Ein vater|Ein sohn

di Architetto di sogni
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Anno 848



I primi raggi del sole mattutino illuminarono la stanza.

Il riflesso della luce, che si posava sui capelli chiari della ragazza, emanava dei piccoli bagliori, accendendo ancora di più il viso candido della giovane.

Petra socchiuse gli occhi, mentre uno sbadiglio tradiva la stanchezza non ancora del tutto recuperata. Gli allenamenti del giorno precedente erano stati molto faticosi ed impegnativi e i muscoli delle braccia le dolevano per i ripetuti movimenti di attacco.

Mancava poco all’inserimento in squadra delle nuove reclute, ma nel frattempo i veterani dovevano continuare a tenersi in allenamento, visti i scarsi risultati ottenuti nelle precedenti missioni e le numerose perdite in termini di vite umane.

Era riuscita ad abbattere due giganti con le sue sole forze, nel corso dell’ultima missione nel Wall Maria, e la cosa l’aveva enormemente gratificata.

Quel giorno si sarebbero concentrati sull’ottimizzazione della cavalcata.

Decise di alzarsi, così da arrivare in anticipo e poter scambiare qualche parola con il Caporale prima che arrivasse il resto della squadra.

Tuttavia, appena poggiò il piede a terra, un forte senso di nausea la investì e dovette correre in bagno con la mano premuta sulla bocca, per poi rigettare nel gabinetto.

Ansimò, mentre goccioline di sudore le scivolavano dalla fronte e brividi le scuotevano il corpo. Attribuì la colpa di quel malessere alla cena consumata la sera precedente, abbondante e pesante, e l’essere andata a coricarsi presto non aveva giovato.

Dopo pochi minuti la situazione si era ripetuta, finché, con lo stomaco completamente vuoto, il tutto si ridusse a conati e continui tremori.

Non riusciva ad alzarsi in piedi, l’improvviso malessere l’aveva debilitata e tutti i buoni propositi per un allenamento profittevole erano di colpo sfumati.

Voleva solo tornarsene a letto e riposare.

Lo stomaco le doleva molto a causa dei continui sforzi e sembrava che le forze l’avessero di colpo abbandonata.

Strisciò verso il letto, rannicchiandosi in posizione fetale sotto le coperte e cadendo subito in un sonno agitato, fatto di giganti e combattimenti; e la voce del Caporale che la richiamava, sempre più forte, sempre più vicina.

Una mano la scosse piano.

Si svegliò di soprassalto, due occhi grigi e infossati la scrutavano.

“Non hai sentito la sveglia per caso?”

Rivaille la osservava sospettoso; Petra non aveva mai ritardato in tutti quegli anni passati insieme, anzi, era la prima che la mattina si presentava a suo cospetto, in modo da passare del tempo a parlare da soli, senza essere disturbati.

Così, quando quella mattina non l’aveva vista arrivare e si era dovuto sorbire il primo “buongiorno” da Gunther, un campanello d’allarme aveva preso a suonare insistentemente nella sua testa. Dapprima l’aveva ignorato, attribuendolo ad un’eccessiva preoccupazione dovuta ai traumi passati, ma quando anche gli altri due membri della squadra erano scesi e della ragazza non v’era ancora traccia, Levi aveva capito che qualcosa non andava e si era precipitato nella sua camera.

L’aveva trovata avvolta nelle coperte, caduta in un sonno profondo che neanche i suoi richiami erano serviti a rompere.

Perciò l’aveva scossa per un braccio, riuscendo così nel suo intento, ma gli occhi cerchiati della giovane non lasciavano presagire nulla di buono.

“Mi scusi Caporale...mi sono alzata, ma non mi sentivo molto bene…”

Non ci fu bisogno di ulteriori spiegazioni, Rivaille le credeva.

“Puoi rimanere a riposo per oggi.”, un cenno col capo come saluto e si dileguò, lasciandola sola. Non era il ritratto dell’amabilità, Petra lo sapeva e conosceva bene il carattere dell’uomo, ma in cuor suo aveva quasi sperato che quella mattina rimanesse con lei, a farle compagnia. Utopica illusione generata dai sentimenti che aveva iniziato a provare per il moro e che con gran maestria riusciva a nascondere agli occhi della squadra, per non causare conflitti di interesse.

Le uniche occasioni in cui si ritagliava del tempo per stare da sola con lui erano la mattina presto, prima degli allenamenti, e la tarda notte, quando tutti dormivano.

Non facevano grandi cose durante quelle ore, parlavano, o meglio, Petra parlava, raccontando della sua vita prima dell’arruolamento, del padre protettivo e geloso, del suo villaggio natale e della sua casetta in mezzo alla natura. Levi si limitava ad ascoltare e, raramente, intervenire con qualche domanda o breve accenno alla sua vita sotterranea.

Si fidava di lei, una fiducia nata nel corso di molto tempo e di molte situazioni delicate superate insieme. Ma soprattutto cresciuta durante quei brevi incontri, molti dei quali passati in silenzio, ad osservare la notte.

La contemplazione del cielo notturno era sempre stato un rituale per Rivaille e la condivisione di quei momenti con la ragazza, avevano reso quelle occasioni intime.

Per Petra erano piccoli sprazzi di felicità, in quella vita così miserabile e violenta, a cui quel giorno, però, avrebbe dovuto rinunciare. Sperava di rifarsi alla sera, al suo rientro alla base, ma stava già dormendo quando la squadra tornò dall’addestramento.

Quel che non sapeva è che quella notte Levi era entrato nella sua stanza, e vi era rimasto a lungo per controllarla e monitorarla.


L’istinto di protezione era ormai insito in lui, le esperienze passate lo avevano forgiato e, anche se odiava ammetterlo, la sicurezza della sua squadra era tutto per lui, specialmente la protezione di Petra. Sarà perchè sua madre era morta davanti ai suoi occhi quando era ancora un bambino impotente, sarà perché gli ricordava Isabel, ma a Petra era riservato un posto speciale nell’animo dell’uomo.

Non sapeva se ne era innamorato, non credeva che uno come lui potesse provare sentimenti diversi dall’odio e dalla vendetta, ma sapeva che da quando aveva conosciuto Petra il suo animo si era calmato, gli incubi erano diminuiti e la motivazione a fare quel che era giusto era aumentata. E sapeva che l’avrebbe protetta, da tutto e da tutti, forse anche da sé stesso.

Solo in un’occasione si era lasciato andare con lei, ricordava molto bene quella notte nonostante tutto l’alcol ingerito.


Ubriaco fradicio, ma sempre controllato, qualche settimana prima aveva lasciato che la ragazza lo accompagnasse alla sua stanza.

Preoccupata dal barcollare dell’uomo, lo aveva seguito per evitare che, cadendo o scivolando, si ferisse in qualche modo; inizialmente Levi si era opposto, era un uomo in grado di badare a sé stesso, ma le continue lamentele della bionda lo avevano fatto desistere e si era arreso, chiudendosi nel suo solito mutismo.

Una volta arrivati in camera, però, qualcosa di strano era successo.

Lui non era poi così ubriaco, ma lei era così dannatamente bella che l’uomo non poté fare a meno di avvicinarglisi e, con una mano tremante, afferrargli una ciocca di capelli chiara e portarsela al naso, inspirando il suo profumo.

Poi le aveva sorriso.

Petra aveva indietreggiato di colpo, spaventata, quasi l’avesse schiaffeggiata e lui, tornando quasi nel pieno delle sue facoltà, si era risentito, allontanandosi da lei e dandole le spalle.

“Vattene.”, una frase secca, piena di risentimento per quel rifiuto, il rifiuto per aver provato a lasciarsi quasi andare e tornare per un momento ad essere umano.

Petra però non si era mossa, indecisa sul da farsi, ben consapevole di ciò che stava avvenendo dentro al suo capitano. Non voleva che si rinchiudesse nuovamente nel suo guscio di dolore, non dopo aver visto quello spiraglio di speranza che l’accenno di un sorriso dell’uomo aveva aperto.

Non seppe mai da dove era arrivato quell’improvviso coraggio, forse era ubriaca anche lei, pur non avendo toccato un goccio di alcol, o forse era semplicemente tanto innamorata.

Si avvicinò all’uomo e quando lui si voltò, lei gli prese il viso tra le mani e, senza perdere tempo, poggiò le labbra sulla bocca di lui.

Lo sentì irrigidirsi e non sapeva cosa aspettarsi, forse l’avrebbe spinta via, o colpita per allontanarla. Ma contro ogni sua previsione, Rivaille approfondì il bacio, stringendola forte contro il suo corpo.

Di quel che successe in seguito, ricordavano solo dei flash: i vestiti che cadevano, ormai troppo ingombranti sui loro corpi, il profumo della pelle che li inebriava, il calore dei loro respiri, i sussurri, i gemiti...il paradiso.

Non avevano più parlato di quella notte, viveva solo nei loro ricordi, così come le parole e le promesse che si erano scambiati, rimaste incastrate nei loro corpi intrecciati.

Ma quella notte li aveva segnati.

Le loro occhiate si era fatte più sfacciate, il cuore di Petra accelerava ogni volta che lo vedeva e in alcune occasioni si erano ritrovati a darsi baci passionali, nascosti nel segreto della notte.   

Il loro rapporto si era evoluto dal punto di vista fisico, ma da quello emotivo e sentimentale...era impossibile da definirsi, non ne avevano mai parlato, né avevano intenzione di farlo, quasi per paura di rompere quel sottile legame che si era creato, così fragile che sarebbe bastato un soffio, una parola in più, per distruggerlo.

E ora, la presenza di Rivaille nella stanza della ragazza, era un segnale inequivocabile del cambiamento irreversibile che stava avvenendo, ma che lui si sforzava di ignorare.

Rimase ad osservarla per un paio d’ore, seduto accanto al suo letto, guardando il suo petto che si alzava e si abbassava, tranquillizzandolo.

Poi, silenzioso com’era arrivato, se n’era andato.

Non una carezza, né un misero bacio, quelle non erano cose da Rivaille.


La sua preoccupazione aumentò quando anche la mattina dopo Petra non si presentò, e nemmeno le due successive.

Ma quando, dietro la porta della sua camera, l’aveva sentita rigettare, aveva capito che si trattava di un virus e si era tenuto ben lontano, vedendola aggirarsi di tanto in tanto per la cucina per smangiucchiare qualcosa.

“Non sarebbe ora che tu ti rivolgessi ad un dottore?”, le aveva chiesto un mattino, sempre protetto dietro la pesante porta in legno, “Non ammetto elementi deboli nella mia squadra!”.

Detto ciò aveva fatto chiamare un medico, senza aspettare la risposta della ragazza; se si trattava davvero di un virus non voleva rischiare un contagio.

Il dottore arrivò solo il giorno dopo e fu accompagnato personalmente dal Caporale nella stanza della giovane, che li lasciò soli.

Lo specialista bussò piano alla porta,

“Signorina Ral, sono il dottor Frinkelbann, posso entrare?”,un sussurro affermativo appena accennato bastò al dottore per fare il suo ingresso nella stanza.


Petra era pallida, mangiava poco e la maggior parte delle cose che ingeriva poi le vomitava. La stanchezza era diventata una consuetudine e passava la maggior parte della giornata a letto a riposare.

Elencò tutti i sintomi al medico, mentre lui le controllava il battito e la invitava a fare dei respiri profondi.

“Mi dica signorina, sente anche dolori alla pancia, oltre le nausee e il disturbo allo stomaco?”

“Ho un leggero gonfiore nel basso ventre...” , furono quelle parole che resero chiara la situazione al dottore, che sorrise molto cordialmente alla ragazza.

Quel gesto calmò Petra, evidentemente non era nulla di grave, si trattava solo di un semplice virus passeggero. Ma l’uomo era di tutt’altro avviso.

“Le faccio le mie congratulazioni, lei non è malata, ma aspetta un bambino.”

Fu un fulmine al ciel sereno, il fiato le si mozzò in gola e spalancò gli occhi incredula.

“Non è possibile, io non…”, la notte passata con il Caporale le piombò all’improvviso alla memoria e un senso di panico la investì.

Non voleva diventare madre, era ancora troppo giovane, amava il suo “lavoro” ed era sicura che Rivaille era dello stesso avviso. Ma non se la sentiva neanche di uccidere quella vita innocente che si stava formando dentro di lei. Erano già troppe le vite a cui aveva dovuto dire addio.

L’unica cosa di cui era certa era che Levi non avrebbe mai dovuto saperlo, e che nessuno doveva scoprirlo.

“Quando...quando sarà evidente?” indicò la pancia che di lì a pochi mesi sarebbe esplosa,

“All’incirca al quinto mese...ma se non lo vuole ci sono delle tecniche per…”

“No. Lo tengo. Mi prometta solo che non ne farà parola con nessuno.”, avrebbe trovato una soluzione, si sarebbe rivolta a suo padre, anche se temeva la sua reazione.

In fondo aveva solo vent’anni ed era nel bel mezzo di una guerra sanguinaria, come avrebbe potuto crescere un figlio da sola?

Il medico le assicurò che il segreto professionale gli impediva qualsiasi soffiata e le diede consigli sul controllo della nausea, in modo da riprendere al più presto la sua routine e non dare troppo nell’occhio.

“Il padre del bambino...almeno lui dovrebbe saperlo, la potrebbe aiutare.”, fu l’ultimo suggerimento che le diede, Petra lo ringraziò, mentre dentro di sé giurò che mai avrebbe rivelato il suo segreto a Rivaille.

Anche a costo di portarselo nella tomba.




°°°

E’ da parecchio tempo che avevo in mente questa storia, la paura di un fallimento mi aveva fatto desistere dall’iniziarla, ma alla fine ho deciso di buttarmi, senza troppe pretese.

La vicenda si colloca intorno al 848, nell’intermezzo di tempo dopo la distruzione del Wall Maria, avvenuta nel 845, e l’arruolamento del 104° Corpo di addestramento reclute nel 850.

La domanda “cosa avranno fatto nel frattempo quelli della Squadra Operazioni Speciali?” mi perseguitava e perciò ho ideato questa vicenda utopistica che vede Rivaille e Petra protagonisti. E’ una delle coppie che preferisco dell’opera, e il loro rapporto ambiguo lascia ampio margine allo scatenarsi dell’immaginazione.

La mia mente malata sta producendo attualmente questa storia e vi ringrazio per aver letto fino a qui, spero anche vi vada di dirmi cosa ne pensate, sarebbe molto stimolante e mi aiutereste laddove c’è bisogno di miglioramenti.

Che dire?

Grazie ancora per la vostra attenzione e alla prossima!


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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Anno 848



Non era semplice allenarsi con un bambino in grembo, tantomeno mantenere il segreto con Rivaille che negli ultimi tempi aveva intuito che qualcosa non andava e aveva preso ad evitarla, sperando che questo l’avrebbe spinta a confidarsi, ma ciò non era avvenuto.
Il suo periodo di malattia era stato giustificato con un’influenza particolarmente aggressiva e, fortunatamente, i consigli del medico per la nausea si erano rivelati particolarmente efficaci.
Al contrario, non fu semplice contenere gli sbalzi d’umore, specialmente considerando il suo carattere solitamente mite e tranquillo, che cozzava contro gli improvvisi scatti d’ira e nervosismo, che quasi spaventavano i compagni di squadra e irritavano il Caporale.
Difficile fu l’uso della manovra tridimensionale, sentiva di star diventando sempre più goffa nei movimenti e per evitare che gli altri si accorgessero di questa strana regressione, aveva preso ad allenarsi la mattina presto, quando nessuno poteva vederla, mentre si abituava alla diversa distribuzione del peso e il conseguente raggiungimento dell’equilibrio.
Su espresso ordine del dottore aveva evitato gli allenamenti a cavallo, per paura che i salti sulla sella potessero nuocere al feto e provocare un aborto spontaneo. Fortunatamente negli ultimi tempi la squadra aveva preso ad allenarsi con il movimento 3d, visti i recenti sviluppi nel Wall Maria e l’unico pericolo che correva era che qualcuno si accorgesse del gonfiore che, giorno dopo giorno, diventava sempre più evidente. L’escamotage di una pancera e una camicia di una taglia più larga, la faceva apparire snella come al solito; ed evitava quando più possibile di stare in compagnia di Hanji, la quale non faceva altro che trascinarla nelle sue stravaganze e mettere a repentaglio la sua salute.
Temeva che la donna capisse la situazione, quasi ci fosse una sorta di sesto senso femminile che si attivava in occasioni particolari, come quella che stava vivendo Petra, anche se dubitava fortemente che Hanji, nonostante la sua spiccata intelligenza, possedesse un istinto materno tale da intuire certe questioni.
Praticamente Petra era diventata un’emarginata, stava in compagnia degli altri solo lo stretto necessario e, suo malgrado, i contatti con Rivaille erano notevolmente diminuiti.
Gli sarebbe bastato uno sguardo per penetrare oltre le sue difese e farla crollare, spingendola a confessare tutto, in particolare durante i momenti di ipersensibilità che la travolgevano alla sera, quando la stanchezza prendeva il controllo.
Il tempo passò più velocemente del previsto.
Le nuove gavette erano pronte per essere introdotte in squadra e si nutrivano buone speranze che qualcuno entrasse a far parte del Corpo di spedizione. Voci di corridoio parlavano di un ragazzo coraggioso e impulsivo, e della sua sorellastra forte quasi quanto il Caporale, i quali avevano tutta l’intenzione di arruolarsi nella loro squadra.

La ragazza guardava fuori dalla finestra, il sole si stava alzando in quel momento preannunciando l’inizio di un nuovo giorno. Si accarezzò il pancione, sussurrando parole dolci al bambino.
Era giunto il momento di chiedere a Rivaille un permesso di qualche mese, prima di ripartire con le nuove spedizioni,  e prima che qualcuno si accorgesse dello stato di attesa della donna.
Se i suoi calcoli erano giusti, mancavano poco più di dieci settimane alla data del parto e voleva essere a casa, in un luogo sicuro e confortevole, assistita da suo padre in quel momento delicato.
Non le sarebbe dispiaciuto avere anche l’appoggio di Rivaille, ma la cosa era fuori discussione.
Si diresse nel suo studio, bussando piano alla porta e ricevendo per tutta risposta un grugnito che lei interpretò come un cenno di assenso ad entrare.
Il Caporale era chino sulla scrivania a scavare tra pile di fogli e documenti, non la degnò di uno sguardo, andando dritto al punto.
“Che vuoi Petra?”
Non si aspettava modi tanto bruschi, quasi fu tentata di fare dietrofront e ripassare in un momento più adatto, vista la tensione dell’uomo, palpabile persino nell’aria.
Ma quando si ritrovò degli occhi di ghiaccio puntati sui suoi, tutt’altro che rassicuranti,  fu costretta a sputare il rospo.
“Levi...Caporale, avrei bisogno di un permesso di qualche settimana per assentarmi e andare da mio padre.”
“Di quante settimane stiamo parlando?”
“Sarebbero...una decina, più o meno.”
Si aspettava di vederlo andare in escandescenze, gridare, o stroncarla con qualche battutina tagliente. Invece si limitò a fissarla senza proferire parola, studiandola, cercando di capire cosa gli stesse nascondendo. Odiava ammetterlo, ma l’idea che la ragazza celasse un segreto inconfessabile, lo mandava fuori di testa. Aveva sempre pensato di essere importante per la ragazza, e lei lo era per lui, anche se lo dimostrava di rado e con maniere tutte sue.
Quel suo comportamento però, lo aveva ferito, si era sentito tradito e l’aveva tenuta lontana, quasi per vendetta.
Averla in giro per la base in quella situazione lo innervosiva, e visto e considerando che non c’erano ancora stati sviluppi per una nuova spedizione, non aveva motivo di negargli quelle settimane.
“Ne parlerò con Erwin, ma non credo solleverà obiezioni, perciò…”, le fece cenno di uscire.
La ragazza gli fece cenno col capo, per poi voltarsi e andarsene, ma prima di varcare la soglia fu fermata dalle parole di Rivaille.
“Petra, c’è qualcosa che dovresti dirmi?”
“No, Rivaille.”
Fu l’ultima volta che parlarono da soli.


Anno 851



Il Caporale Levi non riusciva a credere che lo spettacolo che gli si presentava dinnanzi agli occhi fosse reale, e non uno dei soliti incubi che lo tormentavano la notte.
La sua squadra era stata annientata, la sua famiglia era stata uccisa, di nuovo.
L’ombra della morte lo perseguitava, ovunque lui andasse qualcuno moriva.
Le persone che aveva a fianco, inevitabilmente scomparivano, mentre lui sopravviveva, sempre.
Questa era la sua punizione per essere il più forte dell’umanità, la sua maledizione. E per rispetto verso coloro che aveva lasciato, doveva continuare ad andare avanti; il dolore lo rendeva sempre più forte, lo rendeva sempre più vivo.

Cercò di non posare gli occhi su quei cadaveri straziati, ma non potè fare a meno di fermarsi quando si ritrovò gli occhi di Petra puntati addosso.
Lo guardava, la testa buttata all’indietro, il corpo piegato e appoggiato ad un albero sporco del suo sangue. Sembrava lo stesse pregando di salvarla, di porre fine a quell’orrore, ma Levi era arrivato troppo tardi.
Soffocando i sentimenti che avevano preso ad urlargli dentro, cercò di portare a termine la missione e, dopo aver salvato Mikasa, si scagliò con tutta la sua forza contro Annie.
Voleva ucciderla, voleva massacrarla come lei aveva fatto con la sua squadra, con Petra.
Era come un proiettile impazzito, sfrecciava da una parte all’altra del corpo del gigante, tagliando, sminuzzando.
Mikasa non credeva ai suoi occhi, mai aveva visto qualcuno muoversi così velocemente, mai aveva visto tutta quella forza in un essere umano. Ma non era la forza a far muovere Rivaille, era l’odio, il rancore, il dolore, il senso di colpa, l’amore.
Non uccise Annie, ma salvò Eren e concluse la missione.

Fu lui a recuperare il corpo di Petra, non voleva che nessun altro toccasse la compagna e non gli importava neanche che il sangue della giovane lo sporcasse.
Non gli importava più di niente ormai.
Quando sollevò il corpo della ragazza, però, un foglietto le sgusciò via dalla tasca della giacca.
“Bern, passami quel foglietto.” ordinò al giovane che trascinava gli altri corpi fino al carro.
“E’ la fotografia di un bambino”, il Caporale lo guardò perplesso.
Con un cenno del capo lo invitò a mostrargliela.
Un bambino di poco più di un anno sorrideva verso l’obiettivo; aveva lo stesso sorriso di Petra e la stessa forma delicata del viso, ma i capelli...i capelli erano corvini e gli occhi cerchiati da lievi occhiaie.
Il cuore prese a battergli furiosamente in petto.
Girò la fotografia: “Amell Ackerman a due anni.”
Rivaille Ackerman capì di aver trovato suo figlio.






°°°
Salve a tutti,
innanzitutto ringrazio tutti coloro che si sono fermati a leggere la mia storia e sono felice che qualcuno l’abbia apprezzata.
Mi scuso per il ritardo nella pubblicazione, il prossimo e ultimo capitolo sarà postato in tempi brevi.
Ho deciso di scegliere il nome tedesco Amell per il suo significato, “potenza di un’aquila”, mi sembrava adatto per il figlio di Rivaille, il portatore delle ali della libertà (a lot of trip mentali).

Vi ringrazio ancora per aver letto fino a qui e spero sempre vi vada di dirmi cosa ne pensate, sarebbe molto stimolante e mi aiutereste laddove c’è bisogno di miglioramenti.

Grazie ancora per la vostra attenzione e alla prossima!


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Capitolo 3
*** Capitolo 3. Epilogo ***


-

Più guardava quella foto, più si rendeva conto di dover prendere in mano la situazione al più presto.

Non sapeva come comportarsi, non riusciva a capire quali sentimenti avesse smosso quella notizia; Levi per la prima volta si sentiva confuso.

Chiedere sostegno o aiuto ad altri era impensabile, non aveva ancora interiorizzato l’accaduto e uscirsene con un “sono diventato padre” non avrebbe giovato di certo.

Le lunghe assenze di Petra e i suoi numerosi rientri a casa, ora acquistavano un significato. Non lo stava allontanando, non lo aveva tradito e questo, seppur poco, lo confortò.

Ma la cosa che più gli premeva capire era il perchè, perche Petra non gli aveva mai detto niente. Non lo riteneva all’altezza del compito di genitore? Temeva che suo figlio rimanesse traumatizzato nel sapere di avere un padre delinquente?

Neanche lui aveva mai avuto un padre, probabilmente si trattava di uno dei tanti clienti della madre, e non aveva idea di cosa significasse essere un buon padre. Di certo Kenny non lo era stato, anche se lo aveva cresciuto e gli aveva insegnato a difendersi dal mondo; lo aveva addestrato ad essere un assassino, ma non un uomo.

Levi non sapeva amare, i sentimenti erano per lui cosa sconosciuta (a parte il dolore e l’odio, quelli li conosceva bene) e forse era tale motivazione che aveva spinto Petra a nascondergli la gravidanza. Era stata brava a occultare il tutto, ammirava la sua forza di volontà e il suo coraggio; non erano cose nuove per lui, sapeva benissimo che la ragazza, dietro quell’aria da cerbiatto dolce, nascondeva una guerriera intrepida. Per questo l’amava.

Perchè lei era riuscita a conservare entrambe le cose, umanità e forza, sapendole dosare perfettamente e al tempo giusto.

Per questo era sicuro che sarebbe stata un’ottima madre.

Ma che dire di lui? Sarebbe riuscito a ricoprire quel ruolo?


Fu il padre di Petra a dissipare ogni suo dubbio.

Dopo la cattura del gigante femmina e la conseguente scoperta che a manovrarlo era Annie, una lettera d’invito arrivò dal Wall Maria: il signor Ral desiderava un incontro col Caporale Rivaille.

Il primo impulso del soldato fu quello di ignorare l’invito e continuare la sua vita come nulla fosse. Se Petra avesse voluto renderlo partecipe dell'inaspettata gravidanza, lo avrebbe fatto da viva, l’occultamento del fatto era chiaro segnale che non lo voleva tra i piedi.

Ma qualcosa dentro di lui premeva e lo spingeva a riconsiderare la cosa più volte nell’arco della giornata. Era curioso e non sopportava l’idea di portarsi nella tomba tutte quelle domande e quei perchè, a cui solo il “suocero” avrebbe potuto dar risposta.

Nel contempo, la verità che si celava dietro quelle risposte, lo spaventava.

Non voleva sentirsi definire “mostro”, voleva continuare a vivere nell’illusione che, almeno una persona nella sua futile vita, lo avesse considerato un uomo. Petra era quella persona ed era terrorizzato all’idea di rovinare quei miseri ricordi che aveva di lei e del loro rapporto.

Fu l’ultima frase della lettera a fargli prendere una decisione definitiva:

“Petra avrebbe tanto voluto che lo conoscessi.”

Non ne era granchè convinto, ma sarebbe stato il suo ultimo regalo, o meglio, la sua redenzione per non essere arrivato in tempo e averla salvata.


Pochi giorni dopo si ritrovò davanti al sentiero che portava all’abitazione, per un momento fu tentato di fare dietrofront e fuggire da quell’assurda situazione, ma raccolse il suo coraggio e scese da cavallo, assicurando le briglie ad uno steccato e proseguendo a piedi per il viale.

Si trattava di una modesta casa in legno, attorniata da boschi e con una piccola stalla nel retro, dalle cui aperture spuntavano due musi lunghi di cavalli.

Levi storse il naso all’odore di muschio e muffa, probabilmente quel posto era culla di germi e batteri di ogni tipo, e la mancanza di donne in casa non lasciava presagire nulla di buono.

Arrivato all’ingresso si preparò a bussare, ma qualcuno lo anticipò e la porta si spalancò di colpo. Un bimbetto dall’aria vispa lo fissava perplesso, mentre Levi non accennò ad alcuna emozione, sentiva solo il fiato mozzato in gola.  Poi, ad un tratto, il bambino gli rivolse un sorriso luminoso e, girandosi verso l’interno della casa, gridò: “Nonno, è arrivato papà!”.

Il Caporale si paralizzò di colpo.

Come lo aveva chiamato quel moccioso? Papà?

E ora gli tendeva la mano paffuta, con tutta l’aria di volersi presentare in modo ufficiale; non potè fare a meno di stringerla.

“Piacere, io sono Amell.”

“Caporale Rivaille....Levi.” la sua voce rimase ferma, senza tradire alcun sentimento, ma il cuore gli martellava nelle orecchie, uccidere giganti non era niente in confronto.

Il signor Ral fece la sua comparsa, tirando fuori Levi dall’imbarazzo e facendolo accomodare in una delle quattro sedie che circondavano il minuscolo tavolino della cucina.

Era un ambiente luminoso, con scarso mobilio, ma ampie finestre che accoglievano i raggi del sole in casa. C’erano ancora elementi femminili, come delle porcellane protette in una vetreria e i tendaggi floreali delle finestre. Era tutto esattamente come Petra gli aveva descritto in uno dei loro incontri notturni. Si sentì quasi a casa.

“Posso offrirle qualcosa Rivaille?”

Si riscosse dai suoi pensieri, accettando una tazza di tè giusto per alleggerire la tensione.

“Perchè avete mandato a chiamarmi?”

“Perchè lei voleva che lo conoscessi.”, fece un cenno verso Amell che aveva preso a dondolarsi su una sedia, non staccando mai gli occhi dal padre.

“Perchè ora? Perchè non prima quando era ancora…”, si bloccò nel vedere il bambino fermarsi e i suoi occhi inumidirsi, “...viva.”.

Capendo la situazione, Ral invitò il nipote ad andare fuori a giocare, mentre lui e il padre avrebbero continuato la loro noiosa conversazione da soli.

Il bambino acconsentì ubbidiente.

Quando uscì, il vecchio porse a Rivaille la tazza fumante di tè e crollò su una sedia stremato.

“La mia bambina...la mia Petra. Non è stato facile per nessuno.” si prese la testa fra le mani e scoppiò in singhiozzi. Il Caporale rimase impassibile, anche lui aveva sofferto, anche lui aveva pianto, seppur in modo controllato, ma se aveva fatto tutta quella strada era solo per ricevere risposte.

“Perchè non me lo ha detto?”

Ral cercò di riprendere il controllo, Petra lo aveva avvertito del carattere freddo e scostante del Caporale, e si rese conto che non esagerava quando lo definiva talvolta “inumano”.

D’altro canto i vari episodi descritti dalla figlia, che lo rappresentavano in veste di paladino della giustizia ed eroe, avevano fatto crescere in lui rispetto per quello strano ometto che chissà come, era riuscito a rubare il cuore della sua bimba.

La freddezza di quella domanda, quindi, non lo colse impreparato.

“Non voleva che tu la odiassi”.

Rivaille si era preparato a tutto: alle accuse di negligenza, a sentirsi definire “inadatto” per il ruolo di padre, ma mai si sarebbe aspettato quelle parole!

Perchè mai avrebbe dovuto odiarla?

Quasi avesse letto nei suoi pensieri, l’uomo continuò:

“Lei...credeva che non lo volessi, che quella situazione ti avrebbe messo in seri guai visto il ruolo che ricopri. L’ha fatto...per proteggerti.”

Dentro di sè Levi scoppiò in una fragorosa risata. Petra voleva proteggerlo, qualcuno voleva proteggere lui, l’uomo meno umano e il più forte dell’umanità.

Lo voleva solo proteggere e c’era riuscita.

E lui?

Non l’aveva protetta ed era morta.

Gli organi gli si contrassero nel corpo, mentre il senso di colpa e la disperazione prendevano il sopravvento, il tutto ben nascosto da una maschera di finta apatia.

“Voglio sapere tutto.”


Ral gli raccontò di quando Petra era tornata a casa, usufruendo delle settimane di permesso per portare a termine la gravidanza e il parto.

Era rimasto scioccato dalle condizioni della figlia, vista la giovane età, e quello che maggiormente lo colpì fu la rivelazione dell’identità del padre del bambino.

Aveva sempre saputo che Petra nutriva un debole per il suo superiore, ma aveva dato scarsa importanza alla cosa, attribuendola ad una classica cotta adolescenziale.

Mai avrebbe pensato che il sentimento fosse così profondo e specialmente ricambiato!

Comunque non l’aveva giudicata, né rimproverata, le era semplicemente rimasto accanto, aiutandola durante tutto il periodo rimasto.

Più volte aveva cercato di convincere la ragazza a parlarne con Rivaille, ma lei si era sempre rifiutata, nella convinzione che l’uomo desse di matto, o che il suo grado venisse revocato. Era stata una scelta coraggiosa, la sua. Specialmente durante il parto, aiutata solamente dal padre e una donna del villaggio vicino.

Un travaglio lungo e faticoso, ma alla fine, con immensa gioia, entrambi stavano bene.

Il piccolo era un maschietto, Petra se lo sentiva e aveva già pronto un nome per lui: Amell Ackerman.

Amell, potenza di un’aquila.

Petra sperava che la vita che portava in grembo fosse all’altezza del mondo che l’attendeva fuori, ma visto e considerato che i suoi geni appartenevano al più forte dell’umanità, aveva buone speranze di poter cambiare la realtà.

Levi faceva volare le ali della libertà, il figlio era la sua potenza.

Non fu facile separarsi dal piccolo quando il periodo di riposo terminò, lo aveva affidato perciò alle cure del nonno, certa di dargli il meglio e così era stato.

Ogni volta che tornava a trovarlo, più volte nel giro di poche settimane, lo trovava sempre più cresciuto, più intelligente e più forte.

La somiglianza con Rivaille era mostruosa, anche se gran parte del carattere solare apparteneva interamente alla mamma.

Fu lei stessa a parlargli del padre, il combattente più grande e valoroso, lo dipingeva come un vero e proprio eroe e il piccolo non vedeva l’ora di incontrarlo.

Non potendolo accontentare, gli aveva procurato una foto di Rivaille che il bambino custodiva gelosamente sotto il cuscino e per tal motivo lo aveva subito riconosciuto alla porta.

Comunque non si era risparmiata neanche di avvertirlo che il suo amato papà aveva un caratterino a dir poco difficile, non doveva aspettarsi coccole e baci da lui, come era invece solita fare lei, ma lo avrebbe sempre amato e protetto a costo della sua stessa vita, di quello era certa.

Amell aveva imparato ad amarlo ancor prima di incontrarlo.


“La morte di mia figlia ha lasciato un grande vuoto nel suo piccolo cuore, per questo ho ritenuto opportuno avvisarti, sapevo che Petra sarebbe stata dello stesso parere.

Spesso mi rivelava che non vedeva l’ora di confessarti il suo segreto e magari, un giorno lontano, vivere insieme come una vera famiglia.

Certo ora non è più possibile, però...però era giusto che lo sapessi, ecco.”

Rivaille non aveva mai proferito parola, assorbendo tutto il racconto e le informazioni come una spugna e provando nuove sensazioni contrastanti.

Non riusciva a capacitarsi del fatto di non essersi accorto di niente in quei tre anni e mezzo, se non dello strano comportamento della donna in sua presenza, che attribuiva ad imbarazzo per la loro relazione clandestina.

Si voltò verso una delle tante finestre della stanza, riuscendo a scorgere Amell che in lontananza correva sul prato, buttandosi a terra di tanto in tanto per rotolare e ridere a più non posso.

“E lui, com’è?”

Ral intercettò lo sguardo del ragazzo e sorrise teneramente nel vedere il nipotino giocare e divertirsi spensierato.

“Particolare. Ci sono giorni in cui non riesce proprio a star fermo, corre e salta dappertutto, si arrampica sugli alberi, è iperattivo. E giorni in cui invece rimane chiuso nella sua camera in contemplazione, perso in chissà quali pensieri. Molto maturo per un bambino della sua età, e credo sia un bene visto il mondo in cui viviamo.”


Perfetto, è perfetto, pensò il Caporale, senza osare dar voce alle sue parole, che già nella sua testa risultavano fin troppo sdolcinate.

Continuando a guardare il figlio, domandò:

“E ora? Cosa dovrei fare?”

Non aveva benchè la minima idea di come crescere un figlio e di certo lui non era un esempio di uomo a cui ispirarsi per crescere.

Si trovavano nel bel mezzo della guerra e Levi era una delle armi più forti in mano all’umanità,  non poteva sottrarsi al suo ruolo.

“Niente, la cosa importante era che vi incontraste. Mi prenderò io cura di Amell finchè la guerra non sarà finita, o fino a che sarà lui a deciderlo. Tu devi continuare le tue missioni, ma sappi che ogni volta che vorrai la porta di questa casa sarà sempre aperta e avrai sempre un motivo in più per tornare a casa, per restare vivo.”

Quelle parole lo colpirono.

Non doveva restare in vita per vedere gli altri morire, la sua sopravvivenza non era la sua condanna. Lui doveva rimanere in vita perchè c’era qualcuno ad aspettarlo, Amell.

Aveva ancora una ragione per esistere e resistere.

Ringraziò il suocero con un cenno del campo, dirigendosi verso l’esterno dove il figlio giocava tranquillo.

Appena lo vide, corse verso di lui con un sorriso sornione stampato in viso, lo stesso sorriso di Petra.

“Non ti dirò mai cose dolci…” prese a parlare l’uomo,

“Lo so.”, rispose il bimbo,

“...non ti darò baci, nè abbracci.”

“Lo so.”

“Non ti prometto di venirti a trovare sempre, o esserci il giorno del tuo compleanno.”
“Lo so.”

“Bene.”

“...”

“Ma di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, ci sono e ci sarò.”

“Lo so, papà.”

Non si dissero altro, Levi rimase incantato a guardare il vento che scuoteva piano le foglie degli alberi, mentre i riflessi del sole mandavano piccoli bagliori attraverso le fronde.

Ad un tratto sentì la mano del bambino afferrargli la sua. Non si smosse di un millimetro, sentendo il corpo che si irrigidiva gradualmente.

Avrebbe voluto togliere subito la mano, ma non riusciva.

Neanche si guardavano, troppo concentrati a contemplare il cielo sopra le loro teste.

Una brezza improvvisa smosse i capelli corvini dei due, accarezzandogli il volto.

Rivaille era certo fosse Petra e sapeva che, in qualunque posto si trovasse,

stava sorridendo.




FINE






°°°

Siamo giunti alla conclusione di questa piccola storia senza pretese che, nonostante ciò, volevo condividere con voi.

Vi ringrazio per essere arrivati fino a qui a leggere e spero davvero, con tutto il cuore, che abbia suscitato in voi qualche emozione e vi sia piaciuta.

Spero inoltre di essere stata all’altezza di un personaggio profondo e complesso come Rivaille e non essere caduta troppo nell’OC.

Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate, se è piaciuta o meno, se è arrivata o no, e consigli utili laddove ci sia bisogno di miglioramenti. Ve ne sarei enormemente grata!


Grazie ancora per il sostegno che mi avete dato,

un abbraccio!


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