Puppeteer di Ray Wings (/viewuser.php?uid=60366)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Photograph, Nickleback ***
Capitolo 2: *** Circus, Britney Spears ***
Capitolo 3: *** Who Knew, Pink ***
Capitolo 4: *** Hello, Adele ***
Capitolo 5: *** I lived, One Republic ***
Capitolo 6: *** Fireworks, Katy Perry ***
Capitolo 7: *** I have questions, Camila Cabello ***
Capitolo 8: *** Ehy Brother, Avicii ***
Capitolo 9: *** Happier, Ed Sheeran ***
Capitolo 10: *** Perfect, Ed Sheeran ***
Capitolo 11: *** Superheroes, The Script ***
Capitolo 12: *** Warrior, Beth Crowley ***
Capitolo 13: *** Bad Reputation, Avril Lavigne ***
Capitolo 14: *** So what, Pink ***
Capitolo 15: *** Welcome to my life, Simple plan ***
Capitolo 16: *** Try not to love you, Nickelback ***
Capitolo 17: *** Distance, Christina Perri & Jason Mraz ***
Capitolo 18: *** Save Myself, Ed Sheeran ***
Capitolo 19: *** Try, Pink ***
Capitolo 20: *** Already gone, Sleeping at Last ***
Capitolo 21: *** Chasing cars, Snow Patrol ***
Capitolo 22: *** A thousand years, Christina Perri ***
Capitolo 23: *** Lullaby, Nickelback ***
Capitolo 24: *** My immortal, Evanescence ***
Capitolo 25: *** Dressed in black, Sia ***
Capitolo 26: *** Dynasty, MIIA ***
Capitolo 27: *** Thinking out loud, Ed Sheeran ***
Capitolo 28: *** Not Alone, Red ***
Capitolo 29: *** Demons, Imagine Dragons ***
Capitolo 30: *** Savin me, Nickelback ***
Capitolo 31: *** Somebody to die for, Hurts ***
Capitolo 32: *** My Love, Sia ***
Capitolo 1 *** Photograph, Nickleback ***
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Note
dell’autrice
Non
so cosa sto facendo
làlàlàlàlà xD
Vabbè, spiego… inizialmente avevo scritto questa
storia di getto, raggiungendo non so per quale follia le 300 pagine, ma
comunque avevo deciso di tenerla per me perché…
non so ultimamente sono afflitta da una carenza d’autostima
artistico spaventosa. “Faccio sempre storie con nuovi
personaggi e love story drammatico/passionali” pensavo e mi
abbattevo di fronte alla poca originalità che temevo di
dimostrare. Ma alla fine ho mandato tutto a quel paese ed eccomi qui!
Mi piace un sacco il risvolto che ho dato a Nina/Machiko
(sì, chiarisco subito il doppio nome per evitare
confusioni… sono la stessa persona! xD) e alla sua storia,
come ho integrato tutto alla storia principale e il significato e
l’importanza che le ho dato, perciò pubblico e
basta u.u E se voi riuscirete ad andare oltre alle apparenze e
aspettare qualche spiegazione in più tra qualche capitolo,
potrete capire. Nina è uno strumento che
utilizzerò per approfondire la psiche di uno dei personaggi
che immagino amiamo tutti… un certo Toshinori :P alias
OOOOOOORMAITO... e con questo spero di aver stimolato un pochetto la
vostra curiosità, ma non aggiungo altro per non spoilerare.
Scrivo queste note prima del capitolo solo per darvi qualche
indicazione di percorso per permettervi di fruirne meglio:
-I capitoli hanno come titolo una canzone (con relativo cantante). Ho
preso questa scelta non solo perché Nina è una
cantante e mi piaceva rendere il tutto più musicale, ma
anche perché in un certo senso ogni canzone scelta
è la colonna sonora di quel capitolo. Le parole e
l’atmosfera rispecchiano ciò che succede o un
aspetto importante di esso, infatti in fondo riporto anche un piccolo
estratto significativo per far meglio comprendere l’anima
dello scritto.
-Ho riempito tutto di flashback perché in alcuni punti sono
più importanti che il riportare il semplice
“ricordava di quella volta che…”. Sono
veri e propri salti indietro e per differenziarli dal presente li ho
scritti in corsivo. Perciò quando vedete il corsivo=
passato, scrittura normale=presente.
-Ho avuto qualche problema con l'html (quanto lo odio -.-)... foooorse ho sistemato un po', ma comunque se avete problemi a leggere per colpa sua ditemelo che proverò a litigarci ancora
-Non ricordo cos’altro volevo dire, se mi viene in mente lo
aggiungo più avanti xD
Grazie dell’attenzione fino a qui, vi lascio alla storia,
buona lettura!
Ray :3
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"Photograph",
Nickelback
«Ottima
performance, Nina. Ora va' pure in camerino a riposarti»
scimmiottò la donna, non appena fu a una distanza abbastanza
sicura da non poter essere sentita da Drew. Si stava lasciando alle
spalle un palco ancora acceso, una folla di persone sedute sulle
seggioline che ancora non avevano smesso di applaudire e un
presentatore entusiasta del suo lavoro che elogiava la cantante appena
uscita di scena. Complimenti che rivolgeva a chiunque mettesse piede
lì sopra, dopo un po' perdevano di credibilità,
ma aveva imparato ad accettare quella sfaccettatura del suo lavoro
molto tempo prima. Ormai neanche ci faceva più caso. Con un
lamento si sgranchì il collo, indolenzito. Il riposo era
proprio quello che le ci voleva, finalmente l'aveva capito anche quel
rompiscatole di Drew ed era riuscita a strappargli un paio di settimane
di permesso. Dopo quasi vent'anni di frenetica carriera era
inverosimile che ancora non avesse accumulato almeno dieci giorni di
ferie, quale sindacato permetteva un simile sfruttamento? Non che se
avesse deciso di continuare a fare l'eroe avrebbe potuto avere di
meglio. No, probabilmente non se la passavano bene nemmeno i suoi ex
colleghi. Anzi, era quasi certa che poteva considerarsi fortunata...
almeno lei aveva un buon stipendio a darle la motivazione giusta per
non mandare a quel paese chiunque.
E qualche bella lettera dei fan, se si scartavano le molestie sessuali
e gli stalker. I pazzi erano veramente ovunque.
«Signorina Nina!» squittì Tiffany, la
sguattera personale di Drew, anche se lui preferiva illuderla con
l'appellativo "segretaria". In piedi davanti alla porta dei camerini,
l'attendeva con una manciata di lettere e una borsa piena di
fogli bianchi e buste vuote da riempire, un paio di penne nel taschino,
pronte all'uso, e un sorriso emozionato sul volto. Il suo lavoro, per
quanto estenuante e al limite della legalità, la
entusiasmava. Forse era il poter stare a fianco delle star la sua
motivazione a non mandare a quel paese chiunque, in fondo aveva un
diario pieno di cottarelle da prima liceo da enumerare tra cantanti e
attori. Seguire Drew le permetteva ogni tanto di stringere la mano a
uno di quei mariti invisibili che si portava nella testa e
ciò le bastava. La sua ingenuità scaldava sempre
il cuore di Nina, tanto che non riusciva a non sorriderle tutte le
volte che la incrociava anche se non portava mai buone notizie. Drew
era il poliziotto buono, "va' a riposarti un po'", e a Tiffany toccava
fare il poliziotto cattivo: «Le lettere dei suoi fan e della
carta per le risposte! Le auguro buon lavoro». Ovviamente
doveva esserci l'imbroglio sotto quel "va' a riposarti", c'era sempre
un imbroglio.
«Grazie, Tif! Gentilissima come sempre» disse con
un velo di sarcasmo nella voce, cosa che la ragazzina non parve
cogliere.
«È un piacere, Signorina Nina! Ah! Le ho tenuto
questa da parte, in modo che non si confodesse con le altre!»
aggiunse poi, estraendo una busta dalla tasca dei pantaloni.
«Sbirci nella mia posta e fai la selezione? Sei una stalker,
per caso?»
«Cosa?» si agitò, cominciando
già a tremare. Odiava commettere errori, odiava essere
ripresa per qualcosa e non riusciva proprio a cogliere l'ironia nella
voce di Nina. Eppure lavoravano insieme ormai da almeno due anni,
possibile che ancora non avesse imparato a riconoscerla?
«Tranquilla» le fece un occhiolino, sperando di
tranquillizzarla. «Non lo dirò a Drew».
La rassicurazione non parve servire a molto, ma la lasciò un
po' confusa, in bilico tra la gioia di non perdere il suo lavoro e il
rammarico per aver commesso un qualche errore di cui, sotto sotto, non
ne era nemmeno totalmente colpevole.
«A dire il vero...» ammise imbarazzata, senza
riuscire a proseguire.
«Queste le prendo io, che ne dici?» sorrise Nina,
allungandosi a prendere la cesta di vimini colma di lettere. Visto che
la ragazza si stava perdendo nel limbo della confusione non era sicura
che avrebbe fatto quel passo di sua spontanea volontà nei
prossimi minuti, e lei non aveva molto tempo a disposizione per quel
lavoro prima che Drew fosse piombato nel camerino pretendendo
le risposte completate e trascinandola da qualche altra parte. Magari
alla festa di quel produttore di cui aveva parlato tanto la settimana
prima. Erano belli i tempi in cui le feste erano momento di gioia e
divertimento e non causa di altro lavoro. E finché si
trattava di cantare ed esibirsi poteva anche farcela, quando si
trattava di relazionarsi e fare colpo su qualche pezzo grosso del giro
era già più impacciata e meno capace.
Fortuna che in vent'anni qualche trucchetto l'aveva imparato... bastava
sorridere sempre.
Afferrò cesta, borsa e la lettera tenuta da parte da
Tiffany, che ancora stringeva tra le dita, e si voltò per
entrare finalmente nel suo loculo protetto.
«A dire il vero...» balbettò ancora
Tiffany, un istante prima che Nina potesse entrare nella stanza.
«Il signor Drew l'ha aperta» e solo allora Nina
fece caso alla linguetta spiegazzata che era stata richiusa in maniera
impacciata. «E aveva chiesto di buttarla via. Ma non me l'ha
ordinato, perciò l'ho conservata!» si
giustificò. «Non so... si tratta del suo vecchio
liceo, ho pensato che potesse essere importante».
"La Yuuei?" pensò sconvolta Nina, roteando la busta e
scoprendo solo in quel momento il logo dell'istituto. Era passato
così tanto tempo dal diploma ed era stato quello l'ultimo
momento in cui aveva avuto un contatto con loro... cosa potevano volere
a distanza di così tanti anni?
Sapeva bene che Tiffany non avrebbe mai fatto qualcosa che Drew non
avesse voluto, senza una motivazione valida. Il "ho pensato che potesse
essere importante" solo perché veniva dalla sua vecchia
scuola non reggeva, sicuramente doveva essere importante. Senza il
"penso".
«Grazie Tif» bofonchiò perplessa.
«Non lo dirò a Drew», promise e questo
sollevò la ragazza. Entrò e si chiuse la porta
alle spalle, spingendola con un piede. Lasciò cadere la
cesta piena di lettere sul tavolo, rovesciandone una decina nel
movimento, la sacca a terra con un tonfo, la lettera della Yuuei vicino
alle altre e finalmente si concesse la meritata sedia.
Sospirò, lasciando uscire tutta la stanchezza in quel gesto,
e fece cadere indietro la testa. Il calore dei faretti sullo specchio
le davano una bella sensazione, sembrava di sentire il sole sulla
pelle, tiepido e delicato come nei primi cenni d'estate. Socchiuse gli
occhi, si distese sulla sedia e si lasciò avvolgere da quel
tepore.
"La Yuuei".
Era passato così tanto tempo...
Lo stadio era talmente
pieno che le urla emozionate degli spettatori erano udibili a miglia di
distanza. Al centro del prato, pronto per l'uso, un palco era stato
appena montato e non aspettava altro che entrassero in scena. Era
giunto il momento, la professoressa Atsuko aveva appena terminato la
presentazione d'inizio del festival sportivo. Un festival che era
più una celebrazione mondiale ai nuovi eroi, che un vero e
proprio festival dello sport, ma d'altro canto la Yuuei non era famosa
per la sua discrezione. E
proprio questo modo di fare in grande aveva portato loro alla decisione
di sfruttare la band della scuola per l'intro di una tale celebrazione.
Ogni anno si inventavano
qualcosa di nuovo per pompare il tutto sempre di più e
quell'anno avevano avuto la fortuna di avere tra gli studenti un gruppo
di tale talento da finire alle finali di una delle gare di musica
più rinomate del Giappone. Non avevano vinto per un pelo, ma
avevano dato alla Yuuei ulteriore prestigio non solo nel campo degli
eroi, e certo non potevano ignorare una tale carta da giocare.
Machiko fece un profondo
sospiro, all'ingresso del campo, e si portò una mano al
cuore nella speranza di calmarlo. Al suo fianco, Akane e Satsuki, le
sue amiche e coriste, si stavano scaldando la voce con delle scale.
Heikichi picchiettava sul muro con le bacchette, impassibile sul volto,
ma agitato nelle mani. Era solo attraverso quelle bacchette che era
possibile valutare i suoi stati d'animo, non c'era altro modo per
riuscire a leggergli in volto, forse anche colpa di quegli occhiali da
sole che per esigenza era costretto a portare sempre sul volto. Il suo
Quirk lo rendeva particolarmente sensibile alla luce solare, gli
irritava gli occhi e puntualmente finiva con il lacrimare come una
ragazzetta piagnucolona. In ginocchio al suo fianco, Kamatari stata
terminando di accordare la sua chitarra, concentrato e corrucciato come
solo lui poteva essere.
Un altro sospiro...
stavano per entrare in scena.
«Siete
carichi?!» gridò Kinji, con tutto il fiato che
aveva. Machiko si sentì morire dentro dallo spavento e per
poco non svenne, ma si limito a reagire alla paura voltandosi verso il
colpevole con tutta l'ira che aveva.
«Yamada,
stupido!» gridò e fece uno strappo alle regole,
utilizzando il proprio Quirk fuori consenso. Yamada si
paralizzò, smettendo di saltellare emozionato, e, quasi al
limite del soffocamento, una forza invisibile lo costrinse a saltare
con forza contro il muro. Heikichi smise di picchiettare con le
bacchette, sussultando per il colpo dell'amico al suo fianco, e si
voltò a guardare Kinji che scivolava a terra portandosi
dietro una colata di bava degno del peggior animale rabbioso. Si
voltò a guardare Machiko, sapendola colpevole, e la
posizione della sua mano destra confermò la sua teoria.
Machiko la burattinaia,
la chiamavano. Dalla punta delle sue dita era in grado di generare dei
fili invisibili che andavano ad ancorarsi ai tessuti muscolari e ne
prendeva letteralmente il possesso, facendo fare al corpo delle persone
ciò che desiderava in base a come muoveva le dita. Come una
vera burattinaia. La maggior parte delle volte finiva per usarlo per
fare in modo che Kinji si picchiasse da solo, non avendo la forza
fisica sufficiente per punirlo personalmente. Quei due non smettevano
mai di litigare, neanche un istante prima di un grande evento come il
concerto di apertura del festival sportivo della Yuuei.
«Perché
sei così violenta?» mormorò Kinji,
dolorante.
«E tu
perché sei così rumoroso?» lo
sgridò Machiko, tremando ancora, forse per la paura, forse
per l'agitazione.
«Stavo solo
cercando di calmarvi! Eravate tutti così tesi!»
«Beh, non ha
funzionato! Come sempre! Stupido!»
«Sei tu che
sei sempre così acida! Così non troverai mai un
ragazzo, lo sai?» gridò Kinji, furioso per essere
stato trattato di nuovo come un fantoccio. La rabbia di Machiko
raggiunse l'apice e altri fili invisibili partirono dalle sue dita,
costringendo Kinji a prendersi a schiaffi da solo.
«Perché
ti picchi da solo?» lo canzonò furibonda.
«Ahi!
Finiscila!»
«Eh? Sei
stupido?»
«Basta!
Antipatica!»
«Stupido!»
«Acida!»
«Yamada
stupido!»
«Sakamoto
zitella!»
«Machiko!!!»
una voce allarmata, che Machiko riconobbe subito come quella di
Toshinori. Primo della classe, primo della scuola, il più
quotato dalle aziende di Supereroi, alto, muscoloso, biondo... era il
simbolo di quella scuola e ormai da anni anche suo migliore amico.
Machiko smise di litigare con Kinji e si voltò a guardarlo,
mentre le correva in contro. «Ma che fate? Vi hanno chiamato,
perché non andate?»
«Ci hanno
chiamato?» gridò lei, in preda al panico. Corse
verso l'ingresso dello stadio, insieme al resto del suo gruppo, e
lanciò uno sguardo fuori. Un silenzio imbarazzante era
calato sull'intera tribuna e la professoressa Atsuki, col microfono in
mano, guardava con altrettanto imbarazzo quell'ingresso tentando di
improvvisare qualche battuta per rompere il ghiaccio e dar tempo ai
ragazzi di raggiungerla.
«Ci hanno
chiamato!!!» realizzò Machiko sentendosi svenire.
«Ok! Niente panico! Yamada sistemati la camicia! Akane,
Satsuki, schiaritevi la gola! Heikichi caricati! Kamatari la chitarra
è pronta?» e il ragazzo annuì deciso,
accennando un sorriso colmo di eccitazione.
«Ok! Siamo
pronti! Siete pronti? Io sono pronta. Va bene. Allora andiamo,
ok?»
«Machiko!»
la chiamò nuovamente Toshinori, rompendo quell'incantesimo
che la stava inghiottendo. La ragazza si voltò e lui le
concesse uno dei suoi splendidi sorrisi, uno di quei sorrisi che lo
costringevano a socchiudere gli occhi da quanto erano larghi e
luminosi. Alzò infine il pollice destro, assicurandole
così che sarebbe andato tutto bene. Il cuore di Machiko
rallentò la sua corsa, i polmoni ripresero a respirare
normalmente e la testa riuscì a lasciar spazio alla
concentrazione, abbandonando il panico. Alzò a sua volta il
pollice destro e rispose al sorriso. Sì, aveva ragione
Toshinori... sarebbe andato tutto bene.
«Ed ecco che
finalmente fanno il loro ingresso! Salutate con un caloroso applauso
gli eroi della nuova generazione e finalisti del Japan Academy Music
Award, I Powerful Guy! Heikichi Oota alla batteria, conosciuto anche
come Spectrum! Kinji Yamada al basso, conosciuto anche come Supertone!
Kamatari Nishikawa alla chitarra, conosciuto anche come Invisible Man!
Akane Sawada, corista numero uno, conosciuta come Lady Bug! Satsuki
Hoshino, corista numero due, conosciuta come TechnoGirl! E infine
Machiko Sakamoto, cantante e leader del gruppo, conosciuta come Nina,
la burattinaia!»
«La Yuuei» sospirò Nina,
abbandonando il ricordo degli applausi della gente in quello stadio.
Era passato così tanto tempo, che ormai erano solo un eco
lontano che funzionava grazie al soffuso applauso che proveniva dal
palco dello show che aveva appena lasciato, un paio di corridoi
più indietro. Spostò lentamente lo sguardo alla
lettera sul suo tavolo e il cuore, vibrante di ricordi, si concesse un
battito più forte degli altri. La fissò, sempre
più dura, sempre più intimorita.
Solo qualche altro giorno e sarebbe potuta andare in ferie un paio di
settimane. In un'intervista, mossa dal divertimento che il presentatore
riusciva a solleticarle, si era lasciata sfuggire l'idea che forse
sarebbe potuta tornare qualche giorno a Tokyo. A casa sua.
Davvero poteva essere un caso se la Yuuei dopo anni aveva deciso di
scriverle proprio in un momento come quello? E se invece fosse solo
stato tutto nella sua testa? Se fosse stato solo una qualsiasi faccenda
burocratica che rispuntava dopo anni, come succedeva a volte? Niente di
rilevante, niente di cui preoccuparsi, solo illusioni...
«Al diavolo» gracchiò e si
lanciò su quella busta maledetta che le stava facendo salire
tanta angoscia. Con le mani tremanti l'aprì e ne estrasse il
foglio stampato. Sul fondo riportava il timbro ufficiale della Yuuei,
con la firma del preside Nezu.
"Solo una faccenda burocratica" pensò Nina, trovando
conforto in quel timbro e quella firma così ufficializzanti.
Sospirò, cercando il coraggio di cominciare a leggerla, e
alla fine vinse su quella sensazione di timore scorrendo le righe
scritte in un inglese perfetto. Si erano presi perfino la briga di
tradurre tutto nella sua nuova lingua, forse pensando che non
ricordasse il giapponese, dati i tanti anni di assenza. La gentilezza
la fece sorridere, era proprio degna del preside Nezu.
E stranamente la tranquillizzò, permettendo alla dolorosa
malinconia di lasciar spazio a una dolce nostalgia. Si
poggiò col gomito sul tavolo e continuò a
leggere, più serena, assorta come se stesse leggendo una
lettera d'amore di qualche tenero fan.
«Situazione problematica, ragazzi problematici»
bofonchiò, evidenziando quello che a quanto pareva era il
motivo per cui la contattavano.
«Chiediamo gentilmente se fosse possibile la sua presenza,
durante i suoi giorni di alloggio nella nostra meravigliosa
città, per delle lezioni extracurricolari sull'importanza
della gestione dei propri limiti e debolezze, ricordando quanto fosse
stato importante per Lei il trattamento di queste problematiche e tante
belle parole» sorrise, abbandonando il foglio sul tavolo e
tornando a rilassarsi sulla sedia.
«Professor Nezu, adesso mi dai del Lei»
mormorò, immersa nella nostalgia. «Così
mi ferisci lo sai, non sono poi così vecchia»
ridacchiò. Aveva improvvisamente una così gran
voglia di rivederlo, salutarlo e di ripercorrere quei corridoi che
avevano segnato la sua adolescenza e il resto della sua vita. Un tuffo
nel passato... ma sì, ci sarebbe riuscita.
Sarebbe bastato affrontarlo col sorriso.
I
miss that town
I
miss their faces
You
can't erase
You
can't
replace it
I
miss it now
I
can't believe it
So
hard to
stay
Too
hard to leave it
If
I could relive those days
I
know the one thing that would never
change
|
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Capitolo 2 *** Circus, Britney Spears ***
"Circus",
Britney Spears
Izuku
Midoriya raggiunse la scuola, come ogni mattina da pochi mesi a
quella parte, ma qualcosa avrebbe sconvolto la sua
quotidianità quel
giorno. E non solo la sua, considerata la folla che trovò
davanti
all'ingresso della Yuuei. Curiosi a centinaia, accalcati l'uno
sull'altro, e in testa a tutti questi riusciva distintamente a
sentire il rumore dei flash e il vociare di alcuni giornalisti.
Si
immobilizzò, sconvolto da un tale caos, e si chiese
preoccupato come
avrebbe fatto a raggiungere l'aula in tempo riuscendo a superare
tutta quella folla.
«Izuku-kun!»
la voce di Uraraka alla sua sinistra lo richiamò. Di fianco
a lei
era come sempre presente Iida, insieme a loro anche Ashido e Kaminari
lo stavano aspettando. Kirishima sbucò con la testa da fuori
la
folla e volgendosi sempre a Midoriya gli fece cenno con la mano,
prima di urlare: «Da questa parte! Ci hanno lasciato un
passaggio
libero!»
Midoriya
corse verso di loro e insieme ai compagni si avviò verso la
scuola
attraverso il passaggio che Cementoss aveva creato per loro e che
presenziava affinché solo gli addetti potessero
attraversarlo.
«Ma
che succede?» chiese il ragazzino al professore, sperando che
potesse togliergli quella profonda curiosità.
«Ospiti
importanti» rispose Cementoss.
«Importanti?
Di chi si tratta?» chiese curiosa Ashido, affiancando il
compagno.
«Colei
che si occuperà del vostro corso supplementare sulla
gestione dei
limiti. È arrivata ieri dall'America, ha fama
internazionale».
«Pff»
sbuffò Bakugou, passando di lì proprio in quel
momento. «Io non ho
nessun limite da gestire» gracchiò contrariato e
si allontanò.
«Fama
internazionale?» si illuminò Midoriya, chiedendosi
quale dei più
grandi eroi avrebbe sostenuto quelle lezioni che ora bramava di
affrontare più che mai.
«Midoriya-kun!
Sbrigarsi! La campanella sta per suonare! Forza!» lo
sgridò Iida e
lo afferrò per il colletto della divisa per poterlo
trascinare
dentro il più velocemente possibile.
La
campanella suonò non appena Midoriya mise piede nell'aula e
Iida si
asciugò il sudore della fronte, sospirando un rasserenato:
«Appena
in tempo». Si rassettò rapidamente la giacca e
corse alla cattedra,
per riprendere il suo ruolo di capoclasse e annunciare a tutti
l'inizio delle lezioni, chiedendo di mettersi a sedere. Stranamente
dovettero aspettare qualche minuto più del solito, prima di
sentire
il rumore dei passi di All Might nel corridoio e vederlo sbucare
dalla porta trionfante, annunciandosi con un: «Eccomi
qua!»
Un
ingresso che sorprese i ragazzi più del solito.
"Non
ha il suo costume!"
"Cos'è
quel vestito elegante?"
"Ma
questo è profumo?"
All
Might notò la perplessità sul volto dei suoi
alunni e colto da un
attimo di imbarazzo si schiarì la gola, cercando di
riprendersi con
dignità optando per il proseguire come se niente fosse,
facendo
risultare quel suo abbigliamento normale.
«Dunque...»
cominciò, gonfiando il petto con tutta la naturalezza che
riusciva a
mostrare. «Come tutti saprete oggi pomeriggio, dopo le
lezioni,
affronterete un corso supplementare sulla gestione dei propri limiti
insieme a...» esitò per un istante, per poi
riuscire a completare
con naturalezza: «Alla professoressa Sakamoto,
perciò in
preparazione a questo nella nostra lezione di oggi parleremo proprio
dei limiti di un supereroe! Può non sembrare vero, ma tutti
hanno
dei limiti, ragazzi miei, me compreso... Sì,
Kaminari?» chiese
vedendo l'alunno con la mano alzata.
«Non
sappiamo ancora niente della professoressa Sakamoto, eppure qui fuori
c'era una folla incredibile di curiosi e giornalisti per questo
evento. Possiamo sapere di chi si tratta, più precisamente?
È un
eroe internazionale, giusto?»
«È
davvero così famosa?» si accodò Mineta,
emozionato talmente tanto
che per poco non salì sul banco. Era una donna, una
professoressa, e
tanto famosa da avere una tale schiera di fan... doveva sicuramente
essere anche bellissima.
«La
conoscerete più tardi, torniamo alla nostra
lezione» cercò di
essere sbrigativo ma deciso, pronto a tornare a parlare prima che
qualcun altro provasse a fare altre domande. Ma la cosa non si chiuse
lì, in quanto la porta della classe si aprì e il
preside Nezu fece
il suo ingresso annunciando: «E invece la conosceranno
subito».
«Un'emergenza!»
urlò All Might, orientando l'orecchio verso la finestra.
«Chiamano
il mio nome, c'è bisogno di aiuto! Devo andare!» e
saltò via dalla
finestra senza dar tempo a nessun altro di fermarlo, lasciandosi alle
spalle una folata di vento, cartacce e profumo.
"Ma
che gli prende?" si chiese Midoriya perplesso. Sapeva bene che
non poteva correre in aiuto di nessun altro, non ne aveva la forza,
avrebbe dovuto occuparsi della scuola e basta anche se ancora cercava
di risolvere crimini di minor difficoltà. Niente che un eroe
di
pattuglia non avrebbe potuto fare.
«Sapevo
che sarebbe successo» sospirò il preside, prima di
voltarsi verso
Eraserhead, alle sue spalle: «Accompagnali tu in palestra,
per
favore. Nina è già lì che li
aspetta».
«Avanti
ragazzi, prendete le vostre cose e le tute. Sbrigatevi» disse
Aizawa
con l'enfasi annoiata che lo caratterizzava. I ragazzi si alzarono
rapidamente, presero tutto e seguirono il professore fino alla
palestra, facendo congetture su chi fosse questa professoressa Nina
Sakamoto.
Si
cambiarono negli spogliatoi e infine, dopo poco, raggiunsero
finalmente le palestre.
"Affronta
tutto col sorriso" pensò Nina, colta da un battito di cuore
più
forte del solito quando sentì le porte aprirsi. Piegata su
una delle
panchine, stava terminando di sistemare le sue cose dopo aver
indossato il proprio costume da supereroina, quando sentì il
vociare
dei ragazzi rimbombare alle sue spalle.
"Il
sorriso" pensò più decisa nell'infinito attimo in
cui si
sollevò dal suo lavoro e si voltò per dar loro il
benvenuto.
Sorrise,
radiosa, e li osservò entrare uno dopo l'altro nelle loro
tute
sportive. Il sentimento di nostalgia tornò a essere forte
nel petto,
rivedendo per un breve istante la propria sé più
giovane di almeno
una ventina d'anni che camminava tra loro. Al suo fianco, che
ridevano, c'erano anche Akane e Satsuki, chissà magari
stavano
parlando di qualche ragazzo che le piaceva o delle loro aspirazioni
per il futuro. Kinji le raggiunse correndo e urlando a più
non
posso, prima di tentare di assalirle per abbracciarle. Abbraccio che
tutte e tre schivarono abilmente, lasciandolo cadere di faccia a
terra. Heikichi in fondo al gruppo, silenzioso e isolato, Kamatari
che sorrideva entusiasta della nuova sfida e stava già
scaldando le
gambe per lasciar sfogare il suo Quirk della supervelocità e
infine,
di fronte alla stessa Machiko, pochi passi più a avanti,
Toshinori
che si dava la carica con qualche mantra ridicolo e qualche mossa di
prova per dar sfoggio del suo eroismo. Si allenava sempre molto su
quelle stupide mosse, come se fossero addirittura più
importanti
della lotta in sé, solo per mettersi in mostra e dire agli
altri "è
arrivato il numero uno".
Tornò
rapidamente al presente quando vide il preside Nezu, in fondo alla
colonna di studenti, insieme ad Aizawa, chiudere la porta della
palestra.
Il
sorriso si fece più sincero e alzando una mano
salutò con una
grazia che poche volte i ragazzi avevano ammirato: «Ciao a
tutti,
sono Machiko Sakamoto, ma tutti mi conoscono come Nina».
La
prima voce che si sentì fu quella di Mineta, che si
lasciò scappare
un urlo di gioia seguito da un'esaltata esclamazione: «Nina,
la
cantante!!!»
E
di seguito anche altri compagni la riconobbero, lasciandosi andare ad
esclamazioni più o meno gioiose, e riflessioni sul fatto che
fosse
chiaro quello sciame di giornalisti di fronte alla scuola quel
giorno. Solo Midoriya parve estraniarsi da tutto quello per qualche
istante, perso a scrutare ogni angolo del costume di Nina. Pantaloni
aderenti neri, decorazioni a forma di note musicali blu, ballerine
sottili azzurre, top azzurro, cardigan semitrasparente a palloncino
che si chiudeva sul petto. Sul ventre scoperto erano adagiate altre
note musicali e chiavi di pentagramma sempre dello stesso blu, che
salivano fino al petto, sulle braccia, come se lei stessa fosse tutta
un unico pentagramma. Cuffie con microfono vicino alle labbra, con le
stesse decorazioni musicali. Il tutto si collegava alla sua cintura,
dove erano appesi piccoli congegni elettronici per la regolazione del
volume e una cassa circolare lungo tutto il bacino, sottile e
leggera.
La
riconobbe e si lasciò scappare un urlo sconvolto, prima di
esclamare, indicandola: «Puppeteer! Nina la
burattinaia!»
L'affermazione
sorprese Nina a tal punto che sgranò leggermente gli occhi,
guardando il ragazzino. Il sorriso sul volto si spense per un
istante, colta da un'ondata di ricordi che non si aspettava di dover
gestire tutti in un solo istante come quello.
«Sì»
mormorò. «Come conosci quel nome? Erano anni che
non lo usavo, sei
troppo giovane per avermi visto usarlo».
«Midoriya
è un nerd!» esclamò Aoyama, facendo
scoppiare l'ilarità
dell'intera classe. Nina sorrise, intenerita e in parte felice.
Com'era dolce l'innocenza dei ragazzini, la loro complicità
e quegli
scherzi quasi da bulletti, ma che non facevano veramente male a
nessuno. Che avrebbe dato per tornare indietro di tutti quegli anni e
riprovare di nuovo quei bei momenti di gioia scolastica, quando
ancora i sogni erano così motivanti e irraggiungibili.
«Ti
chiami Midoriya?» chiese.
«Izuku
Midoriya, piacere di conoscerla Signora Nina!» si
chinò Midoriya,
emozionato di trovarsi di fronte un altro degli eroi della storia
passata e che tanto avevano da raccontare. Una vera fonte di
esperienze e lezioni di vita e poco importava se non aveva avuto
tutto il successo che magari poteva aver avuto invece uno come All
Might. Lei, insieme a decine di altri eroi ormai della vecchia
scuola, avevano fatto la storia.
«Signora?»
sussultò Nina, contrariata dall'appellativo.
«S-Signorina!»
gridò Midoriya nel panico, rendendosi conto dell'irritazione
che le
aveva recato. Ma Nina non reagì male come poteva aspettarsi,
anche
se una parte di lei avrebbe desiderato prenderlo e ribaltarlo di
schiaffi... alla fine erano solo ragazzini. Sospirò
divertita,
mormorando sconfortata: «Accidenti, sono così
vecchia ai vostri
occhi. Non mi abituerò mai».
«No,
affatto!» si avvicinò un emozionato Mineta.
«Sei giovanissima e
bellissima! Quanti anni hai? Venti?»
Nina
osservò il ragazzino che ci stava palesemente provando con
un tono
affabile, da Don Giovanni, e non riuscì a non scoppiare a
ridere.
«E
tu come ti chiami, piccolo grappolo d'uva?»
«Minoru
Mineta, al tuo servizio» e si inchinò con un
elegante gesto della
mano.
«Mineta-kun,
dimmi un po'» disse Nina affabile, prima di inginocchiarsi
per
portarsi al la sua stessa altezza. «Ti andrebbe di combattere
contro
di me?»
«Cosa?»
sussultò il ragazzino e la sua paura aumentò
quando incrociò lo
sguardo scintillante della donna. Aveva qualcosa dentro che faceva
una gran paura! Quella donna era pericolosa, glielo diceva il suo
sesto senso.
«Io
veramente preferisco essere spettator...»
balbettò, ma non riuscì
a terminare la frase che Nina gli avvolse le braccia al collo e se lo
portò contro, schiacciandoselo sulla spalla sinistra.
«Oh,
andiamo! Sarà divertente, vedrai!»
esclamò strofinando la propria
guancia contro la testa del ragazzino e stritolandolo come un
animaletto adorabile.
«Tutto
quello che desideri!» si arrese Mineta, ormai KO, mentre un
rivolo
di sangue gli scendeva dal naso.
«E
tu, Midoriya-kun il nerd! Vuoi combattere contro di me?»
«Io...
sì, va bene!» balbettò Midoriya,
emozionato, confuso e imbarazzato
allo stesso tempo. Nina tornò in piedi, lasciando andare a
terra un
Mineta ormai distrutto, ed esclamò:
«Darò la possibilità a cinque
di voi di combattere contro di me contemporaneamente! Purtroppo sono
poco allenata, altrimenti sarei riuscita a gestirne anche dieci, ma
è
davvero da tanto tempo che non affronto un combattimento
serio»
disse con un po' di rammarico. «Allora... chi ha voglia di
affrontarmi? Ci sono ancora tre posti!»
Fece
appena in tempo a finire la frase che Bakugou si fece avanti col suo
sguardo duro e le mani nelle tasche.
«Il
ragazzino coraggioso! Perfetto! Come ti chiami, tesoruccio?»
Mineta,
che si stava rialzando in quel momento, nel sentire Bakugou venir
chiamato "tesoruccio" ebbe un altro mancamento.
«Katsuki
Bakugou» rispose seccamente. Nina gli si avvicinò
e si chinò
appena verso di lui, per guardarlo meglio in volto. Gli sorrise
dolcemente e gli portò una mano sulla testa,
scompigliandogli i
capelli. Quei ragazzini gli portavano alla mente così tanti
ricordi
che non riusciva a non intenerirsi. Si sarebbe affezionata molto
presto, lo sentiva.
«Benvenuto
a bordo, Bakugou-kun».
Bakugou
si irritò per la libertà presa dalla donna,
scattò indietro con la
testa, liberandosi della sua presa, e si sbrigò ad
allontanarsi,
mettendosi al centro della palestra. Non aveva parlato molto e aveva
reagito in modo impertinente ed irruento. Un altro professore si
sarebbe offeso del comportamento maleducato e avrebbe sfuriato, ma
Nina non era un qualsiasi professore. Ripensò alle parole
del
preside Nezu: "situazione problematica e ragazzi problematici".
Il primo tassello cominciava ad andare al suo posto. Lo sguardo si
fece talmente sottile e tagliente che avrebbe fatto paura al suo
peggior nemico e con un sorriso mormorò: «Molto
interessante».
«Altri
due posti, non siate timidi! Ma adesso voglio due ragazze! Non
lasciate tutta la gloria agli uomini che poi si gonfiano come
palloncini e diventano insopportabili».
«Vengo
io!» disse Ashido, saltellando entusiasta.
«Voglio
provarci anche io!» si aggiunse Asui, facendosi strada tra i
compagni e raggiungendo Bakugou e il resto dei ragazzi in mezzo alla
palestra.
«Molto
bene» esclamò Nina e si andò a
posizionare proprio al centro, in
una situazione di svantaggio. Si tirò un braccio verso
l'alto, poi
l'altro, scaldandosi rapidamente.
«Vediamo
se mi ricordo come si fa» mormorò, preparandosi.
«Non
so, ma a me pare un po' sbruffona» bisbigliò
Uraraka a Iida, al suo
fianco. Nina riuscì a sentirla nell'eco della palestra
vuota, ma
ancora una volta decise di lasciar correre quei comportamenti
considerati maleducati. Lei non poteva certo mettersi a criticare,
vista la quantità innumerevole di volte che era stata
sgridata per
il suo comportamento, alla loro età. Sorrise semplicemente.
«Non
limitatevi in nessun modo, non sentitevi in dovere di misurare la
vostra forza e capacità per evitare di ferire un professore.
Voglio
che diate il meglio di voi, servirà anche a me per capire le
vostre
abilità. Chiaro?»
E
gli alunni, ora concentrati, annuirono.
«It's
Show time»
sorrise e con un rapido gesto del dito accese la strumentazione che
portava alla cintura. Dalle casse partì a un volume
decisamente
esagerato una base musicale pop a cui lei assecondò
immediatamente
con movimenti fluidi e decisi del bacino e delle gambe. Mosse
impercettibilmente le dita, scaldandole probabilmente, e rimase nella
sua posizione mentre i ragazzi della Yuuei intorno a sé
saltarono in
contemporanea verso di lei.
«Che
fa?» esclamò sorpresa Uraraka.
«Balla?»
balbettò Hagakure, altrettanto sorpresa.
E
finalmente, a tempo di musica, mosse anche le braccia indirizzando
tutte e dieci le dita verso i i ragazzini che l'avevano quasi
raggiunta. Strinse le dita e nessuno di loro fu più in grado
di
muoversi. Bakugou, che era in volo nella parte opposta rispetto ad
Asui, per inerzia andò a scontrarsi contro di lei. Midoriya
rimase
immobile, incapace di muoversi oltre, esattamente come Ashido e
Mineta, con la sola differenza che quest'ultimo si lasciò
andare ad
un grido impanicato: «Non riesco a muovermi».
Nina
ignorò le loro reazioni e ormai completamente avvolta dalla
musica
continuò a ballare sopra la musica che le sue casse
trasmettevano.
Mosse piedi, si spostò, roteo e mosse soprattutto le braccia
innumerevoli volte, seguendo la musica e il ritmo. Mineta
cominciò a
ballare anche lui e poco dopo anche Ashido fece altrettanto,
muovendosi alle spalle di Nina come fossero il suo corpo di ballo.
Bakugou riuscì a muovere una mano abbastanza da posarla al
suolo e
creando un’esplosione riuscì a sollevarsi da terra
anche senza far
uso del suo corpo. Quel qualcosa che lo bloccava, al suo gesto
improvviso, parve liberarlo e si affrettò per provare ad
attaccarla
dandosi lo slancio con un'altra esplosione. Le volò
incontro,
urlando carico, ma la sua mano parve nuovamente muoversi da sola. Si
spostò verso il basso e si piantò a terra per
frenare il suo volo,
facendogli un male cane nello sfregare. Ciò bastò
ad arrivare ai
piedi di Nina, senza essere riuscito a colpirla. Ancora lei si mosse
e i suoi piedi lo costrinsero ad alzarsi appena in tempo per vedersi
arrivare addosso un Midoriya sconvolto e urlante a pugno serrato. Lo
colpì in pieno viso, facendolo barcollare indietro, e
Bakugou lo
guardò nel peggior modo avesse potuto.
«Che
cazzo fai, Deku?»
«Non
lo so! Non riesco a controllare il mio corpo!»
piagnucolò Midoriya,
poco prima di partire di nuovo alla carica contro Asui, che si stava
rialzando da terra.
«Attenta!»
gridò Midoriya e Asui fece appena in tempo a saltare via, ma
nuovamente qualcosa prese possesso del suo corpo e con uno slancio di
gamba roteò su se stessa e colpì Midoriya dritto
dietro la nuca con
un calcio.
Il
ragazzo cadde a terra frastornato e confuso, e Nina
l'osservò di
sbieco prima di effettuare un'altra piroetta a braccia larghe.
Roteò
il polso e questo bastò per far atterrare Asui in piedi
sulle
proprie gambe. Non si rese conto che Bakugou era di nuovo in piedi e
libero di muoversi, e con un sorriso soddisfatto era al suo fianco
pronto a colpirla.
«Sei
tu che ci fai questo! Ma se ti distrai il tuo potere perde
potenza!»
esclamò contento per essere riuscito a smascherarla.
Sferrò
finalmente il suo pugno, ma Nina con un colpo di vita riuscì
a
tirare indietro il busto ed evitarlo. Approfittò dello
slancio per
fare una ruota all'indietro e con i piedi ben dritti, nel girare ne
approfittò per colpire direttamente Bakugou con un calcio.
Si girò
subito verso il biondo, capendo che era lui il più
pericoloso, e
concentrò gran parte delle sue energie su di lui. Doveva
neutralizzarlo subito. Ancora una volta Bakugou perse il controllo
del suo corpo, le proprie mani partirono in automatico e
cominciò a
colpirsi da solo in pieno viso, allo stomaco, al petto, con Nina che
gli ballava davanti con uno sguardo colmo di sfida. Il ragazzino era
furbo e pericoloso, sicuramente una spanna al di sopra degli altri,
ma non ancora al suo livello. Anche se aveva trovato parte del suo
punto debole. In fondo, era proprio quello il senso della lezione:
gestione dei propri limiti. Con un ultimo pugno Bakugou si
lasciò
cadere a terra, tramortito, e solo allora Nina ne approfittò
per
tornare a concentrarsi sugli altri. Con una mano era riuscita a
tenere ancora fermi Asui e Ashido, lasciando momentaneamente libero
Mineta e Midoriya. Il primo era troppo preso dalla contentezza di
essere di nuovo in grado di muoversi per riuscire a fare qualcosa, il
secondo invece si stava rialzando in quel momento ma perdeva un sacco
di tempo in riflessioni e strategie. Quei pochi secondi non erano
pericolosi per Nina, al contrario di quel Bakugou che andava tenuto
impegnato tutto il tempo se non voleva vedersi fregata.
«Asui,
perdonami!» gridò Midoriya correndo alle sue
spalle. Quell'urlo
catturò l'attenzione di Nina, che ribloccò Mineta
con uno dei suoi
fili, usò gli altri per Bakugou e tornò a
concentrarsi sul piccolo
nerd. Non poteva gestire i loro movimenti ma avrebbe potuto tenerli
fermi per un po'. Provò a lanciare un filo contro Midoriya
ma mancò
la presa, nascosto com'era dietro Asui.
"La
sta usando come scudo" pensò sorpresa dell'idea. "Ma io ho
un piccolo soldatino dalla mia parte" sorrise e tornò a
guardare Bakugou che si stava di nuovo mettendo in piedi. Era un
ragazzino tosto, le piaceva.
«No,
merda... di nuovo» disse, realizzando di essere di nuovo
preso sotto
possesso. «Lasciami andare subito!!!»
gridò provando a generare
alcune esplosioni nella speranza di liberarsi da qualsiasi cosa
stesse usando per manipolarlo. Non lo seppe mai, ma i contraccolpi
del suo Quirk che lui era abituato a gestire Nina riusciva a sentirli
vibrare lungo i suoi fili, arrivare a lei e indolenzirla tanto che
decine di volte perse la presa su di lui. Questione di decimi di
secondo prima che ne riprendesse il controllo, un tempo troppo breve
per permettergli di contrastarla, ma se lui l'avesse saputo non ci
avrebbe messo molto a trovare il modo di volgere quella tecnica a suo
vantaggio. Lo costrinse a scaraventarsi contro Midoriya. I suoi fili
non potevano raggiungere il nerd, nascosto dietro Asui, ma i pugni
del compagno sì. Midoriya non si mosse da dietro la ragazza
ed
attese nascosto, fintanto che l'amico non fu a portata di mano.
«Scusami
Kacchan!» gridò Midoriya afferrandolo per il
braccio, subito dopo
aver schivato il pungo che Nina l'aveva costretto a tirare.
Attivò
quella piccola percentuale di potere che riusciva a gestire e con una
mossa rubata all'arte marziale si voltò di spalle e
scaraventò
l'amico a terra con tutta la forza che aveva. Un impercettibile
schiocco risuonò nelle orecchie di Nina nell'istante in cui
si rese
conto che la mossa di Midoriya aveva letteralmente strappato i suoi
fili dal corpo di Bakugou.
«Esplodi!
Ora!» gridò Midoriya e Bakugou lo fece
probabilmente più per la
furia di essere stato atterrato dal nerd che per obbedirgli
veramente. La potenza dell'esplosione scaraventò i due
contro Nina
che, sorprendentemente, aveva smesso di ballare e li guardò
avvicinarsi a lei a velocità di proiettile. Con un urlo
Midoriya
caricò parte della sua energia nel pugno che avrebbe
sferrato di lì
a poco e Bakugou, al suo fianco, fece altrettanto, pronto a farle
esplodere la faccia.
Nè
l'esplosione nè il super pugno di Midoriya ebbero luogo,
anche
ugualmente le loro braccia arrivarono caricate fino alla sua faccia,
colpendola con una semplice energia da essere umano.
Sorpresi
di quanto appena successo non riuscirono nemmeno a programmare un
atterraggio che non fosse doloroso, rotolando a terra, mentre Nina al
loro fianco cadeva, colpita.
«Ma
cosa...?» chiese Bakugou, non capendo perché non
fosse riuscito a
generare un'esplosione. La sua risposta arrivò nell'istante
in cui
si voltò verso il professor Aizawa, intuendo e indovinando
che
doveva esserci il suo zampino. Aveva annullato le loro
abilità
nell'istante dell'impatto, consapevole che se li avesse lasciati
finire probabilmente avrebbero uccisa Nina, troppo sconvolta per
reagire da sola.
«Posso
di nuovo muovermi» osservò Asui, felice e sorpresa.
«Non
ballo più, evviva!!!» gridò Ashido,
colma di emozione,
abbracciando Mineta che era in lacrime. La musica dalla cassa di Nina
cessò, sotto il click dell'interruttore che lei stessa aveva
premuto. Si tirò in piedi e ridendo imbarazzata ammise:
«Accidenti,
sono proprio arrugginita!»
Midoriya
vide la sua guancia arrossata, lievemente livida per il pugno che lui
e Bakugou le avevano destinato, e colmo di sensi di colpa
saltò in
piedi urlando con le lacrime agli occhi: «Mi
dispiace!!!»
«Non
dovevi istigarli tanto senza neanche sapere quale fosse il loro
Quirk» la brontolò Aizawa.
«Ma
così non sarebbe stato divertente. E poi sapevo che c'eri tu
a
proteggermi, no?» e gli fece un occhiolino provocatorio.
«Quando
si è messa a ballare pensavo ci stesse prendendo in giro,
visto che
la musica è il suo lavoro. Non immaginavo che invece fosse
il suo
Quirk, mi ha davvero preso di sorpresa. Riesce a impadronirsi dei
corpi altrui tramite la musica, incredibile!» disse Asui,
raggiungendo il trio Midoriya, Nina, Bakugou.
«No»
bofonchiò Bakugou, alzandosi. «La musica non
c'entra».
«Sorprendente,
davvero sorprendente» commentò Nina, sentendo il
fuoco nel petto
accendersi sempre di più. Quel ragazzino era davvero
incredibile.
«Non
era la musica? E allora perché ballavo?» chiese
Ashido, ancora
traumatizzata dal fatto che abbia passato tutto il tempo del
combattimento a ballare invece che darsi da fare.
«Non
lo so... è qualcosa che fa con le mani!» disse
ancora Bakugou.
«Fili!
Sono i fili del burattinaio» disse Midoriya, collegandosi al
suo
nome per dare la spiegazione.
«Ed
è per questo che per liberare il tuo amico hai usato la tua
forza e
la torsione del busto, proprio come si fa per un filo da
cucito»
commentò Nina.
«Sì,
è così» asserì Midoriya.
«Sai,
Midoriya...» disse Nina, rabbuiandosi nel tono di voce, e si
osservò
una mano, come se stesse cercando in essa le risposte. «Fino
ad
oggi, prima di te, solo una persona era stata in grado di spezzare
così i miei fili».
Non
disse chi era quella persona, ma Midoriya ebbe l'impressione di
saperlo. Esisteva al mondo solo una persona che possedeva la stessa
forza e lo stesso potere che lui aveva usato per rompere quei fili, e
quella persona era All Might. Quel suo tono non lo rassicurò
molto e
temette di essere stato scoperto o che perlomeno lei avesse
cominciato a sospettare il suo collegamento con il Simbolo della
Pace.
«Dì
un po', lo sapevi già?» chiese Nina, tornando a
sorridere e
abbandonando quell'espressione vitrea che solo una foto ricordo
vecchia di anni poteva avere.
«No»
balbettò lui. «Ecco, non ho molte informazioni su
di Lei».
«Su
di te» lo corresse lei. «Ti prego, non darmi di
nuovo della
Signora!» supplicò.
«C-certo!»
balbettò Midoriya, prima di riprendere a spiegare.
«Non è stata
molto tempo sulla scena e comunque ciò è avvenuto
prima della
nostra nascita, le informazioni raccolte su Nina la Burattinaia erano
legate solo a qualche documento dove spiegava che con l'uso della
musica riusciva a manipolare il corpo delle altre persone.
Però
combattendo contro di te ho visto che mentre ballavi la parte del
corpo che muovevi più di tutte erano le braccia e le mani, e
le
direzionavi verso di noi tutte le volte che tornavamo a perdere il
controllo di noi. Come ha detto Kacchan, ho capito che era qualcosa
che facevi con le mani. Ho ripensato al tuo soprannome, la
burattinaia, e ho provato a... ecco, ho voluto provare».
«In
pratica hai tirato a indovinare!» suggerì Nina,
inarcando le
sopracciglia intenerita.
«Beh,
sì... era una scommessa, diciamo».
«Complimenti»
sorrise Nina e chinandosi verso di lui gli diede un tenero buffetto
sul naso. «Hai vinto la scommessa».
Midoriya
arrossì imbarazzato, anche se sotto sotto doveva ammettere a
se
stesso che quel tono così gentile e delicato era
rassicurante.
Sembravano le carezze di una madre.
Nina
si raddrizzò e si voltò verso il resto della
classe, pronta a
parlare a tutti quanti. «Mi presento meglio, a questo punto.
Io sono
Nina, l'eroe burattinaio. Il mio Quirk consiste in alcuni fili che
riesco a generare dalla punta delle mie dita, invisibili all'occhio
umano, praticamente indistruttibili... se non per alcune
eccezioni»
e Midoriya tornò a rabbuiarsi, preoccupato da quell'ultima
affermazione. Lui era l’eccezione e probabilmente anche All
Might
lo era. «Questi fili hanno il potere di trasmettere
piccolissime
scariche elettriche ai muscoli ai quali si attaccano, scariche che,
se avete studiato un po' di anatomia, sapete che li attivano e li
fanno contrarre. Quindi ciò che faccio è
semplicemente attaccare e
staccare in continuazione i miei fili al corpo della persona che
colpisco, attivando i suoi muscoli a piacimento e perciò
facendolo
muovere secondo la mia volontà. All'inizio non è
stato semplice
gestirlo, ma con un buono studio alle spalle e tanto allenamento
ormai non ragiono più in termini di scarica ma di movimento
del
muscolo in sé. Mi viene tutto più naturale.
Questo però è il
corso speciale di gestione dei limiti ed è di questo che vi
parlerò:
i limiti del mio potere. Primo fra tutti, come il nostro caro Kacchan
ha notato, se mi distraggo possono esserci problemi» e
Bakugou
grugnì infastidito nel sentirsi chiamare con lo stesso
soprannome
vezzeggiativo che Midoriya usava sempre, ma Nina lo ignorò e
proseguì. «Come vi ho accennato è un
potere molto complesso, devo
coordinare bene scarica e ancoraggio per far fare determinati
movimenti, ci vuole particolare attenzione. Se ho addosso
più di un
avversario la situazione si fa pericolosa. Secondo limite: il numero
di fili. Sono molti, vero, infatti se avete visto durante la mia
battaglia contro Midoriya, Asui e Kacchan ho continuato a far ballare
per tutto il tempo Ashido e Mineta. Molti movimenti, molti fili, ma
non infiniti. Infatti spesso dovevo lasciare qualcuno di loro libero
momentaneamente, se volevo usarne più di uno su di una
persona
specifica. Ed erano questi i momenti in cui Kacchan e Midoriya hanno
approfittato per colpirmi. Terzo limite, il più
essenziale... ve lo
mostrerò direttamente. Mineta caro, faresti ancora una volta
da
cavia, per favore?» chiese con dolcezza e fu solo questo a
portare
il ragazzino ad esclamare: «Assolutamente!», per
poi pentirsene un
istante dopo.
«Osservate
attentamente, farò tutto ciò che ho fatto fin'ora
ma senza musica».
Alzò la mano in direzione di Mineta e dando lo slancio a un
dito lo
puntò contro il ragazzino. Un secondo dopo questo si
trovò il
braccio paralizzato. Nina mosse il dito su e giù e il
braccio di
Mineta fece altrettanto, incontrollato. Diede lo slancio ad altre due
dita e cominciò a muoverle con una certa
sequenzialità e precisione
e Mineta si trovò nuovamente a ballare come aveva fatto poco
prima.
Alcuni dei suoi compagni risero soffusamente, cercando di nascondere
la cosa dentro la propria mano, senza però riuscirci troppo.
«Mineta
caro, ti diverti?» ridacchiò Nina, rendendosi
conto di come fosse
comica la situazione.
«No,
basta! Per favore!» piagnucolò il ragazzino e solo
allora Nina lo
lasciò libero.
«Perdonami,
eri così divertente» ridacchiò la
donna, prima di tornare alla sua
classe. «Avete visto?»
«Devi
fare dei movimenti precisi con le dita e comunque i fili non si
attaccano con immediatezza, ma c'è un gap di almeno un
secondo per
permettere loro di percorrere la distanza necessaria a raggiungere il
bersaglio» osservò Yaoyorozu.
«Esatto!
Tutto corretto! Posso sfruttare sia la scarica elettrica che la
tensione, semplicemente muovo fisicamente il filo che tira in avanti
il corpo ancorato, e in più devo aspettare quel secondo,
secondo e
mezzo, che il filo ci mette ad ancorarsi» e per dare
dimostrazione
lanciò un filo verso Aoyama e muovendo il proprio dito
avanti e
dietro mostrò che anche il braccio del ragazzino faceva
altrettanto,
dimostrando che erano fili fisici e come tali poteva usarli anche
come corde vere e proprie.
«Il
mio corpo si muove da solo!» si agitò lui,
sentendosi afferrato.
«Quindi...
eccolo! Gestione del proprio limite!» ed indicò la
cassa alla sua
cintura. «Muovendomi in continuazione, ballando, mescolo i
movimenti
necessari al mio Quirk con decine di altri che non servono a niente e
in questo modo impedisco ai miei nemici di prevedere i miei attacchi.
È una soluzione esterna, che non viene da me, ma dovete
capire che i
vostri costumi sono necessari anche a questo. Ad amplificarvi e
sostenervi, non solo a rendervi più carini agli occhi delle
telecamere. Se sapete di avere un limite, trovate la scappatoia per
gestirlo e impedirgli di avere la meglio su di voi. Semplice, no?
Compito per la prossima volta! Pensate a un vostro limite e provate a
inventarne un raggiro qualsiasi. Lo proverete qui con me alla
prossima lezione che sarà...?» e guardò
Nezu.
«Domani
dopo le lezioni» rispose il preside.
«Domani
dopo le lezioni!» ripetè Nina. «Ora
tornate pure in classe,
ragazzi. È stato un piacere conoscervi» e volgendo
lo sguardo a
Bakugou aggiunse più decisa: «Davvero un grande
piacere».
All
the eyes on me
in
the center of the ring,
just
like a circus
When
I crack that whip,
everybody
gonna trip,
just
like a circus
Don't
stand there watching me,
follow
me
Show
me what you can do
Everybody
let go,
we
can make a dance floor,
just
like a circus
Note dell'autrice
Prima
precisazione che non ho fatto nell'altro capitolo e che mi sono
ricordata che devo fare: L'ambientazione!
Allora, ho ambietato tutto nel gap temporale che va dall'attacco alla
USJ, la prima comparsa dei supercattivi, al giorno del festival
sportivo, però con qualche modifica. Mi sono presa una
specie di licenza poetica e ho adattato alcuni particolari, a partire
da Midoriya, che in realtà in quel momento della vera storia
non aveva idea di come usare lo One For All senza frantumarsi e invece
nella mia versione in minima parte riesce a sfruttarlo (lo usa subito
per spezzare i fili di Nina). Un altro piccolo adattamento, come
vedrete più avanti, riguarda il tempo di autonomia di All
Might... l'ho allungato un pochetto, permettendogli di riuscire a
tenere la propria forma potenziata per qualche ora (non ringraziarmi
Toshinori, è stato un piacere u.u ahahha). Ah! Un'altra
piccola modifica riguarda le ferite di Aizawa dopo l'attacco. Beh,
facciamo finta che sia già guarito, suvvia xD avevo bisogno
dei suoi poteri per dare un senso a determinate cose ahahah
E mi par basta.
Detto ciò... eccovi le prime pulci nell'orecchio: All Might
sa dell'arrivo di Nina, si agghinda a festa (anche esageratamente, ma
lo si ama anche per questo), poi scappa via con una scusa qualunque e
che non sta in piedi, ma questo non sorprende il preside che sospira
ammettendo che se lo sarebbe aspettato. Perché? (Ovviamente
non risponderò io ma lo farà la storia stessa nei
prossimi capitoli, volevo solo stimolare un po' la vostra
curiosità xD).
E Nina, in questo secondo capitolo, oltre a molestare il povero Mineta,
cominciare già a sospettare di Midoriya e interessarsi a
Bakugou, ci spiega in maniera dettagliata come funziona il suo Quirk,
con i pro e i contro (Sì, non ci ho dormito la notte per
pensarci xD ma alla fine il risultato mi piace un sacco!).
Come per tutti i capitoli, la canzone scelta
è un po' la colonna sonora dell'intero capitolo o un aspetto
importante di esso. Ci ho perso giorni per sceglierla xD Per quanto non
vada pazza per la Spears, questa canzone si adattava perfettamente a
ciò che succedeva qui, non solo per il "Show me what you can
do" che mi ha fatto saltellare sulla sedia da quanto ci stava bene,
visto che mette alla prova i nostro studenti preferiti, ma anche per
tutto il resto del testo che per ovvi motivi non ho potuto riportare
per intero xD ma se ne avete voglia, potete andare a leggervelo per
entrare più nello spirito di Nina e capirla maggiormente. E'
una cantante, vive sul palco e lo fa con passione, mettersi in mostra
è ciò che le piace più fare, per
questo non si preoccupa di risultare ridicola con il suo show
improvvisato in mezzo a un combattimento, o con gli atteggiamenti un
po' eccentrici che ha con Aizawa o Mineta. Fa tutto parte del suo
carattere.
Nel prossimo capitolo aggiungerò un altro
importante tassello alla storia sia passata che presente della nostra
Nina, perciò
Stay Tuned! :P
Ray
|
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Capitolo 3 *** Who Knew, Pink ***
"Who
knew”, Pink
«È
stato divertente, sembrava di assistere a uno spettacolo teatrale,
con Mineta e Ashido che ballavano alle tue spalle»
commentò Nezu,
affiancato da Nina. Aizawa aveva riportato i ragazzi a lezione e loro
due erano rimasti soli a parlare, mentre facevano il giro della
scuola.
«Sì,
mi sono divertita molto anche io. Era da tempo che non prendevo parte
a una bella scazzottata vecchio stile» sorrise.
«La
tua carriera da cantante non ti ha rammollita troppo, vedo».
«Devo
dirti un segreto, Nezu caro. Drew crede che io vada in palestra tutte
le sere, dalle diciannove alle ventuno. È una bugia... vado
a
prendere per i capelli qualche borseggiatore da quattro soldi. Giusto
per tenermi allenata».
Nezu
scoppiò a ridere alla confessione ed ammise: «Ti
confesso che un
po' me l'aspettavo. Mi ricordo di quando giravi tra questi corridoi
vestita di quell'uniforme... eri in punizione almeno tre volte alla
settimana. Nemmeno Toshinori riusciva a tenerti sotto controllo, e
pensare che è diventato l'eroe più grande al
mondo. Mi chiedo che
ne possa essere della sua reputazione se si venisse a scoprire che ai
tempi del liceo prendeva pugni da una ragazzetta alta la sua
metà e
forte nemmeno per un centesimo di quanto lo era lui».
«Già»
ridacchiò Nina, anche se fu difficile per lei abbandonarsi
completamente all'ilarità. «A proposito di
Toshinori» si schiarì
la gola, sperando di riuscire a infilare la domanda nel discorso
senza essere troppo indiscreta. «Non era di turno lui con i
ragazzi
della prima A? Pensavo li avrebbe accompagnati in palestra».
«Ha
avuto un’emergenza ed è dovuto scappare
via» disse Nezu,
nonostante sapesse perfettamente che si era trattata di una bugia. Ma
certo non poteva dirle la verità, perciò si
ingannò lui stesso e
si convinse a credere ad All Might.
«C'era
da aspettarselo» disse Nina con rassegnazione. «Non
è cambiato
affatto».
«Ti
sorprenderebbe scoprire invece quanto lo sia. Anche tu, d'altra parte
sei molto diversa da come ti ricordavo».
«Il
taglio di capelli corto dici è troppo aggressivo?»
ridacchiò Nina.
«Ricordo
solo che i tuoi boccoli svolazzanti erano ipnotici al tempo, facevi
strage di cuori tra i tuoi coetanei, Machiko».
«Machiko»
ripetè Nina in un sussurro. «Era da
un'eternità che non usavo più
questo nome».
«Vedi?
Sei cambiata».
«Andiamo,
tutti cambiano con la mezza età!» cercò
di sdrammatizzare.
«Come
se tu ci fossi già arrivata».
«No...
ma una decina d'anni passano in fretta, sai?»
«Vallo
a dire a quei ragazzi della prima A, ne avrebbero di
obiezioni».
«A
proposito dei ragazzi della prima A, ho potuto inquadrare alcuni dei
ragazzi problematici, ma le situazioni problematiche di cui mi
parlavi?»
«Pare
che si siano trovati coinvolti in brutte faccende con una banda di
criminali intenzionati a mettere su un mondo criminale in contrasto
col mondo degli eroi».
«Roba
grossa?»
«Dipende
da come si muoveranno da qui in poi».
«E
Toshinori non gli ha già sterminati tutti?» chiese
lei, incredula
che il grande All Might non avesse già risolto la situazione.
«Te
l'ho detto... situazioni problematiche. Comunque, oggi ti
mostrerò
un mondo che a te è sempre rimasto sconosciuto»
sorrise Nezu,
avvicinandosi a una stanza. «La sala professori! Benvenuta
tra noi!»
e spalancò la porta. Una folata di vento improvvisa si
alzò
nell'istante in cui questa si aprì del tutto, scompigliando
i
capelli di Nina, che fece appena in tempo a intravedere uno degli
stivali gialli di Toshinori volare fuori dalla finestra e la possente
voce di All Might che gridava: «Un'emergenza! Mi
chiamano!»
Il
loro primo incontro, dopo almeno vent’anni che non si
vedevano, fu
tra lei e il suo stivale. Un'intera notte insonne, centinaia di
pensieri, malinconie e ricordi che ora volavano via da una finestra
con una ridicola scusa. Una finestra che dava su di un mondo che in
realtà non era stato inesplorato prima di allora... ma
questo Nezu
non poteva saperlo.
Machiko
si affacciò nel corridoio con discrezione, guardandosi
attorno. Era
tutto vuoto. Ormai era sera inoltrata, gli studenti e gran parte dei
professori erano già andati via, era certa che non avrebbe
trovato
nessuno per la sua strada. Nessuno a separarla dal suo ambito premio.
Si avvicinò alla sala professori con discrezione,
continuando a
guardarsi attorno, e quando fu sicura di essere sola infilò
un dito
nel buco della serratura. I suoi fili partirono, entrando nella
stanza dall'altro lato e cominciarono nella loro
invisibilità a
muoversi per tutta la sua ampiezza. Se c'era qualcuno dentro, si
sarebbero ancorati e lei lo avrebbe sentito. Per l'ospite sarebbe
stato solo un formicolio come un altro, niente di cui creare allarme.
Niente, nessun ancoraggio, nemmeno negli angoli più
nascosti. Non
c'era nessuno. Ritirò i suoi fili e dopo essersi accertata
di non
essere osservata si chinò e infilò nella
serratura una forcina per
capelli. Era un'operazione pericolosa e delicata, ma si era allenata
molto dopo che Kamatari le aveva insegnato come si faceva a
scassinarle. Ebbe non poche difficoltà, la serratura della
sua
camera era diversa e più semplice di quella, ma alla fine
riuscì
nel suo intento. Entrò rapidamente e si richiuse la porta
alle
spalle, tirando un sospiro di sollievo.
«È
fatta» sorrise emozionata. Ora doveva solo trovare il compito
di
algebra che il professor Hori aveva preparato per loro per il
lunedì
prossimo. Forse era la volta buona che fosse riuscita a prendere una
sufficienza! Si affrettò e rovistò nei primi
cassetti della prima
scrivania a sinistra. Niente. Passò a quella dopo e poi
quella dopo
ancora, cercando e rovistando. Doveva essere lì, lo sentiva.
«Macchan!»
l'improvvisa voce che provenne dalla finestra la terrorizzò
a tal
punto che lanciò un urlo, in barba alla sua copertura e al
suo nuovo
ruolo da ninja, e lanciò verso l'ospite indesiderato un
libro di
storia. Toshinori, aggrappato al cornicione della finestra, sorpreso
dall'attacco non riuscì ad evitarlo e fu colpito in pieno.
Perse
l'equilibrio e cadde all'indietro, all'esterno dell'edificio.
«Toshinori!»
gridò Machiko terrorizzata, raggiungendo la finestra
incriminata, ma
lui era per fortuna riuscito a restare aggrappato al cornicione e da
lì si tirò su rapidamente, puntando il viso
severo in quello
dell'amica. «Che stai facendo?» la
rimproverò.
«Che
stai facendo tu! Mi volevi far venire un infarto per caso? Saltare
così in alto non ti da diritto di passare dalle finestre, lo
sai?»
«E
tu non hai diritto di stare qua! Hai scassinato la serratura? Chi ti
ha insegnato? Quel delinquente di Kamatari, giusto?»
«Kamatari
è un bravo ragazzo, qui il delinquente sei tu! Ti giuro,
stavo per
morire di paura! Non fare mai più una cosa del
gene...» la porta
della sala professori si aprì in quell'istante, facendo
entrare le
voci di due professori della terza sezione. Toshinori
afferrò
d'istinto Machiko per il colletto della divisa e la tirò
giù con
sé, facendola cadere nel vuoto. Machiko riuscì a
trattenersi
nell'urlare per qualche strano miracolo, e sempre mossa da quello
stesso miracolo fece l'unica cosa che le venne in mente per salvarsi
la vita ed evitare che si sfracellasse a terra. Lanciò i
suoi fili
contro Toshinori, appeso al cornicione della finestra per una
mano.Questi si ancorarono e si tesero abbastanza da bloccare la
caduta di Machiko, che rimase miracolosamente appesa al suo stesso
Quirk, agganciato al suo amico. Se fossero stati scoperti avrebbero
passato guai seri, ma certo in quel momento le sgridate del preside
sembravano zucchero filato in confronto alla paura appena superata di
morire sfracellata a terra, cadendo dal penultimo piano di quel
gigantesco edificio. Le voci dei professori nella sala si fecero
intense e i due immobilizzati lì fuori trattennero il fiato,
sospesi
a un filo... e Machiko lo era letteralmente. Altre voci, ma questa
volta provenivano dal corridoio di tre piani sotto, da cui,
attraverso una delle finestre, era possibile vedere i piedi
penzolanti nel vuoto della ragazza. Machiko sussultò e
velocemente
cercò di arrampicarsi sui suoi stessi fili, tirando su le
gambe e
pregando di non essere vista. Tutto quel muoversi strattonò
anche
Toshinori, che le rivolse uno sguardo contrariato, ma riuscì
a
mantenere comunque la posizione e il silenzio tombale. Fino a quando,
finalmente, i due professori uscirono definitivamente dalla sala ,
facendola tornare vuota. Toshinori si sollevò appena, dando
una
sbirciata all'interno. Si assicurò che fosse vuota prima di
arrampicarsi per mettersi definitivamente al sicuro, al suo interno.
Afferrò il filo invisibile di Machiko e rapidamente la
tirò su,
facendo in modo che lo raggiungesse.
«Tutto
bene?» chiese non appena la ragazza, abbarbicata al proprio
filo
come un koala terrorizzato, fu a portata di viso. Un pugno lo
colpì
in pieno sulla guancia prima che potesse arrivare qualsiasi tipo di
risposta e per il colpo, dalla sorpresa e il lieve dolore recatoli,
lasciò andare la presa del filo, facendo nuovamente cadere
Machiko
nel vuoto con un urlo. Toshinori si riprese rapidamente e si
lanciò
per afferrare nuovamente il filo invisibile e tirare di nuovo su
l'amica.
«Questa
volta aspetta di entrare e stare al sicuro, prima di
colpirmi»
sospirò affranto del comportamento tanto irruento della
ragazza: era
un vero maschiaccio, delle volte. L'aiutò a mettersi coi
piedi a
terra e Machiko potè nuovamente tornare a respirare. Poi
diede a
Toshinori un altro pugno in faccia.
«È
questa la tua filosofia, eroe? Lanciare le persone fuori dalla
finestra?» lo rimbeccò.
«Mi
dispiace, devo lavorare sulla mia entrata in scena»
mugolò
Toshinori, prima di riprendersi e guardare Machiko con occhi
emozionati. «Ehy! Ma quella cosa di usare i tuoi fili per
appenderti
l'avevi già fatto prima?»
«A
dire il vero no, li ho sempre usati per il controllo dei corpi!
È la
prima volta che li uso direttamente come corde vere e
proprie!»
«Eccezionale!
Non credi sia un'idea grandiosa? E se lavorassimo a qualche
combinazione di coppia? Del tipo che ti agganci al mio braccio e io
ti lancio contro i cattivi» e mimò la scena,
euforico della
trovata.
«Oh!»
si emozionò Machiko. «O magari potrei afferrarne
uno, poi mi
aggrappo a te e tu ci strattoni tutti e due per farci avvicinare a
supervelocità e quando siamo vicini BAM! Gli tiri un bel
cazzotto in
faccia!»
«Grandioso!
O posso usarlo per tirarti fuori da qualche situazione spiacevole,
magari mentre sei accerchiata. Così i cattivi sbattono l'uno
contro
l'altro e tu SWISH voli via tirata dal tuo filo».
«Eccezionale!
E poi...» ma altre voci dal corridoio li interruppero.
«Via!
Via!» sussurrò Toshinori, chinandosi e porgendo la
schiena a
Machiko, che si arrampicò fino ad aggrapparsi alle sue
spalle. Ed
entrambi, finalmente, lasciarono la sala professori indenni, saltando
giù in piena sicurezza sulle spalle del ragazzo che ogni
giorno
riusciva ad imparare sempre più ad usare quel suo enorme
potere,
tanto da arrivare perfino alle finestre del penultimo piano della
Yuuei. Alle finestre della sala professori, pronto a tirar fuori dai
guai una ragazzina nel pieno atto criminale di rubare un compito in
classe.
«Nina»
la donna finalmente si destò, togliendo lo sguardo da quella
finestra socchiusa.
«Sì?»
chiese, sperando di risultare naturale, e si voltò verso
Midnight,
seduta sul divano di fronte al suo, al centro della sala.
«Ti
ho chiesto se vuoi del tè».
«Oh,
scusami... il jet lag, sai, mi ha scombussolata un po'. Mi ero un
attimo estraniata» ridacchiò, poggiando le spalle
allo schienale
del divano.
«Anche
io ho fatto qualche lungo viaggio in aereo, un paio di volte, e posso
capirti perfettamente» la difese Nezu. «A volte ti
rimbambisce
talmente tanto che cominci a vedere cose... ricordi mescolati a
presenze, come se fossero qui. È terrificante, vero
Mic?»
«Brr»
rabbrividì Present Mic, stringendosi nelle sue stesse
spalle. «Odio
i fantasmi».
«Oh,
ma dai! Un uomo grande e grosso come te!» rise Nina, dandogli
un
paio di pacche sulle spalle. «Dimmi un po', piuttosto... io e
te non
ci siamo già visti?» e aguzzò lo
sguardo, cercando di delineare
meglio la figura al suo fianco.
«Lo
credo bene» rispose Nezu, sorseggiando il suo tè
con un sorriso
stampato in faccia. «Hizashi Yamada, il nome ti suggerisce
qualcosa,
Nina-chan?»
«Yamada...
Hizashi?» spalancò gli occhi Nina, scrutando
sempre meglio Mic che
si sentiva invece sempre più a disagio.
«Yamada!» esclamò Nina,
quasi urlò. «Tu sei il piccolo Yamada! Il
fratellino di Kinji! Non
ci credo! Sei davvero il micro-Yamada?! Fatti guardare» e gli
afferrò il volto, per studiarlo in ogni angolo e in ogni
pelo.
«Piccolo Yamada! Eri appena nato quando io e tuo fratello
suonavamo
nella nostra band! Ecco perché non mi ricordavo di te,
eppure gli
somigli così tanto! Così tanto!»
«Suonavi
con mio fratello?» mormorò Mic, completamente a
disagio per quella
radiografia che Nina gli stava facendo.
«Lui
suonava il basso. Supertone! È questo il suo nome da eroe!
Aveva un
orecchio incredibile, riusciva a cogliere ciò che per tutti
noi era
impercettibile. Il basso era lo strumento perfetto per lui. Io
cantavo! E poi c'erano Kamatari, Heikichi, Akane e Satsuki! Eravamo
un gruppo stupendo, chissà dove sono adesso! Tuo fratello
come sta?»
e solo allora lo lasciò andare.
«Sta
bene, è in pensione anticipata per un infortunio, ma sta
bene».
«Infortunio?
Certo che il vostro è davvero un lavoro pericoloso, forse
fare la
cantante a tempo perso non è poi tanto male»
sospirò, poggiando
una guancia pigramente su un pugno e il gomito al proprio ginocchio.
«Anche se a tratti pericoloso anche quello, soprattutto
quando
cercando di penetrare in casa tua per il solo gusto di rubarti le
mutandine» e Mic quasi non morì soffocando nel suo
tè. Nina gli
diede un paio di colpi potenti dietro la schiena, senza scomporsi
oltre, e concluse «Ce n'è in giro di pervertiti.
Chissà, magari
l'unico lavoro sicuro e divertente di questo mondo è proprio
l'insegnante».
«Divertente
sicuramente» rispose Midnight, emozionata. «Quei
ragazzini hanno un
tale fuoco dentro che non puoi far a meno di...»
«Ricordarti
quando la ragazzina infuocata e fuori controllo eri tu e ti viene
voglia di accenderli ancora di più per cibarti di quelle
infantili
sensazioni che non abbraccerai più in altro modo se non
attraverso
lo scintillio dei loro occhi» concluse Nina per lei.
Midnight
rimase per un attimo sconcertata, poi riuscì a balbettare un
poco
convinto: «Sì... io stavo per dire "strizzarli
tutti", ma
anche così può andar bene».
«La
mia era più poetica» sorrise Nina, divertita dalla
sua reazione.
«Piuttosto, quei ragazzini della prima A mi spiegava il
preside Nezu
che hanno già avuto i loro problemi col mondo
esterno».
«Una
banda di criminali li ha presi in ostaggio durante un'esercitazione
per attirare All Might, ma se la sono cavata davvero alla
grande»
rispose Nezu.
«Sono
ragazzini in gamba, stamattina mi hanno dato molto a cui
pensare»
confessò Nina, afferrando la sua tazza ormai tiepida di
tè e
portandosela alle labbra. Quel Midoriya che era riuscito a spezzare i
suoi fili era il primo della lista. Non riusciva a liberarsi di un
pensiero, ma certo era qualcosa che avrebbe dovuto chiedere solo al
diretto interessato. Se mai un giorno avesse voluto chiedere: in
fondo, non era certo una faccenda che la riguardava. Non
più, da
almeno vent'anni.
«Ah,
li hai già conosciuti, dunque! Cosa ne pensi di questa nuova
generazione?» chiese Midnight, incuriosita.
«Mineta
è un pervertito piagnucolone, senza un briciolo di spina
dorsale,
Ashido è tutto aspetto e poca azione, non sa fare
principalmente
niente, Midoriya perde troppo tempo a pensare e non ha la
più
pallida idea di come gestire il suo potere, mi chiedo cosa ce l'abbia
a fare, a Bakugou andrebbe messa una museruola e un guinzaglio,
l'unica forse vagamente decente è Asui, ma ha ancora tanto
da
imparare, è tanto inesperta e poco sveglia. Gli altri li
conoscerò
domani».
«Ah...
insomma, hanno fatto colpo, direi» mormorò
Midnight, imbarazzata.
«Li
ha decimati tutti!!!» gridò Mic, colto da moto
ilare tanto forte da
scompigliare i capelli alla sua vicina di posto.
«Oh,
ehy! Vacci piano, microfono umano. Sono vecchia, ma è ancora
presto
per l'apparecchio acustico» disse, portandosi una mano
all'orecchio
appena assordato.
«In
questo somigli tanto ad Eraserhead, anche lui tende ad evidenziare i
difetti dei propri studenti , ma poi sa anche scorgerne i lati
positivi ed enfatizzarli. È stato così anche per
te, giusto, Nina?»
chiese Nezu, prima di aggiungere. «Ti ho vista
particolarmente
interessata al nostro Bakugou».
«Il
biondino esplosivo» sorrise Nina, sistemandosi nuovamente con
la
spalle al divano. Gli occhi si fecero più sottili, mentre
perdeva
nella bevanda scura lo sguardo, ripensando probabilmente all'incontro
di quella mattina. «È riuscito a catturare la mia
attenzione, lo
ammetto. È sveglio, brillante e soprattutto molto impulsivo
e pieno
di energia... ha le carte in regola per essere un perfetto villain».
Midnight
si rabbuiò alla confessione, ma nessuno riuscì a
proferire parola e
tutti i presenti restarono con il proprio sguardo puntato al
pavimento. In fondo, come avrebbero potuto darle torto?
«Sai
cosa differenzia un ottimo eroe da un ottimo cattivo?»
aggiunse Nina
come se stesse recitando un mantra. «I battiti del cuore.
Solo i
battiti del cuore».
Bevve
parte del suo tè in un unico sorso, lasciandone nella tazza
più di
metà, e lo posò sul tavolino un istante prima di
alzarsi. «Farò
il possibile, nel poco tempo concessomi, per entrare in contatto
anche con quel muscolo e vedere cosa riesco ad aggiustare»
disse,
facendo un occhiolino. «Ora perdonatemi, ma credo che
tornerò al
mio albergo per farmi un lungo pisolino. Questi fusi orari possono
uccidere una persona» disse, lasciandosi andare ad uno
sbadiglio.
«Magari
torno in serata per un altro tè, è bello stare in
vostra compagnia,
professori. Sì, credo che una volta che riuscirò
ad andare in
pensione diventerò una professoressa. Perché non
ci ho pensato
prima?» concluse un istante prima di chiudere la porta alle
sue
spalle. Tirò un profondo sospiro, respirando a pieni polmoni
quell'aria intrisa di gessetto e odore di legno. Infine, a testa
bassa, si incamminò.
If
someone said three years from now
You'd
be long gone
I'd
stand up and punch them out
'Cause
they're all wrong
I
know better
'Cause
you said forever
And
ever
Who
knew
|
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Capitolo 4 *** Hello, Adele ***
"Hello”,
Adele
Un
paio di occhiali scuri e un cappellino da baseball, ed era
incredibile come nessun passante le avesse più rivolto lo
sguardo,
come se fosse diventata invisibile. I giapponesi erano famosi per la
loro discrezione, poi bastava confondere un po' le idee, nascondendo
appena gli occhi, che ogni tentativo di assalimento per autografi o
foto finiva per scemare del tutto. Questo le permise di camminare per
strada senza troppi ostacoli, assaporando l'odore di casa e di
famiglia. Ripercorse la strada fatta migliaia di volte, i vecchi
tempi della sua giovinezza, e trovò il negozio in cui lei,
Yamada e
Kamatari compravano Taiyaki, i dolcetti a forma di pesce con ripieno
dolce. Era tappa fissa, prima di riuscire a raggiungere la fermata
del treno, il pomeriggio dopo la scuola. Non c'era fine della scuola
senza Taiyaki. Stranamente era ancora aperto, dopo così
tanti anni.
Entrò, spingendo delicatamente la porta che fece risuonare
dei
campanellini appesi sopra la sua testa.
«Buongiorno»
salutò, guardandosi attorno.
«Oh,
buongiorno!» rispose una femminile voce squillante, uscendo
da una
delle corsie. Una giovane ragazza, forse più giovane di lei.
Come
immaginava, aveva cambiato gestione e il signor Kuroda non c'era
più.
«Come posso esserle utile?» chiese diligentemente
la ragazza. Meno
male Kuroda sembrava aver lasciato il negozio in buone mani.
«Volevo
un paio di Taiyaki da portare via», chiese cominciando a
cercare il
portafoglio nella sua borsa.
«Arrivano
subito» e detto fatto, presto Nina si trovò con i
suoi ambiti
Taiyaki tra le mani.
«Grazie,
buonagiornata» aveva cambiato nazione, ma non aveva
dimenticato le
buone maniere che le avevano insegnato tanto diligentemente.
«Buona
giornata anche a lei!» e la porta si richiuse alle sue
spalle. Tenne
stretto al petto il sacchetto, infilò una mano al suo
interno e ne
estrasse il primo dolcetto. Il sapore era delizioso, proprio come se
lo ricordava, colmo di dolcezza e una punta di nostalgia. Quante
scorpacciate si era fatta, quando era ragazza. Seduta per terra, sul
ciglio della strada, in qualche parco, sul tetto della scuola...
ovunque era perfetto per mangiare i Taiyaki. Chissà che fine
avevano
fatto i suoi vecchi amici, voleva davvero rivederli. Ma dopo che era
letteralmente scappata via dal giappone, senza lasciare loro
nient’altro se non un messaggio in segreteria... l'avrebbero
accolta a braccia aperte? Si sarebbero ricordati di lei? Akane e
Satsuki sicuramente erano state quelle che l'avevano odiata di
più:
le aveva abbandonate. Si erano ripromesse di cantare per sempre
insieme, diventare famose insieme, salvare il mondo insieme... e
invece lei era fuggita, lasciandosi alle spalle solo una scia di
telefonate ed sms.
Già...
quel giorno che era scappata.
«Presto,
corri, c'è All Might!» disse un bambino, correndo
al suo fianco,
seguito dal suo amico. «Da questa parte, sbrigati!»
e girò a
destra all'incrocio a nemmeno cento metri da lei.
"All
Might" pensò, sentendo improvvisamente la gola chiudersi.
C'era
All Might. Era lì, dietro quell'incrocio. Ci si
avvicinò,
stringendo tra le dita la coda del suo pesce dolce quasi terminato.
Dapprima delicatamente, con passo normale, quasi disinteressato, ma
poi la mente cominciò a bombardarla e senza rendersene conto
si
trovò a correre nella sua direzione, lasciandosi cadere di
mano il
dolce.
«Toshi...»
chiamò nell'istante in cui svoltò nella stessa
via dei bambini. Ma
niente. La strada era completamente deserta e sgombra, se non per le
auto accalcate nel traffico, un passeggino dall'altro lato e i due
bambini entusiasti schiacciati contro una vetrina a guardare lo
schermo di alcuni televisori che trasmettevano una vecchia puntata
del tg.
Si
rilassò, sentendosi una stupida. Anche se fosse stato
veramente lì,
certo non gli sarebbe corsa incontro a braccia aperte. Non dopo
quella volta, non dopo così tanti anni. E allora che senso
aveva
avuto correre nella speranza di vederlo, chiamando il suo nome?
Perché continuava a cercarlo?
Si
voltò a guardare la coda del suo dolcetto smarrita per
strada e
rubata appena in tempo da un gatto randagio. Lo lasciò
correre via
trionfante col suo premio, tanto lei aveva il secondo su cui
tuffarsi. Se lo portò alle labbra e masticando raggiunse i
due
bambini, mettendosi alle loro spalle. Stava venendo trasmessa
l'eroica azione di All Might che aveva sventato una rapina pochi
giorni prima, una replica sicuramente, non troppo vecchia. Lo
guardò,
mentre usciva dal polverone del portone crollato con un mucchio di
sopravvissuti sulla spalla sinistra, un altro mucchio sulla testa e
una bambina terrorizzata avvinghiata al suo polpaccio.
«E
tutto ok, sapete perché?» recitò la
televisione. «Perché adesso
ci sono io!»
Un
sorriso timido, divertito, delicato, nacque sull'angolo destro delle
labbra di Nina.
«All
Right» mormorò
divertita.
«Machiko!»
la ragazza, sentendosi chiamare, distolse lo sguardo dal libro che
stava leggendo. Aveva trovato un posto perfetto, sotto un albero, in
riva al fiume, lontano da tutto e da tutti. In pace col mondo, col
rumore del ruscello in sottofondo, era un ottimo posto dove lasciarsi
andare alla lettura o allo studio, cullata dalle note della natura.
Le piaceva starsene sola, l'aveva sempre ribadito, e nessuno osava
andare a disturbarla quando si trovava lì. Nessuno tranne
chi sapeva
comprarsi il suo benestare: «Ho comprato i Taiyaki! Ne vuoi
un po'?»
urlò Toshinori, raggiungendola.
«Che
gusto?» chiese la ragazza dubbiosa, mettendolo alla prova.
«Tutti
i gusti!» esclamò lui entusiasta del fatto che
comunque sarebbe
andata, non avrebbe potuto sbagliare.
«Consenso
accordato! Siediti pure!» si esaltò lei e
lasciò al suo fianco il
libro, lanciandosi in avanti per afferrare la busta di carta che
Toshinori aveva tra le mani. Ne estrasse il primo dei dolcetti e se
lo portò alle labbra, tirandone un morso vorace:
«Cioccolato!» si
esaltò, sentendo le papille gustative andare in
fibrillazione.
«Ehy,
non vorrai mica mangiarteli tutti!» lamentò
Toshinori, sedendosi
definitivamente a fianco dell'amica. In tutta risposta, Machiko
tirò
indietro la busta e lo fulmino con lo sguardo.
«Eddai,
non essere egoista! Li ho comprati io, dammene almeno uno!»
disse
allungandosi per afferrare la busta.
«Se
qui vuoi restare, tutti i Taiyaki mi devi lasciare! E' un proverbio
giapponese!» disse lei, cercando di allontanare la busta
dalle mani
di Toshinori, che intanto si stava schiacciando contro di lei sempre
più per riuscire ad arrivare all'ambito premio.
«Non
essere bugiarda! Non esiste niente del genere!»
«Sì,
ti dico!»
«Bugiarda!
Bugiardissima!» e ringhiando sempre più furibondo
finì col perdere
l'equilibrio e cadere in avanti, tirandosi dietro anche Machiko.
Entrambi finirono a terra, uno sull'altro, e i Taiyaki scivolarono
dal sacchetto, rotolando lungo la sponda fin dentro al fiume. I due
ragazzi si sollevarono e li osservarono nuotare via, come pesci veri,
trascinati dalla corrente. Qualche secondo per realizzare e infine
Machiko cominciò a piagnucolare: «Gli hai fatti
cadere tutti,
cattivo!»
«M-mi
dispiace!» si impanicò Toshinori, vedendola
così triste per aver
perso la merenda nel fiume.
«Ti
odio» piagnucolò ancora lei, come una bimba
capricciosa, portandosi
tra i denti quell'ultimo boccone di Taiyaki rimastole in mano. E
questo fu il colpo di grazia per Toshinori, che rimase paralizzato
dalla confessione. Morto dentro, ne rimaneva solo un involucro vuoto
che era il suo corpo, e fissò l'amica a lungo, senza
riuscire a
destarsi da quell'oblio in cui era caduto.
«Te
li ricompro più tardi» provò a
mormorare con un filo di voce,
ultimo attacco alla vita.
«Grazie,
Toshi-chan!» si illuminò Machiko, unendo le mani
davanti al viso e
sorridendo allegramente. Nel vederla di nuovo rasserenata anche
Toshinori riuscì a tornare in sè e
tranquillizzarsi: Machiko a
volte era proprio come una bambina, semplice e pura, con qualche
capriccio, forse un po' impulsiva e violenta, ma sempre con
innocenza. In un certo senso... era adorabile.
«Certo
che, vista la tua velocità, avresti anche potuto tuffarti
prima che
cadessero e salvarli»osservò Machiko, tornando a
sedersi al suo
fianco e osservando il fiume che correva via.
«Ma
ormai avevano toccato terra, non mi dirai che te li saresti mangiati
lo stesso!» chiese sconvolto Toshinori.
«Chissà...»
ammise lei, distogliendo lo sguardo imbarazzata per la confessione
poco da signorina per bene.
«Cosa
sei? Un animale?» le chiese lui, sempre più
sconvolto.
«Uffa
però» sbuffò lei, rannicchiandosi nelle
sue stesse ginocchia. Non
aveva ancora azzannato quelli con i fagioli azuka, i suoi preferiti,
anche se Toshinori aveva promesso di ricomprarglieli comunque la cosa
la riempiva di tristezza.
«Eddai,
ti ho detto che mi dispiace, no?» provò a
insistere lui.
«Sei
l'eroe pasticcione. Sì, così dovrebbero
chiamarti: Pasticcio-man!»
«Pasticcio-man
sembra più qualcosa che si mangia»
osservò lui divertito, poi si
illuminò, ricordandosi di una cosa: «Domani ci
faranno scegliere i
nostri nomi da super-eroe! Tu hai già pensato al
tuo?»
«Non
saprei... magari qualcosa come Filo-girl».
«Filo-girl
fa schifo» ammise lui senza troppi rigiri.
«E
il tuo scommetto che invece è stupendo, non è
vero, mister "ho
il nome più figo del tuo"?» si irritò
lei.
«Non
ho mai detto questo! A dire il vero...» e si
rabbuiò appena, prima
di confessare: «Non saprei proprio che nome scegliere. Sono
completamente senza idee. Vorrei qualcosa di grandioso, di unico, che
sia semplice da ricordare e confortante da pronunciare. Insomma!
Voglio diventare il simbolo della pace e voglio che il mio nome mi
rispecchi, che dica al posto mio "Ehy! Stai tranquillo! Ci sono
qua io, va tutto bene!"»
«Everything
is all right»
mormorò Machiko, pensierosa.
«Come
hai detto?» strabuzzò gli occhi Toshinori.
«All
right,
va tutto bene. Sei sveglio durante le lezioni di inglese o fai solo
finta di essere il primo della classe?»
«All
Might!!!» saltò in piedi Toshinori, con gli occhi
talmente colmi di
felicità che per poco non gli uscivano dalle orbite.
«Non
ho detto All Might, è all right!»
«Suona
benissimo! All Might! Va tutto bene!»
«Ho
detto all right!» insistè Machiko, sempre
più furiosa per
l'ottusità del ragazzo che neanche sembrava più
ascoltarla.
«Non
aver paura, giovane ragazzo! Perché adesso ci sono
io!» recitò
Toshinori, allargando le gambe, piazzandosi i pugni ai fianchi e
gonfiando il petto. «E' tutto All Might!»
«E'
all right, stupido! Smettila di dire All Might!»
ringhiò Machiko.
«Prova a dirlo così e nessuno ti
prenderà più sul serio!»
«E'
perfetto! Assolutamente perfetto! Grazie Macchan! Oh! Ho trovato il
nome adatto a te!»
«Sei
irrecuperabile» piagnucolò Machiko, rinunciando
all'idea di placare
la sua euforia. Quando Toshinori si eccitava per qualcosa era
impossibile tenerlo al guinzaglio, diventava una trottola impazzita
che sprizzava gioia a ogni giro.
«Nina!»
«Che
razza di nome sarebbe Nina?» ringhiò lei per
niente convinta.
«E'
la donna più figa di tutto Tekken!» si
entusiasmò lui.
«Non
prenderò il nome di uno stupido personaggio di uno stupido
videogioco! Stupido!»
«Lei
non è stupida, ti dico che è la migliore! E' la
mia preferita!»
«Mi
prendi in giro? Sei un idiota! Ecco cosa sei!» ormai Machiko
si era
ritrovata ad urlare, completamente fuori di sè. Quel ragazzo
la
faceva uscire dai gangheri, era incredibile quanto fosse stupido.
«All
Might!» bisbigliò invece lui, alzando il mento,
tornando ad
assaporare il suo nuovo nome da supereroe. Gli piaceva da impazzire.
«Vieni!
Ti compro i Taiyaki!» disse senza aspettare che lei lo
insultasse
ancora e chinandosi in avanti l'afferrò per mano, prima di
trascinarsela via, correndo verso il negozio.
«Aspetta,
il mio libro!» provò a balbettare lei, allungando
la mano libera
nel vuoto. Ma fu tutto inutile e il libro rimase per sempre su quella
riva, abbandonato. Machiko, a dirla tutta, non riuscì
nemmeno a
insistere troppo, ma la sua attenzione fu catturata dalla mano di
Toshinori che nonostante la sua grande forza la stringeva con tale
delicatezza. Era così calda e rassicurante.
Le
guance si scaldarono appena e fu colta da una strana sensazione alla
bocca dello stomaco.
"Nina".
«Aiuto!
Aiuto, la mia borsa!» gridò una voce femminile,
roca, sicuramente
anziana. Nina distolse lo sguardo dalle televisioni, dove avevano
mandato in onda un secondo servizio, sempre dedicato ad All Might. Si
voltò verso la fonte del baccano e la vide: una signora
anziana a
terra, che si rialzava con fatica, e un ragazzino di neanche
vent'anni, coperto fin sopra il naso, che scappava con una borsa in
mano.
«Ce
n'è di gente maleducata, al mondo»
sospirò Nina prima di sollevare
una mano appena sopra il suo sacchetto, con discrezione. Le mani del
burattinaio cominciarono a muoversi e tendere i suoi fili invisibili.
Dall'altro lato della strada il criminale si bloccò
improvvisamente,
poi si voltò e tornò indietro sui suoi passi.
«Ma
che... cosa mi succede?» lo sentì domandare
confuso e colto da un
moto di panico. Arrivò nuovamente di fronte all'anziana
signora, che
ora lo guardava altrettanto sconvolta, sorpresa del suo cambio di
idea, tanto che non riuscì neanche a chiedere nuovamente
aiuto.
«E
adesso chiedi scusa e restituisci tutto alla legittima
proprietaria»
mormorò Nina tra sè e sè, prima di
costringerlo a inchinarsi e
allungare le mani in direzioni della donna, restituendole la borsa
rubata.
«Oh,
grazie giovanotto» disse lei soddisfatta, riprendendo la sua
proprietà.
«Non
c'è di che» balbettò lui, terrorizzato
all'idea che la cosa che lo
stava obbligando a fare ciò avesse potuto ritorcersi contro
se non
fosse stato gentile. E poi certo non avrebbe potuto ammettere che in
realtà non erano quelle le sue intenzioni o, bloccato in
quella
posizione di svantaggio, avrebbe subito l'ira dei passanti senza
potersi difendere.
«E
non abbandonare più la retta via» disse la
signora, prima di
allontanarsi con la sua borsa ben salda tra le mani.
Nina
rise tra sé e sé, divertita dalla scena, e attese
che la signora
fosse abbastanza distante da poter essere considerata al sicuro prima
di lasciar andare il criminale e permettergli di rialzarsi da
quell'imbarazzante posizione china. Il ragazzo si guardò
attorno,
confuso e spaventato, poi urlando terrorizzato scappò via e
questo
fece ridere la donna ancora di più. Giustizia era stata
fatta. Si
voltò, per tornare sui suoi passi, ma quasi non
andò a sbattere
contro uno degli eroi di pattuglia della zona. Ben fasciato nel suo
costume, la guardava contrariato, anche se il viso parzialmente
nascosto da un casco con visiera era facile cogliere la linea curva
verso il basso delle sue labbra. Anche il suo corpo comunicava
l'intenzione di una bella strigliata, gonfio nel petto, dritto
davanti a lei e le braccia incrociate.
«Buongiorno!
Bella giornata, vero?» chiese lei, naturale, e
passò oltre. Magari
l'aveva riconosciuta e sapeva del suo potere, magari poteva
sospettare che ci fosse stata lei dietro la scena del criminale
redimo, ma chi poteva confermarglielo? Nessuno vedeva i suoi fili.
«Torni
a Tokyo per qualche giorno e non ti prendi la briga nemmeno di venire
a salutare i tuoi amici?» l'ammonì l'uomo e questo
la costrinse a
bloccarsi. «L'america ti ha cambiata davvero molto!»
Nina
affinò lo sguardo, cercando di cogliere i lineamenti del
viso oltre
la visiera scura, ma il cuore aveva già preso a battere
forte da
prima, nell'istante in cui aveva sentito quella voce. Una voce
invecchiata di vent'anni, ma non per questo cambiata molto.
Nessuno
poteva vedere i suoi fili... nessuno con una vista umana normale. La
cosa non riguardava invece chi aveva una visione dello spettro visivo
molto più ampio e potenziato.
«Heikichi?»
chiese, incredula, e l'uomo in tutta risposta sorrise divertito.
«Spectrum!»
quasi gridò, ormai convinta e colta da una gioia
incredibile. «Sei
davvero tu? Ma quanto ti sei fatto grosso!»
«Ho
fatto un po' di palestra» disse lui, alzando le braccia e
gonfiando
i bicipiti. «Si nota tanto, dici?» chiese con una
punta di vanità.
«Non
ci posso credere! Heikichi!» disse ancora Nina, non riuscendo
più a
contenersi e andando ad abbracciare il suo vecchio amico.
«Vedo che
hai anche imparato a parlare» ridacchiò,
canzonatoria. Ricordava
che ai tempi del liceo era dura riuscire a fargli spiccicare parola,
era sempre così cupo e silenzioso.
«Beh,
sì... con questo lavoro impari ad ammorbidirti un
po'» e neanche il
tempo di dirlo che un gruppo di ragazzine passarono al loro fianco,
bisbigliando tra loro emozionate: «Guarda... è
Spectrum!»
Heikichi
si voltò a guardarle e rivolgendo loro un sorriso sincero,
alzò la
mano e le salutò cordialmente. Le ragazzine ridacchiarono
tra loro
emozionate e rosse in volta si allontanarono rapidamente.
«Guarda
guarda, Don Giovanni, che bel giro di fan che ti sei fatto»
ridacchiò lei, sgomitandogli sul fianco.
«Oh,
eddai... così mi fai passare per pervertito»
ridacchiò lui, rosso
in volto.
«E'
bella la fama, eh?» insisté lei. «Dai,
ammetti... ogni tanto te ne
approfitti, eh?»
«Non
essere sciocca! Sono un uomo sposato, io!»
confessò lui con
orgoglio, sottolineando come questo fatto gli impedisse di commettere
atti disdicevoli.
«Che
cosa?» strillò lei, sconvolta. «E con
chi?»
«Oh,
non so se la conosci...» disse con aria palesemente falsa.
«Le
piace farsi chiamare TechnoGirl.»
«Satsuki!!!»
strillò ancora più forte Nina. «Ti sei
accalappiato Satsuki?»
«Parla
piano, così mi farai passare per uno squilibrato che
sequestra le
persone!»
«Ma...
ma quando è successo? Voi due non avevate chissà
quale feeling al
tempo!»
«Vieni,
camminiamo. Devo finire il mio giro di pattuglia» disse lui,
incamminandosi, per poi cominciare a raccontare. «E' successo
quando
te ne sei andata. Non sei voluta venire a trovare nessuno di noi, ci
hai solo mandato sms o lasciato messaggi in segreteria, raccontando
l'accaduto, le tue motivazioni e chiedendo scusa. Non capisco
perché
non hai voluto conoscere ciò che pensavamo della
faccenda».
«Tanto
me l'avete fatto sapere lo stesso, mi avete bombardato di telefonate
per almeno un mese».
«E
tu non hai risposto a nessuna di queste» disse sospirando.
«Nina,
cosa ti era passato per la testa?»
«Mi
dispiace, io...»
«No!
Non sto parlando di quella faccenda con Toshinori, sto parlando di
noi! Siamo sempre stati i tuoi migliori amici, hai davvero pensato
che ti avremmo potuto biasimare? Nessuno di noi te ne ha mai fatto
una colpa, te lo assicuro».
«Lo
dici solo per rassicurarmi» mormorò lei, poco
convinta.
«Non
essere stupida! Senti... ricordi quando partecipasti a quel programma
televisivo? I primi tempi, quando cercavi di farti un nome».
«Quello
sulla gara di canto, sì, certo... è stata la mia
iniziazione nella
televisione, dopo mesi passati a cantare solo nei bar di
ubriaconi».
«Esatto,
erano passati mesi. Tu ci avevi piantato in asso, eri fuggita, non
rispondevi a nessuna delle nostre chiamate, nè sms. Eri
sparita. Ma
quando abbiamo saputo della tua comparsa in televisione lo sai cosa
abbiamo fatto?»
«Bevuto
birra alla mia salute?» ironizzò lei.
«Anche!
Ma l'abbiamo fatto tutti insieme davanti alla tv, tirando popcorn
contro i tuoi avversari. Kamatari era diventato una vera e propria
mitragliatrice tutte le volte che vedeva quella biondina... come si
chiamava?» chiese ridendo al ricordo.
«Susy,
credo» rise Nina. «Non ricordo bene neanche io,
è passato così
tanto tempo». Seguì un momento di silenzio, in cui
entrambi si
videro davanti agli occhi quella meravigliosa scena di Kamatari, con
la sua ipervelocità, che lanciava popcorn contro la
televisione. Ed
entrambi scoppiarono a ridere.
«Comunque
questo che c'entra con te e Satsuki?» chiese poi Nina.
«Oh,
già!» si ricordò lui. «Beh,
nessuno ti ha biasimato ma non posso
negare che comunque sapere che eri fuggita in quel modo ci ha fatto
male. Satsuki è stata quella che ne è uscita
più distrutta di
tutte, ti era molto affezionata. Comunque non so bene il motivo,
forse ero l'ultima della rubrica e unico a non avere il telefono
occupato ed essere riuscito a risponderle... ma mi telefonò.
Aveva
bisogno di conforto, di parlare, e da allora...»
«Te
la sei fatta» concluse Nina in modo secco e diretto,
lasciando
Heikichi letteralmente paralizzato. Il viso rosso per l'imbarazzo, le
parole che non uscivano più dalla sua gola e le gambe che
sembravano
non essere più in grado di svolgere la loro funzione. Si era
dimenticato quanto potesse essere rude Nina, ormai non era
più
abituato ai suoi modi al limite della mascolinità. Forse
proprio per
questo andava tanto d'accordo con Kamatari e Yamada.
«Beh...
ecco... non proprio... cioè non subito... ma...»
balbettò confuso.
«E
bravo, Heikichi!» rise lei, alzando il pollice in segno di
vittoria.
«Doveva
essere una storia più romantica»
bofonchiò lui e Nina in tutta
risposta scoppiò a ridere, divertita. Una risata
cristallina,
genuina, pura come quella di una ragazzina. Esattamente come se la
ricordava.
Hello,
can you hear me?
I’m
in California dreaming about who we used to be
When
we were younger and free
I’ve
forgotten how it felt
before
the world fell at our feet
There’s
such a difference between us
And
a million miles
NDA.
Quanti di voi si sono chiesti perché Machiko
avesse scelto Nina come nome d'arte? Avanti, alzate le mani xD ecco la
risposta! Non sono riuscita a farci incastrare la scena del giorno
dopo, quando a scuola hanno dovuto annunciare il proprio nome, ma nella
mia testa era una cosa tipo: lei imbarazzatissima che alla fine vinta
alza la lavagnetta, facendo leggere all'intera classe il nome Nina. Il
silenzio di tomba, nessuno che capisce, tranne Toshinori che si alza e
col suo euforico entusiasmo ride e applaude. Machiko lo afferra con i
suoi fili, lo costringe a tirarsi un pugno da solo e finisce nuovamente
in punizione per l'atto violento xD fine scena post crediti ahahahah
Comunque... lui continua ad evitarla, e lei continua a guardarsi
attorno nella speranza di vederlo. Ancora una volta la canzone scelta
ha significato nella sua interezza, non solo nella frase che ho
riportato, perciò se avrete voglia di andarvi a leggere il
testo potreste coglierne qualche sfumatura in più che qui
non risalta :)
Eeeeeed entra in scena Heikichi! Chi è Heikichi? Andatevi a
ripassare il primo capitolo u.u
Per fare prima: è il vecchio batterista della sua piccola
band di quartiere, insieme a Yamada, Satsuki, Akane e Kamatari. Una
piccola reunion <3 ahahaha eee qui si accenna alla "fuga di quel
giorno", in cui è andata via e non ha fatto altro che
lasciarsi dietro una scia di messaggi. Non dimenticatevene,
tornerà spesso a tormertarci xD cosa sarà
successo "quel giorno"? E perché la nostra Adele canta per
lei "Hello from the outside at least i can say that i've tried to tell
you i' sorry for breaking your heart"?
Nel prossimo capitolo tornano protagonisti i ragazzini!
Grazie per aver letto fin qua e grazie a EngelDreamer per aver
recensito il capitolo scorso! Scusami se non non sono riuscita a
risponderti personalmente >.< prometto di farlo presto
<3
Bye
Ray
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Capitolo 5 *** I lived, One Republic ***
“I
lived”, One republic
Nina
entrò nella sua stanza d'albergo e si richiuse la porta alle
spalle.
Sbadigliando accese la luce e si avvicinò al letto, ormai
esausta.
Riuscire a superare la folla di giornalisti di fronte all'hotel era
stato quasi più difficile che sopravvivere agli abbracci
stritolatori di Satsuki quando l'aveva vista entrare in casa insieme
a Heikichi. L'uomo l'aveva invitata a cena senza far sapere niente
alla moglie, per riservarle la sorpresa di vedersela entrare dopo
vent'anni di silenzio e distanza. Nina aveva temuto in una scarica di
proiettili e colpi di karate per fargliela pagare, invece aveva
dovuto subire solo tanto affetto represso quasi soffocatore. Era
stata tanto dolce, a dire il vero, vederla tanto felice da scoppiare
a piangere come una ragazzina. Era stata davvero una bella serata che
aveva concluso in bellezza il suo secondo giorno di vacanza a Tokyo.
Due giorni che era tornata in città, un'intera mattinata
passata
alla Yuuei eppure non era riuscita a incrociare Toshinori neanche una
volta, se non per un suo stivale che volava via dalla finestra.
Sarebbe rimasta lì per due settimane, prima o poi il
confronto ci
sarebbe stato, ma quell'attesa la straziava. Era come avere una vespa
fastidiosa che le ronzava attorno... sapeva che prima o poi l'avrebbe
punta, ma il non sapere quando e come le faceva venire il mal di
stomaco.
Prese
il cellulare dalla borsa e decise che era tempo di dar spazio alla
voce della sua segreteria in cui, sicuramente, Drew aveva lasciato
decine di messaggi durante la giornata. Aveva fatto bene a tenerlo
spento fino ad allora, almeno si era potuta godere le sue passeggiate
tra i ricordi e la cena a casa di Satsuki e Heikichi.
Lo
accese e fece partire i messaggi di segreteria.
«Ci
sono ventidue messaggi» recitò la voce elettronica.
«Oh,
per favore!» piagnucolò lei... le cose erano anche
peggiori di
quello che si era aspettata.
«Primo
messaggio» continuò la voce elettronica e dopo il
classico "bip"
di
rito la voce di Drew echeggiò nella stanza di Nina:
«Nina! Come
vanno le tue vacanze? Sei arrivata? Tutto a posto? Non capisco
perché
non mi hai fatto sapere a che ora e che giorno avevi il volo! Sarei
potuto venire a salutarti!»
«No,
tu saresti venuto con me e sarebbe stato molto peggio»
commentò
Nina.
«Secondo
messaggio» continuò imperterrita la voce
elettronica: «Nina, ora
che ci penso!» e di nuovo era Drew. «Non mi hai
neanche detto in
quale hotel alloggerai! Come posso contattarti se non mi fai sapere
dove sei? Se ci fosse qualche emergenza? Ricordati che ormai sei
adulta, certi comportamenti capricciosi non sono consoni a una donna
della tua età!»
«Una
donna della mia età?» storse il naso e dovette
trattenersi dal
lanciare il telefono dritto contro il muro. «Continua a
parlare, io
vado a fare pipì!»
«Terzo
messaggio» ancora la voce elettronica e ancora la voce di
Drew:
«Nina! Ho visto i notiziari! Sei stata un'incosciente a farti
vedere
così in pubblico, non hai guardie del corpo al tuo fianco!
Ora sanno
tutti dove sei, sei in pericolo! Dimmi il nome dell'hotel, ti mando
un paio di uomini fidati!»
Nina
lo ignorò e andò in bagno, lasciando il cellulare
sul comodino a
parlare da solo, anche se purtroppo il volume era abbastanza alto da
poterlo sentire ancora.
«Nina!
Il notiziario ha detto che andrai qualche giorno alla Yuuei per un
corso speciale! Cosa credevi di fare? Ne avevamo già
parlato, mi
avevi promesso che non saresti andata! Devi riposare, non caricarti
di altro lavoro!»
«Nina!
Ho parlato col produttore! Richiamami, ho ottime notizie!»
«Nina!
Si può sapere quando ti deciderai ad accendere questo
telefono? So
bene che sei arrivata, avresti potuto almeno farmi sapere che stavi
bene! Hai idea di quanto io mi preoccupi per te!»
«Nina!
Ti avverto, questo comportamento da ragazzina capricciosa non mi
piace affatto!»
«Nina!
Mi hanno chiamato da tv otto! Andrai in onda non appena torni dalle
tue ferie per un'intervista! Grandioso!»
«Nina!
Sono molto preoccupato, perché non ti fai sentire? Stai
bene, vero?
Ricordati che la tua salute è la cosa più
importante, ti prego
promettimi che ti riposerai e non andrai in giro per la
città a fare
l'eroina».
«Nina!
Ho ottime notizie! Forse riesco a liberarmi dal lavoro per la
settimana prossima e riesco a raggiungerti! Così
potrò assicurarmi
personalmente che non farai sforzi e che stai bene!»
«Nina!
Sono arrivate un sacco di lettere per te! Non sei felice? Non voglio
far aspettare tutte queste persone perciò, non sapendo dove
cercarti, ho deciso che spedirò tutto alla Yuuei! Troverai
lì tutto
quanto nei prossimi giorni, mi raccomando non dimenticarti delle
persone che ti vogliono bene!»
«Nina!
Hanno detto alla tv che hanno scoperto dove alloggi! Fantastico! Ti
mando subito due uomini per proteggerti!»
«Per
favore, Nina, puoi farmi sapere se stai bene? Non chiedo altro, sul
serio!»
«...»
il silenzio. Il bip era partito, la voce metallica aveva annunciato
il nuovo messaggio, ma c'era solo silenzio. Nina guardò
curiosa il
telefono, chiedendosi se non avesse lui stesso deciso di porre fine
alle sofferenze di Drew facendolo tacere a metà segreteria.
Si
affacciò a guardarlo. I minuti scorrevano, il messaggio
stava
effettivamente andando avanti.
«Drew
il tuo telefono mi ha chiamata per sbaglio, hai impostato il mio
numero per la chiamata rapida? Che scocciatura» e
allungò una mano
pronta a interrompere e mandare avanti al messaggio successivo
manualmente. Nel sottofondo si sentì un bussare alla porta e
improvvisamente la voce del preside Nezu: «All
Might».
Il
dito di Nina si bloccò, proprio come il suo respiro, e il
cuore
prese a battere in petto così forte da farle male. Il rumore
di un
tonfo, qualcosa che cadeva a terra, forse lo stesso cellulare.
«Sei
in ritardo, lo sai? Gli alunni aspettano, hai la prima ora. Te lo sei
dimenticato?» insistè il preside.
«Oh...
già. Perdonami, preside. Corro sub...» e la
chiamata si interruppe
lì.
«Sedicesimo
messaggio» insistè la voce elettronica,
inconsapevole di quanto era
appena successo. Di nuovo la voce di Drew, di nuovo lamentele e di
nuovo "fantastiche notizie" che tanto fantastiche non lo
erano mai. Nina lo interruppe a metà del diciassettesimo
messaggio,
ormai stufa. Tanto ormai aveva smesso di ascoltare. Lanciò
il
cellulare sul letto e tornò in bagno. Aprì
l'acqua calda della
vasca da bagno, rovesciò all'interno un po' di bagnoschiuma
e
cominciò a spogliarsi. Richiuse il rubinetto quando ormai la
vasca
era piena e si immerse all'interno, socchiudendo gli occhi,
abbandonandosi a quel torpore.
«Sei
sempre stato un tale imbranato con la tecnologia»
mormorò tra sè e
sè. «Non ti sei neanche accorto che era partita la
segreteria».
Ormai
completamente in balia delle sensazioni piacevoli e rilassanti che
l'acqua calda stava avendo su di lei, quasi si addormentò, e
nel
torpore aggiunse un divertito: «Stupido
Pasticcio-man».
All
Might corse sorridente lungo i corridoi della Yuuei. Un altro giorno
era cominciato, ma prima di entrare in classe aveva bisogno di
riposarsi un po' in sala professori, lontano da occhi indiscreti, e
tornare per un po' alla sua forma indebolita. Andava sempre peggio,
riuscire a mantenere quella forma era sempre più difficile e
se ogni
tanto non faceva delle pause rischiava il collasso. Sentì la
voce
del preside all'interno, probabilmente come al solito impegnato a
bere una tazza di tè, e fece il suo ingresso spalancando la
porta e
annunciandosi con un: «Eccomi qua!»
All'interno
il preside era seduto su uno dei divani, intento a bere, esattamente
come aveva previsto. Ciò che non aveva previsto era che di
fronte a
lui, che faceva altrettanto c'era anche Nina.
«E
vado già via, i miei studenti aspettano!» disse a
gran voce,
dandosela a gambe e lasciandosi ancora una volta una folata di vento
alle spalle. Nina e Nezu rimasero per qualche istante impietriti, a
fissare la porta ancora spalancata e ora vuota. L'incontro era stato
talmente rapido e strano che Nina non aveva neanche avuto il tempo di
farsi prendere dal panico.
«Ormai
credo che sia inutile continuare a fingere» disse Nezu, non
trovando
nessun modo per giustificare il comportamento dell'uomo.
«Lo
sta palesemente facendo apposta» osservò Nina,
ormai convinta del
fatto che non ci fosse stato nessun impegno e nessun caso a impedir
loro di incontrarsi, ma semplicemente Toshinori se la faceva sotto.
«Credo
voglia evitarti» confessò Nezu. «Allora,
cosa mi dicevi?»
«Sì,
dicevo che questa mattina passando di fronte alla Galleria ho visto
che per qualche giorno ci sarà una mostra di storia
naturale. Ho
pensato che la cosa ben si collegasse al mio corso sulla gestione dei
limiti, visto che niente di meglio che la natura ci ha dimostrato per
anni cosa voglia dire andare oltre ai propri limiti, adattarsi alle
situazioni, agli ambienti ed evolversi per sopravvivere. Può
essere
un ottimo stimolo, secondo me, per quei ragazzi per capire il senso
delle mie lezioni... e poi fare le gite è sempre bello e
divertente,
sono sicura apprezzeranno. E dopo la mostra li porterò a
prendere un
gelato!»
«Ti
sei già affezionata a loro, o sbaglio? Eppure li hai visto
solo una
volta».
«Penso
solo che quando ero giovane amavo le gite della scuola, erano
divertenti, ed era bello poter uscire da queste mura ogni tanto. Mi
hai poi confessato che hanno avuto una brutta esperienza e dopo
allora non hanno fatto altro che rimuginarci, stando chiusi qui a
dentro a riflettere e studiare il modo di rendersi migliori. Insomma,
Nezu, sono ragazzi! Ogni tanto c'è bisogno di staccare la
spina e
vivere una vita normale».
«Stai
ancora parlando di loro?» chiese il preside prima di
sorseggiare un
altro sorso del suo tè.
Nina
rimase pensierosa qualche istante, poi sbuffò ed ammise:
«E va
bene, lo ammetto, lo faccio anche per me. Sono anni che non faccio
cose normali come andare ad una mostra o prendermi un gelato al bar e
questo posto... ecco, mi fa venir voglia di essere normale»
ammise
infine con un po' di imbarazzo.
«Il
limite di un supereroe è che non può essere
sempre e solo un
supereroe. Siamo prima di tutto esseri umani, non è
così?» chiese
Nezu, sorridendo divertito e orgoglioso di aver trovato un
significato da collegare a quella confessione di Nina con il motivo
per cui lei era lì.
«Non
tutti però pare abbiano questo limite»
mormorò Nina, sorprendendo
il preside. Alzò lo sguardo sulla ragazza e la vide assorta,
a
fissare la porta rimasta ancora aperta. Ne capì il
significato,
collegandolo facilmente a Toshinori e alla loro storia, e
intuì che
la cosa migliore da fare era tornare con la conversazione sui binari
precedenti.
«Come
hai ricordato tu, Nina, ci sono stati problemi l'ultima volta che
abbiamo portato fuori i ragazzi. Nonostante le misure di sicurezza,
hanno comunque rischiato la vita e questo ha sollevato un gran
polverone nell'opinione pubblica. Per quanto sia combattuto,
perché
dimostrare che non abbiamo risentito di questo attacco tanto da
portare i ragazzi in gita sarebbe un bel modo per ristabilire la
pace, dall'altra non sono sicuro di poter correre il rischio che
tutto ciò possa nuovamente accadere. Senza contare che per
una gita
ci vuole preavviso e soprattutto il consenso dei genitori, che non
credo firmeranno in molti visto quanto questa ferita sia fresca. La
tua è una bella idea e motivazioni nobili, degni della
ragazza
solare che ricordo correva per questi corridoi, non mi pento della
scelta di averti fatto venire qui da noi per qualche tempo. Ma temo
di non poter acconsentire alla tua richiesta».
«I
ragazzi saranno in giro in gruppo nelle ore non scolastiche, insieme
a una qualsiasi donna che non risulta nella lista dei professori,
anche se verrà ufficializzata come gita non credo che la
banda dei
supercattivi possa cogliere l'occasione per colpire la scuola. E poi
avevi detto che il motivo del loro attacco risiedeva in All Might,
per colpire lui, e All Might non ci sarà. Niente obiettivo,
niente
attacco. Se poi vuoi sentirti più tranquillo puoi mandare in
borghese un paio di tuoi collaboratori a fare la guardia».
«Non
sottovalutare la pericolosità di quegli uomini, sono davvero
una
bella rogna, fidati. E comunque ripeto, ci vuole il consenso dei
genitori e dato come stanno le cose non credo che rilasceranno le
autorizzazioni».
«Capisco»
ammise Nina, accasciandosi sul divano, dispiaciuta di non essere
riuscita ad ottenere ciò che desiderava. Ma lei era Nina
l'impulsiva, la ribelle, Nina la ragazza che era in punizione almeno
tre volte alla settimana. Non sarebbe stato certo un cavillo
burocratico e impedirle di realizzare quello che voleva.
«D'altro
canto, qui si parla del tuo potere amministrativo sulla scuola e
sulle attività scolastiche» proseguì,
incrociando le braccia al
petto e guardando il preside con uno strano scintillio negli occhi.
«Se si tratta invece della gestione del loro tempo libero,
fuori da
queste mura, il tuo potere perde di efficacia, o sbaglio?»
Nezu
capì dove la donna volesse arrivare e per quanto una parte
di lui,
quella più diligente, ammetteva di essere contro a quel
genere di
raggiri e disobbedienze, doveva ammettere che non poteva darle torto
e forse non sarebbe nemmeno stata una cattiva idea, permetterle di
sgarrare un po' le regole.
«In
fondo io non sono neanche una professoressa, giusto?»
insisté lei.
«Il
tempo libero dei ragazzi è qualcosa che esula dalle mie
responsabilità, almeno finché si tratta di
attività che non
possano recare danno all'immagine della scuola, e non penso che una
mostra di storia naturale sia da considerarsi negativa. Se accettano
di trovarsi tutti lì per un pomeriggio insieme e casualmente
trovassero anche te, non sarebbe certo qualcosa di sconveniente e
strano».
«E
dopo offrirò a tutti loro un bel gelato!»
esultò Nina, contenta di
aver trovato il modo di poter passare un bel pomeriggio da normale
essere umano in compagnia di quei ragazzi che tanto desiderava
conoscere meglio.
«Prometti
solo che baderai a loro. Non posso far a meno di preoccuparmi per
quella brutta gente».
«Non
temere, se quei tipacci dovessero farsi vedere dovranno vedersela col
burattinaio» disse Nina e sorrise di un sorriso macabro. Non
aveva
avuto una grande carriera al tempo, ma solo perché non vi
prestava
troppa attenzione e perché presto aveva cambiato direzione
prendendo
la strada della musica. Ma i giorni in cui aveva combattuto il male,
aveva sempre dato del filo da torcere a chi si piazzava sulla sua
strada. Sapeva come farsi valere e certo non avrebbe permesso a
nessuno di torcere un capello a quei ragazzini dagli occhi tanto
infuocati.
Nina
finì di indossare il suo costume e si scaldò un
po', in attesa dei
ragazzi in palestra. Non dovette aspettare molto per vederli
arrivare, come sempre intenti a chiacchierare tra di loro, e ancora
una volta Nina potè rivedersi tra quelle fila di soldatini
in
compagnia dei suoi vecchi amici. Era così dolce quando
accadeva.
«Ciao
a tutti! Ragazzi, venite con me!» disse lei, facendo cenno
con la
mano di seguirla. Uscirono dalla palestra dove si trovavano per
percorrere un vialetto, lungo il campus dell'istituto, ed entrare
infine in un altro edificio. Era molto più grande della
palestra
dove si erano trovati la prima volta ed era attrezzata di tutto
ciò
che poteva essere necessario a un allenamento di supereroi.
«Qui
dentro potete sfogarvi come volete, distruggere ciò che
desiderate,
questo posto è attrezzato nel migliore dei modi. Ho rubato
la chiave
al preside, perciò possiamo starci quanto
vogliamo» disse con un
occhiolino, ma si affrettò ad aggiungere: «Sto
scherzando, ci ha
dato lui il permesso. Rubare è una brutta cosa, non si
fa» come
risultava falsa in certi insegnamenti forzati. Proprio lei cercava di
dare nozioni di coscienza morale a quei ragazzi, lei che si era
intrufolata in sala professori per rubare un compito o che cercava
sempre di fuggire dalle lezioni passando dalla finestra, o molestava
tutti quelli che aveva attorno per noia, facendo loro fare quello che
desiderava col suo Quirk. Lei che aveva tutte le carte in regola per
diventare un perfetto villain e forse lo sarebbe anche diventata se
non ci fosse stato tutte le volte Toshinori a sgridarla e riportarla
sulla retta via. Un carattere come il suo andava domato, solo un vero
supereroe poteva riuscirci.
«Il
qui presente professor Cementoss e il professor Ectoplasm ci daranno
una mano» sorrise, presentando i due professori che si
affiancarono
a lei.
«Questo
posto è opera mia» si sentì in dovere
di specificare Cementoss,
forse per tranquillizzar loro che avrebbero potuto fare tutto
ciò
che volevano.
«Dunque,
l'altra volta vi avevo chiesto di riflettere su quali fossero i
vostri limiti. Siete ancora inesperti, perciò credo che non
sia
stato difficile trovarli. Oggi vi chiederò semplicemente di
tentare
di raggirarli. Potete indossare i vostri costumi, sono già
dentro
gli spogliatoi, dopodichè tornate qui e sfogatevi fino a
cadere per
terra!» e i ragazzi, da bravi soldatini, marciarono fin
dentro gli
spogliatoi per cambiarsi.
«Sono
anche fin troppo tranquilli» osservò Nina.
«Dei bravi burattini».
«Detto
da te fa venire i brividi» ammise Ectoplasm e la cosa fece
ridere la
donna. Non era la prima volta che qualcuno la guardava con
inquietudine, il fatto che lei fosse in grado di manipolare i corpi
altrui come un vero burattinaio non andava a genio a molte persone.
Non c'era niente di più terrificante che non essere padroni
del
proprio corpo, forse per quello erano in molti a trovarla
terrificante anche se non faceva niente.
«Ehm...
Signorina Nina» chiamò una voce alle sue spalle e
Nina si voltò
radiosa, sorridente del fatto che fosse stata chiamata "Signorina".
«Dimmi
tutto! Tu sei il rappresentante di classe, giusto? Come ti
chiami?»
«Iida
Tenya, molto piacere!» urlò diligente, chinandosi
in avanti in
segno di rispetto.
"Comportamento
impeccabile" osservò Nina, un po' a disagio.
«Volevi
dirmi qualcosa, Iida?»
«Sì!
Ho ripensato a quello che ha detto l'altra volta, che è
utile
pensare a ogni mezzo possibile per raggirare l'ostacolo del proprio
limite, infatti lei ha usato un mezzo abbastanza banale».
"Banale?"
si chiese offesa. L'idea della musica era puro genio, non c'era
niente di banale. Ma non lo fece notare al ragazzino, permettendogli
di proseguire.
«Il
mio Quirk consiste in una sottospecie di motore che ho nelle gambe e
che mi permettono di correre a velocità molto
elevate».
«Una
supervelocità! Avevo un amico con un'abilità
simile. Il suo
problema più grande era che i muscoli si surriscaldavano
troppo e se
correva troppo veloce o per troppo tempo finiva col
bruciarsi».
Iida
alla confessione parve illuminarsi: «Il mio problema
è simile!
Usando troppo il motore si surriscalda e finisce con l'andare in
panne per un po'. Diventa inutilizzabile. Avevo perciò
pensato di
modificare il mio costume, più che allenare il mio corpo,
assemblando magari un sistema di raffreddamento ideale. Che ne
pensa?»
«Penso
che sia un'idea geniale! Dovresti andare e parlarne col dipartimento
di supporto, sono certa troveranno il modo per aiutarti!»
«Grazie
mille!» urlò ancora, inchinandosi nuovamente e
Nina sobbalzò per
l'improvviso scatto. Sembrava un vero soldatino da come si muoveva,
era quasi raccapricciante.
"Questi
ragazzi hanno decisamente bisogno di staccare la spina"
pensò
dispiaciuta. Non passò molto tempo che la classe fu pronta a
cominciare il proprio allenamento, tutti ben dritti e orgogliosi nei
propri costumi, e Nina li guardò marciare fin davanti a lei,
aspettando indicazioni.
«Avete
piena libertà di movimento e di sperimentazione, andate
pure, io e
gli altri professori gireremo tra voi e vedremo di aiutarvi uno per
volta, nel caso ci sia bisogno. Avete domande?»
Nessuno
proferì parola.
«Ottimo!
Cominciate!»
I
ragazzi si sparpagliarono, all'ordine, e ognuno cominciò a
dare
libero sfogo al proprio Quirk, cercando di inventarsi qualcosa pur di
eseguire il compito affidato.
«Bene,
è ora di cominciare» disse poi Nina tra
sè e sè. «Cementoss, fai
la cortesia di occuparti della location in modo che i ragazzi abbiano
sempre lo spazio necessario. Ectoplasm, mi accompagni?»
«Sì»
risposero in contemporanea e Nina lasciò Cementoss da solo
al suo
lavoro, mentre cominciava il giro tra i ragazzi.
«Sai
quello che fai? Sembri improvvisare molto» chiese Ectoplasm,
in un
momento di dubbio.
«Io
sono un'improvvisatrice nata» ridacchiò Nina.
«E' inutile
programmare qualcosa basandosi solo sulla carta. Ho bisogno di
vederli in azione e inventerò qualcosa man mano, adatto alla
loro
particolare situazione. Cominciamo da lui... chi è e cosa
fa?»
«Mashirao
Ojiro. La sua coda è il suo Quirk. E' prensile e forte
abbastanza da
essere usata in battaglia. E' bravo nel corpo a corpo».
«Ma
fa troppo affidamento su di essa. Ojiro!» lo
chiamò, avvicinandosi.
«Permettimi» disse e senza aspettare risposta
lanciò uno dei suoi
fili alla coda, paralizzandola. Ojiro rabbrividì e si
lasciò
sfuggire un «Che strana sensazione».
«Fa
venire i brividi, eh?» ridacchiò Nina.
«Ectoplasm, combatti contro
di lui, per favore».
«Devo
combattere così?» chiese Ojiro, poco convinto.
«Non ti sarà
d'intralcio, farò in modo che segua i tuoi movimenti.
Semplicemente,
non potrai usarla. Vediamo che sai fare».
Ojiro
annuì e si mise in posizione, di fronte ad Ectoplasm.
«Se
sei pronto, comincio» disse l'insegnante e il ragazzo
annuì. I due
cominciarono a combattere e Nina potè osservare come i
movimenti di
Ojiro, privato del suo quinto arto, si fossero fatti più
lenti,
goffi e soprattutto prevedibili. Ectoplasm riusciva sempre ad
anticiparlo e colpirlo, mentre il ragazzino non aveva neanche modo di
avvicinarsi. Dopo pochi minuti, Ojiro perse l'equilibrio dopo un
calcio e cadde a terra, ansante.
«Accidenti,
sono troppo debole» lamentò.
Nina
gli ridiede indietro la sua coda e si avvicinò ai due.
«Fai
movimenti precisi e classici, sei troppo prevedibile» disse
Ectoplasm.
«Prima
ti ho visto fare piroette e capriole, ora invece sei caduto per un
calcio» aggiunse Nina.
«Non
sono abituato a non avere la coda».
«Abituati»
sorrise lei. «Il nocciolo della questione è
questa, in questo
preciso istante l'eroe è la tua coda, non tu. Tu sei il suo
strumento, mentre invece dovrebbe essere il contrario. Sei cresciuto
con lei, perciò è normale essere abituati a farci
affidamento, è
come essere abituati ad avere le gambe, ma tu sei qui dentro per
diventare un eroe, non un uomo qualsiasi con la coda. So bene che
adesso tu penserai "ma ce l'ho, ce l'avrò sempre,
perché non
sfruttarla al massimo?" ed io ti rispondo prontamente: un eroe
non combatte solamente in piano, ma le situazioni sono svariate e a
volte si tratta solo di portare in salvo qualcosa o qualcuno. La tua
coda può farti molto comodo, usandola per trasportare cose e
intanto
ti permette di avere il resto del corpo libero per affrontare nemici
o aprirti una via d'uscita. Se il corpo non è allenato, come
ne esci
da una situazione del genere? Potresti trovarti in situazioni in cui
dovrai usarla per restare aggrappato a qualcosa e intanto dover
combattere, se non sei allenato come farai? Ti consiglio di ignorare
per un po' il tuo Quirk e allenarti esclusivamente su te
stesso».
«Consiglio
per migliorare il tuo Quirk, non usare il tuo Quirk»
ironizzò
Ectoplasm.
«Vuoi
dirmi che il mio ragionamento è sbagliato?» chiese
Nina,
guardandolo storto.
«Assolutamente
no. Era solo divertente da dire».
«Lavora
sul tuo senso dell'umorismo, Ectoplasm, è questo il tuo
limite»
sbuffò Nina e si allontanò, ma prima di andarsene
del tutto si
voltò verso Ojiro e con uno strano sguardo ammiccante, colmo
di
sicurezza, quasi spaventoso, gli mormorò: «Plus
Ultra, non è
così?»
Ojiro
annuì, più convinto e più carico, e si
sollevò in piedi,
ripetendo con un fuoco dentro che poche volte aveva avuto:
«Plus
Ultra!»
«Avanti
il prossimo! Lei! La ragazzina spocchiosa che mi ha dato
dell'arrogante».
«Spero
tu non voglia vendicarti» rabbrividì Ectoplasm.
«Scherzi?
La adoro! Finalmente qualcuno con un po' di palle!»
«Non
usare certi linguaggi, per favore».
«Dimmi
come si chiama».
«Uraraka
Ochako, il suo Quirk è la levitazione. Fa levitare cose se
le tocca
e può levitare lei stessa, come sta facendo in questo
momento».
«Controindicazioni?»
si informò Nina.
«Se
usa troppo tempo il suo potere le viene da vomitare».
L'osservò
mentre galleggiava per aria. Interminabili secondi in cui trattenne
il fiato, per poi lasciarsi andare e atterrare col fiatone.
«Uraraka,
posso farti una domanda?» si avvicinò Nina.
«Sì,
certo» si tirò su lei, cercando di ricomporsi.
«Ho
visto che ti stai allenando principalmente sul galleggiare tu stessa,
più che concentrarti sul far galleggiare le cose. Pensi che
sia
questo il tuo limite?»
«Penso
che se riuscissi a migliorare questa abilità sarebbe di
grande
aiuto, più che impegnarmi nel far galleggiare
altro».
«E
il tuo costume? Che caratteristiche ha?»
«I
polsini sono stretti, in modo da aiutare la nausea come i bracciali
del mal d'aereo, così come il collare. Le scarpe facilitano
l'atterraggio e il casco aiuta l'equilibrio lavorando direttamente
all'interno del padiglione auricolare».
«Hai
pensato a tutto tu?» chiese Nina, spalancando gli occhi e
Uraraka,
cogliendo la sorpresa sul volto dell'insegnante arrossì,
ammettendo:
«Beh, sì».
«Hai
trovato il problema e anche le risposte da sola, proprio come ha
fatto Iida. Questa classe è piena di astri nascenti,
incredibile, mi
chiedo che mi abbiano chiamata a fare» sorrise, voltandosi
verso
Ectoplasm.
«Sì,
i ragazzi sono davvero in gamba» confermò lui.
«Senti»
disse Nina, tornando a guardare la ragazzina, «mi
è venuta un'idea,
ma prima dimmi che ne pensi. E' una mia supposizione, smentiscimi se
pensi che sia sbagliata, ma credo che la nausea causata dal tuo
fluttuare sia dovuta sia alla fatica di usare il Quirk, proprio come
quando fai fluttuare le cose, ma il tutto sia intensificato dal fatto
che l'assenza di gravità la vivi tu stessa. E' lo stesso
problema di
molti astronauti, il fisico non è abituato a non avere una
pressione
costante che spinge verso il basso e i succhi gastrici risalgono,
generando il vomito. Credi possa essere corretto?»
«Oh»
si illuminò Uraraka. «Sì, ha senso! In
effetti è più facile che
stia male quando fluttuo io, che quando uso il mio potere sugli
altri».
«Non
ho conoscenze dirette, ma non sarà difficile trovare degli
agganci.
A neanche un'ora di treno da qui c'è una base per le
esercitazioni
spaziali. Principalmente è una palestra per astronauti, dove
si
allenano con macchinari particolari e in situazioni studiate proprio
per gestire e ovviare problemi come questi. Se riuscissi a trovare il
modo, ti piacerebbe andarci qualche volta e allenarti lì con
loro?
Con le loro conoscenze e strumentazioni, se le nostre supposizioni
sono giuste, sarà più facile per te allenarti
adeguatamente e
quindi migliorare questo aspetto».
Gli
occhi di Uraraka cominciarono a brillare a quell'idea. Non avrebbe
mai neanche potuto immaginare un giorno di potersi esercitare insieme
a dei veri esperti che avrebbero potuto aiutarla in un allenamento
mirato. Qualcosa di esclusivo per lei, per diventare sempre
più
brava e più forte.
«Sì!
Sì, mi piacerebbe tanto!» ammise in fibrillazione.
«Grandioso!
Non ti prometto niente, ma ti assicuro che farò del mio
meglio per
permetterti di avere quest'occasione! Dai sempre del tuo
meglio!»
«Plus
Ultra!» gridò Uraraka entusiasta, prima di tornare
ad allenarsi,
più carica che mai.
«Bene...
e ora, prima degli altri, voglio occuparmi di due dei miei casi
preferiti» e sorridendo si avviò decisa verso la
zona dell'edificio
che stava letteralmente esplodendo.
Hope
when the moment comes
You'll
say...
I,
I did it all
I
owned every second
That
this world could give
I
saw so many places
The
things that I did
Yeah,
with every broken bone
I
swear I lived
|
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Capitolo 6 *** Fireworks, Katy Perry ***
"Fireworks”,
Katy Perry
«Katsuki
Bakugou» annunciò lei stessa, avvicinandosi al
ragazzino che si era
interrotto solo nell'istante in cui li aveva visti avvicinare,
avvolti dalla polvere. Non rispose e ansante rimase in ascolto.
«Primo della classe alle medie, terzo in questo primo anno di
liceo.
Quirk: esplosioni. Parlami del tuo potere, Kacchan».
Bakugou
fece una smorfia nel sentirsi chiamare in quel modo, ma non
protestò.
«Faccio esplodere il mio sudore» spiegò
brevemente
«Disgustoso»
ridacchiò. «Che altro?»
«Si
tratta di un composto simile alla nitroglicerina e io lo faccio
esplodere, niente di più e niente di meno. Ho fatto
realizzare
questi bracciali in modo da poter raccogliere il sudore in eccesso e
poterlo usare per i colpi a lunga gittata».
«Cosa
che in genere non puoi fare, giusto?»
«No»
confermò Bakugou.
«Adesso
ne hai accumulato abbastanza? Puoi mostrarmi questa tua arma
segreta?» chiese Nina, mostrando un certo interesse. La cosa
parve
compiacere Bakugou, che si lasciò andare a un sorriso
soddisfatto.
Finalmente qualcuno cominciava a capire chi fosse il migliore,
lì
dentro. Sentiva l'interesse della donna nei suoi confronti maggiore
rispetto a quello rivolto agli altri e questo non faceva che gonfiare
il suo ego e il suo bisogno di primeggiare.
«Ne
ho usato tanto, non ne ho molto a dire il vero, ma posso comunque
ricavarne qualcosa».
«Sorprendimi,
allora» sorrise Nina, facendo un paio di passi indietro per
dare
spazio al ragazzino. Il sorriso in volto di Bakugu si
allargò, colto
da un'irrefrenabile eccitazione. Con un urlo rabbioso, atto a
caricarsi di energia, alzò il braccio e infine
tirò la leva del
proprio bracciare.
Un’esplosione
partì dal suo polso come un vero colpo di cannone,
sovrastato dal
«Muori!!!» ringhioso del ragazzo, e si fece strada
nel cemento,
aprendo un vero e proprio buco nel muro che dava sull'esterno. Nina
osservò l'enorme foro, lasciando che il vento le smuovesse
la punta
dei capelli e si perse in un’emozionante riflessione. Quel
ragazzino era eccezionale, davvero unico.
«Questo
mi darà un bel po' daffare» lamentò
Cementoss, raggiungendoli e
mettendosi al lavoro per ricostruire parte dell'edificio distrutto e
tutto il suo contenuto. Lanciò un'occhiataccia a Nina, dando
indirettamente a lei la colpa di quel disastro, ma d'altro canto era
proprio quello il suo obiettivo fin dall'inizio. Spremere quei
ragazzi come limoni e ricavarne il succo.
Bakugou
fissò Nina intensamente, aspettandosi con orgoglio una
qualsiasi
parola soddisfatta da parte sua. La donna riuscì a
coglierlo, quel
desiderio ardente, e quasi con sfida, come una bimba capricciosa che
negava la soddisfazione di darla vinta agli altri, affermò:
«Hai
una mira un po' imprecisa».
Il
sorriso di Bakugou si indurì e lui rispose con un verso
gutturale,
contrariato. «Stronzate» bofonchiò, non
riuscendo a trattenersi.
«Modera
il linguaggio, moccioso!» lo rimproverò Nina,
prima di lanciare
verso di lui i suoi fili e bloccargli i muscoli della bocca, in modo
da impedirgli di proferire altro. Bakugou si afferrò il
mento e
cercò in tutti i modi di liberarsi, mentre la rabbia saliva
sempre
più dentro di lui. Odiava quella donna e quella sua
fastidiosa
capacità di impadronirsi del suo corpo. L'odiava con tutto
se
stesso. Cercò di gridare, forse qualcosa che poteva sembrare
un
"lasciami andare", ma dalle labbra serrata uscivano solo
lamenti indistinti. Strinse i pugni furioso, prima di perdere il
controllo e lanciarsi contro di lei, intenzionato a darle una
lezione. Non doveva permettersi di usarlo in quel modo, era
violazione di privacy e un attacco diretto al suo orgoglio. Ma, come
c'era da aspettarsi, Nina non gli permise di avvicinarsi e gli
bloccò
anche la funzionalità delle gambe, facendo in modo che si
piantasse
lì dov'era. Bakugou si dimenò, urlò,
esplose dei colpi anche
contro se stesso nella speranza di spezzare quei maledetti fili
così
come aveva fatto quell'idiota di Deku, ma non c'era niente da fare.
Lei l'aveva in pugno.
«Adesso
che ti sei sfogato, ascoltami bene» disse Nina, avvicinandosi
a lui
senza timore. Aveva le mani libere, poteva attaccarla in qualsiasi
momento, ma lei non aveva paura. Era una donna con le palle e Bakugou
sotto quello strato di rabbia e orgoglio in fondo celava un
inespresso sentimento di ammirazione.
«Katsuki
Bakugou, io resterò qui con voi solo per un paio di
settimane. Non
ho molto tempo a disposizione, ma ti prometto solennemente una
cosa»
si avvicinò al volto del ragazzino e con uno sguardo che
metteva i
brividi gli sussurrò, in un'intima confessione che solo lui
avrebbe
potuto e dovuto sentire: «Farò tutto
ciò che è in mio potere per
renderti il numero uno».
Qualcosa
esplose nel petto del ragazzo, qualcosa che non era il suo Quirk.
Smise di dimenarsi, anche se il respiro restò pesante e lo
sguardo
duro. Poteva vederlo, Nina, in quegli occhi colmi di fuoco tutta
l'eccitazione che quella promessa aveva fatto ardere in lui. Lo
lasciò andare, lentamente, ma con fiducia e come si
aspettava
Bakugou non mosse un muscolo nonostante tutta la furia scatenata in
lui fino a quel momento. Restò a fissarla a lungo, dritto
nel suo
orgoglio e nella sua forza. Quel ragazzino aveva tutte le carte in
regola per diventare un perfetto villain
e
lei aveva promesso che non glielo avrebbe permesso. Si sarebbe
impossessata del suo cuore e l'avrebbe fatto battere dei battiti
giusti, proprio come aveva detto al preside Nezu in sala professori
il giorno prima. L'ancoraggio del suo filo, anche se metaforico, era
appena venuto. Ora doveva solo dosare le scariche correttamente.
Avrebbe risolto quel ragazzo problematico che a quanto pareva era uno
dei motivi per cui Nezu l'aveva convocata alla Yuuei.
«Dimmi,
Kacchan... qual è il tuo limite?» chiese lei,
tornando al suo
lavoro.
Bakugou
si prese il suo tempo, forse ancora non del tutto convinto, o forse
perché desiderava far credere che non se l'era fatta passare
così
facilmente. Ma lentamente sollevò una mano,
l'osservò e ammise:
«C'è un numero limitato di esplosioni che posso
generare. Dopo, il
mio fisico comincia a cedere e non reggerle più».
«I
contraccolpi sono troppo potenti. Li ho percepiti anche io, durante i
miei ancoraggi» osservò Nina, un istante prima di
chinarsi e
afferrare la mano del ragazzino. Se la tirò contro e
cominciò a
studiare quell'immenso raccoglitore di sudore che si era fatto
costruire da tenere ai polsi. Ne osservò accuratamente
l'esterno,
poi l'interno e ci infilò una mano, cercando di tastarne la
parte
interna e capire bene come fossero stati costruiti. Bakugou la
lasciò
fare per un po', poi per aiutarla nel suo studio se lo sfilò
e
glielo porse, sotto lo sguardo sbigottito dei compagni che per la
prima lo vedevano calmo e collaborativo. Che Nina fosse davvero
riuscita a fare breccia nel suo cuore avvampato?
«Sono
buoni» osservò lei, rigirandosi l'arma tra le mani
e studiandola da
ogni angolazione. Cinghie, imbottitura, materiale di costruzione...
tutto era stato preparato con cura.
«Possono
però essere migliorati. Ho sentito che al dipartimento di
supporto
c'è una ragazza molto brava in queste cose, scommetto che
può
trovare il modo di dissipare meglio la forza di rinculo e proteggere
maggiormente gli arti» glielo restituì e
tornò ad alzarsi in
piedi. «Ma continua anche ad allenarti, più sarai
forte e più sarà
facile per te gestire un potere di questo calibro» e Bakugou
annuì.
«Adesso
voglio fare con un ultimo giochetto, prima di lasciarti ai tuoi
allenamenti» ammise lei e cominciò ad
allontanarsi, avvicinandosi
ad Ectoplasm «Ho bisogno che fai una cosa per me,
professore».
"Che
intenzioni ha?" si domandò Bakugou, guardandola parlare col
professore sottovoce. Ectoplasm annuì e lei si
allontanò ancora di
qualche metro, piazzandosi nuovamente di fronte a Bakugou.
Gli
puntò un dito contro e disse: «Sessanta secondi.
Ci sono
esattamente quindici metri tra noi due e tu hai sessanta secondi di
tempo per superarli, arrivare a me e darmi una bella lezione.
Prometto non ti bloccherò» sorrise con malizia,
prima di mostrare
le proprie mani che andavano a nascondersi dietro la schiena.
«Niente
Quirk. Vieni qui e fammi nera, mascalzone».
C'era
sicuramente l'imbroglio, non gli avrebbe certamente permesso di
colpirla, anche se aveva promesso non avrebbe utilizzato il proprio
Quirk. E probabilmente la fregatura stava proprio in Ectoplasm, con
cui aveva parlato poco prima. Poco importava... se lei non poteva
bloccarlo, non sarebbero stati due cloni da strapazzo a impedirgli di
raggiungere il suo obiettivo.
«Ce
ne metterò dieci!» annunciò lui.
«Non
fare lo sbruffone che poi mi cadi di stile. Accontentati dei tuoi
sessanta e fatteli bastare. Avanti, quando sei pronto, io ti
aspetto».
«Arrivo!»
urlò lui un istante prima di portarsi le mani dietro la
schiena e
usare le sue esplosioni come turbo per prendere il volo verso la
donna. Urlò, sentendo già la vittoria in pugno,
ma come c'era da
aspettarsi tre dei cloni di Ectoplasm gli si piazzarono davanti. Li
abbattè rapidamente e tornò in posizione per
riprendere il volo, ma
altri due cloni gli si misero davanti.
«Stiamo
scherzando?» lamentò lui, scocciato
dell'intralcio. Li fece fuori
rapidamente, ma altri arrivavano al loro posto, impedendogli ancora
di camminare.
«Hai
ancora quaranta secondi, Kacchan! Io non mi sono mossa»
urlò Nina
dall'altro lato.
«Toglietevi
dai piedi!» urlò Bakugou furioso, facendo
esplodere violentemente i
dieci che aveva davanti. Fece un altro passo in avanti, ma ancora
venne bloccato. E sparò e sparò e
avanzò di soli altri dieci
centimetri.
«Trenta
secondi» annunciò Nina.
Bakugou
digrignò i denti e continuò a sparare in faccia a
tutti quei cloni,
avanzando, passo dopo passo, ma ancora troppo lentamente.
«Non
combattono neanche, stanno qui in mezzo solo per impedirmi di
camminare! Che razza di allenamento sarebbe?»
gridò lui
contrariato, continuando a sparare e avvicinarsi lentamente.
«Quindici»
disse ancora Nina e si rifiutò di rispondere alla sua
domanda.
«Morite!!!»
urlò Bakugou e con un ultimo sparo più potente
degli altri si
liberò la strada. Finalmente riuscì a vedere Nina
dall'altro lato.
Mancavano solo pochi passi e cominciò a correre, urlando per
caricarsi.
«Cinque».
Un
clone gli si piazzò davanti e lui gli sparò
addosso, senza pensarci
oltre.
«Quattro».
Ancora
uno, ancora una volta.
«Tre».
Solo
un passo.
«Due».
Altri
due: ma quanti diavolo ce n'erano? Li fece fuori e si lanciò
in
avanti, sentendo l'acqua alla gola.
«Uno».
Tirò
indietro il pugno.
«Tempo
scaduto» e fu afferrato dallo stesso Ectoplasm, che lo
fermò per il
gomito. Aveva perso, non era riuscito a raggiungerla, per quanto
fosse sembrato una sciocchezza. Se i cloni fossero arrivati tutti
insieme non ci avrebbe messo molto a distruggerli tutti in una volta
sola, ma loro continuavano ad arrivare uno dopo l'altro, giusto in
tempo per impedirgli di procedere. Era frustrante. Era odioso.
«Hai
fallito» gli disse Nina e lui digrignò i denti,
furioso. «Stima
dei danni: quanti colpi hai usato?»
«Non
lo so, non li ho contati» ammise lui, frustrato, ma non per
questo
deciso a mandarla a quel paese. Se aveva fallito era stata solo colpa
sua, doveva rendersi più forte e lei aveva promesso che
l'avrebbe
fatto.
«Settantotto
colpi, per una cinquantina di avversari, di cui almeno tre di potenza
superiore alla norma. Più di uno al secondo. Quanti ne
può
sopportare il tuo corpo?»
Bakugou
digrignò i denti ancora di più, cominciando a
capire dove volesse
arrivare. Era stremato, aveva il fiatone, le braccia gli facevano un
male cane.
«Non
molte di più... non a una frequenza come questa».
«Ho
chiesto espressamente a Ectoplasm di impedire ai suoi cloni di
attaccare, quindi tecnicamente erano solo ostacoli inermi che ti si
piazzavano davanti. Sarebbero potute essere colonne, per esempio,
niente di minaccioso, eppure tu hai dato sfogo a tutte le energie che
avevi per qualcosa che potevi semplicemente raggirare. Sei arrivato
al limite, non ti sei risparmiato per qualcosa che invece avresti
potuto prendere con più calma. Se io fossi stata una donna
sotto un
palazzo che stava crollando, sarei morta perché tu ti
saresti preso
la briga di distruggere tutte le macerie che ti si piazzavano davanti
invece che correre a salvarmi. Capisci dove voglio arrivare?»
Capiva
eccome e la cosa lo faceva incazzare ancora di più. Lui
aveva
bisogno di sfogarsi, aveva bisogno di dare sempre il massimo, aveva
bisogno di andare oltre ogni limite. Solo così sarebbe
arrivato
primo.
«Il
numero uno è colui che arriva prima degli altri, non chi si
stanca
di più per fare il giro largo per un senso di appagamento
personale.
Solo per fare lo sbruffone».
«Non
sono uno sbruffone!» ringhiò lui, stufo di
sentirsi appellare in
quel modo.
«Sì,
invece, che lo sei, moccioso!» rispose a tono Nina. Bakugou
la
fulminò. La rabbia correva tanto nelle sue vene che delle
scintille
scaturirino dalla punta delle sue dita, ma lei sostenne lo sguardo,
severa e altrettanto incazzata.
«Sei
il numero uno?» gli chiese Nina, con sfida, quasi con
denigrazione.
Il suo sguardo avrebbe fatto venire i brividi a chiunque. Si poneva
una spanna sopra gli altri... lei era il burattinaio, sovrastava il
palcoscenico, governava i propri burattini, nessuno poteva superarla.
Era quello lo sguardo della burattinaia. «Rispondi quando
qualcuno
ti fa una domanda, moccioso! Sei o no il numero uno, adesso?»
alzò
il tono di voce, come una madre che rimproverava il proprio figlio.
«No,
merda, adesso non lo sono! Sei contenta ora?» urlò
anche Bakugou,
piantando gli occhi colmi d'ira in quello della donna.
«E
vuoi diventarlo, sì o no, moccioso del cazzo?»
«Sì!!!»
urlò Bakugou con tutto il fiato che aveva.
«Sì, sì, voglio essere
il migliore!»
«E
allora fallo! Che diavolo stai aspettando?»
«Devo
diventare più forte, cazzo!» e urlò
talmente forte che le vene sul
collo si gonfiarono e parve quasi un ruggito, verso la donna che
continuava a guardarlo con superiorità. Lo lasciò
sfogare, lo
lasciò urlare con tutto il fiato che aveva e quando lui non
ce la
fece più, ormai senza fiato, lei sorrise eccitata.
«Ben
detto» sussurrò orgogliosa.
Sotto
lo sguardo stupito di Bakugou, allungò una mano verso la sua
testa e
gli scompigliò affettuosamente quei suoi capelli pazzi.
Avrebbe
fatto di tutto per renderlo il numero uno, l'aveva promesso e sentiva
di volerlo fare sempre di più. Gli voltò le
spalle e si allontanò,
affiancata da Ectoplasm, lasciandolo solo con la sua confusione ma
quel rilassante senso di liberazione e soddisfazione. Urlare in quel
modo, sfogarsi a tal punto, gli aveva fatto bene.
«Andrebbe
punito per un simile linguaggio, se non fosse che hai cominciato tu a
insultarlo» disse Ectoplasm. «Tappati le orecchie
la prossima
volta» gli rispose Nina, per niente pentita di quanto appena
accaduto.
«Ci
sei riuscita, non è così?» chiese
ancora il professore, attirando
così l'interesse di Nina. «Lo hai appena portato
oltre il suo
limite».
La
donna sorrise divertita del fatto che fosse stata smascherata.
«Il
suo limite era il non riuscire ad ammettere a gran voce di avere
limiti. Quando gli ho chiesto la prima volta quale fosse il suo
limite mi ha raccontato del rinculo dei suoi colpi con un filo di
voce, come se non volesse essere sentito. Dovevo farglielo urlare,
che lui non era perfetto e che non poteva far altro che andare
avanti. Se si fosse convinto di essere già il migliore non
sarebbe
avanzato di un solo passo. È brillante e incredibilmente
forte, ma
il suo carattere può diventare la sua rovina. Devo farglielo
battere
decentemente, quel cuore che si tiene segregato nel petto».
«Il
preside Nezu ha fatto bene a chiederti di aiutarli, sei in
gamba».
«Non
è stato Nezu a scrivermi» confessò lei.
«Anche se si nasconde
dietro al suo nome, non è lui che ha avuto l'idea di
chiamarmi».
«No?
E chi allora?» chiese curioso Ectoplasm. Nina
svoltò dietro a un
immenso pilastro di cemento e si trovò di fronte al suo
secondo caso
interessante: Izuku Midoriya stava tirando pugni al vuoto, urlando
ogni tanto uno «Smash»
per darsi la carica necessaria. L'osservò a lungo, sempre
più
pensierosa, sempre più dubbiosa e forse sempre
più convinta.
Conosceva quel potere, non poteva essere un caso.
Tornò
a guardare Ectoplasm e alzò le spalle, assumendo
un'espressione
innocente: «Chissà» sorrise, cercando di
far cadere lì il
discorso. Non si sarebbe messa a parlare con lui di certe faccende,
non in quel momento per lo meno.
«Smash!»
urlò nuovamente Midoriya, tirando un altro pugno al vuoto.
"Smash"
pensò Nina, lasciando che i ricordi prendessero possesso di
lei.
Lo
ricordava, lo ricordava eccome tutte le volte che Toshinori si
rifaceva vivo dopo gli allenamenti di Nana, la donna che l'aveva
preso sotto la propria ala per far di lui l'eroe numero uno, il
simbolo della pace. Ricordava come puntualmente avesse qualche parte
del corpo che gli faceva un gran male, indolenzita o fratturata.
Spesso non era possibile neanche toccarlo, che saltava sulla sedia
urlando dal dolore. Ce n'era stato di lavoro da fare per Recovery
Girl, al tempo.
«Midoriya»
si avvicinò, lasciandosi alle spalle Ectoplasm. Il ragazzino
si
fermò nel suo allenamento e attese che la donna si fosse
avvicinata.
Un gesto impercettibile del dito e Midoriya si ritrovò con
un
braccio fuori uso. Saltò sul posto, osservandosi il braccio
bloccato
con sorpresa e panico.
«Liberati»
ordinò Nina.
«Eh?»
balbettò lui, confuso.
«È
un ordine» insistè Nina, dura nella voce tanto
quanto nel viso.
Faceva davvero venire i brividi quel suo modo di guardare le persone
dall'alto. Midoriya deglutì, dopodichè decise di
obbedire e
cominciò a usare la forza che aveva nel braccio destro per
liberarsi
dei fili che continuavano a mandare scariche al suo braccio,
bloccandolo. Strinse i denti, ma niente si mosse.
«Mi
prendi in giro?» lo fulminò Nina. «Non
ti starai mica prendendoti
gioco di me, vero?»
«Non
mi permetterei m...» ma venne interrotto dal suo stesso
braccio, che
scattò contro la sua volontà verso il suo viso e
gli piazzò uno
schiaffo su una guancia. Neanche il tempo di realizzare cosa stesse
accadendo, che Nina aveva preso il controllo anche del secondo
braccio e ora lo tempestava di pugni con le sue stesse mani,
colpendosi ora la guancia destra e ora la sinistra, senza
risparmiarsi nella potenza.
«Che
stai aspettando? Liberati!» ordinò con un tono di
voce imperativo e
aumentò la potenza dei colpi. «Liberati! Ora!
Fallo! Usalo quel
dannato potere! Liberati!»
E
all'ennesimo urlo Midoriya rispose accontentandola. Usò
parte del
potere che All Might gli aveva trasmesso, quel poco che riusciva a
gestire, e con un urlo caricatore riuscì a strattonare i
fili che lo
imprigionavano liberandosi. Nina l'osservò ancora
più sconvolta.
Non poteva sbagliarsi, non poteva essere che altrimenti. Quel
ragazzino aveva dentro di sé il potere di All Might e quello
di
Nana, prima di lui. Lo One
For All
era
stato passato a un nuovo successore.
"Allora...
è questo il motivo per il quale mi hai fatto chiamare,
Toshinori?"
pensò, guardando Midoriya che si riprendeva dalla fatica. Il
testimone era stato passato, presto ci sarebbe stato un altro simbolo
della pace. Per All Might era davvero giunto il momento della fine.
Qualcosa le si chiuse nel petto e per la prima volta da quando era
arrivata sentì il desiderio di correre fuori, andare a
cercarlo,
parlargli... dopo vent'anni, parlargli ancora. Parlargli di nuovo.
«Il
mondo ha bisogno di un grande Eroe. Un simbolo che racchiuda in
sè
tutto il bene di questo mondo e lo conceda a chi ne
invocherà
l'aiuto. Un simbolo di pace a cui fare appello. E io sarò
quel
simbolo, Machiko! Io sarò l'eroe portatore di pace, facendo
sorridere chiunque incontri. Nessuno smetterà più
di sorridere. Io
sarò quell'eroe!» quell'eco
nella sua testa portava sempre con sè il ricordo dello
scintillio
negli occhi di Toshinori. Un fuoco che sembrava avrebbe potuto
riscaldare chiunque avesse avuto attorno per il resto della propria
vita. Un fuoco inestinguibile... che invece adesso si stava
spegnendo. Il passaggio del testimone, il mondo avrebbe per sempre
avuto il suo All Might, ma per Toshinori sarebbe stato il capolinea.
La fine di un sogno alimentato per trent'anni. E lei, che l'aveva
visto nascere, che ne aveva alimentato la fiamma, avrebbe ora
assistito alla sua cessazione. Quel sogno, quella ragione di vita,
ora non gli apparteneva più. Quanto coraggio stava mostrando
in quel
momento, il ragazzino che si portava con affetto nei ricordi, con i
suoi sorrisi e le sue promesse. Faceva così male al petto.
«N-Nina?»
la richiamò Midoriya preoccupato del fatto che ancora non
avesse
proferito parola e che avesse assunto quell'espressione così
sconvolta, così addolorata. Senza riuscire a liberarsi dai
sentimenti che la stavano attanagliando, riuscì a
balbettare:
«Quanto riesci a usarne?»
«Come?»
chiese Midoriya, non capendo bene cosa stesse cercando di
domandargli.
«Quanto
di quel potere riesci a domare senza andare in pezzi?»
Nina
sapeva. Midoriya ne era convinto al settanta per cento: lei sapeva,
aveva capito, non c'era altra spiegazione.
«Cinque»
mormorò, affranto. «Cinque per cento».
«Così
poco» sussurrò lei, forse rassicurata che ci fosse
ancora tempo,
che non fosse proprio la fine, o forse addolorata che il successore
prescelto fosse tanto debole.
«Vieni
con me» ordinò e insieme al ragazzo
uscì dall'edificio dove il
resto della classe si stava allenando. Indicò un albero, non
molto
lontano, prima di ordinare al ragazzino: «Corri fino a
laggiù, più
veloce che puoi».
Midoriya
non capì il senso di quell'esercizio, ma ormai aveva
rinunciato a
capirla. Si mise in posizione e partì, imprimendo alle gambe
la
massima energia. Arrivò all'albero e tornò
indietro, ansante.
«Più
veloce» disse Nina.
Midoriya
fece un grosso sospiro, recuperando fiato, e infine partì
nuovamente. Più veloce, più energia. Corse a
perdifiato e tornò
indietro, più stanco che mai.
«Ancora
più veloce» disse Nina.
«Eh?»
chiese lui, sconvolto, ma in tutta risposta Nina lo fulmino e
Midoriya ebbe i brividi lungo la schiena. Perciò decise di
stare
zitto e correre ancora. E ancora. E ancora. Sempre più
veloce. Fino
a quando: «Se vado più veloce di così
mi andranno in pezzi le
gambe».
«Allora
è questo il tuo limite» disse lei. «Nel
tuo caso non si può
superare, se non con l'esercizio fisico. Allenati sempre, ogni
giorno, diventa ogni giorno più forte e più
grosso e riuscirai a
superare la tua velocità da gambe a pezzi. Per il momento,
però,
superarlo non farà che peggiorare la situazione. Ma tieni a
mente
una cosa... è la tua energia che non può essere
superata. La forza
che imprimi nelle gambe. Prova a ragionare da solo, quale sarebbe un
modo per aumentare la rapidità senza incidere ulteriormente
sull'energia consumata?»
E
Midoriya ci pensò qualche secondo prima di rispondere:
«Fare passi
più lunghi?»
«Passi
più lunghi, stessa forza, lunghezza decimata,
velocità aumentata.
Se tu usassi il massimo della tua energia in passetti brevi ci
metteresti una vita ad arrivare in fondo, al contrario se tu la
usassi per ampliare la distanza percorsa, non andresti in pezzi ma
saresti ancora più veloce. È questa l'immagine
mentale su cui devi
focalizzarti. Minimo sforzo, massimo rendimento. Amplia il tuo raggio
d'azione e la tua forza non ti distruggerà».
«Ho
capito!» annuì Midoriya, convinto e deciso a
seguire il suo
consiglio. Non desiderava altro che migliorare fino ad essere degno
di quell'enorme responsabilità che gli era stata affidata.
«Vieni
dentro, adesso, per favore. Tra poco sarete liberi di andare, ma
prima voglio dirvi una cosa» disse lei, e rientrò
nell'edificio,
seguita dal ragazzino. Prese fiato, prima di gridare a gran voce:
«STOP!»
Pian
piano i rumori e le urla cessarono, lasciando spazio al silenzio.
«Ragazzi
per favore, raggiungetemi solo un istante!»
continuò Nina, prima di
lasciar andare un sospiro silenzioso. E il viso si tirò
improvvisamente in un sorriso che aveva tutta l'aria di essere
davvero felice. Davvero un'ottima attrice.
"Basta
affrontare tutto col sorriso" si ripeté, mentre attendeva di
essere raggiunta dai membri della classe.
«Il
nostro tempo scadrà tra pochi minuti e voi potrete tornare a
casa.
Mi dispiace tanto oggi non essere riuscita a seguire tutti quanti,
per questo vi dico che se avete delle domande o dubbi impellenti ne
possiamo tranquillamente parlare anche alla fine di questa lezione.
Per tutti gli altri, non preoccupatevi perché questo
sarà materia
delle prossime lezioni e io terminerò il giro di ciascuno di
voi.
Prometto che farò del mio meglio per rendervi dei supereroi
coi
fiocchi, per quel poco che mi è concesso fare» e
sorrise ancora,
illuminandosi. «Se volete fermarvi qui un altro po' per
allenarvi
Cementoss e Ectoplasm saranno felici di concedervi un'altra mezz'ora
qui dentro. Ma se vi sentite stanchi o avete impegni per il resto
della giornata potete pure andare, per quanto mi riguarda la nostra
lezione finisce qui. Detto questo, aggiungo solo una cosa: domani
pomeriggio, dopo la nostra lezione, andrò al museo per una
mostra di
storia naturale. È qualcosa che esula completamente dagli
obblighi
della scuola, andrò solo per puro piacere personale, ma ci
tengo a
dirvi che se voleste unirvi a me ne sarei felicissima e ne potrei
approfittare per darvi qualche nozione e stimolo in più, in
merito a
quanto stiamo facendo finora, collegandomi a ciò che vedremo
durante
la mostra. Non ci crederete ma il mondo animale ha davvero tanto da
insegnare, quando si tratta di sopravvivenza e superamento dei
limiti».
Un
rumorio di sottofondo, mentre i ragazzi cominciavano a parlottare tra
loro della mostra e della loro intenzione ad andare o meno.
«Un
appuntamento fuori dalla scuola!» si lasciò andare
Mineta. «Non me
lo perderei per niente al mondo, bellissima Signorina Nina».
«Non
avevo dubbi, Mineta» lo schernì Nina, smuovendo
l'ilarità del
resto della classe. «Non è importante che mi
diciate ora se ci
sarete o meno, se volete unirvi semplicemente mi troverete
lì fuori.
Ora potete anche andare» e con quelle ultime parole,
finalmente la
riunione improvvisata si sciolse. In molti decisero di andarsi a
cambiare e tornare a casa, ma altrettanti restarono per quella
mezz'ora che Cementoss e Ectoplasm avevano loro concesso. Dei veri e
propri stakanovisti, proprio come lo era stato Toshinori.
Già...
erano proprio come lui.
Do
you know that there's still a chance for you
'Cause
there's a spark in you
You
just gotta ignite the light
And
let it shine
Just
own the night
Like
the Fourth of July
'Cause
baby you're a firework
Come
on show 'em what your worth
Make
'em go "Oh, oh, oh!"
As
you shoot across the sky
|
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Capitolo 7 *** I have questions, Camila Cabello ***
"I
Have Questions”, Camila Cabello
Machiko
pedalò il più velocemente che poté
lungo la strada. Il traffico
quel giorno era intenso, ma la cosa non l'avrebbe rallentata. Fece lo
slalom tra le macchine con la sua bicicletta, svoltò,
sgommando, e
saltò sul marciapiede. Tagliò la strada ad un
paio di ragazzi,
scatenando così la loro collera, ma li lasciò
sbraitare e continuò
a correre. Schivò un paio di persone, prima di saltare
giù dal
marciapiede e continuare la sua folle corsa in strada. Girò
in un
vicolo, prese una scorciatoia lungo una strada in discesa
esclusivamente pedonale, con delle lunghe scale, ma finalmente
raggiunse la via per il fiume. Pedalò a lungo, prima di
riuscire a
trovarlo: Toshinori si trovava lungo l'argine, in una zona di calma e
di pace, che correva in tuta chissà da quante ore. Testimone
del
fatto che fosse vittima di un infinito allenamento erano anche il suo
fiatone e le goccioline di sudore sulla fronte, ma avrebbe corso per
giorni, se fosse stato necessario.
«Toshi-chan!»
urlò alle sue spalle Machiko, prima di riuscire a
raggiungerlo.
Rallentò e gli si affiancò, pedalando al suo
stesso ritmo.
«Sei
scappato via subito dopo la scuola e non ti ho più trovato,
si può
sapere che fine avevi fatto? Ti devo parlare!»
«Sto
facendo allenamento» disse lui, parlando tra gli ansimi.
«Non è
evidente?»
«Lo
stavi facendo anche ieri, e l'altro ieri, e io non riesco mai a
trovarti!»
«Mi
troveresti, se non fossi così lenta a uscire da scuola.
Continui a
fermarti almeno mezz'ora insieme ai ragazzi della tua band, come
pretendi che ti aspetti?»
«Ritardare
il tuo allenamento di mezz'ora non ti costerebbe niente».
«Se
avevi così urgenza di parlarmi, puoi anche rimandare le
chiacchiere
con i tuoi amici».
«Insomma,
che rompipalle che sei! Ed io che ero perfino venuta a portare buone
notizie! Sai, che ti dico? Non te le meriti, ecco! Scusami tanto se
ti ho disturbato mentre ti allenavi» e girando
cominciò a risalire
lungo la collinetta d'erba che riportava alla strada principale, che
l'avrebbe poi riportata a casa. Toshinori rallentò il passo
e la
guardò andar via, col viso corrucciato. Forse aveva
esagerato, non
era stato carino con lei che invece l'aveva rincorso e cercato per
mezza città. Ultimamente gli allenamenti di Gran Torino si
stavano
facendo sempre più duri, il potere concessogli da Nana
cresceva
dentro di lui, lei se n'era andata lasciandogli quella grande
responsabilità da portare a termine e tutto ciò
lo stava stremando.
«Machiko»
provò a chiamarla, un istante prima di iniziare a correre
dietro di
lei. «Machiko, dai, aspetta! Mi dispiace! Macchan!»
Arrancò
lungo la collina, prima di riuscire a raggiungerla e affiancarla.
Unì
le mani di fronte al viso e cercando di sorriderle, maldestramente,
le chiese di nuovo scusa. Ma lei continuò a pedalare e
guardare
dritta di fronte a sé, ignorandolo.
«Se
ti compro i Taiyaki mi perdoni? Quelli con i fagioli Azuka che ti
piacciono tanto!»
«Mh»
mormorò Machiko, guardandolo storto.
«Forse» ammise.
«Allora,
me la dici questa buona notizia?» insisté lui e
solo allora Machiko
inchiodò, lasciando dietro di sè una scia di
polvere e sassetti.
Toshinori si fermò, stupito, e le si avvicinò
appena in tempo per
farsi sbattere in faccia un foglio di giornale. Se lo
allontanò dal
viso il tanto necessario per riuscire a vederne il contenuto e si
illuminò: «Ma questi siete voi! Tu e la tua band!
Su una pagina di
giornale!»
«Prima
pagina, baby! Ci hanno voluto intervistare, visto il successo del
Japan Academy Music Award e il fatto che ormai sono anni che apriamo
il festival sportivo con la nostra musica. Stiamo diventando famosi,
ti rendi conto?»
«Incredibile!
Siete incredibili! È grandioso! Tutta Tokyo adesso vi
conoscerà!
Wow! È... incredibile!» continuò
estasiato, non riuscendo a
trovare altra parola per esprimere la gioia che provava in quel
momento per lei.
«Ma
non è tutto!» e puntò il dito a una
riga precisa del trafiletto
che era stato loro concesso. «Leggi qua!»
Pieno
di curiosità Toshinori avvicinò nuovamente il
foglio al viso e
lesse: «"Sono questi i Powerful Guy, la band nascente che
tanto
sta facendo parlare di sè, famosi soprattutto per la canzone
d'apertura del grandioso festival sportivo della Yuuei, prima scuola
di supereroi del giappone che vede anche tra le nuove generazioni di
cui si occupa grandi futuri eroi come..."» e si interruppe,
sussultando.
«Come?»
insistè Machiko, sorridendo con orgoglio. «Come
chi, allora?»
E
Toshinori, balbettando, lesse: «”Come Toshinori
Yagi, in arte All
Might, futuro simbolo della pace”».
«Inizialmente
quando ho chiesto al giornalista di riportare il tuo nome con quella
specifica dicitura mi ha guardato un po' storta, non credo mi abbia
preso sul serio a dire il vero, in effetti il tutto sembra un po'
forzato, ma è bastato usare un po' del mio sex appeal per
convinc...» ma il monologo orgoglioso di Machiko fu
interrotto da
Toshinori, che quasi urlo, in preda alle lacrime:
«Macchan!!!»
«Piangi?
Mi prendi in giro?» strillò lei, guardandolo
contrariata.
«Io...
non so... che dire... grazie!!!» e continuò a
piangere come un
bambino, stritolando e rovinando quello straccio di giornale che
ancora teneva tra le dita.
«Finiscila
subito, mammoletta! I numeri uno non si comportano da
ragazzette!»
«Mi
dispiace» continuò lui, per niente intenzionato a
smettere.
«Basta!
Mi stai facendo incazzare!» urlò Machiko,
afferrandolo per il
colletto e cominciando a scuoterlo come un uovo strapazzato. Ma la
sensibilità di Toshinori non conosceva limiti e dopo anni di
duro
allenamento, finalmente aveva potuto vedere il nome di All Might
associato al suo sogno di pace impresso nero su bianco, sparso per
tutta la città. Dopo tanti anni di duro lavoro era stata
Machiko ad
aprire per lui quella prima porta che avrebbe portato alla
realizzazione di un idolo.
Lei
non aveva mai smesso di credere in lui, neanche per un istante.
Nina
ripose quel pezzo di carta rovinato dal tempo dentro la custodia di
un dvd. Lo incastrò con cura, facendo in modo che non si
rovinasse e
che fosse potuto restare protetto al suo interno per altri vent'anni.
Quello strappo di giornale che aveva conservato gelosamente,
nonostante Toshinori glielo avesse quasi fatto a pezzi. Premette la
linguetta al centro del dvd, alla destra del foglio di giornale, e ne
estrasse il cd dal suo incastro. Si avvicinò alla
televisione,
l'accese e infilò il cd nel lettore dvd sotto di essa. Lo
fece
partire e si avviò verso il suo comodino, dove aveva posato
un
bicchiere colmo di vino ad aspettarla. La voce di un giornalista si
fece strada dentro quelle quattro pareti che erano la stanza del suo
albergo, esprimendo l'incredulità di fronte a quell'epica
scena. Il
treno era stato ribaltato, le fiamme divampavano, eppure c'era
quell'uomo, quell'eroe, alto come una montagna, forte come un leone,
che sorrideva. E sembrava facesse risplendere il sole con quel suo
sorriso.
«Non
avete niente da temere» disse All Might, ergendosi sopra il
treno in
fiamme carico di persone appena salvate. «Sapete
perché? Perché
adesso ci sono qua io!»
Stoppò
l'immagine e bevette un sorso di vino, mettendosi a sedere per terra,
con la schiena poggiata al letto dietro di lei. L'osservò,
l'osservò
a lungo l'uomo che aveva visto nascere dalla polvere e farsi strada
fino al cielo, diventando non solo una stella tra le stelle, ma la
più luminosa. Diventando il sole di una terra ormai fredda e
buia.
Mandò indietro il dvd e rimise play, facendo ripetere ad All
Might:
«Sapete perché? Perché adesso ci sono
qua io!» e la sua fragorosa
risata ne seguì, facendo vibrare le corde dell'animo.
Di
nuovo stop, indietro e play.
«Adesso
ci sono qua io!»
Stop
e ancora indietro e ancora play.
«Perché
adesso ci sono qua io!» e ancora risate. Nina si
portò nuovamente
il bicchiere alla bocca e questa volta lo tracannò fino
all'ultimo
sorso. Con la mano tremante si asciugò un rivolo sfuggito
dalle
labbra.
Il
fiato le tremò in gola e fu costretta a socchiudere gli
occhi,
concentrandosi per ritrovare la calma. Allungò una mano nel
vuoto e
si riappropriò del telecomando. Si rannicchiò
nelle sue stesse
ginocchia e nascondendo il volto tra le braccia fece ripartire la
registrazione, ascoltando per l'ennesima volta la risata di Toshinori
rimbombarle nelle orecchie.
«All...
right...»
La
mattina dopo Nina arrivò a scuola in netto anticipo,
rispetto al suo
programma. Con passi pesanti, lo sguardo corrucciato e un bello
strato di fondotinta a nascondere le occhiaie della notte appena
passata insonne, raggiunse la sala professori. Si guardò
attorno,
sotto lo sguardo attonito di alcuni professori delle classi delle
altre sezioni. Nessuno che conoscesse, ma loro sicuramente
conoscevano lei.
«Mi
servono i fascicoli degli alunni della classe prima A» disse
lei,
severa. Uno di quegli uomini, confuso e un po' intimorito, si
limitò
a indicarle un archivio in fondo alla stanza. Nina ci si
avvicinò e
aprì quella relativa alla classe di interesse.
Passò in rassegna i
cognomi fino a trovare quello che le interessava: Midoriya Izuku. Lo
prese e si andò a mettere sul divano, immergendosi nella
lettura.
Il
ragazzino era stato dichiarato fino all'anno prima un senza poteri,
poi improvvisamente il suo Quirk si era manifestato e aveva
affrontato la prova d'ingresso, riuscendo a superarla solo tramite
consenso dei professori, nonostante il suo punteggio pari a zero. Uno
smidollato che improvvisamente era diventato un eroe. Non c'era molto
altro, se non un sacco di informazioni anagrafiche e burocratiche sul
suo rendimento alle medie. Doveva scoprire di più, doveva
assolutamente sapere se sarebbe stato un degno erede del titolo di
simbolo della pace. Non riusciva a darsi pace, ma doveva essere certa
che Toshinori non stesse rinunciando alla sua identità
invano. Lei
era stata convocata per un motivo, e ora quel motivo era riuscire a
scoprire se quel Midoriya meritava quel regno a discapito del Re
fondatore.
Ripose
il fascicolo e percorse a grande rapidità i corridoi della
Yuuei,
fino all'ufficio del preside.
«Ho
bisogno di visionare alcune informazioni su Midoriya» disse
spalancando la porta, senza neanche un saluto o un annunciazione.
Nezu, impegnato in qualche carta burocratica, alzò gli occhi
sulla
donna dallo sguardo severo.
«I
fascioli li trovi in sala professori, sono a disposizione di tutti in
modo che nessuno sia privato delle informazioni necessarie alla
propria pratica d'inseg...»
«Quei
fascicoli sono carta straccia» lo interruppe Nina ed
entrò nella
stanza, richiudendosi la porta alle spalle. «Devo sapere di
più».
«Non
c'è molto di più, a dire il vero».
«Immaginavo
che le informazioni rilevanti non fossero state racchiuse da nessuna
parte se non nella mente degli interessati»
osservò Nina,
avvicinandosi alla sedia di fronte alla scrivania del preside. Ci si
lasciò cadere sopra e con un sorriso soddisfatto aggiunse:
«Allora
sono venuta nel posto giusto». Sollevò gli occhi,
puntandoli in
quelli del preside, burattinaio intenzionato a prendere possesso di
un altro burattino ma non attraverso i suoi fili. Quello sguardo
legava l'animo e lo sottometteva, quello sguardo aveva per anni
intimorito chiunque le si parasse davanti, causandole non pochi
problemi, a dire il vero.
«Midoriya
detiene lo One for All, non è così?»
All
Might, nella sua forma più debole, speranzoso che
ciò sarebbe
bastato per non essere riconosciuto, entrò cauto a scuola.
Ormai la
campanella era suonata da un pezzo e il cortile esterno era
praticamente deserto. Si nascose dietro a un colonnato e scattando
dopo essersi assicurato che fosse tutto deserto riuscì
finalmente ad
entrare. Ora gli aspettava la parte più complessa.
Camminò rapido,
deciso a raggiungere il suo rifugio sicuro, una saletta ristoro che
gli era stata concessa completamente per preservare la sua privacy e
dargli un luogo sicuro in cui riposarsi. Ormai erano tre giorni che
effettuava lo stesso rito per le sue entrate a scuola, sapendo
perfettamente che non sarebbe riuscito a durare per sempre, che prima
o poi quel confronto che lo terrorizzava tanto avrebbe dovuto averlo.
Sapeva che non poteva fuggire per sempre, e non doveva farlo, ma per
il momento si limitava a continuare a nascondersi fintanto che il
coraggio non avrebbe finalmente fatto capolino. Forse proprio
l'ultimo giorno di permanenza di Nina in quella scuola, chi avrebbe
potuto dirlo? E pensare che era stato lui stesso a chiedere al
preside Nezu di offrirle quel ruolo all'interno della scuola, dopo
che aveva scoperto che sarebbe tornata qualche giorno a Tokyo.
Chissà
che gli aveva detto il cervello... probabilmente qualcosa di molto
saggio, che ora invece si ostinava ad ignorare colto da una folle
paura. Quella donna sapeva come far venire i brividi alle persone, se
lo ricordava bene.
Si
affacciò da un angolo e in quell'istante suonò la
campanella del
cambio dell'ora. Rabbrividì, colto di sorpresa, e
cominciò a
correre lungo il corridoio, schivando gli alunni che poco a poco
uscivano dalle aule. Una vera corsa a ostacoli, che riuscì
comunque
a portarlo alle scale per i piani superiori e infine, alla fine del
lungo corridoio dell'ultimo piano, alla sua saletta sicura.
Entrò e
sbattè la porta alle sue spalle. Aveva vinto anche quel
giorno e
poteva tirare un sospiro di solli-«All Might!»
La
voce alle sue spalle gli fece battere il cuore talmente forte che non
riuscì a trattenersi dall'esplodere nella sua forma
potenziata, come
un riccio che terrorizzato si raggomitolava improvvisamente e tirava
fuori gli aculei.
«Cosa?»
quasi urlò, voltandosi di colpo. Midoriya era seduto sul suo
divanetto e lo guardava sconvolto: che gli prendeva?
«Oh,
Midoriya, ragazzo mio» sospirò All Might, tornando
a respirare e
riuscendo a calmare i battiti del cuore. Si concesse perfino di
tornare alla sua forma vulnerabile. «Sei solo tu, mi hai
fatto
spaventare».
«Chi
altro sarebbe potuto essere, scusa?» chiese Midoriya sempre
più
sconvolto. Esisteva davvero qualcuno in grado di spaventare a tal
punto l'uomo più forte del mondo?
«Nessuno,
nessuno. È che non ero in condizioni adatte ad essere visto,
lo sai
no?» riuscì a cavarsela dando al suo segreto la
colpa di quel mezzo
infarto che aveva appena subito. Aveva bisogno di Recovery Girl, lo
sentiva. Qualcosa non stava funzionando più come prima, le
gambe si
stavano come sciogliendo e presto avrebbe toccato il suolo. Si mise a
sedere, sperando di riprendersi o almeno di non svenire prima che
Midoriya non fosse di nuovo uscito dalla sua stanza.
«Dimmi,
come vanno i tuoi allenamenti?» chiese, cercando un pretesto
per far
conversazione e dimenticarsi di quanto fosse appena accaduto.
Midoriya
annuì, ma qualcosa gli rabbuiava il volto. «Bene,
le lezioni di
Nina penso potrebbero essere d'aiuto».
Un
altro brivido lungo la schiena nel sentir pronunciare quel nome.
«Oh,
bene, bene! E le lezioni di inglese, invece?»
«Inglese?»
chiese Midoriya, guardandolo storto. Tentativo di cambiare
conversazione numero due: fallito appieno. All Might
cominciò ad
agitarsi, balbettando scuse del tipo: «Sì, sai...
l'struzione di un
eroe è molto importante... anche nelle basi! E le lingue
sono
fondamentali... e...»
«Stai
palesemente cercando scuse!» lo brontolò Midoriya,
riuscendo così
a fermare quel suo imbarazzante arrancare. «Piuttosto, vorrei
farti
una domanda riguardo proprio Nina».
«Sono
molto impegnato!» rispose d'istinto All Might, ancora
più agitato,
immaginandosi per chissà quale motivo che il ragazzo gli
avesse
fatto la domanda che più temeva: perché la stava
evitando?
«Eh?»
chiese Midoriya, confuso, e questo portò alla mente di All
Might che
il ragazzino non avrebbe mai potuto sapere della storia che c'era tra
loro due. Imbarazzato, rosso in volto, si schiarì la gola
prima di
cercare di riacquistare una dignità e chiese:
«Perdonami, sono
giorni difficili. Cosa volevi chiedermi?»
«Ecco...»
cominciò Midoriya, un po' agitato su quanto stava per
chiedere. Ma
poi riuscì a formulare quella domanda che dal giorno prima
gli
bombardava la testa. «Lei sa di One For All?»
La
domanda lasciò per un attimo All Might stupito. Conosceva
Nina, non
aveva mai messo in dubbio che lei un giorno avesse potuto capire che
Midoriya era un ragazzo speciale, ma non si sarebbe mai aspettato che
questo avvenisse così presto.
«Cosa
ti ha fatto pensare che lei lo sappia?» chiese All Might, ora
serio
più che mai.
«Ha
cominciato a comportarsi in maniera strana verso di me da quando,
durante un combattimento d'esercitazione il primo giorno, ho rotto i
suoi fili».
«Hai
rotto i fili?» strabuzzò gli occhi All Might.
Midoriya annuì,
prima di aggiungere un po' turbato: «Mi guarda come se
vedesse un
fantasma. Mi fa venire i brividi».
«Quello
è il suo modo di guardare chiunque, puoi star tranquillo.
Non è una
donna facile da gestire» cercò di
tranquillizzarlo, ricordando come
a volte perfino a lui metteva la pelle d'oca.
«Sì,
ma poi... ecco, ha detto una cosa» e questo attirò
nuovamente
l'attenzione dell'uomo. «Ha detto che prima di me solo
un'altra
persona era stata in grado di rompere i suoi fili. Quella persona sei
tu, non è vero?»
Midoriya
era un ragazzo sveglio, intelligente ed attento. Una frase del genere
l'aveva subito portato sulla giusta via, non ci aveva messo molto a
fare due più due. E Nina...
«Sì»
confessò con un filo di voce, lottando contro una dolorosa
sensazione alla bocca dello stomaco. I ricordi da cui era scappato
per tanto tempo, da cui era riuscito addirittura a liberarsi col
passare degli anni, erano appena arrivati tutti insieme a travolgerlo
come una valanga. Tutti quei ricordi, tutti insieme, i sorrisi, gli
scherzi, i giochi, i pianti... soprattutto i pianti. E quel giorno...
l'ultimo giorno che l'aveva vista, l'ultimo giorno che si erano
parlati, prima che lei scappasse e lui decidesse di chiudere per
sempre quella porta, rimasta aperta per quasi quindici anni. Il
giorno che decise che sarebbe per sempre stato All Might, solo All
Might, e mai più Toshinori.
Quella
telefonata. La sua voce dolorosamente fredda.
"Abbi
cura di te, All Might".
«Sì»
confessò nuovamente, sentendo la valanga travolgerlo.
«La forza di
One For All è sempre stata l'unica in grado di spezzare i
suoi fili.
Conosce il mio segreto e credo che adesso conosca anche il tuo.
Mentirti non servirebbe».
«È
come immaginavo allora!» disse Midoriya, colto dal panico.
«Non
aver paura. Può non sembrarlo, ma è una brava
persona. Ti aiuterà,
ora più che mai. Fidati di lei».
«Veramente
a me sembrava una brava persona anche prima, nonostante il suo modo
di guardarmi, hai davvero così paura di lei da credere che
trasmetti
questa sensazione?» chiese Midoriya un po' stranito.
«Quella
donna è il demonio!» si giustificò All
Might, preso dal panico.
«Ma
hai appena detto di fidarmi!» strillò Midoriya,
colto dallo stesso
panico.
«Infatti
è così!»
«Ma
se è il demonio?»
«Sì,
è terrificante!»
«Ma
ti vuoi decidere, allora?!»
E
i due continuarono a battibeccare a lungo, fino a quando il ragazzino
non fu costretto a rientrare in classe per l'ora di lezione
successiva. Aprì la porta senza sapere che le
novità e le sorprese
per quella mattina non sarebbero ancora finite. Una bella porzione
dei suoi compagni era tutta raccolta intorno al banco di Mineta e
parlottavano, come una setta intenta a organizzare qualche piano
malefico. Perfino Bakugou, che se ne stava in disparte al suo banco,
non faceva che fissarli, comunque interessato a ciò che
stava
accadendo, anche se orgoglioso non l'avrebbe dimostrato.
Midoriya
si avvicinò, solleticato dalla curiosità, e
riuscì a farsi strada
tra Sero e Hagakure, fino a raggiungere il tavolino di Mineta. Il
ragazzino se ne stava tranquillamente seduto, accerchiato dai
compagni, un'espressione soddisfatta in volto, braccia incrociate al
petto e una vecchia foto poggiata proprio di fronte a lui. Midoriya
dovette storcere un po' il collo per riuscire a vederla, visto che
era rivolta dall'altro lato, ma quando riuscì a distinguere
le due
sagome che si intravedevano sobbalzò, urlando: «Ma
quello è All
Might!»
«Visto!»
esclamò Kirishima. «Anche Midoriya l'ha
riconosciuto!»
«Sì,
ma è un po' diverso» osservò Ashido.
«È
una foto vecchia più di vent'anni, è
più giovane, pettinatura un
po' diversa e meno muscoloso, ma è lui! Si vede!
È palese!»
insistè Sero.
«Aveva
da poco cominciato la sua carriera, lo conoscevano ancora in pochi,
per questo girano poche foto così. Quando è
diventato veramente
famoso aveva già cambiato aspetto, ma quei lineamenti sono
abbastanza riconoscibili» insistè Asui.
«Certo
che è davvero incredibile...» osservò
Uraraka, come rapita dalla
foto. Midoriya le concesse un lungo sguardo, tornando a studiarla.
All Might, sorridente come sempre, aveva lo sguardo rivolto alla
figura al suo fianco. Una ragazza che rispondeva allo sguardo e al
sorriso, teneramente stretta al suo braccio destro, in un
atteggiamento che, non lasciava dubbi, andava ben oltre la semplice
amicizia.
«Beh,
avrà avuto il suo successo anche da giovane e poi
è pur sempre un
essere umano. Non ci vedo niente di strano nel fatto che uscisse con
qualche ragazza» disse Ojiro.
«Sì,
ma proprio con lei? È una bella coincidenza»
osservò Ashido.
«Lei
chi?» chiese Midoriya, storcendo ancora di più il
collo. Mineta,
notando la sua difficoltà e forse per rendersi ancora
più
orgoglioso della scoperta fatta, girò la foto per fare in
modo che
potesse vederla meglio.
«Andiamo,
Midoriya! Non la riconosci?» chiese sconvolto Kirishima.
«Ha
i capelli più lunghi, è leggermente voltata ma si
vede
perfettamente che è la professoressa Nina»
spiegò Hagakure.
«Nina?»
strabuzzò gli occhi Midoriya. La porta della classe si
spalancò con
un tonfo e tutti i ragazzi saltarono sul posto, affrettandosi a
nascondere il cimelio che Mineta aveva riportato a galla. Yamada
entrò in classe, squadrando i ragazzini da capo a piedi
prima di
chiedere contrariato: «Cos'è questo baccano, si
può sapere?»
«Niente
professore! Ci perdoni!» disse Iida diligentemente e il resto
dei
suoi compagni scappò ai propri posti, veloci come fulmini.
Yamada
decise di lasciarli perdere, questioni da ragazzini, chi non poteva
capirli? E si andò a mettere alla cattedra, pronto a
cominciare la
sua lezione.
«Izuku-kun»
sussurrò Uraraka, al suo fianco. Midoriya si
voltò a guardarla e
rimase sorpreso di vederla china, con lo sguardo affranto, colmo di
una profonda tristezza. Le mani strette tra loro, sulle sue gambe.
«Non
lo trovi molto triste?» chiese la ragazza, senza alzare gli
occhi.
«In quella foto sembrano così felici. Hai mai
visto sorridere All
Might in quel modo?»
Di
sorrisi di All Might ne aveva visti a bizzeffe, anzi poteva
sicuramente dire di non averlo mai visto non sorridere. Ma non poteva
dar torto alla ragazza: in quella foto era sicuramente diverso.
Ripensò alla conversazione appena avuta proprio col diretto
interessato, al suo modo di fare. L'agitazione, le scuse, le
giustificazioni... e poi quello sguardo mentre ammetteva che,
sì,
lei faceva parte di quel segreto. Insieme ai più fidati.
Insieme ai
più cari. Eppure la temeva così tanto e ancora si
era rifiutato di
vederla.
Uraraka
non aveva visto tutto quello, eppure la sua sensibilità era
comunque
riuscita a raggiungerli, ad entrare in contatto con i loro sentimenti
semplicemente guardando la fotografia. Era l'unica che non ne aveva
spettegolato ma era rimasta in silenzio a fissarla con tristezza. Una
tristezza che infine giustificò:
«Chissà cosa gli è successo».
Do
you care, do you care?
Why
don't you care?
I
gave you all of me
My
blood, my sweat, my heart, and my tears
Why
don't you care, why don't you care?
I
was there, I was there, when no one was
Now
you're gone and I'm here
I
have questions for you
Note
dell’autrice
Era
da qualche capitolo che non scrivevo delle note, ma penso che ora sia
abbastanza importante farlo, primo tra tutti per ringraziare chi
legge.
Inizialmente il numero di visual per capitolo era
abbastanza triste, ora invece ho visto che i numeri di stanno
ingrossando e non so se è la stessa persona che chiude e
riapre i
capitoli cento volte oppure siete diventati in tanti, ma mi piace
pensare alla seconda opzione xD
Perciò a tutti voi, GRAZIE!
E’
una storia uscita abbastanza di petto, ci ho riflettuto poco, ho
semplicemente gettato sul foglio quello che volevo senza pensare se
sarebbe piaciuto o meno per questo non avevo grandi aspettative,
anche se ammetto che arrivata in fondo mi sono affezionata tantissimo
alla mia Machiko e alla sua tormentata storia e soprattutto al
Toshinori che sono riuscita a scolpire, senza andare OC (o almeno
spero xD). Per questo vedere così tanti consensi,
considerate anche
le persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite e le
recensioni, mi ha davvero rallegrato.
Premesse
a parte, passiamo al capitolo vero e proprio. E’ un capitolo
abbastanza importante, come i prossimi che seguiranno,
perché le
cose cominciano a prendere un po’ più forma.
Abbiamo un primo
spazio dedicato tutto a Toshinori, ai suoi pensieri e ciò
che prova
dal ritorno di Nina, anche se sono solo un primo accenno. Abbiamo in
più un altro elemento importante: Nina sa dello One for All
e ha
capito che Midoriya è il successore, l’erede del
suo “amico
d’infanzia” Toshinori: come si
comporterà d’ora in avanti a
proposito di questo, visto che è stata parte essenziale
della
nascita di All Might?
Sì,
ho messo volutamente “amico d’infanzia”
tra virgolette perché,
come si capisce dalla fine del capitolo e quella piccola riunione
nella classe 1 A, ormai è abbasta palese che tra i due in
passato
non ci fosse stata solo amicizia. Ma ancora non si viene a capo del
nodo. Come Uraraka si chiede: che cosa sarà successo?
In
tutto questo Nina continua ad affogare lentamente nella malinconia,
passando notti insonne, bevendo vino come se non ci fosse un domani e
ascoltando la voce registrata di All Might al DVD (sì
esatto! Si è
registrata la puntata del tg dove si parla di lui!).
E
vogliamo parlare del piccolo flashback dove Machiko pedala per tutta
Tokyo, in barba alle regole stradali, seminando il panico tra i
pedoni, solo per trovare Toshinori e fargli vedere la pagina di
giornale dove lei ha costretto il giornalista ad accennare al
“futuro
simbolo della pace”? Quella è stata ufficialmente
la prima
apparizione di All Might sui media, ed è avvenuta grazie a
Machiko
(ho le mie ragioni a dire che lei è stata parte essenziale
della
nascita di All Might come tale).
La
canzone scelta io l’adoro, ha nel ritmo e nella voce della
cantante
tutta la malinconia e il dolore che pian piano stanno uscendo fuori
anche a Nina. Il testo poi è una perla (il trafiletto
riportato è
particolarmente importante), sia nel “i gave you all of
me” che
nel “i was there, i was there, when no one was” che
nel “now
you’re gone and i am here”. Ammetto che quella
strofa si è
contesa il posto con l’inizio della canzone (ma tanto ora ve
lo
riporto lo stesso e quindi peace and love):
Why
did you leave me here to burn?
I'm
way too young to be this hurt
I
feel doomed in hotel rooms
Staring
straight up at the wall
Counting
wounds and I am trying to numb them all.
Vi
consiglio di ascoltarla se volete entrare nell’animo profondo
di
Nina.
Bene! Ho finito queste immense NDA! (Ecco perché a
volte non le faccio, sono enoooooooormi ._. non riesco a essere
breve, spero di non avervi annoiato).
Io
vi ringrazio ancora infinitamente tutti quanti, lasciatemi un
pensiero se vi va e se volete restare un po’ più
in contatto con
me (anche per fangirlare un po’ sui nostri beniamini e tanti
altri)
vi linko la mia pagina fb dove ogni tanto provo a scrivere due parole
xD
https://www.facebook.com/RayWingsScrive/
Il
gatto in copertina si chiama Kira, è l’amore della
mia vita e la
mascotte di questa presunta scrittrice. Ogni tanto dirà
anche lui la
sua in pagina(sì, è un lui, conoscete Death
Note?), non perdetevelo
xD
A presto!
Ray
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Capitolo 8 *** Ehy Brother, Avicii ***
"Ehy
Brother”, Avicii
Il
traffico quel giorno era intenso, un po' fastidioso, ma solo un
sottofondo disturbante che in qualche modo faceva compagnia alla sua
attesa. Nina sedeva al tavolino del bar appena sotto al museo, gambe
accavallate, schiena poggiata allo schienale e un frappè da
sorseggiare. Come sempre, a nascondere la sua identità,
c'era il
sostegno di un paio di occhiali da sole e un cappellino da baseball.
Ancora ne dubitava dell'utilità, ma finchè
funzionavano e la gente
si teneva lontana da lei avrebbe continuato a fidarsi del grande
potere degli occhiali da sole.
Aveva
addosso ancora la fatica delle lezioni tenute alla prima A, terminate
neanche un'ora prima, e rifocillarsi con un frappè era
quello che le
ci voleva. Aveva scoperto e seguito gli incredibili poteri di Asui,
Ashido e Sero. Aveva provato a parlare anche con Mineta, ma il
ragazzino pensava troppo a farle la corte e poco a imparare a
migliorarsi, perciò non aveva potuto far altro che
ammutolirlo con
un severo: «Mineta, il tuo limite per diventare un eroe
è che non
sei eroico. Cresci, poi magari torna a rivolgermi la parola».
Forse
era stata un po' cattiva con lui, ma almeno l'aveva scosso abbastanza
da provare a dargli un motivo per impegnarsi. E poi era di pessimo
umore, non aveva la forza di accontentare i capricci di un ragazzino
al suo primo incontro con gli ormoni. Il resto del pomeriggio l'aveva
passato allenando personalmente Bakugou, verso il quale aveva fatto
una promessa più importante sia a lui che al resto della
scuola. Non
le importava che trapelasse la sua preferenza verso il ragazzo, le
gelosie tra ragazzini non erano cose di cui si sarebbe dovuta
preoccupare.
Izuku
Midoriya, di lui si sarebbe dovuta preoccupare. Ma il preside aveva
fatto di tutto per impedirglielo e ancora non riusciva a liberarsi
dal senso del dovere verso il suo superiore.
«È
l'erede di All might, non è così?»
aveva insistito notando il
silenzio del preside, quando aveva chiesto se fosse il nuovo
detentore dello One For All.
«Pensavo
che ormai fossi fuori da queste faccende, da quando te ne sei andata
vent'anni fa. La cosa adesso ha rilevanza per te?»
«Ha
rilevanza per il mondo intero!» aveva gridato, permettendo a
tutto
quel nervoso e quelle terribili sensazione di sfociare in uno sfogo
che ormai non teneva più. «Quali
qualità ha quel ragazzino? È
meritevole? Era un senza poteri! È stato allenato troppo
velocemente, non è pronto!»
«Davvero
non hai fiducia nel giudizio di Toshinori?» aveva chiesto
Nezu,
riuscendo a far breccia nel petto di Nina. Era bastato sentirlo
nominare col suo vero nome, riportando alla mente del ragazzino della
sua infanzia e non l'eroe che era diventato. «Fino a prova
contraria
anche lui era un senza Quirk, prima che Nana lo prendesse con
sé.
Quali credenziali aveva?»
Nina
si era rimessa a sedere, sentendosi alle strette. Aveva permesso ai
suoi sentimenti di traboccare senza ragionare e aveva detto cose che
erano facilmente discutibili. Non era stato difficile per Nezu
trovare una breccia.
«Era
una persona dal cuore buono» aveva ammesso in un timido
sussurro.
«Aveva
la giustizia nel petto, correva in aiuto di chiunque anche sapendo di
non avere la forza per aiutarla. Finiva sempre nei guai».
Aveva
riportato alla mente la figura di quel bambino di appena undici anni
che puntualmente tornava da lei ricoperto di graffi e lividi.
«Ma
ne usciva sempre sorridente e vincitore. L'allenamento di Toshinori
è
stato lungo e faticoso e quello di Midoriya sarà
altrettanto, ma
così come Toshinori ha avuto bisogno di Gran Torino Midoriya
avrà
ugualmente bisogno di aiuto» aggiunse Nezu.
«È
per questo che mi ha fatto chiamare? È per questo che All
Might ti
ha chiesto di farmi venire qui, Nezu?»
«Queste
sono faccende che discuterai con lui personalmente».
«Quando
si deciderà a farsi vedere, quel cagasotto» aveva
mormorato tra i
denti, ma Nezu l'aveva ignorata e aveva proseguito: «Per il
momento,
io mi limiterò a farti vedere una cosa».
Aveva
portato in avanti un televisore, abbassato la tapparella e infilato
una cassetta nel registratore, presa da un archivio lì nel
suo
studio. Il video era partito con la voce di Yamada che presentava il
test pratico d'ingresso dei ragazzi della prima A, con le dovute
regole. Nezu aveva mandato avanti il video fino ad arrivare alla
parte che gli interessava: Uraraka stesa a terra, in
difficoltà, con
uno dei robot, quello da zero punti, sopra di lei pronto a farle del
male. Il resto dei ragazzi se l'era subito data a gambe, intenzionati
a non perdere tempo con uno scarto inutile, bramosi di trovare la
loro fonte di punteggio per entrare nell'ambita scuola. Avevano
lasciato indietro la ragazzina, in difficoltà e in pericolo,
dimenticandola lì, presi ognuno dal proprio egoistico
obiettivo.
Tutti, tranne Midoriya, che era tornato indietro. Allo scoccare degli
ultimi secondi, con zero punti in tasca e una tragica situazione di
imminente sconfitta, aveva lasciato perdere il suo desiderio per
andare in aiuto dell'amica. Un puro gesto eroico, un forte senso
della giustizia... un ragazzo dal cuore buono e l'eco della sua voce
che chiamava Uraraka, che pian piano si trasformava in quella di
Toshinori che chiamava Machiko.
La
voce di Toshinori che, ricoperto di ferite, chiedeva preoccupato:
«Stai bene?» e lei in lacrime che lo prendeva a
calci, peggiorando
la sua situazione, e gli dava dello stupido.
Avrebbe
davvero messo in discussione quel Midoriya?
Nonostante
però le prove fossero tutte a suo favore, nonostante sapesse
che non
poteva certo mettere in discussione la scelta di Toshinori, il cuore
non riusciva a darle pace. Quel Midoriya portava sulle spalle
un'ombra terrificante. Come poteva andarle incontro sorridente,
sapendo quello che stava facendo al simbolo della pace? All'eroe
più
grande del mondo?
Non
riusciva ad accettarlo. Non ci sarebbe riuscita.
«Nina!»
la voce di Ashido attirò la sua attenzione, a pochi metri di
distanza da lei, strappandola dai pensieri. La vide arrivare, insieme
al resto dei suoi compagni, e si stupì quando li
contò tutti.
«Siamo
venuti tutti! Perfino lui!» rise Kirishima, indicando Mineta
al suo
fianco, che rosso in volto si girò dall'altra parte. Nina
quel
pomeriggio gli aveva dato una bella strigliata, eppure era di nuovo
lì, non si era arreso solo perché lei l'aveva
maltrattato. Sorrise,
felice di vedere che in fondo si era sbagliata: un briciolo di
eroismo, forse, quel piccolo grappolo d'uva ce l'aveva.
«Ciao
ragazzi!» salutò, alzando una mano.
«Finisco il mio frappè e
andiamo. Volete qualcosa? Vi offro un gelato?»
«Oh!
Un gelato!» si illuminò Kirishima.
«Yeah!»
urlò Hagakure.
«Io
voglio una fetta di torta!» disse Sero.
«Io
un frullato!» disse Ashido e insieme al resto dei suoi
compagni andò
a prendere posto ai vari tavolini, intorno a Nina, suddivisi in vari
gruppetti, ognuno intento a parlare e scherzare. Rimasta sola -Chi
aveva il coraggio di sedersi vicino a lei?- Nina sorrise e li
guardò
intenerita dall'innocenza della loro età. Perfino Bakugou,
serio e
scorbutico com'era, aveva intorno Kirishima e altri ragazzi con cui
parlare, anche se più che parlare lui si limitava a urlare e
prendersela con tutti. Era bello vedere come nessuno desse peso a
quel suo lato del carattere e riuscissero comunque a integrarlo e
volergli bene. Sapeva quanto poteva essere bello avere qualcuno in
grado di apprezzarti nonostante la paura che potevi fare e il tuo
brutto carattere. Quel Kirishima in particolare gli sembrava molto
affezionato. Era una persona buona, glielo si leggeva in faccia. Era
il Toshinori di cui Bakugou aveva bisogno.
Le
sue riflessioni vennero interrotte dall'ombra di Midoriya, che
comparve al suo fianco, col suo bicchiere di gelato. La
guardò
intimorito, un po' tremolante a dire il vero, e rimase in silenzio a
fissarla.
«Midoriya,
che succede?» chiese lei, chiedendosi cosa gli passasse per
la
testa.
«Sono
l'erede di One For All» confessò il ragazzino a
bassa voce, in modo
che solo lei potesse sentire. All Might gli aveva detto che doveva
fidarsi, che lei l'avrebbe aiutato, e per farlo doveva partire dalla
base: confessare apertamente ciò che lei sospettava,
renderla
partecipe di ciò che stava vivendo, totalmente.
Lo
sguardo di Nina si indurì, prima che lei potesse dire:
«Lo so».
Come
sospettava, lei l'aveva scoperto già da prima.
«Siediti»
gli ordinò e lui obbedì, mettendosi al suo
fianco. Nina non gli
rivolgeva lo sguardo, continuava a guardare i suoi compagni, assorta,
ma sapeva che tutta la sua attenzione ora era lì con lui.
«Da
quanto tempo?» gli chiese.
«Dal
giorno del test d'ammissione» rispose e Nina
strabuzzò gli occhi,
guardandolo. «Da quel giorno stesso?» chiese
conferma, stupita.
«Lui
me l'ha dato quella stessa mattina, dopo avermi allenato per un anno
intero».
«Perciò
quella era la prima volta che lo usavi» mormorò
Nina, ricordando il
video che Nezu le aveva mostrato quella mattina stessa. «Ho
visto la
registrazione del tuo test» spiegò, notando lo
sguardo confuso di
Midoriya.
«Non
sapevo controllarmi, ho usato subito tutto il potere che avevo e sono
andato in pezzi. Devo imparare a...»
«Porti
un limite da superare pian piano, con l'allenamento. Tutti i tuoi
compagni stanno cercando di imparare da me come superare i propri
limiti, tu invece devi imparare a starci dentro»
ridacchiò
divertita dalla comicità della situazione. «"Corso
supplementare extrascolastico sulla gestione dei propri limiti",
sono stata superficiale quando ho letto la lettera. Beh, certo non mi
sarei aspettata di incontrarti... ma probabilmente l'obiettivo era
proprio quello, chissà».
«Voleva...»
azzardò Midoriya. «Voleva che ci
incontrassimo?»
«Probabilmente
voleva farsi beffe di me» mormorò Nina, colta da
un improvviso
sentimento di rancore che non riuscì a trattenere. Dopo
tutto quello
che c'era stato aveva avuto il coraggio di invitarla al giorno della
sua fine, come a voler dire: "ehy, guarda! Tutto quello che
abbiamo fatto fino a questo momento sta andando in fumo!".
Midoriya
colse quel rancore, chiunque l'avrebbe colto, e non potè far
a meno
di pensare alla frase di Uraraka: "Sembravano così felici.
Chissà cosa gli è successo".
«Era
lui, vero? La persona che prima di me era riuscito a rompere i tuoi
fili» chiese, desideroso di togliersi alcune
curiosità. Lui si era
aperto completamente, era giusto che lei facesse altrettanto, anche
se All Might stesso glielo aveva confessato il giorno stesso.
«Sì,
era lui» sospirò lei, mettendosi più
comoda sulla sua sedia.
«Quando Nana gli passò il suo potere divenne
impossibile per me
riuscire a prendere ancora il controllo del suo corpo. All'inizio fu
frustrante, ma alla fine scoprii che se lo prendevo di sorpresa
riuscivo a farsi dare almeno uno schiaffo, anche se non si faceva
niente. Era diventato un passatempo, riuscire a impadronirmi di lui
senza che se ne accorgesse» ridacchiò divertita.
«Vi
conoscete da così tanto tempo» osservò
Midoriya, assorto. Si rese
subito conto di ciò che aveva appena detto e
arrossì, imbarazzato,
chiedendo meccanicamente scusa per essersi intromesso nei suoi affari
personali.
«Va
bene così, non c'è niente da
nascondere» lo rassicurò Nina. In
fondo quando aveva accettato quell'incarico alla Yuuei, l'aveva fatto
con la chiara intenzione di calpestare quei ricordi e sfidare se
stessa a rivivere certi ambienti senza subirne conseguenze. Voleva
chiudere definitivamente quella porta. Fino a quel momento,
però,
non ci stava riuscendo un granché bene.
«Ci
siamo conosciuti il primo anno delle medie. Lui al tempo era ancora
un senza Quirk, ma presto avrebbe incontrato Nana e tutto sarebbe
cambiato. Siamo stati amici a lungo».
"Ma
poi qualcosa è successo e ora non riuscite più
neanche a parlare
l'uno dell'altro senza andare su di giri", pensò Midoriya
ricordando come quella mattina All Might fosse teso come una corda di
violino e sobbalzava tutte le volte che si accennava al discorso.
«Forse
è per questo che ha detto che posso fidarmi di te, lo
conosci da
tanto, hai visto la sua crescita, sai in che modo si può
sviluppare
lo One For All. Probabilmente è per questo che crede che tu
possa
aiutarmi, hai visto esternamente i suoi progressi, puoi valutare
anche i miei e...»
«Lui
ha detto che puoi fidarti di me?» chiese Nina, ma fu
ignorata,
troppo preso com'era il ragazzino a fare congetture e collegamenti.
Toshinori aveva detto al ragazzino che poteva fidarsi, che lei
l'avrebbe aiutato. Riponeva in lei una tale sicurezza, nonostante
tutto, non le portava rancore ma si fidava. Toshinori si fidava
ancora di lei e non la detestava. La cosa, per quanto assurda, la
rassicurò. Una sensazione dolce al petto. Una malinconia.
Perché si
ostinava a fuggire via, lei aveva così tanto bisogno di
parlare,
maledizione!
«Di'
un po', moccioso!» e il tono improvvisamente minaccioso di
Nina
riuscì a distoglierlo dai suoi ragionamento. Ancora quello
sguardo
che metteva i brividi, mentre gli chiedeva: «Come sarebbe a
dire che
ti ha detto che puoi fidarti di me?» Lo afferrò
per la testa e lo
spinse contro il tavolino, schiacciandolo e strofinando animatamente
la mano contro la sua cute, con la chiara intenzione di fargli del
male: «Perché? Non ti fidavi di me prima che te lo
dicesse lui? Eh?
Credevi che io fossi una cattiva persona?»
continuò a ringhiargli
contro mentre lo bullizzava, ignorando le sue scuse e i suoi
piagnucolii.
Si
alzò, lasciandolo finalmente andare, dolorante e malconcio.
«Fine
della ricreazione» annunciò lei, battendo le mani.
«Chi viene con
me a vedere qualche animaletto impagliato?»
E
senza aspettare risposta si avviò verso l'ingresso del
museo,
seguita dal suo piccolo esercito di soldatini. Li guardò
felice di
vederli tanto animati e chiacchieroni, cosa che non facevano molto
dentro le mura della scuola. Uscire un po' gli faceva bene,
ricordarsi ogni tanto che prima di tutto erano ragazzini e che vivere
una vita normale, con uscite di gruppo, non poteva che far bene.
Entrarono, Nina pagò il biglietto per tutti e prese per
ciascuno di
loro un'audioguida, prima di annunciare: «Fatevi pure un
giro,
ascoltate cos'ha da dire per voi l'audioguida e se avete domande
venitemi pure a cercare. Prima di lasciarvi andare però vi
dico una
cosa: il motivo per cui vi ho voluto portare qui è che
ciascuno di
questi animali, così come li vedete oggi o nelle immagini
dei vostri
libri, non sono uguali a quelli che c'erano tanti anni fa. La parola
chiave è Evoluzione. Cambiano le condizioni ambientali,
cambiano le
esigenze e solo chi era in grado di cambiare se stesso, le proprie
caratteristiche, chi meglio si adattava riusciva a sopravvivere. Ogni
giorno c'erano limiti diversi e solo chi era in grado di superarli
andava avanti. E così deve essere anche per voi... superate
i vostri
limiti, imparate da questi animali, evolvetevi e sopravvivete. E
soprattutto divertitevi!» disse sorridendo. «Andate
pure, io
comincio dalla sala degli insetti. Mi trovate lì per
qualsiasi
cosa».
Ognuno
prese la propria strada, i ragazzi si divisero entusiasti di quella
gita fuori porta, anche se non ufficialmente organizzata -e forse
proprio per questo la rendeva più divertente-. Nina si
avviò verso
la sala degli insetti e si sorprese nel vedere che Asui, Iida,
Uraraka e Midoriya rimasero dietro di lei, seguendola. Si misero
diligentemente le cuffiette e cominciarono ad ascoltare le
spiegazioni della voce registrata, man mano che camminavano nella
sala, spostandosi di zona in zona. Formiche, scarabei e scarafaggi,
farfalle di ogni grandezza e colore, cavallette e ragni. Sui ragni
Nina si fermò particolarmente, osservandoli ammirata e
incuriosita,
leggendo le didascalie non soddisfatta di quanto diceva la voce
registrata. Uraraka le si affiancò, osservando anche lei gli
animali
e Nina le disse con ammirazione: «i fili del ragno sono
incredibilmente resistenti ed elastici, possono intrappolare
qualsiasi tipo di insetto. Se consideri l'incredibile forza che
ciascuno di loro possiede, è davvero stupefacente. Lo sai
che esiste
un tipo di ragno in grado di tessere tele con diametro che va oltre
un metro. Considerato che lui è grande neanche un centimetro
è come
se io riuscissi ad estendere i miei fili oltre a un paio di
chilometri di distanza».
«Wow!
Sarebbe in grado di catturare qualsiasi cosa!»
«Nessun
rivale in battaglia» ridacchiò Nina, facendole un
occhiolino. «Non
combatto il crimine da anni, sono totalmente immersa nella mia
carriera da cantante eppure continuo a sentire la mancanza di questa
vita all'insegna del pericolo e della giustizia»
confessò con un
po' di malinconia. Nonostante il suo nome, la burattinaia, fosse
spesso associato a qualcosa di negativo e le avesse creato molti
problemi tra le persone, che tendevano a isolarla, amava il suo
Quirk. Le piaceva essere la burattinaia.
«Ma
allora perché se n'è andata?» chiese
Uraraka istintivamente,
ripensando a quella triste foto che la ritraeva felice al fianco di
All Might. Si rese conto solo dopo di essere stata indiscreta e se ne
vergognò molto, ma ormai l'aveva chiesto, non poteva tornare
indietro e poi voleva veramente conoscere la risposta.
Se
era così felice... perché se n'era andata?
Nina
non rispose, ma continuò a fissare i ragni di fronte a
sé. Il viso
imperscrutabile, come una statua di cera. Era felice, non poteva
negarlo, quella foto non lasciava spazio a dubbi e sicuramente era
affezionata alla sua vita da eroina. Perché andarsene?
Cos'era
successo?
«Vieni,
andiamo a vedere i vermi» mormorò Nina, voltandole
le spalle e
avviandosi verso la zona successiva. Il tono improvvisamente
rabbuiato, addolorato, confermava che qualcosa l'aveva portata via da
Tokyo contro i suoi desideri. Qualcosa doveva essere successo,
qualcosa di così grave da convincerla a rinunciare a tutto
ciò che
aveva.
Un
tremolio del terreno e le vetrate vibrarono. Nina si
immobilizzò,
ascoltando, mentre i ragazzi alle sue spalle si guardarono
spaventati: «Che succede? Un terremoto?» chiese
Asui.
«È
già passato?» chiese Uraraka.
"Ci
sono stati problemi l'ultima volta che abbiamo portato fuori i
ragazzi. Nonostante le misure di sicurezza, hanno comunque rischiato
la vita" recitò la voce di Nezu nella testa di Nina. Una
beffa
del suo cervello, a ricordarle che raggirare le regole, sgarrare, non
portava mai niente di buono.
La
terra tremò ancora ma questa volta più forte,
tanto che Asui si
aggrappò a Iida per riuscire a non cadere a terra. Dal piano
superiore provenne un fracasso come di qualcosa che crollava.
«Merda!»
disse Nina, ormai convinta che quello non fosse un semplice
terremoto. Un attacco, che fosse da parte dei super cattivi o qualcun
altro poco importava, ciò che contava ora era che tutta la
prima A
era sparpagliata per l'intero edificio. I suoi ragazzi, che lei aveva
coraggiosamente portato fuori, erano in pericolo. Corse via, verso le
scale, urlando con tutta la voce che aveva: «Iida, portali
fuori
immediatamente! Allontanatevi dall'edificio!»
«Sopra
ci sono i grandi mammiferi! Kirishima e Bakugou li ho visti andare da
quella parte!» gridò Uraraka, terrorizzata.
«Ci
penso io, voi pensate solo ad andarvene! È un ordine,
capoclasse!»
si rivolse a Iida, ben sapendo che sarebbe stato l'unico tra loro che
avrebbe fatto di tutto per obbedire, lui con la sua infinita
diligenza. Li lasciò indietro e corse verso le scale col
cuore che
batteva all'impazzata. Non poteva permettere che si facessero male,
nemmeno per sbaglio. Non poteva permettere che si facessero nemmeno
un graffio! La terra tremò ancora, l'intero edificio
tremò
spaventosamente, minacciando di crollare da un momento a un altro. Si
aggrappò alla balaustra e non appena riuscì a
riacquistare
stabilità riprese a correre. Arrivò al primo
piano e una colonna
cadde verso di lei, costringendola a schiacciarsi contro al muro per
non essere colpita. Tossì per la polvere sollevata e si
portò una
mano alle labbra, prima di arrampicarsi su di essa e superarla,
correndo verso la seconda rampa di scale che l’avrebbe
portata alla
sala dei grandi mammiferi, al secondo piano .
«Bakugou!
Kirishima!» gridò, prima che un altro muro
caddesse a terra e la
costringesse a saltare via per evitare di essere travolta.
«Koda!
Ashido! Kaminari! Ragazzi, rispondete!»
«Nina!»
a chiamarla fu Tokoyami, seguito da Mineta.
«Dove
sono gli altri?» chiese Nina, correndogli incontro.
«Non
lo sappiamo!» Mineta non fece in tempo a finire la frase che
un
altro muro crollò di fianco a loro e Nina si
buttò sui ragazzi, per
evitare che fossero colpiti dalle macerie. Si rialzò e dal
fumo vide
uscire, intenti a tossire, Kirishima e Bakugou. La mano di
quest'ultimo fumava ancora, segno che aveva usato il suo Quirk fuori
dalla scuola senza autorizzazione. Non sarebbe certo stata Nina a far
la spia.
«State
bene?» chiese lei.
«Dobbiamo
uscire! Crolla tutto!» disse Kirishima, prima di farsi da
parte e
mostrare a Nina un gruppo di persone alle sue spalle: sette adulti e
due bambini.
«Ci
sono delle persone! Li abbiamo portati con noi, ma non sappiamo dove
andare!» confessò Kirishima.
«Va
bene, ci penso io» disse Nina, alzandosi e correndo ad aprire
la
finestra nel corridoio. Si voltò di scatto verso il gruppo
di
persone e lanciò su di loro i suoi fili, senza preavviso.
«Mi
dispiace tanto, fidatevi di me, andrà tutto bene»
disse repentina
lei, prima di costringerli a correre verso la finestra.
Piantò un
piede sul muro e si preparò a ciò che la stava
per aspettare,
ignorando le urla e le maledizioni di chi in realtà stava
cercando
di salvare, solo perché non capivano cosa stesse cercando di
fare.
«Ma
che fai?» piagnucolò Mineta, temendo il peggio per
quelle persone
che stavano per fare un volo dalla finestra del secondo piano.
«Ragazzi,
dovete reggermi!» urlò lei poco prima che i primi
saltassero giù.
«Cosa?»
chiese scioccato Mineta, cosa che non fecero Kirishima e Bakugou. I
due ragazzi, fiduciosi della donna e sicuramente più svegli,
obbedirono all'istante, afferrandola per le spalle e per i fianchi.
Nina fece saltare l'intero gruppo fuori e usò tutta la forza
che
aveva in corpo per resistere al contraccolpo che avvenne di
lì a
poco. Le persone rimasero ancorate ai suoi fili e solo per quella
corda invisibile che le tenevano legati a lei non caddero al suolo ma
rimasero penzoloni. Nina fu sbalzata in avanti e sicuramente sarebbe
caduta insieme a loro se i due ragazzini non l'avessero aiutata a
tenerli, con l'ausilio d'emergenza dei loro Quirk. Bakugou aveva
usato le sue esplosioni che rispondere al contraccolpo e Kirishima
aveva invece conficcato i piedi nel cemento, indurendosi, per
resistere di più. Tokoyami corse da loro e diede anche lui
il suo
contributo, cercando di tirare Nina indietro il più
possibile,
mentre Mineta correva ad affacciarsi per assicurarsi che quelle
persone fossero ancora vive.
«Le
faccio scendere!» annunciò Nina e con le mani
tremanti per la
fatica iniziò ad allungare pian piano i suoi fili, in modo
che le
persone ancorate a lei potessero raggiungere delicatamente il suolo.
Un altro scossone e i ragazzi persero l'equilibrio, cadendo in
avanti. Con un urlo Nina andò a schiantarsi contro il bordo
della
finestra, ma i suoi ragazzi furono svegli abbastanza da saltare in
avanti e afferrarla di nuovo prima che potesse cadere giù.
Urlò
di dolore e delle gocce di sangue scivolarono giù dalla
punta delle
sue dita, lungo i fili invisibili. Ma non lasciò la presa e
continuò
a farli scendere lentamente, sotto lo sguardo sorpreso ed emozionato
di chi fuori assisteva alla scena.
«Ci
siamo quasi!» annunciò forse più a se
stessa che alle persone che
stava soccorrendo. Un altro crollo, altri tremori, ma riuscirono a
proseguire nel loro lavoro fintanto che Mineta non urlò con
tutto il
fiato che aveva: «Nina!»
«Che
c'è?» ringhiò lei, scocciata per
l'interruzione e si voltò a
guardare che stesse accadendo. Un uomo alle loro spalle aveva appena
sfondato un muro e li guardava minaccioso, un uomo dalla muscolatura
incredibile e il viso da rinoceronte. Ridacchiò, leccandosi
le
labbra soddisfatto.
«Cazzo»
mugolò Nina, sbiancando. Uno dei cattivi era lì
dietro di loro, non
sembrava neanche uno di quelli semplici da battere, e nessuno di loro
poteva combattere, impegnati e tenere sospesi i sopravvissuti.
«Cazzo
cazzo» insisté lei, cercando di velocizzare
l'operazione,
inutilmente. Se li allungava troppo rapidamente ne perdeva il
controllo e loro cadevano nel vuoto, non aveva altra scelta che fare
le cose con calma.
«Mineta
incollami! Bakugou fallo esplodere!» gridò
nell'istante in cui
l'uomo rinoceronte prese la carica verso di loro. Bakugou sorrise,
soddisfatto ed emozionato all'idea di combattere finalmente contro un
vero cattivo, con il permesso della propria insegnante oltretutto.
Tokoyami fece uscire Dark Shadow che afferrò Mineta, che
ancora
balbettava impanicato e certo non sarebbe stato rapido
nell'esecuzione del compito, e lo lanciò verso di loro
usandolo per
incollare Nina al muro con i propri capelli. Ancora uno strattone e
Nina digrignò i denti mentre Bakugou alle sue spalle con un
urlò
detonò le sue esplosioni dritto in faccia al rinoceronte.
Kirishima
andò ad aiutare l'amico, sapendo Nina ben fissata al muro, e
indurendo il braccio cercò di colpire l'avversario con un
pugno. Si
alzò un gran polverone, dal quale emersero pochi secondi
dopo le
mani dell'uomo rinoceronte che andarono a serrarsi sul collo dei due
ragazzini. Neanche un graffio. Nina li guardò e dovette
lottare con
tutte le sue forze contro il proprio istinto per impedirsi di lasciar
andare quel gruppo di sconosciuti e correre in aiuto ai suoi
studenti.
"Neanche
un graffio! Neanche un graffio!" continuò a pensare, ormai
pallida in volto. Le pupille talmente minuscole da essere quasi
innaturali. Erano nei guai, in grossi guai e se lei non avesse fatto
qualcosa presto sarebbero morti per colpa sua. Quei ragazzi che tanto
si fidavano di lei, non poteva deluderli.
Doveva
fare qualcosa.
What
if I’m far from home?
Oh
brother I will hear you call
What
if I loose it all?
Oh
sister I will help you back home
Oh,
if the sky comes falling down, for you
There’s
nothing in this world I wouldn’t do
|
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Capitolo 9 *** Happier, Ed Sheeran ***
"Happier”,
Ed Sheeran
«Siamo
qui! Li prendiamo!» una voce provenne da sotto di lei e degli
uomini
si fecero vedere. Gli eroi erano finalmente arrivati. Senza farselo
ripetere due volte Nina lasciò la presa, facendo fare gli
ultimi
metri di volo ai superstiti che vennero presi al volo da chi era
andato loro in soccorso.
«Staccati,
uva!» ordinò a Mineta, che incredibilmente
obbedì subito. Si
liberò, si voltò di scatto e lanciò i
suoi fili contro il nemico.
Le mani che tenevano Kirishima e Bakugou per la gola si spalancarono
sotto uno sforzo che non era il suo e li lasciò andare. Non
fu
difficile per lui capire di chi era la colpa e abbassando la testa,
puntando il proprio corno contro la donna, le corse incontro
travolgendo altri muri e altre macerie. Ormai l'edificio era prossimo
a crollare e la sua unica priorità era portare in salvo i
ragazzini.
Li arpionò con una mano e l'altra la usò per
virare il rinoceronte,
facendogli abbassare ancora di più la faccia.
Saltò, evitandolo e
l'uomo colpì il muro alle sue spalle, sfondandolo e
lanciandosi
verso l'esterno del secondo piano. Nina gli atterrò sopra,
aggrappandosi al suo corno e volò fuori insieme a lui. I
ragazzi,
arpionati, ebbero un trattamento altrettanto selvaggio, venendo
trascinati fuori dai fili di Nina e trovandosi a mezz'aria insieme ai
due. Caddero nel vuoto, urlando per lo spavento e sbracciandosi nel
vuoto in cerca di un appiglio. Nina lasciò andare il
rinoceronte e
si voltò verso Mt. Lady, accorsa insieme agli altri per
portare in
salvo le persone dall'edificio crollante. L'arpionò,
facendola
rabbrividire senza capire il motivo, e le rimase attaccata mentre
volava verso il suolo. Con un movimento circolatorio come quello di
un pendolo e riavvolgendo i propri fili al punto giusto
riuscì a
dare ai ragazzi un atterraggio non proprio morbido, ma nemmeno
pericoloso, facendo loro rotolare solo un po' nel cemento.
Tornò in
alto per lo slancio e lasciò Mt. Lady, guardando nuovamente
il
rinoceronte sotto di lei. Si stava rialzando, illeso. Era un osso
duro, ma lei era incazzata nera e solo questo sarebbe bastato a farlo
a pezzi. L'arpionò nuovamente e tirò i fili con
uno scatto,
riavvolgendoli contemporaneamente. Lo scatto le diede la spinta
necessaria ad arrivargli addosso come un missile, piede ben dritto
per colpirlo in pancia e un urlo caricatore. L'uomo cadde nuovamente
a terra e lei rotolò qualche metro più avanti.
Piantò il piede a
terra e si rialzò, ricoperta di graffi, i vestiti
stracciati, le
dita sanguinanti, ma carica più che mai.
«Wooh!
Rifacciamolo!» gridò Kirishima entusiasta,
rialzandosi in piedi
illeso.
«Forza,
Nina! Fallo nero!» gridò Mineta, mentre venivano
raggiunti dai
compagni. Nina gli rivolse uno sguardo e rapidamente li
contò per
assicurarsi che fossero tutti. Per fortuna nessuno dei suoi ragazzi
era rimasto all'interno, tutti stavano bene e soprattutto tifavano
per lei. Sorrise come mai aveva fatto prima d'ora e alzò il
pollice
verso Mineta, in segno di ok. Un sorriso come quello solo una persona
aveva il coraggio di indossarlo durante un combattimento. Lo stesso
sorriso di All Might.
Nina
si rialzò, stiracchiandosi per riprendersi dal colpo.
«Adesso
ti do trenta secondi per darmi una spiegazione soddisfacente del
perché hai distrutto il museo» disse e in quel
momento Sutegoro,
uno degli eroi professionisti che stavano aiutando l'evacuazione,
colpì con un calcio il nemico, impedendogli di rispodere a
Nina. Un
colpo di corno e fu scaraventato via. Kamui Woods, un altro eroe,
arrivò a dargli man forte ma un muro di fuoco si
alzò tra loro,
circondando la zona davanti all'ingresso del museo. Nina ne rimase
chiusa all'interno, insieme a metà dei ragazzi della prima A
che
ancora erano lì vicino per aiutare Mineta e gli altri.
«C'è
bisogno di un motivo per distruggere degli eroi in erba?»
rise un
uomo alla sua sinistra con un foro nel palmo della mano che ancora
fumava. Una specie di lanciafiamme, con cui aveva creato quel muro di
fuoco. Dall'ingresso dell'edificio uscirono altri due uomini,
sorridenti e felici per la conquista che stavano per fare. Quattro
avversari dai Quirk più o meno sconosciuti, più o
meno pericolosi,
contro una sola persona e un gruppo di ragazzini da proteggere.
"Merda"
pensò, rendendosi conto della posizione di svantaggio, ma
non smise
di sorridere.
Con
un urlo, il rinoceronte si alzò e la caricò,
pronto a colpirla di
nuovo.
"Non
sei forte abbastanza" pensò lei arpionandolo. La sua forza
era
incredibile ma non paragonabile allo One For All. Non avrebbe potuto
spezzare i suoi fili. Saltando lo evitò e lo costrinse ad
andare
addosso ai suoi colleghi. Ne colpì due, mentre il terzo
riuscì a
evitarlo. L'uomo con il lanciafiamme glielo puntò contro e
fece
fuoco. Nina scappò via, pensando principalmente ad
allontanarsi dai
ragazzi per evitare che venissero coinvolti e l'uomo la
inseguì. Usò
sempre il rinoceronte per colpirlo, prendendolo alle spalle e la cosa
parve funzionare.
«Lasciami
andare!» gridò il rinoceronte e furono quelle
parole a dare una
spiegazione.
«È
lei che lo comanda!» disse il terzo uomo, prima di piantare
le mani
a terra e creare nell'asfalto come un'onda. Saltando al momento
giusto Nina riuscì a non farsi ribaltare, ma così
facendo fu
costretta a lasciar andare il rinoceronte.
«E
adesso dove atterrerai?» rise sempre l'uomo dell'asfalto,
cambiando
nuovamente conformazione di quest'ultimo e rendendolo vischioso come
le sabbie mobili. Nina vi atterrò sopra e inevitabilmente
cominciò
ad essere trascinata giù, incapace di muoversi. Dall'ombra
alle sue
spalle un altro di quegli uomini comparve, un'ombra a cui non aveva
fatto caso prima, un'innocua ombra che prese forma dell'avversario.
Poteva muoversi attraverso di esse, nascosto, e brandiva un coltello
con cui si preparò a colpirla dritta sul collo. Il
lanciafiamme
puntato contro, bloccata nelle sabbie mobili, un coltello pronto a
colpirla e lei non riusciva a non pensare che i ragazzi fossero
ancora intrappolati nel cerchio di fuoco e doveva farli uscire quanto
prima.
«Adesso
mi avete proprio rotto le palle» ringhiò e in una
frazione di
secondo, rapida come mai lo era stata prima, lanciò i suoi
fili
ovunque, arpionando tutti e tre gli uomini. Uno strattone di braccia,
un movimento di dita e tutti e tre corsero e saltarono l'uno contro
l'altro. Il potere dell'uomo dell'asfalto, colpito, cessò e
Nina
sentì il terreno indurirsi intorno a sè. Doveva
uscire il prima
possibile o sarebbe rimasta incastrata nell'asfalto. Lanciò
i fili
contro l'uomo rinoceronte e lo costrinse a correre il più
velocemente possibile contro il muro del museo. Strattonò il
polso e
usò quella folle corsa per farsi trascinare via rapidamente,
salvandosi, e costringendolo a colpire il muro in piena faccia. La
cosa non sembrò fargli troppo male, se non fosse che quel
colpo fece
crollare un balcone proprio sopra la sua testa e andò a
schiantarsi
sopra di lui schiacciandolo.
I
ragazzi alle sue spalle cominciarono a esultare ed applaudire,
entusiasti per quanto era appena accaduto e per quanto avevano visto.
Nina era riuscita a combattere contro quattro uomini da sola ed era
stata scenografica e incredibile. Ma il muro di fuoco intorno a loro
non parve cessare di bruciare e lentamente tutti e quattro gli uomini
si alzarono da terra, compreso il rinoceronte sotto le macerie. La
guardarono furiosi, decisi più che mai a farla fuori. L'uomo
col
lanciafiamme nella mano alzò la propria arma, ghignando, e
la puntò
contro i ragazzini. Nina strabuzzò gli occhi e con uno
scatto corse
verso di loro.
"Nemmeno
un graffio" si ripetè, colta dal panico. Allungò
una mano
nella loro direzione, arrancando, invasa da un'improvvisa
disperazione. Troppo lontana, troppo lenta. Cosa avrebbe fatto? Come
li avrebbe salvati? Cosa poteva fare?
Si
lanciò davanti a loro nell'istante in cui la bomba di fuoco
li ebbe
quasi raggiunti e fece solo ciò che l'istinto le disse di
fare.
"I
ragni sono davvero incredibili".
Incrociò
le dita davanti a sé, utilizzando tutti i fili che aveva a
disposizione.
"I
miei fili sono praticamente indistruttibili".
Per
una qualche forma di magia, o almeno quello poteva sembrare a vedere,
il fuoco non li colpì ma deviò da tutte le parti,
come se avesse
incontrato davanti a sé un muro. Un sottile muro invisibile
di fili
indistruttibili intrecciati fittamente che si allargavano da ogni
lato, racchiudendoli pian piano in una barriera.
«La
tela del ragno» mormorò Uraraka, sorpresa ed
emozionata per quanto
stesse vedendo. Aveva preso spunto da quegli animali che tanto
ammirava, ne aveva imparato le caratteristiche e le aveva usato per
superare un proprio limite: quello di non riuscire a salvarli.
Gestione dei propri limiti attraverso l'evoluzione, l'unica cosa che
permette a un essere vivente di sopravvivere alle controversie
dell'ambiente. Ma il fuoco continuava ad arrivare, Nina stava
utilizzando tutte le sue risorse per proteggere i ragazzi e alla sua
destra il rinoceronte stava già per riprendere la carica.
L'uomo
ombra sarebbe potuto sbucare da un momento a un altro e infine quello
dell'asfalto stava già per posare le mani a terra e cambiare
nuovamente la conformazione del terreno.
Da
sola non sarebbe riuscita a resistere oltre.
Una
risata confortante raggiunse le loro orecchie e fece alzare lo
sguardo a tutti i presenti. Nina sobbalzò, tanto che per un
istante
la sua tela cedette, rischiando di far penetrare il fuoco
all'interno. Riuscì a ripristinarla nello stesso istante,
vincendo
le proprie emozioni, ma non per questo si sentì
più tranquilla.
Quell'incontro... sarebbe davvero avvenuto? In quel momento? Dopo
vent'anni, dopo venti lunghi e infiniti anni, dopo quell'ultimo
giorno che l'aveva convinta definitivamente a prendere quell'aereo.
Non si erano più rivolti la parola da allora, lasciando in
sospeso
faccende gigantesche come montagne, ed ora stava per rivederlo.
Quella risata era vera, non più registrata. Era
lì.
All
Might atterrò al centro del cerchio di fuoco e con
rapidità colpì
l'uomo dell'asfalto, lanciandolo contro il muro del museo distrutto.
Volò contro il rinoceronte e lo atterrò con un
altro pugno. L'uomo
con il lanciafiamme si distrasse, attirato da quanto stava accadendo
ai suoi compagni e Nina ne approfittò per usare uno dei suoi
fili ed
arpionarlo. Riuscì a fargli deviare il getto delle fiamme,
roteando
su se stesso, fintanto che non sentì l'uomo nascosto
nell'ombra
urlare di dolore. Poteva nascondersi alla vista, celandosi
nell'ombra, ma era pur sempre presente e il fuoco del compagno
l'aveva appena colpito. Infine, sciogliendo definitivamente la tela,
usò altri fili per arpionare l'uomo col lanciafiamme e
costringerlo
a tirarsi un potente pugno sul naso da solo. Tanto forte da stordirlo
e farlo cadere a terra.
«Non
dovete temere» rise All Might, voltandosi lentamente verso i
ragazzi. «È tutto ok, perché adesso ci
sono qua...» non riuscì a
terminare la frase che Nina aveva di nuovo arpionato Mt. Lady, pochi
metri fuori dal fuoco, l'aveva costretta a strattonare il braccio e
aveva usato quella spinta per arrivare con una rapidità
inaudita
addosso ad All Might... piantandogli entrambi i piedi dritti in
faccia. Il silenzio calò tra i ragazzi, sconvolti che la
tanto
adorata e gentile Nina non avesse perso tempo per prendere a calci
niente di meno che All Might.
«Ciao
Nina» bofonchiò lui, sotto le sue scarpe.
«Ciao
Nina un corno!» gridò lei cominciando a scalciare,
ancora appesa a
Mt.Lady, colpendolo più e più volte in faccia.
Sapeva che non gli
avrebbe fatto niente, quell'uomo aveva la pelle d’acciaio, ma
doveva sfogare tutta quella rabbia e quei sentimenti contrastanti che
gli aveva fatto provare per tre giorni. «Ti sembra questa
l'ora di
arrivare, figlio di puttana? Abbiamo rischiato di morire almeno tre
volte e tu arrivi quando ormai ho praticamente fatto tutto il lavoro
sporco, è così che ti guadagni la gloria?
È così che sei
diventato il migliore? Facendo lavorare gli altri e prendendoti tu
gli applausi! Senza contare che sono tre giorni che mi eviti come uno
stupido ragazzino cagasotto, imbecille! Muori! Muori! Muori!»
e
mentre continuava a scalciare e ripetere a intermittenza "muori",
i ragazzi non poterono far a meno di voltare lo sguardo verso
Bakugou, notando inevitabilmente come quei due fossero in
realtà più
simili di quanto si potesse pensare. Da sotto le macerie si
rialzò
nuovamente il rinoceronte, urlando inviperito: «Adesso mi
sono
arrabbiato!»
Nina
lo fulminò e senza attendere oltre gli lanciò
contro i suoi fili.
All Might allungò una mano nel vuoto, chiundendola a pungo e
strattonò all'indietro. Non poteva vederli, ma sapeva che
erano lì,
sapeva come si muovevano nello spazio e in che modo afferrarli.
Conosceva Nina a tal punto da usare il suo stesso Quirk a suo
vantaggio. Il rinoceronte gli volò contro, strattonato dai
fili di
Nina.
«Mamma
e papà stanno litigando!» brontolò lei
e nell'istante in cui li
raggiunse All Might lo colpì con un altro pugno stendendolo
definitivamente.
«Non
ti hanno insegnato che è maleducazione interrompere due
adulti che
parlano?» disse lui, dando corda alla compagna. Scuotendo la
testa
l'uomo dal lanciafiamme si riprese e, senza neanche alzarsi, glielo
puntò contro sparando. All Might saltò via,
evitando il getto, e
Nina gli arpionò una gamba, facendosi trascinare in alto
insieme a
lui. Roteando per aria All Might diede un calcio al vuoto, ma questo
servì a usare Nina come fionda e lanciarla contro il
rinoceronte
sotto di lui che ancora si ostinava ad alzarsi. Era incredibilmente
forte e tenace. Con un urlo Nina gli atterrò in viso,
riportandolo
di nuovo a terra.
«Vediamo
di calmarci, adesso, ok?» mormorò, stufa di
vederlo muoversi.
Decise di immobilizzarlo, impedendogli di reagire ancora, mentre All
Might si occupava dell'uomo con il lanciafiamme. Un coltello
volteggiò a mezz'aria e lei riuscì a scorgerlo in
tempo solo grazie
allo scintillio della lama. Lo schivò per un pelo e
saltò via,
abbandonando di nuovo l'uomo rinoceronte. Fece un paio di passi
indietro, guardandosi attorno senza riuscire a vederlo, cercando
l'ombra sul terreno. Ma si accorse che era dietro di lei solo troppo
tardi, quando l'uomo ombra l'aveva già afferrata e puntato
il
coltello alla gola.
All
Might afferrò l'uomo con il lanciafiamme e con potenza lo
sbattè a
terra, facendogli definitivamente perdere i sensi. Poi, senza
guardarsi alle spalle, allungò una mano indietro. Nina si
arpionò
alle sue dita e lui non appena sentì il formicolio tipico
dei suoi
agganci, la tirò con uno strattone verso di sé.
Si voltò e diede
un pugno colpendo l'uomo ombra dietro la ragazza nell'istante in cui
i due l'ebbero raggiunto, in volo, a una velocità
strabiliante.
Accolse Nina tra le braccia e le garantì un atterraggio
morbido,
lasciandola scivolare delicatamente con i piedi al suolo. Lei gli
rimase per qualche istante aggrappata, facendosi mettere a terra con
delicatezza. Fu quello l'istante in cui per la prima volta dopo
vent'anni si guardarono nuovamente negli occhi. Fu come rientrare a
casa dopo un lungo viaggio, uno di quelli stremanti, uno di quelli
dove ci si perde e non si sa quando si potrà trovare un
focolare
acceso. Non c'era paura, né risentimento, né
tristezza. Solo...
casa.
Nessuna
domanda aveva più senso. La porta delle questioni in sospeso
venne
chiusa definitivamente. Era tutto ok.
Si
guardarono attorno, separandosi ma restando l'uno di fianco
all'altro.
«Ne
hanno prese abbastanza secondo te?» chiese Nina.
«Direi
di scoprirlo dopo, ora portiamo loro via di qua» disse All
might,
voltandosi verso i ragazzi che, notò solo in quel momento,
li
guardavano con occhi trasognanti ed emozionati. Le loro mosse, il
loro stile, erano stati incredibili. Avevano combinato ogni passo e
ogni mossa in maniera perfetta, coordinandosi come nessuno aveva mai
fatto prima. Non si vedevano da anni eppure l'affiatamento che
avevano dimostrato sembrava quello tra due persone che per decenni
non avevano fatto altro che allenarsi insieme. Questo dimostrava solo
quanto ci fosse tra quei due, quanta sintonia, quanta storia alle
spalle e mente i ragazzi erano concentrati più che altro su
quanto
fossero stati incredibili, perfetti come in una danza, sul fatto che
avrebbero voluto imparare a combattere in coppia in quel modo
così
preciso, le ragazze non poterono far a meno di focalizzarsi su quel
brevissimo sguardo che quei due si erano scambiati un attimo prima.
La fotografia di quella mattina non mentiva... All Might e Nina erano
stati insieme e quella loro relazione non era stata del tutto
dimenticata, visto il modo in cui si erano guardati.
"Perché
te ne sei andata?" si chiese Uraraka, colta ancora una volta da
una tristezza infinita.
«Che
forza!» urlò Kirishima. «Quando lui ha
allungato la mano dietro e
tu ti sei agganciata e poi BAM!!! Ha tirato te e il cattivo insieme
per colpire solo lui!»
«E
quando lui ha afferrato i suoi fili e li ha usati per strattonare il
cattivo col corno? L'hai visto?» chiese emozionato Kaminari.
«Avete
visto quando l'ha usata per lanciarla come una fionda? Eh? L'avete
visto?» saltellò Mineta, emozionato quanto i
compagni.
Un
mugolio alla loro sinistra e il rinoceronte tremolante tentò
di
rialzarsi.
«Sta’
giù e non rovinare questo bellissimo momento!»
ringhiò Nina,
arpionandolo e costringendolo a tirar testate per terra fintanto che
con un ultimo lamento non svenne.
«C'è
ancora del sentimento tra loro» sussurrò Uraraka
ad Asui, al suo
fianco.
«Kero»
rispose l'amica, inclinando la testa da un lato pensierosa. Quello
sguardo che si erano scambiati alla fine, la delicatezza con cui si
erano lasciati andare, quasi accarezzandosi, tutto dava ragione
all'osservazione della ragazza. Che fosse davvero così?
«Bene,
ragazzi miei, direi di levare le tende. Vi insegneremo in un altro
momento e lottare in coppia e coordinare i vostri Quirk»
disse Nina,
mentre All Might si voltava si preparava a saltare.
«Vi
chiedo cortesemente di tenere bocca e occhi chiusi, allacciare la
cintura di sicurezza e non mangiare durante il volo. Grazie per aver
scelto All Might Lines!» disse lei, ridendo divertita. All
Might
saltò e Nina con una mano si agganciò a lui, con
l’altra arpionò
i ragazzini, facendo in modo che tutti volassero fuori dal cerchio di
fuoco.
«Spero
non vi dispiaccia ma userò il mio Quirk su di voi per
prepararvi
all'atterraggio o rischierete di mettere male un piede e farvi
male»
comunicò lei.
«Il
preside Nezu ti aveva detto di non portarli qui» disse All
Might,
abbassando lo sguardo verso Nina. «Perché li hai
portati?»
«Il
preside Nezu non ha potere su quello che faccio fuori dalla
scuola!»
brontolò Nina, per niente contenta di essere ripresa e
brontolata in
un momento come quello.
«Ma
così li hai messi in pericolo, proprio come aveva detto
lui».
«Sono
tutti sani e salvi, non hanno nemmeno un graffio, non hai motivo di
brontolare! I ragazzi non possono vedersi tutti insieme fuori dalla
scuola per un gelato?»
«Non
dire stupidaggini, volevi fare a tutti i costi quella gita e come al
solito hai fatto di testa tua!»
«Nessuna
gita, ho chiesto chi volesse accompagnarmi e sono venuti! Non mettere
bocca su cose che non sai e si può sapere dove ci stai
portando? In
America? Non ti distrarre e facci scendere!»
All
Might si rese conto che, preso dal bisogno di farle una lavata di
capo, aveva dimenticato i ragazzini ancora aggrappati a loro due
durante il loro volo. Ridacchiando imbarazzato, cominciò
l'atterraggio e li fece tornare tutti coi piedi per terra.
«È
stato da brivido» mugolò Mineta, con le gambe
ancora tremolanti.
«Mi
viene da vomitare» lamentò Ashido.
«Guarda
cosa hai fatto! Stanno male!» lo sgridò Nina e All
Might,
grattandosi la nuca imbarazzato balbettò un: «Mi
dispiace».
«Comunque
non avresti dovuto portarli qui» aggiunse poi.
«Non
era niente di ufficializzato e quelli non facevano nemmeno parte
della banda dei supercattivi di cui tanto vi preoccupate, è
stato un
incidente che ho risolto abilmente».
«Avete
rischiato la vita!»
«Se
tu ti fossi fatto vedere prima nessuno avrebbe rischiato niente! Che
facevi? Lavoravi all'uncinetto, nonnino?»
«Ho
avuto i miei impegni» balbettò lui.
«Ma
pensa un po'» incrociò le braccia Nina e
aprì bocca, pronta a
rispondergli ancora, quando furono interrotti da un coro di:
«Eccoli!
Li abbiamo trovati! Di qua!» e un fiume di giornalisti armati
di
microfoni e telecamere li assalirono poco dopo.
Domande
su domande a cui loro risposero con gentilezza ed
affabilità. Si
vedeva che erano entrambi abituati alle telecamere, nessuno dei due
si scompose e nonostante la battaglia appena superata, nonostante
Nina fosse da testa a piedi ricoperta di sporcizia e graffi,
riuscivano comunque a risultare piacevole ed affascinanti. Poco dopo,
dietro ai giornalisti comparvero anche i fan che cominciarono a
chiamarli per nome. Ognuno la propria schiera, chi era lì
per Nina
la cantante e chi per All Might l'eroe.
«All
Might! Un autografo!»
«Nina!
Facciamo una foto insieme!»
«All
Might sei il più forte!»
«Nina
sei bellissima!»
E
tutti e due ridevano, ridevano e sorridevano come nessun altro
sembrava essere capace di fare, distanti, lontani qualche metro l'uno
dall'altro, di spalle, ognuno verso il proprio mondo.
«Nina
mi firmi il cd?» chiese una ragazza avvicinandosi a stento,
facendosi spazio tra le persone lì presenti.
«Certo!»
«Ma
allora sei anche un’eroina! Che forza! Non lo sapevo! Sei la
migliore!» disse un ragazzino.
«Hai
visto come ha messo in salvo quel gruppo di persone calandole dalla
finestra?»
«Ma
che Quirk ha? Fa volare le cose?»
«No,
idiota! Lei è la burattinaia, non conosci la sua
storia?»
«Nina,
firmi il mio quaderno?»
«Nina,
posso fartela una fotografia?»
E
a tutto Nina rispondeva sorridendo, sorridendo sempre e ringraziando,
nonostante ciò che era appena successo. Nonostante la
battaglia, la
paura, il senso di impotenza, la rabbia e soprattutto l'incontro.
Alle
sue spalle pian piano si alzò un coro che chiamava il nome
di All
Might. Dapprima debole, quasi inudibile, poi sempre più
forte, fino
a sovrastare tutto quanto. Tutti urlavano, colmi di gioia e
ammirazione, il suo nome. Nina si voltò, sorpresa come se
fosse
appena stata risvegliata da un sogno. Lo ascoltò, quell'eco
che
diventava sempre più martellante. E lo vide, Toshinori che
si
sbracciava e salutava e rideva. Lo vide circondato da quello che era
diventato il suo sogno, felice, e un strano sentimento di oppressione
le chiuse la gola.
«All
Might».
«Toshi-chan»
chiamò Machiko, calandosi da sopra il ponte a testa in
giù, con i
lunghi capelli che svolazzavano sotto di lei e le mani ben strette al
suo filo invisibile. «Che fai qui?» chiese,
guardando l'amico
seduto a terra, nascosto nell'ombra del ponte, con le ginocchia
avvolte dalle propria braccia.
«Machiko!
Come mi hai trovato?» chiese lui stupito di vederla.
«Ho
trovato Gran Torino in città che ti cercava, ha detto che
sei
fuggito via dopo l'allenamento e ti sono venuta a cercare. Non
è
stato difficile trovarti, qui ci veniamo sempre a mangiare i Taiyaki
di nascosto. Non sei molto fantasioso».
Toshinori
fece un verso poco convinto, poi tornò a fissare di fronte a
sè,
silenzioso e pensieroso.
«Perché
sei scappato?» insistè Machiko.
«Machiko»
disse lui, pensieroso. «A cosa sei aggrappata?» le
chiese poi poco
convinto, guardandola nella sua posizione che tanto sembrava quella
di un ragno che si calava dal soffitto. Con l'unica differenza che
lei si arpionava solo a tessuto muscolare, non a qualsiasi cosa.
Machiko puntò il dito verso l'alto, verso il ponte da cui
era calata
e rispose con innocenza: «A lui».
Toshinori
si affacciò rapidamente e notò che schiacciato
contro i pilastrini
del corrimano del ponte c'era un uomo, incapace di muoversi,
malconcio e privo di sensi.
«Lascialo
andare subito!» gridò Toshinori, guardando
sconvolto l'amica.
«Perché?
È divertente! È un barbone, sta dormendo, non si
è nemmeno accorto
di niente».
«Machiko!
Non puoi trattare le persone come burattini per accontentare ogni tuo
capriccio. Non è un comportamento da eroe, anzi è
proprio da
delinquente. Lascialo andare!»
Machiko
gli fece una linguaccia e offesa gli disse:
«Rompipalle!»
Roteò
su se stessa e si lasciò cadere a terra, staccando i suoi
fili
dall'uomo che, ormai libero, si stese a terra più rilassato.
«Continuerai
a non piacere a nessuno se ti ostini a comportarti
così» disse
Toshinori, preoccupat. Quella ragazza era un vera testa calda, era
difficile riuscire a correggerla.
«Sai
quanto me ne importa» rispose lei a tono, prima di voltarsi e
guardarlo. «Allora, me lo dici perché sei scappato
o no? Gran
Torino ti farà a pezzi quando tornerai, lo sai?»
Toshinori
fece un altro verso poco convinto e abbassò lo sguardo,
frustrato e
colto da un doloroso sentimento.
«Ecco...»
cominciò, grattandosi la nuca imbarazzato. «Nana
è morta».
«Questo
è già successo tempo fa, pensavo l'avessi
superato ormai» lo
interruppe Machiko.
«No,
non è per quello» continuò lui
imbarazzato e frustrato. «Nana è
morta e io le ho promesso che sarei diventato il numero uno, che
avrei fatto onore ai nostri predecessori e soprattutto che sarei
diventato il simbolo della pace».
«Una
promessa impegnativa, ma ormai è fatta, troppo tardi per
tirarsi
indietro» lo rimproverò Machiko.
«Lo
so. Ma gli allenamenti di Gran Torino sono così duri e io
nonostante
mi impegni molto non riesco a superare nemmeno una delle sue prove.
Sono un totale imbranato. E se Nana avesse sbagliato a dare a me il
suo potere? Se io non fossi capace di mantenere la mia
promessa?»
neanche il tempo di finire la domanda che la sua stessa mano
partì
in direzione della sua guancia e si diede uno schiaffo improvviso,
sotto l'azione dei fili di Machiko.
«Ma...?»
chiese lui, stupito e dolorante.
«Non
azzardarti mai più a dire una cosa del genere su di
Nana!» lo
rimproverò e il fatto che per la prima volta fosse lei a
fare una
ramanzina a lui lo lasciò scosso per un attimo.
«Nana era una
persona eccezionale e aveva una grande capacità di giudizio,
non
osare mai più dubitare della sua decisione. Ha scelto te
perché sei
l'unico che possa portare avanti questa tradizione e questo potere,
non esiste altra persona al mondo che possa farlo, Nana lo sapeva e
tu non sei nessuno per smentirla, è chiaro?»
gridò, furibonda e
Toshinori si raddrizzò intimorito dal suo tono.
Annuì vigorosamente
e quel suo sguardo timoroso, sottomesso e soprattutto convinto, fece
calmare Machiko. Sospirò, ritrovando la calma, prima di
ammettere:
«So bene perché Nana ha scelto te».
«Davvero?
E perché?» chiese lui, interessato e curioso.
«Perché
vuoi salvare le persone. Punto. Vuoi salvare chiunque, vuoi veder
sorridere chiunque e odi ogni sorta di ingiustizia, anche chi si
approfitta di un barbone ubriaco addormentato per calarsi da un
ponte. Sono sciocchezze, ma hai a cuore il benessere di tutti quelli
che ti circondano. Ti ricordi quando mi scopristi a rubare una
lattina di birra?»
«Dicevi
di averla presa a un ladro e che quindi il furto era già
commesso e
tu non c'entravi niente» si ricordò Toshinori.
«Mi
hai costretta a riportarla al venditore e porgere le mie scuse, anche
se tecnicamente non ero stata io a rubarla».
«Peccato
che poi quel negoziante si sia rivelato un folle e abbia cominciato a
prenderci a bastonate» sospirò affranto,
ricordando ancora quanto
avesse fatto male.
«E
tu ti parasti subito di fronte a me e ti prendesti anche tutti i
colpi miei, facendomi uscire indenne» rise Machiko, al
ricordo.
«Vedi, è esattamente questo quello di cui parlo.
Toshinori, tu
pulisti quella scritta sul mio armadietto alle medie che mi chiamava
"mostro" anche se non mi conoscevi. Correvi in mio aiuto
quando i ragazzi mi prendevano di mira, anche se poi te ne davano di
santa ragione. Mi hai accettata, mi hai accolta e sei stato l'unico a
farlo».
«Avevi
solo bisogno di un amico» ammise lui, grattandosi la nuca
imbarazzato. «Te lo si leggeva in faccia la richiesta d'aiuto
che
mandavi tutte le volte».
«E
solo tu l'ascoltavi».
«Beh...
non potevo non farlo» confessò, sempre
più imbarazzato.
«Infatti!»
disse lei, guardandolo decisa. «Tu sei All Might e All Might
risponde sempre alle richieste d'aiuto, giusto?»
La
cosa parve rassicurarlo e annuì, più convinto.
«Non
farti più vedere con quel muso lungo, chiaro? Hai promesso
di
salvare il mondo col sorriso sulle labbra e allora sorridi! A
qualsiasi costo! E stai pur certo che tra qualche anno, quando tutti
avranno imparato il tuo nome, una folla si riunirà intorno a
te e
comincerà a urlare piena di ammirazione "All Might! All
Might!
All Might"» e alzò le braccia, muovendo i pugni
per aria e
continuò a chiamare il suo nome, sempre più
forte, sempre più
emozionata e divertita, tanto che Toshinori ne venne travolto e
cominciò a imitarla. L'eco di quel nome rimbombò
sotto al ponte,
mentre i due ragazzini ridendo divertiti continuavano ad agitare i
pugni per aria e urlare sempre più, tifando insieme per la
realizzazione di quel sogno.
Il
sogno di un eroe acclamato e invincibile.
La
folla continuò a invocare il nome di All Might, ritmica,
sovrapponendosi al ricordo di Machiko e Toshinori sotto quel ponte,
fino a cancellarlo. Lei aveva tifato per Toshinori più di
chiunque
altro, ma adesso non serviva più perché quella
folla tanto sognata
era diventata realtà. Lei non serviva più e
vederselo spiattellato
in faccia, dopo anni che l'aveva solo sospettato, faceva male e la
rendeva felice allo stesso tempo. Felice per quel ragazzino sotto al
ponte che era riuscito a vincere le sue paure e rendere
realtà ciò
che aveva sognato tanto intensamente. Un amaro sorriso le comparve in
volto e silenziosa si fece strada tra la folla di giornalisti e fan,
passando oltre, ignorando le domande, le richieste e si
allontanò.
Ancora una volta, decise di scappare.
Lei
non serviva più.
'Cause
baby you look happier, you do
My
friends told me one day I'll feel it too
And
until then I'll smile to hide the truth
But
I know I was happier with you
Nda.
Chiedo
umilmente scusa: non sono in grado di descrivere le scene
d’azione
>.< Nella mia testa sembrano fighissime, ma poi sulla
carta
sembrano il racconto di un bimbo che parla del suo cartone animato
preferito -.-
Vi
chiedo scusa se è stato noioso e a tratti confuso, ho fatto
del mio
meglio. Il punto della questione però è un altro:
SI SONO
INCONTRATI!
*Coro evangelico di esaltazione*
Dopo *conta sulle
dita* dieci capitoli ecco che finalmente si sono rivolti la parola! E
Nina l’ha accolto prendendolo a calci… ha fatto
bene u.u
Spero
di essere riuscita a scivolare oltre la mia incapacità di
scrivere
scene d’azione e essere stata in grado di farvi capire
l’affiatamento che hanno dimostrato nel loro combattimento
combinato. Quasi non si guardavano, eppure sapevano perfettamente che
mosse avrebbe fatto l’altro e come usarle per amplificare
l’azione.
E nonostante tutto, nonostante dolore, vent’anni di
separazione, il
pericolo imminente, nonostante ogni cosa… non hanno fatto
altro che
bisticciare come due ragazzini xD
Comunque,
altra cosa importante di questo capitolo sono gli accenni per quanto
riguarda il vero carattere e il passato di Nina: All Might ricorda
con rassegnazione come sia impossibile correggere il suo
comportamento, la rimprovera di voler sempre fare di testa sua, e
anche nel flashback Machiko non è stata proprio il massimo
della
gentilezza dato che ha usato un barbone moribondo per restare appesa
tipo ragno giù dal ponte. Toshinori la rimprovera ancora,
Toshinori
la rimprovera sempre, come quella volta (come ricorda lei) che lui
l’ha beccata a rubare della birra (oltretutto era minorenne!
Macchan! Che combini?! xD). Ramanzina di rito e poi dritta a chiedere
scusa e restituire la refurtiva. Anche Nezu aveva detto qualcosa,
qualche capitolo addietro, sul fatto che fosse in punizione almeno
tre volte alla settimana e che Toshinori impazziva nel tentativo di
correggerla.
E
alla fine… lei scappa di nuovo. L’eco della folla
che chiama All
Might le ricorda di quando a chiamare il suo nome, a incitarlo, era
solo lei. Il dolore le chiude la gola e si allontana silenziosa sotto
le note di Ed Sheeran che canta per lei “cause baby you look
happier, you do?”
Quella
canzone, cielo, è meravigliosa e perfetta per ciò
che passa per la
testa a Nina! Perché lei “nasconde la
verità dietro un sorriso”,
perché lei “sa che in realtà era
più felice insieme a lui”.
Anche
queste due strofe erano perfette, la prima perché ricorda
lei che
affoga il dolore nel vino, nel capitolo precedente, mentre sente la
sua voce alla tv:
(Sat
on the corner of the room
Everything's
reminding me of you
Nursing
an empty bottle and telling myself you're happier
Aren't
you?)
E
la seconda perché è molto personale, molto
feeling, magari anche un
mezzo spoiler xD ma è intensa:
(Ain't
nobody hurt you like I hurt you
But
ain't nobody need you like I do
I
know that there's others that deserve you
But
my darling, I am still in love with you)
Insomma…
sta canzone è di Machiko, punto u.u
ASCOLTATELA!!!!
Io
come sempre ho scritto un secondo capitolo solo con le NDA, sono
terribile xD
Ma riempio i vuoti dei capitoli precedenti che sono
senza nda ahahaha
Come
sempre vi ringrazio tantissimo, soprattutto Engel che è
ancora
onnipresente nelle recensioni e io l’adoro *-*
Al
prossimo capitolo, che avrà come titolo ancora una canzone
di Eddino
(“Perfect”… giusto per fare un
po’ di spoiler a gratis)
perché è il re del romanticismo e questi capitoli
saranno molto
sad/fells/love.
Bye
bye!
Ray
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Capitolo 10 *** Perfect, Ed Sheeran ***
"Perfect”,
Ed Sheeran
Era
per strada, stava tornando verso l'albergo, intenzionata a cambiarsi
e ripulirsi. Aveva addosso calcinacci e macerie, graffi di ogni tipo,
ma aveva preferito darsela a gambe quanto prima piuttosto che
chiedere a qualche paramedico lì presente di darle
un'occhiata. Non
riusciva a stare lì, sommersa da quell'eco, neanche un
minuto di
più. Ora tutto era stato lasciato alle spalle e non doveva
far altro
che tornare nella sua stanza, prepararsi un bagno e lasciarsi andare
al torpore del sonno quanto prima. Non c'era altro che desiderasse.
«Nina!»
la voce di Uraraka e Asui suonarono all'unisono, alle sue spalle. La
donna si voltò e con stupore vide che insieme a loro c'erano
anche
Ashido e Hagakure.
«Ragazze!
Che fate qui?».
«Sei...
sei ferita?» chiese Uraraka, ansimando per la corsa.
«Niente
di grave, un paio di cerotti e sarò come nuova. Voi vi siete
fatte
controllare? Avete qualche ferita?» si preoccupò
Nina,
maledicendosi per non aver pensato prima a loro. Se n'era andata e li
aveva lasciati soli. In buone mani, certo, ma dopo quello che era
successo avrebbe anche potuto informarsi sul loro stato di salute.
All Might le aveva ofuscato il cervello e l'aveva spinta ad agire
d'impulso, risultando perfino egoista.
«Stiamo
bene, nessun graffio» confermò Asui.
«Ma...»
si affrettò a parlare Uraraka, colta da un guizzo di
coraggio che
parve morire pochi istanti dopo. Abbassò lo sguardo,
intimorita,
prima di riuscire ad ammettere: «Perché te ne sei
andata?»
Una
domanda banale che ultimamente si ripeteva molto spesso.
Nina
sospirò, affranta, prima di confessare:
«Scusatemi, sarei dovuta
restare con voi. Non avevo molta voglia di restare in mezzo ai
fotografi, ora che sono in vacanza, e me ne sono andata senza pensare
a voi. Perdonatemi».
«Non
importa» negò Asui, ma nonostante tutto lo sguardo
delle ragazze
restò vago e affranto.
«Ci
vediamo domani a scuola, va bene? Ora andate a casa, i vostri
genitori saranno preoccupati» sorrise Nina, sperando di tirar
su
loro il morale. Si voltò e cercò di tornare sui
suoi passi e fu
solo allora che Uraraka trovò il coraggio di urlarle,
tirando
finalmente fuori dal petto quel sentimento: «All Might ti
è ancora
affezionato!»
Nina
si paralizzò, non sapendo se essere più sorpresa
dalla confessione
della ragazza o dal fatto che lei sapesse qualcosa. Riusciva solo a
sentire un gran dolore al petto.
«Beh,
ecco... così credo» balbettò Uraraka,
tornando a rabbuiarsi.
«Si
è voltato a cercarti, ma tu eri già andata
via!» aggiunse
Hagakure, facendo un passo in avanti e cercando di dare più
rilevanza a quanto Uraraka aveva appena confessato.
«E
vi siete guardati in quel modo, durante la battaglia! Eravate
perfettamente in sintonia, sembravate leggervi nel pensiero»
diede
corda Ashido.
«Il
primo giorno che sei arrivata, lui è entrato in classe ben
vestito e
profumato, ma poi è scappato via e non avete fatto in tempo
a
vedervi» disse anche Asui.
«Ragazze,
ma di cosa state parlando?» chiese Nina, voltandosi e
sorridendo
loro con compassione. Tanti elementi messi insieme che avrebbero
anche avuto senso, se avessero avuto una base di fondo. Così
risultavano solo le fantasticherie di ragazzine del liceo a cui
piaceva parlar d'amore.
«In
quella foto sembravate così felici»
mormorò Uraraka, che tra tutte
sembrava quella che ne soffriva di più.
«Foto?»
sobbalzò Nina, non capendo.
«Mineta
ha trovato su internet una vecchia foto di una rivista, quando
entrambi cominciavate la vostra rispettiva carriera. Non eravate
molto famosi, ma qualche paparazzo già cominciava a
interessarsi a
quanto pare» spiegò Hagakure.
«Avete
trovato... una foto nostra?» chiese Nina sconvolta. Davvero
in giro
potevano trovarsi cose tanto vecchie? Davvero esistevano ancora
tracce di quel passato che non fossero solo ricordi impressi nel
petto o cartoline nei diari? Cose tanto vecchie... da inumidire gli
occhi.
Si
sistemò meglio gli occhiali da sole, pregando che facessero
il loro
lavoro ora più che mai, e un amaro sorriso le si dipinse in
volto.
«E
io che vi credevo troppo calmi e diligenti» rise.
«E invece siete
dei tali impiccioni».
«Ci
dispiace tanto!» sobbalzò Hagakure, sentendosi
rimproverata.
«Uraraka»
chiamò Nina, notando come tra tutte fosse quella
più rattristata
dalla faccenda. «È stato tanto tanto tempo fa.
Ascolta...» e si
chinò di fronte a lei, per riuscire a stabilire un contatto
con quel
viso che stava costantemente rivolto verso il basso.
«Siete
ragazze giovani, emozionate dalla vita e probabilmente avete anche
voi qualche ragazzo che vi piace, a cui siete tanto affezionate, ed
è
per questo che vi immedesimate tanto in quella fotografia».
«Allora
è vero, stavano insieme!» sussurrò
Hagakure ad Ashido, che aveva
già le lacrime agli occhi per l'emozione. Nina si interruppe
brevemente, riuscendo a sentirle e rendendosi conto di essersi in
parte tradita, ma si limitò a sorridere divertita. Non era
più la
ragazzina che alle provocazioni di Yamada, che la chiamava "bella
innamorata" tutte le volte che incrociavano Toshinori,
rispondeva con agitazione e rabbia. Ormai era acqua passata e si
limitò a proseguire nel parlare a Uraraka:
«Probabilmente vedere
come le cose sono cambiate vi rende tanto tristi per questo, temete
che sia qualcosa di universale, che può succedere a tutti.
Invece
no. Ogni storia è diversa, ogni persona è diversa
e prende
decisioni diverse. Quella è solo una storiella come un'altra
della
nostra infanzia, poi siamo cresciuti, abbiamo inseguito sogni diversi
e strade diverse, ma va bene così. Questo non significa che
capiterà
anche a voi, la storia è piena di eroi che invece alla fine
vissero
per sempre felici e contenti» ridacchiò.
«Per esempio, avevo degli
amici che durante tutta l'infanzia a malapena si rivolgevano la
parola. L'ho rincontrati l'altro ieri e indovinate? Si sono sposati!
Eppure lui continua a fare l'eroe. Ragazze, siete state tanto dolci a
preoccuparvi per questa faccenda ma vi assicuro che non ce
n'è
bisogno. Ora...» sorrise, cercando di sembrare il
più serena e
tranquilla possibile. «Mi promettete che tornate subito a
casa,
tranquillizzate i vostri genitori, vi fate una bella doccia e poi
mandate un bell'sms romantico al ragazzino del vostro cuore?»
disse,
alzandosi gli occhiali da sole e facendo un occhiolino alla ragazzina
che aveva di fronte. Uraraka arrossì e anche se non parve
del tutto
tranquilla, annuì.
«Brava
così» disse Nina e le accarezzò la
testa, in un mero gesto
affettuoso. Si raddrizzò nuovamente e alzando il pollice,
aggiunse:
«Domani cariche, eh! Cercate di riposare bene questa notte.
Fate
attenzione a tornare!» e se ne andò.
«Ci
siamo davvero preoccupate per niente» sospirò
Ashido.
«Come
sarebbe stato romantico, però!» disse Hagakure,
cominciando a
incamminarsi verso casa, in compagnia delle amiche. «Dopo
tanti
anni, finalmente si rincontrano e scoprono di amarsi ancora. Un
finale da film».
«Dovresti
vederne meno alla tv» la riprese Asui.
«Non
brontolare solo me, anche voi la pensavate uguale, altrimenti non
saremmo qui tutte insieme».
«Io
speravo così tanto in un abbraccio da film, dopo la
battaglia»
confessò Ashido, stringendosi il petto.
«Hai
visto?» la indicò Hagakure, giustificandosi.
«Piuttosto!
Nessuno ha negato quando Nina ha detto che abbiamo dei ragazzi che ci
piacciono! Per quale motivo? Eh? Uraraka?»
ridacchiò Ashido,
avvicinandosi all'amica, che sobbalzò e arrossì.
«Ma
di cosa parli?» strillò, colta dall'imbarazzo.
«Sei
diventata tutta rossa, Uraraka-chan» le fece notare Asui,
facendo
ridere il resto delle compagne.
«Anche
tu non hai negato!» si difese Uraraka.
«Oh,
beh, mi sembrava maleducato interromperla» disse Ashido,
voltandosi
con uno sguardo trasognante.
«Stai
mentendo, ti si legge in faccia!» insistè Uraraka.
«Cosa?
C'è davvero qualcuno che ti piace? E chi è?
Qualcuno della nostra
classe?» chiese Hagakure, ora improvvisamente interessata.
«Ma
no, non è nessuno» disse Ashido, palesemente
falsa. E continuando a
spettegolare tra loro, si allontanarono, verso casa.
Era
il sette Luglio dei loro diciotto anni. L'ultimo anno di scuola,
l'ultimo anno alla Yuuei prima di cercare di prendere il proprio
posto all'interno del mondo. Toshinori aveva lavorato molto e
continuava a farlo, incessantemente, ogni istante della sua vita. Il
suo sogno di pace non si sarebbe mai estinto e avrebbe fatto di tutto
per realizzarlo. Grondante di sudore, chiuso nella palestra ormai da
ore, continuava ad allenarsi e a gonfiare quei muscoli che parevano
crescere ogni giorno di più. Sarebbe diventato forte
abbastanza da
riuscire a gestire il cento per cento del potere che Nana gli aveva
concesso, ne era determinato. Un altro piegamento, quando la porta si
spalancò con un tonfo e per lo spavento quasi non si fece
male.
«Gran
Torino» lo vide entrare e rabbrividì. Cosa aveva
in mente per lui?
Quell'uomo lo terrorizzava.
«Che
diavolo combini, ragazzo?» disse l'uomo con un tono di voce
roco,
severo. Il tono di voce che non preannunciava niente di buono.
«M-mi
dispiace!» disse d'istinto Toshinori, senza neanche sapere
cosa
avesse sbagliato di preciso.
«Sciocco!»
urlò Gran Torino, concedendogli un bel calcio nello stomaco.
«Ma
perché?» piagnucolò lui, steso a terra.
Almeno poteva dirgli dove
aveva sbagliato, prima di prenderlo a calci. Perché era
sempre così
rozzo?
«Vatti
a lavare, puzzi! Non puoi uscire così. E sei in
ritardo!» gridò,
prima di uscire dalla palestra.
«Uscire?»
si domandò Toshinori, confuso. Poi qualcosa si
illuminò nella sua
testa e improvvisamente ricordò: «Il
Tanabata*!»
Non
che gli importasse poi molto delle feste tradizionali, anche se erano
divertenti e adorava i fuochi d'artificio, ma in fondo aveva un
obiettivo in testa da perseguire, doveva abbandonare certe piccolezze
e concentrarsi solo su di esso. Però Machiko invece lo
adorava, non
si perdeva nemmeno un'occasione del genere, e gli aveva supplicato di
andarci con lei. Era preoccupata per lui, non faceva che pensare ad
allenarsi e spesso si dimenticava della vita reale, perciò
lei
quando poteva lo prendeva per le orecchie e ce lo trascinava. Non
sopportava vederlo affogare in quel sogno come un'ossessione e faceva
sempre di tutto per aiutarlo a staccare la spina ogni tanto,
apprezzare la vita per ciò che gli donava, i semplici
momenti di
gioia. In fondo, era una maestra nel perditempo, se non ci pensava
lei a certe cose non ci avrebbe pensato nessun altro. Per quanto
Toshinori sbuffasse determinate volte, ritenendo tutto ciò
una
perdita di tempo, alla fine si ritrovava a ringraziarla. Era
così
gentile, ed era giusto che lui ogni tanto facesse qualcosa per
ricambiare. Accontentare quei capricci era uno di quei modi.
Si
sbrigò a lavarsi e prepararsi e quando fu pronto
trovò Gran Torino
ad aspettarlo fuori di casa.
«Vieni
anche tu?» si sorprese.
«Sarò
di pattuglia, in queste occasioni non si può mai stare
tranquilli.
Goditele finché puoi» era forse quello il motivo
per cui era
sembrato tanto severo nell'ordinargli di andarsi a preparare?
«Comunque, mi gusterò segretamente qualche Taiyaki
e qualche Dango»
aggiunse, ridacchiando in maniera quasi minacciosa. «Machiko
ti
aspetta lì?» chiese infine, camminando di fianco
al ragazzo.
«Sì.
Ha detto che siccome sono in ritardo si avviava con le sue amiche e
ci trovavamo direttamente lì».
«Sei
un pessimo cavaliere!» lo brontolò Gran Torino,
facendolo
nuovamente tremare di paura.
«Mi
dispiace!» piagnucolò di nuovo e questo gli fece
guadagnare un
altro colpo dritto sul fianco dal suo mentore.
«Sei
grande! È ora di diventare un uomo! Stupido
ragazzino!» lo sgridò
furioso e lui in tutta risposta continuò a piagnucolare.
Non
ci volle molto per raggiungere il luogo della festa, che quel giorno
si teneva sulle sponde del fiume, in corrispondenza dell'enorme ponte
che collegava le due rive. Una location importante, che richiamava il
significato del Tanabata: il ricongiungimento delle divinità
Orihime
e Hikoboshi, rappresentate dalle stelle Vega e Altair, innamorati ma
forzatamente costretti a restare separati per l'intero anno. Secondo
la leggenda, queste divinità vivevano sulle due sponde
separate dal
fiume e aveva la possibilità di incontrarsi solo una volta
all'anno,
il sette luglio, grazie a un ponte che si formava per uno stormo di
uccelli compassionevoli. Una storia romantica a cui i giapponesi
erano molto affezionati, come molte altre storie. I mercatini e i
negozi nei paraggi erano stati addobbati con decorazioni di
bambù e
strisce di carta colorate, luci, lanterne e araldi. Le strade erano
affollatissime e in molti si accalcavano nei pressi dei banchetti per
mangiare qualche dolce tradizionale, piatti tipici o tentare la
fortuna con qualcuno dei giochi allestiti dai negozianti stessi. Era
davvero un gran caos, ma il tramonto ormai stava lasciando spazio al
cielo notturno e alle due stelle innamorate e questo bastava a
rendere tutto abbastanza suggestivo da far sbocciare un sorriso.
Toshinori si guardò attorno, non proprio a suo agio -avrebbe
preferito restarsene chiuso in palestra un altro po'-, ma comunque
incuriosito. Non gli sarebbe dispiaciuto passare un po' di tempo a
quei banchetti.
«Non
agitarti e pensa a goderti la serata. Siamo in molti a girare per le
strade e pattugliare, non succederà niente che
richiederà
l'attenzione degli eroi. Come ogni anno» provò a
tranquillizzarlo
Gran Torino.
«Ma
così la città resterà scoperta e
potrebbero attaccare altrove!»
disse Toshinori.
«O
magari anche i cattivoni non disprezzano i Mochi caldi e la musica
del karaoke e preferiscono spassarsela. Come biasimarli»
sospirò
Gran Torino. «Piuttosto, tu staccati da me e vai a cercare la
ragazza. Dove si trova?»
«Non
ne ho la più pallida idea» alzò le
spalle Toshinori. «Ma
conoscendola avrà preso d'assaltò il banchetto
dei Taiyaki».
«Ha
buon gusto» scoppiò a ridere Gran Torino, prima di
indicare un
punto non molto lontano, alla sua sinistra. «E invece eccola
lì!»
Toshinori
si voltò più e più volte, cercandola,
fino a quando non riuscì a
intravederla, nascosta dietro a un gruppo di uomini che parlavano in
mezzo alla strada. Era inginocchiata di fronte a una vasca d'acqua
con delle palline dentro e stava cercando di prenderne qualcuna con
una palettina di carta*. Indossava per l'occasione uno Yukata* rosa
con fiori rossi e aveva acconciato i capelli, tirandoli sulla testa e
permettendo solo ad alcune ciocche di cadere da un lato, ondulate e
leggere, ad incorniciarle il viso. La frangetta sulla fronte e un
paio di ciocche le scendevano lungo le guance, un leggerissimo filo
di trucco sugli occhi e un sorriso ad illuminare il tutto. Toshinori
rimase qualche istante impietrito, sorpreso, in preda ad un
incomprensibile batticuore. Gli occhi non vedevano che lei in mezzo a
insignificanti ombre, luminosa e bellissima.
Gran
Torino si portò le mani ai fianchi e sorrise nel vedere la
ragazza:
la conosceva bene, quei due erano sempre insieme quando Toshinori non
era impegnato negli allenamenti o nello studio, ma quella sera era
vestita in maniera deliziosa. Si voltò a guardare Toshinori,
chiedendosi per un breve istante che stesse aspettando e
perché non
andasse da lei, e sorrise divertito quando colse la sua espressione
imbambolata. Lo conosceva bene quello sguardo, lo sguardo del primo
innamoramento, in fondo era stato ragazzo anche lui!
Sghignazzò
e gli diede un paio di pacche sulle spalle, facendolo sussultare per
essere stato colto in flagrante. Rosso in volto, deglutì,
poco prima
che Gran Torino lo spingesse con forza in avanti, tra la folla.
«A-aspetta»
provò a chiamare Toshinori, vedendolo andar via. Non sapeva
in
realtà cosa volesse dirgli, forse solo trovare una
giustificazione a
quanto era appena successo, ma ovviamente l'uomo lo ignorò e
si
limitò a salutarlo con una mano, sparendo tra la gente.
«Toshi-chan!»
lo chiamò Machiko, vedendolo. Gli corse incontro e ancora
una volta
Toshinori sentì la bocca dello stomaco chiudersi
così forte da
fargli quasi male.
«Uffa,
ma non ti sei messo il tuo Yukata?» lo brontolò
lei,
imbronciandosi.
«Si
doveva mettere?» balbettò lui, confuso e incapace
di riprendere un
colorito decente in volto.
«Certo,
stupido! Guarda, un sacco di uomini ce l'hanno»
brontolò lei
ancora, indicando la gente per strada.
«Mi
dispiace» bofonchiò lui, grattandosi la nuca,
imbarazzato. Ma la
cosa parve non avere importanza agli occhi di Machiko, che
cambiò
nuovamente espressione, illuminandosi.
«Toshi-chan!
Non riesco a prendere le palline della vasca! Ci provi, tu?»
chiese
unendo delicatamente le mani davanti al viso, in segno di preghiera.
«Va
bene» balbettò lui, ancora su di giri.
«Vieni!»
saltellò Machiko prima di prenderlo per mano e tirarlo alla
vasca.
Un contatto che andò a peggiorare ancora di più
quel dolore alla
pancia. Toshinori si inginocchiò di fronte alla vasca, prese
la
palettina e osservò bene le palline che galleggiavano sulla
superficie, pensando alla strategia migliore per prenderle. Machiko
gli si mise di spalle e lo guardò entusiasta, in un certo
senso
fiduciosa che lui non avrebbe sbagliato.
Immerse
la paletta in acqua, tentò di afferrare una delle palline ma
la
carta si ruppe. Sospirò, affranto per aver perso, e Machiko
dietro
di lui fece altrettanto.
«Che
peccato» disse lei e questo bastò a dare fervore a
Toshinori, che
con volto deciso si tirò su le maniche prima di annunciare a
gran
voce: «Ci voglio riprovare!»
E
continuò, ancora e ancora.
«Machiko!»
la voce di Yamada provenne alle sue spalle e lei si voltò a
salutarlo. Era insieme a Satsuki e Akane, che erano andate a cercarli
non vedendoli arrivare, e insieme a lui c'erano anche Kamatari e
Heikichi. Il gruppo era finalmente al completo.
«Ehy!!!»
salutò felice Machiko alzando una mano.
«Ce
l'ho fatta!!!» urlò in quell'istante Toshinori,
alzandosi in piedi
e stringendo un pugno infervorato. Machiko si voltò e lo
vide con in
mano la sua vittoria meritata: esplose di felicità e gli
saltò al
collo, appendendosi ed esultando.
Toshinori
ebbe la sensazione di esplodere: Machiko gli era saltata addosso un
sacco di altre volte, spesso la portava in spalla durante i suoi
salti incredibili per tirarla fuori da qualche guaio, ma allora
perché quella volta gli diede quella strana sensazione di
bruciore
al petto?
«Un
premio alla signorina» annunciò il proprietario
del banchetto,
porgendo a Machiko una spilla per capelli decorata con un grosso
fiore.
«Scusami
tanto, il gioco l'ho vinto io e il premio lo danno a te?»
brontolò
Toshinori, volgendo uno sguardo storto a Machiko, ancora aggrappata
alle sue spalle. E lei in tutta risposta gli fece una linguaccia.
«Perché
io ho messo lo Yukata stasera e sono carina, tu invece no»
borbottò
lei per quel che poteva, continuando a fargli la linguaccia.
Era
carina veramente. Era carina da impazzire. Come poteva contraddirla?
Avrebbe voluto dirle qualcosa di adeguato, avrebbe voluto dirle che
aveva ragione, quella sera era terribilmente carina, ma non
riuscì a
gestire le parole nella sua testa e si limitò ad osservarla
in
silenzio.
«Ehy!
Piccioncini! Andiamo alle canne di bambù ad appendere i
desideri!
Venite?» urlò Satsuki, già avanti
insieme al resto del gruppo.
Questa volta non fu solo Toshinori ad arrossire, ma anche Machiko non
uscì indenne da quell'appellativo, e i due si scambiarono
uno
sguardo imbarazzato. Machiko si affrettò a lasciarlo andare,
sistemandosi maldestramente lo Yukata, e Toshinori si grattò
nuovamente la nuca, volgendo lo sguardo altrove.
«Andiamo?»
chiese lui, cercando di sembrare tranquillo.
«Sì»
rispose lei, altrettanto agitata.
Satsuki
e Akane si guardarono, scoppiando a ridere per la reazione dei due, e
Yamada, al loro fianco, alzò le spalle negando con la testa.
Chissà
quando quei due avrebbero ammesso a loro stessi i propri sentimenti,
ormai palesi a chiunque.
La
serata proseguì completamente spensierata, proprio come
Machiko
l'aveva sognata. Mangiarono dolcetti di ogni tipo, fecero altri
giochi, si ritrovò in qualche modo perfino coinvolta in un
karaoke
improvvisato a cui non aveva potuto dire di no e la sua voce, ormai
ben allenata, addirittura famosa, attirò le orecchie e gli
applausi
di molti passanti. E in tutto questo Toshinori non potè che
trovare
sempre più conferma che quella sera era più
luminosa che mai.
Perfetta e speciale. Le luci della città sembravano messe
lì
apposta solo per illuminarle il volto nel migliore dei modi, le
decorazioni alle abitazioni si addicevano al colore del suo Yukata, i
movimenti delle lanterne e delle decorazioni di carta mossi dal vento
accompagnavano quello dei suoi capelli. Sorrise, sorrise per tutta la
sera e mai una sola volta riuscì a smettere di farlo.
Scrissero
i loro desideri su di un cartiglio colorato e con un filo lo appesero
ai bambù messi a disposizione per la festa. Pregarono le
divinità
affinchè i loro desideri prendessero realtà e
infine si
allontanarono, dirigendosi verso il fiume, dove ci sarebbero stati i
fuochi d'artificio. Toshinori non potè far a meno di cedere
però
prima alla curiosità e leggere rapidamente ciò
che Machiko aveva
scritto sul suo cartiglio, chiedendosi se avesse seguito la sua
ingenuità, desiderando Taiyaki gratis per un anno intero, o
fosse
stata più seria nel chiedere invece che la sua carriera di
cantante
sbocciasse come meritava, rendendola famosa.
Si
sorprese nello scoprire che invece non c'era scritto niente di tutto
questo. Si sorprese di scoprire che il pensiero di Machiko era andato
a lui, al suo sogno di pace, pregando gli dei di rendere Toshinori
presto il simbolo che tanto desiderava e per cui si stava impegnando.
La dolcezza di quella ragazza poteva arrivare a tanto? Il suo affetto
nei suoi confronti superava perfino ciò che desiderava per
se
stessa?
«Toshi-chan!
Dai, non restare indietro! Ci prendono tutti i posti!»
brontolò
Machiko, avanti insieme al gruppo.
«Arrivo»
balbettò lui, correndo per raggiungerli.
«Lo
sai che è maleducazione leggere i desideri degli
altri?» gli disse
lei, una volta che l'ebbe accanto. Toshinori arrossì
imbarazzato e
ammise, colpevole: «Mi dispiace».
Ma
lei non parve essersela presa, anzi gli sorrise di nuovo, forse
addirittura contenta che lui l'avesse fatto. Non era una
novità che
lei si rendesse orgogliosa di essere la sua prima sostenitrice e fan
in assoluto. Come riusciva ad essere così adorabile? E
soprattutto,
perché se ne accorgeva solo in quel momento?
Si
sedettero sull'erba e attesero l'inizio dell'attrazione principale
della serata: i fuochi d'artificio. E nell'attesa i ragazzi tirarono
fuori tutti i dolcetti che erano riusciti a comprare, improvvisando
un pic-nic di zucchero e pastelle su cui si fiondarono senza ritegno.
Chiacchierando, scherzando e mangiando, finalmente cominciò
l'evento
tanto atteso e allora solo il silenzio fece padrone.
I
magnifici colori esplodevano nel cielo, decorandolo e risplendendo
negli occhi dei suoi spettatori. Uno scoppio dietro l'altro, un
colore dopo l'altro, un'emozione dopo l'altra.
E
su quella riva tutto cominciò a cambiare.
«Toshinori»
sussurrò Machiko, senza staccare gli occhi dal cielo. Il
viso
sereno, sicuro di sé. Sorrideva, rilassata, coraggiosa
sicuramente
più di lui.
E
lasciò uscire quel sentimento dal petto con una semplice
frase.
Avventata,
impulsiva e forte come nessuna persona riusciva ad esserlo, era stata
lei a dichiararsi quella stessa sera con la sicurezza di un eroe di
fronte a un nemico che sapeva avrebbe sconfitto. Non aveva avuto
paura della risposta del ragazzo, non aveva avuto paura di rovinare
tutto, forse perché quello sarebbe stato l'ultimo anno nella
stessa
classe e poi chissà cosa sarebbe successo ad ognuno di loro
o forse
semplicemente perché lei era Machiko e non pensava mai alle
conseguenze. Seguiva il proprio istinto.
E
il suo istinto le diceva che non avrebbe potuto lasciarlo andar via,
quella sera, senza fargli sapere che era innamorata di lui.
Il
cuore di Toshinori prese a battere così forte che il rumore
nelle
orecchie gli impedì di sentire gli scoppi dei fuochi
d'artificio.
Con un calcio, Machiko aveva sfondato una porta e lui aveva
miracolosamente scoperto che era proprio ciò che desiderava.
L'uomo
più forte del mondo, era questo che sarebbe diventato,
eppure non
era riuscito a spiccicare una sola parola preso dal tremore e
dall'emozione. Cosa si doveva dire in quei momenti?
Lasciò
parlare i fuochi d'artificio e infine fece l'unica cosa che il suo,
scarso, coraggio riuscì a permettergli. Cercò la
mano della ragazza
tra l'erba e quando la trovò, tremando, la strinse. Machiko
lo
lasciò fare, sorridendo divertita nel sentirlo
così agitato e
sudaticcio. Gli lanciò uno sguardo di traverso, cogliendo il
suo
rossore sul volto e non trattenne una risata. Com'era imbranato!
Si
mosse e si avvicinò a lui, incrociò le proprie
dita con le sue e
infine gli poggiò la testa sulla spalla, tornando a guardare
i
fuochi sopra le loro teste insieme. Emozionati, una sensazione di
liberazione alla bocca dello stomaco e la felicità nel petto.
Quelle
dita sarebbero rimaste intrecciate ancora a lungo, non solo quella
sera.
Una
seconda notte in bianco non era proprio quello di cui aveva bisogno,
ma il suo corpo sembrava essere deciso a ribellarsi. Era tornata in
albergo, si era data una ripulita e poi si era lanciata tra le
lenzuola nonostante l'ora, senza neanche avere la forza di cenare.
Era stata ore a girarsi nel letto, senza riuscire a trovare una
posizione comoda. Aveva persino provato a leggere un libro, ma le
parole si mischiavano tra loro e non era riuscita a capirci molto.
Alla fine, a mezzanotte passata, esasperata si era rivestita ed era
andata in un locale a bere fino a tardi. Un uomo ci aveva provato con
lei, uno dei tanti, ma la maggior parte li metteva fuori
combattimento in una frazione di secondo con il proprio Quirk. A
quell'uomo aveva invece deciso di dare una possibilità,
forse perché
ormai ubriaca persa o forse perché era talmente disperata
che
avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di togliersi dalla testa quel
viso e quella voce. Perfino usare un rimpiazzo, un affascinante
rimpiazzo. Avevano parlato per un po', lui l'aveva fatta ubriacare
ancora, probabilmente nella speranza di riuscire a portarla al punto
di non ritorno. E c'era quasi riuscito, se non fosse che Nina,
all'ultimo, aveva avuto un ripensamento e aveva deciso di stenderlo
proprio come tutti gli altri. Neanche lui era degno di averla.
Nessuno sembrava esserlo.
«Siete
solo degli scocciatori» aveva mormorato, uscendo dal locale.
Non
ricordava come, ma sapeva che alla fine era riuscita a ritornare alla
sua stanza d'albergo e mettersi a dormire che ormai erano passate le
quattro. Solo la mattina dopo aveva cominciato a rendersi conto della
sciocchezza che aveva fatto ed era stata a lungo a pensare se
chiamare Nezu e dirgli che non era nelle condizioni di andare a
scuola. Avrebbe potuto dare la colpa alla battaglia del giorno prima,
ma quello avrebbe dato ragione a lui, sulla pericolosità
della sua
idea, e alle ragazze sul fatto che non stesse affatto bene. Era
arrivata al limite, doveva affrontare la faccenda e doveva farlo quel
giorno stesso. Non avrebbe passato un'altra notte insonne per colpa
di quell'uomo! E certo non aveva accettato di rivivere il passato per
lasciarsi uccidere da esso.
Percorse
i corridoi della Yuuei sbattendo i piedi per terra, decisa e
incazzata allo stesso tempo, ed entrò in sala professori
come un
uragano. Si guardò attorno, puntando gli occhi sui presenti,
ma
nessuno di loro era chi stava cercando. Richiuse la porta,
sbattendola, e si diresse verso la sala ristoro, la mensa, le aule.
Aprì ogni singola porta dell'edificio ripetendo lo stesso
rituale
più e più volte, ignorando lo sguardo sconvolto
di chi si parava di
fronte, fintanto che non arrivò a un'altra sala che
riportava
scritto: "privato". Era talmente famoso, quell'idiota, che
gli avevano dato una stanza privata tutta per sé. Aveva
voglia di
prenderlo a calci per giorni.
Spalancò
la porta e Midoriya, all'interno, sobbalzò terrorizzato. Di
fianco a
lui, finalmente, c'era anche All Might.
«Nin...»
provò a salutare quest'ultimo, alzando una mano, ma Midoriya
scattò
rapidamente verso l'uomo e gli piantò un pugno in faccia. Il
ragazzino urlò terrorizzato e cominciò a
piagnucolare: «Mi
dispiace! Non sono stato io! Lo giuro!»
«Un'altra
emergenza, All Might?» chiese Nina piena di collera.
«Che fai, non
scappi dalla finestra?»
«Fino
a prova contraria ieri sei stata tu a scappare» rispose All
Might e
Nina, ormai furibonda, usò Midoriya nuovamente per riempirlo
di
pugni in faccia.
«Almeno
lascia andare il ragazzo, lui non c'entra niente, poverino!»
provò
a dire l'uomo, restando impassibile di fronte ai colpi che tanto non
gli avrebbero fatto neanche un graffio.
«Può
liberarsi, se vuole!» ringhiò Nina, prima di
fulminare Midoriya:
«Perché non ti liberi?»
E
il ragazzino piagnucolò sempre di più,
terrorizzato da Nina e con
le mani doloranti -la pelle di All Might sembrava fatta d'acciaio!-.
«Va
bene, ho capito» sospirò All Might, alzandosi in
piedi. Afferrò i
fili invisibili di Nina e con uno strattone li strappò,
liberando
lui stesso il ragazzino, dimostrando ancora una volta quanto
conoscesse quella donna e il suo Quirk.
«Midoriya,
ragazzo mio, puoi lasciarci un attimo soli?» chiese con tono
cupo e
Izuku non se lo fece ripetere due volte, dandosela a gambe.
«È
un cagasotto, proprio come te!» ringhiò ancora
Nina, colta da una
rabbia che poche volte aveva avuto e ancor meno era riuscita a
gestire. All Might la ignorò e le si avvicinò,
chiudendo la porta
alle sue spalle, facendo in modo che quelle strilla non arrivassero
al corridoio. «Siete proprio uguali, adesso capisco
perché hai
scelto lui! Due idioti piagnucoloni! E il mondo dovrebbe riporre la
propria fiducia in uno così? Già fatico a capire
come abbia potuto
riporla in un vigliacco com...» ma non terminò la
frase, non ci
riuscì. Gli morì in gola nell'istante in cui con
sorpresa All Might
si era voltato verso di lei e l'aveva abbracciata, stringendosela al
petto. Quel calore, quelle enormi braccia, quel rifugio sicuro che
l'avvolgeva... ne aveva davvero sentito così tanto la
mancanza? Lui
le posò una mano dietro la nuca e se la spinse contro la
spalla, con
sicurezza, donandole quell'intensa sensazione di conforto, tanto
improvvisa, tanto malinconica che le fece male la pancia.
«Che
stai facendo?» mormorò con un filo di voce, non
riuscendo a reagire
in altro modo se non paralizzandosi.
«Mi
dispiace» una confessione che andava ben oltre gli
avvenimenti di
quegli ultimi giorni. Una confessione che racchiudeva dentro di
sè
tutti gli ultimi vent'anni e che era riuscito con un colpo sicuro,
diretto e potente, a distruggere. Un vetro che andava in frantumi, un
vetro che aveva resistito a lungo a qualsiasi tipo di colpo, ora per
un semplice sospiro era crollato... ecco come si sentiva.
Cominciò a
tremare, a respirare a fatica. La gola e gli occhi presero a
bruciare.
«Lasciami
andare» mormorò, ma restò inascoltata e
All Might continuò a
premerla contro se stesso.
«Ti
ho detto di lasciarmi andare» insistè con
più rabbia. Non poteva,
non doveva comportarsi in quel modo. Non dopo tutto quello che lei
aveva fatto per riuscire a superarlo, per riuscire a convincersi che
era felice, che andava bene così. Non poteva far nascere in
lei quel
desiderio di riaverlo per sé, non dopo così tanto
tempo, non con
così poco.
«Lasciami!»
quasi urlò e gli piantò le mani al petto,
forzando per
allontanarlo, lottando contro un muro invalicabile.
«Lasciami!
Lasciami!» insistè, cercando di colpirlo, di
allontanarlo, di
dimenarsi, fintanto che le lacrime non cominciarono inevitabilmente a
sgorgare.
Strinse
i suoi abiti tra le dita, piantandoci dentro le unghie, e ormai in
preda a quei sentimenti affondò il viso contro la sua spalla
e si
lasciò andare a un urlo incazzato a pieni polmoni. Se non
l'avesse
soffocato in quel modo l'avrebbe sentito l'intera scuola e le
spiegazioni non erano il suo forte. A pugni serrati cominciò
a
colpirlo, urlando come un animale in preda alla furia, sfogando in
quel modo tutte le energie che aveva, fintanto che ormai sfinita non
si lasciò andare al pianto, mormorando: «Esci
dalla mia vita. Esci
dalla mia testa. Ti prego».
All
Might cominciò ad allentare la presa e lasciarla andare solo
quando
si convinse che ormai aveva smesso di sfogarsi, che ormai si era
liberata di tutto, e non sarebbe saltata da tutte le parti
distruggendo ogni cosa come un animale impazzito. Nina si
portò le
mani al volto, incapace ancora di mostrarsi in quelle condizioni,
vergognandosi di quanto fosse stato semplice abbattere quella corazza
che abilmente si era costruita.
All
Might si allungò sul tavolino a fianco, prese un sacchetto e
glielo
mosse davanti al viso, annunciando con un gran sorriso: «Ti
ho preso
i Taiyaki per farmi perdonare».
I
singhiozzi di Nina vennero interrotti da un accenno di risata, che
andava facendosi sempre più potente, fino a prendere
definitivamente
il posto di tutto quel dolore. Si asciugò maldestramente il
viso con
le mani tremolanti e disse con la voce ancora rotta: «Sei un
idiota».
Rise
ancora, prima di riuscire a sentirsi più tranquilla e,
riuscita a
ripulirsi, afferrò il sacchetto.
«Da'
qua!» disse, avvicinandosi al divano in mezzo alla sala.
"Funzionano
ancora!" pensò All Might entusiasta di essere riuscito a
gestire la situazione come ai vecchi tempi.
«Scusami
per aver trattato il tuo allievo in quel modo. Aveva già
abbastanza
paura di me anche prima di questa sceneggiata» disse
addentando il
primo dei dolcetti a forma di pesce. «Così gli ho
dato il colpo di
grazia».
«Tranquilla,
ci parlo io».
«Non
c'è bisogno. Posso risolvere i miei problemi da
sola» disse lei,
alludendo al fatto che lui avesse sempre avuto questa tendenza a
correre in soccorso di qualsiasi problema. Lo aveva fatto con lei
quando erano ragazzi e aveva cominciato a farlo col mondo intero non
appena era diventato adulto.
«Come
preferisci» disse All Might, deciso ad accontentarla.
«Senti...»
iniziò lei, osservando assorta il suo dolcetto mangiato per
metà.
Gli occhi ancora rossi e se ne strofinò uno, cercando di
placare
almeno il bruciore. «C'è una cosa che voglio
dirti. È questo il
motivo per cui sono venuta qui».
«Pensavo
volessi solo picchiarmi fino allo sfinimento»
ironizzò lui.
«Idiota»
disse lei seccamente, ma riprese subito il discorso, ignorando quella
pessima battuta: «Va bene così»,
recitò solenne. Si prese qualche
secondo per mettere insieme i pensieri, le parole e lasciò
All Might
per qualche istante immerso nelle sue domande.
«Parlo
di quello che è successo tra noi, parlo di quel
giorno».
Quel
giorno, quello dove Machiko era esplosa arrivando al punto di
scegliere la fuga in America, una vita completamente nuova, lontano
da tutto. Lontano da lui.
«Ho
espresso io il desiderio di vederti realizzato nel tuo sogno, quel
giorno di Luglio, sul fiume. E sono sempre stata io a incoraggiarti e
pregare affinchè riuscissi ad arrivare dove volevi.
È stato egoista
da parte mia provare quei sentimenti di rabbia e tristezza tutte le
volte che ti vedevo andar via».
«Nina...»
provò a parlare lui, addolorato, ma lei lo interruppe con un
severo:
«No! Ascoltami! Se qui c'è qualcuno che deve
chiedere scusa quella
sono io. Hai creato qualcosa di eccezionale, sei andato ben oltre le
aspettative. Le folle gridano il tuo nome, il tuo volto è
ovunque,
sei amato e adorato da chiunque. Rendi felici le persone e proteggi
la pace, è eccezionale. Non mento quando dico che vederti
oggi, qui,
realizzato dopo tutto quello che è successo, mi riempie di
gioia.
Dico sul serio. Andarmene quel giorno è stata la scelta
migliore, tu
hai realizzato il tuo sogno e io il mio! È perfetto
così, no?»
E
dopo un attimo di riflessione, All Might disse addolorato e poco
convinto: «Mi hai appena chiesto di uscire dalla tua
testa».
Come
poteva dire di essere felice, dopo quello che aveva appena fatto?
Dopo quelle urla e quelle preghiere. Non poteva essere felice, non
poteva essere vero.
«Lo
so» disse lei repentina. «Perdonami».
Fece un sospiro e si voltò
a fissare fuori dalla finestra, cercando forse rifugio e forse il
coraggio tra quelle nuvole che solcavano la città con una
leggerezza
che invidiava.
«Ero
arrabbiata. Ero arrabbiata e disperata perché più
percorrevi la tua
strada e più ti sentivo scivolare via dalle mie dita. Eri il
mio
eroe, lo sei sempre stato da quel giorno di prima media. Il giorno in
cui ci siamo conosciuti, te lo ricordi?» e sorrise
malinconica.
«Trovai la scritta sul mio armadietto, quelle orribili offese
e non
sapendo chi fosse stato non sapevo nemmeno con chi andare a
prendermela. Di solito risolvevo da sola le mie questioni, usando il
mio Quirk».
«Ti
cacciavi sempre nei guai e ti facevi detestare sempre di
più»
ricordò lui.
«Ma
quel giorno sei passato tu, il tuo primo giorno di scuola. Hai
guardato la scritta, hai visto me in lacrime e hai cominciato a
pulire. Non hai smesso fintanto che non era tutto brillante e questo
ti costò una bella ramanzina perché avevi perso
il primo giorno di
lezione. Hai messo a rischio te stesso, solo per correre in mio
aiuto. Hai cominciato a seguirmi, sentendo che avevo qualche
problema, e hai cominciato a risolverli tutti. Dal primo all'ultimo,
anche se eri un senza poteri, mettendoti persino a fare a botte con
chi se la prendeva con me. Non hai mai smesso di essere il mio
paladino
della giustizia, fino a quando non sei diventato All Might. E allora
sei diventato il paladino di tutti e io sono diventata
gelosa».
«Ti
ho lasciata indietro, non colpevolizzarti. Non cercare ancora una
volta di farmi sorridere... la verità è che ho
cominciato a
voltarti le spalle» e dopo qualche istante trovò
il coraggio di
aggiungere, con un filo di voce: «Questo l'ho capito troppo
tardi».
«Beh,
sì, spesso mi lasciavi da sola a un appuntamento per correre
ad
aiutare una vecchietta ad attraversare la strada o per salvare un
gattino dall'albero. E io pensavo: "Non è grave,
perché corri
sempre ovunque e mi molli da sola!", è vero»
infierì lei.
«Mi
dispiace» disse lui nuovamente, abbassando la testa colto dai
sensi
di colpa.
«Non
c'eri mai, riuscivo a vederti ormai solo alla televisione. Quel
giorno, al ristorante... è stata la goccia e ho pensato:
"Voglio
davvero vivere la mia intera vita così? Insieme ad un
fantasma?"
e sono scappata, decisa a cercare fortuna altrove, ovunque, ma
lontano da qui».
«Quella
sera, io...»
«Lo
so cosa volevi fare. So benissimo cosa avevi intenzione di fare ed
è
per questo che sono scappata. Ma ho riflettuto tanto e in questi anni
sono cresciuta, sono maturata e ho capito. Ho capito che erano
così
che le cose dovevano andare e l'egoista ero stata io. Se non me ne
fossi andata, se avessi continuato a pretendere di avere Toshinori
tutto per me, il mondo non avrebbe mai avuto All Might. Ho
perdonato... ho perdonato te per avermi lasciato indietro e ho
perdonato me stessa per essermi arrabbiata tanto. Sai, sono stata
così felice quando ti ho visto in diretta internazionale la
prima
volta!» esclamò, brillando di un sorriso che
Toshinori si era
dimenticato da tempo quanto fosse riscaldante. Quello stupendo
sorriso, esattamente uguale a quello che ricordava di tanti anni
prima. Il sorriso che l'aveva sempre incoraggiato e ispirato. Gli
anni non le avevano portato via nemmeno un briciolo della sua
bellezza.
«Posso
perdonare, posso giustificare, capire e accettare»
mormorò lei,
tornando a guardare fuori con aria ora più rilassata.
«Ma non posso
dimenticare. Mi sto trasformando in una vecchia malinconica, povera
me» sospirò, chinando la testa in maniera
melodrammatica per
esprimere il suo dolore. «E quei ragazzini sono
così pieni di vita
come lo eravamo noi, mi appassionano e peggiorano la mia
nostalgia».
«Ti
guardavo, in televisione» ammise lui. «E ascoltavo
le tue canzoni
alla radio. Non mi sono perso nemmeno un'intervista»
confessò e
Nina lo interruppe con un inquietato: «Cosa sei? Uno
stalker?»
Lui
la ignorò e proseguì con un sincero:
«Sono così fiero di te,
Machiko».
Quel
nome. Da quanto tempo non usava quel nome. Da quanto tempo non
sentiva pronunciarlo dalla sua voce, in quel modo così
dolce.
Un'altra ondata di malinconia le trafisse la gola, ma questa volta ne
reagì illuminandosi e sorridendo felice di quel complimento.
Un
sorriso tanto gioviale che per un istante, illuminata dai raggi del
sole che penetravano dalla finestra, la trasformò nella
luminosa
ragazza di cui Toshinori si era innamorato tanto tempo prima.
Com'era
dolce quella sensazione.
I
found a love for me
Darling
just dive right in
And
follow my lead
Well
I found a girl beautiful and sweet
I
never knew you were the someone waiting for me
'Cause
we were just kids when we fell in love
Not
knowing what it was
NDA.
Come
avrete notato ho messo un paio di asterischi durante il capitolo.
Anche se ho cercato di rendere ugualmente comprensibile il testo,
dando qualche spiegazione, aggiungo qualcosa nelle note.
*Il
Tanabata= E’ una festa tradizionale Giapponese che si tiene
il
sette Luglio. E’ legata alla leggenda delle due stelle Altair
e
Vega, due amanti che era stati talmente tanto presi l’uno
dall’altro da dimenticare ognuno i propri compiti.
Così per
ristabilire l’ordine l’Imperatore Celeste li
punisce separando i
due dalla via Lattea. Il 7 Luglio le due stelle si ricongiungono, la
leggenda narra di un ponte creato da uno stormo di uccelli
compassionevoli, e così è nata la festa delle
stelle innamorate. Io
ve l’ho un po’ riassunta, ma se siete curiosi qui
c’è scritto
molto:
http://sakuramagazine.com/ricorrenze-giapponesi-tanabata-matsuri-festa-delle-stelle-innamorate/
Un
paio di caratteristiche della festa, oltre i fuochi
d’artificio, è
il fatto che gran parte delle decorazioni sono fatte di carta e
c’è
la tradizione dei cartigli appesi ai bambù. I giapponesi
scrivono su
dei cartigli colorati i propri desideri che poi appendono a delle
canne di bambù.
*Il
gioco delle palline nella vasca: è un gioco tradizionale che
fanno i
giappi. Sinceramente non so come si chiami, ma qui allego una foto
giusto per farvi capire che intendo.
https://it.wikipedia.org/wiki/Tanabata#/media/File:Asagaya_Tanabata_Festival.jpg
*Yukata:
è un tipo di Kimono ma estivo e più informale che
i giappi
indossano in certe occasioni
Beh,
non mi sento di dire molto su questo capitolo, penso parli
già da
solo (e sinceramente sono un po’ di fretta xD).
Perciò
questa volta mi limiterò a ringraziarvi ancora e salutarvi
:D
Ricordo che chi volesse mi può trovare sulla pagina fb Ray
Scrive : https://www.facebook.com/RayWingsScrive/
Anche
solo per fangirlare un po’ (cosa che faccio anche
più del dovuto).
Un
saluto a tutti!
Ciaoooooo
Ray
|
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Capitolo 11 *** Superheroes, The Script ***
“Superheroes”,
The script
I
ragazzi entrarono in palestra, già cambiati con i loro
costumi,
pronti a un'altra lezione extracurricolare. Gli avvenimenti del
giorno prima avevano in qualche modo segnato tutti, ma non era stata
solo la paura e il desiderio di imparare a gestire certe situazioni a
motivarli a partecipare ancora alle lezioni di Nina. Nonostante la
stanchezza, non vedevano l'ora di iniziare, soprattutto
perché
quella donna, sentivano, aveva davvero tanto da insegnare. Aveva
portato in salvo un gruppo di persone con maestria, aveva salvato
Kirishima e gli altri ragazzi con destrezza e infine aveva combattuto
in maniera incredibile. Non era una semplice diva, Nina era una donna
forte che avevano cominciato ad ammirare. Inoltre si era rivelata
un'ottima compagna, non era un'adulta come tutti gli altri... lei gli
permetteva di divertirsi e trasgredire le regole ogni tanto. Come era
successo proprio al gruppo di Kirishima: non avevano la licenza, non
avrebbero dovuto usare i loro Quirk fuori dalle mura scolastiche,
anche se lei gli aveva autorizzati in realtà non aveva il
potere
burocratico su certe cose. Nonostante tutto aveva chiesto loro di
combattere per aiutarla, non di scappare, e inoltre li aveva protetti
successivamente negando al preside e alle forze di polizia il loro
intervento per evitare di metterli nei guai. Si era guadagnata la
stima e la fiducia di tutta la classe, che cominciava a vedere quelle
lezioni con occhio diverso e più interessato.
Ma,
entrando nel capannone, lei non c'era.
«Di
solito è già qui che si scalda»
osservò Uraraka.
«E
se fosse rimasta ferita per ieri e non fosse potuta venire?»
chiese
Ashido.
«Impossibile,
ce l'avrebbero comunicato» disse Ojiro.
«Che
abbia in mente qualcosa?» si chiese Kirishima, mettendosi in
posizione per contrastare un eventuale attacco a sorpresa. Sarebbe
stato da lei, prenderli di sorpresa per metterli nuovamente alla
prova. Una voce cominciò a farsi sentire dall'esterno,
dapprima
lontana e poco chiara, poi sempre più forte. Era la voce di
Nina che
stava arrivando e rideva, rideva come mai l'avevano sentita, in un
modo così puro e cristallino che sembrava di sentire la voce
di una
ragazzina.
«Ti
assicuro che è proprio quello che hanno detto! Ormai siamo
fregati,
amico mio. Non ci lasceranno in pace, lo sai?» disse lei, tra
le
risate.
«Accidenti,
speriamo non facciano troppe domande» la voce di All Might.
Uraraka
e le altre ragazze parvero saltare sul posto nel sentirli insieme e
istintivamente si scambiarono sguardi ed espressioni di sorpresa.
«Non
fare il vigliacco, sono solo ragazzini».
«Ed
è proprio questo che mi spaventa» ammise lui, poco
prima che la
porta della palestra si aprisse.
«Cagasotto»
lo canzonò Nina, entrando per prima. Si voltò
verso l'interno e li
vide già tutti pronti come soldatini, ad aspettarla. Si
illuminò ed
esclamò: «Ma guarda che
puntualità!»
«Eccomi
qua! Oggi ci sono anche io!» disse All Might, entrando in
palestra
con rapidità e piazzandosi al centro in una delle sue pose
da
supereroe, con le braccia alzate al cielo e il petto gonfio. Nina lo
fulminò, per niente colpita e ammirata per la sua entrata in
scena,
come invece lo erano i ragazzini davanti a loro.
«Ce
n'era proprio bisogno?» gli disse, con tono quasi sofferente.
Era
incredibile come con gli anni e la fama fosse diventato così
pieno
di sè ed egocentrico. Ma All Might la ignorò,
concentrandosi
piuttosto sullo sguardo delle ragazze di fronte a lui.
"Sai
che hanno trovato una nostra foto insieme? A quanto pare adesso
è di
dominio pubblico la nostra vecchia relazione" gli aveva riferito
Nina poco prima e la cosa l'aveva messo non poco in agitazione.
Poteva sopportare qualsiasi cosa, ma non era ancora pronto a dover
rivelare aspetti personali come quei piccoli dettagli sulla sua vita
sentimentale, soprattutto se queste curiosità venivano da
chi lo
ammirava di più e chi aveva più a che fare con
lui. Cominciò a
sudare freddo, sempre più imbarazzato da quello sguardo
insistente,
e cominciò a valutare quali fossero le vie d'uscita
più rapidi da
raggiungere. Era insopportabile, così insistente, sembrava
scavargli
dentro.
"Sono
terrificanti" pensò, sempre più agitato.
Cercò
di ricomporsi, riprendendo il suo ritegno, e si schiarì la
gola
rompendo quell'imbarazzante silenzio che Nina aveva di proposito
lasciato cadere. Non sembrava essere turbata della cosa, sembrava
anzi che la divertisse, soprattutto perché invece lui non
riusciva a
vivere con serenità il fatto che quei ragazzini sapessero di
ciò
che c'era stato tra lui e Nina. Conscendo la donna avrebbe fatto anzi
di tutto per rincarare la dose, solo per vederlo ancora più
in
difficoltà. Sapeva essere terrificante e malefica, come
poteva tutta
quella cattiveria uscire da un bocciolo di rosa tanto bello e
accattivante?
«Dunque!»
finalmente disse lei, interrompendo il suo dilaniante sprofondare
nelle viscere della vergogna. «Ieri qualcuno di voi ci ha
fatto
un'interessante richiesta e oggi io e il mio vecchio amico d'infanzia
All Might, abbiamo deciso di accontentarla!»
sillabò più del
solito le parole "amico d'infanzia" mentre gli tirava
qualche pacca sulla spalla, lanciando all'uomo uno sguardo
provocatorio.
"Lo
sapevo! Lo fa apposta! Maledetta!" pensò lui, rendendosi
conto
del gioco a cui la donna stava giocando. L'agitazione crebbe e il suo
caratteristico sorriso indistruttibile prese una strana piega,
più
forzata del solito, sotto il peso dell'imbarazzo. La vide sogghignare
divertita e questo lo rese ancora più irrequieto. Non
avrebbe smesso
lì, sarebbe andata avanti tutto il giorno fino a quando non
l'avrebbe visto esplodere del tutto. Lo sapeva. Ma perché
aveva
accettato quella proposta?
«Il
combattimento coordinato!» si illuminò Kirishima,
capendo a cosa si
riferivano. Erano stati grandiosi, da tenere col fiato sospeso, e i
ragazzi avrebbero dato qualsiasi cosa per imparare ad essere come
loro.
«Bravissimo
Kirishima!» sorrise lei con gioia e il ragazzo parve
gonfiarsi come
un palloncino, entusiasta di essere stato adittato come "bravissimo".
«Non
è così semplice come può sembrare, se
non funziona bene non solo
non risulta positivo per la battaglia, ma addirittura dannoso. Ad
esempio, provate a pensare se io e All Might ieri avessimo sbagliato
anche solo di un centimetro l'angolatura quando si è tirato
addosso
me e l'uomo ombra. Io ero messa davanti, l'uomo ombra dietro sbucava
solo per pochi centimetri, non era facile centrarlo alla perfezione
nel tempismo dell'impatto, la precisione doveva essere millimetrica o
avrebbe rischiato di colpire me invece che lui... e non credo che
dopo un colpo simile io sarei potuta essere qui oggi a
parlarvi»
rise, mentre alcuni dei ragazzi impallidirono di fronte all'idea,
veritiera, che lei non sarebbe potuta sopravvivere se avessero
sbagliato qualcosa. Ora quel grandioso stile di combattimento faceva
più paura che altro.
«Ma
se invece riuscite ad arrivare a un livello di coordinazione
adeguato, il vostro potere non solo ne verrà beneficiato ma
addirittura amplificato» proseguì All Might.
«Per raggiungere quel
livello c'è bisogno di tre cose fondamentali: Allenamento,
intesa e
fiducia reciproca. Sì, Ojiro?» chiese, dando al
ragazzino che aveva
alzato la mano la possibilità di parlare.
«Quanto
tempo è che vi allenate insieme? Insomma, quanto ci vuole
per
arrivare al vostro livello di intesa?»
«Oh,
beh...» disse All Might, portandosi una mano al mento e
immergendosi
in una riflessione, cercando di ricordare quanto tempo avessero
impegnato effettivamente loro due.
«Dunque,
abbiamo cominciato che avevamo... circa quindici anni?
Sbaglio?»
chiese Nina, altrettanto concentrata. Com'era difficile ricordare
date così distanti!
All
Might annuì, per poi proseguire: «E abbiamo
continuato fino a
quando non te ne sei andata, quindi ventitre. Otto anni,
giusto?»
Nina
negò, prima di correggere: «A quel tempo tu
lavoravi già da solo e
poi ormai avevamo preso padronanza della tecnica molto prima,
l'avevamo già usata un sacco di volte. Di allenamento vero e
proprio
direi due o tre anni?»
E
All Might annuì convinto, confermando con una serie di:
«Già,
già».
«Un
attimo! E da allora non l'avete più usata?» chiese
Kirishima,
sconvolto.
«Non
ci siamo più rivisti da quando sono partita per l'America,
quindi
no. Più usata» confermò Nina, alzando
le spalle con fare
rassegnato.
«Ma
ieri siete stati così precisi! Come possono essere passati
più di
vent'anni da quando vi allenavate?» chiese Midoriya,
altrettanto
sconvolto.
«In
effetti non sei stato preciso per niente!» esclamò
Nina, voltandosi
e puntandosi le mani ai fianchi. All Might sobbalzò sorpreso
e la
guardò lievemente spaventato, sapendo ciò che gli
aspettava.
«Mi
hai lanciato troppo forte contro il rinoceronte! Mi sono fatta male a
un piede, lo sai?» lo rimproverò.
«Il
tuo filo ha centrato l'avambraccio, non la mia mano. Non ho potuto
dosare bene la forza, ho provato a essere il più preciso
possibile!»
rispose All Might, non alterandosi come lei, ma più col tono
di chi
aveva bisogno di giustificarsi per l'errore commesso. Era grande e
grosso, ma di fronte a Nina si trasformava in un cucciolo smarrito e
spaventato, faceva quasi tenerezza.
«Forse
se tu ti fossi girato di più sarei riuscita a centrare
meglio la
mano, non credi?!»
«Sei
più leggera di quello che ricordavo! Quando sono saltato
pensavo di
avere un contrappeso diverso!»
«Stai
cercando di insinuare qualcosa, forse?» si
inviperì Nina.
«Mangiavi
troppi Taiyaki, ecco cosa sto dicendo!» riuscì a
farsi coraggio
lui, puntandole un dito contro. «Mangiare troppi dolci non ti
faceva
bene! E avevi i movimenti più fiacchi!»
«Forse
ne avrei mangiati meno se tu non me li avessi portati per farti
perdonare tutte le volte che mi facevi incazzare, ovvero almeno tre
volte al giorno!»
«Era
l'unico modo che conoscevo per calmarti! Guardati, sei intrattabile e
acida!» e solo con quell'ultima frase, uscita d'impeto, All
Might si
rese conto del guaio che stava combinando. Stava raggiungendo il
punto di non ritorno e se Nina non avesse già preso a
urlargli
contro e prenderlo a pugni forse era solo perché si
trovavano in
presenza dei ragazzini. Ragazzini che ora li osservavano divertiti e
imbarazzati allo stesso tempo per quel siparietto che avevano messo
su. Si schiarì la gola, cercando di tornare in
sè, e ricomponendosi
tornò a voltarsi verso il gruppo di spettatori ignorando i
loro
sghignazzi. La visuale però gli fu immediatamente bloccata
da
Yaoyorozu che gli volò addosso colpendolo in pieno viso con
un
pugno. La ragazza rimase di stucco qualche secondo, prima di urlare
impanicata: «Oh mio dio! Cosa mi è preso?
Perdonami All Might!»
All
Might afferrò la ragazza e se l'allontanò
pacatamente, prima di
voltarsi verso Nina, ormai furibondo -Ma senza abbandonare quel
sorriso che era la sua maschera che adesso sembrava più
inquietante
che mai-.
«Non
hai perso il vizio di usare gli altri come tue marionette?»
la
rimproverò e il viso di Nina cambiò espressione,
passando dalla
furia alla colpevolezza. «Pensavo che fossi maturata in tutti
questi
anni e invece continui a comportarti da bulletta. Lo sai che
è
sbagliato, quante volte te l'avrò ripetuto? Non puoi
trattare le
persone in questo modo, è per questo che non piacevi a
nessuno».
«Adesso
mi amano tutti, guarda un po'» bofonchiò lei
contrariata dal
rimprovero, come una bambina che veniva rirpesa dal padre.
«Chiedi
scusa alla piccola Momo» ordinò All Might,
indicando la ragazzina
di fronte a loro. Yaoyorozu sobbalzò e imbarazza si rivolse
a Nina,
balbettando nervosa: «Non ce n'è
bisogno!»
«Ha
detto che non ce n'è bisogno» brontolò
lei, rivolgendo all'uomo
una linguaccia dispettosa e infastidita.
«Sì
invece! Chiedi scusa!» insistè lui.
«Ma
no, davvero» balbettò Yaoyorozu.
«Hai
sentito?» continuò Nina sempre più
orgogliosa.
«Macchan!»
la richiamò All Might, alzando la voce, ma questa volta Nina
non
rispose. E neanche All Might parve voler insistere ancora, ed
entrambi assunsero un'espressione sorpresa, addirittura rilassata.
Quel soprannome, quel modo di chiamarla, unendo al suo vero nome,
Machiko, il suffisso vezzeggiativo che adorava darle, li avevano
catapultati per un istante indietro più di vent'anni. Lei
aveva
visto di fronte a sè il vecchio Toshinori, il ragazzino che
ancora
sorrideva per gusto e non per forza, con la capigliatura diversa, la
corporatura meno muscolosa, gli occhi azzurri luminosi e liberi dal
solco che le sopracciglia corrucciate dell'uomo adulto gli avevano
dato, ombrandoli. E lui rivide di fronte a sè la delicata
ragazzina
dai lunghi capelli mossi, sottile nei lineamenti, il viso delicato e
lo sguardo birichino e punzecchiante di chi ne ha sempre una per la
testa.
"Macchan".
Dopo
tanti anni, dopo tutto quello che c'era stato, riuscivano ancora a
vivere l'uno di fianco all'altro come se niente fosse successo. Come
se non avessero mai smesso di incontrarsi ogni singolo giorno della
loro vita, e nonostante le imprecisioni del giorno prima, anche il
loro combattimento sembrava quello di chi non aveva mai smesso di
allenarsi. Vent'anni spazzati via con una ventata d'aria, come
polvere da una mensola, riscoprendo che ciò che era stato
celato
sotto non era cambiato affatto. I muscoli si rilassarono e le
espressioni tornarono a essere serene, sotto il potere che quella
timida felicità aveva cominciato a bruciare nel petto. Nina
si
raddrizzò e si portò una mano dietro la testa,
grattandosi la nuca
imbarazzata.
«Che
figuraccia» disse, scoppiando a ridere.
All
Might fece altrettanto, raddrizzandosi e grattandosi la nuca anche
lui.
«Accidenti,
perdonateci ragazzi per lo spettacolo imbarazzante»,
ridacchiò
anche lui tornando a guardare i ragazzini di fronte a loro.
«Direi
che è meglio se torniamo a voi e al vostro
allenamento».
«Io
e lui torneremo a strapparci i capelli più tardi, con
più calma»
ridacchiò Nina, cercando di sdrammatizzare la situazione
ormai
disperata. I ragazzi li guardavano sconvolti, impietriti, mentre le
ragazze avevano trovato in quel punzecchiante battibeccare la
conferma ai loro sospetti: quei due si volevano ancora bene!
Facevano
una gran tenerezza.
Yaoyorozu
fece retrofront e si sbrigò a tornare tra le file dei suoi
compagni,
imbarazzata per essere stata messa in mezzo anche se non c'entrava
niente e mortificata di aver colpito il grande All Might.
«Yaoyorozu!»
la chiamò Nina, poco prima che potesse sparire dietro al
resto dei
compagni. Si chinò diligentemente non appena la ragazzina le
rivolse
l'attenzione e disse: «Perdonami se ti ho usato senza il tuo
permesso per i miei scopi. Non sono stata gentile».
«N-Non
importa!» balbettò Yaoyorozu, imbarazzata, e
tornò vicino ai suoi
compagni. All Might rivolse a Nina uno sguardo, nascondendo dietro
quel sorriso di marmo che si portava sempre appresso tutto l'orgoglio
che provava per lei, per essere riuscita a ritornare sulla via della
correttezza e aver chiesto scusa per quel suo comportamento. Lo
stesso sguardo che le rivolgeva quando erano giovani, tutte le volte
che alla fine lui riusciva a rimetterla al suo posto e farle battere
il cuore nel modo giusto.
«Dove
eravamo rimasti?» disse poi Nina, ritornando dritta e
riprendendo il
suo ruolo di adulta e insegnante.
«Oh
sì!» disse All Might. «Allenamento,
intesa e fiducia! Il segreto è
arrivare al punto in cui non ci si chiede più quale
sarà la mossa
dell'altro, ma sappiamo prevederla e reagiamo di conseguenza anche
prima che questo inizi l'azione. Non è una condizione facile
da
ottenere e non tutti riescono a ottenerla, nonostante gli
sforzi».
«Ci
dev'essere una connessione, qualcosa su cui potete poggiare la vostra
comunicazione invisibile» aggiunse Nina.
«Facciamogli fare il gioco
della fiducia!» disse poi rivolta a All Might e lui
annuì convinto.
«È
un esercizio banale, ma che vi darà una prima indicazione su
ciò
che stiamo dicendo. Prima cosa! Scegliete un compagno. Qualcuno con
cui sentite di avere un'intesa speciale e di cui potete fidarvi.
Forza!»
E
senza neanche ragionare, non appena Nina terminò la frase,
si sentì
forte e chiaro la voce di Midoriya e Uraraka che si chiamarono a
vicenda all'unisono.
«Accidenti,
che rapidità. Ci dev'essere proprio un'intesa speciale tra
voi» li
canzonò Aoyama, facendosi sentire da tutta la classe che
scoppiò a
ridere. I due ragazzini arrossirono, balbettando scuse e
giustificazioni, senza saper bene dove andare a parare per smentire
quelle dicerie. Nina li osservò per qualche istante,
intenerita da
quegli scherzi da ragazzini. Ricordava bene come anche Yamada e gli
altri prendessero spesso in giro lei e Toshinori allo stesso modo,
mettendoli in imbarazzo proprio come Midoriya e Uraraka. Sembrava
qualcosa di tanto lontano da loro, adesso, che quasi ne sentiva la
mancanza. Si voltò a guardare All Might, che
ricambiò lo sguardo.
Stava sicuramente pensando la stessa cosa, glielo poteva leggere
negli occhi e gli sorrise divertita da quel pensiero. Era da
così
tanto tempo che non stava bene come in quel momento.
All
the hurt, all the lies
All the
tears that they cry
When the
moment is just right
You'll see
fire in their eyes
Cause
they're stronger than you know
A heart of
steel starts to grow
When
you've been fighting for it all your life
You've
been struggling
to make things right
That’s
how a superhero learns to fly
(Every
day, every hour
Turn the
pain into power)
NDA.
Ho
passato tutta la mattina a leggere, correggere e sistemare il
capitolo... per poi rendermi conto al momento della pubblicazione che
era quello sbagliato! XD Stavo per spoilerare il mondo! (No, non
è
vero, era un capitolo easy ma vi avrebbe comunque lasciato confusi).
Per fortuna me ne sono accorta e mi sono fermata in tempo ahahah
vabbè, torniamo a noi!
Questo
capitolo è stato più leggero degli altri, ma dopo
tanti avvenimenti
c'era bisogno di un po' di calma e quotidianità. E poi
descrivere
dei battibecchi di quei due mi diverte un sacco xD Nina è
puzzecchiante, fastidiosa a tratti, un po' ribelle e provocante, e
riesce a trascinare nei vortici della follia perfino il superiore,
pacato e sempre corretto All Might.
Come
avevo detto nelle intro, All Might nel manga/anime viene visto come
colonna portante. E' sempre tutto d'un pezzo, perfino quando
abbandona la sua forma da "grandioso" rimane un simbolo ben
costruito. Io mi sono voluta addentrare un po' di più nella
sua
psiche e nella sua storia, ponendomi qualche domanda: sarà
stato
ragazzino pure lui, no? Com'era al liceo? E soprattutto...
avrà
sicuramente avuto una storiella, no? Ok che è il grande
eroe, ma è
pur sempre umano, avrà fatto cose da umano. E ho dato le mie
risposte, creando questa figura di Toshinori sempre allegro,
ottimista e profondamente sognatore e diligente, ma con qualche
scivolone dettato proprio dall'essere un giovane allegro ragazzo,
facendolo diventare a tratti impacciato. Ho pensato che una persona
così, sempre e solo fissata con l'obiettivo della "riuscita
lavorativa", non fosse riuscito a concentrarsi troppo
sull'aspetto relazionale con gli altri e che quindi nei rapporti
tètè-tètè fosse un po'
disorientato. E poi mi piaceva l'idea di
mettere al suo fianco una persona, possiamo dire, agli antipodi: una
combina-guai, che (cito) "non piaceva a nessuno", che era
sempre in punizione perché non sapeva cos'era giusto e
sbagliato, un
po' misantropo. Proprio l'opposto. Un po' come Midoriya-Bakugou. Ma
non è tutto qui, perché anche nel presente mi
sono voluta
concentrare sul suo aspetto umano che emerge in verità molto
poco
nell'opera originale, come ad esempio quali fossero potuti essere i
suoi "difetti" (e già qualcosa è venuta fuori dal
momento
in cui Nina lo "rimprovera" di averla lasciata indietro per
inseguire il suo sogno), se avesse dei rimpianti, dei rimorsi, delle
paure, se avesse mai commesso qualche imperdonabile errore e se
quello che è diventato adesso non sia stata solo una salita
ma
l'abbia mai costretto a rinunciare a qualcosa. Sappiamo tutti che i
grandi risultati non si ottengono se non con grandi sacrifici.
Comunque...
A PROPOSITO DI BAKUGOU! Il prossimo capitolo è tutto suo u.u
Pensavate
che l'avessi dimenticato? TCH! Ha un ruolo essenziale nell'intera
storia! Fidatevi, non sarà una semplice comparsa (citando le
sue
parole ahaha).
La
canzone scelta, questa volta, non è riferito a un aspetto
particolare del capitolo ma è più ampio e guarda
l'intera storia in
senso lato. Mi piaceva perché sottolinea come dal sacrificio
nascono
le cose, sottolinea il fatto che determinati aspetti di una persona
non puoi vederli perché ad oggi è (cito) "un
cuore d'acciaio"
ma lo è diventato perché ha preso colpi su colpi.
Detto
questo... vi saluto!
Ciaaaaaaao
Ray
|
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Capitolo 12 *** Warrior, Beth Crowley ***
"Warrior”,
Beth Crowley
Ci
volle qualche minuto, ma alla fine tutte le coppie furono formate.
Alcuni si erano scelti senza esitazione, come Midoriya e Uraraka,
Jiro e Kaminari o Kirishima e Bakugou. Altri erano stati più
lenti,
avevano dovuto riflettere un po' prima di arrivare alla conclusione
su chi dei loro compagni fosse il più indicato a entrare in
sintonia
con loro, come Tokoyami e Asui, o Todoroki e Yaoyorozu. Altri invece
si erano ritrovati a stare insieme perché esclusi da tutti
gli
altri, come purtroppo era capitato a Mineta e Aoyama. Cosa che il
primo non pareva accettarlo, piagnucolando disperato che nessuna
ragazza avesse voluto accettare di far coppia con lui.
«Sai,
Mineta caro» disse Nina, avvicinandosi a lui con lo sguardo
compatito. «Penso dovresti rivedere il tuo metodo
d'abbordaggio. È
quello che spaventa le ragazze, sei troppo diretto. Dovresti provare
a fare più il misterioso».
«Il
misterioso!» si illuminò Mineta, felice di aver
ricevuto un
consiglio come quello proprio dalla donna più bella che
avesse mai
visto -nelle ultime ore, da quando aveva perso di vista Midnight-.
«Hai ragione! D'ora in avanti farò
così!» si infervorò.
«Non
ti starai prendendo gioco di lui, vero?» chiese All Might,
preoccupato, quando la vide tornare sghignazzante.
«Ehy!
Il mio era un consiglio serio. Almeno con la scusa del misterioso
smette di molestare le ragazze» sospirò lei,
sapendo benissimo che
in realtà non avrebbe resistito neanche per dieci minuti e
che la
sua era una speranza vana.
«Ora
che siete tutti divisi in coppie possiamo cominciare la prima prova e
per rendere il tutto ancora più difficile useremo
queste!» disse
All Might alla classe e Nina mostrò loro delle bende scure.
«Privandovi
completamente del potere della vista non potrete far altro che
affidarvi completamente alla fiducia che avete nel vostro
compagno»
disse lei, cominciando a bendarsi per fare una dimostrazione pratica
al volo. «Non c'è sbirciatina che
tenga!» disse e in quell'istante
si lasciò cadere all'indietro, con rapidità,
decisione e
soprattutto sicurezza. Sentì le mani di All Might afferrarla
al volo
e impedirle di cadere a terra, esattamente come aveva previsto a
inizio caduta, ma qualcosa di invisibile le aveva turbato il cuore in
quei centesimi di secondo in cui si era ritrovata a mezz'aria. Per un
istante, i muscoli si erano irrigiditi, aveva sussultato e una
bizzarra paura le aveva solleticato il cuore, mentre nella sua mente
era per un attimo rimbombata la sua stessa voce, vecchia almeno
vent'anni, che con speranza ma dolore chiedeva: «Toshinori...
prometti che ci sarai?»
Lui
aveva promesso. Prometteva sempre, era bravo a farlo. Ma poi...
Si
tolse la benda e sorrise ai ragazzi che li guardavano, decisa a
lasciar perdere ciò che era appena successo, certa che
nessuno se ne
fosse accorto. Era stato un istante troppo breve per essere colto,
era già in caduta, non c'era stata esitazione nel corpo,
solo nel
cuore.
Si
rialzò e consegnò ai ragazzi le loro bende,
mentre comunicava:
«Questo sarà il vostro esercizio. A turni, prima
l'uno poi l'altro,
farete ciò che abbiamo fatto noi. Uno cade all'indietro e
l'altro
l'afferra. Non comunicate in nessun modo, scegliete i vostri tempi,
cadete quando volete e starete a vedere che l'altro è
lì a
prendervi in qualsiasi momento. Se indugerete, significherà
solo che
la vostra fiducia non è ancora stabile. Potete riprovarci
tutte le
volte che volete, fintanto che non vi daremo lo stop».
Un
po' titubanti per la banalità del compito e dubbiosi sulla
sua
utilità i ragazzi obbedirono comunque, chi più
entusiasta perché
comunque sarebbe stato divertente e chi meno, perché la
vedeva come
una perdita di tempo. Ma in pochi minuti tutti i "cadenti"
furono bendati e gli altri si erano posizionati dietro di loro,
pronti e reattivi, anche se un po' agitati all'idea di sbagliare
qualcosa o che la fiducia che credevano instaurata si rivelasse in
realtà falsa. Era un giochino banale, ma scoprirono presto
che
diceva molte cose su di loro. Il fatto di non poter vedere o non
poter comunicare con l'altro metteva una gran paura e faceva nascere
un sacco di domande. Domande simili nascevano in coloro che avrebbero
dovuto salvarli: si sarebbero davvero fidati? E se in realtà
avessero mostrato esitazione? Se in realtà quella fiducia
che
credevano insaldabile era in realtà una menzogna? Se
avessero
sbagliato e avessero distrutto quella che in realtà c'era?
Presto
la tensione cominciò a essere palpabile, tensione che andava
scemando man mano che i ragazzi cadevano e constatavano di essere
presi.
«Nina»
mormorò All Might, pochi minuti dopo, quando ormai tutti i
ragazzi
erano presi dal loro esercizio e nessuno poteva più
sentirli. «Hai
usato il tuo Quirk su di me per farti prendere».
Nina
sobbalzò, rendendosi conto che, no, non era vero che nessuno
lo
aveva notato. Il suo istinto aveva cercato di proteggerla, imparando
da quei ricordi, e senza controllarsi aveva usato i suoi fili per
essere sicura che lui non l'avrebbe tradita... di nuovo.
Poteva
sembrare un esercizio banale, ma diceva molte cose su di loro.
Abbassò
lo sguardo, costernata a incapace di mentire. All Might aveva
ragione, aveva avuto paura, aveva dubitato non tanto della sua
fedeltà ma quanto della sua presenza. Aveva dubitato della
sua
promessa di esserci, ancora una volta, a sorreggerla.
«Mi
dis...» cominciò lei, mossa dai sensi di colpa, ma
lui la
interruppe chiedendole addolorato: «Ti ho fatto male a tal
punto?»
Cosa
poteva dirgli? Non c'era un modo meno duro di confessarglielo.
Sì,
le aveva fatto male a tal punto. Le aveva fatto così male
che lo
squarcio aperto nel petto aveva sanguinato per anni e mai si era
rimarginato del tutto, lasciando una cicatrice sensibile e dolorante.
Sì, le aveva fatto un male terribile. Non esisteva un modo
meno duro
per confessarlo.
Schiuse
le labbra, provando a elaborare velocemente una risposta, ma la voce
di Kirishima irruppe nella palestra e riuscì a salvarla da
quella
dolorosa conversazione.
«Insomma,
ti lasci cadere o no?» gridò al compagno.
«Sono qui da almeno un
quarto d'ora!»
«Se
ti azzardi a lasciarmi cadere ti ammazzo, capelli a punta!»
gridò
Bakugou, irritato.
«Ti
dico che ti prendo! Secondo te, perché dovrei lasciarti
cadere?»
«Ohi!»
li richiamò Nina, avvicinandosi ai due. «Non si
comunica, vi ho
detto!»
«Non
si lascia cadere!» spiegò Kirishima.
«Bakugou,
cadi» gli disse Nina con tono quasi annoiato.
«Ti
ammazzo! Hai capito, Kirishima?» disse e provò a
rimettersi di
spalle all'amico.
Poteva
sembrare un gioco banale, ma diceva molte cose su di loro. Davvero
molte. Nina sorrise, intenerita, prima di mimare con le labbra a
Kirishima, in modo che Bakugou non la sentisse: «Se la sta
facendo
sotto».
Kirishima
sorrise, in parte divertito in parte scoraggiato. Che doveva fare per
assicurargli che non l'avrebbe fatto cadere? Che poteva fidarsi di
lui?
«Forza
non abbiamo tutto il giorno» insistè Nina e con un
colpo di piede
lo colpì dietro le ginocchia, facendogli perdere
l'equilibrio e
cadere all'indietro. Si dimenò, urlò e
cercò di afferrare il
vuoto, ma come promesso Kirishima fu dietro di lui a prenderlo.
«Visto?
Non è stato difficile» disse Nina, scompigliando i
capelli del
biondo con fare affettuoso. Cosa che lo fece incazzare ancora di
più:
non sopportava essere trattato come un bambino.
«Prossimo
esercizio! Non toglietevi le bende» ordinò e
cominciò a camminare
per la palestra, disseminando piccoli ostacoli, fino a creare un vero
e proprio percorso. «Chi ha le bende non ha visto come sono
disposti
gli ostacoli, perciò non potete anticipare niente. Dovrete
camminare
nel buio, nell'ignoto, con la consapevolezza che potrete cadere da un
momento a un altro incontrando qualsiasi cosa io abbia disposto in
giro. L'unico modo che avete per uscire indenni dal percorso e
arrivare alla fine, che si trova lì dov'è All
Might, è farvi
guidare dal vostro compagno. Compagno che potrà comunicare
con voi
solo a parole e al massimo tenervi per mano o posarvela su una
spalla. Partite esattamente da dove siete adesso, quando vi sentirete
pronti».
Un
attimo di raccoglimento e di preparazione, prima che uno alla volta
pronunciassero la frase: «Sono pronto».
«Uraraka,
cammina dritta, lentamente».
«Todoroki-kun!
C'è uno scalino di fronte a te, alza il piede. Un po' di
più.
Perfetto così».
«Mineta,
segui il fantastico suono della mia voce» e il ragazzino
inciampò
sullo spigolo di uno sgabello, cadendo a terra con un urlo
terrorizzato.
«Perché
non mi hai avvertito?» pianse il piccoletto.
«Ti
avevo detto di seguirmi».
«Ma
non posso vederti!» e i due continuarono a bisticciare,
fintanto che
non fu costretta a intervenire Nina con un rimprovero:
«Mineta,
rimettiti in piedi! Aoyama, sii più chiaro la prossima
volta! E ora
basta fare confusione, distraete gli altri».
«Jiro,
vado bene così?» chiese Kaminari.
«Sì»
rispose apatica l'amica.
«Sicura?
Metto il piede qui, allora?»
«Ti
ho detto di sì».
«Vado?»
«Forza!
Cammina!!!» si scocciò l'amica e
cominciò a spingere di forza il
ragazzino lungo il percorso, che preso dal panico cominciò a
urlare
e puntare i piedi per non fare un solo passo di più.
«Accidenti,
è una strage» sospirò Nina, portandosi
una mano alla testa, senza
riuscire però a nascondere un sorriso divertito. Sapeva che
non
sarebbe stato semplice, era certa che solo una coppia tra tutti
avrebbe portato a termine il compito indenne, invece si
stupì di
scoprirne qualcuna di più. Yaoyorozu e Todoroki non avevano
mai
parlato o relazionato molto, eppure proseguivano tranquilli e senza
esitazione. Forse era la meticolosità delle indicazioni di
Yaoyorozu
a rendere il ragazzo così sereno, era come avere davanti il
percorso
perfettamente disegnato al millimetro. Asui procedeva un po'
intimorita, ma non aveva osato dubitare del compagno nemmeno per una
volta. Uraraka era un vero e proprio burattino mosso dalle parole di
Midoriya, con una sicurezza che la portava a procedere perfino a mani
basse e testa alta. A farla sospirare ancora affranta fu di nuovo la
coppia Kirishima-Bakugou. Il biondo non sembrava essere in grado di
calmare i bollenti spiriti, sempre più su di giri per il
fastidio
che quei compiti gli stavano recando. Camminava quasi accovacciato a
terra, tanto che Kirishima era costretto a procedere inginocchiato
per riuscire a tenergli una mano sulla spalla, e procedeva tastando
ciò che aveva davanti con le mani, ignorando le indicazioni
-corrette- del compagno.
«Insomma,
basta con questa pagliacciata!» si stufò infine
Bakugou e saltando
in piedi, frustrato, si tolse la benda dagli occhi. «A che
serve
tutto questo? Camminare a occhi chiusi non mi farà diventare
il
migliore!»
«La
fiducia è importante, un eroe non lavora mai da solo,
perfino All
Might ha avuto degli assistenti. Devi imparare a collaborare con gli
altri, anche se non ti interessa imparare il combattimento
coordinato».
«Stronzate!»
gridò Bakugou, furioso. Quel gioco poteva sicuramente
sembrare
banale, ma rivelava decisamente molte cose di loro stessi. E Bakugou
stava appena rivelando la frustrazione che provava nel rendersi conto
che da solo non poteva fare tutto e la paura di doversi affidare
completamente agli altri con la consapevolezza che forse non tutti
l'avrebbero afferrato. La paura a farsi avvicinare, la paura di avere
nemici nascosti ovunque, e non si rendeva conto che accanto aveva chi
avrebbe potuto aiutarlo. Kirishima era il suo Toshinori.
«Kirishima
è un ottimo compagno e un'ottima guida, perché
non ti fidi di lui?»
«Non
ho bisogno di fidarmi di lui e non ho bisogno di perdere tempo in
questi stupidi giochetti delle elementari! Non ho bisogno di niente!
E tu avevi promesso che mi avresti reso il migliore, a che cazzo mi
serve tutto questo? Perché mi fai perdere tempo?»
"Non
hai bisogno di niente e di nessuno, però hai bisogno di me"
pensò Nina, cogliendo quell'insignificante sfumatura.
Assottigliò
gli occhi, scrutandolo in maniera inquietante, come se avesse voluto
scavargli dentro e scoprire ogni singolo angolo della sua anima. Ma
Bakugou in quel momento era troppo incazzato per rendersene conto.
«E
di cosa hai bisogno, allora?» gli chiese con tono di sfida,
mentre
continuava a studiarlo.
«Di
combattere!» rispose semplicemente Bakugou.
Quella
mania di essere il numero uno, di superare chiunque gli si parasse
davanti, non lo rendeva simpatico a nessuno. Kirishima era l'unico in
grado di accettarlo, ma lui ancora non era stato in grado di capirlo.
Vedeva nemici ad ogni angolo, avversari, nessuno che gli avesse mai
facilitato il compito e lui con quel suo carattere duro affrontava
tutto a pugni stretti. Per la prima volta una sola persona gli aveva
detto apertamente che credeva in lui e non l'avrebbe affrontato, ma
l'avrebbe aiutato a liberarsi la strada. Anche se Kirishima si era
affezionato, anche se Kirishima era un buon amico, anche lui
combatteva quella battaglia e non prendeva sul serio i suoi deliri di
onnipotenza. Nina sì, l'aveva fatto, e forse per quello era
l'unica
di cui avesse davvero bisogno.
«Va
bene, allora» rispose semplicemente lei, lasciando perplesso
perfino
lo stesso Bakugou che certo non si sarebbe aspettato tanta
accondiscenza. Non da lei, almeno, che appena poteva amava dargli una
lezione e prenderlo a parole. Nina odiava chiunque cercasse di
ergersi sopra di lei, chiunque provasse a lasciare la scena da lei
allestita, chiunque provasse a superare il potere del burattinaio o a
ribellarsi. I suoi fili erano sempre tesi, era una maniaca del
controllo e tutto doveva andare come aveva premeditato e deciso.
Toshinori la contraddiceva sempre e per questo non facevano che
litigare.
Per
questo parve assurdo che avesse concesso a Bakugou di dire la sua,
senza rimetterlo al suo posto.
«Todoroki»
chiamò, voltandosi verso il ragazzino. «Togliti la
benda, per
favore» e il ragazzo obbedì.
«Se
non sbaglio tu sei uno dei migliori della classe, sotto il punto di
vista del combattimento. Giusto?» chiese con
un’inquietante
serietà in volto. Todoroki annuì, sicuro di
sè, anche se dubbioso
sul dove volesse andare a parare.
«Combatti
contro di lui» ordinò secca e si fece da parte,
osservando Bakugou
a braccia incrociate.
«Va
bene» rispose semplicemente Todoroki, che certo non si
sarebbe
tirato indietro di fronte a un'altra sfida. Non aveva paura di
combattere e se affrontare quell'ennesima prova gli sarebbe servita a
diventare un grande eroe, migliore di suo padre, andava bene.
«Mi
stai mettendo alla prova? Credi che non sia capace di
batterlo?»
chiese Bakugou con aria di sfida.
«Sorprendimi»
sibilò Nina, facendo venire i brividi a tutti i ragazzini.
Tramava
qualcosa, il burattinaio stava sgranchendo le dita, pronto a dare il
via al suo spettacolo. La situazione era sotto il suo controllo,
tutto filava secondo i suoi piani e Bakugou non riusciva a capire
cosa avesse per la testa. La cosa lo faceva incazzare ancora di
più
ma non si sarebbe tirato indietro: se credeva che si sarebbe
intimorito aveva sbagliato di grosso. Avrebbe combattuto e vinto
contro Todoroki, alla faccia sua.
«Potete
usare i vostri Quirk» disse Nina, facendo sobbalzare perfino
All
Might. Permettere a quei due di lottare utilizzando i loro poteri
voleva dire rischiare di far crollare la palestra. Aveva idea di
quanto potessero essere forti?
«Sei
sicura di quello che fai?» le chiese, avvicinandola e
assicurandosi
che il suo turbamento non trapelasse perfino ai ragazzi. «Non
conosci il potere di quei...»
«Toshinori!»
scattò lei con una tale decisione da farlo per un attimo
tremare. Lo
fulminò, prima di ordinare: «Taci».
Poche
volte l'aveva vista così infervorata, poche volte aveva
assistito al
vero potere di controllo del burattinaio e tutte le volte faceva un
effetto terrificante. Era come trovarsi di fronte a un animale
feroce, un animale da cui sai che non avresti avuto speranze di
uscirne vivo. Ma di una cosa era certo: aveva perfettamente tutto
sotto controllo. Il palcoscenico era allestito, il sipario era appeno
stato aperto... i burattini si stavano muovendo sulla sua scena.
I
due ragazzi si posizionarono l'uno di fronte all'altro, mentre il
resto della classe si faceva da parte per lasciare loro spazio. In
molti si guardavano preoccupati, chiedendosi come ne sarebbero usciti
da quello scontro e per quale motivo Nina stava rischiando tanto. Con
Todoroki non c'era da scherzare, con Bakugou ancor meno.
«Si
va in scena» mormorò Nina un istante prima che
Bakugou partisse
carico contro il suo avversario. Todoroki prese lo slancio e fece
scivolare la punta delle sue dita contro il suolo, scatenando tutto
il suo potere in una lastra di ghiaccio che andò ad
estendersi fino
all'avversario. Bakugou sorrise, pronto ad accoglierlo, e
tirò
indietro il pugno caricando la detonazione delle sue esplosioni.
Avrebbe distrutto il ghiaccio e gli sarebbe arrivato dritto in
faccia, per colpirlo e stenderlo in pochi secondi. Un colpo secco e
rapido e avrebbe vinto. Ma improvvisamente un formicolio tanto
potente da sembrare una scarica elettrica, il corpo vibrò, e
perse
il suo controllo.
«Ma
che...» balbettò confuso e con uno scatto laterale
schivò il getto
di ghiaccio dell'avversario. Corse verso Todoroki, affiancando la
lastra creata, ma non fu lui a decidere di farlo. Sicuro di
ciò che
stava accadendo, si voltò verso Nina: muoveva le dita della
mano
destra proprio come un burattinaio. Esperta e sicura, aveva preso
possesso del suo corpo, ancora una volta, e lo stava usando per
combattere contro Todoroki. Saltò, schivando un altro getto
di
ghiaccio, e con una mano afferrò uno spuntone nel primo muro
creato.
Si tirò su, coordinando gambe e braccia lo scalò,
restando nascosto
dall'altro lato rispetto all'avversario. Arrivato in cima, si
lanciò
e scivolò sulla lastra, prendendo velocità verso
il ragazzo
bicolore.
«Lasciami
andare!» gridò Bakugou, guardando Nina, ma lei lo
ignorò. Todoroki
lo vide arrivare verso di lui a tutta velocità e
creò un altro muro
di ghiaccio davanti a sé, per fermarlo. Nina fece alzare le
braccia
di Bakugou di fronte a sé e lui, per evitare lo schianto,
fece
detonare una delle sue esplosioni distruggendo il muro e passandoci
attraverso. Nessuno aveva detto a Nina che lui avrebbe usato le
esplosioni, ma era sicura che l'avrebbe fatto per questo non aveva
esitato in quell'azione. Con un salto Todoroki riuscì a
evitare il
colpo di Bakugou e gli puntò subito la mano contro, pronto a
congelarlo. La mano di Bakugou si sollevò nello stesso
istante e
afferrò Todoroki per la caviglia. Un movimento secco e
circolare per
lanciare il ragazzo contro il muro e Bakugou rese il tutto
più
intenso usando ancora una volta le sue esplosioni. Nina poteva
controllare i suoi muscoli, ma non il suo sudore e il suo potere.
Quelle erano tutto ciò che poteva usare. Usando nuovamente
del
ghiaccio, Todoroki riuscì a evitare l'impatto, fermandosi in
tempo,
anche se non del tutto e si ritrovò comunque a battere la
schiena.
«Lasciami
andare! Devo essere io a combattere! Non tu!»
continuò Bakugou, ma
ancora rimase inascoltato. Urlò, imprecò, ma Nina
continuava a
usarlo per combattere contro Todoroki. Schivava, tirava pugni,
afferrava e calciava. Come un bravo burattinaio, riusciva perfino a
prevedere -o forse decidere, e Bakugou inconsciamente faceva
ciò che
lei voleva- quando avrebbe usato le sue esplosioni e le sfruttava nei
momenti giusti, mettendo Todoroki in forte difficoltà.
«Todoroki,
fermo» ordinò infine, bloccando anche Bakugou, che
non aveva smesso
un attimo di urlare e sbraitare come un animale. Col fiatone,
Todoroki obbedì e si raddrizzò.
«Kirishima!»
chiamò Nina, attirando l'attenzione del ragazzino che
guardava lo
scontro con un velo di preoccupazione negli occhi. Bakugou era un
vero animale, si meritava di subire quel trattamento, però
continuava a non capire perché volerlo umiliare a tal punto.
«Bendalo».
«Cosa?»
saltò il ragazzino, sorpreso.
«Che
intenzioni hai? Che cosa vuoi dimostrare?» lamentò
ancora Bakugou,
usando tutta la forza che aveva per ribellarsi a quei fili.
Perché
Deku ci era riuscito a lui no? Perché non poteva far a meno
di
essere quel dannato burattino.
«Fa'
come ti dico o te lo faccio fare con la forza»
sibilò, facendo
venire a Kirishima i brividi. Annuì vigorosamente e si
avvicinò al
biondo, che continuava a urlare incazzato come non mai.
«Scusami,
amico» mormorò un istante prima di legargli la
benda sugli occhi,
sotto lo sguardo preoccupato del resto della classe.
«Adesso
togliti» disse a Kirishima, facendolo fuggire via.
«Todoroki»
quasi mormorò, accennando un sorriso soddisfatto. Avrebbe
zittito
per sempre quel moccioso. «Riprendi a combattere».
«Eh?»
saltò Uraraka, guardando Nina sconvolta.
«Che
cazzo dici? Non vedo niente e non posso muovermi, come posso
combattere?» ringhiò Bakugou, ora più
spaventato che incazzato. In
quelle condizioni era completamente in balia di Nina, privo di
qualsiasi potere. Poteva esplodere, ma non avrebbe saputo nè
quando
farlo, nè come. Si sentiva un vero e proprio fantoccio e la
cosa gli
chiudeva lo stomaco. Era terrificante.
Todoroki
esitò, guardando Nina poco convinto. Ma lei
ricambiò lo sguardo
fiduciosa e annuendo gli disse con più serenità:
«Fa' quello che
ho detto».
Sapeva
quello che stava facendo e voleva arrivare da qualche parte, non era
solo pura umiliazione. In qualche modo si sentì tranquillo e
comunque il suo senso del dovere gli impose di obbedire. E corse
incontro all'amico cieco.
«Arrivo!»
gridò e Bakugou sussultò. Da dove arrivava? Cosa
avrebbe fatto?
Cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe colpito e come? Le esplosioni
partirono dalle sue mani, non sapendo che altro fare, e tutta quella
carica irrigidì Nina che poteva perfettamente percepire i
contraccolpi lungo i suoi fili, fino alla punta delle sue dita.
Faceva male. Si corrucciò, ma non mollò la presa
e fece in modo che
Bakugou potesse schivare il colpo e saltare via.
"Adesso"
pensò e ritirò parte dei suoi fili, permettendo a
Bakugou di usare
nuovamente le proprie braccia.
«Che
succede?» si chiese lui, rendendosi conto della
libertà concessa.
Ma il resto del suo corpo era ancora in balia di Nina. Fece la prima
cosa che gli venne in mente: tentò di raggiungere il suo
viso e
togliersi la benda, ma quello era un gesto che il burattinaio non
acconsentiva: riprese il suo braccio e lo ricacciò indietro,
lasciandolo di nuovo libero solo quando era lontano dal viso.
Provò
ancora e ancora, ma ogni volta era la stessa cosa. Nina non gli
avrebbe permesso di togliersela. Cercò allora nel vuoto i
fili che
lo incatenavano e riuscì a trovarli. Erano tesi come corde
di
violino, poteva sentirli, sottili da sembrare quasi inconsistenti.
Eppure c'erano. Provò a tirare, inutilmente. Non si
staccavano. Nel
frattempo Todoroki continuò ad attaccarlo, mettendo per un
attimo da
parte il proprio potere, forse impietosito dalla situazione del suo
compagno o forse per infierire ulteriormente. Tirò un pugno,
Bakugou
lo schivò e potè sentire il vento smosso dal
colpo sfiorargli il
viso. Ancora un altro pugno, due passi indietro e schivò
anche
quello. Todoroki calciò e lui saltò via. Poteva
sentirli quei
colpi, poteva sentirne l'aria che si muoveva, poteva sentire l'odore
del compagno sudato vicino a lui e il rumore dei suoi respiri. Ma
nessuno di quei colpi lo raggiungeva, salvato appena in tempo da una
forza esterna, che non era lui. Faceva una paura folle e lo faceva
incazzare, ma cominciava a capire. Era quello ciò che si
provava
quando ci si lasciava andare alla fiducia che qualcun altro ti
avrebbe aiutato. Se solo avesse avuto meno rancore e terrore dentro,
forse sarebbe persino riuscito ad apprezzarlo. In quel momento, lui,
però, non desiderava altro che poter tornare se stesso. Un
calcio
partì sotto il controllo di Nina e Bakugou poté
sentire il contatto
con l'avversario: l'aveva colpito. Todoroki si inginocchiò,
tenendosi la gamba colpita, dolorante: gli avrebbe lasciato un bel
livido.
«Todoroki,
ci stai andando troppo piano!» lo rimproverò la
donna. «Datti da
fare, moccioso!» e sotto quella sollecitazione Todoroki
tornò a
fare sul serio, deciso a ignorare il fatto che il suo avversario non
fosse davvero chi aveva di fronte ma la donna che lo manipolava.
Avrebbe battuto anche lei, se necessario. Colpì il vuoto e
ancora
un'ondata di ghiaccio e ancora un'altra, fintanto che l'intera
palestra non ne fu quasi sommersa. Ma Bakugou non venne colpito
nemmeno una sola volta. Corse e scivolò sul ghiaccio, senza
farsi
nemmeno fermare dalle esplosioni che lui tentava di detonare per
contrapporsi alla forza che lei usava per sfruttarlo. Tutto inutile,
quei dannati fili erano troppo forti. Todoroki si preparò a
colpirlo
ancora, ma non seppe come invece di sbucare da davanti a lui, Bakugou
comparve al suo fianco.
«Bakugou,
adesso! Alla tua sinistra! Esplodi!» gridò Nina
con tutto il fiato
che aveva. Una frazione di secondo, in cui Todoroki si rese conto che
aveva perso. L'aveva in qualche modo preso di sorpresa, sfruttando la
sua stessa arma per nascondersi e depistarlo. Era stato colpito solo
una volta, mentre lui aveva sferrato attacchi su attacchi, ma adesso
il perdente sarebbe stato lui. Non avrebbe resistito a un'esplosione
a tale vicinanza. Digrignando i denti provò a voltarsi, per
riuscire
a prenderlo con un'altra folata di ghiaccio, ma sapeva già
che
sarebbe arrivato troppo tardi. Bakugou aveva vinto.
Il
biondo urlò, colmo di rancore. Aveva le mani libere, eppure
non
poteva fare niente per liberarsi. Oltretutto lei gli aveva appena
ordinato di usare le sue esplosioni nella direzione che aveva
decretato. Odiava essere il suo burattino, lo era già per il
resto
del suo corpo, non le avrebbe permesso di avere potere anche
sull'unica cosa che aveva per sè. Esplose, ma verso il basso
e non
nella direzione indicata, solo per il gusto di sfogarsi e dar contro
agli ordini della persona che al momento detestava più di
chiunque
altro. L'onda di ghiaccio di Todoroki però lo raggiunse e lo
travolse in pieno.
Cadde
a terra, semi congelato, e solo allora Nina lo lasciò
libero.
Todoroki cadde seduto, prendendo fiato e forse per cercare di
riprendersi dallo spavento. Muovendosi a malapena, a scatti, Bakugou
si afferrò la benda da davanti agli occhi e se la tolse.
Digrignò i
denti, mormorando un «Cazzo».
«Scusami»
disse Todoroki, avvicinandosi e posandogli la mano sinistra,
più
calda, addosso. «Pensavo che mi avresti colpito, credevo di
aver
perso e ho usato tutto il mio potere senza pensarci. Non credevo di
prenderti» confessò, mentre lo scongelava.
«Bakugou!»
lo chiamò Nina, avvicinandosi a lui. Il viso corrucciato e
severo,
le braccia nuovamente incrociate. «Mi hai chiesto di renderti
il
numero uno. Ed era quello che stavo facendo. Stavi avendo la meglio,
Todoroki era in difficoltà e avresti addirittura vinto.
Avresti
vinto, saresti arrivato primo se solo avessi fatto ciò che
ti ho
detto. Invece hai deciso di disobbedirmi e questo ti ha fatto
perdere».
«Avrei
vinto se tu non mi avessi usato» mormorò lui,
ancora troppo
congelato per riuscire a fare di più.
«No,
non l'avresti fatto! Ti sei lanciato a capofitto contro la prima
lastra di ghiaccio, senza considerare che era troppo spessa per
essere abbattuta. Avresti perso tempo e anche se fossi riuscito ad
aprirti un varco non avevi considerato l'altezza e la sua pesantezza:
ti sarebbe crollata addosso schiacciandoti!»
gridò, colma di rabbia
e desiderosa di fare al ragazzo uno bella strigliata. «Ti ho
già
detto che non devi correre alla carica e abbattere tutto ciò
che hai
davanti, ti ho già detto che il numero uno è
colui che arriva primo
non quello che si rende più fico e tu non mi hai ascoltata!
Avresti
perso al primo pugno, ma io ti ho comunque voluto portare alla
vittoria. Ti stavo facendo vincere, saresti arrivato primo se solo tu
mi avessi ascoltato! Come cazzo pretendi che riesca a renderti il
migliore se non fai quello che ti dico?! Se solo tu ti fossi fidato e
avessi colpito dove ti avevo detto e come ti avevo detto avresti
vinto sul primo della classe e invece hai fatto di testa tua e adesso
guardati. Su di te mi ci posso pulire le scarpe» disse con
astio,
facendo aumentare a dismisura la furia del ragazzino. Una furia che
non riuscì a calmare in altro modo se non digrignando i
denti,
consapevole che non avrebbe potuto controbattere, che tutto
ciò che
aveva detto era vero.
«Per
te la lezione finisce qui» disse voltandogli le spalle.
«Puoi
andartene» e non era riferito solo alla lezione di quel
pomeriggio.
Se Bakugou non era intenzionato a seguirla, lei non ci avrebbe speso
più neanche un solo minuto. La sua promessa poteva
considerarsi
infranta e abbandonata, Bakugou poteva sparire dalla sua vita.
«Qui
dentro è un macello. Noi continuiamo fuori» disse,
avviandosi verso
l'uscita. I ragazzi si guardarono intimoriti e dispiaciuti per quanto
appena accaduto, ma la lezione era servita anche a loro: Nina non
scherzava e Bakugou se l'era veramente andata a cercare. Con il
carattere che si ritrovava era inevitabile che prima o poi si sarebbe
scontrato con un muro più duro di lui e ne sarebbe uscito a
pezzi.
Todoroki finì di scongelare il biondo, poi corse dietro il
resto dei
compagni, lasciando Bakugou alle spalle. Furioso, incazzato, tanto da
avere gli occhi lucidi e tirare pugni a terra. Quanto avrebbe voluto
farla esplodere, quanto avrebbe voluto far esplodere ogni cosa. E
l'essere lasciato così indietro, l'aver subito l'umiliazione
di
essere stato sconfitto e allontanato, di essersi sentito dire che non
serviva più, che ormai era solo uno scarto... come poteva
tollerare
tutto quello?
Kirishima
guardò l'amico preoccupato e fece un passo verso di lui,
desideroso
di andargli a dare conforto, ma Nina l'anticipò chiamando
imperativa: «Kirishima!»
Il
ragazzino rabbrividì e intimorito da quella donna che, in un
certo
senso era anche più spaventosa di Bakugou quando dava di
matto,
decise di seguire il suo ordine. E uscirono tutti, lasciando il
biondo solo con la sua rabbia e la sua umiliazione.
«Gli
hai dato una bella lezione» commentò All Might,
seguendo il gruppo
di ragazzini insieme a Nina, distante da loro quel tanto da non
essere sentito. Discorsi da adulto, meritavano di restare tra loro.
«Ma abbandonarlo era necessario? Mi pareva d'aver capito che
gli
avevi fatto una promessa. Non credi che ora sarà
peggio?»
«Bakugou
è un ragazzo impulsivo e ribelle, mettermi al suo stesso
livello era
l'unico modo per riuscire a parlargli e farmi ascoltare. È
una di
quelle persone che finché non si spacca la testa continua a
tirar
testate. Sì, era necessario. Ma sta' tranquillo, nonostante
il suo
caratteraccio è sveglio, intelligente e troppo orgoglioso
per
accettare di essere lasciato indietro» e con un sogghigno,
aggiunse:
«Tornerà e quando lo farà non si
azzarderà mai più a mettersi
contro di me».
Il
burattinaio non aveva chiuso il sipario. La commedia era ancora in
atto e i suoi burattini non erano stati riposti nella scatola.
Era
davvero raccapricciante, ma lasciava col fiato sospeso.
Quale
sarebbe stata la conclusione del suo copione?
Put
me to the test
I'll
prove that I'm strong
Won't
let myself believe
That
what we feel is wrong
I
Finally see what
You
knew was inside me
All
along
NDA.
Eccomi
di nuovo! Questo capitolo è un’importante svolta
nella storia, la
scenata di Nina e Bakugou avrà le sue conseguenze
più tardi (come è
possibile immaginare).
Questa
volta la canzone è per Nina da parte di Kacchan. E' lui che
le dice
di metterlo alla prova e le farà vedere che è
forte.
Anche
questa volta le note saranno brevi, questo non è proprio
proprio
periodo felice e riesco a stare poco concentrata. Però ci
tenevo a
darvi una piccola spiegazione della canzone e soprattutto ringraziare
pubblicamente, oltre a tutti i lettori silenti, anche EngelDreamer e
White_Moon! Mi dispiace non essere riuscita a rispondervi
personalmente, vedo se riesco a costringermi a farlo nei prossimi
giorni, ma vi ho lette entrambe e come sempre mi sono usciti cuori da
occhi, orecchie, naso, ovunque xD
Grazie
mille!
Al
prossimo capitolo <3
Ray
Wings
|
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Capitolo 13 *** Bad Reputation, Avril Lavigne ***
"Bad
Reputation”, Avril Lavigne
L'acqua
le scivolò delicata sul collo, come una gelida carezza. La
fece
rabbrividire, ma era in un modo masochista anche piacevole. Lavava
via il sudore, le fatiche, l'odore... il suo odore.
Riaprì
gli occhi e li puntò sul fondo del lavandino, dove il tubo
di
scarico raccoglieva tutto quel dolore, lo ingoiava, lo sperdeva in un
buio mondo dove nessuno avrebbe potuto ritrovarlo. Immerse la mano
sotto il getto dell'acqua, ne raccolse ancora un po' e trattenendo il
fiato se la portò nuovamente al collo indolenzito.
"Hai
usato il tuo Quirk su di me" rimbombò la voce nella sua
testa,
cupa e addolorata. Nessun accusa, se non rivolta a se stesso: "Ti
ho fatto male a tal punto?"
La
sentiva, quella ferita cicatrizzata che per qualche strano motivo
tornava a bruciare. Era stato bello ricordare, era stato bello
lasciarsi sprofondare dalla nostalgia, era stato bello ridere di
nuovo insieme, come i ragazzini che si erano portati sulle spalle
fino a quel momento. Era stato bello, fintanto che a sommergerla
erano stati i bei ricordi.
Ma
quello... quel momento, quello specifico giorno. Quello non doveva
ritornare. Lei aveva perdonato, l'aveva ammesso e assicurato, aveva
perdonato lui e aveva perdonato se stessa. Il mondo doveva avere un
All Might, ne aveva bisogno l'intera umanità,
perché non riusciva
proprio a mettere da parte quell'egoismo? Perché non
riusciva a
essere eroica, come aveva giurato il giorno del diploma, e pensare al
bene comune anche a costo di se stessa? Perché continuava a
pensare
che avrebbe preferito che Toshinori avesse continuato a salvare lei,
dimenticandosi del resto del mondo? Perché era stata
così
maledettamente felice, prima?
Una
lacrima andò a mischiarsi all'acqua inghiottita dal tubo di
scarico
e con la mano umida si affrettò a strofinarsi la guancia
salata,
lavare via anche quell'ultima traccia di dolore.
«Ehm-ehm»
una voce attirò la sua attenzione, alle sue spalle, e lei
fece un
silenzioso sospiro, raccogliendo il coraggio di sorridere. Chiuse
l'acqua, si asciugò il viso con un asciugamano e solo allora
si alzò
e si voltò a vedere chi la stesse cercando. Il preside Nezu
era in
piedi davanti alla porta del bagno, con la mano ancora chiusa a pugno
e sollevata all'altezza del legno.
«Lo
sai, vero, che questo è il bagno delle donne?» gli
chiese lei,
provocatoria.
«Vorrei
parlarti per un attimo» rispose il preside, prima di
indietreggiare
e uscire. La cosa non avrebbe portato a niente di buono, lo sentiva.
Si asciugò il collo inumidito e decise di seguirlo lungo il
corridoio, fino ad arrivare al suo ufficio. All'interno, ad
aspettare, c'erano già anche alcuni professori, tra cui
anche
Eraserhead, il coordinatore della prima A. Chissà
perché sentiva
che la cosa riguardava proprio loro e magari anche quello che era
successo al museo. Non ne sarebbe uscita intera da là dentro
e gli
sguardi preoccupati dei professori le davano ragione.
«Siediti,
Nina» disse Nezu, indicando una sedia vuota proprio di fronte
alla
sua scrivania. Lui fece il giro e andò a sedersi dall'altra
parte,
incrociando poi le dita tra loro e le mani sopra il mobile.
«Avanti,
ho già vissuto situazioni del genere. Non c'è
bisogno di girarci
troppo attorno, qual è il problema?» chiese Nina,
diretta. Non
aveva assolutamente voglia di perdere tempo in formalismi inutili,
tanto era ovvio a tutti che lei era lì per subire qualche
richiamo.
«Se
proprio insisti: abbiamo saputo cosa hai fatto oggi al giovane
Bakugou» disse Aizawa, quello che sicuramente tra tutti si
preoccupava meno di indorare la pillola.
«Girano
in fretta le voci in questa scuola» osservò lei,
incrociando le
braccia al petto. Che parlassero, se avevano il coraggio. Sulla
storia di Bakugou non avevano nessun diritto di intervenire, non dopo
che erano stati loro stessi a pregarla di aiutarli. E poi... non
aveva nessuna intenzione di rinunciare a lui e alla sua formazione.
Se lo stava decisamente prendendo troppo a cuore.
«Uno
degli studenti è venuto a informarci e lamentarsi dei tuoi
modi, a
suo dire, un po' troppo bruschi e pericolosi»
continuò Nezu.
«Pericolosi?»
scoppiò a ridere lei. «Bakugou non è
mai stato più al sicuro di
così».
«Sono
stati definiti quasi di sottomissione nei tuoi confronti. Stai
ergendo una politica basata sul terrore, forte del tuo Quirk che ti
senti libera di usare a tuo piacimento quando e come vuoi. Hai
addirittura usato una studentessa per picchiare All Might»,
proseguì
il preside, ignorando la sua frase.
«Sono
venuti a lamentarsi anche di questo?» chiese lei, spalancando
gli
occhi, incredula. Quei ragazzi che stava imparando ad amare come
figli le si stavano ritorcendo contro, dopo tutto quello che stava
facendo per loro. Come potevano?
«Abusi
del tuo potere, il concetto è questo» disse Aizawa.
«Noi
siamo qui per educare gli studenti ad un uso consapevole e attento
dei propri poteri per il bene della comunità e tu invece
pare che
stia mostrando loro come usarli per scopi personali e azzuffate da
sottoborghi» spiegò Nezu.
«Questo
è ridicolo» sbuffò Nina, alzando gli
occhi al cielo. «Chi è lo
spione, forza. Kirishima? Era parecchio spaventato per il suo amico,
non mi stupirebbe».
«Non
ti diremo chi è stato, la privacy fa parte della nostra
politica
così come l'attenzione nell'educazione all'uso consapevole
del
proprio Quirk», disse Nezu.
«In
altre parole, il ragazzino era terrorizzato che tu avessi potuto
fargliela pagare. Ha chiesto di rimanere nell'anonimato»
tradusse
Aizawa.
«Un
professore stringe un po' più la corda, mandandoli avanti a
bastone
e carota, e loro invece di ringraziare per i preziosi insegnamenti
vengono a piagnucolare. E voi li ascoltate pure!»
lamentò Nina.
«Ascolta,
Nina...» provò a parlare Nezu, ma venne
interrotto. «No! Non
ascolterò una sola parola di più su questa
ridicola storia. Tirate
su gli eroi delle nuove generazioni a caramelle e carezze? È
così
che sperate di salvare il mondo? Crescendo delle mammolette che alla
prima difficoltà invece di farsi le ossa vengono a
piagnucolare da
paparino! Com'è caduta in basso questa scuola, non
è affatto degna
del nome che ricordavo».
«L'inserimento
nel mondo del professionismo avviene gradualmente, tramite una prima
preparazione teorica, allenamenti mirati e soprattutto esercitazioni
controllate e finalizzate a uno scopo. I ragazzi più volte
hanno
affrontato situazioni pericolose, già dal test d'ammissione,
ma la
logica di base era diversa. Contro di loro non c'era nessuna
ritorsione nè abuso di potere per dimostrare chi comandasse.
Il tuo
comportamento di oggi con Bakugou era rivolto proprio a questo: lui
ha osato contraddirti e tu l'hai umiliato e messo in pericolo,
chiedendo oltretutto a un suo compagno di aiutarti, un atteggiamento
che ricorda molto quello dei ragazzi di strada che chiedono a
qualcuno di tener fermo l'amico per poterlo picchiare»
spiegò Nezu,
più deciso e più irritato per l'ottusaggine della
donna.
«Non
è affatto così!» si alzò in
piedi Nina, colta da un fervore
accecante. «Non hanno capito proprio niente di ciò
che io avevo
intenzione di fare con Bakugou! E voi non potete saperlo! Non avete
diritto di parlare!»
«Questo
non è il tuo palcoscenico, burattinaio!» rispose
Aizawa.
«Mi
avete stufato» ringhiò, voltandosi e avvicinandosi
alla porta. Fece
per aprirla, ma Cementoss, al suo fianco, la richiuse con un tonfo.
Nina, irritata per l'affronto, gli lanciò contro i propri
fili con
la sola intenzione di toglierlo di mezzo e permetterle di uscire. Ma
non funzionò.
«Cosa?»
balbettò confusa, prima di voltarsi verso Aizawa. I suoi
capelli
sollevati e gli occhi ben puntati su di lei erano la risposta che
cercava: stava neutralizzando il suo Quirk.
«E
voi mi fate la lezione sugli abusi di potere?» gli chiese
provocatoria, quasi divertita per quell'affronto.
«Per
favore, Nina siediti. Vogliamo solo parlarne e trovare una soluzione,
nessuno vuole metterti i piedi in testa» disse Nezu, cercando
di
usare il tono più calmo che avesse nel repertorio. Era
così
irascibile, così intrattabile, non faticava a credere che
solo uno
come All Might fosse mai riuscito a gestirla.
«Va
bene» indietreggiò lei, fissando Cementoss, e gli
mostrò le mani
per dimostrare che non aveva intenzione di ribellarsi oltre.
«Va
bene», ripeté prima di risedersi.
«Avanti,
troviamo la soluzione» disse, incrociando le braccia al petto.
«Prima
voglio parlarti del secondo problema» disse Nezu.
«Perché
questo non bastava» sghignazzò Nina, chiedendosi
cos'altro
volessero da lei. Dove altro aveva sbagliato? Qualche altro studente
era andato a lamentarsi che fosse troppo amichevole per i loro gusti?
«Riguarda
la faccenda di ieri, al museo».
«Sei
stato tu a dirmi che fuori dalla scuola potevo fare quello che
volevo» si difese subito, Nina. Fino a prova contraria, ne
avevano
parlato insieme e lui era arrivato alla conclusione che non avrebbe
potuto impedirglielo se seguiva certe scappatoie. Era sembrato
perfino d'accordo.
«Questo
è vero, anche se alcuni genitori hanno comunque avuto da
ridire,
siamo riusciti a spiegare loro la faccenda e tutto pare essersi
risolto per il meglio. Di questo non ti devi preoccupare».
«E
allora di cosa mi devo preoccupare, di grazia?»
sbuffò Nina, stufa
di tutti quei rigiri.
«Hai
permesso ai ragazzi di usare i loro Quirk all'esterno dell'edificio
scolastico» disse Aizawa, che come lei preferiva le vie
dirette
piuttosto che ai ricami inutili.
«Non
è vero» rispose lei con decisione e una calma
glaciale.
«Allora
tu non glielo hai permesso ma loro gli hanno usati
ugualmente?»
chiese Nezu.
«Non
hanno usato i loro Quirk» mentì Nina. Sapeva cosa
comportassero
certi sgarri, conosceva bene la legge e il regolamento scolastico.
Era già abbastanza nei guai lei, non avrebbe permesso anche
ai
ragazzini di finirci. Anche perché le dinamiche in cui aveva
permesso loro di usarli erano ben definite come situazione
d'emergenza, secondo il suo punto di vista.
«Bakugou
ha usato le sue esplosioni per aprirsi la strada e portare in salvo
il gruppo di sopravvissuti, che hanno riferito tutto, e Kirishima
l'ha aiutato con il suo indurimento. Infine, sempre i sopravvissuti,
hanno riferito di aver visto un'ombra a forma di uccello uscire dal
corpo di, riporto, "quello con la testa a corvo". Perché
menti?» chiese ancora Aizawa.
«Ma
porca miseria, in questa città non esiste più
nessuno che sappia
cosa significa non fare la spia? Gli abbiamo salvato la vita, un
minimo di riconoscimento!» disse esasperata, alzando le mani
al
cielo.
«Non
l'hanno fatto con l'intenzione di mettervi nei guai, la polizia ha
semplicemente chiesto loro una testimonianza dei fatti e loro hanno
riportato ciò che hanno visto. Purtroppo però la
notizia che degli
studenti fuori dalla scuola abbiano usato i propri poteri in una
situazione non propriamente di emergenza si è sparsa,
è arrivata a
noi, e adesso siamo costretti a prendere provvedimenti. Abbiamo le
mani legate, lo capisci, vero?» chiese Nezu.
«Se
quella non era da considerarsi una situazione propriamente detta di
emergenza, allora quale situazione lo è? Siamo stati
attaccati
frontalmente da un cazzo di rinoceronte e io non potevo muovermi o
quei maledetti bastardi spioni sarebbero morti!»
«Anche
il metodo di salvataggio è un po' discutibile, insomma,
lanciarli
dalla finestra...» provò a parlare Yamada, seduto
sul divanetto lì
di fianco, e in tutta risposta si beccò uno degli sguardi
più
incazzati che Nina potesse rivolgergli. «Taci»
ringhiò come un
animale rabbioso, pronto a saltare al collo di chi aveva di fronte.
Yamada rabbrividì e Nezu gli fece un cenno con la mano:
«Va bene
così, non importa. Torniamo alla faccenda dei
Quirk».
«Ti
ho detto la verità, Nezu, ti ho detto che era una situazione
d'emergenza».
«Ed
è quello che diremo ai media per la faccenda dell'uomo
rinoceronte,
ma rimane in sospeso quella del varco aperto dai ragazzi. Potevano
aspettare soccorsi e invece hanno fatto di testa loro, purtroppo un
atteggiamento del genere non può restare impuni...»
«Ho
dato io l'autorizzazione!» lo interruppe Nina, capendo dove
volesse
arrivare. Anche se da parte sua poteva esserci comprensione ed
empatia per i ragazzi, il suo titolo di preside lo obbligava a
rispettare gli obblighi burocratici. E tali obblighi recitavano
testualmente che avrebbe dovuto punire i ragazzi che avessero
sgarrato le regole. Il palazzo stava crollando, aspettare sarebbe
potuto significare restare seppelliti, era più che giusto
che i
ragazzi avessero fatto il tutto per tutto per salvare loro stessi e
quel gruppo di persone. Era stato un comportamento intelligente e
mosso da quel sentimento di giustizia che li avrebbe portati a
diventare eroi. Punirli per aver fatto la cosa giusta, solo
perché
contro un assurdo regolamento estremista, era inconcepibile. Non lo
avrebbe permesso.
«Ho
dato io l'autorizzazione ad usarli. Ho ancora la mia licenza,
rinnovata periodicamente, quindi anche se non esercito apertamente
sono ancora ufficializzata come eroe. E in quanto tale ho dato
l'autorizzazione a usare i propri Quirk fin dal nostro ingresso nel
museo, dato il rischio che potevano correre, visti i tuoi
avvertimenti Nezu. Sono stata avventata, forse vigliacca a correre ai
ripari prima che potesse accadere qualcosa, e sicuramente non avevo
il diritto e il potere di farlo. Ma se qui c'è qualcuno da
punire,
allora sai verso chi puntare il tuo dito». Lei al massimo se
ne
sarebbe tornata in America con qualche pettegolezzo appresso, Drew
non ne sarebbe stato contento, ma anche se con la reputazione sporca
e forse anche la fedina penale, non avrebbe di certo perso il suo
lavoro. Era in grado di gestire i giornalisti e i pettegolezzi e quei
ragazzi non meritavano nessun tipo di punizione.
Calò
il silenzio, mentre i presenti metabolizzavano la confessione.
«Sai,
ho notato che quando menti tendi a diventare più seria e
distaccata»
sorrise Nezu.
«Vuoi
mettere in dubbio le mie parole?» chiese Nina, pronta a
inventarsi
qualsiasi altra balla pur di tener testa a quello stupido topo.
«No.
Ti ringrazio per aver confessato e scagionato i nostri ragazzi. Ora
direi di parlare delle conseguenze».
"Ti
ringrazio per aver scagionato i nostri ragazzi" riflettè
Nina,
capendo immediatamente cos'era successo. Un sorriso divertito
sbucò
all'angolo delle sue labbra: Nezu aveva giocato al suo stesso gioco,
l'aveva resa un burattino e l'aveva costretta a fare ciò che
desiderava, muovendola con fili invisibili. Forse lo sapeva o forse
semplicemente sperava che Nina fosse tanto di buon cuore da decidere
di accollarsi tutte le colpe al posto di Bakugou e Kirishima,
salvando così la loro carriera scolastica e futura carriera
lavorativa. Sarebbe stato difficile per loro trovare
un’agenzia
interessata al loro servigio, se fossero stati espulsi per aver usato
i loro Quirk senza autorizzazione. Le loro carriere e i loro sogni
avevano vacillato, Nina si era fatta carica di tutto, salvandoli, e
questo era proprio ciò che Nezu aveva voluto fin
dall'inizio. Era un
gran rompiscatole, ma alla fine era un buon preside. Per quella volta
glielo avrebbe permesso, di giocare con lei in quel modo. Solo per il
bene dei ragazzini.
Quegli
stessi ragazzini che le avevano voltato le spalle e messa nei guai,
si ostinava a volerli salvare. Che avesse imparato da Toshinori? O
che non avesse ancora scordato il giuramento fatto il giorno del
diploma?
Poco
importava, in quel momento sentiva solo una grande liberazione, tanto
da essersi dimenticata di tutto il resto. Sarebbe potuta tornarsene
in America anche il giorno stesso, espulsa, ma se ne sarebbe andata a
cuor leggero sapendo di aver fatto la cosa giusta. Ancora una volta,
a discapito di se stessa.
Sembrava
essere nata per quel genere di ruolo: colei che si sacrifica per
permettere agli altri di vivere felici.
Nezu
le porse un foglio e le indicò il punto da firmare:
«Si tratta
semplicemente di un richiamo formale, con la calorosa richiesta di
limitare il tuo comportamento all'insegnamento, senza abusare del tuo
potere. Se ciò dovesse avvenire una seconda volta si
provvederà
alla sospensione dell'attività didattica e non potrai
più
proseguire col tuo corso, che verrà portato a termine da
qualcun
altro dei nostri insegnanti per non privare niente agli studenti.
Seconda cosa, d'ora in avanti ogni tua lezione avverrà sotto
la
supervisione del coordinatore di classe, che avrà il pieno
diritto
di usare il suo Quirk su di te in caso di
necessità».
«Mi
stai mettendo agli arresti domiciliari, in pratica»
lamentò Nina,
sapendo che non poteva far altro, però, che firmare e
accettare le
condizioni.
«Questo
per quanto riguarda l'avvenimento di oggi. Per la faccenda del museo
invece ci penserà la polizia, una volta consegnato il nostro
resoconto ufficiale, a decidere la sanzione adeguata, ma posso
già
anticiparti che, date le attuali legislazioni, sicuramente
prevederà
una multa da pagare e la sospensione temporanea della licenza per un
periodo che può arrivare fino ai dodici mesi, a seconda di
come
verrà giudicato grave. In tua difesa, dirò che il
tutto è stato
mosso dalla necessità e dall'emergenza della situazione,
sperando
che questo possa attenuare un po'».
«La
sospensione... addirittura?» chiese Nina, con un velo di
tristezza
nella voce. Cos'è un burattinaio senza le sue marionette?
«La
tua carriera non dovrebbe risentirne, se non per qualche
pettegolezzo. Dovresti esserne contenta. Sarebbe stato diverso se
fossi stata un'eroina a tempo pieno, invece» cercò
di
tranquillizzarla Nezu, che nonostante la severità che il suo
ruolo
gli imponeva, riusciva comunque a essere empatico e compassionevole.
«Già»
ridacchiò lei, anche se non ne era per niente convinta.
«Meno male»
e invece si sentì cadere in pezzi. Firmò i fogli,
compresi quelli
dove veniva riportata la sua testimonianza, e infine, ormai stremata,
si alzò e se ne andò. Aprì la porta e
si sorprese di trovare
davanti a sè, colti palesemente nell'atto di origliare,
Kirishima,
Uraraka, Asui, Ashido, Kaminari, Hagakure e Sero. Un bel gruppetto di
trasgressori... chissà chi di loro era la spia.
«Spero
che lo spettacolo sia stato di vostro gradimento» disse Nina,
torva
in volto, e gli voltò le spalle, allontanandosi a passi
pesanti. I
ragazzi si scambiarono sguardi rattristati e preoccupati, prima che
potessero veder uscire anche Aizawa e allora, presi dal panico, se la
diedero semplicemente a gambe.
Certo,
non sarebbe bastato a salvarli da una ramanzina su quanto sia
sbagliato e maleducato origliare alla porta, tanto più a
quella dei
professori. Per il momento, però, si limitarono ad andar
via,
dirigendosi verso il cortile per tornare a casa. Il sole ormai stava
tramontando e tutto si tingeva di un malinconico arancione.
«Vogliono
sospenderla» osservò Sero.
«Hanno
detto che questo è solo il primo avviso, al prossimo la
mandano via»
provò a rassicurarlo Ashido.
«E
intanto ci toccherà seguire le sue lezioni insieme al
professor
Aizawa. Accidenti, mi sentivo più libera se c'era solo lei.
Aizawa
mi fa paura!» disse Hagakure.
«Non
è cambiato molto, alla fine. Fin'ora si è sempre
fatta aiutare
dagli altri professori, non siamo mai stati soli con lei»
osservò
Asui.
«Al
bar e al museo sì! Ed è stato
divertente!» disse Ashido.
«Non
ha proprio l'aria da professoressa» alzò le spalle
Kaminari.
«Ma
pensate piuttosto che le sospenderanno la licenza. Lei...»
disse
Uraraka, rabbuiandosi. «Al museo mi aveva confessato quanto
amasse
utilizzare il suo Quirk e quanto le mancasse fare l'eroe. Ora non
potrà più farlo».
«Solo
per qualche mese. In fondo è una cantante, non le
peserà molto...
no?» chiese ancora Ashido, che si ostinava a voler cercare il
lato
positivo della faccenda. «E poi il preside è
sembrato disponibile
ad andarle in contro».
«Non
so, a me sembrava piuttosto arrabbiato» disse Sero.
«Il
professor Aizawa non faceva che attaccarla, credo che non l'abbia
presa in simpatia» disse Kaminari.
«Piuttosto...
sapete chi è che è andato dal preside per la
storia di Bakugou?»
chiese Uraraka. Sero e Kaminari negarono con la testa, alzando le
spalle.
«Io
nemmeno!» si difese Hagakure.
«Non
guardate me» disse Ashido. «E sinceramente non
saprei nemmeno chi
possa fare una cosa simile».
«Nina
fa venire i brividi, è vero» disse Asui.
«Ma non è cattiva. Ha
tormentato un po' Mineta perché la importunava, credo anche
che la
stalkerasse, ma alla fine qualche contentino glielo dava sempre. Ieri
gli ha tirato un pizzicotto affettuoso sulla guancia!»
«E
Bakugou oggi se l'è proprio andata a cercare»
disse Sero, un po'
scoraggiato. «Si è rivolto a lei in quel modo. Ok
che non è una
vera professoressa, ma è pur sempre un adulto e un eroe
professionista. Forse ha esagerato un po' e ha sbagliato a
coinvolgere Todoroki, ma non posso far a meno di pensare che se lo
sia meritato».
«Alla
fine se ci pensate è così esagerata solo con lui.
Mineta fa molto
peggio, ma non lo tratta in questo modo. Credo che sia quel tipo di
persona che ti rende pan per focaccia, ma alla fine non è
una
cattiva persona» disse Kaminari.
«Anche
se ha quel modo di fare, a volte, che ti fa venire i brividi»
disse
Ashido, stringendosi nelle spalle.
«A
me spaventa di più Aizawa! E comunque non dimenticatevi che
stiamo
parlando dell'ex fidanzata di All Might! Non può essere una
persona
cattiva, per forza!» disse Hagakure.
«Ex
fidanzata?» sgranarono gli occhi Sero e Kaminari.
«Ma
come? Non lo sapevate? Dalla foto di Mineta era evidente e poi non li
avete visti oggi come battibeccavano come due innamorati?»
«Sì,
ma non credevo fosse vero! Ve l'ha confermato lei?» chiese
Sero.
«Beh...
quasi» ci rifletté Ashido.
«A
me sembrava proprio una confessione» disse Asui.
«Kirishima!»
chiamò Uraraka, notando come tra tutti lui fosse stato
l'unico ad
essersene rimasto in disparte, silenzioso, con lo sguardo abbassato.
«Sì?»
mormorò lui, come risvegliandosi dal suo incanto.
«Non
hai detto niente fin'ora. Tu cosa ne pensi di questa faccenda? Sai
chi possa aver fatto la spia?» chiese Uraraka, cercando di
integrarlo nel discorso. Kirishima negò con la testa e
tornò a
rabbuiarsi, abbassando lo sguardo.
«Si
è presa tutta la colpa» mormorò infine.
«Ah,
è vero. Tu sei uno di quelli che ha usato il Quirk al museo
senza
permesso!» disse Ashido.
«Potevamo
cercare altre vie di fuga, forse se avessimo spostato la colonna che
bloccava la porta della sala... ma Bakugou non ha retto, ha mandato
tutto al diavolo e ha usato il suo Quirk. Io gli sono andato dietro,
sapendo che stavamo portando delle persone in salvo mi sono sentito
un vero figo e così ci siamo aperti la strada fino a Nina.
Avremmo
potuto aspettare i soccorsi. E lei si è presa tutta la
colpa, anche
se non sa come sono andate veramente le cose».
«L'edificio
stava crollando, potevate restare schiacciati lì
dentro» cercò di
tranquillizzarlo Uraraka.
«Ciò
non toglie che noi siamo andati contro le regole e lei si è
presa
tutta la responsabilità. Così noi non subiremo
nessuna conseguenza
e a lei toglieranno al licenza».
«Solo
per qualche mese» insistè Ashido, trovando la cosa
di enorme
conforto.
«Ah!
Non m'importa per quanto! Sono stato un vero vigliacco! Devo fare
l'uomo e dire la verità! Andrò dal preside
e...»
«E
quando mi accuseranno di aver dichiarato e firmato il falso, come mi
tirerai fuori dai guai, grande uomo?» la voce di Nina lo
sorprese e
si voltò a guardarla con una strana espressione in volto.
«Io...»balbettò
lui, pensando rapidamente a una risposta. «Non è
ancora stato
spedito! Il preside può stracciare quel documento e fartene
firmare
un altro, veritiero! E così...»
«E
così tu e Bakugou finirete sospesi, vi macchierete per
sempre di
questo, ciò vi farà valere meno agli occhi delle
agenzie e il
vostro futuro da eroi è per sempre compromesso»
disse Nina.
«Ma
magari invece no... e comunque devo prendermi le mie
responsabilità!
Non sono un vigliacco!»
«Tu
magari no, ma di Bakugou che mi dici? Metteresti a rischio anche il
suo futuro? Un vero uomo scambierebbe il futuro del proprio migliore
amico per un capriccio orgoglioso?»
«Non
è un capriccio!»
«Kirishima!»
lo rimproverò. «Ho detto no. Se non ti interessa
farlo per te,
fallo almeno per il tuo amico. Un vero uomo non baratterebbe mai gli
altri per se stesso».
«Ma!»
insistè lui, ancora poco convinto.
«Tornate
a casa vostra, ragazzi. Noi ci vediamo domani. Fate attenzione per
strada» disse e si allontanò.
An'
I don't give a damn
'Bout
my reputation
The
world's in trouble
There’s
no communication
An'
everyone can say
What
they want to say
It
never gets better anyway
So
why should I care
'Bout
a bad reputation anyway
Nda.
Hello!
It’s me! I was wondering if after all these years
you’d like to
meet!
Heeellloooooo
sono Ray ed eccomi di nuovo qua, un po’ in ritardo sulla
tabella di
marcia, ma sempre all’interno dei limiti imposti della
pubblicazione del mercoledì :P
Allora, vi avevo già accennato
nei capitoli precedenti che la storia del museo avrebbe avuto le sue
conseguenze, così come il capitolo precedente sul litigio
con
Bakugou. Ed eccole qui! Grossi guai per la pseudo eroina Nina.
Oggi
sto un po’ meglio di umore, perciò ne approfitto
per fare il
discorso che non sono riuscita a farvi nelle nda precedenti.
Il
carattere di Nina ormai è bello formato, in questi capitoli
stanno
uscendo un sacco di sfaccettature. Da qualche tempo mi sono
concentrata sulla creazione di personaggi che siano più
umani
possibile, e come tali che perciò abbiano punti forza,
debolezze,
pregi ma soprattutto difetti. Ed ecco che è uscito fuori il
difetto
più grande di Nina: odia sentirsi mettere i piedi in testa.
Che tu
sia il Re del mondo o la formica sotto il piede, se osi contraddirla
o comunque farle capire che puoi essere superiore a lei, dà
di matto
e inizia e trova il modo di fartela pagare. Questo è stato
il suo
problema da piccola, che la portava a litigare con i coetanei in
continuazione e finire in punizione perché non obbediva alle
regole.
Ed è ancora un grosso problema… Bakugou ha osato
dirgliene quattro
e, anche se lei aveva le sue ragioni e il suo piano, comunque non si
è risparmiata e ha voluto dargli una bella lezione. Anche
durante
questa strigliata da parte del preside e Aizawa non ha fatto che
reagire con ostilità. Però in questo capitolo
è emerso anche un
altro aspetto, il suo animo da eroina che la spinge a fare qualsiasi
cosa per aiutare chi ha a cuore. Continua a ripetere che se ha deciso
di andarsene, quel giorno di vent’anni prima, è
stato per
permettere al mondo di avere un All Might, continua a ripetersi che
l’ha fatto per lui e per tutto il mondo. E qui si
è persino
sacrificata per salvare la reputazione e carriera dei suoi ragazzi,
prendendosi la colpa di un errore che invece non ha commesso. Lei non
ha dato quell’autorizzazione (andatevi a leggere il capitolo
del
museo se non vi ricordate), però dice di averlo fatto
così subirà
solo lei le conseguenze e proteggerà Kirishima e Bakugou (a
cui si è
legata tantissimo nel frattempo, forse perché entrambi teste
calde?).
Come
dice la canzone scelta: non gliene importa niente della sua
reputazione.
Il
prossimo capitolo è tutto guidato dalla voce di Pink nella
sua
incazzatissima canzone “So What”.
Stay
Tuned! <3
|
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Capitolo 14 *** So what, Pink ***
"So
What", Pink
Nina
suonò al campanello. La casetta era deliziosa, aveva un
piccolo
giardino a circondarla e degli scalini che dal vialetto
d’ingresso
portavano alla veranda dove appeso sopra le loro teste c'era un dolce
scacciapensieri. Tende alle finestre e vasi sui balconi, sembrava la
casa delle bambole.
Attese
qualche secondo, chiedendosi cosa l'avesse portata lì. Era
anche
quasi ora di cena, sicuramente li avrebbe disturbati. Ma cosa le
aveva detto la testa? Fece un passo indietro e si allontanò
dal
cancello esterno, quando la voce di Heikichi la raggiunse dal
vialetto: «Machiko! Aspetta, non andartene! Caspita che
impaziente».
«Scusate,
non volevo disturbare. Non avevo notato l'ora».
«Ma
no! Vieni! Il citofono non funziona di nuovo, a quanto pare. Non mi
sentivi che ti rispondevo?»
«No,
a dire il vero» ammise Nina, mentre Heikichi la trascinava
dentro
casa.
«Devo
ricordarmi di aggiustarlo. Satsuki! Tesoro, c'è
Machiko!» gridò,
mentre entrava in casa. Nina si tolse le scarpe all'ingresso e si
preparò a indossare le ciabatte per gli ospiti, quando
sentì un
vero e proprio bisonte correre verso di loro dalla cucina. Una donna
dai capelli neri, a caschetto, uscì dalla stanza in fondo al
corridoio e le corse incontro con tutta la grazia che solo un animale
di almeno settecento chili poteva avere, anche se non ne portava la
stazza.
«Machiko!»
urlò la donna, saltandole al collo con tale euforia da farle
perdere
l'equilibrio e cadere entrambe a terra. Nina sbatté le
palpebre,
confusa, prima di balbettare: «Akane?»
«Sei
a Tokyo solo qualche giorno e non dici niente a nessuno! Sei una
bella egoista!» brontolò la donna.
«Sono
su tutte le riviste di gossip del momento, non pensavo avessi bisogno
di annunciarmi» disse, alzando il mento in modo vezzoso.
«Ma
quanto te la tiri!» le ringhiò contro Akane e Nina
scoppiò a
ridere: «Sto scherzando. Mi dispiace non aver avvertito. Non
pensavo
che... ecco...»
«La
stupida pensava che noi ce l'avessimo con lei e non volessimo
vederla» disse Heikichi per lei, togliendola dall'imbarazzo
di
doverlo ammettere.
«Stai
scherzando, spero! Ti prego dimmi che scherzi! Satsuki, l'hai
sentita?»
«Purtroppo!»
gridò l'altra donna dalla cucina.
«Vieni!»
disse Akane, alzandosi e prendendo Nina per mano la tirò in
cucina.
«Satsuki, che dici, riusciamo ad aggiungere un posto a
tavola?»
«Un
posto in più si trova sempre. Al massimo la mettiamo a
mangiare nel
seggiolone del bambino!»
«Bambino?»
chiese Nina, sorpresa, un istante prima di entrare in cucina. Satsuki
era ai fornelli, da dove arrivava un profumo davvero invitate. Un
profumo di casa, un profumo di buono.
«Machiko,
lui è Kentaro, mio marito» presentò
Akane, indicando un uomo
seduto al grande tavolo al centro della cucina. Aveva sulle ginocchia
un bambino che non aveva, ad occhio e croce, neanche tre anni e fu
lui che Akane indicò successivamente, presentando:
«E invece il
piccoletto è Nobuo, il secondogenito. Se sapevo che venivi
costringevo quello scansafatiche di Seishiro a restare per
conoscerti! Ormai ha diciassette anni, e chi lo tiene fermo?»
«Ciao,
molto piacere!» salutò Kentaro, alzando una mano.
«Ma noi... non
ci siamo già visti da qualche parte?» chiese poi,
aguzzando gli
occhi.
«Dai,
tu credi?» lo canzonò Akane, avvicinandosi per
prendere Nobuo dalle
sue braccia.
«Eh?
La conosciamo allora! Dove ci siamo visti?»
insistè Kentaro.
«Forse
in qualche soggiorno!» disse Satsuki, unendosi alla beffa che
stavano facendo al pover’uomo.
«Soggiorno?»
chiese lui, non capendo.
«O
magari a qualche festival musicale!» disse Akane, mettendo il
piccolo Nobuo a terra e aiutandolo a camminare fino ad arrivare da
Nina. «Dì ciao alla zia Machiko» disse
al piccolo, che ripeté
lentamente e timido: «Ciao».
Nina
l'osservò, che a malapena si teneva sui suoi piedi, aiutato
dalla
madre che lo teneva per mano. Sorrise e infine si chinò, per
raggiungere la sua altezza.
«Ma
ciao bel giovanotto» e in tutta risposta Nobuo
cominciò a dondolare
sulle ginocchia, concentrato nel seguire un ritmo nella sua testa, e
a borbottare alcune parole incomprensibili, completamente inventate,
ma con un ritmo che poteva anche abbinarsi bene a quello delle sue
gambe. Ci volle qualche secondo, prima che Nina scoppiasse a ridere,
divertita: «Oh, ma non ci credo!»
«Che
fa? Canta?» chiese Satsuki.
«Tuo
figlio è più sveglio di te, pelandrone che si
addormenta davanti
alla tv invece che guardarla» rise Akane, accompagnando i
movimenti
del bimbo.
«Perché?
Di che parlate?» continuò a chiedere confuso
l'uomo, lamentoso che
fosse l'unico a non capire che stesse accadendo.
«I'm
here waiting for you, even if the future is different from now»
cantò Nina, accompagnando con la testa il dondolio del bimbo
che
rispose più convinto: «Iii eeeitiioooo ooo
uuu»
«Continuing
to shout»
l'accompagnò
ancora Nina, dando spazio alle sue parole in un inglese completamente
inventato e mangiato dall'infanzia che stava vivendo, fintanto che
convinto non concluse: «Ooooo iiiii tucraaaaa»
«Bravissimo,
Nobuo!!!» applaudì Nina, entusiasta, e Satsuki,
armata di mestolo,
tentò di fare altrettanto.
«Il
corista migliore che abbia mai avuto» gli disse e preso
dall'entusiasmo Nobuo tentò l'arduo tentativo di lasciare le
mani di
sua madre e lanciarsi in avanti, camminando un paio di passetti da
solo, prima di atterrare tra le braccia di Nina.
«Oh,
attenzione» disse lei, aiutandolo a tirarsi in piedi. Nobuo
le si
avvinghiò al collo e lei lo abbracciò, poco prima
di mettergli un
braccio sotto al pannolone e sollevarlo da terra. Che strana
sensazione, non ricordava se avesse mai tenuto un bambino in braccio
prima di allora. Profumava di camomilla, i capelli neri erano
talmente sottili e leggeri che svolazzavano a ogni movimento. Lo
guardò in viso, restando incantata dalle guance tonde e
morbide. Le
labbra, agli angoli, formavano due fossette tenerissime e le mani
erano altrettante cicciotte e infossettate sulle nocche. Lo
trovò
adorabile, incredibilmente somigliante ad Akane e alla faccia tonda
che aveva quando era ragazzina. Un viso come quello veniva sempre
scambiato per una bambina, anche quando invece era stata quasi
maggiorenne. In molte la prendevano in giro per quelle
caratteristiche tanto adorabili e infantili, chissà che
Kentaro non
si fosse innamorato di lei proprio per quel motivo. Nobuo si
sistemò
in braccio alla donna, e la sua attenzione venne subito catturata
dall'enorme ciondolo a forma di sole che Nina teneva al collo. Lo
prese tra le mani e cominciò a rigirarselo tra le dita,
incuriosito.
Era
davvero adorabile, di una bellezza incomprensibile e questo
le
riportò alla mente che c'era stato un periodo della sua vita
a cui
aveva addirittura pensato ai bambini. A una famiglia.
Un
tempo molto lontano, prima che preferisse scegliere
l'immortalità
dei cd per la sua voce. Chissà come sarebbe stato, avere un
figlio.
«Trust
in me. Under different skies we meet the break of day. Will you trust
in me? In our dreams we can meet however many times we want, right?»
continuò a cantare Nina, soffusamente, come una ninna nanna.
E solo
allora Kentaro, finalmente, si illuminò: «Ma
queste non sono le
canzoni di quella tua amica famosa?» chiese alla moglie.
Nina
scoppiò a ridere, prima di alzare la mano libera e dire:
«Ciao,
sono l'amica famosa».
«Eh?»
saltò l'uomo sulla sedia. «Ma dici sul
serio?»
«Eh
già. Puoi chiamarmi Nina, se ti fa sentire più a
tuo agio. Avete
fatto sentire le mie canzoni perfino a Nobuo» disse Nina,
imbarazzata ed emozionata. Allora davvero non l'avevano mai detestata
per ciò che era successo, per la sua fuga. Allora davvero
avevano
continuato a volerle bene.
«Le
adora! Si addormenta solo con quelle».
«Dai,
adesso esageri!» rise Nina.
«No,
no! Dico sul serio. Vero, Kentaro?» e solo allora Akane,
voltandosi
vide il marito impegnato in un'impazzita ricerca dentro la borsa
della moglie. «Che combini?» gli chiese sconvolta.
«L'ho
trovato!» disse l'uomo, estraendo un cellulare.
«Nina posso
chiederti... ecco... non voglio essere avventato, ma
potremmo...» e
indicò il proprio cellulare.
«Akane
non ho capito se tuo marito mi stia chiedendo una foto o qualcosa di
più sconveniente» rise Nina, facendo arrossire
l'uomo.
«Kentaro!
Non fare l'imbecille! Mi metti in imbarazzo!» lo
sgridò la moglie.
«Ma
io non volevo!» lamentò lui, più
imbarazzato che mai. «È una
famosa, insomma!!! A lavoro mi invidieranno tutti!»
«È
una mia amica!»
«Va
bene Akane, non preoccuparti. Mi fa piacere. Facciamoci pure una foto
insieme, Kentaro» disse Nina, ridendo sempre più
divertita dalla
situazione. L'uomo saltellò letteralmente al suo fianco,
mettendosi
vicino a lei con un certo imbarazzo e mettendo l'autoscatto fece la
foto. «Oh, no! È sfocata! Aspetta! Riproviamo, per
favore!»
«Kentaro,
se tremi non verrà mai bene!» lo
punzecchiò Satsuki. «Oh, qui è
quasi pronto. Heikichi! Vieni!» chiamò.
«È
sempre così, avresti dovuto vederlo quando ha incontrato All
Mi...»
cominciò Akane, ma poi si interruppe, portandosi una mano
alle
labbra con un certo terrore negli occhi. Cosa stava per dire! Stava
per nominarlo davvero, di fronte a lei? Ormai All might era diventato
un simbolo, parlarne tra loro non era più un tabù
da anni, da
quando era diventato un estraneo famoso qualunque. Ma di fronte a
Nina avrebbe dovuto fare più attenzione, era certamente
diverso
dalla normalità.
«Quando
ha incontrato... Midnight!» provò a correggersi.
«Noi
non abbiamo mai incontrato Midnight!» la riprese il marito,
storcendo il naso. «E chiudi quella bocca, no? L'hai fatta
'sta
benedetta foto?» si irritò Akane non sapendo dove
altro battere la
testa.
«Va
bene così, Akane!» rise Nina, notando
quell'imbarazzo così spesso
che sarebbe stata in grado di tagliarlo con un coltello.
«Sono
passati tanti anni, non c'è più niente di cui
preoccuparsi. È
tutto chiuso. Anzi... vi dirò: oggi io e Toshinori siamo
riusciti
anche a parlare come ai vecchi tempi».
«Vi
siete incontrati?» chiese Akane con stupore.
«E
che vi siete detti?» chiese Satsuki, dimenticando il
pentolone sul
fuoco.
«Mah,
solite cose...» disse Nina schiva, cercando di sorridere per
la
terza foto che Kentaro tentava invano di scattare. «"Come
stai?", "Come stai tu?", "vorrei prenderti a
calci fino a domani"... o forse quest'ultimo l'ho solo
pensato»
sghignazzò, divertita, ma la cosa non parve far ridere anche
le sue
amiche. Sospirò, mostrando la sua debolezza ma anche la sua
tranquillità: «È tutto a posto, vi
dico. Sul serio, tra noi è
tutto risolto».
«Comunque
noi non abbiamo mai incontrato Midnight» intervenne Kentaro,
controllando la nuova fotografia e incapace di seguire effettivamente
quei discorsi. «O me ne ricorderei! Oh, questa è
venuta bene» e si
avviò verso la borsa della moglie per riporre all'interno il
cellulare.
«Non
ho dubbi, Kentaro. Non ho dubbi» rispose la moglie,
guardandolo
storto.
«Akane,
mi passi i piatti per favore?» chiese Satsuki, tornando al
suo
pentolone.
«Certo
che se sapevamo che Machiko si sarebbe unita potevamo chiamare anche
Yamada e Kamatari! Sarebbe stata bella una rimpatriata tra noi.
Yamada è in pensione anticipata, lo sai, Machiko?»
«Sì,
me l'ha detto Heikichi. Un infortunio, giusto?» chiese Nina,
prendendo posto a tavola e posizionandosi il piccolo Nobuo sulle
ginocchia, ancora impegnato a giocare con la sua collana.
«Heikichi,
vuoi scendere?» gridò Satsuki.
«Già.
Durante una missione gli è caduto un traliccio addosso e ora
non
riesce più a camminare senza stampelle.
Poveraccio» spiegò Akane.
«Kamatari
invece che fine ha fatto?» chiese Nina.
«A
Kyoto! Trasferito per lavoro e per amore»
sghignazzò Akane.
«Avresti
dovuto vederlo, si era completamente rincitrullito! È una
ragazza
che ha conosciuto durante un tirocinio fuori città e da
allora non
se l'è più tolta dalla testa» disse
Satsuki, mettendole il piatto
sotto al naso. «Heikichi! Eddai!»
«Eccomi,
non c'è bisogno che urli» mormorò
l'uomo, comparendo dalla porta
sbadigliando.
«Ti
eri già addormentato in sala!» lo
brontolò Satsuki.
«Ho
solo chiuso gli occhi pochi minuti» mormorò lui,
sedendosi. «Che
profumino delizioso!» parve risvegliarsi. Satsuki si
chinò sul suo
viso e i due si incontrarono in un bacio, prima che lei gli posasse
il piatto di fronte. «È calda, soffia».
«Lo
so come si mangia una zuppa!» brontolò lui, prima
di iniziare a
soffiare sul vapore a pelo della zuppa.
«Insomma,
tutti accasati e felicemente maritati, eh» disse Nina,
lasciandosi
sfuggire un filo di tristezza nella voce. Vederli così
felici, con
le loro dolci metà, i figli, era una sensazione che scaldava
il
cuore. Un'ondata di tenerezza, felicità per la gioia che
riusciva a
scorgere nei loro occhi e una punta di invidia che quel pargolino tra
le braccia trasformava in qualcosa più che una punta. Lo
fece
cavalcare sul proprio ginocchio, guardandolo completamente persa
mentre parlottava tra sè e sè, chissà
cosa si stava dicendo, e
giocava con quel ninnolo tanto affascinante.
«Mh!
Yamada no!» si affrettò a dire Akane, impaurita
che tutta quella
felicità potesse farle del male. «Mai trovato una
donna che
riuscisse a sopportarlo, come biasimarle, poverette».
«Poveretto
lui, non era poi una cattiva persona» rise Nina.
«Col
tempo è peggiorato e la pensione l'ha fatto completamente
uscire di
testa» disse Satsuki, sedendosi finalmente anche a lei.
«Buon
appetito!» dissero in coro, prima di prendere le proprie
posate.
«Machiko, dammi pure Nobuo, lo metto nel seggiolone
così mangi
tranquilla» disse Akane, avvicinandosi all'amica.
«Oh,
no! Non mi da fastidio, sul serio. Lascia che zia Machiko se lo
spupazzi ancora un po'», niente da fare, ormai quel
pargoletto aveva
il suo più completo amore.
«Sei
sicura?» chiese Akane, poco convinta.
«Sicurissima!
Davvero, non ti preoccupare» e tornò a farlo
saltellare e a
giocherellare insieme a lui con la propria collana.
«Yamada
l'ho incontrato la settimana scorsa!» disse Heikichi.
«Era seduto
al parco e si divertiva a fare di nascosto lo sgambetto ai ragazzini
che gli passavano davanti con il suo bastone».
«Accidenti,
è diventato peggio di me!» commentò
Nina, ridendo divertita per
quella scena. «Io almeno con i ragazzini ci litigo
apertamente».
«Te
la prendi con i mocciosi anche tu? La solitudine deve fare proprio
male» commentò Heikichi e in tutta risposta
Satsuki, al suo fianco,
gli tirò un calcio a una gamba talmente potente che il
sobbalzo
dell'uomo fece tremare l'intera tavola. Infine aggiunse
un'occhiataccia a cui l'uomo rispose con il tipico sguardo da "ma
che ho detto?". Perché non riusciva a essere un minimo
sensibile su certe cose?
«C'è
questo ragazzino alla Yuuei» disse Nina, ignorando i due.
«Con cui
credo di aver chiuso del tutto i rapporti proprio oggi. Pensate che
mi ha fatto addirittura richiamare dal preside, neanche quando ero
studentessa ho preso una ramanzina come quella di oggi»
sospirò.
«Momento!
Che ci fai alla Yuuei?» chiese Akane.
«Sta
tenendo un corso supplementare sulla gestione dei propri limiti. Pare
che sia stato proprio Toshinori a farla chiamare per dare qualche
lezione ai ragazzi di prima» spiegò Heikichi.
«Toshinori?»
chiese Akane, sconvolta. «E tu hai accettato?»
Nina
alzò le spalle, prima di ammettere:
«Perché no? Non sembrava male
poter ripercorrere quei corridoi. Sono passati tanti anni, credevo
sarebbe stato facile».
«Credevi»
sottolineò Akane, prima di portarsi il cucchiaio alle labbra.
«E
a questo ragazzino che gli hai combinato? L'hai fatto scaccolare
davanti a un professore?» chiese Heikichi, prima di imitare
con le
dita i gesti che Nina faceva per gestire il proprio potere. I
movimenti del burattinaio.
«L'ho
fatto prendere a pugni da un suo compagno. Anche se in
realtà non si
è fatto un graffio, alla fine. Solo un po' di
congelamento».
«Che?»
sussultarono insieme i tre vecchi amici, aspettandosi il peggio.
Bullismo sui minori, era più grave di quanto avessero
immaginato.
Nina
sospirò, rendendosi conto di essere stata fraintesa e che i
suoi
amici erano partiti prevenuti nei suoi confronti, perciò si
affrettò
a spiegare: «È una testa calda. Cocciuto, testardo
e
incredibilmente irascibile. Vuole essere il numero uno e secondo me
ha tutte le carte in regola per diventarlo, mi piace e ho promesso di
aiutarlo. Ma come ho detto è una testa calda e oggi ha
cominciato a
urlarmi contro che gli stavo facendo perdere tempo e cose del
genere».
«E
tu gli hai dato una lezione, sbaglio?» chiese Akane, con il
volto
rassegnato.
«Sì»
balbettò Nina, rendendosi conto che la spiegazione non aveva
aiutato
la sua causa. «Ma non in quel senso! Insomma, gli ho fatto
capire un
paio di cose».
«Che
ad esempio i giochi li guidi tu» disse Heikichi.
«Che
deve capire chi comanda» disse Satsuki.
«E
non si deve permettere di credersi superiore» aggiunse Akane.
Tutte
cose fastidiosamente corrette, ma sempre con quella pessima sfumatura
che non riusciva a eliminare. Si imbronciò prima di
sbuffare: «Sì,
ma così mi dipingete come un mostro!»
I
suoi amici scoppiarono a ridere, inteneriti dalla sua reazione, e
anche se ciò che aveva fatto a quel ragazzino non era stato
proprio
politicamente corretto, potevano ben immaginare che sotto doveva
esserci stata qualche ragione di fondo. Alla fine Nina non era mai
stata cattiva in modo gratuito, non dopo che Toshinori le aveva dato
una bella raddrizzata. Alle medie era diverso, ma era cambiata da
allora. Non bullizzava più nessuno senza una ragione logica.
Almeno,
era quello che speravano.
«I
ragazzi di prima della Yuuei! Ho sentito parlare di loro!»
intervenne Kentaro, che trovò in quel discorso l'unico
appiglio per
unirsi a loro.
«Sul
serio?» chiese Nina, stupita che dei primini avessero
già raggiunto
la fama.
Kentaro
annuì, prima di spiegare: «Ne hanno parlato alla
televisione! Pare
che abbiano subito un terribile attacco durante un'esercitazione in
un palazzetto esterno. Non ne sono usciti molto bene, ci sono stati
dei feriti anche gravi, ma per fortuna è intervenuto All
Might e ha
risolto tutto. Oh! Lo sai che una volta l'abbiamo incontrato All
Might!» si illuminò Kentaro, ricordandosi di
quell'evento che non
era riuscito a cogliere prima dalle parole della moglia.
«È un vero
gigante, supererà i due metri e cinquanta, secondo
me!»
Nina
lo guardò dapprima sorpresa che alla fine il discorso fosse
caduto
su di lui, poi divertita dal fatto che Kentaro non sospettasse niente
sulla loro storia e ne parlasse con tale disinvoltura. «Sul
serio?»
sorrise divertita. «Deve mettere proprio in
soggezione».
«Ehm...
questa zuppa è veramente deliziosa, Satsuki! Cosa ci hai
messo
dentro?» chiese Akane, allarmata. «Non credi anche
tu Kentaro sia
buonissima?»
Il
marito la guardò perplesso: che aveva da agitarsi tanto?
Perché gli
chiedeva della zuppa in un momento come quello? Annuì
stranito,
prima di tornare a voltarsi verso Nina: «È un vero
gigante, la
televisione non gli rende giustizia, ma il suo sorriso e il modo di
fare è molto rassicurante e alla fine non ti sembra nemmeno
di avere
davanti l'uomo più forte del mondo».
«Ma
pensa. Dev'essere stato bello incontrarlo» disse Nina,
poggiando una
guancia sul pugno chiuso e il gomito alla tavola.
«Machiko»
balbettò Satsuki, chiedendosi cosa stesse facendo.
«È
stato gentilissimo! Mi ha anche firmato l'autografo»
continuò
Kentaro, emozionato dal racconto tanto da avere gli occhi che
brillavano. Nina si voltò verso Satsuki e il sorriso che le
si aprì
in volto fu talmente luminoso, come quello che aveva da ragazzina,
che tutte le preoccupazioni dissiparono. Che avesse davvero superato
la cosa?
«Dì
un po', è affascinante dal vivo come alla
televisione?» insistè
Nina, divertita da quella bizzarra situazione.
«Non
è proprio il mio tipo, ma se fossi una donna penso che lo
considererei sicuramente molto affascinante! Ma scommetto che questo
lo sa anche lui, hai mai visto quanto è sicuro di
sé. Te lo dico
io, quel mattacchione ne cambia una a notte».
«Ma
cosa stai dicendo?» si allarmò Akane, lanciando un
altro sguardo a
Nina, che ora non sorrideva più. Lo sapeva, alla fine
quell'idiota
di suo marito era riuscito a fare il danno.
«Perché
ti agiti tanto? Credi che non possa essere vero? Io fossi in lui lo
farei».
«Primo,
scordati proprio di poterti paragonare a uno come All Might, siete a
due poli opposti» e Kentaro ne uscì distrutto da
quell'affermazione. Sua moglie non lo vedeva bello e affascinante
come All Might? Aveva sperato che almeno lei lo vedesse diversamente.
Come poteva dargli dell'uomo brutto?
«E
secondo, possiamo almeno per stasera smettere di parlare di All
Might?»
«Non
sarai mica innamorata di lui, vero?» saltò
Kentaro, cominciando a
dare una giustificazione a quel comportamento di Akane.
«Ma
che stai dicendo? Sei proprio fuori strada!»
«E
allora non capisco tutta questa agitazione! All Might non è
mica
marito tuo, perché te la prendi tanto se uno come lui se la
spassa
con le donne? Che ti importa, si può sapere? Non mentirmi,
ti piace,
vero?» e terminò con un piagnucolio rassegnato.
«È uno
sfasciafamiglie».
Akane
aprì bocca, pronta a ricoprirlo di ogni sorta di insulto,
ormai
stufa, ma venne interrotta da Nina che scoppiò a ridere
tanto forte
da farsi venire le lacrime agli occhi. Quella situazione era tanto
assurda, quanto divertente. Parlare con qualcuno che lo ammirava,
senza sapere il tipo di rapporto che la legava a lui, era davvero
esilarante. Ciò comunque bastò ad Akane per
calmarsi, cominciando a
capire che forse stesse esagerando veramente nel preoccuparsi tanto.
Non ce n’era bisogno, Machiko non aveva più
bisogno di essere
protetta. Si rilassò e tornò a sedersi,
lasciandosi coinvolgere
dalla risata di Nina.
Il
discorso All Might capitò almeno altre tre volte, quella
sera,
sempre nominato da Kentaro che si rivelò un suo grande fan.
E tutte
le volte Nina lo lasciava parlare, continuando a far finta di non
conoscerlo solo per potersi godere qualche genuina confessione da chi
aveva lasciato lo amasse al posto suo. Solo per poter vedere con
tenerezza ancora una volta il sogno di Toshinori prendere
realtà e
rassicurarla che non tutto era stato vano, che aveva ragione: le cose
sarebbero dovute andare in quel modo fin dall'inizio. Il mondo aveva
davvero bisogno di All Might, più di quanto lei avesse avuto
bisogno
di Toshinori.
So,
so what?
I'm
still a rock star
I
got my rock moves
And
I
don't need you
And
guess what
I'm
having more fun
And
now
that we're done
I'm
gonna show you tonight
I'm
alright, I'm
just fine
Nda.
Scusate
il ritardo questa settimana! Eccomi di nuovo qui.
Capitolo leggero
e tenero in questa scenetta di vita quotidiana, tra mariti, cene e
bambini, che da a Nina una tenera e contemporaneamente dolorosa
sensazione. E’ bello tanto quanto triste sapere che a lei
quel
dolce calore familiare è stato strappato via,
però questo non le
impedisce di godere nuovamente della vicinanza dei suoi amici.
Ancora
traspare quel lato del carattere di Machiko non tanto ok, la sua
mania di controllo e il bisogno di sentirsi superiore agli altri,
raccontato dalle frasi dei suoi amici che la conoscono bene e sanno
già quale motivo si nasconde dietro al gesto che
l’ha portata a
“”lottare”” contro Bakugou.
In questo capitolo ho nascosto
un paio di citazioni all’anime Nana, non so se lo conoscete,
ma io
lo amo e un po’ somiglia a questa situazione: ragazza sceglie
la
via della musica, lontana dall’amore della sua vita, da cui
è
stata costretta a separarsi anni prima. La prima è
sicuramente il
nome del bambino, Nobuo, che è uno dei personaggi di Nana
appunto.
La seconda è invece la canzone che Nina canta col bimbo, che
è A
Little Pain di Olivia Lufkin, canzone che compare nell’anime
(se
non ricordo male è una delle sigle di chiusura). Non mi
sento di
voler aggiungere altro a questo capitolo. Penso che sia altrettanto
inutile spiegare perché scelta la canzone “So
What” di Pink,
visto che vive bene o male le stesse situazioni che ben vengono
spiegate nel ritornello riportato in fondo. E’ un
po’ quello che
vuole cercare di pensare Nina: “Chi se ne frega. Io sono una
Rockstar, non ho certo bisogno di te. Sto bene” (anche se poi
non
ne risulta tanto convinta).
Di
nuovo un grazie enorme a Engel e alla sua comprensione che la porta a
non odiarmi per il fatto che non sempre riesco a rispondere alle sue
recensioni <3
E
ovviamente grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Ciaoooo
Ray
|
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Capitolo 15 *** Welcome to my life, Simple plan ***
"Welcome
to my life”, Simple Plan
«Uraraka!
Ragazzi!» urlò Ashido, entrando in aula trafelata.
Si guardò
attorno, un po' imbarazzata per aver attirato l'attenzione di tutta
la classe, ma proseguì verso l'amica che si trovava vicino
al banco
di Midoriya, intenta a chiacchierare per passare quei pochi minuti
prima della lezione.
«È
arrivata la polizia! Sono andati nell'ufficio del preside»
disse a
un tono di voce controllato, facendo in modo che il resto dei
compagni tornasse ognuno ai propri affari.
«La
polizia dal preside?» chiese Midoriya, strabuzzando gli
occhi.
«Sì,
credo che siano venuti a raccogliere testimonianza. Ho sentito anche
Midnight che chiedeva di chiamare Nina».
«Eh?
Che c'entra Nina?» continuò il ragazzino.
«Non
lo sai? È per la faccenda del museo! Pare vogliono
sanzionarla
perché i ragazzi hanno usato i propri Quirk fuori
dall'edificio
scolastico senza autorizzazione» spiegò Ashido.
«Cosa
c'entra lei, scusa?» insistè Midoriya.
«Niente!»
gridò Kirishima dal banco a fianco, battendo i pugni sul
tavolo.
«Non c'entra niente, è esattamente quello che ho
detto anche io!
Non è giusto che le ritirino la licenza!»
«Le
ritirano la licenza?» chiese Midoriya, sconvolto.
«Forse
solo per qualche mese» disse Uraraka, sperando di essere
positiva.
«Si
è presa tutta la colpa, non è giusto! Che razza
di uomo sono io che
sto permettendo che ciò accada!»
ringhiò torturandosi i capelli
con rabbia, prima di alzarsi dalla sedia con una tale foga da
lanciarla dall'altra parte della stanza. «Bakugou!»
gridò,
voltandosi verso l'amico. «Dobbiamo andare a dire la
verità, questa
è la nostra ultima occasione!»
«Non
ho idea di che cosa tu stia parlando» disse il biondo,
fissando
fuori dalla finestra con aria scocciata.
«Sanzioneranno
Nina perché ha detto che ha dato lei l'autorizzazione a
usare i
nostri Quirk per sfondare il muro e uscire dal museo, quando invece
non è vero. Sei stato tu a dire che non saresti rimasto
lì dentro
ad aspettare di essere schiacciato e hai cominciato a far esplodere
tutto senza aspettare i soccorsi».
«Fino
a prova contraria tu mi sei venuto subito dietro!»
ringhiò Bakugou
irritato per essere l'unico colpevolizzato in quel racconto.
«Lo
so bene, per questo dico che dobbiamo andare tutti e due!»
«Che
si arrangi, sono affaracci suoi se ha deciso di mettersi in mezzo!
Quella stupida!» ruggì, tornando a fissare fuori
dalla finestra,
ora irritato più che mai.
«Tu
sei solo arrabbiato per come ti ha trattato ieri!» gli
urlò contro
Kirishima.
«Stronzate!»
gli rispose a tono.
«Ti
credevo più virile di così!»
continuò Kirishima, battendo un
pugno sul suo banco. «A questo punto non mi stupirei nemmeno
se
fossi stato tu stesso ad andare dal preside a piagnucolare per quello
che ti ha fatto ieri pomeriggio!»
«Di
cosa cazzo stai parlando? Credi che io abbia bisogno di andare a
piangere dal preside? Per chi mi hai preso! Ti ammazzo, deficiente
dai capelli a punta!» e alzandosi di scatto
afferrò Kirishima per
il colletto, cominciando a strattonarlo. Ma il rosso non si
lasciò
intimorire da quel comportamento, troppo furibondo per il fatto che
non avesse intenzione di confessare e assumersi le sue
responsabilità. Era da vili nascondersi dietro la schiena di
Nina,
non riusciva a digerirlo.
«Le
hanno fatto un richiamo ufficiale! Hanno minacciato di mandarla via
perché qualcuno di noi è andato a dire che ti ha
conciato per le
feste senza un vero motivo se non quello di bullizzarti. Se non sei
stato tu, chi altro può essersela presa tanto per quella
faccenda da
andare a lamentarsi dal preside?»
«Sono
stato io» intervenne Iida, facendo un passo avanti. Il viso
torvo,
preoccupato e serio tanto da intimorire.
«Iida-kun?!»
sussultò Uraraka, incredula.
«I
modi di Nina non sono convenienti a una professoressa, avete detto
tutti che vi fa venire i brividi, si prende gioco di Mineta,
mettendolo in ridicolo, ha usato Yaoyorozu per colpire All Might e al
museo ha sbattuto la faccia di Midoriya contro il tavolo» e
il
ragazzino sussultò nel sentirsi preso in causa. Era vero,
Nina se
l'era presa perché lui aveva lasciato intuire che non si
fidava e
l'aveva preso alle mani, ma non era stato così grave. Alla
fine non
gli aveva fatto niente, se non una scompigliata di capelli.
«Vi
ha portati in salvo dal museo lanciandovi dalla finestra in maniera
rozza e pericolosa e ieri ha addirittura costretto Bakugou a
subire...»
«Tu»
ringhiò Bakugou, interrompendolo. Lasciò andare
Kirishima, che non
per questo parve più tranquillo. Le sopracciglia
corrucciate, gli
occhi quasi iniettati di sangue, le vene sul collo che pulsavano...
stava perdendo il controllo, un'altra volta.
Scattò
con una tale rapidità che perfino Iida non lo vide fintanto
che non
si trovò con le sue mani al collo, strattonato e sbattuto in
giro.
«Come
hai osato metterti in mezzo ad affari che non ti riguardano?»
urlò
tanto che per poco non sputò.
«Sono
il capoclasse, ho il dovere di occuparmi di faccende...» ma
ancora
una volta Bakugou lo interruppe, urlando: «Io non ho bisogno
di
nessuno che si occupi di me!»
«È
una faccenda che riguarda tutti, ha coinvolto anche Todoroki,
costringendolo a combatterti, minacciandolo se non l'avesse
fatto!»
gridò Iida, indicando il ragazzo silenzioso in fondo alla
classe.
«Perché
sapeva che era l'unico che sarebbe stato alla mia altezza!»
«Ma
se tu non hai mosso un solo muscolo! Era tutto finalizzato solo a
punirti, non c'era nessun'altra ragione se non...»
«Non
parlare di cose che non sai, idiota spilungone, quella era una
faccenda tra me e lei e tu ti sei messo in mezzo pensando che non
avessi la forza di difendermi da solo» e ormai accecato dalla
furia
lo spinse da un lato, facendolo cadere tra banchi e sedie.
«Per chi
cazzo mi hai preso? Credi che non possa darle una lezione da solo?
Che abbia bisogno della protezione di un’inutile comparsa!
Non
azzardarti mai più a metterti sui miei passi o ti ammazzo,
la
prossima volta!» urlò travolto dalla furia e
probabilmente
l'avrebbe preso a calci, se Kirishima e Sato non fossero intervenuti
per tenerlo fermo e lontano da Iida.
«Toglietemi
le mani di dosso» gridò infine, liberandosi con
uno strattone.
Indietreggiò, convincendo così i suoi compagni a
lasciarlo andare,
e dopo aver lanciato un'altra occhiataccia a Iida si voltò
verso la
porta dell'aula.
«Togliti
di mezzo!» spinse Tokoyami, facendosi strada verso il
corridoio. I
suoi compagni lo guardarono andar via, sconvolti per la lite, ma
soprattutto tanto preoccupati.
«E
adesso dove va?» chiese Ashido, chinando la testa da un lato
con
fare dubbioso. Qualche secondo di riflessione, prima che la risposta
giungesse più o meno contemporaneamente a tutti: c'era un
solo posto
dove poteva andare per chiudere definitivamente quella faccenda.
«Non
vorrà andare dal preside?!» disse Midoriya, dando
a voce ciò che
tutti avevano pensato.
L'ufficio
del preside quella mattina era particolarmente affollato. L'ispettore
Tsukauchi si era portato dietro due dei suoi poliziotti, per sostegno
e ulteriori testimoni, e sedeva di fronte a Nezu. In piedi, di fianco
a quest'ultimo, c'era Aizawa e di fronte a lui, sempre in piedi, di
fianco a Tsukauchi, Nina ascoltava ciò che stavano dicendo
in
religioso silenzio. Sparsi per la stanza altri rappresentati della
scuola, tra cui Midnight, Hound Dog, Snipe, Cementoss e Ectoplasm,
che avevano lavorato insieme a Nina nei giorni precedenti, Present
Mic e quel giorno, evento speciale agli occhi di Nina, perfino All
Might era lì. Tutti per assistere, testimoniare e
presenziare di
fronte alla confessione di Nina di aver infranto una delle leggi
più
importanti che riguardavano gli eroi e perciò di essere
l'unica
responsabile sanzionabile. Tsukauchi parlava direttamente con Nezu,
facendo le domande di rito, mentre uno dei suoi poliziotti riportava
tutto scritto in un verbale ufficiale e il secondo poliziotto invece
si occupava della sorveglianza della porta. Come se Nina avesse
potuto o avesse voluto scappare, come se addrittura lui avesse potuto
nel caso impedirglielo. Ma la formalità chiedeva quel tipo
di
distribuzione, la burocrazia era fastidiosa ma andava seguita alla
lettera.
«Dunque,
Machiko Sakamoto, conosciuta come Nina, già all'ingresso del
museo,
senza sapere cosa sarebbe successo, ha autorizzato l'uso dei Quirk,
giusto?» chiese Tsukauchi, facendo segno al suo sottoposto di
riportare tutto per iscritto.
«Solo
sotto la specificazione del caso ci fosse stato qualche attacco o si
fossero trovati in difficoltà. Nina aveva in mente
esclusivamente la
sicurezza dei nostri ragazzi» rispose Nezu che, come aveva
promesso,
stava cercando di attenuare più che poteva per permetterle
di
uscirne il meno ferita possibile.
«Perciò
i ragazzi Katsuki Bakugou e Eijiro Kirishima hanno semplicemente
seguito le indicazioni a loro fornite da quella che considerano
attualmente un insegnante. Ha la documentazione necessaria a
burocratizzare il suo ruolo all'interno della scuola?»
«Ho
qui dei permessi momentanei che le ho fatto firmare a inizio
incarico, sì. Rientra ufficialmente nello staff come
temporanea
consulente, perciò il suo incarico comprende tutto
ciò che concerne
a un qualunque altro dei miei tutori».
«Ma
non come insegnante».
«Consulente
temporanea, non insegnante. Però il titolo comprende
ugualmente la
sorveglianza, la cura e la gestione degli studenti in ogni aspetto.
Compreso il rilasciare l'autorizzazione all'uso del proprio Quirk in
occasioni particolari».
«Potrei
avere una copia di quei documenti da allegare al verbale che
consegnerò al giudice?» chiese ancora l'ispettore.
«Certo!
Midnight, potresti cortesemente andare a fotocopiarli?»
chiese Nezu,
raccogliendo alcuni dei fogli sparsi sulla scrivania e porgendoli
alla donna per portarli in sala professori, alle fotocopiatrici.
Midnight prese i documenti e si avviò alla porta. Solo
quando l'aprì
per uscire il fracasso dei ragazzi in corridoio raggiunse l'interno
dell'ufficio, attirando l'attenzione dei professori. Urla e parlottii
incomprensibili di almeno un gruppo di dieci ragazzi.
«Ma
che succede?» chiese Present Mic, affacciandosi per primo,
seguito
subito dopo dal resto dei suoi colleghi.
«Cos'è
questo baccano?» lamentò Aizawa, riconoscendo
alcune delle voci dei
suoi studenti. E si trovò, suo malgrado, a darsi ragione
quando li
vide. Bakugou, al centro del mucchio, si dimenava e urlava come un
pazzo, mentre Kirishima, Sero e Kaminari cercavano di trattenerlo.
Davanti a lui Uraraka e Yaoyorozu gli parlavano, facendo cenno con le
mani di stare calmo. Tutti gli altri li seguivano solo per
curiosità,
rivolgendo solo ogni tanto al ragazzo impazzito una frase di
circostanza o una richiesta di calmarsi.
«Così
ci farai finire nei guai. Torna in classe» provò a
dire Sero,
sforzandosi di tirare indietro Bakugou. Era da solo contro tre,
eppure riusciva lo stesso in un modo o un altro ad avanzare
contrastando la loro forza. Era incredibile che avesse tutta quella
potenza in corpo, anche senza il suo Quirk.
«Toglietevi
tutti dai piedi! Smettetela di impicciarvi!» gridò
Bakugou,
dimenandosi e spingendo tanto coi piedi da riuscire a fare ancora un
passo. Afferrò il bordo della finestra con una mano e si
aiutò,
tirandosi, per andare ancora avanti.
«Perché
non ti calmi? Possiamo parlarne tranquillamente, non credi?»
tentò
di dire Yaoyorozu, ancora inutilmente. Bakugou sembrava una bestia
impazzita, ci mancava solo che iniziasse a sbavare e mordere.
«Lasciatemi!
Ficcanaso! Siete tutti dei ficcanaso! Fatevi gli affari vostri!
Lasciatemi andare!»
Nina
uscì dalla stanza poco dopo, insieme agli altri professori,
e
osservò Bakugou con uno sguardo di sufficienza. Non aveva
idea di
cosa stesse combinando, né di cosa avesse intenzione di
fare, ma
preferiva nascondere la propria curiosità dietro a una
maschera di
freddezza e distacco, dato quel che aveva detto e fatto al ragazzino
il giorno prima. Doveva continuare a indossare la maschera della
superiorità, di fronte a lui, anche se non gli avrebbero
più
permesso di allenarlo come desiderava, anche se fosse stata costretta
a lasciarlo perdere davvero. Che il suo insegnamento fosse arrivato a
destinazione o meno, era meglio chiuderla definitivamente quella
porta, almeno per il momento, almeno di fronte agli altri insegnanti.
«Sparite!
Vi ammazzo!» ringhiò lui, ancora.
«Bakugou,
rientra subito in classe» provò a prendere in mano
la situazione
Aizawa. In fondo si trattava della sua classe, era una cosa che
doveva risolvere lui. Si avvicinò, ma non appena fece due
passi si
bloccò, sorpreso di sentire Bakugou urlare il nome di Nina
con tutto
il fiato che aveva. Puntò gli occhi furibondi, ma
incredibilmente
più razionali di quanto si fossero aspettati, verso la
donna,
passando oltre e ignorando il resto dei compagni e degli insegnanti.
La stessa Nina si stupì, tanto da lasciar cedere per un
istante la
sua maschera, nel sentirsi chiamare con un tale fervore.
«Diventerò
il migliore!» gridò, allungandosi nella sua
direzione per cercare
di scivolare via dai compagni, per cercare di raggiungerla.
«Sarò
il numero uno, te lo farò vedere! Ti mostrerò
ciò di cui sono
capace, vincerò io a qualsiasi prova mi sottoporrai, te lo
assicuro!
Combattimi quante volte vuoi, ti prometto che arriverò a
superare
anche te. Sono pronto! Non mi fai paura! Ti batterò, ti
batterò e
arriverò primo, è una promessa!»
gridò con tutto il fiato che
aveva, fino a lasciarsi andare, stremato. Smise di lottare contro i
suoi compagni, chinò la testa in avanti, nascondendo il
volto su cui
ora pareva essere finalmente sbucato un sorriso soddisfatto e
sollevato. Nina si lasciò andare a un'espressione sorpresa
ed
emozionata: per un istante aveva temuto di aver esagerato. Per un
istante aveva temuto che Bakugou non fosse il ragazzo che credeva,
che forse davvero tra loro sarebbe finito tutto con la battaglia del
giorno prima. Niente sembrava andare per il verso giusto, i ragazzi
la temevano, era stata minacciata di essere mandata via, era stata
accusata di aver trasgredito le leggi, si era trovata tutti contro e
anche se giocava a fare la burattinaia solo lei sapeva quanto dentro
stesse morendo in quelle ultime ore. Ancora una volta sola contro il
mondo intero, incompresa e temuta, veniva schivata e accusata. La
burattinaia non aveva posto tra le comuni marionette, ma Bakugou...
vederlo tornare da lei con quell'ardore, con quelle promesse, lui che
prendeva le distanze da chiunque gli si avvicinasse aveva appena
fatto un passo nella sua direzione. Lui, che più di tutti
aveva
motivo di odiarla e allontanarla, era invece andato a cercarla e
l'aveva compresa. La gioia che provava in quel momento era qualcosa
che superava tutto ciò che le stava accadendo, le dava la
forza di
combattere anche contro la giurisdizione, di accettare qualsiasi
provvedimento a testa alta. Per la prima volta, per rendere felice
qualcuno, non le era stato chiesto di andarsene... ma di restare.
All
Might, dietro di lei, guardò il ragazzo con sorpresa.
"Tornerà"
ne era sembrata così certa quando glielo aveva detto e i
fili del
burattinaio ancora una volta avevano svolto il loro lavoro. Ci era
riuscita, ci era riuscita a padroneggiare anche quella scena, la
più
ardua. Era riuscita a prendere il controllo del burattino
più
complesso che conoscesse e a far battere il suo cuore in modo
corretto. Si era dimenticato quanta forza possedesse dentro
sé la
piccola e apparentemente innocente Machiko.
Le
labbra di Nina si tirarono in un infervorato sorriso, l'espressione
sorpresa ed emozionata lasciò spazio a una più
decisa e
soddisfatta. Si avvicinò al ragazzino, fermandosi a pochi
passi da
lui e lo fissò intensamente, anche se in quella posizione
non poteva
cogliere la sua espressione. E infine disse a voce bassa, ma decisa:
«Sorprendimi».
Quella
porta si era appena riaperta, la lezione per lui non era affatto
finita. Lui non era più lasciato indietro, ma gli avrebbe
permesso
di correre, raggiungerla e magari anche superarla. In fondo al cuore,
era ciò che desiderava. I muscoli di Bakugou si tesero e lui
strinse
i pugni, attraversato da un'energia esplosiva, la stessa energia che
provava prima dell'inizio di un combattimento. Alzò
lentamente lo
sguardo e lo puntò in quello di Nina, sostenendolo,
immergendosi in
esso e impadronendosene. Sorrise come poche volte aveva fatto,
corrucciando le sopracciglia, con la stessa espressione eccitata che
aveva tutte le volte che si trovava di fronte a una sfida
insostenibile, ma di cui era certo ne sarebbe uscito vincitore.
«Beh,
ragazzi» disse lei, portandosi le mani ai fianchi.
«Avete fatto un
gran casino, disturbato la lezione delle classe qui accanto,
interrotto un'importante riunione del preside e siete fuori dall'aula
nonostante la campanella sia già suonata... che dite, siete
abbastanza nei guai?»
Presi
dal panico per tutti quei problemi, la maggior parte dei ragazzi
della prima A si diede alla fuga verso l'aula, mentre i più
coraggiosi -o forse i più rassegnati- li seguirono con
più calma.
Bakugou fu uno di quelli, voltando le spalle alla donna per ultimo e
mettendosi alla coda del gruppo. Kirishima fece un paio di passi
insieme agli altri, ma poi si fermò e si voltò,
pronto ad aprir
bocca. Si sorprese di trovare Nina appena dietro di lui, che lo
fissava, come se si fosse aspettata quel comportamento.
«Qualcosa
non va, Kirishima?» chiese Nina, guardandolo in uno strano
modo. Gli
stava chiedendo di andarsene, lo stava pregando di lasciar perdere la
faccenda della confessione, glielo poteva leggere in faccia.
La
guardò a lungo, costernato, sotto lo sguardo duro di Nina
che gli
stava chiaramente supplicando di andarsene e non aggiungere altro.
Avrebbe voluto comportarsi da uomo, odiava sentirsi in quel modo, ma
non c'era niente che potesse fare. Nina non glielo avrebbe permesso,
ne era certo. Strinse i pugni, pronto a voltarsi e andarsene, quando
gli venne in mente che una cosa virile, da uomo, avrebbe potuto
farla. Avrebbe abbattuto l'orgoglio e sarebbe rimasto a testa alta.
Si raddrizzò di fronte alla donna e con sguardo deciso
pronunciò
fiero: «Grazie mille, Nina!» e sotto lo sguardo
attonito dei
presenti si inchinò. Non poteva tirarla fuori dai guai,
prendersi le
sue responsabilità, ma non si sarebbe vergognato ad
ammettere la sua
riconoscenza per quell'eroico gesto che la donna stava facendo per
loro. Un vero uomo avrebbe fatto così. Si rialzò
e più tranquillo
e sicuro di sé corse dietro ai compagni, diretto alla sua
classe.
Nina
si lasciò scappare un altro sorriso, poi cercò di
riacquistare
un'espressione dignitosa e meno trasognata e tornò dentro
l'ufficio
del preside. Sì, adesso sarebbe stata pronta a qualsiasi
cosa.
«Accidenti,
quei ragazzi sono così pieni di passione!»
esclamò Midnight col
viso arrossato e lo sguardo emozionato. Non c'era niente al mondo che
la esaltasse più che vedere il fuoco dentro le persone e
quei
ragazzini ne avevano da vendere. «Vado a fotocopiare i
documenti!»
disse come se fosse stata la più grande avventura della sua
vita e
si allontanò a grandi passi. Nina ridacchiò,
divertita da quel
siparietto, ma prima di rientrare si concesse un ultimo sguardo in
direzione dei ragazzini che adesso scomparivano dietro un angolo,
diretti nella propria aula. Sorrise ancora e infine a testa bassa si
preparò ad affrontare qualsiasi cosa.
No,
you don't know what its like
When
nothing feels alright
You
don't know what its like to be like me
To
be hurt, to feel lost
To
be left out in the dark
To
be kicked when you're down
To
feel
like you've been pushed around
To
be on the edge of breaking
down
And
no one there to save you
No
you don't know what its
like
Welcome
to my life
|
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Capitolo 16 *** Try not to love you, Nickelback ***
"Try
not to love you”, Nickelback
Il
vento sul tetto della scuola spirava più forte che altrove,
forse
complice la sua altezza o forse la vicinanza del mare. In effetti
lassù riusciva a percepire in maniera molto flebile anche il
suo
odore salmastro: dopo le lezioni di quel pomeriggio avrebbe dovuto
farci un salto. Ricordava che c'era una spiaggia bellissima, dove
passeggiava spesso insieme a Toshinori e dove si fermavano per
guardare le stelle la sera. Era molto romantico e anche se lui non lo
ammetteva mai, era quasi più entusiasta di lei nell'andarci
qualche
volta. Chissà se ancora le coppie di innamorati la
decoravano come
ricordava.
Sentì
la porta aprirsi alle sue spalle, ma non si voltò a vedere
chi altro
fosse andato lassù a cercar rifugio. Preferiva continuare a
perdere
lo sguardo oltre i palazzi, cercando il mare sulla linea
dell'orizzonte.
«Ti
piace ancora molto, stare quassù» disse All Might,
raggiungendola e
mettendosi al suo fianco, con le mani sulla ringhiera.
«Si
ha una completa visuale della città, da l'impressione di
essere il
protettore di tutto ciò che si vede».
«O
il burattinaio sul tetto del palcoscenico» disse lui e il
paragone
fece sorridere Nina, che dopo un'attenta riflessione
confermò: «O
il burattinaio che doma sulla scena, sì, esatto».
Sospirando
si voltò di spalle e con uno piccolo slancio
saltò sulla ringhiera,
sedendocisi sopra. «Beh, il burattinaio andrà in
ferie per un po'.
Il giovane Pinocchio potrà sentirsi libero di fare quello
che vuole
nei prossimi mesi» disse, sistemandosi sulla sottile striscia
di
metallo. All Might d'istinto scattò verso di lei, ma si
trattenne
dal prenderla e farla scendere, limitandosi a guardarla con
preoccupazione. «Cosa c'è?» chiese Nina,
provocatoria. «Non avrai
paura che io caschi, vero?»
«Solo...»
balbettò lui, rendendosi conto che non era più
nelle condizioni di
darle ordini o preoccuparsi troppo per lei. Era adulta, ormai, sapeva
badare a se stessa e lui aveva accettato di perderla di vista circa
vent’anni prima. Voler tornare a vegliare su di lei fino a
quel
punto era alquanto ridicolo. «Solo fai attenzione»,
balbettò,
sforzandosi di tornare al suo posto. Non avrebbe smesso di stare teso
per tutta la durata della conversazione, fintanto che non l'avesse
vista scendere da lì.
«Certo
che è alto quassù» disse lei, con tono
palesemente provocatorio,
affacciandosi verso l'esterno per vedere il terreno almeno venti
piani più in basso. All Might non rispose, ma la
guardò sempre più
terrorizzato e sempre più agitato. Lo stava facendo apposta,
era da
lei e la cosa lo mandava su tutte le furie. Perché si
divertiva a
giocare tanto con le persone?
«Toh,
guarda! Yamada!» e sporta all'indietro, lasciò
andare la ringhiera
con una mano per allungarla nel vuoto e salutare l'uomo nel cortile.
Questo ovviamente le causò una perdita dell'equilibrio e con
un urlo
cadde all'indietro, nel vuoto.
«Machiko!»
si allarmò Toshinori, affacciandosi nel punto in cui era
caduta,
pronto a prenderla al volo. Con sorpresa -o forse avrebbe dovuto
aspettarselo- la trovò perfettamente indenne. Si teneva alla
ringhiera con le gambe e si aiutava a non cadere nel vuoto usando uno
dei suoi fili che aveva usato per arpionare il collo di Toshinori
stesso nell'istante in cui si era affacciato.
Sospirò
sollevato e affranto allo stesso tempo, mentre lei se la rideva
divertita, appesa a testa in giù come un salame.
Afferrò il suo
filo invisibile e la tirò su, facendola tornare a sedere
sulla
ringhiera.
«Scemo»
sussurrò lei, una volta tornata col volto alla sua stessa
altezza, e
gli diede un buffetto sul naso. «Grazie però per
essere corso ad
aiutarmi».
«Mi
stavi mettendo alla prova?» chiese lui, storcendo il naso.
«Nah.
Volevo solo fartela fare nei pantaloni, in ricordo dei vecchi
tempi».
«Accidenti,
mi hai fatto spaventare» ammise lui con un sospiro e la
confessione
fece ridacchiare Nina, divertita e forse sotto sotto soddisfatta. La
osservò mentre rideva di lui, eppure tanto divertita, tanto
innocente e ancora una volta ebbe l'impressione di trovarsi di fronte
la ragazza di un tempo. Quel sorriso splendeva più del sole
stesso,
non c'era volta in cui non riuscisse a non riscaldarlo. Poteva
perfino perdonarle bravate come quelle appena commesse, se lei
sorrideva così. Quanto ne aveva sentito la mancanza.
«Comunque,
ero venuto a dirti che ho parlato con Tsukauchi» disse,
facendo un
passo indietro, ma restando al suo fianco, incapace di star
tranquillo nel vederla in bilico su quella ringhiera della morte.
«Ha
detto che forse riuscirà a mascherare certi aspetti e fare
in modo
che tu non ne prenda troppe colpe. Cercherà di sottolineare
la
pericolosità della situazione, lo stato d'emergenza, il
ritardo dei
soccorsi... insomma, forse riuscirà a non farti sospendere
la
licenza».
«Hai
chiesto al tuo amico poliziotto di modificare la realtà dei
fatti
per proteggermi?» chiese Machiko, alzando le sopracciglia. Un
altro
sorriso divertito, mentre Toshinori cominciava a capire dove volesse
andare a parare e cercava di non cedere all’imbarazzo.
«Hai
infranto la legge per me, accidenti che mascalzone! Che ne sarebbe
della tua reputazione se si venisse a sapere» lo
canzonò lei.
«Nessuna
infrazione! È che alcuni dettagli non sono chiari... e
possiamo
sottolineare alcune cose rispetto ad altre... non ho fatto niente di
sbagliato» e in tutta risposta si beccò un
delicato pugno dritto in
testa. Niente di violento, solo un gesto simbolico a volerlo
rimproverare. «Sei un idiota! Che fine ha fatto il tuo senso
di
giustizia?»
«Mi
dispiace» balbettò, imbarazzato e questa volta fu
Machiko a
rivedere su quel viso il vecchio imbranato Toshinori di una volta.
«Mentire
è una cosa che faccio io di solito, tu combatti per la
giustizia.
Non abbassarti al mio livello, non ti fa onore» e lo
colpì ancora,
ripetutamente, con l'intensità che avrebbe potuto avere
nello
sbattere un uovo per la colazione.
«Non
è vero che hai dato tu l'autorizzazione, vero?»
chiese lui dopo
qualche secondo di riflessione, ignorando i colpi che continuavano ad
arrivargli in testa. Machiko si fermò e lo guardò
in viso qualche
secondo, prima di ammettere, tornando a guardare il mondo oltre la
ringhiera, alla sua sinistra: «No, è vero. I
ragazzi hanno fatto di
testa loro. La mia autorizzazione l'hanno avuta solo quando ci siamo
trovati di fronte il rinoceronte» ammise con
tranquillità, sapendo
che non sarebbe stato certo lui a tradirli tutti e metterli nei guai,
dicendo la verità.
«È
per questo che Kirishima ti ha ringraziato in quel modo»
osservò
lui.
«Sì,
credo che sia per quello».
«Credo
ti si stiano affezionando» osservò lui, imitandola
e volgendo lo
sguardo alla città oltre la sua spalla. «Quando te
ne andrai sarà
un duro colpo per tutti».
«Per
tutti?» chiese lei, lanciandogli uno sguardo enigmatico che
lo fece
arrossire. Metteva nel mezzo anche lui? Stava parlando dei ragazzi,
cosa c'entrava lui. Eppure... non riuscì a negarlo.
«No, non per
tutti» sospirò lei, tornando a guardare la
città. «Uno dei
ragazzi è andato a dire al preside quello che ho fatto ieri
a
Bakugou, condendo il tutto con una serie di "è una persona
cattiva" "ci terrorizza" e "ci bullizza"».
«Ha
ragione!» si affrettò a confermare lui, facendo
scattare i nervi a
Machiko che lo fulminò con un: «Scusa?!»
«Ma
è il tuo modo di fare, non ci si può fare
niente» alzò le spalle.
«Non sono riuscito a cambiarti nemmeno io».
«Questo
non è vero» confessò lei.
«Hai fatto molto più di quello che
credi».
E
Toshinori non seppe se prendere la confessione in positivo o in
negativo, visto come le cose si erano chiuse tra loro. Il suo viso
restava imperscrutabile in certi momenti, quando si immergeva nei
pensieri e non riusciva mai a capire se fosse felice o meno. Sapeva
solo che in quei momenti non desiderava altro che abbracciarla ed
eliminare quell'espressione dal suo viso. Preferiva il suo luminoso
sorriso, preferiva il suo sorriso in qualsiasi momento della sua
vita.
«Comunque,
se proprio volevi fare qualcosa per me saresti potuto intervenire
ieri quando Nezu mi ha preso per i capelli per questa storia! Hai
deciso di mettere mano alla faccenda meno importante».
«Non
mi pare che la sospensione della tua licenza sia meno importante che
un richiamo».
«In
questo momento lo è».
«E
io come facevo a saperlo, scusa?» si lamentò lui.
«Tu
sei stato testimone, perché non c'eri ieri sera?»
un leggero astio
nella voce, lo trafisse. Come avrebbe potuto confessarle il suo
segreto in un momento come quello? Con che coraggio le avrebbe
rivelato che non era più quello di una volta, che aveva
perso tutta
la sua forza e che il giorno prima aveva finito il tempo a
disposizione durante la lezione a cui gli aveva chiesto di
partecipare? Come poteva ammettere che non aveva il coraggio di
mostrarsi a lei in quelle orribili condizioni, intimorito all'idea
che avesse potuto disprezzarlo e magari anche ritenerlo ripugnante?
Sembrava tenere così cara l'immagine del vecchio e
affascinante
Toshinori, come poteva deluderla?
La
verità era solo che non avrebbe potuto sopportare di vederla
delusa
da lui, ancora una volta.
«Ho
avuto qualche impegno» mentì, non riuscendo ad
ammettere che in
realtà era rimasto chiuso nella stanza a lui designata, che
riprendeva le forze per poter tornare ad assumere quella forma il
giorno dopo e poter stare un altro po' in sua compagnia, senza
vergognarsi. Perché era quello che portava dentro... solo
tanta
vergogna e paura.
«Tu
hai sempre qualche impegno» mormorò Machiko,
assottigliando gli
occhi rancorosa. Non riuscì a rispondere, soffocato da un
dolore
all'altezza del petto a cui non poteva dare voce. Come poteva darle
torto? Stava tornando a commettere gli stessi errori di una volta...
e pensare che l'aveva fatta venire fin lì solo per poterle
chiedere
perdono. O almeno così credeva. Non aveva ancora ben chiaro
nemmeno
lui perché quel giorno, dopo averla sentita dire
all'intervista che
sarebbe tornata a Tokyo, aveva chiesto al preside di scriverle e
permetterle di venire per quel corso di cui si era assolutamente
inventato il nome. Certo, era stata una buona idea, inizialmente
l'aveva fatto in nome dei suoi ragazzi, poi si era giustificato
dicendo che sarebbe stato utile per il giovane Midoriya imparare
qualcosa sui limiti. Aveva anche pensato che fosse giusto per lei,
che era stata presente alla nascita di All Might, assistere anche
alla sua fine, renderla partecipe di ciò che stava
accadendo. E ora
era arrivato alla conclusione che forse il suo era solo il desiderio
di redenzione che per vent'anni l'aveva attanagliato e che, adesso,
alla fine della sua carriera, non aveva più tempo per
rimandare e
avrebbe dovuto assolvere quanto prima. Un procrastinare che era
arrivato al punto decisivo, ma ancora commetteva gli stessi errori.
«Mi
dispiace» lo sorprese Machiko, con un sospiro.
«Scusami, non avrei
dovuto dirti così. È che tornare alla Yuuei mi ha
fatto tornare in
mente tanti di quei ricordi che a volte fatico a gestirli e mi lascio
travolgere, dimenticandomi di tutta la strada che ho fatto per
arrivare qui. Non ce l'ho con te, dico sul serio. Scusami, avrai
avuto sicuramente da fare qualcosa di meglio che continuare a correre
dietro alla solita ragazzina che si caccia nei guai e non riesce a
risolverseli da sola» ridacchiò, cercando di
sdrammatizzare.
«Machiko»
mormorò lui, non sapendo cos'altro dire. Ancora quel dolore
e ancora
quel folle desiderio di stringerla a sé. Avrebbe voluto
urlarlo, che
non era colpa sua, ma che stava continuando a sbagliare lui. Che non
aveva niente di cui sentirsi colpevole. Avrebbe voluto urlare che non
aveva mai smesso di pensare a lei, neanche per un istante e che tra
tutti gli errori commessi nella sua lunga vita quello era l'unico che
non riuscisse ancora a perdonarsi. Ma con quale coraggio avrebbe
ammesso una cosa simile, dopo averla fatta soffrire così. Il
suo
dolore meritava di essere rispettato, non poteva distruggerlo con una
scusa vecchia ormai vent'anni. Avrebbe avuto tutto il diritto di
odiarlo definitivamente se dopo averla vista soffrire così
tanto per
permettergli di realizzare il suo sogno, le avesse egoisticamente
ammesso che in realtà l'avrebbe voluta avere con
sè.
"Esci
dalla mia vita" gli aveva urlato ed era quello che avrebbe
dovuto fare.
«All
Might» lo richiamò lei, con tono quasi scocciato.
«Pensare troppo
ti fa venire tutte le rughe qua sopra» disse, posandogli la
punta
del dito tra le sopracciglia. «E il tuo sorriso diventa
inquietante,
invece che rassicurante. Smettila, ok? O mi metto a urlare per la
paura».
«S-Scusa»
balbettò imbarazzato, rendendosi conto di come quelle sue
riflessioni e titubanze fossero durate più del previsto.
«Imbranato»
lo canzonò Machiko. «Hai visto, piuttosto, come ho
risolto la
faccenda Bakugou? Te l'avevo detto che tornava»
ridacchiò
orgogliosa, sforzandosi palesemente di cambiare discorso nel
tentativo di trascinarlo via dai suoi pensieri... qualunque essi
fossero.
«Hai
una nuova marionetta tutta per te, adesso» disse lui.
«Smettila!
Così mi fai passare per un mostro!» si
imbronciò e questo riuscì
a farlo ridere di nuovo. «Sei stata brava. Ma vedremo d'ora
in poi
come andranno le cose, il giovane Bakugou è difficile da
domare».
«Lo
so benissimo, ma ehy! Non vi dovete preoccupare!» disse
gonfiando la
voce, cercando di imitare quella di un uomo. E sapeva bene a quale
uomo si riferiva. Gonfiò il petto e proseguì:
«Perché adesso ci
sono qua io! È tutto All Might!» e alzò
le dita in segno di
vittoria. Toshinori scoppiò a ridere per l'imitazione
perfetta che
Machiko gli aveva fatto, aggiungendoci quel pizzico di ironia in
fondo che richiamava l'origine del suo nome, e Machiko non resse
molto prima di scoppiare a ridere a sua volta. Una risata tanto
spensierata, tanto leggera e felice non riuscivano ad averla da
così
tanto tempo che sembrò caricarsi di tutti quegli anni in cui
era
rimasta soffocata nel petto. E li liberò, li
liberò così tanto da
far a entrambi venire le lacrime agli occhi, così tanto che
fu
perfino udibile un paio di piani sotto di loro, attraverso le
finestre. Non gliene importò niente, volevano solo ridere.
Machiko
ispirò profondamente, cercando di riprendere fiato, ma
questo le
costò l'equilibrio e per quella volta sul serio.
L'espressione
terrorizzata sul suo volto ne fu la prova. Cadde all'indietro, ma
ebbe la fortuna che Toshinori fosse lì di fianco a lei e si
fosse
lanciato in avanti per afferrarle il braccio. Si aggrappò al
colletto della sua camicia e tirandosi su di colpo, aiutata dalla
potenza con cui Toshinori, con lo stesso panico, l'aveva tirata,
finì
letteralmente schiacciata al suo petto. Il cuore che pulsava nel
petto di entrambi come impazzito, per la paura della caduta, si
dissero, ma perché allora ora che era salva non si calmava?
I loro
visi talmente vicini da far sfiorare la punta dei loro nasi, talmente
vicini da poter sentire il profumo l'uno dell'altro. Faceva girare la
testa, o erano le vertigini per l'altezza? E quel calore... il calore
della propria pelle e il riflesso dei propri occhi in quelli
dell'altro. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto
quello, eppure non riuscirono a lasciarlo andare.
«Dunque
è questo si prova ad essere salvata dall'eroe più
grande del mondo»
sussurrò Machiko, non riuscendo a staccare il proprio
sguardo dagli
occhi dell'uomo. Il fiato rotto, non la faceva respirare.
«Ti
avevo detto che poteva essere pericoloso. Perché non mi
ascolti
mai?» disse lui, intrappolato nello stesso incantesimo.
Machiko
strinse il colletto dell'uomo tra le dita, quasi volesse impedirgli
di scappare via, e senza rendersene conto si avvicinò
lentamente,
attirata dal quel folle desiderio che adesso le annebbiava la mente.
Le sue labbra erano ancora quelle di una volta?
Socchiuse
gli occhi e si lasciò stringere le spalle dall'enorme
braccio
dell'uomo, che sembrava si stesse ponendo la sua stessa domanda.
Dovevano scoprirlo, dovevano scoprirsi, dimentichi di ogni cosa.
Dimentichi di chi fossero e cosa li avesse portati lì.
Dovevano solo
rispondere a quella semplice e soffocante domanda.
Si
sfiorarono, respirandosi, ma l'incantesimo si ruppe con il rumore
della porta del tetto che si spalancava. Riaprirono gli occhi e si
guardarono, confusi e in preda alla paura: che stava accadendo? Si
voltarono a guardare chi fosse arrivato e videro sulla porta, con la
bocca spalancata e il corpo pietrificato, un ragazzino mai visto
prima. Ma la divisa non lasciava dubbi: era uno studente di quella
scuola.
«Ahh...»
riuscì solo a dire, forse nel vano tentativo di pronunciare
il nome
dell'eroe, ma lo shock gli impediva di prendere un vero possesso
delle corde vocali. Dietro di lui una ragazza li osservò a
lungo,
prima di strabuzzare gli occhi e spalancare la bocca emozionata. Con
la rapidità di una faina afferrò il compagno
davanti a sé e lo
trascinò via, dimenticandosi perfino la porta aperta.
«Cacchio»
mormorò Toshinori, pallido in volto, rendendosi conto di
ciò che
era appena successo.
«Chi
era?» chiese Machiko, perplessa.
«Uno
studente di terza... credo».
«Quanto
credi che ci metterà a farlo sapere a tutta la
scuola?»
«Temo
sia già troppo tardi».
«Accidenti!»
si stupì Nina, ma non si agitò troppo.
«Beh» disse, scivolando
via dalle braccia di Toshinori e scendendo dalla ringhiera. Ora che
aveva ripreso il controllo della situazione e di sé, si
rendeva
conto che più rimaneva vicino a lui più sarebbe
impazzita. Doveva
allontanarsi quanto prima, anche per poter razionalizzare quanto era
appena successo. Aveva urgenza di andarsene, fintanto che riusciva a
mantenere la calma, o il cuore sarebbe esploso e lei non ci avrebbe
fatto una bella figura.
«La
cosa non mi tange, io me ne vado oltreoceano tra poco più di
una
settimana! Sono affaracci tuoi!» ridacchiò,
vedendolo rabbrividire.
Lei avrebbe dovuto sopportare pettegolezzi e punzecchiature da parte
dei ragazzini giusto per quel tempo necessario, lui se li sarebbe
portati nella tomba molto probabilmente.
Nina
fece i primi passi verso la porta che già cominciava a
sentire le
gambe cedere, mentre prendeva pian piano consapevolezza. Aveva
ceduto. Erano bastati pochi secondi, poche chiacchiere, un paio di
risate e di scherzi e la nostalgia l'aveva completamente soffocata,
trascinandola in quel gesto che mai si sarebbe aspettata di compiere.
L'aveva
superato, ne era stata certa fino a pochi istanti prima. Il calore
della sua pelle, la forza delle sue braccia che la stringevano, che
l'avvolgevano come un bozzolo sicuro, il suo profumo e tutti quegli
anni erano stati spazzati via, insieme a tutto il lavoro che aveva
fatto per riuscire a tornare ad essere felice. Si erano quasi
baciati. Non erano riusciti a toccarsi completamente, interrotti nel
peggiore dei momenti, ma anche se c'era stato quell'inconveniente
ormai il passo era stato fatto, le intenzioni chiarificate: non erano
ancora riusciti a dirsi addio.
Doveva
dire qualcosa, non poteva lasciare tutto lì, su quel tetto,
senza
una conclusione. Sarebbe stato terribile. Doveva chiudere il cerchio,
uscirne nel migliore dei modi e poter tornare a vivere il resto della
sua settimana di vacanza in totale serenità, senza
struggersi su
cosa avrebbe fatto o detto d'ora in avanti. Andarsene da quel tetto
senza dire niente, sarebbe stata la soluzione peggiore.
«Comunque»
cominciò, cercando di rimettere insieme i pensieri.
Impossibile,
sfuggivano come cavallette. Cosa doveva dire? «La vecchiaia
ti ha
reso audace, All Might. Avresti almeno potuto prima invitarmi a cena.
Quanta avventatezza» ridacchiò, facendogli un
occhiolino malizioso.
Buttarsi sull'ironia era l'unico modo che conosceva per gestire
situazioni come quelle, per nascondere tutto ciò che aveva
dentro
dietro a un velo di freddezza e sicurezza apparente e fragile, ma
funzionale. La proteggeva, e lei aveva tanto bisogno di essere
protetta.
Ciò
che non aveva previsto però era che All Might, anche se
più saggio
e con tanti anni d'esperienza alle spalle, era sempre Toshinori. Il
grandissimo imbranato Toshinori che non era in grado di controllare
certe situazioni e ne usciva sempre rotolando, arrancando e cadendo
in qualche modo stupido e imbarazzante.
«Hai
impegni per questa sera?» le chiese istintivamente,
balbettando come
un ragazzino. L'imbranato e stupido Toshinori.
Di
male in peggio, la situazione era decisamente tragica. L'aveva
davvero invitata a uscire? Era veramente così idiota da non
capire
il guaio che stava combinando? Sempre più agitata, sempre
più
confusa, Nina cercò nuovamente rifugio nell'ironia:
«Ti farò
sapere dopo aver controllato la mia agenda. Sono una donna molto
impegnata, lo sai» sghignazzò e prima che potesse
dargli tempo di
fare altri danni, rientrò nella scuola e si richiuse
rapidamente la
porta alle spalle.
Fece
un gran sospiro per tranquillizzarsi e si portò una mano al
petto,
come se avesse potuto fermare con la forza quel battito così
violento. Cominciava a capire: tutti quei sentimenti, quelle paure,
quei tremori non erano quelli di chi scappava dal proprio passato,
non erano quelli di chi tentava di nuotarci contro, fuggendo da un
amore concluso tragicamente. Erano quelli di chi, in quel tragico
amore, ci stava di nuovo sguazzando con tutti i vestiti.
Un
tuffo nel passato, sarebbe bastato affrontare tutto col sorriso e
avrebbe potuto dimostrare a se stessa che, sì, ce l'aveva
fatta a
vincerlo. Che era diventata forte, che era cresciuta e che aveva
finalmente vinto contro la vita, decisa ad essere felice con quello
che le era stato concesso.
E
invece quel maledetto passato la stava risucchiando, smentendola,
trascinandola a picco.
Si
portò le mani alla testa, lo sguardo impanicato, i capelli
serrati
tra le dita e l'espressione di chi ha commesso l'errore più
grande
della propria vita, ignorando che dall'altro lato della porta anche
Toshinori stava vivendo esattamente la stessa situazione di panico.
«Ma
che diavolo sto facendo?»
But
if there’s a pill to help me forget,
God
knows I haven't found it yet
But
I'm dying to, God I'm trying to
'Cause
trying not to love you, only goes so far
Trying
not to need you, is tearing me apart
Can't
see the silver lining, from down here on the floor
And
I just keep on trying, but I don't know what for
|
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Capitolo 17 *** Distance, Christina Perri & Jason Mraz ***
"Distance",
Christina Perri & Jason Mraz
«A
domani, allora!» gridò Machiko, finendo di
prendere le sue cose
dall'armadietto. Ripose alcuni documenti in una borsa,
sistemò il
proprio costume da eroina insieme alle scarpe, e infine prese la
giacca. L'inverno ormai era arrivato con una cattiveria che ancora la
ragazza non si spiegava. Le temperature erano scese così
rapidamente
che nessuno si era salvato dal raffreddore. Lei ci era appena uscita
e non aveva nessuna intenzione di ritornarci: pattugliare le strade e
combattere il crimine con il naso gocciolante non era carino, senza
considerare quanto fosse scomodo ogni tanto prendersi qualche istante
per soffiarsi il naso. Era orribile e l'avrebbe combattuto con tutte
le armi che aveva. Sciarpa fin sopra il naso, guanti, cappello,
stivali imbottiti ed era pronta per uscire dall'agenzia, diretta a
casa. Si chiuse l'ultimo bottone con meticolosità e infine
si caricò
la pesante borsa sulla spalla.
«Ciao!»
salutò definitivamente, uscendo dalla porta principale.
«Eccomi
qua!» la voce potente e improvvisa di Toshinori al suo fianco
la
fece saltare come un gatto, colta dalla paura. Si voltò e
fulminò
l'uomo con tutta la rabbia che i suoi occhi erano in grado di
esprimere... ed era un lavoro che sapevano fare molto bene.
Toshinori
rabbrividì e sapeva che il freddo quella volta c'entrava ben
poco.
Si strinse nel suo cappottone blu, infossando il volto nella sciarpa
gialla che teneva ben avvolta sul collo, anche lui in guerra con quel
freddo criminale.
Si
era ingrossato molto negli ultimi tempi, gli allenamenti di Nana e
poi di Gran Torino avevano avuto effetti graduali, ma da quando
Toshinori si era diplomato e aveva cominciato a lavorare seriamente
c'era stata una vera e propria esplosione nel fisico, fino a portarlo
a quell'enorme stazza che superava i due metri e duecento chili di
massa muscolare. Ciò nonostante, bastava quello
scriccioletto -che
adesso risultava ancora più piccola, di fianco a lui- per
farlo
tremare come nessun criminale fosse mai riuscito prima.
«Non
so perché ma sto avendo paura di morire»
mormorò, rannicchiandosi
come poteva.
«Non
comparirmi alle spalle in questo modo!» lo
rimproverò Machiko. «E
soprattutto non c'è bisogno di urlare se sono vicina a te!
Ho
seriamente rischiato l'infarto!»
«Scusa»
balbettò, unendo le mani di fronte al viso. Machiko
continuò a
fissarlo con rabbia, decisa a non rivolgergli la parola. Ma c'era
qualcosa che doveva assolutamente chiedergli, anche a discapito
dell'orgoglio e della rabbia: «Che diamine hai fatto ai
capelli?»
Chiese,
fissando poco convinta quei due ciuffi che gli partivano dalla fronte
e si sollevavano decisi verso il cielo.
«Li
hai notati? Hanno cominciato a ridursi così per conto loro
già da
qualche tempo, bastava una corsetta più veloce delle altre e
paf! Il
vento li tirava su come due canne da pesca! Guardandomi a una vetrina
proprio ieri ho notato come prendessero sempre la stessa forma a "V"
come l'iniziale della parola "vittoria!"».
«E
quindi adesso li lasci così?» chiese Machiko.
«Ti
piacciono?» chiese lui, luminoso ed entusiasta della sua
trovata.
«Per
niente. Sei ridicolo» disse e gli voltò le spalle,
lasciandolo
crogiolare nella sua disperazione. Afferrò la punta dei
propri
ciuffi e timidamente li tirò verso il basso, cercando di
rimetterli
al loro posto, considerando l'idea di lasciar perdere con quella
nuova acconciatura, anche se aveva creduto potesse essere davvero
figa. Guardò Machiko allontanarsi e ripresosi velocemente
dalla
delusione di quell'enorme rifiuto, le corse dietro.
«Macchan?»
le chiese, camminandole a fianco senza essere manco guardato. Non gli
rivolgeva nemmeno lo sguardo, la situazione era più tragica
di
quanto avesse pensato. «Ti vanno i Taiyaki?»
«Strozzatici!»
disse Machiko con cattiveria. Se nemmeno i Taiyaki riuscivano a
calmarla era proprio una situazione disperata: avrebbe dovuto
risolvere il prima possibile. Non sopportava vederla arrabbiata con
lui e non sopportava l'idea che potesse addirittura decidere di
lasciarlo. Stavano insieme ormai da un anno, dopo un'intera infanzia
passata a fianco a lei, Machiko era diventata un pilastro
fondamentale della sua vita. Se se ne fosse andata, sarebbe crollato
a pezzi.
«Aspetta»
balbettò, cercando di piazzarsi di fronte a lei per
impedirle di
andarsene e poter così parlare. Dovevano parlare, doveva
risolvere
quella faccenda ad ogni costo.
Machiko
continuò a fissarlo come un animale rabbioso, intimorendolo,
e cercò
di schivarlo per poter passare a tutti i costi. Ma lui era troppo
grosso e troppo veloce per permetterle di trovare una via di fuga
libera.
«Mettiti
a dieta, ciccione!» ringhiò, irritata dal fatto
che occupasse metà
della via e facesse meno fatica rispetto a lei per muoversi e
bloccarle la strada.
«Ma
perché mi fai questo?» piagnucolò lui,
ancora ferito nell'animo.
Sapevano benissimo tutti e due che quella era solo massa muscolare,
non aveva addosso un filo di grasso, era in forma smagliante, ma
Machiko preferiva mentire pur di ferirlo.
«Perché
sei uno stupido, Toshinori. Ecco perché!»
«È
per la faccenda di ieri, giusto?» provò a
chiedere, immaginando già
la risposta.
«Perspicace!
Complimenti!» ringhiò lei.
«Mi
dispiace! Quante volte vuoi che te lo ripeta?» chiese unendo
nuovamente le mani davanti al viso.
«Nemmeno
una volta! Non mi interessano le tue scuse, devi solo morire
strozzato da quella stupida sciarpa che hai intorno al collo!»
«Dai,
cerca di tranquillizzarti. Augurarmi la morte non ti fa
onore».
«Perché
tu sei il paladino della giustizia e questo allora fa di me la
cattiva? Bene! Prendimi per cattiva, allora» urlò.
«Perché è
ovvio che desiderare di avere al proprio fianco il proprio fidanzato
durante una competitiva gara di canto, con in palio addirittura un
premio, è un comportamento da vera criminale!»
«Avevano
bisogno di me!» provò a giustificarsi lui.
«Avevano
bisogno degli eroi che in quel momento erano in servizio! Non ho
sentito nessuna voce chiamare All Might, solo una ragazza che
chiamava un aiuto generico».
«Stava
venendo violentata!» cominciò ad alterarsi anche
lui, non riuscendo
a capire perché avesse dovuto prendersela tanto. Era una
situazione
d'emergenza, come poteva paragonarla alla sua gara? Lui era simbolo
della pace, doveva far in modo che il mondo lo sapesse, doveva essere
sempre presente o non sarebbe riuscito a dar vita al suo sogno!
«Due
isolati più indietro c'era BlueHead! È arrivato
sul luogo solo
cinque secondi dopo di te, poteva salvarla lui! Perché mi
hai dovuto
piantare in asso e correre tu, che non eri nemmeno in servizio
oltretutto! Avevi promesso di esserci!»
«Oh,
andiamo! Era pieno di gente e tu sul palco ci saresti salita da sola,
sarei rimasto tutta la sera mescolato al resto del pubblico e tu non
avresti nemmeno fatto caso a me! Che differenza faceva se c'ero o
meno?»
Il
silenzio che calò dopo quell'ultima domanda fece sentire la
sua
pesantezza. Lo stupore negli occhi di Machiko incontravano il panico
in quelli di Toshinori.
«Oh
no» mormorò lui, rendendosi conto dell'errore
commesso.
«Già»
disse lei, con la voce rotta dal dolore. «Che differenza fa
se ci
sei o meno».
«Macchan»
balbettò, guardando la ragazza che gli passava a fianco e si
allontanava. Gli occhi lucidi avevano trattenuto le lacrime troppo a
lungo e avevano bisogno di un posto sicuro dove potersi sfogare. Si
abbassò il cappellino sul viso, infossò il volto
nella sciarpa e
finalmente parzialmente nascosta potè lasciarle libere di
scivolare
su quella piccola porzione di guancia lasciata scoperta. Si strinse
in se stessa, serrando le dita sulla bretella della borsa, e
accelerò
il passo. Voleva andarsene quanto prima, liberarsi di quel dolore,
restare sola.
Si
sentì avvolgere dalle braccia di Toshinori all'altezza della
vita e
prima che potesse rendersene conto e reagire l'uomo l'aveva sollevata
da terra, per impedirle di camminare oltre. La strinse a sé
immergendo il viso nei suoi capelli. Machiko cominciò a
scalciare e
provò a usare quella misera forza che aveva per liberarsi da
quella
presa, dimenandosi come un anguilla.
«Lasciami!
Non hai diritto di usare la tua forza su di me! Maledetto maleducato
senza cervello! Mettimi giù, hai sentito? Ti ammazzo, giuro
che lo
faccio! Porrò fine io stessa con le mie mani al simbolo
della pace,
te lo assicuro. Mollami, imbecille!» continuò a
ripetere, sempre
più furiosa, sempre più frustrata, sempre
più inutilmente. Era
come combattere contro un muro, lo odiava quando faceva
così. Ma lui
non poteva lasciarla andare, lo sentiva, lo torturava nel petto...
non poteva perderla. Sarebbe crollato.
«Machiko»
lo sentì mormorare addolorato, immerso nei suoi capelli.
«Ti amo».
Lo
odiava così tanto quando faceva così, quando
riusciva ad essere
così travolgente da abbattere ogni muro gli si parasse
davanti con
la forza di un vero eroe storico. Perfino il muro della sua rabbia,
lasciando entrare dentro lei la gioia di un amore che poteva
stringere in qualsiasi momento, a discapito di ogni ostacolo. Un
sorriso nacque nascosto dalla sua sciarpa, un timido sorriso che non
seppe trattenere, sommerso da lacrime dal sapore così
diverso da
quelle versate fino a quel momento. Era così dolce e amaro
allo
stesso tempo.
«Sei
un idiota» sussurrò, ma non c'era più
rabbia, solo tanta emozione
che, odiava ammetterlo, riusciva sempre a farle provare in un modo o
in un altro. Solo un idiota come lui poteva farsi perdonare con
così
poco, solo un idiota come lui riusciva a farsi amare nonostante
tutto.
«Sono
un completo idiota» ripeté lui, vagamente
divertito, capendo di
essere riuscito nel suo intento ed essere riuscito a riprendersela.
Temeva così tanto di vederla sfuggire dalle mani, la sua
colonna
portante, la sua forza, il suo sorriso. Tutto nasceva da lei. Se se
ne fosse andata... cosa ne sarebbe rimasto?
«Mi
puoi mettere giù, adesso, per favore?» chiese
Machiko. Poche
azioni, poche parole e tutto era tornato come prima. Come riusciva a
farle quell'effetto? Come riusciva ad essere così
fondamentale nella
sua vita?
«Solo
se accetti di venire a cena con me» sorrise lui, sbucando
dalla sua
spalla. Doveva farsi perdonare e sapeva che il modo migliore era
prendere la ragazza per la gola.
«Solo
se mi porti a mangiare della carne!»
«Accidenti,
quanto mi costa questo perdono!» sobbalzò lui,
contando già i
propri soldi nel portafoglio.
«Affari
tuoi! La prossima volta ci pensi due volte prima di farmi
arrabbiare!» disse Machiko, orgogliosa. Finalmente coi piedi
per
terra, potè riprendere padronanza di sé. Si
voltò e, impulsiva
come sempre, con una forza che solo lei aveva, afferrò
Toshinori per
la sciarpa, costringendolo a scendere alla sua altezza. Fece il
possibile per utilizzare la punta dei propri piedi e finalmente
superò tutti quei centimetri di differenza, arrivando al suo
viso.
Una mano dietro la nuca, le braccia del ragazzo sulle sue spalle e
finalmente le loro labbra poterono incontrarsi, scaldandosi a vicenda
contro quel gelido inverno dei loro vent'anni.
«Prometti
che non mi lascerai mai sola» sussurrò lei,
staccandosi il
necessario a poter parlare.
«Lo
prometto».
Ci
aveva creduto davvero. Ci credeva tutte le volte.
«Non
so, Machiko» mormorò Akane, cercando il fondo del
suo gelato col
lungo cucchiaino. Quel rivolo di cioccolato e succo di fragola che
non voleva saperne a risalire, per arrivare alla sua bocca. Al fianco
del tavolino, Nobuo, steso nel passeggino, sonnecchiava già
da
qualche minuto, con ancora la faccia sporca di cioccolato. Non aveva
osato pulirlo, impaurita all'idea che si svegliasse: preferiva
lasciarlo un po' sporco, che tenerlo nervoso per il resto del
pomeriggio perché non era riuscito a riposare un po'.
Machiko,
seduta di fronte a lei, teneva già da un po' lo sguardo
immerso nel
traffico fuori dal café dove si erano rifugiate quel tardo
pomeriggio, oltre la vetrina. Così pensierosa,
così fragile,
nonostante fossero passati più di vent'anni in cui avrebbe
potuto
imparare a rafforzarsi, ispessire quella corazza in grado di
proteggerla da simili attacchi. Ma non c'era muro che All Might
sembrasse non essere in grado di sfondare, persino uno tirato su con
sudore e fatica per tanti anni, a regola d'arte e con gli strumenti
necessari a contrastare lui particolarmente.
«Odio
contraddirti, ma non posso non essere sincera: non credo che tu stia
facendo la cosa giusta» ammise Akane, sentendosi un po' in
colpa per
non riuscire a sostenere la sua amica. Non quella volta.
«Non
mi stai contraddicendo» mormorò lei, senza
spostare lo sguardo da
fuori.
«E
allora perché hai accettato di uscire a cena con
lui?» chiese
Akane, un po' provocatoria. Se anche lei era tanto sveglia da capire
quanto fosse sbagliato tornare a un contatto tanto stretto con
quell'uomo, perché non poteva far a meno di corrergli
incontro.
Anche quello stesso viaggio, quello stesso incarico che aveva
accettato alla Yuuei, tutto portava a pensare che lei non avesse
aspettato altro da vent'anni e che non avesse fatto il
benché minimo
sforzo nel provare a difendersi. Tutto portava a pensare che non
desiderasse altro che lanciarsi nuovamente tra le braccia di
Toshinori.
«Non
ho accettato» si affrettò a specificare Machiko.
In fondo, non si
erano più detti niente dopo quella mattina sul tetto, e
quello certo
non era stato un consenso.
«Sei
andata a comprarti un vestito nuovo» le fece notare Akane con
la
rassegnazione sul volto. Mentiva a se stessa fino a quel punto.
«Insomma,
una donna deve per forza avere un motivo per comprarsi un vestito
nuovo?» ridacchiò Machiko, cercando invano di
sembrare naturale. Ma
la verità era talmente ovvia che non ci sarebbe stata
giustificazione in grado di proteggerla. Arrossì,
imbarazzata, e
stringendosi nelle spalle tornò a fissare le macchine fuori
dal
locale.
«Ti
farà soffrire ancora» disse dura, Akane,
preferendo tornare a
concentrarsi sul suo gelato in fondo al bicchiere.
«Non
ci voglio mica tornare insieme!» provò ancora a
difendersi Machiko.
«Sarà solo una cena... una normalissima cena tra
colleghi».
«Ci
finirai a letto» disse repentina Akane, sicura di quel
finale, e
questo fece sussultare Machiko: «Ma che dici?»
«Machiko!
Lo sai meglio di me, non devo certo essere io a dirtelo! Non sapevi
resistergli, qualsiasi torto ti facesse lo hai sempre perdonato solo
perché faceva un po' il carino con te. Avevi completamente
perso la
testa!»
«No,
non sempre» mormorò Machiko, nell'ombra di
quell'ultimo giorno a
Tokyo, il giorno che aveva preso quell'aereo per l'America.
«E
comunque è stato tanto tempo fa, le cose sono cambiate
adesso».
«A
me non sembra proprio» la punzecchiò Akane.
«Hai
ragione, con la vecchiaia è diventato ancora più
affascinante»
disse, lasciando trapelare un pizzico di ironia a cui si
aggrappò
per rendere quell'affermazione meno seria di quanto fosse in
realtà.
«Hai
visto!» ringhiò Akane, puntandole un dito contro.
Sospirò quando
vide Machiko ridacchiare e preferì lasciare
quell'affermazione
dov'era, accettando la bugia che fosse veramente una battuta.
«Senti... mi hai chiamata e mi hai chiesto di vederci
perché avevi
bisogno che qualcuno ti dicesse che stavi sbagliando tutto, ed
è
quello che sto facendo. Dentro di te è rimasto quel briciolo
di
risentimento e razionalità che ti ha permesso di prendere il
telefono e chiedermi aiuto, cercalo quel lato di te, aggrappati alle
ragioni che ti hanno spinto ad andare via perché sono sempre
le
stesse. Le cose non sono cambiate, Toshinori non sarà mai
più
quello di una volta, ora più che mai. Ti conosco, so bene
cosa
provi, non ho dimenticato lo sguardo che avevi in volto tutte le
volte che stavi con lui o che ne parlavi. Non credere che io sia qui
solo perché me l'hai chiesto tu, voglio davvero aiutarti.
Hai fatto
così tanto in questi anni, non distruggere tutto».
«Non
ho intenzione di farlo» disse con una tale decisione nel
volto che
riuscì sorprendentemente a convincere Akane. «Tra
poco più di una
settimana ripartirò, tutto tornerà esattamente
come prima e questo
resterà solo una cartolina da ammirare e lasciare nel
cassetto,
insieme a tutte le altre cose del passato. Lo so, ed è
quello che
farò».
«E
allora perché ti stai facendo del male?» chiese
Akane. Non era
sicura che fosse in grado di gestire qualcosa di così tanto
grande,
temeva che stesse sottovalutando la forza con cui quella situazione
l'avrebbe travolta. O forse sopravvalutava la sua capacità
di
gestirla? In ogni caso, ne sarebbe uscita a pezzi.
«Toshinori
è sempre stato egoista» disse muovendo la
cannuccia del suo frappè
all'interno del bicchiere, ancora pieno per metà.
«Ha sempre messo
il suo sogno prima di me, non credere che non ne sia consapevole.
Quello stesso sogno adesso si è ampliato, è
diventato collettivo,
appartiene al mondo intero. Sono stata lasciata indietro, e mi sta
bene così perché anche io ho avuto modo di
costruirmi un piccolo
mondo egoista tutto per me. Ho imparato ad essere egoista anche io e
con quell'egoismo, ora, voglio solo prendermi quella fetta di torta
che mi è stata concessa. Il mondo mi ha strappato via
Toshinori
dalle mani, io gliel'ho permesso, l'ho accettato, ma adesso che
è
stato lui a voltarsi e allungarsi a cercarmi... voglio solo
riprendermelo per qualche giorno. Poi prometto di restituirlo, quando
dovrò tornare al mio mondo. Voglio solo essere io l'egoista
che
porta via qualcosa agli altri, solo per un piccolo istante.
Riprendermi ciò che mi apparteneva... forse solo per
dimostrare a me
stessa che posso essere ancora così forte e non sono stata
battuta
da nessuno. Solo per orgoglio».
Un
discorso inattaccabile, cucito a regola d'arte per la sua figura,
riportando a galla la Machiko che era stata un tempo, prima che
Toshinori riuscisse a smussarne gli angoli. Lei era la burattinaia,
non poteva accettare che i suoi burattini si ribellassero, forse era
solo risentimento quello che si era portata appresso così
tanti
anni, il risentimento per non essere riuscita a domare i fili di un
solo uomo. Toshinori era l'unica marionetta che non gli era mai
appartenuta e ora che sentiva i fili tendersi voleva dimostrare che
non era così, che lei poteva gestire anche quel
palcoscenico. Un
mero gesto egoista, di qualche attimo, solo a curare il proprio
orgoglio.
Una
giustificazione cucita a regola d'arte... eppure Akane non poteva far
a meno di credere che nascoste su quella tela, dietro le toppe, ci
fossero squarci in grado di strappare tutto da un momento a un altro.
Avrebbe convinto chiunque, ma non chi la conosceva abbastanza da
sapere che lei, la vera Machiko, non era mai stata poi così
tanto
forte come poteva far credere. Che era tutta mera finzione.
«Macchan»
mormorò l'amica, affranta. «Ne uscirai a
pezzi».
«No,
forse n...» provò a dire Machiko, ma venne
interrotta da una
furiosa Akane: «E invece sì! Come è
sempre stato! Come puoi aver
dimenticato il male che ti ha fatto quel bastardo?»
«Non
l'ho dimenticato» si affrettò a rispondere
Machiko, intimorita per
quelle parole così dure.
«E
invece sì! Dannazione, guardati attorno. Non lo vedi? Non
riesci a
vedere il loop che stai ancora vivendo, per l'ennesima volta, anche a
distanza di vent'anni non è cambiato affatto. Si comporta da
stronzo, ti fa del male, ti fa addirittura piangere, poi risbuca con
quel suo sorriso innocente, tante scuse, tanta dolcezza, un paio di
Taiyaki ed ecco che ci ricaschi. Quel subdolo figlio di...»
«Akane!»
provò a richiamarla Machiko, guardandosi attorno con
imbarazzo.
Tutti quegli schiamazzi stavano attirando troppo l'attenzione e lei
doveva continuare a mantenere un profilo basso o avrebbe rischiato di
trovarsi assediata da curiosoni e scocciatori.
«Prendi
il telefono!» disse Akane, riuscendo a calmare un po' il
tono, ma
senza fermare l'enfasi con cui le stava facendo la ramanzina.
«Adesso, sotto i miei occhi, voglio vederti telefonargli e
disdire
la cena di questa sera!»
«Ho
il telefono spento, se lo accendo mi arrivano tutti i messaggi di
Drew» confessò, cercando una scappatoia.
«Non
ho fretta, posso aspettare! Accendi quel telefono, adesso!»
ordinò,
incrociando le braccia al petto. La maternità era riuscita a
darle
una simile autorità, faceva una tale paura che Machiko non
riuscì a
non obbedire. Come previsto, non appena lo accese, arrivarono decine
di messaggi che tennero per qualche minuto impegnato il telefono a
una serie di vibrazioni incessanti. Machiko guardò Akane,
sperando
che quello la dissuadesse almeno in parte, ma la vide con lo stesso
sguardo severo e intimidatore e capì che non aveva altra
scelta.
Sospirò e decise di accontentarla: sapeva a cosa era andata
incontro
nel momento in cui aveva deciso di chiamarla per uscire insieme.
Aveva ragione lei, aveva bisogno che qualcuno le ordinasse di non
ricascarci, di qualcuno che l'aiutasse a fare quel passo che da sola
sembrava non essere in grado di fare. Compose il numero e dopo un
attimo di esitazione fece partire la chiamata. Il cuore prese a
battere così forte da farle male e in pochi istanti si
ritrovò nel
pieno panico del "cosa gli avrebbe detto". Uno squillo.
Doveva disdire quella cena, semplicemente. Due squilli. Avrebbe
potuto dare la colpa alla loro popolarità, sarebbe stato
facile
giustificarsi dicendo che non potevano mostrarsi in giro insieme o
sarebbero finiti su tutti i giornali di gossip. Bisognava tenere a
bada i paparazzi. Tre squilli. Avrebbe sentito la sua voce, l'avrebbe
sentita a breve dopo quello che c'era stato sul tetto quella mattina.
Dopo aver sentito il suo calore, il suo profumo nuovamente. Di nuovo
quell'egoistico bisogno di riaverlo con sé, anche solo per
una sera,
anche solo per un istante, la travolse, soffocandola. Quattro
squilli. Akane che la fissava, il cuore che urlava, le immagini di
quel sorriso...
Poi
la segreteria.
Non
poteva rispondere, non in quel momento, impegnato in chissà
quale
eroica azione. Una rapina in banca, una banda di criminali da
inseguire, un attacco in pieno centro da parte del gruppo dei cattivi
di cui tanto si sentiva parlare in quel momento... chissà
chi stava
stringendo in quel momento la mano di Toshinori, al posto suo. Chi
aveva chiamato il suo nome? A quale richiesta aveva risposto?
«Ciao
Toshinori» parlò dopo qualche secondo di
esitazione, costretta dal
vigile sguardo severo di Akane. Qualcosa la travolse, un ricordo, una
sensazione... un'orribile sensazione.
Il
sapore amaro delle sue lacrime, l'ultima volta che aveva parlato alla
sua segreteria, vent’anni prima.
«Toshinori...
un agente mi ha contattata qualche giorno fa. Mi ha proposto un
contratto e una collaborazione. Ho deciso di accettare. Parto domani
per l'America, a mezzogiorno. Abbi cura di te, All might».
Non
poteva farlo di nuovo. Non di nuovo a quella stessa segreteria, o il
loop non si sarebbe concluso. Sarebbe di nuovo scappata, senza
sentire più la sua voce, senza sentire le sue ragioni, senza
permettergli di combattere e dimostrare di essere in grado di
difendersi. Scappare non sarebbe servito a salvarla, avrebbe dovuto
impararlo in quei vent'anni di vani tentativi in cui aveva iniziato a
collezionare dvd con le registrazioni dei servizi a lui dedicati.
Un'intera videoteca, degna del miglior fan che avesse mai avuto. Non
doveva continuare a trascinarsi dietro quell'ombra, o ci sarebbe
cascata ancora e ancora.
«Ti
aspetto alle otto, all'ingresso del mio hotel» disse e sotto
lo
sguardo attonito di Akane diede l'indirizzo dell'albergo dove
alloggiava. Chiuse la chiamata e senza aspettare altro tempo si
alzò
da tavola.
«Scusami,
Akane» disse. «Non potevo di nuovo rifiutare la sua
segreteria
telefonica. Questa volta devo battermi con quell'uomo in carne ed
ossa».
«Ne
uscirai distrutta» mormorò l'amica, affranta e
dispiaciuta.
«Sì...
probabilmente hai ragione» si chinò a raccogliere
la borsa e la
busta con il vestito che avrebbe indossato quella sera. In qualsiasi
modo si sarebbe conclusa, lei avrebbe sanguinato. Negarlo non
l'avrebbe aiutata ad affrontare meglio quella situazione. Avrebbe
accettato quella sofferenza, avrebbe accettato di affrontarla, di
sguazzarci dentro, avrebbe accettato qualsiasi conclusione... avrebbe
accettato tutto col sorriso sulle labbra.
«Si
apra il sipario» mormorò, facendo un occhiolino
all'amica. Il suo
grido di battaglia, la sua battuta d'apertura con cui entrava in
scena, in qualsiasi campo di battaglia. Quella sarebbe stato il
più
arduo dei combattimenti che Nina la burattinaia avesse mai dovuto
affrontare.
Lasciò
cadere la borsetta sul letto, ormai pronta con tutto l'occorrente, e
afferrò lo stivaletto nero alla sua sinistra. Se lo
infilò con
facilità, facendoci scivolare all'interno il piede.
Ripeté l'azione
col secondo e infine si alzò in piedi, sollevandosi di quei
centimetri in più che gli alti tacchi le permettevano. La
speranza
era di sembrare meno piccola di quanto già sembrasse di
fianco a
Toshinori, ma sapeva che tanto una decina di centimetri in
più non
avrebbero fatto i miracoli. Si avvicinò all'armadio e prima
di
aprirlo per prendere la sua giacca grigia, si diede un ultimo sguardo
allo specchio, con un'attenzione e una minuziosità che non
sembrava
mai abbastanza. Aveva ripetuto quel rito almeno dieci volte, da
quando si era vestita, ma ancora non era abbastanza. Si
passò le
mani sulla gonna del vestito rosso, togliendone qualche invisibile
granello di polvere, e si voltò, inarcando un po' la
schiena,
osservando la silhouette che questo gli disegnava addosso. La scelta
di prendere un vestito corto, dalla gonna morbida, anzichè
lungo era
stata assolutamente azzeccata, allungava di più le sue gambe
insieme
a quelle scarpe, contribuendo alla lotta di differenza d'altezza dei
due. E poi così conciliava perfettamente l'eleganza di una
cena con
un uomo con il casual di una cena che doveva essere solo tra
colleghi, niente di esageratamente formale. Le spalle scoperte del
taglio calato dello scollo aggiungevano quel pizzico di
sensualità a
cui negli ultimi anni si era legata particolarmente, modificando
l'immagine della vecchia Machiko l'innocente e pura ragazzina, in
Nina la provocante ed elegante donna che otteneva tutto quello che
desiderava con solo l'uso dell'occhiolino. Era cambiata molto negli
ultimi anni, non poteva negarlo, ma quella corazza, quella maschera,
l'avevano protetta e agevolata talmente tanto che ormai non poteva
più uscirne senza. E poi era una donna, come poteva
rinunciare a
quel pizzico di vanità che un vestito nuovo le donava? Come
poteva
rinunciare all'orgoglio di mostrare all'uomo che sarebbe venuto a
prenderla di lì a pochi minuti cosa si fosse perso in quegli
anni?
Era
così profondamente umana, per quanto chi le stesse intorno
non
riuscisse a volte a crederlo. E quell'umanità le diede quel
leggero
tremore nel petto, all'idea che dopo tanto tempo anche lei aveva di
nuovo un appuntamento. Un appuntamento vero, con una persona che si
era scelta personalmente e che non avesse niente a che fare con Drew
e il suo lavoro. Una semplice, goliardica, uscita da essere umano
qual era.
Era
così dolce che per un istante si dimenticò
perfino della persona
con cui stava per affrontare tutto quello e di ciò che
quella sera
significava.
Sì,
era perfetta, poteva andare. Prese la collana con il ciondolo a forma
di sole dal comodino e se la mise al collo, facendo risplendere quel
pezzo metallico appena sotto il petto, oltre la curva del suo seno.
Una ravvivata ai capelli e un sospiro raccoglitore. Era pronta.
Prese
la borsa e la giacca e infine uscì.
Uscì
dall'ascensore, arrivando all'ingresso del lussuoso hotel illuminato
a giorno. Era una vip in vacanza, anche se preferiva non essere presa
d'assalto e godersi le sue giornate di tranquillità non
voleva certo
dire che avrebbe rinunciato volentieri alle comodità di cui
ormai si
era abituata. Una vasca con idromassaggio e il servizio in camera era
il minimo sindacabile, quella sfarzosità forse avrebbe anche
potuto
evitarla, ma alla fine aveva scelto per il benessere assoluto. E chi
se ne importava se fosse stato scontato il suo soggiorno in un posto
come quello e se i giornalisti lo bazzicavano in continuazione
cercando di coglierla in ogni istante della sua giornata, lei come
chiunque altro vip che ospitasse. Si guardò attorno per
qualche
istante, prima di cogliere i dritti ciuffi biondi di Toshinori: di
spalle, dietro a una colonna, cercava di tenere a bada alcuni degli
uomini armati di macchine fotografiche che lo tartassavano di
domande. Sembrava a suo agio, anche lui abituato a una simile
notorietà, ma la mano che si grattava la nuca tradiva il suo
nervosismo probabilmente legato al motivo che l'aveva spinto ad
aspettare nella hall di un hotel di lusso, vestito di tutto punto.
«Che
imbranato» ridacchiò Nina, avvicinandosi a lui.
«Eccomi qua!»
gridò, cercando di imitare il suo vocione, ignorando i
quattro
uomini che lo tenevano d'assedio. All Might sobbalzò
all'urlo
improvviso e si voltò, imbarazzato.
«Nina,
mi hai spaventato» ammise.
«Come
se potesse esserci qualcosa in grado di spaventare il grande All
Might, dico bene George?» chiese lei, avvicinandosi a uno dei
giornalisti.
«Io
non mi chiamo George» balbettò questo, poco
convinto.
«Nina!»
gridò quello al suo fianco. «Allora è
con te che All Might ha un
appuntamento! Il più grande degli eroi con una famosa
cantante
internazionale, che scoop!»
«Ehy,
non ho detto appuntamento!» disse repentino il diretto
interessato.
«Assolutamente!»
confermò Nina, lasciando All Might impietrito.
«C'è qualcosa di
strano, in fondo? Adesso alla Yuuei ci lavoro anche io, mi pare ovvio
che mi invitino alle cene aziendali».
«Allora
è solo una cena di lavoro» commentò il
terzo, guardando il quarto
fotografo alla sua sinistra, che si sbrigò a riportare tutto
sul suo
taccuino.
«Questa
è una grande città, piena di pericoli, e il mio
manager non ha
ancora avuto modo di mandarmi le mie guardie del corpo, per questo
All Might si è coraggiosamente offerto di scortarmi fino al
ristorante. Tanto doveva venirci anche lui. Un vero gesto
cavalleresco ed eroico, dico bene?».
«Oh!»
sussultò l'uomo al suo fianco. «Che nobile gesto!
Degno del più
grande degli eroi!»
«Nina,
potreste posare per la nostra copertina?» chiese un altro.
«Non
ora, siamo in ritardo! Il preside ci farà una bella
ripassata di
capo, forza. Sbrighiamoci!» disse Nina, spingendo via All
Might da
quel piccolo gruppo di paparazzi, accerchiato da qualche curioso di
passaggio.
«Sarà
per un'altra volta» cercò di darle corda All
Might, affrettandosi a
raggiungere l'uscita.
«Ciao
George, a presto!» ridacchiò Nina, sventolando una
mano, prima di
sparire oltre le porte scorrevoli.
«Ma
tu non ti chiami George» osservò l'amico del
diretto interessato,
abbastanza perplesso. «Da oggi sarà il mio
soprannome» rispose
questo, gongolando emozionato per essere stato salutato da una delle
donne più belle che il mondo dello spettacolo conoscesse.
«Accidenti,
grazie Nina. Mi hai letteralmente salvato» sospirò
All Might, una
volta in strada.
«Tanti
anni di popolarità e ancora non sai gestire un paio di
paparazzi
impiccioni, sei proprio un imbranato» rise lei, camminandogli
a
fianco.
«Non
sono abituato a certe situazioni, il massimo della violazione della
privacy che abbia mai raggiunto è stato quando mi hanno
fotografato
a fare la spesa al minimarket sotto casa».
«Che
vita interessante e piena di stimoli, che hai»
scoppiò a ridere
Nina. «Fai altro oltre che salvare il mondo, nelle tue
ventiquattro
ore di giornata?»
«Faccio
lo sponsor per qualche pubblicità, interviste, spettacoli
serali...
e adesso insegno!» disse con entusiasmo, ricevendo in tutta
risposta
una pernacchia da parte della donna al suo fianco.
«Sfigato»
disse lei, facendolo impietrire. «Io una volta sono stata
paparazzata mentre facevo il bagno nell'oceano nuda, ad
esempio» e
la confessione lo fece arrossire più di quanto riuscisse a
nascondere. «O ancora una volta sono stata fermata dalla
polizia
perché guidavo dopo aver bevuto qualche drink, davvero degli
scocciatori. Drew ha dovuto lavorare un sacco per placare le voci. E
il numero di volte che sono stata fotografata mentre ero insieme ad
altri uomini è illimitato... non potevo farmi una
passeggiata e
fermarmi a salutare un vecchio conoscente che per l'opinione pubblica
eravamo in procinto di sposarci in gran segreto! L'America è
piena
di pazzi, qui è molto più tranquillo, fidati.
Anche se continuano a
fotografarci di nascosto» disse indicando con la punta del
dito,
senza troppa evidenza, un punto dall'altro lato della strada dove un
ragazzino aveva appena scattato una foto con il suo cellulare.
«Ci
converrebbe prendere un taxi» provò a ipotizzare.
Sparendo sulla
strada, coperta dal finestrino di un auto, avrebbero forse almeno
evitato di essere seguiti.
«O
magari usare i buon vecchi mezzi di trasporto. Funzionavano sempre un
tempo» disse All Might prendendo Nina per mano e tirandola
rapidamente dentro a un vicoletto. Si affacciò,
assicurandosi che
nessuno avesse fatto caso a loro, dopo di chè si
chinò di spalle di
fronte a Nina.
«Accomodati
a bordo, saremo a destinazione in pochissimi secondi»
sorrise,
guardandola.
«Non
potremmo prendere semplicemente un taxi?» chiese lei,
restando
immobile nella sua posizione. Uno sguardo torvo, poco convinto,
spinse l'uomo a chiedersi cosa la turbasse tanto e dove avesse
sbagliato quella volta. Quando erano ragazzini lo facevano sempre,
lei adorava salirgli sulle spalle ed essere scarrozzata in giro
sfruttando quella sua incredibile velocità e
capacità di salto.
Neanche
si rese conto che la risposta se l'era già data da solo: era
una
cosa che facevano sempre da ragazzini, era una cosa che le piaceva da
impazzire. Temeva così tanto scoprire che non era cambiato
niente da
allora, che continuava ad amare quelle spalle su cui aggrapparsi per
sentirsi sicura.
All
Might si rialzò, grattandosi nuovamente la nuca con
imbarazzo: «Sì,
scusami» disse «Non volevo... essere...
ecco...» essere cosa? Per
cosa doveva scusarsi? Per essere stato tremendamente malinconico? Per
aver desiderato vivere con lei momenti di normalità, come se
niente
fosse successo? Ma allora, se era così che dovevano andare
le cose,
perché stavano uscendo insieme?
«Chiamo
un taxi» passò di fianco a Nina, per tornare sulla
via principale,
ma la donna lo bloccò, afferrandogli con timidezza la
giacca.
Sospirò profondamente, socchiudendo gli occhi, lottando
contro se
stessa. Poi riuscì a tornare a un apparente stato d'animo
sollevato,
normale e tranquillo.
«Scusami»
disse, accennando un sorriso. «Non volevo metterti in
imbarazzo,
stupido omaccione imbranato» sghignazzò dandogli
colpi vivaci sulla
schiena.
«Perché
mi insulti anche quando sei tu a chiedere scusa?» chiese lui,
ormai
rassegnato all'evidenza che almeno su quell'aspetto non era cambiata
affatto, ma anzi era andata peggiorando.
«Perché
te lo meriti» ridacchiò lei, affiancandolo.
«Insomma, un uomo
affascinante come te mi invita a cena fuori e non ti viene in mente
che io abbia potuto perdere almeno un'ora del mio tempo a sistemarmi
i capelli? Non ti permetterò di fare niente stasera che
possa
minimamente intaccare la loro perfetta stabilità, chiaro?
Quel salto
mi avrebbe distrutto ancor prima di arrivare al ristorante»
spiegò
lei, cercando in una scusa e la sua solita ironia il modo di uscire
indenna da quella situazione. Una situazione che non riusciva ancora
ad affrontare a pieni polmoni, una verità che non riusciva
ancora ad
ammettere a voce alta: aveva così tanta paura di scoprire
che
l'amava ancora.
«Mi
dispiace» disse, colto dall'imbarazzo del complimento che gli
aveva
appena rivolto.
«Se
dici mi dispiace ancora un'altra volta stasera ti prendo a
sberle»
disse lei, stufa di non sentirlo dire altro. Era un agglomerato di
sensi di colpa che non riusciva a sgonfiarsi neanche un po',
nonostante lei lo avesse già tranquillizzato su tante cose.
«Piuttosto, dove mi porti a mangiare questa sera?»
E
ancora quel gioviale e puro sorriso che le adornò il volto,
ancora
una volta la riportò indietro di vent'anni e gli fece
bruciare il
petto. Lo avrebbe ricevuto ancora, se Nina avesse saputo la
verità?
Se lui le avesse mostrato il suo vero e attuale aspetto, lei avrebbe
ancora sorriso in quel modo? Aveva deciso che quella sera glielo
avrebbe confessato, aveva deciso che avrebbe preso il coraggio a due
mani e avrebbe affrontato quell'ultima sfida, ma quando l'aveva vista
morbida ed elegante nel suo vestito, quando aveva sentito il suo
profumo arrivare a pizzicargli il naso non appena se l'era trovata
davanti e ora di fronte a quel sorriso di cui si era innamorato
perdutamente vent'anni prima, cominciò a desistere. Avrebbe
sorriso
ancora in quel modo, se lui le avesse mostrato il nuovo scarno,
avvilito, debole e abbattuto Toshinori? Se non fosse stato
più
l'uomo affascinante che era stata la causa della sua ora persa a
sistemarsi i capelli?
Please
don't stand so close to me
I'm
having trouble breathing
I'm
afraid of what you'll see right now
I
give you everything I am
All
my broken heart beats
Until
I know you'll understand
And
I will make sure to keep my distance
Say,
"I love you," when you're not listening.
NDA.
Questo,
come quelli che verranno, è uno dei capitoli che preferisco.
Non
solo perché si entra nel vivo della situazione
Machiko-Toshinori, ma
anche perché qui vengono fuori molte cose del carattere di
entrambi.
Prima tra tutti: quella piccola mania di controllo di Machiko, come
già era venuta fuori con Bakugou. Parla del suo orgoglio, e
Akane sa
che potrebbe essere vero visto che odia sapere che ci possono essere
"burattini" in grado di sfuggire al suo controllo, come è
stato con Toshinori. Viene fuori anche la debolezza di Machiko:
arranca, cerca scuse, si arrampica sugli specchi ma non riesce ad
ammettere che non è in grado di combattere questa battaglia
e che la
sta perdendo miseramente. Vuole allontanarsi, eppure continua a
cascarci. Sa di essere così debole, in fondo, e sa che
sarebbe
bastato quel salto sulle spalle di Toshinori (a fine capitolo) per
rovinare tutto, per distruggerla e portarla a capire quanto gli sia
mancato quel contatto.
Ma,
soprattutto, viene fuori un aspetto importante di (come mi sono
immaginata io) Toshinori: è egoista. Non è
egoista in maniera
cattiva, ma nel profondo è così. Solo un uomo
egoista sarebbe stato
in grado di mettere tutto e tutti da parte, pur di inseguire quel
sogno che tanto gli da ardore. E' un sogno nobile, un sogno di pace,
per questo nessuno si oppone, ma lo desidera ardentemente ed
è
disposto a sacrificare ogni cosa... perfino i sentimenti della donna
che ama. Eppure, nel flash back, continua a ripetersi quanto gli
farebbe male vederla andar via. Sa che le sta facendo del male, ma
è
egoista e non riesce a rinunciare nemmeno a lei. E' come se le
chiedesse di seguirlo, di continuare a soffrire, così lui
può avere
entrambi: lei e il suo stesso sogno. La mette da parte, la ferisce,
però poi fa di tutto per evitare che fugga via. Ho
volutamente
lasciato la cosa ambigua, ho dato libero spazio ai pensieri di
entrambi il modo da non schierarmi, io narratrice, dalla parte di
nessuno. C'è chi può dar ragione a lui e chi a
lei, mi sono
lasciata nella zona imparziale e lascio a voi le conclusioni xD
Un
altro aspetto importante di Toshinori che emerge qui, e che era
emerso anche in precedenza, la sua paura e la sua vergogna verso
ciò
che è diventato ora. Il suo nuovo aspetto, scarno e debole,
lo
avvolge nella vergogna e ha paura di mostrarlo al mondo e soprattutto
a chi ha creduto di più in lui.
Io
vi lascio con questa bellissima canzone di Christina Perri, che
evidenzia quanto Machiko si stia sforzando per mantenere le distanze
ma quanto nel profondo sa che niente alla fine è cambiato. E
dice di
amarlo... solo quando lui non sente ("Say,
"I love you," when you're not listening.").
Mi
piace quel pezzo della canzone in particolare perché in
realtà può
essere visto come il pensiero di entrambi, non solo di Machiko.
Entrambi hanno difficoltà a stare l'uno di fianco all'altro,
tanto
che hanno difficoltà a respirare. Toshinori ha paura di
ciò che lei
può vedere se si avvicinasse troppo (nel senso che se
vedesse com'è
realmente) e Machiko può dire di avergli dato tutto
ciò che era. E
alla fine, il lavoro di prendere le distanze e dire "ti amo"
quando l'altro non sente, posso dire che lo fanno entrambi. Ognuno
col proprio motivo, ma è di entrambi.
Bene,
concludo questo papiro di NDA con i soliti saluti e soprattutto
ringraziamenti! <3
Al
prossimo capitolo, che vi anticipo sarà un SIGNOR capitolo.
E
ovviamente, vista la sua importanza, ci sarà Ed Sheeran a
cantare
per lui u.u ahahah
CIAOOOOOOOOOOOOO
Ray
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Capitolo 18 *** Save Myself, Ed Sheeran ***
"Save
Myself”, Ed Sheeran
Nina
era cresciuta, era cambiata molto, non solo nell'aspetto passando da
un'innocente bellezza a una più matura provocante, ma non
per questo
meno seducente, ma aveva cambiato modo di parlare, aveva cambiato
modo di affrontare le cose, era diventata più coraggiosa e
più
dura, affilata, tanto che avrebbe intimorito chiunque. Sotto quello
strato però, lui lo sapeva, celava ancora la vecchia e
delicata
Machiko di un tempo, che ogni tanto usciva dal suo antro protetto per
mostrarsi in tutta la sua gioviale fragilità e
luminosità: il
momento del pasto era uno di questi.
Machiko
si portò un bocconcino di carne alle labbra, masticandolo, e
si
lasciò sfuggire un verso compiaciuto dalla gola.
«Ma
è buonissima!» commentò, estasiata.
«Con
la tua nuova vita fatico a credere che era da tanto che non mangiavi
carne come questa» osservò Toshinori, un po'
stupito, e si
concentrò affinchè riuscisse a imprimere nella
memoria quel momento
e costringerlo a restare lì per sempre, colmo di ogni
dettaglio. Non
poteva far a meno di sentirsi un vecchio nostalgico, divorato da
tutta quella malinconia e dal desiderio di tornare per un istante
venti anni addietro, quando avere Machiko al suo fianco era la
quotidianità e poteva godere di tutti i giorni di quel suo
modo di
fare tanto genuino e adorabile.
«Non
ho mai detto, infatti, che non ne mangio tutti i giorni» lo
corresse
lei, portandosi un altro boccone alla bocca.
«Mangiare
carne rossa tutti i giorni non fa bene, lo sai?»
«Sì,
paparino, tranquillo, sto attenta alla mia salute e alla mia
alimentazione. Va meglio?»
«Paparino?»
balbettò lui, sentendosi preso in giro.
«Sei
un vero rompiscatole, su questo non sei cambiato affatto» gli
disse
puntandogli la forchetta contro. «Anzi, forse sei addirittura
peggiorato. Ma è bello vedere che ti preoccupi ancora per
me»
aggiunse infine, con un occhiolino.
«Non
ho mai smesso» sussurrò lui, non riuscendo quella
volta a tenere
per sé quel pensiero. Il volto di Machiko si fece
più serio,
colpita da quella confessione, e tornò ad essere la grande e
affilata nuova Nina, relegando nel suo angolo protetto la vecchia
delicata Machiko. Quella stessa Machiko che sarebbe scoppiata a
piangere e avrebbe confessato la sua collezione di dvd sui servizi a
lui dedicati. Ma era sbagliato, tutto quello era sbagliato. Il
passato doveva restare dov'era e ormai le loro strade erano a un
punto tale che non si sarebbero mai potute incrociare di nuovo. Non
dovevano farlo, anche se adesso, ognuno dalla propria via, in quel
preciso punto della loro vita, potevano allungarsi fino a sfiorarsi.
Era solo un'illusione, sarebbe scemata nel giro di qualche giorno e
loro non dovevano affogarci dentro. Lei ne era pienamente
consapevole, anche se gestire le emozioni non era affatto semplice
come aveva creduto, lui invece sembrava fare di tutto per afferrarla
senza pensare alle conseguenze. Era così tipico di
Toshinori,
correre a prendersi ciò che desiderava senza guardare in
faccia
nessuno. Era una persona semplice, che viveva di istinti e desideri,
e così doveva essere. Se non avesse vissuto sulla sola onda
del
desiderio del simbolo di pace, trascinato solo da quel sentimento, se
fosse stato una persona che ragionava di più, non sarebbe
mai
arrivato a quel punto della sua carriera affrontando sfide che
chiunque avrebbe considerato troppo ostiche.
«Toshinori»
disse dura, consapevole che come al solito sarebbe dovuta essere lei
a prenderlo per mano e scuoterlo sulla realtà. Era un lavoro
che
odiava, per una volta avrebbe voluto così tanto non essere
lei
quella che si preoccupava e prendeva l'iniziativa. Ma che altra
scelta aveva?
«Tra
noi è finita» disse con tale durezza che,
nonostante fosse più che
ovvio che la loro storia fosse finita ormai anni prima,
riuscì
comunque a far tentennare l'uomo e fargli venire uno strano dolore al
petto.
«Stasera
sono qui per dirti questo, e nessun altro motivo. Ho accettato di
venire alla Yuuei per affrontare questa faccenda a due mani, con
forza e coraggio. Sono scappata via, vent'anni fa, e da allora ho
sempre avuto la sensazione che non abbia fatto altro per tutto questo
tempo. Ogni giorno della mia vita decidevo come mettere i miei piedi
sulla strada affinché mi portassero il più
lontano possibile da te.
Da allora, da quella telefonata, dal messaggio che ti lasciai in
segreteria, non ci siamo più parlati né sentiti.
Ho come la
sensazione che qualcosa non sia mai finito, di essere rimasta a fiato
sospeso per troppo tempo, perciò stasera voglio mettere da
parte
tutto questo ed essere totalmente sincera, chiara e soprattutto dar
vita a quell'ultima chiacchierata che mai c'è stata tra noi,
dandoti
la possibilità di dire la tua, senza scappare. In fondo non
ti ho
mai chiesto che cosa ne pensavi» aveva parlato per tutto il
tempo
fissando la bistecca che aveva nel piatto, senza cedere neanche un
attimo perché sapeva che se avesse alzato lo sguardo, se
avesse
incrociato quegli occhi azzurri, non ne sarebbe uscita così
dignitosamente. Tutto quel coraggio, quella forza, lui
l’avrebbe
spazzato via con la forza di un uragano lasciando spazio solo alle
lacrime e ai desideri rimasti inespressi. Quella porta andava chiusa
definitivamente.
«Va
bene. Ho capito» rispose lui, semplicemente, prima di tornare
a
mangiare avvolto dal silenzio.
«E
basta?» chiese lei, alzando coraggiosamente lo sguardo
sull'uomo che
mangiava di fronte a sé. Si erano incontrati la prima volta
che
avevano appena dieci anni, per un anno intero lui le era stato a
fianco per aiutarla in quel guaio che era la sua vita, dandogli una
fonte di felicità, fino a quando non era finalmente riuscito
a
farsela amica. Lei aveva vissuto i momenti più importanti
della sua
vita, lei aveva assistito e soprattutto contribuito alla nascita di
All Might, ed era stata una presenza costante della sua vita fino a
quel giorno di Tanabata dei loro diciotto anni. Da allora tutto si
era trasformato, diventando qualcosa di ancora più
travolgente,
costante e importante. Avevano toccato l'apice, la loro storia aveva
raggiunto il famigerato livello del "vissero per sempre felici e
contenti" per poi crollare miseramente nel vuoto. Più di
dieci
anni di vita buttati al vento con un messaggio alla segreteria... e
tutto ciò che aveva da dire, dopo tutto quello, era "Va
bene.
Ho capito"?
«Sì,
e basta».
Era
così frustrante. Ma d'altra parte, cosa si era aspettata di
sentirgli dire? Cosa aveva sperato? Cosa la divorava così
profondamente dall'interno?
«Scusami»
disse lasciandosi andare a uno sghignazzo. «A quanto pare ero
l'unica a cui importava. Che stupida» e lo imitò
tornando a
mangiare la sua porzione in completo silenzio, lasciando che solo le
forchette e i coltelli facessero rumore intorno a loro. Era tutto
chiuso definitivamente, aveva ottenuto quello che voleva, gli aveva
aperto il cuore e affrontato la realtà e non c'erano state
conseguenze di alcun tipo. Ma allora perché continuava a
crescere
dentro di lei quella rabbia e quel dolore?
«Come
puoi dire solo "va bene, ho capito"?!» scoppiò,
lasciando
la forchetta sul bordo del piatto con forza. «Non dico che
devi fare
un discorso strappalacrime o travolgermi di insulti, ma ho chiuso la
nostra storia con un messaggio in segreteria senza neanche un
preavviso! Possibile che tu non abbia avuto niente da dire?»
«Vuoi
sentirti dire qualcosa di particolare, Nina?» chiese con
freddezza,
continuando a mangiare. Non era tranquillo, glielo si leggeva in
faccia, il tono di voce lo tradiva: qualcosa lo stava soffocando.
Forse rabbia, forse dolore, forse semplice rancore per aver rovinato
un bel momento come quello con dei discorsi così antichi
ormai, così
inutili.
«No!»
disse lei, scuotendo la testa. «Ma... non mi hai mai neppure
chiesto
il motivo!»
«Perché
io continuavo a metterti al secondo posto, ti lasciavo sola
nonostante la promessa di non farlo e quando avevi bisogno di me non
c'ero mai. Non è questo il motivo?» chiese,
continuando a forzare
quella sua maschera di freddezza e indifferenza.
«Sì»
mormorò lei, rendendosi conto che effettivamente non c'era
altro da
dire. Le motivazioni erano state spiegate, le scuse erano state
fatte, tutto era stato detto... ma perché continuava a fare
così
male? Forse era perché tra i due, l'unica che continuava a
mettere
un piede su quella porta, impedendole di chiudersi, era proprio lei?
Forse era perché Machiko, chiusa nel suo antro protetto,
continuava
a piangere la notte, chiamando il nome di Toshinori, e non quello di
All Might, sperando che quello bastasse a riaverlo indietro? Forse
perché aveva disperatamente sperato che lui, a quella
telefonata,
avesse risposto e non le avesse permesso di parlare alla segreteria,
lasciandola andare.
Andare
lì, quella sera, era stato un errore.
Akane
aveva ragione. Ne stava uscendo a pezzi.
Si
alzò in piedi, prese la giacca e la propria borsa e si
allontanò
con un freddo: «Scusami se ti ho fatto perdere
tempo».
Toshinori
restò immobile al suo posto, la forchetta così
serrata tra le dita
da deformarsi, lo sguardo fisso sul suo piatto, e non disse una sola
parola, permettendole ancora una volta di scappare nel silenzio di un
addio mai pronunciato. Era quello che desiderava, era quello che
continuava a chiedergli, di "uscire dalla sua vita". Era
quello che aveva accettato di fare quel giorno, vent'anni addietro,
quando dopo aver sentito il messaggio aveva scelto di non andare da
lei. Aveva scelto di uscire dalla sua vita, nella speranza che
ciò
l'avesse potuta rendere felice e per anni così aveva
creduto,
guardandola sorridere alla televisione. Per anni, aveva scelto di
lasciarla fuggire via, di non inseguirla perché
così lei avrebbe
potuto continuare a sorridere e lui avrebbe usato quel sorriso per
alimentare il proprio, anche se distante. Gli bastava vedere il suo
viso radioso, anche se chiuso dentro una televisione, fittizio,
irraggiungibile, e All Might acquistava la forza necessaria a
brillare. Era stato tanto egoista? Era stata la scelta giusta?
Perché
aveva quell'orribile sensazione allo stomaco, come se tutto
continuasse a essere sbagliato? Perché non riusciva a
smettere di
pensare a quel giorno come la peggior colpa di cui avesse mai potuto
macchiarsi? Perché continuava a non sentirla, quella
richiesta
d'aiuto?
«All
Might» gli aveva chiesto non troppo tempo addietro il giovane
Midoriya. «C'è mai stato qualcuno che non sei
riuscito a
salvare?».
La risposta era stata così dolorosa.
Era
da poco primavera e loro avevano ventitre anni. Ormai erano tredici
anni che si conoscevano, quasi cinque che stavano insieme, ed era
facile per Toshinori riuscire a riconoscere l'inizio di quella
bellissima stagione sul viso di Machiko. La ragazza, quando
cominciavano a sbocciare i primi fiori, sembrava sbocciare insieme a
loro. I profumi, le carezze del vento, i colori, tutto sembrava
prendere forma su di lei rendendola più bella che mai. Ne
avevano
passate di tutti i colori, insieme. Machiko aveva lavorato per un po'
persino insieme a lui, in collaborazione con la sua stessa agenzia,
ed insieme erano diventati praticamente imbattibili. La loro
affinità, il loro combattimento, era invidiato da tutti. Era
un
periodo d'oro, anche se non avevano mai smesso di litigare per le
solite ragioni. Ma ormai il loro amore sarebbe stato inscindibile e
invalicabile da qualsiasi ostacolo, proprio come il loro senso della
giustizia. Machiko, nel frattempo, aveva continuato a cantare
aumentando considerevolmente il numero di serate che perdeva in
qualche bar insieme a Yamada e gli altri, con la loro piccola band
che si stava facendo un nome importante nelle vie di Tokyo. Tutto era
perfetto e quella primavera risplendeva più che mai. Machiko
uscì
di casa pochi minuti dopo che lui ebbe citofonato, trovando Toshinori
intento ad annusare una siepe in cui si intravedevano i primi
boccioli. Profumavano così tanto, anche se appena accennati.
«Vuoi
portare loro fuori a cena, stasera, invece che me?» lo
punzecchiò
lei. Toshinori odiava ammetterlo, ma nel profondo era un gran
romanticone e quando Machiko lo coglieva in certi atteggiamenti non
poteva far a meno di prenderlo in giro, trovando esilarante il
contrasto tra il grande eroe che stava diventando e il coniglietto
innamorato che era in realtà.
«Macchan!»
sobbalzò, guardandola da capo a piedi.
«Wow» si lasciò sfuggire,
trasognante. Come aveva pensato, la primavera prendeva forma su di
lei, e quella sera era più bella che mai. Il vestito nero,
il
cardigan bianco e quella splendida treccia delicata che le si
poggiava sulla spalla.
«Sei
radiosa» commentò, guardandola mentre un sorriso
imbarazzato le
nasceva in viso. «Sì, beh... anche tu non sei
proprio malaccio»
rispose lei con ironia.
Toshinori
si illuminò, sapendo che sotto a quel velo punzecchiante si
nascondeva un vero complimento, e alzando due dita in segno di
vittoria ridacchiò orgoglioso: «Ho messo su altri
tre chili! Mi sto
gonfiando come la ruota di una bicicletta!»
«Non
è qualcosa di cui andar fiero, lo sai?» disse lei,
prendendolo a
braccetto e cominciando ad incamminarsi verso il ristorante.
«È
tutta massa muscolare!» specificò lui.
«Sei
sicuro? Ultimamente mangi come un rinoceronte!»
«Ho
bisogno di tanta energia!» si giustificò.
«Allora
spero che il ristorante dove mi porti stasera non sia troppo caro o
finirai di nuovo tutto lo stipendio».
«Ramen
alla bottega sotto lo studio! Che ne dici? Se siamo fortunati,
troviamo gli sgabelli al bancone liberi!»
«Se
me lo dicevi prima evitavo di mettermi così elegante. Quella
è una
brutta zona, mi derubano!»
E
Toshinori rise, divertito e orgoglioso allo stesso tempo, esclamando:
«Che ci provino anche solo a pensare di sfiorarti! Li faccio
a
fettine!»
Machiko
gli rivolse un dolce sorriso. Era sempre bello quando lui dimostrava
di preoccuparsi tanto per lei. Era sempre bello quando la rassicurava
che non sarebbe mai mancato, che l'avrebbe protetta per sempre.
«Comunque non ti devi preoccupare. Questa è una
serata speciale e
io ti porto in un posto speciale. Devo parlarti di una cosa
importante» accennò, sorridendo orgoglioso e
già emozionato.
«Davvero?»
chiese lei, curiosa, prima di lasciarsi sfuggire un po' più
intimorito: «Anche io devo dirti una cosa».
Ma
avrebbero trattenuto le loro curiosità per il dolce. Il
momento
ideale.
Arrivarono
al lussuoso ristorante, che aveva la fantastica
particolarità di
trovarsi in cima a uno dei grattacieli più alti di Tokyo.
Dalla sua
enorme vetrata era possibile vedere tutta la città e,
più avanti,
addirittura il mare. Toshinori aveva prenotato mesi prima, sapendo
che quella sarebbe stata la serata perfetta nel luogo perfetto:
Machiko amava alla follia vedere il mondo dall'alto. Passarono
l'ingresso e si stavano per dirigere all'ascensore che gli avrebbe
portati al ristorante, all'ultimo piano, quando dietro di loro
passarono tre volanti della polizia. Toshinori si irrigidì e
si
voltò a guardare la strada, pensieroso. Machiko sapeva
benissimo
cosa significava: stava per andarsene. Un'altra volta.
Il
dolore prese a tormentarle il petto... non di nuovo. Non poteva
ancora una volta piantarla in asso!
«Toshi-chan»
lo richiamò, preoccupata. Toshinori si voltò a
guardare il suo
volto, quel meraviglioso volto graffiato dalla preoccupazione e dalla
paura. Sospirò... doveva trattenersi, doveva farlo almeno
quella
sera. Soprattutto quella sera!
«Scusami.
Ci sarà sicuramente chi già se ne sta
occupando» e in lontananza
si udirono le sirene di pompieri e vigili del fuoco. Qualsiasi cosa
fosse era qualcosa di enorme. Non un furtarello da quattro soldi, non
poteva nemmeno essere una banda di delinquentelli che avevano
sfondato una vetrina. Quella era una vera emergenza. I muscoli si
tesero e cominciò ad essere divorato da quella terribile
sensazione:
il mondo stava implorando All Might di intervenire e lui era
lì,
bloccato nel suo vestito da sera, pronto a mangiare carne e bere vino
alla faccia di chi moriva piangendo il suo nome.
«Vai»
sospirò Machiko. Non era sciocca, sapeva benissimo che non
poteva
essere qualcosa di poco. C'era davvero bisogno dell'intervento di All
Might, sentiva anche lei il mondo chiamarlo a gran voce e con che
coraggio ed egoismo l'avrebbe trattenuto a sé?
«Macchan»
mormorò lui, combattuto.
«Vai!
Hanno bisogno di te. Solo...» mormorò, prima di
sforzarsi di
sorridere contro ogni sentimento negativo che la stava strozzando in
quel momento: «Cerca di tornare almeno per il dolce,
ok?»
Il
momento ideale. Il momento del dolce, dove lui le avrebbe detto
quell'importante novità e lei gli avrebbe confessato la sua.
La
strinse con tutto l'amore che provava. «Ci sarò.
Te lo prometto!»
E
quelle furono le ultime parole che lui riuscì a dirle.
L'ultima
promessa infranta, quando al momento del dolce Machiko si
trovò
nuovamente sola. L'avrebbe aspettato, sentiva che poteva farlo ancora
una volta, come tutte le altre volte. L'avrebbe aspettato per
sempre... se solo non fosse successo altro che il suo semplice
ritardo.
Una
palla infuocata, un'enorme maceria, non ricordava altro. L'edificio
aveva tremato, dopo essere stato colpito, e il pavimento del
ristorante era stato inghiottito nella voragine che si era andata
creando. Machiko era lì, in quel ristorante che stava
cadendo a
pezzi, lì dove non sarebbe stata se solo non si fosse
trattenuta
un'ora dopo il pasto per aspettare Toshinori e il suo ritardo, la sua
promessa infranta a cui ancora credeva perdutamente. Aggrappata a
un'asta sporgente, aveva usato i suoi fili per salvare la vita a una
donna che era scivolata insieme a lei. L'asta aveva cigolato, la
donna sotto di sé si dimenava e un altro uomo cadde poco
più
distante. Riuscì a muovere un dito, prese anche lui e
cominciò a
tremare. Il vuoto sotto di loro, un vuoto di almeno cinquanta metri,
le macerie sopra la sua testa, l'unica mano che reggeva tutti e tre
che cominciava a cedere, l'asta che vibrava sotto lo sforzo e presto
li avrebbe lasciati andare.
Altre
palle di fuoco volarono nella sua direzione.
Era
la fine. Stava morendo.
«Toshinori!!!»
gridò terrorizzata.
L'asta
tremò ancora. Urlò, urlò con tutto il
fiato che aveva, e pianse
tutte le lacrime che non aveva versato per tutti quegli anni. Mai
avrebbe potuto pensare che prima o poi una promessa infranta di
Toshinori le sarebbe costata la vita.
Cadde.
Aveva
riaperto gli occhi poco dopo, completamente ricoperta di graffi,
dolorante ovunque, tra le braccia di un uomo dall'enorme massa
muscolare che eroicamente la stava portando fuori dall'edificio
crollato. Sentiva l'odore della polvere, le bruciava la gola,
incapace di muoversi dal dolore, ma lui era così caldo.
E
poi lo vide... un uomo dal viso ricoperto dalle fiamme, i capelli
scuri e nessun sorriso ad adornargli il volto.
Endeavor
la poggiò a terra poco lontano, vicino ad altri
sopravvissuti che
stavano ricevendo soccorso. Le lanciò addosso la giacca di
Toshinori, che lei per qualche strano motivo si era trascinata
dietro, stringendola tra le dita fino alla fine. E infine si
allontanò, lasciandola sola, tornando dentro l'edificio per
salvare
altre persone dal crollo.
Machiko
si era guardata attorno, in una vana speranza, ma la verità
era così
amara da digerire: Toshinori non era lì. Toshinori non aveva
risposto alla sua richiesta d'aiuto, non era andato a salvarla e non
era nemmeno lì ad assicurarsi che stesse bene, troppo
impegnato a
combattere pochi isolati più indietro. Si era stretta la
giacca tra
le braccia, lasciandosi andare al pianto disperato, e lì
aveva avuto
l'ultimo segnale... la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.
Nascosto
nel taschino interno della giacca, Machiko aveva trovato l'anello di
fidanzamento che lui le avrebbe dovuto dare quella stessa sera. Al
momento del dolce, al momento ideale, ci sarebbe dovuto essere un
importante sì, lacrime di gioia, baci e feste per i futuri
sposi.
Invece sedeva su un tappeto di macerie, viva per miracolo, con ancora
una volta una promessa infranta e la consapevolezza che lui le
avrebbe chiesto di portarne il peso per il resto della sua vita...
finché morte non li avrebbe separati.
Non
era così forte, lo sapeva. Non era così forte da
poter sopportare
altro dolore come quello.
La
sera stessa chiamò Drew Halbert, il discografico americano.
L'ultima
promessa infranta.
«All
Might... c'è mai stato qualcuno che non sei riuscito a
salvare?»
quanto aveva fatto male, doverlo ammettere. Sì, c'era stato,
c'era
stato eccome ed era stato l'errore più grande della sua
vita. Perché
non era riuscito a sentirla, quella richiesta d'aiuto? Mentre lui
combatteva, Machiko, la sua Machiko, moriva alle sue spalle e lui non
era neanche stato presente al suo risveglio per chiederle perdono.
Lui doveva chiederle perdono. Doveva!
«Macchan!»
si alzò talmente rapidamente che la sedia volò
all'altro capo della
sala, spaventando gli ospiti di quella sera. Li ignorò,
così come
aveva ignorato alcuni di loro nel loro commentare
l'incredulità di
fronte ad All Might che cenava allo stesso tavolo di Nina. Corse
verso l'esterno, lasciando una manciata di banconote sul tavolo della
cassa, sapendo di averne prese più del necessario ma
intenzionato a
non aspettare il conto e il resto. Corse in strada e si
guardò
attorno, pregando che non avesse già preso un taxi o sarebbe
stato
costretto a cercarla per l'intera città.
«Macchan!»
chiamò, poco prima di intravederla che entrava in un parco
lì di
fronte. Corse in mezzo alla strada, ignorando le automobili che per
poco non lo presero in pieno, chiedendo distrattamente scusa, e le
corse dietro.
«Ma...»
chiamò ancora, superando il cancello, ma si
bloccò quando la vide
immobile proprio lì di fronte. Lo fissava e lui conosceva
bene
quello sguardo: ero lo sguardo che aveva rivolto ad ogni nemico che
si era ritrovata sulla strada. Era quello il modo in cui lo vedeva,
ora? Un nemico?
«Che
vuoi?» gli chiese freddamente.
Non
rispose subito, esitante, timoroso che ogni parola avesse potuto
rivolgerle avrebbe solo peggiorata quella terribile sensazione. Ma
lui doveva farlo, doveva togliersi quel masso dal petto, o non
sarebbe più riuscito a respirare.
«Perdonami!»
lasciò finalmente uscire.
«Questa
l'ho già sentita troppe volte» disse Machiko, e si
voltò
intenzionata ad andarsene.
«Sarei
dovuto essere lì, o per lo meno sarei dovuto tornare
indietro»
insistè, intenzionato a farlo quel passo. Un’altra
richiesta di
perdono, l'ennesima, ma cos'altro poteva fare? In quale altro modo
avrebbe potuto alleviare quel dolore che le impediva ancora di
sorridergli in quel modo così speciale che solo lei sapeva
fare?
«Dovevo esserci io lì a salvarti, non
Endeavor».
«Sì...
sì, è vero, dovevi».
«Mi
dispiace. Mi dispiace non esserci mai stato, mi dispiace aver dato
più importanza al mio sogno che a te...»
«Tu
non hai dato più importanza al tuo sogno,
Toshinori!» gridò lei,
voltandosi a guardarlo. Il viso ricoperto di lacrime, l'espressione
distrutta. Nina stava finalmente lasciando libera Machiko, libera di
urlare e di versare tutte le lacrime trattenute quei vent'anni.
«Anche
io davo più importanza al tuo sogno! Non è stato
quello il tuo
errore, brutto idiota! Tu hai dato più importanza al mondo
intero,
che a me! È questo il punto, perché non lo
capisci? Ho chiamato il
tuo nome! Ti ho chiamato, ho chiesto il tuo aiuto! Perché
non mi hai
sentito?» gridò, ormai in preda alla disperazione.
«Ti sei sempre
catapultato ovunque, sentivi la voce di chi ti chiamava a miglia di
distanza, mi mollavi perfino per andare a salvare i gatti dagli
alberi ma quando ti ho chiamato io, quando io, la tua fidanzata, ha
chiesto il tuo aiuto tu non c'eri!» fece un passo indietro e
ormai
stremata si portò le mani al viso, soffocandoci all'interno
i
singhiozzi. Quei singhiozzi che laceravano l'anima di Toshinori e
facevano perfino più male di quell'orribile ferita al ventre
che gli
aveva sottratto tutto il potere. «Perché non
c'eri?» singhiozzò
ancora, tremando come una foglia. «Sapevi a che ora sarei
partita,
te l'avevo detto, perché non c'eri? Ti ho aspettato in
aeroporto, ma
non sei venuto. Io ti ho aspettato così tanto!»
«Sedici
ore e mezza» mormorò Toshinori, facendo sussultare
Machiko. «Dalle
nove di mattina, fino all'una e mezza di notte. Hai preso l'aereo
dopo, perdendo volontariamente quello di mezzogiorno. Sei rimasta
seduta sulla terza sedia, quarta fila della sala d'attesa, per tutto
il tempo, senza mai muoverti».
Machiko
sollevò il voltò, sorpresa, guardando l'uomo
negli occhi. Quel
dolore che la stava dilaniando poteva vederglielo riflesso dentro.
Non era la sola che aveva perso, quel giorno.
«Come...?»
cominciò a chiedere.
«Ero
lì. Ero lì dalle otto, non sapendo a che ora
saresti arrivata sono
andato molto prima. Ma poi quando ti ho vista scendere dal taxi, con
il viso solcato dalle lacrime, senza quel tuo meraviglioso sorriso
che mi ha sempre dato la forza... ho capito. Ho capito e
basta».
«Mi...
mi hai lasciata andare via?» chiese lei, perplessa.
«Non
saresti mai stata felice accanto all'uomo che stavo diventando.
Dovevi trovare un'altra strada, un'altra ragione per sorridere e
continuare a illuminare il mondo» annuì, chino nel
volto, affranto
nell'espressione. «Ti ho lasciata andare via».
«Perché?»
il dolore che Machiko lasciò uscire dalla gola fu tale da
smorzarle
la voce. Strinse i pugni, mentre il viso si contraeva ancora di
più
sotto allo sforzo che adesso la rabbia, mescolata al dolore, le stava
sottoponendo. «Perché?» gridò
con tutto il risentimento che aveva
dentro.
«Ti
ho aspettato, ti ho aspettato così tanto e tu eri
lì, a fissarmi di
nascosto! A lasciarmi morire dentro!»
«Mi
dispiace» sussurrò Toshinori, non sapendo che
altro dire.
«Lo
vedevi! Lo vedevi quanto mi stava facendo male vedere che non mi
stavi neanche telefonando. Lo vedevi! Eri spettatore della mia
sofferenza e lì mi hai lasciata! Maledetto
bastardo!» e con tutta
la furia che aveva in corpo si lanciò su di lui. Lo prese a
pugni
sul petto, lo strattonò per la camicia, urlò e lo
colpì
ripetutamente, fintanto che ormai stremata dalla rabbia si
appassì,
lasciando spazio solo a una profonda disperazione. Piangendo e
urlando, poggiò infine la fronte sulla sua spalla e strinse
la sua
camicia tra le dita, e Toshinori la lasciò fare, senza avere
neanche
la forza di abbracciarla.
«Se
tu fossi venuto, io non sarei partita» confessò
lei.
«Lo
so» ammise lui.
«Perché
hai continuato a lasciarmi indietro fine alla fine e non sei mai
riuscito a capire che l'unico modo per rendermi felice era tenermi al
tuo fianco?» singhiozzò e quella confessione
sorprese Toshinori
tanto da sentire il cuore sobbalzare. Dunque era quello l'errore
imperdonabile, dunque era lì che aveva sempre sbagliato
senza capire
dove. Aveva sempre creduto che lasciare che andasse fosse stato un
modo per chiederle perdono e rimediare ai propri errori, aveva sempre
creduto che il suo errore madornale fosse sempre stato quello di aver
dato troppa importanza a sé e poca a lei. Invece l'errore
più
grande di tutti, quello che non riusciva a dargli pace ma che proprio
non riusciva a capire, era stato proprio quello di averle permesso di
andarsene.
«Non
saresti stata felice...» sussurrò lui, confuso,
aggrappandosi
all'unica verità che aveva sempre creduto di conoscere e che
gli
aveva sempre permesso di accettare quel destino.
«Brutto
idiota!» ringhiò Machiko, in un altro slancio di
rabbia. Si staccò
dalla sua spalla e allungò rapidamente un braccio dietro al
collo
dell'uomo. Usò i suoi fili, arpionandolo con
rapidità, sfruttando
la mano a contatto direttamente sulla sua pelle, e riuscì
così a
costringerlo ad abbassarsi. Con un leggero slancio si alzò
sulle
punte e raggiunto il suo volto schiacciò con foga le proprie
labbra
sulle sue. Serrò gli occhi, tanto da corrucciarsi per tutta
la
rabbia che impresse in quel bacio. Le dita della mano destra
artigliate ai suoi capelli, il braccio sinistro usato per continuare
a tirarselo contro, e decise di non lasciarlo andare tanto
facilmente. Lo sentì tremare, il respiro che usciva smorzato
dal suo
naso e ogni singolo centimetro del suo corpo che parve essere
percorso da una scarica elettrica. L'afferrò, ricambiando
quella
rabbia, ricambiando quella disperazione, e le strinse le spalle
schiacciandola a sé. La mano destra sulla sua guancia, con
la punta
delle dita che andavano immergendosi nei capelli, con forza, la
teneva stretta e trasformò quel bacio in qualcosa di
più folle.
Schiuse le labbra, catturò le sue, le accarezzò,
respirò la sua
aria e infine andò a cercare la sua lingua. Quando si
incontrarono
un'altra scarica elettrica parve percorrerli e colti da un oscurante
euforia si strinsero ancora di più, schiacciando i propri
corpi tra
loro, come a volersi scaldare l'uno dell'altro, colti da un brivido
di freddo. Machiko fece scorrere la propria mano lungo il collo di
Toshinori, assaporando quel piccolo lembo di pelle scoperta, godendo
di quel calore che riusciva ad emanare. Lo sentì
rabbrividire
nuovamente, contro se stessa, tanto forte che un lamento gli
uscì
dalla gola, incapace a trattenerlo.
Si
separarono per prendere fiato, ma senza allontanarsi troppo, entrambi
con gli occhi chiusi, spaventati forse all'idea che riaprendoli
quell'incantesimo sarebbe svanito. Machiko concesse un'altra carezza
voluttuosa lungo la porzione di collo scoperta di Toshinori.
«Vieni
con me» sussurrò, colta da una folle idea a cui
sembrava decisa a
cedere. Voleva passare la notte con lui. Non le importava niente del
passato, dei doveri, dei risentimenti, di tutto quel tempo che era
passato e nemmeno di ciò che Akane avrebbe detto se l'avesse
scoperta. Voleva passare l'intera notte con lui, averne addosso
l'odore e il calore fino al sorgere del sole. Quella stessa idea
probabilmente stava attraversando anche Toshinori, ma a differenza
sua, lui pareva combatterla con più accanimento. Ma come
poteva
Machiko immaginare il motivo di tanta resistenza? Col viso
corrucciato, allungò con fatica una mano lungo il suo stesso
collo,
incrociando le sottili dita della donna. L'afferrò con
delicatezza e
con uno sforzo che poche volte aveva dimostrato, le fece scivolare
via, riportando tra loro due l'aspra stoffa della sua camicia,
costringendola a metterla sul petto.
«Non
posso» ammise.
Come
avrebbe potuto reagire il suo corpo a una tale situazione? Se avesse
passato veramente la notte con lei, tutto quel tempo, sotto lo sforzo
del sesso, sarebbe riuscito a mantenere la propria forma? E se avesse
ceduto nel momento meno opportuno? Avrebbe dovuto dirglielo, si era
ripromesso che quella sera l'avrebbe fatto, che le avrebbe detto la
verità, ma ora che lei si era avvicinata in quel modo il
coraggio
mancava ancora di più. Era superficiale, forse infantile, ma
ora più
che mai non avrebbe resistito a un suo rifiuto di fronte a quella sua
ribrezzante nuova forma fisica. E se avesse visto la cicatrice? Se
dopo aver di nuovo potuto assaporare quei deliziosi momenti insieme
lei l'avesse nuovamente allontanato, non avrebbe retto. Questa volta
non ne avrebbe avuto la forza.
Ma
questo Machiko non poteva saperlo e vide in quel sofferente rifiuto
solo la giustizia di un uomo che legato alla sua moralità
considerava sconveniente e forse poco educato approfittare di una
donna in uno stato d'animo turbato come il suo.
«Sì
che puoi» disse, cercando di rassicurarlo e provò
di nuovo a
cercare di sfiorare quella sola porzione di pelle che gli era
concessa. Ma lui la fermò ancora, con più
decisione.
«No,
no, Macchan» si corrucciò e ancora ammise:
«Non posso. Davvero».
«Sei
diventato impotente?» chiese con una tale naturalezza, anche
se era
possibile coglierne l'affilata ironia di fondo, che Toshinori si
irrigidì, arrossendo violentemente.
«Guarda
che non c'è da vergognarsene. È una condizione
medica, ne soffrono
tanti uomini» insisté lei con la stessa
leggerezza, accennando un
sorriso divertito con l'angolo sinistro della bocca.
«Non
è per questo» balbettò lui, sentendosi
in dovere di difendersi
anche se non seppe bene come. Machiko osservò a lungo il suo
viso,
tenerlo così vicino a sé la rasserenava e vederlo
in quelle
espressioni così familiari, così tenere e
divertenti, la faceva
stare proprio bene.
«Va
bene» disse facendo un passo indietro e allontanandosi.
Toshinori la
guardò preoccupato, terrorizzato all'idea di averla in
qualche modo
ferita o offesa, ma si sorprese piacevolmente quando la vide serena e
comprensiva. La sua Machiko era sempre stata così
comprensiva.
«Mi
puoi accompagnare almeno in albergo? Penso che per stasera sia il
caso di rincasare, troppe emozioni».
«Alla
fine non hai mangiato niente» osservò lui un po'
preoccupato,
camminandole a fianco.
«Farò
venire il servizio in camera» disse lei e per il resto del
tragitto
restarono in silenzio, forse non sapendo che dire, come commentare
quanto successo, o forse semplicemente desiderosi di non rompere
quella piccola magia che li stava facendo stare bene dopo
così tanto
tempo.
Life
can get you down so I just numb the way it feels
I
drown it with a drink and out of date prescription pills
And
all the ones that love me they just left me on the shelf
No
farewell
So
before I save someone else,
I’ve
got to save myself
NDA.
E
io l’avevo detto che questo era un capitolo COLBOTTO (tutto
attaccato, esatto, tipo “colbacco”... io dico
colbotto).
Finalmente, ci sono voluti 18 capitoli, ma finalmente eccovi rivelato
cos’è successo quel famigerato giorno di
vent’anni fa: mentre
Machiko aspettava speranzosa l’ennesimo ritardo di Toshinori,
ecco
che l’attacco criminale arriva anche al suo ristorante.
L’edificio
crolla e lei cade giù, chiamando disperata il suo nome,
invano.
Perfino al risveglio non lo trova, ma al suo posto a portarla in
salvo c’è Endeavor (E qui confesso che per un
attimo ho esitato di
fronte alla tentazione di mandare tutto al diavolo e trasformare la
ff in qualcosa di più pervert con quel pezzo di manzo alla
brace di
Papà Todoroki, della serie “oh mio eroe lascia che
ti ringraz..”
EHM…
ma
facciamo le brave e seguiamo alla lettera la scaletta u.u). E poi
c’è
stato il litigio, lei che finalmente è riuscita a piangere e
a
confessare quanto la cosa le abbia fatto male smettendo di ripetere
che “era tutto ok”, e non dimentichiamoci del bacio.
COLBOTTO!
(...gomblotto…)
La
canzone di Ed è perfetta e meravigliosa. Scegliere una sola
strofa
da mettere laggiù in fondo è stato impossibile,
alla fine ho optato
per il ritornello per comodità. Ogni singola parola,
dall’inizio
alla fine, rispecchia i pensieri di Machiko. Tutte, compresi gli
articoli. E’ veramente eccezionale e dovete ascoltarla e
piangere
quanto ho pianto io mentre mi immaginavo Macchan di 23 anni che se la
canticchiava da sola, magari nella vasca da bagno in lacrime con una
bottiglia di vino, mentre tiene in mano il telefono pronta a chiamare
Drew e cambiare la sua vita. Come si può intuire infatti
è riferita
a quel giorno di vent’anni prima, quando ha preso la
decisione di
andarsene, soprattutto il “so before i save someone else,
i’ve
got to save myself” è molto significativa,
perché il “save
someone else” si lega alla sua carriera di eroina che decide
di
lasciare per “salvare se stessa” e scappare via. Ma
comunque
ripeto, andatevela a leggere e ascoltare perché è
tutta tutta TUTTA
perfetta per quello che è successo a lei quel giorno.
E
PARLANDO DI CANZONI!!!!
Adesso
posso dirlo...
Nel
capitolo "So what, Pink" c'è un megaspoiler che
però era
nascosto. La canzone stessa è uno spoiler, quando dice:
You
weren't there,
You
never were,
[...]
You
weren't there,
You
let me fall.
Lui
non c'era quel giorno, non c'è mai stato in nessuno dei suoi
bisogni. E il "you let me fall" è letterale. Lei
è caduta
dal palazzo distrutto e lui l'ha "permesso" proprio perché
non era lì, l’ha lasciata cadere. E la cosa
può essere anche
ripresa metaforicamente per quando era all’aereoporto ad
aspettarlo: lui non c’era e l’ha lasciata andare,
ed è stato
quel “vai pure, non ti vengo neanche a salutare” a
darle il colpo
di grazia (che poi vabbè… lui ha spiegato le sue
ragioni).
Un
altro spoiler interno alla canzone è racchiuso nell'intro,
che dice:
"I guess i just lost my husband". Si parla espressamente di
marito, e qui si capisce perché: Toshinori voleva chiedere a
Machiko
di sposarlo (Engel ci era già arrivata ma scommetto non solo
lei
xD). Quindi quando vi dico di ascoltare le canzoni che vi propongo...
beh fatelo u.u ahahahah
Ok,
credo di aver finito.
Lascio
a voi le considerazioni io torno a mangiare polaretti.
Ciao!
Ray
PS.
Sì, oggi sono di buon umore stranamente e le mie NDA sono
idiote…
ma cose serie comunque le ho scritte, dai xD
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Capitolo 19 *** Try, Pink ***
"Try”,
Pink
Le
lezioni pomeridiane del corso speciale di Nina divennero molto
più
noiose da quando Aizawa era stato incaricato di occuparsi di lei, per
assicurarsi che non commettesse altri spropositi verso gli studenti.
Nina sembrava essersi rabbuiata, girava tra i ragazzini,
osservandoli, dando anche qualche consiglio, ma era tutto
così
pacato, così poco stimolante. Aizawa alla fine non l'aveva
bloccata
neanche una volta, ma bastava uno solo dei suoi sguardi per far
rabbrividire Nina e farle capire che era meglio che evitasse certi
comportamenti. E alla fine, lei era la prima ad annoiarsi. L'idea che
fosse sotto osservazione, che Aizawa fosse lì esclusivamente
per
bloccare i suoi fili, impedirle di essere se stessa, la tormentava
tanto da farle perdere l'entusiasmo che quel corso all'inizio le
aveva dato. Ma cos'altro avrebbe potuto fare?
«Ben
fatto, Kaminari, continua così» mormorò
sovrappensiero, dopo
averlo a malapena osservato.
«Ottimo
lavoro, Jiro» continuò, passeggiando tra gli
studenti.
Sbuffò,
ormai esausta. Quelle due ore sembravano non passare mai.
«Nina!»
a chiamarla fu la delicata voce di Uraraka. Era raro che la
piccoletta si facesse avanti con lei, per questo la
curiosità fu
tale che ebbe tutta la sua attenzione. La ragazzina arrossì,
prima
di lanciare uno sguardo ad Aizawa e poter infine parlare:
«Ecco...
potrei parlarti?»
Nina
lanciò uno sguardo all'uomo alle sue spalle e gli fece
spallucce,
dando perciò indirettamente alla ragazzina la colpa di tutto
quello.
In realtà Uraraka non poteva sapere che grosso favore le
stava
facendo. Aizawa annuì, non troppo convinto, e si
allontanò
abbastanza da permettere alle due di parlare ma non troppo da perdere
di vista la donna. Non riusciva proprio a fidarsi di lei, c'era
qualcosa nel suo modo di fare che mai l'avrebbe convinto.
«Ecco...»
cominciò Uraraka, imbarazzata, chiedendosi se stesse facendo
la cosa
giusta. «La prossima settimana ci sarà il festival
sportivo»
cominciò a spiegare e già quella prima
affermazione sorprese Nina:
«Sarà la prossima settimana? Perché
nessuno mi ha avvertita? Potrò
guardarvi prima di andarmene, che fortuna!»
«Forse
non dovrei essere così sfacciata»
mormorò Uraraka, ancora più
imbarazzata.
«Tesoro,
che ti prende? Cosa c'è che vuoi chiedermi?»
chiese Nina,
stringendosi nelle spalle e abbassandosi appena per mettersi al suo
stesso livello. Sembrava di vedere una madre di fronte alla propria
timida figlia, vista dall'esterno era persino tenero.
«In
questa classe ci sono tante persone molto più forti di me e
non
conosco le persone delle altre classi, anche lì potrebbe
essere
pieno di persone migliori di me, eppure vorrei così tanto
riuscire a
distinguermi. Il festival sportivo è un'occasione
così importante!»
serrò i pugni e Nina continuò a osservarla in
silenzio, lasciando
che parlasse. Non sapeva cosa c'entrava lei in tutto quello, non
ancora, ma sentiva che Uraraka in quel momento aveva bisogno di lei e
non si sarebbe certo tirata indietro. «Sto cominciando a
pensare che
potrei fare molto di più, che non ho ancora tirato fuori il
vero
potenziale del mio Quirk, ma non riesco a capire dove
sbaglio» e
dopo questa confessione, con un sospiro raccoglitore, chiese tutto in
un fiato: «Nina, per favore, puoi aiutarmi ad arrivare prima
al
festival sportivo?»
Nina
si sollevò, pensierosa, e lasciandosi cadere
all’indietro si
appoggiò al blocco di cemento che aveva alle spalle, creato
da
Cementoss. L'attesa di una risposta diede tempo a Uraraka di pensare
di aver commesso un errore, di essere stata troppo sfacciata o di
aver sbagliato a credere che lei avesse potuto aiutarla a uscire da
quel blocco.
«Perché
lo hai chiesto a me?» parlò finalmente, Nina.
«Io
non lo so...» balbettò Uraraka, timida.
«Credo sia per via della
tela del ragno».
«La
tela del ragno?» Nina inarcò un sopracciglio, non
capendo di che
stesse parlando.
«Al
museo, qualche giorno fa. Nina, posso chiederti una cosa?»
«Certamente».
«Avevi
già usato quella mossa? Quella con cui ci hai protetti dal
fuoco,
incrociando i tuoi fili come fossero la tela di un ragno».
«Allora
è a quello che ti riferisci» capì Nina,
socchiudendo gli occhi.
Uraraka l'aveva osservata più di quanto avesse immaginato,
aveva
capito molte cose. Avrebbe dovuto capirlo fin da subito che era una
brava osservatrice, da quando l'aveva sentita parlare del suo passato
con Toshinori, dopo aver visto la foto che Mineta aveva portato in
classe. Chissà perché non l'aveva mai notata
troppo, eppure, ora
che ci faceva caso, era una persona davvero interessante.
«Sapevi
che era la prima volta che la improvvisavo, giusto?» chiese,
cercando di indagare fin dove si fosse spinto il pensiero della
ragazzina.
«Mi
hai parlato dei ragni e delle loro tele appena mezz'ora prima
dell'attacco, ne parlavi con ammirazione, come se fosse qualcosa a
cui aspiravi diventare ma che sapevi non ci saresti mai riuscita.
Poi, quando quell'uomo ci ha sparato il fuoco addosso, sei diventata
tu stessa un ragno e hai creato una tela per proteggerci. Non so, ho
immaginato che tu avessi improvvisato perché non avevi dato
prima
l'impressione che fosse qualcosa che sapevi fare. Mi sbaglio?»
«No»
rispose schietta, Nina. «Non ti sbagli. Mi sono lanciata su
di voi
con solo l'idea che dovevo proteggervi, non avevo la più
pallida
idea di come, poi tutto è successo. Non so come mi sia
venuto in
mente, ho solo pensato che i miei fili erano sottili, ma avrebbero
potuto contrastare quelle fiamme. Dovevo solo trovare il modo di
renderli spessi abbastanza da ricoprirci. Ho improvvisato, è
vero».
«Conosci
a fondo il tuo Quirk, sai quali sono i vantaggi e i limiti e riesci
perfettamente a combinarli rendendolo incredibilmente potente. Hai
combattuto contro quattro uomini, tutta da sola, hai tenuto loro
testa, mentre Sutegoro non è riuscito neanche a sfiorarlo e
Kamui
Woods non è riuscito ad avvicinarsi. E tu non combatti da
anni,
mentre loro lo fanno di professione!»
«Accidenti,
così mi lusinghi» e per quanto il tono usato fosse
dei più
scherzosi, il rossore sulle guance di Nina tradì la
sincerità di
quelle parole. «Ma non esagerare, non sono così
forte come credi,
ho solo avuto fortuna. Se poi non fosse arrivato All Might non sarei
mai riuscita a portarvi in salvo».
«Io
voglio diventare come te!»
«Eh?»
arrossì Nina, improvvisamente senza parole. Di lusinghe ne
aveva
ricevute a bizzeffe, era abituata ai complimenti di ogni sorta, ma
era la prima volta che qualcuno arrivasse persino a dirle che voleva
somigliarle. Era la prima volta che qualcuno ammirava la burattinaia,
senza temerla, ma aspirando addirittura ad essere come lei.
«Cioè!
Nel senso che...» cominciò a dimenarsi Uraraka,
imbarazzata. «Anche
io non sono forte e sono tanto inesperta, ma voglio essere comunque
in grado di combattere contro quattro uomini quando tutti gli altri
non ce la fanno solo perché so come tirare fuori il meglio
di me!
Vorrei solo... che mi insegnassi».
La
sensazione di essere apprezzata, di essere piaciuta, la sensazione di
qualcuno che non solo l'accettava per quello che era, senza chiederle
di nascondersi, ma la elogiava. E ciò che rendeva il tutto
così
emozionante era il fatto che per la prima, dopo anni, non era Nina la
cantante a ricevere quelle attenzioni ma la piccola, segregata e
imbavagliata Machiko, costretta a nascondersi per poter piacere agli
altri.
Sorrise
lievemente emozionata, sollevata nel petto. Quella vacanza era la
cosa migliore che avesse mai scelto di fare.
«Non
posso insegnarti a usare meglio il tuo Quirk»
confessò e questo
scaturì l'addolorata espressione di Uraraka. Ci aveva
sperato così
tanto.
«Ascolta,
il punto è che nessuno può farlo
perché nessuno ha il tuo Quirk.
Possiamo fare supposizioni, possiamo provare a immaginare in che modo
potresti migliorarlo, ma è qualcosa che viene da dentro di
te e che
solo tu possiedi. Perciò solo tu puoi studiarlo a fondo e
capire
come renderlo migliore, nessun altro».
«Non
so da dove cominciare... so solo che posso far galleggiare le
cose».
«Ogni
cosa?»
«Sì...
credo».
«Qualsiasi
peso? Qualsiasi grandezza? Fino a che altezza può arrivare?
Oltre
che annullarla, puoi anche aumentarla la forza di gravità?
Per
quanto tempo? E sott'acqua? Come funziona? In quali occasioni puoi
usarlo? E se avessi per esempio dei propulsori ai piedi per muoverti
come il tuo amico Iida? Se combinaste i vostri Quirk? Cosa ne
uscirebbe? Vedi? Di domande ce ne sono a bizzeffe e tu mi sembri
abbastanza curiosa e attenta da riuscire a fartele e trovare delle
risposte. Prendi spunto da ciò che ti circonda, come ho
fatto io con
i ragni, non fossilizzarti su ciò che sai di essere ma
chiediti
cos'altro puoi diventare. Io pensavo di essere una burattinaia, ho
adesso scoperto che posso essere anche un ragno. Non si finisce mai
di imparare, eh?» sghignazzò.
«Cosa
posso diventare» mormorò Uraraka, portandosi una
mano al mento e
cominciando una profonda riflessione. Nina la guardò,
sorridendo, e
la lasciò immersa nei suoi pensieri, senza interferire.
«Deku
ha un quadernetto dove raccoglie tutte le informazioni sugli eroi. Le
usa per imparare da loro e gli piace trovare il modo per usarle nel
migliore dei modi. Proprio come mi hai detto tu. Credo che a questo
punto sia davvero la strada giusta da percorrere! Sì! Devo
fare
esattamente come fa lui!»
«Deku?»
chiese Nina, alzando un sopracciglio. Di chi diamine parlava?
«Devo
prendere spunto da ciò che mi circonda e usarlo per
migliorarmi!»
«Uraraka»
la chiamò Nina, destandola dal suo monologo motivazionale.
«Ricorda
che anche i nemici sono cose che ti circondano. Non aver paura di
usarli a tuo vantaggio».
Uraraka
annuì, ragionando ad alta voce: «La tua forza non
era abbastanza
per uscire dalle sabbie mobili che l'uomo dell'asfalto aveva creato,
perciò hai usato il rinoceronte per farti trascinare
fuori».
E
ancora una volta Nina sorrise, sorpresa della capacità di
osservazione che la ragazzina stava dimostrando. Era stupefacente.
«Forse
c'è una cosa che posso dirti per aiutarti» disse,
ed ebbe così
tutta l'attenzione della ragazzina. «Sei quel genere di
persona che
si tende a sottovalutare».
«Eh?»
sobbalzò Uraraka per niente rincuorata. Che doveva essere
quello? Un
complimento? Le aveva appena detto che non faceva paura a nessuno,
non era molto carino.
«Ascolta,
un avversario che ti sottovaluta è un avversario che abbassa
la
guardia. Non importa chi hai davanti, se ti mostra la guancia tu
tiragli un bel pugno!» sghignazzò divertita da
quella metafora che
si era appena inventata, ma Uraraka continuò a guardarla di
traverso
senza aver ben chiara l'utilità di quel consiglio. Le
sarebbe stato
utile più avanti, forse.
Nina
le posò una mano sulla testa, scompigliandole
affettuosamente i
capelli. Uraraka restò immobile, arrossendo appena, e
sorridendo.
Una reazione completamente diversa da quella di Bakugou che invece
sembrava volesse staccargliela quella mano, tutte le volte che
provava a trattarlo in quello stesso modo. Era una ragazzina
così
tenera.
«Plus
Ultra» le sussurrò, incoraggiante. Uraraka si
illuminò ed annuì.
«E
adesso dimmi, chi è questo Deku? Il tuo
fidanzato?» chiese
allargando il viso in un enorme sorriso curioso. Uraraka
arrossì
tanto violentemente che per poco non svenne e cominciò a
balbettare,
agitandosi, che non erano affatto fidanzati.
«Ok,
ma mi dici chi è?» chiese Nina ancora, insistendo
come una
ragazzina alle confidenze dell'amica, ben intuendo che non era vero
che tra quei due non ci fosse niente.
«Deku
è Izuku-kun... è il suo nome da eroe»
balbettò lei, cercando di
spiegare. «Siamo solo amici e io adesso è meglio
che torno ad
allenarmi!» e si affrettò a scappare, osservata da
una ridacchiante
Nina. Com'erano belle e innocenti quelle cotte infantili, come
sembrava tutto più semplice, più intenso e meno
terrificante.
Spostò lo sguardo oltre le murate di Cementoss, oltre
Uraraka, e
riuscì a intravederlo: Midoriya continuava a tirare pugni e
calci al
vuoto, colpendo ogni tanto le murate di Cementoss, senza usare il suo
potere, timoroso di finirne in pezzi. Ricordava come anche Toshinori
si fosse rotto qualche arto, quando ancora non riusciva a
padroneggiare appieno il potere di Nana. Ricordava l'impegno con cui
Toshinori portava avanti quegli ideali, quello stesso impegno che
stava accecando il ragazzino. Tutto quell'impegno nello strappare via
la ragione di vita dalle dita di un uomo e neanche riusciva a
dimostrare di esserne degno. Come poteva Toshinori rinunciare
così a
se stesso, cedendolo proprio a lui. Con tutti quelli che c'erano al
mondo, perché proprio quel Midoriya?
In
realtà, era difficile da ammettere, ma probabilmente nessuno
sarebbe
stato degno, ai suoi occhi. Nana aveva scelto Toshinori, Nana lo
sapeva quanto valesse, era l'unico che fosse mai stato degno di tanto
potere. Esisteva davvero qualcuno in grado di egualiarlo? Esisteva
davvero qualcuno che poteva considerarsi al livello di Toshinori?
Qualcuno degno di appropriarsi di quel suo prezioso potere?
Era
tutto così assurdo.
«Midoriya!»
chiamò severa, senza muoversi, facendo rimbombare la sua
voce in
tutta la palestra. Il ragazzino rabbrividì, riconoscendo nel
suo
tono la minaccia che solo Nina sapeva trasmettere. Aizawa
incrociò
le braccia al petto e silenziosamente si avvicinò di qualche
passo,
pronto a intervenire nel caso ce ne fosse stato bisogno.
«Che
stai facendo?» gli chiese.
«Io...
sto provando ad usare il mio potere, senza rompermi un
braccio»
confessò il ragazzino.
«Non
dirmi balle!» ringhiò lei. Perché
Toshinori l'aveva scelto? Cosa
aveva di così speciale? Perché gli permetteva di
strappargli così
la preziosa vita che lui aveva meticolosamente costruito?
«Non ci
stai neanche provando!»
«Se...
se lo lascio andare, potrei usarne troppo e farmi del male!»
si
giustificò Midoriya. «Devo ancora capire come
regolare...»
«Tu
te la stai solo facendo sotto!» gli urlò contro
Nina.
«Adesso
calmati» ordinò Aizawa, avvicinandosi a lei. Tutto
quel
risentimento era palpabile ed era ovvio che non c'entrasse niente con
la lezione che stava svolgendo. Nina stava di nuovo rischiando di
essere troppo se stessa, esagerando.
«Non
è tremando di paura che salverai il mondo, moccioso! Nessuno
sorriderà di fronte a un eroe che se la fa sotto
più di loro!
Nessuno!» urlò, serrando i pugni, e per quanto
fosse stata violenta
in quelle parole, Midoriya ne colse il succo. All Might non aveva mai
paura, o perlomeno non lo dimostrava mai, affrontava tutto a testa
alta e con sicurezza. Come poteva prendere il posto del suo grande
eroe, diventare come lui, se non partiva dalle basi? All Might
sorrideva sempre, lui non faceva che tremare di paura.
«Tira
quel cazzo di pugno!»
«Ora
basta, Nina!» disse severo Aizawa.
«Ora
mi è proibito anche parlare con i miei studenti?»
lo fulminò Nina.
«Stai
incitando uno studente a disintegrarsi un braccio, non è il
modo
migliore per impartire una lezione!»
«Sto
incitando uno studente a dimostrare di essere degno del potere che
gli è stato concesso! Sta a lui cercare di uscirne integro!
Tira
quel pugno, ho detto!»
«Gettare
i bambini nel lago per obbligarli a imparare a nuotare non sempre
funziona. Questa scuola ha degli standard di sicurezza
precisi»
insistè Aizawa.
«Me
ne frego! Midoriya, tira quel dannato pugno, ora!»
«Nina!»
«Tiralo!»
gridò ancora e, non seppe neanche lui per quale motivo,
forse
intimorito all'idea di non esserne veramente degno, forse desideroso
di far onore ad All Might che aveva creduto in lui, con un urlo si
lanciò carico contro la murata. La colpì, ma non
andò in pezzi. Un
gran dolore alle nocche e nessuna ferita se non qualche abrasione:
aveva colpito il muro con la semplice forza di un uomo e non con il
suo potere. Perché? Che avesse avuto paura all'ultimo? Si
voltò
verso Nina e Aizawa e la risposta arrivò da quest'ultimo,
dai suoi
occhi arrossati e i capelli sollevati. Aveva neutralizzato il suo
potere, per impedirgli di andare in pezzi. Doveva essergli grato,
eppure continuava a soffrire di quello sguardo frustrato che Nina gli
lanciava. Perché non riusciva a credere in lui, come aveva
fatto All
Might? Perché credeva nella forza e nel futuro di tutti i
suoi
compagni, perfino di Mineta, ma non in lui?
«È
abbastanza?» chiese Aizawa, provocatorio, verso la donna.
Nina voltò
le spalle al ragazzino, dirigendosi verso Bakugou, dall'altro lato
della palestra.
«Per
il momento» rispose semplicemente, allontanandosi. Ancora non
riusciva a capirlo, ancora non riusciva ad accettarlo. Quel Midoriya
non era degno, non riusciva a pensare ad altro, ed avrebbe infranto
il sogno per il quale entrambi avevano lavorato tanto e si erano
sacrificati a tal punto. Tutto stava crollando in pezzi, per colpa di
quel ragazzino. Ogni motivazione perdeva di senso. Perché se
n'era
andata, permettendo ad All Might di nascere definitivamente, se poi
arrivava un ragazzino qualunque e lo annientava, prendendone il
posto? Un ragazzino che non sarebbe mai stato in grado di portare
onore a quel sogno, a quel sacrificio.
Perché
proprio lui?
Ever
wonder about what he’s doing
How
it all turned to lies
Sometimes
I think that it’s better to never ask why
Where
there is desire
There
is gonna be a flame
Where
there is a flame
Someone’s
bound to get burned
But
just because it burns
Doesn’t
mean you’re gonna die
You’ve
gotta get up and try try try
NDA.
Sto
capitolo non mi piace per niente, ma non c’è stato
verso di
trovare il modo di sistemarlo o trovare una canzone che mi
convincesse di più (Sì, Try è molto
bella ma non mi stimola XD)...
perciò to’, ve lo beccate così
com’è e spero che il prossimo
andrà meglio ahahaha
Comunque
ci sono “affezionata” perché comincia a
emergere un altro
elemento importante della storia: Midoriya non le piace per niente.
In realtà credo che nessuno le sarebbe piaciuto, non
è niente
contro Midoriya in sé, ma recrimina il semplice fatto che
(giustamente) sia inesperto e non abbia neanche idea di cosa lui
abbia tra le mani. Semplicemente non riesce ad accettare che sia
arrivato il momento di passare il testimone, il momento per Toshinori
di andare in pensione dopo tutto quello che hanno fatto (entrambi)
per portare a compimento quel sogno. E si chiede se sia giusto, se
Midoriya sia quello giusto, e più se lo chiede
più si turba nel
vederlo ancora così debole e inesperto. In Toshinori aveva
grandi
aspettative, lei sembrava ossessionata e sicura che lui fosse la
persona perfetta per quel tipo di compito (ricordo nel flashback del
Tanabata per esempio esprime il desiderio che lui ce la faccia,
oppure sempre in un altro flashback se la prende con lui,
malmenandolo, quando ha un calo di fiducia in se stesso. Gli da
forza, lo incoraggia ed è certa che può fare
enormi cose, per
questo decide poi anche di “sacrificarsi” e farsi
da parte). E
ora tutto quello lo vede nelle mani tremolanti di un ragazzino che ha
perfino paura a guardarla negli occhi… la rabbia e la
frustrazione
sono dietro l’angolo, no? ;P
Di
nuovo ringrazio TUUUUUUUUTTI quanti quelli che leggono (negli ultimi
capitoli c’è stato un boom di visual incredibile,
cos’è
successo?! xD) e vi saluto! Al prossimo capitolo che spero -e credo
(?)- sarà più decente.
CIà!
Ray
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Capitolo 20 *** Already gone, Sleeping at Last ***
"Already
gone”, sleeping at last
«Nina?»
la timida voce di Uraraka fece capolino alle sue spalle, appena
subito dopo il rumore della porta che si apriva. Nina lasciò
andare
i propri vestiti, serrati all'altezza del petto, e si
affrettò a
portarsi la mano tremante sulla guancia, strofinando via l'umido
delle sue lacrime.
«Uraraka-chan»
sussultò, cercando di riacquistare rapidamente un sorriso
convincente, ma lo sporco sulle sue guance e il rossore dei suoi
occhi la tradirono. «Perdonami, dammi solo un minuto e torno
dentro».
Uraraka
uscì completamente dalla palestra, chiudendosi delicatamente
la
porta alle spalle. Ci si poggiò con la schiena, separando in
maniera
netta il resto della sua classe dal giardino esterno, dove Nina era
fuggita poco dopo la sceneggiata fatta a Midoriya. Nina
riuscì a
leggere la preoccupazione nel suo sguardo: non sarebbe stato un finto
sorriso e due rassicurazioni a calmarla. Uraraka riusciva a vedere
ben oltre, era una perfetta osservatrice. Sospirò,
rassegnata: non
poteva mentirle.
«Forse
dovrei accettare le conseguenze, farmi mandare via e basta, senza
insistere oltre. Non sono portata per fare l'insegnante, Aizawa ha
ragione» si avvicinò al muro della palestra e ci
si poggiò con la
schiena, alzando lo sguardo al cielo. «Nella vita l'unica
cosa che
sia mai riuscita a fare è solo cantare».
«Questo
non è vero!» si affrettò a rispondere
Uraraka, decisa a tirarla su
di morale... qualsiasi cosa le fosse preso. «Ci hai salvati
al
museo, ci hai insegnato un sacco di cose sui limiti o il
combattimento coordinato, hai protetto Bakugou e Kirishima da una
punizione e hai perfino convinto Bakugou ad ascoltarti! Hai visto
prima come ha abbassato la testa, quando lo hai brontolato di essere
troppo impulsivo? Non lo fa con nessun altro, te lo assicuro!»
«Il
piccolo Kacchan» ridacchiò Nina, ricordando con
tenerezza quel
piccolo momento insegnate-studente appena rammentato da Uraraka.
«Diventerà un grande eroe».
«Tu...
credi molto in lui?» chiese Uraraka, titubante. Come poteva
pensare
che uno come Bakugou sarebbe diventato un grande eroe? Era forte, era
vero, ma non aveva niente dell'eroe! A lui interessava solo
combattere e vincere, non aveva altri principi morali se non quelli
di fare a pezzi chiunque gli si parasse davanti. Nei test di
salvataggio non a caso arrivava sempre ultimo.
«È...
come dire? Esplosivo!» non poteva esserci aggettivo migliore.
«Ma
ha la testa sulle spalle e sa cosa vuole. Non è uno stupido
tutto
muscoli e niente cervello. È quel genere di persona che
sottovaluteresti, proprio come te, Occhan».
«Io
e lui non ci somigliamo per niente» disse Uraraka, lievemente
infastidita per il paragone. Bakugou era rozzo, volgare, antipatico e
fastidioso. Niente a che vedere con una come lei.
«No,
è vero» ridacchiò Nina, divertita dal
sul modo di fare. «Tu sei
molto più carina» e le fece un occhiolino. La
reazione imbarazzata
della ragazzina aumentò la sua ilarità,
rasserenandole il cuore. Le
posò una mano affettuosa sulla testa, in segno d'affetto e
di
ringraziamento. Quel leggero buon umore che le aveva donato con tanto
sforzo aveva avuto il suo effetto.
«Uraraka,
tu sei molto affezionata a Midoriya, vero?» chiese, tornando
a
chiudere il volto in un'espressione corrucciata, ma più
rasserenata
rispetto a prima. Uraraka arrossì nuovamente e si
affrettò a
specificare: «Siamo solo amici!»
Nina
ignorò la palese bugia dietro alla quale si nascondeva e le
fece la
domanda che tanto le premeva il petto: «Credi che abbia le
carte in
regola per essere un ottimo eroe? Per diventare... il numero
uno?»
Uraraka
la guardò per un attimo confusa e perplessa: mai era
capitato che un
insegnante chiedesse parere a uno studente sulla valutazione per un
altro studente. Ma, in fondo, Nina non era una vera insegnante.
«Insomma»
aggiunse la donna, cercando probabilmente una scappatoia, una
giustificazione a quella domanda tanto improvvisa: «Tutti mi
hanno
mostrato qualcosa del loro potenziale, tranne lui. Sembra quasi che
non ne abbia uno, non capisco come sia riuscito a entrare in questa
scuola».
«Il
giorno del test, alla prova pratica, aveva fatto zero punti»
disse
Uraraka con una tale leggerezza nel tono che Nina si chiese, curiosa,
dove volesse andare a parare. Non sembrava quel tipo di persona che
si prendeva beffe di un amico e allora perché
quell'affermazione?
«C'era un robot, tra tutti, che andava assolutamente evitato.
Non
dava punteggio e intralciava solamente, perciò quando ha
fatto la
sua comparsa tutti hanno pensato solo a scappare via. Ma io ero
rimasta ferita, ed ero schiacciata sotto a delle macerie, non potevo
muovermi. Oltre a non poter andare a cercare altri robot per fare
punteggio, ho rischiato di morire schiacciata da quello da
zero».
«Lui
è tornato indietro e ti ha salvata. Ho visto la
registrazione del
vostro test» ammise Nina, ricordandosi del video che Nezu le
aveva
mostrato. «Un gesto nobile, che chiunque con un po’
di buon cuore
avrebbe fatto. Non è certo prerogativa del numero
uno» aggiunse non
convinta.
«Questo
è vero, ma intanto, in mezzo a cinquanta persone, lui
è stato
l'unico ad ascoltare la mia richiesta d'aiuto» per quanto
quella
fosse una banalissima affermazione, ebbe comunque lo stesso effetto
di una freccia nel cuore.
In
mezzo a tante persone, lui era stato l'unico.
«Io
so perché Nana ti ha scelto, Toshi-chan»
risuonò
nella testa di Nina la sua stessa voce, vecchia più di
vent'anni.
«Perché
vuoi salvare le persone. Punto. Tu sei stato l'unico a sentire la mia
richiesta d'aiuto».
Lui
l'aveva sentita. L'aveva sempre sentita, ogni giorno della sua vita,
non aveva mai smesso di farlo. Non sapeva cosa l'avesse poi spinto a
non ascoltare più quella richiesta d'aiuto, non sapeva
perché
avesse cominciato a ignorarla, forse consapevole che non aveva
più
bisogno di lui... ma All Might era nato da quella sua prima richiesta
d'aiuto. Era stata la prima a chiamare il suo nome, la prima da cui
era accorso con un sorriso e aveva esclamato di non preoccuparsi,
perché… adesso ci sarebbe stato lui.
Tanti
anni a giustificare, a cercare di perdonare, senza mai rendersi conto
che non c'era niente da perdonare. E quel Midoriya...
«Si
è rotto le gambe e un braccio solo per salvarmi, insomma,
non è
stato un salvataggio in grande stile, anzi è stato davvero
pessimo»
continuò Uraraka. «Ma sembrava che non gli
importasse altro se non
tirarmi fuori dai guai, ha messo da parte ogni cosa, ha perfino messo
da parte il sogno di entrare in questa scuola. In quel momento non
gli importava di niente se non salvarmi. È
stato...» si portò una
mano al petto, lievemente rossa in volto, ma non terminò la
frase,
interrotta dalla stessa Nina: «È stato bello
vedere che al mondo
esiste qualcuno in grado di sentire le tue lacrime e che ovunque ti
trovi è disposto a porgerti la mano, facendoti sentire meno
sola.
Anche se questo gli causa guai e devi essere tu poi a intervenire per
evitare che collassi del tutto». Ricordava le innumerevoli
volte in
cui era stata costretta a prendere possesso del corpo di Toshinori
con i suoi fili, prima che lui incontrasse Nana e ottenesse una
unicità, solo per far sì che combattesse
decentemente e non venisse
ucciso dai bulletti contro cui si batteva per difenderla. Alla fine
era lei che lo salvava da quelle situazioni, ma l'eroe lì
era sempre
e solo stato Toshinori.
«Se
non usavo il mio Quirk su di lui, rischiava di morire» disse
Uraraka, dando voce ai suoi stessi pensieri.
«Vuoi
salvare le persone. Punto».
Quel
Midoriya... gli somigliava così tanto.
Allora
era quello, il motivo? Per quel motivo Toshinori l'aveva scelto? Per
lo stesso motivo per cui Nana aveva scelto lui, trent'anni addietro.
Semplicemente
perché voleva salvare le persone.
«Uraraka»
mormorò Nina, rilassando il volto.
«Avrà bisogno di te».
«Cosa?»
arrossì la ragazzina, non riuscendo a cogliere a fondo il
significato di quelle parole. Senza Machiko, All Might non sarebbe
stato in grado di nascere. Era stata Machiko a lanciare il primo
grido d'aiuto, facendo emergere l’eroe che era in lui. Era
stata
Machiko a donargli il sorriso che lui poi si era ripromesso di
portare al mondo intero. Era stata Machiko a incoraggiarlo, a dargli
la forza e sostenerlo ogni singolo giorno della sua vita, soprattutto
nei momenti più difficili, dove cadeva a terra, arrendendosi
all'idea di non essere degno. Machiko l'aveva fatto rialzare e
Machiko aveva dato un nome a quel simbolo.
«È
tutto All Right!»
«Ci
saranno volte in cui non te lo chiederà, in cui
sembrerà schivo e
freddo. Quello sarà il momento in cui dovrai andare a
cercarlo e
ricordargli ciò che hai appena detto a me. Ci saranno
momenti in cui
si dimenticherà di essere il numero uno, terrorizzato, e tu
dovrai
essere lì per ricordarglielo. Devi farlo
sorridere» proseguì Nina.
«Ma
cosa...?» balbettò Uraraka, non capendo il motivo
di quel discorso.
Nina non rispose immediatamente, ma si diresse verso la porta della
palestra intenzionata a rientrare. Quando le passò accanto
le
concesse un'altra carezza sulla testa e infine le disse:
«Confido
nella tua dolcezza, Occhan. Io la mia l'ho già usata con
qualcun
altro, molto tempo fa».
«È
All Might, vero?» si affrettò a chiedere Uraraka
prima che Nina
potesse rientrare e chiudere lì quel discorso. La donna la
guardò
intenerita: ancora pensava a quella faccenda su loro due. Certo, le
voci che avevano preso a girare nella scuola sul loro presunto bacio
sul tetto non aiutava la sua causa e l'aveva messa in una posizione
di chiaro svantaggio. Era ovvio che avesse tutti gli sguardi e i
pensieri addosso, in fondo era "la donna dell'eroe più
grande
al mondo" e i pettegolezzi stimolavano le giovani menti più
di
ogni altra cosa.
«Ti
voglio confessare un segreto» disse Nina, decisa ad
alimentarla
quella fiamma anziché combatterla, soprattutto con Uraraka
la cui
curiosità era di una dolcezza infinita, per niente maliziosa
e
fastidiosa. Si avvicinò al suo orecchio dopo essersi
assicurata di
non avere nessuno attorno. «All Might in realtà
è un grandissimo
imbranato» sussurrò, portandosi un dito davanti al
naso per
suggerirle di non dire niente a nessuno. «Ed anche un gran
piagnucolone! Quando ci siamo conosciuti alle medie si lanciava
addosso ai bulletti che se la prendevano con me con le lacrime agli
occhi, consapevole che ne avrebbe solo prese di santa
ragione»
ridacchiò, divertita da quell'innocente ricordo.
«Lui
ti difendeva dai bulli» osservò Uraraka, con gli
occhi talmente
spalancati che Nina avrebbe potuto vederci attraverso, se solo avesse
avuto il resto della testa trasparente. Le guance arrossate,
l'emozione palpabile, il battito del suo cuore udibile anche da
lì.
Davvero trovava la cosa romantica a tal punto? Nina annuì e
spiegò:
«Non ho avuto un'infanzia facile, il mio Quirk mi ha sempre
messo in
cattiva luce anche perché, per difendermi da tutte quelle
malelingue, spesso lo usavo per far del male alle persone. Era un
circolo vizioso, loro mi maltrattavano perché mi vedevano
cattiva,
io facevo la cattiva perché loro mi maltrattavano. Ma poi ho
conosciuto Toshinori. È stato l'unico, tra tutti, che abbia
mai
ascoltato la mia richiesta d'aiuto. Diceva che avevo la faccia di chi
aveva solo bisogno di essere aiutata, di chi aveva solo bisogno di un
amico» si portò una mano al petto, ammorbidendo lo
sguardo, prima
di confessare: «Credo mi abbia salvato la vita».
«Come
Deku» mormorò Uraraka, più a se stessa
che a lei, un pensiero che
le era scappato via dalle labbra. Nina la guardò qualche
secondo,
assimilando quell'informazione. Era proprio come Deku, aveva ragione.
Ora cominciava a capirlo e più lo faceva più ne
soffriva: era
davvero arrivata la fine di All Might, dunque? Non avrebbe potuto
impedirlo in nessun modo? Midoriya sarebbe stato il nuovo simbolo,
lasciando Toshinori nel dimenticatoio, e lei non avrebbe potuto fare
altro che guardarlo e assistere alla sua lenta oscurazione, dopo
tutto quello che avevano fatto per accenderli, quei riflettori. Ma
Midoriya era proprio come lui, non poteva farci niente. Sarebbe stato
inevitabile e tutto ciò che poteva fare era quello che
Machiko aveva
sempre fatto: sorridere e incoraggiarlo.
Sarebbe
stata presente, come tutte le volte che Toshinori ne aveva avuto
bisogno anche in passato, come se niente fosse successo, come se
niente fosse cambiato. Nonostante lui le avesse voltato le spalle,
scegliendo All Might, Machiko non poteva far a meno di porgergli una
mano per aiutarlo a risollevarsi. Machiko avrebbe per sempre chiamato
il suo nome.
«Sì»
mormorò con un filo di voce, quel poco che la gola ora
serrata le
permetteva di usare. «Come Deku».
Nina
scese dalla limousine, subito seguita dal suo agente, Drew. Una
decina di fotografi erano già appostati fuori dal ristorante
e, come
al solito, procedettero oltre, senza dar loro molto peso. Un sorriso
di circostanza, un saluto aggraziato e Drew la spinse all'interno
della struttura. Era in America da soli due anni, eppure la sua fama
stava raggiungendo livelli così alti in così poco
tempo. Era
bastata la partecipazione a quel talent show e anche se non aveva
vinto il primo premio, ne aveva guadagnato in gran lunga di fama,
tanto che un produttore si era fatto vivo poco dopo, proponendo una
collaborazione e l'incisione di un disco. Il suo primo disco, la
nascita di Nina la cantante, lasciandosi definitivamente alle spalle
Nina l'eroina. Un nuovo inizio, un nuovo capitolo che nel profondo
cominciava anche ad amare. Era bello avere qualcuno che gridava il
suo nome, quando la vedeva.
«Le
domande a dopo, ora siamo in ritardo» disse Drew ed
entrò nel
ristorante, dove ad aspettarli al tavolo c'erano già il
Signor
McConnery e un paio di collaboratori di secondo ordine. Una cena di
lavoro, dove avrebbero discusso alcuni dettagli sull'uscita di quel
disco che segnava l'inizio di una nuova vita.
«Oh,
eccoli! Signor Halbert, Nina...» disse McConnery, alzandosi
in
piedi. Allungò una mano verso la donna, prendendo
delicatamente la
sua, e con galanteria le concesse un delicato baciamano. Un
pervertito travestito da galantuomo, lo sapeva bene Nina, ma
finché
sarebbe stato la sua fonte di guadagno e di successo poteva anche
permettergli quelle piccolezze. «Accomodatevi, vi stavamo
aspettando».
«Perdonate
il ritardo, le strade oggi sono impraticabili. Nonostante le
deviazioni del nostro autista, non siamo comunque riusciti ad
arrivare in tempo» si giustificò Drew, mettendosi
a sedere.
McConnery si mise dietro Nina e per completare quel quadro di finta
galanteria l'aiutò con la sedia, permettendole di sedersi al
suo
fianco, infine anche lui tornò al suo posto, sistemandosi la
camicia
sulla gigantesca pancia che si ritrovava.
«Va
tutto bene, non vi abbiamo aspettato poi così tanto. Allora,
ora che
siete arrivati direi di cominciare. Mi sono permesso di ordinare una
bottiglia di vino, spero che la signorina apprezzi» disse
voltandosi
verso Nina con un gran sorriso.
"Più
di quanto immagini" avrebbe voluto rispondergli, consapevole che
l'alcol sarebbe stato il suo migliore amico per il resto della
serata, fintanto che avesse avuto gli occhi viscidi di quell'uomo
addosso. Essere gentile era così difficile, non era facile
per un
burattinaio porsi allo stesso livello dei suoi burattini,
mescolandosi ad essi. Ma a volte le necessità la obbligavano
e quel
giorno quella necessità si chiamava Drew e il loro primo CD.
Perciò
sforzò un cordiale sorriso e annuì con grazia:
«Gentile come
sempre, Signor McConnery».
«Ah,
la dolcezza delle donne giapponesi non è solo leggenda,
dunque. Sarà
la tua forza, il pubblico adora il perfetto mix tra
sensualità ed
innocenza, risveglia primitivi sentimenti di invidia nelle donne e
desiderio negli uomini. E poi, ultimamente, il mondo nipponico ha gli
occhi puntati addosso. Questa è una scommessa che vinceremo,
mia
dolce Nina, ne sono certo. Diventerai una grandissima artista, ci
scommetto la carriera!»
«Davvero
troppo gentile, Signor McConnery, a credere così tanto nelle
potenzialità della nostra Nina» rispose Drew per
lei,
alleggerendola di quel peso. Era incredibilmente comprensivo e
protettivo con Nina e questo la metteva straordinariamente a suo
agio. «Ho scommesso in lei dal primo istante in cui l'ho
vista, su
quel palco a quel festival musicale di Tokyo. Certo, ho dovuto
aggiustare un po' il suo stile, ma sapevo che sotto quella scorza,
con gli angoli smussati, ne sarebbe uscita una perfetta opera
d'arte».
«Ci
farai guadagnare un sacco di soldi, mia cara Nina. Tieni, questo
è
in tuo onore» disse versandole un bicchiere di vino, per poi
fare
altrettanto con il proprio e quello dei commensali. «Propongo
un
brindisi» annunciò, alzando il calice. Sarebbe
stato un brindisi
lungo, pieno di lusinghe e onorificenze, parole che solo un uomo dal
grosso ego come McConnery poteva mettere insieme tutte in una volta.
Nina alzò il bicchiere, attendendo la sua conclusione,
annuendo e
ricambiando gli sguardi che l'uomo le mandava, consapevole di quale
sarebbe stato il prezzo da pagare.
«Cerca
di essere carina» le aveva raccomandato Drew durante il loro
viaggio
in auto, forse consapevole del carattere burbero e irruento che la
ragazza dimostrava talvolta, forse solo per obbligarla ad
accontentare in parte i lascivi desideri di un uomo dall'anima
sudicia ma il grosso portafoglio, che avrebbe potuto dare ad entrambi
da mangiare per un bel po'. Era la loro occasione, si giocavano il
tutto per tutto, Nina questo lo capiva bene e fu solo quello il
motivo che la convinse a comportarsi di conseguenza, lottando contro
se stessa. Sorrise e brindò, buttando giù un
sorso più ampio di
quello che il galateo le concedeva. Aveva bisogno di supporto morale,
o non ne sarebbe uscita viva.
«Ordinate
pure quello che volete, oggi offro io» disse ancora
McConnery,
rimettendosi a sedere. Un sorriso compiaciuto in volto, quanto gli
piaceva rendersi superiore agli altri? Un sorriso allungò
appena
l'angolo destro delle labbra di Nina, divertita all'idea che quel
poveretto non avesse idea di chi in realtà stesse dirigendo
i
giochi. Credeva di averla in pugno, di conquistarla con i suoi modi
di fare galanti e da grande uomo, credeva di avere in mano la
situazione ma non aveva idea che in realtà di burattinaia a
quel
tavolo ce n'era una sola. Avrebbe accontentato i suoi capricci solo
per permettergli di abbassare la guardia, avrebbe arpionato alla sua
anima i propri fili e avrebbe infine ottenuto ciò che
desiderava:
quel maledetto disco. Dopo, poteva anche andare a quel paese lui e la
sua casa discografica da quattro soldi. In un certo senso, gli faceva
quasi compassione.
Afferrò
il menù che l'uomo le passò, esordendo con un
altro di quei
comportamenti da uomo superiore quando le disse: «Tesoro, ti
consiglio il filetto. Qui lo fanno in modo sublime».
«E
allora penso che lo prenderò» disse lei,
sorridendogli. Vide una
scintilla di orgoglio negli occhi dell’uomo, la soddisfazione
di
chi ha ottenuto ciò che desiderava, e Nina sentì
un altro dei suoi
fili agganciarsi a quell'anima che presto avrebbe governato a suo
piacimento.
«Bene,
parlando del motivo per cui siamo qui» cominciò
Drew, schiarendosi
la gola e cercando di prendere in mano la situazione.
«Non
siamo forse qui solo per cenare?» disse McConnery, allargando
le
braccia.
Troppa
avventatezza, Drew non aveva la più pallida idea di come si
gestiva
un burattino problematico e McConnery era un burattino decisamente
problematico.
«Sinceramente,
preferirei godermi un po' la serata insieme a questa compagnia d'alta
classe, lasciando i discorsi lavorativi a un secondo momento»
disse
Nina, con aria innocente.
«Ed
è quello che faremo, tesoro» sorrise McConnery,
orgoglioso.
Quell'appellativo le dava il voltastomaco, ma sapeva di aver
raggiunto un altro obiettivo. Era riuscita a creare un altro ponte
tra loro: finché gli avesse dato corda, sarebbe stato in suo
pugno e
infine, al momento decisivo, avrebbe ribaltato la situazione con
grazia, leggiadria e soprattutto maestria. Lui non avrebbe ottenuto
le attenzioni speciali che bramava, ma lei avrebbe ottenuto il suo
successo lavorativo. Era una maestra in quel gioco, continuava a
porsi una spanna sopra gli altri, ad ammirare il palcoscenico
dall'alto e muovere i propri fili con sicurezza e bravura.
Al
mondo, solo un uomo era mai riuscito a spezzare quei fili.
E
sarebbe rimasto l'unico, perché nessun altro al mondo aveva
la forza
di Toshinori.
«All
Might» il suo nome pronunciato in un luogo tanto lontano, in
un
contesto tanto diverso, per quanto flebile nel giungere alle sue
orecchie, riuscì comunque a rimbombare come un grido in alta
montagna. Sobbalzò, per un attimo intimorita. Come poteva
essere
giunto fino a lì, quel passato da cui scappava con
così tanto
accanimento? Mosse lo sguardo con discrezione verso il tavolo a
fianco, dove un gruppo di persone, uomini e donne, parlavano
animatamente. Un gruppo che improvvisamente era riuscito a strappare
l'attenzione di Nina dal suo impegnativo spettacolo di finzione e
burattini.
«Si
chiama così, l'ho visto proprio questa mattina al
telegiornale.
Dicono sia l'eroe numero uno al mondo» disse uno degli uomini.
«I
telegiornali esagerano sempre. Chi ha provato che sia davvero il
numero uno? Esiste una classifica internazionale, per caso? Lo
mettessero contro uno del calibro di Explosionist, non durerebbe
dieci minuti» ribatté l'amico.
«Parlate
di All Might? Ho sentito anche io parlare di lui!» si
accodò una
donna, al loro fianco. «Pare abbia combattuto da solo contro
cento
uomini e abbia portato in salvo una città intera!»
«Impossibile!»
sobbalzò l'incredulo.
«È
così, ti dico! Guarda, c'è un articolo sul
giornale!» insistè la
donna, prendendo il proprio cellulare dalla borsa per potersi
connettere a internet e dimostrare ciò che stava dicendo.
«Ah
sì! Ricordo quella notizia! C'era una foto: è
davvero un uomo
enorme e la cosa più incredibile è che, dicono,
abbia sorriso per
tutto il tempo della battaglia! Mai visto tanta sicurezza in una sola
persona».
«E
aveva ragione! Ha riportato la pace in un battibaleno! Guarda, ecco
la notizia!» e porse il cellulare all'amico incredulo, che
ora
ascoltava a bocca aperta quanto i suoi amici dicevano su questa
presunta nuova stella dell'eroismo.
«Con
un uomo così in circolazione, se fossi uno dei cattivi, ci
penserei
almeno tre volte prima di fare qualche guaio. Sai che male se ti
prendesse a pugni uno con delle braccia come quelle?»
commentò
l’amico.
«Se
vivessi nella sua stessa città mi sentirei sicura di girare
anche
nuda, scommetto che nessuno mi farebbe niente di male!»
insistè la
donna.
Il
simbolo della pace, l'uomo che avrebbe portato la serenità
nei cuori
dei timorosi e la paura in quello dei cattivi, l'uomo che avrebbe
dato vita e speranza al mondo intero solo con il suo sorriso, era
arrivato perfino lì, oltreoceano.
«Nina»
la voce di Drew giunse a lei ovattata, come se si trovasse sommersa
in una vasca d'acqua, e solo allora si rese conto di quanto le
girasse la testa.
«Nina,
allora?» insistè l'uomo, collegandosi a una
domanda fatta
probabilmente più volte un attimo prima a cui lei non aveva
dato
minimamente ascolto.
«Cosa...
scusa, mi ero distratta. Cosa mi dicevi?» chiese lei,
cercando di
riacquistare il controllo di sé. Inutile, tutto inutile. La
testa
girava, le voci erano così distanti, tutto sembrava
così confuso e
l'unica cosa percepibile era l'incessante e il doloroso battito del
suo cuore.
«Va
bene il filetto? Basta così? Ordiniamo allora»
chiese Drew,
guardandola preoccupato.
«Sì»
disse lei posando il menù sulla tavola. Le tremavano le
mani: quando
avevano cominciato? Si alzò in piedi più in
fretta di quanto avesse
programmato, attirando ancora più la curiosità
dei suoi commensali.
«Scusate,
devo un attimo andare al bagno» annunciò fuggendo
letteralmente
via. Non fece neanche tre passi che una lacrima le sfuggì
dagli
occhi, scivolando giù dalla sua guancia. Se la
asciugò rapidamente
e finalmente raggiunse la porta del bagno. Entrò con
rapidità e
corse alla prima porta aperta delle piccole toilette che il
ristorante offriva. Schiacciò le spalle contro di essa e
finalmente,
sicura in quel piccolo e ristretto spazio dove le faceva compagnia
solo il water, lasciò uscire tutto quel dolore. Si
portò le mani
alle labbra, soffocando i lamenti incontrollabili, e permise alle
lacrime di lavarle il viso.
«Ce
l'hai fatta» bisbigliò, come se lui fosse potuto
essere lì, a
sentirla. «Ci sei riuscito» singhiozzò,
permettendo alla voce di
uscire più forte di quanto avesse voluto.
«Toshi-chan»
e altri pianti, altri lamenti, prima che riuscisse a confessare quasi
in un urlo: «Sono così felice».
Il
suo desiderio, scritto su quel pezzo di carta colorato, quel giorno
di Tanabata di molti anni prima, era stato finalmente esaudito. Tutto
il dolore recatole per la consapevolezza che lei non aveva avuto
più
spazio nella sua vita passava in secondo piano di fronte alla
realtà
che lui fosse finalmente felice, riuscito nel suo sogno più
grande.
Non aveva mai desiderato altro... se non vederlo sorridere, per
sempre.
I
want you to know
That
it doesn't matter
Where
we take this road
But
someone’s gotta go
And
I want you to know
You
couldn't have loved me better
But
I want you to move on
So
I'm already gone
|
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Capitolo 21 *** Chasing cars, Snow Patrol ***
"Chasing
cars”, Snow Patrol
Nina
terminò di sistemare il proprio costume dentro la borsa,
poggiata
sulla panca dello spogliatoio femminile. La lezione supplementare era
ormai finita, non che avesse fatto granché se non
incoraggiare i
ragazzi a dare il massimo, passeggiando tra loro e urlare contro
Midoriya e Bakugou. Un atteggiamento che le era costato più
volte
un'occhiataccia da parte di Aizawa, che stava prendendo quel compito
di sorveglianza più seriamente di quanto avesse voluto. Le
stava
letteralmente col fiato sul collo, ma lui era fatto così:
apprensivo, anche se dimostrava apatia, estremamente legato alla
tranquillità e alla sicurezza. Esattamente l'opposto di
Nina, che
invece portava con sé un passato di disordini sociali
più o meno
gravi che avrebbero potuto benissimo portarla sulla strada della
malavita, se solo All Might non fosse stato in grado di metterle il
guinzaglio. Era rumorosa, volgare, esuberante e violenta... tutti
requisiti che lo spingevano ad essere più assillante di
quanto fosse
di solito. Non le avrebbe permesso di muovere neanche un dito, quel
suo modo di fare superiore agli altri lo mandava fuori di testa. Non
avrebbe mai avuto la sua simpatia, Nina ne era certa. E poi c'era la
faccenda della spia: non aveva ancora capito chi si fosse andato a
lamentare dal preside per ciò che aveva fatto a Bakugou,
poteva
essere chiunque, anche la stessa dolce Uraraka, ma l'idea che uno di
quei ragazzi la guardasse in maniera diversa da quello che sperava
bastava a farle venire il mal di pancia. Si era sentita tradita, ma
la cosa non le portava rabbia... solo tanto dispiacere. Aveva
così
tanto sperato di poter andare d'accordo con loro.
Sentì
bussare alla porta e si voltò con curiosità: chi
andava negli
spogliatoi a quell'ora del pomeriggio, a lezioni terminate? E
soprattutto, chi era che bussava a uno spogliatoio?
La
porta si aprì e l'enorme stazza di All Might fece il suo
ingresso,
gobbo e timido, mentre salutava con un imbranato:
«Ehilà!».
Nina
alzò un sopracciglio, dubbiosa, prima di chiedere:
«Ma in questa
scuola a cosa servono i cartelli e le stanze divise maschio-femmina,
se poi nessuno le rispetta? Siete un gruppo di pervertiti
repressi»
disse, ricordandosi di come anche Nezu qualche giorno prima fosse
entrato nel bagno femminile senza farsi problemi.
All
Might sobbalzò ed arrossi nel sentirsi attribuire
quell'appellativo,
e con agitazione tentò di trovare una scappatoia:
«Ho bussato».
«Ma
io non ho detto "avanti"».
«Mi
dispiace!» balbettò lui, messo alle strette.
«Idiota»
lo canzonò Nina, prendendo la borsa ormai pronta ed
avviandosi verso
l'uscita. All Might si fece da parte per farla passare, poi le
camminò a fianco.
«Torni
in albergo?» le chiese, in un disperato tentativo di far
conversazione. Era ovvio che stesse cercando un modo per sistemare le
cose, visto come si era conclusa la serata prima, ma parlare non era
mai stato qualcosa che gli riusciva molto bene.
«Credo
di sì, ho bisogno di una doccia. Dopodichè mi
farò portare una
bottiglia di vino in camera e resterò tutta la sera nel
letto ad
ubriacarmi guardando qualche romantica telenovela».
«Non
mi sembra un buon programma» osservò lui,
storcendo il naso.
«Parla
per te, Mister Perfezione» sghignazzò lei,
convinta di quanto
invece quello fosse un ottimo programma. Una vera vacanza in grande
stile, senza dover correre dietro agli impegni, sola, col telefono
spento e un sacco di tempo perso a rilassarsi nel letto crogiolandosi
nei vizi. Drew non le permetteva mai di essere così libera,
era un
vero rompiscatole, e lei in quei giorni più che mai aveva
bisogno di
lasciarsi andare.
«E
se invece ti portassi a mangiare da qualche parte e poi al karaoke?
Da quanto tempo non canti?»
«Da
stamattina sulla tazza del bagno» dichiarò lei,
prontamente.
«Canti
mentre fai i tuoi bisogni?» la guardò stranito.
«È
stimolante» ridacchiò Nina, divertita.
«Comunque passo! Canto già
troppo per lavoro, sono in pausa, nessuno spettacolo da parte di
Nina, mi spiace».
«Ok,
niente karaoke, ma dovrai pur mangiare qualcosa».
Nina
gli lanciò un'occhiataccia, cominciando a capire dove
volesse
arrivare.
«Ci
stai riprovando?» gli chiese quasi con minaccia, intuendo che
quella
fosse tutta una scusa per provare di nuovo a uscire con lei nella
speranza che quella sera sarebbe potuta andare meglio.
«No»
balbettò, sentendosi probabilmente sgamato.
«È solo... che...
ecco... da quando ci siamo rivisti non abbia fatto altro che litigare
o parlare del passato. Non siamo ancora riusciti ad avere una
conversazione adulta, un semplice "come ti butta",
no?»
«Come
ti butta?» scoppiò a ridere Nina. «Ti
sembra una frase
adulta?»
«Ok,
forse ho esagerato» mormorò lui, grattandosi la
nuca imbarazzato.
«Ma in America non parlate così?»
provò a giustificarsi.
«Sì,
i ragazzini nei film! Sei sempre tanto solo, non è
vero?» lo
punzecchiò, dandogli un paio di sgomitate. Un atteggiamento
ammiccante e malizioso, con un unico significato, che non si
preoccupò di spiegare: «Dovresti farti una donna,
non ti farebbe
male distrarti un po' ogni tanto».
La
facilità con cui riusciva a parlare di quel genere di cose
gli fece
quasi male: per lei era davvero così semplice l'idea di
ricominciare
con qualcun'altra? Non le interessava davvero che avesse potuto
"farsi una donna"? Certo, vent'anni erano tanti ed era più
che logico che fosse stata in grado di voltare pagina, ma ora che si
erano rivisti lui era riuscito a sentirla quella ventata che
proveniva da una porta che mai era stata chiusa davvero. Era come se
avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo, non aveva pensato ad
altro se non al lavoro e l'idea di provare a rifarsi una vita
sentimentale che non fosse insieme a Machiko era così
lontana, così
strana. Per anni aveva sempre dato la colpa al troppo lavoro,
ammettendo che non gli interessava altro se non portare avanti quel
sogno di pace, ma la verità era che qualsiasi volto
femminile
incrociasse non aveva mai potuto far a meno di vederci dentro gli
occhi di Machiko. Non era finita, non era finita affatto, aveva fatto
male per anni tanto che dopo un po' si era reso insensibile a quel
dolore martellante, era riuscito ad anestetizzarlo ma era una ferita
che non guariva... proprio come quella sul suo ventre. Per lei non
era così?
Saperla
tranquilla lo sollevava, era vero, ma continuava a vederla andar
via... continuava a subire tutte le conseguenze dei suoi errori. Era
così doloroso.
«Non
sei d'accordo?» chiese lei con una strana serietà
nel
volto.
«Cosa...?»
balbettò lui confuso, rendendosi conto che non aveva
ascoltato
niente di quanto aveva detto dopo la battuta sulle donne.
«Pensare
troppo ti fa venire le rughe sulla fronte, te l'ho già
detto. Sei
inquietante» lo ammonì lei, capendo cosa gli fosse
successo.
«Scusami»
mormorò, non sapendo neanche bene perché si
stesse scusando. Nina
rimase in silenzio, fissando la porta a vetri oltre il quale si
estendeva il cortile della scuola e più avanti il cancello
per
uscire. Sarebbe voluta scappare via, non averci più niente a
che
fare, ormai consapevole di quello che aveva dentro. Aveva deciso di
lottarci contro, ma non avrebbe mai potuto vincerlo. Ancora una volta
lui sfuggiva al controllo dei suoi fili, era così
frustrante. Non
gli restava che la fuga, l'unica via di salvezza. Non poteva far
altro che fuggirne e tornare a quella vita che si era costruita con
tanta fatica, lontana da lui, ponendo una barriera fisica che le
impedisse di tornare indietro e sbatterci ancora una volta la testa.
Doveva imparare a proteggersi di più, contro il male che lui
era in
grado di farle con tutto quel distacco che poneva tra loro.
«Io
passo» mormorò, riferendosi alla cena che lui le
aveva di nuovo
proposto. Quella volta, per quella sera, avrebbe ascoltato i saggi
consigli di Akane. Aveva provato ad avvertirla, a metterla in
guardia, niente sarebbe cambiato, niente sarebbe potuto cambiare,
perché continuava a volerci sbattere la testa?
«Sei
arrabbiata per ieri sera?» chiese lui, leggendo sul suo volto
tutta
la frustrazione e la tristezza che l'attanagliavano.
«Ieri
sera?» chiese lei. Si corrucciò e si
voltò a guardarlo con
l'espressione di chi ha di fronte il più grande degli
idioti. «Credi
che io sia così superficiale da prendermela
perché non hai voluto
fare sesso con me?»
All
Might arrossì e si guardò attorno
compulsivamente, pregando
disperatamente che nessuno fosse nei paraggi in quel momento:
«Abbassa la voce, per favore» supplicò.
Quei ragazzini erano
ancora troppo giovani per sentire certi discorsi e i pettegolezzi su
di lui erano già abbastanza animati senza dover aggiungere
altro.
«Ma
cosa vuoi che m'importi! Avrai avuto i tuoi problemi, non sono certo
faccende che mi riguardano. Anzi, scusami tu per avertelo chiesto,
sarebbe stato un grosso errore. Grazie per essere stato razionale al
posto mio, continuo ad essere io quella impulsiva».
«Non
è come pensi, davvero» doveva dirglielo. Quel suo
terribile segreto
doveva dirglielo, lei doveva saperlo, doveva sapere della sua
debolezza o avrebbe continuato a colpevolizzarsi al posto suo. Eppure
non ci riusciva, era così dannatamente difficile lottare
contro la
paura di vederla scappar via di nuovo.
«Non
mi importa!» sottolineò lei, cercando di
evidenziare la rilevanza
della cosa. Non le interessava il motivo, non le interessava come era
andate le cose, non le interessava davvero niente della sera prima,
perché non se lo metteva in testa? «Potresti anche
essere
segretamente sposato con qualcuno, non mi interessa! Vivi la tua vita
come credi, ma ti prego smettila di venirmi a cercare!
Perché non ti
rendi conto del male che fai alle persone, eroe numero uno?!»
chiese
con astio, lasciandosi sfuggire quella provocazione. «Non
siamo
tutti forti come te, Toshinori. Non siamo tutti in grado di sorridere
di fronte ad ogni circostanza. Non darlo per scontato».
Fece
un paio di passi indietro, allontanandosi. Il volto corrucciato che
ancora nascondeva quel sorriso di cui lui si era follemente
innamorato, il sorriso che aveva giurato di portare al mondo intero.
L'aveva davvero data per scontata, era questo il suo errore.
Continuava ad allungare una mano nel vuoto, senza guardare, certo che
quei fili che le nascevano dalle dita si sarebbero arpionati a lui.
Certo che sarebbe stata sempre lì, ad aiutarlo in caso di
necessità
e forse lei ci provava davvero, a renderlo felice.
«Non
sono forte come te» mormorò quella
verità soffocata dal dolore,
prima di voltarsi ed allontanarsi del tutto. Per lui, probabilmente,
sarebbe stato normale tornare a parlare, chiedersi come vanno le
proprie vite, come due normali adulti che si ritrovavano dopo
così
tanti anni. Per lui sarebbe stato facile e normale, domandare
all'altro "come butta". Così semplice, come sorridere. Ma
non per lei, che non poteva far a meno di guardare quel volto e
provare il bruciante desiderio di stringerlo al petto. Lottare ogni
singolo istante col desiderio di essere stretta, col desiderio di
poterci affogare in quel sorriso, di dimenticare tutto e tornare ad
essere la ventenne che aveva come unico obiettivo quello di amarlo
per il resto della vita, e al diavolo Drew, avrebbe continuato a
cantare al karaoke per hobby, al diavolo la fama, avrebbe continuato
ad essere la burattinaia, magari un eroe di seconda scelta,
insignificante, perché non così forte o
perché terribilmente
inquietante e poco delicata... al diavolo tutto, desiderava solo
morire in quel passato che aveva chiuso con dolore in un album dei
ricordi, perché l'unica cosa che avesse mai reso sinceri i
suoi
sorrisi era poterli vedere riflessi negli occhi azzurri dell'uomo che
le aveva salvato la vita e aveva dato un senso alla sua
esistenza.
No,
per lei non era così semplice, come poteva crederlo? Come
poteva
invitarla a cena fuori con così tanta leggerezza?
Forse
davvero chiudere definitivamente quella porta era la cosa migliore
che potessero fare. Smettere di sbirciare dal buco della serratura,
cercandosi con lo sguardo nel buio, incapace di vedersi, di toccarsi,
ma voltandosi ad ogni respiro solo per potersi sentire.
Egoisticamente.
Le
prese la mano e corse fuori, nel cortile. Era stato egoista per
troppo tempo, lo era stato sempre, convinto che Machiko fosse stata
mandata solo per lui, per renderlo felice. Ma ora aveva capito, aveva
imparato e doveva essere l'eroe che era sempre voluto essere. L'eroe
che le si parava davanti e prendeva i colpi del bastone del
negoziante a cui aveva rubato la lattina di birra al posto suo. All
Might era nato dal suo sorriso, se questo moriva di lui che ne
restava?
«Ma
che fai?!» gridò lei, trascinata dall'uomo,
confusa e terrorizzata
da ciò che gli stava passando per la testa. «Non
hai capito niente
di quello che ho detto, razza di idiota?»
Al
centro del cortile, finalmente, Toshinori si fermò. Si
voltò verso
di lei, ignorando i suoi strattoni per liberarsi, e infine si
chinò,
prendendola in braccio.
«Ho
capito perfettamente, invece» disse con una tale sicurezza da
far
vacillare ancora una volta la forza che Machiko era riuscita a
mettere in quell'ennessimo addio che stava provando a rivolgergli. Si
chinò, prendendo lo slancio, e infine saltò,
volando lontano dal
cortile da cui erano partiti. Machiko urlò per la paura e
d'istinto
si aggrappò a lui con tutta la forza che aveva, nascondendo
il volto
nella sua spalla.
Quando
erano ragazzini lo facevano sempre, lui la portava il più in
alto
che poteva, mostrandole il mondo dall'alto, sempre più in
alto,
sempre più sopra chiunque altro, ad ammirare il suo
palcoscenico, e
lei si faceva volentieri trascinare in quei voli folli, sicura tra le
sue braccia. Li amava, amava la sensazione di immensità che
la
travolgeva a guardare il mondo da quella prospettiva, amava il vuoto
allo stomaco, amava poter vivere tutto quello immersa nell'odore e
nel calore di Toshinori.
Ma
ora erano passati più di vent'anni, non c'era più
abituata e quella
sicurezza che aveva sempre provato aveva cominciato a vacillare molto
tempo prima. Faceva una paura matta! E quelle sensazioni,
così
vicino al suo corpo, così bisognosa di tenersi aggrappata a
lui...
aveva cominciato a odiarle, per quanto fossero belle.
«Mettimi
subito giù, stronzo psicopatico!» urlò
terrorizzata, aggrappandosi
con tutta la forza che aveva.
«Non
ci metteremo molto, arriveremo in pochi secondi!»
cercò di
rassicurarla, tenendola ben stretta per evitare che fosse potuta
cadere, anche se il modo in cui l'artigliava bastava a tenerla ben
ferma dov'era. «Perché non ti godi il panorama nel
frattempo?»
chiese, ricordando la sua espressione incantata tutte le volte che
raggiungevano il picco più alto del salto.
«Non
ci penso neanche!» gridò lei, impaurita come non
mai, schiacciando
di più il viso contro la sua spalla e stringendo gli occhi
talmente
forte da farle male.
«Macchan»
sussurrò lui, vicino al suo orecchio. Il respiro caldo
contro i suoi
capelli le fecero venire un brivido lungo la schiena. «Da qui
si
vede il mare».
Cosa
c'era al mondo di più bello dell'immensità del
mare? Era un fascino
a cui non era mai riuscita a resistere, né da ragazza,
né in quel
momento.
"Da
qui si vede il mare", un palpito e finalmente la curiosità
che
prendeva il posto di rabbia e paura. Si affacciò timidamente
oltre
il proprio braccio, avvinghiato al collo di Toshinori, e
aprì pian
piano l'occhio destro, tenendo il resto del viso ben nascosto dal
vento che la sferzava. Tremò, forse per il vento gelido che
la
colpiva, forse per l'emozione, forse per la paura, ma infine lo vide.
L'orizzonte sconfinante, le acque del mare che riflettevano il colore
aranciato del sole in tramonto, in lotta con l'azzurro del cielo, le
nuvole che si coloravano di rosso. Una tale immensità, una
tale
bellezza che le mozzarono il fiato, ma non riuscì
più a smettere di
fissarlo. Incantata, completamente in balia di quelle sensazioni
riuscì perfino a dimenticare la rabbia che fino a poco prima
l'avrebbero portata a scappare. Si ammorbidì tra le braccia
di
Toshinori, restando comunque parzialmente nascosta, forse orgogliosa,
forse paralizzata, ma non riuscì a pensare ad altro se non
quanto
fosse meraviglioso quanto stesse vivendo in quel momento.
Un’emozione
come quella era un'eternità che non la provava, come aveva
fatto a
sopravvivere fino a quel momento senza? Toshinori abbassò lo
sguardo
su di lei, senza muoversi troppo per evitare di rompere
quell'incantesimo in cui sembrava caduta vittima, e sorrise incantato
da quello sguardo così pieno, vivo ed emozionato. Come aveva
potuto
lasciare che se ne andasse? Come aveva potuto farle così
male? Che
razza di uomo si era rivelato? Completamente perso nel suo sogno
ossessivo e nella promessa fatta a Nana, accecato dal desiderio di
vendetta contro All For One per quello che aveva fatto alla sua
maestra, aveva dimenticato così tante cose. Quel corpicino
così
minuscolo rispetto al suo, quegli occhi che avevano visto fin troppe
brutte cose, quel sorriso di cui si era egoisticamente appropriato...
aveva dimenticato tutto. Se n'era alimentato fino a quando gli era
stato permesso, portandola allo stremo, consumandola, senza capire
quanto stesse sbagliando. Forse le cose sarebbero davvero dovute
andare così, non poteva biasimare niente, in fondo il
destino aveva
da sempre prescelto lei per il mondo dello spettacolo e lui per dare
una speranza all’umanità, per combattere il
peggiore dei mali.
Erano stati legati ad essi ben prima di rendersene conto, il mondo li
aveva chiamati ognuno alle proprie armi, ognuno nei propri compiti,
ed era giusto che fosse andata così. Ma per una volta si
ritrovò a
pensare che la giustizia non fosse stata la cosa migliore che fosse
potuta capitargli. Era così sbagliato pretendere di avere un
proprio
spazio di umanità? Di non essere solo un soldato al servizio
del
mondo, ma di poter avere un proprio sorriso? Non uno fittizio da
dedicare agli altri, per incoraggiarli, ma uno reale, da dedicare a
se stesso, per rincuorarsi.
Era
stata davvero la cosa migliore che potesse essere successa?
Probabilmente sì, perché chi se non lui avrebbe
potuto proteggere
la terra dalla malvagità di All For One? Probabilmente non
avrebbe
dovuto percorrere nessun'altra strada, era giusto così, e ne
era
felice, non poteva negarlo. Era felice, ma forse lo sarebbe potuto
essere di più se fosse riuscito a sbrogliarsi da quel
destino e
poter vivere egoisticamente perso in quello sguardo per il resto
della sua vita.
Un'idea
gli balenò in testa, egoista come quei sentimenti. Per
un'intera
vita aveva inseguito quel sogno, quel destino, adempiendo al suo
dovere, ma per quei giorni... per quella settimana che gli restava a
disposizione, avrebbe anche potuto prendere una pausa. Essere
impulsivo.
Per
quella settimana avrebbe messo da parte tutto, compresa quell'orrenda
cicatrice che si portava addosso, e si sarebbe preso quei momenti che
il destino gli aveva strappato via venti anni addietro. Avrebbe
vissuto egoisticamente solo per quei giorni, mandando in vacanza un
All Might ormai distrutto, permettendo a Toshinori di prendere
fiato.
Solo
una settimana.
«Stiamo
per scendere» annunciò.
E
d'istinto Machiko tornò a serrare gli occhi, premendo il
volto
contro il suo petto, per proteggersi il viso. La discesa fu anche
peggiore della salita: la rapidità con cui cadevano nel
vuoto fece
salire a Machiko lo stomaco in gola. L'aria le mancò e la
sensazione
di precarietà fu tale da tornare a dimenticare l'emozione
del mare
per concentrarsi sulla paura di quell'incredibile altezza. Un urlo
terrorizzato le uscì dalla gola ed ebbe la massima
libertà
nell'istante in cui impattarono al suolo, con tutti gli scossoni che
ne derivarono. Machiko si spinse via, non appena fu certa di essere
di nuovo a terra, e barcollando si allontanò dall'uomo. Le
gambe
cedettero, troppo deboli e instabili per la paura appena provata, e
cadde sulla sabbia.
«Non
farlo mai più! Non... azzardarti!» lo
minacciò, pallida in
volto.
«Una
volta ti piaceva tanto» osservò lui, cercando di
sdrammatizzare.
«Sono
passati vent'anni! Mio dio, credevo di morire»
sussurrò, sempre più
debole man mano che la coscienza di ciò che era appena
successo la
sovrastava. Si lasciò andare completamente a terra,
rendendosi conto
solo in quel momento che si trovavano su una spiaggia.
«Ti
tenevo io!» disse Toshinori, avvicinandosi e mettendosi a
sedere al
suo fianco. «Non avevi niente da temere».
«La
tua sicurezza ti ucciderà prima o poi. E sinceramente vorrei
non
essere lì, quel giorno» disse Machiko, prendendosi
il tempo
necessario a riprendersi.
«Era
un salto da niente, l'ho sempre fatto» ridacchiò
Toshinori,
divertito.
«Tu...
non farlo più e basta!»
«Va
bene» disse, infine rassegnato, lasciando spazio solo al
rumore
delle onde del mare. Anche Machiko cedette al silenzio, lasciando che
tutto ciò che potesse farsi sentire tra loro fosse quel
soffuso
mormorio. L'acqua che si stendeva, raccoglieva, si ritirava e tirava
via la sabbia con sé per poi riportarla al suo posto,
rimescolata.
Un andare avanti e indietro, lento, come la culla di un neonato e con
lo stesso effetto dava pace ai cuori. Non c'era bisogno di chiedere
perché l'avesse portata lì, non c'era altro
motivo se non quello di
trascinarla ancora una volta in un oceano di ricordi, di sentimenti
mai conclusi e riprovare con lei le emozioni dimenticate. Quella era
la spiaggia dove passeggiavano quasi tutte le sere, dopo gli
allenamenti, dopo il lavoro o la scuola, dopo ogni cosa... Toshinori
e Machiko dimenticavano All Might e Nina e si concedevano un po' di
umanità, mano nella mano, come due normali innamorati. Era
stupido,
eppure era il loro stralcio di giornata preferito.
«If
i lay here»
canticchiò
Machiko, con il tono di voce di chi non vuole disturbare, di chi non
vuole rompere troppo il silenzio. Una canzone così vecchia,
così
piena di storia, di perché.
«If
i just lay here»
continuò,
lentamente, senza nessun accompagnamento se non il mare davanti a
loro. Toshinori sorrise malinconico: ricordava quella canzone e
quella strofa in particolare Machiko gliela dedicava tutte le volte
che si stendevano lì, su quella stessa spiaggia, a pregarla
di
promettergli sempre la stessa cosa, sempre la stessa promessa
infranta.
L'ultima
frase, quella decisiva, tardò ad arrivare, timorosa forse di
avere
una risposta. E quel timore Toshinori volle spazzare via, cantando al
posto suo, per quanto ne fosse in grado: «Would
you lie with me and just forget the world?»
Sarebbe
rimasto con lei? Se solo si fosse fermata da quella frenetica corsa,
da quella vita senza uscita, da ciò che il destino le aveva
ordinato
di fare... se si fosse fermata per un solo istante, lì, in
quel
luogo preciso, lui avrebbe fatto altrettanto dimenticandosi di tutto
il resto del mondo? La risposta era sempre stata la solita, Toshinori
correva ovunque chiamassero il nome di All Might, non si era mai
fermato lì insieme a lei, a discapito del mondo. Mentiva, ma
poi la
verità veniva a galla, sempre. E tutte le volte faceva
così male.
Non voleva di nuovo vivere quelle promesse disilluse, non voleva di
nuovo scoprire che non aveva importanza, che tutto il resto del mondo
veniva prima di lei. Ma era ciò che lui avrebbe fatto per
quella
settimana che gli restava da passare insieme a lei: sarebbe rimasto
lì, semplicemente lì, e si sarebbe dimenticato
del resto del
mondo.
Machiko
sorrise, forse rincuorata, forse speranzosa che quella volta sarebbe
stato diverso o semplicemente divertita dal suo tentativo di mettersi
al suo stesso livello canoro.
«Sei
stonato come una campana» gli disse, divertita.
«E
tu hai ancora bisogno di essere protetta» rispose lui con una
tale
serietà nel viso che riuscì a caricare
quell'unica frase di tutta
la profondità che aveva. Lo sguardo di Machiko
lasciò andare il
mare di fronte a loro, ora abbattuta. Non poteva negarglielo, non
poteva mentire fino a quel punto. Si era costruita una corazza, ma
era sempre la stessa Machiko di sempre, la ragazza che se non veniva
aiutata e protetta finiva in pezzi e ne usciva con rabbia.
«Lasciamo
le cose come stanno. Tu continua a fare la cantante che io continuo a
fare l'eroe, che dici?»
Un
sorriso intenerito su quel volto abbattuto dai sensi di colpa, e
annuì. Sembrava così piccola, ora che quella
corazza di rabbia e
dolore era stata abbattuta. Com'era riuscita a sopravvivere fino a
quel momento, schiacciata da tutto quello?
«Si
tratta solo di una settimana, prima che io riparta» disse,
avvolta
da una profonda consapevolezza. «So bene che niente
può essere come
prima e che si tratta solo di un attimo fuggevole. Non ho la pretesa
di tornare e cancellare questi vent'anni, vorrei solo che quando
salirò su quell'aereo io possa portare con me qualcosa di
diverso
dal dolore che c'è stato vent'anni fa. Vorrei solo... dare
un
epilogo diverso e potermi convincere che la vita non avrebbe potuto
darmi niente di meglio di ciò che ho già avuto.
Forse è così
stupido da essere difficile da capire, ma si tratta... è
solo...»
«È
solo come un sogno, uno di quelli piacevoli e consapevoli che ti
capitano raramente, e non desideri altro che goderlo fino in fondo,
anche se sai che tra non molto la sveglia ti riporterà alla
realtà»
concluse lui, facendole capire che capiva perfettamente come si
sentiva. Perché era ciò che sentiva anche lui.
«Uno
di quei sogni che ti lasciano il sorriso stampato in faccia per il
resto della giornata» annuì, prima di chiedere con
timore: «Credi
davvero che non sia possibile?»
Quello
era lo sguardo di cui aveva parlato Toshinori, lo sguardo di chi
aveva semplicemente bisogno di essere aiutata, lo sguardo a cui aveva
risposto per tutta la durata della loro giovinezza. Lo sguardo che
l'aveva colpito tanto da ripromettersi di renderla felice per il
resto della sua vita, promessa che non era riuscito a mantenere per
qualche strano motivo. Finalmente fece quel passo, finalmente rispose
a quel bisogno che sentiva di avere dentro dal primo istante in cui
l'aveva rivista, una settimana prima, e che aveva sempre rifiutato
con timore. Lo lasciò uscire, quel bisogno tremendo di
abbracciarla,
e dopo averla avvolta tra le sue braccia se la schiacciò
contro con
delicatezza.
«Farò
in modo che lo sia» le promise e questa volta avrebbe fatto
qualsiasi cosa per mantenerla, quella promessa. Anche sforzare il suo
corpo oltre l'immaginabile, ormai del tutto convinto a non rivelarle
il segreto che si portava dentro, quella sua nuova forma debole e
scheletrica, malata e ripugnante. Non avrebbe infranto quel suo
desiderio per niente al mondo e i motivi per cui l'aveva fatta
chiamare, per cui aveva desiderato incontrarla, andarono crollando di
fronte a quella che sarebbe stata l'unica missione che avrebbe avuto
per la restante settimana che Machiko sarebbe rimasta lì a
Tokyo.
Renderla felice, a discapito di quanto non era riuscito a fare
vent'anni prima.
«Guarda
che non devi mica farlo per forza solo perché ti faccio
pena» disse
Machiko, riacquistando la sicurezza che aveva abbandonato fino a quel
momento. Lo guardò sottecchi e poggiandogli le mani al petto
se lo
allontanò. «A me interessa solo che tu sia chiaro
con me fin da
subito, se non ti interessa niente di me dillo e finiamola con questa
pagliacciata dei salti romantici sulla spiaggia per farmi vedere il
mare al tramonto. Non è carino prendersi gioco di un cuore
infranto».
«Ma
no, che dici!» si agitò lui, arrossendo, e il
rossore peggiorò,
rendendolo incapace di parlare, quando si trovò a
giustificarsi con
un imbarazzato: «Sei ancora... così...
carina».
Machiko
lo guardò per un po' enigmatica, confusa sul significato di
quel
"carina", chiedendosi se la trovasse semplicemente tenera o
se davvero provasse ancora qualcosa per lei. Ma poco importava, aveva
deciso che non le sarebbe interessato, che avrebbe alimentato quei
sentimenti senza porsi troppe domande, che li avrebbe semplicemente
lasciati liberi di andare per liberarsene e godersi quel sogno
consapevole. Sorrise, di quel sorriso che Toshinori amava alla
follia, e con l'innocenza di una ragazzina al primo innamoramento
chiese: «Lo credi davvero?»
Era
la cosa più bella che avesse mai visto, persino
più di quella
spiaggia speciale dove avevano passato la loro giovinezza. Come
poteva dubitarlo?
I
don't know where
Confused
about how as well
Just
know that these things will never change for us at all
If
I lay here
If
I just lay here
Would
you lie with me and just forget the world?
|
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Capitolo 22 *** A thousand years, Christina Perri ***
"A
thousand years”, Christina Perri
La
prima volta che aveva fatto l'amore con Machiko la ricordava bene.
Era il primo Natale che passavano insieme come una vera coppia, e non
come amici, anche se non era la prima volta che passeggiavano per la
città da soli tra le luci e gli addobbi. Lui non aveva mai
avuto
grandi giri d'amicizia, troppo preso dai suoi allenamenti, e in quel
periodo dell'anno si era sempre ritrovato solo così veniva
invitato
da Machiko a passare almeno il giorno di Natale insieme a lei e ai
suoi amici. Da quando erano arrivati al Liceo e lui l'aveva spinta a
cominciare a frequentare il corso di canto della scuola, la sua vita
sociale era diventata decisamente migliore, incontrando quelli che
sarebbero stati i membri della sua band. Capitava spesso,
però,
soprattutto gli ultimi due anni quando ormai era ovvio agli occhi di
tutti -tranne ai loro- che tra loro due ci fosse qualcosa di
più che
semplice amicizia, che Yamada e gli altri con qualche scusa si
disperdessero, lasciandoli sempre soli. A nessuno dei due era mai
dispiaciuto e alla fine si erano sempre comportati come una coppia,
anche senza saperlo. Ma quell'anno era stato diverso, c'era molto di
più, e Yamada, Akane e gli altri erano stati lasciati
indietro
volutamente. Avevano girato per il centro mano nella mano, ammirando
le luci natalizie e gli spettacoli che venivano allestiti per
l'occasione. Si erano ritrovati sotto il grande albero in piazza,
insieme a decine di altre coppie, si erano stretti l'uno all'altro e
sorridendo avevano espresso il silenzioso desiderio di poter vivere
tutti i Natali della loro vita in quel modo. Avevano condiviso una
sciarpa quando si erano seduti sulla panchina, a mangiare i Taiyaki,
e infine, nel silenzioso e più buio parco lì
vicino, si erano
baciati ancora e ancora, desiderosi che quella notte non finisse mai.
Si erano scambiati i regali, avevano riso, scherzato e giocato, fino
a quando il cielo nuvoloso non era esploso in una pioggia
torrenziale. Machiko era stata previdente, il cielo era nuvoloso da
quel pomeriggio, e per sicurezza aveva portato con sé un
ombrello ma
non aveva potuto fare niente contro un camioncino che passando
rapidamente al loro fianco li aveva fatti travolgere da un'ondata
provocata dalla pozzanghera. Completamente fradici e infreddoliti
avevano cominciato a correre per strada, peggiorando la situazione e
rendendo l'ombrello ancora più inutile. Il risultato era
stato
disastroso, con annesso qualche starnuto di troppo. Arrivati a casa
di Machiko erano corsi immediatamente a cambiarsi e togliersi i
vestiti bagnati di dosso, appendendoli sopra alla stufa accesa. Erano
soli, per quella sera: i nonni di Machiko, con cui abitava, avevano
organizzato un romantico week end fuori città in occasione
del
Natale, consapevoli che tanto lei sapeva benissimo badare a se
stessa. Suo fratello piccolo invece aveva preferito starsene con loro
padre e la sua nuova compagna, e così lei era rimasta sola a
Tokyo.
Si erano seduti di fronte alla stufa, stretti in una coperta, ad
osservare i propri vestiti sgocciolare e vaporizzare lentamente,
tremanti per la quantità incredibile di freddo che avevano
preso.
Ricordava come lei si era tanto dispiaciuta per la serata rovinata e
quanto si era intenerito nel vedere il suo volto imbronciato.
Ricordava di averle accarezzato una guancia, di averle dato un bacio
sulla fronte per tranquillizzarla e di come infine avessero
incrociato le loro dita. Gli sguardi persi gli uni negli altri, le
mani che giocherellavano tra loro, accarezzandosi, toccandosi,
incrociandosi e studiandosi come se avessero voluto imparare a
memoria ogni singola piega della loro pelle. Si erano baciati di
nuovo, ma era stato qualcosa di totalmente diverso da tutte le altre
volte, era stato qualcosa in grado di incendiarli dentro e
lì, stesi
su quel pavimento, su quella misera coperta e scaldati dalla sola
stufa al loro fianco, ignorando il freddo che li faceva ancora
tremare, avevano fatto l'amore la prima volta. Ricordava come solo
dopo fosse stato travolto dai dubbi e dalle incertezze, non su quanto
successo, ma su di lei e su come l'avesse vissuta, se non fosse stato
l'unico che magari lo avesse desiderato e ne fosse uscito
soddisfatto, sul fatto che forse non fosse stato proprio un
gentiluomo nel saltarle addosso in un momento come quello,
approfittando del fatto che avessero la casa per sé. Le
aveva
timidamente chiesto se stesse bene, non sapendo che altre parole
usare per riuscire a indagare il suo stato d'animo, se fosse felice
di quanto fosse successo o se si fosse sentita in qualche modo
violata. E lei aveva risposto scoppiando a ridere e dandogli
dell'imbranato.
Venticinque
anni dopo quel giorno, ebbe di nuovo la sensazione di sentirla,
quella risata cristallina. Si trovava di fronte alla porta della sua
stanza d'albergo insieme a lei, dopo averla riaccompagnata dal quel
pomeriggio alla spiaggia, per permetterle di lavarsi e cambiarsi.
Machiko aveva finalmente accettato di andare a cena con lui, per
recuperare la serata precedente, e si sarebbero ritrovati qualche ora
dopo di nuovo alla hall. Guardò la donna mentre apriva la
camera ed
esitava appena, prima di entrare. Si voltò nuovamente verso
di lui:
lo sguardo sicuro, sereno, così tipico di lei, ma incapace
di
nascondere quel recondito desiderio inespresso. Avrebbe tanto voluto
che anche lui entrasse, avrebbe tanto voluto averlo per sè,
addosso,
sulla pelle. Lo sapeva, l'imbarazzo della situazione lo evidenziava
in ogni modo, quella serata si sarebbe potuta concludere diversamente
e da adulti com'erano ora risultava tutto anche più naturale
e meno
imbarazzante. Ma lui aveva detto che non poteva, giusto la sera
prima, lei lo ricordava. Non sapeva il motivo, non sapeva del suo
timore nel non riuscire a tenere la forma adeguata per tutta la
durata del tempo, non sapeva della paura che provava all'idea che
avesse potuto rifiutarlo, trovarlo ripugnante, eppure quel semplice
"non posso" parve bastare. Non accennò alla faccenda, ma
si limitò a salutarlo con un divertito: «Allora a
più tardi».
A
distanza di venticinque anni, la sentì quella risata che gli
dava
dell'imbranato. Era così che lo considerava, un imbranato
che per
chissà quale motivo, forse qualche ragione morale, si
comportava nei
confronti del sesso ancora come il ragazzino che era stato quella
prima volta. Come se non ci fossero state altre decine di volte
successive, fino a quei ventitré anni che l'avevano portata
via. Lo
vedeva ancora in quel modo e aveva perfettamente ragione. Ma non
poteva rivelarle la verità, non poteva.
Annuì
e fece un passo indietro: «A dopo» disse e si
affrettò ad
allontanarsi lungo il corridoio, fintanto che la ragione avesse
continuato a prevalere. Eppure, nonostante tutto, lei era sempre
così
sorridente, disposta ad accettare ogni bugia, disposta a credergli.
Cominciò a sentirsi sporco: come poteva ingannarla in quel
modo?
Come poteva approfittare così della sua ingenuità
e della fiducia
che riponeva in lui? Ma come avrebbe potuto mantenere la promessa di
renderla felice, in quella settimana, se le avesse rivelato tutto?
Desiderava così tanto vivere dei bei momenti insieme al
Toshinori
che aveva conosciuto venti anni addietro, come poteva negarglielo
spiattellandole davanti la sua ormai vera forma, urlandole contro che
quel Toshinori era ormai morto e che non ne restava altro che un
cadavere ambulante?
«Perdonami,
Macchan» mormorò tra sè e
sè, ormai fuori dall'albergo. Avrebbe
continuato a mentirle, una bugia a fin di bene, solo per poterle
donare ciò di cui aveva bisogno e vedere di nuovo quel
meraviglioso
sorriso sbocciare sul suo viso. Non desiderava altro, se non quello.
Strinse i pugni, più deciso che mai: quella sarebbe stata
l'ennesima
sfida a cui si sarebbe sottoposto, deciso ad andare oltre ogni
capacità. La felicità di Machiko non meritava
meno impegno di
quello che metteva nel combattere i malvagi, di quello che metteva
per salvare il mondo. Non sarebbe stato giusto impegnarsi meno, visto
la promessa che aveva appena fatto. Si sarebbe spinto oltre il
proprio limite e le avrebbe regalato una settimana indimenticabile,
cancellando definitivamente il ricordo di quell'orribile giorno,
quando non era riuscito a udire la sua voce che chiamava il suo
aiuto. Il giorno che aveva lasciato andare la sua mano, che le aveva
permesso di cadere, tradendo del tutto la sua fiducia. Solo pensare
che per colpa di quel suo errore aveva rischiato di ucciderla, che
l'aveva persa per sempre, gli faceva salire dentro una tale rabbia.
Si sarebbe preso a pugni da solo, se necessario, ma il destino gli
stava dando una seconda possibilità. Avrebbe fatto qualunque
cosa.
Anche
ingoiare quel terribile dolore, tenere per sè quell'orribile
debolezza, dandole solo ciò che meritava: il meglio di
sè.
Non
le avrebbe rivelato la verità. Non l'avrebbe mai fatto e
avrebbe per
sempre lasciato nella sua mente il ricordo di un affabile,
divertente, amorevole e degno di fiducia Toshinori.
In
fondo, tra i due, l'eroe era lui...
Erano
ormai le otto passate quando Toshinori bussò nuovamente alla
porta
di Machiko. Si guardò attorno timoroso, allentò
appena il nodo alla
cravatta e si schiarì la voce, cercando di assumere una
posizione
quantomeno dignitosa. Machiko aprì poco dopo, guardandolo
dubbiosa,
le sopracciglia corrucciate e le scarpe ancora in mano.
«Cinque
minuti di ritardo e vieni già a mettermi fretta? Hai la
pazienza di
un poppante, lo sai?» lo brontolò, contrariata.
«Non
è per questo» mormorò lui, imbarazzato.
Si guardò nuovamente
attorno, poi frettolosamente spintonò di nuovo Machiko
all'interno
della stanza, entrando a sua volta. Si richiuse la porta alle spalle
e ci si poggiò, tirando un sospiro di sollievo.
«Ma,
ehi! Che ti prende?» lamentò lei, rivolgendogli la
peggiore delle
occhiatacce. Spingerla era stato ancora meno carino del venire a
bussare alla sua porta solo perché aveva tardato cinque
minuti. In
fondo erano tornati tardi dalla spiaggia, cosa pretendeva?
«Scusami,
finisci pure di vestirti. Io ti aspetto qui» disse lui,
nervoso,
senza muoversi dalla porta. Machiko si avvicinò al letto, ci
si
sedette sopra e si infilò la prima scarpa.
«Puoi
almeno spiegarmi che succede?» chiese, contrariata ma meno
irritata
avendo per lo meno capito che il suo ritardo non c'entrava.
«Giù
ci sono dei giornalisti» spiegò lui brevemente,
rivelando
dall'espressione che la cosa dovesse avergli recato parecchio
disagio.
«C'erano
anche ieri e poi, scusa, non sei abituato?» chiese lei,
finendo di
legare i laccetti della prima scarpa e passando alla seconda.
«Sì,
ma stasera sono di più. E di solito non mi dispiace
rispondere a
qualche domanda, fa parte del mio lavoro, ma questi hanno cominciato
a chiedere cose su di noi e...»
«E
te la sei fatta sotto, ho capito» concluse lei con
leggerezza.
Toshinori lasciò cadere la testa in avanti e si
limitò a sospirare
affranto, ammettendo indirettamente che avesse ragione la donna.
«La
voce si è sparsa velocemente, allora».
«I
ragazzi della Yuuei ci hanno visti sul tetto, ieri i giornalisti, poi
la scenata al ristorante e secondo me anche oggi in spiaggia
dev'essere passato qualche curioso» riflettè lui,
dando una
spiegazione a tutto quel vociare.
«Difficile
avere una vita privata quando si è un personaggio di fama
mondiale,
vero?» disse lei, ridendo sotto i baffi per il modo in cui la
cosa
sembrava dargli particolarmente fastidio. Non era abituato a stare al
centro dei pettegolezzi, era ovvio, le sue comparse nei notiziari si
erano sempre limitate alla grandezza delle sue eroiche azioni, non
aveva idea di com'era gestire le voci sul proprio conto. Non che a
lei facessero piacere, ma gliene erano successe molte di
più, anche
di più gravi, ormai aveva imparato a ignorarli e lasciarli
parlare.
Tanto non appena lei fosse tornata in America tutto si sarebbe
disciolto come sale in acqua nel giro di qualche mese.
«Se
solo non avessi la licenza sospesa momentaneamente in attesa di
giudizio, potrei usare il mio Quirk per far fare a tutti un bel
dietro front» disse con un occhiolino malizioso.
«Macchan!»
sobbalzò lui, contrariato. Le puntò una delle sue
grossa dita
contro e si piantò un pugno al fianco, assumendo una
posizione
autoritaria: «Non è così che ci si
comporta! L'uso improprio del
tuo Quirk è ciò che ti ha cacciato nei guai, non
hai ancora
imparato niente? E pensare che ho sempre fatto di tutto per fartelo
capire, sei proprio cocciuta» sospirò lui,
portandosi la mano alla
testa con aria affranta. Machiko ridacchiò divertita,
rivelando che
sotto sotto izzare quella reazione da paparino premuroso e brontolone
era ciò che desiderava. In ricordo dei vecchi tempi, quando
non
faceva che sgridarla come fosse suo padre per il modo in cui usava il
proprio Quirk e se la prendeva con gli altri. Non era cambiato
affatto e la cosa la rincuorava.
«Sto
scherzando» confessò, avvicinandosi a un mobiletto
di fianco alla
televisione. Ne aprì uno stipetto e infine tirò
fuori una bottiglia
di vino ancora chiusa, prima di proporgli: «Se la cosa ti
crea tanto
disagio possiamo sempre avvalerci del servizio in camera. Non ne
sottovalutare la potenza, è un grande alleato di noi
vip» disse con
un occhiolino e mosse appena la bottiglia, mostrandone il contenuto.
«Vorresti
mangiare qui?» chiese lui lievemente turbato, guardandosi
attorno.
Il letto dove dormiva la notte era ancora sfatto, la vestaglia
buttata ai piedi di questo, un paio di cianfrusaglie sul comodino,
creme e trucchi sul comò alla sinistra del letto, ciabatte e
scarpe
sparse in giro e infine il vapore che ancora usciva dal bagno, ad
indicargli da quanto poco tempo fosse uscita dalla doccia. Il
disordine era intollerabile, ma passava in secondo piano di fronte a
tutti quei segnali che indicavano l'intimità della donna.
Ogni cosa
lì dentro profumava di lei, ne sarebbe uscito ubriaco.
«Ho
un tavolo, tranquillo non dovrai mangiare per terra» lo
rassicurò
lei, notando il suo disagio. «Con a fianco un'enorme finestra
e un
bellissimo panorama!» disse aprendo la tenda e mostrando la
città
all'esterno. Erano alti abbastanza da riuscire a vedere gran parte di
Tokyo e a quell'ora di sera tutte quelle luci erano magiche
abbastanza da creare l'atmosfera ideale.
«O
se preferisci possiamo scendere e affrontare la mandria imbufalita da
qui fino a stasera quando mi riporterai in camera mia».
«Preferisco
stare qui!» rispose istintivamente, tremando all'idea di
tornare giù
da tutte quelle persone che ponevano domande così scomode e
imbarazzanti.
Machiko
ridacchiò divertita e gli porse la bottiglia di vino:
«Tieni,
comincia ad aprirla, io chiamo George sotto».
«Si
chiama George anche lui?» chiese Toshinori, ricordandosi di
come
avesse chiamato con lo stesso nome anche il giornalista la sera
prima.
«Nah,
non credo. Ma non ricordo il suo nome e George mi piace»
rispose
lei, componendo il numero al telefono poggiato sul suo comodino.
«Trovi l'apribottiglie nel cassetto!» disse
indicando il mobile
dove aveva preso il vino. «Ti va del sushi?» gli
chiese mentre
Toshinori armeggiava con la bottiglia.
«Preparano
il sushi?» chiese Toshinori dubbioso e sorpreso.
«Sushi,
Ramen e zuppa di Miso! Ho proprio voglia dei sapori classici di casa
mia, in America sono abituata ormai a mangiare altro» disse
lei,
entusiasmandosi come una ragazzina al parco giochi. Toshinori la
guardò intenerito, prima di decidere di darle corda ed
aggiungere:
«Katsudon, pesce alla griglia e tempura di gamberi!»
«Oh!
Sì! George!» rispose al telefono. «Sono
Nina, dalla stanza
settecentodieci, vorremmo il servizio in camera, sono con un
ospite»
e cominciò ad ordinare tutto ciò che le passava
per la testa e che
richiamasse i sapori del giappone. Cibi talmente classici, quasi
casalinghi, che per un attimo il ristoratore storse il naso ma infine
decise di accontentare il capriccio del suo prezioso ospite.
«Tra
non molto ci porta tutto, nel frattempo» disse prendendo uno
dei due
bicchieri che Toshinori aveva riempito. «Brindiamo!»
Fu
un lungo brindisi, condito di vecchi ricordi, aneddoti e risate.
Parlarono, raccontandosi tutto ciò che gli passava per la
testa, dai
loro momenti insieme, a quelli che invece avevano passato lontani
l'uno dall'altro. Parlarono senza paure, senza timori o dubbi,
parlarono come non parlavano da tempo, canzonandosi ma anche
elogiandosi, confessandosi, aprendosi finalmente l'uno all'altro.
Riempirono quella stanza di tutti quei sorrisi che tanto avevano
amato in passato, la riempirono tanto che a un certo punto
sembrò
non ce ne stessero più e perfino dal corridoio si
cominciò a
sentire la risonanza delle loro voci che ormai prive di spazio
uscivano, in cerca di un altro posto da illuminare con tutte quelle
risa e quei racconti.
Quando
il cameriere portò loro l'ordinazione, la bottiglia di vino
era
praticamente quasi vuota e sul viso di entrambi era possibile
scorgere il lieve rossore che l'alcol aveva il potere di dare.
«Accidenti,
avremmo almeno dovuto mangiare qualcosa» lamentò
Toshinori,
portandosi una mano alla testa.
«Tranquillo,
il letto è grande. Puoi dormire qui se non credi di
farcela» disse
lei con leggerezza, senza forse rendersi nemmeno conto di cosa avesse
appena proposto all'uomo. Si alzò ed andò ad
aprire la porta,
permettendo così al cameriere di entrare con il carrellino.
Lo
lasciò vicino al tavolo, apparecchiò e con un
inchino educato si
congedò, lasciandoli di nuovo soli in una stanza che ora era
pregna
di quei buon profumi che venivano dai vassoi.
«Mamma
mia, che fame!» si esaltò Machiko, alzando il
primo coperchio.
Afferrò le bacchette e senza aspettare oltre prese uno dei
pesci
alla griglia poggiati nel piatto. Toshinori non si fece pregare e la
seguì all'istante, cominciando a mangiare tutto quello che
gli era
stato portato. Il silenzio calò tra loro, troppo concentrati
a
riempirsi le pance piene di alcol e vuote di cibo, forse proprio per
questo più affamate del solito. Si guardarono dopo pochi
minuti,
quando ormai la fame stava cominciando a venir placata, e rendendosi
conto del religioso silenzio in cui erano caduti, scoppiarono
entrambi a ridere. Era da così tanto tempo che non si
sentivano bene
come in quel momento, liberi di ridere anche per cose come la propria
fame. E decisero di non smettere, decisero di goderne fintanto che il
tempo gliene dava la possibilità, facendo un enorme salto
indietro
quando erano due semplici amici d'infanzia che scoprivano per la
prima volta d'amarsi a vicenda.
«È
tutto delizioso» commentò lui, portandosi alla
bocca un'altra
bacchettata di riso e verdure.
«Toshi-chan!
Assaggia la tempura!» esordì lei, prendendo un
gambero fritto e
allungandosi per farglielo mangiare. Toshinori la guardò
qualche
istante, mentre nel petto si allargava una piacevole sensazione di
calore.
"Toshi-chan",
da quant'era che non si sentiva chiamare in quel modo.
Accettò il
bocconcino che la ragazza gli offrì, tenendo gli occhi
puntati su di
lei, perdendosi ancora una volta in un ricordo, quando nei loro
freschi vent'anni Machiko nei loro momenti da soli si divertiva ad
imboccarlo. Era di una bellezza inesprimibile quella sera, lei e quel
benedetto sorriso. Masticò lentamente, senza riuscire a
togliere gli
occhi su quanto avesse di fronte, i suoi capelli leggermente ondulati
sul viso, il trucco che le risaltava le labbra, rendendo ancora
più
grande quel sorriso di cui non poteva farne a meno. Il vestito che la
fasciava con dolcezza lasciava scoperte le gambe, accavallate l'una
sull'altra, e perfino gli stivaletti con quell'enorme tacco la
rendevano più bella del solito, slanciandola, mettendone in
risalto
i polpacci. Voleva accarezzarla, stringerla, far scivolare le dita
lungo tutta l'esile figura, disegnandone le curve. Voleva
accarezzarle la schiena, immergere le dita nei suoi capelli, sentire
l'odore della sua pelle.
«È
buono, vero?» chiese lei, ignara di quanto stesse succedendo
nel
petto dell'uomo, ostinandosi a sorridere in quel modo così
genuino,
così aggraziato, peggiorando la situazione ogni secondo di
più.
Come poteva splendere a tal punto? Come riusciva ad accecarlo di ogni
altra cosa con una tale maestria? Come riusciva a non rendersi conto
di quanto fosse stupenda? Come poteva non capire che andandosene,
vent'anni addietro, aveva sì permesso ad All Might di
nascere
definitivamente ma al caro prezzo della vita di Toshinori? Come
poteva non capire quanto l'avesse distrutto tornare al ristorante,
quella notte, e trovarlo svuotato, sommerso di macerie? Quanto
l'avesse distrutto chiamare il suo nome, vagando tra i sopravvissuti,
con le lacrime agli occhi e non sentirla rispondere? L'aveva creduta
persa per sempre, ma poi aveva sentito quel messaggio in segreteria.
"Abbi
cura di te, All Might"
«Toshi-chan?»
chiese Machiko, rendendosi finalmente conto di quanto si fosse
rabbuiato all'improvviso. Il sorriso sul viso sembrava essersi
spento, gli occhi persi in qualcosa di tanto immenso quanto
terrificante, la ruga sulla sua fronte a segnalare che stesse
pensando troppo. Perché non rispondeva?
«Macchan»
disse finalmente, in un sussurro lamentoso, come fosse stato il suo
ultimo respiro, e si lanciò in avanti, verso il suo viso.
Immerse
finalmente le dita tra i suoi capelli, afferrandola per la nuca e si
appropriò delle sue labbra quasi con violenza. Doveva
averle, doveva
averla, non poteva guardarla da così vicino e non tentare di
allungarsi per riappropriarsene. Non dopo quello che c'era stato, non
dopo averla vista fuggire via in quel modo, scivolando via dalle sue
dita senza che neanche potesse prima rendersene conto. Poteva essere
anche l'uomo con il senso della giustizia più forte, l'uomo
più
forte e giusto che esistesse al mondo, ma era profondamente egoista,
Machiko lo sapeva. E il suo egoismo ora gli urlava di riprenderla,
che la voleva ad ogni costo, oltre ogni limite. Schiuse le labbra ed
incontrò la sua lingua, che scoprì essere
altrettanto decisa a
lasciarsi andare ad un primitivo egoismo. Un egoismo che era rimasto
soffocato troppo a lungo e che ora sembrava deciso ad esplodere,
senza trattenersi, travolgendoli tanto da offuscare tutte le ragioni
del mondo.
Lo
prese per il nodo della cravatta, tirandoselo contro. Toshinori
cominciò ad alzarsi, portandosi dietro Machiko, senza
lasciar andare
la sua bocca. Doveva sentirne il sapore fino alla fine, non l'avrebbe
lasciata andare neanche per prendere fiato, deciso ad andare oltre
ogni cosa, oltre ogni limite. La prese per le gambe e sollevandola da
terra se le portò intorno alla vita, facendo in modo che
restasse
aggrappata a lui, e così tenendola raggiunse rapidamente il
letto.
Ci lasciò cadere sopra Machiko, per poi raggiungerla
più
lentamente, facendo ben attenzione a non schiacciarla con il suo
peso. Machiko cominciò a sciogliergli la cravatta e senza
aspettare
che fosse del tutto aperta iniziò poi a sbottonargli la
camicia.
"La
cicatrice!" un attimo di lucidità e con uno scatto le
bloccò
la mano, facendola per un attimo sussultare. Dove aveva sbagliato?
Non rispose a quella domanda, tornando a baciarla e incrociò
le dita
della mano afferrata, bloccandola contro il materasso. Non doveva
vederla! Tutto, poteva sopportare ogni cosa, ma non che scoprisse il
suo segreto. Avrebbe resistito, oltre il proprio limite, poteva
farcela, non avrebbe perso la concentrazione e sarebbe rimasto in
quella forma fino alla fine ma non avrebbe saputo giustificare
quell'enorme cicatrice sul fianco. Non doveva vederla, anche a costo
di risultare poco garbato e poco romantico. Machiko portò la
mano
destra, libera, sul suo collo ora scoperto. Lo accarezzò,
arrivando
fino dove gli era concesso, per quel poco che lui le aveva permesso
di sbottonare. Non le fu difficile capire che quel gesto non era
dettato dal solo desiderio di stringerle la mano. Lui l'aveva
bloccata troppo violentemente e qualsiasi fosse il motivo, si trovava
sotto quella camicia che, sentiva, avrebbe tenuto su per tutto il
tempo. Aveva deciso che si sarebbe presa una sola settimana, il
respiro di un sogno, poi tutto sarebbe finito. Indagare sui segreti
dell'uomo non rientrava nei suoi piani, desiderava solo goderne fino
in fondo, accontentandosi di ciò che le era concesso.
Perciò lasciò
la camicia esattamente com'era e tornò a concentrarsi solo
sulle
sensazioni che averlo addosso le provocava, solo su quelle, fin dove
lui le avrebbe concesso. Sentì la sua mano percorrerle la
gamba e ne
rabbrividì, lasciandosi sfuggire un lamento dalla gola
nell'istante
in cui arrivò al bordo del vestito. Esitò, stava
tremando, lo
sentiva chiaramente. Machiko posò la propria mano su quella
di
Toshinori e con delicatezza lo guidò oltre il confine
dell'abito,
aiutandolo in quel gesto che pareva terrorizzarlo a tal punto. Il
fiato le mancò in gola, quando insieme raggiunsero il lembo
dei suoi
slip. Con delicatezza Toshinori ci infilò un dito e le
tirò verso
il basso, sfilandoglieli. Si fermò qualche secondo,
staccandosi per
la prima volta dalle sue labbra, e si prese qualche secondo per
guardarla negli occhi. Doveva avere la certezza assoluta che quanto
stava succedendo non l'avrebbe ferita in nessun modo, doveva avere la
certezza assoluta che a lei andasse bene così come sarebbe
stato.
L'emozione di una notte, fugace, mossa solo da primitivi desideri,
che anche se fosse riuscito a ripeterla nei giorni successivi poi
sarebbe rimasta per sempre in quell'albergo. Quando sarebbe
ripartita, tutto sarebbe tornato alla normalità. Le andava
bene? Lei
stava bene?
La
sentì, quella risata che gli dava dell'imbranato. La risata
che lei
gli aveva dedicato la loro prima volta e che più se l'era
tolta
dalla testa. Gliela lesse negli occhi un istante prima che lei lo
tirasse nuovamente contro le proprie labbra. Non importava di
ciò
che sarebbe successo dopo, lei voleva solo viverlo quel sogno. Fino
in fondo. Portò le proprie mani alla cintura dell'uomo,
cominciando
ad aprirla. Lo sentì chiaramente il rigonfiamento
all'interno dei
suoi pantaloni, che premeva a tal punto da rendere addirittura
difficoltosa la svestizione. La sfiorò volutamente,
intimorita, ma
accecata da quel desiderio che ora non avrebbe tenuto più
per sè.
Lo sentì irrigidirsi, sospirare e scommetté che
le lenzuola
sembrassero più tese sotto di lei per il semplice motivo che
lui le
stava stringendo tra le dita con tutta la forza che aveva.
Tornò a
concentrarsi sul bottone dei suoi pantaloni e si affrettò a
liberarlo completamente. Afferrò pantaloni e boxer in
un'unica volta
e li abbassò, aiutata da Toshinori stesso. Lui le
sollevò
completamente il vestito, fino al ventre, permettendole così
di
fargli spazio tra le proprie gambe. Avvicinò il proprio
bacino a
quello della donna, arrivando fino a sfiorarla, ma non
riuscì a
compiere quel decisivo passo. Colto da un timore che gli chiudeva la
gola, cominciò a tremare come una foglia. Se quell'incubo si
fosse
avverato? Se lui davvero fosse tornato a quell'orribile forma nel
momento peggiore? E Machiko... la sua meravigliosa Machiko continuava
ad accettare tutte quelle bugie, ad accettare di far l'amore insieme
per la prima volta dopo vent'anni vestiti se non per lo stretto
necessario, per colpa della sua maledetta cicatrice. Ma lei lo
accettava, continuava a perdonarlo, a perdonare ogni suo errore, ogni
suo egoismo, ogni suo segreto... perché lo faceva?
Perché era così
perfetta? Perché non capiva quanto di meglio meritasse che
uno
storpio bugiardo che non aveva fatto altro che usarla come fonte di
benessere? E continuava a farlo. Continuava a dargli tutto
ciò che
desiderava, accettando le sue bugie.
«Toshi-chan»
mormorò lei, sentendolo tremare tanto da lamentarsi.
«Pensare
troppo ti fa venire le rughe».
«Ti
amo ancora, Macchan» sussurrò, incassando il volto
sul suo collo.
Era così dannatamente vero, così dannatamente
liberatorio, così
dannatamente spaventoso che da tutto quello nacquero le lacrime che
si sforzò di nascondere sulla sua profumata pelle. Avevano
lo stesso
amaro sapore di quella notte, quando aveva sentito per
l’ultima
volta la sua voce alla segreteria.
«Stupido
imbranato piagnucolone» disse Machiko con tono amorevole,
dopo
qualche secondo di silenzio per riuscire a metabolizzare quanto gli
era stato appena detto.
Gli
posò una delicata mano dietro la nuca, accarezzandolo con
dolcezza.
Avvolse delicatamente le proprie gambe intorno ai glutei dell'uomo,
sapendo che se non avesse ancora una volta preso le redini della
situazione non ne sarebbe uscito dignitosamente. Aveva bisogno di
sicurezza, come sempre, quella sicurezza che ostentava ma che non
aveva quasi mai e allora attingeva a quella di Machiko.
«Che
ne sarebbe della tua reputazione se si venisse a scoprire che prima
di far l'amore con una donna ti metti a piangere come un moccioso,
eh? Superhero»
lo canzonò, sollevandogli il viso per poter di nuovo
incrociare il
suo sguardo.
«Perdonami,
ti prego» mormorò lui. Una richiesta che andava
ben oltre quella
sera, una richiesta che andava oltre a tutte le sere di quei
vent'anni che erano stati lontani e che passava oltre, raggiungendo
tutte le sere che ne sarebbero seguite perché lui avrebbe
continuato
a mentirle.
«Chiudi
il becco» sussurrò lei, un istante prima di
spingersi e andare a
ritrovare le sue labbra. Con le gambe riuscì a tirarselo
contro,
dandogli quella sicurezza che gli era mancata, facendo lei per
l'ennesima volta il passo decisivo. E ormai toccandosi,
umidità
contro umidità, calore contro calore, Toshinori fece
quell'ultimo
passo varcando quella soglia che per anni era stata sua ma che ora
sentiva di non meritare più. I successivi minuti furono
completamente avvolti nella nebbia, in una piacevole nebbia che
accecava, che inebriava. Il fuoco, quelle travolgenti sensazioni che
nascevano dal bacino e risalivano fino al petto, incendiava tanto che
per poco non fece male.
"Abbi
cura di te, All Might".
Faceva
così male, aveva fatto così male. Quell'addio
inespresso, la
consapevolezza che quelle sarebbero state le sue ultime parole, il
terrore nel non trovarla tra le macerie. L'aveva quasi uccisa,
l'aveva lasciata morire, non aveva sentito la sua voce nel coro di
chi chiamava All Might, travolto e accecato da tutto quell'egoismo.
Non era riuscito a sentirla, perché diamine non era riuscito
a
sentirla?
Strinse
le lenzuola tra le dita tanto da strapparle, mentre continuava a
muoversi dentro di lei, inebriato, ubriacato, completamente
sopraffatto da quel suo intenso profumo. La sentì muoversi,
sotto di
sè, inarcare la schiena, assecondare i suoi movimenti,
sentì la sua
voce che vicino al suo orecchio si lasciava andare a piacevoli
lamenti.
"Abbi
cura di te, All Might".
Il
dolore aumentava man mano che il fuoco si impossessava dei suoi
muscoli, ma cominciava a riconoscerlo quel dolore. Era la sua
maledizione, partiva dalla cicatrice al fianco e lo ricopriva
completamente, bruciando ogni singolo muscolo. Strinse i denti e
tornò a schiacciare il volto contro il collo di Machiko. Non
doveva
cedere a quel dolore, non doveva rovinare tutto per l'ennesima volta.
Sarebbe morto piuttosto che ferirla ancora, piuttosto che deluderla
ancora.
"Abbi
cura di te, All Might".
Ancora
un altro ansimo, a sfiorargli l'orecchio, aumentando quella
sensazione di follia contro cui stava lottando disperatamente. Quella
voce, la sua voce, non aveva poi fatto altro che sentirla alla radio
o alla televisione. Elettronica, così poco naturale,
così poco sua,
così lontana... mentre ora riusciva a tenerla vicino al
proprio
orecchio, a sentirne ogni sfumatura, non perderne neanche una nota.
Quell'addio era riuscito a spazzarlo via. Quell'addio così
freddo,
che chiamava in causa il suo nuovo sè e non il Toshinori di
cui era
innamorata. Aveva parlato al freddo, assente All Might, consapevole
che Toshinori non c'era più. Perché se ci fosse
stato... l'avrebbe
sentita ancora, la sua voce, che chiamava aiuto. Era stato All Might
a non sentirla, Toshinori ci era sempre riuscito, fin dalla prima
media. La colpa era solo sua, e lei continuava a perdonarlo.
Perché?
«Ti
amo ancora, Toshinori» confessò e fu quello
l'istante in cui il
calore al petto riuscì a sconfiggere il bruciore della
cicatrice. Un
altro infinito bacio, le dita tra i suoi capelli, i propri corpi che
si muovevano ritmicamente, completandosi, il desiderio di non
separarsi mai più, di sentirsi per sempre integri. L'orgasmo
era
stato talmente accecante che quando Toshinori aveva riaperto gli
occhi aveva temuto di aver realizzato il suo incubo ed essere
diventato quel mostro scheletrico che cominciava a detestare
più di
ogni altra cosa. Si guardò le mani, le braccia, e quando
vide che
era riuscito a mantenerla quella promessa tenendo nascosta a Machiko
la verità si sentì tanto sollevato che per poco
non si sarebbe
messo a piangere di nuovo. Guardò il volto di Machiko sotto
di sè,
gli occhi socchiusi, rilassata, ma ancora incapace di smettere di
guardarlo. Si sollevò, sfiorò nuovamente le sue
labbra e infine si
ammorbidì sul materasso.
«Se
solo esistesse un modo per sognare per sempre»
mormorò, ormai a
occhi chiusi. Toshinori la guardò per qualche secondo,
incantato
dalla sua bellezza, incapace di liberarsi di quel dolore che la
consapevolezza di averle mentito gli chiudeva la gola, ma cosciente
del fatto che quel desiderio, di poter sognare per sempre, cominciava
ad averlo anche lui. Le accarezzò il viso, scostandole una
ciocca di
capelli e la guardò mentre rapidamente cadeva addormentata,
forse
per l'alcol, forse per l'abbondante cena o per il rilassamento dopo
l'amplesso. Era stata incredibilmente veloce e questo gli
riportò
alla mente tutte le volte che avevano fatto l'amore, precedentemente:
era un punto fisso della loro relazione, che lei fosse la prima ad
addormentarsi, e lui puntualmente passava la successiva
mezz’ora ad
ascoltare il rumore del suo respiro, prima di lasciarsi andare al
sonno, imitandola. Lo faceva un tempo, ma non quella volta. Quella
sera aveva una scadenza da rispettare… l’orologio
che batteva
l’ennesimo “tic” a ricordargli quanto
poco tempo gli fosse
ancora concesso.
Si
sollevò, si diede una veloce ripulita e si richiuse i
pantaloni. Si
chinò su Machiko e senza svegliarla, con delicatezza, la
mosse in
modo che fosse comoda sul letto e infine la coprì. Un colpo
di tosse
lo tradì e pregò che questo non la svegliasse,
cosa che per fortuna
non avvenne. Si tolse la mano dalla bocca e diede una rapida
occhiata, già sapendo cosa ci avrebbe trovato: sangue. Era
al
limite.
«Merda»
sussurrò, ripulendosi rapidamente con un fazzoletto. Con
altrettanta
rapidità si riabbottonò la camicia, si tolse la
cravatta ormai
inutile e prese la giacca dalla sedia. Un ultimo sguardo al raggio di
sole che dormiva nel letto, prima di uscire portandosi dietro almeno
un centinaio di sensi di colpa.
La
mattina dopo Machiko si svegliò confusa: quando si era
addormentata?
Ricordava ogni cosa, non si era ubriacara a tal punto. La ricordava
eccome, la serata più bella che avesse passato negli ultimi
vent'anni. La cena, le risate, quelle liberatorie risate e poi il suo
sapore. Ricordava perfino quelle stupide dichiarazioni che si erano
fatte: stupide perché come le avrebbero giustificate adesso?
Come se
ne sarebbero liberati una settimana avanti, quando lei avrebbe
ripreso quell'aereo? Tirò su le gambe, avvolgendole in un
abbraccio.
Era stato tutto bello, fino a quel risveglio, sola e abbandonata.
C'era stato un tempo in cui Toshinori restava con lei, ad
abbracciarla, anche a costo di prenderle da suo padre, pur di non
permetterle di risvegliarsi da sola. Ricordava le notti in cui di
nascosto si infiltrava nella sua stanza, passando dalla finestra, si
infilava nel suo letto e lì restava, a dormire, avvolgendola
fino al
mattino. Solo perché lei magari gli scriveva nel cuore della
notte
che aveva fatto un brutto sogno.
Perché
invece quella mattina era così sola? Sentiva un gran freddo.
C'era
stato un momento, la sera prima, che segretamente e stupidamente
aveva pensato che tutto sarebbe potuto tornare al passato. Che
indipendentemente da come erano andate le cose, loro sarebbero potuti
tornare ad abbracciarsi. Era stato stupido, un pensiero infantile,
Toshinori glielo aveva rammentato sparendo la sera prima durante il
suo sonno, permettendole di svegliarsi sola e disordinata. Si
voltò
e guardare lo spazio vuoto al suo fianco, vuoto come il sentimento
che provava in quel momento nel petto. Era stato solo un sogno, un
bellissimo e consapevole sogno, tutto sarebbe finito nel giro di una
settimana. Doveva metterselo in testa, non ci sarebbe stato "ti
amo" che avesse retto. Era solo un sogno.
Poggiò
il palmo della mano sul materasso al suo fianco, accarezzandone la
superficie, in una primitiva speranza di poter sentire il suo calore,
il suo profumo indirettamente. Il lenzuolo venne spostato di un paio
di centimetri e fu allora che lo vide, piccolo ma indelebile, ormai
secco sul bianco della biancheria pulita: «Sangue?»
How
to be brave?
How
can I love when I'm afraid to fall?
But
watching you stand alone
All
of my doubt, suddenly goes away
somehow
One
step closer...
I
have died everyday, waiting for you
Darling,
don't be afraid, I
have loved you for a thousand years
I'll
love you for a thousand
more
Nda.
Faccio
queste rapidissime Nda solo per scusarmi del ritardo di questa
settimana e per ringraziarvi tutti, come al solito <3 lettori,
anche se silenziosi, siete preziosissimi <3
Eeee
finalmente una gioia! xD dai su… la tensione sessuale e
palpabile
ormai da un paio di capitoli, prima o poi ci sarebbero cascati u.u
MA….
Toshinori si ostina a non volerle rivelare di aver perso parte dei
suoi poteri, convincendosi che lo fa per lei ma ritrovandosi ogni
tanto a spaventarsi al pensiero che possa trovarlo ripugnante e
debole.
Visto che questo nda saranno più brevi rispetto alle
solite, questa volta vi regalo un piccolo spoiler per il prossimo
capitolo. E non è uno spoiler qualunque, vi avverto
:P
«Quell'idiota
di Deku» mormorò lei, pensierosa, sedendosi a
terra al suo fianco.
«Non ti sta molto simpatico, vero?»
«È
un nerd di merda! Di merda!» ribadì, continuando a
tirar pugni per
terra, ormai in preda alle lacrime. No, decisamente non gli stava
simpatico. Nina si tolse la giacca di dosso e la lasciò
cadere sopra
la testa di Bakugou, nascondendogli il volto rigato di lacrime,
proteggendolo da quell'umiliazione.
E
infine confesso: «Nemmeno a me».
|
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Capitolo 23 *** Lullaby, Nickelback ***
"Lullaby”,
Nickelback
Nina
si stiracchiò, allungando le braccia verso l'alto. I
corridoi della
scuola erano già deserti quando arrivò, tutti gli
studenti erano
nelle proprie aule da un pezzo ormai, intenti a seguire le lezioni.
Nessuno le chiedeva di andare così presto la mattina, in
fondo le
sue lezioni si tenevano nel pomeriggio, ma le piaceva comunque essere
presente fin dalle prime ore per poter vivere l'ambiente scolastico
fino in fondo. Voleva alimentare quella pressante malinconia e girare
per i corridoi, andare in palestra, o semplicemente starsene in sala
professori e mangiare dolcetti guardando gli altri lavorare ai propri
computer, sentirli parlare e commentare gli studenti, era tutto
così
piacevole. Quella mattina sapeva già che l'avrebbe passata
seduta
sul divano, divorando la busta di Taiyaki che aveva comprato andando
lì, e leggendo tutte le informazioni che poteva avere sulla
classe
prima A. Nei giorni precedenti si era concentrata esclusivamente sui
suoi "casi problematici", su Midoriya e su Bakugou, ma
cominciava a rendersi conto che avrebbe dovuto ampliare lo sguardo
all'intera sezione. Nascosti nel loro anonimo silenzio c'erano alcune
perle interessanti che non sarebbe stato male conoscere più
a fondo.
Aprì la porta della sala insegnanti, esclamando un allegro:
«Buongiorno a tutti!» ma si bloccò, per
un attimo confusa e
stupita. Seduto sul divano, chino, con le dita intrecciate tra loro,
c'era Bakugou. Alle sue spalle tre degli insegnanti stavano lavorando
ai propri computer, tra questi c'era anche Midnight che non faceva
che lanciare al ragazzino occhiate emozionate, probabilmente ancora
su di giri per la promessa che lui le aveva urlato in corridoio.
Era
una donna impicciona, ma quella sua passione non dispiaceva a Nina:
almeno non era una di quelle che le remavano contro, ma
finché
avesse spronato i ragazzi a far uscire il fuoco dentro di loro
avrebbe continuato a sostenere le sue scelte.
«Kacchan»
lo chiamò. «Che fai qui? Non dovresti essere in
classe?»
«Ho
chiesto un permesso. Devo parlare con te» il viso corrucciato
ostentava serietà e una certa maturità, ma era
facile scorgerne
sotto l'imbarazzo che anticipava la debolezza di una richiesta. Nina
si voltò a guardare i professori, scoprendoli tutti
distratti dal
loro lavoro per quella conversazione: erano tutti dei gran ficcanaso,
non solo Midnight, allora!
«Vieni
con me» disse a Bakugou, sapendo che lì non
avrebbero potuto
parlare in pace.
Uno
dei professori cominciò a balbettare, alzando un dito,
riuscendo
solo dopo alcuni lamenti a dire: «Il professor Aizawa sta
sostenendo
la lezione!»
Nina
era sotto sorveglianza, lo sapevano tutti lì dentro. Non
costantemente, ma almeno quando avrebbe passato del tempo con gli
studenti, per impedirle di agire in maniera aggressiva nei loro
confronti. In quel momento Aizawa non poteva adempiere a quel dovere,
era quello che il professore stava cercando di dirgli: sarebbe stato
meglio se fossero rimasti lì dentro, così
potevano controllare loro
la situazione.
«Salutalo
quando lo vedi» disse Nina scocciata, rispondendo a una frase
indiretta in maniera altrettanto indiretta. Non gliene importava
niente di quelle stupide restrizioni, se voleva parlare sola con
Bakugou avrebbe parlato sola con Bakugou.
«Ma...»
balbettò ancora il professore, non sapendo come sarebbe
stato
corretto reagire. Nessuno aveva chiesto a lui personalmente di
occuparsi della faccenda, una parte di sé gli diceva di
farsi gli
affari suoi, e probabilmente fu quello il motivo che lo spinse a
lasciarli andare. Pieno di dubbi, chiedendosi se non avesse fatto
meglio a seguirli, ma li lasciò andare. Anche
perché sicuramente
aveva ben altro da fare che star dietro a una folle che si divertiva
a malmenare i ragazzini.
Si
voltò verso Midnight, provando a chiederle con lo sguardo se
avessero fatto bene, e lei rispose con un'alzata di spalle prima di
tornare al suo lavoro. Se perfino lei dimostrava di non importarsene,
perché avrebbe dovuto farlo lui?
Nina
aprì la porta che conduceva al tetto e, seguita dal
ragazzino, uscì
all'esterno, tornando ad avvicinarsi alla ringhiera per guardare
l'enorme mondo che aveva sotto di sé. Bakugou le si mise a
fianco e
fece altrettanto, assumendo una posa decisamente più
scomposta e
appoggiò la testa tra le braccia, posate su quella
ringhiera.
«Allora»
cominciò Nina dopo qualche secondo di silenzio.
«Non sei un ragazzo
che gira troppo attorno alle cose, perciò direi di andare
subito al
nocciolo della questione. Cosa ti turba?»
«Pensi
che io sia uno che si lascia turbare tanto dalle cose?»
ringhiò
lui, lievemente rosso in volto. Bastava così poco per ferire
il suo
orgoglio, era teso come una corda di violino e al primo pizzicotto
scattava. Ma era semplice capirlo, almeno lo era per lei, e lesse
dietro quell'urlo furibondo solo tanto disagio. Gli fece una gran
tenerezza.
«La
lezione era pallosa, volevo solo una scusa per uscire dalla
classe»
disse lui, provando a giustificarsi.
«Oh»
disse Nina, non riuscendo a trattenere un sorriso intenerito.
«Che
ragazzino indisciplinato che sei» ridacchiò,
fissandolo mentre lui
tornava nella sua posa chiusa e corrucciata. «E va bene, se
startene
qui in silenzio a guardare il panorama è quello che vuoi
fare, starò
volentieri qui a farti compagnia».
Si
voltò a fissare l'orizzonte, oltre i tetti dei palazzi di
quell'enorme città. Sotto di loro, tra le vie, regnava il
caos, tra
il traffico ruggente, le sirene della polizia che correvano ad ogni
segnalazione, il vociare delle persone. Era come un enorme formicaio
e loro da lì sopra lo potevano supervisionare interamente,
una
spanna sopra gli altri, superiori a qualsiasi cosa. Il vento che li
accarezzava portava ancora con sé l'odore salmastro del
mare. Era il
posto ideale per loro due, che amavano guardare il mondo intero da
quella posizione, superiori, irraggiungibili. Era un luogo di
conforto.
E
loro si lasciarono confortare, a lungo, immersi in quel piacevole
silenzio.
«”Un
giorno non potrai più guardare nessuno
dall'alto”» mormorò Nina.
«”Un giorno sarai costretta ad alzare gli occhi dal
fango anche
tu”: c'è stato un tempo in cui me lo ripetevano
spesso». Nessuno
le aveva chiesto niente, perché avesse cominciato a parlare
di
quelle cose Bakugou non ne aveva idea, ma restò comunque in
religioso silenzio, lasciandola fare.
«Magari
è un modo sbagliato di vivere, ma a me piace
così. Poter abbassare
gli occhi, osservarli e magari ogni tanto divertirmi con quei
burattini» continuò e allungò le mani
nel vuoto, cominciando a
muovere le dita come se stesse realmente muovendo delle marionette.
«Fai
venire i brividi» mormorò disgustato Bakugou,
fermo nella sua
posizione.
«Me
lo dicono in tanti, ormai è diventato un
complimento» ridacchiò
Nina, per niente offesa da quella frase. «Comunque quel
giorno non è
ancora arrivato, chissà che ne penserebbero i ragazzi che al
tempo
me lo dicevano».
«Non
hai mai perso neanche una sola volta?» chiese Bakugou e la
domanda
colpì Nina più del dovuto: forse
perché finalmente si era deciso a
dire qualcosa per comunicare con lei o forse perché non
sembrava una
domanda posta a caso. Gli rivolse lo sguardo, osservando i suoi occhi
corrucciati che puntavano all'orizzonte, talmente infuocati che
avrebbero potuto incendiarlo. Quel ragazzo era dinamite pura.
«A
dire il vero» cominciò lei, abbassandosi per
poggiare i gomiti alla
ringhiera e tornare a guardare il mondo di fronte a sé.
«Una volta
sono caduta. Ed è stato talmente doloroso che ne sono
scappata. Non
ne vado fiera, lo devo ammettere. Ma quando per tutta la vita ti
aggrappi a una certezza, tanto ovvia da diventare scontata, il giorno
che questa verrà a mancare il dolore sarà tale da
risultare
insopportabile».
«Sei
scappata, come una codarda» commentò Bakugou, che
sorprendentemente
pareva ascoltarla più di quanto avesse immaginato.
«Sì,
sono stata codarda».
«Come
puoi credere di riuscire a rendermi il numero uno, allora, se neanche
tu lo sei?»
«Tesoro,
in sole due settimane non posso fare proprio un bel niente!»
disse
Nina, scocciata che stesse ancora ritirando fuori gli stessi
discorsi.
«E
allora che razza di promesse mi fai?» ringhiò
Bakugou, tirando
finalmente fuori la testa alle proprie braccia.
«Ma
perché ci tieni tanto?» chiese Nina, guardandolo
con un leggero
sorriso sulle labbra. Qualcosa dentro di lei le suggeriva la
risposta, era sicura di sapere il motivo di quell'accanimento: Nina
era stata la prima persona, dopo una serie di frustranti sconfitte e
muri non riusciti a sfondare, che aveva creduto nella sua
superiorità. Da quando era arrivato in quel liceo tutto
ciò in cui
aveva creduto, l'impero che si era costruito di cui era re e padrone,
era crollato miseramente nell'istante in cui si era trovato a fianco
persone altrettanto forti e valorose. Nessuno l'aveva più
guardato
con timore, nessuno l'aveva preso sul serio, tutti credevano di
poterlo superare e c'era chi addirittura ci era riuscito... si era
sentito improvvisamente solo in una battaglia che lo colpiva da tutti
i fronti. La affrontava a testa alta, non era il tipo di persona che
si arrendeva di fronte a certe difficoltà, ma la sorpresa
nel
trovare una mano al suo fianco pronta a tirar pugni per lui, dopo che
molte altre non aveva fatto altro che cercare di ferirlo, era stata
tale che si era sentito come se non avesse avuto bisogno di altro
d'ora in avanti. Un lieve rossore nacque sulle guance del ragazzino,
a segnalare che, sì, lo sapeva anche lui qual era il motivo,
e
distogliendo lo sguardo sputò un infastidito: «Io
non ci tengo
affatto! Sei tu che ti sei accanita su questa storia!»
«Mi
prendi in giro?» scoppiò a ridere Nina, prima di
stringere i pugni
e piegarsi in avanti. Infine urlò, imitando la sua voce:
«Nina!
Diventerò il migliore, te lo prometto!»
«Ho
solo promesso di batterti! Non c'entra niente con questa
storia!»
rispose lui a tono, cominciando a irritarsi tanto che la faccia gli
prese una piega quasi innaturale, sotto lo sforzo della rabbia.
«Beh,
allora vedi di sbrigarti perché ti resta poco tempo prima
che io me
ne ritorni in America» gli disse tornando a sollevarsi e
guardandolo
in quel suo solito modo, come fissava ogni marionetta del suo
palcoscenico.
«Combatti
contro di me, allora! Adesso!» ringhiò Bakugou,
mettendosi in
posizione. «Forza! Che aspetti?!»
Nina
lo squadrò qualche istante, studiando l'espressione del suo
volto.
«Allora
è questo il motivo per cui volevi vedermi»
mormorò, cominciando a
capire. Dopo la lezione che gli aveva dato in palestra, quando
l'aveva fatto prendere a pugni da Todoroki, non l'aveva più
combattuto direttamente. La faccenda della sorveglianza e della
sospensione della licenza l'avevano segnata a tal punto che aveva
allentato la presa sul ragazzo, costretta in un certo senso, e questo
l'aveva frustrato, soprattutto dopo ciò che le aveva
promesso. Si
sarebbero entrambi messi nei guai, le esplosioni di Bakugou le
avrebbero sentite tutti nella scuola e il preside non avrebbe potuto
impedire un'altra punizione ad entrambi. Si sarebbero entrambi
cacciati nei guai, ma loro due erano in realtà
così simili. Dal
loro piedistallo, studiavano il mondo sotto, osservandolo quasi con
riluttanza, sapendo benissimo che se avrebbero voluto avrebbero
potuto schiacciarli tutti. Entrambi accecati da un fuoco,
intolleranti verso chi cercava di mettere loro le catene, non si
sarebbero fermati di fronte all'ennesima sfida.
Sciolse
le braccia, tenute incrociate al petto fino a quel momento, e
fissò
Bakugou con più decisione. Sarebbe stato più alto
il palcoscenico
della burattinaia o il piedistallo da cui il ragazzo desiderava
sovraneggiare?
Se
Nina non avesse avuto la certezza che quel piedistallo su cui si
arrampicava con tanta fatica fosse davvero potuto esserle superiore,
non si sarebbe messa in gioco a tal punto. Un semplice burattino non
meritava tutta quell'attenzione e tutto quel rischio e lei ci aveva
scommesso ormai sopra, come aveva scommesso sulla riuscita di un mito
per la pace di nome All Might, molti anni prima. Era un suo difetto,
quello di accanirsi su chi dimostrava che poteva uscire dal suo
palcoscenico, su chi dimostrava di non essere un inetto alla sua
mercè, e finiva sempre con l'aiutarlo con tutte le sue
possibilità,
anche a costo di se stessa, pur di incoraggiarlo a salire al suo
stesso livello, addirittura a superarla.
Bakugou
aveva tutte le carte in regola per essere il nuovo sogno per cui
sacrificarsi, il nuovo desiderio da scrivere su un cartiglio e
appendere a una canna durante la notte di Tanabata. Lui poteva
batterla, rompere i suoi fili... doveva solo riuscire a capirlo.
«Avanti,
ti aspetto» gli disse e ciò bastò a
convincere il ragazzino a
scattare in avanti, esplodendo due colpi alle sue spalle per
darsi lo slancio.
«Un
attacco frontale, non hai proprio imparato niente» lo
rimproverò
Nina, lanciando i propri fili nella sua direzione.
Un’esplosione
improvvisa alla sua destra e Bakugou riuscì a schivarli,
deviando
direzione all'improvviso. Approfittò della sorpresa negli
occhi di
Nina per lanciarsi su di lei, percorrendo quei pochi metri che li
distanziavano. Nina si voltò di scattò e
tentò nuovamente di
arpionarlo, ma lui deviò ancora e riprese a correre verso di
lei.
"Schiva
gli ostacoli, passando oltre. Non perde tempo a combatterli come ha
fatto con Ectoplasm la prima volta" pensò Nina, continuando
a
lanciare fili su fili, che lui, notando la posizione delle mani di
Nina, riusciva a prevedere e schivare, avvicinandosi sempre
più.
La
donna sorrise, sentendo una pizzicante eccitazione all'altezza del
petto.
«Fantastico»
sussurrò, osservando l'espressione concentrata sul volto di
Bakugou.
Faceva sul serio, non era mosso dal solo istinto di distruggere ogni
cosa. Avrebbe usato la testa e la forza, arrivando così a
quella
prima posizione che tanto ambiva. Aveva imparato così in
fretta che
Nina si ritrovò a confermare le sue prime impressioni: era
un
ragazzo brillante, decisamente superiore agli altri.
Saltò
indietro, schivando un pugno del ragazzo e lanciò ancora la
mano in
avanti, puntandolo con i suoi fili. Un'altra esplosione e Bakugou le
fu alle spalle, pronto a porre fine a quell'incontro. Ma Nina
giocò
d'anticipo, dimostrando di essere riuscita a prevedere anche quella
mossa e trovandola già tesa con la mano sinistra, dietro la
sua
schiena per non mostrarla al ragazzo distratto dalla destra. I fili
erano già stati lanciati prima che lui avesse potuto
saltarla, Nina
aveva intuito o forse costretto il ragazzo a portarsi nella posizione
desiderata per colpirlo di sorpresa, e ora quei fili l'avrebbero
preso da un momento a un altro, non c'era tempo di schivarli di
nuovo. Doveva giocarsi il tutto per tutto. Esplose con l'unica mano
che era già rivolta nella sua direzione, senza neanche
prendere
troppo la mira. A quella distanza ravvicinata, se fosse riuscito a
colpirla anche dopo essere stato catturato, avrebbe comunque vinto.
La
fretta, la poca precisione e l'urgenza lo portarono a esplodere un
colpo più potente di quanto avesse inizialmente programmato,
facendo
tremare il tetto sul quale si stava svolgendo quell'incontro. Il
polverone che ne scaturì fu visibile anche dal cortile,
attirando
l'attenzione di chi si trovava all'esterno.
Qualche
colpo di tosse, accecato da tutto quel fumo, e cercò la
donna con lo
sguardo.
«Merda»
la sentì mormorare, poco più avanti. La voce
rotta dal dolore,
gracchiante per il fumo, e finalmente riuscì a vederne la
sagoma.
«Cazzo,
Kacchan. Questa volta me l'hai proprio fatta»
ridacchiò,
sollevandosi in ginocchio. L'aveva colpita, era riuscito a prenderla,
era messa davvero male, il piano aveva funzionato... ma allora
perché
lui era paralizzato?
Strinse
i denti, furioso. Li sentiva, quei maledetti fili. Li sentiva sulla
pelle, gli mettevano i brividi e gli impediva di muoversi.
«Ci
eri quasi riuscito» aggiunse lei, sorridendo soddisfatta.
Aveva
vinto lei. La mano sinistra allungata in avanti, i fili tesi, e il
corpo di Bakugou nuovamente sotto il suo comando. Il colpo del
ragazzo era stato potente, ma lei era stata più veloce ed
era
riuscita in qualche modo a proteggersi, spostando appena in tempo la
sua traiettoria, facendo in modo che potesse prenderla solo di
striscio. E infine l'aveva intrappolato.
«Non»
ringhiò Bakugou, scuotendo la testa, l'unica parte del corpo
che gli
fosse rimasta sotto il suo controllo. Gli occhi talmente furiosi,
iniettati di sangue e la follia che pian piano si impossessava di
lui. «Non è ancora finita!»
gridò con tutta la rabbia che aveva,
prima di cominciare a esplodere colpi su colpi in nessuna direzione
precisa, con il solo scopo di dar sfogo a tutta la sua potenza
nell'unico modo che gli era permesso. Una furia tale che pareva quasi
omicida, nel disperato tentativo di liberarsi dal suo controllo, e di
nuovo il fumo si mise tra loro. Il rumore assordante delle
esplosioni, le sue urla incazzate, sempre più forti, sempre
più
potenti e Nina percepì tutto quel dolore lungo i fili, fino
alla sua
mano. Faceva un male cane, quei contraccolpi che lui subiva
arrivavano fino a lei, gli faceva davvero un male maledetto. Si
corrucciò, ma restò concentrata e determinata.
Non l'avrebbe
lasciato andare, non glielo avrebbe permesso di vincere così
facilmente. Doveva lottare di più, poteva farcela, ma doveva
fare
ancora di più o non sarebbe mai stato il numero uno.
Infine
lui si arrese.
«Perché?»
lo sentì ringhiare con la voce di chi sta piangendo, anche
se il
fumo le impediva di vedere. «Perché?
Perché? Perché?» gridò
sempre più forte, sempre più disperato.
«Perché quell'idiota di
Deku ci è riuscito e io no, merda!»
Quella
frase, con tutta la rabbia che portava con sè, la
colpì tanto che
sentì il proprio cuore battere di un paio di pulsazioni
più forti
del solito. Deku, Midoriya si era liberato dei suoi fili proprio come
riusciva a farlo All Might, e la cosa lo mandava fuori di testa
perché non c'era niente che potesse frustrarlo
più che vedere
qualcuno, quel qualcuno in particolare, superarlo in qualcosa. Ma
Midoriya aveva dentro di sé One for All, il potere ereditato
da All
Might in persona e da Nana prima di lui. Un potere tale non era
paragonabile ad altri, era il potere del migliore al mondo, che
maturava da centinaia di anni, artificiale, surreale, inumano. Non
era una persona con il quale confrontarsi, giocava sporco, ma lei non
poteva rivelarglielo e la cosa la rattristò profondamente.
Decise
di liberarlo, sapendo che ormai dentro sè aveva decretato la
sua
sconfitta. Bakugou cadde in ginocchio a terra e cominciò a
prendere
a pugni il suolo, sempre più rancoroso, sempre
più furioso.
«Quell'idiota
di Deku» mormorò lei, pensierosa, sedendosi a
terra al suo fianco.
«Non ti sta molto simpatico, vero?»
«È
un nerd di merda! Di merda!» ribadì, continuando a
tirar pugni per
terra, ormai in preda alle lacrime. No, decisamente non gli stava
simpatico. Nina si tolse la giacca di dosso e la lasciò
cadere sopra
la testa di Bakugou, nascondendogli il volto rigato di lacrime,
proteggendolo da quella umiliazione.
E
infine confesso: «Nemmeno a me».
Loro
due erano così inquietantemente simili.
Please
let me take you
Out
of the darkness and into the light
'Cause
I
have faith in you
That
you're gonna make it through another
night
Stop
thinkin' about the easy way out
There's
no need to
go and blow the candle out
Because
you're not done, you're far too
young
And
the best is yet to come
|
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Capitolo 24 *** My immortal, Evanescence ***
"My
immortal”, Evanescence
«Dovevo
aspettarmelo» la voce collerica di Aizawa comparve alle loro
spalle.
Il fumo si stava diramando, il tetto era parzialmente distrutto e i
due superstiti a quella lotta restavano ancora seduti per terra,
l'uno di fianco all'altro. Nina piegò la testa all'indietro,
riuscendo a vedere così gli insegnanti accorsi da loro
subito dopo
la fine del loro piccolo incontro. Eraserhead in prima fila, Blood
King a seguire, Snipe, Hound Dog e perfino All Might. Sorrise
luminosa, con la faccia piena di un'innocenza che era consapevole di
non avere, ma divertita da quella situazione: avevano fatto un tale
baccano da far accorrere sul posto alcuni dei migliori che la scuola
disponeva.
«Ehilà!
Qual buon vento?» chiese lei, salutando con la mano. Un
graffio
sullo zigomo perdeva ancora sangue, uno sfregio sulla fronte, la
manica destra della maglietta completamente estirpata, bruciata,
lasciava scoperta una spalla arrossata. Altri piccoli fori lungo i
vestiti, tutti visibilmente provocati da bruciature, le braccia e le
mani completavano l'opera con una serie di graffi e arrossamenti, il
tutto interamente ricoperto dalla polvere e da uno strato nerastro di
fumo che le aveva lasciato la pelle sporca. La giacca di Nina, ora
posata a terra tra i due, era decisamente da buttar via. Non c'era
niente che si fosse salvato, era un disastro su tutti i fronti,
eppure con tutta l'arroganza che possedeva si comportava come se non
fosse successo niente, chiedendo addirittura perché fossero
lì. Al
suo fianco, Bakugou ne era uscito sicuramente più
dignitosamente, ma
non cambiava l'arroganza del suo atteggiamento rispetto alla donna.
Li osservava da oltre la spalla, restando seduto, senza neanche
preoccuparsi di alzarsi di fronte ai propri insegnanti o chiedere
scusa.
«Nina»
balbettò All Might, sorpreso, ma decisamente preoccupato.
Quarant'anni suonati e continuava a comportarsi come la ragazzina
sconsiderata che era stata un tempo. Non si era aggiustata nemmeno un
po', era scoraggiante per uno come lui che aveva perso tanto tempo a
insegnarle cosa fosse giusto e cosa no.
«Ma
che avete combinato?» chiese Hound Dog, guardandosi attorno.
«Abbiamo
solo parlato un po'» rispose Nina, alzandosi in piedi.
Bakugou la
guardò e decise di imitarla subito dopo, consapevole che da
lì a
poco si sarebbero entrambi beccati una bella strigliata.
Tanto
valeva andare loro incontro a testa alta.
«La
vostra chiacchierata è costata un'evacuazione! Abbiamo
creduto in
qualche attacco!» spiegò Blood King, irritato.
«Stanno
evacuando la scuola a causa nostra?» chiese Nina,
strabuzzando gli
occhi. Un attimo di perplessità mentre si rendeva conto di
quanto
avessero esagerato. Si voltò a guardare Bakugou e
trovò nei suoi
occhi la sua stessa sorpresa, ma nessuno dei due sembrò
essere colto
dai sensi di colpa. Anzi, la cosa risultava essere quasi
esilarante... tanto che scoppiarono a ridere. Avevano fatto un gran
bel casino e sapere che con così poco avevano scatenato il
terrore
in tutti gli altri, solo perché si erano presi la
libertà di
confrontarsi, li portava quasi alle lacrime. A zittirli fu Aizawa,
che colto da una furia omicida li avvolse con le sue bende,
tappandogli la bocca. La cosa che lo mandava più in bestie
di tutte
era che quella donna, grande e grossa, si mettesse allo stesso
livello dei ragazzini. Doveva far loro da mentore, era stata chiamata
per renderli degli eroi, e invece si comportava come una
delinquentella da quattro soldi, izzandoli tanto da scatenare risse
sul tetto della scuola. Sembrava di avere di fronte il peggiore degli
studenti, invece che una collega. Era intollerabile, quel suo
carattere infantile ed eccentrico era decisamente intollerabile! Ed
era assurdo che dovesse riprenderla e punirla esattamente come
avrebbe fatto con uno dei suoi ragazzi.
«Questa
volta non la passerete liscia!» ringhiò lui prima
di iniziare a
tirarli e trascinarli all'interno dell'edificio, come due carcerati
che venivano portati al patibolo. I due lo seguirono senza
ribellarsi, anche se non smisero di ridersela sotto i baffi per tutta
la durata del percorso, cosa che aumentò a dismisura la
rabbia
dell'insegnante. L'evacuazione venne interrotta, l'ordine venne
ristabilito e Nina e Bakugou vennero portati nell'ufficio del preside
che non potè far a meno di sospirare rassegnato quando vide
la donna
varcare la soglia della sua porta.
«Ehilà,
Nezu-chan! Da quanto tempo?!» provò a dire lei,
con uno strano
entusiasmo, ma le bende di Aizawa che ancora le tappavano la bocca ne
fece uscire solo un mormorio incomprensibile.
«Grazie
Eraser, ora puoi lasciarli andare» disse il preside,
mettendosi
comodo sulla sua sedia, alla scrivania. Aizawa sciolse le bende che
li teneva legati, riportandosele avvolte al collo, e Nina appena fu
libera non si risparmiò di beffeggiarsi di lui, ammiccando
un
provocante: «Grazie Eraser».
Se
solo ne avesse avuto la possibilità l'avrebbe strozzata con
le sue
stesse mani. Non riusciva a sopportarla, lei e quello stupido
carattere infantile e provocatorio che si ritrovava. Non riusciva
proprio a capire come il preside avesse accettato di chiamarla e
continuasse a permetterle di stare in quella scuola. Non aveva fatto
niente di buono da quando era arrivata.
«Nina»
la chiamò Nezu, imperativo, e lei gli sorrise
innocentemente: «Sì?».
«Sedetevi,
per favore» disse il preside ai due, indicando le sedie di
fronte a
lui. «Eraser, torna pure nella tua classe e aiuta gli altri
insegnanti a ristabilire l'ordine. Adesso me ne occupo io».
L'uomo
fece dietrofront e senza farselo ripetere due volte uscì
dall'ufficio, sotto lo sguardo divertito di Nina che continuava a
prendersi gioco di lui, salutandolo con la mano. Sapeva quanto Aizawa
la detestasse, glielo leggeva in viso ed era solo per quel motivo che
proprio con lui si comportava in maniera così spudorata e
fastidiosa. Proprio come quando era ragazza e reagiva agli attacchi
dei bulli attaccandoli a sua volta, prendendosi gioco di loro,
ponendosi al di sopra delle loro teste e manovrandoli come
marionette.
«Nina!»
la richiamò di nuovo Nezu, riuscendo così ad
avere la sua
attenzione. «Non mi sono mai trovato prima d'ora a dover
avere di
fronte contemporaneamente insegnante e studente per un richiamo, la
situazione devo ammettere mi mette in forte difficoltà. Il
livello a
cui devo pormi per parlare con ognuno di voi è decisamente
diverso,
combinarli non è affatto semplice, ma vista la situazione
credo che
la via migliore sia scegliere una delle due modalità e
trattarvi
alla pari, ovvero come due ragazzini, perché è
così che presumo vi
siate comportati. Un comportamento simile posso riuscire a capirlo in
un ragazzo dell'età di Bakugou, anche se, nonostante il tuo
carattere, non hai mai mancato alle regole della tua scuola e hai
sempre protetto con forza il tuo posto di migliore della classe. Ma
Nina, il richiamo di qualche giorno fa non ti è bastato?
Pensavo che
tu avessi capito...»
«Ho
capito, ma questo non significa che lo accetti» lo interruppe
Nina
con arroganza.
«Ieri
ti sei comportata così bene, anche se hai avuto un attimo di
sbandamento con Midoriya, ma Eraser mi ha detto che era andato tutto
bene».
«Uno
dei ragazzi si è lamentato, questo è quanto.
Avrei preferito che
parlasse con me a quattr'occhi, piuttosto che nascondersi
nell'anonimato, ma se ha preferito agire così lo accetto.
Non
sopporta il mio modo di pormi con lui e i suoi compagni? Benissimo,
bastava solo dirlo».
«Quindi
mi stai dicendo che non lo fai per rispettare l'ordine impartitoti ma
per rispettare la volontà del ragazzo?»
«Possiamo
dire così».
Bakugou,
a quell'affermazione, si lasciò andare un
«Tsk» irritato e
contrariato. Puntò lo sguardo altrove, cercando di
estraniarsi da
quel discorso che palesemente gli dava il nervoso, ma
quell'espressione non era sfuggita ai due che adesso rivolgevano a
lui tutta la loro curiosità.
«Hai
qualcosa da dire a riguardo, Bakugou?» chiese Nezu.
Bakugou
strinse i pugni, prima di ringhiare, continuando a fissare il suo
punto invisibile: «Iida è solo un ficcanaso!
Avrebbe dovuto farsi
gli affari suoi!»
«Iida?»
mormorò Nina, scoprendo solo in quel momento chi dei tanti
studenti
della prima A avesse avuto da ridire su di lei. E pensare che il
secondo giorno era andato a cercare il suo consiglio e supporto con
un tale entusiasmo, non si sarebbe mai aspettata di trovarselo
contro. Non lo diede troppo a vedere, ma ne rimase ferita.
«È
il vostro rappresentante di classe, ha solo agito nel modo che
riteneva più giusto per voi. Alla fine non c'è
stato solo
l'episodio che ha coinvolto te personalmente, ma tanti altri piccoli
comportamenti di Nina hanno contribuito alla decisione presa in sede
finale. In fondo non è cambiato molto, solo ci assicuriamo
che certi
avvenimenti non ri-accadano nuovamente» spiegò il
preside. Bakugou
inarcò le sopracciglia, piantellò il gomito sul
manico della sedia
e chiudendo la mano a pugno ci appoggiò il mento sopra,
bofonchiando
un intrattenibile: «Stronzate».
Parola
che venne in parte sovrastata dalla voce di Nina, che quasi
urlò
entusiasta: «Stai cercando di proteggermi?»
Bakugou
sobbalzò, forse spaventato per la sua voce decisamente
troppo forte,
o forse perché sentitosi smascherato, ma non
riuscì a far in tempo
a ribattere che Nina gli era addosso. Gli avvolse le braccia al collo
e se lo tirò al petto, stritolandolo in un abbraccio poco
aggraziato
quanto forzatore, mentre continuava a dirgli allegra ed emozionata:
«Ma allora hai un cuoricino tenero sotto quella scorza
antipatica e
burbera! Ma come sei carino! Allora un po' ti sei affezionato?
Kacchan adorabile!»
Bakugou
cominciò a scalciare e dimenarsi, talmente rosso in volto
che
sarebbe potuto esplodere proprio come il suo Quirk, e nascondendo la
vergogna sotto uno spesso strato di rabbia cominciò a urlare
di
lasciarlo andare o l'avrebbe ammazzata. Un sovrastarsi di voci in
quella lotta in cui lei tentava di condividere il suo affetto e lui
cercava in tutti i modi di fuggirne, sia a parole che a gesti,
lottando contro quelle mani che continuavano a schiacciarlo contro il
suo petto. Una scenetta al limite del patetico, colma di tenerezza,
che Nezu però, con la sua brillante intelligenza, aveva ben
capito
essere messa su a regola d'arte dalla burattinaia, intervenuta al
momento giusto per impedire che il ragazzino finisse ancora
più nei
guai per aver usato un linguaggio scurrile contro una figura
autoritaria come quella del preside. Un atteggiamento che tanto
ricordava quello di una sorella maggiore, materno abbastanza da
potergli dedicare affetto e protezione, ma non così tanto da
rivestire anche il ruolo autoritario che avrebbe dovuto avere un
genitore. Tanto da finire nei guai insieme a lui. La carica di
preside di Nezu continuava a imporgli di rimetterla sui suoi binari,
ma la sua umanità gli suggeriva che Toshinori aveva avuto
più che
ragione nel suggerirgli di portarla in quella scuola. La conosceva
bene, sapeva probabilmente che avrebbe combinato qualche guaio, al
limite dell'accettabilità e forse anche della
legalità, ma sapeva
anche che avrebbe portato con sè un'aria nuova, pulita,
carica di
serenità e di incoraggiamento. Un'aria necessaria dopo la
brutta
esperienza che quei ragazzi avevano vissuto alla USJ, in grado di
risanarli.
«Nina,
per favore, evitiamo di aggiungere le molestie sui minori alla lista
dei comportamenti punibili» intervenne Nezu, quando dopo
qualche
minuto, i due non accennavano a smettere. Era bene riportare il
discorso sui propri binari, in fondo erano lì per una
punizione.
«Molestie?»
chiese Nina, sorpresa. Si voltò a guardare il volto di
Bakugou,
ancora serrato tra le sue braccia e il petto, ignorando l'espressione
impietrita e il colorito che poteva benissimo essere paragonato a
quello di un pomodoro, e chiese con candore: «Ti sto
molestando?»
«Sì,
decisamente!» ringhiò lui, trovando in quella
scappatoia la sua
unica via di fuga da quell'imbarazzante situazione.
«Ok,
va bene» sospirò lei, lasciandolo finalmente
andare. «Bastava
dirlo che non ti piacciono gli abbracci affettuosi».
Bakugou
scattò in avanti, allontanandosi da lei, e si
portò una mano al
collo, respirando profondamente per riprendere aria. La faccia di chi
ha appena subito un trauma, che subito si trasformò,
tornando la
solita collerica di sempre.
«Non
farlo mai più!» gli urlò contro.
«Tu
non mi dici quello che devo fare» sorrise lei. Il contrasto
tra la
frase imperativa e il viso d'angelo lo fece rabbrividire tanto che
perfino la sedia tremò.
«Comunque...»
disse Nezu, riprendendosi l'attenzione dei due. Saltò sulla
sedia,
acquistando grandezza e autorità, e gli puntò un
dito contro un
attimo prima di gridare furibondo: «Avete fatto esplodere il
tetto,
lottato fuori programma esattamente come due indisciplinati
delinquenti che rissano tra loro e infine siete stati la causa di un
falso allarme e di un inizio di evacuazione! Vi rendete conto della
gravità della situazione? Adesso mi darete delle
spiegazioni»
ordinò e prima che potesse ricomporsi e dar loro tempo di
pensare a
una risposta, Nina esordì con serietà e
decisione, in una frazione
di secondo: «Voglio allenarlo».
La
sua sicurezza abbattè all'istante tutta
l'infantilità con cui si
era comportata fino a quel momento, riportandola nella
maturità dei
suoi quarant'anni e del suo ruolo di insegnante provvisoria. Perfino
Bakugou fu colto di sorpresa da una simile confessione, rivolta a lui
personalmente, e non riuscì a far altro che guardarla con
stupore.
«So
bene di non essere e non essere mai stata uno dei migliori eroi in
circolazione, che sicuramente non sono degna di assumermi una tale
responsabilità e che al mondo ci sono persone sicuramente
più forti
di me che hanno più diritto di prendersi questo impegno. Ma
ho fatto
una scommessa e non ho intenzione di perderla. Sono assolutamente
certa che questo ragazzo possa conquistarsi il podio, ponendosi al di
sopra di tutti gli altri. Io sono certa che lui sia anche
migliore...»
"Migliore
di Midoriya".
«Migliore
del numero uno».
Un
leggero astio, un pizzico di egoismo, ma se Midoriya era stato
decretato come erede ufficiale di quel grande potere, se avesse
conquistato quel primo posto sfruttando la scorciatoia e la strada
spianata da Toshinori, lei l'avrebbe abbattuto, dimostrando
così che
quel ragazzino non era degno. Non era degno di quel primo posto, non
era degno della gloria che un uomo aveva costruito per lui con fatica
e sacrificio. Poteva anche essere uguale a lui, poteva essere una
persona dal cuore buono, piena di giustizia, come lo era stato
Toshinori al tempo... ma All Might non poteva morire. Solo lei sapeva
quanto era stata dura la salita, quanti sacrifici avevano fatto
entrambi, e non poteva accettare che un ragazzino qualunque avesse
potuto approfittare di tutto quello, appropriandosi di qualcosa che
non gli apparteneva.
Magari
un giorno Midoriya sarebbe diventato un ottimo eroe, ma non poteva
prendere il posto di All Might. Non poteva spodestarlo, nessuno
poteva, nessuno doveva eguagliarsi a lui. Il vero e unico simbolo
della pace non sarebbe mai stato sostituito, era inaccettabile. E
comunque era inaccettabile che a prenderne il posto fosse uno
comeMidoriya, che non riusciva a gestire più del cinque per
cento
del suo potere senza esplodere e che aveva timore perfino della sua
stessa ombra. Se voleva davvero appropriarsi in quel modo di un regno
di cui non aveva nessun diritto, avrebbe dovuto fare molto
più che
tirare semplicemente dei pugni a una lastra di cemento.
«Tra
qualche giorno ci sarà il festival dello sport, la loro
prima
occasione per mostrare al mondo il proprio valore... voglio che lui
vinca».
Degli
occhi così affilati, così decisi, poche volte era
possibile
trovarli in giro e certo mai si sarebbero aspettati di trovarli sul
volto di colei che per diletto faceva le linguacce alle spalle dei
professori. Sembrava così grande, ora, da far soggezione.
Era quella
la prospettiva, allora, da cui si osservava il burattinaio. Sopra le
loro teste, li faceva sentire così minuscoli da
terrorizzarli,
schiacciati dalla pressione della sua enormità e
superiorità,
schiacciati dall'evidenza che erano tutti nelle sue mani, che non
c'era via d'uscita.
«Stai
facendo del favoritismo» osservò Nezu, con un velo
di
preoccupazione.
«Non
sono l'unica colpevole di questo crimine» e altro astio
straripò
dalla sua riva, accennando a mostrarsi, velato, ma percepibile.
Toshinori aveva scelto il suo campione, quel mingherlino di Midoriya,
e certo non si poteva dire che non stesse facendo altrettanto
favoritismo. Lei, ora, aveva scelto il suo. Bakugou era decisamente
superiore, se Midoriya voleva sedersi su quel trono che All Might
aveva accuratamente spolverato per lui, avrebbe prima dovuto fare
molto più che appropriarsi di un potere che non sapeva
neanche
utilizzare. Quello stupido di Toshinori gli stava spianando la
strada, dando a un inetto qualunque la possibilità di
superarlo, ma
non glielo avrebbe permesso. Quel trono doveva guadagnarselo... e
sotto sotto, sentiva che mai ci sarebbe riuscito.
Aveva
scommesso.
Non
intendeva perdere.
«Bakugou,
ragazzo mio» chiamò Nezu, rimettendosi a sedere
con compostezza.
«Puoi uscire solo un attimo? Ti richiamo quando abbiamo
finito e
allora parleremo della tua punizione».
Poco
convinto, soprattutto perché quel discorso riguardava lui
personalmente e detestava essere messo da parte, decise di obbedire,
sollecitato soprattutto dai toni che sembrava stesse prendendo quel
discorso. C'era qualcosa sotto di molto più serio di una
semplice
confessione di un favoritismo tra gli studenti. Si richiuse la porta
alle spalle e rimase appoggiato al muro lì di fianco, in
attesa,
lasciando soli i due adulti.
«Ho
un timore nel profondo del petto, Machiko» disse lui,
sottolineando
come volesse parlare a lei nella sua interezza dal momento che ebbe
usato il suo vero nome. «Sei una brava persona, apprezzo
forse più
di altri ciò che stai facendo per quei ragazzi e sento che
sono uno
dei pochi che riesce a capirti nel profondo. Proprio per questo sto
cominciando a credere con timore che l'altro lato di te possa
prendere il sopravvento. La burattinaia, se lasciata libera di agire,
non ha portato sempre a delle buone cose. Toshinori in passato ha
lavorato tanto su questo aspetto di te, riuscendo a domare quel tuo
lato della personalità e permettendo alla vera e dolce
Machiko di
predominare».
«Mi
stai dando della malata di doppia personalità?»
chiese lei, torva
in volto.
«Non
essere drastica, non fino a questo punto, ma certo non possiamo
negare che hai sempre avuto un'altra faccia della medaglia»
fece una
breve pausa, prima di citare lei stessa, quel giorno che parlarono di
Bakugou: «La differenza tra un perfetto Villain
e
un perfetto eroe è data dal battito del suo cuore. Non
è così? È
così breve il salto che divide questi due mondi, un semplice
battito
di cuore. È il motivo per cui ti sei subito interessata a
Bakugou...
lui è esattamente come te, non è
così?»
Ma
Nina non rispose, lasciando intuire che Nezu avesse colto nel segno.
«Ti
sei specchiata nel suo sguardo, in quella rabbia con cui combatte il
mondo intero solo per dare uno spazio a se stesso. Sai bene che se
non ci fosse stato Toshinori a sistemare i battiti del tuo cuore ora
tu avresti percorso un'altra via e saresti stata tra le più
pericolose».
«Hai
così tanta fiducia nelle mie capacità da credere
che sarei stata in
grado di tirar su un'organizzazione criminale coi
controfiocchi?»
«Non
l'ho detto» disse lui repentino, sorprendendo Nina.
«Ma il fatto
che l'abbia fatto tu vuol dire che ne sei perfettamente consapevole.
Bakugou è in grado di essere l'eroe migliore della nuova
generazione
come il criminale migliore della nuova generazione. Il passo
è
breve».
«Lo
so ed ho promesso di sistemarlo».
«Di
farlo battere nel modo giusto, mi fido pienamente di questa promessa
e fino ad ora non hai deluso le mie aspettative. Tu e lui state
dimostrando di avere una complicità rara».
«Ma?»
chiese lei, capendo che da qualche parte ci doveva essere
l'imbroglio.
«Ma
mi chiedo solo se non sia tu quella che sta facendo quel passo,
adesso».
«Una
rissa da quattro soldi sul tetto ti ha fatto pensare che stia
diventando una villain?»
chiese lei storcendo il naso.
«Non
è questo!» disse Nezu. «Ma il fatto che
continui a fare la
burattinaia con tutti quelli che ti stai trovando davanti, Bakugou
compreso! Quel lato di te può essere molto pericoloso!
Voglio solo
assicurarmi che questa tua decisione, di allenare personalmente
Bakugou, non sia dettata da una rabbia repressa che la burattinaia sa
perfettamente come vendicare. Ho solo il timore che tu abbia preso la
cosa sul personale per metterti contro Toshinori e Midoriya. Non hai
mostrato simpatia verso la faccenda la prima volta che l'hai saputo e
continui a sembrare riluttante alla cosa».
Sgamata
in pieno. Era così che si sentiva. Senza rendersene conto la
burattinaia aveva davvero preso il sopravvento, usando le marionette
a sua disposizione per portare avanti una faccenda personale, ma era
stato il momento di un istante.
«Io
e Toshinori ci siamo già riconciliati» disse,
cercando di
difendersi.
«E
ne sono felice, ma di Midoriya cosa mi dici?»
«È
un bravo ragazzo» si limitò a rispondere.
«Ma?»
insisté Nezu, che sapeva bene di avere ragione.
«Ma...»
cominciò lei, stringendo il proprio pantalone tra le dita,
mossa
dalla rabbia di ritrovarsi costretta ad ammettere una tale debolezza
ad alta voce. «Ma non è giusto!» ammise
infine, pronta a
liberarsi, a scoppiare.
«Ci
siamo sacrificati tanto! Io mi sono sacrificata tanto per dar vita ad
All Might!» sottolineò, portandosi una mano al
petto per indicarsi.
«Sono stata io a creare All Might! Chi diamine si crede di
essere
quel ragazzino per distruggere tutto il lavoro che ho fatto? Uno
stupido moccioso che non fa altro che tremare ad ogni ostacolo! Non
ha diritto... non ha nessun diritto di prendersi ciò che non
gli
appartiene!» gridò, al limite della furia.
«Non
riesci a tollerare che qualcun altro possa aver gestito il tuo
palcoscenico, in tua assenza?»
«Piantala
con queste metafore sul burattinaio, dopo un po' stufano!»
sbuffò
lei, poggiando violentemente la schiena alla sedia e incrociando le
braccia al petto.
«Ma
è ciò che dimostri di sentire! Hai creato un
bellissimo castello di
sabbia, ti sei distratta per un po' e qualcuno ha deciso di
modificarlo e questo ti manda su tutte le furie. La tua mania di
controllo è accecante, lo sai?»
«Non
ho nessuna mania di controllo! Dico solo che non è
giusto» mormorò
a denti stretti.
«Che
cosa vuoi dimostrare? Che non è degno? Solo
perché in neanche un
anno non ha raggiunto la forma fisica giusta a tollerare lo One For
All? Quanto ci ha messo Toshinori, ti ricordi? E anche se tu
riuscissi a dimostrarlo, ormai il potere è stato passato,
non puoi
farci niente».
«Merda»
rispose semplicemente, corrucciandosi. Se solo ne avesse avuto il
potere, se lo sarebbe ripreso lo One For All e ci avrebbe pensato lei
a come gestirlo e chi darlo successivamente, al momento opportuno.
«Nina.
C'è una cosa che non sai» sospirò Nezu,
rendendosi conto che non
c'era altra scelta se non spiegare alcune faccende rimaste in
sospeso. Nina aveva bisogno di spiegazioni, doveva capire.
«Avrei
voluto non essere io a parlartene, ma pare che Toshinori non voglia
coinvolgerti troppo, forse credendo così di proteggerti. Non
è
cambiato molto da vent'anni fa».
«Di
che stai parlando? Cosa mi deve dire?» chiese lei, ancora
collerica,
ma ora mossa da curiosità e preoccupazione. Cosa le stavano
nascondendo?
«Il
motivo per cui ha scelto adesso di dare tutto a Midoriya, il motivo
per cui era adesso il momento ideale per mandare in pensione All
Might» fece una breve pausa, permettendo a Nina di dire
qualcosa se
avesse voluto, ma lei restò in silenzio. Gli occhi
leggermente
spalancati e il respiro più pesante: cominciava a capire che
c'era
qualcosa di molto importante che non era stato detto e la faccenda
cominciava a farle paura. «Ti ho già accennato
alle situazioni
problematiche che i ragazzi della prima A hanno vissuto, ma non te ne
ho mai parlato completamente. È stato qualche settimana fa,
alla
USJ, durante un'esercitazione».
«Il
gruppo di super cattivi, sì, me lo ricordo» disse
Nina, sperando
così che arrivasse al punto il più in fretta
possibile.
«È
più complesso di così. All Might è
riuscito a farli ritirare e noi
siamo riusciti a catturare uno dei loro scagnozzi, il più
pericoloso. Un essere incapace di parlare, di ragionare, dalla massa
muscolare immensa e una forza che è stata in grado di dare a
Toshinori un bel po' di problemi. La polizia sta indagando, qualcosa
è già arrivato a me. Facendo test del DNA su Nomu
abbiamo scoperto
che è semplicemente un essere umano con molteplici Quirk al
suo
interno, riempito di steroidi e droghe, modificato probabilmente, per
poter assumere quel corpo».
«Non
può essere...» mormorò Nina,
interrompendolo. Aveva cominciato a
tremare già alla prima affermazione, all "essere incapace di
parlare", terrorizzata da un'ombra del passato di cui non si era
mai dimenticata.
«Shigaraki,
il capo di quel gruppo, abbiamo sospettato non essere il vero capo
per come si comportava» continuò Nezu.
«Oltretutto continuava a
ripetere che Nomu fosse stato creato apposta per contrastare e
sconfiggere All Might. Insomma, ciò che voglio dirti
è che...»
«È
morto!» lo interruppe ancora Nina, prima che potesse rendere
reale
quel sospetto. Non voleva sentirlo dire ad alta voce, non voleva che
fosse reale. «Ho seguito la vicenda di cinque anni fa,
Toshinori
l'ha ucciso! È morto, vi sbagliate!»
«Può
essere che non sia così, ma per il momento tutte le nostre
informazioni portano a lui. Inoltre, riguardo quella vicenda,
Toshinori non ne è uscito nelle migliori delle condizioni,
probabilmente non potrà combatterlo di nuovo».
«No,
no. Ti sbagli. Ti sbagli di grosso!» cominciò ad
agitarsi tanto da
impallidirsi nel volto.
«Si
è indebolito» provò a dire Nezu,
sovrastando la sua voce che ormai
voleva prendersi tutto il posto in quella stanza. Impedire a Nezu di
andare oltre, di pronunciare quel nome, di rendere di nuovo viva
l'immagine di un mostro che per secoli era stata la causa del male
peggiore. Un'immagine che per secoli era stata combattuta e portava
con sé il motivo della nascita dell'eroe più
grande al mondo.
All
For One non poteva essere ancora vivo.
«Stronzate!»
gridò, alzandosi in piedi. Non aspettò oltre e si
diresse alla
porta: non sarebbe rimasta lì dentro un solo istante di
più, a
sentire tutte quelle bugie.
«Nina,
aspetta» provò a richiamarla Nezu, ma in tutta
risposta ricevette
il tonfo della porta che veniva richiusa alle spalle della donna.
Bakugou,
ancora appoggiato fuori, guardò con curiosità e
preoccupazione il
volto corrucciato di Nina. Rimase in silenzio a fissarla, immobile in
quella posizione, come persa in un incubo, gli occhi serrati, i denti
stretti, sembrava che sarebbe scoppiata a piangere da un momento a un
altro.
«Va'
dentro. Adesso tocca a te» disse al ragazzino, consapevole di
averlo
a fianco. Una indifferenza che non le riuscì molto bene e si
voltò,
pronta ad allontanarsi quanto prima.
«Nina...»
la fermò Bakugou, afferrando la maniglia dell'ufficio.
Sarebbe
entrato, ma prima c'era qualcosa che doveva togliersi dalla testa, un
dubbio, una curiosità, una nota storta in tutto quello che
stava
accadendo: «Che significa che sei stata tu a creare All
Might?»
All
Might era stato "creato"? E che c'entrava lei in tutto
quello? Nonostante cercasse di toglierselo dalla testa, non poteva
far a meno di ripensare alle parole di Midoriya i primi giorni di
scuola. Il suo Quirk gli era stato affidato... e adesso veniva fuori
che All Might era stato "creato". Cosa c'era dietro a tutto
quello?
«Ho
urlato troppo forte» mormorò Nina, costernata.
Qualche secondo per
riflettere, trovare le parole adatte a rispondere a quella lecita
domanda, senza instillare in lui altri dubbi che avrebbero potuto
portarlo alla verità. One For All era un segreto e sarebbe
dovuto
restare tale, lo sapeva bene.
«Semplicemente,
ho fatto tutto ciò che potevo per aiutarlo. Tutto
qua».
I've
tried so hard to tell myself that you're gone
But
though you're still with me, I've been alone all along
When
you cried, I'd wipe away all of your tears
When
you'd scream, I'd fight away all of your fears
And
I held your hand through all of these years
You
still have all of me
|
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Capitolo 25 *** Dressed in black, Sia ***
"Dressed
in black”, Sia
Machiko
si sedette sul prato della scuola media, nascosta dalle fronde di una
siepe. Ci si schiacciò contro, sperando così di
sparire del tutto,
abbracciò il proprio zaino e se lo chiuse tra il petto e le
ginocchia. Lo sguardo perso nel vuoto come sempre non trasmetteva
niente se non una profonda apatia, a mascherare la rabbia e il dolore
che si portava dentro. Gli angoli della bocca tirati verso il basso,
gli occhi annebbiati, e decise di aspettare lì la fine della
pausa
pranzo, prima di andare al club pomeridiano.
Toshinori
sbucò da dietro l'angolo della scuola appena dieci minuti
dopo e si
guardò attorno, frenetico, fintanto che non
riuscì a scorgere le
scarpe della divisa di Machiko sbucare da dietro la siepe. Sorrise,
soddisfatto, e ci si avvicinò quatto, facendo ben attenzione
a non
fare rumore. Si nascose dietro la siepe, alle spalle della ragazza, e
infine, con un urlo, allungò le mani in avanti,
attraversando i rami
fino a raggiungerla e afferrarla per le spalle.
Machiko
urlò terrorizzata, irrigidendosi, ed entrambi andarono
avanti ognuno
nelle proprie urla almeno per qualche secondo, fintanto che la voce
di Toshinori non si trasformò in una fragorosa risata.
«Brutto
pezzo di idiota!» lo rimproverò Machiko,
voltandosi a guardarlo.
«Mi
hai fatto morire di paura!»
«Dovevi
vedere la tua faccia!» continuò a ridere
Toshinori, tanto da farsi
venire il mal di pancia. «Che spasso!»
«Spasso?»
chiese incredula Machiko, un istante prima di essere assalita da una
rabbia accecante. Lanciò uno dei suoi fili alle gambe del
ragazzo e
gliele rese molli, facendolo così cadere di faccia in terra.
«Ahia!»
lamentò lui, rialzandosi e massaggiandosi il naso.
«Mamma mia,
quanto sei suscettibile. Per un semplice scherzo».
«Mi
pareva di averti già detto un sacco di volte che devi
lasciarmi in
pace!» lo sgridò lei, tornando a raccogliersi in
se stessa.
«Sì,
ma...» lamentò lui, intristendosi nel vederla in
quello stato.
«Sembri così giù. Non mi va di
lasciarti sola!» poi ebbe un'idea
e tornò a sorridere, pieno di entusiasmo.
«Perché non pranziamo
insieme? Non hai già mangiato, vero?»
«No»
mormorò lei, prima di distogliere lo sguardo e puntarlo
altrove. «Ma
non ho fame».
«Come
sarebbe a dire che non hai fame?» storse il naso, Toshinori.
«Hai
la febbre per caso?» e si allungò per posarle una
mano sulla fronte
e sentirle la temperatura. Machiko sussultò al contatto e lo
spinse
via bruscamente, brontolando ancora: «Toglimi le mani di
dosso,
accidenti! Si chiama spazio personale, perché non impari a
rispettarlo?»
E
ancora lui ignorò la sua irruenza, sorridendo all'ennesima
idea:«Vuoi uno dei miei panini dolci?»
«Ti
sei portato panini dolci per pranzo?» chiese lei,
corrucciandosi
poco convinta.
«No!
Quello è il dessert! Ho riso con carne» e mentre
lo diceva si tolse
lo zaino di spalla e ne tirò fuori il bento.
«È buona! Lo vuoi
assaggiare?»
Machiko
si trovò ad arrossire e distogliendo di nuovo lo sguardo,
mormorò:
«No, ho detto che non ho fame» e neanche il tempo
di finire la
frase che il suo stomaco, sotto la pressione del profumo del cibo che
proveniva dal bento di Toshinori, si lamentò rumorosamente.
Toshinori
inclinò la testa da un lato e si corrucciò poco
convinto,
esclamando: «A me non sembra proprio».
«Insomma,
mi vuoi lasciare in pace?» chiese lei, ormai esaurita dalla
sua
presenza, ma quando si voltò per fulminarlo tutta la rabbia
parve
scomparire. Lo sguardo del ragazzo era ora più serio,
consapevole, e
soprattutto incazzato.
«Sono
stati Hiro e gli altri, non è così?»
chiese lui, intuendo quale
fosse il problema di fondo. A Machiko non restava che confessare con
vergogna: «Mi hanno lanciato il bento su un albero e sono
scappati
prima che potessi usare i miei fili su di loro».
«Prendi!»
disse Toshinori, porgendole il proprio pranzo. Machiko lo
guardò per
niente convinta e osservò il ragazzo che nel frattempo si
stava
alzando in piedi.
«Che
vuoi fare?» gli chiese già preoccupata.
«Vado
a recuperare il tuo bento e ti faccio chiedere scusa! Tu intanto
aspettami qui e mangia questo, che stai morendo di fame!»
«Ti
farai ammazzare di botte... per l'ennesima volta»
sospirò Machiko,
affranta. Odiava parlare con lui dei suoi problemi, perché
puntualmente tentava di risolverli e puntualmente non ci riusciva
senza farsi quasi ammazzare.
«Ma
no, andrà bene, vedrai!» e sorrise di un sorriso
invidiabile.
Luminoso e rassicurante come quello di una stella, la più
tenace che
nelle ore notturne anche coperta dalle nuvole riesce comunque a
indicare la via agli sperduti. «Ci penso io,
adesso!»
E
tutte le volte lei ci credeva, come non poteva non credere a quel
viso tanto rassicurante? Toshinori le lasciò il proprio
bento e
corse via, alla ricerca di Hiro e gli altri ragazzini che l'avevano
per l'ennesima volta maltrattata. Solo allora Machiko parve
risvegliarsi e tornò ad allarmarsi: si alzò di
corsa, raccolse
tutte le loro cose e gli corse dietro, provando a chiamarlo
preoccupata.
«Ho
trovato il bento!» gridò lui, cominciando ad
arrampicarsi
sull'albero. «Gli hanno fatto fare un bel volo, accidenti!
Proprio
sul ramo più alto!»
«Cretino,
scendi! È troppo alto, se cadi ti ammazzi!» gli
urlò Machiko da
sotto.
«Nah,
non ti preoccupare! Ti ho detto che ci penso io!»
«Non
costringermi a usare il mio Quirk per obbligarti a scendere!»
lo
minacciò lei, battendo autoritaria un piede a terra.
«E
io ci torno stanotte senza di te così non puoi impedirmi di
venirlo
a prendere» rispose lui, continuando ad arrampicarsi come una
scimmia.
«Cocciuto
imbecille» sussurrò lei, rassegnata. Lo
osservò, senza smettere di
avere paura, mentre riusciva ad arrivare sul ramo più alto e
allungarsi per prendere il bento.
«Stai
attento» gli disse Machiko, al limite della tensione.
«Attentissimo!»
rispose lui, ancora eccessivamente sicuro di sè.
Mancò la presa e
lo slancio finì per fargli perdere l'equilibrio. Con dei
lamenti
spaventati, scivolò giù dal ramo ma
riuscì a restare aggrappato ad
esso, rimanendo penzoloni. Lo scossone fece cadere anche il bento e
con lo sguardo impaurito si lasciò con una mano, restando
appeso con
l'altra, e allungandosi nel vuoto riuscì a prenderlo al volo.
«Tadan!»
gridò entusiasta, facendo svolazzare il bento trionfante.
«Adesso
scendi!» ordinò Machiko.
«Sì!»
disse lui e si portò il fazzoletto del bento tra i denti,
tornando
ad usare entrambe le mani per arrampicarsi. Si sollevò,
cercando di
tornare sul ramo da cui era scivolato, ma un crack poco rassicurante
lo distrasse. Neanche si rese conto di quando successe, ma si
trovò
a volare giù per qualche metro, bento tra i denti e ramo
spezzato al
seguito.
«Toshinori!»
gridò Machiko impanicata e si affrettò ad
arpionarlo con i suoi
fili. Una piroetta in volo e per qualche strana magia, Toshinori
atterrò sui propri piedi, indenne, riuscendo ad attutire la
caduta
nel modo più adeguato che i suoi muscoli permettevano.
«Mio
dio, che paura» sospirò Machiko, lasciandolo
andare.
«Che
figata!» urlò lui tanto da farla spaventare.
«Hai visto che
atterraggio da supereroe! Un vero figo!»
«Ti
ho fatto atterrare io così» confessò
lei, con fare rassegnato. Ma
lui la ignorò, troppo gonfio di eccitazione per essere
riuscito in
quell'incredibile impresa, continuando a ripetere: «Hai
visto? Ti
avevo detto che ci pensavo io! È andato tutto alla grande!
Proprio
come previsto!»
Tutta
quell'innocente euforia era così tenera che Machiko
rinunciò
all'idea di convincerlo che non era stato lui, e lo lasciò
dire.
«Hai
giocato con un'altra marionetta, diabolico burattinaio? Sei proprio
inquietante» disse Hiro, comparendo alle loro spalle. Machiko
tornò
a rabbuiarsi e si strinse il bento riconquistato al petto, mentre si
voltava a guardare il volto sghignazzante del compagno di scuola. Al
suo fianco, Kazuma, Naganori e Shinichi facevano altrettanto e
continuavano a fissarla con aria di sfida.
«Sei
talmente incapace che non sei neanche riuscita ad andare a recuperare
il bento da sola, ma hai dovuto usare quell'idiota per
arrivarci»
rise Kazuma.
«Non
mi ha usato, ci sono andato di mia spontanea
volontà» disse
Toshinori, facendo un passo avanti. Allungo un braccio davanti a
Machiko e d'istinto la spinse appena dietro le sue spalle. «E
voi
non siete stati carini con lei. Che vi aveva fatto questa volta,
eh?»
«Togliti
di mezzo, senza poteri» disse Shinichi, scocciato. Quel
moccioso
ultimamente cominciava a diventare fastidioso, non faceva che
mettersi in mezzo a faccende che non gli riguardavano.
«Io
non avrò i poteri ma voi non avete un briciolo di
bontà. Adesso vi
do una bella lezione!» disse, alzando i pugni, pronto per
combattere. «Chiedetele scusa e vi lascio in pace».
A
quella minaccia tutti e quattro scoppiarono a ridere tanto forte che
per poco non sembrò che gli uscissero gli occhi dalle
orbite.
Toshinori li ignorò e restò fermo nella sua
posizione, continuando
a guardarli minaccioso, ignorando i loro sbeffeggiamenti.
«Lascia
perdere, andiamocene» disse Machiko, triste nella voce. Ne
aveva
viste già abbastanza per quel giorno, ora voleva solo
sedersi a
mangiare in santa pace e tornare alle sue attività.
«Non
aver paura» disse Toshinori, voltandosi per sorriderle in
quel suo
solito modo incoraggiante. «Ci sono qua io».
Sapeva
che quelle parole non valevano niente, sapeva che come al solito non
avrebbe ottenuto quello che voleva se non fosse stato aiutato, che
non era veramente in grado di aiutarla, eppure sentirlo ribadire come
non fosse sola, come ci fosse qualcuno che si sarebbe fatto carico di
lei, che l'avrebbe aiutata, faceva stare così bene. Lui era
in grado
di farla stare così bene.
«Ma
sentitelo» rise Shinichi. «Ora ti do una bella
lezione, inutile
spazzatura!» e batté un piede al suolo con
violenza.
«Attenta!»
gridò Toshinori, spingendo via Machiko. Saltò
sulla destra, sapendo
cosa stava arrivando a prenderlo e cercando di schivarlo: delle
radici uscirono dal sottosuolo e si diramarono con velocità
verso di
lui. Provò a schivarle ancora, ma altre radici uscirono da
terra,
proprio alle sue spalle e lo afferrarono. Le guardò
spaventato,
chiedendosi da dove fossero sbucate, e le prime lo raggiunsero,
afferrandolo per un piede e tirandolo verso l'alto. Ora ribaltato a
testa in giù, parzialmente bloccato, non potè che
combattere nel
tentativo di liberarsi. Si dimenò e cercò di
spingere via le radici
che lo tenevano fermo, inutilmente.
Hiro
e gli altri tre gli corsero incontro, ridendo, e approfittando della
sua posizione bloccata e di svantaggio cominciarono a prenderlo a
pugni da ogni parte.
La
cosa durò qualche secondo, prima che le radici che lo
tenevano
bloccato non si allentarono improvvisamente, permettendogli di
liberarsi.
«Ma
che?» chiese Naganori, voltandosi a guardare Shinichi. Lo
trovò
impegnato a difendersi contro se stesso: come impazzito, si tirava
pugni da solo in piena faccia e inutili erano i lamenti e i tentativi
di allontanarsi. Sapeva quello che stava accadendo: Machiko si era
messa di nuovo in mezzo e lo stava usando.
«Maledetta
stronza» ringhiò, togliendosi uno dei suoi guanti.
Le corse
incontro a mano tesa, sapendo che gli sarebbe bastato toccarla a mani
nude per colpirla con il suo Quirk: un liquido urticante prodotto
dalla sua stessa pelle, all'altezza delle mani. L'effetto non durava
molto, ma faceva impazzire dal prurito e questo bastava ad entrare in
vantaggio. Machiko si voltò a fulminarlo con quegli occhi
che
mettevano i brividi e questo lo fece esitare un po', ma ormai era in
piena corsa. Il suo braccio si ripiegò, sotto l'effetto dei
fili di
Machiko, e quello stesso liquido arrivò dritto sulla sua
guancia.
Urlò, dolorante e si fermò, concentrando ogni sua
energia nel
grattarsi.
Un’enorme
folata di vento la scaraventò a terra, facendole perdere
tutti i
contatti, e guardò quello che sapeva essere il responsabile:
Hiro
poteva governare il vento. Era odioso, riusciva sempre a colpirla a
distanza e mettersi in salvo appena in tempo.
Naganori
era fuori gioco, impegnato a grattarsi, e Shinichi era troppo
impegnato a fermare il sangue dal naso per badare a lei. Non
restavano che Hiro e Kazuma.
Toshinori
si rialzò rapidamente, scuotendo la testa per il dolore
della
caduta, e si scaraventò immediatamente su quest'ultimo. Con
un urlo
gli si lanciò contro a pugno teso, riuscendo a colpirlo in
pieno
volto solo perché questo distratto da Machiko e Hiro.
Messo
fuori gioco anche il terzo, corse a testa bassa verso Hiro, pronto a
travolgerlo e sbatterlo a terra. Hiro si voltò in tempo e
con una
folata di vento lo scaraventò via. Ma Toshinori si
rialzò e tornò
alla carica, una, due, tre volte. Continuava a urlare e correre,
anche dopo che sbatteva, rotolava e si feriva. Ostinato, incapace di
fermare quella voce dentro la sua testa che gli diceva che doveva
batterlo e costringerlo a chiederle scusa, mosso da quel sentimento
di giustizia di cui non riusciva a liberarsi in nessun modo.
E
Machiko l'osservò, con le lacrime agli occhi, non capendo
perché
continuasse a farsi del male per lei, per così poco. Si
rialzò e
tornò a correre.
«Basta»
mormorò. «Smettila, idiota».
Un
graffio al braccio e il volto ormai distrutto, ma strinse i denti, si
rialzò e corse nuovamente a pugno teso, urlando.
«Adesso
basta!» ringhiò Machiko, lanciando i suoi fili su
Hiro. La follia
nello sguardo, una rabbia accecante, e prese possesso delle sue
braccia costringendolo a portarsi le mani al collo. Strinse i denti,
tremando come un animale, furibonda, e strinse le dita di Hiro sul
proprio collo, strozzandolo.
Toshinori
si bloccò a guardarlo, preoccupato, mentre Hiro muoveva la
testa nel
vano tentativo di liberarsi da se stesso. Provò a
indietreggiare, ma
la gamba venne tirata in avanti e lui cadde a terra, di testa,
continuando a premere le propria dita intorno al collo.
«Macchan!
Ferma!» gridò Toshinori e questo parve
risvegliarla dal suo
incanto. Si voltò a cercare il suo sguardo e lo vide correre
nella
sua direzione.
«Va
tutto bene» sussurrò, poggiando delicatamente le
proprie mani su
quelle dell'amica. La guardò negli occhi, terrorizzati e
pieni di
lacrime, e sorrise radioso. «Sto bene, non c'è
bisogno che ti
preoccupi. Non abbassarti al loro livello».
Strinse
le mani intorno alle dita tese di Machiko e pian piano
riuscì a
convincerla a ritirare i suoi fili, abbassandole le mani.
«Noi
siamo quelli buoni, giusto?» le chiese, continuando a
sorridere in
quel modo così luminoso. Machiko, ancora scossa,
annuì lentamente.
«Mostro»
gracchiò Hiro, alzandosi da terra. «Sei un dannato
mostro!» gridò,
scalciando per rialzarsi rapidamente e correre via. Toshinori si
voltò a fulminarlo: non era riuscito a dargli neanche un
colpo,
eppure continuava a trattarlo come se potesse fargliela pagare, se
solo avesse voluto.
«Idioti,
non ti hanno ancora chiesto scusa» mormorò lui,
prima di tornare a
concentrarsi su Machiko.
«Mangiamo?»
chiese, sorridendo.
«Perché
fai così?» gli chiese lei, ancora scossa.
«Perché ti riduci
sempre in questo modo per così poco?»
«Non
è poco! Si sono comportati male, qualcuno doveva
intervenire!»
«Ma
era una sciocchezza» singhiozzò lei.
«Nessuna
ingiustizia è una sciocchezza! Ogni male è
orribile ugualmente, non
esiste una scala della gravità. I veri eroi intervengono
sempre
quando ce n'è bisogno, senza distinzione! Se qualcuno chiama
aiuto,
noi rispondiamo».
«Tu
non sei un eroe, non hai neanche i poteri» lo riprese lei.
«Non
importa! Farò tutto quello che potrò ugualmente e
vedrai che questo
senza poteri entrerà alla Yuuei e diventerà
l'eroe numero uno al
mondo! Porterò la pace in ogni cuore, questo è
una promessa!»
«Smettila!
Smettila di dire assurdità!» gridò lei,
ormai al limite della
pazienza. Come poteva esserne così convinto, come poteva non
capire
che non avrebbe mai potuto fare una cosa come quella?
«Non
è un assurdità» disse lui con
tranquillità e un po' di tristezza
nella voce per non essere preso sul serio. «È il
mio sogno».
E
sembrava la cosa più ovvia e banale del mondo, tanto
semplice da
distruggere ogni evidenza, ogni realtà. Machiko lo
guardò a lungo,
imprimendo a fuoco nella memoria quello sguardo che non lasciava
trapelare nessun dubbio a proposito. Lo sguardo di chi ha detto
un'ovvietà, di chi ci crede talmente tanto da non riuscire
neanche a
concepire che possa andare diversamente. E ne provò una tale
tristezza, perché era ovvio che non ci sarebbe mai riuscito
in
quelle condizioni, eppure lo desiderava così tanto che
cominciò a
trasmetterle quello stesso fuoco: cominciò a desiderare
ardentemente
che quegli occhi non venissero mai delusi, che riuscissero a
raggiungere l'obiettivo prefissato. Desiderava proteggerlo, come lui
si ostinava a fare con lei, voleva impedire che qualsiasi cosa avesse
potuto rompere quell'incantesimo che era il suo entusiasmo. Il suo
sorriso, quel luminoso sorriso, era l'unica cosa in grado di
riscaldarla.
«Scusa»
disse, asciugandosi le lacrime. «Non volevo essere
antipatica.
Grazie per avermi ripreso il bento e avermi difesa» e si
costrinse
ad imitarlo e sorridere esattamente come faceva lui. Toshinori
osservò quel sorriso con orgoglio: era ciò che
l'avrebbe spinto a
lottare sempre. Le ferite perdevano di significato se a fine
battaglia si poteva godere della gioia delle persone per cui si
è
combattuto e ci si rende conto di essere stati in grado di scacciare
dal cuore degli altri ogni ombra malvagia. Finchè lei,
finché
chiunque altro avesse sorriso in quel modo, lui avrebbe sempre
combattuto.
«Mangiamo?»
chiese lei, cercando di tornare alla normalità.
«Sì!»
disse lui, risollevato, e si sistemò al suo fianco,
finalmente
ognuno con in mano i propri pranzi, pronto a godersi il meritato
pasto.
La
giornata passò rapidamente, dopo quell'episodio, anche se
era
costato a tutti un richiamo dal preside. E finalmente Machiko
potè
fare ritorno a casa, più sollevata, anche se non era ancora
riuscita
a liberarsi della tristezza che Toshinori le aveva trasmesso: il suo
sogno era irraggiungibile, come poteva crederci così tanto?
Cosa
avrebbe dato per aiutarlo, per impedire a quel fuoco e quel sorriso
rassicurante di non morire mai.
Aprì
la porta di casa e cominciò a togliersi le scarpe, senza
avvisare
del suo rientro. In realtà, non credeva nemmeno che ci fosse
nessuno
a casa. Suo padre era sempre fuori per lavoro, sua madre anche di
più. La vedeva sempre più di rado, impegnata nel
suo lavoro di
eroina. Era triste, ma era orgogliosa di lei e di quello che faceva.
Un po' la invidiava... si era creata una bella fama e tutti la
amavano. Sarebbe stato bello essere acclamata da chiunque, invece che
sentirsi chiamare "mostro".
Passò
vicino alla sala e solo allora sentì le voci provenire
all'interno.
Una voce maschile, riuscì a riconoscerla.
"Gran
Torino? Che ci fa qui?" pensò, fermandosi davanti alla
porta,
incuriosita. Ci si avvicinò e poggiò l'orecchio,
per riuscire a
sentire con chi stesse parlando, anche se lo immaginava, e
soprattutto che stessero dicendo.
«Lo
sai che più passa il tempo e più diventa
pericoloso. Devi prendere
una decisione definitiva» a parlare era stato proprio Gran
Torino.
«Lo
so e sai cosa vorrei» la voce di sua madre era addolorata.
«Il
cuore mi suggerisce che Machiko è la scelta migliore,
è mia figlia,
chi meglio di lei? Eppure non riesco a sopportare l'idea di caricarla
di una tale responsabilità. E poi è
così incontrollabile. Oggi
hanno di nuovo telefonato dalla scuola, ha fatto a botte con un
gruppo di ragazzi, ne ha strozzato uno».
«Strozzato?»
sobbalzò Gran Torino.
«Lo
so, una reazione così esagerata... ma la conosco, non
è cattiva e
non lo diventerà mai, ne sono certa. Deve solo imparare a
controllarsi, a gestirsi».
«Nana,
valuta attentamente. Capisco il tuo amore per lei e la tua fiducia,
ma valuta davvero bene. Non è cosa da poco».
«Lo
so, ma... sono certa che ce la farà! Machiko è la
persona più
adatta a ereditare One For All!»
«Mamma»
mormorò Machiko, aprendo la porta e sorprendendo i due.
Nana
Shimura, ancora avvolta nel suo costume, ad indicare che era tornata
da poco e che forse sarebbe ripartita non molto dopo, sedeva di
fronte a una tazza fumante. Al suo fianco, il suo più caro
amico
Gran Torino aveva anche lui una tazza tutta per sé.
«Machiko!»
sobbalzò Nana, vedendola entrare. Pallida in viso,
consapevole che
aveva sentito tutto quanto, i suoi dubbi e timori compresi.
«Sei già
tornata, tesoro?» provò a balbettare, cercando di
indagare fin dove
avesse sentito.
«Non
lo voglio il tuo potere» disse Machiko, decisa.
«Tesoro»
mormorò Nana, abbassando lo sguardo costernata.
«Allora hai sentito
tutto».
Machiko
annuì e Nana si affrettò a spiegare:
«Tesoro, non ascoltare quello
che stavamo dicendo. Siamo solo un po' preoccupati per quello che
è
successo oggi a scuola, ma io non ho dubbi sul fatto che tu possa
essere perfetta per...»
«No,
non è vero» la interruppe lei. «Gran
Torino ha ragione».
«Piccola
Machiko, perdonami se sono stato poco fiducioso»
provò a
giustificarsi Gran Torino, rendendosi conto della ferita
all'autostima che le aveva appena piantato. Se volevano raddrizzare
Machiko, ferirla era il passo peggiore per cominciare.
«No,
ascolta, io...» e si interruppe, un po' preoccupata, un po'
imbarazzata. Abbassò lo sguardo, sfuggendo dal loro, e
strinse
ancora di più la maniglia della porta. Un po' la
invidiava... non le
sarebbe dispiaciuto diventare come lei. Era forte, era incredibile, e
tutti la rispettavano e l'amavano per quello. Avrebbe così
tanto
voluto essere come lei.
«Che
c'è, tesoro? Che vuoi dirmi?» la
sollecitò Nana e questo bastò a
convincerla e darle coraggio di confessare: «Conosco una
persona».
«Una
persona?» chiese Nana, non capendo bene cosa stesse cercando
di
dirle la figlia. Machiko annuì, prima di alzare lo sguardo
decisa:
«Voglio che tu dia One For All a lui! Voglio che lo rendi
l'eroe
migliore del mondo!»
«Machiko,
non sono cose che possono essere decise così, su due
piedi» provò
a balbettare sua madre, completamente riluttante all'idea di cedere
un simile potere e responsabilità a un totale sconosciuto,
solo
perché stava lievemente simpatico a sua figlia.
«Te
lo farò conoscere! Domani! Accompagnami a scuola, te lo
faccio
conoscere!»
«Tesoro,
non lo so, domani ho qualche impegno...»
«Ti
prego!» urlò Machiko, quasi alle lacrime e fu
quell'ostinazione a
sorprendere tanto Nana da convincerla che forse poteva darle una
possibilità. «Devi conoscerlo! Ti
basterà parlarci un po', ne sono
certa, e lo capirai anche tu che al mondo non esiste persona
più
meritevole! Ne sono certa!».
«Lo
conosci bene?» chiese Nana, intenerita e convinta da tutta
quell'ostinazione. Machiko annuì.
«E
ti fidi di lui?»
Machiko
annuì ancora, prima di aggiungere con un velo di tenerezza
nella
voce: «Ha il cuore buono».
E
infine Nana sospirò, vinta: «E va bene. Ci
parlerò» e gli occhi
di Machiko presero a brillare di gioia. Quello sguardo non si sarebbe
rotto, lei lo avrebbe impedito, lo avrebbe protetto e così
lui
avrebbe potuto realizzare il suo sogno. Non avrebbe mai smesso di
sorridere.
«Come
si chiama?» chiese Nana.
«Toshinori!
Yagi Toshinori!»
I
was hopeless and broken
You
opened the door for me
Yeah
I was hiding and you let the light in
And
now I see
That
you do for the wounded
What
they couldn't seem to
You
set them free
NDA.
BAM!!!
Colpo di scena ahahahha e ora spieghiamo meglio cosa intendesse Nina
quando sosteneva che era stata lei a creare All Might (ed ecco anche
spiegato perché fosse tanto ossessionata dalla sua crescita
e dal
fatto che ora lui stia dando tutto a Midoriya): lei è la
figlia di
Nana Shimura, la mentore di All Might. A lei era destinato il potere,
per successione, ma ha rinunciato volontariamente per darlo a
quell'imbranato senza poteri ma con un sogno tanto travolgente da
infiammarle il petto. Dopo quello che lui stava facendo per lei,
permettergli di realizzare quel desiderio era il minimo.
E
INDOVINATE?! Avevo nascosto un altro spoiler tra le canzoni dei
capitoli precedenti ahahahah
Si
trova nel capitolo "Save Myself" di Eddino, dove racconto
del fatidico giorno della caduta e della partenza di Machiko.
La
canzone a un certo punto dice:
"My
dad was wrong
‘Cause
I’m not like my mum
‘Cause
she’d just smile and I’m complaining in a song"
I'm
not like mum, io non sono come mamma.
'Cause
she'd just smile, lei avrebbe solamente sorriso.
Sua
madre è un'ottimista, sua madre ha insegnato ad All might a
salvare
tutti con un sorriso, lei invece non è così. Lei
non è come sua
madre perciò non merita quel potere, ma Toshinori invece
sì perché
sorride, proprio come lei (è contorto, ma spero di averlo
spiegato
bene ahahah). Lei invece tutto ciò che può fare
è cantare e allora
"si lamenta in una canzone".
Vi
spiego un paio di cose, ma chi non ha visto le ultime 2/3 puntate di
My Hero Academia eviti di leggere perché è
SPOILER xD
Nel
capitolo “A Thousand Years”, quando
all’inizio riporto il
ricordo della prima volta che loro due hanno fatto l’amore,
accenno
un po’ la situazione familiare post-mortem di Nana Shimura:
Parlo
dei nonni di Machiko, con cui lei ora vive, e parlo di un padre
lontano che si è risposato, con cui il fratellino
(c’è un
fratellino!) passa il natale. Quindi Shigaraki, che si scopre nel
manga essere il nipote di Nana, è il figlio di questo
fantomatico
fratellino (arrivato dopo che Nana ha passato il potere a Toshinori,
perciò non rientra in questo capitolo flash back e non
è stato
valutato come successore). Anche nell’anime infatti si parla
di un
figlio che Nana aveva.
Ora, quando io ho scritto e pensato questo
backround avevo solo letto le scans del manga, perciò sapevo
di
Shigaraki ma (e qui potrei sbagliarmi alla grande) mi pare che non si
parli del marito e del figlio ma sia un’aggiunta
dell’anime… mi
pareva di ricordare che, anzi, All Might quando scopre la
verità di
Shigaraki si chiede sorpreso se Nana avesse figli, perché
non lo
sapeva. Per questo nel mio backround per restare più o meno
fedele a
ciò che ho letto ho aggiunto il fratellino e il padre che
dopo la
morte di Nana si risposa… però questo
è un po’ incongruente con
le ultime puntate dove dicono che il figlio era stato dato in
adozione e il marito era morto. Perciò, sì,
l’anime e la mia
storia qui si discostano per il semplice motivo che quando ho scritto
l’anime ancora non era arrivato a questo punto e (giuro di
ricordare) che nel manga non si accenni alla sorte di figlio e
marito, ma si diceva solo che Shigaraki era nipote.
Comunque,
tutto questo per dire che ho provato come sempre a restare
fedelissima, non volevo fare nessun tipo di cambiamento ma la sorte
è
andata così xD E, no, Machiko non è la mamma di
Shigaraki ma
piuttosto la zia.
E
ora si spiega il “io ho creato All Might” e tutta
l’ostinazione
nei suoi confronti e la rabbia verso Midoriya. Mi sono sempre chiesta
con curiosità come avesse fatto Nana a trovare Toshinori e a
conoscerlo per poi decidere di dare a lui One For All e allora ho
dato io una risposta u.u
Monologo
infinito concluso!
Andate
in pace ahahaha
Ray
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Capitolo 26 *** Dynasty, MIIA ***
"Dynasty”,
MIIA
Era
ormai pomeriggio inoltrato quando i ragazzi finirono il proprio
allenamento speciale con Nina, anche se quel giorno risultò
ancora
più noioso e meno utile della volta prima. Non solo
Eraserhead non
aveva mai tolto gli occhi di dosso dalla donna, fulminandola a ogni
movimento che si azzardava a fare, più teso e nervoso che
mai, ma
anche Nina era diversa. Non aveva sorriso neanche una volta, si era
seduta a lato della palestra, braccia incrociate, in religioso
silenzio e aveva semplicemente osservato i ragazzi davanti a
sé.
Aveva parlato solo qualche volta, per dare rare indicazioni quando
qualcuno le chiedeva consiglio. Ma la cosa che aveva fatto venire di
più i brividi era che non aveva tolto gli occhi da Midoriya
neanche
per un secondo. Il ragazzino era teso come una corda di violino,
sentire addosso quello sguardo pressante gli aveva fatto venire un
tal mal di pancia che appena la lezione fu terminta corse in bagno.
Nina
aprì per loro la porta della palestra, come segno che erano
liberi
di andare, ma un'ombra le si piazzò davanti.
«Ed
eccomi qua!» urlò All Might, gonfiando il petto.
«Muori!!!»
gridò istintivamente Nina, tirandogli un pugno in faccia
prima che
potesse concludere la sua frase. Ovviamente, nonostante Nina avesse
impresso in quel pugno tutta la forza che aveva, All Might non si
mosse di un centimetro e non ne risentì se non nell'orgoglio.
«Ti
ho spaventata di nuovo?» chiese lui, sospettando fosse quello
il
motivo di quell'ira. Nina non aveva mai sopportato quando lui sbucava
così all'improvviso con quel tono trionfante, ma lui non
poteva
farne a meno: era la sua grande entrata in scena, faceva parte di
sé.
«Affatto!
Hai il passo di un elefante, come la sua stazza!»
ringhiò lei.
«E
allora perché sei arrabbiata adesso?»
piagnucolò lui, ancora col
naso schiacciato dal suo pugno.
«E
me lo chiedi anche, brutto cafone?» sibilò, al
limite della
collera.
«Mi
dispiace» tentò lui.
«Non
sai neanche di che sto parlando, imbecille!»
«È
per... la faccenda di ieri sera, vero?» tentò di
indovinare,
cercando comunque di restare sul vago e di bisbigliare, visto il
pubblico che li guardava a bocca aperta alle loro spalle. Qualcuno
dei ragazzi era già riuscito a scivolare tra loro e darsela
a gambe,
ma altri non avevano ancora finito di riprendersi dalla stanchezza
dell’allenamento e stavano temporeggiando qualche secondo
prima di
andarsene... altri erano semplicemente curiosi. Non si vedeva tutti i
giorni un All Might sottomesso, era talmente surreale che meritava di
essere visto.
«No,
non è per quello» sospirò Nina,
tranquillizzandosi. Un'ombra le
attraversò il volto, ma riuscì comunque a domarla
e tornare
composta. Svegliarsi sola, scoprire che subito dopo aver fatto
l'amore lui non aveva perso tempo ad andarsene l'aveva sì
ferita, ma
lo comprendeva e lo giustificava abbastanza da renderlo tollerabile:
stavano vivendo la storia di una sola settimana, una brezza
passeggera, non c'era motivo di prendersela se lui aveva preferito
mantenere le distanze. Era la cosa più giusta. Il vero
motivo era un
altro, e le risucchiava l'anima da quando aveva lasciato l'ufficio
del preside, quella mattina. Ma non poteva parlarne lì, non
in quel
momento.
«Comunque
ho un appuntamento con una persona speciale, quindi ti pregherei di
toglierti dai piedi» disse orgogliosa e volutamente
fraintendibile.
«A-appuntamento?»
balbettò lui, paralizzato. Colpito e affondato, Nina se la
rise
sotto i baffi divertita dalla sua reazione che nascondeva una punta
di gelosia che aveva voluto stuzzicare di proposito.
«Ohi!»
gridò Bakugou, furioso, poco più avanti.
«Smettila con queste
stronzate!» rosso in volto, completamente fuori di testa, con
gli
occhi di Kirishima puntati addosso a cui aveva appena rivelato che si
sarebbe trattenuto per un allenamento speciale. Era già la
seconda
volta che lo trattava in quel modo ambiguo di fronte agli altri,
mettendolo in ridicolo, era insopportabile.
«Hai
un appuntamento con Nina?» gridò Mineta, capendo
dalla reazione del
ragazzo che si trattava di lui. Le lacrime agli occhi, il cuore a
pezzi, talmente sconvolto che sarebbe potuto morire dalla delusione:
la bella Nina frequentava i ragazzini, senza regole morali a
impedirglielo, perché era stato Bakugou il prescelto e non
era
potuta capitare a lui quella dannata fortuna?
«Non
ho nessun appuntamento, microbo inutile!»
«Che
intenzioni hai? Non ti è bastato quello che è
successo questa
mattina?» chiese All Might a Nina, guardandola con
disappunto,
lasciando che i ragazzini si agitassero tra loro per quello stupido
scherzo che aveva messo su la donna. Bakugou sarebbe stato preso di
mira per un po' per colpa sua e lui avrebbe reagito sempre
più
furiosamente, peggiorando la situazione. Una situazione tragi-comica
messa su da un burattinaio annoiato che voleva solo divertirsi un
po'. Nina sapeva che con qualcun altro non avrebbe funzionato, che
chiunque avrebbe solo spiegato l'equivoco, invece Bakugou era il tipo
di persona che reagiva con ferocia e basta, senza parlare troppo e
quello era la scintilla ideale per scaturire l'ilarità della
situazione.
«Non
essere apprensivo e per una volta fidati. Ho i permessi»
disse con
orgoglio, prima di salutare Aizawa che usciva irritato dalla
palestra. Come aveva potuto Nezu acconsentire a una tale follia?
Permettere a quella pazza criminale di restare sola con uno dei suoi
studenti, dopo quello che era successo. Certo, forse era stato meglio
così piuttosto che lasciarli liberi di incontrarsi fuori
dall'edificio scolastico, fuori da una zona protetta e controllata.
Ciò non toglieva che di lei non si fidava e avrebbe
preferito
vederla cacciata, che acconsentire alla sua richiesta senza senso. Ma
forse il preside aveva visto qualcosa che lui non riusciva a
cogliere.
«Vuoi
avere la mia approvazione, giusto?» chiese Nina, seria in
volto,
mentre osservava i ragazzini litigare e parlottare tra loro.
«Il
tuo senso della giustizia ti ha attanagliato la gola, sai che ho
diritto di voce in capitolo e desideri sentirmi dire che hai preso la
scelta migliore».
Lo
One For All apparteneva a Nina tanto quanto apparteneva a lui,
l'aveva sempre sostenuto e non si era mai dimenticato di ciò
che lei
aveva fatto per renderlo ciò che era in quel momento. Ma era
stato
solo quel giorno che aveva conosciuto Midoriya, era rimasto solo per
tutto quel tempo e da solo aveva dovuto prendere le sue decisioni. Ma
ora che Nina era lì era giusto che prendesse parte a
ciò che stava
succedendo, era giusto che conoscesse Midoriya e dentro sè,
era
vero, aveva sperato che lei confermasse e accettasse la sua
decisione. Cosa che non sembrava stesse avvenendo e lciò lo
addolorava.
«Sì,
forse un po' e così» ammise, abbassando lo sguardo
colpevole.
«Sono
stata io ad andarmene, queste sono le conseguenze delle mie azioni.
Ordinami di starmene al mio posto, di non intervenire nella faccenda,
e lo farò anche se non posso smettere certo di avere
opinioni a
riguardo».
Un
attimo di esitazione, prima che Toshinori riuscisse ad ammettere:
«Non posso farti una cosa simile».
«Molto
bene» disse lei incrociando le braccia al petto.
«Avete una
settimana di tempo, tu e il moccioso, per convincermi che va bene
così. Ma non aspettatevi che io vi apra la via. Sto
affilando le mie
armi» disse guardando Bakugou con uno scintillio negli occhi.
«Vuoi
usarlo per i tuoi scopi?» chiese All Might, poco convinto.
«Lui
vuole diventare il numero uno e io voglio un'arma che possa darvi del
filo da torcere, traiamo mutuo beneficio da questa faccenda. E poi ho
fatto una promessa...» l'avrebbe aggiustato, come Toshinori
aveva
aggiustato lei. Non sapeva perché si fosse presa tanto a
cuore
quella faccenda, forse Nezu aveva più ragione di quanto si
aspettasse: si era specchiata nei suoi occhi, loro due erano
così
simili e solo lei poteva sapere quanto potesse essere pericoloso e
doloroso percorrere la via sbagliata. Solo lei poteva capirlo. Non
aveva mai smesso, dentro, di essere un'eroina uscita dalla scuola
migliore che esistesse nel giappone. Poteva essere anche un subdolo
burattinaio, ma non per questo non aveva un cuore. Anzi, forse era
colei che ne aveva più di chiunque altro... e proprio per
questo non
riusciva a togliersi dalla testa tutta quella frustrazione.
Sospirò,
cercando di riacquistare uno sguardo sereno, cercando di tornare in
sé. Tutti quei pensieri le stavano facendo venire il mal di
testa e
lei si stava dimenticando la cosa più importante: vivere la
sua
vacanza.
«Stasera
ho voglia di messicano!» esordì, sorridendo.
«L'hai mai provato?»
Toshinori
la guardò qualche secondo, riuscendo per qualche bizzarra
magia a
tranquillizzare il proprio cuore nell'istante in cui la vide
così
serena, sorridente.
«Un
paio di volte» confessò, cercando di riacquistare
la normalità.
«Dovrebbe
esserci un posto, non lontano dall'hotel, che non è male.
Ordiniamo
d'asporto, che dici?» e Toshinori si limitò ad
annuire, ancora
preoccupato per la faccenda appena discussa, ma sollevato nel vederla
così tranquilla tanto da voler stare ancora con lui.
Nonostante
tutto quello che stava accadendo, non aveva smesso di desiderare la
sua compagnia. Nonostante la sera prima l'avesse praticamente
abbandonata di corsa, non appena avessero finito, comportandosi da
vile, affrettando le cose, senza neanche darle il romanticismo che
meritava quel loro primo incontro dopo tutto quel tempo. Nonostante
tutto, lei continuava ad allungare la mano a cercarlo. Una richiesta
silenziosa, a cui non poteva negare la possibilità di essere
esaudita: "stai con me anche questa notte?".
L'avrebbe
fatto, voleva farlo, voleva stare con lei e zittire il mondo intero,
un mondo che urlava con una tale forza da far male ai timpani.
Sarebbero ancora una volta rimasti stesi lì, semplicemente
stesi,
insieme, a dimenticarsi del mondo. Era l'unica cosa che sembrava
riuscisse a risanarli. Machiko e Toshinori, distrutti da tempo,
avrebbero preso di nuovo una boccata d'aria a discapito di Nina e All
Might. Se lo meritavano, era tremendamente egoista, ma se lo
meritavano.
«Non
fare tardi» l'avrebbe comunque aspettato. L'aveva fatto per
vent'anni, l'avrebbe fatto per sempre.
«Ok,
adesso basta!» gridò ancora Nina, avvicinandosi al
gruppetto di
ragazzini.«Su, su, adesso basta tormentare il povero Kacchan.
Stavo
solo scherzando, nessun appuntamento, non deprimerti piccolo
Mineta»
e gli fece un occhiolino affabile. «Se magari un giorno
cominceranno
a piacermi i ragazzini sarai il primo a venirlo a sapere, te lo
prometto».
E
Mineta si esaltò tanto da commuoversi, lasciandosi sfuggire
un
lamentoso ed emozionato: «Sarò il primo!»
Nina
si posizionò dietro Bakugou e gli posò le mani
sulle spalle,
sorridendo divertita, prima di rivelare al resto del gruppo:
«Questo
tipaccio ha fatto un gran casino questa mattina e il preside per
punizione l'obbliga a stare qui più del dovuto per essere
preso a
botte come si deve» e sghignazzando gli avvolse un braccio al
collo
mentre con l'altra mano cominciò a strofinargli le nocche
contro la
cute, tanto vigorosamente da fargli male. Bakugou prese a dimenarsi,
afferrando il suo braccio e cercando di liberarsi, cosa che gli
risultò più facile del previsto visto che alla
fine, a forza
fisica, era sicuramente superiore.
«Lasciami
andare, maledetta!» ringhiò, fulminandola.
«Cuciti
la bocca» minacciò lei, prima di prendere possesso
dei suoi muscoli
facciali e impedirgli di parlare ancora. Bakugou tentò
ovviamente di
ribellarsi, ma lei, senza nessun tipo di limitazione, lo
bloccò e
gli impedì di raggiungerla.
I
ragazzi di fronte a loro impallidirono, ricordandosi perfettamente di
qualche giorno prima, quando lei l'aveva costretto a combattere
contro Todoroki umiliandolo a tal punto.
"Non
appena Eraserhead è sparito, non si è fatta
problemi a tornare la
solita" realizzarono con timore e prima di finire anche loro
nelle sue mani, facendosi coinvolgere in chissà quale
pazzia, se la
diedero a gambe salutando l'amico intrappolato nella sua tela.
«È
meglio se non diciamo loro che ho richiesto personalmente questo
allenamento per renderti il migliore, o penseranno che ho un debole
per te e Mineta ci resterà di nuovo male»
sghignazzò lei,
lasciandolo finalmente libero.
«Smettila
di trattarmi così!» si irritò Bakugou,
ma riuscì a essere più
pacato del solito. Per lo meno evitò di correrle incontro
minacciandola di ucciderla. Anche All Might fece un passo indietro ed
uscì dalla palestra, lasciandoli soli, dopo aver lanciato
loro
un'occhiata preoccupata e pensierosa. Lei l'avrebbe reso un'arma,
l'avrebbe allenato con l'unico scopo di sconfiggere Midoriya, di
sconfiggere All Might stesso. Non riusciva ad accettare che fosse
arrivato il momento di passare il testimone, non riusciva ad
accettare che fosse arrivato il momento dell'epilogo per il grande
All Might. Questo lo convinse ancora di più a tenersi
stretto il suo
segreto, la sua forma indebolita... se scoprire che All Might sarebbe
andato in pensione, lasciando il posto a qualcun altro, la turbava
tanto, come avrebbe reagito se avesse scoperto che in verità
non era
la pensione ad aspettarlo ma la morte stessa? Come avrebbe reagito se
avesse scoperto che non solo era arrivata la fine di All Might, ma di
Toshinori stesso? Non poteva dirglielo, non avrebbe mai potuto
tollerarlo.
Nina
lo guardò richiudersi la porta alle spalle, con una
serietà
inquietante nel volto, per poi tornare a concentrarsi su Bakugou.
«Prima
di cominciare, voglio farti una domanda e voglio che tu mi risponda
sinceramente: credi ancora di potermi battere?»
Le
lacrime del ragazzino, su quel tetto, doveva ammetterlo l'avevano un
po' preoccupata. Cominciava a temere che si sarebbe arreso e la cosa
era inaccettabile, se voleva raggiungere il traguardo che si era
prefissato. Lui era in grado di farlo, lei lo sapeva, ma non poteva
dirglielo perché se l'avesse fatto gli avrebbe facilitato la
salita.
Si riesce ad avere più forza, quando ci viene confessato che
la
vetta è visibile. Il coraggio e la forza di
volontà erano parte
integrante del successo che Nina stava dirigendo per lui, non
dovevano mancare in nessun modo.
«Per
chi mi hai preso?» si corrucciò lui.
«Certo che lo credo ancora».
«Bene»
sorrise lei, convinta. «Allora ecco la mia richiesta, Katsuki
Bakugou: sconfiggi me e poi voglio che fai a pezzi Midoriya».
Per
quanto la richiesta fosse folle, al limite dell'accettabile e del
comprensibile, anche se lei era il tipo di persona che non si
preoccupava a dimostrare preferenze e antipatie verso le persone, il
suo accanimento verso quel singolo ragazzino era sospettoso.
Nonostante questo Bakugou parve non scomporsi, ma si riempì
di una
serietà che poche volte aveva dimostrato.
«Odio
quel nerd, sai bene che lo farò. Ma prima voglio farti io
una
domanda» e la richiesta sorprese Nina. Non era tipo da tante
parole,
quel ragazzino, era solo polvere da sparo. Si era dimenticata cosa
l'avesse colpita di lui la prima volta: era incredibilmente
intelligente, assolutamente brillante.
«Cosa
lega te, Midoriya e All Might?»
Qualcosa
li legava, non solo lei con il suo trascorso sentimentale, ma tutti e
tre insieme in qualcosa di decisamente più grande. C'era
qualcosa,
un filo che li teneva indissolubilmente uniti, e in un certo senso
sospettava che fosse proprio uno dei fili di Nina a farlo.
«Ti
interessi dei pettegolezzi, ora?» sghignazzò lei,
guardandolo con
provocazione.
«Non
me ne frega niente delle foto di Mineta o di ciò che dicono
i
ragazzi di terza, sono affari tuoi, ma mi stai coinvolgendo in
qualcosa che ancora non conosco e dato che riguarda anche me, vorrei
capire per chi e per cosa sto lottando».
«Perché
credi che c'entri All Might in tutto questo?» chiese lei,
indagando
fin dove fosse arrivato a capire.
«Hai
detto tu di averlo creato. Che significa?»
«Ti
ho già risposto. L'ho aiutato, molto tempo fa».
«In
che modo?» insisté lui, convincendosi che c'era
qualcosa di più
sotto che non voleva rivelargli. Non era stupido, sapeva bene che se
voleva combattere un nemico doveva prima conoscerlo, era solo quello
il motivo del suo interesse.
«E
va bene» sospirò lei, vinta. «Molto
tempo fa, quando All Might e
io eravamo ancora ragazzini, lui non era neanche la briciola di
ciò
che è adesso. Come chiunque altro, ha avuto bisogno di
allenamento
per diventare l'eroe che è oggi. Io sono stata la prima a
credere
nel suo sogno tanto quanto ci credeva lui e gli ho presentato una
persona che l'ha sottoposto a un allenamento speciale. Ogni singolo
giorno della mia vita non ho fatto altro che aiutarlo con quello che
avevo per renderlo ciò che è oggi. Se io non gli
avessi presentato
quella persona...» se lei non avesse fatto in modo che sua
madre lo
conoscesse, cedesse a lui lo One For All... probabilmente ora sarebbe
lei l'eroe più grande al mondo. La cosa le metteva i
brividi, sapeva
bene che non sarebbe mai stata all'altezza, ciò non toglieva
che
avesse fatto un grosso passo. Un grosso sacrificio. Solo per lui.
«Se
io non gli avessi presentato quella persona ora non esisterebbe
nessun All Might, ecco cosa intendevo quando ho detto di averlo
creato io».
«Un
allenamento speciale» riflettè lui.
«Esatto,
e ora quello stesso allenamento lo sta dando a Midoriya. Non ho idea
del perché abbia scelto lui, di ragazzini meritevoli, anche
più di
lui, ne è pieno il mondo. Non accetto che un simile
potere... un
simile trattamento, prezioso più di ogni altra cosa, venga
ceduto al
primo idiota che sia passato per strada!»
«Quindi
se io lo battessi, tu dimostreresti il suo errore»
osservò lui e
Nina sorrise, rendendosi conto che aveva appena scoperto le sue
carte. Il volto del burattinaio era stato smascherato, lui e le sue
azioni per niente nobili, ma semplicemente mosse dall'egoismo del suo
bisogno di supremazia. «Sono solo una marionetta»
constatò ancora
Bakugou.
«La
cosa ti spaventa tanto?» ridacchiò lei,
minacciosa.
«Affatto»
la sorprese. «Perché io spezzerò i tuoi
fili e supererò te e
tutti gli altri, All Might compreso».
La
sua sicurezza, la sua potenza, sembrò travolgerla. Il cuore
prese a
bruciare e per un istante si dimenticò del suo ridicolo
capriccio di
mettersi contro Midoriya e Toshinori, trovandosi di fronte un ben
altro avversario. L'aveva sottovalutato, credendolo alla pari di
tutti gli altri, aveva scelto di giocare con lui convinta di poterlo
padroneggiare alla perfezione. Ma quella marionetta bruciava di una
forza interiore a cui non aveva fatto caso, che aveva ignorato,
concentrandosi solo sullo spettacolo che avrebbe organizzato.
Lui
avrebbe spezzato i suoi fili, avrebbe probabilmente combattuto quella
battaglia ma non mossa dal suo volere, l'avrebbe superata, era questo
che stava promettendo.
Quegli
occhi, la sua convinzione e la forza che le stava nuovamente
dimostrando, la fecero sentire minacciata, cominciò ad
averne quasi
paura ed era così raro che il burattinaio tremasse. Era
così raro
che il burattinaio provasse qualcosa che non fosse la sicurezza di
avere il mondo nelle proprie mani... era così eccitante!
Un
fuoco prese a bruciarle dentro e allargò il viso in un
ardito
sorriso.
«Sorprendimi».
Some
days it's hard to see
If
I was a fool, or you a thief
Made
it
through the maze to find my one in a million
Now
you're just a
page torn from the story I'm living
And
all I gave you is gone
Tumbled
like it was stone
Thought
we
built a dynasty that heaven couldn't shake
[...]
It
all fell down
NDA.
Scrivo
delle rapidi NDA solo per scusarmi della mancata pubblicazione della
settimana scorsa. Ho iniziato a lavorare da un paio di settimane e
devo ancora trovare il modo di mettermi a posto il cervello xD
Come
al solito però ringrazio tutti (soprattutto Nathly che ha
recensito,
scusa se non sono riuscita a rispondere!!! >.< ho
apprezzato
immensamente le tue parole e il fatto che sei ancora presente
<3).
A
presto!!!
Vi
si vuole bene a tutti <3 xD
Ray
|
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Capitolo 27 *** Thinking out loud, Ed Sheeran ***
"Thinking
out loud”, Ed Sheeran
Toshinori
bussò alla porta della stanza di Machiko ancora una volta,
cominciando a preoccuparsi. Era almeno cinque minuti che era
lì
davanti e ancora non si accennava nemmeno a rispondere, che le fosse
successo qualcosa? Stava cominciando a ponderare l'idea di sfondare
la porta, quando finalmente sentì la chiave girare nella
serratura.
La porta si aprì e a dargli il benvenuto fu uno sbadiglio.
«Macchan!»
sobbalzò lui, vedendola in quelle condizioni: i capelli
spettinati,
la faccia assonnata, addosso ancora i vestiti di quel pomeriggio,
stropicciati e rovinati. E pensare che per l'occasione lui invece si
era nuovamente messo su un bel completo elegante. La ragazza si
stropicciò un occhio e bofonchiò, con la voce
ancora impastata:
«Accidenti, quanto casino che fai».
Si
fece da parte, permettendogli così di entrare.
«Vieni, comincia a
sistemarti, io vado un attimo in bagno e torno» disse,
storpiando
l'ultima frase con un altro sbadiglio. Solo in quel momento
Toshinori, osservandola che si portava la mano davanti alla bocca, ci
fece caso: era completamente coperta di sfregi e bruciature. Machiko
chiuse la porta alle sue spalle, sotto lo sguardo preoccupato di
Toshinori, poi barcollò verso il bagno.
«Com'è
andato l'allenamento con Bakugou?» chiese, ben intuendo che
tutto
quello fosse opera del ragazzino, compreso il suo sonno. Machiko si
sfilò la maglietta e prima di entrare nel bagno la
lanciò su una
sedia lì vicino, senza preoccuparsi della presenza dell'uomo
alle
sue spalle, che invece sussultò dalla sorpresa e rosso in
volto si
girò di colpo, per lasciarle la sua privacy. Sicuramente
più pudico
di lei, nonostante la sera prima, vederla nuda l'aveva imbarazzato ed
eccitato come fosse stata la prima volta.
«Male»
rispose lei. «Non è ancora riuscito a capire come
battermi. E dire
che sono così debole e arrugginita in confronto a
lui».
Il
rumore dell'acqua del lavandino che cominciava a scorrere e la sua
figura nascosta oltre la porta accostata che veniva immaginata mentre
si lavava, facendo scorrere le gocce sulla propria pelle, lungo le
spalle, le braccia, il collo e tra i seni. Toshinori scosse
la
testa violentemente, corrucciato.
"Contegno!
Datti un contegno! Non può bastare così poco a
farti perdere la
ragione!" si rimproverò, costringendosi a tornare sul
discorso
intrapreso.
«Come
puoi biasimarlo? Il tuo Quirk lo neutralizza pienamente, non
può
nemmeno avvicinarsi».
«Può
batterlo, il mio Quirk!» rispose lei.
«Sul
serio?» chiese lui incredulo, mettendosi a sedere al tavolo
dove la
sera prima aveva cenato, sempre volgendo le spalle alla porta del
bagno.
«Perché
credi che mi sia accanita tanto su di lui, se pensavi che non
avesse speranze?»
«Beh...
perché magari pensi sia meglio di Midoriya,
indipendentemente».
«Midoriya
mi ha sconfitto, Kacchan non può batterlo se non riesce
neanche a
superare me».
«Ma
come credi che possa...» aveva cominciato a indagare,
curioso, ma si
era interrotto quando aveva notato con sorpresa le mani di Machiko
sbucare oltre le sue spalle, avvolgergli il collo e allungarsi fino
ad appoggiarsi al suo petto. Si irrigidì nel notare, con la
coda
dell'occhio, le braccia scoperte della donna: che fosse ancora nuda?
«Ti
vedo teso, omaccione. Che succede?» gli sussurrò
lasciva vicino
all'orecchio, peggiorando la situazione tanto rapidamente che
Toshinori si sentì per un attimo impazzire.
«Hai
lasciato l'acqua aperta di là»
balbettò, cercando qualsiasi cosa
avesse potuto distrarlo da quella situazione. Qualsiasi cosa avesse
potuto evitare di fargli perdere il controllo: in fondo non avevano
neanche ancora cenato!
«Sto
riempiendo la vasca, pensavo di fare un bagno, ho sudato talmente
tanto oggi. Perché invece di aspettarmi qui ed annoiarti non
vieni a
farmi compagnia?»
Niente
da fare, nessun argomento ora avrebbe potuto salvarlo, aveva
raggiunto in breve tempo l'orlo della follia. La sua voce, il suo
respiro sul suo collo e l'immagine che gli balenò in testa,
di loro
due, nudi, avvolti l'uno sull'altro in quella vasca da bagno. Ne
aveva bisogno, ne tremava dal bisogno, ma...
«Non
posso» disse con un tale sforzo da risultare inumano.
«È
per via della cicatrice che non vuoi mostrarmi?» chiese lei,
facendo
fare al cuore dell'uomo almeno un paio di piroette di troppo.
Saltò
sulla sedia e voltandosi a guardarla con gli occhi fuori dalle
orbite, quasi urlò: «Come sai della
cicatrice?»
Si
sorprese quando vide la stessa espressione sconvolta che aveva lui,
sbucare anche sul volto della donna nell'istante in cui gli
urlò:
«Allora ce l'hai davvero?! Io ho solo sparato una
cazzata!»
«Mi
prendi in giro?» chiese sconvolto Toshinori, poco prima di
far
cadere lo sguardo dal suo viso al seno scoperto di Machiko. Ne rimase
un attimo inebetito, quasi ipnotizzato, realizzando che la sera prima
non era riuscito a godere appieno della bellezza della donna, presi
dalla frettolosità della cosa e dalla paura di mostrarle il
suo
corpo sfregiato. Quello era il modo meno romantico che avesse potuto
immaginare per ovviare a quella mancanza, ma l'emozione non
mancò lo
stesso nello spezzargli il fiato.
Si
ridestò qualche secondo dopo, arrossì
violentemente rendendosi
conto di quanto fosse stato palesemente distratto dalla sua
nudità,
e si coprì gli occhi con una mano, voltandosi dall'altro
lato.
«Scusami!
Non volevo!» disse imbarazzato, sventolando davanti a
sé l’altra
mano. Si sentì colpire in testa da uno dei pugni di Machiko,
poco
prima che esclamasse: «Imbecille».
«Comunque»
sospirò lei, tornando seria e avvolgendosi di un'aura
triste. «Ieri
sera mi hai impedito di aprirti la camicia con una tale violenza che
non ci voleva certo un genio a capire che nascondevi qualcosa. Oggi
Nezu mi ha detto che...» si interruppe, incapace di riuscire
a
proseguire. Ammettere ad alta voce che aveva accettato quella
verità,
che ci credeva a quella terribile situazione, le faceva un gran male.
Toshinori si tolse la mano dagli occhi, scoprendo così il
suo viso
preoccupato e si voltò a guardare quello costernato della
donna.
«La
lotta con All For One, cinque anni fa, mi ha detto che ti ha lasciato
indebolito. E... non lo so... forse ho provato a indovinare. Non lo
sapevo della cicatrice, ma perché me l'hai tenuta
nascosta?»
«Macchan»
sospirò lui, abbassando lo sguardo addolorato. Era dunque
giunto il
momento di parlarle, nonostante tutti gli sforzi fatti per impedirle
di scoprire quella verità. Nonostante il suo folle desiderio
di
renderla felice e basta, era costretto ora a doverle rivelare tutto,
a ferirla ancora.
«Ti
scongiuro, copriti. Non riesco a concentrarmi» ammise infine,
supplichevole.
«Imbecille!»
abbaiò nuovamente Machiko, prima di allungarsi a prendere
una
maglietta qualsiasi e mettersela addosso, per accontentarlo. Infine
tornò a guardare Toshinori, aspettando la risposta alla sua
domanda.
Ma lui non parve cambiare espressione e aggiungendo un velo di
melodrammaticità disse: «È tutto
inutile, non riesco a togliermi
quell'immagine dalla testa!»
«Adesso
stai solo cercando una scusa per non parlare!»
ringhiò lei.
Beccato.
«Hai
ragione» mormorò, tornando finalmente serio.
«Scusami. Avrei
dovuto dirti tutto subito, ma, non so...in verità, credo che
fossi
spaventato all'idea di mostrarti quel lato debole di me, dopo tutto
quello che hai fatto non riuscivo ad accettare di poterti deludere,
di dimostrarti che non ero stato degno della responsabilità
che tu e
Nana mi avete lasciato. Sei sempre stata così piena di
fiducia nei
miei confronti, non hai mai vacillato nemmeno quando lo facevo io. E
adesso All For One è ancora vivo, io non sono riuscito... io
non
sono riuscito...» e il dolore gli chiuse la gola.
«Tu
sei riuscito a sopravvivere» disse Machiko per lui,
stravolgendo
completamente la direzione del suo discorso, portandolo dal senso di
colpa al sollievo. Non aveva fallito, perché lui era
sopravvissuto.
Non c'era niente per cui chiedere scusa, la promessa che aveva fatto
tanti anni addietro, il giorno che Nana era morta, la promessa che
aveva fatto a se stesso e a Machiko di vendicarla non era stata
ancora infranta. All'improvviso si trovò di fronte a
qualcosa che
non aveva mai visto prima di allora, davanti a quel viso
così pieno
di dolore e sollievo allo stesso tempo: Machiko aveva visto sua madre
venir fatta a pezzi, ne era uscita distrutta, l'aveva supplicato di
vendicarla perché non sarebbe mai riuscita a sopravvivere al
dolore
di aver perso per sempre una persona tanto speciale. All For One le
aveva portato via qualcosa di unico, e quel giorno di cinque anni
addietro aveva tentato di fare altrettanto con lui. Tutti quelli che
Machiko incontrava, tutti quelli che per lei erano l'amore
più
grande, All For One sembrava stesse cercando di distruggere ogni
cosa. Ma non quella volta, non c'era riuscito, lui era sopravvissuto
e questo bastava a renderla felice, a rendere quella una missione ben
riuscita.
«Hai
donato il tuo potere a Midoriya, questo significa che lentamente tu
perderai il tuo...»
"Io
l'ho già perduto quasi tutto" pensò Toshinori, ma
fu incapace
di ammetterglielo.
«Questo
significa che non potrai più combatterlo, giusto?»
chiese e fu
quella domanda a far capire a lui una cosa importante: non sapeva
tutto. Non sapeva che ormai era arrivato al capolinea, che quello che
aveva di fronte era solo una maschera costruita ad arte dall'immagine
del vecchio All Might, un All Might che ormai era morto e riusciva a
fingere di essere ancora vivo solo per qualche ora al giorno. Sapeva
che era indebolito, ma non sapeva che stava morendo e soprattutto non
sapeva del suo terribile nuovo aspetto. Avrebbe dovuto dirglielo,
forse avrebbe dovuto, ma le parole gli morirono in gola. Il suo volto
era così distrutto da quella notizia, gli occhi arrossati
minacciavano di piangere da un momento a un altro... l'All Might che
lei aveva creato, stava svanendo, dopo migliaia di chilometri
percorsi e tante sofferenze affrontate e lei era lì solo per
vederne
gli ultimi sbuffi di fumo, prima della sua cessazione. Lei aveva
vissuto per anni col fiato sospeso, in un'eterna pausa, senza mai
andare avanti veramente da quel giorno che era scappata, era rimasta
bloccata lì, tra quelle macerie e solo ora si rendeva conto
di tutto
quello che gli era invece sfuggito dalle dita. Per quanto tempo lei
non c'era stata. Bastava quello, bastava quel dolore, non doveva
subirne altri. Le bastava dover sopportare la fine di All Might, mai
le avrebbe dato il dolore della fine di Toshinori. Da quello non ne
sarebbe uscita viva. Saperlo vivo sembrava essere l'unica cosa in
grado di darle conforto, non sarebbe riuscito a distruggere anche
quello.
«No»
ammise. «Non avrei più la forza per combatterlo,
se dovesse
tornare. È stato necessario trovare un successore».
«Perdonami,
se ti ho costretto a vivere tutto questo. È stata colpa
mia»
ammise, addolorata.
«Ma
che dici? L'ho voluto e accettato io lo One For All, non mi hai
costretto. E comunque è stata la cosa migliore che potesse
capitarmi, non devi chiedere scusa. Sono io che devo chiederlo a te:
ti ho tolto ciò che era tuo di diritto e non sono neanche
stato in
grado di usarlo adeguatamente per il suo scopo. Hai scommesso su di
me e io ti ho deluso».
«Al
mondo esiste un solo simbolo della pace. Uno e uno solo»
disse lei,
con decisione. Fece un paio di passi avanti, avvicinandosi a lui. Gli
afferrò il nodo della cravatta e concentrata
iniziò a scioglierlo.
«Io non lo sono mai stata e non sarei mai potuta esserlo.
Nè io nè
nessun altro possiamo, nemmeno Midoriya».
«Può
diventarlo» mormorò lui, cominciando ad agitarsi.
Sapeva cosa stava
facendo, sapeva cosa voleva fare e la cosa lo riempiva d'angoscia, ma
non l'avrebbe fermata. Aveva il diritto di vederla: la sua sconfitta,
la sua macchia indelebile, lei doveva conoscerla.
«Midoriya
può diventare tutto ciò che vuole, ma non
sarà mai te» prese il
primo bottone della camicia e lo aprì, proseguendo poi al
secondo e
al terzo. Ogni bottone che veniva aperto era un brivido lungo il
corpo di Toshinori, consapevole di ciò che sarebbe stato
scoperto di
lì a poco, consapevole della debolezza di cui l'avrebbe resa
partecipe. Il respiro si fece pesante, il cuore in petto pulsava
tanto forte da fare male, e un'intrattenibile confessione gli
uscì
dalle labbra, dolorosa come quella ferita impartitegli cinque anni
prima: «Il mondo ha bisogno di un simbolo... io non sono
immortale».
Machiko
si bloccò sul quinto bottone, ormai vicina alla meta, ormai
pronta a
scoprirlo quello squarcio sulla realtà che avrebbe
confermato quanto
appena Toshinori aveva confessato: lui non era immortale.
Lo
guardò in volto, incrociando il suo sguardo spaventato e
addolorato,
ma carico della forza che solo l'uomo che aveva sorriso per un'intera
vita riusciva ad avere. Non abbassava la testa nemmeno in un momento
come quello.
«Toshinori
non è immortale. Questo corpo non è immortale. Ma
All Might non
morirà mai. La gente non smetterà mai di
alimentare la sua fiamma,
dentro i propri cuori» si avvicinò al suo viso e
infine sussurrò
con una sicurezza mai avuta prima: «Io ho scommesso sulla
persona
giusta».
I
successivi tre bottoni finirono di essere aperti e con mano sicura
Machiko afferrò il lembo destro della camicia, sfiorando con
le
proprie dita la pelle nuda dell'uomo. L'aprì e finalmente
diede
spazio alla verità. Abbassò lo sguardo,
puntandolo su quell'enorme
sfregio che ricopriva gran parte del fianco di Toshinori. Di un
colorito più roseo, la superficie liscia, i contorni
frastagliati,
deturpava in un modo che mai si sarebbe aspettata quel corpo che,
ricordava bene, era la cosa più perfetta che avesse mai
visto. Se
l'era immaginata, quell'enorme debolezza di cui si vergognava a tal
punto da impedirle la sera prima di scoprirla, ma quello che si
trovava di fronte andava oltre ogni aspettativa. La gola le si
chiuse, mentre cominciava a realizzare che lì dove adesso
c'era
quello strato di pelle nuova e così diversa dal resto, su
tutta
quell'immensa superficie, una volta c'era stato sangue e dolore.
Quella una volta era stata una ferita, un'enorme ferita da cui si
chiese come fosse riuscito a sopravvivere.
Lui
non era immortale, quelle parole adesso assumevano una consistenza
nuova mentre veniva schiaffeggiata dalla realtà. Aveva
rischiato di
morire, aveva seriamente rischiato di morire, quell'uomo che col
tempo aveva cominciato a riconoscere come l'entità superiore
in
assoluto. Solo in quel momento si rese conto che mai era riuscita a
crederci davvero, che un giorno Toshinori sarebbe potuto morire.
Con
la mano tremante si avvicinò alla sua pelle e
sfiorò la superficie
irregolare di quei contorni, percorrendone qualche centimetro.
Sentì
gli occhi che cominciavano a bruciare, il cuore che saliva su, fino
alla gola, ustionandola dal dolore. Toshinori aveva rischiato di
morire, era sopravvissuto pagando cara quella vittoria, con una
sofferenza che neanche riusciva a immaginare. Quanto poteva far male
una ferita come quella? Quanto doveva essere incredibile la forza di
un uomo per riuscire a sopportarla?
E
lei... lei non era stata lì con lui, quel giorno, a
ricordargli che
andava tutto bene. A sorridergli, come le centinaia di volte che
l'aveva fatto quando da ragazzini Toshinori, stremato dal dolore
degli allenamenti e dalla paura di non farcela, cercava un angolo di
mondo dove nascondersi. Lei aveva creato All Might, era stata il suo
pilastro fin dal primo giorno, e proprio quando aveva vacillato tanto
da rischiare di crollare lei gli aveva voltato le spalle, lasciandolo
solo a sostenere tutto quello, a sorridersi da solo per cercare la
forza di vincerla, quella sfida contro la fine. Come poteva essere
stata così egoista? Ricordava quel giorno, di cinque anni
addietro:
era a una festa organizzata da Drew, con produttori, altri cantanti,
colleghi di minor importanza, addetti alle case discografiche o
semplicemente gente di un certo portafoglio a cui piaceva divertirsi.
Beveva vino rosso, rideva alle battute di qualche affabile ragazzo
che aveva tentato di conquistarsela almeno per quella sera, rideva
davvero, dimentica e ignorando ogni cosa. E mentre lei era
lì,
circondata di musica, vino e allegria... Toshinori moriva.
Un
singhiozzo la scosse, facendola tremare e d'istinto chinò la
testa,
nascondendo il proprio volto.
«Macchan»
mormorò lui, preoccupato, accostandosi al suo viso per
cercare la
sua espressione. Machiko non esitò a rialzarsi e Toshinori
si
sorprese della sua espressione: sorrideva. Gli occhi serrati, le
sopracciglia rilassate e il sorriso largo, enorme, immenso e
luminoso.
«Va
tutto bene» disse con voce tremante per lo sforzo di non
cedere al
dolore, per lo sforzo di risultare veramente felice e rassicurante.
«Non devi preoccuparti, perché adesso ci sono qua
io».
Una
lacrima la tradì, sfuggendole dagli occhi, ma lei la
ignorò e non
vacillò nella sua espressione serena e rassicurante neanche
per un
istante. Un tentativo fallimentare di rimediare ai propri errori, di
chiedere scusa, un tentativo che lasciò Toshinori solo pieno
di
un'immensa tenerezza.
Quanto
era speciale, la sua Machiko.
Fin
da quando era piccola, chiunque la incontrasse vedeva in lei solo un
diabolico burattinaio, egocentrico ed egoista, superiore e freddo,
senza riuscire a capire che in realtà non era altro che una
maschera. Una maschera costruita minuziosamente per difendersi da
chiunque, perché dentro sé sapeva di non essere
altro che una
bambina che amava quelle marionette, che ci avrebbe dormito la notte
tenendole tra le braccia perché non c'era cosa che odiasse
di più
che restare sola. Le pettinava, quelle marionette, le curava, le ben
vestiva, e infine lasciava a loro tutto il palcoscenico
accontentandosi di restare dietro le quinte, a manovrarle solo con
l'obiettivo di donar loro applausi e clamore. Nessuno erano mai
riusciti a capirla, la piccola Machiko dal cuore buono e l'immenso
spirito di sacrificio.
Allungò
una mano, raggiungendo il suo viso, e gliela poggiò su una
guancia,
accarezzandola con il pollice, eliminandola quella lacrima che
sfregiava quel suo disperato tentativo di felicità. Machiko,
in
risposta a quel gesto, ci si schiacciò sopra,
strofinandocisi,
manifestando il bisogno di averne ancora di quella dolcezza.
«Perdonami
se non c'ero» confessò infine, con un filo di voce.
«Ti
ho lasciata cadere. Sei tu che devi perdonare me... non ho sentito la
tua voce chiamarmi».
Machiko
riaprì finalmente gli occhi, osservandolo in quel suo solito
rassicurante sorriso. Negò debolmente con la testa, non
c'era niente
da perdonare, e facendo scivolare le mani lungo il fianco le
portò
dietro la sua schiena, spingendosi contro di lui fino ad
abbracciarlo. Nascose il viso tra la spalla di Toshinori e il collo e
lui non esitò a rispondere a quell'abbbraccio, poggiandole
una mano
dietro la testa per accarezzarle i capelli.
«Ti
fa ancora male?» mormorò lei.
Un
battito più forte degli altri, un nuovo timore che gli
attanagliò
la gola per un istante, prima che riuscisse a trovare il coraggio di
mentirle: «No. Non più».
Faceva
male, faceva male eccome, in un modo che Machiko non poteva
immaginare. Faceva talmente male che lo costringeva a tornare a
quella riluttante forma per quasi la totalità della
giornata,
costringendolo ad essere solo il fantasma di se stesso.
Machiko
uscì dal suo nascondiglio e lo guardò, sorridendo
di nuovo, ma
sinceramente questa volta, più serena e felice.
«Meno
male» disse, sollevata.
Neanche
sapeva quanto, in quell'istante, lui avesse desiderato scoppiare a
piangere. E invece continuò a mentire, rispondendo a quel
sorriso,
sentendo quella ferita diventare sempre più bruciante e
pesante. Era
decisamente più facile mentire al mondo intero, che a lei.
«Vado
a farmi quel bagno» annunciò, raddrizzandosi.
«Rinnovo l'invito,
se vuoi» disse con un occhiolino malizioso, prima di voltarsi
e
avviarsi verso il bagno.
Si
fermò due passi più avanti e si voltò
a guardare Toshinori, con il
volto corrucciato e poco convinto. Era ancora seduto lì e
non
accennava a muoversi.
«Guarda
che dico sul serio. Vuoi venire o no?»
L'uomo
sobbalzò, cominciando finalmente a capire e lasciandosi alle
spalle
tutti quei sentimenti, tornò ad arrossire ed agitarsi. Una
scena
tanto patetica, quanto tenera, che spinse Machiko a sorridere
divertita.
«Facciamo
a chi fa la bolla più grande con il sapone come quando
eravamo
ragazzi?» una richiesta infantile, ingenua, che
riuscì ad eliminare
l'imbarazzo della situazione a cui sarebbero andati incontro rendendo
il tutto quasi un gioco. Aveva dimenticato la sua enorme forza, era
sempre così rassicurante.
Toshinori
sembrò rasserenarsi e finalmente si alzò dalla
sedia,
raggiungendola.
«Sono
sempre stato il vincitore indiscusso» disse, avviandosi verso
il
bagno.
«Mi
sono allenata tanto, sai?» disse lei, al suo fianco,
facendogli una
linguaccia.
«Credi
di essere l'unica?» la provocò lui, entrando
finalmente nella
stanza. Uno strano ciack
nel
momento in cui mise il piede sul pavimento piastrellato, li distrasse
dal loro infantile battibeccare e catturò la loro
attenzione.
L'intero bagno era allagato e dalla vasca usciva continuamente acqua,
riempita fino all'orlo e che ancora continuava ad essere alimentata
dal rubinetto aperto.
«Abbiamo
parlato troppo e ho dimenticato l'acqua aperta!»
gridò Machiko,
correndo verso la vasca per chiudere l'acqua. Si appoggiò al
bordo
in ceramica e si sporse in avanti, raggiungendo il rubinetto, ma il
pavimento bagnato non aiutò il lavoro e la fece scivolare.
Provò a
reggersi, inutilmente, e finì col cadere dentro la vasca
completamente vestita, creando un'onda che peggiorò lo stato
del
pavimento.
«Macchan!»
gridò Toshinori, allarmato. Corse da lei e afferrandola da
sotto le
braccia la sollevò, aiutandola ad alzarsi. Un movimento di
piedi
imprevisto e incontrollabile, subito dopo il formicolio che segnalava
i fili di Machiko che si arpionavano ai suoi muscoli, e anche lui
cadde in avanti, colto di sorpresa. L'onda che nacque da
quell'ennesimo peso fu decisamente superiore da quella che aveva
provocato l'esile figura di Machiko, tanto che perfino il lavandino,
un paio di metri più lontano, venne coinvolto e colpito
interamente.
Toshinori si sollevò rapidamente, allarmato all'idea di aver
schiacciato la donna col suo peso e la trovò fortunatamente
indenne
sotto di lui in una vasca ormai semi-vuota. Entrambi fradici da capo
a piedi, si guardarono per un attimo turbati da quanto appena
successo, prima che Machiko scoppiasse a ridere divertita come poche
volte era stata prima di quel momento.
«L'hai
svuotata! Sei un bisonte!» disse, ridendo tanto forte che
dovette
portarsi una mano allo stomaco dolorante. Una lacrima le
uscì dagli
occhi e lei l'asciugò sbrigativamente, continuando a
riempire quella
stanza con la sua voce cristallina e allegra. Era così
dannatamente
bella che Toshinori avrebbe voluto fermare il mondo, stoppare il
tempo e bloccarlo per sempre a quell'istante. Avrebbe voluto averla
di fronte a sè, con quell'allegria, quella fantastica
risata, per il
resto della vita, in ogni singolo istante.
Inarcò
un sopracciglio, divertito ma mostrandosi comunque offeso: si beffava
di lui per la sua stazza, che era stata la causa di quello tsunami.
Allungò una mano sopra la sua testa e aprì il
rubinetto, facendole
cadere l'acqua dritta sugli occhi. Con uno scatto Machiko si
sollevò,
scappando dal getto e fulminando l'uomo sopra di sè.
«Volevi
affogarmi?» gli chiese irritata e sconvolta.
«Questo
era quello che volevi fare tu, quando mi hai fatto cadere qua
dentro»
rispose lui, prontamente. Un sorriso provocatorio, uno sguardo
minaccioso, e prendendo un po' d'acqua con le mani Machiko gliela
lanciò dritta in viso. Nessuna reazione da parte dell'uomo
che certo
non ne risentì di quel misero attacco, se non nell'orgoglio.
Un’infantile battaglia di spruzzi nacque tra loro, fintanto
che la
vasca tornava a riempirsi, per poi decidere di comune accordo che
restare vestiti non aiutata i movimenti e quel bagno che si sarebbero
fatti. Machiko versò un quintale di sapone, vizio che aveva
sempre
avuto fin da ragazzina, facendo in modo che tutto si riempisse di
schiuma, e infine decretarono la pace, decisi a riposare e
rilassarsi. Toshinori poggiato con la schiena sulla ceramica della
vasca e Machiko seduta davanti a lui, con la schiena poggiata al suo
petto, così da essere avvolta dalle sue braccia e dalle
gambe, in un
bozzolo sicuro. Giocava con la schiuma come una bambina,
raccogliendola tra le mani e soffiandola via, facendola svolazzare
come neve. E ripeteva l'azione più volte, divertita, dando
ogni
tanto alla schiuma qualche bizzarra forma, o divertendosi a far
sbucare lentamente un piede da essa, per poi reimmergercelo. Si
appoggiò nuovamente al petto di Toshinori, stendendo la
testa sulla
sua spalla e dopo aver guardato il volto dell'uomo al suo fianco, gli
poggiò un delicato sbuffo di schiuma sulla punta del naso.
Toshinori
lo guardò qualche secondo, infastidito, prima di cominciare
ad
arricciare il naso e soffiarci sopra nel vano tentativo di toglierlo:
faceva il solletico. Non riuscendo, istintivamente si portò
una mano
al viso per toglierlo, dimenticandosi che anche lui era ricoperto di
schiuma e non fece che peggiorare la cosa. Machiko lo guardò
in
quella imbranata situazione e divertita ne rise ancora, donando
all'uomo ancora quel piccolo regalo che gli faceva così bene
al
cuore. Si rilassò, accoccolandosi maggiormente tra le sue
braccia, e
chiuse gli occhi godendo di ogni secondo di quei momenti. Ogni
sensazione, ogni suono, ogni odore... tutto doveva restare
indelebile.
Avrebbe
pagato qualsiasi prezzo, per poter fermare il tempo in quella vasca
da bagno.
When
my hair’s all but gone and my memory fades
And
the crowds don’t
remember my name
When
my hands don’t play the strings the same
way
I
know you will still love me the same
‘Cause
honey your soul can never grow old, it’s evergreen
Baby
your
smile’s forever in my mind and memory
NDA.
Sono
mancata qualche settimana e me ne dispiaccio. Mi sono presa una
piccola pausa per sistemare alcune cose della mia esistenza ahahah
Però
come vedete sono sempre qui xD
E
con un capitolo abbastanza significativo, anche senza colpi di scena.
Toshinori rivela la sua cicatrice, rivela parte del suo segreto, ma
non completamente! Non riesce ancora ad avere il coraggio di dire a
Machiko che quella forma non è reale, non riesce a dirle di
essere
ormai in procinto della pensione, che non ha “cominciato la
sua
discesa” ma ne è praticamente arrivato in fondo.
Lo fa per lei, o
almeno questo ammette a se stesso, per non deluderla perché
da
quando si sono conosciuti Machiko non ha fatto altro che vederlo come
l’uomo più forte della terra anche prima che
ricevesse One For
All. Ha paura di deluderla su tutti i fronti e si limita a confermare
le sue idee, senza aggiungere altro. Chissà quanto
durerà ancora :P
Io
mi scuso per l’assenza e spero di essere puntuale la
settimana
prossima. Vi auguro un buon Ferragosto, ringrazio come sempre tutti i
lettori e Nathly per la recensione <3
A
presto!
Ray
|
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Capitolo 28 *** Not Alone, Red ***
"Not
Alone”, Red
I
successivi due giorni furono i più belli che Machiko avrebbe
ricordato. Tutto andava alla perfezione: le sue lezioni supplementari
presero pian piano una piega diversa, sollecitate dal suo buon umore,
tornando ad essere un momento costruttivo e stimolante. Gli
allenamenti di Bakugou proseguivano secondo i piani e si sorprese
ancora una volta nel vedere in quanto poco tempo il ragazzino
riuscisse a migliorare. Era riuscito un paio di volte a contrastare
il potere dei suoi fili, muovendo un dito o una spalla, e da
lì
aveva cominciato a capire quale potesse essere la strada giusta: i
contraccolpi delle sue esplosioni percorrevano quei fili, arrivando
anche a lei. Non era abituata a un simile dolore, perciò non
doveva
far altro che battere la sua capacità di resistenza
esplodendo colpi
su colpi, fintanto che non mollava la presa. Avere uno spazio
protetto dove sfogarsi e perseguire i loro obiettivi, permise ai due
di non creare altri guai e questo sollevò anche il preside e
il
resto dei professori. Ma chi stava vivendo quei giorni meglio di
chiunque altro, erano Machiko stessa e Toshinori. Essersi ritrovati,
essersi liberati di ogni spina e finalmente essersi ripresi per mano
dava loro un senso di pace e sollievo che neanche il paradiso avrebbe
potuto eguagliare. Sembrava come se niente avesse potuto abbatterli,
ora, nessuna difficoltà, nessun super cattivo, niente di
niente.
Bastava incrociare le dita per rimettere a posto il mondo intero: un
sorriso per illuminare, un bacio per riscaldare e fare l'amore per
curare. Anche se poi, la mattina, Machiko si ritrovava sempre a
stringere tra le braccia un cuscino ormai freddo. Forse era quella
l'unica nota stonante, il ritorno alla realtà ogni volta che
sorgeva
il sole il giorno dopo, il ticchettio dell'orologio alla parete che
si beffava di lei, della sua felicità, ricordandole a ogni tic
tac
che
presto avrebbe ripreso un aereo che l'avrebbe riportata a migliaia di
chilometri da lì, di ritorno in una vita che si era
costruita e di
cui ormai ne era intrappolata. Il battito di un sogno, che presto
quel dannato tic
tac
avrebbe
interrotto con un agghiacciante urlo.
Era
quella l'unica nota stonante... ma preferiva scuotere la testa,
lavarsi delle angosce e correre verso un altro giorno di luce, calore
e cure. Godere a fondo di quel sogno, fintanto che il tempo glielo
avesse concesso.
Ingenuamente
inconsapevole del fatto che non solo una sveglia programmata sarebbe
stata in grado di svegliarla, spezzando ogni cosa.
Il
cielo era ormai color arancio, il sole basso all'orizzonte e il
silenzio li circondava, rotto solo dal cinguettio di qualche
uccellino ritardatario che si affrettava a preparare il nido per la
notte. Una leggera brezza ristoratrice diede sollievo alla pelle
umida dal sudore di Nina. Chiuse gli occhi, alzò il mento e
si
lasciò avvolgere da essa, ascoltando solo il rumore del
proprio
respiro ancora affannato. Si allungò a prendere una delle
due
lattine fresche al suo fianco, appena prese al distributore,
l'aprì
tirando la linguetta e l'allungò infine alla sua sinistra.
Bakugou
l'afferrò e senza fare troppi complimenti ne bevette un
lungo sorso,
asciugandosi poi con il braccio quel rivolo sfuggito dalle labbra per
la fretta.
Non
si era reso conto di avere sete fintanto che la prima goccia non gli
era caduta sulla lingua.
«Che
pace c'è qui» mormorò Nina, afferrando
la sua lattina. Bakugou non
rispose, ma fu proprio quel silenzio a confermare quanto detto dalla
donna: si stava proprio bene. Erano usciti da pochi minuti dalla
palestra, avevano su ancora i loro costumi, ancora pieni di sporcizia
e sudore per l'allenamento appena fatto, su ordine di Nina -ma certo
lui non si era opposto- erano usciti a prendersi qualcosa da bere e
si erano seduti sul prato all'esterno a godersi un po' di meritato
riposo, prima di tornare ognuno alla propria vita.
«Ci
ero quasi riuscito» disse lui, pochi minuti dopo, deciso a
interrompere quel silenzio ma con una strana pacatezza. Un altro
sorso della sua bibita rigenerativa e un sospiro ristoratore. I
muscoli erano così tesi che facevano male, li aveva sforzati
eccessivamente e ora aveva bisogno di rilassarsi un po'.
«Ci
eri quasi riuscito a fare cosa?» chiese lei, fingendo di non
capire.
«Mi
ero liberato una mano per un istante».
«Tu
credi?» insisté lei, adornandosi di un malizioso
sorriso.
«Sono
riuscito a contrastarti! Senti i contraccolpi delle mie esplosioni,
non è così?» chiese lui, cominciando ad
agitarsi.
«Ma
cosa vuoi che ne sappia» rispose lei, quasi scocciata.
«Per il
momento so solo che ho vinto io... di nuovo. E a te restano pochi
giorni».
Un'espressione
infastidita da parte del ragazzino, che cominciava a uscirne
frustrato da quella situazione. Si sentiva con l'acqua alla gola, ma
ciò che lo irritava più di tutti era la lentezza
dei suoi
progressi. Midoriya era riuscito a batterla il primo giorno, dopo
solo pochi minuti di lotta, lui invece ci aveva messo giorni solo per
riuscire a liberarsi una dannata mano.
«Katsuki»
disse lei, apparentemente distaccata. «Lo sai che uno dei
metodi di
tortura più accreditati nel passato era quello della
gocciolina
sulla testa?»
«E
questo adesso che diamine c'entra?» si irritò lui,
infastidito per
il poco interesse che lei pareva dimostrare nella sua frustrazione.
Nina
alzò le spalle, ridacchiando divertita: «L'ho
letto prima su
internet mentre vi aspettavo e volevo solo fare conversazione. Pensa,
una misera gocciolina, dalla potenza praticamente nulla... quanto
potrà mai far male una goccia che cade sulla testa? Ma una,
due,
tre, mille, una dopo l'altra... finiva col bucargliela. Assurdo,
no?»
«Mi
stai dando qualche suggerimento nascosto usando una stupida
scusa?»
chiese lui, fulminandola, e Nina scoppiò a ridere,
esclamando: «Ma
allora è vero che non sei poi tanto scemo come si
possa
credere».
«Chi
crede che io sia scemo?» ringhiò lui.
«Io
la prima volta che ti ho visto, sicuramente».
«Provaci
a dirlo adesso, letame che non sei altro! Ti ammazzo!»
«No,
adesso no. Sono troppo stanca per continuare ad accontentarti e far
finta di affaticarmi contro di te» disse lei, sventolando una
mano.
«Far
finta?!» si alzò in piedi lui, ormai al limite
della collera. «Ti
farò rimangiare tutto! Stronza! Fatti sotto!»
«Modera
il linguaggio, moccioso!» lo rimproverò Nina e
puntandogli
rapidamente le dita contro lo arpionò e lo costrinse a
rimettersi a
sedere, al suo fianco. «Niente combattimenti, solo un po' di
riposo
e delle sane chiacchierate per conoscerci meglio. Non so niente di
te, ora che ci penso. Vieni da una famiglia ricca?»
«E
a te che te ne frega, scusa?» disse lui, ormai presa la
strada della
rabbia non l'avrebbe lasciata tanto velocemente.
«Oh
beh, se devo lasciare un buon partito come All Might per darmi
all'illegalità con un ragazzino, vorrei che almeno potesse
soddisfare i miei bisogni. Sono una donna molto esigente, sai? Mi
piace cenare fuori spesso».
«Ma
di che diamine parli? E poi non mi dirai che le voci su te e All
Might sono vere!»
«Certo
che sono vere! Avevi dubbi sul mio potenziale seduttivo? O forse sei
geloso?» ridacchiò lei, divertita nel vederlo
sempre più irritato
e infastidito.
«Stai
parlando con un minorenne, ti rendi conto? Pervertita! Si
può sapere
che razza di adulto sei tu?» e lo sbigottimento, misto al
fastidio
che i suoi doppi sensi gli recavano, lo portò ad arrivare al
limite,
sfogando tutta quella angoscia in urla e portandosi le mani nei
capelli. Nina non ce la fece più e fece crollare la maschera
da
mezza criminale che si era costruita, scoppiando a ridere nel vedere
la sua reazione.
«Su,
su! Guarda che scherzavo!» rise, dandogli qualche pacca
consolatoria
sulla spalla.
«Nina!!!»
la chiamarono un gruppo di ragazzi le cui voci ormai aveva imparato a
riconoscere bene. Si voltò incuriosita dal tono allarmato di
Uraraka
e parte degli altri studenti della prima A.
«Finalmente
siamo riusciti a trovare qualcuno! I professori se ne sono
già
andati quasi tutti!» disse preoccupata Asui.
«Ragazzi!
Che fate qui? Non dovreste essere già a casa?»
chiese Nina,
preoccupata.
«Un
guaio! È successo un guaio! Abbiamo bisogno di
aiuto!» disse
Mineta, saltando sul posto.
«Pensiamo
che abbiano preso in ostaggio Midoriya e Todoroki!»
spiegò Uraraka
e quello bastò a far saltare in piedi Nina.
«In
ostaggio? Chi? Quando?»
«Eravamo
tutti insieme, volevamo passare dal centro per comprare alcune cose
utili per il festival sportivo, quando loro due sono rimasti indietro
per parlare. Li abbiamo lasciati stare, sembravano discorsi seri, ma
dopo un po' non li abbiamo più visti!»
spiegò Uraraka.
«Iida,
Tokoyami e Kirishima sono andati a cercarli, trovando strano il fatto
che non avessero detto niente e fossero spariti nel nulla. Niente di
strano, fintanto che Iida-kun non ci ha mandato un segnale gps per
indicare la loro posizione. Si stanno allontanando, verso la
periferia, che senso avrebbe mandarci la loro posizione se non fosse
successo qualcosa?»
«Nessuno
infatti» disse Nina, correndo verso l'uscita della scuola,
seguita
dal resto dei ragazzini.
"Hanno
preso Midoriya" non riusciva a pensare ad altro. Non che gli
altri avessero meno importanza, ma dentro Midoriya risiedeva un
ancora immaturo potere che aveva bisogno di tempo per essere
coltivato. Se fosse stato ucciso, e debole come era non sarebbe stato
difficile per loro, lo One For All sarebbe andato perduto per sempre,
senza poter essere passato a nessun altro in quanto ormai All Might
lo stava perdendo del tutto. Senza One For All, All For One non
avrebbe più avuto rivali e il mondo avrebbe vissuto il
peggiore
degli scenari immaginabili.
Non
era sicura che dietro a tutto quello ci fosse All For One, ma sapeva
che era vivo e Midoriya non si era mai preoccupato di restare troppo
discreto sulla faccenda. Se l'avesse scoperto... sarebbe stata la
fine di una dinastia.
Digrignò
i denti, sempre più furiosa.
"Sapevo
che non era degno!" pensò, ormai in preda alla furia. Se
Midoriya si fosse lasciato uccidere, se avesse anche solo azzardato a
mandare tutto in fumo, il sacrificio di sua madre, l'enorme lavoro di
Toshinori... se un insulso ragazzino senza talento come lui, avesse
distrutto tutto, sarebbe potuta impazzire.
Non
doveva permetterlo.
Uscì
dal cancello e si guardò attorno, lungo la strada deserta.
Doveva
pensare in fretta a qualcosa e agire nel modo più veloce e
sicuro
possibile.
«Il
segnale è ancora attivo?» chiese Nina, voltandosi
verso Ashido che
teneva il cellulare, e la ragazzina in risposta le mostrò su
una
mappa google un punto luminoso che si spostava lungo le strade della
città.
«Sì,
pare di sì!»
"Midoriya
e Todoroki nelle loro mani. Kirishima, Iida e Tokoyami rischiano
seriamente di aggiungersi a loro due, aumentando il numero di
ostaggi. Cinque ragazzini da tirare fuori dai guai e solo dieci dita
a disposizione" rifletté, guardandosi le mani. Un
palcoscenico
decisamente immenso in cui un piccolo burattinaio di città
ormai in
pensione non era sicuro di potersi destreggiare, con tutte le
marionette che la scena gli prestava.
«Prima
di tutto, abbiamo bisogno di un passaggio» disse, allungando
una
mano nel vuoto e arpionando un pover'uomo che aveva avuto la
disgrazia di passarle davanti in quel momento, in bicicletta. Lo fece
saltare giù, accompagnato dalle sue urla terrorizzate, e si
affrettò
ad appropriarsi del mezzo sotto lo sguardo sconvolto e attonito dei
ragazzini: un adulto, un eroe, una professoressa che rubava una
bicicletta sfiorava ogni immaginazione.
«Kacchan!
Mi serve la tua accelerazione! Ashido, continua a seguire Iida col
cellulare, mi indicherai la strada. Uraraka e Yaoyorozu, venite con
noi, avrò bisogno dei vostri Quirk per tirare fuori dai guai
i
vostri compagni».
«Ma
non ci stiamo tutti lì» balbettò
Uraraka guardando la bicicletta,
ma fu momentaneamente ignorata.
«Heikichi»
mormorò Nina, pensierosa, prima di chiedere: «Chi
di voi conosce
Spectrum?»
«L'eroe
dalla supervista! Io, io lo conosco!» alzò la mano
quasi con
entusiasmo Kaminari. «Anche io ne ho sentito tanto
parlare» disse
Aoyama, desideroso forse di avere anche lui un ruolo in
quell’operazione.
«Dovrebbe
essere di pattuglia in questo momento. Chiamatelo, ditegli che vi
manda Machiko e che è un'emergenza di livello
tre!» lui avrebbe
capito. Anche se erano passati anni dall'ultima volta che avevano
usato quei codici per comunicare tra loro, Heikichi non poteva averli
scordati. Li avevano inventati i primi anni di liceo, quando ogni
tanto la sera si divertivano a riunirsi in qualche sobborgo e dar la
caccia ai cattivi. Situazioni che al novanta per cento li faceva
finire nei guai, nel restante dieci si occupavano al massimo di
salvare un gattino dall'albero... ma fare gli eroi a tempo perso era
divertente e l'eccitazione raggiungeva il massimo con il livello tre:
primo livello, bulletto di strada; secondo livello, criminali
normali; livello tre, super-cattivo. In tutta la loro vita, solo una
persona era riuscito ad aggiudicarsi il terzo livello... Heikichi
avrebbe capito.
«Collegate
i vostri GPS e portatelo da noi. Infine voi altri, andate a cercare
All Might e chiamate la polizia!»
«Agganciata!»
annunciò Yaoyorozu nell’istante in cui
fissò un enorme gancio al
retro della bicicletta dove sedeva Nina. Un gancio che sosteneva un
piccolo carretto a tre posti, creato in pochi attimi dalla sua
abilità.
«Ma
quando l'hai fatto?» chiese Uraraka, portandosi le mani al
viso.
Come era riuscita ad essere così veloce nella comprensione
del suo
ruolo e nell'adempimento del compito?
«Kacchan,
dietro di me» ordinò Nina e Bakugou non se lo fece
ripetere due
volte, sedendosi sul telaio posteriore. Le ragazze si misero sopra il
carretto e fu Ashido a dare il via alla corsa, gridando:
«Dritto
davanti a te!»
«Non
sarò delicata, vi avverto» disse Nina, cominciando
a pedalare.
«Tenetevi!»
Tutto
si sarebbero potuti aspettare, tranne che un adulto come lei fosse
potuta essere tanto spericolata su un mezzo tanto innocente come una
bicicletta. Ma loro non immaginavano quante volte lei si era
ritrovata a inseguire Toshinori, intento ad allenarsi, lungo le
strade di Tokyo usando solo ed esclusivamente quel mezzo. Ne aveva
fatta, di esperienza. Pedalava in piedi, senza toccare il sellino,
dando maggior forza alle gambe, e faceva attenzione ai pericoli della
strada il minimo indispensabile. Superava incroci senza quasi neanche
guardare, costringendo gli automobilisti a inchiodare per non
investirli, svoltava sgommando, faceva lo slalom tra chi era in coda
e Bakugou, dietro di lei, l'aiutava a rendere il tutto più
folle e
terrificante, usando le proprie esplosioni per darle accelerazione.
«A
sinistra!» gridò Ashido, l'unica delle tre che non
mostrava paura,
forse troppo concentrata sul proprio telefonino per rendersi conto
delle innumerevoli volte che avevano sfiorato la morte. Con
un’altra
sgommata, scaraventando il carretto da un lato, costringendo Uraraka
a usare la sua levitazione per non essere sobbalzate via e tornare
dritte, Nina obbedì. Si trovò di fronte a una
lunga colonna di
macchine, ingorgate da un incidente o forse un semaforo bloccato.
«Non
passiamo!» si allarmò Uraraka.
«Prendiamo
una scorciatoia!» disse Nina e si diede lo slancio necessario
a
saltare con la bicicletta sul marciapiede. Bakugou l'aiutò
il
necessario a portarsi dietro anche il carretto con le tre ragazze
senza troppa fatica e continuò ad accelerare, sfrecciando
tra i
pedoni. Una mano dritta davanti a sè e Nina li costrinse con
i suoi
fili a saltare da una parte all'altra della strada, permettendo
così
loro di passare senza travolgere nessuno.
«Ah!
Hanno cambiato! Dobbiamo tornare indietro, prendere la
parallela!»
si allarmò Ashido.
«Nessun
problema, conosco un'altra strada!» disse Nina, svoltando al
primo
vicoletto che incontrò sulla destra e continuò a
pedalare, dritta
verso la fine, dove uno steccato in legno gli sbarrava la strada.
«È
chiuso! Ci schiantiamo!» urlò Uraraka, serrando le
dita sul legno
del carretto.
«Kacchan!»
chiamò Nina e il ragazzino, intuendo le intenzioni di Nina,
esplose
dei colpi sotto di loro permettendogli così di prendere
letteralmente il volo e oltrepassare la staccionata, con le urla
delle ragazze ancora legate dietro di loro in quella folle corsa.
«Si
sono fermati!» disse Ashido, allarmata, allungando il
cellulare nel
vuoto. «A est, fuori città! Dopo il
porto!»
«Conosco
quel posto» mormorò Nina, scavando nei suoi
ricordi. Se le cose non
erano cambiate troppo, in quella zona avevano al tempo annunciato la
costruzione di un enorme centro commerciale che poi era andato in
fumo a causa di accordi mancati e terreni instabili. Se le cose non
erano cambiate, in quel luogo ora si trovava un cantiere abbandonato,
ottimo per nasconderci degli ostaggi. Ottimo per attirare in trappola
eroi di cui poi bisognava liberarsi... eroi come Nana Shimura.
Non
poteva essere un caso che avessero portato i ragazzini nello stesso
luogo dell'ex battaglia, il luogo dove Nana era morta e aveva
ufficialmente passato a Toshinori il testimone. Era un segnale, un
loro segnale: "Ci aspettano".
«Tenetevi!»
gridò Nina, prima di uscire dalla strada e lanciarsi lungo
una
collinetta, in discesa verso il fiume. I sassi contro le ruote del
carretto lo fecero sobbalzare impazzito, aumentando a dismisura il
panico sul volto delle ragazze dovuto alla ripida discesa, che si
abbracciarono tra loro per darsi coraggio. Con una frenata non da
poco, Nina riuscì a evitare di cadere in acqua e
proseguì su un
vialetto lungo la riva del fiume.
"Hanno
preso Midoriya, erede di One For All, e l'hanno portato nello stesso
luogo dove è Nana. Non può essere un caso, non
è sicuramente un
caso. Vogliono la resa dei conti. Sarà sicuramente pieno di
trappole
e noi ci stiamo andando dritto contro" digrignò i denti,
mentre
si avvicinava a un enorme ponte sul cui fianco interno era presente
una griglia da cui usciva acqua sporca.
«Ashido,
attiva il tuo GPS, fatti trovare da Mineta e gli altri. Non appena
arriveranno con Spectrum ditegli di Midoriya e Todoroki, ci
penserà
lui a trovarli. Sicuramente li terranno nascosti da qualche parte. Io
vado a recuperare Iida e gli altri due. Kacchan,
sganciale!!!» e
non appena Nina glielo ordinò, Bakugou si
voltò e fece
esplodere il gancio che le teneva, lasciando che proseguissero per
qualche metro per inerzia prima di fermarsi bruscamente. Uraraka
riuscì a evitare che impattassero al suolo miseramente,
salvando le
sue amiche con il suo quirk e guardò Nina e
Bakugou che in
bicicletta risalivano la collinetta e si allontanavano.
«Una
cosa importante» gridò Nina, ormai quasi in cima.
«Avete la mia
autorizzazione! La responsabilità è
esclusivamente mia» uno strano
sguardo, mentre sfidava per l'ennesima volta la legge. La sua licenza
era ancora sospesa, non aveva nessun potere a proposito, ma non si
sarebbe certo lasciata frenare da questo. Il suo senso di giustizia
in quel momento remava contro la legge e le diceva che usare i propri
quirk sarebbe stato necessario.
Heikichi
aveva un'ottima vista, riusciva a vedere cose che gli esseri umani
non riuscivano, e l'allenamento l'aveva portato alla
capacità di
vedere oltre gli oggetti fisici, seguendo le macchie di calore tanto
raffinatamente che poteva individuare perfino il muscolo attivo di un
corpo umano e prevedere così il colpo che stava per
infliggere. Il
nemico tirava un pugno, lui riusciva a prevederlo studiando
l'intensità dell'energia emessa dal suo braccio. Ma questo
non
l'avrebbe aiutato a salvare Midoriya e Todoroki, solo ad
individuarli. C'era bisogno dell'acido di Ashido per sciogliere la
griglia, allargare il buco che dalle fogne portava all'interno
dell'edificio. C'era bisogno della capacità di creazione di
Yaoyorozu per creare torce, corde e tutto ciò che sarebbe
stato
necessario a una fuga improvvisata... la strumentazione era
necessaria. Infine c'era bisogno della levitazione di Uraraka per
aiutare Heikichi nell'eventuale trasporto, in caso qualcuno avesse
perso i sensi o ci fosse stato bisogno di uscire da una finestra.
Loro tre si sarebbero occupate del salvataggio, avevano il ruolo
più
importante. Lei avrebbe nel frattempo fatto ciò che le
riusciva
meglio: dare spettacolo, intrattenere, fintanto che il vero eroe non
avesse fatto il suo ingresso e non fosse riuscito a salvarli.
Era
tutto nelle mani di Toshinori, perché per quanto lei fosse
in grado
di tenere testa ad eventuali nemici, non era forte abbastanza da
contrastare All For one e qualsiasi trucco avesse messo in atto per
tentare di ucciderli. Lei non era la sua nemesi, lei era solo una
comparsa, solo il vero detentore del potere poteva riuscire a
ucciderlo. Solo All Might poteva farlo.
Corrucciò
la fronte nell'istante in cui intravide l'ingresso del cantiere,
davanti a loro. Svoltò a destra, costeggiandone la
recinzione quasi
del tutto arrugginita, ma ancora ben salda. Saltò su di una
rampa,
salì su di un'impalcatura e proseguì verso
l'interno, cercando di
restare il più laterale possibile, evitando i grandi spazi
aperti.
Doveva entrare nel centro commerciale, sicuramente Iida e gli altri
si trovavano lì dentro, nella prima sala, probabilmente
già in
trappola. Ma doveva farlo il prima possibile, evitando scocciature
che sicuramente la stavano già aspettando.
Un
altro salto su un dislivello e lungo un'altra rampa. Intorno a loro
vecchie colonne, tubi metallici e macerie abbandonate. Erano entrati,
non sapeva bene quando e in che modo, ma sapeva che erano dentro,
passando probabilmente da qualche muro non ancora costruito. Tutto
puzzava di polvere e di vecchio, l'oscurità incombeva,
eppure non
riusciva a udire l'eco delle sue pedalate. Una strana vibrazione, la
sensazione che precedeva l'inizio di una battaglia e corse verso una
delle finestre che dava sul mondo fuori, pronta a saltare nel vuoto.
Quella sarebbe stata la sua entrata in scena.
«Kacchan,
dimmi... vuoi essere un eroe, giusto?» chiese lei, con una
strana
serietà in volto.
«Ti
sembra il momento di parlarne?» chiese lui, poco convinto.
Cosa le
frullava per la testa?
«Vuoi
esserlo o no?» insisté lei, avvicinandosi sempre
più verso la
finestra. Un brivido, c'era qualcosa di così strano in lei,
era come
se un fantasma la stesse avvolgendo beffandosi e cibandosi della sua
aura. Cos'era quello sguardo deciso e terrorizzato allo stesso tempo?
«Certo»
mormorò lui, non capendo che cosa sarebbe successo.
Nina
si voltò e gli rivolse uno sguardo agghiacciante, prima di
sussurrare: «E allora sii eroico» gli
ordinò. Allungò le dita
verso lui e arpionando i suoi muscoli lo costrinse a saltare
giù
dalla bicicletta, saltando contro un muro alla sua destra. Qualcosa
crollò di fronte a sé un istante dopo,
frapponendosi fra lui e
Nina, un muro, un sacco di macerie e perse di vista la donna
nell'istante in cui la vide saltare dalla finestra inseguita da
un'enorme mano nemica. Qualcuno aveva loro teso un imboscata, ma lei
aveva lanciato via il ragazzo prima che potessero raggiungerli e si
era portata dietro il nemico nel suo salto. Nina abbandonò
la
bicicletta in volo e si voltò a guardare chi era quasi
riuscito ad
afferrarla. Un enorme essere, dal volto allungato, appuntito come
quello di un corvo, il cervello ben in vista, i muscoli pompati a
dismisura, l'espressione vuota nei suoi piccoli occhi disumani.
Lanciò i suoi fili, arpionandolo, e facendogli fare un
movimento del
braccio lo usò per concedersi un atterraggio morbido e
sicuro. Si
rialzò all'istante, senza degnarlo di altro interesse, e
corse a
perdifiato verso l'ingresso dell'enorme edificio alla sua sinistra.
L'essere atterrò poco dopo di lei e sembrò essere
ben deciso a non
lasciarsela scappare, cominciando a correrle dietro. I versi che
faceva, le urla, facevano venire i brividi: cosa diamine era?
Nina
aprì la prima porta ed entrò, correndo verso le
scale che portavano
al piano superiore. L'essere alle sue spalle, troppo grosso per
passare dalla porta, semplicemente la sfondò e
continuò il suo
inseguimento. Era veloce e incredibilmente forte, se fosse riuscito a
prenderla l'avrebbe fatta a pezzi in pochi istanti.
Oltrepassò
un'altra porta e continuò a correre lungo il corridoio
dell'edificio
sperando che il bisogno di sfondare il muro per continuare a
inseguirla lo rallentasse. Non servì a molto, la fatica che
fece
l'essere per riuscire a passare oltre fu misera e riuscì a
dare a
Nina solo un paio di secondi di vantaggio, il tempo di scrollarsi le
macerie di dosso e ritrovarla.
«Ma
dove cazzo siete?» mormorò Nina, guardando fuori
dall'enorme
finestra senza vetri alla sua sinistra. Niente, solo macerie
e
locali abbandonati, dalla costruzione mai conclusa, e un sacco di
ombre del passato.
Il
cortile.
Quel
cortile dove Nana, sua madre, aveva tirato l'ultimo respiro,
schiacciata dalla potenza di All For One. Perché avevano
dovuto
scegliere un posto tanto orribile come quello? Perché la
costringevano a combattere contro quelle ombre che non avevano mai
smesso di far male? Il senso di colpa per essere stata per l'ennesima
volta la causa di un guaio, un guaio che quella volta purtroppo non
aveva portato a una semplice punizione ma a qualcosa di più
terribile ed eterno. La figlia sconsiderata di Nana Shimura era l'amo
migliore che fosse potuta capitare a qualsiasi cattivo che avesse
voluto combatterla, figurarsi a uno come All For One che non
desiderava altro che estirpare per sempre quel potere che lui stesso
aveva creato. La figlia sconsiderata che, attirata dalla
curiosità
di un’avventura, si era inoltrata per quei locali abbandonati
divertita all'idea di combattere contro qualche fantasma e qualche
storia horror, ma era finita dritta nella trappola del nemico. La
figlia sconsiderata che, per essere salvata, era costata la vita di
sua madre.
Poteva
ancora sentirle, quelle ultime supplichevole parole, rivolte a lei e
Toshinori un attimo prima della fine, a chissà chi dei due
in
particolare. Un istante prima della fine, con tutta la forza rimasta,
la supplichevole richiesta di una promessa...
«Prenditi
cura di l...»
ed era morta su quella elle
interrotta.
«Devi
ucciderlo, Toshi-chan. Prometti che lo farai».
L'urlo
disumano alle sue spalle la strapparono dal passato appena in tempo
per schivare un pugno.
«Merda»
sibilò, rendendosi conto di essersi lasciata distrarre da
quegli
stupidi sentimenti e dai sussurri che il vento portava, spirando tra
quelle colonne abbandonate. Saltò fuori dalla finestra,
concedendosi
un volo di almeno tre piani nel vuoto, e allungò una mano in
avanti,
verso il mostro.
«Facciamo
un bel gioco» disse, arpionandolo e costringendolo a saltare
con
lei. Tirò i suoi fili, raggiungendolo, e usando il suo
potere si
assicurò di prendere il controllo del suo corpo.
«Si chiama il
Rodeo!»
Lo
fece girare, in modo da guidarne l'atterraggio, e gli si mise sulle
spalle. Sarebbe atterrata sicura al suolo, usando la forza del suo
nemico per attutire la caduta, dopodichè l'avrebbe usato per
correre
più rapidamente nei corridoi e cercare Iida e gli altri due
ragazzini. Ma qualcosa andò nel peggiore dei modi. Un ciack
ben
udibile, quasi assordante, l'essere si liberò dal suo
controllo,
strappando i fili, e le afferrò una caviglia.
«Cosa...?»
sbiancò lei, poco prima di sentirsi lanciata verso il suolo
con una
potenza tale da toglierle il fiato. Un urto, un urlo, ma non fu opera
del suo tremendo atterraggio dal cui non ne sarebbe uscita viva. Le
faceva male la schiena, questo era vero, ma niente di irrimediabile
se non un po' di polvere in gola.
«Perché
mi hai lasciato indietro?» la voce collerica di Bakugou e
solo
successivamente ne sentì il calore delle mani ancora fumanti
sulle
braccia. L'aveva presa al volo, raggiungendola grazie allo slancio
delle sue esplosioni, e l'aveva trascinata dritta al secondo piano,
sfondando un muro già in parte distrutto. Aveva fatto male,
ma non
tanto quanto avrebbe fatto raggiungere il suolo a quella
velocità.
«Moccioso»
ridacchiò Nina, tossendo e cercando di rialzarsi.
«Se ti avessi
portato con me non saresti arrivato in tempo per salvarmi la vita e
fare l'eroe».
«Non
dire stronzate! Questo non l'avevi previsto, non è
vero?» brontolò
Bakugou e Nina si avvicinò al foro da dove erano passati,
restando
in parte nascosta e osservando il cortile due piani più in
basso.
«No»
ammise con uno strano tono rammaricato. «Questo non l'avevo
previsto».
Aveva
spezzato i suoi fili. Quell'essere era riuscito a spezzare i suoi
fili con la stessa facilità con cui solo One For All poteva
fare.
«Che
razza di essere è quello?» domandò
più a se stessa che al
ragazzino alle sue spalle, e certo non si sarebbe aspettata una vera
risposta, come invece fece: «È un Nomu, uno degli
esseri di quel
bastardo che ci ha attaccati alla UJS. All Might ne ha fatto a pezzi
uno, ma a quanto pare ce ne sono altri».
«Nomu»
impallidì Nina. Allora era vero, non era più solo
un sospetto. All
For One era lì, aveva nuovamente attirato in quel luogo la
ragazzina
sconsiderata, per tendere una trappola al nuovo One For All... ad All
Might. E lei gli stava dando esattamente quello che voleva.
Continuava ad essere quella ragazzina sconsiderata che mossa da dei
dannati sentimenti si comportava impulsivamente, senza riflettere.
Osservò il Nomu che nel cortile cominciò a
voltarsi da tutte le
parti, cercandola probabilmente, non capendo perché non
riuscisse a
trovare il suo cadavere a terra.
Era
un essere senza cervello, mosso solo da un potere incontrollabile,
non aveva neanche capito che lei era stata salvata. Ma l'istinto non
lo tradì e intuì almeno la strada da prendere,
cominciando a
correre verso l'ingresso che avrebbe portato all'interno
dell'edificio dove erano rifugiati lei e Bakugou.
«All
Might non deve venire» mormorò lei.
«Ma
di che parli?» chiese Bakugou, irritato per la sua esitazione.
«È
una trappola. Stupida, stupida, non impari mai»
ringhiò lei,
colpendosi la fronte ripetutamente con un pugno.
«Dì
un po', ti sei bevuta il cervello?»
«Lo
vogliono uccidere. Qui... proprio qui... come quel giorno»
balbettò,
cominciando a tremare. Se l'avessero ucciso, se l'avessero fatto per
colpa sua, non sarebbe sopravvissuta. Sarebbe impazzita, sarebbe
morta con lui piuttosto.
«Piantala
con queste stronzate!» gridò Bakugou, furibondo.
«All Might ne ha
già sconfitto uno, può sconfiggere anche questo
rammollito!»
La
lotta contro All For One, cinque anni fa, l'ha lasciato indebolito.
«Chi
cazzo credi che sia? Con chi cazzo credi di avere a che fare?»
Non
avrei più la forza per combatterlo, se dovesse tornare.
«Ma
soprattutto chi cazzo ti credi di essere tu? Tante stronzate sulla
fiducia, quello stupido giochino dove ci hai fatto camminare a occhi
bendati, tante puttanate sull'essere il burattinaio e poi te la fai
sotto alla prima vera sfida. Non lo accetto! Io questo non lo
accetto! Non me ne frega un cazzo di superare le nullità,
l'immondizia come te non merita la fatica che sto facendo! Levati dai
piedi, mezzasega, e lascia che sia qualcun'altro a fare
l'eroe» la
resa era ben diversa, ma l'effetto che quell'ultima frase scaturiva
ero lo stesso rassicurante sollievo che si provava nel sentire
Toshinori esclamare che ci avrebbe pensato lui. Non accettava che la
sua mentore, colei a cui si era affidato totalmente, tremasse tanto
di paura di fronte a qualcosa che era certo poteva gestire. Lei era
quella che guardava il mondo dall'alto, il burattinaio di cui
tremare, che non svelava la sua trama fino al giorno dello spettacolo
e per questo faceva tremare di paura. Tutto quello che era era
sfumato di fronte al terrore di rivivere quel terribile giorno, in un
loop infinito, e vedersi sfuggire dalle mani la seconda persona che
abbia amato più di tutte. Era così fragile. Ma
era un eroe,
nell'anima lo era sempre stata.
Lei
era il burattinaio... poteva salvarlo. Poteva combattere, dirigere la
scena con più padronanza di vent'anni addietro, poteva
vincere.
«Vado
a fare il culo a quella merda ambulante e poi vado a prendere a calci
quell'idiota di Deku che si è lasciato catturare»
annunciò
Bakugou.
«Modera
il linguaggio, moccioso!» lo rimproverò Nina,
tornando in sé.
Incrociò le braccia al petto e accennò un sorriso
divertito. Quelle
parole così dure e così piene di parolacce, alla
fine avevano
saputo dove andare a colpire per fare centro. L'aveva rassicurata,
l'aveva incoraggiata e infine si era fatto carico di tutto, pronto a
portare tutti in salvo. Dell’eroe non gli mancava niente.
«Devi
lavorare un po' sulla tua entrata in scena, ma con i contenuti direi
che ci siamo. Ottimo lavoro, eroe» un appellativo che,
Bakugou
doveva ammetterlo, gli fece per un attimo venire i brividi
dall'emozione. «Sei promosso al prossimo grado di
aiutante» e Nina
gli concesse un occhiolino.
Un
rumore a poche stanze più avanti, un muro che crollava, un
urlo
disumano. Li stava cercando.
«Hai
fatto un bel po' di caos, ci ha sentiti sicuramente, ma ho una buona
notizia: non vuole te» spiegò lei.
«E
tu che cazzo ne sai?» ringhiò lui.
«Lo
so e basta. Seguirà e lotterà contro di
me».
«Non
mi lascerai di nuovo indietro, farò a pezzi quel
bastardo» disse
lui, con un sorriso eccitato in viso, facendo esplodere alcuni colpi.
«Se
ti lascio qui dentro a combattere contro di lui non troverò
mai i
tuoi compagni! Non ho idea di dove siano, questo posto è
immenso e
non ho l'ampia visuale che potresti avere tu sorvolando con le tue
esplosioni. Sei nettamente superiore a me in questo» e
bastò questo
a convincerlo ad ascoltarla. «Vai a cercarli, io te lo tengo
in
caldo per quando tornerai».
«Mi
permetterai sul serio di combatterlo?» chiese lui dubbioso,
già
sapendo che stava cadendo in uno stupido tranello che faceva leva sul
suo orgoglio. Nina sorrise, ma non rispose. Era ovviamente un no,
eppure decise comunque di ascoltarla. Il muro venne sfondato e Nomu
fece il suo ingresso in quella stanza nell'istante in cui Bakugou
saltava giù dalla finestra. Urlò come un animale
che aveva trovato
la preda e Nina rimase immobile a fissarlo qualche istante: era
dunque lui il risultato dell'immenso potere nemico che da secoli
combattevano, l'immenso potere nemico che aveva dato origine alla sua
dinastia.
«Vuoi
One for All?» chiese lei, provocatoria. Perché era
per quel motivo
che lui era stato creato. «Vieni a prenderlo» e
saltò giù dalla
finestra alle sue spalle. Alzò lo sguardo, mentre cadeva
verso il
suolo e, come programmato, Nomu saltò giù dopo di
lei,
inseguendola. Lo arpionò rapidamente e lo usò
come slancio per
atterrare, sfondando la finestra del primo piano, prima che avesse
potuto spezzare i suoi fili. Rotolò per
l’eccessivo slancio, poi
riprese a correre verso le scale che portavano al pian terreno. Si
voltò e vide Nomu che sembrava l'avesse aspettata, oltre
qualche
colonna della grande sala che sarebbe dovuta essere la hall di
quell'edificio. Nina sorrise di quel suo sorriso sadico e
calcolatore, ma Nomu non aveva le facoltà mentali ideali per
coglierne il pericolo. Proprio per questo si limitò a
lanciarcisi
contro, colpendo e distruggendo tutte le colonne che si trovava
davanti. Nina cominciò a corrergli incontro, fissandolo in
quel suo
volto privo di espressione e umanità. Quando tra i due
mancarono
pochi metri Nina lanciò uno dei suoi fili,
arpionò il braccio di
Nomu e lo costrinse a uno scatto che non gli diede tempo di
distruggerli. Uno scatto di tale potenza fu l'ideale a darle lo
slancio a volare dall'altra parte dell'edificio, come lanciata da una
fionda. Aveva usato il suo stesso nemico per evitare il colpo e
correre di nuovo via. Conosceva bene quella forza sovrumana che
rompeva i suoi fili, Toshinori era insopportabile quando la usava su
di lei, ma se riusciva a coglierlo di sorpresa riusciva a fargli fare
piccoli scatti e movimenti imprevisti. Con un essere senza cervello
come Nomu era anche più semplice che con Toshinori, non
avendo la
consapevolezza di imparare dai propri errori.
Nomu
la guardò qualche istante, poi partì alla carica.
Nina corse via,
attraverso altre colonne, attraverso una porta, dentro un'altra
stanza, e poi di nuovo fuori, verso l'uscita. Ogni cosa nella corsa
del gigantesco essere veniva travolta e distrutta, creando
così una
nuvola intorno a loro che rendeva sempre più difficoltosa la
respirazione e la vista. Nina si coprì il volto con un
fazzoletto,
legandoselo dietro la nuca, e tornò a guardarsi intorno,
cercandolo.
Lo vide, lo provocò, lo fece correre e di nuovo lo
superò,
attraversando così ogni singolo centimetro di quell'enorme
sala...
travolgendo ogni cosa.
"Ci
siamo" pensò lei, saltando fuori da una finestra, nel
cortile
esterno e lasciando che Nomu la seguisse. Un altro colpo improvviso,
e si fece riscaraventare all'interno. Stesso giro, stessa mossa,
correndo da ogni parte della stanza e facendo in modo che Nomu si
scavasse la sua stessa tomba senza rendersene conto, privo di
intelligenza com'era. Un cigolio del soffito le comunicò che
era
giunto il momento. Un altro muro, solo un altro muro, e fu quello che
fece, costringendo Nomu a distruggere l'ultimo dei muri portanti.
L'edificio tremò e in pochi secondi ogni cosa
cominciò a crollare
sopra le loro teste. Con un altro scatto, si fece scaraventare da
Nomu fuori dall'edificio un istante prima che potesse cominciare a
crollargli sopra la testa. Corse, si allontanò rapidamente,
col
fiato corto e le gambe tremanti di stanchezza, lasciandosi alle
spalle un ammasso di cemento e mattoni distrutti che sovrastavano il
suo nemico. Se era davvero forte come All Might non l'aveva ucciso,
sicuramente, ma sperava che non fosse altrettanto forte da rialzarsi
subito e limitarsi a restare lì sotto almeno il tempo
necessario a
trovare i ragazzini e darsela a gambe.
Un'esplosione
non molto lontana, oltre il cortile centrale, terzo edificio, piani
superiori. Una delle esplosioni di Bakugou, forse un segnale, ma
conoscendolo era sicuramente più facile che stesse cercando
di
combattere qualcuno. Corse in quella direzione, attraversando
completamente il luogo dove sua madre era morta, spezzando
quell'incantesimo, diramandone il fumo come una mano che veniva
sventolata di fronte a una sigaretta. E corse verso l'edificio dove
aveva sentito Bakugou, pronta a distruggere anche quello se ci fosse
stato bisogno.
Your
heart is full of broken dreams
Just
a fading memory
And
everything's gone but the pain carries on
Lost
in the rain again, when will it ever end?
The
arms of relief seem so out of reach
But
I
but
I am here
Nda...
La
scelta di questa canzone in realtà è un po'
articolata. Ho voluto
prendere spunto dal discorso e l'atteggiamento di Bakugou, anche se
lui è sicuramente più irruento e meno piacevole
in certi discorsi.
Ha riempito Nina di insulti e come suo solito le ha detto di farsi da
parte perché non era degna ecc ecc, ma in realtà,
Nina lo capisce,
è solo un modo tutto suo di dire "Hai paura? Ok, lascia che
ci
pensi io". Infatti è Nina quella che in questo momento ha
"il
cuore pieno di sogni infranti", che è "persa nella
pioggia", con "tutto che se n'è andato, ma resta solo il
dolore"... e in mezzo a tutto questo dolore, ecco che arriva il
"but i am here".
Non
è sola, come dice anche il titolo.
E
nel suo modo volgare e ribelle, Kacchan glielo dice.
"I
am here".
E
questo le da la forza di rialzarsi, affrontare quel luogo
così pieno
di dolorosi ricordi, il terrore per ciò che potrebbe
accadere a
Toshinori e lanciarsi a capofitto nella battaglia.
Mi
piaceva particolarmente dare a Bakugou il “I am
here” (anche se
parafrasato con il suo modo di essere) perché anche se testa
calda e
incontrollabile, comunque vuole essere un eroe e soprattutto vuole
essere come All Might (che sappiamo bene tutti come abbia fatto del
“I am here” una filosofia di vita XD), e Nina
proprio in questo
capitolo, proprio grazie a quelle parole, trova conferma del fatto
che il ragazzino abbia tutte le carte in regola per essere il
migliore. Insomma, anche se Nina si spacca la schiena contro Nomu e
si trova a fronteggiare i fantasmi del suo passato tornando sul luogo
di morte di sua madre, il capitolo lo dedico a Bakugou e al suo
essere un eroe coi fiocchi, anche se a modo suo.
Vi
lascio col fiato sospeso fino al prossimo capitolo per sapere come se
concluderà questa faccenda del rapimento XD
Ringrazio
ancora tutti i readers e Nathly che recensisce <3
A
presto!
Ray
|
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Capitolo 29 *** Demons, Imagine Dragons ***
"Demons”,
Imagine dragons
Salì
lungo le scale a perdifiato, contando i piani man mano, in modo da
riuscire a trovare immediatamente quello dove aveva sentito provenire
Bakugou. Svoltò l'ennesimo angolo, superando un'altra
finestra
incompleta di vetro, quando si sentì afferrare per un
braccio e
venir trascinata via. Alzò lo sguardo sul suo nemico e vide
un uomo
dall'aspetto simile a quello di un'aquila. Volava e con gli artigli
dei piedi l'aveva afferrata e trascinata fuori.
«Ti
ho presa» gracchiò soddisfatto, ridendo, mentre
saliva di quota e
se la portava dietro. Sempre più in alto, sempre
più in pericolo,
eppure avrebbe dovuto saperlo che il burattinaio guardava sempre il
mondo dall'alto, che quello era il suo personale palcoscenico.
«Sono
io che ho perso te» sibilò Nina, prima di lanciare
i suoi fili.
Sorpreso, l'uomo perse per un attimo il controllo di sé,
cadendo,
riacquistando quota, andando a sbattere contro il muro dell'edificio,
tornando a impazzire per aria senza riuscire a fermarsi, fintanto che
non prese a volare in picchiata verso il quinto piano con un urlo.
«Siamo
in fase di atterraggio, preghiamo di allacciare le cinture di
sicurezza!» disse Nina, allungando le gambe in avanti e
preparandosi
a sfondare la finestra.
«Grazie
per aver scelto Air Puppeteer!» l'uomo si schiantò
contro il muro
con una tale potenza che ne rimase stordito, mentre Nina entrava
nella stanza del quinto piano. I vetri volarono ovunque, anche in
faccia degli uomini che la videro entrare, in piedi, fermi e
minacciosi, di fronte a Iida, Tokoyami e Kirishima, legati e
inginocchiati a terra. Atterrò, aiutandosi con una mano per
ammorbidire la caduta e infine si alzò lenta e sicura. Un
inquietante sorriso sul volto, l'espressione eccitata del burattinaio
nel pieno della sua scena.
«Ci
sono qui io» disse e per quanto fossero le stesse parole
rincuoranti
che All Might dedicava a tutti coloro che salvava, le sue erano di
una tale affilatura che mettevano i brividi. Non era il "sono
qui io a salvarvi" di un All Might dedito alla giustizia e
desideroso di aiutare le persone, era il "sono qui io a farvi a
pezzi" di una burattinaia sadica e consapevole che non avrebbe
risparmiato nessuno si fosse messo tra lei e il suo obiettivo.
Eppure, nei cuori dei catturati, ebbe lo stesso effetto esaltante.
«Nina!»
gridò Kirishima con entusiasmo, quasi alle lacrime.
«Ora siete
proprio nei guai, brutti idioti!»
Una
provocazione che pizzicò le mani di uno degli uomini che
l'avevano
in ostaggio: si lanciò contro il ragazzino a pugno serrato,
pronto a
colpirlo, ma quel suo stesso pugno gli si ritorse contro e lo
colpì,
scaraventandolo a terra.
«Ma
cosa...?» chiese, non capendo.
«Quelle
sono le mie marionette migliori» sibilò Nina,
fissandolo di
traverso. Faceva chiudere la bocca dello stomaco dalla paura, ero lo
sguardo omicida di chi era tutto tranne che un eroe. Ero lo sguardo
di chi somigliava più a loro, criminali, che alla
società dei puri.
Eppure combatteva per salvare la gente... perché?
«Non
vi permetto di torcere loro neanche un capello» la
burattinaia che
amava le sue marionette, che le pettinava ed agghindava, rendendole
perfette per la scena e permetteva poi loro di prendersi le luci del
successo, restando dietro le quinte. Ecco chi era Nina.
«Puppeteer»
esclamò uno di loro, quello che sembrava meno scemo e
più
pericoloso. «Finalmente sei arrivata»
sghignazzò.
«Lei
è il burattinaio?» chiese incredulo un terzo,
fissando Nina da capo
a piedi. «Diamine, se sapevo che era una tipa del genere mi
sarei
preparato meglio» ghignò, leccandosi i baffi nello
squadrare ogni
centimetro del corpo di Nina. Quello sguardo le provocò il
disgusto,
ma aveva imparato col tempo e l'esperienza ad ignorare certi tipi di
affermazioni. Restando ferma nella sua posizione decisa e minacciosa,
studiò il nemico: otto uomini in tutto, di cui uno che
sembrava il
capo, quattro idioti che ridacchiavano al suo fianco e altri tre
nascosti nell'ombra della stanza intorno a lei. Di loro avrebbe
dovuto aver più paura, riusciva a sentire la loro pressione
sulle
spalle.
"Otto..."
pensò, lievemente preoccupata. "Un volatile fuori dalla
finestra e un Nomu che potrebbero riprendersi da un momento a un
altro e intervenire. E io ho solo dieci dita".
Prenditi
cura di l...
Dieci
dita sarebbero state più che sufficienti. Un ghigno,
l'equivalente
del sorriso di All Might, ma più raccapricciante,
più folle. Non
era difficile credere che fossero cresciuti insieme, avevano le
stesse abitudini, gli stessi principi, ma alla fine solo uno di loro
riusciva ad essere adatto al ruolo di simbolo della pace. Tutto
quello che faceva Nina metteva solo i brividi.
«It's
Show time».
Un
rapido tocco alla propria cintura e la musica cominciò a
vibrare
dentro quell'enorme stanza. Il capo di quel gruppetto la
fissò,
corrucciando la fronte: sembrava essere l'unico che avesse idea di
cosa Nina stesse facendo realmente, l'unico che la guardava con gli
occhi giusti. Era ovvio che sapevano che lei sarebbe arrivata e che
si fossero informati precedentemente: l'effetto sorpresa non avrebbe
funzionato, al contrario loro che invece erano sconosciuti agli occhi
della donna. Potevano avere qualsiasi tipo di Quirk, avrebbe dovuto
fare attenzione e improvvisare.
«Sei
in netto svantaggio numerico e preparatorio eppure attacchi per
prima. Sei davvero impulsiva come dicevano».
"Dicevano?"
si chiese Nina, trovando ancora conferma alle sue teorie: c'era
qualcuno dietro a tutto, non erano loro i veri nemici e non poteva
che essere All For One. Mosse i piedi, prendendo il ritmo, e senza
abbandonare il sorriso decise di prendere di mira proprio lui. Se
avesse raggiunto subito il perno, intaccandolo, l'intero gruppo
sarebbe stato lentamente disintegrato dall'interno. Cominciò
a
ballare, in quel suo particolare modo che vedeva protagonisti
soprattutto mani e braccia, nascondendo le sue carte dietro a un
insieme di movimenti inutili.
«Impediscile
di muoversi. Devi bloccarle le mani» disse il capo all'uomo
alla sua
destra. Un ghigno sul volto di questo, poco prima che i propri
capelli cominciassero a muoversi per aria come mille serpenti
impazziti. Un istante di preparazione e infine questi si lanciarono
contro di lei, allungandosi e percorrendo la distanza che li separava
in pochi decimi di secondo.
«Credi
che te lo lascerò fare tanto facilmente?» chiese
Nina, saltando
indietro ed evitando l'attacco. Un movimento di mano, nascosto dalla
sua danza, e il filo percorse la distanza che separava lei e uno
degli uomini nell'ombra. Mosse gli occhi, cercandolo, assicurandosi
di averlo arpionato ma con sorpresa scoprì che non era
più lì.
«Dietro!»
urlò Kirishima, avvertendola. Lo sentì,
percepì la sua presenza,
la sua ombra appoggiata alle sue spalle e si voltò appena in
tempo
per vederlo, ancora coinvolto nel salto che l'aveva portato
lì. In
mano teneva serrato un pugnale che non esitò a far scendere
nella
sua direzione, percorrendo un arco che avrebbe coinvolto in pieno la
sua gola se non fosse riuscita a indietreggiare per tempo. Un
semplice graffio allo zigomo, riuscì a uscire dall'attacco
indenne,
ma l'uomo di fronte a sé sparì nuovamente.
"Invisibilità?"
si chiese lei, guardandosi attorno con preoccupazione. I capelli del
primo tornarono all'attacco e lei saltò un paio di volte,
riuscendo
ancora a schivarli. Per sua fortuna, non erano veloci abbastanza per
lei. Un fruscio alla sua sinistra e d'istinto lanciò in
quella
direzione i suoi fili, arpionando il vuoto.
"Non
è invisibile", riuscì a capire. "È
solo dannatamente
veloce, come un Ninja". Digrignò i denti, guardandosi
attorno.
Quei dannati capelli sembravano essere aumentati di volume, le
occludevano la vista e i suoi fili ribalzavano su di essi, non
essendo composti di fibra muscolare.
"Protegge
i compagni e nel frattempo mi attacca. Non è affatto
stupido"
pensò continuando a schivare i suoi tentativi di colpirla,
aiutata
dal suo ballo, e intanto continuava a cercare un varco per
raggiungere gli altri.
«Adesso»
annunciò l'uomo dai capelli, un'indicazione per i compagni,
un
avvertimento per lei. I capelli si divisero in due fasci distinti e
percorrendo la stanza da entrambi i lati la circondarono. In
quell'istante, da loro, sbucarono l'uomo ninja e altri due uomini.
Ognuno da un lato, pronti a colpirla su più fronti
prendendola di
sorpresa.
«Vi
ringrazio» sibilò Nina con un ghigno. I tre uomini
si bloccarono
all'istante, arpionati dai fili di Nina che, aspettandosi un colpo
come quello, si era premurata di lanciarli da ogni parte. In molti
erano andati a vuoto, ma molti erano riusciti invece a colpirli,
incastrati nella sua tela, bastava un solo filo per salire in
vantaggio. Un muscolo storto e lei poteva avere tempo di lanciarne
altri, catturandolo completamente.
«Adesso
dammi una mano» ordinò, correndo verso uno di
questi che, contro la
sua volontà, si inginocchiò e mise le mani a
barca. Nina ci piazzò
un piede sopra e l'uomo la spinse verso l'alto, permettendole di
saltare fuori dal cerchio di capelli che l'aveva intrappolata appena
in tempo, prima che questi si stringessero. I tre uomini ne rimasero
avvolti, legati, mentre lei riuscì invece a scapparne.
«Sei
veloce» commentò l'uomo dei capelli, alzando lo
sguardo per
cercarla. Il cuore perse un battito quando notò la sua mano
già
tesa nella sua direzione. Neanche il tempo di cogliere i suoi
movimenti che si sentì paralizzare, catturato.
«Non
sai quanto» commentò Nina. «Scommetto
che riesci a usarli grazie
alla muscolatura della cute» disse lanciando uno dei suoi
fili verso
la testa dell'uomo. Il viso impallidito di quest'ultimo
confermò la
sua teoria prima che potessero farlo le sue azioni: prese possesso
dei suoi capelli e li usò per tenere serrati i tre che aveva
catturato, potendosi così liberare una mano. Le sarebbe
bastato
tenere in pugno l'uomo dei capelli per poter trattenere gli altri
tre.
Uno
sparo alla sua destra e Nina si voltò appena in tempo per
cogliere
lo scintillio di un proiettile sfiorarle il petto, centrando la
spalla sinistra. Urlò colta da un dolore accecante e cadde a
terra,
stringendosi la spalla colpita.
«Nina!»
gridò Kirishima, panico in volto, guardando la donna stesa a
terra.
«Avevo
mirato al cuore» commentò l'uomo che aveva
sparato, con un tono
deluso e rammaricato.
«Non
hai sbagliato i tuoi calcoli, Automa. Tranquillo, le tue previsioni
non sbagliano mai» lo rassicurò il capo, che
ancora se ne stava
fermo a braccia incrociate a guardare e godersi lo spettacolo.
«È
stata previdente, è da quando è entrata qui
dentro che ha usato uno
dei suoi fili per avvolgersi e proteggersi. Non è
sufficiente a
ricoprirla interamente, ma è abbastanza da limitare i punti
esposti.
Scommetto che hai concentrato la maggior parte della tua tela nei
punti vitali a discapito delle zone meno importati, come appunto la
spalla».
«Può
evitare la morte sul colpo, ma non la salverà dal
dissanguamento!»
commentò una voce che provenne dalla pistola stessa con cui
Automa
aveva sparato. La voce di uno degli uomini che fino a pochi minuti
prima era vicino al capo, ma che solo allora Nina si accorse era
sparito. Non era difficile da capire quale fosse il suo Quirk: una
trasformazione del proprio corpo che comprendeva anche, o forse solo,
gli oggetti. Sicuramente le armi erano tra questi.
«Metamorphosis!
Che ne dici di esplorare le sue zone scoperte? Un'arma bianca
potrebbe andare meglio» suggerì il capo,
osservando Nina che si
rialzava stringendosi la spalla sanguinante. Il volto corrucciato dal
dolore, la mano sinistra ancora tesa a bloccare l'uomo dai capelli
prensili.
"Nonostante
il colpo, non ha mollato la presa su Octopus e continua a tenerli
tutti e quattro in pugno. Ha una tenacia di ferro. Sapevo che non mi
avrebbe deluso" rifletté il capo con un ghigno divertito.
«Sarà
un vero piacere» sghignazzò Metamorphosis prima di
mutare ancora le
sue sembianze, trasformandosi in una lunga spada seghettata. I denti,
nei colpi, sarebbero rimasti impigliati nel filo che avvolgeva la
donna e questo avrebbe permesso all'enorme intelligenza di calcolo di
Automa di crearsi una mappa perfetta dei suoi punti scoperti.
Nina
riassunse in breve tempo lo sguardo omicida con cui era entrata nella
stanza, un ghigno divertito, e si tolse un nastro dai capelli
avvolgendolo rapidamente sulla ferita impartitegli dal proiettile. Si
aiutò con i denti per stringere il nodo, chiudendo la ferita
come
poteva. Faceva un male cane, ma lei non lo sentiva nemmeno.
«Siete
delle marionette interessanti, ho proprio voglia di giocare con
voi»
disse con voce gracchiante e raccapricciante. Un ghigno
tornò ad
adornarle il volto e si alzò in piedi, pronta a tornare a
combattere.
"Quattro
bloccati, uno che si limita ad osservarmi, un altro che resta
vicino ai ragazzi per tenerli sott'occhio. Ho solo due nemici al
momento, sarà facile" pensò, constatando che il
grosso era
stato fatto.
«Sto
arrivando» disse Automa con voce apatica, fredda come quella
di un
robot e forse lo era davvero. Si lanciò rapidamente verso di
lei,
mentre Metamorphosis tra le sue mani rideva divertito e minaccioso.
«Adesso
ti facciamo a pezzetti» gridò eccitato
quest'ultimo, un attimo
prima di scendere verso di lei. Nina riuscì a schivarlo e
provò a
lanciargli contro i suoi fili. Automa non accennò nemmeno a
schivarli, sapendo che non ce n'era bisogno, in quanto rimbalzarono
sulla superficie del suo corpo.
"Niente
muscoli?" si chiese lei sorpresa, cominciando a capire. Forse
era davvero un robot, o più semplicemente era un uomo che lo
era
diventato con il suo Quirk. Il suo nome suggeriva quel potere, che
probabilmente lo rendeva perfettamente in grado di calcolare infinite
possibilità come un vero computer a una velocità
strabiliante.
Metamorphosis incrociò i primi dei suoi fili protettori,
passando
attraverso solo per un minimo, graffiandola appena. Altri fendenti,
altri graffi, protetta dai suoi fili indistruttibili che pian piano
risultavano sempre più inutili. Automa stava realmente
creando una
mappa dei punti esposti e migliorava i suoi colpi di secondo in
secondo, riuscendo a imparare le mosse che lei compiva di volta in
volta per schivarlo. La sua capacità d'apprendimento e di
memoria
erano eccezionali e l'impossibilità di arpionandolo, essendo
costituito probabilmente da lega metallica, la metteva in svantaggio.
Ma lei era ancora il burattinaio di quella scena.
Una
ciocca di capelli di Octopus volò nella loro direzione e si
avvolse
intorno ai polsi di Automa, bloccandolo.
«Ehy,
è sleale!» gridò Metamorphosis.
«Sei
inutile, se nessuno può usarti, non è
così?» chiese Nina,
guardando la spada con uno strano scintillio negli occhi. La non
risposta che giunse le bastò come conferma.
«Se
nessuno può usarlo, hai detto bene»
commentò una voce alla sua
destra. Metamorphosis cambiò di nuovo aspetto, diventando un
lanciafiamme e saltò tra le mani di uno degli uomini che
Nina aveva
creduto di tenere in trappola con Octopus. Era libero.
Lanciò uno
sguardo alla direzione dove li aveva incatenati e vide la punta di
quei capelli ardere ancora, bruciati, dissipati e probabilmente
proprio per questo si erano liberati.
"Fuoco?"
si chiese chi di loro avesse quel Quirk, ma rimandò a dopo
quella
domanda. Se lui era libero, anche gli altri due dovevano esserlo e
tra loro uno era veloce come un fulmine, l'altro ancora non sapeva
cosa fosse in grado di fare. Chi dei tre aveva quel potere ardente?
«Proteggiti
da questo se ci riesci!» gridò con eccitazione
l'uomo che deteneva
Metamorphosis, prima di sparare.
«Idiota»
commentò Nina. La mira dell'uomo venne deviata dai suoi fili
e
l'ondata di fuoco raggiunse Automa, invece che lei.
«Ma
cosa...?» balbettò lui, mentre Automa rantolava a
terra dal dolore.
"Allora
non è completamente un robot, se riesce a provare dolore"
riflettè Nina, trovando così il suo primo punto
debole.
«Non
sei molto sveglio, tu, vero?» chiese Nina, rendendosi conto
di come
il suo nemico non avesse calcolato il fatto che lei avesse potuto
arpionarlo e usarlo a suo vantaggio.
«Ma
come ti permetti?» ringhiò l'uomo, ma Nina non
l'ascoltò,
catturata dallo stesso fruscio che aveva sentito poco prima. Il
fruscio che annunciava l'avvicinarsi dell'uomo veloce. Si
voltò,
lanciando i fili nel vuoto, ampliando il raggio d'azione, ma senza
successo. Un altro fruscio, si voltò di nuovo: stava
giocando con
lei, continuando a distrarla, per poi attaccarla di sorpresa da
chissà dove. E c'era ancora l'altro in giro per la stanza,
chissà
nascosto dove, senza contare che anche il capo e l'uomo che teneva
sott'occhio i ragazzi avrebbero potuto attaccarla da un momento a un
altro. Era nei guai, doveva riuscire a risolvere la situazione il
prima possibile o sarebbe passata in svantaggio.
«Neanche
tu» la voce provenne dall'angolo dove avevano legato i
ragazzini e,
pallida in volto, Nina si voltò a guardarli. Iida era
stretto tra le
braccia del terzo uomo che aveva catturato e che si era liberato da
quei capelli. La sua mano era rossastra, sfrigolava, emanava fumo e
vapore: ecco chi dei tre deteneva quel potere ardente. Quell'uomo era
in grado di aumentare la propria temperatura corporea fino a livelli
esagerati, tanto da diventare rovente. La sua mano sfrigolante si
avvicinò al viso di Iida, che tremando tentò di
allontanarsi come
poteva, bloccato in quella posizione.
Un
altro fruscio alle sue spalle, ma lo ignorò, catturata da
quella
scena e questo permise al ninja di avere la sua chance di colpirla
alle spalle.
«Adesso...»
gracchiò Nina, senza muoversi. Le iridi tanto minuscole da
risultare
inumane, dentro quegli occhi spalancati a dismisura, avrebbe fatto
tremare chiunque, i muscoli si tesero tanto che era quasi possibile
vederli a occhio nudo nella loro contrazione. Il ninja scese su di
lei con un ghigno soddisfatto e con il proprio pugnale
disegnò un
arco, colpendola in pieno.
Un
crack inaspettato e la lama andò in frantumi, sotto gli
occhi
sorpresi del suo assalitore. Il filo protettivo che si era avvolta
intorno si era fatto più spesso e più intrecciato
permettendole di
uscire indenne da quell'attacco e rompere la lama del pugnale.
«Adesso
mi avete proprio rotto» fu un istante, ma il capo di quel
gruppo
lesse nei suoi occhi omicida il pericolo appena in tempo, urlando:
«Automa!»
Uno
strano rumore, come quello di un nastro adesivo che veniva tirato
rapidamente. Metamorphosis cambiò nuovamente forma,
direzionando
verso di lei la propria canna, deformandosi, nonostante l'uomo che lo
stringeva puntava ancora verso automa. Il colpo venne esploso e la
fiammata raggiunse Nina, travolgendola in pieno. Nello stesso istante
il resto degli uomini si irrigidì, lasciandosi sfuggire un
rantolio
e poi caddero a terra inermi. Gli unici che non subirono quella sorte
furono Automa, Metamorphosis e il capo di quel gruppo che era stato
protetto dal corpo del primo, lanciatosi appena in tempo per
proteggerlo. Dal fumo del colpo di Metamorphosis emerse la figura di
Nina, ancora in piedi, leggermente china da un lato, la testa
penzoloni in avanti, il fiato corto e il corpo interamente ricoperto
di bruciature. Le sue mani tremavano impazzite, dalla punta delle
dita violacee gocciolava del sangue, segno dell'immenso sforzo che
aveva compiuto. Ma il suo sguardo era quello di chi aveva intenzione
di uccidere, senza arrendersi, ignorando il dolore fisico. Lo sguardo
folle di uno psicopatico, tanto che i ragazzi stessi la guardarono
con timore.
«Hai
un simile potere» commentò il capo, emergendo da
dietro Automa.
«Hai lanciato i tuoi fili con tutta l'energia che avevi,
superando
ogni possibilità fisica, riempiendo l'intera stanza
così che
nessuno fosse potuto sfuggirti, tranne i ragazzini che hai
accuratamente schivato. Hai superato il tuo limite e hai usato la
massima energia che avevi per mandare in arresto cardiaco i miei
compagni. Dovevo aspettarmelo, alla fine anche il cuore è un
muscolo, bastava trovare il modo per accedervi. E laddove non hai
trovato una via diretta, considerando che alla fine le tue sono
scariche elettriche, bastava calibrare il voltaggio a una potenza
tale da risultare una vera e propria folgorazione».
«Li
ha uccisi?» sibilò Kirishima, pallido in volto.
«Esatto»
scoppiò a ridere l'uomo, voltandosi a guardare il ragazzino
con una
follia agghiacciante negli occhi. «Ecco a voi, signori e
signore,
pronto per l'esibizione più spettacolare della storia: il
burattinaio!» annunciò con l'entusiasmo di un
presentatore,
accompagnando il tutto con un inchino, e lasciò infine
spazio solo
alle sue risate.
Nina
continuò a fissarlo con quel suo sguardo agghiacciante,
immobile,
incapace di muoversi. Ogni cosa faceva un male accecante e le sue
mani erano ormai inutilizzabili, ma la rabbia non le aveva ancora
abbandonato i muscoli.
«Avanti,
Nina. Non puoi certo negarlo... quegli occhi appartengono
più a noi
che a loro. La tua follia non appartiene a questo mondo di finto
perbenismo, questo mondo pieno di ingiustizie, dove chi si proclama
eroe in passato si dilettava a prendersi gioco di una ragazzina solo
perché inquietante. Come si chiamavano quei compagni?
Sbaglio o
c'era un certo Hiro a capo del gruppo? Adesso si fa chiamare Storm,
lo sapevi? Scommetto che lo sapevi. Non ti sarai persa neanche uno
degli articoli a lui dedicati, le interviste in cui si congratulavano
per il suo eroismo. Eroismo!» quasi urlò quella
parola, mosso da
un'irrefrenabile ilarità. «Come può
definirsi eroico colui che
umiliava e sottometteva un'innocente ragazzina che non desiderava
altro che vivere in pace? Dillo, dì che la pensi come me!
Hiro era
un bastardo, non ha niente di eroico nel cuore, eppure il mondo lo
acclama. Ti rendi conto? Non è accettabile e tu lo capisci
bene, ne
sono certo! Sei come noi, Nina. Lo sei sempre stata... e per questo
tua madre non ha scelto te».
«Ti
piace davvero tanto parlare, non è
così?» ringhiò Nina,
interrompendo il suo monologo. Un brivido lungo la schiena dell'uomo
e una bizzarra consapevolezza che si faceva strada dentro di lui: che
avesse commesso un errore?
«C'è
posto per un solo burattinaio a questo mondo»
sibilò con un ghigno.
Quell'uomo era stato per tutto il tempo in disparte, dirigendo i
giochi in silenzio, programmando ogni singola azione dall'esterno,
tendendo i fili di una trama che aveva portato esattamente dove
voleva lui: indebolirla dall'interno, arpionarla come lei faceva con
gli altri, renderla parte dei suoi giochi. L'aveva spinta a
commettere l'estremo atto di uccidere e ora tramite quelle parole
aveva cercato di manipolarla, di sottometterla, prenderne il
controllo. Ma lei conosceva fin troppo bene quel gioco, lo faceva da
quando era nata, nessuno avrebbe potuto usare su di lei la sua stessa
tecnica perché al mondo esisteva un solo burattinaio.
«Non
sei degno di questo palcoscenico» aggiunse lei, facendogli
correre
una gocciolina di sudore freddo lungo la schiena. Uno degli uomini
stesi a terra emesse un verso e con uno scatto si voltò di
lato,
tossendo e vomitando saliva.
"Non
li ha uccisi" constatò l'uomo, aumentando ancora di
più il
panico nel suo cuore. Aveva fallito, forse aveva sottovalutato
l'avversario, ma era stato certo fin dall'inizio di essere in grado
di raggiungere i suoi scopi. Ci era sempre riuscito, aveva imparato
dalla migliore, era sveglio, intelligente e potente abbastanza da
riuscirci. Non poteva aver fallito, eppure era così: Nina
non solo
non era caduta nella sua trama, ma l'aveva lei stesso intrappolato
nella propria. L'ombra del burattinaio, da quella prospettiva,
serrava la gola dalla paura.
«Conosci
la mia storia, la storia della mia famiglia»
osservò lei. «Imiti
il mio modo di fare, credendoti degno, e probabilmente è
qualcosa su
cui hai lavorato molto visto l'attenzione posta ai particolari. Mi
hai osservato e studiato a lungo, a quanto pare. Non mi importa
niente di chi tu sia e da quanto tempo mi tieni d'occhio, per quanto
mi riguarda potresti essere uno stalker come un altro, di fan fuori
di testa ne ho a bizzeffe. Sei uno come un altro. E non sei alla mia
altezza».
L'uomo
cominciò a tremare, ormai scoperto, ormai caduta la sua
maschera, si
sentiva così frustrato, così arrabbiato. Tutto
quel lavoro, tutto
quello che aveva fatto fino a quel momento lei l'aveva distrutto con
così poco. Come riusciva a essere così superiore?
Come poteva una
come lei decidere tutte le volte di restare dietro le quinte,
permettendo a uno come All Might di prendersi tutto il merito. Come
aveva potuto accettare di restare indietro, lei che ai suoi occhi era
la cosa più enorme che avesse mai visto. E lui, che tanto
aveva
fatto per raggiungerla, per superarla, veniva ora schiacciato come un
moscerino.
«Sei
tu che non sei alla mia altezza!» gridò lui,
furibondo, folle dalla
rabbia. Allungò una mano verso Metamorphosis, che
tornò a prendere
le sembianze di un lanciafiamme, e saltò nelle sue mani.
L'uomo si
voltò di scatto verso Iida, uno sguardo folle a decretare il
suo
desiderio a spazzarlo via, quel palcoscenico. Se non riusciva a
superarla, allora avrebbe distrutto ogni cosa. Senza marionette e
senza palcoscenico anche il migliore burattinaio del mondo diventava
un uomo inutile come un altro.
Avrebbe
distrutto ogni cosa.
Un
fremito nel cuore di Nina, il terrore di ciò che sarebbe
accaduto,
il dolore che le impediva di muoversi. Aveva usato tutta la sua forza
in quell'ultimo attacco, le mani facevano così male da non
riuscire
a sentirle, non era in grado di muoversi né di lanciare fili.
Ma
l'eco di quei fantasmi era così forte tra quelle mura.
Prenditi
cura di l...
Urlò
dal bisogno di trovare la forza o per il dolore che lo sforzo le
recava. Non le interessava sapere a chi fosse rivolta quella
preghiera, non le interessava sapere se quella elle
lasciata
in sospeso significasse lui, parlando a Machiko stessa, o lei,
rivolta a Toshinori. Non le interessava, perché tutto
ciò che
contava era il prendersi cura... sempre, di chiunque.
Si
lanciò su Iida, voltando le spalle al suo aggressore, e lo
avvolse
tra la braccia, spingedogli la testa contro la propria spalla,
proteggendogli il volto usando il proprio corpo come scudo. Un
abbraccio, delicato quanto deciso, che lo avvolse non solo nel corpo
per proteggerlo dal colpo fisico, ma proteggeva la sua anima. Un
abbraccio sicuro, che trasmetteva a gran voce la rassicurazione di un
"non temere, perché ci sono qua io".
Era
così avvolgente, che Iida non riuscì ad aver
paura di quanto stesse
accadendo. Aveva davvero la stessa potenza del sorriso di All Might,
tanto che per un attimo si chiese chi dei due avesse insegnato
all'altro come si faceva. Dubitando per un istante che il grande eroe
non fosse il reale creatore e artefice di quella magnifica aura che
era riuscito a costruirsi e che faceva così bene alla gente.
Quel
calore... era così puro.
Il
calore delle fiamme l’avvolse e Iida potè sentirla
lamentarsi per
il dolore, piangere, ma con un filo di voce, impedendo al suo nemico
di avere la soddisfazione di rendersi conto quanto fosse al limite.
Se non fosse stato per i suoi fili sarebbero morti entrambi
sicuramente, ma ancora una volta la tela del ragno aveva loro salvato
la vita, anche se a caro prezzo delle ultime forze di Nina.
«Kaboom»
mormorò lei, con un filo di voce, l'ultimo accenno di forza
che
aveva. Il sorriso sul volto, la sicurezza che anche in quella
situazione i suoi fili avevano avuto la meglio. Lo show andava avanti
secondo le sue previsioni.
«Muori!»
l'urlo di Bakugou echeggiò nell'intera stanza un istante
prima che
uno dei suoi colpi esplodendo travolgesse l'uomo che stava sparando
con Metamorphosis. Il getto del lanciafiamme cessò e l'uomo
cadde a
terra con un rantolo, facendo volare via Metamorphosis.
Cercò di
rialzarsi rapidamente, ma si trovò il palmo aperto del
ragazzino
puntato dritto in faccia, ancora fumante.
«Prova
e battere anche solo le ciglia e ti faccio esplodere quel brutto muso
che ti ritrovi» minacciò.
«Automa!»
gridò l'uomo, furibondo, e il compagno non si fece chiamare
due
volte, scattando verso il ragazzino.
«Fermo
dove sei, bellezza» una voce femminile, fresca e allegra,
anticipò
Automa che, sorpreso, deviò il colpo con un tale slancio che
cadde a
terra. Satsuki fece dei passi all'interno della stanza osservano uno
schermo luminoso sul proprio avambraccio, continuava a premere tasti
come impazzita, corrucciandosi. Di fronte a lei, Automa rispondeva a
ogni click con movimenti incontrollati e quasi comici, sobbalzando,
ribaltandosi, scalciando o tirandosi pugni da solo. Metamorphosis,
scaraventato dall'altra parte della stanza, tornò umano e
quatto
nell'ombra cercò di correre verso la finestra.
Heikichi,
sulla soglia della porta, volse a lui lo sguardo. Una fonte di
calore, un movimento, era uno stupido essere umano che tentava la
fuga e anche se nascosto dall'ombra e dalle macerie era più
che
visibile ai suoi occhi.
«Lady
Bug» chiamò al suo fianco e Akane sorrise, prima
di esclamare:
«Visto!» piegò leggermente le gambe,
prima di spiccare un salto
tanto lungo da riuscire ad arrivare dall'altro lato della sala, il
salto di una cavalletta di dimensioni umane. Gli atterrò
addosso e
lo sbattè a terra, puntandogli alla gola un pungiglione che
sporgeva
dal polso. La forza di uno scarabeo, le capacità di salto di
una
cavaletta, la silenziosità di volo di una farfalla e il
veleno di un
ape che le scorreva nelle vene: aveva dentro sé tutte le
qualità
che il mondo degli insetti poteva offrirle ed era sufficiente a
renderla una degli eroi più temuti di tutta Tokyo. Di contro
c'era
che non appena le temperature calavano leggermente lei perdeva tutti
i suoi poteri, come se gli insetti che dentro lei le davano la forza
morissero, ed era estremamente sensibile agli odori. «Hai mai
provato com'è essere punto da un'ape di dimensioni umane? Se
ci
tieni posso mostrartelo» disse lievemente minacciosa,
convincendo
l'uomo a restare steso a terra.
«Midoriya!
Todoroki! Siete salvi!» osservò Tokoyami,
guardando con sollievo i
due compagni alle spalle di Spectrum. Insieme a loro c'erano anche
Uraraka, Yaoyorozu e Ashido, che dopo aver incontrato i tre eroi
arrivati allarmati dalla chiamata di Nina li avevano accompagnati nel
luogo dove Iida aveva continuato a mandare il segnale GPS. Per strada
si erano imbattuti in Bakugou, intento a combattere da solo un gruppo
di uomini che sembravano ben intenzionato a intralciargli la strada,
e insieme avevano infine raggiunto Nina. Nina che ancora restava
immobile, le braccia inermi intorno al collo di Iida, la testa oltre
la sua spalla e l'intero corpo appoggiato al suo, ormai inerme.
«Nina!
Nina, rispondi! Aiutatemi! Non si muove, aiutatemi!» la
chiamò
Iida, allarmato, non potendo fare altro se non sostenere il suo peso
per evitare che cadesse a terra, avendo ancora mani e piedi legati.
Spectrum corse verso di loro e afferrò l'amica,
sorreggendola e
osservando il suo volto. L'espressione rilassata, che non sembrava
affatto quella di chi aveva combattuto una lotta sfiancante, ma gli
occhi chiusi e il respiro quasi impercettibile. Iida strinse i denti
e non riuscì a trattenere le lacrime che presero a rigargli
il viso,
stritolato dai sensi di colpa legati forse non solo a ciò
che era
appena successo, ma anche al fatto che non avesse mai avuto fiducia
in lei. Era stato ingiusto, solo perché spaventato dal suo
potere,
l'aveva trattata esattamente come quell'Hiro di cui aveva parlato
poco prima l'uomo a terra. Il ragazzo che si proclamava eroe, ma poi
la disprezzava e la combatteva senza che lei avesse mai fatto niente
per meritarsi un simile odio, se non essere incompresa. Era
terrificante, ma si era comportata come nessun'altro avrebbe fatto. E
nonostante lui l'avesse disprezzata a tal punto, lei si era quasi
fatta uccidere per quelle che considerava le sue "marionette
migliori". Si era quasi fatta uccidere per salvarlo, non
facendosi mancare niente dell'eroe che era in realtà anche
se
nessuno continuava a crederle.
«Sta
bene» disse Spectrum riuscendo a scorgere il calore del suo
respiro,
il calore nel petto derivante dalle pulsazioni del cuore, regolari.
«Ha solo perso conoscenza, ma è viva. Non
struggerti» disse
Spectrum, consolando il ragazzino in lacrime.
«Accipicchia
se sei complicato» sospirò Satsuki, ancora
impegnata a giocare con
Automa, grattandosi la testa confusa. «Probabilmente
dev'essere
perché non ho mai manipolato un automa prima d'ora, sei
incredibilmente affascinante! Ma tranquillo che nessuna macchina
è
incomprensibile per TechnoGirl, presto conoscerò ogni tuo
singolo
bit. Mi chiedo che razza di Quirk ti abbia ridotto a queste
condizioni».
«Solo
un'incredibile intelligenza legata all'ambizione
dell'immortalità»
spiegò l'uomo a terra, sotto il tiro di Bakugou. Il volto
rassegnato, di chi ormai sa di aver perso, non avrebbe più
lottato,
perciò non gli restava che scoprire le sue carte in tavola,
lasciando la scena nel migliore dei modi che conosceva. Il modo che
Nina gli aveva insegnato: dando spettacolo, prendendosi la sua scena,
nella speranza che almeno qualcuno all'interno della sala avesse
potuto applaudirlo alla fine dell'opera.
«Si
è costruito da solo quel corpo, impiantando il proprio
cervello e la
propria coscienza al suo interno, prima era solo un uomo come un
altro in grado di calcoli matematici folli».
«Da
brivido!» esclamò Satsuki, impallidendo.
Un
sorriso adornò il volto dell’uomo steso da Bakugou
e l'espressione
si fece rilassata, prima di sospirare affranto: «Non mi ha
nemmeno
chiesto come mi chiamo e quale Quirk io abbia. Nina, grandissima
Nina, mia adorata Nina, neanche immagini quanto ti abbia amata fin
dal primo giorno del nostro incontro, quando mi salvasti da
quell'incidente sul ponte. Tu probabilmente neanche ti ricordi di
quel bambino dagli occhiali spaccati che ti guardava ammaliato mentre
combattevi contro quel gruppo di criminali usando una sola mano,
mentre con l'altra mi tenevi tra le tue braccia».
«Wow,
una dichiarazione d'amore coi fiocchi» osservò
Satsuki, alzando un
sopracciglio derisorio per l'incredibile melodrammaticità di
quelle
parole. «Se fosse stata sveglia ti avrebbe firmato un
autografo».
«Scusami,
Romeo innamorato, spiegami perché diamine hai provato a
ucciderla
allora? Hai qualche rotella fuori posto?» chiese Akane,
dall'altra
parte della stanza, tenendo ancora in pugno Metamorphosis.
L'espressione dell'uomo mutò, trasformandosi in una colma
d'ira.
«Non volevo ucciderla!» urlò.
«È lei che si è buttata in mezzo!
Io la volevo solo con me! Volevo che capisse e si unisse alla mia
battaglia! Perché è quello che merita! Stupida!
Stupida che non
capisce la sua superiorità! Quel giorno mi salvò
la vita, sconfisse
parte dei criminali con una capacità sorprendente e
un'espressione
fantastica sul volto. Cominciai a desiderare ardentemente di
diventare come lei, volevo essere così eccezionale, ma poi
è
arrivato All Might!» pronunciò quel nome con un
ringhio. «Ha
concluso il lavoro che lei aveva già svolto brillantemente e
si è
preso tutta la gloria! Falso, bugiardo e vile! E lei» un
singhiozzo,
un rantolio, qualsiasi verso fosse gli uccise le parole in gola e
dovette prendere fiato per riuscire a concludere la frase,
cominciando a graffiare il pavimento dalla rabbia. «Lei si
è fatta
da parte. Con quel suo sorriso soddisfatto, come se avesse vinto lei,
si è fatta da parte e lo guardava prendersi il successo! Il
SUO
successo! Perché? Perché sei così
ottusa? Così stupida! Perché
guardavi lui e non hai degnato me di uno sguardo! Non mi hai nemmeno
chiesto il mio nome, mentre per un lurido stronzo come lui eri
disposta a rinunciare a tutto. Non è al tuo livello eppure
brillavi
per lui! Cos'ha che io non sono riuscito ad avere! Cosa?!»
gridò
furioso, sempre più agitato, sempre più folle, e
con sorpresa fu
Bakugou a rispondergli con una calma tanto innaturale da colpire nel
profondo: «Tu non sei in grado di spezzare i suoi
fili».
Era
tanto ovvio che non meritava nemmeno l'energia nel dirglielo, non
c'era niente da spiegare, niente da aggiungere, il motivo era quello,
semplice ed evidente. Solo chi dimostrava di essere in grado di
contrastarla, salendo sopra il palcoscenico, raggiungendola,
soprassandola, solo chi riusciva a non farla sentire sola e maledetta
meritava la sua ammirazione.
Il
respiro dell'uomo di fece sempre più serrato e con gran
fatica
riuscì a chiedere con voce roca: «Tu si?»
Chi
era quel ragazzino che la conosceva a tal punto? Chi era quel
ragazzino che aveva la risposta a una domanda che lui per anni si era
posto, quel ragazzino meritevole di un tale onore.
«Io
sì» disse Bakugou con sicurezza. Ci stava ancora
lavorando, ma non
era quello l'importante. L'importante era che ne fosse in grado, Nina
lo sapeva che lui poteva riuscirci e ciò bastava.
L'allenamento
l'avrebbe reso in grado di realizzarlo, ma ciò che importava
era che
lui avesse la capacità, che lui avesse alzato lo sguardo,
l'avesse
fissata sopra il suo palcoscenico e privo di paura avesse cominciato
a scalarlo per raggiungerla. L'aveva fatto il primo giorno, quando
era stato il primo a offrirsi volontario ed era riuscito subito a
comprenderla senza usare i trucchetti di Midoriya, semplicemente
osservandola aveva compreso ogni cosa anche se non la conosceva. Lui
era degno, ecco tutto.
«Capisco»
sospirò l’uomo a terra, tremando probabilmente
nella fatica di
trattenere qualche lacrima amara. «E così ha
scelto te».
Tanti
anni a rincorrerla, ad affinare la sua tecnica, a migliorarsi e
imparare ad essere esattamente come lei, osservando e seguendola
anche negli anni in cui aveva lasciato il suo lavoro di eroina per
concentrarsi su quello di cantante. Anni di ossessione e di duro
lavoro e poi un moccioso con ancora il pannolone lo superava con tale
facilità, prendendo il suo posto, diventando il suo
prediletto e
nuova stella da osservare dal lato strada. Tanto duro lavoro,
un'intera vita dedicata solo a lei, mandandole lettere a cui non
sempre rispondeva, email, seguendola in tournée, pagando
qualsiasi
prezzo per incontrarla nel backstage, lottando contro centinaia di
persone per riuscire anche solo a stringerle la mano, pregandola di
renderlo quel burattino prediletto a cui lasciare la scena ed
osservare mentre la folla lo acclamava... e uno stupido ragazzino che
neanche sapeva chi era, probabilmente, in pochi giorni aveva ottenuto
quello che lui aveva sempre desiderato. Così poco.
Così frustrante.
Ma se l'avesse superato, allora magari lei...
Allungò
una mano improvvisa verso il collo del ragazzino, uno sguardo folle,
omicida, e la chiara intenzione di usare il suo Quirk, qualunque esso
fosse, per distruggerlo. Se fosse fosse morto, se lui l'avesse
ucciso, avrebbe dimostrato a Nina di essere migliore... e anche se
non l'avesse fatto, almeno avrebbe tolto di mezzo chi gli aveva
calpestato in quel modo l'intera esistenza. Bakugou
indietreggiò con
la testa, ma riuscì comunque a vederla quella mano che lo
raggiungeva, che lo sfiorava e inutile fu il colpo che fece partire
dal suo palmo. La sua furia era tale da dare al braccio il giusto
slancio a raggiungerlo ugualmente. Ma la mano non raggiunse mai il
ragazzino, deviò, lo sfiorò e tornando indietro
rimase bloccata a
pochi centimetri dal proprio volto ustionato dall'esplosione di
Bakugou. Digrignò i denti, ma sorrise quasi compiaciuto:
«Dunque è
questa la sensazione che si prova. È così
disarmante e
terrificante, anche meglio di come l'avevo immaginata» e una
risata,
mista al dolore, gli gracchiò la gola.
«Psicopatico»
gli disse Nina, osservando l'uomo da oltre il braccio di Spectrum che
ancora la sorreggeva. Un occhio ancora chiuso, l'altro aperto a
malapena, il braccio disteso a terra ma il dito, l'unico che fosse
stata in grado di muovere, ben puntato a lui e al suo braccio ora
bloccato. Si era svegliata appena in tempo e aveva usato quel filo di
energie che gli erano rimaste per salvare Bakugou, deviando il colpo
dell'uomo.
«Non
ho idea di cosa tu abbia voluto fare con quella schifosa mano, ma non
ti permetto neanche di sfiorare la mia marionetta migliore. Potresti
insozzarla proprio prima del suo grande esordio, sarebbe
terribile»
sospirò, cercando di riacquistare le forze.
«Machiko!»
urlò Satsuki, correndo verso Spectrum e inginocchiandosi per
raggiungere l'amica. «Come ti senti?»
«Fresca
e riposata! Questa vacanza mi ci voleva proprio per riprendermi dalla
fatica del lavoro» ironizzò, allungando verso di
lei una mano
tremante. Satsuki l'afferrò e l'aiutò ad alzarsi,
portandosi il
braccio dell'amica intorno al collo. Heikichi, dall'altro lato fece
altrettanto ed insieme la tennero in piedi.
«Legate
quel pazzo, prima che possa decidere di togliersi la vita per
attirare la mia attenzione» disse Nina.
«La
tengo io, pensaci tu» disse Heikichi a Satsuki, che
annuì e lasciò
Nina sorretta solo dall'uomo. Corse da Yaoyorozu e si fece aiutare
dal suo Quirk per creare lacci e catene abbastanza resistenti da
usare per legare i criminali che giacevano ormai sconfitti. Heikichi
accompagnò Nina vicino a una sporgenza nel muro e
l'aiutò a
sedersi, per rimettersi in forze, mentre aspettava che Satsuki
terminasse di legare tutti.
«Siete
riusciti a trovarlo» osservò Nina, guardando
Midoriya ancora fermo
sulla porta che si agitava e chiedeva come avesse potuto aiutare.
«Non
è stato difficile, c'erano un gruppo di uomini a tenerli
sotto
sorveglianza ma nessuno di loro meritava l'allarme di terzo
livello».
«Nessuno...»
rifletté lei, cercando di rimettere insieme i pezzi.
«Vorrei
chiederti scusa per averti allarmato tanto, ma sinceramente non ci
riesco. Se non foste arrivati in tempo non so se ce l'avrei fatta a
portarli in salvo».
«Va
bene così, erano in molti e avevi bisogno di aiuto.
Indipendentemente dalla gravità della situazione, dovevamo
venire.
Dimmi solo una cosa... con allarme di terzo livello intendevi davvero
lui?
Credevo fosse morto».
«Lo
credevo anche io, ma pare che non lo sia» sospirò
Nina, cercando di
sgranchire la schiena dolorante. Ogni cosa faceva un gran male, era
ridotta a uno straccio, ci avrebbe messo mesi a guarire del tutto e
Drew le avrebbe rotto le palle per tutta la vita. Ma almeno i
ragazzini erano salvi e lei era riuscita ancora una volta a gestire
quel difficile palcoscenico.
«Quello
psicopatico conosce la mia storia e probabilmente sa di One For All,
per questo ha preso Midoriya» disse guardando l'uomo ancora
steso a
terra, ormai sotto shock e ancora intento a ridere come un folle.
«Che
c'entra Midoriya con One For All?» chiese Heikichi,
strabuzzando gli
occhi.
«Me
lo chiedo anche io, ma pare che Toshinori abbia visto del potenziale
in lui» sospirò Nina affranta.
«Bah» commentò infine.
«È
l'erede?» chiese Heikichi, sconvolto.
«Già.
Probabilmente quel folle lo sapeva, mi inquieta sapere di essere
stata stalkerata a tal punto. L'ha catturato per allarmarmi e
costringermi a venire qui di corsa. Sicuramente sa di questo posto,
di mia madre, e ha cercato di fare leva sulla mia
suscettibilità. Mi
dispiace, mi sono fatta influenzare» confessò,
ammettendo di aver
forse esagerato.
Ma
qualcosa ancora non era chiaro... "Perché Nomu?"
Era
una macchina di All For One, su quello non poteva pioverci. Aveva
tutte le caratteristiche che portavano a lui e al suo Quirk, la sua
capacità di rubare e impiantare poteri negli altri,
costringendoli a
diventare poi amebe incapaci di ragionare per l'eccessiva
sollecitazione. Le analisi portavano a lui, Nomu era una creazione di
All For One in tutto e per tutto e Bakugou aveva confermato che lo
fosse. Che fosse stato un caso? O magari un misero aiuto mandato da
All For One alla causa persa di un pazzo senza speranza? Forse sapeva
che chi voleva attaccare fosse proprio lei, la stessa Machiko che
aveva usato come ostaggio anni addietro per attirare e uccidere Nana.
Le
coincidenze erano troppe, ma ancora accettabili, soprattutto vista la
facilità con cui ne erano usciti, senza neanche aver bisogno
di All
Might.
"Perché
Nomu?"
«Siamo
pronti, andiamo» annunciò Satsuki, avvicinandosi
alla porta con
appresso i prigionieri, compresi quelli privi di coscienza, stesi in
un carretto creato sempre abilmente dalla piccola Yaoyorozu. Nina si
allungò per cingere il collo di Heikichi e aiutarsi
così ad alzarsi
e camminare dietro di loro, ma fu in quell'istante che lo vide. Il
sorriso sul volto dell'uomo psicopatico era cambiato. Era cambiato
così drasticamente da far venire i brividi: somigliava
così tanto
al suo.
«No»
mormorò nell'istante in cui tutto fu più chiaro.
Era una trappola,
era tutta una trappola fin dall'inizio per riunirne il più
possibile
in un unico punto e rendere lei più inoffensiva. Nomu non
era stato
un caso.
«Satsuki!
Via di là!» gridò troppo tardi,
nell'istante in cui un altro Nomu
sfondò il muro e li travolse. Le macerie volarono ovunque,
la stessa
Satsuki, insieme a Yaoyorozu e Uraraka al suo fianco vennero
scaraventate via, gli altri ragazzini vennero coinvolti dai colpi
delle macerie, dall'intensità della forza che Nomu aveva
usato per
entrare, facendoli cadere e volare in giro. Nina si portò
una mano
al viso, proteggendosi dalla polvere e dai calcinacci e
indietreggiò
insieme a Heikichi.
Un
uomo minuto entrò dietro l'essere gigantesco, vestito di una
semplice tuta e il corpo ricoperto di mani che lo stringevano. Una in
particolare, posta sulla faccia, impediva di scorgerne il viso, di
riconoscerlo, rendendolo un perfetto qualunque vestito di mani e un
paio di tubi che chissà a cosa servivano.
«È
permesso?» ridacchiò con la sua voce roca e
disarmonica come il
suono di un violino discordato. Rise, per quanto la sua apatia gli
consentisse, e con un inquietante divertimento chiese:
«Possiamo
unirci alla festa?»
I
want to hide the truth
I
want to shelter you
But
with the beast
inside
There’s
nowhere we can hide
No
matter what we breed
We
still are made of greed
This
is my kingdom come
When
you feel my heat
Look
into my eyes
It’s
where my demons hide
|
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Capitolo 30 *** Savin me, Nickelback ***
"Savin
me”, Nickelback
Nina,
inginocchiata a terra, incapace di reggersi sulle sue stesse gambe,
fissò l'uomo alla porta che seguiva Nomu. Non l'aveva mai
visto
prima, ma il cuore le urlava tutta la sua pericolosità.
Restava
immobile, alle spalle della sua arma umana, con una sicurezza e una
tranquillità che ghiacciava il sangue nelle vene.
«Machiko
Sakamoto» chiamò in uno sghignazzo.
«Allora sei venuta davvero,
non ci credo. Avevano ragione, sei identica a lui. Folle e
prevedibile come All Might, solo molto più sconsiderata e
ingenua»
e rise, divertito.
«Chi
diamine sei tu?» mormorò Nina a denti stretti,
lottando contro il
dolore, pregando il proprio corpo di resistere ancora un po'.
«Che
importanza ha?» ridacchiò ancora, grattandosi
nervosamente il
collo. «L'importante è quello che farò.
E io vi distruggerò, tu e
quel bastardo di All Might. Farò cadere questo mondo di
falsi
ideali».
Non
era All For One, se lo ricordava il volto di quel bastardo, e
quell'uomo che tanto sembrava un ragazzino nel comportamento non
aveva niente di lui se non le folli aspirazioni. Non sapeva chi era,
ma sicuramente era una via diretta che avrebbe portato a lui, o
avrebbe portato loro da lui, tutto dipendeva da come sarebbe andata a
finire. Lanciò un veloce sguardo intorno a sè,
osservando i
ragazzini che si rialzavano dalle macerie con il viso pallido,
guardando Nomu come se avessero visto un fantasma. Non aveva altra
scelta... il sipario non era ancora calato.
Si
alzò in piedi, barcollando, digrignando i denti dal dolore,
ma
riuscì a rimettersi in piedi.
«Spectrum,
il tuo Quirk è il più svantaggiato in un
combattimento. E loro non
hanno niente di elettronico addosso, anche TechnoGirl rischia di
avere difficoltà. Occupatevi dei ragazzini, portateli in
salvo. Io e
Lady Bug li terremo impegnati».
«Non
ti reggi in piedi, folle!» gridò Heikichi,
guardando l'amica con
preoccupazione.
«Io
difficoltà? Amica mia, mi sottovaluti!»
gridò Satsuki, afferrando
una capsula dalla propria cintura e lanciandola contro Nomu. Un paio
di rapidi pulsanti sul proprio avambraccio e la capsula volò
letteralmente su una spalla del mostro. «Non sono
inutile!»
Un
altro pulsante venne premuto e una scarica elettrica
attraversò
completamente il corpo di Nomu, facendolo urlare.
«Tsk»
sorrise soddisfatta Satsuki.
«Non
è così...» cominciò a dire
Nina, ma venne interrotta dallo stesso
Nomu che con un colpo si schiacciò la capsula sulla spalla
come
fosse stato un insetto e la distrusse. Un altro urlo e si
lanciò con
uno scattò incredibile contro Satsuki, pallida in viso,
incapace di
muoversi per l'incredulità di una tale forza.
«Satsuki!»
gridò Nina, lanciando i suoi fili contro la donna.
Riuscì ad
arpionarla e farla saltare via in tempo per schivare il potente pugno
dell'essere, subendone solo l'onda d'urto che fece comunque male ma
certo non come se fosse stata travolta completamente. Sbatté
la
schiena contro il muro, sputando per il terribile colpo, incapace
perfino di urlare per il fiato mozzo. Ma riuscì comunque a
resistere
e restare cosciente.
«TechnoGirl!»
chiamò Uraraka, preoccupata.
«Oh
no, Nina!» gridò Heikichi, afferrando l'amica
prima che potesse
crollare a terra. Dalla punta delle dita usciva sangue a fiotti e la
mano le faceva talmente male da tremare come impazzita. Il volto
corrucciato dal dolore, i lamenti che le uscivano dalla gola. Faceva
così male, faceva troppo male. Le sue mani erano allo
stremo, non
sarebbe riuscita a generare altri fili e lanciarli.
«Portali
via di qui, Heikichi!» gridò sforzando la voce a
tal punto che non
riuscì a mantenerne l'intonazione. «Devi portarli
via, te ne prego!
Porta via i ragazzini, ora!»
Una
tale disperazione non era sicuro di averla mai vista sul volto della
donna se non il giorno della morte di sua madre. Raramente permetteva
alle sue vere emozioni di uscire allo scoperto con una tale
facilità,
preferendo di solito nascondere tutto sotto uno sguardo apatico o un
sorriso sadico. La sua debolezza la proteggeva disperatamente, ma non
riuscì a farlo quella volta, consapevole del reale pericolo
che si
trovavano di fronte, disperata all'idea di veder morire anche solo
una di quelle persone. Nessun fantasma doveva aggungersi a quelli
già
presenti in quel luogo. Quel dolore raggiunse ogni angolo di quella
stanza, travolgendo chiunque fosse presente, e proprio quel dolore
probabilmente diede la forza ad Ashido di alzarsi in piedi e correre
verso il muro che dava sull'esterno. Nomu la vide e si
preparò a
correrle dietro, attirato dal suo movimento, pronto a colpirla.
«Ehy,
grassone! Da questa parte!» gridò Kirishima un
istante prima di
disintegrare un pezzo di muro crollato a terra, usando il suo
indurimento. Uraraka si lasciò cadere sui pietrigli,
toccandoli
tutti, facendoli galleggiare e man mano che salivano Iida li colpiva
a calci, usando il suo Quirk per aumentare la forza d'impatto,
trasformando ciascuno di essi in un vero e proprio proiettile. Un
attacco inutile dal punto di vista offensivo, al mostro facevano solo
il solletico, ma lo distrassero da Ashido che ebbe tempo, usando il
suo acido, di sciogliere la muratura e aprire una breccia che dava
sull'esterno.
«Corda
in arrivo, Tokoyami, fissala da qualche parte»
gridò Yaoyoruzo.
«Dark
Shadow, lassù, presto!» gridò Tokoyami,
facendo uscire dal suo
corpo l'ombra con cui condivideva l'esistenza. Dark Shadow prese la
corda di Yaoyorozu in bocca e volò verso un gancio che
sporgeva dal
soffitto, ideale al suo scopo, pregando solo che fosse abbastanza
fissato. Nel frattempo Nomu, offeso dai colpi di Iida, Uraraka e
Kirishima si preparò a corrergli incontro, urlando
furibondo, ma
un'esplosione di Bakugou lo travolse alla sua destra. Nomu si
voltò
a fulminarlo, decidendo di cambiare per l'ennesima volta il proprio
obiettivo. Alla sinistra anche Todoroki diede il suo contributo,
lanciandogli contro una lastra di ghiaccio, bloccandolo al suo
interno. Nomu con un urlo riuscì a liberarsene, ma venne
ancora
colpito da pietrigli ed esplosioni. Nessuno di loro era in grado di
intaccarlo, ma riuscivano a guadagnare tempo approfittando del poco
cervello di Nomu per confonderlo e continuare a fargli perdere tempo.
«Ragazzi»
sibilò Nina, lasciandosi scappare una lacrima. La paura li
attanagliava, glielo leggeva in volto, erano terrorizzati e avrebbero
sicuramente preferito decine di volte lasciare il lavoro agli eroi
professionisti ma avevano ascoltato il suo grido disperato e volevano
solo realizzarlo. Con ogni mezzo che avevano, come lei gli aveva
insegnato, andando oltre ogni limite, sfruttando ciò che
avevano
intorno a loro vantaggio in qualsiasi fantasioso modo. Solo per
aiutarla, riuscire a scappare e aiutarla a stare meglio.
Un
sorriso le nacque sul volto, un sincero sorriso colmo di
felicità,
inondato da lacrime che non riuscì a trattenere in nessun
modo. Non
sapeva se Toshinori avrebbe avuto ragione, se andarsene qualche
giorno dopo sarebbe stato un duro colpo per quei ragazzi, se si
fossero veramente affezioni, ma sapeva che lei lo era in un modo che
raramente le era capitato.
Akane
si alzò da terra, scuotendosi via le macerie di dosso e
guardò il
mostro con lo sguardo infervorato.
«Protetta
da dei ragazzini. Che vergogna per un eroe del mio calibro»
sghignazzò un istante prima di saltare come una cavalletta
verso
Nomu. Urlò, trovando in esso la forza, e scoprì
il proprio
pungiglione su entrambi i polsi. Colpì Nomu e si
affrettò a
piroettare sopra la sua testa, prevedendo, come esattamente accadde,
un suo colpo. Era un senza cervello, andava avanti per istinto e se
una mosca infastidiva l'istinto diceva di colpirla. Bastava cambiare
direzione, sempre, comunque. Un altro urlo e un altro colpo,
penetrando nella pelle di Nomu e saltò ancora, facendo in
modo che
altri massi gli arrivassero in volto a infastidirlo.
«Corda
fissata! Presto, di qua, ragazzi!» urlò Yaoyorozu,
permettendo ad
Ashido di calarsi per prima. Tokoyami fu il secondo, seguito da Iida,
Uraraka e Kirishima. Dietro di loro anche Todoroki e Midoriya, ma il
primo non si allontanò prima di aver congelato parte del
suolo,
intrappolando le gambe di Nomu in una fitta lastra di ghiaccio.
«Questo
ci darà qualche secondo di vantaggio» disse, prima
di scappare via.
«Buona
trovata, Todoroki-kun!» disse Yaoyorozu, continuando a
dirigere
l'evacuazione.
«Credete
davvero che vi permetterò di andar via tanto
facilmente?» disse
Shigaraki.
«Ne
arrivano altri!» gridò Heikichi, riuscendo a
cogliere il calore
corporeo oltre al muro. Un urlo da parte di Ashido, quasi in fondo
alla corda, e un ordine terrorizzato: «Su!!! Torna su!!! Non
scendete!»
«Bakugou!»
gridò Nina al ragazzino che, come in grado di leggerle la
mente,
saltò giù dal buco creato da Ashido, aiutato
dalle sue esplosioni
per restare a mezz'aria. Volò verso il suolo, verso Ashido
che era
seguita da un gruppo di uomini che ridendo risalivano la corda e
allungavano le mani per afferrarli.
«Se
ve la fate sotto, toglietevi dai piedi e lasciate fare a chi ci sa
fare, incompetenti!» disse Bakugou, puntando il proprio palmo
contro
il primo nemico e sparò un colpo.
«Muori!!!»
L'uomo
cadde al suolo, completamente ustionato e fuori combattimento, ma il
comportamento di Bakugou ebbe un effetto contrario non previsto: la
corda, travolta dall'esplosione, cominciò a bruciare.
«Bakugou,
imbecille!» gridò Ashido terrorizzata, cercando di
correre
rapidamente verso l'alto ed evitare di perdere la presa su una corda
che andava lentamente consumandosi. Urlarono, terrorizzati e
consapevoli che non sarebbero mai riusciti a risalire in tempo prima
che la corda venisse completamente bruciata. Ashido fu la prima a
mollare la presa, bruciata alle mani, e cadde verso il suolo urlando.
Subito dopo di lei anche tutti gli altri, dimenandosi per aria per
cercare qualsiasi appiglio avesse potuto aiutarli. Uraraka con
rapidità toccò Iida, di fianco a lei e
usò il suo stesso potere su
se stessa, galleggiando e portando tutti e due verso terra con
lentezza. Un peso tale era difficile da sostenere e il tempo di
atterraggio avrebbe richiesto qualche secondo di troppo, aveva
già
usato molto potere per far volare le pietre, sapeva che non ne
sarebbe uscita senza vomitare, ma avrebbe resistito. Oltre ogni
limite.
Bakugou
volò verso Kirishima, che si aggrappò a lui e
riuscì così a
sfruttare le sue esplosioni per non cadere giù e farsi
portare in
basso in tutta sicurezza. Ma le mani di Bakugou erano impegnate a
generare esplosioni su esplosioni, non poteva afferrare nessuno e
oltretutto non era abituato a controllare quella sua
capacità con un
peso aggrappato al collo e continuava a barcollare, inveendo contro
il ragazzino come fosse colpa sua. Todoroki, Yaoyorozu, Midoriya,
Ashido e Tokoyami rimasero senza aiuto e senza idee per riuscire a
impedire la caduta e si limitarono a urlare, disperati, non sapendo
cos'altro fare. Fino a quando non sentirono il formicolio familiare
che annunciava l'aggancio di Nina e la loro caduta fu interrotta da
quei fili che, tremanti, li tenevano ben serrati. Alzarono lo sguardo
e la videro, sporgente dal buco nel muro, la mano destra tesa verso
di loro e il sangue che colava giù da quei fili invisibili.
Il volto
contratto in un'espressione di dolore, un dolore che neanche
riuscivano a immaginare quanto fosse terribile. Era come se le si
stessero staccando le dita, lentamente, con delle pinze. Poteva quasi
sentire le giunture delle propria ossa che si staccavano, i muscoli
lacerati lentamente, filamento per filamento e il sangue che non
smetteva di colare. Strinse i denti e cercò di respirare
profondamente, concentrandosi su quel disperato tentativo di
salvataggio. Alle sue spalle la battaglia continuava, spietata, tra
Lady Bug, TechnoGirl e Spectrum contro Nomu e quattro scagnozzi di
Shigaraki. Sotto i ragazzi altri nemici sembravano pronti ad
aspettarli, già ridendo per il vantaggio in cui erano
palesemente
finiti. Presto i ragazzini sarebbero caduti e loro li avrebbero
aspettati, se solo avessero avuto la sfortuna di non morire sul
colpo. Passi pesanti alle sue spalle e Nina, pallida in viso,
consapevole del pericolo che le stava correndo incontro, si
voltò a
guardare la morte in faccia. Nomu la colpì con un calcio,
facendola
volare fuori dal buco di Ashido insieme al resto dei suoi ragazzi.
«Nina!»
gridò Heikichi, guardandola terrorizzato.
«Aggrappati
a me!» gli parlò sopra Akane, allungando una mano
verso di lei, ma
il nemico contro cui stava combattendo la colpì, impedendole
quel
disperato tentativo di salvataggio. Nina guardò il pavimento
che si
allontanava e i suoi piedi che lentamente ciondolavano nel vuoto,
sempre più distante, sempre più in pericolo e
Nomu che in quel suo
volto apatico sembrava stesse ridendo di lei. Lanciò i suoi
fili con
la mano sinistra, disperata, arpionando il suo aggressore stesso,
l'unico a cui riuscisse ad arrivare, ma lui indietreggiò,
rientrando
e spezzò con facilità quei fili con la sua forza
sovrumana.
Cadde.
Allungò
una mano verso l'alto, disperata in quel vano tentativo di afferrare
qualsiasi cosa avesse potuta tenerla, impedire di precipitare, ma il
vuoto le attanagliava lo stomaco. I suoi fili, deboli e pochi, non
solo trovarono niente a cui aggrapparsi ma non ne avrebbero neanche
avuta la forza. Il cuore in petto che batteva così forte da
fare
male, il respiro che mancava, una lacrima che le volava via dal viso
mostrandole in un decimo di secondo un'altra scena, vecchia
vent'anni. Il cielo che si allontanava, le urla, e quell'orribile
sensazione di solitudine. Di fine.
«T...»
balbettò ma la voce le morì in gola, per la
paura, per il vuoto
della caduta, per la sensazione di fine che ormai le aveva tolto ogni
singolo briciolo di forza o forse per la consapevolezza e la paura
che l'ultima volta che aveva provato a chiamare il suo nome, lui non
era venuto a salvarla. L'aveva lasciata cadere e stava continuando a
farlo. Fece così male che non ebbe neanche la forza di
urlare, di
lottare, di piangere. Smise di sentire le preghiere dei ragazzini
sotto di lei, smise di sentire il suo stesso dolore, già
morta prima
che potesse esserlo veramente, con una mano allungata ad afferrare il
cielo vuoto.
«Sono
qui».
Quella
voce, delicata e sicura vicino alle sue orecchie, un sussurro che
arrivò dritto al petto. E come in un incantesimo quello
specchio che
rifletteva sempre la stessa immagine, orribile e dolorosa, di quella
caduta al ristorante vent'anni prima dove era stata abbandonata del
tutto dall'uomo più importante della sua vita, venne
infranto. Tutto
crollò, lasciando spazio al volto di All Might che compariva
nel suo
campo visivo e l'afferrava. Finalmente, dopo vent'anni, l'afferrava.
Un'altra
lacrima le sfuggì dal viso, ora meravigliato, incapace
persino di
sorridere. Sentì le sue braccia avvolgerla e stringerla
delicatamente a sé, proteggerla.
«Ti
ho sentita» disse con un sorriso, un vero sorriso e non
quello di
cui si mascherava tutte le volte. Era riuscito a sentirla, aveva
curato quell'orribile ferita, aveva rimediato ai suoi errori e
finalmente la sua voce che lo chiamava colma di disperazione era
riuscito a sentirla. L'espressione di Nina si lasciò
travolgere da
un sentimento tanto potente quanto incomprensibile:
felicità,
sollievo, paura che veniva lasciata finalmente andare. Seppe solo che
la fecero scoppiare a piangere come poche volte aveva fatto.
Schiacciò il volto sul suo petto, strinse la sua tuta tra le
dita e
si lasciò andare a singhiozzi e urla disperate. Toshinori la
guardò,
sollevato nel vederla ancora viva e intenerito da quel pianto quasi
infantile, e si occupò da solo di portare a termine quel
salvataggio. Afferrò i fili di Nina e con un
«Opplà» lanciò
letteralmente i ragazzini, ancora appesi a lei, dentro una finestra
aperta del secondo piano di un edificio di fronte, facendoli
così
atterrare al sicuro lontano dal gruppo di nemici che li aspettavano
nel cortile. Infine anche lui atterrò, entrando in una
finestra del
terzo piano, mettendo finalmente a terra Nina.
«Perdonami
se ci ho messo tanto» disse, afferrandole una mano con
delicatezza e
studiandone la situazione. Non l'aveva mai vista così mal
ridotta,
vederla ferita a tal punto faceva un tale male, ma almeno era salva.
«Sono venuto non appena Mineta e gli altri mi hanno trovato.
Ho
fatto il più velocemente possibile».
«Ci
sono i Nomu» disse Nina con agitazione, ignorando le sue
scuse.
«Toshinori, All For One è qui! O almeno i suoi
scagnozzi! Vogliono
ucciderti... qui!» sottolineò quell'ultima parola,
facendo ben
capire all'uomo quanto fosse importante che avessero scelto proprio
quel posto.
«Nina»
mormorò lui, serio in volto, ma lei parve una mitragliatrice
e
continuò sempre più infervorata, sempre
più terrorizzata: «Tu non
hai più la stessa forza. Non puoi combatterlo! Devi andare
via! Ti
uccideranno! Chiama gli altri eroi!»
«Stanno
già arrivando tutti» disse All Might, ma ancora
una volta Nina gli
parlò sopra, pregandolo sempre più animatamente:
«E allora va’
via! Che aspetti? Non dovevo farti chiamare, non immaginavo cosa ci
aspettava, sono stata ingenua. Scusami per averti scomodato, ma ora
va’ via, o...»
«Macchan!»
disse imperativo e fu proprio sentirsi chiamare in quel modo a
bloccarla, come tutte le volte che da ragazzini la richiamava per
correggere qualche suo comportamento sbagliato. Sorrise,
rassicurante, di quel suo enorme sorriso e Nina non riuscì a
capire
se stesse mentendo o meno, ma decise di accettarlo.
«Se
riesci a camminare vai e mettiti in salvo insieme ai ragazzi, gli
altri professionisti sono alle porte del cantiere, sono già
qui.
Devi farti curare».
«Toshinori»
provò a parlare, ma venne interrotta: «Va tutto
bene!» e ancora
quel maledetto sorriso. «Adesso ci sono qua io».
«Non
ti lascio solo» disse lei, ma non fece in tempo a dirlo che
All
Might saltò via dalla finestra, per raggiungere l'edificio
di fronte
dove lo stavano aspettando Nomu, Shigaraki e gli altri.
«Aspettami!»
provò a gridare inutilmente, Nina, allungando una mano nel
vuoto.
All
Might entrò trionfante dallo stesso buco che Ashido aveva
creato per
permettere a loro la fuga, facendo tremare per un attimo l'intero
palazzo, e si guardò attorno. Spectrum era ormai a terra,
gli
occhiali che si serviva per gestire il suo potere al meglio erano in
frantumi e lui gli giaceva accanto, privo di coscienza. Lady Bug
continuava a volare da una parte all'altra della stanza, ormai
stremata, perdendo sangue ovunque si poggiasse, ma irrefrenabile nel
suo colpire incessante tutto ciò che gli capitava a tiro e
TechnoGirl si occupava di proteggere il corpo esanime del marito con
una barriera magnetica che non avrebbe retto ancora per molto. In
tutto questo Nomu continuava a tirare pugni, Shigaraki a ridere ed
osservare soddisfatto gli altri quattro che si accanivano sulle
uniche due ancora in piedi.
«Va
tutto bene, adesso» annunciò a gran voce con un
tono greve e
minaccioso. Si sollevò, ergendosi in tutta la sua stazza
e
puntò lo sguardo minaccioso al gruppo di delinquenti davanti
a sé.
«Perché ci sono io!»
«All
Might» mormorò TechnoGirl, con gli occhi lucidi
per la gioia.
Finalmente era arrivato, finalmente avrebbe risolto quell'orribile
situazione. Quel mostro non andava giù neanche col veleno di
Akane e
li aveva quasi sterminati, erano allo stremo, ormai al limite. Ma
finalmente lui era lì e tutto si sarebbe risolto.
«TechnoGirl,
ragazzi. È passato tanto tempo. Avrei solo voluto
rincontrarvi in
un'altra occasione» confessò, sorridendo in quel
suo modo sicuro e
rassicurante.
«All
Might» piagnucolò Akane, felice di vederlo come
mai lo era stata
prima di quel momento.
«Shigaraki!
Ci riprovi, un'altra volta, eppure questi tuoi scagnozzi li avevo
già
sconfitti una volta. Cos'è cambiato, ora?»
«È
cambiato che ora ci sono io» a parlare fu l'uomo folle che
Nina
aveva già sconfitto, prima che arrivasse Shigaraki. Si era
lasciato
legare ed era rimasto fino a quel momento in disparte, senza prendere
parte alla battaglia, semplicemente aspettando in silenzio e
osservando. Ora il suo volto trasmetteva la stessa follia che Nina
aveva provato a zittire poco prima, senza successo. L'uomo dei suoi
incubi era lì, di fronte a lui, l'uomo che aveva costretto
la
fantastica Nina a farsi da parte e si era preso tutta la gloria in
suo nome. Non aveva dimenticato quel sentimento di folle vendetta che
gli circolava nelle vene: quel bastardo di All Might, era lui la
causa del ritiro di Nina dall'attività di eroina, lui
l'aveva
ridotta a un'insulsa vita di secondarietà quando non
meritava altro
che il trono di Regina.
«Mi
basterà toccarti, anche solo sfiorarti e sei
morto» sghignazzò, in
preda alla follia.
«Non
ho idea di chi tu sia, ma non credi che rivelarmi un dettaglio tanto
importante possa metterti in svantaggio?» chiese All Might,
per
niente intimorito.
«No,
io credo di no», sghignazzò lui.
«Sono
arrivati. Tutto procede secondo i piani» disse Shigaraki,
sentendo
il rumore degli elicotteri sopra le loro teste.
«Ci
osservano, il mondo intero ci osserva, sei pronto grande eroe a
morire di fronte all'intero mondo?» rise l'uomo, puntandogli
un dito
contro.
«Hai
chiamato la televisione?» mormorò All Might,
sconvolto.
«Ti
annuncio, mio caro All Might, che il nome della persona che ti
distruggerà di fronte al mondo intero è Steve.
Steve Fox» e
ghignò, divertito ed eccitato per quel nome che palesemente
non era
suo ma si era costruito su misura. Osservò a lungo
l'espressione di
All Might, aspettandosi di vederlo esplodere, probabilmente di
capire. Ma dopo qualche secondo di riflessione Toshinori ammise,
quasi dispiaciuto: «Perdonami, ma dovrei
conoscerti?»
«Come
sarebbe a dire?» ringhiò Steve, facendo scattare
ogni nervo del suo
corpo.
«È
il nome del figlio di Nina Williams nel gioco di Tekken, non te lo
ricordi?» spiegò Satsuki, sbuffando per la poca
memoria di
quell'uomo, lasciando successivamente uscire tutto il suo disappunto
per la faccenda: «Sei malato per Nina a tal punto?»
chiese a Steve,
storcendo il naso.
«Sai
da dove viene il suo nome?» chiese All might, sbalordito e
preoccupato.
«So
questo e molto di più... One For All»
ghignò Steve e il sentirsi
chiamare in quel modo diede l'allarme ad All Might. Sapeva di One For
All, sapeva di Nina, sapeva sicuramente anche di quel luogo... quello
Steve, per quanto sembrasse fuori di testa e completamente pazzo,
rischiava di essere più pericoloso di quanto avesse
immaginato. E
ancora non aveva capito quale fosse il suo pericoloso Quirk in grado
di ucciderlo solo sfiorandolo. A prima vista sembrava solo un
deficiente, ma qualcosa gli diceva di far attenzione. Si mise
in posizione, pronto a cominciare a combattere e assunse una seria
espressione concentrata.
«Nomu»
chiamò Shigaraki. «Adesso basta con le
chiacchiere. Voglio vederlo
sanguinare».
L'edificio
intero tramava, sotto i colpi di All Might contro Nomu. Ogni singolo
pugno provocava un'onda d'urto spaventosa e i due continuarono a
combattere, colpo dopo colpo, senza che nessuno cedesse e nel
frattempo Steve continuò ad osservarli ghignando, leccandosi
le
labbra, pronto a fare la sua mossa. Tutto quello non faceva che
aumentare l'agitazione di All Might che cominciò a chiedersi
quando
avrebbe attaccato e soprattutto in che modo, come si sarebbe difeso?
Poteva quel misero potere che gli era rimasto in corpo bastare a una
simile lotta? Poteva ancora sconfiggerlo quel Nomu che la prima volta
l'aveva quasi prosciugato? Non perse tempo e decise di usare la
stessa tecnica usata la prima volta, colpo su colpo, cercando di
portare quel mostro al limite della sua forza. Allungò il
braccio
quando ormai sentiva di essere arrivato all'obiettivo, Nomu stava
cominciando a cedere, bastavano pochi colpi. Una leggera folata di
vento e si voltò alle sue spalle, osservando Steve che
allungava una
mano a palmo aperto verso la sua schiena. Quando era arrivato? Cosa
gli avrebbe fatto? Deglutì, un attimo terrorizzato, e si
voltò per
colpirlo e allontanarlo. Un attimo di distrazione, fatale. Nomu
davanti a sé lo colpì tanto forte da lanciarlo
fuori dall'edificio,
facendolo cadere nel cortile. Travolse un paio di quei nemici che
ancora si trovavano lì, intenti a lottare contro i
professionisti
accorsi in loro aiuto, scavando un solco nel suolo per più
di venti
metri. Si rialzò lentamente, digrignando i denti e
scrollandosi le
macerie dalle spalle. Osservò l'edificio da cui era volato
via e
vide Nomu saltare per raggiungerlo, a pugni chiusi, pronto a colpirlo
ancora.
«Detroit
Smash» gridò All might, lanciando un pugno in
avanti e pregando di
avere la forza necessaria a contrastarlo. La sua benedizione fu
vedere Nomu perdere per un istante il controllo di sé, come
se
avesse perso l'equilibrio, e l'onda d'urto del suo colpo lo travolse
in pieno. Si voltò verso l'edificio dove aveva lasciato
Nina,
sentendo che in qualche modo lei c'entrava con tutto quello: la
risposta alla sua domanda venne quando la vide affacciata alla
finestra, sorretta da Yaoyorozu, che urlava per il dolore tenendosi
una mano. Aveva usato il suo potere ancora una volta e l'aveva fatto
solo per aiutarlo mettendo ancora una volta a repentaglio se stessa.
"Macchan"
pensò preoccupato. "Ti prego, va' via".
«Portami
lì, Momo. Devo andare da lui» digrignò
i denti Nina, rialzandosi
nuovamente.
«Non
puoi farlo, sei ormai stremata, hai perso troppo sangue!»
«Tu
non capisci! Devo andare lì, in quel dannato cortile!
Io...» una
lacrima le uscì dagli occhi. «Non posso stare di
nuovo a guardare»
sibilò, completamente in preda al dolore.
«Non...
non puoi» mormorò Yaoyorozu, guardandola
addolorata. Era a pezzi,
non sarebbe stata di nessun aiuto, non poteva fare niente e se si
fosse sforzata ancora avrebbe rischiato la vita. Il suo senso del
dovere la obbligava a portarla dai soccorsi, eppure vederla in quelle
condizioni faceva così male. Cosa la spingeva a soffrire
così
tanto?
Midoriya,
pochi passi più indietro, strinse i pugni, avvolgendosi di
una
strana sicurezza e li superò a corsa. Si piazzò
di fronte a Nina,
inginocchiandosi, e infine le porse la schiena.
«Che
fai? Midoriya?» chiese Yaoyorozu, sorpresa. Il volto del
ragazzino
era così serio, così corrucciato e non sembrava
esitare
nell'assecondare le folli richieste della donna morente. Nina lo
guardò sorpresa tanto da smettere perfino di lamentarsi.
«Ti
porto lì» disse Midoriya. «All
Might...» balbettò lui, cercando
una giustificazione in un'espressione colma di sofferenza e dolore.
Non poteva dirlo ad alta voce, ma lui sapeva che non ce l'avrebbe
fatta, che non era così forte come faceva credere. Aveva
bisogno di
aiuto, la prima volta contro Nomu era stato così, e loro non
potevano restare a guardare mentre cercavano di annientare One For
All ancora una volta. Nina si lasciò cadere sulla schiena
del
ragazzino e gli avvolse il collo con le braccia, tenendosi ben salda
a lui. Midoriya si rialzò, tenendo la donna sollevata per le
gambe,
e prese a correre lungo le scale cercando di raggiungere il
cortile il prima possibile. Quel ragazzino che tanto detestava, che
gli stava portando via la cosa più importante che avesse,
era stato
l'unico ad ascoltare la sua richiesta d'aiuto e comprenderla. Strinse
i pugni, frustrata ma colpita da quel gesto. Era un cagasotto,
l'aveva sempre sospettato, eppure correva a perdifiato verso il
pericolo a testa alta solo perché qualcuno gli aveva
implorato di
aiutarlo. Faceva cose stupide, solo per aiutare chiunque. Era
così
simile a Toshinori, maledizione!
Prison
gates won't open up for me
On
these hands and knees I'm
crawlin'
Oh,
I reach for you, well I'm terrified of these four
walls
These
iron bars can't hold my soul in
All
I need is you,
come please, I'm callin'
And,
oh, I scream for you
Hurry,
I'm
fallin',
I'm
fallin'
NDA.
SONO
TORNATA!!!......... No, non è vero, è una bugia.
Avevo un’oretta
libera oggi e così ne ho approfittato per pubblicare questo
nuovo
cap. Mentirei se vi dicessi che da oggi tornerò
regolarmente,
probabilmente ci saranno altri buchi più o meno lunghi, ma
ho una
buona notizia per voi! (forse).
La storia è quasi finita. Mancano
pochissimi capitoli, perciò siamo alla resa dei conti e
anche se per
i prossimi ci vorrà qualche giorno in più per
averli però sapete
che non morirete mesi o anni per sapere come andrà a finire
xD
Passando
alla storia! … in realtà non ho molto da dire su
quanto sta
succedendo qui, penso che il capitolo dica già tutto. Avevo
pensato
di fare delle NDA articolate, con spiegazioni e riflessioni, ma ora
sinceramente non mi viene più niente ._.
Vabbè,
mi limiterò semplicemente a ringraziarvi, come sempre, ma
ora più
che mai! Nonostante la mia negligenza e il mio rallentamento nel
pubblicare le visual non sono diminuite e Nathly è come
sempre
presente *-* meraviglia. Grazie davvero!
Vi
abbraccio tutti.
A
presto <3
Ray
|
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Capitolo 31 *** Somebody to die for, Hurts ***
"Somebody
to die for”, Hurts
All
Might al centro del cortile stava ancora combattendo contro Nomu,
colpo su colpo nel disperato tentativo di eliminarlo prima che la sua
forza lo abbandonasse del tutto. Del fumo usciva dalle sue braccia,
segnale che cominciava a cedere. Che fosse lui più debole o
il Nomu
più forte non aveva importanza, sapeva solo che doveva
concludere il
prima possibile e allontanarsi quanto prima, lontano da telecamere,
lontano dagli sguardi di chi aveva attorno, i suoi studenti compresi.
«Colpisci!»
ordinò Nina a Midoriya, osservando il campo di
battaglia di
fronte a sé.
«Eh?»
chiese Midoriya, sbarrando gli occhi. Se l'avesse fatto sarebbe
nuovamente andato in pezzi: non era ancora in grado di controllare
propriamente quel potere. Nina si allungò e gli
afferrò un braccio
con prepotenza, usando la sua sola forza per restare aggrappata al
ragazzino.
«Ti
aiuto io! Calibrerò l'energia dei tuoi muscoli, ma tu devi
colpirlo.
Ora, quando non si aspetta un attacco alle spalle!»
Midoriya
strinse i denti, pensieroso e anche un po' spaventato, ma deciso a
fidarsi.
«Ascolta
la voce nel tuo petto. Il potere che ti cresce nella pancia, contrai
i muscoli, tienilo a bada, concentrati. Sei tu il padrone di te
stesso, nessun'altro, Deku! Lunghi passi, minor fatica e maggior
resa, ricorda. Lascialo uscire ma nel limite del tuo braccio, non
andare oltre, non lasciarlo andare oltre! Non aver paura»
quell'ultima frase, così rassicurante, e la presa di Nina
sul suo
avambraccio si fece più solida. «Ci sono io con
te».
Midoriya
prese a correre verso il nemico, l'energia che cominciava a
scorrergli nelle vene la sentiva quasi bruciare, e la presa di Nina
sul proprio braccio era più rassicurante di quanto si
sarebbe mai
aspettato. Saltò, raggiungendo il nemico, tirò
indietro il pugno e
infine lo lanciò in avanti con una potenza mai usata prima.
«Smash!!!»
gridarono all'unisono lui e Nina, alle spalle del nemico. Il colpo
fece vibrare i muscoli della schiena di Nomu, destabilizzandolo, e
questo permise ad All Might di sfondare la sua guardia e colpirlo
dritto in faccia, lanciandolo contro l'edificio di fronte.
«Non
si è rotto» osservò Midoriya con
sorpresa, guardandosi il braccio
illeso.
«Ha
funzionato! Sei davvero riuscita a limitarmi» disse
entusiasta,
rivolto a Nina.
«Io
non ho fatto proprio un bel niente» rise lei, scendendo dalle
spalle
di Midoriya. Stare in piedi era così difficile, le gambe
tremavano,
le ginocchia facevano un male cane, ma non sarebbe caduta. Non in
quel momento. Sarebbe morta piuttosto.
«Cosa?
Ma hai detto...» balbettò Midoriya, non capendo.
«Io
sono in grado di inviare scariche elettriche, i muscoli li faccio
contrarre non so gestire la tua energia».
«Mi
hai ingannato!!!» urlò terrorizzato il ragazzino,
rendendosi conto
che aveva appena rischiato di morire.
«Eppure
è bastato smettere di fartela nei pantaloni per tirarlo quel
cazzo
di pugno» disse lei e quello gli riportò alla
mente qualche giorno
prima, quando lei in palestra gli aveva urlato furibonda di tirarlo
quel pugno e lui, allora, non ci era riuscito. Neanche ci aveva
più
pensato a quell’episodio, invece lei, anche in un momento
come
quello, aveva giocato le sue carte arrivando dove aveva desiderato
fin dall’inizio. Come riusciva a controllare tutto? Come
riusciva a
vincere sempre? Era così inquietante. La sua
capacità di
manipolazione faceva venire i brividi.
«Ora
sei pronto» disse facendo alcuni passi verso il centro del
cortile,
dove c'era uno spaventato e preoccupato All Might a guardarla.
«One
For All».
Erano
quelle le parole dell'ex erede, della figlia di Nana Shimura,
creatrice di All Might. Le parole che simboleggiavano il suo
consenso: Midoriya poteva tenerselo quel potere, a lei ora stava
bene.
«Nina,
devi andartene» disse All Might, guardando la donna.
«Sei
tu che devi andartene! Lo sai bene, eppure non l'hai fatto. Beh, non
aspettarti che io ti ascolti dopo questo».
Nomu
dall'altra parte del cortile si rialzò con un urlo e prese a
correre
nella loro direzione, tornando all'attacco. All Might non
l'aspettò
e gli corse incontro a sua volta, superando Nina. La donna fece un
sospiro e socchiuse gli occhi, lasciando che la concentrazione le
prendesse completamente.
Prenditi
cura di l...
"Mamma...
riesco ancora a sentirti" un formicolio lungo la schiena, la
sensazione di avere delle mani rassicuranti sulle spalle e
trasmetterle la forza necessaria ad andare avanti ancora.
«Plus
Ultra» mormorò prima di riaprire gli occhi e
guardare Nomu e All
Might che riprendevano a prendersi a pugni. Lanciò i suoi
fili nella
loro direzione, afferrando un braccio di Nomu e facendolo nuovamente
deviare, permettendo a All Might di colpirlo. Si avvicinò
lentamente
ai due che combattevano, continuando a interferire, filo dopo filo.
Il dolore ormai l'aveva anestetizzata, non lo sentiva neanche
più, e
anche se non era certo positivo non si sarebbe fermata. Nemici
provennero da destra e lei concentrò su Nomu solo la mano
sinistra,
usando l'altra per arpionare i due che avevano tentato di
avvicinarsi. Li costrinse a colpirsi a vicenda, atterrandosi. Altri
da sinistra e ripeté l'azione, ma questa volta non ne
uscì senza
una fitta che per poco non le annebbiò la vista.
Sentì il sapore
del sangue in bocca e scuotendo la testa tornò a guardare
Toshinori,
intento a combattere nel fumo e nella polvere che si alzava sempre
più. Un uomo si avvicinò alle spalle
dell’eroe che lei tanto
ostinatamente proteggeva e, approfittando della sua distrazione,
cercò di infilzarlo. Nina lanciò un filo contro
Nomu, usando la sua
forza per farsi strattonare e tirare verso di loro con potenza,
così
riuscì a raggiungere l'uomo alle spalle di All Might con un
calcio
teso. Rotolò nella terra, peggiorando sempre più
la sua situazione,
ma non si arrese e piantò le mani nella polvere per
rialzarsi.
Tossì, sentendo i polmoni in fiamme, forse per la polvere o
forse
per la fatica, accorgendosi solo successivamente di aver sputato
sangue.
«Macchan»
insistè All Might, ormai al limite della preoccupazione,
continuando
a distrarsi dalla sua battaglia e finendo col prendere qualche pugno
di troppo.
«Uccidi
quel bastardo, muoviti invece di perdere tempo, mezzasega!»
urlò
Nina furibonda, stufa di vederlo metterci tanto. Si voltò a
guardarlo per fulminarlo e fu allora che lo vide: lo sguardo folle di
Steve che emergeva dalla polvere, a mani tese, verso All Might.
Allungò una mano verso di lui, pronta a intervenire, ma
dalle sue
dita uscì solo dolore e sangue. All Might per fortuna fu di
riflessi
pronti, nonostante la distrazione, e riuscì a schivarlo,
facendosi
appena sfiorare. La mano di Steve lo mancò e nell'arco
disegnato a
mezz'aria finì col posarsi sulla gamba di Nomu, facendola
esplodere
in un istante, disintegrandola come se avesse avuto una bomba dentro
sé. Nina impallidì, sentendo il fiato mancarle:
che razza di pazzo
Quirk era quello?
All
Might, altrettanto spaventato per il pericolo appena scampato, non
esitò a contraccambiare il colpo ma fu Nomu stesso a
intervenire,
afferrando Steve e tirandolo via dalla traiettoria dell'eroe per
salvarlo.
«La
prossima volta non ti mancherò!» disse Steve,
tornando alla carica,
mentre la gamba di Nomu ricresceva rapidamente. Nina spinse ancora
una volta la mano in avanti, ma ancora una volta fallì
ricevendo in
cambio solo un enorme dolore. All Might schivò di nuovo, ma
venne
colpito da Nomu e finì a terra. Steve non si arrese nei suoi
tentativi e All Might tentò di essere più veloce,
ma ancora Nomu si
mise in mezzo, tirandolo via, prendendosi il suo colpo e salvandolo.
All Might si rialzò rapidamente, ma ormai cominciava ad
essere allo
stremo delle forze. Il fumo che usciva dalla sua pelle andava
mischiandosi alla polvere della lotta, ma era ben visibile e lui
poteva sentire i muscoli tendersi così tanto da
paralizzarlo. Nomu
afferrò Steve e con rapidità glielo
lanciò contro, usandolo come
vera e propria arma. Gli sarebbe bastato sfiorarlo e l'avrebbe
disintegrato. Nina tentò di nuovo di intervenire, ma non
accadde
niente se non una lacerazione che la fece urlare dal dolore.
Cadde
con la fronte a terra nell'istante in cui All Might riuscì a
schivare Steve, ma non un calcio di Nomu che lo prese dritto al
fianco, su quella cicatrice che lo torturava ogni giorno di
più.
«Maledizione!»
gridò Nina, battendo i pugni a terra. Affondò le
dita nella terra e
cominciò a scavare dal nervoso, lamentandosi, urlando,
continuando a
colpire il terreno. «Merda, merda, merda»
mugolò, in preda alla
follia più accecante.
Prenditi
cura di l...
«Merda»
un ultimo lamento, prima di alzare il viso e lasciar andare tutta la
frustrazione accumulata in un urlo animalesco rivolto al cielo. Come
un'ombra, All Might le volò davanti, alzando tanta di quella
polvere
da rimanerne completamente avvolto e nascosto. Steve, davanti a lei,
le lanciò uno sguardo colmo d'eccitazione, lo sguardo di un
figlio
che desidera essere osservato dalla madre durante i suoi giochi... ma
di un figlio folle, psicopatico e omicida. Allungò una mano
verso
All Might, lanciandosi su di lui, ormai a un passo dalla vittoria, ma
ebbe un brivido e improvvisamente esitò di fronte
all'espressione di
Nina. C'era una strana scintilla in quegli occhi colmi di una furia
mai vista prima, una pericolosità in grado di far tremare
perfino
lui. Indietreggiò con un lamento e lasciò
stupidamente ad All Might
il tempo di rialzarsi, protetto dall'ombra intimidatoria di quella
donna che aveva sempre diretto le sue azioni da dietro le quinte.
Un'ombra che parve avvolgerlo, proteggerlo dentro una bolla che se
avesse provato a varcare e sfondare l'avrebbe ucciso nel peggiore dei
modi. Poteva quasi vederlo, l'abbraccio protettore con cui Nina
avvolgeva le spalle di All Might, come un angelo custode.
Nomu
si lanciò contro di loro, stupido abbastanza da non vedere
tutto
quello, e quella volta fu All Might ad avvolgere Nina nel suo
abbraccio protettore contraendo i muscoli in maniera disumana solo
per impedire al mostro di raggiungerla. Si alzò e tenendo
ben fermo
l'avversario per le mani cominciò a spingerlo via, urlando,
sforzandosi, emettendo fumo e dolore. Il sangue che gli usciva dai
denti serrati, sempre più copioso, il corpo che tremava ed
evaporava, ma lo spinse via con tutto ciò che aveva dentro.
Prenditi
cura di l...
Solo
quel desiderio di proteggerla era bastato a trovare la forza per
contrastare ancora il nemico, nonostante fosse ormai allo stremo e al
limite. Con un urlo e una luce accecante negli occhi, prese Nomu e lo
scaraventò a terra tanto forte da aprire il terreno. Altra
polvere,
ma nonostante la vista occlusa, il silenzio che ne seguì
decretava
la sua vittoria.
«Non...»
balbettò Steve. «Non è finita. Ci sono
ancora io! Posso...»
«Ti
farà a pezzi, senza Nomu a salvarti il culo, viscido
lerciume»
disse Nina, furibonda, ma tutta quella sicurezza andò
morendo in un
istante non appena la polvere cominciò a diradarsi. Si
intravedeva
appena, era solo una sagoma, ma bastavano quei lineamenti accennati a
scuoterle l'anima. I capelli di All Might, in quella loro ridicola
posizione a V, completamente abbassati, spettinati. Le sue spalle
abbassate, le braccia tanto secche da non sembrare umane e il viso
scavato tanto da assomigliarlo a uno scheletro. Restava chino, ancora
parzialmente nascosto, protetto da quella polvere che riuscì
a
impedire al resto del mondo di vederlo, concedendosi solo a chi gli
stava più vicino. Consapevole di aver ormai concluso il suo
tempo,
di aver svelato il suo segreto, All Might non ebbe neanche il
coraggio di alzare lo sguardo. Restò inginocchiato a terra,
completamente abbandonato a se stesso, fissando il corpo di Nomu
davanti a sé.
«Ma
che diamine gli è successo?» balbettò
Steve, anche lui spettatore
di quella raccapricciante scena.
Era
lui, era davvero Toshinori quello che aveva di fronte in quelle
orribili condizioni? Il fiato le venne a mancare, mentre davanti a
sé
il mondo andava mescolandosi, confuso, disorientato, come avvolto in
una tenebra. Tutto sembrava morire, mentre delle immagini, delle
parole l'assalivano come lupi affamati e la sbranavano con una
voracia insaziabile.
Si
è indebolito.
La
macchia di sangue sul letto, la prima notte che avevano fatto
l'amore, qualche giorno addietro.
Non
è uscito da quella battaglia nelle migliori delle condizioni.
La
sala a lui riservata, che spesso restava chiusa a chiave.
Non
avrei più la forza per combatterlo, se dovesse tornare.
Gli
impegni di cui tanto parlava, che lo tenevano lontano gran parte
della giornata.
Credo
che fossi spaventato all'idea di mostrarti quel lato debole di me.
Tutte
le mattine che si era alzata sola, perché lui scappava la
notte non
appena lei chiudeva gli occhi.
Nina,
c'è una cosa che non sai.
Quella
cicatrice.
Ti
fa ancora male?
Quella
dannata cicatrice.
No,
non più ormai.
Quella
cicatrice che non aveva avuto il coraggio di mostrarle, fintanto che
lei non l'aveva costretto.
Era
adesso il momento ideale per dare tutto a Midoriya.
Quel
dolore che gli leggeva negli occhi tutte le volte che mentendo diceva
che andava tutto bene.
Macchan...
io non sono immortale.
La
gola si chiuse tanto da impedirle di respirare.
Io
non sono immortale.
Gli
occhi presero a bruciare, ma non ebbero l'energia sufficiente a
piangere.
Io
non sono immortale.
Chi
era quel fantasma che aveva di fronte e che, ormai misero nella sua
ombra, accettava così di morire? Chi era quel fantasma che
guardava
il mondo davanti a sé prenderlo a pugni e non riusciva
più a
sorridere, tradendo la sua anima gloriosa? Chi era quel fantasma che
si era aggiunto alle lacrime perdute di quel luogo avvolto dal dolore
della morte?
Era
tutto così terrificante, ora.
Steve
scattò verso di lui, con una vibrante eccitazione nelle
vene.
Qualsiasi cosa gli fosse accaduto era ovvio che non fosse
più nelle
condizioni di combattere e quello era il suo momento. Avrebbe
estirpato per sempre All Might da quel mondo, rendendo Nina l'unica
regina in assoluto.
Prenditi
cura di l...
I
muscoli si bloccarono tanto improvvisamente da fargli male.
Prenditi
cura di l...
Nomu
ai piedi di All Might si mosse, lamentoso, ma ancora vivo tentava di
rialzarsi. E lui restava lì, a fissarlo, ormai arreso al suo
destino, ormai sentendosi fallito. Cos'altro avrebbe potuto fare? Non
riusciva più neanche a muoversi da quanto aveva dolore.
«Carogna»
il ringhio della donna e con un brivido lungo la schiena Steve si
voltò a guardarla. Si stava rialzando, non seppe con quale
forza, ma
si stava rialzando. La mano tesa in avanti, a bloccarlo con i propri
fili ora resi visibili dall’incredibile quantità
di sangue che le
usciva dai polpastrelli e che andava colando e macchiando ogni
singolo filo fino all’estremità. Si muovevano come
tentacoli,
rapidi tanto da schioccare, muovendosi da un muscolo a un altro per
scaricare la sua elettricità e bloccarlo.
«Questo»
disse lei con voce talmente roca da non sembrare la sua.
Divaricò le
gambe, cercando stabilità, scavando un solco da quanta forza
ci
impresse.
Nomu
si mosse, sollevandosi da terra, e altri fili insanguinati partirono
dalla mano destra di Nina, arrivando a lui. Con un urlo, Nomu si
bloccò, sollecitato dall'elettricità dei fili di
Nina che
contraevano tanto i suoi muscoli da essere doloroso.
«Questo
è il mio palcoscenico» Faceva venire i brividi, ma
non come le
altre volte. Qualcosa in lei era molto diverso, non era una semplice
burattinaia, era la più folle, la più pazza e
forte che ci fosse
potuta essere. Una strana energia prese a correre lungo i fili di
Nina, era quasi visibile a occhio nudo, li ingrossava a dismisura
rendendo i suoi movimenti così netti, così
violenti, che era
possibile sentirli schioccare come fruste nell'aria.
"Nomu
non riesce a spezzarli" realizzò Toshinori, vedendolo
disperato
ma incapace di muoversi. Da dove proveniva tutta quella forza? Da
dove arrivava quell'energia? Deglutì, spaventato, e si
voltò a
guardare Nina. Poteva vedere i suoi muscoli gonfiarsi a occhio nudo,
gli occhi vitrei, privi di qualsiasi tipo di vita, riempiti solo da
un'accecante follia. Il sangue che le gocciolava dalle dita stava
formando una pozzanghera ai suoi piedi, ma nonostante tutto sembrava
non soffrisse più neanche un po'.
«Questo»
urlò, collerica, facendo i primi passi in avanti verso Steve.
E
Toshinori ebbe come una visione che gli occluse la gola, un breve
istante, un allucinazione, eppure era così viva: Nana
Shimura, alle
spalle di Nina, avvolta dalla sua evanescenza che ne testimoniava la
morte, l'avvolgeva in un abbraccio. Nana, il suo spirito, la sua
anima e la sua forza, la forza di One For All era lì con
lei,
tramandata in minima parte alla figlia probabilmente nel momento del
concepimento. Non era mai riuscita a manifestarlo prima di quel
momento, forse perché era talmente poco che solo una grande
energia
avrebbe potuto liberarlo, ma non era difficile da credere visto che
One For All si tramandava tramite il DNA e dentro Machiko risiedeva
quello di Nana. E lui conosceva troppo bene quel potere da riuscire a
riconoscerlo quando lo vedeva. La domanda era: Nina avrebbe avuto la
forza per utilizzarlo senza andare in pezzi?
Aprì
la bocca, pronto a parlare, a richiamarla: non era allenata, non
sapeva neanche di averlo dentro sé One For All, non poteva
gestirlo,
sarebbe morta.
Nina
volse a lui lo sguardo, facendolo rabbrividire, e gli lanciò
un
istante dopo uno dei suoi fili. Che non lo avesse riconosciuto, in
quell'aspetto? O magari era dovuta alla sua follia accecante che ora
le impediva di riconoscere gli amici dai nemici?
«Questo
è il mio palcoscenico!!!» gridò con
tutto il fiato che aveva nei
polmoni, un istante prima di tirare il filo che teneva serrato
Toshinori. L'energia di One For All le permise di imprimere in esso
tanta forza da essere in grado di farlo volare per aria, e lo
lanciò
via, scaraventandolo nuovamente all'interno dell'edificio, sfondando
mura e arrivando nella sua parte più ombrosa e nascosta.
«Il
mio palcoscenico!» ripetè furiosa, divaricando le
gambe, voltandosi
dall'altro lato e tirando il filo che teneva Nomu con tutta la forza
che aveva. Riuscì a farlo volare e lo scaraventò
nuovamente al
suolo, facendogli battere la schiena. Si voltò e
ripetè l'azione
con un urlo raccoglitore, sbattendo Nomu da una parte all'altra,
continuando a urlare, a gonfiarsi di energia, a perdere sangue da
ogni ferita che avesse.
«Mio!»
urlò ancora, facendo roteare Nomu e costringendolo
così a
travolgere anche Steve, che urlò dal terrore.
«Il
mio palcoscenico!»
Tirò
ancora i fili e scaraventò Nomu al suolo, aprendo una
voragine per
la forza utilizzata, assicurandosi che Steve rimanesse sotto di lui
per essere schiacciato e travolto. Infine fece alzare le braccia a
Steve, aprendone i palmi delle mani e ci lasciò cadere sopra
Nomu
che al contatto esplose come un palloncino troppo pieno, uccidendolo
definitivamente. Steve ormai fuori gioco, svenuto, Nomu ucciso, All
Might lanciato all'interno di un edificio e l'unica che usciva dalla
polvere vincitrice era proprio Nina. Si voltò, fulminando il
quinto
piano del primo edificio, da dove li osservava Shigaraki ed
urlò
come un animale impazzito: «Ce n'è anche per te,
schifoso pezzo di
merda!» ma Shigaraki rispose alla provocazione grattandosi
furiosamente il collo e sparendo, deciso a organizzare un altro
attacco più avanti, magari meglio organizzato. Perfino
quello Steve,
pieno di desiderio omicida e odio verso All Might, con
quell'incredibile Quirk che aumentava la pressione tanto da far
esplodere i corpi, l'aveva deluso e tradito. Esisteva al mondo
qualcuno degno abbastanza da essere in grado di realizzare i propri
sogni di distruzione?
«È
andato via» ansimò Nina, mentre sentiva il corpo
tornare alla
normalità e Toshinori si stupì nel sentire del
sollievo nella sua
voce. Probabilmente aveva bluffato, esattamente come aveva fatto lui
la prima volta, e non avrebbe resistito a un altro combattimento.
Nina si voltò lentamente verso All Might, mostrandogli il
suo volto
ora distrutto, ma tirato in una pace quasi eterea. Aveva vinto lei.
«Che
cali il sipar...» balbettò affaticata, senza
neanche riuscire a
terminare la frase e crollò a terra.
«Machiko»
urlò con tutto il fiato che aveva, mettendosi a correre
verso di
lei. Un muro di cemento gli si piazzò davanti, impedendogli
di
raggiungerla.
«Cementoss!»
disse, furibondo, guardando il collega.
«Si
è sforzata tanto per salvarti, non vanificare il suo duro
lavoro»
disse lui, aprendogli gli occhi, permettendogli di comprendere:
Machiko non l'aveva attaccato, accecata dalla follia, ma anche in
quel momento di confusione e incomprensioni il suo unico obiettivo
era stato quello di salvarlo, lanciandolo in un luogo sicuro e
nascosto, impedendo al mondo intero di vedere la sua vera forma. All
Might era una sua marionetta, la più preziosa, la curava da
tempo e
mai avrebbe permesso a nessuno di distruggerla, nemmeno a se stesso.
In
quel cortile, il primo a raggiungere il corpo a terra della donna fu
Bakugou, volando da lei a gran velocità e urlando il suo
nome.
Insieme al resto dei suoi compagni aveva assistito a
quell'incredibile combattimento, a bocca aperta e fiato sospeso, ma
qualcosa non stava andando come doveva. Perché non si
rialzava?
«Ohi!»
gridò, afferrandola e sollevandola da terra. «Ohi,
rispondi!
Rispondi! Bastarda, dì qualcosa!»
gridò, scuotendola, inutilmente.
Riusciva a sentirlo, riusciva a sentirlo quel suo niente e faceva una
maledetta paura. Era come un fantoccio, vuoto, una marionetta senza
burattinaio, abbandonata e dai fili intrecciati, dimenticata su un
palcoscenico ormai spento e abbandonato.
«Ohi!»
gridò più forte, colto da una furia tale da
fargli morire la voce
in gola. «Rispondimi, maledetta! Parla! Parla! Ti ammazzo,
hai
capito? Ti ammazzo! Parla!» le gridò in faccia,
scuotendola sempre
più forte.
«Oh
no» sussurrò Uraraka, incapace di assistere a
quella straziante
scena. Si coprì il volto con le mani e soffocò
all'interno un
pianto, voltandosi dall'altro lato. Midoriya, al centro del cortile,
reduce di una battaglia appena vinta con un cattivo di minore
livello, non riuscì neanche a respirare. Le urla di Bakugou
riempirono quello spiazzo, sempre più furioso, sempre
più incazzato
nello scuoterla, nel chiamarla e nessuno che rispondeva a quegli
insulti, nessuno che gli diceva che era un moccioso e che doveva
cucirsi la bocca.
«Devo
ancora batterti!» le urlò con quel poco di voce
che riusciva a
controllare. «Non puoi svignartela così,
cagasotto! Non puoi!» una
lacrima sfuggita al suo controllo. «Ohi!
Rispondimi!»
A
far eco a quelle urla, solo i pianti dei suoi compagni, perfino
Kirishima con il suo orgoglio virile si ritrovò a tirar su
col naso,
e nessuno ebbe coraggio neanche di fermare la violenza che Bakugou
stava sfogando su quel corpo inerme nel vano tentativo di
risvegliarla.
Eraserhead
corse verso di loro, facendosi strada tra i ragazzini, seguito da un
gruppo di uomini in divisa e fu lui a interrompere quell'incubo.
Poliziotti, altri eroi, ma soprattutto medici e Recovery Girl dietro
alla colonna.
«Togliti,
ragazzo» disse uno dei medici, spostando Bakugou con la
forza. Il
ragazzino scuotè le spalle, liberandosi dalla sua presa
infastidito,
e si allontanò, orgoglioso e incazzato, andando a prendere a
pugni
un muro.
In
pochi secondi Nina fu circondata da paramedici, armati di
attrezzature e un'urgenza che poche volte avevano avuto. Recovery
Girl dirigeva la situazione, indicando, esaminando e ordinando di
sbrigarsi. Defibrillatore portatile, bombola dell'ossigeno, venne
usato qualsiasi cosa sotto il vociare delle loro istruzioni e i
pianti dei ragazzini alle loro spalle.
Toshinori
poggiò la schiena alla lastra di cemento che Cementoss aveva
eretto
per proteggerlo e impedirgli di correre all'aperto, mostrandosi al
mondo intero in quelle orribili sembianze. Si lasciò cadere
a terra,
sedendosi e incapace di trattenersi si portò una mano agli
occhi,
coprendo così quella vergogna e quel dolore. Li sentiva, i
medici
dietro di sé. Li sentiva pronunciare quelle stesse terribili
parole
che Bakugou aveva urlato poco prima.
«Non
respira!»
«Nessuna
reazione!»
«Sta
passando troppo tempo».
Un
singhiozzo gli chiuse la gola mentre la sua mente si prendeva gioco
di lui, del suo dolore, mostrandogli nel buio dei suoi occhi chiusi
il viso e il sorriso della sua dolce Machiko. La vedeva, giovane e
bella, con quei suoi meravigliosi capelli lunghi che svolazzavano
ovunque nella foga dei suoi movimenti, accarezzandole il viso. La
vedeva, china su di lui, mani sulle ginocchia, viso chino di lato,
occhi luminosi e sorriso gioviale.
«Che
fai nascosto qui, Toshi-chan?»
quella sua armoniosa voce che quando lasciava uscire in note musicali
diventava la voce di una dea.
«Battito
cardiaco a zero!» i medici alle sue spalle che dissipavano
quell'immagine.
«Sei
di nuovo scappato dagli allenamenti di Gran Torino,
cagasotto?»
come
le piaceva beffarsi di lui, eppure era quello il suo particolare modo
di prendersi cura di lui. Lo cercava, lo trovava, sempre, e gli
porgeva una mano.
«Rialzati.
Vieni con me a comprare i Taiyaki?»
Una
scusa qualunque, di solito legata a del cibo incapace di trattenere
la sua golosità, pur di convincerlo a rimettersi in piedi. A
lui non
erano mai nemmeno piaciuti tanto i Taiyaki.
Un
singhiozzo ed un lamento, non riuscì a impedirgli di uscire
dalla
sua gola, ma non ebbe ancora il coraggio di riaprire gli occhi, per
paura di vederla sparire, di scoprire di essere davvero solo dentro
quell'edificio abbandonato.
«Non
possiamo più fare niente».
«Vieni
con me, Toshi-chan?»
E
il suo urlo disperato, mentre allungava una mano su quell'immagine
che in un istante andò persa, come una nube di fumo.
«Macchan!!!»
When
I’m standing in the fire
I
will look him in the eye
And
I
will let the devil know that
I
was brave enough to die
And
there’s no hell that he can show me
That’s
deeper than my
pride
Cause
I will never be forgotten
Forever
I’ll fight
And
I don’t need this life
I
just need…
Somebody
to die for
|
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Capitolo 32 *** My Love, Sia ***
"My
love”, Sia
Fuori
pioveva e c'era un gran temporale. Il rumore dei tuoni, soffusi e
soffocati da un cielo gonfio di umidità, erano come un eco
che non
smetteva di biasimarlo, furibondo. Ci aveva provato, ci aveva provato
davvero con tutte le sue forze, eppure continuava a non essere
abbastanza.
«All
Might, c'è mai stato qualcuno che non sei riuscito a
salvare?»
La
voce di Midoriya, in quell'innocente domanda vecchia ormai di giorni,
gli faceva così male, ora. Si passò una mano sul
petto ancora nudo,
se non per le bende che Recovery Girl gli aveva piazzato a chiudere
graffi e ferite. Faceva così dannatamente male che non
riusciva
neanche a dormirci la notte ed erano ormai due notti, senza
considerare la prima passato semi-svenuto per l'intervento di
Recovery Girl, che non chiudeva occhio. L'indomani ci sarebbe stato
il festival sportivo e fuori diluviava ormai da quella notte, senza
accennare a voler smettere. Un evento tanto importante non sarebbe
stato rimandato per un po' di pioggia, ma non avrebbe giovato ai suoi
ragazzi che già non se la passavano nel migliore dei modi.
Si era
informato, anche se non era uscito neanche una volta da quella stanza
d'ospedale, aveva chiesto di loro a chiunque andasse a trovarlo.
Stavano bene, il peggio era passato anche se non avrebbero
dimenticato tanto facilmente, solo Bakugou ancora non si decideva a
spiccicare parola e non faceva che prendersela con tutto ciò
che
aveva davanti.
Si
allungò sul comodino e prese un flaconcino di pillole. Lo
aprì, se
ne versò un paio sulla mano destra e le avvicinò
alla bocca pronto
a ingoiarle, ma gli saltarono dalla mano quando udì la voce
di
Recovery Girl brontolare: «Piantala con quella roba,
Toshinori!»
Quando
era entrata?
«Te
le ho date solo per casi di emergenza e le stai praticamente finendo:
hai intenzione di ucciderti?»
«Non
riesco a chiudere occhio» confessò lui, abbassando
lo sguardo
colpevole.
«Le
pillole non ti hanno aiutato ieri, non ti aiuteranno nemmeno oggi.
Dalle a me, te le confisco» disse lei, allungando una mano e
prendendo il flacone. Si mise a sedere su uno sgabello di fianco al
letto, saltandoci sopra come una bambina per la sua minuscola
altezza, ma manteneva comunque la professionalità e la
serietà che
solo il miglior medico di Tokyo poteva avere.
«Come
ti senti?» chiese e lui annuì debolmente,
rispondendo: «Va meglio.
Credo che oggi potrò rimettermi in piedi e uscire
dall'ospedale».
«Non
intendevo quello» disse Recovery Girl e non ci fu bisogno di
aggiungere altro: c'era solo un'altra cosa che gli faceva male a tal
punto da preoccuparla tanto da sentir il bisogno di chiederglielo. Il
motivo per cui non riusciva a dormire, quella sua tremenda paura di
sognarla e svegliarsi sempre più svuotato. La paura di
sognare
Machiko.
«Toshinori»
sospirò Recovery Girl, dopo un lungo silenzio dell'uomo che
bastò a
rispondere alla sua domanda: non stava affatto bene.
«È sveglia da
ieri pomeriggio e tu non sei andato a trovarla neanche una volta. Non
fa che chiedere di te».
Un
miracolo, era successo il miracolo quando uno degli infermieri, il
più tenace, era riuscito a farla respirare di nuovo. Sentire
quelle
parole, «È viva!», era stato come se lui
stesso avesse ripreso a
respirare e fosse tornato in vita. Era stata portata d'urgenza al
pronto soccorso, curata e messa sotto ossigeno, bloccata a letto per
tutta la durata di quei tre giorni e solo il pomeriggio precedente
aveva finalmente riaperto gli occhi. Era stato Midoriya a
correre da lui per dargli la grande notizia, con le lacrime agli
occhi per la gioia, sentendo tutto il senso di colpa volatilizzarsi e
liberarlo dalle tenaglie che lo soffocavano. Non era riuscito a
trovare pace neanche per un istante, credendosi colpevole di quanto
accaduto: in fondo era stato lui che si era fatto catturare con
quella tale stupidità da Shigaraki, ed era stato per lui che
aveva
lottato tanto quasi da morire. Era corso da All Might, sapendo che
sicuramente anche lui si sentiva allo stesso modo e aveva sperato
così di liberarlo, come era successo a lui. Ma Toshinori non
aveva
risposto, aveva buttato giù qualche altra pillola e si era
steso
cercando un sonno che ancora gli negava la sua compagnia. Non poteva
andare da lei, non poteva più avvicinarsi in nessun modo.
Non dopo
quello che aveva visto, non dopo quello che le aveva fatto. Il
piccolo Midoriya aveva avuto solo la colpa di essere ancora un
inesperto ragazzino, non aveva valore, ma lui... lui l'aveva uccisa.
Si era fatto proteggere, si era ancora una volta raggomitolato sotto
un ponte e aveva lasciato a lei tutto il lavoro sporco: porgergli la
mano, risollevarlo, proteggerlo e spingere All Might avanti, verso il
cielo dove avrebbe brillato. Era stato per lui che lei si era
lanciata in quella battaglia, in quel cortile, era stato per lui che
aveva portato il suo corpo a un livello tale di stremo da non
riuscire a sostenerlo. In un momento come quello, a due passi dalla
morte, non aveva fatto altro che pensare al modo migliore per
proteggerlo, mettendolo in salvo dalle telecamere, lasciando che la
sua stella non morisse lì, in quel luogo, mantenendo ancora
eterno
un brillante e glorioso All Might, e aveva combattuto la sua
battaglia. Una battaglia che non era alla sua altezza, ma che aveva
vinto a discapito di se stessa, solo per lui. Solo per l'amore che
continuava a provare per quell'uomo bugiardo, egoista e vigliacco.
Non
poteva andare da lei, non avrebbe avuto il coraggio di guardarla in
volto sapendo di essere stato il suo carnefice. Eppure l'amava
così
tanto, lo sentiva, gli bruciava dentro quel sentimento, lo logorava e
lo consumava.
«Io
ho scommesso sulla persona giusta»
quanto
si era sbagliata, perché non capiva l'errore che aveva
commesso?
Perché continuava a credere in lui, dopo tutto il male che
le aveva
fatto, dopo tutti quei fallimenti?
Si
portò una mano al volto, si nascose gli occhi pieni di
vergogna e
stringendo, tremando, ammise: «Sono la disgrazia peggiore che
sia
potuto capitarle».
«Sì,
lo sei» disse Recovery Girl e questo lo fece saltare, ferito
tanto
da fissarla a bocca aperta.
«Di
che ti stupisci? È la verità. Sei il fidanzato
peggiore del mondo:
non le concedi nemmeno un abbraccio ora che è appena uscita
dalla
morte. La stai di nuovo lasciando sola nel suo terribile mondo, preso
dal tuo egoismo».
«Non
è così...» balbettò lui,
rendendosi conto solo in quel momento di
come stesse ancora sbagliando.
«Mi
stai quindi dicendo che non è la tua paura e la tua vergogna
a
impedirti di andare a trovarla? Sei la prima cosa che ha nominato non
appena ha aperto gli occhi, ha bisogno di vederti, e tu continui a
negarglielo, continui a ferirla, solo per la tua vergogna. Non riesci
ad andare oltre a te stesso nemmeno in un momento come
questo».
Toshinori
strinse il lenzuolo tra le dita, man mano che la consapevolezza
prendeva il possesso della sua mente.
«Continuo
a sbagliare ogni cosa» mormorò, addolorato.
Recovery Girl aveva
maledettamente ragione: nemmeno in un momento come quello era
riuscito a smettere di pensare a se stesso e aveva ignorato le
richieste di Machiko.«Perché? Eppure non desidero
altro che...»
«È
qui che sbagli» lo interruppe Recovery Girl. «Devi
smettere di
pensare a ciò che desideri tu e cominciare a ragionare di
più su
quello che desidera lei».
«Ciò
che desidera lei?» mormorò Toshinori, cominciando
a capire.
«Esatto»
disse Recovery Girl, saltando giù dalla sedia. «E
in questo momento
desidera vederti. Scegli tu se vuoi continuare a fare il bastardo o
ti deciderai a metterti un paio di pantaloni e andare nella sua
stanza».
Si
avvicinò alla porta e l'aprì, intenzionata a
uscire e andarsene, ma
Toshinori riuscì a bloccarla, chiedendole in un usuale moto
di
coraggio: «Non le farà male... vedermi
così?».
Era
come un bambino, non aveva la più pallida idea di come si
stesse al
mondo, avendo vissuto per tutta la vita solo ed esclusivamente al
servizio di All Might. Quell'ingenuità faceva quasi
tenerezza, ma
era bello vedere che aveva comunque desiderio di imparare, rendersi
un uomo migliore.
«Credi
possa farle più male che il sapere che l'uomo per il quale
si è
sacrificata non è neanche interessato a sapere come
stia?»
«Questo
non è vero!» sobbalzò lui, in preda al
panico di essere frainteso.
«E
allora vai e diglielo. Startene qui non l'aiuterà a capirlo,
ma non
farà che alimentare quel suo atroce dubbio» una
nuova scintilla
negli occhi dell'uomo le suggerì che era riuscita a
convincerlo.
Stava lottando contro le proprie paure, contro quel fantasma che era
diventato, solo per fare la cosa giusta e finalmente dare a Machiko
ciò di cui aveva bisogno, anche a discapito di se stesso.
Perché se
fino a quel momento le aveva nascosto la verità, era stato
solo per
puro egoismo mascherato a perbenismo. Aveva avuto paura di perderla,
che lei l'avesse trovato ripugnante, che avesse smesso di amarlo e
aveva continuato a nascondere la verità, convincendosi che
lo faceva
solo per lei, per evitarle di soffrire. Una bugia raccontata a se
stesso per sollevarsi dal peso di quell'ingiustizia.
«Sono
stata da lei poco fa, è sveglia se ti interessa. Il suo
manager è
lì, quell'uomo la ama forse più di te,
è volato qui il giorno
stesso che ha saputo di lei e non lascia la sua stanza neanche per
dormire».
Il
volto corrucciato di Toshinori divenne ancora più rigido,
schiacciato da quel nuovo tormentoso e invadente sentimento: la
gelosia. Come si azzardava quell'uomo ad essere più
attaccato alla
sua Machiko di lui? Si tolse le lenzuola di dosso e saltò
giù dal
letto, coprendosi con una vestaglia, infilandosi un paio di pantaloni
e le ciabatte e camminò a passo pesante fuori dalla stanza.
«Oh
beh... alla fine bastava poco per convincerti. Mi chiedo
perché non
abbia giocato subito la carta del rivale in amore»
commentò
Recovery Girl guardandolo mentre camminava a pugni stretti verso la
stanza della donna. Si fermò di fronte a quella porta, il
pugno
alzato ad altezza del viso, pronto a bussare, ma non riuscì
a
compiere quel gesto definitivo. Decine di scenari gli si piazzavano
di fronte, e in ciascuno di essi finiva con l'essere mandato via per
sempre dal suo volto raccapricciato. Si guardò il petto:
forse
sarebbe stato meglio entrare presentandosi nella sua forma muscolosa
e parlarle prima, portandola gradualmente a quella verità.
Se fosse
entrato lì dentro in quel modo avrebbe solo potuto shockarla
ancora
di più. Sì, era la cosa migliore, arrivare
lentamente a dirle la
verità e non piazzargliela di fronte come se niente fosse.
Magari,
se entrava così, avrebbe anche potuto non riconoscerlo e
sarebbe
stato ancora più difficile spiegarle tutto. Fece un lungo
sospiro,
si guardò assicurandosi di essere solo e infine si
gonfiò nella
forma che Machiko conosceva e di cui si era innamorata.
«Codardo!»
la voce improvvisa di Recovery Girl alle sue spalle lo fece
spaventare tanto che sputando sangue non riuscì a mantenere
la sua
forma e tornò ad essere lo scheletrico e mingherlino
raccapricciante
Toshinori. Era teso come una corda di violino, bastava davvero
così
poco per farlo scattare. Recovery Girl lo superò rapidamente
e fece
per lui ciò che era giusto e che non riusciva proprio a
fare:
bussare a quella dannata porta.
«In
bocca al lupo» disse poi, andandosene.
«Traditrice!»
gli urlò contro Toshinori, in preda a una crisi di panico.
La porta
si aprì e quel clang
sembrò
quasi che provenisse dalla sua gola, chiusa, serrata in una morsa che
il cuore stringeva sempre più. Si voltò a
guardare l'interno della
stanza, ma lo sguardo venne bloccato da qualcos'altro: davanti a lui
c'era un uomo dalla folta capigliatura castana, elegante ed
affascinante, con quel pizzico di sex appeal che caratterizzava gli
uomini americani di un certo livello. Camicia sbottonata sul collo e
fuori dai pantaloni, aspetto curato, muscoloso, occhi verdi e una
mano infilata in una tasca in una posa sicura e virile. Toshinori lo
guardò sbattendo qualche secondo gli occhi, confuso quanto
agitato:
chi era quel bell'uomo che si trovava nella stessa stanza della sua
Machiko? Ancora quel fastidioso sentimento di gelosia che gli
prendeva a pugni lo stomaco, sentimento che divenne insopportabile
nella sua oppressione nell'istante in cui sentì la voce di
Machiko,
provenire da dentro la stanza, chiedere: «Drew, chi
è?»
"Questo
è Drew?" pensò impallidendo di fronte
all'evidenza che per
vent'anni era stato colui che le era stato a fianco più di
chiunque
altro. Colui che aveva preso il suo posto, a fianco della sua
Machiko. E lui...
Aveva
già perso, non poteva competere con un uomo tanto
affascinante, non
in quelle miseri condizioni da scheletro umano.
«Uno
scocciatore» rispose lui, sbattendogli la porta in faccia.
"Scocciatore?"
pensò al limite della tolleranza. Quell'uomo non solo gli
aveva
portato via Machiko, non solo se la teneva stretta, non solo restava
con lei perfino mentre dormiva, a guardarla, non solo aveva preso il
suo posto, non solo competeva con lui in bellezza e fascino... ma si
azzardava perfino a sbattergli la porta in faccia definendolo
scocciatore. Lui! All Might!
«Oh,
dai! Magari era un fan che voleva salutarmi, sei crudele»
sentì
dire da Machiko all'interno della stanza, ma la ignorò,
ormai in
preda alla collera. Si gonfiò di nuovo nella sua muscolosa
forma,
carico di una forza che neanche gli attacchi alle spalle di Recovery
Girl avrebbero potuto eliminare, e sfondò la porta entrando
con
prepotenza, annunciandosi con un minaccioso: «Ci sono qua
io!!!»
Forse
aveva desiderato intimorirlo con la sua trionfante e pericolosa
entrata, ma ormai era troppo tardi per rendersi conto di quanto fosse
stato ridicolo ed avventato nel distruggere perfino la porta. Machiko
seduta sul proprio letto e Drew accanto a lei, sulla sedia, lo
fissarono interdetti senza spiccicare parola.
«Chiedo
scusa, chiamo io qualcuno per aggiustarla» mormorò
All Might,
alzando le mani mortificato.
«Imbecille»
commentò Machiko, amareggiata da quella reazione
così poco adulta e
da imbranato qual era sempre stato.
«All
Might» mormorò Drew, alzandosi in piedi. Una nuova
luce nei suoi
occhi, la furia nel viso, i pugni serrati mentre si avvicinava a lui,
ringhiando: «Finalmente ti fai vivo, pezzo di
merda!»
"Pezzo
di merda?" pensò Toshinori, sconvolto dal sentirsi chiamare
in
quel modo. Non era abituato ad essere maltrattato, non da chiunque
non fosse Machiko o qualche cattivo ovviamente, era sconvolgente.
«Sarei
dovuto venire prima, lo so» cercò di abbozzare lui
delle scuse,
sorvolando sull'insulto.
«Venire
prima? Stai scherzando, spero?» disse Drew, piazzandosi
esattamente
tra lui e Machiko. Un gesto che racchiudeva il significato di quelle
parole, prima che lui potesse spiegarlo a voce: «Sono io che
volevo
incontrarti per avvisarti che se provi anche solo una volta ad
avvicinarti a Nina più di quanto io ritenga tollerabile ti
faccio a
pezzi, eroe fasullo ciuccia soldi!»
«Drew»
provò a chiamarlo Nina, alzando le sopracciglia rassegnata.
«Guardala!
Guarda come si è ridotta a causa tua... e tu non sei neanche
stato
in grado di proteggerla! L'eroe migliore del mondo un paio di
palle!»
continuò a gridare l'uomo, sempre più furibondo.
Per quanto l'idea
che qualcuno lo minacciasse di star lontano dalla sua Machiko lo
facesse incazzare come poche volte, Toshinori non riuscì
comunque a
proferire parola. Come poteva dargli torto? Era stata tutta colpa
sua, lo sapeva. Drew, per quanto lo detestasse e non sopportasse quel
suo modo di parlargli, aveva maledettamente ragione.
«Hai
la più pallida idea di quale sia il suo valore? Di quanto
Nina sia
importante e preziosa? Non certo paragonabile a te,
ciarlatano!»
«No,
è vero» mormorò Toshinori, abbassando
lo sguardo addolorato.
Machiko non era assolutamente paragonabile a lui, su questo non c'era
da discutersi. Lei era migliore su tutti i fronti.
«Drew!»
la voce imperativa di Machiko lo convinse a terminare la sua scarica
di colpe e si voltò a guardarla, lasciandosi convincere dal
suo
sguardo a lasciare in pace Toshinori. Un'ombra si impossessò
di lei,
man mano che i secondi le diedero tempo di tornare a pensare.
«Per
favore» chiese, stringendo lievemente le lenzuola tra le
dita,
quelle delicate e raffinate dita che ora erano completamente avvolte
da delle bende. «Puoi lasciarmi sola con lui per qualche
minuto?»
Drew
fulminò All Might, al suo fianco, lasciando uscire solo dal
suo
sguardo tutti gli insulti che non potè riportargli ad alta
voce.
Infine si fece da parte, passò oltre All Might e
uscì dalla stanza
a passi pesanti, per niente convinto, ma comunque deciso ad
accontentarla. Calpestò la porta ancora a terra e non appena
ci
scese questa prese a galleggiare a mezz'aria qualche istante, prima
di lanciarsi verso lo stipite e richiudersi con un tonfo.
«Telecinesi»
spiegò Machiko, dando una spiegazione a quella porta che
sembrava
aver preso vita e averli chiusi dentro con una tale ira. Toshinori la
fissò sconvolto e lievemente spaventato, soprattutto per
l'aggressività con cui aveva compiuto quel gesto.
«È
arrabbiato, ma di solito non si comporta in questo modo. È
una brava
persona, terrà la porta al suo posto fintanto che non
avremmo finito
di parlare così da lasciarci la nostra privacy».
"È
pure una brava persona, maledizione!" pensò Toshinori,
mordendosi il lembo della vestaglia dal nervoso e lasciandosi ancora
travolgere da quell'accecante gelosia.
«Toshinori»
il tono ora addolorato e di nuovo serio di Machiko lo fece ritornare
coi piedi per terra, ricordandogli il motivo per cui era lì
dentro.
Dovevano parlare, dovevano assolutamente parlare e lui non ne
sarebbe uscito fintanto che non le avesse rivelato quell'ultimo
segreto di cui tanto si vergognava. L'avrebbe fatto per lei, anche a
discapito del suo amore, di vederla voltargli le spalle. Si
avvicinò
a lei e nel completo silenzio si sedette sullo sgabello al suo
fianco, dove fino a poco prima era seduto Drew. Machiko non smise di
fissare le proprie mani fasciate, rosate per qualche goccia di sangue
persa ancora, intenzionata a non lasciar andare il lenzuolo neanche
un po'. Il turbamento che stava vivendo era percepibile sulla propria
pelle e stringeva il cuore.
«Steve...»
balbettò, lievemente rossa in volto, imbarazzata forse per
quanto
avrebbe confessato. «Come sta quello Steve?»
Si
sorprese di una domanda del genere, in un momento come quello. Aveva
creduto che avesse voluto parlare di loro, di lui, invece tirava in
ballo Steve Fox lo psicopatico e la cosa sembrava starle
particolarmente a cuore, anche se non si sentiva proprio a suo agio
con quel sentimento.
Toshinori
annuì, prima di rivelarle: «L'hanno portato ieri
al penitenziario
dopo che hanno appurato la sua buona salute. Solo un paio di
fratture, guarirà col tempo». Lei
annuì, mostrandosi più
sollevata.
«Machiko...»
iniziò lui, cogliendo l'occasione per porle una domanda che
non
aveva fatto che bombardargli nella testa: «Sapevi di avere lo
One
For All?»
Machiko
si stupì della domanda e il viso corrucciato
lasciò spazio a
uno sorpreso. Si guardò una delle due mani fasciate,
studiandola
come se avesse la risposta al suo interno.
«Quello
era One For All?» chiese, stupita.
«Quindi
non lo sapevi» osservò Toshinori. «Ma
scusa... allora cosa credevi
che fosse quell'incredibile forza che hai sprigionato contro Nomu?
Non riusciva neanche più a spezzare i tuo fili!»
«Ho
creduto fosse opera di Midoriya» confessò.
«Midoriya?»
chiese stralunato lui.
«Sì...
vedi, quando uso i miei fili su Bakugou riesco a sentire il dolore
delle sue esplosioni. L'energia che scarica e che si ripercuote sui
suoi muscoli percorrono a ritroso i miei fili e arrivano fino a me,
recandomi lo stesso dolore. Io ho tenuto il braccio di Midoriya
durante il suo Smash,
l'ho arpionato per fargli credere che lo stessi aiutando, e ho
pensato che semplicemente parte di quell'energia avesse fatto come le
esplosioni di Bakugou e fosse arrivata a me, e che io poi l'avessi
usata e scaricata successivamente».
«Mh...»
rifletté lui, prima di chiedere: «Credi possa
essere possibile? Ma
quando usavi i tuoi fili su di me, con One For All, non è
mai
successo niente del genere».
«Sì,
forse hai ragione... in fondo, quando mamma mi ha concepita aveva
già
ereditato One For All. Magari me l'ha passato geneticamente, ma
comunque rimane una parte così misera di me che sono
riuscita a
liberarlo solo una volta in tutta la vita e quell'unica volta mi ha
quasi uccisa. E, se devo essere sincera, non credo che
riuscirò mai
più a farlo. Probabilmente l'insieme dei sentimenti provati
e quel
luogo così macabro hanno fatto da catalizzatore.
Semplicemente...
vive in me, ma non mi appartiene».
«Machiko,
a proposito di questo...» tentò lui di
intervenire, trovando
l'argomento propizio. Le avrebbe parlato, le avrebbe rivelato ogni
cosa.
«Aspetta!»
lo interruppe lei, agitata e tornando ad arrossire. «Prima di
ogni
cosa, ti prego... Ho bisogno di chiederti una cosa».
Tornò
a stringere il lenzuolo con entrambe le mani, a stringersi in se
stessa. Si corrucciò e il rossore dell'imbarazzo
tornò a comparire
sul suo volto: cosa c'era che la turbava tanto e la faceva vergognare
a tal punto? Cosa aveva la precedenza su quel discorso che sapeva
perfettamente anche lei che era giunto il momento di fare?
«Steve...»
balbettò e infine si fece coraggio per proseguire:
«Steve ha detto
che io gli ho salvato la vita, quando era un bambino, ma che poi mi
sono fatta da parte per permettere a te di prenderti tutta la gloria.
È stato da lì che ha cominciato a odiare te e
amare me a tal punto
da diventarne un'ossessione. È arrivato a questo per colpa
di quel
giorno e di tutte le volte che tu hai brillato al posto mio.
Insomma... io voglio solo dire che...» strinse ancor
più le
lenzuola, mentre le sopracciglia si inarcavano sempre più in
un'espressione addolorata e spaventata: «Tu credi che sia
stata
colpa mia?» riuscì finalmente ad ammettere.
«Cosa?»
chiese lui, incredulo.
«Sì,
insomma...» e si portò timidamente una ciocca di
capelli dietro
l'orecchio, a dimostrare tutto il disagio e la vergogna di quella
domanda. «Ciò che voglio dire è che io
non sono brava in questo,
non sono sempre stata in grado di distinguere il giusto dallo
sbagliato, al contrario tuo. Sei più bravo di me a capire
gli errori
e quali devono essere i comportamenti corretti da tenere, me li hai
insegnati tu. È per questo che lo chiedo a te,
perché io non riesco
a capirlo ma ho così paura di sbagliare. Credi che abbia
sbagliato
qualcosa? Che Steve sia diventato così per colpa mia?
Dove... dov'è
il mio errore, Toshinori? Ti prego, correggimi»
confessò,
raggomitolandosi e nascondendo infine il volto nelle lenzuola,
premute contro il viso. Si era sempre appoggiata a lui, per un'intera
vita, per riuscire a comprendere giusto e sbagliato. Era stato lui a
insegnarle la giustizia e l'onestà e ora che si era trovata
di
fronte a un grosso errore di cui si sentiva strettamente legata, si
era rivolta all'unica persona che sapeva avrebbe potuto aiutarla a
trovare le risposte, come aveva sempre fatto. Ma ciò che gli
fece
più male era vedere come ancora una volta Machiko rivelasse
quel
lato fragile di sé, il suo folle amore per quelle marionette
di cui
si serviva solo per non sentirsi sola e disperata. Steve era un
burattino rotto che aveva ritrovato dopo tanti anni, senza neanche
ricordarsi di averlo avuto tra le mani in passato, e vederlo in
quelle condizioni a causa sua le aveva lacerato l'anima.
«Machiko,
Steve era semplicemente malato. Tu non c'entri, non è stata
colpa
tua».
«Sei
sicuro? Non credi abbia commesso qualche errore?» chiese lei,
speranzosa più di quanto si sarebbe aspettato. Quanto doveva
farle
male quella faccenda per aver bisogno di una rassicurazione a tal
punto?
«Sì,
certo» disse lui, intenerito e desideroso di darle
ciò di cui aveva
bisogno.
«Katsuki...»
disse, tornando a fissare le lenzuola sotto di sé.
«Bakugou è
arrabbiato con me. Non potrò mantenere la promessa fatta,
non potrò
dargli la possibilità di battermi. Sono stata addormentata
per due
giorni interi, dopodomani partirò e non ho le forze di usare
ancora
il mio Quirk, non finché non mi riprenderò del
tutto. Avevo
promesso di allenarlo, di renderlo il numero uno. Mi hanno detto che
in questi giorni è intrattabile e si irrita terribilmente
quando
parlano di me. È furibondo, mi odia sicuramente. Mi sta
sfuggendo
dalle mani, ne sto perdendo il controllo» disse velandosi di
un
leggero panico, che nascose nelle proprie mani, coprendosi il volto.
«Se non posso controllarlo, come posso assicurarmi che il suo
cuore
batta nel verso giusto? Se mi sfugge in questo modo, come posso
sapere... come posso sapere che non diventerà come Steve, a
causa
mia?»
Era
così fragile che perfino un piccolo dubbio come quello le
aveva
instillato dentro una tale paura da portarla quasi al panico. Forse
complice anche i farmaci che la rendevano particolarmente
suscettibile, ma Toshinori sapeva che quella era solo la liberazione
della sua vera sè. Quella fragile, timorosa, che aveva
sempre
bisogno di essere abbracciata per non cadere in pezzi. La Machiko che
stringeva al petto le proprie bambole per proteggersi dal buio. Era
così piccola, in confronto a quell'enorme spietato mondo.
Come
potevano crederla crudele? Come potevano pensare che fosse capace di
essere il mostro che tutti temevano? Come potevano non vedere che era
solo una stupida maschera, la sua?
«Steve
ha cercato di ucciderti, il giovane Bakugou ti ha invece salvato la
vita. Non basta questo a capire che quei due sono completamente
diversi? Sei abbastanza attenta e affezionata alle tue marionette,
dovresti coglierne le sfumature con facilità».
«Che
significa?» chiese lei, confusa. «Mi ha
salvata?»
«Più
volte durante la battaglia, lo sai bene, ma forse quello che non sai
è che mentre eri incosciente, dopo che i medici hanno
tentato di
rianimarti, quando ormai era passato troppo tempo, hanno iniziato a
crederti perduta. Ti stavano lasciando andare, si erano
arresi».
«E
Bakugou... mi ha salvata?» chiese lei, meravigliata e
incredula.
Toshinori arrossì lievemente e ridacchiando
spiegò: «Sì, beh, più
o meno... ha preso uno dei dottori per il colletto e l'ha minacciato
di ucciderlo se non ti avesse fatto respirare di nuovo. Ha urlato
tutta una serie di cose sul fatto che dovesse essere lui quello che
doveva batterti, che non capivano niente, che non eri morta e loro
erano degli incompetenti e l'ha quasi tramortito il poverino. Sono
dovuti intervenire Kirishima e Eraser per fermarlo e portarlo via,
era completamente fuori di testa. Ma comunque l'importante è
che uno
degli infermieri è rimasto toccato dalla cosa e ha tentato
ancora,
fino a quando non è avvenuto il miracolo e sei tornata tra
noi».
«Ha
davvero detto quelle cose?» chiese lei, rasserenandosi.
«Non
voglio mentirti, penso anch'io che la situazione dell'allenamento e
della vostra piccola sfida lasciata in sospeso l'abbia riempito di
frustrazione, probabilmente è arrabbiato, ma gli
passerà. È solo
rimasto scosso da quanto successo. Non sarà un piccolo
incidente
come questo a renderlo come Steve, stai muovendo i tuoi fili
correttamente con lui, ne sono certo».
«Grazie»
sorrise, più serena nel viso. «Mi sento molto
meglio, ora».
Era
bastato così poco, erano bastate solo le sue parole.
Né quelle di
Drew, né quelle di Recovery Girl o di nessun altro... aveva
solo
avuto bisogno di lui.
«Macchan»
mormorò, colmo di un senso di colpa e un dolore che poche
volte
aveva provato. Era quello il momento, era lì che doveva
farlo, per
lei e per quell'amore che continuava a rivolgergli, un amore tanto
folle da farlo quasi sentire in colpa.
«Devo
dirti una cosa» ammise, abbassando lo sguardo.
«Non
era un sogno, vero?» chiese lei, tornando a rabbuiarsi.
«Quell'uomo... in quella polvere... non ho immaginato tutto,
è
questo che vuoi dirmi? Eri veramente tu, Toshi-chan?» la voce
che le
morì in gola, a segnalare il bisogno che aveva di piangere
contro
cui stava lottando.
Qualche
istante di silenzio a rincorrere selvaggiamente quel coraggio di cui
aveva follemente bisogno e infine, con una forza tale che mai aveva
avuto prima, confessò: «Sì. Ero
io».
Machiko
fece un lungo sospiro per cercare di calmarsi, scossa e forse in
procinto di scoppiare a piangere.
«È
colpa della tua ferita?» chiese ancora, socchiudendo gli
occhi,
concentrandosi a restare calma.
E
lui ebbe solo la forza di annuire.
«Quindi
è questo che intendevate tu e Nezu quando mi avete detto che
ti sei
indebolito. Perdi le forze a tal punto... ogni quanto ti
succede?»
E
questo fece ancora più male, aggiungendo legna al fuoco che
già lo
divorava dall'interno. Deglutì, schiuse le labbra per
parlare, non
ci riuscì. Fece qualche sospiro e infine ammise:
«Sempre».
«Che
significa sempre?» chiese lei, non capendo.
«Ormai...
io sono quell'uomo, Macchan. Questa è una forma che riesco a
mantenere solo per qualche ora al giorno. Mi...»
balbettò, non
riuscendo a incontrare il suo sguardo sconvolto e pallido.
«Mi
dispiace tanto».
«Quindi...»
mormorò Machiko con un filo di voce. «Anche adesso
tu...»
«Non
volevo ingannarti» confessò lui, addolorato.
«Perché,
Toshi-chan?» e una lacrima le sfuggì dagli occhi,
mentre la voce la
tradiva lasciando uscire il suo dolore. «Perché
continui a
lasciarmi indietro?»
Toshinori
alzò gli occhi su di lei, colto da un profondo panico: non
la stava
lasciando indietro, non di nuovo! Non aveva mai voluto farlo, aveva
frainteso. La gola gli si chiuse nell'istante in cui la vide:
un'espressione tanto addolorata non era sicuro di averla mai vista
prima. Le sopracciglia corrucciate, gli occhi spalancati, le labbre
dischiuse e le lacrime che uscivano copiose, libere, senza che lei
provasse a fermarle, forse senza neanche percepirle sulla pelle
completamente sperduta in quel mondo di dolore.
«Io...
avevo solo così tanta paura» confessò,
lasciandosi cadere in
avanti. Le poggiò la fronte su una spalla, cercando un
infantile
contatto, il bisogno di un abbraccio.
«Con
me puoi farlo, Toshi-chan, lo sai» sussurrò,
addolorata. «Con me
puoi smettere di sorridere».
Sorridere
in quel modo era qualcosa che si era obbligato a fare per il resto
della vita. In qualsiasi momento, di fronte a qualsiasi situazione,
lui doveva sempre sorridere. Era la promessa che aveva fatto a se
stesso e al mondo intero, ma col tempo, quel sorriso che era nato
come una maschera per proteggere chi aveva attorno, si era fusa in
lui, diventa lui stesso quella maschera. Aveva dimenticato come si
faceva, a non sorridere più. Aveva dimenticato come si
faceva ad
essere se stessi, con le vere emozioni, stretto in un abbraccio
sicuro in cui poterlo fare. Magari anche piangere... come si faceva?
La
mano di Machiko si posò dietro la sua nuca, accarezzandolo e
spingendoselo al petto. Gli cinse il collo con l'altro braccio,
avvolgendolo, proteggendolo, e in quel bozzolo sicuro lui finalmente
lasciò il fiato. Il vapore uscì dalla sua pelle,
mentre lentamente
i muscoli si rilassavano, diminuivano la loro disumana grandezza
portandolo a quella condizione scheletrica di cui tanto si era
vergognato. Non alzò il volto, restando schiacciato contro
il petto
di Machiko, sentendosi sicuro lì.
E
sentendosi sciocco... si ricordò ogni cosa. Si
ricordò come si
sorrideva davvero, come si amava davvero, come si aveva paura
davvero, come si faceva ad essere se stessi, come si faceva ad essere
umano... si ricordò come si piangeva. Strinse le dita sulla
sua
vestaglia, attanagliandosi ad essa, aggrappandocisi disperatamente e
lasciò libero tutto ciò che per anni si era
tenuto dentro: tutte le
paure, tutti i dispiaceri, tutto ciò che quel finto sorriso
aveva
nascosto per anni uscì come un fiume a cui era stata appena
distrutta la diga che lo contrastava. Scuotendo le spalle,
lamentandosi come un bambino, schiacciò il volto contro quel
petto
caldo e accogliente, inzuppandolo di lacrime. Machiko fece scivolare
di più le proprie mani lungo le sue spalle, avvolgendolo
fino a
stritolarlo, chiudendolo in un bozzolo che sarebbe stato il suo
rifugio per tutto il tempo di cui sentiva averne bisogno.
Poggiò la
propria guancia su quei capelli diradati, immergendocisi, e venne
travolta dal loro profumo. Era il profumo di Toshinori, sempre lo
stesso, non importava che sembianze avesse preso, non importava la
forma che il suo corpo aveva deciso di prendere, quel profumo non
apparteneva a nessun'altro se non all'uomo di cui era ed era sempre
stata follemente innamorata.
«Machiko»
mormorò lui, tremante tra le sue braccia, ancora scosso dai
singhiozzi. «Resta per sempre con me».
Una
richiesta, una promessa che era rimasta sospesa per vent'anni, chiusa
in una tasca della giacca rovinata dalle macerie di un terribile
incidente. Il momento del dolce...
«Sposami».
Now
I am strong, you gave me all
You
gave all you had
And
now I am home
My
love, leave yourself behind
Beat
inside me, I'll be with you
NDA.
Brevi
NDA solo per scusarmi per la lunga attesa e ringraziarvi di nuovo
tutt*! xD Mi scuso anche se non ho risposto alle recensioni (anche
quelle brevi arrivate per messaggio), vi ho letto e ho apprezzato
come sempre <3 grazie grazie grazie!
A
(spero) presto!
Ray
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