Baldi's Basics

di alaal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Here School ***
Capitolo 2: *** 2 - Soda Cola ***
Capitolo 3: *** 3- Il Bullo ***
Capitolo 4: *** 4 - Inizio delle lezioni ***
Capitolo 5: *** 5 - Compagni di classe ***
Capitolo 6: *** 6 - Lezione di matematica ***
Capitolo 7: *** 7 - La bambina dal vestito rosso ***
Capitolo 8: *** 8 - Ammonito ***



Capitolo 1
*** 1 - Here School ***


Capitolo 1 - Here School

 

-No mamma, non mi piace questa città- Dolly frignava come al solito, seduta alla mia sinistra, imbacuccata fino alla punta dei capelli perché, secondo il modesto parere di nostra madre, “si rischia di prendere brutte malattie”. Non importa se fuori c’erano più di trenta gradi, “i colpi d’aria sono micidiali”. E ogni volta, prendeva come esempio il nostro… povero padre.

Va beh.

-Vedrai che ti piacerà, tesoro- Neanche lei sembrava molto convinta. Sbircio fuori dal finestrino e noto come i palazzi siano stranamente appuntiti alla cima, come se i soffitti fossero delle punte di piramide. Sgargianti colori sulle pareti di ogni singolo edificio, gente allegra con un sorriso forzato, cani e gatti che circolavano liberi senza guinzaglio né museruola, parchi giganteschi che si susseguono l’un l’altro, e il gran faccione del sindaco, il sig. Mayor, che capeggia su ogni cartellone pubblicitario.

“Comprate la Soda Cola! Viaggiate con la AirBus, l’unico bus con le ali! Mangiate panini alle nuvole di lana!” Nuvole di lana. Bleah.

Ogni reclame pubblicitaria c’è la sua faccia. Il sig. Mayor di qua, il sig. Mayor di là. Mi chiedo se abbia uno show televisivo tutto suo. Mi piacerebbe guardare la tivù in questo momento.

-Mamma - mi arrischio a dire, ma quasi mi pento del mio intervento - perché hai scelto questa città? E perché ci siamo dovuti trasferire?- Ci fermiamo ad un incrocio, in attesa che le macchine sulla destra passino e sgomberino la strada. Un camion della nettezza urbana, rigorosamente coloratissimo come tutto quanto componeva questa città del resto, attraversa lentamente la strada davanti a noi, lasciandoci un olezzo di pesce morto che riempie la nostra triste macchina grigia. Grigio come il mio umore.

-Non voglio più ripetere la stessa storia - sbotta mia madre, esasperata - lo sai bene perché!- Sì, sì, discorso della separazione, il tradimento, dai la colpa a lui, dai la colpa a lei, e le bollette, e le tasse, e il lavoro che non va, e questo e quello.

E cosa dire di noi? Gli amici, la scuola, i parenti lontani… sì, perchè i parenti sono rimasti nell’altra città. Adesso siamo rimasti solo noi tre. Io, Dolly e mamma.

Mi viene solo rabbia a pensarci, ma decido di non rispondere. Tengo incollati gli occhi al finestrino, mentre mia sorella continua a lagnarsi e a scartabellare il suo nuovo diario.

 

La scuola si presenta come l’edificio più squallido di tutto il circondario. Mentre il centro cittadino è tutto allegro e colorato, degno dei sogni di un bambino, la struttura scolastica appare come un ex penitenziario, dalla pianta rettangolare e gli spigoli appuntiti. Un malandato parco giochi circonda la scuola, dove un paio di altalene abbandonate al loro destino cigolano in modo sinistro. Uno scivolo mezzo rotto si può scorgere al lato sinistro del parco, e una landa di sabbia, che forse doveva avere incontrato giorni migliori, chiudeva il perimetro di quel misero luogo di divertimento.

-Se il buongiorno si vede dal mattino…-

-Eh?- bofonchia mia sorella, stringendosi a me impaurita. Non posso darle torto comunque nell’avere timore di questo edificio. La stradina di terra battuta che conduce ai portoni principali della scuola è abbastanza lunga da percorrere, alzo gli occhi da terra e scorgo come sulla parete al di sopra delle porte è stato installato un cartellone, dalla scritta fanciullesca, recante il nome della scuola.

-Here School- legge mia sorella, scandendo lettera per lettera. Ha seri problemi di dislessia, poverina. Non ha ancora imparato a leggere bene, i nostri vecchi insegnanti si sono prodigati per anni nel tentativo di farla migliorare. Ci sono stati comunque dei piccoli miglioramenti, ma adesso chissà se i nuovi insegnanti capiranno il problema di Dolly.

Mi volto indietro, verso i cancelli della scuola nel tentativo di scorgere la macchina di nostra madre, ma è impossibile capire se si sia fermata per salutarci o no. Una fiumana di ragazzini inizia a riempire il misero parco giochi, impedendoci di vedere qualunque cosa. Non ci resta che unirci al gruppo, mentre le porte della scuola si aprono.

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Capitolo 2
*** 2 - Soda Cola ***


Capitolo 2 - Soda Cola

 

I ragazzi stipano tutti gli angoli di quell’immenso atrio scalcinato della scuola. L’aria diventa subito irrespirabile data la moltitudine di studenti proveniente da chissà dove (la scuola, a giudicare dai due piani e le poche aule divise un po’ di qua e un po’ di là dei corridoi, poteva contenere almeno un centinaio di ragazzini).

Ci troviamo, stretti l’uno contro l’altro, in un’ampia sala sulla destra della porta principale, dove delle sedie di plastica erano allineate l’una accanto all’altra, a gruppi di cinque, per fila. Io e mia sorella ci sediamo il più lontano possibile da quello che poteva definirsi una sorta di “palco”.

Sì, proprio un palco, con tanto di scaletta e microfono, dove un tizio dall’aria allampanata si sta avvicinando proprio in questo momento, uscendo da una porticina al fondo della stanza.

Mi guardo attorno con circospezione, un po’ impaurito a dire il vero: tutti gli studenti sembrano a disagio a loro volta, non sono neppure loro sicuri di avere fatto la scelta giusta nell’entrare in questo edificio diroccato e dalle pareti scrostate, vecchie di millenni.

-Un attimo di attenzione, prego!- Il tizio uscito dalla porticina in fondo ha finito di salire le scalette del palco, e il brusio incerto dei ragazzi si blocca di colpo. Dolly seduta alla mia sinistra si guarda attorno, domandandomi chi sia quello che ha appena parlato. Lei è ancora troppo piccola, intendo proprio di statura, e non riesce a vedere oltre le teste dei ragazzi seduti di fronte a noi.

Neppure allungando il collo.

Il tizio tocca il microfono con un dito più volte, facendo un “toc toc” che stride sulle casse, lancinandoci i timpani per qualche secondo.

-Oh, scusate, scusate…- Il rumore fastidioso pari solo ad una riga sulla lavagna cessa dopo un po’ e, tornata la calma, l’allampanato signore dà un colpo di tosse e poi inizia il suo discorso, allargando le sue braccia.

-Ragazzi e ragazze, benvenuti alla Here School! Sono veramente contento di trovarvi così numerosi e presenti al vostro primo giorno di scuola. Mi presento…- Sono troppo lontano dal palco per riuscire a vedere in faccia il tizio che parla, mi sporgo un po’ sulla destra, con la testa che sporgeva sul corridoio libero che divideva le due colonne di sedie, per guardare meglio.

-Io sono il professor Baldi, il vostro insegnante di matematica. Insegno matematica da più di dieci anni, e per me è sempre un piacere insegnare agli allievi tutto quello che so sulla matematica. Mi auguro che anche a voi piaccia la matematica… vero?- Un sinistro brusio si sollevò quasi instantaneamente alla domanda retorica del professor Baldi… ora che vedo meglio, quel tizio sembra essere completamente calvo, dalla maglia (o pullover?) verde, e jeans blu.

Qualcuno dice sì alla domanda del professore, alzando leggermente di più la voce.

-Ah, bene, bene!- Il professore si mette a ridere, battendo le mani l’una contro l’altra. Dolly non presta ascolto alle parole del professore, perchè si è messa a guardare fuori dalla finestra nel tentativo di contare quante automobili riusciva a tenere a mente al loro passaggio davanti alla scuola.

-Ma adesso basta con le parole. Spero che vi troverete bene nella nostra scuola e che il vostro profitto scolastico sia il migliore possibile.- Detto questo, segue un timido applauso da parte nostra, seguito da quello di Baldi.

-Per darvi un caloroso benvenuto, sotto le vostre sedie potrete trovare una lattina di Soda Cola. Offre la scuola!- Quasi di istinto, mi chino e allungo il braccio sotto la sedia, e incredibilmente trovo la lattina tanto reclamizzata dal sindaco Mayor. Rimango stupito della cosa: ero convinto di non avere visto proprio niente sotto alle sedie di plastica… forse ci sono sempre state e non ci ho fatto caso, data la moltitudine di persone, o le hanno aggiunte dopo, quando mi sono distratto nell’ascoltare il discorso del professor Baldi.

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Capitolo 3
*** 3- Il Bullo ***


Dopo le presentazioni di rito, ci muoviamo dalla sala convegni alla caffetteria della scuola. Tutti i ragazzi si muovono lungo il corridoio principale della scuola, tenendo in mano la loro Soda Cola. C’è già qualcuno che ha aperto la linguetta metallica, producendo il caratteristico CLICK CSSSSS, tipico delle bevande frizzanti.

Anche Dolly la apre, chiedendomi però prima autorizzazione. Da quando nostro padre non è più a casa, Dolly si rivolge sempre a me per qualsiasi dubbio o richiesta.

“Primo posso fare questo? Primo posso fare quello?” Non capisco perché si ostini a chiamarmi Primo, visto che non è il mio vero nome. Forse perché è sempre stata abituata da mia madre nel chiamarmi “il primo figlio”. Boh, forse è questo il motivo, chi lo sa. I primi giorni mi arrabbiavo moltissimo con lei per questo scherzetto, ma poi mi ci sono abituato anche io. Alcune volte dimentico pure come mi chiamo.

 

La caffetteria è un luogo un po’ spartano, ma accogliente. Diversi banchi sono disseminati qua e là nella stanza dalle pareti giallastre, i lampadari al neon ogni tanto sbrilluccicano causando un comico effetto “discoteca”, non ci sono finestre (se fossi stato claustrofobico sarei andato di matto, sicuramente) e cosa più strana, c’è un altro distributore di Soda Cola nell’angolo a destra in fondo rispetto al quale siamo entrati noi. Dolly lo indica, tirandomi la manica della maglia.

-Io ho sete!- Avrei potuto darle la mia lattina, ma sarei rimasto senza. Ed effettivamente inizio anche io a percepire quel pizzicorino in gola. Decidiamo dunque di avvicinarci al distributore di Soda Cola (rigorosamente di colore blu, esattamente come il colore della lattina) e guardiamo con curiosità la lista delle bevande disponibili sul display.

-Soda Cola… Soda Cola… Soda Cola…- Dolly sillaba tutte le etichette, seguendo le lettere col dito di una mano, mentre scorreva la lista delle bevande. Incredibilmente in questa scuola potevi bere una, ed una sola, bevanda frizzante. Bella roba.

-Levati di mezzo!- Improvvisamente, Dolly è scaraventata a terra da un individuo corpulento, che senza troppi complimenti la spinge di lato e si avvicina al distributore della Soda Cola. Mia sorella cade in ginocchio, e quasi urta un altro ragazzo che stava lì in piedi, probabilmente in attesa di prendere un’altra lattina.

-Ehi, che cosa stai facendo?!- gli rispondo, avvicinandomi a mia sorella per aiutarla a rialzarsi - dove hai lasciato le maniere?- Mi pento quasi subito di avergli parlato. Questo tizio è alto quasi il doppio rispetto a me, non gli arrivo con i capelli neppure alle sue spalle. Si volta verso di me, grande e grosso, con il naso schiacciato e i capelli corti, e mi guarda con un atteggiamento ben poco raccomandabile. Gli studenti che fino a quel momento ci circondano si allontanano di un passo, consci di avere a che fare con un individuo forse pericoloso.

-Hai detto qualcosa?- I suoi occhi sono piccoli, come quelli di un maiale, distanti troppo distanti per il suo faccione da luna piena. La sua guancia destra è incavata, come se gli avessero dato un pugno in faccia e quest’ultima si fosse modellata così, definitivamente.

-Hai fatto male a mia sorella…-

-Chi se ne frega- E si volta di nuovo verso il distributore. Sposto gli occhi verso Dolly, la quale scuote la testa e si vede lontano un miglio che sta trattenendo le lacrime.

-Ehi, ciccio bello- Il tizio grande e grosso si volta di nuovo verso di me, afferrandomi per il bavero della maglia. Gli altri ragazzi si allontanano spaventati, coscienti di assistere prima o poi ad una scazzottata. Anche io avrei voluto vedere la scazzottata, ma dall’esterno, e non come vittima sacrificale.

-Dammi i soldi per la Soda Cola!- La richiesta giunge così, improvvisamente. Dolly inizia a urlare come una matta, implorando il bullo di lasciarmi in pace e cose così, ma io sono congelato sul posto. La scuola da dove proveniamo aveva sì qualche bulletto, ma roba da nulla in confronto a questa sorta di golem con il doppio mento. La sua presa d’acciaio mi stritola il petto, a momenti non riesco neppure a respirare.

-Io… io non…-

-Lascialo!! Lascialo andare!- Con l’altra mano, il bullo con la maglia arancione e le maniche blu afferra la testa di mia sorella che si è avvicinata nuovamente a noi e la spinge indietro, obbligandola a cadere di nuovo in terra, seduta.

-E adesso…- Il bullo inizia a ridere, mentre mi spinge con una sola mano contro il muro accanto al distributore. Volto gli occhi alla disperata ricerca di un aiuto o di qualcuno che potesse fare o dire qualcosa, ma noto solo paura e disinteresse. Sembra che in questa scuola gli attacchi di bullismo arrivino praticamente tutti i giorni.

-Dammi i soldi!-

-Io… non ho niente.- Ed è vero, non ho soldi con me. In casa non abbiamo soldi, è già un miracolo se nostra madre possa pagare la retta scolastica. Non mangiamo neppure in mensa, abbiamo un panino e una bottiglietta d’acqua a testa io e mia sorella.

-MI prendi in giro? - urla il bullo, mentre mia sorella scoppia a piangere ancora seduta a terra - Tutti hanno dei soldi in questa scuola!- Non posso comunque fare a meno di notare l’incavatura della guancia del bullo. Sembra che abbia una faccia a forma di patata, così come il suo naso. E il suo alito puzza di morte.

Il campanello di inizio lezioni mi salva in extremis, perché il signor Baldi compare improvvisamente nella caffetteria, invitando gli alunni ad entrare nelle rispettive classi. Il bullo, lasciandomi respirare allentando la presa, si allontana ma mi lancia uno sguardo intimidatorio che è tutto un programma.

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Capitolo 4
*** 4 - Inizio delle lezioni ***


Mentre camminiamo per i corridoi della scuola, io e mia sorella siamo ancora sotto shock. Quel bullo, o chi diavolo fosse, nel trambusto del litigio si è portato via la mia lattina di Soda Cola con l’inganno. Spero di non doverlo più incontrare né a scuola, né nei corridoi, né fuori per strada. Dolly piagnucola ancora mentre, tenendola per mano, cerco di consolarla e dirle che non è successo niente di grave.

-Credimi, è solo un incidente di percorso – cerco di rincuorarla, ma ovviamente senza successo. Non è mai simpatico avere a che fare con un bullo. Io ormai ho fatto il callo, con tutti i tentativi di bullismo pregressi nella vecchia scuola…

Torniamo nuovamente nella sala delle riunioni, dove ad accoglierci, oltre al solito Baldi, ci sono altri personaggi mai visti prima. Sono cinque in totale, compreso l’insegnante pelato.

-Questi – il professor Baldi è tornato a parlare al microfono, mentre tutti gli studenti sono tornati a prendere il loro posto sulle sedie – sono i vostri professori, che vi seguiranno nel vostro percorso scolastico di tutto l’anno. Io mi sono già presentato – e fa una risatina, che teoricamente avrebbe dovuto essere seguita dalla nostra, ma nessuno si preoccupa di rispondere al suo accenno di ilarità. Baldi se ne accorge e, schiarendosi la gola, fa un cenno con una mano alla sua sinistra, dove c’è un tizio grasso, dai capelli turchesi e gli occhiali a forma di nota musicale.

-Alla mia sinistra c’è il professor Nota, il vostro insegnante di musica. Mentre alla mia destra – segue il giro sempre con un cenno della mano – ci sono la signora Mezzalingua, insegnante di lingue straniere, la signora Terra, insegnante di fisica e geografia, e poi il signor Traintime…- Un urlo stridulo arriva alla nostra destra, dall’altra fila di sedie. Tutti si fermano per ascoltare quello che sembra essere a tutti gli effetti un “ciao fratellone!”. Non si capisce da dove provenga esattamente quella voce, ma viene subito sovrastata da quella di Baldi che, applaudendo nuovamente, invita tutti gli alunni ad entrare definitivamente nelle rispettive classi.

-Vista la vostra ampia partecipazione – chiosa il pelato dalla maglia verde chiaro – vi dividerete in quattro classi distinte. La sezione A, la sezione B, C e D. Ogni professore vi guiderà presso le vostre classi di riferimento. E… occhio a non perdervi! Eh eh ehe…- Rimango perplesso nell’udire la frase sibillina del signor Baldi “occhio a non perdervi”. Che saranno mai due piani di istituto e quattro sezioni in croce… pensavo decisamente peggio.

 

E no, Baldi non scherzava. Aveva proprio ragione nel discorso del “non perdersi” tra i corridoi della scuola. Un gruppetto di quindici ragazzi e ragazze (tra cui purtroppo c’è anche il Bullo di prima, ma sembra ignorare completamente me e mia sorella) seguiva la professoressa Terra, una donna che aveva tutto l’aspetto di una teiera. Non che sia grassa, ma le sue forme ricordano proprio quella di una teiera. Mancava solo il coperchio e la canna dove si versa il tè nella tazza.

La professoressa svolta i corridoi con una sicurezza disarmante. Io cerco di mantenere a memoria tutte le svolte fatte finora, ma temo di essermi già confuso dopo il terzo cambio di direzione. Dolly resta zitta, accanto a me, e vede sfrecciare le altre porte al nostro frettoloso passaggio. Nota in particolare che ci sono diverse porte blu con sopra scritto “Room 99”.

-Mi auguro che abbiate studiato per la verifica di geografia!- La voce nasale della signora Terra giunge così improvvisamente alle nostre orecchie, mentre la professoressa si ferma di colpo davanti ad una porta completamente rossa, fatta eccezione del pomolo che era di colore bianco. Con un colpo deciso della mano apre la porta e finalmente la nostra aula si presenta ai nostri occhi.

Un’aula normalissima, con i banchi più anonimi che io abbia mai potuto vedere in tutta la mia carriera da studente. Una finestra dà sul giardino, ma siamo in un angolo dove si vede ben poco sia del giardino stesso che della strada. Un muro di mattoni sovrasta quasi tutta la nostra visuale (anche se non c’è granché da vedere, oltre il misero parco giochi e le macchine fuori che vanno avanti e indietro senza rallentare).

Ci sediamo ai nostri posti. La povera Dolly, per il noto problema di lettura, mi convince a sedermi tra i banchi più vicini alla cattedra. A me non sono mai piaciute le prime file, mi dà l’idea di essere un secchione (cosa che non sono mai stato). La professoressa Terra dopo avere appoggiato sulla cattedra la borsa nera colma di oggetti misteriosi, ci accomodiamo tutti ai banchi. Dietro la donna teiera c’è la lavagna, dove una scritta col gesso “Hope is dying!” copre interamente la tavola nera.

-Prendete un foglio e iniziate a scrivere tutti gli stati dell’America del Sud.- Rimaniamo esterrefatti, non è neppure il primo giorno di scuola e già dobbiamo fare una verifica?

-Ma… ma professoressa…- Si azzarda a controbattere un mio compagno di classe, un tizio dai capelli così neri che sembrano colorati con il carbone.

Non finisce neppure la frase che la signora Terra, dalla sua borsa nera tira fuori uno strano attrezzo metallico, simile a una pinza o una tenaglia. È di colore rosso fuoco e non si capisce il suo utilizzo in quel preciso istante.

-Chi sbaglia a scrivere gli stati, o non se li ricorda, verrà punito con questa pinza. Più sono gli stati dimenticati, più dolorosa sarà la vostra punizione!- Un silenzio irreale cala tra di noi. Con la coda dell’occhio guardo il bullo che, a testa bassa, scuote la testa e inizia a rosicchiare la punta della penna che ha in mano.

Ma in che diavolo di scuola siamo capitati?

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Capitolo 5
*** 5 - Compagni di classe ***


Ok, ok, tutto questo sembra pazzesco. Solo alla prima ora ci siamo ritrovati io e i miei compagni di classe (di cui non conosco neppure i nomi) a fare una verifica di geografia, su dei maledetti stati dell’America del Sud (non che me ne vogliano gli abitanti del Sud America, sia ben chiaro). Fortuna vuole che sia io che mia sorella siamo sempre stati bravi in geografia, quindi abbiamo evitato alla grande le punizioni della professoressa Terra.
Non tanto fortunato è stato invece uno studente dalle mani quadrate con delle forchette al posto delle dita…. Sì, avete capito bene. Forchette al posto delle dita! Come caspita è possibile che una persona abbia delle forchette al posto delle dita? Non ho voluto commentare né far notare a questo ragazzo l’evidente paradosso antropologico, anche perché è caduto egli stesso nelle fauci della teiera… pardon, della professoressa di Geografia.
Le mani del ragazzo, già abbastanza preoccupanti a causa di questo strano difetto, sono state tumefatte dalla pinza rossa della signora Terra. Né io né Dolly abbiamo voluto guardare la carneficina, voltandoci dall’altra parte. Ci sono bastate soltanto le urla disumane dello studente a farci capire la gravità della situazione.
Ragionandoci sopra, avremmo potuto telefonare a qualche centro antiviolenza denunciando l’accaduto, e ne parlo con dei ragazzi che sono seduti dietro di me. Guardandoli bene in faccia, noto alcune incongruenze che mi gettano quasi subito nel panico: il ragazzo seduto proprio dietro di me, quello dai capelli biondi, ha dei triangoli rossi al posto dei normali occhi, e l’altro ha la bocca che forma una spirale, mentre gli occhiali pare che glieli abbiano disegnati in faccia con un pennarello.
-Ma sei matto?!- bisbiglia il bambino con gli occhi a forma di triangolo –Non dire niente, per carità. Queste sono regole accettate da tutti!- L’alunno con la bocca a spirale mugugna qualcosa ma non riesco a capire. Magari è straniero, e si esprime in un linguaggio non comprensibile per me.
 
La prima ora è passata, e la verifica di geografia è stata un successo sia per me che per Dolly. Infatti i voti più alti sono stati assegnati a noi. Ciò rende molto soddisfatta la prof teiera, che alzandosi dalla cattedra si avvicina a noi e fa una sorta di inchino.
-I miei complimenti, giovanotti – esulta la signora Terra, in un misto di approvazione e movimento di ciccia sbordante dal suo maglione dal colore improponibile – avete ottenuto il massimo dei voti!- Dolly mi guarda e sorride, ma non facciamo in tempo a replicare alla professoressa che già questa è sparita sotto i nostri occhi. Rimango a bocca aperta, sbalordito: che cosa è successo alla signora Terra? Era qui, un secondo fa!
-Fossi in te non mi farei troppe domande- a parlare è stata una ragazza dall’altra parte della classe, con i capelli verdi a forma di spaghetti. Aveva un naso rosso e gli occhi celesti, e il suo atteggiamento sembra quella di una tipica snob. Il suo vestito (una tunica viola dai ricami in pizzo rossi, calze del medesimo colore e scarpette blu) pare essere molto ricercato e alla moda.
-Mi chiamo Jenny – esordisce la ragazza, alzandosi dal suo posto e avvicinandosi alla cattedra. Tutti i ragazzi la osservano sedersi, quasi in modo provocante e provocatorio, sul bordo della cattedra incrociando le gambe, e parte del suo vestito si alza, mostrando parte delle sue gambe snelle.
-Per carità, Jenny – si lamenta il ragazzo dietro di me, quello con gli occhi a triangolo – non sfidare Baldi… lo sai che il professore…-
-Oh piantala Riddley, sei sempre il solito frignone!- La ragazza snob si riavvia i capelli, ridacchiando e agitando un braccialetto che sembra un sonaglio, talmente fa baccano. Dolly sembra rapita dalla sicumera di quella ragazza spocchiosa.
-Riddley ha ragione – adesso a parlare è il bullo che ho incontrato tempo prima alla caffetteria. La sua voce non è più sicura come quella che mi ha minacciato, adesso trema e il suo sguardo appare terrorizzato.
-Il professor Baldi…-
-Oh smettila anche tu!- sbotta Jenny, scendendo dalla cattedra. Aggrotta le sopracciglia e guarda in cagnesco tutta la classe, voltando gli occhi a destra e a sinistra. Appoggia le mani sui fianchi e ogni tanto mentre parla cammina a destra e a sinistra, agitando una mano per sostenere la sua arringa contro il professor Baldi.
-Avete paura di un tizio che non ha neppure i capelli? Lo sapete che se non lo fate arrabbiare non vi farà alcun male! E poi diciamolo, quel tizio ha paura pure della sua stessa ombra, appena arriva il preside trema una foglia e comincia a dire: “sì signore, sì signor preside, sarà fatto signor preside!”- In questa ultima parte della frase imita quasi alla perfezione la voce nasale del signor Baldi, il nostro insegnante di matematica. Ciò suscita le risate da parte della classe, e anche Dolly si unisce alla risata generale. Io le do una gomitata, indicandole di guardare la porta d’uscita dell’aula.
-Chi avrebbe paura del preside, mia cara?- Jenny si volta di scatto sgranando gli occhi, terrorizzata.
Il professor Baldi è entrato nell’aula, e non sembra affatto di buon umore.

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Capitolo 6
*** 6 - Lezione di matematica ***


Il professor Baldi è un tipo molto particolare, ora che lo vedo da vicino. Alto e dinoccolato, porta un pullover verde chiaro che nasconde un petto sicuramente scarno, viste le sue gambe quasi rachitiche. Mi chiedo come faccia quello strano individuo, appena entrato in classe come una furia, a reggersi in piedi con quella sorta di stuzzicadenti che si ritrovava sotto i pantaloni blu.
-Dunque, signorina Jenny?- Il signor Baldi, completamente calvo tranne per un vistoso “capello” sulla fronte (sì, aveva un solo, visibilissimo capello, singolo) si avvicina alla cattedra, muovendo appena percettibilmente le sue sottilissime gambe. Il suo busto è quasi un rettangolo, come se al posto del corpo avesse avuto una figura geometrica. E le mani poi, sembrano essere state divorate dai corvi.
-Io… io… professore… io…- Tutta la spavalderia della piccola Snob si è sciolta come neve al sole davanti ad un accigliato insegnante di matematica. Quest’ultimo appoggia con noncuranza la borsa nera sulla cattedra, con uno schianto (speriamo che non ci siano pinze anche a questo giro… io e Dolly ce la caviamo in matematica, ma forse è meglio che mi rinfreschi un po’ la memoria, non si sa mai) e, con un sorrisetto abbastanza inquietante, appoggia una mano sulla scrivania, incrociando le gambe, osservando fisso fisso la ragazzina tremante.
-Tu, tu… tu cosa? Stavi facendo una sorta di comizio o cosa?- Il silenzio nella classe è calato pesantemente, come un sudario. L’unica cosa che posso udire, a parte il piagnisteo della ragazzina nel centro dell’aula, è il sottile gemere del ragazzino dietro di me, quello con gli occhi a forma di triangolo.
-Te lo dico io cosa stai per fare, entro tre minuti da ora.- Il tono di voce del signor Baldi stranamente suona quasi tranquillo, nonostante l’evidente terrore palesato negli occhi di Jenny. Con estrema calma, il professore dalla testa calva si avvicina alla lavagna e, preso un gesso dalla mensola, inizia a scrivere qualcosa. Io e Dolly rimaniamo con il fiato sospeso, tenendo gli occhi incollati sulla lavagna: i primi numeri di una complessa equazione algebrica vengono magicamente fuori dal gesso bianco, con uno stile di scrittura che ricorda vagamente alcuni vecchi almanacchi di matematica dei nostri nonni.
-Poiché ti sei presentata come volontaria, mia cara signorina – prosegue Baldi, continuando a scrivere sulla lavagna – ti chiedo cortesemente di risolvere l’equazione che ho scritto, spiegando per filo e per segno il tuo ragionamento ai tuoi compagni di classe. Ecco, il gesso è tuo.- Il professore si volta e, consegnato il pezzo di gesso bianco nelle mani di una sconvolta Jenny, si allontana di qualche passo e si piazza alla sinistra della lavagna.
L’occasione mi è propizia per scrutare meglio il volto del professor Baldi: la prima cosa che noto con meraviglia è la totale assenza di orecchie (sì, non aveva proprio orecchie. Neppure dei fori!). Il naso, neanche a parlarne, è a forma di goccia, una cosa indescrivibile ma quello che mi lascia ancora più di stucco è la forma della sua testa. Mi ricorda vagamente una lampadina, o un palloncino con la base strozzata. Inizio seriamente a chiedermi in che cavolo di pasticcio siamo andati a finire io e mia sorella.
-Avanti signorina Jenny, risolvi questa equazione.- La ragazza è in evidente difficoltà, ormai in prossimità della lavagna nera piena di simboli e numeri. Osserva i numeri a bocca aperta, e non riesce ad emettere un suono. Dolly, in silenzio sillaba le lettere ed i numeri, e con metodo certosino li trascrive sul quaderno, tentando di risolvere lei stessa il problema.
-Io… io professore… io non…- Baldi si avvicina di qualche passo, incrociando le braccia al petto. Non perde però il suo sorriso, nonostante la crescente angoscia della ragazza dai capelli verdi.
-Oh, qualche problema signorina Jenny?-
-Io… io non…-
-Sì, dimmi?- Un sospiro di desolazione arriva da dietro le mie spalle. Ancora una volta, il ragazzino dagli occhi a forma di triangolo geme e si mette le mani nei capelli, appoggiando i gomiti sul banco.
-Per lei è finita…- Bisbiglia quest’ultimo. Dolly sembra a buon punto con l’equazione, e la osservo con interesse. Per lei la matematica non è mai stata un mistero, se non fosse stato per quella maledetta dislessia sarebbe già molto più avanti con il programma scolastico.
-Io… non sono in grado… di risolvere il problema…- Il silenzio diviene ancora più intenso, gelido come l’inverno dopo la battuta della ragazza alla lavagna. Jenny abbassa il capo, tenendo gli occhi incollati sul pavimento, e non riesce a guardare in faccia il professor Baldi. L’insegnante non sembra però avere perso il suo sorriso… che strano, prima mi è proprio parso di averlo visto entrare arrabbiato. Magari ha visto dei volti nuovi (io e mia sorella) ed ha cambiato atteggiamento.
-Va bene, Jenny, va bene, torna al tuo posto.- Sia Jenny che tutti gli altri alunni della classe sollevano lo sguardo, meravigliati. Tutti si guardano in faccia, come a dire: “ma che sta succedendo?”
-Vorrei solo scambiare due parole con te dopo la lezione, se non ti dispiace.- La piccola snob, dapprima tutta spocchiosa e arrogante, se ne va al suo posto con la coda tra le gambe, evidentemente umiliata dalla tranquillità del professor Baldi. Nonostante il suo aspetto strano, l’insegnante di matematica comincia a piacermi. Sembra essere tutto considerato normale, dopo la terrificante esperienza con la professoressa Terra.
-Professore, Professor Baldi!- L’insegnante si volta verso mia sorella e, aumentando il suo sorriso, allarga le braccia e si avvicina al nostro banco.
-Ah, voi due dovete essere Primo e Dolly! Benvenuti nella Here School!- Sì, il professor Baldi inizia veramente a piacermi. Con una gesto di impazienza, mia sorella mostra il quaderno al professore, il quale lo prende ed inizia a leggerlo con interesse.
-Ah, molto, molto, molto bene!- Afferrando una penna di colore verde dalla tasca, Baldi mette un bella V sul quaderno di mia sorella, segno che il risultato dell’equazione risulta essere corretta.
-Il risultato è giusto! Sei appena arrivata e già sai il fatto tuo… molto bene!- E chi se lo aspettava. Dolly improvvisamente è diventata la beniamina del professor Baldi, il quale non ha smesso per un solo istante di mostrare il quaderno agli altri alunni. L’equazione risolta da Dolly è dunque oggetto della prima lezione di Baldi da quando io e mia sorella ci siamo trasferiti in questa scuola.
Sono contento per mia sorella, speriamo che vada tutto per il verso giusto da qui in avanti.
Volto lo sguardo poi alla mia destra, e noto come Jenny sia scoppiata improvvisamente a piangere, mentre Baldi non smette di spiegare la logica dello sviluppo dell’equazione scritta alla lavagna.
Che strano, come mai la spocchiosa Jenny è scoppiata in lacrime? Magari l’umiliazione di fronte alla classe dell’impossibilità di risolvere l’equazione? Può darsi, ma una cosa è certa.
Matematica inizia veramente a piacermi, e il professor Baldi spiega che è una meraviglia.
 

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Capitolo 7
*** 7 - La bambina dal vestito rosso ***


Così anche la seconda ora del primo giorno di scuola è passato. Nonostante lo spiacevole inconvieniente accaduto a Jenny, devo comunque notare come l’ora di matematica sia passata molto velocemente. 

“Potete andare ragazzi” ci ha detto il signor Baldi, con quella sua buffa voce nasale “andate pure in caffetteria per la ricreazione. Ah Jenny, tu resta qui un attimo, ti devo parlare”. Magari gli sta facendo una ramanzina in privato. Giusto così, non ho mai potuto sopportare le sgridate in pubblico. 

-Hai visto quella strana bambina?- Appena entrati nella grande stanza dalle pareti gialle, Dolly adocchia quasi immediatamente una ragazzina al centro della caffetteria, dal lungo vestito rosso, le scarpe nere e i capelli castano scuri, talmente scompigliati che sembra che ci abbiano ballato dei pappagalli sopra. 

-Non è quella bambina che è in classe con noi?- Ci sediamo su una panchina, con il nostro misero tramezzino, dando le spalle al tavolo di legno. Riusciamo così a vedere il centro della stanza, dove un gruppo di ragazzini aveva circondato la nostra compagna di classe e sembra che stanno ridendo. Ma non ridono per una battuta o per divertimento.  

Ridono perché la stanno prendendo in giro. 

-Alla tua età non ti sei ancora stancata di fare la poppante?- 

-Oh guarda mamma, quanto sono brava a saltare le corde!- 

-E uno e due, e uno e due, e uno e due...- La bambina dal vestito rosso, in evidente difficoltà dato lo squilibrio di altezze tra lei e chi la circonda (è alta pressappoco come mia sorella, o forse ancora meno) tenta in qualche modo di afferrare una corda dalle mani di uno spilungone dalla bocca di scimmia. Più la poverina saltava, più quel miserabile allontanava la corda da lei, portandola ancora più in alto. 

-Dammi la mia corda!-  

-Gne gne gne!- Personalmente non mi sono mai piaciuti gli atti di bullismo. Mi guardo attorno, alla ricerca di qualche adulto nei paraggi, per segnalare ciò che sta accadendo in questo momento. Non c’è nessuno che possa aiutare quella povera ragazzina dal naso un po’ pronunciato e i capelli scompigliati. 

-Primo, non possiamo restare qui a guardare.- Mia sorella ha ragione, purtroppo non c’è alcun adulto a cui chiedere aiuto. Do il resto del mio panino e la bottiglietta d’acqua mezza vuota a Dolly e, prendendo un bel respiro, mi avvicino al gruppetto di ragazzi che ancora si stanno facendo beffe di quella bambina. Mentre cammino verso di loro, uno dei ragazzi ha afferrato i capelli della mia compagna di classe, costringendola a inclinare la testa all’indietro. 

-Bubusettete!-  

-Lasciami, lasciami andare!- La situazione è giunta ormai al limite. Mi avvicino ancora di più al gruppo e, spintonando un tizio con le labbra di pesce da un lato, mi infilo in quel cerchio umano, dando uno schiaffo alle mani della ragazza che ghermiscono i capelli della ragazzina dal vestito rosso. 

-Basta, adesso smettila di infastidirla!- La ragazza, dagli enormi occhi cerulei, mi guarda con un misto di sorpresa e fastidio, mentre si massaggia la mano sulla quale le ho dato uno schiaffo. Mi volto verso il tizio con la faccia a bocca di scimmia e, con uno scatto deciso, gli requisisco la corda. 

-Dovreste vergognarvi, tutti quanti!- Le risate di scherno che poco prima sovrastavano ogni suono cessano improvvisamente, mentre i ragazzi fanno un passo indietro e mi guardano come se fossi una bestia della savana. La bambina mi guarda fisso fisso, e io non posso fare a meno di notare come quest’ultima sia la persona più strana che abbia mai potuto vedere in vita mia. 

Non aveva occhi. Non aveva occhi. Non aveva occhi?!  

Al posto degli occhi ha due solchi completamente neri. Come se qualcuno si fosse divertito a cavarglieli via. Ho un attimo di ribrezzo ma, superato il conato di vomito per la paura, le restituisco la corda di spago per saltare. 

-Ci vuole un bel coraggio, microbo.- A parlare è stato il bullo incontrato prima in caffetteria, quello dalla maglia arancione e le maniche blu. Il gradasso ha pronunciato poche parole, ma sono state sufficienti per scatenare il panico nel gruppo che ancora stava circonando me e la bambina dai capelli disordinati. 

-Adesso, per il tuo atto di coraggio, devi pagare da bere a tutti.- Lo guardo entrare nel cerchio umano, nuovamente ricomposto e attento alle parole del bullo. Io mi guardo attorno, chiedendomi dove si trovi Dolly. È ancora lì nei paraggi? Poteva chiedere aiuto ad un adulto? 

-Ti ho già detto che non ho soldi.-  

-Ah, questo è tutto da vedere. Dammi qualcosa di grandiosOOOOHHH!!!- La sua voce diventa improvvisamente acuta e stridente, e costringe sia me che la bambina della corda a tapparci le orecchie. Mi arriva un pugno in mezzo agli occhi, ne ha approfittato il bastardo in un momento in cui non ho potuto difendermi. Cado lungo disteso a terra, sul pavimento, e l’unica cosa che riesco a vedere è il professor Baldi che scaccia via i ragazzi con un’enorme riga di legno, con tutti i numeri scritti con il pennarello in orizzontale. 

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Capitolo 8
*** 8 - Ammonito ***


Mi risveglio su un lettino, nella penombra di una stanza dall’odore dolciastro. Non ricordo che cosa sia accaduto... ricordo solo che ero in caffetteria, in mezzo al gruppo dei ragazzi che stavano prendendo in giro la ragazzina dal vestito rosso...

Poi ricordo di avere preso la corda per saltare dalle mani di quel tizio, quello con la bocca da scimmia, e poi... e poi il bullo.

Deve essere successo qualcosa dopo, ma non ricordo esattamente che cosa.

-Sei sveglio, Primo?- A parlare è stato un uomo di fronte a me, riesco a vedere il suo profilo tra i raggi del sole della finestra dalle tapparelle abbassate. È di fronte alla porta, in piedi, ma sembra essere rigido come una statua di sale.

-Che cosa è successo?-

-Questa domanda dovrei farla io.- L’uomo si avvicina silenziosamente verso il letto dell’infermeria della scuola, come se le sue scarpe non stiano toccando il pavimento della piccola stanza immersa nel buio. Si china leggermente verso di me (ma fare questo movimento sembra costargli un’enorme fatica) e i raggi del sole finalmente rischiarano il suo volto. È il professor Baldi, e ha una strana smorfia sul suo viso.

-Che cosa hai combinato con quei ragazzi?- Osservo bene il volto del professor Baldi, leggermente accigliato e forse anche preoccupato per avermi trovato lungo disteso sul pavimento, privo di sensi, dopo avere ricevuto un cazzotto in faccia dal bullo.

Noto come i suoi occhi siano perfettamente rotondi, quasi inespressivi, completamente neri e privi della pupilla. Noto anche come le sue labbra siano terribilmente rosse... come se...

Come se si fosse messo il rossetto.

-Quei ragazzi stavano dando fastidio alla mia compagna di classe.-

-Chi, Playtime?- Il professore si allontana quasi infastidito dalla mia risposta e si volta verso la porta, incrociando le mani dietro la schiena. Si tuffa nuovamente nell’oscurità, non capisco quanto io possa avere dormito dopo la botta in mezzo agli occhi.

-Tua sorella mi ha detto che ti sei buttato in mezzo a quei ragazzi.- Il tono di voce leggermente più basso da parte del professore mi mette una leggera apprensione. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Confermo comunque la frase sibillina del signor Baldi, e l’irritazione esplode come un vulcano dalla bocca dell’uomo calvo.

-Chi ti ha autorizzato a decidere di testa tua?-

-Ma.. Ma la stavano prendendo in giro, e la corda...-

-Niente ma, giovanotto.- Il professore si avvicina di nuovo verso di me, e nonostante la penombra riesco a vedere il suo sguardo severo. Non capisco dove io possa avere sbagliato, e glielo chiedo.

-Non c’era nessun adulto, ho pensato fosse la decisione migliore da prendere.-

-Quello che pensi tu non è affar mio.- Percepisco la crescente irritazione del professor Baldi per una situazione che forse avrei fatto meglio ad evitare, e per non farlo arrabbiare ancora di più decido di non rispondere, lasciando che sfoghi la sua rabbia nei miei confronti.

-Se ti becco ancora una volta a fare a pugni con qualcuno, te la dovrai vedere con me. Spero di non dovertelo ripetere mai più!- E, come se avesse sguainato una spada dal fodero, tira fuori dalla tasca dei suoi pantaloni l’enorme riga di legno che aveva scacciato gli altri ragazzi in mia difesa. Osservo a bocca aperta la riga dal colore marroncino scuro, sbattere ripetutamente sulla mano sinistra di Baldi, come se il professore fosse pronto a suonarmele di santa ragione.

Per un istante provo un brivido percorrermi la spina dorsale, mi ritrovo sdraiato su un letto che non è mio, in una scuola strana, dai compagni di classe bizzarri e professori minacciosi.

-Visto che sei nuovo – chiosa il professore – mi limito ad ammonirti. Sappi bene, giovanotto, che la prossima volta non la passerai liscia.-

-Cosa... cosa dovrei fare profess..-

-NIENTE DOMANDE!- L’urlo improvviso da parte di Baldi mi atterrisce, non capisco che cosa gli sia preso di punto in bianco. Lo vedo allontanarsi velocemente verso la porta, in preda ad una furia incontrollata, aprire e sbattere la porta con una forza incredibile.

Rimasto da solo, scoppio a piangere per la vergogna e l’umiliazione subita da Baldi, che ritengo fortemente ingiusta nei miei confronti.

Io ho agito per il bene di quella bambina, mi ritrovo a pensare. Anche se... anche se...

Forse il professor Baldi ha ragione, magari poteva capitarmi qualcosa di peggio. Asciugandomi le lacrime con i dorsi della mano, decido di riprovare a chiedere al signor Baldi quali regole devo seguire per un corretto comportamento a scuola...

Magari in un momento in cui non è così arrabbiato.

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