Linea 97 - Appuntamento con il destino di fallsofarc (/viewuser.php?uid=71978)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Linea 97 e il suo spin-off ***
Capitolo 1 *** Capitolo primo ***
linea 97 - capitolo 1
1.
Il sole basso all'orizzonte la
stava infastidendo, la tendina era rotta come su ogni autobus che si
rispetti e l'unica soluzione era continuare a muoversi sul rigido
sedile blu sbiadito tentando di non accecarsi.
Danielle non rinunciava mai alla sua routine scacciapensieri: con gli
auricolari nelle orecchie, guardava il paesaggio che scorreva lento.
Ogni sera le stesse fermate, ogni sera lo stesso identico tragitto, in
cui riusciva però a scorgere sempre nuovi particolari,
dietro quel vetro sporco.
Sull'autobus si alternavano pendolari occasionali e volti noti. Quelli
nuovi si riconoscevano subito: litigavano con l'obliteratrice
perché infilavano male il biglietto, avevano un'aria
trafelata prima ancora che l'autobus si rimettesse in movimento e
puntualmente chiedevano indicazioni al conducente su dove dovevano
scendere.
Gli abituali erano la signora delle pulizie che saliva alla fermata del
grande palazzo di vetro, la nonna che ritornava a casa dopo aver fatto
visita ai nipoti, il militare che rientrava in caserma e la mamma che
riportava a casa il figlioletto dall'asilo.
Poi c'era lui, il ragazzo misterioso. Cappuccio sempre in testa e
cuffie nell'orecchio, non si sedeva mai ma saliva e si posizionava
accanto all'uscita; a volte scriveva su un taccuino ma non alzava mai
lo sguardo.
Erano settimane che lo vedeva. Una sera l'autobus aveva inchiodato
bruscamente e, per reggersi, si era aggrappata al palo contro cui era
sempre appoggiato lui. Aveva sfiorato lievemente una sua mano e lui
aveva alzato gli occhi.
Quella era stata l'unica volta che li aveva visti ma non li avrebbe mai
dimenticati: verdi con sfumature castane, caldi e rassicuranti; erano
passate due settimane da quella sera e ancora li ricordava
perfettamente. Probabilmente era uno studente, come lei, ma erano solo
supposizioni: lo vedeva solo salire cinque fermate esatte dopo la sua.
Non si sedeva mai, nonostante il viaggio non fosse breve.
Improvvisamente l'autista inchiodò bruscamente,
costringendola ad appoggiarsi di riflesso al sedile anteriore. Ad
autobus fermo cominciò a levarsi un brusio di protesta, che
sfociò in imprecazioni indignate all'annuncio della gomma
bucata.
Tra una lamentela e l'altra, i passeggeri si rassegnarono a scendere
per attendere il mezzo sostitutivo che sarebbe arrivato il prima
possibile dal deposito.
Anche lì, sul bordo della strada, il ragazzo se ne stava in
disparte, appoggiato ad un albero mezzo sbilenco e colpito da un
fulmine. Il sole filtrava da dietro le sue spalle creando strani giochi
di luce: la felpa con il cappuccio assumeva quasi i connotati magici di
un mantello o una tonaca medioevale e l'albero morente conferiva un che
di decadente all'insieme.
Distogliere gli occhi da lui non fu semplice, in quell'occasione ancora
meno del solito.
Finalmente arrivano due piccoli minibus da una trentina di posti l'uno.
Distratta dall'osservazione dello sconosciuto, Danielle raggiunse la
fila troppo tardi per accaparrarsi l'agognato posto accanto al
finestrino.
Il corridoio centrale era sufficiente a malapena per muoversi,
perciò anche il ragazzo era stato costretto a sedersi.
Giunta a due passi dal posto vuoto accanto a lui, Danielle si
fermò, indecisa.
Lui guardava, incurante, fuori dal finestrino.
"Signorina?" l'uomo dietro di lei la richiamò all'ordine,
spazientito e ansioso di superarla per andare a sedersi.
Prese quindi, d'istinto, la decisione di sedersi. Il ragazzo non si
girò a guardarla ma le sembrò di vederlo
sussultare lievemente; la mente però gioca strani scherzi,
soprattutto dopo una giornata intera di studio intenso.
Si sentiva un po' a disagio ma ne approfittò per osservarlo,
di sottecchi: una mano era poggiata al finestrino, le sue dita si
muovevano sul vetro come se stesse suonando qualche strumento, forse al
ritmo della musica che stava ascoltando.
Lo sentì sospirare: di stanchezza, di delusione, di
sofferenza? Non lo sapeva, poteva soltanto aggiungere l'ennesima
domanda alla lunga lista.
Dalla sua borsa, poggiata in grembo, Danielle sentì
provenire una vibrazione: chiamata in arrivo. Già leggendo
il display il suo umore sprofondò ma non poteva evitare di
rispondere.
"L'autobus ha bucato una gomma, per questo sono in ritardo"
spiegò, con pazienza. Si sforzò di tenere bassa
la voce, anche se avrebbe voluto urlare di fronte alle cattiverie
gratuite che doveva nuovamente subire.
"Non ero in giro. Stavo studiando" le tremò la voce, nel
trattenere la rabbia. A nulla sarebbe servito: quella non era sua madre
e stava solo cercando un nuovo pretesto per criticarla.
Chiuse la telefonata con le lacrime agli occhi e la voce incrinata.
Gettando il telefono in borsa, si accorse di un particolare: non
sentiva più la musica provenire ovattata da accanto a lei.
Ma proprio mentre stava temendo che lui avesse ascoltato tutta la
discussione al telefono, la musica ripartì con una nuova
canzone. Che stupida: era solo finita la precedente.
Passarono i minuti e la tentazione di non scendere dall'autobus era
sempre più forte, quelle parole velenose e ingiuste
l'avevano scossa e non si sentiva pronta per il secondo round a casa.
La fermata era vicina, avrebbe dovuto alzarsi per raggiungere l'uscita
ma non si mosse. L'autobus ripartì, inoltrandosi nella
periferia. Dopo qualche fermata, giunsero al capolinea, quando ormai
erano rimasti solo lei, il ragazzo misterioso e una coppia di anziani.
Scesero tutti ma il ragazzo rimase in piedi sotto la pensilina, intento
a sistemare qualcosa nello zaino.
Danielle, conscia di essere fin troppo in ritardo e di aver solo
peggiorato la situazione, si affrettò a rimettersi in
movimento per cercare un autobus che l'avrebbe riportata indietro. Il
sole era quasi tramontato, gli ultimi raggi erano dolorosi alla vista
appannata dalle lacrime trattenute.
Fece solo due passi sull'asfalto scuro, poi si sentì
trattenuta per la maglia. "Attenta!"
Un'automobile sterzò e suonò il clacson a pochi
centimetri da lei.
Ansimò riprendendo a respirare dopo lo spavento, dandosi
della stupida per essere stata così distratta.
"Stai bene?" Il ragazzo dell'autobus la stava guardando, preoccupato.
"Sì. Grazie. Mi ero... distratta."
"Perché devi attraversare la strada? Ci sono solo campi di
là" le domandò, senza più guardarla in
viso.
"Io... devo riprendere l'autobus per l'altra direzione." Si
vergognò ad ammetterlo.
"L'ultimo è già passato, di solito passa insieme
a questo ma stasera eravamo in ritardo" Le spiegò. Aveva una
voce bassa e calda, rassicurante.
"Oh. Grazie per l'informazione." Si sforzò di sorridergli,
sperando che lui non la considerasse solo una pazza che nemmeno
guardava prima di attraversare e che era scesa alla fermata sbagliata.
Il ragazzo semplicemente annuì in risposta e si
girò per andarsene. Non le rimase che incamminarsi verso
casa, a passo spedito, sperando di arrivare prima del buio.
"Ehi!"
Danielle si girò e aspettò che lui la
raggiungesse. "Ma torni a piedi? E' pericoloso."
"Devo tornare a casa al più presto" sussurrò.
"Non puoi farti venire a prendere?" Domanda più che lecita.
"Non... non saprei chi chiamare" ammise, abbassando il capo per la
vergogna.
"I tuoi genitori, un parente, un vicino, il tuo ragazzo...?" la
incalzò lui, con palese curiosità.
"Non hanno la macchina." Era meglio puntare sulla mancanza dei mezzi
piuttosto che ammettere l'assenza nella sua vita delle persone citate.
"Nessuno di loro?"
"No."
Un silenzio imbarazzato crollò tra loro, poi lui
sospirò.
"Senti, io ho la macchina... Se mi aspetti alla fermata vado a
prenderla e ti accompagno."
Non poté non alzare nuovamente lo sguardo dopo quell'invito.
"Non vorrei disturbarti."
"Nessun disturbo, non te l'avrei offerto altrimenti. Arrivo tra pochi
minuti."
Prima che potesse ringraziarlo, si era già allontanato. Non
le rimase che sedersi sulla panchina ad attenderlo.
Razionalmente, accettare un passaggio da uno sconosciuto era l'ultima
cosa da fare. L'alternativa però non era certo migliore:
camminare su una semi deserta strada di periferia al tramonto.
Danielle controllò di avere ancora lo spray antiaggressione
nella borsa e si sentì un po' più tranquilla. Era
incuriosita dall'idea di trascorrere alcuni minuti lui, ma la fantasia
e la realtà difficilmente vanno di pari passo.
Dieci minuti dopo, vide avvicinarsi un'auto. Doveva essere bianca, in
origine, ma la vernice era scrostata in così tanti punti che
non era semplice definire il colore.
Dal finestrino aperto, si sentì chiamare. "Sali pure
davanti."
Danielle temette che la portiera le rimanesse in mano quando la
aprì, tanto cigolava.
"Grazie." Si allacciò a fatica la cintura mezza sbrindellata.
"Prego."
Fu l'unica parola che lui le rivolse. Nemmeno in auto aveva calato il
cappuccio. Rimasero in silenzio fino a che Danielle non gli disse che
poteva lasciarla alla fermata successiva.
"Va bene." Lui non insistette per portarla fino a casa.
Arrivata a destinazione, faticò a scendere, non solo per
l'evidente problema della carrozzeria, ma perché le sembrava
di aver sprecato l'occasione di conoscerlo.
"Non mi sono nemmeno presentata! Io sono Danielle." Gli porse la mano.
Lui rimase un secondo immobile in silenzio, poi la strinse. "Io sono
Peter."
Scendendo da quell'auto, Danielle spuntò mentalmente una
voce dalla sua lista di domande: ora sapeva almeno il nome del ragazzo.
L'accoglienza a casa non fu delle migliori, come aveva già
immaginato.
"Alla buon'ora! Se ti occorrono così tante ore per studiare,
mi dispiace dirtelo tesoro, ma non sei molto brillante."
Danielle si trattenne dal rispondere, non ne valeva la pena.
"Ciao Janice." Cercò di essere il più educata
possibile, come sempre.
La seconda moglie di suo padre era fin troppo giovane,
nonché egoista e completamente nullafacente. Rimaneva il
mistero di perché suo padre l'avesse sposata ma
probabilmente nemmeno la conosceva, considerando che era in viaggio per
lavoro la maggior parte del tempo
"Spero che non sia una scusa quella dello studio! Stai fuori troppe
ore, vedi almeno di non farti mettere incinta." La delicatezza era
qualcosa di totalmente estraneo alla sua matrigna.
"Domani torna mio padre allora?" domandò, ignorando il suo
ennesimo commento cattivo.
"Sì. A proposito, c'è una pila di vestiti da
stirare in lavanderia. Già stai sempre fuori e tratti questa
casa come un albergo, cerca di non fargli trovare tutto in disordine,
visto che ti mantiene."
Danielle dovette stringere i pugni per non reagire. Era un fantasma
nella sua stessa casa, ma era anche l'unica che ne occupava.
"Stai uscendo?" Cambiò argomento, notando la tuta e la borsa
sotto braccio.
"Sì, corso di yoga. Mi hai fatto anche fare tardi per
aspettarti, vedi di avere più rispetto anche dei miei di
impegni!" Quello fu il suo saluto caloroso prima di uscire.
La sera successiva, Danielle era emozionata all'idea di rivederlo,
tanto che gli sorrise con calore, vedendolo salire in autobus.
"Ciao! Peter..." Quella che era iniziata come un'esclamazione di
saluto, a voce persino troppo alta, finì in un sussurro,
quando lui si limitò a farle un mezzo cenno con il capo per
poi raggiungere la sua solita postazione vicino all'uscita.
Sentendosi in imbarazzo, sprofondò di nuovo nel sedile,
limitandosi a guardare fuori dal finestrino.
Da quando sua madre aveva capito che fare la moglie e la madre non
faceva al caso suo, Danielle era rimasta da sola con suo padre e lo
aveva seguito, un trasferimento dopo l'altro.
Ogni volta che si faceva degli amici finiva per doverli salutare non
più tardi di un anno dopo, perciò ormai si era
abituata a non intrecciare relazioni, anche se erano tre anni che non
si spostava più. Il matrimonio del padre con Janice aveva,
quantomeno, posto fine alla catena di traslochi.
Danielle si sentiva ancora un po' imbarazzata, quando giunse il momento
di scendere dall'autobus. Con il passare dei minuti, aumentò
in lei l'amarezza perché le sembrava di aver perso
un'occasione.
Non appena le porte si aprirono, scattò in avanti per
scendere ma non fu abbastanza rapida. Distinse chiaramente un
inaspettato saluto: "A domani Danielle".
Le porte si richiusero mentre lui accennava un saluto con la mano, solo
un cenno.
Chi era davvero quel ragazzo misterioso? Aveva qualcosa da nascondere o
era semplicemente un'anima sola come era anche lei? Danielle aveva solo
domande e nessuna risposta ma, anche il mattino successivo, si
svegliò con un sorriso: potere della speranza, potere di
Peter o semplicemente illusione di una ragazza sola e sognatrice?
I sogni non costano nulla, sono sempre disponibili e donano un sorriso
ma forse il sorriso di Peter avrebbe potuto donarle più di
una semplice fantasia.
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Capitolo 2 *** Linea 97 e il suo spin-off ***
Da luglio Linea 97
è on-line su Amazon in una versione riscritta, con nuove
scene e personaggi.
Da ieri è on-line, sia in versione e-book che cartacea,
anche il suo spin-off Tutto tranne un bacio.
L’amicizia
è sacra. Soprattutto se c’è
un’unica persona di cui davvero ti fidi.
John è un uomo in carriera, invidiato dai colleghi per i
suoi successi come consulente finanziario e perché non ha
problemi a trovare sempre nuove compagne di letto, desiderose di
sperimentare le sue “dispensazioni” secondo la
leggendaria lista dei tre punti.
La sua unica famiglia è il nipote, di dieci anni
più giovane, con il quale ha vissuto finché il
ragazzo non ha trovato la sua strada.
Poi c’è Felicity, la sua unica amica, che ha
girato il mondo da uno scavo archeologico all’altro per anni
e ora si è resa conto di desiderare una relazione seria e
stabile. Da amico premuroso, John non può che offrirsi di
farla divertire e rilassare nell’unico modo che conosce, tra
un appuntamento e l’altro con un papabile fidanzato.
Il problema nasce quando John si rende conto che con lei ha davvero
tutto: confidenza, fiducia, affetto e attrazione fisica. Tutto tranne
un bacio, su cui hanno posto il veto perché sarebbe troppo
intimo.
E se non fosse pronto a vederla sistemarsi con un altro uomo? Se quel
bacio non dato rappresentasse la sua dannazione e la sua capitolazione?
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