Tradizioni nostrane nel bosco incantato

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La gatta e l'abete ***
Capitolo 2: *** Uniti dalla dolcezza ***
Capitolo 3: *** La stellina dello spettacolo ***
Capitolo 4: *** Pericolo nel gelo ***
Capitolo 5: *** Il ballo della discordia ***
Capitolo 6: *** Aver fede nell'amore ***
Capitolo 7: *** Il vecchio, le renne e le bimbe ***
Capitolo 8: *** La stanza magica ***
Capitolo 9: *** Ladra di regali ***
Capitolo 10: *** Shopping natalizio ***
Capitolo 11: *** Dolce vittoria ***
Capitolo 12: *** La festa scomparsa ***
Capitolo 13: *** L'isola nel bianco ***
Capitolo 14: *** Miss Grinch ***
Capitolo 15: *** Capricci da pixie ***
Capitolo 16: *** SOS nella neve ***
Capitolo 17: *** Finta quiete e altri danni ***
Capitolo 18: *** L'albero d'amori e addii ***
Capitolo 19: *** Il viaggio dei sentimenti ***
Capitolo 20: *** Red il viaggiatore ***
Capitolo 21: *** Febbre natalizia ***
Capitolo 22: *** Matrimonio sulla neve ***
Capitolo 23: *** Dubbi e doni ***
Capitolo 24: *** Fata sul ghiaccio ***
Capitolo 25: *** Giorni di neve ed eterno amore ***
Capitolo 26: *** Natale al cioccolato ***



Capitolo 1
*** La gatta e l'abete ***


Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
Tradizioni nostrane nel bosco incantato
 
Capitolo I
 
La gatta e l'abete
 
Era di nuovo giunto l'inverno, e al sicuro nella sua casa, Kaleia non dormiva, ma al contrario si era svegliata di buon umore. Inspirando a pieni polmoni, sentì il calore dei timidi raggi del sole sulla pelle, e guardando fuori dalla finestra, scorse uno scoiattolo. Era il suo piccolo amico Bucky, che aveva scelto di arrampicarsi fino al davanzale per salutarla. Nel farlo, le saltò sulla spalla con l'agilità che era solita caratterizzarlo, e squittendo debolmente, la guardò con i suoi occhietti scuri e scintillanti. La fata scherzava nel dirlo, ma a volte era come se il suo animaletto riuscisse a parlarle. "Ti manca soltanto la parola." Gli aveva detto più volte, non dimenticando mai di regalargli qualche piccola e sporadica carezza sotto al mento. Per tutta risposta, lo scoiattolo si rilassava istantaneamente, emettendo uno squittio diverso, più basso e soffocato, e in tutto simile alle fusa di un pigro e grasso gatto domestico. Avendo vissuto gran parte della sua vita nella foresta, non ne aveva visti molti, con l'unica eccezione di Willow, aggraziata felina appartenuta alla sua amica Marisa. Anche se a malincuore, aveva dovuto separarsene dopo aver scoperto le condizioni in cui versava per colpa di sua madre Zaria, malvagia strega dedita alla magia. Ad ogni modo, e per sua grande fortuna, Kaleia si era offerta di tenerla con sè per salvarla dalle angherie della donna, con la promessa di far dimenticare alla povera bestiola il dolore, la paura e i pericoli della vita in una casa come quella in cui aveva vissuto in precedenza. Adottata quando non era che una palla di pelo della stessa grandezza di un fagiolo, aveva vissuto fra la fame  e i maltrattamenti, finchè la giovane fata della natura non le aveva aperto il suo cuore. Felice, Kaleia avrebbe voluto restare a letto a rilassarsi per il resto della giornata, ma ormai in piedi, si decise a dare inizio alle sue solite mansioni. Lei e il suo Christopher convivevano ormai da tempo, e nonostante abituarsi agli alti e bassi di una relazione come la loro, peraltro proibita dalla legge non fosse certo stato facile, alla fine ci era riuscita, e soltanto grazie ad uno smeraldo unito ad una buona dose di fiducia in sè stessa. Protettore o meno, Christopher restava il ragazzo dei suoi sogni, e in quella mattina d'inverno, sembrava avere una sorta di sorpresa per lei. Uscendo dalla stanza, si ritrovò nel salotto di casa, il cui grande e antico tappeto era letteralmente invaso da scatoloni di ogni tipo. Alcuni, più piccoli, erano tenuti vicini, e un altro molto più grande occupava il centro del salone. "Christopher, cos'è tutta questa roba?" chiese, giustamente confusa e ignara della seppur palese realtà che aveva davanti. "Un albero di Natale. È una tradizione umana, lo so bene, ma ti andrebbe di decorarlo con me?" rispose il ragazzo, indicandole con un gesto l'abete ancora incartato e in attesa di prendere vita. Inizialmente, Kaleia non proferì parola, ma il sorriso sulle labbra del suo amato le sciolse il cuore, e avvicinandosi, gli strinse le mani. "Certo. Certo che mi andrebbe, mio custode." Rispose soltanto, per poi sorridere ancora e non chiedere che un abbraccio. Innamorato, Christopher non osò negarglielo, e ben presto i due si ritrovarono vicini, l'uno fra le braccia dell'altra. Un dolcissimo bacio completò quel momento, e non appena si staccarono per respirare, fata e protettore tornarono ad essere sè stessi, pronti a riempire di luci e festoni quell'albero all'apparenza smontabile come un giocattolo. Lenta e metodica, Kaleia vi girava attorno, cercando di volta in volta i punti adatti per inserire i vari rami, pungenti e rigidi al tatto. "Mi stai dicendo che ne esistono di finti, e che voi umani ne piantate in casa uno ogni anno?" fu l'ovvia domanda della fata, dopo un'altra manciata di secondi passata a costruire quell'ormai famoso abete natalizio. "Sì, e non è la nostra unica tradizione. Le persone si scambiano anche dei regali, e trascorrono il tempo insieme, anche dopo i preparativi." Fu svelto a dirle Christopher, sforzandosi per raggiungere il punto più alto e ostico dell'albero. Volendo aiutarlo, Kaleia mosse ad arte le dita affusolate, restando calma e concentrata finchè non lo vide levitare. "Grazie, tesoro." Disse poco dopo il ragazzo, regalandole l'ennesimo sorriso pieno di luce. "Figurati, amor mio. Ora che abbiamo finito, c'è altro che posso fare?" rispose subito lei, stranamente divertita dai particolari di quella ricorrenza. "Sì, dovrebbe esserci qualche addobbo e dei gancetti lì sul tavolo, li appenderesti per me?" spiegò il ragazzo, pregandola di dare una mano a portare a termine quell'altrimenti arduo compito. Mantenendo il silenzio, Kaleia si limitò ad annuire, e facendo ciò che le era stato chiesto, prese in mano una manciata di gancetti di ferro, per poi avvicinarsi all'albero e appendere ognuno dei festoni con lentezza e mano ferma. Calma com'era solita essere, non si stupì di vedere fra questi alcune statuine raffiguranti degli angeli, o un vecchio dalla barba bianca e l'addome pronunciato, cosa che per qualche secondo la fece ridere, ricordandole i nani che erano soliti spargere perle di saggezza per tutta la foresta. "Sai, Christopher, forse tu ed io non siamo così diversi, non credi?" osservò, indietreggiando di qualche passo e spostando lo sguardo su di lui. "Hai ragione, fatina, ed è anche per questo che ti amo." Confessò lui in un sussurro innamorato, poco prima di stringerle ancora le mani e accarezzarle con dolcezza. Lasciandolo fare, Kaleia finì per arrossire, e insieme, i due innamorati si prepararono al momento che per loro era il più difficile e complicato, e in altri termini, il peggiore. Le palline. Certo, le luci e il resto degli addobbi era stato sistemato, ma quelle piccole sfere di plastica colorata erano state lasciate per ultime per una ragione precisa. Willow. Esatto, Willow. La loro gatta dal pelo nero come la pece e gli occhi di un colore che nessuno dei due aveva mai visto. Uno era azzuro, l'altro marrone, e nessuno ci credeva,  convincendosi solo vedendola. Da brava micia qual era, Willow condivideva le abitudini tipiche di tutti i felini come lei, incluso giocare con qualunque cosa trovasse, perfino la sua stessa coda. Ad ogni modo, quel giorno divertirsi da sola non le bastava, e dopo aver passato gran parte della giornata a dormire, si svegliò sentendo il fruscio dei finti rami dell'albero natalizia, aprendo gli occhi e scendendo dal divano per accucciarsi sul tappeto e guardare i due padroni finire di addobbarlo. Inzialmente, tutto parve andar bene, ma non appena quelle sfere colorate entrarono nel campo visivo della gatta, la situazione parve precipitare. Non volendo che divertirsi, si avvicinò alla ragazza, strusciandosi contro le sue gambe e muovendo con insistenza i rami più bassi, dondolando qualche pallina in modo giocoso. Sotto la sua insistenza, ben due caddero assieme ai gancetti a cui erano fissate, e seccato da quell'interruzione, Christopher fu costretto ad inseguirla per riprenderle, e a missione compiuta, rimetterle finalmente al loro posto. Sulle prime, la fata non diede peso alla cosa, ma non ci volle molto prima che la sola vista di quegli oggetti che rimbalzavano e rotolavano per l'intero pavimento sotto le zampe e gli artigli della gatta smettesse di andarle a genio. Così, decisa a terminare il lavoro senza altre distrazioni, Kaleia dovette scacciarla più volte, ma sfortunatamente, ogni tentativo si rivelò vano. Ad ogni modo, e dopo un tempo che nè lei nè il suo ragazzo furono in grado di definire, la sera scese sul bosco e sulla loro vita, e come distratta da qualcosa, la gatta sparì dalla loro vista. Rompendo il silenzio, i due innamorati trassero un sospiro di sollievo poco prima di tornare al lavoro, e appena pochi istanti dopo, anche un luminoso puntale trovò il suo posto sulla cima dell'albero che insieme avevano costruito. Lentamente, i minuti continuarono a scorrere, e quando il silenzio cadde nella stanza, i due si scambiarono un'occhiata d'intesa, meravigliandosi del risultato di un'intera giornata di lavoro. Di lì a poco, un abbraccio avvicinò i loro caldi corpi, e per qualche secondo non accadde più nulla, fatta eccezione per uno strano rumore che sembrò provenire sia dall'albero appena ultimato che dal corridoio alle loro spalle. Confuso, Christopher aguzzò la vista, e fu allora che la vide. Perfettamente mimetizzata e nascosta in quel verde così fitto e scuro, Willow, arrampicatasi fra i rami e sdraiatasi per riposare. A quanto sembrava, usare quei piccoli addobbi come giocattoli l'aveva lentamente privata delle sue energie, e spossata, aveva finito per crollare. Divertito da quella scena, il ragazzo rise, e così la fidanzata, che sospirando sconfitta, decise di lasciar correre, arrendendosi all'evidenza e capendo che nulla avrebbe separato la loro amata e ora dormiente gatta da quell'enorme abete.
 
 
 
Un caloroso saluto a tutti i miei lettori! Guardando la data della mia ultima "apparizione" nel sito, e poi quella di oggi, so bene che è passato molto tempo, ma mille impegni mi hanno privata del tempo utile a scrivere, quindi l'ho fatto solo quando ho potuto, e approfittando di alcun prompt ispiratori trovati online, dato vita a questa raccolta. Come ho scritto nell'introduzione, un intermezzo natalizio con fate e umani come protagonisti, che spero davvero vi piaccia. Qui abbiamo l'accurata descrizione di cosa succede quando si ha un gatto in casa e si cerca di decorare un albero di Natale. Grazie come sempre di tutto il vostro supporto, con un grazie speciale che va ai lettori silenziosi. Non so quando riuscirò a portare a termine questo progetto, ma lo tenevo da parte da molto, e ho pensato fosse ora di iniziare a mostrarvelo. In ritardo rispetto a quando avevo previsto, ma meglio tardi che mai, vero? A presto, e grazie ancora,
 
Emmastory :)

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Capitolo 2
*** Uniti dalla dolcezza ***


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Capitolo II
 
Uniti dalla dolcezza
 
Kaleia. Un nome affatto comune, a cui rispondeva un solo essere magico. Una fata della natura, venuta al mondo in un bosco in cui creature a lei simili vivevano in armonia, supportate dalla benevolenza di un'intera comunità di umani, fossero questi avvezzi o meno al mondo della magia. Fra questi, spiccavano le piccole pixie Lucy e Lune con i loro genitori Isla e Oberon, la sua stessa sorella e fata del vento Sky, e ultimo, ma non certo per importanza, il suo caro Christopher. I due si erano incontrati per caso nel verde che circondava la vita della fata, e da quel momento, avevano trovato l'amore l'uno nell'altra. La loro poteva definirsi una vera e propria relazione stabile, nonostante la vera identità del ragazzo. Come pochi al mondo umano, profondo conoscitore della magia, diventato in breve tempo protettore della sua Kaleia. Come entrambi sapevano, problemi e peripezie non avevano fatto altro che intralciare il loro amore, ma stoici, entrambi avevano lottato per rialzarsi dopo ogni caduta, facendo valere quel sentimento che esseri umani e magici chiamavano allo stesso modo. Amore. Ma cos'era davvero? Per Kaleia, la risposta era semplice, e poteva essere unicamente collegata alla sua famiglia prima e al nome del suo fidanzato poi. Perdendosi nei suoi pensieri, si scopriva spesso intenta a sospirare tenendo le mani ferme sul davanzale della finestra, a sorridere sentendo il calore del sole sulla pelle, e a farlo anche quando non voleva, soltanto grazie al suo Christopher. Stavano insieme da circa due anni, e sin da quando avevano trovato un equilibrio fra i suoi poteri e la presenza del ragazzo nella sua vita, il loro rapporto era cresciuto, diventando perfino più forte. Ben presto, la soluzione assunse la forma di uno smeraldo che la ragazza portava sempre al collo, nascondendolo ogni notte sotto il cuscino o dentro a un cassetto. In molti non l'avrebbero mai capito, ma quel ciondolo era molto importante per lei, e non solo perchè era un regalo del suo Christopher. Proprio a detta del ragazzo, infatti, la gemma era per lei uno strumento capace di aiutarla a controllare i suoi poteri e il loro squilibrio, in quanto questa ospitava nel suo corpo una parte umana identica a quella magica. La sua anima era come divisa in due, e con ogni scompenso, lei finiva per svenire, perdere la memoria a breve termine o sanguinare dal naso. Tutti problemi a cui aveva imparato a far fronte anche da sola, ripensandoci mentre stava comodamente seduta sul divano della propria casa, che condivideva di comune accordo con il fidanzato. Sempre al suo fianco, le stringeva la mano senza dire una parola, ma attimi più tardi, un profumo già sentito la distrasse. A quanto sembrava, sua madre doveva aver messo sul fuoco della cioccolata calda, che finalmente pronta, iniziava a spargere il suo buon odore per tutta la casa. Alzandosi quasi controvoglia, Kaleia sciolse con dolcezza l'abbraccio che in quell'ozioso pomeriggio la legava all'amato, e scostando la propria mano dalla sua, si sporse per posargli un bacio sulla fronte. Spossato dagli allenamenti che l'aveva aiutata a compiere, dormiva beato, e sorridendo a quella sola vista, Kaleia sentì il cuore batterle forte nel petto, ricordandole ogni volta la profondità del suo amore per colui che la proteggeva. Allontanandosi, raggiunse la cucina, e con in mano un vassoio, tornò nel salotto. "Amore, svegliati." Pregò, parlando dolcemente e sfiorando la guancia del ragazzo. "Cosa? Tesoro, cosa c'è?" chiese quest'ultimo, aprendo gli occhi con non poca fatica e strofinandoli con lentezza. "Dai, vieni, non la senti? È cioccolata. L'ha fatta mia madre, non ne vuoi un pò?" rispose l'altra, divertita da quello stato di confusione unita a sonnolenza. Era strano, ma le piaceva sorprenderlo ogni volta, ed era felice di non vederlo mai arrabbiato con lei. Litigavano come tutte le coppie, ovvio, ma era così raro che nessuno dei due ne teneva conto. "Sì, dammi un attimo, arrivo." Replicò lui, sorridendole teneramente e prendendole la mano. Lasciandolo fare, Kaleia sentì le guance andare letteralmente a fuoco, e non muovendo foglia a riguardo, attese il suo arrivo nella cucina poco distante. Nell'attesa, andò a sedersi, trovando la sua cara gatta Willow addormentata sul cuscino di una delle sedie. Minuti dopo, Christopher fece il suo ingresso in scena, e vicini, i due innamorati osservarono il tramonto farsi sempre più vicino, concentrati sul volo di un uccello che spariva nel tetro imbrunire alla ricerca del suo nido. Silenziosi, sorseggiarono quella calda e scura bevanda tenendosi per mano come ragazzini alla prima cotta, addormentandosi solo alla sera, calmi, felici e pacificamente abbracciati. Il loro futuro era pieno d'incognite, ma una cosa era certa. Dati i loro trascorsi, anche qualcosa di banale come una semplice cioccolata calda poteva essere un pretesto per rafforzare il loro legame, poichè stando ai pensieri della giovane Kaleia, era come se i due fossero stati ancor più saldamente uniti da quella dolcezza.
 
 
 
Seconda storia, sempre nel periodo invernale delle feste natalizie. Corta e semplice, racconta un momento tenero e dolce fra la nostra fata e il suo amato protettore, come avete visto sempre innamorati e uniti dalla dolcezza di un'invitante cioccolata calda. Alla prossima one shot,
 
Emmastory :)

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Capitolo 3
*** La stellina dello spettacolo ***


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Capitolo III
 
La stellina dello spettacolo
 
Dopo una strenua battaglia durata per intere ore, la luce solare si era arresa alle tenebre della notte, cedendo alla luna e alle compagne stelle un posto nel cielo. In silenzio, l'oscurità era scesa sul bosco fatato e sul villaggio degli umani, e pian piano ogni abitante si era addormentato. Kaleia e il suo Christopher dormivano già da ore, e non potendo sopprimere un'abitudine presa con il tempo, lei stringeva il suo cuscino, dormendo con il sorriso sulle labbra. Colta dal freddo, cambiava posizione rigirandosi nel letto fino a trovarne una più comoda, e tirandosi le coperte fin sopra al mento, sperava di ritrovare il calore corporeo. Fallendo nel suo intento, finì per svegliarsi e rovinare i suoi stessi sogni. Non riusciva a spiegare perchè, ma una volta in piedi, capì che la sua agitazione non dipendeva dal freddo, avendo infatti radici del tutto diverso. Conoscendosi, sapeva di essere onesta con sè stessa e con gli altri, nonchè largamente realista a causa del dolore provato e del resto dei suoi trascorsi, ma nonostante tutto, la sua vita era sempre stata caratterizzata da una buona dose di ingenuità. Non era stupida, ovvio, solo una gran sognatrice. Non lo diceva, ma era proprio quella la ragione per cui si alzava dal letto ogni mattina, vestendosi in fretta e correndo subito fra l'erba. Era adulta, ma la fanciulla che era in lei non era mai svanita, e così, con ogni ciclo solare, sperava di vedere realizzato ognuno dei suoi sogni. Il più importante era diventato realtà nel momento in cui aveva posato gli occhi su Christopher, suo protettore e fidanzato. La legge magica era chiara, e in quanto diversi non avrebbero mai dovuto osare e intraprendere una relazione romantica, ma allo stesso tempo le fate più anziane erano dalla sua parte, pronte a difenderla e a insistere nel dire che la complicità che si crea fra un protettore e la sua fata era quanto di più bello e magico potesse esistere. Con quel pensiero in testa, la giovane fata viveva la sua vita in ogni giornata che la componeva, e di tanto in tanto, lasciava che i suoi pensieri galleggiassero come barchette di carta nell'acqua del lago che era solita visitare, sorridendo ogni volta che la sua piccola amica Lucy le tornava alla mente. A sette anni, era matura per la sua età, e più il tempo passava, più Kaleia diventava orgogliosa di lei. Ovvio era che gli eventi nella sua vita l'avessero costretta a crescere prima del tempo, principalmente a causa della sua sorellina Lune, sempre più vicina ai quattro anni e solo parzialmente capace di parlare ed esprimersi. Riusciva a farlo, ovvio, ma per pura sfortuna, o forse per un crudele scherzo del destino, non bene quanto la sorella maggiore. Pensandoci, Kaleia provava pena per lei, ma allo stesso tempo, un guizzo di felicità le attraversava mente e cuore ogni volta che la piccola le mostrava un disegno. Un sorriso, un cuore colorato di rosso, una torta di compleanno, qualunque cosa. Ad ogni modo, aveva altri pensieri in mente in quel momento. La recita. Sì, la recita. Sulle prime, non aveva davvero capito di cosa si trattasse, ma il suo Christopher era stato lì per lei, pronto a spiegarle che erano collegate al Natale e al modo che i piccoli avevano di vederlo, e che spesso gli adulti li coinvolgessero in canti o danze in onore della neve che cadeva lenta e della felicità che durante l'inverno si respirava assieme al freddo. Stando a quanto ricordava, il villaggio degli umani brulicava di vita e di bimbi, e quella sera, con la luna in cielo e una singola stella più brillante delle altre, nella piazza principale era stato allestito uno spettacolo apposta per i bambini, e data la loro vicinanza con il mondo fatato, la partecipazione era stata consentita anche alle pixie. Una delle fate più anziane aveva preso in mano le redini della situazione, aiutando i giovani partecipanti a provare le loro parti e indossare i loro costumi. Spinta dalla curiosità, Kaleia guadagnò l'uscio di casa, e uscendone, raggiunse la comunità di umani poco distante dalla propria, e una volta arrivata, rimase in disparte per non disturbare, osservando il fermento delle prove nella loro interezza. Ci vollero delle ore, e pur non muovendo un muscolo, la fata si sentì male nel vedere la sua giovanissima amica non avere altro che problemi con il suo ruolo. Era stata scelta per il più importante in tutto lo spettacolo, ma a quanto sembrava, nessuno aveva preso in considerazione la sua paura più grande. Spaventata, la piccola tremava nascondendosi il viso fra le mani, e fra una lacrima e l'altra, non voleva saperne di farsi avanti. "Lune, piccolina, è il tuo turno, forza." Provò a dirle la madre, regalandole un sorriso nel tentativo di convincerla. "N-No, non riesco." Si lamentò, tremante e con le lacrime a inumidirle gli occhi scuri. "Sì che riesci. Sei brava, hai fatto i provini." Continuò la donna, avvicinandosi e abbassandosi lentamente al suo livello. Nel farlo, le posò una mano sulla spalla, ma senza risultati. Affatto convinta, la bimba si ritrasse, e tenendo lo sguardo fisso sul selciato, per poco non cadde. Preoccupata, Kaleia le si avvicinò, e felice, la piccola corse ad abbracciarla. "Kia!" chiamò, sorpresa. "Lune, tesoro! Sono venuta a vederti, e so che puoi farcela, mi hai sentito? Puoi farcela." Le disse, imitando il gesto della donna che più l'amava e stringendola ancora a sè. "Io... io... stella." Rispose la bambina, abbassando il capo per mostrare la coroncina che aveva fra i capelli, abbinata ad un cappottino color argento. "Davvero? Allora è importante. Ti senti pronta?" chiese a quel punto la fata, guardandola negli occhi e indicandole il palchetto di legno alle sue spalle con un gesto della mano. "No." Fu la sola risposta della piccola, affatto contenta di mostrarsi alla folla di persone che intanto si era radunata nella piazza. Mantenendo il silenzio, Kaleia si fermò a pensare, e alzando lo sguardo verso il cielo, non vide che il buio. La recita natalizia sarebbe iniziata a momenti, e la sua amichetta non voleva prendervi parte. Un problema che agli occhi di un estraneo non aveva nè avrebbe mai avuto alcun peso, ma non ai suoi. Indecisa, la fata fece saettare lo sguardo in più direzioni, fino a incrociare quello dell'organizzatrice. Non la conosceva, ma a giudicare dalla contrita espressione che aveva dipinta in volto, un seme di preoccupazione doveva forzatamente essersi annidato nel suo animo fino a germogliare. Il destino dello spettacolo era nelle piccole mani di una bambina spaventata e riluttante, e a pochi minuti dall'entrata in scena, questa ancora non si decideva. "La conosci, aiutami." Mimò l'anziana con le labbra, pregando perchè Kaleia potesse fare qualcosa. Annuendo, la giovane si decise, e serrando i pugni con decisione, tornò a guardare la fatina. "Lune, ascoltami. Puoi davvero farcela. Lucy e la mamma sono con te, io sono con te. Abbi fiducia e provaci, mostra a tutti quanto sei forte." Quello fu il suo discorso, breve, conciso e pieno di verità, completato da un gesto che tutti i presenti intesero come simbolo di speranza. Calma com'era solita essere, protese una mano in avanti perchè la sua piccola attrice gliela stringesse, e da quel momento in poi, il silenzio cadde ancora, unendosi come ogni volta al freddo di quella sera d'inverno. Conoscendosi, la piccola sapeva di aver paura, ma fu guardando l'amica negli occhi che finalmente accettò la sua mano. Con uno sforzo che le parve immane, abbozzò un dolce sorriso, e finalmente pronta, le diede le spalle, per poi zampettare sui tre scalini che l'avrebbero condotta al palco. Felice e rilassata, Kaleia rimase dov'era, e godendosi ogni attimo dello spettacolo che aveva davanti, rivolse sorrisi d'approvazione alle due sorelline sulla scena. Insieme, Lucy e Lune ballavano tenendosi per mano su una finta lastra di ghiaccio, e mentre altri bambini le imitavano, ragazzini poco più grandi di loro si preparavano a leggere poesie e filastrocche scritte e ideate da loro, forse anche con l'aiuto dei loro genitori. Vicina alla fata, Isla fu vicina a piangere, e non appena le luci si spensero, la più piccola delle pixie prese coraggio, e avvicinandosi alla platea, un profondo respiro. Chiudendo poi gli occhi, sperò di farcela, e nella quiete generale, la sua angelica voce echeggiò nella piazza intera. A quanto sembrava, il suo mutismo aveva finalmente conosciuto la parola fine, e soltanto grazie ad una tradizione umana unita all'aiuto di una grande amica. Attimi prima, tutto sembrava perduto, ma alla fine la piccola Lune c'era riuscita. Aveva sconfitto le sue paure, e cantando di fronte ad un pubblico di essere magici e umani, era riuscita a riconquistare una parte di sè stessa. Dopo la fine di quella recita, il suo coraggioso gesto fu elogiato dalla folla e da altri visi amici, e per i giorni e le notti a venire, la bambina venne ricordata come coraggiosa stellina dello spettacolo.
 
 
 
Terzo capitolo, terza storia. Qui ritroviamo le due piccole pixie amiche della protagoniste, entrambe alle prese con una sorta di recita natalizia. Uno spettacolo per bambini ideato nella piazza principale del villaggio degli umani, che dato l'ormai conosciuto problema della povera Lune, rischia di andare a rotoli. Per loro fortuna non accade, e anzi, la bambina riesce a dominare le sue paure, e non solo a parlare, ma perfino a esibirsi e cantare. Anche questa molto semplice, ma molto divertente da scrivere,
 
Emmastory :)

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Capitolo 4
*** Pericolo nel gelo ***


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Capitolo IV
 
Pericolo nel gelo
 
Era la notte del santo Natale, e nella loro casa al limite del bosco, Isla e Oberon trafficavano per le stanze e i corridoi per decidere come addobbarla per la festa più bella e attesa dell'anno. Oltre al famoso abete natalizio pieno di luci e ornamenti, la loro dimora non mancava di mille altre decorazioni. Un tappeto bianco proprio sotto l'albero per simulare la presenza della neve ai suoi piedi, fiocchi di neve realizzati con la carta e appesi alle finestre, e teneri pupazzi vestiti di rosso occupati a penzolare praticamente ovunque. Da brava casalinga la donna aveva anche preparato dei biscotti. Dolcissimi omini di pan di zenzero, cucinati apposta per quell'occasione tanto speciale, lasciati a cuocere nel forno che presto li avrebbe scaldati dorandone la pasta e rendendoli morbidi e buoni come sempre. Ovvio era che ci sarebbe voluto del tempo, e che vicina al marito, attendesse. Per ingannare l'attesa, se ne stava seduta sul divano di casa accanto al fuoco acceso, ascoltando il silenzio il crepitare delle fiamme, eccellenti ballerine in mezzo alla grigia cenere. Soddisfatto del risultato ottenuto con le decorazioni, suo marito le stava accanto, ma contrariamente a lei, non diceva nulla. Non avrebbe mai voluto disturbarla, specialmente non durante la lettura di quello che la moglie considerava il suo libro preferito. Conoscendosi, sapeva che potendo avrebbe optato per una lunga passeggiata all'aria aperta con le proprie bambine, ma il freddo e la neve che scendeva lieta dal cielo non erano certo un invito a farlo. "Isla, amore?" chiamò, tacendo nell'attesa di una sua risposta. "Sì, Oberon?" disse subito lei, posandosi per un attimo il libro sulle gambe. "Non credi che accadrà di nuovo, vero?" azzardò allora l'uomo, incerto e dubbioso. Confusa, la moglie lo guardò senza capire, ma all'improvviso, un guizzo di memoria le saltò in mente. "Sei il solito esagerato, sai? Lucy e Lune sono solo bambine, è ovvio che credano ancora a Babbo Natale, così come lo è ciò che fanno." Spiegò, prendendo le difese delle due piccole pixie che amava e a cui aveva fatto il prezioso dono della vita. "No, non è per questo, è che... insomma, hai sentito le anziane, e non vorrei che il copione si ripetesse." Continuò l'uomo, più serio di prima, immobile e stoico nella sua posizione. A quelle parole, Isla ebbe un sussulto, e nello spazio di un momento, l'amabile sorriso che aveva in volto si spense, contorcendosi in una smorfia di rabbia e disappunto. "Se è a questo che alludi, allora non voglio parlarne. Sai quanto siano piccole e sensibili." Replicò, scattando in piedi come una molla e facendo cadere il libro che leggeva. Per il marito fu strano fu strano vederla reagire in quel modo, ma dal suo tono di voce si poteva chiaramente evincere una nota di dolore, nascosta dietro quell'improvviso scoppio di pura rabbia. "Tesoro, scusa, non intendevo..." biascicò in risposta, tentando di difendersi e cercando il suo perdono. "No, non se ne parla, e non chiamarmi in quel modo. Non finchè penserai ancora a certe cose." Fu l'ovvia risposta della donna, che diede poco prima di voltarsi e lasciare il salotto, ferita e arrabbiata. Non sapendo come reagire, Oberon rimase fermo dov'era, maledicendosi mentalmente per ciò che aveva appena fatto. "Perchè?" pensò. Perchè doveva sempre aprir bocca e rovinare i momenti perfetti come quello con notizie di quel calibro, capaci di far ribollire il sangue di chiunque fosse lì ad ascoltarlo? Non lo sapeva, ma in quel momento, l'unico vero copione a ripetersi era stato proprio quello. Senza volerlo, aveva litigato con la moglie, guardandola andar via e allontanarsi senza poter finire il discorso e dirle ciò che davvero pensava. In cuor suo avrebbe davvero voluto lasciar cadere l'argomento e godersi il Natale con la sua famiglia, ma come poteva con tutte quelle strane voci che circolavano per tutto il bosco spaventando grandi e piccini? In quel caso, e purtroppo per lui, la risposta era tanto semplice quanto avvilente. Non poteva. Era strano, e c'era da ammetterlo, ma a quanto sembrava, una figura misteriosa si aggirava per il bosco delle fate, portando con sè paura, dolore, sofferenza e morte. Soprattutto morte. In quanto uomo ormai adulto e padre premuroso, non desiderava altro che gioia per le sue due figlie, entrambe innamorate del periodo natalizio e della festa stessa, nonostante non facesse davvero parte delle loro tradizioni. Data la loro vicinanza al villaggio e alla comunità degli umani, molti esseri magici avevano finito per adottarla lasciando vincere dalla sua gelida bellezza, ma ora, dopo anni passati a celebrarla all'insegna della felicità, per Oberon questa aveva assunto un altro significato, e la colpa di ciò era unicamente imputabile a quella figura in mezzo ai boschi. Ascoltando le sue preoccupazioni a riguardo, molte persone avrebbero sicuramente alzato gli occhi al cielo, arrivando a considerarlo pazzo e ancora capace di credere alle leggende che circolavano come il ventro fra gli alberi, ma nonostante tutto, lui ne era sicuro. Troppe volte era uscito fuori casa, camminando sotto la neve con il resto della sua famiglia alla forse disperata ricerca di pace e quiete, e troppe volte era stato illuso, non ricevendo infatti che ambigui segnali da parte della natura stessa. Impronte sospette e dissimili dalle sue, strani bagliori di luce bianca e improvvisa, e poteva giurarlo, anche delle sinistre intagliature sui tronchi degli alberi. Pensandoci, aveva cercato assieme alla moglie delle spiegazioni razionali, fallendo miseramente in quell'intento e arrivando suo malgrado ad un'unica e affatto serena conclusione. Un umano. Esatto, un umano, ma non uno calmo e abituato alla magia come quelli che conoscevano e popolavano alle volte anche il bosco, ma un altro, completamente diverso dai suoi simili e dall'identità ancora sapientemente celata dietro quelle sinistre ma fugaci apparizioni. Sulle prime, gli era sembrato logico pensare ad uno dei tanti animali che spesso si trovava attorno, ma dopo un'attenta analisi degli indizi lasciati dal misterioso e losco figuro, la soluzione gli era apparsa davanti agli occhi. Per quanto ne sapeva, nessuna bestia, per quanto grossa e feroce, avrebbe mai potuto lasciare graffi di quel genere sulla corteccia degli alberi. Incisioni oscure e fin troppo precise, così tanto da sembrare chirurgiche. Così, con una pista su cui lavorare, l'uomo prese in prestito un libro dalla strega conosciuta come signora Vaughn, convincendosi definitivamente e riuscendo a dar valore alla sua tesi. Stando alle sue ricerche, infatti, scoprì di aver avuto ragion sin dall'inizio, e con sicurezza sempre maggiore, sacrificò anche il sonno per provare che qualcosa d'infausto si nascondeva nella selva. In breve tempo, la sera scese, e con il cielo così scuro da sembrare tinto di nero, rimase sveglio e seduto sul divano di casa, nonostante le incessanti richieste della moglie di raggiungerlo nel giaciglio matrimoniale e delle bambine, entrambe preoccupate per lui. "Non dormi, papà?" gli aveva chiesto Lucy, la più grande. "Fra poco, piccola." Si era limitato a rispondere, non staccando gli occhi dalla finestra del salotto, chiusa. "Aspetti Babbo Natale?" aveva poi continuato, azzardando qualche passetto verso il divano e un sorriso pieno di luce. Quasi ignorandola, l'uomo non aveva proferito parola, ma cedendo di fronte alla tenerezza della sua bambina, non aveva potuto far altro che sospirare, fingendosi sconfitto e colto in flagrante. "Qualcosa di simile." Quella era stata la sua unica risposta, data distrattamente e senza pesare in alcun modo ogni parola. "Allora... possiamo farlo anche io e Sunny?" si era affrettata a chiedere la piccola, incrociando i piedi e indicando con lo sguardo la coniglietta al suo fianco, che annusando alternativamente l'aria e il pavimento, sembrava storcere di continuo il nasino rosa. "Certo." Le aveva risposto il padre, regalandole un sorriso e posando una mano accanto al suo posto per invitarla a sedersi. "Grazie. Mi svegli se arriva? Quest'anno voglio vederlo." Pregò la dolce pixie, guardando il padre fisso negli occhi scuri come e forse più dei suoi. Mantenendo il silenzio, Oberon non aveva fatto altro che annuire, e ore dopo, nel buio più totale, un debole suono lo svegliò, scuotendolo dal torpore in cui era caduto. Confuso, l'uomo si alzò in piedi, e controllando il panorama fuori dalla finestra, non vide nulla, ad eccezione di una stupida roccia in mezzo alla neve. Quei piccoli colpi si protrassero colpendo il vetro per qualche tempo, ma chiudendo di nuovo gli occhi, si addormentò sperando di non disturbare la bambina, che la mattina dopo, fu la prima a svegliarsi. Nel farlo, si strofinò gli occhi ancora stanchi e cisposi, e stiracchiandosi come una gatta, fu meravigliata da ciò che vide. Il salotto di casa in perfetto ordine, la mamma già in piedi che preparava la colazione, e la sua coniglietta che le saltellava intorno, felice dell'inizio della nuova giornata. Poco dopo di lei, suo padre si svegliò sbadigliando, e stupefatto, non credette ai suoi occhi. Aveva passato un'intera notte a preoccuparsi per ciò che poteva nascondersi all'esterno, e al suo risveglio, tutto era normale. Confuso, dovette concedersi del tempo per riordinare le idee, e dopo un buon caffè, un sorriso e un bacio da parte di sua moglie, guardò le due figlie scartare i regali trovati sotto l'albero, decidendo solo allora che indizi o meno, qualunque cosa avesse visto avrebbe o non avrebbe potuto essere una serie di coincidenze, ma che in entrambi i casi, era meglio lasciare le investigazioni in mani esperte, godendosi il tempo che aveva con la famiglia e le persone a lui care. Così, con lo spuntar del sole, il bosco ebbe un mattino sereno e cordiale, anche se nessuno seppe mai davvero cosa aspettarsi dalle strane voci che correvano circa un pericolo celato dal gelo.  
 
 
Quarta storia di questa raccolta, che stavolta pone l'attenzione sulla famiglia di Lucy e Lune, e su come trascorrono il Natale, fra regali, tempo insieme e biscottini di pan di zenzero. Le piccole aspettano Babbo Natale, ma a quanto pare, il padre è in ansia per un motivo molto più sinistro. Grazie al cielo, pare si tratti solo di una leggenda, e ciò che conta in un giorno tanto speciale è trascorrere il tempo con chi si ama.

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Capitolo 5
*** Il ballo della discordia ***


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Capitolo V
 
Il ballo della discordia
 
Lento, il tempo scorreva senza sosta, non mostrando la minima cura per ognuna delle sue creature e lasciandole al mondo sole e incapaci di difendersi. In piedi di buon'ora, e per pura fortuna, Kaleia non era tra queste. Inutile era dire che non aver mai conosciuto i propri genitori fosse per lei motivo di profonda tristezza, e che anche se poteva affermare di aver continuato a vivere superando la loro perdita, il dolore restava, fermo in lei come un chiodo fisso. In fin dei conti, alla giovane età di circa vent'anni, era una fata adulta a tutti gli effetti, un essere magico come tanti altri nel bosco in cui viveva, che dopo un periodo di assoluta solitudine trascorso assieme a Sky, sorella maggiore e compagna di mille momenti di puro sconforto, aveva trovato in lei una grande amica e una confidente, una vera ancora di salvezza a cui aggrapparsi per restare a galla nel mare delle sue insicurezze. Più piccola di lei di due anni, aveva passato ore a vagare nella foresta, tenuta in braccio proprio da lei, che nel buio e nel silenzio, piangeva. Da allora più di un decennio era scomparso dalle loro rispettive vite, ma nonostante questo non esisteva giorno in cui entrambe non pensassero a come la loro vita avrebbe potuto essere in circostanze differenti. Ogni volta che accadeva, mestizia e stanchezza morale tornavano a farsi sentire, fino al giorno in cui le due, sole in quella verde e rigogliosa foresta, non incrociarono lo sguardo di un'umana di nome Eliza. Per quanto ne sapevano, gli umani avevano una comunità tutta loro appena fuori dal bosco, e proprio per quello non si spingevano mai oltre la soglia di casa per esplorare la selva, ma a quanto sembrava, Eliza era diversa, e animata da una sorta di voce interiore, aveva preso con sè le due piccole pixie, promettendo loro una vita diversa dall'addiaccio. Da quel momento in poi, le bambine ebbero una famiglia, trovando nella brava e gentile donna una madre e più avanti l'unica capace di comprenderle nonostante le loro differenze. Loro erano fate, lei una semplice umana, ma durante la loro crescita, tale dettaglio finì per passare in secondo piano, soppiantato dal battito di tre cuori e da un grande, grandissimo amore materno. Ad ogni modo, e se per la più matura Sky crescere fu decisamente più faticosa, per la piccola Kaleia ogni giorno di vita non fu che un'avventura, che anche in età adulta, si sforzava di vivere con l'ottimismo e la serietà che la caratterizzavano. Sincera, non dimenticava mai valori come l'onesta e la perseveranza, virtù che trasmetteva ovunque andasse e principali motivi per cui ogni essere attorno a lei, magico o umano che fosse, riuscisse a trovare la felicità che un tempo credeva persa. Ancora giovane, non conosceva appieno i suoi poteri, ma ad ogni modo, era sicura di una cosa. Il segno a forma di foglia sul suo polso non era certo stato voluto dal caso, e lei era una fata della natura. Una delle tante lezioni che aveva appreso da fate più anziane ed esperte di lei, e che ogni volta le tornava in mente, facendola sorridere. Ricordava ancora il momento in cui sentì quelle parole per la prima volta, e nonostante non fosse in alcun modo capace di prevedere il futuro e le sue avversità, era mortalmente certa che non le avrebbe dimenticate. In breve, ogni fata degna e meritevole di rispetto ne portava uno, e questo, rendendo ognuna di loro consapevole di sè stessa e delle loro capacità, simboleggiava in qualche modo la connessione con il mondo attorno a loro, in perfetta sincronia con gli usi e le abitudini umane. Come se ciò non fosse abbastanza, presto o tardi altri individui facevano la loro comparsa nelle loro vite, e tutti con lo stesso obiettivo, ovvero aiutarle a conoscersi ancor più a fondo e sviluppare al meglio i loro poteri. Essi assumevano il nome di protettori. Nessuno sapeva davvero se l'incontro di ogni fata con il proprio fosse o meno dettato dal caso, ma nonostante tutto, tale avvenimento tendeva a segnare la vita della fata stessa, portandola con il tempo a sviluppare un legame più solido della roccia. Così, Kaleia aveva incontrato il suo Christopher, umano saggio e di buon cuore avvezzo alla magia, disposto ad aiutarla sin dal primo giorno. Uniti in quella sorta di missione, i due avevano trascorso un intero anno ad approfondire il loro rapporto fra una sessione di allenamento e l'altra, e con il tempo, la ragazza aveva iniziato a prendere coscienza dei propri sentimenti verso il protettore. Conscia della pericolosità che avrebbe potuto derivare da quel tipo di legame, aveva prontamente cercato di trattenersi, ma purtroppo o per fortuna, come molti direbbero, senza successo. Sveglia da poco, la giovane fata sedeva sul letto della propria stanza, e con quei pensieri a galleggiarle in testa come bollicine, si decise. Il freddo vento che spirava appena fuori dalla sua finestra non le avrebbe certo giovato, ma non badandoci, guadagnò la porta di casa, e uscendone, si incamminò per il bosco alla volta del villaggio degli umani. Stando ai suoi ricordi, il suo Christopher viveva proprio lì, e volendo accompagnarla, sua sorella Sky si unì a lei. Insieme, le due fate camminarono a lungo, fermandosi alla vista del grande arco in fiore che invitava i viandanti a varcarne le porte. Giunta a destinazione, Kaleia mosse alcuni passi in avanti, meravigliandosi poi di come numerose lanterne di colori diversi brillassero nel buio. Fermandosi a pensare, ricordò di averle in realtà viste più volte, e continuando ad esplolare la piazza principale di quella così amena e ridente comunità, lo vide. Christopher, il suo Christopher, tremendamente vicino ad un'altra ragazza, e impegnato con lei in quella che i suoi occhi riconobbero come una danza popolare. In quanto fata ed essere magico, era ancora estranea alla tradizioni umane, ma a giudicare dalle espressioni di felicità dipinte sul volto di entrambi, doveva essere divertente, e forse anche troppo per i suoi gusti. Data la neve che avevano intorno, il grande albero decorato al centro della piazza e la chiara e respirabile aria di festa, una parte di lei avrebbe voluto evitare conclusioni affrettate, ma nonostante tutto, la sola consapevolezza di quel ragazzo con qualcuno di diverso da lei fu troppo da sopportare. Cos'aveva quell'altra che lei non avesse? Apparentemente nulla, ma a quanto sembrava, molto di più, come magnifici capelli neri e uno sguardo color speranza uguale al verde che la circondava. Notandola, Christopher mise fine alle danze con la sconosciuta al solo scopo di scusarsi con la povera ragazza, ma Kaleia aveva visto ogni cosa, e che si trattasse di realtà o finzione, ormai era troppo tardi. Da quel momento in poi, qualcosa in lei si spezzò, e una strana stretta all'altezza del cuore le bloccò il respiro. Aveva raggiunto quel villaggio per una sola ragione, ma quella vista sembrava aver vanificato i suoi sforzi, e ferita, diede le spalle al ragazzo che amava e sapeva di amare. Distrutta, la giovane non seppe cosa dire, e voltandosi fino a non avere davanti altro che il selciato, scelse di mettere quanti più passi possibili fra lei e il ragazzo. Come aveva potuto? Con che coraggio l'aveva ingannata in quel modo? Che significato avevano avuto allora tutti i sorrisi e le occhiate che si erano fugacemente scambiati, gli abbracci in cui si erano stretti e gli incoraggiamenti che lei aveva avuto la fortuna e il piacere di ricevere e ascoltare? Domande che torturarono la povera fata fino al ritorno a casa, e a cui nè lei nè la sorella riuscirono a trovare una vera risposta. Affranta dallo stato in cui versava, Sky tentò di confortarla, ma ogni suo sforzo si rivelò vano, e con la neve che intanto aveva iniziato a cadere, si rintanò nella sua stanza, ma non prima di aver scritto e consegnato un biglietto. "Mi spiace tanto, sorellina mia." Quattro parole che Kaleia lesse con le lacrime a inumidirle gli occhi stanchi, e le uniche che ricordò addormentandosi in quella gelida notte d'inverno. Dell'altra ragazza non seppe più nulla, salvo poi aprire gli occhi e maledirsi mentalmente nello scoprire che questa era in realtà Leara, innocente sorella del suo amato Christopher e dama in quello che la fata battezzò ballo della discordia. 
 
 
Velocissimamente, arrivo alla storia numero cinque, e qui si ha una specie di salto indietro nel tempo, a quando Kaleia aveva appena incontrato Christopher, ma non aveva avuto il coraggio di rivelargli i suoi sentimenti. Come avete visto, approfitta di una festa al villaggio umano per farlo e togliersi quel peso dal cuore, ma vedere il ragazzo che ama ballare con un'altra è decisamente troppo per lei. Passo alla sesta, ma intanto grazie per aver letto fin qui,
 
Emmastory :) 

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Capitolo 6
*** Aver fede nell'amore ***


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Capitolo VI
 
Aver fede nell'amore
 
Scorreva il tempo, e con esso, arrivava l'imbrunire. Sempre più vicino, sporcava il cielo di tinte sempre più scure, che pian piano prendevano il posto delle chiare sfumature del mattino. Stanco quanto gli abitanti del bosco, anche il sole si stava ritirando, pronto al suo ormai solito letargo dietro ai monti, ma al contrario di sua sorella Kaleia, gioiosa e pimpante, Sky non sembrava aver voglia di far nulla. Annoiata, guardava la neve cadere lenta appena fuori dalla finestra, osservando come in silenzio arrivasse saltuariamente a sfiorarne il vetro a causa del vento che continuava a soffiare. Se ne stava così, seduta nel salotto di casa con quella del suo fido merlo Midnight come unica compagnia. Perfino più calmo della padrona, il volatile non osava aprir becco per paura di adirarla, accennando piccoli movimenti del capo al solo scopo di pulirsi le piume color pece. "Hai davvero intenzione di restare lì tutto il giorno? Preparati!" le disse la sorella, che già pronta per uscire di casa, con un ombrello e un giaccone pesante, indicava con il solo uso dello sguardo la porta ancora chiusa. "Per cosa? Nevica e fa freddo, non avrebbe alcun senso." Rispose l'altra, lamentandosi e incrociando le braccia come una bimba capricciosa. "Ma per la messa, ovvio! Oggi è Natale, e le fate del vento come te non hanno problemi con questo tempo, forza!" continuò Kaleia, testarda e per nulla intenzionata a lasciar cadere l'argomento. Per tutta risposta, il merlo gracchiò una sola volta, dando a quel verso un evidente tono di stizza. "Ho detto di no, e Midnight si ammalerebbe, quindi non se ne parla." Insistette Sky, decisa e irremovibile nella sua posizione. "Sky, andiamo, non farmi ridere! L'ho visto volare in condizioni peggiori!" fu l'unica risposta di Kaleia, la cui pazienza nei confronti della sorella iniziava a scemare. Seppur affatto litigiose, le due continuarono a battibeccare, e non riuscendo più a sopportarle, Christopher fece il suo ingresso nella stanza. Non avrebbe incolpato la fidanzata, ovvio, ma a quanto sembrava, Sky proprio non voleva convincersi, ragion per cui era meglio ignorarla, lasciandola sola e in compagnia del suo volatile dalle ali nere. "Kaleia, amore, lasciala stare. Se non vuole non possiamo obbligarla, ora sbrigati, o faremo tardi." Le disse infatti, sorridendole e avvicinandosi per abbracciarla e stringerla a sè. "Arrivo, tesoro." Rispose subito la fata, dimenticando in quell'istante la pesantezza della situazione appena conclusa. "Brava la mia fatina." Disse allora il ragazzo, pronunciando quelle parole in un sussurro innamorato, preludio di un bacio sulla guancia di colei che amava. Colta alla sprovvista, Kaleia finì per arrossire, e poco prima che lei e il suo Christopher uscissero, le venne un'idea. "Sai una cosa, Chris? In fondo hai ragione. È una scelta tutta sua, quella di non seguirci e vedere Noah." Disse infatti, lasciando che un sorriso le increspasse le labbra mentre già pregustava la reazione della sorella. A sentire quel nome, Sky scattò in piedi come una molla, e colto alla sprovvista, Midnight quasi perse l'equilibrio cadendo dalla sua spalla, e dovendo sforzarsi per mantenerlo, muovendo freneticamente le ali scure. "Noah?" chiese, facendo eco alla sorella minore e andando subito alla ricerca di uno dei tanti specchi presenti in casa. Certa di non avere alcun motivo per uscire, non si era mossa da quel divano se non per bere o mangiare qualcosa, ma la sola presenza del suo fidanzato nella chiesa poco distante da casa bastava a motivarla. La foresta non ne aveva una, ma stringendosi nelle spalle, la ragazza sceglieva ogni volta di non darvi peso. Così, finalmente in piedi, fece del suo meglio per dare un verso ai capelli spettinati e rovinati dal costante battito d'ali dell'amico piumato, e non appena fu pronta, i quattro uscirono. Prima che potessero farlo, uno squittio proveniente dal corridoio li distrasse, e voltandosi, Kaleia riconobbe nell'ombra il suo piccolo Bucky. Non voleva restare solo, così, correndo per tutto il corridoio, pregò la padrona di portarlo con sè. Ridendo divertita, la fata la raccolse da terra come era solita fare, afferrandolo per la collottola così da non fargli male, e finalmente, uscì. Il viaggio verso la chiesa non fu lungo, e all'arrivo, gli amici si accorsero di essere in perfetto orario per l'inizio della funzione, e c'era da ammetterlo, perfino in anticipo. Appena arrivate, le due sorelle presero posto ad una delle panche, e appena un attimo dopo, gli sguardi di Sky e Noah si incrociarono, e uno vide la gioia riflessa negli occhi dell'altra. Seppur lontani, i due si sorrisero, e sollevando una mano, Sky lo salutò cordialmente. Muovendo qualche passo nella sua direzione, il ragazzo tentò di chiamarla a sè, ma prima che potesse riuscirci, la funzione ebbe inizio. Silenzioso, il prete fece il suo ingresso nella chiesa, e aprendo un libro che nessuno di loro aveva mai letto, diede inizio a  una lettura, poi a un canto a cui gli altri fedeli si unirono. Imitando gli altri presenti, Kaleia e i suoi amici presero parte al canto, per poi scivolare nel silenzio di quel luogo di culto e unire le mani in preghiera. Quasi istintivamente, la fata lasciò che il suo pensiero andasse ai genitori, che proprio come la sorella non aveva mai conosciuto. Più calma di quanto non fosse mai stata, sentì che pregare la stava aiutando, e che in qualche modo la facesse sentire utile. Era strano a dirsi, ma nonostante lo scorrere del tempo, ci pensava ancora, immaginando per la vera madre e il vero padre un avvenire perfino migliore del proprio. Non li aveva mai conosciuti, ed era vero, ma ciò non significava che fossero scomparsi nel nulla. Attimi dopo, riaprì gli occhi che neanche ricordava di aver chiuso, e sedendosi, notò con piacere che la sorella aveva cambiato posto, raggiungendo passo dopo passo le braccia del ragazzo che amava. Al calar della notte, la celebrazione ebbe fine, e uscendo dalla chiesa, i quattro si guardarono intorno, ridendo sommessamente nel vedere come la cara Sky avesse ormai perso la cognizione di spazio e tempo, non avendo occhi che per il suo amato Noah. Non conoscendoli, molti dei partecipanti si fermarono a guardarli, ma Kaleia fu più veloce di loro, e allontanandoli con occhiatacce fulminanti, rivolse un sorriso e un pensiero alla luna. Lei e Sky avevano trovato una famiglia nella loro madre adottiva Eliza, e insieme, avrebbero potuto continuare a vivere la loro vita per quella che era, sapendo di potersi incoraggiare a vicenda e affrontare le difficoltà, mentre una sola certezza dimorava nei loro cuori. Dati i loro trascorsi, nulla sarebbe stato facile, ma anche nelle notti più buie e nei momenti peggiori, avrebbero sempre potuto aver fede nell'amore.  
 
 
Come promesso, arriviamo alla storia numero sei, che corta e semplice, mostra come Sky sia poco convinta delle abitudini umane e delle loro tradizioni, tanto da voler restare chiusa in casa con il suo merlo, almeno finchè il nome del suo ragazzo non la coglie di sorpresa. La conoscete, sapete quanto è innamorata, e stranamente, la sua sola presenza è abbastanza da convincerla a uscire di casa e raggiungere la chiesa più vicina, dimostrando di aver fede in sè stessa, nell'amore e in qualcosa o qualcuno più grande di lei. La prossima storia è pronta da un pezzo, quindi non perdo tempo, ma grazie ancora del supporto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 7
*** Il vecchio, le renne e le bimbe ***


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Capitolo VII
 
Il vecchio, le renne e le bimbe
 
La neve cadeva lenta, e chiusa nella sua cameretta, Lucy si divertiva con i suoi giocattoli e le sue bamboline, restando nel contempo seduta ad ascoltare assieme alla sorellina la rilassante musica di un carillon. Era della mamma, e una fatina come loro sembrava danzare a tempo con la musica, impegnandosi in una perpetua piroetta. Seduta sul proprio lettino, Lune dondolava le gambe osservando quella piccola scatola musicale, alzandosi solo qualche minuto dopo per pregare sua sorella di farla ripartire. Aveva ormai quattro anni, e perfino i suoi genitori non ne capivano il perchè, ma era come se quella melodia avesse un effetto calmante sulla piccola. Sempre sul tappeto, Lucy non si fece pregare, e girando lentamente la piccola chiave di cui l'oggetto era disposto, rimase ferma con le manine appoggiate alla scrivania, così da intervenire nel caso non avesse funzionato. Per sua fortuna tutto andò per il meglio, e in breve, quella dolce musica tornò ad allietare entrambe. Sveglie da poco, indossavano ancora ognuna la propria camicina da notte, e all'improvviso, smettendo di muoversi, la piccola Lune assunse un'espressione seria, che in un solo attimo le corrugò la fronte. "Cosa c'è?" chiese la sorella maggiore, preoccupata. Avendo circa tre anni più di lei, Lucy poteva affermare di conoscerla meglio, e non le costava ammetterlo, forse perfino meglio di sè stessa. Provando a spiegarsi, la pixie aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Frustrata, fu vicina a mordersi la mano, ma prima che fosse troppo tardi, sfogando la tensione sul proprio cuscino. A rabbia sfogata, la bambina tirò fuori da un cassetto un blocco da disegno, e armata di matita e foglio bianco, disegnò qualcosa, poi lo mostrò alla sorella. Un uomo grasso, vestito di rosso e dalla barba bianca, e appena sotto, un fiocco di neve e un punto interrogativo. "Natale?" diceva la scritta accanto al candido fiocco, impressa in quel foglio e in attesa di una risposta. Non sapendo cosa dire, Lucy non rispose, ma sorridendo, si fermò a pensare. I loro genitori incoraggiavano spesso la loro fantasia, e sin da quando le abitudini umane erano entrate a far parte della loro vita, avevano iniziato a farlo anche con le ricorrenze. Fra queste, proprio il Natale, che in tutta onestà, faceva sorridere qualunque creatura al bosco, fosse questa magica o umana. Lento e incurante come sempre, il tempo continuò a scorrere fra i giochi e le risate delle piccole, che insieme, lo trascorsero disegnando e mettendo in scena assurdi teatrini con i loro pupazzi, dando ad ognuno una voce diversa e più buffa della prima. Con l'arrivo della sera, la cena fu un appuntamento per la famiglia intera, e dopo aver consumato il pasto in silenzio, le bambine tornarono a giocare, stavolta nel salotto di casa. Sulle prime, la madre non volle disturbarle, ma ripensando agli incoraggiamenti sempre fatte alle figlie e ai loro sogni, lasciò che un'idea le balenasse in mente. Un singolo attimo scomparve quindi dalla sua vita, e uscendo dalla cucina, andò a bussare proprio alla porta della loro stanza. "Bambine!" chiamò, fra un colpo contro il legno e l'altro. "Sì, mamma!" rispose Lucy, mettendo a posto i suoi giocattoli e rialzandosi da terra. Nel farlo, prese la mano della sorellina, sorridendole e portandola con sè. "Vieni, Lune, forse è una sorpresa." Le disse, incitandola. Più piccola e fragile, Lune fece fatica a starle dietro, tanto che più di una volta rischiò di cadere, non tanto per la velocità, quanto per la gioia di scoprire cosa la madre avesse in serbo per loro. Così, le piccole attraversarono il corridoio, e giunte in salotto, fissarono lo sguardo sull'albero decorato in salotto, poi sul vetro della finestra chiusa. Stava ancora nevicando, e sempre gentile, quella fredda meraviglia raggiungeva il terreno, posandovisi con delicatezza, fino a formare un magnifico tappeto. Incuriosita, Lune fu la prima ad avvicinarsi, tremando nel momento in cui le sue manine incontrarono il gelido davanzale. Spaventata, si ritrasse tornando dalla madre, e in quel momento, quella estrasse qualcosa dalla tasca della veste. "Lune, bimba, sai cos'è questa?" chiese, mostrando una bianca busta da lettere. Incerta, la piccola negò con un cenno del capo, e abbozzando un sorriso, la madre le indicò il divano, invitandola a sedersi. "Si chiama lettera. I bambini umani le scrivono al vecchio che anche noi conosciamo come Babbo Natale, ed è una bella cosa, non credi?" le spiegò, per poi azzardare quella domanda e attendere in silenzio la risposta della bambina. Guardando la donna con muta ammirazione, la pixie annuì energicamente, e poi, cercando la sua mano, sorrise. "Bella idea, mamma! Facciamolo anche noi!" propose allora Lucy, felice ed eccitata dalla sola idea. "Va bene, vi prendo della carta." Rispose Isla, alzandosi in piedi e sparendo in un'altra stanza per pochi minuti. A lavoro finito, tornò dalle figlie, e pronte, le due presero posto in cucina, decise a scrivere una lettera a quell'uomo tanto vecchio quanto buono. Per quanto ne sapevano, era così generoso da portare regali alle bimbe come loro, ragion per cui provare a chiedere come facevano con i genitori non sarebbe certo stato un problema. Come ogni bambina della sua età, Lucy non chiese che dei giocattoli, e lo stesso valse per Lune, che soddisfatta del lavoro compiuto grazie alla mamma, disegnò cuoricini e stelline ai quattro angoli del foglio, per poi colorarli. Vicina alla figlia minore, Isla le tenne la mano mentre scriveva, aiutandola con ogni movimento e ogni più piccola lettera. Un delizioso quadretto familiare che non passò inosservato agli occhi di Oberon, marito di Isla e padre delle bambine. Sedendosi accanto al fuoco acceso, non osò disturbarle, e non appena le piccole ebbero finito, la madre prese quelle lettere dalle loro mani, e trovando ad ognuna un posto in una busta diversa, sorrise debolmente nell'appenderle insieme agli addobbi. "E adesso?" chiese a quel punto Lucy, curiosa. "Ora aspettiamo, piccola. Ci tocca andare a dormire, ma fidati, quando ti sveglierai, il buon vecchio Babbo l'avrà già letta." Le rispose il padre, prendendo la parola e anticipando quelle della moglie. Annuendo, questa rafforzò la tesi del marito, e dando retta ai genitori, le due bimbe andarono a letto. Al sicuro sotto le coperte, Lucy non tardò a cadere fra le braccia di Morfeo, e addormentandosi, passò le lunghe ore notturne a sognare, sicura che al risveglio avrebbe ricevuto una risposta dal vecchio vestito di rosso. Con il sorriso sulle labbra, la piccola dormì tranquilla, immergendosi in una landa colorata quanto e forse più dei suoi stessi sogni. Vide di tutto. La sua famiglia, la sorellina e l'adorata coniglietta, ma assieme a loro, la neve, e incredibilmente, anche il vecchietto di cui tanto aveva sentito parlare. Come tanti, anche quello fu per lei un bel sogno, e per pura sfortuna, finì per svegliarsi nel bel mezzo di quella quieta notte. Non si trattò di paura o di freddo, nulla del genere, anzi, si svegliò perchè felice, maledettamente felice. Sgusciando fuori dal letto, puntò di nuovo lo sguardo sulla finestra, e nel bel mezzo del giardino di casa, fra la bianca neve, un luccichio da lei già conosciuto. Sapeva bene che avrebbe potuto essere polvere di fata, ma qualcosa la convinceva del contrario. Stanca e appena sveglia, si strofinò gli occhi ancora assonnati e cisposi, e nel silenzio del mattino appena spuntato, una nuova luce nel cielo. Diversa da quella del sole, si dissolveva lentamente in una scia di mille colori, e alzando lo sguardo, una seconda sorpresa. Una sorta di sorriso oltre la montagna all'orizzonte, e il naso rosso di una delle renne. Felicissima, Lucy si affrettò a svegliare la sorella, ma nel momento in cui ci riuscì, era già troppo tardi. La luce e le renne erano già scomparse, così come quel sorriso,e  al suo posto, solo quella strana polvere magica nel bianco, e nel vento, un augurio per entrambe. "Ho Ho Ho! Buon Natale, Lucy e Lune!" questa la frase che le due sentirono, e alla quale non riuscirono a credere. Andando alla ricerca di risposte, si precipitarono dai genitori, e questi le abbracciarono, mostrando loro i numerosi pacchi sotto l'albero nel salotto. "Quelli sono per voi, Buon Natale, piccoline." Disse loro il padre, sorridendo nel vederle affannarsi per aprirli, mentre un sorriso restava onnipresente sulle loro labbra. Giorni dopo, le bambine continuarono a pensare a ciò che avevano visto, e nonostante nessuno oltre ai loro genitori avesse avuto la forza di credere in loro, la maggiore delle sorelline scrisse una seconda lettera, sostituendola alla prima  e ringraziando il vecchio e la sua generosità nell'essersi mostrato a lei. In breve, il loro mirabolante incontro divenne una storia che si diffuse per tutto il bosco, e che nonostante l'opinione di alcuni, svelti a definirla fantasia o allucinazione infantile, anche negli anni a venire sarebbe stata conosciuta e ricordata come quella del vecchio, delle renne e delle bimbe.
 
 
Arriviamo così alla settima storia della raccolta, con le pixie Lucy e Lune come protagoniste. Sveglie presto da brave mattiniere, credono di aver visto e sentito la slitta di Babbo Natale, e nonostante nessun adulto ci creda, a loro non importa. Sono piccole, la fantasia è una loro caratteristica, e convinte, sono felici, nonchè incredibilmente divertite ed emozionate dall'esperienza. Un'altra storia divertente, che spero vi sia piaciuta,
 
Emmastory :)

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Capitolo 8
*** La stanza magica ***


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Capitolo VIII
 
La stanza magica
 
Isla era a casa. Lei e suo marito avevano passato le ultime due ore del loro tempo nel decorare al meglio l'ambiente per l'imminente inizio delle feste natalizie, approfittando del pacifico sonno delle due figlie, spossate dai loro giochi e da ognuno dei loro divertimenti. Stanchissime, avevano finito per addormentarsi crollando sul divano di casa, e a quella vista, la donna non aveva potuto fare a meno di sorridere. Preoccupandosi per la loro salute, era corsa a trovar loro una coperta, avvicinandosi con cautela per adagiarla sui loro corpicini infreddoliti. Addormentata e persa nei suoi stessi sogni, la piccola Lune era sdraiata in posizione fetale, e immaginando chissà cosa, ogni tanto scalciava come un giovane puledro. Una scena tenera, che strappò un secondo sorriso alla cara madre, orgogliosa di lei e dell'altra figlia sotto ogni aspetto. Avendo fatto loro il dono della vita, poteva dire di conoscerle perfino meglio di sè stessa senza alcun timore di esagerare, e poco dopo, strofinandosi un occhio con la mano, evitò che una piccola e solitaria lacrima le solcasse il viso rovinandolo. Era successo più di una volta, e per sua fortuna, sempre in occasioni liete. Lento, il tempo scorreva portandosi via la giornata che intanto faceva il suo corso, e scuotendo la testa per allontanare ogni pensiero, si rimise al lavoro. Non l'avrebbe detto ad anima viva oltre che a suo marito, ma quella che aveva in mente era una sorpresa per le due bambine, e doveva essere finita prima che si svegliassero. Una vera e propria corsa contro il tempo, c'era da ammetterlo, ma non le importava. Conoscendosi, sapeva bene che avrebbe fatto qualunque cosa per le sue piccole pixie, tutto pur di vederle felici. Anche se da poco, la dolce Lucy aveva iniziato a porre ai genitori una domanda specifica, e ogni volta, i genitori non sapevano cosa rispondere. Ci provavano, ma la bambina non era mai soddisfatta. "Posso aiutare a decorare?" chiedeva, per poi guardarli e scivolare nel silenzio in attesa di una loro risposta. Calmi e gentili come sempre, i due non avevano fatto altro che assecondarla dandole dei piccoli compiti da svolgere, come disegnare fiocchi di neve o ritagliarne la forma nella carta colorata, in altre parole, tutte cose adatte alla sua età. Ad ogni modo, quella volta dormiva, e pur non volendo, i suoi genitori sapevano di doverle negare quella gioia quando si sarebbe svegliata. Come c'era d'aspettarsi, le piccole si svegliarono dal loro riposino circa un'ora più tardi, e ancora stanche e nervose, trovavano difetti in qualsiasi mossa dei genitori. Avevano in mente di decorare le mura domestiche, ed era vero, ma alla vista degli adulti indaffarati, rimasero entrambe sedute sul divano con la loro copertina sulle gambe e le braccia conserte. Confuso da quel comportamento, il padre si avvicinò a loro, e dopo la più ovvia delle domande, la risposta fu una sola. "Vogliamo aiutare." Disse Lucy, con il tono di stizza che caratterizzava i suoi capricci. "Non adesso, tesoro. Magari più tardi." Le rispose il padre, abbassandosi al suo livello e posandole una mano sulla spalla. "Ma la mamma ti aiuta!" protestò, affatto convinta da quella risposta così misera. "Piccola, lo so, e so che vuoi aiutare, ma questa è una cosa importante, e hai già fatto quello che potevi." Continuò l'uomo, paziente e cortese con la sua bimba. Arrabbiata, la bambina scivolò nel mutismo, e tenendo le braccine incrociate, parlò con sè stessa. "Non mi piace." Mormorò, offesa." Come dici, fatina?" azzardò il padre, incerto e dubbioso. "Non mi piace. Niente mi piace. Ci sono pochi colori, è tutto bianco." Spiegò, non mutando il tono di voce e mantenendolo grave  e uguale per tutta la durata della conversazione. "Dici davvero? Tranquilla, ora vado a dirlo alla mamma." Le disse a quel punto l'uomo, deciso ad accontentarla. Annuendo mestamente, la bambina lo lasciò andare, e tornando nel salotto, la prese per mano. "Vieni, vieni pure a vedere." Disse soltanto, sorridendole con calore. Alzandosi in piedi, la bimba non se lo fece ripetere due volte, e camminando accanto al padre, si guardò intorno, memorizzando la posizione di ognuno degli addobbi sparsi per la casa. Le luci colorate e i festoni uniti alle palline sull'albero, l'incalcolabile numero di fiocchi e pupazzi di neve attaccati alle finestre, anche lo stranissimo rametto rosso e verde tenuto appena sopra il caminetto acceso. "Va meglio ora?" le chiese l'uomo, sperando segretamente che la risposta fosse positiva. Mantenendo il silenzio, la piccola Lucy si limitò a guardarlo, notando poco dopo l'arrivo della sorellina, ferma e in piedi alle sue spalle. Andando alla ricerca di un secondo parere, il padre guardò anche lei, e pur stringendo in mano una matita e un foglio di carta, la piccola non scrisse nulla, non facendo altro che scuotere la testa. "No." Disse allora la sorella maggiore, pestando i piedi. "Cosa? Come no? Cosa manca?" non potè evitare di chiederle l'uomo, sorpreso e stranito. "Viola. Mi piace il viola, lo sai, e sai che piace anche a Lune." Rispose appena la piccola, indignata dall'assenza di quel colore nell'intera casa. "Lucy, lo sappiamo, ma non è un colore..." provò a risponderle il padre, non riuscendo a terminare quella frase e sentendola morirgli in gola. "Natalizio? Oberon, chi l'ha detto?" finì la moglie per lui, facendo solo allora il suo ingresso sulla scena con una scatola fra le mani. Felice, la bimba corse verso di lei per abbracciarla, e colta alla sprovvista, la madre quasi perse l'equilibrio, facendo disgraziatamente cadere la scatola che portava con sè. Così, tutti gli addobbi al suo interno rovinarono in terra, e non sapendo cosa dire, questa finì per sbiancare, mortificata. Quella che lei e il marito stavano preparando avrebbe dovuto essere una sorpresa, ma ora era rovinata. Tutt'altro che triste, la bambina l'aiutò a rimetterli a posto uno per uno, e nel farlo, scoprì l'unico dettaglio che fino a quel momento aveva ignorato. Con sua somma sorpresa, scoprì che ognuna di quelle nuove decorazione era del suo colore preferito. Una volta fatto, si avvicinò all'albero restando a guardare la madre in trepida attesa, emozionandosi nel vederla appendere ogni pallina color prugna negli spazi vuoti dell'albero, e come tocco finale, un enorme fiocco dello stesso colore sopra al caminetto. Ovvio era che ormai la sorpresa non fosse più tale, ma che nonostante ogni contrattempo e capriccio, entrambe le bambine fossero felici. Felici di festeggiare il Natale con la loro famiglia, in una stanza che fra gli addobbi vecchi e nuovi e le luci colorate e brillante avrebbe unicamente potuto essere definita magica. 
 
 
 
In quest'ottava storia, un altro scorcio di vita della famiglia delle due pixie, i cui genitori si danno il loro da fare per decorare la casa, ma testarda com'è, Lucy non bada ai "normali" colori natalizi come il bianco, il rosso, l'oro o il verde, optando invece per il suo preferito, il viola. C'entra poco, e lo sappiamo, ma quanto possono essere teneri i capricci di una bambina? Tanto, sempre che non diano sui nervi. Voi cosa ne pensate? E soprattutto, la storia vi è piaciuta? Attendo di scoprirlo, alla prossima,
 
Emmastory :)

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Capitolo 9
*** Ladra di regali ***


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Capitolo IX
 
Ladra di regali
 
Quella mattina, le piccole Lucy e Lune furono le prime a svegliarsi. Non era ancora giorno, e il cielo era tinto di grigio come le nuvole che parevano sporcarlo, e pur non volendo disobbedire ai genitori, sgusciarono entrambe fuori dai loro lettini. Il Natale era ormai passato da un pezzo, ma ricordavano benissimo di aver sentito la cara Marisa, figlia della donna che tutti conoscevano come vecchia strega, parlare di una tradizione che alle loro orecchie giunse subito come nuova e diversa. Stando alle sue parole, nei primi giorni successivi al freddo e alla neve dicembrina, tutti i bambini, umani o magici che fossero, si radunavano insieme nella piazza principale, per assistere all'ultima illuminazione del grandissimo albero che le genti della comunità umana avevano addobbato in occasione della festa. Con impegno e pazienza, ognuno degli abitanti aveva fatto del suo meglio per contribuire, e lentamente, centinaia, se non addirittura migliaia di pacchetti avevano trovato il loro posto sotto quel magico abete, anche se celati dalla magia delle fate più anziane solo fino al momento opportuno. Silenziose, le due sorelline guardarono ancora fuori dalla finestra, non notando altro che la quiete attorno a loro. A quanto sembrava, erano davvero le uniche due bimbe sveglie a quell'ora della notte, ma non potevano farci nulla. Erano troppo curiose, e sì, la loro madre le aveva avvertite sul destino dei bimbi come loro, ma ridacchiando al solo pensiero, si dissero che probabilmente non parlava sul serio, come peraltro era successo più e più volte. Infreddolita, Lucy si strinse nella camicina da notte che portava, infilando le manine nelle tasche per cercare un pò di calore. Imitandola, la sorellina fece lo stesso, e nello spazio di un momento, si ritrovarono nel corridoio appena fuori dalla loro cameretta, e ad entrambe non restava che attraversarlo. Improvvisamente spaventata, Lune cercò la mano della sorella, e nel momento in cui le loro dita si sfiorarono, un dolce sorriso increspò le labbra della piccola. "Ora andiamo, sei pronta?" le chiese l'altra, sussurrandole nella pallida semioscurità del tragitto. Sicura, Lune annuì con decisione, e insieme, le sorelle si incamminarono. Con i piedini scalzi per non far rumore, e la speranza di non adirare i genitori sempre nei minuscoli cuoricini. Così, un passo per volta, le pixie raggiunsero la meta, ed ergendosi sulle graziose punte, Lucy riuscì ad aprire la porta. Una spinta l'aiutò a sgattaiolare fin dentro la stanza, e facendo segno a Lune di seguirla, si premette un indice sulle labbra, come a intimarle di fare silenzio. Cauta, la piccola obbedì, e avvicinandosi a una lampada, premette l'interruttore per accenderla. Di lì a poco, la stanza, venne illuminata, e i poveri Isla e Oberon si svegliarono di soprassalto. "C-Cosa? Lucy! Lune! Che ci fate qui a notte fonda? Un altro brutto sogno, piccola?" chiese la madre alla figlia minore, temendo che qualcosa di orribile avesse turbato il suo riposo. Sincera come era solita essere, la bimba negò con un cenno del capo, e andando subito alla ricerca di un foglio e una matita sullo scrittoio lì accanto, si impegnò in uno dei suoi ormai conosciuti disegni. Abile e veloce, non sprecò tempo nè rovinò quella perfetta punta, e in pochi tratti, il suo personale capolavoro. Un albero addobbato, e appena sotto, una pila di regali. Ancora assonnata, la donna parve non capire, e quando anche il padre fallì in quell'intento, fu Lucy a parlare. "Mamma, papà, oggi è il giorno dei regali fra fatine e umani, possiamo andarci, possiamo?" spiegò, per poi azzardare quella così innocente domanda. A quelle parole, Isla non seppe cosa rispondere, ma appena un attimo dopo, un guizzo di memoria le saltò in mente, e con esso, l'unico responso possibile. "Piccole, ora è troppo presto, sapete che ci vuole sempre la mattina." Disse infatti, tenendo bassa la voce e addolcendola quanto più poteva, con quello di intristire le sue figlie come ultimo desiderio. "S-Sì, m-ma..." si sforzò Lune, che a quattro anni ancora lottava contro il mutismo e l'incapacità di esprimersi a dovere. "Lunie, lo so, ma ci vuole tempo. Ascolta, ci andremo con la mamma quando spunterà il sole, saremo i primi, va bene?" stavolta fu suo padre a parlare, alzandosi dal letto e accomodandosi sul bordo per starle vicino. Incerta, la piccola non disse nulla, e con delle piccole lacrime a riempirle gli occhi scuri, strappò il suo disegno in mille pezzi, e ferita, uscì, andando via dalla stanza e via da loro. Non ci credeva, non riusciva a crederci, ed era arrabbiata. Certo, i suoi genitori avevano ragione, ma lei non voleva aspettare, e loro non avevano capito. Ben presto, il suo cammino si trasformò in corsa, e piangendo, tornò a rintanarsi nella sua camera da letto, al sicuro fra le coperte. "Lune, aspetta! Lo sapevate, vi odio!" Ringhiò a quel punto Lucy, mentre, indignata spariva a sua volta, sbattendo la porta della stanza senza alcun ritegno. Camminando, si rimise subito sulle tracce della sorellina, e la porta della loro stanza, lasciata aperta per distrazione, fu un invito oltre che un indizio. "Lune?" chiamò, incerta e dubbiosa. Ridotta al silenzio, la bambina non rispose, ma con uno sforzo, diede sfogo ad uno scoppio di luce da sotto la coperta, rivelando solo allora il suo nascondiglio. Cogliendo l'opportunità, la sorella maggiore si infilò a letto con lei, e stringendola, rimase sveglia a intonare una dolce nenia per minuti e poi ore intere, fino a vederla dormire. Proprio come l'altra fatina, anche lei si era lasciata prendere la mano dalle emozioni, ma poco prima di dormire, ripensò a quanto volesse bene alla sorellina e ai suoi genitori, e dormendo, riuscì a perdonarli. Insieme, le due si risvegliarono sbadigliando, e finalmente, fuori dalla loro finestra videro il sole. Finalmente felice, Lucy si alzò dal letto sfrecciando verso la cucina, ma contrariamente a lei, Lune non era dello stesso avviso. Con l'umore ancora più nero della notte, si liberò delle coperte di malavoglia, rifacendo poi il lettino e spostandole con malagrazia, e una volta fatto, scalciò via da se i giocattoli lasciati in terra invece di riordinare. "F-Falsi." Mormorò, non potendo evitare che uno schizzetto di saliva le uscisse da un angolo della bocca. Scivolando ancora nel silenzio, percorse quello stesso corridoio con passi lenti ma decisi, e giunta in cucina, quasi non toccò cibo, bevendo a malapena un sorso di latte e sbriciolando i biscotti che la madre aveva preparato per entrambe, e non a caso a forma di pacco regalo. Notandola, la madre le andò vicino, e abbassandosi al suo livello, le posò una mano sulla spalla. "Tesoro, ci dispiace per l'altra notte. Papà ed io non volevamo dire di no, eravamo solo stanchi, capisci?" provò a dirle, nella forse vana speranza di non averla offesa. Alcuni secondi scomparvero quindi dalla vita della donna, e nel silenzio della piccola cucina, una sola parola. "No." Quella fu l'unica replica della bambina, ancora troppo arrabbiata con la madre per ascoltarla davvero. "Amore, ti prego, la mamma non sta mentendo!" insistette il padre, con la voce che rischiava di spezzarsi come l'ala di un uccellino ferito. "No." Ripetè la pixie, decisa, alzando di colpo la voce e non badando al tono che utilizzò nel parlare. Sconfitti, i due coniugi si scambiarono un'occhiata colma di tristezza, e contagiata da quella tensione, anche Lucy diede loro le spalle, lasciando cadere il suo biscotto e schiacciandolo fino a ridurlo in mille briciole sparse sul pavimento. Fu quindi questione di un attimo, e quella stanza fu vuota, riempita solo dall'incessante ticchettio di un orologio unito ai sospiri dei due adulti, sfiniti dai capricci di una bambina ancora troppo piccola per comprendere gli equivoci. Aveva quattro anni, e in quel momento, nella sua mente non c'era nulla di giusto. Non il piano della sorella maggiore di sorprendere i genitori in quel giorno speciale, non la loro reazione, nulla. Così, di nuovo sola, la bambina si sedette sul divano, restando  in disparte e creando attorno a sè un vero e proprio fortino con i cuscini, la cui sola ospite sembrava essere la coniglietta Sunny. Incerti sul da farsi, Isla e Oberon trascorsero gran parte del loro tempo a riflettere, tentando in tutti i modi di risolvere quella situazione, e quando per la seconda volta chiesero mutamente l'aiuto della figlia maggiore, questa non diede che un aspro dissenso, seguito irrimediabilmente da un rifiuto. "Ben vi sta, l'avete ferita." Disse poi, acida. Limitandosi a guardarla, i due non mossero foglia, ma all'improvviso, l'idea. La bambina credeva che avessero mentito, era certa che non le avrebbero fatto nessun regalo, e se provare a convincerla del contrario non bastava, allora mostrarglielo era davvero l'unica soluzione. Così, l'uomo scelse di giocare d'astuzia, e aiutato nelle ricerche dalla moglie, trovò nascosto nella soffitta di casa un vecchio sacco di tela, che pur vecchio e sfilacciato, avrebbe potuto fare al caso loro. In fin dei conti, le bambine credevano a Babbo Natale, e  forse impersonarlo avrebbe finalmente riportato il sorriso sul volto della più giovane. Così, sicuro di sè stesso, l'uomo mise in atto quel piano, e nel pomeriggio, uscì di casa con la moglie e le figlie, che tenendosi per mano, camminarono fianco a fianco nella piazza del villaggio senza perdersi di vista. Fra un passo e l'altro, Lune si guardava intorno, salvo poi abbassare lo sguardo nel non vedere altro che bambini come lei accompagnati dai propri genitori, e occasionalmente, dai loro nonni. Lentamente, i minuti passarono, e raggiungendo finalmente quell'enorme albero, le bambine vi si avvicinarono insieme, inginocchiandosi per osservare meglio ognuno dei pacchetti, e scuotendoli per cercare di capire cosa contenessero. Un'idea carina nella loro dolce ingenuità, purtroppo resa vana dalla costante presenza nella piazza delle fate più anziane. "Si controlla, non si sbircia." Disse una di loro, rivolgendosi alla piccola Lucy e invitandola a riporre quel pacco. Obbedendo, la bambina si scusò, e dopo un'ora di ricerche, trovò alcuni doni indirizzati proprio a lei. Stando alla tradizione, ce n'era sempre almeno uno per ogni bambino, e raccogliendolo da terra, questo aveva il diritto di riportarlo a casa. Baciata dal sole e dalla fortuna, la piccola ne trovò ben cinque, e lo stesso accadde ad altre tre piccole pixie come lei, che svolazzando felici, tornarono subito dai loro genitori, dirette verso casa. Di ora in ora, la luce svaniva, e prima che i piccoli avessero modo di accorgersene, fu sera. La notte scese quindi sul villaggio, e spegnendosi, anche le lucine dell'albero diedero voce ad un loro personale addio agli abitanti, tutti ormai contenti e soddisfatti dei loro regali. Tutti, certo, tranne uno, ovvero proprio la povera Lune. Sconsolata e a occhi bassi, si trascinò per il selciato alla ricerca dei genitori, ma all'improvviso, qualcosa attirò la sua attenzione. Una pila di regali lasciata incustodita. Sulle prime, la piccola non si mosse, e una vocina nella sua testa le disse di non muoversi, ma una seconda, in completo disaccordo con la prima, le sussurrò che poteva agire, e che non se ne sarebbe certo accorto nessuno. Guardandosi intorno, la pixie capì che le strade non erano poi così affollate, e veloce, passò all'azione. Correndo verso il mucchio di regali, controllò le targhette alla ricerca del proprio nome, ma non trovandolo, le staccò una per una, per poi compiere l'unico gesto di cui non si sarebbe mai creduta capace. Rubare. Sì, rubare. Si trattava solo di giocattoli, nulla che avesse un vero valore, ma che per una bambina della sua età potevano averlo, specialmente dopo la tristezza e lo scoramento che avevano caratterizzato quel giorno. Svelta, li nascose tutti sotto la giacca, portandoli con sè e tenendo una mano sullo stomaco per simulare dolore e non destare sospetti. Se qualcuno l'avesse scoperta avrebbe potuto indicare quel punto, e la questione si sarebbe risolta. Sulla via del ritorno, però, un errore. Lune era piccola, ma si conosceva, e presa dall'emozione del momento, non riuscì a tenere a freno le proprie, iniziando senza volerlo a sbattere le ali, provocando un piccolo spostamento d'aria unito alla perdita di polvere magica. Le succedeva spesso, e mordendosi la lingua, maledisse mentalmente sè stessa e la sua goffaggine. Intanto, già vicina ai genitori, Lucy aveva ormai perso di vista la sorellina, e cercandola, la trovò ferma e in piedi sotto a un lampione, tremante e mortificata. Piangendo, la piccola lasciò cadere i doni che aveva con sè, e questi incontrarono il soffice terreno coperto di neve, sporcandosi. "Lunie..." la chiamò l'altra, attonita. "Io... no, io..." balbettò la piccola, spaventata dallo sguardo della sorella fisso su di lei. Dal suo canto, Lucy non voleva accusarla, urlarle contro o altro, ma nella mente della piccola, ormai tutto era andato a rotoli. Che senso aveva avuto quel gesto? Abbassarsi a rubare doni e giochi che neanche le appartenevano, e che prima di quella sorta di crimine avrebbero potuto arrivare nelle mani dei legittimi proprietari? Nessuno, e nel buio della notte, non appena le due sorelle tornarono a casa al fianco di mamma Isla e papà Oberon, Lune fu perdonata, e poco prima di dormire, imparò una preziosa lezione che ben presto identificò come verità. Era sempre meglio essere onesti e divertirsi con i propri giocattoli senza dar loro un'importanza estrema, e di fronte all'errore, dire la verità, così da non essere considerata, com'era accaduto a lei, ladra di regali.


A velocità impressionante, raggiungiamo la nona storia della raccolta. Qui assistiamo ad una tradizione propria del villaggio degli umani, che coinvolge bambini umani e fatati in una caccia ai regali di Natale. Dopo un malinteso, Lune viene scambiata per una ladra, ma l'amore della famiglia riporta ben presto il sorriso sul suo volto. Spero vi sia piaciuta, ci rivedremo nella decima,
 
Emmastory :)

 

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Capitolo 10
*** Shopping natalizio ***


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Capitolo X
 
Shopping natalizio
 
L'inverno aveva raggiunto il bosco da poco, e in casa con il suo Christopher, Kaleia non riusciva a calmarsi. Dopo una visita alla soffitta della casa del ragazzo, i due avevano riesumato il vecchio albero di Natale già usato l'anno prima. Finto come quelli che camminando vedevano per strada quando capitava, era ancora in perfette condizioni, al pari di uno vero, ma lo stesso non si poteva dire delle decorazioni. Inizialmente, la fata pensò che le palline rotte come vetro e gli ornamenti rovinati in più punti fossero opera di fastidiosi topi, e lo stesso valeva per lo stato delle stringhe luminose, ma una seconda occhiata fu abbastanza, e in un attimo, ricordò ogni cosa. Willow. La gatta in origine appartenuta alla strega Zaria Vaughn, ormai viveva con loro da tempo, e come avevano potuto vedere, ogni oggetto su quell'albero appariva ai suoi occhi come un giocattolo, dalle palline alle luci intermittenti. Era strano a dirsi, eppure era così. Cercava di non pensarci nè di darle alcuna colpa, ma imponendosi di resistere agli sguardi della gatta e ignorare la sua costante aria d'innocenza, la fata si decise a "denunciare" le sue malefatte, e nonostante fosse mattina presto, uscire a comprare nuove decorazioni natalizie. Prima che potesse farlo, un pensiero le si insinuò nella mente. Le feste si stavano avvicinando, il tempo stringeva, e se c'era qualcosa che voleva davvero fare in quel periodo era cuocere dei biscotti al cioccolato da offrire agli amici che presto si sarebbe ritrovata a ospitare. Ad ogni modo, perfino essere una fata non le consentiva di essere in due posti contemporaneamente, così fu costretta ad un cambio di piani e prospettiva. Seduta nel salotto di casa, volse lo sguardo al libro distrattamente lasciato sul tavolino di legno di fronte a lei, e prendendolo in mano, diede inizio alla lettura. Mantenendo il silenzio, si immerse in un fiume di parole, facendo scorrere gli occhi sui neri caratteri impressi nelle pagine più e più volte, girandole a intervalli regolari. Era un libro che aveva già letto, ma non le importava. La storia le piaceva, e il fatto che le ricordasse la propria, parlando di un amore a dir poco impossibile, pieno di insidie e difficoltà nascoste dietro ogni angolo non faceva altro che invogliarla a leggerle, tanto che a volte finiva per dimenticare ognuno dei suoi problemi, sicura che almeno la protagonista del libro avrebbe avuto un lieto fine. Lentamente, il tempo continuò a scorrere, e dopo un tempo che le parve infinito, sentì gli occhi stanchi, e adagiando il segnalibro al suo posto, richiuse il libro, riponendolo con cura sulla mensola a cui apparteneva. Fu quindi questione di un attimo, e la sua lunga lista d'impegni le tornò in mente, così come la consapevolezza di non poterli portare a termine da sola. Decisa, la fata si rimboccò le maniche, e raggiunta la cucina, aprì un libro di ricette. Conoscendosi, sapeva bene di aver imparato a memoria quella che le serviva, ma controllare non era certo un crimine, e anzi, l'avrebbe aiutata. Di lì a poco, si diede da fare in cucina, ritrovandosi ad infornare quelle delizie a tempo di record. Soddisfatta, rimase in piedi davanti al forno acceso per controllarne la cottura, e poco dopo, un suono la distrasse. La porta d'ingresso si aprì cigolando, e nello spazio di un momento, lo vide. Christopher. A quanto sembrava, era appena tornato da una passeggiata nel bosco, e nonostante la sua lunghezza, non era affatto stanco. Contrariamente ad ogni aspettativa, infatti, non aveva il viso classicamente tirato dalla stanchezza, anzi, l'esatto contrario. "Kaleia! Amore, sei in casa?" chiamò, incerto. "Sì, entra pure!" rispose lei, allontanandosi in fretta dal forno e correndo in salotto per salutarlo. "Bentornato a casa, Chris. Allora, com'è andata la passeggiata?" azzardò poi, stringendolo in un delicato abbraccio. "Perfetta. Sì, Willow mi ha seguito per tutto il tempo, ma almeno così non l'ho persa di vista." Rispose il ragazzo, sorridendole e ricambiando quella dolce stretta. "Come? Willow? Credevo avessi portato Red!" replicò l'altra, sorpresa. "Volevo farlo, ma lei non voleva star sola, così... hai capito, vero?" spiegò allora lui, calmo come era solito essere. "Non voleva star sola, dici? Bene, allora mi spiegheresti chi ha rovinato tutte le nostre decorazioni? Non Bucky, te l'assicuro." Fu l'unica risposta della fata, per nulla irosa ma corrotta da una punta di fastidio. Stupito, Christopher non seppe cosa dire, e all'improvviso, un lampo di genio. "Dici sul serio? Quella piccola..." commentò, ripensando ai rumori che solo alcune notti prima l'avevano tenuto sveglio fino al mattino. "Esatto, riesci a crederci? E adesso, per colpa sua il nostro albero è spoglio. So che sei appena tornato, ma..." Biascicò la fidanzata, azzardando una richiesta che le morì in gola. "Sì? Tesoro, dimmi, dimmi pure, sono qui." Le rispose lui, cercando la sua mano e stringendola come per darle fiducia. "Niente, sono solo impegnata, e volevo che lo decorassimo insieme, ma dopo questo disastro mi sembra impossibile." Ammise allora la fata, provando quasi vergogna a parlare e abbassando lo sguardo come a voler fuggire da qualcosa o qualcuno. "Kaleia, stai scherzando? Questo non è niente. Sai una cosa? Non devi chiedermelo, ci andrò subito, tu intanto va a riposarti, va bene?" Quello fu il discorso del ragazzo, semplice ma comunque pieno della dolcezza che era sempre in grado di mostrarle. Annuendo, Kaleia gli strinse la mano, e sentendosi sciocca nel diventare rossa in viso, si lasciò sfuggire una piccola risata. "Grazie, amore, grazie. Sapevo di poter contare su di te." Gli disse, per poi sorridere ancora e sparire in cucina. Prima ch potesse farlo, il ragazzo le afferrò il polso, e costringendola a voltarsi, le prese delicatamente il mento con due dita, così che i loro sguardi s'incontrassero. "Tu puoi sempre contare su di me, fatina mia. In ogni occasione, d'accordo?" le disse, per poi avvicinarsi e farle dono di un bacio che tolse il respiro ad entrambi. "D'accordo." Gli fece eco lei, emozionata. "Torna presto." Concluse, con le guance bollenti e il cuore in tumulto. Senza dire altro, il suo protettore si allontanò da lei fino a guadagnare la porta di casa, e lo sguardo che si scambiarono fu così profondo e speciale da risultare solenne. Poteva sembrare strano, forse stupido o addirittura folle, ma si amavano davvero, e mai avrebbero perso un'occasione per dirlo o dimostrarselo a vicenda, proprio come in quel preciso istante. Rimasta da sola, Kaleia tornò a dedicarsi ai suoi biscotti, posando poi la teglia ancora calda sul tavolo, e avendo cura di controllare e prevenire eventuali malefatte del suo piccolo amico. "Non toccarli, sentito, golosone?" gli intimò infatti, scherzosa e con il sorriso sulle labbra. Confuso, lo scoiattolo la guardò senza capire, e piegando la testa di lato, risultò incredibilmente buffo agli occhi della padrona. Non riuscendo a trattenersi, questa rise, e colto alla sprovvista, il piccolo roditore squittì debolmente, grattandosi la testa con una zampina. "Va a giocare se vuoi, avanti." Lo incoraggiò la fata, indicandogli il divano di casa e lo spazio che c'era fra i cuscini, solitamente ottimo fortino in cui nascondersi. Come se capisse ciò che la padrona adorata diceva, lo scoiattolo annuì con un cenno del capo, e in un attimo, scomparve. In breve, sul bosco calò la sera, e il suono della porta di nuovo aperta fece scattare Kaleia in piedi come una molla. Stavolta non era sorpresa, ma al contrario, in ansia per l'arrivo di tutti i suoi ospiti. Il Natale era una festa completamente umana, certo, ma per come la pensava, non c'era nulla che le vietasse di celebrarla con chi amava, e con il ritorno in casa del suo Christopher, ben presto, le decorazioni furono appese a regola d'arte nell'intera casa, trovando posto in ogni angolo e facendo spuntare sorrisi di gioia sul volto di ogni invitato. Per la fata fu incredibile, ma guardandosi intorno, imparò una lezione che avrebbe ricordato per tutta la vita. Le feste erano occasioni più uniche che rare, e finchè il tempo lo permetteva, ognuno di loro, umano o magico che fosse avrebbe dovuto impegnarsi per vivere al meglio la propria esistenza. Così, con quella speranza nel cuore e un'intera serata trascorsa fra lo scintillio di mille luci, il profumo di fragranti biscotti, e la letizia nei visi amici, la ragazza potè dirsi a sua volta felice, mai più sola e fortunata come poche, avendo dato vita a quella splendida occasione solo al termine di una corsa contro il tempo e di una sessione di shopping natalizio. Inutile dire che anche alla dolce Willow fu permesso di festeggiare, seppur a debita distanza dall'albero che avrebbe altrimenti rischiato di distruggere. In altri termini, quella dorata occasione era stata più volte vicina a sparire e dissolversi come fumo, ma salvata grazie ad un ultima corsa al villaggio per il consueto, e provvidenziale, shopping natalizio. 


Lentamente, siamo arrivati alla decima storia, in cui Christopher e Kaleia sono di nuovo insieme proprio nel giorno di Natale. Se lui è impegnato in una passeggiata nel bosco, lei lo è nei preparativi per la festa più attesa dell'anno, e mentre tutto pare andar bene, tutte le decorazioni risultano rovinate, e nonostante nessun sappia di chi sia la colpa, questa ricade sulla gatta di casa Willow, precedentemente conosciuta per aver giocato con le palline dell'enorme abete. Anche se last minute, lo shopping natalizio non manca, e l'occasione viene come ogni anno celebrata al meglio.  

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Capitolo 11
*** Dolce vittoria ***


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Capitolo XI
 
Dolce vittoria
 
Lento e gentile come il vento che spirava appena fuori dalle mura della sua piccola ma accogliente casa nel bosco, il Natale si stava avvicinando, portando con sè un vento forse perfino più freddo dei fiocchi di neve che cadevano dalle nuvole di passaggio, scivolando e danzando nell'aria con grazia a dir poco divina. Da brava mattiniera, Kaleia era già in piedi, seduta in cucina a bere il suo consueto caffè mattutino. Non ne consumava molto, anzi, ma doveva ammettere che il solo odore, unito al gusto forte, a volte fosse l'unica cosa in grado di farla rilassare. Anche se per poco, era il modo perfetto di provare a sentirsi in pace con sè stessa, specialmente in solitudine e al mattino. Con ancora indosso la camicia da notte che strisciava leggera sul pavimento, si era già messa al lavoro, e ora aveva davanti un morbido impasto appena preparato. Non aveva in mente nulla di elaborato o particolare, semplicemente voglia di preparare dei biscotti in onore della festa appena giunta al bosco, da sgranocchiare poi da sola o in compagnia del suo Christopher. Era stato lui a introdurla alle tradizioni della sua famiglia e al resto di quelle umane, fra cui figurava anche il Natale stesso, pieno di gioia e di attesa per grandi e piccini. Ormai adulto, non credeva più al vecchio e rubicondo portatore di regali, ma nonostante tutto, preferiva conservare dentro al cuore un pizzico di quella magia, la stessa che ogni anno lo spingeva a decorare un albero e abbellire assieme alla fidanzata il resto della casa. Così, il tempo continuò a scorrere, e fra un biscotto e l'altro, mai uguale al primo a causa della scelta di ben cinque diverse formine per dolci, Kaleia si sentiva calma e al tempo stesso soddisfatta di sè stessa e del suo lavoro. Faceva del suo meglio, e sapere di ottenere i risultati sperati la riempiva d'orgoglio e motivazione. Ne aveva preparati di tre tipi. Semplici e al burro, dolci e al cioccolato, o più teneri e gustosi, al pan di zenzero. Conoscendosi, sapeva di non essere mai stata un'assoluta frana in cucina, e al contrario aveva imparato tutto ciò che sapeva da sua madre, o per meglio dire, dalla donna che considerava tale. Avendola cresciuta come propria sin dalla fanciullezza, Eliza era stata ben felice di insegnarle, sorprendendosi nel vedere che al suo arrivo, la fata aveva già infornato ben tre teglie, che ora avrebbero dovuto restare in forno per una decina di minuti circa. "Non vorrai sfamare un esercito, spero." Commentò la donna, prendendola alle spalle e quasi spaventandola. Voltandosi di scatto, Kaleia quasi perse l'equilibrio, salvo calmarsi nel vedere che si trattava solo della cara madre adottiva. "Cosa? No, ma avremo ospiti, così ho pensato di preparare qualcosa da mangiare." Spiegò la fata, guardando alternativamente la donna e il forno acceso. "Ospiti? Quando?" le chiese questa, curiosa. "Questo pomeriggio, ed è stata un'idea di Christopher. Non vede Leara da molto, e lo stesso vale per me e Marisa, perciò quale occasione migliore di questa?" continuò la fata, sorridendo nel finire di sorseggiare la sua scura bevanda. Divertita, la madre si fermò a guardarla, poi si lasciò sfuggire una risata. "In effetti nessuna, hai ragione. Vuoi una mano?" Le disse poi, rimboccandosi le maniche. "No, grazie, mamma, ho quasi finito." Rispose l'altra, grata ma sicura di potercela fare da sola. Dati i suoi trascorsi, ricordava di aver attraversato situazioni e pericoli peggiori di quello, e in fondo cosa poteva accadere di così orribile? Magari si sarebbe bruciata, ma l'acqua fredda e la presenza del suo fidanzato avrebbero curato anche quella ferita. Annuendo, la donna si allontanò fino a raggiungere il salotto e immergersi nella lettura, e pochi attimi dopo, un suono attirò l'attenzione di entrambe. Qualcuno bussava alla porta, e vista l'ora, poteva significare soltanto una cosa. Le sue ospiti erano arrivate. Precipitandosi nella stanza, Kaleia battè sul tempo la madre, e aprendo la porta, fu felice di vedere le sue due più care amiche. Contenta quanto e forse più di lei, Marisa fu la prima a salutarla, pur non potendo abbracciarla per via di un pacco che teneva fra le braccia. Piccolo e avvolto da una carta dorata, nascondeva chissà quale dono, e prendendolo dalle mani dell'amica, la fata lo ripose sotto l'albero con il resto dei regali, pronta a scartarlo non appena i tempi fossero stati maturi. Contrariamente alla prima, l'altra quasi non si mosse, entrando in casa come di malavoglia, solo perchè spinta dal fratello maggiore. "Leara, avanti! Perchè quella faccia? Sorridi, è Natale!" la incoraggiò, abbozzando un sorriso e un abbraccio cauto e delicato. "Lo so, Chris, non c'è bisogno che me lo ricordi, so leggere un calendario." Si difese la ragazza, sarcastica e con l'umore più nero della notte. "Sei sempre la solita. Entra, dai." Le rispose quest'ultimo, provocandola e divertendosi a prenderla in giro mentre la lasciava andare solo per concentrarsi sulla fidanzata. Evitando di sottrarsi al suo affetto, lei gli sorrise per poi avvicinarsi e baciarlo, ma in quel momento, un ricordo la riportò alla realtà. I biscotti che aveva preparato erano in forno da pochi minuti, ma ormai dovevano essere pronti, così, staccandosi dal ragazzo che amava, corse in cucina, pregando che in quell'attimo di distrazione non si fossero bruciati. Con uno scatto fulmineo, indossò i guanti da forno, ed estraendone una ad una le teglie ancora calde, trasse un sospiro di sollievo nel vederli fragranti e dorati come si aspettava. Lasciandoli sul tavolo a raffreddare, tornò dagli amici, scoprendo solo allora che anche Leara aveva qualcosa per lei. Seduta in poltrona, teneva con sè un capiente barattolo di vetro abbellito da un fiocco, e alla vista di Kaleia, si sporse quanto bastava per porgerglielo. "Per voi." Disse soltanto, dischiudendo per una volta le labbra in un sorriso. "Grazie. Se tu o Marisa ne volete, ne ho preparati un pò, avete fame?" rispose subito lei, contenta del regalo appena ricevuto. Confuso, Christopher la guardò senza capire, e con il solo uso dello sguardo, Kaleia indicò la porta della cucina ancora aperta, da cui giungeva quel profumo così invitante. "Sì, perchè no?" azzardò Marisa, educata e tranquilla. "Bene, vado a prenderli, arrivo subito." Disse allora la fata, lasciando il salotto e incamminandosi verso la propria destinazione. Di lì a poco, indossò di nuovo i guanti, e camminando lentamente per non farli cadere o ridurli in briciole, portò i biscotti in salotto, per poi fermarsi e posare la teglia  sul tavolino lì accanto. "Che aspettate? Servitevi!" continuò poi, incoraggiando gli invitati a mangiarne qualcuno. Annuendo, Marisa fu la prima a obbedire, mordendo uno dei dolci a forma di fiocco di neve. Con sua sorpresa, scoprì di averne pescato uno al cioccolato, e finendolo in pochi morsi, sorrise e annuì, decisamente compiaciuta. "Sono buoni, vero?" commentò la ragazza, orgogliosa di sè stessa. "Buonissimi." Le rispose l'amica, che intanto ne aveva già afferrato un altro. In breve, fu il turno di Leara, che pur dovendo alzarsi per assaggiarli, non si fece alcuno scrupolo a riguardo, scegliendo con cura uno a forma d'abete natalizio, fatto di soffice pan di zenzero e decorato con finte palline colorate. "Passabili." Bofonchiò, parlando a bocca piena. "Come? Ci ho messo tutta la mattina!" quasi urlò Kaleia, indignata da quel giudizio così affrettato. "Sarà, ma credo che i miei siano perfino più buoni." Replicò l'altra con calma, scostandosi dal viso una fastidiosa ciocca corvina. "Tu dici?" chiese a quel punto la fata, scattando sulla difesiva. "Dico, fatina." Rispose la diretta interessata, affibbiandole lo stesso nomignolo che sentiva spesso dal proprio ragazzo, non senza averlo prima intriso di pungente sarcasmo. Colpita, Kaleia non seppe cosa rispondere, e con la mano sul cuore e lo sguardo di sfida, per poco non battè il pugno sul tavolo. "Ragazze, basta! C'è solo un modo per risolvere la questione." Quella volta fu Christopher a parlare, e da perfetto gentiluomo qual era, non perse la calma, prendendo in mano uno due di quelle delizie. Se una era stata appena tolta dal forno, l'altra giaceva in un barattolo, e disponendole l'una accanto all'altra, attese. "So che una di voi due non lo pensa, ma almeno io sarò imparziale." Disse poco dopo, osservando le due litiganti ridursi al silenzio. "Imparziale, Chris? Sul serio? Non sei sempre tu a dire che faresti di tutto per quella bella signorina?" sentenziò Leara rompendo il silenzio, per poi lanciare al fratello uno sguardo colmo d'eloquenza. Non sapendo cosa dire, Christopher alzò le mani in segno di resa, e di lì a poco, l'inaspettato. Serpeggiando fra i presenti, Willow fece il suo ingresso sulla scena, e abbandonando la grazia che era solita caratterizzarla, si alzò su due zampe, e annusando l'aria e l'ambiente circostante, inclusa ognuna di quelle delizie, mosse ad arte una sola zampa, e queste caddero a terra, rimanendo però intatte a contatto con il tappeto del salotto. Una volta finito, sparse il bottino sul tappeto, e assaggiando per primo uno dei dolcetti preparati dalla fata, si leccò i baffi e le zampe con gusto. Affatto sorpresa, Kaleia guardò Leara con un lampo di sicurezza negli occhi color del cielo, e questa non reagì, limitandosi a tacere e restare in attesa. Nel farlo, spostò lo sguardo annoiato sulla gatta di casa, e per tutta risposta, questa annusò uno dei suoi biscotti, per poi abbandonarlo sul pavimento come se nulla fosse accaduto. Non riuscendo a trattenersi, i due innamorati risero di cuore, e alle loro risate si aggiunsero presto quelle di Marisa, enormemente divertita da quella scena. Fin troppo sicura di sè stessa, Leara aveva sempre creduto di avere la verità in tasca, ma dopo quanto accaduto grazie alla piccola Willow, Kaleia era riuscita a riscattarsi, assaporando in quella fredda sera di magia, letizia e regali, l'inconfondibile sapore di una divertente e dolce vittoria.

L'undicesima storia di questa raccolta è online. Semplice e divertente, parla di una giornata in cui Christopher invita alcuni ospiti a casa, mentre Kaleia, già informata a riguardo, si impegna ai fornelli per preparare dei biscotti da offrire. Ne segue una piccola gara di cui lo stesso Christopher si propone come giudice, ma dopo una lite con la sorella, si ritira, lasciando il posto, stranamente, alla cara Willow. Chi se l'aspettava? Scriverla è stato divertente, come spero lo sia stato per voi leggerla. Siamo ormai giunti al dodicesimo racconto, ed è lì che ci rivedremo,

Emmastory :)

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Capitolo 12
*** La festa scomparsa ***


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Capitolo XII
 
La festa scomparsa
 
Il bosco era nel pieno dell'inverno, e ancora imbozzolata nelle proprie coperte come un bruco prima della trasformazione in una splendida farfalla, Kaleia dormiva. Per fortuna non da sola, ma fra le braccia del ragazzo che le aveva rubato il cuore. Stavano insieme da circa due anni, ed era certa che ascoltandola parlare della grandezza del suo amore per il fidanzato, molti avrebbero alzato gli occhi al cielo, o l'avrebbero semplicemente pregata di cambiare argomento pur sapendo che non l'avrebbe fatto, per poi arrendersi e lasciarla parlare fino alla nausea. Lentamente, il sole si levava nel cielo, e raggiungendo la sua meta, diede piena mostra della potenza dei suoi raggi, fino a disturbare la vista e l'umore della fata. Per tutta risposta, Kaleia si nascose ancora di più fra le coperte, e tirandosele fin sopra al mento, sperò di sfuggire a quel demone incolore che in quel momento la luce solare rappresentava. Nel farlo, finì per lamentarsi mugolando parole e frasi prive di senso, e andando alla ricerca di protezione, si rigirò nel letto solo per incontrare gli occhi dell'amato, già sveglio e decisamente più calmo di lei. "Chris..." mugolò, stanca e assonnata." "Sì, tesoro?" rispose questo, sorridendo e trovandola adorabile. "Spegni il sole, ti prego!" si lamentò, scherzando e ridacchiando sotto la coperta. "Amore, sei una fata della natura. Tu stessa dovresti sapere che è impossibile." Le fece notare il ragazzo, togliendo una mano dal cuscino e accarezzandole il viso ancora tirato dal sonno. "Sì, ma sei il mio protettore, proteggimi!" insistette lei, strofinandosi gli occhi cisposi. "Kaleia..." la chiamò lui, fintamente esasperato. "Cosa?" rispose lei, confusa. In silenzio, il ragazzo non le disse altro, e preferendo le azioni alle parole, le rubò un bacio da capogiro. "Dì, va meglio adesso?" le chiese poi, staccandosi lentamente e quasi di malavoglia, desideroso di starle accanto e sentire addosso il dolce profumo della sua pelle. "Molto meglio, mio custode." Replicò la fata, coccolata da quel gesto inatteso. Amava il suo Christopher, lo amava davvero, e se c'era una cosa che le piaceva era essere sorpresa in quel modo. Tornando a sdraiarsi, chiuse gli occhi, e respirando profondamente, si sentì bene. Non più stressata dai raggi del sole, non più intirizzita dal freddo appena fuori casa, e neanche preoccupata dall'intensità degli allenamenti. Solo bene, maledettamente bene. Era mattina presto, e non voleva alzarsi, ma la colpa non era certamente imputabile al freddo. Era strano a dirsi, eppure un solo bacio era bastato a stregarla. Così, stringendosi al fidanzato, cercò le sue mani come a non volerlo più lasciar andare, e pur comprendendola, lui si scostò di nuovo. Non voleva intristirla, solo ricordarle che nella vita esistevano priorità diverse dall'amore. Anche se lentamente, il tempo aveva continuato a scorrere, e dando uno sguardo al calendario appeso in cucina, Christopher fu colto da un ricordo. Il Natale era passato da poco, ma nonostante tutto, e completamente alle spalle della fidanzata, aveva accettato un invito a casa della signora Vaughn. Entrambi la odiavano, ed era vero, ma conoscendosi, il ragazzo sapeva bene di non avere la forza necessaria a provare risentimento, lasciandosi convincere dall'invito della donna e da ognuno dei suoi melliflui sorrisi seguiti da decine di domande a cui aveva dato voce solo per tentare di fare conversazione. In cuor suo non avrebbe mai voluto, ma vederla così interessata al benessere della fata che tanto amava, e così, aveva accettato, pentendosene amaramente. Seduto in cucina per la sua colazione, aveva lasciato intatta una tazza di cereali per la sua Kaleia, mangiando lentamente al solo scopo di attenderla. Essendosi addormentata dopo la sua solita sessione di coccole al fianco del ragazzo, la ragazza fece il suo ingresso sulla scena soltanto un'ora dopo, consumando comunque quel pasto in sua compagnia, alternando ad ogni cucchiaio di latte e cereali alcuni attimi di dispersione trascorsi a perdersi negli occhi del suo ragazzo. Innamorato e orgoglioso di lei, Christopher la lasciava fare regalandole dolci sorrisi e morbide carezze, ma dopo quel momento di pura quiete, l'esatto contrario. Sincero con sè stesso, avrebbe potuto dire di conoscere la fidanzata perfino meglio di sè stesso, e pur non volendo rovinarle la giornata, non poteva certo mentirle, così prese la decisione più logica, attendendo pazientemente il momento più opportuno. Quello che vivevano non era un giorno di festa, ma nonostante tutto, ricordando ancora le parole impresse nelle pagine del libro che le aveva regalato, aveva a cuore lei e la sua felicità, avendo quello di ferirla come ultimo desiderio. Così, mantenne il silenzio e il comportamento a dir poco cavalleresco che teneva nei suoi confronti, imbattendosi di nuovo in lei solo dopo il pasto più importante della giornata, seduta sul divano nel salotto di casa. Calma e tranquilla come sempre, con un libro in mano. Avvicinandosi, le si sedette accanto, e cingendole un braccio attorno alle spalle, prese un profondo respiro, come per prepararsi a parlare. L'ora della visita alla signora Vaughn si stava avvicinando, tacere a riguardo non avrebbe avuto alcun senso, perciò, finalmente pronto, sperò di non causare le sue ire. "Tu sai che giorno è oggi, vero, Kaleia?" le chiese, pur sapendo di andare a toccare un nervo scoperto. "Domenica, perchè?" rispose appena lei, senza smettere di leggere per un solo attimo. "Perchè..." biascicò il ragazzo, provando improvvisa vergogna nel parlare. "Sì?" azzardò allora lei, confusa. Non sapendo come spiegarsi, Christopher prese un nuovo respiro, e con mani quasi tremanti, si costrinse a farlo, dando quindi voce a una verità che avrebbe ferito la sua dolce metà, ne era sicuro. "Non so se lo ricordi, ma la settimana scorsa, durante i tuoi allenamenti ho incrociato la signora Vaughn, e ci ha invitato a passare la serata da lei, quindi pensavo..." riprese, salvo poi interrompersi ancora e incrociare lo sguardo della fidanzata, in quel momento in tutto simile a puro ghiaccio. Non riusciva a crederci. "Una serata con lei? Chris, sai che ha cercato di separarci! Come... come ti è venuto in mente?" finì per urlare, lanciando malamente il libro sul divano e scattando in piedi, con le mani che le prudevano per la rabbia. "Tesoro, calmati! Avresti dovuto sentirla, è stata gentilissima, e sembrava sincera, davvero." Le rispose il ragazzo, mantenendo una calma che avrebbe unicamente potuto essere definita mostruosa. A quelle parole, la rabbia della ragazza si spense raffreddandosi come la neve di quell'inverno, e con le lacrime agli occhi, si avvicinò per abbracciarlo. "Mi dispiace, Chris... ti credo, e hai ragione. Ho esagerato, e se lo vuoi ancora, sono pronta ad andare." Disse soltanto, non avendo occhi che per lui. Aveva sbagliato, ora se ne pentiva, e in silenzio, conservava nel cuore una sola speranza di essere perdonata. Sorpreso, il ragazzo si fermò a guardarla, e nello spazio di un momento, sorrise. "Certo. Certo che lo voglio." Disse poi, offrendole una mano che lei accettò come fosse stata un'ancora di salvezza. Così, i due si decisero, e dimenticando lo screzio avuto in precedenza, si incamminarono verso la casa della strega, con passi lenti ma sicuri nella neve fresca e caduta da poco. A causa del freddo di quel così rigido inverno, il viaggio fu più lungo del previsto, e giunti a destinazione, furono felici di ricongiungersi all'amica Marisa, figlia della donna con un carattere diametralmente opposto a quello della madre, che in quell'occasione salutò i due innamorati con un calore mai mostrato prima, per poi mostrare loro il salotto di casa e invitarli ad accomodarsi sul divano. Annuendo, i due non si fecero pregare, ma in breve, un dettaglio saltò agli occhi di entrambi. Nonostante il Natale fosse ormai trascorso, il periodo di festa non era ancora finito, ma il salotto della donna era già spoglio. Le decorazioni sembravano non essere mai state appese, i vetri delle finestre erano coperti di condensa e sprazzi di neve, e in un angolo, qualche foglia dell'abete che poco tempo prima era stato decorato giaceva triste e solitaria. Preoccupata, Kaleia si scambiò con l'amica un veloce sguardo d'intesa andando alla ricerca di spiegazioni, e di nascosto alla madre, rispose con un solo cenno di dissenso del capo, il suo viso in una maschera di dolore. Soffrendo in silenzio, la fata cercò di non pensarci per non intristire o adirare la donna, e attimi, questa si sedette al loro fianco. "Grazie di essere venuti. Significa molto per me." Disse poco dopo, rompedo il silenzio creatosi fra di loro. Colpita, Kaleia non seppe cosa dire, e non volendo che confortarla, Christopher cercò la sua mano, stringendola con delicatezza. Rinfrancata da quel gesto, la fata si guardò bene dal dare voce ai suoi pensieri, e provando pena per la donna, sorrise debolmente. Di lì a poco, la quiete scese come il buio nella stanza, infrangendosi come vetro solo pochi attimi più tardi. "Dice davvero, ragazzi. Non lo dimostra, ma tiene a voi. In parte è per questo che un periodo del genere la tocca tanto. È una strega, e lo sapete bene, ma siete forse gli unici che accettano il suo aiuto nonostante tutto. Gli umani e le altre creature magiche non hanno fiducia in lei, ma voi sì, e sperava davvero che lo capiste, anche dopo i vostri scontri." Quello fu il discorso di Marisa, che parlò mestamente, con la voce che sembrava sul punto di spezzarsi. "Signora Vaughn, noi... non lo sapevamo, ci dispiace così tanto!" rispose Kaleia a quelle parole, sinceramente affranta e in pena per lei. "Va tutto bene, cara. Con il tempo, le ferite si rimarginano, anche se il dolore resta. Quello che ha detto mia figlia è vero, e prima che andiate, questo è per voi." Le rispose la strega, mantenendo una calma mista al dolore che ancora provava e guardando negli occhi la figlia. Con movenze simili a quelle di un automa, la ragazza annuì, e alzandosi dal divano, sparì dalla loro vista. Da quel momento in poi, a fata e protettore non restò che attendere, e minuti dopo, l'amica tornò con un dono fra le mani. Un semplice pacco regalo abbellito da una leggera carta stellata, un pensiero venuto da un cuore apparentemente di pietra. Emozionata, Kaleia fu vicina a piangere, e volendo consolarla, il suo Christopher le cinse un braccio attorno alle spalle, accarezzandole la schiena con amore. "Su, non piangere. Ti avevo detto che era sincera." Le sussurrò, guardandola negli occhi e notando le piccole lacrime che le rigavano il volto. Abbozzando un sorriso, Kaleia fu grata di quel gesto, e stringendogli la mano, si avvicinò per lasciarsi stringere. Stando ai sentimenti che provava, gli abbracci del ragazzo erano sempre stati luoghi sicuri in cui abitare, e lasciandola fare, il ragazzo non disse nulla, scusandosi con la donna che li ospitava e guadagnando il supporto dell'amica. Ritrovando la calma, Kaleia smise di piangere, e poco prima di allontanarsi dalla cara Marisa e da sua madre, pronta a imboccare la strada di casa, non dimenticò di ringraziarle entrambe per il dono ricevuto, e sorprendentemente, per la seconda volta, il suo ringraziamento echeggiò nella stanza, seguito da uno dei rari sorrisi della donna. Da quel momento in poi, il viaggio di ritorno dei due innamorati ebbe inizio, e tornati a casa aprirono insieme quel regalo. Nessuno dei due si aspettava di riceverlo, ma il vero fulcro della questione era un altro. Non soltanto il pensiero, ma il dono stesso. A prima vista, Kaleia lo credette un libro, ma aprendolo e scorrendo velocemente ogni pagina, scoprì che era un diario, unico luogo sicuro in cui rifugiarsi sfogando le proprie incertezze e le proprie paure, e in altri termini, un regalo perfetto dopo una serata trascorsa con una vecchia nemica, che consumata dal dolore derivante dalla solitudine di cui soffriva, aveva finito per dimenticare il vero significato delle feste e del loro periodo, rendendo ogni anno il Natale un giorno come ogni altro, privo di gioia, colore e letizia, fallendo ogni volta nel dare a quei giorni una vera memoria. Non provando che rabbia, Kaleia aveva rischiato di perdere di vista la realtà, e poco prima di dormire, potè dirsi felice di aver percorso il giusto e metaforico sentiero del perdono, evitando ad una povera anziana ormai sola la tristezza di vivere i suoi giorni odiando lo spirito del Natale con ogni fibra morale di sè stessa, rendendola senza volerlo una festa scomparsa.
 
 
Sorprendentemente, questo dodicesimo racconto ha come protagonista la vecchia strega Zaria Vaughn, che scontrosa come sempre, pare non aver mai festeggiato il Natale. Come si capisce leggendo, qui sembra cambiare carattere, affidando ad un invito a casa propria una sorta di tentativo di farsi perdonare per gli errori che ha commesso. Seppur perplessi, Christopher e Kaleia accettano, scoprendo solo allora che ha più di un motivo per non credere nella gioia delle feste. Spero vi sia piaciuta,
 
 
Emmastory :)

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Capitolo 13
*** L'isola nel bianco ***


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Capitolo XIII
 
L'isola nel bianco
 
Lento, il tempo si muoveva senza sosta, ignorando nel suo percorso ognuna delle creature e degli individui che esso stesso aveva creato con pazienza e dedizione, e pur crescendoli come una madre farebbe con i propri figli, tendeva ad ignorarli e abbandonarli come vecchi giocattoli non più utili al proprio diletto. Imitandolo, silenziosa com'era solita essere, anche la neve cadeva, danzando nell'aria come una leggiadra ballerina, e andando poi a formare un magnifico tappeto sull'erba o sulle strade cittadine, chiudendo quindi la sua metaforica esibizione con un quieto e simbolico inchino. Seduta sul letto nella propria stanza, Kaleia era da sola, e senza muovere un muscolo, mirava un immaginario punto lontano da sè, proprio oltre la finestra chiusa. Scendendo lievi, i fiocchi di neve si depositavano anche sul davanzale, e per qualche strana e a lei stessa ignota ragione, quella sola vista la intristiva, portandola a sospirare mestamente e spostare lo sguardo, inquieta. Stiracchiandosi come una vecchia e serafica gatta, la fata rilassò ogni muscolo del corpo provato dal freddo, e sdraiandosi, posò la testa sul proprio cuscino. Nel farlo, si ricordò del proprio ciondolo, e prendendolo delicatamente fra le dita, sorrise appena. Il freddo era suo nemico, ma non il suo elemento, assegnatole alla nascita come ad ogni altra, e allora più che mai, suo unico alleato. Conoscendosi, sapeva bene di avere sentimenti contrastanti riguardo ai congelati fiocchi che in quel periodo così rigido non facevano altro che cadere dal cielo. Quando accadeva, la natura, soffriva, e di conseguenza, lo stesso accadeva anche a lei. Aveva già sofferto in passato a causa del costante e continuo squilibrio della sua parte magica e di quella umana, ma per pura fortuna, la caparbietà del suo Christopher l'aveva salvata. Stando a leggi più vecchie di loro, la complicità di cui la loro coppia poteva fregiarsi aveva presto finito per sfumare in amore, e secondo antiche scritture, diventata indegna e impossibile da accettare. Ancora giovane e inesperta, non aveva idea di cosa un errore di quel calibro potesse significare, e per sua sfortuna, era stata costretta a impararlo a sue spese. Capogiri, ecchimosi, epistassi, confusione e brevi perdite di memoria. Quelle erano le conseguenze, provate sulla propria pelle e fonte di uno sconforto e un dolore di incalcolabili proporzioni. Ad ogni modo, stringere quel gioiello color speranza o portarlo al collo le dava sicurezza, agendo in qualche modo da bussola e permettendo alle due metà della sua anima di stabilizzarsi, così che la sua parte fatata fosse sempre con lei, ma non certo più in disaccordo con quella umana. Pensandoci, la ragazza non aveva fatto altro che colpevolizzarsi, ricadendo ogni volta in quella stessa spirale di dolore, e arrivando, anche se fortunatamente in una sola occasione, a pensare che la sua intera relazione romantica con il ragazzo che amava era stata un completo fallimento. Un castello di sabbia distrutto dalle onde di un mare in tempesta, del quale, con la sua fine, non rimanevano che i resti e un lontano ricordo. Ad ogni modo, la sua sofferenza non era unicamente fisica, ma anche psicologica, e acuita dal freddo vento che spirava appena fuori dalle mura della casa in cui viveva. Ottimista com'era sempre stata, non aveva mai fretta di giudicare nulla e nessuno, nè sentiva mai l'impellente bisogno di farlo, ma secondo la sua modesta opinione, la neve non era altro che un ostacolo, e il gelo suo fedele compagno. Più e più volte in quel duro inverno l'aveva vista posarsi sulle piantine appena nate, sugli steli d'erba o sui rami degli alberi, e altrettante volte aveva potuto letteralmente sentirne la sofferenza, introiettandola e provandola a sua volta, arrivando in quel modo a ferirsi senza volerlo. La conosceva, certo, ma contrariamente ai bambini o alle dolci pixie che spesso vedeva scorrazzare nel villaggio degli umani da lei poco lontano, sempre felici alla sola idea di divertirsi giocandoci dentro, formando palline e usandole come proiettili per darsi battaglia, per lei non era lo stesso. La odiava. Poteva sembrare, sciocco, infantile o addirittura folle, ma lei la odiava. A volte, la sua sola vista interferiva con i suoi poteri, e ogni volta che accadeva, il risultato era uno solo. Svenire. Perdere conoscenza, scivolare nel nulla e venire inghiottita dal buio. Le era già successo in più di un'occasione, e mai, mai avrebbe voluto che le capitasse ancora. Era quella la ragione per cui restava chiusa in casa, seduta in poltrona accanto al caminetto con la sua adorata gatta sulle gambe. Soffrendo il freddo a sua volta, la dolce Willow le scaldava le gambe standole in braccio, e con un libro in mano, Kaleia si distraeva leggendo. Un modo come un altro di sfuggire ai rigori dell'inverno restando al caldo, ma al tempo stesso una farsa che non sarebbe certo potuta durare in eterno. Nessuno l'avrebbe mai detto, e anche la stessa fata si guardava bene dal dirlo ad alta voce, ma in verità provava desideri contrastanti. Soffrendo in silenzio, sentiva di essere bloccata nel suo elemento, come reclusa dalla vita all'esterno nonostante la natura avrebbe dovuto costantemente essere il suo centro pulsante, un luogo calmo, quieto e brulicante di una vita che ora faticava a portare avanti la propria esistenza. Durante l'inverno, scoiattoli, uccellini e altri animali facevano spesso fatica a trovare cibo, e in un certo senso, lo stesso discorso era applicabile a lei. Si nutriva regolarmente, ed era ovvio, ma se gli animali che aveva attorno non mangiavano, lei non riusciva a trovare un equilibrio. Concedendosi dei momenti di solitudine, si perdeva spesso nei propri pensieri, arrivando anche ad avere immaginari dialoghi e conversazioni con sè stessa. Guardando fuori dalla finestra e notando che perfino il vetro sembrava provato dal freddo, si lasciava ogni volta investire da un profondo senso di rabbia, impotenza, e infine rammarico. La sua natura di fata aveva dei limiti, e non c'era nulla che potesse farci, ragion per cui il calore delle fiamme nel camino, o il dolce e ritmico suono delle fusa di una gatta sembravano le uniche soluzioni plausibili per superare le rigide temperature di quella stagione. Di tanto in tanto, si concedeva tazze di tè o di cioccolata calda che divideva con la madre, con la sorella o con il ragazzo, e nonostante investisse ogni singolo grammo di energia nel farlo, non riusciva a smettere di pensarci. Non se ne spiegava il perchè, ma era come se qualcosa di più forte e potente di lei l'avesse in qualche modo punita, relegandola in uno spazio accogliente ma tristemente chiuso. Conoscendola perfino meglio di sè stesso, il suo fidanzato non faceva che preoccuparsi, e dopo l'ennesima giornata passata a guardarla leggere e riposarsi allo scopo di alleviare orribili e incessanti mal di testa, ne ebbe abbastanza. Così, svegliandola dalla sua ennesima ora di riposo, la prese per mano, e aprendo il grande armadio presente nella stanza che condividevano, la pregò di indossare abiti e scarponi pesanti. "Preparati, se tutto va per il meglio riuscirò finalmente a mostrarti una cosa." Le disse, guardandola negli occhi con aria seria, ma senza alcuna traccia di rabbia o stizza nella voce. "Sei sicuro? Non sono Sky, e sai cosa il freddo è capace di farmi." Rispose lei, nervosa e spaventata alla sola idea di rivivere la paura di un momento che avrebbe ricordato per la sua intera vita. Già una volta infatti aveva perso i sensi proprio nella neve, restando ferma e inerme sotto quella bianca coltre per ore. Per sua fortuna, sua sorella Sky era stata lì per aiutarla, e sin da allora, il rapporto fra le due fate era diventato perfino più solido e forte, malgrado una sola domanda tormentasse le membra della più giovane. Perchè non era come lei? Perchè non era stata benedetta con i poteri dell'aria, così da acquisirne l'elemento e controllarla. Un unico quesito che le riverberava in testa come un'eco continua e distante, e che il solo atto di scuotersi poteva allontanare. "Sei stata proprio tu a dirmelo, ma voglio dimostrarti che non hai una sola scelta." Le disse allora il ragazzo, lasciando con quelle parole la stanza così da permetterle di cambiarsi. Annuendo, Kaleia si ritrovò d'accordo con il suo lui, e minuti dopo, fece di nuovo il suo ingresso nel salotto, con addosso un giaccone, un maglione di lana e un paio di stivali. Alla sua vista, il suo protettore sorrise, e prendendole la mano, la condusse fuori casa. Seppur pronta al viaggio, la fata credette di dover camminare in mezzo al gelo per chissà quanti chilometri, e proprio quando quell'idea le parve la peggiore mai concepita, una frase ebbe come unico potere quello di sorprenderla. "Spiega le ali, Kaleia, andremo al villaggio." Queste furono le parole del suo protettore, che con la mano sempre stretta nella sua, si preparò a staccarsi da terra, spiccando il volo assieme alla ragazza che amava. Mantenendo il silenzio, questa annuì senza farselo ripetere, e in un attimo, partirono. Il silenzio di quel dorato mattino fu loro unico compagno, e fra un battito d'ali e l'altro, Kaleia si sentì libera da ogni peso, leggera come una piuma, e in altri termini rinata. A riprova di ciò, lasciò che le sue labbra si dischiudessero in un sorriso, destinato ad allargarsi con l'andar del tempo. Come sempre, il tempo scorreva senza posa, e da quell'altezza, qualunque cosa appariva minuscola, e perfino gli animali che era tanto abituata a vedere sembravano semplici puntini ai suoi occhi. "Dove mi porti?" chiese, rimanendo comunque concentrata sul proprio volo. "Stai andando benissimo, e fra un pò dovremmo scendere in picchiata!" le rispose il ragazzo, costretto ad urlare per farsi sentire e prevaricare la voce del vento che intanto aveva iniziato a soffiare. "Va bene!" replicò lei, annuendo per darsi coraggio e stringendo la mano dell'amato con forza ancora maggiore. Sicura della sua rotta, la fata non smise di volare, e guidata dal suo protettore, ridiscese lentamente, con le ali a fermare l'impeto del volo e i piedi che lentamente toccavano terra. Spaventata, chiuse gli occhi come per proteggersi, e riaprendoli, quasi perse il respiro. Neve. Attorno a lei non c'era che la neve. Fredda e bianca come al solito, ma per una volta non così spaventosa. A pochi passi da lei un piccolo chalet di legno, e al suo interno, ogni genere di comodità, che lo rendeva in tutto identico alla casa che da poco avevano lasciato. "Allora? Cosa ne pensi?" le chiese il ragazzo, curioso. Quasi ignorandolo, Kaleia non proferì parola, e ringraziando di aver indosso un paio di guanti, si abbassò fino a toccare con mano quella candida coltre, formando per la prima volta nella sua vita una palla di neve e lanciandola per tutta risposta contro il ragazzo. Sorpreso, Christopher accusò il colpo, e massaggiandosi il braccio stranamente indolenzito, sorrise debolmente. A quanto sembrava, faceva così freddo che perfino la sua rabbia si era raffreddata, o semplicemente, l'amore che provava per lei era più forte di qualsiasi altra cosa. "Non ero pronto! Ma questa per cos'era?" non potè fare a meno di chiederle, ridendo divertito. "Per non avermi fatto capire quanto potesse essere divertente." Gli rispose la fata, ridendo e correndogli incontro per provare a mandare a segno un altro gelido colpo. Correndo nella neve, lui tentò di evitarla, ma giocando d'astuzia, e con la magia, Kaleia mise in atto un'ormai vecchio stratagemma, servendosi di una radice spuntata dal nulla per avere la meglio. Colto alla sprovvista, Christopher finì in terra, e anche con il volto ghiacciato e i capelli coperti di neve, rotolò su sè stesso nel tentativo di sfuggirle, salvo poi vederla buttarsi in quel tappeto e ridere con lui prima di un bacio che scaldò il cuore ad entrambi. Così, in quel rifugio gelato, i due si divertirono come bambini per le ore a venire, rifugiandosi a sera nella casetta poco distante, innamorati e felici di aver scoperto insieme quella piccola isola nel bianco.
 
 
Come avete visto, questa tredicesima storia è leggera e affatto complessa, e devo ammettere di aver cercato di dare una vena comica all'intera vicenda. Sappiamo bene che in quanto fata della natura Kaleia odi la neve per motivi più che ovvi, ma a quanto sembra, l'idea del suo Christopher di portarla in una baita innevata basta a farle cambiare idea, facendola sorridere e divertire come una bambina. Per ora la raccolta si ferma qui, ma non è finita, e se tutto va come dovrebbe, il resto dei racconti sarà online nei prossimi giorni. Ancora una volta, grazie del supporto che ognuno di voi mi fornisce costantemente, e sappiate che conta molto,
 
 
Emmastory :)

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Capitolo 14
*** Miss Grinch ***


Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
Capitolo XIV
 
Miss Grinch
 
Si svegliò di soprassalto scoprendosi nel suo letto, e la prima cosa che vide fu il buio. Quasi per istinto, si rigirò fra le coperte come alla ricerca di qualcosa, non trovando però nulla di diverso dalla fioca luce della lampada che illuminava i pochi fogli rimasti sullo scrittoio. In breve, quella che un tempo era una risma si era ridotta a pochi superstiti di carta ancora ordinatamente impilati e salvi da un altrimenti segnato destino, fatto di scarabocchi e macchie d'inchiostro. Chi voleva prendere in giro? Lo negava, e spesso era anche pronta a farlo ad alta voce, ma ogni anno, la storia era sempre la stessa. Svegliarsi in quel modo, al buio e al freddo, in inverno era per lei una consuetudine, e conoscendosi, sapeva bene di non poter ammettere altrimenti. Quella stagione tanto fredda non andava certo a genio alla strega Zaria Vaughn, e qualcuno più in alto di lei si ritrovava spesso a dover aiutare le povere anime che visitando saltuariamente la sua stanza cercassero di convincerla del contrario. Principalmente la figlia Marisa e la sua gatta Willow, o più raramente, i classici ragazzini impegnati a giocare nel bosco che circondava la sua casa, e che sembravano raggiungerlo solo per infastidirla. Non era vero, ovvio, ma alla donna avevano sempre dato quest'impressione, e quando accadeva, niente riusciva a smuoverla dalle sue convinzioni. Nel tempo, una sola persona era riuscita a convincerla ad abbassare le sue ipotetiche armi e a liberarsi della corazza con cui si proteggeva, ed era stata Kaleia. La fata da tutti conosciuta come gentile manipolatrice della natura, e in quel caso, anche del suo cuore. La signora Vaughn ricordava ancora l'invito che aveva esteso alla ragazza e al suo protettore, così come il discorso della figlia prima che questa consegnasse quel regalo ai due innamorati. Da allora era passato un anno, e se erano riusciti a convincerla, ora era come se il loro tentativo, il loro gesto e quell'invito non esistessero più. Il tempo scorreva lento, e lei restava a letto. La neve cadeva fuori dalla finestra, il vento fischiava dolcemente, e le coperte le offrivano il rifugio perfetto. Voltandosi, diede le spalle al mondo esterno puntando lo sguardo sul muro accanto al letto, e nel farlo, sbuffò. Ne aveva abbastanza. Perchè doveva succedere ogni anno? Se lo chiedeva ogni volta, e la risposta era sempre la stessa, unica e impossibile da dimenticare. Tradizione. Una parola per lei priva di significato, che racchiudeva in sè tutte le abitudini che gli umani di buon cuore del villaggio poco distante avevano mostrato e insegnato anche alle fate. Fra queste, una festa piena di luci, colori e regali, fatta di duro lavoro e momenti da passare con chi si ama. Quella era la realtà, ma lei non ci credeva affatto. Molti l'avrebbero guardata da lontano e parlato alle sue spalle definendola cattiva, meschina e dal cuore di ghiaccio, e inizialmente, anche la stessa Marisa. Sua figlia, la bambina che lei stessa aveva partorito. Scuotendo la testa, la donna si decise ad alzarsi, raggiungendo la cucina e gettando un ancora stanco occhio alle piccole decorazioni nel salotto appena adiacente. Sveglia da prima di lei, Marisa si era data il suo bel da fare per rendere l'ambiente più vivibile e confortevole in quel periodo di festa, ma guardandole, lei storse il naso, seccata. "Marisa!" chiamò, restando ferma e immobile dov'era e attendendo l'ingresso in scena della giovane. Ligia al dovere come sempre, questa non si fece attendere, e appena un attimo più tardi, si presentò a lei, calma e tranquilla. "Sì, mamma?" chiese, guardandola senza capire. Non proferendo parola, la donna indicò con lo sguardo le due stelle appese al camino del salotto con due minuscoli chiodi. "Cosa sono queste? E soprattutto, cosa ci fanno qui?" chiese, guardandola fisso negli occhi e sputando veleno. "Stelle di Natale. Le ho appese come decorazione. Ormai manca poco, e questi sono giorni speciali." Le rispose la figlia, con la voce che tremava. A quelle parole, la donna mantenne il silenzio, ma una luce assassina le fece brillare sinistramente gli occhi. La quiete permeò l'aria per quella che a entrambe parve un'eternità, e non appena Marisa aprì la bocca per riprendere fiato e calmarsi, sua madre parlò. "Speciali? Speciali? Dico, avrai voglia di scherzare! Sai bene che è una tradizione umana, e noi non lo siamo!" Tuonò, seria e perentoria come mai era stata. Spaventata, Marisa sentì il corpo scosso da tremiti sempre più evidenti. Conoscendo la madre forse meglio di sè, avrebbe dovuto aspettarsi quella reazione così brusca, e nonostante proprio come la stessa madre, anche lei ricordasse quanto era successo con l'amica fata appena l'anno prima, provava il fortissimo desiderio di piangere al solo pensiero. A quanto sembrava, l'odio della donna per il Natale doveva essere stato soltanto mitigato dopo quello che, seccata, la strega definiva un momento di follia, ma svanendo come polvere o nebbia portata via dal vento, era ritornato in superficie, come le bolle che a volte lambivano appena l'acqua del lago. Soffrendo in silenzio, Marisa provava pena per l'anziana madre, e dopo una metaforica eternità trascorsa in silenzio, decise di parlarle. "Non ricordi più, vero?" le chiese, ben sapendo di star andando a toccare un nervo ovviamente scoperto. "Ricordare cosa?" ringhiò la donna in risposta, inviperita. Oltraggiata da quelle parole, la figlia strinse i pugni con rabbia, e chiudendo gli occhi per impedire il libero sfogo della sua rabbia, cercò nel buio attorno a sè il sottile filo di una delle stelle che aveva appeso, e tirando, la liberò dal chiodo con un gesto di stizza. "L'anno scorso, gli anni prima." Sussurrò poi, guardandola con odio, gli occhi ridotti a due fessure. In completo e perfetto silenzio, la strega assistette a quella scena trattenendo il fiato, e in un attimo, la figlia fu lontana, troppo lontana. Fisicamente e metaforicamente insieme. Ammetterlo fu doloroso, ma fu allora che capì. "Marisa... aspetta!" quasi urlò, protendendo istintivamente una mano in avanti. "No! Credevo fossi cambiata, ma ti odio! Ti odio!" replicò la ragazza, voltandosi a guardarla e non riuscendo a trattenere nè fermare il fiume di lacrime che le scendeva dagli occhi. Ferita, non sapeva cosa dire, e accusando dolore ovunque, sentì di aver detto fin troppo. Da quel momento in poi, lunghi minuti scomparvero dalla vita di entrambi, e l'ultimo suono che la strega udì fu quello di una porta sbattuta con violenza. Con il veleno nel cuore, si ritirò nella propria, e occupandosi di rifare il letto con assoluta malagrazia, cercò, anzi, si impose di non pensarci. Per sua sfortuna, tutto fu inutile. Per la seconda volta, infatti, il suo sguardo cadde sui fogli accartocciati e abbandonati sul pavimento o nel cestino accanto al vecchio scrittoio rovinato dal tempo, e avvicinandosi, notò uno strano libro proprio al centro. Incuriosita, decise di esaminarlo, e in quel momento, la verità la colpì, e per lei fu come ricevere un pugno nello stomaco. Davanti a sè non aveva che un album di fotografie, sue e della figlia, e in ogni scatto era un momento perfetto, cristallizzato in un'immagine che le sarebbe appartenuta per sempre. Solo allora capì, solo allora comprese la gravità di quell'errore. Che stava facendo? Cosa le era saltato in mente, e soprattutto, come aveva potuto far prevalere il suo stupido ego fino a farlo scontrare con i sentimenti e con il cuore della figlia? Non lo sapeva, e per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare una vera risposta. Era stata una sciocca, una maledetta idiota, e a quanto sembrava, ora era davvero troppo tardi per farsi perdonare. Così, quel mattino sfumò pigramente in pomeriggio, poi in sera, e tenendo quell'album fra le mani prima e stretto al petto attimi dopo, la donna pianse tutte le sue lacrime, non trovando la forza nè il coraggio di ripresentarsi nel salotto di casa per nessuna ragione al mondo, salvo poi costringersi e raggiungerlo non ascoltando altro che il continuo e costante fruscio della stoffa della sua lunga veste da notte sul pavimento. Al contrario di lei, la figlia già dormiva, e aguzzando la vista fra un passo e l'altro, sperò che i suoi occhi si abituassero presto all'oscurità, e quando accadde, non vide attorno a sè altro che desolazione. Le luci spente, le pareti e l'albero spogli degli addobbi visti in precedenza, e sul muro, l'unica foto che non si aspettò di rivedere. La ritraeva assieme alla figlia allora bambina, e nonostante sorridessero, a lei venne da piangere, e con gli occhi nuovamente umidi di lacrime, lesse a fatica la didascalia correlata. "Queste eravamo noi, adesso sei contenta, Miss Grinch?" Parole vere, toccanti e forti, che straziando il suo povero e inquieto cuore, le procurarono la peggior sensazione della sua vita. In tutta onestà, doveva ammettere di non sapere molto sugli umani e sulle loro tradizioni, tanto da essere perfino arrivata a ripudiarle, ma un secondo sguardo a quella foto di un tempo ormai andato fu abbastanza per erudirla. Stando ad una sorta di leggenda, quell'ultima parola era un semplice epiteto, che usato in senso dispregiativo, indicava persone come lei, che prive di cuore, scrupoli, emozioni e tatto, rovinavano la felicità di chi le circondava. Affranta, la donna accarezzò quel frammento di tempo con dita delicate, e il suo mostruoso riflesso nel vetro della finesta poco distante la lasciò muta. Era così che gli altri la vedevano? Era quella l'immagine che sua figlia aveva di lei? Non ne era mai stata sicura, e se il sospetto si era insinuato fra le crepe del suo animo, lei aveva sempre cercato di scacciarlo, fino a quel giorno, quando la realtà sembrava averla schiaffeggiata, dandole modo di riconoscere i suoi errori con spaventoso e riprovevole ritardo. 
 
 
 
Giungiamo così alla quattordicesima storia di questa raccolta, che racconta uno spaccato della  vita della vecchia strega Zaria Vaughn. Si è già visto che ha un motivo per non festeggiare il Natale, e questo è una sorta di sequel, che mostra cosa accade quando davvero si rifiuta di festeggiare. Lasciandosi accecare dall'orgoglio, finisce per ferire la sua stessa figlia, e sentendosi un mostro, trova in una foto la forza di andare avanti, imparando che non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta. Spero che questo scritto incontri il vostro parere, attenderò i vostri commenti,
 
Emmastory :)

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Capitolo 15
*** Capricci da pixie ***


Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
 
Capitolo XV
 
Capricci da pixie
 
Sette, semplicemente sette. Quello il numero di giorni che componevano una settimana, e che le due piccole Lucy e Lune avevano atteso con trepidazione. Ogni sera, la stessa routine, le stesse scene, le stesse azioni. Si alzavano di mattina presto, e appena pronte, dopo la colazione, approfittavano del resto della giornata per giocare e divertirsi fino a crollare, e a sera, andavano a letto stanche ma felici. Fra le due Lune era sempre la più stanca, e prima di dormire, non dimenticava certo di controllare il calendario appeso al muro della cucina. Anche se da poco, aveva imparato a leggere l'orologio e il suo quadrante, ragion per cui fare lo stesso con il calendario era stato il passo successivo. In quel periodo, nessuno ci faceva caso, e a dire il vero non accadeva quasi mai, ma più i giorni passavano, più le piccole erano contente. Più grande e matura per la sua età, Lucy si ritrovava spesso a pensare a cosa sarebbe successo quando finalmente il Natale si fosse deciso a bussare alle loro porte, accompagnato dalla fredda e bianca neve che ormai da tempo copriva le verde erba del loro giardino. All'amica Kaleia quella vista non sarebbe piaciuta, e pur capendola e rispettandola, le bambine avevano una diversa concezione della neve. Difatti, se per l'amica quella bianca coltre rappresentava una sorta di maledizione o di veleno capace di procurare a lei e alle piante un destino e una sofferenza perfino peggiore della morte stessa, per loro non era lo stesso. Contrariamente a lei, infatti, le piccole adoravano buttarsi in mezzo a quel bianco tappeto, tanto freddo quanto divertente, raccogliendola nei guanti che indossavano per giocare e fingersi di massacrarsi a palle di neve, o sdraiandosi per formare degli angeli. Conoscendosi, sapevano di poterlo fare usando i loro poteri, ma a loro non importava. Ciò che davvero contava d'inverno era divertirsi finchè il sole non calava, per poi rientrare in casa e sedersi davanti al fuoco acceso, tranquille e al caldo. Molto spesso ancora infagottate e fra le braccia dei genitori. Non lo dicevano mai ad alta voce, e se lo facevano era in sussurro, ma adoravano quei momenti. Le facevano sentire bene. Felici, tranquille, e mai sole. Lenti, i giorni scorrevano, e ora che ne mancavano appena due, le pixie diventavano più ansiose con ogni minuto che passava. Solo poco tempo prima avevano scritto ognuna la propria letterina a Babbo Natale con l'aiuto della mamma, includendovi riga per riga ognuno dei loro desideri. Principalmente giocattoli e bambole nuovi, ma se Lucy era stata felice di mostrarla alla madre a lavoro finito, lo stesso non era valso per Lune. Restando in silenzio, strappò un foglio dal blocchetto che aveva preso l'abitudine di portare con sè, e con in mano la stessa matita con cui aveva scritto, iniziò a disegnare. Lentamente, un tratto alla volta, come aveva imparato. Completamente da sola, e ricordando ancora l'incredibile numero di fogli di carta buttati nel cestino della cameretta che condivideva con la sorella, riempitosi così in fretta da non riuscire più a contenerli. Da allora in poi, il resto degli schizzi aveva trovato posto negli angoli del pavimento, e la forma sferica che avevano garantiva ogni volta a Sunny un giocattolo diverso. Era soltanto una coniglietta trovata nei boschi in quello che per Lucy era stato un giorno unico e speciale, e sin da allora, era diventata un vero e proprio membro della famiglia. Agli occhi di molti, una tale vista sarebbe risultata strana, o perlomeno inusuale, ma a quella piccola palla di pelo veniva permesso di tutto, perfino ergersi sulle zampe per mendicare cibo dal tavolo in sala da pranzo come un cagnolino. Ovvio era che non lo fosse, ma che papà Oberon e mamma Isla, scherzando, dicessero sempre che era come nata nel corpo sbagliato. Parole innocenti, scherzi dei quali anche Lune rideva, e pensieri che rimasero impressi nella sua mente con ogni movimento della matita. A lavoro finito, sollevò il foglio, mostrandolo con orgoglio alla madre. Un semplice pacco regalo, e un lucchetto accanto al fiocco. "Segreto." Diceva la didascalia, poco leggibile e forse ancora un pò sbilenca data la sua età. In fin dei conti, aveva solo quattro anni, e chi si sarebbe aspettato di più da una bambina come lei? Nessuno, semplice. "Hai finito, Lunie? Bene, appendiamola all'albero, ti va?" le chiese allora la madre, avvicinandosi al tavolo e prendendo quel foglio di carta fra le dita. Muta come un pesce, la pixie annuì, e insieme, le tre appesero ognuna la propria piccola lista di desideri. Il marito la prendeva in giro a riguardo, ma ad Isla non importava. Sì, era adulta, e scrivere una lettera ad un vecchio tanto grasso quanto generoso che faceva parte dell'immaginario umano, fatato e comune non aveva davvero un senso, ma se le bambine ci credevano, chi era lui per impedirle di farlo? Così, con quel pensiero in testa, la donna sorrise, e facendo un passo indietro, ammirò il proprio lavoro con orgoglio. "E adesso?" azzardò Lucy, curiosa e impaziente. "Adesso si aspetta, tesoro. Dai, mancano solo due giorni, vedi?" le rispose la madre, prendendola per mano e mostrandole il calendario appeso in cucina che si muoveva con il vento. Una brezza fresca e leggera, ma pur sempre invernale, che, ne era sicura, rappresentava il preludio di un'ennesima nevicata. Il bianco aveva smesso di ricoprire il loro giardino solo da poco, il freddo sembrava aver concesso loro una tregua, eppure eccolo, di nuovo, pronto a congelare qualunque cosa avessero intorno. Seguendo lo sguardo attento della mamma, anche Lucy posò il proprio sul calendario, notando che appena dopo il venerdì che stava finendo, e il sabato che avrebbero vissuto, la domenica in arrivo avrebbe sancito la fine dell'attesa per la sua intera famiglia, inclusa Sunny, che giocosa come sempre, aveva provveduto a firmare le lettere delle padroncine con un'impronta della zampa, così che quel vecchio sapesse quanto anche lei tenesse alla loro felicità. Un gesto per lei dettato dall'istinto, ma secondo la matriarca, addirittura nobile. "I bambini umani non fanno altro oltre alle lettere?" fu la seconda domanda della bambina, che colse la donna leggermente di sorpresa. "Come? Certo! I biscotti, lo sapevi? E non solo per lui!" fu comunque veloce a rispondere, scavando nella propria memoria e trovandovi velocemente la soluzione a quell'enigma. "Davvero? E per chi allora?" quel giorno, Lucy era un vero vulcano di idee e di parole. A quanto sembrava, la sua lettera non era stata l'unica cosa eccessivamente lunga, e ridacchiando divertita al solo pensiero, Isla le sorrise ancora. "Per i suoi folletti. Babbo Natale è vecchio, e anche se magico come te e tua sorella, non riesce mai a fare tutto da solo, quindi ha bisogno di aiuto, e per questo ha degli amici speciali quasi quanto te." Le spiegò poi, parlando con sincerità e stringendole la mano che ancora accarezzava, non dimenticando di posarle quella libera sul cuore, sentendolo battere piano ma con ritmo regolare. A quelle parole, Lucy arrossì. Davvero la mamma le voleva così bene? Davvero si fidava tanto delle sue capacità di pixie? Ne era sicura, e sapeva di volerle bene, ma sentirselo dire a volte era un piacere così grande che oltre a renderla felice, la riempiva d'orgoglio. Alzandosi sulle punte, ricambiò la stretta della mamma ricambiandola con un abbraccio e un bacio sulla guancia, poi il silenzio cadde su di loro. "Aiuto?" sussurrò Lune, intromettendosi e tirando leggermente un lembo della veste della mamma. "Sì, Lune, vieni. Se volete potete aiutarmi." Rispose la donna, voltandosi per un attimo verso il forno e accendendolo perchè si riscaldasse. Guardandola le piccole incollarono il viso al forno acceso. Vuoto, ma acceso, e che presto si sarebbe riempito di biscotti. Anche lavorando insieme, ci vollero circa due ore, e piccole com'erano, le bambine si divertirono a giocare con i rimasugli della pasta avanzata, creandovi piccoli personaggi con l'aiuto della loro magia e facendoli camminare sopra e sotto al tavolo, e animando le uova per farle esibire in buffi balletti prima che, con un inchino, si rompessero e riversassero nella ciotola che conteneva l'impasto. Divertita quanto e forse più di loro, la madre le lasciava fare, sopprimendo un colpo di tosse quando uno sbuffo di farina la raggiunse sfuggendo al suo controllo e colpendola in pieno viso. "Lucy! quasi urlò, sgridando giocosamente la bambina e ritenendola responsabile di quel piccolo misfatto. "Scusa, mamma!" rispose la piccola, ridendo mentre l'ennesimo omino d'impasto ballava a un ritmo tutto suo seguendo il movimento delle sue dita. "Fa niente, tesoro." Replicò la donna, continuando a versare e mescolare a dovere ognuno degli ingredienti. Ben presto, odori diversi riempirono l'aria, mescolandosi fino a creare fragranze a dir poco uniche. Cioccolata, vaniglia, burro, zenzero e mille altre, tutte insieme. Un vero spettacolo, una gioia per gli occhi e per il palato. A poco a poco, il timer appena accanto al forno continuò a ticchettare, e impaziente e con i pugni stretti, Lucy continuava a fissarlo, sorvegliandolo come una madre con i propri figli, o nel caso del bosco, cuccioli. Dieci secondi, trenta, quarantacinque, sessanta... contava con la mente tenendo gli occhi fissi su quella sorta di piccolo orologio, e dopo circa dieci interminabili minuti, eccoli. Pronti, dorati e fragranti, i biscotti che avevano preparato assieme alla mamma. Appena usciti dal forno, bruciavano come fuoco vivo, e ancora troppo caldi per essere mangiati, furono lasciati sul tavolo a raffreddare, per poi essere spostati in tre diversi piattini di plastica. Due per il caro Babbo e i suoi magici folletti, uno per le bambine e la loro coniglietta. Certo, i conigli non avrebbero davvero mai dovuto mangiarne, ma che male potevano fare uno o due, o meglio, le briciole? Seppur attente, le due padroncine non ci pensavano, tanto che a volte, tenendo le mani sotto al tavolo durante la colazione, allungavano alla loro piccola amica qualche briciola del loro pasto. Un pò di latte, qualche biscottino, nulla più. Piccole chicche che anche Isla le concedeva, sempre lontano dagli occhi del fin troppo serio marito Oberon. Come sempre, il tempo scorreva, e la coniglietta era nella loro famiglia da quasi un anno, ma mai, mai si era permesso di arrendersi al suo continuo mendicare. "Torna alle tue carote, signorina." Le diceva sempre, puntandole il dito contro il muso in un perentorio avvertimento. Così, mogia e rattristata, Sunny obbediva, e sicura di non ottenere mai dall'uomo ciò che chiedeva, aveva perfino smesso di tentare. Ad ogni modo, quando i biscotti furono davvero pronti per essere mangiati, Lucy ne assaggiò solo uno, e Lune, più piccola e golosa, due, dimenticando nella foga del momento di ripulirsi la bocca dalle briciole. Veloce e mai distratta, a quello pensò proprio l'amica color sabbia, che saltandole in braccio come una cagnolina, si sporse quanto bastava per leccarle il viso. "Sunny, no, basta!" la sgridò Lucy, ridacchiando nel fingersi arrabbiata. Obbedendo, la coniglietta si allontanò fino a tornare al sicuro nella sua gabbietta, e chiudendo gli occhi, si addormentò. Nel giro di poco, anche per le bambine fu ora di andare al letto, e infilando da sola il pigiamino, Lucy si preoccupò di aiutare la sorella e di rimboccarle le coperte, per poi sorridere e stringerla a sè. "Buonanotte, Lune. A domani." Le disse in un sussurro, poco prima di coprirsi a dovere e rigirarsi nel letto alla ricerca di una posizione comoda. "Notte notte." Biascicò la sorellina in risposta, parlando a malapena e sentendo la gola raschiare e dolere per lo sforzo. Non lo diceva mai, nè mai si lamentava, ma forse era quello il prezzo da pagare per il suo problema. "Felice." Si ripetè nella mente, tenendo stretti i pugni sotto le coperte e unendo poi le manine in preghiera. Poteva sembrare strano, ovvio, ma quello era uno dei suoi desideri più grandi. Essere felice, provare e riuscire ad essere felice, specialmente ora che mancavano solo due giorni alla festa più attesa dell'anno. Troppo eccitate per dormire, le bambine ci riuscirono a stento, svegliandosi, come i genitori temevano, alle prime luci dell'alba. Fra le due, Lune fu la prima, e sgusciando fuori dal lettino, si avvicinò a quello della sorella, e scuotendola leggermente, provò a svegliarla. "Lucy, Natale?" chiese, con la vocina bassa e la lingua ancora impastata. Svegliandosi a fatica, Lucy aprì gli occhi con lentezza, notando la sorellina proprio accanto al letto. "L-Lune? Cosa? No, è domani. Oggi è sabato, e quest'anno ci vuole domenica." Le rispose a fatica, strofinandosi gli occhi assonnati e cisposi. "Domenica." Ripetè la piccola, annuendo. "Sì, brava, domenica. Ora va dalla mamma, la colazione è già pronta." Fu la replica della sorella maggiore, ancora imbozzolata fra le coperte e troppo stanca per alzarsi. Ormai era sveglia, ma la morbidezza del materasso e l'odore delle lenzuola, fresche e ancora profumate di pulito la riportò al sonno, e rimasta sola, Lune raggiunse la madre in cucina, seguita da Sunny e dal tintinnio del campanellino che aveva attaccato al collare. Più indicato per un cane o un gatto a detta degli umani, ma una scelta che Lucy e la sua famiglia avevano operato per non perderla nella moltitudine di altri suoi simili che popolavano il bosco. Almeno così l'avrebbero riconosciuta subito, e a dirla tutta, quel campanellino le stava benissimo, tanto che ogni volta che lo aveva addosso, la coniglietta sembrava sorridere. Arrivata in cucina assieme all'amica, Lune si sedette a tavola, e sorridendo alla madre, la salutò con una mano. "Hai fame, amore?" le chiese la donna, avvicinandosi. Colta alla sprovvista, Lune si sforzò e provò a parlare, ma quando dalla sua bocca non uscì che aria, lei chiuse gli occhi, poi annuì. "D'accordo. Vuoi un pò di latte?" azzardò la madre, già pronta e con il cartone in mano. Decisa, la bambina annuì una seconda volta, e nel giro di un minuto, ne ebbe davanti una tazza calda e fumante. Affamata davvero, bevve tutto il suo latte e mangiò una brioche al cioccolato, poi si sedette sul divano a giocare con Sunny. Felice, si rincorreva il batuffolo che aveva per coda, e nel farlo, finì per avere un capogiro e quasi capitolare sul tappeto. Guardandola, Lune rise divertita, e prendendo una pallina dal cesto dei giocattoli, gliela mostrò. Affatto interessata, la coniglietta non si mosse, ma in silenzio, non chiese che carezze, chiudendo gli occhi e abbassando le orecchie in assoluta calma. Per lei era bellissimo farsi coccolare, ed era certa che lo fosse anche per la bambina. Fu quindi questione di circa mezz'ora, e anche Lucy fu fuori dal letto. Far colazione non le richiese molto tempo, e poi, infagottata dalla madre, raggiunse la sorellina per invitarla a giocare in giardino. Ancora una volta, aveva nevicato, e la neve ancora fresca era il modo perfetto per divertirsi in quel periodo. "Vuoi fare un pupazzo di neve, propose, sorridendo e battendo le manine guantate. Annuendo, la piccola si unì al divertimento, e correndo fuori, si nascose dietro il grande albero del giardino, e spiando la sorella, prese a correre fra l'erba gelata. "Lune, che fai? Attenta!" le chiese la sorella, alzando la voce e quasi gridando per farsi sentire. Divertendosi come non mai, Lune correva e correva, e fu inciampando in una piccola buca nascosta nella neve che quasi cadde, e finalmente, si fermò. "Visto? Che ti avevo detto? Sai che devi guardare dove metti i piedi." Continuò Lucy, raggiungendola e posandole entrambe le mani sulle spalle. Imbarazzata, la pixie abbassò lo sguardo e incrociò i piedi, e in quel momento, un'aura rossa la circondò completamente, rivelando le sue emozioni. "S-Scusa." Provò a dire, riuscendoci come per miracolo. Stringendosi nelle spalle, Lucy le prese la mano come per rassicurarla, e poco dopo, Oberon si presentò a loro sull'uscio di casa. "Qualcuno ha detto pupazzo di neve?" azzardò, mostrando loro la carota che aveva in mano, probabilmente rubata dalla colazione di Sunny. "Papà! Sì, aiutaci!" rispose Lucy, eccitata dalla sola idea. Annuendo, il padre si avvicinò camminando fra la neve, e trascorrendo il resto del pomeriggio con le figlie, diede loro una mano nel costruire quell'ormai famoso pupazzo di neve. Tre cumuli, uno più grande, due più piccoli impilati l'uno sull'altro, due ciottoli per occhi, due rametti come braccia, e per finire, una carota come naso. Volendo aggiungere un ultimo divertente tocco, Lucy disegnò un sorriso sul viso del pupazzo utilizzando altri ciottoli trovati nel giardino, e tenera come sempre, Lune corse ad abbracciarlo. "Neve! Neve!" Disse, abbandonandosi poi ad una risata cristallina, di quelle che scaldavano il cuore, specialmente in quel periodo così freddo. Orgoglioso, Oberon si fermò a guardarla, non riuscendo a nascondere un sorriso. La sua Lune era piccola, dolce e adorabile, ed era bello vederla ridere e divertirsi davvero. Con il passare del tempo, la bambina sembrava aver imparato ad accettarlo, ma a volte il suo problema la faceva davvero stare malissimo, sentire diversa da tutti gli altri bambini. Colto dal freddo, trasse un respiro, sorprendendosi nel vederlo condensarsi in piccole nuvolette. Quasi istintivamente, sollevò lo sguardo, avendo solo allora tempo e modo di notare che il pomeriggio si stava eclissando, e che la notte sarebbe presto arrivata in visita. Scuotendo la testa, tentò in ogni modo di allontanare quel pensiero, e appena un istante più tardi, un'altra voce gli tolse le parole di bocca. "Bambine, è ora di rientrare!" Era sua moglie Isla, che rimasta a guardarli giocare, aveva iniziato a preoccuparsi per il freddo che intanto aumentava. "Arriviamo, mamma!" le rispose Lucy, voltandosi a guardarla e spazzolandosi al meglio il cappotto con le mani mentre camminava verso l'uscio di casa. Ascoltando solo allora le parole della madre, anche Lune si affrettò a rientrare, e dopo qualche minuto passato accanto al fuoco a riscaldare e coccolare Sunny, le bambine cenarono e andarono a letto, felici ed emozionate per quella domenica che si avvicinava con ogni minuto che passava, abbandonando le loro vite come l'oscurità faceva con l'arrivo del mattino. Faticando ad addormentarsi, Lune rimase sveglia per quelle che le parvero ore, e restando comunque sdraiata fra le coperte, tolse le mani da sotto il cuscino per unirle in preghiera, sperando ardentemente di ricevere i regali che aveva chiesto, speciamente quello più importante. Non le sembrava nulla di eccessivo, soltanto un libro da colorare pieno di immagine di fate, pixie, folletti, gnomi, leprecauni e animali del bosco, che aveva visto fra le mani di un'altra bambina mentre lei e sua sorella giocavano in piazza. Poteva sembrare esagerato, ma ricordava bene di aver lasciato alcune sottolineature sulla sua lettera, proprio sotto al nome di quel regalo in particolare. Lo voleva davvero, forse perfino più degli altri giocattoli e delle altre bambole che aspettava. Alla fine, stanca morta, finì per addormentarsi, e con la comparsa del sole nel cielo, si svegliò quasi di soprassalto, sempre eccitata e felice. "Natale! Natale! Lucy, Natale!" ripetè, dando inizio ad una sorta di infantile cantilena che ridestò dal sonno la povera sorella ancora addormentata. "Lunie, per favore! Sto cercando di dormire!" si lamentò, perfino più stanca del giorno prima. I giochi con la sorella e con il padre l'avevano sfiancata, e giorno di festa o meno, aveva bisogno di riposare. "Lucy..." chiamò la piccola, improvvisamente triste. " Lulu, arrivo, va bene? Ci vediamo dopo, va bene?" pregò, per poi abbozzare un sorriso e tentare di rassicurarla. "Va bene." Le fece eco la sorellina, attraversando la stanza e salutandola con la mano prima di uscirne. Lentamente, raggiunse il salotto, non riuscendo a credere a ciò che vide. L'enorme abete del salotto addobbato dai genitori, pieno di luci, palline e nastri, e appena sotto, un vero mare di regali. Lune non riusciva a crederci. Erano davvero ovunque, ed erano tantissimi, più di quanti si aspettasse. Sorpresa, spalancò la bocca e se la coprì con la mano, non riuscendo quasi a respirare. Notandola, la madre sorrise apertamente, poi le si avvicinò. "Contenta, Lune? Li apriremo fra poco, quando arriverà tua sorella." Le disse, spostando lo sguardo dal suo viso alla rampa di scale che separava la loro stanza dal salotto. Annuendo, la bambina non mosse foglia, e attimi dopo, suo padre fece il suo ingresso sulla scena. "Lune, piccola, vieni. Vieni a vedere." La chiamò, attirandola a sè con un gesto della mano e attendendo che la raggiungesse. Curiosa, la bimba non se lo fece ripetere, e fatti pochi passi, si ritrovò in cucina. Il tavolo era spoglio, e lo stesso valeva per il forno, ma sul bancone, una montagna di briciole. Soltanto briciole, e nient'altro. Un messaggio chiaro come pochi altri, che nella sua semplice mente di bambina, poteva significare una sola cosa. "Gli elfi! Allora esistevano davvero E anche Babbo Natale!" pensò, felice come mai era stata. Più sorpresa di prima, sentì il cuore perdere un battito, poi perse un respiro, e guardando negli occhi il buon gigante che aveva per padre, l'abbracciò, stringendolo così forte da fargli male. "Grazie." Avrebbe voluto dirgli, restando però in silenzio ad ascoltare il battito del suo cuore decelerare e calmarsi gradualmente. Visto, piccolina? Hanno anche portato i regali per tutti." Proruppe la madre, sfoggiando ancora quel sorriso così grande e luminoso e stringendola delicatamente a sè, in un abbraccio che comunicava tutto l'amore che in veste di madre provava per lei. "Sunny?" provò a dire, con la gola che faceva di nuovo male. "Certo, bimba, anche per Sunny." La rassicurò, accarezzandole piano la testolina. Imbarazzata da quel gesto, la bambina finì per arrossire, e in risposta a quella reazione, la stessa aura rossa vista poco tempo prima la ricoprì ancora. Chiudendo gli occhi, Lune trasse un respiro nel tentativo di rilassarsi, e in quel momento, un rumore di passi attirò la sua attenzione. Era sua sorella, e finalmente si era svegliata, pronta a scendere in salotto e aprire i suoi regali con il resto della sua piccola famiglia. Felicissima, Lune corse fuori dalla cucina, e di nuovo nel salotto, fu in tempo per salutare la sorella, aspettandola con trepidazione ai piedi delle scale. "Buon Natale!" le disse, per poi puntare lo sguardo sull'albero e quasi accucciarsi sul tappeto. A soli quattro anni, non sapeva ancora leggere, ma avendo imparato a disegnare e scrivere, ormai riconosceva la forma delle lettere, così, in ginocchio, passò in rassegna ognuno dei pacchetti per cercarne almeno uno che fosse indirizzato alla sorella. Assonnata, la stessa Lucy camminava lentamente e si strofinava gli occhi, ma imitando la sorella, anche lei si inginocchiò sul tappeto, comoda ed emozionata nello scartare lentamente ognuno dei regali. Ignorando gli adulti e qualunque cosa attorno a lei, Lune era impegnata nelle sue ricerche, e improvvisamente, qualcosa attirò la sua attenzione. Una scatola di forma quadrata, la cui carta verde era abbellita da un fiocco rosso, e penzolante da un lato, una targhetta con il nome della sorella. "Tuo." Disse soltanto, prendendolo in mano e passandoglielo delicatamente. "Grazie! Questo invece è per te, spero ti piaccia." Replicò la sorella, facendo a cambio con lei e passandole quello che era solo il primo dei suoi regali. Da quel momento in poi, le due bambine diedero inizio ad una piccola gara per vedere chi delle due riuscire a scartare prima i propri, e Lune ne uscì vincitrice, ritrovandosi ben presto a ringraziare mutamente i genitori mentre stringeva e abbracciava un nuovo orsacchiotto. Il pelo marrone e il sorriso sul muso non stonavano certo con l'atmosfera, e lo stesso valeva per la sciarpina verde e rossa che aveva stretta al collo. Contrariamente a lei, Lucy trovò una bambola e i suoi accessori, fra cui un pettine, uno specchio, una spazzola e una finta borsetta. Sorridendo, non riuscì a staccarle gli occhi di dosso, e iniziando a giocarci, si divertì come una matta. Ad ogni modo, quelli non furono gli unici due doni, e a questi ne seguirono altri. Altre bambole, pupazzi e balocchi, ma anche un trenino colorato, un set di perline e nastri per formare dei bracciali, e ultimo ma non per importanza, un regalo che per qualche ragione era più grande di tutti gli altri, e che con grande sorpresa della piccola interessata, portava sulla targhetta ancora attaccata un solo nome. Lune. Emozionata, la piccola lo scartò in fretta con l'aiuto della sorella, e quando finalmente la carta strappata rivelò il segreto, il sorriso della bambina scomparve come polvere nel vento. Un puzzle. Uno stupidissimo puzzle. Un giocattolo propriamente umano, nient'altro che un'immagine stampata sulla scatola e divisa in un numero per lei incalcolabile di pezzetti di plastica. Circa un centinaio, per essere precisi. Raffigurava qualcosa di molto simile a un giardino coperto di neve, con un piccolo e quieto ruscello intento a scorrere appena sotto un ponte decorato con alcuni fiocchi di colore rosso. Tranquilla, una famiglia di anatre vi nuotava dentro, e appena fuori dall'acqua, sulla terraferma, una casetta di legno e un albero di Natale decorato con mille stringhe di luci colorate. A completare quel piccolo quadro di felicità, un pupazzo di neve simile a quello che aveva costruito con la sorella appena poco tempo prima, e che ancora sembrava salutare i passanti con quel suo sorriso di piccole pietre, il naso di carota, una sciarpa rossa e le braccia di legno aperte come a voler abbracciare qualunque bambino si avvicinasse, il tutto sotto un cielo stellato. Curiosa, la bambina lo posò sul pavimento, poi lo osservò con le lacrime agli occhi. Confusa, la madre si avvicinò fino ad inginocchiarsi al suo fianco, e quasi senza volerlo, pronunciò la fatidica domanda. "Che c'è? Non ti piace?" azzardò, incerta. Ferita, la bambina chiuse gli occhi e strinse i pugni, e nel farlo, si morse con forza il già tremante labbro inferiore fin quasi a farlo sanguinare. "No! No, no!" finì per gridare, non più contenta ma indignata, nonchè piena di invidia per la sorella, che fino a quel momento, sembrava aver ricevuto qualunque cosa avesse mai potuto desiderare. Rispondendo a quel grido, Lucy provò a confortarla con qualche parola e un abbraccio, ma troppo arrabbiata per ascoltare alcuna campana, corse via da tutto e tutti, e piangendo, si ritanò nella sua stanza, sbattendo la porta con tutte le sue forze. Per sua fortuna, la coniglietta Sunny fu lì per confortarla, e decisamente troppo buona per far del male ad un animaletto come lei, la bambina la lasciò fare, immergendo le dita nel suo pelo color della sabbia. Al piano inferiore, ancora scioccati, i familiari della pixie non sapevano cosa fare, e guardandosi negli occhi a vicenda, tentarono di trovare una soluzione. Improvvisamente triste, Lucy abbandonò i suoi giocattoli nuovi per sdraiarsi sul divano, e quasi piangendo, si chiese cosa fosse successo, se fosse colpa sua, e soprattutto, perchè la sua sorellina così emozionata dal Natale fosse scappata via in quel modo. Quei dubbi la tormentarono per un tempo che non riuscì a definire, e attimi dopo, una voce che lei non udì ruppe il silenzio. "Te l'avevo detto, Oberon. Sai quanto le piacesse." Era sua madre, ma a lei non importava. Per quanto ne sapeva, il Natale era già stato rovinato, e arrabbiata con sè stessa e con i genitori, ormai non si muoveva più, inzuppando lentamente di lacrime i cuscini del divano. Affranta, Isla sparì nella sua stanza, e tornando indietro dopo pochi minuti, attraversò il salotto per salire le scale e raggiungere la camera delle bambine. Incuriositi, Lucy e suo padre la seguirono senza una parola, e quando finalmente una tristissima Lune si decise ad aprire la porta, si lasciò andare fra le braccia della madre, e stringendola a sè, accettò con rinnovata gioia quell'ultimo regalo. "Babbo Natale aveva dimenticato questo, tieni." Le disse quasi in sussurro, entrando nella stanza e posandoglielo in braccio con delicatezza. Annuendo, la piccola non si fece pregare, e scartandolo lentamente, circondata dagli affetti familiari, quasi pianse. Non per il dolore, non per la tristezza, ma al contrario, per un incontenibile senso di felicità. Improvvisamente, il ricordo della notte prima si fece spazio nella sua mente. Aveva chiesto un miracolo e lo aveva ottenuto, poichè fra le sue mani giaceva il piccolo libro da colorare che tanto aveva chiesto. Con lacrime di gioia negli occhi, abbracciò nuovamente ognuno dei presenti, ebbra di felicità e rinnovata fiducia in sè e negli altri dopo quelli che erano stati una vera delusione e i suoi rinomati capricci da pixie.


Come c'era d'aspettarsi, alla fine la quindicesima storia di questa raccolta è sbarcata qui nel sito, e racconta un nuovo spaccato della vita di Lucy e Lune e della loro famiglia la settimana prima di Natale. Le piccole di casa sono emozionate, giocano insieme, si godono l'inverno e attendono i loro regali, quando, come si vede, qualcosa va storto. Per pura fortuna, tutto è bene quel che finisce bene, e spero vivamente che la storia vi sia piaciuta. Per placare la vostra eventuale curiosità, ecco l'immagine del puzzle ricevuto dalla giovanissima pixie. 
 
 
Lunie-s-puzzle

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Capitolo 16
*** SOS nella neve ***


Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
Capitolo XVI
 
SOS nella neve
 
Dopo un ennesimo gioco d'astri e la fine di un nuovo ciclo solare, le stagioni si erano ripetute, e al bosco era di nuovo inverno. Faceva freddo, le piante e i fiori gelavano, e gli animali si nascondevano, migravano o cadevano in letargo per sfuggire ai rigori della stagione. Timido come un bimbo, il sole faceva fatica a mostrare il suo pallido volto, e quasi tremando di paura, si nascondeva dietro alle sorelle nuvole, ben felici di offrirgli un rifugio da un mondo già sveglio e vivo. A poco a poco, i suoi tenui ma potenti raggi scaldavano il globo, e Kaleia, impigrita e intirizzita dal gelo, rifiutava di svegliarsi. Non per accidia, nè per malattia, ma piuttosto per una questione legata all'incompatibilità dei suoi poteri con quel clima tanto algido. In altri termini, se con il freddo la natura soffriva, lei soffriva con essa. Era quella la ragione per cui in quel periodo preferiva l'inattività e il sonno alla veglia. Contrariamente alla sorella, fata del vento abituata a quel tempo, lei trovava nella quiete del sonno e nel calore delle coperte una sorta di meccanismo di difesa fino al ritorno in cielo di un più caldo sole. Era allora che stava meglio, che riusciva ad alzarsi e ad avere la forza di indossare il suo smeraldo, unico gioiello capace di stabilizzare i suoi poteri di fata. Un regalo di Christopher, suo amato protettore e compagno di vita. Innamorati, avevano osato sfidare le avverse leggi del bosco e disobbedirvi pur di stare insieme, e al solo pensiero, la stessa Kaleia finiva per per versare affatto amare lacrime di gioia. Era bello sapere che i loro sacrifici non erano stati vani, così come lo era lo stesso atto di stare insieme, felici e con la mente sgombra dalle preoccupazioni. Quell'anno, però, era tutto diverso. Il Natale si stava avvicinando, e lui non era con lei. Per pura fortuna, la fata poteva contare sulla compagnia e sulla presenza nella sua vita della madre e della sorella, che in piedi di buon mattino già si impegnavano per rendere la casa più gioiosa e colorata in onore della festa. Lento, il tempo scorreva, e annoiata, lei lo guardava svanire immergendosi nella lettura. Un libro ormai vecchio, già letto e conosciuto, che nonostante tutto non la stancava mai. Pagine e pagine sulla vita di una giovane principessa a lei simile, quasi costretta a rinunciare all' uomo che amava, come per poco non era successo anche a lei. Inutile dire che il solo pensiero la intristisse, e che ogni volta scuotesse la testa per allontanarlo. Così, già stanca e con il cuore stretto in una morsa, posò il libro e tornò a sedersi sul divano di casa, chiamando a sè l'amata gatta Willow e il fido scoiattolo Bucky, che subito si accucciarono accanto a lei per farsi accarezzare. Un mero palliativo di fronte al dolore che sentiva, ma allo stesso tempo una sorta di medicina di cui non riusciva a fare a meno. Più calma e tranquilla di prima, fece loro le coccole per qualche minuto, salvo poi rimettersi in piedi e dedicarsi agli addobbi. Silenziosa, appese all'albero in salotto qualche leggera statuetta, sfiorando lentamente con le dita le ali di un angelo. Non era reale, ovvio, ma fu muovendo le dita che lei riuscì a renderlo tale, guardando quelle piccole ali muoversi e il finto sorriso sul suo volto di ceramica illuminarsi. A quella vista, lei sorrise a sua volta, e nello spazio di un momento, il silenzio attorno a lei si ruppe come vetro. "Giocare con gli ornamenti e fissare la porta non lo farà tornare indietro più in fretta, sai?" era sua sorella, che avendo appena finito di sistemare il puntale in cima all'abete natalizio. Troppo distratta dai suoi pensieri, Kaleia finì per ignorarla, ridestandosi dal suo torpore solo quando, seccata, Sky schioccò le dita nella sua direzione. "Kaleia, ci sei?" le chiese, guardandola negli occhi. "C-Cosa? S-Sì, scusa, stavo..." balbettò lei, penosa. "Pensando al tuo ragazzo, l'ho capito." Replicò la sorella, irritata da quel comportamento. Avendo trovato l'amore nel suo dolcissimo Noah, la capiva, e pur non potendo biasimarla, a volte tendeva a considerare il suo modo di essere una vera esagerazione. "Sky, scusa, ma avrebbe dovuto essere qui da un pezzo, sono solo preoccupata." Ammise l'altra, per poi abbassare lo sguardo e incrociare i piedi come una bambina. Non sapendo cosa dire, Sky si limitò a guardarla, e in silenzio, si allontanò fino a lasciarla da sola. Conosceva sua sorella, le voleva bene, ed era sicura che in un momento di quel calibro avesse solo bisogno di solitudine. In cuor suo avrebbe voluto abbracciarla, stringerla a sè e provare a dirle qualcosa, ma allo stesso tempo, il pensiero di commettere un errore la bloccava. Preoccupata, sua madre Eliza le si avvicinò, e senza una parola, le prese la mano, carezzandola con amore. "Tutto bene, pixie?" azzardò, tacendo nell'attesa di una risposta. "Sì, mamma." Ebbe appena la forza di dirle, pur senza voltarsi a guardarla e tenendo lo sguardo fisso sulla porta come un fedele cane farebbe nell'attendere il padrone. "Kaleia, arriverà, sta tranquilla. Non ti ha abbandonata, va tutto bene, d'accordo? Tutto bene." Continuò sua madre, parlandole con voce calma e dolce al tempo stesso. Grata, la ragazza si voltò per un attimo, e guardando negli occhi la donna che da anni la considerava sua figlia, si lasciò stringere in un abbraccio. "Grazie." Disse in un sussurro, sentendo gli occhi bruciare a causa di un pianto che avrebbe soltanto voluto liberare. Riuscendo a capirla perfettamente, la donna le sorrise, e in quel momento, un suono distrasse entrambe. Qualcuno aveva appena bussato alla porta, seguito solo da una pausa di silenzio. Con il cuore in tumulto, Kaleia quasi faticò a voltarsi, e ritrovando la calma ormai persa, si decise ad aprirla, e la figura del suo amato emerse come per incanto di fronte ai suoi occhi. "Allora? Mi aspettavi? le chiese, perdendosi nell'azzuro dei suoi occhi e regalandole un luminoso sorriso. "Chris!" quasi urlò lei in risposta, gettandogli le braccia al collo e baciandolo con tutta la passione di cui era capace. Ad occhi estranei, quella scena avrebbe potuto risultare esagerata, ma non ai loro, mai. Si amavano troppo per considerarla tale, e cosa sapevano gli altri di ciò che provavano l'uno per l'altra? E soprattutto, chi erano per giudicare. Le risposte a quelle domande erano due, entrambe estremamente semplici. Niente e nessuno, o almeno non di fronte a loro. Erano felici, e quella era l'unica cosa a contare. "Sei venuto! continuò poi, riprendendo la parola appena si staccarono. A quelle parole, Christopher mantenne il silenzio, e sollevando una mano, le accarezzò una guancia con dolcezza. "Certo." Disse poi in un sussurro innamorato, non avendo in quel momento occhi che per lei. "La mia famiglia è importante, ma non potevo lasciare qui da sola la mia piccolina." Concluse poco dopo, concentrando in un altro bacio tutta la felicità che provava nel rivederla. A quella scena, Eliza quasi pianse, e distinguendosi come sempre, Sky si sforzò di non guardare, ma solo perchè era sicura di scoppiare in lacrime a sua volta da un momento all'altro. "Dì, va meglio adesso? Stai bene?" azzardò poi il ragazzo, sfiorando di nuovo il volto dell'amata e sistemandole una ciocca di capelli appena dietro l'orecchio. "Benissimo, amore. Non aspettavo altro, sai?" rispose lei, dolce e sincera come sempre. Innamorato, Christopher si ridusse al silenzio, e scostandosi finalmente dall'uscio di casa, prese per mano la sua fidanzata, andando ad accomodarsi con lei sul divano poco distante. Di lì a poco, il silenzio cadde nella stanza, e finalmente calma e felice, Kaleia si rese conto di non riuscire a smettere di sorridere. A quanto sembrava, ora aveva una vera ragione per farlo, e lo scenario era a dir poco perfetto. L'aria di festa che si respirava ovunque al bosco, il calore del caminetto acceso da poco, il profumo della dolce cioccolata calda e dei biscotti nel forno e sul piano cottura, l'enorme abete natalizio finemente decorato, era tutto perfetto, fin nel più piccolo dettaglio. Lei e la sua famiglia si erano impegnati fino allo spasimo perchè tutto riuscisse al meglio, e guardandosi intorno, Kaleia tirò un sospiro di sollievo e beatitudine al tempo stesso. "Kaleia?" la chiamò il suo amato, distraendola. "Sì, Christopher?" sussurrò lei in risposta, estasiata. "Ti amo." Le rispose lui, dolcissimo. Sorpresa, la fata sentì il cuore perdere un battito, e ignorando la madre, la sorella e i suoi amici animali, abbandonò le sue mani in quelle di lui per un momento tutto loro, seguito da un ennesimo contatto che la lasciò letteralmente ebbra di felicità. "Sky, guardali. Così giovani e innamorati, proprio come te e Noah, non li trovi adorabili?" disse a quel punto la cara Eliza, prendendo la parola e spezzando il silenzio creatosi fra di loro. "Sì, adorabili." Ripetè la ragazza, impegnata a guardare fuori dalla finestra e non attendendo altro che l'arrivo delle nuvole in cielo. Stando a ciò che vedeva, ossia un cielo completamente terso e limpido, il proverbiale freddo dell'inverno sembrava aver deposto le armi in anticipo, e per la fata del vento non avrebbe avuto la gioia di vedere la bianca e fredda neve cadere in quel così bel giorno dell'anno. "Qualche problema, Sky?" fu l'ovvia domanda di Christopher, che per un momento era riuscito a distrarsi dalla bellezza della sua fidanzata. "Certo! Guarda là fuori! La vera ragione per cui aspetto l'inverno è la neve, e non ce n'è un centimetro. Che succede al tempo?" si lamentò la fata, frustrata da tutto quel seppur pallido sole. "Niente, cara. Fa solo più caldo del solito, quest'anno, e poi pensaci, fra noi sei l'unica ad aspettarla con così tanta ansia, calmati. Nevicherà se deve, non pensarci." Quelle furono le parole della saggia Eliza, pronunciate con la calma di chi ha raggiunto una sorta di perpetua pace interiore. "Sì, ma..." biascicò Sky, sempre più amareggiata. "Sarei dovuta andare a stare da Noah." Sussurrò poco dopo, parlando con sè stessa e stringendo i pugni nel tentativo di rilassarsi. Per tutta risposta, il suo merlo Midnight gracchiò sonoramente, e vicina alla gabbia di freddo metallo, lei lo accarezzò, per poi abbandonarsi ad un cupo sospiro. "Non posso crederci. Christopher è già qui, mentre lui arriverà domani." Continuò, portando avanti quella conversazione con il volatile e sbuffando ancora, scontenta. Volendo provare a confortarla, il merlo le sfiorò le dita con il becco, e rinfrancata, la ragazza abbozzò un sorriso. "Hai ragione, non devo farmi abbattere." Disse, sentendosi improvvisamente più sicura di sè stessa. "Questo è lo spirito, Sky, brava." Le rispose la madre, sorridendole con orgoglio. "Non parlavo con te, mamma." Fu svelta a replicare lei, continuando ad accarezzare il suo quieto volatile. Confusa, la donna si ridusse al silenzio, sparendo dalla stanza quando il suono del timer la costrinse a tornare in cucina. I biscotti che aveva preparato ormai dovevano essere pronti, e conoscendosi, non si sarebbe certo perdonata anche la sola idea di bruciarli. Di lì a poco, le ragazze rimasero in compagnia delle loro dolci metà, e silenzioso, il piccolo Bucky zampettava per il salotto, avventurandosi fra un ramo e l'altro dell'albero di Natale nell'angolo della stanza. Forse annoiato, o forse geloso, imitava la cara Willow, che al contrario di lui se ne stava sdraiata sulla stessa coperta che Kaleia si era sistemata sulle gambe. A occhi chiusi, la gatta era sveglia e rilassata, e nel silenzio, l'orologio ticchettava costantemente. Nessuna diceva una parola, tutti si godevano la quiete, e per pura fortuna, quel giocoso scoiattolo non faceva danni. Di solito accadeva il contrario, ma almeno quella volta le palline, le luci e gli ornamenti erano salvi. Calma e tranquilla, Kaleia lo guardava divertirsi, concedendosi del tempo per sè stessa e per il suo ragazzo. "Giorno perfetto, non trovi?" gli chiese, felicissima. "Perfetto." Le fece eco lui, continuando a coccolarla e posandole delicatamente la testa sulla spalla. Respirando lentamente, Kaleia si godette ogni istante di quel momento, e improvvisamente, una voce la distrasse, interrompendo bruscamente il flusso dei suoi pensieri. "Ragazzi! I biscotti e la cioccolata sono pronti! Non ne volete un pò?" diceva, interrompendosi appena dopo per ascoltare la loro risposta. Decisamente dell'umore anche per una tazza di cioccolata, Kaleia sorrise, e i suoi occhi si riempirono di luce. "Tu cosa dici, Chris? Immagino ce ne sia per tutti." propose, sfiorandogli la mano con dolcezza. "Non vedo perchè no, amore, aspetta." Rispose il ragazzo, ricambiando quel bellissimo sorriso. Detto ciò, Christopher fece per alzarsi, ma la comparsa di Eliza sulla scena lo bloccò sul posto. "Chris, per favore! Tu e la tua fatina potrete anche convivere, ma oggi sei un ospite, sta pure comodo, e prego!" gli disse, fingendosi arrabbiata nel redarguirlo giocosamente, per poi lasciarsi sfuggire una risata e posare un vassoio d'argento sul tavolino del salotto. "Grazie, Eliza, volevo solo..." provò a dire il ragazzo, fermato da un altro intervento della donna. "Non dirlo nemmeno, non in un giorno di festa." Insistette, troppo abituata a fare da sè per scomodare altri. "D'accordo, scusa." Fu la sola risposta del ragazzo, che sedendosi, tornò a concentrarsi sulla propria fidanzata. "Chris, no, non è niente. Dolce come sempre, vero, caro il mio custode?" Replicò allora Kaleia, felice e innamorata come mai prima di colui che le aveva rubato il cuore. "Come sempre, fatina." Fu svelto a risponderle il ragazzo, avvicinandosi per stringerla a sè. "Anche se non più di te." Aggiunse poco dopo, sincero e perso per lei. A quelle parole, lei finì per sospirare, e attimi dopo, la voce di Sky irruppe nella stanza. "Ragazzi, guardate! Nevica! Finalmente, nevica!" gridò, emozionata nel guardare fuori dalla finestra. Sorpresi, gli amici la imitarono, e nello spazio di un momento, il freddo e la neve entrarono nel loro campo visivo. Bella e gelida, questa cadeva dal cielo, e ad uno ad uno, i fiocchi si scontravano con il terreno, arrivando a formare il tappeto che tutti, adulti e bambini, conoscevano e amavano. Fuori di sè dalla gioia, Sky si precipitò ad aprire la porta, ritrovandosi però costretta a richiuderla quando il vento parve sputargliela in faccia. "Santo cielo, non aspettavo altro, ma adesso è fin troppa!" commentò, sorpresa come e forse più degli amici. "Visto cosa succede quando non si fa attenzione?" le chiese allora la sorella, abbozzando un sorriso di puro scherno. "Sta zitta, piantina!" rispose la diretta interessata, scottata da quella sorta di accusa. "Sky!" la riprese a quel punto la madre, arrabbiata. "Ha iniziato lei!" continuò la ragazza, comportandosi come una bambina. "Non m'importa, sarò io a finire." Concluse la donna, tenendo sulla figlia maggiore un occhio critico e invelenito. Seccata, Sky scivolò nel mutismo, e di nuovo sul divano, spostò lo sguardo sulla gabbia del suo merlo. Sveglio e vigile, sembrava aver assistito all'intera scena, e gracchiando fastidiosamente, parve voler annunciare qualcosa, o per meglio dire, qualcuno. Era strano a dirsi, ma anche con quel tempo e quelle orribili intemperie, qualcuno stava bussando alla porta. Veloce, Kaleia l'aprì di nuovo, e fu allora che tutti i presenti videro il povero Noah arrancare in mezzo alla neve. Aveva l'aria e il volto stanchi, e non era da solo. Difatti, Leara era con lui, anche lei stanca e quasi senza fiato. "Chris... per... per fortuna ti ho trovato! Ditemi, state bene?" gli chiesi, faticando a parlare ed esprimersi. "Benissimo, cara, non preoccuparti." Le rispose Eliza, comprendendo le sue preoccupazioni e invitandola ad entrare. Silenzioso, Noah si limitò a seguirla, e infreddolito, si diresse subito verso il caminetto. Alla sua vista, Sky quasi sobbalzò, e felice come mai prima, lo strinse a sè nel più romantico degli abbracci. "Alla fine ce l'hai fatta, vedo." Gli sussurrò, giocosa e innamorata. "Come non potevo?" replicò il ragazzo, portando avanti quel dolce gioco e sedendosi con lei. Per tutta risposta, il fastidioso merlo gracchiò di nuovo, ma stavolta la padrona lo zittì con un gesto della mano. "Quieto, Midnight." Gli disse, annoiata. A quella scena, Noah rise di gusto, e finalmente sveglia dal suo sonno sulla coperta, Willow si stiracchiò pigramente, reprimendo un miagolio. "Buongiorno, principessa." Commentò allora Christopher, divertito. "Credevo di averlo io, quel titolo, custode." Rispose subito Kaleia, toccandosi il petto in un'espressione di finta sorpresa. "Scherzavo, amore, tranquilla." Fu la replica del ragazzo, che, dimentico della presenza del resto degli ospiti nel salotto, si concentrò unicamente su di lei, rubandole in quel momento un bacio da capogiro. "Non vedo l'ora che arrivi domani, sai?" le ricordò, serio. "Anch'io, tesoro, anch'io. Non vedo l'ora di vedere cosa mi hai regalato." Rispose subito lei, calma e curiosa. "Lo scoprirai presto, fatina mia." Sussurrò il ragazzo in risposta, stringendola ancora. Lasciandolo fare, Kaleia si godette il calore di quell'abbraccio, stranamente perfino migliore di quello che proveniva dal caminetto. Taceva, e non lo diceva mai ad alta voce, ma a volte si chiedeva davvero quale spirito, fantasma o entità superiore avesse agito per regalarle la vita che viveva, e la cosa la rendeva felice, così tanto da riempirla d'orgoglio. La vita era sua, e lei poteva viverla come voleva, ma più il tempo passava, e meglio si sentiva. Forse era solo un caso, forse davvero il destino, ma a lei non importava. Per quanto ne sapeva, il presente era l'unica cosa ad avere un briciolo di rilevanza. Ad ogni modo, il pomeriggio stava svanendo, e con esso anche il sole, e fu allora che dando un fugace sguardo al panorama appena fuori dalla finestra, Leara sentì un guizzo di memoria saltarle in mente. I loro genitori. D'accordo con la loro idea di far visita alla fata, erano rimasti nella loro casa al villaggio per ultimare i preparativi del Natale ormai imminente, ma data l'ora ormai tarda e la mancanza di loro notizie, dovevano essere preoccupati a morte. "Chris, i nostri sanno che sei qui, vero?" chiese, improvvisamente preoccupata. "Certo, ma se vuoi avvisarla, fa pure." Le rispose il fratello, controllandosi la tasca e lanciandole uno strano oggetto con uno schermo e pochi pulsanti. Afferrandolo al volo, Leara vi strisciò il dito, ma pur premendo il pulsante giusto, nulla cambiò. Non vide altro che il nero, e ogni altro tentativo si rivelò vano. "Dannazione, il cellulare è andato! E anche il mio!" esclamò, iniziando inconsciamente a tremare. Sorpreso, Christopher sussultò, e contagiata dal clima che regnava nella stanza, si immobilizzò per la paura. "Cosa? Ma non è possibile!" rispose il ragazzo, scioccato. "Che succede?" non potè evitare di chiedere Kaleia, estremamente confusa. "Il mio cellulare. Con la tormenta non prende, e non posso avvisare i miei." Le spiegò, sforzandosi di mantenere la calma. "Cellu... cosa?" gli fece eco lei, guardandolo senza capire. "Cellulare, è un marchingegno umano, e serve a comunicare. Come una lettera, ma molto più veloce." Continuò Christopher, parlando e andando alla ricerca di una soluzione al loro problema. Appena fuori, la neve non voleva saperne di smettere di cadere, ed era sicuro che se avesse continuato, lui, i suoi amici e la sua ragazzi si sarebbero ritrovati chiusi in casa per ore, o chissà per quanto. "Ragazzi, basta! Va tutto bene, d'accordo?" un urlo improvviso echeggiò nella stanza, e scivolando nel silenzio, ognuno dei presenti si guardò intorno, scoprendo solo allora la presenza di Eliza. "Scusate se ho gridato, ma eravate tutti nel panico, e dobbiamo stare calmi." Disse poi, abbassando il volume della voce e tornando a usare un tono normale. Ancora scossi, gli ospiti non seppero cosa dire, e dopo un attimo di calma, la donna riprese la parola. "Andrà tutto bene, fidatevi. Sì, fuori c'è una bufera, ma qui abbiamo ancora calore ed elettricità." Continuò poco dopo, abbozzando un sorriso per rassicurare gli invitati. Rinfrancati, gli ospiti si ritrovarono ad imitarla, ma istanti dopo, il peggio. Come se tutto facesse parte di una sorta di maledizione, il caminetto si spense, e così le luci. "Le mie ultime parole famose..." commentò infine la donna, sconfitta. Spaventata, Kaleia sentì un brivido scuoterla da capo a piedi, e chiudendo gli occhi, si impose di calmarsi. "Tutto bene, andrà tutto bene." Si ripetè mentalmente, stringendo senza volerlo la mano del fidanzato fino a fargli male. "Così, fatina, sfogati." Le sussurrò lui, orgoglioso della sua resilienza. Grata, la ragazza sorrise appena, e nello spazio di un momento, un lampo di genio. "Fermi tutti, abbiamo una speranza." Dichiarò infatti, decisa. Confusi, tutti i presenti la fissarono nonostante il buio, ma ignorandoli, lei si concentrò a fondo, e in ginocchio sul tappeto, toccò con mano il pavimento, fino a non sperimentare altro che pace e quiete, e non avere di fronte altro che il colore della speranza e del suo elemento. A magia ultimata, si rimise in piedi, salvo poi barcollare e ritrovarsi costretta a sedersi per riposare. Previdente come sempre, Eliza aveva intanto acceso delle candele, e respirando a fatica, Kaleia si sforzò di parlare. "Bene, dovrei esserci riuscita." Disse soltanto, calma ed enigmatica. "A far cosa? Da quel che vedo sta ancora nevicando, signora delle piante." Fu svelta a chiedere Sky, sempre pungente e senza modi. Non lo faceva per cattiveria, era ovvio, e la sorella lo sapeva bene, ma a quanto sembrava, la precarietà della situazione metteva in luce la parte peggiore del suo già freddo e chiuso carattere. "Silenzio, figlia dell'aria, ora basta aspettare." Replicò allora Kaleia, rischiando di perdere la pazienza e ricordandole lo strano nomignolo che aveva sentito dallo strano uomo vestito in nero, che ancora ricordava e che aveva scoperto essere il protettore di Sky. Stando ai suoi ancora nitidi ricordi, si chiamava Major, ma non sapeva altro. "D'accordo, signorina, d'accordo." Fu l'ultima replica della fata del vento, oltremodo seccata. Di lì a poco, la quiete li rese sordi, spezzandosi come un'ormai consunta corda quando un latrato raggiunse le loro orecchie. Era Red, quel dolcissimo animale dal pelo rosso che Christopher e Kaleia avevano imparato ad amare. Sorridendo, lui aprì la porta, e spalancando le braccia, lo accolse con gioia, per poi inginocchiarsi e accarezzarlo con delicatezza. "Red! Bello, ciao!" salutò, felice di rivederlo. In risposta, l'animale uggiolò, e nel farlo, si rotolò per terra mostrando la pancia e lasciandosi coccolare. Di lì a poco, un'altra figura lo seguì dentro casa, e alzando lo sguardo, la videro. Zaria Vaughn, strega dall'apparente cuore di pietra, con un sorriso più luminoso del sole e un sacco di iuta sulle spalle. Sorpresi, tutti i presenti la fissarono, e sempre sfoggiando quel meraviglioso sorriso, la donna pregò l'animale di scostarsi con un gesto della mano, ed entrando in casa, posò a terra il sacco chiuso da una corda perfettamente annodata. "Scusate il ritardo. Sarei arrivata anche prima se Mister Zampalesta non mi avesse pregata di fermarmi all'emporio." Disse, scusandosi e mettendosi comoda sul divano di casa. Intanto, e per pura fortuna, c'era da dirlo, l'elettricità aveva ripreso a funzionare, e ora il salotto e l'albero di Natale sembravano splendere di una completamente propria. "Emporio?" le fece eco Leara, confusa. "Esatto. Il sacco è pieno di regali per tutti signorina." spiegò la cara strega, voltandosi verso la ragazza e gettando un occhio al povero Red, felice ma spompato dopo la corsa che lo aveva condotto fino a quella casa. "Christopher, dice davvero? Ne sai qualcosa?" chiese a quel punto la ragazza all'amato, stringendogli le mani in attesa di una risposta. Innamorato come sempre, Christopher si limitò a sorridere e annuire, per poi regalarle un bacio sulla guancia. "Grazie, amore, grazie! Sei un angelo, sai?" rispose subito lei, emozionata come una bambina. A quelle parole, il ragazzo non rispose, ma sollevando una mano, le accarezzò la stessa guancia che aveva baciato, scoprendola ancora morbida e calda. "Sapete cosa significa, vero?" azzardò a quel punto Eliza, fino ad allora rimasta in silenzio ma stranamente divertita. "No, cosa?" indagò Sky, incuriosita. "Semplice. Uno di noi si fingerà Babbo Natale, consegnando i regali uno per uno. Avanti, chi se la sente?" spiegò velocemente la donna, con un sorriso che le andava da un orecchio all'altro. A quelle parole, Red e Noah fecero un passo indietro, e con loro Sky e Leara, mentre Kaleia, eccitatissima, guardava il suo ragazzo con gli occhi di chi ama. Intuendo il suo volere, Christopher rise sommessamente, poi si decise. "D'accordo, lo farò io." Disse soltanto, per poi scivolare nel mutismo e studiare le espressioni sui volti degli amici. Annuendo, Eliza sparì in cucina per qualche attimo, tornando poi indietro con una sedia. Sempre sorridendo, Christopher si sedette, e con un gesto della mano, invitò la sua Kaleia a sedersi sulle sue ginocchia. Obbedendo, la ragazza gli rubò un ultimo bacio, poi lo lasciò a quello che in quel momento il ragazzo considerava il suo dovere. Poco dopo, avvicinò a sè il sacco della strega, e infilandovi una mano, sfiorò ognuno dei pacchetti. Pochi, certo, ma abbastanza perchè ognuno degli ospiti avesse almeno un regalo. "Bene, bene, bene. Iniziamo a dare un'occhiata a questi doni." Dichiarò, deciso e giocoso come sempre, strofinandosi il mento come se avesse davvero avuto la lunga barba del vecchio che i bambini umani e magici conoscevano come Babbo Natale. Impaziente, Kaleia non faceva altro che fregarsi le mani, e trovandola adorabile, Christopher si fermò ad osservarla, innamorato come non mai. Ormai pronto a iniziare, estrasse il primo pacco dal mucchio, e osservando per un attimo la targhetta che penzolava da un lato, lesse il proprio nome, e appena sotto, quello della sorella. "Il primo è per una ragazza di nome Leara." Disse, invitandola ad avvicinarsi e porgendoglielo con delicatezza. Sorpresa, Leara stessa quasi non credette ai suoi occhi, e strappando con cura la carta stellata, scoprì di aver ricevuto un dono tanto bello quanto inaspettato. Un gatto nero intarsiato e intagliato nell'ebano, e per questo di squisita fattura. Con il cuore che batteva forte per l'emozione, ringraziò il fratello, e stringendo quel dono al petto, lo tenne al sicuro nascondendolo nella piccola borsa che aveva con sè, e trovando di nuovo posto sul divano di casa, proprio accanto al fuoco, provò a scaldarsi, ancora intirizzita e provata dal freddo. Fu quindi questione d'istanti, e un secondo regalo uscì dal sacco, e la carta dorata, il biglietto e la calligrafia potevano significare una sola cosa. Sorprendentemente, quel dono era per Sky, da parte del suo amatissimo Noah. "Qui abbiamo un regalo da parte di un semplice umano per una fata complicata. Fredda, algida ma comunque buona, che si chiama..." continuò Christopher, recitando alla perfezione la sua parte e passando poi con lo sguardo la parola all'amico. "Sky." Riprese Noah, togliendo il dono dalle mani del ragazzo e mostrandolo alla fidanzata. "Noah, è... è per me?" ebbe appena la forza di chiedere la fata, emozionata come mai prima. "Sì, tutto tuo, tesoro. E ad essere sincero, spero che ti piaccia." Le rispose il fidanzato, per poi tacere e restare a guardare, mentre, con calcolata lentezza, liberava il dono dalla carta che lo ricopriva, e scoprendolo ben chiuso in una piccola scatola, l'apriva con la stessa cura, rischiando di perdere il respiro nell'abbassare lo sguardo. Le era incredibile, eppure fra le sue mani teneva un oggetto che per lungo tempo non aveva fatto che desiderare. Piccolo e fragile, un globo di neve con una riproduzione del bosco in cui vivevano ben chiusa all'interno. Non sapendo cosa dire, Sky finì per boccheggiare a vuoto come alla ricerca d'aria e di parole, ma alla fine, arrendendosi all'evidenza della sua felicità, scelse di baciarlo, stringendosi a lui con l'abbandono e la disinvoltura che la caratterizzava. Rispondendo al bacio, Noah godette di ogni secondo, e quando finalmente i due si staccarono per respirare, rimasero così, fermi, persi l'uno negli occhi dell'altra e pacificamente abbracciati. Crudele e incapace di perdono, il silenzio permeò l'aria, e senza una parola, Kaleia si limitò a guardare il proprio ragazzo negli occhi, anche se solo per un secondo, sentendo calde lacrime formarsi nei propri. Non era tristezza, al contrario gran gioia, e mentre il tempo scorreva, lei non attendeva che il suo dono natalizio. Mantenendo il silenzio, sollevò una mano per accarezzare il viso del suo amato, e nel farlo, gli sussurrò una sola frase all'orecchio. "Non dimentichi nulla, caro Babbo Natale?" chiese, parlando con voce calma e suadente. "Nulla, mia cara e dolce fatina. Come hai potuto anche solo pensarlo? In fondo, conosci le consuetudini umane, vero? C'è una cosa che diciamo spesso." Le fece notare, ricambiando il suo sguardo dolce, serio e innamorato mentre la coccolava. "Dite cosa, mio custode?" non potè evitare di chiedere, curiosa e completamente stregata. "Dulcis in fundo, piccolina." Le sussurrò il ragazzo, non smettendo di guardarla mentre toglieva dal sacco l'ultimo regalo rimasto. Posto come gli altri in una scatola finemente decorata. Di un verde della stessa sfumatura del muschio, con sopra molteplici effigi di abeti bianchi come la neve. Sorpresa, Kaleia finì per trasalire, e prendendogli la mano, si lasciò guidare nello scartare quel dono. Un gesto che con il suo aiuto non richiese alcuna fatica, e che a lavoro finito, rivelò una statuetta di legno simile a quella ricevuta dalla sorella, che a differenza della prima aveva la forma di un albero nel cui tronco era stata incisa la sua iniziale. Fatto a mano, sembrava perfetto in ogni minimo dettaglio, incluse le foglie, finte ma colorate di un verde vivo e brillante. A quella vista, la ragazza sentì il cuore perdere un battito, e più felice di quanto non fosse mai stata, si strinse a lui con il solo intento di baciarlo, sperando di poter fermare il tempo e assaporare quelle dolcissime labbra all'infinito. Sfortuna volle che i suoi poteri di fata non contemplassero quella capacità, ma nonostante tutto, lei fu felice. Felice di aver passato una meravigliosa giornata al fianco delle persone che più amava, piena di gioia, letizia, romanticismo e soprattutto speranze per un sereno avvenire, rinsaldate da un caloroso abbraccio di gruppo che unì ognuno dei suoi ospiti prima che quell'attesissimo Natale avesse fine, rendendolo perfetto anche dopo uno sfortunato e a dir poco rocambolesco SOS nella neve.  
 
 
 
Quando ormai manca poco alla fine di questo primo giorno di primavera, rieccomi con la sedicesima storia di questa raccolta, che ci fa immergere in un altro spaccato di vita della nostra cara fata Kaleia, alle prese con un inizialmente triste e in seguito gioioso Natale reso perfino migliore dalla presenza di coloro che ama, nonostante il disastro che rischia di mandare tutto a rotoli. Scriverla mi è piaciuto davvero, e spero abbia avuto lo stesso effetto anche su di voi,
 
Emmastory :)

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Capitolo 17
*** Finta quiete e altri danni ***


Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
Capitolo XVII
 
Finta quiete e altri danni
 
Divertendosi come bambini, i giorni e i mesi si erano rincorsi in lungo e in largo, sparendo ognuno dalla seppur metaforica vita dell'altro in gran fretta, pur senza però dimenticare di salutarsi, come buoni amici prima di una partenza. Già in alto nel cielo, occupato a dar mostra della sua regale e aurea magnificenza, il sole faceva lo stesso con il bosco, svegliando ad una ad una dormienti piantine e sonnolente creature. Lentamente, ciascuna di loro riprendeva la propria vita ridestandosi dal proprio lungo sonno in un letto di terra o stoffa, e così, in quel perfetto connubio forgiato dal tempo, fra semplici umani e creature magiche, si giungeva infine al giorno più importante. 31 Dicembre, ovvero l'ultimo dell'anno. Scritto e cerchiato in ogni calendario, veniva spesso chiamato anche Capodanno, proprio perchè da un certo punto di vista era come se ogni volta, ogni giorno si scostasse solo e soltanto per far posto ad uno nuovo, e quello seguente lo imitasse, dando poi inizio ad un'apparentemente infinita catena che culminava con la giornata che intanto aveva appena avuto il suo inizio. Nella stanza di Kaleia, tutto era calmo. Il suo amato Christopher le riposava accanto, e se una mano era nascosta sotto il cuscino, quella libera restava ferma sulla schiena, come a voler accarezzarla e stringerla, dando prova di quanto tenesse al suo importantissimo lavoro di protettore, e ovviamente, anche quanto l'amasse. Intensa, la luce del sole splendeva appena fuori dalle mura domestiche, e volendo quasi dar loro ancora qualche attimo di tregua, sembrava quasi rifiutarsi di splendere oltre il vetro della loro finestra. Nel silenzio, anche i loro animali dormivano beati. C'era Bucky acciambellato in mezzo a loro, Willow addormentata proprio sul davanzale della finestra, e ultimo, ma non per importanza, Red, che sfuggito al freddo dell'inverno e fuori gioco sul tappeto, aveva trovato in quella casa, comunque vicina alla sua dolce metà e ai quattro cuccioli di cui era diventato padre, il rifugio perfetto. Era soltanto una volpe sapientemente addomesticata, e nonostante non fosse mai veramente lontano dalle sue profonde e ancestrali radici di animale selvatico, se avesse potuto parlare, avrebbe sicuramente ammesso di avere di tutto. Una tana accogliente, più di un posto in cui riposare, due padroni e perfino una compagna. Tale era la vita di quel caro esemplare dal pelo rosso come fuoco, e lo sentiva, tale sarebbe rimasta, poichè trascorsa fra il bosco e il villaggio, al fianco di chi amava davvero. Stabili ma non del tutto maturi, i poteri di Kaleia non le permettevano di parlare con gli animali, o almeno non ancora, e fantasticando su quando sarebbe successo, la fata sorrideva, divertendosi ad immaginare quali bizzarre conversazione avrebbe potuto avere con i suoi amici a quattro zampe. "Ho fame." "Hai visto la mia ghianda? Mi fai un pò di coccole?" solo alcuni ipotetici pensieri del piccolo Bucky, che ormai sveglio, si stiracchiò con la stessa pigrizia che caratterizzava la sua padrona al mattino, e nel farlo, arrivò pericolosamente vicino a graffiarle il viso. "Buongiorno, scoiattolino." Disse infatti la ragazza sorridendo debolmente e sforzandosi di tenere aperti gli occhi azzurri come il cielo appena sopra di lei. Svegliato a sua volta da quello che a lui giunse come un confuso chiacchiericcio, anche Christopher finì per ridestarsi e uscire dal caldo nido fino ad allora offertogli dalle coperte, sbadigliando poco prima di iniziare la giornata con una finta espressione di disappunto stampata in viso. "Prima lo scoiattolo, certo." Sussurrò, parlando con sè stesso e sperando di non essere udito dalla compagna. "Ti ho sentito, sai?" lo riprese questa, tutt'altro che sorda a quel commento. "Non puoi negare che sia vero, signorina." Continuò lui, dando inizio a un'affatto aspra lite che come qualunque altra farsa non avrebbe avuto che vita breve. "Hai ragione." Replicò la ragazza, voltandosi a guardarlo e non spegnendo il luminoso sorriso che aveva in volto. "Così come non posso negare di amarti, tesoro mio." Finì di dire, coronando quel momento con il primo, caldo e tenero bacio di quella giornata. Colto alla sprovvista, Christopher rimase fermo per un istante, salvo poi abituarsi alla dolcezza di quel contatto e renderlo lentamente sempre più profondo, facendo comunque attenzione a non esagerare. Conosceva la sua ragazza, l'amava, e se c'era qualcosa che non voleva fare, quella era superare il limite e rovinare i loro momenti insieme. Era accaduto in passato, ed era vero, ma per fortuna, la colpa non era nè sarebbe mai stata direttamente sua. Degli screzi appartenuti ad un tempo lontano li avevano separati, ma il loro amore poteva essere paragonato ad un boomerang, che se lanciato tornava indietro. Così accadeva a entrambi, che dopo ogni caduta, fosse questa reale o metaforica, si rialzavano e stringevano le mani per riprendere la corsa, più forti di prima. Ad ogni modo, finalmente erano svegli, e appena fuori dalla stanza, furono letteralmente investiti da un odore così buono e invitante da far girar loro la testa. La sveglia sul comodino accanto al letto segnava le undici, ma in piedi di buon mattino, la cara Eliza era già da ore al lavoro davanti ai fornelli per preparare quelli che sarebbero stati prima il pranzo, poi la cena di quell'ormai famoso Capodanno. Pur cresciuta da umana grazie a quella donna che si era spinta oltre il confine del villaggio per prendere lei e sua sorella con sè, Kaleia non capiva ancora molto delle tradizioni di quella gente, così come non capiva perchè il pranzo in quel giorno fosse sempre molto più frugale che negli altri. "È così che funziona, per non rovinarsi l'appetito più tardi." Le aveva spiegato il ragazzo, illuminandola. A quelle parole, la giovane aveva appena accennato un sorriso, poi si era stretta nelle spalle ed era tornata ai propri allenamenti. "Buongiorno." Dissero entrambi, entrando in cucina quasi di soppiatto e cogliendola di sorpresa. "Finalmente! Vi sembra questa l'ora di alzarvi? Sapete che questa casa non è un albergo!" ribattè la donna, tutt'altro che divertita, e anzi, innervosita dal vederli appena svegli e ancora in pigiama mentre l'orologio era sempre più vicino ad indicare il mezzogiorno. "Scusa, mamma. Abbiamo esagerato con i miei allenamenti, poi ci siamo addormentati, e..." provò a dire Kaleia, giustificando sè stessa e il ragazzo per quanto era accaduto. Più veloce di lei, Christopher la fermò con un solo gesto della mano, e zittita, la fata lasciò che la frase le morisse in gola. "Non accadrà più, Eliza, promesso." Disse soltanto, per poi scivolare a sua volta nel silenzio e spostare lo sguardo sulla ragazza che amava. "Sarebbe meglio, tengo molto all'ordine qui in casa." Continuò la donna, rivolgendo a entrambi quelle ultime parole prima di tornare al suo dovere. Quando quell'incresciosa situazione si risolse, i due decisero di dare un taglio alla pigrizia e prepararsi per affrontare la giornata, e così, con indosso qualcosa di più consono al pomeriggio ormai imminente e in tutto dissimile dai loro pigiami, uscirono. Insieme e mano nella mano, si ritrovarono al bosco dopo pochi minuti, e seguiti anche se lentamente dai loro amici animali, che intanto sembravano essersi svegliati e preparati a loro volta, si sdraiarono fra l'erba senza una parola, lasciando che sguardi ed emozioni parlassero per loro. Poco dopo, però, la voce di Christopher ruppe il silenzio. "Dì, tua madre è sempre così "adorabile?" chiese, calcando la voce su quell'aggettivo ora usato fuori da ogni normale contesto. "Solo quando ha molto da fare come oggi, ma cerca di capirla. Si impegna tanto, come te con me." Rispose lei, schermandosi il viso con una mano e parlando apertamente. Voleva bene a sua madre, e negarlo non avrebbe avuto un senso, ragion per cui difenderla le venne naturale come il respiro. Pur ascoltandola, Christopher non disse altro, e puntando un dito verso il cielo terso e azzurro, indicò una nuvola e la sua stranissima forma. "Guarda, quella somiglia a qualcosa, ma cosa?" azzardò, improvvisamente divertito da quella vista. "Una nuvola, genio." Disse una voce alle loro spalle, tanto chiara quanto priva di divertimento. Confusi, i due si guardarono intorno, e fu voltandosi che la videro. Sky, fredda e glaciale come sempre, che sotto quella dura e algida scorza nascondeva in realtà un cuore d'oro. La sciarpa data in dono a Bucky ne era una prova, e ritrovandosi spesso a sorridere a quel solo ricordo, Kaleia era sicura di non dimenticarlo mai. "E tu cosa ci fai qui?" le chiese, stranita dalla sua presenza. "Sono uscita per sgranchirmi, e Noah è con me. Lui e Major sono rimasti al lago, e ora discutono di non so cosa. Una festa umana, o roba simile, non ci ho capito molto. "Intendi Capodanno?" azzardò Christopher, non riuscendo a seguire il suo discorso. "Capo... sì quello." Replicò la fata, così poco abituata a quella parola da non riuscire a pronunciarla. "Mi sono allontanata per dar loro spazio, e pensate, anche Midnight ne aveva le tasche piene. Vero, amico?" spiegò brevemente, per poi passare la parola al suo amico di piuma, che in risposta, le sfiorò la spalla con il becco. Nulla di diverso da un gesto d'affetto, che ogni volta la fata accettava di buon grado. "Dico sul serio. Regali di qua, addobbi di là, quando si torna alla vita di tutti i giorni?" continuò poi, quasi seccata ed esacerbata da tutti quei festeggiamenti. Non intendeva essere acida, ovvio, ma c'era da dire che sin dal suo incontro con Major, rivelatosi suo protettore, ora prendesse allenamenti e studi di magia molto sul serio. Far cessare il vento o la pioggia e cadere le stelle era facile, ma cos'altro poteva imparare? E soprattutto, cosa avrebbe dovuto fare in una situazione di pericolo? Non lo sapeva ancora, e sempre stando alle regole del bosco, Major era lì per insegnarle. Ad ogni modo, la sera era ormai vicina a calare, e con il freddo che già diventava tiranno e iniziava a farsi sentire. "Freddo, amore? Possiamo rientrare se vuoi." Le disse Christopher, tranquillo e premuroso al tempo stesso. Mantenendo il silenzio, Kaleia si limitò ad annuire, e insieme, i due rientrarono. Non muovendo foglia, e ascoltando con ogni passo il rumore delle foglie secche che si spezzavano sotto i loro piedi. Divertente certo, ma anche rilassante. "Aspettate!" li pregò Sky, affrettando il passo per stargli accanto. Allarmati, i due si voltarono, e fermandosi, attesero che la ragazza si unisse a loro. Veloci, anche Noah e Major li seguirono, tornando a casa con loro e formando un gruppo compatto quanto un plotone di soldati. Giunti a destinazione, i due innamorati, salutarono di nuovo Eliza, che nel frattempo aveva finito di preparare la cena, e nell'attenderli, la teneva in caldo nel forno. "Bentornati ragazzi, la cena è in forno, intanto andate pure a sedervi." Li avvisò, sorridente e felice di rivederli. Annuendo, i ragazzi non se lo fecero ripetere, e trovando ognuno un posto a tavola nella sala da pranzo, attesero. Un minuto, due, poi cinque, infine dieci, e il cibo fu posato in tavola. Seppur affamata, Kaleia non mosse foglia, e incuriosita dal delizioso profumo della cucina della cara Eliza, Willow si svegliò dal suo ennesimo pisolino sul divano, e camminando lentamente, si avvicinò al tavolo, per poi alzarsi su due zampe e sfiorare la gamba della padrona, miagolando tristemente. Quello era il suo modo di mendicare, ma sicura di non voler adirare la madre, contraria a quel comportamento, la scacciò con un gesto della mano, e sconfitta, la gatta si ritirò in un angolo del salotto, sedendosi davanti alla propria ciotola e annusandone il contenuto. Davanti a sè non aveva che croccantini, che secchi e sempre uguali, avevano perso tutta l'importanza avuta in precedenza. Willow era una gatta di poche pretese, ed era vero, e pur non potendo parlare, non nascondeva di voler ogni tanto anche solo provare qualcosa di diverso, come quelle delizie che i suoi padroni chiamavano lasagna e zampone. A giudicare dall'odore, uno dei due era a base di carne, e come quella di ogni felino, anche la sua la comprendeva. Non che ne avesse davvero mai mangiato, ma al contrario, a volte riusciva a sentirne il sapore nei suoi stupidi croccantini. Intanto, il buio era ormai sceso, e quasi a comando, le luci sull'albero di Natale del salotto si accesero, splendendo e riempiendolo di colori. Una vista a dir poco ipnotica per la gatta, che distratta, trovò nelle palline appese ai rami più bassi dei perfetti giocattoli per trascorrere il tempo. Tranquilli, Kaleia e i suoi ospiti mangiavano discutendo del più e del meno, e fra un boccone e l'altro, anche la fata teneva gli occhi fissi sull'albero, volendo evitare una replica del disastro a cui aveva dovuto rimediare quando il suo ragazzo l'aveva convinta a mettere in piedi quell'enorme abete. Per pura fortuna, la gatta sembrava aver imparato la lezione, ma la calma attorno a loro era perfino troppa per essere vissuta appieno. A Kaleia sembrava strano, ma anche se ora la gatta stava solo giocando a inseguirsi la coda, ormai lontana dall'albero, a lei sembrava di vedere qualcosa muoversi fra i rami. Incuriosita, aguzzò la vista, ma niente, il nulla più totale. Distraendosi, lasciò cadere un piccolo pezzo del suo zampone, e in un attimo, Willow partì all'attacco. Veloce, quasi divorò quel pezzo di carne, e perfino più lesto di lei, Bucky provò a fermarla, affamato come e forse più dell'amica. Notandoli, Kaleia si fermò a guardarli con disappunto. "Bucky, no! Lasciala stare, tu hai già mangiato!" lo sgridò, arrabbiata. Colpito, lo scoiattolo si ritrasse, tornando al suo piccolo rifugio sotto la coperta ancora stesa sul divano, tirò fuori una ghianda da una delle pieghe in cui l'aveva nascosta, e sgranocchiando in silenzio, sparì dalla loro vista. Dì lì a poco, tutto parve tornare alla normalità, e per qualche istante tutto fu quieto, almeno finchè anche il caro Red, incuriosito dalle strane scorribande degli amici, facesse un tentativo nell'imitarli. Stando ai ricordi dei suoi padroni, anche lui aveva già mangiato, ma conoscendolo, sapevano che se incoraggiato, avrebbe potuto continuare a farlo letteralmente per sempre, e la vista di tutto quel cibo proprio davanti ai suoi occhi e sotto al suo muso era troppo da sopportare, una tentazione troppo grande. Così, ergendosi su due zampe, tentò un piccolo latrato a labbra strette, e scontento di essere ignorato, riempì il silenzio con un uggiolio. Per sua sfortuna, non ottenne risposta, e ignrorato, si accucciò ai loro piedi, sperando ardentemente in qualche sporadico boccone, fosse stato anche solo una briciola. Dopo quelle che gli parvero ore, il suo desiderio divenne realtà, e gelosi, la gatta e lo scoiattolo lo fissarono soffiando e sputando minacciosi. Tutt'altro che spaventata, la volpe prese a ringhiare, e un suo improvviso scatto in avanti verso coloro che ora considerava nemici fece tremare il tavolo. Sorpresa, Eliza si alzò dal proprio posto per avvicinarsi e provare a dividerli, rischiando di rimediare un morso. Grazie al cielo non le accadde nulla, e indietreggiando, sperò che i tre animali riuscissero a risolvere la disputa da sè. Una mossa saggia, specialmente se si volevano evitare incidenti. Da allora in poi, una vera sinfonia di ringhi bassi e soffocati riempì l'aria, e approfittando della loro distrazione, un quarto e piccolo ospite si mosse nell'ombra. Si trattava di Bandit, il fedele procione di Major, anche lui affamato e impaziente di sgranocchiare qualcosa. Come gli altri, non ebbe fortuna, e non leccando che briciole dal pavimento, fu un ennesimo elemento di disturbo per i commensali, che ormai stanchi di ascoltarli, si decisero ad agire. Lento e deciso, Major lasciò la tavola per tentare di prendere in braccio il suo amico, che improvvisamente spaventato, iniziò a scalciare, mordere  e graffiare per liberarsi, fuggendo e lasciando sulle mani del ragazzo ferite visibili e fortunatamente non profonde. Paralizzata, Kaleia non si mosse, e preoccupandosi per il suo ospite, controllò quei segni, avendo il piacere e la fortuna di scoprire che non erano infetti. "Tutto bene?" gli chiese, sperando di non irritarlo ulteriormente. "Sì." Disse il ragazzo a denti stretti, chiudendo il pugno e tentando di ignorare il dolore. "Non è la prima volta che questo piccolo terremoto mi morde, giusto, Bandit?" continuò poi, voltandosi verso l'animale e guardandolo fissamente, con occhi di puro ghiaccio. "Soltanto per questo finirai nella tua gabbia." Gli sussurrò poi, serio. Silenzioso, il procione sostenne quello sguardo, poi scoprì i denti, non mostrando altro che aggressività. Serio, Major non si lasciò intimidire, e afferrando l'animale per la collottola, lo sollevò e scosse leggermente. A quella scena, nessuno disse nulla, ma il silenzio si ruppe poco dopo. Dapprima lievi, gli stridii di Midnight e Ranger si fecero sempre più forti, fino a degenerare in schiamazzi così fastidiosi da rendere sordo ogni ospite. Seduto accanto alla sua ragazza, Christopher era rimasto in silenzio fino ad allora, ma quell'odiosa cacofonia fu l'ultima goccia per lui. "Va bene, basta! Ora basta!" finì per gridare, scattando in piedi come una molla e lasciando andare le proprie posate, che pur non cadendo, incontrarono il tavolo in un tonfo sordido. Sorpresi, gli animali di casa si ridussero al silenzio, fissandolo ad occhi sgranati. Non più pieni d'odio, nè di paura, ma al contrario, di rispetto. Alla sua vista, Kaleia sorrise debolmente, scambiandosi poi con lui una veloce occhiata d'intesa. "Ben fatto." Avrebbe voluto dirgli, orgogliosa. Non avendo improvvisamente occhi che per lei, lui non mancò di notarla, e tornando a sedersi, cercò immediatamente la sua mano, nascosta sotto la tavola. Nel silenzio, i due se la strinsero, e quando le acque furono calme, la cena riprese nella quiete del salotto, e di nuovo felici e non più tesi, gli amici si godettero l'aria di festa, dividendo il caratteristico dolce che entrambe le loro comunità conoscevano come panettone. Forse sofisticata, o forse schizzinosa, Kaleia scartò l'uva passa, mentre Christopher mangiò con gusto ogni sua parte, ridendo nel vedere il viso della fidanzata coperto di bianco zucchero. La stessa sorte toccò a Sky, e senza che lei potesse nè tentasse di evitarlo, Noah approfittò del momento per baciarla e stringerla a sè, assaporando lo zucchero, metaforico e reale, delle sue labbra. Fra un morso di quel dolce e l'altro, l'orologio battè la tanto sospirata mezzanotte, e sedendosi insieme sulla riva del lago, gli amici si godettero uno spettacolo pirotecnico nel cielo sopra di loro, osservando mille e mille cascate di colori. Un modo come un altro di far festa, e salutare l'anno vecchio e ormai concluso, che avrebbe prontamente fatto posto al nuovo. La conclusione perfetta per una serata movimentata come quella, che oltre a sorprenderli, innervosirli, adirarli e poi divertirli, aveva in qualche modo impartito ad ognuno di loro una lezione tanto preziosa quanto divertente. Niente animali a tavola, a meno non si voglia incorrere in incidenti quali finta quiete e altri danni.     
 
 
 
Diciassettesima storia della raccolta. Scritta in appena qualche ora, un breve e spero comico racconto di quello che può succedere durante una cena di Capodanno, o siamo onesti, una qualunque, se si hanno degli animali in casa. Il risultato? Come dice il titolo, finta quiete e altri danni. Spero davvero che vi sia piaciuta, ci rivedremo nella prossima,
 
Emmastory :)

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Capitolo 18
*** L'albero d'amori e addii ***


Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
Capitolo XVIII
 
L'albero di amori e addii
 
Era ormai passato un altro anno, e come ogni volta, il ciclo delle stagioni sembrava non aver fine. Fermandosi a pensare, un essere umano o magico dalla mente aperta e malleabile avrebbe potuto paragonarle ad una famiglia. Il tempo era il padre, la vasta Terra la madre, e loro i quattro gemelli, in tutto diversi. C'era il freddo, duro e burbero inverno, il quieto, mite e calmo autunno, la la dolce ed esuberante primavera, e per finire, la bella e solare estate. Seppur dissimili sotto ogni aspetto, riuscivano comunque ad andare d'accordo, e senza screzi nè liti, sapevano di avere ognuno un proprio posto e una propria vita. Sola, Kaleia restava avvolta nella morbidezza e nella freschezza delle sue coperte, e pigra quasi quanto l'amica a quattro zampe Willow, aveva quello di alzarsi come ultimo desiderio. Rigirandosi nel letto, cercò lentamente la mano del fidanzato, sorridendo nel trovarla quasi subito. "Chris..." chiamò, stanchissima. "Sì, amore?" le chiese il ragazzo, voltandosi e guardandola con i veri occhi di chi ama. "Fa ancora freddo, e mi annoio a morte." Si lamentò lei, biascicando appena le parole e riparandosi sotto le coperte. Più sveglio e meno pigro di lei, Christopher rise, trovandola adorabile. L'aveva accanto da circa due anni, e arrivando quasi a imitarla, si ritrovò a ringraziare mentalmente qualcuno più in alto di lui per aver fatto incrociare i loro cammini. Stando ai suoi ancora nitidi ricordi, lui e Kaleia si erano incontrati, conosciuti e innamorati per puro caso, e di giorno in giorno i loro sentimenti non avevano fatto altro che crescere, e se smorzati, rinascere dalle proprie ceneri come un'araba fenice. Questo li riportava al presente e alla giornata odierna, in cui, ancora stretti l'uno all'altra e accoccolati fra le coperte, sentivano di stare benissimo, al caldo e in intimità. Così, con ancora gli occhi persi nei suoi, Christopher le sorrise ancora, e guidato dai sentimenti, la baciò con tutto il fiato che aveva in corpo, cogliendola di sorpresa  e insistendo fino a toglierle il respiro. Disarmata da quella romantica irruenza, Kaleia non si sotrasse, e mugolando nel bacio, ne assaporò ogni istante, completamente sedotta e innamorata. "Dì, va meglio ora? Hai ancora freddo?" fu la quasi retorica domanda del suo ragazzo, che sfoggiando quello stesso e luminoso sorriso, rimase fermo a guardarla, spostandole una ciocca di capelli dal viso. Nel farlo, le accarezzò una guancia, e prima che la fata potesse rispondere, un suono oltre la porta della stanza la distrasse. Qualcuno stava bussando, e nello spazio di un momento, una voce conosciuta raggiunse le sue orecchie. "Chris, Kaleia!" era sua sorella, e a quanto sembrava, li stava cercando. Conoscendola, la fata si stupì di avvertire la felicità nella sua voce, e ridacchiando alla sola idea, si voltò ancora verso il fidanzato, sollevando una mano per accarezzargli il viso. "Non più, tesoro, non più." Soffiò con dolcezza, perdendosi per l'ennesima volta nel verde dei suoi occhi. "Perfetto." Le sussurrò lui in risposta, avvicinando le labbra alle sue e preparandosi a baciarla. Avrebbe tanto voluto, e lo stesso valeva per la ragazza, ma l'ennesimo colpo contro il legno spezzò la magia di quel momento. "Kaleia, dove sei?" decisa a ritrovarla, Sky non demordeva, alternando quei richiami a sporadici momenti di silenzio in attesa di una risposta. "Chris, aspetta, o non smetterà più." Si arrese a quel punto la ragazza, sospirando cupamente e scendendo dal letto con fare annoiato. Una volta in piedi, si avviò verso la porta, e aprendola, affidò la sua rabbia al vuoto del corridoio. "Sky! Si può sapere cosa vuoi?" chiese, finendo per urlare e non ascoltare altro che l'eco della sua stessa voce. "E tu che bisogno hai di urlare? Sono qui." Replicò la sorella, imitando il suo tono e sollevando una mano per farsi notare. Seduta nel salotto poco distante, aveva davanti il suo solito tè caldo mattutino, una manciata di biscotti e una copia del suo libro preferito. "Sei stata tu a cominciare. Christopher ed io eravamo così tranquilli, cosa ti è preso?" le chiese allora Kaleia, ancora confusa e stranita dal suo continuo schiamazzare, peraltro senza apparente ragione. "Scusa, ma non avevo idea di dove foste, e ormai sono quasi le dieci." Rispose subito l'altra, sinceramente dispiaciuta per quel comportamento. "E allora? Stavamo riposando." Continuò la sorella, affatto convinta da quella così misera spiegazione. "Lo so, ma volevo andare a quella specie di festa al villaggio, e tu e lui siete gli unici che conosco a potermi accompagnare." Aggiunse poco dopo Sky, mutando improvvisamente tono di voce e facendolo passare da nervoso a supplichevole. "Sul serio? Non puoi andarci con Noah?" fu l'ovvia domanda di Kaleia, che in quel mattino ancora giovane aveva altre questioni per la mente. "No. Vorrei, ma ha altri piani con la sua famiglia. Lo farebbe se così non fosse, non credi?" rispose appena Sky, con la voce addolcita dai sentimenti per il ragazzo e spezzata al tempo stesso dal dolore. A quelle parole, Kaleia si fermò a guardarla, studiando e soppesando la mesta espressione che aveva dipinta in volto. "Sai una cosa? Preparati, avviso Chris e andiamo." Le disse poi, con un sorriso amichevole. Annuendo, la sorella non se lo fece ripetere, e in pochi minuti si ritrovò ad aspettare i due amici stando seduta sul divano di casa, già pronta per uscire. Senza farsi attendere, Kaleia fu con lei in un istante, e ormai decisi, i tre uscirono. Poco prima che potessero muovere un passo, però, un suono conosciuto e simile ad un pianto strozzato li indusse a voltarsi, e fu allora che lo videro. Bucky. Piccolo e peloso, non voleva certo star solo, e così, piagnucolando come ogni animaletto a lui simile, pregò di ricevere uno strappo dalla fata più giovane. "Bucky, tesoro! Su, vieni, non ti lasciamo." Gli disse lei, abbassandosi al suo livello e battendosi la gamba per richiamarlo a sè. Affatto sorpreso, Christopher si limitò a ridacchiare nell'osservare la scena, e riducendosi poi al silenzio, sfiorò con una mano la spalla della fidanzata. "Sempre presente, vero, fatina?" le chiese, ancora immensamente divertito. "Sempre, amore mio. Come te al mio fianco." Quasi gli fece eco lei, stando al gioco e soffiandogli un tenero bacio. Lasciandola fare, il ragazzo le sorrise, e nello spazio di un momento, la prese per mano. Attimi dopo, i quattro furono immersi dal verde, e dopo altro camminare, nel pieno del centro abitato dagli umani. Luminoso, ameno e brulicante di vita, ospitava creature magiche ed esseri umani in egual misura, specialmente in quel periodo. Il Natale era una tradizione propriamente umana, e almeno al loro villaggio, ne vigeva un'altra, unica e speciale. Ogni anno, ogni famiglia del luogo collaborava per mettere in piedi un abete natalizio enorme, decorato in ogni sua parte. Palline, stringhe di luci, addobbi, statuette, e sulla cima, un puntale a forma di stella. Ad ogni modo, e per qualche strana ragione, tutte quelle decorazioni non bastavano ad allontanare gli animali del bosco, che puntualmente lo rendevano la loro fissa dimora durante l'intero periodo delle feste. Era lì che gli scoiattoli come Bucky si nascondevano, tenendo al sicuro le loro preziose ghiande nella parte cava, e sempre lì che una miriade di uccelli nidificava, dando ogni volta inizio ad un costante e continuo andirivieni che aveva fine solo quando il nido stesso era costruito. Felice come mai prima, Sky si guardava intorno sorridendo come una bambina, e in silenzio, scrutava il cielo. "Dov'è? dove accidenti..." sussurrò, parlando più con sè stessa che con gli amici. Curiosa, Kaleia le fu accanto con appena qualche passo, e ridacchiando divertita, le assestò un affatto offensivo pugno sul braccio. "Cerchi qualcuno, figlia dell'aria?" le chiese, sorridendo appena e prendendola bonariamente in giro. "E anche se fosse, mia cara piantina?" rispose l'altra a muso duro e con i nervi a fior di pelle. "Calmati, era soltanto una domanda. Sul serio, cosa cerchi?" tentò allora Christopher, fino ad allora sempre neutrale e sinceramente interessato. Lui e la fidanzata si divertivano a prenderla in giro ripagandola con la sua stessa moneta per tutte le seppur finte angherie che aveva fatto passare ad entrambi, ma almeno allora era genuino e sincero. "Non è un cosa, ma un chi, e da ieri è come se... non lo so, mi osservasse, eppure ora è sparito." Rispose semplicemente Sky, mettendo per un attimo da parte una rabbia che non nutriva veramente, o perlomeno non nei loro confronti. Era arrabbiata, sì, ma con sè stessa, per essersi lasciata sfuggire quel maestoso volatile in una ventosa notte di luna piena, palesatasi in cielo appena il giorno prima. Anche allora era appollaiato su quell'albero tanto decorato quanto imponente, e ora sembrava davvero esssere scomparso nel nulla. Lento, il tempo continuava a scorrere, e come risposta alle sue preghiere, uno stridio e un canto stonato. Sorpresa, Sky sussultò non appena quel suono raggiunse le sue orecchie, e correndo a perdifiato verso quell'ormai famoso abete, non trattenne nè nascose un ennesimo sorriso, e aguzzando la vista, fu lieta di rivederlo ancora. Il suo quieto e amato merlo dalle ali nere e gli occhi d'oro, al sicuro nel suo nido e intento a fissarla con la calma che era solita caratterizzarlo. In quel momento, i loro sguardi si incrociarono, e attimi più tardi, un solo suono squarciò l'aria. Ancora una volta, uno stridio, che stavolta pareva essere un simbolo di felicità. A quanto sembrava, quel merlo era felice di vederla, e così anche Sky, orgogliosa di sè stessa e di aver conosciuto il merlo che con un pizzico di fortuna e una spinta da parte del destino sarebbe diventato il suo più grande amico, ormai quasi assopito su quel magnifico albero, proprio in mezzo alle mille luci. Non sapeva come queste non gli dessero fastidio, nè le importava, e l'unica cosa a contare e a farla sorridere fu l'avvicinarsi di un altro uccello. Una femmina della sua specie con un verme ben chiuso nel becco. Lasciandolo andare, lisciò le penne al compagno, e ben presto l'altro rispose, imitando l'altro volatile in quel gesto di complicità. Alla loro vista, Sky sentì le guance imporporarsi, poi sorrise. Non l'avrebbe ammesso ad alta voce davanti alla sorella, ma era stato bello incontrare ancora una volta quello che con un pizzico di fortuna e una spinta del destino sarebbe diventato il suo migliore amico, ora quieto e quasi assopito su quell'abete che lei avrebbe per sempre ricordato come albero d'amori e addii. 
 
 
Diciottesima storia di questa raccolta, che, decisamente più lunga di quanto mi aspettassi, racconta in una luce diversa un ipotetico primo incontro fra Sky e il suo merlo Midnight, durante una tradizione natalizia che unisce saldamente amore e stabilità, sia questa emotiva o familiare. Grazie ad ognuno di voi di tutto il vostro supporto, e a presto, con il prossimo scritto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 19
*** Il viaggio dei sentimenti ***


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Capitolo XIX
 
Il viaggio dei sentimenti
 
Una bianca busta da lettere ermeticamente chiusa con della ceralacca rossa. Marisa non stringeva in mano nulla di diverso, e nel silenzio di quella mattina d'inverno, sedeva sul divano di casa rifiutandosi di aprirla. Insicura sulla vera identità del mittente, attendeva ed esitava a farlo, e tutto mentre rifletteva sulle proprie possibilità. Ad essere sincera, non aveva idea di chi potesse avergliela mandata, anche se alcune idee le galleggiavano nella mente come bollicine. Poteva essere stata la madre, e forse era vero, ma in quel caso, lei non l'avrebbe neanche guardata. Anche se da poco, la ragazza aveva cambiato casa. Non avrebbe voluto, ovvio, ma ricordava ancora il modo in cui quella vecchia megera le aveva rovinato il Natale, e anche di come aveva fatto lo stesso con la sua cara gatta Willow, maltrattando fino a renderla pelle e ossa. Debole ed emaciata, la poverina non riusciva quasi più a muoversi nè a miagolare, e per quanto strano potesse sembrare, stava così male che essere accarezzata non le provocava più piacere, ma anzi, dolore. Per sua fortuna, Marisa non aveva mai sofferto la fame come lei, ma soltanto guardandola, poteva capire. Passarle una mano sul pelo bastava a sentire le ossa appena sotto, quando in condizioni normali non avrebbe dovuto sfiorare altro che quella cupa morbidezza. Le condizioni della gatta erano solo uno dei motivi per cui litigavano, e se si aggiungevano anche gli altri, fra cui figurava anche la strana abitudine della donna di chiudersi a chiave nella propria stanza, al buio, a recitare incantesimi su incantesimi uno dopo l'altro, circondata da candele accese e asfissiante odore d'incenso, allora si raggiungeva un vero punto di rottura. Era per questo che ora ringraziava la cara amica Kaleia, che provando pena per la gatta, aveva accettato di prenderla con sè. Almeno ora stava molto meglio e aveva trovato un equilibrio e una vita migliori in una casa che non fosse infestata non da spiriti ma da altri tipi di malvagità, e pensandoci, la ragazza non poteva che esserne felice. A quel solo ricordo, la ragazza sorrise, e solo allora, le sue dita scivolarono sulla busta. Decisa, provò ad aprirla e a tentare la sorte, e solo allora riuscì a capire ogni cosa. "Cara Marisa, sei cordialmente invitata a passare con noi un'intera settimana bianca nella nostra isola nel bianco. Estendiamo l'invito anche a tua madre, e speriamo di vedervi presto entrambe. A presto, e con tanto affetto, Chris e Kaleia." Poche parole scritte in nero e impresse nella bianca carta di quella lettera. Parole che lei lesse in silenzio, e che anche se per un solo attimo, la spinsero a riflettere. Passare del tempo con i due amici le sarebbe piaciuto, ma voleva davvero parlarne alla madre? Desiderava veramente riallacciare i rapporti con lei dopo tutto quello che era successo? Dopo aver scoperto quanto l'amica fata e il suo dolce protettore avessero sofferto a causa sua? Ovvio era che in cuor suo cercasse di far rispettare le leggi del bosco e al contempo aiutarli, ma una parte di lei non ci aveva mai creduto. Per quanto ne sapeva, sua madre era davvero una donna senza scrupoli nè cuore, che godeva a vedere la sofferenza sui volti e nei cuori delle persone. Ad ogni modo, la donna era comunque sua madre, e provando un'improvvisa e strana stretta al petto, si decise. Infilando il cappotto, si preparò ad uscire di casa, non dimenticando di portare con sè quell'ormai famosa lettera. Chi lo sapeva, forse leggerla avrebbe potuto aiutare la strega a ragionare, e un tentativo non avrebbe certo fatto male a nessuno. In fondo, provare non costava nulla, giusto? "Giusto?" si disse Marisa, intascando quel foglio e violando l'uscio di casa. Di lì a poco, si ritrovò immersa nel verde del bosco, e giunta al confine, rivide la sua vecchia casa, ora esclusivamente appartenuta alla madre. A passi lenti, raggiunse l'uscio, e giunta davanti alla porta, esitò ancora, traendo nel farlo  un grosso respiro. "Puoi farcela, Marisa. Si tratta solo di una settimana, avanti." Pensò, parlando con sè stessa e sollevando un pugno, ormai pronta a bussare. Attimi più tardi, non udì altro che il suono della sua mano contro il legno, poi più nulla. Sforzandosi di restare calma, attese, e dopo un tempo che non fu in grado di definire, eccola. Sua madre. Sempre alta e slanciata, ma resa goffa dal suo problema di vista. La cecità non deponeva certo a suo favore, e anche se parziale, la costringeva a camminare lentamente e a piccoli passi, trascinandosi dietro un bastone bianco. "Sei tornata, vedo. Che è successo stavolta?" le chiese semplicemente, guardando la figlia con l'unico occhio ancora salvo. "Christopher e Kaleia mi hanno mandato questa. Leggila, c'è anche il tuo nome." Le spiegò Marisa, parlando con calma e studiando la strana espressione di curiosità che nel leggere aveva dipinta in volto. "Il mio nome, dici? Fa vedere." Rispose subito la donna, togliendole quel foglio di mano e iniziando la lettura. Un'attività per altri semplice, che le richiese però più tempo del normale. A lavoro finito, la strega alzò gli occhi per incontrare quelli della figlia, ma il suo volto rimase di pietra, sgombro da qualsiasi emozione. "E così i due innamorati passeranno una vacanza insieme, vero? Peccato, non ho voglia di aggregarmi alla loro combriccola di fuorilegge." Disse poi, fredda come l'inverno e la neve alle loro spalle. A quelle parole, Marisa ebbe un sussulto. "Cosa? Come puoi dire una cosa del genere? Sai che si amano!" la riprese, arrabbiatissima. "Hai ragione, cara, ma il loro amore va oltre le leggi di queste terre." Continuò la donna, seria e ferma nelle sue posizioni. "Leggi di queste terre? Ma non hanno senso! Il loro è amore, proprio come quello che c'era fra me e Willow!" le fece allora eco la figlia, sentendo il corpo scaldarsi e il sangue ribollirle nelle vene. "Willow? Hai per caso detto Willow? Non ci credo. Non sei più una bambina, eppure sei ancora attaccata a quella gatta. Dimmi, cos'hai mai fatto per te?" replicò la madre, insolitamente calma e malefica al tempo stesso. Ascoltandola parlare, Marisa non riusciva a credere alle sue orecchie. Come si permetteva? Con che coraggio offendeva prima i suoi amici e poi la gatta di cui aveva promesso di prendersi cura? Oltraggiata, si preparò a risponderle, poi, mordendosi la lingua, ci ripensò. Promesso. Che parola grossa per una donna come lei. Certo, dirlo era forse un'esagerazione, ma per come la pensava, quella piccola palla di pelo nero era stata la sua più grande amica fino al giorno in cui era stata praticamente costretta a darla via. In cuor suo non avrebbe  voluto, ma a giudicare dalle condizioni in cui versava in quella vecchia casa, aveva visto nel cederla all'amica l'unica possibile soluzione. Seccata, strinse i denti come per calmarsi, e sbuffando, decise di mettere la parola fine a quella conversazione. "Sai una cosa, mamma? Ti ho sentito. Tu non vuoi aggregarti a loro, ma io sì, perciò... addio." Le rispose soltanto, scottata e scontenta dal suo comportamento. Detto ciò, si voltò fino a darle le spalle, ed estraendo una piccola bussola da una delle tasche della giacca, indagò sul da farsi. Come sempre, il piccolo ago indicava il nord, e camminando, lei non osò voltarsi. Colpita, la donna cercò di richiamarla a sè, ma riducendosi al silenzio, tornò in casa. "Fa attenzione." Sussurrò appena, tenendo bassa la voce e sperando che quella  quasi muta preghiera raggiungesse il cielo. Già troppo lontana per sentirla davvero, Marisa continuò il suo viaggio, meravigliandosi di quanto bella potesse essere la bianca neve che aveva intorno. Un candido tappeto su cui lei stessa camminava, e che gli animali esploravano alla ricerca di tesori nascosti. Cibo nel caso di scoiattoli e passerotti infreddoliti, ma anche semplici ciottoli scintillanti per le famose, e fastidiose, gazze ladre. Pensandoci, soppresse una risata, e calciando una roccia per evitare di inciampare, diede un secondo sguardo alla bussola. Il percorso era quello giusto, e con il favore della luce del giorno, rimase concentrata, pregustando il sapore della felicità che avrebbe provato nel rivedere i suoi amici. Fra un passo e l'altro, si ritenne fortunata di avere addosso una giacca, anche ora che il freddo stava aumentando e diventando tiranno. Stava quasi congelando, ed era vero, ma l'orgoglio maturato nel tempo non le permetteva di ammetterlo. Cosa doveva fare? Tornare indietro e ammettere alla madre di aver fallito e di essersi sempre sbagliata? Iniziare a piangere e ritirarsi strisciando in quella che era la sua vecchia stanza? No, mai. Non le avrebbe dato quella soddisfazione. Stringendo ancora i denti, si fece coraggio, e nel silenzio della fredda stagione, continuò a camminare. Intanto, già nella loro piccola isola, Christopher e Kaleia si rilassavano stando seduti accanto al fuoco, e con loro anche Sky e Noah, sempre vicini al caminetto ma comodamente sdraiati sul tappeto. Alzando gli occhi, una guardava le fiamme ascoltandone il quieto crepitare, mentre l'altro le accarezzava i capelli con dolcezza, tirandoli giocosamente e attorcigliandoseli intorno alle dita. "Credi che verrà?" azzardò Christopher, rompendo il silenzio e accarezzando la mano della fidanzata tranquillamente seduta sulle sue ginocchia. "Non lo  so, ma spero di sì." Gli rispose Kaleia, per poi tacere e sorridere a quel tocco. "Forse non avreste dovuto invitare anche sua madre." Stavolta fu Sky a parlare, e pur senza guardarli, diede voce alla sua onesta opinione. "Tu dici?" Fu l'unica risposta di Kaleia, scettica. Non lo diceva, certo, ma contrariamente agli amici, credeva davvero nella redenzione. Sì, la donna aveva sbagliato, i suoi errori l'avevano fatta soffrire, e con lei anche il suo ragazzo, ma in fondo, molto in fondo, una parte di lei sperava di rivederla. Mantenendo il silenzio, Sky non fece che annuire, e voltandosi a guardarla, Noah la sorprese con un bacio. Lasciandolo fare, la ragazza sentì il cuore batterle furioso nel petto, e meri attimi più tardi, uno spiffero colse tutti di sorpresa. "Freddo..." disse Kaleia, sussurrando e sperando che nessuno la sentisse. Quasi leggendole nel pensiero, Christopher le cinse un braccio attorno alle spalle, poi le baciò delicatamente il collo. "Meglio, vero?" le chiese, preoccupato e innamorato al tempo stesso. "Meglio, custode mio, grazie." Rispose lei con dolcezza, non riuscendo a nascondere un sorriso e ricambiando quel bacio, avendo però come obiettivo le sue labbra. "Ragazzi..." li richiamò Sky, già esasperata. "Cosa? Chalet nostro, regole nostre." Le fece notare la sorella, nervosa quanto e forse più di lei. "Sarà... ma guardate là fuori. Che senso ha tapparci qui dentro se possiamo spassarcela nella neve?" replicò allora la stessa Sky, già annoiata dal ripetitivo spettacolo offerto dalle fiamme del camino ancora acceso. "D'accordo, figlia del freddo, andiamo." Le rispose il fidanzato, rialzandosi da terra e offrendole la mano, che lei afferrò prontamente. Una volta in piedi, si strinse a lui in un abbraccio, e mano nella mano, lei e Noah furono i primi ad uscire. Spinti dalla curiosità, Christopher e Kaleia li seguirono, e ben presto, i quattro finsero di massacrarsi a palle di neve. Un gioco da bambini, certo, che almeno per allora li fece divertire e regredire ad un tempo ormai lontano. Persa e in una situazione che definire intricata era riduttivo, Marisa sperava ancora di rincontrare i propri amici, ma con il tempo che scorreva, la luce intorno diminuiva. In breve, il mattino si era trasformato in pomeriggio, e malgrado sapesse di poter approfittare di intere ore, si sentiva persa. Esatto, persa. Realmente e metaforicamente. Fredda e inesorabile, la neve continuava a cadere, e provata dal freddo, quasi non riusciva a muoversi. Fortunatamente non era svantaggiata da alcun difetto fisico come la madre, ma in quel momento, con la neve intorno e il freddo nelle ossa, era come se lo fosse. Infreddolita come non mai, continuava a stringersi nella giacca che portava, ma proprio come si aspettava, la situazione non cambiava di una virgola. Aveva sempre freddo, e forse la giacca sulle sue spalle era troppo leggera. Camminando, si sforzava di dominare il vento e la paura, ma senza successo. Continuava a controllare e seguire l'ago della sua bussola, ma con le sue stesse impronte coperte ogni volta da nuova neve fresca, le sembrava di camminare metaforicamente in cerchio. Non era vero, ovvio, ma la sensazione era esattamente quella. Chiudendo gli occhi, prese un ampio respiro, poi riprovò a guardarsi intorno. La sensazione che provò durò per appena un attimo, ma le parve di vedere e sentire qualcuno seguirla. Voltandosi, si guardò indietro, e fu allora che la verità la colpì in pieno volto. Lì, in mezzo alla neve e alla coltre di nebbia, una figura barcollante, che lei riconobbe subito. "Mamma! Cosa ci fai qui?" gridò, alzando la voce per farsi sentire. "Ero preoccupata! So che abbiamo i nostri dissapori, ma sei comunque mia figlia, aspetta!" le rispose la donna, barcollando nella neve fresca e faticando a muoversi senza il proprio bastone. A quanto sembrava, doveva averlo perso camminando, e ora si muoveva senza, con la stessa andatura di un pover'uomo annebbiato dai fumi dell'alcool. "No, non se ne parla!" le gridò in risposta, ricordando la loro lite e sentendo calde lacrime gridare e pregare per lasciare i suoi occhi. Nel farlo, le diede ancora le spalle, e ormai senza meta, corse. Corse da sola, a perdifiato, e soltanto per allontanarsi da quella che anche per lei era ora una vecchia strega. Decisa, la donna provò a seguirla, non sentendo altro che un tonfo di fronte a sè, notando poi, con la coda dell'unico occhio ancora in uso, il corpo della figlia disteso su quel freddo tappeto. "No." Soffiò appena, con il cuore in gola per la sorpresa. "No, non può essere... no." Continuò a ripetere, scioccata, mentre a passi lenti continuava ad avvicinarsi a quello che al momento le sembrava un cadavere. "Marisa..." chiamò, con voce flebile, provando in quell'istante la peggior sensazione della sua vita. Confusa dalla caduta, la ragazza rotolò nella neve, e ad occhi chiusi per sopportare meglio il dolore, mugolò e farfugliò parole prive di senso. "C-Cosa... Dove..." balbettò, incerta. "Sono qui, Misa, sono qui, tranquilla." Le rispose la madre, ora vicina e inginocchiata accanto a lei. A sentire quel nome, la ragazza sorrise, ricordando solo allora quel dolce nomignolo d'infanzia. "Mamma..." sussurrò appena, faticando ad alzarsi. Con uno sforzo, si sollevò da terra, e seduta nella neve, accettò la sua mano, stringendola. Nel farlo, si rimise in piedi, ma al primo passo, quasi cadde. "Tranquilla, sono con te." Le disse la madre, incoraggiandola e abbozzando un sorriso. "Grazie." Rispose appena lei, immensamente grata. Fermandosi a pensare, capì che ogni sua parola corrispondeva al vero. Litigavano, certo, ma quale figlio non lo faceva con i propri genitori? Nessuno, e lei non faceva certo eccezione. "Non riesco... a camminare." Biascicò, ancora stanca e indolenzita. "Credo sia la tua caviglia. Vieni, appoggiati a me." Continuò la donna, preoccupandosi come ogni madre. Annuendo, Marisa si lasciò guidare, e con l'imbrunire sempre più vicino, madre e figlia ripresero il viaggio. Insieme. Come entrambe si aspettavano, questo durò per altre lunghe ore, e con l'arrivo della notte, furono costrette a fermarsi. Non avendo altro rifugio, passarono quella notte all'addiaccio, addormentandosi e stringendosi in un abbraccio che scaldò i corpi e i cuori di entrambe. Stoiche, ripresero a camminare alle prime luci dell'alba, e proprio quando tutto parve perduto, con la nebbia onnipresente e la bussola ormai resa inutilizzabile dall'incidente, eccolo. Lo chalet, loro unica destinazione. Felice, Marisa non si staccò dalla madre, e appena un attimo dopo, i suoi occhi incontrarono quelli dell'amica fata e del suo caro protettore. "Ragazzi! Ci siamo! urlò, troppo felice per usare un tono più consono e normale. "Marisa!" rispose la ragazza, alzandosi dal piccolissimo scalino dove si era accomodata. Una volta in piedi, le corse incontro, e abbracciandola, le accarezzò la schiena come per confortarla. Soltanto sfiorandola si rese conto di quanto fredda fosse la sua pelle, e fu allora che capì. In quanto umana, non aveva certo la possibilità di volare come lei, ragion per cui il viaggio doveva essere stato lungo e difficile. Abbassando lo sguardo, notò la ferita e il gonfiore della sua caviglia, e offrendosi di accompagnarla, la guidò fin dentro al rifugio, lasciando che si sdraiasse sul piccolo ma comodo divano poco distante dal fuoco. "Mi dispiace, sai? Ma guarirai, non preoccuparti." Le disse, sollevandole lentamente una gamba senza farle male e posando un cuscino appena sotto. Ecco, come ti senti?" le chiese poi, sinceramente preoccupata. "Già meglio, grazie." Rispose appena l'amica, sorridendo debolmente. In quel preciso istante, Sky e Noah fecero il loro ingresso nella piccola casa, e con il pugno chiuso, la fata si avvicinò. "Ben arrivata. Questo... questo è per te." Disse dolcemente, aprendo la mano e mostrando un piccolo, grazioso e maestoso fiocco di neve. "Com'è possibile? azzardò la ragazza, confusa e stranita. "L'ho cristallizzato. L'ho scoperto da poco, ma a quanto pare, fa parte dei miei poteri." Spiegò Sky, riprendendo la parola e posandoglielo in mano, come a provare che non si sarebbe sciolto. Drizzandosi a sedere, Marisa abbassò lo sguardo, e con un solo movimento della mano, se lo appuntò alla giacca, sorridendo. "Grazie." Soffiò poi, con occhi pieni di meraviglia. Senza dire altro, la fata si limitò a sorriderle, e sedendosi accanto a lei, Red le leccò una mano. Lasciandolo fare, Marisa si lasciò sfuggire una risata, e nel silenzio che presto tornò a regnare, fu felice. Felice di essersi lasciata alle spalle il burrascoso passato con la madre, e felice di aver iniziato e concluso quel viaggio pieno di sentimenti.  
 
 
Salve, cari miei lettori! Giungiamo così a questa diciannovesima storia, che come avete visto  racchiude l'insegnamento a mio dire più importante di tutti. Nel bene e nel male, fidarsi sempre di chi si ama. Marisa e sua madre Zaria l'hanno fatto, e hanno avuto il loro lieto fine. Vi aspettavate che accadesse? Attendo di scoprirlo, ma grazie di tutto il vostro supporto, e a presto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 20
*** Red il viaggiatore ***


Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
Capitolo XX
 
Red il viaggiatore
 
Il tempo passava, il vento fischiava, e il freddo arrivava. Con esso l'inverno, e l'atteso Natale. Ormai non mancava molto, e pensandoci, Kaleia non riusciva a smettere di sorridere. Lei e il suo Christopher convivevano da tanto, e innamorata com'era, sospirava nel guardarlo negli occhi e pensare a quanto fosse stata fortunata, e a come ogni giorno con lui sembrava essere il primo. Lo amava, lo amava davvero, ed era certa che i suoi sentimenti non sarebbero mai cambiati per nessuna ragione. Secondo alcuni, il suo innamoramento rasentava la follia, ma a lei non importava. A loro non importava. Calmo e tranquillo come sempre, Christopher non lo diceva mai ad alta voce, o se capitava, soltanto a lei, ma anche lui non provava che amore, e ogni volta che quelle famosissime due parole abbandonavano le sue labbra, entrambi finivano per ridere e sorridere, mentre l'altra, avvampando, ricambiava. La sempre uguale risposta della ragazza era l'ormai conosciuto preludio di baci dolci, caldi e teneri, dati nel silenzio della casa in cui vivevano. Ovvio era che con una gatta, una volpe e uno scoiattolo, tutti e tre stranamente gelosi, i due non fossero mai soli, ma sicuri che alcune abitudini fosse radicate e dure a morire, non ci badavano, cogliendo l'occasione per regalare agli amici animali una o più carezze. Comodamente seduta sul divano di casa, Kaleia restava a guardare le fiamme del camino ancora acceso danzare davanti a lei, prima che la calda e grigia cenere decretasse l'arrivo del sipario per ognuna di loro, di passo in passo eccellenti ballerine. Silenziosa, non diceva una parola, e di tanto in tanto, accarezzava alternativamente Willow, Red e Bucky. Rispettivamente la gatta, la volpe e lo scoiattolo di casa, tutti ormai vicini ad addormentarsi. Era strano a dirsi, ma a quanto sembrava, il freddo dell'inverno li spingeva ad accucciarsi in qualunque angolo della casa e dormire per ore intere, facendo ogni notte, o in ogni pisolino, chissà che strani sogni. Un intero branco di conigli da inseguire anche se solo per gioco, una miniera di ghiande da scoprire e scavare, o chi lo sapeva, una stanza o un campo pieno di giocattoli da colpire e inseguire fino ad avere le zampe dolenti e il fiato corto. Semplici e buffi esempi che Kaleia si divertiva a dare o darsi da sola, e che quando accadeva, la facevano ridere. A gambe accavallate, sentiva di non avere nessun problema al mondo, e mentre il tempo continuava a muoversi, il fuoco si spense. Tutt'altro che infreddolita, la fata non si mosse, e in silenzio, rimase ferma dov'era. Portando avanti una sinfonia di dolci fusa, la gatta le dormiva in braccio, e lei non voleva svegliarla, o almeno non subito. Abbassando lo sguardo, si fermò ad osservare il suo sonno, sospirando di sollievo nel vederla sbadigliare e aprire lentamente gli occhi. "Ben svegliata, micia. Dormito bene? Sognato qualche topo?" le chiese, scherzosa. Per tutta risposta, la gatta miagolò debolmente, e lasciando finalmente il suo grembo, si accomodò sul cuscino del divano lì accanto. "Secondo round?" azzardò allora la fata, sempre più divertita. Silenziosa, Willow si limitò a guardarla, e con una sorta di stanco sorriso dipinto sul muso, parve annuire, poi tornò ai suoi sogni. Affatto sorpresa, Kaleia si alzò dal divano, e rimettendosi in piedi, si spazzolò al meglio la veste con le mani. Data la stagione, Willow stava sicuramente mettendo il pelo invernale, e nonostante il nero non fosse esattamente il suo colore, Kaleia non ci badò, e lasciando il salotto, si incamminò verso la sua stanza. Fra un passo e l'altro, un guizzo di memoria le saltò in mente, e voltandosi indietro, diede un ultimo sguardo al tappeto del salotto. L'amico dal pelo rosso riposava ancora, e sdraiato su un fianco, agitava la coda e muoveva le zampe. A quella vista, Kaleia si lasciò sfuggire una risata, e riprendendo il proprio cammino, raggiunse la sua stanza. Aprendo la porta, la scoprì vuota ma in ordine, proprio come l'aveva lasciata. Christopher era fuori per alcune ultime compere natalizie, e lo stesso valeva per Sky, che andando alla ricerca di pace, quiete e solitudine, aveva raggiunto il lago, da poco ghiacciatosi a causa del freddo. Non sapeva pattinare, ma quel pensiero non la toccava minimamente. Alcuni le avrebbero dato della pazza, ma a lei piaceva restare ferma nel mezzo di quella fredda lastra, e a occhi bassi, osservare il costante e continuo andirivieni degli unici pesci che riuscivano a sopravvivere nella massa d'acqua appena oltre. Non erano in tanto, ma ghiaccio o meno, per loro c'era speranza, e questo la faceva sorridere. Sedendosi sul letto, Kaleia aprì lentamente uno dei cassetti del proprio comò, stringendo il pugno in segno di vittoria quando trovò ciò che stava cercando. Un piccolo astuccio foderato di prezioso e soffice velluto, e al suo interno, un orologio. Nulla di troppo sofisticato, ovvio, ma secondo Kaleia, il regalo perfetto per il suo fidanzato. Per quanto ne sapeva, non sarebbe tornato prima di qualche ora, complice la vera adorazione di sua sorella per le decorazioni natalizie e gli accessori di ogni genere, nonchè i regali, che ogni anno sceglieva per sè stessa e per coloro che amava. a quel pensiero, la fata lasciò che un'idea le balenasse in mente. Prendendo in mano quella piccola scatola, la nascose nel pugno chiuso, e tornando in salotto, fissò lo sguardo sul divano vuoto, occupato solo dalla cara amica Willow. Addormentata, sembrava fare le fusa anche nel sonno, e acciambellata come al solito, si godeva il riposo e la vita. Accanto a lei, l'amico e compagno di giochi Red riposava a sua volta, e pur non volendo svegliarlo, Kaleia mosse un singolo passo in avanti. Nello spazio di un momento, questo si rivelò falso, e aprendo gli occhi, la volpe fu la prima a svegliarsi, ringhiando perchè disturbata e già in allerta. "Buono, Red. Sono io." Lo rassicurò lei, avvicinandosi ancora e inginocchiandosi al suo fianco. Notandola, l'animale si calmò istantaneamente, e felice di vederla, le leccò il viso con dolcezza. Lasciandolo fare, la fata gli accarezzò il pelo color del fuoco, poi sorrise. "Pronto per un viaggio, bello?" gli chiese, già immensamente divertita dalla mansione che presto gli avrebbe affidato. A quelle parole, la volpe si sedette, e nei suoi grandi e vivaci occhi marroni la fata non lesse altro che un sapiente miscuglio di determinazione e divertimento. Sorridendo ancora, la fata si allontanò sparendo dal salotto per qualche minuto, e una volta pronta, tornò indietro. Stavolta stringeva una sorta di piccola bandana di colore rosso, abilmente modificata per somigliare a un fagotto da riempire di piccoli oggetti. Poteva sembrare strano o infantile, ma quella che per altri era una sciocchezza, per Christopher e Kaleia era una tradizione iniziata già molto tempo prima, e che, ne erano sicuri, sarebbe andata avanti e rimasta viva per gli anni a venire. Ogni volta, il caro veniva usato come tramite per uno dei due, così che l'altro, lontano o impossibilitato a raggiungere la propria dolce metà, ricevesse comunque il regalo che quella piccola sacca conteneva. Perdendosi nei propri ricordi, Kaleia quasi perse il contatto con la realtà, ma riuscendo a tornare in sè, si avvicinò alla volpe per legargli quel pezzo di stoffa attorno al collo. Calmo e paziente, l'animale non si mosse, e già in piedi sulle quattro zampe, guardò la padrona con gli occhi che brillavano di felicità. "Posso andare? Posso? Cosa devo fare?" sembrava chiederle, felice ed eccitato. "Va bene, Red. Devi portare questo a Christopher, capito? Christopher." Gli spiegò la ragazza, insistendo sul nome del ragazzo perchè l'animale capisse davvero. Quasi istintivamente, l'animale parve annuire, e con una sorta di sorriso stampato sul muso, si voltò verso la porta di casa ancora chiusa, sedendosi nell'attendere che venisse aperta. Esaudendo il suo desiderio, Kaleia rise nel vederlo correre via da lei verso il villaggio degli umani, e richiudendo la porta, si dedicò di nuovo al rilassante piacere della lettura. Lenti, i suoi occhi si mossero di riga in riga, poi di pagina in pagina, e così, il tempo parve fermarsi e cessare di esistere. Intanto, Red si aggirava per la foresta, e guardandosi intorno, iniziò a notare i tetti delle case, e a quella vista, il sorriso che aveva sul muso parve allargarsi. Fra un passo e l'altro, annusava alternativamente l'aria e il terreno, sicuro di ciò che stava facendo, e di essere con ogni attimo più vicino al suo obiettivo. Lento, il tempo scorreva come sempre, e lui era concentrato, ma all'improvviso, qualcosa lo distrasse. Lontano, in direzione del lago, qualcuno lo stava chiamando, e il suo nome risuonava ovunque, portato dal vento. Ligio al dovere e all'ordine ricevuto da Kaleia, Red cercò di ignorare quella voce, ma quando questa insistette, facendosi perfino più forte, le sue zampe si mossero quasi da sole, e senza volerlo, si ritrovò sulla riva di quello specchio d'acqua, ora ridotto ad una distesa ghiacciata. Distratta dai propri pensieri, Sky quasi lo ignorò, ma improvvisamente, un ramo alle sue spalle si spezzò, e voltandosi, lo vide. Era stata lei a chiamarlo, e lui aveva obbedito. "Red, amico mio!" chiamò, felice di vederlo. Contento quanto o forse più di lei, l'animale le si avvicinò e abbaiando festoso, finì per piantarle le zampe sul petto, facendole le feste. Colta alla sprovvista, Sky scivolò e cadde all'indietro, ma per fortuna non si fece alcun male. Il vento e il freddo erano parte della sua natura, e rialzandosi, notò un particolare. La bandana di Red. Incuriosita, aguzzò la vista, e nello spazio di un momento, il piccolo astuccio di velluto le saltò agli occhi. "E questo cos'è?" chiese, rivolgendosi al diretto e peloso interessato. Guardandola, la volpe mantenne il silenzio, e voltandosi nella direzione opposta, ruppe il silenzio con un uggiolio e un latrato, accompagnato da segni d'impazienza. La folta coda seguiva la linea della schiena, ma il corpo tremava, e con ogni istante, il suo uggiolare diventava più intenso. "Cerchi il tuo padrone, vero? Mi dispiace, ma non è ancora tornato. Sta tranquillo, glielo darò io." Rispose Sky, intuendo il volere dell'animale e provando istintivamente pena per lui. Al contrario della sorella, ormai sempre più esperta fata della natura, lei non era capace di parlare con gli animali, e quella conversazione, se così poteva essere chiamata, era stata dettata dall'istinto. Fidandosi, Red agitò la coda con entusiasmo, e saltandole ancora addosso, si sporse quanto bastava per leccare il viso dell'amica. "Va bene, palla di pelo, va bene! Ora calmati, e torna a casa, avanti." Commentò allora Sky, esasperata da quell'esagerata manifestazione d'affetto. Ignorandola, Red si limitò ad abbaiare, e voltandosi fino a darle le spalle, si incamminò verso la propria tana di mattoni. Prima che potesse farlo, la voce di Sky lo distrasse ancora. "No, aspetta." Lo pregò, protendendo una mano in avanti e sperando che l'ascoltasse. Drizzando le orecchie, Red non si fece attendere, e in un solo istante, tornò a guardarla. "Ascolta, ora che puoi, porta questo a Noah, e salutami Kaleia. Ci vediamo dopo, furbacchione." Gli chiese poi, dando voce a un desiderio che portava nel cuore da tempo, e che da sola non sarebbe mai riuscita a realizzare. Avrebbe voluto, ovvio, ma se una parte di lei tendeva a erigersi attorno mura di insofferenza e pungente sarcasmo, un'altra era costantemente insicura, proprio come una bambina. Era quella la ragione per cui consegnare il suo regalo a Noah di persona era letteralmente impossibile. Per sua fortuna, la strana tradizione messa in moto dalla sorella tempo prima sembrava essere la soluzione al suo problema, o almeno così pensava. Ormai lontano, Red era pronto a svolgere il suo secondo incarico, e proprio quando credette di essere vicino a completarlo, un fischio e un odore interruppero il flusso dei suoi pensieri. La voce era quella della sua padrona, e l'odore conosciuto, ormai registrato nei meandri della sua mente e nel suo portentoso tartufo. Così, con la rosea lingua fuori dalla bocca, si lanciò verso la fonte di quel delizioso profumo, e prima di rendersene conto, fu di nuovo a casa. In piedi davanti al forno acceso, Kaleia stava preparando dei biscotti, e vedendolo tornare, si abbassò per accarezzarlo, poi notò il contenuto del suo fagotto. Era diverso, e non certo qualcosa che si aspettava. Conosceva il suo Christopher, e lo amava, ma per quale ragione avrebbe dovuto regalarle un portafogli? Non lo sapeva, e in quel momento non era affatto sicura del motivo, ma in quel momento, ogni cosa fu per lei chiara come il sole. "Red..." chiamò, tutt'altro che orgogliosa. Sicuro di aver sbagliato, l'animale evitò il suo sguardo, sicuro che questo non potesse inseguirlo, e come spesso accadeva in quei casi, l'ennesimo uggiolio ruppe il silenzio. "Ti sei lasciato distrarre, vero?" azzardò, fermandosi a guardarlo e sostenendo il suo sguardo triste. Con la coda fra le zampe, Red rimase in silenzio, e quasi strisciando in terra, fece per allontanarsi. Guardandolo sgattaiolare via in quel modo, Kaleia abbozzò un dolce sorriso, e scuotendo la testa per un attimo, dimenticò la sua rabbia. Sì, il suo amico aveva sbagliato, ma che importava? Nulla, ecco cosa. "Dai, non fa niente!" lo rassicurò, scoppiando a ridere nel richiamarlo a sè. A quelle parole, Red si voltò verso la padrona, e saltandole praticamente addosso, la finì di dolci e appiccicose leccate. Baci umidi e pieni di bava, che lei accettò senza proteste. "La prossima volta, però, furbastro mio, faresti meglio ad ascoltare, d'accordo?" gli ricordò, immensamente divertita. Per tutta risposta, Red abbaiò, e nel farlo, agitò ancora la coda. Sorridendogli, Kaleia lo lasciò andare per la sua strada, e sdraiandosi sul tappeto, Red si preparò a rilassarsi accanto al fuoco acceso, ma solo dopo aver educatamente chiesto un solo biscotto come ricompensa. Quella sera, Kaleia e il suo ragazzo, finalmente rincasato, si rilassarono sul divano, sicuri di amarsi e di poter finalmente scambiarsi i regali nella maniera giusta in quello che con il prossimo sorgere del sole sarebbe stato il giorno di Natale. Lontano da casa per decisamente troppo tempo, Christopher abbracciò e baciò la fidanzata, poi le chiese dettagli sulla sua giornata, e sorridendo nell'accettare quei baci e quell'affetto, Kaleia non esitò a raccontargli la  piccola e divertente disavventura della loro volpe. Red, il caro amico viaggiatore. 
 
Una buonasera ai miei carissimi lettori. Come avrete capito, questa è la ventesima storia della raccolta con i nostri amici umani e magici come protagonisti, e ora che ne mancano appena sei, è sempre più vicina alla conclusione, ma intanto spero che questa piccola avventura della volpe Red vi sia piaciuta. Grazie come sempre del vostro supporto, e al prossimo racconto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 21
*** Febbre natalizia ***


Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
Capitolo XXI
 
Febbre natalizia
 
Febbre. Sveglia da poco, Kaleia aveva identificato in sè stessa i sintomi della comune febbre. Di notte la tosse la debilitava, e al mattino non si sentiva certo meglio. La testa le faceva male, il mondo attorno a lei ruotava vorticosamente, e ogni movimento era incredibilmente doloroso. Silenziosa, evitata di lamentarsi, ma dato il pietoso stato in cui versava, perfino rigirarsi fra le coperte non era più un piacere. Stando alla posizione delle lancette sulla sua sveglia e del sole in cielo, era ancora mattina presto, e placidamente addormentato al suo fianco, Christopher riposava beato, meglio di quanto avesse mai fatto. Senza volerlo, lei tossì di nuovo, e tanto veloce quanto agile, Bucky si inerpicò sul letto, portando con sè un fazzoletto di carta. Accettandolo con un sorriso stanco, la ragazza si soffiò il naso cercando di fare meno rumore possibile, ottenendo come unico risultato un'ennesima ondata di dolore alle tempie. Il naso chiuso non era certo d'aiuto per il suo respiro già compromesso dall'aria fredda, e disturbato dal suo continuo muoversi fra le coperte, il suo fidanzato aprì gli occhi con non poca fatica, mugolando nel farlo parole prive di senso. "Chris, amore, scusa, non volevo..." biascicò lei, sentendosi improvvisamente in colpa per averlo svegliato in quel modo. "Non fa niente, fatina, non fa niente. Non avrei dormito, essendo così preoccupato per te." Le rispose lui, reprimendo uno sbadiglio e sfilando una mano da sotto la coperta per accarezzarle la schiena. Colpita e innamorata, lei non mosse foglia, e colta dal freddo, si lasciò scuotere da un brivido. "Dannazione, non ci voleva, e non certo oggi." Sussurrò, parlando più con sè stessa che con l'ora sveglio fidanzato, preoccupato per lei. "Fa schifo, vero? Io ne so qualcosa, ma forse tua madre può prepararti una tisana o qualcosa del genere." Le rispose Christopher, sentendola nonostante la voce appositamente bassa. "Dici che funzionerà? Per come mi sento, perfino la mia magia non collabora. Maledetti germi." Replicò a quel punto la fata, innervosita dal suo stesso stato di salute. "Che c'è? Ti spaventano?" azzardò Christopher, prendendola amorevolmente in giro e sfiorandole una guancia calda. "Cosa? N-No, è... è solo che..." balbettò lei in risposta, incespicando sulle proprie parole in un attimo di timida incertezza. "Sei adorabile." Commentò il fidanzato, non riuscendo ad astenersi dal sorridere. Nel farlo, le prese la mano, e avvicinandosi, le sfiorò la fronte con le labbra. A quelle parole, Kaleia ricambiò il suo sorriso, e leggermente rinfrancata, si sporse per afferrare il bicchiere d'acqua lasciato sul comodino accanto al letto. Premuroso come sempre, Christopher l'aveva preparato per lei prima di andare a dormire, ma lo zucchero che vi aveva mischiato doveva ormai essersi sciolto. Bevendo a piccoli sorsi, Kaleia riuscì comunque a sentirne il sapore, e incuriosito, Bucky provò a bere a sua volta. "Bucky, va via!" quasi urlò la fata alla sua vista, scacciandolo con un gesto della mano e sentendo la gola pizzicare e bruciare oltre che dolere. Colto alla sprovvista, il piccolo roditore si dileguò, e nel silenzio, si rintanò sotto le coperte con la padrona, squittendo per lo spavento. "Scusa, topolino, ma lo zucchero non è per gli animaletti come te." Gli sussurrò lei, sinceramente dispiaciuta ma sempre allerta quando si trattava della sua salute. Essendo soltanto uno scoiattolo, non possedeva certo poteri speciali come la fata, ma a quest'ultima non importava. Per lei Bucky era un amico, e quella era l'unica cosa a contare. Sempre in silenzio, questo restava a guardarla con gli occhietti lucidi e il nasino arricciato, la coda folta nascosta sotto la coperta. Lento e incerto, si avvicinò con cautela, e volendo imitare Christopher, sfiorò la sua mano con una minuscola zampina. "Sono qui anch'io, finchè non starai meglio." Sembrava voler dire, preoccupato quanto e forse più dell'umano. Poco dopo, un ennesimo colpo di tosse della ragazza ruppe il silenzio, e la gola le si asciugò di nuovo. "C-Chris... posso avere un altro pò d'acqua?" chiese, faticando a parlare a causa del pizzicore che sentiva in gola. "Subito, tesoro. Tu non muoverti." Le rispose il ragazzo, annuendo e sparendo dalla stanza per il tempo necessario. Fu quindi questione di attimi, e tornando nella stanza, Christopher offrì all'amata ciò che aveva chiesto. Acqua secondo il suo pensiero, ma in realtà, la tisana su cui avevano scherzato appena prima. "È dolce, che ci hai messo dentro?" azzardò, bevendo lentamente e sorridendo nel sentirne il sapore, in qualche modo simile a frutta mista a cannella. "Dovrai indovinarlo tu, amore, sappi solo che non è acqua." Scherzò il ragazzo in risposta, divertendosi con lei nel restare enigmatico. Annuendo e prendendo quelle parole come una sorta di sfida, Kaleia non se lo fece ripetere, e in silenzio, annusò il liquido, sentendo la risposta esatta apparirle in mente. "Mi hai mentito, ed è una tisana." Disse infatti, posando il bicchiere ormai vuoto sul comodino lì accanto e provando ad assestare un finto pugno sul braccio del ragazzo, ma fallendo a causa della sua distanza dal letto. Ridacchiando divertito, Christopher si avvicinò fino a sedersi sul bordo, e sorridendole forse per l'ennesima volta, posò una mano sulle sue gambe avvolte nella coperta. "Sì, ho mentito, ma l'avresti bevuta se non l'avessi fatto?" le chiese, abbassando la voce e facendosi improvvisamente serio. "Certo, in fondo mi fido di te, e lo sai." Rispose subito lei, non riuscendo a restare seria e quasi scoppiando a ridere di fronte a quello sguardo fin troppo sostenuto. "In fondo, fatina? Quanto in fondo?" replicò in fretta il ragazzo, avvicinando pericolosamente le labbra alle sue e non attendendo altro che una risposta. Mantenendo il silenzio, Kaleia non resistette alla tentazione di baciarlo, e annullando la distanza fra di loro con un solo movimento del polso, lasciò che le loro labbra si unissero. Farlo ammalare era l'ultimo dei suoi pensieri, ma a quanto sembrava, lui l'aveva già avuta qualche mese prima, ragion per cui, forse, il contagio era fuori discussione. "Non così in fondo, custode mio. Infatti... appena sotto la superficie." Sussurrò in risposta alla sua domanda, parlando non appena si staccò dalle sue dolcissime labbra. Felice, Christopher si limitò a guardarla, e con occhi sognanti, la baciò ancora, avvicinandosi ancora di più e ignorando la sua malattia. In fin dei conti non era nulla di grave, e tisane o meno, ben presto sarebbe guarita. In cuor suo, lui non aspettava altro. Nel silenzio di quel momento così perfetto, Kaleia trattenne il respiro, e ormai stanca e con la testa che girava, ma almeno allora non per via della febbre, si sdraiò fra le coperte, posando la testa sul cuscino fresco. Non avendo alcuna intenzione di disturbarla, Christopher lasciò la fidanzata sola con i propri pensieri, guardandola scivolare nell'incoscienza mentre si allontanava. Appena fuori dalla stanza, il miagolio di Willow raggiunse le sue orecchie, e attraversando il corridoio, il ragazzo la raggiunse. "Micia! Preoccupata anche tu per la padroncina? Non preoccuparti, starà bene." Le disse, abbassandosi al suo livello e accarezzandola con dolcezza. Per tutta risposta, la gatta strusciò piano la testa contro il suo palmo aperto, osando perfino leccargli le dita. Quieto, un secondo miagolio sfuggì al suo controllo, e quasi leggendole nel pensiero, Christopher non smise di coccolarla. Giunto in salotto, si imbattè in Sky, che pigramente seduta sul divano di casa, osservava il panorama visibile appena fuori dalla finestra. Calmo come l'ormai gelata acqua del lago là fuori, era coperto di neve che intanto continuava a cadere e scendere lieta, per la gioia di tutti i bambini umani e magici del villaggio poco distante. "Ciao Chris! Allora? Come sta Kaleia?" chiese, distraendosi per un attimo da quell'algido spettacolo e voltandosi a guardarla, tranquilla ma preoccupata al tempo stesso. Le due discutevano, si prendevano in giro anche se bonariamente, e a volte litigavano, ma chi non lo faceva? E soprattutto, cosa importava se alla fine facevano pace? Nulla, semplice. "Meglio, o almeno così sembra. Per ora sta riposando. La tisana l'ha aiutata." Spiegò il ragazzo, parlando con la sincerità di chi amava. "Tisana, hai detto? Da quando sei una specie di mago delle bevande?" azzardò la fata, sorpresa. "Praticamente da sempre. Ho imparato a prepararle dai miei genitori." Rispose appena Christopher, non potendo evitare di pensare allo stato in cui la fidanzata versava, fortunatamente migliore rispetto all'inizio della giornata. "Buono a sapersi. Noah non se la cava così bene, quindi chiamerò te se mai mi servirà qualcosa di simile." Commentò la ragazza, stranamente divertita e sorpresa dalla sua abilità. "Sul serio?" chiese allora Christopher, sinceramente curioso. "Certo. Pensa, l'ultima volta che ha cercato di prepararmi una cioccolata calda, dalla tazza usciva altro che fumo." Spiegò Sky, ridendo nel ricordare quell'occasione, che appena qualche giorno prima l'aveva fatta ridere a crepapelle, e con lei anche il fidanzato, che morendo dall'imbarazzo, si era dato da fare per preparare quella delizia al meglio. Svariati tentativi più tardi, la bevanda gli riuscì perfettamente, e comodamente seduti sul divano di casa, la gustarono insieme. A quel solo ricordo, Sky sorrise, e spostando lo sguardo dal caro protettore della sorella al panorama appena fuori dalla finestra, fu pervasa da una sensazione strana e mai provata prima. Non era freddo, i suoi poteri le impedivano in parte di provarlo, ma di vuoto. Stando al calendario appeso al muro della cucina con un minuscolo chiodo, il Natale si stava avvicinando, e l'intero salotto era ancora spoglio. Gli allenamenti, le compere natalizie e altri mille impegni avevano tenuto occupata Kaleia per così tanto tempo da stancarla fino a farla ammalare, e malgrado una semplice febbre non fosse nulla di grave, per come stava non riusciva davvero ad alzarsi dal letto, anche dopo la tisana. Per fortuna almeno ora riposava, e nel silenzio di quel pomeriggio, la sorella maggiore si alzò dal divano. "Vuoto, il salottino, vedo." Commentò, sorpresa. Per quanto ne sapeva, in quel periodo di festa la stanza era sempre abbellita e decorata in ogni modo possibile dalla sorella minore, ma ora che questa era fuori combattimento, la stanza era rimasta spoglia e uguale a come tutti la ricordavano, con il divano, il caminetto, lo scaffale e il tavolo in legno come uniche decorazioni. "Lo so, si nota così tanto. Kia ed io avremmo voluto, ma non ne abbiamo avuto tempo, e sai che oggi non è certo al massimo della forma. A quelle parole, Sky sentì forse per la prima volta una stranissima stretta al petto, simile a quella che le aveva scosso il corpo fra una passeggiata per il villaggio umano e l'altra aveva finito per innamorarsi del suo Noah. Lontano da lei, nella sua casa al villaggio, aveva deciso di passare del tempo con la propria famiglia, e tutt'altro che amareggiata dalla solitudine, lei l'aveva lasciato fare, rispettando i suoi spazi come di consueto. A quelle parole, la ragazza si fermò a pensare, e chiudendo il pugno, si decise. "Non preoccuparti. Ora riposa, e lo sappiamo, ma quando si sveglierà, questa stanza risplenderà di luce propria." Dichiarò, seria. "Come lo sai?" le chiese Christopher, incredulo. "Lo so perchè farò tutto io, quest'anno." Si limitò a rispondergli Sky, tenendo lo sguardo fisso sul punto più desolato del salotto, proprio dove l'albero avrebbe dovuto essere. "Dove tenete l'occorrente, tu e Kia?" chiese poi, ponendo enfasi su quel nomignolo al solo scopo di prenderlo in giro. "Dovrebbe essere su in soffitta, e sì, hai sentito bene." replicò il ragazzo, dovendo sforzarsi per non dire altro. Conoscendosi, sapeva di non essere iroso o collerico, ma volendo essere sincero con sè stesso, doveva ammettere che a volte la ragazza riuscisse a dargli sui nervi. Stringendosi nelle spalle, Sky annuì, e sparendo dalla stanza, tornò presto indietro con una miriade di scatoloni fra le braccia. Certo, miriade non era il termine adatto da usare in quel contesto, ma a giudicare dalle sottili imprecazioni della stessa Sky, attutite solo dall'abitudine che aveva di tener bassa la voce per non farsi sentire in momenti come quello, allo stesso tempo non ne esisteva uno più indicato. Con quel pensiero in testa, Christopher rise, poi decise di aiutarla. "Lascia, faccio io." Disse soltanto, sorridendo leggermente e liberandola da uno di quei pesi. "Grazie." Sussurrò l'altra in risposta, grata. Mantenendo il silenzio, il ragazzo si limitò ad annuire, e posando la scatola sul tavolo in legno poco distante, l'aprì. Solo allora, scoprì che conteneva decine o forse centinaia di decorazioni. Palline, statuette e stringhe di luci annodate, tutta roba accumulata negli anni dalla sua famiglia, e solo in seguito da quella della sua ragazza. Una volta fatto, si voltò verso l'amica, e spronandola con un gesto della mano, indicò lo scatolone davanti agli occhi di entrambi. "Su, aprila. Lo monteremo insieme." Le disse, incoraggiandola. Annuendo in silenzio, Sky non se lo fece ripetere, e ben presto, ognuno dei rami fu al suo posto e in perfetto ordine. Sfruttando le ali di fata, Sky non ebbe problemi a posizionare quelli più alti, ma data la sua scarsa abilità, uno non fece che cadere, toccando il pavimento con un tonfo più e più volte. Per tutta risposta, Willow provava a giocarci, ottenendo come unico risultato quello di essere scacciata via dal padrone. "No, Willow. Non è un giocattolo, e lo sai." Gli disse, puntandole un dito contro il muso color carbone. Incuriosita, la gatta gli si avvicinò, e facendo le fusa, strusciò piano la testa contro le gambe del ragazzo. Calmo, Christopher le indicò il divano, e scivolando nel silenzio a sua volta, la gatta finalmente gli obbedì, sistemandosi su uno dei cuscini con quattro cerchi sulla stoffa e un miagolio sommesso. "Brava, brava micetta." Commentò, orgoglioso. Era strano a dirsi e anche a vedersi, ma a quanto sembrava, la cara Willow riusciva a capire ogni parola proferita dai padroni, ma come ogni gatto che meritasse anche un pizzico di rispetto, solo quando e se voleva. Tornando al lavoro senza la gatta a distrarli, i due continuarono senza posa, e fra un addobbo e l'altro, scambiarono qualche parola. "Chris?" chiamò Sky, impegnata con una statuetta raffigurante un pupazzo di neve. "Sì?" rispose il ragazzo, che al contrario dell'amica armeggiava con una stringa luminosa incastrata in un ramo. "Grazie." Continuò Sky abbozzando un sorriso, che data la freddezza del suo carattere era a dir poco inusuale. Non che non avesse un cuore, anzi, ma i suoi sorrisi e la sua felicità sbocciavano quasi esclusivamente in presenza di Noah. Fermandosi a pensare, capiva la sorella e la vera forza dei suoi sentimenti, nonostante un muro di ghiaccio sembrasse avvolgerla completamente. Confuso, Cristopher la guardò senza capire, e riflettendo, comprese all'istante. Si riferiva alla sorella e alla sua febbre, ovvio, ma anche a tutto il tempo che da innamorati avevano passato insieme. Si amavano, si amavano davvero, e ogni giorno, la loro dolcezza e il calore del loro affetto sembravano spandersi per l'intera foresta. Una vista che avrebbe fatto sognare anche la più seria delle persone, e che nonostante non lo dicesse, rendeva la stessa Sky orgogliosa come pochi. Le liti fra di loro non erano mancate, specialmente durante il periodo in cui Kaleia e il suo amato protettore si erano separati, ma per loro fortuna, ora tutto apparteneva al passato. "Prego, e anzi, grazie a te. Quest'albero non sarebbe qui se tu non avessi avuto quest'idea, e a dirla tutta, neanche lei." Le rispose poi, sempre sfoggiando quel sorriso pieno di luce e amore per la sua fidanzata. Senza una parola, Sky non fece che annuire, e dopo un tempo che nessuno dei due riuscì a definire, l'albero fu pronto, e con loro grande sorpresa, perfino più bello di quanto si aspettassero. Soddisfatto del suo lavoro, Christopher fissò lo sguardo sul puntale in cima, sorridendo nel notare che aveva la forma di una stella. Non sapeva perchè, ma gli ricordava la magnifica sera del suo primo bacio. Allora non c'era che uno spettacolo di centinaia o forse migliaia di piccole lucciole alle loro spalle, e sentendo il cuore battere furioso nel petto, il ragazzo sospirò, emozionato come e forse più di allora, come un ragazzino alla prima cotta. Non ne avevamo mai parlato, e Kaleia non aveva modo di saperlo, ma come per lei, era la prima volta anche per lui. Il solo pensiero lo rendeva felice. Felice di aver davvero trovato la ragazza della sua vita, di averla aiutata a realizzarsi e di continuare a farlo anche nel presente, di sapere che fossero fatti l'uno per l'altra. Quei pensieri lo svegliavano al mattino e lo cullavano di notte, e ogni volta che si addormentavano, lui la stringeva forte a sè, come a non volerla lasciar andare. Scuotendo la testa, il ragazzo tornò ad essere sè stesso, e in quel momento, un suono lo distrasse. La porta della loro stanza cigolò debolmente, e attimi dopo, la figura di Kaleia apparve nel salotto. Stanca e confusa dalla febbre, camminava lentamente, come a voler evitare di perdere l'equilibrio, e nello spazio di un momento, quello spettacolo di luci e addobbi entrò nel suo campo visivo. Sorpresa, non seppe cosa dire, e coprendosi la bocca con la mano, spostò lo sguardo sul ragazzo, poi sulla sorella. "R-Ragazzi... non riesco a crederci, avete... fatto tutto questo... per me?" balbettò, non riuscendo a credere ai propri occhi. Silenzioso, Christopher le fu subito accanto, e cingendole un braccio attorno alle spalle, la strinse dolcemente a sè, posando poi le labbra sulla fronte finalmente fresca. "Sì, amore. Io e tua sorella, e tutto in onore della festa." Le disse in un sussurro innamorato, seguito da  un bacio che tolse il respiro ad entrambi. Emozionata, Sky restò a guardarli con mille stelle negli occhi, e quella sera, con il cielo scuro ma pieno di tanti pezzetti di luna, rimase in piedi di fronte al davanzale della finestra chiusa, osservandolo mentre il fuoco crepitava e l'albero brillava. Per quell'intera giornata, Kaleia aveva sofferto la febbre, e anche lei era stata contagiata, in quanto positivamente infettata da quella natalizia. 
 
 
Buonasera, cari lettori miei. Stasera, la ventunesima storia della raccolta, iniziata ieri e finita oggi. Conta quasi tremila parole, e spero proprio che vi sia piaciuta. Ironicamente, anch'io ho avuto la febbre ieri, proprio come Kaleia, che completamente a pezzi, non riesce a decorare la casa come vorrebbe in tempo per il Natale. Sky non è mai stata una gran festaiola, ma mettendo da parte i suoi sentimenti per la magia delle feste, ha lavorato accanto al ragazzo della sorella per regalarle un sogno e non rovinare l'atmosfera. Grazie del supporto, a ognuno di voi indistintamente, e al prossimo scritto,
 
 
Emmastory :)

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Capitolo 22
*** Matrimonio sulla neve ***


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Capitolo XXII
 
Matrimonio sulla neve
 
Con i secondi i minuti, con i minuti le ore, con le ore i giorni, poi i mesi, e generalmente, il tempo. Nessuna creatura umana o magica sapeva davvero cosa fosse, ma nonostante questo, Kaleia ne aveva una. Pallida e nebulosa, chiaro, ma pur sempre un'idea. Il suo era forse un punto di vista sciocco o datato, ma per come la pensava guardare il tempo trascorrere era come dipingere. Si prende il pennello e si libera la creatività, dando sfogo alle emozioni sulla tela della propria vita. Bianca alla nascita, ma colorata dal tempo stesso, con mille e mille sfumature. Chiare nei giorni di luce, scure quando la vita stessa sembra volerti abbandonare, rinchiudendoti in un buio baratro da cui pur tentando non riesci a risalire. Vedendola, un estraneo non l'avrebbe detto, ma nonostante il freddo, almeno in quella mattina invernale, lei era felice. Era inutile. Stavolta il freddo non la toccava, e come spesso accadeva date la forza e la purezza dei suoi sentimenti, una sola persona governava i suoi pensieri, ed era come se ogni sua parola lo riguardasse. Christopher. Il suo Christopher. Agli occhi di molti, una vera esagerazione, ai suoi, pura perfezione. Era dolce, forte, buono, paziente e innamorato, soprattutto innamorato. Di giorno in giorno, la ragazza non faceva che pensarci, e nel silenzio delle sue mattine d'inverrno, si rigirava fra le coperte cercando la sua mano, sorridendo ogni volta che le loro dita si sfioravano. In breve, quei tocchi diventavano strette, quelle strette abbracci, e quegli abbracci diventavano invece baci con il mistico potere di togliere il respiro ad entrambi.  Il Natale era passato da poco, e la neve dicembrina aveva continuato a cadere fino al mese successivo, ed era in quella fredda, soffice e magica cornice che i due si sarebbero sposati. Sì, sposati. Kaleia stessa non riusciva ancora a crederci, eppure il giorno che aveva immaginato fin nel minimo dettaglio sin dai suoi tempi di bambina era ormai sempre più vicino. Ricordava bene di aver evidenziato la data in questione sul calendario, così come di averla circondata con un cuore rosso dopo aver sorriso. Lenti, i secondi e i minuti svanivano dalle sue giornate, e ogni notte andava a letto con la fecilità nel corpo e nel sangue, sicura che al risveglio, il nuovo giorno sarebbe stato perfino migliore del precedente. Felice quanto e forse più di lei, Christopher condivideva il punto di vista dell'amata, pronto a fare quanto in suo potere per aiutarla a superare il buio dei giorni peggiori, e sicuro di arrivare a dare la sua stessa vita pur di farlo. Le genti del villaggio e parte del popolo della foresta non li capivano nè appoggiavano la loro relazione, ma il loro amore era reale, e sicuri di sè stessi e di ogni puro battito dei loro cuori, ormai in totale sincronia da anni, non davano peso alle sempre più frequenti voci portate dal vento. Lento, il tempo continuava a passare, per tutti e anche per loro, e all'alba delle loro tante sospirate nozze, Kaleia fu la prima a svegliarsi, stupendosi di non trovare il suo futuro marito al suo fianco. Lasciandosi prendere dal panico, la fata si drizzò a sedere sul letto, e voltandosi verso la parte che il suo Christopher era solito occupare, ebbe un tuffo al cuore. Perchè non c'era? Perchè non era con lei? E soprattutto, cosa gli era successo? Per quanto ne sapeva, avevano passato il pomeriggio e poi la sera precedente a rincorrersi e giocare fra la neve come bambini, buttandosi in mezzo a quel morbido tappeto con la sicurezza di non farsi male, e dopo l'arrivo nella foresta delle loro due piccole amiche pixie e dei loro genitori, della cara amica Marisa, di Sky, Noah e perfino del suo protettore, l'enigmatico Major, si erano sfidati ad una gara di slittini, e stanchi ma felici, erano andati a letto senza più un grammo d'energie, ma al suo risveglio, Christopher era scomparso. Spaventatissima, corse fuori dalla stanza quasi pestando la coda alla povera Willow, e già in lacrime, andò in cerca della madre. "Mamma!" chiamò, disperata. "Si tratta di Christopher. Ti prego, dimmi che lo hai visto!" pregò poi, non avendo in testa che mille scenari, uno peggiore dell'altro. Per qualche strana ragione, ognuno di questi terminava con la morte del ragazzo, e con il cuore in gola per lo spavento, si portò una mano al petto metaforicamente vuoto, posando quella libera sul tavolo di fronte a lei e afferrandone il bordo per rischiare di cadere. "No. No, no, no, no..." si ripetè, strascicando ogni parola a bassa voce per non farsi udire che da sè stessa. Guardandola, la madre non si meravigliò dello stato in cui versava, e senza una parola, le fu presto accanto, cingendole un braccio attorno alle spalle e accarezzandole la schiena con piccoli movimenti, come per confortarla. "Su, su, pixie. Andrà tutto bene, vedrai. Forse... forse sta solo cercando di farti una sorpresa!" provò a dirle, cercando in tutti i modi di rassicurarla. A quelle parole, Kaleia non rispose, e assieme ad altre lacrime, una sola frase abbandonò le sue labbra. "Non ci credo. Non può avermi abbandonata così, io... io lo amo!" quasi urlò, lasciandosi prendere la mano dalle emozioni e non badando al proprio tono di voce. Lì accanto da poco, anche Sky prese la parola, e seppur freddamente, provò a rincuorare la sorella. "Kaleia, Eliza ha ragione. Io ero con te ieri, non può essere andato tanto lontano." Le disse infatti, accennado a un piccolo sorriso pieno di compassione. Conoscendosi, la ragazza sapeva di non essere aperta quanto la sorella, ma nonostante questo, era sempre pronta a farsi in quattro schierandosi in prima linea quando si trattava di lei o di uno dei loro tanti visi amici. Rinfrancata dai loro tentativi di risollevarle il morale, Kaleia imitò i familiari nei loro sorrisi, e ritirandosi nella sua stanza, si sedette sul letto, chiudendosi a riccio e abbracciandosi le gambe come una bimba arrabbiata. Da quella posizione riusciva a vedere il suo riflesso nello specchio dell'armadio, e appena dentro, tutti i suoi vestiti, incluso quello da sposa. Leggero e bellissimo, colmo di pizzi e merletti, proprio come da piccola immaginava. Le sue ultime giornate erano scorse in maniera lente e felici, ma a quanto sembrava, ora la sua felicità aveva avuto una fine. Il sogno di sposarsi era andato in fumo, e il suo ragazzo, come sperava e al tempo stesso sapeva futuro marito, scomparso nella nebbia come un fantasma da un maniero dopo il proprio esilio dal mondo dei vivi. Nella sua stanza, che peraltro condivivdeva con l'amato, il silenzio era tale da renderla sorda, e quella sera, al posto di un sorriso, non ebbe che una smorfia di dolore sulle labbra e delle lacrime sul viso e sul cuscino. Ad ogni modo, dopo la pioggia spuntò un arcobaleno, e al mattino dopo, ferito ma ancora in piedi, Christopher. Il suo bellissimo, dolcissimo Christopher. Proprio di fronte a lei, calmo e sorridente come sempre, accompagnato da una cerva dal manto fulvo e pomellato, che camminando lentamente, sembrava voler sostenere il suo peso. Ad essere sincera, Kaleia non sapeva cosa gli fosse successo, nè le importava. Nella sua mente e nel suo cuore, le uniche cose a contare erano che fosse vivo e che stesse bene, e cosa più importante, che nessuno degli scenari che le avevano funestato la mente si fosse realizzato. Alla sua vista, la fata gli corse incontro, e abbandonandosi fra le sue braccia, si lasciò stringere. Un tenero e caldo bacio unì le loro labbra, e il triste ululato nel vento cessò nel celebrarsi di quel tanto atteso matrimonio sulla neve. 
 
 
Rieccomi dopo il mio periodo di febbre, con la ventiduesima storia di questa raccolta. Ormai ne mancano soltanto quattro, ma spero che questa, incentrata su un ipotetico matrimonio invernale, vi sia piaciuta. Ringrazio indistintamente ognuno di voi per il vostro supporto, includendo ovviamente anche i lettori silenziosi. A presto con il prossimo racconto, e grazie ancora,
 
Emmastory :)

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Capitolo 23
*** Dubbi e doni ***


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Capitolo XXIII
 
Dubbi e doni
 
Quieto, il sole si stava di nuovo levando nel cielo uscendo dal suo nascondiglio dietro ai monti, e almeno in quel giorno d'inverno, il freddo dava tregua agli abitanti del bosco. A poco a poco, ognuno si svegliava, dando lentamente inizio a una nuova giornata, per loro tutta da vivere. Spinti dalla generosità tipica delle feste, gli animali parevano sorridersi, dedicandosi reciprocamente ogni tipo d'attenzione, e anche nel loro caso, i doni non mancavano. Zampettando fra l'erba fredda e ricoperta di neve, due scoiattoli dividevano una sola ghianda, e dall'alto di una robusta quercia, due passerotti infreddoliti scandagliavano il terreno alla ricerca di rametti grandi e resistenti abbastanza da costruire insieme un nido per dei futuri piccoli, e in altre parole, quella mattina la foresta non era che il ritratto della felicità. Per tutti, ma non per Marisa, che quel giorno aveva mille pensieri per la testa. Ora che sua madre aveva abbracciato lo spirito del Natale, entrambe si erano date da fare per decorare la casa al meglio, ma nonostante tutto, con il sole che splendeva e la neve ormai prossima a sciogliersi per dar nuova vita alla terra e ampio respiro alle povere piantine, lei non riusciva a stare tranquilla. Guardandosi nervosamente intorno, controllava ogni angolo della casa per essere sicura di aver lasciato ogni cosa al suo posto e non aver dimenticato nulla, ma per quanto si sforzasse, quel pensiero continuava a tormentarla, non lasciandola da sola neanche per un istante. Tesa e nervosa, controllava e ricontrollava la lista che aveva scritto e stilato come promemoria, e ad uno ad uno, decine e decine di segni di spunta le saltavano agli occhi. L'albero, le decorazioni, le pulizie in casa, l'argenteria migliore per il pranzo ormai quasi pronto, ogni cosa era, o meglio, sembrava, al suo posto. Esatto, sembrava. In cuor suo, Marisa non avrebbe neanche voluto pensarci, ma il condizionale era d'obbligo, poichè dando un'ennesima occhiata a quella lunga lista, si sentì come schiaffeggiata dalla realtà. Confusa, scosse la testa nel fermarsi a pensare, poi un lampo di genio le illuminò la mente. Ecco cosa aveva dimenticato. Aveva scelto un regalo per sè stessa e per gli amici più cari, ma non per sua madre. A quel pensiero, la povera ragazza sentì le gambe deboli, per poi venire sconvolta da un orribile capogiro. Si sentiva malissimo. Come aveva fatto? Come aveva potuto? Quale figlia si lasciava sfuggire qualcosa di così importante? In genere nessuna, e a quanto pareva, lei era davvero l'unica a farlo. Colta dal panico, fece saettare lo sguardo in più direzioni, sperando con tutto il cuore che la madre non fosse nei paraggi. Il resto dei preparativi la impegnava non poco, e distratta com'era non l'avrebbe certo notata, ma cosa sarebbe successso in caso contrario? Si sarebbe arrabbiata? Le avrebbe urlato contro? Non lo sapeva, non era sicura di nulla, ma al suo problema c'era un'unica soluzione. Decisa, si preparò ad uscire, e fatti pochi passi, si ritrovò all'esterno. A occhi bassi, osservava il sentiero da seguire, e fra un passo e l'altro, si sentiva sempre più vicina alla propria meta. Per quanto ne sapeva, il vicino villaggio degli umani aveva un'economia propria, ma nel suo caso, la questione non si basava certo sul denaro. Aveva con sè solo qualche moneta, ovvio, ma in compenso non aveva la minima idea di cosa acquistare per la madre. Il rustico negozietto che adorava visitare era sempre pieno di ninnoli di ogni genere, ma decisamente troppo confusa e senza idee, capì che era arrivato il momento di chiedere  aiuto. Serrando i pugni, sollevò lo sguardo, e pochi istanti più tardi, due visi amici la sorpresero. Christopher e Kaleia, che in quella giornata di sole, avevano deciso di uscire per una passeggiata nonostante il freddo. Ben coperta, Kaleia teneva caldo il collo con una sciarpa, e un giaccone pesante a coprirle le spalle. Innamorato, Christopher faceva lo stesso, e sorridendo, salutò l'amica con un gesto della mano. "Marisa! Anche tu qui?" chiese la fata, sorpresa quanto lei e immensamente felice di vederla. "Ragazzi!" rispose la giovane, fermandosi e allargando le braccia per stringerli a sè, dando vita a una delicata e breve unione di gruppo che li fece sorridere scaldando loro il cuore. "Sì, e in ritardo, direi. Non ci crederete, ma Natale è domani, e con tutto il mio da fare ho dimenticato il regalo per mia madre. Ormai non ho più tempo, e come se non bastasse, sono davvero senza idee." Si lamentò poi, abbassando lo sguardo e sbuffando in segno di frustrazione. Vedendola soffrire a quel modo, Kaleia non riuscì a restare impassibile, e sfiorandole la mano, gliela strinse con delicatezza. "Su, tranquilla. Abbiamo finito le spese, possiamo aiutarti, se vuoi." Propose poi, generosa come sempre. "Davvero?" azzardò l'altra, incredula. "Certo! In fondo a cosa servono gli amici?" replicò Christopher, accennando un sorriso nel farle notare quella verità. A quelle parole, Marisa sentì una speranza nascerle in petto, e pensando, parlò con sè, dicendosi che forse non tutto era perduto. Rinfrancata dalla presenza dei suoi amici al suo fianco, raggiunse assieme a loro quell'ormai famoso negozietto, e dopo un tempo a dir poco indefinibile trascorso a osservare oggetti e ninnoli di ogni sorta, il cerchio si strinse, lasciando loro tre possibilità. Un paio di guanti di lana di squisita fattura, un ornamento con le fattezze di una piccola renna, e ultimo, ma non meno importante, un portafoto in argento, percorso in ogni sua parte da eleganti disegni e motivi floreali. "Non riesco a decidere, voi che dite?" chiese agli amici con fare inquieto, facendo poi scivolare le dita sulla bella cornice. "Non lo so, forse... i guanti?" tentò Christopher, ritrovandosi bloccato nel suo stessso stato mentale di pura confusione. "Chris! Siamo in inverno, ne avrà a centinaia!" commentò Kaleia, lasciandosi sfuggire una piccola risata e prendendolo bonariamente in giro. "Forse non centinaia, ma sì, credo ne abbia a sufficienza." Rispose Marisa, scartando quell'idea e passando al prossimo oggetto della sua stavolta metaforica lista. "Hai ragione." Si limitò a dirle il ragazzo, per poi guardandosi ancora attorno e finire per prendere fra le mani il piccolo ornamento in ceramica. "Questo, invece? Sarebbe perfetto per il vostro albero, non credi?" azzardò, mettendosi in luce per una seconda e sperando ardentemente di non sbagliarsi ancora. Colpita, Marisa si fermò ad osservarlo, e per un attimo lo rigirò fra le dita, salvo poi rimetterlo a posto con aria poco convinta. "Mia madre è più un tipo da decorazioni tradizionali, e poi sembra pesante, i rami si piegherebbero." Commentò, sfiduciata. Alle sue parole, Kaleia soffrì in silenzio, e in quel preciso istante, la cornice in argento le tornò in mente. "Che dici della cornice? Sembra un ottimo posto per una foto importante, magari una vostra." Le disse soltanto, indirizzandola verso l'elegante portafoto già visto in precedenza. A quella vista, la giovane si fermò a pensare, e mettendo mano alla borsetta, si decise. "Sai una cosa, Kaleia? È vero. Non so dove la tenga ora, ma c'è una foto di me da piccola che... sì, la prendo." Rispose, pescando qualche momento dal proprio portafogli e posandole sul bancone in attesa del proprietario. Umano come Christopher, anche lui avvezzo alla magia, vecchio ma arzillo, tanto mite e cordiale da essere benvoluto da chiunque avesse intorno. Silenzioso, sorrise alla sua cliente, e dopo aver accettato il denaro, conservò quella cornice in una scatola, poi in una busta. Contenta del suo acquisto, Marisa salutò, e appena un attimo dopo, uscì dal negozio assieme agli amici. "Grazie, ragazzi. Non avrei mai deciso senza di voi." Disse, sinceramente grata. "È stato un piacere, Marisa. Ci vediamo, d'accordo?" le rispose Christopher, felice di averla aiutata nonostante i suoi grossolani e divertenti errori. A quanto sembrava, era stata Kaleia a fare tutto il lavoro, ma ragione o meno, la ragazza era sua amica, e come la cara fidanzata, anche lui le avrebbe sempre voluto bene. "Certo! Quando volete!" replicò la giovane, congedandosi da loro con un sorriso. Ricambiando quel saluto, i due innamorati si allontanarono, diretti verso il lago per una giornata tutta loro, all'insegna del romanticismo che caratterizzava la loro coppia. Una decina di minuti più tardi, Marisa si ritrovò sulla via di casa, e rientrando, salutò la madre già seduta in sala da pranzo, con le mani sulle ginocchia e il proprio pasto davanti agli occhi. "Ti aspettavo, dove sei stata?" le chiese, curiosa. "Ero fuori, a prenderti questo." Rispose subito lei, nascondendo la mano nella busta che portava con sè ed estraendone il regalo. Al Natale vero e proprio mancava ancora un giorno, quella che vivevano era la vigilia, ma se la madre era così curiosa, alla figlia non importava. Con quel pensiero in testa, le mostrò quella scatola, e in silenzio, la guardò aprirla. A lavoro finito, che peraltro non richiese alcuna fatica, sua madre Zaria non credette ai suoi occhi. Era soltanto un portafoto, certo, e anche se adesso era vuoto, la donna versò una singola lacrima nel vederlo già pieno. Pieno dell'amore di una figlia che in tutto quel tempo e in onore della festa più attesa dell'anno, si era destreggiata egregiamente fra preparativi, dubbi e doni.    
 
 
 
Sempre stasera, miei cari lettori, una piccola storia su alcuni dubbi della cara Marisa durante le sue ultime compere natalizie, fortunatamente dissipati uno per uno grazie agli amici. Cosa ne pensate? E voi? Fate mai compere in compagnia? O siete più propensi ad andare da soli in giro per negozi? Al prossimo scritto, e grazie a tutti voi,
 
Emmastory :)

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Capitolo 24
*** Fata sul ghiaccio ***


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Capitolo XXIV
 
Fata sul ghiaccio 
 
Sola. Sky era sola e vicina al lago, e ormai da ore, non faceva che cadere. Anche se da poco, la superficie dell'acqua si era gelata a causa di quell'inverno tanto duro e freddo, e più il tempo scorreva, più la temperatura sembrava abbassarsi. Se Christopher e Kaleia erano in casa, seduti sul divano a coccolarsi e scambiarsi tenerezze come al solito, lei era là fuori, tutt'altro che disturbata dagli elementi. Chiunque la conosceva sapeva quanto le piacessero la natura e il suo ora algido involucro, e anche se non lo diceva, tacendo ogni volta che qualcuno osava chiedere, c'era una sola cosa che le piaceva perfino di più. Il pattinaggio. Era stato il suo Noah a parlargliene per la prima volta, presentandogliela come divertente attività invernale e facendola innamorare perdutamente, portandola a sviluppare sentimenti forse perfino più profondi di quelli che la ragazza aveva per lui. In cuor suo, il ragazzo sentiva di aver esagerato, ma allo stesso tempo sperava di sbagliarsi. Conosceva la sua ragazza, sapeva quanto potesse essere testarda, ma era spesso felice di vedere quella testardaggine trasformarsi in determinazione. Taceva a sua volta, troppo timido per parlarne, ma quella era una delle ragioni per cui si era innamorato di lei, e il principale motivo per il quale il suo cuore non si fosse mai acquietato in circa due anni di relazione. Nella sua casa al villaggio, si godeva la solitudine della sua stanza e il calore delle sue coperte, e ad occhi chiusi, dormiva. Era ancora mattina presto, e nessuno l'avrebbe certo biasimato, ma il tempo non si fermava mai per nessuno, e stando a un detto tanto antico quanto popolare, chi si fermava era perduto. Ad ogni modo, Sky non aveva mai imparato a pattinare, e sognava di farlo, ma nonostante mille tentativi, otteneva come unico risultato quello di cadere rovinosamente in terra, schiantandosi sul ghiaccio freddo, duro e inospitale. Per sua fortuna, ogni colpo non disturbava nè rovinava quella lastra, e ogni volta che accadeva, lei provvedeva a sistemarla tramite ai suoi poteri. Ormai erano passate ore, e se le capitava di vedere qualche crepa o notare un'esagerata sottigliezza, aveva sempre la soluzione ideale. In silenzio, chudeva gli occhi e protendeva una mano in avanti, e sussurrando qualcosa a sè stessa, l'abbassava muovendola in direzione del terreno gelato, e grazie alla sua magia, quelle metaforiche ferite si rimarginavano. Spirando lievemente, una brezza gentile le accarezzava piano i capelli, e in risposta, lei sorrideva. Un modo come un altro per la natura stessa di ringraziarla, come peraltro faceva anche con Kaleia e con il resto delle sue simili. Sincere con sè stesse, le due ragazze dovevano ammettere di non conoscere altre fate, ma fiduciose, erano ogni giorno fermamente convinte di incontrarne altre, e chi lo sapeva, anche altri magici abitanti del bosco. Ovvio era che solo il tempo conoscesse la risposta, e che a loro non restava che vivere nel presente. Intanto, completamente concentrata sul suo obiettivo, Sky non osava distrarsi, e provando per l'ennesima volta, scivolò sul ghiaccio con la grazia che la caratterizzava, sentendo le lame dei suoi pattini sfiorarlo con la stessa dolcezza che Noah riservava alle sue guance, spesso calde per l'emozione provata dopo ogni carezza. Tranquilla, teneva gli occhi chiusi e inspirava l'aria fredda, sentendola lambirle i polmoni mentre si muoveva sul ghiaccio. Metaforicamente priva della capacità di vedere, faceva affidamento sugli altri sensi, e giunta ad una delle estremità del lago, si voltava con scioltezza verso quella opposta. In altri termini, tutto sembrava andar bene, ma all'improvviso, distratta da un suono alle sue spalle, Sky perse l'equilibrio, cadendo rovinosamente e ritrovandosi in ginocchio. "Dannazione!" imprecò, mordendosi la lingua per evitare di essere sentita. Per quanto strano potesse sembrare, quel dolore la calmò, e con esso anche il vento, di nuovo giunto a confortarla. "Andrà tutto bene, riprova." Sembrava dirle, incoraggiandola. Scuotendo la testa, si abbandonò ad un sospiro, e provando a rialzarsi, scoprì dolore e fatica. Era ormai caduta più e più volte, e stanca com'era, sentiva di non poter andare avanti ancora per molto. Così, facendo leva sulle mani, non sperimentò che dolore e fatica. Riuscì a rimettersi in piedi, ovvio, ma muovendo qualche passo oltre il ghiaccio, sperimentò il dolore di alcuni lividi, formatisi a causa dei ripetuti scontri con quella durissima superficie. Ne aveva appena due, e poteva dirsi fortunata, ma il lato negativo stava nella loro posizione. Proprio sulle sue ginocchia, quasi le impedivano di camminare, e zoppicando come un animale ferito, si impose di abbandonare quel sogno e tornare a casa. Si conosceva, sapeva che gettare la spugna non aveva nè avrebbe mai avuto senso, nè sarebbe mai diventata una sua abitudine, ma nonostante tutto, c'era un limitato numero di tentativi oltre il quale non si spingeva, e che in caso contrario, apparivano ai suoi occhi come menzogne. Forse era un pensiero esagerato, ma in quel momento sentiva davvero di star mentendo a sè stessa. Era una fata del vento, e in quanto tale controllava il cielo, le stelle, l'aria e il freddo, ma dopo quanto le era accaduto, si sentiva del tutto sfiduciata, e con gli occhi letteralmente incollati al terreno, camminò lentamente, troppo lentamente, verso casa. Non aveva più la forza nè la voglia di provare, ma quel giorno, la fortuna le sorrise. Ormai sveglio, Noah passeggiava tranquillamente per i sentieri del bosco vagando senza una meta apparente, offrendo noci e nocciole agli scoiattoli e bacche ai passerotti solitari che incontrava, che seppur muti e stoici, proprio come lui soffrivano il freddo. Al contrario del suo amico Christopher, lui non era un protettore, ma nonostante questo, sentiva di dover fare la cosa giusta se mai ne avesse avuto l'opportunità. Anche se sciocco, quello era un ottimo esempio, e fra un passo e l'altro, una voce in lontananza lo distrasse, spezzando la linea dei suoi pensieri e riportandolo alla realtà. Prestando l'orecchio al silenzio che aveva attorno, si concentrò su quell'unica voce, e nello spazio di un momento, la riconobbe. Era Sky, la sua Sky, e a quanto sembrava, stava piangendo. Preoccupato, affrettò il passo, e attraversando la selva, raggiunse il lago correndo più veloce che potè. "Sky, amore, aspetta!" chiamò, pregandola di fermarsi. "Cosa vuoi, Noah? Non è esattamente il momento." Rispose lei, fra lacrime di tristezza mista al dolore delle sue ferite. "Che ti è successo?" non potè evitare di chiederle il ragazzo, con una vena di preoccupazione a corrompergli la voce. "Sono caduta, più volte." Rispose appena lei, cercando di sopportare il dolore sputando veleno. "Mi spiace." Replicò svelto il ragazzo, avvicinandosi di qualche passo e provando ad abbracciarla. Come scottata da quel tocco, Sky si ritrasse, e mantenendo il silenzio, si limitò a fissarlo. Non sapendo cos'altro dire per farla star meglio, Noah sostenne appena il suo sguardo, poi lo abbassò. "Sky, quelli sono... pattini?" azzardò, confuso dal non averla mai vista usarli o portarli con sè. Ferita, Sky non mosse foglia, e dopo momenti di silenzio, decise di parlare. "Sì." Esordì, sempre tesa come una corda di violino. "Stavo cercando di imparare, per entrambi." Spiegò poi, leggermente in imbarazzo. "Era per questo? Semplicemente per questo? Se proprio vuoi, posso insegnarti." Quella fu la risposta del ragazzo, che di fronte al silenzio della fidanzata, sorrise, e nel farlo, le sfiorò una mano. "Te la senti?" azzardò poi, avendo quello di forzarla come ultimo desiderio. Non proferendo parola, Sky si limitò ad annuire, e incamminandosi di nuovo verso il ghiaccio stringendo la mano di colui che amava, riprese da dove si era interrotta, trasformando quei fallimentari tentativi in una vera lezione, lezione che le permise, con l'arrivo della notte e poi lo scorrere di un'intera settimana scandita da regolari sessioni d'allenamento, le permisero di diventare ogni giorno più brava. Di volta in volta, il suo ragazzo alzava la metaforica asticella della difficoltà, e lentamente, quello che all'inizio era una semplice ricerca d'equilibrio, si trasformò in piccole prove di pattinaggio. Sulle prime, appena qualche metro, poi l'intero lago ghiacciato percorso descrivendo un grande e perfetto cerchio, e alla fine, nel pomeriggio del settimo giorno, evoluzioni degne di una vera pattinatrice, da sola o in coppia con il proprio ragazzo, che molto più esperto di lei, aveva assistito con orgoglio alla sua trasformazione da fata del vento a fata sul ghiaccio. 
 
 
Per la vostra gioia e la mia, oggi sono velocissima, e questo non era che il ventiquattresimo episodio della vita al bosco delle fate durante le feste e il periodo natalizio. Siamo in primavera, forse un pò fuori stagione, ma spero che questo piccolo scorcio dei pensieri e dei sogni di Sky abbia incontrato il vostro favore. Per ora attendo di scoprirlo, ma come sempre, continuo a ringraziarvi del supporto che mi mostrate. Conta molto, sappiatelo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 25
*** Giorni di neve ed eterno amore ***


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Capitolo XXV
 
Giorni di neve ed eterno amore 
 
Neve. In quell'inverno, sempre neve. Ne cadeva ormai da giorni, e sia al bosco che al villaggio umano, persone e animali si divertivano allo stesso modo. Le coppie innamorate passeggiavano in mezzo a quella bianca coltre abbracciandosi e tenendosi per mano, i bambini giocavano ad acchiapparsi correndo e inciampando, sicuri di non farsi male con quel tappeto a proteggerli, mentre scoiattoli, volpi, passeri e altri animali zampettavano in giro per il bosco o si nascondevano, trovando un posto caldo per schiacciare quel lungo pisolino da tanti conosciuto come letargo. Seduta sul divano di casa, Kaleia osservava il panorama visibile appena fuori dalla finestra del salotto, affatto sorpresa di vedere la neve raccogliersi in piccoli cumuli sul davanzale. Tutt'altro che felice, sbuffava nel leggere il suo tanto amato libro preferito, unica cosa che al momento le ricordasse la sua bellissima, seppur travagliata, storia d'amore. Una principessa in fuga dalla guerra nel suo paese piegato da fame, miseria, dolore e sofferenza, e al suo fianco un ragazzo innamorato perso di lei, disposto a fare di tutto pur di proteggerla. Con lui, anche altri visi amici, e onnipresenti, nemici da sconfiggere. Di pagina in pagina, la ragazza esplorava la sua stessa vita, combatteva e faceva quanto in suo potere per sopravvivere, approfittando dei rari, rarissimi momenti di calma come se fossero merce assai preziosa. Il suo vivere era fatto di sangue, sudore, lacrime e notti insonni, e quell'ultimo particolare, almeno in quei giorni, poteva essere applicabile alla vita della povera fata. Lento e snervante, l'orologio appeso al muro ticchettava costantemente, e seccata, Kaleia finì per fissarlo, con un dolore misto a una rabbia che non aveva mai mostrato a nessuno. In quanto fata della natura, non controllava certo il tempo, ma in quel momento, dato ciò che sentiva, avrebbe davvero voluto esserne capace. "Fermati." Avrebbe voluto dirgli. "Smettila." Parole piene di collera, collera che sembrava crescere dentro di lei come una robusta quercia con ogni minuto che passava. Era strano a dirsi, eppure ogni attimo passato senza il suo Christopher la faceva pensare a lui, e senza volerlo, Kaleia si faceva del male. Non fisicamente, ovvio, ma psicologicamente. Ormai stanca di restar ferma a marcire su quel dannato divano, si alzò in piedi, e rimettendo a posto il libro sul ripiano in legno nell'angolo, attraversò il salotto con passi pesanti, ignorando completamente Willow e Bucky, e pestando la coda a quest'ultimo, che squittendo per il dolore, corse a nascondersi dietro ad uno dei cuscini del divano, spaventatissimo dalla padrona. In circostanze normali non l'avrebbe mai temuta, ma almeno in quel momento sì, e il problema era esattamente quello. Le circostanze non erano normali, e rimasta sola, lontana miglia e miglia dal ragazzo che più amava, Kaleia si stava lasciando consumare da un sentimento negativo come la rabbia. Al contrario di lei, Sky poteva ancora godere della dolcissima compagnia del suo Noah, e anche se non riusciva a spiegare perchè, nè fosse in alcun modo invidiosa del loro rapporto, e anzi, ne era felice, la loro sola vista insieme, intenti a baciarsi o scambiarsi battute e parole d'amore, la rendeva nervosa, irritabile e gelosa. Esatto, gelosa. Conoscendosi, Kaleia sapeva bene di non  esserlo, ma data la situazione, vedere scene d'amore e tenerezza ovunque non giovava certo ai suoi logori nervi. Lasciato il salotto, si era recata in cucina, e versandosi un bicchiere d'acqua, aveva preso a breve. Grazie al cielo era solo acqua e nulla più, altrimenti nessuno avrebbe prevedere cosa sarebbe successo. Stando a quanto ricordava, c'erano persone che trovavano la calma nel sorseggiare del tè o del latte caldi, e lo stesso valeva per lei, e anche se ora ne era sprovvista, anche l'acqua stava facendo il suo lavoro, scivolandole lenta e fresca nella gola secca e rovinata da un pianto che si sforzava di trattenere e che avrebbe soltanto voluto liberare. L'avrebbe fatto, ma solo quando sarebbe rimasta da sola, e non certo davanti alla propria famiglia. Per come la pensava, piangere non era da deboli, ma bensì l'esatto contrario. Nel sentirla parlare e pensare a quel modo, molti avrebbero dissentito, ma a lei non importava, nè mai le sarebbe importato. Mantenendo il silenzio, beveva lentamente, e quasi senza volerlo, lanciò uno sguardo al calendario che penzolava da un minuscolo chiodo piantato nel muro. Fu allora che si rese conto di che giorno fosse quello che stava vivendo. L'ultimo di Dicembre, e anche dell'anno. A quel pensiero, la fata sentì il cuore stretto in una morsa, e incapace di impedirlo, iniziò a piangere. Soffrendo in silenzio, tornò nel salotto occupato dai suoi cari animali, e alla vista delle decorazioni, accennò a un debole sorriso. Le luci dell'albero messo in piedi assieme alla sua famiglia sembravano avere vita propria, e spostando lo sguardo, incrociò quello della madre Eliza, che alla sua vista in quello stato così pietoso, la invitò a sedersi con lei sul divano. "Kaleia, tesoro..." la chiamò, dolcemente. "Sì?" azzardò lei, guardandola con occhi ancora velati dalle lacrime. "Non piangere, sai che sarebbe qui se potesse. Gli incidenti capitano, non perdere così ogni speranza." Le disse soltanto, accarezzandole la schiena e i capelli nel tentativo di confortarla. Grata e rinfrancata da quelle parole, Kaleia si limitò ad annuire, e tirando su col naso, si avvicinò alla madre quanto bastava per posarle un umido bacio colmo di tristezza sulla guancia. Lo faceva spesso, e per altri quello non sarebbe stato il momento adatto, ma secondo la sua linea di pensiero, non ce n'era in realtà uno migliore di quello. Accettando quel gesto d'affetto senza proteste, Eliza non si oppose, e ritrovandosi ad imitarla, la strinse forte a sè. "Va a riposare, ti chiamo per cena, va bene?" le consigliò poi, sperando che sdraiarsi a letto l'aiutasse a calmarsi. Annuendo, Kaleia non proferì parola, e quasi trascinando i piedi sul tappeto, sparì dalla vista della donna. Raggiunta la sua stanza, si chiuse a chiave, e appena un attimo dopo, si abbandonò sul letto, stanca come mai era stata. Ad occhi chiusi, sperò che le sue lacrime si asciugassero, e inzuppando letteralmente il cuscino, provò a seguire il consiglio della madre e dormire, pensando che la distanza la separava dal suo Christopher, ma che lo stesso non sarebbe accaduto con i sogni, e così fu. Addormentata e persa nei suoi pensieri anche nel sonno, immaginò di averlo accanto, di parlargli, stringerlo a sè e baciarlo, assaporando la dolcezza delle sue labbra e sperimentando la delicatezza del suo tocco sulla pelle. Per un tempo che non seppe definire, non vide altro, poi, all'improvviso, la magia si spezzò. Uno strano rumore contro la finestra la riportò alla realtà, e voltandosi, lo vide. Ranger, il falco di Noah. Fermo sul davanzale, la fissava con i suoi occhi scuri e penetranti, tenendo stretto nel becco un foglio di carta. Un semplice messaggio, che spinta dalla curiosità, Kaleia non esitò a leggere. "Sarò a casa per il nostro Natale, amore mio." Nove parole, un solo mittente, e allo stesso tempo un solo significato. A scrivere era proprio Christopher, che servendosi del falco appartenuto all'amico, le aveva recapitato quella piccola lettera di speranza. Quella sera, la fata passò il resto del suo tempo a sorridere, e mangiando, riuscì a sentire il sapore del cibo che aveva nel piatto, reso perfino migliore dalla consapevolezza di non essere più sola, e specialmente non in un giorno tanto importante, sicura che nonostante la distanza fra lei e il suo protettore in quei lunghi e algidi giorni di neve, il loro amore sarebbe vissuto, sbocciato e cresciuto in eterno. 
 
 
 
Come si dice? Altro giro altra corsa, e in questo caso, altra storia. La venticinquesima per l'esattezza, il che significa che ne manca soltanto una. Qui abbiamo una ricostruzione di un Capodanno atteso ma triste, specialmente per la povera Kaleia, sconfortata dal non avere il suo ragazzo al suo fianco. Nonostante tutto, però, tutto è bene quel che finisce bene come direbbe il caro William Shakespeare, e nei giorni di neve, un eterno amore trionfa.
 
Emmastory :)

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Capitolo 26
*** Natale al cioccolato ***


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Capitolo XXVI
 
Natale al cioccolato
 
Dorata e silenziosa, un'altra alba di fine Dicembre aveva il suo lento e magnifico inizio. Il sole si levava piano in cielo, accarezzando con i suoi raggi le piante l'acqua del lago e i visi dei bimbi e delle piccole pixie, e sveglia da poco anche Kaleia apriva gli occhi. La sveglia sul comodino accanto al letto segnava appena le nove del mattino, e sbadigliando, la fata rilassò ogni muscolo del corpo, sgranchendo quelli indolenziti dagli allenamenti di resistenza e magia nonostante la posizione assunta e mantenuta nel dormire. Comoda, aveva finito per addormentarsi fra le braccia del suo ragazzo appena la sera prima, e a quel solo ricordo, sorrise. Rigirandosi fra le coperte, cercò la mano del giovane stupendosi di non trovarla, scoprendo poi vuota la parte del letto che di solito occupava, e quasi intristita da quella realtà, rinunciò ad alzarsi per i minuti a venire sperando di rivederlo o di sentirlo tornare nella stanza, e quasi senza volerlo, cullata dalla freschezza delle proprie coperte e dalla morbidezza del cuscino, scivolando in fretta nella grigia incoscienza. Avrebbe voluto alzarsi, davvero, ma allo stesso tempo era come se una sorta di innata e innaturale pigrizia la stesse letteralmente consumando, bloccandola fra quelle coperte tanto soffici e su quel materasso così comodo e invitante. "Sarà già al lavoro." Si disse, svegliandosi per un solo attimo e dando un altro disinteressato sguardo alla sveglia. Di lì a poco, un nuovo sbadiglio le fuggì dalle labbra, e insolitamente stanca, si riaddormentò. Già in piedi e in salotto, Christopher leggeva distrattamente il giornale assieme al padre Edgar, venuto in visita assieme alla moglie, mentre questa restava seduta a sorseggiare un caffè preparatole dal figlio, con quello di disturbare o intralciare la giovane coppia come ultimo desiderio. "Come sta Kaleia? Di solito è così mattiniera! Sicuro che non le sia successo qualcosa?" gli chiese poi la donna, sinceramente preoccupata per quella giovane ragazza che da ormai due anni faceva parte della loro famiglia, e che se il cielo l'avesse mai voluto, in un futuro non troppo lontano ne avrebbe avuta una propria. Al momento non c'era nessuno che potesse dirlo, ma nonostante questo, a entrambi piaceva sperare. Così, attimo dopo attimi, altre ore sparirono dalla vita di entrambi, e di nuovo sveglia dopo un tempo passato a sognare e immaginare il suo avvenire, Kaleia si alzò dal letto, e indossando le pantofole portatele dall'amico Red, e la vestaglia appesa ad una gruccia nel grande armadio della stanza, si sistemò come potè i capelli usando una spazzola. Conoscendosi, sapeva di detestare le brutte impressioni, e sicura che le prime fossero le più importanti oltre che le uniche a contare, la mosse ad arte stringendola fra le mani con decisione. Litigando con un nodo testardo nello sciogliersi, rischiò di farsi male, e a lavoro finito, raggiunse il corridoio. Stanca, lo attraversò con qualche passo e un ennesimo sbadiglio, e salutando i presenti nel salotto, annunciò la propria letargica presenza. "Buongiorno a tutti." Mugolò appena strofinandosi gli occhi cisposi e ancora assonnati. "Buongiorno, fatina." Le fece eco Christopher, non dimenticando di adoperare il nomignolo che le aveva affibbiato tempo addietro. Sentendolo, la ragazza non potè fare a meno di sorridere, e imitandolo nella sua felicità, si avvicinò quanto bastava per toccarlo, e lasciando andare le sue mani in quelle di lui, trasformò quel misero contatto in un abbraccio, e più tardi in un bacio che nessuno osò negarle. In silenzio, i genitori del ragazzo li osservarono con aria quieta, e fra i due, Andrea ne risultò più colpita. Colpita, sì, ma non provata, solo perchè memore della propria giovinezza e dei bei tempi trascorsi con il marito prima che la loro unione diventasse totale. Senza che lo volesse, una lacrima sfuggì al suo controllo, e bevendo un altro sorso di caffè, tentò in ogni modo di dissimulare l'accaduto. Assetata e bisognosa d'energie, anche Kaleia se ne versò una tazza, e bevendo con calma, lasciò cadere lo sguardo sul tavolino in legno del salotto, notando solo allora una scatola di cioccolatini. Rossa e in tinta con i colori del Natale, la fece sorridere, e dopo la sua solita e scura bevanda mattutina, ne assaggiò uno, assaporandolo lentamente. "Buoni, li hai presi tu?" chiese, voltandosi verso il fidanzato. Per tutta risposta, questo alzò le mani in segno di resa, come a far capire di non aver neanche avuto voce in capitolo. "Mi conosci, e sai che lo farei, ma stavolta la colpa è loro." Le rispose infatti, riferendosi ai genitori ancora presenti nella piccola ma accogliente cucina. "Colpa?" gli fece eco la  madre, confusa e stranita da quelle parole. "Scherzavo, mamma." Fu svelto a spiegarle il figlio, sorridendo debolmente. "Meglio." Disse allora il padre, per poi tacere e fargli un veloce occhiolino, così da far capire di non essere serio. "Bene, ora, e per come la vedo, quest'albero non si decorerà da solo, vero, piccola mia?" in quell'istante fu Christopher a parlare, e attirando l'attenzione della fidanzata con quell'altro epiteto, le sorrise per un solo attimo, indicandole poi con lo sguardo lo scatolone poco distante, ancora sul pavimento e sempre pieno di decorazioni, tenute da parte fino a quel periodo dell'anno. Senza proferire parola, Kaleia seguì il suo sguardo, e lentamente, armata di una manciata di gancetti di ferro, appese decorazioni diverse in diversi punti dell'albero. Lo faceva da anni, e lo schema era sempre uguale. Le palline andavano ovunque, le stringhe di luci colorate intorno, e ultime ma non certo per importanza c'erano le statuette, scherzosamente relegate nelle parti più estreme dei rami, così che come le palline, anche quelle, piccole e preziose com'erano, fossero al sicuro dalle maledettamente veloci zampe di Willow. Dal suo canto, la gatta non lo faceva con cattiveria, e anzi giocare e cacciare erano nella sua natura, ma qualunque fosse la verità, i padroni non avevano intenzione di lasciarla fare. Non dopo quello che era già successo tempo prima, quando, giocosa e testarda insieme, aveva finito per scalare l'abete e addormentarsi fra i rami. Ridendo di gusto a quel solo ricordo, i due innamorati lavorarono fianco a fianco per il tempo necessario a completare il lavoro, e ben presto, ogni singola decorazioni fu al suo posto, dettagli e puntale inclusi. Per quello il buon Christopher dovette chiedere l'aiuto dell'amata, che muovendo ad arte le dita affusolate lo sollevò da terra quanto bastava per raggiungere lo scopo, e tutto tramite i suoi poteri. Per sua fortuna, i poteri di levitazione erano comuni a tutte le fate, quindi anche a lei, ed era in momenti come quelli che una consapevolezza del genere la rendeva felice. Così, il tempo continuò a scorrere, e con la fine del loro lavoro, i due fidanzati salutarono i tanto graditi ospiti guardandoli avviarsi verso casa, passando il resto della loro mattina, e poi del pomeriggio a scambiarsi tenerezze sul divano di casa, e innamorati come sempre, sgranocchiando i cioccolatini rimasti nella scatola ancora piena e trascorrendo quello che rimase impresso nelle loro menti come Natale al cioccolato. 
 
 
Dopo tanto lavoro, l'ultimo scritto della raccolta che avete seguito con tanto interesse, interesse del quale vi ringrazio sentitamente forse per l'ennesima volta. Qui abbiamo una ricostruzione di un giorno di Dicembre in cui i due innamoratissimi Christopher e Kaleia decorano il proprio albero di Natale mangiando cioccolatini. Se tutto andrà secondo i miei piani, ci risentiremo presto, stavolta con il resto della saga della nostra amica fata e del resto degli abitanti del bosco, ma fino ad allora grazie ancora una volta, e alla prossima,
 
Emmastory :)

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