superheroes, The Script ***


“Superheroes”, The script



I ragazzi entrarono in palestra, già cambiati con i loro costumi, pronti a un'altra lezione extracurricolare. Gli avvenimenti del giorno prima avevano in qualche modo segnato tutti, ma non era stata solo la paura e il desiderio di imparare a gestire certe situazioni a motivarli a partecipare ancora alle lezioni di Nina. Nonostante la stanchezza, non vedevano l'ora di iniziare, soprattutto perché quella donna, sentivano, aveva davvero tanto da insegnare. Aveva portato in salvo un gruppo di persone con maestria, aveva salvato Kirishima e gli altri ragazzi con destrezza e infine aveva combattuto in maniera incredibile. Non era una semplice diva, Nina era una donna forte che avevano cominciato ad ammirare. Inoltre si era rivelata un'ottima compagna, non era un'adulta come tutti gli altri... lei gli permetteva di divertirsi e trasgredire le regole ogni tanto. Come era successo proprio al gruppo di Kirishima: non avevano la licenza, non avrebbero dovuto usare i loro Quirk fuori dalle mura scolastiche, anche se lei gli aveva autorizzati in realtà non aveva il potere burocratico su certe cose. Nonostante tutto aveva chiesto loro di combattere per aiutarla, non di scappare, e inoltre li aveva protetti successivamente negando al preside e alle forze di polizia il loro intervento per evitare di metterli nei guai. Si era guadagnata la stima e la fiducia di tutta la classe, che cominciava a vedere quelle lezioni con occhio diverso e più interessato.
Ma, entrando nel capannone, lei non c'era.
«Di solito è già qui che si scalda» osservò Uraraka.
«E se fosse rimasta ferita per ieri e non fosse potuta venire?» chiese Ashido.
«Impossibile, ce l'avrebbero comunicato» disse Ojiro.
«Che abbia in mente qualcosa?» si chiese Kirishima, mettendosi in posizione per contrastare un eventuale attacco a sorpresa. Sarebbe stato da lei, prenderli di sorpresa per metterli nuovamente alla prova. Una voce cominciò a farsi sentire dall'esterno, dapprima lontana e poco chiara, poi sempre più forte. Era la voce di Nina che stava arrivando e rideva, rideva come mai l'avevano sentita, in un modo così puro e cristallino che sembrava di sentire la voce di una ragazzina.
«Ti assicuro che è proprio quello che hanno detto! Ormai siamo fregati, amico mio. Non ci lasceranno in pace, lo sai?» disse lei, tra le risate.
«Accidenti, speriamo non facciano troppe domande» la voce di All Might. Uraraka e le altre ragazze parvero saltare sul posto nel sentirli insieme e istintivamente si scambiarono sguardi ed espressioni di sorpresa.
«Non fare il vigliacco, sono solo ragazzini».
«Ed è proprio questo che mi spaventa» ammise lui, poco prima che la porta della palestra si aprisse.
«Cagasotto» lo canzonò Nina, entrando per prima. Si voltò verso l'interno e li vide già tutti pronti come soldatini, ad aspettarla. Si illuminò ed esclamò: «Ma guarda che puntualità!»
«Eccomi qua! Oggi ci sono anche io!» disse All Might, entrando in palestra con rapidità e piazzandosi al centro in una delle sue pose da supereroe, con le braccia alzate al cielo e il petto gonfio. Nina lo fulminò, per niente colpita e ammirata per la sua entrata in scena, come invece lo erano i ragazzini davanti a loro.
«Ce n'era proprio bisogno?» gli disse, con tono quasi sofferente. Era incredibile come con gli anni e la fama fosse diventato così pieno di sè ed egocentrico. Ma All Might la ignorò, concentrandosi piuttosto sullo sguardo delle ragazze di fronte a lui.
"Sai che hanno trovato una nostra foto insieme? A quanto pare adesso è di dominio pubblico la nostra vecchia relazione" gli aveva riferito Nina poco prima e la cosa l'aveva messo non poco in agitazione. Poteva sopportare qualsiasi cosa, ma non era ancora pronto a dover rivelare aspetti personali come quei piccoli dettagli sulla sua vita sentimentale, soprattutto se queste curiosità venivano da chi lo ammirava di più e chi aveva più a che fare con lui. Cominciò a sudare freddo, sempre più imbarazzato da quello sguardo insistente, e cominciò a valutare quali fossero le vie d'uscita più rapidi da raggiungere. Era insopportabile, così insistente, sembrava scavargli dentro.
"Sono terrificanti" pensò, sempre più agitato.
Cercò di ricomporsi, riprendendo il suo ritegno, e si schiarì la gola rompendo quell'imbarazzante silenzio che Nina aveva di proposito lasciato cadere. Non sembrava essere turbata della cosa, sembrava anzi che la divertisse, soprattutto perché invece lui non riusciva a vivere con serenità il fatto che quei ragazzini sapessero di ciò che c'era stato tra lui e Nina. Conscendo la donna avrebbe fatto anzi di tutto per rincarare la dose, solo per vederlo ancora più in difficoltà. Sapeva essere terrificante e malefica, come poteva tutta quella cattiveria uscire da un bocciolo di rosa tanto bello e accattivante?
«Dunque!» finalmente disse lei, interrompendo il suo dilaniante sprofondare nelle viscere della vergogna. «Ieri qualcuno di voi ci ha fatto un'interessante richiesta e oggi io e il mio vecchio amico d'infanzia All Might, abbiamo deciso di accontentarla!» sillabò più del solito le parole "amico d'infanzia" mentre gli tirava qualche pacca sulla spalla, lanciando all'uomo uno sguardo provocatorio.
"Lo sapevo! Lo fa apposta! Maledetta!" pensò lui, rendendosi conto del gioco a cui la donna stava giocando. L'agitazione crebbe e il suo caratteristico sorriso indistruttibile prese una strana piega, più forzata del solito, sotto il peso dell'imbarazzo. La vide sogghignare divertita e questo lo rese ancora più irrequieto. Non avrebbe smesso lì, sarebbe andata avanti tutto il giorno fino a quando non l'avrebbe visto esplodere del tutto. Lo sapeva. Ma perché aveva accettato quella proposta?
«Il combattimento coordinato!» si illuminò Kirishima, capendo a cosa si riferivano. Erano stati grandiosi, da tenere col fiato sospeso, e i ragazzi avrebbero dato qualsiasi cosa per imparare ad essere come loro.
«Bravissimo Kirishima!» sorrise lei con gioia e il ragazzo parve gonfiarsi come un palloncino, entusiasta di essere stato adittato come "bravissimo".
«Non è così semplice come può sembrare, se non funziona bene non solo non risulta positivo per la battaglia, ma addirittura dannoso. Ad esempio, provate a pensare se io e All Might ieri avessimo sbagliato anche solo di un centimetro l'angolatura quando si è tirato addosso me e l'uomo ombra. Io ero messa davanti, l'uomo ombra dietro sbucava solo per pochi centimetri, non era facile centrarlo alla perfezione nel tempismo dell'impatto, la precisione doveva essere millimetrica o avrebbe rischiato di colpire me invece che lui... e non credo che dopo un colpo simile io sarei potuta essere qui oggi a parlarvi» rise, mentre alcuni dei ragazzi impallidirono di fronte all'idea, veritiera, che lei non sarebbe potuta sopravvivere se avessero sbagliato qualcosa. Ora quel grandioso stile di combattimento faceva più paura che altro.
«Ma se invece riuscite ad arrivare a un livello di coordinazione adeguato, il vostro potere non solo ne verrà beneficiato ma addirittura amplificato» proseguì All Might. «Per raggiungere quel livello c'è bisogno di tre cose fondamentali: Allenamento, intesa e fiducia reciproca. Sì, Ojiro?» chiese, dando al ragazzino che aveva alzato la mano la possibilità di parlare.
«Quanto tempo è che vi allenate insieme? Insomma, quanto ci vuole per arrivare al vostro livello di intesa?»
«Oh, beh...» disse All Might, portandosi una mano al mento e immergendosi in una riflessione, cercando di ricordare quanto tempo avessero impegnato effettivamente loro due.
«Dunque, abbiamo cominciato che avevamo... circa quindici anni? Sbaglio?» chiese Nina, altrettanto concentrata. Com'era difficile ricordare date così distanti!
All Might annuì, per poi proseguire: «E abbiamo continuato fino a quando non te ne sei andata, quindi ventitre. Otto anni, giusto?»
Nina negò, prima di correggere: «A quel tempo tu lavoravi già da solo e poi ormai avevamo preso padronanza della tecnica molto prima, l'avevamo già usata un sacco di volte. Di allenamento vero e proprio direi due o tre anni?»
E All Might annuì convinto, confermando con una serie di: «Già, già».
«Un attimo! E da allora non l'avete più usata?» chiese Kirishima, sconvolto.
«Non ci siamo più rivisti da quando sono partita per l'America, quindi no. Più usata» confermò Nina, alzando le spalle con fare rassegnato.
«Ma ieri siete stati così precisi! Come possono essere passati più di vent'anni da quando vi allenavate?» chiese Midoriya, altrettanto sconvolto.
«In effetti non sei stato preciso per niente!» esclamò Nina, voltandosi e puntandosi le mani ai fianchi. All Might sobbalzò sorpreso e la guardò lievemente spaventato, sapendo ciò che gli aspettava.
«Mi hai lanciato troppo forte contro il rinoceronte! Mi sono fatta male a un piede, lo sai?» lo rimproverò.
«Il tuo filo ha centrato l'avambraccio, non la mia mano. Non ho potuto dosare bene la forza, ho provato a essere il più preciso possibile!» rispose All Might, non alterandosi come lei, ma più col tono di chi aveva bisogno di giustificarsi per l'errore commesso. Era grande e grosso, ma di fronte a Nina si trasformava in un cucciolo smarrito e spaventato, faceva quasi tenerezza.
«Forse se tu ti fossi girato di più sarei riuscita a centrare meglio la mano, non credi?!»
«Sei più leggera di quello che ricordavo! Quando sono saltato pensavo di avere un contrappeso diverso!»
«Stai cercando di insinuare qualcosa, forse?» si inviperì Nina.
«Mangiavi troppi Taiyaki, ecco cosa sto dicendo!» riuscì a farsi coraggio lui, puntandole un dito contro. «Mangiare troppi dolci non ti faceva bene! E avevi i movimenti più fiacchi!»
«Forse ne avrei mangiati meno se tu non me li avessi portati per farti perdonare tutte le volte che mi facevi incazzare, ovvero almeno tre volte al giorno!»
«Era l'unico modo che conoscevo per calmarti! Guardati, sei intrattabile e acida!» e solo con quell'ultima frase, uscita d'impeto, All Might si rese conto del guaio che stava combinando. Stava raggiungendo il punto di non ritorno e se Nina non avesse già preso a urlargli contro e prenderlo a pugni forse era solo perché si trovavano in presenza dei ragazzini. Ragazzini che ora li osservavano divertiti e imbarazzati allo stesso tempo per quel siparietto che avevano messo su. Si schiarì la gola, cercando di tornare in sè, e ricomponendosi tornò a voltarsi verso il gruppo di spettatori ignorando i loro sghignazzi. La visuale però gli fu immediatamente bloccata da Yaoyorozu che gli volò addosso colpendolo in pieno viso con un pugno. La ragazza rimase di stucco qualche secondo, prima di urlare impanicata: «Oh mio dio! Cosa mi è preso? Perdonami All Might!»
All Might afferrò la ragazza e se l'allontanò pacatamente, prima di voltarsi verso Nina, ormai furibondo -Ma senza abbandonare quel sorriso che era la sua maschera che adesso sembrava più inquietante che mai-.
«Non hai perso il vizio di usare gli altri come tue marionette?» la rimproverò e il viso di Nina cambiò espressione, passando dalla furia alla colpevolezza. «Pensavo che fossi maturata in tutti questi anni e invece continui a comportarti da bulletta. Lo sai che è sbagliato, quante volte te l'avrò ripetuto? Non puoi trattare le persone in questo modo, è per questo che non piacevi a nessuno».
«Adesso mi amano tutti, guarda un po'» bofonchiò lei contrariata dal rimprovero, come una bambina che veniva rirpesa dal padre.
«Chiedi scusa alla piccola Momo» ordinò All Might, indicando la ragazzina di fronte a loro. Yaoyorozu sobbalzò e imbarazza si rivolse a Nina, balbettando nervosa: «Non ce n'è bisogno!»
«Ha detto che non ce n'è bisogno» brontolò lei, rivolgendo all'uomo una linguaccia dispettosa e infastidita.
«Sì invece! Chiedi scusa!» insistè lui.
«Ma no, davvero» balbettò Yaoyorozu.
«Hai sentito?» continuò Nina sempre più orgogliosa.
«Macchan!» la richiamò All Might, alzando la voce, ma questa volta Nina non rispose. E neanche All Might parve voler insistere ancora, ed entrambi assunsero un'espressione sorpresa, addirittura rilassata. Quel soprannome, quel modo di chiamarla, unendo al suo vero nome, Machiko, il suffisso vezzeggiativo che adorava darle, li avevano catapultati per un istante indietro più di vent'anni. Lei aveva visto di fronte a sè il vecchio Toshinori, il ragazzino che ancora sorrideva per gusto e non per forza, con la capigliatura diversa, la corporatura meno muscolosa, gli occhi azzurri luminosi e liberi dal solco che le sopracciglia corrucciate dell'uomo adulto gli avevano dato, ombrandoli. E lui rivide di fronte a sè la delicata ragazzina dai lunghi capelli mossi, sottile nei lineamenti, il viso delicato e lo sguardo birichino e punzecchiante di chi ne ha sempre una per la testa.
"Macchan".
Dopo tanti anni, dopo tutto quello che c'era stato, riuscivano ancora a vivere l'uno di fianco all'altro come se niente fosse successo. Come se non avessero mai smesso di incontrarsi ogni singolo giorno della loro vita, e nonostante le imprecisioni del giorno prima, anche il loro combattimento sembrava quello di chi non aveva mai smesso di allenarsi. Vent'anni spazzati via con una ventata d'aria, come polvere da una mensola, riscoprendo che ciò che era stato celato sotto non era cambiato affatto. I muscoli si rilassarono e le espressioni tornarono a essere serene, sotto il potere che quella timida felicità aveva cominciato a bruciare nel petto. Nina si raddrizzò e si portò una mano dietro la testa, grattandosi la nuca imbarazzata.
«Che figuraccia» disse, scoppiando a ridere.
All Might fece altrettanto, raddrizzandosi e grattandosi la nuca anche lui.
«Accidenti, perdonateci ragazzi per lo spettacolo imbarazzante», ridacchiò anche lui tornando a guardare i ragazzini di fronte a loro. «Direi che è meglio se torniamo a voi e al vostro allenamento».
«Io e lui torneremo a strapparci i capelli più tardi, con più calma» ridacchiò Nina, cercando di sdrammatizzare la situazione ormai disperata. I ragazzi li guardavano sconvolti, impietriti, mentre le ragazze avevano trovato in quel punzecchiante battibeccare la conferma ai loro sospetti: quei due si volevano ancora bene!
Facevano una gran tenerezza.
Yaoyorozu fece retrofront e si sbrigò a tornare tra le file dei suoi compagni, imbarazzata per essere stata messa in mezzo anche se non c'entrava niente e mortificata di aver colpito il grande All Might.
«Yaoyorozu!» la chiamò Nina, poco prima che potesse sparire dietro al resto dei compagni. Si chinò diligentemente non appena la ragazzina le rivolse l'attenzione e disse: «Perdonami se ti ho usato senza il tuo permesso per i miei scopi. Non sono stata gentile».
«N-Non importa!» balbettò Yaoyorozu, imbarazzata, e tornò vicino ai suoi compagni. All Might rivolse a Nina uno sguardo, nascondendo dietro quel sorriso di marmo che si portava sempre appresso tutto l'orgoglio che provava per lei, per essere riuscita a ritornare sulla via della correttezza e aver chiesto scusa per quel suo comportamento. Lo stesso sguardo che le rivolgeva quando erano giovani, tutte le volte che alla fine lui riusciva a rimetterla al suo posto e farle battere il cuore nel modo giusto.
«Dove eravamo rimasti?» disse poi Nina, ritornando dritta e riprendendo il suo ruolo di adulta e insegnante.
«Oh sì!» disse All Might. «Allenamento, intesa e fiducia! Il segreto è arrivare al punto in cui non ci si chiede più quale sarà la mossa dell'altro, ma sappiamo prevederla e reagiamo di conseguenza anche prima che questo inizi l'azione. Non è una condizione facile da ottenere e non tutti riescono a ottenerla, nonostante gli sforzi».
«Ci dev'essere una connessione, qualcosa su cui potete poggiare la vostra comunicazione invisibile» aggiunse Nina. «Facciamogli fare il gioco della fiducia!» disse poi rivolta a All Might e lui annuì convinto.
«È un esercizio banale, ma che vi darà una prima indicazione su ciò che stiamo dicendo. Prima cosa! Scegliete un compagno. Qualcuno con cui sentite di avere un'intesa speciale e di cui potete fidarvi. Forza!»
E senza neanche ragionare, non appena Nina terminò la frase, si sentì forte e chiaro la voce di Midoriya e Uraraka che si chiamarono a vicenda all'unisono.
«Accidenti, che rapidità. Ci dev'essere proprio un'intesa speciale tra voi» li canzonò Aoyama, facendosi sentire da tutta la classe che scoppiò a ridere. I due ragazzini arrossirono, balbettando scuse e giustificazioni, senza saper bene dove andare a parare per smentire quelle dicerie. Nina li osservò per qualche istante, intenerita da quegli scherzi da ragazzini. Ricordava bene come anche Yamada e gli altri prendessero spesso in giro lei e Toshinori allo stesso modo, mettendoli in imbarazzo proprio come Midoriya e Uraraka. Sembrava qualcosa di tanto lontano da loro, adesso, che quasi ne sentiva la mancanza. Si voltò a guardare All Might, che ricambiò lo sguardo. Stava sicuramente pensando la stessa cosa, glielo poteva leggere negli occhi e gli sorrise divertita da quel pensiero. Era da così tanto tempo che non stava bene come in quel momento.

All the hurt, all the lies
All the tears that they cry
When the moment is just right
You'll see fire in their eyes
Cause they're stronger than you know
A heart of steel starts to grow
When you've been fighting for it all your life
You've been struggling to make things right
That’s how a superhero learns to fly
(Every day, every hour
Turn the pain into power)




NDA.
Ho passato tutta la mattina a leggere, correggere e sistemare il capitolo... per poi rendermi conto al momento della pubblicazione che era quello sbagliato! XD Stavo per spoilerare il mondo! (No, non è vero, era un capitolo easy ma vi avrebbe comunque lasciato confusi). Per fortuna me ne sono accorta e mi sono fermata in tempo ahahah vabbè, torniamo a noi!
Questo capitolo è stato più leggero degli altri, ma dopo tanti avvenimenti c'era bisogno di un po' di calma e quotidianità. E poi descrivere dei battibecchi di quei due mi diverte un sacco xD Nina è puzzecchiante, fastidiosa a tratti, un po' ribelle e provocante, e riesce a trascinare nei vortici della follia perfino il superiore, pacato e sempre corretto All Might.
Come avevo detto nelle intro, All Might nel manga/anime viene visto come colonna portante. E' sempre tutto d'un pezzo, perfino quando abbandona la sua forma da "grandioso" rimane un simbolo ben costruito. Io mi sono voluta addentrare un po' di più nella sua psiche e nella sua storia, ponendomi qualche domanda: sarà stato ragazzino pure lui, no? Com'era al liceo? E soprattutto... avrà sicuramente avuto una storiella, no? Ok che è il grande eroe, ma è pur sempre umano, avrà fatto cose da umano. E ho dato le mie risposte, creando questa figura di Toshinori sempre allegro, ottimista e profondamente sognatore e diligente, ma con qualche scivolone dettato proprio dall'essere un giovane allegro ragazzo, facendolo diventare a tratti impacciato. Ho pensato che una persona così, sempre e solo fissata con l'obiettivo della "riuscita lavorativa", non fosse riuscito a concentrarsi troppo sull'aspetto relazionale con gli altri e che quindi nei rapporti tètè-tètè fosse un po' disorientato. E poi mi piaceva l'idea di mettere al suo fianco una persona, possiamo dire, agli antipodi: una combina-guai, che (cito) "non piaceva a nessuno", che era sempre in punizione perché non sapeva cos'era giusto e sbagliato, un po' misantropo. Proprio l'opposto. Un po' come Midoriya-Bakugou. Ma non è tutto qui, perché anche nel presente mi sono voluta concentrare sul suo aspetto umano che emerge in verità molto poco nell'opera originale, come ad esempio quali fossero potuti essere i suoi "difetti" (e già qualcosa è venuta fuori dal momento in cui Nina lo "rimprovera" di averla lasciata indietro per inseguire il suo sogno), se avesse dei rimpianti, dei rimorsi, delle paure, se avesse mai commesso qualche imperdonabile errore e se quello che è diventato adesso non sia stata solo una salita ma l'abbia mai costretto a rinunciare a qualcosa. Sappiamo tutti che i grandi risultati non si ottengono se non con grandi sacrifici.
Comunque... A PROPOSITO DI BAKUGOU! Il prossimo capitolo è tutto suo u.u
Pensavate che l'avessi dimenticato? TCH! Ha un ruolo essenziale nell'intera storia! Fidatevi, non sarà una semplice comparsa (citando le sue parole ahaha).


La canzone scelta, questa volta, non è riferito a un aspetto particolare del capitolo ma è più ampio e guarda l'intera storia in senso lato. Mi piaceva perché sottolinea come dal sacrificio nascono le cose, sottolinea il fatto che determinati aspetti di una persona non puoi vederli perché ad oggi è (cito) "un cuore d'acciaio" ma lo è diventato perché ha preso colpi su colpi.
Detto questo... vi saluto!
Ciaaaaaaao


Ray

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Capitolo 12
*** Warrior, Beth Crowley ***


"Warrior”, Beth Crowley


Ci volle qualche minuto, ma alla fine tutte le coppie furono formate. Alcuni si erano scelti senza esitazione, come Midoriya e Uraraka, Jiro e Kaminari o Kirishima e Bakugou. Altri erano stati più lenti, avevano dovuto riflettere un po' prima di arrivare alla conclusione su chi dei loro compagni fosse il più indicato a entrare in sintonia con loro, come Tokoyami e Asui, o Todoroki e Yaoyorozu. Altri invece si erano ritrovati a stare insieme perché esclusi da tutti gli altri, come purtroppo era capitato a Mineta e Aoyama. Cosa che il primo non pareva accettarlo, piagnucolando disperato che nessuna ragazza avesse voluto accettare di far coppia con lui.
«Sai, Mineta caro» disse Nina, avvicinandosi a lui con lo sguardo compatito. «Penso dovresti rivedere il tuo metodo d'abbordaggio. È quello che spaventa le ragazze, sei troppo diretto. Dovresti provare a fare più il misterioso».
«Il misterioso!» si illuminò Mineta, felice di aver ricevuto un consiglio come quello proprio dalla donna più bella che avesse mai visto -nelle ultime ore, da quando aveva perso di vista Midnight-. «Hai ragione! D'ora in avanti farò così!» si infervorò.
«Non ti starai prendendo gioco di lui, vero?» chiese All Might, preoccupato, quando la vide tornare sghignazzante.
«Ehy! Il mio era un consiglio serio. Almeno con la scusa del misterioso smette di molestare le ragazze» sospirò lei, sapendo benissimo che in realtà non avrebbe resistito neanche per dieci minuti e che la sua era una speranza vana.
«Ora che siete tutti divisi in coppie possiamo cominciare la prima prova e per rendere il tutto ancora più difficile useremo queste!» disse All Might alla classe e Nina mostrò loro delle bende scure.
«Privandovi completamente del potere della vista non potrete far altro che affidarvi completamente alla fiducia che avete nel vostro compagno» disse lei, cominciando a bendarsi per fare una dimostrazione pratica al volo. «Non c'è sbirciatina che tenga!» disse e in quell'istante si lasciò cadere all'indietro, con rapidità, decisione e soprattutto sicurezza. Sentì le mani di All Might afferrarla al volo e impedirle di cadere a terra, esattamente come aveva previsto a inizio caduta, ma qualcosa di invisibile le aveva turbato il cuore in quei centesimi di secondo in cui si era ritrovata a mezz'aria. Per un istante, i muscoli si erano irrigiditi, aveva sussultato e una bizzarra paura le aveva solleticato il cuore, mentre nella sua mente era per un attimo rimbombata la sua stessa voce, vecchia almeno vent'anni, che con speranza ma dolore chiedeva: «Toshinori... prometti che ci sarai?»
Lui aveva promesso. Prometteva sempre, era bravo a farlo. Ma poi...
Si tolse la benda e sorrise ai ragazzi che li guardavano, decisa a lasciar perdere ciò che era appena successo, certa che nessuno se ne fosse accorto. Era stato un istante troppo breve per essere colto, era già in caduta, non c'era stata esitazione nel corpo, solo nel cuore.
Si rialzò e consegnò ai ragazzi le loro bende, mentre comunicava: «Questo sarà il vostro esercizio. A turni, prima l'uno poi l'altro, farete ciò che abbiamo fatto noi. Uno cade all'indietro e l'altro l'afferra. Non comunicate in nessun modo, scegliete i vostri tempi, cadete quando volete e starete a vedere che l'altro è lì a prendervi in qualsiasi momento. Se indugerete, significherà solo che la vostra fiducia non è ancora stabile. Potete riprovarci tutte le volte che volete, fintanto che non vi daremo lo stop».
Un po' titubanti per la banalità del compito e dubbiosi sulla sua utilità i ragazzi obbedirono comunque, chi più entusiasta perché comunque sarebbe stato divertente e chi meno, perché la vedeva come una perdita di tempo. Ma in pochi minuti tutti i "cadenti" furono bendati e gli altri si erano posizionati dietro di loro, pronti e reattivi, anche se un po' agitati all'idea di sbagliare qualcosa o che la fiducia che credevano instaurata si rivelasse in realtà falsa. Era un giochino banale, ma scoprirono presto che diceva molte cose su di loro. Il fatto di non poter vedere o non poter comunicare con l'altro metteva una gran paura e faceva nascere un sacco di domande. Domande simili nascevano in coloro che avrebbero dovuto salvarli: si sarebbero davvero fidati? E se in realtà avessero mostrato esitazione? Se in realtà quella fiducia che credevano insaldabile era in realtà una menzogna? Se avessero sbagliato e avessero distrutto quella che in realtà c'era?
Presto la tensione cominciò a essere palpabile, tensione che andava scemando man mano che i ragazzi cadevano e constatavano di essere presi.
«Nina» mormorò All Might, pochi minuti dopo, quando ormai tutti i ragazzi erano presi dal loro esercizio e nessuno poteva più sentirli. «Hai usato il tuo Quirk su di me per farti prendere».
Nina sobbalzò, rendendosi conto che, no, non era vero che nessuno lo aveva notato. Il suo istinto aveva cercato di proteggerla, imparando da quei ricordi, e senza controllarsi aveva usato i suoi fili per essere sicura che lui non l'avrebbe tradita... di nuovo.
Poteva sembrare un esercizio banale, ma diceva molte cose su di loro.
Abbassò lo sguardo, costernata a incapace di mentire. All Might aveva ragione, aveva avuto paura, aveva dubitato non tanto della sua fedeltà ma quanto della sua presenza. Aveva dubitato della sua promessa di esserci, ancora una volta, a sorreggerla.
«Mi dis...» cominciò lei, mossa dai sensi di colpa, ma lui la interruppe chiedendole addolorato: «Ti ho fatto male a tal punto?»
Cosa poteva dirgli? Non c'era un modo meno duro di confessarglielo. Sì, le aveva fatto male a tal punto. Le aveva fatto così male che lo squarcio aperto nel petto aveva sanguinato per anni e mai si era rimarginato del tutto, lasciando una cicatrice sensibile e dolorante. Sì, le aveva fatto un male terribile. Non esisteva un modo meno duro per confessarlo.
Schiuse le labbra, provando a elaborare velocemente una risposta, ma la voce di Kirishima irruppe nella palestra e riuscì a salvarla da quella dolorosa conversazione.
«Insomma, ti lasci cadere o no?» gridò al compagno. «Sono qui da almeno un quarto d'ora!»
«Se ti azzardi a lasciarmi cadere ti ammazzo, capelli a punta!» gridò Bakugou, irritato.
«Ti dico che ti prendo! Secondo te, perché dovrei lasciarti cadere?»
«Ohi!» li richiamò Nina, avvicinandosi ai due. «Non si comunica, vi ho detto!»
«Non si lascia cadere!» spiegò Kirishima.
«Bakugou, cadi» gli disse Nina con tono quasi annoiato.
«Ti ammazzo! Hai capito, Kirishima?» disse e provò a rimettersi di spalle all'amico.
Poteva sembrare un gioco banale, ma diceva molte cose su di loro. Davvero molte. Nina sorrise, intenerita, prima di mimare con le labbra a Kirishima, in modo che Bakugou non la sentisse: «Se la sta facendo sotto».
Kirishima sorrise, in parte divertito in parte scoraggiato. Che doveva fare per assicurargli che non l'avrebbe fatto cadere? Che poteva fidarsi di lui?
«Forza non abbiamo tutto il giorno» insistè Nina e con un colpo di piede lo colpì dietro le ginocchia, facendogli perdere l'equilibrio e cadere all'indietro. Si dimenò, urlò e cercò di afferrare il vuoto, ma come promesso Kirishima fu dietro di lui a prenderlo.
«Visto? Non è stato difficile» disse Nina, scompigliando i capelli del biondo con fare affettuoso. Cosa che lo fece incazzare ancora di più: non sopportava essere trattato come un bambino.
«Prossimo esercizio! Non toglietevi le bende» ordinò e cominciò a camminare per la palestra, disseminando piccoli ostacoli, fino a creare un vero e proprio percorso. «Chi ha le bende non ha visto come sono disposti gli ostacoli, perciò non potete anticipare niente. Dovrete camminare nel buio, nell'ignoto, con la consapevolezza che potrete cadere da un momento a un altro incontrando qualsiasi cosa io abbia disposto in giro. L'unico modo che avete per uscire indenni dal percorso e arrivare alla fine, che si trova lì dov'è All Might, è farvi guidare dal vostro compagno. Compagno che potrà comunicare con voi solo a parole e al massimo tenervi per mano o posarvela su una spalla. Partite esattamente da dove siete adesso, quando vi sentirete pronti».
Un attimo di raccoglimento e di preparazione, prima che uno alla volta pronunciassero la frase: «Sono pronto».
«Uraraka, cammina dritta, lentamente».
«Todoroki-kun! C'è uno scalino di fronte a te, alza il piede. Un po' di più. Perfetto così».
«Mineta, segui il fantastico suono della mia voce» e il ragazzino inciampò sullo spigolo di uno sgabello, cadendo a terra con un urlo terrorizzato.
«Perché non mi hai avvertito?» pianse il piccoletto.
«Ti avevo detto di seguirmi».
«Ma non posso vederti!» e i due continuarono a bisticciare, fintanto che non fu costretta a intervenire Nina con un rimprovero: «Mineta, rimettiti in piedi! Aoyama, sii più chiaro la prossima volta! E ora basta fare confusione, distraete gli altri».
«Jiro, vado bene così?» chiese Kaminari.
«Sì» rispose apatica l'amica.
«Sicura? Metto il piede qui, allora?»
«Ti ho detto di sì».
«Vado?»
«Forza! Cammina!!!» si scocciò l'amica e cominciò a spingere di forza il ragazzino lungo il percorso, che preso dal panico cominciò a urlare e puntare i piedi per non fare un solo passo di più.
«Accidenti, è una strage» sospirò Nina, portandosi una mano alla testa, senza riuscire però a nascondere un sorriso divertito. Sapeva che non sarebbe stato semplice, era certa che solo una coppia tra tutti avrebbe portato a termine il compito indenne, invece si stupì di scoprirne qualcuna di più. Yaoyorozu e Todoroki non avevano mai parlato o relazionato molto, eppure proseguivano tranquilli e senza esitazione. Forse era la meticolosità delle indicazioni di Yaoyorozu a rendere il ragazzo così sereno, era come avere davanti il percorso perfettamente disegnato al millimetro. Asui procedeva un po' intimorita, ma non aveva osato dubitare del compagno nemmeno per una volta. Uraraka era un vero e proprio burattino mosso dalle parole di Midoriya, con una sicurezza che la portava a procedere perfino a mani basse e testa alta. A farla sospirare ancora affranta fu di nuovo la coppia Kirishima-Bakugou. Il biondo non sembrava essere in grado di calmare i bollenti spiriti, sempre più su di giri per il fastidio che quei compiti gli stavano recando. Camminava quasi accovacciato a terra, tanto che Kirishima era costretto a procedere inginocchiato per riuscire a tenergli una mano sulla spalla, e procedeva tastando ciò che aveva davanti con le mani, ignorando le indicazioni -corrette- del compagno.
«Insomma, basta con questa pagliacciata!» si stufò infine Bakugou e saltando in piedi, frustrato, si tolse la benda dagli occhi. «A che serve tutto questo? Camminare a occhi chiusi non mi farà diventare il migliore!»
«La fiducia è importante, un eroe non lavora mai da solo, perfino All Might ha avuto degli assistenti. Devi imparare a collaborare con gli altri, anche se non ti interessa imparare il combattimento coordinato».
«Stronzate!» gridò Bakugou, furioso. Quel gioco poteva sicuramente sembrare banale, ma rivelava decisamente molte cose di loro stessi. E Bakugou stava appena rivelando la frustrazione che provava nel rendersi conto che da solo non poteva fare tutto e la paura di doversi affidare completamente agli altri con la consapevolezza che forse non tutti l'avrebbero afferrato. La paura a farsi avvicinare, la paura di avere nemici nascosti ovunque, e non si rendeva conto che accanto aveva chi avrebbe potuto aiutarlo. Kirishima era il suo Toshinori.
«Kirishima è un ottimo compagno e un'ottima guida, perché non ti fidi di lui?»
«Non ho bisogno di fidarmi di lui e non ho bisogno di perdere tempo in questi stupidi giochetti delle elementari! Non ho bisogno di niente! E tu avevi promesso che mi avresti reso il migliore, a che cazzo mi serve tutto questo? Perché mi fai perdere tempo?»
"Non hai bisogno di niente e di nessuno, però hai bisogno di me" pensò Nina, cogliendo quell'insignificante sfumatura. Assottigliò gli occhi, scrutandolo in maniera inquietante, come se avesse voluto scavargli dentro e scoprire ogni singolo angolo della sua anima. Ma Bakugou in quel momento era troppo incazzato per rendersene conto.
«E di cosa hai bisogno, allora?» gli chiese con tono di sfida, mentre continuava a studiarlo.
«Di combattere!» rispose semplicemente Bakugou.
Quella mania di essere il numero uno, di superare chiunque gli si parasse davanti, non lo rendeva simpatico a nessuno. Kirishima era l'unico in grado di accettarlo, ma lui ancora non era stato in grado di capirlo. Vedeva nemici ad ogni angolo, avversari, nessuno che gli avesse mai facilitato il compito e lui con quel suo carattere duro affrontava tutto a pugni stretti. Per la prima volta una sola persona gli aveva detto apertamente che credeva in lui e non l'avrebbe affrontato, ma l'avrebbe aiutato a liberarsi la strada. Anche se Kirishima si era affezionato, anche se Kirishima era un buon amico, anche lui combatteva quella battaglia e non prendeva sul serio i suoi deliri di onnipotenza. Nina sì, l'aveva fatto, e forse per quello era l'unica di cui avesse davvero bisogno.
«Va bene, allora» rispose semplicemente lei, lasciando perplesso perfino lo stesso Bakugou che certo non si sarebbe aspettato tanta accondiscenza. Non da lei, almeno, che appena poteva amava dargli una lezione e prenderlo a parole. Nina odiava chiunque cercasse di ergersi sopra di lei, chiunque provasse a lasciare la scena da lei allestita, chiunque provasse a superare il potere del burattinaio o a ribellarsi. I suoi fili erano sempre tesi, era una maniaca del controllo e tutto doveva andare come aveva premeditato e deciso. Toshinori la contraddiceva sempre e per questo non facevano che litigare.
Per questo parve assurdo che avesse concesso a Bakugou di dire la sua, senza rimetterlo al suo posto.
«Todoroki» chiamò, voltandosi verso il ragazzino. «Togliti la benda, per favore» e il ragazzo obbedì.
«Se non sbaglio tu sei uno dei migliori della classe, sotto il punto di vista del combattimento. Giusto?» chiese con un’inquietante serietà in volto. Todoroki annuì, sicuro di sè, anche se dubbioso sul dove volesse andare a parare.
«Combatti contro di lui» ordinò secca e si fece da parte, osservando Bakugou a braccia incrociate.
«Va bene» rispose semplicemente Todoroki, che certo non si sarebbe tirato indietro di fronte a un'altra sfida. Non aveva paura di combattere e se affrontare quell'ennesima prova gli sarebbe servita a diventare un grande eroe, migliore di suo padre, andava bene.
«Mi stai mettendo alla prova? Credi che non sia capace di batterlo?» chiese Bakugou con aria di sfida.
«Sorprendimi» sibilò Nina, facendo venire i brividi a tutti i ragazzini. Tramava qualcosa, il burattinaio stava sgranchendo le dita, pronto a dare il via al suo spettacolo. La situazione era sotto il suo controllo, tutto filava secondo i suoi piani e Bakugou non riusciva a capire cosa avesse per la testa. La cosa lo faceva incazzare ancora di più ma non si sarebbe tirato indietro: se credeva che si sarebbe intimorito aveva sbagliato di grosso. Avrebbe combattuto e vinto contro Todoroki, alla faccia sua.
«Potete usare i vostri Quirk» disse Nina, facendo sobbalzare perfino All Might. Permettere a quei due di lottare utilizzando i loro poteri voleva dire rischiare di far crollare la palestra. Aveva idea di quanto potessero essere forti?
«Sei sicura di quello che fai?» le chiese, avvicinandola e assicurandosi che il suo turbamento non trapelasse perfino ai ragazzi. «Non conosci il potere di quei...»
«Toshinori!» scattò lei con una tale decisione da farlo per un attimo tremare. Lo fulminò, prima di ordinare: «Taci».
Poche volte l'aveva vista così infervorata, poche volte aveva assistito al vero potere di controllo del burattinaio e tutte le volte faceva un effetto terrificante. Era come trovarsi di fronte a un animale feroce, un animale da cui sai che non avresti avuto speranze di uscirne vivo. Ma di una cosa era certo: aveva perfettamente tutto sotto controllo. Il palcoscenico era allestito, il sipario era appeno stato aperto... i burattini si stavano muovendo sulla sua scena.
I due ragazzi si posizionarono l'uno di fronte all'altro, mentre il resto della classe si faceva da parte per lasciare loro spazio. In molti si guardavano preoccupati, chiedendosi come ne sarebbero usciti da quello scontro e per quale motivo Nina stava rischiando tanto. Con Todoroki non c'era da scherzare, con Bakugou ancor meno.
«Si va in scena» mormorò Nina un istante prima che Bakugou partisse carico contro il suo avversario. Todoroki prese lo slancio e fece scivolare la punta delle sue dita contro il suolo, scatenando tutto il suo potere in una lastra di ghiaccio che andò ad estendersi fino all'avversario. Bakugou sorrise, pronto ad accoglierlo, e tirò indietro il pugno caricando la detonazione delle sue esplosioni. Avrebbe distrutto il ghiaccio e gli sarebbe arrivato dritto in faccia, per colpirlo e stenderlo in pochi secondi. Un colpo secco e rapido e avrebbe vinto. Ma improvvisamente un formicolio tanto potente da sembrare una scarica elettrica, il corpo vibrò, e perse il suo controllo.
«Ma che...» balbettò confuso e con uno scatto laterale schivò il getto di ghiaccio dell'avversario. Corse verso Todoroki, affiancando la lastra creata, ma non fu lui a decidere di farlo. Sicuro di ciò che stava accadendo, si voltò verso Nina: muoveva le dita della mano destra proprio come un burattinaio. Esperta e sicura, aveva preso possesso del suo corpo, ancora una volta, e lo stava usando per combattere contro Todoroki. Saltò, schivando un altro getto di ghiaccio, e con una mano afferrò uno spuntone nel primo muro creato. Si tirò su, coordinando gambe e braccia lo scalò, restando nascosto dall'altro lato rispetto all'avversario. Arrivato in cima, si lanciò e scivolò sulla lastra, prendendo velocità verso il ragazzo bicolore.
«Lasciami andare!» gridò Bakugou, guardando Nina, ma lei lo ignorò. Todoroki lo vide arrivare verso di lui a tutta velocità e creò un altro muro di ghiaccio davanti a sé, per fermarlo. Nina fece alzare le braccia di Bakugou di fronte a sé e lui, per evitare lo schianto, fece detonare una delle sue esplosioni distruggendo il muro e passandoci attraverso. Nessuno aveva detto a Nina che lui avrebbe usato le esplosioni, ma era sicura che l'avrebbe fatto per questo non aveva esitato in quell'azione. Con un salto Todoroki riuscì a evitare il colpo di Bakugou e gli puntò subito la mano contro, pronto a congelarlo. La mano di Bakugou si sollevò nello stesso istante e afferrò Todoroki per la caviglia. Un movimento secco e circolare per lanciare il ragazzo contro il muro e Bakugou rese il tutto più intenso usando ancora una volta le sue esplosioni. Nina poteva controllare i suoi muscoli, ma non il suo sudore e il suo potere. Quelle erano tutto ciò che poteva usare. Usando nuovamente del ghiaccio, Todoroki riuscì a evitare l'impatto, fermandosi in tempo, anche se non del tutto e si ritrovò comunque a battere la schiena.
«Lasciami andare! Devo essere io a combattere! Non tu!» continuò Bakugou, ma ancora rimase inascoltato. Urlò, imprecò, ma Nina continuava a usarlo per combattere contro Todoroki. Schivava, tirava pugni, afferrava e calciava. Come un bravo burattinaio, riusciva perfino a prevedere -o forse decidere, e Bakugou inconsciamente faceva ciò che lei voleva- quando avrebbe usato le sue esplosioni e le sfruttava nei momenti giusti, mettendo Todoroki in forte difficoltà.
«Todoroki, fermo» ordinò infine, bloccando anche Bakugou, che non aveva smesso un attimo di urlare e sbraitare come un animale. Col fiatone, Todoroki obbedì e si raddrizzò.
«Kirishima!» chiamò Nina, attirando l'attenzione del ragazzino che guardava lo scontro con un velo di preoccupazione negli occhi. Bakugou era un vero animale, si meritava di subire quel trattamento, però continuava a non capire perché volerlo umiliare a tal punto. «Bendalo».
«Cosa?» saltò il ragazzino, sorpreso.
«Che intenzioni hai? Che cosa vuoi dimostrare?» lamentò ancora Bakugou, usando tutta la forza che aveva per ribellarsi a quei fili. Perché Deku ci era riuscito a lui no? Perché non poteva far a meno di essere quel dannato burattino.
«Fa' come ti dico o te lo faccio fare con la forza» sibilò, facendo venire a Kirishima i brividi. Annuì vigorosamente e si avvicinò al biondo, che continuava a urlare incazzato come non mai.
«Scusami, amico» mormorò un istante prima di legargli la benda sugli occhi, sotto lo sguardo preoccupato del resto della classe.
«Adesso togliti» disse a Kirishima, facendolo fuggire via. «Todoroki» quasi mormorò, accennando un sorriso soddisfatto. Avrebbe zittito per sempre quel moccioso. «Riprendi a combattere».
«Eh?» saltò Uraraka, guardando Nina sconvolta.
«Che cazzo dici? Non vedo niente e non posso muovermi, come posso combattere?» ringhiò Bakugou, ora più spaventato che incazzato. In quelle condizioni era completamente in balia di Nina, privo di qualsiasi potere. Poteva esplodere, ma non avrebbe saputo nè quando farlo, nè come. Si sentiva un vero e proprio fantoccio e la cosa gli chiudeva lo stomaco. Era terrificante.
Todoroki esitò, guardando Nina poco convinto. Ma lei ricambiò lo sguardo fiduciosa e annuendo gli disse con più serenità: «Fa' quello che ho detto».
Sapeva quello che stava facendo e voleva arrivare da qualche parte, non era solo pura umiliazione. In qualche modo si sentì tranquillo e comunque il suo senso del dovere gli impose di obbedire. E corse incontro all'amico cieco.
«Arrivo!» gridò e Bakugou sussultò. Da dove arrivava? Cosa avrebbe fatto? Cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe colpito e come? Le esplosioni partirono dalle sue mani, non sapendo che altro fare, e tutta quella carica irrigidì Nina che poteva perfettamente percepire i contraccolpi lungo i suoi fili, fino alla punta delle sue dita. Faceva male. Si corrucciò, ma non mollò la presa e fece in modo che Bakugou potesse schivare il colpo e saltare via.
"Adesso" pensò e ritirò parte dei suoi fili, permettendo a Bakugou di usare nuovamente le proprie braccia.
«Che succede?» si chiese lui, rendendosi conto della libertà concessa. Ma il resto del suo corpo era ancora in balia di Nina. Fece la prima cosa che gli venne in mente: tentò di raggiungere il suo viso e togliersi la benda, ma quello era un gesto che il burattinaio non acconsentiva: riprese il suo braccio e lo ricacciò indietro, lasciandolo di nuovo libero solo quando era lontano dal viso. Provò ancora e ancora, ma ogni volta era la stessa cosa. Nina non gli avrebbe permesso di togliersela. Cercò allora nel vuoto i fili che lo incatenavano e riuscì a trovarli. Erano tesi come corde di violino, poteva sentirli, sottili da sembrare quasi inconsistenti. Eppure c'erano. Provò a tirare, inutilmente. Non si staccavano. Nel frattempo Todoroki continuò ad attaccarlo, mettendo per un attimo da parte il proprio potere, forse impietosito dalla situazione del suo compagno o forse per infierire ulteriormente. Tirò un pugno, Bakugou lo schivò e potè sentire il vento smosso dal colpo sfiorargli il viso. Ancora un altro pugno, due passi indietro e schivò anche quello. Todoroki calciò e lui saltò via. Poteva sentirli quei colpi, poteva sentirne l'aria che si muoveva, poteva sentire l'odore del compagno sudato vicino a lui e il rumore dei suoi respiri. Ma nessuno di quei colpi lo raggiungeva, salvato appena in tempo da una forza esterna, che non era lui. Faceva una paura folle e lo faceva incazzare, ma cominciava a capire. Era quello ciò che si provava quando ci si lasciava andare alla fiducia che qualcun altro ti avrebbe aiutato. Se solo avesse avuto meno rancore e terrore dentro, forse sarebbe persino riuscito ad apprezzarlo. In quel momento, lui, però, non desiderava altro che poter tornare se stesso. Un calcio partì sotto il controllo di Nina e Bakugou poté sentire il contatto con l'avversario: l'aveva colpito. Todoroki si inginocchiò, tenendosi la gamba colpita, dolorante: gli avrebbe lasciato un bel livido.
«Todoroki, ci stai andando troppo piano!» lo rimproverò la donna. «Datti da fare, moccioso!» e sotto quella sollecitazione Todoroki tornò a fare sul serio, deciso a ignorare il fatto che il suo avversario non fosse davvero chi aveva di fronte ma la donna che lo manipolava. Avrebbe battuto anche lei, se necessario. Colpì il vuoto e ancora un'ondata di ghiaccio e ancora un'altra, fintanto che l'intera palestra non ne fu quasi sommersa. Ma Bakugou non venne colpito nemmeno una sola volta. Corse e scivolò sul ghiaccio, senza farsi nemmeno fermare dalle esplosioni che lui tentava di detonare per contrapporsi alla forza che lei usava per sfruttarlo. Tutto inutile, quei dannati fili erano troppo forti. Todoroki si preparò a colpirlo ancora, ma non seppe come invece di sbucare da davanti a lui, Bakugou comparve al suo fianco.
«Bakugou, adesso! Alla tua sinistra! Esplodi!» gridò Nina con tutto il fiato che aveva. Una frazione di secondo, in cui Todoroki si rese conto che aveva perso. L'aveva in qualche modo preso di sorpresa, sfruttando la sua stessa arma per nascondersi e depistarlo. Era stato colpito solo una volta, mentre lui aveva sferrato attacchi su attacchi, ma adesso il perdente sarebbe stato lui. Non avrebbe resistito a un'esplosione a tale vicinanza. Digrignando i denti provò a voltarsi, per riuscire a prenderlo con un'altra folata di ghiaccio, ma sapeva già che sarebbe arrivato troppo tardi. Bakugou aveva vinto.
Il biondo urlò, colmo di rancore. Aveva le mani libere, eppure non poteva fare niente per liberarsi. Oltretutto lei gli aveva appena ordinato di usare le sue esplosioni nella direzione che aveva decretato. Odiava essere il suo burattino, lo era già per il resto del suo corpo, non le avrebbe permesso di avere potere anche sull'unica cosa che aveva per sè. Esplose, ma verso il basso e non nella direzione indicata, solo per il gusto di sfogarsi e dar contro agli ordini della persona che al momento detestava più di chiunque altro. L'onda di ghiaccio di Todoroki però lo raggiunse e lo travolse in pieno.
Cadde a terra, semi congelato, e solo allora Nina lo lasciò libero. Todoroki cadde seduto, prendendo fiato e forse per cercare di riprendersi dallo spavento. Muovendosi a malapena, a scatti, Bakugou si afferrò la benda da davanti agli occhi e se la tolse. Digrignò i denti, mormorando un «Cazzo».
«Scusami» disse Todoroki, avvicinandosi e posandogli la mano sinistra, più calda, addosso. «Pensavo che mi avresti colpito, credevo di aver perso e ho usato tutto il mio potere senza pensarci. Non credevo di prenderti» confessò, mentre lo scongelava.
«Bakugou!» lo chiamò Nina, avvicinandosi a lui. Il viso corrucciato e severo, le braccia nuovamente incrociate. «Mi hai chiesto di renderti il numero uno. Ed era quello che stavo facendo. Stavi avendo la meglio, Todoroki era in difficoltà e avresti addirittura vinto. Avresti vinto, saresti arrivato primo se solo avessi fatto ciò che ti ho detto. Invece hai deciso di disobbedirmi e questo ti ha fatto perdere».
«Avrei vinto se tu non mi avessi usato» mormorò lui, ancora troppo congelato per riuscire a fare di più.
«No, non l'avresti fatto! Ti sei lanciato a capofitto contro la prima lastra di ghiaccio, senza considerare che era troppo spessa per essere abbattuta. Avresti perso tempo e anche se fossi riuscito ad aprirti un varco non avevi considerato l'altezza e la sua pesantezza: ti sarebbe crollata addosso schiacciandoti!» gridò, colma di rabbia e desiderosa di fare al ragazzo uno bella strigliata. «Ti ho già detto che non devi correre alla carica e abbattere tutto ciò che hai davanti, ti ho già detto che il numero uno è colui che arriva primo non quello che si rende più fico e tu non mi hai ascoltata! Avresti perso al primo pugno, ma io ti ho comunque voluto portare alla vittoria. Ti stavo facendo vincere, saresti arrivato primo se solo tu mi avessi ascoltato! Come cazzo pretendi che riesca a renderti il migliore se non fai quello che ti dico?! Se solo tu ti fossi fidato e avessi colpito dove ti avevo detto e come ti avevo detto avresti vinto sul primo della classe e invece hai fatto di testa tua e adesso guardati. Su di te mi ci posso pulire le scarpe» disse con astio, facendo aumentare a dismisura la furia del ragazzino. Una furia che non riuscì a calmare in altro modo se non digrignando i denti, consapevole che non avrebbe potuto controbattere, che tutto ciò che aveva detto era vero.
«Per te la lezione finisce qui» disse voltandogli le spalle. «Puoi andartene» e non era riferito solo alla lezione di quel pomeriggio. Se Bakugou non era intenzionato a seguirla, lei non ci avrebbe speso più neanche un solo minuto. La sua promessa poteva considerarsi infranta e abbandonata, Bakugou poteva sparire dalla sua vita.
«Qui dentro è un macello. Noi continuiamo fuori» disse, avviandosi verso l'uscita. I ragazzi si guardarono intimoriti e dispiaciuti per quanto appena accaduto, ma la lezione era servita anche a loro: Nina non scherzava e Bakugou se l'era veramente andata a cercare. Con il carattere che si ritrovava era inevitabile che prima o poi si sarebbe scontrato con un muro più duro di lui e ne sarebbe uscito a pezzi. Todoroki finì di scongelare il biondo, poi corse dietro il resto dei compagni, lasciando Bakugou alle spalle. Furioso, incazzato, tanto da avere gli occhi lucidi e tirare pugni a terra. Quanto avrebbe voluto farla esplodere, quanto avrebbe voluto far esplodere ogni cosa. E l'essere lasciato così indietro, l'aver subito l'umiliazione di essere stato sconfitto e allontanato, di essersi sentito dire che non serviva più, che ormai era solo uno scarto... come poteva tollerare tutto quello?
Kirishima guardò l'amico preoccupato e fece un passo verso di lui, desideroso di andargli a dare conforto, ma Nina l'anticipò chiamando imperativa: «Kirishima!»
Il ragazzino rabbrividì e intimorito da quella donna che, in un certo senso era anche più spaventosa di Bakugou quando dava di matto, decise di seguire il suo ordine. E uscirono tutti, lasciando il biondo solo con la sua rabbia e la sua umiliazione.
«Gli hai dato una bella lezione» commentò All Might, seguendo il gruppo di ragazzini insieme a Nina, distante da loro quel tanto da non essere sentito. Discorsi da adulto, meritavano di restare tra loro. «Ma abbandonarlo era necessario? Mi pareva d'aver capito che gli avevi fatto una promessa. Non credi che ora sarà peggio?»
«Bakugou è un ragazzo impulsivo e ribelle, mettermi al suo stesso livello era l'unico modo per riuscire a parlargli e farmi ascoltare. È una di quelle persone che finché non si spacca la testa continua a tirar testate. Sì, era necessario. Ma sta' tranquillo, nonostante il suo caratteraccio è sveglio, intelligente e troppo orgoglioso per accettare di essere lasciato indietro» e con un sogghigno, aggiunse: «Tornerà e quando lo farà non si azzarderà mai più a mettersi contro di me».
Il burattinaio non aveva chiuso il sipario. La commedia era ancora in atto e i suoi burattini non erano stati riposti nella scatola.
Era davvero raccapricciante, ma lasciava col fiato sospeso.
Quale sarebbe stata la conclusione del suo copione?


Put me to the test
I'll prove that I'm strong
Won't let myself believe
That what we feel is wrong
I Finally see what
You knew was inside me
All along



NDA.


Eccomi di nuovo! Questo capitolo è un’importante svolta nella storia, la scenata di Nina e Bakugou avrà le sue conseguenze più tardi (come è possibile immaginare).
Questa volta la canzone è per Nina da parte di Kacchan. E' lui che le dice di metterlo alla prova e le farà vedere che è forte.
Anche questa volta le note saranno brevi, questo non è proprio proprio periodo felice e riesco a stare poco concentrata. Però ci tenevo a darvi una piccola spiegazione della canzone e soprattutto ringraziare pubblicamente, oltre a tutti i lettori silenti, anche EngelDreamer e White_Moon! Mi dispiace non essere riuscita a rispondervi personalmente, vedo se riesco a costringermi a farlo nei prossimi giorni, ma vi ho lette entrambe e come sempre mi sono usciti cuori da occhi, orecchie, naso, ovunque xD
Grazie mille!
Al prossimo capitolo <3


Ray Wings

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Capitolo 13
*** Bad Reputation, Avril Lavigne ***


"Bad Reputation”, Avril Lavigne



L'acqua le scivolò delicata sul collo, come una gelida carezza. La fece rabbrividire, ma era in un modo masochista anche piacevole. Lavava via il sudore, le fatiche, l'odore... il suo odore.
Riaprì gli occhi e li puntò sul fondo del lavandino, dove il tubo di scarico raccoglieva tutto quel dolore, lo ingoiava, lo sperdeva in un buio mondo dove nessuno avrebbe potuto ritrovarlo. Immerse la mano sotto il getto dell'acqua, ne raccolse ancora un po' e trattenendo il fiato se la portò nuovamente al collo indolenzito.
"Hai usato il tuo Quirk su di me" rimbombò la voce nella sua testa, cupa e addolorata. Nessun accusa, se non rivolta a se stesso: "Ti ho fatto male a tal punto?"
La sentiva, quella ferita cicatrizzata che per qualche strano motivo tornava a bruciare. Era stato bello ricordare, era stato bello lasciarsi sprofondare dalla nostalgia, era stato bello ridere di nuovo insieme, come i ragazzini che si erano portati sulle spalle fino a quel momento. Era stato bello, fintanto che a sommergerla erano stati i bei ricordi.
Ma quello... quel momento, quello specifico giorno. Quello non doveva ritornare. Lei aveva perdonato, l'aveva ammesso e assicurato, aveva perdonato lui e aveva perdonato se stessa. Il mondo doveva avere un All Might, ne aveva bisogno l'intera umanità, perché non riusciva proprio a mettere da parte quell'egoismo? Perché non riusciva a essere eroica, come aveva giurato il giorno del diploma, e pensare al bene comune anche a costo di se stessa? Perché continuava a pensare che avrebbe preferito che Toshinori avesse continuato a salvare lei, dimenticandosi del resto del mondo? Perché era stata così maledettamente felice, prima?
Una lacrima andò a mischiarsi all'acqua inghiottita dal tubo di scarico e con la mano umida si affrettò a strofinarsi la guancia salata, lavare via anche quell'ultima traccia di dolore.
«Ehm-ehm» una voce attirò la sua attenzione, alle sue spalle, e lei fece un silenzioso sospiro, raccogliendo il coraggio di sorridere. Chiuse l'acqua, si asciugò il viso con un asciugamano e solo allora si alzò e si voltò a vedere chi la stesse cercando. Il preside Nezu era in piedi davanti alla porta del bagno, con la mano ancora chiusa a pugno e sollevata all'altezza del legno.
«Lo sai, vero, che questo è il bagno delle donne?» gli chiese lei, provocatoria.
«Vorrei parlarti per un attimo» rispose il preside, prima di indietreggiare e uscire. La cosa non avrebbe portato a niente di buono, lo sentiva. Si asciugò il collo inumidito e decise di seguirlo lungo il corridoio, fino ad arrivare al suo ufficio. All'interno, ad aspettare, c'erano già anche alcuni professori, tra cui anche Eraserhead, il coordinatore della prima A. Chissà perché sentiva che la cosa riguardava proprio loro e magari anche quello che era successo al museo. Non ne sarebbe uscita intera da là dentro e gli sguardi preoccupati dei professori le davano ragione.
«Siediti, Nina» disse Nezu, indicando una sedia vuota proprio di fronte alla sua scrivania. Lui fece il giro e andò a sedersi dall'altra parte, incrociando poi le dita tra loro e le mani sopra il mobile.
«Avanti, ho già vissuto situazioni del genere. Non c'è bisogno di girarci troppo attorno, qual è il problema?» chiese Nina, diretta. Non aveva assolutamente voglia di perdere tempo in formalismi inutili, tanto era ovvio a tutti che lei era lì per subire qualche richiamo.
«Se proprio insisti: abbiamo saputo cosa hai fatto oggi al giovane Bakugou» disse Aizawa, quello che sicuramente tra tutti si preoccupava meno di indorare la pillola.
«Girano in fretta le voci in questa scuola» osservò lei, incrociando le braccia al petto. Che parlassero, se avevano il coraggio. Sulla storia di Bakugou non avevano nessun diritto di intervenire, non dopo che erano stati loro stessi a pregarla di aiutarli. E poi... non aveva nessuna intenzione di rinunciare a lui e alla sua formazione. Se lo stava decisamente prendendo troppo a cuore.
«Uno degli studenti è venuto a informarci e lamentarsi dei tuoi modi, a suo dire, un po' troppo bruschi e pericolosi» continuò Nezu.
«Pericolosi?» scoppiò a ridere lei. «Bakugou non è mai stato più al sicuro di così».
«Sono stati definiti quasi di sottomissione nei tuoi confronti. Stai ergendo una politica basata sul terrore, forte del tuo Quirk che ti senti libera di usare a tuo piacimento quando e come vuoi. Hai addirittura usato una studentessa per picchiare All Might», proseguì il preside, ignorando la sua frase.
«Sono venuti a lamentarsi anche di questo?» chiese lei, spalancando gli occhi, incredula. Quei ragazzi che stava imparando ad amare come figli le si stavano ritorcendo contro, dopo tutto quello che stava facendo per loro. Come potevano?
«Abusi del tuo potere, il concetto è questo» disse Aizawa.
«Noi siamo qui per educare gli studenti ad un uso consapevole e attento dei propri poteri per il bene della comunità e tu invece pare che stia mostrando loro come usarli per scopi personali e azzuffate da sottoborghi» spiegò Nezu.
«Questo è ridicolo» sbuffò Nina, alzando gli occhi al cielo. «Chi è lo spione, forza. Kirishima? Era parecchio spaventato per il suo amico, non mi stupirebbe».
«Non ti diremo chi è stato, la privacy fa parte della nostra politica così come l'attenzione nell'educazione all'uso consapevole del proprio Quirk», disse Nezu.
«In altre parole, il ragazzino era terrorizzato che tu avessi potuto fargliela pagare. Ha chiesto di rimanere nell'anonimato» tradusse Aizawa.
«Un professore stringe un po' più la corda, mandandoli avanti a bastone e carota, e loro invece di ringraziare per i preziosi insegnamenti vengono a piagnucolare. E voi li ascoltate pure!» lamentò Nina.
«Ascolta, Nina...» provò a parlare Nezu, ma venne interrotto. «No! Non ascolterò una sola parola di più su questa ridicola storia. Tirate su gli eroi delle nuove generazioni a caramelle e carezze? È così che sperate di salvare il mondo? Crescendo delle mammolette che alla prima difficoltà invece di farsi le ossa vengono a piagnucolare da paparino! Com'è caduta in basso questa scuola, non è affatto degna del nome che ricordavo».
«L'inserimento nel mondo del professionismo avviene gradualmente, tramite una prima preparazione teorica, allenamenti mirati e soprattutto esercitazioni controllate e finalizzate a uno scopo. I ragazzi più volte hanno affrontato situazioni pericolose, già dal test d'ammissione, ma la logica di base era diversa. Contro di loro non c'era nessuna ritorsione nè abuso di potere per dimostrare chi comandasse. Il tuo comportamento di oggi con Bakugou era rivolto proprio a questo: lui ha osato contraddirti e tu l'hai umiliato e messo in pericolo, chiedendo oltretutto a un suo compagno di aiutarti, un atteggiamento che ricorda molto quello dei ragazzi di strada che chiedono a qualcuno di tener fermo l'amico per poterlo picchiare» spiegò Nezu, più deciso e più irritato per l'ottusaggine della donna.
«Non è affatto così!» si alzò in piedi Nina, colta da un fervore accecante. «Non hanno capito proprio niente di ciò che io avevo intenzione di fare con Bakugou! E voi non potete saperlo! Non avete diritto di parlare!»
«Questo non è il tuo palcoscenico, burattinaio!» rispose Aizawa.
«Mi avete stufato» ringhiò, voltandosi e avvicinandosi alla porta. Fece per aprirla, ma Cementoss, al suo fianco, la richiuse con un tonfo. Nina, irritata per l'affronto, gli lanciò contro i propri fili con la sola intenzione di toglierlo di mezzo e permetterle di uscire. Ma non funzionò.
«Cosa?» balbettò confusa, prima di voltarsi verso Aizawa. I suoi capelli sollevati e gli occhi ben puntati su di lei erano la risposta che cercava: stava neutralizzando il suo Quirk.
«E voi mi fate la lezione sugli abusi di potere?» gli chiese provocatoria, quasi divertita per quell'affronto.
«Per favore, Nina siediti. Vogliamo solo parlarne e trovare una soluzione, nessuno vuole metterti i piedi in testa» disse Nezu, cercando di usare il tono più calmo che avesse nel repertorio. Era così irascibile, così intrattabile, non faticava a credere che solo uno come All Might fosse mai riuscito a gestirla.
«Va bene» indietreggiò lei, fissando Cementoss, e gli mostrò le mani per dimostrare che non aveva intenzione di ribellarsi oltre. «Va bene», ripeté prima di risedersi.
«Avanti, troviamo la soluzione» disse, incrociando le braccia al petto.
«Prima voglio parlarti del secondo problema» disse Nezu.
«Perché questo non bastava» sghignazzò Nina, chiedendosi cos'altro volessero da lei. Dove altro aveva sbagliato? Qualche altro studente era andato a lamentarsi che fosse troppo amichevole per i loro gusti?
«Riguarda la faccenda di ieri, al museo».
«Sei stato tu a dirmi che fuori dalla scuola potevo fare quello che volevo» si difese subito, Nina. Fino a prova contraria, ne avevano parlato insieme e lui era arrivato alla conclusione che non avrebbe potuto impedirglielo se seguiva certe scappatoie. Era sembrato perfino d'accordo.
«Questo è vero, anche se alcuni genitori hanno comunque avuto da ridire, siamo riusciti a spiegare loro la faccenda e tutto pare essersi risolto per il meglio. Di questo non ti devi preoccupare».
«E allora di cosa mi devo preoccupare, di grazia?» sbuffò Nina, stufa di tutti quei rigiri.
«Hai permesso ai ragazzi di usare i loro Quirk all'esterno dell'edificio scolastico» disse Aizawa, che come lei preferiva le vie dirette piuttosto che ai ricami inutili.
«Non è vero» rispose lei con decisione e una calma glaciale.
«Allora tu non glielo hai permesso ma loro gli hanno usati ugualmente?» chiese Nezu.
«Non hanno usato i loro Quirk» mentì Nina. Sapeva cosa comportassero certi sgarri, conosceva bene la legge e il regolamento scolastico. Era già abbastanza nei guai lei, non avrebbe permesso anche ai ragazzini di finirci. Anche perché le dinamiche in cui aveva permesso loro di usarli erano ben definite come situazione d'emergenza, secondo il suo punto di vista.
«Bakugou ha usato le sue esplosioni per aprirsi la strada e portare in salvo il gruppo di sopravvissuti, che hanno riferito tutto, e Kirishima l'ha aiutato con il suo indurimento. Infine, sempre i sopravvissuti, hanno riferito di aver visto un'ombra a forma di uccello uscire dal corpo di, riporto, "quello con la testa a corvo". Perché menti?» chiese ancora Aizawa.
«Ma porca miseria, in questa città non esiste più nessuno che sappia cosa significa non fare la spia? Gli abbiamo salvato la vita, un minimo di riconoscimento!» disse esasperata, alzando le mani al cielo.
«Non l'hanno fatto con l'intenzione di mettervi nei guai, la polizia ha semplicemente chiesto loro una testimonianza dei fatti e loro hanno riportato ciò che hanno visto. Purtroppo però la notizia che degli studenti fuori dalla scuola abbiano usato i propri poteri in una situazione non propriamente di emergenza si è sparsa, è arrivata a noi, e adesso siamo costretti a prendere provvedimenti. Abbiamo le mani legate, lo capisci, vero?» chiese Nezu.
«Se quella non era da considerarsi una situazione propriamente detta di emergenza, allora quale situazione lo è? Siamo stati attaccati frontalmente da un cazzo di rinoceronte e io non potevo muovermi o quei maledetti bastardi spioni sarebbero morti!»
«Anche il metodo di salvataggio è un po' discutibile, insomma, lanciarli dalla finestra...» provò a parlare Yamada, seduto sul divanetto lì di fianco, e in tutta risposta si beccò uno degli sguardi più incazzati che Nina potesse rivolgergli. «Taci» ringhiò come un animale rabbioso, pronto a saltare al collo di chi aveva di fronte. Yamada rabbrividì e Nezu gli fece un cenno con la mano: «Va bene così, non importa. Torniamo alla faccenda dei Quirk».
«Ti ho detto la verità, Nezu, ti ho detto che era una situazione d'emergenza».
«Ed è quello che diremo ai media per la faccenda dell'uomo rinoceronte, ma rimane in sospeso quella del varco aperto dai ragazzi. Potevano aspettare soccorsi e invece hanno fatto di testa loro, purtroppo un atteggiamento del genere non può restare impuni...»
«Ho dato io l'autorizzazione!» lo interruppe Nina, capendo dove volesse arrivare. Anche se da parte sua poteva esserci comprensione ed empatia per i ragazzi, il suo titolo di preside lo obbligava a rispettare gli obblighi burocratici. E tali obblighi recitavano testualmente che avrebbe dovuto punire i ragazzi che avessero sgarrato le regole. Il palazzo stava crollando, aspettare sarebbe potuto significare restare seppelliti, era più che giusto che i ragazzi avessero fatto il tutto per tutto per salvare loro stessi e quel gruppo di persone. Era stato un comportamento intelligente e mosso da quel sentimento di giustizia che li avrebbe portati a diventare eroi. Punirli per aver fatto la cosa giusta, solo perché contro un assurdo regolamento estremista, era inconcepibile. Non lo avrebbe permesso.
«Ho dato io l'autorizzazione ad usarli. Ho ancora la mia licenza, rinnovata periodicamente, quindi anche se non esercito apertamente sono ancora ufficializzata come eroe. E in quanto tale ho dato l'autorizzazione a usare i propri Quirk fin dal nostro ingresso nel museo, dato il rischio che potevano correre, visti i tuoi avvertimenti Nezu. Sono stata avventata, forse vigliacca a correre ai ripari prima che potesse accadere qualcosa, e sicuramente non avevo il diritto e il potere di farlo. Ma se qui c'è qualcuno da punire, allora sai verso chi puntare il tuo dito». Lei al massimo se ne sarebbe tornata in America con qualche pettegolezzo appresso, Drew non ne sarebbe stato contento, ma anche se con la reputazione sporca e forse anche la fedina penale, non avrebbe di certo perso il suo lavoro. Era in grado di gestire i giornalisti e i pettegolezzi e quei ragazzi non meritavano nessun tipo di punizione.
Calò il silenzio, mentre i presenti metabolizzavano la confessione.
«Sai, ho notato che quando menti tendi a diventare più seria e distaccata» sorrise Nezu.
«Vuoi mettere in dubbio le mie parole?» chiese Nina, pronta a inventarsi qualsiasi altra balla pur di tener testa a quello stupido topo.
«No. Ti ringrazio per aver confessato e scagionato i nostri ragazzi. Ora direi di parlare delle conseguenze».
"Ti ringrazio per aver scagionato i nostri ragazzi" riflettè Nina, capendo immediatamente cos'era successo. Un sorriso divertito sbucò all'angolo delle sue labbra: Nezu aveva giocato al suo stesso gioco, l'aveva resa un burattino e l'aveva costretta a fare ciò che desiderava, muovendola con fili invisibili. Forse lo sapeva o forse semplicemente sperava che Nina fosse tanto di buon cuore da decidere di accollarsi tutte le colpe al posto di Bakugou e Kirishima, salvando così la loro carriera scolastica e futura carriera lavorativa. Sarebbe stato difficile per loro trovare un’agenzia interessata al loro servigio, se fossero stati espulsi per aver usato i loro Quirk senza autorizzazione. Le loro carriere e i loro sogni avevano vacillato, Nina si era fatta carica di tutto, salvandoli, e questo era proprio ciò che Nezu aveva voluto fin dall'inizio. Era un gran rompiscatole, ma alla fine era un buon preside. Per quella volta glielo avrebbe permesso, di giocare con lei in quel modo. Solo per il bene dei ragazzini.
Quegli stessi ragazzini che le avevano voltato le spalle e messa nei guai, si ostinava a volerli salvare. Che avesse imparato da Toshinori? O che non avesse ancora scordato il giuramento fatto il giorno del diploma?
Poco importava, in quel momento sentiva solo una grande liberazione, tanto da essersi dimenticata di tutto il resto. Sarebbe potuta tornarsene in America anche il giorno stesso, espulsa, ma se ne sarebbe andata a cuor leggero sapendo di aver fatto la cosa giusta. Ancora una volta, a discapito di se stessa.
Sembrava essere nata per quel genere di ruolo: colei che si sacrifica per permettere agli altri di vivere felici.
Nezu le porse un foglio e le indicò il punto da firmare: «Si tratta semplicemente di un richiamo formale, con la calorosa richiesta di limitare il tuo comportamento all'insegnamento, senza abusare del tuo potere. Se ciò dovesse avvenire una seconda volta si provvederà alla sospensione dell'attività didattica e non potrai più proseguire col tuo corso, che verrà portato a termine da qualcun altro dei nostri insegnanti per non privare niente agli studenti. Seconda cosa, d'ora in avanti ogni tua lezione avverrà sotto la supervisione del coordinatore di classe, che avrà il pieno diritto di usare il suo Quirk su di te in caso di necessità».
«Mi stai mettendo agli arresti domiciliari, in pratica» lamentò Nina, sapendo che non poteva far altro, però, che firmare e accettare le condizioni.
«Questo per quanto riguarda l'avvenimento di oggi. Per la faccenda del museo invece ci penserà la polizia, una volta consegnato il nostro resoconto ufficiale, a decidere la sanzione adeguata, ma posso già anticiparti che, date le attuali legislazioni, sicuramente prevederà una multa da pagare e la sospensione temporanea della licenza per un periodo che può arrivare fino ai dodici mesi, a seconda di come verrà giudicato grave. In tua difesa, dirò che il tutto è stato mosso dalla necessità e dall'emergenza della situazione, sperando che questo possa attenuare un po'».
«La sospensione... addirittura?» chiese Nina, con un velo di tristezza nella voce. Cos'è un burattinaio senza le sue marionette?
«La tua carriera non dovrebbe risentirne, se non per qualche pettegolezzo. Dovresti esserne contenta. Sarebbe stato diverso se fossi stata un'eroina a tempo pieno, invece» cercò di tranquillizzarla Nezu, che nonostante la severità che il suo ruolo gli imponeva, riusciva comunque a essere empatico e compassionevole.
«Già» ridacchiò lei, anche se non ne era per niente convinta. «Meno male» e invece si sentì cadere in pezzi. Firmò i fogli, compresi quelli dove veniva riportata la sua testimonianza, e infine, ormai stremata, si alzò e se ne andò. Aprì la porta e si sorprese di trovare davanti a sè, colti palesemente nell'atto di origliare, Kirishima, Uraraka, Asui, Ashido, Kaminari, Hagakure e Sero. Un bel gruppetto di trasgressori... chissà chi di loro era la spia.
«Spero che lo spettacolo sia stato di vostro gradimento» disse Nina, torva in volto, e gli voltò le spalle, allontanandosi a passi pesanti. I ragazzi si scambiarono sguardi rattristati e preoccupati, prima che potessero veder uscire anche Aizawa e allora, presi dal panico, se la diedero semplicemente a gambe.
Certo, non sarebbe bastato a salvarli da una ramanzina su quanto sia sbagliato e maleducato origliare alla porta, tanto più a quella dei professori. Per il momento, però, si limitarono ad andar via, dirigendosi verso il cortile per tornare a casa. Il sole ormai stava tramontando e tutto si tingeva di un malinconico arancione.
«Vogliono sospenderla» osservò Sero.
«Hanno detto che questo è solo il primo avviso, al prossimo la mandano via» provò a rassicurarlo Ashido.
«E intanto ci toccherà seguire le sue lezioni insieme al professor Aizawa. Accidenti, mi sentivo più libera se c'era solo lei. Aizawa mi fa paura!» disse Hagakure.
«Non è cambiato molto, alla fine. Fin'ora si è sempre fatta aiutare dagli altri professori, non siamo mai stati soli con lei» osservò Asui.
«Al bar e al museo sì! Ed è stato divertente!» disse Ashido.
«Non ha proprio l'aria da professoressa» alzò le spalle Kaminari.
«Ma pensate piuttosto che le sospenderanno la licenza. Lei...» disse Uraraka, rabbuiandosi. «Al museo mi aveva confessato quanto amasse utilizzare il suo Quirk e quanto le mancasse fare l'eroe. Ora non potrà più farlo».
«Solo per qualche mese. In fondo è una cantante, non le peserà molto... no?» chiese ancora Ashido, che si ostinava a voler cercare il lato positivo della faccenda. «E poi il preside è sembrato disponibile ad andarle in contro».
«Non so, a me sembrava piuttosto arrabbiato» disse Sero.
«Il professor Aizawa non faceva che attaccarla, credo che non l'abbia presa in simpatia» disse Kaminari.
«Piuttosto... sapete chi è che è andato dal preside per la storia di Bakugou?» chiese Uraraka. Sero e Kaminari negarono con la testa, alzando le spalle.
«Io nemmeno!» si difese Hagakure.
«Non guardate me» disse Ashido. «E sinceramente non saprei nemmeno chi possa fare una cosa simile».
«Nina fa venire i brividi, è vero» disse Asui. «Ma non è cattiva. Ha tormentato un po' Mineta perché la importunava, credo anche che la stalkerasse, ma alla fine qualche contentino glielo dava sempre. Ieri gli ha tirato un pizzicotto affettuoso sulla guancia!»
«E Bakugou oggi se l'è proprio andata a cercare» disse Sero, un po' scoraggiato. «Si è rivolto a lei in quel modo. Ok che non è una vera professoressa, ma è pur sempre un adulto e un eroe professionista. Forse ha esagerato un po' e ha sbagliato a coinvolgere Todoroki, ma non posso far a meno di pensare che se lo sia meritato».
«Alla fine se ci pensate è così esagerata solo con lui. Mineta fa molto peggio, ma non lo tratta in questo modo. Credo che sia quel tipo di persona che ti rende pan per focaccia, ma alla fine non è una cattiva persona» disse Kaminari.
«Anche se ha quel modo di fare, a volte, che ti fa venire i brividi» disse Ashido, stringendosi nelle spalle.
«A me spaventa di più Aizawa! E comunque non dimenticatevi che stiamo parlando dell'ex fidanzata di All Might! Non può essere una persona cattiva, per forza!» disse Hagakure.
«Ex fidanzata?» sgranarono gli occhi Sero e Kaminari.
«Ma come? Non lo sapevate? Dalla foto di Mineta era evidente e poi non li avete visti oggi come battibeccavano come due innamorati?»
«Sì, ma non credevo fosse vero! Ve l'ha confermato lei?» chiese Sero.
«Beh... quasi» ci rifletté Ashido.
«A me sembrava proprio una confessione» disse Asui.
«Kirishima!» chiamò Uraraka, notando come tra tutti lui fosse stato l'unico ad essersene rimasto in disparte, silenzioso, con lo sguardo abbassato.
«Sì?» mormorò lui, come risvegliandosi dal suo incanto.
«Non hai detto niente fin'ora. Tu cosa ne pensi di questa faccenda? Sai chi possa aver fatto la spia?» chiese Uraraka, cercando di integrarlo nel discorso. Kirishima negò con la testa e tornò a rabbuiarsi, abbassando lo sguardo.
«Si è presa tutta la colpa» mormorò infine.
«Ah, è vero. Tu sei uno di quelli che ha usato il Quirk al museo senza permesso!» disse Ashido.
«Potevamo cercare altre vie di fuga, forse se avessimo spostato la colonna che bloccava la porta della sala... ma Bakugou non ha retto, ha mandato tutto al diavolo e ha usato il suo Quirk. Io gli sono andato dietro, sapendo che stavamo portando delle persone in salvo mi sono sentito un vero figo e così ci siamo aperti la strada fino a Nina. Avremmo potuto aspettare i soccorsi. E lei si è presa tutta la colpa, anche se non sa come sono andate veramente le cose».
«L'edificio stava crollando, potevate restare schiacciati lì dentro» cercò di tranquillizzarlo Uraraka.
«Ciò non toglie che noi siamo andati contro le regole e lei si è presa tutta la responsabilità. Così noi non subiremo nessuna conseguenza e a lei toglieranno al licenza».
«Solo per qualche mese» insistè Ashido, trovando la cosa di enorme conforto.
«Ah! Non m'importa per quanto! Sono stato un vero vigliacco! Devo fare l'uomo e dire la verità! Andrò dal preside e...»
«E quando mi accuseranno di aver dichiarato e firmato il falso, come mi tirerai fuori dai guai, grande uomo?» la voce di Nina lo sorprese e si voltò a guardarla con una strana espressione in volto.
«Io...»balbettò lui, pensando rapidamente a una risposta. «Non è ancora stato spedito! Il preside può stracciare quel documento e fartene firmare un altro, veritiero! E così...»
«E così tu e Bakugou finirete sospesi, vi macchierete per sempre di questo, ciò vi farà valere meno agli occhi delle agenzie e il vostro futuro da eroi è per sempre compromesso» disse Nina.
«Ma magari invece no... e comunque devo prendermi le mie responsabilità! Non sono un vigliacco!»
«Tu magari no, ma di Bakugou che mi dici? Metteresti a rischio anche il suo futuro? Un vero uomo scambierebbe il futuro del proprio migliore amico per un capriccio orgoglioso?»
«Non è un capriccio!»
«Kirishima!» lo rimproverò. «Ho detto no. Se non ti interessa farlo per te, fallo almeno per il tuo amico. Un vero uomo non baratterebbe mai gli altri per se stesso».
«Ma!» insistè lui, ancora poco convinto.
«Tornate a casa vostra, ragazzi. Noi ci vediamo domani. Fate attenzione per strada» disse e si allontanò.


An' I don't give a damn
'Bout my reputation
The world's in trouble
There’s no communication
An' everyone can say
What they want to say
It never gets better anyway
So why should I care
'Bout a bad reputation anyway



Nda.


Hello! It’s me! I was wondering if after all these years you’d like to meet!
Heeellloooooo sono Ray ed eccomi di nuovo qua, un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, ma sempre all’interno dei limiti imposti della pubblicazione del mercoledì :P
Allora, vi avevo già accennato nei capitoli precedenti che la storia del museo avrebbe avuto le sue conseguenze, così come il capitolo precedente sul litigio con Bakugou. Ed eccole qui! Grossi guai per la pseudo eroina Nina.
Oggi sto un po’ meglio di umore, perciò ne approfitto per fare il discorso che non sono riuscita a farvi nelle nda precedenti.
Il carattere di Nina ormai è bello formato, in questi capitoli stanno uscendo un sacco di sfaccettature. Da qualche tempo mi sono concentrata sulla creazione di personaggi che siano più umani possibile, e come tali che perciò abbiano punti forza, debolezze, pregi ma soprattutto difetti. Ed ecco che è uscito fuori il difetto più grande di Nina: odia sentirsi mettere i piedi in testa. Che tu sia il Re del mondo o la formica sotto il piede, se osi contraddirla o comunque farle capire che puoi essere superiore a lei, dà di matto e inizia e trova il modo di fartela pagare. Questo è stato il suo problema da piccola, che la portava a litigare con i coetanei in continuazione e finire in punizione perché non obbediva alle regole. Ed è ancora un grosso problema… Bakugou ha osato dirgliene quattro e, anche se lei aveva le sue ragioni e il suo piano, comunque non si è risparmiata e ha voluto dargli una bella lezione. Anche durante questa strigliata da parte del preside e Aizawa non ha fatto che reagire con ostilità. Però in questo capitolo è emerso anche un altro aspetto, il suo animo da eroina che la spinge a fare qualsiasi cosa per aiutare chi ha a cuore. Continua a ripetere che se ha deciso di andarsene, quel giorno di vent’anni prima, è stato per permettere al mondo di avere un All Might, continua a ripetersi che l’ha fatto per lui e per tutto il mondo. E qui si è persino sacrificata per salvare la reputazione e carriera dei suoi ragazzi, prendendosi la colpa di un errore che invece non ha commesso. Lei non ha dato quell’autorizzazione (andatevi a leggere il capitolo del museo se non vi ricordate), però dice di averlo fatto così subirà solo lei le conseguenze e proteggerà Kirishima e Bakugou (a cui si è legata tantissimo nel frattempo, forse perché entrambi teste calde?).

Come dice la canzone scelta: non gliene importa niente della sua reputazione.
Il prossimo capitolo è tutto guidato dalla voce di Pink nella sua incazzatissima canzone “So What”.
Stay Tuned! <3


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Capitolo 14
*** So what, Pink ***


"So What", Pink


Nina suonò al campanello. La casetta era deliziosa, aveva un piccolo giardino a circondarla e degli scalini che dal vialetto d’ingresso portavano alla veranda dove appeso sopra le loro teste c'era un dolce scacciapensieri. Tende alle finestre e vasi sui balconi, sembrava la casa delle bambole.
Attese qualche secondo, chiedendosi cosa l'avesse portata lì. Era anche quasi ora di cena, sicuramente li avrebbe disturbati. Ma cosa le aveva detto la testa? Fece un passo indietro e si allontanò dal cancello esterno, quando la voce di Heikichi la raggiunse dal vialetto: «Machiko! Aspetta, non andartene! Caspita che impaziente».
«Scusate, non volevo disturbare. Non avevo notato l'ora».
«Ma no! Vieni! Il citofono non funziona di nuovo, a quanto pare. Non mi sentivi che ti rispondevo?»
«No, a dire il vero» ammise Nina, mentre Heikichi la trascinava dentro casa.
«Devo ricordarmi di aggiustarlo. Satsuki! Tesoro, c'è Machiko!» gridò, mentre entrava in casa. Nina si tolse le scarpe all'ingresso e si preparò a indossare le ciabatte per gli ospiti, quando sentì un vero e proprio bisonte correre verso di loro dalla cucina. Una donna dai capelli neri, a caschetto, uscì dalla stanza in fondo al corridoio e le corse incontro con tutta la grazia che solo un animale di almeno settecento chili poteva avere, anche se non ne portava la stazza.
«Machiko!» urlò la donna, saltandole al collo con tale euforia da farle perdere l'equilibrio e cadere entrambe a terra. Nina sbatté le palpebre, confusa, prima di balbettare: «Akane?»
«Sei a Tokyo solo qualche giorno e non dici niente a nessuno! Sei una bella egoista!» brontolò la donna.
«Sono su tutte le riviste di gossip del momento, non pensavo avessi bisogno di annunciarmi» disse, alzando il mento in modo vezzoso.
«Ma quanto te la tiri!» le ringhiò contro Akane e Nina scoppiò a ridere: «Sto scherzando. Mi dispiace non aver avvertito. Non pensavo che... ecco...»
«La stupida pensava che noi ce l'avessimo con lei e non volessimo vederla» disse Heikichi per lei, togliendola dall'imbarazzo di doverlo ammettere.
«Stai scherzando, spero! Ti prego dimmi che scherzi! Satsuki, l'hai sentita?»
«Purtroppo!» gridò l'altra donna dalla cucina.
«Vieni!» disse Akane, alzandosi e prendendo Nina per mano la tirò in cucina. «Satsuki, che dici, riusciamo ad aggiungere un posto a tavola?»
«Un posto in più si trova sempre. Al massimo la mettiamo a mangiare nel seggiolone del bambino!»
«Bambino?» chiese Nina, sorpresa, un istante prima di entrare in cucina. Satsuki era ai fornelli, da dove arrivava un profumo davvero invitate. Un profumo di casa, un profumo di buono.
«Machiko, lui è Kentaro, mio marito» presentò Akane, indicando un uomo seduto al grande tavolo al centro della cucina. Aveva sulle ginocchia un bambino che non aveva, ad occhio e croce, neanche tre anni e fu lui che Akane indicò successivamente, presentando: «E invece il piccoletto è Nobuo, il secondogenito. Se sapevo che venivi costringevo quello scansafatiche di Seishiro a restare per conoscerti! Ormai ha diciassette anni, e chi lo tiene fermo?»
«Ciao, molto piacere!» salutò Kentaro, alzando una mano. «Ma noi... non ci siamo già visti da qualche parte?» chiese poi, aguzzando gli occhi.
«Dai, tu credi?» lo canzonò Akane, avvicinandosi per prendere Nobuo dalle sue braccia.
«Eh? La conosciamo allora! Dove ci siamo visti?» insistè Kentaro.
«Forse in qualche soggiorno!» disse Satsuki, unendosi alla beffa che stavano facendo al pover’uomo.
«Soggiorno?» chiese lui, non capendo.
«O magari a qualche festival musicale!» disse Akane, mettendo il piccolo Nobuo a terra e aiutandolo a camminare fino ad arrivare da Nina. «Dì ciao alla zia Machiko» disse al piccolo, che ripeté lentamente e timido: «Ciao».
Nina l'osservò, che a malapena si teneva sui suoi piedi, aiutato dalla madre che lo teneva per mano. Sorrise e infine si chinò, per raggiungere la sua altezza.
«Ma ciao bel giovanotto» e in tutta risposta Nobuo cominciò a dondolare sulle ginocchia, concentrato nel seguire un ritmo nella sua testa, e a borbottare alcune parole incomprensibili, completamente inventate, ma con un ritmo che poteva anche abbinarsi bene a quello delle sue gambe. Ci volle qualche secondo, prima che Nina scoppiasse a ridere, divertita: «Oh, ma non ci credo!»
«Che fa? Canta?» chiese Satsuki.
«Tuo figlio è più sveglio di te, pelandrone che si addormenta davanti alla tv invece che guardarla» rise Akane, accompagnando i movimenti del bimbo.
«Perché? Di che parlate?» continuò a chiedere confuso l'uomo, lamentoso che fosse l'unico a non capire che stesse accadendo.
«I'm here waiting for you, even if the future is different from now» cantò Nina, accompagnando con la testa il dondolio del bimbo che rispose più convinto: «Iii eeeitiioooo ooo uuu»
«Continuing to shout» l'accompagnò ancora Nina, dando spazio alle sue parole in un inglese completamente inventato e mangiato dall'infanzia che stava vivendo, fintanto che convinto non concluse: «Ooooo iiiii tucraaaaa»
«Bravissimo, Nobuo!!!» applaudì Nina, entusiasta, e Satsuki, armata di mestolo, tentò di fare altrettanto.
«Il corista migliore che abbia mai avuto» gli disse e preso dall'entusiasmo Nobuo tentò l'arduo tentativo di lasciare le mani di sua madre e lanciarsi in avanti, camminando un paio di passetti da solo, prima di atterrare tra le braccia di Nina.
«Oh, attenzione» disse lei, aiutandolo a tirarsi in piedi. Nobuo le si avvinghiò al collo e lei lo abbracciò, poco prima di mettergli un braccio sotto al pannolone e sollevarlo da terra. Che strana sensazione, non ricordava se avesse mai tenuto un bambino in braccio prima di allora. Profumava di camomilla, i capelli neri erano talmente sottili e leggeri che svolazzavano a ogni movimento. Lo guardò in viso, restando incantata dalle guance tonde e morbide. Le labbra, agli angoli, formavano due fossette tenerissime e le mani erano altrettante cicciotte e infossettate sulle nocche. Lo trovò adorabile, incredibilmente somigliante ad Akane e alla faccia tonda che aveva quando era ragazzina. Un viso come quello veniva sempre scambiato per una bambina, anche quando invece era stata quasi maggiorenne. In molte la prendevano in giro per quelle caratteristiche tanto adorabili e infantili, chissà che Kentaro non si fosse innamorato di lei proprio per quel motivo. Nobuo si sistemò in braccio alla donna, e la sua attenzione venne subito catturata dall'enorme ciondolo a forma di sole che Nina teneva al collo. Lo prese tra le mani e cominciò a rigirarselo tra le dita, incuriosito.
Era davvero  adorabile, di una bellezza incomprensibile e questo le riportò alla mente che c'era stato un periodo della sua vita a cui aveva addirittura pensato ai bambini. A una famiglia.
Un tempo molto lontano, prima che preferisse scegliere l'immortalità dei cd per la sua voce. Chissà come sarebbe stato, avere un figlio.
«Trust in me. Under different skies we meet the break of day. Will you trust in me? In our dreams we can meet however many times we want, right?» continuò a cantare Nina, soffusamente, come una ninna nanna. E solo allora Kentaro, finalmente, si illuminò: «Ma queste non sono le canzoni di quella tua amica famosa?» chiese alla moglie.
Nina scoppiò a ridere, prima di alzare la mano libera e dire: «Ciao, sono l'amica famosa».
«Eh?» saltò l'uomo sulla sedia. «Ma dici sul serio?»
«Eh già. Puoi chiamarmi Nina, se ti fa sentire più a tuo agio. Avete fatto sentire le mie canzoni perfino a Nobuo» disse Nina, imbarazzata ed emozionata. Allora davvero non l'avevano mai detestata per ciò che era successo, per la sua fuga. Allora davvero avevano continuato a volerle bene.
«Le adora! Si addormenta solo con quelle».
«Dai, adesso esageri!» rise Nina.
«No, no! Dico sul serio. Vero, Kentaro?» e solo allora Akane, voltandosi vide il marito impegnato in un'impazzita ricerca dentro la borsa della moglie. «Che combini?» gli chiese sconvolta.
«L'ho trovato!» disse l'uomo, estraendo un cellulare. «Nina posso chiederti... ecco... non voglio essere avventato, ma potremmo...» e indicò il proprio cellulare.
«Akane non ho capito se tuo marito mi stia chiedendo una foto o qualcosa di più sconveniente» rise Nina, facendo arrossire l'uomo.
«Kentaro! Non fare l'imbecille! Mi metti in imbarazzo!» lo sgridò la moglie.
«Ma io non volevo!» lamentò lui, più imbarazzato che mai. «È una famosa, insomma!!! A lavoro mi invidieranno tutti!»
«È una mia amica!»
«Va bene Akane, non preoccuparti. Mi fa piacere. Facciamoci pure una foto insieme, Kentaro» disse Nina, ridendo sempre più divertita dalla situazione. L'uomo saltellò letteralmente al suo fianco, mettendosi vicino a lei con un certo imbarazzo e mettendo l'autoscatto fece la foto. «Oh, no! È sfocata! Aspetta! Riproviamo, per favore!»
«Kentaro, se tremi non verrà mai bene!» lo punzecchiò Satsuki. «Oh, qui è quasi pronto. Heikichi! Vieni!» chiamò.
«È sempre così, avresti dovuto vederlo quando ha incontrato All Mi...» cominciò Akane, ma poi si interruppe, portandosi una mano alle labbra con un certo terrore negli occhi. Cosa stava per dire! Stava per nominarlo davvero, di fronte a lei? Ormai All might era diventato un simbolo, parlarne tra loro non era più un tabù da anni, da quando era diventato un estraneo famoso qualunque. Ma di fronte a Nina avrebbe dovuto fare più attenzione, era certamente diverso dalla normalità.
«Quando ha incontrato... Midnight!» provò a correggersi.
«Noi non abbiamo mai incontrato Midnight!» la riprese il marito, storcendo il naso. «E chiudi quella bocca, no? L'hai fatta 'sta benedetta foto?» si irritò Akane non sapendo dove altro battere la testa.
«Va bene così, Akane!» rise Nina, notando quell'imbarazzo così spesso che sarebbe stata in grado di tagliarlo con un coltello. «Sono passati tanti anni, non c'è più niente di cui preoccuparsi. È tutto chiuso. Anzi... vi dirò: oggi io e Toshinori siamo riusciti anche a parlare come ai vecchi tempi».
«Vi siete incontrati?» chiese Akane con stupore.
«E che vi siete detti?» chiese Satsuki, dimenticando il pentolone sul fuoco.
«Mah, solite cose...» disse Nina schiva, cercando di sorridere per la terza foto che Kentaro tentava invano di scattare. «"Come stai?", "Come stai tu?", "vorrei prenderti a calci fino a domani"... o forse quest'ultimo l'ho solo pensato» sghignazzò, divertita, ma la cosa non parve far ridere anche le sue amiche. Sospirò, mostrando la sua debolezza ma anche la sua tranquillità: «È tutto a posto, vi dico. Sul serio, tra noi è tutto risolto».
«Comunque noi non abbiamo mai incontrato Midnight» intervenne Kentaro, controllando la nuova fotografia e incapace di seguire effettivamente quei discorsi. «O me ne ricorderei! Oh, questa è venuta bene» e si avviò verso la borsa della moglie per riporre all'interno il cellulare.
«Non ho dubbi, Kentaro. Non ho dubbi» rispose la moglie, guardandolo storto.
«Akane, mi passi i piatti per favore?» chiese Satsuki, tornando al suo pentolone.
«Certo che se sapevamo che Machiko si sarebbe unita potevamo chiamare anche Yamada e Kamatari! Sarebbe stata bella una rimpatriata tra noi. Yamada è in pensione anticipata, lo sai, Machiko?»
«Sì, me l'ha detto Heikichi. Un infortunio, giusto?» chiese Nina, prendendo posto a tavola e posizionandosi il piccolo Nobuo sulle ginocchia, ancora impegnato a giocare con la sua collana.
«Heikichi, vuoi scendere?» gridò Satsuki.
«Già. Durante una missione gli è caduto un traliccio addosso e ora non riesce più a camminare senza stampelle. Poveraccio» spiegò Akane.
«Kamatari invece che fine ha fatto?» chiese Nina.
«A Kyoto! Trasferito per lavoro e per amore» sghignazzò Akane.
«Avresti dovuto vederlo, si era completamente rincitrullito! È una ragazza che ha conosciuto durante un tirocinio fuori città e da allora non se l'è più tolta dalla testa» disse Satsuki, mettendole il piatto sotto al naso. «Heikichi! Eddai!»
«Eccomi, non c'è bisogno che urli» mormorò l'uomo, comparendo dalla porta sbadigliando.
«Ti eri già addormentato in sala!» lo brontolò Satsuki.
«Ho solo chiuso gli occhi pochi minuti» mormorò lui, sedendosi. «Che profumino delizioso!» parve risvegliarsi. Satsuki si chinò sul suo viso e i due si incontrarono in un bacio, prima che lei gli posasse il piatto di fronte. «È calda, soffia».
«Lo so come si mangia una zuppa!» brontolò lui, prima di iniziare a soffiare sul vapore a pelo della zuppa.
«Insomma, tutti accasati e felicemente maritati, eh» disse Nina, lasciandosi sfuggire un filo di tristezza nella voce. Vederli così felici, con le loro dolci metà, i figli, era una sensazione che scaldava il cuore. Un'ondata di tenerezza, felicità per la gioia che riusciva a scorgere nei loro occhi e una punta di invidia che quel pargolino tra le braccia trasformava in qualcosa più che una punta. Lo fece cavalcare sul proprio ginocchio, guardandolo completamente persa mentre parlottava tra sè e sè, chissà cosa si stava dicendo, e giocava con quel ninnolo tanto affascinante.
«Mh! Yamada no!» si affrettò a dire Akane, impaurita che tutta quella felicità potesse farle del male. «Mai trovato una donna che riuscisse a sopportarlo, come biasimarle, poverette».
«Poveretto lui, non era poi una cattiva persona» rise Nina.
«Col tempo è peggiorato e la pensione l'ha fatto completamente uscire di testa» disse Satsuki, sedendosi finalmente anche a lei.
«Buon appetito!» dissero in coro, prima di prendere le proprie posate. «Machiko, dammi pure Nobuo, lo metto nel seggiolone così mangi tranquilla» disse Akane, avvicinandosi all'amica.
«Oh, no! Non mi da fastidio, sul serio. Lascia che zia Machiko se lo spupazzi ancora un po'», niente da fare, ormai quel pargoletto aveva il suo più completo amore.
«Sei sicura?» chiese Akane, poco convinta.
«Sicurissima! Davvero, non ti preoccupare» e tornò a farlo saltellare e a giocherellare insieme a lui con la propria collana.
«Yamada l'ho incontrato la settimana scorsa!» disse Heikichi. «Era seduto al parco e si divertiva a fare di nascosto lo sgambetto ai ragazzini che gli passavano davanti con il suo bastone».
«Accidenti, è diventato peggio di me!» commentò Nina, ridendo divertita per quella scena. «Io almeno con i ragazzini ci litigo apertamente».
«Te la prendi con i mocciosi anche tu? La solitudine deve fare proprio male» commentò Heikichi e in tutta risposta Satsuki, al suo fianco, gli tirò un calcio a una gamba talmente potente che il sobbalzo dell'uomo fece tremare l'intera tavola. Infine aggiunse un'occhiataccia a cui l'uomo rispose con il tipico sguardo da "ma che ho detto?". Perché non riusciva a essere un minimo sensibile su certe cose?
«C'è questo ragazzino alla Yuuei» disse Nina, ignorando i due. «Con cui credo di aver chiuso del tutto i rapporti proprio oggi. Pensate che mi ha fatto addirittura richiamare dal preside, neanche quando ero studentessa ho preso una ramanzina come quella di oggi» sospirò.
«Momento! Che ci fai alla Yuuei?» chiese Akane.
«Sta tenendo un corso supplementare sulla gestione dei propri limiti. Pare che sia stato proprio Toshinori a farla chiamare per dare qualche lezione ai ragazzi di prima» spiegò Heikichi.
«Toshinori?» chiese Akane, sconvolta. «E tu hai accettato?»
Nina alzò le spalle, prima di ammettere: «Perché no? Non sembrava male poter ripercorrere quei corridoi. Sono passati tanti anni, credevo sarebbe stato facile».
«Credevi» sottolineò Akane, prima di portarsi il cucchiaio alle labbra.
«E a questo ragazzino che gli hai combinato? L'hai fatto scaccolare davanti a un professore?» chiese Heikichi, prima di imitare con le dita i gesti che Nina faceva per gestire il proprio potere. I movimenti del burattinaio.
«L'ho fatto prendere a pugni da un suo compagno. Anche se in realtà non si è fatto un graffio, alla fine. Solo un po' di congelamento».
«Che?» sussultarono insieme i tre vecchi amici, aspettandosi il peggio. Bullismo sui minori, era più grave di quanto avessero immaginato.
Nina sospirò, rendendosi conto di essere stata fraintesa e che i suoi amici erano partiti prevenuti nei suoi confronti, perciò si affrettò a spiegare: «È una testa calda. Cocciuto, testardo e incredibilmente irascibile. Vuole essere il numero uno e secondo me ha tutte le carte in regola per diventarlo, mi piace e ho promesso di aiutarlo. Ma come ho detto è una testa calda e oggi ha cominciato a urlarmi contro che gli stavo facendo perdere tempo e cose del genere».
«E tu gli hai dato una lezione, sbaglio?» chiese Akane, con il volto rassegnato.
«Sì» balbettò Nina, rendendosi conto che la spiegazione non aveva aiutato la sua causa. «Ma non in quel senso! Insomma, gli ho fatto capire un paio di cose».
«Che ad esempio i giochi li guidi tu» disse Heikichi.
«Che deve capire chi comanda» disse Satsuki.
«E non si deve permettere di credersi superiore» aggiunse Akane. Tutte cose fastidiosamente corrette, ma sempre con quella pessima sfumatura che non riusciva a eliminare. Si imbronciò prima di sbuffare: «Sì, ma così mi dipingete come un mostro!»
I suoi amici scoppiarono a ridere, inteneriti dalla sua reazione, e anche se ciò che aveva fatto a quel ragazzino non era stato proprio politicamente corretto, potevano ben immaginare che sotto doveva esserci stata qualche ragione di fondo. Alla fine Nina non era mai stata cattiva in modo gratuito, non dopo che Toshinori le aveva dato una bella raddrizzata. Alle medie era diverso, ma era cambiata da allora. Non bullizzava più nessuno senza una ragione logica. Almeno, era quello che speravano.
«I ragazzi di prima della Yuuei! Ho sentito parlare di loro!» intervenne Kentaro, che trovò in quel discorso l'unico appiglio per unirsi a loro.
«Sul serio?» chiese Nina, stupita che dei primini avessero già raggiunto la fama.
Kentaro annuì, prima di spiegare: «Ne hanno parlato alla televisione! Pare che abbiano subito un terribile attacco durante un'esercitazione in un palazzetto esterno. Non ne sono usciti molto bene, ci sono stati dei feriti anche gravi, ma per fortuna è intervenuto All Might e ha risolto tutto. Oh! Lo sai che una volta l'abbiamo incontrato All Might!» si illuminò Kentaro, ricordandosi di quell'evento che non era riuscito a cogliere prima dalle parole della moglia. «È un vero gigante, supererà i due metri e cinquanta, secondo me!»
Nina lo guardò dapprima sorpresa che alla fine il discorso fosse caduto su di lui, poi divertita dal fatto che Kentaro non sospettasse niente sulla loro storia e ne parlasse con tale disinvoltura. «Sul serio?» sorrise divertita. «Deve mettere proprio in soggezione».
«Ehm... questa zuppa è veramente deliziosa, Satsuki! Cosa ci hai messo dentro?» chiese Akane, allarmata. «Non credi anche tu Kentaro sia buonissima?»
Il marito la guardò perplesso: che aveva da agitarsi tanto? Perché gli chiedeva della zuppa in un momento come quello? Annuì stranito, prima di tornare a voltarsi verso Nina: «È un vero gigante, la televisione non gli rende giustizia, ma il suo sorriso e il modo di fare è molto rassicurante e alla fine non ti sembra nemmeno di avere davanti l'uomo più forte del mondo».
«Ma pensa. Dev'essere stato bello incontrarlo» disse Nina, poggiando una guancia sul pugno chiuso e il gomito alla tavola.
«Machiko» balbettò Satsuki, chiedendosi cosa stesse facendo.
«È stato gentilissimo! Mi ha anche firmato l'autografo» continuò Kentaro, emozionato dal racconto tanto da avere gli occhi che brillavano. Nina si voltò verso Satsuki e il sorriso che le si aprì in volto fu talmente luminoso, come quello che aveva da ragazzina, che tutte le preoccupazioni dissiparono. Che avesse davvero superato la cosa?
«Dì un po', è affascinante dal vivo come alla televisione?» insistè Nina, divertita da quella bizzarra situazione.
«Non è proprio il mio tipo, ma se fossi una donna penso che lo considererei sicuramente molto affascinante! Ma scommetto che questo lo sa anche lui, hai mai visto quanto è sicuro di sé. Te lo dico io, quel mattacchione ne cambia una a notte».
«Ma cosa stai dicendo?» si allarmò Akane, lanciando un altro sguardo a Nina, che ora non sorrideva più. Lo sapeva, alla fine quell'idiota di suo marito era riuscito a fare il danno.
«Perché ti agiti tanto? Credi che non possa essere vero? Io fossi in lui lo farei».
«Primo, scordati proprio di poterti paragonare a uno come All Might, siete a due poli opposti» e Kentaro ne uscì distrutto da quell'affermazione. Sua moglie non lo vedeva bello e affascinante come All Might? Aveva sperato che almeno lei lo vedesse diversamente. Come poteva dargli dell'uomo brutto?
«E secondo, possiamo almeno per stasera smettere di parlare di All Might?»
«Non sarai mica innamorata di lui, vero?» saltò Kentaro, cominciando a dare una giustificazione a quel comportamento di Akane.
«Ma che stai dicendo? Sei proprio fuori strada!»
«E allora non capisco tutta questa agitazione! All Might non è mica marito tuo, perché te la prendi tanto se uno come lui se la spassa con le donne? Che ti importa, si può sapere? Non mentirmi, ti piace, vero?» e terminò con un piagnucolio rassegnato. «È uno sfasciafamiglie».
Akane aprì bocca, pronta a ricoprirlo di ogni sorta di insulto, ormai stufa, ma venne interrotta da Nina che scoppiò a ridere tanto forte da farsi venire le lacrime agli occhi. Quella situazione era tanto assurda, quanto divertente. Parlare con qualcuno che lo ammirava, senza sapere il tipo di rapporto che la legava a lui, era davvero esilarante. Ciò comunque bastò ad Akane per calmarsi, cominciando a capire che forse stesse esagerando veramente nel preoccuparsi tanto. Non ce n’era bisogno, Machiko non aveva più bisogno di essere protetta. Si rilassò e tornò a sedersi, lasciandosi coinvolgere dalla risata di Nina.
Il discorso All Might capitò almeno altre tre volte, quella sera, sempre nominato da Kentaro che si rivelò un suo grande fan. E tutte le volte Nina lo lasciava parlare, continuando a far finta di non conoscerlo solo per potersi godere qualche genuina confessione da chi aveva lasciato lo amasse al posto suo. Solo per poter vedere con tenerezza ancora una volta il sogno di Toshinori prendere realtà e rassicurarla che non tutto era stato vano, che aveva ragione: le cose sarebbero dovute andare in quel modo fin dall'inizio. Il mondo aveva davvero bisogno di All Might, più di quanto lei avesse avuto bisogno di Toshinori.


So, so what?
I'm still a rock star
I got my rock moves
And I don't need you
And guess what
I'm having more fun
And now that we're done
I'm gonna show you tonight
I'm alright, I'm just fine


Nda.


Scusate il ritardo questa settimana! Eccomi di nuovo qui.
Capitolo leggero e tenero in questa scenetta di vita quotidiana, tra mariti, cene e bambini, che da a Nina una tenera e contemporaneamente dolorosa sensazione. E’ bello tanto quanto triste sapere che a lei quel dolce calore familiare è stato strappato via, però questo non le impedisce di godere nuovamente della vicinanza dei suoi amici.
Ancora traspare quel lato del carattere di Machiko non tanto ok, la sua mania di controllo e il bisogno di sentirsi superiore agli altri, raccontato dalle frasi dei suoi amici che la conoscono bene e sanno già quale motivo si nasconde dietro al gesto che l’ha portata a “”lottare”” contro Bakugou.
In questo capitolo ho nascosto un paio di citazioni all’anime Nana, non so se lo conoscete, ma io lo amo e un po’ somiglia a questa situazione: ragazza sceglie la via della musica, lontana dall’amore della sua vita, da cui è stata costretta a separarsi anni prima. La prima è sicuramente il nome del bambino, Nobuo, che è uno dei personaggi di Nana appunto. La seconda è invece la canzone che Nina canta col bimbo, che è A Little Pain di Olivia Lufkin, canzone che compare nell’anime (se non ricordo male è una delle sigle di chiusura). Non mi sento di voler aggiungere altro a questo capitolo. Penso che sia altrettanto inutile spiegare perché scelta la canzone “So What” di Pink, visto che vive bene o male le stesse situazioni che ben vengono spiegate nel ritornello riportato in fondo. E’ un po’ quello che vuole cercare di pensare Nina: “Chi se ne frega. Io sono una Rockstar, non ho certo bisogno di te. Sto bene” (anche se poi non ne risulta tanto convinta).

Di nuovo un grazie enorme a Engel e alla sua comprensione che la porta a non odiarmi per il fatto che non sempre riesco a rispondere alle sue recensioni <3
E ovviamente grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ciaoooo



Ray



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Capitolo 15
*** Welcome to my life, Simple plan ***


"Welcome to my life”, Simple Plan



«Uraraka! Ragazzi!» urlò Ashido, entrando in aula trafelata. Si guardò attorno, un po' imbarazzata per aver attirato l'attenzione di tutta la classe, ma proseguì verso l'amica che si trovava vicino al banco di Midoriya, intenta a chiacchierare per passare quei pochi minuti prima della lezione.
«È arrivata la polizia! Sono andati nell'ufficio del preside» disse a un tono di voce controllato, facendo in modo che il resto dei compagni tornasse ognuno ai propri affari.
«La polizia dal preside?» chiese Midoriya, strabuzzando gli occhi.
«Sì, credo che siano venuti a raccogliere testimonianza. Ho sentito anche Midnight che chiedeva di chiamare Nina».
«Eh? Che c'entra Nina?» continuò il ragazzino.
«Non lo sai? È per la faccenda del museo! Pare vogliono sanzionarla perché i ragazzi hanno usato i propri Quirk fuori dall'edificio scolastico senza autorizzazione» spiegò Ashido.
«Cosa c'entra lei, scusa?» insistè Midoriya.
«Niente!» gridò Kirishima dal banco a fianco, battendo i pugni sul tavolo. «Non c'entra niente, è esattamente quello che ho detto anche io! Non è giusto che le ritirino la licenza!»
«Le ritirano la licenza?» chiese Midoriya, sconvolto.
«Forse solo per qualche mese» disse Uraraka, sperando di essere positiva.
«Si è presa tutta la colpa, non è giusto! Che razza di uomo sono io che sto permettendo che ciò accada!» ringhiò torturandosi i capelli con rabbia, prima di alzarsi dalla sedia con una tale foga da lanciarla dall'altra parte della stanza. «Bakugou!» gridò, voltandosi verso l'amico. «Dobbiamo andare a dire la verità, questa è la nostra ultima occasione!»
«Non ho idea di che cosa tu stia parlando» disse il biondo, fissando fuori dalla finestra con aria scocciata.
«Sanzioneranno Nina perché ha detto che ha dato lei l'autorizzazione a usare i nostri Quirk per sfondare il muro e uscire dal museo, quando invece non è vero. Sei stato tu a dire che non saresti rimasto lì dentro ad aspettare di essere schiacciato e hai cominciato a far esplodere tutto senza aspettare i soccorsi».
«Fino a prova contraria tu mi sei venuto subito dietro!» ringhiò Bakugou irritato per essere l'unico colpevolizzato in quel racconto.
«Lo so bene, per questo dico che dobbiamo andare tutti e due!»
«Che si arrangi, sono affaracci suoi se ha deciso di mettersi in mezzo! Quella stupida!» ruggì, tornando a fissare fuori dalla finestra, ora irritato più che mai.
«Tu sei solo arrabbiato per come ti ha trattato ieri!» gli urlò contro Kirishima.
«Stronzate!» gli rispose a tono.
«Ti credevo più virile di così!» continuò Kirishima, battendo un pugno sul suo banco. «A questo punto non mi stupirei nemmeno se fossi stato tu stesso ad andare dal preside a piagnucolare per quello che ti ha fatto ieri pomeriggio!»
«Di cosa cazzo stai parlando? Credi che io abbia bisogno di andare a piangere dal preside? Per chi mi hai preso! Ti ammazzo, deficiente dai capelli a punta!» e alzandosi di scatto afferrò Kirishima per il colletto, cominciando a strattonarlo. Ma il rosso non si lasciò intimorire da quel comportamento, troppo furibondo per il fatto che non avesse intenzione di confessare e assumersi le sue responsabilità. Era da vili nascondersi dietro la schiena di Nina, non riusciva a digerirlo.
«Le hanno fatto un richiamo ufficiale! Hanno minacciato di mandarla via perché qualcuno di noi è andato a dire che ti ha conciato per le feste senza un vero motivo se non quello di bullizzarti. Se non sei stato tu, chi altro può essersela presa tanto per quella faccenda da andare a lamentarsi dal preside?»
«Sono stato io» intervenne Iida, facendo un passo avanti. Il viso torvo, preoccupato e serio tanto da intimorire.
«Iida-kun?!» sussultò Uraraka, incredula.
«I modi di Nina non sono convenienti a una professoressa, avete detto tutti che vi fa venire i brividi, si prende gioco di Mineta, mettendolo in ridicolo, ha usato Yaoyorozu per colpire All Might e al museo ha sbattuto la faccia di Midoriya contro il tavolo» e il ragazzino sussultò nel sentirsi preso in causa. Era vero, Nina se l'era presa perché lui aveva lasciato intuire che non si fidava e l'aveva preso alle mani, ma non era stato così grave. Alla fine non gli aveva fatto niente, se non una scompigliata di capelli.
«Vi ha portati in salvo dal museo lanciandovi dalla finestra in maniera rozza e pericolosa e ieri ha addirittura costretto Bakugou a subire...»
«Tu» ringhiò Bakugou, interrompendolo. Lasciò andare Kirishima, che non per questo parve più tranquillo. Le sopracciglia corrucciate, gli occhi quasi iniettati di sangue, le vene sul collo che pulsavano... stava perdendo il controllo, un'altra volta.
Scattò con una tale rapidità che perfino Iida non lo vide fintanto che non si trovò con le sue mani al collo, strattonato e sbattuto in giro.
«Come hai osato metterti in mezzo ad affari che non ti riguardano?» urlò tanto che per poco non sputò.
«Sono il capoclasse, ho il dovere di occuparmi di faccende...» ma ancora una volta Bakugou lo interruppe, urlando: «Io non ho bisogno di nessuno che si occupi di me!»
«È una faccenda che riguarda tutti, ha coinvolto anche Todoroki, costringendolo a combatterti, minacciandolo se non l'avesse fatto!» gridò Iida, indicando il ragazzo silenzioso in fondo alla classe.
«Perché sapeva che era l'unico che sarebbe stato alla mia altezza!»
«Ma se tu non hai mosso un solo muscolo! Era tutto finalizzato solo a punirti, non c'era nessun'altra ragione se non...»
«Non parlare di cose che non sai, idiota spilungone, quella era una faccenda tra me e lei e tu ti sei messo in mezzo pensando che non avessi la forza di difendermi da solo» e ormai accecato dalla furia lo spinse da un lato, facendolo cadere tra banchi e sedie. «Per chi cazzo mi hai preso? Credi che non possa darle una lezione da solo? Che abbia bisogno della protezione di un’inutile comparsa! Non azzardarti mai più a metterti sui miei passi o ti ammazzo, la prossima volta!» urlò travolto dalla furia e probabilmente l'avrebbe preso a calci, se Kirishima e Sato non fossero intervenuti per tenerlo fermo e lontano da Iida.
«Toglietemi le mani di dosso» gridò infine, liberandosi con uno strattone. Indietreggiò, convincendo così i suoi compagni a lasciarlo andare, e dopo aver lanciato un'altra occhiataccia a Iida si voltò verso la porta dell'aula.
«Togliti di mezzo!» spinse Tokoyami, facendosi strada verso il corridoio. I suoi compagni lo guardarono andar via, sconvolti per la lite, ma soprattutto tanto preoccupati.
«E adesso dove va?» chiese Ashido, chinando la testa da un lato con fare dubbioso. Qualche secondo di riflessione, prima che la risposta giungesse più o meno contemporaneamente a tutti: c'era un solo posto dove poteva andare per chiudere definitivamente quella faccenda.
«Non vorrà andare dal preside?!» disse Midoriya, dando a voce ciò che tutti avevano pensato.
L'ufficio del preside quella mattina era particolarmente affollato. L'ispettore Tsukauchi si era portato dietro due dei suoi poliziotti, per sostegno e ulteriori testimoni, e sedeva di fronte a Nezu. In piedi, di fianco a quest'ultimo, c'era Aizawa e di fronte a lui, sempre in piedi, di fianco a Tsukauchi, Nina ascoltava ciò che stavano dicendo in religioso silenzio. Sparsi per la stanza altri rappresentati della scuola, tra cui Midnight, Hound Dog, Snipe, Cementoss e Ectoplasm, che avevano lavorato insieme a Nina nei giorni precedenti, Present Mic e quel giorno, evento speciale agli occhi di Nina, perfino All Might era lì. Tutti per assistere, testimoniare e presenziare di fronte alla confessione di Nina di aver infranto una delle leggi più importanti che riguardavano gli eroi e perciò di essere l'unica responsabile sanzionabile. Tsukauchi parlava direttamente con Nezu, facendo le domande di rito, mentre uno dei suoi poliziotti riportava tutto scritto in un verbale ufficiale e il secondo poliziotto invece si occupava della sorveglianza della porta. Come se Nina avesse potuto o avesse voluto scappare, come se addrittura lui avesse potuto nel caso impedirglielo. Ma la formalità chiedeva quel tipo di distribuzione, la burocrazia era fastidiosa ma andava seguita alla lettera.
«Dunque, Machiko Sakamoto, conosciuta come Nina, già all'ingresso del museo, senza sapere cosa sarebbe successo, ha autorizzato l'uso dei Quirk, giusto?» chiese Tsukauchi, facendo segno al suo sottoposto di riportare tutto per iscritto.
«Solo sotto la specificazione del caso ci fosse stato qualche attacco o si fossero trovati in difficoltà. Nina aveva in mente esclusivamente la sicurezza dei nostri ragazzi» rispose Nezu che, come aveva promesso, stava cercando di attenuare più che poteva per permetterle di uscirne il meno ferita possibile.
«Perciò i ragazzi Katsuki Bakugou e Eijiro Kirishima hanno semplicemente seguito le indicazioni a loro fornite da quella che considerano attualmente un insegnante. Ha la documentazione necessaria a burocratizzare il suo ruolo all'interno della scuola?»
«Ho qui dei permessi momentanei che le ho fatto firmare a inizio incarico, sì. Rientra ufficialmente nello staff come temporanea consulente, perciò il suo incarico comprende tutto ciò che concerne a un qualunque altro dei miei tutori».
«Ma non come insegnante».
«Consulente temporanea, non insegnante. Però il titolo comprende ugualmente la sorveglianza, la cura e la gestione degli studenti in ogni aspetto. Compreso il rilasciare l'autorizzazione all'uso del proprio Quirk in occasioni particolari».
«Potrei avere una copia di quei documenti da allegare al verbale che consegnerò al giudice?» chiese ancora l'ispettore.
«Certo! Midnight, potresti cortesemente andare a fotocopiarli?» chiese Nezu, raccogliendo alcuni dei fogli sparsi sulla scrivania e porgendoli alla donna per portarli in sala professori, alle fotocopiatrici. Midnight prese i documenti e si avviò alla porta. Solo quando l'aprì per uscire il fracasso dei ragazzi in corridoio raggiunse l'interno dell'ufficio, attirando l'attenzione dei professori. Urla e parlottii incomprensibili di almeno un gruppo di dieci ragazzi.
«Ma che succede?» chiese Present Mic, affacciandosi per primo, seguito subito dopo dal resto dei suoi colleghi.
«Cos'è questo baccano?» lamentò Aizawa, riconoscendo alcune delle voci dei suoi studenti. E si trovò, suo malgrado, a darsi ragione quando li vide. Bakugou, al centro del mucchio, si dimenava e urlava come un pazzo, mentre Kirishima, Sero e Kaminari cercavano di trattenerlo. Davanti a lui Uraraka e Yaoyorozu gli parlavano, facendo cenno con le mani di stare calmo. Tutti gli altri li seguivano solo per curiosità, rivolgendo solo ogni tanto al ragazzo impazzito una frase di circostanza o una richiesta di calmarsi.
«Così ci farai finire nei guai. Torna in classe» provò a dire Sero, sforzandosi di tirare indietro Bakugou. Era da solo contro tre, eppure riusciva lo stesso in un modo o un altro ad avanzare contrastando la loro forza. Era incredibile che avesse tutta quella potenza in corpo, anche senza il suo Quirk.
«Toglietevi tutti dai piedi! Smettetela di impicciarvi!» gridò Bakugou, dimenandosi e spingendo tanto coi piedi da riuscire a fare ancora un passo. Afferrò il bordo della finestra con una mano e si aiutò, tirandosi, per andare ancora avanti.
«Perché non ti calmi? Possiamo parlarne tranquillamente, non credi?» tentò di dire Yaoyorozu, ancora inutilmente. Bakugou sembrava una bestia impazzita, ci mancava solo che iniziasse a sbavare e mordere.
«Lasciatemi! Ficcanaso! Siete tutti dei ficcanaso! Fatevi gli affari vostri! Lasciatemi andare!»
Nina uscì dalla stanza poco dopo, insieme agli altri professori, e osservò Bakugou con uno sguardo di sufficienza. Non aveva idea di cosa stesse combinando, né di cosa avesse intenzione di fare, ma preferiva nascondere la propria curiosità dietro a una maschera di freddezza e distacco, dato quel che aveva detto e fatto al ragazzino il giorno prima. Doveva continuare a indossare la maschera della superiorità, di fronte a lui, anche se non gli avrebbero più permesso di allenarlo come desiderava, anche se fosse stata costretta a lasciarlo perdere davvero. Che il suo insegnamento fosse arrivato a destinazione o meno, era meglio chiuderla definitivamente quella porta, almeno per il momento, almeno di fronte agli altri insegnanti.
«Sparite! Vi ammazzo!» ringhiò lui, ancora.
«Bakugou, rientra subito in classe» provò a prendere in mano la situazione Aizawa. In fondo si trattava della sua classe, era una cosa che doveva risolvere lui. Si avvicinò, ma non appena fece due passi si bloccò, sorpreso di sentire Bakugou urlare il nome di Nina con tutto il fiato che aveva. Puntò gli occhi furibondi, ma incredibilmente più razionali di quanto si fossero aspettati, verso la donna, passando oltre e ignorando il resto dei compagni e degli insegnanti. La stessa Nina si stupì, tanto da lasciar cedere per un istante la sua maschera, nel sentirsi chiamare con un tale fervore.
«Diventerò il migliore!» gridò, allungandosi nella sua direzione per cercare di scivolare via dai compagni, per cercare di raggiungerla. «Sarò il numero uno, te lo farò vedere! Ti mostrerò ciò di cui sono capace, vincerò io a qualsiasi prova mi sottoporrai, te lo assicuro! Combattimi quante volte vuoi, ti prometto che arriverò a superare anche te. Sono pronto! Non mi fai paura! Ti batterò, ti batterò e arriverò primo, è una promessa!» gridò con tutto il fiato che aveva, fino a lasciarsi andare, stremato. Smise di lottare contro i suoi compagni, chinò la testa in avanti, nascondendo il volto su cui ora pareva essere finalmente sbucato un sorriso soddisfatto e sollevato. Nina si lasciò andare a un'espressione sorpresa ed emozionata: per un istante aveva temuto di aver esagerato. Per un istante aveva temuto che Bakugou non fosse il ragazzo che credeva, che forse davvero tra loro sarebbe finito tutto con la battaglia del giorno prima. Niente sembrava andare per il verso giusto, i ragazzi la temevano, era stata minacciata di essere mandata via, era stata accusata di aver trasgredito le leggi, si era trovata tutti contro e anche se giocava a fare la burattinaia solo lei sapeva quanto dentro stesse morendo in quelle ultime ore. Ancora una volta sola contro il mondo intero, incompresa e temuta, veniva schivata e accusata. La burattinaia non aveva posto tra le comuni marionette, ma Bakugou... vederlo tornare da lei con quell'ardore, con quelle promesse, lui che prendeva le distanze da chiunque gli si avvicinasse aveva appena fatto un passo nella sua direzione. Lui, che più di tutti aveva motivo di odiarla e allontanarla, era invece andato a cercarla e l'aveva compresa. La gioia che provava in quel momento era qualcosa che superava tutto ciò che le stava accadendo, le dava la forza di combattere anche contro la giurisdizione, di accettare qualsiasi provvedimento a testa alta. Per la prima volta, per rendere felice qualcuno, non le era stato chiesto di andarsene... ma di restare.
All Might, dietro di lei, guardò il ragazzo con sorpresa.
"Tornerà" ne era sembrata così certa quando glielo aveva detto e i fili del burattinaio ancora una volta avevano svolto il loro lavoro. Ci era riuscita, ci era riuscita a padroneggiare anche quella scena, la più ardua. Era riuscita a prendere il controllo del burattino più complesso che conoscesse e a far battere il suo cuore in modo corretto. Si era dimenticato quanta forza possedesse dentro sé la piccola e apparentemente innocente Machiko.
Le labbra di Nina si tirarono in un infervorato sorriso, l'espressione sorpresa ed emozionata lasciò spazio a una più decisa e soddisfatta. Si avvicinò al ragazzino, fermandosi a pochi passi da lui e lo fissò intensamente, anche se in quella posizione non poteva cogliere la sua espressione. E infine disse a voce bassa, ma decisa: «Sorprendimi».
Quella porta si era appena riaperta, la lezione per lui non era affatto finita. Lui non era più lasciato indietro, ma gli avrebbe permesso di correre, raggiungerla e magari anche superarla. In fondo al cuore, era ciò che desiderava. I muscoli di Bakugou si tesero e lui strinse i pugni, attraversato da un'energia esplosiva, la stessa energia che provava prima dell'inizio di un combattimento. Alzò lentamente lo sguardo e lo puntò in quello di Nina, sostenendolo, immergendosi in esso e impadronendosene. Sorrise come poche volte aveva fatto, corrucciando le sopracciglia, con la stessa espressione eccitata che aveva tutte le volte che si trovava di fronte a una sfida insostenibile, ma di cui era certo ne sarebbe uscito vincitore.
«Beh, ragazzi» disse lei, portandosi le mani ai fianchi. «Avete fatto un gran casino, disturbato la lezione delle classe qui accanto, interrotto un'importante riunione del preside e siete fuori dall'aula nonostante la campanella sia già suonata... che dite, siete abbastanza nei guai?»
Presi dal panico per tutti quei problemi, la maggior parte dei ragazzi della prima A si diede alla fuga verso l'aula, mentre i più coraggiosi -o forse i più rassegnati- li seguirono con più calma. Bakugou fu uno di quelli, voltando le spalle alla donna per ultimo e mettendosi alla coda del gruppo. Kirishima fece un paio di passi insieme agli altri, ma poi si fermò e si voltò, pronto ad aprir bocca. Si sorprese di trovare Nina appena dietro di lui, che lo fissava, come se si fosse aspettata quel comportamento.
«Qualcosa non va, Kirishima?» chiese Nina, guardandolo in uno strano modo. Gli stava chiedendo di andarsene, lo stava pregando di lasciar perdere la faccenda della confessione, glielo poteva leggere in faccia.  La guardò a lungo, costernato, sotto lo sguardo duro di Nina che gli stava chiaramente supplicando di andarsene e non aggiungere altro. Avrebbe voluto comportarsi da uomo, odiava sentirsi in quel modo, ma non c'era niente che potesse fare. Nina non glielo avrebbe permesso, ne era certo. Strinse i pugni, pronto a voltarsi e andarsene, quando gli venne in mente che una cosa virile, da uomo, avrebbe potuto farla. Avrebbe abbattuto l'orgoglio e sarebbe rimasto a testa alta. Si raddrizzò di fronte alla donna e con sguardo deciso pronunciò fiero: «Grazie mille, Nina!» e sotto lo sguardo attonito dei presenti si inchinò. Non poteva tirarla fuori dai guai, prendersi le sue responsabilità, ma non si sarebbe vergognato ad ammettere la sua riconoscenza per quell'eroico gesto che la donna stava facendo per loro. Un vero uomo avrebbe fatto così. Si rialzò e più tranquillo e sicuro di sé corse dietro ai compagni, diretto alla sua classe.
Nina si lasciò scappare un altro sorriso, poi cercò di riacquistare un'espressione dignitosa e meno trasognata e tornò dentro l'ufficio del preside. Sì, adesso sarebbe stata pronta a qualsiasi cosa.
«Accidenti, quei ragazzi sono così pieni di passione!» esclamò Midnight col viso arrossato e lo sguardo emozionato. Non c'era niente al mondo che la esaltasse più che vedere il fuoco dentro le persone e quei ragazzini ne avevano da vendere. «Vado a fotocopiare i documenti!» disse come se fosse stata la più grande avventura della sua vita e si allontanò a grandi passi. Nina ridacchiò, divertita da quel siparietto, ma prima di rientrare si concesse un ultimo sguardo in direzione dei ragazzini che adesso scomparivano dietro un angolo, diretti nella propria aula. Sorrise ancora e infine a testa bassa si preparò ad affrontare qualsiasi cosa.

No, you don't know what its like
When nothing feels alright
You don't know what its like to be like me
To be hurt, to feel lost
To be left out in the dark
To be kicked when you're down
To feel like you've been pushed around
To be on the edge of breaking down
And no one there to save you
No you don't know what its like
Welcome to my life

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Capitolo 16
*** Try not to love you, Nickelback ***


"Try not to love you”, Nickelback





Il vento sul tetto della scuola spirava più forte che altrove, forse complice la sua altezza o forse la vicinanza del mare. In effetti lassù riusciva a percepire in maniera molto flebile anche il suo odore salmastro: dopo le lezioni di quel pomeriggio avrebbe dovuto farci un salto. Ricordava che c'era una spiaggia bellissima, dove passeggiava spesso insieme a Toshinori e dove si fermavano per guardare le stelle la sera. Era molto romantico e anche se lui non lo ammetteva mai, era quasi più entusiasta di lei nell'andarci qualche volta. Chissà se ancora le coppie di innamorati la decoravano come ricordava.
Sentì la porta aprirsi alle sue spalle, ma non si voltò a vedere chi altro fosse andato lassù a cercar rifugio. Preferiva continuare a perdere lo sguardo oltre i palazzi, cercando il mare sulla linea dell'orizzonte.
«Ti piace ancora molto, stare quassù» disse All Might, raggiungendola e mettendosi al suo fianco, con le mani sulla ringhiera.
«Si ha una completa visuale della città, da l'impressione di essere il protettore di tutto ciò che si vede».
«O il burattinaio sul tetto del palcoscenico» disse lui e il paragone fece sorridere Nina, che dopo un'attenta riflessione confermò: «O il burattinaio che doma sulla scena, sì, esatto».
Sospirando si voltò di spalle e con uno piccolo slancio saltò sulla ringhiera, sedendocisi sopra. «Beh, il burattinaio andrà in ferie per un po'. Il giovane Pinocchio potrà sentirsi libero di fare quello che vuole nei prossimi mesi» disse, sistemandosi sulla sottile striscia di metallo. All Might d'istinto scattò verso di lei, ma si trattenne dal prenderla e farla scendere, limitandosi a guardarla con preoccupazione. «Cosa c'è?» chiese Nina, provocatoria. «Non avrai paura che io caschi, vero?»
«Solo...» balbettò lui, rendendosi conto che non era più nelle condizioni di darle ordini o preoccuparsi troppo per lei. Era adulta, ormai, sapeva badare a se stessa e lui aveva accettato di perderla di vista circa vent’anni prima. Voler tornare a vegliare su di lei fino a quel punto era alquanto ridicolo. «Solo fai attenzione», balbettò, sforzandosi di tornare al suo posto. Non avrebbe smesso di stare teso per tutta la durata della conversazione, fintanto che non l'avesse vista scendere da lì.
«Certo che è alto quassù» disse lei, con tono palesemente provocatorio, affacciandosi verso l'esterno per vedere il terreno almeno venti piani più in basso. All Might non rispose, ma la guardò sempre più terrorizzato e sempre più agitato. Lo stava facendo apposta, era da lei e la cosa lo mandava su tutte le furie. Perché si divertiva a giocare tanto con le persone?
«Toh, guarda! Yamada!» e sporta all'indietro, lasciò andare la ringhiera con una mano per allungarla nel vuoto e salutare l'uomo nel cortile. Questo ovviamente le causò una perdita dell'equilibrio e con un urlo cadde all'indietro, nel vuoto.
«Machiko!» si allarmò Toshinori, affacciandosi nel punto in cui era caduta, pronto a prenderla al volo. Con sorpresa -o forse avrebbe dovuto aspettarselo- la trovò perfettamente indenne. Si teneva alla ringhiera con le gambe e si aiutava a non cadere nel vuoto usando uno dei suoi fili che aveva usato per arpionare il collo di Toshinori stesso nell'istante in cui si era affacciato.
Sospirò sollevato e affranto allo stesso tempo, mentre lei se la rideva divertita, appesa a testa in giù come un salame. Afferrò il suo filo invisibile e la tirò su, facendola tornare a sedere sulla ringhiera.
«Scemo» sussurrò lei, una volta tornata col volto alla sua stessa altezza, e gli diede un buffetto sul naso. «Grazie però per essere corso ad aiutarmi».
«Mi stavi mettendo alla prova?» chiese lui, storcendo il naso.
«Nah. Volevo solo fartela fare nei pantaloni, in ricordo dei vecchi tempi».
«Accidenti, mi hai fatto spaventare» ammise lui con un sospiro e la confessione fece ridacchiare Nina, divertita e forse sotto sotto soddisfatta. La osservò mentre rideva di lui, eppure tanto divertita, tanto innocente e ancora una volta ebbe l'impressione di trovarsi di fronte la ragazza di un tempo. Quel sorriso splendeva più del sole stesso, non c'era volta in cui non riuscisse a non riscaldarlo. Poteva perfino perdonarle bravate come quelle appena commesse, se lei sorrideva così. Quanto ne aveva sentito la mancanza.
«Comunque, ero venuto a dirti che ho parlato con Tsukauchi» disse, facendo un passo indietro, ma restando al suo fianco, incapace di star tranquillo nel vederla in bilico su quella ringhiera della morte. «Ha detto che forse riuscirà a mascherare certi aspetti e fare in modo che tu non ne prenda troppe colpe. Cercherà di sottolineare la pericolosità della situazione, lo stato d'emergenza, il ritardo dei soccorsi... insomma, forse riuscirà a non farti sospendere la licenza».
«Hai chiesto al tuo amico poliziotto di modificare la realtà dei fatti per proteggermi?» chiese Machiko, alzando le sopracciglia. Un altro sorriso divertito, mentre Toshinori cominciava a capire dove volesse andare a parare e cercava di non cedere all’imbarazzo. «Hai infranto la legge per me, accidenti che mascalzone! Che ne sarebbe della tua reputazione se si venisse a sapere» lo canzonò lei.
«Nessuna infrazione! È che alcuni dettagli non sono chiari... e possiamo sottolineare alcune cose rispetto ad altre... non ho fatto niente di sbagliato» e in tutta risposta si beccò un delicato pugno dritto in testa. Niente di violento, solo un gesto simbolico a volerlo rimproverare. «Sei un idiota! Che fine ha fatto il tuo senso di giustizia?»
«Mi dispiace» balbettò, imbarazzato e questa volta fu Machiko a rivedere su quel viso il vecchio imbranato Toshinori di una volta.
«Mentire è una cosa che faccio io di solito, tu combatti per la giustizia. Non abbassarti al mio livello, non ti fa onore» e lo colpì ancora, ripetutamente, con l'intensità che avrebbe potuto avere nello sbattere un uovo per la colazione.
«Non è vero che hai dato tu l'autorizzazione, vero?» chiese lui dopo qualche secondo di riflessione, ignorando i colpi che continuavano ad arrivargli in testa. Machiko si fermò e lo guardò in viso qualche secondo, prima di ammettere, tornando a guardare il mondo oltre la ringhiera, alla sua sinistra: «No, è vero. I ragazzi hanno fatto di testa loro. La mia autorizzazione l'hanno avuta solo quando ci siamo trovati di fronte il rinoceronte» ammise con tranquillità, sapendo che non sarebbe stato certo lui a tradirli tutti e metterli nei guai, dicendo la verità.
«È per questo che Kirishima ti ha ringraziato in quel modo» osservò lui.
«Sì, credo che sia per quello».
«Credo ti si stiano affezionando» osservò lui, imitandola e volgendo lo sguardo alla città oltre la sua spalla. «Quando te ne andrai sarà un duro colpo per tutti».
«Per tutti?» chiese lei, lanciandogli uno sguardo enigmatico che lo fece arrossire. Metteva nel mezzo anche lui? Stava parlando dei ragazzi, cosa c'entrava lui. Eppure... non riuscì a negarlo. «No, non per tutti» sospirò lei, tornando a guardare la città. «Uno dei ragazzi è andato a dire al preside quello che ho fatto ieri a Bakugou, condendo il tutto con una serie di "è una persona cattiva" "ci terrorizza" e "ci bullizza"».
«Ha ragione!» si affrettò a confermare lui, facendo scattare i nervi a Machiko che lo fulminò con un: «Scusa?!»
«Ma è il tuo modo di fare, non ci si può fare niente» alzò le spalle. «Non sono riuscito a cambiarti nemmeno io».
«Questo non è vero» confessò lei. «Hai fatto molto più di quello che credi».
E Toshinori non seppe se prendere la confessione in positivo o in negativo, visto come le cose si erano chiuse tra loro. Il suo viso restava imperscrutabile in certi momenti, quando si immergeva nei pensieri e non riusciva mai a capire se fosse felice o meno. Sapeva solo che in quei momenti non desiderava altro che abbracciarla ed eliminare quell'espressione dal suo viso. Preferiva il suo luminoso sorriso, preferiva il suo sorriso in qualsiasi momento della sua vita.
«Comunque, se proprio volevi fare qualcosa per me saresti potuto intervenire ieri quando Nezu mi ha preso per i capelli per questa storia! Hai deciso di mettere mano alla faccenda meno importante».
«Non mi pare che la sospensione della tua licenza sia meno importante che un richiamo».
«In questo momento lo è».
«E io come facevo a saperlo, scusa?» si lamentò lui.
«Tu sei stato testimone, perché non c'eri ieri sera?» un leggero astio nella voce, lo trafisse. Come avrebbe potuto confessarle il suo segreto in un momento come quello? Con che coraggio le avrebbe rivelato che non era più quello di una volta, che aveva perso tutta la sua forza e che il giorno prima aveva finito il tempo a disposizione durante la lezione a cui gli aveva chiesto di partecipare? Come poteva ammettere che non aveva il coraggio di mostrarsi a lei in quelle orribili condizioni, intimorito all'idea che avesse potuto disprezzarlo e magari anche ritenerlo ripugnante? Sembrava tenere così cara l'immagine del vecchio e affascinante Toshinori, come poteva deluderla?
La verità era solo che non avrebbe potuto sopportare di vederla delusa da lui, ancora una volta.
«Ho avuto qualche impegno» mentì, non riuscendo ad ammettere che in realtà era rimasto chiuso nella stanza a lui designata, che riprendeva le forze per poter tornare ad assumere quella forma il giorno dopo e poter stare un altro po' in sua compagnia, senza vergognarsi. Perché era quello che portava dentro... solo tanta vergogna e paura.
«Tu hai sempre qualche impegno» mormorò Machiko, assottigliando gli occhi rancorosa. Non riuscì a rispondere, soffocato da un dolore all'altezza del petto a cui non poteva dare voce. Come poteva darle torto? Stava tornando a commettere gli stessi errori di una volta... e pensare che l'aveva fatta venire fin lì solo per poterle chiedere perdono. O almeno così credeva. Non aveva ancora ben chiaro nemmeno lui perché quel giorno, dopo averla sentita dire all'intervista che sarebbe tornata a Tokyo, aveva chiesto al preside di scriverle e permetterle di venire per quel corso di cui si era assolutamente inventato il nome. Certo, era stata una buona idea, inizialmente l'aveva fatto in nome dei suoi ragazzi, poi si era giustificato dicendo che sarebbe stato utile per il giovane Midoriya imparare qualcosa sui limiti. Aveva anche pensato che fosse giusto per lei, che era stata presente alla nascita di All Might, assistere anche alla sua fine, renderla partecipe di ciò che stava accadendo. E ora era arrivato alla conclusione che forse il suo era solo il desiderio di redenzione che per vent'anni l'aveva attanagliato e che, adesso, alla fine della sua carriera, non aveva più tempo per rimandare e avrebbe dovuto assolvere quanto prima. Un procrastinare che era arrivato al punto decisivo, ma ancora commetteva gli stessi errori.
«Mi dispiace» lo sorprese Machiko, con un sospiro. «Scusami, non avrei dovuto dirti così. È che tornare alla Yuuei mi ha fatto tornare in mente tanti di quei ricordi che a volte fatico a gestirli e mi lascio travolgere, dimenticandomi di tutta la strada che ho fatto per arrivare qui. Non ce l'ho con te, dico sul serio. Scusami, avrai avuto sicuramente da fare qualcosa di meglio che continuare a correre dietro alla solita ragazzina che si caccia nei guai e non riesce a risolverseli da sola» ridacchiò, cercando di sdrammatizzare.
«Machiko» mormorò lui, non sapendo cos'altro dire. Ancora quel dolore e ancora quel folle desiderio di stringerla a sé. Avrebbe voluto urlarlo, che non era colpa sua, ma che stava continuando a sbagliare lui. Che non aveva niente di cui sentirsi colpevole. Avrebbe voluto urlare che non aveva mai smesso di pensare a lei, neanche per un istante e che tra tutti gli errori commessi nella sua lunga vita quello era l'unico che non riuscisse ancora a perdonarsi. Ma con quale coraggio avrebbe ammesso una cosa simile, dopo averla fatta soffrire così. Il suo dolore meritava di essere rispettato, non poteva distruggerlo con una scusa vecchia ormai vent'anni. Avrebbe avuto tutto il diritto di odiarlo definitivamente se dopo averla vista soffrire così tanto per permettergli di realizzare il suo sogno, le avesse egoisticamente ammesso che in realtà l'avrebbe voluta avere con sè.
"Esci dalla mia vita" gli aveva urlato ed era quello che avrebbe dovuto fare.
«All Might» lo richiamò lei, con tono quasi scocciato. «Pensare troppo ti fa venire tutte le rughe qua sopra» disse, posandogli la punta del dito tra le sopracciglia. «E il tuo sorriso diventa inquietante, invece che rassicurante. Smettila, ok? O mi metto a urlare per la paura».
«S-Scusa» balbettò imbarazzato, rendendosi conto di come quelle sue riflessioni e titubanze fossero durate più del previsto.
«Imbranato» lo canzonò Machiko. «Hai visto, piuttosto, come ho risolto la faccenda Bakugou? Te l'avevo detto che tornava» ridacchiò orgogliosa, sforzandosi palesemente di cambiare discorso nel tentativo di trascinarlo via dai suoi pensieri... qualunque essi fossero.
«Hai una nuova marionetta tutta per te, adesso» disse lui.
«Smettila! Così mi fai passare per un mostro!» si imbronciò e questo riuscì a farlo ridere di nuovo. «Sei stata brava. Ma vedremo d'ora in poi come andranno le cose, il giovane Bakugou è difficile da domare».
«Lo so benissimo, ma ehy! Non vi dovete preoccupare!» disse gonfiando la voce, cercando di imitare quella di un uomo. E sapeva bene a quale uomo si riferiva. Gonfiò il petto e proseguì: «Perché adesso ci sono qua io! È tutto All Might!» e alzò le dita in segno di vittoria. Toshinori scoppiò a ridere per l'imitazione perfetta che Machiko gli aveva fatto, aggiungendoci quel pizzico di ironia in fondo che richiamava l'origine del suo nome, e Machiko non resse molto prima di scoppiare a ridere a sua volta. Una risata tanto spensierata, tanto leggera e felice non riuscivano ad averla da così tanto tempo che sembrò caricarsi di tutti quegli anni in cui era rimasta soffocata nel petto. E li liberò, li liberò così tanto da far a entrambi venire le lacrime agli occhi, così tanto che fu perfino udibile un paio di piani sotto di loro, attraverso le finestre. Non gliene importò niente, volevano solo ridere.
Machiko ispirò profondamente, cercando di riprendere fiato, ma questo le costò l'equilibrio e per quella volta sul serio. L'espressione terrorizzata sul suo volto ne fu la prova. Cadde all'indietro, ma ebbe la fortuna che Toshinori fosse lì di fianco a lei e si fosse lanciato in avanti per afferrarle il braccio. Si aggrappò al colletto della sua camicia e tirandosi su di colpo, aiutata dalla potenza con cui Toshinori, con lo stesso panico, l'aveva tirata, finì letteralmente schiacciata al suo petto. Il cuore che pulsava nel petto di entrambi come impazzito, per la paura della caduta, si dissero, ma perché allora ora che era salva non si calmava? I loro visi talmente vicini da far sfiorare la punta dei loro nasi, talmente vicini da poter sentire il profumo l'uno dell'altro. Faceva girare la testa, o erano le vertigini per l'altezza? E quel calore... il calore della propria pelle e il riflesso dei propri occhi in quelli dell'altro. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quello, eppure non riuscirono a lasciarlo andare.
«Dunque è questo si prova ad essere salvata dall'eroe più grande del mondo» sussurrò Machiko, non riuscendo a staccare il proprio sguardo dagli occhi dell'uomo. Il fiato rotto, non la faceva respirare.
«Ti avevo detto che poteva essere pericoloso. Perché non mi ascolti mai?» disse lui, intrappolato nello stesso incantesimo. Machiko strinse il colletto dell'uomo tra le dita, quasi volesse impedirgli di scappare via, e senza rendersene conto si avvicinò lentamente, attirata dal quel folle desiderio che adesso le annebbiava la mente. Le sue labbra erano ancora quelle di una volta?
Socchiuse gli occhi e si lasciò stringere le spalle dall'enorme braccio dell'uomo, che sembrava si stesse ponendo la sua stessa domanda. Dovevano scoprirlo, dovevano scoprirsi, dimentichi di ogni cosa. Dimentichi di chi fossero e cosa li avesse portati lì. Dovevano solo rispondere a quella semplice e soffocante domanda.
Si sfiorarono, respirandosi, ma l'incantesimo si ruppe con il rumore della porta del tetto che si spalancava. Riaprirono gli occhi e si guardarono, confusi e in preda alla paura: che stava accadendo? Si voltarono a guardare chi fosse arrivato e videro sulla porta, con la bocca spalancata e il corpo pietrificato, un ragazzino mai visto prima. Ma la divisa non lasciava dubbi: era uno studente di quella scuola.
«Ahh...» riuscì solo a dire, forse nel vano tentativo di pronunciare il nome dell'eroe, ma lo shock gli impediva di prendere un vero possesso delle corde vocali. Dietro di lui una ragazza li osservò a lungo, prima di strabuzzare gli occhi e spalancare la bocca emozionata. Con la rapidità di una faina afferrò il compagno davanti a sé e lo trascinò via, dimenticandosi perfino la porta aperta.
«Cacchio» mormorò Toshinori, pallido in volto, rendendosi conto di ciò che era appena successo.
«Chi era?» chiese Machiko, perplessa.
«Uno studente di terza... credo».
«Quanto credi che ci metterà a farlo sapere a tutta la scuola?»
«Temo sia già troppo tardi».
«Accidenti!» si stupì Nina, ma non si agitò troppo. «Beh» disse, scivolando via dalle braccia di Toshinori e scendendo dalla ringhiera. Ora che aveva ripreso il controllo della situazione e di sé, si rendeva conto che più rimaneva vicino a lui più sarebbe impazzita. Doveva allontanarsi quanto prima, anche per poter razionalizzare quanto era appena successo. Aveva urgenza di andarsene, fintanto che riusciva a mantenere la calma, o il cuore sarebbe esploso e lei non ci avrebbe fatto una bella figura.
«La cosa non mi tange, io me ne vado oltreoceano tra poco più di una settimana! Sono affaracci tuoi!» ridacchiò, vedendolo rabbrividire. Lei avrebbe dovuto sopportare pettegolezzi e punzecchiature da parte dei ragazzini giusto per quel tempo necessario, lui se li sarebbe portati nella tomba molto probabilmente.
Nina fece i primi passi verso la porta che già cominciava a sentire le gambe cedere, mentre prendeva pian piano consapevolezza. Aveva ceduto. Erano bastati pochi secondi, poche chiacchiere, un paio di risate e di scherzi e la nostalgia l'aveva completamente soffocata, trascinandola in quel gesto che mai si sarebbe aspettata di compiere.
L'aveva superato, ne era stata certa fino a pochi istanti prima. Il calore della sua pelle, la forza delle sue braccia che la stringevano, che l'avvolgevano come un bozzolo sicuro, il suo profumo e tutti quegli anni erano stati spazzati via, insieme a tutto il lavoro che aveva fatto per riuscire a tornare ad essere felice. Si erano quasi baciati. Non erano riusciti a toccarsi completamente, interrotti nel peggiore dei momenti, ma anche se c'era stato quell'inconveniente ormai il passo era stato fatto, le intenzioni chiarificate: non erano ancora riusciti a dirsi addio.
Doveva dire qualcosa, non poteva lasciare tutto lì, su quel tetto, senza una conclusione. Sarebbe stato terribile. Doveva chiudere il cerchio, uscirne nel migliore dei modi e poter tornare a vivere il resto della sua settimana di vacanza in totale serenità, senza struggersi su cosa avrebbe fatto o detto d'ora in avanti. Andarsene da quel tetto senza dire niente, sarebbe stata la soluzione peggiore.
«Comunque» cominciò, cercando di rimettere insieme i pensieri. Impossibile, sfuggivano come cavallette. Cosa doveva dire? «La vecchiaia ti ha reso audace, All Might. Avresti almeno potuto prima invitarmi a cena. Quanta avventatezza» ridacchiò, facendogli un occhiolino malizioso. Buttarsi sull'ironia era l'unico modo che conosceva per gestire situazioni come quelle, per nascondere tutto ciò che aveva dentro dietro a un velo di freddezza e sicurezza apparente e fragile, ma funzionale. La proteggeva, e lei aveva tanto bisogno di essere protetta.
Ciò che non aveva previsto però era che All Might, anche se più saggio e con tanti anni d'esperienza alle spalle, era sempre Toshinori. Il grandissimo imbranato Toshinori che non era in grado di controllare certe situazioni e ne usciva sempre rotolando, arrancando e cadendo in qualche modo stupido e imbarazzante.
«Hai impegni per questa sera?» le chiese istintivamente, balbettando come un ragazzino. L'imbranato e stupido Toshinori.
Di male in peggio, la situazione era decisamente tragica. L'aveva davvero invitata a uscire? Era veramente così idiota da non capire il guaio che stava combinando? Sempre più agitata, sempre più confusa, Nina cercò nuovamente rifugio nell'ironia: «Ti farò sapere dopo aver controllato la mia agenda. Sono una donna molto impegnata, lo sai» sghignazzò e prima che potesse dargli tempo di fare altri danni, rientrò nella scuola e si richiuse rapidamente la porta alle spalle.
Fece un gran sospiro per tranquillizzarsi e si portò una mano al petto, come se avesse potuto fermare con la forza quel battito così violento. Cominciava a capire: tutti quei sentimenti, quelle paure, quei tremori non erano quelli di chi scappava dal proprio passato, non erano quelli di chi tentava di nuotarci contro, fuggendo da un amore concluso tragicamente. Erano quelli di chi, in quel tragico amore, ci stava di nuovo sguazzando con tutti i vestiti.
Un tuffo nel passato, sarebbe bastato affrontare tutto col sorriso e avrebbe potuto dimostrare a se stessa che, sì, ce l'aveva fatta a vincerlo. Che era diventata forte, che era cresciuta e che aveva finalmente vinto contro la vita, decisa ad essere felice con quello che le era stato concesso.
E invece quel maledetto passato la stava risucchiando, smentendola, trascinandola a picco.
Si portò le mani alla testa, lo sguardo impanicato, i capelli serrati tra le dita e l'espressione di chi ha commesso l'errore più grande della propria vita, ignorando che dall'altro lato della porta anche Toshinori stava vivendo esattamente la stessa situazione di panico.
«Ma che diavolo sto facendo?»


But if there’s a pill to help me forget,
God knows I haven't found it yet
But I'm dying to, God I'm trying to
'Cause trying not to love you, only goes so far
Trying not to need you, is tearing me apart
Can't see the silver lining, from down here on the floor
And I just keep on trying, but I don't know what for

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Capitolo 17
*** Distance, Christina Perri & Jason Mraz ***


"Distance", Christina Perri & Jason Mraz







«A domani, allora!» gridò Machiko, finendo di prendere le sue cose dall'armadietto. Ripose alcuni documenti in una borsa, sistemò il proprio costume da eroina insieme alle scarpe, e infine prese la giacca. L'inverno ormai era arrivato con una cattiveria che ancora la ragazza non si spiegava. Le temperature erano scese così rapidamente che nessuno si era salvato dal raffreddore. Lei ci era appena uscita e non aveva nessuna intenzione di ritornarci: pattugliare le strade e combattere il crimine con il naso gocciolante non era carino, senza considerare quanto fosse scomodo ogni tanto prendersi qualche istante per soffiarsi il naso. Era orribile e l'avrebbe combattuto con tutte le armi che aveva. Sciarpa fin sopra il naso, guanti, cappello, stivali imbottiti ed era pronta per uscire dall'agenzia, diretta a casa. Si chiuse l'ultimo bottone con meticolosità e infine si caricò la pesante borsa sulla spalla.
«Ciao!» salutò definitivamente, uscendo dalla porta principale.
«Eccomi qua!» la voce potente e improvvisa di Toshinori al suo fianco la fece saltare come un gatto, colta dalla paura. Si voltò e fulminò l'uomo con tutta la rabbia che i suoi occhi erano in grado di esprimere... ed era un lavoro che sapevano fare molto bene.
Toshinori rabbrividì e sapeva che il freddo quella volta c'entrava ben poco. Si strinse nel suo cappottone blu, infossando il volto nella sciarpa gialla che teneva ben avvolta sul collo, anche lui in guerra con quel freddo criminale.
Si era ingrossato molto negli ultimi tempi, gli allenamenti di Nana e poi di Gran Torino avevano avuto effetti graduali, ma da quando Toshinori si era diplomato e aveva cominciato a lavorare seriamente c'era stata una vera e propria esplosione nel fisico, fino a portarlo a quell'enorme stazza che superava i due metri e duecento chili di massa muscolare. Ciò nonostante, bastava quello scriccioletto -che adesso risultava ancora più piccola, di fianco a lui- per farlo tremare come nessun criminale fosse mai riuscito prima.
«Non so perché ma sto avendo paura di morire» mormorò, rannicchiandosi come poteva.
«Non comparirmi alle spalle in questo modo!» lo rimproverò Machiko. «E soprattutto non c'è bisogno di urlare se sono vicina a te! Ho seriamente rischiato l'infarto!»
«Scusa» balbettò, unendo le mani di fronte al viso. Machiko continuò a fissarlo con rabbia, decisa a non rivolgergli la parola. Ma c'era qualcosa che doveva assolutamente chiedergli, anche a discapito dell'orgoglio e della rabbia: «Che diamine hai fatto ai capelli?»
Chiese, fissando poco convinta quei due ciuffi che gli partivano dalla fronte e si sollevavano decisi verso il cielo.
«Li hai notati? Hanno cominciato a ridursi così per conto loro già da qualche tempo, bastava una corsetta più veloce delle altre e paf! Il vento li tirava su come due canne da pesca! Guardandomi a una vetrina proprio ieri ho notato come prendessero sempre la stessa forma a "V" come l'iniziale della parola "vittoria!"».
«E quindi adesso li lasci così?» chiese Machiko.
«Ti piacciono?» chiese lui, luminoso ed entusiasta della sua trovata.
«Per niente. Sei ridicolo» disse e gli voltò le spalle, lasciandolo crogiolare nella sua disperazione. Afferrò la punta dei propri ciuffi e timidamente li tirò verso il basso, cercando di rimetterli al loro posto, considerando l'idea di lasciar perdere con quella nuova acconciatura, anche se aveva creduto potesse essere davvero figa. Guardò Machiko allontanarsi e ripresosi velocemente dalla delusione di quell'enorme rifiuto, le corse dietro.
«Macchan?» le chiese, camminandole a fianco senza essere manco guardato. Non gli rivolgeva nemmeno lo sguardo, la situazione era più tragica di quanto avesse pensato. «Ti vanno i Taiyaki?»
«Strozzatici!» disse Machiko con cattiveria. Se nemmeno i Taiyaki riuscivano a calmarla era proprio una situazione disperata: avrebbe dovuto risolvere il prima possibile. Non sopportava vederla arrabbiata con lui e non sopportava l'idea che potesse addirittura decidere di lasciarlo. Stavano insieme ormai da un anno, dopo un'intera infanzia passata a fianco a lei, Machiko era diventata un pilastro fondamentale della sua vita. Se se ne fosse andata, sarebbe crollato a pezzi.
«Aspetta» balbettò, cercando di piazzarsi di fronte a lei per impedirle di andarsene e poter così parlare. Dovevano parlare, doveva risolvere quella faccenda ad ogni costo.
Machiko continuò a fissarlo come un animale rabbioso, intimorendolo, e cercò di schivarlo per poter passare a tutti i costi. Ma lui era troppo grosso e troppo veloce per permetterle di trovare una via di fuga libera.
«Mettiti a dieta, ciccione!» ringhiò, irritata dal fatto che occupasse metà della via e facesse meno fatica rispetto a lei per muoversi e bloccarle la strada.
«Ma perché mi fai questo?» piagnucolò lui, ancora ferito nell'animo. Sapevano benissimo tutti e due che quella era solo massa muscolare, non aveva addosso un filo di grasso, era in forma smagliante, ma Machiko preferiva mentire pur di ferirlo.
«Perché sei uno stupido, Toshinori. Ecco perché!»
«È per la faccenda di ieri, giusto?» provò a chiedere, immaginando già la risposta.
«Perspicace! Complimenti!» ringhiò lei.
«Mi dispiace! Quante volte vuoi che te lo ripeta?» chiese unendo nuovamente le mani davanti al viso.
«Nemmeno una volta! Non mi interessano le tue scuse, devi solo morire strozzato da quella stupida sciarpa che hai intorno al collo!»
«Dai, cerca di tranquillizzarti. Augurarmi la morte non ti fa onore».
«Perché tu sei il paladino della giustizia e questo allora fa di me la cattiva? Bene! Prendimi per cattiva, allora» urlò. «Perché è ovvio che desiderare di avere al proprio fianco il proprio fidanzato durante una competitiva gara di canto, con in palio addirittura un premio, è un comportamento da vera criminale!»
«Avevano bisogno di me!» provò a giustificarsi lui.
«Avevano bisogno degli eroi che in quel momento erano in servizio! Non ho sentito nessuna voce chiamare All Might, solo una ragazza che chiamava un aiuto generico».
«Stava venendo violentata!» cominciò ad alterarsi anche lui, non riuscendo a capire perché avesse dovuto prendersela tanto. Era una situazione d'emergenza, come poteva paragonarla alla sua gara? Lui era simbolo della pace, doveva far in modo che il mondo lo sapesse, doveva essere sempre presente o non sarebbe riuscito a dar vita al suo sogno!
«Due isolati più indietro c'era BlueHead! È arrivato sul luogo solo cinque secondi dopo di te, poteva salvarla lui! Perché mi hai dovuto piantare in asso e correre tu, che non eri nemmeno in servizio oltretutto! Avevi promesso di esserci!»
«Oh, andiamo! Era pieno di gente e tu sul palco ci saresti salita da sola, sarei rimasto tutta la sera mescolato al resto del pubblico e tu non avresti nemmeno fatto caso a me! Che differenza faceva se c'ero o meno?»
Il silenzio che calò dopo quell'ultima domanda fece sentire la sua pesantezza. Lo stupore negli occhi di Machiko incontravano il panico in quelli di Toshinori.
«Oh no» mormorò lui, rendendosi conto dell'errore commesso.
«Già» disse lei, con la voce rotta dal dolore. «Che differenza fa se ci sei o meno».
«Macchan» balbettò, guardando la ragazza che gli passava a fianco e si allontanava. Gli occhi lucidi avevano trattenuto le lacrime troppo a lungo e avevano bisogno di un posto sicuro dove potersi sfogare. Si abbassò il cappellino sul viso, infossò il volto nella sciarpa e finalmente parzialmente nascosta potè lasciarle libere di scivolare su quella piccola porzione di guancia lasciata scoperta. Si strinse in se stessa, serrando le dita sulla bretella della borsa, e accelerò il passo. Voleva andarsene quanto prima, liberarsi di quel dolore, restare sola.
Si sentì avvolgere dalle braccia di Toshinori all'altezza della vita e prima che potesse rendersene conto e reagire l'uomo l'aveva sollevata da terra, per impedirle di camminare oltre. La strinse a sé immergendo il viso nei suoi capelli. Machiko cominciò a scalciare e provò a usare quella misera forza che aveva per liberarsi da quella presa, dimenandosi come un anguilla.
«Lasciami! Non hai diritto di usare la tua forza su di me! Maledetto maleducato senza cervello! Mettimi giù, hai sentito? Ti ammazzo, giuro che lo faccio! Porrò fine io stessa con le mie mani al simbolo della pace, te lo assicuro. Mollami, imbecille!» continuò a ripetere, sempre più furiosa, sempre più frustrata, sempre più inutilmente. Era come combattere contro un muro, lo odiava quando faceva così. Ma lui non poteva lasciarla andare, lo sentiva, lo torturava nel petto... non poteva perderla. Sarebbe crollato.
«Machiko» lo sentì mormorare addolorato, immerso nei suoi capelli. «Ti amo».
Lo odiava così tanto quando faceva così, quando riusciva ad essere così travolgente da abbattere ogni muro gli si parasse davanti con la forza di un vero eroe storico. Perfino il muro della sua rabbia, lasciando entrare dentro lei la gioia di un amore che poteva stringere in qualsiasi momento, a discapito di ogni ostacolo. Un sorriso nacque nascosto dalla sua sciarpa, un timido sorriso che non seppe trattenere, sommerso da lacrime dal sapore così diverso da quelle versate fino a quel momento. Era così dolce e amaro allo stesso tempo.
«Sei un idiota» sussurrò, ma non c'era più rabbia, solo tanta emozione che, odiava ammetterlo, riusciva sempre a farle provare in un modo o in un altro. Solo un idiota come lui poteva farsi perdonare con così poco, solo un idiota come lui riusciva a farsi amare nonostante tutto.
«Sono un completo idiota» ripeté lui, vagamente divertito, capendo di essere riuscito nel suo intento ed essere riuscito a riprendersela. Temeva così tanto di vederla sfuggire dalle mani, la sua colonna portante, la sua forza, il suo sorriso. Tutto nasceva da lei. Se se ne fosse andata... cosa ne sarebbe rimasto?
«Mi puoi mettere giù, adesso, per favore?» chiese Machiko. Poche azioni, poche parole e tutto era tornato come prima. Come riusciva a farle quell'effetto? Come riusciva ad essere così fondamentale nella sua vita?
«Solo se accetti di venire a cena con me» sorrise lui, sbucando dalla sua spalla. Doveva farsi perdonare e sapeva che il modo migliore era prendere la ragazza per la gola.
«Solo se mi porti a mangiare della carne!»
«Accidenti, quanto mi costa questo perdono!» sobbalzò lui, contando già i propri soldi nel portafoglio.
«Affari tuoi! La prossima volta ci pensi due volte prima di farmi arrabbiare!» disse Machiko, orgogliosa. Finalmente coi piedi per terra, potè riprendere padronanza di sé. Si voltò e, impulsiva come sempre, con una forza che solo lei aveva, afferrò Toshinori per la sciarpa, costringendolo a scendere alla sua altezza. Fece il possibile per utilizzare la punta dei propri piedi e finalmente superò tutti quei centimetri di differenza, arrivando al suo viso. Una mano dietro la nuca, le braccia del ragazzo sulle sue spalle e finalmente le loro labbra poterono incontrarsi, scaldandosi a vicenda contro quel gelido inverno dei loro vent'anni.
«Prometti che non mi lascerai mai sola» sussurrò lei, staccandosi il necessario a poter parlare.
«Lo prometto».
Ci aveva creduto davvero. Ci credeva tutte le volte.


«Non so, Machiko» mormorò Akane, cercando il fondo del suo gelato col lungo cucchiaino. Quel rivolo di cioccolato e succo di fragola che non voleva saperne a risalire, per arrivare alla sua bocca. Al fianco del tavolino, Nobuo, steso nel passeggino, sonnecchiava già da qualche minuto, con ancora la faccia sporca di cioccolato. Non aveva osato pulirlo, impaurita all'idea che si svegliasse: preferiva lasciarlo un po' sporco, che tenerlo nervoso per il resto del pomeriggio perché non era riuscito a riposare un po'. Machiko, seduta di fronte a lei, teneva già da un po' lo sguardo immerso nel traffico fuori dal café dove si erano rifugiate quel tardo pomeriggio, oltre la vetrina. Così pensierosa, così fragile, nonostante fossero passati più di vent'anni in cui avrebbe potuto imparare a rafforzarsi, ispessire quella corazza in grado di proteggerla da simili attacchi. Ma non c'era muro che All Might sembrasse non essere in grado di sfondare, persino uno tirato su con sudore e fatica per tanti anni, a regola d'arte e con gli strumenti necessari a contrastare lui particolarmente.
«Odio contraddirti, ma non posso non essere sincera: non credo che tu stia facendo la cosa giusta» ammise Akane, sentendosi un po' in colpa per non riuscire a sostenere la sua amica. Non quella volta.
«Non mi stai contraddicendo» mormorò lei, senza spostare lo sguardo da fuori.
«E allora perché hai accettato di uscire a cena con lui?» chiese Akane, un po' provocatoria. Se anche lei era tanto sveglia da capire quanto fosse sbagliato tornare a un contatto tanto stretto con quell'uomo, perché non poteva far a meno di corrergli incontro. Anche quello stesso viaggio, quello stesso incarico che aveva accettato alla Yuuei, tutto portava a pensare che lei non avesse aspettato altro da vent'anni e che non avesse fatto il benché minimo sforzo nel provare a difendersi. Tutto portava a pensare che non desiderasse altro che lanciarsi nuovamente tra le braccia di Toshinori.
«Non ho accettato» si affrettò a specificare Machiko. In fondo, non si erano più detti niente dopo quella mattina sul tetto, e quello certo non era stato un consenso.
«Sei andata a comprarti un vestito nuovo» le fece notare Akane con la rassegnazione sul volto. Mentiva a se stessa fino a quel punto.
«Insomma, una donna deve per forza avere un motivo per comprarsi un vestito nuovo?» ridacchiò Machiko, cercando invano di sembrare naturale. Ma la verità era talmente ovvia che non ci sarebbe stata giustificazione in grado di proteggerla. Arrossì, imbarazzata, e stringendosi nelle spalle tornò a fissare le macchine fuori dal locale.
«Ti farà soffrire ancora» disse dura, Akane, preferendo tornare a concentrarsi sul suo gelato in fondo al bicchiere.
«Non ci voglio mica tornare insieme!» provò ancora a difendersi Machiko. «Sarà solo una cena... una normalissima cena tra colleghi».
«Ci finirai a letto» disse repentina Akane, sicura di quel finale, e questo fece sussultare Machiko: «Ma che dici?»
«Machiko! Lo sai meglio di me, non devo certo essere io a dirtelo! Non sapevi resistergli, qualsiasi torto ti facesse lo hai sempre perdonato solo perché faceva un po' il carino con te. Avevi completamente perso la testa!»
«No, non sempre» mormorò Machiko, nell'ombra di quell'ultimo giorno a Tokyo, il giorno che aveva preso quell'aereo per l'America. «E comunque è stato tanto tempo fa, le cose sono cambiate adesso».
«A me non sembra proprio» la punzecchiò Akane.
«Hai ragione, con la vecchiaia è diventato ancora più affascinante» disse, lasciando trapelare un pizzico di ironia a cui si aggrappò per rendere quell'affermazione meno seria di quanto fosse in realtà.
«Hai visto!» ringhiò Akane, puntandole un dito contro. Sospirò quando vide Machiko ridacchiare e preferì lasciare quell'affermazione dov'era, accettando la bugia che fosse veramente una battuta. «Senti... mi hai chiamata e mi hai chiesto di vederci perché avevi bisogno che qualcuno ti dicesse che stavi sbagliando tutto, ed è quello che sto facendo. Dentro di te è rimasto quel briciolo di risentimento e razionalità che ti ha permesso di prendere il telefono e chiedermi aiuto, cercalo quel lato di te, aggrappati alle ragioni che ti hanno spinto ad andare via perché sono sempre le stesse. Le cose non sono cambiate, Toshinori non sarà mai più quello di una volta, ora più che mai. Ti conosco, so bene cosa provi, non ho dimenticato lo sguardo che avevi in volto tutte le volte che stavi con lui o che ne parlavi. Non credere che io sia qui solo perché me l'hai chiesto tu, voglio davvero aiutarti. Hai fatto così tanto in questi anni, non distruggere tutto».
«Non ho intenzione di farlo» disse con una tale decisione nel volto che riuscì sorprendentemente a convincere Akane. «Tra poco più di una settimana ripartirò, tutto tornerà esattamente come prima e questo resterà solo una cartolina da ammirare e lasciare nel cassetto, insieme a tutte le altre cose del passato. Lo so, ed è quello che farò».
«E allora perché ti stai facendo del male?» chiese Akane. Non era sicura che fosse in grado di gestire qualcosa di così tanto grande, temeva che stesse sottovalutando la forza con cui quella situazione l'avrebbe travolta. O forse sopravvalutava la sua capacità di gestirla? In ogni caso, ne sarebbe uscita a pezzi.
«Toshinori è sempre stato egoista» disse muovendo la cannuccia del suo frappè all'interno del bicchiere, ancora pieno per metà. «Ha sempre messo il suo sogno prima di me, non credere che non ne sia consapevole. Quello stesso sogno adesso si è ampliato, è diventato collettivo, appartiene al mondo intero. Sono stata lasciata indietro, e mi sta bene così perché anche io ho avuto modo di costruirmi un piccolo mondo egoista tutto per me. Ho imparato ad essere egoista anche io e con quell'egoismo, ora, voglio solo prendermi quella fetta di torta che mi è stata concessa. Il mondo mi ha strappato via Toshinori dalle mani, io gliel'ho permesso, l'ho accettato, ma adesso che è stato lui a voltarsi e allungarsi a cercarmi... voglio solo riprendermelo per qualche giorno. Poi prometto di restituirlo, quando dovrò tornare al mio mondo. Voglio solo essere io l'egoista che porta via qualcosa agli altri, solo per un piccolo istante. Riprendermi ciò che mi apparteneva... forse solo per dimostrare a me stessa che posso essere ancora così forte e non sono stata battuta da nessuno. Solo per orgoglio».
Un discorso inattaccabile, cucito a regola d'arte per la sua figura, riportando a galla la Machiko che era stata un tempo, prima che Toshinori riuscisse a smussarne gli angoli. Lei era la burattinaia, non poteva accettare che i suoi burattini si ribellassero, forse era solo risentimento quello che si era portata appresso così tanti anni, il risentimento per non essere riuscita a domare i fili di un solo uomo. Toshinori era l'unica marionetta che non gli era mai appartenuta e ora che sentiva i fili tendersi voleva dimostrare che non era così, che lei poteva gestire anche quel palcoscenico. Un mero gesto egoista, di qualche attimo, solo a curare il proprio orgoglio.
Una giustificazione cucita a regola d'arte... eppure Akane non poteva far a meno di credere che nascoste su quella tela, dietro le toppe, ci fossero squarci in grado di strappare tutto da un momento a un altro. Avrebbe convinto chiunque, ma non chi la conosceva abbastanza da sapere che lei, la vera Machiko, non era mai stata poi così tanto forte come poteva far credere. Che era tutta mera finzione.
«Macchan» mormorò l'amica, affranta. «Ne uscirai a pezzi».
«No, forse n...» provò a dire Machiko, ma venne interrotta da una furiosa Akane: «E invece sì! Come è sempre stato! Come puoi aver dimenticato il male che ti ha fatto quel bastardo?»
«Non l'ho dimenticato» si affrettò a rispondere Machiko, intimorita per quelle parole così dure.
«E invece sì! Dannazione, guardati attorno. Non lo vedi? Non riesci a vedere il loop che stai ancora vivendo, per l'ennesima volta, anche a distanza di vent'anni non è cambiato affatto. Si comporta da stronzo, ti fa del male, ti fa addirittura piangere, poi risbuca con quel suo sorriso innocente, tante scuse, tanta dolcezza, un paio di Taiyaki ed ecco che ci ricaschi. Quel subdolo figlio di...»
«Akane!» provò a richiamarla Machiko, guardandosi attorno con imbarazzo. Tutti quegli schiamazzi stavano attirando troppo l'attenzione e lei doveva continuare a mantenere un profilo basso o avrebbe rischiato di trovarsi assediata da curiosoni e scocciatori.
«Prendi il telefono!» disse Akane, riuscendo a calmare un po' il tono, ma senza fermare l'enfasi con cui le stava facendo la ramanzina. «Adesso, sotto i miei occhi, voglio vederti telefonargli e disdire la cena di questa sera!»
«Ho il telefono spento, se lo accendo mi arrivano tutti i messaggi di Drew» confessò, cercando una scappatoia.
«Non ho fretta, posso aspettare! Accendi quel telefono, adesso!» ordinò, incrociando le braccia al petto. La maternità era riuscita a darle una simile autorità, faceva una tale paura che Machiko non riuscì a non obbedire. Come previsto, non appena lo accese, arrivarono decine di messaggi che tennero per qualche minuto impegnato il telefono a una serie di vibrazioni incessanti. Machiko guardò Akane, sperando che quello la dissuadesse almeno in parte, ma la vide con lo stesso sguardo severo e intimidatore e capì che non aveva altra scelta. Sospirò e decise di accontentarla: sapeva a cosa era andata incontro nel momento in cui aveva deciso di chiamarla per uscire insieme. Aveva ragione lei, aveva bisogno che qualcuno le ordinasse di non ricascarci, di qualcuno che l'aiutasse a fare quel passo che da sola sembrava non essere in grado di fare. Compose il numero e dopo un attimo di esitazione fece partire la chiamata. Il cuore prese a battere così forte da farle male e in pochi istanti si ritrovò nel pieno panico del "cosa gli avrebbe detto". Uno squillo. Doveva disdire quella cena, semplicemente. Due squilli. Avrebbe potuto dare la colpa alla loro popolarità, sarebbe stato facile giustificarsi dicendo che non potevano mostrarsi in giro insieme o sarebbero finiti su tutti i giornali di gossip. Bisognava tenere a bada i paparazzi. Tre squilli. Avrebbe sentito la sua voce, l'avrebbe sentita a breve dopo quello che c'era stato sul tetto quella mattina. Dopo aver sentito il suo calore, il suo profumo nuovamente. Di nuovo quell'egoistico bisogno di riaverlo con sé, anche solo per una sera, anche solo per un istante, la travolse, soffocandola. Quattro squilli. Akane che la fissava, il cuore che urlava, le immagini di quel sorriso...
Poi la segreteria.
Non poteva rispondere, non in quel momento, impegnato in chissà quale eroica azione. Una rapina in banca, una banda di criminali da inseguire, un attacco in pieno centro da parte del gruppo dei cattivi di cui tanto si sentiva parlare in quel momento... chissà chi stava stringendo in quel momento la mano di Toshinori, al posto suo. Chi aveva chiamato il suo nome? A quale richiesta aveva risposto?
«Ciao Toshinori» parlò dopo qualche secondo di esitazione, costretta dal vigile sguardo severo di Akane. Qualcosa la travolse, un ricordo, una sensazione... un'orribile sensazione.
Il sapore amaro delle sue lacrime, l'ultima volta che aveva parlato alla sua segreteria, vent’anni prima.


«Toshinori... un agente mi ha contattata qualche giorno fa. Mi ha proposto un contratto e una collaborazione. Ho deciso di accettare. Parto domani per l'America, a mezzogiorno. Abbi cura di te, All might».


Non poteva farlo di nuovo. Non di nuovo a quella stessa segreteria, o il loop non si sarebbe concluso. Sarebbe di nuovo scappata, senza sentire più la sua voce, senza sentire le sue ragioni, senza permettergli di combattere e dimostrare di essere in grado di difendersi. Scappare non sarebbe servito a salvarla, avrebbe dovuto impararlo in quei vent'anni di vani tentativi in cui aveva iniziato a collezionare dvd con le registrazioni dei servizi a lui dedicati. Un'intera videoteca, degna del miglior fan che avesse mai avuto. Non doveva continuare a trascinarsi dietro quell'ombra, o ci sarebbe cascata ancora e ancora.
«Ti aspetto alle otto, all'ingresso del mio hotel» disse e sotto lo sguardo attonito di Akane diede l'indirizzo dell'albergo dove alloggiava. Chiuse la chiamata e senza aspettare altro tempo si alzò da tavola.
«Scusami, Akane» disse. «Non potevo di nuovo rifiutare la sua segreteria telefonica. Questa volta devo battermi con quell'uomo in carne ed ossa».
«Ne uscirai distrutta» mormorò l'amica, affranta e dispiaciuta.
«Sì... probabilmente hai ragione» si chinò a raccogliere la borsa e la busta con il vestito che avrebbe indossato quella sera. In qualsiasi modo si sarebbe conclusa, lei avrebbe sanguinato. Negarlo non l'avrebbe aiutata ad affrontare meglio quella situazione. Avrebbe accettato quella sofferenza, avrebbe accettato di affrontarla, di sguazzarci dentro, avrebbe accettato qualsiasi conclusione... avrebbe accettato tutto col sorriso sulle labbra.
«Si apra il sipario» mormorò, facendo un occhiolino all'amica. Il suo grido di battaglia, la sua battuta d'apertura con cui entrava in scena, in qualsiasi campo di battaglia. Quella sarebbe stato il più arduo dei combattimenti che Nina la burattinaia avesse mai dovuto affrontare.


Lasciò cadere la borsetta sul letto, ormai pronta con tutto l'occorrente, e afferrò lo stivaletto nero alla sua sinistra. Se lo infilò con facilità, facendoci scivolare all'interno il piede. Ripeté l'azione col secondo e infine si alzò in piedi, sollevandosi di quei centimetri in più che gli alti tacchi le permettevano. La speranza era di sembrare meno piccola di quanto già sembrasse di fianco a Toshinori, ma sapeva che tanto una decina di centimetri in più non avrebbero fatto i miracoli. Si avvicinò all'armadio e prima di aprirlo per prendere la sua giacca grigia, si diede un ultimo sguardo allo specchio, con un'attenzione e una minuziosità che non sembrava mai abbastanza. Aveva ripetuto quel rito almeno dieci volte, da quando si era vestita, ma ancora non era abbastanza. Si passò le mani sulla gonna del vestito rosso, togliendone qualche invisibile granello di polvere, e si voltò, inarcando un po' la schiena, osservando la silhouette che questo gli disegnava addosso. La scelta di prendere un vestito corto, dalla gonna morbida, anzichè lungo era stata assolutamente azzeccata, allungava di più le sue gambe insieme a quelle scarpe, contribuendo alla lotta di differenza d'altezza dei due. E poi così conciliava perfettamente l'eleganza di una cena con un uomo con il casual di una cena che doveva essere solo tra colleghi, niente di esageratamente formale. Le spalle scoperte del taglio calato dello scollo aggiungevano quel pizzico di sensualità a cui negli ultimi anni si era legata particolarmente, modificando l'immagine della vecchia Machiko l'innocente e pura ragazzina, in Nina la provocante ed elegante donna che otteneva tutto quello che desiderava con solo l'uso dell'occhiolino. Era cambiata molto negli ultimi anni, non poteva negarlo, ma quella corazza, quella maschera, l'avevano protetta e agevolata talmente tanto che ormai non poteva più uscirne senza. E poi era una donna, come poteva rinunciare a quel pizzico di vanità che un vestito nuovo le donava? Come poteva rinunciare all'orgoglio di mostrare all'uomo che sarebbe venuto a prenderla di lì a pochi minuti cosa si fosse perso in quegli anni?
Era così profondamente umana, per quanto chi le stesse intorno non riuscisse a volte a crederlo. E quell'umanità le diede quel leggero tremore nel petto, all'idea che dopo tanto tempo anche lei aveva di nuovo un appuntamento. Un appuntamento vero, con una persona che si era scelta personalmente e che non avesse niente a che fare con Drew e il suo lavoro. Una semplice, goliardica, uscita da essere umano qual era.
Era così dolce che per un istante si dimenticò perfino della persona con cui stava per affrontare tutto quello e di ciò che quella sera significava.
Sì, era perfetta, poteva andare. Prese la collana con il ciondolo a forma di sole dal comodino e se la mise al collo, facendo risplendere quel pezzo metallico appena sotto il petto, oltre la curva del suo seno. Una ravvivata ai capelli e un sospiro raccoglitore. Era pronta.
Prese la borsa e la giacca e infine uscì.
Uscì dall'ascensore, arrivando all'ingresso del lussuoso hotel illuminato a giorno. Era una vip in vacanza, anche se preferiva non essere presa d'assalto e godersi le sue giornate di tranquillità non voleva certo dire che avrebbe rinunciato volentieri alle comodità di cui ormai si era abituata. Una vasca con idromassaggio e il servizio in camera era il minimo sindacabile, quella sfarzosità forse avrebbe anche potuto evitarla, ma alla fine aveva scelto per il benessere assoluto. E chi se ne importava se fosse stato scontato il suo soggiorno in un posto come quello e se i giornalisti lo bazzicavano in continuazione cercando di coglierla in ogni istante della sua giornata, lei come chiunque altro vip che ospitasse. Si guardò attorno per qualche istante, prima di cogliere i dritti ciuffi biondi di Toshinori: di spalle, dietro a una colonna, cercava di tenere a bada alcuni degli uomini armati di macchine fotografiche che lo tartassavano di domande. Sembrava a suo agio, anche lui abituato a una simile notorietà, ma la mano che si grattava la nuca tradiva il suo nervosismo probabilmente legato al motivo che l'aveva spinto ad aspettare nella hall di un hotel di lusso, vestito di tutto punto.
«Che imbranato» ridacchiò Nina, avvicinandosi a lui. «Eccomi qua!» gridò, cercando di imitare il suo vocione, ignorando i quattro uomini che lo tenevano d'assedio. All Might sobbalzò all'urlo improvviso e si voltò, imbarazzato.
«Nina, mi hai spaventato» ammise.
«Come se potesse esserci qualcosa in grado di spaventare il grande All Might, dico bene George?» chiese lei, avvicinandosi a uno dei giornalisti.
«Io non mi chiamo George» balbettò questo, poco convinto.
«Nina!» gridò quello al suo fianco. «Allora è con te che All Might ha un appuntamento! Il più grande degli eroi con una famosa cantante internazionale, che scoop!»
«Ehy, non ho detto appuntamento!» disse repentino il diretto interessato.
«Assolutamente!» confermò Nina, lasciando All Might impietrito. «C'è qualcosa di strano, in fondo? Adesso alla Yuuei ci lavoro anche io, mi pare ovvio che mi invitino alle cene aziendali».
«Allora è solo una cena di lavoro» commentò il terzo, guardando il quarto fotografo alla sua sinistra, che si sbrigò a riportare tutto sul suo taccuino.
«Questa è una grande città, piena di pericoli, e il mio manager non ha ancora avuto modo di mandarmi le mie guardie del corpo, per questo All Might si è coraggiosamente offerto di scortarmi fino al ristorante. Tanto doveva venirci anche lui. Un vero gesto cavalleresco ed eroico, dico bene?».
«Oh!» sussultò l'uomo al suo fianco. «Che nobile gesto! Degno del più grande degli eroi!»
«Nina, potreste posare per la nostra copertina?» chiese un altro.
«Non ora, siamo in ritardo! Il preside ci farà una bella ripassata di capo, forza. Sbrighiamoci!» disse Nina, spingendo via All Might da quel piccolo gruppo di paparazzi, accerchiato da qualche curioso di passaggio.
«Sarà per un'altra volta» cercò di darle corda All Might, affrettandosi a raggiungere l'uscita.
«Ciao George, a presto!» ridacchiò Nina, sventolando una mano, prima di sparire oltre le porte scorrevoli.
«Ma tu non ti chiami George» osservò l'amico del diretto interessato, abbastanza perplesso. «Da oggi sarà il mio soprannome» rispose questo, gongolando emozionato per essere stato salutato da una delle donne più belle che il mondo dello spettacolo conoscesse.
«Accidenti, grazie Nina. Mi hai letteralmente salvato» sospirò All Might, una volta in strada.
«Tanti anni di popolarità e ancora non sai gestire un paio di paparazzi impiccioni, sei proprio un imbranato» rise lei, camminandogli a fianco.
«Non sono abituato a certe situazioni, il massimo della violazione della privacy che abbia mai raggiunto è stato quando mi hanno fotografato a fare la spesa al minimarket sotto casa».
«Che vita interessante e piena di stimoli, che hai» scoppiò a ridere Nina. «Fai altro oltre che salvare il mondo, nelle tue ventiquattro ore di giornata?»
«Faccio lo sponsor per qualche pubblicità, interviste, spettacoli serali... e adesso insegno!» disse con entusiasmo, ricevendo in tutta risposta una pernacchia da parte della donna al suo fianco.
«Sfigato» disse lei, facendolo impietrire. «Io una volta sono stata paparazzata mentre facevo il bagno nell'oceano nuda, ad esempio» e la confessione lo fece arrossire più di quanto riuscisse a nascondere. «O ancora una volta sono stata fermata dalla polizia perché guidavo dopo aver bevuto qualche drink, davvero degli scocciatori. Drew ha dovuto lavorare un sacco per placare le voci. E il numero di volte che sono stata fotografata mentre ero insieme ad altri uomini è illimitato... non potevo farmi una passeggiata e fermarmi a salutare un vecchio conoscente che per l'opinione pubblica eravamo in procinto di sposarci in gran segreto! L'America è piena di pazzi, qui è molto più tranquillo, fidati. Anche se continuano a fotografarci di nascosto» disse indicando con la punta del dito, senza troppa evidenza, un punto dall'altro lato della strada dove un ragazzino aveva appena scattato una foto con il suo cellulare.
«Ci converrebbe prendere un taxi» provò a ipotizzare. Sparendo sulla strada, coperta dal finestrino di un auto, avrebbero forse almeno evitato di essere seguiti.
«O magari usare i buon vecchi mezzi di trasporto. Funzionavano sempre un tempo» disse All Might prendendo Nina per mano e tirandola rapidamente dentro a un vicoletto. Si affacciò, assicurandosi che nessuno avesse fatto caso a loro, dopo di chè si chinò di spalle di fronte a Nina.
«Accomodati a bordo, saremo a destinazione in pochissimi secondi» sorrise, guardandola.
«Non potremmo prendere semplicemente un taxi?» chiese lei, restando immobile nella sua posizione. Uno sguardo torvo, poco convinto, spinse l'uomo a chiedersi cosa la turbasse tanto e dove avesse sbagliato quella volta. Quando erano ragazzini lo facevano sempre, lei adorava salirgli sulle spalle ed essere scarrozzata in giro sfruttando quella sua incredibile velocità e capacità di salto.
Neanche si rese conto che la risposta se l'era già data da solo: era una cosa che facevano sempre da ragazzini, era una cosa che le piaceva da impazzire. Temeva così tanto scoprire che non era cambiato niente da allora, che continuava ad amare quelle spalle su cui aggrapparsi per sentirsi sicura.
All Might si rialzò, grattandosi nuovamente la nuca con imbarazzo: «Sì, scusami» disse «Non volevo... essere... ecco...» essere cosa? Per cosa doveva scusarsi? Per essere stato tremendamente malinconico? Per aver desiderato vivere con lei momenti di normalità, come se niente fosse successo? Ma allora, se era così che dovevano andare le cose, perché stavano uscendo insieme?
«Chiamo un taxi» passò di fianco a Nina, per tornare sulla via principale, ma la donna lo bloccò, afferrandogli con timidezza la giacca. Sospirò profondamente, socchiudendo gli occhi, lottando contro se stessa. Poi riuscì a tornare a un apparente stato d'animo sollevato, normale e tranquillo.
«Scusami» disse, accennando un sorriso. «Non volevo metterti in imbarazzo, stupido omaccione imbranato» sghignazzò dandogli colpi vivaci sulla schiena.
«Perché mi insulti anche quando sei tu a chiedere scusa?» chiese lui, ormai rassegnato all'evidenza che almeno su quell'aspetto non era cambiata affatto, ma anzi era andata peggiorando.
«Perché te lo meriti» ridacchiò lei, affiancandolo. «Insomma, un uomo affascinante come te mi invita a cena fuori e non ti viene in mente che io abbia potuto perdere almeno un'ora del mio tempo a sistemarmi i capelli? Non ti permetterò di fare niente stasera che possa minimamente intaccare la loro perfetta stabilità, chiaro? Quel salto mi avrebbe distrutto ancor prima di arrivare al ristorante» spiegò lei, cercando in una scusa e la sua solita ironia il modo di uscire indenna da quella situazione. Una situazione che non riusciva ancora ad affrontare a pieni polmoni, una verità che non riusciva ancora ad ammettere a voce alta: aveva così tanta paura di scoprire che l'amava ancora.
«Mi dispiace» disse, colto dall'imbarazzo del complimento che gli aveva appena rivolto.
«Se dici mi dispiace ancora un'altra volta stasera ti prendo a sberle» disse lei, stufa di non sentirlo dire altro. Era un agglomerato di sensi di colpa che non riusciva a sgonfiarsi neanche un po', nonostante lei lo avesse già tranquillizzato su tante cose. «Piuttosto, dove mi porti a mangiare questa sera?»
E ancora quel gioviale e puro sorriso che le adornò il volto, ancora una volta la riportò indietro di vent'anni e gli fece bruciare il petto. Lo avrebbe ricevuto ancora, se Nina avesse saputo la verità? Se lui le avesse mostrato il suo vero e attuale aspetto, lei avrebbe ancora sorriso in quel modo? Aveva deciso che quella sera glielo avrebbe confessato, aveva deciso che avrebbe preso il coraggio a due mani e avrebbe affrontato quell'ultima sfida, ma quando l'aveva vista morbida ed elegante nel suo vestito, quando aveva sentito il suo profumo arrivare a pizzicargli il naso non appena se l'era trovata davanti e ora di fronte a quel sorriso di cui si era innamorato perdutamente vent'anni prima, cominciò a desistere. Avrebbe sorriso ancora in quel modo, se lui le avesse mostrato il nuovo scarno, avvilito, debole e abbattuto Toshinori? Se non fosse stato più l'uomo affascinante che era stata la causa della sua ora persa a sistemarsi i capelli?


Please don't stand so close to me
I'm having trouble breathing
I'm afraid of what you'll see right now
I give you everything I am
All my broken heart beats
Until I know you'll understand


And I will make sure to keep my distance
Say, "I love you," when you're not listening.



NDA.

Questo, come quelli che verranno, è uno dei capitoli che preferisco. Non solo perché si entra nel vivo della situazione Machiko-Toshinori, ma anche perché qui vengono fuori molte cose del carattere di entrambi. Prima tra tutti: quella piccola mania di controllo di Machiko, come già era venuta fuori con Bakugou. Parla del suo orgoglio, e Akane sa che potrebbe essere vero visto che odia sapere che ci possono essere "burattini" in grado di sfuggire al suo controllo, come è stato con Toshinori. Viene fuori anche la debolezza di Machiko: arranca, cerca scuse, si arrampica sugli specchi ma non riesce ad ammettere che non è in grado di combattere questa battaglia e che la sta perdendo miseramente. Vuole allontanarsi, eppure continua a cascarci. Sa di essere così debole, in fondo, e sa che sarebbe bastato quel salto sulle spalle di Toshinori (a fine capitolo) per rovinare tutto, per distruggerla e portarla a capire quanto gli sia mancato quel contatto.
Ma, soprattutto, viene fuori un aspetto importante di (come mi sono immaginata io) Toshinori: è egoista. Non è egoista in maniera cattiva, ma nel profondo è così. Solo un uomo egoista sarebbe stato in grado di mettere tutto e tutti da parte, pur di inseguire quel sogno che tanto gli da ardore. E' un sogno nobile, un sogno di pace, per questo nessuno si oppone, ma lo desidera ardentemente ed è disposto a sacrificare ogni cosa... perfino i sentimenti della donna che ama. Eppure, nel flash back, continua a ripetersi quanto gli farebbe male vederla andar via. Sa che le sta facendo del male, ma è egoista e non riesce a rinunciare nemmeno a lei. E' come se le chiedesse di seguirlo, di continuare a soffrire, così lui può avere entrambi: lei e il suo stesso sogno. La mette da parte, la ferisce, però poi fa di tutto per evitare che fugga via. Ho volutamente lasciato la cosa ambigua, ho dato libero spazio ai pensieri di entrambi il modo da non schierarmi, io narratrice, dalla parte di nessuno. C'è chi può dar ragione a lui e chi a lei, mi sono lasciata nella zona imparziale e lascio a voi le conclusioni xD
Un altro aspetto importante di Toshinori che emerge qui, e che era emerso anche in precedenza, la sua paura e la sua vergogna verso ciò che è diventato ora. Il suo nuovo aspetto, scarno e debole, lo avvolge nella vergogna e ha paura di mostrarlo al mondo e soprattutto a chi ha creduto di più in lui.
Io vi lascio con questa bellissima canzone di Christina Perri, che evidenzia quanto Machiko si stia sforzando per mantenere le distanze ma quanto nel profondo sa che niente alla fine è cambiato. E dice di amarlo... solo quando lui non sente ("Say, "I love you," when you're not listening.").
Mi piace quel pezzo della canzone in particolare perché in realtà può essere visto come il pensiero di entrambi, non solo di Machiko. Entrambi hanno difficoltà a stare l'uno di fianco all'altro, tanto che hanno difficoltà a respirare. Toshinori ha paura di ciò che lei può vedere se si avvicinasse troppo (nel senso che se vedesse com'è realmente) e Machiko può dire di avergli dato tutto ciò che era. E alla fine, il lavoro di prendere le distanze e dire "ti amo" quando l'altro non sente, posso dire che lo fanno entrambi. Ognuno col proprio motivo, ma è di entrambi.
Bene, concludo questo papiro di NDA con i soliti saluti e soprattutto ringraziamenti! <3
Al prossimo capitolo, che vi anticipo sarà un SIGNOR capitolo.
E ovviamente, vista la sua importanza, ci sarà Ed Sheeran a cantare per lui u.u ahahah

CIAOOOOOOOOOOOOO

Ray

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Capitolo 18
*** Save Myself, Ed Sheeran ***


"Save Myself”, Ed Sheeran





Nina era cresciuta, era cambiata molto, non solo nell'aspetto passando da un'innocente bellezza a una più matura provocante, ma non per questo meno seducente, ma aveva cambiato modo di parlare, aveva cambiato modo di affrontare le cose, era diventata più coraggiosa e più dura, affilata, tanto che avrebbe intimorito chiunque. Sotto quello strato però, lui lo sapeva, celava ancora la vecchia e delicata Machiko di un tempo, che ogni tanto usciva dal suo antro protetto per mostrarsi in tutta la sua gioviale fragilità e luminosità: il momento del pasto era uno di questi.
Machiko si portò un bocconcino di carne alle labbra, masticandolo, e si lasciò sfuggire un verso compiaciuto dalla gola.
«Ma è buonissima!» commentò, estasiata.
«Con la tua nuova vita fatico a credere che era da tanto che non mangiavi carne come questa» osservò Toshinori, un po' stupito, e si concentrò affinchè riuscisse a imprimere nella memoria quel momento e costringerlo a restare lì per sempre, colmo di ogni dettaglio. Non poteva far a meno di sentirsi un vecchio nostalgico, divorato da tutta quella malinconia e dal desiderio di tornare per un istante venti anni addietro, quando avere Machiko al suo fianco era la quotidianità e poteva godere di tutti i giorni di quel suo modo di fare tanto genuino e adorabile.
«Non ho mai detto, infatti, che non ne mangio tutti i giorni» lo corresse lei, portandosi un altro boccone alla bocca.
«Mangiare carne rossa tutti i giorni non fa bene, lo sai?»
«Sì, paparino, tranquillo, sto attenta alla mia salute e alla mia alimentazione. Va meglio?»
«Paparino?» balbettò lui, sentendosi preso in giro.
«Sei un vero rompiscatole, su questo non sei cambiato affatto» gli disse puntandogli la forchetta contro. «Anzi, forse sei addirittura peggiorato. Ma è bello vedere che ti preoccupi ancora per me» aggiunse infine, con un occhiolino.
«Non ho mai smesso» sussurrò lui, non riuscendo quella volta a tenere per sé quel pensiero. Il volto di Machiko si fece più serio, colpita da quella confessione, e tornò ad essere la grande e affilata nuova Nina, relegando nel suo angolo protetto la vecchia delicata Machiko. Quella stessa Machiko che sarebbe scoppiata a piangere e avrebbe confessato la sua collezione di dvd sui servizi a lui dedicati. Ma era sbagliato, tutto quello era sbagliato. Il passato doveva restare dov'era e ormai le loro strade erano a un punto tale che non si sarebbero mai potute incrociare di nuovo. Non dovevano farlo, anche se adesso, ognuno dalla propria via, in quel preciso punto della loro vita, potevano allungarsi fino a sfiorarsi. Era solo un'illusione, sarebbe scemata nel giro di qualche giorno e loro non dovevano affogarci dentro. Lei ne era pienamente consapevole, anche se gestire le emozioni non era affatto semplice come aveva creduto, lui invece sembrava fare di tutto per afferrarla senza pensare alle conseguenze. Era così tipico di Toshinori, correre a prendersi ciò che desiderava senza guardare in faccia nessuno. Era una persona semplice, che viveva di istinti e desideri, e così doveva essere. Se non avesse vissuto sulla sola onda del desiderio del simbolo di pace, trascinato solo da quel sentimento, se fosse stato una persona che ragionava di più, non sarebbe mai arrivato a quel punto della sua carriera affrontando sfide che chiunque avrebbe considerato troppo ostiche.
«Toshinori» disse dura, consapevole che come al solito sarebbe dovuta essere lei a prenderlo per mano e scuoterlo sulla realtà. Era un lavoro che odiava, per una volta avrebbe voluto così tanto non essere lei quella che si preoccupava e prendeva l'iniziativa. Ma che altra scelta aveva?
«Tra noi è finita» disse con tale durezza che, nonostante fosse più che ovvio che la loro storia fosse finita ormai anni prima, riuscì comunque a far tentennare l'uomo e fargli venire uno strano dolore al petto.
«Stasera sono qui per dirti questo, e nessun altro motivo. Ho accettato di venire alla Yuuei per affrontare questa faccenda a due mani, con forza e coraggio. Sono scappata via, vent'anni fa, e da allora ho sempre avuto la sensazione che non abbia fatto altro per tutto questo tempo. Ogni giorno della mia vita decidevo come mettere i miei piedi sulla strada affinché mi portassero il più lontano possibile da te. Da allora, da quella telefonata, dal messaggio che ti lasciai in segreteria, non ci siamo più parlati né sentiti. Ho come la sensazione che qualcosa non sia mai finito, di essere rimasta a fiato sospeso per troppo tempo, perciò stasera voglio mettere da parte tutto questo ed essere totalmente sincera, chiara e soprattutto dar vita a quell'ultima chiacchierata che mai c'è stata tra noi, dandoti la possibilità di dire la tua, senza scappare. In fondo non ti ho mai chiesto che cosa ne pensavi» aveva parlato per tutto il tempo fissando la bistecca che aveva nel piatto, senza cedere neanche un attimo perché sapeva che se avesse alzato lo sguardo, se avesse incrociato quegli occhi azzurri, non ne sarebbe uscita così dignitosamente. Tutto quel coraggio, quella forza, lui l’avrebbe spazzato via con la forza di un uragano lasciando spazio solo alle lacrime e ai desideri rimasti inespressi. Quella porta andava chiusa definitivamente.
«Va bene. Ho capito» rispose lui, semplicemente, prima di tornare a mangiare avvolto dal silenzio.
«E basta?» chiese lei, alzando coraggiosamente lo sguardo sull'uomo che mangiava di fronte a sé. Si erano incontrati la prima volta che avevano appena dieci anni, per un anno intero lui le era stato a fianco per aiutarla in quel guaio che era la sua vita, dandogli una fonte di felicità, fino a quando non era finalmente riuscito a farsela amica. Lei aveva vissuto i momenti più importanti della sua vita, lei aveva assistito e soprattutto contribuito alla nascita di All Might, ed era stata una presenza costante della sua vita fino a quel giorno di Tanabata dei loro diciotto anni. Da allora tutto si era trasformato, diventando qualcosa di ancora più travolgente, costante e importante. Avevano toccato l'apice, la loro storia aveva raggiunto il famigerato livello del "vissero per sempre felici e contenti" per poi crollare miseramente nel vuoto. Più di dieci anni di vita buttati al vento con un messaggio alla segreteria... e tutto ciò che aveva da dire, dopo tutto quello, era "Va bene. Ho capito"?
«Sì, e basta».
Era così frustrante. Ma d'altra parte, cosa si era aspettata di sentirgli dire? Cosa aveva sperato? Cosa la divorava così profondamente dall'interno?
«Scusami» disse lasciandosi andare a uno sghignazzo. «A quanto pare ero l'unica a cui importava. Che stupida» e lo imitò tornando a mangiare la sua porzione in completo silenzio, lasciando che solo le forchette e i coltelli facessero rumore intorno a loro. Era tutto chiuso definitivamente, aveva ottenuto quello che voleva, gli aveva aperto il cuore e affrontato la realtà e non c'erano state conseguenze di alcun tipo. Ma allora perché continuava a crescere dentro di lei quella rabbia e quel dolore?
«Come puoi dire solo "va bene, ho capito"?!» scoppiò, lasciando la forchetta sul bordo del piatto con forza. «Non dico che devi fare un discorso strappalacrime o travolgermi di insulti, ma ho chiuso la nostra storia con un messaggio in segreteria senza neanche un preavviso! Possibile che tu non abbia avuto niente da dire?»
«Vuoi sentirti dire qualcosa di particolare, Nina?» chiese con freddezza, continuando a mangiare. Non era tranquillo, glielo si leggeva in faccia, il tono di voce lo tradiva: qualcosa lo stava soffocando. Forse rabbia, forse dolore, forse semplice rancore per aver rovinato un bel momento come quello con dei discorsi così antichi ormai, così inutili.
«No!» disse lei, scuotendo la testa. «Ma... non mi hai mai neppure chiesto il motivo!»
«Perché io continuavo a metterti al secondo posto, ti lasciavo sola nonostante la promessa di non farlo e quando avevi bisogno di me non c'ero mai. Non è questo il motivo?» chiese, continuando a forzare quella sua maschera di freddezza e indifferenza.
«Sì» mormorò lei, rendendosi conto che effettivamente non c'era altro da dire. Le motivazioni erano state spiegate, le scuse erano state fatte, tutto era stato detto... ma perché continuava a fare così male? Forse era perché tra i due, l'unica che continuava a mettere un piede su quella porta, impedendole di chiudersi, era proprio lei? Forse era perché Machiko, chiusa nel suo antro protetto, continuava a piangere la notte, chiamando il nome di Toshinori, e non quello di All Might, sperando che quello bastasse a riaverlo indietro? Forse perché aveva disperatamente sperato che lui, a quella telefonata, avesse risposto e non le avesse permesso di parlare alla segreteria, lasciandola andare.
Andare lì, quella sera, era stato un errore.
Akane aveva ragione. Ne stava uscendo a pezzi.
Si alzò in piedi, prese la giacca e la propria borsa e si allontanò con un freddo: «Scusami se ti ho fatto perdere tempo».
Toshinori restò immobile al suo posto, la forchetta così serrata tra le dita da deformarsi, lo sguardo fisso sul suo piatto, e non disse una sola parola, permettendole ancora una volta di scappare nel silenzio di un addio mai pronunciato. Era quello che desiderava, era quello che continuava a chiedergli, di "uscire dalla sua vita". Era quello che aveva accettato di fare quel giorno, vent'anni addietro, quando dopo aver sentito il messaggio aveva scelto di non andare da lei. Aveva scelto di uscire dalla sua vita, nella speranza che ciò l'avesse potuta rendere felice e per anni così aveva creduto, guardandola sorridere alla televisione. Per anni, aveva scelto di lasciarla fuggire via, di non inseguirla perché così lei avrebbe potuto continuare a sorridere e lui avrebbe usato quel sorriso per alimentare il proprio, anche se distante. Gli bastava vedere il suo viso radioso, anche se chiuso dentro una televisione, fittizio, irraggiungibile, e All Might acquistava la forza necessaria a brillare. Era stato tanto egoista? Era stata la scelta giusta? Perché aveva quell'orribile sensazione allo stomaco, come se tutto continuasse a essere sbagliato? Perché non riusciva a smettere di pensare a quel giorno come la peggior colpa di cui avesse mai potuto macchiarsi? Perché continuava a non sentirla, quella richiesta d'aiuto?
«All Might» gli aveva chiesto non troppo tempo addietro il giovane Midoriya. «C'è mai stato qualcuno che non sei riuscito a salvare?».
La risposta era stata così dolorosa.



Era da poco primavera e loro avevano ventitre anni. Ormai erano tredici anni che si conoscevano, quasi cinque che stavano insieme, ed era facile per Toshinori riuscire a riconoscere l'inizio di quella bellissima stagione sul viso di Machiko. La ragazza, quando cominciavano a sbocciare i primi fiori, sembrava sbocciare insieme a loro. I profumi, le carezze del vento, i colori, tutto sembrava prendere forma su di lei rendendola più bella che mai. Ne avevano passate di tutti i colori, insieme. Machiko aveva lavorato per un po' persino insieme a lui, in collaborazione con la sua stessa agenzia, ed insieme erano diventati praticamente imbattibili. La loro affinità, il loro combattimento, era invidiato da tutti. Era un periodo d'oro, anche se non avevano mai smesso di litigare per le solite ragioni. Ma ormai il loro amore sarebbe stato inscindibile e invalicabile da qualsiasi ostacolo, proprio come il loro senso della giustizia. Machiko, nel frattempo, aveva continuato a cantare aumentando considerevolmente il numero di serate che perdeva in qualche bar insieme a Yamada e gli altri, con la loro piccola band che si stava facendo un nome importante nelle vie di Tokyo. Tutto era perfetto e quella primavera risplendeva più che mai. Machiko uscì di casa pochi minuti dopo che lui ebbe citofonato, trovando Toshinori intento ad annusare una siepe in cui si intravedevano i primi boccioli. Profumavano così tanto, anche se appena accennati.
«Vuoi portare loro fuori a cena, stasera, invece che me?» lo punzecchiò lei. Toshinori odiava ammetterlo, ma nel profondo era un gran romanticone e quando Machiko lo coglieva in certi atteggiamenti non poteva far a meno di prenderlo in giro, trovando esilarante il contrasto tra il grande eroe che stava diventando e il coniglietto innamorato che era in realtà.
«Macchan!» sobbalzò, guardandola da capo a piedi. «Wow» si lasciò sfuggire, trasognante. Come aveva pensato, la primavera prendeva forma su di lei, e quella sera era più bella che mai. Il vestito nero, il cardigan bianco e quella splendida treccia delicata che le si poggiava sulla spalla.
«Sei radiosa» commentò, guardandola mentre un sorriso imbarazzato le nasceva in viso. «Sì, beh... anche tu non sei proprio malaccio» rispose lei con ironia.
Toshinori si illuminò, sapendo che sotto a quel velo punzecchiante si nascondeva un vero complimento, e alzando due dita in segno di vittoria ridacchiò orgoglioso: «Ho messo su altri tre chili! Mi sto gonfiando come la ruota di una bicicletta!»
«Non è qualcosa di cui andar fiero, lo sai?» disse lei, prendendolo a braccetto e cominciando ad incamminarsi verso il ristorante.
«È tutta massa muscolare!» specificò lui.
«Sei sicuro? Ultimamente mangi come un rinoceronte!»
«Ho bisogno di tanta energia!» si giustificò.
«Allora spero che il ristorante dove mi porti stasera non sia troppo caro o finirai di nuovo tutto lo stipendio».
«Ramen alla bottega sotto lo studio! Che ne dici? Se siamo fortunati, troviamo gli sgabelli al bancone liberi!»
«Se me lo dicevi prima evitavo di mettermi così elegante. Quella è una brutta zona, mi derubano!»
E Toshinori rise, divertito e orgoglioso allo stesso tempo, esclamando: «Che ci provino anche solo a pensare di sfiorarti! Li faccio a fettine!»
Machiko gli rivolse un dolce sorriso. Era sempre bello quando lui dimostrava di preoccuparsi tanto per lei. Era sempre bello quando la rassicurava che non sarebbe mai mancato, che l'avrebbe protetta per sempre. «Comunque non ti devi preoccupare. Questa è una serata speciale e io ti porto in un posto speciale. Devo parlarti di una cosa importante» accennò, sorridendo orgoglioso e già emozionato.
«Davvero?» chiese lei, curiosa, prima di lasciarsi sfuggire un po' più intimorito: «Anche io devo dirti una cosa».
Ma avrebbero trattenuto le loro curiosità per il dolce. Il momento ideale.
Arrivarono al lussuoso ristorante, che aveva la fantastica particolarità di trovarsi in cima a uno dei grattacieli più alti di Tokyo. Dalla sua enorme vetrata era possibile vedere tutta la città e, più avanti, addirittura il mare. Toshinori aveva prenotato mesi prima, sapendo che quella sarebbe stata la serata perfetta nel luogo perfetto: Machiko amava alla follia vedere il mondo dall'alto. Passarono l'ingresso e si stavano per dirigere all'ascensore che gli avrebbe portati al ristorante, all'ultimo piano, quando dietro di loro passarono tre volanti della polizia. Toshinori si irrigidì e si voltò a guardare la strada, pensieroso. Machiko sapeva benissimo cosa significava: stava per andarsene. Un'altra volta.
Il dolore prese a tormentarle il petto... non di nuovo. Non poteva ancora una volta piantarla in asso!
«Toshi-chan» lo richiamò, preoccupata. Toshinori si voltò a guardare il suo volto, quel meraviglioso volto graffiato dalla preoccupazione e dalla paura. Sospirò... doveva trattenersi, doveva farlo almeno quella sera. Soprattutto quella sera!
«Scusami. Ci sarà sicuramente chi già se ne sta occupando» e in lontananza si udirono le sirene di pompieri e vigili del fuoco. Qualsiasi cosa fosse era qualcosa di enorme. Non un furtarello da quattro soldi, non poteva nemmeno essere una banda di delinquentelli che avevano sfondato una vetrina. Quella era una vera emergenza. I muscoli si tesero e cominciò ad essere divorato da quella terribile sensazione: il mondo stava implorando All Might di intervenire e lui era lì, bloccato nel suo vestito da sera, pronto a mangiare carne e bere vino alla faccia di chi moriva piangendo il suo nome.
«Vai» sospirò Machiko. Non era sciocca, sapeva benissimo che non poteva essere qualcosa di poco. C'era davvero bisogno dell'intervento di All Might, sentiva anche lei il mondo chiamarlo a gran voce e con che coraggio ed egoismo l'avrebbe trattenuto a sé?
«Macchan» mormorò lui, combattuto.
«Vai! Hanno bisogno di te. Solo...» mormorò, prima di sforzarsi di sorridere contro ogni sentimento negativo che la stava strozzando in quel momento: «Cerca di tornare almeno per il dolce, ok?»
Il momento ideale. Il momento del dolce, dove lui le avrebbe detto quell'importante novità e lei gli avrebbe confessato la sua.
La strinse con tutto l'amore che provava. «Ci sarò. Te lo prometto!»
E quelle furono le ultime parole che lui riuscì a dirle.
L'ultima promessa infranta, quando al momento del dolce Machiko si trovò nuovamente sola. L'avrebbe aspettato, sentiva che poteva farlo ancora una volta, come tutte le altre volte. L'avrebbe aspettato per sempre... se solo non fosse successo altro che il suo semplice ritardo.
Una palla infuocata, un'enorme maceria, non ricordava altro. L'edificio aveva tremato, dopo essere stato colpito, e il pavimento del ristorante era stato inghiottito nella voragine che si era andata creando. Machiko era lì, in quel ristorante che stava cadendo a pezzi, lì dove non sarebbe stata se solo non si fosse trattenuta un'ora dopo il pasto per aspettare Toshinori e il suo ritardo, la sua promessa infranta a cui ancora credeva perdutamente. Aggrappata a un'asta sporgente, aveva usato i suoi fili per salvare la vita a una donna che era scivolata insieme a lei. L'asta aveva cigolato, la donna sotto di sé si dimenava e un altro uomo cadde poco più distante. Riuscì a muovere un dito, prese anche lui e cominciò a tremare. Il vuoto sotto di loro, un vuoto di almeno cinquanta metri, le macerie sopra la sua testa, l'unica mano che reggeva tutti e tre che cominciava a cedere, l'asta che vibrava sotto lo sforzo e presto li avrebbe lasciati andare.
Altre palle di fuoco volarono nella sua direzione.
Era la fine. Stava morendo.
«Toshinori!!!» gridò terrorizzata.
L'asta tremò ancora. Urlò, urlò con tutto il fiato che aveva, e pianse tutte le lacrime che non aveva versato per tutti quegli anni. Mai avrebbe potuto pensare che prima o poi una promessa infranta di Toshinori le sarebbe costata la vita.
Cadde.
Aveva riaperto gli occhi poco dopo, completamente ricoperta di graffi, dolorante ovunque, tra le braccia di un uomo dall'enorme massa muscolare che eroicamente la stava portando fuori dall'edificio crollato. Sentiva l'odore della polvere, le bruciava la gola, incapace di muoversi dal dolore, ma lui era così caldo.
E poi lo vide... un uomo dal viso ricoperto dalle fiamme, i capelli scuri e nessun sorriso ad adornargli il volto.
Endeavor la poggiò a terra poco lontano, vicino ad altri sopravvissuti che stavano ricevendo soccorso. Le lanciò addosso la giacca di Toshinori, che lei per qualche strano motivo si era trascinata dietro, stringendola tra le dita fino alla fine. E infine si allontanò, lasciandola sola, tornando dentro l'edificio per salvare altre persone dal crollo.
Machiko si era guardata attorno, in una vana speranza, ma la verità era così amara da digerire: Toshinori non era lì. Toshinori non aveva risposto alla sua richiesta d'aiuto, non era andato a salvarla e non era nemmeno lì ad assicurarsi che stesse bene, troppo impegnato a combattere pochi isolati più indietro. Si era stretta la giacca tra le braccia, lasciandosi andare al pianto disperato, e lì aveva avuto l'ultimo segnale... la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.
Nascosto nel taschino interno della giacca, Machiko aveva trovato l'anello di fidanzamento che lui le avrebbe dovuto dare quella stessa sera. Al momento del dolce, al momento ideale, ci sarebbe dovuto essere un importante sì, lacrime di gioia, baci e feste per i futuri sposi. Invece sedeva su un tappeto di macerie, viva per miracolo, con ancora una volta una promessa infranta e la consapevolezza che lui le avrebbe chiesto di portarne il peso per il resto della sua vita... finché morte non li avrebbe separati.
Non era così forte, lo sapeva. Non era così forte da poter sopportare altro dolore come quello.
La sera stessa chiamò Drew Halbert, il discografico americano.
L'ultima promessa infranta.


«All Might... c'è mai stato qualcuno che non sei riuscito a salvare?» quanto aveva fatto male, doverlo ammettere. Sì, c'era stato, c'era stato eccome ed era stato l'errore più grande della sua vita. Perché non era riuscito a sentirla, quella richiesta d'aiuto? Mentre lui combatteva, Machiko, la sua Machiko, moriva alle sue spalle e lui non era neanche stato presente al suo risveglio per chiederle perdono. Lui doveva chiederle perdono. Doveva!
«Macchan!» si alzò talmente rapidamente che la sedia volò all'altro capo della sala, spaventando gli ospiti di quella sera. Li ignorò, così come aveva ignorato alcuni di loro nel loro commentare l'incredulità di fronte ad All Might che cenava allo stesso tavolo di Nina. Corse verso l'esterno, lasciando una manciata di banconote sul tavolo della cassa, sapendo di averne prese più del necessario ma intenzionato a non aspettare il conto e il resto. Corse in strada e si guardò attorno, pregando che non avesse già preso un taxi o sarebbe stato costretto a cercarla per l'intera città.
«Macchan!» chiamò, poco prima di intravederla che entrava in un parco lì di fronte. Corse in mezzo alla strada, ignorando le automobili che per poco non lo presero in pieno, chiedendo distrattamente scusa, e le corse dietro.
«Ma...» chiamò ancora, superando il cancello, ma si bloccò quando la vide immobile proprio lì di fronte. Lo fissava e lui conosceva bene quello sguardo: ero lo sguardo che aveva rivolto ad ogni nemico che si era ritrovata sulla strada. Era quello il modo in cui lo vedeva, ora? Un nemico?
«Che vuoi?» gli chiese freddamente.
Non rispose subito, esitante, timoroso che ogni parola avesse potuto rivolgerle avrebbe solo peggiorata quella terribile sensazione. Ma lui doveva farlo, doveva togliersi quel masso dal petto, o non sarebbe più riuscito a respirare.
«Perdonami!» lasciò finalmente uscire.
«Questa l'ho già sentita troppe volte» disse Machiko, e si voltò intenzionata ad andarsene.
«Sarei dovuto essere lì, o per lo meno sarei dovuto tornare indietro» insistè, intenzionato a farlo quel passo. Un’altra richiesta di perdono, l'ennesima, ma cos'altro poteva fare? In quale altro modo avrebbe potuto alleviare quel dolore che le impediva ancora di sorridergli in quel modo così speciale che solo lei sapeva fare? «Dovevo esserci io lì a salvarti, non Endeavor».
«Sì... sì, è vero, dovevi».
«Mi dispiace. Mi dispiace non esserci mai stato, mi dispiace aver dato più importanza al mio sogno che a te...»
«Tu non hai dato più importanza al tuo sogno, Toshinori!» gridò lei, voltandosi a guardarlo. Il viso ricoperto di lacrime, l'espressione distrutta. Nina stava finalmente lasciando libera Machiko, libera di urlare e di versare tutte le lacrime trattenute quei vent'anni.
«Anche io davo più importanza al tuo sogno! Non è stato quello il tuo errore, brutto idiota! Tu hai dato più importanza al mondo intero, che a me! È questo il punto, perché non lo capisci? Ho chiamato il tuo nome! Ti ho chiamato, ho chiesto il tuo aiuto! Perché non mi hai sentito?» gridò, ormai in preda alla disperazione. «Ti sei sempre catapultato ovunque, sentivi la voce di chi ti chiamava a miglia di distanza, mi mollavi perfino per andare a salvare i gatti dagli alberi ma quando ti ho chiamato io, quando io, la tua fidanzata, ha chiesto il tuo aiuto tu non c'eri!» fece un passo indietro e ormai stremata si portò le mani al viso, soffocandoci all'interno i singhiozzi. Quei singhiozzi che laceravano l'anima di Toshinori e facevano perfino più male di quell'orribile ferita al ventre che gli aveva sottratto tutto il potere. «Perché non c'eri?» singhiozzò ancora, tremando come una foglia. «Sapevi a che ora sarei partita, te l'avevo detto, perché non c'eri? Ti ho aspettato in aeroporto, ma non sei venuto. Io ti ho aspettato così tanto!»
«Sedici ore e mezza» mormorò Toshinori, facendo sussultare Machiko. «Dalle nove di mattina, fino all'una e mezza di notte. Hai preso l'aereo dopo, perdendo volontariamente quello di mezzogiorno. Sei rimasta seduta sulla terza sedia, quarta fila della sala d'attesa, per tutto il tempo, senza mai muoverti».
Machiko sollevò il voltò, sorpresa, guardando l'uomo negli occhi. Quel dolore che la stava dilaniando poteva vederglielo riflesso dentro. Non era la sola che aveva perso, quel giorno.
«Come...?» cominciò a chiedere.
«Ero lì. Ero lì dalle otto, non sapendo a che ora saresti arrivata sono andato molto prima. Ma poi quando ti ho vista scendere dal taxi, con il viso solcato dalle lacrime, senza quel tuo meraviglioso sorriso che mi ha sempre dato la forza... ho capito. Ho capito e basta».
«Mi... mi hai lasciata andare via?» chiese lei, perplessa.
«Non saresti mai stata felice accanto all'uomo che stavo diventando. Dovevi trovare un'altra strada, un'altra ragione per sorridere e continuare a illuminare il mondo» annuì, chino nel volto, affranto nell'espressione. «Ti ho lasciata andare via».
«Perché?» il dolore che Machiko lasciò uscire dalla gola fu tale da smorzarle la voce. Strinse i pugni, mentre il viso si contraeva ancora di più sotto allo sforzo che adesso la rabbia, mescolata al dolore, le stava sottoponendo. «Perché?» gridò con tutto il risentimento che aveva dentro.
«Ti ho aspettato, ti ho aspettato così tanto e tu eri lì, a fissarmi di nascosto! A lasciarmi morire dentro!»
«Mi dispiace» sussurrò Toshinori, non sapendo che altro dire.
«Lo vedevi! Lo vedevi quanto mi stava facendo male vedere che non mi stavi neanche telefonando. Lo vedevi! Eri spettatore della mia sofferenza e lì mi hai lasciata! Maledetto bastardo!» e con tutta la furia che aveva in corpo si lanciò su di lui. Lo prese a pugni sul petto, lo strattonò per la camicia, urlò e lo colpì ripetutamente, fintanto che ormai stremata dalla rabbia si appassì, lasciando spazio solo a una profonda disperazione. Piangendo e urlando, poggiò infine la fronte sulla sua spalla e strinse la sua camicia tra le dita, e Toshinori la lasciò fare, senza avere neanche la forza di abbracciarla.
«Se tu fossi venuto, io non sarei partita» confessò lei.
«Lo so» ammise lui.
«Perché hai continuato a lasciarmi indietro fine alla fine e non sei mai riuscito a capire che l'unico modo per rendermi felice era tenermi al tuo fianco?» singhiozzò e quella confessione sorprese Toshinori tanto da sentire il cuore sobbalzare. Dunque era quello l'errore imperdonabile, dunque era lì che aveva sempre sbagliato senza capire dove. Aveva sempre creduto che lasciare che andasse fosse stato un modo per chiederle perdono e rimediare ai propri errori, aveva sempre creduto che il suo errore madornale fosse sempre stato quello di aver dato troppa importanza a sé e poca a lei. Invece l'errore più grande di tutti, quello che non riusciva a dargli pace ma che proprio non riusciva a capire, era stato proprio quello di averle permesso di andarsene.
«Non saresti stata felice...» sussurrò lui, confuso, aggrappandosi all'unica verità che aveva sempre creduto di conoscere e che gli aveva sempre permesso di accettare quel destino.
«Brutto idiota!» ringhiò Machiko, in un altro slancio di rabbia. Si staccò dalla sua spalla e allungò rapidamente un braccio dietro al collo dell'uomo. Usò i suoi fili, arpionandolo con rapidità, sfruttando la mano a contatto direttamente sulla sua pelle, e riuscì così a costringerlo ad abbassarsi. Con un leggero slancio si alzò sulle punte e raggiunto il suo volto schiacciò con foga le proprie labbra sulle sue. Serrò gli occhi, tanto da corrucciarsi per tutta la rabbia che impresse in quel bacio. Le dita della mano destra artigliate ai suoi capelli, il braccio sinistro usato per continuare a tirarselo contro, e decise di non lasciarlo andare tanto facilmente. Lo sentì tremare, il respiro che usciva smorzato dal suo naso e ogni singolo centimetro del suo corpo che parve essere percorso da una scarica elettrica. L'afferrò, ricambiando quella rabbia, ricambiando quella disperazione, e le strinse le spalle schiacciandola a sé. La mano destra sulla sua guancia, con la punta delle dita che andavano immergendosi nei capelli, con forza, la teneva stretta e trasformò quel bacio in qualcosa di più folle. Schiuse le labbra, catturò le sue, le accarezzò, respirò la sua aria e infine andò a cercare la sua lingua. Quando si incontrarono un'altra scarica elettrica parve percorrerli e colti da un oscurante euforia si strinsero ancora di più, schiacciando i propri corpi tra loro, come a volersi scaldare l'uno dell'altro, colti da un brivido di freddo. Machiko fece scorrere la propria mano lungo il collo di Toshinori, assaporando quel piccolo lembo di pelle scoperta, godendo di quel calore che riusciva ad emanare. Lo sentì rabbrividire nuovamente, contro se stessa, tanto forte che un lamento gli uscì dalla gola, incapace a trattenerlo.
Si separarono per prendere fiato, ma senza allontanarsi troppo, entrambi con gli occhi chiusi, spaventati forse all'idea che riaprendoli quell'incantesimo sarebbe svanito. Machiko concesse un'altra carezza voluttuosa lungo la porzione di collo scoperta di Toshinori.
«Vieni con me» sussurrò, colta da una folle idea a cui sembrava decisa a cedere. Voleva passare la notte con lui. Non le importava niente del passato, dei doveri, dei risentimenti, di tutto quel tempo che era passato e nemmeno di ciò che Akane avrebbe detto se l'avesse scoperta. Voleva passare l'intera notte con lui, averne addosso l'odore e il calore fino al sorgere del sole. Quella stessa idea probabilmente stava attraversando anche Toshinori, ma a differenza sua, lui pareva combatterla con più accanimento. Ma come poteva Machiko immaginare il motivo di tanta resistenza? Col viso corrucciato, allungò con fatica una mano lungo il suo stesso collo, incrociando le sottili dita della donna. L'afferrò con delicatezza e con uno sforzo che poche volte aveva dimostrato, le fece scivolare via, riportando tra loro due l'aspra stoffa della sua camicia, costringendola a metterla sul petto.
«Non posso» ammise.
Come avrebbe potuto reagire il suo corpo a una tale situazione? Se avesse passato veramente la notte con lei, tutto quel tempo, sotto lo sforzo del sesso, sarebbe riuscito a mantenere la propria forma? E se avesse ceduto nel momento meno opportuno? Avrebbe dovuto dirglielo, si era ripromesso che quella sera l'avrebbe fatto, che le avrebbe detto la verità, ma ora che lei si era avvicinata in quel modo il coraggio mancava ancora di più. Era superficiale, forse infantile, ma ora più che mai non avrebbe resistito a un suo rifiuto di fronte a quella sua ribrezzante nuova forma fisica. E se avesse visto la cicatrice? Se dopo aver di nuovo potuto assaporare quei deliziosi momenti insieme lei l'avesse nuovamente allontanato, non avrebbe retto. Questa volta non ne avrebbe avuto la forza.
Ma questo Machiko non poteva saperlo e vide in quel sofferente rifiuto solo la giustizia di un uomo che legato alla sua moralità considerava sconveniente e forse poco educato approfittare di una donna in uno stato d'animo turbato come il suo.
«Sì che puoi» disse, cercando di rassicurarlo e provò di nuovo a cercare di sfiorare quella sola porzione di pelle che gli era concessa. Ma lui la fermò ancora, con più decisione.
«No, no, Macchan» si corrucciò e ancora ammise: «Non posso. Davvero».
«Sei diventato impotente?» chiese con una tale naturalezza, anche se era possibile coglierne l'affilata ironia di fondo, che Toshinori si irrigidì, arrossendo violentemente.
«Guarda che non c'è da vergognarsene. È una condizione medica, ne soffrono tanti uomini» insisté lei con la stessa leggerezza, accennando un sorriso divertito con l'angolo sinistro della bocca.
«Non è per questo» balbettò lui, sentendosi in dovere di difendersi anche se non seppe bene come. Machiko osservò a lungo il suo viso, tenerlo così vicino a sé la rasserenava e vederlo in quelle espressioni così familiari, così tenere e divertenti, la faceva stare proprio bene.
«Va bene» disse facendo un passo indietro e allontanandosi. Toshinori la guardò preoccupato, terrorizzato all'idea di averla in qualche modo ferita o offesa, ma si sorprese piacevolmente quando la vide serena e comprensiva. La sua Machiko era sempre stata così comprensiva.
«Mi puoi accompagnare almeno in albergo? Penso che per stasera sia il caso di rincasare, troppe emozioni».
«Alla fine non hai mangiato niente» osservò lui un po' preoccupato, camminandole a fianco.
«Farò venire il servizio in camera» disse lei e per il resto del tragitto restarono in silenzio, forse non sapendo che dire, come commentare quanto successo, o forse semplicemente desiderosi di non rompere quella piccola magia che li stava facendo stare bene dopo così tanto tempo.


Life can get you down so I just numb the way it feels
I drown it with a drink and out of date prescription pills
And all the ones that love me they just left me on the shelf
No farewell
So before I save someone else,
I’ve got to save myself






NDA.



E io l’avevo detto che questo era un capitolo COLBOTTO (tutto attaccato, esatto, tipo “colbacco”... io dico colbotto). Finalmente, ci sono voluti 18 capitoli, ma finalmente eccovi rivelato cos’è successo quel famigerato giorno di vent’anni fa: mentre Machiko aspettava speranzosa l’ennesimo ritardo di Toshinori, ecco che l’attacco criminale arriva anche al suo ristorante. L’edificio crolla e lei cade giù, chiamando disperata il suo nome, invano. Perfino al risveglio non lo trova, ma al suo posto a portarla in salvo c’è Endeavor (E qui confesso che per un attimo ho esitato di fronte alla tentazione di mandare tutto al diavolo e trasformare la ff in qualcosa di più pervert con quel pezzo di manzo alla brace di Papà Todoroki, della serie “oh mio eroe lascia che ti ringraz..” EHMma facciamo le brave e seguiamo alla lettera la scaletta u.u). E poi c’è stato il litigio, lei che finalmente è riuscita a piangere e a confessare quanto la cosa le abbia fatto male smettendo di ripetere che “era tutto ok”, e non dimentichiamoci del bacio.
COLBOTTO!
(...gomblotto…)
La canzone di Ed è perfetta e meravigliosa. Scegliere una sola strofa da mettere laggiù in fondo è stato impossibile, alla fine ho optato per il ritornello per comodità. Ogni singola parola, dall’inizio alla fine, rispecchia i pensieri di Machiko. Tutte, compresi gli articoli. E’ veramente eccezionale e dovete ascoltarla e piangere quanto ho pianto io mentre mi immaginavo Macchan di 23 anni che se la canticchiava da sola, magari nella vasca da bagno in lacrime con una bottiglia di vino, mentre tiene in mano il telefono pronta a chiamare Drew e cambiare la sua vita. Come si può intuire infatti è riferita a quel giorno di vent’anni prima, quando ha preso la decisione di andarsene, soprattutto il “so before i save someone else, i’ve got to save myself” è molto significativa, perché il “save someone else” si lega alla sua carriera di eroina che decide di lasciare per “salvare se stessa” e scappare via. Ma comunque ripeto, andatevela a leggere e ascoltare perché è tutta tutta TUTTA perfetta per quello che è successo a lei quel giorno.
E PARLANDO DI CANZONI!!!!
Adesso posso dirlo...
Nel capitolo "So what, Pink" c'è un megaspoiler che però era nascosto. La canzone stessa è uno spoiler, quando dice:
You weren't there,
You never were,
[...]
You weren't there,
You let me fall.
Lui non c'era quel giorno, non c'è mai stato in nessuno dei suoi bisogni. E il "you let me fall" è letterale. Lei è caduta dal palazzo distrutto e lui l'ha "permesso" proprio perché non era lì, l’ha lasciata cadere. E la cosa può essere anche ripresa metaforicamente per quando era all’aereoporto ad aspettarlo: lui non c’era e l’ha lasciata andare, ed è stato quel “vai pure, non ti vengo neanche a salutare” a darle il colpo di grazia (che poi vabbè… lui ha spiegato le sue ragioni).
Un altro spoiler interno alla canzone è racchiuso nell'intro, che dice: "I guess i just lost my husband". Si parla espressamente di marito, e qui si capisce perché: Toshinori voleva chiedere a Machiko di sposarlo (Engel ci era già arrivata ma scommetto non solo lei xD). Quindi quando vi dico di ascoltare le canzoni che vi propongo... beh fatelo u.u ahahahah
Ok, credo di aver finito.
Lascio a voi le considerazioni io torno a mangiare polaretti.
Ciao!


Ray


PS. Sì, oggi sono di buon umore stranamente e le mie NDA sono idiote… ma cose serie comunque le ho scritte, dai xD



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Capitolo 19
*** Try, Pink ***


"Try”, Pink




Le lezioni pomeridiane del corso speciale di Nina divennero molto più noiose da quando Aizawa era stato incaricato di occuparsi di lei, per assicurarsi che non commettesse altri spropositi verso gli studenti. Nina sembrava essersi rabbuiata, girava tra i ragazzini, osservandoli, dando anche qualche consiglio, ma era tutto così pacato, così poco stimolante. Aizawa alla fine non l'aveva bloccata neanche una volta, ma bastava uno solo dei suoi sguardi per far rabbrividire Nina e farle capire che era meglio che evitasse certi comportamenti. E alla fine, lei era la prima ad annoiarsi. L'idea che fosse sotto osservazione, che Aizawa fosse lì esclusivamente per bloccare i suoi fili, impedirle di essere se stessa, la tormentava tanto da farle perdere l'entusiasmo che quel corso all'inizio le aveva dato. Ma cos'altro avrebbe potuto fare?
«Ben fatto, Kaminari, continua così» mormorò sovrappensiero, dopo averlo a malapena osservato.
«Ottimo lavoro, Jiro» continuò, passeggiando tra gli studenti.
Sbuffò, ormai esausta. Quelle due ore sembravano non passare mai.
«Nina!» a chiamarla fu la delicata voce di Uraraka. Era raro che la piccoletta si facesse avanti con lei, per questo la curiosità fu tale che ebbe tutta la sua attenzione. La ragazzina arrossì, prima di lanciare uno sguardo ad Aizawa e poter infine parlare: «Ecco... potrei parlarti?»
Nina lanciò uno sguardo all'uomo alle sue spalle e gli fece spallucce, dando perciò indirettamente alla ragazzina la colpa di tutto quello. In realtà Uraraka non poteva sapere che grosso favore le stava facendo. Aizawa annuì, non troppo convinto, e si allontanò abbastanza da permettere alle due di parlare ma non troppo da perdere di vista la donna. Non riusciva proprio a fidarsi di lei, c'era qualcosa nel suo modo di fare che mai l'avrebbe convinto.
«Ecco...» cominciò Uraraka, imbarazzata, chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta. «La prossima settimana ci sarà il festival sportivo» cominciò a spiegare e già quella prima affermazione sorprese Nina: «Sarà la prossima settimana? Perché nessuno mi ha avvertita? Potrò guardarvi prima di andarmene, che fortuna!»
«Forse non dovrei essere così sfacciata» mormorò Uraraka, ancora più imbarazzata.
«Tesoro, che ti prende? Cosa c'è che vuoi chiedermi?» chiese Nina, stringendosi nelle spalle e abbassandosi appena per mettersi al suo stesso livello. Sembrava di vedere una madre di fronte alla propria timida figlia, vista dall'esterno era persino tenero.
«In questa classe ci sono tante persone molto più forti di me e non conosco le persone delle altre classi, anche lì potrebbe essere pieno di persone migliori di me, eppure vorrei così tanto riuscire a distinguermi. Il festival sportivo è un'occasione così importante!» serrò i pugni e Nina continuò a osservarla in silenzio, lasciando che parlasse. Non sapeva cosa c'entrava lei in tutto quello, non ancora, ma sentiva che Uraraka in quel momento aveva bisogno di lei e non si sarebbe certo tirata indietro. «Sto cominciando a pensare che potrei fare molto di più, che non ho ancora tirato fuori il vero potenziale del mio Quirk, ma non riesco a capire dove sbaglio» e dopo questa confessione, con un sospiro raccoglitore, chiese tutto in un fiato: «Nina, per favore, puoi aiutarmi ad arrivare prima al festival sportivo?»
Nina si sollevò, pensierosa, e lasciandosi cadere all’indietro si appoggiò al blocco di cemento che aveva alle spalle, creato da Cementoss. L'attesa di una risposta diede tempo a Uraraka di pensare di aver commesso un errore, di essere stata troppo sfacciata o di aver sbagliato a credere che lei avesse potuto aiutarla a uscire da quel blocco.
«Perché lo hai chiesto a me?» parlò finalmente, Nina.
«Io non lo so...» balbettò Uraraka, timida. «Credo sia per via della tela del ragno».
«La tela del ragno?» Nina inarcò un sopracciglio, non capendo di che stesse parlando.
«Al museo, qualche giorno fa. Nina, posso chiederti una cosa?»
«Certamente».
«Avevi già usato quella mossa? Quella con cui ci hai protetti dal fuoco, incrociando i tuoi fili come fossero la tela di un ragno».
«Allora è a quello che ti riferisci» capì Nina, socchiudendo gli occhi. Uraraka l'aveva osservata più di quanto avesse immaginato, aveva capito molte cose. Avrebbe dovuto capirlo fin da subito che era una brava osservatrice, da quando l'aveva sentita parlare del suo passato con Toshinori, dopo aver visto la foto che Mineta aveva portato in classe. Chissà perché non l'aveva mai notata troppo, eppure, ora che ci faceva caso, era una persona davvero interessante.
«Sapevi che era la prima volta che la improvvisavo, giusto?» chiese, cercando di indagare fin dove si fosse spinto il pensiero della ragazzina.
«Mi hai parlato dei ragni e delle loro tele appena mezz'ora prima dell'attacco, ne parlavi con ammirazione, come se fosse qualcosa a cui aspiravi diventare ma che sapevi non ci saresti mai riuscita. Poi, quando quell'uomo ci ha sparato il fuoco addosso, sei diventata tu stessa un ragno e hai creato una tela per proteggerci. Non so, ho immaginato che tu avessi improvvisato perché non avevi dato prima l'impressione che fosse qualcosa che sapevi fare. Mi sbaglio?»
«No» rispose schietta, Nina. «Non ti sbagli. Mi sono lanciata su di voi con solo l'idea che dovevo proteggervi, non avevo la più pallida idea di come, poi tutto è successo. Non so come mi sia venuto in mente, ho solo pensato che i miei fili erano sottili, ma avrebbero potuto contrastare quelle fiamme. Dovevo solo trovare il modo di renderli spessi abbastanza da ricoprirci. Ho improvvisato, è vero».
«Conosci a fondo il tuo Quirk, sai quali sono i vantaggi e i limiti e riesci perfettamente a combinarli rendendolo incredibilmente potente. Hai combattuto contro quattro uomini, tutta da sola, hai tenuto loro testa, mentre Sutegoro non è riuscito neanche a sfiorarlo e Kamui Woods non è riuscito ad avvicinarsi. E tu non combatti da anni, mentre loro lo fanno di professione!»
«Accidenti, così mi lusinghi» e per quanto il tono usato fosse dei più scherzosi, il rossore sulle guance di Nina tradì la sincerità di quelle parole. «Ma non esagerare, non sono così forte come credi, ho solo avuto fortuna. Se poi non fosse arrivato All Might non sarei mai riuscita a portarvi in salvo».
«Io voglio diventare come te!»
«Eh?» arrossì Nina, improvvisamente senza parole. Di lusinghe ne aveva ricevute a bizzeffe, era abituata ai complimenti di ogni sorta, ma era la prima volta che qualcuno arrivasse persino a dirle che voleva somigliarle. Era la prima volta che qualcuno ammirava la burattinaia, senza temerla, ma aspirando addirittura ad essere come lei.
«Cioè! Nel senso che...» cominciò a dimenarsi Uraraka, imbarazzata. «Anche io non sono forte e sono tanto inesperta, ma voglio essere comunque in grado di combattere contro quattro uomini quando tutti gli altri non ce la fanno solo perché so come tirare fuori il meglio di me! Vorrei solo... che mi insegnassi».
La sensazione di essere apprezzata, di essere piaciuta, la sensazione di qualcuno che non solo l'accettava per quello che era, senza chiederle di nascondersi, ma la elogiava. E ciò che rendeva il tutto così emozionante era il fatto che per la prima, dopo anni, non era Nina la cantante a ricevere quelle attenzioni ma la piccola, segregata e imbavagliata Machiko, costretta a nascondersi per poter piacere agli altri.
Sorrise lievemente emozionata, sollevata nel petto. Quella vacanza era la cosa migliore che avesse mai scelto di fare.
«Non posso insegnarti a usare meglio il tuo Quirk» confessò e questo scaturì l'addolorata espressione di Uraraka. Ci aveva sperato così tanto.
«Ascolta, il punto è che nessuno può farlo perché nessuno ha il tuo Quirk. Possiamo fare supposizioni, possiamo provare a immaginare in che modo potresti migliorarlo, ma è qualcosa che viene da dentro di te e che solo tu possiedi. Perciò solo tu puoi studiarlo a fondo e capire come renderlo migliore, nessun altro».
«Non so da dove cominciare... so solo che posso far galleggiare le cose».
«Ogni cosa?»
«Sì... credo».
«Qualsiasi peso? Qualsiasi grandezza? Fino a che altezza può arrivare? Oltre che annullarla, puoi anche aumentarla la forza di gravità? Per quanto tempo? E sott'acqua? Come funziona? In quali occasioni puoi usarlo? E se avessi per esempio dei propulsori ai piedi per muoverti come il tuo amico Iida? Se combinaste i vostri Quirk? Cosa ne uscirebbe? Vedi? Di domande ce ne sono a bizzeffe e tu mi sembri abbastanza curiosa e attenta da riuscire a fartele e trovare delle risposte. Prendi spunto da ciò che ti circonda, come ho fatto io con i ragni, non fossilizzarti su ciò che sai di essere ma chiediti cos'altro puoi diventare. Io pensavo di essere una burattinaia, ho adesso scoperto che posso essere anche un ragno. Non si finisce mai di imparare, eh?» sghignazzò.
«Cosa posso diventare» mormorò Uraraka, portandosi una mano al mento e cominciando una profonda riflessione. Nina la guardò, sorridendo, e la lasciò immersa nei suoi pensieri, senza interferire.
«Deku ha un quadernetto dove raccoglie tutte le informazioni sugli eroi. Le usa per imparare da loro e gli piace trovare il modo per usarle nel migliore dei modi. Proprio come mi hai detto tu. Credo che a questo punto sia davvero la strada giusta da percorrere! Sì! Devo fare esattamente come fa lui!»
«Deku?» chiese Nina, alzando un sopracciglio. Di chi diamine parlava?
«Devo prendere spunto da ciò che mi circonda e usarlo per migliorarmi!»
«Uraraka» la chiamò Nina, destandola dal suo monologo motivazionale. «Ricorda che anche i nemici sono cose che ti circondano. Non aver paura di usarli a tuo vantaggio».
Uraraka annuì, ragionando ad alta voce: «La tua forza non era abbastanza per uscire dalle sabbie mobili che l'uomo dell'asfalto aveva creato, perciò hai usato il rinoceronte per farti trascinare fuori».
E ancora una volta Nina sorrise, sorpresa della capacità di osservazione che la ragazzina stava dimostrando. Era stupefacente.
«Forse c'è una cosa che posso dirti per aiutarti» disse, ed ebbe così tutta l'attenzione della ragazzina. «Sei quel genere di persona che si tende a sottovalutare».
«Eh?» sobbalzò Uraraka per niente rincuorata. Che doveva essere quello? Un complimento? Le aveva appena detto che non faceva paura a nessuno, non era molto carino.
«Ascolta, un avversario che ti sottovaluta è un avversario che abbassa la guardia. Non importa chi hai davanti, se ti mostra la guancia tu tiragli un bel pugno!» sghignazzò divertita da quella metafora che si era appena inventata, ma Uraraka continuò a guardarla di traverso senza aver ben chiara l'utilità di quel consiglio. Le sarebbe stato utile più avanti, forse.
Nina le posò una mano sulla testa, scompigliandole affettuosamente i capelli. Uraraka restò immobile, arrossendo appena, e sorridendo. Una reazione completamente diversa da quella di Bakugou che invece sembrava volesse staccargliela quella mano, tutte le volte che provava a trattarlo in quello stesso modo. Era una ragazzina così tenera.
«Plus Ultra» le sussurrò, incoraggiante. Uraraka si illuminò ed annuì.
«E adesso dimmi, chi è questo Deku? Il tuo fidanzato?» chiese allargando il viso in un enorme sorriso curioso. Uraraka arrossì tanto violentemente che per poco non svenne e cominciò a balbettare, agitandosi, che non erano affatto fidanzati.
«Ok, ma mi dici chi è?» chiese Nina ancora, insistendo come una ragazzina alle confidenze dell'amica, ben intuendo che non era vero che tra quei due non ci fosse niente.
«Deku è Izuku-kun... è il suo nome da eroe» balbettò lei, cercando di spiegare. «Siamo solo amici e io adesso è meglio che torno ad allenarmi!» e si affrettò a scappare, osservata da una ridacchiante Nina. Com'erano belle e innocenti quelle cotte infantili, come sembrava tutto più semplice, più intenso e meno terrificante. Spostò lo sguardo oltre le murate di Cementoss, oltre Uraraka, e riuscì a intravederlo: Midoriya continuava a tirare pugni e calci al vuoto, colpendo ogni tanto le murate di Cementoss, senza usare il suo potere, timoroso di finirne in pezzi. Ricordava come anche Toshinori si fosse rotto qualche arto, quando ancora non riusciva a padroneggiare appieno il potere di Nana. Ricordava l'impegno con cui Toshinori portava avanti quegli ideali, quello stesso impegno che stava accecando il ragazzino. Tutto quell'impegno nello strappare via la ragione di vita dalle dita di un uomo e neanche riusciva a dimostrare di esserne degno. Come poteva Toshinori rinunciare così a se stesso, cedendolo proprio a lui. Con tutti quelli che c'erano al mondo, perché proprio quel Midoriya?
In realtà, era difficile da ammettere, ma probabilmente nessuno sarebbe stato degno, ai suoi occhi. Nana aveva scelto Toshinori, Nana lo sapeva quanto valesse, era l'unico che fosse mai stato degno di tanto potere. Esisteva davvero qualcuno in grado di egualiarlo? Esisteva davvero qualcuno che poteva considerarsi al livello di Toshinori? Qualcuno degno di appropriarsi di quel suo prezioso potere?
Era tutto così assurdo.
«Midoriya!» chiamò severa, senza muoversi, facendo rimbombare la sua voce in tutta la palestra. Il ragazzino rabbrividì, riconoscendo nel suo tono la minaccia che solo Nina sapeva trasmettere. Aizawa incrociò le braccia al petto e silenziosamente si avvicinò di qualche passo, pronto a intervenire nel caso ce ne fosse stato bisogno.
«Che stai facendo?» gli chiese.
«Io... sto provando ad usare il mio potere, senza rompermi un braccio» confessò il ragazzino.
«Non dirmi balle!» ringhiò lei. Perché Toshinori l'aveva scelto? Cosa aveva di così speciale? Perché gli permetteva di strappargli così la preziosa vita che lui aveva meticolosamente costruito? «Non ci stai neanche provando!»
«Se... se lo lascio andare, potrei usarne troppo e farmi del male!» si giustificò Midoriya. «Devo ancora capire come regolare...»
«Tu te la stai solo facendo sotto!» gli urlò contro Nina.
«Adesso calmati» ordinò Aizawa, avvicinandosi a lei. Tutto quel risentimento era palpabile ed era ovvio che non c'entrasse niente con la lezione che stava svolgendo. Nina stava di nuovo rischiando di essere troppo se stessa, esagerando.
«Non è tremando di paura che salverai il mondo, moccioso! Nessuno sorriderà di fronte a un eroe che se la fa sotto più di loro! Nessuno!» urlò, serrando i pugni, e per quanto fosse stata violenta in quelle parole, Midoriya ne colse il succo. All Might non aveva mai paura, o perlomeno non lo dimostrava mai, affrontava tutto a testa alta e con sicurezza. Come poteva prendere il posto del suo grande eroe, diventare come lui, se non partiva dalle basi? All Might sorrideva sempre, lui non faceva che tremare di paura.
«Tira quel cazzo di pugno!»
«Ora basta, Nina!» disse severo Aizawa.
«Ora mi è proibito anche parlare con i miei studenti?» lo fulminò Nina.
«Stai incitando uno studente a disintegrarsi un braccio, non è il modo migliore per impartire una lezione!»
«Sto incitando uno studente a dimostrare di essere degno del potere che gli è stato concesso! Sta a lui cercare di uscirne integro! Tira quel pugno, ho detto!»
«Gettare i bambini nel lago per obbligarli a imparare a nuotare non sempre funziona. Questa scuola ha degli standard di sicurezza precisi» insistè Aizawa.
«Me ne frego! Midoriya, tira quel dannato pugno, ora!»
«Nina!»
«Tiralo!» gridò ancora e, non seppe neanche lui per quale motivo, forse intimorito all'idea di non esserne veramente degno, forse desideroso di far onore ad All Might che aveva creduto in lui, con un urlo si lanciò carico contro la murata. La colpì, ma non andò in pezzi. Un gran dolore alle nocche e nessuna ferita se non qualche abrasione: aveva colpito il muro con la semplice forza di un uomo e non con il suo potere. Perché? Che avesse avuto paura all'ultimo? Si voltò verso Nina e Aizawa e la risposta arrivò da quest'ultimo, dai suoi occhi arrossati e i capelli sollevati. Aveva neutralizzato il suo potere, per impedirgli di andare in pezzi. Doveva essergli grato, eppure continuava a soffrire di quello sguardo frustrato che Nina gli lanciava. Perché non riusciva a credere in lui, come aveva fatto All Might? Perché credeva nella forza e nel futuro di tutti i suoi compagni, perfino di Mineta, ma non in lui?
«È abbastanza?» chiese Aizawa, provocatorio, verso la donna. Nina voltò le spalle al ragazzino, dirigendosi verso Bakugou, dall'altro lato della palestra.
«Per il momento» rispose semplicemente, allontanandosi. Ancora non riusciva a capirlo, ancora non riusciva ad accettarlo. Quel Midoriya non era degno, non riusciva a pensare ad altro, ed avrebbe infranto il sogno per il quale entrambi avevano lavorato tanto e si erano sacrificati a tal punto. Tutto stava crollando in pezzi, per colpa di quel ragazzino. Ogni motivazione perdeva di senso. Perché se n'era andata, permettendo ad All Might di nascere definitivamente, se poi arrivava un ragazzino qualunque e lo annientava, prendendone il posto? Un ragazzino che non sarebbe mai stato in grado di portare onore a quel sogno, a quel sacrificio.
Perché proprio lui?


Ever wonder about what he’s doing
How it all turned to lies
Sometimes I think that it’s better to never ask why
Where there is desire
There is gonna be a flame
Where there is a flame
Someone’s bound to get burned
But just because it burns
Doesn’t mean you’re gonna die
You’ve gotta get up and try try try


NDA.


Sto capitolo non mi piace per niente, ma non c’è stato verso di trovare il modo di sistemarlo o trovare una canzone che mi convincesse di più (Sì, Try è molto bella ma non mi stimola XD)... perciò to’, ve lo beccate così com’è e spero che il prossimo andrà meglio ahahaha
Comunque ci sono “affezionata” perché comincia a emergere un altro elemento importante della storia: Midoriya non le piace per niente. In realtà credo che nessuno le sarebbe piaciuto, non è niente contro Midoriya in sé, ma recrimina il semplice fatto che (giustamente) sia inesperto e non abbia neanche idea di cosa lui abbia tra le mani. Semplicemente non riesce ad accettare che sia arrivato il momento di passare il testimone, il momento per Toshinori di andare in pensione dopo tutto quello che hanno fatto (entrambi) per portare a compimento quel sogno. E si chiede se sia giusto, se Midoriya sia quello giusto, e più se lo chiede più si turba nel vederlo ancora così debole e inesperto. In Toshinori aveva grandi aspettative, lei sembrava ossessionata e sicura che lui fosse la persona perfetta per quel tipo di compito (ricordo nel flashback del Tanabata per esempio esprime il desiderio che lui ce la faccia, oppure sempre in un altro flashback se la prende con lui, malmenandolo, quando ha un calo di fiducia in se stesso. Gli da forza, lo incoraggia ed è certa che può fare enormi cose, per questo decide poi anche di “sacrificarsi” e farsi da parte). E ora tutto quello lo vede nelle mani tremolanti di un ragazzino che ha perfino paura a guardarla negli occhi… la rabbia e la frustrazione sono dietro l’angolo, no? ;P
Di nuovo ringrazio TUUUUUUUUTTI quanti quelli che leggono (negli ultimi capitoli c’è stato un boom di visual incredibile, cos’è successo?! xD) e vi saluto! Al prossimo capitolo che spero -e credo (?)- sarà più decente.
CIà!


Ray



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Capitolo 20
*** Already gone, Sleeping at Last ***


"Already gone”, sleeping at last



«Nina?» la timida voce di Uraraka fece capolino alle sue spalle, appena subito dopo il rumore della porta che si apriva. Nina lasciò andare i propri vestiti, serrati all'altezza del petto, e si affrettò a portarsi la mano tremante sulla guancia, strofinando via l'umido delle sue lacrime.
«Uraraka-chan» sussultò, cercando di riacquistare rapidamente un sorriso convincente, ma lo sporco sulle sue guance e il rossore dei suoi occhi la tradirono. «Perdonami, dammi solo un minuto e torno dentro».
Uraraka uscì completamente dalla palestra, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle. Ci si poggiò con la schiena, separando in maniera netta il resto della sua classe dal giardino esterno, dove Nina era fuggita poco dopo la sceneggiata fatta a Midoriya. Nina riuscì a leggere la preoccupazione nel suo sguardo: non sarebbe stato un finto sorriso e due rassicurazioni a calmarla. Uraraka riusciva a vedere ben oltre, era una perfetta osservatrice. Sospirò, rassegnata: non poteva mentirle.
«Forse dovrei accettare le conseguenze, farmi mandare via e basta, senza insistere oltre. Non sono portata per fare l'insegnante, Aizawa ha ragione» si avvicinò al muro della palestra e ci si poggiò con la schiena, alzando lo sguardo al cielo. «Nella vita l'unica cosa che sia mai riuscita a fare è solo cantare».
«Questo non è vero!» si affrettò a rispondere Uraraka, decisa a tirarla su di morale... qualsiasi cosa le fosse preso. «Ci hai salvati al museo, ci hai insegnato un sacco di cose sui limiti o il combattimento coordinato, hai protetto Bakugou e Kirishima da una punizione e hai perfino convinto Bakugou ad ascoltarti! Hai visto prima come ha abbassato la testa, quando lo hai brontolato di essere troppo impulsivo? Non lo fa con nessun altro, te lo assicuro!»
«Il piccolo Kacchan» ridacchiò Nina, ricordando con tenerezza quel piccolo momento insegnate-studente appena rammentato da Uraraka. «Diventerà un grande eroe».
«Tu... credi molto in lui?» chiese Uraraka, titubante. Come poteva pensare che uno come Bakugou sarebbe diventato un grande eroe? Era forte, era vero, ma non aveva niente dell'eroe! A lui interessava solo combattere e vincere, non aveva altri principi morali se non quelli di fare a pezzi chiunque gli si parasse davanti. Nei test di salvataggio non a caso arrivava sempre ultimo.
«È... come dire? Esplosivo!» non poteva esserci aggettivo migliore. «Ma ha la testa sulle spalle e sa cosa vuole. Non è uno stupido tutto muscoli e niente cervello. È quel genere di persona che sottovaluteresti, proprio come te, Occhan».
«Io e lui non ci somigliamo per niente» disse Uraraka, lievemente infastidita per il paragone. Bakugou era rozzo, volgare, antipatico e fastidioso. Niente a che vedere con una come lei.
«No, è vero» ridacchiò Nina, divertita dal sul modo di fare. «Tu sei molto più carina» e le fece un occhiolino. La reazione imbarazzata della ragazzina aumentò la sua ilarità, rasserenandole il cuore. Le posò una mano affettuosa sulla testa, in segno d'affetto e di ringraziamento. Quel leggero buon umore che le aveva donato con tanto sforzo aveva avuto il suo effetto.
«Uraraka, tu sei molto affezionata a Midoriya, vero?» chiese, tornando a chiudere il volto in un'espressione corrucciata, ma più rasserenata rispetto a prima. Uraraka arrossì nuovamente e si affrettò a specificare: «Siamo solo amici!»
Nina ignorò la palese bugia dietro alla quale si nascondeva e le fece la domanda che tanto le premeva il petto: «Credi che abbia le carte in regola per essere un ottimo eroe? Per diventare... il numero uno?»
Uraraka la guardò per un attimo confusa e perplessa: mai era capitato che un insegnante chiedesse parere a uno studente sulla valutazione per un altro studente. Ma, in fondo, Nina non era una vera insegnante.
«Insomma» aggiunse la donna, cercando probabilmente una scappatoia, una giustificazione a quella domanda tanto improvvisa: «Tutti mi hanno mostrato qualcosa del loro potenziale, tranne lui. Sembra quasi che non ne abbia uno, non capisco come sia riuscito a entrare in questa scuola».
«Il giorno del test, alla prova pratica, aveva fatto zero punti» disse Uraraka con una tale leggerezza nel tono che Nina si chiese, curiosa, dove volesse andare a parare. Non sembrava quel tipo di persona che si prendeva beffe di un amico e allora perché quell'affermazione? «C'era un robot, tra tutti, che andava assolutamente evitato. Non dava punteggio e intralciava solamente, perciò quando ha fatto la sua comparsa tutti hanno pensato solo a scappare via. Ma io ero rimasta ferita, ed ero schiacciata sotto a delle macerie, non potevo muovermi. Oltre a non poter andare a cercare altri robot per fare punteggio, ho rischiato di morire schiacciata da quello da zero».
«Lui è tornato indietro e ti ha salvata. Ho visto la registrazione del vostro test» ammise Nina, ricordandosi del video che Nezu le aveva mostrato. «Un gesto nobile, che chiunque con un po’ di buon cuore avrebbe fatto. Non è certo prerogativa del numero uno» aggiunse non convinta.
«Questo è vero, ma intanto, in mezzo a cinquanta persone, lui è stato l'unico ad ascoltare la mia richiesta d'aiuto» per quanto quella fosse una banalissima affermazione, ebbe comunque lo stesso effetto di una freccia nel cuore.
In mezzo a tante persone, lui era stato l'unico.
«Io so perché Nana ti ha scelto, Toshi-chan» risuonò nella testa di Nina la sua stessa voce, vecchia più di vent'anni. «Perché vuoi salvare le persone. Punto. Tu sei stato l'unico a sentire la mia richiesta d'aiuto».
Lui l'aveva sentita. L'aveva sempre sentita, ogni giorno della sua vita, non aveva mai smesso di farlo. Non sapeva cosa l'avesse poi spinto a non ascoltare più quella richiesta d'aiuto, non sapeva perché avesse cominciato a ignorarla, forse consapevole che non aveva più bisogno di lui... ma All Might era nato da quella sua prima richiesta d'aiuto. Era stata la prima a chiamare il suo nome, la prima da cui era accorso con un sorriso e aveva esclamato di non preoccuparsi, perché… adesso ci sarebbe stato lui.
Tanti anni a giustificare, a cercare di perdonare, senza mai rendersi conto che non c'era niente da perdonare. E quel Midoriya...
«Si è rotto le gambe e un braccio solo per salvarmi, insomma, non è stato un salvataggio in grande stile, anzi è stato davvero pessimo» continuò Uraraka. «Ma sembrava che non gli importasse altro se non tirarmi fuori dai guai, ha messo da parte ogni cosa, ha perfino messo da parte il sogno di entrare in questa scuola. In quel momento non gli importava di niente se non salvarmi. È stato...» si portò una mano al petto, lievemente rossa in volto, ma non terminò la frase, interrotta dalla stessa Nina: «È stato bello vedere che al mondo esiste qualcuno in grado di sentire le tue lacrime e che ovunque ti trovi è disposto a porgerti la mano, facendoti sentire meno sola. Anche se questo gli causa guai e devi essere tu poi a intervenire per evitare che collassi del tutto». Ricordava le innumerevoli volte in cui era stata costretta a prendere possesso del corpo di Toshinori con i suoi fili, prima che lui incontrasse Nana e ottenesse una unicità, solo per far sì che combattesse decentemente e non venisse ucciso dai bulletti contro cui si batteva per difenderla. Alla fine era lei che lo salvava da quelle situazioni, ma l'eroe lì era sempre e solo stato Toshinori.
«Se non usavo il mio Quirk su di lui, rischiava di morire» disse Uraraka, dando voce ai suoi stessi pensieri.
«Vuoi salvare le persone. Punto».
Quel Midoriya... gli somigliava così tanto.
Allora era quello, il motivo? Per quel motivo Toshinori l'aveva scelto? Per lo stesso motivo per cui Nana aveva scelto lui, trent'anni addietro.
Semplicemente perché voleva salvare le persone.
«Uraraka» mormorò Nina, rilassando il volto. «Avrà bisogno di te».
«Cosa?» arrossì la ragazzina, non riuscendo a cogliere a fondo il significato di quelle parole. Senza Machiko, All Might non sarebbe stato in grado di nascere. Era stata Machiko a lanciare il primo grido d'aiuto, facendo emergere l’eroe che era in lui. Era stata Machiko a donargli il sorriso che lui poi si era ripromesso di portare al mondo intero. Era stata Machiko a incoraggiarlo, a dargli la forza e sostenerlo ogni singolo giorno della sua vita, soprattutto nei momenti più difficili, dove cadeva a terra, arrendendosi all'idea di non essere degno. Machiko l'aveva fatto rialzare e Machiko aveva dato un nome a quel simbolo.
«È tutto All Right!»
«Ci saranno volte in cui non te lo chiederà, in cui sembrerà schivo e freddo. Quello sarà il momento in cui dovrai andare a cercarlo e ricordargli ciò che hai appena detto a me. Ci saranno momenti in cui si dimenticherà di essere il numero uno, terrorizzato, e tu dovrai essere lì per ricordarglielo. Devi farlo sorridere» proseguì Nina.
«Ma cosa...?» balbettò Uraraka, non capendo il motivo di quel discorso. Nina non rispose immediatamente, ma si diresse verso la porta della palestra intenzionata a rientrare. Quando le passò accanto le concesse un'altra carezza sulla testa e infine le disse: «Confido nella tua dolcezza, Occhan. Io la mia l'ho già usata con qualcun altro, molto tempo fa».
«È All Might, vero?» si affrettò a chiedere Uraraka prima che Nina potesse rientrare e chiudere lì quel discorso. La donna la guardò intenerita: ancora pensava a quella faccenda su loro due. Certo, le voci che avevano preso a girare nella scuola sul loro presunto bacio sul tetto non aiutava la sua causa e l'aveva messa in una posizione di chiaro svantaggio. Era ovvio che avesse tutti gli sguardi e i pensieri addosso, in fondo era "la donna dell'eroe più grande al mondo" e i pettegolezzi stimolavano le giovani menti più di ogni altra cosa.
«Ti voglio confessare un segreto» disse Nina, decisa ad alimentarla quella fiamma anziché combatterla, soprattutto con Uraraka la cui curiosità era di una dolcezza infinita, per niente maliziosa e fastidiosa. Si avvicinò al suo orecchio dopo essersi assicurata di non avere nessuno attorno. «All Might in realtà è un grandissimo imbranato» sussurrò, portandosi un dito davanti al naso per suggerirle di non dire niente a nessuno. «Ed anche un gran piagnucolone! Quando ci siamo conosciuti alle medie si lanciava addosso ai bulletti che se la prendevano con me con le lacrime agli occhi, consapevole che ne avrebbe solo prese di santa ragione» ridacchiò, divertita da quell'innocente ricordo.
«Lui ti difendeva dai bulli» osservò Uraraka, con gli occhi talmente spalancati che Nina avrebbe potuto vederci attraverso, se solo avesse avuto il resto della testa trasparente. Le guance arrossate, l'emozione palpabile, il battito del suo cuore udibile anche da lì. Davvero trovava la cosa romantica a tal punto? Nina annuì e spiegò: «Non ho avuto un'infanzia facile, il mio Quirk mi ha sempre messo in cattiva luce anche perché, per difendermi da tutte quelle malelingue, spesso lo usavo per far del male alle persone. Era un circolo vizioso, loro mi maltrattavano perché mi vedevano cattiva, io facevo la cattiva perché loro mi maltrattavano. Ma poi ho conosciuto Toshinori. È stato l'unico, tra tutti, che abbia mai ascoltato la mia richiesta d'aiuto. Diceva che avevo la faccia di chi aveva solo bisogno di essere aiutata, di chi aveva solo bisogno di un amico» si portò una mano al petto, ammorbidendo lo sguardo, prima di confessare: «Credo mi abbia salvato la vita».
«Come Deku» mormorò Uraraka, più a se stessa che a lei, un pensiero che le era scappato via dalle labbra. Nina la guardò qualche secondo, assimilando quell'informazione. Era proprio come Deku, aveva ragione. Ora cominciava a capirlo e più lo faceva più ne soffriva: era davvero arrivata la fine di All Might, dunque? Non avrebbe potuto impedirlo in nessun modo? Midoriya sarebbe stato il nuovo simbolo, lasciando Toshinori nel dimenticatoio, e lei non avrebbe potuto fare altro che guardarlo e assistere alla sua lenta oscurazione, dopo tutto quello che avevano fatto per accenderli, quei riflettori. Ma Midoriya era proprio come lui, non poteva farci niente. Sarebbe stato inevitabile e tutto ciò che poteva fare era quello che Machiko aveva sempre fatto: sorridere e incoraggiarlo.
Sarebbe stata presente, come tutte le volte che Toshinori ne aveva avuto bisogno anche in passato, come se niente fosse successo, come se niente fosse cambiato. Nonostante lui le avesse voltato le spalle, scegliendo All Might, Machiko non poteva far a meno di porgergli una mano per aiutarlo a risollevarsi. Machiko avrebbe per sempre chiamato il suo nome.
«Sì» mormorò con un filo di voce, quel poco che la gola ora serrata le permetteva di usare. «Come Deku».


Nina scese dalla limousine, subito seguita dal suo agente, Drew. Una decina di fotografi erano già appostati fuori dal ristorante e, come al solito, procedettero oltre, senza dar loro molto peso. Un sorriso di circostanza, un saluto aggraziato e Drew la spinse all'interno della struttura. Era in America da soli due anni, eppure la sua fama stava raggiungendo livelli così alti in così poco tempo. Era bastata la partecipazione a quel talent show e anche se non aveva vinto il primo premio, ne aveva guadagnato in gran lunga di fama, tanto che un produttore si era fatto vivo poco dopo, proponendo una collaborazione e l'incisione di un disco. Il suo primo disco, la nascita di Nina la cantante, lasciandosi definitivamente alle spalle Nina l'eroina. Un nuovo inizio, un nuovo capitolo che nel profondo cominciava anche ad amare. Era bello avere qualcuno che gridava il suo nome, quando la vedeva.
«Le domande a dopo, ora siamo in ritardo» disse Drew ed entrò nel ristorante, dove ad aspettarli al tavolo c'erano già il Signor McConnery e un paio di collaboratori di secondo ordine. Una cena di lavoro, dove avrebbero discusso alcuni dettagli sull'uscita di quel disco che segnava l'inizio di una nuova vita.
«Oh, eccoli! Signor Halbert, Nina...» disse McConnery, alzandosi in piedi. Allungò una mano verso la donna, prendendo delicatamente la sua, e con galanteria le concesse un delicato baciamano. Un pervertito travestito da galantuomo, lo sapeva bene Nina, ma finché sarebbe stato la sua fonte di guadagno e di successo poteva anche permettergli quelle piccolezze. «Accomodatevi, vi stavamo aspettando».
«Perdonate il ritardo, le strade oggi sono impraticabili. Nonostante le deviazioni del nostro autista, non siamo comunque riusciti ad arrivare in tempo» si giustificò Drew, mettendosi a sedere. McConnery si mise dietro Nina e per completare quel quadro di finta galanteria l'aiutò con la sedia, permettendole di sedersi al suo fianco, infine anche lui tornò al suo posto, sistemandosi la camicia sulla gigantesca pancia che si ritrovava.
«Va tutto bene, non vi abbiamo aspettato poi così tanto. Allora, ora che siete arrivati direi di cominciare. Mi sono permesso di ordinare una bottiglia di vino, spero che la signorina apprezzi» disse voltandosi verso Nina con un gran sorriso.
"Più di quanto immagini" avrebbe voluto rispondergli, consapevole che l'alcol sarebbe stato il suo migliore amico per il resto della serata, fintanto che avesse avuto gli occhi viscidi di quell'uomo addosso. Essere gentile era così difficile, non era facile per un burattinaio porsi allo stesso livello dei suoi burattini, mescolandosi ad essi. Ma a volte le necessità la obbligavano e quel giorno quella necessità si chiamava Drew e il loro primo CD.
Perciò sforzò un cordiale sorriso e annuì con grazia: «Gentile come sempre, Signor McConnery».
«Ah, la dolcezza delle donne giapponesi non è solo leggenda, dunque. Sarà la tua forza, il pubblico adora il perfetto mix tra sensualità ed innocenza, risveglia primitivi sentimenti di invidia nelle donne e desiderio negli uomini. E poi, ultimamente, il mondo nipponico ha gli occhi puntati addosso. Questa è una scommessa che vinceremo, mia dolce Nina, ne sono certo. Diventerai una grandissima artista, ci scommetto la carriera!»
«Davvero troppo gentile, Signor McConnery, a credere così tanto nelle potenzialità della nostra Nina» rispose Drew per lei, alleggerendola di quel peso. Era incredibilmente comprensivo e protettivo con Nina e questo la metteva straordinariamente a suo agio. «Ho scommesso in lei dal primo istante in cui l'ho vista, su quel palco a quel festival musicale di Tokyo. Certo, ho dovuto aggiustare un po' il suo stile, ma sapevo che sotto quella scorza, con gli angoli smussati, ne sarebbe uscita una perfetta opera d'arte».
«Ci farai guadagnare un sacco di soldi, mia cara Nina. Tieni, questo è in tuo onore» disse versandole un bicchiere di vino, per poi fare altrettanto con il proprio e quello dei commensali. «Propongo un brindisi» annunciò, alzando il calice. Sarebbe stato un brindisi lungo, pieno di lusinghe e onorificenze, parole che solo un uomo dal grosso ego come McConnery poteva mettere insieme tutte in una volta. Nina alzò il bicchiere, attendendo la sua conclusione, annuendo e ricambiando gli sguardi che l'uomo le mandava, consapevole di quale sarebbe stato il prezzo da pagare.
«Cerca di essere carina» le aveva raccomandato Drew durante il loro viaggio in auto, forse consapevole del carattere burbero e irruento che la ragazza dimostrava talvolta, forse solo per obbligarla ad accontentare in parte i lascivi desideri di un uomo dall'anima sudicia ma il grosso portafoglio, che avrebbe potuto dare ad entrambi da mangiare per un bel po'. Era la loro occasione, si giocavano il tutto per tutto, Nina questo lo capiva bene e fu solo quello il motivo che la convinse a comportarsi di conseguenza, lottando contro se stessa. Sorrise e brindò, buttando giù un sorso più ampio di quello che il galateo le concedeva. Aveva bisogno di supporto morale, o non ne sarebbe uscita viva.
«Ordinate pure quello che volete, oggi offro io» disse ancora McConnery, rimettendosi a sedere. Un sorriso compiaciuto in volto, quanto gli piaceva rendersi superiore agli altri? Un sorriso allungò appena l'angolo destro delle labbra di Nina, divertita all'idea che quel poveretto non avesse idea di chi in realtà stesse dirigendo i giochi. Credeva di averla in pugno, di conquistarla con i suoi modi di fare galanti e da grande uomo, credeva di avere in mano la situazione ma non aveva idea che in realtà di burattinaia a quel tavolo ce n'era una sola. Avrebbe accontentato i suoi capricci solo per permettergli di abbassare la guardia, avrebbe arpionato alla sua anima i propri fili e avrebbe infine ottenuto ciò che desiderava: quel maledetto disco. Dopo, poteva anche andare a quel paese lui e la sua casa discografica da quattro soldi. In un certo senso, gli faceva quasi compassione.
Afferrò il menù che l'uomo le passò, esordendo con un altro di quei comportamenti da uomo superiore quando le disse: «Tesoro, ti consiglio il filetto. Qui lo fanno in modo sublime».
«E allora penso che lo prenderò» disse lei, sorridendogli. Vide una scintilla di orgoglio negli occhi dell’uomo, la soddisfazione di chi ha ottenuto ciò che desiderava, e Nina sentì un altro dei suoi fili agganciarsi a quell'anima che presto avrebbe governato a suo piacimento.
«Bene, parlando del motivo per cui siamo qui» cominciò Drew, schiarendosi la gola e cercando di prendere in mano la situazione.
«Non siamo forse qui solo per cenare?» disse McConnery, allargando le braccia.
Troppa avventatezza, Drew non aveva la più pallida idea di come si gestiva un burattino problematico e McConnery era un burattino decisamente problematico.
«Sinceramente, preferirei godermi un po' la serata insieme a questa compagnia d'alta classe, lasciando i discorsi lavorativi a un secondo momento» disse Nina, con aria innocente.
«Ed è quello che faremo, tesoro» sorrise McConnery, orgoglioso. Quell'appellativo le dava il voltastomaco, ma sapeva di aver raggiunto un altro obiettivo. Era riuscita a creare un altro ponte tra loro: finché gli avesse dato corda, sarebbe stato in suo pugno e infine, al momento decisivo, avrebbe ribaltato la situazione con grazia, leggiadria e soprattutto maestria. Lui non avrebbe ottenuto le attenzioni speciali che bramava, ma lei avrebbe ottenuto il suo successo lavorativo. Era una maestra in quel gioco, continuava a porsi una spanna sopra gli altri, ad ammirare il palcoscenico dall'alto e muovere i propri fili con sicurezza e bravura.
Al mondo, solo un uomo era mai riuscito a spezzare quei fili.
E sarebbe rimasto l'unico, perché nessun altro al mondo aveva la forza di Toshinori.
«All Might» il suo nome pronunciato in un luogo tanto lontano, in un contesto tanto diverso, per quanto flebile nel giungere alle sue orecchie, riuscì comunque a rimbombare come un grido in alta montagna. Sobbalzò, per un attimo intimorita. Come poteva essere giunto fino a lì, quel passato da cui scappava con così tanto accanimento? Mosse lo sguardo con discrezione verso il tavolo a fianco, dove un gruppo di persone, uomini e donne, parlavano animatamente. Un gruppo che improvvisamente era riuscito a strappare l'attenzione di Nina dal suo impegnativo spettacolo di finzione e burattini.
«Si chiama così, l'ho visto proprio questa mattina al telegiornale. Dicono sia l'eroe numero uno al mondo» disse uno degli uomini.
«I telegiornali esagerano sempre. Chi ha provato che sia davvero il numero uno? Esiste una classifica internazionale, per caso? Lo mettessero contro uno del calibro di Explosionist, non durerebbe dieci minuti» ribatté l'amico.
«Parlate di All Might? Ho sentito anche io parlare di lui!» si accodò una donna, al loro fianco. «Pare abbia combattuto da solo contro cento uomini e abbia portato in salvo una città intera!»
«Impossibile!» sobbalzò l'incredulo.
«È così, ti dico! Guarda, c'è un articolo sul giornale!» insistè la donna, prendendo il proprio cellulare dalla borsa per potersi connettere a internet e dimostrare ciò che stava dicendo.
«Ah sì! Ricordo quella notizia! C'era una foto: è davvero un uomo enorme e la cosa più incredibile è che, dicono, abbia sorriso per tutto il tempo della battaglia! Mai visto tanta sicurezza in una sola persona».
«E aveva ragione! Ha riportato la pace in un battibaleno! Guarda, ecco la notizia!» e porse il cellulare all'amico incredulo, che ora ascoltava a bocca aperta quanto i suoi amici dicevano su questa presunta nuova stella dell'eroismo.
«Con un uomo così in circolazione, se fossi uno dei cattivi, ci penserei almeno tre volte prima di fare qualche guaio. Sai che male se ti prendesse a pugni uno con delle braccia come quelle?» commentò l’amico.
«Se vivessi nella sua stessa città mi sentirei sicura di girare anche nuda, scommetto che nessuno mi farebbe niente di male!» insistè la donna.
Il simbolo della pace, l'uomo che avrebbe portato la serenità nei cuori dei timorosi e la paura in quello dei cattivi, l'uomo che avrebbe dato vita e speranza al mondo intero solo con il suo sorriso, era arrivato perfino lì, oltreoceano.
«Nina» la voce di Drew giunse a lei ovattata, come se si trovasse sommersa in una vasca d'acqua, e solo allora si rese conto di quanto le girasse la testa.
«Nina, allora?» insistè l'uomo, collegandosi a una domanda fatta probabilmente più volte un attimo prima a cui lei non aveva dato minimamente ascolto.
«Cosa... scusa, mi ero distratta. Cosa mi dicevi?» chiese lei, cercando di riacquistare il controllo di sé. Inutile, tutto inutile. La testa girava, le voci erano così distanti, tutto sembrava così confuso e l'unica cosa percepibile era l'incessante e il doloroso battito del suo cuore.
«Va bene il filetto? Basta così? Ordiniamo allora» chiese Drew, guardandola preoccupato.
«Sì» disse lei posando il menù sulla tavola. Le tremavano le mani: quando avevano cominciato? Si alzò in piedi più in fretta di quanto avesse programmato, attirando ancora più la curiosità dei suoi commensali.
«Scusate, devo un attimo andare al bagno» annunciò fuggendo letteralmente via. Non fece neanche tre passi che una lacrima le sfuggì dagli occhi, scivolando giù dalla sua guancia. Se la asciugò rapidamente e finalmente raggiunse la porta del bagno. Entrò con rapidità e corse alla prima porta aperta delle piccole toilette che il ristorante offriva. Schiacciò le spalle contro di essa e finalmente, sicura in quel piccolo e ristretto spazio dove le faceva compagnia solo il water, lasciò uscire tutto quel dolore. Si portò le mani alle labbra, soffocando i lamenti incontrollabili, e permise alle lacrime di lavarle il viso.
«Ce l'hai fatta» bisbigliò, come se lui fosse potuto essere lì, a sentirla. «Ci sei riuscito» singhiozzò, permettendo alla voce di uscire più forte di quanto avesse voluto.
«Toshi-chan» e altri pianti, altri lamenti, prima che riuscisse a confessare quasi in un urlo: «Sono così felice».
Il suo desiderio, scritto su quel pezzo di carta colorato, quel giorno di Tanabata di molti anni prima, era stato finalmente esaudito. Tutto il dolore recatole per la consapevolezza che lei non aveva avuto più spazio nella sua vita passava in secondo piano di fronte alla realtà che lui fosse finalmente felice, riuscito nel suo sogno più grande. Non aveva mai desiderato altro... se non vederlo sorridere, per sempre.


I want you to know
That it doesn't matter
Where we take this road
But someone’s gotta go
And I want you to know
You couldn't have loved me better
But I want you to move on
So I'm already gone


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Capitolo 21
*** Chasing cars, Snow Patrol ***


"Chasing cars”, Snow Patrol




Nina terminò di sistemare il proprio costume dentro la borsa, poggiata sulla panca dello spogliatoio femminile. La lezione supplementare era ormai finita, non che avesse fatto granché se non incoraggiare i ragazzi a dare il massimo, passeggiando tra loro e urlare contro Midoriya e Bakugou. Un atteggiamento che le era costato più volte un'occhiataccia da parte di Aizawa, che stava prendendo quel compito di sorveglianza più seriamente di quanto avesse voluto. Le stava letteralmente col fiato sul collo, ma lui era fatto così: apprensivo, anche se dimostrava apatia, estremamente legato alla tranquillità e alla sicurezza. Esattamente l'opposto di Nina, che invece portava con sé un passato di disordini sociali più o meno gravi che avrebbero potuto benissimo portarla sulla strada della malavita, se solo All Might non fosse stato in grado di metterle il guinzaglio. Era rumorosa, volgare, esuberante e violenta... tutti requisiti che lo spingevano ad essere più assillante di quanto fosse di solito. Non le avrebbe permesso di muovere neanche un dito, quel suo modo di fare superiore agli altri lo mandava fuori di testa. Non avrebbe mai avuto la sua simpatia, Nina ne era certa. E poi c'era la faccenda della spia: non aveva ancora capito chi si fosse andato a lamentare dal preside per ciò che aveva fatto a Bakugou, poteva essere chiunque, anche la stessa dolce Uraraka, ma l'idea che uno di quei ragazzi la guardasse in maniera diversa da quello che sperava bastava a farle venire il mal di pancia. Si era sentita tradita, ma la cosa non le portava rabbia... solo tanto dispiacere. Aveva così tanto sperato di poter andare d'accordo con loro.
Sentì bussare alla porta e si voltò con curiosità: chi andava negli spogliatoi a quell'ora del pomeriggio, a lezioni terminate? E soprattutto, chi era che bussava a uno spogliatoio?
La porta si aprì e l'enorme stazza di All Might fece il suo ingresso, gobbo e timido, mentre salutava con un imbranato: «Ehilà!».
Nina alzò un sopracciglio, dubbiosa, prima di chiedere: «Ma in questa scuola a cosa servono i cartelli e le stanze divise maschio-femmina, se poi nessuno le rispetta? Siete un gruppo di pervertiti repressi» disse, ricordandosi di come anche Nezu qualche giorno prima fosse entrato nel bagno femminile senza farsi problemi.
All Might sobbalzò ed arrossi nel sentirsi attribuire quell'appellativo, e con agitazione tentò di trovare una scappatoia: «Ho bussato».
«Ma io non ho detto "avanti"».
«Mi dispiace!» balbettò lui, messo alle strette.
«Idiota» lo canzonò Nina, prendendo la borsa ormai pronta ed avviandosi verso l'uscita. All Might si fece da parte per farla passare, poi le camminò a fianco.
«Torni in albergo?» le chiese, in un disperato tentativo di far conversazione. Era ovvio che stesse cercando un modo per sistemare le cose, visto come si era conclusa la serata prima, ma parlare non era mai stato qualcosa che gli riusciva molto bene.
«Credo di sì, ho bisogno di una doccia. Dopodichè mi farò portare una bottiglia di vino in camera e resterò tutta la sera nel letto ad ubriacarmi guardando qualche romantica telenovela».
«Non mi sembra un buon programma» osservò lui, storcendo il naso.
«Parla per te, Mister Perfezione» sghignazzò lei, convinta di quanto invece quello fosse un ottimo programma. Una vera vacanza in grande stile, senza dover correre dietro agli impegni, sola, col telefono spento e un sacco di tempo perso a rilassarsi nel letto crogiolandosi nei vizi. Drew non le permetteva mai di essere così libera, era un vero rompiscatole, e lei in quei giorni più che mai aveva bisogno di lasciarsi andare.
«E se invece ti portassi a mangiare da qualche parte e poi al karaoke? Da quanto tempo non canti?»
«Da stamattina sulla tazza del bagno» dichiarò lei, prontamente.
«Canti mentre fai i tuoi bisogni?» la guardò stranito.
«È stimolante» ridacchiò Nina, divertita. «Comunque passo! Canto già troppo per lavoro, sono in pausa, nessuno spettacolo da parte di Nina, mi spiace».
«Ok, niente karaoke, ma dovrai pur mangiare qualcosa».
Nina gli lanciò un'occhiataccia, cominciando a capire dove volesse arrivare.
«Ci stai riprovando?» gli chiese quasi con minaccia, intuendo che quella fosse tutta una scusa per provare di nuovo a uscire con lei nella speranza che quella sera sarebbe potuta andare meglio.
«No» balbettò, sentendosi probabilmente sgamato. «È solo... che... ecco... da quando ci siamo rivisti non abbia fatto altro che litigare o parlare del passato. Non siamo ancora riusciti ad avere una conversazione adulta, un semplice "come ti butta", no?»
«Come ti butta?» scoppiò a ridere Nina. «Ti sembra una frase adulta?»
«Ok, forse ho esagerato» mormorò lui, grattandosi la nuca imbarazzato. «Ma in America non parlate così?» provò a giustificarsi.
«Sì, i ragazzini nei film! Sei sempre tanto solo, non è vero?» lo punzecchiò, dandogli un paio di sgomitate. Un atteggiamento ammiccante e malizioso, con un unico significato, che non si preoccupò di spiegare: «Dovresti farti una donna, non ti farebbe male distrarti un po' ogni tanto».
La facilità con cui riusciva a parlare di quel genere di cose gli fece quasi male: per lei era davvero così semplice l'idea di ricominciare con qualcun'altra? Non le interessava davvero che avesse potuto "farsi una donna"? Certo, vent'anni erano tanti ed era più che logico che fosse stata in grado di voltare pagina, ma ora che si erano rivisti lui era riuscito a sentirla quella ventata che proveniva da una porta che mai era stata chiusa davvero. Era come se avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo, non aveva pensato ad altro se non al lavoro e l'idea di provare a rifarsi una vita sentimentale che non fosse insieme a Machiko era così lontana, così strana. Per anni aveva sempre dato la colpa al troppo lavoro, ammettendo che non gli interessava altro se non portare avanti quel sogno di pace, ma la verità era che qualsiasi volto femminile incrociasse non aveva mai potuto far a meno di vederci dentro gli occhi di Machiko. Non era finita, non era finita affatto, aveva fatto male per anni tanto che dopo un po' si era reso insensibile a quel dolore martellante, era riuscito ad anestetizzarlo ma era una ferita che non guariva... proprio come quella sul suo ventre. Per lei non era così?
Saperla tranquilla lo sollevava, era vero, ma continuava a vederla andar via... continuava a subire tutte le conseguenze dei suoi errori. Era così doloroso.
«Non sei d'accordo?» chiese lei con una strana serietà nel volto.
«Cosa...?» balbettò lui confuso, rendendosi conto che non aveva ascoltato niente di quanto aveva detto dopo la battuta sulle donne.
«Pensare troppo ti fa venire le rughe sulla fronte, te l'ho già detto. Sei inquietante» lo ammonì lei, capendo cosa gli fosse successo.
«Scusami» mormorò, non sapendo neanche bene perché si stesse scusando. Nina rimase in silenzio, fissando la porta a vetri oltre il quale si estendeva il cortile della scuola e più avanti il cancello per uscire. Sarebbe voluta scappare via, non averci più niente a che fare, ormai consapevole di quello che aveva dentro. Aveva deciso di lottarci contro, ma non avrebbe mai potuto vincerlo. Ancora una volta lui sfuggiva al controllo dei suoi fili, era così frustrante. Non gli restava che la fuga, l'unica via di salvezza. Non poteva far altro che fuggirne e tornare a quella vita che si era costruita con tanta fatica, lontana da lui, ponendo una barriera fisica che le impedisse di tornare indietro e sbatterci ancora una volta la testa. Doveva imparare a proteggersi di più, contro il male che lui era in grado di farle con tutto quel distacco che poneva tra loro.
«Io passo» mormorò, riferendosi alla cena che lui le aveva di nuovo proposto. Quella volta, per quella sera, avrebbe ascoltato i saggi consigli di Akane. Aveva provato ad avvertirla, a metterla in guardia, niente sarebbe cambiato, niente sarebbe potuto cambiare, perché continuava a volerci sbattere la testa?
«Sei arrabbiata per ieri sera?» chiese lui, leggendo sul suo volto tutta la frustrazione e la tristezza che l'attanagliavano.
«Ieri sera?» chiese lei. Si corrucciò e si voltò a guardarlo con l'espressione di chi ha di fronte il più grande degli idioti. «Credi che io sia così superficiale da prendermela perché non hai voluto fare sesso con me?»
All Might arrossì e si guardò attorno compulsivamente, pregando disperatamente che nessuno fosse nei paraggi in quel momento: «Abbassa la voce, per favore» supplicò. Quei ragazzini erano ancora troppo giovani per sentire certi discorsi e i pettegolezzi su di lui erano già abbastanza animati senza dover aggiungere altro.
«Ma cosa vuoi che m'importi! Avrai avuto i tuoi problemi, non sono certo faccende che mi riguardano. Anzi, scusami tu per avertelo chiesto, sarebbe stato un grosso errore. Grazie per essere stato razionale al posto mio, continuo ad essere io quella impulsiva».
«Non è come pensi, davvero» doveva dirglielo. Quel suo terribile segreto doveva dirglielo, lei doveva saperlo, doveva sapere della sua debolezza o avrebbe continuato a colpevolizzarsi al posto suo. Eppure non ci riusciva, era così dannatamente difficile lottare contro la paura di vederla scappar via di nuovo.
«Non mi importa!» sottolineò lei, cercando di evidenziare la rilevanza della cosa. Non le interessava il motivo, non le interessava come era andate le cose, non le interessava davvero niente della sera prima, perché non se lo metteva in testa? «Potresti anche essere segretamente sposato con qualcuno, non mi interessa! Vivi la tua vita come credi, ma ti prego smettila di venirmi a cercare! Perché non ti rendi conto del male che fai alle persone, eroe numero uno?!» chiese con astio, lasciandosi sfuggire quella provocazione. «Non siamo tutti forti come te, Toshinori. Non siamo tutti in grado di sorridere di fronte ad ogni circostanza. Non darlo per scontato».
Fece un paio di passi indietro, allontanandosi. Il volto corrucciato che ancora nascondeva quel sorriso di cui lui si era follemente innamorato, il sorriso che aveva giurato di portare al mondo intero. L'aveva davvero data per scontata, era questo il suo errore. Continuava ad allungare una mano nel vuoto, senza guardare, certo che quei fili che le nascevano dalle dita si sarebbero arpionati a lui. Certo che sarebbe stata sempre lì, ad aiutarlo in caso di necessità e forse lei ci provava davvero, a renderlo felice.
«Non sono forte come te» mormorò quella verità soffocata dal dolore, prima di voltarsi ed allontanarsi del tutto. Per lui, probabilmente, sarebbe stato normale tornare a parlare, chiedersi come vanno le proprie vite, come due normali adulti che si ritrovavano dopo così tanti anni. Per lui sarebbe stato facile e normale, domandare all'altro "come butta". Così semplice, come sorridere. Ma non per lei, che non poteva far a meno di guardare quel volto e provare il bruciante desiderio di stringerlo al petto. Lottare ogni singolo istante col desiderio di essere stretta, col desiderio di poterci affogare in quel sorriso, di dimenticare tutto e tornare ad essere la ventenne che aveva come unico obiettivo quello di amarlo per il resto della vita, e al diavolo Drew, avrebbe continuato a cantare al karaoke per hobby, al diavolo la fama, avrebbe continuato ad essere la burattinaia, magari un eroe di seconda scelta, insignificante, perché non così forte o perché terribilmente inquietante e poco delicata... al diavolo tutto, desiderava solo morire in quel passato che aveva chiuso con dolore in un album dei ricordi, perché l'unica cosa che avesse mai reso sinceri i suoi sorrisi era poterli vedere riflessi negli occhi azzurri dell'uomo che le aveva salvato la vita e aveva dato un senso alla sua esistenza.
No, per lei non era così semplice, come poteva crederlo? Come poteva invitarla a cena fuori con così tanta leggerezza?
Forse davvero chiudere definitivamente quella porta era la cosa migliore che potessero fare. Smettere di sbirciare dal buco della serratura, cercandosi con lo sguardo nel buio, incapace di vedersi, di toccarsi, ma voltandosi ad ogni respiro solo per potersi sentire. Egoisticamente.
Le prese la mano e corse fuori, nel cortile. Era stato egoista per troppo tempo, lo era stato sempre, convinto che Machiko fosse stata mandata solo per lui, per renderlo felice. Ma ora aveva capito, aveva imparato e doveva essere l'eroe che era sempre voluto essere. L'eroe che le si parava davanti e prendeva i colpi del bastone del negoziante a cui aveva rubato la lattina di birra al posto suo. All Might era nato dal suo sorriso, se questo moriva di lui che ne restava?
«Ma che fai?!» gridò lei, trascinata dall'uomo, confusa e terrorizzata da ciò che gli stava passando per la testa. «Non hai capito niente di quello che ho detto, razza di idiota?»
Al centro del cortile, finalmente, Toshinori si fermò. Si voltò verso di lei, ignorando i suoi strattoni per liberarsi, e infine si chinò, prendendola in braccio.
«Ho capito perfettamente, invece» disse con una tale sicurezza da far vacillare ancora una volta la forza che Machiko era riuscita a mettere in quell'ennessimo addio che stava provando a rivolgergli. Si chinò, prendendo lo slancio, e infine saltò, volando lontano dal cortile da cui erano partiti. Machiko urlò per la paura e d'istinto si aggrappò a lui con tutta la forza che aveva, nascondendo il volto nella sua spalla.
Quando erano ragazzini lo facevano sempre, lui la portava il più in alto che poteva, mostrandole il mondo dall'alto, sempre più in alto, sempre più sopra chiunque altro, ad ammirare il suo palcoscenico, e lei si faceva volentieri trascinare in quei voli folli, sicura tra le sue braccia. Li amava, amava la sensazione di immensità che la travolgeva a guardare il mondo da quella prospettiva, amava il vuoto allo stomaco, amava poter vivere tutto quello immersa nell'odore e nel calore di Toshinori.
Ma ora erano passati più di vent'anni, non c'era più abituata e quella sicurezza che aveva sempre provato aveva cominciato a vacillare molto tempo prima. Faceva una paura matta! E quelle sensazioni, così vicino al suo corpo, così bisognosa di tenersi aggrappata a lui... aveva cominciato a odiarle, per quanto fossero belle.
«Mettimi subito giù, stronzo psicopatico!» urlò terrorizzata, aggrappandosi con tutta la forza che aveva.
«Non ci metteremo molto, arriveremo in pochi secondi!» cercò di rassicurarla, tenendola ben stretta per evitare che fosse potuta cadere, anche se il modo in cui l'artigliava bastava a tenerla ben ferma dov'era. «Perché non ti godi il panorama nel frattempo?» chiese, ricordando la sua espressione incantata tutte le volte che raggiungevano il picco più alto del salto.
«Non ci penso neanche!» gridò lei, impaurita come non mai, schiacciando di più il viso contro la sua spalla e stringendo gli occhi talmente forte da farle male.
«Macchan» sussurrò lui, vicino al suo orecchio. Il respiro caldo contro i suoi capelli le fecero venire un brivido lungo la schiena. «Da qui si vede il mare».
Cosa c'era al mondo di più bello dell'immensità del mare? Era un fascino a cui non era mai riuscita a resistere, né da ragazza, né in quel momento.
"Da qui si vede il mare", un palpito e finalmente la curiosità che prendeva il posto di rabbia e paura. Si affacciò timidamente oltre il proprio braccio, avvinghiato al collo di Toshinori, e aprì pian piano l'occhio destro, tenendo il resto del viso ben nascosto dal vento che la sferzava. Tremò, forse per il vento gelido che la colpiva, forse per l'emozione, forse per la paura, ma infine lo vide. L'orizzonte sconfinante, le acque del mare che riflettevano il colore aranciato del sole in tramonto, in lotta con l'azzurro del cielo, le nuvole che si coloravano di rosso. Una tale immensità, una tale bellezza che le mozzarono il fiato, ma non riuscì più a smettere di fissarlo. Incantata, completamente in balia di quelle sensazioni riuscì perfino a dimenticare la rabbia che fino a poco prima l'avrebbero portata a scappare. Si ammorbidì tra le braccia di Toshinori, restando comunque parzialmente nascosta, forse orgogliosa, forse paralizzata, ma non riuscì a pensare ad altro se non quanto fosse meraviglioso quanto stesse vivendo in quel momento. Un’emozione come quella era un'eternità che non la provava, come aveva fatto a sopravvivere fino a quel momento senza? Toshinori abbassò lo sguardo su di lei, senza muoversi troppo per evitare di rompere quell'incantesimo in cui sembrava caduta vittima, e sorrise incantato da quello sguardo così pieno, vivo ed emozionato. Come aveva potuto lasciare che se ne andasse? Come aveva potuto farle così male? Che razza di uomo si era rivelato? Completamente perso nel suo sogno ossessivo e nella promessa fatta a Nana, accecato dal desiderio di vendetta contro All For One per quello che aveva fatto alla sua maestra, aveva dimenticato così tante cose. Quel corpicino così minuscolo rispetto al suo, quegli occhi che avevano visto fin troppe brutte cose, quel sorriso di cui si era egoisticamente appropriato... aveva dimenticato tutto. Se n'era alimentato fino a quando gli era stato permesso, portandola allo stremo, consumandola, senza capire quanto stesse sbagliando. Forse le cose sarebbero davvero dovute andare così, non poteva biasimare niente, in fondo il destino aveva da sempre prescelto lei per il mondo dello spettacolo e lui per dare una speranza all’umanità, per combattere il peggiore dei mali. Erano stati legati ad essi ben prima di rendersene conto, il mondo li aveva chiamati ognuno alle proprie armi, ognuno nei propri compiti, ed era giusto che fosse andata così. Ma per una volta si ritrovò a pensare che la giustizia non fosse stata la cosa migliore che fosse potuta capitargli. Era così sbagliato pretendere di avere un proprio spazio di umanità? Di non essere solo un soldato al servizio del mondo, ma di poter avere un proprio sorriso? Non uno fittizio da dedicare agli altri, per incoraggiarli, ma uno reale, da dedicare a se stesso, per rincuorarsi.
Era stata davvero la cosa migliore che potesse essere successa? Probabilmente sì, perché chi se non lui avrebbe potuto proteggere la terra dalla malvagità di All For One? Probabilmente non avrebbe dovuto percorrere nessun'altra strada, era giusto così, e ne era felice, non poteva negarlo. Era felice, ma forse lo sarebbe potuto essere di più se fosse riuscito a sbrogliarsi da quel destino e poter vivere egoisticamente perso in quello sguardo per il resto della sua vita.
Un'idea gli balenò in testa, egoista come quei sentimenti. Per un'intera vita aveva inseguito quel sogno, quel destino, adempiendo al suo dovere, ma per quei giorni... per quella settimana che gli restava a disposizione, avrebbe anche potuto prendere una pausa. Essere impulsivo.
Per quella settimana avrebbe messo da parte tutto, compresa quell'orrenda cicatrice che si portava addosso, e si sarebbe preso quei momenti che il destino gli aveva strappato via venti anni addietro. Avrebbe vissuto egoisticamente solo per quei giorni, mandando in vacanza un All Might ormai distrutto, permettendo a Toshinori di prendere fiato.
Solo una settimana.
«Stiamo per scendere» annunciò.
E d'istinto Machiko tornò a serrare gli occhi, premendo il volto contro il suo petto, per proteggersi il viso. La discesa fu anche peggiore della salita: la rapidità con cui cadevano nel vuoto fece salire a Machiko lo stomaco in gola. L'aria le mancò e la sensazione di precarietà fu tale da tornare a dimenticare l'emozione del mare per concentrarsi sulla paura di quell'incredibile altezza. Un urlo terrorizzato le uscì dalla gola ed ebbe la massima libertà nell'istante in cui impattarono al suolo, con tutti gli scossoni che ne derivarono. Machiko si spinse via, non appena fu certa di essere di nuovo a terra, e barcollando si allontanò dall'uomo. Le gambe cedettero, troppo deboli e instabili per la paura appena provata, e cadde sulla sabbia.
«Non farlo mai più! Non... azzardarti!» lo minacciò, pallida in volto.
«Una volta ti piaceva tanto» osservò lui, cercando di sdrammatizzare.
«Sono passati vent'anni! Mio dio, credevo di morire» sussurrò, sempre più debole man mano che la coscienza di ciò che era appena successo la sovrastava. Si lasciò andare completamente a terra, rendendosi conto solo in quel momento che si trovavano su una spiaggia.
«Ti tenevo io!» disse Toshinori, avvicinandosi e mettendosi a sedere al suo fianco. «Non avevi niente da temere».
«La tua sicurezza ti ucciderà prima o poi. E sinceramente vorrei non essere lì, quel giorno» disse Machiko, prendendosi il tempo necessario a riprendersi.
«Era un salto da niente, l'ho sempre fatto» ridacchiò Toshinori, divertito.
«Tu... non farlo più e basta!»
«Va bene» disse, infine rassegnato, lasciando spazio solo al rumore delle onde del mare. Anche Machiko cedette al silenzio, lasciando che tutto ciò che potesse farsi sentire tra loro fosse quel soffuso mormorio. L'acqua che si stendeva, raccoglieva, si ritirava e tirava via la sabbia con sé per poi riportarla al suo posto, rimescolata. Un andare avanti e indietro, lento, come la culla di un neonato e con lo stesso effetto dava pace ai cuori. Non c'era bisogno di chiedere perché l'avesse portata lì, non c'era altro motivo se non quello di trascinarla ancora una volta in un oceano di ricordi, di sentimenti mai conclusi e riprovare con lei le emozioni dimenticate. Quella era la spiaggia dove passeggiavano quasi tutte le sere, dopo gli allenamenti, dopo il lavoro o la scuola, dopo ogni cosa... Toshinori e Machiko dimenticavano All Might e Nina e si concedevano un po' di umanità, mano nella mano, come due normali innamorati. Era stupido, eppure era il loro stralcio di giornata preferito.
«If i lay here» canticchiò Machiko, con il tono di voce di chi non vuole disturbare, di chi non vuole rompere troppo il silenzio. Una canzone così vecchia, così piena di storia, di perché.
«If i just lay here» continuò, lentamente, senza nessun accompagnamento se non il mare davanti a loro. Toshinori sorrise malinconico: ricordava quella canzone e quella strofa in particolare Machiko gliela dedicava tutte le volte che si stendevano lì, su quella stessa spiaggia, a pregarla di promettergli sempre la stessa cosa, sempre la stessa promessa infranta.
L'ultima frase, quella decisiva, tardò ad arrivare, timorosa forse di avere una risposta. E quel timore Toshinori volle spazzare via, cantando al posto suo, per quanto ne fosse in grado: «Would you lie with me and just forget the world?»
Sarebbe rimasto con lei? Se solo si fosse fermata da quella frenetica corsa, da quella vita senza uscita, da ciò che il destino le aveva ordinato di fare... se si fosse fermata per un solo istante, lì, in quel luogo preciso, lui avrebbe fatto altrettanto dimenticandosi di tutto il resto del mondo? La risposta era sempre stata la solita, Toshinori correva ovunque chiamassero il nome di All Might, non si era mai fermato lì insieme a lei, a discapito del mondo. Mentiva, ma poi la verità veniva a galla, sempre. E tutte le volte faceva così male. Non voleva di nuovo vivere quelle promesse disilluse, non voleva di nuovo scoprire che non aveva importanza, che tutto il resto del mondo veniva prima di lei. Ma era ciò che lui avrebbe fatto per quella settimana che gli restava da passare insieme a lei: sarebbe rimasto lì, semplicemente lì, e si sarebbe dimenticato del resto del mondo.
Machiko sorrise, forse rincuorata, forse speranzosa che quella volta sarebbe stato diverso o semplicemente divertita dal suo tentativo di mettersi al suo stesso livello canoro.
«Sei stonato come una campana» gli disse, divertita.
«E tu hai ancora bisogno di essere protetta» rispose lui con una tale serietà nel viso che riuscì a caricare quell'unica frase di tutta la profondità che aveva. Lo sguardo di Machiko lasciò andare il mare di fronte a loro, ora abbattuta. Non poteva negarglielo, non poteva mentire fino a quel punto. Si era costruita una corazza, ma era sempre la stessa Machiko di sempre, la ragazza che se non veniva aiutata e protetta finiva in pezzi e ne usciva con rabbia.
«Lasciamo le cose come stanno. Tu continua a fare la cantante che io continuo a fare l'eroe, che dici?»
Un sorriso intenerito su quel volto abbattuto dai sensi di colpa, e annuì. Sembrava così piccola, ora che quella corazza di rabbia e dolore era stata abbattuta. Com'era riuscita a sopravvivere fino a quel momento, schiacciata da tutto quello?
«Si tratta solo di una settimana, prima che io riparta» disse, avvolta da una profonda consapevolezza. «So bene che niente può essere come prima e che si tratta solo di un attimo fuggevole. Non ho la pretesa di tornare e cancellare questi vent'anni, vorrei solo che quando salirò su quell'aereo io possa portare con me qualcosa di diverso dal dolore che c'è stato vent'anni fa. Vorrei solo... dare un epilogo diverso e potermi convincere che la vita non avrebbe potuto darmi niente di meglio di ciò che ho già avuto. Forse è così stupido da essere difficile da capire, ma si tratta... è solo...»
«È solo come un sogno, uno di quelli piacevoli e consapevoli che ti capitano raramente, e non desideri altro che goderlo fino in fondo, anche se sai che tra non molto la sveglia ti riporterà alla realtà» concluse lui, facendole capire che capiva perfettamente come si sentiva. Perché era ciò che sentiva anche lui.
«Uno di quei sogni che ti lasciano il sorriso stampato in faccia per il resto della giornata» annuì, prima di chiedere con timore: «Credi davvero che non sia possibile?»
Quello era lo sguardo di cui aveva parlato Toshinori, lo sguardo di chi aveva semplicemente bisogno di essere aiutata, lo sguardo a cui aveva risposto per tutta la durata della loro giovinezza. Lo sguardo che l'aveva colpito tanto da ripromettersi di renderla felice per il resto della sua vita, promessa che non era riuscito a mantenere per qualche strano motivo. Finalmente fece quel passo, finalmente rispose a quel bisogno che sentiva di avere dentro dal primo istante in cui l'aveva rivista, una settimana prima, e che aveva sempre rifiutato con timore. Lo lasciò uscire, quel bisogno tremendo di abbracciarla, e dopo averla avvolta tra le sue braccia se la schiacciò contro con delicatezza.
«Farò in modo che lo sia» le promise e questa volta avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenerla, quella promessa. Anche sforzare il suo corpo oltre l'immaginabile, ormai del tutto convinto a non rivelarle il segreto che si portava dentro, quella sua nuova forma debole e scheletrica, malata e ripugnante. Non avrebbe infranto quel suo desiderio per niente al mondo e i motivi per cui l'aveva fatta chiamare, per cui aveva desiderato incontrarla, andarono crollando di fronte a quella che sarebbe stata l'unica missione che avrebbe avuto per la restante settimana che Machiko sarebbe rimasta lì a Tokyo. Renderla felice, a discapito di quanto non era riuscito a fare vent'anni prima.
«Guarda che non devi mica farlo per forza solo perché ti faccio pena» disse Machiko, riacquistando la sicurezza che aveva abbandonato fino a quel momento. Lo guardò sottecchi e poggiandogli le mani al petto se lo allontanò. «A me interessa solo che tu sia chiaro con me fin da subito, se non ti interessa niente di me dillo e finiamola con questa pagliacciata dei salti romantici sulla spiaggia per farmi vedere il mare al tramonto. Non è carino prendersi gioco di un cuore infranto».
«Ma no, che dici!» si agitò lui, arrossendo, e il rossore peggiorò, rendendolo incapace di parlare, quando si trovò a giustificarsi con un imbarazzato: «Sei ancora... così... carina».
Machiko lo guardò per un po' enigmatica, confusa sul significato di quel "carina", chiedendosi se la trovasse semplicemente tenera o se davvero provasse ancora qualcosa per lei. Ma poco importava, aveva deciso che non le sarebbe interessato, che avrebbe alimentato quei sentimenti senza porsi troppe domande, che li avrebbe semplicemente lasciati liberi di andare per liberarsene e godersi quel sogno consapevole. Sorrise, di quel sorriso che Toshinori amava alla follia, e con l'innocenza di una ragazzina al primo innamoramento chiese: «Lo credi davvero?»
Era la cosa più bella che avesse mai visto, persino più di quella spiaggia speciale dove avevano passato la loro giovinezza. Come poteva dubitarlo?

I don't know where
Confused about how as well
Just know that these things will never change for us at all
If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the world?

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Capitolo 22
*** A thousand years, Christina Perri ***


"A thousand years”, Christina Perri




La prima volta che aveva fatto l'amore con Machiko la ricordava bene. Era il primo Natale che passavano insieme come una vera coppia, e non come amici, anche se non era la prima volta che passeggiavano per la città da soli tra le luci e gli addobbi. Lui non aveva mai avuto grandi giri d'amicizia, troppo preso dai suoi allenamenti, e in quel periodo dell'anno si era sempre ritrovato solo così veniva invitato da Machiko a passare almeno il giorno di Natale insieme a lei e ai suoi amici. Da quando erano arrivati al Liceo e lui l'aveva spinta a cominciare a frequentare il corso di canto della scuola, la sua vita sociale era diventata decisamente migliore, incontrando quelli che sarebbero stati i membri della sua band. Capitava spesso, però, soprattutto gli ultimi due anni quando ormai era ovvio agli occhi di tutti -tranne ai loro- che tra loro due ci fosse qualcosa di più che semplice amicizia, che Yamada e gli altri con qualche scusa si disperdessero, lasciandoli sempre soli. A nessuno dei due era mai dispiaciuto e alla fine si erano sempre comportati come una coppia, anche senza saperlo. Ma quell'anno era stato diverso, c'era molto di più, e Yamada, Akane e gli altri erano stati lasciati indietro volutamente. Avevano girato per il centro mano nella mano, ammirando le luci natalizie e gli spettacoli che venivano allestiti per l'occasione. Si erano ritrovati sotto il grande albero in piazza, insieme a decine di altre coppie, si erano stretti l'uno all'altro e sorridendo avevano espresso il silenzioso desiderio di poter vivere tutti i Natali della loro vita in quel modo. Avevano condiviso una sciarpa quando si erano seduti sulla panchina, a mangiare i Taiyaki, e infine, nel silenzioso e più buio parco lì vicino, si erano baciati ancora e ancora, desiderosi che quella notte non finisse mai. Si erano scambiati i regali, avevano riso, scherzato e giocato, fino a quando il cielo nuvoloso non era esploso in una pioggia torrenziale. Machiko era stata previdente, il cielo era nuvoloso da quel pomeriggio, e per sicurezza aveva portato con sé un ombrello ma non aveva potuto fare niente contro un camioncino che passando rapidamente al loro fianco li aveva fatti travolgere da un'ondata provocata dalla pozzanghera. Completamente fradici e infreddoliti avevano cominciato a correre per strada, peggiorando la situazione e rendendo l'ombrello ancora più inutile. Il risultato era stato disastroso, con annesso qualche starnuto di troppo. Arrivati a casa di Machiko erano corsi immediatamente a cambiarsi e togliersi i vestiti bagnati di dosso, appendendoli sopra alla stufa accesa. Erano soli, per quella sera: i nonni di Machiko, con cui abitava, avevano organizzato un romantico week end fuori città in occasione del Natale, consapevoli che tanto lei sapeva benissimo badare a se stessa. Suo fratello piccolo invece aveva preferito starsene con loro padre e la sua nuova compagna, e così lei era rimasta sola a Tokyo. Si erano seduti di fronte alla stufa, stretti in una coperta, ad osservare i propri vestiti sgocciolare e vaporizzare lentamente, tremanti per la quantità incredibile di freddo che avevano preso. Ricordava come lei si era tanto dispiaciuta per la serata rovinata e quanto si era intenerito nel vedere il suo volto imbronciato. Ricordava di averle accarezzato una guancia, di averle dato un bacio sulla fronte per  tranquillizzarla e di come infine avessero incrociato le loro dita. Gli sguardi persi gli uni negli altri, le mani che giocherellavano tra loro, accarezzandosi, toccandosi, incrociandosi e studiandosi come se avessero voluto imparare a memoria ogni singola piega della loro pelle. Si erano baciati di nuovo, ma era stato qualcosa di totalmente diverso da tutte le altre volte, era stato qualcosa in grado di incendiarli dentro e lì, stesi su quel pavimento, su quella misera coperta e scaldati dalla sola stufa al loro fianco, ignorando il freddo che li faceva ancora tremare, avevano fatto l'amore la prima volta. Ricordava come solo dopo fosse stato travolto dai dubbi e dalle incertezze, non su quanto successo, ma su di lei e su come l'avesse vissuta, se non fosse stato l'unico che magari lo avesse desiderato e ne fosse uscito soddisfatto, sul fatto che forse non fosse stato proprio un gentiluomo nel saltarle addosso in un momento come quello, approfittando del fatto che avessero la casa per sé. Le aveva timidamente chiesto se stesse bene, non sapendo che altre parole usare per riuscire a indagare il suo stato d'animo, se fosse felice di quanto fosse successo o se si fosse sentita in qualche modo violata. E lei aveva risposto scoppiando a ridere e dandogli dell'imbranato.
Venticinque anni dopo quel giorno, ebbe di nuovo la sensazione di sentirla, quella risata cristallina. Si trovava di fronte alla porta della sua stanza d'albergo insieme a lei, dopo averla riaccompagnata dal quel pomeriggio alla spiaggia, per permetterle di lavarsi e cambiarsi. Machiko aveva finalmente accettato di andare a cena con lui, per recuperare la serata precedente, e si sarebbero ritrovati qualche ora dopo di nuovo alla hall. Guardò la donna mentre apriva la camera ed esitava appena, prima di entrare. Si voltò nuovamente verso di lui: lo sguardo sicuro, sereno, così tipico di lei, ma incapace di nascondere quel recondito desiderio inespresso. Avrebbe tanto voluto che anche lui entrasse, avrebbe tanto voluto averlo per sè, addosso, sulla pelle. Lo sapeva, l'imbarazzo della situazione lo evidenziava in ogni modo, quella serata si sarebbe potuta concludere diversamente e da adulti com'erano ora risultava tutto anche più naturale e meno imbarazzante. Ma lui aveva detto che non poteva, giusto la sera prima, lei lo ricordava. Non sapeva il motivo, non sapeva del suo timore nel non riuscire a tenere la forma adeguata per tutta la durata del tempo, non sapeva della paura che provava all'idea che avesse potuto rifiutarlo, trovarlo ripugnante, eppure quel semplice "non posso" parve bastare. Non accennò alla faccenda, ma si limitò a salutarlo con un divertito: «Allora a più tardi».
A distanza di venticinque anni, la sentì quella risata che gli dava dell'imbranato. Era così che lo considerava, un imbranato che per chissà quale motivo, forse qualche ragione morale, si comportava nei confronti del sesso ancora come il ragazzino che era stato quella prima volta. Come se non ci fossero state altre decine di volte successive, fino a quei ventitré anni che l'avevano portata via. Lo vedeva ancora in quel modo e aveva perfettamente ragione. Ma non poteva rivelarle la verità, non poteva.
Annuì e fece un passo indietro: «A dopo» disse e si affrettò ad allontanarsi lungo il corridoio, fintanto che la ragione avesse continuato a prevalere. Eppure, nonostante tutto, lei era sempre così sorridente, disposta ad accettare ogni bugia, disposta a credergli. Cominciò a sentirsi sporco: come poteva ingannarla in quel modo? Come poteva approfittare così della sua ingenuità e della fiducia che riponeva in lui? Ma come avrebbe potuto mantenere la promessa di renderla felice, in quella settimana, se le avesse rivelato tutto? Desiderava così tanto vivere dei bei momenti insieme al Toshinori che aveva conosciuto venti anni addietro, come poteva negarglielo spiattellandole davanti la sua ormai vera forma, urlandole contro che quel Toshinori era ormai morto e che non ne restava altro che un cadavere ambulante?
«Perdonami, Macchan» mormorò tra sè e sè, ormai fuori dall'albergo. Avrebbe continuato a mentirle, una bugia a fin di bene, solo per poterle donare ciò di cui aveva bisogno e vedere di nuovo quel meraviglioso sorriso sbocciare sul suo viso. Non desiderava altro, se non quello. Strinse i pugni, più deciso che mai: quella sarebbe stata l'ennesima sfida a cui si sarebbe sottoposto, deciso ad andare oltre ogni capacità. La felicità di Machiko non meritava meno impegno di quello che metteva nel combattere i malvagi, di quello che metteva per salvare il mondo. Non sarebbe stato giusto impegnarsi meno, visto la promessa che aveva appena fatto. Si sarebbe spinto oltre il proprio limite e le avrebbe regalato una settimana indimenticabile, cancellando definitivamente il ricordo di quell'orribile giorno, quando non era riuscito a udire la sua voce che chiamava il suo aiuto. Il giorno che aveva lasciato andare la sua mano, che le aveva permesso di cadere, tradendo del tutto la sua fiducia. Solo pensare che per colpa di quel suo errore aveva rischiato di ucciderla, che l'aveva persa per sempre, gli faceva salire dentro una tale rabbia. Si sarebbe preso a pugni da solo, se necessario, ma il destino gli stava dando una seconda possibilità. Avrebbe fatto qualunque cosa.
Anche ingoiare quel terribile dolore, tenere per sè quell'orribile debolezza, dandole solo ciò che meritava: il meglio di sè.
Non le avrebbe rivelato la verità. Non l'avrebbe mai fatto e avrebbe per sempre lasciato nella sua mente il ricordo di un affabile, divertente, amorevole e degno di fiducia Toshinori.
In fondo, tra i due, l'eroe era lui...


Erano ormai le otto passate quando Toshinori bussò nuovamente alla porta di Machiko. Si guardò attorno timoroso, allentò appena il nodo alla cravatta e si schiarì la voce, cercando di assumere una posizione quantomeno dignitosa. Machiko aprì poco dopo, guardandolo dubbiosa, le sopracciglia corrucciate e le scarpe ancora in mano.
«Cinque minuti di ritardo e vieni già a mettermi fretta? Hai la pazienza di un poppante, lo sai?» lo brontolò, contrariata.
«Non è per questo» mormorò lui, imbarazzato. Si guardò nuovamente attorno, poi frettolosamente spintonò di nuovo Machiko all'interno della stanza, entrando a sua volta. Si richiuse la porta alle spalle e ci si poggiò, tirando un sospiro di sollievo.
«Ma, ehi! Che ti prende?» lamentò lei, rivolgendogli la peggiore delle occhiatacce. Spingerla era stato ancora meno carino del venire a bussare alla sua porta solo perché aveva tardato cinque minuti. In fondo erano tornati tardi dalla spiaggia, cosa pretendeva?
«Scusami, finisci pure di vestirti. Io ti aspetto qui» disse lui, nervoso, senza muoversi dalla porta. Machiko si avvicinò al letto, ci si sedette sopra e si infilò la prima scarpa.
«Puoi almeno spiegarmi che succede?» chiese, contrariata ma meno irritata avendo per lo meno capito che il suo ritardo non c'entrava.
«Giù ci sono dei giornalisti» spiegò lui brevemente, rivelando dall'espressione che la cosa dovesse avergli recato parecchio disagio.
«C'erano anche ieri e poi, scusa, non sei abituato?» chiese lei, finendo di legare i laccetti della prima scarpa e passando alla seconda.
«Sì, ma stasera sono di più. E di solito non mi dispiace rispondere a qualche domanda, fa parte del mio lavoro, ma questi hanno cominciato a chiedere cose su di noi e...»
«E te la sei fatta sotto, ho capito» concluse lei con leggerezza. Toshinori lasciò cadere la testa in avanti e si limitò a sospirare affranto, ammettendo indirettamente che avesse ragione la donna. «La voce si è sparsa velocemente, allora».
«I ragazzi della Yuuei ci hanno visti sul tetto, ieri i giornalisti, poi la scenata al ristorante e secondo me anche oggi in spiaggia dev'essere passato qualche curioso» riflettè lui, dando una spiegazione a tutto quel vociare.
«Difficile avere una vita privata quando si è un personaggio di fama mondiale, vero?» disse lei, ridendo sotto i baffi per il modo in cui la cosa sembrava dargli particolarmente fastidio. Non era abituato a stare al centro dei pettegolezzi, era ovvio, le sue comparse nei notiziari si erano sempre limitate alla grandezza delle sue eroiche azioni, non aveva idea di com'era gestire le voci sul proprio conto. Non che a lei facessero piacere, ma gliene erano successe molte di più, anche di più gravi, ormai aveva imparato a ignorarli e lasciarli parlare. Tanto non appena lei fosse tornata in America tutto si sarebbe disciolto come sale in acqua nel giro di qualche mese.
«Se solo non avessi la licenza sospesa momentaneamente in attesa di giudizio, potrei usare il mio Quirk per far fare a tutti un bel dietro front» disse con un occhiolino malizioso.
«Macchan!» sobbalzò lui, contrariato. Le puntò una delle sue grossa dita contro e si piantò un pugno al fianco, assumendo una posizione autoritaria: «Non è così che ci si comporta! L'uso improprio del tuo Quirk è ciò che ti ha cacciato nei guai, non hai ancora imparato niente? E pensare che ho sempre fatto di tutto per fartelo capire, sei proprio cocciuta» sospirò lui, portandosi la mano alla testa con aria affranta. Machiko ridacchiò divertita, rivelando che sotto sotto izzare quella reazione da paparino premuroso e brontolone era ciò che desiderava. In ricordo dei vecchi tempi, quando non faceva che sgridarla come fosse suo padre per il modo in cui usava il proprio Quirk e se la prendeva con gli altri. Non era cambiato affatto e la cosa la rincuorava.
«Sto scherzando» confessò, avvicinandosi a un mobiletto di fianco alla televisione. Ne aprì uno stipetto e infine tirò fuori una bottiglia di vino ancora chiusa, prima di proporgli: «Se la cosa ti crea tanto disagio possiamo sempre avvalerci del servizio in camera. Non ne sottovalutare la potenza, è un grande alleato di noi vip» disse con un occhiolino e mosse appena la bottiglia, mostrandone il contenuto.
«Vorresti mangiare qui?» chiese lui lievemente turbato, guardandosi attorno. Il letto dove dormiva la notte era ancora sfatto, la vestaglia buttata ai piedi di questo, un paio di cianfrusaglie sul comodino, creme e trucchi sul comò alla sinistra del letto, ciabatte e scarpe sparse in giro e infine il vapore che ancora usciva dal bagno, ad indicargli da quanto poco tempo fosse uscita dalla doccia. Il disordine era intollerabile, ma passava in secondo piano di fronte a tutti quei segnali che indicavano l'intimità della donna. Ogni cosa lì dentro profumava di lei, ne sarebbe uscito ubriaco.
«Ho un tavolo, tranquillo non dovrai mangiare per terra» lo rassicurò lei, notando il suo disagio. «Con a fianco un'enorme finestra e un bellissimo panorama!» disse aprendo la tenda e mostrando la città all'esterno. Erano alti abbastanza da riuscire a vedere gran parte di Tokyo e a quell'ora di sera tutte quelle luci erano magiche abbastanza da creare l'atmosfera ideale.
«O se preferisci possiamo scendere e affrontare la mandria imbufalita da qui fino a stasera quando mi riporterai in camera mia».
«Preferisco stare qui!» rispose istintivamente, tremando all'idea di tornare giù da tutte quelle persone che ponevano domande così scomode e imbarazzanti.
Machiko ridacchiò divertita e gli porse la bottiglia di vino: «Tieni, comincia ad aprirla, io chiamo George sotto».
«Si chiama George anche lui?» chiese Toshinori, ricordandosi di come avesse chiamato con lo stesso nome anche il giornalista la sera prima.
«Nah, non credo. Ma non ricordo il suo nome e George mi piace» rispose lei, componendo il numero al telefono poggiato sul suo comodino. «Trovi l'apribottiglie nel cassetto!» disse indicando il mobile dove aveva preso il vino. «Ti va del sushi?» gli chiese mentre Toshinori armeggiava con la bottiglia.
«Preparano il sushi?» chiese Toshinori dubbioso e sorpreso.
«Sushi, Ramen e zuppa di Miso! Ho proprio voglia dei sapori classici di casa mia, in America sono abituata ormai a mangiare altro» disse lei, entusiasmandosi come una ragazzina al parco giochi. Toshinori la guardò intenerito, prima di decidere di darle corda ed aggiungere: «Katsudon, pesce alla griglia e tempura di gamberi!»
«Oh! Sì! George!» rispose al telefono. «Sono Nina, dalla stanza settecentodieci, vorremmo il servizio in camera, sono con un ospite» e cominciò ad ordinare tutto ciò che le passava per la testa e che richiamasse i sapori del giappone. Cibi talmente classici, quasi casalinghi, che per un attimo il ristoratore storse il naso ma infine decise di accontentare il capriccio del suo prezioso ospite.
«Tra non molto ci porta tutto, nel frattempo» disse prendendo uno dei due bicchieri che Toshinori aveva riempito. «Brindiamo!»
Fu un lungo brindisi, condito di vecchi ricordi, aneddoti e risate. Parlarono, raccontandosi tutto ciò che gli passava per la testa, dai loro momenti insieme, a quelli che invece avevano passato lontani l'uno dall'altro. Parlarono senza paure, senza timori o dubbi, parlarono come non parlavano da tempo, canzonandosi ma anche elogiandosi, confessandosi, aprendosi finalmente l'uno all'altro. Riempirono quella stanza di tutti quei sorrisi che tanto avevano amato in passato, la riempirono tanto che a un certo punto sembrò non ce ne stessero più e perfino dal corridoio si cominciò a sentire la risonanza delle loro voci che ormai prive di spazio uscivano, in cerca di un altro posto da illuminare con tutte quelle risa e quei racconti.
Quando il cameriere portò loro l'ordinazione, la bottiglia di vino era praticamente quasi vuota e sul viso di entrambi era possibile scorgere il lieve rossore che l'alcol aveva il potere di dare.
«Accidenti, avremmo almeno dovuto mangiare qualcosa» lamentò Toshinori, portandosi una mano alla testa.
«Tranquillo, il letto è grande. Puoi dormire qui se non credi di farcela» disse lei con leggerezza, senza forse rendersi nemmeno conto di cosa avesse appena proposto all'uomo. Si alzò ed andò ad aprire la porta, permettendo così al cameriere di entrare con il carrellino. Lo lasciò vicino al tavolo, apparecchiò e con un inchino educato si congedò, lasciandoli di nuovo soli in una stanza che ora era pregna di quei buon profumi che venivano dai vassoi.
«Mamma mia, che fame!» si esaltò Machiko, alzando il primo coperchio. Afferrò le bacchette e senza aspettare oltre prese uno dei pesci alla griglia poggiati nel piatto. Toshinori non si fece pregare e la seguì all'istante, cominciando a mangiare tutto quello che gli era stato portato. Il silenzio calò tra loro, troppo concentrati a riempirsi le pance piene di alcol e vuote di cibo, forse proprio per questo più affamate del solito. Si guardarono dopo pochi minuti, quando ormai la fame stava cominciando a venir placata, e rendendosi conto del religioso silenzio in cui erano caduti, scoppiarono entrambi a ridere. Era da così tanto tempo che non si sentivano bene come in quel momento, liberi di ridere anche per cose come la propria fame. E decisero di non smettere, decisero di goderne fintanto che il tempo gliene dava la possibilità, facendo un enorme salto indietro quando erano due semplici amici d'infanzia che scoprivano per la prima volta d'amarsi a vicenda.
«È tutto delizioso» commentò lui, portandosi alla bocca un'altra bacchettata di riso e verdure.
«Toshi-chan! Assaggia la tempura!» esordì lei, prendendo un gambero fritto e allungandosi per farglielo mangiare. Toshinori la guardò qualche istante, mentre nel petto si allargava una piacevole sensazione di calore.
"Toshi-chan", da quant'era che non si sentiva chiamare in quel modo. Accettò il bocconcino che la ragazza gli offrì, tenendo gli occhi puntati su di lei, perdendosi ancora una volta in un ricordo, quando nei loro freschi vent'anni Machiko nei loro momenti da soli si divertiva ad imboccarlo. Era di una bellezza inesprimibile quella sera, lei e quel benedetto sorriso. Masticò lentamente, senza riuscire a togliere gli occhi su quanto avesse di fronte, i suoi capelli leggermente ondulati sul viso, il trucco che le risaltava le labbra, rendendo ancora più grande quel sorriso di cui non poteva farne a meno. Il vestito che la fasciava con dolcezza lasciava scoperte le gambe, accavallate l'una sull'altra, e perfino gli stivaletti con quell'enorme tacco la rendevano più bella del solito, slanciandola, mettendone in risalto i polpacci. Voleva accarezzarla, stringerla, far scivolare le dita lungo tutta l'esile figura, disegnandone le curve. Voleva accarezzarle la schiena, immergere le dita nei suoi capelli, sentire l'odore della sua pelle.
«È buono, vero?» chiese lei, ignara di quanto stesse succedendo nel petto dell'uomo, ostinandosi a sorridere in quel modo così genuino, così aggraziato, peggiorando la situazione ogni secondo di più. Come poteva splendere a tal punto? Come riusciva ad accecarlo di ogni altra cosa con una tale maestria? Come riusciva a non rendersi conto di quanto fosse stupenda? Come poteva non capire che andandosene, vent'anni addietro, aveva sì permesso ad All Might di nascere definitivamente ma al caro prezzo della vita di Toshinori? Come poteva non capire quanto l'avesse distrutto tornare al ristorante, quella notte, e trovarlo svuotato, sommerso di macerie? Quanto l'avesse distrutto chiamare il suo nome, vagando tra i sopravvissuti, con le lacrime agli occhi e non sentirla rispondere? L'aveva creduta persa per sempre, ma poi aveva sentito quel messaggio in segreteria.
"Abbi cura di te, All Might"
«Toshi-chan?» chiese Machiko, rendendosi finalmente conto di quanto si fosse rabbuiato all'improvviso. Il sorriso sul viso sembrava essersi spento, gli occhi persi in qualcosa di tanto immenso quanto terrificante, la ruga sulla sua fronte a segnalare che stesse pensando troppo. Perché non rispondeva?
«Macchan» disse finalmente, in un sussurro lamentoso, come fosse stato il suo ultimo respiro, e si lanciò in avanti, verso il suo viso. Immerse finalmente le dita tra i suoi capelli, afferrandola per la nuca e si appropriò delle sue labbra quasi con violenza. Doveva averle, doveva averla, non poteva guardarla da così vicino e non tentare di allungarsi per riappropriarsene. Non dopo quello che c'era stato, non dopo averla vista fuggire via in quel modo, scivolando via dalle sue dita senza che neanche potesse prima rendersene conto. Poteva essere anche l'uomo con il senso della giustizia più forte, l'uomo più forte e giusto che esistesse al mondo, ma era profondamente egoista, Machiko lo sapeva. E il suo egoismo ora gli urlava di riprenderla, che la voleva ad ogni costo, oltre ogni limite. Schiuse le labbra ed incontrò la sua lingua, che scoprì essere altrettanto decisa a lasciarsi andare ad un primitivo egoismo. Un egoismo che era rimasto soffocato troppo a lungo e che ora sembrava deciso ad esplodere, senza trattenersi, travolgendoli tanto da offuscare tutte le ragioni del mondo.
Lo prese per il nodo della cravatta, tirandoselo contro. Toshinori cominciò ad alzarsi, portandosi dietro Machiko, senza lasciar andare la sua bocca. Doveva sentirne il sapore fino alla fine, non l'avrebbe lasciata andare neanche per prendere fiato, deciso ad andare oltre ogni cosa, oltre ogni limite. La prese per le gambe e sollevandola da terra se le portò intorno alla vita, facendo in modo che restasse aggrappata a lui, e così tenendola raggiunse rapidamente il letto. Ci lasciò cadere sopra Machiko, per poi raggiungerla più lentamente, facendo ben attenzione a non schiacciarla con il suo peso. Machiko cominciò a sciogliergli la cravatta e senza aspettare che fosse del tutto aperta iniziò poi a sbottonargli la camicia.
"La cicatrice!" un attimo di lucidità e con uno scatto le bloccò la mano, facendola per un attimo sussultare. Dove aveva sbagliato? Non rispose a quella domanda, tornando a baciarla e incrociò le dita della mano afferrata, bloccandola contro il materasso. Non doveva vederla! Tutto, poteva sopportare ogni cosa, ma non che scoprisse il suo segreto. Avrebbe resistito, oltre il proprio limite, poteva farcela, non avrebbe perso la concentrazione e sarebbe rimasto in quella forma fino alla fine ma non avrebbe saputo giustificare quell'enorme cicatrice sul fianco. Non doveva vederla, anche a costo di risultare poco garbato e poco romantico. Machiko portò la mano destra, libera, sul suo collo ora scoperto. Lo accarezzò, arrivando fino dove gli era concesso, per quel poco che lui le aveva permesso di sbottonare. Non le fu difficile capire che quel gesto non era dettato dal solo desiderio di stringerle la mano. Lui l'aveva bloccata troppo violentemente e qualsiasi fosse il motivo, si trovava sotto quella camicia che, sentiva, avrebbe tenuto su per tutto il tempo. Aveva deciso che si sarebbe presa una sola settimana, il respiro di un sogno, poi tutto sarebbe finito. Indagare sui segreti dell'uomo non rientrava nei suoi piani, desiderava solo goderne fino in fondo, accontentandosi di ciò che le era concesso. Perciò lasciò la camicia esattamente com'era e tornò a concentrarsi solo sulle sensazioni che averlo addosso le provocava, solo su quelle, fin dove lui le avrebbe concesso. Sentì la sua mano percorrerle la gamba e ne rabbrividì, lasciandosi sfuggire un lamento dalla gola nell'istante in cui arrivò al bordo del vestito. Esitò, stava tremando, lo sentiva chiaramente. Machiko posò la propria mano su quella di Toshinori e con delicatezza lo guidò oltre il confine dell'abito, aiutandolo in quel gesto che pareva terrorizzarlo a tal punto. Il fiato le mancò in gola, quando insieme raggiunsero il lembo dei suoi slip. Con delicatezza Toshinori ci infilò un dito e le tirò verso il basso, sfilandoglieli. Si fermò qualche secondo, staccandosi per la prima volta dalle sue labbra, e si prese qualche secondo per guardarla negli occhi. Doveva avere la certezza assoluta che quanto stava succedendo non l'avrebbe ferita in nessun modo, doveva avere la certezza assoluta che a lei andasse bene così come sarebbe stato. L'emozione di una notte, fugace, mossa solo da primitivi desideri, che anche se fosse riuscito a ripeterla nei giorni successivi poi sarebbe rimasta per sempre in quell'albergo. Quando sarebbe ripartita, tutto sarebbe tornato alla normalità. Le andava bene? Lei stava bene?
La sentì, quella risata che gli dava dell'imbranato. La risata che lei gli aveva dedicato la loro prima volta e che più se l'era tolta dalla testa. Gliela lesse negli occhi un istante prima che lei lo tirasse nuovamente contro le proprie labbra. Non importava di ciò che sarebbe successo dopo, lei voleva solo viverlo quel sogno. Fino in fondo. Portò le proprie mani alla cintura dell'uomo, cominciando ad aprirla. Lo sentì chiaramente il rigonfiamento all'interno dei suoi pantaloni, che premeva a tal punto da rendere addirittura difficoltosa la svestizione. La sfiorò volutamente, intimorita, ma accecata da quel desiderio che ora non avrebbe tenuto più per sè. Lo sentì irrigidirsi, sospirare e scommetté che le lenzuola sembrassero più tese sotto di lei per il semplice motivo che lui le stava stringendo tra le dita con tutta la forza che aveva. Tornò a concentrarsi sul bottone dei suoi pantaloni e si affrettò a liberarlo completamente. Afferrò pantaloni e boxer in un'unica volta e li abbassò, aiutata da Toshinori stesso. Lui le sollevò completamente il vestito, fino al ventre, permettendole così di fargli spazio tra le proprie gambe. Avvicinò il proprio bacino a quello della donna, arrivando fino a sfiorarla, ma non riuscì a compiere quel decisivo passo. Colto da un timore che gli chiudeva la gola, cominciò a tremare come una foglia. Se quell'incubo si fosse avverato? Se lui davvero fosse tornato a quell'orribile forma nel momento peggiore? E Machiko... la sua meravigliosa Machiko continuava ad accettare tutte quelle bugie, ad accettare di far l'amore insieme per la prima volta dopo vent'anni vestiti se non per lo stretto necessario, per colpa della sua maledetta cicatrice. Ma lei lo accettava, continuava a perdonarlo, a perdonare ogni suo errore, ogni suo egoismo, ogni suo segreto... perché lo faceva? Perché era così perfetta? Perché non capiva quanto di meglio meritasse che uno storpio bugiardo che non aveva fatto altro che usarla come fonte di benessere? E continuava a farlo. Continuava a dargli tutto ciò che desiderava, accettando le sue bugie.
«Toshi-chan» mormorò lei, sentendolo tremare tanto da lamentarsi. «Pensare troppo ti fa venire le rughe».
«Ti amo ancora, Macchan» sussurrò, incassando il volto sul suo collo. Era così dannatamente vero, così dannatamente liberatorio, così dannatamente spaventoso che da tutto quello nacquero le lacrime che si sforzò di nascondere sulla sua profumata pelle. Avevano lo stesso amaro sapore di quella notte, quando aveva sentito per l’ultima volta la sua voce alla segreteria.
«Stupido imbranato piagnucolone» disse Machiko con tono amorevole, dopo qualche secondo di silenzio per riuscire a metabolizzare quanto gli era stato appena detto.
Gli posò una delicata mano dietro la nuca, accarezzandolo con dolcezza. Avvolse delicatamente le proprie gambe intorno ai glutei dell'uomo, sapendo che se non avesse ancora una volta preso le redini della situazione non ne sarebbe uscito dignitosamente. Aveva bisogno di sicurezza, come sempre, quella sicurezza che ostentava ma che non aveva quasi mai e allora attingeva a quella di Machiko.
«Che ne sarebbe della tua reputazione se si venisse a scoprire che prima di far l'amore con una donna ti metti a piangere come un moccioso, eh? Superhero» lo canzonò, sollevandogli il viso per poter di nuovo incrociare il suo sguardo.
«Perdonami, ti prego» mormorò lui. Una richiesta che andava ben oltre quella sera, una richiesta che andava oltre a tutte le sere di quei vent'anni che erano stati lontani e che passava oltre, raggiungendo tutte le sere che ne sarebbero seguite perché lui avrebbe continuato a mentirle.
«Chiudi il becco» sussurrò lei, un istante prima di spingersi e andare a ritrovare le sue labbra. Con le gambe riuscì a tirarselo contro, dandogli quella sicurezza che gli era mancata, facendo lei per l'ennesima volta il passo decisivo. E ormai toccandosi, umidità contro umidità, calore contro calore, Toshinori fece quell'ultimo passo varcando quella soglia che per anni era stata sua ma che ora sentiva di non meritare più. I successivi minuti furono completamente avvolti nella nebbia, in una piacevole nebbia che accecava, che inebriava. Il fuoco, quelle travolgenti sensazioni che nascevano dal bacino e risalivano fino al petto, incendiava tanto che per poco non fece male.
"Abbi cura di te, All Might".
Faceva così male, aveva fatto così male. Quell'addio inespresso, la consapevolezza che quelle sarebbero state le sue ultime parole, il terrore nel non trovarla tra le macerie. L'aveva quasi uccisa, l'aveva lasciata morire, non aveva sentito la sua voce nel coro di chi chiamava All Might, travolto e accecato da tutto quell'egoismo. Non era riuscito a sentirla, perché diamine non era riuscito a sentirla?
Strinse le lenzuola tra le dita tanto da strapparle, mentre continuava a muoversi dentro di lei, inebriato, ubriacato, completamente sopraffatto da quel suo intenso profumo. La sentì muoversi, sotto di sè, inarcare la schiena, assecondare i suoi movimenti, sentì la sua voce che vicino al suo orecchio si lasciava andare a piacevoli lamenti.
"Abbi cura di te, All Might".
Il dolore aumentava man mano che il fuoco si impossessava dei suoi muscoli, ma cominciava a riconoscerlo quel dolore. Era la sua maledizione, partiva dalla cicatrice al fianco e lo ricopriva completamente, bruciando ogni singolo muscolo. Strinse i denti e tornò a schiacciare il volto contro il collo di Machiko. Non doveva cedere a quel dolore, non doveva rovinare tutto per l'ennesima volta. Sarebbe morto piuttosto che ferirla ancora, piuttosto che deluderla ancora.
"Abbi cura di te, All Might".
Ancora un altro ansimo, a sfiorargli l'orecchio, aumentando quella sensazione di follia contro cui stava lottando disperatamente. Quella voce, la sua voce, non aveva poi fatto altro che sentirla alla radio o alla televisione. Elettronica, così poco naturale, così poco sua, così lontana... mentre ora riusciva a tenerla vicino al proprio orecchio, a sentirne ogni sfumatura, non perderne neanche una nota. Quell'addio era riuscito a spazzarlo via. Quell'addio così freddo, che chiamava in causa il suo nuovo sè e non il Toshinori di cui era innamorata. Aveva parlato al freddo, assente All Might, consapevole che Toshinori non c'era più. Perché se ci fosse stato... l'avrebbe sentita ancora, la sua voce, che chiamava aiuto. Era stato All Might a non sentirla, Toshinori ci era sempre riuscito, fin dalla prima media. La colpa era solo sua, e lei continuava a perdonarlo. Perché?
«Ti amo ancora, Toshinori» confessò e fu quello l'istante in cui il calore al petto riuscì a sconfiggere il bruciore della cicatrice. Un altro infinito bacio, le dita tra i suoi capelli, i propri corpi che si muovevano ritmicamente, completandosi, il desiderio di non separarsi mai più, di sentirsi per sempre integri. L'orgasmo era stato talmente accecante che quando Toshinori aveva riaperto gli occhi aveva temuto di aver realizzato il suo incubo ed essere diventato quel mostro scheletrico che cominciava a detestare più di ogni altra cosa. Si guardò le mani, le braccia, e quando vide che era riuscito a mantenerla quella promessa tenendo nascosta a Machiko la verità si sentì tanto sollevato che per poco non si sarebbe messo a piangere di nuovo. Guardò il volto di Machiko sotto di sè, gli occhi socchiusi, rilassata, ma ancora incapace di smettere di guardarlo. Si sollevò, sfiorò nuovamente le sue labbra e infine si ammorbidì sul materasso.
«Se solo esistesse un modo per sognare per sempre» mormorò, ormai a occhi chiusi. Toshinori la guardò per qualche secondo, incantato dalla sua bellezza, incapace di liberarsi di quel dolore che la consapevolezza di averle mentito gli chiudeva la gola, ma cosciente del fatto che quel desiderio, di poter sognare per sempre, cominciava ad averlo anche lui. Le accarezzò il viso, scostandole una ciocca di capelli e la guardò mentre rapidamente cadeva addormentata, forse per l'alcol, forse per l'abbondante cena o per il rilassamento dopo l'amplesso. Era stata incredibilmente veloce e questo gli riportò alla mente tutte le volte che avevano fatto l'amore, precedentemente: era un punto fisso della loro relazione, che lei fosse la prima ad addormentarsi, e lui puntualmente passava la successiva mezz’ora ad ascoltare il rumore del suo respiro, prima di lasciarsi andare al sonno, imitandola. Lo faceva un tempo, ma non quella volta. Quella sera aveva una scadenza da rispettare… l’orologio che batteva l’ennesimo “tic” a ricordargli quanto poco tempo gli fosse ancora concesso.
Si sollevò, si diede una veloce ripulita e si richiuse i pantaloni. Si chinò su Machiko e senza svegliarla, con delicatezza, la mosse in modo che fosse comoda sul letto e infine la coprì. Un colpo di tosse lo tradì e pregò che questo non la svegliasse, cosa che per fortuna non avvenne. Si tolse la mano dalla bocca e diede una rapida occhiata, già sapendo cosa ci avrebbe trovato: sangue. Era al limite.
«Merda» sussurrò, ripulendosi rapidamente con un fazzoletto. Con altrettanta rapidità si riabbottonò la camicia, si tolse la cravatta ormai inutile e prese la giacca dalla sedia. Un ultimo sguardo al raggio di sole che dormiva nel letto, prima di uscire portandosi dietro almeno un centinaio di sensi di colpa.


La mattina dopo Machiko si svegliò confusa: quando si era addormentata? Ricordava ogni cosa, non si era ubriacara a tal punto. La ricordava eccome, la serata più bella che avesse passato negli ultimi vent'anni. La cena, le risate, quelle liberatorie risate e poi il suo sapore. Ricordava perfino quelle stupide dichiarazioni che si erano fatte: stupide perché come le avrebbero giustificate adesso? Come se ne sarebbero liberati una settimana avanti, quando lei avrebbe ripreso quell'aereo? Tirò su le gambe, avvolgendole in un abbraccio. Era stato tutto bello, fino a quel risveglio, sola e abbandonata. C'era stato un tempo in cui Toshinori restava con lei, ad abbracciarla, anche a costo di prenderle da suo padre, pur di non permetterle di risvegliarsi da sola. Ricordava le notti in cui di nascosto si infiltrava nella sua stanza, passando dalla finestra, si infilava nel suo letto e lì restava, a dormire, avvolgendola fino al mattino. Solo perché lei magari gli scriveva nel cuore della notte che aveva fatto un brutto sogno.
Perché invece quella mattina era così sola? Sentiva un gran freddo. C'era stato un momento, la sera prima, che segretamente e stupidamente aveva pensato che tutto sarebbe potuto tornare al passato. Che indipendentemente da come erano andate le cose, loro sarebbero potuti tornare ad abbracciarsi. Era stato stupido, un pensiero infantile, Toshinori glielo aveva rammentato sparendo la sera prima durante il suo sonno, permettendole di svegliarsi sola e disordinata. Si voltò e guardare lo spazio vuoto al suo fianco, vuoto come il sentimento che provava in quel momento nel petto. Era stato solo un sogno, un bellissimo e consapevole sogno, tutto sarebbe finito nel giro di una settimana. Doveva metterselo in testa, non ci sarebbe stato "ti amo" che avesse retto. Era solo un sogno.
Poggiò il palmo della mano sul materasso al suo fianco, accarezzandone la superficie, in una primitiva speranza di poter sentire il suo calore, il suo profumo indirettamente. Il lenzuolo venne spostato di un paio di centimetri e fu allora che lo vide, piccolo ma indelebile, ormai secco sul bianco della biancheria pulita: «Sangue?»


How to be brave?
How can I love when I'm afraid to fall?
But watching you stand alone
All of my doubt, suddenly goes away somehow
One step closer...
I have died everyday, waiting for you
Darling, don't be afraid, I have loved you for a thousand years
I'll love you for a thousand more



Nda.

Faccio queste rapidissime Nda solo per scusarmi del ritardo di questa settimana e per ringraziarvi tutti, come al solito <3 lettori, anche se silenziosi, siete preziosissimi <3
Eeee finalmente una gioia! xD dai su… la tensione sessuale e palpabile ormai da un paio di capitoli, prima o poi ci sarebbero cascati u.u
MA…. Toshinori si ostina a non volerle rivelare di aver perso parte dei suoi poteri, convincendosi che lo fa per lei ma ritrovandosi ogni tanto a spaventarsi al pensiero che possa trovarlo ripugnante e debole.
Visto che questo nda saranno più brevi rispetto alle solite, questa volta vi regalo un piccolo spoiler per il prossimo capitolo. E non è uno spoiler qualunque, vi avverto :P

«Quell'idiota di Deku» mormorò lei, pensierosa, sedendosi a terra al suo fianco. «Non ti sta molto simpatico, vero?»
«È un nerd di merda! Di merda!» ribadì, continuando a tirar pugni per terra, ormai in preda alle lacrime. No, decisamente non gli stava simpatico. Nina si tolse la giacca di dosso e la lasciò cadere sopra la testa di Bakugou, nascondendogli il volto rigato di lacrime, proteggendolo da quell'umiliazione.
E infine confesso: «Nemmeno a me».

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Capitolo 23
*** Lullaby, Nickelback ***


"Lullaby”, Nickelback





Nina si stiracchiò, allungando le braccia verso l'alto. I corridoi della scuola erano già deserti quando arrivò, tutti gli studenti erano nelle proprie aule da un pezzo ormai, intenti a seguire le lezioni. Nessuno le chiedeva di andare così presto la mattina, in fondo le sue lezioni si tenevano nel pomeriggio, ma le piaceva comunque essere presente fin dalle prime ore per poter vivere l'ambiente scolastico fino in fondo. Voleva alimentare quella pressante malinconia e girare per i corridoi, andare in palestra, o semplicemente starsene in sala professori e mangiare dolcetti guardando gli altri lavorare ai propri computer, sentirli parlare e commentare gli studenti, era tutto così piacevole. Quella mattina sapeva già che l'avrebbe passata seduta sul divano, divorando la busta di Taiyaki che aveva comprato andando lì, e leggendo tutte le informazioni che poteva avere sulla classe prima A. Nei giorni precedenti si era concentrata esclusivamente sui suoi "casi problematici", su Midoriya e su Bakugou, ma cominciava a rendersi conto che avrebbe dovuto ampliare lo sguardo all'intera sezione. Nascosti nel loro anonimo silenzio c'erano alcune perle interessanti che non sarebbe stato male conoscere più a fondo. Aprì la porta della sala insegnanti, esclamando un allegro: «Buongiorno a tutti!» ma si bloccò, per un attimo confusa e stupita. Seduto sul divano, chino, con le dita intrecciate tra loro, c'era Bakugou. Alle sue spalle tre degli insegnanti stavano lavorando ai propri computer, tra questi c'era anche Midnight che non faceva che lanciare al ragazzino occhiate emozionate, probabilmente ancora su di giri per la promessa che lui le aveva urlato in corridoio.
Era una donna impicciona, ma quella sua passione non dispiaceva a Nina: almeno non era una di quelle che le remavano contro, ma finché avesse spronato i ragazzi a far uscire il fuoco dentro di loro avrebbe continuato a sostenere le sue scelte.
«Kacchan» lo chiamò. «Che fai qui? Non dovresti essere in classe?»
«Ho chiesto un permesso. Devo parlare con te» il viso corrucciato ostentava serietà e una certa maturità, ma era facile scorgerne sotto l'imbarazzo che anticipava la debolezza di una richiesta. Nina si voltò a guardare i professori, scoprendoli tutti distratti dal loro lavoro per quella conversazione: erano tutti dei gran ficcanaso, non solo Midnight, allora!
«Vieni con me» disse a Bakugou, sapendo che lì non avrebbero potuto parlare in pace.
Uno dei professori cominciò a balbettare, alzando un dito, riuscendo solo dopo alcuni lamenti a dire: «Il professor Aizawa sta sostenendo la lezione!»
Nina era sotto sorveglianza, lo sapevano tutti lì dentro. Non costantemente, ma almeno quando avrebbe passato del tempo con gli studenti, per impedirle di agire in maniera aggressiva nei loro confronti. In quel momento Aizawa non poteva adempiere a quel dovere, era quello che il professore stava cercando di dirgli: sarebbe stato meglio se fossero rimasti lì dentro, così potevano controllare loro la situazione.
«Salutalo quando lo vedi» disse Nina scocciata, rispondendo a una frase indiretta in maniera altrettanto indiretta. Non gliene importava niente di quelle stupide restrizioni, se voleva parlare sola con Bakugou avrebbe parlato sola con Bakugou.
«Ma...» balbettò ancora il professore, non sapendo come sarebbe stato corretto reagire. Nessuno aveva chiesto a lui personalmente di occuparsi della faccenda, una parte di sé gli diceva di farsi gli affari suoi, e probabilmente fu quello il motivo che lo spinse a lasciarli andare. Pieno di dubbi, chiedendosi se non avesse fatto meglio a seguirli, ma li lasciò andare. Anche perché sicuramente aveva ben altro da fare che star dietro a una folle che si divertiva a malmenare i ragazzini.
Si voltò verso Midnight, provando a chiederle con lo sguardo se avessero fatto bene, e lei rispose con un'alzata di spalle prima di tornare al suo lavoro. Se perfino lei dimostrava di non importarsene, perché avrebbe dovuto farlo lui?
Nina aprì la porta che conduceva al tetto e, seguita dal ragazzino, uscì all'esterno, tornando ad avvicinarsi alla ringhiera per guardare l'enorme mondo che aveva sotto di sé. Bakugou le si mise a fianco e fece altrettanto, assumendo una posa decisamente più scomposta e appoggiò la testa tra le braccia, posate su quella ringhiera.
«Allora» cominciò Nina dopo qualche secondo di silenzio. «Non sei un ragazzo che gira troppo attorno alle cose, perciò direi di andare subito al nocciolo della questione. Cosa ti turba?»
«Pensi che io sia uno che si lascia turbare tanto dalle cose?» ringhiò lui, lievemente rosso in volto. Bastava così poco per ferire il suo orgoglio, era teso come una corda di violino e al primo pizzicotto scattava. Ma era semplice capirlo, almeno lo era per lei, e lesse dietro quell'urlo furibondo solo tanto disagio. Gli fece una gran tenerezza.
«La lezione era pallosa, volevo solo una scusa per uscire dalla classe» disse lui, provando a giustificarsi.
«Oh» disse Nina, non riuscendo a trattenere un sorriso intenerito. «Che ragazzino indisciplinato che sei» ridacchiò, fissandolo mentre lui tornava nella sua posa chiusa e corrucciata. «E va bene, se startene qui in silenzio a guardare il panorama è quello che vuoi fare, starò volentieri qui a farti compagnia».
Si voltò a fissare l'orizzonte, oltre i tetti dei palazzi di quell'enorme città. Sotto di loro, tra le vie, regnava il caos, tra il traffico ruggente, le sirene della polizia che correvano ad ogni segnalazione, il vociare delle persone. Era come un enorme formicaio e loro da lì sopra lo potevano supervisionare interamente, una spanna sopra gli altri, superiori a qualsiasi cosa. Il vento che li accarezzava portava ancora con sé l'odore salmastro del mare. Era il posto ideale per loro due, che amavano guardare il mondo intero da quella posizione, superiori, irraggiungibili. Era un luogo di conforto.
E loro si lasciarono confortare, a lungo, immersi in quel piacevole silenzio.
«”Un giorno non potrai più guardare nessuno dall'alto”» mormorò Nina. «”Un giorno sarai costretta ad alzare gli occhi dal fango anche tu”: c'è stato un tempo in cui me lo ripetevano spesso». Nessuno le aveva chiesto niente, perché avesse cominciato a parlare di quelle cose Bakugou non ne aveva idea, ma restò comunque in religioso silenzio, lasciandola fare.
«Magari è un modo sbagliato di vivere, ma a me piace così. Poter abbassare gli occhi, osservarli e magari ogni tanto divertirmi con quei burattini» continuò e allungò le mani nel vuoto, cominciando a muovere le dita come se stesse realmente muovendo delle marionette.
«Fai venire i brividi» mormorò disgustato Bakugou, fermo nella sua posizione.
«Me lo dicono in tanti, ormai è diventato un complimento» ridacchiò Nina, per niente offesa da quella frase. «Comunque quel giorno non è ancora arrivato, chissà che ne penserebbero i ragazzi che al tempo me lo dicevano».
«Non hai mai perso neanche una sola volta?» chiese Bakugou e la domanda colpì Nina più del dovuto: forse perché finalmente si era deciso a dire qualcosa per comunicare con lei o forse perché non sembrava una domanda posta a caso. Gli rivolse lo sguardo, osservando i suoi occhi corrucciati che puntavano all'orizzonte, talmente infuocati che avrebbero potuto incendiarlo. Quel ragazzo era dinamite pura.
«A dire il vero» cominciò lei, abbassandosi per poggiare i gomiti alla ringhiera e tornare a guardare il mondo di fronte a sé. «Una volta sono caduta. Ed è stato talmente doloroso che ne sono scappata. Non ne vado fiera, lo devo ammettere. Ma quando per tutta la vita ti aggrappi a una certezza, tanto ovvia da diventare scontata, il giorno che questa verrà a mancare il dolore sarà tale da risultare insopportabile».
«Sei scappata, come una codarda» commentò Bakugou, che sorprendentemente pareva ascoltarla più di quanto avesse immaginato.
«Sì, sono stata codarda».
«Come puoi credere di riuscire a rendermi il numero uno, allora, se neanche tu lo sei?»
«Tesoro, in sole due settimane non posso fare proprio un bel niente!» disse Nina, scocciata che stesse ancora ritirando fuori gli stessi discorsi.
«E allora che razza di promesse mi fai?» ringhiò Bakugou, tirando finalmente fuori la testa alle proprie braccia.
«Ma perché ci tieni tanto?» chiese Nina, guardandolo con un leggero sorriso sulle labbra. Qualcosa dentro di lei le suggeriva la risposta, era sicura di sapere il motivo di quell'accanimento: Nina era stata la prima persona, dopo una serie di frustranti sconfitte e muri non riusciti a sfondare, che aveva creduto nella sua superiorità. Da quando era arrivato in quel liceo tutto ciò in cui aveva creduto, l'impero che si era costruito di cui era re e padrone, era crollato miseramente nell'istante in cui si era trovato a fianco persone altrettanto forti e valorose. Nessuno l'aveva più guardato con timore, nessuno l'aveva preso sul serio, tutti credevano di poterlo superare e c'era chi addirittura ci era riuscito... si era sentito improvvisamente solo in una battaglia che lo colpiva da tutti i fronti. La affrontava a testa alta, non era il tipo di persona che si arrendeva di fronte a certe difficoltà, ma la sorpresa nel trovare una mano al suo fianco pronta a tirar pugni per lui, dopo che molte altre non aveva fatto altro che cercare di ferirlo, era stata tale che si era sentito come se non avesse avuto bisogno di altro d'ora in avanti. Un lieve rossore nacque sulle guance del ragazzino, a segnalare che, sì, lo sapeva anche lui qual era il motivo, e distogliendo lo sguardo sputò un infastidito: «Io non ci tengo affatto! Sei tu che ti sei accanita su questa storia!»
«Mi prendi in giro?» scoppiò a ridere Nina, prima di stringere i pugni e piegarsi in avanti. Infine urlò, imitando la sua voce: «Nina! Diventerò il migliore, te lo prometto!»
«Ho solo promesso di batterti! Non c'entra niente con questa storia!» rispose lui a tono, cominciando a irritarsi tanto che la faccia gli prese una piega quasi innaturale, sotto lo sforzo della rabbia.
«Beh, allora vedi di sbrigarti perché ti resta poco tempo prima che io me ne ritorni in America» gli disse tornando a sollevarsi e guardandolo in quel suo solito modo, come fissava ogni marionetta del suo palcoscenico.
«Combatti contro di me, allora! Adesso!» ringhiò Bakugou, mettendosi in posizione. «Forza! Che aspetti?!»
Nina lo squadrò qualche istante, studiando l'espressione del suo volto.
«Allora è questo il motivo per cui volevi vedermi» mormorò, cominciando a capire. Dopo la lezione che gli aveva dato in palestra, quando l'aveva fatto prendere a pugni da Todoroki, non l'aveva più combattuto direttamente. La faccenda della sorveglianza e della sospensione della licenza l'avevano segnata a tal punto che aveva allentato la presa sul ragazzo, costretta in un certo senso, e questo l'aveva frustrato, soprattutto dopo ciò che le aveva promesso. Si sarebbero entrambi messi nei guai, le esplosioni di Bakugou le avrebbero sentite tutti nella scuola e il preside non avrebbe potuto impedire un'altra punizione ad entrambi. Si sarebbero entrambi cacciati nei guai, ma loro due erano in realtà così simili. Dal loro piedistallo, studiavano il mondo sotto, osservandolo quasi con riluttanza, sapendo benissimo che se avrebbero voluto avrebbero potuto schiacciarli tutti. Entrambi accecati da un fuoco, intolleranti verso chi cercava di mettere loro le catene, non si sarebbero fermati di fronte all'ennesima sfida.
Sciolse le braccia, tenute incrociate al petto fino a quel momento, e fissò Bakugou con più decisione. Sarebbe stato più alto il palcoscenico della burattinaia o il piedistallo da cui il ragazzo desiderava sovraneggiare?
Se Nina non avesse avuto la certezza che quel piedistallo su cui si arrampicava con tanta fatica fosse davvero potuto esserle superiore, non si sarebbe messa in gioco a tal punto. Un semplice burattino non meritava tutta quell'attenzione e tutto quel rischio e lei ci aveva scommesso ormai sopra, come aveva scommesso sulla riuscita di un mito per la pace di nome All Might, molti anni prima. Era un suo difetto, quello di accanirsi su chi dimostrava che poteva uscire dal suo palcoscenico, su chi dimostrava di non essere un inetto alla sua mercè, e finiva sempre con l'aiutarlo con tutte le sue possibilità, anche a costo di se stessa, pur di incoraggiarlo a salire al suo stesso livello, addirittura a superarla.
Bakugou aveva tutte le carte in regola per essere il nuovo sogno per cui sacrificarsi, il nuovo desiderio da scrivere su un cartiglio e appendere a una canna durante la notte di Tanabata. Lui poteva batterla, rompere i suoi fili... doveva solo riuscire a capirlo.
«Avanti, ti aspetto» gli disse e ciò bastò a convincere il ragazzino a scattare  in avanti, esplodendo due colpi alle sue spalle per darsi lo slancio.
«Un attacco frontale, non hai proprio imparato niente» lo rimproverò Nina, lanciando i propri fili nella sua direzione. Un’esplosione improvvisa alla sua destra e Bakugou riuscì a schivarli, deviando direzione all'improvviso. Approfittò della sorpresa negli occhi di Nina per lanciarsi su di lei, percorrendo quei pochi metri che li distanziavano. Nina si voltò di scattò e tentò nuovamente di arpionarlo, ma lui deviò ancora e riprese a correre verso di lei.
"Schiva gli ostacoli, passando oltre. Non perde tempo a combatterli come ha fatto con Ectoplasm la prima volta" pensò Nina, continuando a lanciare fili su fili, che lui, notando la posizione delle mani di Nina, riusciva a prevedere e schivare, avvicinandosi sempre più.
La donna sorrise, sentendo una pizzicante eccitazione all'altezza del petto.
«Fantastico» sussurrò, osservando l'espressione concentrata sul volto di Bakugou. Faceva sul serio, non era mosso dal solo istinto di distruggere ogni cosa. Avrebbe usato la testa e la forza, arrivando così a quella prima posizione che tanto ambiva. Aveva imparato così in fretta che Nina si ritrovò a confermare le sue prime impressioni: era un ragazzo brillante, decisamente superiore agli altri.
Saltò indietro, schivando un pugno del ragazzo e lanciò ancora la mano in avanti, puntandolo con i suoi fili. Un'altra esplosione e Bakugou le fu alle spalle, pronto a porre fine a quell'incontro. Ma Nina giocò d'anticipo, dimostrando di essere riuscita a prevedere anche quella mossa e trovandola già tesa con la mano sinistra, dietro la sua schiena per non mostrarla al ragazzo distratto dalla destra. I fili erano già stati lanciati prima che lui avesse potuto saltarla, Nina aveva intuito o forse costretto il ragazzo a portarsi nella posizione desiderata per colpirlo di sorpresa, e ora quei fili l'avrebbero preso da un momento a un altro, non c'era tempo di schivarli di nuovo. Doveva giocarsi il tutto per tutto. Esplose con l'unica mano che era già rivolta nella sua direzione, senza neanche prendere troppo la mira. A quella distanza ravvicinata, se fosse riuscito a colpirla anche dopo essere stato catturato, avrebbe comunque vinto.
La fretta, la poca precisione e l'urgenza lo portarono a esplodere un colpo più potente di quanto avesse inizialmente programmato, facendo tremare il tetto sul quale si stava svolgendo quell'incontro. Il polverone che ne scaturì fu visibile anche dal cortile, attirando l'attenzione di chi si trovava all'esterno.
Qualche colpo di tosse, accecato da tutto quel fumo, e cercò la donna con lo sguardo.
«Merda» la sentì mormorare, poco più avanti. La voce rotta dal dolore, gracchiante per il fumo, e finalmente riuscì a vederne la sagoma.
«Cazzo, Kacchan. Questa volta me l'hai proprio fatta» ridacchiò, sollevandosi in ginocchio. L'aveva colpita, era riuscito a prenderla, era messa davvero male, il piano aveva funzionato... ma allora perché lui era paralizzato?
Strinse i denti, furioso. Li sentiva, quei maledetti fili. Li sentiva sulla pelle, gli mettevano i brividi e gli impediva di muoversi.
«Ci eri quasi riuscito» aggiunse lei, sorridendo soddisfatta.
Aveva vinto lei. La mano sinistra allungata in avanti, i fili tesi, e il corpo di Bakugou nuovamente sotto il suo comando. Il colpo del ragazzo era stato potente, ma lei era stata più veloce ed era riuscita in qualche modo a proteggersi, spostando appena in tempo la sua traiettoria, facendo in modo che potesse prenderla solo di striscio. E infine l'aveva intrappolato.
«Non» ringhiò Bakugou, scuotendo la testa, l'unica parte del corpo che gli fosse rimasta sotto il suo controllo. Gli occhi talmente furiosi, iniettati di sangue e la follia che pian piano si impossessava di lui. «Non è ancora finita!» gridò con tutta la rabbia che aveva, prima di cominciare a esplodere colpi su colpi in nessuna direzione precisa, con il solo scopo di dar sfogo a tutta la sua potenza nell'unico modo che gli era permesso. Una furia tale che pareva quasi omicida, nel disperato tentativo di liberarsi dal suo controllo, e di nuovo il fumo si mise tra loro. Il rumore assordante delle esplosioni, le sue urla incazzate, sempre più forti, sempre più potenti e Nina percepì tutto quel dolore lungo i fili, fino alla sua mano. Faceva un male cane, quei contraccolpi che lui subiva arrivavano fino a lei, gli faceva davvero un male maledetto. Si corrucciò, ma restò concentrata e determinata. Non l'avrebbe lasciato andare, non glielo avrebbe permesso di vincere così facilmente. Doveva lottare di più, poteva farcela, ma doveva fare ancora di più o non sarebbe mai stato il numero uno.
Infine lui si arrese.
«Perché?» lo sentì ringhiare con la voce di chi sta piangendo, anche se il fumo le impediva di vedere. «Perché? Perché? Perché?» gridò sempre più forte, sempre più disperato. «Perché quell'idiota di Deku ci è riuscito e io no, merda!»
Quella frase, con tutta la rabbia che portava con sè, la colpì tanto che sentì il proprio cuore battere di un paio di pulsazioni più forti del solito. Deku, Midoriya si era liberato dei suoi fili proprio come riusciva a farlo All Might, e la cosa lo mandava fuori di testa perché non c'era niente che potesse frustrarlo più che vedere qualcuno, quel qualcuno in particolare, superarlo in qualcosa. Ma Midoriya aveva dentro di sé One for All, il potere ereditato da All Might in persona e da Nana prima di lui. Un potere tale non era paragonabile ad altri, era il potere del migliore al mondo, che maturava da centinaia di anni, artificiale, surreale, inumano. Non era una persona con il quale confrontarsi, giocava sporco, ma lei non poteva rivelarglielo e la cosa la rattristò profondamente.
Decise di liberarlo, sapendo che ormai dentro sè aveva decretato la sua sconfitta. Bakugou cadde in ginocchio a terra e cominciò a prendere a pugni il suolo, sempre più rancoroso, sempre più furioso.
«Quell'idiota di Deku» mormorò lei, pensierosa, sedendosi a terra al suo fianco. «Non ti sta molto simpatico, vero?»
«È un nerd di merda! Di merda!» ribadì, continuando a tirar pugni per terra, ormai in preda alle lacrime. No, decisamente non gli stava simpatico. Nina si tolse la giacca di dosso e la lasciò cadere sopra la testa di Bakugou, nascondendogli il volto rigato di lacrime, proteggendolo da quella umiliazione.
E infine confesso: «Nemmeno a me».
Loro due erano così inquietantemente simili.

Please let me take you
Out of the darkness and into the light
'Cause I have faith in you
That you're gonna make it through another night
Stop thinkin' about the easy way out
There's no need to go and blow the candle out
Because you're not done, you're far too young
And the best is yet to come

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Capitolo 24
*** My immortal, Evanescence ***


"My immortal”, Evanescence





«Dovevo aspettarmelo» la voce collerica di Aizawa comparve alle loro spalle. Il fumo si stava diramando, il tetto era parzialmente distrutto e i due superstiti a quella lotta restavano ancora seduti per terra, l'uno di fianco all'altro. Nina piegò la testa all'indietro, riuscendo a vedere così gli insegnanti accorsi da loro subito dopo la fine del loro piccolo incontro. Eraserhead in prima fila, Blood King a seguire, Snipe, Hound Dog e perfino All Might. Sorrise luminosa, con la faccia piena di un'innocenza che era consapevole di non avere, ma divertita da quella situazione: avevano fatto un tale baccano da far accorrere sul posto alcuni dei migliori che la scuola disponeva.
«Ehilà! Qual buon vento?» chiese lei, salutando con la mano. Un graffio sullo zigomo perdeva ancora sangue, uno sfregio sulla fronte, la manica destra della maglietta completamente estirpata, bruciata, lasciava scoperta una spalla arrossata. Altri piccoli fori lungo i vestiti, tutti visibilmente provocati da bruciature, le braccia e le mani completavano l'opera con una serie di graffi e arrossamenti, il tutto interamente ricoperto dalla polvere e da uno strato nerastro di fumo che le aveva lasciato la pelle sporca. La giacca di Nina, ora posata a terra tra i due, era decisamente da buttar via. Non c'era niente che si fosse salvato, era un disastro su tutti i fronti, eppure con tutta l'arroganza che possedeva si comportava come se non fosse successo niente, chiedendo addirittura perché fossero lì. Al suo fianco, Bakugou ne era uscito sicuramente più dignitosamente, ma non cambiava l'arroganza del suo atteggiamento rispetto alla donna. Li osservava da oltre la spalla, restando seduto, senza neanche preoccuparsi di alzarsi di fronte ai propri insegnanti o chiedere scusa.
«Nina» balbettò All Might, sorpreso, ma decisamente preoccupato. Quarant'anni suonati e continuava a comportarsi come la ragazzina sconsiderata che era stata un tempo. Non si era aggiustata nemmeno un po', era scoraggiante per uno come lui che aveva perso tanto tempo a insegnarle cosa fosse giusto e cosa no.
«Ma che avete combinato?» chiese Hound Dog, guardandosi attorno.
«Abbiamo solo parlato un po'» rispose Nina, alzandosi in piedi. Bakugou la guardò e decise di imitarla subito dopo, consapevole che da lì a poco si sarebbero entrambi beccati una bella strigliata.
Tanto valeva andare loro incontro a testa alta.
«La vostra chiacchierata è costata un'evacuazione! Abbiamo creduto in qualche attacco!» spiegò Blood King, irritato.
«Stanno evacuando la scuola a causa nostra?» chiese Nina, strabuzzando gli occhi. Un attimo di perplessità mentre si rendeva conto di quanto avessero esagerato. Si voltò a guardare Bakugou e trovò nei suoi occhi la sua stessa sorpresa, ma nessuno dei due sembrò essere colto dai sensi di colpa. Anzi, la cosa risultava essere quasi esilarante... tanto che scoppiarono a ridere. Avevano fatto un gran bel casino e sapere che con così poco avevano scatenato il terrore in tutti gli altri, solo perché si erano presi la libertà di confrontarsi, li portava quasi alle lacrime. A zittirli fu Aizawa, che colto da una furia omicida li avvolse con le sue bende, tappandogli la bocca. La cosa che lo mandava più in bestie di tutte era che quella donna, grande e grossa, si mettesse allo stesso livello dei ragazzini. Doveva far loro da mentore, era stata chiamata per renderli degli eroi, e invece si comportava come una delinquentella da quattro soldi, izzandoli tanto da scatenare risse sul tetto della scuola. Sembrava di avere di fronte il peggiore degli studenti, invece che una collega. Era intollerabile, quel suo carattere infantile ed eccentrico era decisamente intollerabile! Ed era assurdo che dovesse riprenderla e punirla esattamente come avrebbe fatto con uno dei suoi ragazzi.
«Questa volta non la passerete liscia!» ringhiò lui prima di iniziare a tirarli e trascinarli all'interno dell'edificio, come due carcerati che venivano portati al patibolo. I due lo seguirono senza ribellarsi, anche se non smisero di ridersela sotto i baffi per tutta la durata del percorso, cosa che aumentò a dismisura la rabbia dell'insegnante. L'evacuazione venne interrotta, l'ordine venne ristabilito e Nina e Bakugou vennero portati nell'ufficio del preside che non potè far a meno di sospirare rassegnato quando vide la donna varcare la soglia della sua porta.
«Ehilà, Nezu-chan! Da quanto tempo?!» provò a dire lei, con uno strano entusiasmo, ma le bende di Aizawa che ancora le tappavano la bocca ne fece uscire solo un mormorio incomprensibile.
«Grazie Eraser, ora puoi lasciarli andare» disse il preside, mettendosi comodo sulla sua sedia, alla scrivania. Aizawa sciolse le bende che li teneva legati, riportandosele avvolte al collo, e Nina appena fu libera non si risparmiò di beffeggiarsi di lui, ammiccando un provocante: «Grazie Eraser».
Se solo ne avesse avuto la possibilità l'avrebbe strozzata con le sue stesse mani. Non riusciva a sopportarla, lei e quello stupido carattere infantile e provocatorio che si ritrovava. Non riusciva proprio a capire come il preside avesse accettato di chiamarla e continuasse a permetterle di stare in quella scuola. Non aveva fatto niente di buono da quando era arrivata.
«Nina» la chiamò Nezu, imperativo, e lei gli sorrise innocentemente: «Sì?».
«Sedetevi, per favore» disse il preside ai due, indicando le sedie di fronte a lui. «Eraser, torna pure nella tua classe e aiuta gli altri insegnanti a ristabilire l'ordine. Adesso me ne occupo io».
L'uomo fece dietrofront e senza farselo ripetere due volte uscì dall'ufficio, sotto lo sguardo divertito di Nina che continuava a prendersi gioco di lui, salutandolo con la mano. Sapeva quanto Aizawa la detestasse, glielo leggeva in viso ed era solo per quel motivo che proprio con lui si comportava in maniera così spudorata e fastidiosa. Proprio come quando era ragazza e reagiva agli attacchi dei bulli attaccandoli a sua volta, prendendosi gioco di loro, ponendosi al di sopra delle loro teste e manovrandoli come marionette.
«Nina!» la richiamò di nuovo Nezu, riuscendo così ad avere la sua attenzione. «Non mi sono mai trovato prima d'ora a dover avere di fronte contemporaneamente insegnante e studente per un richiamo, la situazione devo ammettere mi mette in forte difficoltà. Il livello a cui devo pormi per parlare con ognuno di voi è decisamente diverso, combinarli non è affatto semplice, ma vista la situazione credo che la via migliore sia scegliere una delle due modalità e trattarvi alla pari, ovvero come due ragazzini, perché è così che presumo vi siate comportati. Un comportamento simile posso riuscire a capirlo in un ragazzo dell'età di Bakugou, anche se, nonostante il tuo carattere, non hai mai mancato alle regole della tua scuola e hai sempre protetto con forza il tuo posto di migliore della classe. Ma Nina, il richiamo di qualche giorno fa non ti è bastato? Pensavo che tu avessi capito...»
«Ho capito, ma questo non significa che lo accetti» lo interruppe Nina con arroganza.
«Ieri ti sei comportata così bene, anche se hai avuto un attimo di sbandamento con Midoriya, ma Eraser mi ha detto che era andato tutto bene».
«Uno dei ragazzi si è lamentato, questo è quanto. Avrei preferito che parlasse con me a quattr'occhi, piuttosto che nascondersi nell'anonimato, ma se ha preferito agire così lo accetto. Non sopporta il mio modo di pormi con lui e i suoi compagni? Benissimo, bastava solo dirlo».
«Quindi mi stai dicendo che non lo fai per rispettare l'ordine impartitoti ma per rispettare la volontà del ragazzo?»
«Possiamo dire così».
Bakugou, a quell'affermazione, si lasciò andare un «Tsk» irritato e contrariato. Puntò lo sguardo altrove, cercando di estraniarsi da quel discorso che palesemente gli dava il nervoso, ma quell'espressione non era sfuggita ai due che adesso rivolgevano a lui tutta la loro curiosità.
«Hai qualcosa da dire a riguardo, Bakugou?» chiese Nezu.
Bakugou strinse i pugni, prima di ringhiare, continuando a fissare il suo punto invisibile: «Iida è solo un ficcanaso! Avrebbe dovuto farsi gli affari suoi!»
«Iida?» mormorò Nina, scoprendo solo in quel momento chi dei tanti studenti della prima A avesse avuto da ridire su di lei. E pensare che il secondo giorno era andato a cercare il suo consiglio e supporto con un tale entusiasmo, non si sarebbe mai aspettata di trovarselo contro. Non lo diede troppo a vedere, ma ne rimase ferita.
«È il vostro rappresentante di classe, ha solo agito nel modo che riteneva più giusto per voi. Alla fine non c'è stato solo l'episodio che ha coinvolto te personalmente, ma tanti altri piccoli comportamenti di Nina hanno contribuito alla decisione presa in sede finale. In fondo non è cambiato molto, solo ci assicuriamo che certi avvenimenti non ri-accadano nuovamente» spiegò il preside. Bakugou inarcò le sopracciglia, piantellò il gomito sul manico della sedia e chiudendo la mano a pugno ci appoggiò il mento sopra, bofonchiando un intrattenibile: «Stronzate».
Parola che venne in parte sovrastata dalla voce di Nina, che quasi urlò entusiasta: «Stai cercando di proteggermi?»
Bakugou sobbalzò, forse spaventato per la sua voce decisamente troppo forte, o forse perché sentitosi smascherato, ma non riuscì a far in tempo a ribattere che Nina gli era addosso. Gli avvolse le braccia al collo e se lo tirò al petto, stritolandolo in un abbraccio poco aggraziato quanto forzatore, mentre continuava a dirgli allegra ed emozionata: «Ma allora hai un cuoricino tenero sotto quella scorza antipatica e burbera! Ma come sei carino! Allora un po' ti sei affezionato? Kacchan adorabile!»
Bakugou cominciò a scalciare e dimenarsi, talmente rosso in volto che sarebbe potuto esplodere proprio come il suo Quirk, e nascondendo la vergogna sotto uno spesso strato di rabbia cominciò a urlare di lasciarlo andare o l'avrebbe ammazzata. Un sovrastarsi di voci in quella lotta in cui lei tentava di condividere il suo affetto e lui cercava in tutti i modi di fuggirne, sia a parole che a gesti, lottando contro quelle mani che continuavano a schiacciarlo contro il suo petto. Una scenetta al limite del patetico, colma di tenerezza, che Nezu però, con la sua brillante intelligenza, aveva ben capito essere messa su a regola d'arte dalla burattinaia, intervenuta al momento giusto per impedire che il ragazzino finisse ancora più nei guai per aver usato un linguaggio scurrile contro una figura autoritaria come quella del preside. Un atteggiamento che tanto ricordava quello di una sorella maggiore, materno abbastanza da potergli dedicare affetto e protezione, ma non così tanto da rivestire anche il ruolo autoritario che avrebbe dovuto avere un genitore. Tanto da finire nei guai insieme a lui. La carica di preside di Nezu continuava a imporgli di rimetterla sui suoi binari, ma la sua umanità gli suggeriva che Toshinori aveva avuto più che ragione nel suggerirgli di portarla in quella scuola. La conosceva bene, sapeva probabilmente che avrebbe combinato qualche guaio, al limite dell'accettabilità e forse anche della legalità, ma sapeva anche che avrebbe portato con sè un'aria nuova, pulita, carica di serenità e di incoraggiamento. Un'aria necessaria dopo la brutta esperienza che quei ragazzi avevano vissuto alla USJ, in grado di risanarli.
«Nina, per favore, evitiamo di aggiungere le molestie sui minori alla lista dei comportamenti punibili» intervenne Nezu, quando dopo qualche minuto, i due non accennavano a smettere. Era bene riportare il discorso sui propri binari, in fondo erano lì per una punizione.
«Molestie?» chiese Nina, sorpresa. Si voltò a guardare il volto di Bakugou, ancora serrato tra le sue braccia e il petto, ignorando l'espressione impietrita e il colorito che poteva benissimo essere paragonato a quello di un pomodoro, e chiese con candore: «Ti sto molestando?»
«Sì, decisamente!» ringhiò lui, trovando in quella scappatoia la sua unica via di fuga da quell'imbarazzante situazione.
«Ok, va bene» sospirò lei, lasciandolo finalmente andare. «Bastava dirlo che non ti piacciono gli abbracci affettuosi».
Bakugou scattò in avanti, allontanandosi da lei, e si portò una mano al collo, respirando profondamente per riprendere aria. La faccia di chi ha appena subito un trauma, che subito si trasformò, tornando la solita collerica di sempre.
«Non farlo mai più!» gli urlò contro.
«Tu non mi dici quello che devo fare» sorrise lei. Il contrasto tra la frase imperativa e il viso d'angelo lo fece rabbrividire tanto che perfino la sedia tremò.
«Comunque...» disse Nezu, riprendendosi l'attenzione dei due. Saltò sulla sedia, acquistando grandezza e autorità, e gli puntò un dito contro un attimo prima di gridare furibondo: «Avete fatto esplodere il tetto, lottato fuori programma esattamente come due indisciplinati delinquenti che rissano tra loro e infine siete stati la causa di un falso allarme e di un inizio di evacuazione! Vi rendete conto della gravità della situazione? Adesso mi darete delle spiegazioni» ordinò e prima che potesse ricomporsi e dar loro tempo di pensare a una risposta, Nina esordì con serietà e decisione, in una frazione di secondo: «Voglio allenarlo».
La sua sicurezza abbattè all'istante tutta l'infantilità con cui si era comportata fino a quel momento, riportandola nella maturità dei suoi quarant'anni e del suo ruolo di insegnante provvisoria. Perfino Bakugou fu colto di sorpresa da una simile confessione, rivolta a lui personalmente, e non riuscì a far altro che guardarla con stupore.
«So bene di non essere e non essere mai stata uno dei migliori eroi in circolazione, che sicuramente non sono degna di assumermi una tale responsabilità e che al mondo ci sono persone sicuramente più forti di me che hanno più diritto di prendersi questo impegno. Ma ho fatto una scommessa e non ho intenzione di perderla. Sono assolutamente certa che questo ragazzo possa conquistarsi il podio, ponendosi al di sopra di tutti gli altri. Io sono certa che lui sia anche migliore...»
"Migliore di Midoriya".
«Migliore del numero uno».
Un leggero astio, un pizzico di egoismo, ma se Midoriya era stato decretato come erede ufficiale di quel grande potere, se avesse conquistato quel primo posto sfruttando la scorciatoia e la strada spianata da Toshinori, lei l'avrebbe abbattuto, dimostrando così che quel ragazzino non era degno. Non era degno di quel primo posto, non era degno della gloria che un uomo aveva costruito per lui con fatica e sacrificio. Poteva anche essere uguale a lui, poteva essere una persona dal cuore buono, piena di giustizia, come lo era stato Toshinori al tempo... ma All Might non poteva morire. Solo lei sapeva quanto era stata dura la salita, quanti sacrifici avevano fatto entrambi, e non poteva accettare che un ragazzino qualunque avesse potuto approfittare di tutto quello, appropriandosi di qualcosa che non gli apparteneva.
Magari un giorno Midoriya sarebbe diventato un ottimo eroe, ma non poteva prendere il posto di All Might. Non poteva spodestarlo, nessuno poteva, nessuno doveva eguagliarsi a lui. Il vero e unico simbolo della pace non sarebbe mai stato sostituito, era inaccettabile. E comunque era inaccettabile che a prenderne il posto fosse uno comeMidoriya, che non riusciva a gestire più del cinque per cento del suo potere senza esplodere e che aveva timore perfino della sua stessa ombra. Se voleva davvero appropriarsi in quel modo di un regno di cui non aveva nessun diritto, avrebbe dovuto fare molto più che tirare semplicemente dei pugni a una lastra di cemento.
«Tra qualche giorno ci sarà il festival dello sport, la loro prima occasione per mostrare al mondo il proprio valore... voglio che lui vinca».
Degli occhi così affilati, così decisi, poche volte era possibile trovarli in giro e certo mai si sarebbero aspettati di trovarli sul volto di colei che per diletto faceva le linguacce alle spalle dei professori. Sembrava così grande, ora, da far soggezione. Era quella la prospettiva, allora, da cui si osservava il burattinaio. Sopra le loro teste, li faceva sentire così minuscoli da terrorizzarli, schiacciati dalla pressione della sua enormità e superiorità, schiacciati dall'evidenza che erano tutti nelle sue mani, che non c'era via d'uscita.
«Stai facendo del favoritismo» osservò Nezu, con un velo di preoccupazione.
«Non sono l'unica colpevole di questo crimine» e altro astio straripò dalla sua riva, accennando a mostrarsi, velato, ma percepibile. Toshinori aveva scelto il suo campione, quel mingherlino di Midoriya, e certo non si poteva dire che non stesse facendo altrettanto favoritismo. Lei, ora, aveva scelto il suo. Bakugou era decisamente superiore, se Midoriya voleva sedersi su quel trono che All Might aveva accuratamente spolverato per lui, avrebbe prima dovuto fare molto più che appropriarsi di un potere che non sapeva neanche utilizzare. Quello stupido di Toshinori gli stava spianando la strada, dando a un inetto qualunque la possibilità di superarlo, ma non glielo avrebbe permesso. Quel trono doveva guadagnarselo... e sotto sotto, sentiva che mai ci sarebbe riuscito.
Aveva scommesso.
Non intendeva perdere.
«Bakugou, ragazzo mio» chiamò Nezu, rimettendosi a sedere con compostezza. «Puoi uscire solo un attimo? Ti richiamo quando abbiamo finito e allora parleremo della tua punizione».
Poco convinto, soprattutto perché quel discorso riguardava lui personalmente e detestava essere messo da parte, decise di obbedire, sollecitato soprattutto dai toni che sembrava stesse prendendo quel discorso. C'era qualcosa sotto di molto più serio di una semplice confessione di un favoritismo tra gli studenti. Si richiuse la porta alle spalle e rimase appoggiato al muro lì di fianco, in attesa, lasciando soli i due adulti.
«Ho un timore nel profondo del petto, Machiko» disse lui, sottolineando come volesse parlare a lei nella sua interezza dal momento che ebbe usato il suo vero nome. «Sei una brava persona, apprezzo forse più di altri ciò che stai facendo per quei ragazzi e sento che sono uno dei pochi che riesce a capirti nel profondo. Proprio per questo sto cominciando a credere con timore che l'altro lato di te possa prendere il sopravvento. La burattinaia, se lasciata libera di agire, non ha portato sempre a delle buone cose. Toshinori in passato ha lavorato tanto su questo aspetto di te, riuscendo a domare quel tuo lato della personalità e permettendo alla vera e dolce Machiko di predominare».
«Mi stai dando della malata di doppia personalità?» chiese lei, torva in volto.
«Non essere drastica, non fino a questo punto, ma certo non possiamo negare che hai sempre avuto un'altra faccia della medaglia» fece una breve pausa, prima di citare lei stessa, quel giorno che parlarono di Bakugou: «La differenza tra un perfetto Villain e un perfetto eroe è data dal battito del suo cuore. Non è così? È così breve il salto che divide questi due mondi, un semplice battito di cuore. È il motivo per cui ti sei subito interessata a Bakugou... lui è esattamente come te, non è così?»
Ma Nina non rispose, lasciando intuire che Nezu avesse colto nel segno.
«Ti sei specchiata nel suo sguardo, in quella rabbia con cui combatte il mondo intero solo per dare uno spazio a se stesso. Sai bene che se non ci fosse stato Toshinori a sistemare i battiti del tuo cuore ora tu avresti percorso un'altra via e saresti stata tra le più pericolose».
«Hai così tanta fiducia nelle mie capacità da credere che sarei stata in grado di tirar su un'organizzazione criminale coi controfiocchi?»
«Non l'ho detto» disse lui repentino, sorprendendo Nina. «Ma il fatto che l'abbia fatto tu vuol dire che ne sei perfettamente consapevole. Bakugou è in grado di essere l'eroe migliore della nuova generazione come il criminale migliore della nuova generazione. Il passo è breve».
«Lo so ed ho promesso di sistemarlo».
«Di farlo battere nel modo giusto, mi fido pienamente di questa promessa e fino ad ora non hai deluso le mie aspettative. Tu e lui state dimostrando di avere una complicità rara».
«Ma?» chiese lei, capendo che da qualche parte ci doveva essere l'imbroglio.
«Ma mi chiedo solo se non sia tu quella che sta facendo quel passo, adesso».
«Una rissa da quattro soldi sul tetto ti ha fatto pensare che stia diventando una villain?» chiese lei storcendo il naso.
«Non è questo!» disse Nezu. «Ma il fatto che continui a fare la burattinaia con tutti quelli che ti stai trovando davanti, Bakugou compreso! Quel lato di te può essere molto pericoloso! Voglio solo assicurarmi che questa tua decisione, di allenare personalmente Bakugou, non sia dettata da una rabbia repressa che la burattinaia sa perfettamente come vendicare. Ho solo il timore che tu abbia preso la cosa sul personale per metterti contro Toshinori e Midoriya. Non hai mostrato simpatia verso la faccenda la prima volta che l'hai saputo e continui a sembrare riluttante alla cosa».
Sgamata in pieno. Era così che si sentiva. Senza rendersene conto la burattinaia aveva davvero preso il sopravvento, usando le marionette a sua disposizione per portare avanti una faccenda personale, ma era stato il momento di un istante.
«Io e Toshinori ci siamo già riconciliati» disse, cercando di difendersi.
«E ne sono felice, ma di Midoriya cosa mi dici?»
«È un bravo ragazzo» si limitò a rispondere.
«Ma?» insisté Nezu, che sapeva bene di avere ragione.
«Ma...» cominciò lei, stringendo il proprio pantalone tra le dita, mossa dalla rabbia di ritrovarsi costretta ad ammettere una tale debolezza ad alta voce. «Ma non è giusto!» ammise infine, pronta a liberarsi, a scoppiare.
«Ci siamo sacrificati tanto! Io mi sono sacrificata tanto per dar vita ad All Might!» sottolineò, portandosi una mano al petto per indicarsi. «Sono stata io a creare All Might! Chi diamine si crede di essere quel ragazzino per distruggere tutto il lavoro che ho fatto? Uno stupido moccioso che non fa altro che tremare ad ogni ostacolo! Non ha diritto... non ha nessun diritto di prendersi ciò che non gli appartiene!» gridò, al limite della furia.
«Non riesci a tollerare che qualcun altro possa aver gestito il tuo palcoscenico, in tua assenza?»
«Piantala con queste metafore sul burattinaio, dopo un po' stufano!» sbuffò lei, poggiando violentemente la schiena alla sedia e incrociando le braccia al petto.
«Ma è ciò che dimostri di sentire! Hai creato un bellissimo castello di sabbia, ti sei distratta per un po' e qualcuno ha deciso di modificarlo e questo ti manda su tutte le furie. La tua mania di controllo è accecante, lo sai?»
«Non ho nessuna mania di controllo! Dico solo che non è giusto» mormorò a denti stretti.
«Che cosa vuoi dimostrare? Che non è degno? Solo perché in neanche un anno non ha raggiunto la forma fisica giusta a tollerare lo One For All? Quanto ci ha messo Toshinori, ti ricordi? E anche se tu riuscissi a dimostrarlo, ormai il potere è stato passato, non puoi farci niente».
«Merda» rispose semplicemente, corrucciandosi. Se solo ne avesse avuto il potere, se lo sarebbe ripreso lo One For All e ci avrebbe pensato lei a come gestirlo e chi darlo successivamente, al momento opportuno.
«Nina. C'è una cosa che non sai» sospirò Nezu, rendendosi conto che non c'era altra scelta se non spiegare alcune faccende rimaste in sospeso. Nina aveva bisogno di spiegazioni, doveva capire.
«Avrei voluto non essere io a parlartene, ma pare che Toshinori non voglia coinvolgerti troppo, forse credendo così di proteggerti. Non è cambiato molto da vent'anni fa».
«Di che stai parlando? Cosa mi deve dire?» chiese lei, ancora collerica, ma ora mossa da curiosità e preoccupazione. Cosa le stavano nascondendo?
«Il motivo per cui ha scelto adesso di dare tutto a Midoriya, il motivo per cui era adesso il momento ideale per mandare in pensione All Might» fece una breve pausa, permettendo a Nina di dire qualcosa se avesse voluto, ma lei restò in silenzio. Gli occhi leggermente spalancati e il respiro più pesante: cominciava a capire che c'era qualcosa di molto importante che non era stato detto e la faccenda cominciava a farle paura. «Ti ho già accennato alle situazioni problematiche che i ragazzi della prima A hanno vissuto, ma non te ne ho mai parlato completamente. È stato qualche settimana fa, alla USJ, durante un'esercitazione».
«Il gruppo di super cattivi, sì, me lo ricordo» disse Nina, sperando così che arrivasse al punto il più in fretta possibile.
«È più complesso di così. All Might è riuscito a farli ritirare e noi siamo riusciti a catturare uno dei loro scagnozzi, il più pericoloso. Un essere incapace di parlare, di ragionare, dalla massa muscolare immensa e una forza che è stata in grado di dare a Toshinori un bel po' di problemi. La polizia sta indagando, qualcosa è già arrivato a me. Facendo test del DNA su Nomu abbiamo scoperto che è semplicemente un essere umano con molteplici Quirk al suo interno, riempito di steroidi e droghe, modificato probabilmente, per poter assumere quel corpo».
«Non può essere...» mormorò Nina, interrompendolo. Aveva cominciato a tremare già alla prima affermazione, all "essere incapace di parlare", terrorizzata da un'ombra del passato di cui non si era mai dimenticata.
«Shigaraki, il capo di quel gruppo, abbiamo sospettato non essere il vero capo per come si comportava» continuò Nezu. «Oltretutto continuava a ripetere che Nomu fosse stato creato apposta per contrastare e sconfiggere All Might. Insomma, ciò che voglio dirti è che...»
«È morto!» lo interruppe ancora Nina, prima che potesse rendere reale quel sospetto. Non voleva sentirlo dire ad alta voce, non voleva che fosse reale. «Ho seguito la vicenda di cinque anni fa, Toshinori l'ha ucciso! È morto, vi sbagliate!»
«Può essere che non sia così, ma per il momento tutte le nostre informazioni portano a lui. Inoltre, riguardo quella vicenda, Toshinori non ne è uscito nelle migliori delle condizioni, probabilmente non potrà combatterlo di nuovo».
«No, no. Ti sbagli. Ti sbagli di grosso!» cominciò ad agitarsi tanto da impallidirsi nel volto.
«Si è indebolito» provò a dire Nezu, sovrastando la sua voce che ormai voleva prendersi tutto il posto in quella stanza. Impedire a Nezu di andare oltre, di pronunciare quel nome, di rendere di nuovo viva l'immagine di un mostro che per secoli era stata la causa del male peggiore. Un'immagine che per secoli era stata combattuta e portava con sé il motivo della nascita dell'eroe più grande al mondo.
All For One non poteva essere ancora vivo.
«Stronzate!» gridò, alzandosi in piedi. Non aspettò oltre e si diresse alla porta: non sarebbe rimasta lì dentro un solo istante di più, a sentire tutte quelle bugie.
«Nina, aspetta» provò a richiamarla Nezu, ma in tutta risposta ricevette il tonfo della porta che veniva richiusa alle spalle della donna.
Bakugou, ancora appoggiato fuori, guardò con curiosità e preoccupazione il volto corrucciato di Nina. Rimase in silenzio a fissarla, immobile in quella posizione, come persa in un incubo, gli occhi serrati, i denti stretti, sembrava che sarebbe scoppiata a piangere da un momento a un altro.
«Va' dentro. Adesso tocca a te» disse al ragazzino, consapevole di averlo a fianco. Una indifferenza che non le riuscì molto bene e si voltò, pronta ad allontanarsi quanto prima.
«Nina...» la fermò Bakugou, afferrando la maniglia dell'ufficio. Sarebbe entrato, ma prima c'era qualcosa che doveva togliersi dalla testa, un dubbio, una curiosità, una nota storta in tutto quello che stava accadendo: «Che significa che sei stata tu a creare All Might?»
All Might era stato "creato"? E che c'entrava lei in tutto quello? Nonostante cercasse di toglierselo dalla testa, non poteva far a meno di ripensare alle parole di Midoriya i primi giorni di scuola. Il suo Quirk gli era stato affidato... e adesso veniva fuori che All Might era stato "creato". Cosa c'era dietro a tutto quello?
«Ho urlato troppo forte» mormorò Nina, costernata. Qualche secondo per riflettere, trovare le parole adatte a rispondere a quella lecita domanda, senza instillare in lui altri dubbi che avrebbero potuto portarlo alla verità. One For All era un segreto e sarebbe dovuto restare tale, lo sapeva bene.
«Semplicemente, ho fatto tutto ciò che potevo per aiutarlo. Tutto qua».



I've tried so hard to tell myself that you're gone
But though you're still with me, I've been alone all along
When you cried, I'd wipe away all of your tears
When you'd scream, I'd fight away all of your fears
And I held your hand through all of these years
You still have all of me

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Capitolo 25
*** Dressed in black, Sia ***


"Dressed in black”, Sia


Machiko si sedette sul prato della scuola media, nascosta dalle fronde di una siepe. Ci si schiacciò contro, sperando così di sparire del tutto, abbracciò il proprio zaino e se lo chiuse tra il petto e le ginocchia. Lo sguardo perso nel vuoto come sempre non trasmetteva niente se non una profonda apatia, a mascherare la rabbia e il dolore che si portava dentro. Gli angoli della bocca tirati verso il basso, gli occhi annebbiati, e decise di aspettare lì la fine della pausa pranzo, prima di andare al club pomeridiano.
Toshinori sbucò da dietro l'angolo della scuola appena dieci minuti dopo e si guardò attorno, frenetico, fintanto che non riuscì a scorgere le scarpe della divisa di Machiko sbucare da dietro la siepe. Sorrise, soddisfatto, e ci si avvicinò quatto, facendo ben attenzione a non fare rumore. Si nascose dietro la siepe, alle spalle della ragazza, e infine, con un urlo, allungò le mani in avanti, attraversando i rami fino a raggiungerla e afferrarla per le spalle.
Machiko urlò terrorizzata, irrigidendosi, ed entrambi andarono avanti ognuno nelle proprie urla almeno per qualche secondo, fintanto che la voce di Toshinori non si trasformò in una fragorosa risata.
«Brutto pezzo di idiota!» lo rimproverò Machiko, voltandosi a guardarlo.
«Mi hai fatto morire di paura!»
«Dovevi vedere la tua faccia!» continuò a ridere Toshinori, tanto da farsi venire il mal di pancia. «Che spasso!»
«Spasso?» chiese incredula Machiko, un istante prima di essere assalita da una rabbia accecante. Lanciò uno dei suoi fili alle gambe del ragazzo e gliele rese molli, facendolo così cadere di faccia in terra.
«Ahia!» lamentò lui, rialzandosi e massaggiandosi il naso. «Mamma mia, quanto sei suscettibile. Per un semplice scherzo».
«Mi pareva di averti già detto un sacco di volte che devi lasciarmi in pace!» lo sgridò lei, tornando a raccogliersi in se stessa.
«Sì, ma...» lamentò lui, intristendosi nel vederla in quello stato. «Sembri così giù. Non mi va di lasciarti sola!» poi ebbe un'idea e tornò a sorridere, pieno di entusiasmo. «Perché non pranziamo insieme? Non hai già mangiato, vero?»
«No» mormorò lei, prima di distogliere lo sguardo e puntarlo altrove. «Ma non ho fame».
«Come sarebbe a dire che non hai fame?» storse il naso, Toshinori. «Hai la febbre per caso?» e si allungò per posarle una mano sulla fronte e sentirle la temperatura. Machiko sussultò al contatto e lo spinse via bruscamente, brontolando ancora: «Toglimi le mani di dosso, accidenti! Si chiama spazio personale, perché non impari a rispettarlo?»
E ancora lui ignorò la sua irruenza, sorridendo all'ennesima idea:«Vuoi uno dei miei panini dolci?»
«Ti sei portato panini dolci per pranzo?» chiese lei, corrucciandosi poco convinta.
«No! Quello è il dessert! Ho riso con carne» e mentre lo diceva si tolse lo zaino di spalla e ne tirò fuori il bento. «È buona! Lo vuoi assaggiare?»
Machiko si trovò ad arrossire e distogliendo di nuovo lo sguardo, mormorò: «No, ho detto che non ho fame» e neanche il tempo di finire la frase che il suo stomaco, sotto la pressione del profumo del cibo che proveniva dal bento di Toshinori, si lamentò rumorosamente.
Toshinori inclinò la testa da un lato e si corrucciò poco convinto, esclamando: «A me non sembra proprio».
«Insomma, mi vuoi lasciare in pace?» chiese lei, ormai esaurita dalla sua presenza, ma quando si voltò per fulminarlo tutta la rabbia parve scomparire. Lo sguardo del ragazzo era ora più serio, consapevole, e soprattutto incazzato.
«Sono stati Hiro e gli altri, non è così?» chiese lui, intuendo quale fosse il problema di fondo. A Machiko non restava che confessare con vergogna: «Mi hanno lanciato il bento su un albero e sono scappati prima che potessi usare i miei fili su di loro».
«Prendi!» disse Toshinori, porgendole il proprio pranzo. Machiko lo guardò per niente convinta e osservò il ragazzo che nel frattempo si stava alzando in piedi.
«Che vuoi fare?» gli chiese già preoccupata.
«Vado a recuperare il tuo bento e ti faccio chiedere scusa! Tu intanto aspettami qui e mangia questo, che stai morendo di fame!»
«Ti farai ammazzare di botte... per l'ennesima volta» sospirò Machiko, affranta. Odiava parlare con lui dei suoi problemi, perché puntualmente tentava di risolverli e puntualmente non ci riusciva senza farsi quasi ammazzare.
«Ma no, andrà bene, vedrai!» e sorrise di un sorriso invidiabile. Luminoso e rassicurante come quello di una stella, la più tenace che nelle ore notturne anche coperta dalle nuvole riesce comunque a indicare la via agli sperduti. «Ci penso io, adesso!»
E tutte le volte lei ci credeva, come non poteva non credere a quel viso tanto rassicurante? Toshinori le lasciò il proprio bento e corse via, alla ricerca di Hiro e gli altri ragazzini che l'avevano per l'ennesima volta maltrattata. Solo allora Machiko parve risvegliarsi e tornò ad allarmarsi: si alzò di corsa, raccolse tutte le loro cose e gli corse dietro, provando a chiamarlo preoccupata.
«Ho trovato il bento!» gridò lui, cominciando ad arrampicarsi sull'albero. «Gli hanno fatto fare un bel volo, accidenti! Proprio sul ramo più alto!»
«Cretino, scendi! È troppo alto, se cadi ti ammazzi!» gli urlò Machiko da sotto.
«Nah, non ti preoccupare! Ti ho detto che ci penso io!»
«Non costringermi a usare il mio Quirk per obbligarti a scendere!» lo minacciò lei, battendo autoritaria un piede a terra.
«E io ci torno stanotte senza di te così non puoi impedirmi di venirlo a prendere» rispose lui, continuando ad arrampicarsi come una scimmia.
«Cocciuto imbecille» sussurrò lei, rassegnata. Lo osservò, senza smettere di avere paura, mentre riusciva ad arrivare sul ramo più alto e allungarsi per prendere il bento.
«Stai attento» gli disse Machiko, al limite della tensione.
«Attentissimo!» rispose lui, ancora eccessivamente sicuro di sè. Mancò la presa e lo slancio finì per fargli perdere l'equilibrio. Con dei lamenti spaventati, scivolò giù dal ramo ma riuscì a restare aggrappato ad esso, rimanendo penzoloni. Lo scossone fece cadere anche il bento e con lo sguardo impaurito si lasciò con una mano, restando appeso con l'altra, e allungandosi nel vuoto riuscì a prenderlo al volo.
«Tadan!» gridò entusiasta, facendo svolazzare il bento trionfante.
«Adesso scendi!» ordinò Machiko.
«Sì!» disse lui e si portò il fazzoletto del bento tra i denti, tornando ad usare entrambe le mani per arrampicarsi. Si sollevò, cercando di tornare sul ramo da cui era scivolato, ma un crack poco rassicurante lo distrasse. Neanche si rese conto di quando successe, ma si trovò a volare giù per qualche metro, bento tra i denti e ramo spezzato al seguito.
«Toshinori!» gridò Machiko impanicata e si affrettò ad arpionarlo con i suoi fili. Una piroetta in volo e per qualche strana magia, Toshinori atterrò sui propri piedi, indenne, riuscendo ad attutire la caduta nel modo più adeguato che i suoi muscoli permettevano.
«Mio dio, che paura» sospirò Machiko, lasciandolo andare.
«Che figata!» urlò lui tanto da farla spaventare. «Hai visto che atterraggio da supereroe! Un vero figo!»
«Ti ho fatto atterrare io così» confessò lei, con fare rassegnato. Ma lui la ignorò, troppo gonfio di eccitazione per essere riuscito in quell'incredibile impresa, continuando a ripetere: «Hai visto? Ti avevo detto che ci pensavo io! È andato tutto alla grande! Proprio come previsto!»
Tutta quell'innocente euforia era così tenera che Machiko rinunciò all'idea di convincerlo che non era stato lui, e lo lasciò dire.
«Hai giocato con un'altra marionetta, diabolico burattinaio? Sei proprio inquietante» disse Hiro, comparendo alle loro spalle. Machiko tornò a rabbuiarsi e si strinse il bento riconquistato al petto, mentre si voltava a guardare il volto sghignazzante del compagno di scuola. Al suo fianco, Kazuma, Naganori e Shinichi facevano altrettanto e continuavano a fissarla con aria di sfida.
«Sei talmente incapace che non sei neanche riuscita ad andare a recuperare il bento da sola, ma hai dovuto usare quell'idiota per arrivarci» rise Kazuma.
«Non mi ha usato, ci sono andato di mia spontanea volontà» disse Toshinori, facendo un passo avanti. Allungo un braccio davanti a Machiko e d'istinto la spinse appena dietro le sue spalle. «E voi non siete stati carini con lei. Che vi aveva fatto questa volta, eh?»
«Togliti di mezzo, senza poteri» disse Shinichi, scocciato. Quel moccioso ultimamente cominciava a diventare fastidioso, non faceva che mettersi in mezzo a faccende che non gli riguardavano.
«Io non avrò i poteri ma voi non avete un briciolo di bontà. Adesso vi do una bella lezione!» disse, alzando i pugni, pronto per combattere. «Chiedetele scusa e vi lascio in pace».
A quella minaccia tutti e quattro scoppiarono a ridere tanto forte che per poco non sembrò che gli uscissero gli occhi dalle orbite. Toshinori li ignorò e restò fermo nella sua posizione, continuando a guardarli minaccioso, ignorando i loro sbeffeggiamenti.
«Lascia perdere, andiamocene» disse Machiko, triste nella voce. Ne aveva viste già abbastanza per quel giorno, ora voleva solo sedersi a mangiare in santa pace e tornare alle sue attività.
«Non aver paura» disse Toshinori, voltandosi per sorriderle in quel suo solito modo incoraggiante. «Ci sono qua io».
Sapeva che quelle parole non valevano niente, sapeva che come al solito non avrebbe ottenuto quello che voleva se non fosse stato aiutato, che non era veramente in grado di aiutarla, eppure sentirlo ribadire come non fosse sola, come ci fosse qualcuno che si sarebbe fatto carico di lei, che l'avrebbe aiutata, faceva stare così bene. Lui era in grado di farla stare così bene.
«Ma sentitelo» rise Shinichi. «Ora ti do una bella lezione, inutile spazzatura!» e batté un piede al suolo con violenza.
«Attenta!» gridò Toshinori, spingendo via Machiko. Saltò sulla destra, sapendo cosa stava arrivando a prenderlo e cercando di schivarlo: delle radici uscirono dal sottosuolo e si diramarono con velocità verso di lui. Provò a schivarle ancora, ma altre radici uscirono da terra, proprio alle sue spalle e lo afferrarono. Le guardò spaventato, chiedendosi da dove fossero sbucate, e le prime lo raggiunsero, afferrandolo per un piede e tirandolo verso l'alto. Ora ribaltato a testa in giù, parzialmente bloccato, non potè che combattere nel tentativo di liberarsi. Si dimenò e cercò di spingere via le radici che lo tenevano fermo, inutilmente.
Hiro e gli altri tre gli corsero incontro, ridendo, e approfittando della sua posizione bloccata e di svantaggio cominciarono a prenderlo a pugni da ogni parte.
La cosa durò qualche secondo, prima che le radici che lo tenevano bloccato non si allentarono improvvisamente, permettendogli di liberarsi.
«Ma che?» chiese Naganori, voltandosi a guardare Shinichi. Lo trovò impegnato a difendersi contro se stesso: come impazzito, si tirava pugni da solo in piena faccia e inutili erano i lamenti e i tentativi di allontanarsi. Sapeva quello che stava accadendo: Machiko si era messa di nuovo in mezzo e lo stava usando.
«Maledetta stronza» ringhiò, togliendosi uno dei suoi guanti. Le corse incontro a mano tesa, sapendo che gli sarebbe bastato toccarla a mani nude per colpirla con il suo Quirk: un liquido urticante prodotto dalla sua stessa pelle, all'altezza delle mani. L'effetto non durava molto, ma faceva impazzire dal prurito e questo bastava ad entrare in vantaggio. Machiko si voltò a fulminarlo con quegli occhi che mettevano i brividi e questo lo fece esitare un po', ma ormai era in piena corsa. Il suo braccio si ripiegò, sotto l'effetto dei fili di Machiko, e quello stesso liquido arrivò dritto sulla sua guancia. Urlò, dolorante e si fermò, concentrando ogni sua energia nel grattarsi.
Un’enorme folata di vento la scaraventò a terra, facendole perdere tutti i contatti, e guardò quello che sapeva essere il responsabile: Hiro poteva governare il vento. Era odioso, riusciva sempre a colpirla a distanza e mettersi in salvo appena in tempo.
Naganori era fuori gioco, impegnato a grattarsi, e Shinichi era troppo impegnato a fermare il sangue dal naso per badare a lei. Non restavano che Hiro e Kazuma.
Toshinori si rialzò rapidamente, scuotendo la testa per il dolore della caduta, e si scaraventò immediatamente su quest'ultimo. Con un urlo gli si lanciò contro a pugno teso, riuscendo a colpirlo in pieno volto solo perché questo distratto da Machiko e Hiro.
Messo fuori gioco anche il terzo, corse a testa bassa verso Hiro, pronto a travolgerlo e sbatterlo a terra. Hiro si voltò in tempo e con una folata di vento lo scaraventò via. Ma Toshinori si rialzò e tornò alla carica, una, due, tre volte. Continuava a urlare e correre, anche dopo che sbatteva, rotolava e si feriva. Ostinato, incapace di fermare quella voce dentro la sua testa che gli diceva che doveva batterlo e costringerlo a chiederle scusa, mosso da quel sentimento di giustizia di cui non riusciva a liberarsi in nessun modo.
E Machiko l'osservò, con le lacrime agli occhi, non capendo perché continuasse a farsi del male per lei, per così poco. Si rialzò e tornò a correre.
«Basta» mormorò. «Smettila, idiota».
Un graffio al braccio e il volto ormai distrutto, ma strinse i denti, si rialzò e corse nuovamente a pugno teso, urlando.
«Adesso basta!» ringhiò Machiko, lanciando i suoi fili su Hiro. La follia nello sguardo, una rabbia accecante, e prese possesso delle sue braccia costringendolo a portarsi le mani al collo. Strinse i denti, tremando come un animale, furibonda, e strinse le dita di Hiro sul proprio collo, strozzandolo.
Toshinori si bloccò a guardarlo, preoccupato, mentre Hiro muoveva la testa nel vano tentativo di liberarsi da se stesso. Provò a indietreggiare, ma la gamba venne tirata in avanti e lui cadde a terra, di testa, continuando a premere le propria dita intorno al collo.
«Macchan! Ferma!» gridò Toshinori e questo parve risvegliarla dal suo incanto. Si voltò a cercare il suo sguardo e lo vide correre nella sua direzione.
«Va tutto bene» sussurrò, poggiando delicatamente le proprie mani su quelle dell'amica. La guardò negli occhi, terrorizzati e pieni di lacrime, e sorrise radioso. «Sto bene, non c'è bisogno che ti preoccupi. Non abbassarti al loro livello».
Strinse le mani intorno alle dita tese di Machiko e pian piano riuscì a convincerla a ritirare i suoi fili, abbassandole le mani.
«Noi siamo quelli buoni, giusto?» le chiese, continuando a sorridere in quel modo così luminoso. Machiko, ancora scossa, annuì lentamente.
«Mostro» gracchiò Hiro, alzandosi da terra. «Sei un dannato mostro!» gridò, scalciando per rialzarsi rapidamente e correre via. Toshinori si voltò a fulminarlo: non era riuscito a dargli neanche un colpo, eppure continuava a trattarlo come se potesse fargliela pagare, se solo avesse voluto.
«Idioti, non ti hanno ancora chiesto scusa» mormorò lui, prima di tornare a concentrarsi su Machiko.
«Mangiamo?» chiese, sorridendo.
«Perché fai così?» gli chiese lei, ancora scossa. «Perché ti riduci sempre in questo modo per così poco?»
«Non è poco! Si sono comportati male, qualcuno doveva intervenire!»
«Ma era una sciocchezza» singhiozzò lei.
«Nessuna ingiustizia è una sciocchezza! Ogni male è orribile ugualmente, non esiste una scala della gravità. I veri eroi intervengono sempre quando ce n'è bisogno, senza distinzione! Se qualcuno chiama aiuto, noi rispondiamo».
«Tu non sei un eroe, non hai neanche i poteri» lo riprese lei.
«Non importa! Farò tutto quello che potrò ugualmente e vedrai che questo senza poteri entrerà alla Yuuei e diventerà l'eroe numero uno al mondo! Porterò la pace in ogni cuore, questo è una promessa!»
«Smettila! Smettila di dire assurdità!» gridò lei, ormai al limite della pazienza. Come poteva esserne così convinto, come poteva non capire che non avrebbe mai potuto fare una cosa come quella?
«Non è un assurdità» disse lui con tranquillità e un po' di tristezza nella voce per non essere preso sul serio. «È il mio sogno».
E sembrava la cosa più ovvia e banale del mondo, tanto semplice da distruggere ogni evidenza, ogni realtà. Machiko lo guardò a lungo, imprimendo a fuoco nella memoria quello sguardo che non lasciava trapelare nessun dubbio a proposito. Lo sguardo di chi ha detto un'ovvietà, di chi ci crede talmente tanto da non riuscire neanche a concepire che possa andare diversamente. E ne provò una tale tristezza, perché era ovvio che non ci sarebbe mai riuscito in quelle condizioni, eppure lo desiderava così tanto che cominciò a trasmetterle quello stesso fuoco: cominciò a desiderare ardentemente che quegli occhi non venissero mai delusi, che riuscissero a raggiungere l'obiettivo prefissato. Desiderava proteggerlo, come lui si ostinava a fare con lei, voleva impedire che qualsiasi cosa avesse potuto rompere quell'incantesimo che era il suo entusiasmo. Il suo sorriso, quel luminoso sorriso, era l'unica cosa in grado di riscaldarla.
«Scusa» disse, asciugandosi le lacrime. «Non volevo essere antipatica. Grazie per avermi ripreso il bento e avermi difesa» e si costrinse ad imitarlo e sorridere esattamente come faceva lui. Toshinori osservò quel sorriso con orgoglio: era ciò che l'avrebbe spinto a lottare sempre. Le ferite perdevano di significato se a fine battaglia si poteva godere della gioia delle persone per cui si è combattuto e ci si rende conto di essere stati in grado di scacciare dal cuore degli altri ogni ombra malvagia. Finchè lei, finché chiunque altro avesse sorriso in quel modo, lui avrebbe sempre combattuto.
«Mangiamo?» chiese lei, cercando di tornare alla normalità.
«Sì!» disse lui, risollevato, e si sistemò al suo fianco, finalmente ognuno con in mano i propri pranzi, pronto a godersi il meritato pasto.


La giornata passò rapidamente, dopo quell'episodio, anche se era costato a tutti un richiamo dal preside. E finalmente Machiko potè fare ritorno a casa, più sollevata, anche se non era ancora riuscita a liberarsi della tristezza che Toshinori le aveva trasmesso: il suo sogno era irraggiungibile, come poteva crederci così tanto? Cosa avrebbe dato per aiutarlo, per impedire a quel fuoco e quel sorriso rassicurante di non morire mai.
Aprì la porta di casa e cominciò a togliersi le scarpe, senza avvisare del suo rientro. In realtà, non credeva nemmeno che ci fosse nessuno a casa. Suo padre era sempre fuori per lavoro, sua madre anche di più. La vedeva sempre più di rado, impegnata nel suo lavoro di eroina. Era triste, ma era orgogliosa di lei e di quello che faceva. Un po' la invidiava... si era creata una bella fama e tutti la amavano. Sarebbe stato bello essere acclamata da chiunque, invece che sentirsi chiamare "mostro".
Passò vicino alla sala e solo allora sentì le voci provenire all'interno. Una voce maschile, riuscì a riconoscerla.
"Gran Torino? Che ci fa qui?" pensò, fermandosi davanti alla porta, incuriosita. Ci si avvicinò e poggiò l'orecchio, per riuscire a sentire con chi stesse parlando, anche se lo immaginava, e soprattutto che stessero dicendo.
«Lo sai che più passa il tempo e più diventa pericoloso. Devi prendere una decisione definitiva» a parlare era stato proprio Gran Torino.
«Lo so e sai cosa vorrei» la voce di sua madre era addolorata. «Il cuore mi suggerisce che Machiko è la scelta migliore, è mia figlia, chi meglio di lei? Eppure non riesco a sopportare l'idea di caricarla di una tale responsabilità. E poi è così incontrollabile. Oggi hanno di nuovo telefonato dalla scuola, ha fatto a botte con un gruppo di ragazzi, ne ha strozzato uno».
«Strozzato?» sobbalzò Gran Torino.
«Lo so, una reazione così esagerata... ma la conosco, non è cattiva e non lo diventerà mai, ne sono certa. Deve solo imparare a controllarsi, a gestirsi».
«Nana, valuta attentamente. Capisco il tuo amore per lei e la tua fiducia, ma valuta davvero bene. Non è cosa da poco».
«Lo so, ma... sono certa che ce la farà! Machiko è la persona più adatta a ereditare One For All!»
«Mamma» mormorò Machiko, aprendo la porta e sorprendendo i due.
Nana Shimura, ancora avvolta nel suo costume, ad indicare che era tornata da poco e che forse sarebbe ripartita non molto dopo, sedeva di fronte a una tazza fumante. Al suo fianco, il suo più caro amico Gran Torino aveva anche lui una tazza tutta per sé.
«Machiko!» sobbalzò Nana, vedendola entrare. Pallida in viso, consapevole che aveva sentito tutto quanto, i suoi dubbi e timori compresi. «Sei già tornata, tesoro?» provò a balbettare, cercando di indagare fin dove avesse sentito.
«Non lo voglio il tuo potere» disse Machiko, decisa.
«Tesoro» mormorò Nana, abbassando lo sguardo costernata. «Allora hai sentito tutto».
Machiko annuì e Nana si affrettò a spiegare: «Tesoro, non ascoltare quello che stavamo dicendo. Siamo solo un po' preoccupati per quello che è successo oggi a scuola, ma io non ho dubbi sul fatto che tu possa essere perfetta per...»
«No, non è vero» la interruppe lei. «Gran Torino ha ragione».
«Piccola Machiko, perdonami se sono stato poco fiducioso» provò a giustificarsi Gran Torino, rendendosi conto della ferita all'autostima che le aveva appena piantato. Se volevano raddrizzare Machiko, ferirla era il passo peggiore per cominciare.
«No, ascolta, io...» e si interruppe, un po' preoccupata, un po' imbarazzata. Abbassò lo sguardo, sfuggendo dal loro, e strinse ancora di più la maniglia della porta. Un po' la invidiava... non le sarebbe dispiaciuto diventare come lei. Era forte, era incredibile, e tutti la rispettavano e l'amavano per quello. Avrebbe così tanto voluto essere come lei.
«Che c'è, tesoro? Che vuoi dirmi?» la sollecitò Nana e questo bastò a convincerla e darle coraggio di confessare: «Conosco una persona».
«Una persona?» chiese Nana, non capendo bene cosa stesse cercando di dirle la figlia. Machiko annuì, prima di alzare lo sguardo decisa: «Voglio che tu dia One For All a lui! Voglio che lo rendi l'eroe migliore del mondo!»
«Machiko, non sono cose che possono essere decise così, su due piedi» provò a balbettare sua madre, completamente riluttante all'idea di cedere un simile potere e responsabilità a un totale sconosciuto, solo perché stava lievemente simpatico a sua figlia.
«Te lo farò conoscere! Domani! Accompagnami a scuola, te lo faccio conoscere!»
«Tesoro, non lo so, domani ho qualche impegno...»
«Ti prego!» urlò Machiko, quasi alle lacrime e fu quell'ostinazione a sorprendere tanto Nana da convincerla che forse poteva darle una possibilità. «Devi conoscerlo! Ti basterà parlarci un po', ne sono certa, e lo capirai anche tu che al mondo non esiste persona più meritevole! Ne sono certa!».
«Lo conosci bene?» chiese Nana, intenerita e convinta da tutta quell'ostinazione. Machiko annuì.
«E ti fidi di lui?»
Machiko annuì ancora, prima di aggiungere con un velo di tenerezza nella voce: «Ha il cuore buono».
E infine Nana sospirò, vinta: «E va bene. Ci parlerò» e gli occhi di Machiko presero a brillare di gioia. Quello sguardo non si sarebbe rotto, lei lo avrebbe impedito, lo avrebbe protetto e così lui avrebbe potuto realizzare il suo sogno. Non avrebbe mai smesso di sorridere.
«Come si chiama?» chiese Nana.
«Toshinori! Yagi Toshinori!»


I was hopeless and broken
You opened the door for me
Yeah I was hiding and you let the light in
And now I see
That you do for the wounded
What they couldn't seem to
You set them free


NDA.


BAM!!! Colpo di scena ahahahha e ora spieghiamo meglio cosa intendesse Nina quando sosteneva che era stata lei a creare All Might (ed ecco anche spiegato perché fosse tanto ossessionata dalla sua crescita e dal fatto che ora lui stia dando tutto a Midoriya): lei è la figlia di Nana Shimura, la mentore di All Might. A lei era destinato il potere, per successione, ma ha rinunciato volontariamente per darlo a quell'imbranato senza poteri ma con un sogno tanto travolgente da infiammarle il petto. Dopo quello che lui stava facendo per lei, permettergli di realizzare quel desiderio era il minimo.
E INDOVINATE?! Avevo nascosto un altro spoiler tra le canzoni dei capitoli precedenti ahahahah
Si trova nel capitolo "Save Myself" di Eddino, dove racconto del fatidico giorno della caduta e della partenza di Machiko.
La canzone a un certo punto dice:
"My dad was wrong
Cause I’m not like my mum
Cause she’d just smile and I’m complaining in a song"


I'm not like mum, io non sono come mamma.
'Cause she'd just smile, lei avrebbe solamente sorriso.
Sua madre è un'ottimista, sua madre ha insegnato ad All might a salvare tutti con un sorriso, lei invece non è così. Lei non è come sua madre perciò non merita quel potere, ma Toshinori invece sì perché sorride, proprio come lei (è contorto, ma spero di averlo spiegato bene ahahah). Lei invece tutto ciò che può fare è cantare e allora "si lamenta in una canzone".
Vi spiego un paio di cose, ma chi non ha visto le ultime 2/3 puntate di My Hero Academia eviti di leggere perché è SPOILER xD


Nel capitolo “A Thousand Years”, quando all’inizio riporto il ricordo della prima volta che loro due hanno fatto l’amore, accenno un po’ la situazione familiare post-mortem di Nana Shimura: Parlo dei nonni di Machiko, con cui lei ora vive, e parlo di un padre lontano che si è risposato, con cui il fratellino (c’è un fratellino!) passa il natale. Quindi Shigaraki, che si scopre nel manga essere il nipote di Nana, è il figlio di questo fantomatico fratellino (arrivato dopo che Nana ha passato il potere a Toshinori, perciò non rientra in questo capitolo flash back e non è stato valutato come successore). Anche nell’anime infatti si parla di un figlio che Nana aveva.
Ora, quando io ho scritto e pensato questo backround avevo solo letto le scans del manga, perciò sapevo di Shigaraki ma (e qui potrei sbagliarmi alla grande) mi pare che non si parli del marito e del figlio ma sia un’aggiunta dell’anime… mi pareva di ricordare che, anzi, All Might quando scopre la verità di Shigaraki si chiede sorpreso se Nana avesse figli, perché non lo sapeva. Per questo nel mio backround per restare più o meno fedele a ciò che ho letto ho aggiunto il fratellino e il padre che dopo la morte di Nana si risposa… però questo è un po’ incongruente con le ultime puntate dove dicono che il figlio era stato dato in adozione e il marito era morto. Perciò, sì, l’anime e la mia storia qui si discostano per il semplice motivo che quando ho scritto l’anime ancora non era arrivato a questo punto e (giuro di ricordare) che nel manga non si accenni alla sorte di figlio e marito, ma si diceva solo che Shigaraki era nipote.
Comunque, tutto questo per dire che ho provato come sempre a restare fedelissima, non volevo fare nessun tipo di cambiamento ma la sorte è andata così xD E, no, Machiko non è la mamma di Shigaraki ma piuttosto la zia.

E ora si spiega il “io ho creato All Might” e tutta l’ostinazione nei suoi confronti e la rabbia verso Midoriya. Mi sono sempre chiesta con curiosità come avesse fatto Nana a trovare Toshinori e a conoscerlo per poi decidere di dare a lui One For All e allora ho  dato io una risposta u.u
Monologo infinito concluso!
Andate in pace ahahaha


Ray





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Capitolo 26
*** Dynasty, MIIA ***


"Dynasty”, MIIA


Era ormai pomeriggio inoltrato quando i ragazzi finirono il proprio allenamento speciale con Nina, anche se quel giorno risultò ancora più noioso e meno utile della volta prima. Non solo Eraserhead non aveva mai tolto gli occhi di dosso dalla donna, fulminandola a ogni movimento che si azzardava a fare, più teso e nervoso che mai, ma anche Nina era diversa. Non aveva sorriso neanche una volta, si era seduta a lato della palestra, braccia incrociate, in religioso silenzio e aveva semplicemente osservato i ragazzi davanti a sé. Aveva parlato solo qualche volta, per dare rare indicazioni quando qualcuno le chiedeva consiglio. Ma la cosa che aveva fatto venire di più i brividi era che non aveva tolto gli occhi da Midoriya neanche per un secondo. Il ragazzino era teso come una corda di violino, sentire addosso quello sguardo pressante gli aveva fatto venire un tal mal di pancia che appena la lezione fu terminta corse in bagno.
Nina aprì per loro la porta della palestra, come segno che erano liberi di andare, ma un'ombra le si piazzò davanti.
«Ed eccomi qua!» urlò All Might, gonfiando il petto.
«Muori!!!» gridò istintivamente Nina, tirandogli un pugno in faccia prima che potesse concludere la sua frase. Ovviamente, nonostante Nina avesse impresso in quel pugno tutta la forza che aveva, All Might non si mosse di un centimetro e non ne risentì se non nell'orgoglio.
«Ti ho spaventata di nuovo?» chiese lui, sospettando fosse quello il motivo di quell'ira. Nina non aveva mai sopportato quando lui sbucava così all'improvviso con quel tono trionfante, ma lui non poteva farne a meno: era la sua grande entrata in scena, faceva parte di sé.
«Affatto! Hai il passo di un elefante, come la sua stazza!» ringhiò lei.
«E allora perché sei arrabbiata adesso?» piagnucolò lui, ancora col naso schiacciato dal suo pugno.
«E me lo chiedi anche, brutto cafone?» sibilò, al limite della collera.
«Mi dispiace» tentò lui.
«Non sai neanche di che sto parlando, imbecille!»
«È per... la faccenda di ieri sera, vero?» tentò di indovinare, cercando comunque di restare sul vago e di bisbigliare, visto il pubblico che li guardava a bocca aperta alle loro spalle. Qualcuno dei ragazzi era già riuscito a scivolare tra loro e darsela a gambe, ma altri non avevano ancora finito di riprendersi dalla stanchezza dell’allenamento e stavano temporeggiando qualche secondo prima di andarsene... altri erano semplicemente curiosi. Non si vedeva tutti i giorni un All Might sottomesso, era talmente surreale che meritava di essere visto.
«No, non è per quello» sospirò Nina, tranquillizzandosi. Un'ombra le attraversò il volto, ma riuscì comunque a domarla e tornare composta. Svegliarsi sola, scoprire che subito dopo aver fatto l'amore lui non aveva perso tempo ad andarsene l'aveva sì ferita, ma lo comprendeva e lo giustificava abbastanza da renderlo tollerabile: stavano vivendo la storia di una sola settimana, una brezza passeggera, non c'era motivo di prendersela se lui aveva preferito mantenere le distanze. Era la cosa più giusta. Il vero motivo era un altro, e le risucchiava l'anima da quando aveva lasciato l'ufficio del preside, quella mattina. Ma non poteva parlarne lì, non in quel momento.
«Comunque ho un appuntamento con una persona speciale, quindi ti pregherei di toglierti dai piedi» disse orgogliosa e volutamente fraintendibile.
«A-appuntamento?» balbettò lui, paralizzato. Colpito e affondato, Nina se la rise sotto i baffi divertita dalla sua reazione che nascondeva una punta di gelosia che aveva voluto stuzzicare di proposito.
«Ohi!» gridò Bakugou, furioso, poco più avanti. «Smettila con queste stronzate!» rosso in volto, completamente fuori di testa, con gli occhi di Kirishima puntati addosso a cui aveva appena rivelato che si sarebbe trattenuto per un allenamento speciale. Era già la seconda volta che lo trattava in quel modo ambiguo di fronte agli altri, mettendolo in ridicolo, era insopportabile.
«Hai un appuntamento con Nina?» gridò Mineta, capendo dalla reazione del ragazzo che si trattava di lui. Le lacrime agli occhi, il cuore a pezzi, talmente sconvolto che sarebbe potuto morire dalla delusione: la bella Nina frequentava i ragazzini, senza regole morali a impedirglielo, perché era stato Bakugou il prescelto e non era potuta capitare a lui quella dannata fortuna?
«Non ho nessun appuntamento, microbo inutile!»
«Che intenzioni hai? Non ti è bastato quello che è successo questa mattina?» chiese All Might a Nina, guardandola con disappunto, lasciando che i ragazzini si agitassero tra loro per quello stupido scherzo che aveva messo su la donna. Bakugou sarebbe stato preso di mira per un po' per colpa sua e lui avrebbe reagito sempre più furiosamente, peggiorando la situazione. Una situazione tragi-comica messa su da un burattinaio annoiato che voleva solo divertirsi un po'. Nina sapeva che con qualcun altro non avrebbe funzionato, che chiunque avrebbe solo spiegato l'equivoco, invece Bakugou era il tipo di persona che reagiva con ferocia e basta, senza parlare troppo e quello era la scintilla ideale per scaturire l'ilarità della situazione.
«Non essere apprensivo e per una volta fidati. Ho i permessi» disse con orgoglio, prima di salutare Aizawa che usciva irritato dalla palestra. Come aveva potuto Nezu acconsentire a una tale follia? Permettere a quella pazza criminale di restare sola con uno dei suoi studenti, dopo quello che era successo. Certo, forse era stato meglio così piuttosto che lasciarli liberi di incontrarsi fuori dall'edificio scolastico, fuori da una zona protetta e controllata. Ciò non toglieva che di lei non si fidava e avrebbe preferito vederla cacciata, che acconsentire alla sua richiesta senza senso. Ma forse il preside aveva visto qualcosa che lui non riusciva a cogliere.
«Vuoi avere la mia approvazione, giusto?» chiese Nina, seria in volto, mentre osservava i ragazzini litigare e parlottare tra loro.
«Il tuo senso della giustizia ti ha attanagliato la gola, sai che ho diritto di voce in capitolo e desideri sentirmi dire che hai preso la scelta migliore».
Lo One For All apparteneva a Nina tanto quanto apparteneva a lui, l'aveva sempre sostenuto e non si era mai dimenticato di ciò che lei aveva fatto per renderlo ciò che era in quel momento. Ma era stato solo quel giorno che aveva conosciuto Midoriya, era rimasto solo per tutto quel tempo e da solo aveva dovuto prendere le sue decisioni. Ma ora che Nina era lì era giusto che prendesse parte a ciò che stava succedendo, era giusto che conoscesse Midoriya e dentro sè, era vero, aveva sperato che lei confermasse e accettasse la sua decisione. Cosa che non sembrava stesse avvenendo e lciò lo addolorava.
«Sì, forse un po' e così» ammise, abbassando lo sguardo colpevole.
«Sono stata io ad andarmene, queste sono le conseguenze delle mie azioni. Ordinami di starmene al mio posto, di non intervenire nella faccenda, e lo farò anche se non posso smettere certo di avere opinioni a riguardo».
Un attimo di esitazione, prima che Toshinori riuscisse ad ammettere: «Non posso farti una cosa simile».
«Molto bene» disse lei incrociando le braccia al petto. «Avete una settimana di tempo, tu e il moccioso, per convincermi che va bene così. Ma non aspettatevi che io vi apra la via. Sto affilando le mie armi» disse guardando Bakugou con uno scintillio negli occhi.
«Vuoi usarlo per i tuoi scopi?» chiese All Might, poco convinto.
«Lui vuole diventare il numero uno e io voglio un'arma che possa darvi del filo da torcere, traiamo mutuo beneficio da questa faccenda. E poi ho fatto una promessa...» l'avrebbe aggiustato, come Toshinori aveva aggiustato lei. Non sapeva perché si fosse presa tanto a cuore quella faccenda, forse Nezu aveva più ragione di quanto si aspettasse: si era specchiata nei suoi occhi, loro due erano così simili e solo lei poteva sapere quanto potesse essere pericoloso e doloroso percorrere la via sbagliata. Solo lei poteva capirlo. Non aveva mai smesso, dentro, di essere un'eroina uscita dalla scuola migliore che esistesse nel giappone. Poteva essere anche un subdolo burattinaio, ma non per questo non aveva un cuore. Anzi, forse era colei che ne aveva più di chiunque altro... e proprio per questo non riusciva a togliersi dalla testa tutta quella frustrazione.
Sospirò, cercando di riacquistare uno sguardo sereno, cercando di tornare in sé. Tutti quei pensieri le stavano facendo venire il mal di testa e lei si stava dimenticando la cosa più importante: vivere la sua vacanza.
«Stasera ho voglia di messicano!» esordì, sorridendo. «L'hai mai provato?»
Toshinori la guardò qualche secondo, riuscendo per qualche bizzarra magia a tranquillizzare il proprio cuore nell'istante in cui la vide così serena, sorridente.
«Un paio di volte» confessò, cercando di riacquistare la normalità.
«Dovrebbe esserci un posto, non lontano dall'hotel, che non è male. Ordiniamo d'asporto, che dici?» e Toshinori si limitò ad annuire, ancora preoccupato per la faccenda appena discussa, ma sollevato nel vederla così tranquilla tanto da voler stare ancora con lui. Nonostante tutto quello che stava accadendo, non aveva smesso di desiderare la sua compagnia. Nonostante la sera prima l'avesse praticamente abbandonata di corsa, non appena avessero finito, comportandosi da vile, affrettando le cose, senza neanche darle il romanticismo che meritava quel loro primo incontro dopo tutto quel tempo. Nonostante tutto, lei continuava ad allungare la mano a cercarlo. Una richiesta silenziosa, a cui non poteva negare la possibilità di essere esaudita: "stai con me anche questa notte?".
L'avrebbe fatto, voleva farlo, voleva stare con lei e zittire il mondo intero, un mondo che urlava con una tale forza da far male ai timpani. Sarebbero ancora una volta rimasti stesi lì, semplicemente stesi, insieme, a dimenticarsi del mondo. Era l'unica cosa che sembrava riuscisse a risanarli. Machiko e Toshinori, distrutti da tempo, avrebbero preso di nuovo una boccata d'aria a discapito di Nina e All Might. Se lo meritavano, era tremendamente egoista, ma se lo meritavano.
«Non fare tardi» l'avrebbe comunque aspettato. L'aveva fatto per vent'anni, l'avrebbe fatto per sempre.
«Ok, adesso basta!» gridò ancora Nina, avvicinandosi al gruppetto di ragazzini.«Su, su, adesso basta tormentare il povero Kacchan. Stavo solo scherzando, nessun appuntamento, non deprimerti piccolo Mineta» e gli fece un occhiolino affabile. «Se magari un giorno cominceranno a piacermi i ragazzini sarai il primo a venirlo a sapere, te lo prometto».
E Mineta si esaltò tanto da commuoversi, lasciandosi sfuggire un lamentoso ed emozionato: «Sarò il primo!»
Nina si posizionò dietro Bakugou e gli posò le mani sulle spalle, sorridendo divertita, prima di rivelare al resto del gruppo: «Questo tipaccio ha fatto un gran casino questa mattina e il preside per punizione l'obbliga a stare qui più del dovuto per essere preso a botte come si deve» e sghignazzando gli avvolse un braccio al collo mentre con l'altra mano cominciò a strofinargli le nocche contro la cute, tanto vigorosamente da fargli male. Bakugou prese a dimenarsi, afferrando il suo braccio e cercando di liberarsi, cosa che gli risultò più facile del previsto visto che alla fine, a forza fisica, era sicuramente superiore.
«Lasciami andare, maledetta!» ringhiò, fulminandola.
«Cuciti la bocca» minacciò lei, prima di prendere possesso dei suoi muscoli facciali e impedirgli di parlare ancora. Bakugou tentò ovviamente di ribellarsi, ma lei, senza nessun tipo di limitazione, lo bloccò e gli impedì di raggiungerla.
I ragazzi di fronte a loro impallidirono, ricordandosi perfettamente di qualche giorno prima, quando lei l'aveva costretto a combattere contro Todoroki umiliandolo a tal punto.
"Non appena Eraserhead è sparito, non si è fatta problemi a tornare la solita" realizzarono con timore e prima di finire anche loro nelle sue mani, facendosi coinvolgere in chissà quale pazzia, se la diedero a gambe salutando l'amico intrappolato nella sua tela.
«È meglio se non diciamo loro che ho richiesto personalmente questo allenamento per renderti il migliore, o penseranno che ho un debole per te e Mineta ci resterà di nuovo male» sghignazzò lei, lasciandolo finalmente libero.
«Smettila di trattarmi così!» si irritò Bakugou, ma riuscì a essere più pacato del solito. Per lo meno evitò di correrle incontro minacciandola di ucciderla. Anche All Might fece un passo indietro ed uscì dalla palestra, lasciandoli soli, dopo aver lanciato loro un'occhiata preoccupata e pensierosa. Lei l'avrebbe reso un'arma, l'avrebbe allenato con l'unico scopo di sconfiggere Midoriya, di sconfiggere All Might stesso. Non riusciva ad accettare che fosse arrivato il momento di passare il testimone, non riusciva ad accettare che fosse arrivato il momento dell'epilogo per il grande All Might. Questo lo convinse ancora di più a tenersi stretto il suo segreto, la sua forma indebolita... se scoprire che All Might sarebbe andato in pensione, lasciando il posto a qualcun altro, la turbava tanto, come avrebbe reagito se avesse scoperto che in verità non era la pensione ad aspettarlo ma la morte stessa? Come avrebbe reagito se avesse scoperto che non solo era arrivata la fine di All Might, ma di Toshinori stesso? Non poteva dirglielo, non avrebbe mai potuto tollerarlo.
Nina lo guardò richiudersi la porta alle spalle, con una serietà inquietante nel volto, per poi tornare a concentrarsi su Bakugou.
«Prima di cominciare, voglio farti una domanda e voglio che tu mi risponda sinceramente: credi ancora di potermi battere?»
Le lacrime del ragazzino, su quel tetto, doveva ammetterlo l'avevano un po' preoccupata. Cominciava a temere che si sarebbe arreso e la cosa era inaccettabile, se voleva raggiungere il traguardo che si era prefissato. Lui era in grado di farlo, lei lo sapeva, ma non poteva dirglielo perché se l'avesse fatto gli avrebbe facilitato la salita. Si riesce ad avere più forza, quando ci viene confessato che la vetta è visibile. Il coraggio e la forza di volontà erano parte integrante del successo che Nina stava dirigendo per lui, non dovevano mancare in nessun modo.
«Per chi mi hai preso?» si corrucciò lui. «Certo che lo credo ancora».
«Bene» sorrise lei, convinta. «Allora ecco la mia richiesta, Katsuki Bakugou: sconfiggi me e poi voglio che fai a pezzi Midoriya».
Per quanto la richiesta fosse folle, al limite dell'accettabile e del comprensibile, anche se lei era il tipo di persona che non si preoccupava a dimostrare preferenze e antipatie verso le persone, il suo accanimento verso quel singolo ragazzino era sospettoso. Nonostante questo Bakugou parve non scomporsi, ma si riempì di una serietà che poche volte aveva dimostrato.
«Odio quel nerd, sai bene che lo farò. Ma prima voglio farti io una domanda» e la richiesta sorprese Nina. Non era tipo da tante parole, quel ragazzino, era solo polvere da sparo. Si era dimenticata cosa l'avesse colpita di lui la prima volta: era incredibilmente intelligente, assolutamente brillante.
«Cosa lega te, Midoriya e All Might?»
Qualcosa li legava, non solo lei con il suo trascorso sentimentale, ma tutti e tre insieme in qualcosa di decisamente più grande. C'era qualcosa, un filo che li teneva indissolubilmente uniti, e in un certo senso sospettava che fosse proprio uno dei fili di Nina a farlo.
«Ti interessi dei pettegolezzi, ora?» sghignazzò lei, guardandolo con provocazione.
«Non me ne frega niente delle foto di Mineta o di ciò che dicono i ragazzi di terza, sono affari tuoi, ma mi stai coinvolgendo in qualcosa che ancora non conosco e dato che riguarda anche me, vorrei capire per chi e per cosa sto lottando».
«Perché credi che c'entri All Might in tutto questo?» chiese lei, indagando fin dove fosse arrivato a capire.
«Hai detto tu di averlo creato. Che significa?»
«Ti ho già risposto. L'ho aiutato, molto tempo fa».
«In che modo?» insisté lui, convincendosi che c'era qualcosa di più sotto che non voleva rivelargli. Non era stupido, sapeva bene che se voleva combattere un nemico doveva prima conoscerlo, era solo quello il motivo del suo interesse.
«E va bene» sospirò lei, vinta. «Molto tempo fa, quando All Might e io eravamo ancora ragazzini, lui non era neanche la briciola di ciò che è adesso. Come chiunque altro, ha avuto bisogno di allenamento per diventare l'eroe che è oggi. Io sono stata la prima a credere nel suo sogno tanto quanto ci credeva lui e gli ho presentato una persona che l'ha sottoposto a un allenamento speciale. Ogni singolo giorno della mia vita non ho fatto altro che aiutarlo con quello che avevo per renderlo ciò che è oggi. Se io non gli avessi presentato quella persona...» se lei non avesse fatto in modo che sua madre lo conoscesse, cedesse a lui lo One For All... probabilmente ora sarebbe lei l'eroe più grande al mondo. La cosa le metteva i brividi, sapeva bene che non sarebbe mai stata all'altezza, ciò non toglieva che avesse fatto un grosso passo. Un grosso sacrificio. Solo per lui. «Se io non gli avessi presentato quella persona ora non esisterebbe nessun All Might, ecco cosa intendevo quando ho detto di averlo creato io».
«Un allenamento speciale» riflettè lui.
«Esatto, e ora quello stesso allenamento lo sta dando a Midoriya. Non ho idea del perché abbia scelto lui, di ragazzini meritevoli, anche più di lui, ne è pieno il mondo. Non accetto che un simile potere... un simile trattamento, prezioso più di ogni altra cosa, venga ceduto al primo idiota che sia passato per strada!»
«Quindi se io lo battessi, tu dimostreresti il suo errore» osservò lui e Nina sorrise, rendendosi conto che aveva appena scoperto le sue carte. Il volto del burattinaio era stato smascherato, lui e le sue azioni per niente nobili, ma semplicemente mosse dall'egoismo del suo bisogno di supremazia. «Sono solo una marionetta» constatò ancora Bakugou.
«La cosa ti spaventa tanto?» ridacchiò lei, minacciosa.
«Affatto» la sorprese. «Perché io spezzerò i tuoi fili e supererò te e tutti gli altri, All Might compreso».
La sua sicurezza, la sua potenza, sembrò travolgerla. Il cuore prese a bruciare e per un istante si dimenticò del suo ridicolo capriccio di mettersi contro Midoriya e Toshinori, trovandosi di fronte un ben altro avversario. L'aveva sottovalutato, credendolo alla pari di tutti gli altri, aveva scelto di giocare con lui convinta di poterlo padroneggiare alla perfezione. Ma quella marionetta bruciava di una forza interiore a cui non aveva fatto caso, che aveva ignorato, concentrandosi solo sullo spettacolo che avrebbe organizzato.
Lui avrebbe spezzato i suoi fili, avrebbe probabilmente combattuto quella battaglia ma non mossa dal suo volere, l'avrebbe superata, era questo che stava promettendo.
Quegli occhi, la sua convinzione e la forza che le stava nuovamente dimostrando, la fecero sentire minacciata, cominciò ad averne quasi paura ed era così raro che il burattinaio tremasse. Era così raro che il burattinaio provasse qualcosa che non fosse la sicurezza di avere il mondo nelle proprie mani... era così eccitante!
Un fuoco prese a bruciarle dentro e allargò il viso in un ardito sorriso.
«Sorprendimi».


Some days it's hard to see
If I was a fool, or you a thief
Made it through the maze to find my one in a million
Now you're just a page torn from the story I'm living
And all I gave you is gone
Tumbled like it was stone
Thought we built a dynasty that heaven couldn't shake
[...]
It all fell down


NDA.


Scrivo delle rapidi NDA solo per scusarmi della mancata pubblicazione della settimana scorsa. Ho iniziato a lavorare da un paio di settimane e devo ancora trovare il modo di mettermi a posto il cervello xD
Come al solito però ringrazio tutti (soprattutto Nathly che ha recensito, scusa se non sono riuscita a rispondere!!! >.< ho apprezzato immensamente le tue parole e il fatto che sei ancora presente <3).
A presto!!!
Vi si vuole bene a tutti <3 xD

Ray




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Capitolo 27
*** Thinking out loud, Ed Sheeran ***


"Thinking out loud”, Ed Sheeran




Toshinori bussò alla porta della stanza di Machiko ancora una volta, cominciando a preoccuparsi. Era almeno cinque minuti che era lì davanti e ancora non si accennava nemmeno a rispondere, che le fosse successo qualcosa? Stava cominciando a ponderare l'idea di sfondare la porta, quando finalmente sentì la chiave girare nella serratura. La porta si aprì e a dargli il benvenuto fu uno sbadiglio.
«Macchan!» sobbalzò lui, vedendola in quelle condizioni: i capelli spettinati, la faccia assonnata, addosso ancora i vestiti di quel pomeriggio, stropicciati e rovinati. E pensare che per l'occasione lui invece si era nuovamente messo su un bel completo elegante. La ragazza si stropicciò un occhio e bofonchiò, con la voce ancora impastata: «Accidenti, quanto casino che fai».
Si fece da parte, permettendogli così di entrare. «Vieni, comincia a sistemarti, io vado un attimo in bagno e torno» disse, storpiando l'ultima frase con un altro sbadiglio. Solo in quel momento Toshinori, osservandola che si portava la mano davanti alla bocca, ci fece caso: era completamente coperta di sfregi e bruciature. Machiko chiuse la porta alle sue spalle, sotto lo sguardo preoccupato di Toshinori, poi barcollò verso il bagno.
«Com'è andato l'allenamento con Bakugou?» chiese, ben intuendo che tutto quello fosse opera del ragazzino, compreso il suo sonno. Machiko si sfilò la maglietta e prima di entrare nel bagno la lanciò su una sedia lì vicino, senza preoccuparsi della presenza dell'uomo alle sue spalle, che invece sussultò dalla sorpresa e rosso in volto si girò di colpo, per lasciarle la sua privacy. Sicuramente più pudico di lei, nonostante la sera prima, vederla nuda l'aveva imbarazzato ed eccitato come fosse stata la prima volta.
«Male» rispose lei. «Non è ancora riuscito a capire come battermi. E dire che sono così debole e arrugginita in confronto a lui».
Il rumore dell'acqua del lavandino che cominciava a scorrere e la sua figura nascosta oltre la porta accostata che veniva immaginata mentre si lavava, facendo scorrere le gocce sulla propria pelle, lungo le spalle, le braccia, il collo e  tra i seni. Toshinori scosse la testa violentemente, corrucciato.
"Contegno! Datti un contegno! Non può bastare così poco a farti perdere la ragione!" si rimproverò, costringendosi a tornare sul discorso intrapreso.
«Come puoi biasimarlo? Il tuo Quirk lo neutralizza pienamente, non può nemmeno avvicinarsi».
«Può batterlo, il mio Quirk!» rispose lei.
«Sul serio?» chiese lui incredulo, mettendosi a sedere al tavolo dove la sera prima aveva cenato, sempre volgendo le spalle alla porta del bagno.
«Perché credi che mi sia accanita tanto su di lui, se pensavi che  non avesse speranze?»
«Beh... perché magari pensi sia meglio di Midoriya, indipendentemente».
«Midoriya mi ha sconfitto, Kacchan non può batterlo se non riesce neanche a superare me».
«Ma come credi che possa...» aveva cominciato a indagare, curioso, ma si era interrotto quando aveva notato con sorpresa le mani di Machiko sbucare oltre le sue spalle, avvolgergli il collo e allungarsi fino ad appoggiarsi al suo petto. Si irrigidì nel notare, con la coda dell'occhio, le braccia scoperte della donna: che fosse ancora nuda?
«Ti vedo teso, omaccione. Che succede?» gli sussurrò lasciva vicino all'orecchio, peggiorando la situazione tanto rapidamente che Toshinori si sentì per un attimo impazzire.
«Hai lasciato l'acqua aperta di là» balbettò, cercando qualsiasi cosa avesse potuto distrarlo da quella situazione. Qualsiasi cosa avesse potuto evitare di fargli perdere il controllo: in fondo non avevano neanche ancora cenato!
«Sto riempiendo la vasca, pensavo di fare un bagno, ho sudato talmente tanto oggi. Perché invece di aspettarmi qui ed annoiarti non vieni a farmi compagnia?»
Niente da fare, nessun argomento ora avrebbe potuto salvarlo, aveva raggiunto in breve tempo l'orlo della follia. La sua voce, il suo respiro sul suo collo e l'immagine che gli balenò in testa, di loro due, nudi, avvolti l'uno sull'altro in quella vasca da bagno. Ne aveva bisogno, ne tremava dal bisogno, ma...
«Non posso» disse con un tale sforzo da risultare inumano.
«È per via della cicatrice che non vuoi mostrarmi?» chiese lei, facendo fare al cuore dell'uomo almeno un paio di piroette di troppo. Saltò sulla sedia e voltandosi a guardarla con gli occhi fuori dalle orbite, quasi urlò: «Come sai della cicatrice?»
Si sorprese quando vide la stessa espressione sconvolta che aveva lui, sbucare anche sul volto della donna nell'istante in cui gli urlò: «Allora ce l'hai davvero?! Io ho solo sparato una cazzata!»
«Mi prendi in giro?» chiese sconvolto Toshinori, poco prima di far cadere lo sguardo dal suo viso al seno scoperto di Machiko. Ne rimase un attimo inebetito, quasi ipnotizzato, realizzando che la sera prima non era riuscito a godere appieno della bellezza della donna, presi dalla frettolosità della cosa e dalla paura di mostrarle il suo corpo sfregiato. Quello era il modo meno romantico che avesse potuto immaginare per ovviare a quella mancanza, ma l'emozione non mancò lo stesso nello spezzargli il fiato.
Si ridestò qualche secondo dopo, arrossì violentemente rendendosi conto di quanto fosse stato palesemente distratto dalla sua nudità, e si coprì gli occhi con una mano, voltandosi dall'altro lato.
«Scusami! Non volevo!» disse imbarazzato, sventolando davanti a sé l’altra mano. Si sentì colpire in testa da uno dei pugni di Machiko, poco prima che esclamasse: «Imbecille».
«Comunque» sospirò lei, tornando seria e avvolgendosi di un'aura triste. «Ieri sera mi hai impedito di aprirti la camicia con una tale violenza che non ci voleva certo un genio a capire che nascondevi qualcosa. Oggi Nezu mi ha detto che...» si interruppe, incapace di riuscire a proseguire. Ammettere ad alta voce che aveva accettato quella verità, che ci credeva a quella terribile situazione, le faceva un gran male. Toshinori si tolse la mano dagli occhi, scoprendo così il suo viso preoccupato e si voltò a guardare quello costernato della donna.
«La lotta con All For One, cinque anni fa, mi ha detto che ti ha lasciato indebolito. E... non lo so... forse ho provato a indovinare. Non lo sapevo della cicatrice, ma perché me l'hai tenuta nascosta?»
«Macchan» sospirò lui, abbassando lo sguardo addolorato. Era dunque giunto il momento di parlarle, nonostante tutti gli sforzi fatti per impedirle di scoprire quella verità. Nonostante il suo folle desiderio di renderla felice e basta, era costretto ora a doverle rivelare tutto, a ferirla ancora.
«Ti scongiuro, copriti. Non riesco a concentrarmi» ammise infine, supplichevole.
«Imbecille!» abbaiò nuovamente Machiko, prima di allungarsi a prendere una maglietta qualsiasi e mettersela addosso, per accontentarlo. Infine tornò a guardare Toshinori, aspettando la risposta alla sua domanda. Ma lui non parve cambiare espressione e aggiungendo un velo di melodrammaticità disse: «È tutto inutile, non riesco a togliermi quell'immagine dalla testa!»
«Adesso stai solo cercando una scusa per non parlare!» ringhiò lei.
Beccato.
«Hai ragione» mormorò, tornando finalmente serio. «Scusami. Avrei dovuto dirti tutto subito, ma, non so...in verità, credo che fossi spaventato all'idea di mostrarti quel lato debole di me, dopo tutto quello che hai fatto non riuscivo ad accettare di poterti deludere, di dimostrarti che non ero stato degno della responsabilità che tu e Nana mi avete lasciato. Sei sempre stata così piena di fiducia nei miei confronti, non hai mai vacillato nemmeno quando lo facevo io. E adesso All For One è ancora vivo, io non sono riuscito... io non sono riuscito...» e il dolore gli chiuse la gola.
«Tu sei riuscito a sopravvivere» disse Machiko per lui, stravolgendo completamente la direzione del suo discorso, portandolo dal senso di colpa al sollievo. Non aveva fallito, perché lui era sopravvissuto. Non c'era niente per cui chiedere scusa, la promessa che aveva fatto tanti anni addietro, il giorno che Nana era morta, la promessa che aveva fatto a se stesso e a Machiko di vendicarla non era stata ancora infranta. All'improvviso si trovò di fronte a qualcosa che non aveva mai visto prima di allora, davanti a quel viso così pieno di dolore e sollievo allo stesso tempo: Machiko aveva visto sua madre venir fatta a pezzi, ne era uscita distrutta, l'aveva supplicato di vendicarla perché non sarebbe mai riuscita a sopravvivere al dolore di aver perso per sempre una persona tanto speciale. All For One le aveva portato via qualcosa di unico, e quel giorno di cinque anni addietro aveva tentato di fare altrettanto con lui. Tutti quelli che Machiko incontrava, tutti quelli che per lei erano l'amore più grande, All For One sembrava stesse cercando di distruggere ogni cosa. Ma non quella volta, non c'era riuscito, lui era sopravvissuto e questo bastava a renderla felice, a rendere quella una missione ben riuscita.
«Hai donato il tuo potere a Midoriya, questo significa che lentamente tu perderai il tuo...»
"Io l'ho già perduto quasi tutto" pensò Toshinori, ma fu incapace di ammetterglielo.
«Questo significa che non potrai più combatterlo, giusto?» chiese e fu quella domanda a far capire a lui una cosa importante: non sapeva tutto. Non sapeva che ormai era arrivato al capolinea, che quello che aveva di fronte era solo una maschera costruita ad arte dall'immagine del vecchio All Might, un All Might che ormai era morto e riusciva a fingere di essere ancora vivo solo per qualche ora al giorno. Sapeva che era indebolito, ma non sapeva che stava morendo e soprattutto non sapeva del suo terribile nuovo aspetto. Avrebbe dovuto dirglielo, forse avrebbe dovuto, ma le parole gli morirono in gola. Il suo volto era così distrutto da quella notizia, gli occhi arrossati minacciavano di piangere da un momento a un altro... l'All Might che lei aveva creato, stava svanendo, dopo migliaia di chilometri percorsi e tante sofferenze affrontate e lei era lì solo per vederne gli ultimi sbuffi di fumo, prima della sua cessazione. Lei aveva vissuto per anni col fiato sospeso, in un'eterna pausa, senza mai andare avanti veramente da quel giorno che era scappata, era rimasta bloccata lì, tra quelle macerie e solo ora si rendeva conto di tutto quello che gli era invece sfuggito dalle dita. Per quanto tempo lei non c'era stata. Bastava quello, bastava quel dolore, non doveva subirne altri. Le bastava dover sopportare la fine di All Might, mai le avrebbe dato il dolore della fine di Toshinori. Da quello non ne sarebbe uscita viva. Saperlo vivo sembrava essere l'unica cosa in grado di darle conforto, non sarebbe riuscito a distruggere anche quello.
«No» ammise. «Non avrei più la forza per combatterlo, se dovesse tornare. È stato necessario trovare un successore».
«Perdonami, se ti ho costretto a vivere tutto questo. È stata colpa mia» ammise, addolorata.
«Ma che dici? L'ho voluto e accettato io lo One For All, non mi hai costretto. E comunque è stata la cosa migliore che potesse capitarmi, non devi chiedere scusa. Sono io che devo chiederlo a te: ti ho tolto ciò che era tuo di diritto e non sono neanche stato in grado di usarlo adeguatamente per il suo scopo. Hai scommesso su di me e io ti ho deluso».
«Al mondo esiste un solo simbolo della pace. Uno e uno solo» disse lei, con decisione. Fece un paio di passi avanti, avvicinandosi a lui. Gli afferrò il nodo della cravatta e concentrata iniziò a scioglierlo. «Io non lo sono mai stata e non sarei mai potuta esserlo. Nè io nè nessun altro possiamo, nemmeno Midoriya».
«Può diventarlo» mormorò lui, cominciando ad agitarsi. Sapeva cosa stava facendo, sapeva cosa voleva fare e la cosa lo riempiva d'angoscia, ma non l'avrebbe fermata. Aveva il diritto di vederla: la sua sconfitta, la sua macchia indelebile, lei doveva conoscerla.
«Midoriya può diventare tutto ciò che vuole, ma non sarà mai te» prese il primo bottone della camicia e lo aprì, proseguendo poi al secondo e al terzo. Ogni bottone che veniva aperto era un brivido lungo il corpo di Toshinori, consapevole di ciò che sarebbe stato scoperto di lì a poco, consapevole della debolezza di cui l'avrebbe resa partecipe. Il respiro si fece pesante, il cuore in petto pulsava tanto forte da fare male, e un'intrattenibile confessione gli uscì dalle labbra, dolorosa come quella ferita impartitegli cinque anni prima: «Il mondo ha bisogno di un simbolo... io non sono immortale».
Machiko si bloccò sul quinto bottone, ormai vicina alla meta, ormai pronta a scoprirlo quello squarcio sulla realtà che avrebbe confermato quanto appena Toshinori aveva confessato: lui non era immortale.
Lo guardò in volto, incrociando il suo sguardo spaventato e addolorato, ma carico della forza che solo l'uomo che aveva sorriso per un'intera vita riusciva ad avere. Non abbassava la testa nemmeno in un momento come quello.
«Toshinori non è immortale. Questo corpo non è immortale. Ma All Might non morirà mai. La gente non smetterà mai di alimentare la sua fiamma, dentro i propri cuori» si avvicinò al suo viso e infine sussurrò con una sicurezza mai avuta prima: «Io ho scommesso sulla persona giusta».
I successivi tre bottoni finirono di essere aperti e con mano sicura Machiko afferrò il lembo destro della camicia, sfiorando con le proprie dita la pelle nuda dell'uomo. L'aprì e finalmente diede spazio alla verità. Abbassò lo sguardo, puntandolo su quell'enorme sfregio che ricopriva gran parte del fianco di Toshinori. Di un colorito più roseo, la superficie liscia, i contorni frastagliati, deturpava in un modo che mai si sarebbe aspettata quel corpo che, ricordava bene, era la cosa più perfetta che avesse mai visto. Se l'era immaginata, quell'enorme debolezza di cui si vergognava a tal punto da impedirle la sera prima di scoprirla, ma quello che si trovava di fronte andava oltre ogni aspettativa. La gola le si chiuse, mentre cominciava a realizzare che lì dove adesso c'era quello strato di pelle nuova e così diversa dal resto, su tutta quell'immensa superficie, una volta c'era stato sangue e dolore. Quella una volta era stata una ferita, un'enorme ferita da cui si chiese come fosse riuscito a sopravvivere.
Lui non era immortale, quelle parole adesso assumevano una consistenza nuova mentre veniva schiaffeggiata dalla realtà. Aveva rischiato di morire, aveva seriamente rischiato di morire, quell'uomo che col tempo aveva cominciato a riconoscere come l'entità superiore in assoluto. Solo in quel momento si rese conto che mai era riuscita a crederci davvero, che un giorno Toshinori sarebbe potuto morire.
Con la mano tremante si avvicinò alla sua pelle e sfiorò la superficie irregolare di quei contorni, percorrendone qualche centimetro. Sentì gli occhi che cominciavano a bruciare, il cuore che saliva su, fino alla gola, ustionandola dal dolore. Toshinori aveva rischiato di morire, era sopravvissuto pagando cara quella vittoria, con una sofferenza che neanche riusciva a immaginare. Quanto poteva far male una ferita come quella? Quanto doveva essere incredibile la forza di un uomo per riuscire a sopportarla?
E lei... lei non era stata lì con lui, quel giorno, a ricordargli che andava tutto bene. A sorridergli, come le centinaia di volte che l'aveva fatto quando da ragazzini Toshinori, stremato dal dolore degli allenamenti e dalla paura di non farcela, cercava un angolo di mondo dove nascondersi. Lei aveva creato All Might, era stata il suo pilastro fin dal primo giorno, e proprio quando aveva vacillato tanto da rischiare di crollare lei gli aveva voltato le spalle, lasciandolo solo a sostenere tutto quello, a sorridersi da solo per cercare la forza di vincerla, quella sfida contro la fine. Come poteva essere stata così egoista? Ricordava quel giorno, di cinque anni addietro: era a una festa organizzata da Drew, con produttori, altri cantanti, colleghi di minor importanza, addetti alle case discografiche o semplicemente gente di un certo portafoglio a cui piaceva divertirsi. Beveva vino rosso, rideva alle battute di qualche affabile ragazzo che aveva tentato di conquistarsela almeno per quella sera, rideva davvero, dimentica e ignorando ogni cosa. E mentre lei era lì, circondata di musica, vino e allegria... Toshinori moriva.
Un singhiozzo la scosse, facendola tremare e d'istinto chinò la testa, nascondendo il proprio volto.
«Macchan» mormorò lui, preoccupato, accostandosi al suo viso per cercare la sua espressione. Machiko non esitò a rialzarsi e Toshinori si sorprese della sua espressione: sorrideva. Gli occhi serrati, le sopracciglia rilassate e il sorriso largo, enorme, immenso e luminoso.
«Va tutto bene» disse con voce tremante per lo sforzo di non cedere al dolore, per lo sforzo di risultare veramente felice e rassicurante. «Non devi preoccuparti, perché adesso ci sono qua io».
Una lacrima la tradì, sfuggendole dagli occhi, ma lei la ignorò e non vacillò nella sua espressione serena e rassicurante neanche per un istante. Un tentativo fallimentare di rimediare ai propri errori, di chiedere scusa, un tentativo che lasciò Toshinori solo pieno di un'immensa tenerezza.
Quanto era speciale, la sua Machiko.
Fin da quando era piccola, chiunque la incontrasse vedeva in lei solo un diabolico burattinaio, egocentrico ed egoista, superiore e freddo, senza riuscire a capire che in realtà non era altro che una maschera. Una maschera costruita minuziosamente per difendersi da chiunque, perché dentro sé sapeva di non essere altro che una bambina che amava quelle marionette, che ci avrebbe dormito la notte tenendole tra le braccia perché non c'era cosa che odiasse di più che restare sola. Le pettinava, quelle marionette, le curava, le ben vestiva, e infine lasciava a loro tutto il palcoscenico accontentandosi di restare dietro le quinte, a manovrarle solo con l'obiettivo di donar loro applausi e clamore. Nessuno erano mai riusciti a capirla, la piccola Machiko dal cuore buono e l'immenso spirito di sacrificio.
Allungò una mano, raggiungendo il suo viso, e gliela poggiò su una guancia, accarezzandola con il pollice, eliminandola quella lacrima che sfregiava quel suo disperato tentativo di felicità. Machiko, in risposta a quel gesto, ci si schiacciò sopra, strofinandocisi, manifestando il bisogno di averne ancora di quella dolcezza.
«Perdonami se non c'ero» confessò infine, con un filo di voce.
«Ti ho lasciata cadere. Sei tu che devi perdonare me... non ho sentito la tua voce chiamarmi».
Machiko riaprì finalmente gli occhi, osservandolo in quel suo solito rassicurante sorriso. Negò debolmente con la testa, non c'era niente da perdonare, e facendo scivolare le mani lungo il fianco le portò dietro la sua schiena, spingendosi contro di lui fino ad abbracciarlo. Nascose il viso tra la spalla di Toshinori e il collo e lui non esitò a rispondere a quell'abbbraccio, poggiandole una mano dietro la testa per accarezzarle i capelli.
«Ti fa ancora male?» mormorò lei.
Un battito più forte degli altri, un nuovo timore che gli attanagliò la gola per un istante, prima che riuscisse a trovare il coraggio di mentirle: «No. Non più».
Faceva male, faceva male eccome, in un modo che Machiko non poteva immaginare. Faceva talmente male che lo costringeva a tornare a quella riluttante forma per quasi la totalità della giornata, costringendolo ad essere solo il fantasma di se stesso.
Machiko uscì dal suo nascondiglio e lo guardò, sorridendo di nuovo, ma sinceramente questa volta, più serena e felice.
«Meno male» disse, sollevata.
Neanche sapeva quanto, in quell'istante, lui avesse desiderato scoppiare a piangere. E invece continuò a mentire, rispondendo a quel sorriso, sentendo quella ferita diventare sempre più bruciante e pesante. Era decisamente più facile mentire al mondo intero, che a lei.
«Vado a farmi quel bagno» annunciò, raddrizzandosi. «Rinnovo l'invito, se vuoi» disse con un occhiolino malizioso, prima di voltarsi e avviarsi verso il bagno.
Si fermò due passi più avanti e si voltò a guardare Toshinori, con il volto corrucciato e poco convinto. Era ancora seduto lì e non accennava a muoversi.
«Guarda che dico sul serio. Vuoi venire o no?»
L'uomo sobbalzò, cominciando finalmente a capire e lasciandosi alle spalle tutti quei sentimenti, tornò ad arrossire ed agitarsi. Una scena tanto patetica, quanto tenera, che spinse Machiko a sorridere divertita.
«Facciamo a chi fa la bolla più grande con il sapone come quando eravamo ragazzi?» una richiesta infantile, ingenua, che riuscì ad eliminare l'imbarazzo della situazione a cui sarebbero andati incontro rendendo il tutto quasi un gioco. Aveva dimenticato la sua enorme forza, era sempre così rassicurante.
Toshinori sembrò rasserenarsi e finalmente si alzò dalla sedia, raggiungendola.
«Sono sempre stato il vincitore indiscusso» disse, avviandosi verso il bagno.
«Mi sono allenata tanto, sai?» disse lei, al suo fianco, facendogli una linguaccia.
«Credi di essere l'unica?» la provocò lui, entrando finalmente nella stanza. Uno strano ciack nel momento in cui mise il piede sul pavimento piastrellato, li distrasse dal loro infantile battibeccare e catturò la loro attenzione. L'intero bagno era allagato e dalla vasca usciva continuamente acqua, riempita fino all'orlo e che ancora continuava ad essere alimentata dal rubinetto aperto.
«Abbiamo parlato troppo e ho dimenticato l'acqua aperta!» gridò Machiko, correndo verso la vasca per chiudere l'acqua. Si appoggiò al bordo in ceramica e si sporse in avanti, raggiungendo il rubinetto, ma il pavimento bagnato non aiutò il lavoro e la fece scivolare. Provò a reggersi, inutilmente, e finì col cadere dentro la vasca completamente vestita, creando un'onda che peggiorò lo stato del pavimento.
«Macchan!» gridò Toshinori, allarmato. Corse da lei e afferrandola da sotto le braccia la sollevò, aiutandola ad alzarsi. Un movimento di piedi imprevisto e incontrollabile, subito dopo il formicolio che segnalava i fili di Machiko che si arpionavano ai suoi muscoli, e anche lui cadde in avanti, colto di sorpresa. L'onda che nacque da quell'ennesimo peso fu decisamente superiore da quella che aveva provocato l'esile figura di Machiko, tanto che perfino il lavandino, un paio di metri più lontano, venne coinvolto e colpito interamente. Toshinori si sollevò rapidamente, allarmato all'idea di aver schiacciato la donna col suo peso e la trovò fortunatamente indenne sotto di lui in una vasca ormai semi-vuota. Entrambi fradici da capo a piedi, si guardarono per un attimo turbati da quanto appena successo, prima che Machiko scoppiasse a ridere divertita come poche volte era stata prima di quel momento.
«L'hai svuotata! Sei un bisonte!» disse, ridendo tanto forte che dovette portarsi una mano allo stomaco dolorante. Una lacrima le uscì dagli occhi e lei l'asciugò sbrigativamente, continuando a riempire quella stanza con la sua voce cristallina e allegra. Era così dannatamente bella che Toshinori avrebbe voluto fermare il mondo, stoppare il tempo e bloccarlo per sempre a quell'istante. Avrebbe voluto averla di fronte a sè, con quell'allegria, quella fantastica risata, per il resto della vita, in ogni singolo istante.
Inarcò un sopracciglio, divertito ma mostrandosi comunque offeso: si beffava di lui per la sua stazza, che era stata la causa di quello tsunami. Allungò una mano sopra la sua testa e aprì il rubinetto, facendole cadere l'acqua dritta sugli occhi. Con uno scatto Machiko si sollevò, scappando dal getto e fulminando l'uomo sopra di sè.
«Volevi affogarmi?» gli chiese irritata e sconvolta.
«Questo era quello che volevi fare tu, quando mi hai fatto cadere qua dentro» rispose lui, prontamente. Un sorriso provocatorio, uno sguardo minaccioso, e prendendo un po' d'acqua con le mani Machiko gliela lanciò dritta in viso. Nessuna reazione da parte dell'uomo che certo non ne risentì di quel misero attacco, se non nell'orgoglio. Un’infantile battaglia di spruzzi nacque tra loro, fintanto che la vasca tornava a riempirsi, per poi decidere di comune accordo che restare vestiti non aiutata i movimenti e quel bagno che si sarebbero fatti. Machiko versò un quintale di sapone, vizio che aveva sempre avuto fin da ragazzina, facendo in modo che tutto si riempisse di schiuma, e infine decretarono la pace, decisi a riposare e rilassarsi. Toshinori poggiato con la schiena sulla ceramica della vasca e Machiko seduta davanti a lui, con la schiena poggiata al suo petto, così da essere avvolta dalle sue braccia e dalle gambe, in un bozzolo sicuro. Giocava con la schiuma come una bambina, raccogliendola tra le mani e soffiandola via, facendola svolazzare come neve. E ripeteva l'azione più volte, divertita, dando ogni tanto alla schiuma qualche bizzarra forma, o divertendosi a far sbucare lentamente un piede da essa, per poi reimmergercelo. Si appoggiò nuovamente al petto di Toshinori, stendendo la testa sulla sua spalla e dopo aver guardato il volto dell'uomo al suo fianco, gli poggiò un delicato sbuffo di schiuma sulla punta del naso. Toshinori lo guardò qualche secondo, infastidito, prima di cominciare ad arricciare il naso e soffiarci sopra nel vano tentativo di toglierlo: faceva il solletico. Non riuscendo, istintivamente si portò una mano al viso per toglierlo, dimenticandosi che anche lui era ricoperto di schiuma e non fece che peggiorare la cosa. Machiko lo guardò in quella imbranata situazione e divertita ne rise ancora, donando all'uomo ancora quel piccolo regalo che gli faceva così bene al cuore. Si rilassò, accoccolandosi maggiormente tra le sue braccia, e chiuse gli occhi godendo di ogni secondo di quei momenti. Ogni sensazione, ogni suono, ogni odore... tutto doveva restare indelebile.
Avrebbe pagato qualsiasi prezzo, per poter fermare il tempo in quella vasca da bagno.


When my hair’s all but gone and my memory fades
And the crowds don’t remember my name
When my hands don’t play the strings the same way
I know you will still love me the same
Cause honey your soul can never grow old, it’s evergreen
Baby your smile’s forever in my mind and memory


NDA.


Sono mancata qualche settimana e me ne dispiaccio. Mi sono presa una piccola pausa per sistemare alcune cose della mia esistenza ahahah
Però come vedete sono sempre qui xD
E con un capitolo abbastanza significativo, anche senza colpi di scena. Toshinori rivela la sua cicatrice, rivela parte del suo segreto, ma non completamente! Non riesce ancora ad avere il coraggio di dire a Machiko che quella forma non è reale, non riesce a dirle di essere ormai in procinto della pensione, che non ha “cominciato la sua discesa” ma ne è praticamente arrivato in fondo. Lo fa per lei, o almeno questo ammette a se stesso, per non deluderla perché da quando si sono conosciuti Machiko non ha fatto altro che vederlo come l’uomo più forte della terra anche prima che ricevesse One For All. Ha paura di deluderla su tutti i fronti e si limita a confermare le sue idee, senza aggiungere altro. Chissà quanto durerà ancora :P
Io mi scuso per l’assenza e spero di essere puntuale la settimana prossima. Vi auguro un buon Ferragosto, ringrazio come sempre tutti i lettori e Nathly per la recensione <3
A presto!


Ray

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Capitolo 28
*** Not Alone, Red ***


"Not Alone”, Red



I successivi due giorni furono i più belli che Machiko avrebbe ricordato. Tutto andava alla perfezione: le sue lezioni supplementari presero pian piano una piega diversa, sollecitate dal suo buon umore, tornando ad essere un momento costruttivo e stimolante. Gli allenamenti di Bakugou proseguivano secondo i piani e si sorprese ancora una volta nel vedere in quanto poco tempo il ragazzino riuscisse a migliorare. Era riuscito un paio di volte a contrastare il potere dei suoi fili, muovendo un dito o una spalla, e da lì aveva cominciato a capire quale potesse essere la strada giusta: i contraccolpi delle sue esplosioni percorrevano quei fili, arrivando anche a lei. Non era abituata a un simile dolore, perciò non doveva far altro che battere la sua capacità di resistenza esplodendo colpi su colpi, fintanto che non mollava la presa. Avere uno spazio protetto dove sfogarsi e perseguire i loro obiettivi, permise ai due di non creare altri guai e questo sollevò anche il preside e il resto dei professori. Ma chi stava vivendo quei giorni meglio di chiunque altro, erano Machiko stessa e Toshinori. Essersi ritrovati, essersi liberati di ogni spina e finalmente essersi ripresi per mano dava loro un senso di pace e sollievo che neanche il paradiso avrebbe potuto eguagliare. Sembrava come se niente avesse potuto abbatterli, ora, nessuna difficoltà, nessun super cattivo, niente di niente. Bastava incrociare le dita per rimettere a posto il mondo intero: un sorriso per illuminare, un bacio per riscaldare e fare l'amore per curare. Anche se poi, la mattina, Machiko si ritrovava sempre a stringere tra le braccia un cuscino ormai freddo. Forse era quella l'unica nota stonante, il ritorno alla realtà ogni volta che sorgeva il sole il giorno dopo, il ticchettio dell'orologio alla parete che si beffava di lei, della sua felicità, ricordandole a ogni tic tac che presto avrebbe ripreso un aereo che l'avrebbe riportata a migliaia di chilometri da lì, di ritorno in una vita che si era costruita e di cui ormai ne era intrappolata. Il battito di un sogno, che presto quel dannato tic tac avrebbe interrotto con un agghiacciante urlo.
Era quella l'unica nota stonante... ma preferiva scuotere la testa, lavarsi delle angosce e correre verso un altro giorno di luce, calore e cure. Godere a fondo di quel sogno, fintanto che il tempo glielo avesse concesso.
Ingenuamente inconsapevole del fatto che non solo una sveglia programmata sarebbe stata in grado di svegliarla, spezzando ogni cosa.


Il cielo era ormai color arancio, il sole basso all'orizzonte e il silenzio li circondava, rotto solo dal cinguettio di qualche uccellino ritardatario che si affrettava a preparare il nido per la notte. Una leggera brezza ristoratrice diede sollievo alla pelle umida dal sudore di Nina. Chiuse gli occhi, alzò il mento e si lasciò avvolgere da essa, ascoltando solo il rumore del proprio respiro ancora affannato. Si allungò a prendere una delle due lattine fresche al suo fianco, appena prese al distributore, l'aprì tirando la linguetta e l'allungò infine alla sua sinistra. Bakugou l'afferrò e senza fare troppi complimenti ne bevette un lungo sorso, asciugandosi poi con il braccio quel rivolo sfuggito dalle labbra per la fretta.
Non si era reso conto di avere sete fintanto che la prima goccia non gli era caduta sulla lingua.
«Che pace c'è qui» mormorò Nina, afferrando la sua lattina. Bakugou non rispose, ma fu proprio quel silenzio a confermare quanto detto dalla donna: si stava proprio bene. Erano usciti da pochi minuti dalla palestra, avevano su ancora i loro costumi, ancora pieni di sporcizia e sudore per l'allenamento appena fatto, su ordine di Nina -ma certo lui non si era opposto- erano usciti a prendersi qualcosa da bere e si erano seduti sul prato all'esterno a godersi un po' di meritato riposo, prima di tornare ognuno alla propria vita.
«Ci ero quasi riuscito» disse lui, pochi minuti dopo, deciso a interrompere quel silenzio ma con una strana pacatezza. Un altro sorso della sua bibita rigenerativa e un sospiro ristoratore. I muscoli erano così tesi che facevano male, li aveva sforzati eccessivamente e ora aveva bisogno di rilassarsi un po'.
«Ci eri quasi riuscito a fare cosa?» chiese lei, fingendo di non capire.
«Mi ero liberato una mano per un istante».
«Tu credi?» insisté lei, adornandosi di un malizioso sorriso.
«Sono riuscito a contrastarti! Senti i contraccolpi delle mie esplosioni, non è così?» chiese lui, cominciando ad agitarsi.
«Ma cosa vuoi che ne sappia» rispose lei, quasi scocciata. «Per il momento so solo che ho vinto io... di nuovo. E a te restano pochi giorni».
Un'espressione infastidita da parte del ragazzino, che cominciava a uscirne frustrato da quella situazione. Si sentiva con l'acqua alla gola, ma ciò che lo irritava più di tutti era la lentezza dei suoi progressi. Midoriya era riuscito a batterla il primo giorno, dopo solo pochi minuti di lotta, lui invece ci aveva messo giorni solo per riuscire a liberarsi una dannata mano.
«Katsuki» disse lei, apparentemente distaccata. «Lo sai che uno dei metodi di tortura più accreditati nel passato era quello della gocciolina sulla testa?»
«E questo adesso che diamine c'entra?» si irritò lui, infastidito per il poco interesse che lei pareva dimostrare nella sua frustrazione.
Nina alzò le spalle, ridacchiando divertita: «L'ho letto prima su internet mentre vi aspettavo e volevo solo fare conversazione. Pensa, una misera gocciolina, dalla potenza praticamente nulla... quanto potrà mai far male una goccia che cade sulla testa? Ma una, due, tre, mille, una dopo l'altra... finiva col bucargliela. Assurdo, no?»
«Mi stai dando qualche suggerimento nascosto usando una stupida scusa?» chiese lui, fulminandola, e Nina scoppiò a ridere, esclamando: «Ma allora  è vero che non sei poi tanto scemo come si possa credere».
«Chi crede che io sia scemo?» ringhiò lui.
«Io la prima volta che ti ho visto, sicuramente».
«Provaci a dirlo adesso, letame che non sei altro! Ti ammazzo!»
«No, adesso no. Sono troppo stanca per continuare ad accontentarti e far finta di affaticarmi contro di te» disse lei, sventolando una mano.
«Far finta?!» si alzò in piedi lui, ormai al limite della collera. «Ti farò rimangiare tutto! Stronza! Fatti sotto!»
«Modera il linguaggio, moccioso!» lo rimproverò Nina e puntandogli rapidamente le dita contro lo arpionò e lo costrinse a rimettersi a sedere, al suo fianco. «Niente combattimenti, solo un po' di riposo e delle sane chiacchierate per conoscerci meglio. Non so niente di te, ora che ci penso. Vieni da una famiglia ricca?»
«E a te che te ne frega, scusa?» disse lui, ormai presa la strada della rabbia non l'avrebbe lasciata tanto velocemente.
«Oh beh, se devo lasciare un buon partito come All Might per darmi all'illegalità con un ragazzino, vorrei che almeno potesse soddisfare i miei bisogni. Sono una donna molto esigente, sai? Mi piace cenare fuori spesso».
«Ma di che diamine parli? E poi non mi dirai che le voci su te e All Might sono vere!»
«Certo che sono vere! Avevi dubbi sul mio potenziale seduttivo? O forse sei geloso?» ridacchiò lei, divertita nel vederlo sempre più irritato e infastidito.
«Stai parlando con un minorenne, ti rendi conto? Pervertita! Si può sapere che razza di adulto sei tu?» e lo sbigottimento, misto al fastidio che i suoi doppi sensi gli recavano, lo portò ad arrivare al limite, sfogando tutta quella angoscia in urla e portandosi le mani nei capelli. Nina non ce la fece più e fece crollare la maschera da mezza criminale che si era costruita, scoppiando a ridere nel vedere la sua reazione.
«Su, su! Guarda che scherzavo!» rise, dandogli qualche pacca consolatoria sulla spalla.
«Nina!!!» la chiamarono un gruppo di ragazzi le cui voci ormai aveva imparato a riconoscere bene. Si voltò incuriosita dal tono allarmato di Uraraka e parte degli altri studenti della prima A.
«Finalmente siamo riusciti a trovare qualcuno! I professori se ne sono già andati quasi tutti!» disse preoccupata Asui.
«Ragazzi! Che fate qui? Non dovreste essere già a casa?» chiese Nina, preoccupata.
«Un guaio! È successo un guaio! Abbiamo bisogno di aiuto!» disse Mineta, saltando sul posto.
«Pensiamo che abbiano preso in ostaggio Midoriya e Todoroki!» spiegò Uraraka e quello bastò a far saltare in piedi Nina.
«In ostaggio? Chi? Quando?»
«Eravamo tutti insieme, volevamo passare dal centro per comprare alcune cose utili per il festival sportivo, quando loro due sono rimasti indietro per parlare. Li abbiamo lasciati stare, sembravano discorsi seri, ma dopo un po' non li abbiamo più visti!» spiegò Uraraka.
«Iida, Tokoyami e Kirishima sono andati a cercarli, trovando strano il fatto che non avessero detto niente e fossero spariti nel nulla. Niente di strano, fintanto che Iida-kun non ci ha mandato un segnale gps per indicare la loro posizione. Si stanno allontanando, verso la periferia, che senso avrebbe mandarci la loro posizione se non fosse successo qualcosa?»
«Nessuno infatti» disse Nina, correndo verso l'uscita della scuola, seguita dal resto dei ragazzini.
"Hanno preso Midoriya" non riusciva a pensare ad altro. Non che gli altri avessero meno importanza, ma dentro Midoriya risiedeva un ancora immaturo potere che aveva bisogno di tempo per essere coltivato. Se fosse stato ucciso, e debole come era non sarebbe stato difficile per loro, lo One For All sarebbe andato perduto per sempre, senza poter essere passato a nessun altro in quanto ormai All Might lo stava perdendo del tutto. Senza One For All, All For One non avrebbe più avuto rivali e il mondo avrebbe vissuto il peggiore degli scenari immaginabili.
Non era sicura che dietro a tutto quello ci fosse All For One, ma sapeva che era vivo e Midoriya non si era mai preoccupato di restare troppo discreto sulla faccenda. Se l'avesse scoperto... sarebbe stata la fine di una dinastia.
Digrignò i denti, sempre più furiosa.
"Sapevo che non era degno!" pensò, ormai in preda alla furia. Se Midoriya si fosse lasciato uccidere, se avesse anche solo azzardato a mandare tutto in fumo, il sacrificio di sua madre, l'enorme lavoro di Toshinori... se un insulso ragazzino senza talento come lui, avesse distrutto tutto, sarebbe potuta impazzire.
Non doveva permetterlo.
Uscì dal cancello e si guardò attorno, lungo la strada deserta. Doveva pensare in fretta a qualcosa e agire nel modo più veloce e sicuro possibile.
«Il segnale è ancora attivo?» chiese Nina, voltandosi verso Ashido che teneva il cellulare, e la ragazzina in risposta le mostrò su una mappa google un punto luminoso che si spostava lungo le strade della città.
«Sì, pare di sì!»
"Midoriya e Todoroki nelle loro mani. Kirishima, Iida e Tokoyami rischiano seriamente di aggiungersi a loro due, aumentando il numero di ostaggi. Cinque ragazzini da tirare fuori dai guai e solo dieci dita a disposizione" rifletté, guardandosi le mani. Un palcoscenico decisamente immenso in cui un piccolo burattinaio di città ormai in pensione non era sicuro di potersi destreggiare, con tutte le marionette che la scena gli prestava.
«Prima di tutto, abbiamo bisogno di un passaggio» disse, allungando una mano nel vuoto e arpionando un pover'uomo che aveva avuto la disgrazia di passarle davanti in quel momento, in bicicletta. Lo fece saltare giù, accompagnato dalle sue urla terrorizzate, e si affrettò ad appropriarsi del mezzo sotto lo sguardo sconvolto e attonito dei ragazzini: un adulto, un eroe, una professoressa che rubava una bicicletta sfiorava ogni immaginazione.
«Kacchan! Mi serve la tua accelerazione! Ashido, continua a seguire Iida col cellulare, mi indicherai la strada. Uraraka e Yaoyorozu, venite con noi, avrò bisogno dei vostri Quirk per tirare fuori dai guai i vostri compagni».
«Ma non ci stiamo tutti lì» balbettò Uraraka guardando la bicicletta, ma fu momentaneamente ignorata.
«Heikichi» mormorò Nina, pensierosa, prima di chiedere: «Chi di voi conosce Spectrum?»
«L'eroe dalla supervista! Io, io lo conosco!» alzò la mano quasi con entusiasmo Kaminari. «Anche io ne ho sentito tanto parlare» disse Aoyama, desideroso forse di avere anche lui un ruolo in quell’operazione.
«Dovrebbe essere di pattuglia in questo momento. Chiamatelo, ditegli che vi manda Machiko e che è un'emergenza di livello tre!» lui avrebbe capito. Anche se erano passati anni dall'ultima volta che avevano usato quei codici per comunicare tra loro, Heikichi non poteva averli scordati. Li avevano inventati i primi anni di liceo, quando ogni tanto la sera si divertivano a riunirsi in qualche sobborgo e dar la caccia ai cattivi. Situazioni che al novanta per cento li faceva finire nei guai, nel restante dieci si occupavano al massimo di salvare un gattino dall'albero... ma fare gli eroi a tempo perso era divertente e l'eccitazione raggiungeva il massimo con il livello tre: primo livello, bulletto di strada; secondo livello, criminali normali; livello tre, super-cattivo. In tutta la loro vita, solo una persona era riuscito ad aggiudicarsi il terzo livello... Heikichi avrebbe capito.
«Collegate i vostri GPS e portatelo da noi. Infine voi altri, andate a cercare All Might e chiamate la polizia!»
«Agganciata!» annunciò Yaoyorozu nell’istante in cui fissò un enorme gancio al retro della bicicletta dove sedeva Nina. Un gancio che sosteneva un piccolo carretto a tre posti, creato in pochi attimi dalla sua abilità.
«Ma quando l'hai fatto?» chiese Uraraka, portandosi le mani al viso. Come era riuscita ad essere così veloce nella comprensione del suo ruolo e nell'adempimento del compito?
«Kacchan, dietro di me» ordinò Nina e Bakugou non se lo fece ripetere due volte, sedendosi sul telaio posteriore. Le ragazze si misero sopra il carretto e fu Ashido a dare il via alla corsa, gridando: «Dritto davanti a te!»
«Non sarò delicata, vi avverto» disse Nina, cominciando a pedalare. «Tenetevi!»
Tutto si sarebbero potuti aspettare, tranne che un adulto come lei fosse potuta essere tanto spericolata su un mezzo tanto innocente come una bicicletta. Ma loro non immaginavano quante volte lei si era ritrovata a inseguire Toshinori, intento ad allenarsi, lungo le strade di Tokyo usando solo ed esclusivamente quel mezzo. Ne aveva fatta, di esperienza. Pedalava in piedi, senza toccare il sellino, dando maggior forza alle gambe, e faceva attenzione ai pericoli della strada il minimo indispensabile. Superava incroci senza quasi neanche guardare, costringendo gli automobilisti a inchiodare per non investirli, svoltava sgommando, faceva lo slalom tra chi era in coda e Bakugou, dietro di lei, l'aiutava a rendere il tutto più folle e terrificante, usando le proprie esplosioni per darle accelerazione.
«A sinistra!» gridò Ashido, l'unica delle tre che non mostrava paura, forse troppo concentrata sul proprio telefonino per rendersi conto delle innumerevoli volte che avevano sfiorato la morte. Con un’altra sgommata, scaraventando il carretto da un lato, costringendo Uraraka a usare la sua levitazione per non essere sobbalzate via e tornare dritte, Nina obbedì. Si trovò di fronte a una lunga colonna di macchine, ingorgate da un incidente o forse un semaforo bloccato.
«Non passiamo!» si allarmò Uraraka.
«Prendiamo una scorciatoia!» disse Nina e si diede lo slancio necessario a saltare con la bicicletta sul marciapiede. Bakugou l'aiutò il necessario a portarsi dietro anche il carretto con le tre ragazze senza troppa fatica e continuò ad accelerare, sfrecciando tra i pedoni. Una mano dritta davanti a sè e Nina li costrinse con i suoi fili a saltare da una parte all'altra della strada, permettendo così loro di passare senza travolgere nessuno.
«Ah! Hanno cambiato! Dobbiamo tornare indietro, prendere la parallela!» si allarmò Ashido.
«Nessun problema, conosco un'altra strada!» disse Nina, svoltando al primo vicoletto che incontrò sulla destra e continuò a pedalare, dritta verso la fine, dove uno steccato in legno gli sbarrava la strada.
«È chiuso! Ci schiantiamo!» urlò Uraraka, serrando le dita sul legno del carretto.
«Kacchan!» chiamò Nina e il ragazzino, intuendo le intenzioni di Nina, esplose dei colpi sotto di loro permettendogli così di prendere letteralmente il volo e oltrepassare la staccionata, con le urla delle ragazze ancora legate dietro di loro in quella folle corsa.
«Si sono fermati!» disse Ashido, allarmata, allungando il cellulare nel vuoto. «A est, fuori città! Dopo il porto!»
«Conosco quel posto» mormorò Nina, scavando nei suoi ricordi. Se le cose non erano cambiate troppo, in quella zona avevano al tempo annunciato la costruzione di un enorme centro commerciale che poi era andato in fumo a causa di accordi mancati e terreni instabili. Se le cose non erano cambiate, in quel luogo ora si trovava un cantiere abbandonato, ottimo per nasconderci degli ostaggi. Ottimo per attirare in trappola eroi di cui poi bisognava liberarsi... eroi come Nana Shimura.
Non poteva essere un caso che avessero portato i ragazzini nello stesso luogo dell'ex battaglia, il luogo dove Nana era morta e aveva ufficialmente passato a Toshinori il testimone. Era un segnale, un loro segnale: "Ci aspettano".
«Tenetevi!» gridò Nina, prima di uscire dalla strada e lanciarsi lungo una collinetta, in discesa verso il fiume. I sassi contro le ruote del carretto lo fecero sobbalzare impazzito, aumentando a dismisura il panico sul volto delle ragazze dovuto alla ripida discesa, che si abbracciarono tra loro per darsi coraggio. Con una frenata non da poco, Nina riuscì a evitare di cadere in acqua e proseguì su un vialetto lungo la riva del fiume.
"Hanno preso Midoriya, erede di One For All, e l'hanno portato nello stesso luogo dove è Nana. Non può essere un caso, non è sicuramente un caso. Vogliono la resa dei conti. Sarà sicuramente pieno di trappole e noi ci stiamo andando dritto contro" digrignò i denti, mentre si avvicinava a un enorme ponte sul cui fianco interno era presente una griglia da cui usciva acqua sporca.
«Ashido, attiva il tuo GPS, fatti trovare da Mineta e gli altri. Non appena arriveranno con Spectrum ditegli di Midoriya e Todoroki, ci penserà lui a trovarli. Sicuramente li terranno nascosti da qualche parte. Io vado a recuperare Iida e gli altri due. Kacchan, sganciale!!!» e  non appena Nina glielo ordinò, Bakugou si voltò e fece esplodere il gancio che le teneva, lasciando che proseguissero per qualche metro per inerzia prima di fermarsi bruscamente. Uraraka riuscì a evitare che impattassero al suolo miseramente, salvando le sue amiche con il suo quirk  e guardò Nina e Bakugou che in bicicletta risalivano la collinetta e si allontanavano.
«Una cosa importante» gridò Nina, ormai quasi in cima. «Avete la mia autorizzazione! La responsabilità è esclusivamente mia» uno strano sguardo, mentre sfidava per l'ennesima volta la legge. La sua licenza era ancora sospesa, non aveva nessun potere a proposito, ma non si sarebbe certo lasciata frenare da questo. Il suo senso di giustizia in quel momento remava contro la legge e le diceva che usare i propri quirk sarebbe stato necessario.
Heikichi aveva un'ottima vista, riusciva a vedere cose che gli esseri umani non riuscivano, e l'allenamento l'aveva portato alla capacità di vedere oltre gli oggetti fisici, seguendo le macchie di calore tanto raffinatamente che poteva individuare perfino il muscolo attivo di un corpo umano e prevedere così il colpo che stava per infliggere. Il nemico tirava un pugno, lui riusciva a prevederlo studiando l'intensità dell'energia emessa dal suo braccio. Ma questo non l'avrebbe aiutato a salvare Midoriya e Todoroki, solo ad individuarli. C'era bisogno dell'acido di Ashido per sciogliere la griglia, allargare il buco che dalle fogne portava all'interno dell'edificio. C'era bisogno della capacità di creazione di Yaoyorozu per creare torce, corde e tutto ciò che sarebbe stato necessario a una fuga improvvisata... la strumentazione era necessaria. Infine c'era bisogno della levitazione di Uraraka per aiutare Heikichi nell'eventuale trasporto, in caso qualcuno avesse perso i sensi o ci fosse stato bisogno di uscire da una finestra. Loro tre si sarebbero occupate del salvataggio, avevano il ruolo più importante. Lei avrebbe nel frattempo fatto ciò che le riusciva meglio: dare spettacolo, intrattenere, fintanto che il vero eroe non avesse fatto il suo ingresso e non fosse riuscito a salvarli.
Era tutto nelle mani di Toshinori, perché per quanto lei fosse in grado di tenere testa ad eventuali nemici, non era forte abbastanza da contrastare All For one e qualsiasi trucco avesse messo in atto per tentare di ucciderli. Lei non era la sua nemesi, lei era solo una comparsa, solo il vero detentore del potere poteva riuscire a ucciderlo. Solo All Might poteva farlo.
Corrucciò la fronte nell'istante in cui intravide l'ingresso del cantiere, davanti a loro. Svoltò a destra, costeggiandone la recinzione quasi del tutto arrugginita, ma ancora ben salda. Saltò su di una rampa, salì su di un'impalcatura e proseguì verso l'interno, cercando di restare il più laterale possibile, evitando i grandi spazi aperti. Doveva entrare nel centro commerciale, sicuramente Iida e gli altri si trovavano lì dentro, nella prima sala, probabilmente già in trappola. Ma doveva farlo il prima possibile, evitando scocciature che sicuramente la stavano già aspettando.
Un altro salto su un dislivello e lungo un'altra rampa. Intorno a loro vecchie colonne, tubi metallici e macerie abbandonate. Erano entrati, non sapeva bene quando e in che modo, ma sapeva che erano dentro, passando probabilmente da qualche muro non ancora costruito. Tutto puzzava di polvere e di vecchio, l'oscurità incombeva, eppure non riusciva a udire l'eco delle sue pedalate. Una strana vibrazione, la sensazione che precedeva l'inizio di una battaglia e corse verso una delle finestre che dava sul mondo fuori, pronta a saltare nel vuoto. Quella sarebbe stata la sua entrata in scena.
«Kacchan, dimmi... vuoi essere un eroe, giusto?» chiese lei, con una strana serietà in volto.
«Ti sembra il momento di parlarne?» chiese lui, poco convinto. Cosa le frullava per la testa?
«Vuoi esserlo o no?» insisté lei, avvicinandosi sempre più verso la finestra. Un brivido, c'era qualcosa di così strano in lei, era come se un fantasma la stesse avvolgendo beffandosi e cibandosi della sua aura. Cos'era quello sguardo deciso e terrorizzato allo stesso tempo?
«Certo» mormorò lui, non capendo che cosa sarebbe successo.
Nina si voltò e gli rivolse uno sguardo agghiacciante, prima di sussurrare: «E allora sii eroico» gli ordinò. Allungò le dita verso lui e arpionando i suoi muscoli lo costrinse a saltare giù dalla bicicletta, saltando contro un muro alla sua destra. Qualcosa crollò di fronte a sé un istante dopo, frapponendosi fra lui e Nina, un muro, un sacco di macerie e perse di vista la donna nell'istante in cui la vide saltare dalla finestra inseguita da un'enorme mano nemica. Qualcuno aveva loro teso un imboscata, ma lei aveva lanciato via il ragazzo prima che potessero raggiungerli e si era portata dietro il nemico nel suo salto. Nina abbandonò la bicicletta in volo e si voltò a guardare chi era quasi riuscito ad afferrarla. Un enorme essere, dal volto allungato, appuntito come quello di un corvo, il cervello ben in vista, i muscoli pompati a dismisura, l'espressione vuota nei suoi piccoli occhi disumani. Lanciò i suoi fili, arpionandolo, e facendogli fare un movimento del braccio lo usò per concedersi un atterraggio morbido e sicuro. Si rialzò all'istante, senza degnarlo di altro interesse, e corse a perdifiato verso l'ingresso dell'enorme edificio alla sua sinistra. L'essere atterrò poco dopo di lei e sembrò essere ben deciso a non lasciarsela scappare, cominciando a correrle dietro. I versi che faceva, le urla, facevano venire i brividi: cosa diamine era?
Nina aprì la prima porta ed entrò, correndo verso le scale che portavano al piano superiore. L'essere alle sue spalle, troppo grosso per passare dalla porta, semplicemente la sfondò e continuò il suo inseguimento. Era veloce e incredibilmente forte, se fosse riuscito a prenderla l'avrebbe fatta a pezzi in pochi istanti. Oltrepassò un'altra porta e continuò a correre lungo il corridoio dell'edificio sperando che il bisogno di sfondare il muro per continuare a inseguirla lo rallentasse. Non servì a molto, la fatica che fece l'essere per riuscire a passare oltre fu misera e riuscì a dare a Nina solo un paio di secondi di vantaggio, il tempo di scrollarsi le macerie di dosso e ritrovarla.
«Ma dove cazzo siete?» mormorò Nina, guardando fuori dall'enorme finestra senza vetri alla sua sinistra. Niente,  solo macerie e locali abbandonati, dalla costruzione mai conclusa, e un sacco di ombre del passato.
Il cortile.
Quel cortile dove Nana, sua madre, aveva tirato l'ultimo respiro, schiacciata dalla potenza di All For One. Perché avevano dovuto scegliere un posto tanto orribile come quello? Perché la costringevano a combattere contro quelle ombre che non avevano mai smesso di far male? Il senso di colpa per essere stata per l'ennesima volta la causa di un guaio, un guaio che quella volta purtroppo non aveva portato a una semplice punizione ma a qualcosa di più terribile ed eterno. La figlia sconsiderata di Nana Shimura era l'amo migliore che fosse potuta capitare a qualsiasi cattivo che avesse voluto combatterla, figurarsi a uno come All For One che non desiderava altro che estirpare per sempre quel potere che lui stesso aveva creato. La figlia sconsiderata che, attirata dalla curiosità di un’avventura, si era inoltrata per quei locali abbandonati divertita all'idea di combattere contro qualche fantasma e qualche storia horror, ma era finita dritta nella trappola del nemico. La figlia sconsiderata che, per essere salvata, era costata la vita di sua madre.
Poteva ancora sentirle, quelle ultime supplichevole parole, rivolte a lei e Toshinori un attimo prima della fine, a chissà chi dei due in particolare. Un istante prima della fine, con tutta la forza rimasta, la supplichevole richiesta di una promessa...
«Prenditi cura di l...» ed era morta su quella elle interrotta.
«Devi ucciderlo, Toshi-chan. Prometti che lo farai».
L'urlo disumano alle sue spalle la strapparono dal passato appena in tempo per schivare un pugno.
«Merda» sibilò, rendendosi conto di essersi lasciata distrarre da quegli stupidi sentimenti e dai sussurri che il vento portava, spirando tra quelle colonne abbandonate. Saltò fuori dalla finestra, concedendosi un volo di almeno tre piani nel vuoto, e allungò una mano in avanti, verso il mostro.
«Facciamo un bel gioco» disse, arpionandolo e costringendolo a saltare con lei. Tirò i suoi fili, raggiungendolo, e usando il suo potere si assicurò di prendere il controllo del suo corpo. «Si chiama il Rodeo!»
Lo fece girare, in modo da guidarne l'atterraggio, e gli si mise sulle spalle. Sarebbe atterrata sicura al suolo, usando la forza del suo nemico per attutire la caduta, dopodichè l'avrebbe usato per correre più rapidamente nei corridoi e cercare Iida e gli altri due ragazzini. Ma qualcosa andò nel peggiore dei modi. Un ciack ben udibile, quasi assordante, l'essere si liberò dal suo controllo, strappando i fili, e le afferrò una caviglia.
«Cosa...?» sbiancò lei, poco prima di sentirsi lanciata verso il suolo con una potenza tale da toglierle il fiato. Un urto, un urlo, ma non fu opera del suo tremendo atterraggio dal cui non ne sarebbe uscita viva. Le faceva male la schiena, questo era vero, ma niente di irrimediabile se non un po' di polvere in gola.
«Perché mi hai lasciato indietro?» la voce collerica di Bakugou e solo successivamente ne sentì il calore delle mani ancora fumanti sulle braccia. L'aveva presa al volo, raggiungendola grazie allo slancio delle sue esplosioni, e l'aveva trascinata dritta al secondo piano, sfondando un muro già in parte distrutto. Aveva fatto male, ma non tanto quanto avrebbe fatto raggiungere il suolo a quella velocità.
«Moccioso» ridacchiò Nina, tossendo e cercando di rialzarsi. «Se ti avessi portato con me non saresti arrivato in tempo per salvarmi la vita e fare l'eroe».
«Non dire stronzate! Questo non l'avevi previsto, non è vero?» brontolò Bakugou e Nina si avvicinò al foro da dove erano passati, restando in parte nascosta e osservando il cortile due piani più in basso.
«No» ammise con uno strano tono rammaricato. «Questo non l'avevo previsto».
Aveva spezzato i suoi fili. Quell'essere era riuscito a spezzare i suoi fili con la stessa facilità con cui solo One For All poteva fare.
«Che razza di essere è quello?» domandò più a se stessa che al ragazzino alle sue spalle, e certo non si sarebbe aspettata una vera risposta, come invece fece: «È un Nomu, uno degli esseri di quel bastardo che ci ha attaccati alla UJS. All Might ne ha fatto a pezzi uno, ma a quanto pare ce ne sono altri».
«Nomu» impallidì Nina. Allora era vero, non era più solo un sospetto. All For One era lì, aveva nuovamente attirato in quel luogo la ragazzina sconsiderata, per tendere una trappola al nuovo One For All... ad All Might. E lei gli stava dando esattamente quello che voleva. Continuava ad essere quella ragazzina sconsiderata che mossa da dei dannati sentimenti si comportava impulsivamente, senza riflettere. Osservò il Nomu che nel cortile cominciò a voltarsi da tutte le parti, cercandola probabilmente, non capendo perché non riuscisse a  trovare il suo cadavere a terra.
Era un essere senza cervello, mosso solo da un potere incontrollabile, non aveva neanche capito che lei era stata salvata. Ma l'istinto non lo tradì e intuì almeno la strada da prendere, cominciando a correre verso l'ingresso che avrebbe portato all'interno dell'edificio dove erano rifugiati lei e Bakugou.
«All Might non deve venire» mormorò lei.
«Ma di che parli?» chiese Bakugou, irritato per la sua esitazione.
«È una trappola. Stupida, stupida, non impari mai» ringhiò lei, colpendosi la fronte ripetutamente con un pugno.
«Dì un po', ti sei bevuta il cervello?»
«Lo vogliono uccidere. Qui... proprio qui... come quel giorno» balbettò, cominciando a tremare. Se l'avessero ucciso, se l'avessero fatto per colpa sua, non sarebbe sopravvissuta. Sarebbe impazzita, sarebbe morta con lui piuttosto.
«Piantala con queste stronzate!» gridò Bakugou, furibondo. «All Might ne ha già sconfitto uno, può sconfiggere anche questo rammollito!»
La lotta contro All For One, cinque anni fa, l'ha lasciato indebolito.
«Chi cazzo credi che sia? Con chi cazzo credi di avere a che fare?»
Non avrei più la forza per combatterlo, se dovesse tornare.
«Ma soprattutto chi cazzo ti credi di essere tu? Tante stronzate sulla fiducia, quello stupido giochino dove ci hai fatto camminare a occhi bendati, tante puttanate sull'essere il burattinaio e poi te la fai sotto alla prima vera sfida. Non lo accetto! Io questo non lo accetto! Non me ne frega un cazzo di superare le nullità, l'immondizia come te non merita la fatica che sto facendo! Levati dai piedi, mezzasega, e lascia che sia qualcun'altro a fare l'eroe» la resa era ben diversa, ma l'effetto che quell'ultima frase scaturiva ero lo stesso rassicurante sollievo che si provava nel sentire Toshinori esclamare che ci avrebbe pensato lui. Non accettava che la sua mentore, colei a cui si era affidato totalmente, tremasse tanto di paura di fronte a qualcosa che era certo poteva gestire. Lei era quella che guardava il mondo dall'alto, il burattinaio di cui tremare, che non svelava la sua trama fino al giorno dello spettacolo e per questo faceva tremare di paura. Tutto quello che era era sfumato di fronte al terrore di rivivere quel terribile giorno, in un loop infinito, e vedersi sfuggire dalle mani la seconda persona che abbia amato più di tutte. Era così fragile. Ma era un eroe, nell'anima lo era sempre stata.
Lei era il burattinaio... poteva salvarlo. Poteva combattere, dirigere la scena con più padronanza di vent'anni addietro, poteva vincere.
«Vado a fare il culo a quella merda ambulante e poi vado a prendere a calci quell'idiota di Deku che si è lasciato catturare» annunciò Bakugou.
«Modera il linguaggio, moccioso!» lo rimproverò Nina, tornando in sé. Incrociò le braccia al petto e accennò un sorriso divertito. Quelle parole così dure e così piene di parolacce, alla fine avevano saputo dove andare a colpire per fare centro. L'aveva rassicurata, l'aveva incoraggiata e infine si era fatto carico di tutto, pronto a portare tutti in salvo. Dell’eroe non gli mancava niente. «Devi lavorare un po' sulla tua entrata in scena, ma con i contenuti direi che ci siamo. Ottimo lavoro, eroe» un appellativo che, Bakugou doveva ammetterlo, gli fece per un attimo venire i brividi dall'emozione. «Sei promosso al prossimo grado di aiutante» e Nina gli concesse un occhiolino.
Un rumore a poche stanze più avanti, un muro che crollava, un urlo disumano. Li stava cercando.
«Hai fatto un bel po' di caos, ci ha sentiti sicuramente, ma ho una buona notizia: non vuole te» spiegò lei.
«E tu che cazzo ne sai?» ringhiò lui.
«Lo so e basta. Seguirà e lotterà contro di me».
«Non mi lascerai di nuovo indietro, farò a pezzi quel bastardo» disse lui, con un sorriso eccitato in viso, facendo esplodere alcuni colpi.
«Se ti lascio qui dentro a combattere contro di lui non troverò mai i tuoi compagni! Non ho idea di dove siano, questo posto è immenso e non ho l'ampia visuale che potresti avere tu sorvolando con le tue esplosioni. Sei nettamente superiore a me in questo» e bastò questo a convincerlo ad ascoltarla. «Vai a cercarli, io te lo tengo in caldo per quando tornerai».
«Mi permetterai sul serio di combatterlo?» chiese lui dubbioso, già sapendo che stava cadendo in uno stupido tranello che faceva leva sul suo orgoglio. Nina sorrise, ma non rispose. Era ovviamente un no, eppure decise comunque di ascoltarla. Il muro venne sfondato e Nomu fece il suo ingresso in quella stanza nell'istante in cui Bakugou saltava giù dalla finestra. Urlò come un animale che aveva trovato la preda e Nina rimase immobile a fissarlo qualche istante: era dunque lui il risultato dell'immenso potere nemico che da secoli combattevano, l'immenso potere nemico che aveva dato origine alla sua dinastia.
«Vuoi One for All?» chiese lei, provocatoria. Perché era per quel motivo che lui era stato creato. «Vieni a prenderlo» e saltò giù dalla finestra alle sue spalle. Alzò lo sguardo, mentre cadeva verso il suolo e, come programmato, Nomu saltò giù dopo di lei, inseguendola. Lo arpionò rapidamente e lo usò come slancio per atterrare, sfondando la finestra del primo piano, prima che avesse potuto spezzare i suoi fili. Rotolò per l’eccessivo slancio, poi riprese a correre verso le scale che portavano al pian terreno. Si voltò e vide Nomu che sembrava l'avesse aspettata, oltre qualche colonna della grande sala che sarebbe dovuta essere la hall di quell'edificio. Nina sorrise di quel suo sorriso sadico e calcolatore, ma Nomu non aveva le facoltà mentali ideali per coglierne il pericolo. Proprio per questo si limitò a lanciarcisi contro, colpendo e distruggendo tutte le colonne che si trovava davanti. Nina cominciò a corrergli incontro, fissandolo in quel suo volto privo di espressione e umanità. Quando tra i due mancarono pochi metri Nina lanciò uno dei suoi fili, arpionò il braccio di Nomu e lo costrinse a uno scatto che non gli diede tempo di distruggerli. Uno scatto di tale potenza fu l'ideale a darle lo slancio a volare dall'altra parte dell'edificio, come lanciata da una fionda. Aveva usato il suo stesso nemico per evitare il colpo e correre di nuovo via. Conosceva bene quella forza sovrumana che rompeva i suoi fili, Toshinori era insopportabile quando la usava su di lei, ma se riusciva a coglierlo di sorpresa riusciva a fargli fare piccoli scatti e movimenti imprevisti. Con un essere senza cervello come Nomu era anche più semplice che con Toshinori, non avendo la consapevolezza di imparare dai propri errori.
Nomu la guardò qualche istante, poi partì alla carica. Nina corse via, attraverso altre colonne, attraverso una porta, dentro un'altra stanza, e poi di nuovo fuori, verso l'uscita. Ogni cosa nella corsa del gigantesco essere veniva travolta e distrutta, creando così una nuvola intorno a loro che rendeva sempre più difficoltosa la respirazione e la vista. Nina si coprì il volto con un fazzoletto, legandoselo dietro la nuca, e tornò a guardarsi intorno, cercandolo. Lo vide, lo provocò, lo fece correre e di nuovo lo superò, attraversando così ogni singolo centimetro di quell'enorme sala... travolgendo ogni cosa.
"Ci siamo" pensò lei, saltando fuori da una finestra, nel cortile esterno e lasciando che Nomu la seguisse. Un altro colpo improvviso, e si fece riscaraventare all'interno. Stesso giro, stessa mossa, correndo da ogni parte della stanza e facendo in modo che Nomu si scavasse la sua stessa tomba senza rendersene conto, privo di intelligenza com'era. Un cigolio del soffito le comunicò che era giunto il momento. Un altro muro, solo un altro muro, e fu quello che fece, costringendo Nomu a distruggere l'ultimo dei muri portanti. L'edificio tremò e in pochi secondi ogni cosa cominciò a crollare sopra le loro teste. Con un altro scatto, si fece scaraventare da Nomu fuori dall'edificio un istante prima che potesse cominciare a crollargli sopra la testa. Corse, si allontanò rapidamente, col fiato corto e le gambe tremanti di stanchezza, lasciandosi alle spalle un ammasso di cemento e mattoni distrutti che sovrastavano il suo nemico. Se era davvero forte come All Might non l'aveva ucciso, sicuramente, ma sperava che non fosse altrettanto forte da rialzarsi subito e limitarsi a restare lì sotto almeno il tempo necessario a trovare i ragazzini e darsela a gambe.
Un'esplosione non molto lontana, oltre il cortile centrale, terzo edificio, piani superiori. Una delle esplosioni di Bakugou, forse un segnale, ma conoscendolo era sicuramente più facile che stesse cercando di combattere qualcuno. Corse in quella direzione, attraversando completamente il luogo dove sua madre era morta, spezzando quell'incantesimo, diramandone il fumo come una mano che veniva sventolata di fronte a una sigaretta. E corse verso l'edificio dove aveva sentito Bakugou, pronta a distruggere anche quello se ci fosse stato bisogno.


Your heart is full of broken dreams
Just a fading memory
And everything's gone but the pain carries on
Lost in the rain again, when will it ever end?
The arms of relief seem so out of reach
But I
but I am here


Nda...


La scelta di questa canzone in realtà è un po' articolata. Ho voluto prendere spunto dal discorso e l'atteggiamento di Bakugou, anche se lui è sicuramente più irruento e meno piacevole in certi discorsi. Ha riempito Nina di insulti e come suo solito le ha detto di farsi da parte perché non era degna ecc ecc, ma in realtà, Nina lo capisce, è solo un modo tutto suo di dire "Hai paura? Ok, lascia che ci pensi io". Infatti è Nina quella che in questo momento ha "il cuore pieno di sogni infranti", che è "persa nella pioggia", con "tutto che se n'è andato, ma resta solo il dolore"... e in mezzo a tutto questo dolore, ecco che arriva il "but i am here".
Non è sola, come dice anche il titolo.
E nel suo modo volgare e ribelle, Kacchan glielo dice.
"I am here".
E questo le da la forza di rialzarsi, affrontare quel luogo così pieno di dolorosi ricordi, il terrore per ciò che potrebbe accadere a Toshinori e lanciarsi a capofitto nella battaglia.
Mi piaceva particolarmente dare a Bakugou il “I am here” (anche se parafrasato con il suo modo di essere) perché anche se testa calda e incontrollabile, comunque vuole essere un eroe e soprattutto vuole essere come All Might (che sappiamo bene tutti come abbia fatto del “I am here” una filosofia di vita XD), e Nina proprio in questo capitolo, proprio grazie a quelle parole, trova conferma del fatto che il ragazzino abbia tutte le carte in regola per essere il migliore. Insomma, anche se Nina si spacca la schiena contro Nomu e si trova a fronteggiare i fantasmi del suo passato tornando sul luogo di morte di sua madre, il capitolo lo dedico a Bakugou e al suo essere un eroe coi fiocchi, anche se a modo suo.
Vi lascio col fiato sospeso fino al prossimo capitolo per sapere come se concluderà questa faccenda del rapimento XD
Ringrazio ancora tutti i readers e Nathly che recensisce <3
A presto!


Ray



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Capitolo 29
*** Demons, Imagine Dragons ***


"Demons”, Imagine dragons





Salì lungo le scale a perdifiato, contando i piani man mano, in modo da riuscire a trovare immediatamente quello dove aveva sentito provenire Bakugou. Svoltò l'ennesimo angolo, superando un'altra finestra incompleta di vetro, quando si sentì afferrare per un braccio e venir trascinata via. Alzò lo sguardo sul suo nemico e vide un uomo dall'aspetto simile a quello di un'aquila. Volava e con gli artigli dei piedi l'aveva afferrata e trascinata fuori.
«Ti ho presa» gracchiò soddisfatto, ridendo, mentre saliva di quota e se la portava dietro. Sempre più in alto, sempre più in pericolo, eppure avrebbe dovuto saperlo che il burattinaio guardava sempre il mondo dall'alto, che quello era il suo personale palcoscenico.
«Sono io che ho perso te» sibilò Nina, prima di lanciare i suoi fili. Sorpreso, l'uomo perse per un attimo il controllo di sé, cadendo, riacquistando quota, andando a sbattere contro il muro dell'edificio, tornando a impazzire per aria senza riuscire a fermarsi, fintanto che non prese a volare in picchiata verso il quinto piano con un urlo.
«Siamo in fase di atterraggio, preghiamo di allacciare le cinture di sicurezza!» disse Nina, allungando le gambe in avanti e preparandosi a sfondare la finestra.
«Grazie per aver scelto Air Puppeteer!» l'uomo si schiantò contro il muro con una tale potenza che ne rimase stordito, mentre Nina entrava nella stanza del quinto piano. I vetri volarono ovunque, anche in faccia degli uomini che la videro entrare, in piedi, fermi e minacciosi, di fronte a Iida, Tokoyami e Kirishima, legati e inginocchiati a terra. Atterrò, aiutandosi con una mano per ammorbidire la caduta e infine si alzò lenta e sicura. Un inquietante sorriso sul volto, l'espressione eccitata del burattinaio nel pieno della sua scena.
«Ci sono qui io» disse e per quanto fossero le stesse parole rincuoranti che All Might dedicava a tutti coloro che salvava, le sue erano di una tale affilatura che mettevano i brividi. Non era il "sono qui io a salvarvi" di un All Might dedito alla giustizia e desideroso di aiutare le persone, era il "sono qui io a farvi a pezzi" di una burattinaia sadica e consapevole che non avrebbe risparmiato nessuno si fosse messo tra lei e il suo obiettivo. Eppure, nei cuori dei catturati, ebbe lo stesso effetto esaltante.
«Nina!» gridò Kirishima con entusiasmo, quasi alle lacrime. «Ora siete proprio nei guai, brutti idioti!»
Una provocazione che pizzicò le mani di uno degli uomini che l'avevano in ostaggio: si lanciò contro il ragazzino a pugno serrato, pronto a colpirlo, ma quel suo stesso pugno gli si ritorse contro e lo colpì, scaraventandolo a terra.
«Ma cosa...?» chiese, non capendo.
«Quelle sono le mie marionette migliori» sibilò Nina, fissandolo di traverso. Faceva chiudere la bocca dello stomaco dalla paura, ero lo sguardo omicida di chi era tutto tranne che un eroe. Ero lo sguardo di chi somigliava più a loro, criminali, che alla società dei puri. Eppure combatteva per salvare la gente... perché?
«Non vi permetto di torcere loro neanche un capello» la burattinaia che amava le sue marionette, che le pettinava ed agghindava, rendendole perfette per la scena e permetteva poi loro di prendersi le luci del successo, restando dietro le quinte. Ecco chi era Nina.
«Puppeteer» esclamò uno di loro, quello che sembrava meno scemo e più pericoloso. «Finalmente sei arrivata» sghignazzò.
«Lei è il burattinaio?» chiese incredulo un terzo, fissando Nina da capo a piedi. «Diamine, se sapevo che era una tipa del genere mi sarei preparato meglio» ghignò, leccandosi i baffi nello squadrare ogni centimetro del corpo di Nina. Quello sguardo le provocò il disgusto, ma aveva imparato col tempo e l'esperienza ad ignorare certi tipi di affermazioni. Restando ferma nella sua posizione decisa e minacciosa, studiò il nemico: otto uomini in tutto, di cui uno che sembrava il capo, quattro idioti che ridacchiavano al suo fianco e altri tre nascosti nell'ombra della stanza intorno a lei. Di loro avrebbe dovuto aver più paura, riusciva a sentire la loro pressione sulle spalle.
"Otto..." pensò, lievemente preoccupata. "Un volatile fuori dalla finestra e un Nomu che potrebbero riprendersi da un momento a un altro e intervenire. E io ho solo dieci dita".
Prenditi cura di l...
Dieci dita sarebbero state più che sufficienti. Un ghigno, l'equivalente del sorriso di All Might, ma più raccapricciante, più folle. Non era difficile credere che fossero cresciuti insieme, avevano le stesse abitudini, gli stessi principi, ma alla fine solo uno di loro riusciva ad essere adatto al ruolo di simbolo della pace. Tutto quello che faceva Nina metteva solo i brividi.
«It's Show time».
Un rapido tocco alla propria cintura e la musica cominciò a vibrare dentro quell'enorme stanza. Il capo di quel gruppetto la fissò, corrucciando la fronte: sembrava essere l'unico che avesse idea di cosa Nina stesse facendo realmente, l'unico che la guardava con gli occhi giusti. Era ovvio che sapevano che lei sarebbe arrivata e che si fossero informati precedentemente: l'effetto sorpresa non avrebbe funzionato, al contrario loro che invece erano sconosciuti agli occhi della donna. Potevano avere qualsiasi tipo di Quirk, avrebbe dovuto fare attenzione e improvvisare.
«Sei in netto svantaggio numerico e preparatorio eppure attacchi per prima. Sei davvero impulsiva come dicevano».
"Dicevano?" si chiese Nina, trovando ancora conferma alle sue teorie: c'era qualcuno dietro a tutto, non erano loro i veri nemici e non poteva che essere All For One. Mosse i piedi, prendendo il ritmo, e senza abbandonare il sorriso decise di prendere di mira proprio lui. Se avesse raggiunto subito il perno, intaccandolo, l'intero gruppo sarebbe stato lentamente disintegrato dall'interno. Cominciò a ballare, in quel suo particolare modo che vedeva protagonisti soprattutto mani e braccia, nascondendo le sue carte dietro a un insieme di movimenti inutili.
«Impediscile di muoversi. Devi bloccarle le mani» disse il capo all'uomo alla sua destra. Un ghigno sul volto di questo, poco prima che i propri capelli cominciassero a muoversi per aria come mille serpenti impazziti. Un istante di preparazione e infine questi si lanciarono contro di lei, allungandosi e percorrendo la distanza che li separava in pochi decimi di secondo.
«Credi che te lo lascerò fare tanto facilmente?» chiese Nina, saltando indietro ed evitando l'attacco. Un movimento di mano, nascosto dalla sua danza, e il filo percorse la distanza che separava lei e uno degli uomini nell'ombra. Mosse gli occhi, cercandolo, assicurandosi di averlo arpionato ma con sorpresa scoprì che non era più lì.
«Dietro!» urlò Kirishima, avvertendola. Lo sentì, percepì la sua presenza, la sua ombra appoggiata alle sue spalle e si voltò appena in tempo per vederlo, ancora coinvolto nel salto che l'aveva portato lì. In mano teneva serrato un pugnale che non esitò a far scendere nella sua direzione, percorrendo un arco che avrebbe coinvolto in pieno la sua gola se non fosse riuscita a indietreggiare per tempo. Un semplice graffio allo zigomo, riuscì a uscire dall'attacco indenne, ma l'uomo di fronte a sé sparì nuovamente.
"Invisibilità?" si chiese lei, guardandosi attorno con preoccupazione. I capelli del primo tornarono all'attacco e lei saltò un paio di volte, riuscendo ancora a schivarli. Per sua fortuna, non erano veloci abbastanza per lei. Un fruscio alla sua sinistra e d'istinto lanciò in quella direzione i suoi fili, arpionando il vuoto.
"Non è invisibile", riuscì a capire. "È solo dannatamente veloce, come un Ninja". Digrignò i denti, guardandosi attorno. Quei dannati capelli sembravano essere aumentati di volume, le occludevano la vista e i suoi fili ribalzavano su di essi, non essendo composti di fibra muscolare.
"Protegge i compagni e nel frattempo mi attacca. Non è affatto stupido" pensò continuando a schivare i suoi tentativi di colpirla, aiutata dal suo ballo, e intanto continuava a cercare un varco per raggiungere gli altri.
«Adesso» annunciò l'uomo dai capelli, un'indicazione per i compagni, un avvertimento per lei. I capelli si divisero in due fasci distinti e percorrendo la stanza da entrambi i lati la circondarono. In quell'istante, da loro, sbucarono l'uomo ninja e altri due uomini. Ognuno da un lato, pronti a colpirla su più fronti prendendola di sorpresa.
«Vi ringrazio» sibilò Nina con un ghigno. I tre uomini si bloccarono all'istante, arpionati dai fili di Nina che, aspettandosi un colpo come quello, si era premurata di lanciarli da ogni parte. In molti erano andati a vuoto, ma molti erano riusciti invece a colpirli, incastrati nella sua tela, bastava un solo filo per salire in vantaggio. Un muscolo storto e lei poteva avere tempo di lanciarne altri, catturandolo completamente.
«Adesso dammi una mano» ordinò, correndo verso uno di questi che, contro la sua volontà, si inginocchiò e mise le mani a barca. Nina ci piazzò un piede sopra e l'uomo la spinse verso l'alto, permettendole di saltare fuori dal cerchio di capelli che l'aveva intrappolata appena in tempo, prima che questi si stringessero. I tre uomini ne rimasero avvolti, legati, mentre lei riuscì invece a scapparne.
«Sei veloce» commentò l'uomo dei capelli, alzando lo sguardo per cercarla. Il cuore perse un battito quando notò la sua mano già tesa nella sua direzione. Neanche il tempo di cogliere i suoi movimenti che si sentì paralizzare, catturato.
«Non sai quanto» commentò Nina. «Scommetto che riesci a usarli grazie alla muscolatura della cute» disse lanciando uno dei suoi fili verso la testa dell'uomo. Il viso impallidito di quest'ultimo confermò la sua teoria prima che potessero farlo le sue azioni: prese possesso dei suoi capelli e li usò per tenere serrati i tre che aveva catturato, potendosi così liberare una mano. Le sarebbe bastato tenere in pugno l'uomo dei capelli per poter trattenere gli altri tre.
Uno sparo alla sua destra e Nina si voltò appena in tempo per cogliere lo scintillio di un proiettile sfiorarle il petto, centrando la spalla sinistra. Urlò colta da un dolore accecante e cadde a terra, stringendosi la spalla colpita.
«Nina!» gridò Kirishima, panico in volto, guardando la donna stesa a terra.
«Avevo mirato al cuore» commentò l'uomo che aveva sparato, con un tono deluso e rammaricato.
«Non hai sbagliato i tuoi calcoli, Automa. Tranquillo, le tue previsioni non sbagliano mai» lo rassicurò il capo, che ancora se ne stava fermo a braccia incrociate a guardare e godersi lo spettacolo. «È stata previdente, è da quando è entrata qui dentro che ha usato uno dei suoi fili per avvolgersi e proteggersi. Non è sufficiente a ricoprirla interamente, ma è abbastanza da limitare i punti esposti. Scommetto che hai concentrato la maggior parte della tua tela nei punti vitali a discapito delle zone meno importati, come appunto la spalla».
«Può evitare la morte sul colpo, ma non la salverà dal dissanguamento!» commentò una voce che provenne dalla pistola stessa con cui Automa aveva sparato. La voce di uno degli uomini che fino a pochi minuti prima era vicino al capo, ma che solo allora Nina si accorse era sparito. Non era difficile da capire quale fosse il suo Quirk: una trasformazione del proprio corpo che comprendeva anche, o forse solo, gli oggetti. Sicuramente le armi erano tra questi.
«Metamorphosis! Che ne dici di esplorare le sue zone scoperte? Un'arma bianca potrebbe andare meglio» suggerì il capo, osservando Nina che si rialzava stringendosi la spalla sanguinante. Il volto corrucciato dal dolore, la mano sinistra ancora tesa a bloccare l'uomo dai capelli prensili.
"Nonostante il colpo, non ha mollato la presa su Octopus e continua a tenerli tutti e quattro in pugno. Ha una tenacia di ferro. Sapevo che non mi avrebbe deluso" rifletté il capo con un ghigno divertito.
«Sarà un vero piacere» sghignazzò Metamorphosis prima di mutare ancora le sue sembianze, trasformandosi in una lunga spada seghettata. I denti, nei colpi, sarebbero rimasti impigliati nel filo che avvolgeva la donna e questo avrebbe permesso all'enorme intelligenza di calcolo di Automa di crearsi una mappa perfetta dei suoi punti scoperti.
Nina riassunse in breve tempo lo sguardo omicida con cui era entrata nella stanza, un ghigno divertito, e si tolse un nastro dai capelli avvolgendolo rapidamente sulla ferita impartitegli dal proiettile. Si aiutò con i denti per stringere il nodo, chiudendo la ferita come poteva. Faceva un male cane, ma lei non lo sentiva nemmeno.
«Siete delle marionette interessanti, ho proprio voglia di giocare con voi» disse con voce gracchiante e raccapricciante. Un ghigno tornò ad adornarle il volto e si alzò in piedi, pronta a tornare a combattere.
"Quattro bloccati, uno che si limita ad osservarmi, un  altro che resta vicino ai ragazzi per tenerli sott'occhio. Ho solo due nemici al momento, sarà facile" pensò, constatando che il grosso era stato fatto.
«Sto arrivando» disse Automa con voce apatica, fredda come quella di un robot e forse lo era davvero. Si lanciò rapidamente verso di lei, mentre Metamorphosis tra le sue mani rideva divertito e minaccioso.
«Adesso ti facciamo a pezzetti» gridò eccitato quest'ultimo, un attimo prima di scendere verso di lei. Nina riuscì a schivarlo e provò a lanciargli contro i suoi fili. Automa non accennò nemmeno a schivarli, sapendo che non ce n'era bisogno, in quanto rimbalzarono sulla superficie del suo corpo.
"Niente muscoli?" si chiese lei sorpresa, cominciando a capire. Forse era davvero un robot, o più semplicemente era un uomo che lo era diventato con il suo Quirk. Il suo nome suggeriva quel potere, che probabilmente lo rendeva perfettamente in grado di calcolare infinite possibilità come un vero computer a una velocità strabiliante. Metamorphosis incrociò i primi dei suoi fili protettori, passando attraverso solo per un minimo, graffiandola appena. Altri fendenti, altri graffi, protetta dai suoi fili indistruttibili che pian piano risultavano sempre più inutili. Automa stava realmente creando una mappa dei punti esposti e migliorava i suoi colpi di secondo in secondo, riuscendo a imparare le mosse che lei compiva di volta in volta per schivarlo. La sua capacità d'apprendimento e di memoria erano eccezionali e l'impossibilità di arpionandolo, essendo costituito probabilmente da lega metallica, la metteva in svantaggio. Ma lei era ancora il burattinaio di quella scena.
Una ciocca di capelli di Octopus volò nella loro direzione e si avvolse intorno ai polsi di Automa, bloccandolo.
«Ehy, è sleale!» gridò Metamorphosis.
«Sei inutile, se nessuno può usarti, non è così?» chiese Nina, guardando la spada con uno strano scintillio negli occhi. La non risposta che giunse le bastò come conferma.
«Se nessuno può usarlo, hai detto bene» commentò una voce alla sua destra. Metamorphosis cambiò di nuovo aspetto, diventando un lanciafiamme e saltò tra le mani di uno degli uomini che Nina aveva creduto di tenere in trappola con Octopus. Era libero. Lanciò uno sguardo alla direzione dove li aveva incatenati e vide la punta di quei capelli ardere ancora, bruciati, dissipati e probabilmente proprio per questo si erano liberati.
"Fuoco?" si chiese chi di loro avesse quel Quirk, ma rimandò a dopo quella domanda. Se lui era libero, anche gli altri due dovevano esserlo e tra loro uno era veloce come un fulmine, l'altro ancora non sapeva cosa fosse in grado di fare. Chi dei tre aveva quel potere ardente?
«Proteggiti da questo se ci riesci!» gridò con eccitazione l'uomo che deteneva Metamorphosis, prima di sparare.
«Idiota» commentò Nina. La mira dell'uomo venne deviata dai suoi fili e l'ondata di fuoco raggiunse Automa, invece che lei.
«Ma cosa...?» balbettò lui, mentre Automa rantolava a terra dal dolore.
"Allora non è completamente un robot, se riesce a provare dolore" riflettè Nina, trovando così il suo primo punto debole.
«Non sei molto sveglio, tu, vero?» chiese Nina, rendendosi conto di come il suo nemico non avesse calcolato il fatto che lei avesse potuto arpionarlo e usarlo a suo vantaggio.
«Ma come ti permetti?» ringhiò l'uomo, ma Nina non l'ascoltò, catturata dallo stesso fruscio che aveva sentito poco prima. Il fruscio che annunciava l'avvicinarsi dell'uomo veloce. Si voltò, lanciando i fili nel vuoto, ampliando il raggio d'azione, ma senza successo. Un altro fruscio, si voltò di nuovo: stava giocando con lei, continuando a distrarla, per poi attaccarla di sorpresa da chissà dove. E c'era ancora l'altro in giro per la stanza, chissà nascosto dove, senza contare che anche il capo e l'uomo che teneva sott'occhio i ragazzi avrebbero potuto attaccarla da un momento a un altro. Era nei guai, doveva riuscire a risolvere la situazione il prima possibile o sarebbe passata in svantaggio.
«Neanche tu» la voce provenne dall'angolo dove avevano legato i ragazzini e, pallida in volto, Nina si voltò a guardarli. Iida era stretto tra le braccia del terzo uomo che aveva catturato e che si era liberato da quei capelli. La sua mano era rossastra, sfrigolava, emanava fumo e vapore: ecco chi dei tre deteneva quel potere ardente. Quell'uomo era in grado di aumentare la propria temperatura corporea fino a livelli esagerati, tanto da diventare rovente. La sua mano sfrigolante si avvicinò al viso di Iida, che tremando tentò di allontanarsi come poteva, bloccato in quella posizione.
Un altro fruscio alle sue spalle, ma lo ignorò, catturata da quella scena e questo permise al ninja di avere la sua chance di colpirla alle spalle.
«Adesso...» gracchiò Nina, senza muoversi. Le iridi tanto minuscole da risultare inumane, dentro quegli occhi spalancati a dismisura, avrebbe fatto tremare chiunque, i muscoli si tesero tanto che era quasi possibile vederli a occhio nudo nella loro contrazione. Il ninja scese su di lei con un ghigno soddisfatto e con il proprio pugnale disegnò un arco, colpendola in pieno.
Un crack inaspettato e la lama andò in frantumi, sotto gli occhi sorpresi del suo assalitore. Il filo protettivo che si era avvolta intorno si era fatto più spesso e più intrecciato permettendole di uscire indenne da quell'attacco e rompere la lama del pugnale.
«Adesso mi avete proprio rotto» fu un istante, ma il capo di quel gruppo lesse nei suoi occhi omicida il pericolo appena in tempo, urlando: «Automa!»
Uno strano rumore, come quello di un nastro adesivo che veniva tirato rapidamente. Metamorphosis cambiò nuovamente forma, direzionando verso di lei la propria canna, deformandosi, nonostante l'uomo che lo stringeva puntava ancora verso automa. Il colpo venne esploso e la fiammata raggiunse Nina, travolgendola in pieno. Nello stesso istante il resto degli uomini si irrigidì, lasciandosi sfuggire un rantolio e poi caddero a terra inermi. Gli unici che non subirono quella sorte furono Automa, Metamorphosis e il capo di quel gruppo che era stato protetto dal corpo del primo, lanciatosi appena in tempo per proteggerlo. Dal fumo del colpo di Metamorphosis emerse la figura di Nina, ancora in piedi, leggermente china da un lato, la testa penzoloni in avanti, il fiato corto e il corpo interamente ricoperto di bruciature. Le sue mani tremavano impazzite, dalla punta delle dita violacee gocciolava del sangue, segno dell'immenso sforzo che aveva compiuto. Ma il suo sguardo era quello di chi aveva intenzione di uccidere, senza arrendersi, ignorando il dolore fisico. Lo sguardo folle di uno psicopatico, tanto che i ragazzi stessi la guardarono con timore.
«Hai un simile potere» commentò il capo, emergendo da dietro Automa. «Hai lanciato i tuoi fili con tutta l'energia che avevi, superando ogni possibilità fisica, riempiendo l'intera stanza così che nessuno fosse potuto sfuggirti, tranne i ragazzini che hai accuratamente schivato. Hai superato il tuo limite e hai usato la massima energia che avevi per mandare in arresto cardiaco i miei compagni. Dovevo aspettarmelo, alla fine anche il cuore è un muscolo, bastava trovare il modo per accedervi. E laddove non hai trovato una via diretta, considerando che alla fine le tue sono scariche elettriche, bastava calibrare il voltaggio a una potenza tale da risultare una vera e propria folgorazione».
«Li ha uccisi?» sibilò Kirishima, pallido in volto.
«Esatto» scoppiò a ridere l'uomo, voltandosi a guardare il ragazzino con una follia agghiacciante negli occhi. «Ecco a voi, signori e signore, pronto per l'esibizione più spettacolare della storia: il burattinaio!» annunciò con l'entusiasmo di un presentatore, accompagnando il tutto con un inchino, e lasciò infine spazio solo alle sue risate.
Nina continuò a fissarlo con quel suo sguardo agghiacciante, immobile, incapace di muoversi. Ogni cosa faceva un male accecante e le sue mani erano ormai inutilizzabili, ma la rabbia non le aveva ancora abbandonato i muscoli.
«Avanti, Nina. Non puoi certo negarlo... quegli occhi appartengono più a noi che a loro. La tua follia non appartiene a questo mondo di finto perbenismo, questo mondo pieno di ingiustizie, dove chi si proclama eroe in passato si dilettava a prendersi gioco di una ragazzina solo perché inquietante. Come si chiamavano quei compagni? Sbaglio o c'era un certo Hiro a capo del gruppo? Adesso si fa chiamare Storm, lo sapevi? Scommetto che lo sapevi. Non ti sarai persa neanche uno degli articoli a lui dedicati, le interviste in cui si congratulavano per il suo eroismo. Eroismo!» quasi urlò quella parola, mosso da un'irrefrenabile ilarità. «Come può definirsi eroico colui che umiliava e sottometteva un'innocente ragazzina che non desiderava altro che vivere in pace? Dillo, dì che la pensi come me! Hiro era un bastardo, non ha niente di eroico nel cuore, eppure il mondo lo acclama. Ti rendi conto? Non è accettabile e tu lo capisci bene, ne sono certo! Sei come noi, Nina. Lo sei sempre stata... e per questo tua madre non ha scelto te».
«Ti piace davvero tanto parlare, non è così?» ringhiò Nina, interrompendo il suo monologo. Un brivido lungo la schiena dell'uomo e una bizzarra consapevolezza che si faceva strada dentro di lui: che avesse commesso un errore?
«C'è posto per un solo burattinaio a questo mondo» sibilò con un ghigno. Quell'uomo era stato per tutto il tempo in disparte, dirigendo i giochi in silenzio, programmando ogni singola azione dall'esterno, tendendo i fili di una trama che aveva portato esattamente dove voleva lui: indebolirla dall'interno, arpionarla come lei faceva con gli altri, renderla parte dei suoi giochi. L'aveva spinta a commettere l'estremo atto di uccidere e ora tramite quelle parole aveva cercato di manipolarla, di sottometterla, prenderne il controllo. Ma lei conosceva fin troppo bene quel gioco, lo faceva da quando era nata, nessuno avrebbe potuto usare su di lei la sua stessa tecnica perché al mondo esisteva un solo burattinaio.
«Non sei degno di questo palcoscenico» aggiunse lei, facendogli correre una gocciolina di sudore freddo lungo la schiena. Uno degli uomini stesi a terra emesse un verso e con uno scatto si voltò di lato, tossendo e vomitando saliva.
"Non li ha uccisi" constatò l'uomo, aumentando ancora di più il panico nel suo cuore. Aveva fallito, forse aveva sottovalutato l'avversario, ma era stato certo fin dall'inizio di essere in grado di raggiungere i suoi scopi. Ci era sempre riuscito, aveva imparato dalla migliore, era sveglio, intelligente e potente abbastanza da riuscirci. Non poteva aver fallito, eppure era così: Nina non solo non era caduta nella sua trama, ma l'aveva lei stesso intrappolato nella propria. L'ombra del burattinaio, da quella prospettiva, serrava la gola dalla paura.
«Conosci la mia storia, la storia della mia famiglia» osservò lei. «Imiti il mio modo di fare, credendoti degno, e probabilmente è qualcosa su cui hai lavorato molto visto l'attenzione posta ai particolari. Mi hai osservato e studiato a lungo, a quanto pare. Non mi importa niente di chi tu sia e da quanto tempo mi tieni d'occhio, per quanto mi riguarda potresti essere uno stalker come un altro, di fan fuori di testa ne ho a bizzeffe. Sei uno come un altro. E non sei alla mia altezza».
L'uomo cominciò a tremare, ormai scoperto, ormai caduta la sua maschera, si sentiva così frustrato, così arrabbiato. Tutto quel lavoro, tutto quello che aveva fatto fino a quel momento lei l'aveva distrutto con così poco. Come riusciva a essere così superiore? Come poteva una come lei decidere tutte le volte di restare dietro le quinte, permettendo a uno come All Might di prendersi tutto il merito. Come aveva potuto accettare di restare indietro, lei che ai suoi occhi era la cosa più enorme che avesse mai visto. E lui, che tanto aveva fatto per raggiungerla, per superarla, veniva ora schiacciato come un moscerino.
«Sei tu che non sei alla mia altezza!» gridò lui, furibondo, folle dalla rabbia. Allungò una mano verso Metamorphosis, che tornò a prendere le sembianze di un lanciafiamme, e saltò nelle sue mani. L'uomo si voltò di scatto verso Iida, uno sguardo folle a decretare il suo desiderio a spazzarlo via, quel palcoscenico. Se non riusciva a superarla, allora avrebbe distrutto ogni cosa. Senza marionette e senza palcoscenico anche il migliore burattinaio del mondo diventava un uomo inutile come un altro.
Avrebbe distrutto ogni cosa.
Un fremito nel cuore di Nina, il terrore di ciò che sarebbe accaduto, il dolore che le impediva di muoversi. Aveva usato tutta la sua forza in quell'ultimo attacco, le mani facevano così male da non riuscire a sentirle, non era in grado di muoversi né di lanciare fili.
Ma l'eco di quei fantasmi era così forte tra quelle mura.
Prenditi cura di l...
Urlò dal bisogno di trovare la forza o per il dolore che lo sforzo le recava. Non le interessava sapere a chi fosse rivolta quella preghiera, non le interessava sapere se quella elle lasciata in sospeso significasse lui, parlando a Machiko stessa, o lei, rivolta a Toshinori. Non le interessava, perché tutto ciò che contava era il prendersi cura... sempre, di chiunque.
Si lanciò su Iida, voltando le spalle al suo aggressore, e lo avvolse tra la braccia, spingedogli la testa contro la propria spalla, proteggendogli il volto usando il proprio corpo come scudo. Un abbraccio, delicato quanto deciso, che lo avvolse non solo nel corpo per proteggerlo dal colpo fisico, ma proteggeva la sua anima. Un abbraccio sicuro, che trasmetteva a gran voce la rassicurazione di un "non temere, perché ci sono qua io".
Era così avvolgente, che Iida non riuscì ad aver paura di quanto stesse accadendo. Aveva davvero la stessa potenza del sorriso di All Might, tanto che per un attimo si chiese chi dei due avesse insegnato all'altro come si faceva. Dubitando per un istante che il grande eroe non fosse il reale creatore e artefice di quella magnifica aura che era riuscito a costruirsi e che faceva così bene alla gente. Quel calore... era così puro.
Il calore delle fiamme l’avvolse e Iida potè sentirla lamentarsi per il dolore, piangere, ma con un filo di voce, impedendo al suo nemico di avere la soddisfazione di rendersi conto quanto fosse al limite. Se non fosse stato per i suoi fili sarebbero morti entrambi sicuramente, ma ancora una volta la tela del ragno aveva loro salvato la vita, anche se a caro prezzo delle ultime forze di Nina.
«Kaboom» mormorò lei, con un filo di voce, l'ultimo accenno di forza che aveva. Il sorriso sul volto, la sicurezza che anche in quella situazione i suoi fili avevano avuto la meglio. Lo show andava avanti secondo le sue previsioni.
«Muori!» l'urlo di Bakugou echeggiò nell'intera stanza un istante prima che uno dei suoi colpi esplodendo travolgesse l'uomo che stava sparando con Metamorphosis. Il getto del lanciafiamme cessò e l'uomo cadde a terra con un rantolo, facendo volare via Metamorphosis. Cercò di rialzarsi rapidamente, ma si trovò il palmo aperto del ragazzino puntato dritto in faccia, ancora fumante.
«Prova e battere anche solo le ciglia e ti faccio esplodere quel brutto muso che ti ritrovi» minacciò.
«Automa!» gridò l'uomo, furibondo, e il compagno non si fece chiamare due volte, scattando verso il ragazzino.
«Fermo dove sei, bellezza» una voce femminile, fresca e allegra, anticipò Automa che, sorpreso, deviò il colpo con un tale slancio che cadde a terra. Satsuki fece dei passi all'interno della stanza osservano uno schermo luminoso sul proprio avambraccio, continuava a premere tasti come impazzita, corrucciandosi. Di fronte a lei, Automa rispondeva a ogni click con movimenti incontrollati e quasi comici, sobbalzando, ribaltandosi, scalciando o tirandosi pugni da solo. Metamorphosis, scaraventato dall'altra parte della stanza, tornò umano e quatto nell'ombra cercò di correre verso la finestra.
Heikichi, sulla soglia della porta, volse a lui lo sguardo. Una fonte di calore, un movimento, era uno stupido essere umano che tentava la fuga e anche se nascosto dall'ombra e dalle macerie era più che visibile ai suoi occhi.
«Lady Bug» chiamò al suo fianco e Akane sorrise, prima di esclamare: «Visto!» piegò leggermente le gambe, prima di spiccare un salto tanto lungo da riuscire ad arrivare dall'altro lato della sala, il salto di una cavalletta di dimensioni umane. Gli atterrò addosso e lo sbattè a terra, puntandogli alla gola un pungiglione che sporgeva dal polso. La forza di uno scarabeo, le capacità di salto di una cavaletta, la silenziosità di volo di una farfalla e il veleno di un ape che le scorreva nelle vene: aveva dentro sé tutte le qualità che il mondo degli insetti poteva offrirle ed era sufficiente a renderla una degli eroi più temuti di tutta Tokyo. Di contro c'era che non appena le temperature calavano leggermente lei perdeva tutti i suoi poteri, come se gli insetti che dentro lei le davano la forza morissero, ed era estremamente sensibile agli odori. «Hai mai provato com'è essere punto da un'ape di dimensioni umane? Se ci tieni posso mostrartelo» disse lievemente minacciosa, convincendo l'uomo a restare steso a terra.
«Midoriya! Todoroki! Siete salvi!» osservò Tokoyami, guardando con sollievo i due compagni alle spalle di Spectrum. Insieme a loro c'erano anche Uraraka, Yaoyorozu e Ashido, che dopo aver incontrato i tre eroi arrivati allarmati dalla chiamata di Nina li avevano accompagnati nel luogo dove Iida aveva continuato a mandare il segnale GPS. Per strada si erano imbattuti in Bakugou, intento a combattere da solo un gruppo di uomini che sembravano ben intenzionato a intralciargli la strada, e insieme avevano infine raggiunto Nina. Nina che ancora restava immobile, le braccia inermi intorno al collo di Iida, la testa oltre la sua spalla e l'intero corpo appoggiato al suo, ormai inerme.
«Nina! Nina, rispondi! Aiutatemi! Non si muove, aiutatemi!» la chiamò Iida, allarmato, non potendo fare altro se non sostenere il suo peso per evitare che cadesse a terra, avendo ancora mani e piedi legati. Spectrum corse verso di loro e afferrò l'amica, sorreggendola e osservando il suo volto. L'espressione rilassata, che non sembrava affatto quella di chi aveva combattuto una lotta sfiancante, ma gli occhi chiusi e il respiro quasi impercettibile. Iida strinse i denti e non riuscì a trattenere le lacrime che presero a rigargli il viso, stritolato dai sensi di colpa legati forse non solo a ciò che era appena successo, ma anche al fatto che non avesse mai avuto fiducia in lei. Era stato ingiusto, solo perché spaventato dal suo potere, l'aveva trattata esattamente come quell'Hiro di cui aveva parlato poco prima l'uomo a terra. Il ragazzo che si proclamava eroe, ma poi la disprezzava e la combatteva senza che lei avesse mai fatto niente per meritarsi un simile odio, se non essere incompresa. Era terrificante, ma si era comportata come nessun'altro avrebbe fatto. E nonostante lui l'avesse disprezzata a tal punto, lei si era quasi fatta uccidere per quelle che considerava le sue "marionette migliori". Si era quasi fatta uccidere per salvarlo, non facendosi mancare niente dell'eroe che era in realtà anche se nessuno continuava a crederle.
«Sta bene» disse Spectrum riuscendo a scorgere il calore del suo respiro, il calore nel petto derivante dalle pulsazioni del cuore, regolari. «Ha solo perso conoscenza, ma è viva. Non struggerti» disse Spectrum, consolando il ragazzino in lacrime.
«Accipicchia se sei complicato» sospirò Satsuki, ancora impegnata a giocare con Automa, grattandosi la testa confusa. «Probabilmente dev'essere perché non ho mai manipolato un automa prima d'ora, sei incredibilmente affascinante! Ma tranquillo che nessuna macchina è incomprensibile per TechnoGirl, presto conoscerò ogni tuo singolo bit. Mi chiedo che razza di Quirk ti abbia ridotto a queste condizioni».
«Solo un'incredibile intelligenza legata all'ambizione dell'immortalità» spiegò l'uomo a terra, sotto il tiro di Bakugou. Il volto rassegnato, di chi ormai sa di aver perso, non avrebbe più lottato, perciò non gli restava che scoprire le sue carte in tavola, lasciando la scena nel migliore dei modi che conosceva. Il modo che Nina gli aveva insegnato: dando spettacolo, prendendosi la sua scena, nella speranza che almeno qualcuno all'interno della sala avesse potuto applaudirlo alla fine dell'opera.
«Si è costruito da solo quel corpo, impiantando il proprio cervello e la propria coscienza al suo interno, prima era solo un uomo come un altro in grado di calcoli matematici folli».
«Da brivido!» esclamò Satsuki, impallidendo.
Un sorriso adornò il volto dell’uomo steso da Bakugou e l'espressione si fece rilassata, prima di sospirare affranto: «Non mi ha nemmeno chiesto come mi chiamo e quale Quirk io abbia. Nina, grandissima Nina, mia adorata Nina, neanche immagini quanto ti abbia amata fin dal primo giorno del nostro incontro, quando mi salvasti da quell'incidente sul ponte. Tu probabilmente neanche ti ricordi di quel bambino dagli occhiali spaccati che ti guardava ammaliato mentre combattevi contro quel gruppo di criminali usando una sola mano, mentre con l'altra mi tenevi tra le tue braccia».
«Wow, una dichiarazione d'amore coi fiocchi» osservò Satsuki, alzando un sopracciglio derisorio per l'incredibile melodrammaticità di quelle parole. «Se fosse stata sveglia ti avrebbe firmato un autografo».
«Scusami, Romeo innamorato, spiegami perché diamine hai provato a ucciderla allora? Hai qualche rotella fuori posto?» chiese Akane, dall'altra parte della stanza, tenendo ancora in pugno Metamorphosis. L'espressione dell'uomo mutò, trasformandosi in una colma d'ira. «Non volevo ucciderla!» urlò. «È lei che si è buttata in mezzo! Io la volevo solo con me! Volevo che capisse e si unisse alla mia battaglia! Perché è quello che merita! Stupida! Stupida che non capisce la sua superiorità! Quel giorno mi salvò la vita, sconfisse parte dei criminali con una capacità sorprendente e un'espressione fantastica sul volto. Cominciai a desiderare ardentemente di diventare come lei, volevo essere così eccezionale, ma poi è arrivato All Might!» pronunciò quel nome con un ringhio. «Ha concluso il lavoro che lei aveva già svolto brillantemente e si è preso tutta la gloria! Falso, bugiardo e vile! E lei» un singhiozzo, un rantolio, qualsiasi verso fosse gli uccise le parole in gola e dovette prendere fiato per riuscire a concludere la frase, cominciando a graffiare il pavimento dalla rabbia. «Lei si è fatta da parte. Con quel suo sorriso soddisfatto, come se avesse vinto lei, si è fatta da parte e lo guardava prendersi il successo! Il SUO successo! Perché? Perché sei così ottusa? Così stupida! Perché guardavi lui e non hai degnato me di uno sguardo! Non mi hai nemmeno chiesto il mio nome, mentre per un lurido stronzo come lui eri disposta a rinunciare a tutto. Non è al tuo livello eppure brillavi per lui! Cos'ha che io non sono riuscito ad avere! Cosa?!» gridò furioso, sempre più agitato, sempre più folle, e con sorpresa fu Bakugou a rispondergli con una calma tanto innaturale da colpire nel profondo: «Tu non sei in grado di spezzare i suoi fili».
Era tanto ovvio che non meritava nemmeno l'energia nel dirglielo, non c'era niente da spiegare, niente da aggiungere, il motivo era quello, semplice ed evidente. Solo chi dimostrava di essere in grado di contrastarla, salendo sopra il palcoscenico, raggiungendola, soprassandola, solo chi riusciva a non farla sentire sola e maledetta meritava la sua ammirazione.
Il respiro dell'uomo di fece sempre più serrato e con gran fatica riuscì a chiedere con voce roca: «Tu si?»
Chi era quel ragazzino che la conosceva a tal punto? Chi era quel ragazzino che aveva la risposta a una domanda che lui per anni si era posto, quel ragazzino meritevole di un tale onore.
«Io sì» disse Bakugou con sicurezza. Ci stava ancora lavorando, ma non era quello l'importante. L'importante era che ne fosse in grado, Nina lo sapeva che lui poteva riuscirci e ciò bastava. L'allenamento l'avrebbe reso in grado di realizzarlo, ma ciò che importava era che lui avesse la capacità, che lui avesse alzato lo sguardo, l'avesse fissata sopra il suo palcoscenico e privo di paura avesse cominciato a scalarlo per raggiungerla. L'aveva fatto il primo giorno, quando era stato il primo a offrirsi volontario ed era riuscito subito a comprenderla senza usare i trucchetti di Midoriya, semplicemente osservandola aveva compreso ogni cosa anche se non la conosceva. Lui era degno, ecco tutto.
«Capisco» sospirò l’uomo a terra, tremando probabilmente nella fatica di trattenere qualche lacrima amara. «E così ha scelto te».
Tanti anni a rincorrerla, ad affinare la sua tecnica, a migliorarsi e imparare ad essere esattamente come lei, osservando e seguendola anche negli anni in cui aveva lasciato il suo lavoro di eroina per concentrarsi su quello di cantante. Anni di ossessione e di duro lavoro e poi un moccioso con ancora il pannolone lo superava con tale facilità, prendendo il suo posto, diventando il suo prediletto e nuova stella da osservare dal lato strada. Tanto duro lavoro, un'intera vita dedicata solo a lei, mandandole lettere a cui non sempre rispondeva, email, seguendola in tournée, pagando qualsiasi prezzo per incontrarla nel backstage, lottando contro centinaia di persone per riuscire anche solo a stringerle la mano, pregandola di renderlo quel burattino prediletto a cui lasciare la scena ed osservare mentre la folla lo acclamava... e uno stupido ragazzino che neanche sapeva chi era, probabilmente, in pochi giorni aveva ottenuto quello che lui aveva sempre desiderato. Così poco. Così frustrante. Ma se l'avesse superato, allora magari lei...
Allungò una mano improvvisa verso il collo del ragazzino, uno sguardo folle, omicida, e la chiara intenzione di usare il suo Quirk, qualunque esso fosse, per distruggerlo. Se fosse fosse morto, se lui l'avesse ucciso, avrebbe dimostrato a Nina di essere migliore... e anche se non l'avesse fatto, almeno avrebbe tolto di mezzo chi gli aveva calpestato in quel modo l'intera esistenza. Bakugou indietreggiò con la testa, ma riuscì comunque a vederla quella mano che lo raggiungeva, che lo sfiorava e inutile fu il colpo che fece partire dal suo palmo. La sua furia era tale da dare al braccio il giusto slancio a raggiungerlo ugualmente. Ma la mano non raggiunse mai il ragazzino, deviò, lo sfiorò e tornando indietro rimase bloccata a pochi centimetri dal proprio volto ustionato dall'esplosione di Bakugou. Digrignò i denti, ma sorrise quasi compiaciuto: «Dunque è questa la sensazione che si prova. È così disarmante e terrificante, anche meglio di come l'avevo immaginata» e una risata, mista al dolore, gli gracchiò la gola.
«Psicopatico» gli disse Nina, osservando l'uomo da oltre il braccio di Spectrum che ancora la sorreggeva. Un occhio ancora chiuso, l'altro aperto a malapena, il braccio disteso a terra ma il dito, l'unico che fosse stata in grado di muovere, ben puntato a lui e al suo braccio ora bloccato. Si era svegliata appena in tempo e aveva usato quel filo di energie che gli erano rimaste per salvare Bakugou, deviando il colpo dell'uomo.
«Non ho idea di cosa tu abbia voluto fare con quella schifosa mano, ma non ti permetto neanche di sfiorare la mia marionetta migliore. Potresti insozzarla proprio prima del suo grande esordio, sarebbe terribile» sospirò, cercando di riacquistare le forze.
«Machiko!» urlò Satsuki, correndo verso Spectrum e inginocchiandosi per raggiungere l'amica. «Come ti senti?»
«Fresca e riposata! Questa vacanza mi ci voleva proprio per riprendermi dalla fatica del lavoro» ironizzò, allungando verso di lei una mano tremante. Satsuki l'afferrò e l'aiutò ad alzarsi, portandosi il braccio dell'amica intorno al collo. Heikichi, dall'altro lato fece altrettanto ed insieme la tennero in piedi.
«Legate quel pazzo, prima che possa decidere di togliersi la vita per attirare la mia attenzione» disse Nina.
«La tengo io, pensaci tu» disse Heikichi a Satsuki, che annuì e lasciò Nina sorretta solo dall'uomo. Corse da Yaoyorozu e si fece aiutare dal suo Quirk per creare lacci e catene abbastanza resistenti da usare per legare i criminali che giacevano ormai sconfitti. Heikichi accompagnò Nina vicino a una sporgenza nel muro e l'aiutò a sedersi, per rimettersi in forze, mentre aspettava che Satsuki terminasse di legare tutti.
«Siete riusciti a trovarlo» osservò Nina, guardando Midoriya ancora fermo sulla porta che si agitava e chiedeva come avesse potuto aiutare.
«Non è stato difficile, c'erano un gruppo di uomini a tenerli sotto sorveglianza ma nessuno di loro meritava l'allarme di terzo livello».
«Nessuno...» rifletté lei, cercando di rimettere insieme i pezzi. «Vorrei chiederti scusa per averti allarmato tanto, ma sinceramente non ci riesco. Se non foste arrivati in tempo non so se ce l'avrei fatta a portarli in salvo».
«Va bene così, erano in molti e avevi bisogno di aiuto. Indipendentemente dalla gravità della situazione, dovevamo venire. Dimmi solo una cosa... con allarme di terzo livello intendevi davvero lui? Credevo fosse morto».
«Lo credevo anche io, ma pare che non lo sia» sospirò Nina, cercando di sgranchire la schiena dolorante. Ogni cosa faceva un gran male, era ridotta a uno straccio, ci avrebbe messo mesi a guarire del tutto e Drew le avrebbe rotto le palle per tutta la vita. Ma almeno i ragazzini erano salvi e lei era riuscita ancora una volta a gestire quel difficile palcoscenico.
«Quello psicopatico conosce la mia storia e probabilmente sa di One For All, per questo ha preso Midoriya» disse guardando l'uomo ancora steso a terra, ormai sotto shock e ancora intento a ridere come un folle.
«Che c'entra Midoriya con One For All?» chiese Heikichi, strabuzzando gli occhi.
«Me lo chiedo anche io, ma pare che Toshinori abbia visto del potenziale in lui» sospirò Nina affranta. «Bah» commentò infine.
«È l'erede?» chiese Heikichi, sconvolto.
«Già. Probabilmente quel folle lo sapeva, mi inquieta sapere di essere stata stalkerata a tal punto. L'ha catturato per allarmarmi e costringermi a venire qui di corsa. Sicuramente sa di questo posto, di mia madre, e ha cercato di fare leva sulla mia suscettibilità. Mi dispiace, mi sono fatta influenzare» confessò, ammettendo di aver forse esagerato.
Ma qualcosa ancora non era chiaro... "Perché Nomu?"
Era una macchina di All For One, su quello non poteva pioverci. Aveva tutte le caratteristiche che portavano a lui e al suo Quirk, la sua capacità di rubare e impiantare poteri negli altri, costringendoli a diventare poi amebe incapaci di ragionare per l'eccessiva sollecitazione. Le analisi portavano a lui, Nomu era una creazione di All For One in tutto e per tutto e Bakugou aveva confermato che lo fosse. Che fosse stato un caso? O magari un misero aiuto mandato da All For One alla causa persa di un pazzo senza speranza? Forse sapeva che chi voleva attaccare fosse proprio lei, la stessa Machiko che aveva usato come ostaggio anni addietro per attirare e uccidere Nana.
Le coincidenze erano troppe, ma ancora accettabili, soprattutto vista la facilità con cui ne erano usciti, senza neanche aver bisogno di All Might.
"Perché Nomu?"
«Siamo pronti, andiamo» annunciò Satsuki, avvicinandosi alla porta con appresso i prigionieri, compresi quelli privi di coscienza, stesi in un carretto creato sempre abilmente dalla piccola Yaoyorozu. Nina si allungò per cingere il collo di Heikichi e aiutarsi così ad alzarsi e camminare dietro di loro, ma fu in quell'istante che lo vide. Il sorriso sul volto dell'uomo psicopatico era cambiato. Era cambiato così drasticamente da far venire i brividi: somigliava così tanto al suo.
«No» mormorò nell'istante in cui tutto fu più chiaro. Era una trappola, era tutta una trappola fin dall'inizio per riunirne il più possibile in un unico punto e rendere lei più inoffensiva. Nomu non era stato un caso.
«Satsuki! Via di là!» gridò troppo tardi, nell'istante in cui un altro Nomu sfondò il muro e li travolse. Le macerie volarono ovunque, la stessa Satsuki, insieme a Yaoyorozu e Uraraka al suo fianco vennero scaraventate via, gli altri ragazzini vennero coinvolti dai colpi delle macerie, dall'intensità della forza che Nomu aveva usato per entrare, facendoli cadere e volare in giro. Nina si portò una mano al viso, proteggendosi dalla polvere e dai calcinacci e indietreggiò insieme a Heikichi.
Un uomo minuto entrò dietro l'essere gigantesco, vestito di una semplice tuta e il corpo ricoperto di mani che lo stringevano. Una in particolare, posta sulla faccia, impediva di scorgerne il viso, di riconoscerlo, rendendolo un perfetto qualunque vestito di mani e un paio di tubi che chissà a cosa servivano.
«È permesso?» ridacchiò con la sua voce roca e disarmonica come il suono di un violino discordato. Rise, per quanto la sua apatia gli consentisse, e con un inquietante divertimento chiese: «Possiamo unirci alla festa?»


I want to hide the truth
I want to shelter you
But with the beast inside
There’s nowhere we can hide
No matter what we breed
We still are made of greed
This is my kingdom come
When you feel my heat
Look into my eyes
It’s where my demons hide

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Capitolo 30
*** Savin me, Nickelback ***


"Savin me”, Nickelback




Nina, inginocchiata a terra, incapace di reggersi sulle sue stesse gambe, fissò l'uomo alla porta che seguiva Nomu. Non l'aveva mai visto prima, ma il cuore le urlava tutta la sua pericolosità. Restava immobile, alle spalle della sua arma umana, con una sicurezza e una tranquillità che ghiacciava il sangue nelle vene.
«Machiko Sakamoto» chiamò in uno sghignazzo. «Allora sei venuta davvero, non ci credo. Avevano ragione, sei identica a lui. Folle e prevedibile come All Might, solo molto più sconsiderata e ingenua» e rise, divertito.
«Chi diamine sei tu?» mormorò Nina a denti stretti, lottando contro il dolore, pregando il proprio corpo di resistere ancora un po'.
«Che importanza ha?» ridacchiò ancora, grattandosi nervosamente il collo. «L'importante è quello che farò. E io vi distruggerò, tu e quel bastardo di All Might. Farò cadere questo mondo di falsi ideali».
Non era All For One, se lo ricordava il volto di quel bastardo, e quell'uomo che tanto sembrava un ragazzino nel comportamento non aveva niente di lui se non le folli aspirazioni. Non sapeva chi era, ma sicuramente era una via diretta che avrebbe portato a lui, o avrebbe portato loro da lui, tutto dipendeva da come sarebbe andata a finire. Lanciò un veloce sguardo intorno a sè, osservando i ragazzini che si rialzavano dalle macerie con il viso pallido, guardando Nomu come se avessero visto un fantasma. Non aveva altra scelta... il sipario non era ancora calato.
Si alzò in piedi, barcollando, digrignando i denti dal dolore, ma riuscì a rimettersi in piedi.
«Spectrum, il tuo Quirk è il più svantaggiato in un combattimento. E loro non hanno niente di elettronico addosso, anche TechnoGirl rischia di avere difficoltà. Occupatevi dei ragazzini, portateli in salvo. Io e Lady Bug li terremo impegnati».
«Non ti reggi in piedi, folle!» gridò Heikichi, guardando l'amica con preoccupazione.
«Io difficoltà? Amica mia, mi sottovaluti!» gridò Satsuki, afferrando una capsula dalla propria cintura e lanciandola contro Nomu. Un paio di rapidi pulsanti sul proprio avambraccio e la capsula volò letteralmente su una spalla del mostro. «Non sono inutile!»
Un altro pulsante venne premuto e una scarica elettrica attraversò completamente il corpo di Nomu, facendolo urlare.
«Tsk» sorrise soddisfatta Satsuki.
«Non è così...» cominciò a dire Nina, ma venne interrotta dallo stesso Nomu che con un colpo si schiacciò la capsula sulla spalla come fosse stato un insetto e la distrusse. Un altro urlo e si lanciò con uno scattò incredibile contro Satsuki, pallida in viso, incapace di muoversi per l'incredulità di una tale forza.
«Satsuki!» gridò Nina, lanciando i suoi fili contro la donna. Riuscì ad arpionarla e farla saltare via in tempo per schivare il potente pugno dell'essere, subendone solo l'onda d'urto che fece comunque male ma certo non come se fosse stata travolta completamente. Sbatté la schiena contro il muro, sputando per il terribile colpo, incapace perfino di urlare per il fiato mozzo. Ma riuscì comunque a resistere e restare cosciente.
«TechnoGirl!» chiamò Uraraka, preoccupata.
«Oh no, Nina!» gridò Heikichi, afferrando l'amica prima che potesse crollare a terra. Dalla punta delle dita usciva sangue a fiotti e la mano le faceva talmente male da tremare come impazzita. Il volto corrucciato dal dolore, i lamenti che le uscivano dalla gola. Faceva così male, faceva troppo male. Le sue mani erano allo stremo, non sarebbe riuscita a generare altri fili e lanciarli.
«Portali via di qui, Heikichi!» gridò sforzando la voce a tal punto che non riuscì a mantenerne l'intonazione. «Devi portarli via, te ne prego! Porta via i ragazzini, ora!»
Una tale disperazione non era sicuro di averla mai vista sul volto della donna se non il giorno della morte di sua madre. Raramente permetteva alle sue vere emozioni di uscire allo scoperto con una tale facilità, preferendo di solito nascondere tutto sotto uno sguardo apatico o un sorriso sadico. La sua debolezza la proteggeva disperatamente, ma non riuscì a farlo quella volta, consapevole del reale pericolo che si trovavano di fronte, disperata all'idea di veder morire anche solo una di quelle persone. Nessun fantasma doveva aggungersi a quelli già presenti in quel luogo. Quel dolore raggiunse ogni angolo di quella stanza, travolgendo chiunque fosse presente, e proprio quel dolore probabilmente diede la forza ad Ashido di alzarsi in piedi e correre verso il muro che dava sull'esterno. Nomu la vide e si preparò a correrle dietro, attirato dal suo movimento, pronto a colpirla.
«Ehy, grassone! Da questa parte!» gridò Kirishima un istante prima di disintegrare un pezzo di muro crollato a terra, usando il suo indurimento. Uraraka si lasciò cadere sui pietrigli, toccandoli tutti, facendoli galleggiare e man mano che salivano Iida li colpiva a calci, usando il suo Quirk per aumentare la forza d'impatto, trasformando ciascuno di essi in un vero e proprio proiettile. Un attacco inutile dal punto di vista offensivo, al mostro facevano solo il solletico, ma lo distrassero da Ashido che ebbe tempo, usando il suo acido, di sciogliere la muratura e aprire una breccia che dava sull'esterno.
«Corda in arrivo, Tokoyami, fissala da qualche parte» gridò Yaoyoruzo.
«Dark Shadow, lassù, presto!» gridò Tokoyami, facendo uscire dal suo corpo l'ombra con cui condivideva l'esistenza. Dark Shadow prese la corda di Yaoyorozu in bocca e volò verso un gancio che sporgeva dal soffitto, ideale al suo scopo, pregando solo che fosse abbastanza fissato. Nel frattempo Nomu, offeso dai colpi di Iida, Uraraka e Kirishima si preparò a corrergli incontro, urlando furibondo, ma un'esplosione di Bakugou lo travolse alla sua destra. Nomu si voltò a fulminarlo, decidendo di cambiare per l'ennesima volta il proprio obiettivo. Alla sinistra anche Todoroki diede il suo contributo, lanciandogli contro una lastra di ghiaccio, bloccandolo al suo interno. Nomu con un urlo riuscì a liberarsene, ma venne ancora colpito da pietrigli ed esplosioni. Nessuno di loro era in grado di intaccarlo, ma riuscivano a guadagnare tempo approfittando del poco cervello di Nomu per confonderlo e continuare a fargli perdere tempo.
«Ragazzi» sibilò Nina, lasciandosi scappare una lacrima. La paura li attanagliava, glielo leggeva in volto, erano terrorizzati e avrebbero sicuramente preferito decine di volte lasciare il lavoro agli eroi professionisti ma avevano ascoltato il suo grido disperato e volevano solo realizzarlo. Con ogni mezzo che avevano, come lei gli aveva insegnato, andando oltre ogni limite, sfruttando ciò che avevano intorno a loro vantaggio in qualsiasi fantasioso modo. Solo per aiutarla, riuscire a scappare e aiutarla a stare meglio.
Un sorriso le nacque sul volto, un sincero sorriso colmo di felicità, inondato da lacrime che non riuscì a trattenere in nessun modo. Non sapeva se Toshinori avrebbe avuto ragione, se andarsene qualche giorno dopo sarebbe stato un duro colpo per quei ragazzi, se si fossero veramente affezioni, ma sapeva che lei lo era in un modo che raramente le era capitato.
Akane si alzò da terra, scuotendosi via le macerie di dosso e guardò il mostro con lo sguardo infervorato.
«Protetta da dei ragazzini. Che vergogna per un eroe del mio calibro» sghignazzò un istante prima di saltare come una cavalletta verso Nomu. Urlò, trovando in esso la forza, e scoprì il proprio pungiglione su entrambi i polsi. Colpì Nomu e si affrettò a piroettare sopra la sua testa, prevedendo, come esattamente accadde, un suo colpo. Era un senza cervello, andava avanti per istinto e se una mosca infastidiva l'istinto diceva di colpirla. Bastava cambiare direzione, sempre, comunque. Un altro urlo e un altro colpo, penetrando nella pelle di Nomu e saltò ancora, facendo in modo che altri massi gli arrivassero in volto a infastidirlo.
«Corda fissata! Presto, di qua, ragazzi!» urlò Yaoyorozu, permettendo ad Ashido di calarsi per prima. Tokoyami fu il secondo, seguito da Iida, Uraraka e Kirishima. Dietro di loro anche Todoroki e Midoriya, ma il primo non si allontanò prima di aver congelato parte del suolo, intrappolando le gambe di Nomu in una fitta lastra di ghiaccio.
«Questo ci darà qualche secondo di vantaggio» disse, prima di scappare via.
«Buona trovata, Todoroki-kun!» disse Yaoyorozu, continuando a dirigere l'evacuazione.
«Credete davvero che vi permetterò di andar via tanto facilmente?» disse Shigaraki.
«Ne arrivano altri!» gridò Heikichi, riuscendo a cogliere il calore corporeo oltre al muro. Un urlo da parte di Ashido, quasi in fondo alla corda, e un ordine terrorizzato: «Su!!! Torna su!!! Non scendete!»
«Bakugou!» gridò Nina al ragazzino che, come in grado di leggerle la mente, saltò giù dal buco creato da Ashido, aiutato dalle sue esplosioni per restare a mezz'aria. Volò verso il suolo, verso Ashido che era seguita da un gruppo di uomini che ridendo risalivano la corda e allungavano le mani per afferrarli.
«Se ve la fate sotto, toglietevi dai piedi e lasciate fare a chi ci sa fare, incompetenti!» disse Bakugou, puntando il proprio palmo contro il primo nemico e sparò un colpo.
«Muori!!!»
L'uomo cadde al suolo, completamente ustionato e fuori combattimento, ma il comportamento di Bakugou ebbe un effetto contrario non previsto: la corda, travolta dall'esplosione, cominciò a bruciare.
«Bakugou, imbecille!» gridò Ashido terrorizzata, cercando di correre rapidamente verso l'alto ed evitare di perdere la presa su una corda che andava lentamente consumandosi. Urlarono, terrorizzati e consapevoli che non sarebbero mai riusciti a risalire in tempo prima che la corda venisse completamente bruciata. Ashido fu la prima a mollare la presa, bruciata alle mani, e cadde verso il suolo urlando. Subito dopo di lei anche tutti gli altri, dimenandosi per aria per cercare qualsiasi appiglio avesse potuto aiutarli. Uraraka con rapidità toccò Iida, di fianco a lei e usò il suo stesso potere su se stessa, galleggiando e portando tutti e due verso terra con lentezza. Un peso tale era difficile da sostenere e il tempo di atterraggio avrebbe richiesto qualche secondo di troppo, aveva già usato molto potere per far volare le pietre, sapeva che non ne sarebbe uscita senza vomitare, ma avrebbe resistito. Oltre ogni limite.
Bakugou volò verso Kirishima, che si aggrappò a lui e riuscì così a sfruttare le sue esplosioni per non cadere giù e farsi portare in basso in tutta sicurezza. Ma le mani di Bakugou erano impegnate a generare esplosioni su esplosioni, non poteva afferrare nessuno e oltretutto non era abituato a controllare quella sua capacità con un peso aggrappato al collo e continuava a barcollare, inveendo contro il ragazzino come fosse colpa sua. Todoroki, Yaoyorozu, Midoriya, Ashido e Tokoyami rimasero senza aiuto e senza idee per riuscire a impedire la caduta e si limitarono a urlare, disperati, non sapendo cos'altro fare. Fino a quando non sentirono il formicolio familiare che annunciava l'aggancio di Nina e la loro caduta fu interrotta da quei fili che, tremanti, li tenevano ben serrati. Alzarono lo sguardo e la videro, sporgente dal buco nel muro, la mano destra tesa verso di loro e il sangue che colava giù da quei fili invisibili. Il volto contratto in un'espressione di dolore, un dolore che neanche riuscivano a immaginare quanto fosse terribile. Era come se le si stessero staccando le dita, lentamente, con delle pinze. Poteva quasi sentire le giunture delle propria ossa che si staccavano, i muscoli lacerati lentamente, filamento per filamento e il sangue che non smetteva di colare. Strinse i denti e cercò di respirare profondamente, concentrandosi su quel disperato tentativo di salvataggio. Alle sue spalle la battaglia continuava, spietata, tra Lady Bug, TechnoGirl e Spectrum contro Nomu e quattro scagnozzi di Shigaraki. Sotto i ragazzi altri nemici sembravano pronti ad aspettarli, già ridendo per il vantaggio in cui erano palesemente finiti. Presto i ragazzini sarebbero caduti e loro li avrebbero aspettati, se solo avessero avuto la sfortuna di non morire sul colpo. Passi pesanti alle sue spalle e Nina, pallida in viso, consapevole del pericolo che le stava correndo incontro, si voltò a guardare la morte in faccia. Nomu la colpì con un calcio, facendola volare fuori dal buco di Ashido insieme al resto dei suoi ragazzi.
«Nina!» gridò Heikichi, guardandola terrorizzato.
«Aggrappati a me!» gli parlò sopra Akane, allungando una mano verso di lei, ma il nemico contro cui stava combattendo la colpì, impedendole quel disperato tentativo di salvataggio. Nina guardò il pavimento che si allontanava e i suoi piedi che lentamente ciondolavano nel vuoto, sempre più distante, sempre più in pericolo e Nomu che in quel suo volto apatico sembrava stesse ridendo di lei. Lanciò i suoi fili con la mano sinistra, disperata, arpionando il suo aggressore stesso, l'unico a cui riuscisse ad arrivare, ma lui indietreggiò, rientrando e spezzò con facilità quei fili con la sua forza sovrumana.
Cadde.
Allungò una mano verso l'alto, disperata in quel vano tentativo di afferrare qualsiasi cosa avesse potuta tenerla, impedire di precipitare, ma il vuoto le attanagliava lo stomaco. I suoi fili, deboli e pochi, non solo trovarono niente a cui aggrapparsi ma non ne avrebbero neanche avuta la forza. Il cuore in petto che batteva così forte da fare male, il respiro che mancava, una lacrima che le volava via dal viso mostrandole in un decimo di secondo un'altra scena, vecchia vent'anni. Il cielo che si allontanava, le urla, e quell'orribile sensazione di solitudine. Di fine.
«T...» balbettò ma la voce le morì in gola, per la paura, per il vuoto della caduta, per la sensazione di fine che ormai le aveva tolto ogni singolo briciolo di forza o forse per la consapevolezza e la paura che l'ultima volta che aveva provato a chiamare il suo nome, lui non era venuto a salvarla. L'aveva lasciata cadere e stava continuando a farlo. Fece così male che non ebbe neanche la forza di urlare, di lottare, di piangere. Smise di sentire le preghiere dei ragazzini sotto di lei, smise di sentire il suo stesso dolore, già morta prima che potesse esserlo veramente, con una mano allungata ad afferrare il cielo vuoto.
«Sono qui».
Quella voce, delicata e sicura vicino alle sue orecchie, un sussurro che arrivò dritto al petto. E come in un incantesimo quello specchio che rifletteva sempre la stessa immagine, orribile e dolorosa, di quella caduta al ristorante vent'anni prima dove era stata abbandonata del tutto dall'uomo più importante della sua vita, venne infranto. Tutto crollò, lasciando spazio al volto di All Might che compariva nel suo campo visivo e l'afferrava. Finalmente, dopo vent'anni, l'afferrava.
Un'altra lacrima le sfuggì dal viso, ora meravigliato, incapace persino di sorridere. Sentì le sue braccia avvolgerla e stringerla delicatamente a sé, proteggerla.
«Ti ho sentita» disse con un sorriso, un vero sorriso e non quello di cui si mascherava tutte le volte. Era riuscito a sentirla, aveva curato quell'orribile ferita, aveva rimediato ai suoi errori e finalmente la sua voce che lo chiamava colma di disperazione era riuscito a sentirla. L'espressione di Nina si lasciò travolgere da un sentimento tanto potente quanto incomprensibile: felicità, sollievo, paura che veniva lasciata finalmente andare. Seppe solo che la fecero scoppiare a piangere come poche volte aveva fatto. Schiacciò il volto sul suo petto, strinse la sua tuta tra le dita e si lasciò andare a singhiozzi e urla disperate. Toshinori la guardò, sollevato nel vederla ancora viva e intenerito da quel pianto quasi infantile, e si occupò da solo di portare a termine quel salvataggio. Afferrò i fili di Nina e con un «Opplà» lanciò letteralmente i ragazzini, ancora appesi a lei, dentro una finestra aperta del secondo piano di un edificio di fronte, facendoli così atterrare al sicuro lontano dal gruppo di nemici che li aspettavano nel cortile. Infine anche lui atterrò, entrando in una finestra del terzo piano, mettendo finalmente a terra Nina.
«Perdonami se ci ho messo tanto» disse, afferrandole una mano con delicatezza e studiandone la situazione. Non l'aveva mai vista così mal ridotta, vederla ferita a tal punto faceva un tale male, ma almeno era salva. «Sono venuto non appena Mineta e gli altri mi hanno trovato. Ho fatto il più velocemente possibile».
«Ci sono i Nomu» disse Nina con agitazione, ignorando le sue scuse. «Toshinori, All For One è qui! O almeno i suoi scagnozzi! Vogliono ucciderti... qui!» sottolineò quell'ultima parola, facendo ben capire all'uomo quanto fosse importante che avessero scelto proprio quel posto.
«Nina» mormorò lui, serio in volto, ma lei parve una mitragliatrice e continuò sempre più infervorata, sempre più terrorizzata: «Tu non hai più la stessa forza. Non puoi combatterlo! Devi andare via! Ti uccideranno! Chiama gli altri eroi!»
«Stanno già arrivando tutti» disse All Might, ma ancora una volta Nina gli parlò sopra, pregandolo sempre più animatamente: «E allora va’ via! Che aspetti? Non dovevo farti chiamare, non immaginavo cosa ci aspettava, sono stata ingenua. Scusami per averti scomodato, ma ora va’ via, o...»
«Macchan!» disse imperativo e fu proprio sentirsi chiamare in quel modo a bloccarla, come tutte le volte che da ragazzini la richiamava per correggere qualche suo comportamento sbagliato. Sorrise, rassicurante, di quel suo enorme sorriso e Nina non riuscì a capire se stesse mentendo o meno, ma decise di accettarlo.
«Se riesci a camminare vai e mettiti in salvo insieme ai ragazzi, gli altri professionisti sono alle porte del cantiere, sono già qui. Devi farti curare».
«Toshinori» provò a parlare, ma venne interrotta: «Va tutto bene!» e ancora quel maledetto sorriso. «Adesso ci sono qua io».
«Non ti lascio solo» disse lei, ma non fece in tempo a dirlo che All Might saltò via dalla finestra, per raggiungere l'edificio di fronte dove lo stavano aspettando Nomu, Shigaraki e gli altri.
«Aspettami!» provò a gridare inutilmente, Nina, allungando una mano nel vuoto.
All Might entrò trionfante dallo stesso buco che Ashido aveva creato per permettere a loro la fuga, facendo tremare per un attimo l'intero palazzo, e si guardò attorno. Spectrum era ormai a terra, gli occhiali che si serviva per gestire il suo potere al meglio erano in frantumi e lui gli giaceva accanto, privo di coscienza. Lady Bug continuava a volare da una parte all'altra della stanza, ormai stremata, perdendo sangue ovunque si poggiasse, ma irrefrenabile nel suo colpire incessante tutto ciò che gli capitava a tiro e TechnoGirl si occupava di proteggere il corpo esanime del marito con una barriera magnetica che non avrebbe retto ancora per molto. In tutto questo Nomu continuava a tirare pugni, Shigaraki a ridere ed osservare soddisfatto gli altri quattro che si accanivano sulle uniche due ancora in piedi.
«Va tutto bene, adesso» annunciò a gran voce con un tono greve e minaccioso. Si sollevò, ergendosi in tutta la sua stazza  e puntò lo sguardo minaccioso al gruppo di delinquenti davanti a sé. «Perché ci sono io!»
«All Might» mormorò TechnoGirl, con gli occhi lucidi per la gioia. Finalmente era arrivato, finalmente avrebbe risolto quell'orribile situazione. Quel mostro non andava giù neanche col veleno di Akane e li aveva quasi sterminati, erano allo stremo, ormai al limite. Ma finalmente lui era lì e tutto si sarebbe risolto.
«TechnoGirl, ragazzi. È passato tanto tempo. Avrei solo voluto rincontrarvi in un'altra occasione» confessò, sorridendo in quel suo modo sicuro e rassicurante.
«All Might» piagnucolò Akane, felice di vederlo come mai lo era stata prima di quel momento.
«Shigaraki! Ci riprovi, un'altra volta, eppure questi tuoi scagnozzi li avevo già sconfitti una volta. Cos'è cambiato, ora?»
«È cambiato che ora ci sono io» a parlare fu l'uomo folle che Nina aveva già sconfitto, prima che arrivasse Shigaraki. Si era lasciato legare ed era rimasto fino a quel momento in disparte, senza prendere parte alla battaglia, semplicemente aspettando in silenzio e osservando. Ora il suo volto trasmetteva la stessa follia che Nina aveva provato a zittire poco prima, senza successo. L'uomo dei suoi incubi era lì, di fronte a lui, l'uomo che aveva costretto la fantastica Nina a farsi da parte e si era preso tutta la gloria in suo nome. Non aveva dimenticato quel sentimento di folle vendetta che gli circolava nelle vene: quel bastardo di All Might, era lui la causa del ritiro di Nina dall'attività di eroina, lui l'aveva ridotta a un'insulsa vita di secondarietà quando non meritava altro che il trono di Regina.
«Mi basterà toccarti, anche solo sfiorarti e sei morto» sghignazzò, in preda alla follia.
«Non ho idea di chi tu sia, ma non credi che rivelarmi un dettaglio tanto importante possa metterti in svantaggio?» chiese All Might, per niente intimorito.
«No, io credo di no», sghignazzò lui.
«Sono arrivati. Tutto procede secondo i piani» disse Shigaraki, sentendo il rumore degli elicotteri sopra le loro teste.
«Ci osservano, il mondo intero ci osserva, sei pronto grande eroe a morire di fronte all'intero mondo?» rise l'uomo, puntandogli un dito contro.
«Hai chiamato la televisione?» mormorò All Might, sconvolto.
«Ti annuncio, mio caro All Might, che il nome della persona che ti distruggerà di fronte al mondo intero è Steve. Steve Fox» e ghignò, divertito ed eccitato per quel nome che palesemente non era suo ma si era costruito su misura. Osservò a lungo l'espressione di All Might, aspettandosi di vederlo esplodere, probabilmente di capire. Ma dopo qualche secondo di riflessione Toshinori ammise, quasi dispiaciuto: «Perdonami, ma dovrei conoscerti?»
«Come sarebbe a dire?» ringhiò Steve, facendo scattare ogni nervo del suo corpo.
«È il nome del figlio di Nina Williams nel gioco di Tekken, non te lo ricordi?» spiegò Satsuki, sbuffando per la poca memoria di quell'uomo, lasciando successivamente uscire tutto il suo disappunto per la faccenda: «Sei malato per Nina a tal punto?» chiese a Steve, storcendo il naso.
«Sai da dove viene il suo nome?» chiese All might, sbalordito e preoccupato.
«So questo e molto di più... One For All» ghignò Steve e il sentirsi chiamare in quel modo diede l'allarme ad All Might. Sapeva di One For All, sapeva di Nina, sapeva sicuramente anche di quel luogo... quello Steve, per quanto sembrasse fuori di testa e completamente pazzo, rischiava di essere più pericoloso di quanto avesse immaginato. E ancora non aveva capito quale fosse il suo pericoloso Quirk in grado di ucciderlo solo sfiorandolo. A prima vista sembrava solo un deficiente, ma qualcosa gli diceva di far attenzione.  Si mise in posizione, pronto a cominciare a combattere e assunse una seria espressione concentrata.
«Nomu» chiamò Shigaraki. «Adesso basta con le chiacchiere. Voglio vederlo sanguinare».
L'edificio intero tramava, sotto i colpi di All Might contro Nomu. Ogni singolo pugno provocava un'onda d'urto spaventosa e i due continuarono a combattere, colpo dopo colpo, senza che nessuno cedesse e nel frattempo Steve continuò ad osservarli ghignando, leccandosi le labbra, pronto a fare la sua mossa. Tutto quello non faceva che aumentare l'agitazione di All Might che cominciò a chiedersi quando avrebbe attaccato e soprattutto in che modo, come si sarebbe difeso? Poteva quel misero potere che gli era rimasto in corpo bastare a una simile lotta? Poteva ancora sconfiggerlo quel Nomu che la prima volta l'aveva quasi prosciugato? Non perse tempo e decise di usare la stessa tecnica usata la prima volta, colpo su colpo, cercando di portare quel mostro al limite della sua forza. Allungò il braccio quando ormai sentiva di essere arrivato all'obiettivo, Nomu stava cominciando a cedere, bastavano pochi colpi. Una leggera folata di vento e si voltò alle sue spalle, osservando Steve che allungava una mano a palmo aperto verso la sua schiena. Quando era arrivato? Cosa gli avrebbe fatto? Deglutì, un attimo terrorizzato, e si voltò per colpirlo e allontanarlo. Un attimo di distrazione, fatale. Nomu davanti a sé lo colpì tanto forte da lanciarlo fuori dall'edificio, facendolo cadere nel cortile. Travolse un paio di quei nemici che ancora si trovavano lì, intenti a lottare contro i professionisti accorsi in loro aiuto, scavando un solco nel suolo per più di venti metri. Si rialzò lentamente, digrignando i denti e scrollandosi le macerie dalle spalle. Osservò l'edificio da cui era volato via e vide Nomu saltare per raggiungerlo, a pugni chiusi, pronto a colpirlo ancora.
«Detroit Smash» gridò All might, lanciando un pugno in avanti e pregando di avere la forza necessaria a contrastarlo. La sua benedizione fu vedere Nomu perdere per un istante il controllo di sé, come se avesse perso l'equilibrio, e l'onda d'urto del suo colpo lo travolse in pieno. Si voltò verso l'edificio dove aveva lasciato Nina, sentendo che in qualche modo lei c'entrava con tutto quello: la risposta alla sua domanda venne quando la vide affacciata alla finestra, sorretta da Yaoyorozu, che urlava per il dolore tenendosi una mano. Aveva usato il suo potere ancora una volta e l'aveva fatto solo per aiutarlo mettendo ancora una volta a repentaglio se stessa.
"Macchan" pensò preoccupato. "Ti prego, va' via".
«Portami lì, Momo. Devo andare da lui» digrignò i denti Nina, rialzandosi nuovamente.
«Non puoi farlo, sei ormai stremata, hai perso troppo sangue!»
«Tu non capisci! Devo andare lì, in quel dannato cortile! Io...» una lacrima le uscì dagli occhi. «Non posso stare di nuovo a guardare» sibilò, completamente in preda al dolore.
«Non... non puoi» mormorò Yaoyorozu, guardandola addolorata. Era a pezzi, non sarebbe stata di nessun aiuto, non poteva fare niente e se si fosse sforzata ancora avrebbe rischiato la vita. Il suo senso del dovere la obbligava a portarla dai soccorsi, eppure vederla in quelle condizioni faceva così male. Cosa la spingeva a soffrire così tanto?
Midoriya, pochi passi più indietro, strinse i pugni, avvolgendosi di una strana sicurezza e li superò a corsa. Si piazzò di fronte a Nina, inginocchiandosi, e infine le porse la schiena.
«Che fai? Midoriya?» chiese Yaoyorozu, sorpresa. Il volto del ragazzino era così serio, così corrucciato e non sembrava esitare nell'assecondare le folli richieste della donna morente. Nina lo guardò sorpresa tanto da smettere perfino di lamentarsi.
«Ti porto lì» disse Midoriya. «All Might...» balbettò lui, cercando una giustificazione in un'espressione colma di sofferenza e dolore. Non poteva dirlo ad alta voce, ma lui sapeva che non ce l'avrebbe fatta, che non era così forte come faceva credere. Aveva bisogno di aiuto, la prima volta contro Nomu era stato così, e loro non potevano restare a guardare mentre cercavano di annientare One For All ancora una volta. Nina si lasciò cadere sulla schiena del ragazzino e gli avvolse il collo con le braccia, tenendosi ben salda a lui. Midoriya si rialzò, tenendo la donna sollevata per le gambe, e prese a correre lungo le scale  cercando di raggiungere il cortile il prima possibile. Quel ragazzino che tanto detestava, che gli stava portando via la cosa più importante che avesse, era stato l'unico ad ascoltare la sua richiesta d'aiuto e comprenderla. Strinse i pugni, frustrata ma colpita da quel gesto. Era un cagasotto, l'aveva sempre sospettato, eppure correva a perdifiato verso il pericolo a testa alta solo perché qualcuno gli aveva implorato di aiutarlo. Faceva cose stupide, solo per aiutare chiunque. Era così simile a Toshinori, maledizione!


Prison gates won't open up for me
On these hands and knees I'm crawlin'
Oh, I reach for you, well I'm terrified of these four walls
These iron bars can't hold my soul in
All I need is you, come please, I'm callin'
And, oh, I scream for you
Hurry, I'm fallin',
I'm fallin'


NDA.
SONO TORNATA!!!......... No, non è vero, è una bugia. Avevo un’oretta libera oggi e così ne ho approfittato per pubblicare questo nuovo cap. Mentirei se vi dicessi che da oggi tornerò regolarmente, probabilmente ci saranno altri buchi più o meno lunghi, ma ho una buona notizia per voi! (forse).
La storia è quasi finita. Mancano pochissimi capitoli, perciò siamo alla resa dei conti e anche se per i prossimi ci vorrà qualche giorno in più per averli però sapete che non morirete mesi o anni per sapere come andrà a finire xD

Passando alla storia! … in realtà non ho molto da dire su quanto sta succedendo qui, penso che il capitolo dica già tutto. Avevo pensato di fare delle NDA articolate, con spiegazioni e riflessioni, ma ora sinceramente non mi viene più niente ._.
Vabbè, mi limiterò semplicemente a ringraziarvi, come sempre, ma ora più che mai! Nonostante la mia negligenza e il mio rallentamento nel pubblicare le visual non sono diminuite e Nathly è come sempre presente *-* meraviglia. Grazie davvero!
Vi abbraccio tutti.
A presto <3


Ray

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Capitolo 31
*** Somebody to die for, Hurts ***


"Somebody to die for”, Hurts





All Might al centro del cortile stava ancora combattendo contro Nomu, colpo su colpo nel disperato tentativo di eliminarlo prima che la sua forza lo abbandonasse del tutto. Del fumo usciva dalle sue braccia, segnale che cominciava a cedere. Che fosse lui più debole o il Nomu più forte non aveva importanza, sapeva solo che doveva concludere il prima possibile e allontanarsi quanto prima, lontano da telecamere, lontano dagli sguardi di chi aveva attorno, i suoi studenti compresi.
«Colpisci!» ordinò  Nina a Midoriya, osservando il campo di battaglia di fronte a sé.
«Eh?» chiese Midoriya, sbarrando gli occhi. Se l'avesse fatto sarebbe nuovamente andato in pezzi: non era ancora in grado di controllare propriamente quel potere. Nina si allungò e gli afferrò un braccio con prepotenza, usando la sua sola forza per restare aggrappata al ragazzino.
«Ti aiuto io! Calibrerò l'energia dei tuoi muscoli, ma tu devi colpirlo. Ora, quando non si aspetta un attacco alle spalle!»
Midoriya strinse i denti, pensieroso e anche un po' spaventato, ma deciso a fidarsi.
«Ascolta la voce nel tuo petto. Il potere che ti cresce nella pancia, contrai i muscoli, tienilo a bada, concentrati. Sei tu il padrone di te stesso, nessun'altro, Deku! Lunghi passi, minor fatica e maggior resa, ricorda. Lascialo uscire ma nel limite del tuo braccio, non andare oltre, non lasciarlo andare oltre! Non aver paura» quell'ultima frase, così rassicurante, e la presa di Nina sul suo avambraccio si fece più solida. «Ci sono io con te».
Midoriya prese a correre verso il nemico, l'energia che cominciava a scorrergli nelle vene la sentiva quasi bruciare, e la presa di Nina sul proprio braccio era più rassicurante di quanto si sarebbe mai aspettato. Saltò, raggiungendo il nemico, tirò indietro il pugno e infine lo lanciò in avanti con una potenza mai usata prima.
«Smash!!!» gridarono all'unisono lui e Nina, alle spalle del nemico. Il colpo fece vibrare i muscoli della schiena di Nomu, destabilizzandolo, e questo permise ad All Might di sfondare la sua guardia e colpirlo dritto in faccia, lanciandolo contro l'edificio di fronte.
«Non si è rotto» osservò Midoriya con sorpresa, guardandosi il braccio illeso.
«Ha funzionato! Sei davvero riuscita a limitarmi» disse entusiasta, rivolto a Nina.
«Io non ho fatto proprio un bel niente» rise lei, scendendo dalle spalle di Midoriya. Stare in piedi era così difficile, le gambe tremavano, le ginocchia facevano un male cane, ma non sarebbe caduta. Non in quel momento. Sarebbe morta piuttosto.
«Cosa? Ma hai detto...» balbettò Midoriya, non capendo.
«Io sono in grado di inviare scariche elettriche, i muscoli li faccio contrarre non so gestire la tua energia».
«Mi hai ingannato!!!» urlò terrorizzato il ragazzino, rendendosi conto che aveva appena rischiato di morire.
«Eppure è bastato smettere di fartela nei pantaloni per tirarlo quel cazzo di pugno» disse lei e quello gli riportò alla mente qualche giorno prima, quando lei in palestra gli aveva urlato furibonda di tirarlo quel pugno e lui, allora, non ci era riuscito. Neanche ci aveva più pensato a quell’episodio, invece lei, anche in un momento come quello, aveva giocato le sue carte arrivando dove aveva desiderato fin dall’inizio. Come riusciva a controllare tutto? Come riusciva a vincere sempre? Era così inquietante. La sua capacità di manipolazione faceva venire i brividi.
«Ora sei pronto» disse facendo alcuni passi verso il centro del cortile, dove c'era uno spaventato e preoccupato All Might a guardarla. «One For All».
Erano quelle le parole dell'ex erede, della figlia di Nana Shimura, creatrice di All Might. Le parole che simboleggiavano il suo consenso: Midoriya poteva tenerselo quel potere, a lei ora stava bene.
«Nina, devi andartene» disse All Might, guardando la donna.
«Sei tu che devi andartene! Lo sai bene, eppure non l'hai fatto. Beh, non aspettarti che io ti ascolti dopo questo».
Nomu dall'altra parte del cortile si rialzò con un urlo e prese a correre nella loro direzione, tornando all'attacco. All Might non l'aspettò e gli corse incontro a sua volta, superando Nina. La donna fece un sospiro e socchiuse gli occhi, lasciando che la concentrazione le prendesse completamente.
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"Mamma... riesco ancora a sentirti" un formicolio lungo la schiena, la sensazione di avere delle mani rassicuranti sulle spalle e trasmetterle la forza necessaria ad andare avanti ancora.
«Plus Ultra» mormorò prima di riaprire gli occhi e guardare Nomu e All Might che riprendevano a prendersi a pugni. Lanciò i suoi fili nella loro direzione, afferrando un braccio di Nomu e facendolo nuovamente deviare, permettendo a All Might di colpirlo. Si avvicinò lentamente ai due che combattevano, continuando a interferire, filo dopo filo. Il dolore ormai l'aveva anestetizzata, non lo sentiva neanche più, e anche se non era certo positivo non si sarebbe fermata. Nemici provennero da destra e lei concentrò su Nomu solo la mano sinistra, usando l'altra per arpionare i due che avevano tentato di avvicinarsi. Li costrinse a colpirsi a vicenda, atterrandosi. Altri da sinistra e ripeté l'azione, ma questa volta non ne uscì senza una fitta che per poco non le annebbiò la vista. Sentì il sapore del sangue in bocca e scuotendo la testa tornò a guardare Toshinori, intento a combattere nel fumo e nella polvere che si alzava sempre più. Un uomo si avvicinò alle spalle dell’eroe che lei tanto ostinatamente proteggeva e, approfittando della sua distrazione, cercò di infilzarlo. Nina lanciò un filo contro Nomu, usando la sua forza per farsi strattonare e tirare verso di loro con potenza, così riuscì a raggiungere l'uomo alle spalle di All Might con un calcio teso. Rotolò nella terra, peggiorando sempre più la sua situazione, ma non si arrese e piantò le mani nella polvere per rialzarsi. Tossì, sentendo i polmoni in fiamme, forse per la polvere o forse per la fatica, accorgendosi solo successivamente di aver sputato sangue.
«Macchan» insistè All Might, ormai al limite della preoccupazione, continuando a distrarsi dalla sua battaglia e finendo col prendere qualche pugno di troppo.
«Uccidi quel bastardo, muoviti invece di perdere tempo, mezzasega!» urlò Nina furibonda, stufa di vederlo metterci tanto. Si voltò a guardarlo per fulminarlo e fu allora che lo vide: lo sguardo folle di Steve che emergeva dalla polvere, a mani tese, verso All Might. Allungò una mano verso di lui, pronta a intervenire, ma dalle sue dita uscì solo dolore e sangue. All Might per fortuna fu di riflessi pronti, nonostante la distrazione, e riuscì a schivarlo, facendosi appena sfiorare. La mano di Steve lo mancò e nell'arco disegnato a mezz'aria finì col posarsi sulla gamba di Nomu, facendola esplodere in un istante, disintegrandola come se avesse avuto una bomba dentro sé. Nina impallidì, sentendo il fiato mancarle: che razza di pazzo Quirk era quello?
All Might, altrettanto spaventato per il pericolo appena scampato, non esitò a contraccambiare il colpo ma fu Nomu stesso a intervenire, afferrando Steve e tirandolo via dalla traiettoria dell'eroe per salvarlo.
«La prossima volta non ti mancherò!» disse Steve, tornando alla carica, mentre la gamba di Nomu ricresceva rapidamente. Nina spinse ancora una volta la mano in avanti, ma ancora una volta fallì ricevendo in cambio solo un enorme dolore. All Might schivò di nuovo, ma venne colpito da Nomu e finì a terra. Steve non si arrese nei suoi tentativi e All Might tentò di essere più veloce, ma ancora Nomu si mise in mezzo, tirandolo via, prendendosi il suo colpo e salvandolo. All Might si rialzò rapidamente, ma ormai cominciava ad essere allo stremo delle forze. Il fumo che usciva dalla sua pelle andava mischiandosi alla polvere della lotta, ma era ben visibile e lui poteva sentire i muscoli tendersi così tanto da paralizzarlo. Nomu afferrò Steve e con rapidità glielo lanciò contro, usandolo come vera e propria arma. Gli sarebbe bastato sfiorarlo e l'avrebbe disintegrato. Nina tentò di nuovo di intervenire, ma non accadde niente se non una lacerazione che la fece urlare dal dolore.
Cadde con la fronte a terra nell'istante in cui All Might riuscì a schivare Steve, ma non un calcio di Nomu che lo prese dritto al fianco, su quella cicatrice che lo torturava ogni giorno di più.
«Maledizione!» gridò Nina, battendo i pugni a terra. Affondò le dita nella terra e cominciò a scavare dal nervoso, lamentandosi, urlando, continuando a colpire il terreno. «Merda, merda, merda» mugolò, in preda alla follia più accecante.
Prenditi cura di l...
«Merda» un ultimo lamento, prima di alzare il viso e lasciar andare tutta la frustrazione accumulata in un urlo animalesco rivolto al cielo. Come un'ombra, All Might le volò davanti, alzando tanta di quella polvere da rimanerne completamente avvolto e nascosto. Steve, davanti a lei, le lanciò uno sguardo colmo d'eccitazione, lo sguardo di un figlio che desidera essere osservato dalla madre durante i suoi giochi... ma di un figlio folle, psicopatico e omicida. Allungò una mano verso All Might, lanciandosi su di lui, ormai a un passo dalla vittoria, ma ebbe un brivido e improvvisamente esitò di fronte all'espressione di Nina. C'era una strana scintilla in quegli occhi colmi di una furia mai vista prima, una pericolosità in grado di far tremare perfino lui. Indietreggiò con un lamento e lasciò stupidamente ad All Might il tempo di rialzarsi, protetto dall'ombra intimidatoria di quella donna che aveva sempre diretto le sue azioni da dietro le quinte. Un'ombra che parve avvolgerlo, proteggerlo dentro una bolla che se avesse provato a varcare e sfondare l'avrebbe ucciso nel peggiore dei modi. Poteva quasi vederlo, l'abbraccio protettore con cui Nina avvolgeva le spalle di All Might, come un angelo custode.
Nomu si lanciò contro di loro, stupido abbastanza da non vedere tutto quello, e quella volta fu All Might ad avvolgere Nina nel suo abbraccio protettore contraendo i muscoli in maniera disumana solo per impedire al mostro di raggiungerla. Si alzò e tenendo ben fermo l'avversario per le mani cominciò a spingerlo via, urlando, sforzandosi, emettendo fumo e dolore. Il sangue che gli usciva dai denti serrati, sempre più copioso, il corpo che tremava ed evaporava, ma lo spinse via con tutto ciò che aveva dentro.
Prenditi cura di l...
Solo quel desiderio di proteggerla era bastato a trovare la forza per contrastare ancora il nemico, nonostante fosse ormai allo stremo e al limite. Con un urlo e una luce accecante negli occhi, prese Nomu e lo scaraventò a terra tanto forte da aprire il terreno. Altra polvere, ma nonostante la vista occlusa, il silenzio che ne seguì decretava la sua vittoria.
«Non...» balbettò Steve. «Non è finita. Ci sono ancora io! Posso...»
«Ti farà a pezzi, senza Nomu a salvarti il culo, viscido lerciume» disse Nina, furibonda, ma tutta quella sicurezza andò morendo in un istante non appena la polvere cominciò a diradarsi. Si intravedeva appena, era solo una sagoma, ma bastavano quei lineamenti accennati a scuoterle l'anima. I capelli di All Might, in quella loro ridicola posizione a V, completamente abbassati, spettinati. Le sue spalle abbassate, le braccia tanto secche da non sembrare umane e il viso scavato tanto da assomigliarlo a uno scheletro. Restava chino, ancora parzialmente nascosto, protetto da quella polvere che riuscì a impedire al resto del mondo di vederlo, concedendosi solo a chi gli stava più vicino. Consapevole di aver ormai concluso il suo tempo, di aver svelato il suo segreto, All Might non ebbe neanche il coraggio di alzare lo sguardo. Restò inginocchiato a terra, completamente abbandonato a se stesso, fissando il corpo di Nomu davanti a sé.
«Ma che diamine gli è successo?» balbettò Steve, anche lui spettatore di quella raccapricciante scena.
Era lui, era davvero Toshinori quello che aveva di fronte in quelle orribili condizioni? Il fiato le venne a mancare, mentre davanti a sé il mondo andava mescolandosi, confuso, disorientato, come avvolto in una tenebra. Tutto sembrava morire, mentre delle immagini, delle parole l'assalivano come lupi affamati e la sbranavano con una voracia insaziabile.
Si è indebolito.
La macchia di sangue sul letto, la prima notte che avevano fatto l'amore, qualche giorno addietro.
Non è uscito da quella battaglia nelle migliori delle condizioni.
La sala a lui riservata, che spesso restava chiusa a chiave.
Non avrei più la forza per combatterlo, se dovesse tornare.
Gli impegni di cui tanto parlava, che lo tenevano lontano gran parte della giornata.
Credo che fossi spaventato all'idea di mostrarti quel lato debole di me.
Tutte le mattine che si era alzata sola, perché lui scappava la notte non appena lei chiudeva gli occhi.
Nina, c'è una cosa che non sai.
Quella cicatrice.
Ti fa ancora male?
Quella dannata cicatrice.
No, non più ormai.
Quella cicatrice che non aveva avuto il coraggio di mostrarle, fintanto che lei non l'aveva costretto.
Era adesso il momento ideale per dare tutto a Midoriya.
Quel dolore che gli leggeva negli occhi tutte le volte che mentendo diceva che andava tutto bene.
Macchan... io non sono immortale.
La gola si chiuse tanto da impedirle di respirare.
Io non sono immortale.
Gli occhi presero a bruciare, ma non ebbero l'energia sufficiente a piangere.
Io non sono immortale.
Chi era quel fantasma che aveva di fronte e che, ormai misero nella sua ombra, accettava così di morire? Chi era quel fantasma che guardava il mondo davanti a sé prenderlo a pugni e non riusciva più a sorridere, tradendo la sua anima gloriosa? Chi era quel fantasma che si era aggiunto alle lacrime perdute di quel luogo avvolto dal dolore della morte?
Era tutto così terrificante, ora.
Steve scattò verso di lui, con una vibrante eccitazione nelle vene. Qualsiasi cosa gli fosse accaduto era ovvio che non fosse più nelle condizioni di combattere e quello era il suo momento. Avrebbe estirpato per sempre All Might da quel mondo, rendendo Nina l'unica regina in assoluto.
Prenditi cura di l...
I muscoli si bloccarono tanto improvvisamente da fargli male.
Prenditi cura di l...
Nomu ai piedi di All Might si mosse, lamentoso, ma ancora vivo tentava di rialzarsi. E lui restava lì, a fissarlo, ormai arreso al suo destino, ormai sentendosi fallito. Cos'altro avrebbe potuto fare? Non riusciva più neanche a muoversi da quanto aveva dolore.
«Carogna» il ringhio della donna e con un brivido lungo la schiena Steve si voltò a guardarla. Si stava rialzando, non seppe con quale forza, ma si stava rialzando. La mano tesa in avanti, a bloccarlo con i propri fili ora resi visibili dall’incredibile quantità di sangue che le usciva dai polpastrelli e che andava colando e macchiando ogni singolo filo fino all’estremità. Si muovevano come tentacoli, rapidi tanto da schioccare, muovendosi da un muscolo a un altro per scaricare la sua elettricità e bloccarlo.
«Questo» disse lei con voce talmente roca da non sembrare la sua. Divaricò le gambe, cercando stabilità, scavando un solco da quanta forza ci impresse.
Nomu si mosse, sollevandosi da terra, e altri fili insanguinati partirono dalla mano destra di Nina, arrivando a lui. Con un urlo, Nomu si bloccò, sollecitato dall'elettricità dei fili di Nina che contraevano tanto i suoi muscoli da essere doloroso.
«Questo è il mio palcoscenico» Faceva venire i brividi, ma non come le altre volte. Qualcosa in lei era molto diverso, non era una semplice burattinaia, era la più folle, la più pazza e forte che ci fosse potuta essere. Una strana energia prese a correre lungo i fili di Nina, era quasi visibile a occhio nudo, li ingrossava a dismisura rendendo i suoi movimenti così netti, così violenti, che era possibile sentirli schioccare come fruste nell'aria.
"Nomu non riesce a spezzarli" realizzò Toshinori, vedendolo disperato ma incapace di muoversi. Da dove proveniva tutta quella forza? Da dove arrivava quell'energia? Deglutì, spaventato, e si voltò a guardare Nina. Poteva vedere i suoi muscoli gonfiarsi a occhio nudo, gli occhi vitrei, privi di qualsiasi tipo di vita, riempiti solo da un'accecante follia. Il sangue che le gocciolava dalle dita stava formando una pozzanghera ai suoi piedi, ma nonostante tutto sembrava non soffrisse più neanche un po'.
«Questo» urlò, collerica, facendo i primi passi in avanti verso Steve.
E Toshinori ebbe come una visione che gli occluse la gola, un breve istante, un allucinazione, eppure era così viva: Nana Shimura, alle spalle di Nina, avvolta dalla sua evanescenza che ne testimoniava la morte, l'avvolgeva in un abbraccio. Nana, il suo spirito, la sua anima e la sua forza, la forza di One For All era lì con lei, tramandata in minima parte alla figlia probabilmente nel momento del concepimento. Non era mai riuscita a manifestarlo prima di quel momento, forse perché era talmente poco che solo una grande energia avrebbe potuto liberarlo, ma non era difficile da credere visto che One For All si tramandava tramite il DNA e dentro Machiko risiedeva quello di Nana. E lui conosceva troppo bene quel potere da riuscire a riconoscerlo quando lo vedeva. La domanda era: Nina avrebbe avuto la forza per utilizzarlo senza andare in pezzi?
Aprì la bocca, pronto a parlare, a richiamarla: non era allenata, non sapeva neanche di averlo dentro sé One For All, non poteva gestirlo, sarebbe morta.
Nina volse a lui lo sguardo, facendolo rabbrividire, e gli lanciò un istante dopo uno dei suoi fili. Che non lo avesse riconosciuto, in quell'aspetto? O magari era dovuta alla sua follia accecante che ora le impediva di riconoscere gli amici dai nemici?
«Questo è il mio palcoscenico!!!» gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, un istante prima di tirare il filo che teneva serrato Toshinori. L'energia di One For All le permise di imprimere in esso tanta forza da essere in grado di farlo volare per aria, e lo lanciò via, scaraventandolo nuovamente all'interno dell'edificio, sfondando mura e arrivando nella sua parte più ombrosa e nascosta.
«Il mio palcoscenico!» ripetè furiosa, divaricando le gambe, voltandosi dall'altro lato e tirando il filo che teneva Nomu con tutta la forza che aveva. Riuscì a farlo volare e lo scaraventò nuovamente al suolo, facendogli battere la schiena. Si voltò e ripetè l'azione con un urlo raccoglitore, sbattendo Nomu da una parte all'altra, continuando a urlare, a gonfiarsi di energia, a perdere sangue da ogni ferita che avesse.
«Mio!» urlò ancora, facendo roteare Nomu e costringendolo così a travolgere anche Steve, che urlò dal terrore.
«Il mio palcoscenico!»
Tirò ancora i fili e scaraventò Nomu al suolo, aprendo una voragine per la forza utilizzata, assicurandosi che Steve rimanesse sotto di lui per essere schiacciato e travolto. Infine fece alzare le braccia a Steve, aprendone i palmi delle mani e ci lasciò cadere sopra Nomu che al contatto esplose come un palloncino troppo pieno, uccidendolo definitivamente. Steve ormai fuori gioco, svenuto, Nomu ucciso, All Might lanciato all'interno di un edificio e l'unica che usciva dalla polvere vincitrice era proprio Nina. Si voltò, fulminando il quinto piano del primo edificio, da dove li osservava Shigaraki ed urlò come un animale impazzito: «Ce n'è anche per te, schifoso pezzo di merda!» ma Shigaraki rispose alla provocazione grattandosi furiosamente il collo e sparendo, deciso a organizzare un altro attacco più avanti, magari meglio organizzato. Perfino quello Steve, pieno di desiderio omicida e odio verso All Might, con quell'incredibile Quirk che aumentava la pressione tanto da far esplodere i corpi, l'aveva deluso e tradito. Esisteva al mondo qualcuno degno abbastanza da essere in grado di realizzare i propri sogni di distruzione?
«È andato via» ansimò Nina, mentre sentiva il corpo tornare alla normalità e Toshinori si stupì nel sentire del sollievo nella sua voce. Probabilmente aveva bluffato, esattamente come aveva fatto lui la prima volta, e non avrebbe resistito a un altro combattimento. Nina si voltò lentamente verso All Might, mostrandogli il suo volto ora distrutto, ma tirato in una pace quasi eterea. Aveva vinto lei.
«Che cali il sipar...» balbettò affaticata, senza neanche riuscire a terminare la frase e crollò a terra.
«Machiko» urlò con tutto il fiato che aveva, mettendosi a correre verso di lei. Un muro di cemento gli si piazzò davanti, impedendogli di raggiungerla.
«Cementoss!» disse, furibondo, guardando il collega.
«Si è sforzata tanto per salvarti, non vanificare il suo duro lavoro» disse lui, aprendogli gli occhi, permettendogli di comprendere: Machiko non l'aveva attaccato, accecata dalla follia, ma anche in quel momento di confusione e incomprensioni il suo unico obiettivo era stato quello di salvarlo, lanciandolo in un luogo sicuro e nascosto, impedendo al mondo intero di vedere la sua vera forma. All Might era una sua marionetta, la più preziosa, la curava da tempo e mai avrebbe permesso a nessuno di distruggerla, nemmeno a se stesso.
In quel cortile, il primo a raggiungere il corpo a terra della donna fu Bakugou, volando da lei a gran velocità e urlando il suo nome. Insieme al resto dei suoi compagni aveva assistito a quell'incredibile combattimento, a bocca aperta e fiato sospeso, ma qualcosa non stava andando come doveva. Perché non si rialzava?
«Ohi!» gridò, afferrandola e sollevandola da terra. «Ohi, rispondi! Rispondi! Bastarda, dì qualcosa!» gridò, scuotendola, inutilmente. Riusciva a sentirlo, riusciva a sentirlo quel suo niente e faceva una maledetta paura. Era come un fantoccio, vuoto, una marionetta senza burattinaio, abbandonata e dai fili intrecciati, dimenticata su un palcoscenico ormai spento e abbandonato.
«Ohi!» gridò più forte, colto da una furia tale da fargli morire la voce in gola. «Rispondimi, maledetta! Parla! Parla! Ti ammazzo, hai capito? Ti ammazzo! Parla!» le gridò in faccia, scuotendola sempre più forte.
«Oh no» sussurrò Uraraka, incapace di assistere a quella straziante scena. Si coprì il volto con le mani e soffocò all'interno un pianto, voltandosi dall'altro lato. Midoriya, al centro del cortile, reduce di una battaglia appena vinta con un cattivo di minore livello, non riuscì neanche a respirare. Le urla di Bakugou riempirono quello spiazzo, sempre più furioso, sempre più incazzato nello scuoterla, nel chiamarla e nessuno che rispondeva a quegli insulti, nessuno che gli diceva che era un moccioso e che doveva cucirsi la bocca.
«Devo ancora batterti!» le urlò con quel poco di voce che riusciva a controllare. «Non puoi svignartela così, cagasotto! Non puoi!» una lacrima sfuggita al suo controllo. «Ohi! Rispondimi!»
A far eco a quelle urla, solo i pianti dei suoi compagni, perfino Kirishima con il suo orgoglio virile si ritrovò a tirar su col naso, e nessuno ebbe coraggio neanche di fermare la violenza che Bakugou stava sfogando su quel corpo inerme nel vano tentativo di risvegliarla.
Eraserhead corse verso di loro, facendosi strada tra i ragazzini, seguito da un gruppo di uomini in divisa e fu lui a interrompere quell'incubo. Poliziotti, altri eroi, ma soprattutto medici e Recovery Girl dietro alla colonna.
«Togliti, ragazzo» disse uno dei medici, spostando Bakugou con la forza. Il ragazzino scuotè le spalle, liberandosi dalla sua presa infastidito, e si allontanò, orgoglioso e incazzato, andando a prendere a pugni un muro.
In pochi secondi Nina fu circondata da paramedici, armati di attrezzature e un'urgenza che poche volte avevano avuto. Recovery Girl dirigeva la situazione, indicando, esaminando e ordinando di sbrigarsi. Defibrillatore portatile, bombola dell'ossigeno, venne usato qualsiasi cosa sotto il vociare delle loro istruzioni e i pianti dei ragazzini alle loro spalle.
Toshinori poggiò la schiena alla lastra di cemento che Cementoss aveva eretto per proteggerlo e impedirgli di correre all'aperto, mostrandosi al mondo intero in quelle orribili sembianze. Si lasciò cadere a terra, sedendosi e incapace di trattenersi si portò una mano agli occhi, coprendo così quella vergogna e quel dolore. Li sentiva, i medici dietro di sé. Li sentiva pronunciare quelle stesse terribili parole che Bakugou aveva urlato poco prima.
«Non respira!»
«Nessuna reazione!»
«Sta passando troppo tempo».
Un singhiozzo gli chiuse la gola mentre la sua mente si prendeva gioco di lui, del suo dolore, mostrandogli nel buio dei suoi occhi chiusi il viso e il sorriso della sua dolce Machiko. La vedeva, giovane e bella, con quei suoi meravigliosi capelli lunghi che svolazzavano ovunque nella foga dei suoi movimenti, accarezzandole il viso. La vedeva, china su di lui, mani sulle ginocchia, viso chino di lato, occhi luminosi e sorriso gioviale.
«Che fai nascosto qui, Toshi-chan?» quella sua armoniosa voce che quando lasciava uscire in note musicali diventava la voce di una dea.
«Battito cardiaco a zero!» i medici alle sue spalle che dissipavano quell'immagine.
«Sei di nuovo scappato dagli allenamenti di Gran Torino, cagasotto?» come le piaceva beffarsi di lui, eppure era quello il suo particolare modo di prendersi cura di lui. Lo cercava, lo trovava, sempre, e gli porgeva una mano.
«Rialzati. Vieni con me a comprare i Taiyaki?»
Una scusa qualunque, di solito legata a del cibo incapace di trattenere la sua golosità, pur di convincerlo a rimettersi in piedi. A lui non erano mai nemmeno piaciuti tanto i Taiyaki.
Un singhiozzo ed un lamento, non riuscì a impedirgli di uscire dalla sua gola, ma non ebbe ancora il coraggio di riaprire gli occhi, per paura di vederla sparire, di scoprire di essere davvero solo dentro quell'edificio abbandonato.
«Non possiamo più fare niente».
«Vieni con me, Toshi-chan?»
E il suo urlo disperato, mentre allungava una mano su quell'immagine che in un istante andò persa, come una nube di fumo.
«Macchan!!!»


When I’m standing in the fire
I will look him in the eye
And I will let the devil know that
I was brave enough to die
And there’s no hell that he can show me
That’s deeper than my pride
Cause I will never be forgotten
Forever I’ll fight
And I don’t need this life
I just need…
Somebody to die for

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Capitolo 32
*** My Love, Sia ***


"My love”, Sia






Fuori pioveva e c'era un gran temporale. Il rumore dei tuoni, soffusi e soffocati da un cielo gonfio di umidità, erano come un eco che non smetteva di biasimarlo, furibondo. Ci aveva provato, ci aveva provato davvero con tutte le sue forze, eppure continuava a non essere abbastanza.
«All Might, c'è mai stato qualcuno che non sei riuscito a salvare?»
La voce di Midoriya, in quell'innocente domanda vecchia ormai di giorni, gli faceva così male, ora. Si passò una mano sul petto ancora nudo, se non per le bende che Recovery Girl gli aveva piazzato a chiudere graffi e ferite. Faceva così dannatamente male che non riusciva neanche a dormirci la notte ed erano ormai due notti, senza considerare la prima passato semi-svenuto per l'intervento di Recovery Girl, che non chiudeva occhio. L'indomani ci sarebbe stato il festival sportivo e fuori diluviava ormai da quella notte, senza accennare a voler smettere. Un evento tanto importante non sarebbe stato rimandato per un po' di pioggia, ma non avrebbe giovato ai suoi ragazzi che già non se la passavano nel migliore dei modi. Si era informato, anche se non era uscito neanche una volta da quella stanza d'ospedale, aveva chiesto di loro a chiunque andasse a trovarlo. Stavano bene, il peggio era passato anche se non avrebbero dimenticato tanto facilmente, solo Bakugou ancora non si decideva a spiccicare parola e non faceva che prendersela con tutto ciò che aveva davanti.
Si allungò sul comodino e prese un flaconcino di pillole. Lo aprì, se ne versò un paio sulla mano destra e le avvicinò alla bocca pronto a ingoiarle, ma gli saltarono dalla mano quando udì la voce di Recovery Girl brontolare: «Piantala con quella roba, Toshinori!»
Quando era entrata?
«Te le ho date solo per casi di emergenza e le stai praticamente finendo: hai intenzione di ucciderti?»
«Non riesco a chiudere occhio» confessò lui, abbassando lo sguardo colpevole.
«Le pillole non ti hanno aiutato ieri, non ti aiuteranno nemmeno oggi. Dalle a me, te le confisco» disse lei, allungando una mano e prendendo il flacone. Si mise a sedere su uno sgabello di fianco al letto, saltandoci sopra come una bambina per la sua minuscola altezza, ma manteneva comunque la professionalità e la serietà che solo il miglior medico di Tokyo poteva avere.
«Come ti senti?» chiese e lui annuì debolmente, rispondendo: «Va meglio. Credo che oggi potrò rimettermi in piedi e uscire dall'ospedale».
«Non intendevo quello» disse Recovery Girl e non ci fu bisogno di aggiungere altro: c'era solo un'altra cosa che gli faceva male a tal punto da preoccuparla tanto da sentir il bisogno di chiederglielo. Il motivo per cui non riusciva a dormire, quella sua tremenda paura di sognarla e svegliarsi sempre più svuotato. La paura di sognare Machiko.
«Toshinori» sospirò Recovery Girl, dopo un lungo silenzio dell'uomo che bastò a rispondere alla sua domanda: non stava affatto bene. «È sveglia da ieri pomeriggio e tu non sei andato a trovarla neanche una volta. Non fa che chiedere di te».
Un miracolo, era successo il miracolo quando uno degli infermieri, il più tenace, era riuscito a farla respirare di nuovo. Sentire quelle parole, «È viva!», era stato come se lui stesso avesse ripreso a respirare e fosse tornato in vita. Era stata portata d'urgenza al pronto soccorso, curata e messa sotto ossigeno, bloccata a letto per tutta la durata di quei tre giorni e solo il pomeriggio precedente aveva finalmente riaperto gli occhi. Era stato Midoriya  a correre da lui per dargli la grande notizia, con le lacrime agli occhi per la gioia, sentendo tutto il senso di colpa volatilizzarsi e liberarlo dalle tenaglie che lo soffocavano. Non era riuscito a trovare pace neanche per un istante, credendosi colpevole di quanto accaduto: in fondo era stato lui che si era fatto catturare con quella tale stupidità da Shigaraki, ed era stato per lui che aveva lottato tanto quasi da morire. Era corso da All Might, sapendo che sicuramente anche lui si sentiva allo stesso modo e aveva sperato così di liberarlo, come era successo a lui. Ma Toshinori non aveva risposto, aveva buttato giù qualche altra pillola e si era steso cercando un sonno che ancora gli negava la sua compagnia. Non poteva andare da lei, non poteva più avvicinarsi in nessun modo. Non dopo quello che aveva visto, non dopo quello che le aveva fatto. Il piccolo Midoriya aveva avuto solo la colpa di essere ancora un inesperto ragazzino, non aveva valore, ma lui... lui l'aveva uccisa. Si era fatto proteggere, si era ancora una volta raggomitolato sotto un ponte e aveva lasciato a lei tutto il lavoro sporco: porgergli la mano, risollevarlo, proteggerlo e spingere All Might avanti, verso il cielo dove avrebbe brillato. Era stato per lui che lei si era lanciata in quella battaglia, in quel cortile, era stato per lui che aveva portato il suo corpo a un livello tale di stremo da non riuscire a sostenerlo. In un momento come quello, a due passi dalla morte, non aveva fatto altro che pensare al modo migliore per proteggerlo, mettendolo in salvo dalle telecamere, lasciando che la sua stella non morisse lì, in quel luogo, mantenendo ancora eterno un brillante e glorioso All Might, e aveva combattuto la sua battaglia. Una battaglia che non era alla sua altezza, ma che aveva vinto a discapito di se stessa, solo per lui. Solo per l'amore che continuava a provare per quell'uomo bugiardo, egoista e vigliacco.
Non poteva andare da lei, non avrebbe avuto il coraggio di guardarla in volto sapendo di essere stato il suo carnefice. Eppure l'amava così tanto, lo sentiva, gli bruciava dentro quel sentimento, lo logorava e lo consumava.
«Io ho scommesso sulla persona giusta» quanto si era sbagliata, perché non capiva l'errore che aveva commesso? Perché continuava a credere in lui, dopo tutto il male che le aveva fatto, dopo tutti quei fallimenti?
Si portò una mano al volto, si nascose gli occhi pieni di vergogna e stringendo, tremando, ammise: «Sono la disgrazia peggiore che sia potuto capitarle».
«Sì, lo sei» disse Recovery Girl e questo lo fece saltare, ferito tanto da fissarla a bocca aperta.
«Di che ti stupisci? È la verità. Sei il fidanzato peggiore del mondo: non le concedi nemmeno un abbraccio ora che è appena uscita dalla morte. La stai di nuovo lasciando sola nel suo terribile mondo, preso dal tuo egoismo».
«Non è così...» balbettò lui, rendendosi conto solo in quel momento di come stesse ancora sbagliando.
«Mi stai quindi dicendo che non è la tua paura e la tua vergogna a impedirti di andare a trovarla? Sei la prima cosa che ha nominato non appena ha aperto gli occhi, ha bisogno di vederti, e tu continui a negarglielo, continui a ferirla, solo per la tua vergogna. Non riesci ad andare oltre a te stesso nemmeno in un momento come questo».
Toshinori strinse il lenzuolo tra le dita, man mano che la consapevolezza prendeva il possesso della sua mente.
«Continuo a sbagliare ogni cosa» mormorò, addolorato. Recovery Girl aveva maledettamente ragione: nemmeno in un momento come quello era riuscito a smettere di pensare a se stesso e aveva ignorato le richieste di Machiko.«Perché? Eppure non desidero altro che...»
«È qui che sbagli» lo interruppe Recovery Girl. «Devi smettere di pensare a ciò che desideri tu e cominciare a ragionare di più su quello che desidera lei».
«Ciò che desidera lei?» mormorò Toshinori, cominciando a capire.
«Esatto» disse Recovery Girl, saltando giù dalla sedia. «E in questo momento desidera vederti. Scegli tu se vuoi continuare a fare il bastardo o ti deciderai a metterti un paio di pantaloni e andare nella sua stanza».
Si avvicinò alla porta e l'aprì, intenzionata a uscire e andarsene, ma Toshinori riuscì a bloccarla, chiedendole in un usuale moto di coraggio: «Non le farà male... vedermi così?».
Era come un bambino, non aveva la più pallida idea di come si stesse al mondo, avendo vissuto per tutta la vita solo ed esclusivamente al servizio di All Might. Quell'ingenuità faceva quasi tenerezza, ma era bello vedere che aveva comunque desiderio di imparare, rendersi un uomo migliore.
«Credi possa farle più male che il sapere che l'uomo per il quale si è sacrificata non è neanche interessato a sapere come stia?»
«Questo non è vero!» sobbalzò lui, in preda al panico di essere frainteso.
«E allora vai e diglielo. Startene qui non l'aiuterà a capirlo, ma non farà che alimentare quel suo atroce dubbio» una nuova scintilla negli occhi dell'uomo le suggerì che era riuscita a convincerlo. Stava lottando contro le proprie paure, contro quel fantasma che era diventato, solo per fare la cosa giusta e finalmente dare a Machiko ciò di cui aveva bisogno, anche a discapito di se stesso. Perché se fino a quel momento le aveva nascosto la verità, era stato solo per puro egoismo mascherato a perbenismo. Aveva avuto paura di perderla, che lei l'avesse trovato ripugnante, che avesse smesso di amarlo e aveva continuato a nascondere la verità, convincendosi che lo faceva solo per lei, per evitarle di soffrire. Una bugia raccontata a se stesso per sollevarsi dal peso di quell'ingiustizia.
«Sono stata da lei poco fa, è sveglia se ti interessa. Il suo manager è lì, quell'uomo la ama forse più di te, è volato qui il giorno stesso che ha saputo di lei e non lascia la sua stanza neanche per dormire».
Il volto corrucciato di Toshinori divenne ancora più rigido, schiacciato da quel nuovo tormentoso e invadente sentimento: la gelosia. Come si azzardava quell'uomo ad essere più attaccato alla sua Machiko di lui? Si tolse le lenzuola di dosso e saltò giù dal letto, coprendosi con una vestaglia, infilandosi un paio di pantaloni e le ciabatte e camminò a passo pesante fuori dalla stanza.
«Oh beh... alla fine bastava poco per convincerti. Mi chiedo perché non abbia giocato subito la carta del rivale in amore» commentò Recovery Girl guardandolo mentre camminava a pugni stretti verso la stanza della donna. Si fermò di fronte a quella porta, il pugno alzato ad altezza del viso, pronto a bussare, ma non riuscì a compiere quel gesto definitivo. Decine di scenari gli si piazzavano di fronte, e in ciascuno di essi finiva con l'essere mandato via per sempre dal suo volto raccapricciato. Si guardò il petto: forse sarebbe stato meglio entrare presentandosi nella sua forma muscolosa e parlarle prima, portandola gradualmente a quella verità. Se fosse entrato lì dentro in quel modo avrebbe solo potuto shockarla ancora di più. Sì, era la cosa migliore, arrivare lentamente a dirle la verità e non piazzargliela di fronte come se niente fosse. Magari, se entrava così, avrebbe anche potuto non riconoscerlo e sarebbe stato ancora più difficile spiegarle tutto. Fece un lungo sospiro, si guardò assicurandosi di essere solo e infine si gonfiò nella forma che Machiko conosceva e di cui si era innamorata.
«Codardo!» la voce improvvisa di Recovery Girl alle sue spalle lo fece spaventare tanto che sputando sangue non riuscì a mantenere la sua forma e tornò ad essere lo scheletrico e mingherlino raccapricciante Toshinori. Era teso come una corda di violino, bastava davvero così poco per farlo scattare. Recovery Girl lo superò rapidamente e fece per lui ciò che era giusto e che non riusciva proprio a fare: bussare a quella dannata porta.
«In bocca al lupo» disse poi, andandosene.
«Traditrice!» gli urlò contro Toshinori, in preda a una crisi di panico. La porta si aprì e quel clang sembrò quasi che provenisse dalla sua gola, chiusa, serrata in una morsa che il cuore stringeva sempre più. Si voltò a guardare l'interno della stanza, ma lo sguardo venne bloccato da qualcos'altro: davanti a lui c'era un uomo dalla folta capigliatura castana, elegante ed affascinante, con quel pizzico di sex appeal che caratterizzava gli uomini americani di un certo livello. Camicia sbottonata sul collo e fuori dai pantaloni, aspetto curato, muscoloso, occhi verdi e una mano infilata in una tasca in una posa sicura e virile. Toshinori lo guardò sbattendo qualche secondo gli occhi, confuso quanto agitato: chi era quel bell'uomo che si trovava nella stessa stanza della sua Machiko? Ancora quel fastidioso sentimento di gelosia che gli prendeva a pugni lo stomaco, sentimento che divenne insopportabile nella sua oppressione nell'istante in cui sentì la voce di Machiko, provenire da dentro la stanza, chiedere: «Drew, chi è?»
"Questo è Drew?" pensò impallidendo di fronte all'evidenza che per vent'anni era stato colui che le era stato a fianco più di chiunque altro. Colui che aveva preso il suo posto, a fianco della sua Machiko. E lui...
Aveva già perso, non poteva competere con un uomo tanto affascinante, non in quelle miseri condizioni da scheletro umano.
«Uno scocciatore» rispose lui, sbattendogli la porta in faccia.
"Scocciatore?" pensò al limite della tolleranza. Quell'uomo non solo gli aveva portato via Machiko, non solo se la teneva stretta, non solo restava con lei perfino mentre dormiva, a guardarla, non solo aveva preso il suo posto, non solo competeva con lui in bellezza e fascino... ma si azzardava perfino a sbattergli la porta in faccia definendolo scocciatore. Lui! All Might!
«Oh, dai! Magari era un fan che voleva salutarmi, sei crudele» sentì dire da Machiko all'interno della stanza, ma la ignorò, ormai in preda alla collera. Si gonfiò di nuovo nella sua muscolosa forma, carico di una forza che neanche gli attacchi alle spalle di Recovery Girl avrebbero potuto eliminare, e sfondò la porta entrando con prepotenza, annunciandosi con un minaccioso: «Ci sono qua io!!!»
Forse aveva desiderato intimorirlo con la sua trionfante e pericolosa entrata, ma ormai era troppo tardi per rendersi conto di quanto fosse stato ridicolo ed avventato nel distruggere perfino la porta. Machiko seduta sul proprio letto e Drew accanto a lei, sulla sedia, lo fissarono interdetti senza spiccicare parola.
«Chiedo scusa, chiamo io qualcuno per aggiustarla» mormorò All Might, alzando le mani mortificato.
«Imbecille» commentò Machiko, amareggiata da quella reazione così poco adulta e da imbranato qual era sempre stato.
«All Might» mormorò Drew, alzandosi in piedi. Una nuova luce nei suoi occhi, la furia nel viso, i pugni serrati mentre si avvicinava a lui, ringhiando: «Finalmente ti fai vivo, pezzo di merda!»
"Pezzo di merda?" pensò Toshinori, sconvolto dal sentirsi chiamare in quel modo. Non era abituato ad essere maltrattato, non da chiunque non fosse Machiko o qualche cattivo ovviamente, era sconvolgente.
«Sarei dovuto venire prima, lo so» cercò di abbozzare lui delle scuse, sorvolando sull'insulto.
«Venire prima? Stai scherzando, spero?» disse Drew, piazzandosi esattamente tra lui e Machiko. Un gesto che racchiudeva il significato di quelle parole, prima che lui potesse spiegarlo a voce: «Sono io che volevo incontrarti per avvisarti che se provi anche solo una volta ad avvicinarti a Nina più di quanto io ritenga tollerabile ti faccio a pezzi, eroe fasullo ciuccia soldi!»
«Drew» provò a chiamarlo Nina, alzando le sopracciglia rassegnata.
«Guardala! Guarda come si è ridotta a causa tua... e tu non sei neanche stato in grado di proteggerla! L'eroe migliore del mondo un paio di palle!» continuò a gridare l'uomo, sempre più furibondo. Per quanto l'idea che qualcuno lo minacciasse di star lontano dalla sua Machiko lo facesse incazzare come poche volte, Toshinori non riuscì comunque a proferire parola. Come poteva dargli torto? Era stata tutta colpa sua, lo sapeva. Drew, per quanto lo detestasse e non sopportasse quel suo modo di parlargli, aveva maledettamente ragione.
«Hai la più pallida idea di quale sia il suo valore? Di quanto Nina sia importante e preziosa? Non certo paragonabile a te, ciarlatano!»
«No, è vero» mormorò Toshinori, abbassando lo sguardo addolorato. Machiko non era assolutamente paragonabile a lui, su questo non c'era da discutersi. Lei era migliore su tutti i fronti.
«Drew!» la voce imperativa di Machiko lo convinse a terminare la sua scarica di colpe e si voltò a guardarla, lasciandosi convincere dal suo sguardo a lasciare in pace Toshinori. Un'ombra si impossessò di lei, man mano che i secondi le diedero tempo di tornare a pensare.
«Per favore» chiese, stringendo lievemente le lenzuola tra le dita, quelle delicate e raffinate dita che ora erano completamente avvolte da delle bende. «Puoi lasciarmi sola con lui per qualche minuto?»
Drew fulminò All Might, al suo fianco, lasciando uscire solo dal suo sguardo tutti gli insulti che non potè riportargli ad alta voce. Infine si fece da parte, passò oltre All Might e uscì dalla stanza a passi pesanti, per niente convinto, ma comunque deciso ad accontentarla. Calpestò la porta ancora a terra e non appena ci scese questa prese a galleggiare a mezz'aria qualche istante, prima di lanciarsi verso lo stipite e richiudersi con un tonfo.
«Telecinesi» spiegò Machiko, dando una spiegazione a quella porta che sembrava aver preso vita e averli chiusi dentro con una tale ira. Toshinori la fissò sconvolto e lievemente spaventato, soprattutto per l'aggressività con cui aveva compiuto quel gesto.
«È arrabbiato, ma di solito non si comporta in questo modo. È una brava persona, terrà la porta al suo posto fintanto che non avremmo finito di parlare così da lasciarci la nostra privacy».
"È pure una brava persona, maledizione!" pensò Toshinori, mordendosi il lembo della vestaglia dal nervoso e lasciandosi ancora travolgere da quell'accecante gelosia.
«Toshinori» il tono ora addolorato e di nuovo serio di Machiko lo fece ritornare coi piedi per terra, ricordandogli il motivo per cui era lì dentro. Dovevano parlare, dovevano assolutamente parlare e lui non  ne sarebbe uscito fintanto che non le avesse rivelato quell'ultimo segreto di cui tanto si vergognava. L'avrebbe fatto per lei, anche a discapito del suo amore, di vederla voltargli le spalle. Si avvicinò a lei e nel completo silenzio si sedette sullo sgabello al suo fianco, dove fino a poco prima era seduto Drew. Machiko non smise di fissare le proprie mani fasciate, rosate per qualche goccia di sangue persa ancora, intenzionata a non lasciar andare il lenzuolo neanche un po'. Il turbamento che stava vivendo era percepibile sulla propria pelle e stringeva il cuore.
«Steve...» balbettò, lievemente rossa in volto, imbarazzata forse per quanto avrebbe confessato. «Come sta quello Steve?»
Si sorprese di una domanda del genere, in un momento come quello. Aveva creduto che avesse voluto parlare di loro, di lui, invece tirava in ballo Steve Fox lo psicopatico e la cosa sembrava starle particolarmente a cuore, anche se non si sentiva proprio a suo agio con quel sentimento.
Toshinori annuì, prima di rivelarle: «L'hanno portato ieri al penitenziario dopo che hanno appurato la sua buona salute. Solo un paio di fratture, guarirà col tempo». Lei annuì, mostrandosi più sollevata.
«Machiko...» iniziò lui, cogliendo l'occasione per porle una domanda che non aveva fatto che bombardargli nella testa: «Sapevi di avere lo One For All?»
Machiko si stupì della domanda e il viso corrucciato lasciò spazio  a uno sorpreso. Si guardò una delle due mani fasciate, studiandola come se avesse la risposta al suo interno.
«Quello era One For All?» chiese, stupita.
«Quindi non lo sapevi» osservò Toshinori. «Ma scusa... allora cosa credevi che fosse quell'incredibile forza che hai sprigionato contro Nomu? Non riusciva neanche più a spezzare i tuo fili!»
«Ho creduto fosse opera di Midoriya» confessò.
«Midoriya?» chiese stralunato lui.
«Sì... vedi, quando uso i miei fili su Bakugou riesco a sentire il dolore delle sue esplosioni. L'energia che scarica e che si ripercuote sui suoi muscoli percorrono a ritroso i miei fili e arrivano fino a me, recandomi lo stesso dolore. Io ho tenuto il braccio di Midoriya durante il suo Smash, l'ho arpionato per fargli credere che lo stessi aiutando, e ho pensato che semplicemente parte di quell'energia avesse fatto come le esplosioni di Bakugou e fosse arrivata a me, e che io poi l'avessi usata e scaricata successivamente».
«Mh...» rifletté lui, prima di chiedere: «Credi possa essere possibile? Ma quando usavi i tuoi fili su di me, con One For All, non è mai successo niente del genere».
«Sì, forse hai ragione... in fondo, quando mamma mi ha concepita aveva già ereditato One For All. Magari me l'ha passato geneticamente, ma comunque rimane una parte così misera di me che sono riuscita a liberarlo solo una volta in tutta la vita e quell'unica volta mi ha quasi uccisa. E, se devo essere sincera, non credo che riuscirò mai più a farlo. Probabilmente l'insieme dei sentimenti provati e quel luogo così macabro hanno fatto da catalizzatore. Semplicemente... vive in me, ma non mi appartiene».
«Machiko, a proposito di questo...» tentò lui di intervenire, trovando l'argomento propizio. Le avrebbe parlato, le avrebbe rivelato ogni cosa.
«Aspetta!» lo interruppe lei, agitata e tornando ad arrossire. «Prima di ogni cosa, ti prego... Ho bisogno di chiederti una cosa».
Tornò a stringere il lenzuolo con entrambe le mani, a stringersi in se stessa. Si corrucciò e il rossore dell'imbarazzo tornò a comparire sul suo volto: cosa c'era che la turbava tanto e la faceva vergognare a tal punto? Cosa aveva la precedenza su quel discorso che sapeva perfettamente anche lei che era giunto il momento di fare?
«Steve...» balbettò e infine si fece coraggio per proseguire: «Steve ha detto che io gli ho salvato la vita, quando era un bambino, ma che poi mi sono fatta da parte per permettere a te di prenderti tutta la gloria. È stato da lì che ha cominciato a odiare te e amare me a tal punto da diventarne un'ossessione. È arrivato a questo per colpa di quel giorno e di tutte le volte che tu hai brillato al posto mio. Insomma... io voglio solo dire che...» strinse ancor più le lenzuola, mentre le sopracciglia si inarcavano sempre più in un'espressione addolorata e spaventata: «Tu credi che sia stata colpa mia?» riuscì finalmente ad ammettere.
«Cosa?» chiese lui, incredulo.
«Sì, insomma...» e si portò timidamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio, a dimostrare tutto il disagio e la vergogna di quella domanda. «Ciò che voglio dire è che io non sono brava in questo, non sono sempre stata in grado di distinguere il giusto dallo sbagliato, al contrario tuo. Sei più bravo di me a capire gli errori e quali devono essere i comportamenti corretti da tenere, me li hai insegnati tu. È per questo che lo chiedo a te, perché io non riesco a capirlo ma ho così paura di sbagliare. Credi che abbia sbagliato qualcosa? Che Steve sia diventato così per colpa mia? Dove... dov'è il mio errore, Toshinori? Ti prego, correggimi» confessò, raggomitolandosi e nascondendo infine il volto nelle lenzuola, premute contro il viso. Si era sempre appoggiata a lui, per un'intera vita, per riuscire a comprendere giusto e sbagliato. Era stato lui a insegnarle la giustizia e l'onestà e ora che si era trovata di fronte a un grosso errore di cui si sentiva strettamente legata, si era rivolta all'unica persona che sapeva avrebbe potuto aiutarla a trovare le risposte, come aveva sempre fatto. Ma ciò che gli fece più male era vedere come ancora una volta Machiko rivelasse quel lato fragile di sé, il suo folle amore per quelle marionette di cui si serviva solo per non sentirsi sola e disperata. Steve era un burattino rotto che aveva ritrovato dopo tanti anni, senza neanche ricordarsi di averlo avuto tra le mani in passato, e vederlo in quelle condizioni a causa sua le aveva lacerato l'anima.
«Machiko, Steve era semplicemente malato. Tu non c'entri, non è stata colpa tua».
«Sei sicuro? Non credi abbia commesso qualche errore?» chiese lei, speranzosa più di quanto si sarebbe aspettato. Quanto doveva farle male quella faccenda per aver bisogno di una rassicurazione a tal punto?
«Sì, certo» disse lui, intenerito e desideroso di darle ciò di cui aveva bisogno.
«Katsuki...» disse, tornando a fissare le lenzuola sotto di sé. «Bakugou è arrabbiato con me. Non potrò mantenere la promessa fatta, non potrò dargli la possibilità di battermi. Sono stata addormentata per due giorni interi, dopodomani partirò e non ho le forze di usare ancora il mio Quirk, non finché non mi riprenderò del tutto. Avevo promesso di allenarlo, di renderlo il numero uno. Mi hanno detto che in questi giorni è intrattabile e si irrita terribilmente quando parlano di me. È furibondo, mi odia sicuramente. Mi sta sfuggendo dalle mani, ne sto perdendo il controllo» disse velandosi di un leggero panico, che nascose nelle proprie mani, coprendosi il volto. «Se non posso controllarlo, come posso assicurarmi che il suo cuore batta nel verso giusto? Se mi sfugge in questo modo, come posso sapere... come posso sapere che non diventerà come Steve, a causa mia?»
Era così fragile che perfino un piccolo dubbio come quello le aveva instillato dentro una tale paura da portarla quasi al panico. Forse complice anche i farmaci che la rendevano particolarmente suscettibile, ma Toshinori sapeva che quella era solo la liberazione della sua vera sè. Quella fragile, timorosa, che aveva sempre bisogno di essere abbracciata per non cadere in pezzi. La Machiko che stringeva al petto le proprie bambole per proteggersi dal buio. Era così piccola, in confronto a quell'enorme spietato mondo. Come potevano crederla crudele? Come potevano pensare che fosse capace di essere il mostro che tutti temevano? Come potevano non vedere che era solo una stupida maschera, la sua?
«Steve ha cercato di ucciderti, il giovane Bakugou ti ha invece salvato la vita. Non basta questo a capire che quei due sono completamente diversi? Sei abbastanza attenta e affezionata alle tue marionette, dovresti coglierne le sfumature con facilità».
«Che significa?» chiese lei, confusa. «Mi ha salvata?»
«Più volte durante la battaglia, lo sai bene, ma forse quello che non sai è che mentre eri incosciente, dopo che i medici hanno tentato di rianimarti, quando ormai era passato troppo tempo, hanno iniziato a crederti perduta. Ti stavano lasciando andare, si erano arresi».
«E Bakugou... mi ha salvata?» chiese lei, meravigliata e incredula. Toshinori arrossì lievemente e ridacchiando spiegò: «Sì, beh, più o meno... ha preso uno dei dottori per il colletto e l'ha minacciato di ucciderlo se non ti avesse fatto respirare di nuovo. Ha urlato tutta una serie di cose sul fatto che dovesse essere lui quello che doveva batterti, che non capivano niente, che non eri morta e loro erano degli incompetenti e l'ha quasi tramortito il poverino. Sono dovuti intervenire Kirishima e Eraser per fermarlo e portarlo via, era completamente fuori di testa. Ma comunque l'importante è che uno degli infermieri è rimasto toccato dalla cosa e ha tentato ancora, fino a quando non è avvenuto il miracolo e sei tornata tra noi».
«Ha davvero detto quelle cose?» chiese lei, rasserenandosi.
«Non voglio mentirti, penso anch'io che la situazione dell'allenamento e della vostra piccola sfida lasciata in sospeso l'abbia riempito di frustrazione, probabilmente è arrabbiato, ma gli passerà. È solo rimasto scosso da quanto successo. Non sarà un piccolo incidente come questo a renderlo come Steve, stai muovendo i tuoi fili correttamente con lui, ne sono certo».
«Grazie» sorrise, più serena nel viso. «Mi sento molto meglio, ora».
Era bastato così poco, erano bastate solo le sue parole. Né quelle di Drew, né quelle di Recovery Girl o di nessun altro... aveva solo avuto bisogno di lui.
«Macchan» mormorò, colmo di un senso di colpa e un dolore che poche volte aveva provato. Era quello il momento, era lì che doveva farlo, per lei e per quell'amore che continuava a rivolgergli, un amore tanto folle da farlo quasi sentire in colpa.
«Devo dirti una cosa» ammise, abbassando lo sguardo.
«Non era un sogno, vero?» chiese lei, tornando a rabbuiarsi. «Quell'uomo... in quella polvere... non ho immaginato tutto, è questo che vuoi dirmi? Eri veramente tu, Toshi-chan?» la voce che le morì in gola, a segnalare il bisogno che aveva di piangere contro cui stava lottando.
Qualche istante di silenzio a rincorrere selvaggiamente quel coraggio di cui aveva follemente bisogno e infine, con una forza tale che mai aveva avuto prima, confessò: «Sì. Ero io».
Machiko fece un lungo sospiro per cercare di calmarsi, scossa e forse in procinto di scoppiare a piangere.
«È colpa della tua ferita?» chiese ancora, socchiudendo gli occhi, concentrandosi a restare calma.
E lui ebbe solo la forza di annuire.
«Quindi è questo che intendevate tu e Nezu quando mi avete detto che ti sei indebolito. Perdi le forze a tal punto... ogni quanto ti succede?»
E questo fece ancora più male, aggiungendo legna al fuoco che già lo divorava dall'interno. Deglutì, schiuse le labbra per parlare, non ci riuscì. Fece qualche sospiro e infine ammise: «Sempre».
«Che significa sempre?» chiese lei, non capendo.
«Ormai... io sono quell'uomo, Macchan. Questa è una forma che riesco a mantenere solo per qualche ora al giorno. Mi...» balbettò, non riuscendo a incontrare il suo sguardo sconvolto e pallido. «Mi dispiace tanto».
«Quindi...» mormorò Machiko con un filo di voce. «Anche adesso tu...»
«Non volevo ingannarti» confessò lui, addolorato.
«Perché, Toshi-chan?» e una lacrima le sfuggì dagli occhi, mentre la voce la tradiva lasciando uscire il suo dolore. «Perché continui a lasciarmi indietro?»
Toshinori alzò gli occhi su di lei, colto da un profondo panico: non la stava lasciando indietro, non di nuovo! Non aveva mai voluto farlo, aveva frainteso. La gola gli si chiuse nell'istante in cui la vide: un'espressione tanto addolorata non era sicuro di averla mai vista prima. Le sopracciglia corrucciate, gli occhi spalancati, le labbre dischiuse e le lacrime che uscivano copiose, libere, senza che lei provasse a fermarle, forse senza neanche percepirle sulla pelle completamente sperduta in quel mondo di dolore.
«Io... avevo solo così tanta paura» confessò, lasciandosi cadere in avanti. Le poggiò la fronte su una spalla, cercando un infantile contatto, il bisogno di un abbraccio.
«Con me puoi farlo, Toshi-chan, lo sai» sussurrò, addolorata. «Con me puoi smettere di sorridere».
Sorridere in quel modo era qualcosa che si era obbligato a fare per il resto della vita. In qualsiasi momento, di fronte a qualsiasi situazione, lui doveva sempre sorridere. Era la promessa che aveva fatto a se stesso e al mondo intero, ma col tempo, quel sorriso che era nato come una maschera per proteggere chi aveva attorno, si era fusa in lui, diventa lui stesso quella maschera. Aveva dimenticato come si faceva, a non sorridere più. Aveva dimenticato come si faceva ad essere se stessi, con le vere emozioni, stretto in un abbraccio sicuro in cui poterlo fare. Magari anche piangere... come si faceva?
La mano di Machiko si posò dietro la sua nuca, accarezzandolo e spingendoselo al petto. Gli cinse il collo con l'altro braccio, avvolgendolo, proteggendolo, e in quel bozzolo sicuro lui finalmente lasciò il fiato. Il vapore uscì dalla sua pelle, mentre lentamente i muscoli si rilassavano, diminuivano la loro disumana grandezza portandolo a quella condizione scheletrica di cui tanto si era vergognato. Non alzò il volto, restando schiacciato contro il petto di Machiko, sentendosi sicuro lì.
E sentendosi sciocco... si ricordò ogni cosa. Si ricordò come si sorrideva davvero, come si amava davvero, come si aveva paura davvero, come si faceva ad essere se stessi, come si faceva ad essere umano... si ricordò come si piangeva. Strinse le dita sulla sua vestaglia, attanagliandosi ad essa, aggrappandocisi disperatamente e lasciò libero tutto ciò che per anni si era tenuto dentro: tutte le paure, tutti i dispiaceri, tutto ciò che quel finto sorriso aveva nascosto per anni uscì come un fiume a cui era stata appena distrutta la diga che lo contrastava. Scuotendo le spalle, lamentandosi come un bambino, schiacciò il volto contro quel petto caldo e accogliente, inzuppandolo di lacrime. Machiko fece scivolare di più le proprie mani lungo le sue spalle, avvolgendolo fino a stritolarlo, chiudendolo in un bozzolo che sarebbe stato il suo rifugio per tutto il tempo di cui sentiva averne bisogno. Poggiò la propria guancia su quei capelli diradati, immergendocisi, e venne travolta dal loro profumo. Era il profumo di Toshinori, sempre lo stesso, non importava che sembianze avesse preso, non importava la forma che il suo corpo aveva deciso di prendere, quel profumo non apparteneva a nessun'altro se non all'uomo di cui era ed era sempre stata follemente innamorata.
«Machiko» mormorò lui, tremante tra le sue braccia, ancora scosso dai singhiozzi. «Resta per sempre con me».
Una richiesta, una promessa che era rimasta sospesa per vent'anni, chiusa in una tasca della giacca rovinata dalle macerie di un terribile incidente. Il momento del dolce...
«Sposami».


Now I am strong, you gave me all
You gave all you had
And now I am home
My love, leave yourself behind
Beat inside me, I'll be with you


NDA.
Brevi NDA solo per scusarmi per la lunga attesa e ringraziarvi di nuovo tutt*! xD Mi scuso anche se non ho risposto alle recensioni (anche quelle brevi arrivate per messaggio), vi ho letto e ho apprezzato come sempre <3 grazie grazie grazie!
A (spero) presto!


Ray


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