Spooky Madness di koopafreak (/viewuser.php?uid=168347)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Clinker ***
Capitolo 2: *** Train Wreck ***
Capitolo 3: *** Noodlin' ***
Capitolo 4: *** Groovy ***
Capitolo 5: *** On the nose ***
Capitolo 6: *** Turnaround ***
Capitolo 7: *** Ensemble ***
Capitolo 8: *** Changes ***
Capitolo 1 *** Clinker ***
k
Personaggi:
Luigi (menzionato), Mario (menzionato), Pauline (menzionata), Peach
(menzionata), Bowser Jr. (menzionato), Ludwig von Koopa (menzionato),
OC.
Genere:
Introspettivo, Mistero, Soprannaturale.
Pairing:
Het.
Note:
Nessuna.
Clinker
'Se
le impastano insieme e le dividono in due parti uguali, ne fanno due
normali'.
Magari
chi aveva bisbigliato quella frase, nella vana certezza che lei non
avesse sentito, per “normali” intendeva identiche o alla pari,
cioè più simili come due gemelle di regola dovrebbero essere e non
perché lei era taciturna, maldestra e talmente chiusa e schiva da
rasentare il limite umano concesso: una stramba, insomma, come la
reputavano i compagni di scuola a Brooklyn. La sua era una qualifica
che le avevano affibbiato già da piccolina e che non si era più
scollata di dosso, nemmeno nel Regno dei Funghi.
Lucilla
aveva concluso che, prima di assumere forma fisica, tutta la dose di
prodigiosità destinata a entrambe da ereditare si era invece
incanalata su sua sorella. Gloria era forte, molto più forte di
qualunque altro coetaneo o coetanea, tanto che nella loro vera casa,
in mezzo ai toad, era considerata la degna figlia di Mario e prossimo
paladino del reame. Lucilla invece era malata un giorno sì e uno no e, al
contrario della gemella, non sapeva fare un accidenti di speciale.
Lei non era apparentemente alcunché di speciale, sia per gli
standard dei sudditi della regina Peach che per quelli umani.
In
compenso era cinica, sarcastica e caustica, perché si sa che l'arma
di difesa più raffinata, in mancanza dei muscoli, è l'ironia. Il
tempo bloccata a letto, nelle catene della sua salute trabicolante,
non era stato buttato nell'autocommiserazione e nell'inerzia (magari
giusto un pochino), ma validamente speso col naso in ogni libro
capitatole tra le mani. Il bottino delle sue scorribande letterarie
era consistito in una proprietà linguistica spiccata per la sua età
e un acuto spirito di analisi: doti che, sfortunatamente, saltano
meno all'attenzione in confronto a traguardi più eclatanti, come
divenire la punta di diamante della squadra di pallavolo o stendere
da sola il bullo più temuto della scuola, nonostante lo svantaggio
fisico e il sole negli occhi.
Le
già penose capacità di socializzazione di Lucilla avevano finito
per atrofizzarsi col passaggio dalle elementari alle medie,
agevolandole la ritirata nelle retrovie della classe sino a
mimetizzarsi con la parete. I gradassi non la toccavano solo perché
per Gloria vigeva una sorta di rispetto misto a timore e ammirazione,
e mettersi contro di lei significava automaticamente inimicarsi anche
l'ampia cerchia di amici di quest'ultima. Fino a poco tempo prima le
sorelle avevano condiviso la stessa ombra: dove c'era Gloria,
coraggiosa e peperina, lì c'era anche Lucilla, fragile e timida,
dietro la sagoma protettiva dell'altra. Poi, compiuti dodici anni,
Lucilla aveva espresso il desiderio di una camera tutta per sé e la
soffitta era stata ripulita e trasformata in un ambiente più
confortevole con un letto, una libreria, due finestre che davano
rispettivamente sul fronte e sul retro della casa e un lucernario da
cui poteva sbirciare le stelle.
Pauline,
rassicurata che la salute della figlia si fosse relativamente
stabilizzata, si era dedicata a una fiorente carriera di agente
immobiliare a Brooklyn e ne ricavava molta soddisfazione, avendo
abbandonato il mondo del teatro per stare sempre accanto alla
cagionevole Lucilla nei suoi primi, critici anni di vita.
Prevalentemente era loro padre a occuparsi della casa, quando non era
richiesto altrove a salvare città o reami interi in giro per il globo. Andava molto fiero della sua cucina ed era ben deciso a
rendere partecipi le figlie del patrimonio culinario tramandato dai
loro nonni. Purtroppo anche l'attitudine gastronomica doveva aver
saltato una generazione, cioè mezza, visto che Gloria, proprio come
Mario, privilegiava del dono straordinario (e sovente irritante) di
essere brava in qualunque cosa.
La
regina Peach invitava volentieri la famiglia del paladino al suo
castello splendente e qualche volta c'erano anche alcuni dei figli a
scorrazzare lì in giro. Ludwig deteneva l'autorità assoluta e tutti
i fratelli rispondevano ai suoi richiami, sebbene non fosse colui
designato al trono: i genitori avevano congiuntamente stabilito che
il più giovane degli eredi Toadstool Koopa avrebbe governato
entrambi i reami. Bowser Jr. pareva beatamente ignaro del peso degli
oneri che lo attendevano dietro l'angolo, svignandosela dai
precettori a ogni occasione e con la testa da diciassettenne persa
dietro svaghi e ghiribizzi. Non era raro scorgere Ludwig trascinarlo
per i corridoi, stringendo tra le grinfie una delle corna ai lati
della criniera scarlatta come una mamma che tira un bambino
disubbidiente per un orecchio.
La
verità era che i fratelli più grandi si fossero resi fonte di guai un
po' troppo spesso per i gusti del popolo di Peach, ai tempi dei
rapimenti con cadenza quasi mensile, e il Regno dei Funghi covava
maggiori speranze nel più giovane della discendenza per redimersi
della cattiva fama consolidatasi in anni. Tuttavia i sovrani non
avevano scartato in origine l'idea di proporre Ludwig in linea di
successione, istruito e promettente, ma il maggiore aveva abdicato in
favore dell'ultimogenito.
«
Mio fratello fa ancora in tempo a scrollarsi la pessima
reputazione che ci siamo costruiti agli occhi dei sudditi di nostra
madre »
le aveva confidato senza traccia di risentimento, quando lei
si era fatta timorosamente avanti per scoprire la ragione dietro
l'impensabile rifiuto. Lucilla si rattrappì nella sua felpa oversize
avvertendo le guance avvampare, come le capitava ogni volta che la
mente volgeva al principe koopa. Oltre che affascinante, era anche di
animo davvero generoso.
La
bambina custodiva con gelosia il ricordo di lui che le aveva detto,
esattamente un anno prima, mentre lei se ne stava come al solito
rannicchiata in disparte in compagnia di un libro e sua sorella era
presa da un incontro di basket con Larry e Roy, che trovasse carino
il suo nome. Era stato un complimento inaspettato, dal suono
baritonale ma dolce, accompagnato dall'accenno di un sorriso sui
lineamenti perennemente seriosi. Quando Ludwig le aveva parlato, una
scossa le aveva pervaso il corpo gracilino: si era sentita rinata,
felice come mai prima di allora dopo un lungo sonno senza sogni, dove
i giorni si alternavano incolori e lei si limitava a sopravvivere nel
proprio distacco dietro un muro gelido da cui era improvvisamente
filtrato uno spiraglio di sole.
Ludwig
aveva inoltre apprezzato il suo interesse per la lettura, asserendo
che avrebbe gradito altrettanta passione nell'autoarricchimento da
parte del fratellino, e Lucilla aveva praticamente sguazzato in brodo
di giuggiole. Dunque la brevissima conversazione si era conclusa lì,
perché il koopa era sempre stato un tipo verbalmente oculato, ma,
qualche mattina dopo in cui la ragazzina si era ritrovata di nuovo
allettata, con spasmi di tosse che la squassavano e la spossavano, il
postino aveva bussato alla porta per riferire che il principe Ludwig
von Toadstool Koopa le avesse intestato l'abbonamento permanente alla
biblioteca di Fungopoli e che, da quel momento, lei poteva ordinare i
libri che voleva e farseli recapitare direttamente a casa. Alcuni
cavalieri si presentavano anche con guscio puntuto e artigli al posto
del destriero e armatura scintillante.
Tuttavia,
le romanticherie erano state temporaneamente surclassate nelle
priorità di Lucilla, perché un grande mistero era sul punto di
essere risolto quella sera stessa: zio Luigi. Anche lui era uno
strambo e, nella loro mutua stramberia, questi e Lucilla avevano
stabilito una certa intesa. Lo zio era il tipo più interessante che
la nipote conosceva (escludendo il principe Ludwig), ma, purtroppo,
non faceva loro visita molto spesso: due volte l'anno per la
precisione, una per il compleanno delle bambine e l'altra per il
proprio e del fratello. Ogni tanto telefonava e non sempre rispondeva
quando lo cercavano. La sua latitanza dalla vita familiare era motivo
di profondo turbamento per loro padre che non era mai riuscito a
convincerlo a farsi vivo più spesso. Anzi, a volte l'insistenza di
quest'ultimo sfociava nella collera di fronte al puntuale declinare
dello zio che, al contrario, non si scomponeva di un millimetro e, se
gli animi iniziavano a scaldarsi, toglieva garbatamente il disturbo
per ripresentarsi in seguito come se nulla fosse accaduto.
Suo
zio parlava con gli spettri e per questo si faceva chiamare
“fantasmologo”, che non era un'attività universalmente
riconosciuta essendo lui il primo e unico pioniere: li ascoltava e li
aiutava a venire a patti con la loro condizione e a risolvere le loro
faccende in sospeso, affinché potessero trovare la pace dopo il Game
Over. Lucilla amava le storie che le raccontava, così diverse dai
soliti resoconti trasudanti di vittorie e autocelebrazione del padre
ogni volta che questi faceva ritorno da un'impresa: storie commoventi
e tormentate che potevano tuttavia concludersi con un sorriso, uniche
fra loro, con protagonisti che non avevano alcun dono speciale,
eppure la loro avventura non era meno degna di essere riferita.
Secondo i genitori, Luigi era ossessionato dalla sua vocazione,
siccome il suo non si definiva effettivamente un lavoro, errando per
il mondo alla costante ricerca di spiritelli smarriti, tanto da
dimenticarsi coloro che lo avevano caro. Di lui non si accennava
quasi mai per evitare che Mario si rabbuiasse e persino loro madre ci
andava cauta sull'argomento.
Pauline
si raccomandava con le bambine di essere estremamente gentili con lo
zio, ribadendo che fossero ormai le sole capaci di convincerlo a
riallacciare i rapporti coi vivi. In particolar modo, era Lucilla
quella con cui si era creato un legame ancor prima che lei nascesse.
Era stato Luigi infatti a sceglierle il nome: la mia lucciola,
la mia lucetta la chiamava con tenerezza. Mario aveva deciso
per Gloria e Pauline aveva invece ceduto il privilegio al cognato,
pur di riavvicinarlo alla famiglia, ignorando i rimbrotti del marito.
Quando i dottori avevano concordato che Lucilla fosse finalmente
fuori pericolo, dopo giorni interminabili di accertamenti, i Mario
avevano fatto ritorno a casa con un fagottino rosa ciascuno e,
poggiati alla porta, giacevano due bellissimi fasci di ginestre
bianche invece dei classici bouquet per bebè. «
Figurati se lui non doveva distinguersi »
aveva commentato asciutto loro padre.
Ad
ogni modo, Lucilla aveva intuito che vi fosse qualcos'altro sotto,
sorvolando sul chiodo fisso per la fantasmologia. Vi aveva ponderato
scrupolosamente, aveva spigolato informazioni in ogni singolo manuale
sull'occulto imprestato dalla biblioteca, oltre ad aver fatto ricerca
online, e aveva maturato la certezza di aver scovato infine il
terribile segreto: suo zio era un vampiro.
Era
un sospetto che la piccola serbava quietamente da diverso tempo,
avendo sommato uno ad uno i campanelli di allarme intercettati: Luigi
non si presentava mai prima del tramonto, come se rifuggisse la luce
del sole; sebbene lui e suo padre fossero gemelli, adesso Mario
sembrava salito di grado a fratello maggiore mentre lo zio non aveva
neppure un accenno di ruga in faccia; inoltre quest'ultimo
condivideva la medesima sobrietà di un becchino nel vestire, a
conferma della norma secondo cui i vampiri non indossavano colori
appariscenti per agevolare la caccia notturna e, in secondo luogo, il
nero donava charme per irretire le vittime.
Per
nascondere il pallore della pelle e i denti da ematofago bastavano del
trucco da attore e una protesi, e che lo zio ingerisse il loro stesso
pasto poteva trovare spiegazione nel fatto che non stava scritto da
nessuna parte che un alimento diverso dal sangue fosse letale per i
vampiri; sicuramente non adatto, ma nemmeno letale. Magari gli
avrebbe causato un tremendo mal di stomaco e lo avrebbe costretto a
vomitare una volta fuori dal loro campo visivo, di fatti lo zio non
si fermava mai per molto dopo aver cenato insieme. La mente della
bambina delineò ubbidiente l'immagine di Luigi avvinghiato al vaso
sanitario in bagno, come in preda a una delle peggiori sbornie mai
prese.
Sull'altro
piatto della bilancia, un paio di fatti remavano contro la teoria appena esposta: a dispetto delle credenze più antiche, lo zio si rifletteva
negli specchi esattamente come un qualsiasi comune mortale e poteva
varcare con disinvoltura la soglia di casa senza che nessuno gli
esprimesse vocalmente il permesso di entrare. Secondo i dati
raccolti, ai vampiri è concesso di introdursi in un dominio altrui a
patto che il padrone abbia prima scandito il benvenuto, altrimenti
l'aura vitale degli abitanti passati e presenti a impregnare la
dimora avrebbe corroso il guscio di carne, rivelando la loro
vera natura. Nell'ultima visita da parte di Luigi, la nipote gli aveva
aperto la porta per testare il principio, scansandosi senza emettere un fiato e l'ospite aveva attraversato illeso l'ingresso e
di conseguenza smentito quella che era soltanto una diceria
folcloristica. In merito al discorso del riflesso, anche in tal caso
poteva trattarsi di una banale leggenda stokeriana imbevuta di
superstizioni religiose, proprio come con l'aglio e coi crocifissi
assolutamente sopravvalutati.
Tuttavia,
un ulteriore dettaglio a conferma dell'idea di Lucilla si era
aggiunto a spronare la piccola nella sua missione di smascheramento:
le impronte dello zio, o meglio, quelle che non c'erano. Luigi aveva
spiegato loro che, a causa degli impegni assolvibili solo di
notte, il suo orologio biologico si era ormai invertito, ovvero che
il tramonto per lui corrispondeva all'alba e vice versa. Per tale
ragione a casa si posticipava la cena così da permettergli di
protrarre la permanenza e lo zio levava le tende quando fuori era
calata notte fonda. Per non infastidire i vicini Luigi si premurava
di parcheggiare la moto poco lontano, al limitare del bosco, e la
mattina dopo Lucilla aveva seguito le orme di quest'ultimo sul
sentiero che si biforcava dalla strada principale e che conduceva
nella foresta. Quasi non si sorprese nell'attimo in cui si
interruppero bruscamente, come se il piede che Luigi aveva sollevato
non avesse più toccato terra. Ovviamente non si era vista neanche
mezza traccia di pneumatici in giro e Lucilla aveva dunque compreso
di trovarsi nel punto preciso, godendo della presenza ingombrante
degli alberi per passare inosservato, dove lo zio aveva abbandonato
le spoglie umane per trasformarsi in un bellissimo pipistrello.
Malgrado
la bambina sentisse che i tasselli coincidevano, gli indizi
elencati non erano certo abbastanza per convincere almeno un goomba
tendenzialmente credulone, figurarsi gli scettici più incalliti.
Serviva una prova così schiacciante da sgominare ogni obiezione,
ed ecco perché Lucilla aveva aspettato ancora, altri mesi di segreti
e progetti, fino alla sera del suo tredicesimo compleanno.
Avrebbe
dimostrato a tutti la verità che avevano avuto sotto il naso senza nemmeno immaginare.
Avrebbe
dimostrato a se stessa di non essersi sbagliata.
Nota
d'autrice:
E
fu così che, dagli accordi stridenti e dalle languide stonature
della Danse Macabre, siamo passati al ritmo sbrigliato e
saltellante dello swing. Il titolo che ho preso in prestito per
questa fanfiction appartiene a una canzone composta dai Big Bad
Voodoo Daddy. Quando la
ascolto mi ispira l'immagine di una festa gigantesca dentro una casa
infestata.
|
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Capitolo 2 *** Train Wreck ***
k
Personaggi:
Luigi, Re Boo, Mario (menzionato), Pauline (menzionata), Daisy
(menzionata), Bowser (menzionato), Peach (menzionata), Altri
personaggi (menzionati), OC.
Genere:
Introspettivo, Mistero.
Pairing:
Het, Shonen-ai, Crack pairing.
Note:
Tematiche delicate.
Train
Wreck
Due
ore! Ben due ore di ritardo, il galantuomo, e senza nemmeno
scomodarsi di avvertire. Le verdure erano così ansiose di cuocere
che stavano ormai considerando l'idea di darsi fuoco per protesta. Il
rispetto per gli impegni altrui dov'è andato a finire? Domani le
bambine hanno scuola e Pauline deve alzarsi presto. Le scuse sono
irrisorie. Può il signore condividere con noialtri umili mortali,
invece, l'avvincente ragione di sì tanta tardanza? Un eccitante
colloquio riguardo l'influenza dello stile galante sulla sinfonia
mozartiana? Oserei dire un autentico spasso. Con chi, di grazia?
Una recente amicizia? Non
lesiniamo sui particolari, sia mai. La signorina Melody
Pianissima? Questo è interessante. Dove vi sareste conosciuti?
In un cimitero?...
Il
tono plumbeo nel ripetere la risposta conclusiva aveva espresso in
maniera nitida l'estinzione ineluttabile e definitiva delle speranze
di Mario in una rinata, sana frequentazione di persone vive da parte
del fratello. « Fammi indovinare: davanti al suo loculo? » aveva
chiesto poi con malcelato sarcasmo, tornando ai fornelli per
provvedere alla cena e senza attendere la replica che gli era giunta
con altrettanta pacatezza delle precedenti.
«
Attualmente risiede in una cripta. Gli spazi ristretti la snervano. »
Lucilla
aveva sorriso tra sé. Il solito zio Luigi. Francamente non le
pareva il tipo che si sarebbe accompagnato a una donna, per quanto le
voci sugli antichi bollori per la regina di Sarasaland ronzassero
ancora nel cicaleccio quotidiano, ma aveva tenuto per sé tali
osservazioni. Si accovacciò dietro i cespugli, cercando di occupare
il più piccolo spazio possibile mentre avvertiva i passi dello zio
procedere flemmatici sul sentiero principale. Le orecchiette
triangolari sul capo si appiattirono e la coda di volpe le si avvolse
intorno a una gamba. Le vertigini le avevano quasi giocato un brutto
scherzo quando si era librata silenziosa dalla finestra sul retro.
«
Buon compleanno, mie principesse. » Luigi aveva disteso le labbra in
uno dei suoi sporadici sorrisi e porto alle nipoti un sacchetto di
raso ciascuno del loro colore preferito: un bello scarlatto vibrante
per Gloria e un acquoso verde coccodrillo (più comunemente noto come
“verde pino silvestre”) per lei. Le piacevano i doni dello zio,
mentre Gloria si sforzava sempre di non storcere il naso. 'Mi
raccomando, bambine', aveva l'abitudine di dire la mamma, 'quando
vi portano un regalo, apritelo con premura davanti a chi ve lo ha
dato e dimostrate il vostro piacere. Nel caso non vi piacesse
mostratevi contente lo stesso, perché hanno speso del tempo nel
cercare una cosa a voi gradita'.
«
Un cellulare nuovo mi avrebbe fatto veramente comodo » aveva
commentato la sorella una volta fuori dalla portata d'orecchio dello
zio, rigirandosi tra le mani il rompicapo cinese sotto uno sguardo
scettico e rimpiangendo la serata mancata coi compagni di classe al
Brooklyn Bowl. Lucilla aveva ricevuto un caleidoscopio antico in
ottone da aggiungere alla sua collezione, decorato con intagli
floreali e una corolla di perline in turchese alle estremità: il
venticinquesimo pezzo, per l'esattezza, di cui tredici, incluso il
più recente, da parte di zio Luigi. Gloria, assai meno entusiasta
della peculiarità degli omaggi, già da parecchio le aveva ceduto
disinteressata i diritti sui rompicapo accumulati, così Lucilla
finiva per rimediare due regali di compleanno dalla stessa persona.
Sia i giochi di ingegno che i caleidoscopi e i taumascopi
costituivano un ottimo diversivo nelle giornate storte (i primi le
rendevano meno tediose e i secondi le tingevano di bellezza), e a
ogni ricorrenza aumentavano l'elaboratezza dei disegni di luce e di
ragionamento.
La
ragazzina estrasse la videocamera a infrarossi regalatale su
richiesta, preparandosi a immortalare la scena tanto attesa: il
momento esatto in cui l'enigmatico Luigi Mario, il primo vampiro
presto documentato nella storia, si tramutava in uno dei più
incompresi fra gli animali notturni meno amati. Si era beccata un
rimprovero da parte dei genitori per aver convinto i nonni a
procurarle un apparecchio così costoso, parandosi dietro l'amore
sconfinato per lei, la più fragile, la più bisognosa di stimoli, ma
il fine giustifica i mezzi. Udì lo zio camminarle davanti, a meno di
una decina di metri, e spinse delicatamente l'obbiettivo tra il
fogliame per i suoi scopi spionistici.
Sebbene
Luigi insistesse sul dover attenersi a orari rigorosi che non gli
concedevano nemmeno qualche ora in più in famiglia, non le
trasmise
tanta urgenza di tornarsene chissà dove; al contrario,
restò a
lungo immobile dandole le spalle, forse smarrito in antiche nostalgie
rianimate, a osservare la Fungopoli dormiente, il punto di partenza
delle sue avventure, il bello ovile, piena di affetti e ricordi. Era
talmente assorto da suscitarle l'impressione che nemmeno respirasse.
Infine,
lo zio fece per ripiegare verso il cuore del bosco e Lucilla aumentò
la distanza focale, pronta a catturare l'istante clou della
metamorfosi, quando l'attore ignaro si voltò di scatto nella
direzione del riparo, scuotendola dalla punta dei capelli a
quella dei piedi in un fremito di spavento. « Chi è là? » La voce
di Luigi fendette accusatoria il silenzio.
Il
sangue dell'appostata si gelò nelle vene e non solo per essere stata
scoperta: gli occhi dello zio nell'immagine in toni di verde non
avevano il tipico riflesso di luce “viva”, anzi non vi era alcuna
vita in essi. Erano due fosche cavità dove, al loro centro, sospesa
nel vuoto, dimorava una radianza sinistra della grandezza di una
pupilla.
«
So che sei lì nascosto. » Luigi serrò i lineamenti in un'espressione
guardinga, fissando ostinatamente il cespuglio a schermare la bimba
rannicchiata.
Sebbene
Lucilla si fosse ripromessa di mantenere calma e lucidità in
qualsiasi circostanza, lo sguardo spettrale puntato dritto addosso
scrollò il suo istinto di sopravvivenza e la ragazzina combatté con
la tentazione di volar via in ritirata, realizzando di aver
sottovalutato la superiorità percettiva del vampiro che mosse un
passo verso di lei.
Quanto
filmato era sufficiente a provare che il protagonista non era per
niente umano e, se questi si fosse accorto di essere stato
incastrato, avrebbe per prima cosa fatto sparire la telecamera, ben
più attendibile di una bambina malaticcia e patita dell'occulto nei
panni di testimone oculare. Lucilla si trovò di fronte a un bivio:
togliere l'oggetto dalla vista e risparmiare allo zio il disturbo di
venire a prenderla, consegnandosi spontaneamente e simulando
inconsapevolezza dell'effettiva realtà, oppure giocare un'ultima
carta. Determinata a perseguire la sua missione sino all'ultimo
incriminante secondo registrabile, lasciò che la coda volpina del
power-up spuntasse dal riparo, sfiorando languida gli steli d'erba.
Nonostante
il buio pesto sotto la cupola frondosa, Luigi parve distinguerla e si
arrestò incerto.
Il
timer della videocamera scandì secondi carichi di tensione nella
quiete anomala creatasi tutt'intorno, senza nemmeno i suoni della
natura a occultare il respiro della ragazzina che trattenne il fiato
per quella che le sembrò un'eternità, finché lo zio non si decise
a non importunare una povera bestiola che probabilmente stava
consumando il suo pasto.
Il
sollievo della vittoria aveva acuito persino il profumo erboso
dell'aria che Lucilla aveva ricominciato a inalare. Non si era mai
accorta prima di quanto le piacesse quell'odore.
Luigi
si gettò un'ultima occhiata addietro, indirizzando un saluto silente
alla sua vecchia casa e, sicuro della segretezza fornita dalle
tenebre, ricondusse lo sguardo avanti in segno di concentrazione e
qualcosa che la ragazzina non aveva previsto accadde: si alzò
dapprima un vento gelido che le condensò il respiro e che le punse
la pelle scoperta, poi lo zio non si trasformò, ma disparve. Un
varco gli si era aperto di fronte e questi lo aveva attraversato a
gamba tesa. « Per me si va ne la città dolente, per me si va ne
l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente » citò tra
sé i tetri versi prima di essere inghiottito dal nulla cosmico che
nemmeno gli infrarossi riuscivano a dissipare.
No,
non puoi farmi questo! Lucilla
balzò in piedi furibonda. L'ingrato le aveva dato a malapena un
assaggio delle novità promesse da mesi e aveva osato mollarla con un pugno di micragnose briciole. La frustrazione e la stizza
quasi le fecero soffiare vapore dalle orecchie. Era stato spaventoso
e inebriante allo stesso tempo. Il brivido dell'ignoto, i sussulti di
paura, l'adrenalina del rischio, l'esaltazione del successo: ecco
cosa provava suo padre in ogni avventura. Adesso la sua, invece, le
era appena scivolata via dalle mani come un'ennesima beffa da parte
del destino che con lei doveva essersela risa di gusto sin
dall'inizio.
Il terrore di ciò
che l'avrebbe accolta dall'altra parte del portale era forte, ma,
rispetto a quello che l'aspettava una volta che la salute avesse
fatto di nuovo cilecca, ferma per giorni e giorni a letto, inutile e
compatita, a maledirsi fino all'ultimo respiro per non aver colto al
volo forse l'unica occasione di rivalsa nella sua vita, fu nettamente
più straziante.
La
spaccatura dimensionale cominciò a restringersi e Lucilla lasciò
cadere sull'erba la videocamera che avrebbe recuperato al ritorno (se
fosse mai tornata) e, grazie all'agilità maggiore garantita dal
power-up, coprì la distanza con un singolo e sgraziato tuffo in
avanti per precipitarvisi a occhi chiusi.
La
testata contro il fondoschiena dello zio fu clamorosa,
sbalzandolo malamente in avanti con un grido di sorpresa, susseguito
da un altro la cui voce suonò completamente estranea alla ragazzina
che atterrò su un tappeto. La tuta kitsune si dissolse a causa
dell'impatto, lasciando il posto a jeans, felpa e scarpe da
ginnastica. Raddrizzando gli occhiali sbilenchi l'intrusa sollevò lo
sguardo e mise a fuoco un groviglio di braccia e gambe che le ricordò
un grosso scarafaggio ribaltato. A giudicare dalla quantità di arti
ad agitarsi, qualcuno aveva atteso il ritorno di Luigi al tepore
soffuso del caminetto acceso, sulla costosa poltrona imbottita che,
oltre al secondo individuo, aveva attutito la caduta.
Il
primo arrivato si rimosse dalla posizione compromettente tra le gambe
dell'altro tizio e rotolò di lato, finendo col posteriore sul
pavimento. L'espressione stupita sui suoi lineamenti si tramutò in
una di panico non appena si avvide dell'identità dell'attentatore.
Tuttavia, Lucilla prestò maggior considerazione alla faccia dello
sconosciuto, innaturalmente tonda e di un bianco vinilico. Il cuore
della ragazzina mancò un battito, incontrando le pupille fosforiche
e sospese nelle scure cavità orbitali che la inchiodarono sul posto,
scintillanti come punte di proiettili in fondo alle canne di un
fucile. In quegli occhi diabolici non dimorò solo sorpresa nel
vederla, ma anche qualcos'altro che la fece rabbrividire,
avvertendosi oggetto di un'importante decisione che dietro di essi si
stava valutando.
Luigi
ignorò vesti e capigliatura in disordine e le si chinò davanti per
controllare che non si fosse fatta male, manifestando tanta
agitazione addosso quanta lei mai gliene aveva vista prima. «
Lucetta mia, stai avendo il più pazzesco dei sogni. » La aiutò a
rialzarsi, carezzandole il viso e cingendole una mano per condurla
indietro nel gorgo che cominciò a spalancarsi nuovamente, simile un
buco nero in miniatura.
Suo
zio fece per portarla via, ma lei non poté trattenersi
dall'incrociare ancora lo sguardo feroce del tipo che pareva spuntato
fuori da un museo del Settecento. Gli occhi bui non l'avevano
abbandonata un attimo.
Rammemorandosi
di tutte le storie che suo padre aveva raccontato a lei e a sua
sorella, nelle notti in campeggio davanti al fuoco, un nome le
affiorò senza indugio alle labbra. Il resto del suo aspetto non
coincideva con l'immagine nella mente della ragazzina, ma la faccia e
lo sguardo erano inconfondibili. « Tu sei Re Boo! » esclamò
sbigottita.
Il
tempo nella stanza si cristallizzò. Suo zio si bloccò come di sale
e persino lo spettro famigerato, che già non aveva manifestato
chissà quale vivacità, prese a somigliare alla statua di Abraham
Lincoln. Il portale cessò di espandersi oltre il diametro di un
oblò, poi si richiuse rinvigorendo la danza del fuoco a causa dello
spostamento d'aria. Trascorse qualche secondo di silenzio assordante
prima di una reazione.
Le
labbra del fantasma si distesero in un sorriso di denti aguzzi che le
rievocò l'immagine di una tagliola appena scattata. « Enchanté.
» Si erse e compì un inchino teatrale, ruotando
il polso con eleganza. « Onorato che la mia
reputazione ancora mi preceda, dopo tanti anni di ritiro
dall'attività di antagonista conclamato. »
Luigi
gli indirizzò un'occhiata quasi implorante, ma il sovrano non vi
diede peso: la frittata era fatta. « Ebbene, una sedia e qualcosa da
bere per la nostra ospite. » Re Boo si voltò in direzione
della cucina dove un altro fantasma stava sbirciando timidamente da
dietro lo stipite. Fu allora che Lucilla si accorse che la
conformazione interna della casetta era identica a quella dove ora
viveva la sua famiglia, sebbene lo stile fosse decisamente più
antico e raffinato.
Il
secondo spiritello sfrecciò solerte e le sistemò dietro il mobile,
fluttuandosene via di tutta fretta. Un po' a disagio,
Lucilla lo occupò unendo le ginocchia e abbassandosi il cappuccio. «
Mi spiace di essere piombata qui senza essere stata invitata.
»
«
Hai ereditato l'irrefrenabile curiosità di tuo zio. » Il sovrano si
riaccomodò languido sulla poltrona come fosse un trono, padrone
della situazione. Non le sembrò contrariato della sua invadenza, né
allarmato come Luigi, semmai circospetto, intento a studiarla con
molta attenzione. « In effetti, denoto una certa somiglianza ora che
vi ho davanti così vicini. »
Lucilla
si era sentita paragonare assai più spesso allo zio piuttosto che al
padre, non solo per una questione fisica. « Me
lo dicono in tanti. »
«
Ad ogni modo, ma chère, non hai motivo alcuno di temermi.
Come ho già accennato poco fa, non sono più dedito al Male in tutte
le sue sfumature né alla persecuzione di idraulici partenopei sulla
faccia di questo mondo » la rassicurò
lo spettro, giungendo le mani guantate sul grembo e intrecciando le
dita. « Quando la Terra Oscura e il Regno dei Funghi si sono
congiunti sotto un'unica effige, il mio vincolo di vassallaggio nei
confronti di re Bowser è stato sciolto definitivamente e da allora,
grazie soprattutto all'assistenza del tuo prodigo zio, sono riuscito
a imbarcarmi in un impegnativo percorso di riabilitazione per
lasciarmi addietro le dannose abitudini di una lunga carriera da
cattivo. »
«
È vero » garantì Luigi, appoggiandole un palmo sulla spalla. «
Ciò che ti ha raccontato tuo padre fa parte di un capitolo chiuso
nel passato. Adesso Re Boo è un mio caro amico e non farebbe nulla
per nuocere te o chiunque altro. »
«
Ogni tanto mi concedo lo sfizio di atterrire qualche avventore
nelle mie dimore infestate » ammise il fantasma col
ghigno giocoso di un bambino che confessa una marachella. «
Dopotutto, resto pur sempre un boo. » Alzò una mano in
segno di resa.
Lucilla
nutrì dei dubbi sulla conversione dello spettro più potente mai
esistito e si chiese se suo zio non fosse tenuto prigioniero o magari
la sua volontà era stata soggiogata. « Non ti manca essere
un cattivo? »
«
Io sono un cattivo, e questo è
bello. Non sarò mai buono, e non è brutto. Non vorrei essere nessun
altro a parte me. » Re Boo recitò il mantra
che lei aveva udito proferire una volta dal burbero marito della
regina Peach. « La Anonima Cattivi non ha
preso bene la mia decisione, ma il loro caffè annacquato non lo
rimpiango di certo » aggiunse con
indifferenza. « Suppongo che rimarrà sempre una radice
malvagia in me, ma non sarà essa a governare le mie azioni d'ora in
avanti. »
Dunque
non ha ripudiato il suo ruolo, semplicemente ha smesso di metterlo in
pratica. Lucilla annuì, nient'affatto
convinta, ma si impose di stare al gioco, ansiosa di dare voce alla
scarica di domande che serbava dentro di lei. Il domestico fece
ritorno con un bicchiere di limoaranciata alla menta con ghiaccio,
preparata con agrumi freschi: la sua bevanda preferita. Quando il boo
staccò gli occhi da terra per rispondere al ringraziamento
nell'accettare la delizia, la ragazzina realizzò che si trattasse di
una femmina. « Come ti chiami? » le chiese amichevolmente.
La
fantasmina batté le palpebre e tartagliò qualche flebile sillaba,
intimidita dall'essere appena divenuta il bersaglio degli sguardi
collettivi.
«
Ci ha permesso di battezzarla Ombretta, siccome non ha ricordi della
sua identità precedente. » Si intromise Luigi
prima che la poverina si squagliasse di imbarazzo. «
Lei è la nostra governante. »
Essendole
stata rammentata la sua posizione, la boo cercò di darsi un contegno
di fronte all'ospite importante: irrigidì l'espressione, giunse le
zampette e gonfiò il petto per assumere un tono professionale,
arricciando la codina all'insù. L'effetto fu quello di rendersi
ancor più adorabile e Lucilla dovette sforzarsi di reprimere
l'impulso di strizzarla tra le braccia, considerandola l'anello di
congiunzione tra una foca di peluche e un marshmallow. Fu il
turno delle presentazioni anche per Poltercucciolo che, destatosi dal
sonnellino dopo aver intercettato l'odore di una nuova presenza, si
precipitò giù dalla camera al piano di sopra per porgere i suoi
sentiti omaggi con una dose generosa di leccate in faccia. Lucilla
drizzò le orecchie quando lo zio lo definì “il nostro
cane”, ma fu attenta a non lasciar trasparire interesse.
L'atmosfera
si era sensibilmente rilassata e la situazione le divenne più
chiara. Luigi non le sembrava condizionato in alcun modo dal fantasma
e quella in cui lei si era introdotta di sua iniziativa non era una
prigione o un covo segreto dove ordire trame e insidie, ma la casa
dello zio che sinallora aveva fatto credere alla famiglia di vivere
da girovago senza dimora fissa. La ragazzina consegnò il bicchiere
vuoto alla boo e pensò a una carineria da dire per compiacere il
sovrano, i cui favori preferiva ingraziarsi. Vi era inoltre l'obbligo
morale di rimediare alla brusca entrata in scena. « Mi hanno
riferito cose spaventose su di lei... voi... Sire. »
«
Puoi continuare a darmi del tu. » Re Boo parve gradire, accettando
l'elogio con un guizzo divertito ad accendergli per un istante le
pupille spettrali. « E sono tutte vere, signorina. »
La
virtù della discrezione venne momentaneamente accantonata da una
galoppante curiosità: la stessa che aveva spinto Lucilla a infilarsi
nel portale con la grazia di un ariete da sfondamento. « È
vero anche che divori i bambini che la sera non vanno a dormire
presto? »
Gli
occhi del fantasma lampeggiarono di nuovo. « Solo nei
week-end. Il resto della settimana mi piace tenermi leggero. »
«
E che di notte ti nascondi sotto i letti per terrorizzare quelli che
sono stati cattivi? »
«
Dico, hai idea di quanto sia poco igienico? Si contano sulle dita di
una mano ormai le case dove si ricordano di pulire regolarmente lì
sotto e sfido chiunque a non schifarsi su un tappeto di lanugine. »
«
E che ti diverti a spaiare i calzini nella lavatrice? »
Re
Boo aggrottò appena le arcate sopraccigliari glabre. «
Questa mi è nuova » commentò perplesso, chiedendosi
cosa avrebbe dovuto farsene dopo di tutti gli indumenti vedovi. «
C'è altro per cui qualche genitore squinternato ha deciso di
incriminarmi? »
«
Sì, ma prima vorrei regolare i conti con zio Luigi. »
La bambina si alzò in piedi per piantarsi esattamente davanti al
soggetto in questione. Le iridi cerulee della fresca generazione Mario
si scontrarono con pari forza con quelle della precedente. « Voglio
la verità. »
L'altro
non rispose subito. « Non ti piacerebbe. »
«
So che tu non sia chi vuoi farci credere di essere. Sono pronta a
qualsiasi delucidazione a partire da qui. »
Si
protrasse una pausa in cui la maschera di Luigi vacillò e le sue
labbra si serrarono in una linea.
«
Intendi tenermi rinchiusa per sempre, ora che sono davvero entrata
nella tua vita? » volle appurare Lucilla.
«
Certo che no! » Lo zio le parve genuinamente inorridito
all'idea e ciò la tranquillizzò in parte.
«
Allora prometto di non farmi scappare detto nulla su cosa ho visto
stasera, se sarai finalmente onesto con me. Puoi cominciare
spiegandomi perché non invecchi come papà e tutti gli altri. »
«
Dieta vegana ed esercizio regolare. »
«
Non ti ho investito per sciropparmi altre balle. »
«
Una fisioterapia sperimentale che... »
« Dovevo colpirti più forte. »
«
La verità che cerchi è proprio intorno a te, ma chère. »
Intervenne pacato Re Boo, ponendo fine all'inconcludente botta e
risposta.
Luigi
gli rivolse un'espressione tradita che probabilmente era già stata
testimoniata sul volto di Giulio Cesare, un nanosecondo a separarlo dalle
pugnalate inflitte dal figliastro Bruto.
«
Non fare quella faccia. Non v'è ormai messinscena che regga e la tua
sveglia nipotina aveva capito quanto basta ancor prima di renderci
visita » replicò lo spettro, stringendosi una tempia
con due dita e squadrandolo scettico di sbieco. « O contavi sul
serio di riuscire a spacciarle gli ultimi eventi come un'illusione
onirica? »
Lucilla
spostò lo sguardo sui tre astanti, dal lugubre monarca sulla
poltrona alla tenera Ombretta, che fissò in basso intimorita nel
trovarsi coinvolta in circostanze tanto delicate, e infine su
Poltercucciolo che inclinò il musetto, confuso dal pesante silenzio
calato nella stanza. « Sei morto. » La voce le tremò, dirigendo di
nuovo l'attenzione sullo zio.
Luigi
si chinò per portare gli occhi di entrambi alla medesima altezza,
stringendole piano le spalle. « È stata una fase di transizione,
una metamorfosi. Non ho mai lasciato questo mondo e non progetto di
trasmigrare in alcun dove, almeno finché ci sarete tutti voi. »
Tentò di addolcire la pillola il più possibile, quasi fosse una
cosa bella quello che gli era successo.
«
Sei un fantasma e non ci hai detto niente! » Lucilla incrociò
offesa le braccia.
«
È stata la scelta migliore. Tuo padre, specialmente, non lo avrebbe
sopportato. Non piangere... »
«
Perché dovrei? È il giorno più elettrizzante della mia vita. » Lo
spiazzò la nipotina, studiandolo come se lui fosse l'ottava
meraviglia sotto le luci della ribalta. « Avevo capito che eri
strambo, d'altronde ne serve uno per riconoscerne un altro, ma che tu
fossi un fantasma va oltre ogni mia previsione. » Gli stropicciò i
baffi, trattenendosi dal ridere allo sguardo disorientato in
risposta.
Luigi
batté le palpebre e domò infine lo stupore, disarmato dinnanzi la
spavalderia della bambina, scuotendo il capo e ridacchiando
sommessamente. Erano anni che una risata sincera non gli vibrava in
gola. Se avesse potuto, forse avrebbe addirittura pianto qualche
lacrima, mentre emozioni che aveva soffocato in profondità tanto a
lungo gli affioravano in viso. « Ricordo quali appellativi mi
rappresentavano una volta: perdente, eterno secondo, imbranato.
Strambo è un salto di
qualità che non mi dispiace. »
Lucilla
distolse un attimo lo sguardo, esitante. « Tutte le storie che mi
hai raccontato, sono vere? »
«
Ognuna di esse è accaduta e mi è stata affidata. »
«
Quindi sei un fantasma che aiuta altri fantasmi a raggiungere il
Mondodisù? Pensavo si rivolgessero a qualcuno ancora vivo, o almeno
così fanno nei film. »
«
Li aiuto a ritrovare pace con se stessi. Alcuni di noi sono felici in
questa dimensione, altri invece hanno bisogno di una mano per capire
dove andare » rispose il professionista, accogliendo la
curiosità della ragazzina con un sorriso. « Un individuo che non ha
ancora affrontato tale percorso non comprenderebbe. »
Lucilla
notò solamente allora il dipinto a carboncino affisso sopra il
camino, alle spalle dello zio, raffigurante quest'ultimo seduto su
una balaustra gotica, con un braccio adagiato sul dorso ingobbito di
una grottesca gargolla dalle fauci spalancate, immerso nelle ombre
notturne e in pensieri tortuosi che gli indurivano i lineamenti.
L'esecutore aveva impresso un lavoro da certosino, avvolgendo
il soggetto in un'aura di solenne malinconia che ne rivelava l'animo
tormentato e sfuggente, chiuso in segreti inarrivabili. In basso a
destra era visibile la firma barocca e arzigogolata dell'artista,
attualmente accomodato a non più di un metro da lei, sulla poltrona
poggiante su quattro zampe leonine. Non serviva essere nati con una
generosa dote di intuizione per tirare le somme. « Voi vivete
insieme? » domandò simulando nonchalance e alternando
lo sguardo dall'uno all'altro.
Ottenne
due reazioni opposte: suo zio era tremendamente in imbarazzo, mentre
Re Boo sembrava tremendamente divertito. Lucilla era sempre stata un
tipino diretto (qualità considerata sia un pregio che un difetto) e
le sue domande mirate avevano l'effetto di pallottole vaganti a
distanza ravvicinata su Luigi, il quale si rialzò e deviò l'impegno
della conversazione nel ricomporsi con cura felina.
«
Non è inconsueto per dei fantasmi condividere lo stesso
alloggio » bofonchiò impacciato raddrizzando i polsini
della camicia, sotto la giacca. Ora sì che somigliava al vecchio
Luigi tanto rimpianto dai suoi genitori.
Re
Boo le strizzò un occhio e lei si morse un labbro per reprimere un
risolino.
«
Sono felice che tu non stia da solo » affermò
entusiasta, suscitando ulteriore disagio nell'ex paladino che per un
istante perse consistenza, sfarfallando comicamente alla maniera di
una lampadina sul punto di fulminarsi. «
Mamma e papà sono convinti che tu non voglia saperne di farti una
famiglia tutta tua e che abbia deciso di vivere da eremita in mezzo
ai boo, e mi riempe di gioia scoprire che si siano sbagliati per
tutto questo tempo. » Si rivolse poi al monarca silente
che ricambiò lo sguardo con un ghigno sornione: « Grazie per
esserti preso cura di lui ». La ragione dietro la
condotta dello spettro temuto e temibile le era divenuta infine
palese, a ricordarle il caso di re Bowser che aveva scelto di
ridimensionarsi con le sue manie di onnipotenza per la serenità
della regina.
«
Dopo i lunghi trascorsi insieme, giammai avrei potuto lasciare il mio
più valido opponente a un solitario destino. Sarebbe stata
un'esistenza terribilmente monocorde per entrambi, c'est
ça? » Indirizzò al menzionato opponente
un'occhiata furbetta che quasi strappò a Lucilla uno squittio da
fangirl e che riscosse un flebile e stentatissimo “non davanti a
mia nipote” dal fronte opposto. « Tuo
padre ti avrà di certo raccontato delle nostre antiche battaglie. »
La
piccola annuì. La stravaganza del sovrano la intrigava e interagire con
lui era un'esperienza da brivido e al contempo ammaliante: la soggezione
della falena vicina alle mandibole del ragno ormai sazio, consapevole del
potere che le stava dinnanzi, assopito ma vigile, godendo di
un'insolita posizione di immunità nella gerarchia primordiale. «
Siete come Louis e Lestat » aggiunse, arrecando
un'ennesima ondata di imbarazzo allo zio che parve sul punto di sfumare
in uno sbuffo ectoplasmatico.
«
Personalmente mi reputo più affascinante di un belloccio da
romanzo partorito dalla mente di una scrittrice annoiata. Inoltre, se
per crudeltà del fato fossi vampiro, mi riterrei profondamente
oltraggiato dal modo in cui la letteratura moderna ci ha ridotti all'arido
immaginario di pubescenti trasognati » replicò Re Boo,
portandosi un palmo sul torace come per contenere una pena a gravargli
il cuore che più non possedeva. « Non mi trovi terrifico
come tuo padre ti avrà senz'altro descritto? »
«
Sì, ma allo stesso tempo magnetico. Sei... Non saprei definirlo...
»
«
Fa-boo-lous » esordì civettuolo il fantasma accavallando le gambe.
Lucilla
scoppiò a ridere, inevitabilmente conquistata.
«
Mi piace tua nipote » sentenziò il lugubre sovrano,
cingendosi il mento tra l'indice e il pollice. « Peccato che debba
già salutarci. »
«
Ma sono appena arrivata! » obiettò Lucilla.
«
Ma è appena arrivata! » contribuì in sincrono
Ombretta, rispuntando dalla cucina col vassoio stracolmo di
biscottini al burro.
Persino
Poltercucciolo uggiolò per manifestare disappunto.
«
Sono d'accordo con Re Boo. Se siamo fortunati, a casa non si sono
ancora accorti della tua assenza. » Luigi le si chinò di nuovo
davanti, fissandola con serietà mortale. « Stasera ti ho fatto
carico di un fardello troppo grande per te, ma, Lucetta mia, ti prego
di non confidare a nessuno quanto sai adesso. Mario ne sarebbe
devastato e imputerebbe la colpa all'unico con cui ho invece un
debito di gratitudine insanabile. »
«
Non potresti provare a spiegargli come hai fatto con me? »
L'altro scosse la testa. « Si sentirebbe
responsabile e ne sarebbe tormentato per sempre. Non tutte le
avventure si concludono con un lieto fine, così per me è stato. »
Lucilla
comprese che si riferisse alla sua ultima impresa, il salvataggio
dell'allora principessa Daisy, dalla quale aveva fatto ritorno
incredibilmente cambiato. « Croce sul cuore, che
io possa morire! » promise decisa, compiendo il gesto
del giuramento sul petto. « Mi rifiuto però di
restare tagliata fuori come gli altri. Voglio trascorrere più tempo
insieme a te, me lo devi. »
Lo
zio si girò combattuto in direzione del sovrano che non si oppose
alla richiesta. « Nei miei primi anni da
novellino usavo questo per spostarmi. » Estrasse
dal taschino della giacca raffinata il medaglione d'argento che aveva
custodito in ricordo e glielo donò sul palmo della mano. Le espose
il funzionamento, raccomandandosi di ricorrervi soltanto nel caso in
cui fosse stata assolutamente certa di non tradirsi a occhi indiscreti.
«
Quando posso tornare? » chiese trepidante
Lucilla.
«
Dovrai avere pazienza e dosare bene le visite » le consigliò
Luigi, appellandosi alla sua assennatezza. « Se sparissi troppo
spesso, qualcuno comincerebbe a porsi delle domande. »
La
nipote fece cenno di aver recepito, chiudendo il gingillo prezioso
per nasconderselo addosso.
«
Se almeno uno di noi due sarà qui nei paraggi, ti apriremo la
porta. »
Il
gorgo si espanse dietro di lei, facendo oscillare il lampadario
centrale. « À bientôt, ma petite luciole.
»
Si
ritrovò esattamente nella propria cameretta, sdraiata sul letto e
con lo sguardo rivolto verso il soffitto, accanto alla finestra
ancora spalancata. Nella casa regnava la quiete indisturbata del
riposo notturno a suggerire che nessuno aveva preso nota della
recente evasione. Se non percepisse il peso del ciondolo in tasca,
potrebbe perfino giurare che si fosse trattato di un sogno
straordinario, il più avvincente e realistico mai generato prima
dalla sua mente.
Tirò
fuori il medaglione lucido e lo rimirò a lungo nel suo languido
dondolio ipnotico.
Mio
padre è l'eroe di un regno in un'altra dimensione, mio zio è un
fantasmologo fantasma e io nei temi sulla famiglia dovevo scrivere
che uno è idraulico e l'altro disoccupato, considerò amaramente tra sé.
Nota
d'autrice:
Sì,
adoro da matti la battuta di Re Boo.
Louis
de Pointe du Lac, Lestat de Lioncourt [Cronache
dei vampiri] © Anne Rice
Anonima
Cattivi [Ralph Spaccatutto] © Disney
Ombretta
(aka Oriella) © Lulumiao/koopafreak
|
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Capitolo 3 *** Noodlin' ***
j
Personaggi:
Luigi, Re Boo, Mario (menzionato), Pauline (menzionata), Ludwig
von Koopa (menzionato), Altri personaggi (menzionati), OC.
Genere:
Fluff, Introspettivo, Sentimentale.
Pairing:
Het, Shonen-ai, Crack pairing.
Note:
Tematiche delicate.
Noodlin'
Lucilla
depose lo sguardo afflitto su quello che, molto probabilmente, era il
vassoio di cupcake più squallido di tutto il cosmo esplorato. «
Perché i tuoi sono così fantastici? » Spostò l'attenzione
sull'ineccepibile modello di paragone, disposto sulla tavola
esattamente accanto. Al contrario dei frutti dei suoi sforzi, le
tortine preparate da Ombretta erano la rappresentazione concreta
della perfezione, lucide e appetitose dal non poter resistervi almeno
un morso, con una spolverata di confettini colorati come ultimo tocco
di sontuosità. « E perché i miei
fanno così schifo?! » La ragazzina diede voce
all'onta della disfatta, indicando con un gesto esasperato la sua minuta orda di zombie che, maldestramente ricoperti di zuccherini
variopinti e impantanati nella glassa grumosa, le sembravano
addirittura reduci da un raid militare, crivellati di schegge e
pallottole.
«
Magari non sono bellissimi al di fuori » sdrammatizzò la
fantasmina, « ma dentro sono ancora buoni ».
«
Preferisco fare harakiri per redimermi dal disonore, piuttosto che
presentarmi con questi sgorbi. Non li propinerei nemmeno alla mensa
delle carceri. » Lucilla era consapevole che, se lo avesse chiesto,
Ombretta sarebbe stata più che disponibile a darle i suoi dolcetti
per il compleanno di Ludwig, ma i complimenti che la bimba smaniava
di riscattare dal principe non sarebbero stati diretti a lei.
«
Possiamo provare di nuovo » si offrì volenterosa Ombretta, la cui
pazienza non pareva mai esaurirsi di fronte ad apprendisti scadenti.
Era anche per tale qualità, oltre che per l'indiscutibile talento,
che Lucilla l'aveva implorata di diventare sua mentore culinaria per
adempiere alla disperata missione di omaggiare il primogenito
Toadstool Koopa con un dolce preparato personalmente, senza
intossicarlo.
«
Questa è già la seconda volta. Anzi, la terza, se contiamo pure
quando ho scambiato lo zucchero con il sale. » La cuoca in erba
scosse mestamente la testa, rassegnata. « Significa che devo
appendere il grembiule al chiodo e finirla di vilipendere la memoria
della pasticceria. Mi limiterò a fargli gli auguri. Almeno quelli
non lo spediranno dritto all'ospedale. » Uscì dalla scena del
crimine, per inciso la cucina, e si abbandonò scomposta sulla
poltroncina solita essere occupata dallo zio o dal sovrano.
Poltercucciolo le saltò accanto scodinzolante e adagiò il musetto
all'insù sul suo grembo, avanzando richiesta per una dose abbondante
di coccole.
«
Non siate troppo severa con voi stessa. » Ombretta asciugò con un
panno le teglie e gli stampini appena sciacquati. Nonostante le
pacifiche proteste di Lucilla che provava tuttora un po' di imbarazzo
che qualcuno le si rivolgesse con tanta importanza, specie da colei
considerata un'amica, la boo perseverava nel trattare in tutto e per
tutto la bambina come una piccola nobile. « Il principe compirà gli
anni domani, avete ancora tutto il tempo di fare un ultimo tentativo.
» Le indirizzò un sorriso di incoraggiamento, fluttuandole a fianco.
«
Se desse una sbirciata allo scempio nella pattumiera, mi
ringrazierebbe di aver cambiato idea. » Da quando la salute di
Lucilla aveva accusato meno acciacchi del solito nei tempi recenti,
la casa nel Regno dei Funghi si svuotava sempre più spesso: i
servigi di suo padre erano richiesti sia in veste di idraulico che di
eroe quasi tutti i giorni; Pauline aveva prolungato l'orario
lavorativo e traeva soddisfazioni sempre maggiori dalla carriera di
agente immobiliare (l'esperienza teatrale le aveva lasciato un grande
charme che non falliva di conquistare i clienti); Gloria, infine, si
dedicava alle amicizie di Brooklyn e stava fuori pomeriggi interi.
Così la sorella poteva sgattaiolare via qualche oretta nella massima
discrezione.
«
Avete comunque fatto passi avanti dal punto di partenza. » Le
consolazioni benevole giovarono poco al bruciore della sconfitta. «
A mio umile avviso, se posso permettermi, non vorrei peccare di
insolenza, dovreste concedervi almeno un'ultima possibilità. »
«
Per favore, non essere tanto ossequiosa quando parli con me. Non ce
n'è bisogno. » Il malumore per il dono fallito le indurì la voce e
Lucilla se ne pentì subito dopo, testimoniando l'effetto
mortificante che ebbe sulla boo.
«
Mi dispiace, non volevo, chiedo venia, non fateci caso... »
bofonchiò Ombretta, parandosi il volto con le braccine.
Era
già capitato alla bambina, in maniera del tutto involontaria, di
intaccare l'estrema sensibilità della governante, a cui era
sufficiente uno sguardo male interpretato o una parola pronunciata
equivocamente per avvilirsi senza difesa alcuna. Quando Ombretta
soccombeva alla propria fragilità, persino l'interlocutore che le
porgeva le scuse per il malinteso la faceva sprofondare ulteriormente
nei sensi di colpa e Lucilla intavolò svelta un argomento per
distoglierla dall'autoafflizione. « Quando tornano zio Luigi e Re
Boo? » Purtroppo quel giorno i padroni di casa avevano dovuto
recarsi altrove dopo l'arrivo della nipotina, con la garanzia di
ricomparire nel giro di poche ore. « Mi sarebbe piaciuto
accompagnarli. »
«
Non si tratterranno a lungo. La loro è solamente una visita di
cortesia, perché Sua Tenebrosità non mancherebbe mai a un gala
indetto da uno dei suoi cortigiani. » Ombretta si ricompose pian
piano e si accinse a lucidare l'argenteria esposta nelle vetrine in
cristallo e legno massello di ciliegio: un'attività che abitualmente
l'aiutava a calmarsi i nervi. « Lady Bow ovviamente ha esteso
l'invito a padron Luigi, sperando di entrare nelle grazie del re
attraverso l'attuale preferito del nostro sovrano. »
«
Lady Bow? » Quel nome non era nuovo a Lucilla, ma le sfuggiva in
quale avventura di suo padre lo avesse udito, tanto tempo addietro.
«
Una dei boo più influenti nella società dei non-vivi, dopo il
nostro re ovviamente. »
«
Quindi è risaputo fra i boo che mio zio sia un fantasma? »
«
Solo tra i più devoti alla corona, quindi pochissimi oltre me, e la
splendida Lady Bow non è inclusa. » Una punta di sarcasmo
trapelò dalle parole dalla fantasmina a rivelare un'inaspettata
antipatia per la dama ectoplasmatica, essendo Ombretta molto gelosa
della sua posizione di prestigio, a stretto contatto col sovrano e
confidente più affezionata del prediletto di questi.
Tuttavia,
Lucilla sospettava che la dolce spiritella non nutrisse soltanto un
curioso senso di appartenenza allo zio che l'aveva riparata sotto la
propria ala, ma che in fondo vi fosse anche qualcosa di tenero,
purtroppo incompreso o non corrisposto.
«
Padron Luigi è diventato talmente bravo nel camuffamento da
ingannare persino gli occhi di un boo. Finora voi siete stata l'unica
a smascherare il segreto, d'altronde buon sangue non mente. »
La
ragazzina intuì che l'altra non si riferisse a suo padre. « Non ti
senti mai sola? » Ombretta le aveva già raccontato che, molto
spesso, Luigi e Re Boo si assentavano anche giorni interi. La casa
non era poi così piccola, ma a trascorrerci dentro tutto il tempo
c'era da uscirne matti, a meno che, esattamente come nel caso della
sfortunata Ombretta, non si fosse affetti da una grave agorafobia:
per la fantasmina era impensabile varcare la soglia, all'aria aperta,
senza precipitare in terribili attacchi di panico che la sfinivano e
le squassavano il corpicino gommoso in preda ai brividi, togliendole
addirittura la forza di fluttuare. Lucilla aveva assistito a una e si
era impietosita enormemente per la condizione dell'amica, la quale
manteneva i contatti col mondo esterno grazie alla televisione e alle
riviste che si faceva consegnare, insieme a tutto ciò che le
occorreva per la casa e per soddisfare i desideri culinari dei
padroni. Curare il giardino e portare a passeggio Poltercucciolo
erano le uniche incombenze destinate a Luigi e, in sua assenza, se ne
occupavano altri domestici allertati da Ombretta.
Quest'ultima
si soffermò a riflettere, sospendendo per un momento l'opera di
lucidatura, come se non si fosse posta prima la domanda. « A volte.
»
«
Perché non ci sono altri boo qui? »
«
La dimora è così piccina che staremmo strettini » fu la pacata
risposta. « Sua Opulenza dispone di decine di magioni e castelli
assai più sfarzosi sparsi per il mondo, ma padron Luigi predilige
una sistemazione più intima e modesta. » Quando un palazzo
stuzzicava il suo gusto estetico, se non era già stato abbandonato e
rivendicato dall'oscurità, il monarca non doveva fare altro che
inviare una manciata di sottoposti a eseguire qualche trucchetto
affinché si diffondessero voci terrificanti sul luogo e gli inquilini
sgraditi si defilassero. A volte la superstizione lo aveva
addirittura anticipato sul lavoro sporco e Re Boo aveva preso
possesso indisturbato di manieri e fortezze erroneamente ritenuti
infestati ancor prima che lo fossero.
«
Hai mai pensato di trasferirti altrove? Lavorare in una casa più
grande, magari? »
Ombretta
si girò a guardarla, stupita. « Io non voglio andarmene. Sono
felice qui. Questa è anche casa mia. Padron Luigi mi ha accolta e
sempre trattata come se fossi parte della sua famiglia. »
«
Ma potresti, che so, fartene una tutta tua, conoscere altri amici,
aprire un'attività... »
«
Per ora ho tutto quello che mi serve proprio qui » le rispose
gioviale la fantasmina, tornando alle proprie mansioni. « Non
immaginate quanti boo siano disposti a fare carte false per stare al
mio posto » aggiunse poi con una nota di orgoglio.
La
bambina non si diede per vinta. « Non senti mai il bisogno di una
passeggiata? »
«
Oh, no. » Lo spiritello si immobilizzò e la sua voce divenne un
sussurro a malapena udibile, quasi un gemito di paura. « Ci sono
cose spaventose là fuori. » Restò pietrificato come in trance, con
gli occhi vitrei e incollati sul riflesso distorto della coppa tra le
sue mani, intrappolato dietro le claustrofobiche barriere mentali
erette in seguito a chissà quale orribile trauma che doveva aver
sofferto nella vita precedente.
«
Avrei un'altra domanda da porti. » Lucilla tentò di scuotere
l'amica dall'intorpidimento, approfittando della temporanea assenza
dei padroni di casa per soddisfare qualche interrogativo a frullarle
nel cervello dal primo giorno in cui vi aveva messo piede. «
Zio Luigi e Re Boo stanno insieme? »
Ombretta
ripiombò nella realtà e quasi si fece sfuggire di mano il calice,
riacchiappandolo goffamente al volo dopo qualche improvvisato numero
da giocoliere. Lo ripose con garbo nell'argentiera e si schiarì la
gola, un gesto finalizzato a guadagnare tempo che per insorgenza di
raucedine, prima di rispondere col tono più neutro che riuscì a
modulare: « Sua Intangibilità ha scelto padron Luigi come principe
consorte e compagno di eternità, ma padron Luigi non ha ancora
accettato, almeno formalmente, la sua corte ».
«
Lo sta corteggiando? » L'anima di fangirl in Lucilla mandò uno
squittio interiore così acuto da far incrinare tutti i vetri
dell'abitazione.
«
Sì. » Ombretta provò a camuffare il proprio disagio dietro una
facciata di compostezza, fallendo miseramente.
«
Avrei giurato che già fossero una coppia. Non li ho visti quasi mai
l'uno lontano dall'altro. »
«
Sono comunque molto legati. Dal primo giorno dopo la sua dipartita,
padron Luigi e Sua Perpetuità sono diventati inseparabili. »
Lucilla
le aveva chiesto tempo addietro delucidazioni sul tragico Game Over
di Luigi, ma l'amica aveva saputo fornirle solo vaghi dettagli di una
delle avventure più grandiose e purtroppo mai celebrata, essendone
pure Ombretta quasi completamente all'oscuro, siccome lo zio aveva
proibito ogni riferimento al riguardo, specie a colei che doveva
essere stata la causa della sciagura, dal cuore arido e crudele come
il regno che la custodiva al suo centro. « E come funziona dopo? »
La fame di risposte si fece accecante. « Se zio Luigi accettasse,
diverrebbe anche lui un re? C'è un limite di tempo entro il quale si
deve dare una risposta? Potranno formare una famiglia tutta loro?
Posso essere la damigella d'onore anche se tecnicamente non sono un
boo? » Saltellò sulla poltroncina, eccitata quanto un bambino la
notte di Natale.
«
Avevi detto una domanda. » Ombretta si voltò di nuovo e
rimpianse immediatamente l'errore, trovandosi fisse addosso a mo' di
laser da puntamento due pupille a forma di cuoricino che palpitavano
brama di risposte.
«
Ma sono troppo curiosa! » La bambina giunse le mani e si sporse con
espressione adorante verso di lei. « Ti prego, ti prego, ti prego,
ti prego, ti prego, ti prego. »
Una
pausa e un sospiro. « Fra i boo le cose funzionano diversamente dai
vivi. Non abbiamo scadenze a cui attenerci, essendo il nostro tempo
già scaduto in partenza. Lo stallo tra il nostro sovrano e padron
Luigi potrebbe protrarsi anche per anni, decenni o secoli interi, a
meno che uno dei due non decida altrimenti: che Sua Tenebrosità
ritiri la promessa o che padron Luigi la accetti o la rifiuti. E,
sì, nel caso in cui padron Luigi acconsenta all'unione, acquisirà
anch'egli i medesimi poteri e la carica di re a tutti gli effetti:
così ha affermato il nostro sovrano quando ha pronunciato il suo
voto. »
Lucilla
ritrasse nella mente la scena esatta, lì, in mezzo sala soffusa,
davanti alla danza del fuoco nel caminetto, il monarca chino su un
ginocchio a stringere la mano dello zio mentre scandiva il giuramento
solenne di un connubio eterno. Si concesse il lusso di infiocchettarla un
pochino, con Luigi che si portava l'altra mano al petto e gli occhi
cavernosi dello spettro re meno terribili e più
sbrilluccicanti, simili a quelli del classico principe azzurro.
«
Se lo desiderano, potranno adottare dei giovani boo da
crescere come loro figli » aggiunse la fantasmina.
Lo
zio l'aveva informata che ai boo, ormai privi della linfa vitale,
fosse preclusa la possibilità di donare a loro volta la vita e che,
quando una coppia stabile desiderava fondare un nucleo familiare, non
potevano fare altro che attendere. Questo era uno dei misteri più
strabilianti del quale nemmeno l'esperto Re Boo era stato capace di
svelare il meccanismo logico: in parole povere, nell'attimo in cui
una piccola vita spirava, da qualche parte nel mondo o nell'universo,
la sua anima automaticamente si staccava dal corpo catalizzatore e si
spostava alla ricerca del luogo dove era tanto attesa per reclamare
una seconda chance. Nessun baby boo aveva la più pallida idea del
modo in cui era riuscito a trovare da solo i genitori adottivi. Loro
sapevano che dovevano essere là e basta. Forse le loro anime
vagavano senza meta finché non incontravano per caso dei boo ansiosi
di amarli, oppure esisteva davvero un disegno superiore, un filo del
destino che, dal primo istante post mortem, li aveva legati alla
nuova famiglia?
Lucilla
immaginò un'altra tenera presenza per le stanze che, invece di zio,
si riferiva a Luigi come papà.
Un'ombra di gelosia oscurò il grazioso quadretto, sorta dalla
realizzazione che, in tal caso, la bambina non sarebbe più stata la
prediletta, l'unico oggetto delle premure e delle attenzioni generali
in quell'angolino segreto. Seppur cosciente di aver concepito un
pensiero egoisticamente sbagliato, Lucilla si chiese se lo zio
avrebbe continuato a dedicarle tutto il tempo che poteva regalarle
per impartirle lezioni di piano o di tedesco, a ripeterle a ogni sua
visita quanto fosse felice di rivederla, a farla sentire la
principessa di casa. Persino l'insondabile Re Boo le riservava
considerazione, condividendo con lei qualche pettegolezzo di corte o
una buffa storiella sugli scherzi con cui si dilettava a
scombussolare i vivi. Le aveva confidato che gli esorcismi lo
divertivano enormemente; li trovava rinvigorenti.
«
E non esiste regola scritta che escluda un vivente dal prendere parte
a una cerimonia di unione fra boo, che io sappia »
concluse Ombretta, sollevata di aver adempiuto all'onere di oracolo a
quesiti non troppo scomodi.
«
Ultimissima domanda! » Lucilla sollevò un
indice.
«
Oh, cielo. » La boo era sicura che questa si
sarebbe rivelata la più ardua.
«
Come funziona tra due boo? In intimità intendo. Siete composti
solamente da una patina di ectoplasma insensibile. » Le
giunse un'occhiata titubante alla prospettiva di affrontare il
temutissimo Discorso. « A scuola studiamo anche biologia, non sono
una sprovveduta. »
Ombretta
fu molto tentata di avvalersi della facoltà di non rispondere e
passare dunque la palla al suo protettore, certamente più obbligato
di lei a fornire illuminazioni di tale spessore, ma stabilì infine
di immolarsi e risparmiargli l'imbarazzo, specialmente perché
l'argomento in questione lo sfiorava di persona. Chiuse la vetrina e
si rivolse alla sua apprendista con la massima serietà: « Ormai
liberi dal sottostare agli impulsi di un corpo vivo, i boo orientano
la loro attrazione da un punto di vista intellettuale ed empatico ».
Lasciò scorrere un attimo di quiete per scegliere le parole adatte,
stropicciandosi nervosamente le manine. « Tuttavia, anche per noi è
possibile scendere in quella che si definisce intimità, quando, nel
gesto più alto di fiducia e devozione, permettiamo alle nostre anime
di toccarsi. Questo contatto suggella l'unione indissolubile di due
identità che si completano l'un l'altra, prendendo qualcosa dal
partner e donando a nostra volta qualcosa: ricordi, segreti o
conoscenze, a volte un brandello di personalità. Nel momento in cui
le essenze più pure di due boo si incontrano, può nascere persino
una nuova identità, formata dalla interazione delle due psiche. »
Era
un discorso molto complicato, ma al contempo affascinante: al posto
dei gameti, i boo si scambiavano frammenti della loro anima. « Può
capitare che lo scambio non sia sempre equivalente? Che un boo riesca
a influenzare l'altro maggiormente? »
«
Ciò dipende da quanto entrambi siano disposti a esporsi e se una
delle due personalità tende a essere dominante nel rapporto.
Possiamo scegliere in che misura estendere il contatto. Generalmente,
ogni boo preferisce preservare la propria individualità e nessuno
finora ha sperimentato una fusione completa. »
Per
un istante Lucilla temette per l'integrità dello zio, poi rievocò alla memoria il voto del sovrano spettrale, con la promessa di
elargirgli poteri pari ai suoi, implicando non solo gli onori di una
corona, ma anche le capacità soprannaturali affinate in secoli di
esistenza. Se Luigi avesse accettato la proposta, per la prima volta
nella storia sarebbero stati due re a governare un popolo, uniti e
alla stessa stregua. L'idea non suonava affatto male. Con lo zio al
trono, i rapporti fra i vivi e gli schivi non-vivi avrebbero
certamente trovato una svolta positiva e le ostilità sarebbero
cessate.
Giudicando
la circostanza da un'angolazione meno rosea, assumere un tale impegno
per Luigi significava restare un fantasma per lungo tempo a venire,
forse addirittura per sempre. Avrebbe portato nel cuore ogni singolo
lutto delle persone a lui più care.
La
proposta di Re Boo valeva davvero un prezzo tanto doloroso? O meglio,
Luigi teneva talmente al proprio amico e forse compagno da
accettarlo?
Lucilla
aveva osservato il loro modo di interagire e notato che nessuno dei
due si sperticava in esternazioni di affetto, tuttavia si percepiva
un equilibrio consolidato nel loro rapporto, come amici di vecchia data
che si conoscevano a menadito. Spesso era Re Boo a creare
increspature nella cullante armonia, combinando qualche scherzetto
per incassare un'occhiata di rimprovero dall'ex paladino, accolta dal
sorrisone compiaciuto di chi adora ricevere attenzioni ed è pronto a
rifarlo. Per essere un trecentenne conclamato, il fantasma
manifestava un atteggiamento tutt'altro che flaccido o ingessato: se
vi era la possibilità di procurarsi divertimento, non ci pensava due
volte ad approfittarsene e toccava a Luigi calarsi nel ruolo del
Grillo Parlante.
La
bambina aveva colto inoltre che lo zio non avesse acquisito
disinvoltura nelle sembianze di boo, prediligendo costantemente il
suo aspetto antropomorfo e mutando l'ectoplasma per copiare persino
i colori. Anche quando era stata lei a chiedergli di rivelarsi nei
panni di marshmallow fluttuante, Luigi si era rifiutato con garbo ma
fermamente, confessando di non essercisi ancora abituato. Tale
disagio non aveva offeso il monarca, il quale non si poneva il minimo
dubbio a sfilare fiero della sua buffa rotondità, anzi, vi incuteva
con naturalezza pari timore. Persino il modo di incedere lo
distingueva: mentre i boo più piccoli si spostavano agili e
scattanti, indaffarati nelle loro faccende, lui levitava languido,
agitando pigramente la coda come se tutto gli scivolasse addosso,
senza alcuna fretta di agire, con lo sguardo fisso dinnanzi e i denti
aguzzi pronti a essere sguainati in un ghigno ammaliante e feroce. Le
ricordava un grosso squalo bianco.
Il
pensiero di poter avvicinarsi incolume a un personaggio tanto
temibile la riempiva di un orgoglio intimo, facendola sentire così
speciale: la sola persona viva onorata del segreto che avrebbe potuto
cambiare il futuro fra la dimensione degli spettri e quella dei
respiranti.
Lucilla
si ridestò dalle sue elucubrazioni, sollevando di nuovo gli occhi su
Ombretta per segnalarle un interrogativo ulteriore affiorarle alle
labbra, sul punto di essere enunciato dietro una maschera di
impassibilità assoluta.
Lo
spiritello si sovvenne di quella sensazione che coloro ancora dotati
del sistema nervoso definiscono “un brivido freddo”.
«
Cosa si prova quando il contatto di anime avviene? » fu il colpo di
grazia inferto al contegno vacillante della fantasmina.
«
Dicono che sia molto piacevole » si limitò a rispondere questa,
congedandosi con una certa urgenza per ritirarsi in cucina a
controllare che le posate nel cassetto fossero disposte secondo il
giusto ordine.
La
ragazzina considerò l'idea di giocarsi un ultimo tentativo
nell'arte spietata della pasticceria, motivata dal dovere morale di
sdebitarsi con l'amica, oltre che dal desiderio di udire la voce
suadente di Ludwig ricoprirla di lusinghe per avergli fatto dono dei
cupcake più deliziosi che nemmeno i cuochi reali sarebbero riusciti
a eguagliare... Mentre si perdeva in dolciastri romanzi mentali, con
le mani a coprire le gote avvampate e un sorriso rimbambito, il portale si spalancò dall'altro lato della sala e i
protagonisti della conversazione fecero infine ritorno dal
ricevimento della fascinosa dama spettrale.
Fu
Luigi a varcarlo per primo, coi lineamenti contratti in un accenno di
broncio, e Re Boo allegramente al seguito, ignaro dello stato d'animo
del fantasmologo. O forse no.
«
L'amabile Lady Bow sa come trattare gli ospiti » cinguettò giulivo,
intento a decantare le squisite qualità dell'anfitriona che lo aveva
intrattenuto tanto soavemente col suo arguto senso dell'umorismo e
una generosa degustazione di vini pregiati.
L'altro
non pareva propenso a offrire un contributo all'elenco delle
di lei doti, tuttavia sembrò trovare conforto non appena scorse la
nipotina accoglierli con un'espressione euforica dipinta in volto.
Finalmente poteva tirare un metaforico sospiro di sollievo (non
essendo ormai munito di polmoni) e lasciarsi alle spalle l'eco degli
incessanti cicalecci e il peso degli sguardi indagatori ad analizzare
ogni singola mossa da parte sua. Poi si accorse del luccichio sinistro
che lui ben conosceva negli occhi cerulei di fronte.
Lucilla
si adagiò contro lo schienale soffice e giunse i polpastrelli,
categoricamente risoluta a estorcere quanti più dettagli possibile
sul memorabile momento della dichiarazione.
Nota
d'autrice:
I regret nothing.
|
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Capitolo 4 *** Groovy ***
d
Personaggi:
Re Boo, OC, Ludwig von Koopa (menzionato), Bowser Jr.
(menzionato), Luigi (menzionato), Altri personaggi (menzionati).
Genere:
Dark, Introspettivo, Sentimentale.
Pairing:
Het (unilaterale).
Note:
Tematiche delicate.
Groovy
« Partiamo
dalla camminata: mai scoordinata, stazione eretta e
sguardo orizzontale; le braccia devono essere
“attaccate” alle spalle e non
sventolare con vita autonoma. Nell'incedere si eviti di ancheggiare e
soprattutto di battere rumorosamente i tacchi: non siamo a una parata.
Al
momento di sedersi, mai abbandonarsi a peso morto neanche si avesse
trainato un
aratro, né allargare o stendere le gambe o accavallare la
caviglia sul
ginocchio: non è signorile. Mantenere sempre la schiena
dritta; a nessuno piace
la vista di un miserabile rattrappito su se stesso.
A
smascherare il livello di
autostima non è meno importante come si dà la
mano, giacché questo gesto è la
prima, indelebile impressione in un incontro: non sia la mano protesa
un
mollusco flaccido e nemmeno una tenaglia. Giammai sia essa umidiccia o
appiccicosa! Nulla è più ripugnante. In tal caso
è bene dimenticare ogni chance
di salvezza e tentare la fortuna col prossimo interlocutore.
Corrispondere
categoricamente una stretta offerta, rifiutarsi è un gesto
di imperdonabile
villaneria. Se si indossano i guanti, rammentarsi di sfilarli prima del
saluto;
soltanto nella circostanza in cui gli arti siano impegnati col bottino
dell'assalto al buffet possono sufficere un sorriso e un cenno del capo.
Sorridere
sempre quando si
viene presentati o, evento tutt'altro che raro in un gran gala, ci si
presenta
da soli. Il sorriso è un atteggiamento fondamentale, a
prescindere dal
malumore: chi ci sta di fronte non ha ragione di trovarsi un broncio
puntato
contro, né gli interessa conoscerla. Il sorriso deve
apparire naturale e
spontaneo, ma anche moderato, senza esagerare: tenere
l’intera arcata dentale
costantemente in vista non gioverà a un’apparenza
più socievole, nonché
rassicurante, agli occhi degli altri ospiti.
E,
cortesia non meno
gradita, non sia mai che si sbadigli mentre qualcuno ci sta rivolgendo
la
parola. »
Lucilla
arrossì
copiosamente, colta in flagrante. « Mi dispiace. »
Il
fantasma riconobbe tra sé
di aver ucciso per molto meno, ma sorvolò magnanimo sull'incidente di
percorso, arrestando il ripetitivo incedere di fronte al focolare vuoto
per
studiare il faccino stanco e ostinato. « Non è
certo questa l'ora più consona
per le lezioni di etichetta. » I boo non avevano bisogno di
dormire, ma, nella
loro emulazione della quotidianità terrena, avevano
conservato l'abitudine di
destinare una parte della giornata al riposo, o meglio, a uno stato di
torpore
più affine al dormiveglia che al sonno vero e proprio: un
esercizio utile al
ristoro mentale, oltre che al mantenimento dell’ordine nei
ritmi giornalieri.
Gli spettri, tuttavia, riposavano nelle ore di luce e al momento era
notte
fonda: Re Boo aveva già messo in conto la resistenza fallace
della giovane
respirante.
La
suddetta ospite si
ricompose, raddrizzando la schiena contro la sedia e ricacciando
indietro un
secondo sbadiglio. « Non mi è rimasto molto tempo
per recuperare e chi meglio
di te, il più raffinato tra morituri e perpetui,
può salvarmi dal fare la
figura della neandertaliana a corte? » Non le era servito uno
sforzo mentale
per prendere atto sin dall’inizio della
sensibilità del fantasma alle lusinghe.
Lungi
dallo spettro deludere
le aspettative in lui riposte, accettando golosamente
l’ennesima carezza al suo
ego senza fine. « Giammai permetterei un’onta
simile, ma petite luciole.
Che l’adorata nipote di Luigi corra il rischio di precipitare
nel ridicolo
dinnanzi mezza nobiltà mondiale? »
La
timida Lucilla avvertì lo
stomaco torcersi alla terrificante prospettiva. Le parve addirittura di
percepire le risatine maligne e i mormorii di disprezzo malcelati
dietro i
ventagli di pizzo.
«
Morirei due volte,
piuttosto » sospirò con espressione agonizzante il
monarca, schermandosi gli
occhi col polso.
La
ragazzina condivise il
medesimo stato d’animo.
«
Tua sorella è in
altrettanta soggezione per il grande evento? »
Lucilla
volse lo sguardo
di lato. L’argomento Gloria era
tra quelli che la
giovane preferiva accantonare, sebbene
lo zio si
premurasse di ricevere regolari aggiornamenti sulle condizioni di
salute della
gemella, sulla sua media scolastica e, in generale, su come se la
passasse.
Questa era la prima volta tuttavia che Re Boo manifestava interesse per
la
seconda erede Mario. « Non esiste niente che possa metterla
in soggezione » si
limitò a rispondere, forse un po’ troppo
freddamente.
A
differenza della gemella,
Gloria non vedeva l’ora di partecipare alla serata esclusiva,
pronta al suo
debutto in società nell’abito che loro madre aveva
fatto appositamente confezionare per ciascuna. Quest’ultima già si
immaginava la scena dei nobili
impegnati ad alternare ossessivamente la lente di ingrandimento tra la
signora
Mario, Gloria e infine lei. E si chiederanno che cosa
sia andato
storto. Pauline era incantevole, sua sorella stava
sbocciando nella
primavera della femminilità e lei, al contrario, era un
manico di scopa
angoloso e costretto a puntare sulle buone maniere per tentare di
riscattarsi.
Gloria
era simpatica,
estroversa, capace di far breccia nei cuori altrui senza il minimo
sforzo e non
aveva queste sciocche preoccupazioni, perché tutti quanti
alla fine non
potevano fare a meno di adorarla. Inoltre, il dono del
bell’aspetto le
garantiva altri punti a suo favore: inutile negarlo. Lucilla,
l’anatroccolo
iellato senza qualità e fascino, aveva soltanto il cognome
paterno da
sfoggiare; su tutto il resto preferiva calare un velo, no, un sipario,
anzi,
una saracinesca pietosa.
Ciononostante,
le barriere
erette intorno al cuore di Lucilla non costituivano alcun ostacolo per
gli
occhi diabolici del fantasma che sapevano trapassare anche il cemento
armato:
un tale impegno nel fare buona impressione non era certo tutto da
imputare agli
snob di corte. « C’è qualcuno impaziente
di vederti? »
«
Chiunque lì si aspetterà
di vedere la famiglia Mario al completo. Non posso mancare, o metterei
mio
padre in cattiva luce. » E questa era la seconda ragione in
ordine di
importanza.
«
Allora c’è qualcuno che tu
sei impaziente di vedere. »
Lucilla
arrossì di nuovo,
abbassando lo sguardo.
Le
labbra cadaveriche del
fantasma si incurvarono in un ghigno volpino.
Un
piccolo, tenace desiderio
motivava effettivamente la ragazzina dall’andare contro la
sua natura e
affrontare a testa alta l’umiliazione: moriva infatti dalla
voglia di rivedere
il principe Ludwig, di parlargli, addirittura di chiedergli un ballo,
ma in
maniera scherzosa, come un pensiero buffo balenato alla mente per caso...
Chissà
in quale aspetto lo
avrebbe incontrato?
Re
Bowser e la regina Peach
avevano stabilito la regola secondo cui i Toadstool Koopa che
presenziavano al
medesimo evento dovevano mostrarsi o tutti draghi o tutti umani. La
tradizione
aveva avuto inizio dal giorno del matrimonio tra i due sovrani, quando
i Koopa
avevano partecipato in forma umana. Durante gli incontri politici
seguenti, la
regina aveva fatto sfoggio della sua maestosità draconica a
fianco del consorte
affinché il mondo potesse abituarsi alla duplice
novità.
Per
Lucilla in fin dei conti
era indifferente: drago o umano, Ludwig restava l’individuo
più affascinante
sulla faccia dell’universo, brillante, misterioso,
imprevedibile. Ogni parola
che gli scivolava dalle labbra era scelta e ponderata. Lo sguardo
penetrante e
fiero rivelava una personalità che da sola sapeva tenere a
bada gli altri sette
cicloni della famiglia Toadstool Koopa e, quando eri chiamato a
corrisponderlo,
potevi sentirlo scorrerti dentro ad analizzare la tua essenza. Il
sorriso, con
un incisivo lievemente sovrapposto (la perfezione era talmente
noiosa), non
era mai regalato, ma custodito gelosamente per pochi fortunati; la
chiostra di
denti bianchi non si spalancava alle risate tonanti e tipiche del padre
e dei
fratelli, ma ne sgorgava un riso roco, basso e profondo.
Sarebbe
stato felice di
rivederla? Glielo avrebbe detto? No, perché non era da
Ludwig concedersi
smancerie ma, forse, le avrebbe fatto dono di un complimento per il
vestito.
Sul volto solitamente austero sarebbe affiorato quel sorriso morbido e
affettuoso, da fratellone protettivo, che era riuscito a far breccia
nella
corazza della fragile Lucilla.
«
C’è qualcuno che vorrei…
salutare » balbettò intimidita la ragazzina.
«
Un principe? » Re Boo
parve genuinamente intrigato, incrociando le braccia e spostando il
peso su una
gamba. Gli occhi terribili l’avevano agganciata e le
impedivano di indirizzare lo
sguardo altrove.
Lucilla
mostrò qualche
tentennamento a rivelare il suo segreto più grande, ma, alla
fine, lusingata
dall’interesse dell’immortale, cedette e
annuì.
« Ma
luciole,
non sarà quello scapestrato del più giovane
rampollo Toadstool Koopa? » Le
arcate sopraccigliari sul volto diafano si avvicinarono in
un’espressione di
comico disappunto.
«
Junior? » Lucilla
ridacchiò e scosse la testa. « Lui è
solo un amico. » Il koopa dai tratti
sorprendentemente simili a quelli paterni era infatti uno dei
componenti della
famiglia reale più legati ai Mario. Le pacifiche irruzioni
nella loro dimora da
parte del principe in cerca di ristoro dagli impegni reali, per
scroccare una
merenda e raccontare qualche storia divertente sulla vita al castello,
avvenivano con cadenza settimanale. L’influenza positiva
della regina Peach era
evidente in particolar modo su Junior che si dimostrava sempre
volenteroso di
dare una mano con qualche faccenda domestica o trastullare le gemelline.
Tuttavia,
senza togliere che
il principino fosse relativamente delicato per gli standard koopa, la
prudente
Pauline era sempre stata restia a permettergli di giocare con Lucilla
senza la
sua supervisione, o prenderla in braccio, o toccarla. Tali precauzioni
non
erano state necessarie per Gloria che era perfettamente capace di
tenere testa
all’impetuosità dei fratelli koopa più
grandi, mentre la sorella era
considerata la bambolina di porcellana da maneggiare con cura, ancora
meglio da
guardare soltanto. « Ludwig » confessò
infine quest’ultima in un sussurro
tremulo, percependo le farfalle nello stomaco agitarsi al suono del
nome tanto
caro.
Lo
spettro simulò una
manifestazione di discreto stupore, in quanto già al
corrente di ogni singolo
dettaglio che aveva minuziosamente estorto alla succube Ombretta con
cui
la fanciulletta amava confidarsi. Nessuna parola veniva
pronunciata dentro quella
casa senza che arrivasse alle orecchie del sovrano, nessun movimento
delle
pedine sulla sua scacchiera poteva sfuggirgli. Se tra
l’ultimo erede Toadstool
Koopa e le gemelle Mario correvano soltanto quattro anni di differenza,
il
primogenito era ormai in età adulta e pronto per rimediarsi
una consorte. Si
trattava dunque di un’infatuazione sterile, destinata a
rimanere sepolta nelle
fantasie di un'adolescente.
«
Non mi illudo certo di
chissà cosa » garantì Lucilla con un
sorriso appena accennato che non bastò a
mitigare l’ombra soffusa della malinconia sul visino fanciullesco. « Mi piacerebbe
poterlo vedere di più, ecco. Stare con lui mi fa sentire
bene e mi aiuta a
dimenticare per un po’ tutto il resto. » Purtroppo
ciò non accadeva tanto
spesso quanto la giovane desiderava. Dovevano combinarsi tre vitali
condizioni affinché l’occasione si concretizzasse:
- La
salute le consentiva di mettere piede fuori di casa;
- La
sua famiglia aveva ricevuto l’invito al castello da parte
della regina Peach, amica intima di sua madre e quel giorno libera da
impegni reali;
- Ludwig
era in visita nel Regno dei Funghi.
Il
maggiore dei bowserotti
non prendeva mai parte alle nostalgiche rimpatriate, limitandosi a
farsi vivo
il tempo necessario per porgere un saluto garbato prima di tornarsene
alle sue
faccende. Così, mentre gli adulti erano distratti a
cianciare allegramente e
Gloria dedita a fare il diavolo a quattro insieme a Junior in giro per
il
palazzo, Lucilla poteva sgattaiolare via per dare inizio
all’inseguimento.
Ludwig
prediligeva i luoghi
quieti e appartati e la bambina aveva memorizzato tutti i suoi angolini
favoriti nella dimora reale, dalle terrazze alla biblioteca dove la
regina
aveva fatto sistemare un pianoforte apposta per lui. Le discrete
intrusioni di
Lucilla non parevano arrecare fastidio al principe che, dopo aver
badato a ben
sei fratellini e una sorellina, era avvezzo alle attenzioni dei
più piccoli,
indipendentemente se koopa o umani. Se si stava dedicando alla lettura
di
qualche documento o per svago, riponeva provvisoriamente testo e
occhiali per
accogliere una conversazione. Se in quel momento si presentava nel suo
aspetto
biologico, aveva l’accortezza di assumere forma umana
affinché non le si
indolenzisse il collo per essere costretta a stare tutto il tempo col
mento
in su.
Generalmente
un dialogo con
Ludwig comportava un intervento minimo da parte dell’altro
interlocutore, ma a
Lucilla stava più che bene considerando che lei si riteneva
un’ottima
ascoltatrice e che con il bowserotto si poteva spaziare dagli argomenti
più
svariati. Senza dubbio la disponibilità del koopa nei
confronti della
ragazzina, oltre che da una eventuale simpatia, era motivata
dall’istinto di
fratello maggiore che ancora aveva il sopravvento
sull’inclinazione
all’isolamento. C’erano volte invece in cui le
parole tra loro due non
occorrevano.
Se
Ludwig si era ritirato in
biblioteca per dare sfogo alla sua anima musicale, Lucilla si
intrufolava in
punta di piedi per accomodarsi su uno dei divanetti e restava
lì, zitta e
felice, con un libro tra le mani e le melodie del principe ad
avvolgerla.
Ludwig si scioglieva della durezza esteriore che il peso dei doveri
reali e
familiari avevano forgiato e lasciava che la parte più
profonda del suo essere,
una sensibilità eccezionalmente spiccata, si
sprigionasse in composizioni
multiformi: infuocate, solenni, struggenti. I tasti di avorio sotto le
abili
dita si trasformavano in voci cantanti e infuse di affetti, desideri e impressioni che la sognante Lucilla adorava ascoltare ancora e
ancora,
lasciandosi trasportare in uno stato di pace, sospesa tra le note del
pianoforte.
La
prima volta che la
ragazzina aveva sorpreso il principe a suonare, questi era stato talmente
immerso
nell’esecuzione che, solo al termine, ristabilito il contatto
con la realtà, i
sensi affilati lo allertarono infine della presenza del suo
pubblico
estasiato. Da allora Lucilla godeva del permesso speciale di assistere alle esibizioni
future nella
tranquillità della biblioteca, generosamente concesso dall'artista in persona. Se Ludwig era particolarmente
di buon umore, acconsentiva su richiesta a interpretare qualche pezzo famoso o uno composto da lui stesso che più le piaceva.
Lucilla
avvertì gli occhi
pizzicarle per la nostalgia, considerato che fossero trascorse diverse settimane dal
loro ultimo incontro, ma represse l’impulso di sfilarsi gli
occhiali per
stropicciarseli. « È gentile con me, e non mi ha
mai fatto sentire sbagliata. »
Sarai
dunque pronta a
soffrire quando il principe si troverà la sua principessa,
bambina mia? Mentre
osservava la piccola ospite e prendeva atto
compiaciuto che la maledizione d’amore dei fratelli Mario
fosse stata
tramandata alla generazione successiva, lo spettro re fu colto da una
sensazione di déjà-vu. Più la guardava
e più la somiglianza con lo zio gli
diveniva innegabile, una similarità intima sotto i tratti
somatici addolciti
dai lineamenti materni: negli occhi di lei vedeva distintamente lo
stesso
struggimento, gli stessi demoni che aveva letto un tempo in quelli di
Luigi.
Stavano proprio lì, onnipresenti, in fondo allo sguardo di
chi soffriva troppi
paragoni a proprio discapito, espressi e autoinflitti.
I
demoni avevano nomi: la
paura di non essere amati, la gelosia perché altri sembrano
più amati e la
vergogna di covare gelosia.
I
demoni non dormivano mai.
I
demoni erano
inconfessabili.
Il
buon Luigi se li era
portati con sé nella tomba.
E
anche sulla nipotina
aleggiava un’aura di morte, un profumo tenue, prossimo a
estinguersi ormai, che
l’accompagnava dal primo giorno di vita nei capricci di uno
stato fisico
precario. Il fantasma conosceva molto bene quel profumo: lo aveva
assorbito con
avidità al massimo della fragranza quando il suo idraulico
aveva perso
definitivamente la speranza nel deserto di Sarasaland.
L’esistenza
di Lucilla aveva
avuto inizio in salita, con grosse difficoltà respiratorie
che l’avevano
costretta a rimbalzare tra bronchiti e polmoniti, saltellando
più volte vicino
all’orlo del baratro. Metà della sua infanzia
l’aveva trascorsa chiusa in casa,
collezionando tante di quelle assenze da rischiare di ripetere
l’anno
scolastico in un paio di occasioni. Tuttavia, senza che lei nemmeno se
rendesse
conto, accecata dai complessi che la tormentavano, le sue condizioni stavano effettivamente migliorando. Nel giro di pochi anni avrebbe
acquistato
una salute di ferro, con pazienza e metodicità, grazie ai
geni strabilianti
della famiglia Mario che certamente l’avevano salvata. Re Boo
visualizzava il
futuro promettente della giovane come se gli avessero puntato un
proiettore
contro la parete che aveva di fronte.
«
Sono pronta per continuare la lezione, mon mentor!
» lo esortò
quest’ultima con il quadernino in grembo e la penna
sull'attenti, decisa a
non perdere tempo sulla tabella di marcia per autocommiserarsi.
Il
fantasma acconsentì
paziente, riprendendo l’incedere lento e misurato da dove
aveva interrotto. «
Accertarsi di avere sempre l'alito a prova di dialogo ravvicinato, armandosi di mentine di cui approfittare con
discrezione
di tanto in tanto. »
Nota
d’autrice:
Avevo iniziato questo
capitolo con l’intenzione di approfondire le
dinamiche del rapporto tra il tenero Weegee e quell’adorabile
canaglia
manipolatrice di Re Boo, ma, andando avanti con la stesura, la lente si
è
spostata di prepotenza su un certo bowserotto... Sarà per la
prossima :]
Besos
|
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Capitolo 5 *** On the nose ***
nose
Personaggi: Re Boo, Luigi, Mr. L, Re Spaventù, Malberta
Crisantemi, Ectopatra, Capitan Spiritato, Altri personaggi, OC.
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale.
Pairing: Shonen-ai, Crack pairing.
Note: Tematiche delicate.
On the nose
« Non osar dimenticare
un’altra volta a chi devi lealtà, chérie. »
Ombretta si
rattrappì sotto lo sguardo tagliente, coprendosi mortificata il musetto con le
braccine corte: un impulso che proprio le era impossibile sopprimere, desiderando
sciogliersi come un grumo di cera.
« Soltanto io ho
il potere di decidere quali segreti restano tra le pareti di questa casa. »
La
fantasmina annuì, sottomessa.
« E,
soprattutto, chi vi resta. »
Un singhiozzo
patetico scosse il corpicino fluttuante, a conferma che l'avvertimento fosse stato recepito.
« Sarà meglio
che se ne torni al lavoro, ora » le intimò con calma sibillina, ritraendo gli
artigli dietro un velo di magnanimità.
L’ordine venne
prontamente eseguito e il re rimase da solo con la sua irritazione. Un odioso, recidivo
effetto collaterale vincolato al dono dell’immortalità era la noia. Quando il
volubile Re Boo cadeva nella trappola del tedio, qualcuno finiva
inevitabilmente nel mirino dei suoi tormenti. In questo caso, lo spettro non
dovette nemmeno scomodarsi dalla confortevole poltroncina o richiamare la
cameriera insolente per stringere tra le grinfie la prossima vittima: gli bastò
sfilarsi la spilla preziosa dallo jabot e aprirla, rivelando così il prigioniero
nella piccola cornice all'interno.
« Mr. L »
pronunciò allegro il nome ormai obliterato dalle pagine di storia del Regno dei
Funghi. « Quoi de neuf nel tuo limbo buio
e desolato? » Si adagiò contro il morbido schienale e distese le gambe sul
poggiapiedi, adocchiando soddisfatto i resti piagnucolanti del baldo e arrogante
alter-ego reciso dall’anima di Luigi. « Pauvre
petit Monsieur L, che non ha nessuno che si preoccupa per lui. In tutti
questi anni mai ho sentito una voce chiedersi “Che fine avrà fatto quel Mr. L?
Sembrava un tipo in gamba”. »
Il condannato
dovette schermarsi gli occhi, battendo più volte le palpebre per difendersi
dalla luce bruciante dopo tanto tempo nelle tenebre. « Farò tutto quello che
vuoi » gemette colui che un tempo ostentava la forza di ribaltare l’ordine del
cosmo, stremato da anni di totale deprivazione sensoriale che gli avevano
impresso cicatrici irreversibili sulla sua integrità mentale. « Sarò tutto
quello che vuoi. »
Re Boo storse la
bocca seccato, concludendo che persino stavolta la musica non si sarebbe
distinta dalla solita litania di suppliche e lamenti. Lo spettro fece per
riporre deluso il monile.
« Non chiuderlo!
» latrò l’alter-ego. « Potrei esserti utile! »
« Ho già abbastanza
comparse tra i piedi » sospirò l’aguzzino, vagamente infastidito dalla mancanza
di contegno dell’interlocutore ridotto a una maschera di moccio, lacrime e bava.
« E scommetto che ti ritorcerai contro di me alla prima occasione. Non vedo
dunque saggezza nell’allevare una serpe in seno. »
« Uccidimi! » lo
implorò il derelitto. « Non è vita, questa! Meglio farla finita. »
Le pupille
fosforiche del sovrano restarono per un lungo momento sospese a contemplare il
volto sfigurato dall’afflizione, così identico a quello dell’adorato Luigi. In
effetti, lo scaltro boo aveva stabilito già da un po’ quale sorte riservare al
sosia, al quale qualche altro annetto di “rieducazione” avrebbe giovato. « No,
caro L » fece infine dopo aver lasciato scorrere una manciata di secondi per
fingere di considerare la supplica, affilando le labbra in un ghigno terribile.
« No, ti preferisco così. »
« Io volevo
soltanto la luce » singhiozzò il condannato, incapace di sostenere oltre
l’angoscia che lo divorava a corrispondere quegli occhi diabolici. « Volevo
soltanto restare alla luce. »
« Sai, in fondo,
ti compatisco. La tua sventura è stata venire al mondo in un corpo che già
apparteneva a me. Se ti fossi chiamato Mr. M, oggi saresti in una posizione
certamente meno scomoda. » Il gesto caritatevole di toglierlo di mezzo non
gliel’avrebbe mai concesso. Non era diventato re dei non-morti buttando via le
sue risorse, e Mr. L poteva servirgli al momento opportuno. « Oh be’, quel dommage. » Ebbe quasi richiuso il
gioiello, ma esitò all’ultimo istante, l’ennesima burla crudele, permettendo a un
sottilissimo spiraglio di luce di carezzare il volto cadaverico del suo
prigioniero. « Per Luigi hai cessato di esistere anni or sono, tuttavia, se ti
scoprisse in queste condizioni, immagino che una seconda chance te la
concederebbe. » Stentò a ricacciare una risata nell’individuare un briciolo di
speranza affiorare dietro la minuscola fessura. « Sappiamo entrambi però che
sarebbe un atto di misericordia che da lui non meriti. » La spilla si richiuse
con un leggero clic a mozzare i
lamenti e fu risistemata al suo posto.
La noia si
ripropose a rosicchiare tenace il cervello che il fantasma più non possedeva. Lo
spettro poteva certamente trovarsi di meglio da fare, disponendo di risorse
innumerevoli, ma non c’era altro luogo al momento nel quale desiderava trovarsi
più che in quel salottino, ad attendere il rientro del suo prediletto. Di rado questi
si attardava tanto, ma era capitato qualche volta di essersi assentato un
giorno o due in più rispetto al solito. D’altronde aveva bisogno dei suoi spazi
e di tempo per riflettere, e Re Boo non lo tratteneva: Luigi alla fine tornava
sempre. Tuttavia, il fantasma aveva maturato l’amara certezza che tali
passeggiate solitarie costituissero inoltre un’occasione per sgattaiolare nel
Regno dei Funghi a dare una sbirciata al parentado dal quale tuttora egli stentava
a staccarsi.
Oltre un
decennio di duri progressi gettati alle piante piranha nel giro di un’unica sera,
quando la sicurezza della loro dimora era stata profanata non dall’occhio indagatore
di Rosalinda né da una spia ben addestrata, ma da nientedimeno che una ragazzina
miope e malaticcia. Il fantasma non imputava la colpa al buon Luigi, ma a se
stesso: lui si era permesso infatti di abbassare la guardia, si era stoltamente
cullato nella certezza di aver scampato il peggio e così non aveva inviato i
suoi messi a monitorare la situazione. Il risultato di tale leggerezza li
omaggiava regolarmente della propria compagnia come se la casa ormai le
appartenesse. Da quella malaugurata sera, i pellegrinaggi esistenziali del suo
protégé non solo erano ricominciati, ma si stavano ripetendo con allarmante
frequenza.
Lucilla aveva
riaperto nello zio uno squarcio che Re Boo faticosamente stava cercando di suturare.
La pulzella stava risucchiando indietro il nostalgico Luigi nel mondo luminoso
che più non gli apparteneva e allontanandolo dall’incantevole oscurità ad egli destinata.
Lei era il fatale inciampo di percorso, la sconfitta più bruciante incassata dal
lugubre monarca ora obbligato a mandare giù il rospo ad ogni irruzione di cortesia,
alla vista della faccia del suo principe accendersi come un albero di Natale
non appena gli occhi speranzosi individuavano la ficcanaso. A dispetto
dell’istinto naturale, il fantasma doveva stare attento a non tradirsi e far
buon viso a cattivo gioco.
La sera della
prima intrusione di una sfilza a seguire, quando lo sguardo della marmocchia
appena materializzata e quello del monarca si erano incrociati, quest’ultimo
non aveva potuto reprimere l’odio più feroce per quel rigurgito di vita
palpitante che aveva osato inquinare il suo salotto; per fortuna la ragazzina
non parve aver preso nota del passo falso e, in fin dei conti, Re Boo la
considerava più tollerabile dei suoi coetanei volgarotti e chiassosi, anche se lo
spettro talvolta fantasticava di avvinghiare le dita intorno al gracile collo…
Il flusso di
pensieri venne bruscamente interrotto al rumore anelato della chiave che girava
nella serratura, ad annunciare la presenza di un Luigi ancora schiavo
dell’abitudine e della buona educazione di aprire una porta prima di passarci
attraverso. Tanta era la gioia di Re Boo nel rivedere il suo spirito adorato
che la casetta intera vibrò come scossa da un terremoto.
« Mon prince ténébreux » lo accolse
giulivo fluttuandogli incontro per portare le loro fronti delicatamente a congiungersi.
« Bentornato. La tua mancanza mi ha straziato. » Il sovrano abbassò le palpebre
con aria beata e si tramutò in un candido persiano.
« Non mi sono
reso conto di essere stato via tanto a lungo. » Luigi ricambiò il saluto
cingendo il muso del micione con entrambe le mani guantate e chiuse gli occhi a
sua volta. Emise un riso divertito percependo una forza sollevarlo dolcemente
da terra per condurlo all’interno dell’abitazione. La porta si richiuse alle
sue spalle.
« Ogni giorno
senza vederti è un’agonia » sospirò il gattone facendo rombare la gola in fusa
festose, girando poi su se stesso a mostrare il ventre tondeggiante mentre gli tracciava intorno
languidi cerchi. « Ogni minuto una lama a lacerarmi l’anima. » Arricciò
la lunga coda vaporosa e dilatò le pupille in un’espressione implorante. « Ogni rintocco dell’orologio uno spillo nel
mio povero cuore. »
Il fantasma più
giovane osservò ammaliato il manto innaturalmente soffice e luminoso nel quale
Re Boo sapeva mutare il proprio ectoplasma, sfoggiando una maestria ineguagliata
da qualsiasi altro: comandava persino a ciascun pelo di ondulare, emulando la
danza delicata di un vento leggero.
« Mi sei più
caro di tutti i pipistrelli in tutte le grotte del mondo » continuò a
ricoprirlo di lusinghe il sovrano. « Sei la marcia funebre delle mie esequie. »
Riassunse infine la forma originale di boo, seppur dalla stazza ben maggiore
rispetto a quella dei suoi sudditi, con la voluminosa corona sul capo come
ornamento e simbolo del suo status, gli si parò dinnanzi e mormorò sommesso: « Senza
di te, questa dimora e ogni altra mia magione sono soltanto vuote carcasse ».
Luigi increspò
le labbra rosee in un sorriso intenerito e il dolore che si portava dentro si
smorzò un poco al conforto che gli fosse rimasto qualcuno al mondo a riservargli
tante premure, oltre al fido Poltercucciolo ai suoi piedi. « Anche tu mi sei
mancato. » Fece scorrere un palmo sulla fronte glabra del suo amico e
protettore prima di poggiarvi di nuovo la propria, permettendo alle loro anime
di sfiorarsi ancora. La casa tremò una seconda volta.
Dopo
un breve momento Luigi si ritrasse pudicamente e Re Boo, malvolentieri, lasciò
che interrompesse il contatto. A stento il monarca riusciva a controllarsi
quando l’anima candida e invitante del giovane si esponeva per concedergli un
microscopico assaggio, una carezza, un bacino; bramava insinuarvisi fino al più
intimo recesso incontaminato, esplorane ogni piega solo a lui dischiusa centimetro
per centimetro, marcarla come sua e di
nessun altro. Luigi era molto attento a testare le reazioni del suo spasimante,
a capire fin dove spingersi per tenerlo sulla corda e ciascuna quantità di
contatto elargita era accuratamente dosata: a volte veniva concessa una goccia
di più, altre una di meno a sconvolgere lo struggimento famelico del re. Si
trattava di una sfida e al contempo una tortura dal quale quest’ultimo disperatamente
dipendeva, schiavo di una smania costante che lo distoglieva da qualsiasi altro
appetito e che non gli dava pace.
«
Che cosa desideri fare? » Re Boo domò i sensi in subbuglio e riacquisì aspetto
antropomorfo, camminando nelle lucide scarpe in vernice mentre illustrava le
opzioni ricreative della giornata: « Passeggiare nel labirinto di Meride?
Esplorare i fondali del triangolo delle Bermuda? Visitare le catacombe di
Parigi? ». Esattamente come Luigi aveva abbandonato la sua vecchia immagine e
adottato uno stile più raffinato, il sovrano aveva deciso di rimodernare il
guardaroba e passare a un look con meno fronzoli, pur mantenendo alcuni
dettagli rétro come lo jabot e il panciotto. Anche l’acconciatura era stata
rivista, accorciata e pettinata compostamente all’indietro. « Oppure vogliamo
onorare la promessa fatta al caro vecchio Vlad di andare a prendere un tè al
suo castello? Mi ha scritto righe appassionate su un concime organico di produzione locale che egli definisce portentoso. I suoi giardini sono i più rigogliosi
di tutta la Romania. »
« Spaventù ci ha
invitati per due calici di vino e un torneo amichevole » fu la controproposta.
L’entusiasmo di Re
Boo si ridusse visibilmente, giacché quest’ultimo non nascondeva una certa intolleranza
per il suddetto spostato che monarca si professava e che tuttavia mai lo era
stato, né in vita né tantomeno dopo. « Bene, cedo a te il piacere del torneo
mentre io mi occuperò del vino, se devo ancora assistere alla buffonata di quel
mentecatto che si pavoneggia a cavallo di un’armatura vuota. Per non parlare di
quando ci si mette a battibeccare. » Di fatto il destriero dello stravagante
Spaventù altro non era che un involucro di ferraglia senz’anima e che tuttavia l’amorevole
proprietario trattava come se fosse dotato di intelletto e senso dell’umorismo.
« Non minimizzare
il caratterino di Incitatus » ridacchiò Luigi. « Spaventù mi ha raccontato che
lo avrebbe nominato capitano della guardia reale, se fosse vissuto più a lungo.
»
« Dubito che
Spaventù abbia mai posseduto un cavallo, o una gallina. » La corona che l’impostore
indossava fieramente era una copia di puro ectoplasma e il castello da egli
infestato era appartenuto a un’altra dinastia reale ben più nota di quella dell’attuale
abusivo. La fortezza sperduta e ormai fatiscente non aveva destato l’interesse
di alcun boo sano di mente e Spaventù ne era stato il solo inquilino e padrone
indiscusso per decenni, o addirittura secoli interi, che innegabilmente non
avevano aiutato la sua salute psichica già sfavorita in partenza.
« Proverai a non
mortificarlo come l’ultima volta? Non vorrai provocargli un’altra crisi. »
L’ammonimento fu accompagnato da un’occhiata di critica.
« Mi ha accusato
di essere ingiusto nei confronti di quella lattina vuota perché la stavo
ignorando » obiettò stizzito il colpevole, perseguitato dal ricordo molesto di
loro quattro seduti a tavola: Re Boo, Luigi, Spaventù e Incitatus, compostamente sistemato proprio accanto all’ospite meno indulgente
che era stato costretto a tacere di fronte all’imperdonabile spreco di
pregiatissimo vino per riempire anche il quarto calice. Spaventù aveva
addirittura girato in direzione del collega la testa cigolante del rispettabile
equino per agevolare la conversazione. « Mi vergogno che venga associato alla
mia corte. È quasi imbarazzante quanto quel troglodita di Ug che da morto si è
convinto di essere lo stesso dinosauro che lo ha divorato. »
« È eccentrico,
ma innocuo. » Luigi si era incaponito nell’impresa di convincere Spaventù a
trasferirsi in un rifugio più dignitoso, tuttavia il re travicello sembrava
inamovibile. Né la garanzia di uno stile di vita migliore né quella di nuove
amicizie e cavalieri da sfidare avevano avuto successo, ma il fantasmologo era
ben deciso a non lasciare lo spettro testardo nell’autoesilio. « Gli occorre
solo un ambiente più sano e stimolante » insistette con convinzione, sostenendo
lo sguardo penetrante del monarca.
A dispetto delle
antipatie, lungi da Re Boo rifiutarsi di assecondare i buoni propositi del suo
prediletto che tanto si prodigava per la comunità dei non-vivi, dalla quale era
sempre più amato e benvoluto, esattamente come si era prodigato in passato per
quella dei vivi senza ricevere la meritata considerazione. Se poi ciò lo
aiutava a tenere mente e cuore lontani dalla famiglia, meglio ancora. « Vorresti
salvarli proprio tutti. » Gli cinse piano il mento tra l’indice e il pollice
per affondare le pupille luccicanti negli occhi cerulei: una imitazione di
ectoplasma modellata a soffocare dietro di essa la luce dell’anima valorosa del
giovane. « Ti avverto però, mon précieux,
di non riporre troppe speranze in alcuni, perché per loro potrebbe già esser tardi.
»
« Non è mai
troppo tardi » rispose determinato Luigi stringendo la mano nella sua. I
lineamenti erano distesi in un’espressione serena e fiduciosa. « E se non posso
aiutarli a riscattarsi, posso almeno intervenire affinché non rimangano
abbandonati a se stessi. » Neppure la morte aveva potuto estinguere la
scintilla di bontà che ardeva tenace nel profondo dell’ex paladino del Regno
dei Funghi, grazie ai cui sforzi un numero di spiriti in costante aumento preferiva
unirsi alle schiere di Re Boo. Si era sparsa ormai la voce tra i fantasmi del
nuovo favorito del sovrano, dedito ad assistere i più deboli e in difficoltà, e
il suo mecenate si accaparrava di giorno in giorno prestigio e possedimenti in
ogni dove.
Il lugubre signore
tentennò in preda a un'emozione e una commozione quali di rado aveva
provato (cioè ogni volta che il timido Luigi lo sorprendeva con una tenerezza)
e dovette soffocare l’impulso di guardarsi imbambolato la mano stretta; fu
grato di non avere più una goccia di sangue in corpo a confluirgli nelle
guance. Un sorriso sghembo gli sollevò il lato sinistro del labbro. « Considerato
che non vi sia modo di depennare questa mission
de sauvetage dall’agenda di oggi, penso che mi avvantaggerò con il vino. » Schioccò
le dita e Ombretta fu rapida a consegnargliene una coppa che venne svuotata in
un solo glug. « Naturalmente starà a
noi fornire bottiglie e calici anche stavolta, immagino. »
« Portiamoci
Poltercucciolo » suggerì il fantasma più giovane, udendo gli uggiolii affranti
del canide che mal tollerava la solitudine. « Non credo che a Spaventù darà
fastidio. »
« Dovremmo
preoccuparci piuttosto di ricevere l’autorizzazione dal capitano della guardia
reale. »
« Poltercucciolo
è ben addestrato e conosce le buone maniere. » Se Luigi aveva seriamente colto
il sarcasmo di Re Boo, non concesse a questi la soddisfazione. Si chinò su un
ginocchio per vezzeggiare con vocina infantile il fedele cagnolino che reagì
estasiato alle coccole. « Incitatus lo accetterebbe di sicuro, anzi, rimarrebbe
talmente impressionato da nominarlo tenente. »
I resti smembrati del temerario Incitatus
giacevano sparsi per la spoglia sala, insieme all’armatura che Spaventù aveva
l’abitudine di indossare prima di scagliarsi in battaglia; alcune piastre si
erano ammaccate e deformate a causa degli urti subiti. Tracce del brutale
scontro consumatosi di recente erano visibili ovunque sulle pareti e sul
pavimento: vetri in frantumi, tessuti dilaniati e mobilia distrutta.
Per la prima
volta in morte sua, il docile canide ringhiò.
« Spero non vi
dispiaccia, Sire. » Le labbra vermiglie della dama spettrale si arcuarono in
un sorriso malizioso che, abbinato agli occhi di ambra infuocata, divenne
assolutamente terrificante. « Le vostre visite si sono talmente diradate, e noi
non vedevamo l’ora di fare la conoscenza del nuovo arrivato del quale siete
così geloso. » Accoccolato tra un braccio esangue e il seducente décolleté
stava un Poltermicio a tre code, intento a ricambiare l’ostilità del cucciolo
con gelida imperturbabilità e una parvenza di vago disgusto.
« D’altronde, sembra
che ormai preferiate la compagnia dei reietti alla nostra » aggiunse l’unico
elemento maschile del trio di intrusi, rivolgendo uno sguardo di disprezzo al misero
Spaventù ormai regredito alla condizione originaria di boo per via dello choc e
rintanato tremante dietro un tavolo ribaltato e rosicchiato dai tarli.
« Sono stato
molto impegnato » rispose atono il monarca, permettendo infine al portale alle
sue spalle di richiudersi con un sibilo sottile. La fuga non era un’opzione da calcolare.
« Chiaro » fece
la seconda donna, rivolgendo un’occhiata eloquente all’accompagnatore del
signore oscuro.
« Visto che
siamo in sede di presentazioni… » Re Boo ruotò elegantemente il polso in
direzione del suo prediletto. « Vi trovate al cospetto di Luigi Mario, cavaliere
del Regno dei Funghi… »
« Il cacciatore
di fantasmi?! » proruppe incredulo il grosso spettro selachimorfo con file di
denti taglienti e minutamente seghettati. L’orbita destra, quella scoperta
dalla benda, si accese come un tizzone ardente.
« Ex cacciatore di fantasmi » lo corresse il
sovrano, indurendo lo sguardo per essere stato interrotto.
« Curioso che un
sacco di carne che ci odiava tanto ora razzoli in mezzo a noi così volentieri »
commentò l’altro con sospetto, tratto in inganno dall’abilità di Luigi di
simulare aspetto vivo, prima di identificarsi con un abbozzo di inchino, senza
recidere il contatto visivo. « Capitan Giacomo Sperone, Terrore dei sette mari
e mezzo, Diavolo degli abissi, ormai noto con il nome di Spiritato, per ovvi
motivi. » L’uncino che aveva al posto di una pinna pettorale luccicò
sinistramente alla luce soffusa delle torce.
« Molti hanno
incontrato il Game Over per sua mano » precisò Re Boo.
« Ectopatra
Serpentiti VII » si presentò la donna in vesti esotiche, senza chinarsi. « Detta
anche la Velenosa o l’Incantatrice delle sabbie, ultima Regina della XVIII
dinastia sarasiana. » Avvolto intorno al capo aveva un sinuoso diadema a forma
di cobra a testimoniare la carica dichiarata.
« Moltissimi
hanno incontrato il Game Over per sua mano. »
Lo spettro
ignoto levitò adagio dinnanzi a Luigi, senza degnare di considerazione il ringhio di avvertimento da
parte di Poltercucciolo, e distese con grazia un arto cadaverico. « Contessa Malberta
Crisantemi » disse soltanto con voce bassa e carezzevole come le fusa di un
felino. Il Poltermicio era intento a scrutare il giovane coi suoi occhi
glaciali, immobile nella presa della padrona.
« Innumerevoli
hanno incontrato il Game Over per sua mano. »
Luigi, aggrappato
al proprio autocontrollo a dispetto della tensione circostante, corrispose lo
sguardo inquisitore della dama ed eseguì una composta riverenza, avvicinando alle
labbra il dorso della mano offerta per sfiorarlo appena. Con un guizzo repentino,
il gatto mosse una zampa artigliata e incise tre solchi profondi sul volto del
giovane che trasalì, caduto nel tranello: sebbene questi si coprì prontamente
la faccia con un palmo, l’assenza di una singola stilla di sangue versata era
incontrovertibile. Poltercucciolo scattò adirato, ma la donna scivolò via per
ristabilire le distanze, facendo scorrere il bordo dell’abito sul pavimento.
« È un nostro
simile! » esclamò Capitan Spiritato, onestamente stupito, poi, compreso infine
di essere stato regalmente preso per i fondelli, si alterò. « Che scherzo è
questo? »
Re Boo avanzò di
un passo verso i tre intrusi che si erano compattati in un punto dello
squallido salone. « Mi costringi a scusarmi per la tua condotta, astuta
Malberta. » Le pupille iridescenti baluginarono minacciose nelle fosche cavità
orbitali.
Il sorriso sul volto
della dama era svanito e i lineamenti spigolosi irrigiditi in un ritratto di
risentito contegno. « Perché tenerci all’oscuro dell’identità del vostro favorito?
Noi, i più vicini alla corona, non abbiamo forse diritto di sapere per primi a
chi avete concesso tale importanza, anziché racimolare i pettegolezzi di corte?
» Il Poltermicio saltò a terra per leccarsi le unghie che un minuto prima aveva
piantato in faccia al giovane deceduto, ignorando con sdegno i latrati iracondi
di Poltercucciolo paratosi di fronte al suo padrone.
« Mia cara,
preferisco tenere le faccende private alla portata di meno orecchie possibile.
Ad ogni modo, a tempo debito, avrei permesso alla notizia di circolare
liberamente e organizzato questo incontro in una sede appropriata » garantì lo
spettro re. « Luigi si sta ancora accostumando al nostro stile di vita. »
« Sua
Misteriosità desiderava solamente godersi un po’ di intimità col nuovo gioiellino
» ridacchiò la bella Ectopatra con tono suadente, incrociando le braccia adornate
da vistosi bracciali. « Riconosco che ha buon gusto. » La spettrale regina e
probabile antenata di Daisy sembrava l’unica positivamente intrigata
dall’inaspettato risvolto, come una casalinga alla visione del suo dating-show
preferito.
« Tanto disturbo
per il nuovo trastullo del re? » sbuffò il gigantesco squalo, irritato per aver
involontariamente recitato la parte del paparazzo della situazione. « Mi sarei volentieri
risparmiato l’attesa in questa sudicia topaia. »
«
Sbagli, Capitano. » Sebbene il tono di voce fosse rimasto subdolamente piatto,
gli occhi del lugubre sovrano ribollivano intimidatori. « Luigi è molto di più
e, d’ora in avanti, ti rivolgerai a lui per nome, col garbo che gli si conviene.
»
«
Il mio garbo, come il mio rispetto, non sono privilegi vincolati al talamo
reale, Maestade. Se li vuole, » si rivolse al diretto interessato, « se li deve
guadagnare ». Spiritato drizzò la schiena con fierezza. « Non tratterò coi
guanti di velluto l’ultimo arrivato solo perché è entrato nelle grazie del re, men
che meno un novellino fresco di dipartita che fino a pochi anni fa si fregiava
del titolo di cacciatore di fantasmi. Buffa la sorte, no? »
Luigi
si interpose, affiancandosi nuovamente al suo protettore. « Faccio ammenda ogni
giorno per i torti del passato. Non potrò mai cancellare quello che ho fatto, e
comprendo la vostra diffidenza. » Gettò infine la maschera: le unghiate
inflitte dal Poltermicio si rimarginarono all’istante, il naturale pallore dell’ectoplasma
affiorò a coprire ogni centimetro di pelle, baffi e capelli e i falsi bulbi
oculari si smaterializzarono, rimpiazzati da finestre luminose. « Intendo
meritarmi la vostra fiducia dimostrandovi di non essere più colui che un tempo
terrorizzava la comunità fantasma. »
«
Bando alle ciance! » Spiritato si spazientì e rivendicò il degno scontro che
era venuto a cercare. « Se quanto detto dal nostro sovrano corrisponde a
verità, se sei davvero un pretendente al trono… » Puntò l’uncino affilato contro l’avversario,
lanciando ufficialmente la sfida. « Allora provami sul campo di esserne all’altezza!
»
«
Come siete ruvido, Capitano » sospirò l’avvenente sarasiana, avvezza al
temperamento ruggente del collega. A differenza dei due compagni, la placida
Ectopatra era stata mossa da semplice curiosità e non sembrava interessata alla
battaglia.
«
Spiritato ha ragione » convenne invece Malberta, sistemandosi la stola di
pelliccia intorno alle spalle scoperte. Un’ira trattenuta saettava negli occhi
ambrati. « Non accetterò a testa bassa che un ragazzino ambizioso mi calpesti,
nemmeno se si tratta del favorito di Vostra Oscurità. Se costui un giorno sarà
nella posizione di dare ordini, dovrà prima oltrepassare me. » Come se avesse
risposto a un comando silente, l’infido Poltermicio divenne improvvisamente
aggressivo: si drizzò su tutte e quattro le zampe, incurvò il dorso, puntando
lo sguardo affilato sul colpevole della frustrazione nella sua amata padrona, e
soffiò.
Poltercucciolo
ringhiò di rimando.
L’avversario
si tramutò in una pantera mostruosa, col torace tozzo e gli artigli anteriori
lunghi come falcetti, e produsse un ruggito che scosse la stanza.
Il
cagnolino si trovò obbligato a rivedere le sue scelte di vita, ammutolendo
incerto.
I
tre comandanti risero divertiti. « Un inizio promettente » schernì Spiritato. «
Voglio proprio vedere se riuscirai a offrirmi un ballo più decente di quel delirante
grumo di feccia là dietro. » Indicò lo sfortunato Spiritù con un cenno del
capo.
Luigi
serrò i pugni, avendo finalmente individuato il responsabile. « Sei stato tu? »
« Oh, mea culpa.
La cosa va contro i tuoi nobilissimi ideali di recupero e reinserimento sociale
delle pecorelle smarrite. » Il giovane sfrontato ridusse a piedi la distanza
tra loro e il capitano fece altrettanto, nuotando adagio nell’aria, sino a
incrociarsi a metà strada.
« Non c’era
bisogno di infierire fino a questo punto » disse Luigi col mento in su, coperto
dall’ombra imponente del carcarodonte intento a squadrarlo dall’alto scettico
con l’unico occhio esposto.
« È stato lui ad
attaccare per primo » furono le parole a scivolare tra le file di denti
acuminati. « Mi sono semplicemente difeso. » Lo scempio tutt’intorno e il
ghigno crudele stridettero orribilmente con la spiegazione.
« Allora non
sareste dovuti entrare. »
La
Poltersciabola si accovacciò agitando le code sinuose e fece vibrare il petto
in un ringhio cupo, bramosa di conficcare di nuovo gli artigli in quel visino
accigliato.
« Ci butterai
fuori tu? Vorrei che ci provassi » continuò implacabile Spiritato, deciso a
graffiare nervi scoperti. « Perché ti interessi tanto a quelli come lui? Sono fallimenti
che non sarebbero dovuti rinascere, sgorbi, malriusciti.
Ci fanno soltanto un favore a restarsene alla larga. La verità è che ti importa
di loro quanto ne importa a me. Lo fai unicamente per te stesso: una recita
per gratificare il tuo ego. O forse c’è qualcosa in loro, incompresi e
abbandonati, che ti ricorda proprio te? Se è così, raderò al suolo questo rudere
sino alle fondamenta con immenso piacere. »
Luigi avvertì
un’onda di gelo pervaderlo, un furore sepolto nel profondo e ridestato sgorgò
dalla voragine che si portava dentro e si espanse in ogni fibra della sua
anima. Non poté contenerlo. Lo lasciò uscire. Impregnò l’aria circostante.
Riempì la sala intera. Si insinuò fra le crepe nella pietra. Le torce si
estinsero una dopo l'altra e
l'oscurità inghiottì i presenti.
Re Boo, rimasto in
secondo piano ad osservare attento l’evolvere della scena, sorrise. Schioccò le
dita e fiamme bluastre comparvero al posto del fuoco naturale a rischiarare l’ambiente
con la loro luce sottilissima.
L’atmosfera era
radicalmente cambiata, a partire dalle espressioni dei comandanti che avevano
infine rivalutato le capacità del loro opponente e assunto posizione di guardia,
compresa l'inquieta Ectopatra al sentore dell’aura oscura irradiata dal giovane.
Spiritato era addirittura arretrato di qualche metro per evitare di esserne
investito. Malberta fu la prima a riscuotersi infuriata e con l’indice teso
sibilò l’ordine al suo animaletto; curiosamente, i tratti del viso si erano
affilati insieme alle unghie smaltate, svelando un aspetto stregonesco sotto la
facciata di ectoplasma e make-up.
La
Poltersciabola si avvicinò spavalda all’obiettivo, ma venne prontamente
intercettata dal leale Poltercucciolo che si piazzò accanto al padrone, tornato
in sua difesa malgrado l’apparente svantaggio fisico. Il felino indugiò un attimo,
assottigliò le palpebre, seccato dal flaccido tentativo di rivalsa, e fece
infine per prepararsi ad attaccare. D’improvviso, in reazione al contatto con
Luigi, il corpo del canide si gonfiò e acquistò in pochi istanti la mole
possente di un orso. Le tre teste zannute del Poltercerbero ringhiarono
all’unisono, ribadendo il messaggio forte e chiaro.
La
Poltersciabola accantonò umilmente la strategia di un assalto frontale.
« Accetto la
sfida, » dichiarò calmo Luigi, la cui voce suonò distorta, grave, terribilmente
simile a quella dello spettro re, « ma non qui ». Si diresse verso l’angolino
nel quale Spaventù aveva trovato provvisorio rifugio e si calò su un ginocchio per
constatare da vicino l’entità dei danni sofferti, mentre ciascuna testa di
Poltercerbero si accertava torva che i seccatori sarebbero rimasti al loro
posto per il tempo necessario.
« Incitatus… »
mormorò con sguardo perso il boo, stringendo la testa metallica separata dal
resto della corazza come un soldato che sorregge il corpo di un caro amico
caduto sotto le armi.
« Non
preoccuparti, lo faremo tornare come nuovo. » Lo consolò dolcemente. « Gli
faremo forgiare un’armatura più bella e resistente, degna di un campione. Sarà
l’invidia di tutti i cavalieri di corte. » Si rialzò per rivolgere un’occhiata
a Re Boo che annuì in segno d’intesa, compiaciuto oltre le aspettative.
Il sovrano si
preparò dunque a spostare i competitori su un campo di battaglia più adatto. Si
leccò le labbra, ansioso di godersi i frutti di anni di rigoroso addestramento
personalmente impartito. Gli
farà bene sfogarsi un po’.
Nota d’autrice:
Nel Medioevo i cavalli venivano distinti non in
razze ma in base alla loro funzione:
- il destriero era il cavallo da guerra
e da giostra (torneo medievale), adibito alla cavalleria pesante, così
chiamato perché veniva condotto con la mano destra da uno scudiero affinché
il cavaliere potesse inforcarlo al momento della battaglia, di mole considerevole
e andatura lenta, addestrato con grande cura a sopportare il peso
dell'armatura, il rumore e l’odore del sangue;
- il corsiero era il cavallo portato
alla corsa (c. da lancia) e ad andature sostenute, veniva utilizzato
spesso nei tornei per la sua mole comunque considerevole e anch’esso
doveva essere forte e robusto per essere adoperato in battaglia;
- il palafreno, detto anche
"cavallo da posta", era per antonomasia il cavallo adibito per i
viaggi, le parate e l'uso quotidiano, in grado di percorrere lunghi percorsi
con un peso moderato in groppa, veloce nel trotto per essere utilizzato
anche durante per la caccia;
- il ronzino e il somiero erano cavalli di poco pregio, resistenti e di indole
tranquilla, usati per il trasporto notevole di bagagli, carri e
attrezzature personali del signore.
Malberta Crisantemi, Poltermicio, Capitan
Spiritato, Ectopatra, Re Spaventù [Luigi’s
Mansion 3] © Nintendo
Poltercerbero © koopafreak
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Capitolo 6 *** Turnaround ***
kkkk
Personaggi:
Re Boo, Malberta Crisantemi, Luigi (menzionato).
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale.
Pairing: Het, Shonen-ai, Crack pairing.
Note: Tematiche delicate.
Turnaround
« Decenni di assoluta
e cieca devozione in cui ho privilegiato i vostri desideri sopra qualsiasi
priorità, eseguito ogni vostra richiesta senza esitare, rivolto al vostro
successo tutti i miei sforzi… Alla fine nulla di questo conta qualcosa? »
« Certo che
contano, Malberta. Confido, infatti, che avrai maggior riguardo della fiducia in
te riposta. E che non ostacolerai più il mio volere. »
« Come potete umiliarmi
così? »
« Ricordare a
una pedina il suo ruolo non è umiliare: è riportare l’ordine. Giacché in
passato ti sei distinta per dedizione, virtù sempre più rara di questi tempi, sarò
così generoso da sorvolare sul tuo recente atto di insubordinazione e
concederti clemenza, a patto che, esattamente come già adempiuto da Spiritato
ed Ectopatra, anche tu estenda voto di obbedienza a Luigi. »
« Non ha detto
nulla di simile quando ci ha lasciati andare. »
« Una dimenticanza
alla quale ho intenzione di porre rimedio qui e subito. »
« Non è il mio
re. »
« Non è il tuo
re, ancora. Tuttavia, dacché l’opportunità di conoscervi di persona è stata
colta con anticipo, ritengo sia coerente avvantaggiarsi di conseguenza con
certe formalità. »
« Non mi
sottometterò a un ragazzino. »
« Si tratta di
rendere ufficiale quanto già chiarito sul campo di battaglia. Per apprendere
ciò che Luigi ha appreso in settimane di morte, a voi, i miei migliori comandanti,
sono serviti anni. Per raggiungere quello che lui ha raggiunto in anni, a voi
sono serviti secoli. Vi ha superati, vi ha schiacciati e, infine, vi ha
risparmiati. »
« È dotato, lo
riconosco, ma inadeguato al trono. Un idraulico e cacciatore di fantasmi è indegno
di rappresentare la nostra gente. »
« Ciò che prima
è stato, a me non interessa. L’ho scelto. La mia parola è legge e qualunque
azione che si discosti da essa è considerata tradimento. Luigi è destinato alla
grandezza. Egli è il consorte che tanto ho atteso, l’ultimo gradino per
assurgere alla perfezione. »
« Che ancora
disgustosamente si allieta a mescolarsi ai mortali. Come definite un simile comportamento?
»
« Bravate giovanili.
Chi di noi, suvvia, non si è tolto qualche capriccio nel primo periodo di eternità?
Io stesso confesso di aver gradito di tanto in tanto della compagnia del dottor
Guillotin, finché i suoi nervi hanno retto, e persino tu, in ossequio del vero,
hai reso regolarmente visita alle consorelle della tua congrega dalla quale
fosti bandita e tuttora ti diverti a perseguitare la loro tormentata discendenza.
Ma ora dimmi, Malberta, da quanto tempo lo stavi tenendo d’occhio? »
« Da quando mi
sono vista costretta ad abbassarmi a prestare attenzione alle voci che avevano
iniziato a circolare tra le classi inferiori, come una qualunque comare di quartiere,
invece di udire la verità direttamente da voi. “Non sono nient’altro che chiacchiere”,
mi ripetevo all’inizio, “il mio adorato Re non mi abbandonerebbe”. Ma voi non
tornavate da me. Mi avete lasciata sola. Finalmente ho scoperto per chi mi
stavate trascurando, ed è stato come cadere nella morsa del veleno una seconda
volta. »
« Dunque hai
tramato a mia insaputa, hai studiato le sue mosse e hai convinto Spiritato ed Ectopatra a tenderci
un agguato con l’intento di sfidarlo. Sebbene la vostra interferenza mi abbia irritato,
poiché sai quanto io detesti qualsiasi movimento dei miei subalterni senza mio
preciso comando, riconosco che tale improvvisata ha permesso a Luigi e me di
avvicinarci ancor di più. Lo hai aiutato a comprendere il suo potenziale di cui
siamo entrambi compiaciuti al di là delle aspettative, io specialmente. »
« Allora fate
anche lui comandante, o cavaliere del reame. »
« Il suo posto è
sul trono al mio fianco e, forse, un giorno, siederemo entrambi su un unico
trono. »
« Che assurdità!
L’età vi sta infine giocando brutti scherzi, avete perso il senno. Oppure siete
voi a prendervi gioco di me per acuire questa mia tortura? Non mi avete calpestata
abbastanza? »
« Non credi
nell’amore, Malberta? Ho attraversato gli
oceani del tempo per trovarlo. »
«
Voi non sapete amare. »
« Solo perché
non ho amato qualcuno prima, non significa che non ne sia capace. »
« Siete crudele
oltre ogni misura. »
« Sono certo
delle mie scelte. »
« Se sposerete
quell’ambizioso, commetterete un errore. »
« Per quale
tragica ragione? »
« Perché siamo
anime affini, noi due. Il nostro incontro non è avvenuto per caso, altro non è
stato che il confluire naturale delle nostre esistenze. La prima volta che vi vidi,
misi il mio cuore ai vostri piedi perché capii che a voi ero sempre stata
destinata, come voi lo siete a me. Tutto ciò che di meraviglioso e terribile
abbiamo condiviso in questi lunghi anni ne è la prova. Vi ho reso felice e non
potete negarlo. Voi siete stato la mia notte, lo siete anche ora che mi ferite
con tale indifferenza da farmi desiderare la vostra distruzione e la mia. »
« Ammetto,
affezionata Malberta, che, per un breve intervallo della mia esistenza, hai
saputo appagarmi, ma non è bastato. »
« Non esiste
nulla che possa appagare la vostra ingordigia! Prenderete finché c’è da
prendere e non vi fermerete mai, sempiternamente insoddisfatto. Questa è la
vostra maledizione e di chiunque abbia la sventura di starvi intorno. »
« Ci stiamo pericolosamente
allontanando dall’argomento centrale di questo incontro. »
« Scommetto che
la prematura dipartita di quel giovane è opera vostra. Magari Spiritato ed
Ectopatra nutrono soltanto il sospetto, ma io vi conosco. So
fino a che punto sareste capace di spingervi e che sareste persino così folle
da considerare amore un simile atto di egoismo. »
« Io l’ho
salvato. »
« Vi siete preso
anche lui. »
« Sarebbe stato
un inammissibile spreco di materia prima, lasciarlo marcire in un mondo che
stentava ad accorgersi della sua esistenza. Ho visto qualcosa in Luigi,
qualcosa che non ho trovato in nessun altro in secoli di tediosa e desolante
aspettazione. Ho fatto semplicemente ciò che era necessario e oggi, grazie anche
al tuo contributo, sono più che mai consapevole di aver agito per il meglio. »
« E vi
terrorizza l’idea ch’egli possa intuire che il benefattore che lo ha accolto, addestrato
e istruito come un principe sia in effetti l’artefice della sua disgrazia. Ecco
dunque la ragione per la quale sono stata scortata al vostro
cospetto, per accertarvi che la verità non esca di qui. »
« Il buon Luigi
ha ancora bisogno di tempo per disinteressarsi del principio e completare la
sua rinascita. Una scelta implica una rinuncia, d’altronde. »
« Voi vi siete
arrogato il diritto di scegliere per lui. »
« Un diritto derivato dall’esperienza. In cambio dei fugaci piaceri di una vita mortale, sono pronto
a offrirgli potere, immortalità e un regno. Ciò fa di me un mostro? »
« Un giorno
scoprirà cosa gli avete fatto e gioirò mentre vi maledirà! Ogni secondo di
perpetuità gli corroderà l’anima e supplicherà i Re del Game Over di venire a
prenderselo, ma non prima di avervi annientato con le sue mani. »
« Oh, certo. Un
giorno, indubitabilmente, l’intera realtà dei fatti spunterà fuori. Pur
tuttavia, farò sì che la rivelazione avvenga non prima che, di ciò che è stato
in pre-mortem, non gli importi ormai nulla. »
« Spero che l’amore
che Luigi ha avuto in vita vi si ritorca contro sino all’ultima stilla. »
« Adesso,
Malberta, la mia pazienza ha toccato il limite. Giuri assoluta e imperitura fedeltà
a Luigi Mario, futuro sovrano del regno fantasma, prometti di agire sempre nel
suo interesse e di nuocergli mai in modo alcuno? »
« Abbiate riguardo
della mia cara Poltermicia. Affidatela a un padrone degno che la tratti come l’ho
trattata io. »
« Peccato. Mi
saresti ancora utile. »
« Vi ho già dato
tutta me stessa. Non ho più niente da darvi. »
« Sei stata una preziosa
risorsa e leale confidente. Ti riserverò un posto di rilievo nella mia
collezione. »
Nota d’autrice:
« Voi credete nel destino? Che persino i poteri
del tempo possano essere alterati per un unico scopo? L’uomo più fortunato che
calpesta questa terra è colui che trova il vero amore. » — Vlad III di
Valacchia [Dracula di Bram Stoker (1992)
de Francis Ford Coppola, tratto da Dracula
(1897) de Bram Stoker].
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Capitolo 7 *** Ensemble ***
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Ensemble
«
Piccine mie, siete stupende! » esclamò la Regina Peach con un largo sorriso a
illuminarle il viso, portandosi le mani al petto.
«
Voi siete straordinaria, Maestà » ricambiò prontamente Gloria con un inchino
delicato come un passo di danza. Anche se l’aspetto da Koopa della sovrana era
ormai noto, poterla ammirare in carne ed ossa restava uno spettacolo mozzafiato:
composta e fiera come una divinità mitologica, con le lucide scaglie avorio che
si tingevano di rosa a seconda della direzione in cui la luce le colpiva, Peach
incantava con la naturalezza di un essere di beltà superiore, senza vanità. L’altezza
imponente poteva intimorire, sebbene il fisico fosse più ridotto e armonioso
rispetto a quello del consorte, tuttavia l’espressione di calda affabilità
perennemente presente ad addolcire i lineamenti predatori era un magnete per
chiunque incrociasse gli occhioni azzurri della sovrana, sempre pronta a scambiare
una parola gentile.
Anche
Lucilla si fece avanti, portandosi a fianco della sorella, per mettere in
pratica le lezioni impartite da Re Boo: fece scorrere il piede destro dietro il
sinistro, afferrò il bordo della gonna verde smeraldo con la punta delle dita
per sollevarla dolcemente e piegò le ginocchia, tenendosi eretta. Gli occhiali
le caddero sul pavimento con un ticchettio di sconfitta.
La
ragazzina li raccolse all'istante e li inforcò di nuovo, senza completare la
riverenza, avvertendo con mortificazione le orecchie infiammarsi di vergogna.
Le parve di udire dei mormorii da un gruppetto aristocratico che aveva
assistito alla sua prima papera della serata, mentre un numero sempre maggiore
di pupille scrutatrici si fissava sui nuovi arrivati che stavano rubando il
completo interesse della regina.
«
Avete scelto voi i vostri abiti? » chiese Peach con l’immancabile sorriso cordiale,
glissando sul minuscolo incidente.
«
Li abbiamo disegnati insieme alla mamma! ». Gloria eseguì orgogliosa una
piroetta sulla punta di un piede, mostrandosi nel vestitino svolazzante che si aprì
come un papavero.
La
sovrana notò con molto piacere che le piccole Mario indossassero i gioielli da
lei scelti in occasione del loro ultimo compleanno: un paio di orecchini d’oro a
forma di Fiore di fuoco per Gloria e un ciondolo in oro bianco a forma di Superfoglia
per Lucilla, rispettivamente il power-up preferito di ciascuna. Se l’occasione
fosse stata informale, Peach avrebbe cinto le bambine in un grande abbraccio di
quelli che lei amava dare e, da come si stringeva le mani, si intuiva che la
koopa si stesse trattenendo con impegno. Gli abbracci erano sempre stati il modo
di salutare che questa preferiva, in barba all’etichetta reale, e in essi riversava
senza riserve tutto l’affetto che il suo cuore immenso serbava.
Lucilla
segretamente adorava gli abbracci della regina, soprattutto se in formato koopa
gigante. Riceverne uno da Ludwig sarebbe stato assolutamente il massimo: il solo
pensiero la mandava in visibilio, ma la faccia tosta di proporglielo non l’aveva
e non l’avrebbe avuta. Stavolta, però, era ben decisa a scavalcare la timidezza
e ad avere finalmente un ballo insieme. Il principe non declinava mai richiesta
di un giro di danza, seppur per una questione di cortesia piuttosto che per compiacimento
personale. A ogni festa si formava una fila brulicante di ammiratrici che, in
aperta competizione, attendevano ciascuna il proprio turno per incollarsi beate
al principe e giocarsi quella manciata di minuti per far breccia nel suo cuore irraggiungibile.
‘Dovrei farci mettere un distributore di numeri di attesa’, aveva commentato
asciutto Bowser Jr. quando le aveva confidato la buffa costante.
«
Madre ». Una voce femminile chiamò poco lontano. « Avete visto il mio
fotografo? ». La principessa Wendy si avvicinò con espressione accigliata, ruotando
il capo in direzioni diverse nel tentativo di individuare il latitante. La sua
figura torreggiante si faceva largo con contegno tra la folla, ringraziando con
un sorriso gentile gli ospiti che avevano l’accortezza di liberare il passaggio
e ristabilire distanza di sicurezza dal carapace acuminato. La rampolla aveva
l’abitudine di ingaggiare un professionista che si dedicasse esclusivamente a
lei, al fine di mantenere in regolare aggiornamento i profili social dove i fan
seguivano fedeli ogni novità: eventi, outfit, diete, manicure, tutorial di
trucco… La vanitosa Toadstool Koopa aveva una carriera avviata di influencer,
modella curvy, attivista body positive e imprenditrice che aveva lanciato la
sua linea di cosmetica sostenibile e inclusiva.
«
Credo che stia ancora placcando i camerieri addetti alle tartine al caviale,
cara ». Era evidente che la regina aveva prediletto un look modesto affinché i
riflettori restassero puntati sulla figlia adottiva: Peach indossava un paio di
lunghi guanti candidi, arricchiti da ricami dorati e che le lasciavano scoperte
le dita artigliate, un grande ciondolo ovale con uno zaffiro purissimo al centro,
l’immancabile diadema in cima ai boccoli biondi e la fede nuziale all’anulare
sinistro; Wendy splendeva letteralmente alla luce dei lampadari, sia per le scaglie
color miele lustrate minuziosamente sia per la quantità di gemme che la
ricoprivano, dal meraviglioso reticolato di fili di perle e pietre preziose che
dal capo le scendevano lungo le guance ai cristalli disposti in graziosi
disegni sulle spalle e lungo i fianchi, fissati sul suo corpo grazie a un
incantesimo.
Con
uno sbuffo di irritazione, la principessa smise di setacciare la sala con le iridi
limpide e si concentrò sui nuovi arrivati. « Le sorelline Mario! ». Gli angoli
delle labbra lucide si arricciarono in un sorriso garbato. « Gloria, potresti
sfilare in passerella! » si complimentò, notando felice che la giovane amica avesse
abbinato al vestito la nuance di smalto rosa cangiante perlato Fairy Floss Meringue
Ethereal Bliss, uno dei fiori all’occhiello del suo brand Coo Chipoo Chi.
Spostò il mirino indagatore sulla sorella e le sopracciglia si sollevarono con
sorpresa. « Lucilla, ti trovo… truccata! ».
Quella
era la prima volta nella sua breve esistenza in cui la timida Lucilla si era addentrata
nell’inesplorato mondo della cosmetica ed era stata provvidenziale l’assistenza
della sorella che, grazie alle generose quantità di campioncini che la principessa
si premurava di far recapitare loro direttamente a casa, essendo Gloria e
Pauline le modelle predilette di quest’ultima, aveva immagazzinato scorte per tre
vite consecutive.
«
Intendevo dire che stai benissimo! ». Si ricompose Wendy, temendo di essere
sembrata scortese. « L’ombretto Sugar Cloud Chromaflake Multichrome Chromadescent
sembra fatto apposta per te! ».
A
Lucilla si accapponava la pelle ogniqualvolta le capitava di udire l’accozzaglia
di parole con cui la rampolla Toadstool Koopa amava battezzare le sue creazioni.
E pensare che, fino al giorno prima, lei e Mario si divertivano a sfogliare i cataloghi
giusto per farsi due risate sulla sfilza di nomi tanto stravaganti degli stessi
trucchi che ora, per ironia della sorte, la ragazzina si ritrovava spalmati in
faccia. « Grazie, Principessa Wendy ».
«
Ho un nuovo gloss volumizzante Charming Champagne Rosé Versailles Exquisite Glow
con effetto ultra scintillante da farvi provare ». La Koopa materializzò tra gli
artigli il lucidalabbra e lo porse a Gloria che accettò il regalo con entusiasmo.
Commemorarono il test con un selfie, prontamente postato sui profili social
reali.
«
Non sarà un po’ presto per volumizzare? » bofonchiò inquieto Mario con la
fronte aggrottata. La moglie gli appoggiò una mano sulla scapola per
tranquillizzarlo, invitandolo con un sussurro vellutato a lasciar correre per
una volta.
Passi
pesanti segnalarono l’appropinquarsi del Re che si autoannunciò con una delle
sue tipiche, reboanti risate. « Peach, mio angelo, ci stanno aspettando per una
foto insieme ». Le iridi cremisi individuarono la famiglia della sua ex nemesi dietro
la sagoma ammaliante dell’amata. « Alla buonora! » proruppe il Koopa di ottimo
umore, come se la serata avesse acquisito un senso da quel preciso istante, bellamente
indifferente all’attenzione che la sua naturale incapacità di essere discreto stava
magnetizzando su di sé. Aumentò l’andatura per avvicinarsi sogghignante.
«
Signora Mario, signorine Mario ». Moderò il volume e rivolse un cenno del capo a
ciascuna, senza fretta. Depose infine lo sguardo sull’ultimo ospite e un folto
sopracciglio si inarcò con sconcerto. « Vi siete portate il nonno? ».
« L’età non ha fatto sconti neppure a te,
simpaticone » ribatté l’amico a braccia conserte, squadrandolo scettico. Il
sovrano e il cavaliere del reame erano soliti punzecchiarsi a vicenda, ma
sempre col sorriso. Da quando Luigi aveva stabilito le distanze, nei momenti più
bui del fratello c’era stata anche la spalla del drago su cui piangere.
«
Sei proprio tu, Mario? Ti avevo preso per un pensionato. »
«
Io almeno non mi nascondo sotto tinte o incantesimi. »
«
Sogna pure. Gli anni non mi sbiancano i capelli. »
«
Vedo. Ti vanno tutti sul giro vita, vecchio Panzer! »
«
Non è grasso » precisò solenne il Re con l’indice alzato. « È potenza ».
«
Io li amo tutti, i tuoi capelli bianchi » intervenne sensuale Pauline, cingendo
il mento del marito e sollevandogli dolcemente il capo brizzolato per unire le labbra
in un bacino. « Ti danno uno charme irresistibile ».
«
E io amo tutta la tua morbidezza ». Non fu da meno la Regina Peach, premendo la
punta del muso contro la guancia del consorte. « Non esiste nulla di più comodo
su cui addormentarsi ».
La
progenie presente emise un verso di unanime imbarazzo alla scenetta stucchevole.
«
I tuoi ragazzi? » domandò Mario che era riuscito a scorgere poco lontano il
codino focoso del più giovane, accerchiato da uno squadrone di damigelle esaltate,
e la criniera blu del primogenito, in disparte dalla confusione femminile dove,
in occasioni analoghe, era solito trovarsi all’epicentro.
«
Stasera tocca a Junior tenere a bada le piccioncine » rispose il drago strizzando
un occhio.
Meglio!,
esultò tra sé Lucilla trionfante. Così non dovrò fare la fila.
Il
resto della stirpe Toadstool Koopa di rado partecipava agli eventi formali, ai quali
l’invito ovviamente era esteso, ma la tendenza collettiva era quella di sottrarsi
al tedio e alla pomposità della vita di corte. Morton Jr. e Larry, i Generali
Stellati, detenevano rispettivamente l’uno le redini delle forze armate
della Terra Oscura e l’altro del Regno dei Funghi ed entrambi preferivano pattugliare
i confini ai balli e alle ciance con aristocratici impomatati, mentre Iggy, insofferente
per indole agli obblighi sociali, si era ritirato dalla sfera politica per
dedicarsi liberamente ai suoi progetti ed esprimere al meglio il suo genio e
la sua passione per la tecnologia, aggiungendo anche il proprio contributo alla
prosperità del reame.
Purtroppo,
persino la famiglia Toadstool Koopa aveva sofferto una lacerazione, quando Ludwig
aveva riunito i Bowserotti per comunicare l’intenzione di abdicare in favore
del più giovane. I fratelli mezzani non avevano avanzato pretese, sia perché
nessuno aspirava a fare i conti con le pressioni della corona sia per la fiducia
riposta nel giudizio del più anziano, ad eccezione del terzogenito. L’orgoglioso
Roy desiderava disperatamente l’occasione propizia per uscire dall’ombra del
padre e del fratello maggiore e rivendicò il proprio posto nella linea di successione,
ma gli altri Bowserotti non lo appoggiarono, giacché non riconoscevano in lui, impulsivo
e incline alla prepotenza, l’erede al trono capace di preservare l’unità dei
due regni.
L’ira
e la frustrazione quasi accecarono il terzogenito e si rasentò una lotta intestina,
ma in che modo gli avrebbe giovato? Se Roy avesse sfidato la gerarchia con i
pugni, le possibilità di prevalere erano incerte: il Koopa ribelle era fisicamente
avvantaggiato, ma il maggiore era assai più scaltro e, se provocato, anche
Ludwig poteva rivelarsi una minaccia in termini di forza bruta. Inoltre, pur in
caso di vittoria, Roy sapeva che non si sarebbe conquistato lo stesso il favore
dei fratelli. Fu un rospo troppo grosso da mandar giù e il terzo rampollo
Toadstool Koopa, ferito e risentito, intraprese l’impresa di fondare un regno
tutto suo e abbandonò la patria senza lasciare tracce.
Il
contraccolpo emotivo sulla famiglia fu terribile, e fu ancora peggio quando si
scoprì che Lemmy, il secondogenito, silenzioso e sensibile, che si assumeva sempre
il ruolo di pacificatore nei bisticci tra i Bowserotti minori, aveva lasciato
il corpo della Guardia Reale per seguire il fratello nell’ignoto. La scomparsa
dell’affezionato Lemmy aveva acuito il dispiacere, ma il suo gesto servì a garantire
almeno il conforto che Roy avesse qualcuno pronto a difenderlo, anche dal lato più
truce di sé nel quale questi rischiava di barricarsi: il più empatico dei Bowserotti
lo aveva capito e non avrebbe permesso al fratello di farsi governare dall’odio.
Saltuariamente la famiglia reale riceveva messaggi spediti dal secondogenito,
con brevi rassicurazioni sullo stato di salute e accenni alle peripezie superate.
Spesso trascorrevano settimane intere, a volte mesi, tra una missiva e l’altra
e, nelle occasioni in cui erano i nervi del Re a cedere per l’apprensione, Mario
era pronto a offrire la sua, di spalla.
Lucilla
sapeva che la sorella aveva un debole per Roy, col quale quest’ultima adorava giocare
a basket o sfidarsi sui kart. Quando la Regina aveva svelato la brutta notizia,
Gloria ci era rimasta così male che si era chiusa in camera a piangere. Tra i due
era nata una complicità reciproca: lui doveva averle fatto delle confidenze
sulle ambizioni represse e sui livori personali e lei gli si era affezionata.
Lucilla era certa addirittura che Roy le scrivesse, osservando come Gloria non osava
lasciar mai il suo cellulare incustodito dal giorno in cui, guarda caso, il
Koopa era sparito dalla circolazione.
«
Chi sarebbero quei paesanotti? Perché sono qui? » bisbigliò con stizza una voce
femminile nelle vicinanze.
Lucilla
drizzò le orecchie, fingendo di non averci fatto caso, mentre gli altri chiacchieravano
tra loro, ignari dei commenti.
«
Abbassa il tono! » sibilò un’altra nervosamente. « Si tratta della famiglia del
cavaliere del reame, Ser Mario ».
«
Davvero? Quello è il famoso Mario? Me lo immaginavo più alto. »
«
La moglie è una bellezza rara. Diversi mariti trascorreranno la sera a fissare
quello spacco. »
«
Anche la figliola è estremamente graziosa. »
«
Graziosa? ». La domanda suonò così incredula da sottintendere il messaggio: “Hai proprio bisogno di un paio di occhiali, vecchia
mia”.
«
Non quella. L’altra col vestito rosso. »
«
Oh, sì. I geni della madre sono evidenti. La sorella, invece? »
Lucilla
stabilì di averne avuto abbastanza. Si voltò verso le due aristocratiche che
trasalirono dietro i ventagli di pizzo, talmente ricoperte da stoffe e piume da
rendere arduo determinare il loro vero aspetto. La ragazzina eseguì un inchino di
saluto perfetto, che le dame corrisposero automaticamente come da bon ton, e indirizzò
loro una linguaccia prima di dirigersi dritta verso l’obiettivo all’estremità dell’immenso
salone, facendosi strada tra la nobiltà mondiale con passo deciso.
Ludwig
era proprio là, alto e magnifico: portava una giacca blu con ricami argentati
su maniche e torace e sembrava uscito da un libro di favole, in attesa della
sua damigella con cui ballare. Il cuore accelerò i battiti e le gote iniziarono
a bruciarle, ma l’emozione non l’avrebbe indotta a desistere. Il drago la individuò
con la coda dell’occhio venirgli incontro e le rivolse un sorriso
di benvenuto.
La
ragazzina ricambiò euforica e quasi si trattenne dal mettersi a correre. Mi
sei mancato! Mi sei mancato!
Il
principe si spostò un poco di lato, scoprendo una persona prima nascosta dalla
sua figura imponente.
Era
una donna, della stessa età di Ludwig o forse poco più giovane, con capelli color
avorio raccolti in uno chignon laterale e un lungo abito bianco, puro come un
manto di neve appena caduta, che scendeva sino ai piedi, sfumando in un rosa
delicato. Due alette di tulle, rosa anch’esse, le velavano graziosamente le braccia
fino al gomito. Sembrava una sposina.
Lucilla
continuò a sorridere soltanto perché lo sbigottimento le aveva provocato una
paresi facciale. Una volta raggiunta la coppia, notò l’anello all’anulare
sinistro di entrambi.
Il
Koopa non perse tempo con le introduzioni: « Lucilla, ti presento Alba, amore e
musa della mia vita ».
Lucilla
si sentì morire dentro.
«
Sei una delle figlie di Mario! » esordì la fidanzata a sorpresa. Anche la sua
voce era stupenda, sicuramente allenata al canto. « Ludwig mi ha parlato tanto
di te, di come apprezzi la sua musica e la sua compagnia ». Avanzò di un paio
di passi, si chinò finché i loro visi furono a pochi centimetri di distanza e con
aria complice le sussurrò: « Sai, lui non è bravo a esternare i sentimenti o a
spiegarli con le parole, ma so che ti vuole un mondo di bene, come a una sorellina
».
Lucilla
si sentì morire dentro per la seconda volta. Mantenere il sorriso e trattenere
le lacrime nella gola dolorante stava diventando un’autentica tortura. Se avesse
aperto bocca per rispondere, il suo autocontrollo avrebbe ceduto.
L’espressione
dolce sul volto della donna lasciò pian piano spazio alla confusione.
«
Lucilla! » giunse con tempismo straordinariamente opportuno la voce leonina di Bowser
Jr. che si avvicinò di gran lena. Anche lui era vestito di tutto punto per l’evento,
sfoggiando una regale giacca rossa e dorata. « Non vi offendete se ve la rubo
per qualche minuto, vero? È il suo turno per il ballo ». Non concesse il tempo di
replicare che aveva già sollevato di peso l’adolescente e compiuto una inversione
a U verso l’area del salone dedicata alle danze, delimitata da una folla di
aristocratiche in trepidante attesa del ritorno del loro principe da
accalappiare.
«
Fortuna per te che ho visto tutto, ma non ringraziarmi per averti tolto da lì.
Non ringraziarmi. Nooo, davvero, non devi. Che fai, non mi ringrazi? »
bisbigliò compiaciuto l’erede al trono muovendo un angolo delle labbra.
«
Puoi anche mettermi giù, non ho voglia di ballare ». Lucilla, accoccolata
contro il torace e il braccio destro del drago, si resse al collare borchiato
mentre con la mano libera si asciugava frenetica le prime gocce tracimate lungo
le guance. In quel momento desiderava unicamente scomparire dalla faccia della
terra, invece di essere portata in giro come un chihuahua. Pur essendo il più giovane
dei Toadstool Koopa, Junior svettava sulle teste degli invitati.
«
Ci stanno ancora guardando, non vorrai tradirti proprio adesso ». Questi si fece
largo tra la schiera di signorine improfumate e agguerrite che studiarono con attenzione
chirurgica l’insolito bottino custodito tra i suoi muscoli.
«
Si può sapere chi è? » diverse voci si interrogarono indispettite. Ma come? Loro
stavano tutte aspettando il proprio turno e costei veniva addirittura prelevata
apposta?
Una
volta al centro della corrida, il principe permise a Lucilla di scendere,
chinandosi per accompagnarla.
La
ragazzina diede un’occhiata fugace tutt’intorno e la moltitudine di pupille
piantate addosso le causò le vertigini. Sempre più spettatori si stavano
ammassando, incuriositi dal silenzio anomalo delle pulzelle intente a scrutare
torve la presenza nemica: somigliavano a una muta di cani da caccia in attesa
di vedersi sciogliere il guinzaglio per saltare addosso alla povera volpe. Certamente
erano scottate dalla delusione di essersi viste soffiare da sotto il naso il Principe
Ludwig e, di conseguenza, la competizione per il secondo scapolo più ambito
della famiglia reale era salita alle stelle.
«
Balleremo un valzer lento, nulla di complicato ». Junior fece un cenno al gruppetto
di toad musicisti che annuirono in sincrono. Per quella sera decise di fare uno
strappo alla regola della famiglia reale sul mantenere tutti il medesimo
aspetto a un evento e assunse forma umana: portava pantaloni rossi, abbinati alla
giacca e infilati in stivali alti fino al ginocchio, e i capelli tirati indietro
nel tipico codino. La distanza dalla sua compagna di danze si era drasticamente
ridotta, ma restavano ancora diversi centimetri di differenza in statura, considerati
i quattro anni di età a separarli.
Dalla
calca di spettatori si levarono brusii concitati. I musicisti attaccarono con
gli accordi di apertura.
Lucilla
era rigida, ancora in shock per la brutta scoperta che era stata inattesa e violenta
come un pugno allo stomaco. Trovarsi al centro di tanta attenzione non l’aiutava
di certo. « Non so cosa devo fare » mormorò, nel panico. Sentiva la testa
annebbiata, come se i suoi pensieri dovessero farsi strada attraverso un banco
di nuvole. I ricordi dei video e dei tutorial che aveva studiato al computer si
erano fatti remoti e fiochi.
«
Non preoccuparti, » la rassicurò Junior, « condurrò io ». Le sollevò la mano
sinistra e la strinse nella sua, poi sistemò la destra di lei sulla sua spalla e
la sua destra sulla vita di lei, senza appoggiarla, sfiorandola soltanto e tenendo
il palmo rivolto in alto per non provocarle disagio. Se possibile, gli occhioni
azzurri di Lucilla divennero ancora più grandi e teneri dietro le lenti degli
occhiali. Il principe avanzò di un passo e la damigella lo seguì con la scioltezza
di un manichino. « Non guardare i nostri piedi » la corresse con gentilezza. « Scivola
adagio dove ti porto io ». Dopo qualche resistenza iniziarono a muoversi leggiadri,
disegnando cerchi sul pavimento lucido.
I
movimenti ripetitivi e cullanti del valzer aiutarono Lucilla a riacquistare il
controllo. Si concentrò sul viso di Bowser Jr., così simile al padre:
sopracciglia spesse, naso a patata, pelle olivastra e guance paffute. Non era quello
che si poteva definire un ritratto di bellezza, specialmente se il modello di confronto
era Ludwig, dai lineamenti più armoniosi e dal savoir-faire ineccepibile. Anche
Junior doveva essersi sorbito la sua dose di commenti e paragoni a sfavore. «
Grazie per avermi aiutato ».
«
Sapevo che non avresti fatto i salti di gioia, ma Ludwig ci ha fatto promettere
di rendere pubblica la notizia non prima di stasera. È molto riservato su di
Alba. Pensa che si frequentano da mesi e lui ce l’ha confidato giusto qualche
giorno fa, quando l’ha portata al castello. »
Lucilla
arrossì, abbassando il mento.
«
Non fare quella faccia, era lampante che stravedessi per lui » rise Junior, ma
senza cattiveria. « L’unico a non esserci arrivato è proprio Ludwig che, almeno
in una cosa, si può dire che sia negato ».
«
Sono contenta per lui » fece la giovane, tornando a corrispondergli lo sguardo.
« Se lo merita. Quando l’ho salutato, mi è sembrato davvero felice. Non mi aspettavo
la novità, ecco tutto ». La ferita era fresca e l’avrebbe afflitta chissà quanto
a lungo ancora, ma Lucilla l’avrebbe accettata. Non poter essere lei la fonte
della felicità del principe la avviliva, ma non per tale ragione questi doveva restarne
privo.
«
Tranquilla, nessuno di noi se lo aspettava. Avresti dovuto vedere Wendy come se
l’è presa. Ad ogni modo, finalmente posso dire che stasera sto ballando con
qualcuno con cui mi fa davvero piacere ballare insieme ». Junior non stava
flirtando, voleva solo dimostrarle di apprezzare la sua compagnia. Il Koopa era
molto affezionato alla famiglia Mario e, esattamente come i genitori sovrani,
teneva molto alla loro amicizia. La casa del cavaliere del reame era un rifugio
sicuro per il principe quando questi aveva bisogno di qualche piccolo, prezioso
momento di sollievo dalla routine politica e dalle angosce personali. Quando
Roy se ne era andato, i sensi di colpa avevano tormentato Junior per settimane
e c’era voluto anche il conforto dei Mario a infondergli la forza necessaria
per sorreggere il peso della corona e metabolizzare la perdita di due fratelli.
«
E le tizie ansiose di sbranarmi? » bisbigliò cauta Lucilla, avvertendo spilli
invisibili schizzarle addosso da ogni direzione.
«
Sono qui per visibilità, favori e trattative matrimoniali ». Junior si era abituato
fin da piccolo a dover distinguere le simpatie autentiche da quelle alimentate
da mero interesse, a saper riporre la sua fiducia e le sue fragilità nelle mani
di pochi fidatissimi: i genitori, i fratelli e la famiglia Mario. « Fino a ieri
erano tutte alle calcagna di Ludwig ».
A
Lucilla si erano drizzati i capelli a “trattative matrimoniali”, considerato che
l’amico non fosse nemmeno maggiorenne, ma, d’altro canto, gli interessi del
trono imponevano la garanzia della continuità della linea di sangue per
assicurare la stabilità del paese. Nulla di strano dunque se giovinette di
bella presenza e di famiglie bramose di titoli già gli ronzavano intorno come vespe
attratte dal miele. Junior era un libro aperto per Lucilla che lo reputava dotato
di grande educazione, umiltà e compassione, assai più maturo per la sua età a
causa delle responsabilità che lo avevano costretto a crescere in fretta. Possibile
che nessuna delle ruffiane lì intorno fosse riuscita ad apprezzarlo per la persona
che era e non per la prospettiva di un matrimonio prestigioso? « Anche a me fa
piacere ballare con te » gli disse con convinzione, intimamente riconoscente per
averla distolta dai pensieri negativi e averle ricordato di poter contare su un valido e
affezionato alleato.
Il
mondo non era finito quella sera. L’addio al suo primo amore era avvenuto con
più anticipo di quanto Lucilla aveva temuto, ma quest’ultima non si sarebbe
arresa alla depressione. Avrebbe mantenuto la testa alta e continuato a godersi
il ballo col suo migliore amico. Quando Junior prese l’iniziativa e la sollevò
da terra senza ombra di sforzo per farla volteggiare come una ballerina, la
ragazzina scoppiò a ridere e gli astanti applaudirono emozionati, con qualche
femminile eccezione.
«
Qualcuno si sta divertendo » osservò Mario, udendo i plausi dalla pista poco
lontano. « Con chi sta ballando Junior? ».
Bowser
girò il capo per sbirciare oltre le figure degli altri invitati. « Con tua
figlia ».
Cavaliere
e famiglia testimone rimasero a bocca aperta. Lucilla, l’introversa e ritrosa
Lucilla, che ballava in mezzo a una sala piena di gente?
«
Penso sia una meravigliosa occasione per cancellare una volta per tutte le divergenze
tra voi due e unire le nostre famiglie » contribuì entusiasta Peach che dalla
gioia si lasciò sfuggire dalle labbra un soffio di fiamme blu: una delle sue
peculiarità Koopa.
I
sovrani erano già stati molto chiari sull’argomento col
principe erede: questi
era libero di sposare chi desiderava. Il regno era talmente prospero e
autonomo da potersi sradicare da tradizioni ormai antiquate.
Nota
d’autrice:
Sorry, I have been busy being dead.
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Capitolo 8 *** Changes ***
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Changes
Quando il cammino della combriccola di
Mario e dell’immortale Farfabì si erano incrociati per la prima volta, la nimbi
aveva mostrato l’atteggiamento di una giovincella capricciosa che tuttavia, nel
momento in cui la sorte del mondo fu riposta nelle sue mani, rivelò infine una
profonda nobiltà d’animo. In realtà Farfabì si comportava in maniera tanto
puerile, nonostante secoli e secoli di esistenza nella dimensione spirituale,
poiché i suoi gelosissimi genitori, i sempiterni custodi dei regni dell’Aldilà,
non avevano fatto altro che trattarla come una bambina, viziandola senza
riserve per tenerla appagata e al sicuro nelle rispettive dimore dei cieli e
degli inferi.
Dopo il compimento dell’impresa per la
salvezza universale, alla perpetua infanta fu concessa una breve visita fuori
porta per avere un assaggio dell’esperienza mortale che lei, nata nimbi, mai
aveva avuto prima. Granbì e Infernia strinsero dunque un accordo coi sovrani
della Terra Oscura e del Regno dei Funghi: qualche ora di trastullo nel mondo
terreno che l’adorata figlioletta aveva contribuito a preservare in cambio di
una snellita alla lista dei precedenti criminali di Bowser, le cui furfanterie
non erano trascorse inosservate dall’inflessibile regina spettrale. Farfabì
celò l’aspetto di nimbi sotto spoglie umane e venne scortata dai tutori
provvisori al parco dei divertimenti di Girasolandia che, con sollievo di
questi ultimi, fu di estremo gradimento della bimba che rimase ammaliata dai
colori e dalle luci delle giostre variegate, dalla musica disco emessa dagli
altoparlanti e dai profumi e dai sapori delle leccornie in vendita nei
chioschi.
Bowser e Peach cercarono di accontentare
ogni richiesta, ciononostante, i capricci dell’ospite altezzosa non tardarono a
susseguirsi implacabili fino a mettere a dura prova la pazienza di entrambi,
ai quali non era reciprocato alcun riguardo da parte della monella, convinta di
impugnare il coltello dalla parte del manico e di poter disporre di loro come
fossero suoi galoppini personali.
Fu il Re Koopa, assai meno incline alla
sopportazione e genitore navigato, a ristabilire la disciplina:
« Sono stanco di queste lagne continue,
signorinella. Noi ti stiamo facendo un favore e non siamo al tuo servizio. Non
hai ancora capito che né Peach né io, specialmente io, siamo agli ordini di
chicchessia, ma che siamo qui per nostra scelta e perché i tuoi hanno
insistito. Per quanto mi riguarda, se godere di un misero sconticino sulla mia
fedina penale vuol dire dover reggere oltre una ragazzina ingrata e
insoffribile come te, preferisco portarmi tutte le colpe che ho commesso nella
tomba. Una in più o in meno non mi cambia certo l'esistenza ».
Da lì in avanti la convivenza divenne
decisamente più piacevole, sino al momento del saluto che
avvenne con mutuo affetto (sebbene Bowser non lo avrebbe mai ammesso
apertamente).
Le parole del drago si rivelarono tanto
severe quanto provvidenziali e quell’evento divenne una pietra miliare nella
crescita di Farfabì, che prese consapevolezza della propria condotta e che si
convinse così a porre rimedio da sola a ciò che i genitori avrebbero dovuto
correggerle, accecati dall’amore verso di lei per imporsi: doveva assolutamente
migliorarsi, sia per la dignità sua che per quella dei sudditi che lei doveva
rappresentare. Il tempo delle favole e di fantomatici principi azzurri era
ufficialmente finito.
Se non fosse stata per quella memorabile
giornata insieme ai sovrani Toadstool Koopa, Farfabì sarebbe rimasta chissà
quanto a lungo ancora incastrata nel circolo vizioso alimentato da suo padre e
sua madre, dalla loro ottusità nel vederla come un eterno pulcino. Nessuno dei
due, per esempio, aveva dato la necessaria importanza alla sua scolarizzazione:
quando avevano provato ad affiancarle maestri illustri, secoli addietro, la
loro volontà si era subito piegata di fronte alle proteste di una ragazzina
annoiata e incosciente che ancora non comprendeva il valore dell’istruzione.
Non potevano fare a meno di assecondarla in tutto, persino negli sbagli. Era
l’unico modo che conoscevano per dimostrarle che le volevano bene.
Al rientro dell’infanta nel regno dei
cieli, i luminari snobbati erano stati da lei braccati uno a uno, placcati al
volo e supplicati di riprenderla come allieva. Il perdono di molti se lo era
dovuto conquistare, studiando da sola tomi su tomi nella Biblioteca Celeste per
superare prove di ingresso al fine di convincerli di esser degna del privilegio
delle loro lezioni, mentre altri, più indulgenti, avevano accolto con gioia la
trasformazione della principessa. Quanto più Farfabì studiava e imparava, tanto
più aumentava il suo interesse per ciò che ancora non conosceva. Iniziò dalle artes
liberales (Filosofia, Grammatica, Dialettica, Retorica, Aritmetica,
Geometria, Musica e Astronomia) e poi spaziò su altre discipline come Storia,
Geografia, Scienze Naturali, Arte, Poesia e Letteratura. I nimbi non avevano
necessità di riposare o rifocillarsi, quindi la principessa trascorreva
ininterrottamente giorni, settimane, mesi su libri e manuali e alternando tra i
suoi maestri, sostentata dal desiderio di recuperare il tempo perduto e di
riscattarsi.
Il vetusto Granbì e l’austera Infernia
non avevano idea della scintilla che aveva innescato un cambiamento di tale
entità nella figlia diletta, ma lungi da entrambi distoglierla dal suo percorso
di edificazione per porle la domanda. Certo era che, considerato un risultato
tanto eccezionale dopo quello che doveva essere un banale viaggio di piacere,
il nome di Bowser Koopa era ufficialmente cancellato dall’elenco di malfattori
destinati agli orrendi domini del Mondodigiù. Per Infernia fu più facile
chiudere un occhio sul protocollo per la prima occasione in milioni di anni
grazie anche al notevole contributo di Peach, attivamente impegnata nella
missione di redenzione del monarca della Terra Oscura.
Farfabì rivoluzionò l’approccio anche
coi sudditi che la circondavano, parlandoci e ascoltando le loro storie: a
volte liete, a volte tristi, altre addirittura orribili. Qualsiasi anima le
chiedeva udienza, pia o dannata, Farfabì la accoglieva a cuore aperto e i loro
racconti pizzicavano le corde della sua sensibilità.
In una manciata di anni una vera
principessa sbocciò dalla crisalide di bimba: gentile, umile e benvoluta in
egual misura da nimbi e d-moni, avendo abbandonato le cattive abitudini e
affinato le virtù, tra queste l’interesse per l‘arte e la musica. Le sembianze di
Farfabì erano una proiezione della sua maturità interiore e, se prima la nimbi
si era presentata come un’adolescente che secoli di trattamento soffocante e
premuroso da parte dei genitori avevano represso allo stadio infantile, ora
aveva le fattezze di una giovane donna.
Pur essendo fortemente attratta dal
mondo terreno, Farfabì doveva attenersi alle regole primordiali tra mortali e
spiriti e limitarsi al ruolo di semplice osservatrice dall’interno dei confini
dei regni dell’oltretomba. Un giorno però, preda di una nostalgia stuzzicata
dai ricordi, la perpetua approfittò di un momento di distrazione dei sovrani
divini, costantemente indaffarati a ricevere nuove anime: varcò in punta di
piedi i cancelli eterei e fece ritorno al castello di un certo drago per
rendere omaggio a due vecchie conoscenze.
Quando le sentinelle informarono Ludwig
che una donna misteriosa era inspiegabilmente riuscita a superare la
sorveglianza senza esser intercettata per bussare indisturbata alle porte della
fortezza, un fulmine a ciel sereno spezzò la monotonia ripetitiva del principe.
Si allontanò dalle scartoffie per andare a verificare di persona e,
effettivamente, a ricambiare il suo sguardo con pari perplessità c’era proprio
una damigella all’entrata della lugubre dimora. Portava un vestito candido fino
alle caviglie e i capelli chiarissimi morbidamente annodati sulla nuca. La
pelle rosea sembrava splendere sotto i raggi del sole di quella giornata
insolitamente luminosa nella Terra Oscura.
Sulle prime la nimbi, colta alla sprovvista
dal volto estraneo, temette che il castello fosse passato di proprietà, perché
il drago che le aveva risposto non era Bowser, né gli somigliava molto: era di
stazza meno robusta, con una vistosa chioma blu, le basette e gli incisivi
superiori che sporgevano leggermente insieme ai canini acuminati. Gli si
presentò con timidezza come un’amica dei sovrani, conosciuti durante l’impresa della raccolta dei Cuori Puri per contrastare la profezia nefasta
della fine del mondo, e domandò molto educatamente se fossero in casa.
« Posso sapere chi li sta cercando? ».
La voce cavernosa e animale del koopa vibrò come un motore al minimo,
esprimendo una calma che l’imprevedibilità dell’incontro non aveva intaccato,
almeno in apparenza. Ludwig rammentava quanto i genitori avevano riferito a lui
e ai fratelli di tale faccenda: il padre aveva l’abitudine di porre
l’attenzione sui nemici contro cui aveva combattuto, mentre la madre sulle
amicizie strette e in nessuno dei due elenchi era presente una descrizione che
coincidesse col profilo della forestiera.
Farfabì tentennò. Non era certa che la
sua esistenza fosse ancora un mistero per i mortali, ma la perpetua scelse di
non correre il rischio e mantenere discrezione. Giammai dovesse circolar voce
che un nimbi aveva calpestato il mondo terreno: i genitori non glielo avrebbero
perdonato, sua madre nella maniera più assoluta. « Temo di non poterlo rivelare
». Chinò il capo con umiltà, giungendo le mani. « Non intendo recarvi offesa.
Ho le mie ragioni, vi prego di credermi ». A dispetto dell’assurdità della
situazione, l’interlocutore non si alterò.
« Posso sapere allora dove vi siete
incontrati? » domandò questi, continuando a osservarla guardingo dietro le
profonde iridi scure, come se tentasse di leggerle sotto la pelle
La fanciulla scosse la testa. « Non
posso precisarlo, mi dispiace ».
Sebbene esteriormente il principe non
lasciasse trapelare nulla, dentro di sé si stava arrovellando sull’identità
della nuova arrivata, escludendo uno a uno i suoi sospetti. Non gli sembrava
una minaccia: se ella desiderava entrare nel castello, avrebbe potuto farlo con
la stessa facilità con cui aveva superato le decine di sentinelle e invece si
era annunciata all’ingresso. Se aveva aiutato in qualche modo i genitori nella
missione dei Cuori Puri, dove potevano essersi conosciuti? Dopo un ultimo
sforzo di memoria, un nome affiorò alla mente del principe, quasi sbiadito in
fondo alla lunga lista di personaggi. Altruista e valorosa, l’aveva
descritta Mama Peach. Una vera peste, l’aveva inquadrata suo padre.
« Non intendo rubare loro troppo tempo,
vorrei soltanto salutarli ». Provò a insistere in tono quasi di supplica
l’insolita ospite. Il drago le parve tutt’altro che bendisposto, restandosene
piantato e indifferente dall’altra parte del pesante portone ricoperto di
borchie aguzze che ricordavano il carapace del proprietario.
« I sovrani Toadstool Koopa non sono qui
» rivelò pacato Ludwig, leggendo la delusione sul viso della giovane. « Sono
impegnati nel Regno di Sarasaland per tutta la settimana, a fini diplomatici ».
Farfabì si sentì così sciocca da non
aver considerato prima di partire la possibilità che i suoi amici avrebbero
avuto da fare altrove, avendo così nutrito aspettative dolorosamente disattese.
« Porgo le mie scuse per avervi importunato » fece infine, mascherando con
scarso successo la tristezza dietro un sorriso tremulo che non ingannò nessuno.
« Riprenderò la mia strada, ora ». La voce le si incrinò e si passò lesta una
mano sugli occhi per asciugare disperatamente le prime lacrime che d’impulso
erano sgorgate, sentendosi ancor più sciocca per tale perdita di contegno.
Avrebbe voluto così tanto riabbracciarli, persino il tartarugone bisbetico che
proprio lui le aveva dato la spinta ad elevarsi (sebbene Farfabì non lo avrebbe
mai ammesso apertamente).
Il principe non aveva dubbi ormai su chi
lei fosse. « Perché non entrate? ».
Gli occhioni castani batterono con
sorpresa, soffermandosi sul volto del koopa ignoto.
« Mai si rifiuterà ospitalità a chi ha
aiutato la famiglia reale e, se mio padre e mia madre fossero presenti, di
certo vorrebbero che siate trattata col massimo riguardo ». Ludwig si presentò, compiacendosi in segreto alla tenera vista del sorriso sollevato a
cacciar via l’espressione incupita, e ricevette conferma che Bowser le aveva
parlato di lui e dei fratelli. Considerate le origini di Farfabì, il primogenito Toadstool Koopa non si meravigliò che sino a quel preciso momento la giovane non aveva avuto idea con chi stesse parlando.
Al fine di ridurre l’interessante
dislivello in altezza, il drago roteò lo scettro tra gli artigli e assunse
sembianze umane con l’outfit che solitamente prediligeva: pantaloni neri e
camicia con maniche arrotolate sui gomiti. Con un cenno elegante della mano, la
invitò nella fortezza. La perpetua arrossì sbalordita, avvertendo un volo di
farfalle agitarsi nello stomaco di fronte allo charme del principe, al fisico
piacente, alle maniere squisite. Lusingata e impreparata dinnanzi a cotanta
galanteria, cercò di recuperare l’autocontrollo, drizzò le spalle e si sforzò
di corrispondere lo sguardo serissimo del principe senza sciogliersi. La
fanciulla accettò con un inchino cortese e Ludwig ebbe un fremito quando gli
camminò accanto quasi sfiorandolo: emanava un profumo tenue e buonissimo di
aria pura, erba fresca e di libri.
La accolse nella sua vita con
naturalezza, come il primo raggio dell’alba che penetra discreto dalle imposte.
Adorava ascoltarla e cercava continui spunti di dialogo per incoraggiarla a
dischiudersi, un petalo alla volta, fino a che l’imbarazzo iniziale non si
dissolse, sostituito da simpatia e calore. Gli esternò una sensibilità
acutissima e delicata a ogni espressione di bellezza, di ordine e di ritmo e,
come era prevedibile, essendo lei familiare anche con l’atroce Mondodigiù, le
minacce della roccaforte la lasciarono impassibile. Il principe le aveva
proposto un giro turistico per agevolare la conversazione e passeggiare su
ponti sospesi sulla lava e la vista di twomp, categnacci, tartossi e altri
brutti musi non la distrassero un istante dal dialogo.
Farfabì
aveva così tanto da raccontare,
non avendo affetti con cui confidarsi, pur rimanendo attenta a non
toccare la
sfera personale: libri che aveva letto, spettacoli che le sarebbe
piaciuto
guardare dal vivo, musiche che aveva ascoltato. « Mi rende felice
cantare per i
miei sudd… per i miei amici! » si corresse mordendosi la
lingua. Capitava con
crescente frequenza, quando discendeva nell’averno per portare
sollievo a
qualche anima tormentata, che frotte di dannati le si radunassero
intorno pregandola almeno di una canzone, così da aiutarli a
dimenticare per un po’
la loro miserevole condizione. Di tutti i maestri che l’avevano
seguita, quelli
di canto erano stati i più esigenti e bacchettoni, ma le lezioni
estenuanti
avevano dato ottimi frutti.
« Voi cantate? ». Ludwig era
genuinamente interessato. Si arrestò lì dove erano giunti, al centro della
gigantesca biblioteca, e la fissò negli occhi con un’intensità tale da farle
tremare le ginocchia. « Se non sono troppo ardito, mi concedereste l’onore di
un canto? ».
Sulle prime Farfabì fece la modesta,
tuttavia acconsentì senza il bisogno di chiedere una seconda volta. La presenza
avvenente del principe le causava uno stato di euforia tale da minarle la
concentrazione e di conseguenza la qualità dell’esibizione, ma la giovane
desiderava impressionarlo per ascoltare il dolce suono dei suoi complimenti.
Quel pensiero le diede l’ispirazione sulla scelta del pezzo. Compì pochi passi
indietro, trasse un lungo respiro di preparazione e poi intonò:
Il dolce suono mi colpì di sua voce!
Ah, quella voce m'è qui nel cor discesa
Edgardo, io ti son resa
Edgardo, ah, Edgardo mio!
Sì, ti son resa
Fuggita io son da' tuoi nemici
Ah, nemici
Un gelo mi serpeggia nel sen
Trema ogni fibra
Vacilla il piè
Presso la fonte meco t'assidi alquanto
Sì, presso tal fonte meco t'assidi
Si lasciò completamente trasportare dal
sentimento del canto struggente e solo alla fine si rese conto di aver
modulato gli ultimi versi con la sua vera voce di nimbi, utilizzata per
comunicare nell’antica lingua del Mondodisù, l’enochiano. Si era tradita. « È
arrivato per me il momento di andare ». Riassunse contegno, spaventata dalle
ripercussioni di tale sconsideratezza. « Indicatemi l’uscita, per favore ».
Ludwig si riscosse dalla trance in cui
la voce dell’ospite lo aveva indotto. Le ultime parole della famosa aria,
distorte in un suono che corde vocali umane non avevano capacità di produrre,
penetrante e sovrannaturale, gli scorrevano ancora dentro come se l'eco della
voce di Farfabì si perpetuasse in vibrazioni lungo il sistema nervoso: il suono
più melodioso e potente che il principe avesse mai udito prima. « Ho compreso
chi foste ancor prima di farvi entrare » ammise sollevando una mano
per invitarla a non cedere al panico. « Se temete che farò parola della
vostra identità con qualcuno, sul mio nome prometto che rispetterò il vostro
riserbo ».
« Devo comunque andare ». Farfabì notò da
una finestra che i primi colori del tramonto stavano tingendo la cupola
celeste: erano trascorse ore intere e lei non se n’era minimamente avveduta.
Forse i genitori erano già in agguato ai cancelli eterei, furiosi e impazienti
di imporle il castigo più lungo della storia. « Vi ringrazio per il tempo e per
le gentili parole dedicatimi. E vi ringrazio per la vostra promessa ». Eseguì
un piccolo inchino, trattenendo delicatamente la gonna candida con la punta
delle dita. « Non lo dimenticherò ».
« Chiedo il permesso di poter
approfondire la vostra conoscenza ». Ludwig espresse risoluto il desiderio che
serbava ormai dall’intero pomeriggio. Gli occhi scuri brillarono con speranza e
decisione.
La fanciulla ebbe un tuffo al cuore e,
dopo attimi di muto sbigottimento, gli ricordò da dove lei provenisse.
« Non importa ». La determinazione del
principe non si ridusse di un nanometro: se lui non poteva raggiungerla
fisicamente, la musica avrebbe funto da ponte tra loro due, nell’attesa del
ritorno di lei nella dimensione dei vivi.
Farfabì, allo stesso modo di tutti i
nimbi, aveva la capacità di ascoltare le preghiere dei mortali, pertanto Ludwig
avrebbe inviato i suoi componimenti fino agli estremi del Regno dei Cieli e
degli Inferi. Sarebbe valsa la pena aspettarla settimane, mesi, o addirittura
anni. Nel frattempo i tasti del pianoforte si sarebbero tramutati nelle corde
del pensiero del principe e avrebbero dato voce all’affetto, alla nostalgia e
alla passione.
La fanciulla non si lasciò certo
abbindolare dall’ardire del rampollo Toadstool Koopa che magari credeva di
poterla conquistare soltanto con le belle parole, seppur una parte di lei, la
più fragile e romantica, che sin da bambina covava ostinata il sogno di
incontrare un giorno il suo cavaliere, accolse la sfida.
Non passò molto tempo nel nebuloso
Mondodisù che le prime note le solleticarono soffici le orecchie, come un
sussurro, e l’esistenza della principessa cambiò irreversibilmente.
Se non scaturiva diretta dal cuore, una
preghiera non giungeva all’udito celestiale dei nimbi. Ludwig riversava l’anima
ammalata d’amore in ogni armonia rivolta alla sua musa. Più il tempo a
separarli si dilatava e più intensi i messaggi del principe divenivano: la
inebriavano di una letizia incontenibile che la faceva danzare come
una ballerina, le infiammavano i sensi, la commuovevano sino a che le lacrime
non le rigavano le guance, la chiamavano, la supplicavano.
Si vedevano di nascosto, senza
regolarità e senza cedere all’impazienza, quando la perpetua poteva
sgattaiolare via nell’assoluta certezza di non destare attenzioni pericolose.
Lui la attendeva devoto e le dedicava spartiti su spartiti, abbandonandosi alla
gioia più completa quando gli era finalmente concessa l’opportunità di
stringerla a sé e di affondare il viso nei capelli candidi.
I genitori della nimbi non avrebbero mai
approvato la relazione, poiché trasgrediva l’ordine naturale tra i loro mondi,
perciò Farfabì fu costretta a mantenere il segreto e Ludwig fece altrettanto
con la sua famiglia, nel timore che si sarebbe opposta in previsione delle
ritorsioni da parte dei guardiani divini. Tuttavia, un’avventura così rischiosa
non poteva continuare indisturbata tanto a lungo e, infine, i custodi del regno
celeste e degli Inferi presero atto di cosa stava accadendo proprio sotto il
loro naso.
Tentarono di porre termine alle evasioni
della figlia, ma questa si ribellò con tutte le forze. Rassegnatisi che nulla
avrebbe persuaso la loro bambina adorata a privarsi del suo principe, in barba
alle regole universali, i sovrani perpetui convocarono al loro cospetto sia lo
spasimante che i coniugi Toadstool Koopa per definire una soluzione.
La Regina Infernia propose quella più
logica: « Ludwig dovrà rinunciare alla vita e raggiungere Farfabì nella
dimensione dei defunti ».
La Regina Peach propose quella più
umana: « Farfabì rimarrà nel mondo terreno fintanto che lo desidera e la
famiglia Toadstool Koopa avrà cura di lei. Il segreto della sua identità non
trapelerà al di fuori dei presenti. Inoltre Farfabì può adattare l’aspetto
esteriore all’età che col tempo ci si aspetta che lei dimostri, così non
nasceranno sospetti sulla sua vera natura ».
Granbì, compassionevole, acconsentì
dinnanzi alle implorazioni della figlia, mentre la consorte non si contentò di
una banale promessa ed esigette un giuramento dal diretto interessato: non
appena si fosse venuto a sapere dell’identità di Farfabì, che un nimbi aveva
lasciato la dimensione spirituale per camminare di nuovo tra i mortali,
Infernia avrebbe trascinato il baldo Ludwig nelle sue lande di ombre e
tormenti.
Bowser e Peach offrirono prontamente le
loro anime in palio, terrorizzati di fronte al rischio di un simile destino per
il figlio, ma quest’ultimo, il quale mai avrebbe permesso ai propri cari di
pagare il prezzo delle scelte da lui compiute, aveva capito che, dietro tale
minaccia, la temibile regina stava di fatto mettendo alla prova la sua volontà,
pertanto accettò senza batter ciglio. Anche se fosse finito nell’avernale
Mondodigiù, avrebbe sempre avuto Farfabì accanto.
A quelle parole anche l’irremovibile
Infernia cedette e la giovane innamorata poté far ritorno felice dall’Aldilà in
braccio al suo diletto.
Farfabì era rimasta profondamente
colpita dai genitori di Ludwig, specie dalla madre adottiva, che non ci avevano
pensato due volte a porre a repentaglio la loro salvezza eterna per proteggerlo
e fu inghiottita dai sensi di colpa. Addolorata, chiese loro perdono per aver
cagionato tanta pena e per non avere nulla da offrire in cambio della
generosità riservatale. All’improvviso la sua risolutezza venne meno: si era
appena infilata di prepotenza in un nucleo familiare la cui serenità era stata
compromessa per il suo egoismo, costringendoli a convivere costantemente con la
paura per l’incolumità di un figlio. Come se ciò non fosse abbastanza, Farfabì lo avrebbe derubato della possibilità di una discendenza, giacché i nimbi
non possedevano l’onore di poter generare la vita.
Provò disprezzo per sé stessa. Avrebbe
fatto meglio a rientrare nei domini dell’oltretomba, così da restituire a
Ludwig la libertà di dimenticarla e di condurre un’esistenza senza il peso di
un simile macigno. Cercò di liberarsi dall’abbraccio affettuoso del principe
che, dopo aver ascoltato le ragioni per cui il viso del suo prezioso angelo si
era improvvisamente rabbuiato, le depose un bacio tenero sulla fronte, lungo e
confortante. Per Ludwig era lei la famiglia che questi desiderava e, dopo aver
badato a ben sette fratelli più piccoli, non nutriva interesse a crescere anche
dei figli.
La Regina Peach le garantì che fosse la
benvenuta nella grande famiglia Toadstool Koopa che proprio Farfabì, grazie al
suo sacrificio per il quale le erano eternamente debitori, aveva contribuito a
preservare.
Per Re Bowser il figlio era grande
abbastanza da scegliersi la sposa che il cuore gli comandava e, essendo i Koopa
per indole amanti del rischio, il sovrano non era affatto stupito che Ludwig
fosse andato a stuzzicare i suoceri più pericolosi su piazza.
Il patto suggellato quel giorno segnò
una rinascita per l’immortale Farfabì, che stabilì di lasciarsi alle spalle il
passato di nimbi e di ripartire da zero in forma umana, godendosi appieno la
vita che le era stata negata in principio. Chiese a Ludwig di darle un nuovo
nome che, da allora, le sarebbe appartenuto per sempre.
Nota
d’autrice:
Non è la prima volta che decido di buttar
giù qualche riga su Ludwig e le righe diventano paragrafi e i paragrafi diventano
pagine. L’intenzione originaria era di fornire un veloce chiarimento sull’identità
di Alba per poi passare ad altro ma, vista la lunghezza di questo excursus, ho
preferito ritagliarlo in un capitolo a sé, così nel prossimo ci sarà più spazio
per altri argomenti.
Grazie per aver letto fin qui :]
Lucia di Lammermoor [Atto III: Scena
della Pazzia, "Il dolce suono”] di Gaetano Donizetti
Farfabì [Super Paper Mario] © Nintendo
Alba © koopafreak
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