Margherite gialle

di Ankls_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giovedì ***
Capitolo 2: *** Rosalee ***



Capitolo 1
*** Giovedì ***


A mia nonna
Per non dimenticarmi
Di dirle ogni giorno
Quanto bene le voglio
Anche se spesso
Non riesco a dimostrarlo

Giovedì
I

La stanza era molto luminosa e colorata. Le pareti erano rivestite da carta da parati gialla e arancione con dei fiorellini ricamati sopra, probabilmente piccoli girasoli, visto il colore.
Nonostante le circostanze, l'atmosfera era tranquilla, quasi festosa. Si respirava odore di fiori freschi e di vaniglia.
Lucinda era seduta nel letto, con le coperte azzurre che le coprivano le gambe, e stava sferruzzando a maglia quello che a prima vista doveva essere un berretto di lana rossa.
Appena mi vide, il suo sguardo si accese e un grande sorriso le illuminò il volto.
-Bambina mia!-
Le sorrisi anche io.
Mi avvicinai e le diedi un bacio sulla guancia.
-Ciao nonna.-
Lei continuò a fissarmi per qualche secondo, con un'aria un po' persa. I suoi grandi occhi azzurri sembravano lontano anni luce, come se si fossero persi in qualche ricordo ormai inafferrabile.
Scrollò le spalle e riprese a sorridermi amorevolmente.
-Vieni! Siediti accanto a questa povera vecchia tanto sola- feci come mi aveva detto. Iniziò ad accarezzarmi una mano, interrompendo momentaneamente il suo lavoro.
-Dimmi, cosa fai di bello? Lavori? Il fidanzatino? Mangi abbastanza, sì? Mi sembri un po' sciupata.
Mi scappò una risata. -Sei in vena di chiacchiere oggi, nonna. Allora, sì, lavoro, come sempre. Ti ricordi? Nel negozio di dolci che porta il mio nome, giù in città.-
Aveva ripreso in mano gli uncinetti e si limitò ad annuire. -Sul fidanzato invece ci sto ancora lavorando, ma non c'è fretta.
A questa affermazione lei alzò gli occhi e mi guardò con un'espressione contrariata. -Guarda che quel bel visino non durerà per sempre, tesoro mio. Prima o poi finirai come me, con più rughe che denti e come unico pregio quello di sapere fare cappelli.
Era da tempo che non la vedevo così di buon umore, ma soprattutto così... lucida.
L'ultima volta che ero stata lì a malapena si ricordava il mio nome.
Mi sporsi a darle un altro bacio. Profumava di pulito.
-Sarebbe un onore per me finire come te- le sussurrai vicino all'orecchio.
Anche se non la vidi, sono sicura che sorrise.
Quella sera parlammo tanto. Mi chiese di elencarle tutti i tipi di dolci che facevo nella mia pasticceria e si permise pure di dirmi che le ricette erano sbagliate.
Finì per raccontarle dell'ultimo ragazzo con cui ero uscita e lei riuscì ad allungare una mano per darmi una sberla, rimproverandomi del fatto che li trovassi tutti io gli imbecilli.
In un paio d'ore, riuscì a finire il cappello e decise di regalarmelo perchè era troppo bello per essere dato a una delle infermiere antipatiche del mercoledì.
Le mostrai le foto del mio nuovo cane e i suoi occhi si accesero di nuovo, mentre diceva che non aveva mai visto un cucciolo così tenero.
Per un pomeriggio, sembrò essere tornata la vecchia e cara nonnina che fino a 2 anni prima era in grado di salire una scala e pulire dei vetri senza l'aiuto di nessuno.
Non ebbe alcun momento di confusione, e sapeva per tutto il tempo che si trovava con la sua nipote preferita. Sembrava fosse migliorata.
Fu una serata divertente, serena.
Quando me ne andai la salutai con un bacio sulla fronte e mi misi il cappello nuovo, perchè Lucinda aveva paura che fuori ci fosse freddo, nonostante fossimo a maggio inoltrato.
-Ti voglio bene, Nicole.- mi salutò cingendomi il collo con un braccio
-Anche io nonna.- risposi lasciandomi la stanza alle spalle.

La mattina dopo fu il motivo per cui ora odio con tutto il mio cuore il giovedì.
La chiamata arrivò sul tardi.
Se n'era andata. Era successo mentre dormiva. Non aveva sofferto, probabilmente non se n'era neanche resa conto.
Meglio così, mi dissi mentre ascoltavo la voce di mia madre dirmi queste parole. Dal suono delle sue frasi spezzate, capii che era distrutta. Giustamente: lei non aveva neanche avuto il tempo di salutarla un'ultima volta.
Ero in negozio quando ricevetti la telefonata.
Una volta riattacato, corsi in cucina a piangere. Scoppiai in lacrime vicino alle torte al cioccolato e per consolarmi ne assaggiai qualcuna.
Fui costretta a chiudere prima la pasticceria, perchè era meglio che non entrasse nessuno piuttosto che qualche cliente mi vedesse singhiozzare con il mento sporco di cioccolata.

Il negozio non fu mai più aperto il giovedì.

 

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Capitolo 2
*** Rosalee ***


Rosalee
II

 
Il funerale si tenne la domenica. Decidemmo di farlo quel giorno perché era l’unico in cui tutti i parenti sarebbero stati presenti.
Non il giorno dopo, perché era troppo presto e la gente non avrebbe fatto in tempo ad organizzarsi. Non di sabato, perché era il giorno in cui Lucinda si faceva mettere i bigodini, e a mia madre era sembrato triste dirle addio proprio quel giorno. Quindi a quel punto, la domenica ci era sembrata perfetta.
Mia nonna aveva chiesto di essere cremata. Non sopportava l’idea che la famiglia spendesse tanti soldi per una stupida bara, soldi che, a detta sua, potevano essere utilizzati per qualcosa di più utile, come pagare le bollette o comprare da mangiare. Avevamo deciso di onorare la sua volontà ed eccoci lì.
Quella domenica mattina faceva un gran caldo. Stava arrivando l’estate e i nostri abiti neri da lutto non facevano che peggiorare la cosa.
Io e mia madre sedevamo al tavolo della cucina sparecchiato dalla colazione. L’urna di nonna era un’inquietante soprammobile al centro della tovaglia a fiori.
C’era un silenzio pesante e malinconico, rotto soltanto dal ticchettio dell’orologio attaccato alla parete a ricordarci che eravamo in ritardo come al solito.
Mi alzai e misi una mano sulla spalla di mia madre. -Andiamo dai. Se arriviamo in ritardo pure al suo funerale tornerà dall’oltretomba e ce lo rinfaccerà per sempre.-
Lei si mise a ridere, cosa che non le vedevo fare da giorni. -Hai ragione. Ma te lo immagini? Riesco già a sentire la sua voce!-
Mi guardò serissima e poi esclamò -Voi altri! Siete sempre in ritardo! Addirittura al mio funerale. Ohi ohi, ma come si fa-
Guardammo entrambe verso l’urna un po’ nostalgiche. -Sì, lei avrebbe detto esattamente così.-
Prendemmo le nostre giacche, io presi le ceneri e uscimmo di casa.
Nel tragitto fino da casa alla chiesa non parlammo molto. Mia madre aveva lo sguardo perso fuori dal finestrino e mio padre ogni tanto toglieva una mano dal volante per stringere la sua.

Per tutti gli anni in cui l’avevo conosciuta, non ero mai riuscita a capire quanto -e se- mia nonna fosse credente. Ricordo che quando ero piccola si svegliava tutti i giorni alle cinque del mattino per leggere il rosario, e che ogni volta che passavamo davanti ad una chiesa, anche la più piccola e insignificante, lei si faceva il segno della croce; ma non l’avevo mai vista andare a messa, e a differenza dell’altra mia nonna, non aveva mai provato a farmi leggere la Bibbia regalandomene una coppia illustrata. Quindi, quando scegliemmo la chiesa in cui celebrare la funzione, non essendo noi pratici con certe questioni, non avevamo la più pallida idea di quale parroco interpellare.
Alla fine, a celebrare la messa sarebbe stato un anziano signore di una chiesetta in centro, senza troppe pretese. Gli avevamo parlato un po’ di mia nonna, e mentre lui si sarebbe occupato della parte prettamente religiosa, noi avremmo pensato ai discorsi e via dicendo.
Invitammo i fratelli ancora in vita di Lucinda, che da 8 erano passati a 5 nel giro di poco tempo, alcuni vicini di casa (ma solo i più simpatici) e altri familiari.


Quando arrivammo in chiesa, tutti gli invitati uno alla volta ci fecero le condoglianze, e i loro vestiti neri non facevano che mettermi ancora più tristezza.
Durante la funzione non piansi. Mentre le parole del prete scorrevano per me insignificanti, dette da un uomo che non l’aveva mai conosciuta, riuscivo solo a pensare a quanto lei fosse stata una persona fantastica e sempre buona per tutte le persone che erano venute a darle un ultimo saluto. C’erano addirittura quei prozii che la chiamavano solo per dare gli auguri di Natale una volta ogni due anni, con gli occhi gonfi di pianto e un fazzoletto usato nella mano.
Mio cugino, che ormai aveva 16 anni, tirava su col naso, anche se sembrava anche lui abbastanza distante dalle parole del parroco.
Quando le preghiere finirono, iniziarono i nostri brevi discorsi, uno dei quali era il mio.
Quando mi affiancai al prete, vidi tutta quella gente, tutti quei parenti, quelle persone che anche io conoscevo da quando ero piccola, e iniziò a salirmi il magone. Quando iniziai a parlare, non seguii affatto la scaletta che mi ero preparata.
-Lucinda, Lucy, mia nonna, era una persona straordinaria. Chiunque sia qui oggi sa quanto lei facesse per gli altri senza mai chiedere niente in cambio, nonostante spesso lei stesse male per questo. Sapete quanto fosse buona e quanto si preoccupasse. Metteva me, Edmund, i suoi figli, le sue sorelle, davanti a se stessa. A casa sua era sempre pronta ad aggiungere un posto a tavola a chi glielo chiedeva gentilmente. Era in grado di dirti che non aveva niente da mangiare e che ti saresti dovuto accontentare, per poi preparare un pranzo che ti lasciava sazio per una settimana. Sapeva allungarti la paghetta senza farsi notare come nessun’altro. Giuro che l’ha fatto anche il giorno del ventunesimo compleanno, nonostante fossimo sole.-
Tutta la famiglia rise.
-Non c’è bisogno che io ripeta quanto fosse fantastica, perché se siete qui lo sapete già. Lei era una donna forte, e lo è stata fino all’ultimo.
Voglio ricordarla esattamente così. Come quando mi rimproverava per aver fatto qualcosa di male, ma subito dopo mi abbracciava dicendomi “ti voglio bene”. O quando mi lasciava cambiare canale a tavola anche se stavano trasmettendo il suo programma preferito. Voglio ricordarla come la nonna rompiscatole che cercava a modo suo di prepararmi alla vita, e che si arrabbiava quando non mi raccoglievo i capelli in casa sua.
L’ultima cosa che mi ha detto è stata “ti voglio bene, Nicole” e non c’è ricordo più bello che io possa avere.-
Ora guardavo gli altri, e tutti piangevano. Mio cugino, mio zio, le mie prozie, le vicine di casa. Anche io piangevo. E lì in prima fila, accanto a mia madre tenendole la mano, l’unica donna forte di tutta la sala.
Al ricevimento, dopo che altri parenti che non erano potuti venire alla cerimonia mi avevano fermato per le condoglianze, mi avvicinai da lei.
Seduta sul divano, occhiali da vista appesi al collo, capelli corti e bianchissimi e tenuti all’indietro, c’era Rosalee.
Da che ne ho memoria, Rosalee è sempre stata la migliore amica di mia nonna.
Mi raccontavano delle giornate passate a insegnare a mia madre a cucirsi un vestito, o delle chiacchierate nella scala, o meglio ancora ricordo di quando io ero piccola e lei mi regalava libri pop-up, colori e altri bei giochi. Quando avevo quattro anni mi ero pure fatta la pipì addosso a casa sua, che vergogna.
10 anni prima, suo marito Robert era morto di cancro e da allora lei e Lucinda erano diventate ancora più legate. Entrambe vedove per via dello stesso male, avevano portato la loro amicizia al livello del “tu” e delle colazioni insieme alle 8 del mattino.
Era come una seconda nonna per me.
Mi sedetti accanto a lei.
-Be’, come stai?- mi chiese offrendomi gli stuzzichini che teneva in mano. Ne presi un paio. -Be’, sai, potrei stare meglio- le risposi ironica.
-Non mi rimangono più amiche adesso, lo sai?- disse dopo un istante di silenzio. -Lei era l’ultima. Mi sa che tocca che anche io muoia, insomma, ormai ho anche una certa età.- continuò, guardandomi alzando le sopracciglia. -Prima o poi tocca a tutti purtroppo. Succede che qui non hai più niente da dare. Tutti sono sistemati, hai reso felici tutti quelli che potevi per quanto potevi. E’ così. Il cerchio della vita.-
-Lo so Rosa, ma in questi giorni sto iniziando a chiedermi come farò senza le sue lamentele sul perché non ho ancora trovato un marito, o sul fatto che secondo lei non so fare la lavatrice a dovere.-
-Se vuoi ci penso io- rise di gusto. -Sono proprio brava a fare la rompipalle!-
-Oooh ci posso scommettere.-
Mi alzai, lasciandola lì a mangiare le sue patatine, mentre la prozia Eleine si avvicinava per lamentarsi del suo mal di schiena.
Passai attraverso un gruppo di vicine che non avevo mai incontrato, e sentii mio padre raccontare l’imbarazzante storia della prima volta che mamma l’aveva portato a casa.
-E quindi sì: rovesciai il caffè! Fu un disastro!- Tutti i miei zii risero. -Sì, Al, sulla tovaglia nuova. Ve lo giuro, la signora Lucinda voleva uccidermi con gli occhi.-
Sentire quella storia era sempre un grande spasso.
Andai in cucina per vedere se mia madre avesse bisogno di aiuto.
La trovai intenta a scambiarsi ricette con mia zia e decisi di non disturbarla.
Quando tutti furono ormai andati via, sistemai la casa e diedi la buonanotte ai miei. Sarei rimasta con loro quella sera.
Continuavo a rigirarmi nel letto. Ripensavo alla giornata passata, al magone che avevo provato al funerale e mentre lì, in quella casa così familiare, fissavo le foto che erano state appese nelle stanza, quasi a voler colmare la sua assenza. In un certo senso, sembrava che non riuscissi a lasciarla andare. Ma come potevo dopo così poco? Appeso alla sedia c’era il berretto rosso che lei mi aveva fatto. Sembrava un ricordo così lontano, appartenente ad un’altra vita.
Poi ripensai a Rosalee: “Non mi rimangono più amiche adesso, lo sai? Lei era l’ultima.”
Era un’affermazione molto triste, che lei aveva detto con molta leggerezza e consapevolezza, come se ormai fosse preparata a quell’eventualità.
Non lo vidi come un atteggiamento cinico, piuttosto mi incuriosì. Loro erano state amiche per più di quarant’anni.
R0salee doveva conoscere mia nonna come nessun’altro.
Mi resi conto di non conoscerle bene. Per quanto fossi legata ad entrambe, tra la loro amicizia c’era sempre stato un alone di mistero, di riservatezza inviolabile. Ogni qualvolta avevo chiesto a Lucinda di parlarmene, le sue risposte erano state vaghe, anche se la sua voce si riempiva sempre di commozione e i suoi occhi si facevano lucidi.
Decisi che non ero pronta a lasciarla andare, non ancora.
Avrei chiesto a Rosalee di aiutarmi a risolvere il mistero che era diventata mia nonna. Ne avevo bisogno. Dovevo tenere la mente impegnata e il suo ricordo ancora vivo.

 
E' la prima volta che cerco di mandare avanti una storia a più capitoli, quindi non so dove tutto questo mi porterà.
Sono particolarmente legata alla trama, perchè se così si può dire per me ha quasi un valore affettivo.
Ogni consiglio è ben accetto, quindi vi chiedo eventualmente di lasciare una piccola recensione.
Grazie per essere arrivati fino a questo punto, e spero arriverete al prossimo capitolo ^^

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