Silver Linings Playbook, Stalia AU di Horror_Vacui (/viewuser.php?uid=4218)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Excelsior ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Malia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. My Cherie Amour ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. L'accordo ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. La lettera ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. Martingala, Parte I ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. Martingala, Parte II ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. Excelsior ***
Capitolo
1.
Excelsior
«Vuoi
scherzare? La domenica? Adoro la domenica, vivo per la domenica,
papà
compra l'arrosto al supermercato all'angolo, poi si mette la maglia e
guardiamo la partita. Sì, mi fa impazzire e sì,
ero negativo. Tu
neanche lo sapevi che la adoravo Lydia, ma è
così, solo che non
apprezzavo né lei né te prima...»
«Sbrigati, è ora di
andare!» disse una voce fuori dalla porta.
«Sì, arrivo! Solo
un momento...» lisciò la lettera spiegazzata e
riprese a leggere.
«Tutto questo l'ho perso, l'ho buttato via, ma anche tu l'hai
buttato via, possiamo recuperarlo. Io sto meglio ora e spero anche tu
e intendo apprezzare...» un insistente bussare lo interruppe
di
nuovo.
«Stiles, muoviti, sai che al dottore non piace
aspettare!»
Stiles prese un bel respiro, l'infermiere continuava a
interromperlo mentre lui faceva qualcosa d'importante,
guardò il
foglio di carta con la scritta “Excelsior” appeso
al muro e si
disse di pensare positivo.
Eichen House era una struttura
psichiatrica che sorgeva appena fuori città, immersa in un
grande
parco ricco di alberi e con un laghetto per le anatre. Stiles era
stato portato lì dopo che aveva quasi ucciso Jordan Parrish,
suo
collega di lavoro e amante di sua moglie. Non era stato facile
contenere la rabbia dopo aver visto lui e Lydia nudi nella doccia.
Da
quando però aveva iniziato il suo percorso di cura tutto era
cambiato, aveva sviluppato la sua filosofia di vita, Excelsior,
cioè
trasformare la negatività in energia positiva.
Quando stavano
insieme Lydia insisteva perché lui si rimettesse in forma,
così
aveva iniziato ad allenarsi. Correva ogni mattina attorno alla
struttura per almeno mezz'ora, poi passava ad altri tipi di esercizi
per rafforzare e definire i muscoli e infine tornava in stanza e
rileggeva ad alta voce il discorso che aveva scritto a Lydia, per non
rischiare di dimenticarlo quando si sarebbero rivisti.
Era una
routine ben collaudata a cui si univano tutte le altre
attività di
un ospedale, tra cui il momento di prendere le medicine – che
per
inciso, sputava di nascosto negli ultimi tempi – e le sedute
di
gruppo. Aveva preso sul serio le sedute di gruppo con il dottor
Fenris, non ne perdeva neanche una, era il momento che preferiva
della giornata.
Quel giorno però era diverso da tutti gli altri,
quel giorno era l'ultimo che passava lì e non c'era tempo
per la
seduta delle 12:00 perché suo padre era venuto a prenderlo
alle
11:00.
«Tecnicamente potrebbe portarlo via contro il nostro
parere, ma si assumerebbe una grande responsabilità davanti
al
tribunale e si stava abituando alla nostra routine» furono le
parole
del direttore, ma suo padre aveva ormai deciso.
«Non voglio che lui
si abitui alla vostra routine. Otto mesi sono lunghi abbastanza e io
ho già firmato il modulo di dimissione, andiamo
figliolo» disse lo
sceriffo mettendogli una mano sulla spalla. Stiles prese il borsone
con tutte le sue cose e lo seguì fuori dall'ospedale.
Si sentiva
incredibilmente positivo.
Il viaggio in macchina fu tranquillo, o
meglio, suo padre continuò a guardare fisso davanti a
sé,
ascoltando il notiziario sportivo alla radio. Stiles non capiva se
Noah si vergognasse di lui o se provasse vergogna per se stesso.
Scoprire che il suo unico figlio era affetto da un disturbo della
personalità non doveva essere stato piacevole per il vecchio
sceriffo, sapere di non essersene mai accorto forse era anche peggio.
Il paesaggio fuori dal finestrino era uguale a come lo ricordava,
eppure tutto gli sembrava diverso, come se non appartenesse
più
davvero a quei luoghi. Anche casa di suo padre aveva un odore poco
familiare e, nel momento esatto in cui mise un piede oltre la soglia,
avvertì la sensazione di chi guida la propria macchina dopo
averla
prestata a qualcuno.
«Eccoci qui» disse
Noah, liberandolo dal peso del borsone. «Non stare
lì impalato,
siediti dove vuoi ma ricordati di non toccare i miei
telecomandi».
Stiles si guardò intorno e vide accanto al divano
la curiosa composizione. In casa c'era un solo televisore, ma
lì sul
tavolino c'erano quattro telecomandi universali messi in fila sopra
un poster degli Eagles ripiegato. Doveva averlo staccato dalle pareti
della sua stanza, si vedevano ancora i pezzi di nastro adesivo
ingiallito agli angoli.
Suo padre tornò poco dopo con due
lattine, una di birra e una di coca cola.
«È come quando eri
piccolo, io bevo la birra e tu la bibita analcolica».
«Già. E
come stanno andando le cose, che mi racconti? La pensione è
ormai
vicina».
Noah bevve un sorso
di birra, poi prese alcune carte e si sedette accanto al figlio.
«Esatto! Finalmente
aprirò un ristorante specializzato in panini carne e
formaggio» gli
fece vedere lo schizzo del locale. Un progetto ambizioso, Stiles gli
aveva sempre sentito parlare di questo sogno ma non credeva che si
sarebbe mai deciso a fare il grande passo.
«E dove li trovi i
soldi?» chiese dubbioso.
«Li trovo, li trovo, tu non ti
preoccupare...»
Lo stipendio dello sceriffo di una piccola contea
non poteva bastare, non era mai bastato. Dopo la morte della moglie
Claudia, Noah era entrato nel giro delle scommesse. Era ovviamente
illegale, soprattutto per lui e per la carica che ricopriva, ma
nessuno poteva beccarti se eri il capo e sapevi come muoverti e con
chi trattare.
«Fai ancora
l'allibratore? Avevi promesso di smettere, non mi piace che tu mi
dica bugie, sai che non mi piace, mi fa andare fuori di
testa» si
passò una mano tra i capelli nervoso, ripetendo dentro di
sé
“excelsior”.
Era strano, ma fuori dalla clinica era più
difficile restare positivo.
«Tu invece che cosa hai intenzione di
fare?»
Stiles non vedeva l'ora che qualcuno glielo chiedesse. In
ospedale gli stavano insegnando a vivere il presente giorno dopo
giorno, ma lui non riusciva proprio a spegnere la parte del cervello
adibita alla costruzione di castelli in aria.
«Be', mi rimetterò
in sesto, riavrò il mio lavoro e poi se tutto
andrà come deve io e
Lydia torneremo insieme» disse con ritrovata
vitalità.
Noah fece
una smorfia e annuì con poca convinzione.
«Che c'è? Non era
questo lo scopo del mio ricovero? Guarigione e reinserimento nella
società. Io sono qui, sono pronto a farlo!»
schizzò in piedi come
una molla.
«Figliolo...» sospirò «Lydia
ha venduto la casa, se
n'è andata».
Stiles roteò gli occhi al cielo e sbuffò.
Sentir
parlare di lei come se fosse acqua passata lo metteva in crisi come
poche altre cose al mondo. Mezza parola e il suo umore cambiava
totalmente e allora perdeva le energie positive accumulate con
fatica, riprendeva a gesticolare, parlare in fretta e balbettare. Era
più forte di lui, Lydia era l'anello debole capace di
spezzare la
fragile catena del suo equilibrio mentale.
«Chiariamoci, tu non
sai niente del mio matrimonio, d'accordo papà? Ci sei? Il
nostro...
il nostro... il nostro matrimonio, noi siamo molto innamorati,
è
chiaro? Proprio come lo eravate tu e la mamma».
«Senti
Mieczyslaw, se n'è andata, non c'è più
ormai. Lydia se n'è
andata» insisté il padre.
La rabbia gli stava montando dentro.
Perché nessuno credeva in lui? Non ci provavano nemmeno a
dargli una
seconda possibilità!
«P-papà che stai facendo? Io... sai che ti
dico? Excelsior! Excelsior!»
«Che significa?» gli chiese
spazientito.
«Excelsior!»
continuò Stiles imperterrito. «Lo sai cosa
farò? Prenderò tutta
questa negatività e la userò come carburante per
trovare il lato
positivo, è questo che farò. E, prima che tu lo
dica, non è una
stronzata, non è una stronzata. Ci vuole impegno e questa
è la
verità» disse di nuovo sicuro di sé e
salì di sopra a fare una
doccia per scacciare via i brutti pensieri.
Excelsior, la sua
filosofia non lo tradiva mai, lei non l'avrebbe mai tradito.
Come
ogni mattina,
Stiles era già in piedi all'alba e si guardò allo
specchio per
l'ennesima volta da quando era tornato. Alla clinica gli specchi
erano proibiti, quindi vedeva di tanto in tanto il suo riflesso su
qualche finestra o su altre superfici lucide, ma niente era impietoso
come lo specchio del bagno di casa propria. Faticava un po' a
riconoscersi, era molto più magro, i capelli erano
più lunghi e
mossi, la barba era folta. Guardò gli occhi castani,
timoroso di
ritrovarvi la scintilla di follia che lo portava a spegnere il
cervello, ma il suo riflesso gli restituì l'immagine di un
uomo
stanco e tormentato. Chiuse gli occhi e respirò a fondo...
“Excelsior”...
Le immagini di quel che aveva fatto a
Parrish lo raggiunsero come dei flash e le note di una canzone
romantica risuonarono in lontananza. Strinse il lavandino fino a
sentire dolore alle mani, ma era insopportabile, come il rumore di
unghie sulla lavagna, a tutto ciò si univano i gemiti di sua
moglie
sotto la doccia...
D'istinto afferrò la prima boccetta a portata
di mano e la scaraventò contro la finestra, mandandola in
frantumi.
Quel rumore fece cessare tutto il resto, ma attirò anche suo
padre,
che fece capolino nella stanza con sguardo preoccupato.
«Mi... mi
dispiace papà» disse, mordendosi il labbro
inferiore. Non voleva
causare altri guai a suo padre, ma era stato più forte di
lui.
«Aggiusterai la
finestra al tuo ritorno, adesso muoviti, devi andare alla prima
seduta di terapia. Sono le condizioni del tribunale e poi, come hai
visto, ne hai ancora bisogno».
Stiles non voleva andare a quelle
sedute, il dottor Deaton aveva l'aria da saccente so-tutto-io e lo
punzecchiava di continuo, come se il suo scopo fosse quello di farlo
reagire in modo brusco. L'aveva visto un paio di volte quando si
trovava ad Eichen House e non aveva alcuna voglia di rivederlo nel
suo studio privato.
La
sala d'attesa era
piccola e di un asfissiante color sabbia smorto, la segretaria era
una ragazza carina acqua e sapone, lo accolse con un gran sorriso e
gli disse di accomodarsi.
C'erano tre file di sedie, alcuni
pazienti sfogliavano delle vecchie riviste con pigrizia, tranne una
donnetta tremante che gli rivolse uno sguardo carico di paura.
E
poi partì la canzone, proprio quella canzone, la canzone che
lo
torturava giorno e notte.
Tossì un paio di volte a disagio per
sciogliere il groppo alla gola, si mise seduto, poi si alzò,
poi si
mise di nuovo seduto. Alla fine della prima strofa tornò
davanti
alla segretaria.
«Scusi, questa canzone suona davvero?»
«Mettiamo della musica a volte» fu la risposta vaga
della
ragazza. Lui artigliò le dita al bancone.
«Questa canzone mi
sta uccidendo. Può spegnere per favore?»
sputò a denti stretti.
La donna dietro di lui emise un mugolio spaventato, la ragazza
invece indietreggiò, sollevandosi appena dalla sedia.
«Non posso»
rispose provando a tenere un tono professionale.
«Come sarebbe
che non può?!»
«No, non ho il telecomando» si
giustificò, ma
lui aveva già capito.
«È il dottor
Deaton che gliel'ha imposto?» lei non disse nulla e nel
frattempo
quella canzone gli rosicchiava il cervello come un tarlo. Si
guardò
intorno alla ricerca dello stereo, la paziente paurosa si
alzò e
scappò via. Doveva spegnere quella canzone prima di fare del
male a
qualcuno.
Si diresse verso il portariviste e iniziò a gettarle in
giro per la stanza.
«Ci sono... ci sono
delle casse qui?» balbettò, trattenendosi a fatica
dal fare tutto a
pezzi.
La musica cessò e il dottore uscì dalla propria
stanza. E
allora Stiles si rese conto di aver esagerato.
Lo studio di
Deaton era di una normalità disarmante, era proprio come se
lo
aspettava, con gli scaffali in noce carichi di libri sulla psiche
umana, una scrivania e una chaise longue in ecopelle che emanava un
forte odore di ecopelle. Lui però odiava sia le chaise
longue che
l'ecopelle, così scelse la poltrona davanti a quella del
dottore.
«Mi ha fatto una bella porcata dottor Deaton,
chiaro?»
disse risentito.
«Chiamami Alan» rispose quello con calma.
«Sì,
Alan, non è così che si accoglie la gente,
chiaro?» si grattò la
testa, senza riuscire a fermare la gamba. Faceva saltellare il
ginocchio e Lydia odiava quando lo faceva.
«Scrivitelo su
quel... su quel tuo libricino degli appunti»
indicò con un gesto
stanco il taccuino su cui Deaton scriveva senza sosta.
«Mi dispiace per la
canzone, volevo soltanto vedere se ancora scattavi» disse il
dottore, sinceramente dispiaciuto.
«Bravo, ancora scatto e...»
Stiles si stropicciò gli occhi e sospirò
«...e non voglio prendere
le medicine».
«Stiles, sai che devi prendere le tue
medicine».
«No, no, no. Mi stordiscono, non le voglio,
spiacente» scosse la testa risoluto, lo sguardo basso per non
concedere alcuna possibilità di replica. «Senti,
non sono uno che
dà di matto, mio padre è quello che dà
di matto, io non sono così.
È stato cacciato dallo stadio, non so quanti ne abbia
picchiati per
gli Eagles, è sulla lista dei diffidati e ha rischiato di
perdere il
lavoro».
Deaton restò in silenzio a fissarlo, finché
Stiles non
ne poté più e tornò a guardarlo in
faccia.
«Io ho avuto un
solo incidente!»
«Un incidente ti può cambiare la vita».
«Sì,
ma... ma io... io sono pronto!» disse con voce incrinata.
Perché
nessuno gli credeva?
«Io sono pronto ad assumermi la mia parte di
responsabilità e anche Lydia deve assumersi la sua parte
però».
«Quale sarebbe?»
«Quale sarebbe? Vuoi scherzare?!
Be', torniamo all'incidente. Torno a casa dal lavoro dopo essere
uscito prima, cosa che non faccio mai a proposito, ma avevo discusso
con mio padre, lo sceriffo. Torno a casa e che sento? La canzone del
mio matrimonio, quella che tu così deliziosamente hai messo
qui per
noi oggi. Sta suonando e a me non viene in mente niente, il che
è
strano, avrebbe dovuto. Torno a casa e che cosa vedo? E-entro in casa
e... e vedo mutande e capi d'abbigliamento e pantaloni da uomo con la
cinta infilata, che sono proprio uguali a quelli della mia divisa, e
allora salgo le scale e a un tratto vedo il lettore cd e nel lettore
cd c'è il cd della canzone del matrimonio, poi abbasso lo
sguardo e
vedo le mutandine di mia moglie per terra, poi alzo lo sguardo, lo
alzo ancora e la vedo nuda nella doccia e penso oh, che carina!
È
già nella doccia e così è perfetto,
magari ci entrerò anch'io,
non abbiamo più scopato nella doccia, magari oggi lo
facciamo.
Scosto la tendina con le mani e c'è quello stronzo di Jordan
Parrish, il mio collega di lavoro. E sai lui che mi dice? È
meglio
che tu te ne vada! È questo che dice, perciò
sì, ho svalvolato,
l'ho quasi pestato a morte e ora sono castigato per questo? Mi
paragonano a mio padre, non credo proprio!»
Aveva parlato
velocemente, senza riprendere fiato, tanto che sentiva la gola
bruciare e il viso caldo per lo sforzo, ma non riusciva proprio a
frenarsi quando si trattava dell'incidente.
Deaton non sembrava
impressionato e non dava segni di voler capire quanto lui avesse
ragione.
«Va bene. Vuoi parlarmi di quello che hai fatto prima
dell'incidente?»
Ecco la domanda, quella che non avrebbe voluto
sentire, il pungolo sul nervo scoperto. Stiles mise il pollice in
bocca e iniziò a mordicchiare la pelle attorno
all'unghia.
«Stiles...»
«Una settimana prima dell'incidente
ho detto a mio padre che mia moglie e Parrish complottavano contro di
me e... e non era vero, era una fissazione. Più tardi
abbiamo
scoperto in ospedale che questa era un...»
«Non diagnosticato
bipolarismo».
Stiles si lasciò andare contro lo schienale della
poltrona, abbassando di nuovo lo sguardo.
«Sì, con sbalzi
d'umore e pensieri strani provocati da un grosso stress. È
sporadico, grazie a Dio».
Stava scivolando nell'altro baratro,
quello della tristezza, così si disse
“excelsior!” e si sforzò
di proseguire, andare oltre, risalire in superficie.
«E poi, e
poi c'è stato l'incidente della doccia. È
là che tutto è esploso,
allora mi sono reso conto che oh, ehi, wow, ecco io combatto con
questo da tutta la vita e senza alcuna assistenza ho affrontato tutto
da solo e insomma praticamente ho vissuto a pugni stretti... tutta la
vita».
«Sarà stato difficile».
«Sì, parecchio
dura, soprattutto se non sai che diavolo sta succedendo, invece ora
lo so. Più o meno».
Nel pomeriggio
si disputava la partita Eagles vs Giants, suo padre si era preso
qualche ora di permesso e per poterla guardare a casa in tv. Aveva
preparato un vassoio di stuzzichini e portato alcune birre e lattine
di cola in salotto.
«Stiles vieni a
sederti qui con il tuo vecchio, sta per iniziare!» gli
urlò dalla
sua poltrona.
Stiles era però in cucina a fare dei buchi ad un
sacco nero per la spazzatura, ne indossava sempre uno sulla felpa
prima di andare a correre. Lydia diceva che sudare non l'avrebbe
aiutato a dimagrire, ma lui aveva perso peso e messo su parecchi
muscoli, quindi forse lei non sapeva tutto.
Infilò la testa poi
le braccia nella plastica e fece qualche salto sul posto per
riscaldare le gambe.
«STILES!» lo
chiamò di nuovo lo sceriffo e così lo raggiunse
senza smettere di
saltellare.
«Che c'è?»
«Hai preso le medicine?» disse
senza staccare gli occhi dallo schermo.
«No, lo sai che mi
gonfiano come un pallone e mi fanno stare male» si
lamentò
esasperato.
«Prendile e falla
finita, non puoi rischiare, la responsabilità è
mia ora».
«Stai tranquillo,
papà, affronto tutto con l'esercizio fisico».
Noah fece una
smorfia infastidita e lo guardò. «Che stai... che
stai facendo?
Perché indossi un sacco dell'immondizia?»
«Mi fa sudare e mi
tiene in forma» si strinse nelle spalle. «Io vado,
ci vediamo
dopo».
«E ora dove stai
andando? Resta qui a vedere con me la partita, dai!»
Stiles si
fermò sulla soglia.
«Ma papà! Per favore, ho delle cose da
fare».
«Siediti dai, sette minuti e siamo zero a zero, vieni a
scacciare la jella» gli sorrise mostrandogli un fazzoletto
verde e
bianco.
«Non credo nella
jella».
«Aaah coraggio
mister Excelsior, vuoi essere positivo? Sii positivo, siediti
qua»
gli indicò per l'ennesima volta il divano.
Suo padre non era solo
testardo come un mulo, aveva anche la brutta abitudine di mettere il
broncio e diventare insopportabilmente antipatico se qualcuno non
faceva ciò che lui gli aveva detto di fare.
«Uff, e va bene, ma
solo per un secondo, guardo l'inizio della partita»
andò a sedersi
contro voglia.
«Vedrai, andrà
bene, sono convinto che tu porterai fortuna».
E da quando aveva
iniziato a scommettere si era lasciato conquistare dalla
superstizione.
«Che hai in mano?»
fece cenno verso il fazzoletto verde che Noah si rigirava tra le
dita.
«Un fazzoletto, era
tuo. L'ho trovato sgomberando la tua camera ed è finito
accidentalmente sul divano proprio il giorno in cui gli Eagles hanno
stravinto contro i Chicago Bears».
«E immagino che sia andata
così anche con i telecomandi».
«Sì, qualcosa del
genere».
«Papà, il tuo è un disturbo
ossessivo-compulsivo,
dovresti venire con me dal dottor Deaton».
«Ma va! Solo perché
voglio guardare la partita con mio figlio sono
superstizioso?»
Sì,
lo era e Stiles non riusciva proprio a smettere di pensare alla cosa
che voleva fare. Quasi non riuscì a controllare le gambe
quando si
rimise in piedi.
«Dai, dove vai?
Resta! Se faccio un sacco di soldi che ti importa come li
faccio?»
Stiles sorrise. Tutti volevano che prendesse degli psicofarmaci e
un'ordinanza restrittiva gli impediva di vedere sua moglie, mentre lo
sceriffo della città scommetteva sulle partite di football
tenendosi
vicino una schiera di talismani portafortuna, convinto che avrebbero
fatto la differenza.
Mosse il primo passo
verso la porta e sentì il telecronista urlare
“TOUCHDOWN!”.
L'esultanza di Noah fu così esplosiva da risultare
contagiosa.
«Hai visto? Il tuo destino è stare qui,
è speciale!
Tutto succede per un motivo, è per questo che sei tornato,
abbraccia
il destino, abbraccia...» il telefono squillò e
suo padre fu
costretto a rispondere, era uno che voleva confermare una
scommessa.
Stiles approfittò del momento di distrazione per
sgattaiolare via. Lui non credeva a quel genere di cose, altrimenti
avrebbe pensato che una forza sconosciuta lo stava attirando verso la
sua vecchia casa, quella che Lydia aveva venduto senza chiedergli il
permesso.
No, non si trattava del fato, del destino, era la sua
personalità disturbata che lo spingeva a correre veloce come
il
vento verso il luogo in cui tutto aveva avuto inizio.
A metà
strada, però, incontrò un ostacolo: un uomo aveva
parcheggiato
l'auto a metà del vialetto e stava scaricando dei pacchi
verdeacqua
dal cofano. Quando si avvicinò si rese conto che i pacchi
erano
confezioni giganti di pannolini per neonato e che quell'uomo era
proprio il suo migliore amico, Scott McCall. Stiles si fermò
e
abbassò il cappuccio della felpa grigia. Si scrutarono per
un
momento, poi il volto di Scott si illuminò.
«Ehi! Bentornato!
Quindi sei uscito?» gli andò incontro ad
abbracciarlo.
Stiles
ricambiò freddamente: non sarebbe bastata la sua filosofia a
fargli
dimenticare il fatto che non era andato a trovarlo in ospedale
neppure una volta in otto mesi.
«Sì, sono uscito»
rispose, mettendosi le mani in tasca giusto per fare qualcosa.
«Bene. Forte, sono
contento per te. E poi ti sei rimesso in forma, quasi non ti
riconoscevo, con questa barba e questi capelli lunghi poi, ho fatto
un po' di fatica» Scott gli sorrise, ma Stiles si strinse
nelle
spalle, incapace di ricambiare.
«Sì,
grazie».
«Senti, mi dispiace non essere venuto quando stavi
male, ma sai il lavoro è impazzito, lei ha avuto una
bambina» disse
indicando con il pollice la porta aperta della casa. «Sono
felice
che sei tornato, mi sei mancato, dico sul serio. E poi devi venire a
vedere la bambina, è bellissima e... e Allison vuole dare
una cena
per te».
«Congratulazioni
per la bambina, ma non mi bevo la storia dell'invito».
Scott
aggrottò la fronte. «Perché pensi che
Allison ancora ti odi?»
«Lo so che Allison ancora mi odia. Lydia diceva sempre
“La
moglie di Scott tiene la sua vita sociale insieme alle sue palle
nella borsa”».
Il sorriso di Scott si spense del tutto.
«Questo non è vero» disse, ma l'urlo di
sua moglie proveniente
dal primo piano lo contraddisse subito.
«SCOTT! Che stai
facendo?»
Stiles sollevò le sopracciglia con lo sguardo da 'te
l'avevo detto'.
«D'accordo, è un po' vero, ma se pensi che
ancora ti odi, ti sbagli. Altrimenti perché mi avrebbe detto
di
invitarti a cena?»
«L'HAI INVITATO A
CENA?!» strepitò lei affacciata alla finestra.
«SI!»
«E HA DETTO SE PUO'
VENIRE?!»
«ANCORA NON LO SO! Ce la fai a venire?»
«Certo, ci
sarò».
«Bene, ci vediamo domani allora».
«Senti, tu e
Lydia siete ancora in contatto?»
«Sì, certo».
«SCOTT!
VIENI DENTRO HO BISOGNO DI TE!»
«STO ARRIVANDO!»
A Stiles venne da ridere per la seconda volta. Come aveva fatto
Scott a cacciarsi in quella situazione? Ogni parola rivolta alla
moglie era velata di frustrazione e sembrava che stesse per scoppiare
da un momento all'altro.
La vita era proprio strana, lui e Lydia
si amavano davvero eppure erano costretti a stare separati, quei due
invece che si tolleravano a malapena non solo stavano insieme, ma
avevano anche una figlia. Anche lui avrebbe avuto una figlia o forse
un figlio, magari entrambi e magari avrebbero preso un cane e la
domenica avrebbero giocato tutti insieme sul prato davanti casa.
Lui
amava stare all'aria aperta, Lydia invece lo odiava.
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Angolo autrice
Questo è un piccolo
esperimento, una cosa che non ho mai fatto e che probabilmente non
ripeterò. Diciamo che è una storia unica nel suo
genere per i miei
personali standard.
Stavo riguardando il film per l'ennesima
volta e di colpo mi sono venuti in mente Stiles e Malia. Purtroppo
però non sono brava né con Photoshop per farne un
AU su Instagram,
né con il video editing per fare un trailer fanmade su
YouTube.
Ahimè so solo scrivere ^_^''
La parte “sperimentale” consiste
nel fatto che all'interno del testo ci sono alcuni dialoghi
trascritti direttamente dal film, in un mix di originale e non
originale.
Anche lo stile di scrittura si adatta ai toni del
film, quindi sarà volutamente frenetico e ripetitivo, per
riprendere
il modo di parlare e agire di Pat/Stiles e Tiffany/Malia.
Spero che vi
piaccia, lasciate una recensione per farmi sapere
cosa ne
pensate!
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. Malia ***
Capitolo
2. Malia
Stiles
tornò a casa con delle buone notizie, era frizzante e
positivo.
Attraversò il salotto di fretta, diretto in cucina dove
c'era il
telefono fisso. Suo padre lo seguì a ruota, non era di
buonumore.
«Non appena sei uscito i Giants hanno fatto una
chiamata a sorpresa e abbiamo perso la partita. Sei in questa casa,
ti prego mostra del rispetto per quello che faccio. E poi dovremmo
passare del tempo insieme, io cerco di tenerti fuori dai guai, ti
prego» disse con tono accorato.
Suo padre parlava parlava
parlava, ma Stiles aveva in mente tutt'altro mentre si liberava della
pesante felpa foderata di plastica.
«Papà, ho una buona, ottima
notizia sai? Un'ottima notizia!» sorrise entusiasta e
pettinò con
le dita i capelli umidi che gli si erano incollati alla fronte.
Noah
levò gli occhi al cielo. «Sentiamo, quale
sarebbe?»
«Le cose
si mettono bene» disse, portando la cornetta del telefono
all'orecchio. «Lo so, lo so perché mi hanno
invitato da
loro».
«Chi? Chi ti ha invitato?»
«Scott e Allison, mi
hanno invitato a cena domani sera. E io lo so, io lo so
perché
l'hanno fatto, Scott ha detto che Allison parla ancora con Lydia. E
quindi deve esserci un collegamento, ne sono certo».
Suo padre
gli si accostò e gli mise una mano sul braccio.
«Senti, magari
lei sta ancora con quello».
«Intendi Jordan Parrish? Ma va,
figurati» lo scansò.
«Sì invece, lei potrebbe ancora stare con
lui. Ha paura di te, non ti vuole più».
Lui e Lydia si amavano,
lei non sarebbe mai stata davvero con un altro, mai mai mai. Avevano
fatto un giuramento davanti a tutti, davanti a Dio e lei era felice,
eccome se lo era.
«Non sai di cosa stai parlando, dici solo
cazzate!» urlò spingendolo via.
«Stiles, figliolo, sono tuo
padre. Pensi davvero che ti mentirei?»
Si guardarono per alcuni
attimi, entrambi seri, entrambi risoluti. Stiles iniziò a
comporre
un numero, ma Noah afferrò la mano che stringeva la cornetta.
«Metti
giù il telefono, non puoi chiamarla».
«Papà, papà lasciami,
che stai facendo? È la mia vita, sono un uomo adulto, ho il
diritto
di fare una telefonata!» lo strattonò, mettendolo
con le spalle al
muro. Lo sceriffo però non mollò la presa.
«Mi vuoi ascoltare?
Vuoi tornare là? Vuoi tornare in clinica?» gli
domandò con gli
occhi lucidi.
Anche a Stiles venne voglia di piangere, ma qualcuno
aveva suonato il campanello.
Era Jackson Whittemore, uno dei nuovi
arrivati in centrale dopo che lui e Parrish erano andati via.
Li
guardò con sufficienza e parlò con il tono
strascicato di chi è
costretto a dire e fare qualcosa che preferirebbe non dover dire e
fare.
«Salve signor Stilinski, scusi l'interruzione ma mi
è
stato chiesto di controllare questa casa. Sono l'agente Jackson
Whittemore, sono l'agente di ronda, so dell'ingiunzione restrittiva e
suo figlio è andato alla sua vecchia casa... non va bene.
Sono stato
assegnato al suo caso, perciò ci vedremo molto spesso. Si
faccia un
favore, rispetti l'ingiunzione restrittiva, centocinquanta
metri»
disse poi rivolto a Stiles.
«Per qualsiasi cosa non esiti a
contattarmi» diede a suo padre un biglietto da visita.
«Lo sceriffo
le manda i suoi saluti, arrivederci».
Stiles era bipolare, non
sordo, né cieco, né stupido.
«Da quanto tempo è che non sei
più lo sceriffo? E quando avevi intenzioni di dirmelo? Ti ho
detto
di non dirmi bugie e invece mi riempi di cazzate. E poco fa? Poco fa
hai... hai detto... hai detto che non mi avresti mai
mentito!» gridò
non appena la porta fu chiusa.
«Figliolo, sono stato mandato in
pensione con qualche mese di anticipo, tutto qui. Non volevo turbarti
dicendotelo all'improvviso».
Stiles allargò le narici come un
toro infuriato, ma aveva ancora il controllo.
«Usa la scusa del
figlio fragile e malato con qualcun altro, okay? Tu... tu hai... tu
hai scommesso, hai continuato a scommettere nonostante il richiamo
ufficiale dopo la diffida. È questa la
verità».
La rabbia era
sfumata nella delusione e la positività si era dissolta come
la
schiuma del mare.
Più tardi Noah lo accompagnò alla seduta di
terapia senza dire una parola, entrambi avevano le loro ragioni per
stare in silenzio, anche se Stiles fu costretto a mordersi la lingua
per non parlare: la malattia aveva vinto troppe volte, non sarebbe
successo ancora.
Quando entrò nello studio del dottor Deaton capì
che la notizia della sua visita non autorizzata era già
arrivata al
suo orecchio, lo capì dalla smorfia di disappunto sul viso
di solito
calmo e pacifico.
«Ho saputo cosa è successo stamattina. Sei
andato da solo alla tua vecchia casa».
«Wow, le notizie corrono
in fretta» ghignò sotto i baffi alzando le mani in
segno di
resa.
Deaton però non aveva voglia di scherzare.
«Hai preso
le tue medicine?»
«Ancora con questa storia? Non prendo più
quella roba, mi fa star male!»
«Dimmi una cosa: preferisci
essere quello che torna in galera o in ospedale? Mmh? Quindi prendi
le tue medicine e se starai meglio, le ridurremo».
Stiles
sospirò, si massaggiò le tempie e
stropicciò gli occhi.
«Lydia
aspetta che mi rimetta in sesto e che dia alla mia vita un ordine e
allora tornerà da me. Ed è meglio di qualunque
medicina».
«Stiles,
c'è la possibilità – e voglio che tu
sia pronto per questo –
che magari non torni. Il vero amore comporta lasciarla andare e
vedere se torna, nel frattempo quando ascolti quella canzone non
voglio che tu cada a pezzi, perciò studia una strategia,
d'accordo?
Ti servirà».
«Fammi dire una cosa, devo dire una cosa. Okay,
ecco cosa credo sia la verità, ecco cos'ho imparato in
ospedale: uno
deve fare tutto quello che può, deve impegnarsi al massimo,
se fai
così, se rimani positivo, vedrai spuntare il sole tra le
nuvole».
Deaton annuì, per niente convinto, e poi si alzò
per
accompagnarlo alla porta.
«Studia una strategia,
d'accordo?»
«Sai, il mio amico Scott dà una festa stasera ed
è
una di quelle cose tutte alliccate, sua moglie Allison è una
fissata
con cose del genere. Non so, non mi sento a mio agio con un vestito,
voglio indossare la maglia degli Eagles che mi ha regalato mio padre
per il compleanno».
Al sentire nominare gli Eagles il dottore si
fermò sulla soglia e si girò a guardarlo. Nei
suoi occhi c'era una
scintilla diversa, che Stiles non aveva mai visto prima.
«La
maglia di chi?» chiese mortalmente serio.
«DeSean
Jackson».
«DeSean Jackson è il massimo» disse
secco e
lapidario.
E così Stiles si ritrovò davanti alla porta della
casa di Scott con un mazzo di rose bianche in una mano e la giacca
nell'altra. Voleva mettere in mostra la maglia a costo di sentire
freddo, ma smise di esserne orgoglioso nell'esatto momento in cui
suonò il campanello.
Che stava facendo lì con una maglia degli
Eagles addosso? Cosa avrebbe detto Allison a Lydia? Che era il solito
Stiles infantile e che non stava facendo progressi.
Girò sui
tacchi pronto ad andarsene quando la porta venne aperta e Scott lo
accolse con il solito sorriso forzato e un completo da uomo dall'aria
costosa.
«Stiles! Che stai facendo?»
«Me ne devo andare, non
posso restare. Avanti, ho sbagliato, non dovevo metterla»
disse
indicando la maglia con il numero dieci.
«Ma va, stai benissimo!
Mi piace quella maglia, magari ce l'avessi io!»
«No, a Allison
non piacerà e poi tu sei in cravatta».
«Tu sei l'ospite
d'onore, puoi vestirti come ti pare» gli sorrise di nuovo, ma
stavolta in modo sincero. A Stiles vennero in mente i tempi del liceo
e tutte le serate passate insieme a ridere, bevendo birra sottomarca
sul tetto di casa sua, fu quindi la nostalgia a parlare per lui.
«Va
bene» si arrese e varcò la soglia.
Un delizioso profumo di
arrosto lo investì, Allison li aspettava in piedi con la
figlia tra
le braccia. Era fasciata in un abito aderente verde menta, portava i
tacchi alti, Stiles adorava i tacchi alti, e aveva i lunghi capelli
castani ordinati in morbide onde sulle spalle.
Era tipico di
Allison, nonostante avesse una bambina a cui badare non rinunciava a
sembrare la reginetta del ballo. Stiles pensò che avrebbe
potuto
trovarla attraente se non fosse stata simpatica come un chiodo
ficcato sotto la pianta del piede.
«DESEAN JACKSON E' A CASA
NOSTRA!» urlò Scott.
«Chi? Il novellino dell'anno?» chiese
Allison raggiungendoli. Quando lo vide la sua espressione
cambiò «Ti
sei messo una maglia per cenare?»
«Non è mitica?» Scott provò
a contagiarla con la sua allegria, ma senza riuscirci.
«Non per
una cena» fu infatti la gelida risposta della donna, che non
gli
staccò gli occhi di dosso, come volesse distruggerlo
lì, seduta
stante.
Prima che la situazione precipitasse, Scott lo prese
sottobraccio e lo condusse in salotto.
«Guarda qua, abbiamo
appena rinnovato tutto!» gli indicò la stanza con
un ampio
gesto.
L'ultima volta che Stiles era stato lì le pareti erano
bianche, c'era due divani Ikea, una lampada Ikea, un mobile Ikea e un
piccolo televisore Samsung. Adesso però quello sembrava il
salotto
di un ricco avvocato, con le pareti color guscio d'uovo, i mobili di
design e un gigantesco ritratto di famiglia sopra il caminetto in
pietra.
«Wow, è fantastico, favoloso!».
«Sì, è vero e sto
pensando di rifarlo di nuovo».
«Perché vuoi rifarlo? Devi
averne di soldi da buttare» ridacchiò.
«Be' sì, il mercato sta
andando bene, ce la caviamo. E poi sai, lei vuole di più e
io le do
di più».
Stiles guardò il suo amico dritto in faccia e si rese
conto che il sorriso che gli incurvava la bocca non arrivava agli
occhi. Provò pena per lui, ma non compassione.
«Davvero? Credevo
che il mercato stesse andando male, un sacco di gente sta perdendo il
lavoro».
«Sì esatto e sai, non per offendere, ma questo
è il
momento giusto per colpire» disse Scott battendo i pugni uno
contro
l'altro. «Arraffi qualche immobile commerciale a prezzi
stracciati,
lo rimetti a posto ed è così che fai i
soldi» assunse
un'espressione corrucciata, ma fu solo un momento, un battito di
ciglia e tornò a sorridere.
«Posso dire una cosa? Sì, ti dirò
questa cosa e voglio che tu la prenda bene, perché lo sai
sono senza
filtri, e tu non stai bene, non stai per niente bene. Hai quella da
quando sono arrivato» disegnò un cerchio
immaginario davanti alla
faccia dell'amico.
«Quella cosa?» chiese Scott, toccandosi il
naso preoccupato.
«Quella faccia, proprio quella faccia».
«Che
faccia?!»
«Quella del tizio dietro il bancone con la pistola
puntata alla schiena» rispose come se fosse ovvio, ma non era
per
niente ovvio e infatti Scott sollevò le sopracciglia
stranito.
«Sì,
sai nei film action quando il ladro entra in un negozio per una
rapina, ma poi arriva qualcuno e allora si nasconde dietro il
bancone, dice al titolare del negozio di comportarsi normalmente
altrimenti gli ficca una pallottola nello stomaco e quel poveretto
è
costretto, è costretto a dar retta ai clienti stronzi, con
un bel
sorriso stampato sulla faccia, nonostante abbia la canna di una
pistola schiacciata contro la schiena. Eh be' sai, di solito quel
tipo non fa una bella fine, no signore, fa una fine di merda, davvero
di merda e tu amico mio sei quel tipo e tua moglie, tua moglie credo
proprio che sia il ladro, solo senza pistola».
Al solito, aveva
parlato in fretta, facendo uscire un vomito di pensieri che
rischiavano di comprimergli il cervello. Si guardò intorno,
sperando
che Allison non avesse sentito, si affacciò fuori dal
salotto per
controllare che lei non fosse lì ad origliare, anche se era
certo
che lei non sarebbe rimasta nascosta, no Allison era una donna
d'azione, l'avrebbe preso a calci.
Scott nel frattempo sembrava
finalmente tornato in sé.
«Via libera?» sussurrò e, quando
Stiles gli fece cenno con la testa, riprese a parlare.
«Lo so, so
di cosa parli e hai ragione, ma non so come affrontare questa
situazione. La pressione» annaspò in cerca d'aria
«io non sto
bene, non sto bene per niente, ma non dirlo a nessuno. Mi sento come
se fossi schiacciato» si mise una mano attorno al collo,
sgranando
gli occhi.
«Schiacciato da cosa?» sapeva già la
risposta, ma
aveva imparato tanto in ospedale, anche ad ascoltare gli altri.
«Da
tutto! La famiglia, la bambina, il lavoro, quei cazzoni dell'ufficio
ed è come se... come se cercassi di liberarmi ma poi mi
sento... mi
sento» spostò la mano e la premette forte sul viso
«mi sento
soffocare».
«Porca. Vacca. Scott, devi fare qualcosa».
Scott
tirò su col naso, si sistemò il colletto della
camicia e lisciò la
cravatta.
«Non si può essere felici continuamente»
disse con un
alzata di spalle.
«Chi ti ha detto che non lo si può
essere?»
«Stiles, è così, devi fare del tuo
meglio, non hai
scelta».
«Non è affatto vero».
«No, non si può, non si
può e basta».
La discussione venne interrotta dal campanello,
che suonò tre volte, salvando Scott da una lunga,
lunghissima
ramanzina a base di positività ed excelsior.
«Aspettavate
visite?»
«No, solo un altro invitato a cena. Spero non ti
dispiaccia se c'è anche la sorella di Allison. Ti dispiace?
Ho detto
a Allison di non invitare altre persone, ma sai com'è fatta,
lei...»
«Chi?» lo interruppe, perso nei suoi pensieri.
Stava
cercando di capire chi fosse, ma aveva solo il vago ricordo di una
ragazza con dei lunghi capelli castani e l'aria annoiata.
«Malia,
la sorella di Allison».
Quel nome fece scattare un click nella
mente di Stiles e di colpo si ricordò di Malia. L'aveva
vista due
volte, la prima al matrimonio di Scott, era sola, indossava uno degli
orrendi abiti giallo crema delle damigelle; la seconda ad una
grigliata per il 4 luglio, non che le avesse prestato particolare
attenzione, aveva però quasi litigato con il suo fidanzato,
Isaac,
anche se non sapeva il perché.
«Malia? Malia e Isaac,
giusto?»
«Solo Malia» disse Scott con tono triste.
«Perché?
Cos'è capitato ad Isaac?»
«Be', non c'è un modo carino per
dirlo... è morto».
«Isaac è morto?!»
Era sconvolto,
davvero sconvolto. Credeva che lei l'avesse lasciato, non che fosse
morto!
«Già, purtroppo sono cose che capitano».
«Com'è
morto?»
«Ti prego, non ne parlare» lo supplicò
Scott, ma era
più forte di lui, doveva saperlo subito.
«No, dai com'è
morto?»
«Ti ho detto di non...»
«Com'è morto chi?» chiese
una voce femminile alle spalle di Scott.
Malia era entrata nella
stanza con l'andatura e lo sguardo perso, come se loro non fossero
lì
e lei fosse solo di passaggio. Indossava un cardigan nero senza
camicia, i primi due bottoni erano slacciati e lasciavano intravedere
la linea tra i seni, in cui si tuffava il ciondolo della collana, un
crocefisso ricoperto di piccoli zirconi neri. I capelli erano corti,
tagliati di netto fino a metà del collo, lisci e castani. Le
labbra
erano diverse da quelle della sorella, Allison aveva delle labbra
sottili sempre pronte ad arricciarsi, mentre le labbra di Malia erano
voluminose e a forma di cuore, gli angoli leggermente piegati in
giù
in un grazioso broncio perenne.
Gli occhi erano scuri e brillanti
come le pietruzze della sua collana, sostennero il suo sguardo e per
un breve istante a Stiles sembrò di vedere una scintilla di
sfida.
«Malia, lui è Stiles. Stiles, lei è
Malia, mia cognata»
Scott fece le presentazioni, nonostante loro si conoscessero
già.
Aveva ripreso a sorridere come un idiota.
Stiles continuò a
guardarla, non poteva staccarle gli occhi di dosso. Indugiò
sulle
gambe lunghe e le calze a rete, la linea sinuosa dei fianchi e poi
tornò al viso. Era bella, davvero bella, di quella bellezza
che
faceva muovere qualcosa all'altezza dello stomaco. Anche Lydia lo
era, ma Stiles non le faceva mai dei complimenti, e ora poteva
dimostrare a Allison e Scott che era migliorato, loro le avrebbero
detto che era migliorato.
«Sei carina» disse, provando a
mantenere un tono di voce neutro.
«Grazie» il broncio di Malia
s'incurvò in un sorriso dolce.
«Non ci sto provando».
«Non...
non l'avrei mai pensato».
«Vedo che ti sei impegnata e io voglio
migliorare per mia moglie, ci sto lavorando. Voglio riconoscere la
sua bellezza, prima non lo facevo mai, lo farò ora,
perché staremo
bene io e te Lydia – faccio pratica –
com'è morto
Isaac?»
L'espressione di Malia mutò, come se le avesse infilato
un coltello nel cuore. Era risentita e delusa.
Scott dietro di lei
si coprì il volto con le mani e gli fece segno di smettere.
«Ehm...
come va il lavoro?»
«Mi hanno appena licenziata».
Scott si
era ormai appoggiato al caminetto e aveva nascosto la testa fra le
braccia.
«Ah, davvero? Come mai?... Voglio dire, m-mi dispiace,
com'è successo?»
Malia scosse la testa. Era odio quello che
leggeva adesso nei suoi occhi?
«Ha qualche importanza?»
Il
ticchettare svelto di tacchi sul parquet li avvisò
dell'arrivo di
Allison.
«Amooore, come sta andando? Gli hai già fatto
vedere la
casa?» chiese gioiosa rivolta al marito.
Stiles dovette mordersi
la lingua per non commentare quel repentino cambio d'atteggiamento.
Erano proprio sicuri che lui fosse l'unico bisognoso di cure?
«Non
ancora! Dai, andiamo a vedere la casa!»
«Sì, andiamo a vedere
la casa» disse Malia e stavolta la sfida bruciava intensa nel
suo
sguardo.
La prima stanza che visitarono fu la cucina, spaziosa e
moderna, piena di elettrodomestici che Stiles non aveva mai neanche
visto, seguirono la stanza della bambina, il ripostiglio
super-organizzato, la graziosa camera degli ospiti, il bagno al piano
terra, quello al primo piano e poi la camera da letto, che era
un'esplosione di fiorellini color lavanda. Allison saltellò
fino in
fondo alla camera, dove c'era una rientranza rettangolare circondata
da una spessa cornice d'acciaio. Anche lei, proprio come Scott, aveva
iniziato a ostentare una felicità che non le apparteneva.
«Dai,
indovinate cos'è!» esclamò con
l'energia di una venditrice
televisiva.
Stiles disse la prima cosa che gli venne in
mente.
«Oh, è un televisore».
«No! Adesso tocca alla mia
sorellina».
Malia sollevò gli occhi al cielo e sospirò.
«Ehm,
è lo schermo di un computer» disse svogliata.
«No, dai avanti
avanti avanti, metteteci più impegno!»
«Un forno a legna?»
propose Stiles. «Una lampada» continuò
Malia.
«Fuochino
fuochino fuochino!»
«È un cassetto dell'obitorio da dove tirano
fuori i cadaveri e li iniettano di formaldeide».
L'assoluta
indolenza di Malia nel parlare di cadaveri e obitorio mise tutti a
tacere. Allison si morse le labbra a disagio e Scott aprì la
bocca
per poi richiuderla, incapace di dire qualcosa.
Stiles nel
frattempo si era perso a immaginare che quello fosse davvero un
cassetto dell'obitorio.
«Ma il corpo dove andrebbe?» chiese più
a se stesso che agli altri.
«Oddio, era una battuta!» lo
rimbrottò Malia con una punta di esasperazione.
«In realtà è
un caminetto» intervenne Scott, accendendolo.
L'ultima tappa fu
il bagno che si trovava in camera da letto, Allison li mise davanti
all'ennesimo strano oggetto.
«Abbiamo un AirPort in ogni stanza.
Datemi un iPod» puntò il palmo aperto verso Stiles.
«Non ce
l'ho» rispose lui e Allison lo guardò come se gli
fosse spuntato un
naso sulla fronte.
«Cosa? Chi non ha un iPod?!»
Per la prima
volta quella sera, Stiles si sentì a disagio.
Guardò Scott, poi
Malia, che abbassò lo sguardo mortificata.
«Be' non ce l'ho un
iPod e neanche un cellulare. Non vogliono che faccia telefonate,
pensano che chiamerei Lydia».
Scott lo incoraggiò, dandogli una
pacca sulla spalla.
«Dai, non ci pensare».
«Ma io la
chiamerei» si affrettò a precisare Stiles.
«Ehm... sì,
facciamo così, ti regalo uno dei miei iPod, ne ho uno
vecchio»
continuò Scott, fingendo che lui non avesse detto niente,
poi diede
a Allison il suo iPod. La moglie lo mise sul supporto al muro e
subito si diffuse una musica delicata.
«Ecco, vedete? Posso
mettere la musica per la bambina in ogni stanza».
«Di tutte le
stanze in cui ci sono AirPort sono contenta che tu c'abbia portato in
bagno» disse Malia, rovinando l'illusoria atmosfera di
serenità.
Allison la fulminò con lo sguardo e allora Scott
tossicchiò per spostare l'attenzione su qualcos'altro.
«La
bambina dorme, che ne dite di andare a cena prima che si
svegli?»
«Sì, giusto amore, andiamo».
Il bagno era piccolo,
Malia fece in modo di strusciare il fondoschiena contro la mano di
Stiles. Non si era trattato di un caso, lo capì quando lei
gli
sorrise da sopra la spalla prima di uscire dalla stanza.
A tavola
trovarono un ricco centro tavola fatto di fiori e candele profumate,
le portate erano così raffinate che Stiles si chiese se
Allison non
le avesse ordinate da un ristorante o servizio catering.
«Stiles
era un poliziotto, Malia. Ha un sacco di racconti pazzeschi»
disse
Scott, tagliando la sua bistecca di cervo.
Malia non parve
impressionata.
«Poliziotto? Qui a Beacon Hills? Immagino che tu
abbia dovuto salvare parecchi gatti incastrati sugli alberi e aiutare
vecchiette ad attraversare la strada» si rigirò la
forchetta tra le
mani, annoiata.
«In realtà dovevo vedermela con ladri,
rapinatori di banche, casi di violenza domestica e spaccio. Niente di
così fico come aiutare animali indifesi, mi
dispiace» fu la sua
risposta piccata.
Malia mise da parte la forchetta e gli sorrise
di nuovo come aveva fatto in bagno.
«Sai, Malia fa questa cosa
del ballo, da anni. È davvero bravissima,
parteciperà alla gara del
Ben Franklin Hotel» s'intromise allora Allison con una nota
di
nervosismo nella voce.
Malia non la prese per niente bene e la
guardò con disgusto e disprezzo, ma Stiles era troppo
concentrato su
come fare buona impressione per rendersene conto.
«Oh, davvero?
Mia moglie ama ballare, Lydia ama ballare».
Malia ignorò
quell'informazione e si rivolse alla sorella.
«Perché devi
parlare di me così?»
«Mi vanto di te, non posso vantarmi della
mia sorellina?» si sforzò di sorridere.
«Non parlare di me in
terza persona, io sono presente».
A Stiles ricordò un animale
selvatico pronto a saltare al collo della sua preda, quasi la
sentì
ringhiare. Allison invece era rossa come un peperone dalle guance
fino alla punta delle orecchie.
«Ti prego basta, cerca di essere
gentile. Sforzati» disse, guardando il piatto.
«Wow, wow, wow,
affascinante» sfuggì a Stiles.
«Scusami,» disse Malia «non
volevo essere villana».
«Sì, lo so lo so» annuì
l'altra
energicamente.
Eppure era certo che Malia non avesse alcuna
intenzione di cedere, aveva di nuovo quella scintilla negli
occhi.
«Che medicine prendi?» gli chiese.
«Io? Nessuna. Una
volta prendevo Litio, Seroquel e Abilify, ma ora non li prendo
più.
Mi fanno stordire e mi ingrassano pure».
«Già, io prendevo
Xanax ed Effexor, ma concordo, non ero tanto lucida e allora ho
smesso».
«E hai preso il Klonopin?»
«Oh, sì!» ridacchiò
lei.
«Vero? Stai sempre tipo: "Che giorno è oggi?". E
che mi dici del Trazodone? Oh, calma piatta. Ti toglie ogni luce
dagli occhi».
«Sì, vero, d'accordissimo!»
Stiles era così
preso da quella conversazione, finalmente nelle sue corde, da non
notare le facce sconvolte di Allison e Scott, finché non
sentì il
silenzio tappargli le orecchie.
«Sono stanca, voglio andare»
annunciò Malia balzando in piedi.
«Cosa? No, no, no! Non potete
andare, non abbiamo nemmeno finito l'insalata e poi c'è
l'anatra
e... e ho fatto il gelato al peperoncino» provò a
fermarla Allison,
ma lei era irremovibile, decisa, granitica.
«Ho detto che sono
stanca. Che fai, mi accompagni a casa o no?» chiese a Stiles.
«Dici
a me?»
«Sì, a te. Mi accompagni a casa?»
«Tu sei proprio
un'asociale, hai un problema» le rispose lui prima di
riuscire a
frenare la lingua.
«Ah io ho un problema?! Metà delle cose che
dici sono strampalate. Spaventi le persone».
«Dico la verità,
se-sei antipatica» alzò le mani in segno di resa.
«Perché, io
non dico la verità?»
Stiles ci pensò su e nel frattempo che ci
pensava calò di nuovo il silenzio.
«Che dici, li porto a casa?»
chiese Scott alla moglie, lei esasperata annuì.
«Sì, portali a
casa, adesso».
«E tu smettila di parlare di me in terza persona!
Tu ci godi quando io ho dei problemi, ci godi, così tu sei
la figlia
brava, avanti dillo!» l'accusò con asprezza.
Allison allora si
alzò in piedi per fronteggiarla, aveva gli occhi lucidi e le
tremavano le labbra.
«No, non è vero. Io volevo solo passare una
bella serata! Si può sapere che problema hai?»
«Oddio...
nessuno, sto bene, sono solo stanca e voglio andare, va bene? Tu sei
pronto?»
«Davvero te ne vuoi andare ora?» chiese ancora una
volta Allison.
«Sì, davvero!»
Nonostante tutto, Stiles la
seguì. Aiutare gli altri era parte della sua filosofia di
vita e
Malia sembrava davvero bisognosa di aiuto.
Camminarono per
parecchi metri in silenzio, le strade erano deserte, illuminate dalla
luce arancione dei pochi lampioni lungo il marciapiedi. Faceva
freddo, si strinsero entrambi nelle loro giacche e di tanto in tanto
Malia continuò a lanciargli occhiate maliziose. Si sentiva
strano,
aveva voglia di metterle un braccio attorno alle spalle per farla
smettere di tremare.
«Eccomi qua» disse lei una volta arrivati.
Gli si piazzò davanti, afferrò i lembi della sua
giacca e lo guardò
negli occhi. Gli occhi di Malia scintillarono nonostante la luce
scarsa e Stiles ne fu attrattato come una gazza ladra.
«Senti, non
esco con un uomo da prima del mio matrimonio, perciò proprio
non mi
ricordo come si fa» disse lei con voce roca.
«Come si fa
cosa?»
«Ho visto come mi guardavi, Stiles. Tu l'hai sentito, io
l'ho sentito. Non essere bugiardo, non siamo bugiardi come loro. Io
ho una casetta qui sul retro che è completamente separata da
quella
dei miei genitori, non corriamo il rischio che ci possano beccare.
Detesto che tu ti sia messo una maglia a cena perché detesto
il
football, ma puoi scoparmi se spegniamo la luce, va bene?»
Stiles
non riusciva a capire se a sconvolgero fosse stata la proposta o il
tono assolutamente piatto e disinteressato con cui Malia l'aveva
fatta. La guardò a bocca aperta, per la prima volta dopo
tanto tempo
qualcuno era riuscito a farlo stare zitto.
«Senti, sono stato
bene stasera e ti trovo molto carina, ma sono sposato»
sollevò la
mano sinistra per mostrarle la fede nuziale. Malia rise senza
gioia.
«Sei sposato? Lo sono anch'io» mostrò
anche lei un
anello con un grosso solitario luccicante.
«No, non confondiamo,
lui è morto».
Malia a sorpesa lo abbracciò, iniziando a
singhiozzare. Spinse il viso nell'incavo della sua spalla e
baciò la
pelle sensibile del collo. Stiles provò a divincolarsi e a
quel
punto si ritrovarono viso contro viso, le labbra così vicine
che
potè quasi assaporarle, ma si fermò risoluto. Lei
sorrise e poi lo
schiaffeggiò con tutta la forza che aveva in corpo ed
entrò in
casa, lasciandolo in piedi sul prato inebetito.
Era positivo? Era
negativo? Non sapeva stabilire come si sentiva. Era il caos.
Si
trascinò a casa come un automa, quella sensazione che aveva
alla
bocca dello stomaco da quando aveva visto Malia era aumentata di
intensità, era quasi insopportabile e gli faceva battere il
cuore
all'impazzata. Salì le scale di corsa e si buttò
sul letto ancora
vestito. Strizzò le palpebre e si costrinse a pensare ad
altro, ma
ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva la curva del suo seno che
si alzava ed abbassava e ripensava a quelle labbra rosse. Aveva le
narici piene del suo profumo alla lavanda, lavanda come il colore
della camera di Scott.
Tolse la giacca e la gettò a terra, aveva
caldo e non riusciva a trovare una posizione comoda per ritrovare la
calma. Si rigirò sul piumone, affondò la faccia
tra i cuscini, ma
l'immagine di lui e Malia su quel letto color lavanda non voleva
andare via. Nella sua mente le sbottonava il cardigan, mentre lei lo
baciava e gli toglieva a sua volta la maglia di DeSean Jackson.
Si
costrinse a pensare a Lydia, ai suoi capelli rossi e alla pelle
diafana. Lui era sposato, avevano giurato davanti a Dio... ma cosa
avevano giurato? Non ricordava bene le parole di sua moglie.
Si
disse che riguardare il filmino del matrimonio sarebbe stato un
ottimo modo per smettere di pensare a Malia. Scese in salotto e
controllò tra i VHS, poi andò nello studio di suo
padre, ma niente:
la videocassetta contenente il filmino del suo matrimonio non c'era.
Eppure ricordava di averne data una copia al padre anni prima...
Salì
di nuovo al piano di sopra ed entrò nella camera di suo
padre,
incurante del fatto che lui stesse già dormendo.
«Papà, papà,
papà. Sveglia, sveglia ti prego» lo scosse piano
parlando sotto
voce.
Noah si svegliò di soprassalto e accese la luce sul
comodino.
«Che succede?» guardò la sveglia
«Stiles, è notte
fonda! Che ti passa per la testa?»
«Il video del mio matrimonio.
Non riesco a trovare il filmino, ti ricordi dove l'hai
messo?»
L'ex-sceriffo sbuffò seccato «Stiles, è
tardi, ho
sonno, ne riparliamo domani».
«C-cosa? No, no, no, ne parliamo
adesso. Ci sono centinaia di VHS con tutte le partite degli Eagles
nel tuo studio, sono ordinate per data e stadio in maniera maniacale,
com'è possile che non ti ricordi dove sia? E poi quando
posso avere
un telefono? Sono un adulto, ho bisogno del mio cellulare!»
«Lo
avrai a tempo debito. Ricordi la tua ingiunzione restrittiva?»
«Sì,
cazzo papà, me la ricordo! Non fai che ricordarmela di
continuo!»
urlò dando un calcio alla poltroncina accanto al letto.
«Bene,
allora avrai un cellulare quando la smetterai di pensare a
Lydia».
«MA È MIA MOGLIE!» gridò
alzando le braccia al cielo
e poi uscì dalla stanza.
Suo padre lo seguì fino allo studio,
Stiles aveva già iniziato a gettare tutte le cassette
giù dagli
scaffali.
«Stai cercando di tenermelo nascosto, non è
vero?!»
«Stiles, smettila di urlare e posa quelle cassette,
porca troia!»
«NON STO URLANDO! Sono solo frustato perché non
trovo quel cazzo di video!» tirò un pugno a uno
scaffale vuoto e
riprese la sua ricerca, nonostante la ferita aperta alla mano.
«Calmati, i vicini ti sentiranno!»
«No, no che non mi
calmo, non me ne frega un cazzo se mi sentiranno! Si possono
svegliare tutti quanti, non mi vergogno per niente! CHE SI SVEGLI
L'INTERO QUARTIERE! È IL MIO MATRIMONIO! È IL
VIDEO DEL MIO
MATRIMONIO!»
La canzone, sentiva di nuovo quella canzone, altri
flash dell'incidente nella doccia gli passarono davanti agli occhi.
Sua moglie nuda, la sua espressione contratta dal piacere mentre
Parrish le baciava i seni, lui che spaccava la faccia a Parrish con
il doccino fino a trasformarlo in una maschera di sangue.
Il padre
nel frattempo gli si avvicinò per provare a fermarlo, ma lui
era
troppo preso per accorgersene e gli tirò una gomitata in
pieno viso
che lo mandò al tappeto.
«Oddio, oddio papà mi dispiace!» si
mise le mani tra i capelli, disperato. La canzone era sempre
più
forte, come se provenisse da una gigantesca cassa da discoteca.
Noah
si rialzò rifiutando il suo aiuto, aveva il labbro spaccato
da cui
usciva già copioso il sangue, macchiandogli il piagiama e la
moquette. Il telefono aveva preso a squillare.
«Che c'è? Ora
picchi tuo padre? Vuoi picchiarmi? Ti faccio vedere io!»
Lo
afferrò per la maglia e lo spinse a terra, lo
immobilizzò e gli
tirò due pugni in faccia.
«Non voglio picchiarti, papà!
Smettila o dovrò farlo!» si riparò il
viso con le mani.
Stiles
non sentiva più la canzone, voleva solo sprofondare nel
pavimento e
restare nascosto lì per sempre.
«Mi dispiace, mi dispiace»
disse, piangendo senza freni.
Qualcuno suonò il campanello ed
entrambi si fermarono, come congelati.
Noah si alzò, prese un
fazzoletto dal pacco sulla scrivania, per asciugare il sangue che non
aveva smesso di colare dalla bocca.
«Polizia! Aprite per favore»
disse la voce strascicata di Whittemore. Suo padre aprì la
porta.
«Signor Stilinski, ho ricevuto molte telefonate. La gente
del vicinato ha paura, devo entrare» disse ed
entrò senza aspettare
un invito. Raggiunse Stiles che era ancora steso sul pavimento.
«Che
sta succedendo qui? Abbiamo ricevuto un sacco di segnalazioni dai
vicini. Rimettiti in piedi» gli diede un colpetto alla gamba
con la
punta della scarpa.
«Agente, lei deve trovare Lydia, quel Parrish
la sta manipolando!»
Jackson aggrottò le sopracciglia e suo
padre si affrettò a sollevarlo dal pavimento.
«Scusi agente, mio
figlio ha un piccolo problema con le medicine, ma andrà
meglio».
«Ah
sì? Davvero? Vuoi tornare ad Eichen House? Sappiamo tutto
della tua
esplosione dal dottore».
«Quale esplosione? No, no, no, Alan è
un bugiardo, questo non è vero! Non gli è
permesso di parlare di
queste cose!» disse guardando suo padre, nella speranza che
gli
credesse.
«Senta, non può dire questo a Lydia, la
prego».
«Mi
dispiace devo fare rapporto e lei ha il diritto di leggerlo»
Jackson
scrollò le spalle.
«No, mi ascolti! Posso scriverle una lettera
per spiegarle quanto sto meglio? Solo cinque minuti» Stiles
sembrò
quasi che volesse mettergli le mani addosso, tanto che l'agente fece
qualche passo indietro e suo padre lo costrinse a sedersi.
«Siediti
e sta' zitto! Devi rispettare la tua ingiunzione restrittiva, quindi
niente lettere e una distanza minima di 150 metri. Tutto chiaro? Ora
vado a fare rapporto, vi saluto».
Il baratro era vicino e lui non
vedeva più il fondo.
- - -
Angolo
autrice
Grazie per essere arrivati fin
qui e grazie per le belle recensioni e i messaggi privati. Non mi
aspettavo che questa storia piacesse così tanto! Fatemi
sapere se vi
è piaciuto questo capitolo, ma anche se non vi è
piaciuto, se c'è
qualcosa che posso migliorare e quali parti avete preferito.
Al
prossimo capitolo,
Jenny.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. My Cherie Amour ***
Capitolo
3. My Cherie Amour
La luce del mattino filtrava attraverso
le persiane, creando un fastidioso gioco di luci e ombre. Malia si
rigirò nel letto, sbuffò seccata e si
coprì la testa con il
cuscino. Era sudata e aveva le gambe incastrate tra le lenzuola, ma
non aveva voglia di alzarsi.
Era stata una notte turbolenta,
Stiles aveva risvegliato la bestia dal letargo. Per la prima volta
dopo tanto tempo Malia aveva desiderato qualcosa di diverso
dell'autodistruzione e il senso di colpa era tornato a stringerle lo
stomaco con cattiveria, ponendole così tante domande da non
permetterle di dormire.
Stava tradendo Isaac, il suo dannato
marito morto, stava tradendo quella tacita promessa fatta a
se
stessa dopo la sua morte. Perché Malia voleva Stiles, lo
voleva sul
serio, anche con quella maglietta assurda e le sue folli stranezze,
voleva il pacchetto completo.
L'aveva capito quando i loro
sguardi si erano incrociati, mentre lui indugiava avido sulle forme
del suo corpo. Aveva sentito il calore di quella scintilla lungo la
schiena.
E ora l'odiava per questo. Come aveva osato insinuarsi
nei suoi pensieri senza chiederle il permesso? Lei che aveva deciso
di chiudere il suo cuore e gettare via la chiave!
Il
telefono nel frattempo stava squillando senza sosta, si sporse dal
bordo del letto e lo afferrò in preda ai nervi.
Roteò gli occhi al
cielo dopo aver visto il nome sullo schermo.
«Che vuoi?» chiese
con tono esasperato.
«Ehi,
buongiorno! Dormito bene? Ho parlato con mamma, dice che ieri sera
sei entrata in casa da sola. Sei stata brava. E anche Stiles lo
è
stato, come lo trovi? Ti piace?» disse Allison, veloce come
una
mitraglietta.
«Oh,
Cristo santo! Possibile che non abbiate altro argomento di
conversazione?! E poi che significa se mi piace Stiles? Che vi siete
messi tutti in testa?»
«Cosa? Niente, niente, era solo per
sapere se...»
«Be',
fatti i cazzi tuoi!» abbaiò zittendola.
«Hai chiamato solo per
questo?»
«No,
volevo sapere se ti andava di venire da me. Scott resterà in
ufficio
fino a tardi e io ho organizzato un piccolo brunch con alcune
amiche».
«Un
brunch?» sospirò massaggiandosi gli occhi.
Odiava anche solo la
parola “brunch”, era una cosa da ricchi borghesi
che volevano
dimostrare agli altri di avere abbastanza soldi e tempo libero da
svegliarsi troppo tardi per la colazione. Le amiche di sua sorella
poi... stronze a cui mancava solo l'abilitazione ufficiale.
«Dai,
ti prego! Sarà divertente» la supplicò
Allison approfittando del
suo silenzio.
Malia sbuffò.
«E va bene, ma non mettermi in
mezzo, fingi che io non esista» disse alla fine.
Sua sorella
esultò ringraziandola e chiuse proprio mentre la figlia
iniziava a
piangere.
Aveva fatto la sua buona azione quotidiana, i tipi
strani che frequentavano il suo gruppo di supporto le avrebbero fatto
i complimenti. E poi avrebbero intonato una canzone tenendosi per
mano.
Guardò l'orologio sul comodino e si rese conto di essere
già in ritardo per i suoi allenamenti mattutini. Lo
psicologo
l'aveva posta di fronte a una scelta: attività fisica o
medicine. E
non era stato difficile scegliere.
Indossò la tuta e le scarpe da
corsa, perché anche far visita ai suoi ogni mattina per la
colazione
rientrava tra le condizioni per dire addio ai farmaci.
Era quasi
arrivata all'ingresso, quando vide in lontananza un sacco della
spazzatura con i piedi.
*
La
mattina dopo, che schifo la mattina dopo. La luce illumina ogni cosa
e i disastri della sera prima appaiono sciocchi e insignificanti e
allora ci si vergogna di se stessi e si pensa “mai
più”.
Stiles
si sentì uno schifo, si vergognò di se stesso e
disse “mai più”
all'immagine riflessa nello specchio, dove un tizio barbuto con un
taglio sul naso e uno zigomo livido lo osservava triste.
Nonostante
tutto voleva restare positivo e decise di ricominciare proprio dalla
finestra che non aveva ancora riparato. Suo padre gli aveva lasciato
tutto l'occorrente nel bagno, compreso il vetro nuovo, ma lui era
stato troppo occupato a farsi rovinare da quella Malia per
pensarci.
Malia. Era colpa sua, tutta colpa sua.
Scese
in cucina sperando che suo padre stesse ancora dormendo e invece lo
trovò lì, appoggiato al ripiano del lavello che
guardava fuori
dalla finestra; quando si accorse della sua presenza si
voltò e gli
tese un bicchierino di plastica. Il bicchierino di
plastica.
In altre occasioni avrebbe provato a spiegargli che
stava bene e non aveva bisogno di medicine, ma l'occhio nero e gonfio
di suo padre lo convinse del contrario. Gli si avvicinò e
guardò
anche lui fuori dalla finestra, il sole stava sorgendo e le pillole
scesero giù per la gola lasciandogli l'amaro in bocca e
nell'anima.
La felpa coperta di plastica scura era ancora sulla
sedia, dove l'aveva lasciata.
«Che hai intenzione di fare?»
disse Noah con voce roca, mentre Stiles la sostituiva al
maglione.
«Non voglio ingrassare» rispose con
semplicità, poi
uscì e lasciò che fossero i suoi piedi a guidarlo.
Aveva
macinato parecchi metri a testa bassa, ripetendosi
“excelsior” e
provando a cercare tutte le cose positive che quella giornata aveva
da offrire, quando si accorse di trovarsi su una via diversa dal
solito. Rallentò riconoscendo la casa di Malia.
Fissò il portoncino
verde della sua casetta: chissà se stava dormendo? Era
meglio
cambiare aria prima che...
«HEY!»
l'urlo gli fece saltare il cuore in gola e si ritrovò a
correre
inseguito proprio dall'ultima persona che avrebbe voluto vedere. Era
sbucata da dietro una siepe come se fosse lì ad aspettarlo.
«Oh!
Ma che cavolo fai?!» le gridò superandola.
«Che hai fatto alla
faccia?»
«Sollevavo dei pesi in palestra» aumentò
il passo, ma
lei continuò a seguirlo imperterrita.
«Mi
sembra una cazzata. Perché passi da casa mia? La nostra
conversazione di ieri sera ti ha turbato?»
A quelle parole
Stiles si voltò, senza smettere di correre.
«Hey
è il mio percorso, va bene? Sparisci».
«È
il mio quartiere, sei passato davanti casa mia»
rimarcò il fatto
che lui fosse tornato lì.
Doveva restare calmo, i medicinali
l'avrebbero aiutato e per un breve istante fu grato di averli presi.
Non voleva pensare più a quella sera e a ciò che
sarebbe potuto
cambiare dopo il rapporto dell'agente Whittemore. Cosa avrebbe
pensato Lydia leggendolo?
«Mi
piace correre da solo, capito?»
«Anche
a me!»
Aveva provato ad allontanarla con le buone ma lei non
voleva proprio saperne di lasciarlo in pace. Si fermò
voltandosi di
colpo e quasi Malia gli rovinò addosso. Indossava un
completo da
corsa aderente e portava una sottile fascia elastica per tenere
indietro i capelli. I capelli, quei capelli. Il loro aspetto era
soffice, Stiles avrebbe voluto affondarci le dita per saggiarne la
consistenza. E poi erano corti, così corti da lasciare
scoperto il
collo sottile. Era un suo punto debole, perché tutti si
concentravano a guardare il seno ma lui impazziva per il collo. E
quello di Malia era proprio un bel collo, desiderò di
poterlo
baciare e quel desiderio bruciante fece esplodere la rabbia che
cercava di reprimere.
«Hey! Mi piace correre da solo! La smetti?
Sto correndo!» le urlò contro.
«Anche
io!» rispose lei a tono.
«E perché non corri da un'altra parte?
Cazzo, ci sono milioni di strade per correre, che vuoi fare?»
«Mi
piace questa strada, questo è il mio quartiere»
disse allora Malia
facendo spallucce.
«Oh dai, per favore!» si mise le mani tra i
capelli, al massimo della frustrazione.
«Ma calmati pazzo!»
Stiles provò a ignorarla, fece alcuni respiri profondi e
sputò
la saliva in eccesso preparandosi alla maratona. Sorprendentemente
Malia lo imitò, sputando a sua volta, e ripartì
come se lui non
l'avesse scacciata via.
Da piccolo Stiles era una scheggia,
spesso si era ritrovato a dover correre per seminare i bulli che
volevano picchiarlo. La sua tattica era semplice, cambiava strada
così tante volte da confonderli.
Fece la stessa cosa per lasciare
indietro Malia e ad un certo punto si convinse di avercela fatta, era
stremato ma almeno poteva morire in santa pace sull'asfalto. E invece
Malia spuntò da dietro un angolo gridando di nuovo
“Hey!”.
Dannate gambe da gazzella... doveva passare ad argomentazioni
più
convincenti per levarsela dai piedi.
«Ma che cazzo! Sono
sposato!» gridò con le ultime energie che gli
erano rimaste.
«Lo
sono anch'io!»
«Ma
che cazzo dici? Tuo marito è morto!»
«Dov'è tua moglie?»
«Tu sei pazza!»
«Non sono io quello appena uscito da
quell'ospedale psichiatrico!»
«Non sono io la troiona!»
Ed
ecco che tutto il percorso per migliorare se stesso andava di nuovo a
puttane. Si voltò a guardarla e vide il suo sguardo ferito
mentre si
fermava. Si era arresa eppure si sentì un verme schifoso per
averla
insultata, così stavolta fu lui ad andarle incontro.
«Scusa,
scusami tanto, io non volevo...» disse e le mise una mano sul
braccio ma lei lo scansò.
C'era di nuovo il fuoco negli occhi di
Malia, divampava fino a perforare quelli di Stiles.
«Ero
una troiona ma non lo sono più! Ci sarà sempre
una parte di me che
è smandrappata e sudicia, ma questo mi piace, insieme alle
altre
parti di me stessa» gli diede un pugno sul petto che lo fece
arretrare «puoi dire la stessa cosa di te, fesso? Sai
perdonare? Sei
bravo in questo?» disse e tornò sui suoi passi,
lasciandolo da
solo.
*
«...e
quindi le ho detto 'Cara, se non sei capace cambia mestiere'. Avreste
dovuto vedere la sua faccia, sembrava sul punto di
esplodere!»
L'unica cosa che esplose furono le risatine controllate e cattive
delle amiche di Allison, dopo che lei finì di raccontare la
sua
entusiasmante avventura al centro commerciale e di come aveva
umiliato una povera commessa davanti al capo.
Gli occhi di Malia
fissavano il tetto da almeno mezz'ora. Avrebbe voluto tornare
indietro nel tempo e prendere a schiaffi se stessa prima di accettare
l'invito a quello stupido brunch di galline.
Le loro chiacchiere
vuote le davano l'orticaria e, come se non bastasse, a peggiorare la
situazione c'era l'ingombrante presenza di Lydia, la famigerata
moglie di Stiles.
Era così composta ed elegante, con i lisci
capelli rossi e la pelle diafana, sembrava che niente e nessuno
potesse scalfire la sua imperturbabile tranquillità. Persino
quando
mangiava, beveva il té o sorrideva non riusciva a
trasmettere
calore. Sembrava il prototipo della donna perfetta, ma in maniera
assolutamente inquietante.
Doveva averla guardata troppo a lungo
senza rendersene conto, perché d'un tratto si
girò verso di lei e
ricambiò lo sguardo, fissandola con i suoi grandi occhi
verdi.
«Allora Malia, tua sorella ci ha detto che ti stai allenando
per
una gara di ballo. Come procede?»
Malia mise da parte la brioche
che stava mangiando e si pulì le labbra con il dorso della
mano.
«Mmh, procede bene. Vedo che Ally vi tiene aggiornate su
tutto, spero che tenga per sé almeno lo storico dei suoi
movimenti
intestinali».
Lydia accennò un sorriso, mentre Allison e le sue
due “ancelle” la guardarono come si guardano i fari
di un tir che
arriva a tutta velocità.
«Sei
sempre così pungente?» le domandò la
bambola di porcellana.
«Solo
quando serve e con chi lo merita».
Lydia
si portò indietro i capelli, con un gesto all'apparenza
naturale e
spontaneo, tanto che Malia fu l'unica ad accorgersi del lieve tremore
delle sue mani.
«Scusa
se mi permetto di darti questo suggerimento, ma dovresti provare a
essere più gentile con gli altri. A volte una parola di
troppo può
fare la differenza» disse con tono di rimprovero ma senza
perdere la
calma.
Malia incrociò le braccia al petto pronta a ribattere, ma
la maschera di Lydia si stava sbriciolando e infatti
continuò a
incalzarla.
«Ho
saputo che ieri sera hai conosciuto mio marito e so anche che sei
stata crudele con lui».
«Ah sì? Adesso sarei io quella
crudele?»
Allison, seduta accanto a lei, le strinse un braccio
fino a farle male.
«Malia, basta così» le intimò
sottovoce.
Malia avrebbe voluto fermarsi, chiedere scusa e andare
via, lasciando Allison e le sue amiche in quel salotto a parlare di
quanto fosse difficile avere una sorella pazza. Stava già
vedendo la
scena nella sua testa, quando Lydia rincarò la dose.
«Mi ero
ripromessa di non toccare l'argomento, ma non posso farlo, è
più
forte di me» disse con tono lacrimevole.
Malia, ormai a corto di
pazienza, balzò in piedi liberandosi dalla stretta di sua
sorella.
«Si
può sapere di che diamine stai parlando?»
«Voglio che tu...»
fece una pausa e sospirò. «Io non... non voglio
che tu continui a
frequentare Stiles. La tua presenza evidentemente non gli fa bene,
è
dannosa».
Dannosa. L'aveva davvero definita dannosa?
«DANNOSA?!
Io sarei una presenza dannosa? Ti ricordo che hai
spedito tuo
marito in una clinica psichiatrica e che gli hai imposto un'ordinanza
restrittiva, lasciandolo affogare nella sua stessa merda! E no, non
dire un'altra parola, non voglio più ascoltarti!»
Afferrò
borsa e giacca e uscì di casa come una furia. Sentiva gli
angoli
degli occhi pizzicare, in preda a una rabbia cieca verso Allison,
Stiles, Lydia e verso se stessa. La sensazione di essere sola e
incompresa tornò prepotente a farsi strada tra le sue
emozioni, era
di nuovo sull'orlo del baratro e pensò a quanto fosse facile
tornarci e che forse non si era mai allontana davvero da lì.
Stava
soffrendo, ma non era abbastanza, voleva soffrire di più,
autodistruggersi finché di lei non sarebbe rimasto nulla se
non
cenere al vento. E lottava contro questa voglia dalla sera in cui un
poliziotto diverso da Isaac si era presentato alla sua porta.
Il
desiderio si fece così forte da mozzarle il respiro e fu
costretta a
fermarsi. Non si era accorta che qualcuno la stava seguendo e che la
pausa aveva dato a quella persona il margine necessario a
raggiungerla.
«Malia!»
boccheggiò Allison, mettendole una mano sulla spalla.
Entrambe
erano senza fiato per motivi diversi e la scena avrebbe potuto
sembrarle comica, se il senso di colpa non avesse già
divorato la
parte del suo cuore destinata alla gioia e alle risate.
«Malia,
ti prego lasciami spiegare» sfiatò rimettendosi in
posizione
eretta. «Non è colpa tua!»
«Senti, non m'interessa. Chiedi
scusa a quella stronza da parte mia, inventati quel che ti pare e
riprendi la tua riunione con le menti più geniali del
secolo, mi sta
bene così» alzò le mani in segno di
resa.
«E
invece dovrebbe interessarti! Perché mi dispiace, non ne
sapevo
niente, me l'ha detto poco fa Clarissa e allora ti sono subito corsa
dietro. In effetti speravo che rallentassi prima o poi, ma continuavi
a correre...»
«Clarissa? Una di quelle si chiama davvero
Clarissa?»
«Sì, perché? E comunque non ha
importanza!»
«Be',
è davvero un nome del cazzo. L'altra come si chiama?
Ermengarda?»
«Oh, Cristo! La vuoi piantare?! Stammi a sentire
piuttosto!»
«Va bene! Non ti scaldare tanto, sono pronta ad
ascoltare la verità rivelata da madama Clarissa».
Allison sbuffò
roteando gli occhi al cielo come faceva spesso Malia, era una cosa di
famiglia.
«Ieri sera Stiles ha avuto una crisi, subito dopo il
vostro incontro. Non si sa bene cosa sia successo, sappiamo solo che
il poliziotto che lo tiene d'occhio l'ha trovato a terra, in stato
confusionale dopo aver picchiato il padre, e che aveva ripreso a
farneticare su Parrish che sta manipolando Lydia. Insomma ha fatto
dieci passi indietro, tutti insieme... ma non è
assolutamente colpa
tua!» si affrettò ad aggiungere.
Difficile credere che non fosse
colpa sua, visto che l'ultima cosa di cui avevano parlato erano i
rispettivi matrimoni falliti.
«Malia,
ti prego di' qualcosa» disse Allison e per la prima volta le
sembrò
preoccupata.
Lei però non aveva nulla da dire.
«Mi dispiace,
sul serio non penso che sia colpa tua e...»
«Oddio, Allison...
L'hai ripetuto così tante volte che mi sto convincendo del
contrario!»
«No,
no! Anzi, senti perché non provi ad essergli
amica?»
La sola
idea la lasciò perplessa. Non aveva mai avuto un amico
maschio e, da
quando Isaac era morto, le veniva difficile anche solo pensare di
avere qualsiasi tipo di legame emotivo con qualcuno, figuriamoci un
uomo disturbato e sposato con Miss Replicante.
«Chi, io? Amica di
Stiles?»
«Sì, proprio tu. Io e la mamma pensiamo che
potreste
aiutarvi a vicenda».
«Mi
stai dicendo di aver organizzato quella cena per farci
conoscere?»
«No, quella è stata un caso, ma resta il fatto
che...»
«Va
bene» la interruppe. «Ci
penserò».
*
«Pare
che tu abbia avuto problemi ieri sera».
«Chiariamo una cosa
riguardo a ieri sera. Colpire mio padre è stato un errore e
detesto
me stesso per questo e detesto la mia malattia e voglio controllarla,
ma lui invece non ha avuto problemi a schiaffeggiarmi di brutto ieri
sera, cosa che io non ho ricambiato perché potevo ucciderlo
e non
l'ho fatto. Ha sessantacinque anni, come potrei pestarlo a
sangue?»
«Ha avuto paura per te, temeva che accadesse quello che
poi è successo, che perdessi il controllo».
«Sì,
ieri sera è stato un casino, d'accordo? Io credo che abbia
tentato
di fare del suo meglio».
«Stiles, devi avere una strategia, te
l'ho già detto. Devi riconoscere questi sentimenti quando ti
invadono, altrimenti sarai rispedito ad Eichen House, perciò
quando
li senti arrivare devi trovarti in un posto più tranquillo,
essere
in pace con te stesso in qualunque modo».
«Sì, più facile a
dirsi che a farsi».
«Non hai scelta. Excelsior!»
«Già,
excelsior... senti ho una lettera, voglio che tu la dia a
Lydia».
Quel giorno Stiles aveva anticipato la seduta di circa
due ore, aveva bisogno di parlare, aveva bisogno di spiegare cos'era
successo a qualcuno che avesse davvero voglia di sentire le sue
ragioni.
In poche parole, aveva bisogno di un tramite tra lui e
Lydia.
«No» disse Deaton perentorio.
«Perché?»
«Hai
un'ingiunzione restrittiva».
Stiles sbuffò seccato, incassando
la testa fra le spalle mentre sprofondava nella poltrona.
«A che
cavolo servi?»
«Perché hai avuto questa travolgente urgenza
di vedere quel video ieri sera?»
«Ah, non saprei. Perché sono
sposato e non vedo mia moglie da otto mesi e mezzo?»
«Forse
trovi che Malia sia una ragazza attraente, quindi hai pensato che se
vieni attratto da Malia comprometti in qualche modo la
possibilità
che Lydia torni da te».
«Niente male, dottor Freud! Ma non credo
che sbaglierò con Lydia, perché Malia
è una troia» disse sicuro
di sé. Deaton parve turbato da quell'affermazione.
«E perché è
una troia?»
«Dopo la cena da Scott ha detto, virgolette,
“Possiamo andare nella mia casetta e tu puoi scoparmi, basta
che
però spegniamo la luce”, chiuse virgolette. E
porta ancora la fede
nuziale, perciò in qualche modo è ancora fedele
al marito che è
morto».
«Magari ha solo bisogno di un amico e ha pensato che,
offrendoti del sesso, ti sarebbe stato più facile diventare
suo
amico».
«Lei dice che non è più una troia
ormai, però le
piace quella parte di se stessa, insieme a tutte le altre parti di se
stessa e io posso dire altrettanto?»
«Puoi?»
Stiles si
fermò per un attimo.
«Me lo stai chiedendo sul serio?»
«Sì»
ammise Deaton senza troppi giri di parole.
«Con tutti i miei
incasinamenti? Cos'è sei impazzito?»
«Stiles, sei tu a parlare
di risvolti positivi, ti sto solo restituendo le tue parole. I tuoi
incasinamenti - come li chiami tu – ti hanno reso
più felice e più
calmo, con una bellissima filosofia positiva che ti ha fatto uscire,
fare palestra e leggere libri».
«No, non i libri, quelli non
c'entrano».
«Hai detto che Lydia è amica di Scott, Allison e
Malia, perciò se diventi amico di Malia, Lydia
penserà che sei
carino, gentile, generoso, di gran cuore e altruista, che aiuti chi
ha bisogno e che, in poche parole, stai rifiorendo. Quindi, se
aiuterai Malia sarà un bene per te».
Stiles
pensò per un attimo, una breve frazione di secondo, che
quello fosse
tutto un complotto architettato da Parrish per spingerlo verso
un'altra donna, in modo da avere Lydia tutta per sé; ma poi
si
ricordò che quello era uno dei sintomi della sua malattia, o
forse
furono le medicine a ricordarglielo, fatto sta che qualche ora
più
tardi stava correndo sulla stessa strada e di quel pensiero non c'era
più traccia. Le parole di Deaton, invece, rimbombavano forte
e
chiaro e quasi si ritrovò a ripeterle tra i denti mentre si
avvicinava alla casa di Malia.
Era il 31 ottobre, i bambini del
quartiere indossavano maschere di Halloween e gridavano
“dolcetto o
scherzetto?” in anticipo rispetto alla tradizionale
processione
notturna.
Gli piaceva Halloween e gli piacevano le foglie colorate
che l'autunno faceva cadere dagli alberi. Sarebbe stato bello poter
correre nel bosco e sentirle scricchiolare sotto i piedi.
Era
ormai arrivato alla casa di Malia, fece un giro attorno a un albero e
guardò dietro la siepe, ma di lei non c'era traccia.
Scampato
pericolo, sorrise liberato da quel peso.
«HEY!»
E invece ecco
che la scena si ripeteva, il cuore che gli balzava fuori dal petto
per lo spavento e l'ansia di essere attratto da un'altra donna
diversa da sua moglie. Continuò a correre nella vana
speranza che
lei cambiasse strada, ma poteva quasi sentire il suo fiato sulla
nuca.
«Come fai a sapere quando corro?!»
«Volevo chiarire
una cosa. Voglio solo che siamo amici».
Le parole di Malia si
sovrapposero a quelle di Deaton e Stiles restò meravigliato
da
quella corrispondenza. In quel momento avrebbe stretto la mano al suo
dottore, facendogli i più sinceri complimenti per aver
azzeccato...
oppure era tutta opera di Parrish? No, no, excelsior!
«Hai
sentito cos'ho detto?» chiese Malia irritata.
«Perché mi devi
sempre complicare la vita?»
Stiles continuò a correre, perché
alla fine della strada c'era la soluzione a tutti i suoi
problemi.
«No, non ti sto complicando la vita!»
«Non so
come comportarmi con te quando fai lo stronzo» lei lo
seguì oltre
la fine del viale, ignara delle sue intenzioni.
Stiles si fermò
davanti all'insegna rossa, grande quasi quanto tutta la parete
esterna dell'edificio, Llanerch, ossia “radura”.
«Ceniamo in
questa tavola calda?» le chiese con il sorriso di chi ha
appena
avuto un'idea geniale.
Malia lo squadrò sospettosa, forse
aspettandosi che fosse tutto un scherzo, ma lui continuò a
insistere
con lo sguardo, senza abbassare il braccio con cui aveva indicato il
ristorante.
«Passa a prendermi alle 7:30» disse allora convinta
e scappò via.
Malia
odiava il football, quindi niente maglia di DeSean Jackson. Si
vestì
comunque nel modo più informale possibile: un paio di jeans,
una
maglietta, una felpa e la giacca.
Quello non era di certo un
appuntamento romantico, lui e Malia erano due amici che si vedevano
per un caffè a colazione. Solo che Stiles non ce l'avrebbe
mai fatta
ad attendere fino all'indomani mattina per incontrarla e mettere in
chiaro le cose e trovare uno spiraglio verso Lydia.
Arrivò
davanti al vialetto di casa sua alle 7:29 e Malia uscì prima
ancora
che lui potesse avvicinarsi al portone e suonare il campanello. Gli
andò incontro con andatura da felino, ma non come un gatto
in cerca
di coccole e moine. No, lei era più simile a uno dei grandi
felini
che si acquatta nell'erba alta per uccidere la propria
preda.
Indossava pantaloni di pelle nera, una maglia dello stesso
colore con le maniche di pizzo e un paio di stivali a tacco alto:
riusciva a essere sensuale e magnetica scoprendo pochissimi
centimetri di pelle.
I suoi genitori li osservavano attraverso le
tende e probabilmente Malia la prese come una sfida, perché
dopo
averli adocchiati gli si avvicinò a un palmo dal naso.
Stiles
deglutì, incapace di distogliere lo sguardo da quegli occhi
famelici.
«Buon Halloween» disse.
«Ciao» fu la semplice
risposta di Malia.
Camminarono uno di fianco a l'altra, lei stava
con le braccia conserte attenta a non andargli troppo vicino e lui
non poté che esserne felice. Una felicità
macchiata però da una
puntino di delusione.
Le aprì la porta del ristorante, un po'
perché gli venne naturale farlo, un po' perché
voleva essere
gentile e carino come gli aveva suggerito Deaton.
L'interno era
caldo e accogliente, la sala era addobbata per la festa. Un'anziana
cameriera vestita di rosso, con un grembiule a tema inferno, le corna
e un forcone li accompagnò a un tavolo accanto alla vetrata
che dava
sulla strada.
«Ecco qua» disse, mentre loro si
accomodavano.
«Grazie» si sforzò di rispondere Stiles.
La
cameriera posò sul tavolo il menù plastificato e
tirò fuori un
taccuino. Quello che sembrava un forcone giocattolo era in
realtà
una penna.
«Cosa vi porto?» gracchiò.
«Per me una scodella
di cereali» disse Stiles senza nemmeno aver guardato il
menù.
Malia, che invece lo stava leggendo, lo mise da parte e gli
riservò di nuovo quello sguardo.
«Tè» sorrise senza
gioia.
«Benissimo, arrivo subito» disse l'anziana e
sgambettò
in cucina.
Stiles e Malia restarono seduti con le mani sul tavolo
a guardarsi. Lui sentì l'impulso di stringere le mani di
Malia tra
le proprie, ma lo mise subito a tacere. Notò che indossava
ancora la
fede nuziale e la collana con la croce nera. Da quel poco che la
conosceva sapeva che la croce era una provocazione, perché
la
portava sempre a contatto con la pelle e la catenina era
così lunga
che il ciondolo spesso si inabissava nella piega tra i due seni.
Un
brivido gli corse lungo la schiena e Malia aggrottò la
fronte.
«Che
c'è?»
«Sei carina» disse con tono assolutamente
incolore.
«Grazie» rispose lei imitandolo.
La cameriera
arrivò e portò latte, cereali e il tè
per Malia.
Stiles verso i
cereali nella ciotola e poi il bicchiere di latte, Malia
seguì
l'operazione con sguardo attento, tanto da farlo sentire un po' a
disagio.
«Vuoi assaggiare?» chiese e lei senza farselo
ripetere
ne prese un cucchiaio.
«Perché hai ordinato i cereali?»
«Tu
perché hai ordinato il tè?»
«Perché tu hai ordinato i
cereali» disse con la bocca ancora piena.
«Li ho ordinati perché
non volevo ci fossero equivoci, non è un
appuntamento» spiegò con
calma.
«Può esserlo comunque, anche se ordini i
cereali».
«Non
è un appuntamento».
Malia alzò gli occhi al cielo e ne prese
un'altra cucchiaiata. Stiles allora si ricordò di dover
essere
carino e gentile, come un vero amico.
«Come... come va quella
cosa? Quella cosa del ballo?»
«Mmh, va bene. E la tua
ingiunzione restrittiva?»
«Non chiamerei “ingiunzione
restrittiva” la mia cosa, ma tornare con Lydia lo
è e sto andando
piuttosto bene, a parte un piccolo incidente nello studio del
dottore».
«E il cosiddetto incidente con i pesi».
«Già, è
stata una cosa con mio padre. Vorrei tanto poter spiegare tutto a
Lydia con una lettera, perché non è stato niente.
E potrei
spiegarle e farle sapere che davvero non sono fuori controllo e che
in realtà sto andando molto bene».
Malia ascoltò con interesse,
annuendo e stringendo le palpebre di tanto in tanto e a Stiles
sembrò
strano ma la cosa gli fece piacere, perché forse era vero
che lei
voleva essergli amica e lui in fondo aveva bisogno di un'amica.
«Io
posso dare una lettera a Lydia. A volte la vedo con mia
sorella».
Stiles sentì il cuore esplodere, molto più di
quando lo
sorprendeva a correre. Trattenne però ogni tipo di
entusiasmo,
restando con gli occhi fissi e puntati su di lei.
«Sarebbe una
cosa fantastica se tu potessi darle una lettera da parte
mia».
«Dovrei farlo di nascosto da Allison, lei non ci sta a
infrangere la legge, cosa che questa lettera comporterebbe».
«Ma
tu lo faresti?»
Non sapeva perché, ma entrambi avevano
abbassato la voce e si erano avvicinati.
«Dovrei andarci molto
cauta. Sono già ai ferri corti con la mia famiglia, dovresti
sapere
come ho perso il lavoro».
«Come hai perso il lavoro?»
«Facendo... facendo sesso con tutti quelli del mio
ufficio».
«Tutti quanti?»
«Ero molto depressa dopo la
morte di Isaac. Erano tante persone».
Malia non sembrava a
disagio, era come se gli stesse raccontando di un pomeriggio al lago,
ma lui non voleva essere maleducato.
«Non è necessario
parlarne».
«Ti ringrazio».
«E quanti erano?» chiese prima
ancora di rendersene conto.
«Undici».
«Wow. Prometto di non
parlarne più» disse, ma non passarono dieci
secondi che tornò alla
carica.
«Posso farti un'altra domanda? C'erano anche
donne?»
«Sì» disse Malia e i suoi occhi si
illuminarono di una luce
furbetta.
«Sul serio? E com'è stato?»
Lei si sporse ancora
più in avanti e la scollatura della camicetta si
aprì quasi del
tutto.
«Torrido» rispose e Stiles sentì il suo
respiro sul
viso.
«Cristo santo... era tipo donne più grandi, una
professoressa che voleva sedurti...?»
«Farmi sedere sulle sue
ginocchia e fare cose? Sì».
Si passò le mani sul viso per
riprendere il controllo di sé, si sentiva inebriato, quasi
ubriaco
di lei e dei pensieri che gli scatenava.
«Ti ha detto lei cosa
fare?»
«Esatto».
Stiles sospirò mordendosi le labbra.
«Oh,
mio Dio. Lydia odiava quando parlavo così, mi faceva sentire
un
pervertito. Meglio cambiare argomento».
«A me non dispiace».
«A te no, vero?»
Lo sguardo di Malia mutò, così come il
suo atteggiamento. Tornò a sedere composta e prese a girare
il
cucchiaino nella tazza di tè che si andava raffreddando.
«No.
Però poi sono iniziati i litigi nel parcheggio, a lavoro,
nel bagno,
dovunque. E il capo mi ha chiamata nel suo ufficio, dicendomi che la
colpa era mia, così l'ho accusato di molestie sessuali e
allora mi
hanno licenziata. Mi hanno mandata a casa e mi hanno messo sotto
farmaci».
Si era aperta a lui con sincerità, senza filtri, senza
maschere e malizia, solo Malia e i suoi problemi. Così
decise di
fare altrettanto, come fanno gli amici.
«Capisco. La canzone che
suonava mentre mia moglie e il mio collega erano sotto la
doccia...»
«Ne ho sentito parlare».
«Era quella del mio matrimonio,
“My Cherie Amour” di Stevie Wonder. Quando la sento
esco pazzo e
a volte la sento anche quando non la suonano. Così sono
sotto
farmaci e di questo mi vergogno».
Malia mise da parte il tè e
annuì comprensiva.
«Perciò ti capisco. Devo solo trovare una
strategia, ecco».
«Già, anche io».
Calò un silenzio
strano. Si guardarono negli occhi e Stiles sentì scattare un
click
nella testa, un click diverso da quelli che sentiva quando perdeva il
controllo: non era la rabbia l'emozione da contenere.
«Meglio
tornare alla lettera» disse distogliendo lo sguardo.
«Sì,
meglio tornare alla lettera» rispose Malia, guardando a sua
volta da
un'altra parte.
«Potresti dirlo a Lydia mentre Allison è in
bagno».
«Sì. Sì, potrebbe funzionare, mi
piace».
Stiles si
sentì così rincuorato all'idea di poter
comunicare con sua moglie
che sentì di non poter più aspettare.
«Oddio, devo andare
subito a scrivere la lettera» disse alzandosi.
«Cosa? Posso
almeno finire il mio tè?»
Malia non sembrava affatto contenta,
anzi era parecchio irritata, ma non riusciva a capire il
perché.
«Aspetta, come?» le chiese confuso. Le parole si
rincorrevano veloci nella sua testa e voleva andare a casa prima che
sfumassero perdendosi nel nulla.
«Il mio tè, posso finirlo?»
E fu in quel momento che ripenso al complotto di Parrish, ma non
era più Parrish ad averlo organizzato, adesso lui era stato
sostituito da Lydia e le motivazioni erano cambiate.
«Aspetta un
momento, Allison ha detto a Lydia della nostra cena? Perché
l'avrebbe fatto? Era un test?»
Malia non rispose, continuando a
guardarlo in cagnesco, ma lui interpretò quel silenzio come
un
sì.
Prese di nuovo posto davanti a lei, curioso di saperne di
più.
«Sì, ho avuto questa sensazione» disse
lei, evidentemente
seccata.
«Accidenti. Era un test! E come sono andato? Direi
piuttosto bene».
«Sì, ha detto che eri fico di base».
«Di
base? In qualche percentuale non ero fico?»
«No, ha detto che
eri fico, però sai...» disse vaga, lasciando la
frase a
metà.
Adesso era Stiles quello infastidito.
«No, non lo
so».
«Sì, insomma, come sei. Va bene,
rilassati» continuò e
più parlava più il suo tono gli ricordava quello
di dottori e
infermieri della clinica.
«In che senso come sono? Che vuoi
dire?» corrugò le sopracciglia.
«Be', un po' come sono
io».
Come lei? Stiles passò in rassegna quel che sapeva di
Malia, ossia un concentrato unico di tutto ciò che Lydia
odiava di
più e si sentì di nuovo mancare la terra sotto i
piedi.
«Cosa?!
Un po' come sei tu?! Spero che non abbia detto questo a
Lydia!»
Il
viso di Malia espresse tutta la tristezza e la delusione di cui era
capace.
«Perché?» gli chiese incredula.
«Perché è così,
non è giusto accomunare me e te... Insomma, è
sbagliato. E a Lydia
non piacerebbe, soprattutto dopo quello che mi hai
raccontato».
«Tu
credi che io sia più pazza di te».
A Stiles scappò un
sorrisetto nervoso.
«Dai, insomma... siamo diversi, ecco».
«Oh,
mio Dio! Cristo, così mi uccidi».
Malia reagì come se le
avessero detto che nei cereali c'erano insetti essiccati. Stiles era
sempre più confuso e non riusciva a nasconderlo,
né a captare
l'aria della tempesta di merda che stava per abbattersi sulla sua
testa.
Malia iniziò a parlare e ad ogni frase il suo tono di
alzava e i suoi occhi si dilatavano.
«Sai che ti dico?
Dimenticati la mia offerta di aiuto, scordatela questa idea del
cazzo. Perché devo essere stata cazzo pazza!
Perché io sono troppo
più pazza di te!!!»
«Abbassa la voce» disse Stiles, provando
a calmarla, ma senza risultato, Malia ormai stava urlando.
«IO
SONO SOLO UNA PAZZA TROIA CON IL MARITO MORTO! AHAHAH!» si
indicò
scoppiando in una risata sguaiata.
Tutti i clienti del ristorante
si voltarono a guardarli curiosi e
preoccupati.
«Malia...»
«Scordatelo!»
«Malia, zitta
cazzo!» alzò anche lui la voce.
«VAFFANCULO!» lei urlò ancora
più forte e con un solo gesto gettò a terra tutto
quel che si
trovava sul tavolo, mandando in frantumi tazze e bicchieri.
«Sta'
zitto tu, stronzo!» lo spinse via e poi prese la giacca e si
diresse
all'uscita tra gli applausi e le risate degli altri
commensali.
Stiles fece per seguirla ma tornò indietro a prendere
il portafoglio e sobbalzò quando lei sbatté i
diti medi alzati
contro la vetrata, con uno sguardo da vera pazza stampato sul
volto.
Fu costretto a pagare il conto in fretta e furia e poi si
lanciò all'inseguimento. Era un bene che lei avesse i tacchi
alti a
rallentarla, perché era così fuori di
sé che dubitava sarebbe
riuscito a raggiungerla senza perdere l'uso di un polmone.
«Hey!
Hey, fermati! Senti non ti trovo pazza, va bene?»
«Invece
sì!»
«Non è vero».
«Hai detto al tuo psichiatra che sei
una categoria di malattie mentali superiore, non è
così?»
«Non
è vero, calmati, per favore calmati!» la
afferrò per un braccio
per costringerla a fermarsi.
«Lasciami stare!» gli urlò in
faccia, divincolandosi dalla sua presa.
Erano arrivati di fronte a
un cinema e la gente in fila li guardava come i tizi nel locale.
«Mi
lasci spiegare un momento, per favore?!»
Malia si fermò, aveva
gli occhi umidi e si mordeva il labbro inferiore a sangue.
«Non
volevo che Lydia mi associasse a quel tipo di comportamento sessuale,
perché non l'ho mai fatto in vita mia, chiaro?»
«Magari non
avrai sperimentato le merdate che ho fatto, ma godevi nel sentirne
parlare, vero?» gli si avvicinò, aggrappandosi con
forza al collo
della sua maglietta, ormai prossima a una crisi di pianto.
«Tu
hai paura di essere vivo, tu hai paura di vivere. Tu sei un ipocrita,
un conformista e un bugiardo. Io mi sono aperta con te e tu mi hai
giudicato! Sei un grande stronzo!» lo strattonò.
«Malia scusa,
adesso calmati» le mise le mani attorno alle spalle per
confortarla.
«Non toccarmi! Levami le mani di dosso! MI STAI
MOLESTANDO! MI STA MOLESTANDO!»
«E sta zitta!» le urlò
allontanandola da sé.
La canzone aveva iniziato a suonare.
Intanto le persone si stava raggruppando attorno a loro e avevano
sentito ciò che aveva detto Malia.
Un tipo vestito da zombie gli
diede una piccola spinta.
«Ehi, amico rilassati» gli disse.
«Non
toccarmi» lo avvisò Stiles.
«Mi sta molestando!» continuò
Malia indicandolo.
«Dai, lasciala stare».
«MI STA
MOLESTANDO!» gridò lei più forte,
piegata in avanti.
«La vuoi
smettere?!»
Stiles commise l'errore di fare qualche passo nella
sua direzione, era stato un gesto istintivo, ma gli altri ragazzi lo
interpretarono come un nuovo tentativo di molestia e cominciarono ad
accalcarsi attorno a lui, a toccarlo e spingerlo.
«Vi prego, per
favore state indietro» disse, ma quelli non volevano
smetterla e nel
frattempo la canzone suonava così forte che quasi non
sentiva più
gli insulti che gli stavano rivolgendo.
L'auto della polizia
arrivò puntuale come sempre e Jackson lo raggiunse con la
solita
faccia nauseata.
«Che stai facendo? Hey, che stai facendo a
questi ragazzi?» gli afferrò i lembi della giacca.
«No, niente,
non sto facendo niente» disse e non si sentì mai
così umiliato in
vita sua come in quel momento. Jackson fiutò quella
sensazione - era
il suo lavoro farlo - e ci sguazzò felice.
«Fai il teppistello
ad Halloween? Vuoi tornare ad Eichen House?» disse in modo
che tutti
sentissero.
«No, io...» provò a difendersi, ma
Jackson lo
strattonava costringendolo a indietreggiare.
«Forza Stilinski,
che stai facendo? Stai supplicando di tornare in clinica, lo sai? Che
cosa ti prende? Guardati, fai schifo!»
Stiles strinse i pugni e
serrò la mascella, perché la musica era diventata
assordante e
avrebbe potuto tirare una testata su quella faccia di cazzo,
rompergli il naso e vedere il sangue scorrere.
«I ragazzi!»
disse allora Malia. «Sono stati i ragazzi, lui non ha fatto
niente.
Sono stati i ragazzi ad iniziare, hanno cominciato loro, lui non ha
fatto niente».
A quelle parole i suddetti ragazzi iniziarono a
protestare e Jackson, a malincuore, dovette lasciar andare Stiles per
mettere il gruppo a tacere e tranquillizzare gli animi.
Malia
approfittò del momento, prese Stiles da parte e
aprì uno dei suoi
pugni, intrecciando le dita alle sue.
«Hey, vieni qui. Insomma
che vuoi fare? Stammi a sentire, è una canzone. Vuoi passare
tutta
la vita ad averne paura? È una canzone, non farne un mostro.
Forza,
respira».
Stiles fece tre lunghi respiri profondi e chiuse gli
occhi, lasciandosi guidare dalla voce di Malia.
«Ecco, bravo
respira. Non c'è nessuna canzone, nessuna canzone sta
suonando in
questo momento».
La canzone stava sfumando e cessò del tutto
quando riaprì gli occhi e vide il suo volto.
«Mi dispiace,
scusami. Ho esagerato» disse lei sinceramente dispiaciuta.
«Scusami
tu» rispose a un soffio dalle sue labbra.
Jackson si mise tra
loro due e fece allontanare Malia.
«Ti sta dando fastidio?»
«No,
no era tutto uno scherzo!»
«La prego, non menta. C'è un ordine
restrittivo su di lui».
«No, non sto mentendo. Ho uno stupido
senso dell'umorismo».
«Ma... è una cosa che non si fa» rispose
Whittemore sbigottito.
«Be', ho sbracato! Che le posso dire? Mi
dispiace, va bene?»
Jackson però non stava più pensando a
Stiles.
«Tu sei la vedova di Isaac?»
«Sì, sono la pazza
vedova troia di Isaac. Un po' meno troia ultimamente» si
strinse
nelle spalle.
«Sei una ragazza strana. Ti offro qualcosa una
sera?» le chiese con un sorriso smagliante.
Malia non lo degnò
di una risposta, girò sui tacchi e andò via.
«Ma che ho detto
di male?»
«Non lo fa più ormai» disse Stiles.
Jackson tornò
allora a indossare la sua espressione di puro disgusto verso il mondo
e salì in macchina.
«Ci si vede Stilinski, non hai bisogno di un
passaggio vero?»
Non aspettò una risposta da parte di Stiles,
mise in moto e con una sgommata girò l'angolo.
«Che stronzo».
*
Malia
stava camminando a passo di carica verso casa, i piedi le facevano un
male cane, ma non erano niente in confronto al casino che aveva in
testa.
Si era pentita di aver fatto quella scenata e si era
sentita tremendamente in colpa quando quello stronzo di Jackson aveva
trattato Stiles come un bambino dell'asilo.
In effetti se
sentirsi in colpa fosse stato uno sport nazionale lei avrebbe vinto
tutti i trofei.
«Malia! Hey, Malia!»
Stiles l'aveva seguita
per accompagnarla a casa, ma lei non aveva voglia di affrontarlo o di
guardare in quei grandi occhi nocciola. Aveva smesso di farsi
illusioni da molto tempo e sapeva che tutto quell'interesse era nato
dalla sua proposta di consegnare una lettera a Lydia. Cos'altro
poteva volere? In fondo lui era come quelli che la usavano per
scopare e lei, al solito, si sentiva troppo sola per non
accettare.
«Mi dispiace di aver detto quelle cose» disse
affiancandola.
«Lo so, so che non le pensavi» gli rispose,
perché un po' sperava che fosse così.
«Infatti!» sorrise.
«So
che dici sempre stronzate che non pensi».
«Sempre!»
Erano
arrivati, in fondo al viale l'attendeva una notte solitaria piena di
incubi e lacrime.
Stiles le stava attaccato come un cucciolo
speranzoso di ricevere un croccantino e le venne spontaneo ridere di
quell'ingenuità così infantile.
«Tranquillo, gliela do la
lettera a Lydia» gli disse incamminandosi verso casa.
«Te ne
sono davvero grato, Malia».
«Lo so».
- - -
Angolo
autrice
Grazie per essere arrivati a leggere fin qui,
fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto lasciando una
piccola
recensione, ve ne sarei infinitamente grata.
Ah, e comunque
Clarissa è uno dei miei nomi preferiti da sempre xD
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4. L'accordo ***
Capitolo
4. L'accordo
Il
giorno della partita era arrivato, suo padre era una pallina
impazzita dentro un flipper, correva da una parte all'altra della
casa per prendere questo, spostare quello. Era davvero incredibile
come riuscisse a memorizzare con precisione chirurgica la posizione
di ogni oggetto in salotto nei giorni in cui gli Eagles avevano
vinto. E più vincevano più cose assurde si
accumulavano accanto
alla poltrona dell'ex sceriffo, dal gruppo di telecomandi ai
tovaglioli usati. Persino Stiles rientrava in quel quadro da molti
anni e Noah lo avrebbe incatenato al divano se avesse potuto.
Il
giorno della partita era un evento anche per altre due persone,
cioè
la madre di Scott e Peter.
Melissa non aveva più un marito e
cercava da anni di accaparrarsi l'affetto di Noah cucinando il suo
piatto preferito, le chele di granchio, ma suo padre era già
sposato
con gli Eagles. Peter invece era forse l'unico amico rimastogli da
quando era tornato a bere e scommettere.
Stiles odiava le chele di
granchio, ne odiava la consistenza e la puzza, odiava però
di più
Peter e quel suo modo di atteggiarsi, come se niente al mondo lo
riguardasse. Arrivava in casa con il suo solito sorrisetto beffardo e
passava tutto il pomeriggio a deridere le manie di suo padre.
Peter
amava il football e le scommesse, ma il suo sport preferito restava
vedere gli altri cadere a terra e raschiare il fondo del barile. Il
ricovero di Stiles era stato il più grande regalo che la
famiglia
Stilinski gli avesse mai fatto, eppure suo padre non riusciva a
vederlo o forse non voleva.
Nonostante tutto Stiles quella mattina
si sentiva al massimo delle sue potenzialità, non c'erano
limiti che
non potesse superare, la lettera per Lydia era pronta, la stringeva
tra le mani pieno di speranze.
Scese giù di corsa e quasi andò a
sbattere contro la porta d'ingresso.
«Ehi, dove vai?» gli chiese
il padre dal salotto.
«Già, dove vai?» fece eco Peter. Ed ecco
il sorrisetto! «Tuo padre dice che stai molto meglio, solo
che non
capisco, ora fingi di essere un sacco della spazzatura?»
Stiles
lisciò la plastica nera sopra la felpa e fece un respiro
profondo
per calmarsi.
«Ciao caro» disse Melissa sbucando dalla cucina
«non starlo a sentire, sei in ottima forma! Vuoi una chela di
granchio, una fetta di torta?»
«Sì, ciao Melissa, non voglio
chele di granchio, odio le chele di granchio ma sono sicuro che le
tue siano ottime. Ciao Peter, mi fa piacere vedere che sei il solito
cazzone, ciao papà io esco».
Noah balzò giù dal divano e gli
bloccò l'uscita mettendosi tra lui e la porta.
«Fermo, fermo,
fermo! Dove stai andando? C'è la partita, non puoi andare
via
proprio ora!»
«Ma papà la partita è fra cinque
ore!» sorrise
incredulo. «Tu hai un problema più grande del
mio».
«E tu non
prendi seriamente il mio lavoro, ma dovresti cominciare a
farlo».
«Oh
andiamo non litigate, è il giorno della partita, ho portato
chele di
granchio e stuzzichini!»
«Oh avanti papà, ha fatto le chele di
granchio e gli stuzzichini! Avanti papà!» sorrise
e fece un piccolo
salto sul posto.
«Come mai sei così pimpante?» chiese
Noah
guardandolo storto.
«Che c'è? Sono felice, non posso essere
felice?»
«Sì, ma non sei felice, sei
pimpimpimpante».
«E
non è una cosa buona?»
«No, no, sei solo pimpimpimpante. Non so
come mai, stai prendendo la giusta dose di medicine?»
«Se prendo
le giuste dosi? Certo che sì».
«Sicuro? Non è che ne stai
prendendo troppe...?»
«Pff, no altrimenti sarei in coma ora,
papà» sorrise, ma questa volta in modo sincero.
«Va bene, va
bene. E perché non resti per la partita, passa del tempo in
famiglia, no?»
«Oddio papà, tempo ossessivo-compulsivo
superstizioso, hai un problema, ammettilo!»
«Eddai Stiles, aiuta
tuo padre a vincere, che ti costa» ridacchiò Peter.
«Mi
dispiace, non posso, devo andare adesso».
«Dove devi andare? E
poi che c'è in quella busta?»
«Già, che c'è in quella
busta?»
rincarò Noah. Doveva fare qualcosa per distrarli o tutto il
piano
sarebbe andato a puttane. Riprese a saltellare e urlare pieno di
entusiasmo.
«Ragazzi sto stracciando la canzone, sto giocando
alla grande, sono in gran forma, forza Eagles!»
Ce l'aveva
fatta! Era fuori e poteva correre verso Malia e quindi verso Lydia.
Il sole splendeva altissimo e l'aria era leggera, respirava a pieni
polmoni e sorrideva salutando tutte le persone che incontrava sul suo
cammino. La maggior parte lo guardava spaventata, ma niente poteva
scalfirlo.
Andò dritto alla porta della casetta di Malia,
appariva molto meno inquietante con il sole a illuminare la facciata
bianca e il portoncino verde. Bussò chiamandola almeno
cinque volte,
decise allora di cercarla a casa dei suoi genitori: era rischioso, ma
non poteva più resistere.
Suonò il campanello e fece due passi
indietro nel portico per non sembrare troppo aggressivo.
La
versione più vecchia di Allison lo accolse con lo stesso
disgusto
della figlia.
«Salve, Malia è in casa?»
«Che vuole da lei?»
disse con una punta di esasperazione.
«Chi è? Un altro
farabutto? Che vuoi farabutto? Vattene!» le diede man forte
il
marito.
«Oh, no no, sono sposato» Stiles mostrò
la fede nuziale
nella convinzione di migliorare la situazione.
«Bene, ancora
meglio, un farabutto sposato!» urlò il padre di
Malia.
«No, no,
sono un amico, noi corriamo insieme, non ci avete mai visti? L'ho
anche portata a cena nella tavola calda qui vicino...»
indicò loro
la direzione in cui si trovava il locale, ma l'arrivo di un ragazzo
lo interruppe.
Era bello, non molto alto ma con un fisico
scolpito nel marmo, era arrivato a bordo di una decapottabile nera e
indossava jeans strappati e occhiali da sole alla moda.
«Salve a
tutti, come va? Malia è in casa?» si
passò una mano tra i capelli
biondi.
Uno stronzo, era uno stronzo con la patente di stronzo e
Stiles lo avrebbe picchiato volentieri.
«Se ne vada!» lo aggredì
la madre di Malia.
«Oh ma io la conosco, stavamo insieme e adesso
siamo ancora amici» sorrise quello, con lo stesso
atteggiamento di
Peter. E Stiles odiava Peter e anche quello stronzo.
«Ehi, che ci
fai qui? Voi lo conoscete?» chiese ai genitori di Malia, che
non
sapevano decidere chi fosse dei due il più pazzo o stalker o
testa
di cazzo.
«Insomma amico, ti ho detto che la conosco, l'ho anche
chiamata poco fa, ci siamo sentiti».
«Devi andartene via subito!
Non mi importa se conosci mia figlia, ti farò rimpiangere di
esserti
spinto fino a casa mia, sono stato chiaro?»
«Rilassatevi, sono
qui solo per Malia».
Non poteva essere lì per Malia, lui era lì
per Malia e doveva vederla prima di subito.
«Senti, ascolta
quello che dice, va bene? Ascolta, quello, che, dice».
«Perché,
che dice?»
«Che sei un coglione, va bene?»
«Io sono cosa?!
Chi cazzo ti credi di essere?» gli diede una spinta e Stiles
si
morse la lingua, perché non poteva rovinare tutto spaccando
la
faccia di quel coglione sul portico dei genitori di Malia.
«Dai,
lo sai, avanti. A volte va bene con ragazze così, si
vogliono
divertire, altre volte non va perché hanno un'ala spezzata e
sono
ferite, sono un bersaglio facile. In questo caso, in questo
particolare caso, credo che quell'ala sia in via di guarigione, amico
mio, e devi assicurarti che sia riparata e tu ti stai mettendo in
mezzo, chiaro? Perché lei è sensibile,
intelligente, è un'artista,
è una ragazza fantastica e tu devi avere rispetto. Vieni,
sei una
persona migliore di così, lascia che ti accompagni alla
macchina»
disse e lo trascinò via per una spalla.
Quando tornò indietro i
genitori di Malia avevano chiuso la porta e si sentivano urla uscire
fuori, quindi, nonostante fosse eccitato per la lettera, Stiles
capì
che non era un buon momento e decise di andarsene.
Correva
con meno foga di prima, ma si sentiva bene con se stesso
perché
sapeva di aver fatto la cosa giusta. Aveva quasi superato la strada
di Malia – come le piaceva chiamarla – quando dei
passi veloci
dietro di lui lo fecero voltare. Era lei, indossava dei jeans e un
trench scuro, era struccata, ma era comunque bellissima. Lo
superò
in poche falcate, ignorandolo.
«EHI! Ehi, aspetta un secondo, che
stai facendo? Che è successo? Come faccio a darti la
lettera?!»
Malia si fermò.
«Non posso. Non posso
farlo».
«Cosa?! Che significa che non puoi farlo? Non puoi fare
cosa?»
«Non posso dare la lettera a Lydia» scosse la testa
sconsolata. Stiles notò che aveva i capelli sporchi e che
sotto gli
occhi c'era del trucco scuro colato, ma era troppo sconvolto per
potersi soffermare oltre.
«Malia! Ma che cosa vai dicendo? Come
sarebbe che non puoi dare la lettere a Lydia?»
«Be', perché...
perché io cosa ottengo in cambio? Che stai facendo per
me?»
«Hai
detto che se scrivevo una lettera poi tu...»
«Lo so cosa ho
detto! E lo faccio e lo rifaccio e lo rifaccio! Faccio cose per le
persone e poi mi sveglio e sono... vuota! Non ho niente»
disse e
Stiles intravide una fragilità inaspettata.
«Ma che dici? Sei
una ragazza tosta, perché le cose non le fai da
sola?»
Malia
abbassò lo sguardo, le labbra corrugate, forse stava
trattenendo le
lacrime.
«Io mi caccio sempre in queste cazzo di situazioni, do
tutto agli altri sempre e non ho... non ho mai... io non ottengo mai
quello che voglio, capito? Non sono mia sorella».
«D'accordo,
allora chiedi, cosa posso fare per te?»
Malia fu colta alla
sprovvista, rifece il nodo alla cintura del trench e si
sistemò i
capelli dietro le orecchie «Io... io, non posso
chiedertelo» disse
a disagio.
«Malia, che cosa vuoi che faccia? Pensa a
qualcosa».
«C'è una cosa».
«C'è una cosa, bene, che
cos'è?»
«Una cosa di ballo, ok?» si strinse nelle spalle in
evidente imbarazzo.
«Una cosa di ballo, d'accordo».
«Una
gara di ballo al Benjamin Franklin Hotel. Isaac non ha mai voluto
e...»
«Be' Isaac è morto, perciò col cazzo
che la farà»
annuì convinto.
«Potresti evitare di...»
«Sì, scusa, sai
che non ho filtri quando parlo».
«Lo so che non hai filtri, ma
possiamo fare una cazzo di conversazione senza che tu mi ricordi che
il mio dannato marito è morto?»
«Scusa, scusami hai
perfettamente ragione».
«Dicevo, c'è questa cosa ma posso farla
solo se ho un compagno e ora mi tocca rinunciarci per un altro anno,
quindi...»
Ballo in coppia con Malia? I loro corpi che si
sfiorano, Lydia che li guarda seduta da qualche parte, il suo
matrimonio che va per sempre in frantumi...
«Oh, andiamo, non ci
penso neanche a ballare con te, ma di che stai parlando?»
«Perché?
Che c'è, la tua agenda è così piena?
Cosa devi fare, leggere
Furore e guardare il football con tuo padre?» rispose lei
pungente.
«Malia, non capisci? Io non posso ballare con
te».
Malia si strinse di nuovo nelle spalle, stavolta con un
sentimento diverso, e girò sui tacchi per andarsene.
«E allora
io non consegnerò la tua lettera del cazzo».
«Aspetta un
secondo, tu avevi promesso!»
«Pensaci su» gli rispose
salutandolo con la mano.
«Be' io ho già fatto qualcosa per
te!»
Malia tornò indietro.
«Ah sì? E che cosa avresti fatto
per me?»
«Mi sono occupato del coglione davanti a casa tua».
«Ma
chi? Theo?»
«Ti chiedo una cosa: lo chiami quando ti senti
sola?»
Malia non rispose, incrociò le braccia al petto e lo
guardò arrabbiata, perché lui aveva fatto centro.
«Però sbagli
così, lo incoraggi. Non dovresti farlo».
«Ma da che pulpito!
Non si può dire lo stesso di te e Lydia?»
«Non c'entra niente
con me e Lydia, ma di che stai parlando? Siamo innamorati e sposati
ed è tutto diverso».
Malia ridacchiò roteando gli occhi al
cielo.
«Davvero?
E come siete innamorati? Il “grande amore per
Lydia”, parlamene
un po'».
Parlare del suo amore per Lydia era la cosa che
preferiva al mondo, ne aveva parlato con ogni dottore e infermiere o
paziente alla clinica, ne aveva parlato a suo padre e a Deaton. Era
una delle cose su cui aveva più riflettuto dopo aver rotto
il naso
di Parrish.
Non
c'era mai stato un futuro in cui non fosse contemplata Lydia e la
loro felice vita insieme.
«Tra noi c'è un'intesa non
convenzionale che mette la gente a disagio, ma non me. E lei
è la
donna più bella con cui sia mai stato»
spiegò semplicemente, come
se fosse ovvio.
«Wow,
eccezionale, sono sconvolta» lo schernì.
«C'è elettricità tra
noi due, va bene? Sì, vogliamo cambiarci a vicenda, ma
è normale,
tutte le coppie lo vogliono fare. Io voglio che smetta di vestire
come si veste e voglio che smetta di sentirsi superiore a me, va
bene? E lei voleva che perdessi peso e curassi i miei sbalzi d'umore,
cose che ho fatto. Insomma la gente litiga, le coppie anche.
Litigavamo e non ci parlavamo per qualche settimana, ma è
normale».
«No Stiles, non è affatto normale. Dovresti aprire
gli occhi, lei non ti fa bene».
«No, no ti sbagli. Lei ha sempre
voluto il meglio per me, voleva che fossi appassionato e
compassionevole e questa è una buona cosa. Dico solo che...
senti,
io sono al massimo oggi e credo che anche lei sia al massimo e il
nostro amore sarà fantastico cazzo».
«Sì,
sarà fantastico e tu sarai fantastico e lei sarà
fantastica e tu
non sarai quel tale che si approfitterà di una situazione
senza
offrirsi di fare qualcosa in cambio, perciò pensa alla cosa
del
ballo».
*
«Chi
era quel tipo? Era quello strambo di cui mi ha parlato Allison,
Stiles?» disse sua madre.
«Chi? Non vorrai dire il figlio
dell'ex ex sceriffo?! È dimagrito davvero tanto, quasi non
lo
riconoscevo. E comunque non mi va che lo frequenti, è stato
internato, non sarà mai sano» continuò
il padre.
Malia fissava
la sua tazza di tè pensando a scodelle di latte e cereali,
mentre i
suoi genitori parlavano di lei come se non fosse lì
presente. In un
altro momento si sarebbe arrabbiata, avrebbe lanciato la tazza contro
il muro o qualcosa del genere, ma aveva appena messo da parte il suo
orgoglio e aveva chiesto aiuto a qualcuno di sua spontanea
volontà,
non era una cosa che faceva tutti i giorni, le era costata una certa
fatica.
Una parte di lei era convinta di aver fatto bene, l'altra
la tormentava mostrandole gli scenari peggiori a cui sarebbe potuta
andare incontro. E se si fosse affezionata a quello stramboide? Lui
non era disposto a cedere neppure di un centimetro, sembrava
intenzionato ad amare Lydia a qualunque costo e per sempre, sembrava
essere la sua unica ragione di vita.
Isaac l'aveva mai amata così?
E lei era stata abbastanza innamorata di lui da accorgersene?
Sapeva
di non dover confondere la gentilezza di Stiles con l'amore, in fondo
lui aveva bisogno di lei e dopo aver ottenuto ciò che voleva
sarebbe
scomparso come tutti gli altri.
Chiuse gli occhi e vide Isaac che
sorrideva, a volte le tornavano in mente dettagli insignificanti,
come la sua abitudine a tagliare gli spaghetti o la sua marca di
dentifricio preferita, altre volte ricordava le sue mani addosso, ma
di solito quei ricordi si confondevano con quelli nuovi, meno lucidi
e felici dei primi, quando l'unica cosa che contava davvero era
punire se stessa fino a distruggersi in una lenta caduta nell'oblio
dei sensi.
Corse fuori dalla casa dei suoi genitori e si chiuse
nella suo piccolo garage riadattato, lì non c'era il salotto
ma una
sala da ballo come quella della scuola di danza in cui andava da
piccola. Accese lo stereo e iniziò a muoversi senza seguire
nessuna
coreografia, ripetendo ogni passo fino a sentire la testa girare e le
gambe cedere.
Il passato la tormentava, il presente voleva usarla
e il futuro non esisteva.
*
Stiles
era inquieto e irritabile. Le sue speranze di poter dare la lettera a
Lydia si assottigliavano e minacciavano di sparire a causa di un
capriccio. Ma la richiesta di Malia poteva definirsi tale? Era un
vero capriccio? Forse era solo un'altra prova da superare...
Arrivò
a casa tenendosi stretto quel pensiero, erano ancora tutti in salotto
a guardare la partita, Melissa era costretta a rimanere ferma con due
telecomandi in mano diretti verso la tv, appena si muoveva di mezzo
centimetro Noah la rimetteva in riga: lei era il suo portafortuna. Al
gruppetto si era unito anche Scott, perché Allison odiava il
football e non gli permetteva di guardarlo a casa.
«Stiles,
figliolo! Finalmente sei tornato, vieni a sederti qua vicino a me,
non andare sempre in giro a fare chissà cosa con quella
Malia» gli
disse il padre senza staccare gli occhi dallo schermo del
televisore.
«Papà, è una mia amica,
perché dici così?»
chiese infastidito.
Scott annuì energico. «È incasinata,
devi
starci attento, fa un sacco di terapia».
«Io
faccio un sacco di terapia, Scott. Che vuoi insinuare?»
Malia era
una bella persona, era la ragazza più sincera che avesse mai
conosciuto. Cosa c'era di sbagliato in lei? E chi si credevano di
essere tutte quelle persone pronte a giudicarla?
«No, io voglio
solo dire che...»
«Che sono incasinato? Perché non la smettete
di giudicare le persone? Giudicate tutti, forse vi fa sentire meglio
sapere che qualcuno stia messo peggio di voi o forse vi fa comodo
illudervi che sia così. Tu papà stai costringendo
Melissa a reggere
dei telecomandi da chissà quante ore e tu Scott... tu, sei
tu quello
con il matrimonio incasinato, dannazione!»
«Cercavo solo di
metterti in guardia» sorrise Scott in imbarazzo, guardando
sua madre
con la coda dell'occhio.
«Cosa
non va nel tuo matrimonio?» chiese Melissa allarmata.
«Niente
mamma, è tutto a posto».
«No, no, no. Melissa, dovevi vederlo
quando ero a casa sua, sembrava un circo là
dentro».
Peter
ridacchiò e Stiles era pronto ad avventarsi su di lui, ma
Scott lo
portò in cucina.
«Dai, calmati, su calmati».
«No, no che
non mi calmo, non posso calmarmi se continui a dirmi di calmarmi...
oddio che bello! È per me?!»
Scott aveva tirato fuori il suo
vecchio iPod e l'umore di Stiles era cambiato in un battito di
ciglia.
Gli
avevano vietato di ascoltare musica, temendo che qualsiasi canzone
potesse scatenare la sua ira. Dopo avevano appurato che la canzone
era solo una, ma non si erano più preoccupati di dargli
qualcosa che
gli permettesse di ascoltare musica.
E lui amava la musica ed era
felice e quindi finse di non capire che quella era solo una strategia
per farlo smettere di parlare.
«Sì, è per te! Te lo regalo, ci
sono più di settemila canzoni».
«Grazie di cuore amico, è un
bel gesto, lo apprezzo».
«Sì, be' te l'avevo promesso a cena,
ricordi? E poi ho pensato potesse servirti un po' di musica, sai per
scaricare la tensione. Sai... sai ultimamente vado nel garage e metto
su i Metallica, i Megadeath e raaaawrr» finse di ringhiare
«e
comincio a spaccare tutto, cazzo».
«Devi aggiustare il tuo
matrimonio» ma l'altro non lo stava ascoltando, era il suo
momento,
si stava sfogando.
«Spacco tutto e mi faccio male alla mano»
mostrò il pugno graffiato «e poi torno dentro casa
e riesco a
sopportare tutte le lamentele e le regole di Allison».
Qualcuno
suonò al campanello e l'ex sceriffo andò ad
aprire.
«Scott, è
una puttanata».
«Lo so, ma mi fa stare meglio, questa è la mia
terapia» si strinse nelle spalle.
«Non va bene, quando starò
con Lydia non farò mai una cosa del genere, te
l'assicuro».
«Lydia?
Cos'è questa storia di Lydia? Un'ingiunzione restrittiva non
è uno
scherzo» disse qualcuno in fondo al corridoio.
Alto, fisico da
atleta professionista, capelli scuri e occhi blu oceano: Derek, il
nipote di Peter.
Lui, Stiles e Scott erano cresciuti insieme,
erano stati uno strano trio di amici durante gli anni del liceo. Poi
si erano separati, avevano preso strade diverse e si rivedevano una o
due volte l'anno, quando Derek tornava in città per far
visita allo
zio.
L'ex sceriffo lo adorava, anche Melissa lo adorava e tutti
facevano un sacco di paragoni da sempre, perché lui era
semplicemente troppo perfetto per chiunque. Aveva perso il padre da
piccolo e Noah era diventato una sorta di secondo padre per lui.
A
volte Stiles pensava che, se lui fosse morto e suo padre avesse
potuto sostituirlo con Derek, alla fine non avrebbe sentito la
mancanza del figlio e la sua tomba non avrebbe avuto più
fiori nel
giro di poche settimane e si sarebbe trasformata in un cumulo di
erbacce.
«Porca
vacca, ma guardati! Sei in forma, hai un aspetto fantastico. Ti senti
bene?» Derek lasciò andare la valigia e la
ventiquattrore e lo
stritolò in un abbraccio.
«Va tutto bene. E a te come va?»
chiese Stiles per cortesia.
Derek si fece serio e gli mise una
mano sulla spalla.
«Senti mi dispiace di non essere venuto a
trovarti in ospedale, sai dopo mio padre quei posti mi fanno stare
male, poi lo studio si è ingrandito e ho aiutato Noah con il
ristorante, gli serve un lavoro regolare, una denuncia dei redditi
per coprire tutti i soldi che fa da allibratore».
«Grande, sono
felice che ci sia tu ad aiutarlo» rispose Stiles con tono
piatto.
Un
gelido silenzio calò sulla stanza, interrotto solo dalla
telecronaca
della partita e dagli urli di Noah. Derek allentò il nodo
della
cravatta e deglutì a disagio, mentre Stiles restò
a guardarlo
impassibile.
Non lo odiava, ma stava esaurendo la scorta di
perdono per tutti quelli che l'avevano abbandonato nel momento
più
buio della sua vita.
«Ehm... resterò a Beacon Hills per qualche
settimana, potremmo fare qualcosa insieme come ai vecchi tempi, solo
tu, io e Scott. Che ne dici?» accennò un sorriso.
«Sì, mi
sembra fantastico!» esclamò Scott al posto suo per
stemperare la
tensione.
«Bene, che ne dite di domani pomeriggio? Potremmo
andare...»
«No,
io non posso, ho un impegno» disse subito Stiles.
Scott sbuffò.
«Un impegno con chi? Malia? Amico io lo dico per te, dovresti
lasciar perdere, ha davvero un sacco di problemi e se non stai
attento ti trascinerà giù, a fondo con
lei».
«Malia, quella
Malia, tua cognata?» chiese Derek curioso.
«Sì, proprio
lei».
«E ora come sta? Voglio dire, al funerale non sembrava
messa troppo bene...»
Stiles sentì un brivido di irritazione
dietro la schiena e sbottò.
«Sapete che vi dico? Forse quelli
come Malia o me, forse noi sappiamo qualcosa che voi non sapete,
forse capiamo più cose di quante ne riusciate a capire voi.
Ci avete
mai pensato?»
Gli altri due non seppero cosa rispondere e Stiles
uscì di nuovo per sbollire la rabbia, prima di ritrovarsi
con un
vuoto di memoria e le mani coperte di sangue.
L'indomani
Stiles si presentò a casa di Malia in perfetto orario, la
madre lo
guardava stupita dalla finestra e lui la salutò con un gesto
educato
ma anche ironico.
Malia aprì la porta ancor prima che lui
arrivasse in fondo al vialetto, era già vestita per
allenarsi,
indossava capi aderenti scuri in microfibra e ballerine leggere. Lo
accolse con un mezzo sorriso, Stiles stringeva la lettera per Lydia
tra le mani, come per segnare una netta linea di demarcazione: si
stavano facendo un favore a vicenda, non c'era altro.
L'interno
era diverso da come l'aveva immaginato, non sembrava neppure una
casa, ma una vera e propria sala da ballo, con il pavimento in legno
e una parete coperta di specchi.
«L'ho costruita con i soldi
dell'assicurazione, l'ho progettata io. Il pavimento è in
quercia,
ha una buona elasticità per ballare, anche se in
realtà non sono
granché come ballerina, ma è una terapia ed
è divertente. Le
pareti poi sono fantastiche, posso aumentare il volume e nessuno lo
sente» gli spiegò Malia con orgoglio, facendo
piccole piroette
intorno alla stanza.
Stiles restò invece a braccia conserte, in
posizione di difesa, incapace di capire come quella situazione lo
facesse sentire, eccitato ma anche a disagio.
«Dove dormi?» si
pentì subito di quella domanda, non voleva di certo portarla
a
letto! Lei però per una volta rispose senza allusioni.
«Di
sopra» indicò la piccola rampa di scale in fondo
alla sala «prima
era un garage, l'ho ristrutturato e poi sai pensavo di mettere una
sbarra da ballerina proprio lì, davanti allo
specchio».
Era così
presa dal fargli vedere casa sua che Stiles pensò avessero
entrambi
perso di vista l'obiettivo finale, il motivo per cui si trovavano
lì.
«E senti, quando intendi dargliela?» chiese senza
giri di
parole.
Malia
lo guardò confusa. «Cosa?»
«La lettera a Lydia» la sollevò
per fargliela vedere, la gola all'improvviso secca.
La luce negli
occhi di Malia mutò, si affievolì e lei
tornò quella di
sempre.
«Stasera. Scott, Allison e io la vediamo stasera»
disse
avvicinandosi a lui con passo sinuoso.
Stiles
deglutì. «Ho cambiato il primo paragrafo, ho
aggiunto una citazione
di Shakespeare, che è molto romantico, e sul futuro. Sai, se
lei
vorrà andare a ballare potremo farlo visto tutti gli
allenamenti
e...»
«Va bene, va bene» disse lei poco convinta, senza
riuscire a interrompere il fiume di parole.
«...e penso che tu
sia una brava maestra e che puoi anche insegnare a tutti e
due».
«Sì, certo» prese la lettera e la
poggiò sulle scale, ma lui
non riusciva a smettere di parlare.
«E ho anche accennato a
quanto sia generoso quello che io sto facendo per te».
«Sì, sì,
è molto generoso» lo condusse per mano al lato
opposto della
sala.
«Mi sono messo a disposizione dei tuoi bisogni. Certo, non
quei bisogni che... insomma, non tutti i bisogni, solo alcuni, quelli
utili, quelli...»
«Sì, ho capito. Facciamo così,
cominciamo
da qualcosa di semplice, parti da quell'angolo e vieni verso di me,
attraversa la stanza» disse lei e si allontanò da
lui il più
possibile.
A quella distanza Stiles sentì l'ossigeno raggiungere
di nuovo il cervello: stava sbagliando tutto, Malia era Malia e Lydia
ne sarebbe stata gelosa!
«Possiamo fare qualcos'altro invece del
ballo?»
«Cazzo, mi prendi in giro?»
«Sono bravo col
martello, ti riparo qualcosa».
«Un accordo è un accordo».
«Uff,
lo so, stavo solo suggerendo un'alternativa migliore».
«Migliore
per te, vorrai dire».
Malia gli diede le spalle e mise le mani
sui fianchi.
«Senti, mi dispiace, hai frainteso io...»
«Ora
vieni verso di me come se fossi Lydia e l'unico modo per dimostrare
quanto ti sono mancata è attraverso la camminata, una lenta
camminata. Non puoi parlare, solo camminare» si
voltò di nuovo
verso di lui con aria di sfida.
«No, non lo faccio».
«Io
sono Lydia, quindi ora vieni verso di me. Fallo».
«Ma è
stupido!»
E poi Malia disse le parole magiche, sorridendo ancor
prima di pronunciarle, sapendo di aver già vinto a mani
basse.
«Se
non lo fai niente lettera».
Stiles era letteralmente con le
spalle al muro, si era cacciato in un bel casino e poteva solo andare
avanti senza guardarsi indietro. Raccolse tutto il coraggio che
aveva, mise da parte l'orgoglio e iniziò ad avanzare verso
Malia.
«Tu però non sei Lydia»
sussurrò tra i denti.
«Sguardo
basso, non sollevarlo fino a metà strada».
Stiles non calcolò
bene le distanze, perché quando sollevò il viso i
loro nasi si
sfiorarono.
«Tu la senti questa emozione?» gli chiese a pochi
centimetri dalle labbra.
«Io non sento niente» mentì lui e
tornò indietro in tutta fretta.
«Ti
ha mai detto nessuno com'è morto Isaac?» lo
incalzò allora
lei.
«No».
Un'ombra scura calò su Malia.
«Eravamo
sposati da tre anni e cinque giorni e io lo amavo, ma negli ultimi
due mesi non mi andava di fare sesso, per niente. Sentivo come se
fossimo tanto diversi e io ero depressa, in parte per cose mie e in
parte perché lui voleva dei figli e io so a malapena
prendermi cura
di me stessa e questo non fa di me una criminale» fece una
lunga
pausa e asciugò via le lacrime con la manica della felpa.
«Comunque, una sera è andato da Victoria's Secret,
al centro Re
di Prussia, e ha preso della lingerie per sciogliere la situazione,
mentre tornava si è fermato per strada per aiutare uno con
la gomma
a terra e l'hanno investito e ucciso. La scatola di Victoria's Secret
era ancora sul sedile davanti. Questa è
un'emozione».
Stiles si
sentì per la prima volta legato a lei da una connessione
profonda,
nessuno sembrava provare il suo stesso dolore tanto quanto Malia.
Certo sua moglie era ancora viva, ma non poteva vederla senza finire
in prigione. Non era un po' come se fosse morta?
«Ora puoi andare
a casa, torna domani alla stessa ora».
«Come sai che tornerò?»
«Lo so e basta».
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Capitolo 5 *** Capitolo 5. La lettera ***
Capitolo
5. La
lettera
Aveva
smesso di correre con la sua felpa foderata di plastica, aveva
dimezzato la dose di farmaci e quasi non ricordava più quale
fosse
la lista di libri da leggere per far contenta Lydia.
Lui e Malia
si allenavano da quasi due mesi e il ballo era la sua nuova
fissazione.
Malia era davvero una brava insegnante, gli diceva
cosa fare e lo incoraggiava senza moine, non lo faceva sentire uno
stupido bambino incapace – come invece erano stati tutti i
suoi
insegnanti fino ad allora – era più calma di
quanto si sarebbe
aspettato e sapeva restare concentrata per ore.
Avevano iniziato
dandosi appuntamento ogni pomeriggio per provare; lei aveva deciso di
dedicare le prime ore di ogni incontro all'ascolto della musica, in
silenzio e guardandosi negli occhi, diceva che li avrebbe aiutati a
entrare in connessione. E forse erano serviti, perché
già alla
seconda settimana l'imbarazzo era crollato e l'intesa era cresciuta,
Stiles non aveva più paura di guardarla in modo diretto o di
toccarla, la ruga tra gli occhi di Malia si era appianata.
Di
volta in volta imparavano nuovi passi e provavano quelli vecchi,
Malia voleva puntare sulla varietà di stili, non potendo far
affidamento sugli anni di pratica degli altri partecipanti alla gara.
E quindi il carico di lavoro era aumentato al punto che i
pomeriggi non bastavano e dovettero cominciare a vedersi anche di
mattina.
Stiles usciva molto presto, quando ancora suo padre
dormiva, passava dalla tavola calda e prendeva due caffé
americani e
due donuts, uno con copertura al cacao amaro per Malia e uno con
copertura al lampone per lui.
Lei si faceva trovare sulla
panchina più riparata del parco del suo quartiere,
lì facevano
colazione e restavano in genere per mezz'ora o poco più a
parlare.
Stiles faceva domande a caso sulle cose più disparate e
Malia
rispondeva con quel suo tono da donna che ne ha viste troppe per
sorprendersi di qualcosa.
Dopo si dedicavano al riscaldamento,
facendo qualche giro attorno all'isolato e stretching a casa di Malia
e restavano insieme fino a sera.
La madre di Malia aveva smesso di
rivolgergli occhiate al vetriolo e anzi preparava il pranzo anche per
lui. Li aveva più volte invitati alla sua tavola, ma Malia
preferiva
pranzare seduta a terra piuttosto che sentire i consigli del padre su
come trovare “un onesto cittadino americano” da
sposare.
Era
la loro nuova routine e a Stiles piaceva, non avrebbe cambiato nulla,
eccetto forse le occhiatacce di Noah quando rientrava tardi, che lo
facevano sentire un eterno adolescente.
Non era andato tutto
sempre liscio, c'erano stati episodi che Stiles avrebbe preferito
dimenticare, ma che lo tormentavano spesso di notte, quando si
trovava da solo con se stesso.
Come quella volta in cui Malia era
andata in bagno a cambiarsi e lui aveva intravisto la sua schiena
nuda attraverso lo specchio appeso alla porta. Era corso via senza
nemmeno salutare e si era chiuso in camera a ripassare i motivi per
cui la stava aiutando, cercando di focalizzare il volto di Lydia, che
era sempre più sfocato nella sua mente.
Lydia era un'idea, un
desiderio negato, Malia era la realtà.
Dentro di sé Stiles
sapeva che era così, ma a livello conscio non poteva
accettarlo, non
poteva venire a patti con quella nuova consapevolezza, non se Malia
parlava ancora di Isaac con gli occhi lucidi e gli ricordava che
prima o poi Lydia avrebbe risposto alla lettera e sarebbe stato
libero da quella “cosa di ballo”.
E poi Lydia era sua moglie,
avevano giurato di fronte a Dio e a tutti gli invitati che sarebbero
stati insieme per sempre, il loro matrimonio non era uno scherzo.
Quella promessa doveva pur valere qualcosa, no?
*
Non
ce l'aveva fatta, non aveva consegnato la lettera a Lydia. A sua
discolpa ci aveva anche provato, ma l'unica volta in cui l'aveva
vista era sta a cena da Allison e con lei c'era anche Jordan.
Il
suo naso era tornato quasi dritto com'era stato prima che Stiles lo
distruggesse e lo rendeva, se possibile, ancora più bello e
affascinante. Scott li aveva raggiunti con un ritardo di dieci
minuti, aveva una mano fasciata e un sorriso così finto da
sembrare
una paresi.
Un'altra avrebbe desistito dal consegnare la lettera
perché Lydia e il suo nuovo compagno sembravano felici
insieme, lei
no. Malia lo aveva fatto un po' per Stiles e un po' per se stessa.
La
verità era che, guardare Lydia ridere e fare gli occhi dolci
a
Jordan, aveva risvegliato in lei un vecchia rabbia che credeva
sopita: Lydia non meritava quelle attenzioni. E, anzi, era convinta
che l'ego della rossa bambola di porcellana avrebbe fagocitato la
lettera e il cuore di Stiles, lasciandolo a mani vuote, più
ferito e
umiliato di prima.
Così
aveva fatto buon viso a cattivo gioco e poi aveva nascosto la lettera
sotto il materasso.
La
tentazione di leggerla era forte, troppo forte, ma non voleva
aggravare il suo senso di colpa.
Era già abbastanza difficile
mentire vedendolo ogni giorno, così felice e pieno di
speranze!
Doveva però ammettere che quel piccolo peccato pesava meno
degli
altri, era l'unico di cui non riusciva a pentirsi. Sarebbe andata
all'inferno tenendolo stretto al petto senza rimorsi e senza
rimpianti.
Alla fine era cascata nella trappola che Stiles non
sapeva di averle teso, si stava innamorando di lui senza che potesse
far nulla per per impedire a se stessa di provare ciò che
provava.
Ogni sua stranezza, ogni parola di troppo, ogni sguardo, sorriso o
sospiro mettevano a tacere i suoi vecchi demoni e, allo stesso tempo,
ne creavano di nuovi.
Stiles non ricambiava, non avrebbe mai
ricambiato, il suo amore per Lydia sembrava impossibile da scalfire,
senza contare che prima o poi la verità sarebbe venuta a
galla;
perciò lei aveva deciso di accontentarsi di quello che
riusciva a
racimolare di nascosto durante i loro incontri, nonostante ogni
sguardo, ogni abbraccio e ogni stretta di mano fossero parte di una
finzione da lei creata per partecipare a una gara che lui voleva
vincere per un'altra donna.
Era debole, stupida e fragile, se lo
ripeteva di continuo, soprattutto quando lui l'attraeva a sé
e i
loro corpi sbattevano uno contro l'altro e un fuoco le si accendeva
dentro, dalla punta dei piedi alla punta dei capelli.
Lui restava
coerente alla sua fissazione per la moglie, mentre lei era passata al
livello successivo, era caduta in un nuovo circolo vizioso di
autodistruzione. Il pavimento si stava sgretolando sotto i suoi piedi
e lei non aveva più nulla a cui aggrapparsi, nemmeno il
dolore.
Era
partito il conto alla rovescia dei giorni che la separavano da Eichen
House o da qualsiasi altra clinica per matti. Tic tac, tic tac...
*
«Stiles?
Stiles, sveglia, sveglia. Dove sei stato? Ci troviamo in una grave
situazione, lo sai?»
Stiles si rigirò sotto le coperte, suo
padre era seduto sul letto, indossava una tuta in acetato blu e lo
chiamava, ma lui non ricordava neppure come ci fosse arrivato
lì.
Aveva ballato con Malia senza sosta, tutto il giorno, poi era
tornato a casa e... che ore erano?
«Noi
dobbiamo battere i Giants se vogliamo avere una possibilità
di
qualificarci, una possibilità per arrivare ai play-off, te
ne rendi
conto?»
«No,» grugnì con la bocca impastata dal
sonno «non
me ne rendevo conto».
«Siamo in un grosso casino, quindi penso
che sarebbe saggio se passassimo qualche tempo insieme, a leggere
tutto sugli Eagles, a parlare di loro, giusto per rafforzare la buona
sorte che tu hai dentro».
Era
ancora intontito ma gli bastò guardare gli occhi lucidi del
padre
per capire che il problema non erano gli Eagles, che c'era molto di
più.
«Sì,
certo, d'accordo» sussurrò schiarendosi la voce e
mettendosi
seduto.
Noah restò in silenzio a guardarlo e poi si passò
una
mano sulla fronte sospirando.
«Ieri ho messo in ordine lo studio.
Sai non l'avevo ancora fatto dopo quel nostro piccolo litigio, le
videocassette erano ancora ammassate a terra e quindi le ho sistemate
sugli scaffali con lo stesso ordine di prima. E mentre le catalogavo
mi sono reso conto di aver dedicato parecchi anni della mia vita agli
Eagles, più di quanto immaginassi. E poi ho trovato un album
di
fotografie, uno di quelli di pelle vecchia e marrone, la carta
puzzava un po'. C'erano un sacco di foto tue da bambino e di tua
madre, ma ce n'erano anche molte di me con te e con Derek e quindi ho
iniziato a riflettere».
«Su
cosa?»
«Be',
sai pensavo che forse non ho passato tanto tempo con te mentre
crescevi, forse ne ho passato troppo a lavoro e con Derek. Io e suo
padre eravamo grandi amici e dopo che è morto mi sono
sentito in
dovere di sostituirlo. Eh sì, è
così...» alcune lacrime fecero
capolino tra le ciglia chiare.
«E questo avrà fatto peggiorare
il tuo comportamento, ma io... io non sapevo niente, non sapevo come
gestire la cosa, credevo che prima o poi avresti trovato la tua
strada da solo e non volevo costringerti ad appassionarti allo sport,
volevo che tu fossi libero di scegliere in qualche modo, ma ho
sbagliato tutto, quindi... quindi adesso voglio recuperare, tutta
questa storia degli Eagles tratta di noi che passiamo del tempo
insieme. Voglio fare tutto il possibile per aiutarti a rimetterti in
piedi, voglio solo recuperare, capisci? Per questo ti chiedo sempre
di guardare le partite con me, così possiamo parlare,
possiamo...
confidarci» finì con la voce rotta dal pianto.
Stiles avvertì
un grosso groppo in gola guardando suo padre sciogliersi in lacrime,
lo aveva visto piangere una sola volta al funerale di sua moglie, la
madre di Stiles morta quando lui era ancora piccolo. Era stata dura
crescere con un padre che beveva e scommetteva per affogare il
proprio dolore, era stata dura crescere all'ombra di Derek, ma non
aveva senso continuare a guardarsi indietro, Stiles aveva scelto di
andare oltre quel periodo.
Diede
qualche pacca sulle spalle a suo padre per aiutarlo a ricomporsi e
gli passò anche uno dei fazzoletti di carta che teneva sul
comodino.
«Quindi tutta la storia che porto fortuna agli Eagles
serviva solo a stare insieme?»
Noah
annuì soffiandosi il naso.
«Verresti di sotto a parlare con me e
Peter ora?» gli disse poi dopo essersi calmato.
«Certo».
Stiles
si diede una rinfrescata e guardando il cielo grigio fuori vide che
era già mattina. Avrebbe saltato l'abituale colazione con
Malia e
questo lo rese triste, ma non sapeva proprio come contattarla per
farglielo sapere.
Peter
era seduto al tavolo in cucina, indossava uno dei suoi maglioncini
con lo scollo a V color crema e beveva caffè nero ristretto.
«Peter,
digli quello che sto facendo» disse Noah, addentando una
ciambella.
«Vuole puntare tutto sulla partita dei Giants, tutti i
soldi che gli servono per il ristorante».
«Digli
perché».
Peter fece una smorfia di disappunto.
«Perché lui
crede in te».
«Che... che cosa? È vero?» chiese Stiles
incredulo.
«Sì,
io credo in te e voglio che tu lo sappia, perciò
punterò pesante
stavolta, hai capito? Voglio anche che tu vada alla partita con
Derek».
«Tu
vuoi che io vada alla partita con Derek?» ripeté
Stiles sempre più
incredulo.
«Certo
che lo voglio!»
«E
lui vuole che io ci vada? Te l'ha detto lui?»
«Sì,
lo ha detto a me e a Peter».
«Con tutti i suoi amici?»
«Esatto, con tutti i suoi amici, si fida di te».
«E
non si vergogna?»
«No,
no, perché dovrebbe? Anch'io vorrei venire alla partita ma
sono
stato bandito dallo stadio. Ci terrei tantissimo a vedere battere i
Giants e sfilare un sacco di soldi a questo stronzo»
ridacchiò.
Peter non era dello stesso parere.
«Senti,
personalmente la trovo una scommessa stupida, penso che sia ridicolo
puntare tutti quei soldi per il ristorante su una partita»
disse e
finì il caffè in un sorso.
«Peter,
io spero che tu abbia sentito quello che ho detto. È come
un'attività di famiglia, è la nostra famiglia che
tenta, io e
Stiles siamo uniti in questa faccenda, è così che
funziona. È una
vibrazione positiva».
Peter
sollevò le spalle «Come ti pare».
«E quand'è la partita?»
chiese invece Stiles.
«Domani,
perché?»
Tra tutti i giorni perché proprio quello? La gara si
avvicinava e a loro mancava l'ultima parte della coreografia, non
avevano tempo da perdere e anche un solo giorno era importante.
«Ho
preso un impegno con Malia riguardo un progetto e c'è una
parte
molto molto importante che noi dobbiamo ripassare domenica,
perciò
io...» sospirò affranto «io non posso. E
prima che tu dica altro,
mi fa bene, mi fa davvero bene. Mi sta insegnando disciplina,
concentrazione e, non l'avrei mai pensato, ma è una cosa
buona».
Peter sorrise con malizia.
«Mmh, e che cos'è questa
cosa? Che sarebbe questo progetto per cui resti tutto il giorno fuori
casa con questa Malia? Sicuro che si tratti di un'attività
da fare
in piedi e non sdraiati?» disse ammiccando verso Noah. Suo
padre lo
guardò storto in attesa di conferma.
«Cos...?
No, è solo una cosa di ballo, non c'è altro
papà, lo giuro».
«Va
bene, va bene. Ora però risolvi questa cosa con Malia, devi
andare
alla partita, non puoi deludermi così e... ehi, dove stai
andando?»
«A
risolvere questa cosa con Malia, ci vediamo dopo».
Malia
lo stava aspettando fuori casa propria con aria di tempesta.
«Dove
sei stato? Sei in ritardo».
«Scusa,
mio padre...»
«Sì,
va bene, non importa, vieni dentro» disse e lo spinse oltre
la
porta.
Stiles non poteva andare in città a comprare delle scarpe
da ballo e si vergognava a chiedere un passaggio, a Malia era vietato
prendere l'auto, così avevano ovviato al problema foderando
con del
nastro isolante le scarpe sportive di Stiles. Ogni mattina lei lo
costringeva a sedersi e gli avvolgeva i piedi nel nastro, era
un'altra delle loro nuove abitudini, anche se Stiles la odiava, lo
metteva in imbarazzo. Si sentiva uno dei vecchi padri padroni che
obbligavano le mogli ad allacciare loro le scarpe. Malia invece non
sembrava infastidita dalla cosa.
Quella mattina però era irritata
e quindi strinse così forte che Stiles quasi
sentì la gomma delle
scarpe piegarsi.
«Senti, devo chiederti una cosa» le disse
quando si rimisero in piedi.
«Cosa?» lo guardò storto con un
sopracciglio pericolosamente alzato.
«Domani
posso passare metà giornata con te e metà alla
partita?»
Malia
rise sprezzante.
«Farò finta che tu non me l'abbia chiesto.
Questi sono i due giorni che abbiamo previsto per trovare il passo
forte e non è ancora pronto e non abbiamo altro
tempo».
«Lo
so, ma mio padre si è aperto con me ed è stato
bellissimo e io
voglio essergli d'aiuto. Ha paura che la jella sugli Eagles li stia
fottendo ed è agitato perché passo del tempo con
te».
Malia
incrociò le braccia al petto e fece una smorfia che non
prometteva
nulla di buono.
«Oh, non mi dire, io sto portando jella agli
Eagles?»
«No,
non sei tu che porti jella, ma la jella si sta abbattendo
perché non
sono con lui durante le partite».
Malia cambiò espressione, lo
scherno si spense e la determinazione si accese.
«Indovina un
po'?» disse piano.
«Cosa?»
«Lydia ha risposto alla tua lettera»
sganciò la bomba e si
diresse su per le scale senza perderlo di vista.
Quando scese
portò con sé una busta bianca sigillata e
perfetta, diversa dalla
lettera spiegazzata che le aveva consegnato lui. Tipico di Lydia
avere sempre tutto in ordine.
Stiles fece per prenderla, ma Malia
gli mise una mano sul petto e lo spinse via.
«Non puoi leggerla
finché non metti a punto quel passo, forza».
Diceva sul serio
quando parlava di disciplina e concentrazione, solo due mesi prima si
sarebbe avventato su Malia per strapparle la lettera dalle mani, in
quel momento si limitò a sbuffare e mettersi in posizione.
Il
“passo forte”, come lo chiamava Malia, doveva
essere una presa in
stile Dirty Dancing, ma non erano abbastanza allenati in generale,
quindi ogni volta che ci provavano cadevano a terra.
Provarono
sette volte, Stiles riusciva a pensare solo alla lettera poggiata
sulle scale.
«Mal scusami, non ci riesco se non leggo la lettera
di Lydia, va bene? È che ormai ce l'ho in testa e noi ancora
non ci
siamo, chiaro?» disse mentre lei si preparava per l'ottavo
tentativo.
Malia si passò una mano tra i capelli e tolse la
fascia con cui li teneva fermi, era sudata e aveva il fiatone.
«Va
bene. Spero solo che tu reagisca bene».
«Grazie, grazie
davvero. Non ne abbiamo mai parlato, non so perché, ma...
com'era la
sua energia quando gliel'hai data?»
«Era
incuriosita, eccitata e un po' spaventata» rispose
porgendogli la
busta.
Anche
lei sembrava spaventata mentre lui strappava la carta incollata per
aprirla.
«Cerca
di restare positivo».
Era di semplice carta bianca, scritta al
computer e poi stampata, assolutamente impersonale, ma era lunga il
che non poteva che essere positivo no? Stiles sentì freddo
ma anche
caldo.
«La
leggo ad alta voce, va bene? Perché se dice qualcosa che...
è
chiederti troppo?»
Malia
scosse la testa e lui guardò le prime righe senza leggerle
davvero.
«Hai
detto che l'avresti letta ad alta voce» gli
ricordò in un
sussurro.
Sembrava tenerci quasi quanto lui.
«Va bene,
scusami. Caro Stiles, è stata una grande emozione per me
avere la
tua lettera, come sono sicura immaginerai, ma sono felice che tu sia
stato così discreto da affidarla a Malia. Questo ci
dà l'occasione
di comunicare mentre mantengo l'ingiunzione restrittiva
finché non
mi sento al sicuro. Devo ammettere che sembri in gran forma e sono
felice che ti senta positivo e che diventi un uomo affettuoso e
caritatevole, cosa che per me tu sei sempre stato» si
fermò, perché
l'emozione risalì veloce dal petto agli occhi e le lacrime
spinsero
per uscire com'era successo a suo padre.
«Mi
sono commossa nel leggere di Excelsior e della tua fiducia nel lieto
fine, sono anche commossa del tuo atto d'amore di leggere i libri che
ho consigliato ai ragazzi del liceo, mi dispiace che tu li trovi
negativi, ma io non concordo, li considero grandi opere d'arte che
riflettono quanto sia difficile la vita e possono aiutare i ragazzi a
prepararsi agli ostacoli».
«Nonostante
tutti questi sviluppi positivi, Stiles, devo confessare che se leggo
bene i segnali mi occorre qualcosa di più che dimostri che
sei
pronto a riprendere il nostro matrimonio. Altrimenti mi ritrovo a
pensare che sarebbe... meglio per entrambi procedere con le nostre
vite... separatamente» lesse l'ultima parola in un soffio e
poi
guardò Malia, che come uno specchio gli restituì
lo stesso sguardo
carico di paura e smarrimento.
«Ti
prego non reagire d'impulso, prenditi del tempo per riflettere. Sono
contenta che tu stia bene, con amore, Lydia» chiuse la
lettera e la
mise in tasca.
Tutti i mesi passati in clinica a pensarla gli
parvero inutili, rivide se stesso provare e riprovare il discorso che
le avrebbe fatto una volta uscito e provò pena per
quell'uomo
ingenuo, che si sforzava di restare positivo nonostante il mondo gli
stesse cadendo addosso.
Ancora una volta le aveva dato il potere
di distruggerlo e lei non aveva perso l'occasione di farlo.
«Per
oggi basta, ho finito» disse e andò a prendere la
felpa.
«Ha
detto di dimostrarle qualcosa, Stiles. Questo ballo potrebbe essere
quel qualcosa, non avresti mai fatto una cosa così in un
milione di
anni. Dimostra ogni genere di capacità a tantissimi livelli
diversi:
concentrazione, collaborazione, disciplina. Stiles, è
romantico
proprio come ti avevo detto. È... è per
lei».
Stiles trattenne
a stento i singhiozzi e si asciugò in fretta le lacrime,
vergognandosene. Non voleva farsi vedere in quelle condizioni, anche
se Malia non lo stava rimproverando, a lei andava bene se lui
esprimeva le sue emozioni, non lo riteneva meno uomo per
questo.
«Grazie per la lettera, ci vediamo domani,
d'accordo?»
disse senza voltarsi e andò via.
L'indomani
Derek si presentò in camera sua senza nemmeno bussare,
saltandogli
addosso.
Un altro risveglio del genere e sarebbe tornato da solo
ad Eichen House.
«STILES! SVEGLIA SVEGLIAAAAA!» urlò
raggiungendoli Scott.
Stiles non aveva dormito molto, in realtà
si era da poco appisolato, ma la partita degli Eagles non avrebbe di
certo aspettato lui e il suo sonno disturbato.
Li accompagnò
Noah, perché Derek non aveva la sua auto in quella
città e la
macchina di Scott serviva ad Allison. Fu come tornare davvero ai
vecchi schifosissimi tempi.
«Papà,
mi presti il telefono?»
«È
un'emergenza?»
«Sì,
più o meno. Sto facendo questo progetto con Malia e voglio
avvertirla che non arriverò in tempo».
«Va
bene, ma che non diventi lei l'emergenza, quella pazza
scatenata».
«Ok. Scott, mi presti il tuo telefono?»
«Mi
dispiace amico, non se si tratta di Malia, sai come la penso».
«Derek?
Ti prego, almeno tu».
«Sì,
quando saremo arrivati, adesso sto aspettando una telefonata
e...»
«Grazie
tante a tutti!» esclamò stizzito e calò
il silenzio.
«Sai
papà, mi dispiace che tu non possa venire con noi, che sia
stato
bandito dallo stadio perché hai picchiato tutti. In fondo
non siamo
così diversi, vero?»
«Pensi che sia una brutta cosa?»
«No,
è una buona cosa».
«Bene,
siamo arrivati. Mi raccomando, non bere troppo e non picchiare
nessuno e andrà bene».
«Sì papà, sono una roccia».
«Ottimo,
bravo figliolo. Passo a prendervi quando è
finita?» chiese poi a
Derek e Scott.
«No, ci accompagna a casa Boyd. Grazie per il
passaggio» rispose Derek.
La
folla di fronte allo stadio era immensa ai suoi occhi, cominciava ad
abituarsi agli spazi ristretti e con poca gente, vederne
così tanta
lo fece sentire piccolo e indifeso.
C'erano
un sacco di auto parcheggiate e anche camper, c'erano persone che
arrostivano carne sulla griglia, ragazze svestite e dipinte di verde,
uomini con lunghe barbe e grosse pance che bevevano birra e facevano
gare di rutti.
Lui, Derek e Scott si fecero largo fino a una
Prius rossa, lì accanto qualcuno aveva allestito un piccolo
barbecue. C'erano Boyd e Brett, due amici di Derek che li accolsero
urlando cose senza senso.
«Ciao
ragazzi! Vi presento Stiles, un mio amico d'infanzia, per me
è come
un fratello».
«Ehi, Stiles! Com'è che mi hanno detto che ti
hanno appena dimesso?» lo schernì Brett.
«Sì,
il matto che viene dalla gabbia dei matti» rincarò
la dose Boyd
scoppiando a ridere.
Derek non la prese bene.
«E
che cazzo ragazzi! Mi ero già raccomandato prima, vi avevo
detto di
non dire niente!»
Stiles però odiava essere trattato in modo
diverso, quindi disse che non importava e stemperò la
situazione.
Bevvero birra e mangiarono hot-dog fino a quando un
piccolo camper non giunse nelle vicinanze.
Era il dottor Deaton
insieme ad amici e familiari, molti dei quali di origine indiana.
Ricordava che sua moglie fosse asiatica, ma aveva sempre pensato
avesse gli occhi a mandorla.
Stiles non ci penso due volte ad
andare a salutarlo, mentre Boyd avvertiva Derek urlandogli di fermare
il suo fratellino.
Alan era molto diverso rispetto a come era
abituato a vederlo, non indossava il completo elegante ma aveva la
maglia di DeSean Jackson identica alla sua e il viso colorato,
metà
verde e metà bianco.
«Ehi, dottor Deaton!»
Quello si girò
e gli sorrise allargando le braccia.
«Ehi, Stiles!»
«Che
ci fai qui?»
«Dobbiamo battere i Giants, fratello!» rispose
l'altro abbracciandolo a sorpresa.
«Non
dovrei vederti, giusto? Sai, fuori dallo studio, non è
illegale?»
«Stiles,
oggi sono il tuo fratello in verde, non il tuo terapista. Sono
felicissimo di vederti. Meraviglioso, meraviglioso che tu sia
qui!»
gli diede un'energica pacca sulle spalle.
In breve il gruppo di
Stiles e quello del dottore si unirono a bere e mangiare insieme.
Scott era ubriaco fradicio ancor prima di entrare allo stadio, non
faceva che battere le braccia come delle ali, urlando “Forza
Eagles!”.
Ad un certo punto Stiles si rese conto di non aver
ancora avvertito Malia e, in un momento di relativa calma prese da
parte proprio Scott.
«Allora senti, te lo devo dire, io non ce
l'ho il suo numero. Se vuoi puoi chiamare Allison, ma io non voglio
parlare con Allison!»
«Perché non vuoi parlarle? È tua
moglie!»
«Perché
lei ha il potere di abbattermi amico, mi butta
giù!» saltellò come
un bambino capriccioso.
«Oh
andiamo, non getterai via così il tuo matrimonio,
c'è dell'amore
tra voi due. Avevate una bellissima cosa che si è interrotta
da
qualche parte e devi risanarla come un chiropratico, devi fare una
manipolazione da chiropratico! Basta con le stranezze, non voglio
venire a casa tua e non poter dire quello che penso».
Se il suo
matrimonio era davvero una nave alla deriva nell'oceano del
fallimento, poteva impegnarsi per salvare quello del suo migliore
amico, lui ce l'aveva una qualche possibilità.
«Ok, hai ragione,
hai ragione» gli disse Scott ridendo e poi la situazione
precipitò.
Un gruppo di tifosi bianchi e razzisti aveva
individuato il loro piccolo ritrovo e non sembravano contenti.
«Ehi,
voi! Che cazzo ci fate qui? Che è questa puzza di indiano di
merda?
Qui siamo in America belli, tornatevene al vostro paese!»
disse un
energumeno pelato e con la barba rivolto a Deaton.
«Io
sono un dottore!» disse quello prima di ricevere il pugno che
diede
inizio alla rissa.
«Stiles, resta qui. Tu sei una roccia, va
bene? Non immischiarti» gli disse Scott prima di andare ad
aiutare
Deaton.
Lui era una roccia, era una roccia, una roccia, era una
roccia...
«Che cazzo state facendo? Lasciateli in pace!»
urlò
Derek mettendosi in mezzo per separare le due fazioni.
«Zitto,
traditore della tua stessa razza!» disse uno e lo
afferrò da dietro
per tenerlo fermo, mentre un altro si scagliò su di lui e lo
prese a
calci e a pugni, senza che Derek potesse far nulla per
difendersi.
Stiles non ci vide più.
In breve stese tre
persone, morse l'orecchio di uno che aveva provato a fermarlo fino a
sentir scorrere il sangue e poi il buio.
«Come ti è venuto
in mente di andare allo stadio, eh? E mi meraviglio di lei dottor
Deaton, ha incoraggiato un atteggiamento potenzialmente pericoloso
invece di fermarlo. Su voi due invece non ho niente da dire, le avete
prese per benino, penso basti come punizione».
Jackson guidava
l'auto della polizia con il solito atteggiamento annoiato e odioso,
tenendo un braccio fuori dal finestrino e la testa appoggiata al
sedile. Derek grugnì e tossì tenendosi il ventre.
«Non ti
lamentare, ti è andata bene, avrebbero potuto romperti
qualcosa. A
chi non è andata bene è il signorino seduto
accanto a me, non è
vero Stiles? Lydia potrebbe sporgere un'altra denuncia e allora
niente Eichen House, benvenuta prigione».
«Io sono un dottore»
ripeté Deaton ancora sotto shock, la guancia gonfia per il
pugno.
Arrivarono a casa Stilinski che era sera inoltrata e vi
trovarono Peter felice come una pasqua, Melissa agitata e un
distrutto ex sceriffo che aveva appena perso tutti i suoi soldi: gli
Eagles avevano perso miseramente.
Stiles entrò in casa con la
bocca ancora sporca di sangue.
«Ma che cazzo hai combinato? Ti
sei è fuso il cervello? Avevi detto di avere il controllo di
te, che
eri una roccia! Non ti rendi conto che per colpa tua ho perso una
fortuna?»
«Ero una roccia, sono ancora una roccia!»
urlò
Stiles, ricevendo il supporto del resto della combriccola.
«È
andato tutto in pezzi! È andato tutto a puttane!»
urlò Noah e si
tolse la maglia degli Eagles.
«No,
papà ti prego!» Stiles provò a fermarlo
ma venne malamente spinto
via.
«No, è andato tutto a puttane, tu e il ballo del
cazzo! Sei
un perdente, sei un perdente!» lo spinse ancora.
«Non voglio più
vedere la tua faccia!» gli urlò quasi in lacrime
dalla rabbia.
Il
campanello allora suonò, ma la persona dall'altra parte
della porta
non aspettò che qualcuno arrivasse ad aprire,
entrò in casa come
una furia e si avventò su Stiles.
«Dobbiamo parlare, qui e ora!
Quando prendi un impegno importante con qualcuno, non è
educato non
presentarsi!»
«Aspetta, aspetta un momento io ho provato a
chiamarti ma poi quei razzisti sono arrivati e...» si
strofinò via
il sangue rappreso dalla barba. «Ho provato a chiamarti, te
lo
giuro!»
«Ah, ma davvero?!»
«Te l'ho detto, volevo
dividere la giornata tra te e gli Eagles, mio padre mi tirava da una
parte e...»
«Ma
è fantastico, Stiles! Sono contenta per tutti loro, ma tutti
loro
non hanno preso un impegno con me in cambio del mio aiuto!»
«Sono
Malia, a proposito» si voltò a guardare tutti i
presenti nella
stanza come se fossero schifosi scarafaggi senza valore. Solo lei
avrebbe potuto farlo indossando un paio di leggings corti e un trench
elegante.
«Che cos'è questa fesseria con Malia?»
chiese Noah ai
limiti dell'esasperazione più nera.
«Non è una fesseria! Avevo
questa cosa con lei!» rispose Stiles alterato.
«Che cos'è? Non
capisco, quella è una pazza! Da quando hai cominciato a
frequentarla
è crollato tutto. La causa, la cazzo di causa è
qui davanti a
noi».
Malia, punta sul vivo, si rivolse direttamente all'ex
sceriffo.
«Lei pensa che io porti jella agli Eagles, non è
vero?»
«Sì, tutto questo succede da quando ti ha
conosciuta!»
«Lei
crede che sia mia la colpa di oggi?» Malia agitò
il braccio
indicandoli tutti.
«Sì, certo, è tua la colpa di
oggi» affermò
convinto.
«Ah
sì? È mia la colpa di oggi? Parliamone,
avanti» disse con gli
occhi da pazza che Stiles aveva già visto alla tavola
calda.
«Accomodati» disse Noah, accompagnando la parola a
un
gesto della mano.
«La prima sera, a cena da mia sorella, gli
Eagles hanno battuto i Forty Niners alla grande, 40 a 26; la seconda
volta che ci siamo visti, correvamo e gli Eagles hanno battuto i
Dodgers 7 a 5 nella lega nazionale».
«Ha ragione, Noah» disse
Derek.
«La volta seguente che siamo andati a correre gli Eagles
hanno battuto i Falcons 27 a 14; la quarta volta che eravamo insieme
abbiamo mangiato cereali alla tavola calda e gli Eagles hanno
dominato Tampa Bay nella quarta partita delle World Series 10 a
2».
«Oh, wow, affascinante» disse Stiles.
E
anche Noah sembrava molto colpito da tutta quella serie di
coincidenze, che non potevano solo essere tali, no c'era di
più, un
disegno che non riusciva ancora a vedere per intero.
«Ok, fammi
pensare, aspetta un attimo» le disse con un tono
più amichevole.
«E
perché non pensa a quando gli Eagles hanno battuto i Sioux
14 a
7?»
«Stava con te?»
«Stava
con me! Siamo andati a correre».
«Davvero?» chiese Stiles, non
se lo ricordava proprio...
«Non
c'è stata nessuna partita da quando Stiles e io proviamo
ogni giorno
e se Stiles fosse stato con me, come avrebbe dovuto, non avrebbe
fatto a botte e non si sarebbe messo e nei guai e, chissà,
magari
Eagles avrebbero battuto i New York Giants».
«Sì,
ha un senso Noah, sotto tutti i punti di vista» Derek le
diede di
nuovo ragione.
E
poi Malia diede la stoccata finale, come un felino che azzanna la
propria preda per ucciderla dopo averci giocato per un po'.
«Qualcuno
qui sa qual è il motto ufficiale dello stato di New York,
che sta
sul sigillo ufficiale dello stato di New York? Eh? Nessuno? Lei lo
sa?»
Tutti risposero di no, ma lei si prese qualche secondo per
dare maggiore impatto alla bomba.
«EXCELSIOR!»
E il “no”
generale si trasformò in “coooosa?”.
«Già, proprio così,
controlli pure! Non che me ne freghi un cazzo del vostro football o
delle sue scaramanzie ma, se fossi io a leggere i segnali, non
manderei un tizio degli Eagles il cui motto personale è
“excelsior”
a una partita dei Giants manco morta, soprattutto se ha già
dei guai
con la legge».
«Incredibile, è incredibile» continuava
a dire
Derek.
«Wow, come la sai tutta questa roba?» le chiese
Stiles,
mentre lei stappava una delle birre sul tavolo e beveva a grandi
sorsate.
«Ho fatto le mie ricerche».
Sul viso di Noah c'era
un'ammirazione che Stiles aveva visto raramente in vita sua, suo
padre era stato folgorato da Malia. Nessuno aveva mai preso tanto sul
serio il suo modo di vedere le cose, interpretando i segnali e le
coincidenze in modo così preciso.
«Be', cara Malia, sono
colpito» annuì arricciando le labbra.
«Devo riesaminare la
situazione, prima non mi fidavo della cosa, ma devo dire che ora
sì»
ammise la sconfitta.
«Non
ci credo, ora lei ti piace papà?»
«Mmh, devo dire di sì,
già».
La tensione si era risolta, la tempesta era passata,
quindi era ovvio che Peter intervenisse per ravvivare la fiamma della
discordia.
«Noah, io mi sento una pezza, sai. Tu hai scommesso,
io ho vinto un sacco di soldi e ora guarda la tua famiglia in
subbuglio» disse con tono dispiaciuto.
«Oh, vaffanculo Peter, tu
ne vai pazzo. Tu vivi per queste cagate, scommetti contro mio padre
da una vita, stai rigirando il coltello nella piaga e ci godi da
morire!» intervenne Malia infuriata.
«Questa è un'assurdità!»
si difese lui.
«CI GODI DA MORIRE!» continuò ad
aggredirlo lei,
sembrava volesse davvero azzannarlo.
L'ammirazione di Noah
cresceva di minuto in minuto e dal modo in cui annuiva, Stiles
intuì
che forse aveva finalmente capito che tipo di persona fosse
Peter.
«Non è vero, quello che stai dicendo non
è affatto
vero!»
«Allora dimostralo!» lo sfidò, seguita a
ruota da Noah
che ripeté le stesse parole.
«E come volete che ve lo dimostri?»
«Già, come ce lo dimostra?» chiese l'ex
sceriffo rivolto a
Malia.
«Dandogli la possibilità di rivincere tutto, il
doppio o
niente».
Stiles fece un balzo in avanti, superò Malia e prese
suo padre per le spalle.
«No no no, papà non starli a sentire!»
«Il
doppio o niente sui Bengals la prossima settimana?»
Malia si
stava divertendo a tenere il coltello dalla parte del manico. Bevve
un altro sorso di birra scuotendo la testa.
«No, contro i
Cowboys» disse con enfasi da cattivo della Disney.
Un “oooh”
collettivo si sollevò dai presenti nella stanza.
«Ah, avanti
vuoi scherzare?» disse Peter messo alle strette.
Noah era pronto
ad adottare Malia o a costringere Stiles a sposarla. Magari entrambe
le cose.
«È
la tua squadra, giusto Peter?» ghignò soddisfatta.
«Sì,
è la mia squadra, va bene? Contenta? Forza, dimmi
quand'è la
partita».
«Lo sai bene! Il 28 dicembre, ultima partita della
stagione, lo stesso giorno al Benjamin Franklin si svolge la gara di
ballo a coppie stile libero».
Peter la fulminò risentito e Noah
ne approfittò per prendersi la sua piccola rivincita.
«I Cowboys
non erano la squadra d'America?»
«Già
Peter, non credi nella squadra d'America?» gli fece eco Malia.
«Sì,
credo nella squadra d'America, ma se vinco la scommessa io vinco il
tuo libro, tu sei fuori gioco e non hai più il ristorante,
non hai
più niente!»
«Mi piace! Io credo negli Eagles e credo in mio
figlio, accetto la scommessa».
«Noah,
ti prego non farlo! È un suicidio!» Scott
intervenne per la prima
volta.
«Excelsior appartiene a questa casa, non allo stato di New
York».
«Papà ascoltami, non sapevo che quello fosse il
loro motto».
«Nemmeno io! Non è incredibile?»
«Papà,
ascolta Scott, questo è un suicidio non dovresti, non
dovresti...»
«Shh, sta zitto hai già fatto abbastanza. Peter,
che ne dici? I miei Eagles hanno un handicap di un punto e mezzo e
sai che c'è? Ti concedo ben dieci punti!».
Derek gettò la busta
di ghiaccio secco che teneva sull'occhio nero e si alzò dal
divano,
ancora dolorante per le botte prese, e afferrò suo zio per
la maglia
dei Giants.
«No, zio! Non accettare la scommessa!» gli disse
sollevandolo da terra, ma Peter non era tipo da tirarsi indietro di
fronte a una vincita tanto facile.
«Sì
che deve accettarla! Con i dieci punti che gli ho dato c'è
uno
scarto pazzesco a suo vantaggio! I Cowboys sono vigliacchi! E
scommetto che sei un tale vigliacco che non accetterai. E in
più,
qualunque sia il punteggio a questa cosa di ballo, com'è?
Malia,
com'è?»
«No, papà smettila di tirarci in mezzo!»
«Sei
pazzo a buttare via così tanti punti, è ridicolo,
io non lo
accetto!... anzi, aspetta un secondo, mi piace l'idea di una
martingala»
«Cosa?
Nessuna martinagala, no!» disse Derek
«Stiles,
come si vince a questa gara di ballo, insomma, come assegnano il
punteggio?» continuò Peter imperterrito.
«Non so, non so come
cazzo l'assegnano, noi partecipiamo e basta, ci sono i giudici,
questa è una gara di ballo di alto livello! Non mettere
questa parte
nella martingala»
«Valgono
le regole di Philadelphia, ogni ballerino riceve un punteggio da 1 a
10, si fa la media tra quattro giudici» rispose Malia.
«D'accordo,
il punteggio va da 1 a 10, giusto? E voi quanto siete
bravi?»
«Facciamo schifo» disse Stiles beccandosi
un'occhiataccia da Malia.
«Non
facciamo schifo, Stiles è un principiante, io non male,
l'importante
è partecipare».
«E come sono gli altri concorrenti?»
«Sono
bravi, alcuni sono dei professionisti».
«Quindi se io dicessi
che dovreste arrivare solo a cinque sarei molto, molto generoso,
giusto?»
«No, sarebbe un miracolo se prendessimo un 5!»
urlò
Stiles.
«Oh
andiamo, fammi il piacere, ce la facciamo ad arrivare a 5 su
10!» lo
rimbeccò Malia.
«E sia!» esclamò Noah «vada
per 5!»
«Ma
papà, non ci hai nemmeno visto ballare! Sei pazzo? Di che
stai
parlando?!»
Deaton,
che era rimasto fermo ad ascoltare tutto il tempo alzò
timidamente
la mano.
«Qualcuno mi spiega cos'è la martingala, per
piacere?»
«Devi
azzeccare due scommesse o perdi tutto quanto, perché il
signor
Stilinski vinca gli Eagles devono battere i Cowboys e in più
Stiles
e Malia devono avere almeno un cinque alla gara di ballo»
spiegò
Scott.
«È
una cosa da maniaco maniaco. Dovreste venire tutti al mio studio,
potrei aiutarvi» disse Deaton, ma nessuno lo
ascoltò.
«E
allora la martingala è decisa!» disse Peter e lui
e Noah si
strinsero la mano per suggellare la scommessa.
«Sapete
cosa? Io me ne tiro fuori. Peter, sei un pezzo di merda, un vero
pezzo di merda, mi ritiro. Non voglio più ballare, mi
ritiro».
«Stiles, non puoi farlo adesso, pensaci su» gli
disse
Malia, ma lui non voleva ascoltare altro, non voleva sentire
più una
parola da nessuno, gli serviva aria fresca per riflettere.
«No,
no, me ne vado» disse andando verso la porta.
«Eccolo qua,
eccoci di nuovo sulla linea di una yard soltanto, DeSean strappa la
sconfitta a un morso dalla vittoria!» gli urlò
dietro suo padre.
«Ma
che vuol dire papà? Non posso fare quel collegamento che fai
tu con
DeSean Jackson, non m'importa più ormai, va bene? Solo
perché metto
questa cazzo di maglia? No, non ci sto più, mi
dispiace» disse e
uscì sul portico.
Malia provò ancora una volta a
fermarlo.
«Stiles, se fossi io a leggere i segnali...»
«Chi
legge i segnali? Tu leggi i segnali?! Sono tutte cazzate!»
«Non
ti stai comportando da uomo» lo ammonì allora
Malia e lo ripeté
urlando a squarciagola quando lui si chiuse la porta alle spalle.
Una
volta fuori, con l'aria fredda della notte a pizzicargli le guance e
i polmoni, Stiles fece un respiro profondo. C'erano alcune parole che
stavano scavando un buco nel suo cervello, dentro il centro della
memoria, si facevano largo tra i ricordi e non riusciva a
fermarle.
“Leggere i segnali”, chi gli aveva già
detto che
leggeva i segnali? Le parole alla fine arrivarono e destinazione in
un'esplosione di fuochi d'artificio e consapevolezza.
Stiles tirò
fuori dalla tasca la lettera di Lydia, l'aveva portata con
sé alla
partita come portafortuna e come monito per non mettersi nei guai,
anche se nei fatti non era andata bene.
La rilesse velocemente
riga per riga e infine arrivò al punto: “...devo
confessare che
se leggo bene i segnali mi occorre qualcosa di più che
dimostri che
sei pronto a riprendere il nostro matrimonio.”
Non
era stata Lydia a scrivere quella lettera, era stata Malia. E
stavolta la sua malattia non c'entrava nulla, non era una delle sue
assurde teorie del complotto, quella lettera era stata scritta
appositamente al computer perché lui conosceva bene la
grafia di sua
moglie e quelle parole... Lydia non si era mai rivolta a lui con
così
tanta gentilezza, non aveva mai tentato di capirlo.
La rilesse di
nuovo tutta e gli suonò diversa ora che sapeva chi era la
vera
autrice. Aveva cercato di consolarlo nel modo meno traumatico
possibile, aveva usato delle belle parole e, certo, l'aveva anche
ingannato, forse per indurlo a ballare, ma avrebbe potuto scrivere di
tutto in maniera più diretta,“balla per me,
sarò lì a vederti”
e invece no, voleva spronarlo a voltare pagina continuando a fare
ciò
che lo faceva stare meglio.
Forse Lydia aveva rifiutato la sua
lettera, forse Malia non gliel'aveva mai consegnata, il punto era che
non aveva più importanza, perché dal preciso
istante in cui aveva
realizzato quale fosse la verità, Stiles si era sentito
sollevato da
un grosso peso, così leggero che corse lungo il suo solito
percorso
per ben due volte, ripetendo ad alta voce
“Excelsior!”.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6. Martingala, Parte I ***
Capitolo
6. Martingala
Parte
I
L'aria
era così gelida da mozzargli il fiato, ma adorava potersi
muovere al
buio tra le strade deserte, perciò rientrò a casa
che era notte
fonda.
Le
luci erano spente, si fece strada a tentoni fino alle scale e si
tolse le scarpe per non svegliare suo padre, che probabilmente stava
già dormendo.
La
porta di camera sua era socchiusa e si intravedeva una luce leggera
attraverso lo spiraglio aperto. Aveva già vissuto quella
scena, non
gli piaceva l'idea di trovare sorprese, perciò l'apri con
due dita
preparandosi al peggio.
Malia
non aveva tolto nemmeno le scarpe, dormiva raggomitolata sul bordo
del letto, lasciando penzolare i piedi fuori dal materasso. Stiles
entrò in punta di piedi e si sedette accanto a lei.
Si
arrischiò a spostarle i capelli, portandoli delicatamente
dietro le
orecchie, e fu solo dopo che ebbe finito che Malia aprì gli
occhi.
«Scusa»
sussurrò passandosi un mano sul viso. «Ho detto a
tuo padre che
sarei rimasta qui ad aspettarti, ma devo essermi addormentata a un
certo punto» si stiracchiò come un gatto assonnato.
Stiles
lottava contro se stesso, contro l'impulso di dirle che sapeva la
verità e contro il desiderio di baciarla e farla sua su quel
letto,
il suo letto, esattamente come aveva immaginato la prima sera a casa
di Scott. Strinse i denti e distolse lo sguardo prima che fosse
troppo tardi.
Malia si tirò su a sedere, poggiando la testa sulla
sua spalla. Era un gesto intimo, ma lei lo fece con una tale
naturalezza che a lui non sembrò in alcun modo sbagliato o
forzato.
Quali
che fossero i suoi reali sentimenti, Malia avrebbe sempre potuto
appoggiarsi a lui in quel modo, come se fosse l'unico scoglio in un
mare in tempesta.
«Sei
ancora arrabbiato con me?» gli chiese.
«Non
immagini quanto» disse guardandola di traverso.
«Mi
dispiace, non avrei dovuto sbroccare così, ho messo tuo
padre in una
brutta situazione».
Stiles
sospirò. «Be' forse hai peggiorato un po' le cose,
ma lui si era
già incasinato da solo, quindi...»
Lei
gli mise una mano sul viso e lo costrinse a guardarla negli
occhi.
«Io e te abbiamo fatto un patto, non puoi abbandonarmi
proprio ora»
«E
se non fossi all'altezza?»
«Devi
esserlo e se non vuoi farlo per tuo padre, almeno fallo per
Lydia».
Stiles
prese le mani di Malia tra le proprie: erano fredde e sudate.
«Cosa
c'entra lei?»
«Scott ha detto che Allison proverà a
convincerla a venire alla gara. Se ti vedrà
ritirerà di sicuro
l'ingiunzione restrittiva e poi chissà...» fu
Malia a distogliere
lo sguardo mentre la voce le moriva in gola. Sciolse la sua presa e
si passò le dita tra i capelli spettinati.
In
quel momento un nuovo piano prese forma nella mente di Stiles e lui
si sentì in colpa, ma anche molto romantico, più
di quanto non
fosse mai stato nella sua intera vita.
«Cosa?
Dici sul serio? Potrebbe... lei potrebbe venire a vederci?»
«Sì,
te l'ho detto, perché vuoi che te lo ripeta?» si
alzò stizzita e
lo guardò dall'alto in basso, con aria di sufficienza. Lui
non si
lasciò impressionare.
«Ma
perché è incredibile ed è tutto merito
tuo!»
«Sì,
certo. È incredibile e andrò dritta in paradiso
per questo. Ci
vediamo domani, alla stessa ora e allo stesso posto. Non
mancare»
disse e fece per andarsene, ma Stiles balzò in piedi e la
trattenne
dalla manica.
«Dove
credi di andare? Sai almeno che ore sono?»
Malia
gli riservò una lenta e velenosa occhiata.
«E
quindi? Da queste parti non succede mai niente, so cavarmela da
sola».
«Senti,
stammi a sentire, voglio essere molto chiaro con te su questo punto,
molto molto chiaro, quindi fammi parlare senza interrompere, grazie.
Fuori è buio e tu non andrai da nessuna parte,
perché potrebbe
capitarti qualcosa e, anche se tu sei convinta che a nessuno
importerebbe, be' notizia flash, a me importa. Adesso mettiti a
letto, io andrò a dormire sul divano, domani dobbiamo
allenarci»
disse tutto d'un fiato, come faceva sempre quando era nervoso.
Il
cambiamento nell'espressione di Malia fu quasi impercettibile, ma
quando Stiles vide sparire la ruga tra le sue sopracciglia,
capì di
aver vinto quella piccola battaglia.
«Puoi
restare se vuoi» gli disse mentre lui prendeva il pigiama dal
cassetto.
«Cosa?
No, non sarebbe giusto nei confronti di Lydia».
Malia
sbuffò dicendo qualcosa tra sé e sé,
troppo piano perché lui la
sentisse, poi tolse il cappotto e le scarpe e si lasciò
cadere al
centro del letto con un tonfo.
«Sei
davvero fuori di testa, lo sai?»
«Sono
da poco uscito da un istituto psichiatrico, dimmi qualcosa che non
so».
Pensava
di aver fatto una battuta carina, ma lei non la prese troppo bene e
lo spinse fuori dalla stanza chiudendo la porta a chiave.
Il
mattino seguente fu strano fare colazione tutti insieme allo stesso
tavolo. Malia e suo padre si studiavano come due giocatori a un
tavolo da poker, lui invece parlava troppo, come al solito.
«Scusa
Malia, stamattina niente donuts, dovrai accontentarti dei miei
pancakes» le disse poggiando il piatto carico di pancakes
caldi e un
po' sbilenchi al centro del tavolo.
«Non
scusarti, non scusarti, i tuoi pancakes sono ottimi» lo
rassicurò
Noah.
Malia
arricciò le labbra. «Già, dovresti
smetterla di scusarti per
queste cazzate, almeno quando tua moglie non è
presente» disse
piccata, infilando la forchetta nel piatto con decisione.
Sollevò
cinque o forse sei pancakes, li mise nel piatto e li coprì
con tutto
quello che trovò sul tavolo: cioccolato, miele, panna e
biscotti
sbriciolati. E poi li divorò con inaspettata
voracità.
«Be',
che avete da guardare?» mugugnò a bocca piena.
«Non faccio sesso
da più di due mesi!»
Noah
tossì in imbarazzo, il viso rosso come il ketchup nel suo
piatto.
«Vado...
vado a vedere se è arrivato il giornale»
balbettò e uscì fuori,
nonostante il giornale fosse già sul tavolo accanto a lui.
Stiles
incrociò le braccia al petto. «E poi sarei io
quello che dice cose
imbarazzanti!».
Malia si strinse nelle spalle e gli mostrò il
dito medio, leccando la forchetta in modo del tutto equivoco.
*
«Dove
sei stata?»
«Te
l'ho già detto al telefono! A casa dell'ex sceriffo, l'ho...
l'ho
aiutato a fare una cosa».
«Quella
“cosa”, come la chiami tu, è mettersi in
mezzo, è rendere una
situazione difficile ancora più complicata, te ne rendi
conto?»
batté con forza un pugno sul tavolo.
«E
quale sarebbe questa situazione difficile? Sentiamo! Parlamene un
po', perché se ti riferisci alla tua amica che vive la
storia
d'amore dei suoi sogni, be' non me ne frega un cazzo! E poi quanto
sei ipocrita, sei stata tu a organizzare quella stupida cena, a
incoraggiare il nostro rapporto».
«Ti
ho già detto che quella cena è stata solo un caso
e poi io ti avevo
detto di essergli amica, non di dormire a casa sua! La cosa sta
andando troppo oltre, non mi piace. Adesso poi, con quella stupida
scommessa... che vi diceva il cervello?! Accettare così alla
leggera!»
Allison
camminava su e giù per la stanza, fermandosi davanti a lei
solo per
urlarle contro improperi e cattiverie. Quella mattina l'aveva
attirata a casa sua con l'inganno, per poi dare inizio a quel misto
di interrogatorio e processo, condito da una dose di condanna
sommaria.
Sua
sorella ricopriva i ruoli di poliziotto cattivo, giudice e boia,
Scott era il poliziotto buono e stava seduto in silenzio accanto a
lei, rivolgendole di tanto in tanto occhiate da cane bastonato.
«Cosa
pensi che abbiamo fatto, eh? Che abbiamo, non so, scopato tutta la
notte come due adolescenti? Non abbiamo dormito nemmeno nella stessa
stanza! E se anche fosse stato, non sarebbero affaracci
vostri!»
«Ti
sbagli, lo sono eccome! Sei mia sorella e...»
«Sono
tua sorella solo quando ti fa comodo, ma ammettilo, preferiresti non
esserlo proprio. Come potresti continuare a frequentare il tuo gruppo
di amiche se la tua sorellina pazza avesse una tresca con l'ex marito
pazzo di una di loro? Sarebbe troppo imbarazzante, l'elefante nella
stanza. AMMETTILO!» urlò alzandosi in piedi. Senza
Scott a
trattenerla, le sarebbe saltata al collo.
Allison
reagì in modo del tutto inaspettato: pianse.
Rifiutò l'abbraccio
del marito e, grossi lacrimoni luccicanti e un sacco di singhiozzi
dopo, si riprese e ricominciò a parlare.
«Tu...
tu non capisci niente! Io mi preoccupo per te!» disse con
tono
lacrimevole, puntandole un dito contro.
Malia
incrociò le braccia al petto, per nulla impressionata.
«Oh,
ti prego smettila, sei patetica».
«Malia,
ascolta» intervenne Scott con calma. «Stiles
è ancora innamorato
di Lydia, non puoi affezionarti a lui. Potresti perdere di nuovo il
controllo, farti del male. Il tribunale potrebbe decidere di spedirti
ad Eichen House e tu potresti comunque non riprenderti mai del tutto.
Dopo la gara di ballo devi lasciarlo andare, dovete smettere di
vedervi. È per il bene di entrambi, ma soprattutto il tuo.
Devi
accettare di essere fragile e devi tenerti alla larga dai guai,
è
l'unico modo che hai per ritornare alla normalità».
Lasciarlo
andare? Non aveva più pensato a
quell'eventualità, suonava assurdo
arrivati a quel punto, ma Scott aveva ragione. La verità la
mise
sotto come un tir a tutta velocità.
Non
voleva unirsi al pianto di sua sorella, ma gli occhi le si
inumidirono e presero a bruciare.
Deglutì
per mandare giù il groppo in gola.
«Sono
tutte cazzate» disse a stento e poi andò via,
Stiles la stava
aspettando.
*
Era
strano entrare di nuovo nella saletta di Malia dopo tutto quello che
era successo.
Sembrava
passata una vita dall'ultima volta in cui avevano ballato e niente
gli sembrava uguale a prima, forse perché in poche ore tutto
era
cambiato.
Non
riusciva più a guardarla con gli stessi occhi, non era
più un
impegno gravoso star lì, lei non era più una
persona da
accontentare perché lo aiutasse a raggiungere uno scopo. Ed
era
bello guardarla mentre faceva stretching e gli passava il nastro
adesivo sulle scarpe, ignara di cosa gli passasse per la testa.
Amava
ancora Lydia? L'aveva mai amata in quel modo? Si era mai sentito a
casa guardandola negli occhi oppure osservandola nei piccoli gesti
quotidiani? E lei l'aveva mai amato? Quanti anni avevano passato a
cercare di cambiarsi a vicenda? C'erano mai stati momenti in cui si
fossero accettati e amati per quello che erano?
Tutte
queste domande gli facevano sentire il cuore pesante e la testa
leggera come un palloncino. E nonostante ciò riusciva a
tenersele
dentro, senza esprimerle ad alta voce, come una persona
“normale”,
di quelle che piacevano a sua moglie.
Malia
appariva stanca e demotivata, i suoi passi erano meno decisi del
solito e quando giunsero al valzer fu costretta a sedersi a
riprendere fiato.
«Tutto
bene?» le chiese preoccupato.
«Sì,
è solo che ho scoperto una nuova droga e ne ho preso una
dose
doppia».
«Non
è divertente» disse serio, sedendosi accanto a lei.
«Non
era una battuta».
Come
la sera prima, Malia si appoggiò a lui e gli strinse la mano
fino a
fargli male.
«Stiles,
possiamo restare così per un po'?»
sussurrò a occhi chiusi.
«Tutto
il tempo che vuoi».
-
- -
Angolo
autrice:
Rieccomi
con una nuova parte della storia (chiamarla davvero capitolo mi pare
un po' esagerato), che è tutta farina del mio sacco.
Difatti, dal
momento in cui Pat/Stiles scopre che la lettera non è stata
scritta
da Nikki/Lydia al giorno della gara di ballo, passano pochi secondi
di film, poche inquadrature per dire che lui vede Tiffany/Malia in
modo diverso.
Questo
però non è un film, è una storia
scritta e io sentivo la necessità
di raccontare qualcosa in più dal mio punto di vista, senza
ricamare
troppo, restando il più vicina possibile al cuore e allo
spirito
della storia originale.
Diciamo
quindi che questo è solo un piccolo intermezzo prima del
gran
finale.
Grazie se siete arrivati fin qui, lasciate una recensione
o un commento per farmi sapere cosa ne pensate. Per me questo
è un
banco di prova, la vostra opinione è importante :)
Jenny.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 6. Martingala, Parte II ***
Capitolo
6. Martingala
Parte
II
Il
giorno della gara era arrivato più in fretta del previsto.
Casa
Stilinski era ancora agghindata a festa per Natale, ci aveva pensato
Melissa, si era impegnata tanto... forse anche troppo. Persino la
soffitta di Stiles era piena di luci colorate e statuine di angeli.
Era
lì che Malia l'aveva raggiunto, in netto anticipo, mentre
lui si
stava vestendo.
I
loro genitori, che nel frattempo si erano conosciuti, brindavano di
sotto come vecchi amici, uniti dalla speranza comune di vedere Peter
finalmente sconfitto.
Stiles
non si mostrò affatto sorpreso di vederla.
«Mi aiuti a scegliere
la cravatta?» le chiese saltando tutti gli inutili
convenevoli.
E
così fece lei, annuendo e prendendo una cravatta scura dalla
scatola
sul letto.
Erano
così vicini che sentiva il suo respiro sul viso: sapeva di
menta
piperita. Le sarebbe bastato alzarsi in punta di piedi per baciarlo,
ma lui non era come gli altri e non poteva rischiare di rovinare
tutto. Si era ripromessa di aspettare, di non agire, di non parlare,
di non lasciarlo entrare.
Lui
però non le rendeva di certo facile il compito.
«Cosa
indossi là sotto?» domandò sfiorando il
cappotto nero che le
arrivava alle caviglie.
Malia
sentì un brivido un lungo la schiena e gli rivolse
un'occhiataccia,
continuando invece ad annodargli la cravatta. Le tremavano le mani e
al terzo tentativo si arrese e la gettò sul letto.
«Dannazione,
fa schifo!» esclamò nervosa.
«E
allora niente cravatta» disse lui mettendosi la giacca.
Stava
bene, il ballo lo aveva modellato, aveva le spalle più
larghe e la
vita più stretta di quando si erano conosciuti. La camicia
bianca e
il completo scuro gli cadevano a pennello. Per l'occasione aveva
anche tagliato i capelli e accorciato la barba, mettendo
così in
risalto il volto affilato.
Con
una ventiquattrore e un paio di occhiali lo avrebbe potuto scambiare
per un uomo d'affari di successo. Eppure lei sapeva che l'avrebbe
amato anche con trenta chili in più e la sua orrenda maglia
da
football di DeSean Jackson.
«Dai
sarà fantastico, ci sarà Lydia. Si
ricucirà tutto, è scritto nel
destino» disse con uno strano sorriso, lo stesso che aveva
stampato
in faccia da quando aveva accettato di prendere parte alla scommessa,
come se sapesse qualcosa che lei ignorava. O forse era solo la sua
immaginazione.
«Tutto
bene?» le mise le mani sulle spalle e la guardò
dritto negli occhi.
«Non avere le ginocchia molli, abbiamo un ballo da fare,
è una
martingala, concentrati».
«Sono
concentrata» strinse i pugni per non dare a vedere di essere
in
ansia, ma la nausea non voleva saperne di andare via.
«E
allora andiamo».
Il
Benjamin Franklin Hotel le sembrò più sontuoso e
imponente del
solito, la sua hall in marmo e stoffe pregiate erano lì per
ricordarle che non valeva abbastanza e avrebbe perso.
Avrebbe
perso tutto.
Gli
altri partecipanti alla gara erano già arrivati e stavano
ripassando
i passi nei loro abiti luccicanti e striminziti, i corpi scolpiti da
anni di duri allenamenti e i movimenti fluidi come l'acqua.
La
gola di Malia si chiuse in una morsa e d'istinto strinse la mano di
Stiles, mentre lui rassicurava suo padre e Derek e il dottor Deaton.
Erano tutti lì a sostenerli, mancavano solo sua sorella e
Scott.
«Stiles,
non dobbiamo far altro che avere un cinque. Dovresti restare qui con
me a guardare la partita» disse Noah a suo figlio e il sangue
le
andò subito alla testa.
«Per
gli Eagles è meglio quando Stiles è con me,
l'abbiamo già
chiarito» disse con asprezza.
Ci
pensò Stiles a raffreddare gli animi dicendo che sarebbe
andata
bene. Lei non riusciva a capire come facesse a mantenere la calma, ma
finché erano insieme aveva poca importanza, le bastava
averlo vicino
a infonderle sicurezza.
Si
allontanarono dal resto del gruppo per andare a iscriversi alla gara.
«E
questa cos'è?» le chiese lui sollevando le mani
ancora intrecciate.
«Credevo
fossi stato tu» rispose con lo sguardo fisso davanti a
sé.
«Io?
Credevo fossi stata tu, ma che diamine, tanto stiamo per ballare, chi
se ne frega».
Salirono
su per le scale e raggiunsero il corridoio dove si tenevano le
iscrizioni.
«Voglio
che ti ricordi di tutte le cose buone che abbiamo» disse
più a se
stessa che a lui.
«Certo
che mi ricordo. Sicura di stare bene?».
«Sì,
tu registraci, io vado a cercare Allison».
Fece
il giro del piano e guardò giù in cerca di sua
sorella, ma non
dovette cercare molto perché l'abito blu oceano e i capelli
rossi di
una certa persona catturarono la sua attenzione.
Lydia
era davvero lì, accompagnata da Allison, Scott e il
poliziotto
Whittemore, che per l'occasione aveva indossato lo smoking.
Al
solito si muoveva leggiadra, a due metri da terra, i lunghi capelli
rossi che ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle e la pelle
bianca come il latte. Una sorta di creatura mitologica, di quelle che
che ammaliavano i poveri e ingenui viandanti, per poi mangiare loro
il cuore.
Malia
sentì le forze venire meno e le venne voglia di piangere e
correre
via, ma Allison la vide e indicò a Lydia l'entrata della
sala dove
si sarebbe tenuta la competizione, poi si diresse su per le scale
assieme a Scott. Era troppo tardi per scappare.
«Malia,
come stai? Ti senti pronta?» disse Allison con il suo solito
tono
stucchevole.
«Ma
che cazzo hai fatto?» sussurrò a denti stretti,
incapace di
trattenere le lacrime di rabbia.
«Tesoro
ti prego, calmati, devi restare calma» le mise una mano sulla
spalla.
«Tu
vuoi vedermi morta, vuoi vedermi morta» avrebbe urlato, ma
aveva la
gola chiusa e l'aria passava a stento, quindi quello che ne
uscì fu
un patetico suono strozzato.
«Malia,
ti prego non fare scenate. Se lei vede quanto sta migliorando, forse
ritira l'ingiunzione, lo sai bene».
«Me
l'ha detto anche Stiles,» intervenne Scott «non
bisogna mai gettare
un matrimonio dalla finestra».
«Oh
mio Dio, oh mio Dio... no, non l'ha detto, non l'ha detto»
scosse la
testa, troppo confusa per ragionare. Sapeva che Stiles pensava a
Lydia, ma sentirselo dire da altri era diverso, doloroso.
«Sì,
l'ha detto parecchie volte. Malia, questa è la sua
occasione, devi
dargli un'occasione».
Scansò
la coppia e scese giù per le scale. La porta principale
aveva una
certa attrattiva, ma vide Noah, Derek e Peter nella hall, davanti al
televisore che trasmetteva in diretta la partita degli Eagles.
Pensò
alla delusione nei loro occhi, alla felicità in quelli di
Peter per
aver vinto in modo così facile, pensò a quanti
avrebbero detto che
la pazza figlia di Henry aveva rovinato la vita dell'ex sceriffo e
allora si decise a entrare in sala.
La
gara era già iniziata, i ballerini erano più
bravi di quanto si
sarebbe mai aspettata. Aveva bisogno di un aiuto esterno per
affrontare quella serata di merda.
Ignorò
i tavoli, non voleva rischiare di vedere Lydia, e si diresse in
fondo, dritta verso il bar.
C'era
uno sgabello libero accanto a un damerino in smoking e farfallino,
chiese una vodka al barista. Il suo tono doveva essere davvero
disperato, perché il cretino al suo fianco la
guardò come un leone
guarda una gazzella nella savana. Non sapeva che era lei la
predatrice da quelle parti.
«Ne
vuoi un'altra?» le domandò leccandosi le labbra.
Era
pronta a rifiutare, ma Stiles entrò in sala proprio in quel
momento.
«Certo,
perché no?»
*
Aveva
perso di vista Malia e ora non riusciva più a trovarla.
Aveva
chiesto a suo padre, ma lui non l'aveva vista nemmeno passare,
così
dopo un giro veloce dei corridoi era entrato nella sala dove si stava
già svolgendo la competizione.
Era
tutto buio, fatta eccezione per le ghirlande di Natale appese in alto
e per i fari che illuminavano la pista. Due ballerini stavano dando
il meglio di sé in un vortice di lustrini neri e dorati.
I
tavoli erano quasi tutti al completo, Stiles si guardò
intorno alla
ricerca della sua compagna di ballo, si fece strada tra le persone in
piedi e poi la vide: Lydia era lì, seduta tra Allison e
Scott.
Guardava
lo spettacolo con interesse, attorcigliando una ciocca di capelli tra
le dita e sorseggiando un drink.
Ebbe
un leggero tuffo al cuore, come se una lama gelida gli avesse
attraversato il petto.
Era
bella come la ricordava, ma aveva immaginato per così tanto
tempo
quel momento che viverlo fu quasi deludente. Le sue intenzioni e i
suoi sentimenti erano cambiati, lui era cambiato.
Si
spostò per poterla guardare più da vicino, i loro
sguardi
s'incrociarono, lei però non lo riconobbe.
Stiles
sorrise con amarezza e riprese a perlustrare la sala, vide che
Melissa gli faceva cenno da uno dei tavoli. Accanto a lei erano
seduti il dottor Deaton e sua moglie e i genitori di Malia.
Melissa
lo tirò giù per una manica e gli parlò
all'orecchio per sovrastare
la musica.
«Dov'è
lei?»
«Non
lo so, la stavo cercando».
«Devi
trovarla! Gli Eagles sono in vantaggio».
«Cosa?
Davvero?!» chiese e in risposta Melissa gli mostrò
i risultati sul
cellulare.
Se
gli Eagles avessero vinto e lui e Malia avessero raggiunto un
punteggio di 5, suo padre avrebbe recuperato i soldi persi e avrebbe
potuto aprire finalmente il suo ristorante. Non poteva arrendersi.
Fece
un giro della sala, poi l'occhio gli cadde sul bar in fondo.
Lì,
sotto una luce violacea, c'era seduta Malia. Beveva e ciarlava con un
tizio in smoking, come una qualsiasi persona non coinvolta nella
gara.
Stiles
si fece spazio tra il piccolo gruppo di persone che facevano la fila
per prendere qualcosa da bere, era positivo, era una roccia, non
avrebbe spaccato la faccia al tizio se non l'avesse provocato.
«Ehi,
che stai facendo?» si rivolse a Malia, i nervi a fior di
pelle.
«Oh,
ciao Stiles».
«Sta
bene amico, è con me» s'intromise l'altro.
«Sta
bene? Senti, perché non provi a stare zitto?» lo
fulminò con lo
sguardo e quello indietreggiò alzando le mani in segno di
resa.
«Quanti
te ne sei scolati?»
«Ho
bevuto due vodka» disse sprezzante.
«Senti,
non so che scelte hai fatto, ma ci siamo».
«Siamo
in cosa?»
Stava
per rispondere, quando il presentatore annunciò che i
prossimi ad
esibirsi erano proprio loro.
«Sai,
pensavo fossi la cosa migliore che mi fosse mai capitata, ma ora
penso che potresti essere la peggiore invece, e mi pento di averti
mai incontrato» gli disse seria e arrabbiata.
Nonostante
il tono e la circostanza erano le parole più belle e sincere
che gli
avesse mai rivolto, però non c'era tempo restare a parlarne,
era il
loro turno.
«Buon
per te, forza balliamo» disse e le mise una mano dietro la
schiena
per accompagnarla.
Malia
non oppose resistenza - complice forse l'alcol -, si fece guidare
fino al centro della sala e lasciò che Stiles le sfilasse
via il
cappotto.
Aveva
comprato quell'abito da più di una settimana, ma si era
rifiutata di
farglielo vedere, come una sposa prima delle nozze. E in effetti era
bianco come un vestito nuziale, con pochi lustrini nei punti giusti e
composto da un pantalone aderente e un top. Stiles sentì
un'altra
fitta al cuore, diversa da quella causatagli da Lydia, era calda e
gli riempiva il petto.
Un
applauso accolse l'inizio della loro esibizione, Stiles
guardò Malia
e Malia guardò Stiles, per darsi forza e coraggio a vicenda.
Gli
altri ballerini avevano messo in scena uno stile di ballo, eseguendo
alla perfezione i passi, con poche sbavature. Loro due però
erano
diversi, erano lontani da qualunque canone e distanti dal concetto di
“normalità” e riuscirono ad esprimere
tutto in quei pochi
minuti: la rabbia, la frustrazione, la voglia di non lasciarsi
abbattere, la passione che provavano l'uno per l'altra.
Stiles
voleva ancora ballare per Lydia, non per riconquistarla, ma per
dimostrarle che non aveva più bisogno di lei, che era andato
avanti.
E voleva farlo anche per Malia, per dichiararle il proprio amore.
Lo
stile di ballo e la musica cambiarono quattro volte, dal merengue al
valzer lento, e alla fine giunsero al momento tanto temuto, il passo
forte, quello che non avevano finito di mettere a punto.
Stiles
si abbassò e si mise in posizione, Malia prese la rincorsa e
gli
andò incontro.
Era
riuscito a sollevarla quel tanto che bastava, ma lei era ancora
troppo rigida e le braccia di Stiles non erano abbastanza allenate,
così lei finì letteralmente seduta sulla sua
faccia.
Stiles
barcollò e fece qualche giravolta, il viso nascosto tra le
gambe di
Malia e mille pensieri poco casti per la testa, finché lei
non prese
l'iniziativa e, puntellandosi sulle sue spalle, scivolò
giù.
Sorrideva divertita e lui ricambiò, come se non ci fossero
persone
in imbarazzo attorno a loro, come se quella non fosse una pista da
ballo, ma la sala in cui si erano allenati per due mesi.
Fecero
qualche altro passo di tango e finirono l'esibizione uno tra le
braccia dell'altra.
Ci
fu silenzio e poi di nuovo applausi, ce l'avevano fatta, avevano
ballato fino alla fine e senza commettere troppi errori. Mancava solo
una cosa: il voto dei giudici.
Noah,
Derek e Peter li raggiunsero per ascoltare il verdetto finale.
«Bene,
passiamo ai voti» disse il presentatore al microfono.
«Abbiamo un
4.9, un 4.8, un 4.9 e infine un... 5.4, per una media finale di
5.0».
«Mi
dispiace ragazzi» disse uno dei concorrenti che aveva
già
gareggiato, vedendo i loro volti sotto shock.
«Gli Eagles hanno
battuto i Cowboys» disse Derek.
Avevano
vinto la martingala!
Le
urla di gioia esplosero come un fuoco d'artificio. Noah
abbracciò
Melissa e poi Derek e i genitori di Malia abbracciarono Scott e poi
il dottor Deaton. La loro reazione fu così esagerata che
persino il
presentatore si chiese cosa ci fosse da festeggiare per un misero 5.
Malia
nascose il viso nell'incavo del suo collo.
«Grazie,
sei fantastico» gli disse stringendolo forte.
Stiles
ricambiò la stretta, ma quando aprì gli occhi
vide Lydia
sorridergli, in piedi accanto al suo tavolo, con Jackson vicino che
lo fissava. Lei era indecisa sul da farsi e lui era stanco di essere
additato come il pazzo maniaco e violento con l'ingiunzione
restrittiva. A malincuore sciolse l'abbraccio di Malia e
andò verso
Lydia.
La
canzone del suo matrimonio non suonava più.
«Grazie
per essere venuta. Come stai?»
Lydia
s'irrigidì, sbatté un paio di volte i suoi grandi
occhi verdi e,
quando capì che lui non avrebbe dato di matto, si sciolse in
un
sorriso sollevato.
«Bene,
grazie. E tu?»
«Io
sto benissimo» si strinse nelle spalle.
«Si
vede, sembravi molto felice».
«Già,
chi l'avrebbe mai detto?»
«E
sei anche in forma, sei dimagrito molto» constatò
senza smettere di
sorridere.
Era
strano che quel sorriso non gli facesse più lo stesso
effetto, si
sentì disorientato.
«Ho
letto i tuoi libri, ho un atteggiamento positivo, prendo le medicine
e sono in terapia adesso».
Jackson
aveva seguito tutta la loro conversazione, era irritante,
così
Stiles fece una mossa azzardata.
Si avvicinò all'orecchio di
Lydia per sussurrarle le uniche parole che voleva dirle davvero.
«Noi
due non eravamo fatti per stare insieme. Lydia, voglio il
divorzio».
Non
aspettò di sentire la sua risposta, c'era una cosa che
doveva fare,
l'ultima parte del suo piano romantico da mettere in atto.
Tornò
indietro ma di Malia neanche l'ombra.
«Dov'è
Malia?» chiese a suo padre, senza smettere di cercarla con lo
sguardo.
Noah
scosse la testa contrariato.
«Se
n'è andata poco fa».
«Come
se n'è andata?! Dove?»
«Ti
dico una cosa. So che non vuoi ascoltare tuo padre, io non ascoltai
il mio, ma ti dico che devi dar retta ai segnali. Quando la vita ti
manda un momento come questo è un peccato se non l'afferri,
ti
perseguiterà sempre, come una maledizione. Hai una grande
sfida da
affrontare, proprio adesso, proprio qui! Quella ragazza ti ama, ti
ama davvero. Non so se Lydia ti abbia mai amato, ma certo come la
morte non ti ama ora! Quindi mi raccomando, Stiles, non fare
puttanate».
«Hai
finito?»
«Sì,
ma...»
«Grazie papà, ti voglio bene» gli diede
un bacio sulla
guancia e poi prese la giacca e scappò fuori.
*
Quando
Stiles aveva accettato di partecipare alla gara di ballo, pensava di
aver vinto.
Per
una volta nella sua vita avrebbe ottenuto qualcosa in cambio di un
favore, non ne sarebbe uscita a mani vuote.
In
realtà Stiles aveva preso ben più di quello che
le aveva chiesto e
non l'avrebbe mai saputo.
Avevano
vinto la scommessa, lui si stava riconciliando con sua moglie, il suo
compito era terminato. Malia doveva farsi da parte, anche se si
sentiva svuotata, anche se non vedeva alcuna luce alla fine di quel
tunnel.
Come
aveva potuto pensare, sperare, che qualcuno si sarebbe innamorato di
lei? Non valeva più di una notte, non era abbastanza per una
relazione. Era destinata al fallimento e ai rapporti usa e getta, lei
era la scala per raggiungere la cima.
Il
trucco le colava dentro gli occhi facendoli bruciare, si tolse le
ciglia finte e le gettò in strada.
La
sola idea di rivedere Stiles e Lydia insieme la uccideva, ma sapeva
già che sua sorella e sua madre avrebbero organizzato una
grande
festa, costringendola a partecipare.
E
la coppia di sposi l'avrebbe ringraziata, avrebbero fatto un brindisi
in suo onore... no, meglio farsi ricoverare lontano da quel triste
spettacolo.
Doveva
sfogarsi e poi andare in un bar a fare quello che le riusciva meglio:
autodistruggersi.
«EHI!»
urlò qualcuno a squarciagola proprio dietro di lei.
Si
voltò, nella speranza che fosse un tizio a caso per strada,
ma no,
quel “grazie” sarebbe arrivato prima del previsto.
E lei non
voleva sentirlo.
Corse
via da Stiles, nonostante le gambe non reggessero più.
Attraversò
due isolati, ma lui era sempre stato più veloce e la
raggiunse.
«Mi
vuoi lasciare in pace, per favore?» gridò
spingendolo via.
«Aspetta,
ho un'altra lettera» disse e tirò fuori una busta
dalla tasca.
«Ma
che cazzo ti è preso?! Dagliela tu stesso!»
«Senti,
non dovrai più rivedermi se la leggi, d'accordo?»
Ancora
quel sorriso strano, glielo avrebbe fatto sparire volentieri a suon
di pugni. E avrebbe distrutto quella lettera e tutte le lettere del
mondo, ma era ormai chiaro che non si sarebbe arreso facilmente, non
se c'era di mezzo proprio una dannata lettera.
Gliela
strappò di mano in malo modo. «Che grande
puttanata» disse
aprendola.
«Sì,
tu leggila».
«Cara
Malia...» la voce le morì in gola e
sentì le gambe tremare. Non
aveva il coraggio di andare oltre, ma il sorriso di Stiles, sempre
più ampio e gentile, la convinse a continuare.
«...so
che hai scritto tu la lettera. Il solo modo di assecondare la
mia...»
«...pazzia
era fare qualcosa di pazzo tu stessa. Grazie. Io ti amo»
finì lui
la frase.
«L'ho
saputo nel momento in cui ti ho conosciuto, mi dispiace che ci abbia
messo così tanto a capirlo, ero rimasto bloccato,
Stiles» continuò
a recitare quella lettera a memoria, come se l'avesse letta e riletta
centinaia di volte.
Malia
non seppe che dire, lo guardò smarrita, lasciando scorrere
le
lacrime.
«L'ho
scritta una settimana fa».
«L'hai
scritta una settimana fa?»
«Sì,
è così».
«E
mi hai fatto mentire per una settimana?»
«Cercavo
di essere romantico».
«E...
e mi ami?» gli chiese con diffidenza, come se si aspettasse
uno
schiaffo da un momento all'altro, ma Stiles annuì senza
smettere di
sorridere.
«Sì,
ti amo».
«D'accordo».
La
barriera che credeva li separasse si sbriciolò davanti a
sé, Malia
si aggrappò alle spalle di Stiles e incontrò le
sue labbra. Il
bacio più dolce e atteso di sempre, capace di scaldarle
l'anima e
mettere pace e ordine nel suo cuore.
*
“12
febbraio
Non
aggiorno questo diario da un po', ma sono successe diverse cose.
Lydia
ha ritirato l'ingiunzione e ora stiamo divorziando ufficialmente. Mio
padre continua a scommettere con Peter, ma senza esagerare, il
ristorante sta per essere aperto. E poi si è finalmente
deciso a
fare il grande passo con Melissa e lei si è trasferita a
casa
nostra. Scott non l'ha presa troppo bene all'inizio, ma l'idea di
avere un fratello non gli dispiace.
E
io e Malia? Be' non posso descriverlo a parole, non sono molto bravo
in questo.
Penso
però a tutto quello che gli altri hanno fatto per me e mi
sento tipo
molto fortunato.
Il
mondo ti spezza il cuore in ogni modo immaginabile, questo è
garantito. E io non so come fare a spiegare questa cosa, né
la
pazzia che è dentro di me e dentro gli altri, ma indovina un
po'?
Domenica
è di nuovo il mio giorno preferito.”
FINE.
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