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di Class Of 13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Operation Freyr. ***
Capitolo 2: *** Quantum Entanglement. ***
Capitolo 3: *** Rivoluzione ***



Capitolo 1
*** Operation Freyr. ***


Note Dell'Autrice - Parte 1 (sì, ce n'è più di una, preparatevi): Dunque, dunque. Dopo ere geologiche sono finalmente riuscita a produrre qualcosa di semidecente su S;G. Se questa raccolta molto smol (sarà composta da soli 3 capitoli) ha visto la luce è perché quella cara persona di Bahamut ha sclerato in caps lock con me per un'ora dopo aver tradotto l'epilogo di Buttefly Effect's Divergence  (la Light Novel di Steins;Gate narrata dal punto di vista di Kurisu). 
Ho avuto oggettivamente terrore di scrivere qualcosa che è tutto sommato lasciato ignoto nel canon. Stando alle altre Sci;ADV nemmeno lo Steins Gate è esente da problemi, ma almeno nessuno dei preziosi bimbi facenti parte dei LabMem è destinato a morire. Insomma, dopo tutta la sofferenza di Steins;Gate e Steins;Gate 0 ho voluto dare un po' di sana e meritata felicità a tutti, compresi i miei idioti preferiti.
Un ringraziamento speciale va anche alle care SkyObserver e SamidareWielder e al buon NicoSensei per il loro proofreading e costante supporto morale: grazie per aver aiutato questa patata a combinare qualcosa di decente. 

Note Dell'Autrice - Parte 2: Veniamo alle cose serie. Il titolo della raccolta rappresenta la famosissima (?) equazione di Dirac. Non voglio dire un mucchio di scemenze perché di fisica non capisco assolutamente niente, ma questa dovrebbe stare ad indicare che quando due sistemi entrano a contatto, questi continueranno ad influenzarsi a vicenda anche se lontani nello spazio e nel tempo. O comunque qualcosa del genere. Romantico, no? Peccato che tale concetto in realtà non possa essere applicabile a delle particelle grosse come gli esseri umani - evidentemente l'esistenza delle particelle subatomiche ha più romanticismo di quella dell'umanità. Immagino vi chiederete: "Perché hai schiaffato una cosa dal significato incorretto in una raccolta di storie che tutto sommato parlano d'amore?". Sebbene io sia sulla strada per la demenza senile, non sono ancora impazzita: l'amore non è perfetto, quindi va bene rappresentarlo con un'equazione che non si può applicare alle persone, no?

E sebbene io non sia chuunibyou come il buon Okabe (friendly reminder che i chuunibyou sono persone piuttosto cresciutelle che si ostinano ad avere manie di onnipotenza e credono in complotti cospirazionistici come il nostro Okarin), mi sono dovuta fare una certa cultura nell'ambito della mitologia norrena, perché ho dovuto cercare una divinità che fosse associabile alle nozze e all'amore. And that's Freyr, for you. Il qui presente tizio siede sul trono di Odino, osserva il mondo intero e scorge una bellissima gigantessa, perdendo la testa per lei al punto da diventare depresso.  Alla fine si rivolge al suo favorite right arm per andare a farle la corte e, rinunciando alla sua poderosa arma, finisce con lo sposarla. Un mad scientist d'altri tempi (e mondi), insomma.



Operation Freyr.

«Un giorno Freyr si recò fino a Hliðskjálf e guardò su tutti i mondi.
E quand'egli si volse verso settentrione video in un podere un edificio grande e bello
e verso questa casa andava una donna e quand'ella levò le mani e aprì la porta dinnanzi a sé,
dalle sue mani si diffuse luce nell'aria e sul mare e tutti i mondi se ne illuminarono».

[Snorri Sturluson - Edda in prosa - Gylfaginning - XXXVII]


7 Luglio 2015 - Akihabara.


«Vuoi tu, Hashida Itaru, prendere la qui presente Amane Yuki come tua legittima sposa?».


Hashida Itaru, vestito di bianco ma armato del suo immancabile berretto giallo, tremava come una foglia. Per una lunga serie di motivi, la scena gli strappò un sorriso.

Erano trascorsi cinque anni dal giorno in cui aveva posto la parola “fine” a quella terribile e indimenticabile avventura. Lui, folle scienziato pazzo, aveva trionfato contro le cospirazioni dell’universo, piegando lo spazio-tempo alla sua incrollabile volontà. Sembrava un gran figo quando lo raccontava in quel modo, un vero cattivo da grande schermo. Eppure ogni cattivo non era che l'eroe protagonista della propria storia.

«L-lo voglio!».

Per questo poteva affermare con orgoglio che, in quel momento, il suo fido braccio destro fosse diventato protagonista della propria grande, personalissima avventura. Era un'avventura in cui lui, in fondo, sperava di avere almeno la possibilità di essere un supporto, così come il suo migliore amico lo era stato per lui nel suo lungo viaggio attraverso il tempo.

La verità era che, mentre osservava Daru baciare teneramente Amane Yuki davanti all’altare di quel piccolo santuario, si era rafforzato in lui un desiderio. Il desiderio di scrivere il capitolo più folle e meraviglioso della sua storia, portando a compimento l’ultima imponente missione che avrebbe portato Hōōin Kyōma alla gloria eterna.

«Accidenti, non riesco a credere che Daru sia diventato un normalfag prima di me...», sospirò sentendo le labbra tendersi in un sorriso.

«Mayushii era sicura che sarebbe andata a finire così. Daru-kun e Yuki-san sono davvero fatti l’uno per l’altra~». Mayuri, fasciata in un grazioso abito celeste, osservava i protagonisti della cerimonia con aria visibilmente contenta. 
Davanti a loro, i rimanenti invitati alla cerimonia si stavano radunando presso gli sposi per porgere le loro congratulazioni.

«Nyemmeno Faris aveva dubbi, dopotutto il Cheshire Break non mente mai, nya!». La voce della cameriera più famosa del May Queen Nyan Nyan proveniente dalle sue spalle attirò la sua attenzione. «Piuttosto, Kyōma… Quando toccherà a te e Ku-nyan?».

Colpito e affondato.

«Uhm, ecco… l’Organizzazione è sulle mie tracce. S-sarebbe troppo rischioso avviare l’Operation Freyr in queste condizioni», bonfonchiò guardandosi nervosamente attorno. Fortunatamente Kurisu, poco distante da lui, sembrava essere troppo impegnata a conversare con altri invitati per prestare attenzione alla loro conversazione.

La perspicacia di Faris alle volte colpiva nel segno con una precisione sconvolgente.

«Nya-nya? Non mi dirai che hanno utilizzato il loro mental breaker per intercettare i tuoi piani, nya?!».

«Tehehehe. Okarin è un autentico tsundere, di questo passo si farà battere sul tempo anche da Ruka-kun», intervenne Mayuri ridacchiando.

Poco più avanti un ragazzo dai lunghi capelli scuri e dal portamento regale stava porgendo, con un inchino tanto profondo quanto impeccabile, le proprie felicitazioni agli sposi.

«Oh, Urushibara-kun è diventato proprio un bel ragazzo».

«Che lineamenti eleganti, che portamento, mi sembra quasi un samurai del periodo Edo!».

«E guardate com’è educato, un’uomo d’altri tempi».

Urushibara Ruka, coetaneo di Mayuri, era un ragazzo la cui grazia e bellezza, negli anni della sua adolescenza, lo avevano portato a somigliare ad una delicata fanciulla, causandogli non pochi problemi di autostima. Eppure quel fragile ragazzo si era trasformato, con il passare degli anni, in un giovane uomo di rara bellezza ed eleganza, suscitando, proprio come in quel momento, sospiri e palpitazioni nel gentil sesso.

«Umph. È il mio allievo, dopotutto. Non mi sorprenderebbe se un giorno superasse la mia magnificenza».

«Potresti evitare di comportarti come un idiota almeno in questo genere di occasioni, Rintarō?». Makise Kurisu - la sua ragazza e attuale fonte delle sue tribolazioni - non sembrava gradire il fatto che Hōōin Kyōma fosse tornato sotto le luci della ribalta. La sua espressione contrariata, però, era tradita dai solchi trasparenti che segnavano le sue guance.

«Ohoh~ Kurisu, mia cara assistente. Non ti sarai forse… commossa?».

Kurisu, evidentemente punta nel vivo, sobbalzò arrossendo in maniera adorabile. Un po’ ficcanaso ma di buon cuore, incredibilmente curiosa, intelligente e percettiva, sempre pronta a tendere una mano agli altri. Sotto la sua apparente saccenza e mancanza di tatto, aveva imparato, si nascondevano una dolcezza e una gentilezza fuori dal comune.

Kurisu era sempre stata il suo più grande punto di riferimento, in qualunque luogo, tempo o linea di universo. Sebbene il tempo e le avventure vissute insieme avessero smussato gli angoli del loro carattere a sufficienza da permettere loro di essere onesti con i propri sentimenti e decidere di ufficializzare la loro relazione, Okabe incappava ancora in enormi difficoltà nell’esprimere a parole l’importanza che Kurisu aveva per lui.

«E anche se fosse? Non c'è nulla di male nel commuoversi ad un matrimonio. …N-non che io lo abbia fatto, ovviamente».

Un battito di mani, seguito da un’inconfondibile risata, interruppe il loro battibecco sul nascere. «Wonderful. Like a true married couple, Lintahlo».

«Il professore ha ragione, dovreste sentirvi. Sapevo che c’erano stati progressi nella vostra relazione, ma non immaginavo vi ci sarebbero voluti solo cinque anni per chiamarvi per nome».

Alexis Leskinen e Hiyajō Maho, due illustri nomi nell’ambito delle neuroscienze, guardavano lui e Kurisu con aria palesemente divertita.

Non era colpa sua se finiva con l’imbarazzarsi tremendamente ogni volta che provava a chiamarla col suo nome. Inoltre preferiva non immaginare quanti anni di vita avesse perso la prima volta in cui Kurisu lo aveva chiamato “Rintarō”. Da quel momento aveva deciso di limitare l’uso dei soprannomi al fine di dimostrare la propria buona fede, ma la cosa gli si era ritorta contro in più di un’occasione, come dimostravano le prese in giro di Maho e del professore.

«Oh, c’mon, non prendere in giro il povero Lintahlo», esclamò il Professor Leskinen nel suo giapponese dal forte accento straniero asseatando delle pacche fin troppo amichevoli sulle sue spalle. «Non è necessario essere gelosi, Maho. Un giorno l’amore arriverà anche per te».

Maho Hiyajō, in tutta risposta, avvampò indignata, cercando lo sguardo di Kurisu nella speranza di ricevere il suo aiuto.

«Sei ancora in tempo, senpai. Devi solo imparare a non sprecare le occasioni», rispose Kurisu con un sorriso carico di bonaria malizia.

«Ve l’ho già detto», replicò Hiyajō stizzita.«Al momento non è nei nei miei piani. E poi perché tutto deve girare attorno all’amore, per voi?».

Era difficile credere che le tre persone coinvolte in quel bizzarro battibecco fossero tra le più brillanti menti del ventunesimo secolo, ma, durante le sue visite in America, Okabe aveva avuto modo di capire quanto sia il Professor Leskinen che Maho volessero bene a Kurisu. Era come veder bisticciare i membri di una famiglia fuori dal comune.

«Ku-nyan e Maho-nyan vanno proprio d’accordo, nya», commentò Faris avvicinandosi.

Mayuri ridacchiò, annuendo con vigore. «Maho-san e Chris-chan vanno molto d’accordo anche con Mayushii e Ferris-chan. È così bello vedere tutti i Lab Mem felici assieme~».

Era incredibile pensare che, dopo cinque anni, fossero ancora tutti lì, come se fossero rimasti gli stessi ragazzini che, nell’affrontare la noia di un’estate lontana, erano finiti con il cambiare il mondo.

E se sapeva di dover ringraziare Kurisu e tutti i suoi vecchi e nuovi compagni per essere riuscito a raggiungere quel mondo in cui il futuro era meravigliosamente ignoto, doveva riconoscere dei meriti anche a se stesso. O meglio, ad una versione di sé che non avrebbe mai conosciuto e che aveva dedicato la propria esistenza a costruire quello stesso mondo.

«Holy cow, sembra che la sposa sia in procinto di lanciare il suo bouquet!».

La voce esageratamente alta del Professor Leskinen - il quale stava freneticamente indicando l’altare con lo stesso entusiasmo di un bambino - attirò l'attenzione di Okabe e dei restanti membri del Laboratorio di Gadget Futuristici.

Amane Yuki, bellissima nel suo abito nuziale, sorrideva radiosa agli invitati stringendo tra le mani un grazioso bouquet di rose rosse.

«Senpai, so che le tue doti atletiche non sono il massimo, ma impegnati per prendere quel bouquet, d’accordo?». Kurisu, voltatasi parzialmente verso Maho, le strizzò un occhio, aggiungendo sottovoce qualcosa che Okabe identificò come: “Dopotutto questa potrebbe essere la tua ultima occasione".

Maho, dal canto suo, sembrava determinata a rispondere per le rime, ma la sua espressione mutò rapidamente da rabbia a stupore a divertimento nel momento in cui un mazzo di fiori centrò in pieno la testa di Kurisu, cadendo poi tra le braccia della diretta interessata.

Okabe - e Kurisu con lui -  impiegò qualche secondo a processare l’avvenimento e il significato ad esso correlato. Quando finalmente il suo cervello processò il fatto che la sua ragazza avesse appena afferrato il bouquet della sposa, gli occhi carichi di aspettativa di tutti i presenti - sposi compresi - erano già puntati su di loro.

Panico.

«Fufu… Fuahahah!», la tanto esagerata quanto inappropriata risata di Hōōin Kyōma si levò nel silenzio religioso che aveva temporaneamente avvolto il santuario. «Molto bene, mia cara assistente, vedo che hai allenato i tuoi riflessi in vista della battaglia finale del Ragnarok!».

«Okabe, dopo questa scenata ti aumento l’affitto di 20.000 yen».

«Kyouma-san, non credo fossero queste le parole che Makise-san voleva sentire...».

«Pessimo… Tempismo...».

Le esclamazioni di dissenso dei suoi amici contribuirono ampiamente a peggiorare la sua già pessima figura ma ben presto queste lasciarono spazio ad un allegro chiacchiericcio, distogliendo l’attenzione da lui. Ma sapeva come fosse troppo presto per poter tirare un sospiro di sollievo.

Kurisu, con il bouquet ancora in mano e il volto rosso a metà tra l’imbarazzo e la delusione lo osservava senza proferire parola. Doveva soppesare con attenzione ciò che stava per dirle o le sue scuse non sarebbero state altro che benzina sul fuoco.

«Kurisu, io...».

In un flash di rosso e bianco, il grazioso mazzo di rose finì scaraventato sulla sua testa, causandogli un dolore non indifferente. «Sei un idiota!».

Era sinceramente pentito di aver tirato fuori Hōōin Kyōma in quello che poteva essere un momento cruciale della loro relazione. Avrebbe davvero voluto avere il coraggio di infilare al dito di Kurisu quell’anello - frutto di mesi di lavoretti part-time e di suppliche a Mr. Braun sull’affitto - ma, davanti agli sguardi speranzosi dei suoi amici, il coraggio gli era venuto meno. Era davvero un codardo, quando si trattava di lei...

Dopo essersi accertato con una rapida occhiata che l’attenzione degli invitati fosse diretta ad altro, Okabe posò nuovamente il suo sguardo su Kurisu. La scienziata, in tutta risposta, gli scoccó un’occhiata velenosa.

Pensa. Di’ qualcosa, qualunque cosa che abbia una minima parvenza di intelligenza.

«Ehm, io, ecco…», bofonchiò nervosamente strofinando il palmo della mano libera contro i pantaloni del completo scuro che era stato costretto ad indossare. Lo sguardo di Kurisu, se possibile, si fece ancor più terrificante.

Okabe inspirò profondamente, prendendo le mani sottili della scienziata per portarle attorno alla base del bouquet incriminato. Kurisu, sobbalzò, guardando Okabe con malcelata sorpresa nel momento in cui le si avvicinò posando le proprie mani sulle sue.

“...Presto”, fu tutto ciò che riuscì a dirle, guardandola con tutta l’onestà di cui era capace.

E Kurisu, che lo aveva sempre capito meglio di chiunque altro, gli sorrise.
 



Okabe Rintarō si sentiva stremato tanto fisicamente quanto mentalmente. Più volte, durante il ricevimento di nozze del suo migliore amico, aveva provato a chiedere la mano di Kurisu, fallendo puntualmente a causa del pessimo tempismo dei suoi amici.

Ogni volta che lui e Kurisu erano soli, qualcuno riusciva misteriosamente a trovarlo e a chiedergli un favore di qualche genere. Così, tra discorsi da testimone di nozze, balli che avrebbe preferito evitare e pacche decisamente troppo vigorose sulla sua schiena, non era riuscito a concludere assolutamente niente.

«Complimenti, Hōōin Kyōma. Grande dimostrazione di follia, la tua», borbottò tra sé e sé in tono canzonatorio. Le sue dita giocherellavano nervosamente con un piccolo oggetto di forma circolare. «Come pretendi di gettare il mondo nel caos quando non riesci a fare una cosa tanto elementare? I capi dell’Organizzazione riderebbero di te, se potessero vede-».

«Non sei un po’ troppo cresciuto per parlare da solo?». La voce di Kurisu proveniente dalle sue spalle lo colse alla sprovvista. L’oggetto tra le sue mani cadde per terra con un tintinnio, brillando sotto la luce del lampadario. «E quello cos’è?».

«Fa’ silenzio, Christina. Una mera assistente non può comprendere la maestosità dei miei piani», tuonò Okabe chinandosi frettolosamente per raccogliere l’oggetto. Dannato Hōōin Kyōma, veniva fuori sempre nei momenti meno indicati.

«Pensavo fosse finita la fase in cui mi chiami “Christina” per nascondere il tuo imbarazzo», puntualizzò Kurisu incrociando le braccia al petto.

A volte sapeva essere così schietta da risultare quasi spaventosa.

«Cosa è successo? È tutto il giorno che ti comporti in maniera strana». La sua espressione si addolcì. «Te l’ho già detto, no? Con me puoi parlare».

Non poteva competere con lei. Kurisu era fatta così, in qualche modo riusciva sempre ad intuire quando qualcosa lo turbava. Ogni volta lo ascoltava come se le sue parole fossero importanti per lei, proprio come aveva fatto in quell’estate che sembrava non finire mai. Kurisu lo aveva salvato più volte di quante potesse contare, mettendo sempre la felicità degli altri prima della propria. Eppure nulla se non la sua sola volontà, in quel mondo dal domani incerto, poteva garantire che lei fosse parte del suo futuro.

«Al diavolo Hōōin Kyōma!», esclamò prima di coprire la distanza che lo separava da lei in una falcata. Era stato stupido ad esitare per tutto quel tempo. «Kurisu».

«Che… c-che c’è?».

«In questo mondo il domani non è che una storia che ciascuno di noi scrive con le proprie mani». Okabe prese un respiro profondo. Era quello il kairos, l’istante di tempo perfetto, o, per meglio dire… La scelta di Steins Gate. «Ho sacrificato i sogni di tutti affinché divenisse un’ incognita, piuttosto che una scena il cui canovaccio fosse già stato scritto».

«T-ti sembra il momento di blaterare cose del genere?», lo interruppe Kurisu. La sua voce e l’espressione sul suo volto lasciavano trasparire una certa attesa. La osservò in silenzio per qualche istante, cercando di imprimere quell’immagine nel suo ippocampo.

«La verità è che oggi più che mai ho pensato al futuro. E mi sono reso conto che… Non riesco ad immaginare un domani in cui tu non mi sia accanto. Perciò...».


Kurisu, le mani giunte al petto e le guance imporporate, lo guardava senza parole. La sua espressione gli riportava alla mente ricordi lontani.


Okabe, tu… Ti ricorderai di me?
 

«S-sposami, Kurisu».

«E-eh?! Ma tu… Così, all’improvviso...».

Okabe le rivolse un sorriso imbarazzato, stringendo convulsamente l’anello nella propria mano. I nervi stavano ricominciando ad avere la meglio. «È davvero una tale sorpresa? V-voglio dire, dovresti saperlo meglio di me, Kurisu. In quanto scienziato pazzo… Non valgo niente senza la mia adorata assistente».

Per qualche istante il corridoio del lussuoso resort tornò ad essere immerso nel silenzio. Deglutì a fatica, il cuore che gli pulsava in gola per l’emozione. Kurisu abbassò lo sguardo.

«Sei davvero ingiusto, Rintarō».

«…Eh?».

«Prima mi fai fare quella figura terribile davanti a tutti al santuario e adesso mi dici queste cose, con quella faccia, poi», continuò Kurisu imperterrita.

Notò con un certo orrore come le guance della scienziata fossero solcate dalle lacrime per la seconda volta quel giorno. E poi cosa intendeva con “quella faccia"? Che avesse sbagliato tutto e fatto la figura dell'idiota?

«Dovresti sentirti. Non trovi il coraggio di chiedermi di sposarti davanti agli altri ma dici di non essere niente senza di me. Insomma, l’Hōōin Kyōma che conosco, che amo e che… voglio sposare, ha più fiducia in sé stesso e nelle proprie decisioni».

Doveva aver avuto un faccia davvero stupida mentre realizzava il significato delle parole di Kurisu, perché lo sguardo di quest’ultima, nonostante le lacrime, si addolcì.

«Sono proprio uno stupido, eh?», ammise mentre, con mani tremanti, le infilava l’anello al dito.

Il sorriso di Kurisu si fece più luminoso. «Sì, in effetti, sì. Ma va bene così. Dopotutto l’amore, come noi, non è qualcosa di perfetto».


«Ehi, Kurisu».

«Mh?».

«Chiudi gli occhi».


Bonus

«Faris ve lo aveva detto che sarebbe valsa la pena spiarli, nya».

«Mayushii è così felice!».

«E poi Okarin ha il coraggio di dare a me del normie...».

«Ho... registrato… tutto».


«Kyōma-san è stato molto coraggioso».

«Awesome, he’s really something».

«Alla fine ce l’ha fatta, quello scemo».

«Are you jealous, Maho?».

«… Un po’. Forse». 

 
Note dell'autrice - Parte 3 (andate in pace): ho disseminato la storia di citazioni alle opere originali di Steins;Gate, quei due gioiellini che sono le Visual Novel. Sarebbe divertente se riusciste a trovarle tutte (anche se si tratta per lo più di Leskimemes, ops). Il titolo della prossima storia (che dovrebbe arrivare in tempi brevi... credo) sarà "Quantum Entanglement" (documentatevi su Wikipedia, perché faccio schifo a spiegare queste cose) e sarà narrato da un ospite d'eccezione... ("soko no loliko--")
Ja ne~

 

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Capitolo 2
*** Quantum Entanglement. ***


Quantum Entanglement.


 
 «Non importa quanto sia grande la distanza che ci separa,
saremo sempre connessi in questo solito posto.
Il domani ancora ignoto è dolorosamente romantico».
 
[Itsumo Kono Basho De - Ayane]
 
«È raro vederti così assorta nei tuoi pensieri, Maho».
 
Hiyajō Maho, 28 anni, neuroscienziata prodigio, sbatté rapidamente le palpebre per qualche istante, voltandosi con espressione sorpresa verso il suo interlocutore.
 
Il Dr. Alexis Leskinen, suo diretto superiore nonché luminare della sua stessa disciplina, la osservava con il suo caratteristico sorriso gioviale.
 
«C’è qualcosa che ti turba, forse?».
 
Maho abbozzò un sorriso. Apprezzava che il professore si preoccupasse per lei nonostante ormai fosse più che adulta. «Non è niente, ero soltanto un po’ persa nei miei ricordi. Credo che tutta questa situazione mi renda insolitamente sentimentale».
 
«Lo dici come se fosse una cosa negativa», rispose lo scienziato con una risata. «Anche alle persone di scienza è concesso emozionarsi, ogni tanto».
 
Maho sospirò, abbandonandosi poco elegantemente contro lo schienale della panca. Il cielo estivo era limpido sopra la sua testa. «Chi avrebbe mai detto che sarebbe arrivato questo giorno. A vederli insieme la prima volta non avrei scommesso un soldo bucato su di loro».
 
«My, my, gli anni non ti hanno ammorbidita nemmeno un po’», scherzò Leskinen portandosi una mano al petto in maniera teatrale.
 
A volte pensava di capire perché il professore avesse in simpatia un certo idiota di sua conoscenza.
 
«Però devi ammettere che quei due sono cambiati in maniera non indifferente da quando li abbiamo conosciuti».
 
«Da quando li abbiamo conosciuti, eh?».
 
§

Hiyajō Maho non si era mai reputata particolarmente brava nel fare amicizia con le persone. Era sempre stata cosciente del fatto di possedere una lingua tagliente e un caratterino alquanto irascibile, ma, piuttosto che cercare di smussarne gli angoli, negli anni vi si era
aggrappata disperatamente, usandolo come un’arma atta ad inseguire il proprio sogno.

L’avevano sempre definita un “prodigio” ma, nonostante questo, molti degli adulti del mondo accademico tendevano a sminuire le sue opinioni e, soprattutto, la sua persona. Ma lei aveva tenuto duro e con quel suo modo di essere così privo di delicatezza si era fatta valere, raggiungendo la posizione di assistente del Dr. Alexis Leskinen.

Era arrivata quasi in cima alla scalinata ma, nel farlo, era rimasta sola.

Aveva conosciuto Makise Kurisu presso la Viktor Chondria University nel lontano 2009. Le era bastato parlarle una volta per comprendere che, se Maho era Salieri, Kurisu era Mozart.

Ironia della sorte, fu proprio una composizione di Wolfgang Amadeus Mozart ad infondere il primo timido respiro di vita al germoglio della loro amicizia. Kurisu era tutto ciò che lei avrebbe voluto essere; era una persona dal talento straordinario e, pur nutrendo una grande fiducia nelle proprie capacità, non ne aveva mai fatto motivo di vanto.
Se Maho rispondeva alle critiche infondate dei grandi accademici con velenosa schiettezza, Kurisu rimaneva calma ed imperturbabile, smontando con argomentazioni precise e metodiche ogni singola affermazione.

Curiosa, un po’ ficcanaso ma sempre così gentile, nonostante fosse il perfetto esempio della scienziata modello, Kurisu era una kōhai che, con il senno di poi, avrebbe definito come “pestifera”. Fedele a se stessa e alle proprie idee fino in fondo, non dava retta a nessuno, proseguendo a testa alta per la propria strada con la stessa caparbietà di un mulo.

 
§
 
«Forse ha ragione. Anche se sono convinta che in fondo sia rimasta almeno in parte la solita testona», ammise lasciandosi sfuggire un sospiro divertito.
 
Ripensare ai primi tempi della loro amicizia la riempiva di nostalgia ma non poteva neanche negare che la divertisse ricordare l’ingenuità che aveva contraddistinto quei momenti.
 
«A pensarci bene all’epoca non avevo capito quasi niente di che genere di persona fosse Kurisu in realtà».
 
Leskinen le rivolse un’occhiata sorpresa per un breve istante. «Non essere così dura con te stessa, Maho», disse rivolgendole un sorriso comprensivo. «Kurisu voleva solo soddisfare le aspettative che il mondo aveva su di lei».
 
«Infatti non incolpo né lei né me stessa», puntualizzò Maho sistemando la propria postura sulla scomoda superficie metallica. «Sicuramente il rapporto difficile con suo padre è stato il fattore scatenante che l’ha spinta a diventare così riservata e diffidente nei confronti delle persone».
 
Il suo sguardo saettò verso la figura tozza ma elegantemente vestita di Makise Shōichi, il quale, visibilmente in agitazione, si stava dirigendo verso la porta della terrazza, sulla quale spiccava una ghirlanda di fiordalisi. L’immagine le strappò un sorriso. Essere un genitore doveva sottoporre le persone ad un grande stress emotivo, ma allo stesso tempo doveva regalare gioie incommensurabili.
 
«Chissà cosa hanno combinato quei due ad Aomori, quella volta», commentò senza perdere il proprio sorriso. «Kurisu si rifiuta tuttora di fornirmi i dettagli, ma ho il sospetto che quello scemo abbia tirato fuori qualcuno dei suoi discorsi romantici e tremendamente imbarazzanti».
 
Il professore scoppiò in una fragorosa risata, applaudendo con entusiasmo. «Sarebbe proprio da Lintahlo. Quel ragazzo ha il potere di cambiare in meglio le persone».
 
§
 
Aveva sempre nutrito la convinzione che, dopo aver conosciuto Kurisu per la persona che era, piuttosto che per la sua fama di scienziata, non le si potesse non voler bene. Nonostante l’evidente divario tra le loro abilità, Kurisu l’aveva sempre trattata come sua pari, mostrandole un rispetto ben maggiore rispetto a quello che probabilmente si sarebbe meritata.

E mentre il suo affetto per quella persona straordinaria cresceva, aumentava in lei il desiderio, in quanto sua senpai e sua amica, di vederla felice. Kurisu non parlava mai della propria famiglia e, quando poteva, cercava di glissare sull’argomento. Non possedeva apparentemente amici e, se ne aveva, non intratteneva grandi rapporti con questi ultimi, preferendo la quiete del laboratorio e della sua compagnia.

Kurisu aveva solo 17 anni e stava bruciando la propria gioventù tra le anonime mura di un istituto di ricerca.

Fu alla fine dell’estate del 2010 che le certezze che Maho si era costruita sulla sua collega più giovane avevano iniziato a crollare lentamente, come le mura di un castello di sabbia lambite dalla marea.

 
Circa un mese prima Kurisu si diretta a Tokyo per un ciclo di conferenze tenutosi per l’edizione estiva dell’Akihabara Technoforum ed era tornata da quel viaggio decisamente… cambiata.
 
Non si trattava di un cambiamento particolarmente evidente ma era comunque qualcosa che Maho, che aveva la possibilità di osservare la sua collega ogni giorno, non aveva potuto fare a meno di notare. C’erano momenti in cui Kurisu lanciava fugaci occhiate al display del proprio telefono e c’erano giorni in cui il suo sguardo si perdeva nell’osservare con dolce malinconia la pioggia fuori dalla finestra del centro di ricerca.
 
Ricordava bene quel periodo, perché Kurisu non era la sola a cui stava succedendo qualcosa di strano.
Alle volte nei suoi sogni appariva un giovane uomo sul cui volto era dipinta l’espressione più triste che avesse mai visto. Per qualche motivo quell’immagine le faceva stringere il cuore al punto da provare dolore.
 
Quando nell’inverno del 2011 incontrò per la prima volta la figura stranamente familiare di Okabe Rintarō, arrivò rapidamente alla conclusione che quel ragazzo non poteva essere più diverso dall’uomo il cui camice splendeva sugli abiti scuri come un’armatura bianca. Eppure, qualcosa, una voce sopita nei recessi della sua memoria, le suggeriva che oltre quella sciocca facciata si nascondesse una persona estremamente simile alla figura dei suoi sogni.

Fu proprio grazie a lui che in quei giorni, davanti ai suoi occhi increduli, apparve la vera Kurisu, una Kurisu che si imbarazzava, rideva e si arrabbiava con la stessa leggerezza d’animo di una ragazza della sua età.

Con sgomento e sollievo allo stesso tempo, si rese conto di non aver conosciuto altro che la superficie di quella persona che ormai considerava una parte importante della sua vita. In fondo al suo cuore aveva sempre desiderato che Kurisu non commettesse il suo stesso errore sprecando quegli anni preziosi che non sarebbero mai tornati e incredibilmente, quel ragazzo era riuscito proprio lì dove lei aveva fallito.


Quei due non facevano altro che battibeccare e prendersi in giro, avrebbero persino potuto dare l’impressione di odiarsi, se osservati superficialmente. Ma l’attenzione ai dettagli era un elemento cardine del metodo scientifico galileiano su cui si basava la moderna scienza, ed era per questo che a Maho era risultata lampante la complicità che si nascondeva in quei bizzarri scambi di insulti e di soprannomi improbabili. Leggeva nelle loro espressioni esageratamente contrariate e nella luce nei loro occhi come quegli assurdi siparietti fossero una routine che, in qualche modo, era profondamente intrecciata al loro rapporto.

Aveva pensato e ripensato, alla ricerca di quel tassello che avrebbe dato senso a quel cambiamento ma, per quanto riconoscesse in Okabe un buon cuore e un’intelligenza inaspettati, non riusciva a capacitarsi di come una singola persona potesse influenzare così tanto un’altra.


Poi, la notte prima del ritorno di Okabe a Tokyo, si era imbattuta in quella scena che per la prima volta aveva suscitato in lei l’inaspettato e doloroso sentimento dell’invidia: la sua amica Kurisu, stava spiegando, con un sorriso che era tutto un programma, una delle teorie alla base dell’Amadeus System e Okabe, il suo interlocutore, la osservava come se dalle sue labbra stesse prendendo vita il creato stesso.
 
E se Maho normalmente si sarebbe crucciata nel risolvere quell'enigma, quella volta era stato il tempo a darle la risposta che cercava: Makise Kurisu e Okabe Rintarō erano profondamente innamorati.
 
§
 
«...ho?».
 
«Maho, va tutto bene? Stai piangendo».
 
La voce preoccupata del Dr. Leskinen la riscosse dai suoi pensieri. Sulle sue guance permaneva la sensazione umida delle lacrime che scorrevano sulla pelle.

“Hiyajō-san, tu non sei Salieri. Sei sempre stata Amadeus.”
 
«… Sì, sto bene. Mi sono solo… commossa». Per qualche motivo le parole faticavano ad uscire dalla sua bocca.
 
«How time flies. La nostra Kurisu sta già lasciando il nido». La voce del professore si incrinò per un momento assieme alla sua espressione. «Stava agitando le ali già da lungo tempo, ma vederlo accadere lascia una strana sensazione».

Maho annuì vigorosamente. L’aveva conosciuta in uno sterile laboratorio americano e, vegliando su di lei in quegli otto lunghi anni di amicizia, l’aveva vista crescere e diventare sempre più forte, sempre più brillante. In quel caldo giorno estivo, la sua migliore amica, bella come non mai nel suo abito bianco e i fiordalisi tra i capelli, si stava diplomando dal suo ruolo di kōhai, intraprendendo la strada verso il futuro ignoto assieme all’uomo il cui destino era da sempre intrecciato al suo.

“Senpai, io… sono innamorata di Okabe”.

Era un sentimento agrodolce il suo, ma in qualche modo aveva il sapore di un “arrivederci”, piuttosto che di un addio. Il cervello e le sue emozioni erano uno dei misteri più affascinanti dell’umanità, si trovò a riflettere Maho mentre altre lacrime trasparenti si impigliavano nelle sue ciglia.
 
Davanti al piccolo altare allestito sul tetto dell’Ōyama Building, Okabe Rintarō stringeva Makise Kurisu tre le sue braccia con dolcezza, gli occhi colmi di un amore tale da costringere Maho a distogliere lo sguardo, colta da uno strano sentimento che le fece dolere il petto.
 
Per un attimo la sua figura si sovrappose a quella dell’uomo nei suoi sogni.

“Maho. Io… vado a riportare indietro Kurisu. Grazie di tutto.”
 
Shōichi Makise, seduto davanti a lei, piangeva a dirotto, la schiena scossa dai singulti. Accanto a lui la signora Makise gli asciugava con dolcezza le lacrime, stringendogli teneramente una mano.
 
«I nostri ragazzi sono diventati grandi, Tsuzuri», la voce di Tennōji Yūgo, rotta dal pianto giunse chiara alle sue orecchie. Sua figlia Nae gli accarezzava la schiena con sguardo commosso. «Sai bene che sono uno zuccone un po' distratto, perciò… aiutami a vegliare su di loro finché non sarò io a venire da te, d’accordo?».
 
«Tu guarda. Ho sempre avuto la risposta sotto al naso», borbottò Maho sorridendo tra le lacrime che non accennavano a fermarsi. «Me ne hai parlato così tante volte...».
 
Ma forse era l’amore il più grande mistero di tutti, lo stesso mistero che aveva sempre finto di non comprendere e che cambiava le persone unendole oltre il tempo e lo spazio.
 
«… Entanglement Quantistico, eh?».

 
Note Dell'Autrice (stavolta sono singole, yorokobe!): prima che aspiranti fisici e non mi minaccino di mettermi al rogo come Giovanna D'Arco, ci tengo a fare alcune brevissime precisazioni sull'entanglement quantistico, che copierò diligentemente da Wikipedia: "è un fenomeno quantistico, privo di analogo classico, per cui in determinate condizioni lo stato quantico di un sistema fisico non può essere descritto singolarmente, ma solo come sovrapposizione di più sistemi. Da ciò consegue che la misura di un'osservabile di uno determina istantaneamente il valore anche per gli altri. Poiché risulta possibile dal punto di vista sperimentale che sistemi come quelli descritti si trovino spazialmente separati, l'entanglement implica in modo controintuitivo la presenza di correlazioni a distanza (teoricamente senza alcun limite) tra le loro quantità fisiche, determinando il carattere non locale della teoria". Anche questo sarebbe senza dubbio romantico se non fosse che, ovviamente, tale concetto non è applicabile alle persone, ma solo a particelle molto piccole. La scienza è severa, eh.

Per chi non sapesse (SHAME ON YOU) chi è la Tsuzuri nominata da Mr.Braun, ci tengo a precisare che è la sua defunta moglie nonché madre della (non più tanto piccola) Nae. Per ulteriori info al riguardo leggetevi il manga "Braunian Motion Of Love And Hate".
 
E se vi steste chiedendo se la storia è piena di Leskimemes... Lo è.

Il titolo del prossimo ed ultimo capitolo sarà "Rivoluzione", che è una parola ambigua, per così dire, e che ha una storia abbastanza divertente (finirà sicuramente nelle mie prossime note dell'autrice). Un indizio? Vengono riscritte le leggi del personalissimo sistema solare di Okarin.

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Capitolo 3
*** Rivoluzione ***


«Poiché adesso ti ho incontrata, il mondo cambierà.

Riesco a sentire il canto del principio dentro di me.

L’inizio partirà proprio da te».

[Hajimari no uta - Kanako Itou]

 

Tap. Duemilatrecentoquattordici.

Tap. Duemilatrecentoquindici.

Tap. Duemilatrecentosedici.


Silenzio.
 

«Okarin, amico, stai consumando il pavimento».

Okabe si fermò bruscamente, volgendo lo sguardo verso la figura del suo migliore amico, adagiato su una delle sedie di plastica della sala d’attesa.

Hashida Itaru, in tutta risposta, gli rivolse un sorriso comprensivo, colpendo il posto accanto al proprio con una delle sue grosse mani. Okabe non poté fare a meno di notare come il suo comportamento somigliasse a quello di un padre pronto a rassicurare il proprio figlio. Il matrimonio con Yuki e la nascita di Suzuha lo avevano cambiato non solo fisicamente.

Okabe accolse l’invito, lasciandosi cadere sulla sedia con un sospiro esausto e un’espressione di scuse.

«Sai, credo di non essere mai stato tanto agitato quanto lo ero il giorno della nascita di Suzuha. Ero così nervoso che le infermiere mi avevano proposto di prendere un calmante», cominciò in un tono che nascondeva una risata.

Ricordava bene quel giorno. In quella tiepida notte di fine settembre lui e Kurisu erano rimasti svegli, chiusi nel Laboratorio ad analizzare i dati relativi ad una misteriosa immagine che pareva essere coinvolta nei misteriosi incidenti avvenuti a Shibuya nel 2015, quando il suo cellulare era squillato. La voce di un Daru terrorizzato gli aveva annunciato che a Yuki si erano rotte le acque: quando erano giunti in ospedale, la moglie del suo migliore amico era già entrata in sala parto e lui, pallido come un cencio, stava osservando la porta della stanza come se questa avesse potuto prendere improvvisamente vita ed attaccarlo.

«Eri comunque meno patetico di me in questo momento, puoi starne certo», commentò Okabe passandosi una mano tra i capelli scuri che ormai gli ricadevano sulla fronte. «In questo momento ho tanti di quei dubbi su me stesso che sento di essere sull’orlo della pazzia».

Daru si lasciò sfuggire una risatina, assestandogli una pacca amichevole sulla schiena. «E dire che fino a qualche anno fa andavi proclamando al mondo di essere un folle scienziato pazzo, Hōōin Kyōma».

Okabe sobbalzò, sentendo il calore propagarsi sulle sue guance. «N-non rivangare il mio oscuro passato!».

Crescendo, grazie anche a Kurisu che lo minacciava di chiedere il divorzio ogni qualvolta riportava alla luce il nome del suo alter ego, Okabe aveva abbandonato la parte “folle" di Hōōin Kyōma, accontentandosi, da vero normie, di essere uno scienziato tutto sommato rispettabile.

A quella figura tanto cara quanto improbabile, però, erano legati i suoi ricordi più belli, i ricordi della lunga estate in cui l’aveva conosciuta e dei giorni spensierati trascorsi assieme agli altri mentre, un mattone alla volta, iniziavano a costruire il loro futuro.


“Sei un caso perso ma, anche se mi costa ammetterlo… ti amo anche quando sei Hōōin Kyōma".


«Mi sentirei molto più tranquillo in questo momento, se fossi realmente Hōōin Kyōma. Ho una tale paura di sbagliare ogni cosa».

Daru chiuse gli occhi, scuotendo la testa con espressione seria. «Io penso che in questo momento sia giusto che tu sia soltanto Okabe Rintarō», disse osservandolo dietro le lenti dei suoi occhiali. «È un momento importante della tua storia, non di quella di Hōōin Kyōma».

Okabe sollevò la testa, rivolgendo un’espressione decisamente sorpresa al proprio migliore amico. Le sue parole gli riportavano alla mente i pensieri che avevano affollato la sua mente nel vederlo davanti all’altare assieme a Yuki.

Heh. Anche questa… è la scelta di Steins Gate.

L’espressione di Daru mutò in un sorriso carico di nostalgia mentre volgeva lo sguardo al bianco soffitto dell’ospedale con un sospiro. Per un istante il suo amico gli sembrò incredibilmente vecchio.

«Sai, Okarin. C’è una cosa che non ho mai detto a nessuno, nemmeno a Yuki-tan».

«Eh? Davvero?».

Daru, con aria grave, annuì appena. «Quando la Suzuha del futuro mi rivelò che di lì a sette anni sarei diventato padre confesso di aver preso alla cosa alla leggera. Avevo 19 anni e non conoscevo ancora Yuki-tan, perciò una simile affermazione sul mio futuro sembrava quantomeno irrealistica».

«Non ti biasimo. Dubito che avrei creduto ad una sola parola di Suzuha, se fossi stato al tuo posto», intervenne Okabe passando una mano dietro al collo con un sorriso comprensivo.

Dopo tutto quello che aveva vissuto difficilmente sarebbe potuto esistere qualcosa che lui avrebbe trovato “impossibile”, perché lui aveva sfidato il concetto stesso di impossibilità ed era riuscito ad ingannare l’universo.

D’altro canto, però, era certo che Daru all’epoca doveva essere stato in possesso di pochi e vaghi ricordi delle altre linee di universo.

«Quando Yuki-tan rimase incinta e diede poi alla luce Suzuha, mi ritrovai in una situazione molto simile alla tua».

«Eh? Ma sembravi così felice… Voglio dire, io in questo momento-».

Il volto del suo migliore amico si aprì in un sorriso disperato. «Certo che ero felice. Ma allo stesso tempo la mia mente mi proponeva domande utili come “può un inutile otaku come me essere un buon padre?”, “e se crescendo Suzuha finisse con l’odiarmi?”».

Le labbra di Okabe si schiusero appena per lo stupore.

Il giorno della nascita di quella che era il LabMem #008 aveva visto Daru cambiare radicalmente atteggiamento nel giro di poche ore: dalla figura terrorizzata che lui e Kurisu avevano trovato al loro arrivo in ospedale si era trasformato in un uomo dall’aria protettiva, che vegliava su sua moglie e sua figlia come se avesse vissuto la propria esistenza solo per prepararsi a quel momento. Era un padre modello e Suzuha lo aveva adorato sin dal primo istante.

«Ad alimentare i miei dubbi era qualcosa che tu conosci molto bene, Okarin».

Daru si interruppe per qualche istante, quasi a volergli dare il tempo di formulare un qualche tipo di ipotesi. Quando si rese conto del fatto che in quel momento il suo cervello non era probabilmente in grado di funzionare correttamente, il suo sorriso si allargò, dandogli un’aria palesemente divertita.

«Reading Steiner».

«Cosa? Ma tu non...».

«Ovviamente non è nemmeno lontanamente preciso come il tuo, ma tu e Makise-shi lo avete studiato, no?», spiegò con una calma peculiarmente diversa dalla flemma che era solito mostrare. «Tutti possiedono una minima percentuale di Reading Steiner, ma in noi che in un modo o nell’altro abbiamo avuto a che fare con quella cosa… appare con forza leggermente superiore al normale».

Okabe fissò il proprio migliore amico con aria palesemente sorpresa. Per un attimo la sua figura si sovrappose a quella di un uomo decisamente più adulto e dell’aria vagamente malinconica.
 

“È un piacere rivederti, amico mio".
 

«In qualunque mondo io mi trovassi… non sono mai stato un buon padre per Suzuha. Non sono mai riuscito a starle vicino come avrei dovuto, per questo avevo il terrore di ripetere i miei errori anche qui, in questo mondo che tu hai creato».

«Daru, io-».

Il suo fido braccio destro lo interruppe con un gesto della propria mano, non smettendo di sorridere nemmeno per un attimo. «Sono sicuro che la verità dietro questi fatti sia molto diversa dai miei pensieri, ma direi che questo non è il momento più appropriato per parlarne, no?».

Okabe si ritrovò, seppur a malincuore, a dover annuire. Lo shock di vedere Daru parlargli in maniera così matura sembrava averlo ammutolito.

«Okarin. Hai sempre messo tutti noi prima di te stesso e sei stato capace di cose umanamente impossibili pur di salvaguardare la nostra felicità. Se un inutile otaku come me riesce ad essere un padre tutto sommato decente di una splendida bambina, non vedo perché proprio tu non debba essere in grado di fare un lavoro anche migliore». Daru posò una mano sulla sua spalla, guardandolo negli occhi. «Noi LabMem abbiamo fiducia in te, Makise-shi più di tutti».

Okabe sentì improvvisamente il bisogno di piangere.

Nonostante tutti i suoi errori, nonostante la sofferenza che questi avevano causato alle persone a cui voleva bene, la vita gli aveva fatto dono di persone meravigliose. Lui non era che uno scienziato pazzo da quattro soldi ma, per motivi che proprio non riusciva ad immaginare, i suoi amici nutrivano una fiducia incondizionata nei suoi confronti.

Sospirò, scacciando via il bruciore che lo minacciava agli angoli dei suoi occhi e cercò un modo per esprimere tutta la gratitudine che provava in quel momento.

«Signor Okabe?»

La voce gentile dell’ostetrica lo obbligò a desistere dai propri intenti per concentrarsi su problematiche più imminenti.

«Può entrare, le sue signore la stanno aspettando».

Un'ondata di gelo invase il suo corpo, strisciando sinuosa sotto la sua pelle. Quando si alzò dalla sedia scoprì che le sue mani e le sue gambe tremavano visibilmente.

«Daru?», chiamò voltandosi un’ultima volta verso il proprio fido braccio destro.

«Mmmh?».

«Non mi hai detto come hai fatto a liberarti di quei dubbi».

Il suo migliore amico gli rivolse un ghigno beffardo, aggiustando gli occhiali sul proprio naso in una maniera che ricordava molto un personaggio di qualche anime.

«Lo scoprirai da solo prima di quanto pensi».

§

 

Il primo dato della stanza che percepì, oltre al bianco quasi abbagliante delle pareti, fu l’odore pungente del disinfettante.

Kurisu era seduta sul letto con gli occhi chiusi, le gambe distese sotto le lenzuola candide e la schiena inclinata contro il cuscino appoggiato alla testata del letto. Il suo volto era pallido, fatta eccezione per due graziose macchie rosee sulle sue guance e i capelli ramati le cadevano disordinatamente sulla fronte, leggermente umidi per il sudore. Tra le sue braccia giaceva un fagotto bianco, da cui spuntava un viso arrossato che aveva l’aria di dormire serenamente.

Un nodo sembrò insediarsi improvvisamente nella sua gola.

«Kurisu», chiamò piano, quasi temendo di essere di disturbo.

La donna aprì piano gli occhi azzurri, prendendosi qualche secondo per mettere a fuoco la sua figura che, con fare esitante, si inginocchiava accanto al letto.

«Ciao, Rintarō».

Il suo volto lasciava trasparire quanto fosse esausta ma, nonostante questo, si aprì in un gran sorriso.

Era bellissima.

Il nodo alla gola si fece più stretto. Una leggera sensazione di vertigine lo colse alla sprovvista.

 

Kurisu, affannata, gli sorrideva sulla soglia del Laboratorio. I suoi occhi lucidi erano fissi su di lui.

“Addio, Okabe. Anche io ti amo… con tutto il cuore!”
 

Quando la vertigine passò Kurisu era lì dove l’aveva lasciata, ancora sorridente. La sua mano sottile gli accarezzò i capelli scuri con tenerezza.

«Era da un po' che non succedeva, vero?», gli chiese con una nota di divertimento nella voce stanca.

Okabe si lasciò sfuggire una risatina. «Non ti smentisci mai, eh?».

«I premi Nobel non sono qualcosa che viene assegnato a caso, sai com’è». Il sorriso di Kurisu si addolcì. «Avvicinati».

Okabe obbedì, sollevandosi quel tanto che bastava per raggiungere il volto di sua moglie. Le sue labbra erano calde.


Le guance di Kurisu erano tinte di rosso. I suoi occhi lo guardavano timidamente attraverso le lunghe ciglia scure.

“S-soltanto un bacio. Sii… delicato.”

L’amore che provava nei suoi confronti sembrò traboccare dal suo cuore.
 

Un tocco delicato sulla sua guancia lo riportò al presente. Il volto di Kurisu sorrideva a pochi centimetri dal suo. Con un sospiro Okabe posò la propria fronte contro quella della donna a cui aveva devoluto la propria vita.

«Scusami».

Kurisu gli accarezzò la guancia con un pollice. «Non scusarti». La sua voce era incredibilmente gentile. «È successo anche a me, prima. Ne abbiamo passate tante, assieme».

Era senza parole. Aveva rischiato tutto per un futuro incerto, ma ciò che stava vivendo in quel momento andava oltre ogni sua più rosea aspettativa. Aveva davvero costruito tutto quello con le sue mani? No. Non sarebbe stato lo stesso senza Kurisu. Il merito di quel futuro così abbagliante era anche suo, della stessa donna che lo aveva guidato per mano nel suo viaggio attraverso il tempo.

«Ehi… Stai piangendo?». La voce e l’espressione di Kurisu si tinsero di una nota di preoccupazione. «Va tutto bene, sono qui. È tutto okay».

Kurisu lo stava abbracciando con delicatezza, sussurrandogli parole di conforto con quella dolcezza che nascondeva con tanta ostinazione. Aveva desiderato così tanto di poterla rivedere e quel suo desiderio era stato realizzato nel più crudele dei modi.

“L’Hōōin Kyōma che conosco e amo ha molta più fiducia in se stesso di così.”

Perché non poteva rimanere per sempre al suo fianco?

Un verso incomprensibile scandito da una voce che non apparteneva né a lui né a Kurisu interruppe il fluire dei suoi ricordi. Il piccolo fagotto tra le braccia di sua moglie si agitò appena.

«Sembra che qualcuno sia impaziente di fare la tua conoscenza… papà», disse Kurisu con un sorriso. «Penso di averti detto più volte che non è educato far attendere una signorina».

«…papà, eh?». Okabe rivolse uno sguardo esitante a Kurisu, la quale in tutta risposta annuì senza perdere il proprio sorriso.

«Puoi prenderla in braccio, se vuoi. Non vede l’ora di conoscerti».

Sì alzò in piedi, lottando per nascondere la debolezza che sembrava improvvisamente aver colto le sue gambe e si chinò verso la bambina, prendendola con cautela tra le proprie braccia così come aveva fatto con Suzuha il giorno in cui l'aveva incontrata per la prima volta.

La bambina, quasi si fosse resa conto del fatto che qualcosa nei suoi dintorni fosse cambiato, aprì gli occhietti, rivelando le sue stesse iridi dorate.

Il nodo alla gola tornò improvvisamente a farsi sentire. Le lacrime tornarono a scendere sulle sue guance. Doveva essere uno spettacolo a dir poco imbarazzante, un uomo adulto che singhiozzava con una neonata perfettamente calma tra le braccia.

«Ha i tuoi occhi», disse Kurisu con dolcezza. Nel suo sguardo c’era soltanto un profondo amore.

«… Benvenuta al mondo, Labmem #013», disse piano, quasi si trattasse di un segreto tra loro due, padre e figlia.

La bocca della piccola si distese in una parvenza di sorriso.

Era un nuovo inizio. L’inizio di una grande e bellissima avventura.

«Kurisu», chiamò con voce rotta.

La scienziata gli rivolse un’occhiata curiosa, inclinando appena la testa. «Cosa c’è, Rintarō?».

«Da questo giorno in avanti, tutto ciò che ho… lo dono a voi».

 



Note dell'Autrice: Duhuhu. Siamo finalmente giunti alla fine di questa piccola raccolta. Personalmente mi ritengo piuttosto soddisfatta, perché era da parecchio che non mi ritrovavo a scrivere con così tanta facilità. Ma bando alle ciance.

-Sono sicura che alcuni di voi si staranno chiedendo: "che caspita c'entra la parola 'rivoluzione' con quello che hai scritto?". Beh, in questo caso la risposta è semplice e implica un concetto che fortunatamente sono in grado di spiegare da sola (niente fisica quantistica, yay!). Senza dubbio ho scelto questo titolo perché è una parola ambivalente: una rivoluzione può indicare a livello storico un forte cambiamento a livello sociale o economico, no? E direi che avere un figlio deve essere una rivoluzione bella grossa per una persona. Però rivoluzione è anche il moto della Terra attorno al Sole, e chi può rivoluzionare il sistema solare di Okabe se non sua figlia? La cosa divertente è che l'idea mi è venuta conversando allegramente con SkyObserver. Le avevo detto "Certo che avere un figlio deve essere una rivoluzione, per qualcuno". Lei mi ha brillantemente fatto notare che, sorpresa sorpresa, avevo appena trovato il titolo per la mia storia.

- Chi mi conosce sa l'amore spropositato che nutro nei confronti della voce di Kanako Itou. Hajimari No Uta ("Canto del principio") è una canzone inserita nel singolo di "Fatima" la opening dell'anime di Steins;Gate 0, e che ho voluto tradurre dal Giapponese perché mi piace moltissimo. Non credo che la citazione che ho scelto abbia bisogno di spiegazioni.

- Non ho inserito Leskimemes. Mi sento un po' triste.

 

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