Settevite

di laolga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prima vita ***
Capitolo 2: *** Seconda vita ***
Capitolo 3: *** terza vita ***



Capitolo 1
*** prima vita ***


SETTEVITE


pian piano la ragazza fece scorrere le dita pallide si fogli candidi. Era indecisa, quale scegliere?”


A tutti coloro che non accettano la sorte destinata alla propria vita.



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PRIMA VITA


Lunedì 5 settembre


-Katy!! Vieni a vedere chi c’è!!!

Ancora la solita, noiosissima, orribile visita: Luis.

Luis era l’amante di mamma da quando Matteò era partito, ma diciamo che più che altro se la tirava con tutte, me compresa, perciò non era poi un bell’acquisto come pareva a mamma, che se ne vantava tanto spesso con le vicine da far venire il voltastomaco.

E poi non dormivano mica insieme…no!, e mamma non replicava.

Ora, non sarei tanto indignata se Luis non volesse dormire con mamma per problemi personali, ma il vero motivo è che vuole tenersi libero per le sue amiche, che casomai non si presentassero c’ero sempre io.

Sapevo che quando una di quelle dame, ritirandosi, si lamentava di uno strano mal di pancia, o di un sonno terribile, o di altri malori possibili, intendeva dire a Luis che quella era una notte da escludere alla lista delle sue porcate.

La prima volta che ha bussato alla mia porta quasi non ci credevo: ero piccola, stupida ma, soprattutto, avevo una cotta per lui.

Non capivo che se veniva da me era solo perchè non aveva altre da torturare, non capivo che quello era un uomo finito e forse mai iniziato che non chiedeva dalla vita altro che una copertura (mia madre) e la possibilità di concedersi qualche scappatella di notte.

Che pena.

Potrei spifferare tutto a mamma senza problemi, ma non l’ho mai fatto.

Forse anche solo per uno strano senso di giustizia, o forse più semplicemente perché questa situazione mi piaceva.

- Hai visto chi è arrivato? È Luis!!-

Ma che cretina che sei, mamma, davvero non ti sei ancora accorta di nulla?

- Buona sera madamoiselle…

- ‘Sera monsieur Luis.

- Starà qui fino a domani, sei felice Katy?

Annuire non basta , mamma, ma forse è meglio che t’accontenti.

I due amanti si diressero alle cucine per ordinare il pranzo di quel giorno alle cuoche, mentre io mi allontanai verso la mia camera.

Lì stetti alla toeletta per un’ora intera, scegliendo fra le varie acconciature che mi permettevano i miei lunghi capelli che tanto bramavo.

Certo non ero sola: mi aiutava Henriette, la negretta che viene dritta dritta dall’Africa del deserto…un bel cambio di società per lei, poverina.

Dicono che aveva un figlio, laggiù, ma non ci credo, come potrebbe alla sua prematura età?

Avrà all’incirca quindic’ anni, e in teoria si dovrebbe partorire dai diciotto in su, per essere dabbene, ma chissà come sono abituati, nel deserto.

Ecco che squilla la campana: è pronto il pranzo.

Scesi le scale di corsa, seguita dai passetti di Henriette.

Giù le cuoche servivano pollo arrosto con patate, banalissimo.

Arrivavano timide le risate di Luis e di mamma, affiancate dal rumore delle stoviglie.

Aprii la porta della sala da pranzo facendo un po’ più di chiasso per farmi sentire.

Arrivò subito l’amante ad accompagnarmi alla tavola, come se ce ne fosse bisogno, e mi si sedette a fianco.

Lui si era già servito, e ora mi osservava lisciare il tovagliolo candido e ordinare una smilza coscetta di pollo che sbucava dal pentolone fumante retto dalle serve di mamma.

Passai l’intero pranzo in silenzio, ad ascoltare le sciocchezze che diceva mamma per far ridere Luis.

Mamma, poveretta non era per nulla umoristica, né tanto meno romantica: era una vedova che parlava, ahimè, da zitella, e la conversazione si salvava solo grazie ai commenti di Luis.

Dopo il pollo servirono diverse pietanze fra cui tremila tipi di creme e cremine ignote, ed infine un gran dolce al cioccolato.

Mangiammo praticamente in silenzio, a parte alla fine, quando mamma s’allungò a descrivere come lavorava la sua parrucchiera, particolareggiando sulla morbidezza del suo tocco e tante altre cavolate del genere.

Presto mi stufai, e chiesi il permesso d’alzarmi da tavola prima degli altri.

Una volta in camera mia avrei potuto leggere un romanzo che m’incuriosiva sempre di più.

Si trattava di un libretto minuscolo, qualità che apprezzavo perché leggere sempre lo stesso libro per giorni e giorni non m’ispirava affatto, con la copertina rossa fiammante.

L’avevo comperato con i miei soldi dal libraio in corso Venezia, nella bottega affianco alla parrucchiera di mia mamma, senza dirlo a nessuno.

Mi era parso un po’ costoso per la sua grandezza, ma m’incuriosiva talmente che lo volli prendere.

Oppure, al posto di leggere, avrei potuto suonare un po’ al fortepiano di nonna Juliette.

Mi piaceva suonare, ma forse avrei disturbato chi voleva dormire.

Al massimo avrei potuto ricamare un bel quadro.

Come faceva mamma da giovane...

Li ho visti, i suoi quadri: sono magnifici; alcuni rappresentano paesaggi invernali, e lì mamma utilizzava fili grigi, bianchi o celesti, e di questi ce n’erano diverse sfumature, oppure c’erano quadri di natura morta.

Non pretendevo di fare capolavori del genere, non avevo voglia di mettermi a ricamare seriamente come diverse mie amiche...

Mi sarei accontentata di un quadretto, ma avrei dovuto procurarmi qualcosa da copiare.

Il volto di Luis?

Sarebbe una bella idea, così consolerebbe mamma quando lui non c’è.

Ma avrei tempo fino a domani.

Troppo poco.

Intanto attendevo la risposta di mamma per correre a trovare qualcosa da fare, ma pareva non mi avesse sentito.

D’altronde lei odiava quando le chiedevo di alzarmi prima degli altri, e poi mi sgridava che ero maleducata e bla bla bla, ma oggi c’era Luis, non si sarebbe certamente azzardata ad alzare la voce, o sì?

Sbuffai il più forte possibile, catturando l’attenzione di mamma per un nanosecondo.

Non sapevo quale reazione avrebbe potuto comportare un minimo di maleducazione, forse solo del bene...

Sicuramente è un bene insister quando non ti si ascolta.

-Allora? Posso salire in camera mia?-

Ancora nulla.

-... e poi sai cosa mi ha detto? Che se volevo farmi pettinare nel centro di una città di lusso come Parigi quello che mi chiedeva era decisamente poco!

Sbuffai, ancora quella stupida parrucchiera.

Ora vediamo se la smette.

Presi tutto il fiato necessario per farmi sentire e dissi, cercando di scandire bene le parole:-Oh, perché non mi stai mai a sentire? Posso ritirarmi?-

Mamma tutt’un tratto tacque, alzando un sopracciglio come per fingere d’essersi accorta solo allora che le avevo parlato.

Luis mi guardò, attendendosi un urlo isterico, qualche lacrima e un “Ma perché non mi state a sentire??”, invece tacqui, finchè mamma non sospirò, pronta a parlare.

-Scommetto che tu non abbia capito nulla di ciò che ti ho chiesto.-borbottai, togliendole la parola.

-Cioè di ciò che mi hai urlato.-replicò lei, sempre con la risposta pronta.

M’alzai, indignata: non sopportavo quando mia mamma mi rispondeva con quel tono.

Ma chi era lei per parlarmi così?

Sicuramente alla sua età con la mia educazione (a mio parere fin troppo gentile) sarei certamente andata lontano, mi sarei costruita una vita e una famiglia da gran signora, non certo come è finita mia madre!

E poi noi dobbiamo portare rispetto ai genitori, ma loro? Che ci ascoltino e tacciano.

Luis mi guardava, il suo solito sorrisetto malizioso sulle labbra, come di chi si aspettava da secoli una scena del genere.

-Non v’arrabbiate per così poco...-mormorò, cercando inutilmente di salvare la situazione.

Sapevo bene come sarebbe accaduto normalmente: mamma si sarebbe messa a strillare ramanzine su ramanzine inutili e poi si sarebbe messa a piangere.

Io non dovevo fare molto, avevo una parte facile facile: mi sarebbe bastato tapparmi le orecchie e lasciarla urlare a vuoto, e poi sarei dovuta andarmene di sopra, come se niente fosse.

Ma oggi c’era un nuovo personaggio, tutte le nostre azioni sarebbero ruotate attorno a lui, e chissà cosa sarebbe accaduto.

La cosa, anziché impaurirmi, mi eccitava.

Il silenzio si raddensava ad ogni respiro e, lo vedevo, attanagliava la gola di mia mamma che era così tanto abituata ad urlare che ora taceva, muta.

Inaspettatamente Luis scoppiò in una risata fragorosa e, all’improvviso, mamma cominciò a piangere, mentre io , sconcertata, attendevo che mi venisse data la parte in quello spettacolo così strambo.

Sapevo solo che mi ero stufata di stare in quel palcoscenico di rumore e bugie, quindi tanto valeva salire in camera mia, ma non sapevo come, non essendomi stata assegnata ancora la parte.

Taqui, immobile.

Poco dopo Luis si alzò, e mi fece cenno di salire, mentre lui e mamma sarebbero stati a discutere sulla mia maleducazione.

Obbedii, tanto sapevo che Luis avrebbe difeso me.

Sola, in camera, mi gettai sul letto, scompigliandomi tutta.

-Ma che me ne importa della pettinatura?-dissi ad alta voce,- in verità non me ne importa niente, né dei miei stupidi capelli, né delle regole, né di mia mamma e né della mia futile vita.

Dormii, e non sognai nulla, come al solito, ma mi svegliai sentendo i passi di Luis salire le scale e fermarsi davanti alla mia porta.

Non attesi che bussasse, riconoscevo i suoi passi alla perfezione.

-Entra- mormorai, alzandomi.

Luis entrò.

Ora avrebbe dovuto dire qualcosa, qualcosa del tipo “oh, mia piccola bambolina, non mi dirai che sei arrabbiata, vero?”

Oppure, “Bei capelli, signorina!”

O, ma non credo, “tua mamma ha smesso di piangere, perciò sono venuto da te.”

Invece, avvicinandomisi lentamente, sussurrò:-Fra poco parto. Tua madre sa...-

Lo guardai, partiva? Oggi? Il ricamo era saltato definitivamente. Non che ci tenessi, ovvio, ma un po’ mi dispiaceva.

-Ho litigato con tua madre, e le ho detto tutto.- aggiunse, non essendo sicuro che avessi capito del tutto.

Alzai le spalle e gli accarezzai il volto stanco.

No, infatti, non avevo capito: avrei dovuto fare più attenzione a quel “tutto”.

Lui tacque, in attesa che afferrassi,

Aggrottai le sopracciglia: tutto cosa? Cosa c'era che mamma non sapeva?

Capii.

Lo guardai con occhi sbalorditi, e fui tentata di mollargli un ceffone.

Ero fritta: mamma mi avrebbe fucilata, amava tanto Luis,e ora per colpa mia era tutto distrutto.

Guardai ancora una volta Luis negli occhi, con sguardo sconsolato.

-Mi dici dove scappo, ora?- chiesi, stringendomi a quell’uomo che forse non avrei mai più rivisto.

Luis scosse il capo tristemente.

-Forse ti conviene restare qui e dimenticare tutto.- disse.

-Se rimango mi sarà più difficile dimenticare.- replicai.

Luis scosse il capo, sospirando.

Ero triste, tremendamente triste, e sentivo che lo era anche lui, come me.

Rimanemmo per un po’ in silenzio, poi si sedette, facendomi cenno d’imitarlo.

Mi sedetti di fianco a lui.

Non era giusto che, così di botto, finisse tutto.

Che scopo avrebbe avuto la mia vita, allora? Senza né Luis né segreti da nascondere?

Sarebbe stata una vita tremendamente noiosa e monotona, una di quelle in cui si vive solo pensando a ricordi lontani, a fruscii di lenzuola, a poesie mormorate nascosti su d’un albero, sensazioni indimenticabili...

No, non volevo una vita del genere, anche se tutti parevano inclini a farmela vivere.

No, non la volevo proprio.

Ora Luis sarebbe andato lontano, e non lo avrei più rivisto.

E io non lo avrei seguito.

Poi magari mamma m’avrebbe chiusa in convento, per facilitare le cose, e si sarebbe cercata un altro fidanzato.

Magnifico, davvero.

Luis si scosse un poco, poi s’alzò, cupo.

-Aspetta!-lo fermai.

Mi alzai anche io, alla sua altezza, e mi protesi verso il suo volto.

Leccai le sue labbra secche, poi, premendo il mio corpo contro il suo, lo baciai.

Fui felice di sentire che le sue mani, fino ad allora considerate troppo lunghe, mi palpassero i seni, le cosce, il ventre...perchè quella era l'ultima volta.

Fui felice anche quando mi strinse a sé con una forza esagerata, trattenendomi per i capelli.

Poi, di botto, quando la situazione poteva trasformarsi in qualcosa di più grosso, lui si allontanò.

-Ora devo andare. La carrozza mi starà aspettando.-disse, col fiato corto.

Annuii, cercando di frenare le lacrime che mi offuscavano la vista.

Lo salutai con voce flebile, accompagnandolo alla porta della camera, poi lasciai che se ne andasse via, abbandonandomi sul letto.

Mi misi a pensare, rivedendo con la mente tutte le scene della giornata, sentendo ogni voce parlare come se ancora stessero parlando...

Tesi l’orecchie, sentendo che effettivamente qualcuno parlava.

Sentii l’inconfondibile voce di mamma gridare insulti a Luis, e mi godei quello spettacolo dalla finestra, vedendoli molto più in basso: lui vicino ad una carrozza, e lei trattenuta dalle serve.

Sorrisi, felice di aver visto mamma, mia grande fonte di disperazioni, urlare a squarciagola e piangere per un uomo che le avevo tolto anche io.

Luis salì sulla carrozza e questa partì, ma in fondo al vialetto, prima dei platani ombrosi che circondavano la nostra casa, lo vidi sporgersi da un finestrino, trafficando con la tenda in velluto, e togliendosi il cappello.

Mi guardava, mi sorrideva, mi salutava.

-Ti amo, Katy, e come è vero che ti amo giuro che un giorno tornerò a prenderti, ovunque tu sia!-, gridò, poco prima di ritirarsi all'interno della carrozza, nel timore di cadere.

Lo salutai, piangendo, anche se sapevo che tutte quelle parole, si sarebbero perse nell'aria, lasciando vivere me nella speranza, e mia madre nel dolore.

Se immaginavo che sarebbe andata a finire così?

Sì, ma probabilmente non avrei mai voluto ammetterlo.

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Allora, questo è il primo giorno della settimana di giorni di vite diverse che lo seguiranno...Ambientato nell'inizio Ottocento, in Francia, fra serve, carrozze ed intrighi amorosi.


Il secondo giorno verrà ambientato Inghilterra, e la protagonista sarà una studentessa della metà del Novecento, e la situazione sarà ben diversa. =)

Ma l'amore, come in tutte le mie storie, sarà il tema principale di questa ff.


Recensite numerosi^^

Ciau

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Capitolo 2
*** Seconda vita ***


SETTEVITE


pian piano la ragazza fece scorrere le dita pallide si fogli candidi. Era indecisa, quale scegliere?”


A tutti coloro che non accettano la sorte destinata alla propria vita.




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SECONDA VITA


Sapevo che sarei dovuta essere in aula, dove il professor Philips sicuramente mi attendeva, ma preferivo starmene nel chioschetto, da sola, ad osservare quello straccio quadrangolare di nuvole che il College permetteva di vedere.
Mi sedetti sul muricciolo marmoreo e puntai lo sguardo verso l'alto, immaginando di trovarmi fra le nuvole, libera dagli studi imposti da una famiglia di tradizioni.
Il cielo rispecchiava come sempre il mio umore cupo e grigio, e ben presto, con mia gioia, fitte goccioline gelide mi bagnarono il volto, e le mie labbra istintivamente si schiusero in un sorriso.
Dei passi strascicati mi riportarono alla realtà, e con uno scatto volsi lo sguardo al corridoio principale, dove un ragazzo sconosciuto mi rivolse uno sguardo stupito. Scesi dal muricciolo con un salto pericolante e corsi nella mia classe evitando di guardare quel ragazzo apparentemente smarrito con la cartella malamente appesa alle spalle.

Ero appena uscita dal salone conferenze quando m'imbattei ancora una volta in lui.
“E due...in una sola mattina...”, mi dissi, mordendomi un labbro.
Non era certo una giornata speciale o particolarmente divertente, quella: il professor Philips mi aveva rimproverato, ma con gentilezza, perchè (era inutile nasconderlo) probabilmente aveva un debole per me; avevo studiato con diligenza letteratura inglese e francese, avevo fatto un test di prova per le università più importanti della Gran Bretagna, che nel peggiore dei casi ero riuscita a sbagliare completamente; tuttavia qualcosa mi preannunciava una sequela di interminabili disastri.
-Ciao-mi disse il ragazzo, fermandomi con una mano.
Strinsi i libri che tenevo fra le braccia, e, rossa in volto, risposi al saluto con un cenno disinteressato.
-Come ti chiami?-
Aveva una bellissima voce e occhi grigi particolarmente brillanti, soprattutto a quella vicinanza.
Il suo alito raggiunse le mie guance e un brivido mi partì dall'attaccatura dei capelli per raggiungere il midollo della spina dorsale, punto facilmente suscettibile.
-Io...mi chiamo Elanor, piacere.-mormorai, allungando una mano verso la sua, ancora tesa per catturare la mia attenzione e fermarmi.
Lui sorrise, socchiudendo per un attimo gli occhi.
MI strinse la mano con fermezza, poi, anzichè lasciarla, l'accarezzò con i polpastrelli di entrambe le mani.
Rimasi paralizzata a guardare la mia mano magra e bianca fra le sue calde e più scure, mentre con un braccio sostenevo il peso dei volumoni di letteratura. -Ma...che fai, scusa?-sibilai, ritirando ad un tratto la mano.
Lui non oppose resistenza e mi sorrise ancora una volta.
Lo fissai sbalordita negli occhi, poi arrossii e decisi che era meglio fuggire da quella terribile figuraccia.
Mi voltai, sospirai e mi diressi con passo deciso verso l'aula di biologia.
Sapevo che lì ci sarebbe stata Mary, una ragazza della mia stessa età che seguiva il corso di fisica e biologia con la quale avevo scambiato un paio di chiacchiere.
Era una ragazza molto dolce che ascoltava tutti, e quindi pensai bene di trovare una scusa qualunque per parlarle e chiedere consiglio.
Entrai nell'aula ed oltrepassai le varie specie vegetali seccate o schiacciate fra sottili lastre trasparenti che erano esposte nelle vetrine dell'ingresso, e trovai Mary incollata ad un microscopio, intenta a sezionare una foglia d'acero.
-Finchè sono piante va tutto bene-, mi disse, sempre china sul suo lavoro,-ma appena diventano rane e cavallette ti giuro che è un bello schifo.-
Mary ripose il campione che lavorava in una boccetta di vetro, utilizzando delle pinzette, e poi mi vide, regalandomi un sincero sorriso.
-Oh, mia cara, piccola Elanor!-esclamò, avvicinandosi per abbracciarmi.
Quel suo modo di fare, quella sua innata confidenza a volte m'incutevano timore, ma la rispettavo comunque, stimandola per la sua logica ferrea e per il suo buon umore.
-Ciao-mormorai.
-Allora, raccontami tutto: c'è qualcosa che ti serve? Hai combinato qualche pasticcio?-
-Si tratta di un ragazzo...-
Ecco, l'avevo detto. Avrei potuto anche non parlarne, in fondo che era mai successo?
-Oh, un ragazzo?-
Mi morsi un labbro.
-Beh, ti prego non dirmi che si tratta di quel nuovo arrivato, sennò potrei anche impazzire! Tutte ne parlano come se fosse un dio!-
-Ma di chi stai parlando, scusa?-
Lei mi si avvicinò per parlarmi sottovoce, ma poi quasi urlò:-Di Michael Lowell, sciocchina!-
Aggrottai le sopracciglia, -Sinceramente mi sfugge questo nome...-
-Non sai chi è Michael??-
Annuii.
Mary sorrise con aria complice, poi mi accompagnò fuori dall'aula, e non appena passò un gruppo di ragazze probabilmente del terzo corso esclamò:-Allora tu hai conosciuto Michael Lowell!!-
Dapprima non capii, ma poi vedendo che le ragazze si giravano ridacchiando e trovavano una scusa qualunque per passarci ancora vicino e sentire il seguito afferrai alla perfezione.
-Beh, diciamo che potrebbe anche essere lui...-borbottai.
-È alto, biondo e con gli occhi grigi?- squittì una delle ragazzine che ridacchiavano. -Shhhh!Cosa dici!- urlacchiò un'altra.
Mi voltai nella loro direzione ed annuii.
-Sì, ha gli occhi di un colore molto particolare che si potrebbe definire grigiastro.-dichiarai.
-Beh, allora è proprio lui- concluse Mary, forse con una punta di delusione.
-Ma com'è che lo conoscete già tutti, qui?-domandai, rivolta anche alle ragazzine.
-Beh, e come si farebbe a non notarlo? È qui da un giorno e già fa stragi!-disse ancora la prima.
-Shhh!, ma la pianti? E se ci sentisse???-la rimbeccò subito l'altra.
-Oh, guarda, piantala tu.-
Soffocai una risatina e sorrisi alle ragazzine, che non facevano altro che arrossire e spintonarsi.
-Beh, se non altro adesso so il suo nome.-mormorai fra me e me.
D'un tratto le ragazze del terzo anno smisero di ridacchiare e si fecero serie, allontanandosi di fretta.
Se ne andarono imboccando il corridoio di scienze tecniche, probabilmente il primo corridoio apparentemente disponibile.
Le seguii con lo sguardo, poi mi volsi dalla parte di Mary, curiosa di interpretare questo loro strano comportamento.
Ma anche lei, improvvisamente silenziosa, fissava un punto vago oltre le mie spalle.
-Che c'è?- le chiesi, con una punta di preoccupazione.
Lei non rispose e mi fece cenno con l'avambraccio.
Guardai dove mi aveva indicato e vidi che scendeva le scale proprio il ragazzo dagli occhi grigi: Michael Lowell.
Attraversò il corridoio e per un istante parve venirmi in contro, poi proseguì senza rivolgermi la parola.
Capii che dovevo fare assolutamente qualcosa, anche qualcosa di stupido, pur di non starmene lì con le mani in mano a fissarlo come facevano le altre. -Ehi, tu!-esclamai, prima che fosse troppo tardi.
Mary mi tirò una gomitata che io ignorai, ed attesi che il ragazzo si voltasse verso di me.
Lui si fermò, si girò, e venne qualche passo più vicino a noi due, con un'espressione mista fra il divertito e il preoccupato.
-Non mi hai detto come ti chiami.-sussurrai, già meno coraggiosa che in partenza. Lui si sciolse in un sorriso, e si presentò:-Mi chiamo Michael, Michael Lowell se è questo che volevi sapere.-
Sorrisi, soddisfatta, ed annuii.
Sentii alle mie spalle Mary che moriva d'imbarazzo, ma ignorai anche questo.
-E per quella cosa di prima...scusami, ma per un ragazzo della mia età capirai che gli ormoni hanno un bell'effetto.- aggiunse, malizioso.
Questa volta fui io a morire di vergogna, arrossendo ed annuendo timidamente. -Non ti preoccupare. In fondo anche le ragazze hanno i loro ormoni.-sbottai per non farmi trovare senza parole.
Lui rise, e solo allora intesi il senso che avevano le mie parole.
Arrossii ancora una volta.
-Ehi, Elanor, perchè non vieni un po' dentro che devo farti vedere quella cosa che devo farti vedere?-esclamò allora Mary, visibilmente nervosa.
Era evidente che cercava una scusa qualunque per terminare quel dialogo che le faceva fare la figura del terzo incomodo.
Lanciai uno sguardo a Michael, che ricambiò all'istante, poi annuii e le sorrisi. -Ma certo, ti seguo.-
Mary sospirò, rientrò in aula e chiuse la porta alle mie spalle.
-Diavolo, Elanor, ma tu ti dai proprio da fare, eh?- sbottò, paonazza in viso.
Alzai le spalle, indifferente.
-Senti piuttosto te, che te ne esci con il tuo “devo farti vedere quella cosa che devo farti vedere”!- la rimbeccai.
Lei rise, imbarazzata fino al midollo, poi sbuffò rumorosamente.
-Beh, cara, io qui ho ben poco da aiutarti...- aggiunse, guardando con desiderio il suo lavoro lasciato a metà.
Capii che era tempo di andare, e con un sorriso imbarazzato e saluti a non finire mi dileguai verso le aule di letteratura.

A pranzo trovai molti tavoli delle ragazze pronti ad ospitarmi, circondati da sorrisetti e gomitate, ma mi sedetti piuttosto al tavolo dei professori, dove il prof Philips non fece altro che lodarmi davanti ai suoi colleghi e fui oggetto di attenzioni per tutto il pranzo.
Un po' di tortura, ogni tanto, era indispensabile.
Da quella postazione potevo comunque controllare il tavolo dei ragazzi, e trovai Michael seduto a quello di lettere antiche, circondato da primini curiosi e rompiscatole.
Per tutto il pranzo non rispose ad una delle loro provocazioni, né tanto meno io aprii bocca con i professori.
Poi, al dolce, decisi che potevo concedermi una piccola pausa.
Mi alzai, e chiesi con permesso se potevo andare alla toilette.

Fu lì che accadde.
Entrai nel bagno delle ragazze e mi guardai allo specchio, sistemandomi una ciocca nera.
Avevo dei bei lineamenti: un viso aguzzo, pallido, due occhi chiari molto grandi e un nasino alla francese.
Sentii dei passi frettolosi e un po' strascicati avvicinarsi alla porta d'entrata, ed istintivamente mi nascosi in un cesso chiudendo a chiave la porta, come se il mio trovarmi lì fosse illecito.
I passi si avvicinarono ancora di più, si aprì la porta, e un respiro affannoso sostituì il rumore dei passi.
-Su, avanti, esci fuori!- esclamò il proprietario dei passi.
Era Michael, ovviamente, e quel suo tono esigente, frettoloso mi incuteva paura. Mi rannicchiai sul cesso, per niente intenzionata ad uscire, preda di un ragazzo attraente e preoccupante.
-Allora?-
Mi strinsi nel mio posto, sperando che se ne andasse in fretta.
Sentii che con un calcio apriva una ad una le porte dei cessi, e terrorizzata sperai che non sfondasse la mia, chiusa a chiave.
Un colpo fece tremare la mia porta, e soffocai un urlo.
-Ah, eccoti!-
Strinsi i pugni, poi appoggiai una mano sulla chiave, indecisa se aprire o meno.
-Su, apri.- m'incitò lui, questa volta sottovoce.
Tremante girai la chiave, poi rimasi immobile, a distanza.
La porta si spalancò con uno scatto, e lo vidi, con un'espressione orribile sul viso.
Entrò e chiuse la porta alle sue spalle, sbattendola.
Sapevo cosa voleva, e temevo che l'avrebbe avuto con fin troppa facilità.
Il panico mi pervase, e tremando cominciai a scuotere il capo.
Lui ignorò la mia reazione e si avvicinò di più a me, circondandomi con le sue braccia.
Cercai di divincolarmi, ma era molto più forte di me, e non mi permetteva alcun movimento.
Quando capii che l'avrebbe avuta vinta lui, spalancando gli occhi dalla paura, cominciai ad imprecare.
-Oh, maledizione, ti prego!-
Lui appoggiò le sue labbra calde sul mio collo ed un brivido attraversò il mio corpo.
-No no no no!Ti prego, lasciami!-
Si spostò a baciarmi il mento, poi raggiunse le mie labbra, e io fui quasi sul punto di cedergli totalmente, sentendo tutto l'amore che emanava, la delicatezza con cui affrontava quel bacio, ma poi bastò sentire le sue mani che si allungavano pericolosamente sulle mie natiche, stropicciando la mia vestina, cercando di sollevarla e con furia di strapparla per capire che la lotta doveva continuare.
Scalciai con tutta la mia forza, mentre tremiti e brividi percorrevano il mio corpo posseduto.
Le mie braccia erano immobilizzate dal suo petto, le mie gambe erano schiacciate contro il muro dalle sue, e il mio bacino era conteso dalle sue mani e dalle sue dita.
Sapevo tuttavia che una via d'uscita poteva esserci, se l'avessi voluta veramente. Ma qualcosa m'intimava di aspettare ancora un po', giusto un attimo, perchè in fondo quel ragazzo non stava facendo nulla di orribile, non ancora, dimostrava solo il suo affetto per me, una cosa fantastica che però forse esagerava non sapendosi ancora controllare.
Sentii le sue mani cercare l'elastico delle mie mutande, e quando si accinse a spingerlo in basso tornai nel panico.
Ravanava con la sua cintura, intanto, senza però perdere il contatto con le mie labbra, e quindi senza lasciare che attuassi l'unica via d'uscita che avevo da quella situazione: urlare, urlare con tutto il fiato che avevo in corpo.
Sapevo che prima o poi l'avrei fatto, ma intanto lui era riuscito a calarsi le braghe, e mi tappava la bocca con una mano.
Respiravo rumorosamente con le narici, dilatandole, e chiudevo gli occhi per non vedere lo sguardo di Michael, sicuramente terribile.
Poi, sentendo che per un attimo la forza con cui mi spingeva contro il muro era diminuita, sferrai un cazzotto ad occhi chiusi, centrandolo in pieno, e facendolo allontanare.
Mi ricomposi in fretta, impaurita, e poi vidi il mio assalitore piegato in due che si teneva la spalla dolorante con una mano e con l'altra il bordo dei pantaloni che erano scesi all'altezza delle sue ginocchia.
Capii che non ci sarebbe stato bisogno di urlare, che sarebbe bastato un calcio nel punto giusto, e la cosa si sarebbe chiusa lì.
-Perchè l'hai fatto?- mi chiese lui, alzando lo sguardo fino ad incontrare i miei occhi bagnati di lacrime.
Io ero già pronta a dargli il colpo di grazia, ma davanti a tanta impotenza non trovai la forza.
-Come perchè?- ribattei, dura.
Lui sospirò, e si sedette per terra.
-So che forse sono stato un po' violento, ma era comunque quello che volevamo entrambi, no?-
Lo guardai allibita: il volto era stravolto, come se si fosse svegliato da un terribile e movimentato incubo e non trovasse aria per affrontare la realtà, i boxer erano macchiati e stringeva con forza la spalla, come se dovesse tenerla tutta assieme, pezzo per pezzo.
-Ma cosa stai dicendo!- esclamai, indignata.
Lui alzò un sopracciglio chiaro, come fosse incredulo, ma poi cambiò immediatamente espressione vedendo la mia faccia furente.
-Qualsiasi cosa volessi da te non era certo questa, o almeno non così!- spiegai.
Lui annuì, rassegnato, poi alzò lo sguardo soffitto appoggiando le braccia al pavimento, come fingendosi disinteressato.
E questa sua mossa mi diede un fastidio terribile, poiché pareva che fosse rimasto deluso dal mio comportamento noioso e ragionevole, e anche perchè in quella posizione il suo membro pareva fin troppo sporgente, coperto dallo strato sottile e bagnato dei boxer.
Fissai quel punto senza riuscire a distogliere lo sguardo, e sebbene lui se ne fosse accorto non osò cambiare posizione.
-Tirati su quei pantaloni, porco.- lo sgridai, quando la situazione cominciò a diventare insopportabile.
Lui ridacchiò, e poi, di malavoglia, si tirò su le brache, allacciandosele per bene. Poi si alzò in piedi, stranamente calmo, e dandomi un buffetto sul mento mi disse:-Guarda che se avessi voluto l'avrei fatto, non credere di essere riuscita ad allontanarmi.-
Mi venne da ridere, e gli risposi, parlando sottovoce:-E allora perchè ti sei fermato?-
-Perchè non mi andava più.- disse, parlandomi ancora più piano. -Bugiardo.-sputai, e lui ridacchiò.
Mi avvicinai alla porta e feci per uscire, ma sentii un pizzicotto sulla coscia destra che mi costrinse a girarmi.
-Bugiardo e porco.- mi corressi.
Poi uscii, respirando ampie boccate d'aria, felice di aver chiuso la situazione senza urla né botte.
Tornai nella mensa, ma era già vuota, per cui corsi in aula, preoccupata di aver perso la lezione del professor Philips.
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Grazie mille per le quattro recensioni, le mie 4 fedelissime^^
Ringrazio anche chi ha messo la sua storia fra seguite e preferite, ma soprattutto che ha letto e tutt'ora legge le mie parole.
Grazie.


Olga

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Capitolo 3
*** terza vita ***



VITA TERZA




-Mi sono sempre chiesta cosa si provasse...-

Sorrisi, aspirando un'altra boccata di fumo.

Ormai mi girava la testa vorticosamente, ma non volevo cedere, non volevo dimostrarmi inferiore, soprattutto di fronte a Paul.

Attorno a me, seduti in cerchio sull'asfalto bagnato, c'era tutta la band...oddio, ad esserci veramente erano ancora in pochi, essendo gran parte svenuti o in balia del demonio. Sapevo che anche, io, presto, sarei finita male, chissà cos' avrei cominciato a fare!, che figure, che oscenità.. Ma intanto fumavo, scrutata dallo sguardo divertito di Paul che, come un ragazzino, si eccitava nel portare una brava ragazzina di città al più completo disastro, trasformandola in un suo sconcio pupazzo di cui tanto si vantava coi compari.

Fumavo, e bevevo tra le braccia di Paul senza capire nulla, ma incredibilmente felice, allegra, euforica: mi sentivo tanto infuocata, raggiante, piena di vita, che ad un certo punto mi alzai e cominciai a cantare a squarciagola canzoni di cui non ricordavo le parole, saltando e ballando fino a stancarmi.


La mattina, quando mi svegliai, ero nel letto di Paul.

Con un grosso sbadiglio mi alzai e mi scostai le grosse coperte di dosso.

Mi stropicciai gli occhi e cominciai a passeggiare per la stanza vuota: oltre al letto matrimoniale al centro della camera non c'era assolutamente nulla. Le pareti bianche erano schizzate da bevande d'ogni genere, e dalla finestra si vedeva il tetto della casa vicina, corniciato da un aspro cielo grigio.

Poteva essere un giorno qualunque, ma per me non lo era, e prova di ciò era proprio il fatto che fossi in quella orribile camera che tanto amavo.

La porta si aprì di scatto, facendomi sussultare.

-Ciao-, borbottò Paul, stringendo tra i denti un sigaro di cui sentivo l'acre odore.

Non mi voltai, restando a contemplare le tegole scolorite che mi si presentavano dinnanzi agli occhi.

-Hai visto il mio accendino, né?-

-no-

Udii il suo corpo gettarsi senza riguardo sul letto.

Solo allora mi voltai, andandomi a sdraiare al suo fianco, accucciata sul bordo del letto.

Paul pensava, gli occhi spalancati, le sopracciglia corrucciate ed un sorrisetto sulle labbra chiare.

Vestiva un paio di mutande rosse, che assomigliavano molto ad un costume da bagno, ed una canotta che un tempo doveva essere bianca.

-Ascolta, piccola, quelle che verranno saranno giornate molto pesanti per me e la band.-, disse, serio.-Vorrei solo che tu restassi con me ancora un po', se puoi, solo per farmi compagnia... perchè, vedi, senza di te tutto è diverso: suono e canto solo per soldi cercando di non fare a botte coi ragazzi che sai che non sono tutti raccomandabili, e divento un bruto molto facilmente... Insomma, le cose si complicano sempre, ma con te...oh...-, Paul mi strinse fra le braccia affondando il viso tra i miei capelli, -con te sembra tutto così facile! Il mio lavoro miracolosamente mi sembra la cosa più entusiasmante del mondo, ciò che faccio, il passare dei giorni, del tempo in generale, non è più accompagnato dalla noia che divora il cuore dei nostalgici, ma da una voglia di vivere ed amare che poche volte ho provato nella mia vita... e sempre solo quando c'eri tu.-

Mi voltai fino ad incontrare i suoi occhi azzurri, glaciali e rimasi un attimo in silenzio.

C'era qualcosa di terribile che non sapevo.

-Paul, sputa il rospo, cos'hai combinato?-

Lui alzò gli occhi al cielo e mi sorrise.

-È da poco che stai con me ma già hai capito come funziona, eh?-

Sbuffai, attendendo una spiegazione.

-Ma non è successo nulla di grave, piccola, è solo che... Ho bisogno che tu stia al riparo da me senza farti vedere troppo in giro. Nel senso che non devi assolutamente farti vedere da nessuno tranne me e i ragazzi, intesi?-

-Cosa intendi dire, scusa? Perché non dovrei? Se tipo volessi tornare a casa? Vedere degli amici? O anche solo andare al Supermercato a fare la spesa?-

Paul scuoteva tristemente la testa.

-No. Nulla di ciò. Devi stare qui in casa fino a quando non te lo dico io.-

Soffocai una risata, sebbene sentissi un pesante nodo in gola.

-Vuoi segregarmi in casa? Mi stai rapendo? Cos'è successo, per l'amor d'Iddio, Paul!-

L'uomo si fece scuro in volto e si alzò, senza rispondermi.

-Piccola, sappi solo che quelli del tuo mondo sanno essere molto e molto più perfidi di quelli del mio, sebbene spesso sembri il contrario. E non credo che tu debba saperne di più: sei la mia donna, e per quanto intelligente e sveglia ti conviene stare fuori da certi giri da uomini, specie se te lo dico io.-

Sospirai, e mi nascosi sotto al cuscino.

Odiavo quando cominciava a darmi gli ordini, a fare il maschilista, a credersi superiore; di certo aveva combinato dei casini, forse anche solo la sera prima, e ora cercava di farmi intendere che sarebbe certo riuscito a gestirli senza il mio aiuto, ma sentivo che il rinchiudermi non era per proteggere me, ma lui, anche perchè altrimenti non avrebbe mai menzionato con tanta acidità la differenza tra i “due mondi”, come li aveva chiamati lui.

Sebbene fossi giovane ed inesperta non ero stupida, e temevo che i sentimenti che provavo per lui potessero causarmi più dolore del previsto, per questo da allora, sebbene a malincuore, decisi di diffidare di quell'uomo che tanto bramavo, il mio Paul.


A pranzo vennero alcuni dei ragazzi della band, tra cui Rocco, il batterista, e Gian, il bassista, due delle poche persone che mi aveva fatto conoscere Paul con cui avevo stretto amicizia.

Non potendo uscire fui costretta a cucinare sebbene non fosse propriamente uno dei miei hobbies preferiti, e Rocco mi aiutò a servire le pietanze in tavola. Paul si divertì oltremodo a guardarmi alle prese coi fornelli, specialmente quando riuscii a fare bruciare il pollo che cercavo semplicemente di arrostire, ma dopotutto dovette ammettere anche lui che non ero una poi così pessima cuoca.

Mangiammo parlando delle solite scemenze, e fu solo finito il pasto che trovi il coraggio di riaffrontare l'argomento della mattinata, più che altro per vedere come Paul si sarebbe comportato in pubblico.

-Gian,- dissi, decidendo di rivolgermi a lui nella speranza che si rivelasse come sempre scherzoso e ridanciano, - cos' avete combinato l'altra sera?-

Lui non si scompose, ma parlando rivelò un tono teso e nervoso :-Ma, scusa, non c'eri anche tu?-

Annuii, sorridendogli. -Il problema è che dopo aver provato la roba devo essermi addormentata o qualcosa del genere, perchè non mi ricordo assolutamente nulla.-

-Ma guarda che se nessuno ti ha detto nulla vorrà dire che non c'è nulla da sapere, per te.- tagliò corto Rocco.

Gli feci la linguaccia, e Paul, al mio fianco, mi lanciò un'occhiataccia di rimprovero.

-Amore, perchè ti vuoi intestardire con sta storia? Non tutto ti riguarda...- mi disse, mieloso.

-Bè, questo evidentemente sì, dato che mi costringi in casa!- esclamai, esasperata.

Gli altri si guardarono, preoccupati.

-Adesso basta, amore, vai in camera.- ordinò Paul stringendo i denti.

Lo guardai con orrore.

-Ti diverte darmi ordini, eh? Amore qua e piccola là, ma poi mi mandi a quel paese appena smetto di farti le coccole e ti faccio delle domande?-

Rocco sbuffò, accendendosi una sigaretta.

Lo guardai male e continuai, sempre rivolta al cantante del gruppo :- Io l'ho capito che non ti fidi di me, ancora, e che credi che a certe cose non ci arrivo, io, ma ti sbagli, sai?, perchè non solo scoprirò cosa ti preoccupi tanto di nascondere, ma da ora in avanti non ti permetterò più di trattarmi come una serva, non sarò più al tuo completo servizio come una negra, credimi!, e se questo è il prezzo che devo pagare per stare con te, faccio volentieri a meno del tuo falso amore!-

Ormai in lacrime corsi in camera sbattendo la porta, e cercai sotto al letto le mie scarpe, che infilai con tanta fretta da farmi male, poi corsi all'ingresso ed agguantai il mio cappotto, mordendomi le labbra per non scoppiare in singhiozzi.

Mentre m'infilavo quest'ultimo sentii il pavimento tremare sotto i pesanti passi di Paul.

-Dove credi di andare, eh? Non hai capito? Devi rimanere qui, qui t'ho detto, e non uscire!-

Ignorai le sue parole, e girai la chiave della porta d'ingresso.

Lui mi prese per le spalle e con uno scossone mi gettò lontano dall'uscita, contro il muro.

Con un tonfo scivolai sul pavimento.

Strinsi gli occhi vedendo una mano di Paul avvicinarsi fin troppo velocemente al mio volto, e strillai quando percepii il duro contatto con essa, che mi fece gettare il capo di lato e poi in avanti.

Rimasi immobile accovacciata per terra, dolorante, e cominciai a piangere in silenzio.

Gli altri ragazzi erano arrivati ad assistere la scena sentendo i rumori sospetti, e trattenevano Paul dal gettarsi ancora contro di me.

Singhiozzando sentii qualcuno domandarmi come mi sentivo, poi cominciò a girarmi vorticosamente la testa, e svenni.


Mi svegliai sul divano, con una grossa giacca di pelle a mo' di coperta.

Mi alzai di fretta, arrabbiata di trovarmi ancora in quella casa e pronta ad andarmene, ma una voce mi fermò, facendomi rabbrividire.

-Erin, aspetta.-

Mi voltai, e vidi Paul in piedi in un angolo lontano della sala.

Aveva uno sguardo terribile, gli occhi rossi e le labbra tremanti.

-Scusa per quello che ti ho fatto prima, ma devi capire che se ti chiedo una cosa è perchè avrei davvero bisogno che tu la facessi.-

Distolsi lo sguardo dai suoi occhi imploranti e gli andai decisa incontro.

-Paul, -mormorai, con un filo di voce, -mi dispiace ma non ho intenzione di perdonarti, né di aiutarti a combattere il mio, come l'hai definito tu, “mondo”, percui ora uscirò da questa maledetta casa e me ne ritornerò nella mia, perchè non sopporterei di dover stare un attimo di più con un bruto criminale come te.-

Lui sospirò, e strinse i pugni cercando di calmare una violenta ira, poi mi disse, incenerendomi con lo sguardo :-Sei solo una stupida ragazzina di città. Speravo che capissi, lo speravo davvero, credevo che con le maniere buone da te avrei ottenuto tutto, ma se proprio insisti, come ti ho dimostrato prima, so essere anche molto cattivo.-

Indietreggiai, spaventata, ma poi, alzando il mento con sguardo fiero, ribattei :-E allora colpiscimi di nuovo, dimostrati per la belva che sei, e non un ragazzo in cerca dell'amore come volevi farmi credere di essere! Massacrami di botte fino a quando i tuoi amici non dovranno fermarti, e poi ancora, se non ti basta, ma io come donna e persona civile ho dei diritti, sai?, e quelli sono pronta a sbatterteli in faccia sempre e comunque!-

Paul impallidì.

-Come faccio a convincerti di fidarti di me? Perchè non mi obbedisci?- balbettò poco dopo, stanco di litigare.

Gli accarezzai il volto corrucciato e gli dissi, cercando di sembrare convincente :-Dimmi solo cosa c'è che non so, dimmi perchè non vuoi che esca.-

Lui mi abbracciò, e poi mi baciò con foga, stringendomi a sé come se fosse per l'ultima volta, ed io, improvvisamente, capii tutto.


FINE



Ciao a tutti quantiii=))

Lo so, è passato un po' di tempo, ma vi prometto che posterò con più regolarità d'ora in poi^^

Ringrazio le recensioni dei capitoli precedenti e chi ha messo la ff tra seguite/preferite=)

Fatemi sapere cosa ne pensate di questa terza vita, e non demoralizzatevi se non vi è piaciuta, perchè sono sicura che tra le prossime troverete quella che fa per voi!!

Ecco un piiiiccolo assaggino della vita a venire, giusto per stuzzicarvi l'appetito!!



VITA QUARTA




La campagna, con la pioggia, si trasformava: i prati verdi diventavano più opachi, ed il contrasto tra il cielo nero ed il campo di girasoli si faceva ancora più vivo ed intenso.

Un corvo, proprio sopra di me, gracchiò allarmato: come me stava correndo al riparo da quell'acqua scrosciante ed insistente.

Alzai gli occhi al cielo livido, ed aprii le braccia sentendo le gocce fredde e pesanti atterrare su di esse. Sorrisi e chiusi gli occhi, godendomi quegli ultimi, intensi attimi di vita nella natura.

Presto, infatti.....................

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