Our beautiful tragic love

di Sognatrice_2000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

Note dell’autrice:

 

In questa storia ho cercato di immaginare com’è nata la storia d’amore tra Zoisite e Kunzite ai tempi del Silver Millennium, ispirandomi alla storia originale del manga in cui erano entrambi generali del principe Endymion, quindi può essere considerata Missing Moment o What if?, decidete voi.

Non sono molto sicura del risultato ma essendo una coppia che amo molto ho deciso di cimentarmi in una mini long su di loro ( sarebbe dovuta essere una one shot, ma partecipa ad un concorso che ha un determinato limite di parole e sarebbe risultata troppo lunga, perciò sono stata costretta a suddividerla.)

Spero di non aver combinato un pasticcio xd lascio a voi il giudizio finale!

Un’ultima precisazione: chi ha letto le mie precedenti storie sa che utilizzo sempre i nomi originali della versione giapponese, ma onde evitare fraintendimenti specifico qui i nomi dell’adattamento italiano e il loro corrispettivo originale.

Jack è Jadeite, Nevius è Nephrite, Nina è Naru, Zachar (che nella versione originale, a differenza dell'adattamento italiano, è un uomo) è Zoisite e Lord Kaspar è Kunzite.

Bene, credo di aver detto tutto. Buona lettura! 

 

 

**

 

 

 

 

“Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto. Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri un castigo.

Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo.”

 

 

Zoisite chiuse il libro con un piccolo singhiozzo.  

Si portò le mani alle guance per asciugare le lacrime copiose che scendevano dai suoi occhi, lasciando cadere sul prato la sua copia di Romeo e Giulietta, il suo romanzo preferito.

Non poteva farci nulla, nonostante lo avesse letto così tante volte da essere in grado di citare interi paragrafi a memoria, ogni volta che lo riprendeva in mano non riusciva ad evitare di piangere.

Il suo animo romantico e forse eccessivamente sensibile lo portava a commuoversi profondamente ogni volta che leggeva del destino tragico dei due amanti di Verona.

Zoisite si lasciò andare ad un sospiro sognante, appoggiando la schiena al tronco dell’albero di ciliegio sotto cui si era rifugiato ore prima per ripararsi dai raggi cocenti del sole del primo pomeriggio, lo sguardo rivolto verso il cielo terso.

Chissà se qualcuno l’avrebbe mai amato in quel modo.

Si diede mentalmente dello stupido. 

Spesso la sua mente si perdeva un istante di troppo in quelle sciocche fantasie, dimenticando per un momento la realtà.

Poi, la realtà tornò a bussare con insistenza alla sua porta. 

E per quanto lui non volesse aprire, prima o poi la realtà si stufava di aspettare. 

Estraeva la chiave di scorta e apriva la porticina della sua mente, irrompendo come un fiume in piena.

Un violento colpo di tosse lo scosse da capo a piedi, costringendolo a piegarsi in due sull’erba. 

Il petto gli faceva male da morire, e quando gli spasmi terminarono, riconobbe una macchia di sangue ormai familiare sul palmo della sua mano.

E Zoisite ricordò perché non poteva pensare all’amore, perché non avrebbe mai potuto confessare i suoi veri sentimenti all’uomo di cui era-non così segretamente- innamorato da qualche mese.

Ogni nuova alba era un regalo per lui, ogni respiro per cui lottava una faticosa conquista. 

Doveva essere grato per ogni giorno che riusciva a vivere, evitando di pensare al futuro, evitando di illudersi riguardo ad una possibile guarigione.

Probabilmente non avrebbe visto la prossima estate, e sebbene fosse venuto a patti con questa dolorosa verità ormai da molto tempo, c’era una parte di lui incredibilmente tenace, o forse stupidamente irragionevole, che rifiutava di arrendersi. 

C'erano ancora così tante cose che voleva fare, così tanta vita ancora da vivere. 

Voleva ancora andare a cavallo, voleva ancora esercitarsi con la spada con le altre guardie del principe in duelli che lo lo lasciavano senza fiato e madido di sudore ma soddisfatto delle proprie capacità.

(Perché a dispetto dell’apparenza gracile e apparentemente innocua era un bravo guerriero, uno dei migliori dell’esercito del principe.

La giovane età- il prossimo mese avrebbe compiuto diciassette anni- e la malattia che lo consumava giorno dopo giorno non gli avevano impedito di diventare un generale del principe Endymion.

Poteva non essere particolarmente abile nel combattimento corpo a corpo, ma la forza che gli mancava era compensata dalla sua intelligenza e astuzia. 

Non era un semplice soldato: assieme a Jadeite, Nephrite e Kunzite, era uno dei quattro re celesti, i generali più potenti e qualificati dell’intero esercito, i guardiani personali del principe.)

Voleva ancora essere svegliato dai raggi del sole che gli accarezzavano il viso, voleva ancora vedere i ciliegi in fiore, ballare, correre.

Voleva amare con così tanta intensità da sentire il cuore bruciargli nel petto. 

Fantasticare, anche solo per un momento, come sarebbe scoprire di essere ricambiato, di essere amato con la stessa intensità dall’uomo a cui aveva donato il suo cuore e la sua anima, il suo signore e padrone, il suo mentore, amico e confidente, il suo universo- il suo tutto.

Colui per il quale sperava di vivere sempre un giorno in più, solo per poterlo passare accanto a lui. 

“Zoisite!”  Una voce familiare lo strappò dai suoi pensieri.

Si voltò di scatto, sorprendendosi nel vedere Kunzite dietro di lui.

Istintivamente nascose il romanzo dietro la schiena, sentendo le guance bruciare per l’imbarazzo. Quel libro gliel’aveva prestato la principessa Serenity, la fidanzata di Endymion nonché sua futura moglie, descrivendolo con occhi pieni di lacrime come "la storia d’amore più bella e più triste che abbia mai letto in vita mia.”

Zoisite aveva accettato il libro solo per cortesia, ma dopo aver letto le prime pagine non era più riuscito a staccarsene, scoprendosi talmente rapito e affascinato da quel romanzo da non riuscire più a metterlo via.

Kunzite l’aveva sorpreso più volte a rileggerlo e l’aveva scherzosamente preso in giro per come passava il suo tempo libero, e da quel momento Zoisite si rifugiava in giardino ogni volta che voleva rileggerlo, per non essere visto da lui.

“Che ci fai qui?” Chiese Kunzite, un chiaro rimprovero nella sua voce e nelle sue sopracciglia aggrottate. 

Zoisite piegò le labbra sottili in un broncio infantile, aspettandosi già un’altra delle sue prediche sul fatto che non avrebbe dovuto stare fuori fino a tardi a causa della sua salute cagionevole. 

Avevano litigato innumerevoli volte per questo. 

Zoisite gli aveva urlato contro più volte, ribadendo che lui non aveva nessun diritto di dirgli quello che doveva o non doveva fare, e allora anche Kunzite finiva per perdere la calma, ribattendo che l’avrebbe trascinato di peso nella sua stanza piuttosto che trovarlo svenuto per l’ennesima volta.

Invece questa volta il generale dai lunghi capelli argentati si sedette accanto a lui sull’erba, si sfilò il mantello e glielo posò sulle spalle.

Zoisite strinse i lembi di tessuto attorno al viso, sospirando di piacere mentre inspirava il profumo familiare di Kunzite. 

“È quasi buio, non dovresti essere qui a quest’ora. Prenderai freddo.” La sua voce era morbida, insolitamente gentile, mentre sistemava meglio il mantello sulle sue spalle per riscaldarlo. 

Zoisite non si era accorto di essere scosso dai brividi fino a quel momento. 

Si accoccolò contro il petto di Kunzite, beandosi di quel dolce calore.

Lui non si allontanò, limitandosi a passargli un braccio attorno alle spalle, aspettando che i suoi brividi cessassero. 

“Zoisite, è meglio rientrare.” Sussurrò dopo qualche minuto, ma il ragazzo tra le sue braccia non fece cenno di muoversi né diede segno di averlo ascoltato. “Kunzite…” Cominciò in un sussurro, lo sguardo lontano, perso in chissà quali riflessioni. 

“Credi che qualcuno…” Zoisite esitò per un momento, incertezza e malinconia mischiate nella sua voce. “Credi che qualcuno potrebbe amarmi, un giorno?”

Kunzite ebbe un lieve sussulto, del tutto preso alla sprovvista da quella domanda. Posò una mano sui capelli di Zoisite in una carezza dolce e lenta, come faceva sempre per rassicurarlo ogni volta che era triste.

“So che ad Ami piaci molto.” Suo malgrado, Zoisite ridacchiò a quelle parole.

Ami era un’amica della principessa Serenity; era una ragazza molto intelligente e brillante, ed era piacevole passare il tempo con lei. 

Anche a Zoisite piaceva molto, ma non in quel senso.

Se voleva essere completamente onesto, nessuna ragazza gli interessava in quel senso.

“Dico sul serio, Kunzite.” Si girò per guadarlo negli occhi. “Non mi rimane molto tempo… e prima di andarmene vorrei sapere di essere stato importante per qualcuno. Ci sono volte in cui ho paura che nessuno sentirà la mia mancanza… che nessuno si ricorderà che sono esistito.” Le lacrime gli pungevano gli occhi, ma lottò per non piangere. Si sentiva così sciocco. 

“Vorrei solo… solo che qualcuno si ricordasse di me.” La voce di Zoisite tremò sulle ultime parole, e Kunzite avrebbe solo voluto abbracciarlo e cancellare tutti i suoi timori perché com’è possibile che qualcuno ti dimentichi? Com’è possibile dimenticare una persona così bella coraggiosa forte dolce appassionata piena di luce piena di amore- com’è possibile dimenticare una persona tanto meravigliosa?

Invece rimase in silenzio, incapace di fermare le lacrime che avevano iniziato ad appannare i suoi occhi.

Zoisite si voltò nella sua direzione, guardandolo intensamente, le labbra incurvate in un sorriso che era la cosa meno simile ad un sorriso che avesse mai visto. “Ti ricorderai di me, Kunzite?”

Lui deglutì, un nodo in gola che sembrava voler trattenere le parole.

E quando parlò, infine, non riuscì a riconoscere la propria voce per quanto tremava. “Sei l’unica persona che non potrò mai dimenticare.” 

In quel momento era tutto ciò che aveva bisogno di sentire.

Zoisite gli gettò istintivamente le braccia al collo, ridendo e piangendo contemporaneamente. “Grazie. Sai sempre cosa dire per farmi sentire meglio.”

Rimasero uniti in quell’abbraccio per molto tempo, finché Kunzite si staccò da lui sforzandosi di tornare impassibile, sbattendo le palpebre in fretta per nascondere le lacrime.

“Torniamo dentro adesso. La cena è pronta da un pezzo.”

Non potè impedire ad un piccolo sorriso di farsi largo sul suo volto nel vedere il viso di Zoisite illuminarsi, le ombre che avevano oscurato  il suo sguardo fino a poco prima svanire con la stessa rapidità con cui erano apparse.

Si alzò in piedi con un agile scatto e cominciò a correre, i capelli sparsi nel vento e gli occhi scintillanti di divertimento. “Muoviti, Kunzite, altrimenti mangerò anche la tua porzione!”

Kunzite scosse la testa divertito, chinandosi a raccogliere il mantello che nella sua foga Zoisite aveva lasciato cadere con noncuranza sull’erba.

Lo strinse al petto, inalando l’odore di fiori di ciliegio, quel profumo particolare che era sempre appartenuto solo a Zoisite. 

Delicato, eppure forte, esattamente come lui.

Guardando quell’adorabile terremoto che correva davanti a lui, Kunzite sentì una fitta stringergli il petto. 

Chissà per quante volte ancora lo avrebbe visto correre a piedi nudi sull’erba, chissà per quante volte ancora avrebbe ascoltato quella risata cristallina, piena di vita.

Sapeva che Zoisite era troppo malato per vivere ancora a lungo, eppure ogni giorno si ritrovava a pregare una divinità in cui non credeva, supplicando un altro po’ di tempo. Un altro po’ di tempo per vederlo ridere.

Un altro po’ di tempo per stringerlo tra le braccia.

Si può amare qualcuno così profondamente da non farlo morire?

La notte, sempre più spesso, non riusciva a dormire, allora si alzava e usciva in giardino.

Guardava il cielo, e pregava.

Ti prego, Dio, se sei lassù, non portarlo via da me… ti prego, permettigli di restare…

Ma Dio taceva con un sorriso beato.

 

 

 

 

**

 

 

 

 

Quando la sua schiena si scontrò con i morbidi cuscini del letto, Zoisite non potè evitare di emettere un sospiro deliziato.

Si sentiva più debole del solito quel giorno, aveva proprio bisogno di una lunga dormita. 

Si rannicchiò su un fianco, pronto a sprofondare in un sonno lungo e profondo, ma uno spiraglio di luce che filtrava dalla porta di fronte alla sua lo spinse a sollevare le palpebre incuriosito.

La luce della camera di Kunzite era ancora accesa, notò con stupore.

Forse aveva difficoltà ad addormentarsi.

Kunzite… quella sera gli era sembrato strano, come se fosse preoccupato per qualcosa.

Avevano cenato tranquillamente, ma c’era un’ombra che oscurava lo sguardo di Kunzite, un tormento profondo che non era riuscito a celare. 

Dato che passavano moltissimo tempo insieme, Zoisite ormai aveva imparato a riconoscere alla perfezione i suoi stati d’animo.

Lui e Kunzite condividevano gli stessi alloggi, si allenavano insieme, mangiavano insieme, dormivano in camere vicine. 

Kunzite era il suo mentore, ma soprattutto il suo migliore amico, l’uomo che segretamente faceva battere il suo cuore, che faceva tremare le sue ginocchia con un solo sguardo e infiammava la sua carne con una sola carezza.

Era l’unico che sapeva della sua malattia, colui che era sempre al suo fianco, nei momenti felici e in quelli più bui.

Non si erano piaciuti sin da subito, anzi, tra loro era stato odio a prima vista.

Se soltanto pochi mesi prima qualcuno avesse detto a Zoisite che Kunzite sarebbe diventato non solo il suo migliore amico, ma addirittura la persona che amava di più al mondo, probabilmente gli avrebbe riso in faccia. 

Chiuse gli occhi, tornando indietro con la mente al giorno del loro incontro, e ripensò a tutte le cose che erano cambiate da quel momento.

Il loro rapporto non era cominciato esattamente nel migliore dei modi, eppure, senza sapere come, Zoisite aveva scoperto di amarlo come non credeva fosse possibile amare qualcuno.

Era una sensazione che continuava a crescere giorno dopo giorno, e lui non sapeva come fermarla. Era così intensa che a volte lo spaventava.

Si era innamorato di Kunzite come quando ci si addormenta: piano piano… e poi profondamente.

 

 

 

 

 

 

**

 

 

Sei mesi prima

 

 

 

Posso farcela. Posso farcela.

 

 

Da quando aveva varcato la soglia dell’Accademia Militare Reale, Zoisite aveva continuato a ripetersi nella mente queste parole.

Mentre percorreva i lunghi corridoi dai pavimenti in marmo splendente non potè evitare di far vagare lo sguardo intorno a sè, analizzando ogni dettaglio dell’ambiente circostante.

Ancora non riusciva a credere di essere lì. 

A malapena era in grado di contenere la sua eccitazione, e dovette mordersi più volte le labbra per impedirsi di sorridere in continuazione.

La sua famiglia l’aveva sempre considerata un’utopia, un infantile sogno di ragazzino destinato a rimanere tale.

Quando da piccolo i suoi genitori gli chiedevano che cosa voleva fare da grande, lui impugnava un rametto secco trovato in giardino, brandendolo come fosse una spada, e rispondeva fieramente: “Voglio essere un soldato del principe.”

Loro, puntualmente, scoppiavano a ridere come se avesse detto la cosa più assurda del mondo, scompigliandogli i capelli con un gesto condiscendente.

Come poteva il loro figlio sempre così debole e malaticcio, dal fisico gracile e i lineamenti graziosi di una bambina, ambire a diventare un forte guerriero dell’esercito del loro principe? 

Zoisite ricacciava orgogliosamente indietro le lacrime, arrabbiato e ferito dal loro atteggiamento derisorio.

Si sbagliavano. Avrebbe dimostrato che si sbagliavano.

Era forte, astuto, intelligente. 

Poteva fare qualsiasi cosa, poteva essere chi voleva.

E adesso Zoisite era lì, pronto ad iniziare il suo addestramento per diventare un soldato del principe Endymion, e sebbene si sentisse fremere dall’entusiasmo di dimostrare le proprie abilità e il proprio valore, una parte di lui era terrorizzata.

E se avessero deciso che non era abbastanza temerario, abbastanza forte?

Se l’avessero rimandato a casa, come avrebbe fatto a guardare in faccia i suoi genitori? Troppa vergogna, troppa umiliazione.

No, non si sarebbe lasciato scoraggiare così facilmente.

Avrebbe dato tutto se stesso per realizzare il suo sogno, avrebbe lottato con le unghie e con i denti contro chiunque avesse cercato di portarglielo via.

“Siamo arrivati.” La voce del giovane servo accanto a lui lo riportò alla realtà, costringendolo a fermarsi davanti ad una porta in fondo al corridoio. 

“Era l’ultima stanza disponibile.” Disse sbrigativamente, senza neppure guardarlo in faccia. “Sistema in fretta le tue cose, tra un’ora le nuove reclute si riuniscono nella piazza principale. Massima puntualità.” Si dileguò rapidamente con un breve cenno del capo, lasciandolo lì da solo in mezzo al corridoio, con il cuore che gli martellava furioso nel petto.

Zoisite appoggiò la mano sulla maniglia della porta con un sospiro tremante, poi, dopo aver esitato ancora per qualche secondo, la spinse con decisione.

Con passo incerto varcò la soglia, analizzando accuratamente l’ambiente circostante.

Era una camera piccola, dall’arredamento scarno, ma sarebbe andata bene ugualmente, decise.

Un letto singolo addossato contro la parete, una scrivania posizionata sotto una piccola finestra da cui entravano obliquamente alcuni raggi di sole, un piccolo armadio in legno e un caminetto davanti a cui scaldarsi nelle fredde notti invernali; una porticina socchiusa sulla destra rivelava il bagno adiacente alla camera.

Zoisite richiuse la porta dietro di sè, lasciando cadere a terra il borsone con i suoi vestiti e precipitandosi subito ad aprire la finestra per far entrare nella stanza la tiepida brezza dell’estate.

Si arrampicò sulla scrivania, armeggiando con la maniglia mezza rotta finché non riuscì a spalancarla.

Sporse il volto all’esterno, lasciando che i raggi del sole gli accarezzassero il viso, espirando a pieni polmoni l’aria calda che odorava di rose e spezie.

I suoi occhi si accesero di entusiasmo quando notò che dalla sua finestra poteva ammirare un ampio cortile pieno di stupendi alberi di ciliegio.

Era la stagione della fioritura, perciò i petali rosa volteggiavano liberamente nell’aria sospinti dal vento, creando un’incredibile spettacolo di rara bellezza.

Zoisite aveva sempre amato i fiori di ciliegio, fin da quando era bambino.

Per lui erano il simbolo della bellezza più pura e incontaminata, della meraviglia più autentica prodotta dalla prodigiosa natura della Terra. 

Quei fiori non vivevano a lungo, ma si spegnevano con la loro bellezza ancora intatta. Non sfiorivano, non imbruttivano con il tempo. 

Morivano ancora bellissimi.

C'era qualcosa di poetico in tutto questo. 

Anche Zoisite avrebbe voluto morire così, in modo spettacolare, meraviglioso. Circondato dalla bellezza. 

Con lo splendore della sua giovinezza ancora intatto. 

Un sorriso amaro affiorò sulle sue labbra.

Già, probabilmente sarebbe andata davvero così.

Improvvisamente ricordò quanto fosse importante per lui quest’inaspettata opportunità che gli si era presentata, perché forse poteva davvero essere l’ultima occasione per realizzare il suo sogno.

La malattia non gli avrebbe impedito di lottare per i suoi obbiettivi, di assaporare la vita in tutto il suo splendore.

Lanciò un’ultimo sguardo al cielo terso, e sorrise mentre la determinazione tornava a farsi strada dentro di lui.

Sì, posso farcela.

 

 

 

**

 

 

 

“Nephrite, Kunzite, certamente saprete perché vi ho convocato.”

Endymion guardò alternativamente i due uomini che gli stavano di fronte. 

Quello a destra, con una folta massa di ricci castani e la carnagione scura, il fisico forte ma non eccessivamente robusto, aveva l’aria annoiata di chi vorrebbe trovarsi in qualsiasi altro posto. 

L’uomo alla sua sinistra, dalle spalle larghe e una corporatura ben più imponente, aveva un viso austero circondato da una chioma platinata che gli ricadeva  elegantemente sulle spalle, uno sguardo duro e implacabile stampato nei suoi occhi azzurri e freddi come il ghiaccio. 

“Voi siete i miei migliori generali.” Proseguì Endymion. “E quest’anno, come sicuramente saprete, toccherà esclusivamente a voi addestrare le nuove reclute, in assenza del generale Jadeite, che attualmente sta svolgendo una missione per mio conto.”

I due uomini annuirono un silenzioso cenno del capo.

“Bene. Vi ho convocati per comunicarvi un’ulteriore notizia. Dopo i primi sei mesi di addestramento ognuno di voi potrà scegliere tra i suoi allievi il più meritevole. I vostri allievi dovranno combattere l’uno contro l’altro per decidere chi dei due diventerà il quarto generale.” Alle parole di Endymion entrambi i generali si irrigidirono, lanciandosi silenziosi sguardi di sfida.

Endymion era furbo, considerò Kunzite.

Grazie a quella piccola competizione avrebbe determinato chi tra lui e Nephrite era il generale migliore, e ne avrebbe guadagnato un altro.

Kunzite dubitava fortemente che tra quei ragazzini si celasse qualcuno degno di tale titolo, ma mettere in discussione gli ordini del loro principe non era una possibilità.

“È tutto chiaro?”

“Sissignore.” Risposero i due generali all’unisono mettendosi sull’attenti.

“Bene, è tutto. Potete andare.”

“Secondo me quest’idea è una perdita di tempo.” Disse sottovoce Nephrite non appena furono usciti dalla stanza. “Credi veramente che qualcuno di questi ragazzini potrebbe diventare il quarto generale del principe? La maggior parte di loro non sono buoni nemmeno ad essere semplici soldati.”

“Immagino che lo scopriremo presto.” Rispose laconico Kunzite, sorpassandolo senza aggiungere altro.

Nephrite lo guardò allontanarsi con aria scettica. 

Kunzite era un uomo arrogante e presuntuoso, convinto di essere superiore a qualsiasi altro essere umano del pianeta, persino al loro principe.

Neppure il soldato più capace sarebbe riuscito ad impressionarlo. 

Provava già compassione per quei poveri ragazzi che avrebbero dovuto allenarsi sotto la sua guida.

 

 

 

 

**

 

 

 

Schierati sul piazzale sotto il sole cocente di mezzogiorno, quattro file di giovani uomini attendevano silenziosi l’apparizione dei loro comandanti.

In seconda fila, Zoisite si alzò sulle punte dei piedi, sporgendosi per vedere meglio i due uomini comparsi davanti a loro, uno bruno e l’altro dai capelli platinati, vestiti con uniformi viola perfettamente identiche e stivali scuri che gli arrivavano fino alle ginocchia.

L'unica differenza nell’abbigliamento tra i due era l’ampio mantello che l’uomo dai capelli argentati portava sulle spalle.

Per un attimo Zoisite dimenticò come respirare. Non riusciva a staccare gli occhi dall’uomo con i capelli platinati, dal suo viso severo che pareva scolpito nella pietra, la mascella decisa e il fisico possedente… era davvero l’uomo più bello che avesse mai visto, bello come una divinità o una creatura ultraterrena, pensò senza potersi impedire di arrossire.

“Io sono Nephrite.” Si presentò l’uomo castano, distraendolo dai suoi sogni ad occhi aperti. “Sono uno dei generali di Sua Altezza.”

“Il mio nome è Kunzite.” La voce dell’altro uomo era talmente fredda che gli procurò un brivido lungo la schiena. “Per le prossime settimane saremo noi ad insegnarvi tutto ciò che dovrete sapere per far parte della guardia personale di Sua Altezza. Tecniche di combattimento, incantesimi di attacco e di difesa. Sarà un addestramento molto difficile e faticoso, al quale sicuramente la maggioranza di voi sicuramente non è idonea. Chi pensa di non poter superare l’addestramento è pregato di dirlo subito e di farsi da parte, in questo modo eviteremo un’inutile perdita di energie e di tempo.”

Sul piazzale calò un silenzioso teso, tutti rimasero immobili.

Zoisite provò un moto istantaneo di antipatia per quell’uomo, provando l’impulso di cancellare quel ghigno borioso e vagamente compiaciuto dalla sua faccia con un pugno ben assestato. 

Era arrabbiato con se stesso per aver pensato che fosse bello e affascinante.

Strinse i pugni per trattenersi, così tanto che le nocche divennero bianche, puntando i suoi occhi su di lui con aria di sfida, per dimostrargli la sua ferrea volontà di restare lì. Non sarebbe bastato così poco a farlo desistere.

I loro occhi si incontrano per un breve momento, ingaggiando una battaglia silenziosa. Azzurro contro verde, fuoco contro ghiaccio.

Zoisite notò qualcosa di simile alla sorpresa negli occhi di Kunzite, e gli angoli della sua bocca si sollevarono in un sorrisetto soddisfatto.

“Benissimo.” Intervenne Nephrite quando fu chiaro che nessuno dei presenti si sarebbe mosso. “Il vostro addestramento comincerà domani, e durerà sei mesi. Sarete suddivisi in due gruppi, uno sotto il mio comando e l’altro agli ordini di Kunzite. Quelli che riusciranno a superarlo entreranno ufficialmente a far parte della guardia reale.”

“Tuttavia…” Si intromise Kunzite. “Soltanto due di voi saranno scelti per la competizione finale. Io e Nephrite sceglieremo il soldato migliore del nostro gruppo, e coloro che saranno scelti dovranno gareggiare in un duello, sia con armi reali che magiche. Il vincitore diventerà il quarto generale del principe, insieme a me, Nephrite  e Jadeite, che attualmente non si trova a palazzo.” 

Ti prego, ti prego, fa’ che non sia nel suo gruppo.

“Le prime due file con me, la terza e la quarta con Nephrite.”

Perfetto. 

Zoisite sentì ogni sorta di entusiasmo che aveva nutrito fino a quel momento abbandonarlo definitivamente. 

Avrebbe dovuto passare i prossimi sei mesi sotto il comando di quell’uomo insopportabile che evidentemente provava una sorta di piacere perverso nello scoraggiare i nuovi arrivati. 

Nephrite sembrava più gentile, o almeno con una propensione al sadismo decisamente inferiore. 

Era certo che sarebbe stato tutto più semplice se fosse stato lui il suo maestro.

Perché tutte le sfortune dovevano capitare a lui?

“Sono onorato di avere una donna così bella come allieva. Graziosa e delicata come una rosa.” Sobbalzò nel ritrovarsi improvvisamente davanti Kunzite, che lo guardava con le labbra increspate in un piccolo sorriso sarcastico, quietamente divertito. “Non sapete che l’esercito non è il posto adatto per una giovane fanciulla come voi?” 

Zoisite sentì delle risatine alle sue spalle e avvampò per la rabbia e l’umiliazione. Come si permetteva quel presuntuoso di metterlo in imbarazzo in quel modo?

Senza riflettere evocò un vortice di petali di ciliegio, l’unico attacco che per il momento riusciva a padroneggiare con sicurezza, impegnandosi per renderlo il più potente possibile. 

La raffica fu così potente che fece sbilanciare Kunzite , cogliendolo di sorpresa e facendolo cadere a terra con un tonfo sonoro.

Zoisite sorrise e incrociò le braccia al petto, gettando un’occhiata soddisfatta all’uomo ai suoi piedi che lo guardava con occhi furiosi. “Vi conviene fare attenzione, mio signore. Anche la rosa più delicata nasconde spine affilate come spade con cui potreste pungervi.”

Kunzite rimase in silenzio per un lungo istante con un’espressione indecifrabile, tanto che Zoisite cominciò seriamente a temere che gli avrebbe riservato qualche terribile punizione o che lo avrebbe rimandato a casa per il suo affronto.

Era un suo incorreggibile difetto, quello di agire impulsivamente senza pensare alle conseguenze.

Poi improvvisamente Kunzite  si rialzò in piedi e afferrò Zoisite con uno scatto fulmineo a cui il giovane non era assolutamente preparato. 

Le sue mani gli circondarono il collo, stringendolo come se volesse strangolarlo, ma nonostante l’impulso di tossire e di lottare per liberarsi dalla sua presa Zoisite si sforzò di rimanere fermo, guardandolo con tutta la rabbia e l’odio di cui era capace. Non aveva paura di lui, non aveva paura di nessuno.

Lui era forte. Malato ma forte, dannazione.

“Provaci di nuovo, e ti staccherò questa bella testolina dal corpo senza pensarci due volte.” Sussurrò Kunzite a pochi centimetri dal suo viso; la sua voce fredda e crudele gli penetrò nel cervello, mandandogli brividi lungo tutto il corpo.

Tuttavia si sforzò di mascherare la paura che stava iniziando ad assalirlo sotto un sorrisetto provocatorio. “Sarebbe un peccato, mio signore, la mia intelligente testolina potrebbe rivelarsi molto utile per il vostro esercito.”

Gli occhi di Kunzite  si fecero più scuri, e per un attimo Zoisite temette che lo avrebbe ucciso seriamente, proprio adesso, proprio lì, davanti alle altre reclute, solo per insegnare loro cosa succedeva ai soldati impertinenti che non sapevano stare al loro posto.

Invece la sua espressione si fece inaspettatamente più morbida, come se fosse segretamente divertito dalla sua audace insolenza, e lentamente lasciò la presa. “Staremo a vedere.” Sussurrò al suo orecchio poco prima di lasciarlo andare. 

Alle orecchie di Zoisite suonava come un’oscura, terribile minaccia.

 

 

 

 

**

 

 

 

 

Il giorno dopo Zoisite si svegliò su un letto morbido e confortevole, con le ginocchia piegate al petto e la testa pesante, ancora annebbiata da una notte agitata, popolata da incubi confusi su un certo generale dagli occhi di ghiaccio.

Appoggiò la testa su un gomito e sbadigliò, lasciando vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Gli stagni scintillavano, illuminati dai riflessi dorati del sole del mattino e i rami degli alberi frusciavano dolcemente, sospinti dal vento. 

Si passò la mano tra i riccioli ramati mentre allungava l'altro braccio sopra di lui e inarcò la schiena, distendendo ogni vertebra nella sua spina dorsale.

Alzandosi, abbassò lo sguardo sulla scrivania e vide un pezzo di pergamena che il giorno prima non c’era poggiato sul legno e una spada di bronzo con una pietra verde incastonata sull’elsa.

“Zoisite" Cominciò a leggere ad alta voce il messaggio scritto sulla  pergamena. “Vediamoci all’alba nel cortile vicino ai ciliegi per l’allenamento. Non fare tardi." Spostò lo sguardo verso la firma scarabocchiata in fondo. Kunzite. Purtroppo per lui, avrebbero dovuto passare insieme ogni giorno per i prossimi sei mesi. 

Sospettava che dopo la sua memorabile uscita del giorno prima Kunzite avrebbe fatto di tutto per rendere particolarmente difficile il suo addestramento.

Zoisite fece un passo verso la finestra. 

Lanciò un'occhiata al sole già alto nel cielo, constatando che probabilmente non doveva essere prima delle nove del mattino.

Afferrò la spada e sfrecciò immediatamente fuori dalla stanza, correndo trafelato attraverso i lussuosi corridoi del palazzo.  

Una volta raggiunto il cortile volse lo sguardo in tutte le direzioni, cercando invano di individuare la sagoma di Kunzite. Strinse lo sguardo mentre si schermava gli occhi dal sole splendente con la mano. Forse Kunzite si era stancato di aspettarlo e se n’era andato. Chissà com’era arrabbiato con lui adesso… 

Pazienza, tanto dubito che potrà odiarmi più di quanto non faccia già.

Zoisite sospirò rassegnato, già pronto ad andarsene, quando improvvisamente lo vide. 

Il suo insegnante era seduto sotto un ciliegio, la schiena poggiata contro il tronco dell’albero. 

Teneva la testa bassa e le braccia incrociate, i capelli platinati lunghi fino alle spalle gli ricadevano sul viso, nascondendo il suo sguardo severo. Di nuovo, pensieri inopportuni si affacciarono nella mente di Zoisite. 

Kunzite sembrava un dio. La sua bellezza era troppo perfetta per una creatura di questo mondo.

Zoisite si avvicinò lentamente, una paura infantile dominava ogni suo movimento. 

Lui, che non aveva mai avuto paura di niente in vita sua, nemmeno della malattia che divorava lentamente il suo corpo, si era scoperto tremante al cospetto di quell’uomo, disperatamente desideroso di ottenere la sua approvazione. Dannazione, perché l’approvazione di un uomo che conosceva da un giorno, che peraltro nemmeno gli stava simpatico, era diventata d’un tratto così importante, così essenziale per lui?

Si inginocchiò nervosamente davanti al suo padrone e posò il pugno sul suo cuore, abbassando la testa in segno di rispetto. 

“Perdonami, Kunzite.” Sussurrò Zoisite, sforzandosi di nascondere la paura nella sua voce.

Kunzite non rispose immediatamente. Si alzò in piedi e rimase immobile a guardare il suo allievo ancora inginocchiato sull’erba, che non osava nemmeno alzare lo sguardo su di lui.

“Sei arrivato in ritardo il tuo primo giorno di allenamento” Cominciò freddamente. "Non è molto promettente."

“Perdonami.” Ripetè Zoisite, non osando ancora incrociare il suo sguardo. 

Kunzite non sembrò impietosirsi, anzi il suo tono si fece ancora più duro. 

“Non sei disciplinato e devi affrontare la tua punizione.” 

Gli occhi di Zoisite si spalancarono, saettando in direzione della spada che Kunzite teneva in mano, e istintivamente strinse la mano intorno alla elsa della sua arma.

Con un rapido movimento, Zoisite rotolò all'indietro per evitare l'attacco di Kunzite. 

Kunzite continuò ad attaccarlo con tutta la sua forza e Zoisite fece tutto il possibile per schivarlo. 

Era notevolmente più basso di Kunzite e aveva una corporatura decisamente più minuta, ma poteva fare affidamento sulla sua velocità e agilità piuttosto che sulla forza.  Cercava di parare più colpi che poteva, ma era tutto inutile, Kunzite era troppo forte, non poteva sperare di batterlo.

“Con me non si scherza, ragazzino. Potrei spezzarti tutte le ossa con un solo colpo della mia spada.” Zoisite fu percorso da un brivido, ma si rifiutò di farsi vedere spaventato e continuò a ribattere colpo su colpo.

Come poteva sentirsi attratto da un tale demonio? Come poteva un un uomo così bello esteriormente essere tanto orribile dentro?

“Ti arrendi?” Zoisite strinse i denti e scosse la testa. “Mai.” Sentiva il sudore colargli lungo la faccia, le guance in fiamme e il fiato corto, ma avrebbe preferito morire piuttosto che dare una simile soddisfazione a quel bastardo.

Si lanciò in avanti con foga, ma Kunzite parò facilmente il colpo e lo attaccò con altrettanta facilità.

Zoisite sentì un dolore improvviso e lancinante al braccio destro. 

La manica della camicia che poco prima gli aveva coperto il braccio si era strappata, aprendosi in un’enorme fessura, così come il dorso del suo braccio dal gomito al polso. Si accasciò con la schiena contro l’albero  più vicino, mentre la punta della spada del suo maestro si posò sotto il suo mento. Strinse a pugno i fili d’erba sotto di lui per evitare di gridare, tenendosi il braccio ferito con l’altra mano, questa volta senza mai staccare gli occhi da quelli di Kunzite.

Non avrebbe implorato pietà, non avrebbe tremato, non avrebbe neppure pianto. Avrebbe affrontato qualsiasi punizione con dignità, a testa alta, senza paura.

Kunzite lo fissò a lungo, come se stesse seriamente valutando la possibilità di farlo vivere oppure no.

Poi, senza alcun preavviso, lo lasciò andare.

“Vai.” Sussurrò infine,  rinfoderando la spada e distogliendo in fretta lo sguardo da quegli occhi verdi così puri, così determinati, così impavidi e coraggiosi anche di fronte all’eventualità della morte. 

Non sarebbe stato capace di sostenere quello sguardo un secondo di più.

 

**

 

Zoisite entrò nella vasca da bagno bianca e lucente della sua stanza, iniziando a sfregare energicamente le mani e il viso per togliervi ogni traccia di terra. Il taglio sul suo braccio era abbastanza profondo e non riusciva a fermare l'emorragia. 

Ogni volta che spruzzava acqua sulla ferita, fitte acute e lancinanti  gli attraversavano l’intero braccio, facendolo trasalire per il dolore.

Sentendo dei passi sommessi, Zoisite alzò gli occhi dalla sua ferita e vide un uomo in piedi davanti alla porta del bagno. 

Aveva lunghi capelli castano scuro e penetranti occhi nocciola. Teneva un braccio appoggiato allo stipite della porta per sostenersi mentre osservava Zoisite. Lo riconobbe subito: era Nephrite, l’altro generale che si sarebbe occupato dell’addestramento delle reclute insieme a Kunzite.

“Stai bene?”Chiese in tono gentile. “Stavo passando per il cortile e ho visto che stavi combattendo contro Kunzite… ti ha ferito?” Si diresse verso Zoisite, che stava lottando per avvolgere una benda attorno al suo braccio. Con un sospiro di sconfitta, Zoisite tese il braccio verso Nephrite, troppo esausto per rifiutare la sua gentilezza.

"Il taglio è profondo e dovrà essere ricucito.” 

Zoisite distolse lo sguardo non appena vide l'ago che Nephrite avrebbe usato. Strinse i denti, premendosi la mano sulla fronte e continuando a mordersi le labbra per non urlare.

"Vuoi dirmi cosa è successo?" Chiese Nephrite dopo aver terminato la medicazione, mentre finiva di fasciare il braccio di Zoisite.

Zoisite rimase in silenzio e scosse la testa. 

“Almeno il tuo nome puoi dirmelo?” C’era una nota di irritazione nella sua voce.

“Zoisite.” Rispose lui freddamente, senza nemmeno guardarlo in faccia.

“Bene, Zoisite. Se vuoi evitare altri spiacevoli incidenti come quello di oggi, ti consiglio di non mettere alla prova la pazienza di Kunzite. Non sarà altrettanto comprensivo una seconda volta.”

Senza aggiungere altro, uscì dal bagno chiudendo la porta di sé. 

Zoisite si alzò a fatica, reggendosi con una mano il braccio ferito mentre osservava il suo riflesso nello specchio. 

Vide i suoi occhi color smeraldo fissarlo di rimando con un’espressione spaventosamente vuota; i suoi lunghi capelli ramati, di solito legati in una coda di cavallo, erano sfuggiti all’elastico e ora ricadevano in ciocche disordinate sulla sua spalla nuda. 

Le punte dei suoi capelli erano appiccicose di sangue e la sua frangia era incollata alla fronte sudata. Si sentiva debole e patetico. Perché Kunzite gli aveva fatto una cosa del genere?  Era sua intenzione fin dall'inizio non dargli la possibilità di leggere il biglietto per farlo arrivare in ritardo e dargli così un pretesto per combattere contro di lui?

Era forse una punizione per essersi preso gioco di lui il giorno prima?

Queste domande continuarono ad agitarsi nella sua mente mente usciva dal bagno e si dirigeva verso l’armadio. Afferrò una camicia bianca e dei pantaloni del medesimo colore da uno dei cassetti e li indossò in fretta prima di uscire in corridoio, attirato dalle voci concitate di due uomini che litigavano che diventavano più nitide man mano che si avvicinava allo spiraglio dell’unica porta lasciata socchiusa. 

“Nephrite.” Ringhiò Kunzite in tono rabbioso. "Non è saggio da parte tua mettere in dubbio il mio giudizio."

Zoisite si fermò vicino dalla porta socchiusa, stando attento a non fare rumore. Attraverso quel piccolo spiraglio, poteva vedere il riflesso de suo maestro e dell'uomo dai capelli castani che aveva medicato il suo braccio.

"Non ti rendi conto di quello che gli hai fatto?" Stava dicendo Nephrite, in un tono che suggeriva una certa dose di rabbia.

"Avrei potuto fare di peggio.” Rispose freddamente Kunzite. 

Nephrite scosse la testa, incredulo. “Cosa c'è che non va in te, Kunzite?" Gridò con rabbia. “È un tuo allievo ed è una tua responsabilità. Se dovesse succedergli qualcosa…”

“Hai ragione, è un mio allievo, e in quanto tale ha bisogno di imparare a rispettare il suo maestro.” Replicò Kunzite, glaciale.  

"E come suo maestro, non dovresti aver bisogno di pretendere rispetto da lui! Dovrebbe rispettarti di sua volontà.”

“Hai visto come si è comportato ieri. Ha bisogno di un po’ di sana disciplina.”

“E credi che dopo quello che è successo oggi otterrai più facilmente il suo rispetto?”

"Non mi interessa.” Mormorò Kunzite, dopo qualche attimo di silenzio. 

La freddezza nella sua voce lo colpì come un pugno in pieno viso. 

Zoisite abbassò la testa e si morse il labbro inferiore. Dunque a Kunzite non importava davvero nulla di lui. Perché questa consapevolezza faceva così male? 

Si mise una mano a coppa sulla bocca, lottando per non piangere.  

Kunzite fece un respiro profondo per calmarsi. La sua voce divenne più tranquilla. "Non ho mai voluto essere il suo maestro, tanto per cominciare.”

Zoisite fece scivolare la schiena lungo la parete, sedendosi sul freddo pavimento in marmo. Si portò le ginocchia al petto, passandosi una mano sul viso rigato di lacrime.

"Questa non è una tua decisione, Kunzite, lo sai.” Rispose seccamente Nephrite. "Dagli una possibilità."

Zoisite appoggiò la testa contro il muro dietro di lui. 

Ci un breve attimo di silenzio, interrotto dalla voce fredda di Kunzite, che replicò un “no” secco prima di uscire dalla stanza, sbattendo la porta dietro di sé.

Zoisite lo guardò allontanarsi lungo il corridoio, stupito che non si fosse nemmeno accorto della sua presenza.

Dopo pochi secondi, anche Nephrite si precipitò fuori dalla stanza e gli passò accanto, senza dare il minimo segno di averlo visto.  

Meglio così.

Almeno nessuno avrebbe visto le sue lacrime.

 

 

**

 

 

 

 

Quando Zoisite si svegliò, si sorprese nel ritrovarsi ancora seduto sul pavimento nella stessa posizione, con la schiena poggiata contro il muro, fuori dalla stanza dove aveva origliato la discussione tra Kunzite e Nephrite. Non ricordava di essersi addormentato lì. 

Per quanto tempo aveva dormito? Cercò di alzarsi dal pavimento, ma era troppo debole e le ginocchia cedettero, facendolo ricadere all’indietro. Si sentiva stanco e stordito, perciò rimase sdraiato nella medesima posizione, rannicchiandosi su se stesso prima di chiudere gli occhi e sprofondare di nuovo in un sonno profondo.

 

 

**

 

 

Questa volta si risvegliò nella sua stanza, disteso sul suo letto. 

Un uomo anziano con gli occhiali era seduto in fondo al materasso. Aveva una valigetta di cuoio in grembo e indossava un lungo camice bianco. Doveva essere un dottore. Chi l’aveva chiamato?

Stava scrivendo qualcosa su un piccolo taccuino, ma da quella distanza Zoisite non poteva vedere cosa.  

Seppur in modo sfocato, Zoisite vide Nephrite entrare nella stanza. Poteva sentire chiaramente le voci intorno a lui.

“Come sta?” Chiese ansiosamente il generale all’uomo con il camice bianco.

Lui gli prese il polso e mise due dita sulle vene per sentire il battito del cuore. 

“È molto debole.” Rispose in tono grave. "È ancora vivo, per adesso, ma dobbiamo riaprire la ferita e disinfettarla meglio. Forse  in questo modo possiamo impedire la diffusione dell’infezione.” 

Un momento. Sono sveglio. Posso vedere Nephrite e il dottore, posso sentirli parlare. Devo essere sveglio. Riesco a sentire quello che dicono. Il mio polso è debole? Sto morendo? Perché non riesco a muovermi? Perché non vedono che sono sveglio? Cosa mi sta succedendo? 

I pensieri si accavallavano nella mente di Zoisite, mentre la sua angoscia cresceva sempre di più. 

Dopo pochi minuti, Zoisite notò che il dottore aveva aperto la sua valigetta, estraendone alcuni strumenti con cui iniziò subito ad armeggiare. C'erano macchie di sangue sui suoi guanti bianchi: il suo sangue. Zoisite fece una smorfia quando l'uomo si sporse verso il suo braccio con quello che sembrava un coltello in mano, ma si stupì quando iniziò ad incidere la sua carne e non provò alcun dolore. 

Non riesco a sentire nulla. Sto morendo davvero, allora. 

Non avrei mai pensato che sarei morto così. Eppure sta succedendo.

“Devo avvertire una persona.” Disse improvvisamente Nephrite, uscendo in tutta fretta dalla stanza. La speranza di Zoisite si riaccese: stava andando da Kunzite?

Doveva lottare, non poteva arrendersi proprio adesso.

Se davvero stava morendo, voleva vederlo almeno un’ultima volta.

Dopo alcuni estenuanti minuti di attesa, Nephrite rientrò nella camera senza dire nulla, appoggiandosi al muro con le braccia incrociate mentre seguiva con gli occhi i movimenti del dottore. 

Non c’era nessuno con lui.

Il ghiaccio si conficcò nel cuore di Zoisite. 

Non verrà. Non vuole vedermi nemmeno adesso che sto morendo.

È tutto così assurdo. 

Sto morendo, e l'unica cosa a cui riesco  a pensare è che voglio disperatamente vedere Kunzite. Mi basterebbero pochi secondi.

Vorrei tanto potergli parlare ancora una volta.

Vorrei sapere che cosa ho fatto per meritare la sua rabbia.

Devo svegliarmi. Devo parlare con lui.

Il dottore aveva smesso di medicare la sua ferita e adesso stava dicendo qualcosa a Nephrite, ma Zoisite non riusciva a sentire cosa, né gli importava. Non dovevano essere notizie positive.

Nephrite gli lanciò uno sguardo evidentemente teso, mormorò “capisco” in tono rassegnato e lo ringraziò, accompagnandolo fuori dalla stanza.

No no no no non posso arrendermi! Devo svegliarmi, devo assolutamente svegliarmi!

Ma se non lo facessi… che cosa cambierebbe?

Non c’è nessuno a cui importi di me. Sono solo.

Non c’è niente per cui valga la pena restare.  

La porta si spalancò all’improvviso, rivelando una sagoma alta e possente in controluce. 

Kunzite avanzò fino al letto di Zoisite, senza mai staccare gli occhi dalla sua sagoma addormentata.

Speranza. Un fiotto caldo, da dare i brividi.

Zoisite la sentì scorrere come un fuoco bollente nelle sue vene, risvegliandolo dal suo torpore. 

Non sono solo.

Kunzite si sedette in silenzio alla scrivania, continuando a fissarlo per lunghi istanti.  

"Se morissi, sarebbe davvero tutto più facile.” Mormorò all’improvviso. "Perchè se ti risveglierai…” Chiuse gli occhi e sospirò mentre voltava la testa. I capelli  argentati gli ricaddero davanti al viso. 

“…sarò costretto a convivere ogni giorno con quello che ti ho fatto. Ogni volta che ti guarderò non potrò fare a meno di pensare al male che ti ho fatto…" La sua voce si spense, come se fosse incapace di proseguire. Una piccola risatina amara scoppiò senza preavviso fuori dalle sue labbra. “Sai, non mi era mai capitato di sentirmi in colpa finora.”

Mi dispiace, Kunzite.

“Ero troppo orgoglioso per ammettere che ho visto un potenziale in te fin dall’inizio.” Aggiunse sottovoce. “Tutto quello che dovevo fare era mettere da parte il mio stupido orgoglio...”  

Che cosa?

“…e ammettere che c’era qualcosa, in te, che mi ha colpito fin dal primo istante.” Continuò a parlare, apparentemente senza alcuna emozione, anche se Zoisite si accorse che i suoi occhi erano lucidi. “Non pensavo di averti ferito in modo tanto grave. Se solo sapessi quanto mi dispiace…”

Kunzite…

Devo svegliarmi.

Non posso morire, non adesso, non dopo quello che mi ha detto… 

Gli occhi di Zoisite si spalancarono. 

Poteva sentire il dolore intenso che si riverberava lungo tutto il suo braccio. Poteva muovere la testa. 

Poteva vedere il suo maestro seduto di fronte a lui. Era vivo. 

Cercò di muoversi per far capire a Kunzite che si era svegliato. 

Zoisite rotolò su un fianco, cercando di non fare pressione sul braccio ferito. Strinse gli occhi per proteggersi dalla luce accecante che gli trafiggeva le pupille.

"Sei vivo.” Sussurrò Kunzite, precipitandosi al suo fianco. “Grazie a Dio."

Sono vivo.

Zoisite si sollevò a fatica, abbastanza da poter appoggiare la schiena alla testiera del letto. “Kunzite." Mormorò con voce appena udibile. Si sentiva debole e parlare gli aveva tolto molte energie.

All’improvviso qualcosa cambiò nello sguardo di Kunzite.

La dolce preoccupazione che aveva colorato il suo viso fino a quel momento sparì di colpo, sostituita dall’espressione gelida che Zoisite aveva già imparato a riconoscere. Si allontano senza dire niente, uscendo proprio nell’esatto momento in cui Nephrite e il dottore stavano rientrando nella stanza. “È sveglio.” Si limitò a dire prima di chiudersi la porta alle spalle.

Zoisite sentì la gola serrarsi mentre lo guardava andare via.  

"Come ti senti?" Chiese il dottore. Nephrite era in piedi accanto a lui, ma non disse nulla.  

“Bene." Mentì Zoisite. Chiuse gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime che premevano agli angoli degli occhi. "Vorrei restare solo per un po’.”

“Zoisite…” S’intromise Nephrite, in un tono che suggeriva un’imminente protesta.

"Per favore.” Lo fermò Zoisite con tutta la convinzione di cui era in possesso, guardandolo con due occhi fermi che non ammettevano repliche.

Nephrite e il dottore accolsero la sua richiesta e si congedarono, lasciandolo finalmente solo. 

Zoisite premette entrambi i palmi sulle tempie. 

Il forte dolore alla testa gli rendeva difficile persino tenere gli occhi aperti. La stanza smise lentamente di girare. Espirò profondamente mentre la sensazione di nausea diminuiva.

Fece scivolare le gambe da un lato e si alzò in piedi con cautela. 

Si sentiva ancora debole, ma riuscì a mantenere l'equilibrio. 

Indossò una camicia da notte di seta bianca che gli arrivava fino alle caviglie che faceva risaltare ancora di più la sua pelle pallida, e invece di raccogliere i capelli nella consueta coda di cavallo decise di lasciarli sciolti, liberi di ricadere in morbide onde disordinate sulle spalle.  

Si aspettava quasi di vedere Nephrite in piedi fuori dalla porta, ma il corridoio era deserto. Svoltò a destra, concentrandosi per riconoscere l'ambiente circostante, ma tutto sembrava nuovo ed estraneo.

Alla fine del corridoio c'era una serie di scale a chiocciola. 

Zoisite deglutì e strinse il corrimano intarsiato. Si sentiva ancora più stordito di prima e la sua vista stava cominciando a diventare sfocata. Premendo il palmo sulla fronte bollente, si sedette. Appoggiò la testa contro il muro freddo e chiuse gli occhi.

“Non ti consiglio di provare a scendere quelle scale.”  

Zoisite  girò leggermente la testa, non sorpreso di vedere Kunzite dietro di lui. Si alzò in piedi e si appoggiò con una mano al muro.

“Se non avessi tentato di resistermi, tutto questo non sarebbe successo.” Zoisite inarcò un sopracciglio. Sul serio? Quindi sarebbe colpa mia?

Si morse la lingua per trattenere una replica pungente. Sapeva che sarebbe stato umiliante, ma aveva bisogno di dirgli quello che sentiva veramente. 

“Mi dispiace, Kunzite.” Si fece coraggio e riprese fiato prima di proseguire. 

“Mi dispiace di essere arrivato in ritardo per il mio allenamento, e mi dispiace se ti ho mancato di rispetto.” Zoisite fece una pausa e scosse la testa con una risatina incredula. “Mi dispiace persino che tu mi abbia fatto questo.” Tese il braccio ferito, che Kunzite afferrò delicatamente con una mano. 

Zoisite cercò di liberare il braccio dalla sua presa, ma il movimento gli provocò un forte dolore. Trasalì.

“Guarirà.” Dichiarò tranquillamente Kunzite, facendo scorrere il pollice lungo la fasciatura attorno al suo braccio.

“Sì." La voce di Zoisite grondava sarcasmo. Finalmente riuscì a liberare il suo braccio dalla morsa di Kunzite. "Non grazie a te.”

Kunzite si irrigidì, ma non replicò in alcun modo.

Entrambi rimasero in silenzio. Zoisite aspettò che Kunzite dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.

 "Almeno lascia che ti aiuti a scendere di sotto.” Disse improvvisamente Kunzite, quasi in un sussurro.

Zoisite fu colto alla sprovvista dalla sua preoccupazione.

Ma per quel giorno aveva finito di mostrare debolezza. “No." Affermò seccamente.

“Vorrà dire che starò qui finché non sarai in grado di alzarti e camminare senza rischiare di svenire.”

Zoisite  sbuffò e si sedette in cima ai gradini, appoggiando il gomito sul ginocchio e appoggiando il mento sul palmo, dandogli le spalle. “So badare a me stesso. Non sono debole, Kunzite.”

"Non intendevo dire questo.” Disse Kunzite appoggiandosi al muro. Incrociò le braccia e i capelli argentati gli ricaddero sulle spalle mentre abbassava la testa.

Passarono alcuni minuti senza che nessuno dei due dicesse una parola. 

Zoisite non si voltò mai verso Kunzite, ma sapeva che non se n’era andato.  

"Mi dispiace.” Disse dopo un po’, così piano che Zoisite credette di averlo immaginato. 

"Mi dispiace di averti ferito.” Aggiunse Kunzite in tono sommesso.

“Lo so.” Ripose Zoisite senza alzare lo sguardo. "E ti perdono."

Kunzite rimase in silenzio per un momento, sorpreso dalla risposta di Zoisite. "Come puoi perdonarmi così facilmente?” 

Zoisite rimase in silenzio.

Perché ti ho sentito, Kunzite. Ho sentito tutto quello che mi hai detto quando pensavi che stessi dormendo e che non avresti mai avuto il coraggio di dirmi se fossi stato sveglio. Mi sono sbagliato su di te.  Non sei crudele, non sei freddo e incapace di provare emozioni, ma ti piace che gli altri credano che tu lo sia. È una maschera, vuoi tenere gli altri a distanza, ma io non sono come gli altri. Io riesco a vedere oltre la tua maschera.

Sospirò. "Ti perdono e non devi restare qui, Kunzite, non vado da nessuna parte." Non si voltò mai a guardarlo mentre parlava.

Si sentiva assonnato e confuso. Quanto sangue aveva perso? Tutto quello che voleva era dormire. “Non preoccuparti."

La stanza aveva smesso di girare, ma la vista di Zoisite stava diventando sfocata. Appoggiò la testa contro il muro, e quella fu l'ultima cosa che ricordava prima che il buio calasse sulle sue palpebre. 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Quando Zoisite si svegliò, era sdraiato nel letto della sua camera. 

L’ultima cosa che ricordava prima del suo svenimento era che stava parlando con Kunzite… era stato lui a riportarlo nella sua stanza?

Non c’era altra spiegazione possibile.

Arrossì al pensiero di Kunzite che lo sollevava tra le sue braccia forti, tenendolo stretto contro il suo petto… no, no, basta.

Si impose di allontanare quest’ultima immagine dalla sua mente mentre provava ad alzarsi dal letto. 

Zoisite fu sollevato nel constatare che quella mattina si sentiva molto meglio. Il mal di testa e il dolore lancinante al braccio erano diminuiti, e il lungo sonno ristoratore gli aveva fatto recuperare abbastanza energia per alzarsi. Prima aveva a malapena la forza di stare in piedi, invece adesso riuscì a lavarsi e a cambiarsi senza problemi. 

Per sicurezza sarebbe dovuto tornare a letto, ma poi lanciò un’occhiata alla spada poggiata sulla scrivania e sorrise.

Perché perdere tempo a letto quando c’era un allenamento che lo aspettava? 

 

 

 

**

 

 

Era tornato nel cortile di ciliegi dove aveva combattuto con Kunzite.

Zoisite impugnò la spada con decisione, iniziando a fronteggiare un invisibile avversario con movimenti precisi e aggraziati. 

La rugiada che ricopriva l'erba faceva scintillare i suoi stivali neri mentre si muoveva con agilità ed eleganza. La sua tecnica era impeccabile. 

Il vento gli spostò alcune ciocche ribelli sugli occhi, ma lui non si fermò mai per scostarle, tanta era la sua concentrazione. 

"Non dovresti riposare?"

Zoisite si fermò bruscamente, voltandosi a guardare Kunzite, che gli si era avvicinato silenziosamente alle spalle senza che lui se ne accorgesse.

"Non prendo ordini da te.” Ringhiò Zoisite, cercando di riprendere i suoi esercizi, ma le sue mosse erano più lente e più rigide di prima. Ormai aveva perso la concentrazione.  

"Non era un ordine, solo un saggio consiglio che dovresti ascoltare, per il tuo bene. A meno che tu non voglia che si ripeta quello che è successo ieri sera.”

Zoisite sussultò e arrossì, facendo del suo meglio per evitare di guardarlo in faccia. “Non eri tenuto ad aiutarmi. Adesso, se non ti dispiace, vorrei continuare in pace i miei esercizi.”

“Non devi dimostrare niente a nessuno. Smettila di fare i capricci e torna nella tua stanza.” Di fronte al suo tono perentorio, Zoisite divenne nuovamente rosso, ma questa volta per la rabbia.

Strinse i denti e rinfoderò la spada, voltandosi per fronteggiarlo.

I suoi occhi color smeraldo mandavano lampi infuocati di rabbia che avrebbero terrorizzato chiunque, ma Kunzite non sembrò turbato in alcun modo dal suo sguardo minaccioso.

"Non ho bisogno, né voglio i tuoi consigli.” Zoisite strinse il pugno contro  il fianco, puntando un dito contro il petto di Kunzite con aria accusatoria.

Kunzite ridacchiò, facendolo imbestialire ancora di più. “Stai cercando di dimostrare qualcosa? Sei impaziente di mostrare a tutti il tuo valore e la tua forza, non è così? Ma sai cosa vedo quando ti guardo? Vedo solo un ragazzino debole e indifeso che non è riuscito nemmeno a fronteggiare la mia spada. Come puoi sperare di riuscire a proteggere il principe, se non riesci nemmeno a battere me?”

“Sta’ zitto!" Zoisite si voltò bruscamente, correndo verso i suoi alloggi. Alcune lacrime gli appannavano la vista, ma fece del suo meglio per ignorarle. 

Le parole di Kunzite continuavano a riecheggiargli senza sosta nella mente. 

Sai cosa vedo quando ti guardo? Vedo solo un ragazzino debole e indifeso.

Non è vero, non è vero, pensò con rabbia. Ti dimostrerò che sono forte. Non ti permetterò di spezzarmi.

 

 

**

 

 

Zoisite sferrò un pugno contro il cuscino, lasciandosi sfuggire un grido di rabbia e frustrazione. Perché Kunzite insisteva nel trattarlo in quel modo? 

La scorsa notte sembrava così diverso… avrebbe dovuto sapere che era troppo bello per essere vero.  

Zoisite non ricordava di aver mai provato tanta rabbia nei confronti di qualcuno. Non ricordava di essersi mai sentito come si sentiva in quel momento. Ogni muscolo del suo corpo era teso, la testa martellava incessantemente. 

Aveva voglia di urlare. Aveva voglia di distruggere in mille pezzi ogni oggetto e ogni mobile di quella stanza.

Cosa c'è di sbagliato in me? 

Con rapidità estrasse la spada e la  scagliò contro il muro. Vi impresse talmente tanta forza da conficcarla nella parete e imprimervi una crepa. 

"Non sono debole." Scandì ad alta voce, sentendo la propria rabbia crescere ad ogni parola.

Estrasse la spada dal punto in cui era rimasta incastrata e si precipitò fuori dalla sua stanza.

Marciò su per le scale che portavano agli alloggi di Kunzite. 

Senza esitare, diede un calcio alla porta e si fermò sulla soglia.

Kunzite, seduto alla scrivania, alzò a malapena lo sguardo dalle carte che stava leggendo. 

“Cosa c’è stavolta?”

L’indifferenza nella sua voce ebbe il solo risultato di aumentare la sua ira. 

Zoisite si lanciò verso di lui, puntandogli la lama al collo. 

Prima che potesse anche solo sfiorarlo, una mano forte gli bloccò il polso e lo fece ruotare leggermente. 

Zoisite sentì il braccio diventare istantaneamente rigido, come se Kunzite gli avesse slogato la spalla. La spada cadde sul pavimento.

Come aveva potuto essere così stupido?

Era stato avventato e impulsivo, aveva agito senza riflettere, senza pensare al modo in cui Kunzite avrebbe potuto reagire alla sua sfida.  

Inaspettatamente, Kunzite lasciò andare il suo braccio senza dire nulla, ma non appena Zoisite provò a raccogliere la sua spada, sentì una pressione improvvisa strattonargli i polsi. Abbassò lo sguardo e notò due catene magiche che lo tenevano legato al pavimento.

"Che cosa stai facendo?” Ringhiò Zoisite, dimenandosi selvaggiamente nell’inutile tentativo di liberarsi. “Lotta come un uomo!”

"Ma tu sei un bambino.” Un ghigno malvagio affiorò sulle labbra di Kunzite. “Non combatto con i bambini." Kunzite incrociò le mani dietro la schiena e si allontanò da Zoisite con uno sguardo privo di emozioni.

Zoisite si lanciò in avanti, dimenticando momentaneamente le catene che gli legavano i polsi. Gemette di dolore, sentendo le catene stringergli i polsi più forte a causa del suo brusco movimento.

"Un'altra cosa.” Aggiunse Kunzite sedendosi con calma sul divano nell'ampio soggiorno. "Non lottare, ti farai solo più male.”

 

 

** 

 

 

 

Zoisite fissò le prime luci del mattino che tingevano il cielo attraverso il vetro della finestra. Aveva trascorso l’intera notte sdraiato sul freddo pavimento in marmo del salotto di Kunzite senza potersi muovere, completamente solo.

Si sentiva svuotato, fisicamente e mentalmente.

Dei passi si avvicinarono a lui, ma non distolse lo sguardo dal cielo rischiarato dalle luci dell’alba.

"Sei ancora qui." Non era una domanda. Zoisite si strinse le ginocchia al petto, rifiutandosi di guardarlo.

"Non avevo molta scelta.” Rispose con un sussurro soffocato.

“Certo che l’avevi." Zoisite alzò gli occhi per incontrare quelli di Kunzite, stranamente divertiti. ”Ho annullato l’incantesimo ore fa."

Zoisite sentì la vergogna bruciargli il viso. Fissò il suo patetico riflesso sul pavimento di marmo sotto di lui, sostenendosi sulle mani e sulle ginocchia per alzarsi.

"Anche se non mi sorprende che tu sia ancora qui. Ovviamente eri troppo spaventato per provare a scappare.”

Ovviamente. 

Zoisite non alzò lo sguardo. Perché lo stava deridendo in quel modo?

"Ma ora che lo sai, puoi alzarti e venire con me."

Zoisite alzò gli occhi, sorpreso di vedere una mano protesa verso di lui.

Senza pensare, la afferrò e la strinse nella sua, permettendogli di aiutarlo ad alzarsi in piedi.

Kunzite sospirò e scosse la testa. "Per favore, non costringermi più a farti questo.”

Eccolo di nuovo. Una frase gentile, un segnale che gli fece sperare che il vero Kunzite fosse quello che aveva visto accanto al suo letto, che si sentiva in colpa e chiedeva il suo perdono, quello che si era offerto di aiutarlo a scendere le scale e l’aveva riportato nella sua stanza quando si era sentito male, quello che si preoccupava per lui.

"Hai fame?" Chiese Kunzite senza guardarlo.

Zoisite esitò a rispondere, ma in realtà aveva fame eccome. 

Non aveva mangiato da prima del loro piccolo incidente.

"Bene, quando avrai deciso di mettere da parte la tua rabbia, la colazione è pronta e tu sei il benvenuto." Kunzite gli fece cenno di seguirlo.

Zoisite inspirò attraverso il naso, assaporando il piacevole aroma del cibo che non aveva notato fino a quel momento, e sbuffò, seguendolo suo malgrado attraverso il corridoio.

Le pareti della spaziosa sala da pranzo erano ornate da enormi finestre senza tende che facevano entrare obliquamente la luce del sole, illuminando con riflessi dorati ogni angolo della stanza. 

Il piccolo tavolino  al centro sembrava fuori posto per una sala da pranzo di quelle dimensioni. Latte, succhi, frutta, pane e crepes campeggiavano al centro, davanti a un piatto d'avorio e utensili d'oro.

"Il tuo tavolo è molto piccolo per una sala da pranzo così grande.” Osservò Zoisite, quasi in un sussurro.

"Sono l'unico che vive qui."

“Non hai mai ospiti?”

“No.” Ripose tranquillamente lui, piegando le labbra in un leggero sorriso. "Sei il primo."

Zoisite abbassò la testa, sentendo gli zigomi bruciare. “Cucini?" Chiese nel tentativo di cambiare argomento.

“Ci provo."

Zoisite si guardò intorno, riuscendo soltanto in quel momento ad apprezzare la bellezza dell’ambiente circostante. Per qualcuno che non cucinava, tanta bellezza era sprecata.

Si sedettero al tavolo, cominciando a mangiare in silenzio. 

“Non sono molto bravo a scusarmi.” Disse Kunzite ad un tratto, una strana esitazione aleggiava nella sua voce. “Spero che questo sia sufficiente.” 

Zoisite scosse la testa e gli sorrise per la prima volta. Un sorriso caldo, spontaneo, sincero.   

“Non preoccuparti. So che ti dispiace per quello che hai fatto, anzi, penso di essere più sicuro delle tue scuse di quanto non lo sia tu." Zoisite chiuse gli occhi e sospirò. “Avevi ragione tu, stavo cercando di dimostrare… non so nemmeno io che cosa.” Ammise, sentendosi incredibilmente sciocco. “Di essere migliore di te, suppongo.” Aggiunse in un sussurro quasi impercettibile, senza guardarlo in faccia.

“Ma tu lo sei già.” Disse tranquillamente Kunzite, come se stesse ribadendo un’affermazione ovvia.

"Che cosa?” Balbettò Zoisite, rischiando di strozzarsi con il boccone di pane che stava masticando. 

Per la prima volta, Zoisite vide un accenno di emozione nell'espressione di Kunzite, ma non era sicuro di cosa stesse provando.  

“Sei testardo e terribilmente impulsivo, e agisci senza riflettere sulle conseguenze, rischiando di metterti nei guai. Hai un pessimo carattere…” Zoisite arricciò le labbra, offeso. Non gli stava facendo un complimento, un attimo prima? “…ma sei molto più coraggioso di qualsiasi altra persona che abbia mai conosciuto. Non nascondi mai quello che senti veramente, non hai paura di mostrare le tue emozioni. Sei onesto.”

Kunzite si sporse verso di lui, afferrando delicatamente il mento di Zoisite  e stringendolo a coppa nella sua mano. 

Zoisite sentì il suo cuore iniziare a galoppare nel petto, come se fosse in procinto di rompersi in milioni di pezzi. 

Kunzite sfiorò le labbra di Zoisite con il pollice, e lui iniziò a tremare, socchiudendo involontariamente gli occhi mentre si abbandonava al suo tocco. Cosa sta facendo? Perché mi sento così?  

“Guarda.” Disse improvvisamente Kunzite, allontanandosi senza preavviso. Zoisite aprì gli occhi per  guardare il cristallo di ghiaccio che aveva evocato nella sua mano. “Guardalo bene. Bellissimo in apparenza, ma affilato come la lama di un pugnale. Affascinante e pericoloso. Esattamente come te.” Sorrise, lasciandolo scivolare nella sua mano prima di alzarsi dalla sedia. “Adesso devo andare, ma tu sei libero di restare finché vuoi. Buona giornata." E dopo aver detto queste parole, scomparve in un lampo di energia viola. 

Zoisite era troppo stordito per muoversi. Guardò il cristallo di ghiaccio che Kunzite gli aveva dato. Affascinante e pericoloso, aveva detto. Proprio come lui.

 

 

 

**

 

Quella notte Zoisite non riuscì a chiudere occhio. 

Ogni volta che provava ad addormentarsi sentiva di nuovo le mani di Kunzite sulla sua pelle e il suo cuore accelerava inspiegabilmente i battiti, impedendogli di rilassarsi e prendere sonno.

Dopo essersi rigirato nel letto per un paio d’ore nel tentativo di trovare una posizione comoda, si arrese sbuffando. Scostò le coperte con un gesto secco e si alzò in piedi, uscendo in corridoio e aprendo la pesante porta a vetri dell’ingresso principale.

Non appena l’aria fredda della notte colpì la sua pelle fu scosso da un brivido, e si pentì di essere uscito solo con una leggera camicia da notte addosso.

Zoisite strinse il cristallo di ghiaccio al petto, cullandolo come un bambino. Poteva sentire le palpebre iniziare a chiudersi e le labbra diventare blu, ma non gli importava.

Non voleva tornare nella sua stanza, solo con i suoi pensieri confusi e i palpiti del suo cuore impazzito. 

"Prenderai la polmonite se rimani qui fuori.” Disse una voce profonda dietro di lui. Zoisite sobbalzò nel sentire due mani posargli un pesante panno bianco sulle spalle.  

“Vieni dentro.” Lo esortò Kunzite in tono morbido.

C’era qualcosa di diverso in lui… quella sera non indossava il mantello. 

Zoisite si rese conto solo in quel momento che il mantello di Kunzite era sulle proprie spalle. 

Lo seguì rapidamente all’interno e lo fece scivolare dalle sue spalle.

“Tieni, avrai freddo senza.” Kunzite si voltò e scosse la testa.“No, tienilo tu, stai tremando.”

“Grazie." Sussurrò Zoisite, notando che Kunzite non accennava a togliergli gli occhi di dosso. Il suo sguardo scivolò sul cristallo di ghiaccio che stringeva ancora in mano. "Che cosa stai facendo con quello?” 

Cosa poteva rispondere? Non lo sapeva nemmeno lui.

“Mi stavo esercitando.” Mentì, sperando di risultare convincente. “Volevo capire come funziona questo incantesimo.”

Kunzite lo guardò per un lungo istante. "Girati, voglio mostrarti una cosa."

Zoisite si voltò riluttante, senza sapere cosa aspettarsi. Kunzite era imprevedibile, ormai l’aveva capito.

Chiuse gli occhi, ma li riaprì non appena sentì il corpo di Kunzite premere contro la sua schiena. Due mani forti afferrarono le sue. 

Zoisite sentì il respiro spezzarsi a quell’improvvisa vicinanza.

“Adesso…” Disse Kunzite in un sussurro. “…chiudi gli occhi." Zoisite fece come gli era stato ordinato. "Immagina il fuoco.” Continuò a sussurrare al suo orecchio. "Strati di fuoco che passano da una mano all'altra".

L'unico fuoco a cui Zoisite poteva pensare era quello che gli scorreva lungo la schiena. Non si accorse che le sue mani si stavano separando e fiamme arroventate sfuggivano dalle sue mani.

Il cuore di Zoisite batteva sempre più forte, la testa cominciò a girargli. Improvvisamente, perse l'equilibrio. Nel suo stato semi-cosciente, sentì le braccia forti di Kunzite attorno alla sua vita.

"Immagino che fosse troppo per stasera.” Disse Kunzite nel suo orecchio. "Ci eserciteremo un'altra volta." Zoisite poteva sentire il suo respiro caldo sui suoi capelli. Cercò di lottare per liberarsi dalle braccia di Kunzite prima di impazzire. Riuscì a fare solo pochi passi prima di cadere di nuovo. Per la seconda volta, le braccia di Kunzite lo imprigionarono in una presa stretta e salda.

"Non sei ancora abbastanza forte per questo tipo di magia.” La voce profonda e calda di Kunzite si infranse contro la sua pelle. 

Il cuore di Zoisite batteva talmente forte che poteva sentirlo risuonare nelle orecchie. 

Non riusciva nemmeno a reggersi in piedi per quanto gli tremavano le gambe. L’unica cosa che lo sosteneva erano le braccia di Kunzite attorno a lui. 

Contro la sua schiena, sentì il battito del cuore di Kunzite accelerare un po’, ma era troppo stordito per capire cosa stava succedendo. 

Tutto ciò che sapeva era che Kunzite era lì. Kunzite. 

Poteva quasi sentire la  sua bocca sulla pelle, percepì i suoi occhi penetranti vagare lungo il suo corpo. Lentamente, senza riuscire a smettere di tremare, Zoisite si voltò per affrontare il suo maestro.

“Cos’era quello?” Chiese piano, notando che le loro labbra erano distanti solo pochi centimetri. Se solo si fosse sporto un po’… 

Kunzite sorrise, sistemandogli una ciocca ribelle dietro l’orecchio. “L’incantesimo perfetto per te, Zoisite. Stavi cercando di imparare l’incantesimo del ghiaccio, ma fidati, quello del fuoco ti si addice molto più.”

 

 

 

**

 

 

“Congratulazioni, Zoisite!

“Sei il più giovane ufficiale entrato a far parte della guardia personale del principe, devi essere fiero di te stesso.”  

“Ho sempre pensato che saresti stato tu il quarto generale, sei stato l’unico che ha avuto il fegato di rispondere per le rime a Kunzite fin dal primo giorno.”

“Bravo, hai lottato con grande abilità!”

I soldati attorno a lui continuavano a dargli pacche sulle spalle e a dispensare complimenti, e Zoisite si limitava ad annuire e a sorridere senza però ascoltarli veramente.

Faceva ancora fatica a credere che fosse successo veramente. 

Non solo era entrato a far parte dell’esercito del principe, ma aveva anche ottenuto lo stesso grado di Kunzite e Nephrite nonostante fosse molto più giovane di loro, contando esclusivamente sulle proprie capacità.

All’inizio gli era stato detto che entrambi i generali avrebbero selezionato il migliore allievo del proprio gruppo per la competizione finale, ma Zoisite non avrebbe mai immaginato che Kunzite avrebbe scelto proprio lui.

Erano cambiate molte cose tra loro in quegli ultimi sei mesi.

Kunzite era diventato più gentile nei suo confronti, anche se a volte si divertiva ancora a prenderlo in giro e a metterlo in imbarazzo.

E anche se aveva tentato di negarlo con tutte le sue forze, alla fine Zoisite era stato costretto ad essere sincero con se stesso e ad ammettere che Kunzite gli piaceva da morire, e non solo come insegnante. Era attratto da lui, ma non era nient’altro che la cotta di un ragazzino, o almeno così pensava. 

Kunzite era il suo maestro, nonché un suo superiore. 

Non potevano provare nulla l’uno per l’altro.

Certamente Kunzite non provava nulla nei suoi confronti, ne era più che sicuro: lo considerava un bravo allievo, certo- il suo migliore allievo, altrimenti non l’avrebbe scelto per la competizione finale- ma niente di più.

Non che la cosa gli dispiacesse, anzi, Zoisite aveva avuto altro ben altro a cui pensare da quando aveva saputo che avrebbe dovuto combattere contro l’allievo di Nephrite.

Era stata una lotta all’ultimo sangue, letteralmente.

L’allievo di Nephrite era più forte di lui, sia fisicamente che magicamente, ma proprio quando Zoisite era stato sul punto di arrendersi, gli era bastato incrociare lo sguardo di Kunzite in mezzo alla folla che li stava osservando per ritrovare la sua determinazione.

Era debole, ferito e senza fiato, e sarebbe stato sciocco continuare a combattere ancora.

Ma Kunzite credeva in lui. Non poteva deluderlo.

Alla fine era riuscito ad immobilizzare a terra l’allievo di Nephrite, cogliendolo di sorpresa con l’attacco del fuoco che gli aveva insegnato Kunzite e conficcando un cristallo di ghiaccio nella sua gamba che gli aveva fatto perdere l’equilibrio.

Tra l’esultazione generale Zoisite era stato dichiarato vincitore, ma improvvisamente scoprì che non gli importava di più tanto aver vinto.

Tutto quello che gli importava in quel momento era sapere che non aveva deluso le aspettative di Kunzite. 

Tutto ciò che contava era renderlo orgoglioso il suo maestro.

Certo era contento della vittoria e dell’apprezzamento generale, ma niente lo riempì di gioia più del sorriso di Kunzite. 

Quel sorriso era suo e solo suo, quel sorriso l’avrebbe conservato gelosamente nel cuore, per ricordarlo quando in futuro si sarebbe sentito triste, per avere qualcosa di bello a cui aggrapparsi nei momenti più bui. 

Quando Kunzite gli consegnò una spada dall’impugnatura intarsiata d’oro e la sua nuova uniforme viola, Zoisite gli sorrise per la prima volta in modo assolutamente, inconfondibilmente sincero.

Non un sorriso malizioso o sarcastico come quelli che gli rivolgeva di solito; quello che gli illuminava il viso in quel momento era un sorriso vero, pieno di gioia e incredulità.

Kunzite avrebbe voluto saper dipingere, solo per poter immortalare la bellezza del suo volto felice.

Ma si limitò a posargli una mano sulla spalla e a congratularsi con lui. 

“Sei stato un ottimo allievo, Zoisite.” Disse, e lo pensava sul serio.  

Zoisite notò per la prima volta nei suoi occhi e nella sua voce un estraneo, piacevole calore. 

Improvvisamente la distanza tra loro non sembrava più così incolmabile.

Fece una cosa che non aveva mai fatto: si inchinò al suo cospetto, un inchino solenne e profondo che si addiceva più ad un principe o a un re che ad generale, ma a Zoisite non importava.

Voleva dimostrare a Kunzite il suo più profondo rispetto e la sua più sincera gratitudine, e non gli venne in mente un modo diverso per comunicarglielo. “È stato un onore per me averti avuto come insegnante, Kunzite.” 

Disse in un sussurro, continuando a tenere la testa chinata.

Grazie. Non avrei mai potuto arrivare fin qui senza di te.

Kunzite era sbalordito. Zoisite era sempre così arrogante, irrispettoso e prepotente con tutti.… il ragazzo timido e sottomesso davanti a lui sembrava un’altra persona.

Posò una mano sulla sua spalla e sorrise, invitandolo a rialzarsi. “L’onore è stato tutto mio.”

 

 

**

 

 

 

Zoisite doveva ammetterlo, la sala da ballo era bellissima. 

Un ampio padiglione di marmo con le rose che crescevano sui pilastri, e le decorazioni, l'illuminazione e la musica di quella sera contribuivano a dare al salone un aspetto trascendentale. 

Si appoggiò a uno dei pilastri, osservando Nephrite che ballava con una giovane ragazza dai corti capelli rossi, e il principe Endymion che volteggiava con la principessa della Luna, Serenity, che in quei giorni era in visita sulla Terra insieme alla madre e alcune amiche.

Si lasciò sfuggire un sorriso mentre li guardava ballare: quei due sembravano particolarmente infatuati l'uno dell'altro; non avevano smesso di ballare per tutta la notte. 

Aveva trascorso le ultime due ore a guardarli ballare, ridere e chiacchierare come se si conoscessero da tutta la vita. 

Una piccola parte di Zoisite era felice per Endymion, che sembrava divertirsi molto in compagnia della sua allegra compagna di danza. 

La principessa Serenity non era particolarmente bella o intelligente, ma possedeva un carisma naturale che in poco tempo aveva attirato la simpatia di tutti, con la sua innata dolcezza e gentilezza e la conversazione fresca e vivace. 

Anche Nephrite sembrava trovarsi a suo agio con quella ragazzina-Naru, se non ricordava male era questo il suo nome. 

Aveva un viso dolce e gentile, e lo guardava già con occhi completamente persi e innamorati.

A quanto pareva era la notte perfetta per sognare. Per credere nell’amore.

Ma tutto questo non era possibile, non per lui.

Lui poteva solo osservare da lontano la felicità degli altri, senza poterne fare parte.

Zoisite giocherellò nervosamente con uno dei gemelli che ornavano i polsini del suo smoking, sospirando infastidito. 

Anche se lo faceva sembrare straordinariamente bello (una rapida occhiata allo specchio lo aveva confermato) si sentiva incredibilmente a disagio e accaldato sotto la stoffa rigida e pesante di quell’elegante completo.

Chiuse gli occhi e si appoggiò contro il pilastro, alzando lo sguardo verso il cielo sopra di lui, un manto nero e infinito cosparso di stelle, concentrandosi sulla curva della falce di luna, sul profumo delle rose che aleggiava nell’aria e la musica dei violini in lontananza…

"Zoisite?" Una voce profonda lo sorprese, facendogli riaprire gli occhi di scatto.

Si voltò e si ritrovò faccia a faccia con Kunzite. 

Doveva ammetterlo, lo smoking gli stava davvero bene. 

La giacca nera evidenziava un contrasto perfetto con il candore dei suoi capelli, la camicia bianca faceva risaltare la sua carnagione abbronzata, rendendo perfettamente evidente il suo fisico magro e muscoloso. 

Aveva lasciato il primo bottone della camicia slacciato, e Zoisite colse più di un assaggio del suo petto liscio. Dovette forzarsi a distogliere lo sguardo.

“Ti va di ballare?” Chiese Kunzite, un mezzo sorriso sulle sue labbra perfette.

“No." La voce gli uscì più aspra di quanto avesse voluto. “Magari più tardi.” Concesse, sforzandosi di sorridere.

Sicuramente non avrai problemi a trovare una bella fanciulla disposta a ballare con te, pensò Zoisite con una punta di gelosia.

Kunzite sembrò meravigliato dal suo secco rifiuto, ma durò solo un attimo, poi il suo volto tornò impassibile come al solito. 

“Bene… se cambi idea, sai dove trovarmi.” Si voltò e iniziò a camminare per tornare nel salone.

Non dire niente, non dire niente, non dire niente, continuò a ripetersi Zoisite interiormente. Dovette mordersi la lingua fino a farla sanguinare, mentre lo osservava sparire tra la folla. 

Non lo seguirò, non gli chiederò di rimanere. Si voltò e saltò giù dal padiglione con estrema facilità, atterrando sul sentiero tre metri più in basso. 

Senza mai guardarsi indietro, Zoisite si addentrò nell’ampio giardino del palazzo. L'inebriante profumo di rose aleggiava nell’aria, conferendo alla notte un'aura surreale e magica, ma Zoisite non fece caso a tutto questo.

Si accasciò su una panchina e si passò nervosamente le mani tra i riccioli ramati, cercando disperatamente di calmare il dolore pulsante alle palpebre.

Cosa c’era di sbagliato in lui? Perché non aveva accettato l’invito di Kunzite? Era lui la persona con cui avrebbe voluto ballare fin dall’inizio.

Era con lui che voleva passare la serata- perché non era stato capace di ammetterlo? Perché non poteva, almeno per una volta, mettere da parte il suo stupido orgoglio?

Perché se lo facessi, disse una vocina nella sua testa che aveva tentato di ignorare fino a quel momento, se gli permettessi di avvicinarsi a me finirei solo col farlo soffrire. Non mi resta molto da vivere, e se si affezionasse a me soffrirebbe troppo, e lo amo- sì, lo amo, non ha più senso mentire a me stesso- talmente tanto che non sopporterei di essere la causa del suo dolore.  

Nel silenzio risuonarono dei passi sommessi, si udì un fruscio tra i cespugli. Zoisite balzò in piedi, direzionando un calcio alto e potente in direzione del misterioso intruso. 

Sentì delle mani forti afferrargli il piede a metà del calcio; incespicò, ma riuscì a mantenere l’equilibrio ed evocò una sfera di fuoco nel palmo della mano.

"Calmati, Zoisite.” Disse una voce profonda nell’ombra. “Sono io."

"Lascia andare la mia gamba."

"Va bene.” Kunzite lo lasciò andare davvero. Zoisite ricadde sgraziatamente tra i cespugli di rose, imprecando.

“Hai finito?"Chiese Kunzite con l’ accenno di una risata nella voce. 

Si sedette con calma sulla piccola panca di marmo.

“Cosa vuoi?” Zoisite si rialzò dai cespugli di rose, strappando spine e petali dal suo smoking. Da un lato era contento che Kunzite fosse tornato indietro, ma dall’altro temeva che volesse solo prenderlo in giro per l’ennesima volta.

“Ero seduto su quella panchina prima di te, sai?”

"Sono venuto solo per parlare.” Disse tranquillamente Kunzite. "E c'è posto per due persone sulla panchina."

A malincuore, Zoisite si sedette sul bordo della panca. Se soltanto si fosse mosso di pochi centimetri, avrebbe potuto appoggiarsi a Kunzite, spalla a spalla, e dannazione, quanto avrebbe voluto farlo.

“Stasera ti stai comportando in modo strano.” Constatò Kunzite. “Come mai ti sei nascosto qui? Sei un ballerino talmente pessimo da vergognarti a danzare in pubblico?” Di nuovo quel tono beffardo, di nuovo quel sorrisetto derisorio.

Aveva pensato che le cose tra loro fossero cambiate, che Kunzite fosse cambiato… quanto era stato sciocco ad illudersi.

In un’altra occasione Zoisite gli avrebbe risposto per le rime, rifilandogli una replica pungente, ma non quella sera. Ne aveva abbastanza di essere preso in giro da lui.

Gemette, affondando la testa tra le mani. “Non potresti andare a tormentare qualcun altro?”

“Mi dispiace.” Disse Kunzite, e la sua voce era veramente gentile. "Non è mia intenzione tormentarti."

“Allora vattene, per favore.” Disse Zoisite, e iniziò a piangere quando sentì Kunzite alzarsi davvero. Ad un tratto tutto sembrava essere così sbagliato… “No, aspetta, ti prego.” Si sentì dire a bassa voce, e sentì Kunzite sedersi di nuovo accanto a lui, più vicino questa volta, lasciando scivolare un braccio attorno alle sue spalle per confortarlo.

Voleva spezzare l'abbraccio, colpire Kunzite, uccidere Kunzite - no, voleva restare così, abbracciare Kunzite, uccidere il suo orgoglio…

“Va tutto bene.” Disse Kunzite, e la sua voce era talmente dolce da fargli venire ancora più voglia di piangere. “Va tutto bene…”

“Perché sei qui, veramente?” Zoisite tirò su con il naso, allontanandosi da Kunzite quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.

“Volevo rinnovarti le mie congratulazioni per il tuo nuovo incarico. Non c’è nessuno che lo meriti più di te.” Sorrise, dolce, sincero, tendendo una mano verso di lui.

“E sono venuto a chiederti se vuoi ballare.”

La musica lenta e struggente di un violino; le stelle che illuminavano il cielo con il loro bagliore argenteo; il profumo delle rose e il corpo di Kunzite, il viso di Kunzite, la voce di Kunzite, le sue parole gentili e affettuose; questo era tutto ciò che Zoisite riusciva a percepire. 

La paura e la gioia si mescolarono nel petto di Zoisite, dando vita ad un’emozione sconosciuta, meravigliosa e terrificante.

Avvolse incerto le braccia intorno al collo di Kunzite. 

Sentì le sue forti braccia avvolgersi attorno ai propri fianchi, e si mossero lentamente, con grazia, al ritmo degli alti e bassi, dei crescendi e dei diminuendi dei violini. 

La testa di Zoisite arrivava a malapena al mento di Kunzite; premette il viso contro il suo collo, e sentì le sue labbra che gli sfioravano i capelli.

Zoisite non si era mai sentito così in tutta la sua vita. Stare con Kunzite era come imparare a volare: eccitante e spaventoso allo stesso tempo.

Talmente spaventoso da dare i brividi.

Talmente eccitante da provocargli le vertigini. 

Aveva voglia di ridere e piangere allo stesso tempo, ma si limitò ad avvolgere più forte le braccia attorno alla sua schiena, come a voler assorbire il suo calore, come a volersi fondere con lui.

“Vuoi venire a vivere con me?”

Per un attimo, Zoisite credette di aver sentito male. Alzò la testa di scatto, guardandolo con occhi sgranati.

“Temporaneamente. Finché i tuoi nuovi alloggi non saranno pronti.” Chiarì Kunzite. “I miei appartamenti sono grandi, c’è posto per un’altra persona… solo se sei d’accordo, naturalmente.” Kunzite sembrava quasi incespicare sulle parole, incerto, come se temesse un suo rifiuto. Come se Zoisite potesse anche solo pensare di rifiutare. “Ma se preferisci la tua vecchia stanza…”

Zoisite scosse energicamente la testa, facendo ondeggiare i riccioli ramati intorno al viso, mentre si sforzava di trattenere le lacrime di gioia che avevano iniziato a bagnargli gli occhi. “No, va benissimo.” Disse, tornando a rifugiarsi nel calore del suo abbraccio. “È perfetto.”

In una notte stellata che profumava di rose, stretto tra le braccia di Kunzite, finalmente Zoisite fu ciò che da settimane- una vita- aveva sempre desiderato.

Felice.

 

 

 

 

 

**  

 

La notizia dell’imminente matrimonio tra Endymion e Serenity fu improvvisa, ma non sorprese affatto Zoisite.

Era chiaro che fossero anime gemelle, lo aveva notato da come si guardavano al ballo, e anche nei giorni successivi, quando li vedeva ridere e passeggiare insieme in giardino. Erano fatti l’uno per l’altra, e Zoisite si sentì felice per loro.

Per qualcuno i sogni diventano realtà.

La cerimonia fu bellissima e sontuosa, con un ricco banchetto e il profumo dei fiori che riempiva l’aria.

Serenity era stupenda nel suo vestito bianco con le maniche a sbuffo e il lungo strascico, le guance rosse e il sorriso raggiante mentre baciava Endymion suggellando la loro promessa d’amore eterno.

Zoisite non fece caso alla traiettoria del bouquet, così quando si ritrovò un mazzo di rose rosse tra le mani rimase a fissarlo perplesso per parecchi secondi, senza capire come ci fosse finito.

Serenity gli fu addosso in un attimo e lo stritolò in un abbraccio soffocante, congratulandosi scherzosamente con lui con quella sua fastidiosa voce sempre troppo acuta, prima di essere assalita dalle sue amiche, sommersa da un tripudio di baci e felicitazioni.

Zoisite fissò a lungo il bouquet, poi scosse la testa con una risata amara, gettandolo bruscamente a terra.

Tutte sciocchezze. Non mi sposerò mai.

Era troppo.

Troppo dolore.

Vedere Serenity e Endymion ballare felici, questa cerimonia sfarzosa, tanto bella da far male, tutti quei sorrisi, tutta quella gioia…

Sentì la gola serrarsi e gli occhi diventare lucidi. 

Doveva uscire immediatamente da lì.

Approfittò del chiasso per sgattaiolare fuori senza essere notato, precipitandosi sul balcone.

Inspirò l’aria fredda della sera a pieni polmoni, accogliendo con sollievo il vento tra i capelli e sulla pelle accaldata.

“Che fai qui fuori?” Zoisite riconobbe la voce di Kunzite, ma non si voltò a guardarlo.

Avrebbe potuto inventare un milione di scuse, ma scelse di essere sincero.

“Sai, ero lì a guardare il principe e la principessa che ballavano, e tutto quello a cui riuscivo a pensare…” Sospirò, e un sorriso triste affiorò sulle sue labbra. “… era che io non potrò mai avere tutto questo.”

Ci fu un lungo attimo di silenzio, poi Kunzite gli afferrò delicatamente le spalle, facendolo girare piano verso di lui. Posò una mano sulla sua guancia, sfiorandogli lo zigomo con il pollice in una lenta carezza. “Certo che potrai. Puoi avere chiunque tu voglia. Sei ancora così giovane, Zoisite…”

“Già.” C’era una strana amarezza nella sua voce. Alle parole di Kunzite, Zoisite abbassò la testa, e quando la sollevò  i suoi occhi erano lucidi e sul suo volto spiccava uno strano sorriso.

Opaco, meno luminoso del solito. Stonato.  

“Sto morendo.” Zoisite lo disse così, lasciando scivolare fuori le parole con incredibile naturalezza, come se stesse parlando di un dettaglio irrilevante. “Sono malato.” 

Kunzite restò per un attimo senza parole, convinto di aver sentito male.

Ripensò a Zoisite che ballava sotto le stelle, che rideva, che combatteva con la spada con forza e abilità… e poi gli tornò in mente quel pomeriggio lontano in cui durante un allenamento si era accasciato improvvisamente a terra, le numerose volte in cui era svenuto e la facilità con cui contraeva la febbre, la tosse  sempre più frequente quell’inverno che Zoisite aveva giustificato come un semplice raffreddore, e il colorito del suo volto sempre più pallido e il corpo sempre più sottile… no, non poteva crederci. Non voleva crederci.

“Tubercolosi. Sono anni che convivo con questa malattia, ma ultimamente sono stato peggio del solito, così… così mi sono fatto visitare da un dottore. Ha detto che non vivrò più di tre mesi.” La voce gli si spezzò in gola, ma si sforzò di non piangere. Non voleva che Kunzite vedesse le sue lacrime.

“Ormai il pensiero della morte non mi spaventa più.  Sono stato arrabbiato per molto tempo, ma poi… poi ho capito che non è importante quanto vivi, ma come vivi.” 

Zoisite scrollò le spalle fingendo serenità, ma Kunzite poteva percepire un’ombra sottile nel suo sguardo, un leggero tremore nella sua voce che si sforzava di rimanere ferma. “Non ho paura. Sul serio, va bene così.”

No, non va bene per niente.

Come puoi dirmi che stai morendo con un sorriso? Come puoi dire che ti va bene? Non va bene, non andrà mai bene.

Devi crescere e innamorarti e avere figli e invecchiare e morire con i capelli bianchi e il volto pieno di rughe-

Zoisite doveva aver letto tutto questo nei suoi occhi, perché la sua espressione si addolcì e posò una mano sulla sua spalla, un tocco caldo, confortante e gentile, come se fosse lui quello che aveva bisogno di essere consolato e rassicurato.  

Il corpo esile e minuto fasciato dall’uniforme militare, il viso sottile incorniciato da una cascata di riccioli infuocati in netto contrasto con la pelle diafana illuminata dai bagliori della luna, vestito solo della sua tristezza e del suo coraggio, in quel momento Zoisite era semplicemente… bellissimo.

A Kunzite non venne in mente un’altra parola per descriverlo.

Zoisite era sempre stato bello, era impossibile non notarlo, ma in quel momento la sua bellezza colpì Kunzite in modo diverso, come qualcosa di infinitamente puro e prezioso, qualcosa da proteggere e da venerare.

Aveva quasi timore che se avesse sbattuto le palpebre sarebbe svanito, come il più bello e il più effimero dei sogni. 

Zoisite era bello e infinitamente triste, mentre gli diceva serenamente che stava morendo, ma andava bene così, perché non aveva rimpianti. 

“Non c’è motivo di essere triste. Ho avuto una bella vita finora, ho avuto spesso dei momenti felici…” Una breve pausa, una leggera esitazione nella sua voce, e un sorriso spontaneo nacque sul suo viso. “E poi ho conosciuto te. Questo è abbastanza.”

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Erano passati sei mesi dal giorno in cui aveva visto Zoisite per la prima volta, eppure Kunzite ricordava ancora vividamente ogni dettaglio di quel momento.

Era una tiepida giornata d’estate, il sole splendeva alto nel cielo terso e l’aria odorava di rose e spezie; e sotto quel sole, davanti all’Accademia Militare, erano schierate file di nuove reclute che sarebbero state sotto il suo comando, giovani uomini che avrebbe dovuto addestrare a diventare ottimi soldati dell’esercito del principe.

Il suo sguardo duro e implacabile si era posato su di loro, mentre li studiava in silenzio, cercando di intuire le loro forze e le loro debolezze.

E poi li vide, quegli occhi verdi che scintillavano come due smeraldi preziosi su un viso efebico.

Dalla prima volta che Kunzite aveva incrociato i suoi occhi non aveva più potuto dimenticarli.

Acuti e intelligenti, palpitanti di vita, dentro di loro ardeva una fiamma di passione che aveva sciolto il ghiaccio dentro di lui con un solo sguardo appena accennato. 

I loro sguardi si erano incrociati soltanto per pochi secondi, eppure bastò per far vibrare l’anima di Kunzite di un’emozione intensa e sconosciuta, che prima di allora non aveva mai provato.

Zoisite era l’uomo più bello che avesse mai visto, di una bellezza eterea, senza tempo, di una bellezza che intimorisce e toglie il fiato.

Ma in seguito avrebbe scoperto che c’era anche un’altra bellezza dentro la sua anima, una bellezza più profonda che lo spingeva a desiderarlo ancora più intensamente.

Prima di conoscerlo, Kunzite aveva vissuto una vita a metà, priva di piaceri, di priva di gioie, priva di emozioni: non conosceva altro che il dovere, l’abnegazione, la lotta, il sacrificio. 

Poi era arrivato Zoisite, e in un attimo aveva distrutto le sue convinzioni con la stessa facilità con cui si distrugge un castello di carte.

Zoisite era entrato prepotentemente nel suo cuore, senza nemmeno chiedere il permesso, con quell’irruenza e arroganza che l’avevano sempre contraddistinto. Lui l’aveva lasciato entrare. Di solito non lasciava entrare le persone. E gli aveva permesso di prendersi tutto, di svuotarlo, di spezzarlo, di sostituire parti del suo essere con pezzi di lui. 

Zoisite e la sua spontaneità, Zoisite e la sua gioia di vivere, Zoisite che non aveva paura di mostrargli le sue emozioni, che non temeva di sfidarlo e di mettere in discussione i suoi ordini e i suoi consigli.

Zoisite che lottava ferocemente contro di lui durante i loro allenamenti con la spada, che gli aveva graffiato la guancia con la lama e dopo aveva medicato con dolcezza la sua ferita. 

Zoisite che lo aveva fatto ballare sotto la luce delle stelle, che faceva piroette lanciando in aria i fiori di ciliegio, negli occhi la meraviglia infantile di un ragazzo ancora bambino dentro-erano semplici fiori, ma Kunzite amava la gioia che riuscivano a regalargli.

Zoisite che lo aveva fatto ridere, Zoisite che lo aveva fatto sognare. 

Zoisite, che gli faceva credere alla felicità. 

Zoisite che ogni sera lo aspettava pazientemente davanti ad una tavola apparecchiata davanti alla quale gli raccontava la sua giornata; che la notte strisciava nel suo letto dopo un incubo e cercava la sua mano e la teneva stretta fino al mattino dopo; che gli era stato vicino senza chiedere niente in cambio, sopportando i suoi silenzi, la sua freddezza, la sua ostilità, la sua totale incapacità di esprimere il suo affetto per lui.

E mentre Kunzite cercava di difendersi da lui, sentiva che avrebbe voluto proteggerlo da se stesso, per non macchiare con la sua oscurità quella luce che Zoisite aveva dentro di sé.

Zoisite era una luce abbagliante che aveva squarciato le tenebre della sua vita.

E adesso quella luce si stava spegnendo giorno dopo giorno, portando via tutti i colori dalla sua vita, senza che lui potesse fare niente per impedirlo, e presto sarebbero rimasti solo buio e lacrime e dolore…

Le dita di Kunzite si strinsero attorno ai fili d’erba così tanto che le sue nocche divennero bianche. 

“Qual’è la tua paura più grande?” Gli aveva chiesto una volta Zoisite, non con il tono derisorio di chi ha intenzione di prenderti in giro, ma con la dolcezza di chi vuole conoscere le tue paure per rassicurarti e proteggerti da loro.

Le parole erano proprio lì, arrotolate sul bordo della lingua, ma lui si era rifiutato di farle uscire. 

Di perderti.

“Kunzite!” Sobbalzò al suono di una voce che ben conosceva, voltandosi stupito. Zoisite, avvolto soltanto da una leggera camicia da notte bianca, si stringeva nelle braccia per proteggersi dal vento freddo e pungente della sera. “Credevo di trovarti nella tua stanza, la luce era accesa ma non c’era nessuno, così sono uscito a cercarti… Va tutto bene?”

Kunzite sbattè velocemente le palpebre per nascondere le lacrime che avevano iniziato a bagnargli gli occhi. “Sì, certo. Avevo solo bisogno di una boccata d’aria fresca. Piuttosto, tu non dovresti stare qui. Va' a letto, hai bisogno di riposo.”

Zoisite scosse dolcemente la testa, chinandosi per sedersi accanto a lui sull’erba. “Presto riposerò per l’eternità. E poi non sei più il mio comandante, l’hai dimenticato? Non puoi più darmi ordini.”

Kunzite sbuffò e rise, una risata fragile come vetro, falsa come un fiore finto.

“Sei veramente una persona insopportabile, Zoisite.”

“Allora il mondo sarà decisamente un posto migliore senza di me.”

No. No, non è vero. 

Kunzite non seppe dire perché, con uno scatto fulmineo, gli afferrò il mento e premette le labbra sulle sue, in un bacio niente affatto casto che aveva il sapore salato delle lacrime e quello amaro della disperazione.

Forse perché lo desiderava da tanto- troppo- tempo, o forse semplicemente per zittirlo e impedirgli di dire altre sciocchezze.

Tutto quello che sapeva era che Zoisite era bello – era bello e triste, e lui pensò che forse non avrebbe mai più avuto l'occasione di farlo e quindi l'aveva fatto e basta.

Le labbra di Zoisite erano sorprendentemente morbide e incredibilmente sottili, la pelle che tremava sotto le sue carezze, gli occhi aperti e stupiti quando lui aveva trovato il coraggio di aprire i suoi.

Quando alla fine si allontanò, erano entrambi senza fiato e Kunzite non aveva la minima idea di cosa aspettarsi – sicuramente non si aspettava di venire schiaffeggiato. 

Invece fu proprio quello che successe.

“Non farlo mai più.” La voce di Zoisite tremò, e lui avrebbe voluto scuoterlo e capire, ma dovette limitarsi a chiedere.

“Perché? So di non meritarti, ma…”

Zoisite scosse la testa e si morse le labbra, nervoso,  e Kunzite si trattenne a fatica dall'allungarsi per baciarlo ancora, prendergli le mani e sfiorare ogni nocca. 

“Sono io che non merito te. Sai, ti farai male. Molto male. Non mi resta molto tempo, e tu ti farai male, ed è proprio quello che non voglio.” Zoisite alzò lo sguardo all'improvviso e incontrò di nuovo il suo, occhi chiari incapaci di nascondere la miriade di emozioni che li attraversavano.

“Dovresti scappare, Kunzite. Fallo. Ti prego, vai via.” Sembrava crederci davvero a quelle parole, ed era quello che gli faceva più male.

Ma Kunzite non poteva più scappare. 

Ci aveva provato a lungo, aveva provato a odiarlo perché era più semplice, ma alla fine era stato costretto ad accettare che lo amava, profondamente, disperatamente, pazzamente- con tutto il cuore.   

Amava i suoi bronci, i suoi capricci, i suoi sorrisi, i suoi lunghi capelli fiammeggianti, la sua impazienza, la sua impulsività, la sua esuberanza e la sua tenerezza, persino il suo carattere ribelle e insolente che all’inizio aveva tanto detestato. 

“Non posso.” Non posso lasciarti qui, non posso abbandonarti a te stesso, non posso starti lontano.

Tanti non posso tutti insieme che Kunzite non ebbe il coraggio di dire ad alta voce, ma Zoisite sembrò aver capito.

Forse fu per quello che alla fine si arrese sbuffando, sprofondando nel suo abbraccio.

E quando Kunzite lo baciò di nuovo, semplicemente lo lasciò fare. 

 

 **

 

Sdraiati sul prato ad osservare le stelle, Zoisite teneva la guancia appoggiata contro il petto di Kunzite, lo sguardo pensieroso rivolto verso il cielo sopra di loro.

“Pensi che ci sia qualcosa dietro al cielo? Forse… forse è lì che andiamo. Quando moriamo.”

Zoisite parlava spesso di morte,  senza pensarci o forse pensandoci troppo, senza essere più intimidito dal chiamarla col suo nome.

Gli faceva paura, a volte, la sua rassegnazione.

Erano le volte come quelle che Kunzite desiderava -baciarlo- potergli rispondere.

In quei momenti Zoisite non sembrava più tanto giovane-gli sembrava solo stanco e ancora pieno di coraggio. 

Zoisite era sempre stato coraggioso-più coraggioso di lui, più coraggioso di qualunque altra persona che avesse mai conosciuto. 

Stava morendo, consumato lentamente da una malattia che non lasciava scampo, eppure era l’incarnazione stessa della vita.

Era così affamato di vita, si nutriva di sogni, di risate, di tutto ciò che di bello c'era al mondo. 

“Dovrai aspettare ancora parecchio prima di scoprirlo.” Kunzite lottò per mantenere ferma la propria voce, premendo inconsciamente ancora di più il corpo di Zoisite contro il suo, come se avesse paura che potesse dissolversi tra le sue dita.

Zoisite emise una risatina amara, piccola, infinitamente triste, rifugiando il viso contro il suo collo, intrappolando nella sua pelle un sospiro che aveva il sapore sporco di lacrime trattenute. “Grazie.”

“Per cosa?”

“Per questa splendida bugia.”

 

**

 

 

“È sorprendentemente facile, sai? Fingere di avere coraggio.”

“Tu non fingi, Zoisite.”

“Invece sì. Non sono coraggioso… sono terrorizzato.” 

Zoisite posò la testa sulla sua spalla, il corpo scosso da singhiozzi sempre più violenti e inarrestabili. “Ho paura, Kunzite.” Sussurrò, così piano che lui credette di averlo solo immaginato. “Ho cercato di essere coraggioso, volevo disperatamente essere coraggioso ma adesso non ci riesco più. Ho paura, non voglio andare via… Non voglio lasciarti…”

Kunzite lasciò scivolare un braccio attorno alle sue spalle e lo spinse contro il suo petto, cercando di trasmettergli tutto quello che non aveva il coraggio di dire attraverso quell’abbraccio.

Non voglio che tu mi lasci.

 

 

**

 

 

 

 

 

Erano passati soltanto pochi giorni dalla sera in cui si erano baciati per la prima volta, quando le condizioni di Zoisite peggiorarono improvvisamente.

La febbre lo rendeva incapace persino di alzarsi dal letto e non accennava a diminuire, e Kunzite poteva solo rimanere a guardarlo, impotente, mentre lottava con tutte le sue forze inchiodato a quel maldetto letto, cercando di rubare sempre un respiro in più.

A volte si stendeva accanto a lui e lo stringeva forte, trattenendolo saldamente contro il suo petto, sussurrando parole rassicuranti tra i suoi capelli finché i brividi della febbre non si calmavano e Zoisite si addormentava stremato; trascorsero in quel modo due settimane.

Finché inevitabilmente giunse quel giorno.

Il suo ultimo giorno.

“Kunzite?” Zoisite lo chiamò, piano, sottovoce, forse pensando che stesse dormendo, ma Kunzite non dormiva mai quando era con lui, perché aveva troppa paura di svegliarsi e non trovarlo più.

“Dimmi.” Gli rispose lui, altrettanto sottovoce, per non disturbare la quiete e per tenere calmo il suo mal di testa, osservando distrattamente la luce morente del tramonto che filtrava dalla finestra, illuminando il vassoio con il cibo ancora intatto sul tavolino.

“Quando morirò…” Zoisite lo sentì prendere fiato per protestare e lo bloccò prima ancora che potesse pensare alla risposta. “Non dire nulla. Quando morirò... lasciami andare. Io non volevo farti male, ma tu sei rimasto ed è ovvio che te ne farai, però… lasciami andare. Pensami ogni tanto, ma non spesso. Vivi la tua vita. Innamorati ancora. Mostra ad altre persone quella bellezza che nascondi dentro di te.” Era da parecchio tempo che Zoisite non parlava tanto (a Kunzite era mancata la sua voce, ma non gliel’aveva mai detto), ma nonostante fosse stanco e affaticato si sforzò ugualmente, perché ormai lo sapeva, lo sentiva, che non gli restava più molto tempo, e tacere ormai era inutile.

Forse in fondo lo sentì anche Kunzite, forse fu per quello che sentì le lacrime premere agli angoli degli occhi e lo strinse più forte contro di sé, come se potesse trattenerlo, come se potesse tenerlo lì con la pura forza di volontà.

“Ti prego, Kunzite, non piangere, non sopporto di vederti soffrire…”

Kunzite lo guardò, il petto stretto in una morsa di dolore talmente grande da rendergli difficile persino respirare correttamente.

Persino in quel momento, disteso sul letto con le guance arrossate dalla febbre, la fronte lucida di sudore e il respiro affannato, Zoisite si preoccupava per lui.

Cosa aveva fatto per meritare un simile angelo al suo fianco?

“Non sto piangendo. Va tutto bene. Pensa a riposare.” Nelle intenzioni di Kunzite le sue parole avrebbero voluto tranquillizzarlo, ma la voce gli uscì roca e tremante.

Zoisite scosse la testa rivolgendogli un debole sorriso. “Riposerò per l’eternità. Voglio solo stare con te fino al mio ultimo respiro.” 

Quelle parole fecero crollare definitivamente le ultime barriere di Kunzite.

Il guerriero dal cuore di ghiaccio che uccideva senza rimorsi né esitazioni, in quel momento era solo un uomo disperato, schiacciato dal peso di una sofferenza troppo grande, le spalle scosse da singhiozzi violenti eppure silenziosi.

No, non poteva credere che sarebbe finito tutto così.

Zoisite non poteva morire. Era ancora così giovane, così bello, così pieno di sogni e speranze…  

Zoisite, non puoi andartene così presto…ci sono ancora così tante carezze che vorrei regalarti, ancora così tante parole d’amore che vorrei sussurrare al tuo orecchio…

“Non morirai, Zoisite.” Gli afferrò la mano, baciandone il palmo con  devozione e disperazione.  “Starai bene, andrà tutto bene…”

“Non mentire, Kunzite.” La mano di Zoisite si posò sulla guancia del suo amante, portando via le sue lacrime con una dolce carezza. 

Le sue labbra si distesero in un dolce sorriso. Sorrideva serenamente, accettando senza paura il suo destino. “Non piangere per me. Alcune persone vivono una vita lunga senza innamorarsi mai. Io invece sono stato così fortunato… ” Una lacrima, una sola lacrima solcò la sua guancia pallida. 

“Ho conosciuto l’amore vero, anche se per poco, e non ho rimpianti. Mi sembra di aver vissuto questi diciassette anni soltanto nell’attesa di incontrarti. Ogni passo che ho fatto, ogni scelta che ho compiuto doveva portarmi qui, da te.” Una breve pausa, il suo respiro si fece sempre più debole. 

La mano di Zoisite si posò sulla sua guancia, in una carezza così delicata da assomigliare al battito d’ali di una farfalla. “Sono felice di morire tra le tue braccia. Non ho più paura, sai? Non riesco nemmeno ad essere triste. Perché adesso so che la vita può essere ingiusta e crudele, ma mai inutile. Dopotutto, mi ha portato da te. Ecco perché sono su questo pianeta, in questo tempo. Adesso lo so. Per molti più anni di quanti non ne abbia vissuti, ho continuato a precipitare dall'orlo di un luogo immenso e altissimo. E in tutti questi anni, precipitavo verso di te.” Kunzite sentì il suo respiro farsi più debole, sempre più debole, e chiuse gli occhi palpitanti di lacrime non versate, e lo baciò, cercando di riportarlo indietro. 

Lo baciò e tenne le labbra contro le sue finché i loro respiri si mescolarono e le lacrime che sgorgavano dai suoi occhi diventarono sale sulla pelle di Zoisite. 

Quando Zoisite parlò di nuovo, la sua voce era poco più di un debole sussurro. “Raccontami qualcosa di bello.” 

E così Kunzite gli raccontò la storia di due persone che si erano odiate ferocemente quando si erano conosciute, ma che presto avevano scoperto di essere le sole due anime al mondo in grado di capirsi. 

Dei litigi, delle risate, dei brividi, dei sogni che avevano vissuto insieme. 

Disegnò un intero mondo per lui, un mondo in cui lui era la persona che aveva sempre desiderato essere, un mondo in cui lui era sano e poteva ancora correre con i capelli sparsi nel vento.

Un mondo in cui sarebbero invecchiati insieme. Un mondo in cui il loro amore sarebbe durato in eterno. (Ma il loro amore, si rese conto Kunzite, non era destinato ad essere eterno. Quel sentimento che provavano l’uno per l’altro non era destinato ad invecchiare, a sfiorire, a consumarsi attraverso il tessuto del tempo. Era una fiamma violenta, che aveva bruciato troppo intensamente e si era spenta troppo presto.)

Dipinse il mondo che Zoisite aveva creato per lui, pieno di colori ed emozioni. 

Gli raccontò qualcosa di bello.

Il tempo rallentò, e si fermò.  

Kunzite continuava a sussurrare tra i suoi capelli, e Zoisite lo ascoltava in silenzio.

Non interveniva, non faceva commenti ironici e pungenti come avrebbe fatto di solito. 

Di tanto in tanto annuiva, il capo contro il suo, e mormorava o emetteva un debole suono, forse per esprimere compiacimento davanti a un altro piacevole ricordo. 

Poi si sporse verso di lui, sfiorando le sue labbra con le proprie, sorridendo debolmente contro la sua bocca. 

 “Ti ho sempre amato, Kunzite. E continuerò ad amarti per sempre… ovunque sarò.” 

Kunzite avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole sembravano incastrate sul fondo della gola. Eppure c’erano così tante cose che voleva dirgli…

 

“Grazie per l’amore che mi hai dato, quell’amore che non ho mai avuto, quell’amore che non ho mai pensato di meritare. So di non esserne mai stato degno, ma te ne sono così grato, ti sono così grato di aver creduto che io meritassi di essere amato. "Grazie per avermi fatto ridere, grazie per avermi fatto tremare, per i tuoi capricci infantili che mi facevano sorridere, per i bronci che mi divertivo a cancellare con un bacio, per i balli sotto la luce della luna, per le notti passate a unire i nostri corpi e le nostre anime.” “Scusami per averti ferito. Scusami per i baci che non ti ho dato, per le carezze che non ho saputo regalarti, scusami per non essere stato capace di amarti come meritavi.”

“Tu mi hai fatto credere nella felicità. Continuo a chiedermi se invece io sono stato capace di renderti felice…”

“Ti amo, Zoisite. Perdonami per non avertelo detto prima.

Sei stato l’unico.

Non ho mai amato nessuno prima di te.

Mai nessuno dopo di te.” 

“Non riesco a ricordare com’era la vita prima di te, e non riesco a immaginare una vita in cui non ci sei. Ti prego, resta con me.”

 

 

 

Invece rimase stupidamente in silenzio, a guardare Zoisite che moriva davanti ai suoi occhi, senza poter fare niente per impedirlo.

Incapace di salvarlo, incapace di amarlo, incapace di continuare a vivere senza la sua presenza.

Abbandonò le sue cupe riflessioni quando si rese conto che Zoisite stava cercando di dirgli qualcosa.

Portò una mano sotto la sua nuca, sollevandolo piano e appoggiandolo delicatamente contro il suo petto. “Kunzite…” La sua voce era un mormorio roco, il suo respiro sempre più affievolito, constatò con sgomento. La sua mano tremò mentre si sollevava, aggrappandosi disperatamente ad un lembo della sua camicia. “Posso chiederti un ultimo favore?”

Kunzite lottò per mantenere ferma la propria voce. “Cosa?”

“Voglio morire in un posto bellissimo.” Zoisite sorrise debolmente, un luccichio dorato nel suo sguardo perso in un ricordo felice.  “Portami nel cortile di ciliegi.”

Senza dire una parola, Kunzite lo sollevò tra le sue braccia, avvolgendo il suo corpo con i lembi della sua giacca per proteggerlo dal vento freddo della sera e lo condusse all’esterno, in quel luogo che era stato testimone del loro primo duello e poi del loro primo bacio, del loro odio e dello sbocciare del loro amore.

Era uno spettacolo bellissimo: dai ciliegi in piena fioritura cadevano piccoli petali rosa che si depositavano sull’erba creando un soffice tappeto variopinto ai loro piedi.

Kunzite lo adagiò in mezzo ai fiori profumati, continuando a stringerlo in silenzio. 

Zoisite aprì gli occhi, che aveva tenuto chiusi fino a quel momento, e nel suo sguardo brillò un bagliore di gioia. 

La sua mano si allungò a raccogliere un petalo, che si adagiò delicatamente sul suo palmo. “Sono così belli… grazie per aver esaudito il mio ultimo desiderio…” 

 

No, non andare via, non lasciarmi solo…

 

Senza rendersene conto Kunzite intensificò la sua stretta, serrando le braccia intorno alla schiena del suo piccolo Zoisite come se avesse paura che potesse svanire tra le sue dita.

“Kunzite?” La sua voce era infinitamente piccola, il suo sguardo lucido di lacrime e di paura. “Ci rivedremo, non è vero?”

Kunzite non aveva mai creduto al Paradiso, alla reincarnazione o a qualsiasi altro tipo di aldilà. 

Era troppo razionale per credere che esistesse qualcosa, qualsiasi cosa, dopo la morte. Ma in quel momento scelse di crederci, perché l’alternativa, il pensiero di separarsi per sempre da Zoisite, era davvero troppo crudele.

Si sforzò di sorridere anche se sapeva perfettamente che era una bugia. “Saremmo di nuovo insieme, un giorno.” Gli strinse la mano, e lui ricambiò il sorriso, il suo volto illuminato di speranza. 

“Ti aspetterò, Kunzite.”

E poi la sua mano cadde inerte lungo il fianco e i suoi occhi divennero vuoti.

Il sorriso era ancora impresso sulle sue labbra.

Kunzite portò una mano tremante sul suo volto, abbassando delicatamente le sue palpebre. Sembrava che stesse soltanto dormendo, immerso in un bellissimo sogno.  

La sua pelle era ancora calda, ancora profumata di fiori di ciliegio, e quel volto, quel volto che una volta era stato così vivo, imbronciato, arrabbiato, piangente, disperato, sorpreso, ridente, arrossato e anelante i suoi baci, ora era disteso in un’espressione di immutata serenità, le palpebre abbassate, freddo e immobile per sempre.

Zoisite, semplicemente, non c’era più.

 

 

 

**

 

 

Kunzite non sapeva esattamente come si era ritrovato in giardino, né riusciva a ricordare quanto tempo era passato da quando Zoisite semplicemente aveva smesso di esistere, lasciandolo lì, solo in quella casa fredda come una tomba, buia e silenziosa, senza nemmeno più lacrime da versare, ricordando tutte quelle piccole cose che che facevano parte di Zoisite, senza sapere come potrà lasciarlo andare, come potrà lasciare che tutte quelle piccole cose così importanti vadano perdute, perché lui era importante.

(Lui che credeva di non avere coraggio, lui che sorrideva di un sorriso vero, lui che leggeva romanzi d'amore, lui che attorcigliava una ciocca di capelli intorno all’indice quando era pensieroso, lui che era bello, lui che amava i fiori di ciliegio. Lui lui lui, solo lui).

Kunzite alzò lo sguardo verso il cielo, verso le stelle che lo osservano dall’alto, dalla loro posizione privilegiata, chiedendosi se da lassù gli uomini sembrassero solo piccoli soldatini di stagno, se le loro morti fossero giochi di bambini per loro, se il suo dolore fosse lontano tutti gli anni luce che li separavano.

Per un attimo, gli parve quasi di sentire la sua voce, e il dolore si fece ancora più forte di quello che era già, come non credeva fosse possibile.

Forse è lì che andiamo. Quando moriamo.

“Dietro al cielo, dicevi. Sei lì, Zoisite?” Parlava come se lui fosse ancora lì accanto a lui, seduto sull’erba, come se potesse rispondergli.

Se gliel'avesse detto allora, forse non avrebbe fatto così male, o forse sarebbe stato ancora peggio, anche se Kunzite non sapeva come fosse possibile sopportare un dolore peggiore di quello che stava già provando, peggiore di quello strazio animale che gli distruggeva l'anima e il cuore, facendogli  desiderare di non averlo, un cuore, di non averlo mai scoperto, quello che chiamano amore.

Mi senti?

Avrebbe voluto gridarlo, ma alla fine non lo mormorò neppure.  

Se solo fosse stato forte come lui, avrebbe stretto i denti e non l’avrebbe detto, non avrebbe mai confessato quello che avrebbe dovuto dire a lui a quel mucchio di punti di fuoco e vento e polvere che si muoveva nell'aria.

Ma non lo era, e così lo disse.

“Ti amo.” E dopo averlo detto la prima volta continuò a ripeterlo, come se continuando a farlo potesse ricevere una risposta.

Aveva persino ancora lacrime da versare, singhiozzi  brevi e secchi come spari, che facevano male proprio come spari.

Kunzite non sapeva per quanto tempo era rimasto lì a fissare il cielo-abbastanza da diventare insensibile al freddo e lasciarsi congelare le labbra con ancora il sapore del sale impresso addosso. 

Ma il cielo non era cambiato, era sempre lo stesso, sempre lo stesso che aveva visto con lui.

Quando finirono anche le lacrime si rialzò, preparandosi ad affrontare un’altra giornata senza di lui. 

Lo disse solo un'ultima volta, solo per sicurezza.

Solo un'ultima volta, e poi forse avrebbe potuto lasciarlo andare veramente, forse un giorno ci sarebbe davvero riuscito.

Ti amo.”

Quando decideva di crederci, a Kunzite piaceva pensare che Zoisite lo stesse aspettando. 

Aspettami ancora un po’.

C'è un posto, oltre questo mondo, dove non esiste oscurità, dove regnano solo pace e felicità, un luogo privo di odio e dolore, in cui potremo avere il tempo che non abbiamo avuto in questa vita, in cui potrò essere sicuro che non mi lascerai mai.

Incontriamoci lì, amore mio.

Aspettami lì.

 

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