Fin dal primo sguardo

di Selena Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giochi di bambini ***
Capitolo 2: *** Nuovi amici e nuovi dolori ***
Capitolo 3: *** Lucille tesoro ***
Capitolo 4: *** Amici ***
Capitolo 5: *** Fratelli ***



Capitolo 1
*** Giochi di bambini ***


Disclaimer: Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Le ambientazioni e in generale l’intero universo in cui si muovono i personaggi non mi appartengono, così come la maggior parte dei cognomi che troverete nella storia. Tuttavia, i personaggi sono tutti di mia creazione e di questi rivendico la proprietà nonché l’uso esclusivo.

 

Capitolo 1

Giochi di bambini

Lucille Nott sedette sull’erba senza preoccuparsi del vestitino bianco che avrebbe potuto sporcare; in quel momento aveva problemi più urgenti da risolvere e le lacrime che solcavano il suo visetto le impedivano di concentrarsi a dovere.

Non capiva perché suo fratello Oliver l’avesse scacciata in malo modo, impedendole di giocare con lui e i suoi amici; cosa significava che era troppo piccola? Aveva compiuto sei anni la settimana scorsa e lui ne aveva solo sette.

Lucille posò la testa sulle braccia e singhiozzò con forza. Aveva pensato che a quella festa in giardino si sarebbe divertita, libera di correre e giocare, invece le sue aspettative erano state deluse: non aveva amici con cui scherzare, il caldo soffocante non le dava tregua neanche all’ombra e gli adulti non si curavano di lei, intenti a discorrere di argomenti che Lucille non capiva.

«Perché piangi?»

Una voce sconosciuta si fece strada fra i pensieri di Lucille, che sussultò sorpresa; era certa che, in quell’angolino nascosto del cortile, nessuno l’avrebbe vista né sentita.

Davanti a lei c’era un bambinetto paffuto che doveva avere all’incirca la sua età. Aveva i capelli neri e gli occhi azzurri, e in mano teneva un dolce mangiato per metà. Il lato destro della sua giacchetta era pieno di briciole e istintivamente Lucille arricciò il nasino davanti a quella mancanza di buone maniere.

«Ti stai sporcando i vestiti» replicò infine, scacciando le lacrime ormai secche che ancora le rigavano le guance. «Non sta bene mangiare in quel modo, avresti dovuto procurarti un piattino».

Il bambino abbassò lo sguardo, ma l’ispezione dei propri vestiti non dovette turbarlo più di tanto perché sorrise e scrollò le piccole spalle con noncuranza. Forse, pensò Lucille, aveva una mamma meno severa della sua.

«Allora, perché piangevi?» insistette il bimbo.

«Perché mio fratello dice che sono troppo piccola per giocare con lui e con i suoi amici, ma lui ha solo un anno in più di me!» confessò Lucille con la voce resa acuta dall’indignazione. «E un suo amico ha aggiunto che non volevano una femmina nel gruppo».

Ripensando a quelle offese, un broncio di disappunto si fece strada sul viso di Lucille; a casa Oliver giocava sempre con lei e Meryl perché gli altri fratelli Nott erano troppo piccoli per essere inclusi in tutti i loro giochi, specie nelle esplorazioni delle soffitte.

«Puoi giocare con me e mio cugino» disse ancora quel bambino curioso. «Abbiamo appena fatto amicizia con Marcus».

«Ma io non ti conosco!» esclamò Lucille, chiedendosi anche chi fosse questo Marcus.

La mamma e il papà erano stati molto chiari con lei e i suoi fratelli, asserendo di non volere che i propri figli facessero amicizia con bambini che non fossero Purosangue. Lucille non sapeva bene cosa quel termine significasse, ma la nonna le aveva spiegato che i Purosangue avevano entrambi i genitori dotati di poteri magici.

«Sono Nathaniel Greengrass» si presentò il bambino, allungando verso di lei una manina paffuta e coperta di briciole.

L’espressione disgustata di Lucille parlava da sé e Nathaniel, resosi conto della situazione, strofinò con noncuranza la mano sul lato pulito della giacca. Lucille tese la sua manina con circospezione e mormorò il proprio nome.

«Non conosci nessuno qui, a parte tuo fratello?» chiese Nathaniel osservandola con la stessa curiosità di cui lei l’aveva fatto oggetto poco prima.

«No; sarebbe dovuta venire anche mia sorella maggiore, ma stamattina non si è sentita bene ed è rimasta a casa assieme ai più piccoli» spiegò Lucille velocemente.

«Hai altri fratellini a casa?»

«Ho due sorelle gemelle, un fratello di tre anni e una sorellina di uno» disse Lucille tenendo il conto con le dita.

Nathaniel sgranò gli occhi ed esclamò, sorpreso: «Siete in sette? Dev’essere meraviglioso!»

Lucille sorrise con gentilezza, limitandosi ad annuire con un educato cenno del capo. Aveva visto la mamma farlo tante volte ed era felice di aver trovato un’occasione in cui poterla imitare.

Nathaniel la guidò fino a un piccolo gazebo attorno al quale si rincorrevano bambini di tutte le età, raccontandole in continuazione della sua famiglia e di quello che succedeva a casa sua. A Lucille era stato proibito di discutere della famiglia con gli estranei e non si capacitava di come facesse il ragazzino a parlarne come se niente fosse.

«Lui è mio cugino, Vincent Baston» disse Nathaniel quando raggiunsero due bambini intenti a rincorrere un Boccino d’Oro che svolazzava al di sopra delle loro teste. «E questo qui è Marcus Potter, lo abbiamo conosciuto oggi».

Lucille tese nuovamente la manina, quasi aspettandosi di essere respinta. I due bambini invece la salutarono con un sorriso e la coinvolsero subito nel gioco, incitandola ad acchiappare il Boccino.

Il tempo passò velocemente e, con la semplicità tipica della loro giovane età, la maggior parte dei bambini presenti alla festa finì col fare amicizia. Lucille non aveva mai avuto tanti compagni di gioco come in quel giorno né si era mai divertita tanto; impiegò poco a dimenticare tutte le regole sul buoncostume che aveva faticato a imparare, ridendo spensieratamente e rotolandosi sull’erba verde del prato.

«Guarda come ti sei ridotto, pasticcione che non sei altro!» esclamò una voce all’improvviso, facendo prendere uno spavento a Lucille.

Un ragazzo più grande con lunghi capelli neri e vivaci occhi azzurri si era avvicinato di soppiatto, sollevando Nathaniel fra le braccia e facendolo ridere. Assomigliava molto a Nathaniel e Lucille si ricordò che in precedenza il bambino aveva affermato più volte di avere un fratello maggiore con cui, stando a quanto diceva, ne combinava di tutti i colori.

«Mettimi giù, Michael!»

«Dovremo rimettere a posto i tuoi vestiti prima che la mamma li veda» affermò Michael con un sorriso, salutando Vincent che si era subito unito a loro. «Avete fatto amicizia con tutti i bambini presenti, a quanto vedo».

Lo sguardo di Michael abbracciò i presenti e il giovane annuì, apparentemente compiaciuto. Subito dopo tirò fuori la bacchetta e borbottò ‘Gratta e netta!’ svariate volte, fino a quando la maggior parte delle briciole sulla giacca di Nathaniel non furono svanite.

«Dov’è finita la tua giacchetta, Vincent?» chiese afferrando il cuginetto per un braccio e cominciando a rimuovere le macchie di cibo sulla sua camicia.

«L’avevo poggiata laggiù» disse Vincent indicando col dito una panchina poco lontana. «Avevo caldo e non riuscivo a prendere il Boccino».

«Volete che vi aiuti a sistemarvi?» disse infine Michael Greengrass facendo cenno di avvicinarsi a Lucille e a un altro bambino al suo fianco, Livius Malfoy.

Livius si era unito al loro gruppo poco dopo Lucille, trascinandosi dietro la sorellina più piccola che non aveva spiccicato una parola. Lucille credeva che non si fosse veramente divertito, impegnato com’era a rialzare la sorella ogni volta che finiva a terra; quest’ultima, che Livius aveva presentato come Georgiana, lo allontanava ogni volta con un gesto impaziente della manina, determinata a farcela da sola.

Mentre Michael faceva sparire le macchie d’erba più grandi che imbrattavano il vestitino di Lucille, lei fissava con una punta d’invidia la piccola Georgiana che, nonostante fosse caduta più volte, era riuscita in qualche modo a far rimanere inamidato il suo abitino bianco.

«Grazie, sei stato molto gentile» trillò Lucille a lavoro finito, osservando il suo vestito con soddisfazione; adesso la mamma non avrebbe potuto sgridarla, pensò, ignara delle macchie verdi sul retro.

«È stato un piacere» disse Michael con un sorriso che ricordava molto quello del fratello minore. «Finché non cambieranno la legge e ci sarà consentito fare magie fuori dalla scuola sono pronto a venire in vostro soccorso».

Sentendo quelle affermazioni Nathaniel scoppiò a ridere, mentre Lucille si limitò a sorridere educatamente; non era certa di aver capito a cosa si riferisse il ragazzo e il papà le aveva raccomandato più volte di non intervenire quando gli adulti menzionavano questioni che lei non poteva comprendere, evitando così di fare una brutta figura.

«A te non serve aiuto?» si informò Michael gentilmente, sorridendo alla piccola Malfoy.

Georgiana lo guardò per qualche momento con quei suoi grandi occhi grigi che sembravano troppo adulti per appartenere a una bambina, poi scosse il capo e riprese a fissare il sole che si abbassava sull’orizzonte.

«Georgiana non ha mai parlato» spiegò Lucille con aria d’importanza, felice di avere finalmente qualcosa da dire. «Ha giocato con noi ma non ci ha mai rivolto la parola. È stato suo fratello a dirci il suo nome».

Michael annuì lentamente dopo che Lucille ebbe terminato il suo discorsetto, trattenendosi dal ridere apertamente dei modi pomposi della bambina.

«Tu invece ti chiami…?»

«Lucille Nott» rispose subito la bimba tendendo la manina con fare elegante.

«Lucille è stata bravissima» disse Nathaniel guardandola con ammirazione. «È riuscita a prendere il Boccino per tre volte!»

«Ti ringrazio» replicò Lucille educatamente, non mancando però di scoccare un lieve sguardo di biasimo al ragazzino per il modo un po’ brusco con cui si era inserito nella conversazione. Nathaniel naturalmente non se ne accorse e continuò a osservarla con un sorriso beato impresso sul volto.

«Bene, sono certo che sentiremo parlare molto di te in futuro, Lucille» disse infine Michael, prendendo per mano sia Vincent che Nathaniel per condurli dai loro genitori, pronti ad andarsene.

Anche la mamma di Lucille si stava avvicinando al gazebo, trascinandosi dietro un imbronciato Oliver, e la bambina salutò con allegria i suoi nuovi amici.

«Ci vediamo presto, Lucille!» esclamò Nathaniel, agitando freneticamente la mano. «Puoi venire a casa mia a giocare a Quidditch. La mia nuova scopa si alza di un metro!»

«Chi è quel bambino, Lucille?» domandò la mamma con voce imperiosa, sistemando alcune ciocche di capelli che erano sfuggite al fiocco con cui li aveva acconciati quel pomeriggio.

«Un nuovo amico» mormorò la bambina, sperando che i suoi genitori non avessero nulla in contrario verso quella famiglia. «Si chiama Nathaniel Greengrass».

La mamma approvò con voce bassa e calma la sua nuova conoscenza, ma non ritenne appropriato concedere a Lucille il permesso di giocare a Quidditch.

«Ne riparleremo quando sarai più grande» spiegò tacitando le proteste della bambina. «Per ora è meglio che giochiate mantenendo i piedi per terra».

Lucille non aggiunse altro perché sapeva che altrimenti sarebbe finita in punizione, ma scambiò uno sguardo complice con Oliver che aveva seguito la conversazione in silenzio. C’era quella vecchia scopa che avevano scovato nella soffitta insieme a Meryl la settimana scorsa e, se non si fossero fatti scoprire né dai loro genitori né dalla loro Elfa ormai troppo anziana per seguirli, avrebbero potuto giocare quanto volevano, in attesa di diventare grandi.

 

 

 

 

Note dell’autrice.

Questa storia nasce come spin-off de “Il Leone e la Fenice” per coinvolgere maggiormente una coppia di personaggi, Nathaniel e Lucille, che lì si trovano in secondo piano. Per la comprensione della storia è necessario leggere quella principale, perché naturalmente molte cose qui verranno date per scontate e perché non verrano descritti gli epidosi già narrati nella storia principale.

Cercherò di aggiornare la storia il più frequentemente possibile, almeno per quanto riguarda i primi capitoli pensati più come una sorta di lunga introduzione, ma tutto dipenderà dai turni che mi assegneranno col nuovo lavoro.

Sarei felice di leggere qualche parere su questo primo capitolo e di conoscere le vostre impressioni, qualora abbiate qualche minuto di tempo da dedicarmi.

A presto,

Selena

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Capitolo 2
*** Nuovi amici e nuovi dolori ***


Capitolo 2

Nuovi amici e nuovi dolori

Hogwarts, settembre 1831

Lucille uscì dalla Sala Grande in compagnia delle sue nuove amiche, Cornelia Menelli e Catherine Macmillan. Le aveva conosciute durante la loro prima sera a Hogwarts dopo lo Smistamento e da allora erano diventate inseparabili.

Già in quei primi giorni Lucille aveva capito che Catherine era una bambina molto riservata invece Cornelia, nonostante non rivelasse molte cose di sé, era disposta a fare conversazione e ascoltava con pazienza le chiacchiere infinite di Lucille, sostenendo che fosse un ottimo modo per imparare meglio l’inglese.

Anche altri amici dell’infanzia di Lucille erano stati smistati a Grifondoro, incluso Nathaniel Greengrass che aveva preso la brutta abitudine di salutarla ogni volta che si incrociavano nei corridoi. Lucille non riusciva a capire il perché e spesso si era trovata a desiderare che diventasse muto come il suo amico, lo strano ragazzino danese di cui tutta Hogwarts parlava.

Lucille naturalmente sapeva tutto di lui e si era affrettata a condividere quelle informazioni con le sue nuove compagne fin dal secondo giorno: il bambino straniero si chiamava John Christensen e proveniva da un’agiata famiglia danese, era rimasto recentemente orfano di madre e non era stato accettato nella sua scuola per via dei suoi pericolosi poteri oscuri.

All’ultima affermazione Catherine era scoppiata a ridere con ben poca grazia mentre le sopracciglia brune di Cornelia si erano sollevate in due identici archi, permettendo a un’espressione scettica di farsi strada sul suo volto pallido.

«Vi dico che è la verità!» insistette Lucille con forza quella mattina, tirando nuovamente fuori quell’argomento. «Mio fratello Oliver ne parlava con i suoi amici e io ho sentito tutto; non ci sono dubbi, quel bambino è pericoloso».

«Lo state giudicando solo perché è silenzioso» disse Cornelia con quel morbido, lieve accento straniero. «Magari è molto riservato e non conosce molte persone; con chi potrebbe parlare?»

Lucille borbottò contrariata mentre si dirigevano alla lezione di Trasfigurazione, ma le altre due erano troppo intente a cercare di ricordare la strada giusta per prestarle la dovuta attenzione. Le loro elucubrazioni furono infine interrotte dall’arrivo di un gruppetto compatto di Grifondoro del loro stesso anno e dalla voce squillante di Nathaniel.

«Buongiorno Lucille!» esclamò nell’istante in cui la vide. «Sei pronta per seguire Trasfigurazione?»

Lucille annuì svogliatamente, troppo stanca per replicare; era la terza volta che la salutava quella mattina.

Il gruppetto di ragazzi le superò e Cornelia li seguì con lo sguardo, suggerendo che probabilmente loro conoscevano la strada.

«Io invece ricordo che dovevamo svoltare a sinistra» disse Catherine con una smorfia decisa. «Loro stanno proseguendo verso il piano superiore».

«Possiamo girare a sinistra più avanti» disse Nathaniel dopo una breve esitazione. «C’è una scorciatoia, Johnny l’ha scoperta alla fine dell’ultima lezione… ehi, Johnny! Vieni qui un momento, per piacere!»

«Greengrass!» sibilò Lucille, sconvolta. «Non puoi chiamare una persona in quel modo come se fossi un venditore ambulante! Non è un comportamento educato».

Il ragazzino riuscì a sfoggiare un timido sorriso di scuse prima di scrollare le spalle con noncuranza, intento com’era a spiegare quando, come e perché fossero venuti a conoscenza della scorciatoia. John Christensen parve non avere nulla da aggiungere, si limitò a stare fermo lì con la tipica espressione annoiata che così spesso si scorgeva sul suo viso.

«Piacere, io sono Cornelia Menelli» disse Cornelia una dopo che Nathaniel, terminato il suo racconto, le aveva convinte a seguirli verso il piano superiore. «Non abbiamo ancora avuto modo di presentarci dalla sera dello Smistamento».

Lucille boccheggiò silenziosamente per l’orrore, incapace di protestare per la gran quantità di pensieri che le si affollavano nella mente: innanzitutto Cornelia non avrebbe mai dovuto presentarsi in quel modo e Lucille era certa che lo sapesse, perché solitamente era molto educata e compita; e poi era completamente sbagliato il suo desiderio di far conoscenza con quel ragazzo silenzioso e schivo che sembrava non conoscere nemmeno le regole basilari dell’educazione – Lucille era quasi certa di non averlo mai sentito mormorare un ‘Buongiorno’ durante quelle prime mattine mentre si accomodava al loro tavolo per la colazione.

Il ragazzino danese sembrò colpito dall’audacia della sua piccola compagna, tutta capelli e occhi scuri, e un luccichio diverso accese per un momento quegli incredibili occhi blu. Quasi nessuno si era premurato di fare amicizia con lui intuendo, dalla fretta con cui abbandonava le aule alla fine delle lezioni o la Sala Grande alla fine dei pasti, il desiderio di rimanere da solo; nessuno tranne, neanche a dirlo, Nathaniel Greengrass, il cui bisogno di stringere nuove amicizie aveva un che di patologico.

«John Christensen, piacere» fu la breve risposta che Cornelia ottenne, ma nessun sorriso si fece strada su quel volto affilato per ricambiare il suo.

John Christensen era indubbiamente un bambino molto bello, più degli altri inglesi che affollavano la scuola; era più biondo degli altri, più alto degli altri, i suoi occhi avevano una sfumatura di blu a dir poco insolita e i suoi tratti erano una strana combinazioni di lineamenti adulti e infantili che catturava lo sguardo; restava però la questione del suo carattere e della sua inclinazione verso la magia oscura, e Lucille non riuscì a capacitarsi di come Cornelia non prendesse sul serio i suoi avvertimenti.

«Ora che vi conoscete tutti possiamo andare a lezione» disse Nathaniel con allegria, dopo aver costretto anche Catherine e Lucille a presentarsi. «Temo che la professoressa Doge non tolleri il ritardo».

Non aveva neanche finito di parlare che già John era scattato in avanti, avanzando a rapide falcate lungo il corridoio e distanziandoli in un batter d’occhio; le tre bambine si scambiarono un rapido sguardo, perplesse e spaesate.

«Johnny ancora non ci conosce bene, credo che abbia bisogno di tempo per fidarsi» affermò Nathaniel senza scomporsi. «Sto cercando di diventare suo amico da un paio di giorni e sono certo che presto si convincerà».

«Ma è un mago oscuro molto famoso nel suo paese!» spiegò in fretta Lucille, incapace a quel punto di trattenersi. «È per questo motivo che si trova qui anziché in Danimarca: non è stato ammesso nella sua scuola per via dei suoi poteri».

«Chi ti ha detto queste sciocchezze, Lucille?» chiese Nathaniel con una voce seria che raramente usava. «Johnny non è affatto come lo descrivi e se hai ulteriori dubbi puoi chiedere conferma a Marcus e Vincent; siamo nello stesso dormitorio e non abbiamo mai avuto motivo di lamentarci di lui».

Lucille arricciò il nasino con fare infastidito e voltò il capo, offesa per essere stata redarguita a quel modo; pensò di trovare conforto e comprensione in Cornelia, ma lei disse solo: «Te l’avevo detto che non era un mago oscuro» con una tale fermezza negli occhi castani da far accantonare definitivamente la questione.

*

La pioggia battente ostacolava l’avanzare di Nathaniel, a cui si aggiunse anche un forte vento contrario che sembrava volergli suggerire di rientrare immediatamente al castello e lasciar perdere John Christensen e i suoi problemi. E ad essere sincero, Nathaniel avrebbe di gran lunga preferito essere nella Sala Comune a godersi il calore emanato dal camino mentre era sprofondato in una molle poltrona, senza doversi preoccupare dei compiti perché avevano a disposizione tutto il fine settimana per terminarli.

Eppure vedere quel bambino sempre da solo e sapendo cosa gli fosse successo – Nathaniel non poteva nemmeno immaginare come potesse sentirsi avendo perso la mamma – considerava come suo dovere quello di diventare suo amico, perché non era giusto che passasse sette anni in completa solitudine. Inoltre anche Vincent e Marcus erano curiosi e ansiosi di conoscerlo, e fu grazie a quella determinazione che Nathaniel continuò ad avanzare fino a raggiungere il solitario albero nell’angolo più isolato del lago, dove gli era parso di vedere Johnny sgattaiolare qualche giorno prima.

Lo trovò proprio lì, seduto e perfettamente al riparo dalla pioggia scrosciante, biondo e imbronciato come al solito.

«Credo che il lago potrebbe strabordare da un momento all’altro!» esclamò Nathaniel contenendo a fatica l’eccitazione. «Sarebbe un’esperienza fantastica!»

«Che cosa ci fai qui?» sibilò Johnny scattando in piedi con un agile movimento. «Mi hai seguito?»

Nathaniel tentennò, realizzando di aver commesso un errore; più di una volta Michael l’aveva ammonito a rispettare gli spazi altrui, perché non tutti volevano diventare suoi amici l’attimo dopo averlo conosciuto.

«Sì… cioè mi sembrava averti visto camminare in questa direzione l’altro giorno…» balbettò Nathaniel, arrossendo penosamente. «Ho pensato che volessi avere un po’ di compagnia…».

«Se avessi voluto stare in compagnia, sarei rimasto nella Sala Comune» soffiò Johnny con logica impeccabile, affilando lo sguardo e sfidandolo a replicare ancora.

Nathaniel si strinse nel mantello e si dondolò ansiosamente sui talloni, cercando in tutta fretta una risposta adeguata che non facesse infuriare ancora di più il ragazzino danese.

«È vero» assentì infine umettandosi le labbra, «però passi più tempo qui anziché nella Sala Comune; così ti sarà molto difficile farti degli amici».

«Chi dice che voglio avere degli amici?»

«Be’, non puoi restare da solo per i prossimi sette anni…».

Johnny abbassò lo sguardo e si sedette nuovamente ai piedi dell’albero, avvicinando le ginocchia al petto e poggiandoci sopra la testa; era chiaro che stesse riflettendo su quelle parole e Nathaniel comprese che era quello il momento in cui più doveva insistere.

«Mi hanno fatto delle domande per via del mio cognome» borbottò infine Johnny. «Prima di entrare nel tuo scompartimento avevo trovato posto in un altro, ma le persone che c’erano continuavano a chiedere informazioni sulla mia famiglia, come se fossi così avventato da confidarmi con degli estranei».

Era vero, ricordò Nathaniel improvvisamente, Johnny aveva bussato alla porta dello scompartimento che lui aveva occupato assieme a Vincent e Marcus dopo un’ora circa dalla partenza. Non trovandolo vuoto, aveva fatto una smorfia scontenta e poi aveva chiesto di potersi sedere lì perché nel resto del treno c’era troppa confusione.

«Noi non vogliamo farti nessuna domanda» si affrettò a precisare Nathaniel. «Non devi raccontarci nulla per diventare nostro amico».

«Noi

«Parlo anche a nome di Vincent e Marcus» spiegò. «Vincent è mio cugino…».

«L’avevo intuito, siete identici» lo interruppe Johnny con tono di superiorità.

«…e Marcus è nostro amico da molti anni. Sarebbe brutto se l’unica persona del nostro anno con cui non potessimo fraternizzare fossi tu. Ti prometto che non saremo invadenti».

L’ultima affermazione fece sorridere Johnny e, inaspettatamente, il bambino annuì un paio di volte, dichiarandosi d’accordo con quanto affermato dal suo interlocutore.

«Fantastico!» esclamò Nathaniel, saltellando addirittura per la gioia. «Ehm… ti dispiace se rimango un po’ qui prima di rientrare? La strada è lunga e sta ancora piovendo forte».

«Sì, sì, siediti» disse Johnny con un gesto d’impazienza. «Rammenta però di non parlare di questo posto con tutte le persone che conosci; non voglio doverne cercare un altro».

«Ma adesso che siamo amici…».

«Mi è sempre piaciuto passare del tempo da solo» ribatté Johnny troncando sul nascere la replica di Nathaniel. «Avere degli amici non significa che debba effettuare delle modifiche nelle mie abitudini».

«Certo, certo» borbottò Nathaniel senza capire una sola parola, concentrato com’era ad accomodarsi sul terreno asciutto e cercando un argomento che fosse alla sua portata. «Hai ragione tu. Allora, qual è la tua materia preferita finora?»

«Difesa contro le Arti Oscure» replicò subito Johnny con gli occhi accesi dall’entusiasmo. «Non vedo l’ora che comincino a mostrarci qualche incantesimo veramente complicato, ma credo non ce ne siano molti al primo anno…».

*

Hogwarts, ottobre 1833

Il gruppo composto da quattro Grifondoro del terzo anno superò quello di Lucille e delle sue amiche, guadagnando subito l’entrata nella Sala Grande e prestando scarsa considerazione alle proteste delle ragazze, costrette a spostarsi.

«Buonasera, Lucille» disse Nathaniel Greengrass, l’unico ad aver notato, come sempre del resto, la sua presenza. «Dovete scusarci, Johnny e Vincent hanno sempre fame dopo gli allenamenti…».

Se ne andò via con un sorriso di scuse, raggiungendo in fretta gli altri prima che si accomodassero al tavolo.

«Anche Cornelia ha gli allenamenti, eppure non dimentica mai le buone maniere» precisò Lucille con voce acuta, ma nessuno all’infuori delle sue amiche la udì. Erano tutti eccitati per la gita a Hogwarts del giorno successivo, in particolar modo gli studenti del terzo anno che avrebbero avuto la possibilità di visitare il villaggio per la prima volta.

«Quindi sei sicura che rifiutare l’invito di Davies sia stata una buona idea?» attaccò Lucille nel momento in cui presero posto, determinata a non archiviare la questione che considerava di vitale importanza.

«Lasciala mangiare in pace!» sbottò Clarisse con uno sbuffo ben poco signorile, beccandosi un’occhiataccia che la avvertiva della breve predica sul buon costume che avrebbe ricevuto una volta che fossero tornate nella Torre.

«Lucille, non ho ancora compiuto quattordici anni; mi sembra prematuro visitare il villaggio con la sola compagnia di un altro studente» ripeté Cornelia per la quinta volta. «Inoltre Davies non mi piace affatto; è troppo arrogante e Lucretia lo ha sentito chiedere di uscire anche a Lydia Turpin due ore dopo il mio rifiuto».

Lucille sapeva di non poter controbattere a quella affermazione, perché la sincerità di Lucretia Paciock non era mai stata in discussione; lei e Clarisse Prewett si erano aggregate al loro gruppetto già dal primo anno, dopo il primo mese di lezione, e da allora le cinque amiche erano diventate quasi inseparabili.

Lucretia confermò con un elegante cenno del capo e il classico sorriso dolce capace di infondere pace anche all’animo più esuberante.

Ma non a quello più curioso.

«Io trovo che sia piuttosto affascinante» sentenziò imperterrita Lucille, decisa ad ottenere qualche altra spiegazione che potesse ritenere soddisfacente.

«Probabilmente preferisco i biondi» scherzò Cornelia con una scrollata di spalle, venendo colta alla sprovvista dal gemito afflitto che levò Lucille e che spaventò buona parte dei Grifondoro presenti.

«Oh, no» pigolò poco dopo, badando a farsi udire solo dalle quattro ragazze. «Se fosse vero, allora neanche Livius Malfoy avrebbe speranze! E io che credevo ti saresti fidanzata con lui entro il sesto anno!»

Risero tutte dello sgomento di Lucille mentre Cornelia si premurava di rassicurarla circa i suoi sentimenti nei confronti del giovane Malfoy, che considerava come un semplice amico. Qualche posto più avanti Nathaniel osservava con un sorriso l’allegria delle ragazze, e sempre più spesso il suo sguardo si soffermava sui lineamenti delicati di Lucille e sulle sue labbra sottili che si muovevano frenetiche, intente a snocciolare un nuovo argomento.

«Non trovi che sia molto carina?»

«Chi?» disse Johnny senza alzare la testa dal piatto colmo di patate e pollo.

«Lucille Nott».

Lo sguardo di Johnny scivolò indifferente sulle cinque compagne, degnandole quasi tutte di una rapida occhiata che durò appena il tempo di un battito di ciglia.

«Credo che le più carine siano Catherine Macmillan e Cornelia Menelli» affermò infine tornando al suo pollo. «Cornelia in particolare è molto diversa dalle altre; non ho mai visto nessuna come lei».

«Io penso che Lucille sia veramente bella» stabilì Nathaniel con un ultimo sorriso. «Immagino invece che non ci siano molte persone in Danimarca con gli occhi scuri come quelli di Cornelia, eh?»

«Ci sei stato» rispose Johnny senza sbilanciarsi. «Sai che è piuttosto insolito. Credo però che lei abbia un carattere davvero difficile; insomma l’hai mai vista infrangere una regola? Finirà col diventare Prefetto».

«Be’, tu sarai l’altro Prefetto di Grifondoro, questo è certo, perciò ti converrebbe fartela piacere» replicò inaspettatamente Marcus, chiaramente stanco dei continui schemi di Quidditch che Baston continuava a propinargli, nemmeno fosse lui il Capitano della squadra. «Dovrete passare parecchio tempo insieme».

Johnny alzò gli occhi al cielo e borbottò astiosamente in danese, poi minacciò di affatturarli tutti se non lo avessero lasciato cenare in pace; meglio parlare della gita dell’indomani, disse, tanto quelle ragazze non avrebbero giocato una parte rilevante nella vita di nessuno di loro.

*

Michael Greengrass si strinse nel suo mantello e si sporse appena dal suo nascondiglio, un muro sbeccato di una delle tante case che affacciavano sulla via principale di Hogsmeade. Poco prima aveva visto passare sua cugina Amelia Baston, aggraziata e soave come sempre, circondata da una moltitudine di amiche della sua età.

Ora però faticava a distogliere lo sguardo da suo fratello Nathaniel e dal loro cugino più piccolo, Vincent, che cercavano di dividere equamente con i loro amici le caramelle appena comprate. Sarebbe passato molto tempo, anni probabilmente, prima di rivederlo, anni nei quali Nathaniel sarebbe cresciuto senza di lui; sempre ammesso che quella banda di matti con in quali era entrato in contatto non lo trovasse e lo uccidesse, che era esattamente ciò che avevano minacciato di fare.

Ferire in quel modo Nathaniel e i suoi genitori, per quanto penoso, era l’unico modo che Michael conosceva per proteggerli; doveva sparire senza lasciare la minima traccia, fingersi morto per evitare di esserlo davvero o di perdere la sua famiglia.

C’era ancora un’ultima questione da sistemare e un’ultima persona da salutare, poi sarebbe partito; la meta ancora non la conosceva. Forse l’Europa o forse le brughiere solitarie della Scozia. Dovunque, purché fosse un posto dove a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarlo.

Il piccolo orologio nel taschino della sua giacca vibrò, rammentandogli che era tempo di andare; mancava da casa da ormai un giorno e presto i suoi genitori avrebbero mobilitato l’intero Ministero della Magia pur di trovarlo.

Sospirò ancora una volta e lanciò l’ennesimo sguardo a suo fratello: quella era l’ultima volta in cui l’avrebbe visto, se mai si fossero rincontrati lui sarebbe stato un ragazzo adulto pieno di domande e forse anche di rancore nei confronti del fratello maggiore.

Nathaniel rise improvvisamente per una battuta di Vincent e Michael scelse di portare con sé quell’immagine felice; l’attimo dopo si era Smaterializzato con un leggero pop, lasciando una lacrima solitaria dietro di sé.

*

L’uscita a Hogsmeade era stata un successo e nessuno studente del terzo anno sembrava in grado di smettere di parlarne; Lucille ad esempio era rimasta estasiata da Mondo di Fata mentre Clarisse continuava a rimpiangere di non aver comprato tutte le caramelle di Mielandia, certa com’era di aver perso il dolcetto migliore.

Tra Mielandia e il Goblin Matto, dove avevano gustato un pranzo davvero eccellente, nessuna aveva davvero voglia di andare a cena, ma la tentazione di scendere nella Sala Grande per continuare a discutere della gita con gli altri era troppo forte.

Erano solo a metà della cena quando videro la professoressa Doge avvicinarsi al loro tavolo – interrompendo così il resoconto dettagliato dell’Ufficio Postale che Lucille stava facendo a Marcus – e rivolgersi direttamente a Nathaniel, chiedendogli con una voce stranamente dolce di seguirlo nello studio del preside. Fece un cenno anche a Vincent e Amelia Baston, suoi cugini di primo grado, e a quel punto Nathaniel chiese se ci fosse stato qualche problema in famiglia.

La professoressa si riservò il diritto di non rispondere, conducendoli rapidamente fino allo studio di Diggory al secondo piano, dove Nathaniel non era mai stato. Superarono i gargoyle in pietra e rimasero immobili lungo la scala a chiocciola che li portò fino alla porta in quercia dell’ufficio; Amelia stringeva le mani di entrambi i ragazzi con così tanta forza che Nathaniel temeva che avrebbe finito col rompere loro un dito o due.

La porta si aprì da sola e Nathaniel, ormai pronto al peggio, sbirciò al suo interno.

«Papà!» esclamò con sollievo quando scorse il genitore accanto alle alte finestre appuntite, intento a discutere a bassa voce col preside. «È successo qualcosa?»

Alexander Greengrass tese un braccio in direzione del figlio minore cercando di sorridere, ma lo sforzo che gli costava era troppo perché potesse risultare convincente. Nathaniel abbracciò brevemente il genitore, confuso e perplesso da tutta quella situazione.

«Buonasera, professore» disse invece Amelia. «Buonasera zio. A cosa dobbiamo la tua visita?»

Anche Vincent salutò lo zio ma non staccò gli occhi dal volto del cugino, perché la visita dello zio significava problemi in casa Greengrass e non in casa Rosier, la famiglia originaria delle loro mamme.

«Nathaniel, tu non hai visto tuo fratello oggi a Hogsmeade, vero?» disse Alexander posando le mani sulle spalle del figlio e guardandolo con attenzione. «Non ti ha chiesto di incontrarlo da qualche parte al villaggio?»

«No» disse Nathaniel con la fronte corrucciata. «Ho ricevuto la sua ultima lettera martedì e non ha mai menzionato Hogsmeade. Perché?»

«Michael non è tornato a casa» disse l’uomo mantenendo la voce ferma. «È uscito ieri sera e non è ancora rientrato; molte delle sue cose mancano, incluso il suo baule. Sei assolutamente sicuro di non averlo visto?»

«E dove sarebbe andato?» chiese Nathaniel, cominciando a tremare senza rendersene conto. «Io non l’ho visto… eravamo tutti insieme, ma nessuno di noi ha visto Michael al villaggio».

Vincent annuì rapido alle sue spalle, ripetendo e confermando le parole del cugino.

«Sono sicuro che rientrerà presto con una spiegazione plausibile» disse ancora Alexander, ma Nathaniel non riuscì a credergli. «Tuttavia è meglio se adesso torni a casa; il preside è d’accordo con me ed è convinto che non sarà un problema recuperare le lezioni».

*

«Sospettano che Michael si sia stato rapito, ecco perché vogliono che torni a casa» ripeté Vincent per la terza volta mentre lo aiutava a preparare il baule.

Appena usciti dallo studio del preside, i cugini erano saliti direttamente nel dormitorio di Grifondoro dove avevano trovato ad attenderli Johnny e Marcus; Nathaniel, straordinariamente poco loquace, aveva lasciato che fosse Vincent a raccontare quanto accaduto, limitandosi a raccogliere in fretta le sue cose.

«Perché mai avrebbero dovuto rapire un mago adulto?» ribatté Johnny provando a introdurre la logica in quella conversazione. «Sarebbe stato più facile prendere Nathaniel oggi al villaggio, considerando che non c’erano nemmeno gli insegnanti a sorvegliarci».

Nathaniel gettò l’ultimo libro nel baule, poi lo chiuse e sedette sul letto, le spalle curve e lo sguardo perso nel vuoto.

«Vedrai che lo troveranno presto» lo confortò Marcus accomodandosi al suo fianco e poggiandogli una mano sulla spalla. «E avrà una spiegazione talmente razionale per la sua scomparsa che nemmeno Johnny potrà contestarla».

Johnny alzò gli occhi al cielo e sbuffò, borbottando astiosamente in danese.

«Vi terrò aggiornati con delle lettere» disse Nathaniel a bassa voce. «Adesso non voglio far aspettare troppo papà. Insomma, con gli Auror e la Squadra Speciale Magica a interessarsi del caso, riusciranno a capire cosa gli è successo, vero?»

Aggiunse quell’ultima domanda in fretta, quasi temesse la risposta ma non riuscendo ad esimersi dal porla. Era così spaventato che, nonostante fosse più grande di loro di un paio di mesi, sembrò addirittura più giovane di un paio d’anni.

«Certo che sì» esclamarono i suoi amici contemporaneamente, sorridendo fiduciosi, e Vincent si incaricò di accompagnarlo fino al ritratto della Signora Grassa, dove suo padre lo aspettava.

Nathaniel mancò da Hogwarts per una settimana intera e non c’è dubbio che fu la settimana peggiore della sua vita.

*

Un silenzio assoluto regnava nelle stanze e nei saloni della casa che Nathaniel attraversò in punta di piedi, aggrappato saldamente al braccio del padre come se avesse ancora cinque anni. Ed era così che si sentiva: un bambino impaurito il cui mondo subisce una scossa e che ancora non sa quando la tempesta finirà né se le cose torneranno al loro posto, riprendendo a scorrere come sempre.

«Tua madre ti aspetta nell’anticamera della nostra stanza» bisbigliò suo padre, trattenendolo per la spalla quando Nathaniel fece per correre verso la posta, ansioso dell’abbraccio e delle rassicurazioni materne. «È ancora un po’ scossa per quanto accaduto; cerca di non badarci troppo, d’accordo?»

Nathaniel individuò subito la figura bionda e sottile della madre, rannicchiata in un angolo del divano e illuminata soltanto dalla luce emanata dal grande camino di fronte e da qualche candela lontana.

«Grace, Nathaniel è qui» disse suo padre, spingendolo in avanti a fronte della sua improvvisa riluttanza.

Il volto lucido di lacrime di Grace Greengrass si voltò e si illuminò scorgendo il figlio minore, e riuscì finalmente a produrre un sorriso sincero nel momento in cui lo strinse fra le sue braccia.

«Ciao, mamma» mormorò Nathaniel, trattenendo a stento le lacrime quando la sentì singhiozzare sulla spalla. «Sono sicuro che Michael tornerà presto a casa».

Grace non disse nulla e continuò a tenerlo stretto a sé, limitandosi a singhiozzare un po’ più forte quando anche Alexander li raggiunse, unendosi al loro dolore; a quell’abbraccio infatti mancava una persona troppo importante perché lei potesse ignorarla.

 

Nathaniel ringraziò con una frase distratta l’Elfo Domestico che gli aveva servito uno spuntino in camera, chiedendo di essere lasciato da solo; non aveva la forza per mangiare né per rimanere ancora con la mamma, così diversa da come la ricordava. Grace era sempre stata forte e attiva, capace di rimettere in riga i suoi tre ragazzi, così amava chiamarli, con una semplice occhiata.

Ma in un momento come quello, in cui Nathaniel aveva bisogno del suo sostegno e della sua forza, le cose si erano capovolte e lui si era ritrovato ad essere l’unica ancora di salvezza alla quale i suoi genitori si aggrappavano. L’aveva intuito da come lo guardavano, dalla premura con cui lo trattavano, dal modo in cui sua madre non riusciva a separarsi da lui come se temesse di poter perdere anche il figlio minore.

Nathaniel si rannicchiò nel letto e pianse tutte le sue lacrime, cercando di non singhiozzare troppo forte perché sapeva che suo padre sarebbe passato a controllarlo più tardi, per assicurarsi che dormisse. Erano passati quattro giorni dal suo rientro a casa e gli Auror ancora non avevano trovato Michael; sembrava davvero che fosse sparito nel nulla e tutto indicava che si fosse allontanato volontariamente dalla propria abitazione.

Grace era peggiorata ogni giorno di più, diventando l’ombra di sé stessa; non si curava della casa né di null’altro, lasciando tutto il peso della gestione sulle spalle di Alexander. Neanche sua madre, la formidabile nonna austriaca di Nathaniel, era riuscita a scuoterla da quella depressione, nonostante venisse in visita tutti i giorni e si trattenesse fino a sera.

Nathaniel disperò di poter vedere ancora sua madre come era una volta, prima che quell’incubo avesse inizio; tornò a casa per le vacanze di Natale, durante le quali sentiva la madre piangere anche la notte, e per quelle di Pasqua senza che ci fosse nessun cambiamento.

Era sicuro che a giugno, sulla banchina affollata di genitori felici che abbracciavano i figli appena rientrati, lui avrebbe visto solo suo padre.

*

Inghilterra, giugno 1834

«Mia figlia è sempre nelle stesse condizioni?»

Nonostante fossero passati più di vent’anni da quando l’aveva incontrata per la prima volta, Alexander Greengrass non sempre riusciva a trattenere quel brivido di orrore che percorreva la sua schiena quando incrociava lo sguardo di sua suocera, Magdalena Rosier.

«Purtroppo sì; fra una settimana Nathaniel tornerà a casa e non gli farà bene vedere che nulla è cambiato» disse Alexander con fare pressante. «Sai che ha preso più punizioni negli ultimi sei mesi che in tre anni di scuola? Credevo che Vincent o qualcuno dei suoi amici lo avrebbero fermato, invece sembrano entusiasti quanto lui quando si tratta di combinare qualche pasticcio».

«Cos’altro ti aspettavi da dei ragazzini di appena quattordici anni?» commentò distrattamente la donna, affrontando le scale della casa con sorprendente agilità. «No, il più maturo tra i miei nipoti è sempre stato Nathaniel; se lui non riprenderà a comportarsi bene, puoi star certo che non la farà neanche Vincent».

Magdalena non si prese nemmeno il disturbo di bussare, entrando nel salottino dove sedeva la figlia come un tornado estivo. Nel giro di pochi minuti aveva cacciato il genero dalla stanza e preteso che gli elfi servissero immediatamente il tè, infine aveva sbarrato la porta e quasi costretto la figlia a ingollare la prima tazza di quel liquido forte e caldo.

«Dunque, mia cara» disse con voce suadente e comprensiva, stringendo una mano della figlia fra le sue, «nel giro di una settimana Nathaniel sarà di nuovo a casa e sarebbe bello se trovasse sua madre vestita anziché in vestaglia. Meglio ancora poi se la scorgesse sulla banchina, non appena sceso dal treno. Non pensi che sarebbe una bella sorpresa?»

Grace fece un piccolo scatto con la testa e serrò le labbra: «Non è facile, mamma. Non ho la forza per uscire in questi giorni».

«Vorrai dire in questi mesi».

Grace provò a ritrarre la mano, ma sua madre non abbandonò la presa, decisa a vincere quella battaglia per il bene della loro famiglia.

«Ho perso Michael, mamma, non so nemmeno che fine abbia fatto…».

«Ma hai ancora Nathaniel!» esclamò la donna più anziana con forza, asciugando con una mano le lacrime che avevano ripreso a scorrere sul volto della figlia. «Hai un figlio che ha un disperato bisogno di te e che non ti riconosce più. In questo momento Nathaniel ha bisogno di sua madre e tu passi le tue giornate chiusa in casa, senza scrivergli nemmeno una lettera e senza curarti di lui quando è qui».

Grace pianse più forte, prendendosi la testa fra le mani e mormorando delle flebili scuse. Persa com’era nel suo dolore non si era resa conto del tempo che passava e del baratro verso il quale stava scivolando, contenta di stare nel suo confortevole limbo, assente e distante.

«Non devi chiedere scusa a nessuno, tesoro» disse Magdalena con voce più dolce. «Cerca però di trovare la forza di andare avanti, se non altro per Nathaniel e Alexander che fanno affidamento su di te. Hai ancora una famiglia che ti vuole bene, Grace».

Una settimana dopo Grace Greengrass aspettava l’arrivo dell’Espresso per Hogwarts sul binario nove e tre quarti, mano nella mano col marito; chi la conosceva mormorava su quanto fosse pallida e su quanto fosse dimagrita, ma lei non ci badava. La voglia di tornare a vivere, se non altro per quel figlio che aveva tanto ignorato, era la sua corazza più resistente.

Il treno arrivò in perfetto orario, sbuffando e ricoprendo l’intera banchina di denso vapore bianco attraverso il quale era difficile vedere; Nathaniel si orientò come meglio poté e, sulle prime, credette di aver avuto un’allucinazione. L’allucinazione però parlava e sorrideva, e lo incitava a correre per abbracciarla.

Nel corso di quell’estate Nathaniel cambiò radicalmente il proprio carattere; il ragazzino che si era impegnato a collezionare punizioni su punizioni scomparve, lasciando il posto a uno più responsabile, divertente ma al tempo stesso serio, capace di comprendere l’altrui sensibilità.

Il figlio perfetto.

 

 

 

 

Note dell’autrice.

In questo secondo capitolo della storia, che fa sempre parte di quelli che io avevo impostato come una lunga introduzione sull’infanzia e la prima adolescenza dei protagonisti, si focalizza principalmente su Nathaniel e su quelli che ritengo essere stati gli avvenimenti principali che hanno forgiato il suo personaggio. Il primo è l’amicizia con John Christensen, o meglio l’inizio di un’amicizia con un ragazzino scontroso e scostante; il secondo, che vede tutto il gruppo per come lo conosciamo, è focalizzato sulla sparizione di Michael e sui suoi effetti.

Ho voluto dare un breve spazio anche a Michael, per dare conferma a quegli indizi che avevo lasciato nella storia principale; la sua sparizione è stata sì volontaria, ma al tempo stesso molto sofferta e necessaria.

Nel prossimo capitolo vorrei includere gli ultimi anni che ci separano dalla storia principale – quindi dal 1836 – di modo da rimetterci in pari il prima possibile. Spero che il capitolo, per quanto breve, non sia parso troppo affrettato: il rischio che volevo evitare era quello di raccontare tanti piccoli episodi, anno per anno, che però non avrebbero toccato i temi centrali. Per quelli potrà esserci spazio con dei flashback o magari con delle one shots.

Vi chiedo come sempre la cortesia di lasciarmi un parere su quanto letto, che per me ha un valore e un’importanza fondamentale.

A presto,

Selena

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Capitolo 3
*** Lucille tesoro ***


Capitolo 3

Lucille tesoro

Residenza della famiglia Nott, 31 agosto 1834

«E a quel punto mi ha afferrata per il gomito impedendomi di cadere» concluse Lucille con lo stessa espressione estasiata. «Un perfetto esempio di gentiluomo».

Cornelia, Catherine, Lucretia e Clarisse aggrottarono ancora di più la fronte, confuse da quel racconto sconclusionato che voleva nei panni dell’eroe un improbabile Vincent Baston.

«Stiamo parlando del nostro Vincent? Il nostro compagno di studi?» chiese Clarisse.

«Naturalmente» chiocciò Lucille con fare offeso. «Credevo di averlo già precisato all’inizio».

Quattro paia di occhi la fissarono sorpresi e perplessi, ma la ragazza non cedette nonostante il desiderio di raccontare nuovamente la sua piccola avventura fosse ben evidente.

«Quindi Vincent è stato… estremamente premuroso» disse infine Cornelia alla quale Lucille riservò un caldo sorriso d’ammirazione. «Significa dunque che può essere un buon amico, non è vero?»

Lucille non rispose e si limitò a chinare il capo, ancora scossa dalla piega improvvisa che avevano assunto i suoi pensieri negli ultimi giorni. Infatti dal famoso pomeriggio in cui Vincent l’aveva salvata, impedendole di cadere a faccia avanti nel parco che circondava la residenza dei Nott e consentendole di prendere il tè con le altre giovani in tutta tranquillità, Lucille si era soffermata più del dovuto sul volto del giovane e sul sorriso rassicurante che le aveva riservato.

Era anche il primo ragazzo che la degnava di una tale considerazione, se si escludeva Nathaniel Greengrass che quell’estate aveva messo in atto una vera e propria persecuzione nei suoi confronti, seguendola dappertutto ogniqualvolta la incontrava e scherzando tutto il tempo come se fosse un giullare di corte. Nell’ultima lettera che Cornelia le aveva inviato dall’Italia prima di partire c’era scritto chiaro e tondo che l’atteggiamento di Nathaniel andava interpretato come un forte interesse verso di lei, ma Lucille era ben consapevole del fatto che nessuno animato da serie intenzioni si sarebbe comportato in quel modo.

«Non lo so» mormorò infine accasciandosi sulla poltrona in una posa ben poco dignitosa e rimettendosi composta l’istante successivo, non appena si rese conto dell’errore commesso. «Ho sempre pensato che fosse piuttosto avvenente con quei capelli biondi e gli occhi azzurri; non sapevo però che fosse anche così premuroso e gentile».

Le sue amiche si scambiarono l’ennesimo sguardo perplesso che lei si sforzò di ignorare: anche loro conoscevano Vincent da anni e dovevano essere al corrente di come egli perdesse la calma solo quando si trovava sul campo da Quidditch.

«Allora potrebbe interessarti anche suo cugino Nathaniel» provò Lucretia col classico tono dolce che impediva a chiunque di infuriarsi con lei. «Sono praticamente identici».

«Greengrass ha i capelli scuri» ribatté Lucille piccata, la voce che si acuiva leggermente per il fastidio. Figli di due gemelle, Nathaniel e Vincent si assomigliavano come se fossero stati a loro volta fratelli, e l’unica differenza esteriore evidente era il colore dei capelli, rispettivamente nero e biondo.

«Essere biondi non significa necessariamente essere più belli» osservò Catherine prima di concentrarsi, come le altre, su Cornelia. La ragazza infatti aveva emesso un curioso sbuffo, come se fosse sul punto di controbattere ma all’ultimo avesse avuto un ripensamento.

«Cosa volevi dire, Nelia?» si intromise subito Lucille, certa di aver trovato in lei una preziosa alleata.

«I colori scuri sono più comuni o almeno lo sono in Italia» spiegò Cornelia facendo piovere la cascata di boccoli intorno al viso, nascondendo a tutte la sua espressione. «Magari possono essere giudicati meno attraenti se si è abituati a vederli tutti i giorni».

«È proprio così che mi sento» affermò Lucille col nasino per aria, cogliendo al volo l’occasione nonostante avesse capito a stento la metà di quel discorso.

«Va bene, voi due andate pure a sognare giovani maghi biondi pronti a versarvi una tazza di tè alla prima occasione» commentò Clarisse con i suoi modi sbrigativi che tanto infastidivano Lucille. «L’importante è che andiamo a dormire subito altrimenti domani perderemo il treno».

«Hai ragione» disse Catherine scattando subito in piedi. «Inoltre tua madre passerà a momenti per controllare che siamo tutte nei nostri letti».

Lucille annuì con un sorriso sincero, felice per aver vinto quel piccolo battibecco con le sue amiche, cosa che raramente accadeva. Le accompagnò fino alla porta della propria stanza, sostando sulla soglia il tempo necessario ad assicurarsi che ricordassero la strada e imboccassero il corridoio giusto, da vera e propria padrona di casa quale si sentiva.

*

Hogwarts, novembre 1834

Lucille temeva che sarebbe morta di vergogna nel momento esatto nel quale avrebbe varcato la soglia della Sala Grande per la colazione e trattenne ancora una volta Cornelia e Lucretia per la mano, le uniche due fra le sue compagne ad aver avuto la pazienza di restare con lei.

«Calmati, Lucille» disse Cornelia guardandola dritta negli occhi e afferrandola per entrambe le braccia. «Quello che è successo a te poteva capitare a chiunque altro in questa scuola, perciò non hai nulla di cui vergognarti».

Dopo aver passato la settimana precedente ad occuparsi delle gemelle e del fratellino Marcus nonostante le rimostranze di Madama Wilson, l’infermiera della scuola, Lucille era riuscita a prendere la stessa influenza che le aveva dato problemi con lo stomaco. Problemi che si erano manifestati nel modo peggiore durante l’ultima lezione di Pozioni, dove i fumi che si alzavano dai vari calderoni avevano contribuito a farla sentire male.

Lucille aveva passato i successivi quattro giorni nell’Infermeria, rifiutandosi di vedere chiunque non appartenesse alla famiglia Nott o al suo gruppo di amiche. Era stata dimessa solo la sera precedente e, se nessuno dei suoi compagni di Grifondoro aveva osato prenderla in giro per quanto accaduto, lo stesso non si poteva dire per gli studenti appartenenti alle altre Case che l’avevano punzecchiata nel tragitto verso la Sala Grande.

«Morirò se qualcuno oserà fare un altro commento» si decise infine Lucille attraversando la Sala a testa bassa, stringendo così forte il braccio di Cornelia da impedire al sangue di scorrere. «Oppure li torturerò con la maledizione di cui abbiamo letto l’altro giorno… come si chiamava, Nelia?»

«La Maledizione Cruciatus» sospirò Cornelia staccando con determinazione la mano di Lucille dal suo braccio e massaggiandolo con vigore. «Devo però ricordarti che è illegale».

«Troverò un altro modo per affatturarli che dia gli stessi effetti».

Lucille si accomodò fra le sue amiche sbirciando con attenzione gli altri Grifondoro presenti, ma la maggior parte di loro era concentrata sulla colazione o cercava di non riaddormentarsi sulla propria tazza di tè; solo uno studente si avvide del suo ritorno, lo stesso che si era affannato per raggiungere la soglia dell’Infermeria ogni volta che aveva un po’ di tempo libero nonostante fosse stato prontamente rifiutato sin dal primo giorno.

Nathaniel Greengrass aveva appena addentato un boccone particolarmente sostanzioso di crostata quando si accorse di Lucille e, non potendo parlare, cercò di attirare l’attenzione della ragazza su di sé, gesticolando come un matto e provocando le risatine dei presenti.

«Che cosa sta facendo Greengrass?!» chiese Lucille con un sussurro contrariato, scrutandolo da sotto le ciglia. «Quel ragazzo deve sempre rendersi ridicolo in qualche modo».

«Sta cercando di salutarti» ribatté Catherine aspramente. «Potresti agitare la mano verso di lui impedendogli così di soffocare e dipartire prematuramente?»

«Ha appena compiuto quindici anni e ancora non si comporta come un adulto!» replicò Lucille guardando le ragazze con gli occhi sgranati. «Non lo degnerò di alcuna considerazione fino a quando non…».

«Lucille tesoro!» urlò a quel punto Nathaniel che doveva finalmente aver digerito il suo boccone e attirando l’attenzione dell’intera Sala Grande, professori compresi. «Finalmente ti sei ripresa! Sono stato talmente preoccupato per te…».

Nathaniel fu bruscamente interrotto dal suo migliore amico John Christensen, che con la solita mancanza di buone maniere pensò che rifilargli una gomitata nello stomaco sarebbe stato il modo più rapido per farlo tacere. Funzionò perché Nathaniel smise improvvisamente di parlare, il respiro mozzo e gli occhi pieni di lacrime.

Tuttavia il danno maggiore era stato fatto e la Sala Grande risuonò delle risate dei presenti, frammentate dalle urla di chi si era perso la scena e ora chiedeva spiegazioni. Gli occhi di Lucille si riempirono di lacrime di rabbia e orrore, il suo visetto di solito roseo si tinse di rosso e l’occhiata che scoccò a Nathaniel avrebbe fatto rabbrividire anche il più coraggioso mago oscuro.

«Lucille» disse subito Cornelia scattando in piedi quando vide la ragazza alzarsi e frugare con una mano l’abito alla ricerca della bacchetta. «Non è successo nulla… vedrai che entro sera non se ne ricorderà nessuno…».

Anche Clarisse si alzò e cercò di portare via Lucille, ormai prossima alle lacrime e in un chiaro stato di agitazione.

«Come ti sei permesso di rivolgerti a me in quel modo, Greengrass?» strillò Lucille con voce acuta, dimentica delle buone maniere e di quanti li osservavano. «Non ti ho mai dato un singolo motivo per farlo, nemmeno uno, e mai lo farò! Non osare apostrofarmi così in futuro o ti lancerò una fattura!»

«Non volevo offenderti, Lucille teso…» tentò Nathaniel, ma ancora una volta fu interrotto prontamente da Christensen e da Marcus Potter che gli intimò di tacere.

Lucille attraversò di corsa la Sala Grande senza alzare la testa, le gonne strette nel pugno e il viso in fiamme, subito da seguita dalla sorella maggiore Meryl e da Cornelia e Catherine. A Nathaniel non restò altro da fare se non guardarla andare via e passare le ore successive a maledirsi per la propria stupidità.

*

Hogwarts, febbraio 1835

«Smettila di parlare, ti prego!» esclamò Johnny con forza, scuotendo la testa per scrollarsi di dosso la pioggia che ancora gocciolava dai suoi capelli biondi. «L’unica cosa che voglio fare adesso è sedermi e cenare in pace».

Nathaniel borbottò qualche scusa confusa e affrettò il passo per raggiungerlo, evitando di mettere i piedi nella scia di acqua e fango che il suo amico stava spargendo per il castello. Terminati gli allenamenti di Quidditch Johnny era sempre un po’ intrattabile, ma questa volta Nathaniel non se la sentiva di biasimarlo, non dopo che aveva passato le ultime due ore in volo sotto una pioggia incessante.

«Ophelia Manville giocherà da titolare nella prossima partita, vero?» chiese infine nel tentativo di distrarlo. «Non che non sia dispiaciuto per William, è terribile pensare che non sia ancora riuscito a risolvere il problema alla spalla, ma la scorsa volta Ophelia ha volato magnificamente».

«Jesmond è sempre stato un idiota e in campo pensava più a pavoneggiarsi che non a prendere il Boccino, perciò direi che Ophelia ha assunto lealmente il posto da titolare» sbadigliò Johnny facendosi largo nell’ingresso e spingendo le persone che gli stavano davanti nel tentativo di guadagnare l’accesso alla Sala Grande. «Vorrei che Lucy Carter non mi avesse trattenuto così a lungo; non sarà rimasto nulla da mangiare».

«Perché ti ha trattenuto?»

«Ricordi il lancio da metà campo che ho fatto nell’ultima partita?» disse Johnny con una smorfia, aspettando il cenno affermativo di Nathaniel prima di continuare. «Nonostante sia stato un tiro assolutamente casuale, Lucy vuole che diventi la mia firma. Dice che questo modo di giocare spiazza sia il Portiere che i Cacciatori avversari e ci farà vincere la coppa a fine anno».

«Credo che abbia ragione, sai? Lucy è il miglior Capitano che ricordi» ansimò Nathaniel che, non essendo alto quanto Johnny, faticava di più a farsi largo nella massa di gente che si dirigeva verso l’uscita.

L’improvviso rumore di uno scontro e di una borsa che cadeva a terra raggiunse le sue orecchie insieme all’urlo di orrore di Lucille, subito seguito dalle veementi proteste della giovane.

«Non era mia intenzione» stava dicendo Johnny la cui voce si abbassava al crescere di quella di Lucille. «L’ho urtata perché non l’ho vista, non perché volessi colpirla».

«Che succede?»

«Qualcuno è caduto?»

«Christensen l’ha spinta a terra…».

La scena che Nathaniel si trovò di fronte aveva dell’incredibile: Cornelia Menelli, solitamente impeccabile e composta, era a terra e si affannava a raccogliere il contenuto della propria borsa sparso sul pavimento, mentre una Lucille insolitamente silenziosa si chinava al suo fianco per aiutarla.

«Che cosa hai fatto?» sibilò a quel punto Nathaniel guardando di traverso il suo amico, impalato a osservare le due ragazze come uno stoccafisso.

«Non l’ho vista perché è così bassa e piccola» disse Johnny automaticamente e Nathaniel si rese conto di come non fosse veramente presente, come se la sua mente fosse ferma in un punto lontano del passato.

«Ci sono anche queste» disse Nathaniel recuperando due pergamene lontane e porgendole a Cornelia. «Mi dispiace così tanto, credo che non vi abbia viste… a te non è caduto niente, Lucille tesoro?»

«No e smettila di chiamarmi in quel modo!» sibilò Lucille accettando comunque la mano che lui le offrì per aiutarla a rialzarsi.

Nathaniel fu altrettanto cortese nei confronti di Cornelia, ma lei lo guardò a malapena; i suoi grandi occhi castani erano fissi su Johnny e, dato che nessuna scusa o aiuto le venne offerto dal giovane danese, ora erano anche pieni di biasimo.

«Ecco, Johnny non voleva farti del male» tentò Nathaniel, ma il suo balbettio scemò rapidamente sotto il peso di quello sguardo.

«Perché ti stai scusando al posto suo? Non è in grado di farlo da solo?»

Cornelia non si era mai mostrata scortese, mai in quattro anni Nathaniel l’aveva sentita rivolgersi malamente a un compagno di studi, e quell’atteggiamento era indice di quanto ci fosse rimasta male e di quanto fosse offesa da quei modi scostanti.

«Certo che sono in grado» ribatté Johnny tornando al presente col suo solito tempismo imperfetto. «Mi sembrava di aver già detto che non era mia intenzione spingerti a quel modo; non ti ho vista perché sei troppo bassa».

Erano spacciati, pensò Nathaniel, perché adesso sia Cornelia che Lucille li fissavano come se avessero voluto torturarli per i prossimi dieci anni. Non sarebbe servito a nulla provare a spiegare perché Johnny avesse risposto in quel modo né perché non si fosse degnato di aiutarle, non quando nemmeno lui, Nathaniel, riusciva a capire appieno la ragione di quel comportamento. Johnny era sempre stato estremamente riservato sul suo passato e quel poco che gli aveva raccontato non era sufficiente a spiegare la maggior parte delle sue reazioni.

«Un po’ bassa lo è, in effetti…» sussurrò una voce lontana appartenente probabilmente a Davies, lo studente più scemo che Nathaniel avesse mai incontrato.

Come era prevedibile, gli occhi di Cornelia si riempirono di lacrime e la ragazza si avviò a testa bassa verso l’uscita senza più trovare nessuno a ostruire la via. Lucille la seguì dopo aver rivolto sia a Johnny che a Nathaniel il più sprezzante degli sguardi, borbottando per tutto il tragitto sulla somiglianza che accumunava entrambi i giovani a dei troll particolarmente stupidi.

Consapevole di quanti fossero in ascolto al loro tavolo, Nathaniel aspettò fino a quando non furono da soli nel dormitorio prima di chiedere spiegazioni a Johnny e cercare di convincerlo a porgere le sue scuse a Cornelia.

«Puoi almeno dirmi perché l’hai fatto?» sospirò dopo dieci minuti di silenzio interrotto da qualche sbuffo sporadico.

«Io non…» provò Johnny, incapace però di proseguire; scosse la testa un paio di volte e respirò profondamente, infine disse solo: «No».

Nathaniel fu tentato di mandarlo al diavolo, lui e la sua inspiegabile ritrosia, lui e tutti i problemi che si ostinava a tenere per sé, rifiutando di condividerli anche con i suoi più cari amici. Eppure c’era qualcosa negli occhi di Johnny che lo indusse a desistere e a rimanergli accanto come aveva sempre fatto in quegli anni, accettando quei silenzi che Christensen non avrebbe saputo come riempire.

«Cerca solo di non comportarti così di nuovo, d’accordo?» disse infine con un tono che ricordava terribilmente quello della sua Elfa Domestica. «Cornelia non se lo merita e non capisco cosa ci sia di male nell’essere basse; Lucille è più minuta di lei ed è comunque bellissima».

Johnny roteò gli occhi come faceva ogni volta che veniva menzionato il nome di Lucille, dichiarandosi subito troppo stanco per proseguire quella discussione. Nathaniel invece si diresse nella Sala Comune, adducendo come scusa il tema di Incantesimi che doveva ancora terminare, ma consapevole di come quella notte Johnny non avrebbe dormito affatto, tormentato da quel nuovo senso di colpa che andava aggiungersi a quelli che caratterizzavano il suo passato.

*

Residenza della famiglia Greengrass, luglio 1835

Nathaniel guardò con affetto il quadro appeso sopra la scrivania che ritraeva lui e suo cugino Vincent alla tenera età di tre anni; all’epoca erano entrambi biondi e, osservandoli giocare e rincorrersi, non era possibile stabilire con facilità chi fosse uno e chi l’altro. Di episodi come quello nei suoi ricordi ce ne erano a centinaia e facevano tutti parti di un’infanzia felice che avevano trascorso circondati dalle proprie famiglie, sentendosi fin dall’inizio più fratelli che cugini.

Uno dei due bimbi si stancò per primo e si accomodò sul prato, e in quel bambino Nathaniel riconobbe sé stesso; Vincent invece era sempre stato più attivo, bastava liberare un Boccino o lanciargli una Pluffa per vederlo schizzare via come se avesse le molle sotto i piedi. Eppure un paio di attimi furono sufficienti per vedere Vincent abbandonare la Pluffa e sedersi accanto al cugino, cingendogli goffamente le piccole spalle con un braccio.

Durante quegli anni non avevano mai litigato, tuttavia quell’estate Nathaniel aveva cercato di evitarlo il più possibile, invidioso delle attenzioni che Lucille gli riservava.

La ragazza di cui era innamorato da una vita non aveva occhi che per suo cugino.

Qualcuno bussò alla porta e Nathaniel fece una smorfia; tra meno di mezz’ora Johnny si sarebbe Materializzato lì con la sua famiglia ed era suo dovere di amico accoglierlo.

«Sei pronto?»

La testa bionda di Vincent fece capolino dalla porta e Nathaniel scattò a sedere, preso alla sprovvista da quell’apparizione.

«Quasi non ti riconoscevo» ghignò Vincent avvicinandosi e dandogli una pacca sulla spalla che forse era solo un po’ più forte di quelle che erano soliti scambiarsi. «Dopotutto non ti vedo da… una ventina di giorni?»

Nathaniel si sforzò di sorridere: «Sono stato impegnato con questa visita e i compiti».

«Oh, scusami» disse Vincent sgranando gli occhi e mettendo su un’espressione affranta. «E io che ti credevo impegnato ad evitarmi; sono davvero imperdonabile».

Nathaniel pensò che doveva esserci un giorno nel suo passato in cui aveva provato una vergogna simile a quella che sentiva affiorare sulle guance in quel momento, tuttavia non riuscì a ricordarlo. Vincent non era arrabbiato con lui – nonostante ne avesse tutte le ragioni – ma la sua delusione era peggiore delle urla.

«È per Lucille, non è vero?»

Nathaniel annuì e tornò a sedere con espressione mesta; Vincent non aveva mai fatto un gesto che potesse lasciar intendere un interesse verso Lucille né le aveva mai chiesto di fare un giro nel parco o di visitare Hogsmeade insieme a lui. Non era colpa sua se Lucille lo preferiva a Nathaniel e lui avrebbe dovuto saperlo meglio di chiunque altro.

«Senti, mi dispiace, lo so che non si possono controllare i sentimenti…».

«Sei impazzito?» sbottò Vincent scuotendolo per le spalle e arrabbiandosi veramente. «Non sono interessato a Lucille, non lo sono mai stato. Pensi davvero che potrei farti una cosa simile?»

«Lucille è una ragazza adorabile, non potrei certo biasimarti» mormorò Nathaniel. «E non devi pensare a me; se lei ti piace, ti prometto che saprò accettare la cosa».

«No che non la accetteresti, non essere ridicolo: sappiamo tutti che sei innamorato di lei da quando avevi quasi sette anni» disse Vincent con fare sbrigativo, ridacchiando quando si accorse del volto paonazzo del cugino. «Apri bene le orecchie, perché non ho intenzione di ripeterlo un’altra volta: Lucille non mi piace nemmeno un po’. Sarei felicissimo se diventasse mia cugina, ma è l’ultima donna al mondo che potrei considerare come fidanzata o come moglie».

«Davvero?»

«Sì, sciocco che non sei altro».

Si sorrisero contemporaneamente e si mossero l’uno verso l’altro, scambiandosi un breve abbraccio riconciliatore e ritrovando all’istante quella complicità che da sempre caratterizzava il loro rapporto. Nathaniel poi non riusciva a smettere di sorridere, felice come non mai per essersi riconciliato con Vincent e sentendosi un po’ sciocco per aver dubitato di lui.

L’unica cosa che non riusciva a spiegarsi era la sua presenza a casa Greengrass, perché era piuttosto certo che si sarebbero dovuti vedere l’indomani tutti assieme, quando anche Marcus sarebbe tornato dalle vacanze.

«Ti dispiace se ti chiedo come mai sei qui?» domandò infine Nathaniel mentre percorrevano il lungo corridoio che dalla sua stanza portava alla scalinata principale. «Non voglio offenderti, ma ero convinto che ci saremmo visti domani a casa di Marcus».

«È così infatti, ma riuscivo più a sopportare quello sciocco che sta sempre a casa nostra» disse Vincent con una smorfia infastidita. «Per non parlare di Vi e del modo adorante con cui lo guarda».

«Violet e Philip sembrano molto innamorati» disse Nathaniel, incolpandosi per non aver capito subito quale fosse il problema; era dalle vacanze di Pasqua che Vincent era di cattivo umore al solo pensiero del fidanzamento della sorella maggiore.

«E forse non hai sentito l’ultima novità» continuò Vincent ignorando le sue parole. «Hanno intenzione di sposarsi la prossima estate che, nel caso non te lo ricordi, sarà l’estate successiva ai G.U.F.O».

«Ehm… e quindi?»

«Quindi non possiamo fare il viaggio che sto pianificando da ben due anni!»

«Non ci lasceranno mai partire per quel viaggio, Vincent» provò a farlo ragionare Nathaniel. «Non saremo nemmeno maggiorenni».

«Be’, adesso non potremo farlo di sicuro».

Smisero di parlare non appena si fermarono sul portone d’ingresso accanto ai coniugi Greengrass, consapevoli che i genitori di Nathaniel sarebbero stati i più difficili da convincere, terrorizzati com’erano dal perdere anche il loro figlio minore.

Erano passati quasi due anni da quando Michael, il maggiore dei fratelli Greengrass, era scomparso e ormai nessuno, né gli Auror né la Squadra Speciale Magica, continuava a cercarlo. Anche in famiglia non veniva menzionato quasi mai, se non altro per evitare di addolorare ancora di più i suoi genitori. Quando qualcuno ne parlava, principalmente nonna Rosier che si poneva meno scrupoli degli altri, l’argomento veniva fatto cadere con sorprendente rapidità e nessuno si era mai accorto dell’ira che induriva i lineamenti di Nathaniel.

Infatti da quando le indagini avevano stabilito che l’allontanamento di Michael era stato volontario, Nathaniel si era sentito invadere da una rabbia profonda nei confronti di quel fratello che aveva abbandonato la famiglia senza una spiegazione e che in tutti quegli anni non si era mai degnato di scrivere nemmeno una lettera per far avere sue notizie.

Michael aveva distrutto la loro famiglia e aveva costretto suo fratello a crescere improvvisamente, lo aveva obbligato a diventare il figlio perfetto, sempre attento a non commettere un passo falso che potesse far soffrire sua madre e suo padre.

Nathaniel si affrettò a mettere da parte tutti quei sentimenti non appena scorse la madre e il suo sorriso, felice come sempre ogni volta che posava lo sguardo su di lui, e afferrò la mano che lei gli tendeva, stringendola affettuosamente per un breve istante.

La loro non fu una lunga attesa, perché dopo qualche minuto tre teste incredibilmente dorate si Materializzarono al di là del cancello. Johnny era finalmente arrivato.

*

Hogwarts, settembre 1835

«Come puoi averle parlato in quel modo?» sibilò Nathaniel perdendo le staffe. «Santo cielo Johnny, voleva solo fare conversazione durante la vostra prima ronda!»

«Non era la sera adatta e lo sai anche tu; avevo appena ricevuto quella stupida lettera che mi aveva messo di malumore» replicò Johnny scrutandolo con astio e incrociando le braccia al petto. «E comunque non era mia intenzione risponderle in quel modo».

«Te la sei presa con lei perché era la prima persona disponibile» commentò Nathaniel con un tono di voce più conciliante, ricordando le volte in cui anche lui aveva udito Johnny urlargli contro senza un motivo evidente. Era riuscito a perdonarlo solo perché in seguito aveva capito quanto il ragazzo rimpiangesse quel suo modo di fare che spesso allontanava le persone, lasciandolo da solo.

«Ho provato a chiederle scusa quando siamo tornati nella Sala Comune, ma è scappata via senza darmene il tempo» borbottò Johnny.

«Lucille dice che Cornelia ci è rimasta davvero molto male e non vuole assolutamente parlare con te» disse ammise Nathaniel. «Forse più in là potresti provare a…».

«No, sarebbe inutile» disse Johnny con gelida fermezza. «Non posso spiegarle il perché del mio comportamento e se anche potessi, non lo farei. Non siamo mai stati amici, solo compagni di Casa e di squadra».

Nathaniel sbuffò con forza, provando a non perdere nuovamente la calma nonostante avesse l’impressione di star discutendo con un bambino di cinque anni particolarmente capriccioso.

«Non significa niente, hai commesso un errore e devi rimediare» insistette. «Anche Lucille si è arrabbiata per il modo in cui ti sei rivolto a Cornelia e non vuole parlarmi fintantoché sono in tua compagnia, perciò chiedile scusa il prima possibile».

Johnny affilò lo sguardo e lasciò che uno spiacevole imbarazzo aleggiasse nel dormitorio circolare, concedendo a Nathaniel il tempo necessario per realizzare l’assurdità di ciò che aveva appena affermato.

«Io dovrei scusarmi con Cornelia» mormorò Johnny con dolce perfidia «affinché tu possa continuare a balbettare dietro a Lucille Nott in tranquillità?»

«Ehm… sì, l’idea è quella».

«Scordatelo» sbottò Johnny perdendo istantaneamente il sorriso. «E se vuoi un consiglio, trasformarti in un giullare non appena la scorgi non servirà a farla innamorare di te. Parlale da uomo senza nessun balbettio e senza nessuna sciocca battuta, e forse otterrai qualche risultato».

«Non servirebbe a nulla» disse Nathaniel con un sospiro depresso. «Lei ha occhi solo per Vincent».

«Sarebbero una pessima coppia e comunque Vincent non è interessato a lei» replicò Johnny in fretta. «L’unica cosa a cui riesce a pensare quel ragazzo è il Quidditch».

«Quindi non proverai a…».

«No» ripeté Johnny. «Cerca di non affliggerti troppo per Lucille: tornerà a parlarti non appena avrà bisogno del tuo aiuto come facchino o qualunque altra attività tu svolga per lei».

Nathaniel fece una smorfia ma non replicò, perché c’era fin troppa verità nelle affermazioni di Johnny; non che si divertisse ad accorrere in aiuto della ragazza a giorni alterni, ma il pensiero di lasciarla in difficoltà gli era insopportabile. Inoltre non c’era cattiveria né malizia nelle richieste di Lucille, solo la fiducia e la certezza che riponeva in lui, e questo era ciò che contava per Nathaniel.

I suoi amici non riuscivano a comprendere quel discorso e forse non ci avevano mai provato veramente, ma lui conosceva Lucille meglio di loro e da più tempo, e sapeva che nonostante le sue arie da gentildonna era sempre la stessa bambina che lui aveva trovato a piangere in un angolo del cortile perché non aveva compagni con cui poter giocare.

«Adesso possiamo andare a cena?» chiese Johnny con fare laconico. «Sto morendo di fame».

«Tu hai sempre fame» borbottò Nathaniel ma a bassa voce, affinché l’altro non sentisse e non trovasse un altro suo punto debole da stuzzicare.

*

Residenza della famiglia Greengrass, agosto 1836

Quando finalmente Nathaniel riuscì a svegliarsi in quell’assolata mattina di inizio agosto, l’ora della colazione era già passata mentre quella del pranzo si avvicinava con sorprendente rapidità; per la verità lui avrebbe preferito rimanere a letto ancora a lungo nella speranza di dimenticare quanto accaduto la notte precedente, ma la consapevolezza di avere degli ospiti in casa lo spinse ad abbandonare quel sicuro rifugio.

«Buondì, Nathaniel» disse Johnny con voce squillante nel momento in cui lui mise piede nel salotto. «Ce ne hai messo di tempo ma eccoti qui, finalmente diventato un uomo. Sai che Vincent mi deve cinque galeoni? Lui credeva che saresti rimasto in odore di santità fino al settimo anno».

«Che cosa ci fai già sveglio?»

Nathaniel era certo che la scorsa notte Johnny avesse esagerato col Whiskey Incendiario tanto quanto lui, eppure se ne stava comodamente seduto nel salotto, vestito di tutto punto e intento a leggere la Gazzetta del Profeta. Chiaramente non aveva il suo stesso mal di testa, considerò Nathaniel con stizza, perché lui al solo pensiero di sfogliare il giornale sentiva il capo pulsare più forte che mai.

«Ho trascorso una piacevole nottata e sono sceso in tempo per fare colazione assieme ai tuoi genitori» stava dicendo Johnny con un irritante sorrisetto malizioso che Nathaniel si sforzò di ignorare. «Non preoccuparti, non li troverai in ansia per te; sono riuscito a giustificare la tua assenza senza destare alcun sospetto. Piuttosto, credo che tu abbia qualcosa da raccontarmi».

Nathaniel crollò sul divano e si coprì gli occhi con le mani, gemendo silenziosamente e desiderando di poter sparire un decennio o due.

«Andiamo, è andata davvero così male?»

Nathaniel aprì un occhio e notò con piacere che Johnny aveva smesso di fissarlo con quello sguardo consapevole che serviva solamente ad alimentare i suoi sensi di colpa. Si raddrizzò un poco, cercando di recuperare un minimo di dignità.

«Non è quello il problema» biascicò infine senza riuscire a sostenere lo sguardo dell’altro.

«Quindi è andato tutto per il meglio?»

«Sono preoccupato per quello che ho fatto a Lucille ed è di questo che vorrei parlare, perciò smettila di guardarmi a quel modo come se sapessi esattamente ciò che è successo!» esclamò Nathaniel aspramente.

«Che cosa vuol dire che sei preoccupato per quello che hai fatto a Lucille? Lei non era neanche invitata al matrimonio di tua cugina» disse Johnny, il tono a metà fra l’incredulo e l’indignato.

«Sì invece, non hai notato i suoi genitori?» mormorò stancamente Nathaniel, lo sguardo che vagava lungo il salotto senza vederlo realmente. «Lucille non c’era perché si trova in Italia come ospite di Cornelia. Ora capisci?»

«No» ammise Johnny con franchezza. «Non so nemmeno se sei definitivamente impazzito o ancora ubriaco».

La testa di Nathaniel vorticò dolorosamente quando la fece crollare fra le mani, ma neanche quello riuscì a scuoterlo. Fu necessaria la mano di Johnny sulla sua spalla e l’occhiata tranquilla con cui gli comunicava che il tempo degli scherzi era finito e che lo avrebbe ascoltato con la massima serietà.

«Ho sempre pensato che l’unica con la quale mi sarei impegnato sarebbe stata Lucille» spiegò allora Nathaniel a bassa voce, levando appena lo sguardo quando Johnny si accomodò accanto a lui. «Invece cosa ho fatto? Ho abbandonato la festa di matrimonio di mia cugina con una persona che probabilmente non rivedrò mai più».

«Confermo che sono partiti questa mattina; avevano una Passaporta per Vienna alle nove» disse Johnny e il fatto che non stesse ridendo di lui contribuì a migliorare il suo umore. «Basterà che tu non faccia visita ai parenti di tua nonna per un paio d’anni, così non sarai costretto a rivedere questi amici di famiglia e le loro nipoti».

«Vale lo stesso per te» disse Nathaniel, risentito. «Ti ho visto con una delle cugine di Sophie… come si chiamava…».

«Lasciamo stare quello che ho fatto io» disse in fretta Johnny, restio come sempre a parlare di sé anche col suo migliore amico. «Quello con degli inutili sensi di colpa sei tu».

«Ti ho esposto le mie ragioni» disse Nathaniel con sussiego.

«Nathaniel, tu e Lucille non siete fidanzati» scandì Johnny come se stesse parlando con un troll. «Questo significa che siete entrambi liberi di vivere la vostra vita come volete; non devi rinchiuderti in un monastero in attesa che lei si decida a ricambiare i tuoi sentimenti».

«Ma cosa le dirò un domani?» bisbigliò Nathaniel. «Lei non avrebbe mai fatto una cosa del genere».

Johnny sospirò e scosse la testa, osservandolo col sorriso divertito e rilassato di chi non ha mai avuto problemi del genere.

«Se sarà davvero innamorata di te e sveglia come dici, non sarà gelosa né si arrabbierà per qualcosa che è successo quando fra voi non c’era alcun impegno. Magari capirà anche di aver sbagliato ad ignorarti per tutti questi anni» aggiunse Johnny in un impeto di speranza.

Nathaniel si sforzò di ridere, ma il risultato fu assai misero e non bastò a ingannare Johnny. A quel punto però le voci dei signori Greengrass si fecero più forti e qualunque discorso fu messo da parte.

«Spero che tu abbia ragione» disse Nathaniel. «Spero che non dovrò pentirmene in futuro».

«Non succederà. Goditi il momento, per piacere, e cerca di stare tranquillo» sussurrò Johnny a mezza bocca, rimettendo su quel ghigno idiota e beccandosi l’ennesima occhiataccia.

L’attimo dopo Nathaniel cambiava completamente espressione e, con un sorriso felice sul viso, si affrettò a raggiungere la madre e a rassicurarla circa il suo stato di salute. A vederlo in quello stato non si sarebbe mai detto che aveva i medesimi problemi di un qualunque ragazzo della sua età, né che un dolore di qualunque tipo avesse mai scosso la sua giovane esistenza.

Era ancora il figlio perfetto.

 

 

 

 

Note dell’autrice.

Eccoci di nuovo qui con il terzo capitolo di questa storia, col quale si conclude anche quella lunga introduzione avviata nei capitoli precedenti. Dal prossimo si entrerà nel vivo del racconto e troveremo Nathaniel e Lucille al sesto anno, mettendoci così in pari con la storia principale e inserendo tutti quegli episodi che lì erano stati accennati.

Per quanto riguarda invece la litigata fra John e Cornelia a cui qui si accenna, la potete trovare come flashback nel capitolo 3 de Il Leone e la Fenice.

A presto,

Selena

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Capitolo 4
*** Amici ***


Capitolo 4

Amici

Novembre 1836, Hogwarts

«Ti fa’ male lo stomaco?» chiese Nathaniel gettando un’occhiata casuale a Johnny, semidisteso nella poltrona accanto alla sua.

«Un po’. Colpa di Allam e della sua stupidità» borbottò Johnny massaggiandosi lo stomaco con fare annoiato; l’attimo dopo ruotò nuovamente il capo fingendo di controllare il tempo fuori dalle finestre ma osservando invece Cornelia Menelli, comodamente seduta su un divano fra Lucretia Paciock e, ovviamente, Lucille Nott.

«Eppure non hai avuto difficoltà col pranzo» puntualizzò Marcus prendendolo in giro e sorridendo soddisfatto a Vincent e Nathaniel.

«Ho sempre mangiato, a prescindere dai dolori allo stomaco» spiegò Johnny con voce impersonale prima che un sorriso diabolico facesse capolino sul suo volto. «Anche quando avevo la nausea».

«Che schifo!» esclamarono Vincent e Nathaniel contemporaneamente mentre la medesima espressione disgustata appariva sui loro volti così simili.

«Avete iniziato voi» ghignò Johnny, compiaciuto per quella piccola e rapida vittoria. «A proposito, non credi sia arrivata l’ora della tua lezione?»

Nathaniel si rizzò sulla poltrona con uno scatto improvviso, cercando subito Lucille con lo sguardo e maledicendosi per la propria distrazione; lei infatti era già in piedi e portava sotto il braccio il libro di Difesa contro le Arti Oscure mentre lo osservava con un’espressione dubbiosa che palesava chiaramente la mancanza di fiducia in lui e nelle sue capacità di insegnante.

Nathaniel scattò a sedere, inciampò nel piede della poltrona scatenando le risate dei suoi amici, e infine si avviò verso Lucille e Catherine, rosso di imbarazzo ma deciso a mantenere un minimo di dignità.

«Sei pronto, Greengrass?» lo salutò Lucille con voce neutra, eppure Nathaniel era certo di aver scorto un piccolo sorriso sul suo visetto, segno che la sua figuraccia non era stata poi così terribile.

Meravigliose furono invece le due ore successive, nonostante Nathaniel dovesse fare forza su stesso ogniqualvolta toccava a lui maledire Lucille; Catherine Macmillan non era stata molto d’aiuto, preferendo passare la maggior parte del tempo seduta a leggere in un angolo dell’aula, distogliendo gli occhi chiari dal libro solo per controllare cosa Nathaniel volesse far fare a Lucille.

«Ce l’ho fatta!» trillò Lucille entusiasta dopo il terzo successo consecutivo, perforando i timpani dei presenti con la sua vocetta acuta. «Catherine, sono riuscita a sconfiggere l’Imperio

La gioia di Lucille era contagiosa e per un momento Nathaniel desiderò essere lui quello che veniva abbracciato e quasi travolto dall’allegria della ragazza.

«Grazie Greengrass, sei stato molto gentile a rinunciare al tuo pomeriggio libero per me» disse Lucille una mezz’ora dopo mentre Nathaniel sigillava la porta e quasi lasciava scivolare a terra la bacchetta per la sorpresa. «Inoltre non mi hai mai costretta a fare nulla che potesse apparire sconveniente e anche di questo ti sono grata».

Nathaniel fissò gli occhi grandi e verdi di Lucille, sforzandosi di rispondere qualcosa prima che lei lo giudicasse un mentecatto. Finì con lo schermirsi come faceva sempre, borbottando confusamente sull’importanza della concentrazione e della volontà.

«Immagino che domani Lydia incontrerà minori difficoltà nell’apprendere la maledizione» osservò Lucille, intenta a sistemare le pieghe del mantello e per nulla turbata dal ritrovarsi sola con lui dopo che Catherine, stanca di aspettarli, si era diretta verso la Torre di Grifondoro. «Dopotutto i suoi voti sono più alti dei miei».

«I voti non hanno tutta questa importanza nella Difesa contro le Arti Oscure; bisogna avere una predisposizione certo, ma anche il carattere della persona e la sua risolutezza sono fondamentali» disse Nathaniel con un sorriso. «E tu hai indubbiamente più carattere di tutta Hogwarts messa insieme, Lucille tesoro».

Lucille non disse nulla e nemmeno si adirò per il modo in cui lui l’aveva apostrofata, ma si limitò a sorridere dolcemente prima di avviarsi lungo il corridoio, perché non era opportuno distanziarsi così tanto da Catherine. Nathaniel la seguì senza protestare, mascherando il nervosismo per Lydia e la loro lezione dell’indomani annuendo incessantemente alla sfilza di chiacchiere di Lucille.

*

Febbraio 1837, Hogwarts

«Greengrass!»

Il sibilo acuto di Lucille fendette l’aria con la mortale precisione di una freccia e Nathaniel sussultò proprio come se l’avessero colpito, prima di girarsi a controllare il corridoio che fino ad allora aveva creduto vuoto.

La figura minuta di Lucille sbucò da una nicchia che ospitava una grossa statua e si diresse verso di lui con la calma e la tranquillità di chi non riesce a vedere l’assurdità delle proprie azioni.

«Lucille tesoro!» esclamò Nathaniel ignorando l’occhiata di rimproverò scoccatagli dalla fanciulla, che non gradiva essere apostrofata in quel modo. «Ehm… che cosa ci facevi lì dietro?»

La domanda di Nathaniel non era affatto oziosa, non se si considerava il recente attacco a Cornelia e il suo aggressore misterioso che si aggirava per la scuola, sulla cui identità e sui cui metodi regnava l’ignoranza più assoluta.

«Ti stavo aspettando…» iniziò Lucille, subito interrotta dal sorriso dell’altro e dal torrente di parole che provò a riversarle addosso.

«Davvero? Stavi aspettando me? E come sapevi…».

«Ti stavo aspettando per parlare della situazione che si è venuta a creare fra Nelia e il tuo rozzo amico» spiegò Lucille troncando sul nascere le speranze del ragazzo e sistemando le pieghe del vestito, sgualcitosi nel passaggio dalla nicchia al corridoio. «Questo è il percorso più breve che, dall’aula di Antiche Rune, porta alla Torre di Grifondoro e ho fatto in modo che Lucretia distraesse Cornelia, così da poter parlare da soli».

«Sono sicuro che tutto si risolverà, ma dobbiamo concedere a Johnny il tempo necessario capire che quello di Cornelia è stato solo uno sbaglio».

«Ma non le rivolge la parola!» protestò Lucille con la solita vocetta acuta e sbattendo un piedino a terra per l’irritazione. «È stato Malfoy a baciare Cornelia, non capisco perché Christensen debba prendersela con lei!»

«Be’, ecco, probabilmente perché…».

«E che senso ha andare a trovarla di nascosto in Infermeria come tu stesso mi hai detto – e che non ti nasconderò mi ha inquietata parecchio – se poi non le parla e non ha intenzione di perdonarla? Così la fa’ solo soffrire di più, illudendola con delle false speranze».

Nathaniel alzò le braccia in segno di resa e sperò con tutto sé stesso che potessero indurre Lucille al silenzio, affinché lui avesse modo di pensare a una replica convincente; stranamente funzionò e Lucille si astenne anche dal mostrare segni di impazienza, guardandolo invece con qualcosa che poteva benissimo essere fiducia.

L’ultima volta che l’aveva guardato così, confusa e disposta ad accettare il suo aiuto, Nathaniel aveva finito col baciarla con la furia di un cavernicolo e col provocarle una crisi isterica, senza contare la successiva decina di giorni che gli erano occorsi per convincerla di quanto effettivamente si fosse pentito per quel gesto impulsivo.

Pensò così di arretrare di un passo, onde evitare il ripetersi di una simile scena, ma Lucille lo seguì senza rendersene conto, minando la sua stabilità mentale e costringendolo a ricordarsi della promessa che le aveva fatto ovvero di restare amici mentre lei provava a capire se c’era per loro la possibilità di diventare qualcosa di più in futuro.

«Johnny è andato in Infermeria per sincerarsi che Cornelia stesse bene, non per farle del male. Le è rimasto accanto per accertarsi che fosse al sicuro» ribatté Nathaniel con una punta di gelo, perché quel genere di accuse erano quanto di più lontano ci si potesse aspettare dal giovane danese. «In quanto al resto, è passato troppo poco tempo; ti assicuro però che Johnny non è uno sciocco e prenderà la decisione più giusta».

«È quasi San Valentino» mormorò Lucille con fare distratto, sganciando e riallacciando il bottoncino che chiudeva il guanto sinistro. «Potrebbe approfittare dell’occasione e scegliere proprio quel giorno per fare pace, non credi Greengrass?»

Ci era cascato di nuovo, sospirò Nathaniel, proprio come qualche giorno prima quando Lucille, fingendosi pensierosa a quel modo, aveva finito con l’estorcergli tutte le informazioni su Johnny e l’Infermeria che desiderava.

«Non lo so, a me non ha detto niente» precisò avendo cura di scandire per bene le parole. «Credo che lei gli manchi, ma è difficile farlo parlare di questi argomenti. Johnny non è una persona molto loquace».

«Assolutamente no» concordò subito Lucille senza farsi sfuggire l’occasione di criticare Christensen. «Quel ragazzo ha così poche qualità positive e dei modi davvero terribili».

La sua sincera disperazione fece ridere Nathaniel, che tornò ad avanzare di un passo.

«Sono certo che la penserai diversamente dopo che avrai avuto modo di conoscerlo» scherzò il ragazzo portandosi la mano di Lucille alle labbra e baciando il guanto che la fasciava. «Che ne diresti adesso di tornare nella nostra Sala Comune? In questo corridoio si gela, è pieno di spifferi».

Con le guance rosse e insolitamente silenziosa, Lucille accettò di buon grado il braccio che le veniva porto, rimuginando sul porre o meno un ulteriore quesito.

«Hai preparato molti biglietti per questo San Valentino?» chiocciò infine senza riuscire a tenere a freno la curiosità, ma imponendosi di mantenere un’espressione impassibile e neutrale.

«Solo uno, Lucille tesoro» disse Nathaniel con sicurezza. «Come ogni anno».

A quel punto, persino Lucille trovò impossibile rifiutarsi di sorridere.

*

Marzo 1837, Hogwarts

«Sono solo confuso!» esclamò Nathaniel, provando a non mostrarsi esasperato. «È così strano? Non vi siete mai sentiti a questo modo?»

Marcus sorrise cercando di mostrarsi comprensivo mentre Johnny e Vincent si limitarono a scuotere la testa con indifferenza. Era uno splendido pomeriggio di fine marzo con un cielo freddo ma limpido che sapeva già di primavera, e i quattro Grifondoro erano appena rientrati nel loro dormitorio dopo aver passato qualche ora all’aperto.

Nathaniel si era divertito e aveva scherzato con gli altri come sempre, eppure non era riuscito a dimenticare l’incontro avvenuto la settimana precedente a Hogsmeade né la discussione che aveva avuto con Lucille il giorno seguente. La donna misteriosa che aveva incontrato nella piccola farmacia del paese, e gli occhi azzurri identici ai suoi della bambina che portava in braccio, lo avevano turbato più del previsto, spingendolo a chiedersi più volte se non si trattasse della figlia di suo fratello.

Aveva parlato dei suoi sospetti solo con Johnny, preferendo non dare false speranze a Vincent e sentendo il bisogno della ferrea logica di cui il ragazzo danese era sempre provvisto. Naturalmente, dopo averci ragionato a mente fredda, anche Nathaniel si era reso conto dell’assurdità della sua teoria: nessuno aveva visto Michael negli ultimi tre anni – probabilmente perché era morto o perché aveva lasciato il Paese – perciò era impossibile che fosse rimasto nascosto a Hogsmeade trovando anche il tempo e la possibilità di metter su famiglia.

Eppure quella bambina aveva i suoi stessi occhi.

Dal modo in cui Johnny lo guardava, Nathaniel si rese conto che doveva aver intuito il corso dei suoi pensieri e la ragione del suo nervosismo, e per la prima volta in sei anni fu infastidito dalla lungimiranza del suo migliore amico.

«Perché non hai chiesto a Lydia di accompagnarti a Hogsmeade la scorsa settimana?» esordì invece Vincent, riportandolo a questioni più semplici ma non meno pressanti.

Perché sono interessato solo a Lucille: questo era quello che Nathaniel avrebbe risposto fino a un mese prima, quando Lydia non gli aveva ancora inviato il cartoncino di San Valentino e lui aveva potuto minimizzare quel supposto interesse come semplice riconoscenza per le ripetizioni di Difesa contro le Arti Oscure.

Quella però non era più la verità, perché Lydia era stata la prima ragazza a impressionarlo dopo Lucille; era bella e altera come tutti dicevano, quasi fredda nei modi sbrigativi con cui trattava la maggior parte degli studenti, eppure in lei c’era molto altro, più di quanto non si potesse intuire con una conoscenza superficiale. Lydia era intelligente e determinata, nonché più matura rispetto a molte sue coetanee, priva di gesti affettati ed elegante nella sua semplicità.

«Non voglio far soffrire nessuno, perciò non mi sbilancerò fino a quando non avrò preso una decisione» rispose infine Nathaniel crollando sul proprio letto con un sospiro stanco. «Se anche mi concentrassi su Lydia, non credo che riuscirei a dimenticare Lucille nel giro di qualche mese. Non riesco nemmeno a tollerare il pensiero di lei che si trova a suo agio con qualcun altro, non ora che le cose fra noi erano migliorate ed eravamo finalmente amici».

«L’amicizia non ti porterà molto lontano» disse Johnny suonando talmente lapidario e definitivo da far barcollare Nathaniel sull’orlo del baratro della disperazione.

«Ma Lydia ti piace, non è vero? Insomma non puoi negare che sia bella» insistette Marcus.

«Bella ma fredda» puntualizzò Vincent.

«Non mi piace quanto Lucille» spiegò Nathaniel stringendosi nelle spalle e giocherellando col bordo della coperta. «Probabilmente perché non la conosco allo stesso modo; prima di quest’anno non mi aveva mai rivolto la parola e non abbiamo mai passato del tempo insieme».

«Motivo in più per invitarla a Hogsmeade» ripeté Vincent, testardo come un mulo. «Potrebbe stupirti e tu non penseresti più a Lucille oppure capiresti che Lydia non è la ragazza giusta e lei sarebbe libera di rivolgere le sue attenzioni a qualcun altro».

Nathaniel annuì stancamente, consapevole che l’unico modo per far cessare quella conversazione consisteva nella sua resa. Marcus e Vincent si alzarono pronti per la cena, mentre Johnny finse di cercare la bacchetta e aspettò che gli altri uscissero prima di far valere la sua opinione.

«Non immaginavo che l’avrei mai detto, ma preferisco Lucille» disse con una gelida calma che per poco non provocò un brivido in Nathaniel. «Quantomeno sappiamo per certo che lei non è affiliata con quella banda di criminali né ci sono indizi che potrebbe esserlo in futuro. Magari dovresti riflettere su questa cosa, anziché preoccuparti della bellezza e di quanto approfondita sia la conoscenza dell’una e dell’altra».

«Giusto» ribatté Nathaniel con una punta di asprezza, perché l’accurata scelta di parole da parte di Johnny conteneva del vero e lo tacciava di superficialità. «Dopotutto per te la bellezza non è mai stato un fattore importante, non è così?»

«Certo che sì, infatti esco con la ragazza più bella di tutta Hogwarts che, accidentalmente, è anche intelligente e non si diverte a passare il suo tempo libero in compagnia di ladri e assassini» disse Johnny con un’ironia che fu presto smentita dal luccichio dei suoi occhi, infastidito come sempre quando qualcuno si permetteva di criticare Cornelia. «Rifletti su questo».

*

Maggio 1837, Infermeria di Hogwarts

Lucille ascoltò distrattamente le rassicurazioni di Madama Wilson, sentendosi ancora piuttosto scossa per quanto accaduto poco prima nella Foresta Proibita quando Josephine Sutherland aveva rivelato la sua vera natura e le aveva lanciato una pericolosa maledizione. Da quel poco che aveva capito, aveva rischiato di non risvegliarsi più e il tempismo col quale Greengrass e gli altri l’avevano portata in Infermeria era stato vitale.

«Ci sono svariate persone qui fuori che attendono di vederti» disse l’Infermiera dopo essersi assicurata che Lucille bevesse la decima ed ultima fiala della pozione curativa. «Per una volta mi sento di incoraggiare queste visite, perché è bene che tu non ti rimetta a dormire prima di questa notte. C’è poco da scherzare con la Maledizione del Sonno Eterno».

Lucille acconsentì con un semplice cenno del capo, avendo cura di coprirsi le spalle con lo scialle e rassettando il più possibile le coperte, perché non voleva che i suoi amici pensassero che fosse completamente incapace di badare a sé stessa – cosa che sicuramente già credevano data la facilità con la quale Josephine l’aveva battuta.

Quando Madama Wilson tirò le tende attorno al suo letto, Lucille fece in tempo a scorgere le sue amiche sul fondo della sala girarsi verso di lei, ma furono subito oscurate dalla sagoma di Nathaniel Greengrass che si precipitò al suo capezzale con una velocità tale da farle credere che fosse ricorso a un incantesimo.

«Lucille tesoro!» esclamò con gioia quando la vide, sedendosi sulla sedia posta accanto al suo letto e rischiando di rovesciarla per l’entusiasmo. «Sapevo che Madama Wilson sarebbe riuscita a farti svegliare, ma per un po’ ho temuto che fossi arrivato troppo tardi. Sia tu che Johnny siete stati feriti e io sono stato così sciocco da andare a cercarlo dalla parte opposta del castello, lasciando te e Cornelia alle prese con Josephine e…».

Nathaniel scosse il capo, apparentemente incapace di proseguire mentre Lucille si ritrovò colpita dal suo sincero rimorso e da quanto fosse amareggiato per loro. Era incredibile che si sentisse in colpa, lui che non aveva rapito Christensen né maledetto lei né minacciato Cornelia, eppure era lì a chiedere perdono per qualcosa che non aveva fatto.

«Non è stata colpa tua» rispose Lucille mettendosi un po’ più dritta. «Nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare che la colpevole fosse Josephine».

Nathaniel annuì un paio di volte e tornò a sorridere, guardando Lucille con evidente affetto. Una ciocca di capelli neri gli oscurò che per un momento la fronte, e la ragazza sentì lo strano impulso di rimetterla al suo posto prima che fosse lui stesso a farlo. Contrasse la mano una volta e si affrettò a congiungerla all’altra, posandole entrambe sul proprio grembo e riacquistando rapidamente la calma.

«Ti senti meglio, vero?» chiese Nathaniel sistemando i capelli con un gesto distratto. «Non hai più sonnolenza?»

Lucille scosse la testa con fare elegante e accennò un sorriso, ma il ragazzo riprese la parola prima che lei potesse avere l’occasione di rispondere.

«Non avevo idea che esistesse una maledizione così potente e pericolosa, non finché Johnny non l’ha menzionata e ovviamente lui è più informato di me su queste cose» spiegò Nathaniel senza quasi respirare. «Volevo chiedere a Madama Wilson se ci fosse qualcosa che potessi fare nel frattempo, ma era così impegnata a destreggiarsi fra te e Johnny che non me la sono sentita di interferire, pensando che le sarei stato d’impaccio…».

«Non dovevi fare niente…» provò Lucille ma ancora una volta non riuscì a interrompere il monologo del giovane; si limitò a sospirare piano e a sfiorarsi leggermente una tempia, perdendo così il filo del discorso.

«…E sei stata geniale nel lasciare i tuoi guanti lungo il percorso senza che Josephine se ne accorgesse» blaterò Nathaniel osservandola con evidente orgoglio. «Purtroppo si sono sporcati con la terra e le foglie del bosco, e nonostante abbia provato a pulirli non ci sono riuscito molto bene. Non mi sono mai dedicato agli incantesimi domestici, ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere riaverli indietro».

Nascondendo a fatica l’imbarazzo evidente, estrasse da una tasca della giacca i guanti di Lucille e li porse all’attonita ragazza, piacevolmente sorpresa da tutte quelle premure. Infatti, da quando lei e Nathaniel erano diventati amici, Lucille aveva preso a guardarlo in maniera diversa, accorgendosi pian piano che sotto la maschera del ragazzo perennemente allegro e dedito agli scherzi c’era molto di più, ovvero un giovane uomo attento ai bisogni degli altri e pieno di considerazione verso i suoi amici e la famiglia.

Ben lungi dall’essere distratto e pasticcione, Nathaniel era piuttosto una persona modesta e gentile, che non negava mai il suo aiuto e che cercava sempre di rendersi utile come poteva.

Le loro mani si sfiorarono quando lui le consegnò i guanti che fino a qualche ora prima erano stati di un bianco immacolato, e Lucille si stupì dell’improvviso entusiasmo che provò nel sentire le sue dita accostarsi alle proprie. Un vago nervosismo si diffuse in lei e assecondò d’impulso il bisogno di mettere Nathaniel alla prova, quasi a volersi accertare che i suoi sentimenti per lei non fossero cambiati durante quei mesi.

Era dal mese di febbraio che Lucille sapeva con certezza dell’interesse di Lydia Turpin per Nathaniel, e il modo deciso col quale lui l’aveva difesa al rientro dalle vacanze pasquali, arrivando addirittura a litigare col suo migliore amico, John Christensen, l’aveva persuasa a tal punto da farle credere che Nathaniel ricambiasse l’affetto per Lydia e avesse ormai dimenticato lei, Lucille, che del resto non gli aveva mai dato una risposta definitiva, contenta com’era di quell’amicizia rassicurante e per nulla vincolante.

«Dunque mi sono sbagliata sull’identità della persona che aggrediva Cornelia, tuttavia avevo ragione nel ritenere Lydia una possibile complice di quei malfattori» affermò infine Lucille con prudenza, memore dell’ultimo confronto con Nathaniel e del modo col quale aveva difeso la loro compagna di studi.

«Lydia non si è alleata con loro, Lucille» disse Nathaniel aggrottando la fronte ma senza perdere la calma. «Ha rifiutato quell’offerta e ha provato ad avvertire Cornelia».

Lucille ridusse gli occhi a due sottili fessure e strinse le labbra, trattenendo a stento la rabbia.

«Ha mentito a Christensen quando lui le ha chiesto se fosse stata avvicinata da qualcuno che faceva parte di quel gruppo, negando più volte l’evidenza…».

«Be’, Johnny non ha certo scelto il modo migliore per far sì che Lydia decidesse di confessare una cosa così pericolosa a quello che, a tutti gli effetti, è un estraneo per lei..».

«…E se avesse dato a Cornelia un nome, io non mi troverei in Infermeria adesso» sibilò Lucille, ignorando completamente quanto affermato dal ragazzo. «Greengrass, ti rendi conto che se noi avessimo saputo di Josephine saremmo riusciti a catturarla e io non sarei in fin di vita? Credevo avessi detto di essere sconvolto per quanto mi è accaduto, ma a quanto pare devo averlo immaginato mentre dormivo».

«Sono sconvolto, Lucille tesoro!» esclamò Nathaniel con un’espressione pietosa che avrebbe mosso a compassione anche una roccia e riuscendo a far sparire il broncio di Lucille e parte del suo scetticismo. «Dobbiamo però considerare le minacce che Lydia ha ricevuto riguardo la sua famiglia; se la vita dei tuoi fratelli e sorelle fosse stata in pericolo, tu avresti confessato tutto?»

Rimasero entrambi in silenzio per un po’, scambiandosi delle occhiate furtive e indecisi su come proseguire. Lucille sapeva che, trovandosi al posto di Lydia, non avrebbe fatto nulla che potesse intaccare l’incolumità della propria famiglia, eppure era convinta che bisognasse avere coraggio e dimostrare a quelle persone che non tutti erano disposti a sottostare alle loro imposizioni.

«Io sono d’accordo con te, ma non siamo tutti uguali» disse Nathaniel inaspettatamente, spingendo Lucille a chiedersi se per caso non avesse parlato ad alta voce.

«Oh, questo lo so, ma…».

«E sono davvero dispiaciuto e scosso per quello che ti è successo: ho creduto di morire quando ti ho vista stesa lì con Johnny che farneticava qualcosa sulla necessità di portarti subito in Infermeria, prima che la maledizione avesse effetto e tu non ti svegliassi più» aggiunse infine Nathaniel con trasporto, sporgendosi in avanti e stringendo la mano di Lucille che giaceva abbandonata sul copriletto.

Lucille sussultò sorpresa per quel contatto imprevisto, ma non sentì il desiderio di allontanare la propria mano da quella calda e rassicurante di Nathaniel; nonostante si fosse mostrata impavida nel confronto con Josephine, la consapevolezza di quanto fosse andata vicina a mettere a repentaglio la propria vita l’aveva spaventata, e il conforto discreto ma presente del ragazzo la aiutava a non sentirsi più così vulnerabile.

Lucille ricambiò la stretta di Nathaniel quasi senza rendersene conto, osservando poi affascinata lo stupore che prendeva posto sul suo volto e si faceva strada nei suoi occhi azzurri. Infine, come era prevedibile, il giovane mise su quel sorriso che lo faceva apparire un ebete senza speranze e che fece ridacchiare Lucille, compiaciuta per quell’effetto che ancora riusciva a produrre su di lui.

«Volevo chiederti una cosa, giacché siamo qui» esordì Nathaniel, palesemente in difficoltà, dopo essersi schiarito la voce un paio di volte. «Non parlo di oggi o domani, naturalmente avrai bisogno di tempo per riprenderti, ma magari una volta guarita…».

«Sì?»

«Ecco, magari vorresti prendere in considerazione l’idea di una piccola…» ma Lucille non seppe mai cosa Nathaniel volesse proporle – ammesso che ci fosse mai riuscito – perché la porta dell’Infermeria si spalancò con decisione per far entrare i suoi fratelli e le sue sorelle, scortati dalla professoressa Doge che doveva averli avvertiti del suo infortunio.

Quasi avesse le molle sotto ai piedi, Nathaniel scattò immediatamente a sedere e lasciò andare la mano di Lucille, seppur con evidente rimpianto.

«Cosa volevi dirmi?»

«Non ha importanza adesso» bisbigliò Nathaniel con un sorriso di scuse. «Sarà meglio che lasci il posto alla tua famiglia; saranno stati molto in pensiero per te».

Nathaniel sgattaiolò via rapidamente e nessuno dei fratelli Nott, escluso Oliver, se ne accorse, seguendolo per un lungo attimo con lo sguardo prima di dedicare la sua attenzione alla sorella, momentaneamente sommersa dagli abbracci dei più piccoli.

Nonostante affermasse di sentirsi ancora piuttosto stanca e debole, Lucille manifestò di star tornando nel pieno delle proprie forze quando la voce di John Christensen risuonò nell’Infermeria, inducendo tutti i presenti a voltarsi e a fissarlo sconcertati.

«Hai intenzione di rimanere laggiù ancora per molto?» sbottò il giovane danese facendo sussultare Nathaniel. «Sembri l’angelo della morte che aspetta che io tiri le cuoia».

Seppur contenta al pensiero che i rapporti fra Nathaniel e John tornassero a essere distesi, Lucille non poté esimersi dal commentare sfavorevolmente la maleducazione di quest’ultimo e la sua ostentazione in pubblico di modi tanto sgarbati. Quando Marcus le fece notare che non appariva poi così diversa dal solito, Lucille minacciò di torturarlo con la Maledizione Cruciatus per i prossimi due o tre mesi, con buona pace dell’educazione e di quell’ideale di signorilità al quale aspirava.

*

Estate 1837, Hogsmeade

Le ultime due settimane di giugno erano trascorse fra il ripasso delle lezioni apprese durante l’anno e lunghi pomeriggi passati nel grande parco che circondava Hogwarts a scherzare e a perdere tempo con i propri amici. Durante uno di quei pomeriggi, mentre Nathaniel si era incantato a osservare Lucille che giocava con le sue amiche nei pressi del Lago, Marcus spiegava di come suo fratello maggiore e sua cognata stessero considerando la possibilità di vivere lontano da Godric’s Hollow almeno per i primi tempi.

«Sia la mia famiglia che quella di Imelda risiedono a Godric’s Hollow e, nonostante siano sicuramente mossi da buone intenzioni, continuano ad interferire un po’ troppo nella loro vita» spiegò Marcus con un sorriso. «Un collega di Imelda le ha parlato di Hogsmeade e di come sia il posto ideale per crescervi dei bambini, soprattutto nella zona al limite sud del villaggio, dove le case sono distanziate le une dalle altre e circondate da giardini».

A quel punto l’attenzione di Nathaniel era stata attirata e, seppur a malincuore, distolse lo sguardo dalla schiena di Lucille per prestare ascolto alla conversazione.

«Ci sono delle case alla fine del villaggio dove poter crescere dei bambini?» chiese.

«I bambini possono crescere ovunque» sbadigliò Johnny sventolando una mano con fare annoiato e distendendosi sull’erba morbida.

«È una zona più tranquilla» disse Marcus scrollando appena le spalle. «Il collega di Imelda è sicuro di non conoscere con esattezza i nomi di tutti i suoi vicini proprio perché le case sono ben distanziate e ognuno bada ai propri affari».

«Non credo che un posto del genere farebbe al caso mio» borbottò Vincent. «Se uno ha bisogno di aiuto deve camminare per quanto, un miglio o più prima di incontrare qualcuno?»

«Non so tu, ma io sono un mago» ghignò Johnny con un sorriso felice, lieto di avere un’opportunità per punzecchiarlo. «Che bisogno hai di camminare, quando puoi Smaterializzarti o usare la Polvere Volante?»

«La comunità è sempre unita e disposta ad aiutare» disse Marcus in fretta, prevenendo la mordace replica di Vincent. «Solo che, essendo composta esclusivamente da maghi e streghi, non sente il bisogno di riunirsi con la stessa frequenza di quella di Godric’s Hollow».

«E si riesce a passare inosservati?» insistette Nathaniel.

«Be’ suppongo di sì, se è ciò che si vuole» tentennò Marcus. «Non credo però sia necessario stabilirsi a Hogsmeade per farlo; Benjamin Abbott abitava a Godric’s Hollow eppure frequentava pochissima gente».

«Sì, ma tutti sapevano che viveva lì».

Un silenzio sorpreso aleggiò sul piccolo gruppo e Nathaniel seppe automaticamente di essersi spinto troppo in là; Johnny si sollevò sui gomiti e prese a squadrarlo con attenzione, facendogli temere che potesse aver indovinato il corso dei suoi pensieri.

«Hai intenzione di rapire Lucille e farla vivere in una casa isolata affinché nessuno vi scopra?»

Tutti, Nathaniel compreso, scoppiarono a ridere per quella battuta e l’atmosfera tornò distesa; convinto di essersela cavata, il ragazzo sdrammatizzò rimproverandosi per la sua eccessiva curiosità e non si accorse di come invece, l’unico a sospettare che ci fosse dell’altro, era proprio Johnny.

 

Era una pessima idea, pensò Nathaniel per la centesima volta, avanzando a fatica sotto il sole torrido del primo pomeriggio e per le vie semideserte di Hogsmeade. Non erano passati che dieci giorni dalla fine delle lezioni e dall’inizio del mese di luglio che già lui aveva fatto visita al villaggio per ben tre volte, assecondando un pericoloso pensiero innescato dal commento casuale di Marcus sulla riservatezza offerta da quel piccolo paese.

Durante le ultime due visite aveva scorto un’anziana strega scrutarlo con sospetto mentre si aggirava per le stradine in terra battuta che portavano al limitare del villaggio, circondate da case isolate con grandi giardini più o meno curati. Non volendo chiedere in prestito il Mantello dell’Invisibilità a Marcus, Nathaniel aveva provato ad usare l’Incantesimo di Disillusione onde evitare che quella megera lo denunciasse alla Squadra Speciale Magica.

Benché non perfetto, l’incantesimo riuscì comunque a proteggerlo mentre camminava con cautela di fronte alla casa dell’anziana strega seduta in veranda, cercando disperatamente di non fare rumore. Solo gli occhi gialli del gatto lo seguirono, invece quelli della sua padrona rimasero ben fissi sul libro aperto in grembo.

Nelle occasioni precedenti Nathaniel aveva provato a indovinare chi potesse celarsi dietro le tende chiare e ben tirate che ornavano la maggior parte delle finestre, soffermandosi di tanto in tanto ad osservare i bambini che giocavano e le loro mamme, sperando sempre di incontrare la donna bionda che aveva visto nella farmacia e la sua bambina con gli occhi azzurri dei Rosier.

Anche quel pomeriggio vide bambini dai capelli biondi, bruni e rossi rincorrersi allegramente da un giardino all’altro o giocare con la sola compagnia dei rispettivi fratelli e sorelle man mano che le case si allontanavano sempre più le une dalle altre, ma nessuna di quelle madri era la donna che Nathaniel aveva intravisto quattro mesi prima.

Gli mancavano ormai tre o quattro case davanti alle quali sostare e a ogni passo le sue certezze vacillavano sempre più, inducendolo a chiedersi se per caso non stesse impazzendo. Una traccia dell’antico livore che provava nei confronti del fratello fin da quando era scomparso riaffiorò in lui senza preavviso, costringendolo a fermarsi e a respirare profondamente nel tentativo di calmarsi.

L’Incantesimo di Disillusione svanì, ma Nathaniel non se ne preoccupò perché non c’era più nessuno che potesse vederlo e l’unico rumore che si udiva era il frinire delle cicale. Poi, lentamente e inaspettatamente, una voce di bambina intonò una filastrocca, proveniente probabilmente dal retro di un’abitazione vicina.

Cercando di non apparire come un criminale, Nathaniel si diresse verso quel punto ostentando indifferenza e stava già per tornare indietro quando scorse i riccioli biondi della bambina che rimbalzavano a ogni suo saltello. Con un tuffo al cuore, riconobbe immediatamente la bimba della farmacia e ne ebbe la conferma quando lei si voltò e alzò il visino per guardarlo.

Occhi azzurri identici ai suoi lo fissarono e, senza rendersene conto, Nathaniel si inginocchiò sull’erba per osservare meglio la bambina e il sorriso dubbioso col quale ricambiava il suo interesse. A giudicare dall’altezza e dal modo non proprio preciso col quale aveva pronunciato qualche strofa della filastrocca, Nathaniel pensò che non poteva avere più di due anni e che forse poteva davvero essere la figlia di Michael.

Ma Michael ne era a conoscenza? Oppure era lui, Nathaniel, che stava perdendo la ragione dietro a quella storia?

Una manina rosea e cicciotta si mosse verso di lui e afferrò una ciocca dei capelli di Nathaniel, tirandoli leggermente.

«Papà?» chiese la piccola mentre un broncio adorabile le incurvava le labbra.

«No» disse Nathaniel trovando a fatica la forza per pronunciare quelle parole e sperimentando un giramento di testa paragonabile a quello che si ha dopo un’eccessiva bevuta. «Come ti chiami?»

La bambina non rispose ma continuò ad osservarlo con attenzione, quasi stesse decidendo se fidarsi o meno di lui. Nonostante cercasse di farsi venire in mente qualcosa da dire, qualunque cosa che non spaventasse la piccola o non la facesse piangere, la testa di Nathaniel rimase penosamente vuota, persa com’era in un vortice di ricordi ed emozioni contrastanti.

«Tesoro, dove sei?»

La voce morbida e dolce di una donna, la voce di una mamma, fece sussultare entrambi e riportò Nathaniel al presente, rammentandogli ancora una volta l’assurdità della situazione. Era, a tutti gli effetti, un estraneo inginocchiato nel giardino di una famiglia che non conosceva e pericolosamente vicino a una bambina indifesa.

Se la donna avesse deciso di schiantato in quel momento, lui non l’avrebbe di certo biasimata.

«Mamma!» esclamò la bambina con gioia, correndo verso la madre con i ricci che rimbalzavano come molle sulla sua schiena e lanciandosi fra le braccia accoglienti che l’aspettavano.

«Stavi giocando qui fuori?»

Nathaniel ponderò una rapida Materializzazione come via di fuga, ma ovviamente gli occhi castani della donna lo individuarono subito e ogni traccia di calore scomparve, lasciandovi affiorare la paura e il sospetto che lui vi aveva già scorto in passato. Non c’era dubbio che fosse la stessa giovane che aveva incontrato per la prima volta nella farmacia, e anche lei sembrò riconoscerlo all’istante.

«Mi dispiace» disse Nathaniel alzandosi di scatto e arretrando velocemente. «Non volevo fare nulla di male, ho solo visto la bambina giocare qui e la sua somiglianza con…. Insomma ha gli stessi occhi di mio fratello».

«Io non vi conosco» sibilò la donna spostando la piccola dietro di sé e facendo comparire la bacchetta fra le proprie mani. «Non siete stato invitare ad entrare in questa proprietà privata, perciò andatevene e non fate ritorno».

Nathaniel serrò le labbra in una linea dura, consapevole di essere dalla parte del torto ma sentendosi comunque offeso dal tono della giovane madre che lo stava trattando alla stregua di un criminale incallito.

Non aveva ferito quella bimba innocente, non lo avrebbe mai fatto; si era recato lì nel vano tentativo di risanare quelle ferite che lui stesso aveva subito quando era poco più di un bambino.

Un ragazzino costretto a diventare un giovane uomo nel giro di una settimana.

«Mi è sembrato di ravvisare nel volto di vostra figlia gli occhi di mio fratello» spiegò provando a mantenere la calma, cosa che negli ultimi mesi non gli era riuscita molto bene. «Forse mi sbagliavo».

«Sicuramente vi sbagliate. Non vi conosco e non ricordo di avervi mai incontrato prima» ribadì la madre prima di rivolgersi alla figlia e indicare la porta sul retro con un rapido cenno del capo. «Entra in casa, tesoro».

Per la prima volta nella vita, Nathaniel decise di prestare attenzione a ciò che gli stava davanti agli occhi e di usare la logica per interpretarlo, proprio come Johnny gli aveva suggerito più volte di fare.

Si accorse allora della semplice fede dorata che ornava l’anulare di quella donna e tornò a maledirsi per la propria stupidità; ci mancava solo che il marito tornasse a casa e decidesse di mostrarsi meno comprensivo della moglie, schiantandolo e consegnandolo direttamente alla prigione di Azkaban.

«Chiedo scusa; non vi disturberò più» mormorò Nathaniel chinando il capo e per un attimo gli parve che un lampo di dispiacere e comprensione attraversasse quei grandi occhi castani che non lo avevano mai perso di vista.

Scosse la testa come a volersi schiarire le idee e si girò, pronto a tornare a casa e maledicendo mentalmente Michael per tutta la sofferenza e le domande senza risposta che aveva lasciato dietro di sé. Lui, Nathaniel, non poteva permettersi di impazzire o di finire in prigione per la determinazione con la quale si ostinava a inseguire una mera illusione; doveva prendersi cura dei suoi genitori e meritava di vivere la sua vita.

Doveva fare le sue scelte, comprese, proprio come aveva fatto Michael quasi quattro anni prima.

«Papà è tornato da Grace» disse la voce acuta della bambina tutto d’un tratto, giungendo fino a lui dalla porta ancora aperta che dava sul giardino.

La donna si arrestò sulla soglia, lanciando un breve sguardo spaventato a Nathaniel e chiudendo subito la porta alle proprie spalle.

Il ragazzo invece rimase immobile al centro del cortile, con gli occhi sbarrati che guardavano i primi alberi che delineavano l’ingresso alla foresta circostante senza vederli veramente e la mente in subbuglio, attraversata da una sola parola.

Grace.

Il nome di sua madre.

A stento consapevole delle proprie azioni, Nathaniel si ritrovò a picchiare col pugno sulla piccola porta in legno, domandando che gli fosse consentito l’accesso. Non se ne sarebbe andato prima di vedere con i suoi stessi occhi il padre della bambina, stabilì, a costo di finire veramente schiantato o maledetto.

«Vi ho già detto di andarvene!» gli fu risposto dalla stessa voce femminile di prima. «O preferite terminare la giornata in una cella ad Azkaban?»

«Ci sono troppe coincidenze perché io possa permettermi di ignorarle» disse Nathaniel col cuore in gola, sperando con tutto sé stesso che si decidessero ad aprirgli.

Ma se anche fosse entrato in quella casa, trovandovi Michael, che cosa avrebbe potuto fare? Riportarlo a casa come se niente fosse, come se quei quattro anni non fossero esistiti? Oppure ignorarlo e lasciarlo alla sua nuova vita?

La porta si aprì mostrandogli ancora una volta la madre di Grace. Non sembrava più arrabbiata, ma in compenso aveva un’espressione stanca e spaventata che fece vergognare Nathaniel della furia con la quale aveva percosso l’uscio di quella casa.

«Andate via, per favore» mormorò a testa bassa, badando a non rivelare molto della stanza alle sue spalle fattasi improvvisamente quieta e silenziosa. «Non c’è nessuno in questa casa che sia imparentato con voi».

«Ma vostra figlia ha gli occhi dei Rosier e il nome di mia madre!» insistette Nathaniel, testardo come un mulo, rifiutandosi categoricamente di abbandonare la soglia di casa. «Non ditemi che è una coincidenza, vi prego, perché non posso credervi».

Un rumore di passi giunse dall’interno di quella che, immaginò Nathaniel, doveva essere la cucina. Erano passi adulti ben diversi dallo scalpiccio prodotto in precedenza dalla bambina, passi di un uomo che tuttavia non risvegliarono in lui alcun ricordo.

«È un nome come un altro! Spero non crediate che ogni persona di nome Grace sia imparentata con voi!»

Nathaniel arrossì ma non si scompose, fermo nel suo proposito e determinato a conoscere l’ultimo componente di quella famiglia.

«Tornate a casa, vi prego» lo implorò la donna trattenendo a stento le lacrime che si erano fatte strada nei suoi occhi.

«Non importa Aislinn, lascialo entrare» disse improvvisamente una voce calma e profonda, seguita da una grande mano bianca che si posava sulla spalla sottile di lei.

Nathaniel impiegò qualche minuto per riconciliare l’immagine del fratello che serbava nei suoi ricordi col volto che si ritrovò davanti. Il ragazzo che conosceva era svanito per lasciar posto a un uomo pieno di responsabilità e doveri che lui poteva a stento concepire.

Un padre e un marito.

Probabilmente Nathaniel si sarebbe mosso di più se fosse stato colpito da un Petrificus Totalus, tanta era la sorpresa che lo paralizzò sul posto nel rivedere il fratello che credeva scomparso. Riusciva solamente a far scorrere lo sguardo su di lui, notando ciò che era cambiato e ciò che invece non lo era, tentando di assorbire quanti più dettagli nel minor tempo possibile. La sua mente era un turbine di pensieri e sensazioni che si rincorrevano senza alcun senso, mentre l’eccitazione lasciava il posto a un gelido stupore a sua volta soppiantato da un senso di stordimento talmente forte che Nathaniel temette seriamente che sarebbe finito con lo svenire lì come l’ultimo degli sciocchi.

Michael era vivo.

«Ciao fratellino» disse Michael col sorriso sghembo che Nathaniel ben conosceva e ricordava. «È da un po’ che non ci vediamo».

 

 

 

 

Note dell’autrice.

Finalmente riesco a pubblicare il quarto capitolo, dove ho cercato di inserire quegli episodi accennati ne ‘Il Leone e la Fenice’ e di rimettere in pari questa storia con la principale.

Allora, tanto per dare dei punti di riferimento, vi elenco in ordine cronologico i capitoli ai quali si fa cenno qui – ovviamente non ho ricopiato gli episodi narrati nella storia principale o avrei finito col pubblicare a Pasqua o giù di lì.

La prima scena si ricollega al capitolo decimo de ‘Il Leone e la Fenice’ con la lezione di Nathaniel e Lucille che lì menzionavo e basta, mentre la seconda va’ a collocarsi all’interno del capitolo quindicesimo, per la precisione prima che Lucille rassicuri Cornelia su una fantomatica sorpresa in arrivo per San Valentino.

La terza invece espone i sentimenti che Nathaniel prova sia per Lucille che per Lydia, e può essere letta come un ampliamento del capitolo diciassette, mentre la quarta descrive il dialogo fra Lucille e Nathaniel che avevo omesso nel capito venti.

Forse la comparsa di Michael sembrerà un po’ prematura, ma vorrei rendere lui e la sua famiglia partecipi della storia, perciò era necessario cominciare ad introdurli; secondo voi come reagirà Nathaniel nel prossimo capitolo? E Michael vorrà tornare subito a casa o preferirà rimanere a Hogsmeade?

Spero di leggere qualche commento e qualche vostro pensiero sul capitolo!

A presto,

Selena

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Capitolo 5
*** Fratelli ***


Capitolo 5

Fratelli

Avrebbe dovuto aspettarselo, pensò Michael quando il pugno di Nathaniel si abbatté sul suo zigomo, rammentandogli così che suo fratello era indubbiamente diventato un uomo. Barcollò all’indietro e tentò di riacquistare l’equilibrio nonché di tranquillizzare sua moglie Aislinn, il cui urlo avrebbe potuto spaventare la piccola Grace rimasta in casa.

Anche Nathaniel sembrò sorpreso dal proprio gesto e arretrò rapidamente, guadandosi la mano come a volersi sincerare che fosse effettivamente la sua. Fissò infine il fratello a occhi sgrananti, intento a massaggiarsi lo zigomo arrossato e udendo appena le proteste di quella che, realizzò d’un tratto, doveva essere sua cognata.

«Un comportamento assolutamente indecoroso…».

«Aislinn, va tutto bene».

«Mi dispiace» balbettò Nathaniel che tutto si sarebbe aspettato tranne che di reagire a quel modo.

«È il minimo!» sbottò Aislinn lanciandogli l’ennesima occhiataccia e controllando con premura il volto del marito, sul quale Nathaniel sperò vivamente di non veder spuntare un livido.

Aveva agito d’istinto sentendo quella sciocca frase con cui Michael l’aveva salutato dopo tutti quegli anni di lontananza, infastidito dalla lieve ironia che vi aveva percepito e furioso per quell’abbandono lungo quasi quattro anni. Anni che erano passati senza che un segno giungesse da Michael, nemmeno un piccolo segnale di speranza che avrebbe riportato la gioia nella loro famiglia. In quel pugno c’erano la rabbia di un ragazzino che si era improvvisamente ritrovato figlio unico e che aveva visto i propri genitori crollare sotto il peso di un dolore troppo grande.

«Perché non vedi cosa sta facendo Grace?» mormorò Michael con un sorriso stiracchiato. «Io ti raggiungo subito».

I due fratelli ristettero in silenzio per un paio di minuti, ritti uno di fronte all’altro, cercando di conciliare le rispettive immagini adulte con quelle più giovani che albergavano nei loro ricordi. Michael fu il primo a fare un passo avanti e tese un braccio in direzione di Nathaniel, che però si limitò a stringergli la mano senza considerare la possibilità di riabbracciarlo.

«Speravo che quella frase avrebbe allontanato la tensione» spiegò il maggiore dei Greengrass con un sorriso teso. «Ti chiamavo così, ricordi?»

«Sono cresciuto in questi anni» ribatté Nathaniel.

«Sì, lo vedo» disse Michael con un sospiro. «Giacché sei qui, che ne diresti di entrare in casa? Siamo piuttosto isolati ma è meglio che io non passi troppo tempo all’aperto».

«Questo è tutto quello che hai da dire?» sibilò Nathaniel sentendo rianimarsi la rabbia. «Ti trovo qui dopo quattro anni dalla tua scomparsa e tu mi proponi di entrare in casa tua come se nulla fosse?»

«Vuoi forse discuterne qua fuori?» replicò Michael con la voce che si faceva più dura e alta. «Vengo da una giornata di lavoro, fratellino, perciò vorrei potermi sedere e stare con mia moglie e mia figlia. Inoltre non posso parlare di certe cose dove chiunque potrebbe sentirci».

Aprì la porta con un gesto rigido e si volse, aspettando che Nathaniel varcasse finalmente la soglia e si accomodasse nella piccola cucina in legno, vuota e ordinata.

«Ad ogni modo la casa non è mia» disse sedendosi attorno al lungo tavolo che troneggiava nel mezzo della stanza e invitando Nathaniel a fare altrettanto. «È dei genitori di Aislinn, ma ce l’hanno lasciata poco prima della nascita di Grace».

A Nathaniel parve di percepire dell’imbarazzo nelle parole del fratello, quasi provasse vergogna per non essere riuscito a provvedere da solo alle necessità della famiglia. Aveva anche detto che lavorava e per un attimo Nathaniel sperò con tutto sé stesso che qualunque lavoro facesse fosse legale e non connesso con la banda di malfattori mascherati, benché gli sembrava strano immaginare Michael che si aggirava con tranquillità all’interno del Ministero della Magia senza che nessuno lo riconoscesse.

«Ero convinto che mi avresti posto qualche domanda».

«Non è facile capire con quale iniziare» disse Nathaniel arrossendo leggermente e schiarendosi la gola nel tentativo di mettere ordine fra i suoi pensieri confusi. «Grace è tua figlia, vero?»

«Sì» disse Michael mentre una luce di pura gioia gli illuminava il volto. «Compirà due anni la settimana prossima».

«Per la barba di Merlino!» esclamò Nathaniel alzandosi e rischiando nuovamente di perdere le staffe. «Come hai potuto tenerci all’oscuro di tutto questo? Hai messo su famiglia, ti sei sposato e non ci hai mai detto nulla. Pensavamo che fossi morto, lo capisci?»

«Sono andato via per proteggervi» rispose Michael senza alterarsi e aspettando che il fratello si sedesse prima di proseguire. «Non era nei miei piani fermarmi e sposarmi, volevo solo andare il più lontano possibile; eppure il destino la vedeva diversamente. Non è stato facile nemmeno per me, Nathaniel».

«Hai appena detto che tua figlia ha due anni, ma ad ottobre saranno quattro anni che manchi da casa» precisò Nathaniel e gli ci volle un po’ prima di arrivare ad intuire il resto. «Grace non è la vostra unica figlia?»

«Quando sono andato via, mi sono fermato a Hogsmeade per vedere te, Amelia e Vincent; sapevo che sareste venuti al villaggio quel fine settimana e volevo portare con me un ultimo ricordo» disse Michael congiungendo le mani sul tavolo. «Aislinn e io ci consideravamo fidanzati, nonostante non avessimo ancora comunicato la notizia alle nostre famiglie, e avevamo intenzione di sposarci; volevo salutare lei per ultima ma quando sono arrivato qui mi ha confidato di essere in dolce attesa».

«Per l’amor del cielo!» sbottò nuovamente Nathaniel, sconvolto da quel comportamento che non riusciva ad associare al fratello che ricordava. «Avresti lasciato la donna con la quale… insomma, hai detto che eravate fidanzati…».

«Nathaniel, credevo che sarei morto» disse Michael con fare lapidario. «Non avrei potuto certo portarla con me esponendola così al mio stesso destino».

«Quindi ho un altro nipote?»

«No» disse Michael con voce bassa, alzandosi e girando attorno al tavolo così da dare le spalle a Nathaniel. «Abbiamo parlato con i genitori di Aislinn e loro si sono offerti di aiutarci, nonostante non fossero felici nel saperci futuri genitori. Sono potuto restare, benché nascosto, e ho potuto sposare Aislinn. Purtroppo ha perso il bambino un mese dopo le nozze».

Nathaniel rimase interdetto per un istante, sopraffatto da quelle parole e dall’eco di dolore che parve risuonare nuovamente fra le mura della cucina. Non poteva nemmeno immaginare quanto Michael e la moglie dovessero aver sofferto per quella perdita e all’improvviso la maggior parte della rabbia e del rancore che aveva provato fino ad allora si ridusse, lasciando che ad affiorare fossero la compassione e l’affetto fraterno.

Si alzò e si diresse verso Michael, che si asciugò in fretta gli occhi e gli rivolse quello che voleva essere un sorriso ma si rivelò invece una smorfia.

«Mi dispiace davvero, Michael» sussurrò Nathaniel sentendosi impacciato e di nessun aiuto.

Quel pomeriggio aveva avuto la conferma di essere uno zio, ma la consapevolezza di aver perso un nipote e di non poter essere stato accanto a suo fratello lo rabbuiò ulteriormente. Posò una mano sulla spalla di Michael in un gesto di silenzioso conforto e l’attimo dopo i due fratelli si ritrovarono stretti in un abbraccio che colmò parte della distanza che si era venuta a creare in quegli anni.

*

«Il padre di Aislinn possiede una libreria a Diagon Alley ed è lì che lavoro» disse Michael accomodandosi nuovamente al grande tavolo in legno. «Ovviamente passo la maggior parte del mio tempo nel retrobottega per evitare di essere visto».

«Non è Il Ghirigoro, vero?»

«No, è una piccola libreria che fa’ angolo con una traversa. Non è molto frequentata e buona parte dei profitti vengono ricavati dagli ordini via gufo che riceviamo» ammise Michael. «Abbiamo anche quei libri che al Ghirigoro non troveresti mai perché avrebbero timore di non riuscire a venderli, e molti sono dei clienti di vecchia data che conoscono mio suocero da tempo».

«Non stiamo parlando dei libri che cercano quei delinquenti, vero?»

«Certamente no» precisò Michael scoccando un’occhiata di rimprovero a Nathaniel. «Trattiamo per lo più libri rari che si estendono a rami del sapere diversi dalla negromanzia e dalla Magia Oscura».

«Quindi ti occupi degli ordini» sospirò Nathaniel tentando di mettere ordine fra i suoi pensieri. «E sei sempre stato qui o…».

«No, all’inizio Aislinn ed io abitavamo nel piccolo appartamento sopra la libreria, ma i miei suoceri si sono trasferiti lì quando abbiamo scoperto di aspettare Grace. Qui ha una stanza tutta per lei e c’è anche il cortile dove può giocare».

La loro conversazione fu interrotta proprio dall’arrivo di una ancora assonnata Grace in braccio alla mamma e che tese subito le braccia verso il padre non appena lo vide. Michael si alzò assecondando la muta richiesta della figlia e Nathaniel lo imitò.

«Credo sia giunto il momento di fare delle presentazioni ufficiali» disse Michael fiero, circondando la vita sottile della donna con un braccio. «Mia moglie, Aislinn Greengrass».

«Mi dispiace avervi trattato male, Nathaniel…».

«Vi devo delle scuse per entrambe le volte in cui ci siamo visti…».

Sorrisero spontaneamente al ricordo dei loro precedenti incontri e Aislinn lo accolse come cognato stringendolo in un breve abbracciò, poi li invitò ad accomodarsi mentre si dava da fare per preparare del tè.

«Questa invece è tua nipote Grace» sorrise Michael accarezzando con tenerezza la testa dorata della bambina, che per tutto quel tempo non aveva smesso di fissare Nathaniel dal sicuro rifugio offerto dalle braccia paterne.

«Ehm… ciao» balbettò Nathaniel, ancora stupito nel vedere gli occhi dei Rosier sul volto paffuto e serio della bambina.

«La prima volta che Grace vi ha visto, ha creduto che foste suo padre con un diverso taglio di capelli» spiegò Aislinn portando il tè su un vassoio e iniziando a versarlo nelle tazze del fine servizio di porcellana, così raffinate da stonare nel semplice ambiente domestico di quella dimora. «Naturalmente sapevo che Michael non poteva essere lì e quando mi sono voltata per controllare vi ho riconosciuto subito, ma sapevo anche che non eravate a conoscenza della nostra esistenza né della vita che avevamo qui».

«No, avete ragione» disse subito Nathaniel, cronicamente incapace di restare arrabbiato con una donna per più di cinque minuti. «Capisco perfettamente».

Dall’altro capo del tavolo, Grace pigolò qualcosa e Michael chinò il capo per ascoltare la domanda della figlia.

«Questo è lo zio Nathaniel, Grace» disse con voce chiara alla bambina che lo ascoltava con un’attenzione incredibile per la sua giovane età. «Ti ricordi che ti ho parlato di lui e dei nonni?»

«Gli hai detto di noi?»

«Certo» affermò Michael, seppur con un’esitazione che insospettì Nathaniel. «Lei crede che viviate molto lontano da qui e per questo non vi ha mai visti».

La rabbia che Nathaniel credeva essere sopita riaffiorò in lui, portando con sé anche una buona dose di indignazione per quella menzogna. Non solo Michael li aveva esclusi dalla sua vita, ma aveva dipinto i loro genitori come dei pessimi nonni e lui come un terribile zio, troppo lontani e disinteressati per essere partecipi della crescita di Grace.

«È stata la spiegazione migliore che potevamo darle» intervenne Aislinn quando si accorse dei sentimenti che affioravano sul suo volto mentre Michael lo osservava in silenzio, conscio della reazione che avrebbe avuto.

Nathaniel era sempre stato più pacato e tranquillo rispetto a lui e a Vincent, che invece erano indubbiamente gli elementi più turbolenti di quel piccolo gruppo di cugini. Sorrideva sempre e non si arrabbiava mai, tranne le rare volte in cui qualcosa che giudicava come profondamente offensivo colpiva il suo giovane orgoglio, e a quel punto si rabbuiava talmente tanto da rendere noto a tutti la fonte del suo malumore.

«La spiegazione migliore per voi» disse Nathaniel mantenendo un tono di voce basso ma rifiutandosi di essere gentile come prima. «Non è giusto tenerla lontana dai nostri genitori; hai una vaga idea di quanto abbiano sofferto, di quanto la mamma sia stata male?»

«Posso immaginarlo» replicò Michael con freddezza. «Tuttavia la mia priorità era proteggervi e magare riuscire anche a salvare me stesso. Adesso ho anche Aislinn e Grace a cui pensare e credo tu sappia cosa succederebbe se ci trovassero. Nessun Greengrass sarebbe al sicuro, perciò fintantoché questi signori sono liberi di andare in giro per il paese, io devo restare nascosto».

«Ma perché?» sbottò Nathaniel perdendo definitivamente le staffe. «Si può sapere qual è il motivo che li spinge a volerti morto? Come li hai conosciuti? Collaboravi con loro oppure…».

«Zio Nate?» intervenne Grace con una vocetta acuta che colse il giovane impreparato.

«Ricordo che non ti piaceva essere chiamato così, ma per lei è più facile da pronunciare rispetto al tuo nome intero» mormorò Michael e Nathaniel annuì stancamente, perché preoccuparsi del modo nel quale veniva apostrofato da una bimba di due anni era l’ultimo dei suoi pensieri.

«Giù» ordinò Grace non appena si avvide del cenno di assenso dello zio e del sorriso stentato che le rivolse.

La sua richiesta fu accolta prontamente dal padre e, non appena posò stabilmente i piedini sul pavimento, la piccola corse a braccia aperte verso Nathaniel, strillando con entusiasmo il suo nome. Nathaniel poggiò in fretta la tazza di tè mezza piena e tese automaticamente le braccia vedendo quella nuvola bianca e dorata lanciarsi verso di lui, sollevandola e stringendola al proprio petto.

«Zio Nate è andato a trovare Grace!» biascicò la bambina con entusiasmo, passandogli le mani sulla faccia e aggrappandosi saldamente a una ciocca dei suoi capelli.

«Zio Nate è venuto a trovarti, tesoro» la corresse subito Aislinn con un sorriso.

«Dov’è nonna Grace e nonno ‘Tander?» chiese la piccola con la massima serietà e, se non si fosse trattato proprio di quella domanda, probabilmente Nathaniel avrebbe faticato molto a rimanere serio davanti all’improbabile soprannome dato al signor Greengrass.

«Non sono potuti venire questa volta, non è vero?» intervenne Michael fissando con attenzione il fratello, che collaborò e confermò la sua storia.

«Giochiamo» stabilì a quel punto Grace, segnalando a Nathaniel di voler scendere. «Vieni, zio».

«Lascia discutere lo zio con papà» disse Aislinn alzandosi e prendendo Grace. «Mamma giocherà un po’ con te e dopo torneremo a salutare lo zio».

Michael aspettò di sentire la porta del piano superiore chiudersi e tacitare le proteste della bambina prima di parlare, ponderando con attenzione ogni frase e consapevole di dover dare qualche spiegazione soddisfacente al suo testardo fratello.

«Ricordi Theodore Flitt, il mio compagno di dormitorio?»

«Il fratello di Augustus Flitt?» chiese Nathaniel colto di sorpresa. «Quello sciocco imbevuto di idee puriste?»

«Suppongo siano parenti, perché anche Theodore aveva una precisa opinione di Mezzosangue e Nati Babbani» disse Michael scollando le spalle e riprendendo il suo racconto. «Lui è stato il primo ad avvicinarmi e inizialmente non menzionò né attacchi né alcuna fra le violenze che si sono susseguite nell’ultimo anno. Portò alla mia attenzione diverse teorie che a Hogwarts non sono oggetto di studio e ammetto che alcune mi avevano affascinato, perlomeno prima di conoscerne gli effetti o le azioni necessarie per rendere possibili determinati incantesimi. Così all’inizio, preso dall’entusiasmo per le nuove scoperte e ignorandone gli aspetti peggiori, decisi di aiutarli in una parte del loro piano che credevo innocua».

«Li hai aiutati a progettare l’assassinio di Benjamin Abbott?» lo interrogò Nathaniel spezzando il silenzio carico di tensione che si era creato.

«No, ti ho già detto che non sapevo nulla degli omicidi e all’epoca non se ne verificò nessuno» ribadì Michael. «Si vociferava che nella biblioteca di Hogwarts, probabilmente nel Reparto Proibito, ci fossero dei libri che contenevano informazioni su questi incantesimi e finii col convincermi che sarebbe stato un peccato lasciarli lì. Flitt mi prospettò i suoi superiori come un tranquillo gruppo di stregoni dediti alla conoscenza, facendo leva su una delle cose che da sempre mi appassionava».

Nathaniel ricordò con chiarezza quello che Lydia Turpin aveva confidato a Cornelia e che lei aveva raccontato al loro gruppo ovvero di come quei malfattori avessero ‘soldi, possibilità, risorse e infiltrati praticamente in ogni ufficio del Ministero. Qualunque cosa stiano tramando, qualunque piano vogliano mettere in atto, è il frutto di un’attenta preparazione iniziata molto tempo fa’.

Flitt doveva aver saputo dell’interesse che Michael aveva, della sua sete di conoscenza, così come chiunque sapeva nella loro famiglia e fra i suoi amici. Sebbene più vivace e avventuroso di Nathaniel, Michael non aveva mai trascurato la cultura ed era solito aggirarsi per la casa o per i corridoi della scuola con un libro fra le mani. Stuzzicarlo con argomenti proibiti a Hogwarts e che gli sarebbero rimasti preclusi era stata un’idea eccellente.

«Quindi ti sei introdotto nel Reparto Proibito e preso quei libri? Noi pensavamo che la biblioteca fosse diventata oggetto di interesse da quando custodisce i volumi appartenuti al signor Abbott».

«È possibile che ci fosse già qualche libro del genere, sebbene non tanti quanti adesso; tuttavia non volevano che fossi io a prenderli e sapendo ora il loro contenuto non fatico a capire il perché» ironizzò Michael con un sorriso amaro. «Theodore mi disse che sarebbero stati i nostri superiori ad occuparsene, ma avevano bisogno di un passaggio segreto sicuro di cui nessuno fosse a conoscenza, così da poter entrare indisturbati nella scuola».

«Non sarà il passaggio che hanno usato ad ottobre?»

«Ritengo di sì, ma non ne sono certo» rispose Michael dopo un lungo momento, alzando subito una mano per prevenire le proteste dell’altro. «Mi ci è voluta la maggior parte del mio settimo anno per trovare qualche informazione e ho dovuto setacciare l’intera biblioteca nel tentativo di scovare un libriccino nel quale mi ero imbattuto durante il mio primo anno. Inizialmente suggerii loro – anche per guadagnare del tempo – gli unici due passaggi segreti che conoscevo, ma Flitt mi fece sapere che li avevano giudicati come troppo noti a studenti e insegnanti».

«Quali erano?» intervenne Nathaniel con urgenza. «Anche noi ne conosciamo diversi».

«Non avevo dubbi che tu e Vincent avreste finito con lo scoprirne più d’uno» disse Michael concedendosi una breve risata. «Sono certo che quello sotto la gobba Strega Orba al terzo piano e quello dietro la statua di Gregory il Viscido ti siano familiari».

Nathaniel annuì in fretta e replicò: «Perciò gli hai mostrato il passaggio nei Sotterranei?»

«Nel frattempo divenni un po’ più sospettoso riguardo le intenzioni di questi signori perché, oramai certi della mia lealtà e ritenendomi un valido elemento, avevano concesso a Theodore di rendermi gradualmente più partecipe dei loro progetti» continuò Michael preferendo riprendere il racconto da dove l’aveva interrotto. «Indagai per mio conto e inorridii quando mi resi di conto di ciò a cui aspiravano, ma quel punto cominciarono le intimidazioni. Mi avevano visto in compagnia di una ragazza bionda di cui però ignoravano l’identità, tuttavia mi assicurarono che avrebbero indagato se avessi smesso di collaborare con loro».

«Era Aislinn la ragazza di cui parli?»

«Naturalmente» confermò Michael. «Continuammo a vederci di nascosto ma più raramente, ignorandoci durante le lezioni o nei corridoi. All’epoca lei sapeva solo una parte della storia, perché non volevo rischiare di coinvolgerla oltre il punto di non ritorno.».

«Prima hai menzionato un libro» ricordò Nathaniel dopo qualche minuto di silenzio durante il quale si udirono solo le risate di Grace provenire dal piano superiore e che ebbero l’effetto di un benefico balsamo nell’animo di Nathaniel, mantenendolo calmo e lucido.

«Gliel’hai consegnato per proteggere te ed Aislinn?»

«No, non fui io a trovarlo» spiegò il fratello rimuovendo dal tavolo le tazze di tè ormai vuote. «Avevo parlato a Theodore di questo opuscolo nel quale mi ero imbattuto al primo anno e che conteneva delle curiosità sulla scuola e faceva menzione di alcuni passaggi segreti. Non ricordavo però il titolo e questo complicò la mia ricerca. Fu Flitt a rintracciarlo prima di me e a informare i suoi superiori».

«Come ha fatto a venirne in possesso prima di te?»

«Non ricordavo il titolo, Nathaniel» sospirò Michael con impazienza, innervosito dalla sua mancanza di fiducia. «Non vedevo quel libro da sei anni né rammentavo tutto ciò che c’era scritto. Era un libretto che aveva attirato la mia attenzione di bambino, non certo un volume che mi metterei a leggere ora».

«Quindi non conosci la posizione esatta del passaggio segreto?»

«No».

«Allora…» mormorò Nathaniel, confuso. «Allora perché sei scappato? Non potevi più nuocergli, non senza delle informazioni precise perché nessuno ti avrebbe creduto. Conoscevi forse l’identità di queste persone?»

«No, li ho incontrati solo due volte e in entrambe le occasioni avevano il volto coperto dalle maschere» ammise Michael. «Dimentichi però che oramai ero a conoscenza dei loro piani e delle loro peggiori intenzioni. Provai a trarmi indietro quando Theodore trovò il libro, spiegando che a quel punto non gli sarei stato più d’aiuto; ovviamente non erano d’accordo e minacciarono di far del male alla nostra famiglia piuttosto che accanirsi su una misteriosa ragazza senza nome».

«Avremmo potuto nasconderti noi!» esplose allora Nathaniel, incapace di trattenersi. «Avremmo pensato ad una soluzione insieme e nessuno ne avrebbe saputo nulla!»

«Tu non hai idea di quanto sia estesa la loro influenza e quanti contatti abbiano!» ruggì Michael perdendo a sua volta la pazienza. «Dopo che sono scomparso ci saranno stati molti visitatori intenti a consolare i nostri genitori e ti assicuro che alcuni di loro avrebbero capito se si trattava di una finzione o meno. Hanno degli infiltrati finanche al Ministero e non è escluso che qualcuno di loro si sia occupato fin da subito della mia ricerca; magari vi hanno chiesto di visitare tutte le nostre proprietà, vero? Incluso il casale in Irlanda dove nessuno mette piede da circa duecento anni».

«Sì, hanno controllato ogni casa di nostra proprietà» fu costretto ad ammettere Nathaniel, sentendosi improvvisamente molto sciocco per non aver considerato quell’aspetto della situazione. «Hanno chiesto il permesso di ispezionare anche quelle dei Rosier e i nonni hanno acconsentito».

Michael allargò le braccia in un palese gesto di amaro compiacimento e mormorò: «Se non me ne fossi andato veramente e mi avessero scoperto, posso assicurarti che ci avrebbero ucciso tutti. Non è stato affatto facile abbandonarvi in quel modo Nathaniel, ma speravo di poter salvare almeno voi se non me stesso. E come vedi ho avuto ragione: si sono resi conto della vostra innocenza e non vi hanno colpiti».

«Non potevi esserne sicuro» ribatté Nathaniel.

«Hai ragione, ma ero certo dell’alternativa e questo mi bastava».

Nathaniel tacque e prese a osservare il fratello, ancora desideroso di scagliargli contro la sua rabbia e al tempo stesso deciso a scoprire la verità dopo tutti quegli anni di attesa. Seppur non perfette e a tratti lacunose, le spiegazioni di Michael sembravano avere un senso ed essere compatibili con le paure di un ragazzo poco più che maggiorenne che si era trovato invischiato in qualcosa di troppo grande per lui, da cui aveva deciso di fuggire senza tuttavia sapere come.

Era plausibile che, in seguito alle minacce rivolte alla sua famiglia e anche alla ragazza che amava, Michael avesse disperato di riuscire a trarsene fuori e avesse provato a salvare, se non sé stesso, quantomeno coloro che gli erano cari.

«Avevi detto che avevi provato ad abbandonare quel gruppo» borbottò Nathaniel ricomponendosi e determinato ad ascoltare l’ultima parte della storia. «Che cosa è successo dopo?»

«Finiti gli esami e ottenuti i M.A.G.O., finsi di aver cambiato idea e collaborai con loro per i mesi successivi ma qualcosa mi diceva che non avevo più molto tempo a disposizione» narrò Michael prendendo posto accanto al fratello. «Non mi lasciavano mai da solo e gli incarichi che mi assegnavano erano di gran lunga al di sotto delle mie capacità proprio perché avevo perso la loro fiducia. Per non insospettirli, passavo la maggior parte del tempo a casa e vedevo pochissimo anche Aislinn per paura che ci scoprissero. Iniziai ad elaborare un piano e decisi di metterlo in atto ad ottobre, nel fine settimana che sapevo coincidere col giorno della tua uscita qui a Hogsmeade».

«Perché proprio quel giorno?» chiese Nathaniel, perplesso.

«Perché volevo vederti un’ultima volta prima di partire. Scorsi anche Amelia che passeggiava con le sue amiche e infine vidi te e Vincent assieme ai vostri amici con dei dolci di Mielandia».

Un nodo improvviso strinse la gola di Nathaniel mentre la sua mente veniva invasa dai ricordi di quel pomeriggio e dall’orrore delle ore e dei mesi seguenti, e a quel punto abbassò il capo, incapace di proferire parola e limitandosi ad annuire.

«Tuttavia non potevo non salutare Aislinn, non potevo lasciarla senza nemmeno una spiegazione o una parola d’addio» continuò Michael posando una mano sulla spalla del fratello e stringendola affettuosamente. «Mi sentivo malissimo al pensiero di abbandonarla dopo le promesse che ci eravamo scambiati e la fiducia che lei mi aveva concesso, ma non credevo che sarei riuscito a fuggire per sempre e non volevo condannarla a morte certa».

«Questo posso capirlo» si costrinse a dire Nathaniel, schiarendosi più volte la gola. «Probabilmente avrei agito in base alle medesime considerazioni».

«Mmm… pensi ancora a Lucille Nott o c’è una nuova fanciulla che ha attirato la tua attenzione?» lo punzecchiò Michael con un sorriso che era pura malizia e diabolicità. «Ricordo che eri innamorato di lei fin da bambino».

Nathaniel assunse un preoccupante colorito rossastro che lo fece assomigliare a un pomodoro maturo e borbottò delle frasi sconclusionate, allontanando la mano del fratello dalla spalla mentre quest’ultimo cercava di non ridere troppo forte.

«A cosa è dovuta quest’allegria?» domandò Aislinn tornando in cucina con Grace al seguito e un’espressione curiosa sul volto dai tratti delicati.

«Nathaniel mi stava per raccontare qualcosa sulla ragazza di…» attaccò Michael, ma fu prontamente interrotto da Nathaniel che, accortosi dell’ora, balzò in piedi e disse di dover tornare subito a casa.

«Mamma e papà si agitano se manco per troppo tempo e ovviamente non avevo detto loro dove ero diretto» spiegò Nathaniel a seguito della perplessità che vide affiorare sul volto del fratello e della cognata. «Sono cambiati molto da quando te ne sei andato e… insomma, penso che abbiano paura di perdere anche me».

«Mi dispiace, Nathaniel» disse Aislinn con sincero rammarico e il ragazzo non poté fare a meno di sorriderle per tranquillizzarla almeno un po’. «Ci farebbe però molto piacere rivedervi, vero Grace? Dì quella cosa allo zio».

Nathaniel, ancora stordito dal sentirsi chiamare zio nel volgere di un paio d’ore, si inginocchiò nuovamente mentre la nipotina trotterellava verso di lui, stringendo in mano un coniglio di pezza le cui orecchie si muovevano stancamente, segno evidente di come l’incantesimo che lo animava stesse svanendo.

«Zio Nate viene da Grace per la festa» disse la bambina con un sorriso enorme l’attimo prima di gettargli le braccia attorno al collo.

«La settimana prossima ci sarà il compleanno di Grace» spiegò Aislinn con un sorriso. «Festeggiamo sempre con pochissimi invitati, cosicché nessuno si accorga di Michael, ma saremmo felice di avervi con noi».

«Il prossimo giovedì?»

«Sì, potreste passare dopo pranzo».

Nathaniel scambiò uno sguardo col fratello che si limitò a sorridere e a guardare con tenerezza Grace, ora in trepidante attesa di una risposta dello zio.

«Va bene» cedette prevedibilmente Nathaniel. «Verrò e ti porterò un regalo».

La frase scatenò una serie di urletti di gioia e saltelli entusiasti da parte della bambina, che si alzò sulle punte per schioccare un bacio sulla guancia del ragazzo, e infine si rifugiò fra le braccia della madre, felicissima al pensiero di ricevere un regalo.

«Vieni, ti mostro dove potrai Materializzarti la prossima volta» disse Michael dopo che il fratello ebbe salutato la cognata e la bambina. «Solitamente mettiamo degli incantesimi a protezione della casa una volta che sono rientrato; è vero che non riceviamo quasi mai visite, ma la prudenza non è mai troppa. Gli incantesimi non dovrebbero essere attivi per quell’ora, ma tieni presente quella grande roccia accanto allo steccato: da lì è impossibile scorgerti per qualcuno che si trova sulla strada».

«Bene» annuì Nathaniel. «Allora suppongo sia il caso di salutarci».

Era strano e al tempo stesso inevitabile che fra loro ci fosse quell’imbarazzo, quasi che nessuno dei due fosse sicuro di cosa fosse appropriato dire o fare, non comprendendo ancora appieno quanto e come fosse cambiato l’altro negli anni che li avevano divisi.

Nathaniel era certo che suo fratello non gli avesse detto tutto, ma effettivamente non era facile riassumere quattro anni in un paio d’ore. Provava ancora del risentimento eppure in quel momento si chiese se ne valesse la pena: aveva visto i suoi genitori disperarsi per tutto quel tempo e lui stesso si era sentito soffocare al pensiero di averlo perso per sempre; adesso invece aveva la certezza che Michael fosse vivo e stesse bene, e per quanto avessero ancora molto di cui discutere, per il momento questo poteva bastargli.

La sua mente riandò ad una conversazione che aveva avuto con Johnny mesi prima, subito dopo aver incontrato Grace e sua madre in farmacia. Come al solito le supposizioni del giovane danese si erano dimostrate corrette e l’unica cosa che nessuno dei due aveva previsto era Aislinn o piuttosto il modo nel quale era entrata a far parte della vita di Michael, inducendolo a modificare i suoi piani. Johnny non aveva avvalorato le speranze di Nathaniel perché non riteneva che un fuggitivo avesse avuto modo e tempo per metter su famiglia, mentre Nathaniel non era a conoscenza della relazione del fratello che durava sin dagli anni a Hogwarts.

«Sono felice di averti rivisto» disse infine il ragazzo aprendosi in un sorriso. «È un sollievo sapere che sei sano e salvo e… mi ha fatto piacere conoscere la tua famiglia».

«Ti aspettiamo la prossima settimana» replicò Michael stringendolo in un abbraccio. «Sappi che ero sincero prima quando ti ho detto che non avevo intenzione di ferire tutti voi a quel modo e spero che Grace possa conoscere i nonni in futuro».

«Quando?» chiese Nathaniel, incapace di trattenersi. «Sai che mamma e papà manterrebbero il segreto».

«Ne sono sicuro, ma potrebbero apparire diversi e se c’è qualcuno che ancora li controlla lo noterebbe; inoltre potrebbero circolare delle voci. Devo essere certo che quelle persone non siano più un problema prima di uscire allo scoperto» spiegò Michael. «Non dire niente a nessuno, Nathaniel. Nemmeno a Vincent o agli amici».

«Hai la mia parola» promise Nathaniel con un sospiro di sconfitta. «Mi auguro però che riusciremo a fermarli presto; questo non è un segreto che puoi tenere nascosto per sempre».

Nathaniel scese in fretta e i gradini e sventolò la mano un’ultima volta in segno di saluto, scatenando le risate della piccola Grace, infine raggiunse la roccia e si Smaterializzò l’istante successivo, sentendosi straordinariamente più leggero rispetto a qualche ora prima.

 

«Gli hai detto tutto?» mormorò Aislinn lasciando che Grace giocasse liberamente in cucina e osservando il marito che si preparava a dotare la loro casa dei soliti incantesimi difensivi.

«Per esempio che Theodore mi mostrò quel libro prima di consegnarlo ai suoi superiori e che ne conosco il titolo?» ironizzò Michael con un sorriso che però non riuscì ad ingannare la moglie. «No, sarebbe stato troppo pericoloso; inoltre Flitt ha restituito il libro prima della fine dell’anno ed è fondamentale che loro non lo trovino. Più di una volta durante la nostra conversazione Nathaniel ha parlato al plurale e sono certo che lui e i suoi amici non esiterebbero un attimo a recarsi in quel passaggio, probabilmente senza nemmeno dirlo agli insegnanti».

«Be’, sono pur sempre dei Grifondoro».

«Per molto tempo ho pensato che non avrei mai riabbracciato mio fratello o i miei genitori, e spesso mi sono chiesto come Nathaniel avrebbe reagito se ci fossimo rivisti» confessò Michael a bassa voce, chiudendo la porta alle proprie spalle. «Hai notato quanto fosse arrabbiato oggi ed è un miracolo che non mi abbia posto ulteriori domande. È meglio lasciare le cose così; almeno eviterò di perderlo a causa della sua intraprendenza».

Il canticchiare allegro di Grace si levò a riempire la cucina e illuminò istantaneamente i volti dei suoi genitori, mentre un sorriso triste velò per un momento il viso di Aislinn.

«Avrei tanto voluto dare a Grace un fratello o una sorella» disse rifugiandosi nell’abbraccio del marito. «E dare a te un erede che potesse portare avanti il nome della tua famiglia».

«Tu e Grace siete tutto ciò di cui ho bisogno, Aislinn» mormorò Michael, sentendosi impotente di fronte a quel dolore ed ogni volta era come la prima quando, subito dopo la nascita di Grace, la premurosa Guaritrice che aveva assistito Aislinn le aveva detto che sarebbe stato molto difficile rimanere incinta una seconda volta.

Dopo aver perso già un bambino e con la gravidanza tutt’altro che facile che Aislinn aveva avuto, Michael aveva messo da parte il sogno di una famiglia numerosa – che comunque gli sarebbe stato difficile mantenere segreta in quelle condizioni – preferendo che la moglie rimanesse in salute e che Grace crescesse con una madre. Aislinn invece non si era mai riassegnata e a volte quel dolore tornava a tormentarla, assieme a quello della perdita del bambino che non avevano mai conosciuto.

«Molte persone stanno bene anche con un solo figlio, Aislinn» la rassicurò Michael accarezzandole piano la testa. «Io sono più che felice della nostra Grace e non devi preoccuparti della mia famiglia: a portare avanti il nome potrà pensarci Nathaniel un domani. L’importante è che voi stiate bene e al sicuro».

Nonostante pronunciasse con ferma convinzione quelle parole, Michael pensò che aveva avuto molte difficoltà a sentirsi veramente al sicuro negli ultimi quattro anni.

*

Estate 1837, residenza della famiglia Nott

Lucille ristette sulla soglia della biblioteca per qualche minuto, intenta a osservare sua sorella Meryl e il modo assolutamente svogliato col quale fingeva di leggere il libro che aveva scelto la sera precedente. Lucille non aveva dimenticato quello che Meryl le aveva detto sulla banchina del binario nove e tre quarti poco prima che lei e gli altri fratelli Nott salissero sul treno, ma non c’era stato tempo per indagare ulteriormente e lei era quasi certa che non fosse il genere di argomento di cui si potesse discutere tramite lettera.

Benché fossero state smistate nella stessa Casa, Lucille e Meryl erano sempre state molto diverse dal punto di vista caratteriale: entrambe si mostravano piuttosto disposte a seguire le indicazione dei genitori e spesso anche ad assecondarli, ma se c’era da protestare su qualcosa Lucille lo faceva ad alta voce e con tono petulante mentre la sorella tendeva ad interiorizzare tutto, chiudendosi in sé stessa ed evitando di confessare ad altri i suoi pensieri.

Per i primi sei anni a Hogwarts, Meryl era stata un perfetto esempio di ragazza educata e studiosa, che riusciva sempre ad ottenere voti molto alti nella maggior parte delle materie e che al quinto anno era anche diventata Prefetto. Qualcosa era cambiato con l’inizio dell’ultimo anno e l’ansia degli esami finali l’aveva spinta a studiare e concentrarsi ulteriormente, inducendola a trascorre sia le vacanze natalizie che quelle pasquali al castello di Hogwarts, con gran disappunto dei suoi genitori.

Quando Lucille le aveva candidamente fatto notare che non era necessario ottenere un ‘Eccezionale’ in tutte le discipline dacché i signori Nott preferivano che nessuna delle loro figlie lavorasse, Meryl si era risentita particolarmente, redarguendo la sorella in un modo che non aveva precedenti nel loro rapporto, fatto solo di risate e complicità.

«Studio per me stessa perché desidero una cultura e tu dovresti fare lo stesso» aveva detto Meryl con forza. «Quanto al lavoro, sarò io a scegliere che tipo di vita avrò».

Lucille aveva anche provato a chiedere alla mamma se conoscesse la causa del malessere che affliggeva la sorella, ma lei si era limitata a sorridere e a dirle che Meryl aveva solo bisogno di adattarsi alla sua nuova vita fuori da Hogwarts. Lucille era abbastanza sveglia da sapere quando arrivava il momento di non fare più domande, tuttavia non aveva creduto interamente alla spiegazione della mamma ed era determinata ad andare a fondo in quella faccenda.

Sospirò silenziosamente prima di fare il suo ingresso nella biblioteca, assicurandosi di sorridere come se fosse la mattina di Natale.

«Buongiorno Meryl!» trillò con una vocetta talmente acuta da far sobbalzare la sorella, chiaramente persa nei suoi pensieri, e facendole scivolare il libro dalle mani.

«Lucille, non potevi almeno bussare? Mi hai spaventata!»

«Credevo mi avessi sentita» mentì Lucille accomodandosi accanto a lei sul divanetto e lisciando con grazia delle inesistenti pieghe sulla gonna. «Volevo chiederti di accompagnarmi dalla sarta a Diagon Alley questo pomeriggio; devo ritirare il vestito per il ballo e sceglierne uno che sia adatto alla festa che darò per il mio compleanno. Ho bisogno del tuo aiuto e non puoi lasciarmi sola in un momento come questo».

Meryl posò il libro sul tavolinetto e ascoltò con pazienza il monologo della sorella, infine produsse un piccolo sorriso e accettò di accompagnarla.

«Magari la mamma ci lascerà andare da sole» disse Lucille in un moto di speranza. «Ormai ho quasi raggiunto la maggiore età e insieme saremmo in grado di badare alle altre».

Quando si trattava di scegliere un vestito o semplicemente di fare una passeggiata per la Londra magica, le sorelle Nott erano sempre state molto unite, insistendo affinché anche le più giovani venissero con loro e partecipassero al divertimento delle maggiori, riuscendo spesso a fare anche qualche piccolo acquisto per sé.

Meryl però scosse subito la testa e affermò con sicurezza: «Non andremo da nessuna parte se non saremo accompagnate dalla mamma, lo sai bene. Da quando il Mondo Magico è sotto attacco, i nostri genitori sono più preoccupati del solito e non credo che potremo andare tutte insieme. Forse Pervinca e Madeline avranno il permesso, specialmente ora che hanno compiuto quindici anni, ma temo che Kathleen resterà a casa con la nonna».

Lucille annuì con un morbido cenno del capo e sistemò una ciocca ribelle di capelli che era scivolata dall’acconciatura, approfittando dell’occasione per studiare con attenzione il viso della sorella. Come tutti i Nott, Meryl aveva i capelli neri e gli occhi verde scuro, nonché dei lineamenti delicati che le conferivano una certa grazia naturale che a volte Lucille le invidiava. Eppure l’evidente tristezza che trapelava dalla sua espressione confermava le supposizioni di Lucille, facendole intuire che c’era qualcosa di veramente importante che minacciava la serenità della sorella.

«Non siamo riuscite a parlare molto durante le vacanze di Pasqua, specialmente perché mamma e papà hanno finto di essere ancora arrabbiati con me per non essere tornata a casa per Natale, perciò ho dovuto dedicarmi di più a loro» attaccò Lucille con tono petulante, decisa a scoprire cosa non andasse in Meryl. «Non mi hai detto quasi nulla di quello che ti è successo quest’anno; immagino che dovrai sentirti sola ora che tutti noi siamo a Hogwarts e forse ti mancheranno anche le tue amiche, non vedendole più tutti i giorni».

Col sorriso sornione di chi conosceva benissimo ogni singola strategia che Lucille sarebbe stata in grado di adottare, Meryl si limitò a concedere una semplice risposta affermativa senza così soddisfare l’interesse della sorella.

«Se c’è qualcosa che non va, puoi parlarne con me» pigolò Lucille stringendo le mani di Meryl in una morsa delicata. «Riguarda il lavoro? Hai sempre voluto lavorare, lo ricordo bene, e credo che le posizioni dei nostri genitori su questo argomento ti facciano soffrire molto».

«È normale che io desideri lavorare, Lucille» sospirò Meryl, concedendosi qualche momento per riordinare i propri pensieri. «Il pensiero di passare tutta la vita tra una casa e l’altra, occupandomi solo della sua gestione e di crescere dei bambini, mi sembra una prospettiva terribile. Voglio fare qualcosa di più, qualcosa di diverso. Delle volte mi sento come una Babbana, esclusa dal mondo degli uomini e del lavoro perché non ritenuta abbastanza capace».

«Non siamo stati cresciuti come dei Babbani!» esclamò Lucille con indignazione. «Probabilmente mamma e papà pensano che ci stancheremmo troppo lavorando».

«Non che sarebbe meglio che una donna stia a casa?»

«Non puoi aspettare di sposarti?» sussurrò Lucille, ricordando una conversazione simile che aveva avuto con Cornelia e Catherine il primo giorno di scuola di quell’anno, durante la quale le sue amiche avevano provato a rassicurarla asserendo che non tutti gli uomini erano di quell’avviso. «Protesti trovare uno sposo a cui interessino davvero i tuoi desideri e che ti aiuti a scegliere il lavoro che fa’ per te. Non tutti gli uomini sono uguali e sono a conoscenza di almeno un paio di ragazzi che vorrebbero avere il permesso di corteggiarti».

«Te l’ha detto la nonna o la mamma?» mormorò Meryl, momentaneamente sconfitta.

Lucille mise su il tipico sorrisetto di chi pregusta già la propria vittoria, solo lievemente sconcertata al pensiero che la sorella potesse credere di riuscire a tenerle nascosto un segreto come quello.

«La nonna» confermò infine la ragazza, tirando su con il nasino. «Devo tuttavia informarti che sono rimasta molto delusa scoprendo che tu non hai ritenuto opportuno confessarti con me che sono la tua sorella più cara nonché più vicina a te per età».

«Non è il genere di informazione che può essere accluso in una lettera» la redarguì Meryl alzandosi e passeggiando fino ad una delle grandi finestre che spalancò per consentire alla brezza estiva di rinfrescare l’ambiente. «Non sarebbe stato piacevole se tu avessi perso la lettera o se qualcuno te l’avesse sottratta. Se non ricordo male le gemelle Thompson sono al tuo stesso anno e no ho mai conosciuto due ragazze più impiccione di loro».

«Non posso darti torto» affermò Lucille mestamente, raggiungendo Meryl e soffermandosi a guardarla dritta negli occhi come faceva quando era piccola e voleva ottenere qualcosa. «Avresti però potuto parlarmene prima; sono a casa da due settimane».

«Non mi interessano Lucille, nessuno dei due».

«Capisco che non ti interessi Theodore Flitt, in particolare se è brutale tanto quanto suo fratello Augustus» concordò Lucille, rammentando con un brivido la provocazione del ragazzo ai danni di Rosaline Smith. «Neville Burke sembra però un giovane molto distinto e inoltre ha la tua stessa età, lavora al Ministero della Magia ed è ovviamente un Purosangue».

«Conosco Neville da quando ero piccola, ciò non significa che debba necessariamente piacermi» spiegò Meryl con un moto d’insofferenza che fu come una piccola pugnalata per Lucille, sempre più confusa dal comportamento assolutamente inusuale della sorella. «Il nostro è un ambiente sempre più ristretto e soffocante, e non tutti riescono a trovarsi a loro agio al suo interno».

«Non ci sono altri ambienti» ribatté subito Lucille con voce innaturale. «Non per noi».

Meryl sospirò e disse: «Allora non sono stata fortunata come te che hai incontrato Nathaniel Greengrass quando non eri che una bambina».

«Cosa c’entra Greengrass adesso?» squittì Lucille, arrossendo suo malgrado. «Non si parlava di me né di lui».

«Cerca di decidere rapidamente cosa vuoi, Lucille» le disse Meryl accarezzandole una guancia con affetto e apprestandosi a lasciare la biblioteca. «Credo che quel ragazzo sia sinceramente interessato a te, ma non può passare tutta la vita ad aspettarti; non vorrei che tu lo perdessi per un capriccio perché ritengo che finiresti col pentirtene».

Era raro che Lucille si ritrovasse senza parole e che lasciasse il suo interlocutore uscire vincitore da uno scontro verbale, eppure quell’anno si era ritrovata più volte a riflettere su Nathaniel e sui propri sentimenti nei suoi confronti, preferendo non dar voce ai suoi pensieri e trovandosi spesso in conflitto con quelle che per molti anni avevano rappresentato per lei delle vere e proprie certezze.

Aveva intravisto e apprezzato il lato gentile e riservato di Nathaniel, quello che solitamente il ragazzo celava sotto la maschera della sua perenne allegria, tuttavia il pensiero di Lydia Turpin e la facilità con la quale aveva suscitato l’interesse di Nathaniel la rendevano guardinga.

Lucille era consapevole di come la bravura di Lydia fosse di gran lunga superiore alla sua, inoltre sapeva bene che la maggior parte della popolazione maschile di Hogwarts la riteneva una fra le ragazze più belle della scuola. In aggiunta a questo era anche un Prefetto – e a quel punto Lucille si ritrovò a sperare che quell’anno la spilla da Caposcuola non toccasse a lei – e una discreta Cacciatrice della squadra di Corvonero.

Al suo confronto Lucille si sentiva spesso sminuita e le sue insicurezze si acutizzavano quando Nathaniel sembrava incapace di cogliere una qualsivoglia occasione che consentisse loro di trascorrere del tempo assieme, seppur sotto gli occhi di tutti. Lucille avrebbe accettato di passeggiare con lui nel parco, come del resto molte studentesse facevano senza doversi impegnare, consapevoli che nessun genitore avrebbe protestato eccessivamente se anche ne fosse venuto a conoscenza, tuttavia Nathaniel non si era mai offerto di proporle nulla del genere, e a quel punto lei non poteva non concludere di non piacergli abbastanza.

L’altra questione che la tormentava riguardava il fatto che nessuno, escluso appunto Nathaniel, sembrasse interessarsi a lei, spingendola a chiedersi cosa ci fosse in lei di tanto sbagliato da non riuscire a destare la benché minima attenzione da parte di un altro giovane.

Ancora una volta quelle domande non trovarono risposta e Lucille abbandonò a sua volta la stanza, lasciandosi dietro anche l’allegria che l’aveva animata quella mattina.

*

19 luglio 1837, Hogsmeade

«Zio Nate!» strillò Grace quando vide Nathaniel sulla porta della cucina, intento a consegnare a suo fratello e a sua cognata tutti i pacchi che aveva fra le braccia.

«Ciao Grace» disse lui guardando con affetto la bambina che gli si era attaccata alla gamba. «Buon compleanno!»

Grace sorrise e aspettò che lo zio si liberasse prima di sollevarla, ancora troppo piccola per capire con esattezza cosa fosse un compleanno ma felice per tutte le attenzioni straordinarie che le venivano dedicate quel giorno.

«I miei genitori sono nel salotto» spiegò Aislinn mettendo da parte le formalità usate durante la sua prima visita. «Aspettavamo che arrivassi per aprire i regali e tagliare la torta».

«Non avresti dovuto prenderle tutta questa roba» disse Michael trasportando da solo i tre pacchetti più pesanti e lasciando che fosse Aislinn ad occuparsi degli altri due. «Un solo regalo sarebbe bastato».

«Non l’ho mai vista prima della scorsa settimana e non le ho mai potuto prendere nulla» ribatté Nathaniel con una punta di gelo. «È normale che voglia regalare qualcosa alla mia unica nipote per il suo compleanno».

La replica di Michael non fece in tempo ad abbandonare le sue labbra, fermata dalla mano di Aislinn che si limitò a scuotere piano la testa. Nonostante entrambi i fratelli fossero felici di rivedersi, accusavano ancora il peso di quelle questioni irrisolte che erano come un muro fra loro e che contribuivano ad aumentare la distanza che li separava.

I genitori di Aislinn erano persone per bene e socievoli o almeno lo era la madre; il signor Farland studiò a lungo e in silenzio Nathaniel, probabilmente nel tentativo di stabilire se fosse affidabile o meno, e ci volle un po’ prima che traesse delle conclusioni positive, aiutato in questo dall’affetto col quale trattava Grace e dalla gioia che illuminò la nipotina quando scartò i suoi cinque regali, incluso un nuovo coniglio di pezza che muoveva la coda e le orecchie ogniqualvolta veniva preso.

Nathaniel, ricordando che il cognome Farland era lo stesso della professoressa di Aritmanzia della quale Johnny e Cornelia si lamentavano sempre, fu tanto avventato da chiedergli se fossero parenti, rischiando così di far svanire quel poco di fiducia che gli era stata concessa. La risposta, del resto, fu un secco e definitivo ‘No’.

«Mi dispiace per mio padre» gli disse Aislinn poco dopo mentre i suoi genitori erano impegnati con Grace e il suo nuovo, piccolo cavallo alato di pezza che le svolazzava intorno. «Abbiamo passato gli ultimi quattro anni in completa solitudine e, sapendo i rischi che corriamo, è solo un po’ più sospettoso di quanto dovrebbe».

«Posso capirlo» affermò Nathaniel con sincerità. «Da quello che mi ha detto Michael ne avete tutte le ragioni e io per loro sono un estraneo».

«Non proprio» sorrise Aislinn. «Io sono figlia unica, il che fa’ di te l’unico zio di Grace. Sia io che Michael siamo felici al pensiero che tu possa far parte della sua vita».

«Ci sono anche i miei genitori» le ricordò Nathaniel che tuttavia trovava straordinariamente difficile arrabbiarsi con lei. «Anche loro dovrebbero far parte della sua vita».

«Quando non saremo più in pericolo» ribadì Aislinn stringendogli una mano. «Le minacce che vi sono state rivolte sono ancora valide e credo tu sappia quanto siano pericolose queste persone. Non voglio perdere né mia figlia né mio marito, Nathaniel, così come lui non vuole perdere nessuno di voi».

Nathaniel annuì con un sospiro di pura rassegnazione, infine si diresse verso il fratello e accettò la seconda fetta di dolce che gli venne porta.

«Non verrà nessun altro per il compleanno di Grace?»

«Questa mattina è passata a trovarci la signora Thornton che conosce Aislinn da quando era piccola» disse Michael con una smorfia scontenta. «Non credo di piacerle molto, ma del resto non ha mai visto il mio vero aspetto».

«E allora come…».

«Pozione Polisucco» ghignò Michael con un accenno di pura furbizia nello sguardo. «Aislinn è una pozionista incredibilmente dotata e spero che un giorno riesca a completare gli studi e ad abilitarsi regolarmente».

«E tu assumeresti le sembianze di chi, se posso chiederlo?»

«Di un Babbano di Edimburgo al quale ho tagliato la maggior parte dei capelli» confessò Michael con un’alzata di spalle. «L’ho trovato addormentato in un vicolo e a giudicare dall’odore dei suoi vestiti doveva aver bevuto parecchio».

«Immagino tu abbia una scorta sufficiente e che quel poveretto si sarà ritrovato pelato al momento del risveglio» commentò Nathaniel con le sopracciglia sollevate per l’incredulità. «Non credevo fossi così furbo».

«Come sei gentile, ma sappi che è stata un’idea di mia moglie» motteggiò Michael mettendosi una mano sul cuore. «Non preoccuparti nemmeno per le mie scorte giacché cambio il mio aspetto solo due volte l’anno: a Natale, quando la megera viene a farci gli auguri, e per il compleanno di Grace. Nelle altre occasioni fingo semplicemente di non esserci».

«Non starai parlando dell’anziana signora con un gatto che ha una casa sul sentiero principale a cinque minuti da qui?» chiese Nathaniel ricordando perfettamente come l’ultima volta avesse dovuto ricorrere all’Incantesimo di Disillusione per sfuggire allo sguardo minaccioso della vecchia strega.

«Sì» esclamò Michael sorpreso. «Come la conosci?»

«Ero venuto ad Hogsmeade altre volte prima della scorsa settimana» ammise Nathaniel con un certo imbarazzo. «Avevo sentito dire che le case alla fine del villaggio erano perfette per crescervi dei bambini e per raggiungerle sono dovuto passare davanti alla sua. Mi ha guardato talmente male da convincermi che sarebbe stato più prudente rendermi invisibile in futuro».

«È sicuramente la signora Thornton» annuì Michael con un brivido di puro orrore. «Due mesi fa ha quasi fatto arrestare il figlio che si era Materializzato nel suo salotto e solo perché non aspettava una sua visita. È la persona più sospettosa che abbia mai visto».

«Non passerò più davanti alla sua casa» assicurò Nathaniel.

«Sarebbe meglio se tu ti Materializzassi direttamente qui come hai fatto oggi» disse Michael a bassa voce affinché fosse solo il fratello a sentire. «Potresti attirare l’attenzione se improvvisamente iniziassi a vagabondare per Hogsmeade e questa è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno».

«Lo so».

Nathaniel avrebbe voluto aggiungere qualcosa e magari anche porre al fratello quelle domande che l’avevano tormentato in quei giorni, quando si era trovato a ripensare alla conversazione avuta trovandovi diversi punti sui quali avrebbe gradito avere dei chiarimenti, ma naturalmente non gli fu possibile. Grace lo richiamò al suo fianco e lo invitò ad avvicinarsi con un cenno imperioso della manina, esigendo che tornasse a giocare con lei.

Dopotutto quello era il suo giorno e il primo compleanno che Nathaniel passava con lei e, da quel poco che aveva capito, Grace non era una bambina da contrariare.

Fino a un paio d’ore prima si era illuso addirittura di riuscire a passare del tempo sia con lei che con Lucille, che Nathaniel sapeva essere invitata a un tè pomeridiano dai Paciock, ma evidentemente non era destino. Le aveva scritto come promesso e lei aveva risposto a tutte le sue lettere, ma in nessuna di esse aveva manifestato un maggiore interesse verso la sua persona né a lui era parso di ravvisare un indizio, seppur minimo, che potesse indicare un cambiamento nei sentimenti della ragazza.

Se proprio doveva rassegnarsi ad essere nulla di più che un amico per Lucille, allora era meglio passare il minor tempo possibile in sua compagnia.

*

Fine luglio 1837, residenza della famiglia Nott

Lucille osservò soddisfatta le sue amiche, approvando finalmente le loro scelte sul vestiario più adatto per il ballo che l’aveva vista avere la meglio anche sulle rimostranze di Clarisse Prewett, chiaramente ignara di cosa potesse o meno indossare con quei capelli di un caloroso rosso mogano. Rimpianse di non essere riuscita a convincere Cornelia ad indossare una maschera variopinta e decorata quanto la sua, anziché quella semplice e argentata che aveva portato con sé dall’Italia, ma la ragazza era stata irremovibile e Lucille era certa che fosse a causa di John Christensen.

Con quella minuscola maschera e i suoi classici e lunghissimi boccoli castani, Christensen non avrebbe di certo faticato a riconoscerla, ma sapendo quello che le era accaduto poco prima di partire Lucille non riuscì a biasimarla per il suo bisogno di conforto da parte del ragazzo di cui si era innamorata.

Furono proprio Cornelia e Lucille le prime a distaccarsi dal loro gruppo quando raggiunsero la scalinata principale, una intenta a cercare di capire se Christensen fosse già arrivato e l’altra diretta ad assolvere i suoi doveri di ospite.

«Hai accettato l’invito» chiocciò Lucille porgendo la mano guantata a Nathaniel Greengrass che si era precipitato a salutarla nel momento esatto nel quale l’aveva scorta. «Ti ho visto raramente quest’estate; sei stato in Danimarca da Christensen?»

Lucille sapeva benissimo che Nathaniel non si era messo in viaggio lo scorso mese, come testimoniavano le lettere frequenti che le aveva inviato e gli unici due eventi ai quali aveva presenziato, nonostante lei avesse discretamente accennato molti altri ai quali avrebbe partecipato.

«No, sono rimasto a casa» disse subito il ragazzo con un sorriso sincero nel quale Lucille non trovò tracce di menzogna. «Sono stato piuttosto impegnato e dovrei andare in Danimarca il mese prossimo, se mi sarà possibile».

«Con cosa sei stato impegnato?»

La curiosità naturale di Lucille era stata incentivata dalla distratta frase che Davies si era lasciato sfuggire poco prima, proprio quando aveva visto Nathaniel fare il suo ingresso con la sua famiglia e John Christensen; parlando con un suo compagno di Casa, Davies aveva affermato di aver visto Nathaniel in giro per Hogsmeade svariate volte quell’estate e subito Lucille si era arrovellata nel tentativo di capire cosa lo avesse spinto a recarsi in quel piccolo villaggio dove lei era certa non vivesse nessun membro della sua famiglia.

«Oh, nulla di importante» minimizzò Nathaniel con una scrollata di spalle, un vizio che aveva fin da piccolo e che Lucille non era mai riuscita a fargli passare, nonostante lo rimbrottasse ogni volta. «Questioni di famiglia. Non so se ricordi mia cugina Violet, la sorella di Vincent…».

«Certo che la ricordo» lo interruppe Lucille con disarmante prontezza. «Si è sposata la scorsa estate e ha avuto un bambino appena prima dell’inizio delle vacanze di Pasqua».

«Ehm… sì» balbettò Nathaniel, preso alla sprovvista. «Ecco, ho passato molto tempo in famiglia a causa di tutte queste novità».

Gli occhi verdi di Lucille si affilarono leggermente, percependo dell’altro nel disagio del giovane ma consapevole di non poterlo trattenere oltre, non con sua madre che attendeva che lei si liberasse e la raggiungesse.

«Essendo venuto qui, vorrei cogliere l’occasione per chiederti una cosa» esordì Nathaniel quando la vide dischiudere le labbra, pronta a presentargli le sue scuse e ad allontanarsi. «Potresti concedermi l’onore di aprire le danze con me, Lucille tesoro?»

«Greengrass!» sibilò Lucille sgranando gli occhi per il terrore e pregando Merlino affinché nessuno l’avesse sentito apostrofarla a quel modo.

«Mi dispiace» scattò subito Nathaniel arretrando di un passo. «Mi viene spontaneo chiamarti così e mi sono dimenticato di…».

«Accetto» sussurrò Lucille, ancora rossa in viso. «Tuttavia adesso devo tornare da mia madre che mi sta aspettando; spero che la serata sia divertente e avrò bisogno della tua opinione sui rinfreschi. Sai che li ho scelti io?»

 

Il ballo, considerò Lucille due giorni dopo, non era stato come lei se lo era più volte immaginato, almeno non interamente. Quando Nathaniel era venuto a reclamare il suo ballo, Lucille si era allontanata al suo fianco con un sorriso raggiante e per tutta la durata della danza non avevano fatto altro che parlare di argomenti leggeri, fra i quali la straordinaria ed inaspettata comparsa di Sirius Black che aveva messo in agitazione la maggior parte delle signorine presenti.

Nathaniel non aveva perso l’occasione di farle i complimenti per il vestito, e lo aveva fatto con una tale eleganza e delicatezza che Lucille non era riuscita a replicare con un ringraziamento adeguato.

Le sue aspettative poi parevano addirittura essere state superate quando aveva visto Cornelia aprire le danze proprio con Sirius Black e da allora in avanti non aveva fatto altro che ruotare il collo nel tentativo di non perdersi né il ballo né l’espressione assolutamente furiosa con la quale Christensen osservava la coppia.

A quel punto, Lucille aveva sorriso vittoriosa, certa di riuscire a realizzare i propositi che aveva in mente per Cornelia e il suo rozzo danese entro la fine dell’anno venturo.

Tutto era precipitato qualche ora più tardi e con una tale rapidità che lei a stento se ne accorse: lo schiocco sonoro di un numero considerevole di Materializzazione aveva riempito la sala, subito seguito da grida terrorizzate e dai primi incantesimi che cominciarono a volare.

Lucille non aveva fatto in tempo né a voltarsi né tantomeno ad allontanarsi che subito aveva sentito un braccio robusto serrarsi attorno alla sua vita, trascinandola velocemente verso il centro della sala dove era rimasta per la successiva mezz’ora, impossibilitata a muoversi anche per via della bacchetta puntata verso la propria tempia.

Proprio come le era accaduto con Josephine Sutherland, Lucille non riuscì a reprimere la rabbia che la invase e sulle prime cercò di lottare per liberarsi da quella presa ferrea. Mentre sua madre piangeva, sorretta da Oliver e da Meryl, e suo padre cercava di trattare il suo rilascio col capo di quella banda di manigoldi, Lucille cercò disperatamente una figura familiare alla quale aggrapparsi con lo sguardo e la trovò proprio in Nathaniel Greengrass che, fermo al centro di quel tumulto, non distoglieva gli occhi dalla sua figura e aveva un braccio proteso a mezz’aria verso di lei, in un gesto istintivo che doveva aver compiuto quando era stata catturata.

I loro sguardi si incrociarono e Lucille fissò con insistenza gli occhi azzurri del ragazzo, intento a trasmetterle quanta più calma e sicurezza possibili. La completa attenzione che le dedicava le infuse una certa forza, così come i piccoli sorrisi di incoraggiamento che di tanto in tanto solcavano il suo volto altrimenti teso e lei si concentrò esclusivamente su di essi, ripiombando nel terrore solo quando udì il capo della banda accennare a quello che avrebbero potuto farle qualora suo padre si fosse rifiutato di collaborare.

Aveva visto Nathaniel impallidire e aveva sentito i propri occhi inumidirsi, così come la bassa risata oscena del suo carceriere, chiaramente rallegrato da quella prospettiva. Egli mosse appena un braccio strusciandolo contro il seno di Lucille che si dimenò con forza, disgustata e impaurita da quell’affronto.

Il pronto assenso di Maximilian Nott contribuì a rilassare l’atmosfera e rimise al suo posto l’omone che tratteneva Lucille, ma la ragazza dovette lottare contro le lacrime di umiliazione e indignazione che minacciavano di sopraffarla.

E poi, nel giro di pochi minuti, si ritrovò ad osservare John Christensen che camminava disarmato al centro della stanza e cercò di individuare le sue amiche scrutando il punto dal quale si era mosso il giovane, ma riuscì a scorgere solamente Marcus Potter e Vincent Baston.

Le urla provocate dalla Maledizione Cruciatus turbarono i presenti più di ogni altra cosa, e fu talmente strano vedere un ragazzo all’apparenza così forte e sano crollare a terra come una marionetta alla quale avessero tagliato i fili.

Infine ci fu la paura per l’audacia di Cornelia quando spuntò da chissà dove e attraversò di corsa la sala per inginocchiarsi al fianco di Christensen. Con quel vaporoso vestito acquamarina che si allargava attorno a lei, sembrava quasi una strana creatura marina intenta a soccorrere uno sventurato umano in procinto di naufragare.

Quando finalmente i criminali ebbero i loro libri e quella terribile avventura giunse al termine, Lucille si ritirò nella propria stanza con la sola compagnia della mamma con la quale riuscì a confidarsi, seppur dopo svariati tentativi interrotti da quelle capricciose lacrime che ora pretendevano di poter scorrere in piena libertà.

«Cerca di stare tranquilla» mormorò la mamma per la quinta volta, rimboccandole le coperte come se fosse ancora una bimba piccola e baciandola sulla fronte. «Papà ed io vi terremo al sicuro e ci accerteremo che nessun libro compromettente resti nella nostra biblioteca, così da non avere più visite sgradevoli».

Lucille produsse un minuscolo sorriso e annuì, ancora troppo inquieta per poter parlare.

«Non tutti gli uomini sono così, Lucille» proseguì la mamma intuendo la ragione del suo turbamento. «Quello a cui accennavano quelle persone era orribile e spregevole, ma la maggior parte degli uomini non ha simili intenzioni e non mancherebbe mai di rispetto ad una signora. Con un po’ di tempo dimenticherai questo incidente e ti prometto che non permetterò mai che tu sposi un uomo la cui vera natura è disonesta, a prescindere dal modo in cui appaia. Tua nonna ha verificato in ogni modo se tuo padre fosse un uomo rispettabile e io non sarò da meno con le mie figlie».

Due giorni dopo, nel pomeriggio del suo compleanno, Lucille ancora si attardava con la mente a quanto accaduto, ma badava a mantenere un’espressione allegra e a concentrarsi il più possibile sullo svolgimento della festa, distraendosi così da quei lugubri pensieri.

Fortunatamente tutto stava andando per il meglio e l’unico che sembrava nutrire qualche perplessità circa il tipo di evento al quale si trovava era John Christensen. Almeno tre delle cugine di Lucille vicine a lei per età le avevano chiesto qualche informazione sul suo conto e avevano ammesso di trovarlo ancora più interessante dopo averlo visto sopportare la Maledizione Cruciatus con tanto stoicismo.

Chiedendosi allarmata come potesse essere imparentata con delle ragazze talmente sciocche, Lucille si era affrettata ad affermare di non sapere nulla sul giovane danese, che manteneva sempre il massimo riserbo sulla sua vita. Lanciò anche una rapida occhiata a Cornelia che, essendo seduta al tavolino accanto, aveva certamente udito quello scambio e che solo recentemente, a seguito di un colloquio con Georgiana Malfoy, sembrava essere venuta a conoscenza di come Christensen attirasse su di sé una buona parte delle attenzioni femminili di Hogwarts.

Gli occhi bruni di Cornelia incrociarono i suoi e il lieve movimento col quale scosse il capo bastò a rassicurare Lucille, e infine il sorriso birichino dell’amica la indusse a voltarsi per scoprire Nathaniel Greengrass che sostava accanto al suo tavolino con in mano un piattino colmo di dolci e le sorrideva con un tale affetto nello sguardo che Lucille si sentì arrossire.

«Accomodati pure» concesse con la voce solo un poco più acuta del normale.

«Se non sbaglio ci siamo conosciuti in un pomeriggio d’estate ad un’occasione mondana piuttosto simile a questa» disse Nathaniel scostando la sedia e sedendo al suo fianco.

«Sì» trillò Lucille, felice che se ne ricordasse. «E da allora, tu non hai perso la passione per i dolci».

«Noterai però che ho smesso di sporcarmi la giacca» replicò Nathaniel, prolungando lo scherzo.

«Hai anche iniziato ad usufruire dei piattini».

Si scambiarono uno sguardo complice, memori di un episodio che nessuno, eccetto loro, conosceva.

Il pomeriggio era così tranquillo e piacevole che Lucille aveva timore di comprometterlo, ma erano ormai passati due giorni da quando si era accorta che qualcosa non le era chiaro riguardo il discorso che aveva avuto con Nathaniel prima del ballo, quando lui le aveva spiegato di essere stato impegnato con la famiglia e di non aver partecipato per questo motivo a molti eventi mondani. Tuttavia lei sapeva delle sue visite ad Hogsmeade ed era anche consapevole di come nessun membro della famiglia Greengrass né di quella Rosier abitasse lì.

«Sai che due sere fa ho sentito Davies dire di averti visto più volte a Hogsmeade, lo scorso mese?»

«Ma davvero?»

«Sì» confermò Lucille sporgendosi inconsapevolmente in avanti per la concitazione. «Ha detto di averti visto camminare per il villaggio in diverse occasioni».

«C’è qualcosa che vorresti chiedermi, Lucille?» la interrogò Nathaniel alzando infine lo sguardo dal piattino e inchiodandola al suo posto.

«Oh no!» esclamò Lucille sorbendo un sorso di tè ormai freddo per mascherare la sua reazione confusa. «Stavo solo conversando».

Nathaniel sospirò e Lucille pensò di averlo indispettito con quell’indagine condotta malamente, cosa di per sé straordinaria perché di solito era molto precisa, e rimpianse di non essersi fidata di Cornelia e delle sue rassicurazioni circa il comportamento del giovane; lui però tirò fuori una piccola scatola dalla tasca interna della giacca e la spinse verso di lei, ritrovando il sorriso e il buonumore.

«Il tuo regalo» spiegò davanti alla perplessità di Lucille. «L’ho preso a Hogsmeade».

«Oh».

Lucille arrossì violentemente e si sentì incredibilmente sciocca mentre la vergogna le impediva di far altro che non fosse lanciare un timido sguardo di scuse al ragazzo.

«Buon compleanno, Lucille tesoro».

 

 

 

 

Note dell’autrice.

Ecco finalmente il quinto capitolo che riprende da dove il quarto si era interrotto, con Nathaniel e Michael che finalmente si incontrano e si scontrano. Ho cercato di inserire più spiegazioni possibili da parte di Michael e spero che, nonostante ci siano ancora dei punti oscuri, il racconto sembri abbastanza coerente. Non mi è sembrato credibile lasciar porre troppe domande a Nathaniel, immaginando che lo shock e anche la felicità di rivedere il fratello abbiano prevalso, assieme a una buona dose di confusione.

Michael del resto ha tenuto per sé qualche segreto, il che mi è sembrato plausibile considerando la lunga assenza che li ha divisi e il modo nel quale entrambi sono cambiati in quei quattro anni. Ci vorrà un po’ prima di ritrovare del tutto la complicità che avevano, così come la fiducia che li univa.

Ho voluto esporre i sentimenti sia di Lucille che di Nathaniel, che sono uno più impacciato dell’altra quando si tratta di certe questioni e, considerando che nessuno dei due si sbilancia, arrivano quasi a pensare che all’altro non importi nulla.

Infine, ammetto che la descrizione del ballo possa sembrare strana, ma ho voluto ripercorrerla con gli occhi di Lucille, immaginando che in simili momenti si colgano solo certi avvenimenti con maggiore chiarezza, e che a volte tutto scorra molto velocemente nella speranza di una fine.

Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio chi in questo lasso di tempo ha aggiunto la storia alle preferite e alle seguite.

A presto,

Selena

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