Passione d'Oltremare - Serie Legacy - Spin Off

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Brevi Cenni Storici + Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Brevi Cenni Storici + Capitolo 1 ***


 
Brevi Cenni Storici
 
A iniziare dal Vermont nel 1777, la maggior parte degli stati a nord del fiume Ohio e della Linea Mason-Dixon abolirono la schiavitù. La schiavitù in Massachusetts venne abolita dalla magistratura. La Costituzione adottata nel 1780 dichiarò che "tutti gli uomini hanno gli stessi diritti", rendendo la schiavitù inapplicabile.

In molti Stati liberi l'emancipazione avvenne gradualmente. Gli schiavi spesso rimasero in schiavitù, ma i loro figli nacquero liberi. Vennero fatti accordi di transizione, in parte per evitare gli abusi. Lo stato di New York e la Pennsylvania avevano ancora alcuni schiavi nel censimento del 1840, e una dozzina di schiavi neri c'erano nel New Jersey nel 1860, tenuti come "apprendisti perpetui".

Alla Convenzione costituzionale di Fildelfia del 1787, i delegati discussero sulla schiavitù, accettando infine di consentire agli Stati di ammettere il commercio internazionale per almeno 20 anni. A quell'epoca, in tutti gli stati erano state emanate singole leggi che abolivano o limitavano fortemente l'acquisto o la vendita internazionale di schiavi. Con l'ordinanza del nordovest del 1787, il Congresso della confederazione proibì la schiavitù negli stati a nord-ovest del fiume Ohio.

L'importazione di schiavi negli Stati Uniti venne ufficialmente vietata il 1º gennaio 1808. Nessuna sanzione venne però decisa per il commercio degli schiavi all'interno della nazione.

Nel 1830, il Congresso approvò l'Indian Removal Act, che autorizzava il presidente a negoziare trattati che scambiavano territori tribali indiani negli Stati dell'est per terre ad ovest del Mississippi. Nel 1834, un "territorio indiano" speciale venne stabilito in quella che oggi è la parte orientale dello Stato dell'Oklahoma.

Complessivamente, le tribù native americane firmarono 94 trattati durante i due mandati di Jackson, cedendo migliaia di chilometri quadrati al governo federale.

I Cherokee, le cui terre nella parte occidentale della Carolina del Nord e nella Georgia erano garantite da trattati fin dal 1791, affrontarono l'espulsione dai loro territori quando una fazione dei Cherokee firmò il trattato di New Echota nel 1835, ottenendo soldi in cambio della loro terra.

Nonostante le proteste del governo Cherokee eletto e di molti sostenitori bianchi, i Cherokee furono costretti a compiere un lungo e crudele viaggio verso il "territorio indiano" nel 1838. Molti morirono per malattie e privazioni in quello che divenne noto come il "Sentiero delle lacrime".

 
 
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Passione d'oltremare
 

 
Passione d'oltremare
 
 
Capitolo 1.
 
 
Baia di Bass Harbour, Maine – Agosto 1833
 
 
Il vento di bolina schiaffeggiava le vele quadre della nave, producendo schiocchi simili a fruste, mentre questa costeggiava a gran velocità la baia a imbuto che li avrebbe presto condotti a destino.

Gli imponenti cantieri navali verso i quali il veliero si stava dirigendo, ben visibili dal mascone di prua, spinsero Violet a sorridere estasiata al marito, che si trovava al suo fianco.

“Ci siamo quasi” mormorò lieta la nobildonna, prima di prendere in braccio il suo piccolo Jeffery per mostrargli una visuale della costa.

Il primogenito di Andrew Spencer e sua moglie Violet si aggrappò saldo al collo della madre e, a occhi sgranati, gridò eccitato: “Mamma! Terra!”

“Sì, tesoro, finalmente la terra, dopo tante settimane di mare” assentì la donna, dandogli un leggero bacio sulla chioma riccia e bionda.

Dal padre, Jeffery aveva ereditato i caratteristici occhi verde-oro dei Campbell, ma i capelli erano tutti della madre, biondi e chiarissimi, tali da farlo sembrare un angelo.

Scherzando, Maximilian, lo scapestrato ultimogenito degli Spencer, aveva però insinuato che i meravigliosi boccoli del piccolo Jeffery, fossero in qualche modo merito suo. Potendo vantare su un’eguale chioma ricciuta – pur se castana – Max aveva giocato spesse volte su quella somiglianza, cercando invano di fare arrabbiare simpaticamente il fratello.

Andrew, però, non dava mai peso alle parole sibilline del fratello, e Violet si limitava a riderne allegramente. C’era troppo affetto, tra di loro, perché Andrew si abbassasse a rispondere alle burle del fratello minore.

Passi balzellanti alle loro spalle spinsero il trio a volgere lo sguardo e, senza grandi sorprese, giunse loro accanto Sarah Phillips, allegra e spensierata, seguita a breve distanza dal fidanzato, lord Samuel Westwood.

La coppia avrebbe convolato a nozze l’anno venturo e, per festeggiare il loro fidanzamento, avevano voluto unirsi ad Andrew e Violet, diretti nel Maine per fare visita all’amico Lucius Bradbury.

Mentre il vento giocava con i capelli sciolti e morbidamente setosi di Sarah, la giovane poggiò una mano di piatto sulla fronte, aggrottò quest’ultima con fare pensoso e borbottò: “Non arriveremo che stasera, vero? Speravo di potermi fare un bagno vero, finalmente.”

Samuel sorrise indulgente al borbottio della fidanzata e Violet, nel fissare serafica la sorella minore, replicò: “Tesoro, non puoi dire di non essere stata avvertita. I viaggi transoceanici sono molto lunghi e abbastanza disagevoli… soprattutto se si viaggia su una nave che non è adibita a trasporto passeggeri.”

“Tutto questo, perché siete voluti partire da Aberdeen con una delle navi di Cornelius che era diretta qui, invece di prendere un bastimento a Southampton, su cui avremmo potuto viaggiare più comodamente” fece notare Sarah, vagamente piccata.

“Nostro padre è stato fin troppo accomodante, permettendo di farti viaggiare col tuo fidanzato, Sarah. Non essere così permalosa e sii grata che ti sia stata fornita questa opportunità” le fece notare Violet, cercando nel contempo con lo sguardo la figura di Lorainne, l’altra sua sorella.

Paul, ultimogenito dei Phillips, era rimasto a terra, a causa dei suoi studi a Eton, ma Anthony gli aveva promesso un bonus per il suo Grand Tour, quando fosse venuto il momento.

Di che bonus si trattasse, nessuno lo sapeva. Il loro comune genitore era stato ermetico, su questo.

Sarah seguì lo sguardo curioso della sorella, comprendendo bene chi stesse cercando, e borbottò per diretta conseguenza: “Non sono permalosa, ma onesta. Ed è inutile che cerchi Lory. E’ in cabina a piangersi addosso.”

“Sarah…” la richiamò dolcemente Samuel, sfiorandole una spalla con la mano.

Lei sospirò a quel tocco, gli sorrise brevemente e, un po’ a fatica, ritrattò con maggiore tatto.

“D’accordo, non si sta piangendo addosso. Sta soltanto rileggendo le lettere di Michael. Ma è come se si piangesse addosso, davvero! E’ inutile che lei continui a rimuginarci sopra. E’ morto, e non potrà più tornare.”


Violet assentì grave, consegnò il piccolo Jeffery ad Andrew e disse: “Lo so, Sarah, hai perfettamente ragione. E’ passato quasi un anno da quell’incidente, ma sai che Lory teneva a lui.”

Sarah sbuffò nuovamente, stavolta con aria irritata, e mormorò contrariata: “Tenere a un uomo che si è rotto l’osso del collo per raggiungere le stanze di un’altra… davvero bella pensata.”

Violet fece tanto d’occhi, a quelle parole caustiche ed Andrew, tossicchiando imbarazzato, borbottò: “Sarah, ti prego…”

“Non gliel’hai detto?!” esalò quest’ultima, fissando livida il cognato.

“Detto, cosa?” sottolineò a quel punto Violet, squadrandoli a turno con espressione dura e desiderosa di risposte.

Samuel tossicchiò a disagio e trascinò via una brontolante Sarah, che però accondiscese ad allontanarsi, così che la coppia potesse parlare agevolmente della faccenda.

Faccenda che Violet riassunse con un lapidario: “Ancora, Andy? Siamo tornati ai vecchi schemi?”

Stringendosi maggiormente al petto Jeffery, muto di fronte al livore della madre, Andrew replicò combattuto: “No, Lettie… niente ritorno al passato. Ma ammettiamolo, non è una cosa facile da sbandierare ai quattro venti. E aiuterebbe Lory, sapere che quel debosciato di Michael è morto a causa di una donna che non era lei?”

“Forse. O forse no, ma aveva… avevamo il diritto di sapere” brontolò Violet, prima di aggiungere con occhi spalancati e increduli: “Perché Sarah lo sa?”

“Ti pare che Samuel sia in grado di negarle qualcosa?” si lagnò suo malgrado Andrew, scuotendo esasperato il capo.

Storcendo appena la bocca, Violet borbottò: “No, in effetti… gliel’ha cavato con le pinze, almeno?”

“Quasi. Tutto sommato, Samuel ha resistito parecchio, se si considera che Sarah lo sa soltanto da due mesi, e il resto di noi lo sa da quando avvenne il fattaccio.”

Violet tornò ad assottigliare lo sguardo, a quella notizia e Andrew, sospirando nuovamente e sentendosi stranamente a corto d’aria, dichiarò: “Non mi scuserò, Lettie. Volevamo proteggervi, e non penso sia stato un errore. All’epoca, Lory era troppo coinvolta per poter sopportare anche questa notizia, e tu…”

Violet, a quel punto, gli sfiorò un braccio comprensiva, mormorando: “Stavo perdendo il bambino, lo so.”

“Non potevo darti anche questo peso da portare, visto che stavi già così male” sussurrò Andrew, con sguardo perso nel vuoto.

Portare a termine la gravidanza di Jeffery era stato difficoltoso ma, con il secondo figlio, tutto era andato di male in peggio nel giro di pochissimo tempo.

Memore del proprio aborto, Kathleen aveva compreso subito la situazione e, fattone menzione sia al figlio che a Myriam, avevano costantemente tenuto d’occhio Violet.

Niente aveva potuto procrastinare l’inevitabile, però e, quando il peggio era avvenuto, nessuno se n’era stupito.

Il dolore, in ogni caso, era stato terribile e difficile da gestire e, pur se era passato diverso tempo, ripensare a quei momenti procurava in Andrew dei tremiti involontari quanto violenti. Aveva spinto per intraprendere il viaggio verso l’America anche per quel motivo.

In primo luogo, Violet aveva bisogno di distrarsi e, in seconda istanza, sapeva quanto alla moglie mancasse l’amico, e sperava che vedere Lucius potesse scacciare gli ultimi demoni dal suo animo.

Al viaggio avrebbe voluto partecipare anche Max, se Sophie non fosse stata in procinto di partorire il loro primogenito.

Allo stesso modo,  i loro cugini Deanna e John erano stati impossibilitati a salpare per fare visita al fratello di lei, Julian, impegnato come operaio presso i cantieri di Lucius da alcuni anni.

I gemellini della coppia prendevano tutte le loro attenzioni e forze, e un viaggio per mare sarebbe risultato davvero troppo, per loro.

“Jeff, perché non rimani qui con il papà a guardare un altro po’ il mare? Io vado un attimo da zia Lory” disse a quel punto Violet, levandosi in punta di piedi per dare un bacio sulla guancia al piccolo.

Lui assentì, poggiando il capo contro la spalla del padre e Andrew, nel vederla allontanarsi, mormorò: “Lettie, senti…”

Bloccandosi a metà di un passo, lei assentì comprensiva e il marito, nel sorriderle, asserì: “Sai che ti amo, vero?”

“Sì… e scusami se ho dubitato di te.”

“Non scusarti mai. Non ce ne sarà mai bisogno” replicò lui, ammiccando mentre lei raggiungeva la sorella sottocoperta.

“Mamma tritte?”

“Un po’. Ma le passerà” dichiarò Andrew, tornando a osservare l’orizzonte frastagliato e le onde spumeggianti mentre si abbattevano contro le scogliere a picco sull’oceano.

Avrebbe preferito risparmiare alla moglie anche quel disagio, ma era ormai tempo che anche lei sapesse chi era stato realmente Michael Donahey, l’uomo di cui Lorainne era stata innamorata.
 
***

… E’ davvero straziante essere distante da voi, Lorainne, ma posso giurarvi che, non appena i miei impegni nell’Essex saranno terminati, vi raggiungerò a York e chiederò a vostro padre il permesso di sposarvi. Non dubitate di questo e pensatemi spesso, così sentirò di avervi vicina con lo spirito, mia…
 
Bloccando la lettura quando udì bussare alla porta della sua stanza, Lorainne levò il capo e disse con tono mogio: “Avanti.”

Violet entrò subito dopo e nel vederla seduta sul pagliericcio, le lettere sparse sul letto e gli occhi umidi di pianto, sentì il cuore andarle a pezzi per il dolore.

Se ciò che era venuta a sapere era vero, Lory stava soffrendo per un uomo che non meritava neppure una delle lacrime che ella aveva versato fino a quel momento.

Cercando di non far trasparire il proprio malessere, Violet si stampò in viso un sorriso artificioso e disse: “Abbiamo avvistato la terraferma. Ti va di fare un giro in coperta?”

Lorainne sorrise appena, e il suo volto già naturalmente bello, prese vita.

Gli scuri capelli bruni incorniciavano un incarnato chiaro e occhi grigiazzurri, eredità del nonno, ma il viso ovale e grazioso era in tutto simile a quello della loro nonna.

Sarah aveva preso maggiormente dalla loro madre, così come il carattere, che assomigliava molto a Myriam da giovane… cosa che angustiava non poco quest’ultima.

Nel riporre la lettera che teneva in mano sul copriletto di cotone grezzo, Lory mormorò: “Il piede felpato di Sarah si sente da qua. E’ infuriata con me?”

“Un po’ in ansia, se vogliamo. C’è un bel sole, e ti farebbe bene prenderne un poco… mi sembri pallida” dichiarò con un sorriso Violet, poggiandosi contro lo scrittoio per scrutarla con attenzione.

Lorainne passò lo sguardo dalla sorella maggiore alle lettere e, nel sorridere contrita, dichiarò: “Mi sento così sciocca…”

“Perché mai dovresti pensarlo?”

La sorella minore, però, non rispose e, nell’afferrare un po’ di lettere tra le dita, le accartocciò leggermente e domandò a Lettie: “Le hai mai lette? Te le mostrai mai?”

“No, tesoro” scosse il capo Violet, sorridendole mesta.

Sospirando, Lorainne lasciò ricadere in grembo la mano con le lettere, asserendo roca: “Forse, se le avessi mostrate a Sarah, o a te, avreste visto qualcosa…”

Irrigidendosi un poco, Lettie mormorò: “Che cosa, tesoro?”

“Un segnale, un inciampo nel suo dire che potesse essermi sfuggito. Qualcosa che mi mettesse in guardia sul suo… reale intento” gracidò Lorainne, gettando a terra le epistole con rabbia malcelata.

Sorpresa, Violet la raggiunse sul letto e la strinse a sé, mormorando: “Tu sai, tesoro?”

“Che mi sono ingannata riguardo a un uomo che si dilettava nel prendermi in giro? Che Michael mi ha illusa, dicendo di amarmi e capirmi, quando voleva solo avere l’ennesima tacca sulla sua pistola? Che lady Bethany Corsby era la sua amante e che, per andare da lei, si è ammazzato?” ironizzò aspra Lorainne, coprendosi il viso con le mani.

“Oh, Lory…” sussurrò Violet, attirando a sé il capo della sorella perché lo poggiasse contro la sua spalla. “Da chi l’hai saputo?”

“Da lady Corsby stessa” disse a sorpresa Lorainne, scioccando non poco Violet. “Una sera, durante una delle tante feste indette da lord Dunstan Cartwright, a Londra, mi si avvicinò, visibilmente ubriaca, e mi scaricò addosso tutto il suo livore. Mi spiegò tutto, ridendo della mia aria sconvolta e del mio dolore… e alla fine, pianse.”

“Evidentemente, lo amava davvero, nonostante tutto” chiosò Violet, senza alcun sentimento nella voce. Anche solo la comprensione sarebbe stata di troppo, in quel caso.

“Personalmente, non mi importa molto, visto quanto quell’uomo si è preso gioco di me, usando le mie stesse debolezze contro la sottoscritta… scusa, non so essere altruista come te” sospirò Lory, cercando di sorridere nonostante tutto.

Violet allora rise un poco, replicando: “Tesoro, fai benissimo a pensarla così. Sono io che dovrei imparare a non scusare tutti sempre e comunque.”

“Fa male in ogni caso… anche se lo odio” ammise a quel punto Lorainne, mordendosi il labbro inferiore per non piangere nuovamente. “Pensavo davvero che mi apprezzasse. Non credevo di essere così superficiale da non capire l’animo delle persone. Da accontentarmi di una persona che fingeva di comprendere le mie aspettative, i miei desideri e i miei sogni.”

“E’ normale che sia così, Lory. Tutti possiamo sbagliare. Per questo, rileggi le lettere?” le domandò allora Lettie.

“Voglio capire dove ho sbagliato.”

“Non è necessariamente detto che tu abbia sbagliato. Tu ti sei fidata, e lui ha tradito la tua fiducia… e, oserei dire, ha pagato con gli interessi questa sua scempiaggine.”

Risollevandosi di colpo, Lorainne fissò la sorella con autentica sorpresa e, nell’asciugarsi una lacrima vagante, asserì: “Lettie, è la cosa più cattiva che ti ho sentito dire dacché sono nata!”

“Potrei fare di peggio, ora che so la verità” le promise lei, sorridendo fiera.

Lorainne, allora, la abbracciò con forza e, nel ridere contro la sua spalla, la ringraziò, aggiungendo in un mormorio: “Leggeresti per me le lettere, però? Giusto per stare tranquille?”

“Le leggerò, se questo servirà a convincerti che nulla avrebbe potuto aiutarti a capire la sua doppiezza. A volte, niente può evitarci di cadere.”

“Grazie comunque, sorellona” mormorò Lory, sospirando di sollievo. “In ogni caso.”

Violet si limitò a stringerla a sé, coccolandola come avrebbe fatto con il suo Jeffery ma, dentro di sé, bruciò di rabbia come poche altre volte le era capitato.

Non fosse stato già morto, avrebbe pensato lei stessa a punire lord Michael Donahey. E, per una volta, ci avrebbe messo tutta la rabbia che le fosse riuscito di trovare dentro al cuore.
Un vero peccato non poter mettere in pratica quella sua rarissima vena di furia cieca.
 
***

Se i cantieri Bradbury erano sembrati enormi, in lontananza, quando imboccarono la darsena del loro porto privato, Violet rimase debitamente meravigliata.

Il patriarca di casa Bradbury, Cornelius, avrebbe potuto essere più che orgoglioso di suo figlio, visto ciò che era riuscito a fare in cinque anni di attività.

Ovviamente, i neonati Stati Uniti erano un mercato più che florido e con pochissima concorrenza, ma ciò che aveva saputo mettere in piedi Lucius aveva del grandioso.

Da quel che poté notare l’occhio attento di Violet, sotto la luce morente del sole, almeno tre golette erano in fase di costruzione, e ciò teneva impegnati non meno di cento addetti ai lavori.

Quando, infine, gettarono l’ancora e fecero scendere la passerella, Violet notò come, sul molo, lavorassero non solo operai bianchi, ma di tutte le razze.

Sapeva bene o male come stessero evolvendosi le cose, in quel paese dalle molteplici culture, ma era ugualmente sorpresa di vedere degli operai dalla pelle scura.

Chissà se Lucius si era abbassato a prendere degli schiavi, perché lavorassero nei suoi cantieri?

Violet dubitava che l’amico avesse ceduto a quella pratica orrenda, ma non sapeva dire come funzionassero le cose, da quelle parti.

Preferì quindi non costruirsi nella mente nessun pregiudizio e, quando il capitano discese con i documenti da consegnare a Lucius, Violet e famiglia si accodarono a lui.

Dabbasso, sul molo in selciato, trovarono ad attenderli un uomo assai singolare, dalla pelle bronzea e lunghi capelli nerissimi, stretti in una coda di cavallo da un nastro di pelle bruna.

Pur se l’abbigliamento era tipicamente inglese, con camicia di lino, panciotto di seta e pantaloni lunghi su scarpini lucidi, l’uomo sembrava totalmente fuori posto, abbigliato a quel modo.

Che fosse un nativo di quei luoghi?

Lucius ne aveva parlato a tutti loro, in una delle sue lettere. Ricordava bene quando Lory, eccitata e piena di aspettativa, aveva aperto la missiva proveniente dagli Stati Uniti, in cui Lucius aveva parlato di un uomo al suo servizio di nome Albert.


Che fosse lui, dunque, questo fantomatico Albert?

Con un leggero inchino, l’uomo infine parlò con un inglese dall’accento piuttosto marcato, ma assai comprensibile.

“Benvenuti alla Baia di Bass Harbour. Io sono Albert Greyhawk, attendente personale di lord Bradbury. Egli vi attende a Liberty House, che sorge sull’imbocco della baia, dove potrete riposarvi e rifocillarvi. Sarà mio pregio accompagnarvi in calesse fino alla villa.”

Il capitano salutò l’uomo come se nulla fosse, denotando tra loro una profonda familiarità e, dopo un rapido scambio di battute, si allontanò per raggiungere una casupola a due piani, poco distante dal molo.

Evidentemente, la presenza di quel nativo al cantiere doveva essere fatto noto a tutti.

 Andrew, in ogni caso, mettendo a parole la curiosità di tutti, si affiancò all’uomo dai lunghi capelli neri e domandò con cortesia: “Perdonate la sfacciataggine, Mr Greyhawk, ma… voi siete un nativo americano, vero?”

“Ciò che dite corrisponde al vero, milord. Lavoro per lord Bradbury da circa quattro anni” assentì serafico l’uomo, dal fisico e portamento degni di un guerriero d’altri tempi.

Anche con quegli abiti inglesi e la sua parlata cortese, quell’uomo dava l’idea di essere abituato ad ampi spazi aperti, cieli sconfinati e una vita fatta di cose semplici.

Annuendo vagamente impressionato, Andrew allora gli allungò la mano per presentarsi.

“Andrew Spencer. Molto piacere di fare la vostra conoscenza” disse il giovane conte, prima di ammiccare in direzione del figlio, e aggiungere: “Questo è mio figlio,  Jeffery Simon Spencer.”

Dopo un istante di tentennamento, Albert strinse quella mano protesa e dichiarò: “Piacere mio. Avete un bellissimo figlio.”

Jeffery sorrise imbarazzato e nascose il viso contro la spalla del padre, che rise divertito.

Albert sorrise appena, di fronte al suo imbarazzo e, con voce vagamente contrita, asserì: “A Liberty House vive anche mia moglie. Non abbiatene a male, se sarà un po’ fredda, all’inizio. Non ha un buon rapporto con …beh, con le persone dalla pelle bianca. Non vorrei che il bambino si spaventasse.”

Sollevando un sopracciglio per l’interesse, Andrew replicò cauto: “Se la metà delle cose che abbiamo saputo in Inghilterra risponde al vero, sarei stupito del contrario.”

Fu a quel punto che anche Albert si dimostrò sorpreso, e domandò: “Ciò che avviene qui, è risaputo anche nel vostro paese?”

“Credo neppure una decima parte, e noi ne veniamo messi al corrente soprattutto da Lucius, il vostro titolare…” gli spiegò Andrew, spiacente di essere così deficitario in materia. “… perciò, temo che anche noi conosciamo ben poco della realtà dei fatti, ma ciò di cui siamo a conoscenza è assai triste, e ben poco edificante. Se vorrete essere così gentile da aggiornarci, eviteremo di commettere degli errori senza saperlo.”

Albert lanciò un’occhiata alle alte navi in costruzione alla loro destra, esalò un sospiro sconfortato e infine mormorò: “Per ogni uomo bianco onesto, ve ne sono dieci che tentano di farci del male, in questa splendida e martoriata terra. Questa, è la realtà dei fatti. Vi sono altresì grato per la vostra gentilezza, ma non vi sarà bisogno di nessun trattamento speciale. Mia moglie deve imparare a scrutare il mondo con occhi non velati dall’odio.”

I garzoni che stavano portando i loro bagagli fino al calesse assentirono leggermente a quelle parole e, a parte qualche borbottio comprensivo, si astennero dal fare commenti.

Andrew, a quel punto, si domandò se a loro volta fossero stati testimoni di azioni ai danni della popolazione nativa, o di qualche uomo di colore. Poiché molti di loro superavano la trentina, poteva davvero darsi che avessero assistito a schermaglie tra esercito e tribù, o eventi altrettanto deprecabili.

“Allora, è una cosa positiva che io sappia sparare meglio di tutti gli uomini qui presenti” esordì Sarah, con gran spirito e voglia di battagliare.

Albert si volse a mezzo per scrutarla con autentica sorpresa e Lorainne, al fianco della sorella, sorrise comprensiva al nativo americano, asserendo: “Non vi stupite se mia sorella Sarah vi sembrerà allevata dai lupi. E’ uno spirito molto… vivace. Non tenetene conto, Mr Greyhawk.”

“Sapete davvero sparare, milady?” domandò allora Albert, sinceramente incuriosito.

Ammiccando con spavalderia, Sarah dichiarò: “Mettetemi alla prova quando volete, Mr Greyhawk. Non ho paura di fare brutta figura.”

Poi, con tono spiritoso, lanciò un’occhiata ammiccante alla sorella, e aggiunse: “Inoltre, mia sorella fa tanto l’innocentina, ma è ugualmente brava con le armi… e anche a tirare pugni, se occorre.”

A quel punto, Albert si lasciò andare a un risolino, mentre diversi garzoni sorridevano divertiti di quello scambio di battute, e dichiarò: “Non appena mia moglie Silver vi conoscerà, vorrà subito mettervi alla prova. Lei è abilissima con l’arco e le frecce e dubito crederà mai, se non vedendolo, che due nobili inglesi possano essere in grado di usare un’arma.”

Illuminandosi tutta, Sarah lanciò un’occhiata supplichevole a Samuel, mentre Lorainne scoppiava in una risata argentina e piena di divertimento.

Andrew, invece, esalò spazientito: “Siamo in vacanza, Sarah. Purché tu non ti rompi la testa, ti è permesso più o meno tutto. Ma non esagerare e, soprattutto, non infastidire le persone con le tue richieste. Se Mrs Greyhawk vorrà la tua compagnia, bene, altrimenti non se ne farà nulla.”

“La sua testa è troppo dura, perché si rompa” aggiunse pacifico Samuel, sorridendo amorevole alla sua fidanzata.

Scuotendo una mano come per non dare loro ascolto, Sarah domandò ad Albert: “Ditemi, Mr Greyhawk, vostra moglie si chiama così per qualche motivo particolare? E’ un nome molto bello, ma assai singolare.”

Andrew rise di quella domanda e, rivoltosi a un sempre più sorpreso Albert, dichiarò: “Vi avverto, messere, …queste gentildonne non sono esattamente timorate di Dio come potreste pensare. Sono nobili inglesi di nome e di fatto, ma sono anche donne assai curiose e un tantino viziate. Eccellono nello sciogliere la lingua anche dell’uomo più taciturno.”

Le tre sorelle sorrisero angeliche, a quel commento, e si esibirono in sguardi davvero colmi di candore.

“Comincio a crederlo” annuì cauto l’uomo, accennando un sorriso più tranquillo. “Per rispondere alla vostra domanda, miss Sarah, mia moglie si chiama così perché il suo nome, nella nostra lingua d’origine, è Stella d’Argento.”

Meraviglioso!” esclamò Sarah, battendo allegra le mani, e Lorainne assentì al pari di Violet. “Quindi, forse, anche il vostro cognome ha a che fare con il vostro nome nativo?”

Sorridendo divertito di fronte a tanta sincera curiosità, Albert assentì, spiegandole come lui, all’interno della tribù lakota oglala in cui era nato, fosse stato chiamato Falco Grigio.

A quel punto, Lorainne e Violet intervennero a loro volta con altre domande e, anche durante il viaggio in calesse, il terzo grado ebbe seguito, con gran divertimento degli uomini, e un vago sconcerto di Albert.

Quando infine raggiunsero Liberty House, il gruppo si trovò innanzi una graziosa villa a tre piani dalle pareti chiare, spioventi tetti ricoperti di coppi bruni e un’ampia balconata centrale a sovrastare l’entrata.

Un bel giardino ricolmo di piante si apriva a raggera sull’ingresso mentre, sul retro, era possibile intravedere un’ampia serra e la rimessa per cavalli e carrozze.

In lontananza, verso est, era invece ben visibile il limitare della scogliera, da cui giungeva il fragoroso sciabordio delle onde oceaniche.

Non appena furono discesi dal calesse, Albert li scortò fino all’entrata e aprì le porte per loro, dando il benvenuto agli ospiti all’interno della villa.

Dal fondo di un ampio ingresso in marmo chiaro e illuminato da un ampio lampadario a candele, giunse a grandi passi, in maniche di camicia e stivali da cavaliere, l’alta e slanciata figura di Lucius Bradbury.

Intento a frizionarsi il viso con un telo di lino, apparentemente accaldato e appena di ritorno da una galoppata, l’uomo sorrise da sotto una scura barba accuratamente tagliata ed esordì dicendo: “Finalmente, miei cari! Ben arrivati a casa mia!”

Allargando le braccia, si avvicinò per salutarli tutti e Violet, nell’allungare le mani verso di lui, esalò: “Cielo, Lucius! Quasi non ti avrei riconosciuto!”

Lui rise divertito, le baciò entrambi i dorsi delle mani prima di stringere quella protesa di Andrew.

“Forse, perché non sembro un azzimato e serioso lord inglese?” ironizzò poi Lucius, salutando Samuel, Sarah e Lorainne con strette di mano e baciamano eleganti quanto scherzosi.

“Può darsi. Hai un che di selvaggio che non guasta” sorrise Violet, ammiccando divertita all’amico. “Ti si addice, e rispecchia bene il luogo in cui hai deciso di vivere.”

“Buono a sapersi” dichiarò l’amico, facendo il solletico sotto il mento al piccolo Jeffery, che rise deliziato. “Spero che il viaggio sia andato bene.”

“Nessuna tempesta degna di tale nome, ma dovrò dire a tuo padre che le cuccette debbono essere migliorate” ironizzò Sarah, tutta giuliva.

“Gliene parlerò via lettera, Sarah, credimi sulla parola” assentì Lucius, prima di rivolgersi a Lory e domandare: “E tu, Lorainne, hai qualche rimostranza in merito? O preferisci scrivere a mio padre di tuo pugno? Sei molto brava nel redigere lettere, e credo che mio padre accetterebbe anche dei rimbrotti, se arrivassero da una nobildonna tuo pari.”

“Direi che non ho rimostranze da fargli, ma grazie per i complimenti. Contrariamente a Sarah, potrei dormire anche stesa su un sasso… pur se non è molto elegante da ammettere” sorrise divertita Lorainne.

Lucius rise di quel commento, e Lorainne non poté che trovare quella risata contagiosa quanto bella.

Era liberatoria, senza freni inibitori, esattamente come la ricordava.

Pur essendo sempre stato un uomo sopra le righe e anticonformista, a Lory sembrò che fosse assai cambiato, dai suoi giorni passati nella patria natia.

Certo, lei non lo aveva conosciuto bene come sua sorella Violet e, pur se usavano tutti un tono colloquiale, tra di loro, non li legava certo l’amicizia che c’era tra lui e Lettie.

Era però molto bello che Lucius si sentisse così a suo agio da lasciarsi andare a quel modo, e quella risata le permise di rilassarsi a sua volta.

Da quando era partita, l’assillo di quelle maledette lettere, oltre all’orribile segreto che celavano, le avevano impedito di godersi la traversata come sperato.

Giungendo lì, facendo la conoscenza con l’affascinante Mr Greyhawk e ora, rivedendo finalmente Lucius, Lorainne si sentì molto più propensa a credere che, dopotutto, anche lei avrebbe potuto divertirsi.

Anche se era stata ingannata, e il suo cuore calpestato, poteva ancora sorridere alla vita… e magari arrivare a ridere spensieratamente come Lucius.









Note: ed eccoci pronti a ripartire con un'altra avventura, stavolta al di là dell'oceano. Incontriamo molti degli attori visti nelle scorse storie, con alcune new entries, a cui se ne aggiungeranno altre. Giusto per darvi un'idea del quadro storico in cui ci muoviamo, ho messo una breve appendice all'inizio della storia, ma farò altri riferimenti anche durante il corso dell'avventura di Lucius.
Grazie a tutti/e coloro che vorranno dedicare un po' del loro tempo alla mia storia!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
2.
 
 
 
 
Silver Greyhawk osservava il marito dall’alto del primo piano della villa mentre, al fianco del padrone di casa, era intento a dialogare con i loro ospiti nel giardino sul retro di Liberty House.

Aveva preferito non scendere dabbasso, neppure per rispettare le comuni regole della cortesia. Lei era la moglie dell’attendente del principale e, oltre a essere amica di Lucius, era anche la capocuoca di Liberty House.

Era quasi certa che Lucius avrebbe voluto presentarla ai suoi amici, così come suo marito, ma non se l’era davvero sentita.

Inoltre, non doveva nulla a quell’accozzaglia di nobili provenienti da un altro paese e, anche se era in debito con Lucius Bradbury, non aveva nulla a che spartire con gli altri bianchi di sua conoscenza.

“Curiosare di nascosto non migliorerà la situazione, né li farà andare via prima” mormorò una voce comprensiva, alle spalle della donna lakota.

Volgendosi a mezzo, i neri e lisci capelli sparpagliati sulle spalle, Silver fissò malamente la cameriera che aveva parlato – Janine – e replicò: “Non sono affari tuoi, quel che faccio, e nessuno mi vieta di guardare da una finestra.”

Janine sospirò esasperata, si sistemò un ricciolo dei neri capelli sotto la cuffietta bianca che indossava e asserì con calma: “Silver, nessuno ti sta dicendo che non puoi farlo… ma covare odio a priori non servirà a farti dormire bene la notte. Quando imparerai a calmarti e darci un po’ di fiducia? Non sei più in Sud Dakota, e neppure in quel campo di prigionia.”

Il solo sentir nominare il suo paese – e quello che le era successo – la fece rabbrividire.

Chetandosi subito, Janine le sfiorò con delicatezza un braccio, mormorando dolcemente: “Nessuno ti farà del male, qui, Silver. Davvero. Men che meno gli ospiti di lord Bradbury.”

Silver tornò a lanciare per un attimo uno sguardo oltre la finestra dopodiché, scostandosi, mormorò roca: “Quando avrai visto la tua famiglia trucidata, tuo figlio trapassato da una baionetta e le tue carni malmenate da uomini senza onore, allora potrai parlare, Janine.”

La cameriera preferì non dire nulla, sapendo bene cosa avesse passato la donna, poco meno di cinque anni addietro.

Lucius Bradbury l’aveva trovata ferita e afasica, caricata come un sacco su un carro di schiavisti nei pressi di New Orleans, assieme al marito, legato con catene e imbavagliato perché non parlasse.

Janine non conosceva i motivi che avevano spinto il loro signore a comprarli da quel mercante di schiavi, ma un giorno, di ritorno dai territori del Sud, si era presentato con loro.

Lei e Zoe, le due uniche cameriere presenti a Liberty House, lì sull’isola di Acadia, si erano prese cura di Silver, sia a livello fisico che mentale.

Lord Bradbury e Thomas Seamoury, il loro capo maggiordomo, si erano invece occupati di Albert e delle ferite causate dalle catene e dalle frustate procurategli dai loro carcerieri.

Silver era versata in gravi condizioni per quasi un mese, curata sommariamente a New Orleans prima di essere caricata in fretta su una nave per tornare al nord.

Preda di febbri altissime, era stata in bilico tra la vita e la morte più di una volta ma, alla fine, ne era uscita viva, pur se con l’animo in pezzi.

Albert si era ripreso più in fretta, ma la perdita del figlio aveva pesato molto anche su di lui.

“E’ in ansia?” mormorò Zoe alle spalle di Janine, sorprendendo la cameriera.

Sobbalzando leggermente, Janine si volse a mezzo e, annuendo, disse: “Vorrei soltanto che capisse che non tutti sono come i mostri che le hanno spezzato il cuore e le hanno strappato la patria e il figlio.”

“Sono ferite così profonde, le sue, che mi stupisce il solo fatto che voglia ancora respirare, un giorno dopo l’altro” le replicò Zoe, spiacente.

Le due cameriere si lasciarono con uno sguardo dolente, prima di tornare ai loro rispettivi compiti, sperando che la comune amica trovasse dentro di sé il desiderio di lasciare per sempre l’odio che la divorava.
 
***

Passeggiando dentro casa senza una meta precisa, Lorainne si imbatté per puro caso nella sala della musica e, ammirata, si avvicinò per meglio osservare un pianoforte a coda.

Gli altri avevano preferito rimanere all’esterno ma, per Lorainne, il vento era divenuto troppo fastidioso, così aveva chiesto – e ottenuto – di poter gironzolare per la villa senza accompagnatore.

La nera e sericea superficie dello strumento a coda che tanto l’aveva incuriosita, rifletteva la luce proveniente dall’esterno, emanando vaghe tonalità iridescenti.

I tasti d’avorio sembravano leggermente consunti, segno che il pianoforte non era soltanto un bell’oggetto d’arredo, ma uno strumento amato e utilizzato.

Che Lucius fosse un provetto pianista?

In tutta onestà, lo sapeva visto solo durante le sue visite ad Aberdeen, e in occasione di alcune sue comparsate a York, perciò non sapeva cosa piacesse veramente a Lucius.

Sfiorando la tastiera con dita esitanti, Lorainne pigiò un tasto per saggiarne l’accordatura e, quando la trovò perfetta, sorrise spontaneamente.

Era sempre stata un’amante della musica, in ogni sua forma e declinazione, e trovare un pianoforte perfettamente accordato era come, per Violet, vedere una nave al suo varo.

Levando lo sguardo dal pianoforte, curiosò intorno a sé, ammirando la piccola collezione di strumenti di Lucius, trovando un violino irlandese, una scottish pipe e un flauto traverso.

Chiusi in una cristalliera, scorse una coppia di nacchere in corno, un ottavino in argento e, sorpresa delle sorprese, un piccolo tamburo dall’aria consunta.

Chissà perché si trovava lì?

“Non dovreste essere fuori con gli altri?” esordì seccamente una voce alle sue spalle.

Lorainne si volse sorpresa, sobbalzando leggermente e, nel vedere una donna che non conosceva, si chiese fuggevolmente chi fosse.

Nel notare le sue chiare origini indigene, però, ipotizzò potesse trattarsi di Silver Greyhawk, perciò non se la prese per il suo tono così rigido e sferzante.

Albert non aveva detto loro nulla, riguardo ai motivi che spingevano la moglie ad avercela con gli uomini bianchi, ma Lorainne aveva visto sotto molte forme la malignità dell’uomo.

Ogni volta che aveva curato un bambino, o cambiato i medicamenti a un malato, lei aveva scorto il lato più oscuro degli uomini.

Poteva immagine, anche senza conoscere la verità.

Avvicinandosi un poco alla donna, perciò, sorrise cordiale e disse: “Il vento si era fatto davvero forte, così ho preferito rientrare e dedicarmi alla scoperta della casa. Voi dovete essere Silver, la moglie di Albert. E’ un piacere conoscervi. Io sono Lorainne Phillips.”

Allungò timorosa la mano, non sapendo bene se l’altra donna l’avrebbe accettata o meno.

Silver, in effetti, ristette immobile per diversi secondi, fissando nervosa quella mano protesa, prima di accettarla con un tocco rapido e leggero.

Pur se veloce e un po’ secco, il gesto rilassò Lorainne che, più tranquilla, si guardò intorno e chiosò: “Lord Bradbury ama la musica? Ho notato che il pianoforte ha la tastiera un po’ consunta.”

Gli occhi scuri e ruvidi di Silver corsero subito allo strumento e, pur se di poco, lo sguardo le si addolcì, divenendo quasi tenero.

“Lo suona spesso. Voi suonate?” asserì Silver, tornando a guardarla con espressione dubbia.

“Più volte di quanto la mia famiglia avrebbe voluto, almeno all’inizio” ammise Lorainne, ridendo di se stessa.

“Non vi apprezzavano?”

“Apprezzereste una cornacchia che strepita al vostro orecchio?” ironizzò Lorainne, sorprendendo la donna col suo dire.

“Direi di no” scosse il capo Silver.

“Ecco, all’inizio suonavo davvero male ma, dopo lunghi e penosi anni, sono finalmente migliorata, e ora posso dire di aver raggiunto livelli apprezzabili” asserì la giovane, ammiccando leggermente.

Silver le afferrò un polso per sollevarle una mano, ma Lorainne non le disse nulla, preferendo lasciarla fare.

Era evidente quanto la donna volesse capire qualcosa su di lei e se, per farlo, doveva lasciarsi esaminare – anche in modo un po’ brutale – poteva tranquillamente sopportarlo.

Gli anni passati a curare i bambini negli orfanotrofi, così come nelle fabbriche, le avevano insegnato molte cose, sulla psicologia umana. A volte, le persone ferite si comportavano come gli animali; erano guardinghi, e spesso mordevano, prima di iniziare a fidarsi.

Aggrottando la fronte, Silver mormorò: “Suonate uno strumento a corda. O non vi curate delle vostre mani, in alternativa.”

Ridendo sommessamente di fronte a quello che, qualsiasi altra donna, avrebbe visto come un insulto, Lorainne asserì: “Suono la viola, il violino e il pianoforte, e mi diletto con il flauto.”

“Provatemelo, o non vi crederò” ordinò Silver, con tono vagamente ironico.

La stava mettendo alla prova, o era il suo modo per sciogliere il ghiaccio?

Lorainne non seppe dire di no e accettò la sfida e, dopo essere tornata al pianoforte, si sistemò sullo sgabello per iniziare a suonare ciò che riportava lo spartito.

Il Preludio in C Maggiore di Bach.

Evidentemente, Lucius era un appassionato di classici, nonostante si atteggiasse a uomo anticonformista e moderno.

La cosa divertì in qualche modo Lorainne, che iniziò a suonare con slancio, dando un tocco più rapido e allegro al brano.

Silver si accigliò nel notarlo ma, prima ancora di poter accennare alla cosa, si ritrovò a fissare le mani della giovane che stava suonando.

Sembravano quasi fluide, sui tasti d’avorio, come acqua che scorreva tra le rocce conformandosi al terreno e, al tempo stesso, plasmandolo sotto di sé.

Creava musica pur seguendo le note dello spartito – che peraltro non stava guardando – e dava un tocco personale a un brano già di per sé molto bello.

Lorainne non si accorse del prolungato esame di Silver, troppo impegnata a lasciarsi trasportare dalla musica e dalla perfetta accordatura dello strumento.

Fu solo quando un leggero battito di mani si sovrappose alle ultime note suonate, che la giovane si accorse della presenza di qualcun altro, oltre a lei e Silver.

Volgendosi entrambe verso la porta della sala, trovarono Lucius ancora intento a battere le mani, la spalla poggiata contro lo stipite e gli occhi chiari puntati su Lorainne.

“Sapevo che sapevi suonare molto bene, visto che Violet ha sempre decantato le tue qualità in merito…” esordì lui, smettendo di applaudire per avanzare verso il duetto di donne. “… ma si era dimenticata di dirmi che sei eccezionale.”

Lorainne sorrise leggermente imbarazzata, sistemandosi nervosamente un ricciolo dietro l’orecchio e, nel rialzarsi, asserì: “Non penso di essere molto meglio di altri pianisti che ho avuto il piacere di ascoltare.”

“Dissento totalmente. E tu che ne dici, Silver?” replicò Lucius prima di lanciare un’occhiata curiosa all’indirizzo della donna.

“E’ acqua” disse soltanto la nativa americana, sorprendendo Lorainne, ma non Lucius.

“Acqua, eh? Può essere. Avrebbe senso, visto che la sorella maggiore ama tanto il mare, e la minore è dispettosa quanto un ruscello di montagna. Potrebbe essere connaturato nelle sorelle Phillips” annuì lord Bradbury, sorridendo poi a una confusa ospite. “Pare che Silver ti abbia appena dato un nome lakota.”

“Come, prego? In che senso?” esalò sorpresa Lorainne, scrutando Silver in cerca di spiegazioni.

Fu Lucius, però, a parlare.

“Devi sapere che, nella cultura del Popolo, le nazioni che governano…”

…governavano…” sottolineò aspra Silver, correggendo il suo datore di lavoro.

Lucius le sorrise contrito, ma disse: “Spero sempre si arrivi a un accomodamento, lo sai.”

“Allora, wanikiya1, sei più stolto di quanto potessi pensare di un uomo bianco” asserì Silver, con un leggero sorriso.

Lorainne non si erse a difesa di Lucius unicamente perché lo vide sorridere in risposta a quello che, alle sue orecchie, era suonato come un autentico insulto.

C’era ovviamente qualcosa che non le stavano dicendo, e doveva aver a che fare con il loro passato comune.

E quella parola che non aveva compreso… cosa mai poteva voler dire?

“Tornando al nostro discorso…” disse infine Lucius, lanciando un’occhiata divertita a Silver. “… per il Popolo, è consuetudine scegliere il nome delle persone seguendo le loro attitudini, o eventi particolari a esso legati. Silver, per esempio, deve il suo nome a una stella d’argento che trovò da piccola. Era un oggetto così singolare, per la sua tribù, da portare i suoi genitori a chiamarla, per l’appunto, Stella d’Argento.”

Silver fissò malissimo Lucius, ma lui non le diede corda e, per contro, le domandò: “Quindi, cara, quale sarebbe il nome di Lorainne?”

Mni itaca”  bofonchiò a quel punto la donna, pur non riuscendo molto bene a tenere il broncio a Lucius. Una luce di ilarità brillava nei suoi occhi di pece.

Lorainne lo saggiò sulle labbra un paio di volte, prima di domandarne il significato.

Silver, allora, mormorò: “Significa ‘acqua che scorre’. Le vostre dita… sono come acqua di un torrente che scivola tra le rocce, e producono un suono molto bello.”

Lorainne arrossì per quel bellissimo complimento e, sorridendo di puro cuore a Silver, esalò: “E’ un nome davvero stupendo, e sono contenta che la mia musica vi sia piaciuta. Suonerò ancora per voi, se lo vorrete… e se Lucius mi permetterà di usare ancora il suo pianoforte, ovviamente.”

“Oh, per questo non ci sono problemi” dichiarò l’uomo, ridendo sommessamente. “Sarà un piacere ascoltare qualcuno con maggior talento del sottoscritto.”

“Dubito di esserti così superiore, ma suonerò volentieri, vista la collezione di strumenti che possiedi” asserì allora Lorainne. “A tal proposito, mi chiedevo l’origine del tamburo, e…”

“Quello non si può suonare” intervenne a sorpresa Silver con tono lapidario.

Sorpresa, Lorainne si volse per scrutarla con il dubbio negli occhi e la donna, nel mordersi un labbro, se ne andò senza scusarsi, lasciandoli soli.

Lucius non la richiamò e, con un sospiro, si volse per dare una spiegazione all’ospite.

“Appartiene a suo padre. E’ l’unica cosa che siamo riusciti a recuperare, della sua gente. Il villaggio era stato distrutto, quando tornammo nei luoghi d’origine di Albert e Silver, dopo che… beh…”

Interrompendosi, Lucius pensò a cosa dirle, combattuto tra quanto ammettere, e quanto tenere per sé.

Lorainne, allora, mormorò spiacente: “Le fecero del male? Ho visto dei segni di legatura, sui suoi polsi. Poiché sono diversi anni che abita con te, ne ho dedotto che fossero così profondi da lasciare cicatrici indelebili.”

“Diciamo pure che non furono gentili, con lei” si limitò a dire Lucius, percorso da un fremito.

L’unico insulto che le era stato risparmiato era stato lo stupro, e solo perché gli uomini che l’avevano presa l’avevano considerata poco più di un animale.

Per il resto, il suo corpo era stato offeso in mille modi diversi, prima che Albert riuscisse a trovarla, ben deciso a salvarla.

Dopo aver ucciso una decina di uomini per liberarla, era stato colpito alle spalle con un fucile, caricato su un carro assieme a Silver e ad altri nativi come loro, e condotto a New Orleans per essere venduto illegalmente.

Solo il caso aveva voluto che Lucius e i suoi uomini – accompagnati da un gruppo di soldati del Settimo Cavalleggeri di New York – avessero incontrato quei loschi figuri sulla rotta del sud.

Il capitano Lawrence Kerrington aveva chiesto debito conto della cosa, finendo con il liberare le persone indebitamente rapite dai loro villaggi e mettendo ai ceppi i contrabbandieri di uomini.

Alla fine, solo Albert e Silver erano rimasti con loro, poiché quest’ultima non avrebbe potuto intraprendere il viaggio di ritorno, a causa delle ferite che le erano state inferte.

Presosi la responsabilità di salvarla, Lucius aveva fatto rotta per il porto di New Orleans, era salito sulla sua nave ed era tornato a casa in tutta fretta, al nord.

Lì, aveva chiesto a Zoe e Janine di prendersi cura di Silver e, da quel giorno, la coppia di nativi era rimasta con loro.

Era occorso più di un mese, perché Silver si riprendesse.

Quando Lucius aveva infine accompagnato i due nelle sconfinate praterie dove erano nati e cresciuti, aveva toccato con mano l’oscenità perpetrata dall’uomo bianco.

Si era ritrovato di fronte a una distruzione capillare, alle tende ancora fumanti, ai resti di una battaglia impari. Solo messo di fronte a quello scempio, Albert aveva accettato di seguire Lucius al nord definitivamente.

Le braccia strette intorno al tamburo che, un tempo, era stato del padre, Silver aveva assentito al compagno e, senza una parola, era risalita a cavallo per non voltarsi più indietro.

“Penso che andrebbe anche a me, sparare un poco” mormorò a sorpresa Lorainne, strappando Lucius da quell’incubo a occhi aperti.

“Come, prego?”

Lei gli sorrise a mezzo, e disse: “Sarah voleva dimostrare a Silver di saper sparare bene, nonostante le sue origini nobili. Beh, al momento, vorrei sparare anch’io. Anche perché, l’alternativa sarebbe piangere e, per diverso tempo, spero di aver chiuso, con le lacrime.”

Ciò detto, si scusò con Lucius e se ne andò, lasciandolo con un dubbio annoso nell’animo.

Perché, Lorainne aveva pianto al punto tale da rimanere senza lacrime? Cosa l’aveva fatta soffrire tanto?

Nelle sue lettere, non aveva accennato a nessun evento infausto, o avvenimento che potesse averla ferita in qualche modo.

Rammentava parola per parola di ciò che la ragazza era solito scrivergli dalla sua terra natia, perciò era certo di questo.

Quindi, cosa era successo, a casa, che lei non aveva avuto il coraggio di dirgli, ma che tanto l’aveva sconvolta?

Uscendo turbato dalla sala della musica, si diresse verso l’esterno per scoprire se avrebbe messo in pratica i suoi propositi, ma si bloccò a metà  strada, trovando Silver in attesa.

Vagamente sorpreso, la vide rigirarsi le mani con fare nervoso e, inclinando il capo per la curiosità, le domandò: “Cosa succede, Silver?”

Lei lo fissò con i suoi profondi occhi di pece, prima di ammettere: “Desidero scusarmi con te. Per prima.”

Levando un sopracciglio con autentica sorpresa, l’uomo replicò: “Non mi sembra tu abbia fatto niente.”

“Per… beh, per la tua amica” sottolineò a quel punto lei, arrossendo suo malgrado.

Lucius, allora, sorrise comprensivo e asserì: “Non devi preoccuparti che Lorainne possa essersi offesa in qualche modo.”

“E’ una nobildonna, e io sono solo una donna come tante. Come puoi dire che non si sia offesa? Le altre, sul Continente, sono…” brontolò per contro Silver, venendo però azzittita da un gesto calmo di Lucius.

“Credimi, Lorainne non è ‘le altre’. E neppure le sue sorelle. Se ti convincerai a conoscerle, scoprirai che sono donne molto gentili e generose, con un cuore grande e vedute molto più ampie di quanto tu non abbia avuto occasione di notare in passato, in persone loro pari” le spiegò gentilmente Lucius. “So benissimo che, per la maggiore, le donne di New York e Boston sono molto altezzose, ma loro non sono così. Posso assicurartelo. Inoltre, sanno cosa voglia dire il dolore.”

A quel punto, Silver lo fissò scettica, ma ancora Lucius disse: “Te lo concedo, non per esperienza diretta. Ma curano i malati e i feriti, nella città in cui vivono, e i loro genitori sono i protettori di numerosi orfani, che tengono al sicuro in orfanotrofi da loro gestiti e sovvenzionati. Non sono persone insensibili.”

Silver, allora, annuì cauta e mormorò: “Mi scuserò con lei, allora.”

“Penso che potresti insegnare a Lorainne e a Sarah a tirare con arco e frecce. Lory mi stava giusto dicendo che voleva mostrarti la sua capacità di tiratrice” le sorrise lui, notando la sua evidente sorpresa.

“Le tue amiche… sparano?”

Ridendo della sua aria sgomenta, Lucius la prese sottobraccio e asserì: “Se non sono cambiate negli anni, sanno fare anche più di questo. Vengono da famiglie anticonformiste, e conoscono mio cugino che, per anticonformismo e femminismo, è un baluardo più che saldo.”

“Voi bianchi siete strani. Mi domando come possiate aver conquistato il mondo” esalò Silver, scuotendo il capo ma seguendolo lungo il corridoio.

“Credimi, a volte me lo chiedo anch’io, Silver” asserì l’uomo, dandole un’amichevole pacca sulla mano.

Lei allora gli sorrise appena e, ripensando al modo in cui Lorainne aveva suonato, mormorò: “Sembra una bella persona.”

“Sì, credo anch’io che lo sia” annuì Lucius comprendendo subito a chi lei si stesse riferendo.

Sentire il suono del pianoforte lo aveva attirato come un magnete e, quando aveva scorto Lorainne suonare, non aveva potuto che fermarsi in assorta contemplazione.

Lo aveva sorpreso notare con quanta attenzione anche Silver la stesse studiando, ma ancor di più lo aveva colpito l’estrema naturalezza dei gesti di Lory.

La musica scorreva in lei proprio come l’acqua a cui Silver l’aveva paragonata. E lui, ora, desiderava sentirla suonare ancora una volta.

Forse, glielo avrebbe chiesto di persona, ma avrebbe preferito trovarla ancora una volta immersa nella pace di quei momenti rubati, quando non sapeva di avere un pubblico extra ad ascoltarla.

Sì, così sarebbe stato davvero perfetto perché era convinto che, in quei momenti, Lorainne potesse raggiungere la perfezione.

E lui amava assaporare momenti come quello.






1 Wanikiya (Linguaggio lakota): significa "salvatore".




Note: conosciamo così Silver, la moglie di Albert, e comprendiamo quanto la sua vita sia stata difficile e segnata da lutti e torture. Contrariamente ad Albert, che è riuscito ad andare avanti per cercare una nuova via per se stesso e la moglie, Silver sta avendo ancora difficoltà ad accettare la sua vita senza il figlio, e lo scoglio maggiore è dato dal suo odio verso i bianchi.
Incontrare Lorainne, però, sembra averla destabilizzata in qualche modo, e Lucius ne è sia sorpreso, che affascinato. Vedremo come andrà avanti la cosa, e se le due donne potranno avvicinarsi.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


3.
 
 
 
 
Fu il profumo del mare, a svegliarla.

Dalla stanza ove si trovava, da cui poteva scorgere il mare e le scogliere su cui sorgeva la villa, Lorainne lo sguardo spaziava sull’infinito e oltre. Quando lo aveva scoperto, aveva ringraziato la cameriera per la scelta della stanza e, prima di addormentarsi, aveva passato lunghi attimi in assorta contemplazione dell’orizzonte buio.

Con uno sbadiglio e un lento stiracchiarsi, uscì perciò dalle coltri profumate e, a piedi nudi, si avviò verso il balcone, spalancando le imposte di legno bianco.

La luce del sole e il suo riflesso sul mare placido, quasi la accecarono, e un sorriso spontaneo le nacque in volto.

Sollevata una mano per proteggersi da tanta luminosità, Lorainne ammirò l’aspra bellezza di quei luoghi, la solitudine di quell’angolo di isola e il relativo silenzio che ivi regnava.

Il cantiere navale distava diverse miglia, da Liberty House, ma a Lucius pareva non dispiacere percorrere tutti i giorni quella distanza a cavallo.

Con il vento che schiaffeggiava l’isola, nessun rumore giungeva a loro, se non lo stridore dei gabbiani e lo sciabordio delle onde contro gli scogli.

Le mani poggiate sul parapetto in metallo bianco, Lorainne inspirò a fondo i profumi di quel bel mattino d’agosto e, con rinnovata gioia di vivere, diede il buongiorno al mondo e tornò in camera.

La sera precedente, con una sicurezza che ormai da tempo non aveva più provato, aveva consegnato le lettere di Michael a Violet perché le leggesse.

La sorella le aveva garantito la massima attenzione nell’analizzarle e, con un bacio, le aveva dato la buonanotte.

Era strano come, l’essersi liberata di quegli scritti, la facesse sentire più libera.

Vestitasi in fretta con l’aiuto della cameriera personale, discese quindi al pian terreno per raggiungere la sala da pranzo e dedicarsi a una frugale colazione.

Quel che la sorprese fu trovare Lucius, già sistemato a tavola e con un caffè fumante tra le mani.

Anche lui parve sorpreso di vederla perché, nell’osservarla da sopra il bordo della tazza, i suoi chiari occhi grigi parvero farsi dubbiosi e, al tempo stesso, curiosi.

“Buongiorno, Lorainne” disse dopo qualche istante, reclinando la tazza sul piattino di porcellana cinese.

“Lucius… buongiorno a te” mormorò lei con una leggera riverenza, avviandosi poi spedita al tavolo delle libagioni.

Lì, prese per sé una scodella di fragole col miele dopodiché, avviatasi verso il tavolo, si accomodò a poca distanza da Lucius.

Subito, la cameriera si avvicinò per domandarle quale bevanda preferisse e Lorainne, con un sorriso, chiese del tè con limone.

Mentre la cameriera si assentava per raggiungere la cucina, Lucius domandò all’amica: “Come mai così mattiniera? Il letto era scomodo?”

“Oh, no, affatto. Anzi, la camera è splendida, grazie. Sono solo abituata ad alzarmi presto, ecco tutto” scosse il capo lei, sbocconcellando le fragole. Erano deliziose.

Afferrato il giornale, che riposava di fianco al suo braccio destro, Lucius lo aprì con secco schiocco delle pagine e, sovrappensiero, asserì: “Il mattino ha l’oro in bocca, dicono ma, più semplicemente, credo che sia assurdo sprecare tempo a letto, quando si può fare qualcosa di proficuo rispetto al poltrire.”

Lorainne sorrise a quelle parole – Lucius le era sempre stato descritto come un indefesso lavoratore, anche se un po’ scapestrato – e replicò: “Quindi, solo casa e lavoro?”

“Io?” ironizzò Lucius, piegando un poco il giornale per lanciarle un’occhiata ironica. “Non mi conosci come Violet, perciò non aspettarti da me solo libri di contabilità, ore e ore al cantiere e nottatacce per parlare con i miei fornitori. Sono anche altro.”

“Di sicuro, uno scrittore. Le tue lettere erano sempre bellissime. Inoltre, credo tu sia anche un musicista” asserì lei, ripensando al bel pianoforte che aveva suonato solo il giorno addietro.

Lucius sorrise nel sentir menzionare le lettere che, negli anni, si erano scambiati. Non faceva fatica ad ammettere con se stesso quanto, a volte, avesse atteso con impazienza le risposte di Lorainne dal Continente.

Gli faceva piacere che anche lei avesse trovato piacevoli i suoi scritti, e li rammentasse con piacere.

“Oh, neppure paragonabile a te, per quanto ho udito ieri” ironizzò infine lui, tornando a sorseggiare il suo caffè. “Ma me la cavo benino con il violino, e suono la mia scottish pipe come pochi altri, qui nei dintorni.”

Lorainne allora rise sommessamente, esalando: “E mi stupirei del contrario! Dubito ci siano molti scozzesi, in zona.”

Touché…” rise Lucius, depositando sul tavolo il giornale per dedicare interamente la sua attenzione a Lorainne. “In effetti, per incontrare qualche scozzese, dovremmo scendere sul Continente e recarci a Ellsworth, dove ho la mia casa padronale.”

Vagamente sorpresa, la giovane si guardò intorno, studiò le pareti ricoperte di elegante carta da parati in seta azzurro cielo e infine domandò: “Oh… non abiti stabilmente qui?”

“Diciamo che la maggior parte del tempo la passo qui, ma l’inverno lo trascorro sul Continente. Questa villa è abbastanza fredda, essendo a picco sull’oceano, perciò in inverno costerebbe troppo, scaldarla tutta” ammise Lucius, lanciando però un’occhiata affettuosa tutt’attorno.

Era chiaro, agli occhi di Lorainne, quanto tenesse a Liberty House e quanto, il difetto appena citato, non lo turbasse più di quel tanto.

“Quindi, vi trasferite tutti sulla costa…”

“Non tutti. Albert e Silver rimangono qui, un po’ per accudire la casa, e un po’ perché Silver non si trova molto bene, in città” ammise Lucius, giocherellando con il cucchiaino della sua tazza. “Si posizionano nell’ala est, che è la più riparata dalle tempeste invernali.”

“Oh, quindi, hai un altro attendente, a Ellworth?”

Lucius rise brevemente, scuotendo il capo, e replicò: “Albert è troppo saggio e intelligente, perché io pensi anche solo di sostituirlo per qualche mese con qualcun altro e poi, in tutta onestà, non ho bisogno di essere costantemente seguito come un infante.”

“Non credo davvero” assentì Lorainne, mentre la cameriera tornava con il suo tè.

Nel poggiare il vassoio sul tavolo, la domestica si fece timorosa e domandò con tono appena sussurrato: “Scusatemi per il disturbo, miss Phillips, ma la nostra cuoca desiderava sapere se avreste potuto raggiungerla nella serra, più tardi.”

“Silver?” esalò sorpreso Lucius.

“Sì, milord. So che è una richiesta molto strana, ma…” tentennò la donna, indecisa su cos’altro dire.

Lorainne, però, le sorrise confortante, asserendo: “Accetto volentieri. Si trova vicino alle stalle, vero?”

“Esatto. Dietro casa, rivolta a sud e protetta dai venti da una siepe di bosso. Non potete sbagliare” le spiegò allora la cameriera, facendo una piccola riverenza prima di allontanarsi dal tavolo.

“La cosa mi stupisce molto” dichiarò a quel punto Lucius, curioso.

“Oh, e come mai?”

“Silver, di solito, non fa amicizia facilmente… eppure, ti ha invitata nel suo sancta sanctorum… non è una cosa di poco conto, vero, Sabine?” le spiegò Lucius,  interpellando la cameriera che si trovava accanto al tavolo dei rinfreschi.

Sorridendo appena, la donna mormorò: “E’ assai curioso, milord.”

Lorainne si limitò a sorridere e, nel sorseggiare il buon tè, si chiese cosa volesse Silver, da lei.

Di per sé, la richiesta la incuriosiva molto ma, se anche a Lucius sembrava una cosa strana, allora assumeva in un certo qual modo i contorni dell’avventura.

Non seppe bene perché, ma la sola idea la fece sorridere di aspettativa.

Dopo aver terminato la colazione, quindi, si levò dal tavolo e, a sorpresa, Lucius si alzò con lei, dichiarando: “Ti accompagno. Questa casa, per quanto non sia come i palazzi in cui siamo cresciuti, ha un sacco di corridoi, e ci si può confondere un poco.”

“Oh, beh, grazie” mormorò lei, arrossendo lievemente.

Lui le fece segno di precederla, sfiorandole la base della schiena per un istante, prima di affiancarla.

Già in procinto di deviare verso destra, Andrew comparve nel corridoio e, vedendoli insieme, borbottò: “E voi due dove state andando, soli soletti?”

“Buongiorno anche a te, Andrew” disse serafico Lucius, mentre Lorainne avvampava come un cerino.

“Fratellone…” sussurrò nel mentre Lorainne, imbarazzatissima.

“Sì, sì, buongiorno” replicò sbrigativamente Andrew, avvicinandosi a Lorainne per darle un bacetto sulla fronte. “Allora? Dove stavate sgattaiolando?”

“Da nessuna parte, razza di malfidato che non sei altro. Ti sei arrischiato a lasciare in mia compagnia la donna che sarebbe diventata tua moglie per settimane, e ora ti lagni se accompagno tua cognata alla serra?” brontolò Lucius, sollevando sarcastico un sopracciglio.

“Siamo lontani da casa, e il tutore di Lorainne sono io, qui” sottolineò Andrew con una certa ironia. “Inoltre, è già difficile tenere a bada Sarah, figurarsi se debbo preoccuparmi anche di un tuo eventuale interesse per Lorainne.”

Lucius si passò una mano sul viso, mentre la diretta interessata fissava malamente un divertito quanto sornione cognato.

“E’ proprio vero che sei il degno fratello di Lizzie. La tua lingua è più pericolosa di una spada, quando si mette in movimento” ironizzò a quel punto Lucius, fissando l’amico con aperto divertimento.

“Penso che troverò la serra da sola. Grazie, Lucius…” mormorò Lorainne, proseguendo da sola, ma non prima di aver dato una gomitata al fianco di Andrew. “Cognatino…”

“Ahia!” borbottò quest’ultimo, fissandola mentre se ne andava a grandi passi, i capelli svolazzanti sulle spalle. “Non si è neppure legata i capelli, quella discola. E dire che ha diciannove anni, ormai. Dovrebbe saperlo che deve portarli legati.”

“E tu sei un petulante gentiluomo che dovrebbe togliersi il palo che ha nel didietro” lo prese in giro Lucius, facendolo ridere.

“Ho esagerato, dici?” esalò ridente Andrew, asciugandosi una lacrima d’ilarità.

“Se proprio volevi richiamarmi all’ordine, potevi farlo senza che Lorainne fosse presente. L’hai messa in imbarazzo.”

“E’ molto sensibile, in questo periodo, e non voglio che tu la infastidisca… come nessun altro uomo, del resto. Niente di personale, Lucius, ma desidero che ritrovi la serenità, e non può farlo se un uomo le sta addosso con le sue attenzioni” lo mise gentilmente in guardia Andrew, tornando serio.

Accigliandosi leggermente, Lucius replicò: “Qualcuno l’ha fatta soffrire?”

“Sì, ma sono affari di Lorainne, e non sarò certo io a spifferarteli quindi, visto che ti conosco e so quanto sei espansivo nei tuoi comportamenti, ti avverto, non farle credere cose che non ci sono.”

“Non stavo facendo niente, Andrew… che vai a pensare?” esalò sorpreso Lucius, chiedendosi il perché di tanta preoccupazione.

Il giovane Spencer lo guardò per diversi attimi senza sapere bene cosa dire ma, quando infine parlò, lasciò Lucius senza parole.

“Davvero non ti sei accorto che, ieri sera a cena, non le hai tolto gli occhi di dosso?”
 
***

La struttura in ferro e vetro della serra ricordava molto a Lorainne i Kew Gardens, nei pressi di Londra, con le loro piante rigogliose e i profumi intensi e penetranti.

Certo, questa era sicuramente più piccola e minimalista, ma l’effetto d’insieme rimaneva. Le piante tropicali al suo interno si alternavano a intere file di erbe da orto, tutte ottimamente tenute e in salute.

Piccoli frutti e interi filari di verdure stavano crescendo rigogliosi, al riparo dagli agenti atmosferici dell’esterno e, quando Lorainne vide le fragole, sorrise spontaneamente.

Ecco da dove erano giunte!

Proseguendo nel suo lento passeggiare tra le piante, Lory venne attratta da un tavolino e un paio di sedie, poste nei pressi di una palma da dattero. Sembravano solo attendere che qualcuno le occupasse, magari in compagnia di un buon libro o di una tazza di tè.

Fu però nei pressi di una pianta di ibisco, che Lorainne trovò Silver.

Sorridendo spontaneamente quando vide la donna impegnata nello sfiorare i bei petali del fiore carminio, Lorainne rese nota la sua presenza e la salutò.

Per un istante, il volto della nativa americana si irrigidì ma, nel rendersi conto della sua identità, si rilassò un poco e, con l’accenno di un sorriso, le diede il buongiorno.

“E’ tutto veramente splendido, qui. Ve ne occupate voi, Silver?”

“Amo ciò che cresce e prospera” si limitò a dire Silver.

Lorainne assentì e, ancora, spaziò con lo sguardo per ammirare le piante contenute nella serra. I profumi erano inebrianti, quasi stordenti per lei che non era abituata a simili fragranze, ma non poté che trovarli assai piacevoli.

Nelle loro serre, per lo più, erano coltivate verdure e ortaggi. Solo presso la villa dei Withmore aveva visto simili piante, dai colori meravigliosi e i nomi esotici quanto impronunciabili.

Mni Itaca…”

“Sì?” mormorò Lorainne, riconoscendo il nome con cui Silver l’aveva chiamata il giorno addietro.

Acqua che scorre.

Il suono le piaceva moltissimo ma, soprattutto, ne apprezzava il significato intrinseco.

Era lieta che Silver avesse visto in lei tutto questo, quando l’aveva sentita suonare, visto che non si conoscevano ancora.

Lei si sentiva per l’appunto così, quando suonava, ed era affascinante che Silver lo avesse colto al primo sguardo.

“Questo fiore è sbocciato stamattina, e ha lo stesso colore dei vostri occhi. Penso si possa considerare un benvenuto” le spiegò Silver, mostrandole un cespuglio di fiorellini dalle tonalità turchesi.

Piegandosi per meglio osservarli, Lorainne allargò il suo sorriso – già estasiato da quello che la circondava –  e disse: “Sono davvero splendidi! Non li avevo mai visti. Come si chiamano?”

“Sono quamash, ma credo si chiamino camassie, nella lingua dei bianchi” le spiegò Silver. “Si possono mangiare. I bulbi. Quando il fiore secca, può essere bollito e mangiato. Sa di patata” le spiegò Silver, sorprendendola.

“Davvero? Ma è incredibile! Al massimo, con una rosa, ci si può fare un buon profumo e qualche insalata, ma poco altro” ironizzò Lorainne, accarezzando i piccoli petali della pianta.

“Padron Lucius è solito portare a casa delle piante per me, quando torna dai suoi viaggi. Piante che usava il Popolo, ora che molte tribù sono… sono imprigionate, o disperse” mormorò Silver, distogliendo lo sguardo dai fiori per perderlo nel vuoto.

Lorainne si rialzò in fretta, poggiò una mano sulla spalla di Silver e ristette in silenzio, rispettando il suo dolore.

Non aveva idea di cosa volesse dire essere strappati da casa, picchiati, caricati su un carro per essere venduti come schiavi e, di colpo, venire salvati da qualcuno che neppure si conosceva.

Doveva essere stato un periodo traumatico, per lei e Albert.

Nello sfiorare la foglia allungata di una palma nana, Silver asserì pensierosa: “Padron Lucius è un washicu, un uomo bianco, ma è anche buono. Un po’ strambo, ma buono.”

“Strambo?” ripeté curiosa Lorainne, trovando strana quella scelta di parole.

Scrollando una spalla, Silver replicò: “Conoscete altri washicu che se ne vanno in giro per le Grandi Pianure, e solo per il gusto di vederle?”

“Oh… stava facendo il turista?” si sorprese Lorainne. “Non era in cerca di legname, o altro?”

Silver, allora, la fissò con estremo divertimento, e dichiarò: “Non avete la più pallida idea di come siano le Grandi Pianure, vero?”

“Temo di no” ammise con un risolino Lorainne. “Non ci sono foreste?”

“Nel nord, verso i territori che lambiscono le tribù dei Piedi Neri, o a ovest, dove enormi monti bianchi bloccano le carovane. Lì, c’è legname in abbondanza” le spiegò Silver, gesticolando con le braccia per indicarle le varie direzioni. “Le Grandi Pianure sono altro. Distese infinite di terra ondeggiante, ricoperta di erba, fiori e tatanka.”

Tatanka?”

Silver storse la bocca, e ammise: “Non ricordo la parola, ma lo chiederemo ad Albert. Lui lo saprà di sicuro.”

Presa spontaneamente sottobraccio Silver, Lorainne si avviò verso l’uscita con l’idea di passeggiare sulle scogliere e, entusiasta, asserì: “Parlatemi ancora delle vostre terre natie. Ho idea che siano stupende. Le nostre pianure sono piuttosto ridotte. Abbiamo però delle belle colline ricoperte di fiori rosa, bianchi e gialli.”

Silver scrutò per un istante le loro braccia intrecciate, le loro mani accostate, la sua dorata, quella di Lorainne candidamente rosea e, per un istante, si chiese cosa stesse facendo.

Da quando in qua lei dava così confidenza agli estranei?

Eppure, le sembrava che quella giovane donna potesse capirla, pur non avendo mai dovuto affrontare le sue peripezie. Come se Lorainne volesse essere un torrente impetuoso anche per lei, pronto a dilavare le sue pene.

Era mai possibile?

Con un mezzo sorriso, allora, Silver disse: “Mi piaccio i fiori. Io vi parlerò dei miei, e voi dei vostri.”

“Sono pienamente d’accordo con voi” annuì Lorainne, lieta che il suo approccio fosse stato accettato.

Desiderava realmente conoscere Silver, e sapere della sua terra le sembrava il modo migliore di scoprire qualcosa anche di lei come donna.
 
***

Aveva sperato che, una passeggiata a cavallo con il suo attendente, potesse aiutarlo a comprendere le parole sibilline di Andrew, ma nulla venne in suo soccorso.

Violet era già rientrata in carrozza, perciò Lucius non doveva preoccuparsi di lei, e poteva impiegare tutto il tempo del mondo per  rientrare dal cantiere.

Così, con la mente, tornò alla sera precedente.

Avevano cenato con allegria, e Lucius aveva passato il tempo a chiedere dei suoi parenti e amici, scambiando battute e commenti con tutti, nessuno escluso.

V’erano state risate, argomenti seri e faceti e, alla fine, ognuno si era recato nelle proprie stanze per riposare dopo il lungo viaggio per mare.

Quindi, dov’era l’inghippo che non riusciva a scorgere nei suoi ricordi?

Davvero era stato così maleducato da fissare con insistenza Lorainne? E lei se ne era accorta? L’aveva infastidita?

Da come si era comportata quella stessa mattina, non gli era parso, ma era pur vero che non si intendeva molto di giovani donne, e non poteva sapere cosa passava loro per la testa.

La sua unica vera amica era sempre stata Violet e, lì in America, non aveva passato molto tempo a fare amicizia con il bel mondo. Né maschile, né tantomeno femminile.

Certo, aveva diversi agganci politici a Washington e intratteneva ottimi rapporti con gli abitanti di Tremont – nobili e non – e con le famiglie dei suoi fornitori, ma la cosa finiva lì.

Non aveva mai passato il tempo  a fissare le donne, neppure lontanamente, come invece Andrew lo aveva accusato di aver fatto con Lorainne.

Solitamente, i suoi interessi per il gentil sesso erano limitati dal suo lavoro e dalla mancanza di materia prima di buona qualità.

Non che si sentisse particolarmente snob, ma la nobiltà del luogo era scarsa e, se poi pensava ai salotti che di rado frequentava, non gli balzava alla mente nessuna donna degna di nota.

Quindi, cosa diavolo era successo la sera precedente?

“Ancora un po’, e vedrò dei segnali di fumo uscire dalle tue orecchie, Lucius” lo irrise bonariamente Albert, tenendo le redini con una mano mentre l’altra, negligente, era poggiata su un fianco.

Cavalcava come un guerriero, con le spalle ritte e lo sguardo fiero, sempre pronto a qualsiasi eventualità gli si presentasse innanzi.

Lucius aveva potuto dargli abiti all’occidentale e un’istruzione, ma Albert Greyhawk rimaneva pur sempre il guerriero lakota oglala Falco Grigio. Sia nel cuore che nel portamento.

“Sono stato accusato di aver guardato in modo inappropriato una mia ospite, e mi stavo scervellando su quanto vi fosse di vero in questa accusa” ammise Lucius, sogghignando.

“Miss Lorainne?”

Lucius aggrottò la fronte, nel sentirla nominare e, borbottando, celiò: “L’hai notato anche tu?”

“Ho fatto due più due. Lady Violet è sposata e con prole, e miss Sarah è fidanzata con lord Westwood. Dubito avresti mai guardato in maniera irrispettosa due dame impegnate. Non restava che miss Lorainne.”

“Vero, verissimo” borbottò Lucius, scuotendo nervosamente una mano. “Ma non vedo perché non debba notare quanto è diventata affascinante. Non è un segreto di Stato, no?”

“Affatto. Miss Lorainne ha un viso assai grazioso” assentì diplomatico Albert.

“Ecco, per l’appunto. Ho fatto questo. Ho apprezzato la bellezza di una mia amica, tutto qui. Sono mesi che non vedo una donna che non sia tua moglie Silver, o le mie domestiche, perciò penso di poter apprezzare la presenza di una gentildonna nubile, ti pare?”

“Ma certamente” assentì ancora Albert, sempre più diplomaticamente.

Lucius fissò dubbioso il suo amico e attendente e, con nero cipiglio, sbuffò.

“Tu mi stai prendendo bellamente in giro, Albert.”

“Affatto, milord. Mi limito a darti corda” osservò serafico Albert, faticando a non ridere di fronte all’evidente nervosismo di Lucius.

“Andate al diavolo, tutti quanti. Non ho fatto nulla di male, nel guardare con interesse Lorainne. Tra un paio di giorni mi sarò abituato alla sua presenza, e nessuno avrà più nulla da dire” si lagnò a quel punto Bradbury, facendo scoppiare a ridere Albert.

“Ma certo, ma certo” esalò Albert, tra una risata e l’altra.

Lucius lo fissò malissimo ma, prima ancora di poter dire qualsiasi cosa, volse sgomento il viso verso casa non appena udì il suono inequivocabile di uno sparo.

Anche Albert si mise in allarme e, lasciata da parte l’ilarità, piantò i calcagni nei fianchi del cavallo e lo spinse immediatamente al galoppo, al pari di Lucius.

Un secondo sparo seguì il primo e, con esso, l’urlo di una donna.

Sempre più preoccupato, Lucius si piegò sul collo del cavallo per aumentare l’andatura ma, quando la coppia di cavalieri ebbe aggirato la villa, si bloccarono sgomenti di fronte allo spettacolo che si presentò loro innanzi.

Nell’ampio prato che si estendeva verso le scogliere, era stato sistemato quello che aveva tutta l’aria di essere un poligono di tiro.

Sarah, armata di moschetto, stava esultando senza troppo ritegno mentre Lorainne, alle prese con arco e frecce, sembrava sul punto di esplodere di rabbia.

I capelli stretti in due trecce e le maniche dell’abito raccolte sopra i gomiti, Lorainne appariva come una monella in procinto di far danni, e Lucius si stupì non poco nel vederla abbigliata a quel modo.

L’aveva sempre reputata calma e posata al pari di Violet, e aveva sempre ritenuto Sarah il diavoletto di casa Phillips.

Era evidente che si era perso qualcosa, del carattere della figlia di mezzo del duca Thornton. Oppure, negli anni passati lontano da casa, Lorainne si era in qualche modo liberata di qualche zavorra mentale.

Silver stazionava accanto a Lorainne come una maestra severa quanto orgogliosa e, le mani sui fianchi, ringhiava ordini alla sua allieva neanche fossero state in guerra.

La famiglia Spencer e lord Westwood, invece, erano posizionati su una serie di sedie da giardino, e sembravano entusiasti di quella gara improvvisata quanto combattuta con dedizione.

Nello scendere lentamente da cavallo, Lucius esclamò: “Ma cosa state facendo?”

Tutti si meravigliarono della sua presenza e Lorainne, che ancora aveva la freccia incoccata, si volse a mezzo e lasciò andare il dardo, che schizzò fuori controllo in direzione delle scogliere.

“Ops” esalò la ragazza, prima di scoppiare a ridere.

Silver scosse il capo, borbottando: “Non vi dovete mai distrarre, Lorainne, o il nemico si avvantaggerà su di voi.”

“Verissimo, Silver. Avete ragione” assentì lei, poggiando l’arco a terra per poi guardare Lucius e dire: “Mi hai distratta.”

“Chiedo venia” mormorò lui, sgomentandosi l’attimo successivo quando la vide raccogliere un poco le gonne e correre via.

Non sapendo se essere più scioccato dallo scorgere le sue caviglie – abbracciate da eleganti stivaletti di pelle scura– o nel notare quanto fosse veloce nella corsa, Lucius si spaventò quando la vide avvicinarsi troppo alle scogliere.

Lasciate subito le redini ad Albert, mentre Silver urlava a Lorainne di fermarsi e Andrew si levava preoccupato dalla sedia, Lucius le corse incontro per bloccarla.

Lorainne, comunque, si era già fermata al richiamo imperioso di Silver e, nel notare l’arrivo frettoloso di Lucius, esalò: “Ma che vi prende?”

“Questo tratto di scogliera è pericoloso… non dovresti avvicinarti tanto” la redarguì Lucius, allungandole una mano per allontanarla.

Lorainne, però, non la afferrò e, nell’indicare la freccia, disse: “Debbo recuperarla, prima.”

“E’ solo una freccia. Lascia stare” scosse il capo lui, il cuore a mille al pensiero di vedere la roccia, sotto i piedi di Lorainne, frantumarsi di colpo.

La giovane dissentì su tutta la linea e replicò testardamente: “Appartiene a Silver, perciò gliela riporterò.”

“Posso comprargliene altre mille, Lorainne. Lascia perdere” dichiarò a quel punto Lucius, avvicinandosi di un altro passo.

“Conta anche la singola freccia, se a essa è legato un ricordo” protestò Lorainne, volgendogli le spalle per raccogliere il dardo.

Lucius imprecò spazientito e, compiuti gli ultimi passi per raggiungerla, la afferrò alla vita con un braccio mentre, con l’altro, prendeva la freccia per poi allontanarsi di corsa.

L’attimo seguente, insieme allo strillo sorpreso di Lorainne, si udì lo scricchiolio sospetto della roccia, oltre a qualche sasso rotolato verso il basso.

Quando Lucius si ritenne al sicuro si volse, mise a terra Lorainne e, indicandogli la scogliera che si stava sgretolando, ringhiò: “Intendevo questo!”

Ferma accanto a Bradbury, Lorainne osservò turbata la scena mentre almeno due palmi di roccia finivano dabbasso, nelle acque schiumose dell’oceano.

“Non conosci questi luoghi come me, Lorainne… fidati, quando ti dico che c’è pericolo” la redarguì ancora Lucius, fissandola finalmente negli occhi.

Questi, erano stati resi fumosi dal panico e dall’adrenalina e, in quel momento, lo stavano fissando con un misto tra gratitudine e paura.

Il primo istinto di Lucius sarebbe stato quello di abbracciarla – era sempre stato molto fisico, nelle sue esternazioni – ma, memore delle parole di Andrew, si limitò a dire: “La prossima volta, lascia stare la freccia.”

“Mi hai raccolta come un sacco di patate, sai?” gli fece però notare lei, prendendo gentilmente la freccia dalla sua mano per stringersela al petto ansimante.

“Temo di sì, ma non pesi molto, perciò è stato semplice” si limitò a dire Lucius, mentre Silver si avvicinava per conoscere le loro condizioni.

Accigliandosi leggermente, Lorainne si guardò per un attimo, mormorando: “Oh, beh, spero proprio di no.”

In quel mentre, Silver li raggiunse e, nello scrutare la giovane, asserì: “Non rischiate mai più così, per una freccia. Altrimenti, chiedetemelo prima.”

“Va bene, ho fatto una sciocchezza. Ma la freccia era vostra, e non volevo perderla.”

“Le frecce possono essere sostituite. Le persone, no” le ricordò Silver, lapidaria.

“Due reprimende in pochi minuti. Ho fatto giornata” motteggiò Lorainne, tornandosene al poligono di tiro con passo irritato.

Ghignante, Sarah le disse: “Meno male che quella scapestrata sarei io.”

“Ora non darti la pena di ricordarcelo, Sarah. Detieni ancora lo scettro delle scempiaggini, stai tranquilla” replicò Lorainne, afferrando il fucile della sorella. “Vediamo come te la cavi tu, con arco e frecce, poi ne riparliamo.”

Sarah si fece mogia e borbottò: “Non è colpa mia, se Lucius ha dovuto salvarti da una tua idiozia.”

Silver posizionò arco e frecce nelle mani di una accigliata Sarah e, mentre Lorainne si metteva in posa per sparare, aggiunse: “Te la prendi tanto solo perché hai fatto un errore, ma può capitare a tutti.”

Lorainne la fissò arcigna e Sarah, nel sospirare, sollevò arco e frecce e borbottò: “Ecco cosa succede ad avere una sorella perfezionista.”

L’attimo successivo si udì uno sparo e, preciso, il colpo finì nel mezzo del bersaglio.

“Esibizionista” sbuffò Sarah, mentre Silver le sistemava gomito e braccio.

“Si chiama bravura” sottolineò Lorainne, mentre Violet rideva sommessamente.

Albert andò a sistemarsi vicino al suo datore di lavoro e, nel continuare a osservare le due sorelle, l’una brontolante e l’altra silenziosa, mormorò: “Di certo, due signorine sopra gli schemi.”

“Come ogni membro delle famiglie che qui sono rappresentate, credimi” asserì Lucius, stentando a fatica a togliere di dosso gli occhi da Lorainne.

La mano ancora gli formicolava, dove l’aveva afferrata – in preda al panico – sul ciglio della scogliera.

Lì per lì, aveva solo badato ad allontanarla dal pericolo, ma non avrebbe mai dovuto toccarla a quel modo.

Soprattutto, vista la reazione del suo corpo a quel tocco del tutto involontario, per quanto necessario in quel momento.

Aveva dunque ragione, Andrew, ad averlo messo in guardia?

Non era solo l’indubbia mancanza di alternative sull’isola, a metterlo a disagio. A suo tempo, non aveva provato le stesse sensazioni, stando accanto a Violet.

Quindi, che succedeva? Perché Lorainne gli faceva quell’effetto? E perché solo ora? Non era la prima volta che la vedeva, dopotutto.

Forse non eri pronto, gli fece notare una vocetta nella testa.

Lucius preferì scacciare quella voce, ma il dubbio rimase, assillante, per tutto il resto del giorno.





Note: Lorainne pare molto più serena che durante il viaggio per giungere in America, e il fatto di poter confidare nel consiglio della sorella è importante, per lei.
Inoltre, la presenza di Lucius e la curiosità scatenata in lei da Silver, la aiutano a ritrovare la vera se stessa, la curiosità che l'hanno sempre contraddistinta.
Quanto a Lucius, sembra che non solo Andrew si sia accorto di un suo interesse, ma anche Albert, pur se Lucius stesso tenta di ridurlo alla sua inguaribile curiosità (cosa possono combinare due persone curiose messe assieme?) ;-)
Di certo c'è che, il contatto casuale con Lorainne lo ha scombussolato molto. Vedremo se questo porterà ad altro, e sarà solo a senso unico.

P.s. per chi non lo sapesse i tatanka sono i bisonti. E le particolarità organolettiche della camassia elencate da Silver sono reali.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


4.
 
 
 
 
Visto da vicino, il cantiere appariva ancor più enorme di quanto non fosse sembrato a Lorainne, il primo giorno, al loro arrivo via mare. Anche quando erano sbarcati, il tempo passato a curiosare tutt’attorno non era stato sufficiente per rendersi conto delle effettive dimensioni di quel luogo.
 
Ora che, però, aveva il tempo di ammirare con tutta calma l’immensità di quel cantiere, la sua meraviglia crebbe di minuto in minuto, unita a un profondo orgoglio nei confronti dell’amico.

Tutto era ordinato in modo quasi maniacale e, mentre Lucius dava ordini a destra e a manca con piglio militare, ogni cosa si svolgeva con la massima efficienza.

I manutentori lavoravano al fianco degli scalpellini e degli addetti alle pialle, e sembravano non esserci differenze tra uomini bianchi, di colore o ispanici che fossero.

Non v’erano scorni di alcun tipo, pur se le battute non mancavano, così come le smargiassate, ma il tutto era condito di sana, amichevole ironia e di una buona dose di cameratismo.

Lorainne non poté che essere lieta di aver accompagnato la sorella, quella mattina. Era felice di poter constatare con i propri occhi come, il tocco di Lucius, avesse modificato anche un luogo serioso come un cantiere.

Pur se tutto funzionava come un meccanismo perfettamente oliato, nessuno sembrava lavorare solo per necessità, ma con autentica passione.

Nel passeggiare assieme a Lettie – che stava scrutando le navi con occhio molto più clinico del suo – Lory trovò finalmente il coraggio di chiederle delle lettere.

Erano giunti a Bass Harbour da una settimana ma, dell’argomento, non avevano più parlato e, a quel punto, la curiosità della giovane si era ormai fatta insopportabile.

Quando si bloccarono di fronte a un argano per osservare il passaggio di un trave, Lorainne le domandò: “Hai avuto tempo per controllare le lettere di Michael?”

Violet assentì, ancora assorta nella visione delle manovre degli operai e, con tono sommesso, dichiarò: “Niente, assolutamente niente, avrebbe potuto farti capire che lui mentiva. Credimi. Le ho date anche a Sarah, e anche lei ha ammesso di non averci visto nulla di strano.”

Poi, con un sorriso di scuse, aggiunse: “Sappi che le ha fatte leggere anche a Samuel, perché voleva il parere di un uomo, ma lui ha detto di non avervi trovato niente di anomalo. Un autentico manipolatore, bravissimo a nascondersi dietro le sue stesse parole.”

Lorainne scosse le spalle, come se la cosa non le interessasse, pur se avrebbe preferito che Sarah chiedesse il suo permesso prima di mostrarle a Samuel e, con voce solo vagamente tremante, mormorò: “Quindi… Michael era veramente interessato a me? O soltanto un bravo mentitore?”

“Non potremo mai saperlo. Ma ha tradito la tua fiducia nel momento stesso in cui ha tentato di andare dalla sua amante” ammise Violet, sospirando nel darle una pacca sulla spalla.

Lory assentì suo malgrado, stringendo le mani in grembo per non doverle veder tremare. Era stanca di essere sconvolta dalle azioni di Michael, perciò era tempo che lo dimenticasse una volta per tutte, relegandolo in un luogo della sua mente in cui non avrebbe più messo piede.

Violet, allora, infilò una mano nella scarsella, le consegnò dei fogli ripiegati e disse: “Le ho portate con me nella speranza che, prima o poi, me ne avresti parlato. Ora, è tempo di gettarle.”

La sorella minore assentì con decisione e, nell’afferrarle, sorrise a Violet, le diede un bacetto sulla guancia e, senza dire nulla, corse verso l’imbocco del porto.
 
***

Accartocciarle una alla volta e lanciarle contro il vento e le acque scure, aveva un che di gratificante, di liberatorio.

Come se, ogni foglio appallottolato, fosse un pugno sul torace di Michael, un atto d’accusa contro di lui, uno sfogo che mai aveva potuto avere con quell’essere spregevole e meschino.

Uno dopo l’altro, i fogli finirono nell’acqua turbinosa dell’oceano, mentre il vento sbatacchiava la costa e conduceva con sé il profumo della tempesta.

Lorainne poteva scorgere senza fallo, in lontananza, le nere nubi avvicinarsi a Bass Harbour, ma aveva tutto il tempo di dedicarsi a quel suo personale rito di passaggio, prima di tornare a Liberty House.

Una folata di vento dispettosa, però, le strappò di mano un foglio e, subito, Lorainne si rialzò dalla sua posizione rannicchiata per andare a recuperarlo.

Quello che non si aspettò di vedere, però, fu un ufficiale dell’esercito che, con il foglio perso da Lorainne in una mano e un sorriso sul viso, le si avvicinò dicendo: “Temo abbiate smarrito questa missiva, signorina.”

“Sì, grazie. Così è, in effetti” mormorò Lory, afferrando il foglio che le veniva porto. “Siete stato cortese ad afferrarlo per me.”

“Di nulla. Ho fatto ben poca cosa” replicò l’uomo, accentuando il suo sorriso, ben in evidenza sul volto abbronzato. “Deve essere un brutto ricordo, se lo state gettando con tanta acredine.”

“Assai deplorevole ricordo, sì” assentì lei, appallottolando il resto dei fogli perché avessero il loro degno funerale.

L’ufficiale ristette in silenzio alle sue spalle, mentre Lorainne terminava il suo personale funerale vichingo – ma senza fiamme – e, quando ella infine si volse, lui si inchinò formalmente e disse: “Colonnello Lawrence Kerrington al vostro servizio, signorina. Ho pensato fosse corretto proteggervi da qualche malintenzionato, visto che eravate qui, tutta sola, senza protezione alcuna.”

“Malintenzionato? Nel cantiere navale di Lucius? Dubito fortemente” replicò la giovane, pur tributandogli un sorriso di ringraziamento.

“Conoscete il padrone di questa impresa?” esalò sorpreso l’uomo, sbattendo le palpebre con aria confusa.

“Io e Lucius ci conosciamo da anni, colonnello. Sono Lorainne Katherine Phillips, figlia del duca Thornton di York. Molto piacere” asserì Lory con una graziosa riverenza.

Se si fossero trovati in Inghilterra, ben difficilmente avrebbe potuto presentarsi con tanta impudenza a un uomo ma lì in America, lontana migliaia di miglia da casa, le parve una cosa fattibile.

“Il piacere è tutto mio, miss Phillips. Posso avere l’onore di riaccompagnarvi al cantiere? Il tempo sta volgendo al brutto, ed è rischioso stare troppo vicini all’acqua. Un’onda anomala potrebbe colpirvi, trascinandovi in acque perigliose quanto mortali” le propose l’ufficiale, offrendole il braccio.

“Non sia mai che io faccia preoccupare alcuno. Procediamo pure lungo la via del ritorno, colonnello, e grazie per la cortesia” assentì Lorainne, accettando il braccio dell’uomo.

Le parve davvero strano concedersi quella piccola infrazione alle regole, ma fu assai divertente, per una volta, infrangere il Ton. Avrebbe fatto di testa sua, pensando a ciò che voleva per sé.

In quel momento, su quel molo, lontana da casa e da quel mondo affettato e fasullo che l’aveva ferita, voleva passeggiare assieme al colonnello Kerrington, e l’avrebbe fatto.
 
***

Ritto dinanzi alla casamatta del cantiere, le spalle poggiate contro il muro color senape, Lucius stava osservando ombroso il lento avvicinarsi di Lorainne in compagnia del suo amico Lawrence.

Il colonnello gli aveva scritto alcuni giorni addietro, avvisandolo di una sua imminente visita, ma mai avrebbe immaginato che lui potesse incontrare Lorainne senza il suo benestare.

Non che avesse alcun diritto di lagnarsi, però… a ben vedere, non gli garbava molto che lui si prendesse certe libertà con i suoi ospiti!

“Come mai siamo così ombrosi?” esordì una voce al suo fianco, mandandolo nel panico.

Lucius si irrigidì, sobbalzando e, nel fissare arcigno Andrew, in piedi accanto a lui e tutto ghignante, ringhiò: “Ma che ti prende?! Vuoi farmi morire di paura?”

“Affatto. Ma volevo stuzzicare il tuo ego già messo sotto torchio” replicò Andrew con aria ironica. “Chi è l’ufficiale che sta facendo da cavaliere alla mia pupilla?”

“Il colonnello Lawrence Kerrington, colui che mi aiutò a salvare Albert e Silver. Siamo amici da diversi anni” gli spiegò succintamente Lucius, gli occhi puntati sulla coppia che, con calma, stava avvicinandosi al cantiere lungo il sentiero che proveniva dall’imbocco del porto.

Non aveva idea del perché stessero provenendo proprio da là, o del perché Lawrence fosse in compagnia di Lorainne, ma la cosa lo angustiava non poco.

Violet scelse proprio quel momento per tornare a sua volta dal suo giro ispettivo e, nel vedere la sorella assieme a uno sconosciuto, asserì: “Lory deve aver trovato compagnia, durante la sua passeggiata. Niente meno che un ufficiale, a quanto pare.”

“Un amico di Lucius… forse…” ironizzò Andrew, prendendosi una gomitata nel fianco l’attimo seguente.

“Perché, forse?” domandò ingenuamente Violet, fissando il marito con aria stupita.

“Perché Lucius, probabilmente, lo affogherà nel canale di carenaggio, se continua a…” iniziò col dire Andrew, quando una seconda gomitata gli tolse il fiato.

Fissando malissimo l’amico, il giovane Spencer bofonchiò subito dopo: “Tra te e Lory, avete gomiti assassini… dovrò starvi lontano.”

“Sei tu che parli troppo” sentenziò Lucius, avviandosi per andare a salutare Lawrence… e allontanarlo un poco da Lorainne.

Stampandosi in volto un sorriso amichevole, Lucius salutò l’amico con un richiamo e il colonnello, nel vederlo, esclamò: “Amico mio, buongiorno!”

“Non sapevo fossi già arrivato…” asserì Bradford, allungando una mano per stringere quella dell’ufficiale. “…ma vedo che Lorainne ti ha tenuto egregia compagnia.”

“Oh, miss Phillips è stata così gentile da sopportare la mia presenza non richiesta e, nel frattempo, mi ha ragguagliato sulle notizie provenienti dal Continente Europeo. Mi sono reso conto di essere rimasto indietro di anni” replicò Lawrence, scoppiando a ridere.

Rivolto a Lorainne, che sembrava assai rilassata in compagnia del colonnello, Lucius disse: “Devi sapere che, il qui presente colonnello Kerrington, è uno studioso di Storia assai perseverante.”

“Qualità che avrei preferito non riferissi, amico mio, perché mi fa apparire un topo da biblioteca” rise sommessamente Lawrence, ammiccando all’indirizzo della ragazza.

“Oh, dopo aver vissuto per anni con mia sorella Violet, sono abituata a vedere persone affondate nei libri anche per settimane intere” replicò Lory, facendo spallucce. “Non è cosa per cui io possa rimanere sgomentata. Inoltre, amo molto anch’io leggere e studiare.”

“Violet, la sorella di Lorainne, è un’esperta di architettura navale” lo mise al corrente Lucius, volgendosi poi a mezzo per indicare la bellezza bionda nei pressi della casamatta.

Vagamente sorpreso, il colonnello esalò: “Vostra sorella, miss Phillips?”

“Esattamente. Non ci somigliamo molto e, mio malgrado, sono la più alta della nidiata, pur se sono la secondogenita. Mio fratello Paul, con suo grande rammarico, è alto più o meno come Violet, io sono alta quasi come mio padre, mentre la più piccola di statura è Sarah.”

“Una famiglia numerosa e assai variegata, da quel poco che posso comprendere… cosa che ho sempre invidiato al mio amico Lucius” asserì Lawrence con un certo rammarico.

“Sono convinto che Sarah sarà lieta di bistrattarti, non appena avrà saputo che sei figlio unico… ma non pensare di approfittartene, visto che è già fidanzata” lo mise al corrente Lucius, battendogli una mano sul braccio.

“Vostra sorella si trova qui?” si informò dunque Lawrence, osservando Lorainne con interesse.

“Sì, assieme al suo fidanzato. Ma vi metto in guardia fin da subito; nessuna di noi è damigella, o nobildonna – nel caso di Violet – delicata o fragile, pur se possiamo apparire così. Non sveniamo per il primo dito insanguinato che vediamo” asserì Lorainne prima di scusarsi e raggiungere la sorella con un sorrisino stampato in viso.

“Tutto ciò per dire che…” volle sapere Lawrence, rivolgendosi all’amico.

“… che non sono fanciulle che potrai conquistare soltanto con il tuo bel sorriso, amico mio” ammiccò Lucius, ora divertendosi molto di più.

Lorainne lo aveva avvisato; per quanto potesse apparire gentile e cortese, non voleva necessariamente dire che fosse anche sciocca, o fatua.

“Oh, e un’ultima cosa; sanno imbracciare ottimamente un fucile, e Silver sta insegnando loro l’uso dell’arco e delle frecce” aggiunse Bradbury, con una punta di perfidia nella voce.

Cosa che, l’attimo seguente, gli fece sorgere un dubbio. Perché ci teneva tanto a mettere in guardia l’amico?

Il colonnello si portò meccanicamente una mano di fronte alle parti intime e Lucius, suo malgrado, scoppiò in una grassa risata.

Chi non si sarebbe preoccupato, di fronte a tre damigelle armate di fucile, e una lakota oglala accompagnata dal suo fido arco?
 
***

La tempesta era infine giunta e, all’esterno di Liberty House, fulmini, vento e pioggia sembravano voler colpire la baia di Bass Harbor con violenza inusitata.

La villa di Lucius, però, aveva sopportato questo e altro e, pur se il vento produceva spifferi sinistri, facendo fischiare le imposte, nessuno era veramente preoccupato per il fortunale.

Riunitisi nella sala della musica dopo una cena leggera, Sarah stava intrattenendo il colonnello con una delle sue avventure a cavallo.

Nell’udire cosa fosse riuscita a fare la piccola cavallerizza – Sarah, infatti, raggiungeva a stento il metro e sessanta, al contrario delle alte sorelle – Kerrington non poté che ridere, esalando: “Non potete dire il vero, miss Sarah! Vi state burlando di me.”

“Affatto… dico bene, Lory?” replicò la giovane, sorridendo alla sorella.

Indulgente, Lorainne disse al colonnello: “Purtroppo per la salute mentale dei nostri genitori, Sarah dice il vero. Ha saltato lo steccato in groppa allo stallone di nostro padre… sotto i suoi occhi increduli e terrorizzati.”

“A soli tredici anni… davvero incredibile” mormorò colpito Lawrence.

“La mia Sarah lascia di stucco” chiosò Samuel, sorridendo all’amata, che contraccambiò.

“Lascia anche degli strascichi pericolosi visto che, dopo questa bravata, ci fu vietato di cavalcare per un mese” sottolineò Lorainne, sorridendo divertita alla sorella.

Violet assentì, aggiungendo: “Ricordo benissimo che, quando lo venisti a sapere, ti infuriasti molto, Lory. Temetti davvero per Sarah, quella volta.”

“Ovviamente… sai che prediligo passeggiare nel bosco con Dafne, prima di comporre” brontolò Lorainne, sollevando un sopracciglio con enfasi.

“Siete una musicista, miss Lorainne?” si informò allora Kerrington.

“Mi diletto, ma non sono niente di speciale” si schernì lei, prima di essere adocchiata malamente da Silver, che era seduta su un divanetto assieme al marito.

Nel notare quello sguardo, Lawrence le domandò: “Cosa c’è, Mazaska Wicahpi?”

A sorpresa, il colonnello chiamava entrambi i lakota con i loro nomi originari, tralasciando i nomi inglesi che erano stati scelti per loro.

Nel chiederne spiegazione a Lucius, lui aveva riferito a Lorainne che, fin da quando si erano conosciuti, Lawrence si era sempre comportato così, con loro.

Lucius, invece, aveva preferito evitare, poiché la loro presenza in casa aveva già causato, in passato, diversi attriti con i suoi fornitori. Rimarcare la loro diversità avrebbe solo peggiorato le cose, sia per i coniugi lakota che per gli ospiti estranei alla casa.
 
Per quanto gli spiacesse, doveva pensare anche alla propria impresa familiare. Albert si era comunque dichiarato più che d’accordo, e a Silver non era importato molto.

Liberty House, invece, quando solo la famiglia era presente entro le mura della villa, era più facile udire i nomi di un tempo della coppia. A ogni buon conto, Kerrington era solito usare solo quelli, in barba alle persone presenti o meno.

“Lorainne si denigra per niente, ma è molto brava” replicò Silver, scrollando le spalle quando la diretta interessata la guardò malissimo. “Ma penso che un akicita come te non ne potrebbe capire nulla, se anche fosse una pianista stonata.”

Lawrence non se la prese affatto e scoppiò a ridere e, a conferma di quanto – quel dire – fosse una burla ormai collaudata, tra loro, Silver sorride divertita al pari di Albert.

“Devo supporre che ‘akicita’ abbia a che fare con il vostro grado…” ipotizzò Lorainne, sorridendo a un divertito colonnello.

“Esatto. Identifica coloro che hanno un grado militare o, nel caso dei lakota, i membri della tribù che si occupano della sicurezza e del mantenimento dell’ordine.”

“Come mai conoscete così bene le abitudini dei lakota, se è lecito chiedere?” si informò Samuel.

Lawrence si adombrò un poco e ammise: “Mi duole dirlo, ma il mio generale ci volle molto informati in materia per poter trovare un punto debole all’interno delle tribù così, quando ebbi terminato il mio iter, me ne andai dalla fanteria ed entrai nel corpo dei cavalleggeri.”

Albert strinse la mano alla moglie, nel notare il suo leggero irrigidimento e Lawrence, sorridendole comprensivo, aggiunse: “Non sei più laggiù, amica mia.

Un silenzio imbarazzato andò a calare sui presenti e Lorainne, nel vedere quanto livore e quanto dolore vi fossero negli occhi di Silver, si levò in piedi e domandò: “Che ne dite se suono qualcosa?”

“Ottima idea, sorella. Posso venire a fare un duetto con te?” intervenne Sarah, balzando in piedi e prendendo sottobraccio Lory.

“Ma certo. Forse, per una volta, riusciremo ad andare a tempo” ironizzò Lorainne, scatenando l’ilarità generale.

Posizionatesi sul lungo sgabello, le due giovani posero le mani sulla tastiera d’avorio e, in sincrono con il dondolare delle loro teste brune, intonarono un buffo motivetto, ciangottando una canzone per rendere il tutto più allegro.

Violet si unì a loro nel canto e gli uomini, un po’ per volta, accompagnarono quel piccolo concerto improvvisato con un battere ritmato delle mani.

Nell’osservare le tre sorelle intente a cantare, Silver non poté che sospirare tremula e Albert, al suo fianco, mormorò: “Sono brave persone, e lo stanno facendo per te, Silver.”

Lei assentì debolmente, lanciò un’occhiata a Lucius e, nel vedere il suo sorriso e lo sguardo perso in contemplazione delle sorelle Phillips, accettò quel dono di serenità senza dire nulla.

Era difficile accettare l’aiuto di un washicu e, pur se provava affetto per Lucius e Lawrence, o i membri della servitù, non amava le altre persone bianche.

Quelle sconosciute venute da lontano, invece, sembravano avere tutta l’intenzione di avvicinarsi a lei, di essere parte della sua vita. E per quale motivo?

Perché lei era parte integrante della vita del loro amico fidato e, per questo, lei e Albert rientravano pienamente nel pacchetto.

Poco importava che non appartenessero alla stessa nazione, o che non fossero della stessa estrazione sociale.

A quelle giovani donne, così come ai loro uomini, non importava nulla. Assolutamente nulla.

Perciò, perché doveva essere da meno proprio lei?

Lasciandosi quindi andare, Silver iniziò a battere le mani a sua volta, accompagnando il ritmo allegro di quella musica sconosciuta ma bellissima.

Quando infine il brano ebbe termine e le tre sorelle esplosero in una risata deliziata, la donna seppe di aver incontrato sulla sua strada delle persone degne di nota.

Non guerrieri, non membri della sua tribù. No, tre gentildonne venute da un altro continente, ma che avevano in comune con lei le cose basilari della vita.

Respiravano, vivevano, piangevano e ridevano. Erano donne al pari suo, e come tali le avrebbe viste, d’ora innanzi.
 
***

Era quasi impossibile credere che, fino a poche ore addietro, una tempesta fosse infuriata lungo la costa, spazzandola con venti capaci di spezzare alberi e far scuffiare navi.

Le stelle erano limpidissime in cielo, ora, e solo una lieve brezza umida rammentava agli ospiti di Liberty House cosa fosse avvenuto poco tempo prima.

Ritta all’ombra della veranda, in vestaglia da camera e piedi nudi, Lorainne osservava l’oscurità all’orizzonte come se volesse inghiottirla. Ne era attirata, ma non ne conosceva esattamente il motivo.

O forse sì, visto quanto si era sentita tremendamente piccola e infantile, di fronte all’autentico, crudo dolore di Silver.

Era partita dalle coste scozzesi con un fascio di lettere nella valigia e tutto il suo dolore di donna tradita, solo per comprendere quanto futile e stupido fosse stato quel sentimento.

Aveva pianto, si era disperata, e tutto per cosa? Per un uomo che l’aveva ingannata. E dire che aveva sempre pensato di essere più intelligente di così.

Ma era bastato guardare negli occhi Silver, per comprendere la futilità del suo dolore, la sciocca vanità di credersi l’unica a patire pene inconsolabili.

Silver aveva sofferto davvero, non certo lei.

Sospirando, Lorainne fece per chiudere le imposte e tornare in camera sua quando, alle sue spalle, la giovane udì dei passi.

Volgendosi a mezzo, la mano a chiudere i lembi della vestaglia, Lory si sorprese nel vedere Lucius, in maniche di camicia e calzoni.

Come lei, anche Lucius era a piedi nudi e, per qualche strano motivo, la cosa la mise a disagio.

“Lorainne… come mai qui? Non riuscivi a dormire?” domandò lui, rimanendo a qualche passo di distanza, nell’ombra offerta dalla casa buia.

“Tu, invece?” replicò Lorainne, scrutando nelle oscure profondità della casa per meglio mettere a fuoco la figura dell’amico. Non riusciva a comprenderne l’umore, ma gli sembrava guardingo, in qualche modo.

“Ho finito ora di controllare alcuni libri contabili” ammise lui, avvicinandosi con calma mentre, con la mano, si sistemava i capelli.

Lory tornò a osservare l’oscurità dilagante  alle sue spalle e Lucius, nel notare i suoi piedi nudi sul pavimento freddo, mormorò: “Ti buscherai un’infreddatura, così.”

“Sono robusta, non temere” si limitò a dire lei.

“Visto che siamo entrambi svegli, vorrei cogliere l’occasione per ringraziarti” asserì a quel punto Lucius, infilandosi le mani in tasca per non essere tentato di fare qualcosa di sbagliato, con quegli arti ora tremanti.

“Per cosa?” domandò lei, scrutandolo con curiosità.

La luminosità della luna bastava a rendere visibile il suo volto pallido e Lucius, imponendosi un severo contegno, mormorò: “Per Silver. Aveva davvero bisogno di evadere dai suoi ricordi terribili, e tu e le tue sorelle siete riuscite nell’intento.”

“Mi sento enormemente stupida, in questo momento” ammise a sorpresa Lorainne, sgomentando Lucius.

“E perché mai, scusa?”

Sbuffando, la giovane mormorò: “Tanto, quella pettegola di Sarah avrebbe finito con lo spifferarti tutto, prima o poi, quindi è meglio se vieni a saperlo direttamente da me.”

“Cosa, per la precisione?” mormorò lui, tendendosi come una corda di violino.

Si era forse promessa a qualcuno, e ora ne era pentita?

Quella domanda inespressa lo fece tremare e, ancora una volta, si diede dello stupido.

Perché diavolo reagiva a quel modo, con Lorainne? Era la sorellina di Violet, per Diana e, entro un paio di mesi, sarebbe tornata a York!

Non doveva fare lo stupido con lei solo perché era una bella donna da cui si sentiva attratto!

“Provavo sincero affetto per un uomo… e lui tradì la mia fiducia” sussurrò Lorainne, sentendo aumentare il disagio.

Era inutile mentire. Ogni cosa sarebbe comunque venuta a galla, visto che il colonnello l’aveva vista gettare quelle lettere e, presto o tardi, dubbi e domande sarebbero nati in ogni caso.

Anche solo per semplice curiosità, il fatto sarebbe venuto fuori, perciò era meglio parlarne senza un uditorio al seguito.

“Mi fece vuote promesse, scrivendomi spesso da Londra, mentre io ero lontana, a York… ma, in realtà, era dalla sua amante e, in uno dei suoi tanti incontri notturni, cadde e si ruppe il collo, morendo” gli raccontò Lorainne, poggiando una mano sulla gola, quasi le mancasse l’aria.

“E’ un bene che sia morto, o lo avrei ucciso di mia mano” ringhiò Lucius a sorpresa, lasciando di stucco Lorainne.

Era sempre stata solita vedere soltanto il lato più divertente e giocoso di Lucius, nelle sue rare visite e, anche nelle lettere, le era sempre parso ilare ed estroverso, mai preoccupato seriamente da qualcosa.

Non a caso, aveva tanto apprezzato la loro amicizia epistolare, in quegli anni. Leggere i suoi scritti l’aveva sempre riempita di letizia.

Quello sguardo cupo, vendicativo e lapidario, però, non era mai comparso dinanzi a lei e, nel sapere che era stata la sua verità a causarlo, le procurò un certo calore nell’animo.

“Non dovrai sporcarti le mani. Il muro di cinta della villa di lady Corsby ha fatto tutto il lavoro” chiosò lei, scrollando le spalle.

“Peccato. Per uno come lui, avrei estratto volentieri la pistola” ironizzò sarcastico l’uomo.

“Grazie” mormorò allora lei, lanciandogli un’occhiata da sotto le ciglia arcuate.

Tieni le mani a posto, si redarguì Lucius, già pronto ad avvolgerle le spalle con un braccio per consolarla.

Non era Violet, e nemmeno Sarah, che avrebbe potuto strapazzare con i suoi abbracci senza alcun problema. No, con Lorainne non riusciva a essere così sereno e spassionato.
E, a ben vedere, era sempre successo, fin dai loro primi incontri.

Con Violet e Sarah aveva sempre mantenuto il suo solito comportamento anticonvenzionale mentre, con Lorainne, si era sempre atteggiato a compito damerino, pur parlandole in modo confidenziale.
Perché?

Sei così tardo da non capirlo?, gli sussurrò ancora quella vocetta fastidiosa nella testa.


Scacciandola con ferocia, Lucius si limitò a dire: “Sarà meglio che torniamo alle nostre rispettive camere, prima che Andrew fiuti la nostra presenza e metta in castigo te, e ai ceppi me.”

Lorainne soffocò una risata dietro la mano levata dinanzi alle labbra morbide e, nel correre via, sfiorò il suo braccio mormorando ‘buonanotte’ prima di svanire lungo le scale.

Lucius sentì bruciare nel punto in cui lei lo aveva toccato a mo’ di saluto e, imprecando dentro di sé, seppe di essere in guai seri. Molto seri.

Non poteva provare interesse per una donna che, entro breve, sarebbe scomparsa dalla sua vita per tornare a casa e, presumibilmente, a un matrimonio di convenienza.

Doveva ricordarsi che vivevano a migliaia di miglia di distanza, e che la sua famiglia viveva a York, non a New York.

Ma, più di tutto, doveva rammentare a se stesso che Lorainne era innanzitutto sua amica e che, per nulla al mondo, lui desiderava farla soffrire.









Note: ​Ed ecco che fa la sua apparizione un nuovo personaggio, e cioè il fantomatico soldato che, a suo tempo, aveva aiutato Lucius a salvare sia Albert che Silver. Che ne dite? C'è il pericolo di un triangolo amoroso?

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 
5.
 
 
 
 
La freccia si conficcò nella sagoma di paglia, ma ben lontana dal suo centro e Lorainne, sbuffando, fissò la figura sorridente di Silver prima di dire: “Non osate ridere di me, o potrei decidere di farvi i boccoli mentre dormite.”

La donna lakota esplose in una fragorosa risata, di fronte a quella minaccia così insolita – aveva trovato assurdo vedere Lorainne e la sua cameriera impegnate in una simile impresa.

“Se una donna ha i capelli lisci, dovrebbe tenerli tali e, al massimo, ringraziare per le onde ricavate dal portare le trecce. Tutto il resto, è una forzatura” ironizzò Silver, passandole un’altra freccia per poi dirle come correggere la postura.

Lorainne sollevò un poco il gomito e, il secondo tiro, andò un po’ meglio.

“Mi piacerebbe portarli come i vostri, liberi sulle spalle, ma una signorina che è stata presentata in Società, li deve portare legati… e coi boccoli” brontolò nuovamente Lorainne, allungando una mano per ricevere la terza freccia.

“Assurdità. Avete delle mode davvero bizzarre” scosse il capo Silver, prima di udire le risate di alcuni uomini alle loro spalle.

Sia Lorainne che Silver si volsero a mezzo per capire chi fosse giunto quando, sulla veranda di Libery House, fecero la loro comparsa il colonnello Kerrington, Lucius e un giovane dai riccioli scuri.

Lory impiegò alcuni attimi, prima di ricollegare quel volto a quello di Julian Knight e, quando finalmente lo riconobbe, sorrise spontaneamente ed esalò: “Ma tu guarda quanto è cresciuto!”

“Lo conoscete?” si informò Silver.

“Oh, sì. E’ il figlio dell’attendente della madre di Andrew… e suo cugino. E’ una storia un po’ complicata” sorrise Lorainne, nel notare l’espressione stranita di Silver.

Ciò detto, incoccò l’ennesima freccia e domandò: “Dov’era? Al cantiere non l’ho visto, in questi giorni.”

“Lucius lo manda spesso sul Continente per mercanteggiare con i fornitori, mentre lui è impegnato qui a Liberty House, o al cantiere” le spiegò Silver. “Non volete avvicinarvi per salutarlo?”

“Sta parlando con il suo titolare, e non voglio disturbarlo con sciocche moine da donna” ironizzò Lorainne. “Non è mai stato un grande amante di baci e abbracci, anche se ha sempre avuto un’adorazione speciale per mia sorella. Ma quello, forse, dipendeva dal fatto che lei gli ha instillato l’amore per la nautica.”

“Siete strani” ribadì Silver, pur sorridendo.

“Lo so, ma credetemi, siamo l’eccezione che conferma la regola…” asserì Lorainne, prima di domandarle. “… e, a proposito di regole che non valgono per tutti, come mai il colonnello è vostro amico? Da quel che ho capito riguardo a ciò che sta succedendo al vostro popolo, l’esercito non è esattamente in cima alla vostra lista di alleati.”

Silver assentì, facendosi seria e, nel lanciare un’occhiata ai tre uomini in veranda, mormorò: “Il colonnello ci salvò. Liberò i prigionieri proprio grazie al fatto di essere un ufficiale, e consentì loro di tornare alle rispettive tribù. Lucius, invece, aiutò me e Albert, facendoci curare. Pagò il mercante che ci aveva rapiti perché ci lasciasse uno dei carri, e con quello ci condusse a New Orleans.”
 
Lorainne sospirò afflitta ma Silver, con un cenno della mano, le fece comprendere di non pensare troppo a quel passato doloroso. Niente avrebbe più potuto cambiarlo, ormai.
Lasciandosi andare a un mesto sorriso, la donna lakota terminò di dire: “Il colonnello è un uomo buono, anche se si ostina a credere che, rimanendo nell’esercito, potrà cambiare le cose. Non vuole vedere quanto forte sia il predominio del denaro, rispetto alla vita delle persone che vivono nelle Grandi Pianure.”

“Non ritenete possibile che le cose possano migliorare?” si informò Lorainne, scoccando l’ennesima freccia. Questa, si andò a conficcare in uno dei cerchi più interni della sagoma.

“E’ difficile cambiare la traiettoria di una mandria di bisonti, quando questi sono lanciati nella corsa” motteggiò Silver, ammiccando. “E’ un buon tiro. Avreste potuto diventare una brava cacciatrice, se non foste nata nobile.”

“Con una sagoma ferma, è facile dirlo” mugugnò per contro Lorainne, non del tutto soddisfatta dei propri risultati.

“Avreste voluto cacciare davvero per sfamarvi?” domandò sorpresa Silver, sgranando leggermente gli occhi.

“Mi sarebbe piaciuto far correre qualcuno… ma no, è solo una cattiveria, la mia” sorrise contrita Lorainne.

“Oh… volete cacciare l’ombra che vi cala sugli occhi quando vi perdete nei vostri pensieri” dichiarò a quel punto Silver, annuendo più volte.

“Come?” esalò sorpresa la giovane Phillips.

Silver non poté risponderle, perché il trio di uomini si avvicinò loro per salutarle e Julian, avvicinandosi a grandi passi, sorrise spontaneamente a entrambe, dicendo: “Lorainne! Che piacere incontrarti! Sembrano secoli che non ci vediamo!”

Lory scansò l’arco per poterlo abbracciare e, nel depositare un bacio sulle gote rasate del giovane, disse: “La nascita di Jeffery è stata l’ultima volta, lo ricordo bene.”

“E’ qui anche lui? Mi piacerebbe rivederlo” disse il giovane, guardandosi intorno pieno di aspettativa.

“Oh, è fuori con i genitori, Sarah e Samuel. Sono andati a fare un giro in calesse” gli spiegò Lorainne.

“Sarà un piacere rivederli tutti. Ma tu, perché hai un arco in mano?” domandò Julian, curioso. “Silver, la stai addestrando?”

“La tua amica potrebbe diventare molto brava. Non pensare di burlarti di lei con una classica battuta da uomo bianco” lo mise bonariamente in guardia Silver, facendolo ridere.

“Oh, con te a insegnarle, non ho dubbi che lo diventerà. Non è vero, colonnello?”

“Non ne dubito. Silver ha una mano abile e assai rara. Solo Albert le è superiore, con l’uso di arco e frecce ma, venendo entrambi da una tribù oglala, di che stupirsi?” dichiarò Lawrence, sorridendo a Lorainne. “Vi state divertendo? Ammetto di non aver mai visto una nobildonna impegnata in una simile attività.”

“Scoprirete ben presto, colonnello, che io e le mie sorelle siamo diverse dalle donne che, fin qui, avete conosciuto” ironizzò Lorainne.

“Non stento a crederlo.”

Lei sorrise nel notare il suo curioso interesse verso di lei e, ammiccando a Silver, si fece consegnare l’ennesima freccia, che andò ad affondare quasi nel mezzo della sagoma.

I presenti, allora, plaudirono la sua bravura e Silver, nel dare una pacca sulla spalla alla sua allieva, disse: “Venite. Andiamo a recuperare i dardi.”

“Sì, certo” assentì Lorainne.

Questo permise loro di allontanarsi quel tanto che bastò a Silver per dirle sottovoce: “Fossi in voi, Mni Itaca, starei attenta ai vostri sorrisi. Gli uomini possono interpretarli in molti modi diversi.”

“Oh… dite che… no, il colonnello non può pensare che io…” tentennò Lorainne, dubbiosa.

“Vi sto solo dicendo che è bello essere spontanee ma, nel mondo da dove vengo io, vuol dire una cosa mentre, nel mondo in cui vivete voi, può voler dire più cose. State solo attenta a come lo usate al di fuori della cerchia ristretta dei vostri amici” mormorò Silver, afferrando un paio di frecce, per poi estrarle.

Lorainne la imitò e disse a bassa voce: “Non ho bisogno di un uomo che pensi a me. Ne ho avuto abbastanza per un bel po’.”

Silver sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa, e asserì: “Un uomo ha tradito la vostra fiducia, quindi. E’ questo il significato dell’ombra che vi angustia.”

Scrollando le spalle, Lory assentì, borbottando: “Tirare con l’arco aiuta a sentirmi meno sciocca. Così come lo sparare o il suonare. Amo agire, piuttosto che rimanere inerme a crogiolarmi nell’autocommiserazione.”

“E come avete fatto a giungere fino a qui, allora?”

“Mi sono autocommiserata, infatti, e cominciavo a detestarmi molto. E’ solo perché Sarah e Violet mi amano molto, se non sono finita in mare come punizione per i miei musi lunghi” ironizzò Lorainne.

Silver, allora, rise sommessamente e, nel tornare indietro con la ragazza, le promise: “Non vi autocommisererete, finché ci sarò io nei dintorni, Mni Itaca. E, da quel che mi pare di capire, non avrete il tempo di farlo anche per più di un motivo.”

“Che voi non mi direte, vero?”

Silver ammiccò ma non disse nulla e Lorainne, preferendo non chiedere altro, si limitò a ricominciare a tirare con l’arco per evitare di sorridere troppo.

Non voleva che il colonnello mal interpretasse la sua spontaneità appena ritrovata. Le stava simpatico, ed era bello conoscere persone nuove, ma non voleva coinvolgimenti emotivi.

Di nessun tipo.
 
***

“… e così, ho fatto visita a Mr Whestings, che mi ha confermato la prossima fornitura di legname, che giungerà con il fare di novembre” terminò di dire Julian, consegnandogli l’ultimo documento.

Lucius assentì più volte e Albert, nel sistemare i documenti nelle cartelle preposte, domandò: “Hai notizie dai villaggi di micmac?”

“Nessuna. Ho parlato con un trapper della zona degli Appalachi, ma non mi ha saputo dare alcuna notizia, se non che ha visto diverse tribù procedere verso nord-ovest, in direzione del Manitoba.”

“Pensano che oltrepassare i confini li salverà” mormorò spiacente Lucius.

Albert assentì torvo e, nel sedersi su una poltrona, domandò ancora: “Non hai notizie, da Washington?”

“Sono passato all’Ufficio per gli affari Indianie ho parlato direttamente con Elbert Herring ma, per il momento, le politiche sono rimaste le stesse” borbottò contrariato Julian. “Non hanno neppure ammesso del tutto ciò che avvenne due anni fa nelle zone del Mississippi. Il presidente Jackson non si è mai preso la responsabilità per l’eccidio dei choctaw, dopotutto1.”

Il tono irritato di Julian scaldò un poco il cuore di Albert, ma non gli permise di essere meno duro, quando parlò.

“Siamo solo agli inizi, purtroppo e, quando si toccheranno nel profondo le tribù, ci sarà una carneficina. Le Grandi Pianure sono il territorio del bufalo e del cavallo, non dei visi pallidi. Se si cercherà di scacciarci completamente da lì, non so come potrà finire” dichiarò ombroso il lakota oglala, ricevendo gli assensi di entrambi gli uomini.

“Non posso neppure dire che il governo inglese sia migliore dei neonati Stati Uniti, visto che le cose non vanno meglio, in India” sospirò Lucius, passandosi una mano sul collo irrigidito e stanco. “Senza tener conto del fatto che, nel secolo scorso, il mio popolo ha tentato di stroncare sul nascere la crescita di questo Paese.”

“Rimuginare su cose più grandi di noi, porterà solo a dei mal di testa” cercò di ironizzare Albert, levandosi in piedi per poi dare una pacca sulla spalla all’amico. “Dirò a Silver di prepararti dell’infuso di corteccia di salice2, così che tu possa rilassarti un po’… anzi, le dirò di prepararne per entrambi. A te serve, Julian?”

“Stavolta passo. Credo che un po’ di brandy e una sana dormita risolveranno tutto” sorrise Julian, scuotendo il capo.

“Grazie, Albert. Ho davvero bisogno di rilassare un po’ la testa” assentì a quel punto Lucius, sorridendo all’amico.

“Oh, lo credo bene. Da quando il colonnello è giunto a Liberty House, sei diventato nervoso come un serpente” sogghignò il guerriero lakota, uscendo dall’ufficio senza dire altro.

“In che senso?” volle sapere Julian, trovando quell’uscita assai curiosa. Da quel che sapeva, Lucius e Lawrence erano sempre andati d’amore e d’accordo.

Lucius sbuffò a quel commento e, nel guardare l’amico e aiutante, dichiarò: “Albert vede cose che non esistono, ecco tutto.”

“Albert? Ma se ha sempre i piedi ben piantati per terra!” rise divertito Julian. “Lo avrei creduto di Zoe, o di Carlton che, pur essendo un cocchiere, potrebbe scrivere poemi al pari di Shakespeare… ma Albert?”

“Beh, nel caso specifico, parla a sproposito” sottolineò Lucius, levandosi dalla poltrona per raggiungere la finestra.

Lì, adocchiò il giardino sul retro della villa e, senza poterlo evitare, strinse le mani dietro la schiena per impedirsi di prendere a pugni i vetri molati.

Ridente e spensierata, Sarah stava danzando un reel assieme al suo fidanzato sotto il patio dietro casa, ma non fu questo a irritarlo.

Fu scorgere Lorainne – armata di violino irlandese – mentre suonava con impegno e bravura… ammirata dal colonnello Kerrington.

Seduto su una panchina del parco, sembrava avere occhi solo per lei che, presa dalla musica, appariva meravigliosa e viva come poche altre creature.

Istintivamente, aprì la finestra per ascoltare il suono prodotto dal suo tocco esperto e, come aveva immaginato, lo trovò di una purezza davvero rara.

A quel punto, anche Julian raggiunse la finestra e, dopo aver adocchiato la scena per alcuni attimi, sorrise, lanciò un’occhiata all’amico e infine chiosò: “Oh, ho capito cosa intendeva dire Albert. Sì, parla davvero a sproposito.

“Non ti ci mettere anche tu, Julian!” brontolò Lucius, chiudendo la finestra e strattonando la tenda per non dover vedere oltre quella scena.

Julian ridacchiò per diretta conseguenza e, nel tornare a sedersi, dichiarò: “Se anche ti piacesse Lorainne, dove starebbe il problema? E’ nubile, e tu sei un ottimo partito. Così come il colonnello, a ben pensare.”

La sola idea fece rabbrividire Lucius che, però, si limitò a dire: “Lorainne tornerà a casa tra un paio di mesi al massimo, perciò non è davvero il caso che Lawrence le faccia la corte.”

“Non mi sembrava piegato su un ginocchio e con un anello in mano” sottolineò Julian, ironico.

Aperto il mappamondo che aveva nei pressi della libreria, Bradbury ne estrasse una bottiglia di whisky e, dopo essersene servito una dose generosa, ne offrì anche a Julian e Albert.

Al candido rifiuto di entrambi, Lucius ingollò per metà il contenuto del bicchiere prima di asserire: “Dico soltanto che Lorainne non è venuta qui per ritrovarsi addosso le attenzioni di un uomo che, entro breve, non vedrà forse mai più. E’ qui solo per svagarsi un poco.”
 
“E io dico che è la prima volta che ti vedo bere a metà mattina, amico mio. Ma che ti prende?” esalò Albert, dichiaratamente sorpreso.

“Nulla” dichiarò lapidario Lucius, terminando il suo whisky.

A parte il fatto che sto contraddicendo me stesso, pensò poi tra sé, passandosi una mano tra la corta chioma bruna.

Stava per compiere ventinove anni, la sua impresa era più che avviata, aveva il beneplacito del padre in merito al mercato americano, e poteva contare sull’affetto dei parenti tutti.

I suoi fornitori lo stimavano al pari dei clienti. Pur se alcuni storcevano il naso all’idea che lui si facesse affiancare da un nativo, o che la sua manovalanza fosse una miscellanea di razze, nessuno aveva mai rescisso un contratto per questo.

Possedeva due bellissime case, aveva al suo fianco una servitù fedele e degli operai qualificati quanto volenterosi, che sapevano gestire il cantiere anche quando non era presente.

Si era divertito quando ne aveva avuto l’occasione e, un paio di volte, era stato quasi certo di aver trovato la donna giusta da sposare, senza peraltro giungere mai all’altare.

Ora, invece, giungevano i suoi amici dalla cara, vecchia Inghilterra e, invece di gioirne e godersi la loro compagnia, si rintanava sempre in casa, o lontano da essa, per paura di incontrare Lorainne.

Cos’era cambiato, in quegli anni, da renderla così speciale – e così pericolosa –  ai suoi occhi?

Certo, era sempre stata una bella ragazza, oltre che un’attenta e arguta ascoltatrice e oratrice e, quando l’aveva rivista al battesimo di Jeffery, l’aveva trovata particolarmente affascinante.

Inoltre, intratteneva con lei un’amicizia tramite epistole che perdurava da anni e a cui lui teneva molto. Mai, però, avrebbe immaginato di poter oltrepassare il limite tra l’affetto fraterno e il desiderio.

Allungandosi un poco sulla poltrona, lo sguardo perso in contemplazione dell’amico, Lucius venne strappato ai suoi pensieri dalle parole di Julian, che chiosò: “Sei davvero nei guai.”

“Non me lo dire” sbottò il padrone di casa, servendosi dell’altro whisky.
 
***

Quando anche il reel ebbe termine, Lorainne poggiò il violino di Lucius su una spalla, sorrise al colonnello – impegnato in un applauso sentito – e disse: “Sarah, la prossima volta evita di saltellare come un satiro, o non sembrerà più un reel, il tuo.”

“Era più divertente così” dichiarò la sorella, sollevando poi una mano quando vide giungere di corsa il nipotino, seguito d’appresso dai genitori.

“Ehi, eccovi di ritorno! Dov’eravate finiti?” domandò Lorainne, ben sapendo che Andrew, Violet e Jeffery erano usciti con Sarah e Samuel.

“Jeffery voleva assolutamente trovare una rana, così ci siamo intrufolati nella serra, ma con scarsi risultati” sogghignò Andrew, salutando il colonnello prima di sedersi.

Violet sorrise invece alla sorella che, nel vederle il violino in mano, disse: “Noto che stai già dando fondo alla scorta di strumenti musicali di Lucius.”

“Ha una splendida collezione, non c’è che dire, e sono tutti tenuti benissimo” dichiarò lieta Lory, prima di sentirsi tirare la gonna.

Nell’abbassare lo sguardo, accentuò il suo sorriso nel vedere il nipotino e, accucciatasi, domandò: “Dimmi, Jeffery. Cosa vuoi?”

“Suoni ancora, zia?”

“Ma certo. Tutto quello che vuoi, e per tutto il tempo che vorrai” assentì lei, rimettendosi in piedi per poi attaccare un motivetto allegro e giocoso.

Violet, allora, prese in braccio il figlio e cominciò a danzare con lui, mentre Sarah e Samuel si univano a loro in quel ballo improvvisato.

Battendo ritmicamente un piede a terra, mentre la musica del violino si sprigionava come un’onda, galleggiando ogni dove, Lorainne si ritrovò a sorridere di pura gioia.

Era da tempo che non suonava così, e la causa di questa sua momentanea afasia era stata causata da Michael e alla sua morte.

Aveva lasciato che il suo tradimento la allontanasse da ciò che veramente amava ma, ora che si era liberata di quel peso, desiderava tornare al suo antico amore.

L’unico che non l’aveva mai tradita.

Il suono improvviso di un secondo violino la sorprese, ma non la spinse a interrompersi. Anzi, levando appena gli occhi per ammiccare a Lucius, lo invitò ad avvicinarsi al gruppo per unirsi a quello spettacolo estemporaneo.

Affacciato sulla veranda e con un violino sulla spalla, Bradbury accettò il tacito invito e, sempre suonando, si avvicinò a Lorainne e al resto dei suoi amici.

La musica del primo violino si uniformò al secondo e, mentre Lucius  annullava le distanze tra sé e il gruppo, il ritmo si fece più rapido, più sincopato e febbrile.

A quel punto, Lorainne gli lanciò un sorriso di sfida e Bradbury, nell’accennare una riverenza rivolta all’amica, cambiò ritmo e brano a sorpresa.

La ragazza lo seguì all’istante, uniformandosi con maestria per poi virare su note più dolci e melodiche.

Lucius, allora, rallentò fino a capovolgere il brano in un vibrato pieno di sentimento, cui Lorainne si accodò senza perdere una sola nota.

Divertite da quel gioco, Violet e Sarah si fermarono per battere le mani a tempo con la loro musica e Samuel, nel prendere in braccio Jeffery, mormorò: “Che dici? Chi sbaglierà per primo?”

Il bambino ci pensò sopra ma, alla fine, non seppe come rispondere. E come avrebbe potuto, visto che entrambi i musicisti sembravano guidati dalla stessa mano?

Andrew osservò l’intera scena senza fiatare, concentrato sui volti di entrambi i contendenti, che si stavano scambiando sguardi infuocati, accesi com’erano dalla battaglia intrapresa.

Kerrington, invece, si ritrovò a sorridere divertito, mormorando a voce bassissima: “E bravo Lucius…”

Andrew gli lanciò uno sguardo di straforo ma, ancora, non disse nulla. Non aveva ben chiaro cosa stesse succedendo, ma doveva tenere gli occhi ben aperti, se non voleva che accadesse un disastro proprio sotto il suo naso.

Anthony gli avrebbe fatto una paternale senza fine, se fosse successo qualcosa di irreparabile a una delle sue figlie.

E dire che lui aveva temuto per Sarah! Ma che gli combinava, Lorainne?

Già temeva di dover perdere il sonno, dopo questo spettacolo.
 
***

Lorainne non si era aspettata una simile bravura da parte di Lucius, pur se il buono stato dei suoi strumenti glielo aveva fatto pensare, e sperare.

Invece, era spuntato dalla veranda con un violino al seguito, suonando con la stessa capacità tecnica di un primo violino dell’orchestra dell’Albert Hall, e ora le teneva testa senza problemi.

E la stava facendo divertire come poche altre volte le era capitato.

Una farfalla dispettosa, però, decise che per quel giorno il divertimento fosse andato troppo oltre così, posandosi a sorpresa sul naso di Lorainne, la distrasse in maniera irreparabile.

La ragazza perse una nota per la sorpresa, starnutì e la gara ebbe termine, con un gran svolazzare di ali e una generale risata di divertimento.

Spolverandosi il naso dai residui di pulviscolo lasciato dalla farfalla, Lorainne sorrise eccitata a Lucius e disse: “Beh, mi hai davvero sorpresa. Sei bravissimo!”

“E tu, un talento puro. Mi hai surclassato alla grande, con quell’allegro andante” replicò lui, tamburellando l’archetto contro una spalla.

“Oh, niente al confronto con il tuo vibrato. Io non riesco a essere così brava” scosse il capo lei, ridendo sommessamente.

“Siete stati bravissimi entrambi” intervenne Violet, battendo una mano sulla spalla di tutti e due, prima di sorridere dolcemente alla sorella. “E’ bello sentirti suonare di nuovo, tesoro.”

“E’ stato bello farlo” ammiccò Lorainne, abbracciandola per un istante.

A Lucius non passò inosservato né lo scambio di battute, né tanto meno quell’abbraccio ma, preferendo non impicciarsi direttamente degli affari di Lorainne, preferì tacere.

Quando, però, incrociò lo sguardo di Violet, seppe che, presto o tardi, avrebbero toccato l’argomento. E questo lo portò a un’altra, preoccupante considerazione.

Se Andrew, Albert e Julian lo avevano accusato di guardare Lorainne con occhi che non erano affatto quelli di un amico, anche Violet se ne era resa conto?

Come avrebbe preso un suo eventuale interessamento nei confronti della sorella? Ma, più di tutto, lui era interessato davvero a Lorainne?

Tu che ne dici?, disse la sua voce interiore, prendendolo bellamente in giro.

 
 
 
 
 
 
 
  1. Il Sentiero delle Lacrime. (L’ho accennato anche nei Cenni Storici all’inizio). Pur non trattandosi del più famoso Sentiero delle Lacrime, è uno dei tanti abusi cui furono vittime i Nativi Americani, costretti ad abbandonare le loro terre per essere deportati a miglia e miglia di distanza dalle loro case, seguendo tracciati impervi e con tempistiche disumane.
  2. Conosciuto anche come acido acetilsalicilico. La moderna aspirina.


Note: ritroviamo Julian Knight, il figlio minore di Bridget e William che, a quanto pare, sta svolgendo un buon lavoro per conto di Lucius, tanto che può parlare in sua vece con i fornitori della ditta Bradbury. Assieme a ciò, siamo testimoni dell'ulteriore apertura di Silver nei confronti di Lorainne, e della decisione di quest'ultima di non voler avere coinvolgimenti emotivi con degli uomini.
Che dite? Dovrà smentire se stessa? 
Come sempre, le parti in grassetto sono notizie storiche reali.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


6.





“… e così, vostra sorella spinse Lucius a seguire i propri desideri?” domandò sorpreso Lawrence Kerrington, mentre passeggiava lungo la darsena del Cantiere Bradbury assieme a Lorainne.

Quel giorno, assieme a Violet, Andrew e il piccolo Jeffery, Lorainne si era recata al cantiere per assistere al varo di una goletta appena terminata.

Lucius e Albert erano impegnati con gli ultimi adempimenti, perciò il gruppo si era disperso per il cantiere per una passeggiata, in attesa di poter avvicinarsi alla goletta al momento del varo ufficiale.

A poca distanza dalla coppia, su un bel prato fiorito, Jeffery stava rincorrendo una farfalla, mentre i genitori lo seguivano con attenzione e un pizzico di apprensione.

Lorainne e Lawrence, invece, passeggiavano nei pressi della nave pronta per il varo, così da poter essere in prima fila durante l’esecuzione dei riti previsti.

Tra i proprietari, le maestranze e le istituzioni, sarebbero state presenti più di duecento persone, perciò era necessario trovarsi in una buona posizione per vedere ogni cosa.

“Violet è sempre stata un persona assai generosa, e sempre disponibile ad aiutare gli altri. In Lucius vide qualcosa di speciale e, comprendendo bene il suo spirito, fu per lei molto facile spronarlo a proseguire” gli spiegò Lorainne con un sorriso.

“E’ già incredibile sentirla parlare di bompressi e sestanti come se stesse dialogando di nastri e trucchi…” sorrise divertito il colonnello. “… ma, quando Lucius ne decanta le doti di progettista, mi sento similmente a uno scolaretto dinanzi a un insegnante geniale.”

Ridendo suo malgrado, Lorainne esalò: “Oh, conosco bene la sensazione! Violet è molto intelligente e, a parte il suo amore per la nautica, è sempre stata molto brava in tutte le materie. Anche se, paradossalmente, detesta cucire.”

“Oh, un difetto… ora mi sento un po’ meno sciocco” ironizzò l’uomo, ammiccando.

“Va detto, comunque, che Violet è così umile che, in nessun caso, potrebbe far sentire sciocco chicchessia” ci tenne a dire Lorainne.

“Non mi stupisce che suo marito la segua con così tanta devozione. Una donna simile non può che essere amata con partecipazione e passione” dichiarò Lawrence, lanciando un’occhiata in direzione del trio poco distante.

Lory assentì e, nello scrutare la famigliola felice, si fece malinconica e, col pensiero, tornò al periodo in cui i due innamorati ancora non si erano dichiarati reciprocamente.
A cose fatte, Lorainne aveva finalmente compreso molti dei malanimi della sorella, così come i tanti silenzi dell’amico ma, da ragazzina quale era stata, ne aveva anche un po’ sorriso.
 
Da adulta quale era diventata, ora le risultava molto più facile comprenderne i patimenti e i dolori provati.

“Andrew è l’uomo perfetto per mia sorella. Lo è sempre stato, anche se il loro amore è stato a lungo tenuto segreto. I troppi legami tra le nostre famiglie avevano cospirato contro entrambi.”

“Temevano di far soffrire qualcuno?” ipotizzò il colonnello.

“Esattamente… e si arrivò a un gesto assai melodrammatico da parte di mia sorella ma che, per fortuna, si risolse per il meglio” sorrise a quel punto Lorainne, prima di udire un tonfo sordo e un ringhio nelle loro vicinanze.

Volgendo lo sguardo al pari del colonnello in direzione di quel suono anomalo, Lory trattenne a stento un grido irritato quando vide un uomo prendere Albert per la collottola.
 
Il guerriero lakota non si scompose minimamente, per nulla spaventato dall’ira del tizio che stava tentando – non riuscendovi – di spingerlo a terra.

A poca distanza da loro, una cassa recava i segni di una caduta rovinosa; evidentemente, il suono da loro avvertito e che ne aveva destato la curiosità.

“Non prendo ordini da uno schifoso pellerossa come te!” sbraitò a quel punto l’uomo, lasciando andare Albert per poi fissarlo malamente.

“Gli ordini arrivano direttamente da lord Bradbury e, se lui ha deciso che tu devi essere licenziato, Collins, io mi limito a riferirtelo come il mio ruolo richiede” replicò Albert, imperturbabile.

“Sa solo Dio perché quello stupido inglese si sia abbassato ad assumerti, ma sono felice di andarmene da questo posto schifoso. Tra negri, ispanici e indiani, rischio di prendermi chissà cosa, stando qui” gli rinfacciò con brutalità Collins, gettandogli addosso i guanti da lavoratore che aveva tenuto nel taschino fino a quel momento. “Spero che avrete quello che vi meritate, tu e il tuo nobilotto inglese!”

“Insulta un’altra volta lord Bradbury, e non arriverai vivo al tuo villaggio e alla tua famiglia” replicò allora Albert, gelido come una notte d’inverno.

Collins indietreggiò di un passo, chiaramente preoccupato dallo sguardo assassino del guerriero lakota, ma non calò lo sguardo. Farlo, avrebbe voluto dargli partita vinta, e questo non lo avrebbe mai accettato.

Senza null’altro dire, Albert si volse per tornarsene agli uffici della casamatta ma, sotto gli occhi sconvolti di Lorainne – e quelli sorpresi del colonnello – Collins estrasse un coltello e fece l’atto di colpire l’uomo alle spalle.

“Albert, fate attenzione!” gridò subito Lorainne.

Messo in allerta da quell’urlo improvviso, il nativo americano si volse quindi a mezzo per comprendere cosa stesse succedendo, e cosa avesse tanto spaventato la donna.

Prima ancora di bloccare il braccio armato di Collins, però, Albert lo vide caracollare in seguito a un colpo imprevisto quanto improvviso.

Mentre una scarpina di seta cadeva a terra a pochi passi dai due, Collins si volse furioso verso una colpevole Lorainne che, indietreggiando in tutta fretta, andò a nascondersi dietro un confuso Kerrington.

Questi prontamente estrasse la pistola dalla fondina e, letale, dichiarò: “Scegliete voi, buon uomo. O lasciate il coltello, o io vi sparerò per aver tentato di colpire alle spalle un mio amico, oltre ad aver minacciato questa donzella.”

Collins lanciò un’occhiata rapida ad Albert, già pronto ad agire, prima di fissare turbato la canna della pistola puntata contro di lui.

A quel punto, mollò la presa dal coltello, raccolse la sua sacca e, imprecando all’indirizzo dei due uomini, fuggì via.

Nessuno di loro si apprestò a seguirlo e Albert, nel recuperare la scarpina caduta appresso a lui, si avvicinò a Lorainne con un sorrisino stampato in viso.

“Grazie infinite, miss Lorainne. Un colpo da maestro. Se aveste avuto un tomahawk, lo avreste ferito mortalmente” le disse il guerriero, porgendole la scarpina.

Ridendo nervosamente, la ragazza si appoggiò a Kerrington con una mano per poter rimettere la scarpa mentre, dalla casamatta, spuntava Lucius con aria confusa.

Scrutando dubbioso la scena, lord Bradbury si avvicinò loro tenendo in mano un lungo nastro di raso color borgogna e, curioso, domandò: “Perdi le scarpe per strada, Lorainne?”

Lei si limitò a ridere mentre Albert, con aria assai orgogliosa, asseriva: “Affatto, amico mio. La tua stimata amica mi ha appena salvato la vita.”

“Cosa?” esalò Lucius, fissando il trio in cerca di spiegazioni.

Fu Kerrington a spiegargli l’aneddoto appena occorso e, quando si giunse all’intervento di Lorainne, Lucius non poté che ridere.

“Devi aver passato troppo tempo con Elizabeth, per arrivare a tanto” ironizzò il giovane Bradbury, lanciandole un’occhiata incredula.

“Oh, se ci fosse stata Elizabeth, lo avrebbe caricato senza tante storie, invece di urlare, oppure lo avrebbe accoltellato a una gamba con il suo stiletto-gioiello” replicò Lorainne, storcendo il naso. “Io non sono stata molto efficace.”

“In effetti, è probabile che Lizzie sarebbe corsa a testa bassa e avrebbe colpito Collins allo stomaco oppure, come dici tu, avrebbe usato quel dannato puntale ingioiellato che le ha fatto fare Alexander” ammise Lucius, scatenando la curiosità del colonnello.

“Chi è questa fanciulla così ardimentosa?” domandò curioso Kerrington.

“La sorella di Andrew e, così come è posato lui, Elizabeth è discola e impetuosa, nonostante abbia tre figli” ironizzò Lucius. “Adoro la mia cugina acquisita anche per questo. Si è sposata con mio cugino Alexander Chadwick, e credo che questo lo ponga tra gli uomini più fortunati del mondo.”

“Potrei dire lo stesso di te, amico mio, visto che hai la fortuna di conoscere un gruppo di donne così speciali e talentuose” gli ricordò Kerrington, sorridendo poi a Lorainne.

“Mia madre avrebbe qualcosa da ridire in merito… specialmente quando verrà a sapere che Sarah si è rotta una caviglia correndo per i prati” sospirò esasperata Lory, scuotendo il capo.

“Beh, questo le impedirà di farsi ulteriormente del male, visto che sarà costretta a letto per qualche tempo” le fece notare Lawrence, prima di notare la sua espressione divertita.

“Voi credete davvero che passerà un mese sdraiata in un letto?” dichiarò Lorainne, osservando poi il volto ridente di Lucius.

“Se la conosco come penso di conoscerla, starà già studiando un sistema per farsi portare in giro per casa, così da non rimanere sempre chiusa in camera” asserì Bradbury, ammiccando poi a Lorainne.

“La conosci bene, allora. Ho idea che a Samuel verrà un tremendo mal di schiena, entro la fine di questo viaggio” motteggiò la giovane, confermando così i suoi dubbi.

Quell’accenno diede un po’ fastidio a Lucius che, preferendo non pensare a quella scadenza più vicina che lontana, le disse in fretta: “Vuoi aiutarmi a sistemare il nastro? Entro un’ora al massimo arriveranno gli ospiti d’onore, e tutto deve essere pronto per quel momento.”

“Volentieri” assentì la giovane, mentre si accodava a lui per raggiungere la nave.

Kerrington rimase al fianco di Albert e, non appena i due furono lontani, domandò: “Come mai Lucius ha licenziato quel tipo?”

“E’ stato sorpreso a rubare dei soldi dalla sacca di uno degli altri operai” gli spiegò Albert. “E ne ha aggrediti un paio dopo una discussione. Guarda caso, erano tutti operai di colore.”

“Guarda caso, eh?” ironizzò aspramente Lawrence, fissando di straforo l’amico.

“Lucius avrebbe voluto parlargli direttamente, ma è compito mio avere a che fare con le maestranze, e non è giusto che mi copra le spalle quando c’è un tizio più noioso degli altri” asserì Albert, scrollando le spalle.

Sorridendo, il colonnello disse: “E’ molto da lui. Questo, invece, non lo è affatto.”

Ciò detto, indicò il loro comune amico mentre aiutava Lorainne a salire sulla nave, neanche si fosse trattato di avere a bordo la regina d’Inghilterra.

“Che cosa, con esattezza?” si informò Albert, sul chi vive.

“Andiamo, Albert… Lucius non è mai stato un uomo conformista, pudico o timorato di Dio, e lo sappiamo bene entrambi. Non si è mai fatto scrupolo di infischiarsene della buona educazione così cara ai ricconi, e le donne lo adorano proprio per questo” ironizzò Lawrence, con un sogghigno. “Eppure, con quella ragazza, sta ben attento a dove mette le mani e la tratta come se fosse fatta di porcellana, anche se cerca di mascherare il tutto con il suo modo di fare così schietto e aperto.”

“Non conosco bene il rapporto che lo lega alle sorelle Phillips, per sapere come sia con loro di solito” tergiversò Albert, scrollando le spalle.

Lo scetticismo sul volto del colonnello crebbe di livello e, a quel punto, Albert fu costretto ad ammettere: “Sì, è vero. Con miss Sarah e lady Violet è più espansivo e… fisico mentre, con miss Lorainne, no.”

“Bene. Pensavo di essermi sognato tutto” chiosò Lawrence, soddisfatto delle proprie deduzioni.

“E quindi? Anche tu sembri interessato a lei in un modo che, di solito, non ti appartiene.”

“Dici? Può essere ma, onestamente, farei un torto alla mia fidanzata, se facessi gli occhi dolci a un’altra donna” ironizzò l’uomo, sorprendendo non poco l’amico.

“Sei… fidanzato? E da quando?” gracchiò Albert, preso alla sprovvista.

“L’anello è stato donato alla legittima proprietaria giusto un mese addietro e, quando sono giunto qui, era per l’appunto per invitarvi al mio prossimo matrimonio, che si terrà l’anno venturo sugli Appalachi.”

“Congratulazioni, allora” esalò Albert, davvero preso alla sprovvista.

“Grazie” disse Lawrence, dandogli una pacca sulla spalla. “Quando, però, ho visto Lorainne e, soprattutto, ho notato il modo in cui Lucius la guardava, mi sono incuriosito e ho cominciato a ficcare il naso, lo ammetto.”

“Quindi, questo tuo gironzolarle attorno…”

“… sono un inguaribile romantico” scrollò le spalle il colonnello, ridendo di se stesso.

“E un impiccione matricolato” sottolineò Albert. “Lucius ti sta fissando da giorni come se volesse prenderti a pugni, non te ne accorgi?”

“Oh, me ne sono accorto eccome, e infatti mi dà una misura di quanto sia preso da questa fanciulla inglese. Non si è mai spinto a tanto, per una donna. Soprattutto, non con un amico di vecchia data” replicò il colonnello, sogghignando.

“Se ti darà un pugno, sarà solo colpa tua” lo mise in guardia il guerriero lakota, facendo spallucce.

“Mi reputo avvisato. E poi, comunque, miss Lorainne è una gradevole compagnia, e suona molto bene, perciò reputo una fortuna poter passare del tempo in sua compagnia.”

Annuendo, Albert disse: “La sua musica pare chetare gli spiriti che disturbano la mia Silver. Sono lieto che sia giunta qui, ma non so cosa potrà succedere, quando se ne andrà.”

“Sono convinto che il solco tracciato da miss Lorainne nell’animo di Silver perdurerà fino a scacciare quei demoni, amico mio” asserì Lawrence, tornando serio. “Vorrei solo che io e Lucius fossimo giunti prima.”

“Per essere due washicu, avete fatto molto” tentò di ironizzare Albert.

“Ah, Hota Wambli… a volte vorrei non essere né un washicu, né un soldato perché vedo che, pur essendo entrambe le cose, non riesco a fare la differenza.”

“Eppure, prosegui lungo la tua strada all’interno dell’apparato militare” gli fece notare il guerriero.

“Dicono che la speranza è l’ultima a morire, no?” scrollò le spalle Lawrence, sorridendo tristemente. “Prima o poi, spero di toccare le corde giuste.”

Albert non disse nulla, limitandosi a poggiare una mano sulla spalla dell’amico.

Se in gioventù gli avessero detto che, non solo avrebbe conosciuto di persona una giubba blu ma che, addirittura, sarebbe diventato suo amico, ne avrebbe riso.

Eppure, era successo questo.

Aveva affidato le vite sue e di Silver a due visi pallidi, di cui uno facente parte dell’esercito nemico e, inaspettatamente, si erano salvati.

Era proprio vero che il wakan tanka, il sacro spirito, operava in modi misteriosi.
 
***
 
Doveva davvero smetterla di comportarsi da idiota, e anche piantarla di allontanare l’attenzione di Lorainne da Lawrence.
Se lei voleva stare in sua compagnia, era liberissima di farlo, e lui non doveva impegnarsi nel ficcare sempre il naso nei loro affari.

Peccato che, a parole, fosse tutto facile ma, a conti fatti, Lucius non riuscisse a starle lontano come avrebbe voluto e dovuto.

Se poi contava gli ammonimenti di Andrew, le prese in giro di Albert e i commenti ironici di Julian, poteva anche mettersi a imprecare.

Era davvero diventato così trasparente? E soprattutto, cosa traspariva dal suo viso?

Non credeva, comunque, di essere così cristallino. La diretta interessata, infatti, non sembrava essersi resa conto di nulla, ma sospettava che Violet volesse parlargli di Lory proprio a proposito di questo.

E lui cosa le avrebbe detto? Che sua sorella era splendida, e che l’averla rivista dopo tanto tempo, aveva scatenato in lui una serie di sentimenti mai provati?

Cristo! Sarebbe stata la verità – non era mai stato tipo da mentire, soprattutto agli amici – ma avrebbe messo Violet in una posizione scomoda.

Invero, si ritrovava a tremare di panico puro perché, dinanzi ai suoi occhi, si trovava la donna che, finalmente, lo aveva scosso al punto da provare sensazioni ormai insperate quanto assai temibili.

Certo, si era concesso i suoi sollazzi, e non si era mai pentito di essere andato a letto con le donne che aveva voluto per sé per un breve periodo della sua vita.

Lorainne, però, rappresentava l’incognita impazzita, una creatura che, da ragazzina, aveva visto sbocciare e diventare donna, e ora sembrava essere stata mandata lì al solo scopo di instupidirlo.

Era il connubio perfetto tra la dolcezza di Violet e l’esuberanza di Sarah ma, al tempo stesso, aveva qualcosa di unicamente suo che lo stava irretendo poco alla volta, e senza scampo.

Inoltre, sapeva cose di lei che, forse, nessun altro era a conoscenza, e tutto grazie alle lettere che si erano scritti negli anni e che lo avevano tenuto legato alla famiglia e agli amici in modo unico.

Quando Lorainne aveva deciso di essere la fautrice delle epistole che l’avrebbero tenuto al corrente delle novità da York, mai scelta si era rivelata più piacevole e benvoluta.

In quelle lettere, oltre alle storie delle loro famiglie, aveva sempre scritto qualcosa di sé, della sua anima, e Lucius aveva conservato nella sua mente ogni più piccola informazione, ogni più fuggevole aneddoto.

Ma ora?

“Lucius?” ripeté per la terza volta Lorainne, facendo finalmente breccia nella mente dell’amico.

Sobbalzando, Bradbury si ritrovò a sorridere un po’ scioccamente e, lui sperò, a non arrossire, pur se il calore che percepì sulle gote parve smentirlo.

“Un penny per i tuoi pensieri?” gli domandò lei, sorridendo.

Meglio di no, pensò lui, limitandosi poi a dire a voce alta: “Stavo riordinando le idee, oltre che tentando di capire come sostituire il signor Collins. Per quanto irrispettoso e ladro, aveva una mano capace. Non sarà facile riempire quel vuoto.”

Tornando seria, Lorainne mormorò: “E’ stato davvero irriguardoso, nei confronti di Albert. Se avessi avuto anche solo una stilla del coraggio di Silver, gli sarei balzata addosso per fargliela pagare.”

Lucius sorrise a quelle parole, e replicò: “Mi sembra che tu sia stata ugualmente brava. Se Collins avesse colpito Albert alle spalle, non si sa come sarebbe potuta finire la cosa.”

“Urlare e tirare una scarpina, non sono quelle gran cose” si schernì lei, lanciando un’occhiata dabbasso, dove si trovavano Albert e Lawrence. “Ma, se gli fosse successo qualcosa, mi sarebbe spiaciuto molto. E’ evidente quanto lui e Silver si amino.”

Discorso pericoloso, brontolò tra sé Lucius, non sapendo bene cosa dire.

“Ti sei affezionata molto a lei, mi pare di capire” disse poi a voce alta Bradbury, sperando di poter deviare un poco il discorso.

Parlare d’amore non era proprio il caso e, di sicuro, non di fronte a lei.

Annuendo – del tutto ignara dei pensieri dell’amico – Lorainne asserì: “Ti sembrerà strano, ma penso che Silver possa capirmi come poche altre persone. E’ molto saggia e, pur se è spigolosa in certi suoi comportamenti, è anche molto materna e premurosa.”

Un attimo dopo, timida, domandò: “Non può avere figli, vero? Per via… sì, per via di ciò che le successe?”

Lucius si limitò ad annuire, asserendo: “La colpirono molte, troppe volte. Il dottore che la visitò disse che non avrebbe più potuto procreare.”

A Lorainne sfuggì una lacrima, che però scacciò con rabbia e con il gesto secco di una mano.

“E’ davvero inutile sprecare lacrime per cose che non si possono cambiare” motteggiò amara. “E dire che dovrei averlo imparato.”

“Che intendi dire?” domandò spontaneamente lui, prima di rendersi conto dei suoi occhi tristi.

Possibile che…? Nessuno gliel’aveva menzionato ma andava anche detto che, certe cose, non potevano essere scritte in una lettera, per cui…

Lorainne parve rendersi conto del suo panico – od orrore – e, nello sgranare gli occhi, esalò sconvolta: “Oh… no. NO! Non pensare che mi sia capitato qualcosa di brutto, o di simile!”

Lucius si ritrovò a essere a debito d’aria, quando la ragazza pronunciò quelle parole e, nel posarsi una mano sul cuore, gorgogliò: “Dio ti ringrazio…”

Sorridendo comprensiva quanto grata, lieta che lui si preoccupasse per la sua salute, Lorainne asserì: “Mi vergogno un po’ a dirlo, visto che mi sembra sciocco il solo pensarci… soprattutto, considerando quante lacrime ho versato per una cosa così banale.”

Lucius terminò di attaccare l’ultimo festone, si infilò le cesoie in una tasca dei calzoni e, poggiate le mani sui fianchi, celiò: “Se vuoi, posso raccontarti di quante volte mi sono reso ridicolo, così capirai che c’è chi ti ha preceduto, e alla grande.”

Lei rise sommessamente, e ammise: “Credo che un paio di aneddoti mi siano noti grazie ai buoni uffici di Violet.”

Bradbury impallidì leggermente a quelle parole e Lorainne, allora, rise di puro piacere, accendendosi in viso come una stella.

Per Lucius fu difficilissimo trattenersi dall’annullare la distanza che li separava per baciarla, e questo gli fece capire quanto – ormai – fosse nei guai fino al collo.

Avrebbe venduto tutto, rimanendo povero in canna, pur di sentirla ridere ancora una volta in modo così spontaneo e sincero.
Ma lei se ne sarebbe andata, sarebbe tornata a York e ai suoi impegni mondani e, un giorno, si sarebbe sposata.

Ne aveva ormai l’età, oltre che i titoli, e nessun uomo degno di tale nome se la sarebbe lasciata sfuggire.

O così pensò finché Lorainne, tornando seria, iniziò a raccontargli i motivi dei suoi misteriosi pianti.

Man mano che la ragazza lo mise al corrente della corte che Michael Donahey le aveva fatto, sia direttamente che tramite epistole, Lucius si sentì invadere da una rabbia sempre più profonda.
 
Questo era dunque successo! Ciò che lei gli aveva solo accennato settimane prima, ora prendeva finalmente – e tragicamente – corpo, infondendogli un odio sempre più grande.

Sapere del suo tradimento, così come della sua morte, lo fece ribollire di un senso di rivalsa mai provato prima.

Quando infine Lorainne si volse verso il mare e sorrise triste, lui ripeté quello che già aveva detto settimane addietro: “Lo riporterei in vita solo per ucciderlo di mia mano, così da vendicarti.”

Lei si volse a mezzo, rammentando bene quando aveva accennato a Lucius di Michael, pur non avendo avuto il coraggio di raccontare tutta la verità su di lui.

Anche in quell’occasione, Lucius le offrì i suoi servigi per farla pagare a Michael e, come quella volta, vide l’oscurità, il risentimento, la rabbia, ma anche un affetto profondo e sincero per lei.

Allungare una mano per sfiorargli il viso fu la cosa più naturale del mondo e, in un mormorio, disse: “Lucius, no, ti prego…”

Lui tremò a quel tocco e si scostò appena, troppo agitato per controllarsi del tutto e Lorainne, nel ritirare la mano, aggiunse: “Sei gentile a pensarla così, ma non vorrei mai che qualcuno a cui tengo si macchiasse di un simile delitto. Michael è morto, e io sono stata sciocca a pensare che mi amasse, così come sono stata sciocca a pensare di poterlo apprezzare. Mi sarà pur concesso di essere imperfetta, almeno una volta, vero?”

Lo disse con un sorrisino incerto, ma Lucius comprese subito cosa la ragazza stesse tentando di non dirgli.

Temeva che lui potesse giudicarla sciocca e superficiale, e aveva paura di un suo giudizio negativo.

Fu più forte di lui. Non ce la fece a trattenersi.

Si avvicinò a Lorainne a braccia aperte e, stringendosela al petto, mormorò contro i suoi capelli: “Non pensare mai, neppure una volta, che io possa giudicarti male. L’idiota è stato lui, e solo lui, che si è approfittato del tuo buon cuore, quando avrebbe dovuto portarlo in palmo di mano, grato perché tu gli avevi permesso di sfiorarlo.”

Sorpresa da quel gesto – Lorainne non era abituata alla fisicità di Lucius che, di solito, lui riservava a Violet e Sarah – la giovane non seppe bene come comportarsi, ma gradì il calore umano trasmesso da quell’abbraccio.

Si ammorbidì contro di lui, ascoltando confusa il battito frenetico del cuore di Lucius, mentre le mani dell’amico erano poggiate sulla sua schiena, intrecciate ai suoi capelli sciolti.

Chissà perché, quella mattina aveva preferito lasciarli così e ora, in qualche modo, le fece piacere che quelle mani forti fossero immerse nei suoi capelli, come nessun uomo avrebbe mai dovuto fare, al di fuori del matrimonio.

Quel tocco le trasmetteva sensazioni piacevoli e, per un attimo, desiderò rimanere in quell’abbraccio per sempre.

L’attimo seguente, però, la voce atona di Andrew la riportò al presente, così come fece per Lucius.

Irrigiditosi come un palo, Bradbury abbandonò lentamente l’abbraccio – quasi fosse sotto il tiro di una pistola – e, pallido come un cencio, si volse a mezzo per gracchiare: “Tu vuoi farmi morire di paura, vero? Ammettilo che sei qui per questo.”

Lorainne cercò di non ridere di fronte all’espressione accigliata del cognato – era divertente vederlo nelle parti del paladino – e Andrew, occhi negli occhi con Lucius, dichiarò: “Sei tu che vuoi morire prematuramente, visto che ti comporti come non dovresti… e sotto il mio naso.”

“Oh, andiamo, Andrew! Parliamo di Lucius!” brontolò Lory, dando uno schiaffetto sul braccio del cognato. “E poi, mi stava solo consolando.”

“Perché mai avevi bisogno di essere consolata? Ti ha offesa in qualche modo?” ritorse Andrew, fissando malissimo Lucius, che si fece guardingo e offeso.

“Smettila di guardarlo così” sbottò allora Lorainne ponendosi a forza tra i due uomini. “Mi stava solo consolando perché gli ho parlato di Michael, e mi sentivo una sciocca. Tutto qui.”

Lo sguardo di Andrew si addolcì immediatamente, a quelle parole e, nell’osservare la ragazza, mormorò: “Lory…”

“Ora non fare lo sdolcinato, Andrew” sbuffò la giovane, reclinando il capo per poi abbassarlo in direzione del molo e urlare: “Violet, richiameresti all’ordine quel mastino di tuo marito?! Io e Lucius non abbiamo ancora finito di allestire la goletta, e lui ci disturba!”

Violet scoppiò a ridere al pari di Albert, Lawrence e del piccolo Jeffery, mentre Andrew si adombrava in viso, fissando accigliato la ragazza.

Sospingendolo lontano, in direzione della passerella, Lorainne infine dichiarò: “Sono grande abbastanza per fare un passo senza accompagnatore e, di sicuro, Lucius baderà a che non mi succeda nulla, su questo ponte. O hai paura che possa rapirmi?”

Lucius tossicchiò improvvisamente, a quelle parole e Andrew, nel passarsi una mano sul viso, brontolò: “La prossima volta che tuo padre mi chiederà di tenere d’occhio le sue figlie, scapperò a gambe levate.”

“Una l’hai sposata, vorrei ricordarti” sottolineò furba Lorainne.

“E’ adottata. Di sicuro” replicò esasperato Andrew, allontanandosi da loro.

Lorainne scoppiò a ridere di fronte alla sua resa e, preso per mano un sorpreso Lucius, asserì: “Coraggio, dobbiamo finire di sistemare questa bellezza.”








Note: piccolo screzio al cantiere, subito risolto dalla prontezza di riflessi di Lorainne, dal tocco di Lawrence e dalla minaccia di Albert. Fortunatamente, Collins ha capito che non c'era storia. Forse...
Al tempo stesso, scopriamo che Kerrington sta facendo rosolare il nostro Lucius per vedere cosa combinerà con Lorainne, e quest'ultima finisce col dire tutta la verità a Bradbury, apprezzando - e non poco - il suo coinvolgimento emotivo e la sua decisione di consolarla.
Andrew, però, finisce sempre col metterci il becco. Che dite? Le sue tecniche persuasive serviranno a qualcosa? 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


7.
 
 
 
 
 
Il vento schiaffeggiava la costa con raffiche continue, ma senza portare temporali con sé.

Ugualmente, il sibilo prodotto al suo passaggio era inquietante, e richiamava alla memoria il racconto di Jane Austen, L’abbazia di Northanger.
 
 “Devo dormire di più, se penso a cose come castelli antichi, lande urlanti e, magari, un fantasma assetato di vendetta” brontolò tra sé Lucius, sorseggiando in solitudine un whisky nel suo studio.

Era disarmante ritrovarsi a cercare il sonno con bramosia e, al tempo stesso, rifuggirlo per timore di ciò che avrebbe potuto sognare, addormentandosi.

Quasi sul punto di terminare il buon liquido ambrato, sua unica via per l’oblio, Bradbury udì a sorpresa un bussare quieto alla sua porta.

Questo lo portò a sputacchiare il tutto e ringhiare un’imprecazione per la paura e il nervosismo. Doveva darsi una maledetta calmata, o gli sarebbe venuto un infarto.

L’attimo seguente, la voce di Violet si fece largo nell’oscurità e Bradbury, sorpreso, asserì: “Entra pure, Lettie.”

Mentre la porta si apriva, Lucius accese un paio di candele con un fiammifero1, una diavoleria moderna di cui aveva beneficiato quasi subito dopo la sua uscita commerciale.

Le Grandi Pianure potevano essere maledettamente fredde, la notte, se non si trovava il modo di accendere in fretta un falò. Quell’invenzione era stata un autentico dono del cielo per tutti loro, a suo tempo.

Le fiammelle delle candele rischiararono un poco l’ambiente e, quando Violet si chiuse la porta alle spalle, gli domandò: “Come mai stavi al buio?”

“Come mai non sei a letto con tuo marito?” le ritorse contro lui, offrendole da bere.

Lei scosse il capo con un sorriso e, nell’accomodarsi su una poltrona al cenno di Lucius, giocherellò con la fibbia di velluto della vestaglia che indossava e chiese al suo amico: “Posso farti una domanda senza che tu mi prenda per un’impicciona?”

“Tanto, in queste ultime settimane, si stanno tutti impicciando degli affari miei, perciò chiedi pure” ironizzò lui, poggiando un fianco contro la scrivania per meglio guardare l’amica. “Con te, non me la prenderò mai.”

Sì, Violet era sempre bellissima, ancor più bella di quando l’aveva vista la prima volta, al matrimonio di Lizzie e Alexander.

L’essersi sposata e aver avuto un figlio ne aveva ammorbidito un poco le forme, ma erano i suoi occhi angelici a renderla speciale, quasi ultraterrena.

Eppure, non aveva mai provato nulla per lei, se non una calda amicizia, sbocciata anche grazie al loro interesse comune per la nautica.

Era ironico pensare a come, un essere così celestiale come lei, fosse interessata a cose così prosaiche come pialle, assi di legno e teli per le vele.

Invero, così era, per Violet.

Cosa aveva dunque captato, quella testolina adorabile quanto ingegnosa? Aveva compreso fino a che punto lui fosse preso dalla sua sorellina?

“Sono certa che mio marito ti stia facendo passare le pene dell’inferno…” esordì cauta Violet, sfiorandolo con il suo sguardo ceruleo. “… perciò, vorrei scusarmi per lui. Papà non avrebbe dovuto strappargli la promessa di fare da paladino alle mie sorelle… e a me, neanche ce ne fosse bisogno.”

Lucius sogghignò a quel commento sprezzante quanto dolce.

Violet era così. Anche quando si lagnava di qualcosa, non riusciva a essere veramente crudele, o vendicativa.

“Anthony ha ben d’onde di preoccuparsi. Chi non lo sarebbe, con figlie così affascinanti… e pericolose?” ammiccò Lucius, facendola ridere.

“Sei sempre stato bravo a nascondere un rimprovero dietro a un complimento” motteggiò lei. “Quando papà saprà che, non solo Sarah si è rotta una caviglia, ma ha rischiato di far rompere la testa al suo futuro marito, rivaluterà l’idea di concederle così tanto margine di manovra.”

Lucius rise sommessamente al pensiero di Samuel, del suo bernoccolo, e delle scuse accorate di Sarah che erano seguite al loro capitombolo.

Di ritorno dal varo della goletta Glorious, il gruppo aveva infatti fatto quella esilarante scoperta.

Nel tentativo di aiutare Sarah a non rimanere imprigionata nella sua stanza, Samuel si era prestato ad accompagnarla in giro per casa, tenendola in braccio per tutto il tempo.

Il gentiluomo non aveva però fatto i conti con la paura di Sarah per i ragni.

Malauguratamente, un piccolo aracnide si era trovato sulla traiettoria di tiro degli occhi attenti della ragazza, e il grido che ne era seguito aveva quasi scoperchiato la villa.

Se però Sarah si fosse limitata a questo, Samuel avrebbe soltanto lamentato un po’ di mal d’orecchi.

La cara, pimpante, vivace Sarah, aveva invece iniziato a sbracciarsi per scacciare l’infausto quanto minuscolo ragnetto, finendo con il colpire il povero Samuel.

Questi, centrato in viso da uno schiaffo dell’amata, era finito con il crollare a terra – con Sarah a mo’ di coperta sullo sterno – mentre la sua testa cozzava dolorosamente contro uno scalino.

La servitù era accorsa subito, e Sarah aveva iniziato a piangere disperata, già temendo di aver ucciso il suo amore.

I lamenti di Samuel, però, l’avevano un po’ rincuorata e, mentre Silver aveva preso in mano le redini della situazione per riportare la calma nella villa, Sarah era stata riportata piangente nella sua stanza.

Scuotendo il capo per il divertimento al ricordo di quel racconto, Lucius dichiarò: “Non mi aspettavo che Sarah desse di matto per un ragno.”

“E’ una cosa del tutto assurda se si considera che, da piccola, era solita sgattaiolare ovunque, anche nei più oscuri cubicoli di palazzo” assentì esasperata Violet.

Lucius le sorrise divertito, mentre gli ultimi brandelli di risata andavano scemando e, quando nella stanza tornò il silenzio, lui le chiese: “Cosa c’è, Violet? Non sei venuta qui per parlarmi di Sarah, vero?”

Lei scosse il capo, intrecciando le mani in grembo e, nell’osservarlo con occhi attenti, mormorò: “Cosa sta succedendo tra te e Lorainne?”

“E’ stato Andrew, a mandarti?” le ritorse contro Lucius, intrecciando caviglie e braccia come a volersi difendere da un misterioso assalitore.

Non avrebbe mai potuto considerare pericolosa Violet, almeno non fisicamente, ma la sua estrema gentilezza e il suo affetto incondizionato potevano abbattere più porte di un ariete.

“Diciamo che abbiamo parlato un po’, e gli è parso strano che Lory ti avesse accennato di Michael. Non è un argomento su cui si sofferma volentieri, perché si sente un po’ sciocca ad ammettere di avergli voluto bene.”

Il solo sentir accennare a quel manigoldo portò Lucius a sollevarsi di colpo dalla sua posizione fintamente rilassata e, nel raggiungere il ripiano dei liquori, borbottò: “Me ne aveva fatto cenno alcune settimane addietro ma, come dici tu, la vergogna l’aveva fermata dall’andare oltre. Oggi, invece, ha ammesso ogni cosa e, come in passato, anche questo pomeriggio avrei gradito spezzare il collo di mia mano a quell’essere laido e senza onore. Siamo amici, Violet, e io le darò sempre il mio sostegno.”

“In questo momento, mi sembri più propenso a prenderti una sbronza, più che a uccidere qualcuno a mani nude” gli fece notare con candore Violet.

Lui si volse a mezzo, il bicchiere ricolmo di whisky in una mano e l’aria aggrottata a oscurargli gli occhi di ghiaccio.

Sì, in quel momento avrebbe voluto veramente uccidere qualcuno e, visto che quel Michael non era più disponibile, il suo desiderio non avrebbe potuto essere esaudito.

“Dici che Andrew, o Anthony, o Randolf – di cui tu hai tastato con mano la gelosia – non avrebbero spaccato la faccia a quel fatuo damerino?” ironizzò Lucius, ingollando metà del contenuto del bicchiere.

Di quel passo, sarebbe stramazzato a terra ubriaco; non era abituato a bere così tanto!

Il ricordo di Randolf, nel frattempo, portò Violet a sbuffare.

“Non è detto che, se una persona è un po’ ottusa, tutte le altre debbano imitarla. Mi aspetterei un tantino più di maturità, da te… e comunque, Randolf non è stato avvisato del fatto. Giusto per sicurezza” ammise Violet, facendo scoppiare a ridere Lucius.

“Oh, cielo! Se e quando lo scoprirà, farà sfilatini di voi tutti!” asserì lui, asciugandosi una lacrima di ilarità.

“E’ molto probabile” assentì Violet, facendo spallucce.

Terminato che ebbe di bere, Bradbury prese un gran respiro e asserì: “Violet, davvero, non so cosa stia succedendo. Tengo molto a voi tutte, Dio solo lo sa, ma…”

“Con Sarah e me, sei sempre stato più disinvolto e disinibito, lo so, ma con lei…” tentennò Lettie, non sapendo bene fin dove spingersi.

“Pensi si sia offesa?” domandò turbato Lucius, portando Violet a sorridere comprensiva.

“Oh, Lucius… neppure quando chiedesti a tuo padre di finanziare questa tua impresa americana, eri così nervoso e insicuro” dichiarò la donna, levandosi in piedi per raggiungerlo.

Bradbury, allora, poggiò sul tavolino il bicchiere ormai vuoto, sospirò e, stremato, poggiò la fronte sulla spalla di Violet, ma senza abbracciarla.

Lei gli carezzò i capelli, lasciando che Lucius rimanesse appoggiato così, senza altri contatti tra i loro due corpi se non quelli offerti dalla sua spalla e la sua mano.

“Non mi sono mai sentito così, ma voi tornerete a casa tra un paio di mesi, e non voglio rovinare tutto perché, quando l’ho rivista, non ho più saputo staccarle gli occhi di dosso” sussurrò affranto Lucius.

“Non so davvero cosa dirti… e comincio a capire cosa abbia provato Lizzie, quando io e Andrew giocavamo a rincorrerci senza saperlo” mormorò Lettie, sorridendo mesta. “E’ terribile stare nel mezzo, voler bene a entrambi ma non poter spingere nessuno a fare una scelta piuttosto che un’altra.”

“Se poi consideri l’interesse del colonnello Kerrington, la faccenda si complica” borbottò Lucius, sollevando il capo per cominciare a passeggiare nervosamente per il suo studio.

“Oh, cielo! Non lo avevo affatto considerato” esalò sgomenta Violet, facendo tanto d’occhi.

“Come vedi, siamo in una ben misera situazione” motteggiò amaro Lucius.

“Dovrò dire a mia sorella che ha molto successo con gli uomini” ironizzò suo malgrado Lettie, ritrovandosi addosso l’occhiataccia di Lucius. “Oh, ma dai… pensi davvero che tradirei il tuo segreto?”

“Non voglio turbarla, soprattutto sapendo cosa ha passato. Desidero che lei passi una bella vacanza e, quando tornerà a casa, potrà sposarsi avendo il cuore più leggero.”

“E tu? Il tuo sarà come un macigno nel petto” mormorò turbata Violet.

Lucius non disse nulla e, con un mesto sorriso, si volse a osservare l’oscurità della notte oltre il velo sottile della finestra.

Sconsolata, Lettie allora disse: “A volte, vorrei che non mi assomigliassi così tanto. Non ha senso sacrificarsi a questo modo.”
 
​***

Sospirando per l’ennesima volta nel salire le scale dopo l’illuminante chiacchierata con Lucius, Violet si sorprese non poco quando vide Lorainne affacciata alla porta della sua stanza.

Bloccandosi a metà di un passo, le domandò: “Tesoro, non riesci a dormire?”

“Per la verità, sono andata a dare la buonanotte a Sarah… stava ancora piangendo per via di Samuel, così mi sono attardata e, quando ti ho udita tornare dal piano inferiore, ti ho aspettata” le spiegò Lory.

“Come mai? Volevi parlarmi?”

“Beh, ecco… hai per caso parlato con Lucius?” tentennò la giovane, mordendosi il labbro inferiore con espressione tesa.

“Sì, perché?” mormorò cauta la sorella.

“Ti ha detto qualcosa, riguardo a oggi?”

“In che senso?” volle sapere Violet, preferendo non scoprire troppo presto le proprie carte.

“Beh, sai… gli ho detto di Michael e, pur se lui mi ha assicurato che non pensa male di me, e non mi reputa una sciocca, magari pensavo che…”

Ancora quella tensione, quel mordersi il labbro in preda all’ansia.

Michael riusciva a fare dei danni anche da morto, a quanto pareva e, per un istante, Violet desiderò prenderlo a ceffoni.

Cosa davvero rara, per lei.

Sorridendo alla sorella, Violet la sospinse dolcemente nella sua stanza e, dopo essersi chiusa la porta alle spalle, le domandò: “Come mai sei tanto preoccupata? Da quando in qua ti preoccupi di una cosa del genere? Tu e Sarah non mi avete sempre rimproverato che sono io, quella che rimugina troppo sulle cose, anche quelle inutili?”

Lorainne la fissò a occhi sgranati per un attimo, prima di ridere sommessamente e ammettere: “Oh, cielo, in effetti è vero. Dici che sto diventando come te?”

“Non so se prenderlo come un complimento, o come un insulto” dichiarò Violet, fissandola con un mezzo sorriso.

“Sicuramente, un complimento” asserì Lory, ma non riuscì a nascondere un secondo accesso di risa.

“Sai essere molto convincente, davvero” celiò Lettie, scrollando una mano con fare noncurante. “Comunque, Lucius pensa di te un sacco di cose ma, di certo, non che sei una sciocca. E’ rimasto molto scosso dalla notizia, ma solo perché non vuole vederti soffrire.”

Un delicato rossore le imporporò le gote e, con un sorriso, Lory mormorò: “Oh, beh, in questo somiglia a te. Sempre a preoccuparsi per gli altri!”

Violet sorrise e Lorainne, nel sedersi sul bordo del letto – i piedi a ciondoloni, e i lunghi capelli a creare un’ondulata nuvola attorno al suo viso – aggiunse a mezza voce: “Mi ha fatto piacere che mi abbia abbracciata. Sai, pensavo di non stargli molto simpatica, a dir la verità. Anche se, a ben vedere, nelle nostre lettere siamo sempre stati molto ciarlieri, e parlavamo davvero di tutto.”

“Oh, e come mai pensavi questo?” domandò Violet, sul chi vive.

Lorainne fece riemergere per un attimo il viso dalla nuvola di capelli per borbottare: “Con te e Sarah, è sempre stato molto espansivo, mentre con me… beh, non proprio. Educato fino allo sfinimento, sì. Spontaneo, ben poco, però.”

Violet stentò a non ridere, di fronte al tono petulante della sorella e, per un istante, desiderò chiederle quanto le fosse pesata quella differenza di trattamento.

Preferì comunque lasciare che fosse lei a gestire il dialogo, giusto per capire fin dove si sarebbe spinta.

Lory, infatti, dopo alcuni attimi di imbarazzato silenzio, mugugnò: “Temevo di sembrargli noiosa, ecco, e che fosse gentile con me solo per educazione ma, nelle sue lettere, mi sembrava così spontaneo e sincero da farmi credere di essermi soltanto sognata questa sua apparente distanza.”

“Perché dovrebbe trovarti noiosa? Amate entrambi la musica, e potreste stare in sella per ore senza mai stancarvi, cosa che io e Sarah non saremo mai in grado di fare” le fece notare Violet, sorridendole. “Inoltre, come dici tu, le vostre epistole erano sempre molto belle e articolate. Se ti avesse trovato noiosa, avrebbe scritto solo lo stretto indispensabile, no?”

“Ha scoperto adesso che suono bene. Se ben ricordi, io e Lucius ci saremo visti sì e no in una decina di occasioni, in sei anni. Un po’ poche per capire molto l’uno dell’altra, no?”
 
“Le sue visite, però, duravano almeno un paio di mesi alla volta…” sottolineò per contro Violet. “… e, in quelle occasioni, facevate molte passeggiate a cavallo.”
 
Lorainne sbuffò, come per non darle retta.

“Ricorda anche di averti sentito suonare al nostro matrimonio, oltre che per la nascita di Jeff” sottolineò quindi Lettie, tamburellandosi il mento con un dito.

Perché sua sorella era così in ansia? Possibile che…

“A quell’epoca avevo ancora i brufoli! Sai che bel ricordo! Inoltre, le mie lettere potevano anche essere più di un semplice elenco di episodi, ma rimanevano pur sempre lettere!” esalò disgustata Lory prima di balzare dal letto, passarsi le mani tra i capelli e, accigliata, fissare la sorella. “Ho appena fatto la bambina petulante, vero? E non scansare la verità, sorella.”

“Un pochettino, forse” ammise Violet.

Lorainne, allora, si mise a passeggiare nervosamente per la stanza, esattamente come Lucius aveva fatto alcuni minuti prima.

“Mi disgusto da sola… non mi si può ascoltare, quando mi lagno a questo modo” brontolò Lory, scuotendo il capo e le braccia come a voler rilassare i muscoli tesi del corpo.

Probabilmente, se Violet l’avesse sfiorata in quel momento, sarebbe esplosa in mille pezzettini, tanta era la tensione trattenuta da quel giovane, flessuoso corpo di donna.

“A tutti è concesso di essere petulanti, cara… specialmente, dopo quello che hai passato tu” sottolineò Lettie, conciliante.

“Vorrebbe dire dare potere al fantasma di Michael, che mi ha resa insicura e depressa. Non voglio più lasciarglielo fare” sbottò Lorainne. “Domani, chiederò ad Albert di insegnarmi a combattere.”

Sgranando gli occhi, Violet gracchiò turbata: “E perché, di grazia?”

Lorainne si fece mortalmente seria, e dichiarò: “Perché il prossimo uomo che tenterà di spezzarmi il cuore, si ritroverà con le ossa spezzate. E’ il minimo.”

Violet scosse il capo, sospinse la sorella verso il letto e, nell’intrecciarle nervosamente i capelli, dichiarò: “Non farai niente di tutto ciò, tesoro. Semplicemente, starai più attenta a chi cercherà di conquistarti, tutto qui. Non c’è bisogno di nessun spargimento di sangue, sai?”

“Chi ha detto che voglio spargere sangue? Le ossa si spezzano anche senza fiumi di sangue a corollario” le fece notare Lorainne, ritrovando il suo solito pragmatismo.

Peccato che l’argomento in questione mettesse un po’ di ansia a Violet.

Afferrato un nastro di seta, Lettie  serrò le trecce della sorella con mani esperte e replicò: “Ti ripeto, meno ossa rotte e più attenzione per i dettagli, va bene?”

“Violet, posso dirti una cosa?” chiese Lory dopo un istante di riflessione.

“Ma certo, tesoro.”

“A volte, sei troppo buona.”

Lettie non seppe dire se, quell’affermazione, fosse un complimento o meno.

“E tu hai bisogno di dormire” sentenziò la sorella maggiore, sollevando le coltri del letto prima di indicarle con aria militaresca.

“Vado, vado” brontolò Lorainne, prima di abbracciarla a sorpresa e baciarle una guancia.

Violet la strinse a sé, mormorando: “Ti assicuro che, dopo una buona notte di sonno, non vedrai il futuro così nero.”

“Te lo saprò dire domattina… per ora, grazie per la chiacchierata. Mi serviva” replicò Lorainne, sdraiandosi a letto.

“Ci saremo sempre, per te, ricordalo” le rammentò Lettie.

“Lo so” annuì la giovane, chiudendo gli occhi.

Violet, allora, le diede la buonanotte e, dopo essere tornata nella sua stanza, controllò che Jeffery dormisse nel suo lettino – sistemato in una dependance della loro camera – e, infine, raggiunse Andrew.

Andrew la accolse con un bacio e, nell’avvolgerle le spalle non appena si accoccolò contro di lui, domandò: “Allora, come sta Lucius?”

“E’ assai confuso. E credo anche Lorainne.”

“Come, anche Lorainne? Hai parlato anche con lei?” esalò sorpreso il marito.

“Sì, e sappi che le è tornata voglia di imparare a lottare. Benedetto Maxwell, e la volta che le ha insegnato qualche tiro di boxe!” sbottò Violet, facendo scoppiare a ridere Andrew.

Ricordava bene la volta in cui, a casa di Lizzie e Alexander, Maxwell Chadwick aveva tenuto una lezione di boxe ai figli minori di Anthony e Myriam.

Paul si era divertito un mondo a duellare con Sarah, mentre Lorainne aveva provato qualche colpo con l’ausilio di Maxwell stesso, che le aveva spiegato come usare le sue leve così lunghe.

“Se ne ha voglia, lascia che provi, Lettie. Non si farà male come ha fatto Sarah. Sai che ha un po’ più di giudizio” la chetò Andrew, dandole un bacetto.

“La penseresti allo stesso modo se sapessi che, al prossimo uomo che la farà soffrire, lei spezzerà le ossa?” sottolineò turbata Violet.

Ancora, Andrew rise e, nel sospingere sul materasso la moglie, cominciò a baciarle delicatamente il collo, mormorando contro la sua pelle: “Tesoro, la nostra Lorainne non è più la ragazza che ha viaggiato con noi in nave per giungere qui. E’ quella che, da quando è qui, ha ritrovato interesse per la musica, per le armi e la lotta. E’ tornata a vivere come prima.”

“Ti rendi conto che, tolta la musica, tutte le altre cose non sono propriamente adatte a una lady?” mormorò Violet, cercando di rimanere in tema, pur faticando molto. I baci di Andrew riuscivano da sempre a mandarla nel pallone.

Lui rise contro la sua gola, accelerando i battiti di Lettie.

“Perché, disegnare navi e avere uno stipendio come ingegnere navale, è da lady?” le ritorse contro lui, scoprendole un seno con gesti lenti e calcolati.

Violet sospirò di delizia, quando lui la baciò e, da quel momento, non seppe più replicare. O non volle.

Aveva ben altro a cui pensare, e tutto il resto poteva benissimo aspettare la mattina seguente.

 
 
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1. fiammifero: prodotto a livello commerciale a partire dal 1827, di invenzione dell’inglese John Walker.
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Note: A quanto pare, è tempo di confessioni, e Violet si ritrova a essere al centro dell'attenzione dei due contendenti. A quanto pare, anche Lorainne prova qualcosa per Lucius, anche se non è ancora chiaro quanto sia presa la ragazza, e di che sentimenti si tratti. Quanto a Lucius, è più che deciso a rimanere in silenzio per non causare alcun dolore alla ragazza che è diventata la sua croce e delizia.
Dite che funzionerà? O la nuova strada intrapresa da Lorainne cozzerà con le decisioni di Lucius?

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 
8.
 
 
 
 
 
 
“Come… prego?” gracchiò sorpreso Albert, quando Lorainne espose a chiare lettere la sua richiesta.

La notte di sonno non aveva fatto cambiare idea alla ragazza, l’aveva resa soltanto più determinata nel portare a compimento il suo desiderio.

Dopo aver fatto colazione in fretta, quindi, si era recata presso gli appartamenti dei coniugi Greyhawk e, dopo aver chiesto scusa per l’intrusione, aveva esposto la sua richiesta ad Albert.

Silver si era dimostrata entusiasta, plaudendo la decisione di Lorainne di voler imparare a difendersi, così come ogni brava lakota imparava fin da piccola.

Albert, invece, si era dimostrato molto più restio a dichiararsi eccitato, di fronte all’idea di Lorainne, o pronto a mettersi a disposizione per insegnarle ciò che sapeva.

Non perché non ritenesse miss Phillips in grado di farcela – aveva visto come sapeva usare il fucile e l’arco con le frecce – quanto, piuttosto, perché temeva la reazione di Lucius.

Come far capire a quella giovane ardimentosa che, il suo amico e titolare, avrebbe perso dieci anni di vita, vedendola tirare pugni o imbracciare un tomahawk come una squaw?

Le mani giunte in preghiera e gli occhi chiari colmi di speranza, Lorainne disse ancora: “So che può sembrarvi una richiesta assurda, Albert e, se fossimo in Inghilterra, farei venire un travaso di bile a mio padre e uno svenimento a mia madre. Sicuramente. Ma qui siamo su un’isola, nessuno potrà vedermi… e io ne sento disperatamente il bisogno.”

Albert cercò aiuto nella moglie ma Silver, le mani puntate sui fianchi e lo sguardo volitivo, non gli diede alcuna mano. Era d’accordo con Lorainne. Su tutta la linea.

“Trovo assurdo che una donna non impari le basi dell’autodifesa. Ogni lakota lo impara prima di sposarsi” brontolò Silver, fissando arcigna il marito.

“Silver, lei non è una lakota, ma è una nobildonna inglese” sottolineò conciliante Albert, cercando di fare breccia nella sua incrollabile determinazione.

La moglie storse naso e bocca come se avesse sentito parlare di qualcosa di disgustoso e Lorainne, sempre più contrita, mormorò: “Lo so, voi avete perfettamente ragione, Albert. Avete tutti i motivi per dirmi di no, perciò non vi chiedo di insegnarmi a usare nessuna arma…”

“… visto che già sapete farlo…” aggiunse lui, vedendola arrossire.

“Sì, certo, infatti. Vi chiedo solo qualche mossa con cui difendermi. O attaccare. Lord Chadwick, un cugino di Lucius, mi ha insegnato qualche tiro di boxe, ma ammetto di essere un po’ goffa, alta come sono…” dichiarò Lorainne, indicandosi in tutto il suo metro e settantotto di altezza.

“Boxe, dite? E ve l’ha insegnata un cugino di Lucius. Perché la cosa non mi sorprende?” sospirò Albert, sentendosi ormai sconfitto.

Notandolo, Lorainne tornò a sorridere e mormorò docile: “Solo qualcosina che possa andar bene per me. Niente di speciale.”

“Niente di speciale” ripeté Albert in un brontolio sommesso, allontanandosi dalle due donne per raggiungere l’armadio.

Silver sorrise vittoriosa a Lorainne e quest’ultima, nello stringere le mani dell’amica, mormorò: “Lo attenderò nella sala d’armi, va bene? Credo sia il posto migliore in cui sperimentare qualche mossa.”

“Ci vedremo lì tra poco e, …Lorainne…” assentì Silver, prima di osservarle critica gli abiti. “… andate a indossare il vostro completo da cavallerizza. E’ meglio.”

“Oh. Sì, giusto. Una gonna a campana non offre molta capacità di movimento. E neppure un corsetto” assentì la ragazza, correndo via e sprizzando gioia da tutti i pori.

Nel richiudere la porta dietro di sé, Silver sorrise nel vedere il marito togliersi i consueti abiti da gentiluomo per indossare qualcosa di più adatto al suo animo di guerriero. E, certamente, più idoneo a ciò che avrebbe fatto di lì a poco.

Le giacche di pelle di daino gli erano sempre state benissimo e, con quel fisico possente e i lunghi capelli neri, avrebbe indotto qualsiasi uomo a cedergli il passo.

E qualsiasi donna a cadere ai suoi piedi, se era per questo.

***

Ma che le era saltato in mente, di chiedere ad Albert di insegnarle a difendersi? Cosa avrebbe pensato, di lei, il marito di Silver, alla fine di quella stramba vacanza?

Sicuramente, si sarebbe fatto un’idea ben strana di lei come persona, e di tutte le sue sorelle più in generale.

Forse, doveva tornare sui suoi passi e…

“Eccoci qui” esordì Silver, bloccando il fiume di rimorsi mentali di Lorainne.

Sospirando, la giovane allora si volse per affrontare la sua stessa caparbietà divenuta persona ma, quando si ritrovò a osservare Albert, ogni pensiero scemò, annullandosi completamente.

Erano davvero poche le volte in cui lei aveva visto il torace nudo di un uomo e, se non si contava quello del padre o di Randolf, la lista diveniva estremamente corta. Cortissima.

Perciò, vedere Albert a torso nudo, abbigliato solo con le sue brache di pelle di daino e i lunghi capelli scuri sparsi sulle spalle ampie, fu un autentico shock, per lei.

La sua pelle bronzea sembrava luccicare sotto i raggi del sole mattutino, che penetravano dalla porta finestra aperta sul giardino consentendogli una visuale più che ottimale dell’uomo.

Nulla, in lui, pareva sottolineare qualche difetto, se non si contavano due ferite biancastre al di sotto delle clavicole, che sembravano essere state fatte di proposito, tanta era la loro simmetria1.

Lo si sarebbe potuto paragonare a una qualsiasi statua di un dio greco, e nessuno avrebbe potuto contraddirla. Era davvero bello come una divinità, una divinità che ora la stava osservando con occhi vagamente confusi.

Subitaneo, un intenso calore le imporporò le gote e, lesta, si coprì il viso con le mani, esalando: “Oh, signore!”

Silver si volse quindi a mezzo per fissare dubbiosa il marito che, scoppiando a ridere dopo alcuni istanti di uguale dubbio, celiò: “Temo che miss Lorainne non sia abituata a una simile vista. L’avevo scordato.”

“Scordato, cosa?” brontolò Silver. “Sei molto bello da guardare.”

Albert fissò con ironia la moglie e replicò: “Dovresti passare più tempo a chiacchierare con Zoe, Janice o una qualsiasi delle donne della villa. Capiresti cosa voglio dire.”

Silver storse la bocca per il fastidio, e borbottò: “Cosa vuoi che mi possano dire, che già non conosco?”

“Conosci il tuo mondocahapi2, ma non il mondo delle donne bianche, o di miss Lorainne che è una lady” sottolineò Albert, prima di aggiungere: “Andrò a mettermi una camiciola. E’ meglio.”

Ciò detto, lasciò le due donne nella sala d’armi e Silver, sinceramente incuriosita dalle parole del marito, domandò alla sua nuova amica: “Davvero vi ha sconvolto così tanto, vederlo?”

Reclinando le mani, mentre il viso tornava a un colore più naturale, Lorainne mormorò: “Probabilmente, se me lo fossi aspettato, forse non avrei reagito così. Di solito, comunque, non sono avvezza a vedere uomini svestiti.”

“Ma avete delle statue di uomini nudi, nelle vostre case!” brontolò confusa Silver, ripensando ad alcune opere presenti a Bradbury House, la villa che Lucius aveva sulla terraferma.

“Ehm… sì, in effetti, è un controsenso in termini” ammise Lorainne, ridacchiando. “Diciamo che non siamo molto coerenti. Inoltre, se mi posso permettere di dirlo, Albert è molto… bello.”

Silver allora sorrise fiera e replicò: “Certo che potete dirlo. Denotate buon gusto.”

“Lieta di saperlo” asserì Lorainne, scoppiando infine a ridere assieme a Silver.

Ben le stava. Aveva cercato di fare qualcosa che non le competeva? Quello era lo scotto da pagare.
 
***

Svegliarsi quasi a mezzogiorno non era affatto da lui! Ma, quando bevevi fino a stordirti, poteva anche capitare.

La sera addietro, Lucius aveva davvero bevuto più del solito, per cancellare dalla sua mente il dolore che aveva visto negli occhi di Lorainne.

Quel mascalzone di Michael Donahey l’aveva fatta soffrire, ingannandola nel modo più becero possibile, e ora lei tentava di rialzare la testa, di riappropriarsi della vecchia Lorainne.

Era insopportabile accettare che qualcuno potesse averla trattata a quel modo e, al tempo stesso, cercare di non farle pesare il suo furore cieco.

Era suo amico, innanzitutto, e non voleva che Lory pensasse a cose che avrebbero potuto turbarla.

Ma era così difficile non pensare a lei come a una donna piacevole e interessante, e che molto volentieri avrebbe voluto al suo fianco ben più che per la durata di quella vacanza!

Passandosi una mano tra i corti capelli, si chiese fuggevolmente dove fossero finiti tutti – nella sala della colazione non aveva trovato nessuno – quando, di colpo, un grido lo raggelò.

Era la voce di Lorainne, e pareva un grido carico di furore, di rabbia cieca e violenta.

Affrettandosi a seguire quel suono così inquietante, Lucius svoltò un angolo in tutta fretta, sperando con tutto il cuore di giungere in tempo per aiutarla.

Un altro grido si levò rabbioso, mettendo le ali ai piedi di Lucius. Finalmente comprendendo da dove fosse provenuto quel grido, si aggrappò alla maniglia della porta della sala d’armi e pregò con tutto se stesso di poterla salvare da qualsiasi cosa la stesse minacciando.

Dopo aver aperto di colpo il battente di quercia, già pronto a snudare i pugni, entrò quasi di corsa nella stanza, temendo il peggio ma trovandosi più che pronto ad affrontarlo.

Ciò che vide all’interno della stanza, però, lo bloccò a metà di un passo, lasciandolo del tutto costernato e privo di parole.

Sbigottito, osservò Lorainne stretta contro il torace di Albert, mentre lui la circondava con le sue forti braccia, apparentemente non lasciandole scampo alcuno.

“Ora lasciatevi andare, Lorainne! Senza attendere oltre!” le ordinò il guerriero, sempre stringendola a sé.

La giovane obbedì e, senza preavviso, si lasciò scivolare lungo il corpo tonico dell’uomo, crollando a terra prima di rotolare abilmente via e ridere poi soddisfatta di se stessa.

Albert le sorrise compiaciuto, asserendo: “Anche una donzella può sfuggire all’agguato di un uomo robusto e più grosso di lei, se usa il suo stesso peso contro l’aggressore. Il peso morto di un corpo sfugge di mano molto facilmente.”

“E’ una cosa incredibile! Non pensavo davvero che potesse succedere!” rise lieta Lorainne, mentre un coro di applausi seguiva la loro esibizione.

Sempre più sconcertato, e non visto ancora da nessuno, Lucius fissò il folto pubblico presente, che spaziava dai coniugi Spencer e figliolo, a Samuel e Sarah, per finire con il colonnello Kerrington.

La vista di quest’ultimo, eccitato al pari degli altri spettatori, lo mandò in bestia e, resa nota finalmente la sua presenza, esclamò: “Ma che diavolo sta succedendo, qui?!”

Tutti sobbalzarono spaventati, a quel ringhio furioso e Lorainne, balzando in piedi come una molla, lo fissò spiacente, esalando: “Cielo! Scusami, Lucius. Ti abbiamo turbato? Ho solo chiesto ad Albert se poteva…”

Interrompendola con un gesto rabbioso del braccio, Lucius fissò il suo attendente e sbottò: “Speravo che avessi più discernimento, amico mio.”

Sinceramente sorpreso, Albert esalò: “Non si è fatta male. Posso assicurartelo.”

“E’ una lady! Non ha bisogno di saper tirare un pugno sul naso a un uomo!” urlò Lucius, prima di notare il disappunto di Lorainne e la sorpresa degli altri presenti a quello spettacolo.

Preferendo non dire altro, già sentendosi un idiota,  Lucius se ne andò com’era venuto e Silver, di ritorno da una missione in cucina, venne quasi travolta dall’amico, che neppure la vide.

Nel rientrare in sala d’armi a passo svelto, dove ora il silenzio regnava sovrano, Silver quindi mormorò spaesata: “Ma che è successo?”

“Temo di avere offeso Lucius” borbottò Lorainne, lo sguardo percorso dall’ira e dal risentimento.

Andrew si levò in piedi, già pronto a intervenire per mettere un freno a quella follia e, guardando la cognata, disse: “Vado a parlargli io. Vedrai che si darà una calmata.”

“Con tutto il dovuto rispetto, Andrew, ma il guaio l’ho provocato involontariamente io, e io vi porrò rimedio” replicò lei, gelandolo con un’occhiataccia prima di uscire di gran carriera dalla sala d’armi.

Sbattendo le palpebre con aria perplessa, Andrew asserì: “Oserei dire che mi ha messo a cuccia. Tu che dici, Jeff?”

“Zia Loly ela tanto allabbiata” annuì con foga il bimbo.

Violet scrutò dubbiosa il marito, e domandò: “Pensi dovrei andare anch’io?”

“Al momento, ti staccherebbe la testa a morsi. Quando fa così, assume in tutto e per tutto il carattere di vostra madre che, ammettiamolo, non è dei più teneri, quando ha la luna storta” ironizzò Andrew tornando a sedersi.

“Oh, lo so bene” sorrise divertita Violet.

Sarah assentì a sua volta, dichiarando: “Lorainne è alta quasi quanto papà, e Maxwell le ha insegnato come usare la sua altezza a proprio favore. Sa bene come stendere un uomo a pugni e, ora che Albert le ha spiegato come sfruttare meglio la sua altezza, non avrà rivali. Vedrete che rimetterà in riga Lucius, e il suo attacco di perbenismo, in men che non si dica. Diamine, siamo nel Nuovo Mondo, non a Londra nel salotto di una matrona incartapecorita!”

Tutti risero di quel commento irrispettoso ma Albert, nell’osservare il contorno della porta e la figura dell’uomo che da lì era fuggito, fu tentato di seguire l’amico per spiegargli le sue motivazioni.

In fondo, glielo doveva.

Silver, però, gli si affiancò e disse a mezza voce: “Lascia che Lorainne gli parli. Deve venire a patti con ciò che prova.”

“Avrei dovuto immaginare che se la sarebbe presa” replicò l’uomo, accigliandosi.

“Se ha paura che la sua bella si spezzi un’unghia, allora non è l’uomo anticonvenzionale che ho conosciuto io, ma una sua pallida imitazione. E non va neppure bene per fare la corte a Lorainne.”

“E’ confuso, cahapi, e la confusione porta all’errore” le rammentò Albert.

Silver sospirò, scosse la testa e infine disse: “Voi uomini fate i gradassi e gli spacconi, ma non siete dissimili da una donna che sospira per amore.”

“Temo sia vero” ammise Albert, sorridendole.
 
***

Che cosa diavolo gli era saltato in mente di urlare a quel modo? E di dire quelle cose, poi! Figurarsi se lui voleva imporsi su una cosa simile e che, oltretutto, trovava assurda!

Le donne avevano tutto il diritto di difendersi – e sapersi difendere – se l’occasione lo necessitava.

Peccato che la donna in questione avrebbe voluto difenderla lui.

“Bravo troglodita che non sei altro” brontolò tra sé Lucius, raggiungendo a grandi passi le scogliere dinanzi alla villa.

Il vento lo accolse con il suo ringhio, schiaffeggiandolo senza pietà, ma lui non se ne curò affatto.

Strinse le mani dietro la schiena, allargò un po’ le gambe per essere più stabile sui piedi e osservò l’oceano gonfiarsi sotto il peso di quel vento impetuoso.

Quelle raffiche violente avrebbero portato tempesta entro breve, a giudicare dalle nubi a sud e, con tutta probabilità, questo avrebbe fatto tardare l’arrivo del legname dai porti della Virginia.

Non che al momento gli interessasse, ma era più forte di lui notare cose del genere.

“Non sei stato tu a dirmi che non ci si deve avvicinare così tanto alle scogliere?” esordì una voce alle sue spalle.

Quel suono fece sobbalzare Lucius per la sorpresa – il vento gli aveva impedito di udire i passi di Lorainne sull’erba – e, nel volgersi verso di lei, mormorò: “Lorainne… che ci fai qui?”

“Volevo vedere come stavi, e se ti eri calmato” scrollò le spalle lei, fissandolo accigliata.

Lui sospirò, si grattò nervosamente una guancia ispida di barba scura e, infine, ammise colpevole: “Ho perso la testa, scusa.”

“Lo abbiamo notato tutti, credimi. E dire che ci conosci” replicò Lorainne, con tono severo.

“Non mi aspettavo di vederti lottare contro Albert… neppure pensavo che si sarebbe prestato, a dire la verità.”

“Ho dovuto insistere” ammise la giovane, stringendo le mani sulle braccia.

Solo in quell’istante, nel notare quel movimento, Lucius si soffermò a osservare il suo abito.

Non era il classico vestito dalle maniche a sbuffo e le gonne ampie e voluminose, così tanto di moda nella classe nobiliare del tempo.

Era un semplice vestito dalle maniche lunghe e senza alcun orpello e la gonna, pur essendo lunga fino alle caviglie com’era d’uso, non aveva le infinite sottogonne che era abituato a vedere.

A causa del vento, infatti, quel semplice abito si disegnava attorno al corpo di Lorainne come una seconda pelle e Lucius, suo malgrado, ne fu tremendamente consapevole.

Lorainne era sempre stata più alta della media e, crescendo, la cosa si era mantenuta fino a farla quasi toccare l’altezza del padre.

Di questo, la ragazza fortunatamente non si era mai lagnata e anzi, aveva sempre trovato divertente notare il disagio dei gentiluomini al suo passaggio.

Quel becero di Michael, inoltre, aveva saputo giocare bene le sue carte e, complice l’infatuazione della ragazza, aveva decantato quella particolarità come una dote più unica che rara.

L’aver saputo del suo tradimento, aveva ferito Lorainne in più di un modo, e anche il suo aspetto era diventato parte della sua depressione, alla fine.

Giungere in America, tentare di risollevarsi e di ritrovare la vecchia Lorainne, era stato un compito che la ragazza si era presa volentieri sulle spalle.

Anche tornare a vedersi con gli occhi di prima, aveva fatto parte del compito che si era prefissata.

Ora, però, di fronte a Lucius e al suo sguardo, si sentì a disagio e, inconsapevolmente, si strinse le braccia al petto come a volersi proteggere dalla sua occhiata penetrante.

Cosa vedeva, quando la guardava? Solo l’amica di famiglia, una ragazza troppo alta, una donna piacevole? Cosa?

“Riesci a combinare qualcosa, nonostante quei metri e metri di stoffa?” le domandò a sorpresa lui, accennando un sorriso contrito.

“Oh” esalò lei, guardandosi curiosa. “Beh, questo abito me lo sono fatto confezionare per andare a cavallo. E’ abbastanza pratico, perché non ha le mille e mille sottogonne che sono solita indossare con gli abiti da ballo.”

“Ho notato. Non è voluminoso” annuì lui, cauto.

“Maxwell mi ha spiegato come fare per usare le mie braccia lunghe…” gli spiegò allora lei, allungandole entrambe perché fosse chiara l’idea. “… e, di sicuro, la cosa potrebbe rivelarsi utile, ma preferisco darmela a gambe, piuttosto che rompere qualche naso.”

Nel dirlo, ammiccò divertita e Lucius assentì.

“Mi sembra un ottimo piano, anche se sapere dove mirare, in caso di necessità, torna sempre utile.”

Lei allora rilasciò le braccia e, tornando seria, domandò: “Perché te la sei presa tanto, quindi? Se fosse stata Sarah, a confrontarsi con Albert, sono sicuro che avresti riso, e messo in guardia il tuo amico dai suoi colpi bassi.”

Contrito, Lucius assentì e, passandosi una mano sul collo dolente – era teso come una corda di violino – mormorò spiacente: “Quando ti ho vista addosso a lui, non ci ho più visto. Scusami.”

“In che senso?” esalò lei, confusa.

Lucius allora rise, si volse per un attimo a osservare l’oceano bianco di onde e replicò: “Lory, davvero vuoi che te lo spieghi?”

Lei sgranò lentamente gli occhi, arrossì e reclinò lesta il viso.

“Oh” disse soltanto Lorainne.

“Ottimo riassunto della situazione, non c’è che dire” disse sarcastico Lucius.

Lory, allora, tornò a sollevare il viso e, puntando due occhi irritati sul volto contratto dell’amico, borbottò: “Scusami, se non so cosa dirti!”

“Neanch’io so cosa dirti, Lorainne! Perché pensi mi stia comportando da emerito idiota, in queste settimane?” sbottò lui, sorprendendola ulteriormente.

“Beh… dimmelo tu. Di sicuro, un po’ strano lo sei, questo lo hanno notato tutti, ma mi piacerebbe capirne i motivi veri.”

Sospirando esasperato, Lucius ammise: “Ti ho sempre visto come la sorellina simpatica e molto carina di Violet ma, quando sei arrivata, ho scorto molto di più, in te, e questo mi ha confuso.”

“Che intendi dire?”

“Magari sapessi spiegartelo” mormorò lui, irritato con se stesso. Stava davvero spifferandole tutto?

A sorpresa, Lorainne lo afferrò alle mani e, sorridendogli comprensiva, disse: “Togliamoci da questo vento, prima che ci porti via. Sta veramente diventando molto forte.”

“Porterà tempesta” predisse lui, offrendole il braccio per tornare alla villa.

“Una parte è già qui, da quel che vedo” sottolineò per contro Lorainne, facendolo ridere.

“Sì, in effetti è così” ammise lui, scortandola verso la vicina serra.

Quando la raggiunsero, Lorainne aprì la porta per entrare e, non appena furono all’interno di quel luogo riparato e caldo, un brivido spontaneo la colse.

“Stavi prendendo freddo… scusami” mormorò Lucius.

“Scusati soltanto se non mi dirai la verità. Ho le idee confuse, al momento” replicò lei, scostandosi da lui per guardarlo in viso.

“Vuoi davvero che io mi esponga su una cosa simile, e che potrebbe rovinarti il resto delle vacanze qui?”

“Negare ciò che senti, sarebbe meglio? Ti farebbe stare male e, se c’è una cosa che non voglio, è proprio questo” scrollò le spalle Lorainne.

Lucius, allora, decise di fare la cosa più insensata di tutte ma che, più di tutte, le avrebbe fatto comprendere ciò che sentiva in quel momento.

Sapeva di stare condannando entrambi, ma non poté evitarlo perché voleva che sapesse, e non voleva vi fossero dubbi in merito.

Senza dire nulla, perciò, calò sulla sua bocca per rubarle un bacio e, stringendole la nuca con una mano per trattenerla, approfondì il tocco sulle sue labbra, rendendolo più sensuale.

Lei ansimò di sorpresa, sgranò gli occhi e si aggrappò a Lucius per non cadere, sopraffatta dalla marea di sensazioni che quel bacio le trasmise.

Fu come essere colpiti dalla scarica di un fulmine, o da un’onda gigantesca, Lorainne non seppe dirlo con certezza.

Quello di cui fu certa fu che, dopo alcuni attimi di sconcerto, le sue braccia risalirono spontanee fino al collo di lui, circondandolo per attirarlo a sé.

Lucius ne fu sorpreso, e questo lo riportò subito alla realtà, facendolo scostare di colpo da lei, che caracollò scompostamente prima di aggrapparsi alle sue spalle, confusa.

“Ma che ti è preso?!” esalò Lorainne.

“A me?! E a te?” gracchiò lui, respirando a fatica.

Ora, il viso di Lory emanava luce come una stella, al pari dei suoi occhi, sgranati e brillanti di un desiderio innocente risvegliato da quel bacio improvvisato.

“Beh, a te piace essere… fisico, nelle cose” mugugnò lei, cercando di non ridere.

Lui aggrottò un poco la fronte, e replicò: “Cos’è? Volevi assecondarmi?”

“Mi è venuto spontaneo” ammise lei, coprendosi la bocca con una mano per nascondere la risata che voleva sfuggirle a tutti i costi.

“Perché, ora, stai cercando di non ridere?” volle sapere a quel punto lui, trovando difficoltoso cercare una logica in tutto quello che era appena successo.

Aveva baciato Lorainne e, non solo lei non era fuggita a gambe levate, ma aveva risposto al bacio spontaneamente.

“Pensavo a una cosa…” ammise lei, strappandolo alle sue elucubrazioni.

“E cioè?”

“Se mamma sapesse che mi sono comportata peggio di Sarah, avrebbe una crisi isterica” asserì Lorainne, scoppiando infine a ridere.

Lucius non poté che imitarla, vista l’assurdità della situazione e, tra una risata e l’altra, le domandò: “Che intendi dire?”

“Sarah mi ha confidato di non aver mai baciato Samuel… sì, insomma, un bacio così…” dichiarò lei, indicando entrambi. “Era così irritata! Avresti dovuto vedere che faccia aveva, mentre mi confidava di aver mal sopportato queste restrizioni da parte di mamma, e della fiera decisione di Samuel di non contravvenirle… e ora, io mi caccio in questo guaio, e…”

A quel punto, l’ilarità di Lorainne divenne leggermente isterica e Lucius, afferrandola per le spalle, mormorò: “Lory, respira… coraggio…”

Lei assentì e, tra lacrime e riso, poggiò il capo contro il torace di Lucius, prendendo grandi boccate d’aria per superare quel momento di panico.

Lui si sentì un idiota per tutto il tempo, e cominciò a studiare mentalmente ciò che avrebbe detto ad Anthony per chiedere la mano di Lorainne.

Perché, dopo una cosa del genere, non poteva lasciare che lei tornasse in Inghilterra senza una prova della sua serietà.

Specialmente, dopo quello che Michael le aveva fatto.

“Volevo baciarti, due anni fa” mormorò dopo qualche minuto Lorainne, sorprendendolo.

Lui la lasciò andare, fissandola confuso e senza parole.

La giovane, allora, nel tornare a sollevare il viso, si asciugò le lacrime e ammise: “Vedevo che, con Sarah e Violet, ti comportavi in maniera differente, così mi convinsi che, per i tuoi standard, io ero troppo timida e che, se avessi fatto una cosa simile, avresti trattato anche me come trattavi loro. Sciocco, vero?”

“Quando venni per il battesimo di Jeffery?” indagò a quel punto lui.

Lei assentì. “Non conoscevo ancora Michael, all’epoca.”

“Ti sentisti esclusa?” volle sapere lui, sentendosi male al solo pensiero.

“Un po’. Eri carino anche con me, ma non era la stessa cosa.”

“Per questo imparasti a tirare di boxe, o sparare con il fucile?” indagò Lucius, non sapendo più cosa aspettarsi da lei.

“Te l’ha detto Violet? Che ho imparato tardi rispetto a Sarah, intendo.”

Lui annuì una sola volta e Lorainne, sbuffando, ammise: “All’epoca, nacque tutto perché volevo far colpo su di te. Mi irritava che tu mi trattassi in modo diverso. Era una sorta di ripicca nei tuoi confronti.”

La notizia lasciò interdetto Lucius, e questo diede alla ragazza la possibilità di proseguire nel suo racconto.

“Chiesi a Maxwell di insegnarmi, visto che lo aveva già fatto con Sarah, e lui si dimostrò molto lieto di spiegarmi come tirare un buon destro. Papà e mamma ne rimasero un po’ scioccati – forse, speravano somigliassi di più a Violet, visto che sono sempre stata molto studiosa – ma permisero a Maxwell di insegnarmi qualche colpo di boxe, dopodiché papà mi insegnò a sparare e Randolf a tirare di scherma. Visto che non potevano fermarmi, tanto valeva che fossero loro, i miei insegnanti.”

Lucius assentì, non arrischiandosi a parlare.

Gesticolando e camminando per la serra, Lorainne aggiunse: “Quello che era nato per farmi notare da te, divenne qualcosa che mi piacque imparare… poi arrivò Michael, e io fui così sciocca da cadere preda delle sue belle parole, e del suo plauso per essermi impegnata tanto per diventare una donna indipendente e moderna. Credetti davvero alle sue parole. Nel frattempo, però, lui rideva di me assieme a lady Corsby, burlandosi dei miei gusti anticonvenzionali, e della mia famiglia che mi aveva permesso di accrescerli senza freni.”

Lucius borbottò un’imprecazione, e lei sorrise nel sentirla.

Era carino che lui se la prendesse per errori che lei aveva commesso, anche se andava detto che Michael non era stato onesto, né cortese, comportandosi a quel modo.

“Lady Corsby ci tenne a dirmelo, prima di scoppiare in lacrime. Evidentemente, lei lo amava come io non avrei mai potuto amarlo.”

“In che senso?” volle sapere Lucius, tendendosi come una corda di violino.

“Le lacrime che versai durante il viaggio per giungere qui, nacquero dalla mia rabbia, dal mio sentirmi una sciocca, non per il fatto che lui fosse morto. Ben poco onorevole da dire, ma è così” scrollò le spalle Lorainne.

“Forse, neppure Violet avrebbe potuto piangere la sua morte in quanto tale, credimi” asserì Lucius, arrischiandosi a carezzarle una guancia con la mano.

Lei arrossì leggermente, ma non rifuggì il tocco e, nel guardarlo con occhi colmi di determinazione, terminò di dire: “Questo ci porta a noi, e a ciò che è successo. Era semplice rivalsa verso di te, la mia, o volevo farmi notare per qualche altro motivo che, allora, non avevo compreso perché troppo inesperta e giovane?”

“Non posso risponderti io” ammise Lucius, pur desiderandolo.

“Voglio porre anche a te la domanda, però; mi trattavi diversamente dalle altre per qualche motivo in particolare? Che non ti stavo antipatica, è ormai assodato” replicò lei, ammiccando. “Anche nelle nostre lettere, non mi è mai parso che ti dessi fastidio, quando andavo oltre la semplice enumerazione degli eventi accaduti alle nostre famiglie. Ma scrivendo è più facile mentire, questo è assodato.”

Lucius rise di fronte a tale discernimento e, annuendo, dichiarò: “No, non mi sei mai stata antipatica. Tutt’altro. Forse, neppure io capivo i motivi di questa cosa, ma ora mi ritrovo invischiato in un evento che avrei preferito evitare.”

“E cioè? Non volevi… baciarmi?” tentennò lei, perdendo un po’ della sua sicurezza.

Lucius, allora, le sfiorò il mento con un dito, le sorrise malizioso e mormorò: “Semmai è il contrario. Il punto è un altro, Lory. Questa non è l’Inghilterra. L’America sta crescendo, dolorosamente e sulle spalle di molti, come hai potuto tu stessa notare.”

Lei assentì seria, pensando a ciò che era successo ad Albert e Silver.

“Affrontare anche solo l’idea di un corteggiamento con te, sarebbe folle per diversi motivi. Primo fra tutti, i tuoi genitori non sono qui, secondariamente, tra un mese e mezzo tu te ne andrai e io, per un altro anno ancora, non ho in previsione di tornare in madre patria. Da ultimo, non ti obbligherei mai a scegliere tra me e la tua famiglia.”

Sbattendo le palpebre in preda al totale sconcerto, Lorainne esalò: “Quindi, vuoi dirmi che mi lascerai così, con il dubbio nel cuore, perché ti vuoi comportare da compito damerino?! Tu? E proprio con me?!”

Lucius si passò una mano sul viso, sentendosi prossimo a una crisi di nervi.

Le sue argomentazioni erano ineccepibili. Quando mai lui aveva guardato all’etichetta come, invece, stava tentando di fare ora?

Era sempre stato visto da tutti come un impulsivo, come un nobiluomo dai modi spicci e pratici, niente affatto interessato al Ton.

Anche per questo, aveva desiderato affrontare l’avventura americana – scoprendo, per altro, che il Ton era tenuto in grandissima considerazione, nei salotti buoni di Washington.

Molte cose lo avevano deluso, ivi compreso il trattamento subito da uomini di colore e nativi americani, ma altre lo avevano convinto di aver fatto la scelta giusta.

Nel bene e nel male, la sua vita sarebbe proseguita lì.

Era il posto adatto a lui, ma non voleva che Lorainne fosse costretta a sobbarcarsi una simile avventura, e solo perché sentiva di volerla al suo fianco.

“Cerca di capire, Lorainne…”

Lei si accigliò, lo allontanò con il cenno di una mano e replicò: “Non hai ancora capito bene chi sono, vero? Ma te lo farò comprendere. E, per allora, avrai bene in chiaro che non mi si può liquidare così, senza spiegazioni valide.”

“Non ti sto liquidando, Lorainne… sto cercando di fare il tuo bene” sottolineò lui, non comprendendo appieno cosa non fosse andato per il verso giusto, in quella discussione.

“E il mio bene vorrebbe dire che non posso scoprire se, quello che ho provato baciandoti, potrebbe essere ciò che voglio da un uomo?” sibilò la giovane, puntando i pugni sui fianchi sottili. “O ciò che tu vuoi da me?”

D’accordo, quell’affermazione non se la sarebbe mai aspettata e, per alcuni secondi, Lucius desiderò poter lanciare tutto alle ortiche e tornare a baciarla.

Il suo senso dell’onore, però, glielo impedì e, sospirando, Lucius mormorò: “E’… chiaro che proviamo una certa attrazione reciproca, ma tu sei reduce da una profonda delusione amorosa, e non hai bisogno di me che ti complico la vita.”

“Idiota” si limitò a dire Lorainne, sorprendendolo.

“Come, prego?”

“Sei tornato a trattarmi come un pezzo di porcellana finissima, neanche mi dovessi rompere al primo sguardo… cosa che non è!”

“Per quanto la cosa possa darti fastidio, Lory, sei di fatto una lady, e una lady deve seguire certe regole, se vuole intraprendere una relazione amorosa con qualcuno…”

Era davvero lui, a parlare, a declamare regole e comportamenti del Ton?

Lorainne, infatti, lo guardò schifata e, senza dire null’altro, se ne andò verso l’uscita della serra.

Giunta alla porta, però, si volse a mezzo, lo fissò battagliera e dichiarò: “Capirai ben presto con chi hai a che fare.”

Ciò detto, se ne andò sbattendo la porta alle sue spalle e Lucius, ritrovatosi da solo, e con l’unica compagnia delle piante, esalò: “Ma che diavolo è successo?”

 
 

 
 
 (1) Le cicatrici che Lorainne vede sulla parte alta del torace di Albert sono il residuo della Danza del Sole (WIWANYAG WACHIPI). E' il rito della sacra danza del sole, nel pensiero e nella “filosofia” dei nativi, tutto ha aspetto sferico, circolare: tutto si muove seguendo il “naturale movimento del sole e con esso quello della terra e degli astri”. Anche il luogo dove si svolge la Danza del sole è circolare, costruito con pali in legno tali da formare un perfetto cerchio. Esattamente al centro del cerchio viene scavata una grande buca che rappresenta nostra madre, la terra. All’interno di questa buca verrà successivamente disposto il “Wakachan” cioè il sacro albero di pioppo che rappresenta l’elemento maschile, l’antenna che invierà nell’universo ed al “Grande padre” le nostre sofferenze e le nostre suppliche. Ogni danzatore lega la sua “corda” ai rami alti del pioppo, che rappresenta il cordone ombelicale che un tempo ci legava a nostra madre. Le incisioni che il leader spirituale esegue su ogni danzatore, esattamente all’altezza dei muscoli pettorali, tagliando da una parte all’altra la carne e facendovi scorrere due schegge o in osso o in legno provocano il dolore fisico, accentuato dalla corda che viene fissata a queste schegge. Ogni danzatore con movimenti di tensione cercherà di lacerarsi la carne, liberandosi dalla corda e dalle schegge con enorme dolore fisico. Tale sofferenza è simile a quella che nostra madre un giorno provò per darci il più grande dono: LA VITA.


(2) cahapi: zucchero (lingua lakota)



Note: 
a quanto pare, anche Lorainne è interessata a Lucius, e la cosa sembra avere radici più lontane di quanto non si potesse in un primo momento pensare. Questo sconvolge Lucius e lo porta anche a chiedersi se, a sua volta, il modo più distaccato con cui l'ha sempre trattato, non dipendesse da qualcosa a cui non aveva mai saputo dare un nome ma che, oggi, gli ha fatto fare la figura dell'idiota.
La sua decisione di essere stoico, però, non pare piacere a Lorainne che, in pratica, lo minaccia di fargli capire chi veramente ella sia. Cosa pensate possa avere in mente, la nostra Lory?

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
9.
 
 
 
 
“Tutto bene?”

Quella domanda giunse a sorpresa, cogliendo Lucius in fallo e, levando lo sguardo, Bradbury sorrise a mezzo nello scorgere Andrew sulla soglia della serra.

Il vento non aveva cessato di soffiare, portando con sé l’odore salmastro dell’oceano e il rombo delle onde che, con violenza, si abbattevano contro la scogliera.

“Ehi, amico… spero di non aver spaventato Jeff, con la mia piazzata” borbottò Lucius, sentendosi a metà tra un idiota e un …beh, sì, solo un idiota totale. Non vedeva altri scenari possibili, per se stesso, in quel momento.

“Per la verità, al momento sta giocano con Albert… e credo che il tuo attendente stia perdendo ignominiosamente la guerra” ridacchiò Andrew, avvicinandosi all’amico.

Allargando il suo sorriso e sentendosi una briciola meno stupido, Lucius asserì più tranquillo: “Credo che Albert sia stato un padre bravissimo, con il suo primo figlio ma purtroppo, dopo quello che è successo a Silver …”

Annuendo, Andrew mormorò seriamente: “E’ molto probabile che neppure io e Lettie potremo avere altri figli. Dopo l’aborto, il dottore ci ha sconsigliato di riprovarci, perché sarebbe rischioso per la sua vita.”

“Mi spiace molto” esalò sorpreso Lucius.

Scrollando impercettibilmente le spalle, Andrew chiosò: “L’importante è che Jeff sia in salute, e che Violet l’abbia presa bene. Inoltre, tra i figli di Lizzie e quelli che, in futuro, avrà Sophie, il nome degli Spencer non rischia di perdersi. E se proprio lo vorremo, adotteremo un bambino… o una bambina, chissà.”

“Hai ragione” annuì Lucius.

“Lory ti ha trovato? Non l’ho più vista, da quando è venuta a cercarti” si informò infine Andrew, guardandosi intorno curioso.

“Sì, mi ha trovato, ma credo che la situazione si sia ulteriormente complicata” sospirò Lucius, scuotendo il capo con aria esasperata.

“In che senso?”

“Posso sperare nella tua indulgenza?” gli domandò per contro Lucius, mettendolo subito in allarme.

“Spiegati bene, o quello che hai visto fare ad Albert come allenamento, sarà niente, in confronto a ciò che farò io a te per davvero” lo mise in guardia Andrew, accigliandosi.

“Mi scoccia dover mentire, e la situazione è davvero troppo strana per menare il can per l’aia. Per farla breve, ci siamo baciati… e sottolineo il plurale, perché io potrò essere stato impulsivo e irrispettoso, ma lei ha risposto al bacio” precisò Lucius, mentre Andrew si oscurava in viso come una tempesta.

“D’accordo… va avanti. Visto che non si trova qui, dove l’hai spedita?” borbottò Andrew, maledicendo mentalmente se stesso per aver accettato l’incarico affidatogli da Anthony.

Ma che gli era saltato in mente di accettare il compito di fare da protettore per Lorainne e Sarah? Ci sarebbe voluto un esercito, per tenere fuori dai guai quelle due, a questo punto!

“Abbiamo litigato, perché volevo… beh, volevo comportarmi da gentiluomo e impedirle di invischiarsi in una storia che, entro breve, sarebbe finita.”

“Come? Tu?” esalò Andrew, confuso.

Lucius si lasciò sfuggire un’imprecazione e borbottò: “Ma per chi mi avete preso, tutti quanti? Solo perché sono solito fare le cose un po’ sopra le righe, non vuol dire che io sia un mascalzone!”

Andrew, allora, si ritrovò a ridere nonostante l’assurdità della situazione e, scuotendo il capo, esalò: “Oh, cielo… non crediamo certo questo, amico. Ma, di solito, non sei uno che bada troppo all’etichetta anche se va detto che, con Lory, ti sei sempre comportato così.”

“Già, e lo ha notato anche lei, a suo tempo e, proprio per questo, ha deciso di porvi rimedio, imparando a essere più mascolina perché io mi accorgessi della sua presenza” sbuffò Lucius, chiedendosi quando fosse iniziato davvero quello strano balletto tra loro due.

 “Questa è bella… è per questo che chiese a Maxwell di insegnarle a boxare?” esalò sorpreso Andrew.

“Pare di sì. Sembra che fosse convinta che, se fosse rassomigliata più a Sarah, io avrei cambiato atteggiamento. E pare anche che quel Michael abbia usato questo suo desiderio di essere più spigliata ed energica per farla infatuare di lui” borbottò Lucius, sentendosi fremere al solo pensarci.

“Non so bene come andò, la volta in cui si incontrarono ma, da quel che mi disse Anthony, Lorainne sembrava ammaliata da quel tipo. Forse, cercava qualcuno che la vedesse con occhi diversi. O che la vedesse per quel che era, non saprei.”

“E io le ho fatto credere che non mi interessasse come persona quando, a quanto sembra, mi interessava eccome, visto che la trattavo come… come una bambola di porcellana, mi ha detto” sbuffò nervoso Lucius, passandosi una mano tra i capelli.

“Che intendi fare, dunque? Devo chiederti che intenzioni hai, con lei.”

Lucius rise irritato, e asserì: “Le ho detto che non l’avrei mai inguaiata con la mia vita. L’America è un luogo difficile in cui vivere e, anche se potesse piacerle l’idea di vivere con me, sarebbe comunque lontana migliaia di miglia da casa sua, dalla famiglia, dai suoi affetti più cari. Non potrei davvero obbligarla a una simile scelta.”

“Così l’hai rifiutata prima ancora che qualcosa potesse iniziare” ipotizzò Andrew.

“Ti sembra un pensiero tanto orribile? Penso al suo bene, dopotutto!” protestò Lucius, tornando a irritarsi.

“Lei cos’ha detto?”

“Mi ha dato dell’idiota, e poi mi ha lanciato una velata minaccia, sul fatto che non ho ancora capito con chi ho a che fare” si lagnò Lucius, cominciando a preoccuparsi.

Andrew, a quel punto, si passò le mani sul viso, esasperato, e borbottò: “Non so davvero come faccia a dormire, Anthony, la notte, con tre figlie a cui pensare.”

“Va detto che una è sposata con te, e l’altra sta per maritarsi.”

“Già, con quello scapestrato di Samuel. Pur se va detto che, negli ultimi anni, è molto maturato – anche grazie alla stessa Sarah – il dubbio rimane” ammise Andrew, sospirando.

“Poi arrivo io, all’altro capo dell’oceano, e combino un guaio” aggiunse infine Lucius.

“Oh, non darei tutta la colpa a te, visto che mi hai detto che, la signorina in questione, sembrava già interessata a te fin da prima di questo viaggio” sbuffò Andrew, facendo spallucce.

“Che facciamo, quindi?” domandò allora Lucius, preoccupato.

“Io chiuderei a chiave la porta della tua stanza, se già non lo fai” ironizzò Andrew a quel punto.

“Pensi… mi deflorerebbe?” esalò Lucius, prima di esplodere in una grossa risata assieme all’amico.

“Benedette donne! Ci faranno ammattire, di questo passo” scosse il capo il giovane Spencer, dando una pacca sulla spalla a Lucius.
 
***

Come si permetteva di pensare anche per lei? Specialmente dopo quanto aveva saputo di Michael, poi!

Non voleva un uomo che cercasse di manipolarla e, anche se Lucius lo stava realmente facendo per il suo bene - e non era come Michael che voleva solo concupirla - il fatto rimaneva.

Volevano dirle cosa pensare! Tutti!

Furiosa come poche altre volte, Lorainne si inerpicò su per le scale con il chiaro intento di meditare su un piano d’attacco quando, a sorpresa, incrociò Silver.

“Oh, giusto voi. Seguitemi!” le ordinò perentoria, facendole sorgere un sorriso divertito in viso.

“Cos’è successo, Mni Itaka? Devo spiegare al mio capo come si deve comportare un uomo con una donna?”

“Quasi” borbottò Lorainne, infilandosi in camera propria per poi chiudersi all’interno con l’amica.

Nel notare quanto fosse nervosa, Silver tornò subito seria e, invitatala a sedersi sul bordo del letto, le disse: “Prendete un bel respiro, poi ditemi cos’è successo.”

Lei fece come consigliatole e, poco per volta, ogni cosa venne a galla.

Sulle prime, Silver desiderò prendere Lucius per la collottola e metterlo di fronte al dolore della ragazza ma, ricordando le parole del marito, storse la bocca e ammise: “Non so molto dei vostri modi di fare. Non saprei davvero cosa consigliarvi.”

“Oh, Silver, mi basta anche solo averne parlato con qualcuno” le sorrise Lorainne, afferrandole una mano per consolarla. “Non me la sento ancora di parlarne a Violet o a Sarah.”

“Io non basto, però. Venite con me” replicò Silver, afferrandola a una mano per condurla con sé.

Sorpresa da quel gesto, Lorainne la lasciò fare e, nel discendere le scale, Silver la condusse nelle cucine dove, in quel momento, Justine si stava preparando un tè in compagnia di Janice.

“Oh, miss Lorainne… buongiorno! Avete bisogno di qualcosa?” esalò la cameriera, riponendo in fretta la sua tazza.

“Continuate pure, non temete” le sorrise la giovane, mentre Silver domandava alla cameriera dove fosse la aiuto cuoca.

“Zoe? Penso sia nell’orto per recuperare delle verdure per cena, perché?”

“Cercala. Lorainne ha bisogno del vostro consiglio, visto che io non mi intendo di queste cose” brontolò Silver, sorprendendola un poco.

“Ehm… un consiglio? A una lady? E cos’è che tu non sapresti, scusa, Silver?”

“Di faccende di cuore per donne bianche” sottolineò burbera Silver.

Janice sbatté le palpebre al pari di Lorainne, sorpresa da quell’uscita ma, prima ancora di dire alcunché, la rubiconda Zoe fece la sua comparsa, esalando: “Beh, ma che succede qui? Fate una riunione segreta senza di me? Miss Lorainne… avete bisogno di qualcosa?”

“Di un consiglio” disse subito Silver, afferrando la cesta di verdure dell’aiuto cuoca per riporla alla svelta. “Ascoltala, e aiutala. Io non saprei come fare, ma tu sì, visto che hai un marito e due figli.”

Anche Zoe la fissò con autentica sorpresa, mentre Justine e Janice scrollavano le spalle con aria confusa.

Sorridendo divertita di fronte a quella situazione paradossale, Lorainne domandò a Silver: “Sbaglio, o è la prima volta che chiedete loro un consiglio?”

Silver si limitò ad annuire, giocherellando con alcuni ciuffi di insalata mentre Janice, sorridendo comprensiva alla donna, asserì: “Vedete, miss, Silver è così brava in tutto ciò che fa, che non ha bisogno dei nostri consigli. Sa più cose lei, di noi tre messe assieme.”

“Non è vero, a quanto sembra” protestò debolmente Silver.

Zoe, allora, si avvicinò alla donna lakota, le diede una poderosa pacca sulla spalla e, piantando le manone sui fianchi, asserì: “Ebbene, dov’è il problema? C’è qualcosa che non conosci. Vorrei ben vedere che non fosse così! Non siamo Dio, no? O quella cosa mistica in cui credi tu. Chi per essa, comunque. E’ giusto chiedere aiuto, ragazza e, grazie al cielo, lo hai fatto!”

Silver la fissò a occhi sgranati, non sapendo bene cosa dire e Zoe, addolcendo lo sguardo, aggiunse: “Siamo state in ansia per te per anni, vedendo quanto il passato ti stesse logorando. Ci dispiaceva non sapere come aiutarti.”

“Ma… perché? Non sono nulla, per voi” esalò confusa Silver. “Sono… voi siete donne bianche, e io…”

Siamo donne. Punto” brontolò Zoe, mentre Janice e Justine assentivano. “Abbiamo seguito lord Bradbury dall’Inghilterra perché credevamo nel suo sogno e nei suoi ideali e, tra i suoi ideali, c’è anche l’umiltà di ammettere che le persone sono uguali davanti a Dio. Tutte le persone, anche quelle che sembrano diverse ai nostri occhi.”

“Lord Bradbury e il colonnello Kerrington non si sarebbero spesi tanto per voi, se non lo avessero sentito doveroso, non ti pare, Silver? E noi la pensavamo – e la pensiamo – come loro. Perciò, se hai bisogno di noi, ci siamo” aggiunse Janice, più timidamente.

Silver, allora, reclinò contrita il capo e Lorainne, sorridendo, le si avvicinò per stringerla in un abbraccio e mormorare: “Potete essere lontana da dove siete nata, ma siete in una famiglia che vi vuole bene. E questo è il miglior modo per sentirsi a casa.”

La donna lakota assentì contro la sua spalla ma, dopo alcuni secondi di gradevole abbraccio, sospinse via dolcemente Lorainne e borbottò: “Non sono io che ho bisogno di aiuto, ma voi!”

“Oh, beh, a voler essere onesti, in effetti…” ammiccò Lorainne, e le donne presenti scoppiarono in una risata che sapeva di liberazione, di leggerezza e di complicità.

Fu così che Lorainne spiegò alle domestiche di Lucius e di ciò che, a grandi linee, era avvenuto.

Mentre Silver annuiva più volte, Zoe, Justine e Janice borbottavano commenti tra loro, il più delle volte denigrando l’intelligenza maschile.

Alla fine del racconto, scuotendo rassegnata il capo, Zoe asserì caustica: “Certi uomini sanno essere estremamente tardi, quando vogliono. Non pensavo che anche lord Bradbury appartenesse a questa categoria. L’ho sempre considerato un uomo così sveglio!”

“Va detto che milord non ha mai avuto interessi femminili così… profondi” sottolineò Janice, ridacchiando.

Lorainne la guardò incuriosita e quest’ultima, arrossendo un poco, asserì: “Beh, lord Bradbury è un uomo forte e affascinante, e le donne lo hanno sempre seguito con interesse, soprattutto qui in America, dove il suo essere un lord inglese incuriosiva molte gallinelle delle classi agiate. Scusate la villania, ma sembravano davvero galline appresso a un gallo, quando lo vedevano.”

“Non fa una piega” assentì Lory con un risolino, immaginandosi Lucius inseguito da frotte di donne imbellettate e dai vestiti sgargianti. La sola idea la fece ridere di gusto.

“Comunque sia, non ha mai dato molta corda a nessuna di loro e, anche se ha avuto qualche storiella, non è mai stato nulla di serio. Da quando siete arrivata voi invece, miss, si comporta in modo strano… e beve più del solito” aggiunse Justine, sorridendo furba.

“Oh… davvero?” esalò sorpresa Lorainne.

“Mentre riordinavo, ho trovato la sua bottiglia di whisky completamente vuota, e so bene – per averla portata nuova solo pochi giorni addietro – che lord Bradbury non ha ricevuto nessuno, nello studio, a parte vostra sorella, lady Violet” mormorò Justine, con fare da cospiratrice.

“Vuol dire qualcosa? Non ho mai fatto caso a quanto Lucius beva di solito” borbottò Silver.
“Oh, milord è morigerato nel bere, perché dice che annebbia la mente, cosa che non va bene per gli affari” sottolineò Zoe.

“Ergo…” mormorò Lorainne, e le altre donne la fissarono con eguali sorrisi maliziosi.

“Cosa avevate in mente, miss Lorainne?” le domandò Zoe, intrecciando le braccia sotto i seni prosperosi.

“Non lo so davvero ma, se il fidanzamento serve a due persone per capire se possono passare una vita insieme senza ammazzarsi…” brontolò Lorainne, caparbia. “… io voglio concedermi questa possibilità. Mi è sempre interessato Lucius ma, gioco forza, la sua lontananza ha minato le mie possibilità di conoscerlo meglio. Ora che sono qui, e ho scoperto che… beh, che…”

A quel punto, arrossì copiosamente e le tre domestiche risero divertite, mentre Silver borbottava: “Ma perché voi inglesi vi imbarazzate per un semplice bacio?”

“Assurdità nell’educazione delle bambine” mormorò con un risolino Lorainne, cercando di riprendere il controllo. “Comunque… so di volerci provare, perché non voglio più lasciare nulla di intentato, o di lasciarmi guidare da false piste come ho fatto in passato. Sarò io a tracciare la mia via, stavolta, e non lascerò che siano gli altri a farlo.”

“Ben detto, miss!” assentì Janice, battendo le mani allegra.

“Quindi, vi presenterete in camera sua e lo legherete al letto?” propose Silver, sollevando lo sconcerto e l’imbarazzo di tutte.

“Silver! Vi prego!” esalò Lorainne, tornando a divenire rossa come un peperone maturo.

“Altra regola inglese? Le donne non prendono l’iniziativa?” brontolò Silver, disgustata.

“Ehm, no. Di solito, no. Assolutamente no e, comunque, non si presentano nelle stanze di uomo, se non sono sposate con loro” sottolineò Lorainne, facendosi aria con una mano per il gran caldo.

Il solo pensiero di comportarsi in maniera così impudente, le fece uno strano effetto. Sentì il corpo andarle in fiamme, mentre la mente galoppava in mille direzioni diverse, mostrandole scenari sempre differenti, uno più inappropriato dell’altro.

“E date a noi dei selvaggi?” sbuffò Silver, scuotendo il capo con aria confusa.

“Nessuno è perfetto” chiosò Janice, facendo spallucce.

“Lo vedo” mugugnò la donna lakota, pur sorridendo.

“Dobbiamo pensare a qualcosa che non metta a rischio la credibilità di miss Lorainne ma, nel contempo, che permetta a lord Bradbury di chiarirsi le idee… o sturarsi le orecchie, dipende” decretò a quel punto Zoe, facendole ridere tutte.

La riscossa di Lorainne aveva avuto appena inizio.
 
***

La cena fu stranamente tranquilla, e Lorainne si comportò come se nulla fosse successo.

Andrew in particolare la tenne d’occhio per cogliere qualche variazione nel suo comportamento, ma il viso ermetico e sorridente della cognata non gli trasmise alcunché, il che lo mise in allarme.

Non poteva assolutamente fidarsi di una Phillips, quando faceva quella faccia angelica. Violet insegnava.

Aveva ancora i brividi di panico, quando ripensava alla notte in cui, sola soletta, era scappata dal palazzo dei Chadwick per andare a perorare la loro causa a casa di amici.

Prima che si lasciassero per la notte, non le aveva dato affatto l’idea di voler compiere un gesto così folle, perciò non poteva fidarsi del volto tranquillo e sereno di Lorainne.

Era troppo rischioso, visto quando la ragazza si fosse già spinta al di fuori del seminato, con quel bacio.

Lo stesso Lucius, comunque, si era aspettato una rappresaglia di qualche tipo, perciò rimase in qualche modo sorpreso da un comportamento così pacifico e solare.

Che si fosse sognato del tutto la sua furia? Che avesse sopravvalutato quel bacio, o le minacce di Lorainne? Era davvero così perso dietro a quella ragazza, da non notare la differenza tra realtà e speranza?

Quando però, lasciata la sala da pranzo, si portarono nella sala della musica, Lucius cominciò a subodorare qualcosa.

Lorainne chiese a Silver di poterla sentire suonare il suo tamburo ed ella, a sorpresa, accettò senza battere ciglio. Già di per sé, questo fu un evento degno di nota, visto che neppure Lucius l’aveva mai suonato – né sentito suonare, per altro.

Nel momento stesso in cui Lorainne la accompagnò con il violino irlandese, però, capì che le due si erano parlate, e si erano coalizzate contro di lui.

Il brano che stavano suonando con tanta armonia – pur se non si erano mai esibite assieme – era un’antica ballata scozzese che parlava di guerra e di vendetta.

Lucius non poteva sbagliarsi, perché era una delle sue ballate preferite e, in qualche modo, non solo Silver ne aveva imparato la musicalità, ma Lory la conosceva a sua volta. Molto bene, tra le altre cose.

Quando il brano ebbe termine, e tutti si congratularono con la coppia di musiciste, soltanto Lucius ebbe qualche remora a esporsi in un applauso.

Fu parco di parole e, quand’anche Albert si unì al resto del gruppo per udire la musica, Lucius non si sentì rincuorato dalla sua presenza.

Sembrava che tutti, persino la villa, si fossero messi contro di lui per aver ferito l’amor proprio di Lorainne.

Anche se poteva essere solo la sua impressione – o il suo rimorso – a fargli provare simili sensazioni, il fatto rimaneva. Si sentiva assediato.

Fu quasi con piacere, quindi, che accolse il desiderio degli ospiti di ritirarsi per la notte e, memore delle parole di Andrew, Lucius si barricò nella sua stanza, prima di dire tra sé: “E’ il colmo. Mi sto nascondendo da una donna. In casa mia.

“Sì, è abbastanza sciocco, in effetti” esordì una voce femminile, raggelandolo.

Irrigidendosi come un bastone non appena riconobbe quel timbro vocale, Lucius indietreggiò verso la porta e, afferrata la chiave, la girò nella toppa e uscì in tutta fretta, scappando via a gambe levate.

Ma era mai possibile?!

Lorainne, allora, uscì dal suo nascondiglio dietro le tende e sbuffò, dicendo: “Diamine, ma volevo solo parlare!”

Non potendo fare altro, Lorainne si diresse dove le avevano suggerito le sue nuove compagne di lotta, certa che Lucius non avrebbe avuto scampo. Quando un gruppo di donne si coalizzavano, gli uomini non potevano che cedere il passo.
 
***

Quando diavolo l’aveva persa di vista? E perché Lorainne si era fatta così audace e intraprendente?  Era stata Silver a dirle di farlo?

Già sul punto di catapultarsi verso le stanze dei suoi amici per dirne quattro alla donna che un tempo aveva salvato, Lucius ci ripensò e dirottò i suoi passi verso lo studio, deciso a dormire lì.

Avrebbe litigato con Silver il giorno seguente, quando la sua mente fosse stata più riposata e pronta per la battaglia.

Quel che non si aspettò di trovare fu Justine, intenta a sistemare lo studio nonostante l’ora tarda.

Quando la vide all’interno, impegnata con stracci e cera d’api, si scusò per l’interruzione e defilò lesto, chiedendosi come mai la domestica si fosse portata fino a quell’ora tarda per quel lavoro.

Lo capì non appena tentò di raggiungere una delle camere vuote per gli ospiti.

La trovò chiusa.

Così come la seguente in cui provò a entrare.

Fu a quel punto che il dubbio lo prese e iniziò a pensare che, non solo Silver sapeva, ma tutte le domestiche donne di quella casa conoscevano il suo dubbio segreto… e si erano coalizzate con Lorainne.

Per fare cosa, ancora non lo sapeva, ma cominciava ad avere un po’ paura, in effetti.

Quasi deciso a rivolgersi a Kerrington per chiedergli di poter essere ospitato nella sua stanza, Lucius ci ripensò all’ultimo istante, defilando verso l’esterno della casa.

Non poteva chiedere un aiuto al proprio rivale in amore.

Anche se, a onore del vero, la reazione di Lorainne al suo bacio gli aveva dato ben più di una risposta in merito al suo interesse per lui e, durante la loro discussione, il nome di Lawrence non era mai balenato.

Questo, però, non lo aiutava a rasserenarsi circa le intenzioni della ragazza che stava facendo a fettine il suo cuore.

Uscito che fu dalla villa, il temporale lo colse in tutta la sua violenza e, non potendo far altro che rifugiarsi nella serra – unico luogo pulito e caldo oltre a casa sua – si diresse in quell’angolo lussureggiante e piacevole.

L’altra alternativa sarebbe stato tornare in casa e vagare per i salotti, ma aveva il dubbio che fossero stati tutti sapientemente chiusi dalla servitù.

Gli rimaneva la stalla, come estrema ratio ma, in tutta onestà, non si sarebbe mai risolto a dormire in mezzo al fieno per colpa di Lorainne.

Preferiva le piante.

Il caldo umido di quel luogo lo colpì non appena fu entrato e, quando si affrettò a chiudersi la porta alle spalle, il gelo del temporale notturno andò a sparire immediatamente.

Nello scrollarsi di dosso le gocce di pioggia che gli avevano bagnato i capelli, Lucius si bloccò a metà di un passo quando vide Lorainne, in fondo alla serra, seduta al tavolino da giardino.

Era avvoltolata in un mantello pesante e, dinanzi a sé, sul tavolo di metallo, si trovavano una coppia di tazze da tè e una teiera panciuta in porcellana.

“Perché non sei nel tuo letto a dormire? E perché la mia servitù ha cospirato contro di me?” brontolò lui, avvicinandosi cauto.

Sperò soltanto che Silver non fosse nascosta lì dentro, pronta a saltargli addosso per legarlo come un salame.

Quello sì che sarebbe stato umiliante.

“Tra donne ci si intende” si limitò a dire Lorainne, versandogli del tè. “E tutte eravamo concordi nel pensare che avresti preferito le piante, ai cavalli.”

“Siete infide” borbottò l’uomo, sedendosi dinanzi a lei.

Lory si servì a sua volta e, dopo aver preso in mano la tazza, ne sorseggiò il contenuto fumante prima di dire: “Dobbiamo parlare.”

“Ti stai mettendo in seri guai… anche se non ci sono nobili a ficcare il naso. Basterebbero i tuoi parenti più stretti, a decretare la fine del tuo buon nome e, vorrei farti notare, si trovano tutti a pochi metri da qui” sottolineò lui, imitandola con atteggiamento sempre più cauto.

Il tè era leggermente corretto con del whisky, notò subito Lucius.

Per darsi coraggio? O darne a lui? Non seppe dirlo.

“Francamente, al momento mi interessa soltanto capire perché mi tratti come una bambolina senza nerbo. Non sono così delicata e, anche se tu lo facessi per un tuo insensato senso di protezione, ti pregherei di smetterla subito.”

Lucius prese un gran respiro, si impose tutta la calma possibile e replicò: “Non pensavo che essere educati e gentiluomini, fosse uno spregio.”

“Sì, quando si finisce col tenere lontana una donna interessata a conoscerti a fondo.”

Le ultime parole lo fecero rabbrividire, e non di paura.

Fu il desiderio a scuotere le sue membra, a fargli stringere le mani a pugno, poggiate sulle cosce contratte dal nervosismo.

“Non sai quello che stai dicendo… e dirò due paroline a Silver, domattina, su ciò che una lady non deve sapere” protestò debolmente Lucius.

“Tu non dirai niente a Silver, perché lei non c’entra nulla con questa cosa. Sono io che ho desiderato parlarti in privato e, se non fossi scappato dalla camera – cosa che, peraltro, abbiamo immaginato tutte – avrei solo parlato con te. Null’altro” asserì a sua volta Lorainne, fissandolo con sguardo adamantino.

Sospirando, Lucius disse per contro: “Lory, ma perché trovi così insopportabile il fatto che io voglia trattarti come la lady quale sei? Preferiresti davvero che fossi come un qualsiasi altro uomo, che si prende ciò che vuole e poi lascia a terra i resti?”

Lei arrossì di fronte a tanta chiarezza d’intenti, ma preferì la verità nuda e cruda ai belletti di corte e alle smancerie affettate cui era abituata.

Era stanca delle falsità, voleva soltanto l’onestà.

“Non dico questo. Vorrei soltanto il Lucius che è andato a testa alta da suo padre, proponendogli un’impresa all’apparenza folle, e forte soltanto del suo entusiasmo e dei suoi progetti. Vorrei soltanto il Lucius che ha apprezzato le idee di un’amica, infischiandosene del fatto che fosse una donna. Vorrei il Lucius che ha riso delle sciocchezze di Sarah, senza giudicarla maleducata o non in linea con il Ton” ammise Lorainne, terminando il suo tè prima di servirsene altro.

“Non mi perdonerai mai per aver avuto paura di comportarmi così anche con te?” gli domandò a quel punto lui.

“Solo se mi dirai perché. Pensavi che avrei avuto da ridire? Che non fossi in grado di sopportare le tue battute? O le tue strette di mano vigorose? I tuoi abbracci? Violet è più delicata di me, eppure tu non hai mai avuto remore ad abbracciarla.”

“Non ho mai tremato, toccandola” ammise alla fine lui, sorprendendola.

“Come?” esalò Lorainne, sgranando gli occhi.

“E’ difficile, per un uomo, ammettere che, al solo toccare una donna – o una ragazzina, come in effetti eri tu all'epoca del nostro primo incontro – il suo corpo perde il controllo. Avevo pensato fosse solo semplice pulsione maschile. Dopotutto, eri - e sei - bellissima” mormorò lui, sorridendole sghembo.

Lei arrossì, a quelle parole, ma non reclinò il viso, ben decisa ad affrontare ciò che lui aveva da offrirle.

Era questo che voleva, il vero Lucius. Niente di meno. Avrebbe stabilito in seguito se era anche ciò che il suo cuore voleva.

“… ma c’era dell’altro, evidentemente, perché è giunto con me fino a oggi...” proseguì Lucius. “Capii di essere nei guai fino al collo, quando Andrew mi fece notare come non ti avessi tolto gli occhi di dosso per tutta la sera, il giorno in cui arrivaste qui. E fu peggio quando ti sentii suonare. Sei sempre stata in grado di toccare corde che nessun’altra donna ha mai neppure sfiorato. Solo, mi sono cocciutamente convinto a nascondermi questa verità, perché all'epoca avevo altri progetti per la mente. Progetti in cui una donna non rientrava.”

“Ma quasi non ci conosciamo, dopotutto.”

“Perché eri interessata a me?” le ritorse contro lui, a quel punto.

“Mi piace il modo in cui parli, in cui ti poni con le persone” ammise Lorainne senza remore. “Forse, anche per questo amo stare in compagnia di lord Chadwick, perché avete lo stesso modo di pensare. Quando Michael si presentò a me in modo molto scanzonato, facendomi divertire, mi attirò subito. Non capii che era tutta una tattica, la sua, forse ideata proprio perché la mia amicizia con lord Chadwick era più che evidente.”

“Cosa vuoi dire?”

“Vedi, tu fai sembrare le cose meravigliose, anche se stai parlando di una gomena, o un sestante. Tutto ti appassiona, dai un valore enorme a ogni cosa, anche la più piccola. Questo mi piace molto, perché a mia volta sono… sono così” mormorò lei, gesticolando nervosamente. “Sono interessata a conoscere il mondo, le cose che mi circondano, ciò che viene gelosamente tenuto nascosto a noi donne. Sono un’inguaribile curiosona. Tuo cugino Maxwell è un grande amico, per me, e mi ha capita subito, spingendomi a tirare fuori ciò che avevo dentro. Parliamo molto, io e lui, sai? Anche di te. Fu lui a spingermi a scriverti la prima lettera, in effetti.”

Lucius sorrise, riconoscendosi pienamente in quella descrizione, e apprezzando il fatto che Maxwell le fosse diventato amico. Se c’era una persona che ammirava, era lui.

La curiosità era la molla che lo aveva sempre spinto avanti, in ogni sua azione, ed era bello sapere che anche lei apprezzava cose simili. Un po’ meno bello lo fu scoprire che Michael aveva approfittato di questa sua caratteristica per irretirla.

Alla fine, comunque, il problema rimaneva e, anzi, era peggiorato proprio dal fatto che loro si somigliavano molto.

Ora, sarebbe stato ancor più difficile allontanarla da sé perché tornasse alla sua vita, forse più monotona, ma infinitamente più sicura.

Reclinando il viso, la mente persa nei ricordi, Lory ammise: “Michael mi avvicinò una sera, poco dopo la tua partenza per tornare in America. Ero già stata presentata a lui da amici comuni, quindi non mi scandalizzò che lui si approcciasse a me per parlarmi. Mi chiese di accompagnarlo nella sala da bigliardo, dov’era in corso una partita, e lì mi spiegò come funzionavano le regole, e se mi sarebbe piaciuto imparare. Colse ovviamente subito il mio interesse e, di lì a poco, pendevo dalle sue labbra come una sciocca.”

“Eri affamata di sapere… e di un uomo che condividesse con te tali conoscenze” mormorò Lucius, assentendo suo malgrado.

“Va anche detto che Michael era un bell’uomo, e ci sapeva fare con le ragazze ingenue” sorrise mesta Lorainne, schernendosi.

“Si è approfittato della tua gioia di vivere e del tuo buon cuore, perciò scusami se non ne apprezzerò le doti” borbottò Lucius, scuotendo il capo.

“Sia come sia, sono caduta nella sua trappola come, temo, vi siano cadute altre giovani al pari mio. Non posso esserne certa, ma è un dubbio che mi arrovella da tempo” asserì Lory, ombrosa in viso.

“Hai solo desiderato che un uomo ti vedesse come tu volevi essere vista” replicò Lucius, cominciando a capire la portata del suo errore, e i danni che aveva causato.

Era stato strano, al loro primo incontro, farle il baciamano e perdersi un attimo più del dovuto a scrutare in quegli occhi grigi come le ali di colomba.

Aveva visto altre belle ragazze, ma lei lo aveva colpito e, proprio per questo, si era tirato indietro, ora lo capiva più che bene.

A quel tempo, il suo lavoro e il progetto di fondare una filiale americana per la ditta del padre, erano state le sue priorità. Non aveva avuto tempo per l’amore, o per i sollazzi dei salotti buoni di Londra.

Per lui, avevano contato solo i viaggi di lavoro, gli incontri con mercanti e produttori e la tanta, tantissima contabilità cui far fronte.

Non era stato facile, e a volte aveva desiderato gettare tutto al vento per tornare dal padre, ma aveva tenuto duro, aveva portato avanti il suo sogno.

Ma a che prezzo, gli venne da chiedersi a quel punto?

Aveva messo da parte quell’interesse, quella scintilla scattata tra di loro, lasciando che rimanesse in un angolo della sua mente, sopita ma non spenta del tutto, a ribollire in attesa di esplodere.

Aveva altresì rischiato di rovinare una ragazza che apprezzava moltissimo, e solo perché non aveva avuto il coraggio di fare un passo nella direzione che, ora, il suo cuore desiderava intraprendere a qualsiasi costo.

Continuava comunque a pensare che volerla per sé, conoscerla a fondo come desiderava, fosse un puro atto di egoismo.

Avere dinanzi a sé una Lorainne così determinata a fargli cambiare idea, però, gli rendeva quel compito assai difficile, per non dire impossibile.

Avrebbe resistito a quel mondo così diverso? Non le sarebbe mancata la famiglia?

E lui, era così egoista da strapparla ai suoi affetti per tenerla al suo fianco per sempre?

Quando la giovane si levò dalla sedia per avvicinarsi a lui, Lucius seppe di non avere altra scelta se non quella di cedere.

L’alternativa sarebbe stata quella di gettarsi dalle scogliere per rifuggire quella sirena ammaliatrice, ma non era così caparbio da farlo.

Lei gli sorrise, gli carezzò il viso con dita esitanti e, dopo aver afferrato una sua mano, lo costrinse ad alzarsi.

Lucius non poté che accontentarla.

Come dire di no a quegli occhi color del cielo prima di una tempesta, che rifuggivano un’unica tonalità per passare dall’azzurro, al grigio, all’argento?

Lorainne non disse nulla, si limitò a stringergli il viso tra le mani e, con una timidezza che strinse il cuore di Lucius, lo baciò.

Fu un bacio casto, solo uno sfiorarsi di labbra, nulla a che vedere con il bacio che si erano scambiati solo alcune ore prima.

Quel tocco leggero, però, mandò al tappeto Lucius che, dopo alcuni secondi di sconvolta consapevolezza, si scostò da lei per abbracciarla.

La tenne stretta a sé, mentre il temporale scemava per avviarsi feroce verso la costa.

Anche il vento si calmò, così come il cuore dell’uomo che teneva stretta a sé la donna che voleva nella sua vita per sempre.

“Sei così giovane…” mormorò lui tra i suoi capelli.

“Ho quasi vent’anni… sono praticamente uno scandalo, per mio padre” ironizzò Lorainne, socchiudendo gli occhi nell’ascoltare il battito del cuore di Lucius.

Lui ridacchiò a quel commento e, nello scostarla gentilmente da sé, asserì: “Domani parlerò con Andrew, va bene? Almeno questo, voglio farlo come si deve.”

“Cosa gli dirai?”

“Che intendo farti la corte come dovrebbe fare un gentiluomo anche se, a onor del vero, quel bacio non avrebbe dovuto esserci… va un tantino contro le regole.”

Lei rise sommessamente, coprendosi la bocca con aria birichina.

“E’ ironico sentirti parlare di regole.”

“Sì, lo so… ma concedimi un po’ di margine, Lory. Non ti terrò più lontana, promesso, e ti mostrerò il mio mondo perché tu possa capire se può andarti bene. Solo allora, prenderai una decisione.”

“Io? Non mio padre?”

“Con tutto il rispetto, ma mi interessa solo la tua opinione, non la sua” ironizzò lui, sorridendole nel sistemarle un ricciolo dietro l’orecchio. “Anche se è ovvio che dovrò chiedere a lui… se tu mi vorrai.

Il viso di Lorainne si colorò di divertimento. “Mi piace l’idea di avere tutto questo potere.”

“Lo immaginavo. Ma ora tornatene a letto, prima che questo incontro notturno si trasformi in un matrimonio riparatore” la minacciò ironicamente lui, sospingendola via.

Ridendo, Lory si allontanò di qualche passo prima di volgersi verso di lui, tornare seria e dire: “Domani, non ti sognare di andare al cantiere senza di me.”

“Te l’ho promesso, ricordi?”

Lei assentì e, con un ultimo sorriso, si dileguò dalla serra, lasciandolo solo.

Fu unicamente a quel punto che Lucius crollò sulla sedia, si passò le mani sul viso e, terrorizzato, esalò: “Anthony mi ammazzerà. E anche Andrew, se è per questo.”








N.d.A.:Direi che i giochi sono ormai in tavola, e i giocatori sembrano più agguerriti che mai. Lucius sta cominciando a mettere insieme i pezzi dei ricordi che ha di Lorainne, e riscopre finalmente dentro di sé i sentimenti di un tempo che aveva sopito, troppo preso dai suoi personali progetti per poter badare a quella piccola fiammella nata al loro primo incontro.
Ora, però, questa fiammella sta tornando a divampare, con la Lorainne adulta che non ha nessuna intenzione di essere messa in secondo piano, e con Lucius che non è più disposto a mettere se stesso e i suoi sentimenti in secondo piano.
Andrew che dirà, a questo punto?

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


10.
 
 
 
 … spesso è difficile ammettere di aver bisogno di qualcuno al proprio fianco, ma aver avuto amici fidati e persone a cui affidare anche la mia vita, mi ha insegnato molto sull’umiltà e sul sacrificio…

Lucius sorrise nel rileggere alcuni passaggi di una delle ultime lettere inviategli da Lorainne e, nell’osservare la distesa di pergamene sul proprio letto, scosse il capo.

Come aveva fatto a essere così sciocco da accorgersene solo ora?

In quelle lettere, fin da quando era iniziata la loro corrispondenza, sia lui che Lorainne avevano espresso molto più di qualche parere o battuta in merito alle loro vite.

Certo, c’erano stati anche discorsi faceti e leggeri, ma nelle parole scritte tra di loro era scorso molto più che sano umorismo e interesse per le reciproche vite.

Avevano entrambi riversato loro stessi, in quei fogli pergamenati, e senza neppure rendersene conto. O forse, Lorainne aveva tentato di comunicargli qualcosa ma lui, scioccamente, si era reso conto del messaggio solo ritrovandosela innanzi.

Lucius le aveva raccontato cose di sé che, forse, neppure i suoi genitori o i suoi amici conoscevano, e lo aveva fatto con naturalezza, consapevole – o forse no – che lei lo avrebbe capito. Apprezzato.

No, avrebbe dovuto dare retta al suo primo istinto, tanti anni addietro, quando i suoi occhi erano rimasti incatenati a quelli di Lorainne, e la sua mano aveva indugiato in quella della giovane, restia ad allontanarsi.

Avrebbe dovuto infischiarsene dei suoi progetti, e forse avrebbero potuto essere felici fin da allora.

Ma l’avresti odiata per averti impedito di compiere il tuo sogno, gli fece notare una vocetta perfida nella mente.

Forse era vero anche questo e, con tutta probabilità, lei non avrebbe avuto la possibilità di esprimersi e brillare, di crescere con i suoi tempi e modi. Di diventare consapevole di se stessa, pur soffrendo nel farlo.

“Dopotutto, doveva andare così, anche se mi sembra di aver perso un sacco di tempo, con lei” mormorò tra sé Lucius, levandosi dal suo letto per uscire dalla camera.

Era tempo di parlare con Andrew, di non indugiare più. Lo aveva fatto a sufficienza, ed era giusto che concedesse a Lorainne tutto lo spazio che meritava.

Di buon’ora, quindi, prima di avventurarsi verso la sala della colazione, Lucius si presentò dinanzi alla camera di Andrew e Violet e, dopo aver bussato, attese una loro risposta.

Non aveva dormito granché, quella notte – una cosa che preferiva non far diventare un’abitudine – ma preferiva affrontare subito il problema, e senza pubblico.

Soprattutto, senza Kerrington a guardarlo con aria di sfida.

Era quasi certo che, non appena avesse saputo della cosa, si sarebbe lanciato nella medesima richiesta, perciò preferiva agire d’anticipo.

Quando, perciò, Andrew venne ad aprire, ancora in maniche di camicia e vagamente sorpreso, Lucius disse immediatamente: “Andrew, scusa l’orario, ma ho urgente bisogno di parlare con te.”

Nel notare la serietà - e una lieve punta di panico - nello sguardo dell’amico, Andrew si scusò con moglie e figlio e, dopo essere uscito dalla stanza, intrecciò le braccia e domandò: “Cos’è che non può aspettare fino a dopo la colazione?”

“Si tratta di Lorainne.”

Accigliandosi leggermente, Andrew assentì cauto e Lucius, dopo aver deglutito un paio di volte, asserì: “So che non è esattamente lecito ciò che sto per chiederti ma, visto che fai le veci di suo padre, qui, non so a chi altro chiederlo se non a te.”

“Lory me la pagherà cara…” brontolò nel frattempo Andrew.

Lucius sorrise appena, a quel brontolio, ma aggiunse: “Desidero chiederti formalmente di poterla frequentare.”

“Vi state già frequentando. Siamo qui” sottolineò un po’ ingenuamente Andrew, prima di spalancare leggermente gli occhi e borbottare: “Oh. Quel frequentare.”

“Esattamente. E già vedo una vena sulla tua tempia che sta pulsando frenetica” cercò di ironizzare Lucius, allontanandosi di un passo.

“Se hai fatto qualcosa per metterla nei guai…” cominciò a minacciarlo Andrew, digrignando i denti.

“Peggio del bacio?”

Sbuffando, Andrew si passò una mano tra i capelli e, annuendo, borbottò: “Già… avrei dovuto chiederti degno fio anche solo per quello. C’è altro che devo sapere? Dimmi di no, per favore.”

Lucius scosse il capo, preferendo non accennare all’incontro del tutto sconveniente della sera precedente e, scrollando le spalle, domandò: “Allora? Che mi dici?”

“Anthony chiederà la testa di entrambi, già lo so, ma non voglio che Lory punti ai miei attributi prima che suo padre cerchi il mio collo. E so già che lo farà, se non le permetterò di frequentarti. Avrei dovuto capire qualcosa già prima della partenza, ma sono un po’ tardo, su certe cose.”

“Che intendi dire?”

“E’ stata felicissima di partire, quando Violet glielo ha chiesto” sottolineò malizioso Andrew.

“Beh, poteva anche solo essere per il viaggio in sé.”

“Si è entusiasmata solo quando le abbiamo detto che saremmo venuti qui” aggiunse Andrew, dandogli una pacca sulla spalla. “Ergo, la signorina provava già qualcosa per te, a quanto pare.”

Lucius fu sul punto di assentire al suo dire, confermandoglielo grazie alle parole della stessa Lorainne, ma questo avrebbe voluto dire ammettere quel loro incontro segreto.

Preferendo evitare scenate, perciò, prese per buona quella notizia e disse soltanto: “E’ probabile che, dopo colazione, il colonnello ti chiederà la stessa cosa, … così sarai preparato.”

“E perché mai dovrebbe, scusa?” domandò sorpreso Andrew, fissandolo confuso. “Si sposerà l’anno venturo.”

“Come?” gracchiò Lucius, del tutto preso alla sprovvista.

Scoppiando in una risatina divertita e piena di scherno, Andrew asserì: “Qualcuno è stato punzecchiato perché agisse, a quanto pare.”

“Ho idea di sì” brontolò Lucius, allontanandosi con uno stentato saluto per andare a dirne quattro all’amico.

Perché si era comportato a quel modo, facendogli credere di essere interessato a Lorainne, quando era già fidanzato?
 
***

“… davvero non capisco perché non vai a parlargli, ragazza. Mio cugino non morde mica, sai?” brontolò Maxwell, fissando storto una imbarazzata Lorainne.

“Naturalmente, Maxwell, non ho mai pensato che Lucius mordesse. Ma ora sta parlando così amabilmente con mia sorella, che non voglio disturbarlo. Entro un mese tornerà in America, e ha così poco tempo da passare con i suoi amici” replicò la giovane, sorridendo appena.

“Perché? Tu non sei sua amica?” le ritorse contro l’uomo, grattandosi una guancia.

“Certo, ma non quanto Violet o Sarah. Temo di non essergli molto simpatica.”

“Solo perché non lo instupidisci di chiacchiere su sestanti e gomene come fa Violet, o non lo rincretinisci con una parlantina sciolta come fa Sarah, non vuol dire che tu gli stia antipatica” precisò Maxwell, bonario. “Lucius è abituato all’informalità, tesorino. Fai ciò che senti e basta.”

“Dici che io sono troppo educata?”

Maxwell rise di gusto e, dandole una pacca sulla spalla che, per poco, non tolse il fiato alla giovane, asserì: “La tua Violet porta questo scettro con leggiadria ma, di certo, neppure tu scherzi. Perché ti freni tanto, ragazza? Lo vedo che i tuoi occhi sono incuriositi da tutto quello che ti circonda. Diversamente, non andremmo tanto d’accordo, ragazza.”

“Assomigliare a Violet mi sembra un buon modo di crescere…” sottolineò Lorainne, accigliandosi appena. “… ma è anche vero che andiamo d’accordo, io e te.”

“Niente da dire su entrambe le cose… ma non saresti tu, se crescessi come Violet” precisò Maxwell, tornando seria. “Sarah si fa beffe del Ton non perché è irrispettosa, ma perché segue se stessa. Violet è così educata e generosa perché il suo cuore le dice così, non perché sono le convenzioni a obbligarla. E tu, mia cara?”

“Non lo so” ammise Lorainne, sbuffando leggermente.

“Hai appena quindici anni. Hai tutto il tempo di farti una tua idea di come vuoi essere, visto che tuo padre non mi sembra molto propenso a lasciarti andare” le strizzò l’occhio l’uomo, facendola ridere sommessamente.

“Né io di abbandonarlo” sottolineò lei.

“Molto bene, cara. Visto che ora non te la senti di parlare con Lucius…” dichiarò Maxwell, notando divertito il rossore sulle gote di Lorainne. “… che ne dici se parlo con tuo padre perché io ti insegni qualcosa di utile?”

“E cioè?” si informò Lory, più che mai curiosa.

“Fare a pugni, ragazza” ghignò Maxwell, sorprendendola a tal punto da farle sgranare gli occhi per la sorpresa. “Sarebbe ora anche per te, non ti pare?”

“Oh, beh… ecco…”

“Ho visto come guardavi tua sorella Sarah mentre tentava maldestramente di imparare. E’ troppo bassa perché sia efficace nei colpi, ma tu hai leve buone, e potrei insegnarti a difenderti, se lo desideri. Trovo davvero assurdo che alle donne non venga insegnato, visto che i manigoldi sono a ogni angolo di strada” brontolò Maxwell, scuotendo la testa con aria disgustata.

Lorainne sorrise calorosamente a quel gigante buono che era il suocero di Elizabeth e, nel prenderlo sottobraccio, asserì: “Mi piacerebbe molto imparare e, se conosco mio padre, non dirà di no. Alla fine.

“Lo instupidirai con il tuo sorriso, ragazza” asserì ghignante Maxwell, scortandola da Anthony.

Fu a questo punto che il sogno divenne nebuloso e Lorainne, con uno sbadiglio, si risvegliò serena e riposata nel suo letto, a Liberty House.

Un sorriso tranquillo aleggiava sul suo viso e, quando vide il sole scivolare tra le imposte socchiuse, già pregustò la galoppata fino al cantiere in compagnia di Lucius.

Maxwell aveva avuto ragione da vendere.

Cercare di identificarsi con Violet era stato un errore che le aveva fatto perdere un sacco di tempo.

Lei era lei, e non doveva cercare di diventare qualcun altro.

La sua mente era come una spugna e, qualsiasi cosa le fosse posta innanzi, lei l’avrebbe assorbita con piacere.

Trovava interessante praticamente qualsiasi argomento e, pur se prediligeva la musica e l’equitazione, non disdegnava nulla che potesse essere imparato.

Non appena Violet aveva scoperto questa sua dote, si era prestata ben volentieri a insegnarle ciò che sapeva di nautica.

Certo, non era esperta come la sorella maggiore, ma poteva essere soddisfatta del grado di conoscenza cui era arrivata.

Sarah, invece, l’aveva bellamente presa in giro, dicendole come lei stessa, a dodici anni, aveva fatto l’errore di copiare Violet, ma che era rinsavita in tempo per crescere come voleva.

Nello scendere da letto per stiracchiarsi, rise di quel ricordo.

Sarah era argento vivo e dubitava seriamente che, pur con tutto l’impegno del mondo, avrebbe mai potuto diventare come Violet.

Quanto a lei, aveva fatto i suoi passi falsi, si era incapricciata di un uomo che aveva colto i suoi punti deboli per sfruttarli a proprio vantaggio ma, alla fine, era rinsavita a sua volta.

In tempo per diventare come voleva lei?

Lorainne pensava di sì e, dopo ciò che aveva fatto la scorsa notte, poteva dire di aver battuto in esuberanza la stessa Sarah.

Aiutata da Josephine, la cameriera sua e di Sarah, nell’indossare il suo abito da cavallerizza e a sistemare i capelli, Lorainne uscì dalla sua stanza per scendere dabbasso.

Fu lì che, praticamente, venne travolta da Lucius che, afferratala alle spalle per impedirle di cadere, compì un mezzo giro prima di bloccarsi, fissarla sorpreso e dire: “Oh, cielo! Scusami, Lory! Ti ho letteralmente travolto.”

Ancora piuttosto frastornata, la ragazza si portò una mano al petto per chetare il cuore in tumulto e, nello scrutare il viso turbato di Lucius, sorrise immediatamente.

“Tutto bene, davvero. Solo, non pensavo di mancarti tanto” ironizzò lei, facendolo scoppiare a ridere.

Scostandosi da lei per paura che qualcuno potesse vederli in atteggiamenti troppo intimi, Lucius replicò: “Sei davvero discola, a parlarmi a questo modo, sai?”

“Ho avuto un consigliere d’eccezione, che mi disse di essere più me stessa e meno qualcun altro. E io ho ben pochi peli sulla lingua, anche se sono più educata di Sarah nell’esporre il mio pensiero” asserì Lorainne, sfoggiando un sorriso birichino.

“Mi reputo avvisato, visto che era una cosa che non sapevo… ma che mi piace molto” sottolineò lui, chinandosi per un baciamano elegante e, al tempo stesso, ironico.

“A parte tutto, dove stavi andando così di corsa? La colazione non si fredda di sicuro” gli domandò lei, accodandosi a lui quando riprese il cammino.

“Oh, stavo soltanto andando a strigliare Lawrence.”

Sbattendo confusa le palpebre, Lorainne esalò: “Ma il colonnello non è un cavallo. Perché mai dovrebbe subire un simile scorno?”

“Perché mi ha mentito, facendomi credere che fosse interessato a te per… per…” brontolò lui, prima di perdere il senso della frase. Si sentiva un po’ stupido, ad ammetterlo.

Lorainne, allora, rise sommessamente e asserì: “Il colonnello Kerrington interessato a me? Ma se è fidanzato!”

“A quanto pare, ero l’unico a non saperlo” sbuffò Lucius, fissandola bieco quando lei continuò a ridere.

“Forse, conosceva i suoi polli, come ama dire mia madre” celiò Lorainne, dandogli una pacca sul braccio.

“Molto spiritosa… mi annoterò anche questo.”

“So essere spiritosissima. Anche con me stessa, non temere. E ora, voglio proprio sentire cosa gli dirai” dichiarò lei, tutta giuliva.

“Non ti perderai neppure un istante della mia figura da fesso?”

“Neppure un attimo. Io ho già fatto la mia parte, fidandomi di Michael… è carino scoprire che non sono l’unica a farsi prendere in giro dagli altri.”

Pur notando il suo tono scherzoso, Lucius perse del tutto qualsiasi voglia di ridere e, nel bloccarsi un momento in corridoio, le disse: “Non pensare mai che sia tua la colpa, Lorainne, perché non lo è. Lui aveva il dovere di trattarti con onore.”

“Ma io sono dotata di cervello, Lucius e, con lui, non l’ho usato soltanto perché mi diceva cose carine e che volevo sentirmi dire. Un po’ di colpa è anche mia, e non mi nasconderò dietro a un dito per negarlo” replicò altrettanto seriamente Lory.

Lucius si guardò intorno per un istante prima di mormorare: “Al diavolo…”

L’attimo dopo, afferrò Lorainne alla vita, la attirò a sé e le divorò la bocca in un bacio che, di per sé, l’avrebbe condannata per l’eternità, se qualcuno li avesse visti.

Ma se ne infischiò altamente.

La sua serietà, la sua maturità nell’ammettere i propri errori, l’ironia con cui ne parlava… erano tutte parti di Lorainne che lui adorava.

Era una donna passionale, come aveva scoperto sulla sua pelle, e accettava le sfide anche quando sembravano assurde.

Non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, e sapeva rialzarsi con orgoglio anche dopo una caduta rovinosa.

Lorainne aveva riversato questo e altro, nelle lettere che si erano scritti negli anni, raccontandogli poco alla volta di sé, visto che l’oceano e il tempo avevano cospirato contro di loro.

Solo a questo modo aveva potuto colmare il vuoto che li aveva tenuti separati in tutto quel tempo e, senza accorgersene, lui aveva fatto lo stesso, attratto da quelle parole, da quella donna nascosta in quei fogli di pergamena.

Una a una, ogni parola, ogni battuta, ogni suo commento gli tornarono alla mente, legando in un’unica tela i ricordi di lei, la sua bellezza, i suoi sorrisi timidi, alla sua mente, quella che le lettere avevano messo in luce più dei loro rari incontri.

Sì, il loro incrocio di sguardi lo aveva colpito e sì, si era sentito attratto da quegli occhi capaci di divorarlo, di attirarlo verso un luogo in cui non era pronto ad andare, ma la sua mente… quella lo aveva legato a lei più di mille parole.

Quelle lettere lo avevano stregato poco alla volta e, quando Lorainne gli era apparsa maturata, più donna che fanciulla, dopo anni di separazione, le parole avevano preso forma e si erano unita a colei che le aveva generate.

Per questo, non era più stato in grado di scrollarsi di dosso la sensazione di volerla.

Per questo, Lorainne gli era entrata dentro al pari di un uragano che colpisce la costa con virulenza.

Poco alla volta, lo aveva già fatto con quelle mille e mille lettere, senza muover un solo dito, senza battere ciglio, ma mostrandogli com’era realmente, senza filtri.

La amava, non poteva più negarlo. Non era semplice attrazione, o l’affetto profondo provato per un’amica.

No, era molto di più, e cercò di riversare tutti quei sentimenti in quel bacio.

Bacio che lasciò Lorainne senza fiato, le mani aggrappate al bavero della giacca di Lucius per sorreggersi dopo quell’attacco proditorio.

Bacio che le fece quasi esplodere il cuore dalla gioia, al pensiero di aver fatto perdere il controllo all’uomo che aveva imparato ad amare.

Bacio che la portò a scostarsi alla ricerca d’aria, ma desiderosa più che mai di riprenderlo non appena si fosse salvata dall’asfissia.

Ancora aggrappata a lui, poggiò il capo reclinato contro il suo petto e gorgogliò: “Questo sì che è un buongiorno con i fiocchi.”

“Lo speravo… e ora, ammirami mentre faccio la figura dell’idiota” decretò lui, offrendole il braccio mentre lei scoppiava irrimediabilmente a ridere.

Avrebbe dovuto stare molto attento, d’ora innanzi, nel dare dei baci a Lorainne.

Non era sicuro che sarebbe sopravvissuto, se avesse perdurato nell’infrangere le regole. Ma quanto gli piaceva farlo!
 
***

Seguiti dal calesse che conduceva Andrew, e che accompagnava Violet, Jeffery e Samuel al cantiere – Sarah era rimasta alla villa per un mal di testa debilitante – Lorainne galoppava serena al fianco di Lucius e del colonnello.

Albert li aveva preceduti meno di mezz’ora addietro e, quando infine raggiunsero la darsena del porto, lo videro impegnato in una discussione serrata con un uomo di colore.

Mentre Andrew fermava il calesse nei pressi della casamatta, il trio di cavalieri si avventurò nei pressi di Albert che, udendoli, si volse per salutarli.

L’uomo di colore, levatosi il cappello, salutò i nuovi venuti prima di allontanarsi per tornare al lavoro e Albert, rivoltosi a Lucius, disse ombroso: “E’ successo un fatto alquanto strano, ieri notte.”

Scivolando da sella con un movimento elegante, Lucius disse: “Dimmi tutto.”

Albert lo pregò quindi di seguirlo perciò Lucius, scusandosi con gli amici e con Lorainne, affiancò l’amico e, nel contempo, si domandò cosa fosse successo al cantiere.

Fu solo quando arrivarono nei pressi di uno dei magazzini, che la sua confusione crebbe.

Dubbioso, Lucius osservò l’ammasso di sartiame parzialmente bruciato che aveva innanzi, residuo di quello che sembrava essere stato un goffo tentativo di incendio doloso.

La porta del magazzino era stata forzata con un piede di porco o qualcosa di simile, a giudicare dai resti del lucchetto spezzato che ancora giaceva a terra.

Poco lontano, diverse orme nel fango avevano reso evidente la presenza di almeno due persone, nei pressi del magazzino, chiaramente dedite a qualcosa di losco.

La pioggia della notte precedente aveva inzuppato il terreno, creando così le condizioni perché, intorno al capanno, rimanessero ben chiare le tracce di eventuali presenze umane.

Poiché era iniziato a piovere solo dopo l’orario di lavoro, smettendo intorno a mezzanotte, Lucius era certo che quelle tracce non fossero state lasciate dagli operai durante i loro lavori al cantiere.

Nei giorni di bel tempo, il terreno era così compatto che, neppure volendo, sarebbe rimasta traccia alcuna del passaggio di qualcuno.

Nel chiedere anche a mastro Wilkins, che si occupava degli operai alloggiati in loco, aveva ricevuto conferma della presenza in ostello di tutti i dipendenti.

Ovviamente, era possibile che qualcuno fosse sgattaiolato fuori dopo la mezzanotte, ma Lucius ne dubitava fortemente.

Wilkins era il portiere notturno dell’ostello, e suo compito era proprio controllare che non entrasse nessuna persona sospetta, o non vi fossero movimenti strani all’interno della costruzione a due piani ove dimoravano gli operai.

Era una garanzia di sicurezza per i dipendenti, così come per la ditta stessa. Chi era stato, quindi? E perché proprio il sartiame?

“Chi ha cercato di appiccare il fuoco, evidentemente non sapeva che le sartie, con l’umidità della pioggia, non prendono fuoco molto bene” mormorò pensieroso Albert, guardandosi intorno con aria meditabonda.

“Ma chi può essere stato? Su questo lato della baia abitiamo solo noi e gli operai, mentre i pescatori di Tremont sono distanti dal cantiere diverse miglia, e dubito fortemente che avrebbero motivi per danneggiarci. Visto che consento loro di venire al cantiere per sistemare le loro barche, dubito che qualcuno possa accampare lamentele nei miei confronti” sottolineò Lucius, assai confuso.

“Dando per scontato che non sia venuto nessuno da Bass Harbor, o da qualche altro luogo dell’isola” precisò però Albert, accigliandosi.

“Nessuno affronterebbe le acque della baia, durante la notte. Le rocce affioranti e i fondali bassi farebbero rinunciare anche il barcaiolo più esperto” asserì ombroso Lucius, annuendo lentamente. “Ciò non toglie che, a cavallo, qualsiasi luogo dell’isola può essere raggiunto in meno di un giorno, se si sa cavalcare bene.”

“Quel che mi chiedo è il perché. Ci sono merci dal valore ben più importante, da far bruciare, se proprio questo piromane voleva causarti un danno” dichiarò a quel punto Albert, gesticolando debolmente per dare enfasi al suo dire.

“Lo so, ed è proprio questo che mi lascia perplesso, perché…” iniziò col dire Lucius, venendo però bruscamente interrotto dall’entrata in scena del colonnello Kerrington.

Trafelato e pallido in viso, l’uomo spalancò la porta del magazzino e, ansioso, urlò: “Lucius, la villa! C’è del fumo che proviene dal promontorio!”

Subito, Lucius e Albert si catapultarono fuori per controllare, stentando a credere alle parole dell’amico. Quando, però, scorsero nel cielo a oriente una lunga linea nera sospinta verso l’alto, non ebbero più dubbi.

Di corsa, quindi, tornarono verso i loro cavalli mentre Andrew, con Jeffery tra le braccia, era già pronto sul calessino per partire alla volta della villa.

Lucius, però, indirizzò all’amico un’occhiata raggelante e gli ordinò: “Non muovere il calesse da qui. Voi rimarrete al sicuro nel cantiere.”

“Non se ne parla neanche!” sbottarono all’unisono Andrew, Samuel, Lorainne e Violet.

“Non ho tempo di discutere con voi!” replicò teso Lucius. “Voglio sapervi al sicuro, perciò rimarrete qui. Tutti!”

Nel lanciare un’occhiata a Lorainne in particolare, sottolineò con enfasi l’ultima parola prima di volgere lo sguardo su Andrew e Samuel, ancora palesemente alterati.

Con un sospiro, Lucius proseguì con tono più calmo, aggiungendo: “Ci accompagneranno alcuni operai, ma voi ve ne starete qui.”

Ciò detto, Lucius urlò alcuni nomi a gran voce, afferrò le redini del suo cavallo e, dopo aver controllato che gli uomini fossero saliti su uno dei carri per il trasporto del legname, si diresse al galoppo verso il promontorio.

Andrew si lasciò andare a un lungo sospiro irritato mentre Samuel, ben più nervoso, scese dal calesse per camminare su e giù con passo irritato e fremente.

Violet fu lesta a raggiungerlo e, con parole accorate, tentò di calmare sia le ansie del giovane per la futura moglie, che le proprie per la sorella.

Pur essendo in ansia per Sarah e i membri della servitù, erano altresì ospiti di Lucius e nessuno di loro voleva disobbedire a un suo ordine. Per quanto la cosa fosse difficile da digerire.

Furiosa per essere stata lasciata indietro, e ben decisa a non seguire l’esempio degli altri, Lorainne si guardò intorno in preda alla rabbia e, dopo alcuni istanti, borbottò: “Entro nella casamatta. Ho bisogno di starmene un po’ per conto mio… o potrei mettermi a insultare qualcuno.”

L’attimo seguente, sotto gli occhi spiacenti di tutti, raccolse un poco le gonne da cavallerizza e si diresse verso gli uffici, aprendo la porta con ferocia per poi chiudersela alle spalle violentemente.

“La capisco. Non mi piace per niente rimanermene qui mentre Sarah è laggiù, forse in pericolo di vita” sbottò Samuel, scrutando bramoso i due cavalli legati al calesse dai finimenti di cuoio.

“Stai calmo, Samuel. Anche quanto, non potremmo fare la differenza, e lo sai bene. Visto che Lucius ci vuole qui, faremo ciò che ci ha chiesto” cercò di chetarlo Violet, pur se a sua volta era in ansia per la sorella.

Andrew, però, scese dal calesse, depositò Jeffery sul sedile del mezzo e disse: “Lucius potrà dire quel che vuole, ma non mi faccio dare ordini da quando avevo i calzoncini corti. Sam, mi dai una mano?”

“Subito!” esclamò lieto il giovane, afferrando immediatamente i finimenti del cavallo a lui più vicino.

Jeffery batté le mani allegramente, ignaro dei motivi che stavano spingendo il padre e lo zio putativo a quel comportamento un po’ strambo.

Violet, invece, che lo sapeva bene, si avvicinò loro e domandò solerte: “Ragazzi, vi capisco, ma cosa pensate di fare? Siete mai stati in mezzo a un incendio? Sapete forse come domarlo?”

I due giovani la fissarono ombrosi senza dire nulla e la donna, sbuffando leggermente, aggiunse: “Appunto, non sapete nulla mentre, con tutta probabilità, Lucius ne sa molto più di voi.”

“E perché, scusa?” grugnirono all’unisono i due nobiluomini.

“Perché, su una nave, il primo pericolo che si corre è l’affondamento, ma il secondo sono gli incendi” brontolò Violet. “Lucius studia dei sistemi per rendere ignifugo il legno già da anni, perciò conosce quella bestia come le sue tasche, ecco perché!”

Samuel e Andrew non diedero adito di averla ascoltata e Violet, sospirando demoralizzata, si lasciò andare a un brontolio sgomento, mormorando poi al figlio: “Tu, piccolo, non crescerai così cocciuto.”

Jeffery si limitò a sorriderle dolcemente e Violet, non potendo fare nulla per fermare i due uomini, si avviò verso gli uffici per parlare con Lorainne.

Forse, loro due unite insieme, avrebbero potuto farli ragionare.

Quando, però, aprì la porta della casamatta per parlare con lei, si lasciò andare a un singulto strozzato e, di corsa, si portò fino alla finestra aperta, ove scrutò all’esterno con il cuore gonfio di paura.

In preda al panico più totale, notò infine la mancanza del cavallo che Lorainne aveva usato per giungere al cantiere e, nel tornare all’esterno in tutta fretta, esalò: “Lorainne è andata via.”

Andrew e Samuel impiegarono alcuni attimi per recepire quelle poche parole ma, quando il messaggio venne assimilato, entrambi lasciarono andare le redini e la fissarono basiti.

L’attimo dopo, Andrew imprecò vistosamente, scatenando le risate di Jeffery e, salendo a cavallo in un lampo, sbottò dicendo: “Quando la prendo, la lego a una sedia fino alla fine della vacanza!”

Ciò detto, attese che Samuel lo imitasse e, nel lanciare un’ultima occhiata alla moglie, mormorò: “Staremo attenti, te lo prometto, e vedrò di rispedirti alla svelta Lorainne. Non ti preoccupare per noi.”

“Va bene” annuì Violet, scrutandoli allontanarsi sui cavalli montati a pelo, in direzione del promontorio dove si trovava la villa.

“Dove vanno tutti, mamma?” domandò a quel punto Jeffery, dubbioso.

“Vanno ad aiutare Lucius” si limitò a dire Violet, stringendo tra sé le mani mentre, attorno a lei, il cantiere proseguiva nel suo ciclo vitale inarrestabile.
 
***

Quando infine Albert, Lucius e Lawrence raggiunsero la villa, le fiamme stavano già lambendo l’ala ovest, ringhiando come fiere impazzite e tingendo l’aria di rosso e nero.

Fortunatamente, Zoe, Justine e Janice erano già all’esterno dell’abitato e Sarah, seduta su una panchina a poca distanza, osservava turbata l’intera scena.

Di André Poland – il cocchiere – e Silver, però, non v’era traccia, e questo mise subito in allarme Lucius.

Nell’avvicinarsi alle domestiche, domandò concitato: “Cos’è successo? E dove sono André e Silver? Clarisse non è venuta, oggi, vero?”

Zoe scoppiò in lacrime, nel vederlo e, mentre Justine la consolava, Janice prese la parola.

Nell’afferrare le mani del suo padrone, esalò: “No, infatti, Clarisse è rimasta a casa col piccolo Richie, ma… oh, lord Bradbury, è successo tutto così in fretta!”

Nel vederli, Sarah si alzò subito dalla panca e, claudicante, li raggiunse per dire: “C’era un uomo, in casa… non l’ho mai visto prima, ma sembrava che sapesse muoversi molto bene, al suo interno, perciò penso sia già stato qui almeno una volta.”

Lucius assentì, grave in volto, e Albert, nell’osservarla turbato, le domandò: “Dov’è Silver?”

“Non lo sappiamo. Zoe è venuta a prendermi in camera, quando è scoppiato l’incendio ai piani inferiori…” gli spiegò Sarah, spiacente. “… e Janice ci è venuta incontro dal corridoio dell’ala est, insieme a Justine.”

“Vado dentro” dichiarò lapidario Albert, senza attendere il benestare di nessuno.

Lucius non attese neppure un attimo e lo seguì ma, rivolto a Kerrington, ordinò: “Resta con loro e proteggile. Non è detto che quel tizio fosse da solo.”

“Sai che la cosa non mi piace per nulla” borbottò Lawrence, adombrandosi.

“Casa mia, leggi mie” ironizzò per un istante Lucius, allontanandosi di corsa l’attimo seguente.

Lawrence soffiò tra i denti per la rabbia ma, preferendo fare come dettogli dall’amico, estrasse la spada dal fodero e consegnò la sua pistola a Sarah, che la accettò volentieri.

Ora, restava da capire se le paure di Lucius fossero soltanto esagerazioni o un reale, minaccioso pericolo.

Guardandosi intorno con occhio clinico, il militare cercò eventuali ombre insolite, rumori sospetti – anche se non era facile, con l’incendio in atto – o qualcosa che facesse pensare a un potenziale aggressore.

Quando, però, vide giungere il carro con i rinforzi, Lawrence lasciò perdere temporaneamente quell’esame e urlò: “Dietro casa, presto! La pompa dell’acqua si trova lì! Gettate quanta più acqua potete sulla villa!”

“Il capo è già dentro?” domandò ansioso il più anziano del gruppo.

“Sì, Wilfred… per questo, c’è bisogno che facciate un ottimo lavoro come al solito” asserì Lawrence, sorridendogli a mezzo.

L’uomo di colore abbozzò un sorriso, assentì e dichiarò: “Solo il meglio, per il signor Bradbury.”

Poi, con un urlo poderoso, l’uomo spinse i suoi compagni verso il retro della casa per fare quanto ordinatogli.

Lawrence non fece in tempo a sorridere soddisfatto, di fronte a quell’entusiasmo genuino, dettato in massima parte dal rispetto che quegli uomini provavano per Lucius.

L’attimo seguente, infatti, dovette agire in tutta fretta per impedire che il peggio avvenisse, e proprio dinanzi ai suoi occhi esterrefatti.

Lorainne, a sorpresa, giunse al galoppo con il suo cavallo e, con un’agilità che fece strabuzzare gli occhi al colonnello, balzò a terra quasi al volo e si diresse di corsa verso la casa in fiamme.

Sarah le gridò spaventata di fermarsi, ma lei neppure la ascoltò. A Lawrence non restò altro che gettare la spada a terra e afferrarla a un braccio per bloccarne l’avanzata.

Lorainne, allora, si volse verso di lui con occhi iniettati di furia e ringhiò: “Lasciatemi andare, colonnello, o non risponderò di me stessa!”

“Non ci penso nemmeno, ragazza. Voi rimarrete qui con vostra sorella, e obbedirete all’ordine di Lucius di restarne fuori” replicò lui, afferrandola per la vita e caricandosela su una spalla senza tanti complimenti.

Lory si ritrovò così in una posizione davvero inconsueta e mai provata prima e, cominciando a strillare come un’aquila, inveì all’indirizzo dell’uomo perché la lasciasse andare.

“Lory, ti prego, calmati! Il colonnello ha ragione!” urlò Sarah, il volto percorso dall’ansia e dalla paura.

Nel vedere la sorella così docile e impaurita, come mai era stata in vita sua, Lorainne si chetò per un attimo e, quando Lawrence la fece scendere accanto a Sarah, lei la abbracciò, mormorando: “Tu stai bene, vero?”

Sarah annuì ma, quando il fuoco fece crollare alcune travi all’interno della villa, la giovane tremò nell’abbraccio della sorella e, non volute ma necessarie, le lacrime debordarono.

Lorainne, a quel punto, accentuò l’abbraccio e, nel guardarsi intorno, esalò turbata: “Dov’è Silver? Perché non è qui fuori con te? E monsieur Poland?”

“Lucius e Albert sono entrati per cercarli” disse distrattamente il colonnello, accigliandosi non appena intravide due cavalieri giungere da nord-ovest. “Ma che diavolo…?”

Quando Andrew e Samuel furono ben in vista, Lawrence imprecò vistosamente e, lanciata un’occhiata a Lorainne, borbottò: “Nessuno di voi rispetta mai gli ordini?”

“Direi di no” dichiarò Lorainne, fissandolo ancora accigliata.

“E’ inutile che voi mi guardiate così Lorainne. Lucius non vi vorrebbe in mezzo a quel caos, con un potenziale assassino annidato al suo interno” sbottò Lawrence, prima di rivolgersi ai nuovi arrivati. “Quanto a voi, che diamine ci fate, qui?! Lucius vi aveva pur detto di rimanere al cantiere!”

“Non siamo soldati, e non prendiamo ordini se non dalla nostra coscienza” replicò Andrew, scendendo con un balzo da cavallo, mentre Samuel correva verso una spaventatissima Sarah.

Lorainne lasciò la sorella al fidanzato e, complice la lite tra Andrew e Lawrence, sgattaiolò via non vista, ben decisa a entrare in casa per raggiungere Lucius.
 
***

Fu il rantolo di una voce amica, a mettere Lucius in allerta.

L’aria era ammorbata dall’odore di bruciato, dal fumo e dal calore divorante che stava azzannando la sua casa un boccone alla volta.

Albert, al suo fianco, avanzò rabbioso in direzione della voce di Poland e, quando svoltò l’angolo, imprecò vistosamente ed estrasse il coltello che portava sempre legato alla cintura.

Per Lucius, fu sinonimo di guai.

Quando si portò a fianco dell’amico per controllare il motivo di un tale comportamento, non impiegò molto a comprendere il perché della scelta di Albert.

A terra e con la camicia intrisa di sangue, André Poland stava tentando di proteggere Silver, sdraiata su un fianco e apparentemente priva di sensi, oltre che ferita a sua volta.

Dinanzi a loro, armato di un coltello e di una pistola a percussione a canna lunga, Adam Collins stava sogghignando soddisfatto, già pronto a mettere la parola fine su tutto.

Albert non attese oltre.

Con un grido di battaglia che fece raggelare persino Lucius, si lanciò contro di lui, ma Collins non si lasciò cogliere impreparato, forse aspettandosi proprio un suo intervento.

Mentre Albert lo colpiva con il coltello a un braccio, l’uomo fece fuoco e trapassò il lakota a un fianco, facendolo crollare a terra ferito.

Ora inutilizzabile, la pistola venne gettata a terra e Lucius, già pronto a dar battaglia, sentì Collins ridere e dire: “Non aspetterò che la casa mi cada addosso… occupati dei tuoi feriti, se puoi, visto che tu salvi tutti, milord.”

Ciò detto, corse via tenendosi il braccio ferito con la mano sana mentre Lucius, pur tentato di seguirlo, si lasciò andare a un urlo di rabbia prima di catapultarsi verso i suoi amici.

Albert, ancora ripiegato su un fianco in posizione fetale, si riprese sufficientemente dal colpo inferto a suo danno e, riaperti gli occhi, esalò: “Silver… Silver…”

Subito, Lucius fu da lui e lo aiutò a mettersi seduto, mentre Poland mugugnava per il dolore, pur sembrando in grado di reggersi sulle gambe.

Chi non diede segno di vita fu Silver e Lucius, nell’accostarla, temette di dover dire all’amico del trapasso della moglie.

Nello sfiorare timoroso il collo della donna, però, avvertì il suo battito cardiaco e, un po’ rincuorato, disse: “E’ viva. E’ svenuta e ferita, ma è viva.”

Albert si lasciò andare contro il muro a cui era poggiato, grato agli spiriti per quella concessione. Se avesse perso anche lei, dopo aver visto morire il figlioletto per mano dei washiku, avrebbe perso definitivamente la testa.

Fu in quel mentre che le urla di Lorainne si fecero strada nella villa, raggelando i presenti e portando i due uomini a volgere il capo in direzione di quella voce.

Lucius perse di vista ogni cosa, ogni pensiero razionale e, balzato in piedi come un puma in caccia, si catapultò verso l’imbocco del corridoio per scoprire cosa stesse succedendo.

Nel volgere lo sguardo verso destra, infine la vide, bellissima, con gli abiti stazzonati e sporchi di fumo, i capelli in disordine e armata di un pezzo di corrimano, che stava usando a mo’ di clava.

Quando anche la giovane lo vide, Lorainne gettò a terra l’arma improvvisata per raggiungerlo di corsa e, in barba a tutto, lo abbracciò con foga e lo baciò con altrettanta forza, prima di urlargli: “Non dirmi mai più quello che devo fare!”

“Santa donna, tu proprio non vuoi capire quali siano i momenti in cui fare certe follie…” si lagnò lui, tenendosela stretta per un attimo prima di aggiungere: “… ma, visto che sei qui, dammi una mano. Da solo, non riuscirei a portarli fuori in tempo.”

Lei si affrettò ad annuire e, pur rabbrividendo alla vista di tutto il sangue sparso sul pavimento, si fece forza e si piegò accanto a Silver, volgendola con delicatezza per saggiarne le condizioni.

Albert emise un rantolo nel notare il vestito della moglie imbrattato di sangue, ma Lorainne lo guardò incoraggiante, asserendo: “Non ha leso organi. E’ una ferita superficiale, quella che ha causato questa macchia. Credo sia stata colpita alla testa, a giudicare dai segni sulla nuca. Per questo, è priva di conoscenza.”

Ciò detto, provò a sollevarla mentre Lucius alzava da terra Albert, ma per lei fu impossibile muoverla. Come le aveva detto poco tempo addietro Albert, un peso morto era difficilissimo da sollevare, e lei non era in grado di trattenere Silver tra le braccia da sola.

In suo aiuto giunse Poland che, pur ferito a un fianco, le sorrise e disse: “In due… ce la faremo, miss Lorainne.”

“Ve la sentite, monsieur Poland?”

Lui assentì e, insieme, riuscirono a sollevare Silver da terra. Seguendo quindi Lucius, si avviarono verso l’uscita, mentre l’ala ovest crollava a una certa distanza da loro.

All’esterno era possibile udire le urla degli uomini intenti a spegnere l’incendio, oltre alle grida irritate di Andrew e a quelle inviperite di Lawrence.

Nell’avvertire quel baccano, Lucius ghignò all’indirizzo di Lorainne e disse: “Quasi quasi, ti lascio nelle loro mani.”

“Pensa a uscire… inoltre, se non fossi venuta, cos’avresti fatto?” brontolò lei, ormai esausta e ai limiti della resistenza fisica.

“Sempre a rigirare la frittata” borbottò Lucius.

Lory si limitò a sorridere appena, troppo preoccupata per Albert, Silver e Poland, per pensare alle implicazioni del suo gesto. Le era venuto spontaneo come avere aria nei polmoni, e a nessuno poteva essere detto di non respirare.

Si era sentita spinta a farlo, desiderosa di aiutare Lucius, di aiutare tutti gli abitanti della villa, desiderosa di mettercela tutta, fino alla più piccola stilla di energia.

Per lei, per Lucius, per tutti loro.

Quando, però, rividero il sole e trovarono aria fresca all’esterno della villa ad attenderli, i sentimenti dirompenti che l’avevano condotta all’interno, l’abbandonarono di colpo.

Le ginocchia le cedettero di schianto, mentre le prime lacrime cominciavano a scivolarle lungo le gote.

André Poland la seguì subito dopo, indebolito dalle proprie ferite e dal peso di Silver.

In un attimo, furono attorniati dalla famiglia e, mentre Sarah si occupava di Lorainne – e Andrew la sgridava per essere scappata – Zoe, Justine e Janice si presero cura di Silver e André.

Ad Albert pensarono il colonnello e Lucius, ma il lakota aveva occhi e orecchie solo per la moglie, che versava esanime tra le braccia della aiuto cuoca.

Quando, però, Zoe gli sorrise e assentì, seppe di poter respirare più agevolmente. Sarebbe guarita.

Lucius, a quel punto, ghignò e domandò all’amico: “Ora posso mettere mano alla tua ferita, o ti sbraccerai ancora come un bambino intento ad annegare?”

“Solo perché sei tu, altrimenti ti prenderei a pugni per questa insinuazione” borbottò Albert, cercando di rilassarsi nonostante il dolore al fianco.

Fu in quel momento che l’ala ovest decise di implodere su se stessa e, tra il frastuono, le scintille sollevate verso il cielo e il fumo nero e acre, nessuno ebbe più il coraggio di parlare.

Ognuno aveva i propri pensieri, la propria rabbia da smaltire e, quand’anche l’incendio fu domato dalle abili mani degli operai del cantiere, ancora Lucius non emise fiato, così come gli altri.

Quando, però, al suo cospetto si presentarono Wilfred Cooper e il gruppo di ragazzi del cantiere, riuscì in qualche modo a raffazzonare un sorriso per poi dire: “Grazie infinite. Avete evitato il peggio.”

“La struttura è forte. Dovrebbe essere possibile ripararla in tempi brevi” borbottò pensieroso Cooper, studiando la casa annerita come se fosse già pronto a mettere mano a pialla e martello.

Lucius rise nonostante tutto ma, quando si volse per scrutare i suoi amici feriti e, peggio, le lacrime di Lorainne sul suo volto sporco di fuliggine, ogni sorriso gli morì in volto.

Rimessosi in piedi, guardò Kerrington per un istante, prima di asserire: “Si trattava di Adam Collins.”

Cooper si lasciò andare a un’imprecazione colorita, al pari di diversi altri operai mentre il colonnello, accigliandosi, domandava: “L’operaio che licenziasti tempo addietro, giusto?”

“Sì. Ma non era da solo, a giudicare dalle tracce che c’erano intorno al magazzino del cantiere… e dubito che le due cose siano separate” replicò Lucius, stringendo le mani a pugno.

Una rabbia cieca stava montando dentro di lui come un uragano incontenibile ma, almeno finché non fosse stato lontano, avrebbe dovuto trattenerla.

Lorainne e Sarah, così come le sue domestiche, erano già debitamente tese e provate, e non avevano di certo bisogno di vederlo andare in bestia e smoccolare ignominiosamente.

Kerrington assentì al suo dire con espressione torva, e dichiarò: “Può essere stato un diversivo per distrarti, pur se non ha funzionato come – immagino – loro avevano pensato.”

“Che intendi dire?” domandò allora Lucius.

“Se il magazzino fosse andato veramente in fiamme, tu saresti stato così impegnato al cantiere – così come tutti noi, del resto – da non notare l’incendio qui alla villa, e lui avrebbe potuto portare a termine il suo piano, qualsiasi esso fosse” sottolineò Kerrington, e Poland gli diede ragione.

“L’ho sentito urlare il nome di Silver, lord Bradbury, e… beh, ecco…” iniziò col dire l’uomo, prima di guardarsi intorno dubbioso, non sapendo bene cosa aggiungere.

Lucius ringhiò furioso e borbottò: “Immagino abbia sputato qualche oscenità su di lei.”

“La voleva morta” assentì il cocchiere, mentre Andrew terminava di fasciargli la gamba utilizzando la manica della sua camicia.

Albert fece per alzarsi, a quelle parole, ma il colonnello lo trattenne a terra con forza e ringhiò: “Stai calmo, Hota Wambli, o non raggiungerai la notte, se continui a sanguinare come una fontana. Dobbiamo ricucirti.”

Il guerriero lakota lo fissò malissimo, ma Lawrence sostenne egregiamente quello sguardo e, anzi, sogghignò in risposta, pronto a sfidarlo per trattenerlo sul posto.

Asciugandosi in fretta le lacrime, Lorainne avanzò carponi – non se la sentiva ancora di alzarsi in piedi – e, raggiunto che ebbe Albert, disse: “Lo ricucirò io. Tanto, ho già visto una volta il torace del signor Greyhawk, perciò sono ormai svezzata a simili visioni.”

Tutti la fissarono dubbiosi e lei, arrossendo un poco, aggiunse: “Quando ci siamo allenati in sala d’armi… quando si presentò, non aveva la camicia.”

Lucius sospirò esasperato, scuotendo il capo ma, non potendo fare altro che darle corda, assentì e disse: “E sia. Caricatelo sul carro e conducetelo al cantiere assieme agli altri feriti. Io e Lawrence…”

Un ‘voglio venire anch’io’ si levò corale, bloccandolo sul nascere e Lucius, sorridendo grato ai suoi uomini, asserì: “Vi ringrazio, ma ho bisogno di voi al cantiere. Entro domenica, dobbiamo consegnare la Victory al suo proprietario, e non voglio che Collins mi danneggi più di quanto non abbia già fatto.”

“Ma… e chi penserà ai progetti ancora da completare, se lei se ne va alla ricerca di Collins? Il capocantiere è bravo, ma non è in grado di guidarci come fate voi, signor Bradbury” domandò turbato Cooper. “Inoltre, il signor Knight è sulla terraferma per affari, e non potrà essere d’aiuto.”

Lucius, allora, sorrise per un istante ad Andrew, che assentì suo malgrado, e disse: “Hai visto lady Spencer al cantiere, vero? Beh, vi guiderà lei.”

“Come, prego?” borbottò confuso l’uomo, strabuzzando gli occhi al pari degli altri operai.

“Ti ricordi, vero, la Violet, la prima goletta che abbiamo fabbricato qui?” gli ricordò allora Lucius.

“Sì, signore. Un’ottima nave, e teneva benissimo il vento, oltre ad avere uno scafo innovativo” assentì orgoglioso l’uomo.

“Beh, l’ha disegnata sua moglie…” disse a quel punto Lucius, indicando un sorridente Andrew. “… perciò, ne sa tanto quanto me, di navi e di come costruirle. Kregan le darà una mano con il disbrigo dei compiti, visto che conosce gli uomini e sa come è disposto il cantiere, ma tu dovrai darle appoggio, d’accordo? Gli operai si fidano di te e, se tu dirai che lei è a posto, la seguiranno senza problemi.”

“Se voi vi fidate, signore, mi fiderò anch’io” annuì a quel punto Cooper.

“Darò una mano anch’io! Lettie mi ha insegnato!” sottolineò Lorainne, sorprendendo non poco Lucius, che la fissò con occhi pieni di sconcerto.

Lei arrossì appena e mormorò con un sorrisino timido: “Faceva parte della mia tattica di corteggiamento a distanza.”

Lui esplose in una calda risata di gola, a quelle parole e, in barba a tutto – soprattutto allo sguardo sconvolto di Andrew – si chinò per baciarla sulla fronte e disse: “Beh, mi hai conquistato, piccola. Avete sentito, Cooper? Sarete guidati da due donne.”

Il rossore di Lorainne aumentò a dismisura, a quelle parole – e dopo quel gesto impulsivo, pur se gradito – e Cooper, ridendo nonostante tutto, asserì: “Mia moglie direbbe che è normale essere guidati dalle donne, perché noi non siamo in grado di fare nulla, senza di loro.”

Una risata collettiva stemperò per qualche attimo la tensione fin lì accumulata. In silenzio e con efficienza, quindi, i feriti vennero caricati sul carro degli operai e condotti al cantiere per cure più specifiche.

Fu lì che Violet li vide arrivare e, non appena scorse le sorelle e i membri della servitù di Liberty House, il suo cuore si riempì di sollievo.

L’aveva confortata veder scemare il fumo all’orizzonte, ma scorgere i volti di tutti fu per lei fonte di gioia.

Con in braccio Jeffery, li salutò con ampi gesti e Lucius, nel discendere per primo da cavallo, le domandò: “Tutto bene? Non ti sei preoccupata troppo, vero?”

“Avevo Jeff, a tenermi compagnia” sorrise lei, accogliendo poi il marito con un bacio e un abbraccio. “Oh, i tuoi operai erano un po’ in ansia, ma ho pensato di dire loro che eri abbastanza in gamba per non cacciarti nei guai, anche se sei un lord inglese.”

“Gentilissima, cara” abbozzò un inchino Lucius, prima di guardare i suoi uomini trasportare i feriti nella casamatta.

Subito, Violet si accigliò e, lasciato Jeff al marito, disse: “Vado a dare una mano… mi spiegherete dopo cos’è successo.”

“Chiedilo pure a tua sorella. E’ stata così folle da seguirmi in casa” brontolò Lucius, vedendo l’amica bloccarsi sulla porta della casamatta con espressione confusa.

“Lory… è entrata? Oh, beh, che dire… ora sappiamo che è solo Sarah ad aver paura del fuoco” chiosò la donna, facendo spallucce mentre Sarah, nel discendere dal cavallo di Samuel, storceva il naso con espressione corrucciata.

“Non è colpa mia se mi blocco al solo vederlo” borbottò la giovane, rimanendo incollata al fidanzato.

“Anche i grandi eroi, hanno dei punti deboli” la consolò Samuel, conducendola verso una vicina panca di legno.

“Credimi, Sarah, avrei preferito che Lorainne rimanesse fuori, piuttosto che ritrovarmela in casa, in quel delirio di fiamme” sottolineò Lucius prima di inquadrare la figura del suo capocantiere. “Scusatemi un attimo.”

Andrew, Samuel e Lawrence lo guardarono allontanarsi di gran carriera e quest’ultimo, con un sospiro, dichiarò torvo: “Se non partirà a caccia entro i prossimi venti minuti, lo vedrete dare di matto.”

“Lo capisco. Se sapessi che colui che ha cercato di distruggere me e i miei cari è a piede libero, non attenderei molto prima di lanciarmi all’inseguimento” brontolò Andrew.

“Zio Lucius allabbiato?” domandò Jeffery, giocherellando con il plastron ormai rovinato del padre.

“Un po’, Jeff” assentì l’uomo, sorridendogli appena per poi lanciare uno sguardo alla casamatta.

Chissà come se la stavano cavando, le donne, là dentro?
 
***

Armeggiando con l’alcol e le bende, Lorainne borbottò: “Giuro su Dio, Albert che, se non state fermo, vi legherò al tavolo. Devo finire di bendarvi, prima che possiate alzarvi!”

“Devo vedere come sta Silver, e poi devo dare la caccia a Collins” replicò cocciuto Albert, tentando di alzarsi per l’ennesima volta dalla scrivania di Lucius, su cui lo avevano disteso meno di una decina di minuti addietro.

Zoe levò lo sguardo per incrociare quello del guerriero lakota e asserì: “Sta bene, perciò calmati, ragazzo. Ha preso una gran botta in testa, ed è per questo che è ricoperta di sangue sul volto e le spalle, ma la ferita era superficiale, al pari di quella sul ventre. Dovresti saperlo che i tagli sullo scalpo sanguinano molto, no?”

“Sì, certo” borbottò il guerriero, calmandosi un poco.

“Ma tu guarda se devo redarguire un uomo fatto e finito” brontolò a quel punto Zoe, pur sorridendo.

Janice si limitò a un sorrisino, mentre terminava di ricucire la gamba di Poland sotto i suoi occhi un po’ ansiosi.

Versato un altro po’ di alcol sul taglio perfettamente riallineato, la donna assentì soddisfatta e disse: “Potrete vantarvi di questa ferita con la vostra Catherine, mio caro. Ne sarà estasiata.”

“Sempre che non mi tagli la testa prima, visto che mi ha curato una donna che non era lei” ironizzò l’uomo, facendo ridere tutti.

Fu in quel momento che Silver mugugnò nel riprendere i sensi e Albert, in barba a Lorainne, smontò al volo dal tavolo tirandosi dietro bendaggi e alcol, che finirono rovinosamente a terra.

Ignorando le urla di protesta di Lorainne, l’uomo si inginocchiò accanto alla moglie, le prese le mani con ansia ma, non appena poté scorgere gli occhi scuri di Silver, si sentì meglio.

“Mio cuore… stai bene?” mormorò l’uomo.

Hota Wambli… ma cosa è successo?” sussurrò Silver, lanciando poi uno sguardo ai volti che la circondavano. “Dove siamo?”

“Al cantiere. La casa è stata bruciata da Collins. Non so se lo ricordi” le spiegò succintamente lui.

Nel sentir nominare l’uomo, Silver si accigliò immediatamente e sbuffò.

“Quel miserabile! Mi ha urlato della puttana, prima di colpirmi alla testa con un bastone. Non ho fatto in tempo a scostarmi, scusami” sbottò Silver, arrossendo leggermente.

“Non te lo aspettavi, cara. Ricordi altro, per caso?”

“No, mi sono svegliata ora perché vi ho sentito ridere” scosse il capo la donna, prima di lagnarsi per il male.

Albert, allora, si rialzò in piedi per uscire, ma dinanzi a sé trovò Lorainne che, accigliata e con le braccia conserte, ringhiò: “Ora che avete fatto il maschio dominante, finirò di sistemarvi quella ferita o, quant’è vero Iddio, sarò io a bastonare voi, Albert.”

L’uomo rise del suo cipiglio ma la accontentò e, nell’osservarla armeggiare con le fasciature, disse: “Se Lucius vi sposerà, saprà di aver trovato una donna che può tenergli testa. Ben gli starebbe.”

Lory arrossì a quelle parole ma non disse nulla, limitandosi a un sorriso soddisfatto.

Era lieta che il miglior amico di Lucius la pensasse così, perché non voleva essere considerata una donna docile e remissiva, ma una che poteva esporre i propri pensieri a colui che amava.

Già… amava.

Quando si era gettata in quella casa in fiamme, era stata sì preoccupata per l’amica e il fido cocchiere, ma lo aveva fatto soprattutto per Lucius.

La sola idea di non essere al suo fianco, di saperlo in mezzo al pericolo senza di lei, l’aveva spinta ad agire in maniera folle, ora lo sapeva.

Non avrebbe però rinnegato nulla dei suoi gesti e anzi, lo avrebbe rifatto, se necessario, perché il suo cuore le aveva detto di comportarsi così.

Dopo aver terminato, perciò, Lorainne non si stupì nel sentire Albert dire: “Ti porterò la sua testa, Silver. Tu pensa solo a guarire.”

La donna assentì, gli occhi neri accesi di una fiamma che, da sola, avrebbe potuto far ardere l’intero cantiere e Albert, senza nessun’altra parola, si avviò verso l’esterno, seguito da Lorainne.

Lì, la coppia vide Violet impegnata in una lunga dissertazione con il capocantiere, mentre Lucius e Lawrence erano presi dal caricare sui loro cavalli il necessario per una battuta di caccia.

O quello, o avevano intenzione di uccidere un bel po’ di persone, a giudicare da tutte le armi che stavano infilando nelle sacche da viaggio.

A quella vista, Lorainne si preoccupò all’istante e, nell’accorrere accanto a Lucius, lo sfiorò a un braccio e domandò: “Cosa pensi di fare? Non aspetti le autorità?”

“E’ lui l’autorità” sottolineò Lucius, indicando distrattamente il colonnello. “Mi basta Lawrence, per fare quello che intendo fare.”

“E cioè?” mormorò preoccupata la giovane.

Lui la guardò per un istante, non sapendo bene come esprimere ciò che provava senza spaventarla ma, nell’incrociare il suo sguardo, seppe di non poter mentire.

E di non voler mentire.

Lorainne aveva tutto il diritto di sapere cosa gli passava per la testa, e aveva già dimostrato ampiamente di saper reggere la tensione, oltre che di poterla affrontare.

“Non volevo che le cose andassero così, per noi due…” iniziò col dire lui, stringendole una mano per portarsela al petto, sul suo cuore. “… ma, a quanto pare, la vita non ci facilita mai, vero?”

“Sarebbe noiosa se fosse diversa, no?” cercò di ironizzare lei, pur tremando leggermente.

Lucius assentì, sorridendole e, infischiandosene dei presenti e del Ton, si chinò per baciarla sulle labbra.

Fu un bacio delicato, ma che sancì definitivamente ciò che provava per lei, deponendo l’ultima pietra sull’intera questione.

Andrew esplose in una colorita imprecazione mentre Samuel, sospirando con un sorriso, esalava: “Ecco… Lucius ha avuto più coraggio di me.”

A quelle parole, Andrew si volse verso di lui e sbottò: “Non ti sognare di imitarlo! Ne ho abbastanza di lui, che mi sta mettendo nei guai fino al collo!”

Kerrington rise di fronte alle ire di lord Spencer e, quando Lucius si scostò dalla donna che amava per sorridere all’amico inglese, gli sentì dire: “E’ inutile che ti scaldi tanto, Andrew. Ormai dovresti conoscermi, no?”

“Certo che ti conosco, ma speravo che avessi un po’ più a cuore la reputazione di Lorainne… o la mia pellaccia” brontolò Andrew, passandosi una mano tra i capelli con fare esasperato. “Anthony mi aprirà in due come un baccello.”

Violet li raggiunse proprio in quel momento e, nel vedere il marito alterato, la sorella col volto in fiamme e Lucius debitamente tronfio, celiò: “Mi giro un attimo, e fate un pasticcio. Che è successo, ora?”

“Quello scriteriato del tuo amico ha appena baciato tua sorella. Qui! Di fronte a tutti!” sibilò Andrew, fissando malamente Lucius.

Violet sgranò leggermente gli occhi, lanciò un’occhiata al volto luminoso e felice di sua sorella e, infine, si rivolse a Lucius, domandando: “Sai, vero, che mio padre chiederà la tua testa?”

“E’ probabile, ma amo tua sorella e, a quanto pare, lei è abbastanza coraggiosa…”

“… o pazza…” borbottò in quel mentre Andrew, facendo ridere Lucius.

“… o pazza, come dice tuo marito…” aggiunse quindi Bradbury. “… da rispondere ai miei sentimenti. Cos’altro avrei dovuto fare? Partire per York per fargli la domanda fatidica?”

“Forse, sarebbe stato carino” ammise Violet, sorridendo divertita prima di chiedere alla sorella: “Sei sicura, Lorainne? Hai ben chiaro cosa voglia dire, fare un passo simile?”

Lory, a quel punto, tornò del tutto seria, assentì e si limitò a mormorare: “Non potrei essere più sicura di così.”

“Anche se questo vorrà dire abbandonare ciò che conosci, per una terra che sta ancora decidendo quale sarà il suo futuro?” le ritorse gentilmente contro Violet, sfiorandole il viso con dolcezza.

Lorainne assentì ancora e, nel lanciare un’occhiata ad Albert, che si trovava vicino a Lucius, disse: “Silver e Albert mi hanno insegnato che, non solo è possibile, ma che può darti grandi gratificazioni. So che è tutto nuovo, per me, e potranno esserci dei pericoli che, a casa, non dovrei correre, ma questa è la persona che voglio… e questo è il luogo per me.”

“Amen” sussurrò Violet, dandole un bacio sulla guancia per poi guardare il marito con aria amorevole. “Tesoro, tu non hai nulla da dire?”

Andrew sospirò, si passò una mano sul viso come per calmarsi e, alla fine, oltrepassò le due sorelle per porsi dinanzi a Lucius.

Allungata poi una mano verso l’uomo, ringhiò: “Falla soffrire, e giuro che prenderò la prima nave disponibile per venire a ucciderti.”

“Affare fatto” assentì Lucius, stringendo la mano dell’amico.

“Anthony mi ammazzerà” sospirò esasperato Andrew, spezzando di fatto l’atmosfera tesa di quei momenti.

Con una risata liberatoria, Lucius lo abbracciò per un attimo prima di volgersi verso il cavallo e apprestarsi a partire.

Lorainne, allora, guardò sia Albert che Lawrence e, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi, disse lapidaria: “Riportatemelo a casa.”

“Senza alcun dubbio” assentirono i due uomini e, tutti e tre, partirono verso l’interno dell’isola senza più dire nulla.

Lorainne sospirò nel vederli scomparire all’orizzonte, ma non disse nulla. Aveva scelto e, nel bene e nel male, doveva seguire quella scelta.

Amava Lucius, e sapeva che doveva fare quanto si stava apprestando a compiere.

“Andiamo a dare una mano al capocantiere. Abbiamo una commessa da portare a termine entro domenica” le disse Violet, sfiorandole una spalla con la mano.

Lorainne assentì e, nel guardare Andrew e Samuel, asserì: “Andate a vedere se dentro hanno bisogno di una mano. Ci trovate alla darsena.”

Samuel assentì e, preso per un braccio Andrew, lo trascinò via prima che potesse dire qualcosa alla cognata.

Nell’accomiatarsi, poi, gli sussurrò: “Lasciala stare. E’ già abbastanza difficile scoprire di amare qualcuno, e poi vederselo sparire sotto il naso per una missione pericolosa e dall’esito incerto. Non ha bisogno delle tue reprimende.”

“Lo so bene… ma tutta questa storia è assolutamente fuori luogo, e non so cosa ne penserà Anthony, quando torneremo a casa. Sua figlia fidanzata senza lui a dare il benestare?” protestò debolmente Andrew.

“Lucius è una brava persona. Capirà” sentenziò Samuel, aprendo la porta dopo aver bussato.

“Anthony è un padre. Non capirà” replicò funereo Andrew, entrando assieme a lui.







N.d.A.: il paragrafo è un po' lungo, ma ho preferito non spezzarlo per non farvi ammattire d'ansia, visto ciò che è successo. ;-)

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


11.
 
 
 
 
“Sei sicuro di non avere problemi con la ferita?” domandò per la centesima volta Lucius, lanciando un’occhiata preoccupata all’amico.

Albert neanche lo ascoltò e, dopo aver controllato il terreno alle spalle della villa ancora per qualche attimo, risollevò il viso e puntò lo sguardo in direzione di Tremont.

Indicando alcuni segni sul terreno smosso, disse atono: “Si sono diretti verso il villaggio. Il cavallo era uno solo, a giudicare dalla profondità dei solchi lasciati dagli zoccoli, e Collins non è riuscito a fermare l’emorragia.”

Dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla macchia di sangue sul terreno, Albert rimontò in sella e Lucius, preoccupato, borbottò: “Se raggiunge Tremont e riesce a rubare una barca, siamo spacciati. Non riusciremo più a raggiungerli.”

“Collins non riuscirebbe a usare i remi, a causa della ferita che gli ho procurato, e un uomo da solo può ben poco, contro le correnti della baia” replicò Albert, accelerando l’andatura del suo cavallo, al pari degli altri.

“Sei certo di averlo ferito in maniera grave?” domandò Kerrington.

“I washicu pensano che, per uccidere un uomo, lo si debba colpire al cuore, ma esistono molti punti vitali, in un corpo, e la lesione che gli ho inferto al braccio serviva a renderlo inabile” gli spiegò Albert, sogghignando gelido.

“Mi fai quasi paura” mormorò Lawrence, impressionato. “Dici, quindi, che non proseguiranno in barca.”

“A meno che non abbiano dei complici, ma non credo che si siano molte persone disposte a mettersi contro Lucius” dichiarò Albert, più che certo del suo dire.

“Anche questo è vero. Tremont deve molto ai cantieri Bradbury, e anche Bass Harbor. Stando così le cose, difficilmente procederanno verso gli imbarcaderi, e si allontaneranno da qui via terra” ipotizzò Lawrence, annuendo più volte.

“Due uomini su un solo cavallo non passano inosservati, specialmente se uno di loro è ferito gravemente. Chiederemo in paese, e pregheremo che qualcuno li abbia visti” dichiarò dopo un lungo silenzio Lucius, accigliandosi. “E’ impossibile che siano passati dai boschi. Non vi sono percorsi agevoli e sarebbe da pazzi infilarsi in quel ginepraio di arbusti, con un uomo ferito.”

Albert e Lawrence assentirono e, assieme a Lucius, proseguirono quindi verso Tremont.

Lucius non amava particolarmente gettare sugli altri i suoi problemi ma, in quel momento, dovevano trovare le tracce di Collins e di suoi eventuali collaboratori, prima che sparissero.
Chiedere era lecito, no? Non avrebbe richiesto molto tempo, né un eccessivo impegno degli uditori.

Fu così che aumentarono ulteriormente l’andatura delle loro cavalcature e, non appena raggiunsero Tremont, si avviarono verso il porto e la zona del mercato per avere informazioni.

Lì, si fermarono presso una bancarella di ortofrutta nei pressi del rione dei mercanti e il gestore, nel vederli, esclamò: “Ah, ma allora avevamo ragione! Lord Bradbury, state bene, meno male!”

“Ragione su cosa, Coleman?” domandò Lucius, avvicinandosi all’uomo dopo essere smontato velocemente da cavallo.

“Vossignoria… il fumo che abbiamo visto… proveniva da casa vostra, vero?” domandò il proprietario della bancarella, indicando poi i loro abiti sporchi di fuliggine.

“Eh, già. Qualcuno ci ha giocato un brutto tiro” assentì Lucius, e il sorriso dell’uomo svanì in un attimo.

“Che intendente dire, lord Bradbury? Non era… accidentale?” esalò il rivenditore, irritandosi immediatamente.

“Purtroppo no, e volevamo per l’appunto sapere se aveste per caso visto qualcuno nei pressi del porto, desideroso di allontanarsi con una certa fretta.”

“Ad averlo saputo, avrei gridato aiuto” gli spiegò l’uomo, ora spiacente. “Poco meno di mezz’ora fa, un paio di uomini sono passati da qui su un cavallo ormai fiacco, e uno di loro sanguinava copiosamente. Il più giovane che guidava il cavallo sembrava pallido come un morto, molto più dell’uomo dietro di lui, a ben pensare.”

“Cos’è successo, dopo?” domandò subito Kerrington.

“E’ nata una breve discussione tra i due, mentre passavano al trotto lungo la via, per questo mi sono accorto del fatto ma, quando hanno iniziato a radunarsi un po’ di persone, i due si sono dati alla fuga” brontolò il venditore. “Avrei dovuto chiamare le autorità, mi spiace.”

Nel frattempo, alcuni avventori si avvicinarono per avere notizie da Lord Bradbury, oltre che rassicurazioni in merito alla salute del nobile e dei suoi sottoposti.

Venuti a conoscenza dell’incidente occorso alla villa, in molti si offrirono di dare una mano e Lucius, sorridendo loro con gratitudine, preferì però evitare di coinvolgerli.

Voleva cogliere Collins di sorpresa, e scandagliare le strade con una ventina di pescatori infuriati, non era il modo migliore per passare inosservati.

Collins era ferito gravemente, per cui avrebbe dovuto trovare un modo per andarsene in fretta con il suo compagno, ovunque fossero diretti.

Fu a quel punto che vennero messi al corrente di un tentativo di compravendita di una barca andato a male. Già sul punto di raggiungere il pescatore interessato per conoscere da lui ulteriori notizie, il trio si bloccò non appena giunse al porto una figura di spicco della comunità.

Di fronte al portone dei capannoni di proprietà di Herzog Ludwig, fece la sua apparizione niente meno che il suo possidente, Sebastian Amadeus Ludwig.

Di origini prussiane, Sebastian Ludwig era un titolato e ricco mercante di stoffe che, al caos di città come Washington o New York, aveva preferito la pace di quei lidi.

Uomo di oltre quarant’anni e vedovo della prima moglie, il nobile europeo viveva stabilmente a Tremont da tre anni assieme alla seconda moglie, alla servitù e al figlio di primo letto.

Nel vederli stazzonati, a cavallo e apparentemente ben armati, herzog Ludwig fissò curioso Lucius prima di asserire: “Vi ho visto in condizioni migliori, lord Bradbury. Come mai siete ridotto a quel modo? I miei uomini avevano dunque ragione, ed è scoppiato un incendio a Liberty House? Vi serve aiuto, forse?”

“Un increscioso incidente alla villa, purtroppo” spiegò succintamente lui, scendendo da cavallo con un balzo. “E’ successo qualcosa anche qui? Come mai tanta agitazione?”

“A quanto pare, è la mattina degli incidenti incresciosi” borbottò il conte, intrecciando le possenti braccia sull’ampio torace. “Ci hanno appena derubato di un carro ma, la cosa più curiosa, è che era vuoto.”

Accigliandosi, Lucius guardò i suoi compagni prima di dire: “Evidentemente, avevano bisogno di un mezzo di trasporto, e non delle vostre merci.”

“Devo supporre di sì. Pensate che questo sia collegato con quanto è successo a casa vostra?” domandò allora l’uomo, con fare curioso. “Quando i miei uomini hanno notato del fumo provenire dal promontorio, sono venuti ad avvertirmi e stavo giusto mandando qualcuno a controllare ma, visto che siete qui…”

“Vi ringrazio per la cortesia, amico mio, ma il più è stato fatto” lo ringraziò Lucius. “E’ possibile che l’uomo che ha appiccato l’incendio si sia spinto fino a qui, durante la sua fuga, alla ricerca di un mezzo per scappare che non fosse il suo cavallo. Sappiamo che sono in due, e uno di loro è ferito piuttosto gravemente, perciò è assai probabile che non riuscisse più a reggere l’andatura in sella.”

Herzog Ludwig annuì lentamente, mormorando pensieroso: “Io sono solito tenere i miei carri sul retro del capannone, senza aver mai pensato minimamente che potessero rubarmeli. Sono stato ingenuo, in questo, a quanto pare.”

“Nessuno di noi ha mai pensato potesse succedere qualcosa di simile, su quest’isola pacifica” replicò Lucius con un’alzata di spalle.

In quel mentre, una giovane donna dagli scuri capelli raccolti in una crocchia raggiunse il gruppo di uomini su un carro e, nel salutare compita tutti quanti, osservò curiosa Lucius e disse sorpresa: “Oh… lord Bradbury. Stavo giusto partendo con alcuni uomini e donne per venire da voi e dare aiuto ma, se siete qui…”

Herzogin Ludwig, buongiorno” mormorò Lucius, sorridendo alla donna. “Siete molto gentile ma, al momento, i miei ospiti sono tutti dislocati alla casamatta del mio cantiere, e stanno più o meno bene.”

“Vi sono dei feriti?” si informò in fretta la donna.

“Alcuni, sì” ammise Lucius, e il pensiero corse subito a Lorainne che, solo per miracolo, non aveva subito ferite.

Non aveva tempo di pensare al rischio che avevano corso, ma gli risultava difficile non tornare a quei momenti, quando l’aveva vista comparire all’imbocco del corridoio.

Sforzandosi di lasciar perdere quel pensiero, Lucius rivolse quindi tutta la sua attenzione a Herzogin Ludwig mentre lei, determinata, si rivolgeva al marito per dichiarare: “Ci recheremo là, allora, e daremo una mano.”

“Non dimenticare ciò di cui abbiamo discusso, Cynthia” le rammentò il marito, fissandola ombroso.

A sorpresa, la moglie arrossì e, sotto lo sguardo curioso di Lucius, lei gli riferì: “Presso di voi si trova un uomo a cui devo mille e più scuse, e ben più di una spiegazione. E’ ormai tempo che io mi redima dal mio comportamento egoista.”

Bradbury ragionò alcuni secondi su quelle parole prima di ricollegare alcuni fatti che, anni addietro, Lorainne gli aveva comunicato tramite lettera.

Era mai possibile che herzogin Cynthia Ludwig fosse, in realtà, Cynthia Withmore, la sorella scomparsa della moglie di Maximilian?

A ben vedere, in effetti, le due si somigliavano ma, avendo visto Sophie solo una volta – durante il battesimo di Jeffery – non ci aveva mai fatto caso.

Esistevano tante belle donne dai capelli neri e gli occhi azzurri. Però, guardandola meglio…
Nel sentirla parlare a quel modo, però, ricollegò i due aneddoti ed esalò: “Oh… volete parlare con lord Westwood, vero? E sapete che, con lui, c’è la sua fidanzata?”

“Beh, sarà un’ottima occasione per chiedere scusa anche a lei, pur se all’epoca del mio errore, lei non era ancora nella vita di lord Westwood” dichiarò Cynthia, sicura di sé.

“Buona fortuna, allora” disse Lucius, mentre Cynthia si inchinava prima di allontanarsi con il suo seguito.

Sebastian la seguì con lo sguardo, mormorando pensieroso: “Quando seppi dell’inganno perpetrato ai danni di lord Westwood, mi irritai grandemente ma, ormai, eravamo in mare aperto, impossibilitati a tornare indietro per rimediare almeno in parte al danno. Non era così che volevo che andassero le cose.”

Lanciando poi un sorriso a Lucius, aggiunse: “Ma non voglio trattenervi qui con i miei rimorsi, quando voi avete un nemico da inseguire. Se avrete bisogno di appoggio, vi manderò qualcuno dei miei.”

“Ho tutti i cacciatori di cui ho bisogno, ma grazie” asserì Lucius, lanciando un’occhiata fiduciosa ai suoi due compagni.

“Molto bene. Allora, mi premurerò di mandare a prendere i vostri amici e la vostra servitù, così che siano miei ospiti” dichiarò a quel punto l’uomo, sorprendendo un poco Lucius.

Bradbury lo guardò quindi con espressione grata, e asserì: “Sarebbe davvero un gesto molto generoso. Grazie.”

“Non c’è di che. Se non ci aiutiamo tra noi…” dichiarò Sebastian, dandogli una pacca sulla spalla prima di ordinare a uno dei suoi uomini di scortarli nel punto in cui era sparito il carro.

Nel vederli allontanarsi, gridò poi loro ‘buona fortuna’ in tedesco e, mentre il trio di cavalieri si addentrava nella proprietà del nobile prussiano, l’uomo tornò serio e mormorò: “Speriamo davvero che li trovino.”
 
***

“Quelle due sono peggio di uno squadrone di comandanti” gracchiò impressionato Samuel, osservando Lorainne e Violet mentre lanciavano ordini a destra e a manca, spalleggiate dal capocantiere che, letteralmente, pendeva dalle loro labbra.

“Cosa non possono due bei sorrisi e un pizzico di dolcezza, uniti a un polso fermo e tanta, tanta determinazione…” chiosò Andrew, annuendo e scrutando divertito il figlio.

Jeffery era del tutto preso dal rincorrere una farfalla e il padre, lieto di vederlo tranquillo e sereno, aggiunse con un mormorio: “Mi spiace pensare che non potrà avere fratelli o sorelle, ma non voglio che Violet rischi di nuovo.”

“Ti capisco. Se penso a qualcosa del genere per Sarah, rabbrividisco” ammise Samuel, lanciando poi un’occhiata alla casamatta, dove si trovava la fidanzata. “Pensi dovremmo darle il cambio al capezzale di Silver?”

“Credo che abbia bisogno di parlare con una donna, al momento e, visto che Generale 1 e Generale 2 sono impegnate…” celiò Andrew, ammiccando comicamente.

“Non mi è piaciuto vederla così spaventata. Era la prima volta che mi capitava. Non è come per la faccenda dei ragni che, bene o male, è solo una mezza burla. Qui c’è molto di più e, solo per questo, spaccherei volentieri la faccia di colui che ci ha portati a questo” sbuffò irritato Samuel, volgendosi poi curioso quando udì il rumore di alcuni carri sopraggiungere al cantiere.

“Sono già di ritorno?” domandò Andrew, acuendo poi lo sguardo per meglio mettere a fuoco. “Uhm… direi di no.”

Samuel non disse nulla in merito e, levandosi lentamente in piedi – gli occhi sgranati e sorpresi – mosse debolmente alcuni passi verso i carri sotto lo sguardo curioso di Andrew.

Quando i cavalli vennero fermati, la donna più elegante tra i nuovi giunti scese dal sedile della vettura – di cui reggeva le redini – e, nello scrutare contrita Samuel, si avvicinò di alcuni passi con fare deciso.

A poco più di un metro si fermò e, dopo una riverenza, reclinò compita il capo e disse: “E’ un piacere rivedervi, lord Westwood.”

“Cynthia?” gracchiò in qualche modo Samuel, ancora incredulo.

Lei assentì appena mentre Andrew si avvicinava curioso e, nell’osservare un momento la casamatta, la donna domandò: “Ho portato uomini e donne per dare una mano, oltre che per scortarvi a casa mia e di mio marito. Dove sono i feriti?”

Andrew le indicò basito gli uffici della ditta e Cynthia, dopo aver dato rapidi ordini, tornò a rivolgersi a Samuel, dichiarando: “Siete in salute, vedo, e sono stata avvisata da lord Bradbury che siete anche fidanzato.”

“Vostro… marito? Lucius? Ma come…?” balbettò sempre più confuso Samuel, non sapendo che dire, o cosa pensare.

Perché Cynthia si trovava lì? Da dove era saltata fuori?

Herzog Sebastian Ludwig di Dresda è mio marito” dichiarò compita Cynthia. “Non appena ha saputo della vostra presenza sull’isola, ha dichiarato l’intenzione di conoscervi per chiedervi perdono per il mio comportamento increscioso. Lui non sapeva nulla del mio piano per raggiungerlo… non ero stata chiara su come avrei raggiunto il porto per incontrarlo, tanti anni addietro.”

Samuel si accigliò un po’, ma annuì debolmente e Cynthia, accettando quell’implicito consenso a parlare, proseguì nel suo racconto.

“Litigammo furiosamente, per questo, ma ormai il danno era fatto. Io mi sentii tremendamente in colpa per aver agito a quel modo ma, anche in quel caso, non potei porvi rimedio, visto che eravamo già in mare aperto. Sono sicura di non essere riuscita a chiarire quanto mi sentissi male, nella mia lettera. Non sono mai stata brava, con queste cose” accennò un sorriso triste la donna, arrossendo un poco.

“Sophie soffrì moltissimo, e così pure i vostri genitori” dichiarò Samuel, con tono insolitamente duro.

Cynthia accettò il rimprovero implicito e annuì.

“Ne sono consapevole, e anche per questo sono giunta qui, oggi. Volevo che, innanzitutto, a parlare con voi fossi io” asserì la donna. “Sophie come sta?”

“E’ sposata con Maximilian. Penso lo ricorderete. Aspettano un figlio” mormorò Samuel, ancora restio a sciogliersi.

Quella era la donna che gli aveva spezzato il cuore, ma anche colei che lo aveva reso consapevole della propria superficialità e che lo aveva messo dinanzi ai propri errori.

Anche grazie al tradimento di Cynthia, aveva potuto aprire gli occhi sulla realtà dei fatti e, in virtù di questa sua presa di coscienza, aveva finalmente visto Sarah.

Per lui, non era più stata solo l’amica di Max, la ragazzina simpatica e spigliata che lo divertiva, il vivace folletto che aveva fatto il tutto e per tutto per risollevargli il morale, nei momenti più bui.

Se non avesse ricevuto quella sonora batosta, forse non avrebbe mai potuto apprezzare Sarah come, invece, ora poteva fare. Quindi, nel bene e nel male, Cynthia gli aveva fatto un favore.

Quest’ultima sorrise appena, nell’apprendere della futura maternità della sorella, e annuì compiaciuta ma, ancora, rimase passiva e contrita dinanzi a Samuel.

“Sono felice per loro. Per lo meno, so che Sophie ha al fianco un uomo di valore. Come lo siete voi, del resto e, proprio per questo, io desidero scusarmi con il cuore in mano e la verità sulle labbra” mormorò Cynthia, facendo l’atto di piegarsi in ginocchio.

Samuel la bloccò sul nascere, afferrandola a un braccio e, nel rimetterla diritta, dichiarò con veemenza: “Siete venuta qui per amore di un uomo, lasciando tutto e tutti e credendo ciecamente in lui. Siete stata temeraria e sì, crudele, ma avete desiderato con tutta voi stessa di riuscire, perché credevate in questo amore.”

“Sì, è vero” mormorò lei, annuendo debolmente. “Forse per la prima volta, mi sono impegnata con tutta me stessa in un’impresa anche se, per farlo, ho calpestato molti cuori.”

“Allora, accettate gli errori commessi e usateli come memento per non commetterne altri. Da parte mia, non ho pendenze con voi né, tanto meno, con vostro marito. Commisi errori a mia volta, in quel frangente, e non mi comportai in maniera assennata. Ne pagai il fio patendo un dolore cocente ma, grazie a quella sventurata scelta, ebbi modo di conoscere meglio la mia futura moglie, perciò non vi sono debiti, tra noi” aggiunse infine Samuel, lasciandole andare il braccio.

“Ve ne sono grata” sussurrò Cynthia, tenendo comunque reclinato il capo.

Aveva avuto più di due mesi di tempo, durante la difficile traversata dell’oceano Atlantico, per pentirsi dei sotterfugi utilizzati per raggiungere Sebastian.

Quest’ultimo l’aveva severamente rimproverata per avergli mentito, circa la sua possibilità di raggiungerlo a Southampton con il benestare del padre.

L’uomo aveva immaginato di trovarla al porto con la famiglia tutta, e aveva sperato di scusarsi in quel frangente con il padre di lei, per l’avventatezza di quel piano.

Ciò, purtroppo, non era avvenuto. Sebastian aveva trovato soltanto Cynthia, dinanzi all’albergo in cui l’aveva attesa e, quando ella aveva ammesso la verità, era stato tentato di ricondurla a casa per parlare con suo padre.

Solo le lacrime di Cynthia lo avevano fatto desistere e, una volta salpati, Sebastian aveva voluto conoscere tutta la verità.

Cynthia, così, aveva dovuto riconoscere con lui tutto ciò che aveva fatto – e detto – pur di raggiungerlo. Aveva ammesso di aver tentato di parlare col padre del suo affetto profondo per lui, ma di non averne mai avuto il coraggio.

Gli aveva altresì spiegato come, la conoscenza di Samuel Westwood, l’avesse convinta di poter approfittare del suo buon cuore per fuggire di casa e raggiungerlo.

Infine, con il cuore spezzato, aveva riconosciuto quanto, l’ingannare lord Westwood, l’avesse fatta sentire sporca e ingrata.

Sebastian l’aveva dapprima rabberciata e, dopo lunghi giorni di silenzio, l’aveva infine perdonata per i suoi errori, obbligandola però a promettergli una sua redenzione.

Dopo essere giunti a Tremont, e aver preso il nome Ludwig come moglie di Sebastian, Cynthia aveva quindi scritto alla famiglia una lunga lettera di scuse. Dopo due anni di inutili attese, e nessuna risposta a quella missiva, aveva infine rinunciato al loro perdono.

Nel farne cenno a Samuel, Cynthia lo vide sgranare gli occhi per la sorpresa e la confusione, del tutto sconcertato da quella notizia.

“Invero, credo che quella lettera non sia mai giunta. Diversamente, Sophie ce lo avrebbe detto. Forse, andò persa in un naufragio, o tra i meandri delle poste inglesi.”

Sospirando, la donna assentì spiacente, mormorando: “E’ il giusto prezzo per ciò che ho fatto. Merito di patire queste pene.”

“Ora non siate così autolesionista” la rimproverò gentilmente Samuel. “Non avete commesso nessun omicidio e, se ben conosco vostro padre, anche il più brutto litigio può essere risolto se, a parlare, sono la verità e la contrizione.”

“Forse voi dite il vero, però…”

Bloccandosi a metà della frase quando una voce di donna si incuneò nel loro discorso, Cynthia si volse verso la casamatta del cantiere e, a sorpresa, vide una donna bruna fissarla con espressione furiosa.

Zoppicante, la giovane si avventurò verso di loro con fare bellicoso ma Samuel, intercettando Sarah prima che potesse mettere le mani addosso a Cynthia, esclamò: “Calma, mia cara! La tua caviglia non è ancora guarita!”

“Chi se ne importa della caviglia!” protestò Sarah, divincolandosi. “Riconoscerei quel viso tra mille. Vi vidi in compagnia di Samuel, a York, quella tragica estate di tre anni addietro e, se non avessi sott’occhio Sophie tutti i giorni, avrei anche potuto dimenticarmi di voi… ma ciò non è avvenuto. Che ci fate qui?! Cosa volete ancora dal mio fidanzato!?”

Cynthia indietreggiò di un passo, colpita da tanto livore e, nel vedere come Samuel la stringesse a sé e quanto dolore vi fosse in quegli occhi turchesi, herzogin Ludwig mormorò: “La sua fidanzata?”

“Sono Lady Sarah Adelaide Phillips, figlia del duca Thornton di York, per voi” la rimbeccò quest’ultima, sbottando furiosa.

Samuel rise sommessamente, di fronte a quell’esibizione di sfacciataggine e, nel carezzare la schiena tesa della fidanzata, disse: “Ti ricordi del tuo secondo nome solo quando vuoi fare l’arrabbiata, ma ora non è davvero il caso. Io e Cynthia ci siamo chiariti.”

“Ma io no!” ringhiò per contro Sarah, cercando ancora una volta di sfuggire alla presa di Samuel.

Un grido in lontananza incuriosì tutti, bloccando per un momento l’arringa di Sarah e la stretta di Samuel. Volgendosi verso il cantiere, videro quindi Violet sbracciarsi per avvertire il marito e, solo in quel momento, notarono la corsa di Lorainne e il suo sguardo da falco puntato contro Cynthia.

“Accidenti a loro!” brontolò il giovane Spencer, intercettando la cognata e bloccandola alla vita con un braccio. “Non ti ci mettere anche tu, Lory!”

“Ma lei ha ferito Samuel!” sbraitò Lorainne, sbracciandosi per sfuggire alla sua presa.

Samuel, allora, le sorrise grato ma replicò: “Sei gentile a preoccuparti per me, Lorainne, ma va tutto bene.”

“Sei sicuro?” mugugnò quest’ultima, fissandolo dubbiosa.

“Non dargli retta, Lory… dobbiamo vendicarci” si inalberò nuovamente Sarah, riuscendo a liberarsi finalmente della stretta di Samuel.

Fu un attimo, niente più di un battito di ciglia, e Sarah prese per le spalle Cynthia, scuotendola con forza, mentre calde lacrime le scorrevano sul viso straziato dal dolore.

“Avete la più pallida idea di quanto lui abbia sofferto per il vostro tradimento? E di quanto io abbia sofferto a vederlo così?” le urlò contro Sarah, livida in viso.

Cynthia scosse il capo, contrita, e mormorò: “No, né mai potrò saperlo. Posso solo parlarvi del dolore che ho patito io per averlo tradito. Non mi permetterei mai di fare ipotesi sul dolore degli altri.”

Sarah si chetò leggermente, a quelle parole così intrise di pentimento e, rilasciando le mani, ristette dinanzi alla donna e le domandò: “Perché tante bugie?”

“Perché, contrariamente a mia sorella, non ho mai voluto affrontare i problemi, ma aggirarli… e spesso ho ferito le persone, nel farlo” ammise senza remore Cynthia. “Me ne pento ogni giorno, e così farò finché avrò fiato nei polmoni, ma non posso ricomporre un uovo rotto. Posso solo tentare di non romperne altri.”

“D’accordo, posso anche accettare questo discorso, ma…” annuì debolmente Sarah, prima di chiederle: “… dov’è l’uomo che vi ha fatto commettere tali misfatti?”

Lei sorrise appena, a quell’accenno, e disse: “Oh, lui non ne sapeva assolutamente nulla. Era convinto che sarei giunta al porto con mio padre, così che lui potesse dichiararsi ufficialmente. Ciò non avvenne, e la sua rabbia fu grande, ma prevalse l’amore per me.”

“Avete recitato un ruolo pericoloso… avrebbe potuto rifiutarvi per le vostre bugie” le fece notare Sarah, accigliandosi.

“Ora ne sono consapevole. Al tempo, però, ero solo ansiosa di allontanarmi da un luogo che credevo ostile, e da un mondo in cui mi sentivo imperfetta. Mio marito mi faceva sentire come se anch’io valessi qualcosa, perciò non desideravo altro che vivere con lui... facendo ciò che ho fatto, però, ho finito con il ferire molti di coloro che amavo e rispettavo. Per questo, quando ho saputo di voi, ho desiderato venire per scusarmi, ma l’incendio ha dirottato la mia visita.”

Nel pensare alle donne entrate nella casamatta, Sarah assentì e disse più gentilmente: “Grazie per il loro aiuto. Zoe, Justine e Janice avevano bisogno di riposare, e Silver necessitava ancora di essere controllata a vista.”

“E’ il minimo, tra vicini” mormorò Cynthia.

Lasciata andare Lorainne, che ora appariva più calma, Andrew le domandò: “Cosa intendete, per vicini?”

“Io e mio marito, herzog Sebastian Ludwig, abitiamo a Tremont, in una villa sulla collina. Per questo, parlo di ‘vicini’. Il villaggio è l’insediamento umano più vicino alla villa di lord Bradbury, tolto il suo cantiere, e le nostre famiglie si conoscono da un po’.”

Poi, guardandosi intorno e notando come Sarah non poggiasse il peso sulla sua caviglia destra, aggiunse: “Vista la situazione attuale, vorrei sollecitare tutti voi a raggiungere casa mia, così che possiate riposare e rifocillarvi. Farò spostare laggiù anche i feriti. E’ inutile che rimaniate nel cantiere anche a dormire.”

Tutti si guardarono dubbiosi, indecisi su cosa dire, così fu Samuel a parlare.

“Ve ne siamo grati. Accettiamo volentieri.”

“Io rimarrò” replicò però Lorainne. “Non me ne vogliate, ma Lucius non è qui, e io devo badare ai suoi affari.”

“Potresti ritornare la mattina seguente” le propose Andrew, restio ad abbandonarla nei pressi di un cantiere, la notte, senza alcuna protezione oltre a una porta di legno.

Cynthia assentì grave, in risposta al dire di Lorainne. “Vi capisco. Più volte ho sostituito mio marito al porto, quando egli era assente. Lord Bradbury è dunque il vostro fidanzato?”

Lorainne arrossì non poco, ma disse: “Non proprio, ma… beh, lo sarà.”

Andrew, allora, scosse il capo per il disgusto, asserendo: “Sempre se tuo padre accetterà questa follia. Comunque, visto che so benissimo che, per farti desistere, dovrei tramortirti – e non voglio – rimarrò anch’io, va bene?”

“Ma…”

“Oh, scusa, cara. Mi spiego meglio. Rimarrò. Punto. Non esistono ‘ma’ né ‘però’, in quest’equazione” sottolineò Andrew, sorridendole con falsa dolcezza.

Violet assentì al marito e, nel prendere in braccio Jeffery, dichiarò: “Visto che si è più o meno tutto risolto, sarà il caso di predisporre il trasporto di monsieur Poland e Silver alla casa dei Ludwig assieme alla servitù, mentre Lorainne e Andrew troveranno il modo di discutere ancora un poco.”

Samuel sorrise divertito, a quel commento, e ammise: “Ho idea che tu abbia ragione, Violet. Sarah, perché non monti sul carro di herzogin Ludwig? Io vado a prendere Silver mentre avviso la servitù di seguirci.”

Sarah tornò a guardare Cynthia, valutò quell’opzione ma, infine, assentì.

Era inutile continuare a puntare i piedi, se Samuel sembrava essere così sereno. In fondo, a lei importava di lui, non di Cynthia.
 
***

La notte era placida e calma e, a parte il sibilare della brezza tra il sartiame delle navi, si udiva poco altro.

Sdraiata sul pagliericcio che Lucius aveva sul retro dell’ufficio, mentre Andrew era sistemato su una branda recuperata dall’ostello degli operai, Lorainne lasciò i pensieri a briglia sciolta.

Era stato uno shock rivedere Cynthia Withmore e scoprire che, in fondo, non era poi il mostro che tutti loro avevano creduto.

Certo, si era comportata in modo orribile con Samuel e Sophie ma, da quel poco che aveva visto, pareva essere sinceramente pentita e maturata.

Avrebbe tanto voluto passare la serata a fare il terzo grado a suo marito, ma era più che sicura che vi avrebbe pensato Sarah.

Lei doveva pensare a Lucius, all’uomo che aveva deciso di seguire in barba a tutto.

Sorridendo suo malgrado, si disse che, dopotutto, Cynthia aveva fatto la stessa identica cosa.

Lei si apprestava a rimanere lì, senza rientrare a casa, lasciando ad Andrew il compito ingrato di parlare con suo padre, e tutto perché non se la sentiva di abbandonare il fianco di Lucius.

Come poteva ritenersi migliore di Cynthia, a quel punto?

“Pensi così forte che non riesco a prendere sonno” brontolò Andrew, sorprendendola.

“Smettila di dire sciocchezze” brontolò lei, rivoltandosi nel letto per l’ennesima volta.

“Tesoro, sono almeno cento volte che ti rigiri tra le lenzuola, sospirando e mugugnando come una pentola ribollente. Qualcosa hai di sicuro” ironizzò il giovane Spencer, lasciando baluginare un sorriso nella semi oscurità che li avvolgeva.

“Oh… davvero?” mormorò Lorainne, dubbiosa. Non se n’era affatto accorta!

“Posso assicurartelo con un ragionevole margine di sicurezza” affermò Andrew.

Lorainne, allora, si mise a sedere sul pagliericcio, afferrò un pannetto e se lo drappeggiò sulle spalle.

A quel punto, con un sospiro, domandò al cognato: “Pensi che stia sbagliando?”

“Riguardo a cosa, Lorainne?”

“A tutto quanto. A me, a Lucius, alla mia testardaggine nel voler fare quello che voglio e basta.”

Andrew sorrise debolmente, asserendo: “Non conosco nessuna donna che non sia un minimo testarda. Persino Violet, in tutta la sua dolcezza, sa essere testarda come un mulo, quando vuole.”

Poi, con tono da cospiratore, aggiunse: “Ovviamente, se ripeterai queste parole, io negherò tutto.”

Lorainne rise debolmente, e annuì.

“La cosa si riduce a una semplice domanda. Cosa provi per lui?”

“E’ complicato” borbottò Lorainne, grata della semi oscurità che li circondava, e che nascondeva più che bene il fuoco sulle sue gote.

“Prova a semplificarlo. Perché pensi che Lucius sia l’uomo giusto per te? Non lo conosci molto, no?”

Lorainne lo sapeva bene, e rammentava anche altrettanto bene il suo desiderio di conoscerlo meglio. Fin da quando entra entrato a far parte delle loro vite, Lorainne ne era rimasta affascinata.

Il suo modo di fare così disinibito l’aveva incuriosita, così come il suo sorriso spontaneo o la sua risata contagiosa.

Era stata gelosa – in senso buono – delle sue sorelle che, fin dal principio, erano riuscite a legare con lui in modo profondo e sincero.

La sua vita avventurosa, i suoi progetti quasi irrealizzabili, la sua tenacia nel portarli avanti. Ogni cosa aveva cospirato contro di lei, rendendola bramosa di un suo sguardo e di una sua parola.

Aveva desiderato rientrare nei suoi interessi, nei suoi progetti e, per fare ciò, aveva seguito il consiglio di Maxwell, liberando così la vera se stessa dalle briglie che lei stessa si era imposta.

Nel fare ciò, si era scontrata con un uomo che aveva sfruttato la sua sete, i suoi desideri, ma ora era libera dal peso del rimorso e dell’umiliazione.

Vedeva solo ciò che desiderava, e avrebbe combattuto per avere tutto questo.

“Credo che la sua intraprendenza mi abbia colpito fin dal principio. E’ sempre stato sopra le righe, irriverente, spiritoso… e amava parlare di tutto, anche con le donne. Inoltre, adoravo il modo in cui trattava Violet. Desideravo… beh, desideravo essere al suo posto” ammise Lorainne, con un alito di voce.

“Capisco cosa vuoi dire. All’inizio, pensavo che Lucius provasse qualcosa per lei, ma poi mi è bastato guardarli bene, per capire che erano solo amici. Quando, invece, siamo giunti qui e lui ti ha guardata, ho capito subito che era sorto un problema” asserì Andrew, squadrandola curioso nonostante – di lei – potesse scorgere solo i contorni del viso. “Il che mi porta a una domanda, Lory. Non credo che Lucius sia un tipo dall’innamoramento facile, e neppure tu. Quindi, cosa c’è che non so?”

“Ero io a scrivere… sì, quando Violet gli mandava delle lettere per tenerlo al corrente di ciò che accadeva a casa, insistevo per essere sempre io a scrivergli e, di fatto, è diventata un’abitudine” mormorò Lorainne, mettendo a voce una verità che solo le sue sorelle conoscevano. “Ovviamente, così facendo, non inserivo solo i pensieri di Lettie, ma anche i miei.”

“Oh… capisco. E lui, sempre ovviamente, rispondeva a te, non solo a Violet. Mi è sempre parso strano, infatti, che lei non conservasse mai le sue lettere. Le tenesti sempre tu, vero?” dichiarò Andrew.

Lorainne assentì e, con tono contrito, aggiunse: “Quando io e Michael iniziammo a frequentarci, decisi di smettere ma lui, anzi, mi invogliò a continuare a scrivergli, poiché era convinto che mantenere saldi i rapporti di amicizia fosse vitale, nella vita di chiunque.”
Andrew rise sardonico, asserendo: “Sì, infatti lui era un assiduo amico di lady Corsby… scusa, Lorainne, ma è vero.”

Lei rise a sua volta. “Non devi scusarti. Lo so. Ho digerito il fatto di essermi comportata da sciocca, con lui, così come di aver creduto che, nelle lettere che scrivevo, vi fosse solo l’ammirazione per un amico di mia sorella.”

“C’era il tuo cuore” annuì Andrew con tono più dolce.

“Già. E, nelle sue lettere, c’era quello di Lucius anche se, a quanto pare, neppure lui se n’era accorto” mormorò la giovane. “Il che ci riporta al problema attuale. Sbaglio, a fidarmi solo di alcune lettere e di ciò che ho visto e sentito qui?”

“Pensa a mia sorella. Lei ha impiegato ben poco, per innamorarsi di Alexander. Credo, anzi, che sia capitolata già al suo primo regalo” dichiarò con semplicità Andrew.

“Oh, sì! La spilla da balia” ridacchiò Lory.

Tornando serio, il cognato le disse: “Non importa quanto tempo stai con una persona, ma ciò che provi quando ti trovi con essa. Eri felice, quando Michael ti faceva la corte?”

“Ero lusingata… ma non provai mai ciò che provo stando con Lucius.”

“E qui ti fermo, perché non voglio sapere tutto quello che provi per lui” la mise in guardia Andrew, facendola ridere nuovamente.

“Quindi, cosa devo fare?”

“Penso tu ti sia già risposta da sola, tesoro. Sei balzata dentro una casa in preda alle fiamme, perché sapevi che lui era lì. E non importa se lo hai fatto anche per Silver. Conta il fatto che vi fosse Lucius, all’interno” le disse Andrew. “Ti sei sobbarcata l’impegno di aiutarlo qui al cantiere, mentre lui è in cerca di quel Collins, e ora sei sdraiata su un pagliericcio, invece che su un comodo letto a tre piazze, perché è qui che vuoi stare. Per lui.

Lorainne rimase in silenzio per diversi attimi, rimuginando su quelle ultime parole e, quando ritrovò il coraggio di aprire bocca, disse: “Sono contenta che Violet ti abbia sposato. Sei un tesoro di uomo.”

Andrew, allora, si levò dalla branda, la raggiunse e, nello stringerla a sé per un abbraccio, le baciò una tempia, mormorando: “Ah, piccola… ci mancherai davvero. Ma ormai so che il tuo posto è qui.”

Lorainne si limitò ad appoggiarsi al torace ampio e confortante di Andrew e, in silenzio, pianse.

Pianse per il sollievo, lieta di aver finalmente fatto chiarezza con se stessa.

Pianse per la paura del futuro perché, anche se era ottimista, sapeva bene che non tutto sarebbe stato facile o lineare.

Pianse, infine, all’idea di lasciare tutto e tutti, pur con la consapevolezza che, in quella nuova terra, avrebbe trovato nuovi amici e il suo amore.

Ma, in fondo, qual era quella decisione scevra di dazi da pagare?





 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


12.
 
 
 
 
Sarah aveva raggiunto ormai da ore le stanze che, tanto gentilmente, herzog Ludwig aveva messo a disposizione per tutti loro, ma per Samuel era ancora difficile imitarla per raggiungere le proprie.

L’incontro con Cynthia lo aveva destabilizzato, così come l’ascoltare la sua storia, o le sue scuse. A ben vedere, però, molto meno di quanto avesse temuto in un primo momento, nel ritrovarsela dinanzi dopo tre anni dalla loro separazione improvvisa.

Se simili spiegazioni fossero giunte anni addietro ne sarebbe stato maggiormente colpito, ma ora era tutto diverso, dentro di lui.

Quei primi mesi dal suo abbandono erano stati assai difficili, mesi in cui la sua joie de vivre era stata messa seriamente a repentaglio dal gesto egoista di Cynthia.

Samuel, però, aveva avuto parole dure anche per se stesso, non soltanto per la donna di cui si era così superficialmente infatuato.

Non aveva mai fatto mistero di apprezzare sempre e comunque il genere femminile, e Max aveva cercato di aiutarlo – nel corso degli anni – a non rimanerne vittima.

Con Cynthia, poco aveva potuto fare, se non raccogliere i cocci di ciò che era rimasto e ricondurlo tra le amene pareti di Green Manor per essere curato nello spirito, se non nel corpo.

Zia Mina era stata buona, con lui, ma anche lapidaria nel rabberciarlo per quella follia e per essersi lasciato andare – ancora una volta – a eccessi estremi nei confronti delle donne.

Come darle torto, visto il modo in cu aveva messo in pericolo Max e Sophie, e costretto Elizabeth e Wendell a raggiungere, oltre a lui e Cynthia, anche i loro diretti inseguitori?

Era stato davvero sciocco credersi capace di tale impresa e, col senno di poi, se ne era dolorosamente reso conto.

Il suo titolo altisonante non avrebbe contato nulla, in America e, senza l’appoggio della sua famiglia, avrebbe condotto – e fatto condurre a Cynthia – una vita ben miserabile.

Certo, era acculturato e sapeva ferrare da solo il proprio cavallo, ma aveva compreso quasi subito che, queste sue dubbie capacità, sarebbero state apprezzate nel Nuovo Mondo, senza un capitale alle spalle per farle fruttare.

A conti fatti, l’aver fallito in quell’impresa era stato un bene. Per lui, ma anche per Cynthia.

“La vostra camera non vi aggrada, lord Westwood?” domandò a sorpresa il padrone di casa, sorprendendolo.

Volgendo a mezzo il viso sorpreso, illuminato in parte dalle fiamme morenti del camino acceso nella biblioteca di Ludwig Haus, Samuel mormorò: “Herzog Ludwig… no, la camera va benissimo, ma non riuscivo a prendere sonno.”

“Troppe emozioni, immagino” chiosò l’uomo, rinfocolando le fiamme con un paio di ceppi prima di accomodarsi su una poltrona.

“Davvero troppe, per un giorno solo” ammise Samuel, giocherellando distrattamente con un bottone del suo panciotto.

“La vostra futura moglie è davvero affascinante, e molto divertente” buttò lì Sebastian, lanciando un’occhiata curiosa al suo ospite.

Subito, Samuel si aprì in un sorriso, assentendo.

“Sarah ha il dono raro di regalare gioia al primo sguardo. A me in particolare, poi, ha restituito la voglia di vivere.”

“Mi rincresce infinitamente per ciò che successe tre anni addietro, e posso solo ringraziarvi per essere stato così solerte e cavalleresco con Cynthia” asserì a quel punto Sebastian, rilassandosi un poco sulla poltrona.

Accennando un sorriso, Samuel mormorò: “Fui così sciocco da credere di essere in grado di vivere come un commoner e, forte delle parole di Cynthia, mi imbarcai con lei in quell’avventura… ma sappiamo bene entrambi che sarebbe stato un fallimento.”

“Il grosso difetto della nobiltà inglese e, più in generale, dei nobili europei, è questo falso mito della permanenza delle cose. Nulla cambia, nel loro mondo, quando invece i fatti stessi smentiscono questa credenza.”

“Per me sarebbe stato davvero un bel cambiamento, visto che non ho mai lavorato un solo giorno in vita mia” ironizzò tristemente Samuel, guardando curioso il padrone di casa. “Per questo vi siete dato ai commerci? Per essere diverso dalla massa?”

“Per risarcire i debiti di gioco di mio padre” celiò a sorpresa Sebastian. “Come dicevo, i nobili pensano che il loro mondo rimarrà sempre uguale, immutabile nel tempo ma, perché ciò avvenga, bisogna essere oculati e prudenti. Mio padre non lo fu, e dilapidò gran parte delle nostre fortune, mandando sul lastrico la famiglia.”

“Mi spiace” mormorò Samuel, non sapendo bene cosa dire.

“Se vogliamo, per me fu un vantaggio” ironizzò suo malgrado Sebastian. “A vent’anni, cominciai a interessarmi di tessuti grazie ai buoni uffici dello zio di un nostro fedele servitore. Lui mi spiegò i segreti del mestiere e, grazie a ciò che rimaneva del nostro – un tempo – importante patrimonio, comprai i primi stock di sete d’importazione.”

“Vi siete gettato nel vuoto, in pratica” mormorò ammirato Samuel.

“O quello, o vendere la casa, costringere mia madre a diventare cucitrice, e le mie sorelle delle guardarobiere, o peggio. Dovevo garantire alle mie sorelline un matrimonio decente, e a mia madre una vecchiaia tranquilla, visto che nostro padre non lo aveva fatto per loro” scrollò le spalle Sebastian, come se non meritasse alcun plauso.

Lo sguardo immerso nelle fiamme del camino, il nobile prussiano aggiunse pensieroso: “Sposai la mia prima moglie tre anni dopo, durante un mio viaggio in India. Si chiamava Indira, ed era la figlia di un ricco signorotto indiano. Pensai che, dopotutto, non fosse un male cambiare sangue all’interno della mia famiglia, visto ciò che era successo con mio padre, e certi altri zii di cui preferisco non dire neppure il nome.”

Samuel ripensò al bellissimo ragazzo quindicenne che aveva incontrato quella stessa sera, a cena, e sorrise.

La sua carnagione ambrata lo aveva subito incuriosito, così come i profondissimi occhi neri, che gli erano parsi essere molto più maturi rispetto all’età reale del loro proprietario.
Lui aveva dovuto subire un’umiliazione feroce, per raggiungere un simile traguardo di maturità, e in ben più tarda età.

“Purtroppo, i rigidi inverni prussiani minarono la sua salute e, neppure sei anni dopo, Indira morì, lasciandomi con Thomas ancora piccolo e un profondo vuoto nel cuore” proseguì nel racconto Sebastian.

“Avete fatto un ottimo lavoro, con lui. Thomas mi sembra un giovane assai a modo e molto intelligente” asserì Samuel, sapendo di dire il vero.

“Grazie. Anche se va detto che molto aiuto lo ricevetti dalla mia servitù. Tutti amavano Indira, e riversarono su Thomas le loro attenzioni.”

Ciò detto, il prussiano ridacchiò e aggiunse: “Avreste dovuto sentire i commenti dei miei cosiddetti amici. Io che lasciavo nelle mani della servitù il mio piccolo. Mi considerarono un folle.”

Samuel sogghignò a quell’accenno, replicando: “Apprezzereste molto la famiglia di lord Spencer. Anche Andrew è cresciuto in un ambiente piuttosto informale, e i Conti Spencer sono spesso stati tacciati di essere degli eccentrici, in seno alla nobiltà inglese.”

“Per non dire di peggio, immagino” mormorò con sussiego l’uomo.

“Esatto” assentì Samuel.

“Fu in questo scenario che incontrai Cynthia. Ero a York per affari, attirato fin lì dalle lane che produceva suo padre. Erano di grandissima qualità e, per ciò che mi proponevo di fare qui in America, erano l’ideale, così decisi di recarmi al lanificio di persona. Portai con me anche Thomas – cerco di non lasciarlo mai solo per troppo tempo, anche se ormai comincia a essere grande – e fu in quell’occasione che la vidi per la prima volta.”

“Cynthia al lanificio?” domandò dubbioso Samuel.

Sebastian scosse il capo, asserendo: “Oh, no. Mi ha confessato di avere un terrore folle delle macchine, e non ha mai capito come suo padre potesse anche solo comprenderne il funzionamento. Si ritiene molto… vecchia, in questo, passatemi il termine. Preferisce le cose antiche, senza troppi ingranaggi.”

Samuel assentì, e il prussiano proseguì dicendo: “Stava passeggiando sul limitare della strada, con un ombrellino di pizzo a proteggere il viso dai raggi del sole. Thomas esclamò a gran voce ‘una bella donna inglese’ e lei si voltò, sorpresa, per capire chi avesse parlato.”

Samuel ridacchiò. Non faceva specie che il piccolo Thomas l’avesse trovata bella. Se c’era una cosa in cui non difettava Cynthia, era la bellezza.

“Fu così che ci fermammo – tendevo a viziare troppo mio figlio, anche se ora spero di essere un po’ migliorato – e Thomas le fece mille e più domande, senza mai smettere. Cynthia rispose a ogni cosa, intervallando le sue risposte a caldi sorrisi e dolci carezze.”

Una Cynthia… materna? E chi se lo sarebbe mai aspettato? La sorpresa di Samuel era massima.

“Scoprii così che era figlia di Withmore e, quando lei seppe del mio titolo nobiliare, si raffreddò non poco, pur restando molto gentile con il piccolo Thomas. Venni a sapere delle motivazioni di un tale comportamento, solo in seguito.”

“Sendringham…” mormorò Samuel, assentendo torvo.

“Esattamente. A ogni modo, la mia curiosità nei suoi confronti crebbe, pur se sapevo che lei era molto più giovane di me – dopotutto, ho quasi quarantatré anni – e così, nonostante le sue reticenze iniziali, accettò di rivedermi, pregandomi però di non dire nulla al padre.”

“Immagino che Withmore, almeno all’epoca, non vedesse di buon occhio i nobili, specialmente se accostati a Cynthia” asserì Samuel.

“Fu molto chiaro in merito, durante una cena a casa loro. Non so se lo disse per mettermi in guardia, o solo perché eravamo finiti in argomento, ma la sua dichiarazione fu lapidaria, e mi fece comprendere che mai sarebbe tornato sui suoi passi” sospirò Sebastian, passandosi una mano sulla fronte. “Fu molto frustrante scoprire che mai, il signor Withmore, avrebbe acconsentito a una mia eventuale richiesta di matrimonio.”

“E così, Cynthia cosa fece?”

“Restammo in contatto tramite lettera, quando io dovetti tornare a Londra per alcuni affari, e questo mi consentì di capire quanto si sentisse fuori posto, a York.”

“In che senso?”

“Ho sempre provato molta gelosia nei confronti di Sophie…” intervenne una voce alle loro spalle, sorprendendoli. “… ma ero anche troppo orgogliosa per ammetterlo. Mi sentivo inferiore a lei, e questo mi irritava, perché non sapevo come migliorarmi.”

“Cara… come mai sveglia a quest’ora?” domandò sorpreso Sebastian, facendo l’atto di alzarsi.

Cynthia scosse il capo, levando una mano per bloccarne le mosse, e replicò: “Un po’ di nausea. Sono scesa in cucina per bere dell’acqua e, quando vi ho sentiti parlare, mi sono avvicinata. Sei stato molto generoso nel raccontare di me, caro.”

“Onesto” asserì Sebastian, sorridendole.

Cynthia ammiccò nella sua direzione per un attimo, prima di guardare Samuel e dire: “Mi sentivo al sicuro, con Sebastian. Era un vedovo con un figlio, di certo non un uomo che avrebbe cercato di circuirmi per avermi come aveva fatto il giovane Sendringham. Mi lasciai andare, con lui, e il suo carattere buono e generoso mi riscaldò dopo tanto tempo. Inoltre, mi innamorai di Thomas, devo ammetterlo.”

Nel dirlo, sorrise al marito, che rise sommessamente.

“Era un ragazzino così dolce, e gli piacevo. Fu corroborante, per il mio animo spezzato, e sentii di poter essere sincera senza dover sfoggiare sorrisi maliziosi o altro. Gli andavo bene così com’ero.”

Samuel addolcì lo sguardo, domandandole: “Perché non me lo diceste? Vi avrei aiutata. Anzi, forse, sarei stato ancor più solerte. Amo molto le fughe d’amore e le storie travagliate.”

Cynthia arrossì a quella domanda e, reclinando colpevole il capo, ammise: “Pensai scioccamente che fosse meglio così. Non credevo possibile che un nobiluomo potesse aiutarmi per semplice cortesia, o buon cuore. Mi rendo conto di avervi fatto un grave torto, lord Westwood, e vi chiederò perdono finché la salute me lo consentirà.”

“Risparmiate il fiato per il bimbo che cresce dentro di voi” replicò Samuel, sorridendo tranquillo. “Quella batosta mi servì per maturare… e per capire che Sarah era la donna giusta per me.”

“E’ molto fiera e combattiva. E vi ama molto” assentì Cynthia, un po’ più serena.

“Mi disse che, quando Max ci presentò la prima volta, capì subito che sarei stato suo marito” ironizzò Samuel, passandosi una mano tra la folta capigliatura biondo-castana.

“E ciò quando avvenne?” si interessò Sebastian.

“Quando lei aveva dieci anni” ammiccò Samuel, sorprendendo i padroni di casa.

“Una fanciulla dalle idee chiare” chiosò il prussiano, sbattendo le palpebre con aria scioccata.

“Era più che convinta che, alla fine, sarei maturato a sufficienza per capire che lei era la donna per me, e ha lavorato sui fianchi per anni, perché ciò avvenisse. Me ne resi conto solo dopo, però” ammise Samuel, rammentando come, nel corso del tempo, Sarah si fosse sempre trovata vicino a lui, durante le sue visite a Green Manor.

Era sempre stata una presenza fissa, più o meno evidente a seconda dei momenti, ma ben chiara nella sua mente. Ogni episodio collegato a Max – tolti gli anni di Eton – comprendeva anche Sarah, in qualche modo.

Quando, poi, era tornato stanco e col cuore in pezzi dal suo viaggio a Southampton, lei aveva affondato il colpo finale, diventando il suo sprone per risorgere.

Era stata discreta, non si era mai esposta se non come amica e lui, finalmente libero dalle nebbie che lo avevano imprigionato in quegli anni, l’aveva vista veramente.

Durante la festa di Calendimaggio dell’anno seguente a quella sciagurata impresa, le aveva regalato una coroncina di fiori e lei, estasiata, lo aveva baciato su una guancia.

Lì, era capitolato. Essendo però Sarah ancora piuttosto giovane, aveva preferito aspettare, prima di parlarne con Thornton.

Sarah, comunque, aveva preceduto tutti e, in barba alle convenzioni, aveva chiesto al padre di non farla partecipare alla Stagione seguente, a Londra, per cercare un marito.

Lei avrebbe sposato solo Samuel, non importava quando. L’importante, era che fosse lui, e lui solo.

Anthony, a quel punto, aveva voluto saperne di più, in merito, e Samuel non aveva smentito nulla, assicurando al potenziale futuro suocero il massimo impegno e la più grande serietà.

Il fidanzamento era stato celebrato poco prima di partire per Bass Harbour e, l’anno seguente, si sarebbero sposati.

Ora che, però, c’erano in ballo Lorainne e Lucius, non aveva idea se le date sarebbero state cambiate o meno. O se Anthony avrebbe concesso loro di vivere un solo giorno di più, visto che avevano permesso a una delle sue figliole di innamorarsi senza la sua supervisione.

Samuel sorrise a quel pensiero e Sebastian, dopo aver ascoltato un riassunto di Samuel in merito alle loro ultime settimane passate sull’isola, il tutto condito da molte risate, asserì: “Di certo, in famiglia non vi annoierete mai.”

“Sicuramente. Anche se credo che Myriam, la madre di Sarah, Lorainne e Violet, non si aspettasse simili… comportamenti dalle sue figlie” ironizzò Samuel.

“Oh, ma… lady Violet mi sembra la persona più dolce e cordiale di questo mondo. Che pensieri potrebbe aver mai dato alla madre?” esalò Cynthia, sorpresa.

Samuel, allora, si levò in piedi, sbadigliò dietro la mano levata dinanzi alla bocca e, ormai stanco, disse: “Domandatelo a lei, Cynthia. Sono sicuro che si divertirà a raccontarvi la sua personale avventura per conquistare il diritto di sposare Andrew. Ora, se volete scusarmi, penso riuscirò a riposare un poco. Buonanotte.”

Una volta rimasti soli, Cynthia si rivolse al marito e disse: “Spero che potrà perdonarmi, un giorno.”

“Oh, credo lo abbia fatto. Devi solo essere tu, ora, a perdonarti. Si può essere in errore, nella vita, ma l’importante è mettercela tutta per redimersi, e tu l’hai fatto.”

“Andiamo anche noi?” gli domandò allora Cynthia, allungandogli una mano.

“Credo sia tempo” assentì l’uomo, levandosi in piedi prima di lanciare un’occhiata all’oscurità all’esterno del palazzo. “Spero che riescano a trovare chi cercano.”

Cynthia assentì preoccupata e, assieme al marito, spensero le candele per poi allontanarsi dalla biblioteca e raggiungere così le loro stanze.
 
***

L’oscurità era quasi totale, se si toglieva il riverbero argentato della luna, eppure Albert guidava la piccola spedizione con passo sicuro, come se fossero stati in pieno giorno.

“Il carro, per qualche motivo, ha rallentato” mormorò il lakota, saggiando il terreno con le dita prima di rimontare a cavallo.

“Pensi che abbiano avuto dei problemi?” domandò Lucius, guardandosi intorno con aria tesa.

La notte era scesa già da alcune ore e, per quanto non avessero mai perso la pista, non erano ancora riusciti a raggiungere i fuggitivi.

Se, in un primo momento, avevano pensato a una fuga in direzione di Bass Harbour, il trio si era dovuto ricredere quando le tracce del carro avevano virato verso nord.

Verso il centro montuoso dell’isola.

Non era facile farsi strada tra quelle foreste impervie, dove sporadici acquitrini potevano cogliere in fallo anche il più esperto isolano.

La fretta e l’oscurità potevano causare anche più danni, comunque.

Una caduta accidentale da cavallo era un incidente abbastanza consueto, se non si era esperti nell’arte equestre e, anche se Lucius si riteneva abile, l’ansia poteva essere cattiva consigliera. Il pensiero di sapere Lorainne sicuramente preda della paura per lui, lo irritava e lo spaventava assieme.

“Smettila di pensare a Lorainne, e guarda dove vai” brontolò Albert, dandogli un colpetto con la mano.

Lucius lo guardò male ma non replicò. Aveva dannatamente ragione, ma non voleva sentirselo dire da un amico.

“Vedrai che Lorainne non si perderà d’animo. Però, se ti riportiamo indietro con anche un’unghia rotta, ci scotennerà… perché ho idea che Silver l’abbia istruita anche su questo” brontolò Lawrence, scuotendo il capo.

“Oh, non mi stupirei, se l’avesse fatto davvero” ammise Albert. “Proprio per questo, preferirei ritrovare i fuggitivi, appenderli a un ramo e poi tornare a casa.”

“Appenderli… a un ramo?” ripeté Lucius, facendo tanto d’occhi.

“Cosa pensavi avrei fatto? Che li avrei risparmiati?” asserì Albert, accigliandosi. “Hanno minacciato di morte mia moglie, ferito degli amici e distrutto casa tua. Perdonami se non sono così propenso a guardare la cosa con gli occhi di un washicu.”

Lucius lanciò un’occhiata all’indirizzo di Kerrington, in cerca d’aiuto, ma anche lui sembrava propenso a usare le maniere forti.

“D’accordo, niente corde e botte in testa. Ma sapete che non possiamo semplicemente far sparire i loro corpi, vero?” brontolò Lucius.

“Li porteremo a Bass Harbour, presso la locale stazione dello sceriffo, e io spiegherò come sono andati i fatti. La voce di un colonnello dell’esercito varrà pure qualcosa, no?” dichiarò Lawrence, lanciando un’occhiata furba all’amico.

“Non voglio coinvolgerti più del necessario” protestò Lucius.

“Abbiamo tutti i testimoni che vuoi, per deporre contro Collins, inoltre – per ora – non abbiamo ancora fatto del male a nessuno” sottolineò per contro Albert.

“Quel ‘per ora’ mi rincuora” gracchiò Lucius, venendo però azzittito da Albert che, bloccando la propria cavalcatura, indicò alla loro destra alcuni segni sul terreno.

La luna aiutava, ma non era come cercare una preda in pieno giorno.

Fortunatamente per loro, però, Albert era un cacciatore lakota e, notte o giorno che fosse, lui sapeva come scovare le tracce sul terreno.

Inoltre, il pensiero di Silver ferita lo spingeva a essere più letale e feroce del solito, e ogni stilla di energia era spesa per trovare Collins e il suo complice.

Lucius sperava soltanto che le medicazioni di Lorainne reggessero, o sarebbero stati in guai seri. Non voleva riportare a Silver il cadavere del marito, e solo perché non era stato in grado di fermarlo dal commettere azioni avventate.

Intimando loro di fare silenzio, Albert strappò Lucius da quei lugubri pensieri e indicò ai compagni di inoltrarsi nel bosco, lasciando il sentiero fin lì seguito.

L’oscurità, a quel punto, divenne praticamente totale, ma Albert non se ne curò.

Lui ascoltava la foresta, più che guardarla e, agli impedimenti dinanzi a lui, poteva pensare il cavallo.

Lucius e Lawrence si limitarono a seguirlo, le mani già sulle pistole, pronti a qualsiasi cenno avesse fatto loro il compagno.

Questi, però, non parlò.

Levò un pugno a bloccarli, scese in silenzio dal cavallo e, un pugnale tra i denti e il tomahawk nella mano destra, si acquattò per avvicinarsi a un gruppo di cespugli.

I due compagni lo seguirono dappresso, notando solo a quel punto i rami rotti e il fogliame sparso a terra. Il carro doveva essere passato di lì, forzando la barriera naturale offerta dal sottobosco.

Quale fosse stato il motivo, era ancora da vedersi.

Silenzioso quanto letale, Albert raggiunse infine i cespugli più compromessi e lì, accigliandosi, sussurrò a mezza bocca: “Verso destra, sul bordo dell’acquitrino.”

Lucius e Lawrence assentirono, notando un piccolo bivacco e un fuoco acceso. Cosa li avesse spinti ad accendere un fuoco, era difficile capirlo. Anche se dal sentiero era stato impossibile vederli, un fuoco poteva attirare l’attenzione anche di briganti e malintenzionati.

In ogni caso, come era riuscito Albert a scoprirli? Non era possibile che avesse notato, con quell’oscurità opprimente, le scanalature nel terreno lasciate dal carro!

Quasi intuendo la sua domanda, Albert si volse verso Lucius e mormorò: “Usa il naso. Si sente l’odore di legna da ardere.”

“Quindi, non ci vedi al buio” ironizzò Lucius.

Albert ghignò, facendo spallucce.

L’attimo dopo, divenne – o tornò – il guerriero lakota che aveva combattuto fieramente nelle Grandi Pianure, prima di venire sconfitto dalle armi degli uomini bianchi.

Tenendosi basso, si avvicinò al bivacco improvvisato e, anche grazie al vento, il trio iniziò a udire le voci concitate dei due uomini fermi a quel campo improvvisato.

Il tono di Collins era irritato, oltre che infiacchito, mentre il suo complice sembrava molto spaventato… e assai giovane.

Vagamente sorpreso, Lucius fece un cenno a Lawrence perché coprisse uno dei lati del bivacco, mentre lui avrebbe coperto l’altro.

Albert si sarebbe occupato dell’attacco frontale. Non dovette neppure chiederglielo. Ormai conosceva il funzionamento della testa dell’amico, e sapeva bene che non avrebbe accettato nient’altro.

Doveva essere lui a vendicare la moglie.

“Maledizione, Claus, devi deciderti a fare quello che ti ho detto!” ansimò stancamente Collins, con il fiato corto e il viso pallido.

Il giovane al suo fianco scosse nettamente il capo, piagnucolando: “Non posso, papà… te l’a-avevo detto c-che dovevi p-portare Bart.”

Suo figlio?, pensò turbato Lucius.

Aveva davvero costretto il figlio a diventare un criminale, e solo per portare a termine la sua vendetta?

“Quell’idiota di tuo zio non è capace di pensare anche solo lontanamente a un’azione al di fuori dalle regole” sbottò sprezzante Adam Collins, irritato. “E poi, lo sai com’è… tutto questo gran parlare di Bradbury e delle sue navi…”

“S-sono belle” balbettò il ragazzo, prendendosi per diretta conseguenza un ceffone in viso.

“Mi ha licenziato! O te ne sei scordato!?” lo rabberciò l’uomo. “Su quest’isola sembrano tutti sodomizzati da quel nobilastro inglese… neanche avesse regalato a tutti oro e argento.”

Lucius storse il naso, nel sentirsi chiamare nobilastro, ma fu ben lieto di scoprire che nessuno aveva dato corda alle sue follie. Se non altro, non doveva temere altri colpi bassi.

“Ora, prendi quel coltello e infilalo nel fuoco. Devi cauterizzare questa maledetta ferita!” sbottò Collins, agitando il coltello dinanzi al volto del figlio.

Il ragazzo, piuttosto grosso pur se ancora imberbe – a sottolineare la sua giovane età – si tirò indietro spaventato e, scuotendo il capo, balbettò: “N-non lo farò. Il s-sangue m-mi fa p-paura.”

Collins lo fissò disgustato e, nell’immergere la lama egli stesso nelle fiamme del falò, ringhiò: “Ammazzerò tua madre, per questo. Tu non puoi essere mio figlio, perciò deve avermi per forza reso becco. Non meriterebbe altro che di essere battuta, quella cagna.”

A quelle parole, il giovane si animò leggermente e protestò dicendo: “Non farai del male alla mamma!”

Il padre gli rise in faccia sprezzante e, nel sollevare la lama rossa e rovente, esclamò: “Oh, ma guarda come si scalda, se gli toccano la mammina. Questa è la riprova di ciò che ho appena detto… mio figlio non può essere un simile smidollato.”

Ciò detto, si strappò di dosso il bendaggio sommario e, fissando astioso la ferita inferta da Albert, ringhiò: “E’ così che si comporta un vero uomo.”

L’attimo seguente, calò la lama sulla ferita e strinse i denti più forte che poté.

Ringhiò, sputò sangue e saliva e, al tempo stesso, cauterizzò la ferita sotto gli occhi inorriditi del figlio che, a un certo punto, diede di stomaco a causa dell’odore acre della carne bruciata.

Imperterrito, Collins portò a termine l’opera nel minor tempo possibile ma, quando finalmente poté allontanare la lama dal braccio, non gioì come avrebbe voluto.

Dinanzi a lui, infatti, livido in viso e simile a uno spettro, se ne stava proprio colui che gli aveva inferto quella ferita così invalidante e che aveva finito con il rallentarlo.

In un impeto d’ira, tentò di alzarsi per accoltellarlo, ma Albert fu più veloce.

Con il tomahawk recise i tendini del suo ginocchio mentre, con il coltello, puntò direttamente alla sua gola, pronto a dargli il colpo di grazia.

Il figlio di Collins urlò spaventato, cadendo a terra in preda ai tremori e, immobile, fissò la scena senza riuscire a dire alcunché.

Lucius e Lawrence ne approfittarono per uscire a loro volta allo scoperto e, mentre il colonnello si occupava di tenere sotto tiro il giovane, Bradbury si avvicinò all’amico.

Quest’ultimo teneva sotto tiro Collins, crollato a terra dopo il colpo al ginocchio e, con occhi iniettati di furore, stava decidendo in che modo dargli la morte.

Lucius, però, preferì risparmiargli quel peso sulla coscienza e, nel poggiare una mano sulla sua spalla, mormorò: “E’ finita, Albert. Lascia perdere. Consegniamolo allo sceriffo, così che sconti la sua pena in prigione.”

“Non ci sono prigioni, tra i lakota. Solo la vita e la morte” sibilò Albert, affondando un poco la lama nella gola dell’uomo.

Una goccia di sangue spillò, e ancora Lucius disse teso: “Lo so, amico mio, e lui lo merita più di altri. Ma pensaci bene… così, è troppo facile. Merita di patire a lungo, per quello che ha fatto. La morte sarebbe una liberazione, per lui.”

Albert si volse appena per lanciare uno sguardo all’amico e, non più così sicuro, mormorò: “Una pena lunga quanto?”

“Ha messo a rischio l’intera servitù, oltre a una nobildonna inglese. Inoltre, ha danneggiato del materiale al cantiere e la mia villa. Ce n’è abbastanza perché si stanchino di lui, credimi” gli elencò Lucius, ghignando con tono vagamente sarcastico.

Collins deglutì a fatica, ma riuscì comunque a dire: “Se pensi che a un giudice qualsiasi interessi la tua squaw, ti sbagli di grosso, brutto…”

Albert non ci vide più.

Tenendo ben saldo il tomahawk, colpì alla testa Collins, mandandolo lungo riverso sul terreno e, finalmente, questi ebbe la decenza di svenire.

Lucius sospirò di sollievo e, nel guardare il corpo privo di sensi dell’uomo, sbuffò disgustato e disse: “Certe persone non sanno mai quando è il momento di tacere.”
 
***

Lo sceriffo di Bass Harbour prese nota della deposizione di Lucius e Lawrence, dopodiché si dedicò a quella di Albert, intervallando occhiate dubbie al figlio di Collins.

Da quando lo avevano caricato a forza sul carro, diretti verso la civiltà, non aveva più detto una parola e, anche di fronte allo sceriffo, non aveva aperto bocca.

Fu solo quando giunse la moglie di Collins, Samantha, che il giovane ritrovò la favella e, piangendo come un vitello, sfogò le sue paure e ammise ogni addebito.

Allo sceriffo non restò altro che ascoltare, prendere nota e sospirare vagamente disgustato mentre Collins, dalla sua cella, inveiva contro il figlio e la moglie.

Quando ogni cosa fu detta, lo sceriffo guardò Bradbury e dichiarò: “A questo punto, dovrei incriminare anche il ragazzo, ma…”

Lucius scosse il capo al pari di Lawrence, e anche Albert si dichiarò d’accordo.

Quest’ultimo, infatti, disse: “Se al mio titolare non dispiace, prenderei il ragazzo sotto la mia ala. E’ di costituzione robusta e pare anche un buon lavoratore ma, fino a questo momento, ha avuto pessimi maestri che ne hanno mal indirizzato le azioni. Può essere recuperato, mi creda, e vorrei prendermene carico io.”

Mrs Collins lo guardò con occhi prossimi al pianto, annuendo grata e Lucius, assentendo, dichiarò: “Il ragazzo non ha colpe. E’ stato costretto dal padre a prendere parte a questa follia, perciò non me la sento davvero di rovinare una giovane vita per le colpe di qualcun altro. Il mio capo mastro lo avvierà a un lavoro onesto, e io mi considererò a posto. Ma quell’uomo dovrà rimanere in galera. Non voglio più ritrovarmelo davanti.”

“Oh, con tutte queste accuse, posso già buttare via la chiave” ghignò lo sceriffo, stringendo la mano ai tre uomini, prima di rivolgersi al giovane Collins.  “Quanto a te, vedi di non sprecare questa occasione, Claus. Non tutti sarebbero stati così indulgenti, di fronte a simili fatti.”

Il giovane assentì più volte di fronte allo sceriffo, prima di lanciare uno sguardo adorante ad Albert, che si limitò a dargli una pacca consolante sulla spalla.

Inchinandosi più volte, Mrs Collins continuò a ringraziare il trio di uomini che, lentamente, uscirono dalla stazione dello sceriffo, mentre le urla del marito si perdevano dietro la porta ormai chiusa.

Quando il sole del mattino rischiarò i loro volti, Lucius sorrise e disse: “Sarà il caso di raggiungere il cantiere. Non voglio approfittarmi troppo dell’aiuto di Violet e Lorainne. Inoltre, vorranno tutti conoscere le sorti della nostra missione.”

Lawrence e Albert assentirono e quest’ultimo, nel lanciare un’occhiata a Claus, disse: “Raccogli la tua roba e raggiungi il cantiere. Da oggi, sarai un ospite dell’ostello, e potrai tornare a casa la domenica, nel tuo giorno di riposo.”

“S-sì, signore. Sì, Mr Greyhawk” assentì velocemente il giovane.

Lucius, rivolgendosi a Mrs Collins, aggiunse: “Vitto e alloggio sono compresi nel suo salario, che gli verrà corrisposto con una lettera di credito alla fine di ogni mese di lavoro. Spero non sentirà troppo la sua mancanza, durante la settimana, ma preferiamo che i nostri uomini rimangano nei pressi del cantiere. Le trasferte da casa al cantiere sono spesso fonte di incidenti e, così le riduciamo al minimo.”

“Andrà benissimo, Mr Bradbury. Già così, sarò in debito con voi finché scampo. Poco ma sicuro” asserì la donna, asciugandosi una lacrima con il bordo del grembiule immacolato.
Il nobile abbozzò un sorriso e disse per contro: “Se suo figlio si rivelerà un bravo giovane e un buon lavoratore, saremo a posto. Con permesso…”

Il trio di uomini raggiunse le proprie cavalcature mentre Claus Collins tornava a casa propria assieme alla madre, pronto a riprendersi in mano una vita che, il padre, aveva rischiato di rovinare per sempre.

Nell’osservarlo, Albert borbottò: “Un padre simile sarebbe stato un’onta per tutta la tribù, se fosse stato un lakota.”

“Anche tra di noi è un’onta, credimi” asserì Lawrence, dandogli una pacca sulla spalla.

Albert assentì e, nel salire a cavallo, si tastò il fianco dolorante, dove alcune gocce di sangue avevano macchiato la camicia immacolata. Evidentemente, le azioni della notte precedente avevano aperto i punti che gli erano stati applicati.

“Temo che Lorainne mi torcerà qualcosa, quando vedrà che ho rovinato il suo lavoro di rammendo” brontolò il lakota, scatenando le risate dei suoi compagni.

“E’ molto probabile, amico mio. Riesci a cavalcare fino al cantiere?” gli domandò poi Lucius.

“Sicuro. Sono solo alcuni punti. Inoltre, ho combattuto con ferite peggiori” asserì orgoglioso Albert, avviandosi lungo la via principale coi lunghi capelli al vento e il profilo nobile stagliato nell’orizzonte luminoso.

Lucius sorrise, di fronte a quell’immagine.

Che le persone pensassero quel che volevano. Forse, Albert e Silver non avevano sangue blu nelle vene, ma valevano più di tanti nobili che lui aveva conosciuto negli anni.

La loro nobiltà l’avevano in ogni fibra del loro essere, e scaturiva da ogni loro azione, da ogni singolo pensiero.

Quella, era la nobiltà che Lucius apprezzava, non il titolo altisonante o il blasone familiare più o meno famoso.

“Sono davvero orgoglioso di essere tuo amico” dichiarò a quel punto Lucius, sorridendogli.
Albert lo guardò un po’ confuso, ma sorrise a sua volta, mormorando: “Pilamaye, koda1.”
 
***

Andrew li accolse al loro ritorno al cantiere con un saluto e un sorriso.

Prese le redini del cavallo di Lucius, quindi, gli domandò: “A giudicare dalle vostre facce, direi che è andata bene. Avete trovato Collins e il suo complice?”

Lucius e gli altri discesero dalle proprie cavalcature e, nell’annuire, Bradbury raccontò sommariamente all’amico quel che era successo durante la lunga notte di inseguimento.

L’accenno a Claus Collins fece storcere il naso ad Andrew, che borbottò: “Anche solo per aver obbligato il figlio a intraprendere una simile impresa, meriterebbe l’impiccagione. Avete fatto bene a offrirgli una seconda possibilità. Gli servirà per ritrovare un equilibrio, dopo un esempio negativo quale è stato il padre.”

“E’ quello che…” cominciò col dire Lucius, prima di adocchiare Lorainne, in maniche di camicia e lunga gonna svolazzante che, al fianco del suo capomastro, stava controllando alcuni documenti. “… ma che ci fa qui? Pensavo fosse a casa di herzog Ludwig!”

Andrew lo fissò con placida ironia e replicò: “Pensavi davvero che avrebbe abbandonato il Forte, in tua assenza?”

“Non siamo in guerra… e tu avresti dovuto convincerla a riposarsi” brontolò Lucius, fissando male l’amico.

“Oh, no, mio caro. Non mi intrometterò più, tra te e lei” ironizzò il giovane Spencer, levando le mani in segno di resa. “Comunque, ha dormito sul tuo pagliericcio e, per qualche ora, si è riposata, anche se era molto in ansia per voi tutti.”

Sospirando, Lucius si scusò coi presenti per raggiungerla e Andrew, nel vederlo correre verso la giovane, sorrise e disse: “Ormai è del tutto andato.”

“Perso per sempre” soggiunse Lawrence, sogghignando.

“Per lo meno, ha perso la testa per una donna di valore” mormorò con sussiego Albert, trovando il plauso dei compagni.
 
***

“…inoltre, se posso esprimermi, metterei qualche bottiglia di vino in una nassa e la metterei in ammollo in acqua, così che rimanga fresca fino all’arrivo degli acquirenti” terminò di dire Lorainne, sorridendo al capomastro.

Questi, assentì e disse: “Ottima idea, miss Lorainne. Peccato non aver pensato a farsi portare qualcosa da Tremont, ma dubito che raggiungeremmo in tempo il panificio per trovare qualche dolce da offrire in abbinamento.”

“Se è per questo, ci posso pensare io. All’ostello avete una cucina, vero?” dichiarò Lorainne, sorprendendo un po’ l’uomo.

“Oh, sì, certo, ma non dovete…” tentennò il capomastro, non sapendo che fare. Dopotutto, stava parlando con una lady!

Lorainne sorrise, si tirò su le maniche e dichiarò: “Mostratemi solo dove si trova, e io farò il resto. Nel frattempo, preparate un tavolo al mascone di dritta, da cui si può scorgere meglio l’entrata della baia. Anche l’uomo più duro e puro, dovrebbe poter apprezzare un simile paesaggio.”

“Subito, miss” assentì l’uomo, prima di rendersi conto della presenza del suo titolare. “Oh, lord Bradbury. Bentornato! La missione si è risolta bene, spero.”

“Tutto benissimo, grazie, Bernard. Occupati pure delle mansioni concordate con miss Phillips. Accompagnerò io la signorina alle cucine” dichiarò Lucius, dando una pacca sulla spalla all’uomo, che assentì tutto contento.

L’attimo seguente, il capomastro si tolse il basco per salutare compitamente Lorainne e, a grandi passi, andò in cerca di quel che aveva richiesto la dama.

A quel punto, Lucius si volse verso Lorainne, rimasta in religioso silenzio fin da quando Bernard si era accorto della sua presenza e, sorridendo appena, disse: “Eccomi qui.”

Lei sbatté le palpebre una, due, tre volte, prima di prendere un gran respiro, tergersi una lacrima ribelle e, infine, offrire il suo miglior sorriso a Lucius.

Sorriso che, per poco, non mandò al tappeto Bradbury.

Era stato via poche ore, eppure gli era parso di rimanere lontano da lei per settimane. Come avrebbe fatto a sopportare che lei tornasse a casa per parlare con il padre, se lui era già ridotto così?

“Sono… sono felice che tu sia tornato sano e salvo” riuscì infine a dire Lorainne prima di scostarsi un poco, scrutare oltre Lucius per un attimo e, sorridente, gettarsi tra le sue braccia.

Scoppiando a ridere, Lucius la strinse a sé, mormorando contro i suoi capelli: “Hai controllato che Andrew non guardasse?”

“Già. Dovrò ringraziare Albert e il colonnello, visto che lo stanno tenendo occupato in chiacchiere” ammiccò Lorainne, lanciandogli uno sguardo liquido e preoccupato. “Siamo al sicuro, adesso?”

“Collins è dietro le sbarre. Nessun altro attenterà alla vostra vita. Promesso” le sussurrò lui, baciandole la fronte per poi scostarsi e prenderla per mano.

Lei sorrise lieta di fronte a quel gesto spontaneo e, nell’incamminarsi con Lucius verso l’ostello, disse: “Sono felice che non abbiate dovuto pensare voi alla sua punizione. E’ preferibile che, a queste cose, badi lo sceriffo.”

“Più che d’accordo” assentì lui. “Ma perché ti è venuto in mente di preparare un buffet di benvenuto?”

Lei sorrise divertita, asserendo: “Mr Withmore è solito farlo, nel suo lanificio, e dice che i clienti sono sempre molto più bendisposti, quando devono firmare i contratti. La pancia piena, in un uomo, è molto importante.”

“E tu sai cucinare?” domandò sorpreso Lucius, sorridendole.

“Mi piace fare le torte e, quella al limone, mi viene molto bene” dichiarò Lorainne, orgogliosa.

“Non vedo l’ora di assaggiarla” ammiccò malizioso Lucius, scrutandole le labbra piene e sorridenti.

Lei arrossì, di fronte a quel doppio senso e, nel dargli un colpetto con la spalla, sussurrò: “Non avrete così facilmente accesso alle mie labbra, milord, visto che mi sembrate così ansioso di scoprire che sapore hanno.”

“Mi terrete lontano da loro, milady? Sarete così crudele con me? Desidero solo scoprire se il limone ben si abbina al sapore di pesca della vostra pelle” stette al gioco Lucius, facendola arrossire ancor di più.

Lorainne si scostò da lui, gli si parò innanzi e, tutta rossa per l’imbarazzo, borbottò: “Mostro di iniquità… non potete parlare così a una donzella!”

“E alla mia fidanzata?” le propose lui, allungandosi per prenderle la mano.

Lei ci pensò su, scrutò di nuovo le loro dita intrecciate e, nel tirarlo con sé verso l’ostello, asserì decisa: “Sì, alla vostra fidanzata potete dirlo, messere.”

“Buono a sapersi” dichiarò Lucius, tutto ghignante.

 
 
 
 
1 – Pilamaye, koda (Lingua Lakota): trad. grazie, amico.
 
_________________________________________
N.d.A.: Spero che ciò che è avvenuto a Cynthia e Sebastian sia più chiaro, a questo punto. Nessuno è perfetto ma, se si vuole, si può migliorare.
Quanto al nostro Collins, temo lui sia l’eccezione che – invece – conferma la regola. Si spera che il figlio sia più svelto.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 
13.
 
 
 
Intenta a sistemarsi il cappellino sulla chioma raccolta in una trina di trecce, Sarah si sorprese non poco quando udì la voce di Cynthia all’altro capo della porta.

Interrompendo i movimenti della cameriera che la stava aiutando ad abbigliarsi, Sarah raggiunse la porta e, quando la aprì, trovò non solo la padrona di casa, ma anche il suo figliastro.

La sera precedente, ancora tramortita dalle mille sorprese di quel giorno così concitato, aveva prestato poca attenzione al giovane e prestante quindicenne che gli era stato presentato come Thomas Ishwar Ludwig, erede del titolo e del padre Sebastian.

Quella mattina, con la mente più fresca e riposata, si concesse il lusso di ammirarlo con maggiore coinvolgimento, trovandolo attraente quanto singolarmente maturo nell’espressione.

Alla sua età – per quanto non fosse passato che poco tempo, da allora – lei era stata ben più peperina nello sguardo, così come nei modi.

Immaginava, comunque, che perdere la madre in tenera età lo avesse fatto maturare gioco forza.

“Buongiorno, herzogin Ludwig Thomas… avevate bisogno di me?” esordì Sarah, abbozzando un sorriso.

“Buongiorno a voi, miss Phillips” sorrise cauta Cynthia. “Volevamo sapere se, prima di partire per il cantiere, avreste gradito passeggiare con noi nel giardino. La giornata è piacevole, e Thomas vorrebbe mostrarvi alcuni fiori di provenienza indiana.”

Il giovane arrossì profusamente, quando sentì la matrigna parlare a nome suo e Sarah, nel notarlo, si intenerì subito. Poteva anche sembrare più maturo per la sua età, ma restava pur sempre un ragazzo di quindici anni che desiderava compiacere un’ospite.

Sarah, perciò, allargò il proprio sorriso, tributandolo interamente a Thomas e, annuendo, dichiarò: “Ma naturalmente! Passeggerò volentieri con voi. Sapete per caso se i domestici di Liberty House sono già svegli, o se Samuel è già uscito?”

“Lord Westwood è a cavallo con mio padre…” le riferì Thomas, accennando un timido sorriso. “… ma mi ha detto di riferirvi che partirà con voi più tardi, così da poter raggiungere i vostri parenti. Non so nulla dei domestici di lord Bradbury, però.”

“Visto il trattamento più che generoso di cui sono stati fatti oggetto, non mi preoccupo. In qualche modo mi troveranno, se avranno bisogno di me” decretò Sarah, accettando quindi un parasole dalle mani della cameriera.

Ciò fatto, uscì dalla villa assieme a Cynthia e al figliastro.

La caviglia, ormai, non le faceva molto male, inoltre un po’ di moto le avrebbe fatto bene.

Quel che Sarah non capiva era il perché di quell’invito.

Samuel aveva detto di aver perdonato Cynthia, e lei poteva accettare una tale decisione, se lui era felice di averla presa. Perciò, cosa voleva herzogin Ludwig, da lei? E perché coinvolgere il figliastro?

Non appena raggiunsero il giardino, Sarah venne subito a conoscenza del mistero e, una volta di più, si rese conto della netta maturazione di Cynthia, e del suo cambiamento come persona.

Quando entrambe le dame ebbero aperto i loro parasole, herzogin Ludwig iniziò col dire: “Vorrei che Thomas imparasse qual è il modo peggiore di comportarsi, così che non commetta mai i miei stessi errori. Potreste dirgli come avete trovato lord Westwood subito dopo la mia partenza a tradimento?”

Sarah sgranò gli occhi per la sorpresa, fissando senza parole la donna e, subito dopo, il suo sguardo si puntò sul figlio adottivo di Cynthia.

Davvero voleva mettere di fronte al giovane le sue mancanze? Apparire così fallibile dinanzi a lui?

Dal suo sguardo adamantino, a Sarah parve proprio di aver centrato le sue intenzioni perciò, dopo essersi schiarita la voce, mormorò: “Samuel appariva smarrito e confuso. Non comprendeva appieno cosa fosse successo e si imputava molte colpe, tra cui l’essere stato superficiale nel giudicare il suo interessamento per voi, e il vostro interessamento per lui.”

Cynthia assentì grave e Thomas, in silenzio, ascoltò le sue parole senza replicare.

Lappandosi nervosamente le labbra, Sarah non seppe bene come continuare e Cynthia, per venirle incontro, sorrise e disse: “Non abbiate timore di ferirmi, o di dare a mio figlio un’immagine impura di me. Desidero che capisca che chiunque può sbagliare, e anche molto ma, se ci si impegna con fervore, si può ottenere anche il perdono… prima o poi.”

“Ammetto di avervi odiata, a quel tempo, poiché mai avevo visto Samuel ridotto a quel modo” dichiarò a quel punto Sarah, senza alcun timore nella voce. “Lo avevate distrutto con le vostre bugie, e lui sembrava davvero perso in se stesso. Ma, anche se mi duole asserirlo, questo gli ha insegnato a non guardare soltanto alla superficie delle cose, e a ponderare bene i propri sentimenti e le proprie azioni.”

“Più o meno ciò che ho imparato io” ammise Cynthia. “Ero così convinta che nessuno avrebbe potuto capire quello che provavo per Sebastian, visti gli anni che ci separavano e la mia disastrosa avventura con lord Sendringham, che pensai di approfittare delle gentilezze di lord Westwood, senza pensare al male che stavo facendo.”

“Eravate stata ferita da un uomo come lui” sottolineò Sarah, con un sorriso contrito. “Non mi faccio false illusioni. Samuel è stato vanesio e sciocco, in gioventù, e non credo che le donne con cui ha flirtato durante gli anni, siano state tutte vittime consapevoli di essere prese in giro. So che anche lui ha dei difetti, e ha cercato di redimersi.”

“Ma lo amate comunque” mormorò Thomas, affascinato dal loro dire.

“Sì. Ero sicura che, dietro la facciata da sempliciotto che amava offrire al mondo, vi fosse ben altro, e quell’avventura a cavallo fece scaturire molto bene ciò che era nascosto dentro di lui. In modo doloroso, forse, ma definitivo” gli spiegò Sarah con un mezzo sorriso. “Ora, è un uomo diverso. L’uomo che ero certa lui fosse.”

Maman mi parve un angelo, la prima volta che la vidi sul ciglio della strada” asserì a quel punto Thomas, facendo arrossire Cynthia. “Fu così carina da non irritarsi per le mie mille domande, con me che continuavo a chiamarla bella donna inglese e le toccavo i capelli per capire se fossero come quelli di mia madre.”

“Avevi uno sguardo molto dolce, caro, e così anche il papà. Mi piacque subito il modo in cui ti guardava. Era molto protettivo e amorevole” spiegò Cynthia, dando al figlio una pacca sul braccio.

Rivolta poi a Sarah, Cynthia aggiunse: “Rimasi affascinata dal modo in cui Sebastian si prendeva cura di suo figlio. Difficilmente avreste potuto trovare un uomo così innamorato del proprio pargolo. Abituata com’ero alle famiglie inglesi, così fredde e distanti con i propri figli, la cosa mi colpì molto.”

“Pensavate questo, di vostro padre?” domandò turbata Sarah.

“All’epoca, purtroppo, sì. Ero arrabbiata col mondo, e l’esserci trasferiti lontano da Sendringham non mi sembrava un gesto sufficiente, per ripagarmi del mio dolore” sospirò Cynthia, scrollando le spalle per l’impotenza. “Come ho già detto, peccai di orgoglio, all’epoca. Fu questo a incuriosirmi, di Sebastian. Il suo calore umano. Quando però seppi che anche lui era un nobile, ne fui atterrita. Mi sembrò uno scorno bello e buono. Una beffa da parte del destino.”

“Papà, però, ti fece cambiare idea, maman” le sorrise Thomas.

“Oh, sì.  Era determinato a conoscermi meglio, anche se io avevo messo le distanze tra noi e, ogni qual volta gli fu possibile vederci, mi ricoprì di attenzioni ma, soprattutto, volle scoprire ogni cosa su di me, e di ciò che desideravo dalla vita” mormorò Cynthia, tornando a sorridere sognante. “Era la prima volta che parlavo con un uomo a quel modo e, soprattutto, che parlavo con un uomo disposto ad ascoltare ciò che avevo da dire.”

“Sì, questo è un difetto di molti uomini. Presumere che le donne non abbiano nulla da dire” ammise Sarah, lanciando un’occhiata a Thomas. “Ricordatevi che, se vorrete conquistare una donna, occorrerà che voi ascoltiate. Non solo che le regaliate fiori o cioccolatini.”

“Ne sono consapevole” annuì sorridente il giovane.

“Vostro padre sospettò mai di voi?” domandò a quel punto Sarah, rivolgendosi a Cynthia.

“Non so se lo sospettò mai ma, dopo svariate cene a casa nostra, in cui Sebastian e Thomas erano stati invitati per terminare gli accordi commerciali per la compravendita della lana, l’argomento uscì fuori quasi come un monito. Non che non ne comprenda i motivi, ora come ora. Mio padre si preoccupava per me. All’epoca, però, mi sembrò un vero e proprio dispetto. Perché non si era elevato a scudo per difendermi, quando Sendringham mi aveva adescata?”

Sarah assentì, e ammise: “E’ difficile non vedere sempre delle sordide macchinazioni, dietro al comportamento dei nostri genitori, alle volte. Ricordo che Elizabeth si arrabbiò moltissimo, quando mio padre e suo padre cospirarono alle sue spalle, e soltanto per carpire segreti sui nobiluomini in età da matrimonio presenti quell’anno alla Stagione. Andò letteralmente su tutte le furie e, quando si infuria Lizzie, potete star certa che si deve aver paura.”

Ridendo di quel ricordo, la giovane Phillips aggiunse: “Le volevano così bene che, per nulla al mondo, avrebbero permesso a un giovane qualunque di ferirla, o irretirla, ma peccarono di superbia, credendola così sciocca da lasciarsi irretire dal primo venuto, così finirono con il litigare.”

“Adesso posso capire le azioni di mio padre, che furono dettate dallo stesso sentimento protettiva” assentì Cynthia, contrita. “Lui come sta, ora?”

“Sta molto bene, ma sarete sorpresa di sapere che ora, vostra madre, è una designer d’interni molto richiesta” asserì Sarah, sorprendendola non poco. “Ci sono alcune nobildonne che sono venute alle mani, per avere il diritto di prelazione per ricevere una sua consulenza. A ben pensare, credo sia stata la cosa più spassosa avvenuta l’anno passato, a Londra.”

Nel dirlo, Sarah rise per un attimo, prima di aggiungere: “Vostro padre si è ovviamente risentito all’idea di veder lavorare sua moglie, all’inizio ma, anche grazie a questo nuovo slancio da parte di Adelaide, si è presto ricreduto e l’ha lasciata agire. Ora, comunque, avrebbe troppo a cui pensare, visto che ha dovuto diversificare la sua produzione per creare tappezzeria di alta classe per la nobiltà. Non avrebbe davvero tempo per irritarti per gli impegni della consorte.”

“Mia madre… una designer? Ha sempre avuto gusto, certo, ma non pensavo che… beh, che avesse anche solo il desiderio di mettersi in gioco…” esalò Cynthia, sconcertata da quella novità.

Scuotendo poi il capo con espressione incredula e assai infelice, mormorò: “E’ proprio vero che mi ero concentrata troppo su me stessa, tralasciando il resto.”

Thomas le sfiorò una spalla con fare comprensivo, sussurrando: “Con me e papà, sei meravigliosa, maman, e anche la servitù ti vuole bene.”

“Ma dovrei comunque delle scuse ai miei genitori, visto quello che ho fatto passare a tutti loro. Per non parlare di Sophie. Lei più di tutte dovrebbe odiarmi anche se, a causa della mia follia, ha potuto conoscere meglio suo marito.”

“Oh, non credo vi potrebbe davvero odiare, visto come sono andate a finire le cose tra di loro” chiosò Sarah, per poi aggiungere: “Ma, se lo desiderate, potreste tornare con noi in Inghilterra per sotterrare i vostri ultimi scheletri.”

Ciò detto, Sarah si tappò la bocca, fissò sconcertata la donna e il giovane dinanzi a lei e, tra sé, si chiese dove avesse lasciato il discernimento, per poter proferire una simile proposta.

Chi era, lei, per poter prendere iniziative di quel genere visto che, per prima cosa, il clipper su cui sarebbero tornati non era il suo e, in seconda istanza, la lista dei passeggeri non era di sua competenza?

L’attimo seguente, comunque, Thomas si aprì in un sorriso ricco di aspettativa, e Sarah si convinse che, in un modo o nell’altro, avrebbe trovato quei maledetti tre biglietti per loro.

A costo di gettare in mare tre altri passeggeri.

Come si faceva a dire di no a un sorriso simile?
 
***

Lanciando occhiate soddisfatte alle due coppie di calessi che stavano allontanandosi dal cantiere con il volgere del meriggio, Lucius avvolse le spalle di Lorainne e disse: “D’ora in poi, dovrai preparare sempre questa torta, quando venderò una nave.”

“Come vuoi” assentì lei, lieta che l’affare fosse andato in porto e che gli acquirenti fossero rimasti soddisfatti dell’allestimento.

Lei e Violet avevano lavorato tutto il pomeriggio precedente, per sistemare le cabine dei clienti di prima classe. Quando la sorella si era infine avventurata verso Tremont, stanca ma soddisfatta, lei aveva proseguito a lavorare ancora un paio d’ore, troppo nervosa per fermarsi.

Gli operai avevano terminato di lucidare le modanature in tempi record, ammainando le vele e sistemando le gomene in modo che ogni cosa fosse al posto giusto.

Quando infine Andrew l’aveva costretta a scendere dalla nave, Lorainne si era ritrovata a fissare sorpresa le sue mani arrossate per il molto lavoro, ma era stata comunque orgogliosa anche del dolore alle ossa.

L’aver visto l’apprezzamento sui volti degli acquirenti, e il piacere genuino in quello delle loro mogli, aveva rafforzato in lei il convincimento di aver fatto un buon lavoro.

Anche Lucius era rimasto stupito dai suoi gusti pratici ma eleganti e, quando i suoi clienti erano ripartiti soddisfatti, lui l’aveva ringraziata di tutto cuore.

“Pensi che potremmo allestire anche il clipper di tuo padre, a quel modo?” domandò Violet, lanciando un’occhiata curiosa in direzione dell’amico.

Al solo nominare quella nave, Lucius si irrigidì ma, mantenendo il suo sorriso, disse: “Credo proprio di sì. Tanto, pagherà lui.”

I presenti risero divertiti, ma anche Lorainne – come Lucius – non partecipò a quell’ilarità.

Quella nave l’avrebbe condotta lontano da Lucius con il fare di ottobre, prima delle tempeste invernali e dei mari grossi dell’oceano Atlantico. Avrebbero dovuto affrontare un mese di traversata, tempo permettendo, prima di raggiungere le amene coste inglesi.

Per Lucius, avrebbe voluto dire lasciare che Lorainne tornasse a casa per parlare col padre, e per lei avrebbe significato lasciare Lucius in America, senza la certezza che il padre accettasse la sua scelta.

Perché ormai era chiaro per entrambi che, ingannare Anthony e trattenere Lorainne a Bass Harbor, sarebbe stato un gesto impulsivo quanto crudele. Dovevano la verità a lord Phillips e, facendo rientrare Lorainne in Inghilterra, avrebbero dimostrato quanto fossero forti i rispettivi sentimenti.

Mordendosi il labbro inferiore con fare pensoso, Lucius si scusò con Lorainne e gli altri e, procedendo di corsa per raggiungere i suoi uomini, si convinse sempre di più di avere ragione su una cosa assai importante.

Per nulla al mondo, si sarebbe lasciato sfuggire quell’occasione.
 
***

Accomodati in uno degli ampi salotti di Ludwig Haus dopo un’abbondante quanto rilassata cena, Lucius colse l’occasione per mettere al corrente tutti delle sue decisioni.

Un bicchiere di whisky in una mano e il coraggio ben stretto nell’altra, Bradbury sorrise alla donna che amava e disse: “Ho deciso che partirò con voi, il prossimo ottobre. Non ha senso che io ti lasci andare da sola, trasmettendo a tuo padre un’idea sbagliata di me. E’ giusto che sia io a inginocchiarmi dinanzi a lui per avere la tua mano.”

“Cosa?!” esclamarono in coro tutti quanti, sgranando gli occhi per la sorpresa.

Cogliendo la palla al balzo, Sarah intervenne e disse: “Io, inoltre, avrei invitato Cynthia e famiglia a unirsi a noi, così che lei possa chiudere i ponti col passato nel modo migliore e riappacificarsi con la famiglia. Sì, insomma, di spazio ce n’è, sul clipper, no?”

“Cosa?!” esclamò nuovamente il gruppo, ora fissando Sarah senza sapere bene cosa dire.

“Ma conoscete solo quella parola, voi washicu?” brontolò Silver, massaggiandosi il collo dove, evidente, si poteva scorgere una pesante medicazione.

I suoi amici più cari la guardarono con aria indispettita, ma lei non vi fece caso e Lorainne, parlando per prima, esalò: “D’accordo, una cosa alla volta. Lucius, ti rendi conto che questo vorrebbe dire, per te, rimanere lontano da qui per almeno sei mesi, se non di più? Se tutto va come speriamo, saremo in Inghilterra con il fare di novembre e, a quel punto, sarai bloccato lì fino a primavera inoltrata. Chi dirigerà il cantiere al tuo posto? Come faranno i tuoi dipendenti?”

Rivolta poi a Sarah, la sorella aggiunse: “Quanto a te, forse avresti dovuto chiedere prima a Samuel, se la cosa poteva andargli bene o meno, ti pare?”

Sarah sbuffò e disse: “Non fare la noiosa. Mi è venuto istintivo. E poi, Violet non ha sempre detto che dobbiamo a tutti, il beneficio del dubbio?”

Lettie sorrise per quella citazione, ma replicò: “E’ verissimo, sorella… ma senza far soffrire qualcun altro.”

Samuel, allora, intervenne dicendo: “Per me va bene. Anzi, credo sia un’ottima scelta.”

Lanciata un’occhiata pregna d’amore a Samuel, Sarah allora ghignò all’indirizzo delle sue sorelle e chiosò: “Visto?”

“D’accordo, Sarah, non dilungarti troppo a gongolare e torniamo a noi” sottolineò Andrew, guardando storto Lucius. “Lorainne non ha tutti i torti. Qui, hai un’attività avviata, che non può certo attendere sei mesi e più che tu ti sollazzi avanti e indietro tra un continente e l’altro. Parlerò io in vece tua, te lo prometto, e vedrai che tutto si sistemerà.”

“Ti ringrazio molto, Andrew, ma questa cosa riguarda me e Lorainne. Devo parlare io con Anthony, o non crederà mai che io sia realmente coinvolto da sua figlia, se sarai tu, a parlare. Chi potrebbe avere stima di un uomo che delega simili cose?” replicò Lucius, serio in volto.

“Sostituirò io Lucius, se per lui andrà bene” si propose allora Albert, e Silver assentì con vigore.

“Niente da fare. Voi verrete con me, miei cari” ribatté Lucius, sorridendo alla coppia, che sobbalzò di sorpresa.

“Allora, come farai?” esalò Lorainne, sempre più preoccupata.

“Abbiamo già quattro commesse in attivo, di cui solo una già avviata, perciò i miei uomini saranno impegnati per più di sei mesi nel predisporre le restanti. Tutto il resto può aspettare, e Julian mi sostituirà egregiamente, visto che l’ho istruito proprio per evenienze del genere” spiegò loro Lucius, prima di sogghignare e aggiungere. “La sua mogliettina aspetta un bimbo, inoltre, e non sarebbe comunque venuto. Lui tornerà a York l’anno seguente, così che tutti possano conoscere il pargolo.”

“Sei sicuro che…” tentennò Lorainne, indecisa se essere lieta per Julian, che di certo meritava un riconoscimento di quel genere, o in ansia per l’amato, che stava letteralmente gettandosi allo sbaraglio per lei.

Sorridendo a una timorosa Lorainne, lui le si inginocchiò vicino, prese tra le sue le esili ma forti mani dell’amata e aggiunse: “Julian sa il fatto suo, e sono già due anni che lavora sul campo. Ovviamente non potrà firmare in vece mia, ma visionerà potenziali appalti e terrà aperta la comunicazione con la terraferma, e Lawrence farà da tramite con la Marina Americana per ciò che concerne il settore militare.”

A quell’accenno, Kerrington assentì e aggiunse: “Non ci saranno davvero problemi, Lorainne, potete fidarvi.”

“E il vostro matrimonio?”

Ridendo, Lawrence dichiarò: “Mi sposerò a luglio, sugli Adirondack, nei pressi di Lake Placid, perciò avremo fresco e sole… e voi avrete tutto il tempo di tornare qui.”

Quell’uso del plurale scaldò il cuore di Lorainne che, lanciata un’occhiata più sicura a Lucius, mormorò: “Se sei convinto che possa funzionare…”

“Funzionerà. E poi, non voglio offrire scuse a tuo padre per dirmi di no.”

A quel punto, Lorainne non poté che assentire e Andrew, nel terminare il suo drink, asserì: “Direi che forse è il caso di avvisare i padroni di casa del fatto che intraprenderanno un viaggio per mare. Che dite?”

Tutti assentirono e Sarah, nel levarsi dalla poltrona, si avviò per andare a parlare con herzog Ludwig di quella novità.

I restanti membri di quella sgangherata, quanto imprevedibile missione si avventurarono verso le loro stanze e, quando Lucius ebbe condotto Lorainne dinanzi alla sua, le sorrise e mormorò: “Dormi serena, Lory. Andrà tutto bene.”

“Mi fido di Julian, perciò…”

Lui accentuò il suo sorriso, scuotendo il capo, e replicò: “Intendevo dire per noi due.”

“Beh, a quello proprio non voglio pensare, sennò impazzirò a partire da stanotte, fino al momento in cui riabbraccerò mio padre. Mi concentrerò su Julian, quindi.”

“Come vuoi” assentì a quel punto Lucius, dandole un bacetto sulla fronte.

Lorainne accettò con piacere quel bacio ma, nell’osservare Lucius allontanarsi e poi sparire oltre l’angolo, si domandò se, davvero, tutto sarebbe andato bene.

Non temeva tanto l’ira del padre quanto, piuttosto, la sua incredulità. A conti fatti, solo Maxwell Chadwick era a conoscenza del suo interesse di lunga data per Lucius.

Ai genitori non aveva mai fatto menzione di nulla, perciò sarebbe parso loro molto strano che ora, di punto in bianco, lei volesse abbandonare tutto e trasferirsi in America.

Forse, avrebbe dovuto inviare una lettera a Maxwell perché le desse man forte, spiegando ai suoi genitori la purezza dei suoi sentimenti.

Sarebbe stato tutto sommato folle quanto divertente vedere quell’uomo grande e grosso, perorare la storia d’amore di due giovani.

Il solo pensiero la fece ridere e, più tranquilla, si rifugiò nella sua stanza per riposare.

C’era ancora tempo, prima di raggiungere le porte di ottobre e, per quel momento, avrebbe approntato il suo piano B.

Non avrebbe accettato un ‘no’ come risposta, dai suoi genitori e, per farlo, avrebbe dovuto elevare tali barriere da rendere loro impossibile non riconoscere la verità per quella che era.

Lei avrebbe avuto Lucius a ogni costo.
 
***

Julian Knight rientrò dal Continente un paio di settimane dopo l’increscioso incidente occorso alla villa e, quando venne messo al corrente di ogni cosa, sbalordimento e rabbia galleggiarono equamente sul suo viso.

Naturalmente, sapere che gli amici stavano bene, fu la cosa più importante, ma le azioni di Collins lasciarono comunque in lui un profondo malessere.

Quando, però, scoprì le intenzioni di Lorainne e Lucius, non poté che dichiararsi felice della cosa, e si congratulò con entrambi per la bella notizia.

Julian, quindi, accettò di fare le veci di Lucius durante la sua assenza e di supervisionare i lavori alla villa. Nelle settimane successive al suo ritorno, perciò, passarono molto tempo assieme per dirimere alcuni problemi e semplificarne altri.

In quel tempo, Violet e Lorainne passarono la maggior parte delle giornate al cantiere e, anche grazie ai buoni uffici degli operai, quest’ultima imparò molto sulla vita e le abitudini di un simile luogo di lavoro.

Lorainne non si sarebbe limitata a fare la gran dama nella villa padronale del marito; avrebbe partecipato attivamente alla sua vita e al suo lavoro, poiché così aveva deciso per se stessa.

Lì, non sarebbe stata soltanto lady Bradbury – cosa che faceva arrossire Lorainne al solo pensiero – ma sarebbe stata anche una donna capace di aprire bocca e di parlare con cognizione di causa.

Se c’era una cosa di cui era convinta Lorainne era proprio questa; l’America era un paese giovane, con profondi difetti e mille problemi da risolvere, ma prometteva di essere un luogo di grandi opportunità, per chi le sapesse cogliere.

Lei voleva essere una donna capace e in grado di aiutare il marito nella grande impresa che lui aveva saputo creare dal nulla, non soltanto una bambolina da presentare in società.

Il tempo, quindi, passò con solerzia, dividendosi tra la casamatta al cantiere, Ludwig Haus dove il gruppo era stato accolto dopo l’incendio e Tremont, dove si stavano raccogliendo le vettovaglie per il viaggio.

Durante quel dolce mese di settembre passato a prepararsi per la partenza ormai prossima, Samuel, Sarah e Cynthia ebbero molto tempo per parlare, così da dissipare ogni possibile dubbio sul loro passato.

Anche con l’apporto di Thomas, che mai lasciava il fianco della matrigna, e quello più discreto di Sebastian, la giovane coppia ebbe modo di scoprire come Cynthia fosse effettivamente cambiata.

Certo, sperare in una completa assoluzione anche da parte dei coniugi Withmore, non rientrava nei sogni di Cynthia, ma la donna desiderava almeno poter scusarsi con loro.

Quel viaggio ormai prossimo avrebbe significato molto, per coloro che avrebbero varcato le soglie del clipper di proprietà dei cantieri Bradbury.

Quando, infine, le vele vennero dispiegate prendessero il vento, e il capitano diede ordine di puntare verso est, non solo Lorainne si pose al mascone di prua per ammirare l’oceano con aspettativa.

Ognuno di loro, per un motivo o per un altro, aveva qualcosa di importante ad attenderlo, al di là dell’oceano.

 
 
 
 

N.d.A.: Tutto è pronto per rientrare in patria, ma non sappiamo come verranno accolti i nostri eroi e comprimari. Di sicuro, però, sia Lorainne che Cynthia tenteranno in ogni modo di portare le loro idee e i loro pensieri a chi di dovere, sperando di ottenere il meglio per il loro futuro.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


 
14.
 
 
 
 
 
Il viaggio fu tutto sommato tranquillo, pur se la prima esperienza di Albert e Silver su un clipper – e per un tragitto così lungo – si rivelò altalenante.

Se i primi giorni furono coronati dal bel tempo, l’Oceano Atlantico e il mese di ottobre ben presto mostrarono il loro volto più capriccioso e inquietante.

I marosi si fecero violenti e, spesso e volentieri, il capitano della Indipendent dovette ammainare le velature per impedire che le tempeste distruggessero gli alberi e strappassero le vele.

Trattandosi di un viaggio inaugurale – la nave sarebbe poi rimasta ad Aberdeen per entrare a far parte della flotta di Bradbury senior – sul clipper non furono accolti molti passeggeri.

Tenendo conto degli ospiti dell’ultimo minuto, raggiunsero comunque un numero notevole. Non che Lucius non si fidasse dei propri mezzi, ma avere sulle spalle le anime di così tante persone era sempre un cruccio, per lui.

Fu solo con il sopraggiungere di novembre che poterono scorgere le Land’s End e, grazie a quella vista, dirsi più o meno al sicuro dalle tempeste oceaniche.

Risalendo la Manica, raggiunsero infine le sponde del porto di Southampton e lì, Lucius lasciò una lettera al capitano perché la recapitasse al padre, dopodiché gli augurò una buona chiusura del viaggio.

Uno dopo l’altro, quindi, i passeggeri dell’Indipendent discesero dal ponte per mettere finalmente piede sulla terraferma, dopo più di un mese di permanenza in mare.

Servitù e nobiltà si raggrupparono disordinatamente sulla banchina del porto, mentre i mozzi del clipper scaricavano i bagagli dalla nave prima di riprendere la via del mare.

Il tutto si svolse sotto gli occhi di attenti di Lucius e, mentre i carri venivano caricati con i loro bagagli e una minima scorta di vettovaglie per il viaggio, Lorainne rimase sempre al suo fianco.

Come molti temettero, il bentornato in terra inglese venne dato loro da una giornata ventosa quanto uggiosa. Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere quasi immediatamente dopo il loro sbarco, leggere come fiocchi di neve ma altrettanto gelide.

“Molto più piacevole di quanto non ricordassi, anche se non altrettanto caldo” mormorò Cynthia, stringendosi nel suo mantello di lana.

Ora che aveva finalmente rimesso piede in patria, herzogin Ludwig si sentiva in grado di affrontare la propria famiglia, indipendentemente dal tipo di accoglienza che le avrebbero tributato. Sapeva di avere l’affetto del figlio e l’amore incondizionato del marito, e questo le dava la forza di sopportare qualsiasi cosa.

Aver ricevuto anche il pieno perdono di lord Westwood le dava altresì molta fiducia, fiducia che le sarebbe servita per chiedere scusa ai suoi genitori e a Sophie.

Sebastian e Thomas, a loro volta, erano pronti a inginocchiarsi penitenti di fronte ai coniugi Withmore, pur di convincerli delle buone intenzioni della loro figlia.

“Vedo se riesco a trovare abbastanza vetture per condurci a casa già domani. Voi, nel frattempo, trovate un albergo per stanotte” dichiarò Lucius, allontanandosi a grandi passi lungo la darsena del porto.

Quasi all’unisono, Samuel e Cynthia borbottarono: “Non al Lion King.”

Ciò detto, si guardarono vicendevolmente per alcuni istanti, prima di scoppiare a ridere e Sarah, intuendo avesse a che fare con il loro viaggio di tre anni addietro, domandò divertita: “Ho idea che quel posto non vi ricordi niente di buono, vero?”

“Le stanze erano anche carine, pur se piccole, ma… beh, preferirei non rivedere il luogo in cui ho calpestato l’amor proprio di lord Westwood” mormorò contrita Cynthia, scuotendo una mano con fare nervoso.

“Se nessuno si lamenterà con me, allora, deciderò io” dichiarò a quel punto Sarah, prendendo in mano le redini della situazione e alzando il cappuccio del mantello sui capelli, perché la pioggia non li inzuppasse del tutto.

Di fronte al benestare beneplacito collettivo Sarah si avviò lungo la via principale del paese portuale, chiedendo la supervisione di Thomas come accompagnatore.

Il giovane Ludwig – che con Sarah aveva stretto una forte amicizia, durante la lunga navigazione per mare – la accompagnò volentieri, offrendole con galanteria il braccio.

In attesa di comprendere chi sarebbe tornato per primo, tra Sarah e Lucius, Sebastian si volse in direzione della coppia di lakota, un po’ spaesata ma assai incuriosita da ciò che li circondava, e domandò a Silver: “Credete che sarebbe possibile avere una scorta sostanziosa di quel decotto alle erbe che mi avete fornito durante il viaggio? L’ho trovato miracoloso.”

La ritrosia di Silver nei confronti degli uomini bianchi, durante il viaggio e la convivenza forzata sulla nave, era un tantino scemata, ma essere interpellata direttamente da un washicu le metteva sempre una certa ansia.

Irrigidendosi un attimo, la donna prese un breve respiro, si rilassò gradatamente e infine disse: “Posso insegnarlo a una delle vostre cuoche. O a vostra moglie, se preferite. E’ assai semplice, in effetti.”

“Serve solo la corteccia del salice?” le chiese curioso.

“Corteccia e acqua. E miele, se lo ritenete troppo amaro” assentì la donna lakota.

“Sarò lieta di imparare io stessa. Ho studiato un po’ di erboristeria, ma credo che voi ne sappiate molto più di me, Mrs Greyhawk” intervenne Cynthia, sorridendole cortese. “Sarebbe piacevole imparare, e credo che anche la mia cuoca ne sarebbe lieta.”

Silver, allora, lanciò un’occhiata al pancino arrotondato della donna, ora pienamente visibile, e le raccomandò: “Insegnerò a entrambe, al nostro ritorno. Voi, però, non usatelo, finché il bimbo non sarà nato. E’ meglio. Sarebbero preferibili i decotti di camomilla, per una gestante.”

“Mi asterrò, non dubitate” annuì herzogin Ludwig.

“Vorrà dire che, una volta tornati, farò piantare almeno due o tre salici bianchi in giardino” dichiarò entusiasta Sebastian, facendo sorgere uno dei rari sorrisi di Silver sul suo volto ambrato.

“Mi domando come siate sopravvissuti fino a ora, se trovate miracoloso un semplice decotto” chiosò la donna lakota, scatenando la risatina generale di tutti i suoi compagni di viaggio.

“Viene da chiederselo, vero?” assentì Lorainne, prendendola sottobraccio.

“Viene anche da chiedersi come facciate a sopravvivere a tanto caos” brontolò la donna, guardandosi intorno con un accenno di disgusto.

Tutt’intorno a loro, in effetti, il via vai di persone, carri e merci era quasi incomprensibile, pur se aveva una sua oscura armonia. Lo schiamazzo dei portuali, poi, si inframmezzava al rumore delle carrucole così come al nitrire dei cavalli, creando una cacofonia di davvero difficile sopportazione.

“Le città portuali sono sempre caotiche” sottolineò a quel punto Albert, scrutando la moglie con divertimento. “Non ricordi New Orleans?”

“Non è un caso se io preferisco vivere a Liberty House” sottolineò Silver, prima di rammentare che un’intera ala della villa era crollata nell’incendio.

“Sono sicura che, per quando tornerete, Liberty House sarà di nuovo in piedi” la consolò Violet mentre Jeffery annuiva, sbracciandosi per essere preso in braccio da Silver.

La donna lakota accettò le richieste del bambino – era diventata la normalità, per Jeffery, durante il viaggio in mare – e, dopo averlo preso in braccio, cominciò a canticchiargli una nenia nella sua lingua.

Jeffery iniziò subito a ridere e, mentre Silver lo faceva dondolare avanti e indietro a ritmo con la canzone, Violet sorrise e domandò ad Albert: “Di che melodia si tratta?”

“E’ una filastrocca che cantiamo ai bambini. Più o meno, il testo recita così; Lungo il cammino delle vostra vita fate in modo di non privare gli altri della felicità. Evitate di dare dispiaceri ai vostri simili ma, al contrario, vedete di procurare loro gioia ogni volta che potete!

“E’ molto bella… e Silver ha una voce splendida” mormorò Violet, spiacente. “Deve mancarle molto, vostro figlio.”

Albert assentì mesto, ma disse: “Non so se lo vorrà, ma pensavo di chiedere a Lucius se fosse possibile adottare un bambino. Non dubito che esistano molti orfani, tra la mia gente, per cui…”

“Credo che Lucius vi aiuterebbe di sicuro. E immagino anche il colonnello” dichiarò la donna, lieta della notizia. “Inoltre, da come si comporta con Jeffery, penso che potreste farle cosa gradita, se glielo proponeste.”

Albert le sorrise con aria ammirata, e replicò: “Perché voi avete capito immediatamente come mai io non gliel’abbia ancora chiesto, vero?”

“Sono abbastanza intuitiva… ma sì, lo immagino. E’ lo stesso motivo che rende reticente il mio Andrew che, al solo pensiero di parlare di adozione, diventa verde d’ansia” si schernì Violet. “Pensa che io sia ancora troppo debole per accettare il fatto di non poter più avere figli. Poiché ho imparato molto bene da una mia cara amica che, origliando alle porte, si possono scoprire un sacco di cose… ed evitare anche dei disagi, se serve, ho già fatto sapere ad Andrew che, quando lo riterrà giusto per Jeffery, adotteremo una bambina.”

“Oltre a essere molto empatica e buona di cuore, lady Spencer, siete assai scaltra. Lucius non ha sbagliato, nel giudicarvi” le sorrise Albert, compiaciuto e ammirato. “In effetti, le mie reticenze vertono tutte sulle possibili reazioni di Silver ma, a giudicare da come si comporta con il vostro Jeffery, credo che ormai il suo cuore abbia di nuovo desiderio di maternità.”

Lettie lo ringraziò per l’ovazione con una gentile pacca sul braccio, e mormorò: “Parlatele, e sono sicura che otterrete il beneplacito di vostra moglie.”

Albert assentì, e fu in quel momento che Lucius fece la sua apparizione, scortato da diversi vetturini.

“Il passaggio è arrivato” dichiarò a quel punto Lorainne, soddisfatta.
 
***

“Sei preoccupata?” domandò Sarah, notando come lo sguardo della sorella maggiore fosse perso nel vuoto.

La cena di quella sera era stata allegra e spensierata e, quando il folto gruppo si era infine ritirato per la notte, nessuno era parso avere un solo dubbio per la mente.

Quando, però, Lorainne e Sarah si erano ritrovate da sole nella loro stanza, tutto era cambiato.

Lory si era fatta distante e, dopo aver legato i capelli in una treccia e aver indossato una camicia da notte, si era seduta vicino alla finestra per osservare l’orizzonte cupo e le pallide luci del porto.

Accostandosi alla sorella, Sarah le avvolse le spalle con le braccia, poggiò il mento sulla sua testa bruna e, sorridendo al riflesso del vetro, aggiunse: “Ci hai ripensato? Hai iniziato a capire che Lucius non fa per te?”

Lorainne si ritrovò a sorridere della burla della sorella, ma ammise: “Dovrò rinunciare a voi. Non è una cosa così semplice da accettare, o anche solo da metabolizzare.”

Sarah non tentò nessun tipo di ironia, stavolta.

Sapeva bene che Lorainne diceva la verità e che, se tutto fosse andato come la sorella sperava, un oceano le avrebbe separate per sempre.

Probabilmente, lei non avrebbe mai avuto quel coraggio.

Di Cynthia Withmore, in quegli anni, Sarah aveva sempre sottolineato i lati negativi ma, dopo averla conosciuta meglio, si era ricreduta su molte cose. Su una, però, non si era mai sentita di criticarla né di ritrattare in merito al suo giudizio; sul coraggio.

Per quanto in modo egoistico, la donna aveva dimostrato una tempra non da poco e adesso, Lorainne, stava mettendo in mostra la stessa temerarietà, pur se aveva scelto una via più tortuosa per ottenere ciò che voleva.

Gli Stati Uniti erano un paese giovane, in forte espansione e con mutevoli condizioni politiche. Quel neonato governo era tutto tranne che un modello perfetto di democrazia, eppure poteva anche diventare un luogo di opportunità unico al mondo.

Lucius era stato davvero in gamba, in ciò che aveva fatto, e sicuramente sarebbe stato in grado di proteggere Lorainne, se necessario.

Inoltre, la sorella si sarebbe ritrovata tra persone che già le volevano bene e con una coppia di amici inaspettati, che l’avrebbero fatta sentire meno lontana da casa.

Però, agli occhi – e nel cuore – di Sarah, ciò sembrava non bastare.

Stringendola maggiormente a sé, mormorò: “Non voglio vederti andare via, ma so che il tuo cuore è con Lucius. Avrei dovuto capire dall’assiduità con cui gli scrivevi, che la tua non era semplice cortesia o amicizia, ma tutt’altro. Solo, non avevo mai pensato a lui in questi termini.”

“Lucius è sempre stato l’amico un po’ sopra le righe, per te e Lettie ma, per me, è sempre stato qualcosa di diverso, pur se ho capito quanto solo rivedendolo” ammise Lorainne, stringendo le mani di Sarah nelle proprie. “Spero solo di poterlo fare capire a papà, perché non vorrei mai che prendesse la mia decisione, o quella di Lucius, per una sbandata.”

“Basterà che mamma e papà vi guardino, per capire che non lo è. Inoltre, nostro padre è una persona molto intelligente e anticonformista. Non vi farà problemi” asserì Sarah, prima di storcere il naso e aggiungere più cauta: “Beh, ecco… non troppi, insomma.”

Lorainne rise di quella precisazione e, nell’alzarsi, si volse verso la sorella per un vero abbraccio.

Ne assaporò il calore, il profumo dolce al sapor di zucchero e, infine, le diede un bacio sulla fronte, mormorando: “Ti vorrò sempre bene, Sarah. A te, a Lettie, a Paul, a Randolf, a tutti quanti.”

“Lo so, Lory. Come potresti non amarci, dopotutto? Siamo la miglior famiglia del mondo” ironizzò Sarah, cercando in ogni modo di trattenere le lacrime.

Lorainne gliele deterse con un dito e, nel sospingerla verso il grande letto matrimoniale, asserì: “Hai ragione. Sarebbe impossibile non amarvi.”
 
***

“E io che pensavo che i civilissimi inglesi avessero delle strade lastricate d’oro” brontolò Silver, dopo l’ennesimo sobbalzo in carrozza.

Lorainne ridacchiò di quell’aspro commento e, nell’osservare la campagna e i suoi colori cangianti, che variavano dal giallo al bronzo in mille sfumature diverse, ammise: “No, le strade, non proprio. Ma le campagne, sì.”

Silver, allora, volse lo sguardo alla sua sinistra, accennò un sorriso e, più gentilmente, ammise: “Sì, i boschi sono molto colorati, così come i prati. Anche dove sei nata, è così?”

Lorainne annuì, lieta che Silver avesse finalmente eliminato le forme di cortesia tra di loro.

La considerava già una sua cara amica, e le faceva piacere che si sentisse abbastanza a suo agio per quel tipo di confidenza nel parlarle.

“Sì, i dintorni di York sono ricchi di boschi e, a Thornton House, c’è un enorme giardino all’inglese che penso ti piacerà.”

“Perché lo chiamate giardino all’inglese, se le piante crescono come vogliono?” sottolineò Silver, confusa.

Ridendo di gusto, Lucius disse con palese ironia: “Perché gli inglesi sono dei boriosi ipocriti, e pensano che le cose belle siano unicamente opera loro.”

Cercando di non ridere in maniera sguaiata come Lucius, Lorainne si limitò a un risolino, asserendo: “In realtà, qualcosa aggiungiamo anche noi. Ponticelli, qualche finto rudere romano… insomma, lo rendiamo magico, in qualche modo… e piantala di ridere, Lucius!”

Lui non ascoltò per nulla il suo richiamo e, tergendosi una lacrima di ilarità, l’uomo replicò sempre ridendo: “Andiamo, Lorainne… ammetterai che siamo dei veri prepotenti, se pensiamo di essere così bravi da migliorare la Natura.”

“D’accordo, su questo non dissento, ma non c’è bisogno di ridere così” brontolò Lorainne, intrecciando le braccia. “Non stavo dicendo sciocchezze. Le stavo solo spiegando.”

“Non badare a lui, Mni Itaca… gli uomini farebbero di tutto, pur di attirare l’attenzione della loro femmina…” chiosò furba Silver, lanciando un’occhiata maliziosa a Lucius, che si azzittì immediatamente. “… anche quando la loro femmina sta parlando soltanto con una sua simile.”

Lorainne, allora, fissò apertamente sorpresa Lucius che, per tutta risposta, si volse a guardare con ostentazione il paesaggio, mentre Albert cercava di non ridere dell’amico.

Con dolcezza, quindi, la ragazza gli sfiorò un braccio e mormorò: “Non hai bisogno di essere sempre anticonformista, sai? So come la pensi, su certe cose, e sono d’accordo con te.”

“Gli inglesi sanno essere mortalmente noiosi, ammettilo” brontolò lui, squadrandola di straforo.

“Non tu, credimi. Infatti, mi piaci anche per questo” ammiccò Lory, prima di sorridere spontaneamente ed esclamare: “Oh, guarda, Silver! Si vedono i torrioni di Thornton House!”

Quest’ultima, volgendosi per meglio curiosare fuori dal finestrino, sgranò gli occhi quando vide un possente maniero in pietra grigia, su cui svettavano due alti torrioni dai tetti a cono.

Attorno all’enorme costruzione dalla forma rettangolare, si estendeva un giardino curato minuziosamente e che, in quel momento, riluceva d’oro e bronzo grazie ai suoi colori autunnali.

Un ampio cancello e mura di cinta perimetrali delimitavano la zona e, quando la loro carrozza si fermò dinanzi all’entrata, Lucius mise fuori la testa dal finestrino e parlò ad Andrew, che si trovava su un’altra vettura.

“Noi facciamo un salto qui, sperando di trovare Anthony, altrimenti vi raggiungeremo subito a Green Manor, va bene?”

“Ho idea che saranno tutti a casa mia, visto che ormai il figlio di Max e Sophie dovrebbe già essere nato, ma tenta pure” lo mise in guardia Andrew, sogghignando. “Non credo, in ogni caso, che eviterai il grande pubblico, amico. Toccherà anche a te, come è toccato a noi tutti.”

“Molto spiritoso” brontolò Lucius. “Vai, uccello del malaugurio, e conduci il tuo seguito a casa. Ho idea che Sophie avrà di che sorprendersi, non appena arriverete.”

“Poco ma sicuro” assentì Andrew, salutandolo.

Dopo aver osservato le due carrozze con i loro amici risalire il colle per raggiungere il palazzo degli Spencer, che si trovava a poco più di due miglia di distanza, Lucius lanciò un’occhiata a Lorainne e mormorò: “Pronta?”

“Ma certo” assentì lei, sporgendosi poi per salutare l’uomo di guardia al cancello. “Buongiorno, Mr Pike. Ben trovato.”

L’uomo si aprì in un sorriso spontaneo, nel vederla e, in pochi attimi aprì il cancelletto pedonale per uscire e avvicinarsi alla vettura.

Tutto contento, infine, esclamò: “Bentornata, miss Phillips! Il viaggio è andato bene, spero.”

“Benissimo, grazie. Sapete se mio padre si trova a palazzo? E come mai i cancelli sono chiusi, visto che è pieno giorno?” domandò la ragazza, guardandosi intorno con aria curiosa.

Mr Pike si oscurò un po’ in viso, asserendo spiacente: “Bande di briganti, miss Phillips. Il duca ha preferito che i cancelli fossero chiusi anche durante il giorno, finché le autorità non risolveranno il problema.”

“Oh” esalò sorpresa Lorainne. Era proprio vero che i problemi esistevano a tutte le latitudini.

“Comunque, siete fortunata. Lord Phillips non si è ancora recato a Green Manor con vostra madre, perciò li troverete entrambi a casa.”

“Lady Spencer sta bene, vero?” domandò un po’ ansiosa Lorainne, mentre i cancelli ben oliati venivano aperti per loro da un paio di garzoni, presenti nell’ampia garitta del guardiano.

“Oh, sì. Ha avuto un bel maschietto, che hanno chiamato Erik, ma non so dirvi se ha altri nomi” le spiegò Mr Pike, sorridendole spiacente.

“Chiederò a Sophie stessa. Grazie ancora per le informazioni, e buona giornata” disse infine Lorainne, salutandolo quando la carrozza poté ripartire prima di fare degli ampi cenni del braccio anche a Mrs Pike, affacciatasi in quel momento da una delle finestre della vicina casa del guardiano.

“Bene. Se non altro, sappiamo che il piccolo e la mamma stanno bene” dichiarò Lucius, soddisfatto, mentre Lorainne si rimetteva seduta compostamente. “Quanto ai banditi, niente di strano… non è la prima volta che bande armate scorrazzano per le campagne, no?”

“Già. Ma speravo che le politiche messe in campo da Lord Grey, il nostro Primo Ministro, avrebbero fatto la differenza” mormorò Lorainne, spiegando anche ad Albert e Silver come stessero le cose. “L’idea di fondo della Camera dei Lord era quella di togliere povertà in seno al popolo ma, evidentemente, qualcosa non sta funzionando.”

“Credo che non esista società al mondo in cui non ci sia almeno qualcuno che tenta di rubare all’altro ciò che ha” chiosò pacata Silver, scrollando le spalle. “I lakota e i pawnie lottano gli uni contro gli altri da sempre, perciò non mi sorprende che anche qui ci siano persone che desiderano le cose d’altri senza averne il diritto.”

“I vostri nemici cosa desiderano da voi?” si interessò Lorainne, mentre l’ombra del maniero si allungava su di loro come una nuvola ad adombrare la luce del sole.

“Le donne, …e le pelli” disse Albert, notando poi il sogghigno della moglie. “Le donne lakota sono le creature più intelligenti e scaltre tra le tribù, mentre le pelli sono le migliori nell’essere confezionate, tra le nostre genti.”

Lorainne sgranò un tantino gli occhi ed esalò: “Succede come …come nel Ratto delle Sabine?”

“Qualcosa del genere” assentì Lucius, stringendo la mano della giovane al suo fianco, quando la carrozza si fermò dinanzi all’entrata. “E se io ti rapissi come fecero i generali romani?”

Sorridendo a mezzo, Lory scosse il capo e replicò: “Andiamo ad affrontare il generale che abita qui, piuttosto.”

“Come vuoi” sospirò Lucius, scendendo con un balzo, mentre lo staffiere si occupava di far scendere Lorainne e Silver.

Subito, un domestico si presentò sulla porta e, dopo aver salutato la sua padroncina con gentili parole e sorrisi sinceri, si preoccupò di accompagnare i nuovi venuti all’interno del maniero.

“Se posso permettermi, …miss Sarah non è con voi, miss Lorainne?” domandò il domestico, chiudendosi la porta alle spalle, mentre due valletti pensavano a recuperare mantelli e tube.

“Si è recata con lord Spencer a Green Manor. Noi abbiamo preferito fermarci qui, prima. Sapete dove si trova mio padre, ora?” spiegò succintamente la giovane.

“Si trova nel suo studio, assieme a lady Thornton” asserì l’uomo. “Gradite che vi accompagni da loro, o che mi occupi dei vostri gentili ospiti?”

“Non importa, Mr Robertson. Andremo da loro tutti insieme. Non desidero rubarvi altro tempo. Grazie infinite come sempre” mormorò Lorainne, sfiorandogli un braccio con sincero affetto. “Mi coccolate ogni volta.”

L’uomo allora le sorrise con calore e, dopo essersi scusato con loro, si accomiatò con un inchino e tornò alle sue altre mansioni all’interno del palazzo.

Rimasti soli nell’enorme entrata dalla volta a campana, Lorainne poggiò le mani sui fianchi e disse: “Bene. Sarà il caso di risolvere subito la questione.”

“Prima, pensiamo a Silver e Albert. Credo siano un tantino intimoriti da casa tua” suggerì Lucius, dando una pacca sulla spalla all’amico.

Lorainne, allora, fissò entrambi gli amici e, con un certo dispiacere, dovette rendersi conto della loro reale confusione.

Quel luogo così enorme, buio e freddo doveva apparire ai loro occhi come qualcosa di oscuro e leggermente pericoloso o, comunque, decisamente alieno rispetto a ciò cui erano abituati.

Presa perciò sottobraccio Silver, Lorainne si diresse verso l’ampio scalone a due bracci dell’ingresso, asserendo: “E’ un palazzo molto antico e, nell’antichità, amavano costruire case enormi. I proprietari non dovevano pulirle, quindi non si preoccupavano molto che fossero funzionali, ma soltanto sfarzose e un tantino tracotanti.”

“Lo immagino” mormorò stranamente timida Silver, guardandosi intorno con espressione sgomenta.

Stringendo maggiormente a sé la donna, Lorainne aggiunse: “So che può sembrare un po’ inquietante, ma giuro che non ci sono spiriti erranti, o altro. Io, Sarah, Violet e Paul abbiamo giocato per anni a rincorrerci lungo i ballatoi, mentre nostro fratello maggiore Randolf tentava di fermarci.”

Non appena raggiunsero quello del primo piano, ampio non meno di tre metri, le confidò: “Ecco, guarda. Quando avevo sei anni, ho inciampato contro il piedistallo di quell’armatura. Puoi immaginare il fracasso che ha fatto quando è caduta. Sembrava che fosse crollata un’intera ala del castello. C’è un’eco pazzesca, qui dentro, credimi.”

“Ti prendo in parola, davvero” assentì Silver, continuando a guardarsi intorno confusa. “E dire che pensavo che Liberty House fosse grande. Ma in quanti abitano questo posto? Tutti i tuoi parenti?”

“A parte la servitù, che conta un centinaio di membri, siamo io, Sarah, Paul, i miei genitori e i miei nonni paterni, che risiedono nell’ala ovest. I genitori di mia madre abitano in una villa a York” le spiegò Lorainne, sentendosi improvvisamente sciocca.

Era davvero tutto così opulento, esagerato e inutilmente borioso!

Silver, però, le disse l’unica cosa che avrebbe potuto tirarle su il morale, e farla sentire un po’ meno stupida e superficiale.

Le sorrise, battendole una mano sul braccio, e asserì: “Con una casa così robusta e forte, vi sarete sentiti sempre al sicuro, immagino.”

“Sì. Sempre” ammise Lorainne, regalandole un sorriso grato.

“E’ quanto di meglio possa sperare un genitore per i propri bambini” dichiarò lei, tornando a scrutare attorno a sé con occhi più sereni.

Lorainne le diede un colpetto con la spalla, ringraziandola silenziosamente per quelle parole e, dopo aver indirizzato lo sparuto gruppo verso il torrione est, raggiunse infine una porta a volta e lì bussò.

Non appena udì la voce del padre, gli occhi della giovane si riempirono di lacrime di commozione – le sembrava passato un secolo, dall’ultima volta in cui l’aveva visto.

I motivi che l’avevano spinta lì, però, erano davvero troppo importanti per indugiare nel pianto, e comunque aveva promesso a se stessa di non piangere più.

Non se non strettamente necessario, comunque.

Dopo aver dichiarato la propria presenza, Lorainne entrò quindi assieme agli altri e, con un gran sorriso, si prestò all’abbraccio commosso dei genitori.

Fu splendido assaporare il loro calore, il loro affetto incondizionato e, quando finalmente ebbe la forza di scostarsi, Lorainne sorrise ai suoi compagni di viaggio e disse: “Vi ricorderete sicuramente di lord Lucius Bradbury, spero.”

Anthony assentì con vigore, allungandogli una mano per poi dire: “Ma certo che mi ricordo. Ben trovato, giovanotto. Le mie figlie non fanno che decantare i tuoi successi nel Nuovo Mondo. Spero non abbiano esagerato.”

“Dipende da quanto esse siano state generose con me, ma me la cavo” asserì Lucius, stringendo la mano dell’uomo. “Posso presentarvi i miei amici? Sono Albert e Silver Greyhawk, e hanno deciso di accompagnarci nel nostro lungo viaggio fino a qui.”

Myriam si esibì in una compita riverenza – mentre Anthony stringeva la mano ad Albert e si inchinava a Silver – e, con un sorriso curioso, la donna domandò: “Spero di non essere troppo indiscreta ma… siete per caso dei Nativi Americani?”

“Sono lakota, lady Phillips. Li incontrai anni fa nelle Grandi Pianure. Siamo amici da allora” spiegò succintamente Lucius.

“Caro, dovrai davvero disegnarmi una pianta dettagliata delle tribù native, perché la mia memoria comincia a fare cilecca, e non ho la più pallida idea di dove sia il luogo che hai citato” asserì con un risolino Myriam, prima di spiegarsi meglio con i loro ospiti. “Dovete sapere che sono una collezionista di carte topografiche, e Lucius è stato così gentile da regalarmene alcune del Continente nordamericano, ma sono incomplete, o almeno così immagino.”

“Se sono quelle che abbiamo a Liberty House, sono sicuramente incomplete” assentì Silver.

“Ecco, come pensavo” annuì soddisfatta Myriam, prima di lanciare un’occhiata alla figlia e aggiungere: “E ora, se volete accomodarvi tutti, perché non parliamo del vero motivo per cui siete qui?”

Lorainne impallidì leggermente, a quelle parole e Anthony, nel prendere in mano una lettera dal suo scrittoio, indirizzò un’occhiata curiosa a Lucius, ora perfettamente serio, e disse: “Ammetto candidamente che, quando è arrivata questa lettera, ho inizialmente pensato a uno scherzo.”

“Cos’hai fatto?!” esalò Lorainne, fissando sgomenta Lucius, che si limitò a scrollare le spalle.

“Davvero pensavi che non gli avrei almeno accennato qualcosa, prima di piombare qui in casa sua con la richiesta che sto per fargli?” replicò serio Lucius, fissandola con aperta curiosità.

“Quando l’avresti spedita, giusto per saperlo?” domandò allora Lorainne, non sapendo bene se sentirsi infuriata con lui, o lieta che i genitori già sapessero qualcosa.

“Il giorno dopo il nostro ritorno da… beh, dalla nostra ricerca” dichiarò Lucius, lanciando un’occhiata d’intesa con Albert.

“Oh… e perché non me l’hai detto?” brontolò a quel punto Lorainne.

“Per farti godere in santa pace il viaggio?” ironizzò Lucius, sorridendo a mezzo.

Lorainne ci pensò su un attimo ma, alla fine, mormorò un assenso, borbottando: “Sì, hai fatto bene. Avrei dato di matto, se l’avessi saputo.”

“Lo immaginavo, per questo non ho parlato” dichiarò soddisfatto Lucius, prima di tornare a guardare Anthony e aggiungere: “Nessuno scherzo, comunque, lord Phillips, lo giuro su quanto ho di più caro.”

Sospirando, Anthony allora guardò la figlia e le domandò: “Tu cosa vuoi dirmi, prima che io parta con l’arringa?”

“Che sarei disposta a compiere lo stesso gesto di Cynthia Withmore, pur di stare con lui” dichiarò con sicurezza Lorainne, sorprendendo un poco il padre con la sua uscita.

“Perché tiri in ballo la sorella di Sophie?”

A quel punto, Lorainne e Lucius spiegarono loro della strana coincidenza capitata e, quando ebbero terminato il racconto, sia Myriam che Anthony erano a dir poco sorpresi.

“D’accordo… questo viaggio sta prendendo davvero dei contorni assurdi. Ma sono lieto per i Withmore. Credo che questo incontro farà piacere a tutti, nonostante il passato burrascoso tra di loro” asserì Anthony, passandosi una mano tra i capelli biondi, striati di bianco. “Non ho comunque dimenticato il perché della vostra presenza qui.”

“Non avevo dubbi, padre. Ma posso solo dirti che amo Lucius, ed è una cosa che va avanti da un bel po’, a dire la verità.”

Accigliandosi un poco, Myriam le disse: “Cara, capisci bene che le tue parole sono assai strane. Lui abita a migliaia di miglia da qui, e già da anni.”

“Ma ero io a scrivere a Lucius. Ogni volta. E le poche volte che ci siamo incontrati, sono bastate a farmi capire che, ciò che desideravo da un uomo, lo vedevo in lui.”

Anthony rabbrividì leggermente, a quelle parole, ma domandò: “Senza scendere nei particolari… cosa intendi dire?”

Lorainne, a quel punto, si alzò per abbracciare il padre e, contro il suo petto, mormorò: “Un uomo che non mi tarpi le ali, che sia interessato a ciò che amo, e non mi condizioni nelle scelte. Un uomo con cui posso condividere i miei desideri, ma che sappia anche difenderli. Ecco, ho sempre visto queste cose, in Lucius e, anche se molte cose di lui le ho imparate solo tramite epistola, il resto l’ho scoperto – o ne ho avuto conferma – durante il nostro soggiorno a Liberty House.”

“Dove tu ti sei comportata bene, vero?” sottolineò Anthony, carezzandole gentilmente la schiena.

“Ovviamente. Non sono Sarah, sai?” ammiccò Lorainne, facendo la finta tonta.

Myriam sospirò per diretta conseguenza e, passandosi una mano sul viso, asserì: “Giuro che le ho allevate bene.”

Albert, a quel punto, sorrise alla moglie per un istante prima di dire: “Se posso permettermi di intervenire, non avete di che preoccuparvi. Vostra figlia è la quintessenza della generosità e del coraggio e, con mia moglie, è stata la migliore delle amiche. Non potrei desiderare altra donna, per il mio migliore amico.”

Anthony e Myriam sorrisero spontaneamente, a quelle parole e Silver, intervenendo a sua volta, mormorò: “Ho subito torti dagli uomini bianchi che tento di dimenticare, e sia mio marito quanto Lucius conoscono il mio odio verso coloro che mi hanno fatto del male. Lorainne, però, è stata capace di oltrepassare la mia barriera difensiva e si è insinuata dentro di me, mostrandomi una luce che pensavo di avere perso. Le devo molto, e la considero la mia migliore amica.”

Lorainne si coprì la bocca con una mano per soffocare un singhiozzo e, lasciato l’abbraccio del padre, si avvicinò a Silver e la strinse a sé con forza.

“Non mi devi niente, davvero.”

“Permettimi di pensarla diversamente, Mni Itaca.”

Carezzando i capelli della figlia, Myriam le domandò: “Cosa significano quelle parole, cara?”

“E’ il nome che mi ha dato Silver. Significa ‘acqua che scorre’.”

Entrambi i genitori si guardarono dubbiosi per un attimo, prima di convenire nel dire: “Ti ha guardata mentre suoni, vero?”

Silver sorrise della sorpresa di Lorainne, e chiosò: “Vedo che non sono l’unica a pensare che tu sia come acqua di ruscello.”

“Abbiamo sempre apprezzato le sue doti di musicista, anche se è pur vero che Lorainne eccelle in tutto ciò che le piace” dichiarò orgoglioso Anthony. “Avete saputo leggere molto bene nell’animo mia figlia, Mrs Greyhawk, e sono lieto che, in terra straniera, lei abbia già un’amica come voi.”

Silver gli tributò un ossequioso cenno del capo e Lucius, nello scrutare i suoi amici, asserì: “Lorainne è amata da tutti, a Liberty House e, pur se so che sentirà la vostra mancanza, di certo non le mancherà l’amore. Su questo, posso giurare anche sul fuoco. Ho compreso con fin troppa chiarezza quanto, il solo pensiero di perderla, fosse insostenibile, per questo ti ho scritto, lord Phillips, e sono voluto venire di persona per chiederla in sposa.”

“E il tuo cantiere?” domandò Anthony.

“Ho persone fidate che stanno portando avanti il mio lavoro e, anche se Andrew si era offerto di fare il mio portavoce, ho preferito sbrigarmela da solo. Lorainne è troppo importante, per delegare ad altri il mio ruolo” gli spiegò Lucius, sicuro di sé.

Anthony, allora, sorrise e disse: “Anche se si fosse presentato Andrew, non avrei potuto che accettare.”

“Come?” esalarono in coro Lorainne e Lucius.

Anthony scrutò la figlia in viso, si avvicinò per carezzarle una guancia e aggiunse: “Ricordo bene il tuo volto, quando partisti. Avrei desiderato uccidere Michael Donahey con le mie stesse mani, per come ti aveva ferita, ma quando sei entrata in questa stanza, e ho visto i tuoi occhi, ho capito che le parole scritte da Lucius nella sua lettera, erano vere. E cosa posso sperare di meglio per mia figlia, se non colui che ha saputo farla rinascere?”

“Anche se dovrò andarmene?”

“Il tuo Lucius costruirà navi più veloci, ed esistono pur sempre le lettere” chiosò Anthony, e Myriam assentì.

“Papà…” mormorò Lorainne, mordendosi il labbro inferiore per non piangere.

“Ora che ci penso, questa è la richiesta di matrimonio più pacifica e normale che si sia avuta nella nostra famiglia da un po’ di anni a questa parte, così come in quella di Christofer” dichiarò a quel punto Anthony, tutto soddisfatto. “Dovrò vantarmi un po’ con lui.”

Scoppiando a ridere, Lorainne assentì e si gettò tra le sue braccia, scoppiando finalmente a piangere.

Nell’asciugare una lacrima dal viso della figlia, Anthony chiosò: “Direi che puoi anche cancellare quell’ampolloso ‘lord Phillips’ e tornare a chiamarmi Anthony.”

“Ho preferito fare le cose come si deve… Anthony. Non si sa mai. Per Lorainne, potrei anche comportarmi da compito damerino, se servisse” ammiccò Lucius, stringendo la mano del futuro suocero.

Lory rise e, stringendosi al pare – tutto sorridente e lieto – celiò: “Preferisco tu non lo faccia. Credimi.”

“Come voi desiderate, milady” ammiccò il giovane, esibendosi in allegro inchino.

 
 
 
N.d.A.: i nostri eroi sono infine giunti a casa e, a sorpresa, Lorainne scopre che Lucius ha inviato una lettera a Anthony per metterli al corrente di tutto. Direi che ha fatto bene, così si sono evitati svenimenti o colpi di testa.
In ogni caso, rimane ancora lo scoglio dei coniugi Withmore, ma scopriremo le loro reazioni già dal prossimo capitolo, non temete. A presto!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


15.
 
 
 
 
Quando infine raggiunse Green Manor, il gruppo di Lorainne trovò gli Spencer, i Whitmore e i Ludwig raggruppati nella biblioteca di palazzo.

I loro volti apparivano ancora assai sorpresi, nonostante fossero passate diverse ore dal loro arrivo. Era quasi certo che le spiegazioni di Cynthia e - ipotizzò Lorainne - di Sebastian e Thomas, dovevano aver lasciato gli uditori senza parole.

Il fatto che Thomas stesse tenendo in braccio il piccolo Erik, deponeva comunque a favore di un buon esito dell’intera situazione. Forse non sarebbe stato un processo immediato, e avrebbe richiesto sia lacrime che arrabbiature, ma l’antica frattura si sarebbe pian piano rimarginata.

Adelaide sedeva accanto a Cynthia, la sua mano esile poggiata sul ventre arrotondato della figlia primogenita. Sembrava lievemente sotto shock, ma non sopraffatta da emozioni negative o dal rancore quanto, piuttosto, da una sana sorpresa.

Ferdinand, per contro, stava parlottando fittamente con Sebastian, che annuiva piuttosto spesso alle parole del suocero, compito e attento quasi fosse un giovane sposo al cospetto del padre della sposa.

Nel complesso, l’atmosfera non sembrava tesa, solo… piena di meraviglia.

Nell’entrare nella biblioteca, quindi, Lorainne si diresse immediatamente verso Sophie, intenta a scrutare la sorella con espressione meditabonda e, nel salutarla, disse con calore: “Congratulazioni, cara.”

“Bentornata, Lory” mormorò Sophie, riprendendosi dal suo personale stato di confusione per concederle un sorriso divertito e incredulo insieme. “Ci avete portato davvero una bella sorpresa, dall’America.”

“Immaginavo l’avresti pensato” assentì Lorainne, salutando poi Max con un bacio sulla guancia. “Come sta andando?”

“Nessuno è morto di infarto, il che è già un risultato” dichiarò Maximilian, scrutando curioso Thomas mentre un dolce sorriso gli incurvava le labbra. “Ma credo che la partita sia stata vinta perché sono stati Sarah e Samuel a presentare i Ludwig a tutti noi.”

“Oh. Ottima mossa, quella della sorellina” dichiarò soddisfatta Lorainne.

“Ci vorrà un po’ per adeguarsi all’idea, ma pare davvero cambiata” mormorò Sophie, giocherellando nervosamente con le proprie mani, quasi provasse il desiderio di toccare con mano il ritorno della sorella. “Inoltre, mio padre mi sembra felice di averla rivista, perciò va bene così. Mamma, poi, è entusiasta di Thomas e del piccolo in arrivo.”

“Bene… visto che siete più o meno tutti a posto, posso…”

Lorainne non terminò mai la frase.

A sorpresa, e con il suo solito tocco di grazia e delicatezza, Maxwell Chadwick fece la sua entrata nella biblioteca di Green Manor e, spalancate le porte come un conquistatore di fronte al popolo sconfitto, esclamò: “Cos’è questa storia che mio cugino si sposa con la piccola Lory!?”

Un coro di sorpresa si levò tra i presenti – quelli non consapevoli del fatto, per lo meno – e Lorainne, nel lanciare un’occhiata esasperata a Lucius, borbottò: “A chi altro hai scritto, scusa?”

“A mio padre, ma…” tentennò lui, avvicinandosi poi dubbioso al cugino. “… tu come fai a saperlo, scusa, Maxwell?”

Fu in quel momento che apparvero altresì Elizabeth, Alexander e figliolanza e, scusandosi per i modi spicci del suocero, Lizzie disse: “Devi perdonarlo, Lucius. Era con tuo padre, quando giunse la lettera e, ovviamente, poteva non leggerla?”

“Allora, ragazzo, è vero?” sbottò Maxwell, lanciando poi un’occhiata ai nuovi venuti. “E loro? Sono i vostri testimoni di nozze? Maxwell Chadwick, tanto piacere!”

Ciò detto, e senza lasciare il tempo a Lucius di spiegarsi, allungò una mano per stringere – pur se stritolare sarebbe stato più corretto – quelle di Albert e Silver, basiti di fronte ai modi anticonformisti dell’uomo.

Passandosi una mano sul viso, chiaramente senza parole, Lucius esalò costernato: “Non sono più abituato alla mia famiglia, questo è certo. Ecco cosa succede a stare lontano per anni e anni.”

“Cosa ti aspettavi da lui, ragazzo?” esordì a sorpresa Cornelius Bradbury, apparendo a sua volta nello specchio della porta.

Lucius fissò a bocca aperta il padre, ora realmente non più in grado di spiccicare parola, o anche solo commentare quel continuo andirivieni di persone sempre nuove.

“Ecco, ora assomiglia maggiormente al classico standard per le nostre famiglie” chiosò divertito Anthony, sorridendo comprensivo di fronte alla confusione dipinta sui volti dei coniugi Greyhawk.

“Cioè, il caos puro?” gracchiò sconfortato Lucius, osservando sconcertato la moltitudine di persone presenti nella stanza. Pur se la biblioteca di Green Manor era enorme, gli risultò un tantino troppo affollata, in quel momento.

Lorainne non poté che ridere, di fronte a quello spaccato familiare così dissonante dagli standard previsti dal Ton e, nel prendere sottobraccio Lucius, dichiarò con sicurezza: “Sì, Maxwell, ci sposiamo e… lord Bradbury, spero non siate deluso, ma desidero privarvi di vostro figlio.”

Cornelius rise sommessamente, a quelle parole, scosse il capo con divertimento e infine replicò: “Mia cara, posso vendertelo anche subito, se vuoi. L’importante è che piaccia a te.”

“Direi di sì” assentì Lorainne, ora raggiante.

E fu così che Maxwell si esibì in un esuberante applauso, subito redarguito dalla moglie Madaleine, e Silver comprese che, dopotutto, i washicu erano davvero matti da legare. Proprio come aveva sempre pensato.
 
***

“E’ stata la cosa più imbarazzante che mi sia mai capitata di vivere, lo ammetto” sospirò Lucius, sorseggiando del whisky assieme a suo padre, nella tranquillità dell’ufficio di Christofer Spencer.

“Cosa pensavi che sarebbe successo, ragazzo? Maxwell ficca il naso dappertutto, ed era scontato che scoprisse la cosa” ironizzò Cornelius, ammiccando poi a Lorainne, accomodata su un divanetto assieme a Myriam, lady Thornton.

“Immagino, quindi, che tu non abbia visto giungere la Indipendent” si informò Lucius, osservando il padre e giocherellando con il suo bicchiere di whisky e ghiaccio.

“No, siamo partiti per giungere qui nel periodo previsto per il vostro arrivo e, quando Maxwell è piombato nella biblioteca dabbasso come un barbaro, eravamo appena tornati da una nostra visita presso la casa di Deanna e John. Bella fattoria, tra l’altro.”

Poggiato il mento sulle mani intrecciate tra loro, Anthony fissò con intenzione la figlia e, pensieroso, asserì: “Non posso che essere lieto della scelta, Lorainne, visto quanto Lucius sembra renderti felice. Ma sei consapevole di ciò che ti aspetta? Nessuno di noi potrà essere al tuo fianco, se ti servirà appoggio, poiché le distanze che ci separeranno saranno davvero enormi.”

Lorainne annuì con sicurezza e, sorridendo per un attimo a Lucius, accomodato con suo padre e sua madre su un altro divano, replicò: “Ne sono consapevole, padre. Credimi, ho pensato molto a ciò che sentivo nel cuore, a ciò che desideravo e a ciò che questo mio desiderio avrebbe comportato.”

“Di certo, non sei avventata come Sarah, quindi so che avrai sicuramente vagliato pro e contro, ma è chiaro che tutta questa storia rimanga comunque… improvvisa” ironizzò Anthony, facendola ridere sommessamente.

“Non sono avventata allo stesso modo, diciamo” tergiversò Lory. “Credetemi, mi mancherete moltissimo, nessuno potrà mettere in dubbio questo, ma so ciò che voglio, e so che in America ci sono persone che sapranno appoggiarmi e accogliermi con affetto. Inoltre, avete potuto conoscere sia Albert che Silver Greyhawk. Sono persone fantastiche, e con loro ho già un ottimo rapporto. Inoltre, laggiù abita anche Julian Knight assieme a sua moglie, e sapete bene quanto egli sia un ragazzo assennato. Non sarò tra persone del tutto sconosciute, vi pare? Se poi contiamo i Ludwig, avrò già degli amici, a Bass Harbor.”

Anthony assentì e Myriam, nello stringerle una mano, domandò: “Quello in cui andrai ad abitare è ancora uno Stato giovane, però. Sei sicura di non avere timore che queste sicurezze momentanee cambino?”

Adombrandosi in viso, Lorainne fissò il suo sguardo in quello della madre, evidentemente timoroso, e ribatté: “Voi vi siete persi, e ritrovati, in piena guerra, se non ricordo male, eppure il vostro legame è solido. Capisco cosa intendi e, visto soprattutto il passato di Albert e Silver, nulla osta che le cose possano peggiorare, ma non sono disposta a cedere alla paura. Lucius abita lì, lavora lì, e io intendo stare dove sta lui.”

Anthony si lasciò andare contro lo schienale della poltrona dov’era accomodato e, con un mezzo sorriso, decretò: “E questo chiude la faccenda, per me. Cornelius?”

Sentitosi preso in causa, lord Bradbury lanciò un’occhiata alla giovane Phillips, un’altra al suo figlio minore e, con un cenno d’assenso, disse: “Non ho nulla da obiettare, Thornton. La ragazza sembra avere le idee chiare e, visto che sembra essere convinta che il mio figliolo saprà renderla felice, che posso dire? Benvenuta in famiglia, Lorainne.”

“Grazie, lord Bradbury” sorrise lieta la ragazza.

Sheoban Bradbury, madre di Lucius, prese infine la parola e dichiarò: “Siamo assai lieti che tu entri a far parte della nostra famiglia, mia cara, ma voglio che tu sappia che, se il mio ragazzo non sarà all’altezza del suo compito, dovrai farmelo sapere in ogni modo, anche a costo di spedire un’intera nave piena di lettere fino alla mia porta.”

Lucius fissò sconcertato la madre ed esalò piccato: “Madre! Come puoi anche solo pensare che io non farei del mio meglio, per Lorainne?!”

Mentre la famiglia Phillips rideva divertita di fronte a quel battibecco, lady Bradbury replicò serafica: “Tesoro mio, hai quasi ventotto anni, e ormai disperavo di vederti maritato con qualcuna. Lasciami i miei dubbi sulle tue capacità di saper trattare le donne.”

Avvampando in viso, Lucius sbuffò contrariato e ribatté: “Non parlerò certo con te delle mie attitudini in tal senso, madre, ma credimi… non era un mio problema, quanto piuttosto la mancanza di materia prima di valore.”

“Sì, sì, va bene… ti credo, figliolo” asserì la donna, tentando di ammansirlo.

La sua blanda replica però, non fece che rinfocolare il cipiglio del figlio che, irritato, dichiarò: “Giuro, non pensavo che fossi così prevenuta nei miei confronti, madre!”

“Affatto, mio caro. Ti voglio molto bene, ma so anche essere obiettiva e, alla fine dei conti, non ci hai mai dato l’idea di voler impalmare qualcuna, negli anni scorsi.”

Cornerlius fece del suo meglio per non ridere, e così pure Anthony, mentre Myriam era rossa in viso per il tentativo di contenere il suo divertimento.

Lorainne, invece, esplose in una calda risata, si levò dal divanetto e, raggiunta lady Bradbury, si accucciò accanto a lei, le strinse le mani con calore e disse: “Stava attendendo che io crescessi, lady Bradbury. Non credete?”

“E’ possibile, cara” annuì soddisfatta Sheoban, dandole una pacca leggera sulle mani.

Lucius sospirò esasperato e, nell’osservare il viso paonazzo del padre, borbottò: “Tu non mi difendi neppure un po’?”

“Ho le mie buone ragioni per darle man forte” dichiarò nebuloso Cornelius, facendo sorridere lieta la moglie.

“Siete incorreggibili” sentenziò Lucius con aria disgustata.

Cornelius non ce la fece più. Scoppiò a ridere di gusto e, dopo aver dato una pacca sulla spalla al figlio, si asciugò le copiose lacrime di ilarità che iniziarono a scendere sul suo viso.
 
***

“E’ stato oltremodo imbarazzante e, in tutta onestà, non pensavo che mia madre avrebbe rigirato il coltello nella piaga” brontolò Lucius, ancora ombroso dopo il colloquio tra i loro genitori.

Lorainne gli carezzò un braccio con fare comprensivo e, nell’appoggiarsi contro di lui, mormorò: “Non ho mai avuto il piacere di parlare con lei per più di qualche minuto, ma mi sembra una persona assai scherzosa.”

“Oh, sì… niente da dire. Il mio spirito faceto l’ho preso da lei. Proprio per questo non avrei mai pensato che lo avrebbe usato contro di me!” sbottò Lucius, sospirando nello scuotere il capo. “Tradito dalla propria madre.”

Lorainne rise divertita, di fronte al suo scoramento. Era buffo vederlo così abbacchiato, e per un motivo così risibile.

“Devi stare tranquillo, Lucius. Io non penso che tu possa fare qualcosa per rendermi infelice.”

“Invece, sto per farlo” sottolineò lui, sorprendendola. “Sto per dividerti dalla tua famiglia e, anche se hai sostenuto che starai bene e la vita a Bass Harbor ti piacerà, la loro mancanza si farà sempre sentire.”

“Tu non farai niente, Lucius. Sono io che ho deciso così.”

“Avrei potuto non innamorarmi di te, per esempio” sottolineò Lucius, avvolgendole le spalle con un braccio.

“Su questo, avrei i miei dubbi. Io sono irresistibile” ridacchiò Lorainne, ammiccando al suo indirizzo con fare malizioso.

“Anche questo è vero” ammise l’uomo, sorridendo a mezzo. “Se poi mi guardi con quel sorrisino, mi rendo altresì conto di essere tuo prigioniero senza appello.”

“Quale sorriso, scusa?” si finse innocente Lorainne.

“Questo” mormorò lui, chinandosi per baciarla.

Lei lo lasciò fare. Era quasi sicura che nessuno si sarebbe presentato nella biblioteca, a quell’ora di notte.

Comunque, lasciò che il bacio durasse poco – pur con un briciolo di amarezza – e, quando si scostò da lui, Lory asserì roca: “Ora ho capito. Starò più attenta a usarlo. Va bene?”

“Quando saremo sposati, potrai usarlo quando vorrai. Fino ad allora, però, dovrò stare a distanza di sicurezza” si rammaricò lui, scostandosi dalla giovane.

Lorainne, però, lo trattenne per una mano e mormorò: “Non andartene. Resta qui con me ancora un momento, per favore.”

Lucius assentì in silenzio e, mano nella mano, osservarono le lanterne accese nel giardino di Green Manor, piccole lame di luce nell’oscurità di quella notte d’autunno.
 
***

Lorainne stava osservando piena di dubbi sua sorella minore, ancora in vestaglia da notte e con la chioma castana scompigliata e sparsa sulle spalle.

Quando aveva udito bussare e, subito dopo, aveva visto spalancarsi la porta, Lory si era levata a sedere sul letto, gli occhi pesti per il sonno e l’aria confusa quanto smarrita.

Sarah era letteralmente piombata nella sua stanza, eccitata e felice, asserendo di voler parlare assolutamente con lei.

Dopo essere uscita malvolentieri dal letto della camera degli ospiti che occupava – si trovavano ancora a Green Manor – Lorainne aveva indossato la sua vestaglia e, dubbiosa, aveva fissato la sorella in cerca di spiegazioni.

Queste non si erano fatte attendere e Sarah, battendo le mani come una bambina, aveva spiegato alla sorella il suo piano per celebrare il più bel matrimonio di tutti i tempi.

Lory aveva impiegato un po’ per capire ogni cosa. Un poco, perché era andata a dormire tardi – complice Lucius e i suoi sorrisi – e un poco, perché Sarah aveva parlato così alla svelta da stordirla.

Quando, però, ogni parola aveva raggiunto il traguardo all’interno del suo cervello, aveva spalancato gli occhi per la sorpresa e la commozione.

Ora, ancora ammutolita e con gli occhi fissi sulla sorella, Lorainne non poté far altro che abbracciarla e baciarla su una guancia.

Sarah rise di fronte alla sua reazione e, battendole le mani sulla schiena, disse: “Ehi, ehi… non sono venuta qui per farti piangere.”

“Non piango, tranquilla” le sorrise Lorainne, scostandosi per poterle carezzare il viso e sistemare dolcemente alcune ciocche di capelli. “Ma mi ha commosso molto il tuo pensiero. Sei sicura di volerlo fare? Non vorresti una giornata che fosse solo tua e di Samuel?”

Sarah scosse recisamente il capo e, tornando seria, asserì: “Ti perderò entro l’estate prossima, perché tu seguirai il tuo amore oltre oceano e, anche se sono felice per te, non lo sono per me, perché per vederti dovrà passare ogni volta un sacco di tempo. Sposarci nello stesso giorno mi riempirebbe di gioia, invece, e renderebbe più facile la separazione, perché i momenti più belli di sempre potremo viverli insieme.”

“Ne parlerò con Lucius, ma credo non si creeranno problemi. Far confezionare un abito entro il prossimo aprile non richiederà un impegno troppo gravoso, anche a costo di cucirmelo da sola” le sorrise Lorainne, assentendo con vigore.

“Bene” annuì a sua volta Sarah. “Vado a dirlo a mamma e papà. Non voglio perdermi la faccia di nostro padre quando gli dirò della mia idea.”

Lory scoppiò a ridere, esalando: “Sei perfida.”

“Un poco” ammiccò Sarah, scivolando fuori dalla sua stanza a passo veloce.

Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, Lorainne aggiunse a mezza voce: “Sei anche la persona più dolce del mondo, sorellina.”
 
***

La notizia colse Lucius di sorpresa.

Si ritrovò ad arrossire leggermente prima di sorridere in maniera forse un po’ sciocca e, alla fine, le dispensò un bacetto sulla fronte prima di ammutolirsi.

Non comprendendo appieno quella serie di reazioni, si recò in avanscoperta per cercare Albert e Silver, trovandoli infine nel giardino, in silenziosa contemplazione di una quercia secolare.

Silver teneva il capo poggiato contro la spalla del marito e, mano nella mano, stavano osservando quella mirabile creazione della natura con aria felice e meditabonda.

“Buongiorno” esordì lei, stringendosi nel suo mantello prima di lanciare un’occhiata alla pianta.

Ricordava bene quando, da piccola, lei, Sarah, Lizzie e Paul si erano arrampicati spesso su quei rami bassi, supervisionati da Violet e incitati da Max.

Avevano sempre approfittato delle cavalcate in campagna di Randolf e Andrew, per compiere scorrerie simili, onde evitare reprimende da parte dei fratelli maggiori.

“Buongiorno a te” mormorarono in coro i coniugi, scostandosi l’uno dall’altra per accoglierla accanto a loro.

“Bella, vero? Christofer, una volta, ci disse che questa pianta ha quasi settecento anni. E’ un’autentica sopravvissuta, anche se inizia a subire i segni del tempo” asserì Lorainne, indicando i pilastri di legno che sorreggevano i rami più pesanti.

“Non avevo mai visto una pianta così bella. Nelle Grandi Pianure non c’è nulla del genere e, anche verso il Canada, dove molte tribù costruiscono i loro campi, non ho mai trovato nulla che le somigliasse. Grandi abeti e larici, certo, ma lei è speciale” mormorò ammirata Silver, sfiorandone la rugosa corteccia con il tocco delicato delle dita.

“Da bambini, giocavamo spesso tra i suoi rami. La chiamavamo Granny, perché era un po’ come se fosse la nonna di noi tutti” sorrise Lorainne, imitando l’amica con l’affetto nello sguardo. “Siamo sempre stati un po’ discoli, all’epoca, ma qui con lei eravamo tutti piuttosto bravi, come se temessimo di venire sgridati dalla pianta, se avessimo commesso qualche marachella di troppo.”

Albert sorrise alle due donne e, rivolgendo uno sguardo curioso a Lorainne, domandò: “Ci cercavi per qualche motivo?”

“A parte il fatto che apprezzo la vostra compagnia?” sorrise divertita lei. “Ma in effetti hai ragione, Albert. Ho parlato a Lucius dell’idea di sposarci lo stesso giorno di mia sorella, su richiesta di Sarah stessa… e lui si è ammutolito.”

Albert, a quell’accenno, scoppiò a ridere e, nell’osservare con aria indulgente la confusione dipinta sul viso della nobildonna, asserì: “Ho il dubbio che la sua sia ansia da matrimonio, ma sono curioso di vedere se ho ragione. Con permesso…”

Ciò detto, Albert si avviò a grandi passi verso Green Manor e Lorainne, basita, gracchiò: “Ansia… da matrimonio? Lucius… ansioso? Ma se sembra la persona più sicura al mondo che esista!”

Silver le sorrise gentilmente e, nello sfiorarle una spalla con la mano, dichiarò per contro: “Stiamo parlando di te, Mni Itaca. Della sua lila wakan, la sua persona molto sacra.”

“Tu dici?” mormorò Lorainne, arrossendo leggermente a quell’accenno.

La donna lakota assentì con vigore, aggiungendo: “Ricorda come si è comportato, quando ancora pensava che il colonnello fosse interessato a te. Era nervoso, distratto e assai irritabile. Tu lo destabilizzi e, anche se smania per diventare tuo marito, il pensiero lo manda nel panico perché pensa di on essere degno di te.”

“Non so se provare pena per lui, o essere galvanizzata dalla cosa.”

Lorainne si ritrovò a sorridere divertita, di fronte alle parole sincere di Silver e la donna, ammiccando, dichiarò: “Sentiti orgogliosa, poiché ogni donna che riesca nel compito di instupidire il proprio uomo, sa di aver compiuto il suo lavoro.”

A quel punto, Lory scoppiò a ridere assieme all’amica e, sottobraccio, tornarono all’interno del palazzo, ora curiose di scoprire se Albert avesse avuto ragione.

Non visti, Myriam e Anthony osservarono le due donne rientrare a Green Manor e Christofer, poco dietro di loro, domandò alla coppia: “Cosa fate? Spiate vostra figlia?”

Anthony si lasciò andare a una risatina e, rientrando dal balcone da cui si era affacciato assieme alla moglie, disse all’amico: “Volevo solo rassicurarmi un poco.”

Christofer tornò serio, a quelle parole e, annuendo, disse: “Il solo pensiero di veder partire Lizzie per il nord, mi portò a riconsiderare un sacco di cose. Per esempio, far mettere ai ceppi mio genero o qualcosa di simile, così che lei non dovesse andare ad Aberdeen.”

Anthony e Myriam risero sommessamente, di fronte a quell’ammissione che, pur se detta con ironia, rispecchiava le ansie di un padre che amava la propria figlia.

Facendo spallucce, Harford aggiunse con tono più sereno: “Alla fine, però, mi è bastato vederla sorridere come mai, prima di allora, aveva fatto… e a tutt’oggi, Lizzie ha ancora quel sorriso, quando guarda Alexander e i suoi figli.”

Myriam assentì e, nel sistemarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mormorò con tono solo leggermente tremulo: “Sembra che con Silver vada molto d’accordo. E lei è assai protettiva con la nostra Lorainne. Sono contenta che abbia trovato un’amica simile, in America.”

Anthony annuì a sua volta, dando forza alle parole della moglie e, nello scrutare l’orizzonte ammantato di nubi bianche e soffici, mormorò: “Darei tutto per poter spostarmi come quelle nubi, perché ciò mi consentirebbe di essere da Lorainne in un battito di ciglia ma, alla fine dei conti, vale ciò che hai detto tu. La sua felicità. Io mi accontenterò di vederla ogni tanto.”

“Se non altro, non si è innamorata di un insulso mangia-rane” ironizzò Christofer, dando una pacca sulla spalla all’amico.

Anthony rabbrividì al solo pensiero e, nel tornare in casa assieme alla moglie e all’amico, asserì: “Piuttosto che vederla maritata a un francese, l’avrei imprigionata in una torre, a costo di farmi odiare da lei per l’eternità.”




 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


16.

 
 
 
Quando Albert raggiunse infine Lucius, lo trovò in compagnia di Samuel; il primo, accomodato dinanzi al pianoforte della sala della musica di Green Manor, il secondo, in piedi accanto a lui.

Nel sentirlo sopraggiungere, i due amici si volsero per salutarlo e Albert, raggiunti i due uomini, si rivolse a Lucius per dire: “A quanto pare ti sei fatto prendere dal panico, amico mio. Lorainne è un poco preoccupata per te.”

“Ecco, l’ultima cosa che volevo sapere” si lagnò Lucius, giocherellando con i tasti del pianoforte.

Alcune note si espansero a caso nell’aria e Samuel, sorridendo al giovane Bradbury, dichiarò: “Solo chi non ama la propria donna, può dirsi immune dal panico, credo. Se non sei coinvolto con il cuore, l’anima e la mente, non puoi venire scosso da molteplici e contrastanti sentimenti. Chi, invece, vede coinvolte queste tre parti del proprio Io, trema al solo cospetto di colei che si ama.”

“Ti sei fatto troppo profondo, per i miei gusti, Samuel” brontolò Lucius, facendo scivolare le dita sulla tastiera in avorio per intonare l’inizio di un brano di Mozart. “Eri più divertente quando correvi a zonzo per i salotti, in cerca di donzelle.”

Sam rise di quel commento e, scuotendo una mano con fare noncurante, replicò: “Ho cercato di dare un senso a ciò che mi frullava per la testa, così ho letto molto… assai più di quanto non abbia mai fatto a Eton ai tempi della scuola, lo ammetto. In parte mi è servito, ma per il resto ho solo dato retta a Sarah.”

“Il che potrebbe voler dire soltanto che ti ha soggiogato, e ora non sei più tu” ironizzò Lucius, continuando a suonare con sempre maggior attenzione, pur non guardando la tastiera.

Albert sorrise di quella battuta e Samuel rise sguaiato, annuendo a più riprese.

“Sì, forse è vero. Ma chi non sarebbe contento di essere soggiogato da una donna che vuole solo il tuo bene, che ti ama e che farebbe di tutto per renderti felice?”

“Niente da dire” assentì Lucius con una scrollata di spalle, lasciando che le sue dita scivolassero sempre più veloci sulla tastiera.

La musica suonata dalle abili mani di Lucius si estese in tutta la sala, galleggiando nell’aria come un profumo inebriante e sottile.

Sia Albert che Samuel si ridussero al silenzio per ascoltare quel brano mirabilmente eseguito, e fu così che nessuno si accorse dell’arrivo di Silver e Lorainne.

Incantate da quel suono, si erano avvicinate alla sala della musica per scoprire chi stesse suonando il pianoforte e, quando Lory aveva scorto Lucius alla tastiera, non aveva esitato ad avvicinarsi.

Fu solo quando il brano ebbe termine, che la giovane si azzardò a parlare e, non appena Lucius avvertì il suono della sua voce, si paralizzò in sua contemplazione.

Non c’era niente da fare. Quando udiva Lorainne parlare, aveva sempre la tendenza a chetarsi, come se la sua anima trovasse quiete dopo tanto ardimento.

Era questo, alla fine, che gli aveva sempre impedito di comportarsi da scalmanato con lei come, invece, aveva sempre fatto con Sarah e Violet. Lorainne sapeva calmarlo, sapeva frenare la sua anima inquieta, dandole equilibrio senza spegnerla, senza smorzarne la luce.
Levandosi in piedi per raggiungerla, le sorrise nell’afferrarle una mano e, trascinandola gentilmente con sé, mormorò: “Suona con me, Lory.”

Lei assentì senza alcun problema e, dopo essersi accomodati assieme sul divanetto di fronte al piano, poggiarono le mani sulla tastiera.

Samuel si scostò per accostarsi ad Albert e Silver e, quando la musica iniziò a librarsi nell’aria come suonata da un sol uomo, quest’ultima mormorò: “Credo che, parlandosi attraverso ciò che amano, potranno annullare le rispettive paure.”

“Niente di più vero, credo” assentì Samuel.

“Vogliamo lasciarli soli, allora? O sarebbe sconveniente?” domandò a quel punto Albert.

Samuel si avviò sorridente verso la porta e, ammiccando, chiosò: “Sia i Phillips che gli Spencer sono abituati alle cose sconvenienti. Lasciarli qui a suonare assieme non turberà nessuno.”

Albert e Silver, allora, lo seguirono fuori dalla stanza e, non appena si chiusero la porta alle spalle, si sorrisero soddisfatti.

Sarah giunse proprio in quel momento, leggermente di fretta e con le gonne sollevate leggermente e strette tra le mani. Nel vederli di fronte alla sala della musica, si arrestò per un istante e domandò: “E’ Lorainne, a suonare?”

“Lucius e Lory” le spiegò Samuel.

“Oh, bene. E’ giusto che stiano un po’ per i fatti loro. Con Maxwell che tampina sempre il povero Lucius per farsi spiegare vita, morte e miracoli sulla sua esistenza, è difficile trovare del tempo per parlare senza orecchie curiose al seguito” ironizzò Sarah, facendo ridere sommessamente il trio.

“Ben detto. Comunque, stavi andando da qualche parte? Sembravi avere fretta” le domandò Samuel, seguendola lungo il corridoio assieme ad Albert e Silver.

“Beh, diciamo che ero curiosa di vedere Cornelius e Violet mentre battibeccano sul nuovo progetto che Lettie gli vuole proporre. Non ho mai assistito, ma dicono che sia spettacolare ammirarli mentre si insultano – garbatamente, s’intende – a vicenda” ironizzò Sarah, tutta ghignante.

“In che senso, si insultano? Ma non vanno d’amore e d’accordo, quei due?” esalò sorpreso Samuel, facendo tanto d’occhi.

“Ti pare che i Bradbury facciano le cose in modo normale?” ammiccò la fidanzata. “Cornelius adora Lettie, ma non le darà mai ragione al primo colpo. Sarebbe troppo facile. Da quel che so, l’assenso alla costruzione delle sue navi, avviene sempre dopo un attento e scrupoloso esame… condito, per l’appunto, da commenti più o meno aspri.”

“E tu sai che stamattina parleranno di questo” chiosò Samuel, senza neanche domandarglielo.

“Io so tutto, mio caro” sentenziò Sarah, allungando il passo.

Silver si ritrovò a ridere divertita e, guardando il marito, celiò: “E poi dicono di noi, che siamo strani…”

Albert si limitò a scrollare le spalle e a seguire la coppia dinanzi a loro. Da quando aveva conosciuto Lucius, si era sempre chiesto che tipo di uomo fosse suo padre.

Beh, ora lo avrebbe davvero scoperto.
 
***

Quando anche l’ultima nota si fu spenta, Lorainne sollevò le mani dalla tastiera per poggiarle sulle ginocchia e, rivolto un sorriso a Lucius, mormorò: “Davvero ben eseguito, direi.”

“Possiamo chiedere…” cominciò col dire Lucius, volgendosi a mezzo per confrontarsi con i suoi amici. “… un parere…”

Non trovando più nessuno nella stanza, l’uomo scoppiò in una risatina divertita e Lorainne, accorgendosi della mancanza dei loro amici, rise a sua volta ed esalò: “Per fortuna che siamo in tempo di pace, o avrebbero potuto assalirci senza problemi.”

“Eravamo giustamente distratti” ammise Lucius, levandosi in piedi per poi offrirle la mano.

“Solo distratti?” domandò lei, curiosando nel suo sguardo di diamante.

“Anche vagamente preoccupati all’idea di non poter essere all’altezza del compito che ci spetterà” ammise Lucius, avvicinandosi per sfiorarle la fronte con un bacio.

“Oh, è un pensiero comune, mi dicono” ironizzò Lorainne. “Però credo che, così come ce la siamo cavata a suonare magistralmente questo brano a quattro mani, così riusciremo a fare anche il resto.”

“Lo pensi davvero?”

“Non ti mentirei mai e, soprattutto, non su una cosa così seria” assentì Lory, prendendogli entrambe le mani per stringerle nelle sue. “Spero solo di essere abbastanza forte e coraggiosa per poter essere una buona moglie.”

“Lo hai già dimostrato, mi pare” ironizzò Lucius, sollevando le mani della giovane per baciarne i dorsi.

Lei si morse il labbro inferiore, desiderando che quei baci sfiorassero la sua bocca, il suo viso, ma desistette dall’imporre a Lucius una sofferenza.

Sapeva – più o meno – quanto fosse doloroso, per un uomo, avere certe pulsioni e non poterle soddisfare, perciò non voleva causare coscientemente una sofferenza alla persona che amava.

Anche se ella stessa stava patendo le pene dell’inferno, in quel momento, imponendosi di non concedersi un’intimità che desiderava con sempre maggiore forza.

Lucius, però, parve capire le sue esigenze e, attirandola a sé, le sfiorò le labbra con un bacio, mormorando contro di esse: “Non posso concedermi di più.”

Lei annuì debolmente, scostandosi con il volto in fiamme e gli occhi splendenti e Lucius, annuendo tra sé, ironizzò dicendo: “Ciò detto, sarà meglio se cerchiamo compagnia, prima che tuo padre decida di usare un falcetto su di me.”

Lorainne scoppiò in una risata argentina e, nel prenderlo per mano, uscì con lui dalla sala della musica. Ci sarebbero stati altri momenti per un’intimità maggiore ma, per lo meno, sapeva che tutto ciò sarebbe avvenuto con l’uomo giusto.

Incamminatisi quindi lungo il corridoio, chiesero a una delle cameriere dove si trovassero i loro congiunti e, non appena lo ebbero scoperto, vi si recarono pieni di curiosità.

Sapere che tutti gli ospiti di Green Manor si trovavano in biblioteca era un fatto assai curioso, perciò vi si recarono pieni di curiosità per scoprirne i motivi.

Quando, però, entrarono nella suddetta stanza e trovarono Violet armata di squadra e Cornelius di righello, i due rimasero basiti quanto senza parole.

L’attimo dopo, Lucius scoppiò a ridere e, nello scrutare il volto accigliato del padre, esalò: “Non dirmi che riservi anche a lei il tuo burbero trattamento, padre!”

“Giusto te, ragazzo!” sbottò Cornelius, indicandolo con il suo lungo righello di legno. “Che diamine hai messo in testa a questa gentildonna?!”

“Io? Che mai avrei fatto?” gracchiò Lucius, nel sentirsi preso in causa. “Non ero neppure presente! Che male avrò mai potuto fare?!”

“Uno scafo a doppia paratia?” sbottò infuriato Cornelius, non ascoltando affatto le repliche del figlio. “Che oscenità è mai questa?!”

Violet sbuffò sonoramente, per gran diletto degli spettatori, mentre Lucius replicava serafico al padre, ora comprendendo il problema da cui era nato il diverbio.

“Non è una follia, né tanto meno una oscenità. Le navi americane vengono costruite così per reggere alle carronate più potenti. Stiamo parlando di navi da guerra, padre, non di clipper transatlantici o di golette per nobili eccentrici. Ti stai arrugginendo, per caso?”

“Hai un… appalto con la Marina?” borbottò Cornerlius, vagamente incredulo.

Lucius, allora, ghignò divertito e replicò: “Pensavi non ne fossi capace, padre? Che fossi solo un carpentiere dall’occhio fino ma, alla fin fine, un pessimo amministratore?”

“Niente affatto. Sei un Bradbury. Per forza sei capace in queste cose” brontolò l’uomo, punto sul vivo.

Lorainne rise sommessamente a quel commento piccato quanto orgoglioso e Lucius, scrollando le spalle, asserì: “Sono anche un Chadwick, visto che la mamma è cugina di primo grado con Maxwell. Magari ho preso da quel ramo della famiglia.”

“Maxwell è un perdigiorno. E’ sua moglie che tiene in piedi la baracca, e lo sanno tutti” sbuffò per contro Cornelius, facendo subito irritare il cugino.

“Ehi, dico!” sbottò Maxwell, facendo scoppiare a ridere l’intera platea. “Razza di galletto presuntuoso che non sei altro! Ammetti piuttosto che questa splendida fanciulla ha saputo surclassarti, invece di arruffare le piume come un vecchio gallo per poi prendertela con me.”

Violet si trattenne a stento dal ridere mentre Cornelius, divenendo paonazzo, indirizzava al cugino le peggiori offese.

A quel punto, lady Bradbury e lady Chadwick lanciarono ai mariti altrettante occhiate raggelanti e gli uomini, azzittendosi, brontolarono qualche parola incomprensibile ma, alla fine, cedettero.

Avvicinandosi al tavolo dove era disteso l’oggetto del contendere, Lucius ammirò la linea dello scafo disegnato dalle mani attente di Violet, l’affastellamento del legname e la linea degli alberi dopodiché annuì, mormorando: “Quando l’hai fatto, Lettie?”

“Ho preso appunti qua e là poi, durante il viaggio di ritorno, l’ho preparato. Non parto mai senza la mia attrezzatura” ironizzò Violet, tutta soddisfatta.

“Te ne acquisterò subito i diritti, visto che mio padre non comprende appieno la grandezza di questo progetto” dichiarò Lucius, sorridendo all’amica.

Cornelius, a quel punto, sbottò di nuovo ed esclamò: “Ehi, dico io! Violet è una mia progettista! Non tua!”

Fu così che padre e figlio iniziarono a disquisire su chi, Violet, dovesse accontentare e la diretta interessata, sorridendo divertita, mormorò al marito: “Non sono adorabili?”

“Se non sapessi che sono interessati solo al tuo intelletto, sarei un po’ geloso. Ma visto che le cose non stanno così, mi può far solo piacere” chiosò Andrew, divertito dall’intera scena.

“A me, invece, piacerebbe che una buona volta riuscissero a comportarsi come persone civili” sospirò lady Bradbury, scusandosi per il loro comportamento.

“Io li trovo deliziosi. E poi, non ho mai apprezzato gli ambienti troppo rigidi e compassati” asserì Lorainne, sorridendo alla futura suocera.

“Sei anche troppo buona, cara” replicò Sheoban prima di prendere in mano le redini della situazione una volta per tutte.

Afferrato il righello dalla mano del marito, lo usò per colpire la testa di Cornerlius e, conseguentemente, quella del figlio dopodiché, lapidaria, sibilò: “Siamo ospiti, per tutti i santi del paradiso! Un po’ di contegno!”

Un nuovo coro di risate si levò dai presenti e Christofer, nel levarsi dalla poltrona da cui aveva ammirato l’intero spettacolo in religioso silenzio, dichiarò: “Giuro… non mi divertivo così tanto da anni. Dovremmo organizzare più spesso queste riunioni di famiglia.”

“Sempre detto che ammiro quest’uomo” chiosò Maxwell, dando una gran manata sulla spalla di Harford.
 
***

Sdraiata prona sul letto di camera sua, Sarah piegò la testa di lato per osservare il viso della sorella, che ne aveva imitato la postura, e disse: “E’ stato bello, oggi. Ritrovarci tutti, ridere spensieratamente. I figli di Lizzie si sono divertiti un mondo a vedere il loro nonno che veniva sgridato dalla nonna.”

“Sì, è stato tutto molto bello” assentì Lorainne.

“Dove abita Lucius, ci sono altre famiglie con cui puoi stare in compagnia?” domandò Paul, seduto su uno dei divanetti della stanza, i piedi poggiati negligentemente sul tavolino dinanzi a sé.

“La sua villa è isolata dalle altre, perché si trova su un promontorio ma, in mezz’ora a cavallo, posso arrivare a casa di herzogin Cynthia, o al cantiere” gli spiegò Lorainne.

“Non è una villa un po’ solitaria, per te?” domandò allora Randolf, accucciato accanto al camino per ravvivare il fuoco.

“Oh, nella villa abitano anche Silver e Albert, oltre alla servitù, con cui vado già molto d’accordo” lo rassicurò Lorainne, grata che il fratellastro si preoccupasse per lei.

“Mi piacciono, quei due” dichiarò Randolf, annuendo compiaciuto. “Hanno un bel modo di pensare. Mi ha sconvolto conoscere i risvolti più crudi di ciò che sta accadendo al loro popolo, perciò sono doppiamente lieto che Lucius li abbia aiutati a scampare alla morte.”

Lorainne assentì e disse spiacente: “E’ una situazione in evoluzione, e temo che il cambiamento porterà più danno che utile, ma so che ci sono persone che stanno lottando perché il tutto avvenga con il minor spargimento di sangue possibile. In cuor mio, spero di poter dare una mano, per quanto possibile e, quando tornerò laggiù, mi informerò se è possibile fare qualcosa.”

“E tu sei pronta a vivere in un mondo in cui si hanno così poche certezze?” le domandò ora più seriamente Randolf, raggiungendola vicino al letto.

Lei si risollevò, mettendosi in ginocchio sul materasso e affondando un poco tra le coltri.

Scrutando il viso preoccupato del fratellastro, ne comprese le ansie, così come il suo strenuo tentativo di non imporre la propria idea su quelle della sorella. Dal tempo in cui aveva inveito contro Violet, Randolf era assai maturato, pur restando un fratello molto protettivo e amorevole.

Violet intervenne proprio in quel momento e disse: “Credo che siano le stesse preoccupazioni di Lucius, ma penso anche che la nostra Lory abbia già meditato bene su questo.”

Lorainne assentì, mormorando: “So che l’America è un paese in forte cambiamento, e che non è stabile quanto la nostra madrepatria, però so ciò che voglio, ed è stare con Lucius… a qualsiasi costo. Inoltre, noi abitiamo in un luogo lontano da qualsiasi possibilità di conflitto. Saremmo al sicuro, sull’isola, anche nel peggiore dei casi.”

“Lo spero, Lory. Lo spero davvero” mormorò il fratello, dandole un buffetto sul naso. “Non vorrei che foste costretti a patire ciò che hanno sofferto i nostri genitori, o Christofer e Kathleen.”

“Vieni con noi, quando torneremo a Bass Harbor, così lo vedrai con i tuoi occhi. Scommetto che i ragazzi sarebbero felicissimi di fare un viaggio per mare” gli propose allora Lorainne, sorridendogli. “Visto che Sarah e Violet sono già venute e hanno visitato il luogo, potrebbero venire con te anche Paul, mamma e papà.”

“Oh, sì. Io ci sto!” esclamò subito Paul, balzando in piedi per la gioia e l’aspettativa.

Randolf lo guardò storto, pur sorridendo, e replicò: “Tu faresti di tutto per evitare di tornare a Eton.”

“Verissimo” assentì senza alcun ritegno il ragazzo.

Le sorelle risero sommessamente e Randolf, sospirando, dichiarò: “Sentirò Savannah, e poi vedremo. In ogni caso, se ne riparlerà la primavera prossima, per cui…”

“Certo. Abbiamo tutto il tempo” annuì Lorainne. “Ma mi farebbe davvero piacere che voi veniste. So che, vedendo il posto, vi tranquillizzereste un poco.”

“Probabile. Comunque, ora è meglio se tutti andiamo a dormire” dichiarò l’uomo, aiutando Lorainne a scendere dal letto. “Ti accompagno in camera, così eviterai percorsi alternativi e sconvenienti.”

Lory rise divertita, a quel commento e, mentre si accomiatava dal fratello minore e dalle sorelle, lanciò un’occhiata maliziosa al fratellastro e mormorò: “Guarda che è un po’ tardi per chiudere la stalla. I buoi sono già usciti.”

“Spero non del tutto” gracchiò Randolf, avvampando suo malgrado.

“Non del tutto, non temere. Qualcuno è rimasto dentro” ridacchiò lei, coprendosi la bocca per il divertimento.

Randolf sospirò, scosse il capo e borbottò: “Non ce la posso fare… tre sorelle sono davvero troppe.”

Paul scoppiò a ridere e, mentre tutti uscivano dalla camera di Sarah, Lorainne cercò di immagazzinare dentro di sé quei ricordi, quelle immagini, quei suoni. Sarebbe stato difficile, nel primo periodo, abituarsi a una vita senza di loro, ma sapeva di potercela fare.

Quando, infine, salutò Randolf e si chiuse nella sua stanza, si fece aiutare dalla sua cameriera per togliersi gli abiti, dopodiché la ringraziò nel darle la buonanotte e rimase sola.

Con l’unica compagnia di una candela, Lorainne si sistemò alla toeletta per stringere i capelli in una treccia e, dopo aver indossato una vestaglia pesante, si diresse sul balcone per ammirare la luna.

Fu così che si accorse della presenza di due persone nel giardino e, dopo aver acuito lo sguardo e abituati gli occhi all’oscurità, sorrise nel rendersi conto che non erano altro che Albert e Silver.

Stavano passeggiando mano nella mano lungo uno dei sentieri del giardino e parevano assorti nei loro pensieri, ma davano l’idea di essere sereni e tranquilli.

Lorainne era lieta che fossero venuti assieme a loro. L’idea di poter mostrare la sua terra ai nuovi amici le era parsa buona, e vederli così felici la riempiva di gioia.

Desiderava per loro tutto il bene possibile e, se quel viaggio avesse portato ulteriore felicità oltre a quella che già vedeva nei loro occhi, ne sarebbe stata più che soddisfatta.

Sapeva per bocca di Kathleen che Silver aveva accettato di farsi visitare dal medico personale della contessa, ma non aveva idea di come fosse andato l’esame.

Se e quando Silver avesse voluto parlargliene, sarebbe stata presente per lei, pronta a darle tutto l’appoggio che una buona amica doveva offrire.

“Buonanotte, miei cari amici” mormorò tra sé Lorainne, lasciandoli con l’ultima immagine di un loro bacio al chiaro di luna.
 
***

Un brivido scosse le palle di Silver che, subito protetta dall’abbraccio del marito, mormorò: “C’è un freddo diverso, in questo posto. Non mi sono ancora abituata.”

“Ti abituerai, non temere. Ora, però, dovremmo rientrare, o quel povero ragazzo congelerà nell’attesa di riaccompagnarci in villa” asserì divertito Albert, osservando il valletto che, discreto, li stava attendendo armato di lanterna all’inizio della passeggiata.

Silver sorrise complice, dichiarando: “Come se potessimo perderci. Siamo rimasti per anni nel buio stellato delle Pianure, e non è mai successo nulla.”

“Hai sentito, no, del problema dei banditi? Può darsi che neppure entro le mura difensive di questo maniero, vogliano abbassare la guardia.”

“Potrei abbattere dieci banditi inglesi con una sola mano, ne sono sicura” brontolò Silver, pur incamminandosi per rientrare.

Albert rise, assentì alle parole della impavida moglie e, nel darle un bacio sulla tempia, disse: “Ne sono sicuro, Mazaska Wicahpi, ma non desidero che tu ti metta alla prova in tal senso.”

Silver gli sorrise a mezzo, scrollò le spalle e infine mormorò: “Sai una cosa, Hota Wambli?”
“Cosa, mia stella?”

Lei si limitò a sorridergli con aria misteriosa e Albert, accigliandosi leggermente, la prese per le spalle e borbottò: “Non cominciare a fare così… cosa c’è?”

“Temo dovrai arrivarci” asserì la donna, prendendolo nuovamente per mano per affrettare il loro passo.

Albert sbuffò contrariato e, quando infine raggiunsero il valletto, si incamminarono verso una porta laterale per rientrare a palazzo.

“Dimmi, ragazzo… anche le donne inglesi sono misteriose e tengono mille segreti?” domandò Albert, ancora vagamente contrariato.

Il domestico sorrise divertito e, annuendo, asserì: “Temo di sì, messere. Credo anzi che, più una donna sia bella, più misteri celi dentro di sé.”

“Allora, sono spacciato” protestò Albert.

“Con tutto il dovuto rispetto, messere, penso siate in un grandissimo guaio” mormorò il giovane, omaggiandoli con un breve inchino prima di salutarli.

Non potendo fare altro che prendere atto della cosa, Albert prese sottobraccio la moglie e, con calma, risalì le scale per raggiungere le loro stanze.

Chissà che, tutto quel gran arrampicarsi avanti e indietro per miriadi di piani e ballatoi, non lo aiutasse a chiarirsi le idee.

Di sicuro, non avrebbe ottenuto risposte da Silver. Quando voleva fare la misteriosa, nulla e nessuno poteva batterla.



 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


 
17.

 
 
 Aprile 1834 – York
 

Chissà perché, ma se l’era aspettato.

Forse dipendeva dal fatto che, negli ultimi cinque giorni, la temperatura si era magicamente – quanto sinistramente – abbassata.

Forse dipendeva dal fatto che gli imprevisti erano il sale della vita… ma andiamo, ad aprile?!

Forse, infine, dipendeva dal fatto che qualcuno aveva voluto giocare loro un tiro mancino, e quelli erano i risultati.

Fatto stava che, quando Lorainne, Sarah, Samuel e Lucius aprirono i loro occhi per lanciare uno sguardo oltre le imposte, la mattina del giorno del loro matrimonio, videro… neve.

Bianca, soffice, spumosa neve primaverile.

Neanche il calendario fosse tornato indietro di tre mesi, catapultandoli in pieno inverno quando, invece, di neve non se n’era vista.

Trattandosi di una nevicata fuori stagione, tutto avrebbe potuto accadere. Poteva perdurare tutta la giornata, o smettere nel breve decorrere di un’ora. Nessuno lo sapeva.

Fuori dal Thornton House, comunque, era tutto ricoperto di neve e dal cielo cadevano copiosi fiocchi di neve.

Lorainne contò fino a tre, prima di veder piombare Sarah in camera sua come un soldato alla carica, il viso giustamente sconvolto e gli occhi fuori dalle orbite.

Stiracchiandosi svogliatamente, la fissò mentre sbraitava all’indirizzo del cielo, dei santi e dei demoni, inveendo a più riprese e usando termini che, Lorainne pregò tra sé, mai il padre avrebbe dovuto sentire.

Quando la filippica di Sarah ebbe infine un termine, Lory le sfiorò il viso paonazzo con un bacio, le diede il buongiorno e disse: “Ora che ti sei sfogata, cos’hai risolto?”

“Sto un po’ meglio” sospirò la sorella minore, fissando arcigna la finestra aperta.

“Allora, è servito a qualcosa” assentì pensierosa Lorainne, passeggiando per la stanza.

“Sarà anche servito a calmarmi i nervi – cosa di cui non sono sicura – ma il fatto rimane…” replicò Sarah, tornando a infervorarsi e indicando minacciosa la finestra. “… là fuori c’è una spanna di neve.”

“Esagerata. Saranno due dita, a dire molto” sottolineò pacata Lorainne, massaggiandosi il mento mentre rimuginava tra sé.

“Si può sapere cosa stai facendo? Perché non ti agiti come me?” brontolò Sarah, seguendola con lo sguardo.

La sorella maggiore la fissò con un pizzico di divertimento negli occhi cerulei e asserì: “Primo, basti tu per le crisi isteriche. Secondo, sto cercando di pensare a come fare per non rovinare i nostri meravigliosi abiti. Anche se ripulissero il piazzale di fronte alla cattedrale, le lastre di pietra sarebbero comunque bagnate.”

“Non esiste che il mio abito si sporchi!” ansimò sconcertata Sarah, lasciandosi andare a un altro accesso di panico.

Lorainne sospirò nello scuotere il capo, spiacente di vedere la sorella così spaventata ma, non appena le balzò alla mente una soluzione, bloccò Sarah in un abbraccio confortante e disse: “Tutto risolto, cara. Andiamo a cercare mamma e papà e sentiamo cosa ne pensano.”

“Pensano? Di cosa?” brontolò Sarah, vedendosi trascinata fuori dalla stanza. “Come, hai risolto?!”

“Saprai tutto tra poco, non temere” chiosò Lorainne, scoppiando a ridere.
 
***

“…poiché i nostri futuri mariti saranno all’interno della cattedrale, in attesa del nostro arrivo – e sarebbe sconveniente in ogni caso, chiederlo a loro – saranno i nostri destrieri ad accompagnarci fino alle porte della chiesa. Ahinoi, quest’ultima non ha un tetto sopra l’entrata, sotto cui avremmo potuto far arrivare la carrozza, ma c’è una soluzione anche a quello” terminò di dire Lorainne, soddisfatta della propria trovata.

Sarah era letteralmente raggiante, la paura già dimenticata e l’eccitazione ben evidente negli occhi grigio colomba.

Anthony vagliò attentamente le parole della figlia, lanciò uno sguardo a una ottimista Myriam e infine disse: “Direi che non dovrebbero esserci problemi. Ci vorrà un panchetto per farvi scendere e salire, visto il volume dei vostri abiti, ma non penso sarà un problema reperirlo.”

“Naturalmente, ci dovrà essere qualcuno dotato di parasole che copra le nostre chiome, così che la neve non le rovini…” aggiunse Lorainne, soddisfatta. “…una pelliccia a coprire le nostre spalle e il corpetto, e una coperta di velluto per le gonne. Così, dovremmo essere più o meno a posto. Oh, e naturalmente, anche i cavalli andranno bardati a festa.”

“Raggiungerete i portici dinanzi alla cattedrale in carrozza, lì salirete sui vostri destrieri e compirete il passaggio attraverso la piazza sulle loro schiene. Un po’ plateale, ma mi piace” riassunse Myriam, divertita.

“La parte più interessante sarà far fare le scale a Dafne e Diana, ma sono abituate a ben altro” ironizzò Lorainne, lanciando un’occhiata d’intesa con la sorella.

“Sarà divertente sfilare in mezzo alla gente in attesa. Si aspettano che noi scendiamo dalla carrozza direttamente dinanzi alla scalinata, con il relativo strusciare dei nostri abiti sul selciato lercio di neve schiacciata, perciò rimarranno senza parole, di fronte a questa trovata” rise sommessamente Sarah, già pregustandosi la vista dei volti sorpresi dei loro ospiti.

“In effetti, costruire un baldacchino per coprire l’entrata avrebbe richiesto troppo tempo… e le scale sarebbero state comunque bagnate di neve” ammise Anthony, sorridendo. “Così, sorprenderete davvero tutti.”

“Lo so. Sono moderatamente soddisfatta della trovata” dichiarò Lorainne, ammiccando al padre.

“Ora, però, sarà il caso che andiate a prepararvi. Io farò sistemare le cavalcature e dirò a Randolf e Max di tenersi pronti con i parasole” dichiarò Myriam, sospingendo le figlie fuori dalla stanza per poi seguirle.

Rimasto solo, Anthony lanciò un’occhiata all’esterno e, turbato, mormorò: “Speriamo non si alzi il vento. Sarebbe davvero il colmo.”
 
***

Samuel e Lucius, debitamente nervosi e abbigliati al loro meglio, stavano attendendo già da diversi minuti all’interno della cattedrale.

Avvisati del leggero cambiamento di programma messo in piedi da Lorainne, ne avevano plaudito l’inventiva, ma ora entrambi temevano che qualcosa potesse andare storto.

Se uno solo dei cavalli fosse scivolato sulle scale del sagrato, o la neve avesse cominciato a cadere più copiosa, o anche si fosse levato il vento, tutto sarebbe andato a catafascio.

Andrew e Alexander, in attesa di fronte alla porta della cattedrale e inconsapevoli delle ansie dei futuri sposi, osservarono turbati l’arrivo delle due carrozze con le future spose al loro interno.

Molti invitati si erano già spinti all’interno, a causa della nevicata fuori stagione, ma diversi attendevano all’esterno proprio per comprendere cosa sarebbe successo.

Non senza un certo sadico compiacimento, Andrew aveva notato tra alcuni nobili degli sguardi di febbrile attesa di un disastro. Sarebbe stato un piacere vedere il loro dispiacere, a cosa fatte, quando le spose avrebbero raggiunto senza problema l’entrata della chiesa.

Quando, infine, le due vetture si fermarono sull’altro lato della piazza, sotto i portici che delimitavano la zona, le due spose ne discesero all’asciutto e, aiutate da un paio di stallieri, salirono sulle loro cavalcature.

Randolf e Max, già armati di ampi parasole, le attendevano a cavallo e, quando anche l’ultima piega dei mantelli di pelliccia fu sistemata a proteggere gli abiti, il quartetto partì alla volta della chiesa.

Lo stupore della gente si fece notare quando, finalmente, le spose furono visibili.

Splendide nei loro ampi mantelli di pelliccia bianca, apparivano come fate delle nevi accompagnate dai loro fedeli scudieri. Lentamente, un passo alla volta, le cavalcature avanzarono con passo sicuro, mentre le amazzoni assise sulle selle davano l’idea di essere sicure di sé e di avere il pieno controllo della situazione.

Il piccolo corteo avanzò nel mezzo di due ali di folla completamente ammutolite e ammirate, ove solo il suono degli zoccoli sul selciato bagnato – e infradiciato di neve – spezzava quell’ovattato silenzio.

“Credo che alcune signore stiano fumando di rabbia” mormorò Alexander all’amico.

Andrew sogghignò divertito, annuendo. Molti ventagli sarebbero stati spezzati dalle apparentemente fragili mani di diverse nobildonne, rose dalla gelosia per la buona riuscita di quell’entrata in scena così plateale.

“L’invidia è una brutta bestia” celiò Andrew, sospingendo in avanti il predellino su cui avrebbe appoggiato i piedi Lorainne.

Alexander fece lo stesso per quello di Sarah e, quando infine le cavalcature furono giunte al sicuro, sotto l’arco della porta della cattedrale, Andrew esordì dicendo: “Ben arrivata, giovane sposa. E auguri.”

“Grazie, Andrew” sorrise Lorainne, allungandogli una mano perché la aiutasse.

Come previsto, la giovane scivolò con eleganza sul predellino e, con l’aiuto di Andrew, ne discese come una regina di fronte ai postulanti. La pelliccia si accompagnò al corpo flessuoso della giovane in una elegante cascata bianca e, quando infine le venne tolta dalle spalle per mostrare l’abito sotto di essa, non poche persone mormorarono piene di meraviglia.

L’abito, vaporoso grazie alle svariate sottogonne che indossava, aveva un piccolo strascico ricoperto di brillanti e, al pari del corpetto, scintillava sotto la luce calda e danzante delle candele della chiesa.

Quand’anche Sarah raggiunse il fianco della sorella, in uno sfavillante abito in tutto simile a quello di Lorainne, le due giovani si sorrisero compiaciute e Sarah, ammiccando ad Alexander – che ancora si trovava al suo fianco, mormorò: “Stanno soffocando nella loro bile, vero?”

“Oh, sì, mia cara. Eravate splendide come due regine delle nevi, mentre avanzavate lungo la piazza” assentì in un sussurro Alexander, prima di consegnare la giovane al braccio di Anthony e tornare al proprio posto.

Andrew lo imitò, lasciando Lorainne alle cure del padre che, sottobraccio alle due spose, sorrise e disse: “Davvero superbe, tesorini miei, ma vi siete fatte odiare da un sacco di signorine.”

“Ci sapremo convivere” sentenziò Sarah, levando il mento per un istante, mentre le porte della chiesa venivano finalmente chiuse alle loro spalle.

La musica dell’organo iniziò a colmare il vuoto e, passo dopo passo, il trio si avviò lungo la navata, preceduto da un breve corteo di bambini e dal lancio di soffici petali di fiori.

Samuel e Lucius, che potevano solo scorgerle da lontano, riuscirono comunque ad apprezzarne la bellezza e, con un comune sospiro tremulo, mormorarono: “Si dia inizio alle danze.”
 
***

Ridendo di una battuta di Lucius, Lorainne sfiorò con una mano il braccio del marito e disse: “Giuro, pensavo che lady Chelsey sarebbe morta di soffocamento. Era paonazza in viso, quando l’ho vista in mezzo agli invitati.”

“Posso dirti che molte donne hanno allungato i loro preziosi e nobilissimi colli, per scrutare il vostro arrivo oltre l’arco della porta. Molte si sono pentite di non essere rimaste fuori al freddo per ammirarvi e, chi l’ha fatto, ha fatto morire di invidia coloro che non vi hanno visto. Insomma, è stato uno spasso” ironizzò Lucius, mentre le libagioni venivano servite al grande banchetto indetto a Thornton House.

Sarah intervenne per dire con enfasi: “Credo di aver sentito qualche stridore di denti, anche se non sono certa di chi fosse il fautore di tale espressione di rabbia. Posso solo dire che sono molto soddisfatta. Molly Parker dovrà ricredersi, la prossima volta che la vedrò. Lei era convinta che il suo matrimonio fosse stato il più bello, ma ora…”

“Non è il caso di vantarsi, sai?” le fece notare Lorainne. “Sii modesta e garbata, e vedrai che starà ancora peggio.”

Sarah la guardò sbalordita per alcuni attimi, prima di scoppiare a ridere e Lucius, sorpreso, esalò: “Ma perché ce l’avete tanto con questa Molly Parker?”

“Lady Molly Parker-Jones, moglie del barone Emerson Jones, ha avuto l’idea malsana di tentare di approcciare Samuel, l’anno passato, quando lui stava già corteggiando Sarah” gli spiegò Lorainne, con un tono di voce assai piccato.

“Non v’era alcun pericolo che potessi cadere vittima delle sue grinfie…” sottolineò Samuel. “… ma, di certo, si comportò in modo piuttosto impertinente e, una volta, fu anche apertamente maleducata con Sarah.”

“Oh, allora fai bene a farle notare che il nostro è stato un matrimonio eccezionale” dichiarò Lucius, annuendo con fervore.

“Grazie, immaginavo che saresti stato dalla mia parte” gli sorrise Sarah, tutta giuliva.

Anthony e Myriam colsero quel momento per avvicinarsi loro e quest’ultima, nel notare i loro sorrisi complici, domandò: “Non vi sarà per caso venuto in mente qualcos’altro?”

“Oh, no, nulla, mamma. Stiamo solo congratulandoci con noi stessi per la buona riuscita del matrimonio” dichiarò serafica Lorainne. “Dafne e Diana hanno ricevuto qualche zolletta di zucchero come premio, oltre a una razione doppia di fieno? Sono state bravissime a non scivolare su quelle insidiosissime scale.”

“Credo che gli stallieri le stiano ampiamente coccolando” la rassicurò Myriam, battendole una mano sulla spalla.

“Bene, ne sono felice” sorrise Lorainne, prima di scusarsi con loro e, assieme a Lucius, raggiungere Albert e Silver, seduti accanto alla famiglia Chadwick.

Quando Silver li vide arrivare, dichiarò sorridente: “Ora, so a cosa vi serve una casa così grande. Credo che qui dentro, al momento, ci siano diverse centinaia di persone.”

“In effetti, il banchetto conta quasi quattrocento persone, se non ricordo male l’elenco degli invitati” assentì Lorainne, prima di domandarle: “Tutto bene? Spero che non siano stati scortesi con voi. Alcune persone hanno una mentalità assai ristretta, anche se di fondo sono brave persone.”

Silver sorrise appena, scuotendo il capo e Maxwell, intervenendo al suo posto, dichiarò: “Non preoccuparti per la tua amica, Lorainne. Ci pensiamo io e la mia Maddie, a difenderla dagli idioti.”

“Caro, ti prego…” mormorò a sua volta Madaleine Chadwick, sorridendo poi spiacente a Lorainne.

Lei, però, rise sommessamente, diede una pacca sulla spalla all’uomo e osservò: “Non avevo alcun dubbio che, assieme a voi, sarebbe stata più che al sicuro.”

Silver, a quel punto, si aprì in un sorriso sicuro di sé e, battendo affettuosamente una mano sul braccio di Lory, asserì: “Stai tranquilla, Mni Itaca. Mi sto divertendo.”

“Bene. L’importante è questo” dichiarò più tranquilla Lorainne, stringendo per un momento la sua mano prima di scusarsi con lei per chiacchierare con altri ospiti.

Lucius sorrise nell’ammirare l’incedere elegante della sua sposa e Albert, serio e orgoglioso in viso, asserì: “Hai al tuo fianco una donna capace di meraviglie, amico mio. Sei fortunato, ma hai anche un grande impegno da portare avanti.”

“Renderla felice e orgogliosa di me?” ammiccò Lucius, vedendolo annuire. “Lo so. Ma spero di esserne all’altezza.”

“Lo sei. Devi solo convincertene. Anche tu sei capace di meraviglie” sottolineò Silver, con estrema serietà. “Tu mi hai salvato la vita, e lei mi ha concesso di viverla. Entrambi dispensate luce, e direi che non è male, per una coppia di giovani sposi washicu.”

“Te lo ricorderò la prossima volta che litigheremo per qualcosa” la minacciò bonariamente Lucius, dandole un bacio sulla tempia in barba a tutti.

Alcuni storsero il naso ma, come sempre, Lucius non vi fece caso e, raggiunta che ebbe sua moglie, le avvolse la vita con un braccio e disse: “E ora, facciamo avvampare di imbarazzo i nostri invitati.”

“Solo quelli che non ci conoscono bene e non ci apprezzano pienamente” ironizzò Lorainne, accettando di buon grado la sua presenza al suo fianco.

Che inorridissero pure. Lorainne amava la sua spontaneità e il suo amore per la vita, e così sarebbe stato fino alla fine dei suoi giorni.
 
***

Accoccolata in ginocchio nel mezzo del grande letto a baldacchino della sua stanza, la luna a splendere in un cielo ora terso – aveva smesso di nevicare nel pomeriggio – Lorainne inspirò con forza quando vide giungere Lucius dalla camera adiacente.

Contrariamente a lei, che era in camicia da notte e vestaglia da camera, indossava ancora la camicia e i pantaloni della cerimonia.

Camminava scalzo sui tappeti damascati della camera e, apparentemente senza averla notata, si diresse verso il camino e attizzò il fuoco.

Incuriosita dal suo apparente disinteresse, Lorainne scivolò furtiva dal letto per raggiungerlo in punta di piedi.

Fu lì che Lucius la colse di sorpresa, afferrandola per la vita per poi piroettare con lei un paio di volte nel mezzo della stanza.

Quando si fermarono, Lorainne era senza fiato, col viso roseo e un mezzo sorriso sul volto acceso.

“Ora va meglio” sussurrò lui, trascinandola con sé sul divanetto di fronte al fuoco.

Ancora piuttosto confusa, Lorainne gli domandò: “Scusa, ma… non dovremmo… ecco…”

Lucius ridacchiò di fronte al suo evidente imbarazzo, ma preferì non rimarcarlo con battutine di alcun tipo, limitandosi a dire: “Vorrei stare qui con te, di fronte alla luce del camino, a chiacchierare un po’.”

“Eh? Va bene” gracchiò Lorainne, non sapendo se sentirsi un po’ delusa o un tantino più tranquilla.

Tra le parole di Violet, quelle pepate di Lizzie e in consigli di sua madre, aveva le idee molto più che confuse, perciò un po’ di tregua da ciò che stava per succedere, era gradita.

Non sapeva, però, se per Lucius valesse in egual maniera e, se c’era una cosa che non voleva, era rovinargli la prima notte di nozze.

Perciò, ligia al suo ideale di verità, gli strinse con delicatezza le mani e disse: “Senti, Lucius, se tu preferisci, possiamo andare a letto insieme e… sì, insomma, ho idea che per voi uomini sia difficile aspettare, e non voglio che tu ti sacrifichi per me per…”

Azzittendola con un bacio leggero, Lucius replicò con candore: “Ti reputi così poco interessante come persona, da non ritenere importante parlare con te, prima di unirci carnalmente?”

Lorainne si azzittì, avvampando come un tizzone ardente di fronte a quell’ultima parola e Lucius, più dolcemente, aggiunse: “Vedi? Sei ancora un po’ nervosa all’idea di ciò che ci aspetta, perciò prima parleremo. Di solito ci viene bene, no?”

“Niente da dire. E’ vero” annuì lei, rigirando la stoffa della vestaglia tra le dita nervose.

Lucius gliele intercettò e, sollevandole una mano, le baciò il dorso e mormorò: “Cosa ne pensi della cerimonia? Secondo me è andata bene.”

“La cerimonia? Direi di sì. A parte che stavo per addormentarmi, con tutti quei doppioni. Fare un matrimonio in coppia è snervante, tutto sommato, anche se Sarah ha avuto ragione nel pensare che sarebbe stata una giornata divertente. Il banchetto, per lo meno, lo è stato” asserì Lorainne, sistemandosi meglio sul divanetto per poterlo guardare negli occhi.

“Immaginavo che l’avresti detto. Anch’io temevo di addormentarmi ma, visto che tu stessa eri piuttosto assonnata, ho cercato di resistere, nel caso fortuito in cui fossi collassata. Qualcuno doveva pur prenderti, no?”

Lory rise sommessamente a quella battuta, e assentì. “Sì, se avessi dovuto fare il contrario, probabilmente saresti finito lungo riverso sulla navata.”

“Temo di sì. Non sono esattamente quel che si suole dire un piccoletto” ammiccò lui, dandosi una pacca su una coscia.

“No, direi che sei alto e, nel mio caso, è davvero un bene, visto che il buon Dio mi ha reso così” sottolineò la giovane, indicandosi con un gesto eloquente.

Lucius sorrise malizioso nell’osservarla con pazienza quasi snervante e, quando ebbe raggiunto l’orlo della vestaglia, replicò: “Credo dovrei ringraziarlo. Che dici?”

Lei arrossì un poco e, dandogli una pacca sul braccio, borbottò: “Lucius… ma cosa stai dicendo?”

“Che lo ringrazio di averti reso così. O dovrei dirlo a tuo padre e tua madre?” rimuginò Lucius, prima di aggiungere. “Ma no, meglio non accennare nulla del genere a tuo padre. Potrebbe decidere di rimangiarsi la parola.”

“E quale?”

“Quella di pensare che io ti renderò felice.”

Lorainne storse appena la bocca e mormorò: “Se non fosse che credo di conoscerti abbastanza bene, direi che sei nervoso, visto che straparli.”

Lui rise, la afferrò delicatamente e, nello sdraiarsi sul divano, la portò sopra di sé e affermò: “Un po’ lo sono, in effetti, ma non per me stesso. Quanto, piuttosto, per te.”

“Sei molto gentile… e un po’ scomodo, a dir la verità…” brontolò lei, puntellandosi con le mani sul divano per non gravargli troppo addosso. “… ma ti ringrazio per le tue gentilezze. Mi sento più tranquilla, ora.”

“Posso immaginare quanto, l’atto in se stesso, possa spaventarti o crearti qualche disagio, perciò faremo solo quello che vorrai tu, e io mi comporterò come creta nelle tue mani. Mi modellerò come desideri” le propose lui, tenendo le mani sui suoi fianchi senza stringere in alcun modo.

Lorainne si commosse a quelle parole e, nell’afferrare le sue mani, se le portò sulla schiena perché la stringesse con maggiore forza.

Con le labbra, poi, sfiorò quelle di lui in un bacio leggero e, dopo alcuni istanti, mormorò: “Ti ringrazio immensamente ma sono assai inesperta, per non dire ignorante, perciò dovrai insegnarmi tu cosa è meglio fare. E sai che sono un’allieva coscienziosa.”

“Oh, sì… questo lo so” annuì lui, massaggiandole delicatamente la schiena.

Lei allora sorrise, fece pressione a terra con un piede per riportare entrambi in posizione seduta e, a quel punto, domandò: “La prima mossa?”

Lucius le fece scivolare la vestaglia dalle spalle, sistemandola sul divano e Lorainne, con dita leggermente nervose, slacciò la camicia di lui, sfilandogliela poi dai pantaloni.

Lui assentì lentamente, mormorando: “Bravissima, stai già facendo un ottimo lavoro.”

Lory rise sommessamente e, quando ebbe liberato il suo torace dalla camicia, sfiorò quella pelle calda e abbronzata con i palmi delle mani.

Lucius inspirò con forza, si lappò le labbra e si chinò a darle un bacio sul collo. Il suo alito le carezzò la pelle, facendola rabbrividire, ma non certo per il freddo.

Anzi, era certa che ben presto sarebbe andata a fuoco.

A Lorainne mancarono le forze e, con naturalezza, si appoggiò contro di lui, sussurrando: “Sicuro che si sopravviva a tutto questo?”

“Con relativa certezza” ridacchiò lui, sfiorando dall’alto al basso la sua schiena con il tocco delicato delle dita.

Lei lo fissò malissimo, prima di lasciarsi andare a un ansito pieno di desiderio.

“Questo è giocare sporco” mormorò in risposta, imitandolo.

Lui annuì, rabbrividì sotto il suo tocco inesperto ma piacevolissimo e replicò: “E’ uno sporco lavoro, lo so, ma qualcuno deve pur farlo…”

Lorainne si sciolse in una risata, a quel commento leggero e, poggiando la guancia contro il suo torace, mormorò: “Sono lieta che sia tu a farlo, questo sporco lavoro.”

“Ben lieto di essere qui, allora” ammiccò lui, deponendole casti e delicati baci sul viso.

Lory sospirò di pura delizia e, nell’accostarsi ulteriormente al corpo di suo marito – la parola ‘marito’ la eccitò – si rese conto di quanto Lucius si stesse controllando.

Mamma e Lizzie glielo avevano spiegato, mentre Violet aveva divagato imbarazzata, perciò aveva più o meno coscienza di quello che stava succedendo al corpo del marito.

Questo, perciò, la fece sorridere piena di malizia e, poggiate le mani sul bordo dei calzoni, sussurrò: “Credo di volere qualcosa di più, ora.”

“Tutto ciò che vorrai, e con i tuoi tempi, Lory” assentì lui, abbracciandola per un istante prima di lasciarla fare.

Resa coraggiosa dal suo sorriso pieno di fiducia, Lorainne mise mano al bottone dei calzoni e, sotto il suo sguardo sempre più sorpreso, mise finalmente in luce il corpo di Lucius.

Certo, aveva visto statue greche a bizzeffe, perciò sapeva cosa nascondevano gli abiti maschili, ma quello non era freddo marmo bianco, ma calda carne umana.

E lei avvampò come uno stoppino, a quella vista.

Lucius si limitò a un risolino, asserendo: “Non sei scappata via urlando, il che è già un traguardo.”

Dopo essersi liberato dei calzoni e averli sistemati per bene sul divano – concedendo così un’occhiata generale alla sconvolta Lorainne – Lucius le domandò: “Domande? Pensieri? Panico?”

“Sì alla prima, no alla seconda e… direi no anche alla terza” riuscì in qualche modo a dire Lorainne, deglutendo a fatica.

“Niente pensieri? E come mai?” replicò lui, ammiccando malizioso nel tornare da lei.

“Come pretendi che possa anche soltanto ragionare, adesso?” brontolò Lorainne, continuando a guardarlo in tutta la sua sfacciata bellezza maschile.

Lucius sembrava non avere alcun timore a mostrarsi ai suoi occhi e, con il passare dei secondi, Lorainne fece sempre meno caso alla cosa, abituandosi a sua volta.

Era bello da guardare e, anche se la sua stazza le incuteva qualche timore, sapeva bene che la sua forza non le si sarebbe mai rivoltata contro.

Inoltre, il suo corpo rispondeva a quella vista in modi che mai le era capitato di avvertire, e sentiva l’urgenza di eliminare a sua volta ogni barriera fisica per unirsi a lui.

Passandosi nervosa le mani sulla camicia da notte di raso, mormorò: “E’ sconveniente che io ti guardi così, vero?”

“Non esiste nulla di sconveniente, quando sei con me, e trovo stupido che un uomo si avventi su una fanciulla ignara, senza che ella sia preparata a ciò che si ritroverà davanti” sottolineò Lucius, sfiorandole il viso con una mano. “Se servirà, rimarrò anche tutta la notte così, finché non ti sentirai a tuo agio con me.”

“No, ti prego!” esalò lei, sorprendendolo.

“In che senso, scusa?”

“No, ecco, non vorrei passare tutta la notte senza fare niente. Solo questo” ammise lei, tornando ad arrossire.

Se Lucius aveva temuto il peggio per un attimo, l’istante seguente tornò a sorridere in modo molto mascolino, portando Lorainne ad aggiungere: “Direi che sei d’accordo con me.”

“Poco ma sicuro ma, ancora una volta, sei tu a tenere in mano le redini. Io farò solo ciò che vorrai.”

“Perciò, se ti dicessi di togliermi… la camicia… lo faresti?” domandò lei, lappandosi nervosamente le labbra.

Lui assentì, si avvicinò ulteriormente a Lory e, occhi negli occhi, le sfilò con calma la camicia da notte, lasciando che essa frusciasse fino a terra, sfiorando così il suo corpo perfetto.

Senza lasciare il suo sguardo, Lucius la strinse a sé, aderendo a quella meravigliosa pelle di seta e sentendosi bruciare dentro al semplice contatto.

Avrebbe desiderato fare mille e più cose, in quel momento, ma non voleva spaventarla in alcun modo.

Ora sembrava tranquilla e desiderosa di imparare, ma tutto poteva cambiare da un momento all’altro.

“Solo ciò che vuoi” le ricordò a quel punto Lucius e, con dolcezza, le sfiorò la schiena in una morbida carezza.

Lorainne ansimò di sorpresa, si aggrappò a lui e sussurrò: “Mi sento bruciare.”

“Va bene così, allora. Continuo?”

Lei annuì e, con un pizzico di spavalderia, si arrischiò a carezzargli le natiche nude, scatenando un brivido incontrollato lungo tutto il corpo di Lucius. A quella reazione, Lorainne si fece più fiduciosa nelle carezze e Lucius divenne realmente come creta nelle sue mani.

I baci si fecero più audaci, e Lorainne scoprì finalmente cosa volesse dire toccare un uomo.

Con un movimento fluido, Lucius la prese in braccio per scortarla fino al talamo e lì, quasi senza rendersene conto, Lorainne si ritrovò a toccare il cielo con un dito.

Il dolore fu minimo, stemperato dalla dolcezza di Lucius e dall’inebriante follia in cui la spinse durante l’atto.

Passarono minuti, ore, Lory non seppe dirlo ma, quando infine si addormentò contro la sua spalla, appagata e piena di emozioni, seppe di aver fatto la scelta giusta.

Lucius, il suo uomo d’oltremare, era davvero il compagno adatto a lei.

 
 
 

 
N.d.A.: spero che l’ideuzza per il matrimonio vi sia piaciuta… così come il suo seguito!

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


 

 

Epilogo

 

 

 

Bass Harbour – 16 giugno 1834

 

Scendere dalla nave fu piacevole per più di un motivo.

L’ultima parte del viaggio era stata costellata di tempeste e potenti marosi, perciò Lorainne non aveva potuto godere della compagnia degli altri viaggiatori come avrebbe voluto.

Inoltre, quel costante dondolio le aveva fatto venire delle nausee tremende, chiusa com’era stata in cabina assieme a Lucius.

Silver non era stata meglio di lei, e aveva passato gran parte del viaggio sdraiata nel suo lettuccio, maledicendo i viaggi per mare e le navi da crociera.

Lucius e Albert avevano potuto fare poco, per loro ma, con l’avvicinarsi delle coste americane, tutto era pian piano migliorato.

Ora, giunti finalmente al porto di Bass Harbour e pronti per raggiungere Liberty House, Lorainne salutò con piacere il colonnello Kerryngton, fermo sulla darsena in loro attesa.

Non appena fu a portata, perciò, Lorainne lo abbracciò con calore e, subito dopo, Lucius e Albert fecero lo stesso.

Silver si limitò a una stretta di mano, ma Lawrence non se la prese affatto. Conosceva bene quella donna, e sapeva che non era tipo da abbracci.

Mentre la servitù si adoprava per scaricare i bagagli dalla nave passeggeri – che presto sarebbe ripartita per proseguire verso New York – Lucius domandò all’amico: “Allora, come sono andate le cose, qui?”

“Tutto bene. Sono passato dal cantiere prima di venire qui, e Julian mi ha assicurato che non ci sono guai all’orizzonte. Tutto è andato nel migliore dei modi e, a mio parere, troverai Liberty House ancor più bella di prima.”

“E’ già finita?” esalò sorpreso Lucius.

“Alcune rifiniture sono da ultimare…” precisò Lawrence. “… ma è già pienamente utilizzabile. Inoltre, sarai lieto di sapere che Claus Collins si è rivelato essere un ottimo acquisto, anche se ti spiegherà meglio Julian.”

Lorainne sorrise al marito, apparentemente assai lieto della notizia ma, prima di poter dire qualsiasi cosa, sgranò gli occhi e, afferrato il braccio di Silver, si allontanò con lei dal gruppo.

Un po’ sorpreso, Lawrence le guardò avviarsi lungo la darsena per poi trovare un luogo abbastanza appartato dove inginocchiarsi e, sorretta da Silver, Lorainne diede di stomaco.

Sempre più sorpreso, il colonnello guardò Lucius e domandò: “Ma… e da quando Lorainne soffre il mal di mare? Avevo più o meno capito che niente potesse sconvolgerla… a parte te, ovviamente.”

“Non è mal di mare” sottolineò Lucius con un sorriso un po’ sciocco.

“Oh… di già? Ti sei dato da fare, mascalzone. Farle affrontare un viaggio per mare così lungo, col tuo erede in arrivo…” lo canzonò allegramente Lawrence, stringendogli la mano per congratularsi.

Quando, però, fu Silver a rimettere la colazione, Lawrence andò completamente nel pallone e Albert, a mo’ di spiegazione, disse: “Lorainne ha insistito perché Silver si facesse visitare da alcuni dottori inglesi, molto esperti nel genere di traumi di cui è stata vittima lei. Così, Silver ha accettato, lady Spencer le ha fatto conoscere il suo dottore ed è saltato fuori che…”

Lucius terminò per Albert, visto che l’amico era troppo emozionato per proseguire, e aggiunse: “… che Silver può concepire un figlio. Non era mai successo, dopo l’incidente, perché era come… bloccata.”

“Gli orrori che aveva vissuto” assentì torvo Lawrence. “I soldati si bloccano in battaglia… figurarsi la mente di una donna, anche se forte come Silver.”

Albert annuì a sua volta e, scrollando le spalle, dichiarò: “Quando lo ha saputo, ha pianto… ma per il sollievo e, durante il viaggio, beh…”

“Avete fatto la scoperta” terminò per loro Lawrence, sorridendo felice. “Così, i pargoli cresceranno come fratelli. Mi sembra una bella cosa.”

“Personalmente, lo trovo splendido, e anche Lorainne e Silver ne sono contente… quando non stanno male, ovviamente” sottolineò Lucius, osservando per un istante le due donne, ora di ritorno, prima di domandare: “Ora tocca a te. Sei pronto?”

“Manca meno di un mese, e già vorrei fosse domani” ammise Lawrence, sorridendo poi a Lorainne e Silver non appena si avvicinarono a loro. “Le congratulazioni sono d’obbligo, mi dicono.”

“Così pare” ammise Lory. “Se fosse possibile, ora, andrei a casa e mangerei qualcosa. Ho una fame tremenda.”

Il colonnello rise per tutta risposta e, nell’indicare al gruppo ormai nutrito le carrozze con cui era giunto, lasciò che Lucius gli presentasse i nuovi venuti prima di dirigersi alle vetture.

Procedendo poi con calma verso il promontorio, si lasciarono alle spalle Bass Harbour e risalirono la costa fino al cantiere, dove salutarono e accolsero con loro Julian.

Lì, William e Bridget poterono finalmente rivedere il figlio minore dopo tanti anni di separazione e, assieme a loro, il giovane si accodò al nutrito gruppo di ospiti per raggiungere la villa di Lucius.

Lorainne, affacciata al finestrino e già pronta ad ammirare le nuove vesti di Liberty House, sorrise eccitata non appena la vide e, dando di gomito a Randolf, esclamò: “Guarda! Quella è la villa!”

Lucius la imitò, nel vederla così felice ma, non appena si affacciò a sua volta, non poté credere ai suoi occhi.

La villa era davvero rinata dalle sue ceneri, e tutta l’ala est – distrutta dall’incendio – sembrava non essere mai stata intaccata dalle fiamme.

Il giardino era stato ulteriormente abbellito e, oltre il perimetro della casa, era stato eretto un patio enorme per le giornate assolate.

“Grazie, Julian… è splendida” mormorò Lucius, rimettendosi a sedere e ammiccando all’amico.

“Ho pensato che avreste gradito passare del tempo assieme anche all’esterno, così ho detto ai ragazzi di aggiungerlo al progetto… rientrava nelle spese previste, comunque” scrollò le spalle il giovane, lieto di aver fatto cosa gradita.

William batté una mano sulla spalla del figlio, orgoglioso della sua intraprendenza e Julian, sorridendogli, disse: “Jaqueline sarà felicissima di vedervi.”

Al suono di quel nome francese, Christofer Spencer storse appena il naso e Julian, nel notarlo, rise di gusto e celiò: “Stai tranquillo, zio. I suoi genitori odiano Napoleone almeno quanto te. Fuggirono qui in America proprio a causa sua, perciò potrete insultarlo senza ritegno anche dinanzi a loro. Forse, rimarrete sorpresi da quanto un francese possa odiarne un altro con tanto fervore.”

“Buona cosa, nipote. Davvero buona. Anche se ora, a dir la verità, vorrei conoscere il tuo figliolo” gli sorrise Christofer, curioso quanto compiaciuto.

“Jaqueline ci attende alla villa, non temere” lo mise al corrente Julian, mentre le cavalcature della carrozza venivano fatte rallentare.

Quando finalmente le vetture furono ferme, Lorainne aprì la portiera e fece scendere i predellini senza attendere il cocchiere, troppo ansiosa di mettere piede a terra per aspettare un solo attimo di più.

Randolf rise sommessamente di fronte a quell’ansia ma, quando anch’egli si ritrovò di fronte alla villa e inspirò i profumi delle piante odorose del giardino, sorrise.

Sì, era un bel posto, e sua sorella si sarebbe trovata bene lì.

Quel luogo splendido, a picco sul mare e dalla natura selvaggia, rispecchiava molto la sorellastra. Anche Lorainne era splendida e libera, e quella nuova terra le avrebbe offerto possibilità che forse, in madrepatria, non avrebbe avuto.

Nel lanciare uno sguardo a suo padre, salito su un’altra vettura ma ora disceso a sua volta per ammirare il panorama e la villa, ammiccò al suo indirizzo per richiamare la sua attenzione.

Avvicinatosi al figliastro, Anthony chiosò: “Beh, direi che ha un discreto tetto sulla testa. Tu che dici?”

“E’ intima, costruita in un luogo tranquillo quanto splendido, ed è dotata di ciò che le serve per essere autonoma” assentì Randolf, indicando l’ampia serra alle spalle dell’abitazione.

“Mi piace come l’ha pensata Lucius. Non è pomposa, ma denota buon gusto” annuì a sua volta Anthony, compiaciuto. “Inoltre, il panorama è davvero unico. Si respira il profumo del mare, ma si può anche apprezzare la bellezza dell’isola, all’orizzonte.”

Lorainne prese sotto braccio il padre, tutta contenta, e aggiunse: “E’ bello vero?”

“Davvero molto. E anche la villa sembra davvero carina” assentì Anthony, sorridendole.

“Aspetta di vederla dentro. Lucius ha davvero buon gusto” lo mise in guardia lei.

“Non avevo dubbi… ha scelto di sposarti” ammiccò il padre, facendola ridere.

Un po’ alla volta, la nutrita schiera di ospiti venne fatta entrare nella villa e, quando Jaqueline si presentò con il pargolo in braccio, e circondata dalla servitù della villa, Lorainne colse quel momento per avvicinarsi un attimo al marito e mormorare: “Direi che, ora come ora, nulla potrebbe andare meglio. Ti pare?”

Lui assentì, le sfiorò il ventre solo leggermente arrotondato e aggiunse: “Sono sicuro che, dopo questa visita, si sentiranno tutti più tranquilli.”

“Ne sono certa” annuì Lorainne, lanciando un sorriso a Silver e Albert. “Una casa splendida, un marito perfetto e i migliori amici che potessi mai sperare di trovare. Cos’altro vorrebbero di meglio, dei genitori, per la loro figlia?”

“Te lo saprò dire quando avrò tra le braccia il nostro primo figlio, però spero che tutto questo, per il momento, basti a sanare le loro ansie.”

Lorainne annuì e, quando si rese conto di dover prendere le redini della situazione, prese sottobraccio la madre e, scortando gli ospiti con la sicurezza di una vera padrona di casa, mostrò loro la villa che l’avrebbe protetta da quel momento in poi.

 

 

 

 

 

N.d.A.: E qui hanno termine le avventure dei nostri eroi, e la storia legata alle famiglie Spencer e Phillips. Spero di aver risposto ai vostri dubbi ma, nel caso, chiedete pure.

Per il momento vi saluto e vi ringrazio per il vostro appoggio e la passione con cui mi avete seguito.

Mi prenderò un po’ di tempo per terminare alcune storie che ho in cantiere, perciò non vi stupite se, per qualche mese, la mia bacheca rimarrà ferma. Ci rivedremo di sicuro (sperando che la UE non ci faccia brutti scherzi con il diritto sul copyright) e, nel frattempo, vi auguro buone ferie!

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