Claire de Lune - Spin Off Trilogia della Luna di Mary P_Stark (/viewuser.php?uid=86981)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Le
origini e la storia.
Vi
fu un tempo in cui gli dèi camminavano in mezzo agli esseri
umani, in cui le
genti ne idolatravano il passaggio… o ne temevano la
comparsa.
Tra
essi, noto come il Distruttore dei Mondi, come colui che avrebbe
portato il
Crepuscolo degli dèi, il Ragnarök, vi era Fenrir,
il dio-lupo degli Asi, i
mitici signori di Asghardr.
Morente
e con le fauci bloccate da una spada, spada che lo stesso padre gli
aveva
inframmezzato alle zanne per ucciderlo, Fenrir si lasciò
andare all’abbraccio
di Madre senza perdersi nella follia. Così facendo,
bloccò così il Crepuscolo
degli dèi e, di fatto, le mire distruttive del padre.
Il
piano di Loki, ordito per ingannare Padre Tutto così come il
suo stesso figlio,
fallì di fronte all’unica cosa che il dio degli
Inganni non aveva saputo
cogliere. E comprendere.
Su
Midghardr, la Terra, patria degli esseri umani, vi erano coloro che
Fenrir avrebbe
difeso sempre e comunque, nei Nove Regni.
I
suoi figli, generati da colei che più di tutti egli aveva
amato, e Avya, il suo
cuore, il suo unico, vero e imperituro amore.
Abbandonando
la vita terrena per quella inconsistente ed eterna
nell’abbraccio di Madre,
Fenrir sapeva in cuor suo di non lasciare sola – o non
protetta – la sua amata.
A
lei lasciò, oltre ai gemelli Hati e Sköll, il
potere di governare la Natura, di
parlare con le creature viventi e la possibilità di
interagire con i
discendenti dei suoi figli.
Avya
sarebbe vissuta a lungo, assieme a loro, pur se perseguitata da suo
fratello
Fryc e dalla sua cricca di Cacciatori, desiderosi di uccidere il frutto
del suo
corpo.
Lasciando
la sua vita in piena consapevolezza per rifugiarsi nel ventre di Madre,
Yggdrasil, Colei-Che-Tutto-Regge, Fenrir sapeva di aver fatto
l’unico gesto rimastogli
per proteggere coloro che amava.
Salvare
i Nove Regni dall’annientamento totale, così da
preservare le vite di Avya e dei
loro figli.
Nello
spirare, Fenrir pensò solo a questo, e la disfatta del padre
Loki fu totale. Per
quel giorno, per lo meno.
Secoli
e millenni si affastellarono tra loro, da quel momento così
infausto, e gli dèi
persero progressivamente i loro corpi mortali – e i loro
poteri – a favore
delle religioni monoteiste, o della loro totale mancanza.
I
Cacciatori, discendenti di Fryc, continuarono la loro Cerca segreta,
sicuri di
poter debellare una volta per tutte il frutto peccaminoso
dell’unione tra il
dio-demone Fenrir e la mortale Avya.
Al
tempo stesso, però, i figli di Hati e Sköll, avuti
dalle loro compagne umane
Sylvi e Lyka prosperarono, evolvendosi, divenendo una nuova razza, una
nuova
stirpe.
Metà
lupi, metà umani. Licantropi. Lupi mannari.
Branchi
di licantropi si andarono a diffondere ogni dove, nelle terre di
Albion, in
seguito conosciute come Britannia dai Romani e come Impero Britannico e
Gran
Bretagna dalle genti che seguirono.
Di
pari passo fecero i clan dei Cacciatori che, sempre nel più
ristretto riserbo,
li seguirono nel corso del tempo, tentando di porre fine alla loro
dinastia,
pur senza riuscirvi.
Molti
lupi oltrepassarono i mari e si diffusero a est, verso le terre degli
uomini-orso, i berserkir, per sfuggire ai Cacciatori e ai nuovi
conquistatori
di Albion.
Altri,
invece, veleggiarono verso ovest, seguendo le rotte degli abili
vichinghi, giungendo
infine nel Vinland (Terranova - Canada), intorno all’anno
1000 d.C.
Lì
si stabilirono e prosperarono, discendendo verso sud e ovest e
raggiungendo le
pianure sconfinate del Manitoba, prima, e le ampie praterie del centro
degli
attuali Stati Uniti, poi.
Il
culto del dio-lupo dei lakota, Shung
Manitu-Tanka,
permise ai licantropi di trovare un luogo a loro congeniale, ove la loro
unicità
di uomini e bestie non fosse detestata, ma apprezzata e idolatrata.
Anche
in quei luoghi ameni, e presso popolazioni umane loro amiche, giunsero
però i Cacciatori,
e questi fecero strage di lupi e di umani, rei di aver dato loro
ospitalità.
Dietro
la maschera dell’Esercito Nordista, armati di odio e vendetta
nei loro
confronti, i Cacciatori contribuirono alla fine dell’era del
bisonte … così
come a quella del lupo.
Falciarono
sotto i colpi dei loro Winchester centinaia di migliaia di vite, sia
tra i Nativi
Americani – colpevoli di averli protetti – sia tra
i licantropi.
I
pochi mannari che riuscirono a scampare al massacro si diedero alla
macchia. I
branchi si sciolsero dopo aver perso gran parte delle élite
di potere, e la
grande forza dei clan venne a svanire.
Niente
più Fenrir a guidare le genti, o Sköll a governare
in vece del capoclan, o
ancora Hati a protezione dei loro signori.
Delle
Triadi di Potere non rimase quasi nulla, nella memoria delle genti.
Mentre,
nelle loro terre d’origine, i clan prosperavano e si
diffondevano, in America
andarono scemando fin quasi a svanire.
Essere
un licantropo divenne ancor più pericoloso che in passato,
qualcosa da tenere maggiormente
segreto rispetto alle vite precedenti.
Il
solo parlarne agli umani divenne sacro tabù,
l’affidarsi alla clemenza e
disponibilità degli altri,
una follia
tra le più gravi.
La
verità morì a poco a poco, con il diradare del
sangue mannaro tra le
popolazioni, e intere dinastie andarono con l’esaurirsi per
mancanza di geni
forti e prosperi.
Più
di un secolo dopo quegli eventi catastrofici, un nuovo
Ragnarök venne a bussare
alla porta dei consapevoli. Con la rinascita dello spirito di Fenrir
nel corpo
della più potente wicca
mai vista dalla
nascita di Avya, si rischiò l’Apocalisse, ma di
questo gli americani non
seppero mai nulla.
Ciò
che avviene oggi, in queste terre d’oltreoceano, ben si
discosta dai branchi
europei.
Dimentichi
del loro passato e dei loro fratelli inglesi, i mannari americani hanno
nemici
ben diversi dai Cacciatori.
La
totale mancanza di sapere, il vuoto totale che gravita alle loro
spalle, è il
primo scoglio da affrontare per sperare di sopravvivere.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
-1-
Aprile
2018 –
Nei pressi di Clearwater (Columbia Britannica)
D’accordo,
doveva decidersi a fermarsi.
Diversamente,
il suo camper l’avrebbe abbandonata prima del tempo,
lasciandola a metà strada
tra Grande Roccia Rossa e Immensa Cascata Blu.
Aveva
sempre avuto l’abitudine, in tenera età, di dare
nomi idioti a ciò che vedeva
intorno a sé ma, a essere onesta, quei luoghi dispersi nel
nulla non la
aiutavano a smettere quell’infantile gioco.
Non
v’era anima viva da miglia e miglia, le uniche cose che
poteva vedere dal
parabrezza erano alberi, rocce e cascate, perciò…
Insomma,
non era interamente colpa sua se le
veniva spontaneo sproloquiare con se stessa e inventare cose a caso.
Per
lo meno, Iris si disse questo, quando vide un ponte di tronchi e vi
passò sopra
a velocità ridotta, pensando immediatamente ad accampamenti
indiani, falò e
penne al vento.
«Ponte
Capo Indiano…» mormorò tra
sé, riprovando per l’ennesima volta a recuperare
una
stazione radio decente, in quella marea infinita di montagne e foreste
che era
la Columbia Britannica, in Canada.
Erano
ormai due anni che girovagava senza sosta, con il suo fido e gigantesco
camper,
un Liner Plus 1130GMax della Concorde.
Alla
ricerca di un luogo in cui stabilirsi o, almeno, in cui tentare di
vivere per
un po’ di tempo, aveva iniziato il suo viaggio da Los
Angeles, spingendosi
dapprima verso le Montagne Rocciose e poi verso nord, zigzagando, fino a
oltrepassare
il confine canadese.
Da
quando i suoi genitori erano morti in un incidente stradale causato da
un pazzo
al volante, il mondo le era crollato addosso, ammaccandola ben bene.
L’aggressione
subita poche settimane prima di quell’evento tragico, le era
apparsa irrilevante,
al confronto con quello che era avvenuto a suo padre e sua madre.
L’averli
persi entrambi, e a causa di un paio di ragazzini della Los Angeles bene strafatti di cocaina, era stato
traumatico, per lei. L’aveva mandata davvero a terra.
Solo
la presenza degli zii e delle cugine, l’aveva salvata dalla
follia… e da ciò
che era seguito all’aggressione notturna di cui era stata
vittima a poca distanza
dal suo appartamento in Venice Beach, a L.A.
Ormai
non pensava più a quel delinquente – mai trovato
dalla polizia, tra l’altro –
ma, su di sé, avrebbe portato per sempre il suo marchio, il
suo lascito oscuro.
Iris
lanciò solo una brevissima occhiata al taglio slabbrato che
aveva
sull’avambraccio destro, prima di dedicarsi nuovamente alla
strada, che si
stava inerpicando lungo la valle come un lungo serpente senza fine.
Stava
costeggiando il North Thompson River pur senza vederlo, visto che si
trovava oltre
un basso dirupo a strapiombo e, entro breve, avrebbe incontrato la
cittadina di
Clearwater, dove avrebbe cercato un meccanico.
Nel
frattempo, si sarebbe persa in contemplazione delle sue splendide
cascate, dei
meravigliosi laghi del Parco Nazionale della zona e dei suoi paesaggi
mozzafiato. Dopotutto, quel luogo era famoso proprio per le sue
meraviglie
naturali.
Forse,
se le fosse piaciuto il posto, avrebbe deciso di fermarsi per un
po’. Viaggiare
le piaceva, ma era anche gradevole poter scambiare quattro chiacchiere
con i
propri simili, ogni tanto.
Quando
infine imboccò il Clearwater River Ridge, seppe di essere
arrivata a
destinazione, per quel giorno.
Aprì
quindi il finestrino per inspirare l’aria frizzante di quel
luogo – era un
miracolo che non stesse nevicando, visto che la primavera stentava ad
arrivare
– e ne ammirò il meticoloso ordine.
Come
tutti i paesini canadesi era pulito, ben organizzato, e la gente non
sembrava
pazza o sotto l’uso di sostanze stupefacenti, mentre guidava.
Inoltre,
nessuno usava il clacson come estensione della mano sul volante.
Grazie
al GPS integrato, individuò subito un meccanico, in cui
avrebbero potuto
sicuramente controllare quanti secondi di vita avesse ancora il suo
pneumatico
anteriore destro.
Da
quello che aveva potuto constatare alla sua ultima fermata, tutti i
santi del
Paradiso dovevano essersi messi a intonare benedizioni, visto che era
da circa
settanta miglia che viaggiava come sulle uova.
D’altra
parte, non ne aveva caricata una di scorta – accidenti a lei!
– e l’unico
sistema per sopravvivere era stato raggiungere il primo paese degno di
tale
nome che potesse averne di ricambio.
Quando,
perciò, inforcò il cortile dell’Insight
Tirecraft, si concesse un sospiro di sollievo…
esattamente come lo
pneumatico, che esalò l’ultimo respiro prima di
esplodere.
Con
un pssst a fare da colonna sonora
al
suo arrivo, e un progressivo affossamento del camper verso destra, Iris
bloccò
il suo mezzo nei pressi del parcheggio e, soddisfatta, uscì
per ammirare il
danno.
In
quel mentre, uno dei meccanici raggiunse l’esterno
– attirato certamente dal
suono dello pneumatico – e, nel notare la giovane accanto al
camper e il suo
sguardo divertito, esordì dicendo: «A quanto
sembra, ha tirato le cuoia al
momento giusto.»
Sorridendo
spontaneamente, Iris annuì all’indirizzo
dell’uomo, barbuto e dal volto abbronzato,
e disse: «Erano settanta miglia circa che viaggiavo con il
patema d’animo, e i
sensori del mio camper non mi hanno aiutata, ricordandomi con le loro
lucette
le condizioni pessime della gomma. Meno male che non ho dovuto fare
delle
salite impervie.»
«Non
devo neppure chiederle se devo cambiarle lo pneumatico»
ironizzò l’uomo, allungandole
una mano. «Wilford Johnson, molto piacere. Sono il
proprietario della baracca.»
Iris
strinse la sua mano protesa, asserendo: «Iris Walsh, piacere
mio. Sa per caso
se, al Clearwater/Wells Gray Camping abbiano posto, in questo periodo?
Camper a
parte, mi piacerebbe fermarmi per un po’.»
Sorridendo,
Wilford replicò: «Mio nipote e mia cognata
gestiscono il campeggio. Provo a
chiamare subito.»
«Molto
gentile, grazie. Il posto è molto bello, e credo valga la
pena di visitare
questo scorcio di Canada» dichiarò Iris, poggiando
le mani sui fianchi e
guardandosi intorno.
Sì,
quel posto le piaceva e, per qualche tempo, avrebbe potuto essere la
sua casa.
Wilford,
allora, chiamò uno dei suoi ragazzi perché si
prendessero cura del camper di
Iris e, nel contempo, telefonò a suo nipote per avere lumi
circa le
prenotazioni al camping.
All’okay
di Wilford, Iris si tranquillizzò.
Non
sapendo che altro fare – gli operai stavano uscendo per il
break di mezzogiorno
e il camper non sarebbe stato pronto che nel pomeriggio – si
incamminò a piedi
verso il centro, così da trovare un posto dove sgranocchiare
qualcosa.
Dopo
aver camminato con passo quieto per qualche centinaio di metri, si
fermò dinanzi
all’ingresso dello Strawberry Moose,
un localino dall’aria affascinante e curiosa.
L’insegna, oltre a essere enorme,
era abbellita da una buffa renna rosa che sembrò darle il
benvenuto.
Iris
lasciò quindi che i morsi della fame avessero la meglio su
di lei – come al
solito – ed entrò nel locale in legno e vetro con
un sorriso speranzoso in
viso.
Ancora
una volta, si era spinta a mangiare più tardi del
necessario, indebolendosi più
di quanto non avesse bisogno. Avrebbe dovuto darsi una regolata o,
prima o poi,
l’avrebbero trovata sdraiata in mezzo a una strada, priva di
sensi.
La
grande sala da pranzo era interamente in legno e, pur se un
po’ spartana,
denotava pulizia, ordine e un
senso di
gradevole benvenuto. Apprezzò subito il tepore che le
accarezzò la pelle, oltre
all’indubbio aroma di cibo di quel luogo.
Il
localino era davvero grazioso, e l’onnipresente renna rosa la
faceva da
padrone, così come i menù sfiziosi e
coloratissimi posizionati a ventaglio su
tutti i tavolini.
Una
cameriera in tenuta bianca e rosa e con i pattini ai piedi si
avvicinò a lei
tutta sorridente e, palmare alla mano, la accompagnò a un
tavolo prima di
prendere la sua ordinazione e schettinare via veloce.
Iris
sorrise di fronte a quella scena in stile anni ‘80 e, nel
curiosare volti e
persone presenti, cominciò a farsi un’idea del
posto.
Era
mezzogiorno passato, molti stavano fermandosi per il pranzo e, ben
presto, quel
locale sarebbe stato caotico e pieno di persone tra le più
disparate.
Un
luogo ideale per capire se, tra quella gente, avrebbe potuto sentirsi a
proprio
agio oppure no. Aveva davvero bisogno
di capirlo, o non avrebbe potuto fermarsi in nessun modo, neppure in
quel luogo
apparentemente così grazioso.
Circa
dieci minuti dopo aver ordinato, la stessa ragazza in rotelle
tornò con il suo
vassoio e, sempre sorridendo, le consegnò una bistecca al
sangue e una generosa
dose di verdura cotta.
Dopo
averle lasciato lo scontrino, si involò verso uno dei tavoli
che stava
riempiendosi e, subito dopo di lei, altre due ragazze uscirono dalle
cucine,
tutte dotate di pattini.
Una
di loro, aveva persino le corna rosa della renna dell’insegna.
Al
bancone del bar comparve un giovane sui trent’anni, alto e
piacente, dalla
chioma fulva e gli occhi azzurri come il cielo che, immediatamente, ci
diede
dentro con la macchina del caffè.
Le
chiacchiere presero a crescere d’intensità, come
una marea che monti lentamente
ma senza scampo e Iris, sorridendo tra sé, decise di
lasciarsi travolgere.
Dando
libero sfogo alla sua fame, lasciò che quel chiacchiericcio
le facesse
compagnia e, dopo il primo morso – la carne era ottima
–mangiò di gusto e sperò
che la fame passasse così come era venuta.
Scalpiccio
di piedi, voci possenti, gran risate e dialoghi disparati la
accompagnarono per
tutta la durata del suo pranzo, ma fu solo quando giunse un piccolo
tornado in
miniatura, che levò il capo per la curiosità e il
divertimento.
Una
bimba dai capelli nerissimi e lisci, su cui spiccava un berretto da
baseball,
salutò con ampi gesti le cameriere per poi piazzarsi sicura
a un tavolo
d’angolo.
Lasciò
quindi cadere la cartella a terra assieme al borsone della palestra e,
tutta
contenta, sorrise all’uomo al suo fianco, di certo
più ombroso e serioso rispetto
a lei.
Iris
ne curiosò il volto abbronzato e dai lineamenti forti, in
parte nascosti dalla
barba scura e dai capelli lasciati un po’ lunghi e selvaggi
intorno al collo
taurino.
Era
imponente, constatò dopo un attimo.
Le
spalle erano davvero ampie, forse dovute al lavoro che svolgeva, o
forse a
causa di una cura maniacale per il proprio corpo, Iris non poteva
saperlo.
Di
sicuro, era un lavoratore indefesso; le sue mani apparivano ruvide e
con le
unghie cortissime. Portarle anche solo un poco più lunghe,
avrebbe voluto dire
rompersele di continuo.
Uno
spaccalegna, forse?
Iris
ipotizzò fosse possibile, visto che in zona erano presenti
molte falegnamerie e
piccole botteghe di artigiani del legno.
In
ogni caso… perché continuava a fissarlo?
Tornando
in fretta alla propria bistecca, Iris non poté comunque
esimersi dall’ascoltare
il trillante cicaleggio della bimba. Esso galleggiava
nell’aria come un profumo
speziato, solleticandola e incuriosendola.
Sorrise
perciò spontaneamente quando, simile a una radio, ella
iniziò a raccontare tutto
della sua giornata a quello che, come Iris scoprì durante il
suo monologo, era
il padre.
Per
tutto il tempo, Iris si aspettò di veder comparire anche la
madre della
ragazzina, ma nessuna donna giunse, se non una cameriera più
intraprendente
delle altre, che salutò la bimba prima di fissare con
insistenza l’uomo.
La
bambina le dispensò un sorriso cauto, mentre
l’uomo si limitò a un ‘ciao,
Alyssia’, e poco altro.
La
giovane parve sospirare spazientita ma prese l’ordinazione e,
poco dopo, questa
venne servita da una delle ragazze dotate di schettini.
Molto
più tardi e diversi monologhi dopo, a pranzo fu terminato,
Chelsey – come
scoprì Iris verso la fine del loro interludio –
balzò dalla sedia e passò di
tavolo in tavolo, salutando tutti i presenti.
Il
padre la lasciò fare, guardandola con amorevole
esasperazione.
Evidentemente,
lì la conoscevano tutti, e quello strano ficcanasare non
dava fastidio a
nessuno.
Iris
si aspettò di essere bellamente esclusa da quello strano
rituale, essendo
un’estranea, ma si sbagliò di grosso.
Tutta
impegnata a finire le sue verdure, la giovane si sorprese, infatti,
quando nel
suo campo visivo comparvero gli stivaletti lucidi di Chelsey.
Levando
il capo per la curiosità – la bambina profumava di
muschio e di fiori – Iris le
sorrise cordiale e disse: «Ehi, ciao…»
«Ciao
a te. Sei nuova, vero?» rispose per contro Chelsey,
inclinando il capo di scuri
capelli per scrutarla con aperta curiosità con i suoi
profondi occhi nocciola.
«Colpita
e affondata. Vengo da Los Angeles» asserì allora
Iris, accentuando il suo sorriso.
La
bambina sgranò gli occhi, a quella notizia, esalando un ‘wow’ sorpreso e
ammirato.
Già
sul punto di chiederle altro, il vocione profondo del padre la fece
sobbalzare,
e un lento rossore si impadronì delle gote naturalmente
bronzee della bimba.
Che avesse sangue indigeno nelle vene?
Volgendosi
entrambe in direzione del suono di quella voce – il padre si
trovava al bancone
del bar, intento a pagare le loro consumazioni – Chelsey
sorrise contrita e
disse a mezza voce: «Non disturbo, davvero!»
Poi,
volgendosi speranzosa in direzione di Iris, aggiunse:
«E’ vero che non disturbo?»
Iris
sorrise maggiormente di fronte a quella richiesta di aiuto e,
nell’annuire,
lanciò poi un’occhiata all’uomo e disse:
«Va tutto bene, sul serio.»
«Se
le dà fastidio, la cacci pure. Chelsey deve imparare a farsi
gli affari propri»
brontolò l’uomo, tornando a parlare con il giovane
al bancone del bar.
A
quel punto, Iris e Chelsey si guardarono divertite e
quest’ultima, afferrando
la sedia libera al fianco dell’adulta appena conosciuta,
asserì: «Papà non ama
molto che io mi impicci degli affari degli altri, ma in fondo non
faccio nulla
di male, no? Tu avevi finito, vero? E due chiacchiere fanno piacere a
tutti. Poi,
qui a Clearwater girano un sacco di turisti, ed è bello
sentire da dove
vengono, cos’hanno fatto prima di venire qui
e…»
Chelsey
continuò per diversi minuti quel monologo sfacciato quanto
delizioso, e Iris si
perse in contemplazione di quegli occhi nocciola colmi di eccitazione e
curiosità.
Non
tentò minimamente di interromperla, annuendo alle sue
esternazioni e
rispondendo brevemente alle sue domande.
Era
letteralmente affascinata da quell’autentica esplosione di
energia formato
bambina e, quando un’ombra calò su di loro, si
sorprese non poco, sobbalzando
in risposta.
Non
si era affatto accorta dell’arrivo del padre di Chelsey!
Levando
il capo fin quasi a farsi dolere al collo –
quell’uomo era davvero alto! – Iris
gli sorrise cauta e disse: «Sua figlia è
un’autentica forza della natura, sa?»
«Un
modo carino per dire che è una radio senza interruttore per
lo spegnimento»
replicò l’uomo, sorridendo per contro alla figlia,
che non se la prese per il
lieve rimbrotto.
«Ci
rivedremo ancora, Iris Walsh di Los Angeles, allora? Sono sicura che il
parco
ti piacerà molto. Le cascate piacciono a tutti!»
esclamò a quel punto la
bambina, balzando via dalla sedia per afferrare la mano del padre.
L’uomo
fissò scocciato la figlia, e Chelsey fece la lingua come per
scusarsi.
«E’
un’impicciona. La scusi» brontolò a quel
punto l’uomo, lanciando un’occhiata
distratta a Iris.
«Nessun
problema, davvero» replicò però la
giovane, salutando poi con una mano Chelsey,
che stava trascinando via con sé il padre. «A
presto!»
«Ciao!»
esclamò la bambina, sbracciandosi con la mano libera.
Il
padre scosse il capo e, ancora, non la redarguì ma,
nell’uscire dal bar, le
ricordò alcune regole sull’educazione prima che
lei gli ridesse in faccia con
ironia.
Iris
li seguì con lo sguardo finché non svanirono
oltre l’angolo del risto-bar e, a
quel punto, non trovò altri motivi per restare.
Pagò
il tutto, ringraziando per il buon pranzo dopodiché, a passo
tranquillo, tornò
verso l’officina e si appoggiò al guard-rail per
aspettare la riapertura.
Lì,
lasciò che il sole le illuminasse la lunga chioma color
biondo platino rilasciata
sulle spalle. Suo padre le aveva sempre detto che sembravano raggi di
luna.
Sospirando,
Iris desiderò parlare con lui, in quel momento.
Le
sarebbe piaciuto discorrere del suo viaggio, delle sue decisioni
– indecisioni, per meglio
dire –, di come
avesse deciso giorno per giorno il suo itinerario, ma tutto
ciò era ormai
impossibile.
Il
suono del suo cellulare la ridestò da quei tristi pensieri
e, quando Iris notò
chi fosse all’altro capo, sorrise spontaneamente.
«Zio
Richard… ciao» esordì Iris, lanciando
uno sguardo attorno a sé.
La
foresta si inerpicava selvaggia su per i pendii, mentre il via vai
delle auto procedeva
placido e tranquillo, lungo la statale. Sì, era davvero un
luogo pacifico e
senza grosse pretese.
«Allora,
come sta la mia nipote preferita?» replicò
l’uomo all’altro capo.
Iris
rise, asserendo: «Sono la tua unica nipote, zio. Comunque,
sto bene. Sono in
Canada, ora. Columbia Britannica.»
«Sei
a caccia di vampiri, tesoro?» ironizzò
l’uomo.
«Quelli
sono a Forks, zio, nello Stato di Washington»
ironizzò Iris, rammentando bene
quanto Richard l’avesse presa in giro, a suo tempo, per la
sua cotta per uno
degli attori di Twilight.
«Oh,
giusto. Strano che tu non sia lì. Non avevi detto che vi
avresti fatto tappa?»
«Alla
fine ho fatto il giro lungo, ma conto di andarci, prima o
poi» dichiarò Iris,
sistemandosi distrattamente una ciocca dei capelli ribelli.
Una
folata di vento glieli aveva scompigliati e, visto che mal sopportavano
qualsiasi tipo di elastico, spilla o altro, non poteva che portarli
slegati.
«E…
per l’altra cosa, come
siamo messi?»
si informò allora Richard, calando di un’ottava il
tono della voce.
Iris
dubitava che stesse chiamando da un luogo in cui altri avrebbero potuto
sentirlo, ma sapeva bene quanto lo zio fosse turbato dal suo scomodo
segreto.
In
fondo, lo era anche lei.
Non
sapeva un accidente di niente del suo involontario quanto ingombrante
lato
oscuro, e non aveva la più pallida idea di come avrebbe
potuto risolvere il
problema.
Non
si trovavano dei cartelli, lungo la strada, dove stava scritto ‘sciamano pronto a tutto per
voi’,
oppure ‘studioso di stranezze, che
più
stranezze non si può’.
Il
suo viaggio era iniziato anche per questo, non solo per tenere nascosto
a
parenti e amici ciò che le era successo quella
notte, quando era stata aggredita.
Richard
– e anche Iris, alla fine dell’opera –
aveva pensato sarebbe stato meglio per
lei sparire per un po’, inventarsi quel viaggio con la scusa
di riprendersi
dalla morte dei genitori.
Schiarirsi
le idee era stato imperativo in ogni caso ma, in cuor suo, aveva anche
sperato
di poter trovare qualcuno con il suo stesso problema.
Costui
– o costei – avrebbe potuto aiutarla a venire a
capo di quel guaio e, magari,
anche guarirla.
Nessuno
dei due sapeva se esistesse una cura a ciò che entrambi
definivano ‘disturbo’,
ma era una cosa da tenere
assolutamente nascosta.
Una
notizia simile avrebbe scatenato il panico nell’opinione
pubblica, Iris sarebbe
quasi sicuramente finita in qualche laboratorio d’analisi, e
la ditta ne
avrebbe risentito.
Iris
era la prima a non voler danneggiare ciò che i genitori
avevano messo in piedi
con così tanta fatica, e sapere che lo zio se ne stava
prendendo cura, la
rincuorava.
Essere
l’azionista di maggioranza non l’aiutava, e ormai
gli altri membri del
Consiglio cominciavano a mordere il freno, sapendola lontana, ma lo zio
era
stato bravissimo a gestire ogni cosa.
Non
poteva, in ogni caso, permettere che le cose proseguissero a quel modo
a
oltranza. In un modo o nell’altro, avrebbe dovuto trovare una
soluzione al suo
problema, oppure tornare a casa con esso, e con tutti i suoi dubbi a
farle da
mantello.
«Diciamo
che, per ora, gironzolare per riserve indiane è servito a
poco. Anche se ho
fatto delle conoscenze interessanti» riassunse Iris,
scrollando le spalle anche
se lo zio non poteva vederla.
«Sono
sicuro che, prima o poi, troverai qualcuno. Come è successo
a te, sarà successo
anche a qualcun altro, ti pare? Anche se immagino che nessuno
pubblicizzi la
cosa» tentò di rincuorarla lo zio.
«Per
lo meno, ho degli indubbi vantaggi sul piano personale. Non devo temere
che
qualcuno mi infastidisca» cercò di ironizzare la
giovane, scrutando la propria
mano libera con espressione dubbiosa.
«E’
l’unica cosa che mi fa stare tranquillo, sapendoti lontana,
anche se… come va, in quei giorni?»
«Me
ne sto alla larga da tutti, non temere. Non voglio rischiare di fare
del male a
qualcuno. Anche per questo, ho sempre scelto destinazioni lontane dalle
grosse
città» rabbrividì leggermente Iris,
rammentando fin troppo bene cosa era
successo la prima volta che il problema si era palesato.
Aveva
dato di matto, quando si era risvegliata il mattino seguente, nel bel
mezzo del
suo appartamento… distrutto da
cima a fondo.
Incredula,
aveva subito controllato le registrazioni del circuito interno delle
telecamere
che aveva fatto installare, e ciò che aveva visto
l’aveva quasi mandata al
manicomio.
Per
giorni si era chiusa in se stessa, evitando le chiamate preoccupate dei
genitori e dei parenti e, quando finalmente si era decisa a parlare,
papà e
mamma erano morti.
Il
mondo si era frantumato sotto i suoi piedi e, quando aveva visto zio
Richard in
ditta, pronto a dirigere il Consiglio degli Azionisti per quella
riunione straordinaria,
aveva ceduto.
Gli
aveva detto tutto, pur se all’inizio lui non aveva voluto
– o potuto –
crederle.
Già
presagendo una simile reazione, gli aveva mostrato le registrazioni e,
alla
fine del video, lo zio era quasi svenuto sulla sua poltrona, incredulo
e
spaurito.
In
silenzio, aveva poi estratto il disco dal computer, lo aveva chiuso
nella sua
cassaforte e le aveva fatto promettere di mantenere il segreto.
Naturalmente,
Iris aveva accettato, lieta che lui le avesse creduto e non
l’avesse scacciata
come il mostro che era diventata.
Richard,
allora, le aveva consigliato di partire, di stare alla larga da L.A.
per un
po’, di capire cosa le fosse successo senza dare troppo
nell’occhio, mentre lui
si sarebbe occupato della Walsh Inc.
Iris
aveva assentito piena di gratitudine e, presenziando alla sua prima
riunione come
azionista di maggioranza – avendo ereditato le azioni dei
genitori –, aveva
lasciato la gestione delle sue quote associative nelle mani dello zio.
Al
Consiglio era stato detto che Iris avrebbe continuato a seguire
l’azienda in
remoto, mentre Richard avrebbe presenziato fisicamente anche per lei
alle
riunioni.
Iris
veniva per questo costantemente aggiornata sull’andamento
aziendale e, prima di
ogni consiglio direttivo, le copie degli ordini del giorno le venivano
mandati
sul suo palmare.
Se
non ci fosse stato suo zio, quell’intero viaggio sarebbe
stato infinitamente
più complesso, forse impossibile da portare avanti.
«Sei
una ragazza in gamba, Iris. Sono sicuro che ne salterai
fuori» le ricordò
Richard con tono affabile.
«Oppure,
mi costruirò una baita in Alaska e svernerò
lì per il resto dei miei giorni»
replicò lei, salutandolo prima di chiudere la comunicazione.
Sospirando,
Iris lanciò un’altra occhiata ai boschi,
inspirò con forza il profumo della
resina dei pini, ascoltò lo stormire delle fronde mosse dal
vento… e lo scalpiccio di alcuni
cervi muli nel
bosco.
Poco
importava, per una come lei, che fossero a diverse miglia di distanza,
rispetto
a dove si trovava in quel momento.
Un
lupo mannaro poteva fare un sacco di cose, a ben vedere tranne, forse,
vivere
una vita normale.
N.d.A.:
come promesso, eccoci all'inizio di una nuova avventura, stavolta
incentrata su licantropi che non sanno nulla del proprio passato, e che
devono imparare davvero 'da zero' a essere ciò che sono, con
tutti i rischi che questo comporta.
In
questo caso, sarete voi gli/le esperti/e, e non loro e, spesso e
volentieri, vi ritroverete a dire 'ma perché non fa questo,
o quello?'
La
dura battaglia del sapere è dunque iniziata... vedremo chi
ne uscirà vincitore! Buona lettura!
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
2.
I
ragazzi di Wilford Johnson furono velocissimi nel cambiare lo
pneumatico del
camper di Iris.
Si
complimentarono inoltre con lei per il mezzo super accessoriato
– dotato, tra l’altro,
di una Smart ForTwo nel gavone – così come per il
suo lungo viaggio.
Percorrere
quasi tremilacinquecento miglia, spaziando dalle Montagne Rocciose, lo
Utah, il
Colorado, Wyoming, il Montana e poi sconfinare a nord per attraversare
il
Manitoba, il Saskatchewan e infine la Columbia Britannica, non era da
tutti.
Nell’attendere
che il lavoro fosse ultimato, infatti, Iris si era sbilanciata a
chiacchierare
un po’ con loro, informandoli sul suo peregrinare per gli
Stati dell’ovest e sulle
prossime mete da raggiungere.
Quando
infine poté riavere il camper, Iris salutò tutti
con calore e, con calma,
imboccò la via principale per dirigersi al camping.
Sì,
quella gente le piaceva davvero e sarebbe stato un piacere fermarsi in
quel
luogo per un po’.
Il
solo pensarlo la portò a ridere tristemente, e i pensieri le
andarono alla Iris
di un paio di anni prima, così come alle compagnie che aveva
sempre frequentato
prima di tutto.
Sarebbe
stato impensabile, per lei, trovare piacevole la semplice compagnia di
un
meccanico, così come di una cameriera in un bar.
In
questo, era stata molto superficiale e frivola, ma ciò che
le era successo era
almeno servito a darle la batosta necessaria per farla cadere con il
didietro a
terra. Questo le aveva fatto comprendere quanto, soldi e
celebrità, fossero futili,
se non erano conditi da un minimo di cervello e tanta, tantissima
umiltà.
Senza
avere certezze per il futuro, o dei genitori con cui condividere un
destino
comune, a cosa le erano serviti i suoi soldi e le sue amicizie? A nulla.
La
vecchia Iris non avrebbe mai potuto affrontare da sola
quell’impresa. Era stato
perciò necessario sostituirla, darle il benservito,
diventare qualcun altro.
Qualcuno, lei sperava, di migliore.
«Di
sicuro, avrei preferito maturare senza tutti questi grattacapi al
seguito ma,
visto che non ci posso fare niente…»
brontolò lei con un mezzo sorriso.
Era
inutile arrovellarsi sui difetti di un passato che non poteva cambiare,
ma da
cui poteva trarre il massimo per migliorarsi. Poteva solo sperare di
essere
diventata un poco più matura rispetto a come era stata in
passato.
Fu
con quell’atteggiamento pragmatico che si presentò
all’entrata del camping. Oltrepassando
l’alto arco di legno su cui capeggiava il nome del campeggio,
avvicinò quindi il
camper alla casupola in tronchi della reception, e lì
parcheggiò.
Sulla
veranda assolata, e seduto su una poltrona di vimini a leggere una
rivista,
Iris vide un giovane dai ricci capelli castani, su cui brillavano
perfetti
colpi di luce a far risaltare le chiome corte e ordinate e il viso
piacente.
Era
davvero affascinante – constatò Iris – e
dal sorriso ampio, ma non fu quello a
farle spalancare la bocca come un’idiota, non appena fu scesa
dal camper.
Quel
giovane sui trent’anni, dal fisico atletico e vestito come un
boscaiolo… aveva il suo stesso
odore.
Non
era un odore umano, ma ferino. Sapeva di bosco, di selvatico e di
animale e,
quand’anche lui lo ebbe notato, il suo sorriso
scemò un po’ per poi farsi quasi
interrogativo. Guardingo.
Che
neppure lui avesse mai incontrato prima un suo simile? Erano davvero
così rari?
Iris
bloccò i suoi passi accanto al suo mezzo, la mano stretta
allo specchietto
retrovisivo, mentre il giovane si alzava cauto dalla poltrona, gli
occhi
azzurri fissi sul suo viso.
Come
ci si doveva comportare di fronte a un proprio simile?, si chiese tesa
Iris,
non sapendo cosa accidenti dire, o fare.
Il
giovane dovette accorgersi della sua indecisione, o forse fu la vista
della
ferita slabbrata sul suo braccio – messa in evidenza dalla
sua camicia a
maniche corte – a metterlo in allarme.
Quella
momentanea impasse venne
perciò
spezzata dal giovane che, sorridendole con maggiore convinzione, la
invitò a
entrare nella casupola, dicendole: «Benvenuta al camping di
Clearwater. Lei
deve essere miss Walsh. Zio Wilford ha chiamato poche ore fa per dirmi
che
sarebbe arrivata.»
«Sono
io, in effetti. Lieta di fare la sua conoscenza, Mr Johnson»
asserì cauta lei,
salendo i due gradini di legno della veranda per poi entrare nella
casetta di
tronchi intrecciati.
Il
giovane rise sommessamente, facendole strada e, nel chiudersi la porta
a vetri
alle spalle, replicò: «L’unico Mr
Johnson che conosco, a parte lo zio, è mio
padre Chuck. Io sono solo Lucas.»
«E
io solo Iris» dichiarò a quel punto la giovane,
allungando timidamente una mano
nella sua direzione.
Lucas
gliela prese con un certo vigore e, piegando leggermente su un lato il
braccio ferito
di Iris, sospirò e domandò spiacente:
«Quando è successo?»
«Due
anni fa» mormorò la giovane, sapendo bene a cosa
si stesse riferendo.
Lasciando
andare la presa, Lucas sospirò nuovamente e, nello scuotere
il capo, mormorò:
«Mi spiace davvero tantissimo. Deve essere stata una batosta
coi fiocchi.»
Un
groppo improvviso quanto enorme le bloccò la gola e Iris,
portandosi le mani al
volto nel tentativo di comprendere cosa non andasse, si
ritrovò a sfiorare calde
lacrime sulle sue gote.
Lucas,
immediatamente, la fece sedere su una poltrona dal sedile imbottito a
scacchi
rossi e blu e, nell’allungarle una scatola di kleenex
– che si trovava su una
tozza scrivania di legno – asserì:
«Okay, ho battuto tutti i record. Non avevo
mai fatto piangere una ragazza in meno di un minuto.»
Iris
si lasciò andare a un risolino un po’ isterico e,
nel tamponarsi gli occhi,
gorgogliò: «E’ la prima volta
che… che parlo con qualcuno come me…
scusa, non sapevo cosa fare, ed è venuto fuori il mio lato
più molliccio.»
Lucas
rise di quella spiegazione fatta di balbettii sconnessi e, accomodatosi
che fu
sulla poltrona vicina, replicò: «Due anni tutta
sola nella tua testa, senza
sapere che farne di quello che ti hanno lasciato in eredità,
e senza che tu lo volessi, immagino?
Va
ancora bene se sei rimasta sana di mente!»
«Mio…
mio zio lo sa» mormorò Iris, calmandosi
gradatamente. Forse, la tempesta
ormonale era terminata, e lei poteva tentare di non apparire solo una
sciocca
piagnucolosa.
«Un…
senza pelo?»
borbottò contrariato
Lucas, accigliandosi immediatamente.
Lei
assentì con vigore, immaginando che quel termine
così strano indicasse coloro
che non si trasformavano in lupi. Immediatamente, replicò:
«Sta mantenendo il
segreto dal giorno in cui gliel’ho detto. I miei genitori
sono morti due settimane
dopo la mia aggressione, e così… beh,
c’era solo lui ad aiutarmi, quindi…»
«Beh,
se ti copre da allora, è a posto»
asserì cauto Lucas. «Hai parlato di
un’aggressione. E’ così che ti hanno
ferita? Che hai contratto il marchio?»
«Un
ubriaco in un vicolo, mentre rientravo a casa. Mi ferì con
quelle che, subito,
credetti essere degli artigli di metallo. Sai, come quelli che usano i
ninja
nei film… ma non lo erano affatto»
sospirò Iris, ora irritandosi leggermente.
«Non so neanch’io perché lo pensai,
visto che è assurdo il solo crederlo
possibile, ma fu l’unica cosa sensata
che mi venne in mente in quel momento.»
Ricordava
perfettamente quella notte tremenda.
I
suoi passi veloci lungo il vicolo, le sue imprecazioni a mezza bocca
per aver
fatto tardi e la paura, la terribile
paura quando, dietro di lei, Iris aveva avvertito il suono di passi
traballanti.
Non
aveva fatto in tempo a prendere le chiavi per aprire la porta del
palazzo dove
abitava. L’uomo l’aveva afferrata a un braccio,
urlandole di darle i suoi
soldi, ma Iris aveva reagito.
Dopo
aver estratto dalla borsetta lo spray al peperoncino, lo aveva diretto
contro
il volto barbuto dell’assalitore che, colto alla sprovvista,
aveva ringhiato
contro di lei, ferendola e sbattendola con violenza contro il muro.
Il
colpo l’aveva tramortita a sufficienza da impedirle di vedere
la fuga
precipitosa dell’assalitore e, quando alcuni vicini
l’avevano trovata –
attirati dal caos nel vicolo – avevano subito chiamato
l’ambulanza.
I
giorni seguenti lei li aveva passati in casa, tentando di calmare le
sue paure
e mantenendo il segreto con i suoi genitori per non spaventarli. Il
fatto che
dovessero affrontare un lungo viaggio di lì a poco,
l’aveva frenata.
Con
il fare della luna piena, però, Iris si era resa conto di
quanto,
quell’aggressione, l’avesse cambiata. In
cosa, soprattutto.
Il
terrore si era sostituito allo sgomento di essere stata aggredita e,
già sul
punto di dire tutto a suo padre, il peggio era avvenuto.
Un
maledetto incidente. Un ragazzino al volante dell’auto del
padre, strafatto di
cocaina, si era lanciato a occhi chiusi per l’autostrada,
uccidendo se stesso,
l’amico al suo fianco e gli incolpevoli genitori di Iris.
Il
tutto si era ridotto a un articolo sul giornale, alle condogliante dei
conoscenti, a un cospicuo risarcimento danni, a un veloce processo e al
vuoto
nel suo cuore.
In
un attimo, i suoi genitori se n’erano andati e lei era
rimasta sola, con il suo
atroce segreto racchiuso in gola e con l’ansia di non sapere
cosa fare.
Rivolgersi
a zio Richard le era parsa l’unica soluzione e, se lui non
fosse stato così
gentile e premuroso, Iris sarebbe sicuramente impazzita.
«…
e così, mi sono messa alla ricerca di qualcuno che potesse
spiegarmi cosa fare,
come guarire o, al peggio, come gestire ciò che
sono» terminò di dire Iris,
lanciando un’occhiata supplichevole agli occhi azzurro
ghiaccio di Lucas.
Le
spalle rilasciate contro lo schienale della poltrona, il giovane
fischiò
sorpreso e asserì: «Beh, direi che hai avuto un
bel coraggio a metterti in
gioco a questo modo, anche se non avevi alcuna certezza al tuo
fianco.»
«Lo
zio pensava che forse, allontanandomi da una città popolosa
come L.A., avrei
potuto trovare qualcuno disposto a parlarmi, se fossi stata nella
condizione di
scoprire qualcosa di concreto» gli spiegò Iris,
facendo spallucce.
«Nei
paesi piccoli la gente mormora e, se qualcuno è strano, lo
si sa sempre» chiosò
Lucas, sorridendo sghembo. «Nel mio caso, non vale molto, o
meglio, non in questo senso ma, per
un’altra persona, questo
detto è valso eccome, anche se mai nessuno è
giunto alla verità.»
«In
che senso?» volle sapere Iris.
«Visto
che non conosci nulla di ciò che sei, tanto vale che ti
spieghi quel che so io,
che ci sono nato, con questo
graffiante segreto» ironizzò Lucas, facendola
sorridere.
«Quindi,
anche i tuoi genitori… ma non tuo zio! Non ho sentito alcun
odore, su di lui!»
esalò Iris, un po’ confusa.
«No,
sono solo io, infatti. Non so dirti perché, e lo zio non sa
niente della mia
controparte pelosa, così come mio padre. Solo mia madre,
Clarisse, ne è a
conoscenza, visto che ho disintegrato la stanza da letto al mio
primo… cambiamento. Mio
padre era via per un
seminario, in quel periodo, ma lei no. E
vide.»
Iris
ammiccò comprensiva, rammentando più che bene
come aveva ridotto il suo
appartamento, dopo la sua incredibile esibizione in versione pelosa.
Grazie al
cielo, aveva fatto montare dei muri insonorizzati perché le
piaceva suonare il
pianoforte, altrimenti chissà cosa avrebbero pensato i
vicini!
«Quindi…
cosa siamo?»
«Pelosi
terminali, temo. Che io sappia, non si può invertire il
processo e credimi, c’è
chi ci ha provato in tutti i modi» le spiegò
Lucas, intrecciando le mani in
grembo. «La tizia cui accennavo prima, e che fece tanto
chiacchierare il paese
prima di sparire nel nulla. Sbarellò di brutto quando
scoprì di essere un lupo
mannaro e, solo a stento, riuscii a tenerla a freno per impedire che si
gettasse sulla cittadina per inscenare un film horror in piena
regola.»
Iris
lo fissò sgomenta e Lucas, ombroso in viso, aggiunse:
«Non mi piace sparlare
della gente, ma Julia Sommers aveva davvero qualche problema
caratteriale già
prima di questa cosa. In paese era conosciuta da tutti come la ‘stramba Julia’ fin
dai tempi del liceo.
Era solita cacciarsi nei guai con piccoli atti di vandalismo e bullismo
a
scuola. Nessuno, neppure il suo fidanzato storico, Devereux, o i suoi
genitori,
sono mai riusciti a calmarla un po’.»
«E
lei era…nata così?»
tentennò Iris.
«No,
fu ferita come te, pur se nel suo caso fu più una cosa
voluta,… anche se Julia
peccò di ingenuità nel farlo» scosse il
capo Lucas. «Aveva all’incirca
diciassette anni. Si recò in un bar di una città
vicina per poter bere alcolici
grazie a dei documenti falsi, visto che là nessuno la
conosceva e, dopo aver
incontrato un tizio del posto, lo frequentò per un
po’. Durante uno dei loro
festini a base di alcool e droghe, lui la sfidò a farsi
sfregiare per diventare
una lupa e lei, da sciocca, prese sottogamba la cosa e
accettò.»
«Oddio…»
ansimò sgomenta Iris.
«Naturalmente,
il tizio si dileguò il giorno seguente senza mai farsi
trovare e Julia, non
appena raggiunse la prima luna piena e si rese conto di cosa le fosse
successo,
scappò nei boschi. Ovviamente, partecipai alla
ricerca…» le spiegò Lucas,
tastandosi il naso. «…e, quando avvertii il suo
odore mescolato a quello del
lupo, capii. Lei mi spiegò in lacrime la sciocchezza che
aveva commesso e,
colta dalla frenesia, mutò in lupo. Ciò la spinse
verso gli umani che la
stavano cercando e, solo combattendo contro di lei, riuscii a fermarla
e a
spiegarle come controllare la bestia.»
«Tu
dovetti imparare da solo?»
«Mamma
mi fu d’aiuto, visto che è un’insegnante
di yoga. La concentrazione è tutto, in
queste cose» ammiccò Lucas, tastando
distrattamente il piccolo Buddha in
argento che pendeva da un bracciale in caucciù che aveva al
polso. «Comunque, Julia
non accettò la sua duplice condizione, in un primo momento
e, per anni, si
intestardì nel cercare un rimedio per tornare ciò
che era. Mise la testa a
posto e si iscrisse all’università per studiare
medicina, si mise stabilmente
con Devereux che, a mio dire, dimostrò fin troppa pazienza,
con lei e, infine,
ebbero una figlia. Chelsey.»
Iris
sgranò gli occhi nel sentir nominare quel nome in
particolare e, dubbiosa,
esalò: «Quanti anni ha la bambina?»
Lucas
levò con curiosità un sopracciglio e, ironico, le
domandò: «Sei stata allo
Strawberry Moose, vero?»
«Sì»
assentì Iris.
Ridacchiando,
Lucas asserì: «Quella ragazzina è
l’esatto contrario della madre. Se Julia era
chiusa e ombrosa, lei è solare e aperta… e parla
come una radio.»
«Già»
annuì la giovane, riconoscendo in quella descrizione la
figura di Chelsey.
«Quindi, immagino che Devereux sia l’uomo che ho
visto con lei. E sua madre?»
«Chi
lo sa? Fuggì di casa quando Chelsey aveva solo tre anni e,
da quel giorno, non
si è più fatta viva. Nessuno sa se sia ancora tra
noi, o se sia morta, perché
non ha più dato notizie di sé e, per quanto la si
sia cercata, non è mai stata
trovata. Pur non essendo sposati, Devereux ha potuto tenere la bambina
perché
figurava come padre biologico sul certificato di nascita. Da quel che
so, ha
fatto togliere la genitorialità a Julia, dopo tre anni dalla
sua fuga» le
spiegò Lucas, scrollando una spalla. «Fossi stato
in lui, neanche avrei tentato
una vita insieme a lei, ma Dev ha sempre cercato di strapparla ai suoi
incubi
personali.»
«Un
buon samaritano» chiosò Iris, vagamente sorpresa.
«Forse.
Ma, da quando Julia se n’è andata, quella parte di
lui è morta e sepolta. Dev è
cambiato e, se gli si parla di Julia, lui non ha più una
parola buona per lei.
L’aver abbandonato la loro figlia lo ha stroncato. O gli ha
aperto gli occhi,
non so.»
Iris
ripensò alla figura di Devereux, ai suoi chiari occhi grigi
così colmi di
ombre, al suo viso privo di un sorriso – se non per la figlia
– e, di colpo,
comprese.
Sì,
aveva tutti i motivi del mondo per essere così accigliato.
Una batosta del
genere avrebbe irritato anche un santo.
«La
bimba, o il padre, sanno di lei? Che era una lupa mannara,
intendo.»
«No.
Dev non ha mai saputo nulla, infatti sto tenendo d’occhio
Chelsey nel caso
cambi qualcosa. Sono l’unico, qui, che sia in grado di capire
i segnali di un
potenziale cambiamento» asserì Lucas, prima di
aggiungere: «E tu, ora… se
rimarrai a sufficienza per vederla crescere, ben inteso.»
Iris
si ritrovò a sorridere al giovane e, scrutando le foto
appese alle pareti,
ammirò le bellezze del luogo pubblicizzate con abile
maestria.
Aveva
trovato un lupo mannaro come lei, qualcuno con cui poter parlare, una
persona
che poteva capirla davvero e,
quant’era vero Iddio, non sarebbe di sicuro partita tanto
presto!
Ritrovandosi
perciò a sorridere, Iris dichiarò: «Di
certo, mi avrai tua ospite per un bel
po’. Ho un sacco di cose da chiederti, e da capire su me
stessa.»
«Non
ne so molto, ma spero di poterti essere d’aiuto. In due,
sarà sicuramente più
semplice affrontare questo casino» ammiccò Lucas.
Iris
annuì con prontezza, allungandogli una mano come a stringere
un patto di mutuo
soccorso con lui.
Fu
in quel momento che, a sorpresa, fece la sua comparsa un uomo sulla
trentina,
dai magnifici capelli bruni legati in una coda di cavallo e una folta
barba a
mascherarne i lineamenti.
Dal
suo aspetto, avrebbe potuto essere il re dei falegnami
d’America, o Mister
Ascia d’Oro, tanto era virile nell’aspetto quanto
affascinante nello sguardo e,
per un istante, Iris ne rimase abbagliata.
L’attimo
dopo, però, sorrise dispiaciuta perché, tanto ben
di Dio era già di proprietà
di qualcuno e, nello specifico, proprio di Lucas.
Il
possente boscaiolo ammiccò a mo’ di saluto a Iris
prima di piegarsi per un
bacio leggero sulle labbra del giovane che, sorridendo a una sorpresa
ospite, ammise:
«Lui è Rock e, immagino tu lo abbia già
capito, è il mio compagno.»
Iris
non poté che esalare un sospiro e chiosare: «Che
posso dire? Complimenti.»
I
due uomini risero divertiti e Rock, nello scrutare curiosamente Iris,
asserì:
«Sei nuova, di qui. Non ti ho mai vista prima, altrimenti
avrei potuto pensare
di tornare etero.»
A
quel punto fu il turno di Iris per ridere e Lucas, dando una pacca sul
braccio
al suo compagno, borbottò: «Non fare
l’idiota, Rock. E’ una mia cliente,
perciò
sii gentile.»
«Ma
io sono gentilissimo» replicò l’uomo.
«Era assolutamente
un complimento.»
Iris
sorrise divertita di quello scambio di battute ma, tra sé,
si domandò se quel
Marcantonio conoscesse tutta la
verità
sul suo compagno, e come Lucas riuscisse a gestire la cosa.
Ciò
che avvenne l’attimo successivo a quel pensiero, la
mandò talmente in
confusione da spingerla a strillare di sorpresa.
“Certo
che sa
tutto.”
«Oh,
Dio mio!» esclamò Iris, sorprendendo Rock e
facendo sorridere spiacente Lucas.
Portandosi
una mano al cuore per il gran spavento, Iris fissò sgomenta
e irritata il
giovane licantropo dinanzi a lei che, per tutta risposta, disse:
«Scusa, mi è
venuto spontaneo. Lo facevo con Julia, a volte e, da quando se
n’è andata, non
ho più potuto farlo, come ben immaginerai.»
Rock
lanciò un’occhiata veloce a entrambi, dopo quello
strano scambio di battute,
fece due più due e infine borbottò: «Ho
idea che sia più di una tua cliente. E’
come te?»
«Già.
Ma lei è stata mutata, esattamente come Julia. Anzi, Julia
se l’era cercata,
lei proprio no.»
Rock
divenne scuro in volto, a quella notizia e, allungata una mano a Iris,
brontolò: «Beh, se vuoi darmi il nome dello
stronzo che ti ha fatto questo, lo
ammazzerò per te. Detesto quando fanno del male a una
donna.»
«Spiacente,
non so chi sia, e la polizia non lo trovò mai»
replicò Iris, pur accettando
quella grande mano calda. «Grazie per il pensiero,
comunque.»
Per
quanto, contando sulla mera forza fisica, Iris fosse certa di poterlo
battere
con facilità, le fece piacere quell’offerta di
aiuto incondizionata e la fece
sentire meno sola. Meno abbandonata a se stessa.
Finalmente,
dopo due anni di ricerche infruttuose, non solo trovava un lupo
mannaro, ma
anche un amico senza pelo, come aveva detto Lucas, pronto a coprirle le
spalle.
Questo
portò a nuove lacrime e a nuovi kleenex e Iris,
nell’afferrarne un paio dalla
scatola protesa da Lucas, borbottò:
«Davvero… ti sto facendo battere tutti i
record.»
«Puoi
dirlo forte, Iris» ammiccò Lucas, mentre Rock le
batteva comprensivo una mano
sulla spalla.
***
Allora,
Iris, vuoi
scendere da quello scivolo, o devo venire su io per spingerti?
La
voce del padre risuonò allegra attraverso il microfono dello
smartphone, da cui
stava visionando uno degli ultimi video fatti alla villa dello zio.
Sua
madre stava ritta dietro di lei, in attesa che la figlia si lanciasse
sullo
scivolo tutto curve che Richard aveva fatto montare sulla sua piscina
da
venticinque metri.
Iris
sorrise mesta nel vedere se stessa con quel volto così
annoiato, quasi lo stare
coi propri genitori le fosse venuto a noia troppo presto.
«Quanto
sapevi essere sciocca, bella mia…»
mormorò tra sé Iris, spegnendo il telefono
per gettarsi lunga riversa sul suo letto.
La
sera era giunta senza che lei se ne accorgesse e, dopo un frugale pasto
a base
di pasta e polpette, Iris aveva dato la buonanotte a Lucas –
che l’aveva
raggiunta per accordarsi per una visita guidata al parco – e
si era chiusa
dentro il suo camper.
In
quel periodo, era sola nell’immensa area, se non si
consideravano un paio di
campeggiatori armati di tenda canadese e tanta, tanta passione.
Iris
era incredula di fronte alla loro impressionante resistenza al freddo.
Pur se
in aprile, di notte quelle lande raggiungevano ancora temperature
ragguardevoli
al di sotto dello zero.
Lei,
naturalmente, non avrebbe avuto problemi, visto che come lupo mannaro
la sua
temperatura si attestava stabilmente intorno ai quaranta
gradi… ma loro?
Non
poteva che ammirarli per il loro coraggio. O la loro insana follia.
Rigirandosi
su un fianco, Iris scrutò il telefonino, non sapendo bene se
chiamare lo zio
per metterlo a conoscenza della novità, o attendere ancora
un poco per essere
certa di dargli notizie veramente buone.
Lucas
aveva ammesso candidamente di aver imparato ciò che sapeva
per esperienza
diretta, e non perché istruito da qualcun altro. Inoltre,
come lei in quei due
anni, a parte la fantomatica Julia, neppure lui era mai venuto in
contatto con
qualche altro licantropo.
C’era
la concreta possibilità che Lucas non conoscesse molte
più cose di lei, sulla
licantropia, di quante non ne avesse scoperte Iris stessa durante quei
due anni
di esperimenti.
Era
forse perciò preferibile aspettare almeno una settimana per
scoprire come,
effettivamente, Lucas avrebbe potuto aiutarla. Nel frattempo, si
sarebbe
limitata a informare lo zio della sua permanenza a Clearwater.
«E’
inutile dargli false speranze, se non ve ne sono»
mormorò tra sé, chiudendo gli
occhi per un istante.
La
foresta sembrava parlarle per sussurri, con il fruscio del vento a
portare il
mormorio degli abeti, l’odore degli ungulati alla ricerca di
una tana per la
notte e quello dei predatori alle loro calcagna.
Non
fosse stato per questo, sarebbe certamente impazzita molto tempo prima.
Avere
questo contatto indiretto ma privilegiato con il mondo della natura, la
galvanizzava. La faceva sentire speciale, non soltanto strana e, per
come erano
messe le cose, era già qualcosa.
Le
fosse rimasto solo questo, avrebbe avuto la certezza di avere un luogo
in cui
perdersi e in cui, forse, non sarebbe stata così fuoriposto.
«Dopotutto,
però, Lucas è così da anni»
mormorò tra sé, spegnendo le luci di cortesia per
poi rintanarsi sotto una leggera coperta.
«Imparerò anch’io e, alla fine,
tornerò a casa.»
Sapeva
di poterlo fare. Ora, ne aveva la forza. Le mancavano solo le nozioni
per poter
mettere in pratica la cosa.
N.d.A:
ed ecco che fanno la loro apparizione Lucas, il nostro primo licantropo
oltre a
Iris, e Rock, il suo compagno senza pelo,
ma che è a conoscenza di tutta la verità.
Scopriamo
anche chi è la madre di Chelsey, e perché suo padre
– Devereux – sia apparso
a Iris un tantino distante e freddo. Chi non lo sarebbe, dopo il
trattamento
che Julia gli ha riservato?
P.s.: Per darvi un'idea di
come sia il camper di Iris, vi lascio il link per poterlo visionare. (cliccare sulla parola "visionare")
E questa è Clearwater,
con le sue cascate e il suo parco bellissimo. (cliccare su "Clearwater)
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
3.
Era
la quarta unghia rotta.
Nei
tre giorni dacché era giunta a Clearwater, i suoi
pellegrinaggi all’interno del
parco l’avevano portata a compiere scalate e discese
piuttosto impervie – e
improbe per i comuni umani – causandole però
alcune unghie rotte.
Il
solo notarlo la fece sorridere tristemente.
Tutto
era nato da un’unghia spezzata, alla fine
dell’opera.
Fin
da quando era bambina, i suoi genitori l’avevano resa
partecipe delle loro
opere filantropiche, portandola con loro nei Centri di Recupero per
indigenti,
o a servire pranzi caldi durante i Thanks
Giving.
In
quelle occasioni, si era resa disponibile a regalare i suoi giocattoli
o, ove
le era stato possibile, a suonare la sua piccola pianola giocattolo
– da cui
non si separava mai – per allietare i membri più
giovani di questi gruppi di
persone bisognose.
In
seguito, nei centri sociali per giovani disadattati, aveva iniziato a
insegnare
i rudimenti della musica ai ragazzi e alle ragazze ivi ospitate, grazie
all’utilizzo
di semplici pianoforti, piccole pianole elettroniche o sgangherate
chitarre da
pochi dollari.
Divenendo
adulta, quell’abitudine era rimasta e lei l’aveva
convogliata in progetti
personali, prestandosi gratuitamente all’insegnamento della
musica nelle scuole
dei quartieri più poveri, o per i figli di famiglie
indigenti.
Queste
sue attività erano sempre rimaste private, una sua
prerogativa, niente affatto
condivise con le sue amiche, poiché nessuna di loro si era
mai interessata a
simili problemi.
Il
solo pensiero di parlare loro di ciò che aveva visto negli
anni in quei luoghi
di aggregazione, le era sempre sembrato folle. Nessuna di loro avrebbe
capito.
Un’unghia
spezzata le aveva confermato quelle paure, mettendo una pietra tombale
sulle
sue misere possibilità di essere capita e apprezzata per
ciò che faceva.
Durante
una cena di famiglia, Susan – figlia di una dei membri del
Consiglio della Walsh Inc.
– l’aveva bellamente presa in
giro per le condizioni delle sue mani, paragonandole a quelle di un
ragazzino
che aveva incontrato per strada.
Il
modo terribile in cui l’amica aveva etichettato il bambino,
giudicandolo
malamente senza conoscere nulla di lui, le aveva dato la conferma
definitiva ai
suo sospetti.
Se
mai aveva anche solo pensato di potersi aprire con le amiche, aveva
avuto la
risposta ai suoi dubbi.
Non
avrebbero mai capito quanto, quell’unghia rotta che si era
procurata, le aveva
riservato somme soddisfazioni.
Creare
delle casette di legno colorate per accogliere degli uccellini, era
stato
divertente e rilassante, per lei, ma più ancora lo era stato
vedere i sorrisi
dei bambini che aveva aiutato a costruirle.
Iris
aveva così deciso di mentire, addebitando
quell’unghia rotta a un suo maldestro
uso dell’arricciacapelli. Dirle una bugia le era sembrato
più semplice che
aprirle gli occhi di fronte alle verità della vita.
Da
quel momento, due Iris nettamente diverse avevano convissuto
malvolentieri
l’una accanto all’altra, pestandosi vicendevolmente
i piedi più volte. Inutili
erano stati i tentativi dei suoi genitori di farle collimare in una
sola
persona; lei aveva sempre fatto di testa propria e, più di
una volta, la Iris
frivola aveva bastonato la Iris empatica per non avere problemi con le
amiche.
Nel
bene e nel male, aveva vissuto in due mondi nettamente separati,
impedendo a
entrambi di parlarsi vicendevolmente.
Da
quando era diventata un lupo mannaro, però, entrambe quelle
vite erano state
accantonate a favore di un nuovo genere di comportamento.
Ora
cercava di concentrarsi su ciò che era e su ciò
che la circondava, tendando di
venire a capo delle nuove sensazioni che la sua condizione le
procurava, e
sfruttando al meglio le sue capacità per conoscersi
veramente, e una volta per
tutte.
Grazie
ai suoi nuovi sensi, riusciva ad apprezzare come mai prima tutto
ciò che le
stava attorno, ma ciò le causava anche seri problemi nel
relazionarsi con le
persone.
Era
difficile stare loro vicino, quando il suo lupo chiedeva
spazio… e succedeva
spesso.
Quando
perciò penetrò nel fitto bosco attorno a
Clearwater assieme a Lucas, la
consueta sensazione di pace la avvolse come in un abbraccio
consolatorio.
Fu
come ritrovare un vecchio amico, a cui aveva detto arrivederci poco
tempo
addietro.
I
profumi erano potenti, muschiati, ricchi di vita e di
diversità, e lei era in
grado di dare un nome a ognuno di essi senza alcun problema.
Da
questo punto di vista, ciò che le era successo poteva anche
essere ritenuto un vantaggio
enorme, ma stentava ancora a trovarvi altri lati positivi, oltre a
quello più
ovvio.
Non
dover temere di essere aggredita da nessuno, se non da un suo simile,
era uno
dei pochi motivi che l’avevano convinta a partire senza
ulteriori indugi. Anche
suo zio si era sentito tranquillo solo per quel motivo.
Diversamente,
non era sicura che se la sarebbe sentita di partire così
bellamente.
Poteva
bastare sapere di essere in grado di difendersi da sola, e di
apprezzare la
natura come mai le era accaduto in passato, per farle dimenticare la
paura di
ciò che era diventata? Davvero non lo sapeva, ma contava di
riuscire a capirne
qualcosa di più, grazie all’aiuto di Lucas.
«Allora?
Come ti sembra?» le domandò la sua nuova guida e
nuovo amico, fermo a pochi
passi dal dirupo da cui si poteva scorgere la cascata che aveva reso
famosa Cleawater.
Iris
gli sorrise allegra, osservando la Helmcken Fall in tutto il suo
splendore. Il
suono prodotto dalle acque in caduta libera nell’anfiteatro
naturale
sottostante, era davvero assordante, ma le dava l’esatta idea
della sua
potenza. Solo un simile concentrato di energia avrebbe potuto creare
quell’enorme
voragine all’interno del fitto bosco.
Assentendo
con vigore e, allargando le esili braccia per abbracciare
ciò che la
circondava, esalò: «E’ tutto
così bello da essere quasi incredibile!»
«E
puoi apprezzarlo al meglio, vero?» ammiccò lui,
dandole di gomito.
Iris
annuì nuovamente, sentendosi felice come non lo era mai
stata, in quegli ultimi
due anni.
Clearwater
sembrava essere stata creata appositamente per darle le sicurezze che
le erano
mancate fino a quel momento. Il rapporto che era riuscita a sviluppare
in così
breve tempo con Lucas le dava l’esatta dimensione di
ciò che le era mancato,
dacché era partita da L.A.
Qualcuno
che la capisse davvero, fino in
fondo.
Per
quanto suo zio si fosse dimostrato un’ancora di salvezza per
più di un motivo,
non aveva potuto darle alcuna certezza sul futuro, o spiegazioni su
ciò che era
diventata.
Lucas,
al contrario, pur non contanto sulla verità nuda e cruda,
era però come lei, ne
comprendeva le ansie così come i timori, e poteva rispondere
ai suoi dubbi con
i propri, all’occorrenza.
Potersi
confrontare a tutto tondo con una persona a quel modo, e senza dover
tralasciare nulla, era di per sé eccezionale. Poterlo fare
con qualcuno che,
oltretutto, si apprezzava già molto, era la classica
cigliegina sulla torta.
Lucas
le aveva anche permesso di sentirsi meno in colpa, di fronte alle
indubbie
facilitazioni dovute alla sua condizione. Essendo come lei, aveva avuto
gli
stessi problemi a suo tempo e, proprio grazie al tempo, era venuto a
patti con
se stesso e aveva escogitato dei validi stratagemmi per sopperire agli
scomodi
vantaggi del loro essere dei mannari.
Spiare
le conversazioni a distanza non le era mai piaciuto, per esempio e,
spesso e
volentieri, aveva rischiato di cacciarsi nei guai per parole ascoltate
di
straforo.
Infilare
gli auricolari alle orecchie, spesso l’aveva aiutata, ma
Lucas le aveva
insegnato qualche valido trucco per distrarsi efficacemente ed evitare,
così,
di origliare senza volere.
Non
che fosse del tutto sprovvista di una vena curiosa – alcune
conversazioni le
aveva ascoltate con divertimento, in passato – ma le era
sempre sembrato
ingiusto approfittarsene.
Inoltre,
la gente di quel luogo le piaceva, e non voleva ficcanasare
più del necessario.
Non
essendo stagione turistica, al camping erano presenti pochissime
persone, a
parte lei, perciò tutti l’avevano notata
gironzolare avanti e indietro per la
via del centro.
Nessuno,
però, era stato sfacciatamente curioso e, anzi, si erano
tutti prodigati
nell’aiutarla a scoprire gli scorci migliori del luogo e i
posti in cui
mangiare manicaretti.
Sì,
i piccoli paesi potevano essere focolai di pettegolezzi, ma erano anche
più
veri e accoglienti delle città caotiche e dispersive come
L.A., perciò lei non
voleva ripagare quella gente approfittandosi di loro grazie ai suoi
doni.
«Ci
si sente meglio a non dover sempre soppesare le parole, o i gesti,
vero?»
ammiccò Lucas, che forse aveva seguito il filo dei suoi
pensieri.
Da
quello che le aveva detto, lui aveva scoperto di poterlo fare solo a
causa della
mente di Julia, così caotica e frenetica da averne udito i
pensieri non appena si
era trovato a poca distanza da lei.
Questo,
aveva consentito a entrambi di confrontarsi silenziosamente anche in
presenza
di altri, in seguito, e ciò aveva permesso a Lucas di
tenerla maggiormente
sotto controllo.
Non
che a conti fatti fosse servito, visto che Julia era infine scappata
ma, almeno
per un po’, la donna era stata accanto alla figlia e al
compagno senza
impazzire. O far loro del male.
«Anche
il solo poter discutere con te di ciò che sento,
è qualcosa di elettrizzante.
Se anche non dovessi mai trovare una cura, sarei comunque soddisfatta,
perché
so di non essere più sola» ammise Iris.
«Rock come la prese, quando glielo
dicesti?»
«Beh,
sulle prime non volle credermi, e dovetti usare le maniere forti, per
convincerlo, ma sapevo di aver trovato la persona giusta a cui
confessarlo» le
spiegò Lucas, lanciando un sasso nel vuoto con fare
distratto. Il suo sguardo
era perso nell’orizzonte, immerso nei ricordi.
«E’ una persona dalle vedute
ampie. Un po’ perché essere ciò che
siamo ci rende più aperti alle diversità
ma, in generale, Rock ha sempre avuto una mentalità molto
elastica.»
«Era
questo che intendevi, dicendo che il paese è piccolo e la
gente mormora? Le
persone ebbero qualcosa da ridire, su di voi?» si
informò Iris, poggiando i
gomiti sulla staccionata di legno che proteggeva dal dirupo sotto di
loro.
«Sai
com’è… saremo anche nel ventunesimo
secolo ma, finché non prendi la classica
martellata sul dito, non sai mai cosa vuol dire davvero»
ammise Lucas, facendo
spallucce. «Sulle prime, chiacchierarono un po’
soprattutto perché, all’epoca
dei fatti, io avevo solo diciannove anni, mentre Rock ventiquattro. Mi
credevano troppo giovane per capire cosa volessi realmente, e lui fu
visto come
un approfittatore. Ma poi, vedendoci sempre insieme, capirono e
lasciarono
perdere le chiacchiere.»
«A
L.A. è più facile passare inosservati…
e commettere errori clamorosi!»
ridacchiò Iris, scostando una ciocca dei capelli biondi
dietro un orecchio.
«Ricordo una volta in cui, con la mia amica Susan, ci
imbattemmo in un
bellissimo ragazzo, solo al bar, intento a bere un Martini Dry. Ammetto
spudoratamente che giocammo alla morra cinese per accaparrarci il
diritto di
tentare un approccio e, quando vidi tornare Susy con la coda tra le
gambe e
l’aria scocciata, mi sentii un po’ meno male per
aver perso. Quando però seppi
il perché della débâcle, risi
moltissimo e consolai la mia amica offrendole una
birra. Il ragazzo era gay convinto, ed era in attesa del suo compagno.
Comunque,
fu così carino da ringraziare Susy per
l’interessamento.»
Subito
dopo aver raccontato quell’aneddoto, Iris si fece silenziosa
e Lucas,
battendole una mano sulla spalla, le domandò: «Non
l’hai più sentita, dopo la
tua partenza?»
«I
primi due mesi, quasi tutti i giorni ma poi, vuoi per un impegno di
lavoro,
vuoi per appuntamenti vari, si è resa irreperibile. Abbiamo
anche discusso per
alcune sue scelte discutibili in ambito lavorativo, così le
telefonate si sono
diradate fino a scomparire. Sono quasi otto mesi che non la sento
più» ammise
Iris, senza acredine alcuna nella voce. «Non la biasimo. Lei
deve mandare
avanti la sua vita, e io la mia, per quel che posso. Inoltre, credo di
non
essere più la Iris che le era stata amica a L.A.»
«Se
la tua Susan si lascia spaventare da qualche miglio di distanza, allora
puoi
anche farne a meno» replicò Lucas con un mezzo
sorriso.
Iris
si limitò a un assenso e, quasi senza accorgersene, si
lasciò andare contro il
fianco di Lucas, sospirando nell’osservare
l’orizzonte sgombro di nubi.
Quando,
però, si accorse di ciò che stava facendo, si
scostò imbarazzatissima e,
guardando spiacente Lucas, esalò: «Scusa davvero
tantissimo! Non so perché l’ho
fatto.»
Lucas,
però, non diede adito di essersi offeso e, dopo averle fatto
cenno di sedersi
su un masso sporgente nelle vicinanze, la imitò e disse:
«Sai, non so se
funziona per tutti noi, ma in generale posso dire che, da quando sono così, le effusioni mi
piacciono un
sacco. E te lo dice uno che, da bambino, era persino restio a dare la
mano alla
mamma o al papà.»
Vagamente
più tranquilla, Iris cercò di fare mente locale
per rammentare episodi che
potessero ricollegarsi a quanto detto da Lucas ma, ciò che
trovò nella sua
memoria, non la aiutò di certo.
«Con
quanti conoscenti hai parlato, dopo il fattaccio ma, soprattutto,
dopo la morte dei tuoi genitori? Ben pochi, da quel
che ho capito, visto che sei partita quasi subito, no?» le
fece notare Lucas,
ammiccando.
«In
effetti… dici che non avrei potuto accorgermi della
differenza, se già da prima
ero coccolona?»
«Esatto.
Tuo zio ti ha giustamente consolata in due momenti della vita molto
difficili
e, immagino, i tuoi cugini e amici hanno fatto lo stesso durante le
celebrazioni per la morte dei tuoi genitori. Niente di strano. Ma, in
seguito,
sei partita e hai cominciato a girovagare senza trovare nessuno con cui
aprirti, perciò non hai mai potuto testare questo
particolare in alcun modo.»
«E
tu, come lo scopristi?» gli domandò Iris,
poggiando il mento sulle ginocchia
per poi guardarlo curiosa. «Cosa successe, quando
mutasti?»
«Avevo
dodici anni, quando successe. Mi svegliai a metà nottata,
preda dei più brutti
crampi che avessi mai provato prima. Credo di aver urlato un paio di
volte – fu
questo a svegliare la mamma – e, quando iniziai a vedere
della peluria bianca
comparirmi sulla pelle, svenni. So soltanto che, quando mi ripresi, mia
madre
era in un angolo della stanza, armata di scopa e con il volto bagnato
di
lacrime.»
Iris
sgranò gli occhi, sgomenta, e mormorò:
«Santo cielo…»
«Non
feci in tempo a chiederle perché mi stesse guardando come se
avessi le corna e
la coda. I miei occhi si focalizzarono sulla stanza, sulle macchie
umidicce e
appiccicose che c’erano sul pavimento e, di colpo, ricordai.
Stento a credere
che due esseri umani possano piangere come piangemmo noi, ma
successe» ironizzò
Lucas, facendo spallucce.
«Io
mi riguardai nel video di sorveglianza interno del mio appartamento,
quindi
capisco bene. C’è da uscirne pazzi»
annuì Iris. «Quando lo mostrai a mio zio,
fui lì lì per svenire di paura, ma lui prese il
CDrom, lo nascose nella sua
cassaforte e mi disse che avrebbe tenuto la bocca chiusa.»
«E’
importante avere qualcuno di cui fidarsi perché, non sapendo
nulla di ciò che
siamo, è dura andare avanti» annuì
Lucas, stringendo le mani tra loro e
sospirando pesantemente.
«A
parte Julia e me, non c’è nessun altro che tu
abbia conosciuto?» si informò a
quel punto Iris.
«No.
Ma non ho neppure mai avviato una ricerca su vasta scala come hai fatto
tu. Stavo
bene qui e non sentivo l’esigenza di cercare»
ammise Lucas. «Forse, avrei
dovuto dimostrare il tuo stesso coraggio e tentare di capire chi ero
davvero,
visto che io ci sono nato,
così.»
«La
scintilla è basilare. Se non scatta, non ne senti
l’esigenza, e in me è
scattata subito perché mi sentivo presa in giro da colui che
mi aveva ridotta
così» dichiarò Iris, facendo spallucce.
«Sì,
forse hai ragione. Comunque, ho deciso di darti una mano. Anzi, di darci una mano per scoprire qualcosa di
più. Anche Rock e mia madre si sono uniti alla causa. E qui
finisco di
rispondere alla tua altra domanda. Dopo quel fattaccio, ed essere
venuti a
patti con ciò che ero, decidemmo di tacere il segreto a mio
padre e di gestire
la cosa giorno per giorno. Fu
così che ci rendemmo conto entrambi che io cercavo sempre di
più il contatto
fisico con lei.»
«I
lupi veri sono molto uniti, all’interno del branco, almeno
stando ai
documentari che ho visto dopo… beh, dopo il mio personale
casino» convenne
Iris, annuendo. «Può darsi che dipenda da
quello?»
«E’
possibilissimo, e spiegherebbe questo mio cambiamento
rep…»
Lucas
non fece in tempo a terminare la frase che lui e Iris rizzarono le
orecchie,
incuriositi da dei passi leggeri lungo il sentiero che avevano
utilizzato a
loro volta per raggiungere il dirupo.
Poggiandosi
un dito sulle labbra per imporle il silenzio, Lucas si alzò
lentamente dalla
roccia, subito imitata da Iris che, annusando l’aria,
mormorò: «Umano.»
Lucas
assentì, dandole ragione e, rilassandosi gradatamente,
disse: «Devereux.
Insieme a sua figlia.»
«Ah,
sì? E perché sento solo un paio di piedi che
camminano?»
Lucas
si limitò a sorriderle divertito e, indicandole un punto
preciso del bosco, si
mise in attesa e osservò pensieroso senza dire nulla.
Non
sapendo che altro fare, Iris fece finta di sistemare il proprio zaino
– non
potevano certo farsi scoprire entrambi a guardare il limitare del bosco
come
due falchi! – e, quando lo scalpiccio si fece più
forte e vicino, levò il volto
con aria fintamente sorpresa.
Devereux
sembrava ancor più grosso, al limitare del bosco, con quelle
spalle enormi che
sorreggevano la figlia senza sforzo.
I
capelli ondulati, neri come la pece e morbidamente lucidi, si sposavano
alla
perfezione con la pelle ambrata del viso, su cui cresceva una corta
barba di un
giorno o due.
Gli
occhi, del colore dell’argento, si adombrarono un poco
quando, nel raggiungere
lo spiazzo antistante il dirupo, incontrarono le figure di Iris e
Lucas. La
bocca si piegò in una leggera smorfia.
Chelsey,
invece, fu di tutt’altro avviso e, strillando eccitata,
esclamò: «Papà, guarda!
Sono Lucas e la nuova signorina di Los Angeles!»
«Dev…
Chelsey…» li salutò Lucas, sollevando
una mano con fare divertito.
«Johnson…
miss Walsh… ti sei dato alle visite guidate private,
ora?» domandò Devereux con
tono vagamente insultante.
Iris
si sorprese un poco ma non Lucas che, in barba al tono
dell’amico, replicò: «Ho
solo offerto le mie conoscenze del luogo a una turista molto simpatica,
tutto
qui.»
Dev
parve voler dire altro, ma Chelsey lo obbligò a farla
scendere dalla sua
posizione privilegiata, impedendogli così di parlare.
La
ragazzina, quindi, una volta guadagnato il terreno, raggiunse la
coppia, li
squadrò con attenzione e infine domandò:
«Ma a te non piacciono gli uomini,
Lucas?»
Iris
scoppiò in una dolce risata di gola, di fronte a quella
domanda così diretta
mentre il giovane, spiazzato dalla ragazzina, esalò:
«Beh, direi proprio di
sì.»
«E
allora perché sei qui, solo soletto con la signorina di Los
Angeles, invece che
con Rock?» chiese ingenuamente Chelsey.
Sfruttando
l’imbeccata della figlia, Devereux soggiunse:
«Sì, Lucas… come mai sei in giro
con miss Walsh, invece di occuparti del tuo uomo?»
Quel
nuovo attacco deliberato mise un po’ sulle spine Iris che,
perdendo il suo
sorriso, replicò cauta: «Lucas è stato
così gentile da accompagnarmi, visto il
mio senso dell’orientamento davvero pessimo. Tutto qui.
Inoltre, ho conosciuto
Rock giusto qualche giorno fa, perciò è al
corrente che Lucas mi avrebbe fatto
da guida.»
Chelsey
non notò affatto il velato ammonimento nella voce di Iris e,
sorridendole con
candore, dichiarò con occhi luminosi: «Non
è bellissimo? Io trovo che Rock sia
un uomo davvero stupendo, anche se non gli piacciono le donne. In
compenso, mi
ha detto che sono una bella bambina.»
Iris
le sorrise generosamente e dichiarò:
«L’ho pensato anch’io, quando
l’ho visto,
e mi è spiaciuto un po’ scoprire che fosse
già impegnato. E con lui, per di
più.»
Ciò
detto, indicò Lucas e Chelsey, annuendo con fare molto
adulto, chiosò: «Avrò
solo undici anni, ma certe cose le vedo bene anch’io, e posso
dire che Rock è
un gran bel pezzo d’uomo.»
«E
con questo basta, Chelsey. Preferisco non sapere cosa ne pensi dei
maschi di
questa cittadina» gracchiò Devereux, divenuto un
tantino pallido nel sentir
parlare la figlia a quel modo.
L’astio
nei confronti di Lucas sembrava essere stato superato, per il momento.
«Pensi
di fermarti un po’, signorina di Los Angeles?»
chiese allora Chelsey,
spallucciando al richiamo del padre, come se non fosse preoccupata del
suo
ammonimento.
«Ma
perché mi chiami così?» rise Iris,
dando un buffetto sulla guancia a Chelsey.
Lei
ridacchiò allegra e replicò: «Non ho
mai conosciuto nessuno che venisse da una
città cooosì
grande, e perciò lo
voglio sottolineare. Ma ammetto che è un po’
lungo, come soprannome. Iris è
carino, visto che è il nome di un fiore, e a me piacciono
tanto i fiori, però
credo che dovrei sottolineare in qualche modo la tua provenienza
e…»
Chelsey
continuò nel suo monologo per qualche minuto, lasciando
letteralmente
interdetta Iris, e facendo irritare minuto dopo minuto Devereux che, a
un certo
punto, sbottò dicendo: «Chelsey, basta! Stai
veramente esagerando.»
«Cavoli,
l’ho rifatto» sbuffò la ragazzina,
incrociando le braccia con fare scocciato.
«Papà, però, anche tu, avvisami prima!
Lo sai che parto a briglia sciolta e non
riesco a bloccarmi da sola, perciò…»
Dev,
allora, le mise indice e pollice sopra e sotto le labbra, gliele chiuse
con
fare esasperato e, piegando quel corpo enorme e altissimo, le diede un
bacio
sul capo, asserendo: «Parli davvero come una macchinetta. Ma
da chi avrai
preso, poi?»
«Da
nonna Jennifer, poco ma sicuro. Lei…»
iniziò col dire la bambina, prima di
tapparsi la bocca da sola e ridere giuliva.
Iris
rise divertita del suo gesto e disse: «Mia cugina Helen
chiacchiera come te.
Alle cene di famiglia, è quasi impossibile non assistere a
un suo monologo di
mezz’ora sulla cultura degli ortaggi da serra. La cosa, di
per sé, è assurda,
visto che è laureata in Economia, oltre a essere un ottimo
manager, ma tant’è.
Ha un amore incredibile per le piante.»
Sinceramente
interessata e con occhi colmi di mille nuove domande, Chelsey disse:
«Mi
piacciono tanto le piante e gli ortaggi, oltre ai fiori. Allora, potrei
andare
d’accordo con tua cugina. Le piacciono i bambini, per caso?
Sai, non vorrei
infastidirla, visto che parlo così tanto, e
perciò…»
Iris
la abbracciò improvvisamente, colta da un sentimento tutto
nuovo ma che, forse,
le veniva dal suo essere per metà umana e per
metà un animale della foresta.
«Dio,
sei adorabile!» mormorò lei, lasciandosi invadere
dal suo profumo.
Voleva stringere a sé
quella bimba così solare, che sapeva sprigionare gioia da
ogni poro, per
assorbirne l’energia e al tempo stesso per proteggerla.
Chelsey
rispose all’abbraccio con altrettanta spontaneità
e, socchiudendo gli occhi,
mormorò: «Sai, di solito il papà non
lascia che le donne mi abbraccino. E’
molto geloso di me. Solo le mie due nonne possono farlo.»
Lanciando
un’occhiata di sfida a un teso Devereux, in effetti proteso
verso di loro con
l’intento di separarle, Iris disse per contro:
«Beh, dovrà strapparmi via a
forza, perché ho tutta l’intenzione di
abbracciarti ancora per un po’, se non
ti spiace. La tua gioia è talmente bella e contagiosa che
vorrei assaporarne un
po’ anch’io.»
«Oh,
a me piace essere abbracciata» chiosò Chelsey,
scrutando da sopra una spalla il
padre. «Il papà lo fa spesso, ma solo quando
nessuno ci vede.»
A
quel commento, Lucas si lasciò andare a un risolino e Dev,
pur diventando rosso
come un peperone, riuscì comunque a scoccargli
un’occhiata talmente raggelante
da azzittirlo subito.
«Credo
che certi segreti dovresti tenerli per te e tuo padre,
Chelsey» mormorò a quel
punto Iris, scostandosi da lei e strizzandole l’occhio con
complicità.
Non
voleva infierire su quell’uomo. Dopotutto, aveva cresciuto un
autentico angelo,
anche se lui sembrava essere scorbutico come un orso.
«E’
ora di andare, Chelsey, o faremo tardi alla cena coi nonni»
le ricordò a quel
punto Devereux, sfiorandole una spalla con la mano.
«Sì,
sì, andiamo pure» annuì la bambina.
«Potrò venire a trovarti qualche volta,
Iris di Los Angeles? Papà mi permette di girare da sola per
Clearwater, visto
che mi conoscono tutti e nessuno si attenterebbe mai a farmi del
male.»
«Se
il tuo papà ti darà il benestare, allora va
bene» acconsentì Iris, lanciando
un’ultima occhiata a Devereux, che annuì con lo
stesso entusiasmo che avrebbe
avuto nell’accettare l’invito di un branco di
squilibrati.
«Allora,
ci vediamo! E tu, Lucas, non dimenticarti di Rock!»
esclamò soddisfatta
Chelsey.
«Non
potrei mai farlo, piccola Chelsey, credimi» la
tranquillizzò il giovane,
salutandoli nel vederli allontanarsi.
Quando
furono a distanza di sicurezza, ben al di là del limitare
dello spiazzo dove
loro ancora si trovavano, Iris domandò: «Come mai
tanta acredine?»
«E’
convinto che sia colpa mia, se Julia è scappata. Ovviamente,
non conosce i
motivi per cui le bazzicavo tanto intorno, e forse crede che io e lei
abbiamo
avuto una storia. Per questo mi ha punzecchiato a quel modo. Forse
crede che io
metta le corna a Rock, chissà.»
«Oh,
ecco» annuì Iris. «E’ davvero
assurdo che tu non possa dirgli la verità.»
«Non
importa se Dev ce l’ha con me. Se Chelsey ha ereditato il
marchio, avrò tutto
il tempo di dirgli ogni cosa. Ora come ora, non ha bisogno di qualcun
altro che
gli dica ‘mi dispiace, la tua
compagna
era matta come un cavallo, ed è per questo che è
scappata’.»
«Paese
piccolo…» sospirò Iris, scuotendo il
capo.
«…
gente che mormora…» terminò per lei
Lucas, assentendo al suo dire.
***
Iris
era immersa nel piccolo motore della sua Smart
FortTwo, intenta a rabboccare l’acqua dei
tergicristalli, quando udì in
lontananza lo scalpiccio di due paia di piedi.
I
profumi erano troppo confusi dalle raffiche di vento, perché
lei potesse
coglierli appieno ma, quando percepì quello intenso di
Chelsey, sorrise
spontaneamente e levò il capo per salutarla.
Non
appena vide che Devereux l’aveva accompagnata,
però, il suo sorriso si spense
un poco. Evidentemente, non si era fidato a lasciarla venire da sola.
Da
una parte, ne plaudì la cautela; dopotutto, loro non si
conoscevano affatto, e
lasciare una ragazzina di undici anni con un’estranea
– anche se all’interno di
un campeggio – poteva essere pericoloso.
Dall’altra,
si demoralizzò un poco; evidentemente, Dev concedeva davvero
poca fiducia alle
donne, visti i precedenti fallimentari.
Fatto
buon viso a cattivo gioco, ritrovò la forza per raffazzonare
un sorriso di
benvenuto e, chiuso il cofano della piccola auto, si ripulì
le mani in uno
straccio che teneva nella tasca posteriore dei jeans e disse:
«Benvenuti.»
Chelsey
affrettò il passo, correndo sul selciato per essere la prima
a raggiungerla e,
osservando stupita la piccola automobile, esalò:
«Ma è vera?»
«Altroché,
e mi è servita in molte esplorazioni, in questi anni. Vedi?
Riesco a infilarla
nel gavone del camper, così posso trascinarla in giro per il
mondo, durante i
miei viaggi» le spiegò Iris, indicando
l’enorme camper che, per dimensioni,
rassomigliava più a un autobus.
Chelsey
fissò l’impressionante mezzo bianco a righe beige
e nere e, grattandosi
pensierosa una guancia, borbottò: «Sei sicura che
sia un camper, vero?»
Iris
assentì divertita, dicendo: «Se vuoi, puoi salire
e visitarlo comodamente da te.»
Ciò
detto, si volse verso Devereux – che infine le aveva
raggiunte – e, allungando
una mano, disse: «Non mi ero ancora presentata ufficialmente.
Sono Iris Walsh,
molto piacere.»
Dev
strinse la sua mano con una certa forza, replicando:
«Devereux Saint Clair,
piacere mio.»
Chelsey
attese che le loro mani si fossero lasciate, per dire: «Iris
ha detto che posso
salire. Visto che ti ho promesso che avrei fatto la brava, ti chiedo;
posso
farci un giro dentro?»
Dev
sospirò leggermente esasperato e assentì e Iris,
nel vederla correre tutta
felice verso la porta del camper, mormorò: «Le
cose pericolose sono ben chiuse
e al sicuro.»
Dopo
un attimo, l’uomo sussurrò:
«Grazie.»
Un
po’ più tranquilla per avergli strappato quel
ringraziamento, Iris lo pregò di
accomodarsi al suo tavolino da campeggio, dotato di comode poltroncine
apribili
con tanto di porta bicchiere annesso al bracciolo.
Lui
lo fece con aria stanca e Iris, nel servirgli del tè freddo
che aveva preparato
da poco, domandò: «Brutta giornata?»
«Non
particolarmente ma, se non lo ha notato, mia figlia è un
autentico vulcano di
energia, e tenerle dietro sfianca… soprattutto se devi
infilarci dentro anche
il lavoro con cui la mantengo» borbottò Dev,
accettando il tè prima di guardare
il bicchiere con aria dubbiosa e domandare: «Ma che miscela
è?»
«E’
ai frutti di bosco. Non è un infuso artificiale, ma
naturale, che ho acquistato
a Calgary, prima di venire qui.»
«Buono»
mugugnò Dev, bevendone un altro sorso prima di squadrarla
con aria indagatoria
e dire: «Lei viaggia parecchio e, da quel che vedo, ne ha
anche le
possibilità.»
«E’
necessario che mi dia del lei? Mi
sento un po’ a disagio» ammise Iris, scantonando
per il momento la velata
domanda.
Con
una scrollata di spalle, Dev disse subito dopo: «Mi vorrei
scusare con te per
la sceneggiata dell’altro giorno, quando ti ho visto con
Lucas. Ho un piccolo
contenzioso con lui, ma tu non avevi alcuna colpa, e non dovevi finirci
nel
mezzo.»
«Nessun
problema. Anche se non sembra, ho le spalle larghe»
dichiarò Iris, accavallando
le lunghe gambe. «Per rispondere alla tua non-domanda,
sì, ho le finanze per
mantenere questo mio viaggio itinerante. Sono una socia maggioritaria
della Walsh Inc., che è
un’azienda losangelina
legata all’acciaio. I miei genitori ne erano co-proprietari
assieme a mio zio
ma quando loro morirono, due anni addietro, io decisi di prendermi una
pausa
per capire cosa volessi fare davvero. Mio zio, al momento, si occupa
delle mie
quote azionarie in seno al Consiglio e…»
Il
bip del suo palmare, poggiato sul
tavolino che li divideva, la interruppe e, scusandosi con Dev, Iris
controllò
il messaggio appena giunto.
Sorridendo
appena, Iris mormorò: «Per l’appunto.
Una circolare che la segretaria di mio
zio mi ha inviato sui rendimenti dell’ultimo
trimestre.»
Ciò
detto, volse il palmare verso Dev che, però,
aggrottò la fronte e replicò: «Non
sono affari miei, davvero. Non c’era bisogno che tu mi
raccontassi tutta la tua
vita, sai?»
«Lo
so, ma non voglio avere incomprensioni con nessuno e, visto che tu mi
sembri
particolarmente restio a fidarti delle persone, desidero solo
dimostrarti che
non sono una ladra in fuga, o cose simili» insistette Iris,
mettendogli
praticamente in mano il palmare.
Vistosi
costretto a visionarlo, Devereux controllò quindi la
circolare e, pagina dopo
pagina, si ritrovò a sgranare leggermente gli occhi di
fronte a ciò che vide.
Nel
riconsegnare infine il palmare alla donna, mormorò:
«Non si può dire che
guadagnate male.»
«Direi
di no. Mio zio è bravo a gestire gli interessi della
famiglia. Molto più di me,
temo, ed è anche per questo che sto cercando di capire cosa
voglio fare di me e
delle mie quote. E’ assurdo che sia proprio io ad avere la
maggioranza in
Consiglio» mormorò Iris, lanciando uno sguardo al
contorno dei boschi.
Lì,
tutto era tranquillo e seguiva il suo tran tran naturale, senza la
frenesia o
la follia infinita della città da cui lei proveniva.
Non
c’erano vernissage a cui presenziare, serate di gala in cui
farsi immortalare
dai paparazzi, opere di beneficienza in cui mostrare il proprio volto
solo per
pubblicizzare la ditta.
Lei
desiderava qualcosa in cui credere davvero e, per quanto la fonte di
reddito
che le veniva dalla ditta dei genitori le facesse comodo – e
come negarlo! –
sapeva bene che non era la vita che voleva.
I
suoi studi universitari non si erano spesi in Economia o Marketing, ma
in Studi
Umanistici alla Berkeley University, a cui aveva aggiunto un Master in
Musica.
Lei desiderava insegnare, più che guidare
un’azienda, e i suoi genitori si
erano dichiarati disposti a farle seguire gli studi che più
aveva amato.
Per
quanto fosse stata superficiale con le sue amicizie, aveva realmente
amato ciò
che aveva intrapreso all’università, e gli unici
momenti in cui si fosse mai
sentita bene nella sua pelle, li aveva passati nei centri ricreativi
per
bambini.
Lì,
aveva scoperto di saperci fare, con l’insegnamento. Spiegare
ai bambini cosa ci
fosse di bello, nell’andare a scuola o nello studiare,
l’aveva fatta sentire
utile.
Così
come passare del tempo con loro, insegnando a suonare la chitarra o il
pianoforte, due strumenti che aveva imparato a usare fin da piccola, le
aveva
dato lo sprone a continuare, a credere nei suoi sogni.
Aveva
amato scorgere sui loro volti la gioia della comprensione e, in quei
momenti,
non si era sentita soltanto una scatola vuota e con un bel faccino.
Anche
i suoi genitori avevano notato queste sue propensioni e, proprio per
questo,
l’avevano assecondata nei suoi studi.
Quando
loro se n’erano andati, però, si era ritrovava con
il peso delle loro azioni
societarie sul collo, con l’incombenza di essere
l’unica Walsh in Consiglio – zio
Richard era fratello di sua madre – e di non avere idea di
come gestire quel
nome.
Per
quanto tempo ancora avrebbe potuto pretendere che suo zio si occupasse
di
tutto? Non lo sapeva e, sempre più spesso, era stata tentata
di vendere tutte
le sue azioni e nascondersi per sempre nell’ombra.
Il
fatto di sbarazzarsi del lavoro dei suoi genitori, però, le
pesava più di
tutto, e questo l’aveva sempre fermata. Era ingiusto
ripagarli a quel modo dei
loro sforzi.
«Guido
una ditta di costruzioni. Fabbrichiamo case in legno per i facoltosi
che se le
possono permettere» disse di punto in bianco Dev,
sorprendendo Iris. «Dirigo
una trentina di uomini in tutto, tra falegnami, spaccalegna e
ingegneri. Al
cantiere vige il caos assoluto, all’apparenza, ma ognuno sa
quel che fa… io so quel che faccio.
E’ una bella
sensazione sapere dove mettere i piedi. E le mani.»
«E’
quel che cerco di capire io» annuì Iris,
sorridendogli appena. «Vorrei avere
questa sicurezza, quando guardo i bilanci della mia ditta, e invece
leggo solo
numeri che capisco, certo, ma che non mi danno alcuno
stimolo.»
«Allora,
credo tu abbia già la tua risposta…»
chiosò Devereux, prima di volgersi a mezzo
quando udì la figlia discendere dal camper.
«… ehi, giovane marmotta, cos’hai
scoperto?»
Ridendo,
Chelsey dichiarò: «Iris è ordinata e fa
profumare tutto di limone. Forse, è
maniacale come te, quanto a ordine. Ma tiene i libri in disordine sul
letto.
Però mi piace, perché così ho scoperto
che ha letto anche Harry Potter.»
Iris
rise, annuendo divertita, e ammise: «E’ il mio
punto debole. Quando scelgo un
libro, la mattina, lascio tutto in disordine fino a sera e, quando devo
distenermi, prima sono costretta a rimettere tutto a posto.»
Sedendosi
su una seggiola libera, Chelsey asserì:
«Papà ha un vero caos, nello studio
dove disegna le sue case… ma sono tutte bellissime,
perciò va bene così, credo.
Gli artisti creano in mezzo al disordine, giusto? Nei film, fanno
sempre vedere
i pittori nei loro studi super incasinati,
perciò…»
Ancora
una volta, Iris ascoltò in silenzio il lungo discorso della
ragazzina che, a un
certo punto, si interruppe per esclamare: «Rock!
Ciao!»
Sia
Iris che Dev si volsero a mezzo e, bello e possente, Rock si
accostò a loro per
poi salutarli e dire: «Dev, scusa il disturbo, ma ti vogliono
in ditta. Hanno
provato a chiamarti, ma evidentemente il tuo cellulare è
staccato, e così…»
«…
e così, hai fatto qualche chiamata in giro per sapere se mi
avevano visto»
terminò per lui Dev, controllando il suo cellulare. Era
morto e sepolto. «Dovrò
cambiarlo. La batteria dura due minuti e poi crolla senza
scampo.»
«Dobbiamo
andare?» mugugnò a quel punto Chelsey, guardando
il padre con espressione
spiacente.
Devereux
ci pensò su un attimo, lanciò
un’occhiata a Iris e infine disse: «Puoi rimanere
con Iris, se lei non ha impegni, ma entro le cinque al
massimo ti voglio a casa, è chiaro?»
«D’accordo,
papà!» esclamò tutta giuliva la
ragazzina. «Posso, vero, Iris?»
«Ma
certo. Penserò io a riaccompagnarla, così non
farà la strada al buio» promise
la donna, lanciando un’occhiata piena di serietà a
Dev, che assentì.
Rock
levò un sopracciglio con evidente sorpresa, ma non disse
nulla di fronte a
Iris. Nell’allontanarsi con il suo capo, però,
attese soltanto di aver
raggiunto il pick-up e gli chiese: «Che novità
è questa, Dev? Da quando in qua
lasci la tua bimba a una donna che non siano le sue nonne?»
Dev
sbuffò di fronte a quella domanda ironica e,
nell’aprire la portiera della sua
Jeep Wrangler nera, borbottò: «Non conta nulla,
è chiaro?»
«Oh,
certo. Sono sicuro che Alyssia non verrà mai a saperlo,
perciò va bene» gli
fece notare Rock, ammiccando.
Sospirando
esasperato, Dev mormorò stancamente: «Non posso
farci nulla se Alyssia non
capisce che non voglio una donna nella mia vita ma, soprattutto, che
non voglio
lei.»
«Gliel’hai
detto, o hai solo pensato di fare il burbero orso e basta, sperando che
lei
capisse?» sottolineò l’amico, dandogli
una pacca sulla spalla. «A volte,
bisogna parlar chiaro, e non soltanto tagliar fuori la gente dalla
propria
vita, Dev.»
«Tu
e Lucas siete peggio di due comari» sbottò Dev,
chiudendo la porta dalle Jeep
per poi partire con una leggera sgommata.
Rock
rise sommessamente e, con più flemma, salì sul
suo pick-up per seguirlo alla
ditta di costruzioni. Era inutile insistere, se Dev non ne voleva
parlare.
Ma
la cosa non sarebbe passata inosservata, poco ma sicuro.
N.d.A.:
si cominciano a capire meglio il passato non proprio luminoso di Iris,
oltre
alla maturità di Chelsey e alla propensione di Dev nello
scansare le donne.
Che
dite, la visita di Chelsey a Iris come si concluderà?
|
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Capitolo 5 *** capitolo 4 ***
4.
Non
appena Devereux si fu allontanato assieme a Rock, il sorriso di Chelsey
si
spense e, con un sospiro, si rivolse a Iris per domandare:
«Secondo te il papà
è tanto triste?»
Sinceramente
sorpresa da quella domanda, la donna inclinò perplessa il
capo e replicò: «Non
lo conosco a sufficienza, Chelsey, perciò mi è
difficile risponderti. Ma perché
me lo chiedi? Credi che non sia felice?»
La
bambina storse la bocca e, sprofondando nella comoda sedia da
campeggio,
borbottò: «Le nonne fanno finta di niente e, nella
casa dove è cresciuta la
mamma, non ci sono sue foto recenti, ma solo di quando io ero molto
piccola.
Lei mi tiene in braccio e sorride al fotografo, ma il papà
guarda lei e sembra
preoccupato.»
«Capisco.
La tua nonna materna ti ha detto nulla di lei?» chiese cauta
Iris.
Si
era trovata altre volte in una situazione simile, durante le sue visite
ai
centri di recupero per l’infanzia ma mai, come in quel
momento, desiderò essere
d’aiuto.
Era
mai possibile che i suoi nuovi istinti animali la portassero a essere
più
protettiva, quando si trattava di un cucciolo?
Era
comunque chiaro che la bambina non aveva avuto occasioni di parlare di
questo
argomento con nessuno, e pareva intenzionata a farlo con lei.
Dopotutto,
tutti la conoscevano, e forse Chelsey aveva intuito che nessuno avrebbe
avuto
il coraggio di parlarle con sincerità, mascherando
– o addirittura omettendo –
certe verità.
Lei
che era un’estranea, e non poteva avere un partito preso nei
confronti di
nessuno, era la candidata ideale per quelle scomode domande.
Scrollando
le spalle, Chelsey mormorò: «Nonna Jennifer dice
che mamma Julia mi ha tanto
voluto bene, ma che era malata e non è potuta rimanere con
me. Nonno Graham,
invece, non dice nulla e si limita a darmi tanti baci e abbracci,
quando
passiamo a trovarli.»
«I
genitori di tuo padre, invece?»
«Loro
non ne parlano, neanche quando io mi faccio insistente. Nonna Betty
diventa
muta come una tomba, e nonno Sam fa lo stesso, così
rinuncio. Ma lo vedo che il
papà è sempre turbato… e
non è per il
lavoro. Là, è felice.»
Il
tono perentorio con cui Chelsey espresse il concetto fece sorridere
Iris.
Quella bambina così allegra e solare nascondeva una
profondità davvero rara,
per una ragazzina di undici anni.
Il
fatto di essere cresciuta senza una madre, pur se in una famiglia
apparentemente
unita e che le aveva dispensato amore, l’aveva fatta maturare
prima del tempo.
Considerare come una priorità la felicità del
padre, non poteva che renderle
onore.
«Tu
cosa pensi, invece?» si informò a quel punto Iris,
volgendosi completamente
verso di lei per poi poggiare gli avambracci sulle cosce, gli occhi
verdi
puntati su di lei con interesse.
La
ragazzina la fissò smarrita, non sapendo bene cosa
risponderle. Forse, era la
prima volta in assoluto che le veniva chiesta una cosa del genere, e
Iris si
fece cogliere dal dubbio che, probabilmente, neppure avrebbe dovuto
chiederglielo.
Anche
se era abituata a trattare coi bambini, le sue esperienze si basavano
su
momenti passati con persone sempre nuove, e di cui lei non aveva una
responsabilità diretta.
Discorrendo
con Chelsey di quell’argomento così spinoso,
invece, avrebbe stabilito una
relazione molto più profonda e con una persona che, con
tutta probabilità,
avrebbe rivisto anche molte volte, in futuro.
Se
la sentiva di prendersi un simile impegno? Era certa di essere pronta
e,
soprattutto, il padre cosa avrebbe detto, se mai avesse scoperto di
quella loro
chiacchierata?
Il
punto, alla fine dell’opera, era solo uno. Chelsey le era
piaciuta subito e, desiderava
aiutarla.
Se
il padre avesse avuto qualcosa da ridire, lo avrebbe affrontato,
spiegandogli i
suoi perché e le motivazioni che l’avevano spinta
a risponderle.
Inoltre,
dopo aver saputo della vera natura di sua madre, sentiva anche su di
sé – come
lo era per Lucas – il peso di proteggerla da un segreto che
lei non aveva
chiesto e di cui non sapeva nulla.
Giocherellando
con le dita con fare nervoso, Chelsey alla fine disse: «Penso
che nessuno mi
dica la verità, perché pensano che io sia troppo
piccola per capire. Ma vorrei
che almeno fossero onesti sui suoi sentimenti per me.»
«Credi
che non ti volesse bene?»
«Qual
è la mamma che lascia la propria figlia, se le vuole
bene?» protestò
cocciutamente Chelsey.
«Forse,
una mamma con così tanti problemi che, per paura di
coinvolgere la figlia, preferisce
lasciarla a qualcuno che possa prendersi cura di lei, senza
trasmetterle così
le sue paure e i suoi drammi» le propose con gentilezza Iris,
sorridendole.
La
bambina la fissò dubbiosa, ma non replicò alla
sua affermazione. Di contro,
disse: «Magari sbaglio, ma parlo così tanto
perché almeno il papà non pensa
alla mamma, mentre mi ascolta, e non torna a essere triste.»
La
carezza, così come l’abbraccio, vennero spontanei,
e Iris dovette rendersi
conto con un pizzico di amarezza che, in quei gesti, v’era
molto della lupa
dentro di lei, piuttosto che della vecchia se stessa.
Lei
aveva sempre apprezzato baci e abbracci, ma soltanto dalla sua
famiglia,
ritenendo quelli esterni a quella
cerchia ristretta non veritieri, e forieri soltanto di troppi problemi.
Con
tutta probabilità, era stata questa poca fiducia nel
prossimo a far naufragare
le sue misere avventure con i soli due ragazzi che avevano avuto il
coraggio di
sfidare la sorte con lei.
A
ben vedere, gli unici a cui aveva dispensato quel genere di attenzioni,
a parte
la famiglia, erano stati i bambini di cui si era presa cura. Al pari
della sua
famiglia, quei bambini non avevano mai avuto secondi fini, nei suoi
confronti.
Scostandosi
da Chelsey quando ritenne di averle dispensato la giusta dose di
comprensione,
Iris disse: «Penso che lui sia contento quando esprimi te
stessa, anche se
magari fa la faccia esasperata e ti riprende. Non sarebbe
così protettivo, se
non ti volesse un bene dell’anima, ti pare?»
«Papà
ha una bella risata, ma la si sente così poco!» si
lagnò la bambina,
stringendosi nuovamente a Iris e chiudendo gli occhi subito dopo.
«Hai un buon
profumo, sai? Sembra di stare nel bosco.»
«Grazie»
mormorò Iris, facendosi attenta e ripromettendosi di
chiedere lumi a Lucas
circa i segni premonitori di un cambiamento imminente.
Non
aveva idea se il suo odore fosse effettivamente più forte,
rispetto a un comune
umano, o se semplicemente, standole vicino, Chelsey potesse percepirlo
senza
problemi.
In
ogni caso, il fatto stesso che percepisse il suo aroma naturale e lo
associasse
al bosco, poteva voler dire qualcosa.
In
ogni caso, rimasero così, silenziose e abbracciate, per
diversi minuti, minuti
in cui la tranquillità del campeggio e i fruscii degli abeti
del bosco poco
distante fecero da contorno a quella pace ritrovata.
Quando
infine Iris si scostò e sorrise a Chelsey, le
domandò: «Ti piace la musica?»
«Molto.
Papà mi ha detto che, se farò la brava, mi
comprerà una chitarra per imparare a
suonare» le rispose la bambina, sorridendo lieta.
Ammiccando,
Iris allora le chiese: «E se cominciassimo da subito, con le
lezioni?»
Chelsey
balzò dalla sedia con il viso percorso dalla gioia
più pura e, stringendosi le
mani al petto, esclamò: «Tu
hai una
chitarra? E mi insegneresti?!»
Felice
per quella reazione – vederla così triste
l’aveva spinta ad agire perché si
riprendesse – Iris si alzò a sua volta e,
offrendole la mano, la portò con sé
all’interno del camper, asserendo: «Non solo ho una
chitarra, ma te la presterò
volentieri, così vedrai se ti piace come strumento, o
meno.»
«Mi
piacerà. Mi piacerà di sicuro!»
ciangottò felice la bambina, saltellando
contenta.
Iris
sorrise sollevata. Sembrava che il peggio fosse passato.
***
Concentrata
sulla tastiera della chitarra mentre Iris le sistemava le dita per
l’ennesima
nota da imparare, Chelsey borbottò: «Non pensavo
fosse così difficile… quando
suonano in TV, sembra così semplice!»
La
donna sorrise indulgente, replicando: «E’ come
andare in bicicletta. Sembra una
cosa impossibile, all’inizio, ma poi si impara.»
«Io
ho tolto le rotelline a quattro anni» sottolineò
Chesley con fare ghignante.
«La mia amica Roxy, invece, solo a sette.»
«Hai
dimostrato molto coraggio, allora» considerò Iris,
indicandole lo spartito.
«Ecco, ora sei pronta per fare la scala musicale che hai
davanti.»
Lei
assentì e cominciò con cautela, aggrottando la
fronte per la concentrazione.
Il
primo accordo venne un po’ stonato ma Chelsey
ritentò e, al suo secondo
approccio, riuscì a emettere un suono più puro.
Iris
levò il pollice in segno di successo e la bambina,
ringalluzzita, tentò con le
altre note. Il risultato non fu eccelso, ma gli occhi nocciola di
Chelsey
brillavano di aspettativa e di eccitazione.
Sì,
la chitarra sarebbe stato il suo strumento, non c’era alcun
dubbio.
Iris,
perciò, la lasciò provare e riprovare
finché l’occhio non le cadde
sull’orologio digitale del forno.
Erano
le sedici e quarantadue.
Subito,
Iris emise un fischio modulato quanto ansioso e Chelsey,
accorgendosene, smise
di strimpellare ed esalò: «E’
già ora?»
«Temo
di sì e, se abiti lontano, siamo già in
ritardo» gracchiò Iris, levandosi per
andare verso la porta del camper per uscire di corsa.
Quando,
però, lo fece, una folata di vento gelido e umido la
investì con forza e
Chelsey, nel rendersene conto, borbottò:
«Neve.»
«Come,
neve?» esalò la
donna, voltandosi a
mezzo per guardarla con aria stranita. «Ma è
primavera!»
Con
aria saputa, Chelsey replicò serafica: «Siamo solo
ad aprile inoltrato, e qui
può nevicare oggi e fare trenta gradi domani. Questa
è neve, di sicuro.»
Anche
Iris se ne rese conto, ovviamente. Il suo naso pizzicava da matti e
l’aria era
satura di ozono, segno che da qualche parte i fulmini si erano
divertiti a
ionizzare tutto il circondario.
Afferrata
perciò la chiave della Smart, disse perentoria:
«Beh, prima che venga giù il
finimondo, è meglio se ti riporto a casa.»
«Posso
chiamare nonna Betty. Fa la parrucchiera, qui a Clearwater, e
può venire a
prendermi» le propose Chelsey, poggiando a malincuore la
chitarra sul tavolino
da cucina del camper.
«Non
voglio disturbare nessuno. Ho promesso a tuo padre che avrei pensato
io, a te,
e a ciò mi atterrò» replicò
Iris, prima di aggiungere tra sé: “ci
sono già troppe donne che lo hanno
deluso, e io non voglio mettermi in coda. Figurarsi se voglio
commettere gli stessi
errori di un tempo!”
Non
era mai stata famosa per la sua coerenza con gli uomini, e
più di una volta si
era divertita con loro, in alcuni casi in modo persino crudele.
In
parte, per una sorta di ripicca tutta femminile, in cui lei aveva
interpretato
la parte della paladina delle donne e, in parte, perché non
aveva mai
desiderato impegnarsi con nessuno.
Lo
avesse fatto per superficialità, totale mancanza di
maturità o altro, non
desiderava più essere così leggera nei suoi
rapporti con il prossimo, foss’anche
uno labile come quello che aveva con Devereux Saint Clair. Quella Iris
era
morta e sepolta, e lì doveva rimanere per sempre.
Chelsey,
allora, la seguì all’esterno, guardò un
poco preoccupata le nubi nere che si
stavano addensando sulla cittadina e all’orizzonte, verso
nord.
«Sarà
brutta» constatò dopo alcuni attimi.
«Che
bello» sbuffò Iris, invitandola a salire in fretta
in auto.
Non
appena la bambina vi fu salita, si guardò intorno piena di
curiosità, allacciò
la cintura e ridacchiò.
«Il
papà non riuscirebbe a entrarci neanche volendo.»
«Eh,
no. Lui è un po’ troppo alto e, per farcelo stare,
dovremmo piegarlo in un due
come un soprabito» ammise Iris, avviando il motore e facendo
manovra alla
svelta per uscire dal campeggio.
Chelsey
rise della sua battuta e, nell’asciugarsi una lacrima di
ilarità, si sporse dal
finestrino per salutare la madre di Lucas, seduta sulla veranda a
osservare il
cielo.
Imitandola,
Iris abbassò il finestrino e, dopo essersi fermata per un
attimo, disse a Clarisse:
«Accompagno Chelsey a casa. Se non
torno, chiamate i marines o la fanteria a cavallo, perché
sarò sicuramente affogata
in mezzo alla neve.»
Scoppiando
a ridere, la donna replicò: «E’ per
questo che noi usiamo i pick-up, da queste
parti.»
«Non
ci entrerebbe mai, un pick-up, nel mio camper»
brontolò Iris, salutando la
donna per poi avviarsi verso la strada principale. «Da che
parte?»
«A
destra, verso la rotonda, poi imbocca la Southern Yellowhead Highway,
fino al
bivio con Candle Creek Road» le spiegò Chelsey,
indicando con ampi gesti del
braccio.
«Andata»
assentì Iris, immettendosi nel traffico.
I
primi fiocchi di neve grossa e pesante, chiaramente mescolata ad acqua,
iniziarono a cadere quando Iris imboccò Candle Creek Road,
che si inerpicava verso
i monti ricoperti di abeti fitti e scuri all’orizzonte.
Imprecando
tra i denti, e facendo ridere sommessamente Chelsey, schivò
un paio di
scoiattoli troppo intraprendenti e, quando infine la bambina la
indirizzò verso
uno stradello, ringraziò di non dover valicare il monte per
raggiungere la
destinazione.
Oltre
il crinale, il cielo era simile alla Fossa delle Marianne. Scuro,
minaccioso e assai
inquietante.
Quando,
però, si fermò dinanzi a un’ampia casa
di tronchi intrecciati, perse di vista
la nevicata tardiva e il malumore per lasciarsi andare alla meraviglia.
L’abitazione
di Devereux e Chelsey era semplicemente splendida.
Costruita
su un ampio basamento in cemento armato e ricoperto di pietra
intagliata con
maestria, la casa si sviluppava su due piani e dava l’idea di
essere solida e
calda, oltre che accogliente.
Gli
immensi tronchi usati per costruirla erano del loro colore naturale, un
bel
nocciola dorato, e la porta a vetri smerigliati – ampia e a
due ante – era
stata intagliata con motivi geometrici molto complessi.
Coprendosi
la testa con le mani mentre i fiocchi di neve diventavano sempre
più fitti e
asciutti, Iris e Chelsey salirono i gradini in pietra fino alla
veranda,
coperta da un’ampia tettoria in tronchi.
Lì,
Iris si guardò alle spalle e, con un pesante sospiro,
esalò meravigliata: «Siete
proprio immersi nel bosco.»
«A
me piace molto. Fa tanto film d’avventura»
celiò Chelsey, aprendo la porta con
le chiavi che teneva in mano. «Vieni dentro. Si
sarà già accesa la stufa.»
«Cosa?»
mormorò sorpresa Iris.
Invitandola
a entrare con un ampio e ironico gesto del braccio, Chelsey aggiunse:
«La stufa
a pellet. E’ programmata per accendersi se la temperatura
scende sotto i
diciotto gradi, in casa, e credo che… sì,
è accesa.»
Iris,
però, non guardò in direzione della stufa
rettangolare nei pressi del muro
portante quanto, piuttosto, all’ambiente in sé.
Quell’atrio
era un piccolo gioiello di stile country canadese.
Le
travature a intreccio del soffitto erano dello stesso color nocciola
dell’esterno, da cui pendevano ampi lampadari in ferro
battuto a otto bracci.
Una
scala centrale conduceva al primo piano e al suo fianco, sulla destra,
si
estendevano una cucina a vista e un tinello, con una lunga tavola in
legno e
resina, oltre a un angolo bar corredato di sgabelli.
Sulla
sinistra, invece, si trovavano ampi e generosi divani, tutti dalle
tinte tenui
del beige e del crema, oltre a uno schermo piatto di dimensioni
ciclopiche e la
famosa stufa a pellet decantata da Chelsey.
Poco
più in là, contro il muro portante
d’ingresso, era stato installato un tiro a
segno per le freccette e, poco a lato, era sistemato un impianto stereo
di
tutto rispetto.
Ampi
tappeti damascati ricoprivano il pavimento in parquet fino a
raggiungere la
scala, chiusa su entrambi i lati. A giudicare dalla porta visibile sul
lato
della cucina, era chiaro che, nel sottoscala, si trovasse un qualche
genere di
disimpegno.
Lanciando
un’occhiata alla sua sinistra, tornò a guardare il
salotto e, oltre esso, le
ampie e spesse vetrate che scrutavano il bosco, distante dalla casa
almeno una
ventina di metri.
Sorridendo
di fronte allo sguardo meravigliato della sua ospite, la ragazzina
disse: «L’ha
progettata e costruita papà, sai?»
«E’
davvero molto bella» mormorò ammirata Iris,
continuando a guardarsi intorno con
aria stupefatta.
Aveva
visto centinaia, se non migliaia di ville da milioni di dollari, nella
sua vita,
come figlia di un imprenditore di successo ma, per la prima volta, era
davvero
senza parole.
Non
era una casa-vetrina, uno specchio per le allodole per colpire al cuore
– e
fomentare l’invidia – di coloro che erano ospiti
del proprietario.
Quella
casa era un piccolo gioiello di architettura country e, soprattutto,
sapeva di
vita vissuta e di esperienze condivise, di amore vero e di senso di
protezione.
Quei
pensieri le riportarono alla mente i genitori e, sorridendo a Chelsey,
disse:
«Sei molto fortunata ad abitare in una casa
così.»
«Roxy
dice che siamo troppo isolati, ma a me piace. Dalla mia camera posso
vedere le
stelle e la luna, e mi piace un sacco. Sai che il mio papà
mi ha regalato un
telescopio?» disse Chelsey, tutta contenta. «Vieni.
Te lo faccio vedere.»
Prima
di muoversi, Iris si tolse le scarpette da ginnastica ormai fradice e
si
incamminò sul tappeto morbidissimo, salendo poi le scale in
legno levigato
stando ben attenta a non scivolare.
Chelsey,
così, la attirò al primo piano fino a una stanza
ampia e piena di colori, dove
i poster di Ariana Grande la facevano da padrone.
I
profumi predominanti erano l’abete e il cedro; il primo,
proveniente dal bosco
nelle vicinanze, il secondo, dai prodotti per la pulizia utilizzati da
Devereux.
«Sei
molto più ordinata di me alla tua età»
chiosò Iris, ricordando bene i caos
stratosferici lasciati sempre nella sua cameretta.
Chelsey
le sorrise complice e ammise: «Cerco sempre di mettere in
ordine per non pesare
troppo su papà, ma a volte mi dimentico. Però,
lui non mi dice mai niente,
quando non metto a posto.»
«Fa
bene, secondo me. Sa che non lo hai fatto di proposito»
annuì Iris, uscendo con
Chelsey dalla sua stanza per dirigersi verso una camera dirimpettaia.
Lo
studio di Dev, scoprì subito dopo Iris.
Come
le aveva detto in precedenza Chelsey, era immerso in un caos
organizzato che
faceva pensare agli artisti parigini.
Centinaia
di fogli erano sparsi qua e là come silenziosi promemoria,
mentre alcuni si
trovavano sul piano inclinato su cui Devereux progettava.
Alle
pareti, fotografie di case in costruzione o già montate
recavano tutte delle
firme a pennarello rosso, forse degli operai o dei clienti stessi.
Iris
sorrise nell’ammirare alcuni bozzetti e, sfiorando
delicatamente diversi fogli,
mormorò: «Tuo padre ha davvero una mano
eccezionale. Sono progetti bellissimi.»
«Si
è laureato con il massimo dei voti. C’è
una foto di me e mamma alla sua
cerimonia di laurea, da qualche parte. So che c’è
perché l’ho scovata una
volta, mentre curiosavo tra la sua roba, ma non posso dire che
l’ho vista,
perché allora saprebbe che ho ficcato il naso dove non
dovevo» fece la lingua
Chelsey con fare birichino.
Iris
non disse nulla, non sapendo se confortarla o dirle che non avrebbe
dovuto
farlo.
Era
una situazione spinosa, e lei non aveva alcun diritto di ficcare il
naso più
del dovuto.
Lanciando
uno sguardo fuori dalla finestra, Iris storse la bocca e
borbottò: «Rimarrò
affogata qui, ma non me la sento di lasciarti da sola, visto che tuo
padre non
è ancora arrivato.»
«Posso
chiudermi dentro» tentennò Chelsey, accennando un
sorriso che volle con tutto
il cuore essere coraggioso.
Era
chiaro che non era solita rimanere da sola in casa, pur se stava
tentando di
essere forte per non obbligarla a rimanere con lei a tutti i costi.
Iris
perciò scosse il capo con determinazione e
replicò: «Resterò a tenerti
compagnia. Vedrai che dopo troveremo un sistema per liberare la mia
micro-macchina.»
«Devi
proprio prenderti un pick-up» soggiunse Chelsey,
riaccompagnandola dabbasso.
***
Era
in ritardo, dannatamente in
ritardo
e, quel che era peggio, non aveva ancora sostituito il suo
scassatissimo
cellulare, così non aveva potuto chiamare Chelsey per dirle
di non aver paura, e
che lui sarebbe rincasato presto.
Perché
non si era fermato un maledettissimo minuto di più in
ufficio, invece di
scappare via a gambe levate dallo sguardo sdolcinato di Maureen?
Avrebbe potuto
infischiarsene come al solito e fare quella telefonata a casa.
Invece
no. Le parole di Rock, sibilline quanto fuori luogo, gli si erano
insinuate
nella testa come un tarlo fastidioso per tutto il santo giorno e
così, non
avendo alcuna voglia di affrontare una femmina in calore, si era
dileguato.
Senza
pensare invece alla sua femmina,
che
lo attendeva tutta sola a casa.
Ammesso
e non concesso che Iris avesse mantenuto la parola e l’avesse
accompagnata fino
a casa. E se invece, visto il maltempo, l’avesse trattenuta
al campeggio per
maggiore sicurezza?
Forse,
avrebbe dovuto passare da lì, prima di andare a casa.
Forse…
«Maledizione!»
imprecò Devereux, fissando rabbioso il suo inutile
cellulare, infilato per metà
nel suo marsupio e del tutto inservibile nella sua alta tecnologia.
«Domani ti
seppellisco. Lo giuro.»
Svoltando
rabbiosamente nello stradello privato di casa sua, già
pregando che la sua
bambina non fosse rintanata in camera a piangere, Dev si
stupì non poco nel
notare quella sorta di micro-machine
che Iris sosteneva fosse un’auto.
Bloccando
la jeep dietro la sua vettura tascabile, Devereux scese senza badare
alla
mostruosa nevicata che stava cadendo dal cielo e infilò gli
scarponi in uno
strato di almeno trentacinque centimetri di neve fresca. Confuso,
rimase un
minuto buono a osservare quel mezzo che, in teoria, non avrebbe dovuto
essere
dinanzi a casa sua, e si chiese il perché della sua presenza.
A
meno che…
Sgranando
gli occhi, balzò sui gradini prima di catapultarsi contro la
porta di casa,
spalancarla e urlare: «Ehi, fagiolina! Sono
tornato!»
L’attimo
seguente un ‘bentornato,
papà!’ si
levò gioioso dall’angolo cucina e Dev, seguendo
quel suono per lui così amato e
speciale, notò subito qualcosa di anomalo.
Inusuale.
Imprevisto.
Una
donna.
Iris
era al fianco di Chelsey, e sembravano entrambe indaffarate a preparare
qualcosa in cucina. Qualcosa che, a giudicare dal suo naso, aveva tutta
l’aria
di essere dannatamente buono.
Chiusosi
lentamente la porta alle spalle, lasciando fuori l’aria umida
e fredda della
sera, Dev si tolse le scarpe per infilare le sue infradito –
in casa, cascasse
il mondo, le portava sempre – e, curioso, domandò:
«Posso sapere cosa state
combinando?»
«Ho
pensato che sarebbe stato poco carino lasciarla sola, visto che non eri
ancora
arrivato, e Chelsey non riusciva a mettersi in contatto con
te…» esordì Iris,
allungandogli un cestino di vimini ricolmo di soffici polpette di
patate,
gratinate alla perfezione. «…così sono
rimasta a farle compagnia. E ci è venuta
voglia di preparare qualcosa da mangiare.»
Devereux
infilò in bocca la polpetta, trovandola deliziosa ma, ancora
troppo curioso per
esprimere pareri in tal senso, frugò con lo sguardo il piano
cottura e, subito,
spalancò gli occhi.
«Qualcosa…
da mangiare? Ce n’è per un
reggimento!» esclamò Dev, lanciando
un’occhiata dubbia sia a Iris che a
Chelsey, che ridacchiò divertita.
«Oh,
sono tutte cose che puoi congelare, ma Chelsey voleva imparare come si
facevano, e così…» scrollò
le spalle Iris, accennando un sorrisino. «Spero non
ti dia fastidio. Mi sono approfittata della tua dispensa.»
«Se
il resto è buono come questa polpetta, sei
scusata» borbottò Dev, sopravanzandola
per poi afferrare un cucchiaio e affondarlo in un’insalata di
pasta
dall’aspetto invitante.
Iris
lo guardò dubbiosa quanto speranzosa ma, quando lui emise un
‘mmh’ pieno di
sorpresa delizia, lei si
sentì un tantino meglio.
In
cucina ci aveva sempre saputo fare, anche grazie a sua madre che le
aveva
insegnato, e a sua nonna che aveva supervisionato come un mastino.
Afferrata
una seconda polpetta di patate, Dev guardò la figlia e le
domandò: «Sei stata
bene, oggi?»
«Oh,
sì, mi sono divertita molto e ho anche imparato a suonare la
chitarra» disse
Chelsey, sconcertando subito il padre. «Beh, ecco…
ho iniziato a imparare.»
Dev,
a quel punto, lanciò un’occhiata a Iris, alle
polpette, e infine domandò:
«Cuoca e musicista. Cos’altro sai fare?»
Scoppiando
a ridere, Iris gli disse: «Te lo dirò se mi
offrirai uno strappo fino al
campeggio. Temo che la mia Smart non possa nulla contro venti e passa
centimetri di neve.»
«Sono
quasi trentacinque, al momento, e non mi va di rifare la Candle Creek
Road finché
non la ripuliscono. Questa neve è…»
cominciò col dire Dev, prima di tappare le
orecchie alla figlia e aggiungere: «… davvero
bastarda, e non voglio trovarmici
di notte. Neppure con una jeep.»
Chelsey
rise di quell’atteggiamento protettivo e Iris, confusa,
domandò: «Quindi, che faccio?»
«Puoi
dormire qui. Abbiamo una stanza per gli ospiti»
scrollò le spalle Dev. «Mi
sembra il minimo offrirti un tetto sotto cui ripararti, visto che hai
tenuto
compagnia a Chelsey, invece di esserti limitata a lasciarla qui da
sola.»
Poi,
lanciando un’occhiata alla cucina, terminò di
dire: «Inoltre, credo di doverti anche
qualcosa per il servizio catering.»
«Quello
è in omaggio» scrollò le spalle Iris,
afferrando il cellulare che teneva nella
tasca dei pantaloni. «Avviso Mrs Johnson della mia presenza
qui per la notte.
Non vorrei che si preoccupasse, visto che sa che sono uscita.»
Dev
assentì e, mentre Iris telefonava, passeggiando pensierosa
per l’atrio di casa,
l’uomo si piegò per avere sott’occhio il
viso di Chelsey e, a bassa voce, le
domandò cospiratorio: «Tra me e te. Va veramente
tutto bene?»
«Quanto
sei sospettoso, papà. Sì, va tutto bene, e Iris
è stata molto gentile con me.
Mi ha detto che, se per te va bene, può darmi delle lezioni
di chitarra nel
dopo scuola» dichiarò Chelsey, sedendosi su uno
sgabello del piano bar per
fissarlo con aria divertita.
«A
te va? Sì, insomma, di prendere lezioni da lei e tutto il
resto» si informò a
quel punto lui, dandole un colpetto sulla fronte con un dito.
Chelsey
ridacchiò di quel gesto, che suo padre soleva fare fin da
quando era piccola e,
lanciata un’occhiata a Iris - che si trovava vicino alla
porta d’entrata a
parlottare con Clarisse - mormorò sottovoce: «Lo
so che non è la mamma, sai?
Non mi sono appiccicata a Iris perché voglio una mamma
nuova. Mi incuriosisce,
e la trovo simpatica. Non è una brutta cosa, vero?»
Dev
aggrottò la fronte, a quelle parole, ma riuscì
comunque a dire: «So che siamo
solo noi due, tolti i nonni… però, se Iris ti
piace, e lei ti tratta bene, è
okay.»
Chelsey
abbracciò suo padre di slancio e, contro la sua guancia,
sussurrò: «Ti voglio
un mondo di bene, papi, e sai fare bene sia la mamma che il
papà. Però, vorrei
fare amicizia con Iris, se non ti spiace. Sa tante cose belle, e mi
piacerebbe
imparare davvero a suonare.»
L’uomo
la strinse a sé per un attimo, affondando il viso nei suoi
neri capelli sparsi
sulle spalle e, in un mormorio sommesso, disse: «Ti voglio
bene anch’io,
fagiolina.»
Quando
si scostò dalla figlia, la mise a terra e, con un mezzo
sorriso, aggiunse:
«Coraggio, apparecchiamo, visto che la cena ci è
stata gentilmente offerta
dalle mani di Iris.»
Chelsey
si mise subito all’opera e, quando Iris tornò in
cucina, si mise ad aiutarla
senza alcun problema, un dolce sorriso dipinto sul volto.
Per
Dev fu strano vedere una donna al fianco della figlia, una donna
totalmente
diversa da Julia, sia nei colori che nella corporatura da rendere
quell’immagine
ancor più forte nella sua mente.
Fu
però una cosa sola, a ferirlo, di quel quadretto insolito.
Contrariamente a
Julia, Iris la vedeva davvero. Vedeva
Chelsey.
Sentiva Chelsey.
Una
donna che conosceva da poche ore, riusciva a essere migliore di una
madre che
aveva allattato al seno la figlia ed era rimasta con lei per tre anni.
“Perché
non ti
sei mai comportata così anche tu, Julia?”, pensò tra
sé Dev, mettendo mano
alle posate per dar loro un aiuto e tentando, al tempo stesso, di
cacciare via
quel pensiero fastidioso.
N.d.A.:
Scopriamo che Chelsey non solo si preoccupa per la felicità
del padre, ma che
tenta in ogni modo di sopperire a ciò che, secondo lei, il
comportamento della
madre ha causato a Dev. Iris rimane molto colpita dalla
profondità di Chelsey e
sente sempre più impellente il desiderio di tenerla al
sicuro e di proteggerla.
Anche
per questo, la accompagna volentieri a casa e rimane con lei aspettando
l’arrivo
di Devereux.
La
nevicata, però, complica tutto, ma permette a Dev di
scoprire un lato nuovo
della figlia e il fatto che, già ora, sta diventando una
signorina coscenziosa
e matura.
Rimanere
sotto il tetto di Dev (non pensate male; per i canadesi è
normale aiutarsi in
casi simili) porterà a qualche guaio, secondo voi?
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
5.
Chelsey
era già a letto da almeno un’ora, visto che il
giorno seguente vi sarebbe stata
scuola.
All’esterno,
la tempesta di neve si era ridotta a una più tranquilla
nevicata, con fiocchi
che a stento raggiungevano la grandezza di un’unghia.
Il
vento era calato fin quasi a sparire e ora, attraverso le ampie vetrate
del
pian terreno, era possibile scorgere uno spicchio di cielo, oltre la
coltre di
pini che circondavano la casa.
Quell’angolo
di cielo stellato prometteva un abbassamento delle temperature, ma
anche una
bella giornata per il dì seguente. Forse, dopotutto, si
sarebbe avverata la
predizione di Chelsey. Un giorno da trenta gradi dopo una nevicata
tardiva.
Sorseggiando
una tisana alla melissa mentre Dev centellinava del whisky irlandese in
un
bicchiere panciuto, Iris mormorò: «Se mi posso
permettere, hai tirato su una
bambina splendida.»
«Grazie»
replicò lui, stringendo con entrambe le mani il bicchiere
per poi poggiarlo su
un ginocchio. «Ci crederesti se ti dicessi che, quando arrivo
a sera, ho le
mani che mi tremano?»
«Immagino,
non per il lavoro» ipotizzò lei, sorridendo a
mezzo.
Lui
rise sghembo e scosse il capo, asserendo: «Oh, no di certo.
Devo ancora
ringraziarti per le gentilezze che le hai tributato. Sa essere
logorroica,
quando vuole, e tu non avevi nessun obbligo verso di lei.»
Iris
poggiò la tazza sul vicino tavolino in legno e, pensierosa,
allungò gli
avambracci sulle cosce, mormorando: «Chelsey mi è
piaciuta subito, devo ammetterlo.
Quando ero a L.A. mi è capitato spesso di frequentare dei
centri per
l’infanzia, perciò sono abituata a stare coi
bambini, ma lei ha qualcosa di
speciale… e non lo dico per fare colpo sul padrone di
casa.»
Ciò
detto, ammiccò e Devereux, ghignando, assentì al
suo dire.
«Chelsey
è ciarliera e simpatica con tutti, come ti sarai
già accorta, ma non è mai
arrivata a chiedermi di conoscere
una
persona adulta. Proprio mai. Perciò, la cosa mi ha sorpreso
e sì, mi ha un
tantino preoccupato.»
Iris
assentì cauta e Dev, terminando di bere il suo whisky, le
domandò: «Cosa ti ha
raccontato quella comare di Lucas?»
La
donna sorrise divertita nel sentirlo apostrofare Lucas a quel modo, ma
il più
seriamente posssibile disse: «Mi ha spiegato il
perché della tua… tirata
nei boschi, chiamiamola così, e
ci ha tenuto a precisare che non aveva una tresca con la tua
ex.»
«Coscientemente,
lo so anch’io, visto che lui è tanto gay quanto io
sono etero, ma…» borbottò
Dev, poggiando a sua volta il bicchiere sul tavolino.
«…non riesco a trovare
una spiegazione logica del perché lui abbia passato tanto
tempo assieme a
Julia, prima che lei… che lei se ne andasse.»
“Come
faccio a
dirti che una tresca è l’ultima cosa che
c’era tra di loro?”, pensò tra
sé
Iris, trovandosi combattuta tra il desiderio di dirgli la
verità e l’obbligo di
tacere.
«Forse,
Julia poteva dire alcune cose a Lucas, ma non a te. Può
darsi non se la
sentisse, o avesse paura di un tuo biasimo» tentò
cauta Iris, ritrovandosi gli
occhi di ghiaccio di Dev puntati addosso.
«Con
tutto il rispetto, ma tu non conoscevi lei, come non conosci noi. Detto
ciò,
credo sia ora di andare a nanna. Il whisky mi fa straparlare, e penso
di
essermi confidato a sufficienza, con un’estranea»
sbottò Dev, levandosi dalla
poltrona con fare rigido e offeso.
«Scusa,
hai ragione» annuì Iris, accodandosi a lui prima
di avvertire un pizzicore alle
mani. «E’ già tanto che tu mi abbia
accontentito a rimanere.»
«Da
queste parti è normale prestare aiuto, specialmente con
tempacci simili»
scrollò le spalle Dev, salendo le scale dinanzi a lei e non
accorgendosi, di
conseguenza, della tensione palpabile sul viso di Iris.
Un
pizzicore che non aveva nulla di buono spinse la giovane a guardare
fuori dalla
finestra, alla ricerca del cielo notturno e, tra sé,
imprecò vistosamente
dandosi dell’idiota.
Era
mai possibile che si fosse dimenticata di…
A
quanto pareva sì, perché lassù,
bellissima e argentea, se ne stava una
splendida luna piena, circondata dal mantello scuro della notte e dalle
nubi
ormai diradate della tempesta in disfacimento.
Stringendo
le mani a pugno per l’ansia, si morse un labbro al pensiero
di dover passare
un’intera notte sotto lo stesso tetto con altre persone,
persone del tutto
incolpevoli e che non dovevano subire una sorte infausta a causa sua.
Perché
diavolo non aveva pensato di controllare il lunario?! Perché
non si era
sincerata sul giorno esatto in cui vi sarebbe stata luna piena?
E
dire che, prima di raggiungere Clearwater, era sempre stata assai
sensibile,
alla sua levata. Possibile che la giornata passata con Chelsey, insieme
alle
scampagnate con Lucas, l’avessero rilassata al punto tale da
non notare una
cosa così importante?
Forse,
dopotutto, Lucas aveva ragione, e l’autocontrollo era vitale,
per quelli come
loro… ma come faceva a calmarsi, adesso?
Non
era nel suo angolino protetto, ma tra persone quasi sconosciute e che
lei non
voleva ferire in alcun modo ma, soprattutto, non aveva alcun modo per
allontanarsi da lì senza far nascere mille domande.
Come
avrebbe fatto a superare la notte?
***
La
casa era immersa nel più completo silenzio e, per quanto il
letto in cui stava
tentando di dormire fosse il più comodo che avesse mai
provato, le era
impossibile chiudere gli occhi.
Mentalmente,
stava contando tutti i generi possibili di pecorelle, pur di non
pensare alle
due persone che dormivano a pochi passi di distanza da lei, potenziali
vittime
del lupo quale lei era.
Un
tonfo sordo quanto improvviso spezzò il silenzio in cui era
stata immersa fino
a quel momento e, spaventata, Iris venne strappata al suo conteggio
propiziatorio.
Allarmata,
balzò a sedere sul letto per capire cosa fosse successo e,
acuendo i sensi,
cercò all’interno della casa dei potenziali rumori
precursori di un pericolo.
Nel
sentire un secondo tonfo, lanciò subito
un’occhiata al bosco e tirò un sospiro
di sollievo, chetandosi un poco. La neve, caduta copiosa fino a qualche
ora
prima, stava cadendo dai rami ripiegati dal suo peso.
«Dio
mio che spavento…» mormorò sollevata
Iris, ributtandosi sul letto per
riprendere il suo mantra pecoroso.
Non
appena chiuse gli occhi, però, il suo corpo si
raggelò al suono indistinto di un
mugolio, proveniente dalla vicina stanza di Chelsey.
Pur
non volendo, lasciò che i suoi sensi si espandessero
nuovamente, sperando che
questo non risvegliasse la lupa e la facesse uscire dal suo corpo, non
desiderata e non cercata.
Quando
i suoi sensi acutizzati dall’ansia sfiorarono ciò
che aleggiava attorno a
Chelsey, si rese conto sgomenta della sua febbre alta e del suo
malessere, e
questo la spaventò.
Maledicendo
la luna, la neve e persino la sua piccola auto, Iris si
rigettò fuori dal letto
e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza,
indecisa sul da farsi.
Non
poteva semplicemente fiondarsi nella camera di Chelsey per sapere come
stava.
Come avrebbe spiegato quel comportamento?
Ansiosa,
quindi, afferrò il cellulare per chiamare Lucas
perché venisse al più presto, ben
più che certa che quello strano malessere avesse a che fare
con la luna e la
dubbia natura di Chelsey.
Quando,
però, Iris scrutò lo schermo dello smartphone, si
rese ben presto conto di una
cosa spiacevolissima. Non c’era
segnale.
Che
la neve avesse danneggiato un ripetitore nella zona? Era possibile,
visto che
fino a poche ore prima aveva chiamato il campeggio senza alcun problema.
«Merda,
merda, merda…» sussurrò sempre
più agitata Iris, indecisa se correre dabbasso e
usare il telefono fisso, oppure recarsi in sordina da Chelsey per
tentare di
calmarla.
Un
altro rantolo, e il richiamo disperato rivolto al suo papà,
le misero le ali ai
piedi, chiudendo definitivamente la partita che aveva appena
combattutto per
trattenersi.
Uscendo
praticamente di corsa dalla stanza da letto, si ritrovò nel
corridoio un attimo
prima di un assonnato quanto confuso Devereux.
Entrambi
si guardarono senza capire bene cosa stesse succedendo ma, quando Dev
si
accorse delle condizioni della sua ospite, distolse in fretta lo
sguardo e
borbottò: «Forse dovresti rimetterti i jeans, se
intendi girare per casa a
quest’ora.»
Iris
lanciò uno sguardo alle sue gambe, confusa, solo per
rendersi conto che, in
effetti, non solo indossava unicamente la sua maglietta e gli slip, ma
che
forse quel suo aspetto discinto poteva essere mal interpretato.
Annuendo
in tutta fretta, perciò, tornò in camera, si
infilò i pantaloni e uscì
nuovamente, affacciandosi poi sulla porta della stanza di Chelsey per
chiedere:
«Sta male? L’ho sentita lamentarsi.»
«Devi
possedere delle capacità di risveglio incredibili, visto che
sei già pienamente
operativa» gracchiò Dev, sbadigliando sonoramente
prima di sfiorare con il
dorso della mano la fronte febbricitante della figlia.
«Papà…
ho male, tanto male…» si lagnò la
bambina, guardandolo con occhi rossi e
spaventati.
In
barba a ciò che aveva appena detto a Iris, Dev
osservò la figlia con sguardo
più che sveglio e attento e, nel carezzarle il viso, le
disse: «Ora ti vado a
prendere un antipiretico per far abbassare questo febbrone, poi chiamo
il
dottor Seaver, va bene?»
«Se
mi dici dov’è il numero, lo chiamo io,
così tu puoi stare con lei…» propose
Iris. “…e io posso
chiamare Lucas senza
che tu te ne accorga…”aggiunse poi tra
sé.
«Non
c’è bisogno che ti scomodi. Avete per caso giocato
con l’acqua, ieri
pomeriggio?» si informò Dev, dando un bacetto alla
figlia prima di uscire dalla
stanza assieme a Iris.
«No,
affatto. Siamo state per la maggior parte del tempo nel camper, a
suonare con
la chitarra» gli spiegò Iris, scuotendo il capo e
avviandosi con lui verso le
scale.
Fu
lì che Dev tentò di accendere la luce e,
imprecando, si rese conto che mancava
anche la corrente elettrica.
«Perfetto.
Senza corrente, non va neppure il telefono fisso» si
alterò Devereux, tornando
sui suoi passi per entrare nel suo studio.
Iris
lo seguì a ruota, non sapendo come avvisarlo che anche i
cellulari erano fuori
uso – doveva dirgli che era una nottambula malata di social
network, forse? –
quando, a sorpresa, Dev tirò fuori una vecchia radio a onde
corte.
«E
quella?»
«Non
è insolito che avvengano dei black-out da queste parti, in
inverno, perciò
quasi tutti, a casa, abbiamo anche una radio per comunicare con il
dottore, o
con l’ufficio della polizia» le spiegò
in fretta Dev, sistemando l’apparato sul
suo tavolo da lavoro. «Essendo a batteria, funziona anche
senza luce. Spero
solo che… sì, c’è corrente.
Bene.»
Sincronizzando
il segnale, Dev chiamò quindi il locale centro medico,
aperto anche di notte, e
chiese del pediatra.
«Dev,
sono Patty. Patty Simon. Al momento il pediatra è fuori per
un’urgenza ma, non
appena rientra, gli dico di passare da te. Per ora, se la febbre rimane
alta,
falle degli impacchi con acqua fredda e mantienila idratata.
Passo.»
«Grazie,
Patty. Ti farò sapere se l’emergenza rientra.
Passo e chiudo» mormorò Dev,
spegnendo temporaneamente la radio per non consumare le batterie.
Spiacente,
Iris fece per dirgli qualcosa quando, a sorpresa e sgomentando
entrambi, l’urlo
di Chelsey frantumò il silenzio teso della notte e il loro
già precario
equilibrio mentale.
Subito,
Dev si catapultò verso la porta, quasi travolgendo Iris che,
solo a stento,
riuscì a schivare quel proiettile umano di cento chili di
muscoli.
Dopo
aver recuperato l’equilibrio, comunque, lo seguì a
ruota nella stanza adiacente,
e ciò che vide la rese perfettamente consapevole che
sì, Chelsey sarebbe
diventata come la madre e sì, sarebbe toccato a lei aiutarla.
Quelle
che squassavano il corpo della bambina non erano normali convulsioni,
Iris lo
sapeva bene.
Rammentava
con fin troppa chiarezza il video in cui si era vista crollare a terra,
come
colpita da un maglio, e piegarsi fino a raggiungere angolazioni
ritenute
innaturali per un corpo umano, prima di spezzarsi e cambiare.
Era
stato sconvolgente e persino terrificante e, per giorni interi, aveva
faticato
a venire a patti con ciò che aveva visto ma, alla fine,
aveva dovuto
accettarlo.
Chelsey
stava per subire la stessa sorte, a quanto pareva, e lei era
l’unica in grado
di fare qualcosa.
Avvicinandosi
perciò a Dev, che stava tentando di trattenere invano il
corpo tremante della
figlia, disse perentoria: «Allontanati da lei, Dev. Ci penso
io.»
«Che
diavolo dici, ragazza? Peserai quaranta chili coi vestiti, e vieni a
dire a me, a suo padre, di
allontanarmi? Non
riusciresti neppure a evitarle di muovere una mano, figurarsi
sopportare questi
tremori!» le urlò contro Devereux con occhi
iniettati di rabbia e paura.
“Non
ce l’ha con
te, è solo spaventato per lei” si disse tra sé Iris,
non volendo
prendere sul personale quel tono così furibondo e
irrispettoso.
Ignorandolo,
perciò, Iris si piegò verso Iris dal lato libero
del letto e, gentilmente, le
disse: «Chelsey, sono Iris. Mi senti? Non aver paura. Non
lottare. Non sei da
sola, davvero. Ti aiuterò io.»
La
bambina volse a stento il viso verso di lei e, levando una mano scossa
da
violenti tremori, balbettò: «Urla…m-mi
urla c-contro…»
«Lo
so, lo so, ma tu asseconda la voce… credo sia
meglio… se puoi, lasciati andare.
Dovrebbe essere più facile.»
Lei,
dopotutto, era svenuta per il troppo dolore e il resto era venuto da
sé. Le
ossa le si erano spezzate le une dopo le altre e il pelo, misto a un
liquido
viscido e giallastro, era scaturito dalla sua pelle cambiandole
letteralmente i
connotati.
Forse,
svenendo, lasciandosi trasportare dal dolore e dal cambiamento, Chelsey
avrebbe
avuto il compito facilitato.
«Di
cosa cavolo stai parlando?!» le urlò contro Dev,
scansandola a forza da sua
figlia.
La
luna piena, unita alla bestia che urlava in lei e al bisogno di
proteggere
Chelsey, fecero muovere qualcosa dentro Iris che, furibonda, si
scagliò
verbalmente contro Dev, ringhiando con voce metallica: «Devo aiutarla!»
Devereux
la fissò stralunato, a quel punto e, sgomento,
gracchiò: «Cos’hanno i tuoi
occhi?»
Iris
non gli rispose e, tornando a scrutare Chelsey, le prese entrambe le
mani e
disse ancora: «Segui la mia voce, piccola. Forse, in due,
riusciremo a
combinare qualcosa di buono.»
La
bambina fece per sorridere, ma una seconda ondata di tremori la
colpì e,
stavolta, la schiena le si inarcò a tal punto che Devereux
cercò di trattenerla
a forza perché non si spezzasse.
E’
sbagliato
frenarla…
Quelle
parole rimbalzarono nella sua mente come un bang sonico. Il tono
accorato e
premuroso di quella voce diede sufficienti sicurezze a Iris per agire
perciò,
non sapendo che altro fare, scansò le mani di Dev con la
mera forza bruta,
ringhiando: «Lasciala
stare… deve
muoversi come le dice il corpo.»
Ancora
quella voce metallica, quegli occhi non più verdi ma azzurri
come i
lapislazzuli, notò sgomento e confuso Devereux. Ma che
diavolo stava
succedendo?
Non
poco irritato per quella intromissione, lui tentò di tornare
accanto alla la
figlia, ma si ritrovò ad affrontare qualcosa per cui, forse,
non era davvero
pronto. Non in quel momento, per lo meno.
Iris
si mosse con velocità inumana, ponendosi di fronte al corpo
dolente di Chelsey
e, allargando le braccia a formare una barriera esile ma apparentemente
invalicabile, sibilò: «Non
puoi toccarla,
ora. E’ meglio per tutti se esci da qui.»
Devereux
non la ascoltò e le afferrò un braccio per
spostarla… ma lei non si mosse di
un millimetro.
Questo,
più ancora della sua strana velocità o degli
occhi dagli strani colori, lo
lasciò senza parole così come privo di forze e
Iris, tornando un minimo in sé,
mormorò: «Scusami. Non voglio farle del male, ma lei potrebbe farne a te, tra poco.
Lasciami con lei. Farò di tutto
per salvarla… ma tu non
avvicinarti.
E non odiarci, se puoi.»
Ciò
detto, scansò la mano di Devereux – paralizzato a
un passo da lei e con gli
occhi spalancati per lo sconcerto – e tornò
accanto a Chelsey, carezzandole il
corpo e cercando di confortarla come meglio poté.
Dev
non riuscì più ad aprire bocca, o a muovere
muscolo, nei minuti seguenti. Ciò
che il suo corpo stava registrando era così assurdo,
così incredibile che solo
a stento riusciva a restare cosciente per seguirlo attimo dopo attimo.
La
sua bambina, la sua fagiolina, si stava letteralmente spezzando
di fronte a lui, mentre una Iris in lacrime tentava di
confortarla, dicendole che presto tutto sarebbe finito e che lei
sarebbe stata
meglio.
Come?
Come avrebbe potuto stare meglio, con le ossa che dilatavano la sua
pelle fin
quasi a dilaniarla per…
Fu
un attimo, e poi il mondo si capovolse nella sua mente.
Ciò
che vide dinanzi a lui non era più una bambina incantevole, la sua bambina incantevole, ma un essere
fatto di pelo e zanne e artigli.
Un
lupo, ma molto più grande del normale, dotato di una folta
pelliccia grigia e
nera e che, con una goffaggine innaturale, cadde addosso a Iris,
schiacciandola
sul pavimento.
Invece
di essere preoccupata, o terrorizzata, Iris si mise a
ridere. Ridere e piangere
insieme, a ben vedere, forse del tutto impazzita di fronte a quello
scherzo
della natura, a quella scena da film dell’orrore.
Il
lupo che era sorto dal corpo dilaniato di sua figlia
uggiolò, guardando Dev con
occhi spauriti e dolenti.
Quest’ultimo,
ancora incapace di dire o fare alcunché, si
limitò a fissare quell’animale
senza trovarvi nulla della figlia, senza capire dove
diavolo fosse finita sua figlia.
Fu
a questo punto che Iris si levò con facilità da
terra, incurante del peso del
lupo su di lei e, sospingendo delicatamente Dev fuori dalla stanza,
disse:
«Tornerà da te, ma non sarà
più soltanto Chelsey. E ora, scusami ancora, ma
vorrei…»
L’attimo
seguente, Iris si dovette piegare a terra, preda di violenti tremori e,
così
come era successo per il corpo della sua bambina, anche quello di Iris
si
spezzò e mutò dinanzi a lui.
E
questo, stranamente, fu davvero troppo, per Dev.
Tutto
si fece buio, dinanzi a lui e, senza accorgersene, crollò a
terra svenuto,
lungo riverso sul pavimento.
Iris
non poté che sincerarsi delle sue buone condizioni prima di
allontanarsi
spiacente dal suo corpo privo di sensi. In quel momento, era
più importante
prendersi cura di Chelsey.
Al
resto, a tutto il maledettissimo
resto, avrebbe pensato dopo.
***
Quando
Dev si riprese, impiegò alcuni istanti prima di comprendere
dove fosse. Era
disteso lungo il corridoio di casa sua, con un gran mal di testa a
tenergli
compagnia, un bernoccolo notevole sulla nuca e nessuna idea del
perché si
trovasse lì.
Rialzandosi
a fatica in piedi, si accigliò un poco quando vide la luce
del sole penetrare
dal rosone in fondo al corridoio. Visto che il sole era così
altro, lui avrebbe
già dovuto essere al lavoro, e Chelsey a scuola.
Il
pensiero di Chelsey, al pari di una bomba atomica, fece esplodere nella
sua
mente una serie di immagini confuse e spaventose, tutte mescolate
assieme e una
più terrificante delle altre.
Ognuna
di esse, comunque, terminava con sua figlia nelle forme di un lupo, al
pari di
una spiacente quanto risoluta Iris.
A
quel punto, con estrema lentezza, volse lo sguardo verso la porta
aperta della
stanza della figlia, non sapendo esattamente cosa aspettarsi.
Tutta
quella situazione era ben oltre il paradossale e, già il
fatto di essersi
risvegliato, in pigiama e sdraiato sul pavimento, non aiutava a
renderla
migliore.
Ugualmente
guardò e, del tutto incapace di proferire parola, si
avvicinò e scrutò basito
le due figure abbracciate e distese sul pavimento di parquet della
stanza di
Chelsey.
Tutto
era divelto, graffiato, squarciato o semplicemente distrutto, in quella
splendida cameretta da signorina.
Niente
si era salvato, a parte la bambina e la donna stese a terra, nude e
abbracciate
l’un l’altra in posizione fetale, la grande a
proteggere la piccola,
raggomitolata tra le sue braccia strette e sicure.
Fu
quello a impedirgli di ammattire del tutto. La visione della dolce
risolutezza
con cui Iris stava proteggendo, anche nel sonno, la sua fagiolina, di
nuovo
bimba, di nuovo nelle sue fattezze tenere e pure, lo bloccò
dall’urlare come un
folle.
Sembrava
davvero impossibile credere a ciò a cui aveva assistito
quella notte. Normalmente
si sarebbe dato del pazzo, al solo pensare che fosse realmente
accaduto, eppure
la camera distrutta e gli abiti in briciole sparsi per la stanza,
parlavano
chiaramente.
Il
punto era accettarlo e, soprattutto, digerirlo senza ammattire, senza
perdere
il controllo e la testa.
Afferrando
una coperta miracolosamente scampata al massacro, coprì
entrambe per il timore
che avessero freddo e, accucciatosi ai loro piedi, attese.
Attese
che una di loro si svegliasse, attese l’attacco di panico o
la crisi di nervi,
attese semplicemente.
Perché,
che altro potevi fare, se la tua bambina si tramutava di colpo in un
lupo
grande quanto un pony, e la donna che ti aveva cucinato i migliori
manicaretti
di sempre, era diventata come lei?
Passandosi
le mani tra i capelli in disordine, Dev si domandò
fuggevolmente cosa avrebbe
potuto dire alle insegnanti, per scusarsi per la mancanza di Chelsey a
scuola.
La
febbre? Un raffreddore? Che cosa?
Dei
movimenti sotto la coperta strapparono Dev a quei pensieri errabondi e,
quando
vide Iris nell’atto di alzarsi, mormorò roco:
«Sei nuda come un verme, ti
avverto.»
Lei
si bloccò per un istante, rintuzzò la coperta
sotto il mento e, poggiandosi su
un gomito, mormorò: «B-buongiorno.»
«A
te» borbottò Dev, lanciando poi
un’occhiata a Chelsey. «Lei sta bene?»
«Il
peggio è passato» mormorò Iris,
carezzando con lo sguardo la figura
addormentata della bambina. «Ora, immagino che tu voglia
delle spiegazioni.»
«Sarebbe
il caso. Cosa le hai fatto? E’ colpa tua?» le
domandò in sequenza, pur senza
alcuna acredine. Se era come immaginava, non solo Iris non
c’entrava nulla, ma
aveva appena salvato la sua bambina. Però… doveva
chiedere. Doveva capire che diavolo era successo in quella
casa.
Anche
Iris dovette intuire ciò che era nascosto dietro alle
domande di Dev, perché
non si irritò affatto e scosse il capo, replicando:
«Non è colpa mia,
esattamente come per lei. Siamo ciò che siamo a causa di
altri.»
Ciò
detto, gli mostrò la ferita slabbrata sul braccio e
aggiunse: «Fui aggredita e
ferita da un lupo mannaro e, alla prima luna piena, divenni
ciò che hai visto.»
«Da
sola?» borbottò Devereux, sollevando un
sopracciglio per la sorpresa.
Iris
assentì. «Per questo, ho detto a tua figlia di
lasciarsi andare al dolore. Io
svenni, quella notte, e il mio corpo fece il resto. Sopravvissi. In
seguito, mi
misi in viaggio per capire chi ero, o se fosse possibile invertire la
cosa… e
infine giunsi qui.»
«E
ti fermasti» aggiunse Dev, prima di
spalancare gli occhi e gracchiare: «Lucas?»
Iris
assentì ancora, mormorando spiacente: «Per
questo, bazzicava attorno a Julia. Voleva aiutarla,
poiché lei aveva subito
volontariamente ciò che io ho ricevuto con la
forza.»
Dev
sgranò gli occhi, a quelle parole e, imprecando,
picchiò un pugno sul
pavimento, ringhiando: «Ma che le diceva la testa?! Avrebbe
potuto dirmelo!
Avvertirmi! Prepararmi per… per Chelsey!»
Iris
lasciò che si sfogasse, pensandola esattamente come lui. Era
stato
irresponsabile lasciare un padre inerme, e una figlia inconsapevole, di
fronte
a un potenziale disastro come quello.
Per
quanto Julia fosse stata impaurita e demoralizzata, avrebbe dovuto
pensare
anche – e soprattutto – alla sua bambina e al suo
compagno, lasciati in balia
di qualcosa che non si aspettavano potesse avvenire.
Le
invettive di Devereux dovettero turbare il sonno di Chelsey
perché, dopo alcuni
attimi, la bambina si svegliò confusa per poi puntare i suoi
occhioni nocciola
sul viso ora sorridente di Iris.
«Iris…
ma cosa…» mormorò la bambina, prima di
rendersi conto della presenza del padre.
I
suoi occhi si riempirono immediatamente di lacrime e Dev, prima che lei
potesse
dire – o pensare – qualsiasi cosa, si
accucciò accanto alla figlia e, allungata
una mano per carezzarle la guancia, mormorò:
«Ciao, fagiolina. Come stai,
stamattina?»
«Cos’è
successo, papà?» piagnucolò la bambina.
«Ce
lo faremo spiegare da Iris che, io credo, è quella che ne sa
di più, tra noi
tre ma, prima di tutto, mi sa che dovete vestirvi, perché
avete fatto una festa
un po’ incasinata, stanotte, a quanto pare»
chiosò Dev, cercando di mettere
dell’ironia nella sua voce per non spaventare la figlia.
Chelsey
si guardò intorno spaventata e, inconsapevolmente,
cercò Iris, abbracciandola stretta.
Lei non si rifiutò e, anzi, la tenne stretta a
sé, baciandole i capelli e
mormorandole: «Va tutto bene. Il papà è
tanto bravo che la rimetterà a posto, e
io ti riprenderò i poster di Ariana Grande, va
bene?»
«O-okay»
balbettò la bambina.
Dev,
a quel punto, si rialzò da terra e, guardando Iris, disse:
«Mettiti una delle
mie camice, visto che i tuoi vestiti sono a brandelli. Magra come sei,
dovrebbe
farti da abito.»
«Okay»
disse a sua volta la donna, annuendo.
Ciò
detto, Devereux scese dabbasso a passo lento, ancora un po’
frastornato e, non
sapendo che altro fare, scaldò la macchina del
caffè e preparò la colazione.
Con
brevi parole, raccontò due frottole alla scuola e
altrettante ai suoi
dipendenti dopodiché, accomodatosi su una sedia, si
scolò il suo primo caffè di
giornata, ben sapendo che non sarebbe stato l’ultimo.
N.d.A.:
direi che abbiamo capito almeno in parte il motivo per cui Iris si
sentiva così
attratta da Chelsey, e perché desiderasse starle vicino.
L’istinto materno,
nelle lupe, è molto forte, e questo influisce anche sui
comportamenti inconsci
di Iris. Anche se, ovviamente, non è l’unico
motivo… ma ne parleremo in
seguito.
Ora,
resta da capire se Devereux avrà la forza per sopportare
tutto ciò che Iris gli
dirà. Come battesimo del fuoco non è stato dei
migliori, voi che dite?
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
6.
Iris
non sapeva se sentirsi più imbarazzata, tesa o semplicemente
fuori di sé
dall’ansia.
Era
nella casa di un uomo che conosceva da quanto, cinque minuti?, e stava
per spiegargli
una delle cose più destabilizzanti e assurde che potessero
esservi al mondo.
Inoltre,
sentiva imperante il bisogno di aiutare la piccola Chelsey che,
avvoltolata
nella sua tuta da ginnastica bianca e rosa, sembrava un confetto, tanto
era
dolce e carina.
In
tutta onestà, aveva pensato che Devereux sarebbe impazzito
di rabbia, una volta
rinvenuto dalla svenimento, ma le era stato chiaro fin da subito che
l’amore
per la figlia gli avrebbe impedito qualsiasi crisi di nervi.
Il
punto era che, prima o poi, sconcerto, paura e confusione sarebbero
eruttati
anche nel suo cervello, ed era imperante che Iris gli spiegasse
ciò che sapeva
prima che questo avvenisse.
Il
contraccolpo emotivo sarebbe stato più gestibile, o almeno
lei lo sperava.
«E
se non mi vorrà più?»
domandò per la centesima volta la bambina, seduta su
ciò
che rimaneva del suo letto mentre Iris le sistemava i capelli in una
treccia.
Come
figlia unica, non si era mai occupata di fratelli o sorelle
più piccoli, era
sempre e solo stata lei la cocca di casa.
Certo,
si era presa cura dei bambini nei centri diurni, ma solo dal punto di
vista
didattico e, anche con sua cugina Liza, si era trattato più
di un rapporto alla
pari, che tra ragazze di età diverse.
Ora,
avere a che fare con la piccola Chelsey e sentirsi in dovere di
aiutarla e,
soprattutto, di essere la sua scialuppa di salvataggio nella tempesta
in cui
era finita suo malgrado, la faceva sentire strana.
Che
dipendesse anche quello dalla sua doppia natura? Dopotutto, i lupi
erano
ferocemente protettivi nei confronti dei cuccioli del branco.
Sorridendo
perciò alla bambina, Iris mormorò: «Non
mi sembra che il tuo papà si sia
comportato come una persona che volesse cacciarti via di
casa.»
«Ma
quando… quando sono…»
tentennò lei, ricominciando a piangere.
Iris
la abbracciò, replicando dolcemente: «Concedigli
la paura del momento, Chelsey.
Di certo, nessuno si aspetta che la propria bimba diventi un lupo
enorme
dall’oggi al domani, ti pare? Stamattina mi è
parso molto più in sé.»
«Tu
non mi lascerai sola, vero?»
«No
di certo» e, nel dirlo, sapeva che era la pura
verità. «Ma neppure tuo padre ti
lascerà, credimi. E ora, scendiamo.»
La
bambina assentì di malavoglia e Iris, nel darle la mano, si
disse che,
presentarsi alla tavola di un uomo con la sua camicia addosso e con
solo un
paio di sneaker ai piedi, non era il massimo, come presentazione.
Tant’era,
comunque, non poteva farci niente, perciò avrebbe vestito i
panni dell’avvocato
difensore anche se sembrava appena scappata da un terremoto.
Cosa
che, a livello psicologico, non si discostava molto dalla
realtà, in ogni caso.
Era
la prima volta che si trasformava dinanzi a uno spettatore e, di
sicuro, non
aveva previsto che quello spettatore fosse un perfetto sconosciuto, o
quasi.
Dopo
aver percorso assieme le scale e aver svoltato in direzione della
cucina, Iris
e Chelsey dovettero fermarsi per lo stupore, perché la
tavola era imbandita
come nel giorno di Natale.
Focaccine
calde si affiancavano a brioche e biscotti secchi, mentre due
cioccolate calde
ancora fumanti le attendevano assieme a del pane già
imburrato, con tanto di
marmellate pronte per essere spalmate.
Devereux,
seduto su uno sgabello del piano bar, i gomiti sulle ginocchia e il
mento
poggiato sulle mani aperte, balzò a terra non appena le vide
e, arrossendo suo
malgrado, borbottò: «A-avete fame?»
A
ben pensarci, Iris aveva sempre fame,
da quando era diventata un lupo mannaro e, per quanto si fosse
sforzata, non
era mai riuscita a reintegrare le energie perse.
In
quei due anni di pellegrinaggio in giro per il continente, era arrivata
a
perdere quasi dieci chili di peso e, per una ragazza già
magra come lei era dal
principio, aveva prodotto un autentico cataclisma sul suo corpo.
Ora,
appariva davvero troppo magrolina ed emaciata, anche per i suoi
standard molto
esigenti in fatto di linea.
Vedere
tutto quel ben di Dio, quindi, le fece brontolare lo stomaco e,
sorridendo
imbarazzata, asserì: «Credo proprio che ci
abbufferemo. Tu che dici, Chelsey?»
La
bambina assentì e, non appena si sedette al suo solito
posto, Dev la raggiunse
e le sfiorò la fronte con una mano per controllare la
febbre. La sua
temperatura anomala, però, lo portò ad aggrottare
subito la fronte.
«Pensavo
che… che la febbre sarebbe passata, dopo… beh,
dopo tutto questo…» tentennò
lui, non sapendo come esprimersi al meglio.
Iris
gli sorrise comprensiva e, invitandolo a sedersi, disse: «Ho
chiesto a Lucas, e
me l’ha confermato. Abbiamo una temperatura corporea
più alta, rispetto agli
altri. Si aggira intorno ai trentanove, quaranta gradi. Credo dipenda
dal
metabolismo accelerato, o qualcosa di simile. Immagino sia anche per
questo che
non riesco mai a reintegrare ciò che consumo.»
«Per
questo sembri malata?» domandò Dev, accennando un
sorrisino nervoso.
«Non
sono mai stata robusta, ma ora sono sempre sottopeso e mi sento stanca
e
spossata il più delle volte. Credo dovrò chiedere
a Lucas che dieta fa, perché
lui mi sembra in perfetta salute» borbottò Iris,
ingollando quasi tutta la
cioccolata in un’unica sorsata. «Dio, che
buona!»
Devereux
tornò a sorridere appena, ora in maniera più
disinvolta, e gliene versò
un’altra dose.
«Papà…»
mormorò Chelsey, attirando la sua attenzione.
Lui
le sorrise con maggiore forza, le scostò una ciocca ribelle
dal viso e disse:
«Dimmi, fagiolina.»
Al
solo sentire quel nomignolo, Chelsey minacciò di piangere
ancora ma, facendosi
coraggio, scacciò le lacrime e domandò:
«Mi vuoi ancora bene?»
Dev
sgranò gli occhi, sgomento alla sola idea che la sua bambina
potesse aver
temuto di non essere più amata e, dopo essersi levato dalla
sedia, la abbracciò
stretta e mormorò: «Sei e sarai sempre la mia
bambina. Solo un po’ diversa,
adesso.»
Iris
li osservò con occhi colmi di emozione, sentendo il proprio
cuore scoppiare di
gioia. La sua lupa stava ululando felice, lieta che l’umano
avesse accettato il
lupo, e lei non poté che essere d’accordo.
Quando
infine tornò a sedersi, lasciando che la figlia potesse
mangiare più
agevolmente, Dev scrutò Iris e le domandò:
«Cosa puoi dirmi?»
«Ben
poco, temo, ma posso assicurarti che, d’ora in poi, quando
Chelsey muterà, non
sentirà dolore. Sarà sempre un po’
traumatico da vedere, ma lei non avvertirà
alcunché.»
Dev
assentì cauto e Iris, spinta a parlare, aggiunse:
«Da quel che ho capito, siamo
legati alla luna piena e, a dir la verità, ieri notte
è stata la prima volta in
cui sono riuscita più o meno a controllare la mutazione.
Lucas mi ha detto che
è tutta questione di concentrazione, e che non è
affatto obbligatorio mutare al
richiamo della luna.»
«Richiamo…
della luna?» ripeté Devereux, confuso.
Scrollando
le spalle, sentendosi assai incompetente di fronte alle sue domande,
Iris
disse: «Non so in quale altro modo chiamarlo. Hai sentito le
voci nella tua
testa, vero, Chelsey?»
«La
donna che mi chiamava. Sì. Dopo un po’, non urlava
più, come dicevi tu» assentì
la bambina.
«Neppure
Lucas sa cosa sia, ma è convinto che sia strettamente legato
a ciò che siamo.
Vedila come una sorta di madre della specie, o qualcosa del
genere» asserì
Iris, gesticolando con le mani.
«E
dopo?»
«Beh,
ecco, dopo sei come al solito, e anche no. Sei sempre una persona che
pensa
come prima ma, in più, senti
le cose
in modo diverso. Per esempio, so che sei nervoso nonostante le
apparenze, perché
la tua sudorazione è accentuata e il battito del tuo cuore
è accelerato» gli
spiegò la donna, facendolo irrigidire per diretta
conseguenza.
Devereux
si annusò dubbioso e Iris, ridendo di questo comportamento
molto naturale, aggiunse:
«Non sudorazione cattiva. Sento solo che la tua pelle emette
più vapore acqueo
del normale. Tutto qui. Non puzzi, tranquillo.»
«Meno
male!» gracchiò sgomento Dev, prima di lanciare
un’occhiata alla figlia per
domandarle: «Lo senti anche tu?»
Lei
assentì e Dev, sospirando, si lasciò un
po’ andare lungo la sedia, borbottando:
«D’accordo. Super udito e super naso. Che
altro?»
Iris
sorrise divertita, grata che l’uomo tentasse di fare dello
spirito per
alleggerire la tensione e, scrollando le spalle, domandò:
«Hai visto, no,
stanotte? Corro piuttosto veloce, e posso bloccarti senza
sforzo.»
«Cosa
che mi irrita parecchio, ma soprassiederò»
brontolò Dev. «Quindi, la mia
fagiolina potrebbe sollevarmi con un dito in stile Hulk?»
«Non
te lo so dire. Non abbiamo testato la sua forza, dopotutto, e non so
come siano
i bambini di lupo mannaro» ammise Iris.
Dev
rabbrividì nell’udire quell’ultima
parola e, passandosi nervosamente le mani
tra i capelli, sbottò: «Cristo santo, ma come hai
fatto a non dare di matto?»
Chelsey
si rattrappì appena sulla sua sedia, e subito Dev
allargò le braccia perché le
salisse sulle ginocchia.
La
bambina accettò l’invito e il padre, stringendola
forte a sé, mormorò: «Ce la
sto mettendo tutta, piccola, ma il tuo papà è
solo umano, e ci mette un po’ a
carburare. Dagli qualche minuto per riprendersi, okay?»
«Sì,
papino» annuì la bambina, chiudendo gli occhi e
assaporando il calore delle
braccia del padre strette attorno a sé.
Iris
sorrise comprensiva, mormorando: «Ho passato quasi due
settimane chiusa in
casa, dondolandomi seduta per terra, in mezzo al disastro che avevo
combinato.
Sembravo davvero pazza, credimi, e
solo a stento sono riuscita a convincermi a uscire di casa. Successe il
giorno
in cui mi dissero che i miei genitori erano morti in un
incidente.»
Dev
sussurrò un ‘cazzo’
a fior di labbra
e la donna, scrollando le spalle, aggiunse: «Non mi lasciai
andare solo perché
zio Richard mi disse che, indipendentemente da tutto, i miei genitori
non
avrebbero voluto che io, beh… mi abbandonassi
all’oscurità. Secondo Lucas, se
non ci fosse stato lui, avrei potuto trasformarmi in un momento
qualsiasi, a
causa del dolore provato. E allora sì che sarebbero stati
guai.»
Non
voleva usare le parole morte o prigionia di fronte a Chelsey, se
riferita
alla loro attuale condizione. Era assurdo crearle del panico inutile,
quando
c’erano già abbastanza cose da affrontare.
Annuendo,
Dev baciò distrattamente i capelli della figlia, ancora
seduta sulle sue gambe
e abbracciata stretta a lui.
Era
evidente quanto, quel contatto con qualcuno di così
familiare, fosse
corroborante per entrambi. Il cuore di Dev stava lentamente calmandosi,
così come
quello di Chelsey, fino a quel momento sfarfallante di nervosismo.
Contatto
fisico. Lucas aveva dannatamente ragione. La lupa che era dentro di lei
agognava a sua volta a un abbraccio, ma sarebbe stato maledettamente
imbarazzante chiederne uno, in quel momento.
«Quindi,
ora che facciamo?» domandò a quel punto Dev,
indicando sia Iris che se stesso
con aria inquisitoria.
Quell’uso
del plurale fece molto piacere a Iris, che si sentì non solo
presa in causa, ma
anche accettata all’interno di quello che, fino a quel
momento, era stato solo
un duo padre/figlia.
Poco
importava se Dev la vedeva solo come un veicolo per aiutare la figlia.
Era
bello non essere soli.
«Per
prima cosa, dovremmo parlarne con Lucas. Lui ci è nato, con questa cosa, visto che si
è trasformato come ha fatto
Chelsey, e non da adulto come me e…»
Tappandosi
la bocca per non proseguire, Iris si diede mentalmente
dell’idiota per non aver
pensato prima di parlare, ma Dev scosse il capo e aggiunse:
«… e Julia, vero?»
Iris
assentì spiacente e Chelsey, guardando dubbiosa sia il padre
che Iris, domandò:
«La mamma era come sono io ora? Per questo mi è
successo?»
«A
quanto pare sì, tesoro. Chiederemo a Lucas, non temere. Lui
ci spiegherà e ci
aiuterà» le promise Dev, cercando di infonderle
delle certezze che,
probabilmente, lui non aveva affatto.
***
Il
rumore del motore della sua Smart la fece sorridere. Dopotutto, la
nevicata non
aveva fatto morire la batteria. Era già qualcosa.
Inoltre,
il caldo di quella mattina aveva già fatto sciogliere gran
parte della neve
caduta la notte precedente, lasciando al suo posto del nevischio
bagnato e
scivoloso.
Niente
di più facile, per un’auto del genere, che finire
in un fosso o direttamente
fuori strada.
Dev
ci aveva visto giusto, convincendola a caricare la Smart sul suo
pick-up, che
utilizzava quando andava nei cantieri per lavorare.
Dopo
aver disteso due scivoli dal cassone per poter far salire
l’auto, Iris ve la
posizionò dinanzi e, spento che ebbe il motore, ne discese e
dichiarò: «Volevi
sapere cosa posso fare, vero?»
«Perché
so già che la risposta non mi piacerà?»
si lagnò Devereux, accigliandosi.
Iris
rise comicamente e spinse l’auto sugli scivoli senza alcuna
fatica, portando
Dev a imprecare e Chelsey a ridere.
Quando
la Smart fu degnamente caricata, e gli scivoli sistemati al fianco,
Iris chiuse
il portellone del pick-up con una spinta e sorrise, mimando la
posizione di
Superman.
«Queste
cose affonderebbero l’autostima di qualsiasi uomo»
borbottò Dev, scuotendo il
capo e salendo sul pick-up con aria funerea.
Iris
rise nuovamente, trovando quel commento davvero comico, e la tenacia di
Dev nel
volersi dimostrare all’altezza della situazione, esemplare.
Era
chiaro quanto tutta quella situazione lo stesse mettendo in
difficoltà eppure,
per la sua bambina, stava facendo di tutto per accettare ogni stranezza
e,
magari, riderci anche sopra.
Mentre
Chelsey si sistemava accanto al padre, Iris prese posto sul lato della
portiera
e, sorridendo divertita, asserì: «Non devi
abbatterti così, Devereux. Scommetto
che, per essere solo un uomo, sei
molto forte.»
Dev
la fulminò con uno sguardo e, dopo aver messo in moto e
fatto manovra, discese
lungo lo stradello borbottando: «Non tirare troppo la corda,
sottiletta.»
Chelsey
rise di gusto ed esclamò: «Ha dato un nomignolo
anche a te, Iris. E’ una buona
cosa, no?»
«Oddio,
paragonarmi a una fetta di formaggio spiattellata non è
granché, come
nomignolo, ma capisco che posso davvero sembrare tale, magra come
sono»
borbottò Iris, guardandosi le mani lunghe e sottili
così come le gambe, davvero
magre come sottilette.
La
bambina, allora, si volse a guardare arcigna il padre e
brontolò: «Trovale un
altro nomignolo. L’hai offesa.»
«La
chiamerò così finché non le avremo
fatto mettere su peso, va bene?» propose
allora Dev, ammiccando alla figlia.
Chelsey
parve soppesare la cosa e, alla fine, si volse verso Iris e
domandò: «Come
vorresti essere chiamata, dopo?»
«Non
ne ho idea. Papà mi chiamava angelo,
da piccola, ma sai… i papà lo fanno. Tu,
piuttosto, perché ti chiami fagiolina?»
replicò Iris, curiosa.
Fu
Dev a rispondere.
Con
aria persa nei ricordi, mormorò: «Le feci vedere
l’ecografia che facemmo
quando… quando Julia la stava aspettando. Sembrava davvero
un fagiolino e, da
quel momento, Chelsey iniziò a correre per casa usando
quella parola. Mi sembrò
carina e gliela appioppai.»
«Volevo
sapere se ero nata da qualcuno, e così il papà mi
accontentò. All’epoca, ero
una bambina molto sciocchina» dichiarò Chelsey con
estrema serietà.
«Quanti
anni avevi, scusa?»
«Cinque.
Non avendo la mamma, non capivo come potessi essere la figlia di
papà, e così…»
Iris
la strinse a sé in un abbraccio spontaneo e, sorridendo,
dichiarò: «Eri
intelligentissima, altroché!»
Chelsey
rise e Dev ringraziò mentalmente Iris per aver portato la
figlia lontano da
quel ricordo amaro.
Lo
rammentava ogni giorno, premeva nella sua mente come un tarlo, a
ricordargli
quanto fosse stato stupido a fidarsi per così tanto tempo di
una donna che non
lo meritava.
Julia
era sempre stata difficile, molto singolare ma lui, da bravo idiota,
aveva
pensato di essere l’unico in grado di poterla salvare da se
stessa.
Forse,
in qualche modo, ci era davvero riuscito, visto che non si era gettata
da un
ponte o non aveva affogato la sua bambina da piccola, ma non sapeva
come
stessero le cose in quel momento.
Ciò
che però aveva fatto a Chelsey, aveva inaridito per sempre
ogni stilla d’amore
che aveva provato per lei.
Lui
poteva accettare di essere stato lasciato, ci conviveva da otto anni e
poteva
conviverci per tutta la vita.
Ma
la loro figlia? Come aveva potuto fare questo all’incolpevole
Chelsey,
lasciandola tra l’altro con un’eredità
così pericolosa da gestire, e senza che
lui ne fosse messo al corrente?
No,
questo non glielo avrebbe mai perdonato. Per lui, Julia era morta.
***
Attraversando
il paese ormai sgombro di neve, Dev imprecò sottilmente tra
i denti quando,
passando davanti allo Strawberry Moose, alcune persone lo additarono
incuriosite, ridendo subito dopo.
«Ops»
celiò Chelsey, sghignazzando.
«Cosa?»
domandò Iris, incuriosita, guardandoli piena di domande
inespresse.
«Paese
piccolo…» brontolò Dev.
«…gente
che mormora… lo so. E’ il detto preferito di
Lucas. Ma che c’entra, adesso?»
terminò di dire Iris, guardandosi intorno confusa.
«Tu.
Sulla mia auto. Con la tua auto sul mio
cassone. Fai due più due, sottiletta»
sbuffò Devereux, imboccando la
rotatoria per recarsi al camping.
«Non
potresti avermi recuperato da un fosso? Da bravo samaritano quale
sei?»
ipotizzò Iris, cercando di sorridere divertita.
«E
da quando in qua la gente non maligna per partito preso, senza sapere
come
stanno davvero le cose?» replicò irritato Dev.
«Sì,
questo è vero, ma non ci trovo niente di male ad aiutare una
persona a…» iniziò
col dire Iris prima di bloccarsi, tapparsi la bocca per lo sgomento e
mormorare
tra le dita: «Hai una donna, forse? Oddio!»
«No
che non ho una donna!» sbottò irritato Dev, mentre
Chelsey rideva di gusto.
«Ad
Alyssia piacerebbe, però» celiò la
figlia, guadagnandosi un’occhiataccia da
parte del padre.
«Lavora
allo Strawberry?» chiese in quel mentre Iris, notando subito
dopo l’assenso di
Chelsey.
«Sicuramente,
glielo avranno già detto. Ma papà non le ha mai
dato troppa confidenza, e lei
ci rimane sempre male» confidò Chelsey, mentre
Iris annuiva attenta.
«Ma
dico, voi due! Farvi un po’ gli affaracci vostri,
no?!» sbuffò Dev, avvampando
d’imbarazzo.
Le
due femmine esplosero in una calda risata complice e Devereux,
nell’entrare nel
campeggio, borbottò: «E poi mi domandano
perché evito le donne come la peste.
Parlate troppo, e a vanvera.»
Una
nuova risata coinvolse le due e Dev, nel salutare Chuck
all’entrata,
evidentemente pronto per recarsi nella sua clinica veterniaria, disse:
«Ti ho
riportato una dispersa. Puoi mandarmi Lucas, così mi aiuta a
scaricare l’auto?»
«Te
lo mando subito. Bentornata, miss Walsh!» esclamò
solare Chuck, cercando di
fare finta di non notare la camicia che stava indossando Iris. Anche
volendo,
non avrebbe potuto passare per una delle sue neppure in mille anni.
Era
chiaro come il sole che la camicia che stava indossando apparteneva a
un uomo;
le cadeva addosso come un sacco di patate e, pur con le maniche
arrotolate,
appariva comunque come un abito di ripiego.
Dev
sbuffò, ripartendo di gran carriera per evitare che Chuck si
spingesse a
curiosare dentro l’auto, notando così le gambe
nude della donna che aveva
scortato fino a lì.
Lui
le aveva notate eccome, ovviamente, perché non era cieco ed
era ancora un uomo
sano di corpo, se non di mente.
Sulla
mente non era più tanto sicuro ma, se fosse sopravvissuto
alle prime
ventiquattr’ore, forse, nulla l’avrebbe
più ammazzato.
Non
era così che succedeva per le persone operate? Le prime
ventiquatt’ore erano le
più importanti. Anche se lui non aveva subito interventi di
nessun genere,
forse quella regola avrebbe potuto valere anche per lui.
Quando
finalmente raggiunse il camper di Iris, lasciò perdere quei
pensieri e
parcheggiò in modo tale che la portiera dove si trovava la
ragazza fosse
accanto all’entrata del suo mezzo. Così, avrebbe
potuto scendere senza che
nessuno la vedesse.
Anche
se erano presenti pochi avventori, per Dev erano già troppi.
Un solo sguardo
poteva formare una chiacchiera, e c’erano già fin
troppe persone che lo avevano
visto con Iris in una situazione potenzialmente esplosiva.
Non
stava oggettivamente facendo nulla di male, ma non voleva avere
problemi con le
donne – pensava di avere già dato con gli
interessi, in quel campo – e, in quel
momento, la sua mente doveva essere concentrata solo sulla figlia.
Sapere
di dover aver a che fare con Iris per via di Chelsey, che sembrava
adorarla,
era già un’impresa difficile da sostenere.
Non
aveva bisogno che qualcun altro ci si mettesse in mezzo. E forse,
dopotutto,
avrebbe dovuto confrontarsi finalmente con Alyssia, come gli aveva
consigliato
a suo tempo Rock.
Cristo!
Sembrava passato un secolo, eppure era trascorso solo un giorno. Era
pazzesco
come, in poco meno di venti ore, il mondo si potesse ribaltare.
«Papà…
papà…» mormorò Chelsey,
tentando di richiamare la sua attenzione.
Dev
sobbalzò, si volse a guardarla e, nel notare che Iris non
c’era già più,
mormorò: «Dimmi, fagiolina.»
Indicando
la portiera, Chelsey sghignazzò e disse:
«C’è Lucas.»
Devereux
allora sbuffò, scese dal pick-up e, scrutando un dubbioso
Lucas, borbottò:
«Aiutami a far scendere quella scatoletta,
Maciste… poi, dovremo parlare un
po’.»
«E’
successo, eh?» mormorò soltanto Lucas, accodandosi
a Dev per scaricare la
Smart.
«Già»
disse soltanto Devereux, montando gli scivoli per poi sistemare il
gancio di
traino sulla parte posteriore dell’auto.
Così,
almeno, avrebbero salvato le apparenze.
In
quel mentre, Iris scese – finalmente vestita in modo
apprezzabile – e, messasi
al fianco di Chelsey, mormorò: «Come stanno
andando le cose?»
«Papà
è parecchio fuori. Dici che tornerà in
sé?» domandò preoccupata la bambina.
«Credo
proprio di sì. Quando hanno finito, di’ loro di
salire sul camper. Io, intanto,
preparo del caffè. Mi sa che dovremo parlare per un
po’.»
«Ho
di nuovo fame, Iris…»
«Anch’io,
credimi. Ma ci faremo spiegare da Lucas come fare, va bene?»
le strizzò un
occhio lei, correndo nuovamente sul camper.
Chelsey
la seguì con lo sguardo e, tra sé,
sperò che Iris avesse nel suo freezer tante
polpette di patate da far scaldare. Le erano piaciute un sacco.
***
Alla
fine, Iris dovette scaldare non solo del caffè – a
brocche – ma anche delle
brioche perché la fame, nera e crudele, non concesse tregua
sia a lei che a
Chelsey.
A
tal proposito, Lucas spiegò loro che, in quanto lupi,
avrebbero dovuto
aumentare l’apporto di proteine animali in
quantità considerevole, così da
abbattere lo stimolo della fame.
Dolci
e pasta non facevano che aumentare il desiderio di mangiare, ma non
saziavano
mai completamente.
Zuccheri
e carboidrati sarebbero serviti per mettere su peso, ma solo dopo una
dose
generosa di proteine animali per tacitare il lupo dentro di loro.
«E
io che mi sono data alla pazza gioia, mangiando tutti i dolci che mi
piacevano.
Eppure, avrei dovuto notare che non mi facevano aumentare di
peso» si lagnò
Iris, sbocconcellando avidamente una brioche.
Lucas
sorrise indulgente, asserendo: «Mia madre fece lo stesso
errore, a suo tempo,
rimpinzandomi di timballi di riso e cose simili. Restavo uno stecco su
due
gambe.»
Anche
Dev intervenne, come colpito da un particolare, e asserì:
«In effetti, per un
certo periodo, pensai addirittura che tu fossi malato.»
«Le
provammo tutte finché, un giorno, non le venne in mente di
prepararmi una
fiorentina al sangue, e lì capimmo. Naturalmente, mio padre
ne rise per mesi,
dicendomi che avevo sicuramente il verme solitario!» rise
Lucas, tergendosi una
lacrima d’ilarità.
«Immagino
che dire la verità a un uomo tutto d’un pezzo come
tuo padre, vi sia sembrata
la scelta sbagliata, vero?» chiosò Dev, sorridendo
a mezzo all’amico ritrovato.
«Beh,
in effetti, dirgli che suo figlio diventa un bellissimo lupo bianco,
sarebbe
stato davvero folle» sottolineò Lucas, passandosi
svogliatamente le unghie
sulla maglia e facendo ridere Chelsey. «Onestamente,
però, comincia a stancarmi
il fatto di raccontargli sempre delle storie. Cioè, lo so
che mio padre non
concepisce neppure l’idea di guardare i film di fantascienza
come Star Wars
perché li reputa idioti, ma forse chiuderebbe un occhio, per
suo figlio, se
anche scoprisse che mette su pelo come Chubecca, o quasi.»
Dev
sorrise a quel commento, dandogli ragione. Chuck Johnson era la persona
più
solida e coi piedi per terra che conoscesse.
Per
lui esistevano solo e unicamente le cose tangibili, ciò che
era logico e
sensato e, tutto il resto, erano solo pagliacciate. Era buono come il
pane, ma
non si era mai lasciato traviare da nulla che non fosse fatto di solida
materia,
o debitamente giustificato dalla scienza.
Non
a caso, era un ateo convinto. Il fatto che avesse sposato Clarisse, che
invece
era insegnante di Yoga e seguiva gli insegnamenti del Dalai Lama, era
la cosa
più sconvolgente che Clearwater avesse mai visto. Nessuno
avrebbe dato un
dollaro a quella coppia così agli antipodi, eppure aveva
funzionato alla
grande.
Era
stata la conferma che gli opposti si attraevano davvero, e con gran
successo.
«Ma
perché siamo così, Lucas?»
domandò a quel punto Chelsey, leccandosi subito dopo
le dita ricoperte di glassa.
«Ottima
domanda, Chelsey, ma non ne ho idea. Nel tuo caso, hai preso i geni di
tua
madre che, a sua volta, era stata ferita da un licantropo che decise
di… beh,
di contagiarla. Non so che altro termine trovare» ammise
Lucas, scrollando le
spalle. «Il caso di Iris è diverso, visto che il
lupo in questione era ubriaco –
e, per esserlo, doveva aver bevuto secchiate di alcol, visto che ho
scoperto che
lo reggiamo più che bene – e l’ha
colpita involontariamente. Così come lei non
ha chiesto di essere ferita.»
Sospirando,
si indicò e aggiunse: «Il mio caso, infine,
è più complicato ancora, visto che
io ci sono nato, col gene, e senza
che nessuno dei miei genitori fosse stato ferito da un licantropo,
passandomi
quindi il DNA modificato.»
«Consigli?»
domandò a quel punto Dev. «Oggi passi, ma domani
Chelsey deve tornare a scuola,
e vorrei essere certo che non sbrani nessuno.»
«Non
lo farei mai, papà!» sbottò Chelsey e,
subito, i suoi occhi mutarono dal caldo
color nocciola al più freddo grigio colomba.
«Ecco…
era questo che intendevo. E’ successo anche a Iris, quando
tentava di tenermi
lontano da Chelsey. I loro occhi… mutano colore anche se
sono ancora persone»
disse Dev, rivolgendosi a Lucas.
Lui
assentì pensieroso, dichiarando: «La rabbia aiuta
la mutazione, così come la
paura o l’ansia. Gli occhi sono il primo segnale di un
cambiamento. Rock mi ha
detto che anche la voce cambia, anche se io non me ne sono mai
accorto.»
«Confermo.
La voce di Iris era metallica, come se uscisse da un interfono
scadente»
assentì Dev, scrollando spiacente le spalle quando lei lo
fissò sconcertata.
«Scusa, ma è vero.»
«L’unico
consiglio che posso dare a Chelsey è di contare fino a
dieci. O a cento, se è
particolarmente arrabbiata, e di non fissare direttamente una persona,
se sente
di non avere tutto sotto controllo» disse Lucas, sorridendo
comprensivo alla
bambina, che annuì coraggiosa. «Dovrai darti alla
meditazione, temo, perché è
l’unico modo veramente utile che ho trovato, negli anni, per
trattenere rabbia
e istinti. Sei anche un lupo, adesso, e dovrai sempre ricordartene. Gli
altri
saranno più deboli di te, anche i maschi grandi e grossi,
perciò dovrai
contenere i gesti e gli impulsi. Pensi di farcela?»
Chelsey
guardò sia suo padre che Iris e, annuendo debolmente,
tornò a rivolgersi a
Lucas per dire: «Mi aiuterai anche tu, giusto?»
«Ma
certo. E anche mia madre e Rock» la rassicurò
Lucas. «Se vuoi, possiamo andare
nel bosco per testare il tuo nuovo corpo. Immagino che tu non abbia
scorrazzato
per casa.»
«No,
Iris si è trasformata e mi ha leccato il muso per liberarmi
da quella cosa
viscida che avevo addosso, quando sono riuscita a calmarmi, poi mi
ha… detto di
accucciarmi e di riposarmi, e così ho fatto»
spiegò Chelsey, gesticolando nel
parlare.
«Ottimo
lavoro, Iris. Hai saputo calmare la bestia prima che potesse farsi del
male» la
plaudì Lucas, facendola sorridere.
«Sono
andata a naso, onestamente, e pensavo che avere al fianco un altro lupo
potesse
aiutarla» ammise Iris, scrollando le spalle.
«Certo, non è stato di aiuto a
Dev, che non deve aver gradito molto la scena.»
Tastandosi
il bernoccolo sulla nuca, l’uomo chiosò:
«Sono andato giù come una pera cotta.
Altra cosa che, unita allo spettacolo alla Hulk di stamattina, mi fa
sentire
molto poco maschio, al momento.»
Tutti
risero di quel commento e Lucas, nel dargli una pacca sul braccio,
dichiarò:
«Rock ci ha ormai fatto l’abitudine. Puoi parlarne
con lui.»
Devereux
sospirò, si passò una mano sul viso e
borbottò: «Coraggio, andiamo nel bosco.
Ho bisogno di un battesimo del fuoco come Dio comanda, o non
riuscirò a
sbloccarmi. Al momento, sono in tilt.»
«Passerà,
amico mio. Passerà» gli promise Lucas,
sorridendogli.
Iris,
a quel punto, si levò in piedi e disse:
«Sarà il caso che prepari uno zaino.
Stavolta, non partirò sguarnita.»
«Basterà
che tu ti spogli, Iris» sottolineò Lucas, come se
niente fosse.
Accigliandosi,
Iris borbottò: «Davanti a voi? Neanche
morta.»
Devereux
non poté evitarlo. Fu più forte di lui.
Accennò un ghigno beffardo e dichiarò:
«Chi pensi ti abbia messo addosso la coperta,
sottiletta?»
Iris
lo fissò con espressione ai limiti dell’odio, i
caldi occhi verdi divenuti
ormai del colore dei lapislazzuli e, furibonda, sbuffò:
«Questa me la pagherai
cara, Devereux Saint Clair. Posso giurartelo.»
A
quella minaccia, Dev scoppiò in una calda risata di gola e,
suo malgrado, Iris
dovette dare ragione a Chelsey.
La
risata di Devereux era davvero splendida… anche se la stava
prendendo
bellamente in giro.
N.d.A:
direi che Dev non se l’è cavata male e, anche se
deve ancora mettere bene a
fuoco la situazione, ha per il momento accantonato crisi di nervi,
svenimenti o
altro. Abbiamo inoltre scoperto – o riscoperto, visto che lo
avevo già
accennato nel terzo capitolo – che Lucas è un
Fenrir, potendo contare su una
candida livrea di lupo. Questo sottintenderà
l’arrivo di altri Gerarchi? Lo scopriremo,
ve lo prometto!
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
7.
Alla
fine, Iris si spogliò dietro un fitto cespuglio e, dopo aver
sistemato i suoi
abiti nello zaino e averlo appeso a un ramo basso, si piegò
sulle ginocchia e
mutò.
Ormai
riusciva a farlo abbastanza bene, e senza fare troppi danni. Quando
finalmente
uscì allo scoperto, Dev fece un passo indietro prima di
bloccarsi, guardarla
con aria attenta e infine dire: «Sei un bel bestione,
dopotutto. Così, non
posso di certo chiamarti sottiletta.»
La
Iris lupo snudò per un attimo i denti, prima di sedersi sul
posteriore e
aspettare paziente l’arrivo di Chelsey e Lucas, che stavano
terminando di
svestirsi.
Dev
ne approfittò per affiancarla e, dandole una pacca leggera
sulla testa, disse:
«Scherzi a parte, grazie per quello che stai facendo per
Chelsey. Io non avrei
davvero saputo come raccapezzarmi, se fossi stato solo.»
Non
potendo parlare, Iris si limitò a far ciondolare la lingua
in quello che voleva
essere un gesto distensivo, ma che portò Dev a ridere di
nuovo.
«Sei
davvero buffa, così» celiò lui,
affondando però la mano nella sua gorgiera per
continuare la carezza.
Evidentemente,
Dev non si rendeva conto di aver a che fare ancora
con una donna, e non con un cane troppo cresciuto.
Iris
cercò quindi di non fare troppo caso alle scosse di piacere
che le
riverberarono lungo tutto il corpo e, concentrandosi sul bosco, ne
ascoltò i
suoni e gli odori.
V’erano
delle prede, poco lontano, e gli unici escursionisti in zona erano
distanti
miglia, perciò non dovevano preoccuparsi di essere scoperti.
Quel
controllo a tappeto della zona, però, si interruppe quando
fece il suo ingresso
in scena Lucas, nelle vesti di un lupo bianco davvero enorme,
e della più piccola Chelsey che, al suo confronto, sembrava
davvero minuscola.
«Beh,
sì, non assomigli a un bue come pensavo»
gracchiò Dev, squadrandolo da capo a
piedi con espressione sgomenta.
Lucas,
allora, imitò la postura di Iris, e così fece
Chelsey, che però continuò a
guardarsi curiosa nella sua nuova forma di lupo.
Inconsapevolmente,
Dev si aggrappò alla spalla di Iris, quasi che le gambe
avessero minacciato di
abbandonarlo e, passandosi la mano libera sul viso, esalò:
«Cristo santo! Beh,
che posso dire? Chiamatemi John Dunbar1?»
Lucas
se ne uscì con quella che sembrò essere una
risata, per Iris, ma che alle
orecchie di Dev assomigliò maggiormente a un abbaiare
stentato e un tantino
grottesco.
Devereux,
sempre al fianco di Iris, cominciò a guardarli
alternativamente con espressione
sempre più curiosa e, alla fine, disse:
«E’ interessante notare come tu, Lucas,
sia interamente bianco, mentre loro due hanno i manti di diversi
colori. Sai il
perché? Forse perché tu ci sei nato,
così? Nato nato,
intendo, non come Chelsey.»
Lucas
scrollò la testa e Dev, sbuffando, borbottò:
«Oh, giusto. Niente voce. Quindi,
che si fa ora?»
Lucas
indicò il bosco con il muso e l’uomo, dubbioso,
domandò: «Volete fare una
passeggiata? Ma lascerete delle impronte!»
Il
lupo bianco, allora, indicò il terreno col muso e Dev,
seguendone lo sguardo,
notò una cosa davvero curiosa e che, fino a quel momento,
non aveva notato.
Non
c’erano tracce. Come se i loro corpi enormi non pesassero
nulla.
Dubbioso,
Dev disse: «Non affondate nel terreno solido, anche se siete
parecchio
pesantucci.»
Iris
gli diede una spallata, a quel commento e Dev, per poco, non venne
catapultato
a terra.
Rimettendosi
diritto e guardandola male, Dev borbottò: «Ehi,
lupacchiotta, non fare la
noiosa. Sto cercando di capire!»
Lucas
se ne uscì con un’altra delle sue risate e, con la
zampa, forzò il terreno fino
a creare un buco.
«Allora,
ricapitoliamo. Siete in grado di non lasciare tracce sul terreno solido
ma, se
vi mettete a correre, le vostre unghie possono affondare nella terra.
Afferrato. E la neve?»
Lucas
indicò il buco nel terreno, e Dev assentì ancora.
«Affondate anche lì. Quindi,
se ho ben capito, il vostro essere dei lupi speciali ha dei bonus di
qualche
tipo, ma fino a un certo punto.»
Lucas-lupo
assentì col muso dopodiché, senza altro da
spiegare, si avviò nel bosco, subito
seguito da Chelsey.
A
quel punto, Dev si accodò e così pure fece Iris,
che chiuse la fila di quella
strana combriccola.
“Cerca
di essere
paziente, con lui, Iris. Dopotutto, ce la sta mettendo davvero
tutta”
disse Lucas,
rivolgendosi alla donna.
“Sì,
lo so. Ma
sembra che si diverta a prendermi in giro” brontolò Iris per
diretta
conseguenza.
“Credimi,
di
solito Dev non
è così, con le donne.
E’ un autentico
miracolo che rida e scherzi con te. Prendilo come un complimento, non
come un
insulto” le fece notare Lucas.
Sbuffando,
Iris chiosò: “Farò
finta che il nome sottiletta mi
piaccia. Contento?”
“Non
devo essere
contento io, ma tu. Prendila con più filosofia. Sei troppo
tesa, e noi non
possiamo permettercelo.”
Lucas
aveva ragione, lo sapeva anche lei, ma le machiavelliche attenzioni di
Dev la
lasciavano confusa e irritata, ed era una cosa che la mandava in bestia.
“Perché
non
recuperi il tuo zaino e torni donna? Terrò io compagnia a
Chelsey, mentre tu la
terrai a Dev. Credo si senta un po’ isolato, al
momento.”
“Perché
mai
dovrei fargli da balia, scusa?!” protestò Iris,
irritandosi
ulteriormente. “Anch’io
sento l’esigenza
di camminare su quattro zampe, sai?!”
“Faremo
una
passeggiata notturna io e te, così ti insegnerò
qualcosa che, al momento, per
Chelsey è troppo…
estremo.”
Fattasi
subito attenta, Iris domandò: “Cosa
intendi per… estremo?”
“Lo
scoprirai
stanotte, se avrai il coraggio di uscire con me.”
Iris
sbuffò mentalmente e, senza dare alcun segnale,
svoltò per tornarsene indietro
e si rivestì in tutta fretta, maledicendo Lucas e le sue
lusinghe da fata
ammaliatrice.
Quando
infine tornò dove aveva lasciato il gruppo, trovò
solo Dev ad attenderla e, un
po’ sorpresa, domandò: «Sono andati
avanti?»
«Sì,
ma io non sapevo quanto potessi sentire…» e nel
dirlo si toccò il naso «…
così
mi sono fermato.»
«Oh.
Grazie» mormorò Iris, incamminandosi nuovamente
assieme a lui. «Lucas mi ha
fatto notare che, forse, ti sentivi un po’ spaesato, in mezzo
a tre lupi e
senza nessuno con cui parlare.»
Lui
rise seccamente, ma assentì.
«Credo
ancora che, di colpo, mi risveglierò e troverò la
mia fagiolina addormentata nel
letto e te… beh, nella camera degli ospiti, immagino. Sono
ancora fermo a
quando ci siamo dati la buonanotte. Quello che è avvenuto
dopo appartiene alla
categoria del “che cazzo
è successo?”.»
Quell’ammissione
portò Iris a sorridere comprensiva e a sfiorare un braccio
di Dev a mo’ di
consolazione.
L’attimo
dopo averlo fatto, però, imprecò e disse:
«Scusa. E’ un’altra cosa da lupi, a
quanto pare. Siamo appiccicosi, e tendiamo a toccare più del
necessario le
persone.»
Dev
levò un sopracciglio con evidente sorpresa e, fattosi scuro
in viso, borbottò:
«Beh, allora Julia doveva essere l’eccezione che
conferma la regola. Se quel
che dice Lucas è vero, ed è stata ferita a
diciassette anni, posso assicurarti
che le sue smancerie nei miei confronti, o nei confronti di chiunque
– figlia
compresa – non sono aumentate dal prima al dopo.»
«Oh»
mormorò sorpresa Iris. «Beh, io non me ne intendo
di faccende pelose, ma posso
dirti che, prima, non ero una che cercava il contatto a tutti i costi.
Non ero
una ragazza smancerosa, anche se stare con i bambini mi piaceva molto,
rispetto
alla compagnia degli adulti.»
A
quel punto, Dev disse: «Beh, con Chelsey sei stata splendida,
quindi questa
cosa ti è rimasta. Gli adulti ti piacevano di meno per un
motivo in particolare?»
Quel
complimento inaspettato fece arrossire Iris che, distogliendo lo
sguardo, si
grattò nervosamente una guancia e borbottò:
«Sentivo – e sento – il bisogno di
proteggerla, di mettere al sicuro il suo mondo fatto di luce e di
gentilezza.
Non so come altro spiegartelo. Con gli adulti, invece, ero cauta e,
spesso e
volentieri, mai del tutto onesta, anche se non mi piace ammetterlo. Con
l’eccezione
della mia famiglia, ho sempre avuto difficoltà a
relazionarmi con gli adulti.»
«Luce…
e gentilezza?» ripeté con una certa ironia Dev.
Accigliandosi,
Iris assentì con vigore, mugugnando: «Se tu che
sei suo padre non riesci a
vedere questo in lei, allora sei proprio scadente, come
persona.»
Dev
sbuffò e replicò caustico: «Certo che
vedo questo, in lei! Mi stupisce che un’estranea
veda queste cose, ecco
perché ho riso.»
Iris
arcuò le labbra all’ingiù e si fece
muta, continuando a camminare davanti a sé
senza più rivolgere la parola a Dev. Che anche Lucas andasse
al diavolo, oltre
a lui!
Non
ne poteva più di fare la brava ragazza, in quel momento!
La
mano le venne afferrata di colpo, portandola a voltarsi con aria
arcigna ma,
trovando solo gli occhi di ghiaccio di Dev profondamente contriti, si
calmò e
disse: «Dimmi. Cosa c’è?»
«Volevo
chiederti scusa. Ancora. Faccio
schifo nei rapporti interpersonali, soprattutto se riguardano il genere
femminile» brontolò Dev, lasciandola andare
perché riprendessero a camminare.
Lei
assentì con fervore, asserendo: «Oh, credimi,
l’ho notato. Dovresti prendere
lezioni da Lucas, in questo senso.»
«Beh,
questo sì che è un insulto»
sottolineò Dev, levando un sopracciglio. «Non si
dovrebbe mai porre a paragone un altro uomo, in questi casi.»
«Perché?
Ti senti svilito nella tua virilità?»
ironizzò Iris.
«Precisamente»
sbuffò Dev, rizzando le
spalle con fare molto maschio. «Non è bello
sentirsi dire che un altro maschio è
migliore di noi in
qualcosa, foss’anche solo nel comportamento.»
Iris
non poté impedirselo. Scoppiò a ridere, e lo fece
con gran gusto.
Dev
non le disse nulla, ma divenne molto, molto
scuro in volto, tanto che Iris lo prese amichevolmente sottobraccio e
disse:
«Forza e coraggio, signor macho. Non stavo mettendo in dubbio
le tue doti di
uomo, ma solo il fatto che sei parecchio arrugginito, quanto al
relazionarti
con una donna.»
«E’
parecchio tempo che non mi relaziono con una donna, Iris. Credo di
avere le mie
ovvie ragioni» tenne a
precisare Dev.
Iris
sbatté le palpebre, leggermente confusa e, mordendosi il
labbro, mormorò: «Qualsiasi
relazione?»
Arrossendo
lievemente, lui annuì e Iris, sinceramente impressionata,
esalò: «Beh,
complimenti per la tempra. Ma immagino avessi altro a cui pensare.
Crescere una
bambina piccola non deve essere semplice. Anche con tutti e quattro i
nonni a
dare una mano.»
Devereux
assentì, rischiarandosi un poco in viso e, con tono pacato,
disse: «Devo loro
molto di più che un semplice grazie. Se non ci fossero
stati, avrei dato fuori
di matto molto prima del suo quarto compleanno.»
Iris
assentì e, tra sé, si domandò come mai
Julia si fosse comportata a quel modo.
Più
elementi veniva a sapere su di lei, e più si convinceva che,
dentro quella
donna, vi fosse stato qualcosa di malato, che niente aveva avuto a che
fare con
la sua controparte mannara.
No,
lì il lupo c’entrava poco con i suoi
comportamenti. Era stata la donna ad
abbandonare il letto coniugale e la figlia, non la lupa.
La
lupa non avrebbe mai lasciato solo il proprio cucciolo.
Così
è…
Ancora
quella voce.
Iris
si bloccò a metà di un passo per guardarsi
intorno con espressione turbata e
curiosa assieme e Dev, preoccupato, le domandò:
«Che succede? Cos’hai sentito?»
Non
sapendo bene quanto dire, la donna tentennò un poco prima di
parlare ma, visto
che Dev stesso aveva chiesto un battesimo del fuoco, ammise reticente:
«Sento
una voce, ogni tanto. Sono solo brevi frasi, niente di più,
ma sembrano
provenire da qui dentro.»
Nel
dirlo, si toccò la tempia.
Dev
si accigliò appena, scuotendo il capo e Iris, per spiegarsi
meglio, aggiunse:
«Come licantropo, posso parlare mentalmente con altri miei
simili. Era così che
Lucas teneva a bada Julia.»
Gli
occhi di Devereux si spalancarono per la sorpresa, ma
assentì cauto e ammise:
«Questo spiegherebbe perché, a volte, aveva
l’aria assente. Vai avanti. Che
differenza c’è tra questa specie di chiamata
privata e quel che senti tu?»
Grata
nonostante tutto che lui avesse deciso di ascoltarla, Iris
mormorò: «La voce
viene da dentro di me, non da fuori. Un po’ come se la mia me
stessa mi dicesse
cose che io, in tutta coscienza, so di non conoscere. Solo che lo fa
con una
voce maschile.»
«E
ora cosa ti ha detto?»
Iris
storse il naso e, sbuffando, mugugnò: «Che era
Julia a essere davvero strana, non
il fatto che lei fosse
diventata una lupa. Sarebbe scappata in ogni caso, licantropia o
meno.»
«Tu
credi a questa voce?» le domandò Devereux, serio
in volto.
Lei
assentì, non sapendo come deviare quella domanda. Era forse
indelicato dirgli
la verità ma, ormai, il danno era stato fatto anni addietro,
e un uovo rotto
non si poteva davvero più aggiustare.
«Mi
ha detto come aiutare Chelsey.»
Dev
si limitò ad assentire e, per qualche minuto, rimase nel
più completo silenzio,
silenzio che Iris non trovò necessariamente sconveniente ma
molto, molto
pesante.
Le
spiaceva avergli causato un dolore, ma non sapere era forse peggio, in
questi
casi, visti soprattutto i precedenti legati a questa donna che non
conosceva,
ma che sembrava aver lasciato diversi scheletri nell’armadio,
dietro di sé.
«E’
per questo che non apprezzavo molto gli adulti…»
gettò fuori a forza,
imponendosi di rispondere alla domanda di Dev, rimasta in sospeso.
Lui
la guardò confuso e Iris proseguì dicendo:
«Molte delle persone che conoscevo
non mi hanno mai spinta a espormi
come ora sto facendo con te. C’era molta ipocrisia, nel mondo
in cui vivevo e,
alla fine, mi sono abituata anch’io a essere così,
e ho passato periodi davvero
discutibili della mia vita a comportarmi da persona superficiale. Non
mi piace
ricordarmi com’ero. Coi bambini, però, sapevo di
poter essere diversa, e mi
piaceva essere così.»
Lui
assentì. «Un mondo di frivolezze,
immagino.»
«Tante.
Papà e mamma erano buoni, con me, forse troppo, e
così io ho finito con il
marciarci dentro più del dovuto. Ero una ragazza pestifera,
in alcuni casi.»
Dev
accennò un sorriso e domandò: «Con gli
uomini?»
Iris
assentì con un risolino. «Ho fatto cose orribili,
ad alcuni di loro. In questo,
diventare un lupo mi ha aiutato a ricollegare il cervello – e
i piedi – alla vita
reale. Mi stavo davvero comportando come se non esistessero regole, per
me.»
«Quando
si è figli unici, può capitare. I genitori
cercano di darti tutto e più di
tutto e, a volte, esagerano» chiosò lui,
scrollando le spalle.
Iris
si limitò a un assenso, non sapendo bene se parlasse per se
stesso, o di lui
nei panni di padre. In ogni caso, sembrava aver provato su di
sé la sensazione,
anche se ora non sembrava né vanesio e neppure viziato.
Quando
infine raggiunsero una radura nel mezzo del bosco, trovarono Lucas e
Chelsey
impegnati in qualcosa che assomigliava molto a un allenamento.
Il
lupo bianco le stava mostrando come attaccare un tronco caduto e
ricoperto di
muschio, neanche fosse stato il suo peggior nemico.
Le
zanne snudate facevano davvero paura, così come il ringhio e
la vibrazione a
bassa frequenza che il licantropo stava emettendo.
Chelsey,
però, non sembrava minimamente impaurita quanto, piuttosto, affascinata. Sembrava rapita da
quell’espressione primigenia di capacità tecniche
e fisiche, e aveva occhi solo
per Lucas, la loro guida.
Iris
rabbrividì quando il lupo bianco attaccò il
tronco e, inconsciamente, si pose
dinanzi a Dev a braccia spalancate, come se sapesse che, ciò
che stava emanando
Lucas, avrebbe potuto ferirlo in qualche modo.
Quel
gesto portò Lucas a bloccarsi e, curioso,
domandò: “Perché
hai fatto così, scusa?”
“Bella
domanda.
Ma credimi, visto da fuori, fai paura. L’aria sembra
bruciare, attorno a te e,
quando incameri la tua forza per colpire, la cosa si fa ancor
più evidente.”
Lucas,
allora, acuì lo sguardo e osservò Iris dinanzi a
un Devereux quanto mai
confuso. A ben vedere…
“In
effetti,
anche l’aria attorno a te sfrigola, e va a cozzare contro la
mia. Lo vedi anche
tu?”
Iris
assentì dopo qualche attimo, mormorando: “E’
come se… se si trattenessero a vicenda. Secondo te che vuol
dire?”
“A
saperlo!
Però, se ti è venuto istintivo proteggere Dev,
qualcosa deve significare. A
giudicare da come ti comporti con Chelsey, hai un forte istinto
protettivo,
perciò ci fideremo di questo e procederemo. Prova a
concentrarti su di me e
vediamo che succede.”
Iris
assentì e, rivolgendosi a Dev, disse: «Fai qualche
passo indietro. Proveremo
una cosa.»
Dev
annuì cauto e si fece indietro di almeno una decina di
passi, e così pure fece
Chelsey, che si sedette vicino al padre e osservò attenta la
scena.
Iris,
a quel punto, concentrò la sua mente e il suo sguardo su
Lucas che, digrignando
i denti, fece nuovamente esplodere l’aria attorno a
sé, creando una sorta di
aura trasparente e sfrigolante.
Poteva
vedere perfettamente quell’aura e sembrava dannatamente
pericolosa, come se, una
volta lasciata andare a se stessa, potesse essere la causa di danni
ingenti.
“Prova
ad
arrabbiarti usando me come obiettivo. Non troppo, grazie, ma almeno un
pochino” propose a quel
punto Iris, irrigidendosi già mentre proferiva quelle parole.
“Non
mi piace
molto, come idea. Non è meglio usare sempre il
tronco?”
“Ho
idea che,
solo col tronco, combineremmo poco, al momento. Proviamo con qualcosa
di vivo.
Solo un colpetto, mi raccomando.”
Lucas
allora assentì titubante e, canalizzando i suoi sentimenti
rabbiosi verso Iris,
la vide letteralmente rimbalzare via come un fuscello, finendo a
diversi metri
di distanza da dove si era trovata fino a un istante prima.
Interrompendo
di colpo ogni emozione, Lucas zampettò lesto verso di lei
mentre Dev e Chelsey,
di corsa, raggiungevano Iris per sincerarsi delle sue condizioni.
Iris,
a sua volta, si tastò dolorante e, nel notare del sangue su
un lato della
bocca, esalò: «E meno male che ti avevo detto un
colpetto!»
“Scusa.
E’
chiaro che non so dosare la mia forza. Come stai?”
Quelle
scuse contrite furono seguite da un uggiolio e Iris, aiutata da Dev a
rialzarsi, borbottò: «E’ lampante che
quell’aura che vedevo ha veramente
una sua pericolosità. Mi è
sembrato di essere stata investita da un’auto.»
«Di
che aura vai parlando? Io non vedo nulla» gracchiò
Dev, affrettandosi a
ripulirle il viso dal sangue con un fazzoletto.
«Credo
sia visibile solo dai lupi» gli spiegò Iris.
«Ce l’ho anch’io, ma non è
stata
sufficiente a proteggermi dal contraccolpo. E’ quindi
lapalissiano che Lucas è molto
più forte di me.»
“Forse,
sei
semplicemente impreparata a usare la tua, di aura.”
Iris
scosse il capo, replicando: «Non so se è solo
questo. La mia lupa è
dannatamente più piccola di quanto non sia tu, e non penso
che sia dovuto al
fatto maschio-femmina. Nei lupi naturali, non saresti in grado di
distinguere
la differenza, a meno di non mettere la testa in mezzo alle zampe
posteriori.
C’è dell’altro.»
Così
è…
Iris
imprecò senza troppo riguardo, esclamando: «Ancora
tu?! Ma chi diavolo sei?!»
“Che
diavolo
era, quella voce?”
domandò Lucas, più che mai sorpreso.
Indicandolo
neanche fosse la prova regina in un tribunale, Iris esclamò:
«Allora non me la sono
sognata! L’hai sentita anche tu!»
“Eccome!
E mi
dici che non sai chi sia?” esalò il lupo bianco,
assai turbato.
Iris
a quel punto assentì torva e, scrutandoli tutti con
espressione confusa,
mormorò: «Mi ha detto che è vero. Che
c’è una correlazione tra la forza di
Lucas e le sue dimensioni anomale. Solo, sembra che queste note a
piè di pagina
arrivino come segnali radio smorzati, neanche non fossimo sulla stessa
lunghezza d’onda.»
Nessuno
seppe che dire e, con quelle nuove, sconcertanti novità sul
loro conto,
decisero infine di tornare al camping. Per un giorno, avevano imparato
fin
troppo e, al tempo stesso, si erano confusi ancor di più le
idee.
***
Armato
di una rete da sei lattine di birra e cinque scatole di pizza, Rock
fece il suo
ingresso trionfale nella saletta comune del campeggio e, dopo aver
poggiato il
tutto sul tavolo, dichiarò: «Non ringraziatemi. So
già che mi siete debitori.»
Iris
e Chelsey gli sorrisero piene di delizia, mentre Dev e Lucas ebbero
qualcosa da
ridire sul servizio dozzinale.
Rock,
comunque, non li stette a sentire e badò soltanto al genere
femminile, offrendo
a Chelsey una Coca-Cola e dando la pizza al salame piccante a Iris, a
cui
brillarono letteralmente gli occhi.
«E
meno male che sono il tuo compagno, sennò cosa mi avresti
lasciato? Le scatole
di cartone?» si lagnò bonariamente Lucas.
«Questa
signorina deve ingrassare o, presto o tardi, una folata di vento ce la
porterà
via. Tu non hai bisogno di salame piccante. Lei
sì.»
«Ti
adoro, Rock» biascicò Iris, affondando i denti in
una succosa fetta di pizza.
«Anch’io
ti adoro, Rock» si unì al coro Chelsey, divorando
una fetta di pizza con la
salsiccia.
Dev
guardò la sua, ai quattro formaggi, e borbottò:
«La volevo anch’io, con la
carne.»
«Non
essere schizzinoso. Hai sempre mangiato la quattro
formaggi…» gli ricordò Rock,
aprendo il proprio cartone con i frutti di mare.
«Magari,
oggi volevo cambiare» sottolineò Devereux, pur
afferrando con piacere il suo
trancio di pizza dal cartone.
«Tu
mangi la carne solo se cotta alla perfezione, e di certo non delle
dozzinali
salsicce, o dell’ancor più dozzinale salame
piccante» lo prese in giro Rock,
ammiccando all’indirizzo di una sorpresa Iris.
«Sei
un estimatore della buona carne? Niente barbecue o robe
simili?»
«Siete
voi americani che rovinate la carne gettandola sulla fiamma viva. La
carne va
trattata con maggiore riguardo» sottolineò Dev,
attaccando la seconda fetta di
pizza.
«Vacci
piano, con il ‘voi
americani’. Si dà
il caso che i Walsh discendano da un’antica famiglia
irlandese, perciò di
americano abbiamo solo la cittadinanza» sottolineò
Iris, levando il dito a mo’
di maestrina.
Chelsey
rise di quel comportamento e replicò: «La nostra
famiglia è francese, invece.
Nonna Betty dice che discendiamo direttamente dai re di Francia. Con
Miss Fitz
dobbiamo ancora studiare la storia europea, ma nonno Sam mi ha spiegato
qualcosa e mi ha detto che, a un certo punto, il popolo francese ha
preso il
suo re e…»
Bloccandosi
a metà della frase, fece un ghigno sadico e mimò
il taglio del collo, facendo
ridere tutti i presenti.
«Sì,
mi sembra di ricordare qualcosa del genere» ammise Iris,
ridacchiando.
In
mezzo a quella risata collettiva, però, Chelsey disse
funerea: «Farebbero
qualcosa del genere anche a noi, se ci scoprissero? Per questo, Lucas,
tu non
lo dici al tuo papà? Perché è un
veterinario? Pensi potrebbe fare esperimenti
su di te?»
La
risata si spense così come era nata e, tra sé,
Lucas borbottò: “Benedetti
bambini e le loro orecchie
attente!”
“Ormai
non è più
una bambina, ma una giovane signorina a cui si è ribaltato
il mondo. E’ ovvio
che si chieda il perché di tanta segretezza” replicò Iris,
conciliante.
Sospirando,
Lucas annuì suo malgrado e, carezzando col dorso della mano
la guancia di
Chelsey, asserì: «Parlerò a breve con
mio padre, visto che è ormai chiaro che
sarebbe assurdo continuare a mentire. Tra le mie prossime uscite con
Iris e
quelle che, inevitabilmente, dovrò fare con te,
comincerà a chiedersi cosa stia
combinando, e non voglio che gli passino per la testa idee strane.
Inoltre, è difficile
dover sempre mentire a un familiare.»
«Quindi,
potrò dire tutto a Roxy?» domandò
speranzosa Chelsey.
Lucas
dovette scuotere il capo e dire: «Mi spiace, ma è
troppo presto, per lei.
Lasciatevi il tempo di crescere. Alla vostra età le amicizie
vanno e vengono
come il passare delle stagioni e, anche se ora pensi che sia la tua
amica per
sempre, le cose potrebbero cambiare, e lei potrebbe non
capire.»
Il
viso della ragazzina si adombrò, a quelle parole, e la sua
replica fu acida.
«Roxy
capirebbe. Lei mi vuole
bene.»
Fu
Dev a intervenire, in quel frangente.
«Fagiolina,
visto come stanno le cose, dobbiamo fare quel che ci dice Lucas. Nel
bene e nel
male, è quello che da più tempo sa di questa
faccenda.»
Chelsey
lo guardò con aperta sfida e, per Dev, fu difficile
sostenere quel nuovo
sguardo, quella nuova figlia che, a conti fatti, avrebbe potuto
ribellarsi al
suo potere genitoriale, se avesse voluto.
Devereux,
però, non si fece minimamente intimidire dal piccolo lupo
che stava strepitando
dietro gli occhi della figlia e, lapidario, dichiarò:
«Per ora è un no,
Chelsey. Senza se e senza ma.»
«Antipatici.
Tutti quanti» sbuffò lei, afferrando la sua fetta
di pizza per poi andarsi a
sistemare in una poltrona isolata, lontano dal tavolo degli adulti.
Guardando
spiacente Dev, Lucas disse: «Mi dispiace, ma davvero non si
può fare. La
segretezza è vitale, in questi casi.»
«Lo
so bene. Infatti, Chelsey si adeguerà, o le
toglierò i CD di Ariana Grande, se
farà la dispettosa» disse Dev, scatenando subito
la figlia.
«Non
lo faresti mai!» sbottò la ragazzina facendo tanto
d’occhi.
«Lo
farò, invece, se soltanto subodorerò un tuo
qualche genere di ribellione. Mi
spiace, fagiolina, ma il tempo dei giochi infantili è
finito, per te. Mi fa
star male il solo pensarlo, credimi, e ti avrei risparmiato volentieri
questa
grana, ma è toccata a te, e devi imparare a
conviverci.»
Iris
fece per replicare al suo tono così duro ma, scrutando il
suo profilo e
avvertendo il battere nervoso del suo cuore, fu certa che per Dev non
fosse
stato facile parlare a quel modo alla sua adorata figlia.
Doveva
pesargli un sacco negarle qualcosa eppure, in quel frangente, Chelsey
avrebbe
dovuto ingoiare il boccone amaro e accettare la verità.
Non
era più soltanto una
bambina, ma
anche una giovane licantropa, alle prese con un mondo che, non solo non
sapeva
nulla di loro ma che, con tutta probabilità, sarebbe
inorridito al solo
conoscere la loro realtà.
«Odio
la mamma…» piagnucolò Chelsey,
abbandonando il trancio di pizza sul bracciolo
della poltrona per poi esplodere in un pianto dirotto.
Dev
si levò in fretta dalla sedia per raggiungerla e, presala in
braccio, iniziò a
cullarla tenendola stretta tra le possenti braccia.
Negli
occhi, lo stesso odio che Iris aveva sentito nella voce di Chelsey.
Se
Julia fosse stata ancora viva, da qualche parte nel mondo, Iris era
più che
certa che avrebbe sentito quel livore scivolarle sulla pelle. E non era
del
tutto sicura che non se lo meritasse appieno.
N.d.A.
cosa sarà la voce che avverte Iris nella sua mente? Un amico
o un nemico? E Chelsey sarà in grado di mantenere il
segreto, o si lascerà sfuggire qualcosa con l'amica? (1) John Dunbar: nome del protagonista di "Balla coi Lupi", film con Kevin Costner. Per chi non lo avesse visto, il titolo richiama il nome che la tribù Lakota Sioux diede appunto a John Dunbar, soldato dell'Unione, dopo averlo visto "danzare" assieme a un lupo nella Prateria. Da qui la battuta di Dev, visto che è letteralmente circondato da lupi.
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
8.
Alla
fine, Chelsey rimase a casa da scuola per una settimana. Il crollo
emotivo
avuto al camping era perdurato per ben due ore e, per diretta
conseguenza, Dev
si era intestardito con il volerla portare a casa per curarla di
persona.
E
senza scocciatori al seguito.
Nessuno
dei presenti aveva osato parlare od obiettare qualcosa ma, dopo sette
giorni di
assoluto silenzio – solo Rock aveva sentito Dev, e unicamente
per constatare
che non si sarebbe presentato in ditta – Iris si convinse nel
voler tentare un
approccio.
Era
in ansia per Chelsey ma, a dirla tutta, anche per Devereux.
Chiudersi
a riccio sui problemi poteva essere molto pericoloso, e poteva condurre
a
problemi ben più gravi di quelli da cui si era partiti.
Imboccando
lo stradello che conduceva alla casa di Dev e Chelsey, quindi, non
seppe bene
cosa aspettarsi dalla coppia padre-figlia, ma ugualmente
proseguì nei suoi
intenti. Quando però vide due auto posteggiate dinanzi allo
chalet, si domandò
se non fosse il caso di tornare in un secondo momento.
Evidentemente,
avevano già visite, e non era il caso di piombare ella
stessa in casa di Dev
per ficcare il naso.
L’uscita
di gran carriera di Chelsey dalla casa, tutta sorridente e
gesticolante, la
bloccò però dal fare retromarcia e, posteggiato
che ebbe la Smart in un
angolino appartato, discese e sorrise alla bambina.
Chelsey
non attese che Iris la raggiungesse. Balzò dalla veranda
direttamente nel
cortile, mettendo in mostra i suoi poteri di lupetta e, dopo aver corso
velocemente verso di lei, la abbracciò con forza ed
esclamò: «Che bello! Sei
venuta!»
«Mi
mancavi» ammise Iris, stringendola a sé per un
istante prima di indicare le auto
e domandare: «Avete ospiti? Posso tornare in un altro
momento… e tu potresti evitare di
usare i tuoi
poteri…»
Chelsey
però rise e, presala per mano, la indirizzò verso
lo chalet asserendo: «Sono i
nonni, e papà gli ha raccontato tutto. Ha detto che sarebbe
stato sciocco
mentire sulla loro unica nipote. Per questo non mi hai vista, in questi
giorni.
Ci è voluto un po’ per… far digerire
tutta la faccenda.»
«Oh,
capisco. E… sanno anche di me e Lucas, quindi?»
domandò titubante la donna, non
sapendo bene cosa preferire, se il totale anonimato o altri alleati in
quella
stramba avventura.
«Papà
ha pensato che tanto valesse scoperchiare completamente il vaso. Spero
tu non ne
sia offesa. Lo ha fatto a fin di bene, e dei miei nonni ti puoi fidare
assolutissimamente» mormorò la ragazzina,
intrecciando le mani in preghiera.
«Se
non cercheranno di impagliarmi, sarà già un
risultato» cercò di ironizzare
Iris, pur tremando dentro di sé.
Cosa
doveva aspettarsi da dei completi estranei? Finché si
trattava della loro
nipotina, tutto poteva andare; ma lei? Nessuno li obbligava al voto del
silenzio, se si trattava di un’estranea.
Quando,
però, fece il suo ingresso nella casa e Chelsey sorrise
orgogliosa nel
presentarla, Iris si ritrovò circondata dalle braccia esili
e calde di una
donna di circa sessant’anni, piccola di statura ma dal cuore
forte e indomito.
«Oh,
cara… grazie per tutto quello che hai fatto!»
esclamò la donna, prendendole poi
il viso tra le mani per attirarla a sé e darle un bacetto
affettuoso sulla
fronte.
«Dio,
mamma, dai… così la sconvolgi!»
brontolò Dev, seduto sul divano a gambe e
braccia larghe, del tutto rilassato e completamente padrone di
sé.
E
lei che aveva pensato di trovarli disperati e senza alcun appiglio cui
aggrapparsi!
La
donna – Betty, a questo punto, pensò Iris
– si volse a mezzo e lanciò
un’occhiata raggelante al figlio, replicando: «Sei
tu che hai carta vetrata al posto
del cuore, ragazzo. E’ giusto che io ringrazi colei che ha
aiutato la mia
fagiolina a superare i primi momenti nella sua nuova pelle!»
Alle
spalle di Betty, un uomo alto e bruno, in tutto simile a Dev anche se
più
anziano e stempiato, allungò entrambe le mani per afferrare
gentilmente quelle
di Iris, asserendo: «I miei più vivi
ringraziamenti, miss Walsh. Non sappiamo
come ringraziarla.»
«Ah…
beh, ecco…» tentennò lei, non sapendo
bene come comportarsi.
Non
sapeva esattamente cosa si era aspettata, entrando nello chalet, ma
quella
reazione non era tra quelle tanto paventate.
Guardando
disperata Dev, si sentì dire in risposta:
«Chiediti perché mi sono barricato in
casa per tutta la settimana. E’ stato per salvarti
da questi esaltati del ringraziamento.»
Un
coro di ‘Dev! Ma
insomma!’ si levò
dai presenti ma lui, imperturbabile, si limitò a scrollare
le spalle,
aggiungendo: «E’ verissimo, invece, e lo state
dimostrando soffocandola di
attenzioni senza neppure pensare al suo disorientamento. Non vi siete
neanche
presentati, Cristo Santo!»
A
quell’accenno, i quattro adulti dinanzi a Iris reclinarono
imbarazzati il capo
e Chelsey, mossa a pietà, disse: «Loro sono nonno
Sam, nonna Betty, nonna
Jennifer e nonno Graham.»
Iris
allora accennò un sorriso un po’ teso e disse:
«Beh, piacere di conoscervi.
Spero di non aver disturbato, con la mia comparsata a
sorpresa.»
Jennifer
fu la prima a muoversi, dopo quel momentaneo imbarazzo corale e,
presala
sottobraccio, replicò: «Oh, no, affatto. Anzi,
cavare notizie da quella bocca
cucita del mio ex genero è quasi impossibile,
perciò ci fa piacere averti qui.
E scusaci per le reazioni cui sei stata testimone, ma la nostra Chelsey
è così
importante che, tutto ciò che la riguarda, ci
emoziona.»
«Mi
è parso evidente» assentì lei,
lanciando un’altra occhiata a Dev, che si limitò
a fare nuovamente spallucce.
Evidentemente,
lui doveva essere ben più che abituato al quel genere di
fratellanza tra nonni,
perché non sembrava affatto sorpreso da tutta quella
situazione strampalata.
Accomodandosi
su una poltrona, Iris strinse le mani sulle ginocchia e, sorridendo
nervosamente di fronte a quattro paia d’occhi assai attenti e
scrupolosi,
balbettò: «C-che volete s-sapere,
dunque?»
I
nonni di Chelsey si guardarono vicendevolmente, forse non sapendo quale
di loro
– a maggior diritto – avrebbe dovuto cominciare con
le domande. Dopo una serie
di sguardi indagatori, comunque, fu Jennifer a porre la prima domanda.
«Aiuterà
ancora nostra nipote?»
Sbattendo
le palpebre per la sorpresa, Iris assentì senza problemi.
Quella era una risposta
molto semplice da dare. «Ma certo. Non dovete avere alcun
dubbio.»
Un
sospiro collettivo di sollievo colse i nonni al gran completo e Sam,
grato,
disse: «E’ un piacere sapere che mio figlio non le
ha tolto la voglia di
aiutare la nostra piccola. Sa essere così indisponente,
quando vuole.»
«Grazie,
papà. Che bello essere apprezzati»
biascicò Dev, sorseggiando irritato la sua
birra.
«Ammettilo,
ragazzo, non ci sai fare con le donne» gli fece notare Sam,
levando un
sopracciglio con evidente contrarietà.
«E
ti chiedi anche il perché?» sbottò il
figlio per diretta conseguenza. «Scusa,
Jen, scusa, Graham, ma parliamoci chiaro. Julia mi ha dato una bella
lezione di
vita, in merito.»
«Oh,
tesoro, non ti devi scusare. La prima a essere arrabbiata con lei, sono
io»
scosse una mano Jennifer. «Come mamma, le vorrò
sempre bene, ma ciò non mi
esime dall’essere anche furiosa per come si è
comportata.»
Sam,
comunque, scosse una mano per cancellare quel singolo episodio e
asserì:
«Capisco che con Julia non sia andata bene, ma avresti potuto
essere felice con
altre donne, in seguito, ma hai sempre nicchiato.»
«Magari
non sono cose da affrontarsi di fronte a una persona a cui non
interessa un
accidente?» buttò lì Dev, lanciando
un’occhiata vagamente imbarazzata a Iris.
Che
si vergognasse delle sue remore a trovare una donna, dopo Julia? O
c’era
dell’altro che voleva tenere nascosto?
Iris
si incuriosì non poco di fronte a un comportamento
così ritroso e, decidendo di
volersi prendere la famosa vendetta predetta a Dev, sorrise al
quartetto di
nonni e disse: «Oh, ma io sono interessata anche alla
felicità di Dev, è ovvio,
non solo a quella di Chelsey. Se sta bene uno, sta bene anche
l’altro.»
«Ben
detto, ragazza. L’ho sempre sostenuto, io, che la
serenità in famiglia è
basilare, per questo pensavo che Alyssia sarebbe andata bene, per il
ragazzo»
dichiarò Graham, lanciando un’occhiata saputa
all’indirizzo di Devereux.
Incenerendo
con lo sguardo Iris, ben comprendendo quale fosse il gioco della donna,
lui
replicò caustico: «Graham, sai benissimo
perché Alyssia non va bene, …come
nessun’altra di quelle che ci hanno provato
con me, del resto.»
«E
quale sarebbe il motivo? Rendici edotti» volle sapere Sam.
Anche
Chelsey stava ascoltando con piacere e divertimento. Dev si
sentì davvero preso
in trappola, ma la rabbia era tale – constatò a
sorpresa Iris – che parlò
ugualmente.
Sospirando,
si passò le mani tra i capelli e ammise con gelida amarezza:
«Chelsey sarebbe
stata un di più. E non
ditemi che mi
sogno le cose, perché il mio cervello funziona ancora bene,
nonostante le
stramberie di questi ultimi giorni. Conosco le ragazze di Clearwater
molto
meglio di voi, e so come la pensano. Magari avrebbero voluto un figlio,
più
avanti, e lei sarebbe stata messa in secondo piano, e questo non lo avrei mai permesso.»
«Ma
Alyssia…» tentennò Betty.
«Alyssia
più di tutte, mamma, non l’avrebbe mai accettata.
Lei ha sempre voluto ciò che Julia
aveva, e lo sai bene anche tu. Non
giriamoci tanto intorno. Persino suo padre lo sa, perché
è sempre stato lui a
evitare che quelle due, assieme, finissero in galera» ammise
Devereux,
sorprendendo i quattro nonni.
Con
tono amaro, l’uomo aggiunse: «Quando non vi dico le
cose, esiste un perché.
Alyssia e Julia erano sempre assieme, quando si cacciavano nei guai, o
compivano qualche furtarello. Brutto da dire, visto che una delle due
è la
figlia del capo della polizia. Ma Alyssia Rochester era così
e, ora che Julia
non c’è più, cerca me perché
sono il solo legame esistente con lei, con la sua
metà oscura che era Julia. Io sono solo un mezzo, non un
interesse reale, e
Chelsey avrebbe finito per diventare la stessa cosa.»
Un
silenzio pesante come piombo calò sulla casa e Chelsey,
sedendosi al fianco del
padre, gli strinse la mano a mo’ di conforto, quasi a volersi
scusare per la
loro insistenza.
Lui
le sorrise a mezzo, dandole un buffetto sul naso e Iris, sentendosi
tremendamente in colpa per essersi spinta così in
là, mormorò: «Qualcuno vuole
delle polpette di patate?»
«Io»
disse subito Dev, alzando la mano. «Le ho finite, e ne ho un
bisogno estremo,
adesso.»
Alzandosi
dalla poltrona come se fosse stata una molla, Iris prese con
sé Chelsey perché
la aiutasse e, una volta in cucina, mormorò:
«Credi che le polpette basteranno
per farmi perdonare, o devo fare qualcos’altro?»
«Che
ne dici di torte di cioccolato a soufflé?»
«Oh,
sì. Al microonde, impiegherò un attimo a
farle» assentì Iris, mettendo mano
alla dispensa.
Dopo
quel colpo gobbo, non solo sentiva di essersi vendicata, ma di essere
in debito
con Dev. Aveva davvero esagerato, pur se incolpevolmente.
***
Salutando
i nonni di Chelsey al pari della bambina e del padrone di casa, Iris
reclinò il
braccio non appena le due auto ebbero svoltato la curva, svanendo
dietro la
coltre di abeti.
A
quel punto, lanciando un’occhiata preoccupata
all’indirizzo di Dev, la donna si
chiese cosa sarebbe successo a quel punto.
Le
polpette di patate erano state accolte con favore, così come
le piccole torte
monodose preparate al microonde. Dev si era limitato però a
mangiare nel più
completo silenzio, e questo aveva forse spinto i genitori e gli ex
suoceri ad
andarsene nel primissimo pomeriggio.
Non
avendo altro da fare all’esterno, Chelsey tornò in
casa – subito seguita dai
due adulti – e dichiarò: «Vado a
sistemare la camera, va bene?»
«Sì»
disse soltanto Dev, restando nell’atrio assieme a Iris che,
non sapendo bene cosa
fare, si strinse le mani dietro la schiena e guardò turbata
il padrone di casa.
Questo,
sbuffando leggermente, le indicò di tornare in salotto e
disse: «Grazie per le
polpette, comunque.»
«Di
niente» mormorò lei, sedendosi sul divano.
Lui
prese posto su una poltrona, accese l’enorme televisione da
65 pollici e,
quando ebbe trovato un canale musicale, vi si stabilì e
abbassò un poco il
volume perché creasse solo un sottofondo, ma non impedisse
di parlare.
Di
cosa in particolare, Iris non ne aveva idea.
Le
braccia poggiate sulle cosce e le mani intrecciate tra loro, lo sguardo
di Dev
era puntato sul pavimento di legno, ma Iris immaginò che non
lo stesse
realmente vedendo.
Sembrava
piuttosto perso nei suoi pensieri, forse non in grado di mettere bene a
parole
ciò che voleva dirle ma, ugualmente, parlò.
«Da
quando Julia se ne andò, quei quattro non fecero altro che
stringersi attorno a
noi come una rete di protezione» iniziò col dire
Dev, con tono sommesso e,
forse, un po’ esasperato. «Ammetto che, senza di
loro, non sarei riuscito ad
affrontare certe fasi della crescita di Chelsey ma, ora come ora, mi
sento solo
strangolare.»
«Scusa
se ho insistito perché parlassero. Non avevo idea che vi
fosse questo, dietro
alla tua… ritrosia. Non
avrei mai
dovuto ficcare il naso.»
«No,
in effetti…» asserì senza alcuna remora
Dev, facendola tremare per un principio
di rabbia. «… ma ammettiamolo; sei stata
sbalestrata nel bel mezzo della mia
famiglia senza averlo chiesto, esattamente come non hai chiesto quello
sfregio
e ciò che ha comportato.»
Iris
si guardò l’avambraccio coperto da tessuto
cicatriziale e assentì muta. No, non
lo aveva chiesto, ci si era semplicemente trovata nel mezzo e aveva
cercato di
districarsi in quel ginepraio come meglio aveva potuto.
«Non
mi va di parlare del passato, né tanto meno delle mie donne
– o della loro
totale assenza – ma, visto che ormai il vaso è
stato aperto…»
«Non
è necessario» sottolineò Iris.
Dev,
però, scosse il capo e replicò: «Julia
mi ha distrutto in molti modi, ma l’aver
abbandonato Chelsey è stata solo la goccia che ha fatto
traboccare il vaso. Ho
sempre creduto di poter essere l’unico a salvarla dai suoi
incubi, dalle sue
manie autodistruttive, pensando scioccamente che amandola abbastanza,
accudendola e proteggendola, questo avrebbe fatto la
differenza.»
Iris
assentì, non sapendo come ribattere. Lei non aveva mai avuto
al suo fianco un
uomo capace di simili attenzioni e, pur se aveva avuto le sue
esperienze, erano
state tutte effimere come l’aria.
Ne
era la riprova la totale assenza di interesse da parte dei suoi ex
partner.
Nessuno l’aveva cercata per chiederle dove fosse finita, o
perché fosse
partita.
Aveva
condotto una vita essenzialmente vuota di sentimenti, a L.A., con
l’unica
eccezione dei genitori, degli zii e dei bambini dei centri diurni.
Si
era divertita nell’essere la figlia di un potente
industriale, e aveva goduto
dei vantaggi portati da una simile posizione, limitandosi a fare quello
che
facevano le altre per il quieto vivere in società.
La
sua parte più vera, più sensibile e
più empatica l’aveva lasciata ai ragazzi
dei centri di recupero e alle scuole pubbliche, ben lontane dal suo
quotidiano
scintillante e vacuo.
Non
aveva mai voluto fonderli per paura di non essere capita.
Beh,
quel viaggio era stato rivelatore anche in questo. Il fatto che neppure
colei
che aveva considerato la sua migliore
amica avesse resistito più di qualche mese, senza
vederla, era la riprova
che neppure lei era stata molto brava nel gestirsi – o
scegliersi – le
compagnie.
Un
bel boccone amaro da mandare giù.
«Julia
non volle sposarsi, pur aspettando Chelsey, e io la accontentai anche
in
questo, decidendo che un po’ di libertà non
avrebbe potuto che aiutarla a
chetare le sue paure. Diedi il nome alla piccola, proteggendola a
livello
legislativo, ma ancora Julia non parve soddisfatta. Sapendo quel che so
ora, ne
comprendo i motivi… ma avrebbe
dovuto
fidarsi di me.»
Quelle
ultime parole fecero tremare la voce di Dev, e dissero a Iris i veri motivi per cui, nel cuore
dell’uomo, il tenero sentimento provato per la compagna era
morto del tutto,
sostituito dalla più totale indifferenza.
La
verità – e la sua totale mancanza – era
stata la mannaia che aveva sgozzato definitivamente
quell’unione, riducendola in pezzi.
«Permettere
ad Alyssia, come a qualsiasi altra donna, di avvicinarsi a Chelsey per
poi
rischiare la medesima sorte, mi sembrava inaccettabile. E,
checché se ne dica,
un uomo può vivere anche senza una donna»
terminò di dire Devereux, passandosi
una mano sul viso prima di rilassare la schiena contro il morbido
schienale
della poltrona.
Annuendo,
Iris mormorò: «Nessun uomo della mia vita, tolti
mio padre e mio zio, ha mai
pensato di proteggermi sempre e comunque, indipendentemente dai miei
errori.
Questo viaggio, perciò, ha messo in evidenza quanto io mi
sia crogiolata in
queste certezze, finendo con il non impegnarmi nelle relazioni che
avevo con
gli altri. Davo per scontate le
attenzioni degli altri, senza replicare in alcun modo.»
Dev
assentì muto e Iris, sfiorando con un dito la pelle levigata
della ferita da
artiglio, aggiunse: «Ero una stupida egoista e una fifona,
che non voleva far
conoscere agli altri chi ero veramente. La Iris Walsh di L.A. era solo
una
donna che pensava a divertirsi grazie ai soldi di papà, e
che si sentiva
superiore alle persone presenti alle serate di gala o ai vernissage, e
solo
perché ero segretamente impegnata nel sociale. Avrei dovuto
essere più onesta e
ammettere ciò che facevo, invece di far finta di nulla,
adeguarmi alla
situazione e nascondere ciò che realmente pensavo.»
Nel
dirlo, sorrise mesta e Dev, scuotendo il capo, replicò:
«Ti sei accorta del tuo
errore. Mi sembra già una buona cosa.»
«Già.
Me ne sono resa conto solo perché ho perso la mia vita
precedente per diventare
una fuggiasca. Non ho avuto il coraggio di affrontare a
casa il mio problema, e ho preferito squagliarmela»
ammise Iris,
irritandosi un poco. «Il viaggio per trovare una cura?
Sì, forse ci credevo
anche ma, dopo aver saputo di Julia, ho avuto modo di riflettere e, a
conti
fatti, cosa ho mai combinato di diverso? Ho abbandonato la ditta di
famiglia
nelle mani di mio zio che, per quanto capaci, non
sono le mani di un Walsh. Mi sento come se avessi tradito i
miei genitori, comportandomi così.»
Dev
non parlò, si limitò ad assimilare le sue parole,
soppesandole e cercando di
comprenderle.
Alla
fine, però, disse: «Non sei scappata, stavolta.
Sei rimasta. Avresti potuto andartene alla prima avvisaglia di
pericolo,
lasciando me e Chelsey con il solo aiuto di Lucas. Avresti potuto
farlo, e chi
saremmo stati noi, per obiettare? Non siamo nessuno, per te. Eppure, sei qui.»
Iris
si guardò intorno smarrita, sbattendo freneticamente le
palpebre per non
iniziare a piangere e Dev, con un sospiro, aggiunse: «Per
quel che mi riguarda,
la Iris di Clearwater non è una stupida egoista, e non credo
lo fosse neppure
quella di L.A. Quella ragazza era ancora acerba, credo. E poi, hai
ammesso tu
stesso che tuo zio è un tipo in gamba. Non hai tradito i
tuoi genitori, ma hai
lasciato la loro eredità nelle mani di una persona capace e
che, quando tu non
sei stata in grado di prendertene cura, si è impegnato per
preservare il
lascito di voi Walsh.»
La
prima lacrima sfuggì alla gabbia delle palpebre senza che
Iris se ne rendesse
conto e, quando anche le altre seguirono la loro sorella, Dev si
levò dalla
poltrona per sedersi accanto ad Iris.
Lì,
strinse un braccio attorno alle esili spalle della donna e, roco,
mormorò:
«Piangi pure, sottiletta. Immagino che avrai collezionato
lacrime da spendere
per un bel po’ di motivi. Prometto che non ti
prenderò in giro.»
Lei
fece per mandarlo al diavolo, ma dalla sua bocca uscì solo
un rauco gracidio,
seguito da un singhiozzo, e le tanto invocate lacrime ebbero finalmente
il loro
sfogo.
Dev
lasciò che lei si appoggiasse completamente contro il suo
petto e, quando
Chelsey discese in fretta le scale, attirata da quel pianto, la bambina
si
accucciò al suo fianco, poggiando il capo sulle sue
ginocchia.
Fu
così che Iris lasciò che le lacrime e il rimorso
uscissero dal suo corpo,
permettendole di accettare i propri limiti e decidendo di mettersi in
gioco per
creare una nuova se stessa, una nuova Iris.
Forse
avrebbe sbagliato nuovamente, e non sarebbe stata soddisfatta del
risultato, ma
avrebbe tentato. Con le sue sole
forze, non grazie all’aiuto di papà e mamma.
Quando
infine quello sfogo ebbe un termine, Dev le sfiorò il viso
con un fazzoletto
dopodiché, indicando il bagno, mormorò:
«Sciacquati. Hai il viso tutto rosso.»
Iris
assentì e si levò dal divano, ringraziando poi
con un sorriso Chelsey.
Quando,
però, Dev fu solo con sua figlia, si lasciò
andare a un sospiro tremulo e
mormorò: «Abbracciami, fagiolina.»
La
figlia non se lo fece ripetere e, pur se non con la stessa
intensità e durata,
anche Dev pianse.
Pianse
in silenzio, senza dire nulla, lasciando solo che quelle perle salate
scaturissero dai suoi occhi, permettendogli di abbandonare una volta
per tutte
il suo risentimento.
Aveva
odiato Julia, aveva desiderato vendicarsi, forse anche ucciderla per
ciò che
aveva fatto a lui e a Chelsey, ma ora si rendeva conto di quanto quei
desideri
fossero stati futili.
Lui
non aveva perso nulla, poiché Chelsey era ancora al suo
fianco. Lui la amava, e
lei amava lui. Tanto gli bastava.
Da
lì in poi, sarebbe stato tutto nuovo e, finalmente, avrebbe
potuto dire di
vedere le cose a mente sgombra.
Non
più odio, non più rabbia repressa o finta
rassegnazione. Solo Devereux. Solo
Chelsey.
Quando,
perciò, Iris tornò da loro, lui le rivolse un
mezzo sorriso e disse: «Ti avevo
promesso ‘niente battute’,
ma cavoli…
non hai proprio il viso adatto per piangere!»
Iris
lo mandò debitamente al diavolo e Dev, con una risata,
assentì e dichiarò:
«Andiamo a prendere un gelato. Ne ho proprio
voglia.»
«Anche
se allo Strawberry c’è Alyssia?»
domandò curiosa la figlia.
«Sarà
una buona occasione per mettere in chiaro un paio di cose»
annuì l’uomo,
facendo spallucce.
Ciò
detto, si levò dal divano e salì al piano
superiore per cambiarsi.
Chelsey,
allora, fissò divertita Iris e chiosò:
«Direi che è okay.»
«Direi
anch’io. Dopotutto, tuo padre non è impazzito,
dopo quello che gli abbiamo
scaricato addosso» ammiccò Iris in risposta al
commento della ragazzina.
«Vorrei
tanto vedere la mamma, adesso» disse Chelsey, sorprendendo
non poco la donna,
che la fissò con i chiari occhi verdi spalancati e pieni di
domande.
La
ragazzina scrollò le spalle e, seria in viso,
dichiarò: «Vorrei poterle dire
che, d’ora in poi, al papà ci penserò
io, e che lei non è – né
sarà – più la
benvenuta tra noi. Stiamo bene lo stesso.»
Pur
comprendendo il livore di Chelsey, Iris replicò:
«Non sappiamo cosa l’abbia
spinta davvero ad allontanarsi.
Forse
pensava che, abbandonandoti, saresti stata al sicuro. Dopotutto, Dev
sarebbe
stato con te, ti avrebbe protetto e amato.»
«Non
ha pensato di dirmi di questo,
però»
mugugnò Chelsey, guardandosi le mani come se ne avesse
paura. «Ho capito perché
non posso dirlo a Roxy, o perché non posso rispondere alle
ripicche di Buck,
ma…»
«E’
tanto da chiedere a una bambina di undici anni, lo so.»
«Signorina.
Io, beh, ecco… sai…» ammiccò
Chelsey, arrossendo un poco.
Iris,
allora, sorrise e replicò: «Oh, scusami. E da
quando?»
«Tre
settimane fa, e…» iniziò col dire
Chelsey prima di interrompersi, guardare il
cielo sgombro di nubi oltre le alte porta-finestre e domandare a Iris:
«Perché solo adesso?»
«Forse,
perché sei cambiata. Per l’appunto, non sei
più una bambina, ma una signorina,
perciò eri pronta» borbottò Iris,
pensierosa. «Di per sé, avrebbe senso. Non
sei più in fase prepuberale.»
Chelsey
venne colta da un secondo, più preoccupante dubbio e,
fissando vagamente
ansiosa Iris, esalò: «Ma… sei io ce
l’avevo nel sangue da quando sono nata, non
è che ora diventerò grande e grossa come
Lucas?!»
Iris
pensò per un attimo al fisico statuario di Lucas che, pur
non assestandosi
sulle dimensioni incredibili di Rock, era assai alto e dalle spalle
ampie.
Non
sapendo davvero cosa rispondere alla ragazza, la donna
asserì: «Beh, direi che
non è il caso di preoccuparcene ora. Penso che dovremo
pensare a cose più
impellenti, adesso.»
«E
cioè, quali?»
«Chiedere
a Lucas di insegnarti a parlare mentalmente»
dichiarò Iris, toccandosi la
fronte. «Ho notato che non hai mai tentato di
farlo.»
«Per
la verità, sentivo dei bisbigli nella testa, mentre voi lo
facevate, ma non
riuscivo a inquadrarli, come se la mia radio fosse fuori
portata» ammise
Chelsey.
«Allora,
prima di tutto, penseremo a quello» decise Iris, prima di
udire dei passi sulle
scale.
Volgendosi
a mezzo, Iris dovette costringersi a non lasciar cadere la mascella,
quando
vide Dev in maniche di camicia e jeans schiariti.
Non
sapeva esattamente perché, visto che lo aveva scorto
più volte con
quell’abbinamento, ma poteva essere colpa della camicia in
raffinato cotone
egiziano, dello stesso tono di grigio dei suoi occhi.
Di
una cosa, comunque, era certa. Dev si era messo il profumo, il che la
sconcertò
parecchio e, al pari di Chelsey, storse il naso e borbottò:
«Butta quell’eau de
toilette.»
«Perché?»
gracchiò Dev, puntando le mani sui fianchi con espressione
burbera e fermandosi
a metà della scalinata.
Anche
Chelsey fu d’accordo con Iris e brontolò:
«Copre il tuo odore, che è più buono,
e mi pizzica il naso.»
Devereux
guardò il soffitto con espressione esasperata e, sollevando
le braccia come per
mandarle a quel paese, tornò al piano superiore
bofonchiando: «Mi ci mancavano pure
due segugi in casa…»
***
Mezz’ora
e sette boccette tra profumi, dopobarba e deodoranti dopo, riuscirono
finalmente
a partire dallo chalet e Iris, scrutando spiacente tutto ciò
che avevano fatto
togliere dal bagno di Dev, mormorò: «Scusa davvero
tanto, ma non hai bisogno di
quella roba.»
«Ti
perdono solo per via delle polpette» sbuffò
l’uomo, avviandosi lungo la via per
scendere in paese. «Di sicuro, Rock sarà
felicissimo di prendere i miei profumi
e quant’altro. Spero soltanto che, su di lui, non farete le
stesse storie.»
Sia
Iris che Chelsey si dimostrarono degnamente imbarazzate e Dev,
sospirando,
esalò: «Sindacherete anche con lui?!»
«Beh,
dopotutto, è uno dei pochi che sa di noi, e passeremo un
sacco di tempo
insieme, perciò…» tentennò
la figlia, non sapendo dove guardare.
Dev
masticò un’imprecazione indefinibile tra i denti
e, dopo aver inchiodato la
jeep accanto a un cassonetto, scese di buon passo, prese i vari flaconi
e lì
gettò via, risalendo subito dopo.
Non
disse nulla, e le due passeggere non osarono fiatare ma, quando
raggiunsero lo
Strawberry Moose, fissò entrambe arcigno e
ringhiò: «Sappiate una cosa. Adoro
l’aglio e voi non mi costringerete
a smettere di mangiarlo, è chiaro?»
«Limpido»
annuirono entrambe con vigore.
«Bene»
bofonchiò l’uomo, dirigendosi verso la porta del
locale, subito seguito da una
mogia Iris e una spiacente Chelsey.
Non
appena furono all’interno del locale – piuttosto
vuoto, a quell’ora del
pomeriggio – il barista salutò Dev con un cenno
della mano e un sorriso,
cercando nel contempo di non ridere di fronte alle espressioni cupe
delle due
donne dietro di lui.
«Ehi,
amico! Giorno di pausa?» celiò Cameron, mentre il
gruppetto si avvicinava al banco
dei gelati.
«Diciamo
di sì» assentì vago Dev.
«Coraggio, scegliete.»
Iris
si sentì trattata alla stregua di una seconda figlia e, per
qualche motivo, la
cosa le diede un fastidio immenso ma, al tempo stesso, le
scaldò il cuore.
Era
da tempo che non si sentiva davvero parte di qualcosa, e i modi acerbi
e un po’
goffi di Devereux le piacevano, anche se erano spesso venati di ironia
nei suoi
confronti.
«Cameron,
puoi darmi una coppetta con cioccolato e vaniglia?»
domandò Chelsey, scrutando
golosa la distesa di gusti dinanzi a lei.
«Ti
lanci verso nuove avventure, Sysy? Non hai mai provato gusti a base di
crema…»
ironizzò Cameron, preparandole il gelato.
«Sono
grande, per i sorbetti» celiò Chelsey, prendendo
di buon grado la sua coppetta.
«Per
lei, signorina?»
«Solo
Iris, grazie. Mi dia pure gli stessi gusti, ma aggiunga anche la
granella di
cioccolato» disse la donna, sorridendo generosamente.
«Ecco
a lei, Iris.»
«Andate
a sedervi» borbottò subito dopo Dev, scrutando
sulla porta della cucina la
figura alta e slanciata di Alyssa Rochester.
Cameron
fece finta di nulla e, mentre Iris e Chelsey raggiungevano un tavolo
d’angolo,
Dev disse: «Preparami una coppetta con pistacchio e nocciola,
mentre scambio
due parole con Alyssia.»
Cameron
assentì ma non si mosse, immaginando senza troppa
difficoltà che le parole
sarebbero state ben più di due e che, nel frattempo, il
gelato avrebbe finito
con lo sciogliersi, nell’attesa che lui finisse.
Dev,
a quel punto, oltrepassò il bancone, si appoggiò
allo stipite della porta della
cucina e, dopo avervi sbirciato all’interno per capire se vi
fossero orecchie
in ascolto, disse: «Dimmi pure ciò che ti passa
per la testa, Aly. Hai
un’espressione che mi preoccupa.»
Lanciata
solo un’occhiata veloce al tavolo di Iris e Chelsey, la donna
replicò con una
punta di veleno: «Serviva una straniera, per farti abbassare
la guardia? O è il
fatto che sia la classica bionda americana e un po’
svampita?»
Cosciente
che Iris non solo stava ascoltando, ma che poteva percepire alla
perfezione ogni
loro parola, Dev sperò che avesse abbastanza sangue freddo
per non esplodere e,
scrollando le spalle, replicò: «Hai parlato con
lei, per poter dire che è
svampita? O ti basi sugli stereotipi della TV? Inoltre, cosa vuoi dire
con ‘abbassare la guardia’?
Non mi sembra di
aver fatto sesso con lei in mezzo al paese, o cose simili, per portarti
a dire
scemenze simili.»
Cameron
sollevò sorpreso le sopracciglia, a quelle parole ma, prima
che uno dei due
contendenti potesse accorgersi del suo malcelato interesse,
afferrò una
vaschetta mezza piena di gelato e si defilò in cucina con la
scusa di volerla
riempire.
Alyssia
lo fissò ugualmente con espressione accigliata, ma non gli
disse nulla,
limitandosi a Dev come oggetto del suo astio.
«Dico
soltanto che mi sembra assurdo mettere tua figlia nella condizione di
illudersi, quando sappiamo entrambi che quella tizia tornerà
a casa sua non
appena si stancherà della campagna e di questo ambiente
bucolico. Quelle di
città sono tutte così.»
Dev,
allora, sorrise divertito e asserì: «Altro
stereotipo. E da dove ti viene
questo improvviso interesse per Chelsey quando, fino a poche settimane
fa, a
parte un ‘ciao’
e un buffetto sul
naso, non ti esprimevi, con lei? Devo ricordarti che, a suo tempo,
consigliasti
Julia di abortire?»
«La
gente cambia» si limitò a scrollare le spalle lei.
«In
così poco tempo?» ironizzò Devereux,
sempre più incredulo di fronte al
comportamento infantile della donna. «Aly, per rispetto verso
tuo padre sono
venuto a chiarire le cose con te, ma non mi obbligava di certo nessuno.
Sei
pregata di non dare fastidio alla mia amica Iris perché, a
quanto pare, Chelsey
le si è legata molto e, ciò che vuole mia figlia,
lo può avere.»
«La
stai viziando» sottolineò aspra Alyssia.
«Devo
compensare ciò che le è venuto a mancare, non
credi?»
Accusando
il colpo, Alyssia replicò caustica: «Julia avrebbe
dovuto seguire il mio
consiglio e abortire. Non era pronta. E’ questo che
l’ha allontanata da… da
Clearwater.»
Quel
leggero tentennamento – oltre alle parole terribili proferite
da Alyssia – fece
aggrottare la fronte di Dev, che ringhiò:
«Allontanata …da te?
Era questo che volevi dire? Se pensi che Julia fosse
preoccupata di questo, ti sbagli. Certo, eravate amiche e tutto quel
che vuoi,
ma non eri indispensabile come, a quanto pare, lei lo era per il tuo
equilibrio
mentale.»
«Tu
non sai niente di ciò che ci legava! Lei era mia
amica!» sibilò Alyssia. «Lei
non mi avrebbe mai lasciata qui da
sola, se tu non l’avessi costretta a tenere Chelsey,
e…»
Devereux
scosse un braccio per bloccarne l’arringa e, furioso,
dichiarò: «Aly, a Julia
interessava sfruttare le persone. Punto. Ha sfruttato me come ha
sfruttato te
e, quando non le è più bastato quello che aveva
qui, se n’è andata. Avere me
non ti ridarà ciò che avevi con lei. Io
non sono Julia. Non potrò mai essere
ciò che lei era per te.»
La
donna reclinò il capo e, torva, mormorò:
«Tu non puoi capire.»
Ciò
detto, si portò una mano al cuore e strinse, come se
realmente sentisse dolore,
come se il vuoto lasciato da Julia fosse tangibile, reale. Come se,
andandosene, le avesse strappato via dal petto una parte di lei.
Dev
sospirò e, perdendo ogni desiderio di infierire,
terminò di dire: «Ti ha
lasciato un vuoto dentro, lo so, ma non posso essere io a colmarlo.
Mettiti il
cuore in pace, Aly.»
Lei
lo fissò malissimo ma non replicò e Dev, dopo un
istante, tornò al banco dei
gelati – dove Cameron era tornato alla chetichella
– e infine raggiunse Iris e
Chelsey al tavolo.
Nessuna
delle due fiatò, limitandosi a terminare lentamente i loro
gelati e Dev,
sospirando nuovamente, borbottò: «Poi vi chiedete
perché sto alla larga dalle
donne? Come si fa ad avere a che fare con voi senza diventare
pazzo?»
N.d.A.: Spaccato
familiare e nuove conoscenze. A
quanto pare, i nonni di Chelsey sono unanimemente concordi nel ritenere
Iris
una specie di eroina, e la cosa la lascia vagamente sconvolta.
Scopriamo
inoltre perché Dev abbia
sempre tenuto a distanza Alyssia. Non era davvero
la donna adatta a lui, o alla figlia.
Stando
così le cose,
Alyssia lascerà perdere, o proseguirà nella sua
personale battaglia contro i mulini
a vento per riavere indietro un passato che non potrà mai
tornare?
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
9.
Il
sole si era levato da almeno un paio d’ore e la giornata
prometteva di essere
calda e piacevole, nonostante un leggero vento da nord portasse con
sé il
profumo freddo delle nevi alaskiane.
Aprile
aveva lentamente lasciato il posto a maggio, diventando ogni giorno
più tiepido
e più conforme agli standard cui Iris era stata abituata per
anni.
Non
che dovesse più temere il freddo, grazie alla sua nuova
termoregolazione, ma
sarebbe parso strano anche in quelle lande che lei si avventurasse per
le vie
di Clearwater in canottiera e shorts.
«E
così, pensi di fermarti per molto?»
mormorò lo zio al telefono, mentre Iris
sistemava sul letto il libro che avrebbe iniziato quella sera.
Trovava
che ricominciare a leggere i gialli di Agatha Christie fosse una cosa
positiva.
Non ricordava quasi nulla, di quegli scritti, e voleva riprenderli in
mano
tutti. Inoltre, il solo fatto che le fosse tornata
voglia di leggere, denotava quando, la sua nuova vita, stesse
riprendendo
un ritmo più normale e meno sincopato.
L’aria
di Clearwater le faceva bene per più di un motivo, a quanto
pareva.
«Credo
di sì. Così potrò indagare meglio e
scoprire se qualcuno sa qualcosa» asserì
cauta Iris, infilando nel cassettone laterale il resto dei libri non
scelti.
Non
sapeva esattamente perché ma, dopo aver detto la
verità a così tante persone, e
in così poco tempo, aveva la necessità di
trattenere per sé almeno qualche
informazione.
Le
sembrava di essersi esposta fin troppo e, anche se suo zio conosceva la
verità su di lei e su
Lucas, non era del tutto
necessario che sapesse anche la storia di Chelsey e Julia.
Forse,
se tutto fosse andato per il meglio, gliene avrebbe anche parlato, ma
non in
quel momento.
Trovava
che approcciare le vicende della famiglia Saint Clair fosse davvero
prematuro,
perché forse suo zio non avrebbe compreso cosa la spingesse
a rendersi tanto
disponibile verso una bambina appena conosciuta.
Inoltre,
ciò che era successo a Julia e Devereux era così
privato e intimo che non se la
sentiva di parlare per loro a terze persone.
Era
già sufficiente accettare che Dev conosceva di lei un sacco
di cose – fin
troppe, per essere un uomo che conosceva sì e no da un mese
– senza dover
allargare oltre la cerchia di persone informate
sui fatti.
Dalla
sua, andava detto che neppure Dev si era risparmiato, quanto a
confessioni,
visto e considerato che si era ritrovato, gioco forza, in una cosa
più grande
di lui.
Scoprire
da un giorno all’altro che la figlia, come secondo mestiere,
faceva il lupo
mannaro, non doveva essere facile per nessuno. Soprattutto se si
considerava
che, a lasciare questo discutibile lascito alla pargola, era stata
l’ex
compagna che lui mal sopportava.
«Beh,
spero che la cosa si possa risolvere alla svelta. Qui manchi a tutti,
Iris» le
disse Richard. «Ringrazia Lucas da parte nostra per
l’aiuto che ti sta dando.»
Non
sapeva se era vero che mancava proprio a
tutti, visto e considerato che, all’interno del
Consiglio, alcuni erano
stati restii ad accettarla come erede dei genitori – e delle
loro quote. Ugualmente,
però, Iris lo ringraziò per quelle parole e, dopo
averlo pregato di salutarle le
cugine e la zia, chiuse la chiamata e sospirò.
Lo
sguardo le cadde fuori dal finestrino del camper, da cui si poteva
scorgere la
foresta immensa e sterminata.
Tutt’altro
genere di panorama l’avrebbe accolta a L.A., se mai fosse
tornata.
Già.
Se fosse tornata.
Quel
lungo e spesso infruttuoso viaggio le aveva permesso di allontanarsi da
una
città caotica che sempre meno sentiva come sua e, trovandosi
in un luogo di
pace come quello, la sensazione era aumentata fino a diventare
imbarazzante.
Clearwater
le piaceva e, anche se in un paese piccolo come quello, si era spesso
preda di
pettegolezzi – la quasi lite
tra Dev
e Alyssia era già diventata di dominio pubblico –
il tutto era compensato dalle
magnifiche atmosfere e dalla certezza che nulla durava per sempre.
Al
prossimo pettegolezzo succoso, lei e Dev sarebbero passati di moda come
il
cambio di stagione negli armadi e le persone avrebbero smesso di
sorriderle
sornioni.
Certo,
qualche battuta in tal senso – e la speranza di qualche
commento succoso su
Saint Clair – ci sarebbe comunque stata, ma tutto si sarebbe
smorzato alla
svelta.
Il
solo pensiero la fece ridere e, nell’alzarsi dal divanetto
per uscire dal
camper dopo la sua lauta colazione – tre panini con burro di
arachidi e
prosciutto, accompagnati da un fiume di latte caldo – si
stiracchiò e si
preparò per la sua scampagnata.
Ormai,
per lei, era diventata una consuetudine piacevolissima, e non vi era
più sentiero
che non conoscesse a menadito.
Il
fatto non trascurabile di poterli percorrere con gli occhi di un lupo
mannaro –
e perciò carpirne i segreti come nessun esperto
escursionista avrebbe mai
potuto fare – le dava inoltre molte soddisfazioni.
Quel
pomeriggio, come da programma, avrebbe accompagnato Chelsey nel bosco.
Nell’attesa,
però, avrebbe scelto il luogo più interessante, e
sicuro, da percorrere e si
sarebbe impegnata a preparare il necessario per un pic-nic.
Con
loro, avrebbero portato anche la chitarra, unendo così
l’utile – imparare a
conoscere i propri corpi di lupo – al dilettevole, e
cioè suonare.
L’idea
di insegnarle a suonare la chitarra e, assieme a ciò,
passeggiare per il bosco
come lupi, le era venuta spontaneamente. Al primo esperimento, poi, ne
era
seguito un secondo e, visto che i loro tentativi erano risultati
soddisfacenti,
le due avevano proseguito.
Chelsey
veniva da lei ogni qualvolta non doveva rimanere a scuola il pomeriggio
e,
insieme, si recavano nel bosco armate di compiti, chitarra e zaini per
gli
abiti.
Devereux
si era dichiarato d’accordo – lieto che Chelsey
potesse prendere piena
coscienza d quella nuova parte di sé – e,
più di una volta, si era unito a loro
per quelle scampagnate fuori porta.
Forse,
quel giorno, si sarebbe unito a loro. Chissà?
Uscita
che fu dal camper, già pronta a mettersi
all’opera, Iris dovette fermarsi sul
predellino più basso della scaletta per osservare guardinga
la figura di
Alyssia Rochester, ferma a pochi passi da lei.
«Ah…
buongiorno» disse cauta Iris, terminando di scendere.
Alyssia
accennò un saluto col capo, prima di domandare:
«Posso disturbarti per due
chiacchiere?»
«Certo»
assentì Iris. Due chiacchiere non avevano mai ammazzato
nessuno, e lei poteva
difendersi agevolmente, all’occorrenza. «Vuoi fare
una passeggiata, o
preferisci accomodarti?»
«Una
passeggiata va bene» dichiarò Alyssia, annuendo.
Iris,
allora, la raggiunse nello stradello inghiaiato e, con lei, si
incamminò per
raggiungere uno dei sentieri per famiglie che si snodavano dal
campeggio verso
la foresta e il lago limitrofo.
Non
sapendo cosa aspettarsi, Iris rimase in silenzio, le mani in tasca, in
attesa
che Alyssia decidesse cosa dirle. Era indubbio il suo desiderio di
esprimere a
parola il suo disagio, ma Iris non aveva davvero idea in cosa questo
desiderio
si sarebbe tradotto.
Avrebbe
pianto, o l’avrebbe ingiuriata a male parole?
Quando
furono fuori dalla portata visiva dell’ufficio di Lucas e
dirette verso il
sentiero che conduceva al vicino lago, Alyssia esordì
dicendo: «Immagino che
Dev ti abbia parlato di me.»
«So
che sei stata una grande amica di Julia, la sua ex compagna»
mormorò Iris, non
sapendo quanto spingersi in là.
«Sai
di Julia?!» esalò sorpresa – e vagamente
irritata – la donna, squadrandola con
i suoi caldi occhi marroni.
Ad
Iris tornarono in mente le spade laser dei guerrieri jedi; gli occhi di
Alyssia
erano brucianti e taglienti allo stesso modo.
«Chelsey
mi racconta un sacco di cose, e alcune me le ha spiegate
Devereux» ammise Iris,
scrollando le spalle.
Alyssia,
allora, rise sardonica e replicò: «Beh, non
credere a tutto quello che ti dice,
perché Dev è uno sporco bugiardo e farebbe di
tutto per passare come la vittima
della situazione.»
Accigliandosi
leggermente, e decidendo di darle corda per capire dove volesse andare
a
parare, Iris mormorò sorpresa: «Dici che Julia non
si è allontanata
spontaneamente?»
«E’
ovvio che non se
n’è andata di qui di
sua spontanea volontà!» protestò
Alyssia, accalorandosi. «Sono più che certa
che Julia sarebbe rimasta accanto a Chelsey, se
avesse potuto. Ovviamente, Dev non ti ha detto che ha cercato
di
internarla, vero?»
Giungendole
quella notizia del tutto nuova, Iris scosse il capo con vigore e
Alyssia,
sorridendo trionfante, dichiarò:
«L’hanno sempre creduta pazza, ma Julia era
soltanto uno spirito libero. Dev non l’ha mai capito e ha
sempre cercato di
tarparle le ali, di farla diventare una
sua creatura e, quando gli è sembrato di non poter
ottenere altro, da lei,
ha tentato di rinchiuderla in una rehab.»
Iris
sbatté le palpebre confusa, e questo concesse ulteriore
spazio di manovra alla
sua interlocutrice.
Passandosi
nervosamente una nella folta e liscia capigliatura color mogano,
Alyssia si
lappò le labbra, lanciò uno sguardo denso di
ricordi al vicino lago – ove stavano
navigando alcune barche di turisti – e mormorò:
«Voglio solo avvertirti di
stare attenta, perché potrebbe spogliarti di tutto
ciò che hai – e che sei –
prima di gettarti via senza alcun riguardo, esattamente come ha fatto
con
Julia.»
Iris
rimase in silenzio finché non raggiunsero il bivio che
conduceva nel bosco e
lì, poggiatasi contro la staccionata che delimitava il
sentiero che
circumnavigava l’ampio lago, ne scrutò le acque
limpide e color turchese.
In
quel periodo dell’anno, e grazie alla giornata splendida,
assomigliava a uno
scampolo di cielo.
«Se
Devereux è questo mostro di iniquità come lo
dipingi, perché lo volevi per te?»
le domandò infine Iris, volgendosi a mezzo per scrutarne il
bel volto.
Se
non fosse sempre stata accigliata e in lotta con il mondo, sarebbe
stata una
splendida ragazza dalle chiare radici nativa ma, stando così
le cose, gran
parte del suo fascino si eclissava.
Alyssia
la fissò torva, di fronte a quella domanda, e
replicò: «Io non mi sarei fatta
imbrigliare da lui, e avrei saputo domarlo, non farmi
domare.»
«Onestamente,
non capisco tutta questa gran fatica, visto che sembri detestarlo. Ci
sono
uomini altrettanto affascinanti, in zona, e che richiederebbero meno
sforzi,
perciò te lo richiedo. Perché lui?»
ribatté Iris, facendosi seria e
concentrandosi sulle reazioni spontanee del corpo della donna.
Il
suo cuore era ribollente, nel petto ansimante e gli occhi, due esili
fessure
scure, parevano quelli di una persona divorata da demoni davvero
spaventosi.
«Ti
ha già traviata, vedo. Non sono arrivata in tempo»
le ritorse contro Alyssia,
scuotendo il capo.
«No,
guarda, sei proprio sul binario sbagliato» asserì
Iris, facendo sorgere un
sorriso beffardo sul suo viso. «Ho abbastanza cervello per
fare due più due,
anche se tu mi consideri una bionda svampita…»
A
quell’accenno Alyssia avvampò, ma Iris
continuò nella sua arringa.
«…Devereux
non mi ha contagiata con nessun morbo di qualche tipo, non mi tiene
prigioniera
in cantina per i suoi scopi malvagi e io non sono un burattino nelle
sue mani.
Però, so riconoscere una donna ferita
nell’orgoglio, e che non sa accettare la
sconfitta.»
«Ti
sbagli di grosso!» sbottò Alyssia, alterandosi
ulteriormente e slanciando su un
fianco il braccio sottile, come a voler scacciare un nemico.
«Julia non si
sarebbe mai lasciata alle spalle la figlia, se Dev non
l’avesse costretta. E
poi… e poi, eravamo troppo legate, perché lei mi
abbandonasse senza una
spiegazione. E’ solo colpa di Dev!»
Il
dolore che Iris lesse negli occhi di Alyssia era reale, reale quanto
folle e,
per certi versi, pericoloso. Sì, lei credeva davvero in
ciò che diceva. Riguardo
a Julia, quanto meno, il che le dava un’idea sommaria di
quanto la donna avesse
distorto la realtà per poterla rendere accettabile ai suoi
occhi ossessionati.
«E
tu volevi averlo per te per poi vendicarti su di lui? Perché
ti ha allontanato
dalla tua migliore amica? Volevi questo?» le
domandò Iris, mettendo infine le
carte in tavola. «O c’è qualcosa di
ancora più perverso, dietro le tue mire?»
«Non
fidarti di lui. E’ solo un bugiardo» le disse
soltanto Alyssia, volgendosi per
tornare al campeggio senza concederle alcuna replica.
Iris
si limitò a scrollare le spalle, non volendo crearsi
problemi laddove non ve
n’erano. Che Alyssia credesse pure a quel che voleva.
Non
l’avrebbe rincorsa per lanciare un’arringa in
difesa di Devereux, perché non
avrebbe avuto alcun senso. Da quell’orecchio, a quanto
pareva, Alyssia non
avrebbe mai sentito.
Era
chiaro quanto, la scomparsa di Julia, l’avesse turbata e
avesse rotto il suo
fragile equilibrio psicologico, ma lei non voleva entrare nel merito.
Certo,
le avevano dato fastidio le parole espresse nei confronti di Dev, ma
lei non
era il suo paladino, e davvero non credeva che lui avesse bisogno di
una
protezione di qualche genere.
Inoltre,
credeva che la sola idea lo avrebbe irritato e basta.
Tornandosene
perciò in tutta calma al campeggio, Iris cercò di
farsi passare l’irritazione
provata ma, quando raggiunse la sua piazzola di sosta, non
poté contenere l’ira
nel notare gli pneumatici della Smart tagliati di netto.
L’odore
di Alyssia era ovunque, perciò non poteva sbagliarsi sul
fautore di un simile
sgarbo. Ciò che la trattenne dall’andare
immediatamente alla polizia fu che, in primis,
la simpatica canaglia era la
figlia del comandante e, in seconda istanza, lei non poteva dire di sentire il suo odore attorno all’auto.
Come
avrebbe potuto dimostrarne la colpevolezza, senza prove?
La
rabbia quindi crebbe e, quando vide Lucas avvicinarla con aria
guardinga, non
se ne stupì.
Potendo
parlarsi mentalmente, non trovava strano che ne avesse percepito anche
il
malumore. In quel momento, con tutta probabilità,
trasmetteva come una radio a
tutto volume, e soltanto improperi a spron battuto.
«Sapevo
che avrei dovuto fermarla…» sbuffò
Lucas, prima ancora di chiederle lumi.
«Non
c’è il divieto di accesso ai pedoni, visto che uno
degli ingressi al parco si trova
nel campeggio» scrollò le spalle Iris, guardando
irritata le gomme a terra.
Quello
scherzetto le sarebbe costato sui quattrocento dollari, più
o meno, e non avrebbe
neppure potuto sporgere denuncia.
«Avrei
comunque dovuto prevederlo. In ogni caso, se pensa di passarla liscia,
si
sbaglia di grosso» sbottò l’uomo,
avviandosi per tornare all’ufficio.
Iris
lo seguì dappresso e replicò: «Mica
possiamo andare alla polizia e dire che
abbiamo sentito l’odore di Alyssia attorno
all’auto, ti pare?»
«Faremo
di meglio» le fece notare lui, indicando con il pollice una
delle telecamere di
sorveglianza del campeggio.
Iris
sentì rifiorire la speranza al solo vederle e, preso
sottobraccio Lucas,
mormorò: «Sappi che ti sto adorando,
adesso.»
Lui
rise, ma disse torvo: «Il capo Rochester non sarà
affatto contento, ma neppure
sorpreso… e temo che questo costerà caro ad Aly.
Ma non possiamo permetterle di
infastidirti. Per cosa, poi?»
«Ah,
sì… voleva mettermi in guardia dal naso lungo di
Devereux. Dice che è un
bugiardo, che mi ferirà così come ha ferito
Julia, e altre baggianate simili»
lo mise al corrente Iris, mettendo ironia e sconcerto nella sua voce.
«Mi ha
messo un po’ paura, ma non tanto per le parole, quanto per il
fatto che sembra realmente convinta
che sia tutta colpa
di Dev. Il che mi porta a chiedermi perché lo voglia nella
sua vita.»
«Come
temevo, ti ha vista come una minaccia alle sue follie, e si
è mossa di
conseguenza» scosse il capo Lucas.
«Non
riesco a capire se sia perversamente innamorata di Dev, o se sia
semplicemente
matta» asserì Iris, entrando in ufficio assieme a
Lucas.
«Dubito
che Alyssia, così come a suo tempo Julia, sia in grado di
amare in maniera
altruistica. Sanno possedere,
questo
sì, ma credo nient’altro.»
Ciò
detto, controllò le registrazioni delle telecamere e, dopo
aver individuato i
fotogrammi che interessavano loro, li copiò su una chiavetta
USB e borbottò: «Suo
padre si incazzerà di brutto.»
«Non
mi interessa sporgere denuncia e danneggiarla in qualche modo, ma non
desidero
neppure ripetere l’esperienza»
sottolineò Iris.
Lucas
la fissò con intensità, non sapendo se essere
d’accordo con lei o meno ma, alla
fine, disse: «Sarà più di quanto
otterrai da lei.»
«Mi
basta che se ne stia alla larga da me» scrollò le
spalle la giovane.
«Quando
lo saprà Dev, le strapperà i capelli dalla testa.
Detesta queste tirate» chiosò
Lucas, salendo sul suo pick-up, subito seguito a ruota da Iris.
«Beh,
dovrà farsela passare, visto che non è a lui che
hanno tagliato le gomme, ma a me.»
«Si
incazzerà perché Alyssia l’ha usata
come scusa per danneggiarti. Non ama questo
genere di scaricabarile» le fece capire Lucas, ingranando la
marcia.
Clarisse
si volse incuriosita verso di loro mentre sistemava alcune aiole nei
pressi
dell’entrata del camping, e li guardò con
espressione dubbiosa. Quando furono a
tiro, domandò: «E’ successo qualcosa,
ragazzi?»
«Alyssia
ha colpito ancora» sbuffò Lucas.
La
donna si accigliò visibilmente, guardò Iris e
mormorò: «E’ per via di
Devereux.»
Non
fu una domanda, ma una constatazione, e questo irritò un
poco Iris, che replicò
scocciata: «Ma una donna, da queste parti, non può
avere una sana relazione di
amicizia con un uomo senza, per questo, finirci a letto?»
Clariss,
allora, scoppiò in una calda risata, assentì ma
disse per contro: «Certo,
tesoro. Ma non è così succoso, come
pettegolezzo.»
Iris
scosse il capo, esasperata e, scuotendo il capo mentre Lucas ripartiva
per
raggiungere la stazione di polizia, si domandò se si sarebbe
mai abituata a
quel clima paesano.
Clearwater
le piaceva, ma poteva fare benissimo a meno del suo ficcanasare
continuo.
***
La
stazione della Reale Polizia a Cavallo di Clearwater parve a Iris
più un centro
diurno per gli amici di paese, che un luogo in cui la legge veniva
fatta
rispettare.
La
bassa costruzione a due piani era di un caldo color beige, che ben si
sposava
con il tetto color cioccolata in laminato.
Nei
pressi dell’entrata, sormontata da una tettoia a doppio
spiovente, un paio di
auto erano posteggiate entro le strisce di delimitazione e Iris, nel
passarvi
accanto, percepì odore di dolciumi e di patatine fritte.
Che
qualche ragazzino si fosse messo nei guai, e fosse finito sul sedile
posteriore
di una delle auto della polizia?
Lucas
la guidò all’interno, indicandole il bancone
dell’accettazione, dove una pingue
signora dai tratti tipici dei Nativi Americani sorrise loro e
domandò: «Cos’hai
combinato, Lucas, per presentarti qui con una donna? Sei per caso
rinsavito?»
Il
giovane scoppiò a ridere per alcuni istanti, prima di
asserire: «Mi spiace, Miriam,
ma non è davvero successo. Sono qui perché
abbiamo bisogno di parlare con il
comandante Rochester.»
Accigliandosi
un poco, la donna tornò a scrutare Iris per alcuni istanti
e, dubbiosa, disse:
«Se vuoi, ti mando l’ufficiale Lewis.»
Lucas
scosse il capo e, funereo, mormorò a bassa voce:
«No, Miriam. Abbiamo davvero
bisogno di Jordan.»
A
quel punto, Miriam scosse a sua volta il capo, sospirò e,
nel pigiare un
pulsante dell’interfono, borbottò:
«Cos’altro avrà combinanto, quella
benedetta
ragazza?»
Iris
non si stupì più di quel tanto, nel sentirla
parlare a quel modo. A giudicare
dal grado di psicosi di Alyssia, non doveva essere nuova a tirate
simili, né al
fatto che, a farne le spese, fosse una donna.
Il
ronzio dell’interfono fece da contraltare alla voce profonda
e vagamente stanca
del comandante che, dopo aver ascoltato il rapido messaggio di Miriam,
garantì
la sua presenza nel breve decorrere di qualche minuto.
Lucas,
allora, la ringraziò al pari di Iris e, assieme, andarono ad
accomodarsi nella
zona di attesa, mentre il vociare degli agenti al telefono si
confondeva con il
chiacchiericcio di chi stava attendendo.
Iris
colse l’occasione per guardarsi un po’ intorno e,
sulle bacheche appese ai
muri, notò pubblicità di alcuni campeggi nella
zona, un paio di denunce di
scomparsa di cani da caccia e qualche depliant sui corsi di autodifesa.
“Non
abbiamo i most
wanted appesi ai muri, se era questo che
stavi
cercando” le trasmise Lucas, sorridendole a mezzo.
Lei
accennò un sorrisino e replicò: “Non
lo
credevo davvero. Dopotutto, siamo in Canada.”
“Oh,
credimi,
abbiamo anche noi i nostri casi umani, ma in generale penso che siamo
un
tantino più controllati di voi.”
“Lo
credo
anch’io”
assentì Iris, prima di venire incuriosita da un odore in
particolare.
Non
era propriamente quello di Alyssia, ma ne aveva dei tratti in comune e,
quando
levò il capo a scrutare il corridoio, vide un uomo sulla
cinquantina
avvicinarsi a loro con passo veloce.
Indossava
la tipica divisa canadese dalla giubba rossa e i pantaloni scuri da
cavaliere,
oltre a stivali in pelle alti al ginocchio.
La
fondina da pistola, che portava allacciata alla cintura, sembrava non
essergli
d’impaccio, nel suo incedere militaresco e, tra
sé, Iris si disse che Liza, nel
vederlo, sarebbe sicuramente impazzita.
Se
c’era una cosa che adorava la sua cuginetta sedicenne, erano
le divise. Per la
Reale Polizia a Cavallo, poi, aveva un’autentica venerazione.
In
quel momento, però, non erano lì per divertirsi,
ma per parlare con Jordan
Rochester di ciò che era appena avvenuto al campeggio.
Gli
occhi neri dell’uomo non sembravano sorpresi di vederla e,
quando invitò sia
Lucas che lei nel suo ufficio, la giovane si domandò come si
sarebbe svolta,
quella chiacchierata informale.
Oltrepassata
una porta a vetri satinati, Iris scorse un mobilio spartano, un paio di
sedie
dinanzi a una classica scrivania in ferro e legno, raccoglitori in
plastica,
diverse scartoffie un po’ ovunque e alcune foto appese alle
pareti.
Stranamente,
non vide foto della famiglia.
Dopo
averli invitati a sedere, Rochester si accomodò sulla sua
poltroncina da
ufficio, si mosse leggermente sulle ruote e, poggiato un gomito sul
sottobraccio di finta pelle della scrivania, dichiarò:
«La signorina Iris
Walsh, se non erro.»
«Sì,
signore» assentì lei, sul chi vive.
«La
mia centralinista mi ha detto che avevate bisogno di parlare con me personalmente. Ne deduco che il problema
che vi assilla mi riguardi in qualche modo, e molto da
vicino» disse ancora il
comandante, lasciando scivolare fuori dalla bocca un amaro sospiro.
«Temo
di sì» annuì Iris, lanciando
un’occhiata a Lucas, che estrasse da una tasca la sua
chiavetta USB.
Rochester,
allora, si volse a mezzo, prese da un cassetto il suo notebook, lo
accese e,
mentre il computer si caricava con un sordo ronzio, domandò
a Lucas: «Alyssia
ha fatto qualcosa all’interno del tuo campeggio,
ragazzo?»
Già
sapeva che il problema dipendeva dalla figlia. Quante altre volte aveva
dovuto
coprirla, o pagare per i suoi errori? Iris davvero non lo sapeva, ma
dubitava
che le rughe sul volto dell’uomo dipendessero solo
dall’età.
«E’
tutto visibile nel video di sorveglianza» si
limitò a dire il giovane, ombroso
in viso.
L’uomo
sospirò ancora e, dopo aver inserito la chiavetta e avviato
il video, divenne
di ghiaccio. Era lampante quanto, ciò che stava vendendo,
non fosse di suo
gradimento, pur se forse non del tutto inaspettato.
Rochester
non disse nulla fino alla fine del video e, quando questo si
interruppe, scrutò
Iris e domandò: «Vuole sporgere
denuncia?»
«Vorrei
soltanto non essere più fatta oggetto di un simile atto
deliberato» replicò la
giovane. «Non so perché sua figlia non mi abbia
creduto, quando le ho detto che
non sono interessata al signor Saint Clair, ma di certo non credo di
meritare questo.»
Rochester
assentì lentamente quanto stancamente, mormorando per
contro: «Temevo che la
faccenda di Devereux sarebbe saltata fuori, prima o poi. Ne
è sempre stata
ossessionata, in qualche modo.»
«Jordan…
comandante Rochester…» si corresse alla svelta
Lucas, sapendo bene che, entro
quelle mura, l’uomo non era il suo vecchio allenatore di
baseball, ma un agente
della polizia. «…Alyssia ha deliberatamente
danneggiato una mia cliente,
all’interno del mio campeggio.
E’
inaccettabile, e lo sa bene.»
«Ne
sono consapevole, e Alyssia pagherà salato lo scotto di aver
voluto comportarsi
come una scellerata…» annuì
l’uomo, con tono lapidario. «… ma,
innanzitutto,
vorrei scusarmi con lei, miss Walsh, per il gesto di mia figlia.
Speravo che le
terapie mediche e il lavoro l’avrebbero calmata ma, a quanto
pare, i suoi
problemi permangono.»
“Terapia?
Questa
non la sapevo. Tu ne eri al corrente?”, chiese Iris a Lucas, mentre
ringraziava il comandante per le sue parole.
“Onestamente,
neppure ci pensavo più. Alyssia seguì una terapia
psicologica quando aveva
sedici anni. Durò più o meno un anno e mezzo, se
la memoria non mi inganna. Più
tardi, quando Julia scappò, andò per qualche
settimana a Vancouver, o così
dissero. E’ chiaro che, invece, deve essere rientrata in
clinica, visto che ha
parlato al plurale.”
“Quindi,
ho a
che fare con una pazza?”
“Non
so se sia
il termine giusto. Non seguii attentamente la cosa perché,
onestamente, Alyssia
non era del mio giro, ma non credo che sia mai stata ritenuta malata di
mente,
se è questo che intendevi.”
Iris
lasciò perdere la conversazione mentale con Lucas
– era difficile parlare con
lui e stare attenta alle parole del comandante – e, rivolta
all’ufficiale di
polizia, dichiarò: «So tenere a bada le donne
gelose, mi creda, ma vorrei che vi
fossero almeno i motivi a sostegno di questa gelosia, ecco
tutto.»
L’uomo
assentì ancora e, con un ultimo sguardo a Lucas, disse:
«Faccia pure mandare il
conto del gommista qui in ufficio. Penserò io a saldarlo.
E’ il minimo che
possa fare, visto che non ha intenzione di sporgere denuncia.»
Iris
annuì senza dire altro e Lucas, nell’alzarsi
assieme a lei, dichiarò: «Non
potrà più entrare nel campeggio. Non me lo posso
permettere.»
«Le
dirò anche questo» annuì
l’uomo, congedandoli poi con un saluto fiacco.
Usciti
che furono dall’ufficio, la coppia si fermò per un
istante nel piazzale per
godersi la luce del sole e lì, quando fu certa che nessuno
ascoltasse, Iris
domandò: «Cos’è? Una
tara?»
Lucas
scrollò le spalle e, dopo averla invitata a salire sul
pick-up e aver messo in
moto, le disse: «La moglie di Rochester ebbe un crollo
nervoso quando il
fratellino di Alyssia annegò nel Dutch Lake. Aveva sei anni
circa, mentre Aly
ne aveva dieci. Da quel giorno, Sandra non fu mai più la
stessa, e neppure
Alyssia. La madre continuò a credere che il figlio fosse
vivo, e che qualcuno
glielo stesse tenendo nascosto, così avviò
campagne di ricerca, richieste di
aiuto alle contee vicine,… insomma, fece un gran putiferio
per nulla e, come
diretta conseguenza, Aly venne messa da parte per un fratello
morto» le spiegò
Lucas, sospirando pesantemente.
«Quindi,
lei si è ritrovata a elemosinare l’amore della
madre. E il padre?» mormorò
Iris, sgranando leggermente gli occhi per la sorpresa.
«Era
così attento a prendersi cura della moglie malata, e
impedirle di farsi del
male, che trascurò la sola figlia rimasta» ammise
suo malgrado il giovane. «Qui
subentrò Julia. Divennero buone amiche, durante il periodo
delle scuole medie
e, subito, Alyssia le si legò come un koala al proprio
albero. A Julia questo
fece molto piacere perché, notoriamente, amava essere
idolatrata e trattata
come una mezza divinità.»
Nel
dirlo fu sprezzante quanto caustico e Iris si chiese se, in
gioventù, anche Dev
si fosse spinto ad adorarla al pari di una dea. Non ce lo vedeva a
essere così
sottomesso, ma le persone potevano subire molteplici cambiamenti, se
spinte
dall’amore.
«Puoi
ben capire la sua infelicità, quando Julia decise di creare
una famiglia con
Dev. Si sentì abbandonata dalla sua unica figura di
riferimento ma, ancora una
volta, Julia seppe dimostrare tutta la sua doppiezza. Spinse Dev a
vedere
Alyssia come una sorta di sorella e, durante tutta la gravidanza, non
avresti
potuto vedere tre persone più affiatate e unite»
mormorò Lucas, svoltando alla
circolatoria per rientrare al campeggio.
«Devereux
era così disponibile?» domandò sorpresa
Iris.
«Dev
amava Julia, e le avrebbe concesso qualsiasi cosa la rendesse felice e,
effettivamente, fin quando la cosa funzionò, Alyssia fu
dolce e carina con
entrambi loro, e Julia sembrava al settimo cielo. Quando
però lei se ne andò…»
«Alyssia
dette la colpa a Dev, immagino» ipotizzò Iris,
facendo due più due.
Lucas
assentì, arrestando il pick-up dinanzi
all’ufficio.
«I
primi sei mesi furono orribili. Alyssia arrivò a stazionare
sotto casa di Dev
per urlargli tutta la sua rabbia, finché lui non la
minacciò di farla sbattere
al fresco, se non avesse smesso. Rochester, ovviamente, intervenne e
lei smise
di dargli fastidio… sul momento.»
«Immagino
che cambiò idea» dichiarò Iris, senza
timore di venire smentita.
Lucas
scrollò le spalle con rassegnazione, scendendo
dall’auto assieme alla giovane
e, nell’accompagnarla al suo camper, mormorò:
«Forse, Alyssia cominciò a
pensare che, se fosse tornata a far parte della vita di Dev, avrebbe
recuperato
quella felicità che aveva provato durante la gravidanza di
Julia, così cambiò
bandiera e iniziò il corteggiamento. All’inizio,
niente più che un semplice
desiderio di tornare a essere sua amica ma, pian piano, la cosa prese
altre
forme, altre dimensioni… fino ad arrivare ad aggressioni
verbali verso le donne
che cercavano un approccio con lui. E a questo, per terminare in
bellezza.»
«Un’ossessione,
che si è trasformata in una perversione»
mormorò Iris, assentendo grave. «Se
lei non può essere felice al fianco di Dev, che deve
prendere il posto di Julia
nella sua mente contorta, allora Dev non può essere felice a prescindere, e ha creduto che,
minacciando me, avrebbe
danneggiato Devereux.»
«Temo
sia andata così. Ovviamente, mi baso solo su ciò
che ho visto e sentito, ma non
credo di essere lontano dalla verità. Il problema
è che, prima di oggi, è
sempre stata abbastanza scaltra da non spingersi troppo oltre, con gli
atteggiamenti, e perciò non ha mai rischiato di finire in
galera, o peggio.
Tagliarti le gomme è stata davvero un’azione
disperata.»
Iris
assentì e ringraziò Lucas per averla
accompagnata. Lui le garantì che suo zio
avrebbe sistemato gli pneumatici in giornata, così alla
giovane non restò altro
che rientrare nel suo camper per preparare i panini per il pic-nic di
quel
pomeriggio.
La
faceva uscire di testa il fatto di essere stata presa di mira da
un’invasata
ma, più ancora, le dava noia pensare a quello che avrebbe
detto Dev non appena
l’avesse saputo.
Perché
era più che sicura che Lucas, presto o tardi,
gliel’avrebbe detto, o che Dev
avrebbe saputo della sua visita privata
al comandante della Polizia.
Devereux
non era uno stupido, e avrebbe sicuramente collegato Alyssia alla sua
improvvisa visita alla Polizia a Cavallo.
Rigirando
i panini tra le mani mentre li incartava per bene, Iris chiuse gli
occhi e,
ripassando mentalmente i suoi gesti e le sue azioni, si chiese cosa
avesse
potuto scatenare le ire di Alyssia.
Certo,
era stata vista spesso assieme a Dev e Chelsey, e il suo rientro al
campeggio
la mattina seguente la nevicata – con la sua auto sul pick-up
di Devereux – non
aveva contribuito a far scemare i pettegolezzi.
Aveva
però sperato che, mantenendo un comportamento tranquillo e
rilassato con
l’uomo, la cosa sarebbe morta lì.
La
chiacchierata di Dev con Alyssia, però, aveva forse spinto
la donna a credere
tutt’altro, e questo l’aveva scatenata come mai
prima. Le sue continue uscite
con Chelsey, poi, avevano dato il colpo di grazia al suo fragile
equilibrio.
Il
punto era che la sua lupa desiderava morderla, forse anche divorarla.
Era
difficile spiegare alla sua controparte ferina che non si potevano
uccidere le
persone e, soprattutto, non per delle mere offese.
Quando
sentì bussare alla porticina del camper, perciò,
desiderò mandare tutti al
diavolo ma, non appena percepì l’odore di Clarisse
Johnson, si chetò
immediatamente e andò ad aprire.
La
donna si presentò a lei con un contenitore di latta e un
gran sorriso e Iris,
nell’avvertire profumo di nocciole tostate e pasta frolla,
sorrise istintivamente.
Fattala
entrare, Iris le disse: «Se è qui per conto di
Lucas, la ringrazio ma non ho
bisogno di nulla.»
«Oh,
il mio Lucas non può certo dirmi cosa fare, anche se ha la
forza di dieci
uomini e una bocca piena di denti aguzzi» ironizzò
Clarisse, poggiando la torta
sul piano cucina. «Ho saputo cos’ha combinato
quella scapestrata, e volevo
sapere se avevi bisogno di aiuto. Immagino che la tua lupa stia facendo
un gran
baccano, lì dentro.»
Ciò
detto, si toccò la fronte e Iris, sospirando,
assentì.
«Vuole
vendicarsi e, in parte, le darei anche ragione, se non fosse che lei
vorrebbe mangiarsela… ma
credo sia tutt’ora
illegale, in Canada, come in quasi tutti gli Stati della Terra,
mangiarsi
qualcuno per diletto» cercò di ironizzare la
giovane, facendo sorridere
Clarisse.
«Sì,
Trudeau non ha ancora cambiato le leggi sull’omicidio, in
effetti, e credo
neppure gli altri premier in giro per il mondo. Per questo sono qui.
Quando
Lucas era ancora un bambino, e gestire la sua seconda natura era assai
difficile, io gli davo una mano come potevo» le
spiegò Clarisse, afferrando
gentilmente le mani della giovane. «Vuoi respirare un
po’ con me, in un luogo
pacifico e rilassante?»
«Mi
piacerebbe» annuì Iris, chetandosi un poco
nell’affondare nei caldi occhi color
cioccolata di Clarisse.
La
donna, allora, la scortò fuori dal campeggio e, con calma,
si andarono a
sistemare in un prato poco distante, baciate dal sole e abbracciate
dagli abeti
che circondavano la zona.
Lì,
Clarisse si sistemò nella posizione del loto e Iris, un
po’ più a fatica, la
imitò. Essere una lupa mannara le aveva dato
un’elasticità maggiore, ma non era
così pratica come Clarisse.
La
donna le sorrise incoraggiante e, dopo aver chiuso gli occhi, le disse
di
seguire il suo ritmo respiratorio, cercando di mettere in risonanza i
loro
battiti cardiaci.
Iris
non esitò a farlo e, serrate le palpebre, prese un bel
respiro e si concentrò
sul bisbiglio della vita che proveniva da Clarisse.
Ne
ascoltò il respiro, il fluire del sangue attraverso il cuore
calmo, la discesa
e l’ascesa lungo vene e arterie, il deflusso e riflusso
continuo e, pian piano,
si chetò.
Ogni
cosa venne ad annullarsi e, poco alla volta, la sua mente si
lasciò andare a
pensieri più sereni e luminosi.
Fu
a quel punto che la strana voce che, ogni tanto, si faceva largo nel
suo
inconscio, tornò a fare capolino, dicendole: Iris…
prestami orecchio…
La
giovane, spaventandosi immediatamente, sobbalzò e
crollò sulla schiena,
sorprendendo Clarisse e facendola preoccupare per diretta conseguenza.
Ansimante
e con gli occhi sgranati, Iris non cercò di allontanarsi da
quella voce, però
e, anzi, la chiamò dentro di sé a gran voce,
urlando: “Chi sei?!
Perché cerchi sempre di spaventarmi?!”
Non
è il mio
intento, fanciulla. Tutt’altro.
Quel
tono pacato e vagamente antiquato la pacificò un poco e,
rimessasi seduta, fece
un cenno tranquillizzante a Clarisse prima di domandare cauta: “Quindi… chi saresti, per
curiosità?”
Il tuo
soffio di
vita, fanciulla.
Iris
sgranò nuovamente gli occhi, fissò Clarisse con
aria stranita e domandò
dubbiosa: «Che ne sa di anime o cose simili,
Clarisse?»
«Un
po’, perché?»
«E’
possibile che la mia voglia parlarmi?» replicò
Iris con un sorriso un tantino
nervoso.
Clarisse
fece tanto d’occhi ma non si innervosì
più di quel tanto e, facendosi
pensierosa, mormorò: «Visto e considerato che hai
due entità dentro di te, la
donna e la lupa, può darsi che sia lei a volerti
parlare.»
Così
non è,
fanciulla. Io permetto a donna e lupa di vivere. Madre mi concesse di
tornare a
vivere, quando decisi di camminare nuovamente tra i viventi ma, se tu
non fossi
divenuta licantropa, non ci saremmo mai parlati.
Iris
ascoltò con estrema attenzione e, ripetendo parola per
parola a Clarisse ciò
che aveva ascoltato, la vide farsi più accigliata, quasi
stesse cercando nella
sua memoria nozioni legate a simili esternazioni.
La
giovane, nel frattempo, domandò: “Fammi
capire… sei la mia anima?”
Così
è,
fanciulla. Desidero porgerti le mie scuse se ho destabilizzato i tuoi
equilibri, ma tentavo di essere d’aiuto. Purtroppo, non so
ancora bene come
restare in contatto con te, quando la tua mente è caotica.
Quando hai praticato
la meditazione, perciò, ne ho approfittato per approcciarti
e renderti nota la
mia presenza.
Ancora,
Iris prese nota del suo dire e replicò: “Posso
chiederti da dove salti fuori? Hai un modo di parlare assai
antiquato.”
L’anima
rise e, suo malgrado, Iris lo trovò assurdo quanto
divertente. E pensare che
lei aveva trovato strano trasformarsi in un lupo enorme! Questo come
poteva
catalogarlo, allora?
Giungo
da un
tempo in cui le spade e i guerrieri erano predominanti, e in cui i
carri erano
guidati da cavalli, non da macchine di ferro.
“Oookay…
sei
antico. Puoi dirmi qualche nome, giusto per capire a che epoca
appartieni?”
Combattei
nelle
legioni che portarono Erik Ascia Insanguinata al potere.
Iris
afferrò il suo cellulare dalla tasca, digitò quel
nome in fretta e furia e,
quando scoprì che era stato un sovrano norvegese insediatosi
attorno al 930
d.C., comprese molte cose.
Non
era strano che le parlasse in modo tanto arcaico, visto il periodo da
cui, a
quanto pareva, proveniva. La cosa strana è che la sua anima
fosse stata, un
tempo, un essere vivente.
Come
diavolo funzionavano quelle cose? Si riceveva un premio,
nell’aldilà, quindi si
poteva tornare nel corpo di qualcun altro?
Lasciando
però perdere quei pensieri per un altro momento,
domandò: “Bene…
sei stato un guerriero. Di che tipo?”
Talmente
valoroso che, alla mia morte, il mio spirito si elevò e
divenni un landvættir,
un protettore delle genti.
“Fico…
cioè, sì,
insomma… incredibile”
gracchiò Iris, non sapendo bene come comportarsi, in quella
strana conversazione.
Che diavolo era, poi, un landvættir?
A
volte, proprio
non comprendo il tuo modo di dialogare, ma sto cercando di imparare. Vi
sono
cose così inconsuete, in questo tempo!
“Puoi…
vedere e
sentire ciò che vedo e sento io?” domandò un tantino
turbata Iris, non
sapendo quanto essere contenta della cosa.
Solo a
volte, e
per brevi periodi. La tua mente è assai confusa,
poiché non hai ancora trovato
un equilibrio con la tua lupa. Perciò, ho tentato di
intervenire. Per aiutare.
Iris
assentì a più riprese, ancora alquanto
frastornata e, guardando Clarisse, le
spiegò più o meno ciò di cui aveva
parlato con il landvættir dentro
di sé.
La
donna annuì più volte, asserendo meditabonda:
«Nella religione
giudaico-cristiana esiste un luogo chiamato Guph,
dove si trovano le anime che attendono di reincarnarsi in un essere
umano. Se
diamo credito alla voce dentro di te, lui è rimasto in una
sorta di camera di
stasi fino a quando ha deciso di rinascere… e
gli è stato permesso di farlo.»
La
donna ha
ragione… Madre è ciò, e molto altro.
«Lui
parla di Madre. Tu sai cos’è?»
domandò Iris, sentendosi un’ignorante totale.
«Beh,
Madre può essere molte cose ma, trattandosi di un landvættir, che è
una parola di origine norrena, posso dare per
scontato che sia Yggdrasil che, nella mitologia nordica, rappresentava
l’entità
ultraterrena che sorreggeva i mondi» le spiegò
Clarisse, tamburellandosi un
dito sul mento.
Iris
la guardò con espressione simile a una postulante di fronte
alla propria
divinità e la donna, scoppiando a ridere, scosse le mani ed
esclamò: «Cara, non
guardarmi così. Ho solo passato la mia fase new
age molto di tempo fa, e l’argomento faceva parte
della mia iniziazione ai
riti pagani.»
«Immagino,
prima che nascesse Lucas» chiosò Iris,
sorridendole divertita.
«Oh,
eccome. E’ così che conobbi Chuck. Lui era
impegnato a tentare di salvare un
cane da caccia, ferito da un branco di lupi, mentre io ero in compagnia
di un
gruppo di animalisti che voleva mettere i bastoni tra le ruote ai
cacciatori,
proprietari del cane» ironizzò Clarisse.
«Sai quale fu la prima cosa che mi
disse, vedendomi con i grandi cartelloni contro la caccia che stavo
reggendo?»
«Non
lo immagino davvero» scosse il capo Iris.
«Che
la caccia serviva a mantenere l’equilibrio che, nei secoli,
gli uomini avevano
destabilizzato e che, se ciò non fosse avvenuto, nulla avrebbe funzionato nella foresta.
Se era la bilanciatura di
un torto, che io cercavo, dovevo andare altrove a protestare
perché, in quei
luoghi e con quegli uomini in particolare, non si stava facendo nulla
di male.»
«Pragmatismo
puro» esalò Iris, facendo tanto d’occhi.
Clarisse
assentì, aggiungendo: «Naturalmente, io protestai
lo stesso, asserendo che
avrebbe dovuto essere l’uomo ad allontanarsi dalla Natura e
quant’altro e,
mentre Chuck sistemava le bende attorno alla zampa del cane, lui
replicò che,
per quanto io avessi ragione, sarebbe stato assurdo uccidere milioni di
esseri
umani per rendere possibile il mio desiderio.»
«Non
fa una piega.»
«Mi
fece inoltre capire che, se la Natura avesse desiderato la loro
estinzione, era
abbastanza forte per ridurli a cenere e sabbia. In ogni caso, Lei
sarebbe sopravvissuta
a qualsiasi loro errore» asserì Clarisse.
«Fu così che capii che, oltre ai miei
ciechi estremismi, poteva esservi anche altro. Volli conoscerlo, e lui
desiderò
conoscere me… e le nostre rispettive visioni si ampliarono
un po’.»
Trovo
assai strano
che sia l’uomo a dover fare il mestiere del lupo.
“Beh…
è un
riflesso del progresso. Abbiamo fatto un po’ di pasticci, col
passare del tempo,
e adesso stiamo cercando di porvi rimedio, anche se poi commettiamo
altri
errori.”
Ho
denotato
questo particolare, fanciulla.
“Non
puoi
chiamarmi Iris? Fanciulla fa molto… vecchio stile.”
Sia
come vuoi.
Sei tu alla guida del vascello, per così dire.
“Oh…
davvero?”
Sì.
Io posso
solo consigliare, oltre all’ovvio compito di darti la vita
che tu stai
egregiamente utilizzando, ma non posso imporre il mio pensiero.
“Per
questo non
sei mai riuscito a intervenire, in precedenza?”
Così
è, Iris.
“Hai…
avevi un
nome in particolare, quando eri un guerriero?” domandò
incuriosita Iris, trovando assurdo non poter interloquire con la sua
anima
senza usare il suo nome, visto che lui poteva farlo.
Non
pronuncio più
il mio nome da secoli ma, dacché ho memoria, il mio nome
è stato Gunnar.
“Bene,
allora
sarai Gunnar, per me.”
Lieto
di fare la
tua conoscenza ufficiale, Iris.
“Puoi
dirmi
qualcosa di ciò che sono?”
Non
sono
addentro ai segreti della vostra razza, purtroppo, poiché ho
dormito secoli
senza mai muovermi da Madre, e non ho mai incontrato, nella mia unica
vita,
creature come voi. Sentii però parlare dei mannari nei canti
popolari delle mie
genti, e tutti parlavano di Fenrir il lupo e della forza immane dei
suoi
discendenti.
«Fenrir?»
esalò ad alta voce Iris.
«Il
dio-lupo degli Asi. Colui che scatenerà la fine del
mondo» le spiegò Clarisse, incuriosita
dal suo accenno.
Iris
levò un sopracciglio con evidente ansia e
replicò: «Beh, non è che la cosa mi
renda particolarmente felice.»
Clarisse
la guardò dubbiosa e Iris, risollevandosi,
dichiarò: «Ho bisogno di una
biblioteca. Il mio cellulare è quasi scarico e non ho voglia
di mandarlo a
terra consultando Wikipedia. Devo andare subito.»
La
donna assentì, seguendola con espressione ombrosa e la
giovane, nel notarlo, le
domandò: «Qualcosa la turba?»
«Ripensavo
a ciò che ti ho detto. A come io e Chuck ci siamo aperti
l’uno all’altra,
quando ci siamo conosciuti. Temo di avergli fatto un grave torto,
tacendogli la
verità su Lucas. Sono stata superba, pensando di poter
essere l’unica a capirlo,
e l’unica a essere in grado di aiutarlo»
mormorò Clarisse, sorridendo
tristemente.
Iris
comprese perfettamente il suo stato d’animo e,
nell’uscire dal campeggio con
lei, chiosò: «Sono una campionessa di sbagli,
perciò posso capirla benissimo.
Ma ho anche scoperto che, a molti di questi sbagli, si può
porre rimedio.»
«Beh,
allora, visto che siamo sulla stessa barca, sarà il caso se
mi dai del tu, ti
pare?» ammiccò la donna, prendendola sottobraccio.
Iris
fu più che d’accordo e,
nell’attraversare la strada, si chiese fuggevolmente
cosa sarebbe successo al pragmatico Chuck, quando avesse conosciuto la
verità.
N.d.A.:
capitolo un po’ lungo, ma che era necessario per inquadrare
meglio il carattere
di Alyssia e per scoprire, finalmente, chi stava chiacchierando nella
mente di
Iris. E’ comparso anche il nome di Fenrir, e con lui anche le
ovvie paure
legate al suo oscuro mito. Ci avviciniamo alla verità, ma
non è del tutto a
portata di mano… e Alyssia non è ancora stata
messa a tacere.
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Capitolo 11 *** Capitolo 10 ***
10.
Clarisse
accompagnò Iris alla Clearwater Library, unico luogo nelle
vicinanze ove
avrebbero potuto trovare un buon rifornimento di libri e cancelleria.
Lì,
le due donne si addentrarono immediatamente nel reparto dedicato alla
mitologia
europea, tentando di trovare una summa di ciò che Iris aveva
sentito e compreso
del suo strano dialogo con Gunnar.
Era
già difficile accettare di aver parlato con la propria
anima, ma non
comprendere un accidente di ciò che lui le aveva detto fino
a quel momento, era
insopportabile.
Detestava
dimostrarsi ignorante su qualche argomento, visto soprattutto che era
laureata Studi
Umanistici, anche se con una specializzazione in Educazione Musicale.
Non era
il suo campo, ma un po’ di Storia l’aveva studiata
anche lei!
Il
punto era solo uno, però; la sua anima non era appartenuta a
Mozart, e neppure a
Chopin, per cui brancolava nel buio riguardo a ciò che le
aveva detto Gunnar.
Dopo
aver acquistato quattro libri sull’argomento, oltre a una
buona dose di
cancelleria per mettere in piedi una sorta di grafico – Iris
capiva meglio le
cose, se metteva tutto su carta – tornò con
Clarisse al campeggio e si mise a
sedere al suo tavolino da campeggio.
Lì,
passò ore a leggere assieme alla signora Johnson. Lucas ebbe
anche il tempo di
portare loro una merenda leggera; le osservò con aria
confusa senza però
ricevere spiegazioni in merito, perciò se ne andò
con calma.
Da
bravo maschio intelligente, sapeva che sarebbe stato interpellato solo
a tempo
debito.
Fu
solo verso il mezzodì che entrambe le donne si dichiararono
soddisfatte delle
letture svolte, ma niente affatto pacificate nelle loro domande.
Iris
prese il suo notes interamente pieno di appunti, scarabocchi e punti
esclamativi, tamburellandovi sopra una matita con fare impaziente.
Cos’era che
le sfuggiva?
Dubbiosa,
quindi, domandò alla sua coscienza: “Ci
sei, Gunnar?”
Ovviamente.
Dopo
credi possa andare?
Iris
rise e chiosò: “Giusto.
Allora, fammi
capire. Fenrir è una sorta di dio-demone, o qualcosa di
simile.”
Il mito
dice
questo ma, come ben saprai, mito e realtà difficilmente sono
la stessa cosa.
“Certo.
Ma che
legame può esserci tra questo dio e quel che siamo io e
Lucas?”
Il
fatto che,
molto probabilmente, fate parte della stessa razza?
Iris
storse il naso, borbottando: “Denoto
una
tua vena ironica. Eri una persona divertente,
all’epoca?”
Mia
moglie era
convinta di sì.
“Buono
a
sapersi. Comunque… tolto il fatto che entrambi siamo canidi,
cos’altro può unirci?”
Non
posso
saperlo ma oso credere che, essendo stato un dio, quella di dio-lupo
non fosse
la sua unica forma.
“Oh…
pensi che
possa aver… copulato con qualche donna umana, lasciando
dietro di sé una prole
mista?”
E’
possibile.
Quanti miti esistono, al mondo, in cui dèi e umani si
uniscono per generare
figli?Ciò di cui sentii parlare io furono i suoi eredi,
a ben vedere, non di lui nello specifico.
Iris
scrisse in fretta sul block notes il nome di Fenrir, annotando la
possibilità
di una unione carnale con una donna umana, corredato da un bel punto di
domanda.
Il
mito parlava dei Figli di Fenrir, ma non accennava a nessuna umana,
madre di
questi pargoli. Vero era anche che, all’epoca, non esistevano
i TG o i
giornalisti d’assalto.
Se
anche la madre di Hati e Sköll fosse stata una semplice umana,
e non una
titanessa di qualche genere, chi avrebbe potuto confutare quella
notizia?
Walter Cronkite1 non era nato così
tanto tempo addietro e, di certo, non aveva potuto fare
nessuno scoop, all’epoca.
Clarisse
notò il suo appunto e, annuendo tra sé, disse:
«Beh, Zeus ne aveva fatto un
mestiere, no? Aveva più figli bastardi lui di non so quale
altro dio, sempre
stando al mito. Forse, neppure Odino ne aveva avuti così
tanti.»
«Io
sento parlare di Odino e penso a Anthony Hopkins. E’ un
disastro» sospirò Iris,
scuotendo il capo e passandosi le mani tra i capelli rilasciati sulle
spalle.
Clarisse
rise, dandole una pacca sulla spalla. «Dopotutto, i film
Marvel sono famosi. E’
ovvio che la tua mente cerchi assonanze per qualcosa di così
strano e fuori dal
consueto.»
«Credo
sia un eufemismo » ghignò Iris.
‘Strano’
e ‘fuori
dal consueto’
non riflettevano neppure in minima parte ciò che stava
provando in quel
momento.
Non
esiste
nessuno, nel vostro tempo, addentro alla mitologia e allo spiritismo?
Credo
sarebbe la persona giusta da consultare, per misteri simili.
Iris
ci pensò su e, rivolta a Clarisse, domandò:
«Da queste parti ci sono degli
sciamani veri? Sì,
insomma, persone
che sanno di spiriti e altro, ma che non siano dei ciarlatani pronti a
spennare
soldi ai turisti?»
«Bella
domanda. Chiederò a Rock, visto che ha dei parenti nella
tribù dei Piedi Neri.
Forse, lui ne sa qualcosa» esalò Clarisse, facendo
spallucce con aria
spiacente.
«Oh…
è un sanguemisto? Ecco perché è
così bello!» sorrise Iris, sorpresa.
Clarisse
allora rise e assentì. «Eh, sì, quel
giovanotto è un vero spettacolo per gli
occhi, e sono assai felice che sia il fidanzato del mio
Lucas.»
“Supponiamo
che
sia vero che siamo legati a Fenrir o, comunque, a qualche creatura
simile.
Questo spiegherebbe il perché della nostra…
singolarità.”
Avrebbe
senso,
Iris, ma non ero addentro ai misteri dell’occulto, quando ero
in vita e, nel
ventre di Madre, sono stato per diversi secoli in compagnia di me
stesso e
basta.
Iris
si fece curiosa e domandò: “Niente
pub e
bevute con gli amici, tra spiriti?”
Siamo
entità
incorporee, e vaghiamo in Helheimr senza che alcuno possa impedircelo.
Alcuni
preferiscono la sua parte più lieta, e osservano il
dipanarsi del tempo
attraverso le polle della visione. Altri, invece, si annidano ove
vengono
imprigionati i reietti e i malfattori, al solo scopo di godere in
eterno delle
loro pene.
Iris
strabuzzò gli occhi, segnò velocemente il nome
indicato da Gunnar sul suo notes
e chiese: “In…
eterno?”
Il
vostro
Inferno cristiano, per intenderci.
“Oookay,
capito.
E tu dove ti eri sistemato? Al centro vacanze, o di fronte ad
Alcatraz?”
A volte
fatico
davvero a comprenderti.
La
giovane sorrise nonostante l’assurdità della
discussione e replicò: “Sì,
scusa, è che tutto questo mi lascia
assai perplessa e molto, molto sconvolta. Volevo chiederti se ti
trovavi vicino
alle polle, o nei pressi delle prigioni.”
Io
vagai per
secoli nella vana ricerca dell’anima di mia moglie che,
però, non riuscii mai a
trovare. Alla fine, dando per scontato che fosse già
riemersa in qualche corpo,
o il suo spirito frantumatosi in mille altre anime, mi sistemai nei
pressi di
una polla. Lì, osservai sgomento le vostre guerre e
quell’orribile nube di
fuoco che si scatenò a est, distruggendo ogni cosa.
“La
bomba
atomica” mormorò
Iris, immaginandosi senza fatica il suo sconcerto. Pur conoscendo i
meccanismi
che l’avevano creata, restava un’arma che sapeva
creare in lei il panico puro.
Furono
guerre
disonorevoli, indegne di un guerriero.
“Hai
ragione.”
Clarisse
le sfiorò una spalla, riportandola nel mondo reale e Iris,
sospirando, si passò
una mano sulla fronte, esalando: «Questa cosa della
chiacchierata mentale mi ha
messo addosso una fame diabolica. Devo mangiare qualcosa – di
nuovo – o
sverrò.»
«Volevo
appunto avvertirti che stavi diventando mortalmente pallida»
la mise in guardia
la donna, sorridendole comprensiva.
«Allora,
è proprio il caso di staccare» mormorò
Iris, levandosi in piedi dalla sua sedia
da campeggio. «Dopotutto, è ora di pranzo,
perciò…»
Le
sue gambe, però, non furono d’accordo e,
caracollando all’indietro, Iris finì
con il sedere a terra sotto gli occhi sorpresi di Clarisse, che
esalò: «Direi
che sei arrivata al limite.»
Frastornata,
Iris assentì, rise sommessamente ed esalò:
«Beh, direi che ho toccato il fondo
nel vero senso della parola!»
Clarisse
rise con lei ma, quando vide giungere Devereux a passo di carica, si
scansò
preventivamente e stette a osservare la scena che le si parò
dinanzi, gli occhi
ridenti ma la bocca ben chiusa.
Lo
sguardo plumbeo e gli occhi di ghiaccio iniettati di furia, Dev
poggiò un
cospicuo sacchetto di cibo da asporto sul tavolo e, fissata Iris con
sguardo
irritato, esclamò: «Che fai in terra? Adesso non
ti reggi neppure più in piedi,
sottiletta? La vuoi smettere di fare la dieta?!»
Piccata,
Iris strinse i pugni e fece per rialzarsi, ma il suo corpo si
rifiutò
nuovamente di obbedirle, portandola a borbottare: «Ho fatto
gli straordinari… non la
dieta.»
«Santo
cielo…» brontolò l’uomo,
prendendola sotto le ascelle e sollevandola in piedi
senza alcuno sforzo, neanche fosse stata veramente
una sottiletta.
Voltatosi
poi verso il sacchetto di cibo da asporto, Devereux ne estrasse una
scatola piena
di sandwich e la mise perentoriamente in mano a Iris, sbottando:
«Siediti e
mangia.»
Iris
lo fissò malissimo, mostrando i denti con fare assai
infantile, ma fece quanto
ordinatole e, sbocconcellando il primo panino che trovò
nella scatola, mugugnò:
«Pofresfi effere più fentile.»
«Non
si parla a bocca piena» la redarguì Dev, aprendole
una lattina di tè alla pesca
per poi metterglielo praticamente sotto il naso.
Clarisse
osservò il tutto con aria divertita e, dopo aver dato una
pacca sulla spalla a
Dev, salutò Iris e se ne andò.
Poteva
stare tranquilla, visto che Iris non sarebbe rimasta sola.
Terminato
il primo panino in meno di un minuto, Iris se ne vide passare un
secondo e,
sempre fissando male il suo rifornitore di proteine e carboidrati,
borbottò:
«Mi domando come Chelsey sia potuta crescere così
carina e dolce, con un orso
come te.»
«Con
lei sono un bon bon» replicò aspro
l’uomo, afferrando un panino per sé e
sistemandosi sulla sedia libera.
Lanciato
poi uno sguardo ai libri sparsi sul tavolo e al notes aperto,
ingollò il
boccone e domandò: «Ti sei data alle letture
forbite, sottiletta? Per questo ti
sei spompata?»
Mangia
il panino
e non sbranarlo, pensò
tra sé Iris, apprezzando i cetrioli al suo interno e la
morbidezza del pane.
Questo
particolare la portò a lanciare un’occhiata al
sacchetto che aveva contenuto la
scatola dei panini e, subito dopo, alla scatola stessa.
No,
non era un panino da fast-food, visto che il contenitore in cui erano
stati sistemati
i panini era una semplice confezione in plastica della Tupperware.
La
sua rabbia scemò di una tacca e, un poco più
tranquilla, mormorò: «Se ti senti
pronto per un’altra stranezza, posso dirti il
perché di tutta questa
apparecchiata.»
Dev
rimase bloccato a metà di un morso, poggiò
lentamente il panino su una coscia
e, guardandola dubbioso, domandò: «E’
successo qualcosa di brutto?»
«Ehm,
no. Solo di strano. Beh, ecco, di più
strano
rispetto ai nostri standard» gesticolò Iris, come
se la licantropia – di per sé
– non fosse già una cosa anomala.
L’uomo
si accigliò appena ma disse: «Spara.»
Iris,
allora, si toccò la fronte e spiegò a Dev
ciò che aveva scoperto e chi vi fosse
dentro di lei.
La
cosa, dapprima, lo lasciò davvero sconcertato, tanto che
Iris temette un suo
svenimento ma, alla fine, Devereux si passò le mani sul viso
pallido, prese un
gran respiro e infine mormorò: «Beh, se non altro
spiega perché, con Chelsey,
sei stata fin da subito così protettiva e anche un tantino
ossessiva.»
“E’
possibile?”
Probabilmente,
sì. Devo aver accentrato sulla bambina il mio istinto
protettivo, spingendoti a
prenderla sotto la tua ala. Ma, in parte, viene anche da te. Sei una
persona
naturalmente altruista.
“Ma
avevi detto
che non potevi controllarmi.”
No,
infatti. Ti
ho solo dato un input. Tu lo hai seguito perché, a tua
volta, ti sentivi spinta
a proteggerla per via di ciò che le era successo.
“D’accordo.
Lo
abbiamo fatto insieme, quindi.”
Annuendo
perciò a Dev, asserì: «Gunnar dice che
è possibile che il suo ruolo di landvættir
abbia acuito un istinto di
protezione già insito in me, dandogli forza.»
Devereux
si esibì in una risatina sgangherata, esalando:
«Il fatto che tu possa parlare
con la tua anima, e chiamarla per nome, credo sia la cosa
più assurda di tutte!»
Iris
non poté che ridere di quel commento, poiché a
sua volta trovava davvero strano
poterlo fare. A quel modo, anche l’ultimo residuo di rabbia
svanì e, indicando
il secondo panino ormai terminato, disse: «Non li hai
comprati.»
«Dovevo
preparare il mio pranzo e quello di Chelsey, stamattina…
tanto valeva farne un
po’ di più. Almeno, sarei stato sicuro che dentro
ci sarebbe stata carne e non
lattuga. Contavo di arrivare verso le undici e mezza, ma mi sono
attardato al
cantiere e sono arrivato solo ora» scrollò le
spalle Dev, terminando il proprio
sandwich per poi indicare l’orologio da polso, che segna
quasi l’una del
pomeriggio. «Voi californiane siete fissate con la dieta. Non
bisogna fidarsi.»
«Ti
ho detto che non faccio la dieta e, se proprio vuoi saperlo, da quando
Lucas ci
ha detto cosa mangiare, sono ingrassata di un chilo e mezzo»
sottolineò Iris,
accennando un sorrisino divertito.
Dev,
allora, la guardò con attenzione ma, alla fine,
sbuffò e scosse il capo,
replicando: «Hai ancora le guance incavate, e sono sicuro che
potrei contarti
le costole, se fossi in costume da bagno.»
In
effetti era vero ma, da due anni a questa parte, era la prima volta in
cui
metteva su un po’ di peso e, in qualche modo, pensava fosse
una cosa positiva,
da non sottovalutare.
Senza
darle il tempo di replicare, però, Devereux le
consegnò un altro panino,
stavolta un hot-dog con tanto di salse grondanti e crauti, e
borbottò: «Mangia
ancora.»
Iris
lo afferrò con uno strattone e, sbuffando,
mugugnò: «Continuo a dirlo. Sei un
orso. Ma grazie.»
Lui
scrollò ancora le spalle, come se non riuscisse a sciogliere
la tensione che
sembrava pervaderlo e, quando parlò, Iris ne comprese il
motivo.
«Mi
hanno detto delle gomme. Scusa.»
«Chi
ti ha chiamato?» si accigliò subito la giovane,
fissandolo torva.
«Si
dice il peccato, non il peccatore» cercò di
ironizzare Dev.
«Logica
da paesani…» sbuffò per contro Iris.
«…comunque, non devi preoccupartene. Ho
già sistemato tutto con il comandante, questa
mattina.»
«Le
parlerò, e le farò capire che deve lasciarti in
pace» ribatté cocciuto l’uomo.
Facendo
tanto d’occhi, Iris esalò: «Dio, ti
prego, no! Già così, mi ha fatto una
scenata assurda… se le parlassi di nuovo, verrebbe qui con
un fucile per
spararmi.»
«Che
intendi dire con… scenata assurda?»
sbottò l’uomo, assottigliando pericolosamente le
palpebre.
Ops.
Questo non glielo avevano detto.
Temo tu
ti sia
messa in un pessimo guaio.
“Grazie
per
averlo notato, Gunnar. Vuoi intervenire tu e salvarmi, visto che eri un
guerriero?”
ironizzò Iris.
Si
tratterebbe
di possessione, e io non mi permetterei mai. Inoltre, non saprei
neppure se sia
possibile o meno farlo.
“D’accordo,
me
la caverò da sola ma, se hai consigli, dimmi pure.”
L’uomo
va sempre
preso alla sprovvista. Abbiamo menti piuttosto lineari, in
combattimento e, il
miglior modo per gabbarci, è essere creativi.
“Creativi.
Andiamo bene…”
mugugnò tra sé Iris.
Allora,
sarebbe stata creativa.
Senza
dargli il tempo di proseguire con la sua arringa di domande, la giovane
si levò
in piedi, lo afferrò a una mano e disse: «Vieni
con me.»
«Sei
ancora debole, sottiletta» protestò Dev, pur
alzandosi.
«Prendi
con te il tuo quintale di panini e le bibite. Mangeremo in riva al
lago» chiosò
lei, prima di domandare: «Scusa, ma quanti panini mi hai
fatto?»
«Una
quindicina. Non so esattamente che appetito abbiate, voi lupacchiotte
femmine, ma
ho notato che Chelsey mangia parecchio, ultimamente»
brontolò l’uomo,
seguendola lungo il sentiero.
Iris
sorrise nonostante tutto e, trascinando con sé Dev,
tracciò mentalmente un
piano di attacco per non farlo infuriare.
***
Dopo
aver ingurgitato altri due panini – Dev aveva avuto
dannatamente ragione, nel
crederla ancora debole – Iris si accomodò sulla
staccionata che delimitava il
sentiero e, scrutando l’uomo dinanzi a sé, disse:
«Allooora, Alyssia è venuta
ad avvisarmi della tua pericolosità, dicendomi che sei un
falso e un bugiardo,
e che non avrei dovuto fidarmi di te.»
Lui
sbuffò per diretta conseguenza. «Tze,
…tipico.»
«Devo
immaginare che la cosa si sia ripetuta con altre…»
ipotizzò Iris, avendolo
praticamente dato per scontato.
Dev
assentì irritato, replicando: «Non è
mai arrivata a tagliare le gomme a nessuna,
ma si mise in mezzo quando… beh, quando tentai un approccio
con una ragazza,
sei-sette anni fa.»
«Del
posto?» si informò Iris.
«La
libraia. Immagino l’avrai vista, dato che le hai svaligiato
il negozio» la mise
al corrente Dev.
«Oh,
carina. Ha un buon profumo» chiosò allora lei,
facendo spallucce.
«Il
che, detto da una ragazza-lupo, dovrebbe essere il più bello
dei complimenti»
celiò Dev, ammiccando al suo indirizzo.
Iris
la prese bene, le piacque persino essere chiamata ragazza-lupo,
perciò replicò
con ironia: «Si ha un naso molto fine, sappilo. Comunque, che
le disse?»
«Che
l’avrei fatta soffrire, l’avrei fatta fuggire come
Julia e cose simili. Vanessa
resistette qualche mese ma poi, soffocata dalle continue ingiurie di
Alyssia,
decise di chiudere la cosa. Ammetto che non ci persi il sonno, ma mi
diede
fastidio che Aly avesse cospirato contro di me» le
spiegò Dev, imitando Iris e
sistemandosi sul bordo della staccionata, i piedi ben sistemati sulla
traversina in legno.
«Stesse
cose che ha detto a me» annuì Iris. «Ma
è davvero possibile che il comandante non
riesca a tenerla a bada? Lucas mi ha raccontato del loro lutto,
però…»
«Lascio
perdere la maggior parte delle volte perché, in fin dei
conti, non ha mai
realmente fatto del male a nessuno, e capisco che la situazione
familiare dei
Rochester sia di per sé già pessima,
ma… non doveva infastidirti. E tu
dovevi dirmelo.»
Quel
tono accusatorio mise sul chi vive Iris, che replicò:
«Non devo rendere conto a
te di quel che mi succede, Devereux, perciò cala la tua
cresta da gallo e
guarda da un’altra parte. So cavarmela da sola.»
Dev,
allora, imprecò e borbottò per contro:
«Non pensi che possa sentirmi in colpa
perché, a causa mia, lei ti ha dato fastidio? Soprattutto
per un motivo
inesistente?»
«Sei
stato tu a tagliarmi le gomme? No. Quindi fattela passare»
sbuffò Iris, pur
apprezzando le sue attenzioni.
Non
voleva essergli di peso, poiché Devereux aveva anche troppo
a cui pensare.
Crescere Chelsey con un simile segreto sulle spalle era già
stressante, senza
dover anche badare a una donna appena conosciuta e che, gioco forza, si
era
insediata nella sua vita ormai stravolta.
L’uomo,
però, scosse il capo e mormorò: «Hai
salvato mia figlia. Fosse anche solo per
questo, non posso farmela
passare.»
Iris
allora sospirò, scese con un balzo dalla staccionata per
porglisi di fronte e,
poggiate le mani sulle ginocchia di Dev come a dare più peso
alle sue parole,
asserì: «Non cominciare con il ‘c’è
una
vita tra di noi’ o altre cose del genere. Non sei
Gunnar, okay, e non siamo
nel diciassettesimo secolo.»
Non ci
sarebbe
niente di male, a essere in debito per un motivo simile, sottolineò il
diretto interessato.
«Non
cominciare anche tu, Gunnar. Ne ho a sufficienza di affrontare un solo
uomo
alla volta» brontolò Iris, facendo sorridere
appena Dev.
«Ho
pietà per la tua povera anima» celiò
l’uomo.
«Molto
spiritoso. Comunque, davvero, non hai bisogno di sentirti in colpa per
una
follia commessa da qualcun altro. Essere ciò che sono mi
permette di non
correre pericoli, e non credo che Alyssia si arrischierà a
fare altro, contro
di me. Ha fatto la sua sceneggiata, e ora riceverà
l’attenzione del padre.
Credo che, alla fine, cercasse più questo, che
altro.»
«Beh,
di sicuro la otterrà, se era questo che voleva»
borbottò Dev.
«Appunto.
Tu preoccupati solo di Chelsey… e dei miei panini. Quelli,
mi vanno bene»
dichiarò a quel punto lei, facendolo ridere.
Devereux,
scosse il capo di fronte alle sue parole, scese con un balzo dalla
staccionata
e, nel darle una pacca sulla schiena, chiosò: «Ho
finito la pausa. Coraggio,
torniamo al campo base. Oggi, mi sa che dovrete passeggiare per il
bosco da
sole. Al cantiere è arrivata una nuova grana,
perciò dovrò saltare.»
Lei
assentì ma, quando si mosse per tornare al campeggio con
l’uomo, il vento si
levò, portandole alle narici un profumo
inconfondibile… e un odore di pericolo
immediato.
«Abbassati,
Dev!» gridò Iris, spingendolo con così
tanta forza, e all’improvviso, da
catapultare a terra l’uomo.
In
quello stesso istante, mentre il corpo di Devereux toccava malamente il
terreno,
la carne di Iris venne trafitta da un proiettile e una frustata
dolorosa quanto
improvvisa riverberò nel suo corpo, facendola urlare di
dolore.
N.d.A.:
Chi avrà sparato? E perché? Con
l’intento di colpire Devereux, o Iris?
1.Walter Cronkite: per chi non lo ricordasse, era il famoso giornalista che fece la telecronaca dell'allunaggio dell'Apollo 11
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
11.
Furono
attimi di panico, di frenesia e di totale confusione ma, prima di
tutto, Dev pensò
a trascinare Iris verso terra, temendo un altro colpo, stavolta
più preciso… e
mortale.
Crollando
in ginocchio sul terreno smosso e poi direttamente a terra, il viso a
un palmo
dal sentiero, Iris strinse i denti per il dolore – quanti
recettori aveva, il
suo corpo?! – e, in un soffio, sibilò:
«Sta scappando… Alyssia sta
scappando…»
«Alyssia?!»
gracchiò Devereux, sgomento.
«Ho
sentito il suo odore, Dev. E’ stato questo a mettermi in
allarme. Assieme alla
puzza della polvere da sparo. Ma ora non c’è
più…» ansimò lei, tenendosi
la
spalla perforata e sanguinante.
Dev
si arrischiò a tirarsela contro per permetterle di stare
seduta e, la schiena
ben premuta contro un cespuglio, le disse: «Scusa, ma devo
controllare.»
Lei
assentì e l’uomo, scostandole il colletto della
camicetta, si accigliò e domandò:
«E’ normale che faccia così?»
«Così,
come?» si preoccupò lei, volgendo il capo a
guardarsi la spalla.
Sotto
i suoi occhi terrorizzati, la ferita da arma da fuoco stava
letteralmente
chiudendosi un millimetro alla volta e il sangue, copioso fino ad
alcuni
istanti prima, stava già smettendo di sgorgare.
«Oh,
Dio, oh, Dio, oh, Dio…»
iniziò a dire
Iris, sgranando sempre di più gli occhi per la paura.
Dev
non perse altro tempo e, caricatala tra le braccia,
borbottò: «Non svenire,
okay? Non crollarmi adesso!»
Lei
assentì in preda al panico, ma le lacrime sgorgarono non
richieste e Dev,
affrettando il passo fin quasi a mettersi a correre,
sussurrò: «Ce la puoi
fare, sottiletta. Coraggio. Lucas ci aiuterà.»
«Ho
paura, Devereux» ammise Iris, non riuscendo a comprendere
perché il suo corpo
stesse comportandosi a quel modo.
Che
fine aveva fatto, il proiettile?
«Vorrei
vedere. Ti hanno appena sparato» cercò di
ironizzare lui. «Cristo, non pesi
niente, ragazza. Altro che sottiletta. Dovrei chiamarti foglio di
carta!»
Iris
rise nonostante tutto, anche se la paura stava prendendo il sopravvento
su
tutto. Avvertiva senza sforzo il corpo estraneo dentro di sé
muoversi come un
serpente, così da stazionarsi in un luogo a lui
più congeniale.
Il
che non voleva dire, necessariamente, che fosse più
congeniale anche per
lei.
I
continui sobbalzi provocati dalla corsa di Dev, poi, non facevano che
peggiorare la sua sensazione di malessere e, quando finalmente ebbero
raggiunto
il campeggio, Iris ringraziò mentalmente il cielo.
Ancora
un poco e avrebbe dato di stomaco.
Rallentando
l’andatura, Dev puntò direttamente verso la casa
dei Johnson, che si trovava
all’interno del camping e, dopo aver bussato freneticamente
alla porta, l’uomo
esclamò: «Clarisse, ci sei?
C’è bisogno di te!»
Iris
percepì i movimenti della donna all’interno della
casa ma, assieme a lei,
avvertì anche altro, un odore che le era familiare ma che
non apparteneva a
Clarisse né, tanto meno, a Lucas.
Si
trattava di Chuck Johnson che, inspiegabilmente, si trovava a casa, a
quell’ora, e non al lavoro.
Questo
la mise in allarme ma, tra la sensazione di malessere e il panico fin
lì
accumulati, non riuscì ad avvisare Devereux del pericolo.
La
porta si aprì proprio mentre Iris afferrava la felpa
dell’uomo per spingerlo ad
allontanarsi e Dev, facendo tanto d’occhi, esalò:
«Ah… Chuck. Che ci fai a
casa?»
«Perché?
Volevi darti alla pazza gioia con la mia Clary?»
ironizzò l’uomo prima di
notare Iris tra le sue braccia ma, soprattutto, il pallore spettrale di
quest’ultima. «Che le è successo? Sta
male?»
Anche
Clarisse si affacciò alla porta e, vedendo Iris spaurita e
pallida come un
cencio, disse perentoria: «Portala in casa, Dev. Subito.»
Devereux
non attese oltre e, incamminatosi all’interno,
seguì fiducioso Clarisse mentre
Chuck chiudeva la fila, dubbioso quanto preoccupato.
«Che
è successo?» domandò nel frattempo
Clarisse.
Dev,
però, non rispose e, dopo aver depositato Iris sul divano
indicatole dalla
padrona di casa, guardò Chuck e infine le chiese:
«Che vogliamo fare,
Clarisse?»
La
donna fissò esasperata l’uomo, la giovane stesa
sul divano e infine, sbuffando,
esalò: «Tua madre ha ragione. Hai la
sensibilità di un pezzo di legno! Non sono
cose che si possono affrontare così, su due piedi!»
«Solo
perché ho detto la verità?!»
replicò Devereux, puntandosi il pollice contro il
torace con aria offesa.
Chuck
li guardò in alternanza per diversi secondi, del tutto
sconcertato da quel
dialogo senza senso e, poggiate le mani sui fianchi,
dichiarò: «Prima ho
scherzato, Dev ma, se stai combinando qualcosa con la mia
Clary…»
Dev
arrossì come un peperone maturo, di fronte a
quell’accusa per niente velata e,
irritato, replicò: «Cristo, Chuck! Con tutto il
rispetto, visto che Clarisse è
una bella donna, ma ha quasi l’età di mia madre!
Mi sembrerebbe di… di… no,
guarda, preferisco non dirlo.»
Clarisse
stessa scosse il capo con esasperazione e, fissando bieca il marito,
sbottò:
«Ti sembra che ti abbia mai dato l’idea di volermi
cercare un altro uomo,
Chuck?»
«Certo
che no, però…» tentennò lui,
prima di guardare Iris, che ora stava sudando
copiosamente, e aggiungere: «… dovete spiegarmi lei. Perché non stiamo
chiamando il dottore, in questo momento?»
Devereux
sospirò, si passò una mano sul viso e disse:
«Perché lei
non può andare dal dottore. Forse, le saresti più
utile tu.»
«Chi?
Un veterinario?» scoppiò a ridere Chuck, mentre
Clarisse fissava irritata Dev e
Iris lo raggelava con un’occhiata febbricitante quanto
astiosa.
«E’
inutile che mi fissiate a questo modo, signore. Continuare a mentirgli
sarebbe
assurdo, visto che ci serve la sua
consulenza» replicò piccato Devereux.
Lucas
scelse quel momento per entrare in casa e, sorpreso nel trovarli tutti
in
salotto, chiese: «Ma che fate?»
L’attimo
seguente, però, vide Iris stesa sul divano ma, soprattutto, percepì Iris e ciò
che non andava in
quel quadretto senza senso.
Il
suo cuore dal battito alterato, la sua paura genuina, la febbre che
continuava
a salire in risposta alla reazione immunitaria a un corpo estraneo,
l’odore
ferroso del sangue. Ignorando tutti, Lucas la raggiunge in pochi,
rapidi passi
e si accucciò accanto a lei. Istintivamente, poi, le
annusò il collo prima di esalare:
«Cosa diavolo ti hanno fatto, Iris? Chi ti ha
sparato?»
«Fucile…
Alyssia…» mormorò roca la giovane,
cercando la mano di Lucas.
Lui
gliela strinse con forza e, volgendosi accigliato verso il padre,
disse: «Papà,
devi operarla in clinica.»
«Ma
cosa state vaneggiando, tutti quanti? Qualsiasi cosa abbia la ragazza,
deve essere
portata all’ospedale» asserì Chuck, del
tutto serio in viso e pronto a prendere
in mano le redini della situazione.
Lucas,
però, non glielo permise. Prese in braccio Iris, si
posizionò di fronte al
padre e disse nuovamente: «Un proiettile preme vicino alla
parete del cuore,
per questo ha il respiro affannoso. Inibisce il corretto movimento del
muscolo,
portando il suo fisico a reagire. Ora come ora, sta tentando di mettere
in
sicurezza il cuore e di arginare il corpo estraneo che la sta
danneggiando. Questo,
però, fa muovere il proiettile troppo vicino alla membrana
cardiaca, che
rischia di essere lacerata. Devi operarla
ora.»
Chuck
lo ascoltò in silenzio per tutto il tempo e, quando il
figlio ebbe terminato di
parlare, domandò torvo: «E tu come sai tutto
questo?»
Lucas
allora sospirò, si lasciò andare a un triste
sorriso e ammise: «Perché ho un
piccolo segreto che ti ho tenuto nascosto fino a ora, ed è
lo stesso segreto
che rischia di uccidere Iris. Te ne parlerò… ma
tu salvala, ti prego.»
L’uomo
si limitò ad assentire e, volgendosi per uscire di casa
assieme al nutrito
gruppo di soccorritori, borbottò: «E’
interessante notare come tu e tua madre
siate riusciti a tenere la bocca chiusa per sedici anni, ma sia bastata
questa
ragazza californiana per farvi diventare delle radio accese a tutto
volume.»
Sia
Lucas che Clarisse spalancarono gli occhi per la sorpresa, ma Chuck non
diede
altre spiegazioni e, ordinato al figlio di caricare Iris sul suo
pick-up, continuò
dicendo: «Clarisse, tu e Dev seguiteci con la tua auto. Lucas
penserà a tenere
ferma Iris.»
La
donna assentì e, quando salì sulla sua Toyota
Prius assieme a Devereux,
borbottò: «Quell’uomo non
finirà mai di sorprendermi.»
Dev
si limitò a un mezzo sorriso, ma non disse nulla, lieto
nonostante tutto che
Chelsey fosse a pranzo dai nonni, in quel momento.
Lo
preoccupava molto ciò che Lucas aveva detto circa le
condizioni di salute di
Iris e, in tutta onestà, aveva una gran voglia di mettere le
mani attorno al
collo di Alyssia.
Per
questo, però, ci sarebbe stato tempo. Ora, dovevano pensare
a Iris, e Chelsey
non aveva bisogno di vederla in quelle condizioni così
precarie.
***
Disposta
sul tavolo operatorio della sala ove, solitamente, Chuck operava
quadrupedi o
creaturine alate, Iris era ormai a un passo dallo svenimento.
Non
riusciva più a comprendere appieno ciò che stava
succedendo intorno a sé.
Percepiva soltanto lo sforzo compiuto dal suo corpo per eliminare il
proiettile, così come il suo cuore in affanno, sfiancato
dalla lotta per
assorbire il corpo estraneo e renderlo innocuo.
Lentamente
quanto inesorabilmente, la sua carne lo stava inglobando per proteggere
il
corpo ma, nel farlo, lo stava fondendo con le pareti esterne del cuore,
rendendo sempre più prossimo un attacco cardiaco.
«Ora
ti addormenteremo, Iris. Non temere, farò del mio meglio per
farti riprendere»
le spiegò Chuck, sistemandole la maschera per
l’anestesia.
Lei
ebbe sì e no il tempo di assentire, prima di cadere
nell’oblio e Chuck,
sospirando, controllò un’ultima volta il manuale
che stava consultando ormai da
diversi minuti.
«Speriamo
che queste cifre siano giuste. L’anestesia sugli animali
viene smaltita in un
modo, mentre sugli umani in un altro» brontolò
l’uomo, poggiando il libro su
una scrivania prima di disinfettarsi mani e avambracci nel secchiaio
della sala
operatoria.
«Andrà
bene» annuì Lucas, sistemandosi la mascherina
dinanzi al volto. «Con tutta
probabilità, il suo corpo starà cercando di mangiarsi
il proiettile, ma è troppo vicino al cuore e questo
è un pericolo.»
«Ti
sei sparato, per saperlo?» borbottò Chuck,
sistemandosi i guanti in lattice.
Raggiunto
il tavolo operatorio, scrutò la spalla a malapena segnata da
una cicatrice
quasi completamente rimarginata, il tubo endotracheale che permetteva a
Iris di
respirare e, sospirando, afferrò il Betadine.
Dopo
aver massaggiato con la spugna imbevuta di disinfettante la superficie
da
incidere, afferrò un bisturi e procedette con il taglio ma,
quasi
immediatamente, il corpo della giovane si rivoltò contro di
lui.
«Ma
che diavolo…»
La
lacerazione appena compiuta da Chuck iniziò a richiudersi
alle estremità,
lentamente, come un fiore che si appresti al riposo notturno.
«Come
temevo» sospirò Lucas, scuotendo il capo.
«Che
intendi dire?» sbottò il padre, fissandolo in
preda alla confusione.
Durante
il viaggio verso la clinica veterinaria, Lucas aveva accennato al padre
la sua
reale natura e, per diretta conseguenza, Chuck aveva imprecato e gli
aveva dato
del matto.
L’attimo
seguente, però, aveva mormorato di alcune favolette
raccontategli dalla
bisnonna, quando lui ancora era un bambino, e Lucas se n’era
stupito
enormemente.
Dacché
ricordasse Lucas, il padre non gli aveva mai raccontato storie della
buonanotte, poiché le aveva sempre ritenute delle
assurdità inadatte a far
dormire davvero un bambino.
In
quel momento, però, si era ricordato delle favole della
bisnonna, e di come
fossero dannatamente simili alla storia raccontatagli dal figlio.
L’arrivo
alla clinica aveva interrotto la loro chiacchierata ma, in quel
momento, Lucas
tornò sull’argomento e domandò:
«La bis-bisnonna Lorainne cosa ti disse?»
«Di
non farmi beffe delle leggende, visto che un nostro trisavolo era stato
sia un
uomo che un lupo, e aveva combattuto le prime guerre contro gli uomini
bianchi,
quando avevano tentato di conquistare il Nord»
brontolò Chuck. «Col senno di
poi, avrei dovuto prestarle più orecchio, ma ricordo molto
poco delle sue
storie. Questo strano comportamento, quindi, è legato a
ciò che siete?»
«Mi
sono tagliato molte volte con i coltelli, ma le ferite sono sempre
scomparse
nel giro di pochi minuti…» annuì Lucas,
pensieroso. «…mentre Iris porta sul
braccio la ferita da artiglio dell’uomo che l’ha
trasformata in quello che è
adesso. Posso solo dedurne che le normali lame non hanno molto effetto,
su di
noi, mentre i nostri artigli, sì.»
«Proporresti
quindi di…» esalò il padre, sgranando
gli occhi per lo sgomento.
Lucas
impallidì al solo pensiero di dover usare i propri artigli
su Iris ma assentì,
mormorando: «La inciderò io e terrò
aperto il torace, così che tu possa
avvicinarti al cuore e rimuovere il tessuto che sicuramente si
sarà già formato
attorno al proiettile.»
«Cristo
Santo…» gorgogliò l’uomo,
prima di annuire freneticamente. «In ogni caso,
sbrighiamoci. I suoi valori sono sempre più
instabili.»
Lucas
assentì e, concentrandosi sul proprio lupo,
lasciò che le unghie della sua mano
divenissero artigli sotto gli occhi sempre più sconcertati
del padre.
L’uomo
non disse nulla, e il figlio gliene fu grato, ma Lucas sapeva bene che,
presto
o tardi, entrambi avrebbero dovuto affrontare una bella chiacchierata.
Deglutendo
a fatica, il giovane poggiò quindi l’artiglio
sulla ferita a malapena richiusa
sul torace di Iris e, facendo forza, affondò nella carne e
nell’osso.
Lucas
avrebbe rammentato per tutta la vita quella tremenda operazione, la
sensazione
di tenere letteralmente le mani dentro il corpo di Iris, mentre suo
padre
incideva il tessuto cicatriziale formatosi accanto al cuore per
inglobare il proiettile.
Ore
dopo, stremato ma soddisfatto, Lucas si ritrovò a sorridere
a un preoccupato
Rock che, in piedi accanto a loro, attendeva di vedere Iris per
accertarsi che
fosse davvero viva.
Quando
era stato avvisato di presentarsi alla clinica di Chuck, aveva mollato
tutto e
si era catapultato a Clearwater come se fosse stato inseguito dai
leoni. Simile
a un tornado, quindi, si era infilato nel retro della clinica per non
spaventare
i clienti e lì, pallido e con lo sguardo vacuo, aveva
trovato Chuck accanto al
tavolo operatorio.
L’uomo
l’aveva invitato a raggiungere la vicina sala
d’attesa e, nell’entrarvi, Rock
aveva visto Lucas in preda a un pianto silenzioso e Devereux impegnato
a
confortarlo.
Offrendogli
un caffè, Rock domandò: «Come ti
senti?»
«Meglio.
Il cuore di Iris batte regolarmente, anche se non comprendo come abbia
potuto
sopportare l’operazione» dichiarò Lucas,
sorprendendo non poco Rock.
«Che
intendi dire?»
«Me
ne sono accorto durante l’operazione, annusando
l’aria… nel suo sangue non
c’era una goccia di anestesia, eppure era incosciente, del
tutto distaccata dal
suo corpo» gli spiegò Lucas, ancora confuso.
Dev,
che sedeva a qualche sedia di distanza nella sala d’attesa,
si incuriosì non
poco e disse: «Può essere per via di Gunnar,
forse.»
«Di
chi?» esalarono assieme sia Lucas che Rock.
Dev,
allora, spiegò loro ciò che Iris aveva avuto il
tempo di raccontargli e Lucas,
sgranando gli occhi, gracchiò: «Beh, questa cosa
è folle persino per me.»
«Non
hai nessuno che chiacchiera nella tua testa?»
domandò a quel punto Rock,
sorridendo al compagno.
«Direi
di no. Quindi, pensi sia stato lui?»
«L’unica
che può risponderti è Iris, visto
che…» iniziò col dire Dev, prima di
bloccarsi
– raggelato – non appena udì il grido
disperato della giovane provenire dalla
sala del post-operatorio.
Come
un sol uomo Lucas, Dev e Rock si riversarono nella stanza, trovandovi
Iris in
preda a violenti brividi e a un pallore spettrale.
«Che
le succede?!» sbraitò Devereux, afferrandole le
braccia perché non toccasse la
medicazione che le copriva la cicatrice lasciata da Lucas.
«E’
il dolore! Non riesce più a sopportarlo, e sembra che la
morfina non faccia
alcun effetto!» esclamò Lucas, afferrandole le
gambe mentre Rock premeva con
tutta la sua forza sui fianchi della giovane.
Rock
e Dev ebbero circa tre secondi per cantare vittoria, prima di venire
catapultati contro il muro della clinica, sbalzati come bambole di
pezza dalla
forza disumana di Iris.
Lucas
non ebbe il tempo di controllare le loro condizioni, perché
abbandonare Iris avrebbe
voluto dire lasciare campo libero a un licantropo fuori di
sé.
Si
gettò per questo sul lettino, bloccandole braccia e gambe
con le proprie e, ai
limiti del pianto, esclamò: «Iris, ti prego,
resisti! Mi senti?»
E’
preda di un
dolore insopportabile, e la sua lupa grida per uscire. La
volontà di Iris è del
tutto concentrata sul non farla scappare, sul non mutare forma!
Lucas
sobbalzò nell’udire quella voce maschile penetrare
nella sua mente e,
titubante, domandò: “Sei
Gunnar? La sua
anima senziente?”
Così
è, giovane
licantropo.
“Sei
tu che hai
permesso ad Iris di affrontare l’operazione?”
Così
è. Sentivo
che, se non fossi riuscito ad allontanarla da quello che stava
succedendo, non
avrebbe mai sopportato lo shock di ciò che stavate per
farle, così l’ho
strappata temporaneamente dal piano del reale.
“Lo
prenderò per
un sì. Ma ora non puoi fare più nulla, per
lei?”
Già
quel che ho
fatto va molto al di là di ciò che potrei fare
normalmente. Proseguire oltre le
avrebbe impedito di tornare, e sarebbe rimasta in coma fino alla morte.
Ora,
purtroppo, deve patire i dolori causati dall’operazione,
senza nulla che possa
alleviarli.
Lucas
imprecò tra sé e si maledisse per la propria
superficialità.
Essendo
sempre stato l’unico mannaro nella sua tranquilla esistenza,
e avendo sempre
condotto una vita ritirata, non aveva mai sentito l’esigenza
di conoscere
qualcosa di più su ciò che era.
L’aiuto
di sua madre e la presenza di Rock lo avevano fatto sempre sentire
appagato, ma
era ormai chiaro che le sue lacune erano davvero troppe, oltre che
pericolose per
tutti loro.
Ciò
che era accaduto a Iris, avrebbe potuto succedere a lui in qualsiasi
altro
frangente. Per un incidente stradale, una brutta caduta nei boschi, per
qualsiasi maledetto motivo.
Non
sapeva come comportarsi in casi del genere, e questo rischiava di far
perdere la
vita a Iris, divorata da dolori così lancinanti che persino
Lucas stentava a
capire come riuscisse a sopportarli.
Quando,
poi, iniziò ad avvertire l’aura di Iris farsi
sempre più forte e sempre più
vibrante, seppe che la lupa stava avendo la meglio.
Se
fosse andata avanti così, avrebbe distrutto la clinica
unicamente con il potere
sprigionato dal suo corpo, esattamente come avevano sperimentato un
mese
addietro, nella foresta.
«Non
lascerò che ti divori, Iris, te lo prometto»
mormorò Lucas, chiudendo gli occhi
per poi sdraiarsi accanto a lei e tenerla stretta con braccia e gambe.
Con
la propria aura inglobò quella della giovane
perché non sfuggisse al suo controllo
e, poco per volta, i tremori violenti di Iris iniziarono a scemare.
Dev
e Rock, in quel mentre, si rialzarono vagamente storditi ma incolumi e,
nello
scorgere Lucas sul lettino, quest’ultimo domandò:
«Sta meglio?»
«E’
allo stremo» mormorò Lucas, preoccupato.
«Dev, devi portare qui Chelsey. Iris
ha bisogno di un altro lupo, al suo fianco.»
Lui
parve restio ad accettare, forse spaventato all’idea di
mettere la figlia di
fronte a una simile situazione di pericolo ma, dopo alcuni attimi,
accettò e si
dileguò dalla stanza.
Rock,
a quel punto, si avvicinò e disse: «E’
la riprova di ciò che ti ho sempre
detto. Devi trasformarmi, Lucas.
Non
puoi continuare a essere solo.»
«Guarda
cosa sta patendo Iris, per via di ciò che le hanno
fatto!» protestò Lucas,
scuotendo furiosamente il capo. «Non ti condannerò
mai a una vita simile!»
«Mi
sembra di essere abbastanza sano di mente e di corpo per poter decidere
da
solo» replicò serio Rock. «Nonna
arriverà domani da Blue River e, visto che lei
è tutt’ora uno sciamano dei Piedi Neri, le
chiederemo ciò che sa. Sono più che
sicuro che ci aiuterà. Lei è saggia e sente molte
cose che, le persone normali,
non avvertono. Così, spiegherai a
lei
perché ti ostini a non farmi diventare come te. Forse, lei
ti crederà… o tu
crederai a lei.»
Lucas
accennò un’imprecazione, ma non ritenne necessario
dire a Rock che non credeva
molto a cose del genere.
In
quel momento non voleva discutere con il suo compagno e, di certo, non
per una
motivazione simile. Rock, però, parve intuirlo
perché, cocciuto, aggiunse: «Mi
darà ragione, una volta saputa la verità. Dovrai
rassegnarti, bello mio.»
***
Quando
Iris riaprì gli occhi, il dolore che l’aveva
ridestata nella clinica e che, per
poco, non l’aveva stroncata in pochi istanti, era quasi del
tutto sparito.
Sentiva
qua e là delle ammaccature di poco conto ma, tutto sommato,
era nulla in
confronto a ciò che aveva patito – quando?
– al suo primo risveglio.
Come ti
senti,
ora?
“Meglio.
Grazie
per avermi allontanata. Come hai capito che l’anestesia non
avrebbe fatto
effetto?”
Ho
pensato alla
ferita che ti ha trasformato, e ai tagli che ti sei fatta in
precedenza, così
ho capito che il bisturi non avrebbe permesso al dottore di lavorare su
di te. Non
era l’arma da taglio giusta. Inoltre, forse tu non te ne sei
mai accorta, ma gli
analgesici che prendevi ogni tanto per i tuoi dolori mestruali, non
facevano mai
effetto. Le emicranie e i crampi ti passavano
per
conto loro, non grazie ai componenti chimici ingeriti, così
ho preferito agire
d’istinto e fidarmi di quanto avevo capito della tua anatomia
complessa.
“Non
posso che
ringraziarti. Ma cos’era il luogo in cui ci siamo
ritrovati?”
E’
il posto in
cui risiedo io di solito. Credo si possa definire subconscio.
“Quindi,
la mia…
essenza, chiamiamola così, si può
allontanare dal
corpo fisico?”
E’
ciò che stava
insegnandoti Clarisse. Se non ho capito male, si chiama meditazione
profonda. Portati alle estreme
conseguenze, corpo e anima possono scollegarsi per qualche tempo. Ho
sfruttato
questa possibilità per permetterti di essere operata ma, a
un certo punto, ho
dovuto farti tornare perché, diversamente, non ti saresti
più risvegliata.
“Grazie,
Gunnar.
Senza di te non sarei sopravvissuta.”
E’
comunque
vitale che scopriate qualcosa di più sulla vostra razza o,
in un’altra
occasione, qualcuno potrebbe morire. Gli spiriti della fanciulla e
dell’uomo al
tuo fianco sono comuni anime candide, non sono senzienti come me e non
sarebbero di alcun aiuto, in un caso simile.
“Fanciulla…
e
uomo al mio fianco?”
esalò Iris, prima di accorgersi dell’effettiva
presenza di qualcuno accanto a
lei.
Annusando
l’aria – visto che erano totalmente immersi
nell’oscurità – Iris percepì
sia
Lucas che Chelsey e, curiosa, se ne chiese il motivo.
Ti
hanno
vegliato per permetterti di riprenderti dal tuo post-operatorio
piuttosto
traumatico. A quanto pare le loro auree, combinate con la tua, ti hanno
permesso di sciogliere i nodi creati dai recettori del dolore.
“Dovrò
sdebitarmi”
sorrise tra sé Iris, sollevandosi lentamente per non
svegliare i suoi due
angeli custodi.
Sgattaiolando
fuori dal letto su cui l’avevano sistemata, Iris
uscì alla chetichella dalla
stanza e solo per trovarsi nel corridoio al primo piano della casa di
Dev.
Sorpresa,
si guardò intorno come per sincerarsi di non essersi
sbagliata, ma gli odori di
Chelsey e Dev la investirono di prepotenza, confermandoglielo.
Dabbasso,
avvertì la presenza assopita di Clarisse, Chuck e Rock, ma
non quella di Dev
che, neanche tanto a sorpresa, si trovava – ben sveglio
– in cucina, alle prese
con un caffè.
Iris
preferì non chiedersi quanti ne avesse bevuti.
All’esterno
era buio pesto, segno che la notte doveva essere assai profonda. Era
passata
mezza giornata, quindi, da quando le avevano sparato?
Sì,
all’incirca
dodici ore, le
confermò Gunnar.
Iris
si tastò il petto, da cui proveniva ancora il fastidio
maggiore. Sollevatasi la
maglia del camice chirurgico che qualcuno le aveva fatto indossare,
sgranò
leggermente gli occhi nel notare la lunga e profonda cicatrice che si
trovava
sullo sterno.
Appariva
rosea e perfettamente sana, ma Iris sapeva bene che sarebbe rimasta
lì per
sempre, fino al suo ultimo respiro.
Nei
due anni in cui era stata un lupo, si era tagliuzzata più
volte con i coltelli,
e aveva scoperto che quelle ferite in particolare non lasciavano alcuna
traccia.
Aveva
anche scoperto suo malgrado come l’argento poco andasse
d’accordo con lei,
dando voce alle antiche leggende sui lupi mannari tanto decantate nei
racconti
dell’orrore.
Si
era così dovuta liberare di gran parte dei suoi gioielli e,
a malincuore, aveva
dovuto sistemare in un cofanetto gli oggetti della madre,
impossibilitata a
indossarli.
Quella
lacerazione che aveva sul torace, quindi, doveva sicuramente essere
stata prodotta
da Lucas. Dubitava che il dottor Johnson possedesse strumenti in
argento, o che
avessero chiesto a Chelsey di squartarla come un pesce.
Il
suo stomaco brontolò all’improvviso, spezzando
quei pensieri e ricordandole che
erano ore che non metteva qualcosa sotto i denti. Sospirando di fronte
a tanta
insensibile ingordigia, scese a piedi scalzi dalle scale, raggiunse il
pian
terreno e si avviò verso la cucina.
Seduto
al piano bar con una tazza fumante di caffè, Dev quasi
lasciò cadere tutto di
mano, non appena vide Iris appoggiata al mancorrente e con un mezzo
sorriso a
illuminarle il viso.
L’attimo
seguente, mollò ogni cosa sul ripiano in legno e la
raggiunse a grandi passi,
esalando: «Ma che ci fai alzata?!»
Lei
gli intimò di non urlare, poggiando un dito sulle sue labbra
e, sorridendo
appena, mormorò: «Sto meglio. Molto meglio. Ma ho
fame.»
«Sei…
sicura?»
Iris
assentì e Dev, lasciandosi andare a un sospiro di sollievo,
la strinse a sé in
un abbraccio stanco quanto sollevato.
La
giovane se ne stupì un poco, ma ne fu lieta. Non era affatto
spiacevole quel
tepore, così come il profumo che la avvolgeva come una
coperta. Fortunatamente,
Dev aveva smesso di usare profumi, perché l’odore
della sua pelle era
dannatamente molto più buono senza aromi artificiali a
coprirlo.
Purtroppo,
però, l’abbraccio durò fin troppo poco
e, quando lui si scostò per
accompagnarla in cucina, Iris fu tentata di chiedergli il bis.
La
lupa lo desiderava, e un po’ anche la donna.
Nel
notare la sua leggera zoppia, però, la sua mente si
preoccupò all’istante e,
turbata, domandò: «Cosa ti sei fatto?»
«Non
te lo ricordi?» le domandò lui, curioso.
Al
diniego di lei, allora Devereux replicò: «Ho
inciampato nel tuo lettino post-operatorio
perché ero mezzo addormentato, così sono
capitombolato a terra.»
Mente, borbottò
Gunnar. Tu potevi anche essere sconvolta
dal dolore, ma io no.
“Oh…
e quindi?”
Lo hai
sbalzato
contro il muro della sala post-operatoria della clinica, quando hai
dato di
matto e loro hanno cercato di calmarti.
A
quell’accenno, Iris sgranò gli occhi e
impallidì di colpo, portando Dev a
esalare: «Cristo, non mi svenire, eh?!»
Una
lacrima rabbiosa si insinuò tra le palpebre socchiuse di
Iris che, stringendosi
le braccia al petto, mormorò furiosa: «Non devi mai metterti in mezzo, quando un
licantropo non si controlla, Dev!»
«Come?
Che cosa…» cominciò col dire
l’uomo prima di fissarla malissimo e borbottare:
«Ehi, di’ un po’, coso
là dentro!
Finiscila di fare le spiate! Non è necessario che la tua
padroncina sappia
proprio tutto!»
Coso, a
chi?!, ringhiò Gunnar nella mente di
Iris.
“Buono,
a
cuccia… non ho bisogno anche di
un
mal di testa. Lo sai che Devereux fa così. Ormai dovresti
averlo capito, no?”
Non
è detto che
mi piaccia, però…
Sedendosi
al tavolo, Iris sospirò e disse: «Non farlo
più, per favore.»
Dev
non le rispose, però, limitandosi a consegnarle una tazza
enorme di cioccolata
calda e dal profumo inebriante.
Lei
la accolse con un sorriso, mentre l’uomo metteva a scaldare
una padella per
prepararle un hamburger.
«Grazie
per aver permesso a Chelsey di aiutarmi.»
Lui
scrollò le spalle noncurante ma, qualche istante dopo, si
volse a mezzo per
dirle con tono estremamente serio: «Mi hai salvato la vita.
Mi sembrava il minimo.»
«Sai,
credo che in effetti quella pallottola fosse destinata a te, e non a
me»
dichiarò Iris, sorprendendolo un poco.
«Da
cosa lo deduci?»
«Se
mi avesse voluta morta, avrebbe continuato a spararmi, una volta avermi
centrato col primo sparo, invece è scappata in preda al
terrore, lasciando…»
disse Iris, prima di spalancare gli occhi e aggiungere: «Ha
lasciato cadere il
fucile sul colle da cui ha sparato!»
Dev
a quel punto assentì, dichiarando: «Subito dopo
avervi portati qui, ho mandato
Chuck e Rock a controllare il punto da cui presumevo fosse partito il
colpo, e
hanno effettivamente trovato un fucile. Lo hanno imbustato, e ora si
trova
nelle mani del comandante Rochester.»
Iris
sgranò gli occhi, a quella notizia, ed esalò
preoccupata: «Cosa… cosa gli avete
raccontato?»
«Che
sei stata ferita di striscio a una spalla, e che Chuck ti ha curata
direttamente al camping, visto che il taglio era lieve. Dovrai solo
mettere una
fasciatura posticcia, quando parlerai con Rochester» le
spiegò Dev, il volto
ridotto a una maschera di gelo.
«Devereux…»
tentennò Iris, non sapendo come interpretare quello sguardo.
«Sei
quasi morta, in clinica e, quando ti sei risvegliata, urlavi come se ti
stessero squartando un pezzetto alla volta…»
sibilò Dev, passandosi una mano sul
viso per il nervosismo e la rabbia.
«…perciò, stavolta, non venirmi a dire
che
non devo sentirmi in colpa, è chiaro?!»
Iris
lasciò perdere la cioccolata e raggiunse subito Devereux.
Spense il fuoco sotto
la padella per non bruciare la carne, ormai dimenticata, e strinse in
un
abbraccio l’uomo, mormorando: «Sei arrabbiato, e lo
sono anch’io, ma non
penserò mai che sia
colpa tua. Mai!»
Poggiando
il capo sul torace di Dev, Iris ne percepì il battito
frenetico, l’adrenalina
nel sangue, la paura che ne irrigidiva i muscoli e, stringendo
ulteriormente,
aggiunse: «Sono viva, okay? Viva.»
Lui
replicò finalmente alla stretta e, tremando per
l’eccessiva tensione
accumulata, mormorò: «Solo per puro caso,
… Cristo, senti qua! Sei pelle e
ossa…»
«Temo
che il mio chilo e mezzo recuperato tanto a fatica, sia andato perso
tutto
oggi» cercò di ironizzare Iris, scostandosi
delicatamente da lui.
Dev
guardò l’hamburger, scrutò lei e infine
dichiarò lapidario: «Credimi. Riuscirò
a farti ingrassare. Fosse l’ultima cosa che faccio.»
Stranamente,
trovò quella frase così assurda la più
bella che avrebbero mai potuto dirle
perciò, annuendo, tornò a sedersi al tavolo
mentre Dev si impegnava ai
fornelli.
Era
davvero strano come potesse manifestarsi l’affetto, ma Iris
era sicura che
quello lo fosse, sincero e disinteressato. Perciò, bellissimo.
N.d.A.:
Iris è salva, ma sicuramente non dimenticherà mai
ciò che le è successo. Anche per questo, scoprire
chi realmente sono, diventa sempre più impellente e Lucas,
che si è tenuto "nascosto" fino a ora, credendo che potesse
bastare, comprende il suo errore e le limitazioni di ciò che
non ha compiuto fino a quel momento.
Devereux,
a sua volta, rimane scioccato da ciò che è
accaduto, e la vista di Iris ferita lo colpisce nel profondo. La sua
decisione di "metterla all'ingrasso" sarà solo dettata dal
desiderio di saperla in salute, o nasconderà altro?
Alla
prossima, per le nuove scoperte dei nostri amici!
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
12.
Il
volto del comandante Rochester era terreo, quando Iris e Devereux
entrarono nel
suo ufficio alla centrale di polizia.
Quando
l’uomo li aveva chiamati, il giorno successivo allo sparo, si
era dichiarato
sorpreso di non aver ancora visto giungere Iris per una denuncia, ma
lei lo
aveva rassicurato.
Non
avrebbe denunciato Alyssia, ma avrebbe chiesto in cambio che la donna
venisse
mandata in una clinica psichiatrica perché fosse curata una
volta per tutte.
Il
comandante l’aveva rassicurata in tal senso; Rochester aveva
già preso accordi
perché Alyssia fosse inviata in una delle migliori cliniche
di Vancouver.
Ugualmente, però, aveva richiesto la sua presenza per
parlarle a quattr’occhi
e, quando Iris aveva chiuso la chiamata, Dev le aveva imposto la sua
presenza,
senza se e senza ma.
Ancora
troppo stanca per replicare, la giovane aveva accettato e, non appena
vestita,
era salita sul pick-up di Dev per raggiungere Clearwater.
In
quel momento, accomodandosi di fronte alla scrivania del comandante,
Iris
mormorò all’indirizzo dell’ufficiale:
«Cominceranno a pensare che mi caccio
sempre nei guai.»
Rochester
accennò un mezzo sorriso ma, scuotendo il capo,
replicò stancamente: «Dubito
fortemente che ci sia qualcuno, in tutta Clearwater, che possa
pensarlo. Davvero
non capisco i motivi che la spingono a rinunciare a
un’accusa, miss Walsh. Ne avrebbe
tutti i diritti, e io meno di tutti le impedirei di ottenere
ciò che le spetta,
e cioè giustizia. Il fucile che Chuck Johnson mi ha portato
appartiene a mia
figlia. Glielo regalai io diversi anni fa. Così come la
pallottola che hanno
recuperato nel terreno. Le rigature sono quelle del fucile di Alyssia.
Quindi… perché?»
«Il
tutto si è risolto con una ferita di striscio al
braccio…» asserì lei,
mostrando alcuni giri della fasciatura posticcia che aveva sistemato
sul
braccio. «… e un po’ di sana paura,
perciò posso anche soprassedere. Non ha senso
infierire su una persona chiaramente disturbata e che, invece di finire
in
galera, ha un bisogno estremo di
essere aiutata a guarire. Le sbarre di una cella non la aiuterebbero a
lenire
ciò che la disturba così nel profondo, e
onestamente non me la sento di spedire
in un prigione una persona che non è cosciente di
ciò che fa.»
Rochester
assentì più volte, massaggiandosi il centro della
frontre con fare stanco e,
lapidadio, mormorò: «La clinica di Vancouver che
ho contattato ha ottime
referenze e, se vorrà, le dirò con chi parlare
per averne la certezza. Ho
chiesto per lei il trattamento sanitario più restrittivo e,
va da sé, se non
rispetterà le direttive, non rivedrà mai
più la luce del sole. La farò
arrestare immediatamente e
chiederò
la sua deposizione in merito a questo incidente, così che
nessuno possa
contestare la mia richiesta.»
Annuendo,
Iris intrecciò le mani e mormorò: «Mi
basta ma, se preferisce metterlo nero su
bianco, sono anche disposta a controfirmarglielo.»
Il
comandante, però, scosse il capo e replicò:
«Ha già dimostrato fin troppa
pazienza e clemenza, con mia figlia. Non voglio ulteriormente
danneggiarla,
facendole passare mezza giornata qui per attendere scartoffie su
scartoffie da
firmare. Se avrò bisogno di qualche firma, le
farò consegnare i documenti
direttamente al campeggio, va bene?»
«D’accordo»
mormorò Iris, levandosi in piedi. Dev, dietro di lei, le si
pose al fianco e,
torvo, squadrò il comandante, come in attesa di scuse.
Lei,
però, gli diede di gomito e, salutando Rochester,
uscì dall’ufficio quasi
trascinandosi dietro l’uomo.
Solo
nel cortile, Devereux ebbe il coraggio di lagnarsi per il dolore al
costato e,
fissandola bieco, gracchiò: «Ma che ti
è preso?! Avrebbe potuto anche scusarsi
maggiormente, no!?»
«Non
mi importa, Devereux, davvero. Non ti sei accorto che
quell’uomo era sull’orlo
di una crisi di nervi?» replicò Iris, salendo sul
suo pick-up.
Dev
la fissò confuso e lei, con un sospiro, ammise:
«Già, forse non l’hai notato
davvero. Il suo cuore era indebolito, così come le sue
funzioni interne. Ho
percepito molte tossine nel suo sangue, come se non fosse in salute, e
i suoi
nervi erano tesi allo spasimo. Non so quanto dipenda da Alyssia, e
quanto da
una sua condizione pregressa, ma il comandante sta davvero rischiando
l’esaurimento.»
Chetatosi
un poco, Devereux imboccò la strada principale per tornare a
casa e, nello
scrutare le auto dinanzi a sé, mugugnò:
«Non chiedermi di essere dispiaciuto.»
«Non
te lo chiederò» gli concesse lei, sorridendo a
mezzo quando i suoi occhi
registrarono un tic sulla sua guancia.
Era
chiaro quanto, tutta quella situazione, stesse facendo irritare
Devereux,
eppure si era trattenuto dall’esplodere solo
perché lei glielo aveva chiesto.
V’erano
dimostrazioni di fiducia più grandi di questa, forse?
***
Iris
stava guardando decisamente dubbiosa l’immenso cesto che Dev
le aveva posto
innanzi, interamente ricolmo di alette di pollo glassate e accompagnate
da
patatine fritte.
Chelsey,
invece, non si fece alcuno scrupolo di coscienza e iniziò a
sbocconcellare la
prima aletta sotto gli occhi inquisitori del padre.
«Coraggio,
mangia» la incitò Devereux, sedendosi sul divano
dove già si trovavano Chuck e
Clarisse.
Il
veterinario assentì all’indirizzo di Iris e lei,
non potendo fare altrimenti,
mormorò: «C’è del
ketchup?»
Chelsey
rise e annuì, correndo a prenderglielo e Iris, afferrata la
prima aletta,
dichiarò: «Sedici chili
di alette,
Dev? Non ti sembra di esagerare?»
«Tu
mangia… vedrai che non andranno sprecate»
scrollò le spalle l’uomo.
Lei
allora ci diede dentro e, non appena il suo stomaco ebbe avvertito il
sapore
della carne, il suo istinto predatorio ebbe il sopravvento.
Aiutata
in parte da Chelsey, Iris fece sparire in poco meno di
mezz’ora tutte le alette
di pollo, intervallandole con ampie porzioni di patate fritte inzuppate
nel
ketchup.
Era
assurdo che stesse riempiendosi lo stomaco a quel modo alle quattro del
pomeriggio, ma la fame aveva avuto il sopravvento anche sulla buona
creanza.
Quando
infine ebbe terminato, e si fu ripulita da unto e salsa, Iris
ringraziò Chuck
per l’operazione che l’aveva salvata.
Lui
scosse una mano come se nulla fosse dopodiché, intrecciate
le mani su un
ginocchio, tornò serio e disse: «E’
più che evidente che nessuno di noi è
preparato a eventi estremi, o non avremmo rischiato di perderti sul
tavolo
operatorio, così come non abbiamo potuto impedire con
scioltezza i tuoi dolori
post-operatori.»
Tutti
annuirono gravi e Lucas, colpevole, aggiunse: «Mi rendo conto
solo ora che
crogiolarmi nelle mie certezze è stato un errore. Avrei
dovuto pensare che,
prima o poi, qualcosa del genere avrebbe potuto accadere anche a me. E
a quel
punto cosa avrei fatto? Stando a quel che dice Gunnar, la mia anima non
è
senziente, perciò non avrebbe potuto distaccarsi dal corpo
per permettermi di
superare un’operazione. Sarei morto per l’eccessivo
dolore, o sarei impazzito,
trasformandomi e uccidendo magari qualcuno.»
Clarisse
si allungò per stringergli una mano e lui la
accettò di buon grado, ma proseguì
nel suo monologo.
«Accettare
passivamente il mio destino mi ha limitato nelle conoscenze, e questo
ha messo
in pericolo Iris che, invece, ha affrontato di petto la questione,
cercando
risposte. Io avrei dovuto essere una guida, per lei, poiché
sono nato con questa
singolarità, e invece
non le sono stato di alcun aiuto.»
«Nessuno
è perfetto, Lucas, e di certo non incolpo te se sono finita
su un tavolo
operatorio» replicò secca Iris.
«E’ palese quanto ci serva aiuto per capire
come gestire la nostra licantropia oppure, presto o tardi, finiremo col
metterci in guai seri per cose apparentemente banali.»
«Anche
se Lucas è scettico, sono sicuro che mia nonna
potrà aiutarci. Il fatto che,
pur essendo donna, sia stata insignita del titolo di sciamano, la dice
lunga
sulle sue capacità. Nella sua tribù è
definita donna dal cuore di uomo, e
solo grazie a questo è potuta assurgere
a una simile carica» spiegò loro Rock, sorridendo
gentilmente a Lucas, che
scrollò le spalle.
«Mi
appellerei anche a una pianta, o addirittura a una pietra, se sapesse
darmi le
risposte che cerco» chiosò Iris, lanciando un
sorriso speranzoso a Chelsey, che
assentì.
«Parleremo
con lei. Non farò il bastian contrario, lo
prometto» dichiarò Lucas, levando le
mani in segno di resa. «Inoltre, è sempre bello
incontrare nonna Katherine.»
«Se
ti sentirà chiamarla così, ti scaccerà
di casa» ridacchiò Rock.
«Non
lo farebbe mai, perché mi adora. Inoltre, di fronte a lei,
la chiamo sempre Mitig Ikwe, se ben
ricordi» sottolineò
Lucas, ammiccando.
Iris
li fissò incuriosita e ne domandò il significato.
«E’
un nome in lingua algonquin e
significa donna albero. Fin da
piccola, mia nonna dimostrò di essere molto saggia e dotata
di un’anima antica così,
prima le diedero questo nome per sottolinearne la maturità e
la saggezza e, in
secondo luogo, la iniziarono allo sciamanesimo. Per i Nativi, le piante
sono le
depositarie di grande sapere e conoscenza, perciò chiamarsi
così è distintivo
di una persona estrememente profonda e intelligente.»
«Beh,
domani scopriremo se sa qualcosa di questo guazzabuglio»
chiosò Iris,
spallucciando.
Chelsey
assentì e sbadigliò sonoramente. In quelle ultime
ore, aveva riposato davvero
poco. Dev, allora, la invitò a raggiungere il letto di corsa
e la figlia, senza
troppe proteste, annuì, diede un bacio a Iris e corse al
piano superiore.
Un
riposino prima di cena non l’avrebbe certo guastata.
La
famiglia Johnson e Rock si mossero quindi per andarsene ma, quando
chiesero a
Iris se voleva un passaggio fino al campeggio, Dev replicò:
«Può dormire qui.
Così sarò sicuro che a colazione
mangerà carne, e non soltanto dolci.»
Iris
fece spallucce, di fronte a quel commento indisponente, e
celiò: «Vuole farmi
ingrassare come un maialino.»
«Così
potrò arrostirti» ribatté
l’uomo, fissandola con un ghigno furbo.
«Averli
io, certi problemi» sospirò Clarisse, dandosi una
pacca sul fianco arrortondato.
«Mi
sono mai lamentato?» replicò Chuck.
La
moglie scosse il capo, sorridendo maliziosa e Lucas, trascinandoli
praticamente
fuori di peso, borbottò: «Sono le cinque del
pomeriggio e questi fanno i
piccioncini. Ci vediamo presto, ragazzi! Buona serata!»
Iris
levò una mano per salutare il gruppo ma, quando fu
nuovamente sola con Dev,
sospirò e l’uomo, incuriosito, le
domandò: «Cosa c’è?»
Lei
ammiccò appena, sfiorò con un dito il tessuto
cicatriziale visibile dallo
scollo a V della maglia che indossava e borbottò:
«Posso dire addio alla prova
costume.»
«Quanto
è lungo?»
«Più
di una spanna» disse Iris, poggiando la mano sullo sterno e
allargando le dita
per indicarne la lunghezza complessiva.
Dev,
allora, scrollò le spalle e disse perentorio:
«Fregatene.»
Ciò
detto, le diede un pizzicotto sul naso, la afferrò per le
spalle per volgerla
verso le scale e infine, sospingendola, ordinò:
«Fila a farti una doccia. Lupa
o meno, hai bisogno di rilassarti, e non c’è
niente di meglio di una doccia per
ottenere questo risultato. Nel frattempo, tirerò fuori un
po’ delle tue
polpette dal freezer perché si scongelino.»
«Andata»
annuì Iris, raggiungendo il piano superiore con calma.
A
volte, anche Dev aveva delle ottime idee.
***
Iris
non fece fatica a comprendere il perché del nome della nonna
di Rock.
Per
quanto la donna fosse piccola di statura e piuttosto magrolina,
spingeva chi la
guardava a provare lo stesso reverenziale timore percepito di fronte a
una
possente e antica sequoia.
Accomodata
su una poltrona di vimini, ricoperta di cuscini a fantasie patchwork,
la donna
portava i lunghi e bianchi capelli stretti in due trecce, che
ricadevano
leggere sulle esili spalle.
Abiti
dai colori allegri si abbinavano a caldi occhi color cioccolata e a un
sorriso
solare, sorriso che si allargò quando Lucas le
baciò le guance per salutarla.
«Bambino
caro, vedo che non sei più da solo, nella tua tana
solitaria» chiosò la donna,
ammiccando ad Iris e Chelsey, che risposero con eguali sorrisi.
Il
giovane sbatté le palpebre, fissò confuso Rock e,
al suo diniego, domandò:
«Nonnina… tu sapevi?»
«Che
sciamano sarei, se non avessi capito che in te scorreva sangue potente
e
antico?» lo prese bonariamente in giro la donna, facendo
sorridere Rock.
Lucas
sbuffò, dichiarandosi sconfitto e, accomodandosi sul divano
assieme al
compagno, disse: «Beh, visto che mi hai gabbato in pieno,
cosa puoi dirci?»
«La
bambina ha sangue giovane e forte, che è simile ma diverso
dal tuo, tesoro, ma
la giovane donna… avvicinati, cara» disse Mitig
Ikwe, rivolgendosi a Iris
nell’allungarle le mani delicate.
Lei
assentì titubante e, quando pose le sue mani su quelle
aperte della donna, la
vide spalancare le palpebre per poi sorridere soddisfatta.
«Oh,
qui abbiamo un’anima antica in una giovane creatura. Un
connubio assai
interessante. Un protettore, mi pare di capire»
mormorò pensierosa la donna,
sgomentando Iris, che assentì con aria vagamente intontita.
«Sì,
signora. Lui dice di essere un landvættir,
per l’appunto un protettore delle genti e dei
territori» le spiegò Iris.
Invitatala
a sedersi vicino a lei, sulla poltrona libera, Mitig Ikwe le disse:
«Chiamami ‘nonna’
anche tu, tesoro. E dimmi,
quando hai ottenuto la consapevolezza?»
«Solo
poco tempo fa. Gunnar, il nome del landvættir,
mi ha detto che ero troppo stressata e nervosa per poter cogliere per
intero i
suoi tentativi di mettersi in contatto con me.»
«Una
mente inquieta è foriera di problemi. Ora sei più
serena, cara?» le domandò a
quel punto la donna, battendole affettuosamente una mano sul braccio
lacerato
dalla ferita che l’aveva mutata in lupo.
«Diciamo
che avere al fianco persone di cui mi fido e a cui posso dire tutto,
è un aiuto
che mai avrei pensato di trovare» ammise Iris, sorridendo ai
presenti.
Dev
con il suo sorriso sghembo e guardingo, Chelsey con la sua risata
solare, Rock
e la sua salda compostezza e Lucas, il primo lupo che avesse mai
incontrato
dopo la sua tragedia personale.
Sì,
era bello averli attorno e sapere che altre persone li attendevano
trepidanti,
in attesa di novità – i nonni di Chelsey, i
coniugi Johnson e lo zio, a L.A. –
dava la stessa sensazione di un caldo abbraccio di gruppo.
«La
famiglia è importante, e la si può definire tale
anche se non vi sono reali
legami di parentela. Poiché alcuni di voi sono lupi, vi si
potrebbe definire un
branco, un piccolo branco protetto dalla luna alta in cielo»
chiosò la donna,
dando una pacca sulla mano a Iris prima di indicare la luna visibile
nel cielo
pomeridiano.
«In
effetti, abbiamo molti legami con lei, visto che i nostri lupi sembrano
diventare più forti, quando c’è luna
piena» mormorò la giovane, sorridendole.
L’anziana
Piedi Neri assentì, dicendo: «Un’antica
leggenda del mio popolo narra che un
esile spicchio di luna, udendo un lupo ululare lungamente, chiese il
motivo di
una tale prostrazione. Il lupo, allora, le rispose che il suo cucciolo
si era
perso, e disperava di trovarlo ancora vivo. La luna, impietosita,
decise di
aiutarlo e, poco alla volta, si gonfiò fino a divenire un
enorme globo lucente,
in grado di illuminare tutta la foresta. Il lupo, così,
trovò il suo cucciolo e
le fate dei boschi, commosse dal gesto della luna, fecero in modo che
ogni
mese, tutti i cuccioli del mondo potessero sentirsi protetti da una
luna piena
e luminosa. Da quel giorno, a ogni plenilunio, i lupi ululano felici
per
mantenere saldo il loro legame con la luna.»
«Quindi,
cosa dovremmo fare? Abbaiare alla luna piena?»
ironizzò Lucas.
Rock
ghignò all’indirizzo di Lucas che, levando le mani
in segno di perdono,
borbottò: «Scusate. Scherzavo. Volevo solo
sdrammatizzare un po’.»
La
risata che si librò nella stanza fu genuina e liberatoria e,
quando ognuno dei
presenti ebbe sfogato il proprio sollievo, Iris domandò:
«Come possiamo
scoprire chi siamo? E’ assurdo muoversi a tentoni, senza
sapere nulla. Esisterà
pure qualcuno che conosce qualcosa di noi. Togliendo la battuta di
Lucas sulla
luna, potremo pur fare qualcosa per scoprire la
verità!»
«Manitu
mi è testimone, cara, io non
conosco nessun altro, come voi, ma so a chi si può
domandare» mormorò
l’anziana, annuendo sicura. «Dovete recarvi nel
Writing-on-Stone Provincial
Park e raggiungere le iscrizioni rupestri dei miei avi. Lì,
le pietre vi
parleranno di ciò che siete.»
Tutti
guardarono Iris con espressione divertita e lei, ridacchiando
imbarazzata,
esalò: «Ehi, scherzavo quando dicevo che avrei
chiesto anche a una pietra, se
necessario!»
«Quelle
non sono pietre qualunque. Contengono tutto il sapere dei miei antenati
e anche
dei vostri, poiché i due popoli incrociarono le loro strade,
in tempi immemori,
e lì riposano le loro storie» sentenziò
seriamente l’anziana, stringendo le
mani in una muta preghiera.
Il
gruppo si guardò vicendevolmente, non sapendo bene che dire
finché Chelsey,
dubbiosa, domandò: «Quanti letti ha il tuo camper,
Iris?»
La
giovane scoppiò a ridere, esalando: «Beh, se
sistemiamo i divanetti e il
tavolo, dovremmo raggiungere i sei coperti.»
Dev
si grattò la nuca, insofferente, e borbottò
contrariato: «Abbiamo due cantieri
aperti, in questo momento, e non so se…»
«Io
me la posso cavare, e Lucas non credo avrà problemi. Quanto
a Chelsey, non penso
sia necessaria la sua presenza, visto che…»
iniziò col dire Iris, prima di
notare lo sguardo accigliato e ferito della ragazzina.
«… oh, piccola… non
volevo…»
«Non
mi lascerete fuori da questa storia! Faccio parte anch’io
della partita! Voglio
sapere anch’io chi sono, ma di persona!»
protestò Chesley, irritandosi non
poco. «Sono già costretta a vivere una vita finta,
con le mie amiche… non
voglio che sia finta anche con voi!»
Iris
assentì grave, comprendendo appieno il suo desiderio di
sapere, poiché era lo
stesso che l’aveva spinta a lasciarsi alle spalle certezze e
comodità per
intraprendere quel lungo e sfiancante viaggio di scoperta.
Lanciato
poi uno sguardo a Dev, la giovane disse: «Posso prendermene
cura io. Sai che
non lascerei nulla di intentato, per lei.»
Devereux
vagò con lo sguardo tra la figlia e Iris e, rivolgendosi a
Chelsey, domandò:
«Te la senti davvero?»
«Sì.
E non voglio che sacrifichi ancora il tuo lavoro per me. Lo hai
già fatto anche
troppo. Iris e Lucas mi proteggeranno… e poi si
tratterà di stare via due, tre
giorni al massimo» lo rassicurò Chelsey,
sorridendogli piena di coraggio e
spirito d’avventura.
Dev
la abbracciò con forza, mormorando:
«Cristo… non mi va di lasciarti sola
proprio adesso, però...»
«…però,
hai tante responsabilità, e alcune non si possono lasciare
ad altri» terminò
per lui Chelsey, baciandolo su una guancia.
«Sei
troppo intelligente e brava, per essere mia figlia» la
lodò Dev, dandole un bacio
sulla fronte prima di guardare Iris e aggiungere: «Te la
affido perché so che
te ne prenderai cura… ma vedi di continuare a mangiare, o
vanificherai i miei
sforzi.»
«Chelsey
mi controllerà» gli garantì Iris,
sorridendo.
Dev,
allora, lanciò un’occhiata a Lucas e
decretò torvo: «Sono nelle tue mani,
amico.»
«Torneremo
prestissimo, te lo prometto» lo rassicurò Lucas,
allungandogli una mano per
stringere quella protesa di Dev.
Lui
si limitò ad assentire e Rock, sorridendo alla nonna, disse:
«Grazie. Ci hai
davvero tolti dall’impiccio.»
«Se
quel che le leggende raccontano sono vere, il loro popolo tolse
dall’impiccio
noi, secoli addietro. E’ giusto ripagare il pegno»
dichiarò solenne Mitig Ikwe.
***
Lo
sguardo di Dev la stava perforando, e non era per niente piacevole.
Per
quanto potesse comprendere – a livello teorico – le
sue reticenze a far partire
la figlia, Iris trovava assurdo, per non dire offensivo, il fatto che
lui non
si fidasse della sua guida!
Aveva
attraversato metà degli Stati Uniti con quel camper, e si
era inoltrata in
Canada nel bel mezzo delle Montagne Rocciose, arrivando a toccare quasi
tremilacinquecento miglia di percorso in due anni di viaggio!
Non
era di certo una sprovveduta al volante, cosa credeva?!
«Non
devi superare…» ricominciò per
l’ennesima volta Devereux, venendo subito
interrotto da Iris che, poggiate le mani sulle spalle
dell’uomo, spinse con
forza fino a farlo sedere sul vicino guard-rail.
«Devereux,
me l’hai detto almeno dieci volte negli ultimi quindici
minuti. Giuro che, se
lo ripeti ancora, ti farò mangiare la lingua.»
Alla
minaccia, Iris fece seguire un ringhio ben poco rassicurante e Dev, con
uno
sbuffo, borbottò: «E’ scorretto usare le
maniere forti con uno che non può
difendersi.»
Quella
frase le parve così assurda che Iris scoppiò in
una sonora risata, esalando:
«Scusami, ma è esilarante il pensiero di poter
mettere al tappeto un uomo
grosso due volte me.»
«Fai
anche la spiritosa. Sarei quasi tentato di farmi ferire solo per farti
rimangiare le tue idiozie» brontolò Devereux,
fissandola acido.
Iris
tornò seria, di fronte a quelle parole e, scuotendo il capo,
replicò: «La
prenderò come una scemenza, perché nessuno
dovrebbe volere una cosa del genere, e per un motivo così
idiota.»
«E’
ovvio» ringhiò Dev, scaricandole un pugno nello
stomaco senza peraltro ottenere
alcun risultato. «Cristo, che schifo… neanche una
piega.»
Iris
sorrise nonostante tutto e, ammiccando all’uomo, disse:
«Dovrebbe bastarti per
capire che avrò cura di tua figlia perché ne
ho i mezzi.»
Dev
allora sospirò, reclinò in avanti il capo e
borbottò: «Mi sento un idiota
totale. Non sta andando in capo al mondo, e neppure per tutta la sua
vita,
eppure…»
«…
eppure, ti senti in colpa perché non puoi essere con lei in
questa faccenda»
terminò per lui Iris, carezzandogli istintivamente i neri
capelli arruffati.
L’uomo
annuì senza replicare e, mogio, borbottò
solamente: «I nonni hanno finito di
sbaciucchiarla?»
«Sì,
direi che è il tuo turno» dichiarò
Iris, sorridendo.
Alzandosi
fieramente, Dev la fissò malissimo e sbuffò:
«Io non sbaciucchio mia
figlia!»
Lei
preferì non replicare, ma la sua risatina seguì
Devereux come un incubo a occhi
aperti e, quando strinse in un abbraccio Chelsey, mormorò:
«Cerca di non far
preoccupare i tuoi accompagnatori, perché non sono del tutto
certo che
sarebbero in grado di risolvere un problema anche semplice.»
Chelsey
sorrise divertita e, stringendo forte il padre, asserì:
«Ce la caveremo, papà.
Non temere.»
«Oh,
di te mi fido…» replicò Dev, levando
poi lo sguardo per osservare arcigno Lucas
e Iris. «… è su di loro che ho qualche
dubbio.»
L’attimo
seguente, uno schiaffo sulla nuca fece volgere irritato Devereux che,
furioso,
ringhiò: «Mamma! La pianti?!»
«E
dire che ti ho insegnato l’educazione…
dov’è finita? Sotto metri e metri di
segatura?» brontolò Bethany, scuotendo esasperata
il capo.
Lucas
scoppiò spudoratamente a ridere mentre Iris, più
composta, si limitò a una
risatina soffocata dietro una mano.
«Non
fate caso alle scempiaggini di mio figlio, e fate buon
viaggio» continuò Betty,
caricando Chelsey all’interno del camper mentre Iris saliva
al posto di guida.
«Chiameremo
non appena saremo arrivati a Calgary per la colazione»
promise loro Iris,
sporgendosi dal finestrino.
«Chiamerete
ogni ora!»
protestò Dev, schivando
l’attimo seguente un secondo schiaffo di sua madre.
Lucas
gli mandò un bacio per diretta conseguenza, chiuse la porta
del camper e,
affacciatosi al finestrino a sua volta, gli gridò:
«So che ti mancherò, ma non
darlo così a vedere!»
Iris
partì subito dopo, mentre la risata di Lucas li accompagnava
e il grugnito di
Devereux – condito di diverse imprecazioni –
chiudeva la partita a suo
svantaggio.
Rock
si limitò a osservare il camper mentre si allontanava dal
campeggio e, nel dare
una pacca sulla spalla all’amico, mormorò:
«E’ con due lupi grandi e grossi.
Cosa vuoi che le succeda?»
«Succede
che non sono con lei, che il suo papà non è al
suo fianco. Già è dovuta
crescere senza la mamma e ora, quando più avrebbe bisogno di
me, non ci sono
neppure io» ammise Devereux, fissando contrito
l’amico.
«Oh,
Dev…» mormorò la madre, stringendosi a
lui per consolarlo.
«Chelsey
non è sciocca, e sa benissimo qual è la
differenza tra ciò che è avvenuto con
Julia, e quello che sta succedendo ora. E tu devi cominciare a darle
più
spazio. Volente o nolente, non è più una bambina
e ci sono cose che, per forza,
dovrà fare senza di te. Lucas dovrà insegnarle a
essere una brava lupa, e lei
dovrà crescere con una consapevolezza di se stessa che io e
te neppure ci immaginiamo»
asserì a quel punto suo padre, dando una pacca sulla spalla
al figlio.
Devereux
lanciò uno sguardo dolente alla figura ormai lontana del
camper immerso nella
notte e, annuendo debolmente, mormorò: «Non
è facile, per me, accettare di non
essere in grado di aiutarla, o proteggerla.»
«Sei
suo padre, e lei ti ama. Non devi pensare ad altro» lo
rassicurò Rock. «E ora
filiamo a nanna, o più tardi assembleremo la casa al
contrario.»
A
Dev sfuggì un risolino e, alla chetichella, tutti i presenti
si allontanarono
per tornare alle loro rispettive case.
Quando,
però, Devereux si ritrovò solo nella propria, non
riuscì proprio a salire in
camera sua per riposare.
Si
sistemò su uno dei divani e, rattrappendosi sotto una
coperta, si apprestò a
passare la sua prima notte da solo e senza sua figlia.
La
sola idea lo mandò immediatamente in paranoia, ma fu il bip del suo cellulare a farlo quasi
andare al manicomio.
Ruzzolando
giù dal divano, afferrò in fretta lo smartphone
appoggiato sul tavolino per
aprire il messaggio appena arrivato e, a sorpresa, vi trovò
scritto: “Va tutto bene e le strade
sono sgombre.
Chelsey sta già dormendo. Ti aggiornerò tra
un’ora. Buona notte.”
Ovviamente
non era firmato, visto che il messaggio giungeva dal cellulare di Iris,
e Dev dubitava
fortemente che Lucas si sarebbe preso la briga di aggiornarlo
così celermente.
“Pensa
a
guidare. Quando vi fermerete, mi dirai altro. Fatti dare il cambio ogni
due
ore. Lo sai che ti viene fame spesso, e questo può minare
l’attenzione alla
guida.”
Dev
si pentì di aver spedito quell’sms subito dopo
aver pigiato ‘invia’
sul cellulare, ma sorrise
divertito quando ne tornò subito uno indietro, e che lo
intimava di dormire.
Fu
sollevato, inoltre, nel notare l’emoticon sorridente alla
fine della frase.
Non
avendo altro da dirle, si sdraiò nuovamente e, stavolta,
riuscì a chiudere gli
occhi.
***
«Iris…
ehi, Iris…» disse Lucas, scrollando debolmente
l’amica per scuoterla dal suo
sonno.
Lei
e Lucas si erano dati il cambio dopo tre ore di viaggio e, quando Iris
riaprì
gli occhi, la giovane si stiracchiò subito dopo e disse:
«Eccomi. Dove siamo?»
«Siamo
arrivati a Calgary, ci sono sei gradi e piove a dirotto» la
mise al corrente
Lucas, indicando l’esterno con un risolino.
«Sei
gradi, eh? Mi fanno un baffo, ora come ora»
ironizzò lei, gradendo molto la
peculiarità dei licantropi di avere una temperatura corporea
così alta.
Per
lei, i geloni e i brividi erano ormai un ricordo lontano.
Ugualmente,
si infilò una felpa per non dare nell’occhio e,
dopo essere sgattaiolata via
dal sedile del passeggero, raggiunse la zona notte del camper e
svegliò
Chelsey.
La
ragazzina si svegliò con un gran sbadiglio, il corpo esile
disteso a gambe
aperte sull’enorme letto a due piazze e i neri capelli
ridotti a una zazzera
confusa e disordinata.
Iris
glieli carezzò divertita e disse: «La prossima
volta, faremo una treccia. E’
meglio.»
«I
tuoi non si riducono così,
però…» mugugnò Chelsey,
indicando la liscia e
brillante chioma dorata di Iris.
«I
miei non possono essere acconciati, o arricciati in nessun modo,
però. Le
forcine sfuggono dappertutto, gli elastici scivolano via e la piastra
non ha alcun
effetto. Restano sempre e comunque lisci come tavole» le fece
notare la
giovane, aiutandola a scendere da letto.
«Me
la farai tu, la treccia? Papà non è capace, e non
posso sempre andare da nonna
Betty per farmela fare, perciò…»
«Ti
aiuterò io. Ho fatto pratica su mia cugina Liza,
perciò sono esperta» le rivelò
Iris, sorridendo al pensiero della cuginetta.
Di
cinque anni più grande di Chelsey, Liza era la
più scalmanata, tra le due
figlie di zio Richard e zia Rachel. Da sempre solare e allegra, le era
stata
molto vicino, durante il periodo appena seguente la morte dei suoi
genitori, e
Iris gradiva sempre parlare con lei.
Quell’autunno
avrebbe compiuto diciassette anni, si ricordò Iris e, con
tutto il cuore, sperò
di poter essere a L.A. per festeggiarla.
Forse,
dopo quella missione a Writing-on-Stone, avrebbero risolto molti dei
loro
problemi – e dubbi – e lei avrebbe potuto
finalmente tornare a casa.
Nel
pettinare i lunghi capelli di Chelsey e aiutandola a vestirsi,
però, Iris si
chiese se sarebbe stato poi così semplice abbandonare
Clearwater e tutte le
persone che aveva conosciuto.
Dopotutto,
lì aveva incontrato il primo licantropo della sua vita, e
aveva aiutato Chelsey
a divenire tale durante il suo mutamento.
Non
erano persone qualunque, quelle che aveva incontrato e con cui aveva
fatto
amicizia, perciò sarebbe stato molto doloroso separarsi da
loro.
«Iris,
cosa c’è?» domandò Chelsey,
quando la giovane protrasse troppo a lungo il suo
silenzio.
Riscuotendosi
dai suoi pensieri, Iris le sorrise, poggiò la spazzola nella
busta degli
effetti personali di Chelsey e disse: «Pensavo a Liza, e al
fatto che lei non
sa niente di me. Solo lo zio ne è al corrente. Neanche la
zia o Helen, ne sanno
nulla.»
«Un
po’ come il papà di Lucas, che non sapeva della
sua doppia vita?»
«Già.
All’epoca, pensammo che la cosa avrebbe potuto essere troppo,
per loro, perciò
restammo in silenzio ma ora, onestamente, vorrei non averlo fatto.
Quando
chiamo a casa e parlo con loro, sento sempre di non essere corretta nei
loro
confronti.»
«Anch’io
vorrei dirlo a Roxy, ma ormai ho capito cosa volevate dirmi, quando me
l’avete
vietato. Però, è difficile»
sospirò Chelsey, reclinando il viso.
Iris
abbracciò istintivamente la ragazzina e, sorridendole nel
darle un bacio su una
tempia, mormorò: «Vedrai che riusciremo a trovare
il sistema per migliorare la
situazione. Per il momento, però, pensiamo a fare colazione
…e a chiamare tuo
padre.»
«Lo
faccio subito» annuì Chelsey, prendendo dalla mano
di Iris il suo cellulare,
mentre la giovane si apprestava a farle una treccia.
Non
occorsero che due squilli, e Dev rispose immediatamente, dicendo:
«Ehi,
sottiletta! Tutto bene?»
Ridendo,
Chelsey replicò: «Papà, sono Chelsey.
Ma la smetti di chiamare Iris con quel
nome assurdo?»
«Le
si addice, per il momento… comunque, dove siete,
adesso?»
«Siamo
arrivati a Calgary, e Lucas sta cercando un parcheggio per fermarci e
fare
colazione» gli spiegò la ragazzina. «Sta
diluviando, per la cronaca.»
«Qui
no, per fortuna, altrimenti costruire questa benedetta casa sarebbe un
vero
inferno» replicò Dev mentre, alle sue spalle, le
grida allegre dei dipendenti
lo richiamavano all’ordine.
Chelsey
sorrise divertita e decretò con sicurezza:
«Scommetto che sarà bellissima,
quando l’avrai finita.»
«E’
scontato» replicò lui, pomposamente. «Se
piove così tanto, indossa il poncho,
va bene?»
«Sì,
papà» assentì lei, lanciando
un’occhiata esasperata al soffitto del camper e facendo
ridere sommessamente Iris.
«Ora
passami sottiletta, per favore.»
«D’accordo.
Ti voglio bene, papà.»
«Io
di più» replicò Dev, affettuoso.
Chelsey
rise tutta contenta e, dopo aver passato il telefono a Iris,
mormorò: «Hai
finito?»
«Sì,
vai pure» dichiarò Iris, vedendola correre verso
il sedile del passeggero, che
lei volse azionando la leva direzionale per poi posizionarlo
correttamente al
fianco di Lucas. «Ciao, Devereux. Avevi bisogno di
qualcosa?»
«Procede
davvero tutto bene?»
«Non
siamo in zona di guerra, credimi. Siamo ancora in Canada,
perciò tra gente
perbene e molto educata» ironizzò Iris, scuotendo
esasperata il capo.
«Non
fare la spiritosa, sottiletta. Non sei tu ad avere una figlia a
centinaia di
miglia da casa, con…» iniziò col dire
Dev prima di bloccarsi, prendere un gran
respiro e borbottare contrariato: «… scusa,
l’ho rifatto. Ma è difficile
saperla lontana, visto che è la prima volta che è
via di casa senza di me.»
Iris
sorrise dolcemente di fronte a quell’ammissione e
mormorò: «Non preoccuparti.
Non posso dire di capire, visto che non ho figli, ma me ne
prenderò cura come
se fosse mia. Inoltre, è molto sveglia di suo,
perciò non è davvero un impegno
gravoso.»
Dev
rimase in silenzio per alcuni istanti, prima di dire: «Non
dimenticarti di
mangiare, va bene?»
Il
sorriso sul viso di Iris si accentuò mentre un tiepido
calore andava formandosi
nel suo animo. Era bello ricevere simili attenzioni, anche se in modo
così
sgarbato e poco elegante.
«Prometto
che assalterò un Burger King.»
«Porcherie.
Compra cibo vero e cucinalo. Tanto sai farlo, no?»
brontolò Dev.
Iris
a quel punto rise e, scrollando le spalle, esalò:
«Sai dire cose bellissime,
Devereux.»
«Mangia,
sottiletta, o ti ingozzerò come un’oca
all’ingrasso, al tuo ritorno» sbottò
Dev, buttando giù senza neppure un saluto.
A
lei non diede per niente fastidio e, con un risolino, raggiunse i suoi
due
compagni di avventura, domandando: «Hai trovato qualcosa,
Lucas?»
«Sto
raggiungendo una stazione di sosta e, come da ordini ricevuti a monte,
ci
prepareremo un hamburger ciascuno, prima di darci alla colazione
tradizionale»
la informò lui, sorridendole.
«Ordini…
ricevuti a monte?»
esalò Iris,
sorpresa.
«Sì,
da Dev. Mi ha fatto una testa così…»
dichiarò divertito Lucas, mimando una
palla. «… per cui non ho intenzione di
deluderlo.»
«Quell’uomo…»
sospirò Iris, scuotendo divertita il capo. «Beh,
mentre arriviamo a
destinazione, io faccio una telefonata.»
Ciò
detto, tornò nel reparto notte del camper e si sedette sul
letto, digitando il
numero dello zio.
Sapeva
che a L.A. erano solo le sette del mattino, ma conosceva più
che bene le
abitudini di zio Richard, ed era quasi certa che fosse in piedi da
almeno
un’ora.
Il
telefono, infatti, squillò solo due volte prima che la voce
incuriosita di
Richard rispondesse all’altro capo, dicendo: «Ehi,
Iris! Ciao! Sei mattiniera!»
«Ciao,
zio. Hai già fatto le tue cinque miglia di corsa?»
si informò lei.
«Ovviamente,
cara. E ora mi sto preparando un beverone di carota, cetrioli e banana.
Ti
direi se ne vuoi un po’, ma poi non saprei come fare a
mandartelo» ironizzò
Richard, facendola sorridere.
«Sai
che detesto i cetrioli… comunque, volevo solo informarti che
forse abbiamo una
pista da seguire.»
«Abbiamo?»
ripeté lui, pieno di
aspettativa. «Tu e Lucas?»
«Siamo
in tre, ora, zio. Ma ci sono almeno una decina di persone come te che
ci stanno
aiutando a scoprire qualcosa di più» gli
riferì Iris.
«Benissimo,
Iris. Non potevi darmi notizia migliore» esclamò
eccitato Richard, riempiendo d’amore
il cuore della nipote. Cosa aveva fatto per meritarsi tanto calore
umano e
tanta partecipazione?
«Senti,
zio…»
«Dimmi,
cara.»
«Hai
ancora il video che ti feci vedere?»
«Ma
certo. Lo conservo nella cassaforte del mio ufficio. Perché?
Preferisci che lo
distrugga?» le domandò l’uomo,
comprensivo.
«Oh,
no. Davvero. Piuttosto… credi che la zia e le mie cugine
sarebbero… vorrebbero
sapere la verità su di me?»
gli domandò lei, non sapendo se sperare in un sì
o in un no. Era così difficile
aggrapparsi alla speranza di essere accettati, e poi magari scoprire di
essere
soli con i propri incubi.
Richard
rimase in silenzio per quasi un minuto, prima di dire: «Credo
che sarebbero
orgogliose di te, bambina, esattamente come lo sono io. Se mi dai il
permesso,
gliene parlerò.»
«Sì,
zio. Fallo. Ho davvero bisogno di sentirvi accanto a me, tutti
quanti» mormorò
Iris, stringendosi un braccio sullo stomaco.
Forse,
l’incidente che l’aveva quasi spedita al Creatore
le aveva fatto rivalutare
molte cose, ma la sostanza non cambiava ciò che provava in
quel momento. Voleva anche la sua
famiglia, al suo
fianco.
Certo,
Devereux, Rock, sua nonna, i coniugi Johnson, Lucas, la piccola Chelsey
e i
suoi nonni erano già un nutrito gruppo di
sostenitori… ma non erano la sua vera
famiglia. Erano dei buoni amici, ma Iris sentiva l’esigenza
di avere al suo
fianco anche la sua famiglia, in quell’avventura
così stramba.
«Lo
farò, cara. E tu tienimi informato, mi raccomando.»
Iris
assentì e lo salutò. Il dado era tratto, e ormai
doveva solo attendere una
risposta da parte loro. Sperava davvero di non aver giudicato male la
situazione, ma desiderava davvero che almeno loro sapessero.
Aveva
ben visto, sul volto di Chuck Johnson, quella piccola luce di delusione
nata
dall’essere stato tenuto all’oscuro di ogni cosa.
Anche se era certa che presto
o tardi sarebbe svanita, per Lucas e Clarisse sarebbe stato difficile
perdonarsi per averlo ferito.
Anche
se in buona fede.
Sperava
a sua volta di poter avere un’occasione per essere perdonata.
***
Non
era il Gran Canyon, e neppure le cascate del Niagara, ma la sensazione
di
essere dinanzi a qualcosa di ancestrale e fuori dal tempo, era la
medesima.
Il
sinuoso Milk River scivolava lontano dalla distesa apparentemente
infinita di hoodoos, simile a un
pallido serpente
fuoriuscito dalla sua tana. Tana che, agli albori della sera, si
tingeva di un
rosso acceso, dando l’idea che le pietre millenarie
prendessero fuoco sotto i
loro occhi ammirati.
Chelsey
scattò diverse foto con il cellulare di Iris per mandarle al
padre e Lucas,
dopo aver patteggiato per due giorni di sosta nel locale campeggio del
Writing-on-Stone Provincial Part, disse alle sue compagne di avventura:
«Siamo
a posto. Trovare una piazzola libera in bassa stagione è
stato un gioco da
ragazzi.»
«Come
ti sembra il campeggio?» domandò con ironia Iris,
vedendolo ridere in risposta.
«Ah,
non posso dire nulla. E’ davvero ben tenuto» disse
diplomaticamente lui,
poggiando le mani sui fianchi per ammirare lo splendido paesaggio,
facente
parte della Riserva dei Piedi Neri.
Diversi
sentieri si dipanavano dinanzi a loro, che erano fermi di fronte
all’entrata
del parco, ora chiuso per la notte imminente.
In
lontananza, le alte e incredibili strutture rupestri conosciute come hoodoos, sembravano voler sfiorare il
cielo come mille mani distese verso l’alto, in cerca di un
contatto mistico con
l’eterno.
Buffi
cappelli di roccia ricoprivano molte di quelle strutture monolitiche e
sagomate
da migliaia di anni di vento, sole e pioggia. Forse, immensi giganti le
avevano
ricoperte per proteggerle, pensò Iris, lasciandosi andare
alla fantasia.
Visto
che lei era metà donna e metà lupo, tutto poteva
essere successo, agli albori
del tempo, persino la presenza di giganti e mostri, pronti a lottare
per il
predominio.
“Dove
stai
navigando, Iris?”
“Oh,
dappertutto
e da nessuna parte. E’ divertente pensare che quelle
strutture le abbiamo
create delle creature mitologiche, ti pare?”
Lucas
le sorrise, assentendo.
“Ci
renderebbe
un po’ meno speciali, un po’ meno unici, vero, se
così fosse?”
“Già”, annuì Iris,
poggiando una mano sulla spalla di Chelsey, che si accostò
fiduciosa a lei. “Renderebbe
più facile andare avanti, sapere
di non essere così particolari, così rari come in
effetti sembriamo essere.”
“Anche
se sono
solo rocce?”
“Sì,
anche se
sono solo un agglomerato di sabbia e cristalli compressi.”
Lucas
le diede una pacca sulla spalla, dicendo: «Domani ci
comporteremo da perfetti
turisti e visiteremo il parco per comprendere dove si trovano le pietre
coi
dipinti rupestri, dopodiché, la notte, faremo il nostro
ingresso illegale, lontano da occhi
e orecchie
indiscreti.»
Le
sue due compagne annuirono e Chelsey, beffarda, disse:
«E’ divertente essere in
missione segreta.»
Sia
Lucas che Iris non poterono che dirsi d’accordo.
N.d.A.:
stiamo avanzando a piccoli passi verso la verità, e Iris
decide di estendere
anche al resto della sua famiglia la verità su se stessa.
Vedere come Chuck
abbia in parte sofferto per i silenzi del figlio – pur
comprendendoli – le fa
capire che è il momento di agire. Non vuole che il segreto
condizioni la sua
relazione con la sua famiglia losangelina.
Scusate
il ritardo, ma
ero via… e senza PC.
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 13 ***
13.
Il
cielo coperto di nubi contribuiva a rendere la notte particolarmente
buia e
cupa e Lucas, nell’infilarsi una cuffia scura sui biondissimi
capelli, mormorò:
«Scenografia perfetta, non vi pare?»
Iris
assentì, chiudendo ben bene il cappuccio della sua felpa
perché non le si
scorgessero le chiome bionde.
Come
aveva temuto, la treccia che aveva appuntato sulla nuca era durata
sì e no dieci
minuti, e l’idea di infilare la sua capigliatura sotto una
cuffia, le era parso
impensabile. Come minimo, l’avrebbe persa lungo la strada.
Il
cappuccio della sua felpa nera era stato un giusto compromesso e
Chelsey, nello
scendere per ultima dal camper, fiera della sua acconciatura raccolta,
disse:
«Mi sento molto un agente segreto.»
«In
miniatura» aggiunse Lucas, sorridendole divertito e
guadagnandosi una
linguaccia dalla ragazzina.
«Non
perdiamo altro tempo» li incitò Iris, chiudendo il
camper prima di iniziare a
correre lungo il sentiero che conduceva all’interno del parco.
Le
sue uniche esperienze in tal senso le aveva sempre sperimentate tra i
fitti
boschi dell’Alberta e delle Montagne Rocciose, ma mai in un
campo libero e così
ampio come quel luogo.
Le
sue gambe, perciò, lasciate a briglia sciolta, la portarono
ben presto a
raggiungere una velocità ragguardevole, velocità
che la spinse a sorridere di
soddisfazione e di puro piacere.
Era
la prima volta in assoluto che provava quel genere di ebbrezza e,
quando vide
Chelsey a poca distanza da lei, seppe che anche la ragazzina stava
provando le
stesse sensazioni.
Libertà,
forza e controllo al tempo stesso, erano tutte sensazioni che
galleggiavano
dentro di lei come una piena sempre crescente.
Quello,
era essere dei licantropi? Se sì, le piaceva un sacco.
Lucas,
però, le riportò ben presto entro i regimi,
dicendo loro: «Non dobbiamo
arrivare in California, ragazze. Rallentate!»
Loro
malgrado, le due obbedirono e, riportandosi a un’andatura
più accettabile,
oltrepassarono in fretta la linea degli hoodoos
per portarsi fino alle pareti rocciose dove erano state
riprodotte le
storie più antiche dei Piedi Neri.
Lì
si fermarono – Chelsey si esibì in una gloriosa
frenata in scivolata – e Lucas,
non sapendo bene che fare, poggiò una mano sulla roccia
più vicina e disse:
«Proviamo così e vediamo che succede.»
Iris
e Chelsey assentirono e poggiarono a loro volta le mani sulle pietre,
mettendosi in ascolto e aspettando trepidanti che qualcuno rispondesse
alla
loro muta richiesta di soccorso.
Nulla,
però, avvenne e, col decorrere dei minuti,
l’iniziale eccitazione si sgonfiò
come un palloncino lasciato sotto il sole.
Il
sorriso di Chelsey si spense man mano che il silenzio intorno a loro
diveniva
pesante come una zavorra, e anche Iris iniziò a dubitare di
quell’impresa.
Era
mai possibile che tutte le loro speranze dovessero frantumarsi a quel
modo, di
fronte a quel muro di roccia dipinta?
Già
pronta a rivolgersi a Lucas per dirgli che il piano non avrebbe mai
funzionato,
dovette rimangiarsi in fretta la parola, quando vide il volto
dell’amico farsi
pallido e sgomento.
Le
nubi in cielo si aprirono in quel momento, quasi guidate da una
volontà
superiore, permettendo alla luce flebile dello spicchio di luna ora
visibile in
cielo di illuminare la spianata.
A
quel punto, le incisioni che Lucas stava toccando si illuminarono come
se
fossero state ricoperte d’oro e Iris, al pari di Chelsey,
esalò un sospiro di
sorpresa ed eccitazione assieme.
Ti do
il mio
benvenuto, Figlio della Luna.
“Chi
sei?”,
domandò
sconcertato Lucas, non sapendo se sentirsi eccitato o svenire per il
terrore.
Quella voce, così profonda e stentorea, non aveva nulla di umano!
Io sono
Colei-che-E’, e ti trovi presso una delle porte che conducono
a me, Figlio della
Luna. Sei lontano da casa e dai tuoi simili, figlio mio. Mi sembri
molto solo.
“Non
del tutto
solo, quanto piuttosto confuso. Perché dici che sono lontano
da casa?”
Poiché
i tuoi
simili sono quasi del tutto scomparsi, nel Nuovo Mondo. Da molte
decadi, ormai,
nessuno di voi utilizza più questa Porta per parlare con me,
o per oltrepassare
il confine tra i Mondi.
Lucas
preferì non concentrarsi su quelle parole oscure, che per
lui non avevano alcun
senso – e lasciavano presagire cose ben più grandi
di quanto avrebbe potuto
sopportare al momento – focalizzandosi piuttosto su altro
punto.
“Dove
si trovano
i miei simili, gli altri Figli della Luna?”
Ove voi
siete
nati, figliolo. Nelle terre di Albion, quando ancora Fenrir camminava
tra i
vivi, possente e fiero e intimidatorio.
Lucas
sgranò gli occhi, non avendo la più pallida idea
di dove si trovasse questa
fantomatica Albion. Il riferimento a Fenrir, però, lo mise
in allerta, avendo
già sentito quel nome per bocca di Iris, grazie alle
soffiate di Gunnar.
“Chi
era, per
noi, Fenrir?”
Il
vostro nobile
Padre, figliolo. Dunque si è perso tutto, in queste lande un
tempo benedette?
“Temo
di sì.
Quindi, siamo figli di un dio distruttore? Siamo esseri
malvagi?”, domandò Lucas,
con il patimento nel cuore.
Avevano
intrapreso un viaggio della speranza, e solo per scoprire che la loro
genia era
maledetta?
Fenrir
salvò
ogni cosa, vivente e non, quando tentarono di scatenare ciò
che di distruttivo
risiedeva in lui. Per amore, si sacrificò per gli altri. Non
fu malvagio lui
all’epoca, né voi lo siete ora, figliolo.
“Perciò…
cosa
dovremmo fare?”
Riunitevi
ai
vostri fratelli, Figlio della Luna, e avrete le risposte che cercate.
Accorrete
ad Albion, la patria mortale di Fenrir!
Ciò
detto, la voce svanì come era giunta e Lucas, sentendosi
svuotato da ogni
forza, crollò in ginocchio dinanzi agli sguardi ansiosi di
Iris e Chelsey, che
subito gli furono accanto.
«Lucas!
Non ti senti bene?» esclamò Iris, sorreggendolo
perché non crollasse svenuto a
terra.
«Sto…
sto bene. Davvero. Solo un po’ di panico unito
all’eccitazione del momento»
chiosò lui, sorridendo a entrambe. «Avete
sentito?»
«Io
no, un accidente di niente» replicò sorpresa Iris,
scuotendo il capo.
Anche
Chelsey negò di aver udito alcunché e Lucas, a
quel punto, si passò le mani sul
viso, esalando: «Era una voce calda, profonda e ancestrale,
come se stesse
giungendo dall’alba dei tempi. Non era umana, ve lo posso
assicurare, e parlava
direttamente al mio animo.»
«Questa
voce ha detto qualcosa di buono?» si informò Iris.
«Non
siamo soli. Non siamo soli» le sorrise lui, ora pieno di
speranza.
Chelsey
e Iris, allora, gridarono di gioia per un istante, salvo poi tapparsi
la bocca
e ridere sommessamente l’attimo successivo. Anche se erano
nel bel mezzo del
parco, non era il caso di fare baccano.
Qualche
guardia poteva essere nei paraggi, protetta al loro fiuto
perché sottovento.
Meglio procedere con cautela.
«Ha
detto un sacco di cose oscure, ma ha citato un luogo dove potremo
trovare i
nostri simili. Solo che… dove diavolo è,
Albion?» domandò loro Lucas, contrito.
Sia
Chelsey che Iris lo fissarono con occhi colmi di dubbi e
quest’ultima, per l’ennesima
volta, si ripromise di studiare meglio la storia europea.
Odiava
sentirsi così ignorante!
Fu
comunque Gunnar a trarli d’impaccio, asserendo: Albion era l’antico nome delle terre di
Britannia.
“Britannia?
La
Gran Bretagna, intendi?”
La sua
capitale
è Londinium.
“Londinium…
deve
essere il nome latino di Londra, immagino. Perciò,
sì, la Gran Bretagna. Un
tantino grande, come luogo da controllare, ma è
già un indizio. Grazie,
Gunnar!”,
esclamò nuovamente eccitata Iris, aggiornando i suoi
compagni.
Lucas,
sinceramente sollevato da quella risoluzione più semplice
del previsto, disse:
«Beh, non è male come inizio. Se è vero
che lì ci sono i nostri simili, e che
la nostra razza è nata in terra inglese, sarà
più semplice trovare qualcuno – o
essere trovati – non vi pare?»
«Sicuramente
sì» assentì Iris, sempre più
felice.
Levandosi
in piedi e aiutando Lucas a fare altrettanto, lo abbracciò
con foga e disse:
«Non vedo l’ora di dirlo a tutti! Ci pensi? Gran
Bretagna!»
Lucas
fu del suo stesso avviso ma, quando si volse per guardare Chelsey e si
accorse
della sua aria accigliata, le domandò: «Che
succede, piccola? Non sei contenta
della notizia?»
«Chi
glielo dice, a mio padre, che dobbiamo andare in Europa?»
brontolò Chelsey.
Iris
e Lucas si guardarono vicendevolmente con aria dolente, perdendo di
colpo
qualsiasi desiderio di festeggiare.
In
effetti, era un problema non da poco. Chi avrebbe avuto il coraggio di
dire a
Dev che sua figlia avrebbe dovuto recarsi in Gran Bretagna?
Come
minimo, avrebbe deciso di sparare a tutti loro per evitare il problema
alla
radice.
***
Attendere
il mattino per poter chiamare casa fu la cosa più snervante
che capitò loro. Le
ore sembrarono non voler avanzare sullo schermo digitale
dell’orologio e, per
ogni minuto passato, parvero trascorrere secoli interi.
Iris
impiegò quel tempo per stilare una lista di ciò
che sarebbe servito loro per
l’espatrio, così da soffocare Devereux con quei
dati e bloccarlo sul nascere
prima che esplodesse.
Se
Gunnar aveva ragione, e i maschi andavano presi alla sprovvista, questo
le
sembrava un buon metodo per ottenere quanto desiderato.
Inoltre,
non avendo altro da fare, oltre a mangiare e cucinare, era un ottimo
sistema
per ingannare il tempo.
Tempo
che, finalmente, decise di accontentarli, giungendo finalmente a
destinazione.
Quando i numeri a cristalli liquidi segnarono le nove del mattino, Iris
afferrò
il suo cellulare per chiamare lo zio e metterlo al corrente della
notizia.
Aveva
preferito cominciare dalla parte più facile della missione
perché, in tutta
onestà, l’idea di affrontare Devereux le faceva
venire il mal di stomaco.
Avvertire
però la voce di sua zia Rachel all’altro capo del
telefono, la sorprese e, non
sapendo quanto lo zio avesse già esposto in famiglia, si
limitò a dire: «Ehi,
ciao, zia! Buona domenica. Com’è il tempo, a
L.A.?»
Rachel,
però, non disse nulla e Iris cominciò a
subodorare guai o, per lo meno,
lacrime. Sua zia era sempre stata una donna un tantino emotiva, e
tendeva a
risolvere tutto con un buon pianto. Solo in seguito, agiva.
Un
attimo dopo, infatti, le giunse un singhiozzo, e poi un altro ancora,
così che
Iris ebbe la conferma ai suoi peggiori sospetti.
«Oh,
tesoro… ma perché non ci hai detto nulla? Avrei
potuto aiutare anche io, in
qualche modo! So di non essere molto brava, in queste cose, e che
piango
spesso…»
«Cosa
che stai
facendo anche ora, mamma…» percepì dal telefono
Iris, sorridendo nell’udire la
voce esasperata di Liza.
«Oooh,
lo so benissimo, Liza, ma lo sai che sono emotiva!»
sbottò Rachel, riuscendo in
qualche modo a smettere di piangere.
«Come
se Iris
non lo sapesse» motteggiò
ancora Liza.
«Beh,
comunque… Richard ci ha mostrato il video e… oh,
cara! Quanto devi aver
sofferto! Ma dimmi, come stai, ora? Riesci… riesci a
controllare la tua altra
forma? E ti fa male?»
Iris
non poté che apprezzare il suo interesse genuino, anche se
comprendeva bene la
confusione della zia e i suoi tentativi di non apparire impaurita, o
magari
disgustata dalla cosa.
«Sto
meglio, zia, e riesco a gestire la mia lupa abbastanza bene. Stavo
appunto
cercando lo zio per dirgli che abbiamo trovato qualche indizio in
più, e che…»
Subito,
Rachel esclamò: «E’ ovvio che non
baderemo a spese, per aiutarti! Devi solo
dirci cosa ti serve!»
«Mamma!
Iris è l’azionista
di maggioranza della Walsh Inc.! Ha più soldi di te, sul
conto corrente!» sbottò Liza,
prendendo infine in mano le redini della situazione.
«Scusala, Iris ma, come al
solito, va nel panico quando ci sono delle novità.»
«Ciao,
Lizzy» mormorò commossa Iris, sentendo con piacere
la sua voce.
«No,
ti prego, non ti mettere a piangere anche tu, sennò
scappo» si lagnò la
ragazza, prima di ridere e aggiungere: «Ciao, cugina. Ci hai
fatto una bella
sorpresa, eh? Più ancora della tua partenza per un viaggio on-the-road.»
«Avrei
preferito risparmiarvela, questa novità, ma… avevo bisogno di voi. Di sentirvi
vicini» ammise Iris.
«Vorrei
ben vedere!» sbottò a sorpresa Liza.
«Siamo la tua famiglia, eccheccavolo!»
«Modera
il
linguaggio, signorina!» sbottò in sottofondo
Rachel.
«Sì,
sì, mamma… comunque, è successo
qualcosa di eccitante? Insomma, più eccitante
di te che diventi un lupo enorme? Cioè, vuoi mettere? Deve
essere una cosa spet-ta-co-la-re!»
Iris
rise, quando la parte più eccentrica di Liza venne fuori, e
la cugina cominciò
a enumerare i motivi per cui lei avrebbe dovuto sentirsi eccitata al
solo
pensiero di essere un licantropo.
A
ben vedere, da quando era diventata un lupo mannaro, aveva avuto ben
poco tempo
per notare i lati positivi legati a questa sua nuova forma, e ascoltare
quella
lista prodotta dalla mente vulcanica di Liza fu piacevole.
Sì,
in fondo, avrebbe potuto andarle decisamente peggio, doveva ammetterlo.
«…e,
ultimo, ma non ultimo per importanza… sei SPLEN-DI-DA. Ma ti sei vista allo specchio?
Cioè, lo sai che io adoro i lupi e
tutto quanto, ma tu ne sei la quintessenza e…»
Iris
sentì un brusio, un ‘no,
dai, papà,
aspetta!’ e, dopo un attimo, la voce di Richard si
palesò, dicendo: «Da
quello che hai capito, è andata bene. Ti ha affogato di
chiacchiere, vero?»
«Va
bene così, zio. Più che bene»
mormorò Iris, tergendosi una lacrima ribelle. «Ho
chiamato per dirti che abbiamo una pista, e ci porta direttamente in
Gran
Bretagna. Non è molto, come inizio ma, se ciò che
sappiamo è vero, e là ci sono
molti nostri simili, sarà facile scovarli
e…»
Richard
la interruppe immediatamente e, pratico, disse: «Ti mando
subito il Cessna.
Qual è l’aeroporto più
vicino?»
Iris
esplose in una calda risata ed esalò: «Efficiente
come sempre, eh?»
«E’
inutile che perdiate tempo con compagnie aeree o altro. Ve lo mando
subito, e
sarà a vostra disposizione fin quando ne avrete bisogno. Se
qualcuno del
Consiglio avrà bisogno di spostarsi, userà il
Falcon, ma il Cessna lo aveva
voluto tuo padre, ed è giusto che lo usi tu»
replicò senza tanti problemi
Richard.
«D’accordo.
E grazie, zio» mormorò Iris. «Puoi
mandarlo a Calgary. Ci faremo trovare lì.»
Ciò
detto lo salutò e chiuse la comunicazione, sorridendo poi a
Lucas, che celiò:
«Andremo con un jet privato?»
«Lo
zio non ha voluto sentire ragioni…»
scrollò le spalle Iris, prima di guardare
male il cellulare e borbottare: «Ora mi tocca la grana
maggiore.»
«Vuoi
che gli parli io?» si offrì Lucas.
«No,
per carità! Poi mi darebbe della codarda a vita»
sospirò Iris, scuotendo il
capo per l’esasperazione.
L’attimo
dopo, rassegnata, chiamò il numero di Dev e attese che
l’uomo rispondesse,
ripassandosi mentalmente il piano che aveva congegnato per bloccare le
sue
intemperanze.
Quando
infine Devereux rispose e Iris gli elencò ciò che
avevano scoperto, oltre a quello
che avrebbero avuto intenzione di fare, non udì altro che
degli assensi
borbottati e nient’altro.
Tutt’altro
genere di approccio rispetto a ciò che lei aveva previsto e
che, perciò, la
mandò in totale confusione.
Dev,
infatti, si limitò a dire: «Prendo i documenti e
vi raggiungo a Calgary.»
Iris
impiegò qualche attimo per comprendere le parole di Dev, e
anche i suoi due
compagni di viaggio la fissarono sbalorditi, confusi al pari suo dalle
azioni
dell’uomo.
Quando
infine ritrovò la favella, la giovane borbottò:
«Ma… e il cantiere? La tua
azienda?»
«Chiariamo
un punto, sottiletta. Finché si trattava di un viaggio in
auto, ho anche
soprasseduto, ma non porterete MAI mia
figlia oltre oceano senza di me! E’ chiaro?!»
Le
ultime parole, Dev le urlò letteralmente e Iris, scostando
in fretta e furia il
cellulare dall’orecchio, ora dolente per le onde
d’urto ricevute, borbottò:
«Sei un vero esemplare di cortesia, Dev. Le mie orecchie CI SENTONO BENISSIMO, E LO SAI!»
sbraitò a quel punto Iris per
diretta conseguenza.
«Oh.
Già. E’ vero. Scusa» brontolò
Dev, con tono molto più sommesso e contenuto.
Sbuffando
con evidente fastidio, mentre Chelsey ridacchiava tappandosi la bocca
con
entrambe le mani, la giovane borbottò: «Senti, la
tua presenza non è
necessaria, davvero. Puoi rimanere al cantiere e terminare quel che
devi fare.
Proteggeremo noi, Chelsey, e…»
«Senza
il mio permesso, non potete portarla fuori dal continente, e stai pur
tranquilla che non ve lo darò» le fece notare Dev,
trionfante.
Iris
fissò esasperata il soffitto e, per qualche attimo,
meditò di tornare a
Clearwater di corsa e solo per dare un calcio nel sedere a
quell’uomo. Sapeva
essere così testardo!
Brontolando
poi all’indirizzo di Chelsey, mugugnò:
«Tuo padre è un piantagrane di prima
qualità, lo sai, vero?»
«Mi
vuole tanto bene» annuì la ragazzina, tutta
orgogliosa.
Lucas
rise sommessamente di fronte all’espressione sempre
più nera di Iris e disse
conciliante: «Iris, è adulto e vaccinato. Se dice
di poter venire, che faccia.»
«E’
assurdo! Rischia di perdere giorni preziosi di lavoro solo
perché non si fida
di noi!» sbottò Iris, per contro.
«Guarda
che sono ancora al telefono…» grugnì
Devereux. «… e poi, sei qui al cantiere
per giudicare a che punto siamo?»
«Non
avrai mica solo quel cantiere?! Perché noi non sappiamo
quanto tempo dovremo
rimanere in Gran Bretagna!» gli sibilò contro
Iris, irritandosi ulteriormente.
A
quel punto, Dev cambiò letteralmente tattica e disse con
maggiore gentilezza:
«Iris, davvero, ti ringrazio per la tua cortesia, ma sono
abituato a delegare,
quando devo farlo. Da padre single, ho imparato a farlo un sacco di
tempo fa,
credimi. Questa commessa in particolare dovevo
iniziarla io perché era un favore speciale a un
mio vecchio amico ma, ora
che le travature principali sono state sistemate e il primo piano
è già in
piedi, posso sganciarmi e lasciare tutto al mio
capo-cantiere.»
«Oh»
mugugnò soltanto lei, azzittita dal tono di Devereux. Era
raro che non le
abbaiasse contro e, quando non lo faceva, lei si trovava sempre
spiazzata.
Evidentemente,
neanche la mente delle donne era così elastica e pronta ai
cambiamenti di rotta
improvvisi.
«Ci
vediamo all’Aeroporto Internazionale di Calgary, allora. A
presto» dichiarò
Dev, mettendo giù.
Iris
scostò il cellulare dall’orecchio per guardarlo
malamente e Lucas, battendole
una mano sulla spalla, celiò: «Non si
può vincere sempre.»
«Ah
ah» ghignò scontenta Iris, scuotendo il capo per
il fastidio. «E dire che
volevo solo facilitargli le cose.»
«E’
sua figlia, Iris. Considera ciò che ha passato e chiediti se
la lasceresti da
sola, se lo stesso fosse capitato a te» le fece notare Lucas.
Suo
malgrado, Iris dovette annuire e Chelsey, nell’abbracciarla,
disse: «Sono
sicura che al papà ha fatto piacere, il tuo
interessamento.»
«Beh,
non era per fargli piacere…»
borbottò
la giovane, arrossendo nonostante tutto.
***
Il
Cessna Citation Longitude della Walsh
Inc. attendeva sulla pista di rullaggio che loro salissero
per iniziare il
viaggio.
Le
paratie blu e argento del velivolo brillavano sotto il sole al
tramonto,
assumendo svariate colorazioni che andavano dal viola al giallo
paglierino.
Iris
scrutò il mezzo con la mente percorsa da mille ricordi,
ricordi che si fecero
più forti quando scorse il pilota a fianco della scaletta
d’entrata.
Avanzando
per prima trascinando il suo trolley da viaggio, allungò una
mano al pilota e, con
un sorriso, esordì dicendo: «Glenn, è
un piacere rivederti. Grazie per essere
giunto qui con un così breve preavviso.»
«Nessun
problema, miss Walsh. Spero che ora le cose vadano meglio, per
lei» asserì il
pilota, stringendo con calore la mano protesa dalla giovane, prima di
battervi
sopra l’altra con fare familiare.
Iris
accentuò il proprio sorriso e annuì.
«Sì, vanno decisamente meglio, Glenn. Hai
già predisposto il piano di volo?»
«Ho
contattato l’aeroporto Pierre-Elliott Trudeau di Montreal per
avvisarli dello
scalo tecnico che dovremo effettuare per rifornirci di carburante,
dopodiché
punteremo direttamente verso Heathrow, a Londra»
dichiarò il pilota, prima di
sorridere cordiale ai nuovi arrivati.
Iris
si volse a mezzo e disse: «Loro saranno i miei compagni di
viaggio. Devereux Saint Clair, sua figlia Chelsey, Lucas
Johnson e Rock Mitchell»
«E’
un piacere fare la vostra conoscenza» dichiarò il
pilota prima di sorridere
maggiormente a Chelsey e dirle: «Se ti piacciono i film
Disney, abbiamo
un’intera collezione, a bordo.»
La
ragazzina sprizzò gioia da tutti i pori al solo pensiero e
Iris, indicandole di
salire, disse poi al pilota: «Non sappiamo di preciso quanto
ci fermeremo a
Londra perciò, se alla ditta hanno bisogno di te, torna pure
indietro. Chiamerò
io quando avremo finito.»
Glenn,
però, scosse il capo e replicò: «Il
dottor Wallace mi ha detto di rimanere in
ogni caso, perciò attenderò il tempo
necessario.»
Iris
sorrise per diretta conseguenza e dichiarò: «Spero
che Londra ti piaccia,
allora. Naturalmente, le spese saranno a carico mio, non
temere.»
«Il
dottor Wallace ha già stanziato una somma a mio nome, non ci
sono problemi» la
mise al corrente il pilota, invitandoli poi a salire.
La
giovane sorrise di cuore, mormorando: «Lo zio pensa davvero a
tutto.»
«Le
vuole bene, signorina» le fece notare Glenn, prima di
dirigersi verso la cabina
di pilotaggio.
Chelsey
si trovava già sulla poltrona dinanzi al maxi schermo e Dev,
nel sederle a
fianco, le domandò: «Hai già imparato
come funziona?»
«Ovviamente»
ammiccò lei, prima di guardare Iris e dire:
«Questo aereo è bellissimo!»
Annuendo,
la giovane si accomodò, allacciò le cinture di
sicurezza e asserì: «Lo volle
mio padre, anni addietro, perché il Consiglio potesse
spostarsi più
agevolmente. In seguito venne acquistato anche un Falcon, di cui
però non si
occupò direttamente, riguardo alla sua progettazione.
Questo, invece, venne
costruito secondo le specifiche dirette di mio padre.»
Sfiorando
il pellame color crema della poltrona su cui era seduto, Dev
chiosò: «Beh, ha
delle rifiniture davvero di classe. E la radica utilizzata per i
pannelli è
davvero di prima qualità.»
Rock
sorrise divertito e celiò: «E’ il
falegname che è in lui, a parlare.»
Per
Iris non era stata affatto una sorpresa veder comparire Rock assieme a
Devereux. Forse, Lucas aveva trovato la cosa un po’ assurda
ma, in ogni caso,
non lo aveva dato a vedere e aveva accettato di buon grado la sua
presenza.
In
fondo, di fronte all’amore, si poteva fare ben poco per
fermarlo, e Rock era
parso abbastanza infastidito all’idea di essere lasciato da
parte. Un po’ come
Dev, aveva trovato assurdo non essere messo in mezzo, e il viaggio a
Londra era
caduto a fagiolo per poter essere annoverato nella ricerca.
«E’
il comandante che vi parla. Si prega di allacciare le cinture di
sicurezza. Il
decollo avverrà tra un minuto» disse la voce di
Glenn dall’altoparlante.
Chelsey
controllò attentamente la propria, sorrise al padre e disse:
«Ci pensi, papà?
E’ il nostro primo viaggio in aereo.»
«Già»
assentì lui, un tantino pallido.
Iris,
a quel punto, venne colta da un tremendo dubbio e, guardandolo turbata,
esalò:
«Non avrai paura di volare?»
Lui
si limitò a ghignare torvo e, quando il Cessna prese
velocità sulla pista, Iris
temette di vederlo svenire.
Il
viso di Dev divenne del colore della cenere e, quando il velivolo si
impennò
verso l’alto per prendere quota, le mani dell’uomo
afferrarono i braccioli come
se ne andasse della sua vita.
Era
autenticamente terrorizzato e, pur sapendo che avrebbe patito quel
genere di
inferno, non aveva esitato un solo istante e si era aggregato al gruppo
per
amore di sua figlia.
Iris
non poté che provare un immenso rispetto per lui e,
stringendo la propria mano
su quella di Dev, gli disse: «Vedrai, andrà tutto
bene. Glenn è un diavolo di
pilota. Ha più di vent’anni di esperienza, sia
sulle tratte nazionali che
internazionali.»
«I
vuoti d’aria non li può evitare neppure
lui» gracchiò Dev, serrando gli occhi
quando il Cessna si rimise diritto dopo aver virato verso sinistra.
«Vero.
Ma li sa anche gestire alla grande. Fidati di me» lo
rassicurò lei, stringendo
con maggiore forza la sua mano.
Dev
allora si volse a guardarla, forse cercando in lei un’ancora
a cui aggrapparsi,
e Iris non abbandonò il suo sguardo fin quando non fu loro
consentito di
slacciare le cinture di sicurezza.
A
quel punto, l’uomo mugugnò:
«Dov’è la toilette?»
«In
fondo. E’ la porta verde» disse lei, spiacente per
l’uomo.
Lui
assentì e corse in quella direzione, sparendo subito dopo
dietro la porta.
Chelsey,
allora, sospirò e disse: «Povero
papà.»
Iris
storse la bocca, di fronte al senso di malessere che provava a sua
volta al
pensiero che Dev stesse male e, levatasi in piedi, raggiunse il piano
bar e
aprì lo stipetto sotto il lavabo.
Lì,
trovò la cassetta del pronto soccorso e, al suo interno, una
scatola di
Dramamina. Soddisfatta, si diresse quindi verso il bagno per conoscere
le
condizioni di Dev.
Dopo
aver bussato e averne ricevuto l’assenso, si
affacciò e domandò cauta: «Tutto
bene, lì dentro?»
«Attenta.
Tu e il tuo naso potreste svenire. Ho rimesso tanti acidi quanto uno
sturalavandini» gracchiò con voce aspra Dev.
Iris
gli sorrise comprensiva e, allungatagli la scatola di Dramamina, disse:
«Prendi
dal blister un paio di pastiglie. Ti serviranno per il viaggio. Potevi
anche
dirmelo, sai? Non mi sarei scandalizzata. Anche mia madre soffriva il
mal
d’aria.»
Dev
accettò le pastiglie, ne prese una con un bicchiere
d’acqua e, reclinando poi
il capo in avanti, sospirò e mormorò afflitto:
«Non è il massimo vedere il
proprio padre che sta male per una cosa così
banale.»
Colpita
da quel senso di colpa, Iris si accucciò accanto a lui e,
poggiate le mani
sulle sue ginocchia, replicò: «Non devi essere per
forza perfetto, Devereux.
Chelsey ti vuole bene comunque… anche se dai di stomaco.
Perché non vai di là e
non vi guardate un film insieme? Intanto, ti preparerò una
bella limonata per
sistemare lo stomaco. Riequilibrerà i sali minerali
persi.»
«Avete
anche i limoni freschi, qua sopra?» esalò lui,
sorpreso.
Iris
ammiccò, asserendo: «Glenn lo rifornisce
personalmente ogni volta che il Cessna
deve fare un viaggio. Frutta fresca e limoni per me, che adoro le
limonate
appena fatte.»
«Ti
hanno proprio viziata fin da piccola» chiosò Dev,
ma non lo disse con sprezzo.
Sorrideva, nel dirlo.
«Sì,
un po’, e per qualche tempo ne ho approfittato fin troppo, ma
spero di essere
sulla strada giusta per diventare un’adulta più
coscienziosa» ammiccò lei,
risollevandosi assieme a lui.
Dev,
allora, la sospinse fuori e asserì: «Vai
tranquilla. Non sei malaccio.»
Iris
lo ringraziò con un sorriso tutto fossette e, nel fermarsi
al piano bar, iniziò
a preparare una limonata per tutti, mentre Devereux e Chelsey
sceglievano un
film da guardare alla TV.
Quando
infine Iris consegnò la limonata a Dev, lui le
tributò uno dei suoi rari
sorrisi e, più tranquilla, si risistemò a sua
volta sulla poltrona per
affrontare quel lungo viaggio.
Non
voleva raggiungere Londra troppo stanca per poter affrontare quella
nuova sfida
e, di sicuro, riposare un po’ non le avrebbe fatto male.
N.d.A:
Ci siamo quasi! Le pietre del Parco hanno aperto uno squarcio nello
Spazio-Tempo, permettendo a Lucas di scoprire parte della
verità(che è Fenrir, perciò ha la
possibilità di parlare con Madre tramite i suoi ricettacoli,
tra cui le querce sacre o, nel caso specifico, le Pietre di Volta dei
Portali [come il Tor di Avalon, nella storia di Cecily, per
intenderci]) ma, soprattutto, il
luogo
ove trovare le verità che loro cercano.
Finalmente,
avremo la reunion che tanto attendevate! A presto!
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 14 ***
14.
L’aeroporto
di Heathrow era, come di consueto, un crogiuolo di persone di tutte le
età,
etnie e provenienze.
Quel
caos a stento controllato era tenuto sotto stretta sorveglianza da
poliziotti
in borghese, personale dell’aeroporto e doganieri. Il
continuo stato di allerta
causato dai potenziali attentati, non facilitava il rapido deflusso dei
passeggeri, ma tant’era.
Quello
scoglio era inevitabile e, un’ora in più o in
meno, non avrebbe fatto alcuna
differenza, per il gruppo di Iris.
Erano
in terra inglese, e nessuno correva loro appresso per mettere fretta ai
passi
che li separavano dalla verità.
Fortunatamente,
il volo era avvenuto senza problemi e, anche grazie alla Dramamina, Dev
era
riuscito a uscirne sano e salvo, senza ulteriori guai con lo stomaco.
In
quel momento, ritto al fianco di Chelsey, protettivo e guardingo come
un cane
da pastore, Devereux stava studiando le persone in fila come se
potessero
essere dei potenziali terroristi.
Iris
trovava tutta questa attenzione nei confronti della figlia assai dolce,
ma si
astenne anche soltanto dall’accennarlo, certa che avrebbero
sicuramente
discusso se Dev avesse saputo la sua opinione in merito.
Era
chiaro quanto l’uomo non volesse apparire debole, di fronte
alla figlia, e già
il fatto di essere stato male in aereo lo aveva demoralizzato. Se Iris
gli
avesse fatto notare quel suo lato così tenero,
l’avrebbe probabilmente sbranata
viva.
A
volte era così difficile aver a che fare con lui!,
pensò con un sorriso
esasperato quanto divertito.
Alla
fine, impiegarono circa mezz’ora per sorpassare la dogana e,
quando si
trovarono oltre la barriera dei metal detector e dei controlli
passeggeri, Iris
si sentì più rilassata e pronta per la loro nuova
missione.
Quando,
però, una guardia dell’aeroporto le si
avvicinò guardingo, si chiese dubbiosa
che problema vi fosse. Se erano passati senza alcun guaio di sorta,
cosa voleva
adesso da loro, quel tizio in
uniforme?
«Signorina,
può venire con me, per favore? Avrei qualche domanda da
porle» le disse con
cortesia l’uomo, sorridendole affabile
nell’indicarle una porta poco lontana.
«Oh,
ma certo» mormorò cauta la giovane, non sapendo
davvero che pensare.
Guardando
poi i compagni di Iris, che la stavano fissando preoccupati, la guardia
aggiunse: «Sono con lei, per caso, i signori?»
«Ehm,
sì. Siamo in vacanza assieme» dichiarò
Iris, accigliandosi leggermente prima di
annusare meglio l’aria, colta da un dubbio.
Purtroppo,
l’amalgama di odori presenti in quell’enorme
aeroporto pieno di distrazioni
sensoriali le creava non poche difficoltà, perciò
non fu del tutto sicura di
ciò che il suo naso percepì.
La
guardia, comunque, li pregò di seguirla in una stanzetta nei
pressi e lì, al
riparo dall’invasione olfattiva della fiumana di corpi che
avevano appena
abbandonato, Iris si ritrovò a sorridere come una stupida.
L’attimo
seguente, lanciò un’occhiata ai suoi compagni e
l’uomo in divisa, ammiccando al
loro indirizzo, disse divertito: «Dò per scontato
che loro sappiano ogni cosa,
vista la sua faccia.»
«Oh,
sì. Sì!» assentì allegra
Iris, allungandosi per stringere una mano a Chelsey,
che sembrava ebbra di felicità, e a Lucas, che appariva
raggiante quanto lei.
Era
mai possibile che la loro ricerca avesse già avuto esiti
così lieti?
«Prego.
Entrate qui. Parleremo più agevolmente, e senza orecchie
indiscrete ad
ascoltarci» li indirizzò la guardia, chiudendo
dietro di sé la porta a vetri
satinati della stanza dove li aveva condotti.
«Come…
come ha fatto a trovarci?» domandò confusa Iris,
sedendosi su una delle sedie
presenti per poi guardare l’uomo con espressione speranzosa.
«Abbiamo
molteplici sistemi per individuare i lupi in entrata nel Paese ma,
massivamente, utilizziamo il naso» indicò la
guardia, tastandosi il naso adunco
e sorridendo loro. «Siamo così abituati a questo
ambiente caotico da aver
sviluppato un sistema olfattivo molto recettivo, pronto a scovare la
presenza
dei lupi nonostante le distrazioni.»
«E’
forse vietato entrare senza permesso in uno Stato in cui ci sono dei
licantropi?» esalò Iris, ora preoccupata.
Lucas
e Chelsey si guardarono vicendevolmente dubbiosi ma la guardia si
affrettò a
tranquillizzarli, dicendo: «Sappiamo che in America non
vigono le nostre stesse
leggi, e che non esistono branchi veri e propri devoti alle antiche
leggi. Lady
Fenrir ha scoperto questa realtà in un suo recente viaggio,
perciò ci ha
chiesto di prestare aiuto agli stranieri in visita che avessero avuto
bisogno
di delucidazioni.»
«Lady…
Fenrir?» ripeté confuso e sgomento Lucas,
ripensando alle parole che aveva
udito a Writing-on-Stone.
La casa
mortale
di Fenrir…
«Oh,
sì, voi non potete certo conoscerla»
dichiarò la guardia, sorridendo divertito.
«Possiamo dire che è la nostra guida spirituale
suprema, qui in Gran Bretagna.
Ma passiamo a voi. Siete qui per qualche motivo in particolare, o
è veramente
per una vacanza?»
Iris
ricacciò indietro le lacrime di felicità che
stavano per sgorgarle dagli occhi
e ammise commossa: «Beh, cercavamo voi…
i nostri simili. Non sappiamo nulla del nostro passato, di chi siamo e
del perché siamo
così, perciò…»
L’ufficiale
sospirò
sorpreso e amareggiato e, con
occhi che esprimevano una profonda dolcezza e comprensione, le
batté una mano
sul braccio, chiosando: «Siete a casa, allora. Avrete
sicuramente molte
domande, ma questo non è il luogo più adatto ove
porle. Vi farò accompagnare
dal mio capobranco, così che possa parlare con il
vostro.»
Iris,
a quel punto, sbatté confusa le palpebre e disse:
«Noi… non abbiamo un
capobranco. Siamo solo noi tre e basta.»
«Beh,
lui è sicuramente il
vostro Fenrir,
il vostro capobranco. Non ho dubbi. Ha un odore che non si
può confondere con
nessun altro» dichiarò allora la guardia,
indicando Lucas con una buona dose di
sicurezza.
«Perché
mi hai chiamato Fenrir?» si indicò Lucas con aria
più che sorpresa.
«E’
il titolo onorifico che spetta a qualsiasi capobranco dalla bianca
livrea.
Perché il tuo pelo è bianco, in forma di lupo,
vero?» lo informò la guardia con
un mezzo sorriso.
Iris
allora sorrise a Lucas, dicendo eccitata: «Ecco
perché sei molto più grosso di
me e Chelsey!»
«Le
vostre livree di che colore sono?» si informò
allora l’uomo.
«Grigie
a macchie nere per entrambe» spiegò Iris.
Annuendo,
l’ufficiale intrecciò le braccia al petto e,
quieto, disse loro: «Il potere nel
branco viene gestito da tre lupi, nella maggioranza dei casi. Fenrir,
che ha la
livrea bianca, Hati, che è la guardia del corpo di Fenrir e
ha la livrea nera e
infine Sköll, che ha la livrea color ruggine, ed è
il secondo in comando.»
«Per
il momento, allora, abbiamo solo Fenrir» dichiarò
Iris, pensierosa. «E’ un
problema?»
«Affatto.
Ma ne parlerete meglio con il mio Fenrir. Si chiama Joshua Ridley ed
è il
capobranco del clan di Londra. Lo chiamo per avvisarlo del vostro
arrivo.»
«Non
vorremmo disturbare» sottolineò Iris, previdente.
La
guardia scosse però il capo, sorridendo affabile.
«Siamo un branco di frontiera
ed è normale, per noi, accogliere lupi errabondi. Inoltre,
essendo americani,
abbiamo l’ordine di essere d’aiuto a
prescindere, perciò va tutto bene.»
Quando,
però, la guardia parlò con il suo capobranco, il
volto si fece sconcertato e gli
occhi verde scuro si puntarono incuriositi su Devereux in primo luogo,
e su
Chelsey in seguito.
Annuì
poi più volte, si batté una mano sulla fronte
come ricordandosi un particolare
importante e, quando infine chiuse la chiamata, chiosò:
«Eravate attesi… da
molto tempo, in effetti, tanto che la mia memoria non ha colto subito
l’evidenza dei fatti. Scusatemi tutti. Giungeranno subito a
prendervi, non
temete.»
Mai
frase avrebbe potuto sconvolgerli maggiormente.
***
Il
loft ove si trovavano era ampio, dai colori tenui, suddiviso su due
piani e
dalla struttura moderna e minimalista.
L’occhio
attento di Dev ne studiò con apprezzamento le fattezze,
l’uso interconnesso di
legno, ferro e vetro e, quando il padrone di casa si
presentò per salutarli,
gli strinse la mano dicendo: «Casa davvero
magnifica.»
«E’
un piacere saperlo, visto che ho fatto ammattire il costruttore con le
mie
richieste» asserì Joshua, ammirandoli con
orgoglio. «Bene. Tre lupi e due
umani. Sono gli abbinamenti che preferisco, perché mi danno
l’idea che la
guerra sia finita, anche se so che non è
così.»
Pregandoli
di accomodarsi, Joshua proseguì dicendo: «La
nostra lady Fenrir, la guida
spirituale dei branchi britannici, si recò a New York, un
paio di anni addietro,
scoprendo non solo la presenza di licantropi oltreoceano, ma anche la
loro
totale mancanza di conoscenza del loro passato, o delle gerarchie
basilari di
un branco. Per questo ci chiese di essere pienamente disponibili, nel
caso in
cui qualcuno di voi si fosse presentato alla nostra porta.»
«Beh,
non posso che essere lieta che l’abbia fatto»
dichiarò Iris, annuendo
soddisfatta.
Joshua,
allora, la osservò con attenzione, sospirò e
disse: «Mi spiace che tu abbia
dovuto entrare a far parte nella nostra grande famiglia solo
perché costretta.
Conoscevi almeno il lupo che ti inferse quella ferita?»
«No,
non ho mai saputo chi fosse. Scappò subito dopo avermi
ferita al braccio» gli
spiegò lei, sfiorandosi la ferita sull’avambraccio
con aria distratta.
«Anche
mia madre fu ferita e divenne un lupo, e io sono diventata
così perché lo era
anche lei» intervenne Chelsey, prima di domandare con
schiettezza: «Posso
sapere perché hai gli occhi rossi?»
«Chelsey,
ti prego…» intervenne Dev, spiacente.
«E’ un’inguaribile curiosa.
Scusala.»
«Tutti
i lupi sono curiosi, e il mio non è quel gran
segreto» replicò Joshua, con un
sorriso. «Sono un albino, Chelsey. Il mio DNA è
diverso dal tuo, ed è per
questo che ho una depigmentazione della pelle e delle cornee. I miei
occhi,
quindi, hanno assunto questa colorazione rossastra, la mia pelle
è più bianca
del normale e i miei capelli, al naturale, sono bianchi.»
Nel
dirlo, si toccò i capelli a spazzola color cannella.
«Oh,
ho capito. Quindi, devi usare tanta crema solare.»
«Esatto»
ammiccò Joshua.
Gretchen,
la moglie di Joshua, giunse in quel momento dalla cucina con un enorme
vassoio
pieno di bibite e leccornie e, sedendosi al fianco del marito,
aggiunse:
«Considera, Chelsey, che spende più lui in creme,
della sottoscritta.»
La
ragazzina rise divertita e Lucas, intervenendo, chiese: «La
guardia all’aeroporto
ci ha detto che eravamo attesi. Cosa intendeva dire?»
«Temo
dovrò indossare i panni dell’accademico per un
po’, perché diversamente non
saprei come spiegarvelo. Ma sarò breve e, nel frattempo, voi
comprenderete
meglio a che famiglia appartenete» ammise Joshua, sorridendo
affabile.
Fenrir
di Londra, quindi, spiegò loro brevemente la storia del dio
da cui la loro razza
aveva preso i poteri, e della mortale Avya, che diede vita ai figli di
quella
stessa divinità.
Parlò
delle guerre contro Fryc, fratello di Avya, e della setta di Cacciatori
che
prosperò dopo la sua morte e che giurò vendetta
contro i licantropi.
Narrò
delle vicende che portarono la popolazione dei Pitti e quella dei
Licantropi a
unirsi per combattere i romani e scacciarli dalle loro terre. Da quella
guerra
comune, nacquero delle alleanze con alcuni clan umani, e questo permise
alla
loro razza di non soccombere nei secoli per i troppi incroci tra
consanguinei.
Spiegò
quindi loro della presenza delle wiccan,
le sagge che avevano preso il loro potere dai discendenti di Avya,
ottenuti in
prima istanza dall’amore di Fenrir per la sua donna.
Infine
parlò delle völur, delle veggenti umane o mannare
presenti all’interno dei loro
clan e delle Percepenti, le umane in grado di vedere oltre il velo
della verità,
distinguendo il vero dal falso.
Quando
Joshua terminò di parlare, intrecciò le mani in
grembo e disse: «E ora che vi
ho sconvolto per bene l’esistenza, passate pure alle
domande.»
Lucas
si passò una mano sul volto, sinceramente sgomento, ed
esalò: «Abbiamo una
storia così lunga, ed è andata persa interamente,
nelle nostre terre…»
Accigliandosi,
Joshua ammise: «Non sappiamo molto di ciò che
avvenne in America, o del perché
le antiche credenze siano scomparse, ma posso azzardare
l’ipotesi che, durante
la Guerra di Secessione, sia successo qualcosa di assai grave. Che si
ricordi,
lo sterminio di massa dei Nativi è l’evento
estintivo più rilevante degli
ultimi secoli, in quelle terre, e potrebbe aver portato anche alla
quasi totale
scomparsa dei licantropi in terra americana.»
Lucas
assentì grave e Rock, torvo in viso, borbottò:
«I miei avi dovettero scappare
verso il nord per sfuggire alle persecuzioni ma, pur se salvi, vennero
comunque
obbligati a vivere nelle riserve canadesi. Solo negli ultimi decenni,
le cose
hanno iniziato a migliorare. E’ quindi possibile che, tra le
tribù Native, vi
fossero anche i vostri simili?»
«Avrebbe
senso. I licantropi avrebbero potuto stabilirsi in seno alle
tribù, molto più
disposte ad accettare creature ibride come noi e simili a personaggi
mitologici
legati ai culti animisti di quei popoli. Durante le battaglie
combattute nella
metà del milleottocento, potrebbero essere stati uccisi in
massa dai
Cacciatori, conoscitori della loro reale identità.
E’ possibile che abbiano approfittato
della guerra per fare una strage di innocenti, coperti dal mantello
dello Stato»
mormorò pensieroso Joshua.
«Non
sarebbe strano, visto che molti europei parteciparono al conflitto. Tra
di
loro, potrebbero esserci davvero stati dei Cacciatori. Non dubito
inoltre che,
come i nostri antenati si stabilirono nelle terre dell’ovest,
così possano aver
fatto i Cacciatori stessi per seguire le loro prede»
stabilì Gretchen. «La
pietra di Writing-on-Stone che vi ha spinti qui e che ti ha parlato, ti
ha
detto qualcosa in particolare?»
«Mi
ha detto che quel luogo era un portale per raggiungere la voce che mi
stava
parlando, che si è identificata come Colei-che-E’»
la informò Lucas.
Joshua
sollevò sorpreso un sopracciglio, asserendo ammirato:
«Beh, niente di meno! Hai
parlato direttamente con Madre, allora, visto che sei finito su un
Portale di
Bifröst.»
E’
un immenso
onore, ciò che gli è stato concesso!, mormorò ammirato
Gunnar a una sorpresa
Iris.
Tutti
guardarono senza parole Lucas che, vagamente imbarazzato,
esalò: «Giuro che non
l’ho fatto di proposito… e sono stato
educato.»
Joshua,
allora, esclamò divertito: «Oh, credimi, Madre ha
molta pazienza, ma ti saresti
senz’altro accorto di un suo eventuale dissenso.»
«Ah,
ecco. Quindi, questo portale avrebbe potuto… condurci
qui?» domandò dubbioso
Lucas.
«Non
esattamente. I Portali di Bifröst non si trovano ovunque, e
non conducono
necessariamente da un capo all’altro di Midgardr, che poi
sarebbe la Terra»
asserì Joshua, afferrando carta e penna per tratteggiare
alcune linee e cerchi e
creare così un diagramma.
I
presenti si allungarono per curiosare cosa avesse disegnato e
l’uomo, indicando
loro i vari punti tratteggiati, aggiunse: «I portali di
nostra conoscenza,
tolto quello che avete scoperto voi, sono diversi. Uno si trova nelle
isole
Orcadi, e conduce a Niflheimr, il Regno delle Nebbie dove, tra
l’altro, esiste
la più sicura e impenetrabile prigione magica dei Nove
Regni. Un altro si
trovava sulla Scalinata dei Giganti, in Irlanda del Nord, e conduceva
al
pianeta Vanaheimr, che però è disabitato e morto
da millenni. Da quello che
sappiamo, quel passaggio è stato definitivamente chiuso. Un
altro ancora si
trova presso il Tor di Avalon, nei pressi di Glastonbury, e conduce a
Elfheimr.
Ve n’è poi un altro potenziale, di cui
però non abbiamo esplorato l’interno, e
si trova nei pressi del sito megalitico inglese di Long Meg and Her
Daugthers1.»
Iris
ascoltò ogni cosa, ogni parola con il cuore e la mente
aperti, ma ciò che
Joshua stava dicendo andava ben oltre ciò che lei si era
aspettata, iniziando
quella ricerca.
Quei
nomi, quelle descrizioni così dettagliate, lei le aveva
lette nei libri che
aveva acquistato alcuni giorni addietro… e appartenevano tutti alla mitologia!
Era
mai possibile, dunque, che tutto ciò che aveva letto,
appartenesse alla realtà
e non al mito?
Ti
senti bene,
Iris?
“Onestamente?
Ho
la testa in subbuglio e non so più a cosa credere. Questo
Joshua sembra
estremamente sicuro di sé e di ciò che dice, ma
è tutto così…
così…”
Assurdo?
“Sì,
come
minimo.”
«Caro…»
intervenne Gretchen, interrompendo il monologo del marito.
«… credo che per
oggi sia sufficiente. Devi capire che, per loro, è tutto
nuovo, e sono già
molte le cose da digerire, senza che tu ti metta a parlare di portali e
pianeti
sconosciuti.»
Arrossendo
suo malgrado, Joshua assentì ed esalò spiacente:
«Cielo, scusate! Io ritengo
scontato tutto questo ma, ovviamente, per voi non lo è.
Attenderemo l’arrivo di
Lady Fenrir, per proseguire. Per ora, ritenetevi miei ospiti
graditi.»
«Oh,
ma, non ce n’è davvero
bisogno…» iniziò col dire Lucas prima
di venire
interrotto dal sorriso affabile di Joshua.
«Lo
ritengo un piacere. Sei Fenrir, e lui è il tuo Primo
Compagno…» replicò serio
Joshua, rivolgendo uno sguardo intenso a Rock. «…
perciò, la mia incombenza più
importante come padrone di casa è proteggervi, in quanto vi
trovate in visita
sul mio territorio.»
«Primo…
Compagno? Esistono davvero titoli per cose come queste?»
domandò Rock, più che
mai sorpreso.
«Se
fossi stato un mannaro, ti sarebbe spettato il titolo di Primo Lupo ma,
essendo
umano, esiste la formula del Primo Compagno. All’interno di
un branco, vigono
delle regole molto precise, sulla Triade di Potere e le loro famiglie,
e sono
tutte votate alla loro salvaguardia» gli spiegò
Joshua, levandosi in piedi. «Ma
ora basta. Vi ho tediato e ammorbato con fin troppe nozioni. Faccio
ordinare un
cinese per tutti? O preferite la pizza?»
Chelsey
votò per la pizza e Joshua, ridendo, assentì e
ordinò al telefono quanto
richiesto.
Era
folle pensare a come, pochi istanti prima, stessero discorrendo di
dèi e
pianeti appartenenti al mito e, poco dopo, si parlasse di salsiccia o
funghi
come contorno.
***
Iris
era stesa sul suo letto – Joshua doveva essere abituato ad
avere ospiti, visto
che il loft contava sei camere da letto oltre a quella padronale
– e, immersa
nella semi-oscurità, osservava le travature in legno del
soffitto e la fine
grana del legno di cedro che era stato utilizzato per costruirle.
La
città, all’esterno, era a malapena udibile grazie
agli spessi vetri alle finestre
e, dal punto in cui si trovava, Iris poteva intravedere sì e
no la sagoma tonda
della London Eye, illuminata a giorno per i turisti.
Le
mani intrecciate dietro la nuca, i pensieri le tornarono a
ciò che aveva
ascoltato quel pomeriggio, e a come quelle notizie avrebbero avuto
delle
ripercussioni nella sua vita.
Se
ciò che Joshua aveva detto corrispondeva interamente alla
verità, loro erano i
discendenti nati dall’unione tra un dio e un’umana
e possedevano svariate doti
fisiche e psichiche, oltre a un unico, subdolo nemico.
Va un
po’
meglio, Iris?
“Non
so davvero.
In teoria non dovrei stupirmi di niente, visto che sto parlando con la
mia
anima, ma credo di essere arrivata al mio punto di rottura.”
Tutti
ne abbiamo
uno. Ora, resta soltanto una cosa da fare; porsi dei limiti
più alti.
“E
se non lo
faccio?”
Temo
impazzirai
nel tentativo di trovare una spiegazione più razionale a
ciò che, di razionale,
ha poco o nulla.
“Bella
prospettiva”,
sospirò Iris chiudendo gli occhi e passandosi esasperata le
mani sul viso.
Il
profumo di Dev, lieve e mascolino come sempre, le giunse alle narici
prima
ancora che lui bussasse alla sua porta e, nel levarsi a sedere,
mormorò:
«Avanti.»
Lui
entrò, domandandole: «Stavi già
dormendo?»
«No,
affatto. Non credo neppure che riuscirò a farlo,
onestamente» sospirò
nuovamente lei, invitandolo nuovamente a entrare.
Devereux
si chiuse la porta alle spalle, alto e imponente quasi quanto la porta
che
aveva dietro di sé e, nell’appoggiarvisi contro,
le chiese: «E’ una mia
impressione, o porte e pareti sono insonorizzate? Mi sembra che abbiano
degli
spessori sospetti.»
«No,
non ti sbagli. Non sento assolutamente nulla, ed è un bene,
onestamente. Non ho
molta voglia di sentire ciò che fanno gli altri,
stasera» si lagnò Iris. «E’
sempre stato il mio cruccio più grande, da quando sono
diventata così.
Ascoltare tutto senza poter fare
nulla per bloccare quel flusso indesiderato di informazioni.»
Dev,
allora, fece l’atto di uscire, un mezzo sorriso stampato in
faccia e lei,
accennando un ghigno, lo invitò a sedersi sul bordo del
letto, replicando: «Non
ti avrei invitato a entrare, se tu avessi fatto parte di chi non volevo sentire.»
«Troppo
buona» ammiccò l’uomo, sedendosi.
«Non ti ho più chiesto come va la
ferita.»
Iris
se la sbirciò dal bordo della camicetta e disse:
«Per la verità, non pizzica
neppure più molto. Il giorno peggiore è stato il
primo, ma ora va molto meglio.
Grazie.»
Lui
assentì, apparentemente soddisfatto, prima di guardarla
turbato e chiederle:
«Tu credi a tutta questa storia? Sì, insomma, la
faccenda dei mondi alieni e di
una Madre che può gestire tutto?»
«O
questo, o siamo finiti nella tana del Bianconiglio e ci stiamo fumando
qualcosa
di molto forte col
Brucaliffo»
scrollò le spalle Iris, accennando un sorriso.
Dev
sgranò appena gli occhi prima di esibirsi in una risatina
sinceramente
divertita, che fece scatenare di conseguenza il riso di Iris,
incontrollato e
vagamente isterico.
Devereux
la seguì a ruota, lasciando andare anche la propria, di
risata, fragorosa e
sincera e, come aveva detto Chelsey un po’ di tempo prima,
davvero bella e
piacevole da ascoltare.
Quello
sfogo emotivo perdurò per alcuni minuti finché,
tergendosi le lacrime dal viso,
Iris asserì: «Oddio, ne avevo davvero bisogno.
Grazie.»
«Sei
tu che hai tirato fuori la faccenda del Brucaliffo»
replicò lui, poggiando gli
avambracci sulle cosce prima di guardarla più seriamente e
domandarle: «Come
farò a gestire una cosa del genere, con mia figlia?
E’ molto peggio di quanto
temessi. C’è un intero universo
dietro a ciò che siete, e io ne sono completamente
estromesso!»
Iris
ne imitò la posizione e, scrutando nel vuoto senza mettere a
fuoco nulla in
particolare, mormorò: «Ne stavo giusto parlando
con Gunnar. C’è da uscirne
pazzi, se non si dà credito alle parole di Joshua e, dando
loro credito, si
finisce in un mondo pazzo. Quindi, qual è la scelta
migliore?»
«Io
ho sempre pensato che fosse la verità ma, a quanto pare,
è un tantino al di sopra
delle mie attuali
possibilità» ammise Devereux, passandosi
nervosamente una mano tra la folta
capigliatura corvina.
Iris
si accigliò leggermente, di fronte a quelle parole sibilline
e, assottigliando
le palpebre, borbottò: «Cosa intendi dire per attuali possibilità?»
«Sai
benissimo cosa intendo» replicò lui, squadrandola
con i suoi occhi di ghiaccio.
«Non posso esserle di alcun aiuto, se non divento come lei e,
come padre, devo
poterla proteggere sempre.»
«Oddio,
Dev! Ma non ce n’è davvero bisogno. Sarebbe Lucas
a prendersene cura, se mai ve
ne fosse bisogno, e io…» iniziò col
dire Iris prima di bloccarsi, indecisa.
Già.
E lei? Lei aveva la sua vita a L.A., che aveva messo in pausa per
capirne di
più su se stessa ma che, presto o tardi, avrebbe dovuto
riprendere.
Suo
zio si stava prendendo egregiamente cura della ditta, ma lei non poteva
restare
lontano da essa in eterno. Inoltre, desiderava comprendere davvero cosa
farne della
sua vita, oltre a riprendere in mano le redini della propria esistenza
una
volta per tutte.
Questo,
però, l’avrebbe condotta a migliaia di miglia di
distanza da Chelsey, Lucas e
gli altri, lontana una vita da quella piccola realtà che si
era costruita a
Clearwater, dove aveva trovato le sue prime certezze dopo anni di dubbi.
«…
tu tornerai a L.A., l’hai detto più volte,
perciò rimarrà soltanto Lucas, e
questo è davvero troppo poco, per mia figlia»
stava dicendo nel frattempo
Devereux, determinato ad avere ragione.
Iris
sospirò e, crollando contro la spalla di Dev, vi
poggiò il capo e mormorò: «Hai
ben visto cosa si rischia, divenendo come me.»
«E’
mia figlia, Iris. Non posso offrirle
niente di meno che un padre all’altezza di tale ruolo, visto
che la madre se
n’è andata, fregandosene altamente di
lei» protestò Devereux, con la stanchezza
nella voce.
«La
odi molto, Dev, per questo?»
Sorridendo
mestamente, lui replicò: «Odiarla vorrebbe dire
provare ancora qualcosa per
lei, ma non è il mio caso. Il mio amore lo ha ucciso del
tutto nel giorno in
cui ha abbandonato nostra figlia. Ora non c’è
più nulla, di lei, dentro di me.
Neppure l’odio.»
«Quasi
quasi ti invidio. Io non sono mai riuscita a perdonare il ragazzo che
uccise i
miei genitori, e provo ancora molto odio nei suoi confronti, nonostante
sia in
galera e stia scontando la sua pena» mormorò Iris,
sospirando nel risollevarsi.
«E’
diverso. Lui ti ha strappato due vite a cui forse tenevi più
della tua. Julia
si è infischiata del mio amore per lei e della vita di
Chelsey, abbandonandoci.
Non ha portato via la mia fagiolina, se n’è andata
lasciandoci senza un se e
senza un ma. Perciò non le devo nulla, neppure
l’odio» asserì Devereux, con una
strana calma nella voce.
Era
chiaro che, ciò che diceva, lo stava realmente pensando, e
non fossero parole
dettate unicamente dal desiderio di chetarla, o apparirle superiore
rispetto a
ciò che gli era accaduto.
Alzandosi
in piedi, Iris allora gli disse: «Sia chiaro. Farà
un male cane, perché io non
riesco ancora a estrarre gli artigli a comando come fa Lucas,
perciò dovrò
usare le zanne che, ahimè, rispondono invece benissimo al
richiamo della
bestia.»
Lui
assentì, del tutto padrone di sé nonostante, a
conti fatti, Iris gli stesse
proponendo di essere morso dalle zanne di un lupo.
Senza
attendere oltre, perciò, l’uomo si tolse la maglia
di fronte a una sconcertata
Iris che, arrossendo di fronte al suo fisico statuario,
esalò: «Perché cavolo
ti sei tolto la maglietta, adesso?! Sarebbe bastato un polso!»
«Chelsey
avrebbe visto la ferita, e allora le sarebbero venuti dei complessi.
Quando
scoprirà ciò che ti ho detto di fare, non vi
sarà tempo per le recriminazioni e
accetterà la cosa in quanto dato di fatto.»
«Vorrebbe
dire mentirle» sottolineò Iris, spinta come sempre
a proteggere Chelsey.
«Vorrebbe
dire risparmiarle un dolore»
replicò Devereux. «Per
favore, Iris.»
Lei
allora si coprì il viso con le mani, scosse il capo per
l’esasperazione e
sbottò dicendo: «Non puoi dirmi per
favore con quel tono di voce così accorato,
mentre te ne stai dinanzi a me senza niente
addosso! Sono fatta di
carne anch’io, sai?»
Devereux,
allora, sorrise divertito, oltre che un tantino compiaciuto, e
replicò: «Oh… ma
davvero?»
«Piantala,
Devereux!» gli ringhiò contro
lei, mostrando le zanne, già lunghe un paio di centimetri.
Lui
sgranò un poco gli occhi, mormorando colpito:
«E’ la stessa voce di quella
notte… succede quando stai per trasformarti?»
«Quando
cerco di tener frenata la lupa»
replicò Iris, reclinando all’indietro il capo e
muovendo la mandibola con
secchi scatti dell’osso, mentre le zanne continuavano a
crescere lentamente.
Ogni
desiderio di fare dell’ironia scemò, in Devereux
che, non più tanto sicuro di
sé, esalò: «Cristo, …con
quegli affari potresti perforarmi un polmone…»
«Credi
che non lo sappia?» sibilò Iris,
cercando di controllarne la crescita. “Coraggio,
lupetta mia, datti una calmata… non dobbiamo sventrarlo,
è chiaro?”
Vuoi
una mano?
“Se
potessi,
Gunnar, sarebbe ben accetta. Puoi tenermi un po’ a
bada?”
Farò
quel che
posso, anche se non sarà affatto facile. La tua lupa
è piuttosto caparbia.
“Oh,
bene… è
come la sua controparte umana, allora. E io che pensavo che qualcosa
fosse diverso.”
Temo di
no.
Iris
cercò di concentrarsi su qualcosa di positivo, di calmo e
rilassante e, pian
piano, le zanne si ridussero di un poco, assestandosi su una lunghezza
di tre
centimetri.
A
quel punto, controllata solo dai suoi istinti di lupo,
cominciò a tastare
l’addome di Devereux alla ricerca di un punto non vitale e
l’uomo, in perfetto
silenzio, la lasciò fare.
Era
perfettamente chiaro che, in quell’esame attento, non vi
fosse nulla di
malizioso. Gli occhi di Iris, in quel momento, non erano del suo
consueto verde
foglia ma di un freddo, glaciale azzurro ghiaccio.
Era
la lupa che lo stava esaminando, scegliendo dove mordere… e come mordere.
Non
appena la lupa che era Iris ebbe deciso, lo sospinse verso il letto
senza alcun
problema, aprì le imposte per fare entrare l’aria
della notte e mormorò in un
sibilo: «Confonderà
l’odore del tuo
sangue, così che i lupi della casa non si allarmino.»
«Oh,
è chiaro» annuì teso Devereux,
sedendosi.
Lei
allora gli si inginocchiò dinanzi, gli allargò le
gambe per sistemarsi meglio
in mezzo a esse e, senza dargli alcun preavviso, lo morse a un fianco,
poco
sotto la linea delle costole.
Dev
dovette fare appello a tutte le sue forze per non svenire per il dolore
e,
aggrappandosi alle coltri del letto, strinse i denti e serrò
le palpebre,
sperando che tutto avesse un termine alla svelta.
Iris,
in effetti, impiegò solo qualche secondo prima di scostarsi,
leccare la ferita
per eliminare il sangue e afferrare in fretta il suo beauty case.
Da
lì, estrasse quattro cerotti, che appose sui quattro fori di
zanna presenti
sulla sua carne dopodiché, rialzatasi, lo spinse a sdraiarsi
e disse: «Ora dormi.»
Era
ancora la lupa a parlare per bocca di Iris e Devereux, sdraiandosi e
coprendo
le ferite con una mano, mormorò: «Cosa avresti
intenzione di fare,
esattamente?»
«Lei
non può aiutarti, ma io sì, perciò, finché Gunnar e
Iris mi
permetteranno di avere il predominio, potrò
aiutarti» disse la lupa, sdraiandosi dietro di lui
prima di apporre una sua
mano sopra quella di Devereux, che ancora tratteneva sulla ferita.
«Le…
vi farà male?»
«Sì»
disse senza alcuna acredine la
lupa-Iris. «Ma lo ha deciso lei, e
io
sono d’accordo, perciò a te non deve interessare,
Devereux.»
«Beh,
a me interessa, perciò tornatene a cuccia»
sottolineò l’uomo, cercando di
scansarla.
Lei,
però, non si scostò di un millimetro e,
ringhiando, sibilò: «Non
sei tu a comandarmi, umano, ma noi,
e noi vogliamo aiutarti a non
sentire dolore. Ora, stai zitto e fammi agire. La mia aura
allevierà il male,
ora che hai il mio genoma mescolato con il tuo sangue.»
Sapendo
di non poter far altro che accettare – mettersi a discutere
con un lupo non era
un’idea saggia, …con una lupa, peggio ancora
– Dev sospirò e chiuse gli occhi,
rimanendo immobile sul letto mentre Iris si sistemava meglio contro di
lui.
Il
sonno lo colse inaspettatamente, e più in fretta di quanto
avrebbe pensato,
trovandosi a letto con una donna dopo tutti quegli anni di rigorosa
astinenza.
Fu
come cadere tra le braccia di un’amante ma, al tempo stesso,
ritrovare la pace
dopo un lungo e insostenibile oblio doloroso.
Per
tutta la notte restò così, fermo accanto a Iris,
assorbendone l’aura benefica e
pregando dentro di sé che, alla prossima luna piena, tutto
andasse per il
meglio.
N.d.A.:
ed eccoci finalmente a casa, per così dire! I nostri amici
scoprono finalmente
parte del loro passato e conoscono uno dei membri più
titolati tra i branchi
inglesi.
Ben
presto, anche Brianna e soci faranno parte della partita, e vedremo
come andrà
a finire per Dev e quali sorprese ci porterà la sua
Mutazione. A presto!
1.
1. Long
Meg and Her Daughters: sito megalitico nel Low England incrociato da
Brianna nel
suo primo viaggio da Glasgow verso Matlock (primo libro).
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 15 ***
15.
Quando
Devereux si risvegliò, alcune ore dopo, l’alba era
ormai prossima e Iris, al
suo fianco, appariva stanca e febbricitante.
Ancora
una volta si era sfiancata e, quasi sicuramente, aveva perso
più energie di
quante non ne possedesse il suo corpo in quel momento.
Questo
lo fece stare malissimo e, al tempo stesso, lo fece infuriare al punto
tale
che, irritato, le sbottò contro: «Ma è
mai possibile che tu debba sempre
ridurti così?!»
Iris
si riscosse dal sonno pesante che l’aveva colta e, fissandolo
stranita per
diversi secondi, ricollegò ciò che era avvenuto
durante la notte e, poggiandosi
su un gomito, gorgogliò: «E’
così che mi dai il ben svegliata? Urlandomi
addosso?»
Dev
imprecò tra i denti, si levò in piedi per
recuperare la sua maglietta e, dopo
averla indossata con gesti rabbiosi, le ordinò:
«Coraggio, alzati. Andiamo a
comprare qualcosa da mangiare. Ora!»
Iris
sgranò gli occhi per lo shock e, guardando il suo orologio
– segnava le cinque
e quarantacinque – esalò con un gracidio:
«Ma dove cavolo vuoi andare, a
quest’ora del mattino?!»
«Ci
sono i supermarket aperti 24h, e poi alcuni bar sono già al
lavoro. Devi
mangiare adesso, e non voglio
approfittarmi dei nostri ospiti, visto quanto mangi quando sei
affamata» sottolineò
lui, afferrandola a un polso per farla alzare.
Lei
lo lasciò fare con uno sbuffo e, dopo aver recuperato una
felpa dal suo
bagaglio, si infilò infine le sneakers ai piedi e
borbottò: «Tua madre ha
ragione, hai…»
«…la
stessa delicatezza di un piede di porco, lo so, lo so»
brontolò lui,
trascinandola fuori dalla stanza con un gran gesticolare di braccia.
«Non
avrei usato queste parole, ma il senso è quello»
chiosò lei, bloccandolo un
istante per scrivere due righe e lasciarle sul tavolo della cucina.
«Almeno non
ci daranno per dispersi.»
Lui
assentì secco e uscì dal loft cercando di non
fare rumore. Una volta che ebbero
raggiunto l’ascensore e le luci ebbero illuminato il viso
cereo di Iris, Dev
imprecò.
«Cristo
santo, Iris… ma come ti sei ridotta?!»
gorgogliò l’uomo, sentendosi
dolorosamente in colpa per averla suo malgrado portata a quel livello
di
sfiancamento fisico.
«Sono
messa così male?» mugugnò lei.
Dev
non le rispose, non sentendosela di dirle quanto, le sue profonde
occhiaie o
l’aspetto emaciato della sua pelle, fossero sintomi primi di
un prossimo
crollo. Limitandosi ad abbracciarla con forza, mormorò tra i
suoi capelli: «Guai
a te se lo rifai. Lupa o non lupa, ti prendo a calci nel culo,
sottiletta.»
Lei
sorrise nonostante quella velata minaccia e, nello scostarsi da lui per
fissare
quel volto cupo e preoccupato, assentì. Dev aveva un modo
davvero strano per
farla sentire speciale, e questo era sia un bene che un male, per lei,
ma era
obiettivamente troppo stanca per pensare anche a questo, in quel
momento.
Quando
infine furono all’esterno, avvolti dall’aria fredda
e umida di Londra, Iris lasciò
di buon grado che Dev la sostenesse con il suo braccio, che le cingeva
per
intero i fianchi.
Era
strano sentire il calore di qualcuno al proprio fianco dopo tanto tempo
e,
ancor più strano, percepire quello di Devereux, che
alternava con lei stati di
grazia a momenti di rabbia.
Era
un uomo indecifrabile, capace di mille e più emozioni e, a
fronte di un
carattere difficile, dimostrava una purezza d’animo davvero
rara.
«Ecco.
Cominciamo da qui» le disse lui, indicandole un bar in Camden
Road.
«In
che senso, cominciamo?»
domandò lei,
sbiriciando il suo volto in ombra. Non aveva idea di cosa gli stesse
passando
per la testa, ma sembrava molto determinato a non ricevere no come risposta.
«Non
puoi ingozzarti solo qui. Desterebbe sospetti»
sottolineò Devereux,
sospingendola all’interno del grazioso bar in stile Old
England.
Lì,
l’uomo ordinò la tipica colazione inglese, bacon e
uova, abbondando con
entrambi gli ingredienti e, oltre a ciò, fece portare del
caffè in abbondanza e
del latte al cioccolato.
Quando
gliene chiese il motivo, Dev le rispose: «Ho notato che il
cioccolato sembra
darti energie immediate, e ne hai davvero bisogno.»
L’aveva
osservata così attentamente, per essersene reso conto?
La
cosa la lasciò un po’ sconcertata ma, non volendo
replicare alle sue
attenzioni, mangiò e bevve con piacere quanto ordinato.
Naturalmente,
spazzolò tutto in un paio di minuti e, mentre Dev ancora
stava ultimando il suo
piatto di pancake, lei ordinò anche una fetta di torta alla
crema e sorrise
all’uomo, già sentendosi meglio.
Anche
Devereux le sorrise e, dandole un buffetto sul naso,
mormorò: «Hai già ripreso
colore. Bene. Ma non è ancora finita, sappilo.»
***
Quando
rientrarono nel loft di Joshua, Iris stava ancora sbocconcellando una
pasta
ripiena alla crema mentre, tra le braccia, teneva un enorme sacchetto
della
spesa debordante di scatole colorate.
Devereux,
al suo fianco, ne reggeva altri due e, quando fecero il loro ingresso,
diverse
paia d’occhi li fissarono sconcertati prima di portare la
loro attenzione sulla
spesa.
Gretchen
si esibì in un sorriso divertito e, affacciandosi dalla
cucina, disse: «Non
c’era bisogno di uscire in piena notte, se avevi fame, Iris.
In casa abbiamo
cibo in abbondanza, anche per casi come questo. I lupi hanno fame a
qualsiasi
ora del giorno, perciò facciamo sempre scorta.»
«Non
volevo pesare troppo sulla vostra dispensa»
replicò lei con candore, ammiccando
divertita.
«Beh,
visto che vi siete dati così da fare, avete in mente
qualcosa di buono da
preparare?» domandò a quel punto Gretchen,
curiosando con lo sguardo la spesa
che i due poggiarono sull’isola in cucina.
«Polpette
di patate e speck» propose Dev, lanciando un sorrisino
divertito a Iris, che
scoppiò a ridere e assentì.
«Devo
immaginare che siano molto buone» celiò Joshua,
comparendo dal suo studio con
una carpetta tra le mani. «Temo, però, che
potrò assaggiarle solo a cena, visto
che oggi sarò impagneto tutto il giorno. Io ora vado al
lavoro, ma ci rivedremo
stasera.»
Ciò
detto, Joshua uscì salutando tutti e Gretchen, indicando a
Iris di seguirla in
cucina, lasciò quindi Dev agli sguardi attoniti della figlia
e a quelli ironici
di Lucas e Rock.
«Non
fatevi venire in mente niente di sconcio,
in quelle vostre testacce, è chiaro?»
brontolò Devereux, buttandosi
letteralmente sul divano e intrecciando rabbioso le braccia sul petto.
«In
che senso, sconcio,
papà?» domandò con
candore Chelsey.
Lucas
e Rock ridacchiarono per diretta conseguenza e Dev, sospirando, si
passò una
mano sul viso per l’esasperazione e borbottò:
«Ma perché devono capitare tutte
a me?»
***
Impegnata
a dare una mano a Iris in cucina, Gretchen colse l’occasione
di parlare un po’
con la giovane quando il gruppetto in salotto decise di guardare
qualcosa in TV.
Sorridendo quindi alla sua ospite, domandò con cortesia:
«Tutto bene, stanotte?
So che gli eventi di ieri possono essere stati traumatici, per te e i
tuoi
amici.»
«Beh,
è stato un autentico colpo al cuore, e un altro al cervello.
Non pensavo
davvero che potesse esistere una società così
complessa all’interno del tessuto
connettivo umano, e di cui praticamente nessuno è a
conoscenza» ammise Iris,
mescolando la purea di patate assieme ai dadini di speck e formaggio.
«Può
essere qualcosa di davvero destabilizzante e, per confermartelo, potrai
chiedere direttamente
a Lady Fenrir. Lei
ha avuto un battesimo del fuoco davvero incredibile, quanto a passaggio
dal
mondo umano a quello mannaro» asserì Gretchen,
sorridendole comprensiva.
«Ma
perché la chiamate Lady Fenrir? Se non erro, Fenrir era un
maschio, no?»
«Poiché
hai un’anima senziente dentro di te, potrai capire meglio di
altri questo
particolare» dichiarò Gretchen. «La
nostra Brianna porta dentro di sé l’anima
immortale di Fenrir, il capostipite della razza. Per questo, noi
l’abbiamo
soprannominata Lady Fenrir.»
Iris
smise di mescolare per un attimo, facendo tanto d’occhi prima
sentire
letteralmente caderle la mandibola per lo sconcerto.
«Mi
prendi in giro?» gracchiò la giovane.
«Niente
affatto. E, ben presto, scoprirai fino a che punto siamo invischiati
con dèi ed
eroi» la mise in guardia Iris. «Siete solo
all’inizio, e credimi, il bello deve
ancora venire.»
Iris
accennò un sorrisino nervoso e, ripreso che ebbe a mescolare
l’impasto per le
polpette, borbottò: «Allargare la visione
d’insieme. Devo solo allargare la
visione d’insieme. E’ facile, no?»
«Ce
la puoi fare, Iris. Te lo prometto» le disse Gretchen,
sfiorandole la schiena
con una carezza.
Iris
la trovò subito rinvigorente e, a tal proposito,
domandò: «E’ normale per i
lupi cercare il contatto fisico? No, perché io e Lucas ce lo
siamo chiesti
spesso. Sì, insomma, io amavo gli abbracci di mia madre e
quelli dei bambini di
cui mi prendevo cura ma, in generale, non sono mai stata molto portata
per i
contatti casuali. Lucas, a sua volta, non era certo un bambino
appiccicoso, ma
poi, beh… pare essere cambiato.»
«Eccome
se è normale! Per noi è naturale come respirare,
perciò non ti stupire se ti
verrà voglia di un abbraccio o di una carezza. E’
insito in noi» la rincuorò la
donna. «E’ anche normale avere un appetito
più abbondante del normale, e non mi riferisco soltanto al
cibo.»
Avvampando
in viso, e non certo per il calore prodotto dai fornelli accesi, Iris
esalò:
«No, beh, ecco, … Devereux e io non ci siamo
allontanati per quello…»
«Quindi,
l’odore di sangue che ho percepito, non
era…» domandò dubbiosa Gretchen, ora
confusa.
Sospirando,
lei ammise: «Speravo che cambiare aria vi avrebbe sviati, ma
a questo punto…
Dev mi ha chiesto di ferirlo perché non vuole lasciare sola
la figlia in questa
nuova vita, e io l’ho accontentato. Non me la sentivo davvero
di dirgli di no.
Spero di non aver infranto qualche regola, o che…»
«No,
affatto. Si possono mutare gli umani e, a giudicare
dall’odore di Devereux, non
è un neutro, perciò il mutamento
avverrà di sicuro alla prossima luna piena.
Resta il fatto che è un procedimento rischioso, e niente
affatto garantito.»
«Potrebbe…
morire?» esalò
sconvolta Iris,
lanciando un’occhiata disperata all’indirizzo di
Dev, in quel momento impegnato
a discutere con Rock sulla struttura della casa.
Gretchen
la avvolse in un abbraccio e, confortante, aggiunse: «Lady
Fenrir lo aiuterà,
non temere. Ora, sappiamo come fare a richiamare la bestia con maggiore
sicurezza. Inoltre, Devereux è un uomo adulto, e il
cambiamento risulta più
facile, alla sua età.»
«Non
potrei perdonarmelo, se gli succedesse qualcosa»
mormorò Iris, contro la spalla
della donna. «La sola idea che Chelsey possa perdere anche
lui…»
Gretchen
la strinse maggiormente a sé e, nonostante
l’assurdità della situazione, Iris
trasse conforto e beneficio da quel tocco.
Era
così strano abbracciare una persona conosciuta solo da poche
ore, eppure le
sembrava così naturale! Era davvero cambiata, da quando le
era stata inferta
quella ferita!
«Siete
in buone mani. Davvero» la consolò Gretchen,
scostandosi da lei per poi
aggiungere: «Per ogni evenienza futura, comunque, sappi
questo. Più si è
giovani e più il mutamento è pericoloso. Lo
stesso si può dire per le
gravidanze. Più la lupa è giovane, sia per
età anagrafica che per età di
mutazione, più è pericoloso rimanere incinte. Non
possiamo mutare per tutta la
durata della gestazione, perché il feto non potrebbe
cambiare come noi, e
morirebbe, perciò ci è vietata la nostra forma
animale per nove mesi. Non è un
caso se, durante le nostre fasi fertili, compiamo subito dei controlli
ginecologici. Il rischio di perdere un bambino è
altissimo.»
Iris
sbatté le palpebre, rabbrividendo di fronte a quelle
informazioni gratuite
quanto non previste e, nell’annuire nervosamente,
mormorò: «Non c’è pericolo,
davvero. Ma grazie per avermelo detto.»
Gretchen
si limitò a sorridere e, aprendo il forno, ne estrasse una
teglia e disse:
«Preparo il tutto per infornare le polpette.»
«Okay»
mormorò Iris, non del tutto convinta che Gretchen avesse
creduto alle sue
parole.
Forse,
aveva pensato che il suo strano rapporto con Dev avesse retroscena di
un certo
tipo, o più semplicemente aveva sentito il suo odore
sull’uomo, e aveva
immaginato il resto.
Di
una cosa, comunque, era certa. Conciata com’era, non avrebbe
attirato nessun
uomo – o lupo –, poco ma sicuro. Era ben lontana
dall’essere la donna attraente
di un tempo e, con lo squarcio che ora si ritrovava sul petto, non
avrebbe di
certo fatto appassionare nessuno.
Non
che pensasse di cercarsi un compagno, in quel momento, ma vedeva bene
quel che
c’era riflesso allo specchio, e non era nulla di interessante.
Un
uomo possente e affascinante come Dev avrebbe potuto puntare a ben
altro, se
gli fosse interessato trovarsi una compagna.
Inoltre,
lei doveva prima di tutto capire di che farsene della propria vita,
invece di
pensare anche lontanamente a un uomo con cui condividerla.
***
Stavano
ancora terminando il pranzo, quando i licantropi presenti nel loft dei
Ridley
percepirono un’ondata di potere senza pari, unita al profumo
più buono e
avvolgente che avessero mai percepito in vita loro.
Gretchen
riconobbe subito quell’aroma squisito e, sorridendo
spontaneamente, si levò in
piedi per raggiungere la porta d’entrata e
mormorò: «Brianna vi sta dando il
benvenuto, a quanto pare. Di solito tiene a bada il suo fascino di lupa
e wicca ma, per voi, ha fatto
un’eccezione.»
«E’
lei?» esalò Lucas, scrollando le spalle come per
liberarsi da una contrazione
nervosa.
«Esattamente.
Fa venire voglia di correre verso la porta per mangiarla,
vero?» ironizzò
Gretchen, volgendosi per un momento verso Lucas per sorridergli
divertita.
Iris
si ritrovò a passarsi le mani sulle braccia con fare
nervoso, mormorando: «Mi
piacciono gli uomini, ma per lei farei un’eccezione. Giuro su
Dio.»
«Cosa
senti?» domandò interessato Dev, seduto al suo
fianco.
«E’
come cioccolata fusa unita al gelato più buono che tu abbia
mangiato, oltre alla
granella di nocciole migliore del mondo» tentò di
spiegargli, intrecciando le
mani per non doverle usare per grattarsi le braccia. In quel momento,
sentiva
il desiderio pressante di scorticarsi e, al tempo stesso, di gettarsi
addosso
alla fonte di quel piacere immenso.
Dev
fece l’atto di mettersi a ridere, ma lo sguardo sinceramente
commosso di Iris
lo bloccò, portandolo a domandarle: «Non mi stai
prendendo in giro, vero?»
Iris
scosse il capo e Chelsey, emozionata, mormorò: «Ha
il sapore della pizza più
buona dell’universo.»
«E
così abbiamo scoperto le vostre debolezze
alimentari» chiosò Gretchen,
appoggiata alla porta in attesa che giungessero i suoi ospiti.
«Lucas?»
«Senza
alcun dubbio, stufato di carne con purè»
ironizzò lui, sorridendo poi a Rock
come per scusarsi.
Gretchen
allora chiosò: «Pasta
all’amatriciana.»
Ciò
detto, aprì la porta, sorrise al gruppetto che stava uscendo
dall’ascensore
proprio in quel momento e disse: «Ora che ti sei presentata,
sfacciata che non
sei altro, ritira la tua aura o ci farai morire!»
Una
risata argentina si unì al gorgoglio di un bambino e,
immediatamente,
quell’ondata di potere si annullò, lasciandoli per
qualche istante inappagati e
scontenti.
Quel
momentaneo fastidio, però, scemò e, quando
Gretchen si spostò per far entrare i
nuovi arrivati, Iris e compagni poterono scorgere con una leggera
sorpresa una
giovane dai capelli castano dorati e occhi gialli come le ambre.
Alta
e longilinea, la giovane tratteneva la folta chioma in una treccia, che
cadeva
su una spalla ed era il principale oggetto di piacere del bambino che
teneva in
braccio.
Bimbo
che, non appena avvertì la presenza di altre persone, si
volse con un sorriso
caloroso e li scrutò tutti con i suoi profondi occhi
smeraldini.
Dietro
il simpatico duo, simili ad armadi a muro, fecero la loro apparizione
un uomo
dalla chioma corvina, cui il bambino somigliava molto, e uno biondo,
dall’aspetto di un vichingo.
Una
donna dalla lunga chioma liscia e bruna, e un nordico dalle braccia
tatuate
fino ai polsi, chiusero la fila.
Iris
li fissò senza parola, trovando l’ultimo arrivato
il più grande e grosso tra i
tre uomini appena giunti. A ogni buon conto, nessuno di loro dava
l’idea di
essere soltanto umano. Da loro
trasudava una forza ferina davvero senza pari, anche se quella
dell’uomo
tatuato aveva qualcosa di strano e di vagamente stordente.
Quando
la porta fu chiusa alle loro spalle, Gretchen disse:
«Lasciate che vi presenti
Brianna McKalister, Lady Fenrir, wicca dei
tre shires e Prima Lupa del branco di Matlock.»
Iris
e compagni fissarono la giovane con occhi sgranati, senza riuscire ad
aprire
bocca e Brianna, scoppiando in una risatina argentina,
esalò: «E poi ti chiedi
perché dico sempre di non snocciolare così i miei
titoli? Per forza che le
persone non sanno che pesci prendere! Lasciate perdere ciò
che ha detto. Sono
solo Brianna.»
Ciò
detto, lasciò a Gretchen il suo bambino, che
accettò di buon grado lo scambio
per giocare coi riccioli biondo-ramati della donna, e si
avvicinò a Lucas con
la mano protesa.
«Ben
arrivato, Fenrir. E’ un onore conoscere il primo branco
americano che si
presenta a noi» disse poi Brianna, tutta sorridente e
orgogliosa.
Lucas
strinse la sua mano con una certa esitazione, replicando imbarazzato:
«Beh, non
so se possiamo essere considerati un branco, visto che siamo solo in
tre, ma
grazie per la splendida accoglienza.»
Brianna
allora li guardò tutti, lasciò che il suo sguardo
indugiasse per un attimo in
più sul volto dubbioso di Devereux ma infine
asserì: «In un branco vi sono
anche gli umani, se essi conoscono e accettano la nostra natura,
perciò ne
fanno parte anche il tuo compagno e il vostro amico.»
Poi,
rivolgendosi alla donna bruna rimasta nel gruppo di armadi a muro,
Brianna
aggiunse: «E’ lui l’uomo che abbiamo
visto, vero, Beverly?»
«Assolutamente,
Brianna. Non posso sbagliarmi. La visione era chiara, nella tua mente,
perciò
non ci possono essere dubbi» annuì la donna,
accennando un sorriso a Dev, che
si stava indicando con espressione sempre più confusa.
L’uomo
tatuato al fianco della donna chiamata Beverly intervenne, e disse a
mo’ di
spiegazione: «Una Veggente di un branco amico ebbe una
visione congiunta con
Brianna, anni addietro, in cui compariva il tuo volto assieme a quello
della
bambina al tuo fianco, che immagino debba essere tua figlia, e quello
della
donna al tuo fianco.»
«La
seconda volta, siete comparsi a Beverly, che è Veggente a
sua volta, e i volti
erano sempre gli stessi. La cosa è davvero rara,
perciò abbiamo iniziato a
pensare che ormai foste vicini, prossimi ad arrivare. Solo, non avevamo
idea
delle tempistiche» spiegò Brianna, parlando
direttamente a Devereux. «Per
questo, vi è stato detto che eravate attesi.»
«Beh…
meglio così, visto che stavamo letteralmente navigando alla
cieca» esalò lui,
accennando un mezzo sorriso.
Gretchen
annuì soddisfatta e domandò: «Brianna,
pensi tu al resto? Vorrei dare al tuo
campioncino un po’ di succo di frutta. Sta adocchiando la
bottiglia sulla
tavola in cucina con aria piuttosto famelica.»
«Sì,
grazie, Gretchen. Penso io alle presentazioni»
assentì la giovane, con un
risolino. «L’uomo corvino è mio marito
Duncan, e Fenrir di Matlock. L’armadio
biondo al suo fianco è il suo Hati, e mio patrigno, e si
chiama Lance, mentre
lo splendore tatuato alle loro spalle è Thor, il marito di
Beverly e, tra le
altre cose, un berserkr, o uomo-orso.»
Iris
e compagni sgranarono gli occhi, a quell’ultima confessione e
Lucas, del tutto
sconcertato, esalò: «Ma… non ha
l’odore di una bestia! Ha quello di un uomo,
mentre voi siete chiaramente lupi!»
Brianna
ammiccò all’amico e Sacerdote del Supramondo,
replicando con divertimento:
«All’inizio, anche noi avemmo qualche problema con
questo particolare. Per
farla breve, è tutto causato da alcuni feromoni emessi in
forma umana.
Ingannano l’olfatto di noi lupi. Comunque, vi basti sapere
che noi lupi siamo
amici dei berserkir.»
Iris
si passò le mani sul viso, ormai pronta a un esaurimento
nervoso, e domandò
nervosamente a Gunnar: “Spiegami un
po’…
perché sapevo che lui
aveva qualcosa
di strano, visto che Lucas non lo ha riconosciuto?”
Combattei
al
loro fianco, Brianna. Forse, nella mia memoria sensoriale è
rimasto il loro
odore e tu lo hai associato a creature magiche, pur non sapendolo.
“E…
quindi? Che
puoi dirmi di loro?”
Che
sono
guerrieri formidabili, e mi piace molto l’idea che siate
amici perché, al solo
pensiero di battermi contro
di loro, mi verrebbe la pelle d’oca.
Iris
rabbrividì di paura, nel notare l’ansia repressa
di Gunnar e, nel lanciare
un’occhiata dubbiosa all’indirizzo di Thor, che
tutto sembrava tranne una
persona pericolosa, borbottò: “Spero
davvero che le creature strane siano terminate qui, altrimenti
sbiellerò.”
Non ti
conviene
parlare così, Iris. Al mio tempo, si sapeva di tante altre
creature e, anche se
non posso sapere quante ne siano sopravvissute, potrebbero esservi
altri…
Iris
lo azzittì prima che terminasse e, stringendosi le braccia
attorno al corpo
tremante, mormorò: «Dimmi che non
c’è nient’altro… ti
prego…»
«Ehm…»
tentennò Brianna, non sapendo bene che dire.
«… diciamo che, per il momento,
possiamo soprassedere sul resto. Perché non parliamo,
invece, del motivo che vi
ha spinti a cercarci?»
Fu
così che Lucas disse loro del ferimento di Iris, della sua
decisione di
compiere un viaggio per scoprire qualcosa sulla sua nuova se stessa e
del
comportamento di Julia.
Rock
intervenne a spiegazione ultimata, parlandole di sua nonna e delle sue
capacità
sciamaniche, confermando a Brianna le sue potenzialità come
völva e, infine, fu
la stessa Chelsey a prendere parola.
«Visto
che sono una bambina, non potrò più avere amici
veri finché non sarò grande?»
domandò turbata.
Brianna
la guardò spiacente e, sedendole accanto, la
abbracciò e mormorò contro la sua
chioma corvina: «Temo dovrai attendere qualche anno,
così da scoprire a mente
fredda di chi tu possa realmente fidarti. Ciò che so
è che, quasi sempre,
quando un Fenrir appare, presto o tardi altri lupi compaiono alla sua
porta.
Può darsi che qualche famiglia con figli si trasferisca
nella vostra cittadina,
o nei suoi pressi. Nel vostro caso, è accaduto assai
lentamente perché temo
che, nelle Americhe, la percentuale di licantropi civilizzati sia molto
bassa,
ma può accadere.»
«Licantropi…
civilizzati?»
ripeté Devereux,
aggrottando la fronte.
«Lupi
mannari che vivono ancora in seno alla società. Ho il forte
dubbio che in America,
per la maggiore, abbiano deciso di darsi alla clandestinità
e vivere in natura,
piuttosto che restare nel mondo umano e sottostare alla sue regole.
Questo
spiegherebbe l’esiguità di licantropi conosciuti e
di branchi attivi sul vostro
territorio» gli spiegò Brianna.
Dev
assentì torvo e la giovane, spiacente, mormorò:
«Pensi che la tua Julia abbia
scelto questa strada?»
«Non
è più la mia Julia
da quando ha
abbandonato la sua unica figlia…»
replicò gelido Devereux. «…ma avrebbe
senso
ciò che hai detto, nel suo caso. Lei non amava le
restrizioni e potrebbe aver
scelto la macchia, piuttosto che la civiltà e una
famiglia.»
Brianna
annuì grave e, nel dare un buffetto sulla guancia a Chelsey
quando si scostò da
lei, disse: «Perché non vai a giocare un
po’ con il mio Nathan? Sono sicura che
apprezzerà molto.»
«Va
bene» accettò Chelsey, levandosi in piedi per
raggiungere Gretchen e il piccolo
Nathan in cucina.
Seguendola
con lo sguardo, Devereux mormorò preoccupato:
«Pensi che anche lei potrebbe
diventare… come la madre?»
«Mi
sembra una creatura troppo socievole e solare, per mutare
così radicalmente. Ha
risposto all’abbraccio con naturalezza e non ha cercato di
scansarsi, perciò
penso non vi sia questo pericolo» scosse il capo Brianna,
prima di aggiungere:
«Ciò che mi chiedo ora è;
perché hai il sangue corrotto?»
Lucas
e Rock fissarono l’amico senza ben comprendere cosa Brianna
intendesse dire.
Iris, invece, reclinò colpevole il capo mentre Devereux
reggeva silenzioso lo
sguardo della wicca, ben deciso a
non
parlare.
«Andiamo
nello studio di Joshua, è meglio. Bev, vieni anche
tu» disse allora Brianna,
levandosi in piedi. «Iris, seguici.»
Mentre
il piccolo drappello risaliva le scale ad arco per raggiungere il piano
alto del
loft, Duncan asserì tranquillizzante al resto del gruppo:
«Non vi preoccupate.
Torneranno a breve. Nel frattempo, se hai delle domande da farmi, sono
a tua
disposizione, Lucas.»
«Beh,
credo dovrò prendere appunti, perché sono un
sacco» ironizzò quest’ultimo,
facendo sorridere divertito Duncan.
«Credimi,
quando scopri di essere la guida di un branco, non è mai
facile per nessuno,
neanche per chi è da sempre vissuto tra
licantropi» cercò di rincuorarlo
Duncan.
Lucas
assentì, ma in cuor suo non si sentì affatto
tranquillizzato dal saperlo. Inoltre,
era preoccupato dalle parole di Brianna. Cosa aveva voluto dire con sangue corrotto?
Devereux
era forse malato?
***
Finalmente
soli, e protetti dalle pareti insonorizzate dello studio di Joshua,
Brianna
domandò a Dev: «Ho percepito immediatamente
l’odore peculiare del tuo sangue.
Perciò ti chiedo; ti sei fatto ferire per tua figlia, senza
sapere nulla del
mondo in cui andrai a vivere?»
«Ne
so a sufficienza per sapere che non la lascerò mai da sola
ad affrontarlo, e
prima che tu dica qualcosa contro Iris, lei era contraria,
l’ho obbligata io»
sottolineò Devereux, gelido in viso.
Brianna,
allora, sorrise conciliante e asserì: «Calmati. Io
non sono la custode della
coscienza di nessuno, e ognuno è libero di fare come
preferisce. Volevo solo
dire che hai dimostrato molto coraggio, nel farlo, ma anche un eccesso
di
follia, forse. Avresti potuto rimanere umano e appoggiarla in ogni
caso.»
«Preferisco
essere io quello che solleva macchine, piuttosto che lei»
sottolineò Devereux
con uno sbuffo infastidito, facendo ridacchiare Iris, Brianna e Beverly.
«Oh,
immagino che qualcuno si sia esibito» chiosò
Brianna, ammiccando a Iris, che
assentì. «Capisco le tue ragioni,
perché anch’io ero una semplice umana, prima
di divenire lupo. Non starò qui ad ammorbarti con la mia
mutazione, poiché non
è stata delle più normali, ma sappi questo; non
è né semplice né sicura, ma ti
assisterò nel cambiamento, in modo tale da chiamare la tua
bestia nel modo più pacifico
possibile.»
«Iris
lo ha già fatto con Chelsey» sottolineò
Devereux, guardando la donna al suo
fianco con espressione ammirata.
Brianna,
allora, fissò con autentico rispetto Iris e
mormorò: «I miei complimenti. Senza
neppure sapere cosa stava effettivamente succedendo?»
«Anche
se all’epoca non lo sapevo, ero guidata dalla mia anima
senziente. E’ un landvættir
di nome Gunnar, e sembra
saperne abbastanza di magie e stranezze» le spiegò
Iris.
«Oh,
nientemeno che un protettore scandinavo. Capisco, allora,
perché ho subito
pensato che tu potessi essere un Hati. È la sua aura ad
avermelo fatto credere,
ma immagino che tu non abbia la livrea nera»
asserì Brianna, vagamente sorpresa.
«No,
infatti. Ho il pelo grigio e nero, con qualche macchia bianca sulle
zampe» le
spiegò Iris, scrollando le spalle.
«Ho
preferito parlarne qui, al sicuro dalle orecchie della piccola,
perché immagino
che questo cambiamento non fosse affatto previsto»
ipotizzò Brianna, a quel
punto.
Dev
scosse il capo, replicando: «E’ una decisione che
ho preso quando ho scoperto… tutto
questo. Lucas è un amico, e mi
fido di lui, ma sarebbe solo a prendersi cura di Chelsey. Quanto a
Iris… beh,
lei ha la sua vita a L.A. e non la obbligherei di sicuro a rimanere a
Clearwater, dove noi abitiamo, soltanto per tenere compagnia a mia
figlia.»
«Tutte
motivazioni onorevoli» mormorò Beverly, annuendo
più volte. «Se me lo permetti,
però, vorrei controllare una cosa, così da
aiutare la nostra wicca nel tuo
prossimo Mutamento.
Abbiamo scoperto che, se conosciamo meglio il passato di colui
– o colei – che
vuole mutare, è più semplice manipolare il suo
futuro.»
Dev
scrutò la donna dai chiari occhi color delle colombe e
annuì cauto, domandando:
«Farà male? No, perché non vorrei
mettermi a urlare come un bambino. Pareti
insonorizzate o meno, sarebbe un po’ imbarazzante, di fronte
a tre donne.»
Beverly
scoppiò in una calda risata, mentre Iris scuoteva il capo
per l’esasperazione e
Brianna si esibiva in un risolino.
«No,
non temere. Sonderò il tuo sangue grazie a una sua goccia.
Il contributo sarà
minimo» lo tranquillizzò la völva,
ammiccando.
Annuendo,
Devereux allora si sedette e allungò una mano
perché la donna potesse prelevare
il sangue che desiderava.
Beverly
non fece altro che allungare un poco l’artiglio, pungere il
dito medio e
suggere il sangue dalla sua pelle, prima di dire: «Ecco
fatto. Ora dobbiamo
solo attendere.»
«Devi
fidarti molto. Non mi hai neppure chiesto se ho qualche malattia
venerea» si
arrischiò a dire Devereux, massaggiandosi il dito contuso.
«Non
rischierei nulla. Non ci ammaliamo, né possiamo contrarre
malattie umane.
Abbiamo un solo nemico…» iniziò col
dire Brianna.
«…
il raffreddore» dissero poi in coro le tre donne, prima di
scoppiare a ridere
divertite.
«E
io che pensavo di essere un caso a parte!» esalò
Iris, asciugandosi una lacrima
di ilarità.
«Purtroppo
no. L’unico che ne è immune, tra quelli di mia
conoscenza, è Duncan, ma lui ha
un piccolo segreto. La sua discendenza è tra le
più pure di tutta l’isola, e ha
l’indubbio vantaggio di aver avuto degli avi di famiglie
diverse tra loro,
perciò il suo genoma è molto forte»
spiegò Brianna, mentre Beverly sgranava
leggermente gli occhi per la sorpresa.
Iris
la guardò curiosa e domandò: «Qualche
novità?»
«Direi
di sì. A quanto pare, nella famiglia di Devereux ci sono
stati almeno quattro
casi di licantropia. Non so dire se nativa o indiretta, ma ho trovato
il gene
latente» asserì Beverly, dando una pacca sulla
spalla a Dev. «Senza l’apporto
del sangue mutato della tua ex compagna, Chelsey non avrebbe potuto
cambiare
soltanto con il tuo DNA, ma il gene è presente,
perciò sarà più semplice
chiamare la bestia.»
«Bene»
mormorò l’uomo, reclinando il capo con aria
stranita.
Brianna,
a quel punto, ammiccò a Beverly e, in silenzio, le due donne
lasciarono lo
studio per permettere a Iris di parlare con tutta calma a un
più che sconvolto
Devereux.
«Non
te l’aspettavi, vero?» mormorò lei,
accucciandosi al suo fianco, visto che era
ancora seduto.
Lui
si limitò a scrollare la testa e Iris, dandogli una pacca
sulla coscia, asserì:
«Pensa a questo; sarà più semplice, no?
Soffrirai meno.»
«Ho
visto… sì, mentre Chelsey cambiava,
che le ossa si spezzavano. E anche tu…»
mormorò lui, guardandola con occhi
insicuri.
«La
prima volta fa male, ma credo che sia più per la paura, che
per la cosa in sé
perché infatti, le volte successive, quasi non ci si rende
conto che accade»
ammise Iris. «Considera che, di solito, le notti di luna
piena cercavo di
trovarmi sempre in un luogo appartato e lontano dalla
civiltà, perché non ero
in grado di contenere lei.»
Nel
dirlo si toccò il torace, e Dev assentì.
«Scalpitava
per uscire, eh? Mi è parsa una tipetta che sa il fatto
suo» chiosò Devereux.
Iris
a quel punto sorrise e, risollevandosi, disse: «Ti sei
infuriato, quando ti abbiamo
detto che avremmo sofferto, nel lasciarci fare quel che abbiamo fatto
per
alleviare il tuo dolore. Perché?»
«Me
lo chiede anche…» brontolò lui,
risollevandosi a sua volta per fissarla male.
«Ma pensi che sia divertente sapere che una persona sta
soffrendo al posto
tuo?»
«Beh,
è comunque carino sapere che ti sei preoccupato per noi...
sì, insomma, per me.
Per essere una palla da demolizione, sei molto premuroso»
ammiccò lei,
avviandosi per uscire dallo studio.
Lui
allora ghignò al suo indirizzo, le si affiancò e,
senza alcun preavviso, le
diede una sonora pacca sul didietro, asserendo: «E tu devi
ancora mettere su
diversi chili, prima che io possa considerare interessante questo
sedere. Non è
male, ma può migliorare.»
Lei
lo fissò malissimo per alcuni istanti ma, quando vide solo
divertimento negli
occhi di Dev e sì, un pizzico di qualcos’altro che
Iris preferì non sviscerare,
si limitò a sbuffare e borbottò:
«Piangerai, quando tornerà splendido.»
«Ci
conto» ammiccò lui, sospingendola fuori con
rinnovata gentilezza.
Iris
scosse il capo e, nonostante tutto, sorrise. Con Dev, dovevi proprio
usare il
manuale delle istruzioni per capire i suoi gesti. Ma era un
divertimento,
scoprire cosa si nascondeva dietro a ognuno di essi.
N.d.A.:
abbiamo avuto il nostro primo re-incontro con Brianna e soci,
e la nostra wicca
non
si smentisce. Percepisce subito che qualcosa non torna e
offre il suo aiuto per una buona riuscita della Mutazione di
Devereux.
Abbiamo
altresì modo di notare come le attenzioni di Dev si facciano
sempre più marcate, ma come l'uomo sia anche restio a
qualcosa di più del semplice interessamento nei confronti di
Iris, mentre lei a sua volta è combattuta tra le mutevoli
emozioni che lei prova nei suoi confronti e verso la sua famiglia.
Come
si risolverà la questione?
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Capitolo 17 *** Capitolo 16 ***
16.
Fenrir,
Avya, Sköll, Hati, Tyr e, dulcis in
fundo,
niente meno che Odino.
Era
davvero una discreta schiera di esseri più o meno
mitologici, con cui avere a
che fare, e sapere che ogni spirito viveva all’interno di un
licantropo – con
l’eccezione di Odino, che era nel corpo di un berserkr
– era di per sé un colpo
in più al cuore.
Come
se non bastasse, da alcuni anni erano divenuti amici anche di diverse
creature
marine appartenenti al perduto popolo di Vanaheimr, salvatosi dalla
distruzione
millenni addietro e trasferitosi sulla Terra per vivere sul fondo del
mare.
Fomoriani.
Brianna li aveva chiamati con quel nome e, quando Iris si era gettata
su
Wikipedia per dare sfogo alla sua sete di sapere, aveva scoperto cose
che,
presto o tardi, avrebbero rischiesto ulteriori domande.
Ma
tutto questo avrebbe dovuto trovare spazio in un secondo momento.
Quello a cui
doveva pensare, innanzitutto, era comprendere – e accettare
– ciò che le era
stato detto sul suo popolo. Solo in
seguito avrebbe pensato alle altre creature bizzarre che popolavano la
terra.
A
ogni buon conto, telefonò allo zio per metterlo al corrente
della buona
riuscita del loro viaggio, e questo non fece che rendere la sua
famiglia ancor
più felice.
Il
fatto di poter condividere con loro il suo segreto era fonte di
soddisfazione e
di una nuova, più salda unione con loro. Conoscere
– almeno in parte – i nuovi
sviluppi, inoltre, era qualcosa che li rendeva maggiormente
un’unica entità
come forse, in passato, non erano mai realmente stati.
Questo,
però, rendeva sempre più difficili le cose a
Iris, poiché era l’altra
sua famiglia, a cui pensava,
quando parlava di un futuro più sereno assieme ai suoi zii.
Anche
per questo, con l’avvicinarsi del plenilunio, la sua mente si
arrabattò sempre
più per trovare nuovi sistemi per non affondare nella
preoccupazione più nera.
Sembrava
però che nulla, a parte mangiare, potesse distoglierla da
ciò che sarebbe ben presto
avvenuto.
Per
lo meno, grazie a Gretchen e Brianna, il loro gruppo di licantropi
inesperti
finalmente scoprì la dieta ideale di un mannaro, e questo
fece senz’altro la
differenza, per i loro appetiti sempre messi alla prova.
Parlando
con Brianna della sua recente operazione, Iris e i suoi amici
scoprirono quindi
i metodi più sicuri per intervenire su una ferita di quel
genere, o su quelle
procurate da pallottole in argento.
Ricevettero
inoltre la conferma che l’argento era non soltanto
pericoloso, ma anche mortale, se
ingerito o somministrato
endovena, ma era utile ai medici – sotto forma di strumenti
operatori – in caso
di un’operazione.
Tutto
ciò permise al gruppo di Iris di potersi preparare
adeguatamente per il loro prossimo
rientro in patria. Una volta rientrati in patria, sarebbero stati
nuovamente senza
guide, ma ora avevano la certezza di potersi appoggiare a nuovi amici,
se
necessario.
Il
solo pensiero di avere un’alternativa ad azioni cruente come
era stato
necessario attuare su Iris, confortò tutti, e non poco.
Ciò
che Gunnar aveva fatto non sarebbe stato possibile per nessun altro di
loro, e
sapere come comportarsi in caso di incidente avrebbe potuto risultare
vitale,
in futuro.
Imparare
a essere un buon licantropo permise quindi a Iris di ristabilirsi
più in fretta
del pensabile e, sotto gli occhi di tutti, la sua carnagione pallida ed
emaciata scomparve nel breve decorrere di una settimana.
Grazie
al nuovo regime alimentare più equilibrato, Iris
poté guardarsi ben presto con soddisfazione
allo specchio, denotando quanto gli abiti avessero iniziato a starle
stretti.
Era
forse una delle pochissime donne a gioire di quel particolare.
Al
decimo giorno di permanenza a Londra, quindi, si impegnò di
buona lena per
trovare qualcosa che riempisse le sue nuove forme e, carica di
aspettative, si
recò in diversi negozi per fare spese.
Molte
ore dopo, e sovraccarica di borse dopo il suo raid per negozi, ragginse
infine l’appartamento
che, tanto gentilmente, Gretchen e Joshua avevano trovato loro per quel
breve
soggiorno londinese.
Quella
passeggiata per negozi le aveva fatto bene e, per qualche ora, era
riuscita a
sentirsi libera dagli incubi che la tenevano sveglia la notte.
Desiderava
con tutto il cuore smettere di pensare alle possibili complicanze che,
la
scelta di Dev, avrebbe potuto avere sulla sua vita e, più di
tutto, non voleva
costringersi a scegliere in quel momento tra Clearwater e L.A.
Quando,
perciò, rientrò in appartamento, lo fece con un
sorriso che sperò essere
convincente.
Il
fatto di non trovare nessuno, a parte Dev, la lasciò un
po’ perplessa e, nel
richiudersi la porta alle spalle, domandò:
«Ciao… ma gli altri dove sono?»
«Usciti
con lady Fenrir e soci. Non volevo che arrivassi e non trovassi nessuno
ad
aspettarti, così…» asserì
lui con una scrollatina di spalle, impegnato a fare
zapping alla TV.
L’attimo
seguente spense, si alzò dal divano e finalmente la
guardò. A quel punto,
aggrottò la fronte, le si avvicinò con fare
sospettoso e ordinò: «Molla le
borse, sottiletta.»
Lei
sbatté le palpebre con aria esasperata ma lo
accontentò. Le borse non fecero in
tempo a toccare terra che Dev le prese i polsi, le sollevò
le braccia e, come
un bravo ballerino, le fece fare una piroetta su se stessa che la fece
sospirare di pura sorpresa.
«Ma
che ti prende?»
Devereux
si accigliò ancora di più, le sfiorò
le guance pizzicottandole leggermente e
infine borbottò: «Sei ingrassata!»
Iris
non poté impedirselo. Scoppiò a ridere di gusto e
assentì, replicando
divertita: «Dodici chili. Ora, sono più o meno al
peso forma.»
Incredibilmente,
Dev si esibì in un largo sorriso pieno di soddisfazione,
neanche il merito di
quel risultato dipendesse da lui e, suo malgrado, Iris non
poté che esserne
felice.
E
irritata al tempo stesso.
Come
poteva decidere che farne della sua vita, se lui si comportava
così?
«Molto,
molto bene. Ora dovrò
cambiarti
soprannome, perché sottiletta non va più bene.
Dovevo avere davvero la testa da
un’altra parte, per non accorgermi di lui»
ironizzò Dev, indicandole il fondoschiena.
Iris
allora ghignò, replicando: «Te l’ho
detto che avresti pianto, nel vederlo al
suo meglio. Perciò, perché non stai
piangendo?»
«Prendo
i fazzoletti, aspetta un attimo» ironizzò allora
lui, prima di tornare del
tutto serio e aggiungere: «Sembri davvero in salute, lo
ammetto. Per un po’, mi
avevi davvero preoccupato.»
«Non
avresti dovuto stare in ansia per me, ma grazie per la
premura» mormorò lei. «Anche
mio zio è felice di non vedermi più gli zigomi
spuntare dalle guance.»
Quell’accenno
alla vita di Iris lasciata in sospeso a L.A. fece aggrottare la fronte
a Dev
che, infilate le mani nelle tasche, borbottò:
«Immagino che i tuoi zii e le tue
cugine siano ansiosi di rivederti.»
«Abbastanza»
ammise Iris, salvata in corner da ulteriori spiegazioni dallo squillo
del suo
cellulare. Affrontare proprio con lui quell’argomento,
era davvero l’ultima delle cose che desiderava.
Scusandosi
con Dev, lo afferrò per rispondere e, quando udì
la voce di Helen, la
primogenita di zio Richard e zia Rachel, esalò:
«Ehi, ciao! Qual buon vento?»
«Vento
londinese, direi. Piuttosto fastidioso e umido, se devo essere sincera,
nonostante siamo a giugno inoltrato. Londra in questo periodo
è un po’
inospitale, per me che sono abituata al clima secco di L.A.»
chiosò la donna
sorprendendo Iris, che sbatté le palpebre con aria stranita.
«Che…
intendi dire, scusa?» boccheggiò Iris, incredula.
«Che
sono nella City, ecco cosa. Ho una serie di appuntamenti fino a
venerdì, perciò
sarebbe carino se ci vedessimo, visto che siamo entrambe a casa della
regina,
ti pare?» le propose Helen, con il suo classico tono pratico
e tranquillo. In
questo, somigliava in tutto e per tutto a suo padre.
Ancora,
Iris faticò a comprendere e, più gentilmente, la
cugina aggiunse: «Il mio Studio
mi ha spedita qui da circa due settimane, ma papà ha pensato
bene di dirmi soltanto
ieri che eri qui anche tu. A volte, credo lavori troppo… o
faccia troppo binge-watching su
Netflix, decidi tu.»
Iris
rise nonostante tutto, ben sapendo quanto zio Richard fosse un
appassionato di
serie TV e, con calore, disse: «Sarebbe bello vederti. Dove
ti trovo?»
«Ne
avrò ancora per un’oretta, per cui possiamo
trovarci davanti al Temple Bar Memorial tra
un’ora e mezza,
va bene? Per tua informazione, non ho più i capelli lunghi,
ma corti e a
caschetto. Per il resto, sono splendida come al solito» la
informò Helen, con
un pizzico di ironia nella voce.
«Su
questo non avevo dubbi. Oh, ti ho anche trovato una giovane fan. Una
ragazzina
che ama parlare di verdure e serre» la mise al corrente Iris.
Helen,
allora, esalò: «Devo
conoscerla. Ma
prima voglio vedere te. A più tardi.»
Nel
chiudere la chiamata, Iris sorrise emozionata e Dev, curioso, le
chiese:
«Immagino fosse una delle tue cugine, …ma la
ragazzina? Parlavi di Chelsey?»
«Sì,
di lei.»
Dev
fece due più due e sollevò le sopracciglia,
asserendo: «Tua cugina Helen. La
fanatica dei pranzi in famiglia in cui parla di ortaggi, anche se
è un asso in
economia.»
Iris
si sorprese non poco nello scoprire quanto Dev si ricordasse di quel
loro
secondo incontro in maniera così particolareggiata e,
sorridendo, disse
spontaneamente: «E’ a Londra. Perché non
vieni a conoscerla?»
A
Devereux occorse un solo secondo per annuire, ma Iris
preferì non chiedersi
perché. Sarebbe stato difficile accettare
un’eventuale risposta, di qualsiasi
genere essa fosse stata.
***
Il
vento che spirava per le vie di Londra era effettivamente piuttosto
umido e, in
tutta onestà, Iris sentì la mancanza delle brezze
frizzanti che spiravano dai
monti dell’Alberta.
Era
avvilente scoprire come, in quei pochi mesi, Clearwater le fosse
entrata
dentro, e non soltanto per i motivi che ora la facevano stare sveglia
la notte.
Il paese stesso stava cospirando per attirarla a sé, al pari
di una sirena coi
marinai incauti.
La
quiete del luogo, unita alle bellezze naturali che la circondavano, le
mancavano quasi quanto il profumo del mare che poteva avvertire dal suo
appartamento a Venice Beach. Il punto era un altro, in fondo; dove si
sarebbe
trovata meglio, a quel punto?
Scacciando
quei pensieri molesti quando, in compagnia di Devereux, raggiunse il Temple Bar Memorial, Iris
scrutò la
folla in cerca della figura di Helen.
L’ultima
volta che l’aveva incontrata di persona era stato al funerale
dei suoi genitori;
la ricordava in lacrime, ma ferma e pronta a sostenerla in tutto.
Non
aveva potuto salutarla, quando era partita per il suo viaggio,
poiché Helen si
era trovata a Sacramento per lavoro ma, nel corso dei mesi, aveva
intrattenuto
con lei una corrispondenza piuttosto assidua tramite e-mail e telefono.
Per
quanto, tra di loro, vi fossero meno di due anni di differenza, Helen
si era
sempre dimostrata molto più matura di lei e, dopo la morte
dei suoi genitori,
aveva tentato di essere per Iris come una madre surrogata, al pari di
zia
Rachel.
Buffo
come, in quel momento, si sentisse più vecchia di secoli, rispetto a Helen.
Quegli
ultimi giorni erano stati assai duri, dal punto di vista psicologico e,
più si
approssimava la potenziale fine del viaggio, più aveva
timore di avvicinarvisi.
Una
volta che Devereux si fosse trasformato in un licantropo, lei non
avrebbe più
avuto motivi per rimanere assieme ai suoi amici, avendo raggiunto il
traguardo
per cui era partita.
Scoprire
chi era.
Avrebbe
potuto rientrare a L.A. per essere accolta dall’abbraccio
della sua famiglia e,
da lì, avrebbe potuto ripartire per una nuova vita.
Già,
ma sarebbe stata sola. Per quanto amasse i suoi zii e le sue cugine,
non
avrebbe avuto nessun licantropo accanto a sé ma,
soprattutto, non avrebbe avuto
loro.
Lanciata
un’occhiata a Devereux, che in quel momento stava studiando
una coppia di
ragazzini alle prese con i loro cellulari – talmente
distratti da rischiare di
inciampare nel marciapiede – Iris si corresse e ammise che,
più di tutti, le
sarebbe mancato lui.
Era
assurdo fare finta che non fosse così. Che la cosa non
avesse alcuno sbocco a
lieto fine, inoltre, era altrettanto evidente.
«Iris!»
La
voce inconfondibile di Helen la strappò a quei lugubri
pensieri e, seguendo quel
suono a lei così familiare, Iris si volse a mezzo per poi
sorridere a una donna
piccola e formosa.
La
bruna chioma di Helen era perfettamente in ordine, resa però
sbarazzina da una
ciocca bionda sul lato destro del viso. Il taglio era a caschetto,
esattamente
come la cugina le aveva detto al telefono, e incorniciavano un viso da
eterna
ragazzina, che non dimostrava affatto i suoi trentun anni di
età.
Di
colpo, quei due anni di lontananza le piombarono addosso come un
macigno e
calde lacrime le solcarono il viso mentre in pochi, rapidi passi, Iris
annullava la distanza tra di loro per stringerla a sé.
Abbracciandola
stretta, ma senza forzare troppo per non farle male, Iris ne
assaporò il buon
profumo e il calore, esalando commossa: «Oddio, Helen! Che
bello vederti! Non
sai quanto tu mi sia mancata!»
«Dio,
tesoro… tu sei sempre splendida. Ma guarda come ti si sono
allungati i capelli!
Stentavo a riconoscerti» replicò Helen,
scostandosi da lei per carezzarle il
viso.
A
quel punto, però, si accigliò e le
domandò turbata: «Tesoro, hai la febbre, per
caso? Stai male? Sei bollente!»
Iris
sorrise e scosse il capo, replicando con un risolino:
«E’ la mia temperatura
normale, adesso.»
Helen
sgranò per un momento gli occhi, prima di sorridere
divertita e chiosare: «Beh,
non avrai più bisogno di tre paia di maglioni, alla tua
prossima gita ad
Aspen.»
«In
effetti, no» ammise lei, rammentando con dolore le loro
settimane bianche passate
con le rispettive famiglie.
Si
era divertita un mondo, in quegli anni, e pensare che non avrebbero
più potuto
viverle assieme l’aveva fatta soffrire. Tutt’ora
adesso, il solo sentirne
parlare la faceva sentire sola.
Era
egoistico anche il solo pensarlo, poiché sapeva benissimo di
non essere affatto sola, ma ricordi
come quello le
facevano sentire tremendamente la mancanza dei suoi genitori.
Fu
come sempre Helen a salvarla da una crisi e, pur se inconsapevolmente,
la
strappò a quei pensieri domandando maliziosa: «Ti
sei fidanzata e non me l’hai
detto, Iris?»
La
giovane divenne paonazza al solo sentir parlare di fidanzati e Dev,
tossicchiando imbarazzato, allungò una mano e disse:
«Sono Devereux Saint
Clair, un amico di Iris. Molto piacere.»
«Helen
Wallace, sua cugina. Piacere mio» replicò la
donna, sorridendo nello stringere
la mano di Devereux.
Ritrovando
un minimo di contegno, Iris riuscì a dire:
«E’ un amico che ho conosciuto a
Clearwater, dove ho incontrato un’altra persona come me. La
ragazzina di cui ti
parlavo è sua figlia.»
«Oh…
mi scusi, signor Saint Clair. La mia battuta è stata davvero
inopportuna» si
affrettò a dire Helen, contrita.
Dev
scosse una mano, replicando con tono tranquillo: «Nessun
problema. Non c’è
nessuna signora Saint Clair che si possa arrabbiare. Mi chiami pure
Devereux,
comunque.»
«Bene,
allora io sarò solo Helen. E adesso, se non vi spiace,
vorrei trovare un
posticino adatto per chiacchierare indisturbati. Ho due anni di
arretrati, con
questa signorina e, anche se siamo sempre state in contatto, parlare a
quattr’occhi non ha prezzo» dichiarò la
donna, sorridendo a Iris con fare
cospiratorio.
Dev
assentì e si accodò alle due donne che, con passo
tranquillo, si incamminarono
lungo il marciapiede, chiacchierando come se si fossero lasciate da due
giorni,
e non da due anni.
La
loro affinità tornò subito a galla e il solco
presente nell’animo di Iris si
andò via via allargando, man mano che l’affetto
per Helen – e ciò che
rappresentava – le scaldava il cuore.
Stare
vicino alla cugina come, ormai da tempo, non le era più
capitato di poter fare,
fece emergere con prepotenza una dualità di sentimenti
contrastanti quanto
dolenti.
Aveva
sentito la sua mancanza – e tutto ciò che essa
comportava – e stentava a capire
come avrebbe potuto prendere una decisione basilare per la sua vita,
dopo
quell’incontro inaspettato.
Se
l’avessero legata su una ruota della tortura, sarebbe stato
più facile
sopravvivere, probabilmente.
«Ecco,
questo va benissimo» dichiarò a un certo punto
Helen, avventurandosi
all’interno del Temple Brew House.
Lievemente
sorpresa per la scelta – Helen era vestita come un manager di
successo, con
tanto di tacco chilometrico e trucco perfetto – Iris
fissò costernata il pub
dalle linee rustiche e l’aria da vecchio country inglese, e
borbottò: «Ma sei
sicura?»
«La
birra è buona, cucciola, e c’è
dell’ottima musica» le disse Helen, dimostrando
di essere stata in quel posto più di una volta e,
probabilmente, in compagnia.
In
effetti, non appena furono all’interno, Iris poté
apprezzare il gradevole
profumo di spezie e carne, oltre all’inconfondibile aroma
luppolato delle
birre.
La
musica non era così alta da darle fastidio e, cosa
più importante, il locale
non appariva soltanto pulito, ma era pulito
e, per i suoi recettori olfattivi, fu una manna dal cielo.
Pur
se stava imparando a non fare caso a molto di ciò che
avvertiva, l’odore
rancido di certi locali la faceva ancora star male, ed era bello
trovarsi in un
luogo dove, invece, regnava l’igiene.
Sedutisi
a un tavolo d’angolo, ben lontani dagli avventori presenti in
quel momento,
Helen prese un menù per scorrerlo velocemente con lo sguardo
e, a mezza voce,
disse: «Qui staremo tranquilli e, se avete almeno la
metà della fame che ho io,
potrete mangiare la miglior tagliata di Angus Irlandese che abbiate mai
assaggiato.»
«Prendila»
disse subito Dev, rivolto a Iris, che sorrise divertita.
Helen,
allora, fissò confusa la cugina e domandò:
«Sei diventata una carnivora
compulsiva?»
«E’
il mio metabolismo accelerato. Ho bisogno di molte proteine animali e,
subito
dopo, di molti carboidrati. Ma, prima di tutto, carne o pesce,
altrimenti non riesco
ad assimilare gli zuccheri complessi» le spiegò
Iris con un sorrisino.
La
cugina sospirò afflitta e, tastandosi un fianco ammorbidito
da qualche chilo di
troppo, esalò: «Averlo io, il metabolismo
accelerato!»
«Sei
bellissima così» sottolineò Iris,
scuotendo il capo.
Il
cellulare di Devereux scelse quel momento per suonare e, quando
l’uomo vide chi
era all’altro capo, storse la bocca, passò il
telefono a Iris e borbottò:
«Parlaci tu. Sono stanco di sentire le lagnanze di mia
madre.»
«Ma
Dev… è ovvio che sia preoccupata! Sua nipote
è oltreoceano!» brontolò lei, pur
afferrando il cellulare. «Sei proprio…»
«…
una palla da demolizione, lo so, lo so. Ma rispondi tu, grazie. Io,
intanto,
vado a ordinare, così potrai lagnarti di me senza che io
senta nulla» dichiarò
lui, levandosi in piedi per andare al bancone del bar.
Iris,
allora, scosse il capo con uno sbuffo, accettò la chiamata e
disse:
«Buongiorno, Bethany. Dev è appena scappato a
gambe levate, scusami.»
«Iris
cara, buongiorno. Non avevo dubbi che avrebbe delegato la telefonata a
qualcuno
che non fosse lui. Ho chiamato per tre giorni di
fila…» ridacchiò la donna.
«Lì, va tutto bene? Come procedono le
cose?»
Ben
sapendo che Devereux non aveva avvisato neppure i genitori in merito
alla sua
decisione di diventare un licantropo, Iris si limitò a dire:
«I nostri ospiti
sono molto gentili e stiamo scoprendo un sacco di cose su
ciò che dobbiamo
fare, o non fare. Abbiamo anche imparato delle nuove tecniche di primo
soccorso, perciò sapremo come affrontare eventuali guai, in
futuro.»
«Benissimo,
cara. Ciò che hai patito tu è già
troppo. Trovo ancora del tutto assurdo che
non abbiate voluto denunciare Alyssia per quel suo colpo di
testa» protestò Betty,
protettiva come sempre. «Sarebbe stato giusto che quella
ragazza fosse finita
in galera, piuttosto che accettare la parola d’onore del
comandante che mai più
sarebbe successa una cosa simile.»
Sorridendo
calorosamente, Iris replicò: «Al momento,
è meglio mantenere un profilo basso,
se non bassissimo, e avere Alyssia in galera avrebbe attirato
l’attenzione su
di me, perciò meglio soprassedere.»
«Beh,
comunque, Jordan e Camille sono partiti tre giorni fa assieme ad
Alyssia e, da
quel che mi ha detto Camille stessa, l’hanno portata in
clinica» dichiarò laconica
la donna. «Non so quanto potranno fare per quella disgraziata
ragazza, ma lei
sembrava molto poco fiduciosa. Come è da anni, se
è per questo.»
Iris
assentì, mormorando: «Mi spiace per loro, ma
preferisco saperla lontano da me,
onestamente.»
«Quel
che è certo è che, se prova a darti di nuovo
fastidio, se la vedrà con me»
dichiarò lapidaria Bethany.
Quel
pensiero così dolce fece tremare di dolore Iris che,
tergendosi una lacrima – e
attirando così l’attenzione della cugina
– disse: «Ne sono sicura. Comunque,
appena torniamo in appartamento, ti farò chiamare da
Chelsey. Lei sarà felice
di sentirti.»
«Di’
a quel caprone di mio figlio di essere educato. A presto,
cara» terminò di dire
la donna, chiudendo la chiamata.
Iris
la salutò e, quando si ritrovò gli occhi
inquisitori di Helen puntati addosso,
mormorò: «Avanti, spara. Tanto lo so che non
mollerai l’osso finché non avrai
tutto sott’occhio.»
«Mi
spiace, ma si sentiva più che bene,
perciò… cosa
ti è successo?» domandò
leggermente irritata Helen, i suoi occhi blu freddi
come la neve.
Dev
tornò al tavolo proprio in quel momento e, nel notare
l’occhiata omicida di
Helen, chiosò: «L’hai già
fatta arrabbiare? Complimenti. Sei stata
velocissima.»
Iris,
allora, lo guardò storta e replicò:
«Vuole sapere che mi è successo.»
L’uomo
impallidì leggermente, al pensiero di rivangare quel che
aveva condotto Iris
sull’orlo della morte. Non potendo impedirselo, strinse la
mano di Iris
poggiata sul tavolo e mormorò: «Evita le scene
più cruente. Ho gli incubi
ancora adesso.»
Helen
si preoccupò non poco nel sentirlo parlare a quel modo e
Iris, reclinando un
poco la maglia, le mostrò parte della cicatrice sul petto,
mormorando: «Hanno
dovuto operarmi perché mi hanno sparato… o
meglio, hanno sparato a Dev, e io mi
sono messa in mezzo.»
Dev
accentuò un poco la stretta, a quell’accenno e
Helen, sempre più sgomenta,
esalò: «Ma…
perché?»
«Ho
scatenato le ire di una donna pazza, a quanto pare, e tua cugina ha
pensato
bene di fare Captain America… dimenticando lo scudo,
però» cercò di ironizzare
Dev, pur non riuscendovi. Il suo viso era divenuto terreo, a ben vedere
e Iris,
nel notarlo, gli diede un colpetto con la spalla.
«Sono
viva, okay? Respira, Dev, altrimenti ti rovini la reputazione di palla
da
demolizione, se mi svieni qui come una pera cotta»
ammiccò lei, sorridendo.
«Giusto,
giusto… la mia reputazione va salvaguardata»
assentì più volte lui, ghignando in
risposta.
Un
poco più tranquilla, Iris spiegò succintamente
ciò che avevano dovuto farle per
poterla operare e Helen, alla fine del racconto, prese un gran respiro
e
mormorò sgomenta: «Dimmi che ora sapete cosa
fare.»
«Sì.
Ci hanno spiegato come inibire la nostra parte animale, in modo da
poter
operare normalmente» assentì Iris.
«Ovviamente, spero non ve ne sarà più
bisogno, ma è un sollievo saperlo.»
«Capisco
perché tu abbia parlato di incubi»
dichiarò infine Helen, guardando comprensiva
Devereux.
Il
loro pranzo arrivò proprio in quel momento e Dev,
accogliendo di buon grado le
cibarie, esalò: «Al momento giusto. Non
c’è niente di meglio del cibo, per scacciare
i brutti pensieri.»
«Più
che d’accordo» sorrise Helen, osservando
compiaciuta la sua tagliata.
Iris
non poté che assentire e, inspirando i profumi provenienti
dai piaggi, mugolò
di puro piacere e socchiuse gli occhi per godersi appieno ogni
sensazione.
«Non
so dirvi quanto io sia felice, adesso» sussurrò
con voce roca.
«Credo
di non averti mai visto così… ammaliata
dal cibo. Sono i profumi che senti?» domandò
Helen, curiosa.
«Sì.
Scatenano la produzione di un sacco di endorfine perciò sono
molto, molto contenta, ora come
ora» dichiarò
Iris, affondando coltello e forchetta nella sua Angus.
Helen
sorrise divertita ma, quando lanciò un’occhiata a
Devereux e notò l’attenzione
con cui sbirciava all’indirizzo della cugina,
cominciò a porsi qualche domanda,
e a chiedersi cosa sarebbe successo in futuro.
***
Rimaste
sole nei bagni del locale, Helen osservò turbata la profonda
cicatrice che
solcava il petto di Iris. Questa iniziava dalla base della sua gola fin
sotto
l’attaccatura dello sterno.
Sospirando,
Helen le rimise a posto la maglietta, mormorando:
«E’ davvero peggio di quanto
avessi immaginato. E dici che ora tutto questo sarebbe
evitabile?»
«Migliorabile»
sottolineò Iris. «Rimarrebbe una cicatrice simile
a quelle chirurgiche, invece
di questo… beh, squarcio.»
Helen
sospirò nuovamente, abbracciandola stretta e, nel darle una
pacca sulla
schiena, disse: «Rimani sempre bellissima, credimi.»
«Al
momento, non sono molto preoccupata per questo»
replicò Iris, storcendo il
naso.
«Beh,
no di certo. Con un uomo come Devereux al tuo fianco, non hai davvero
di che
preoccuparti» ammiccò Helen, vedendola avvampare
per diretta conseguenza.
«Ma
perché tutti pensate
che ci sia
qualcosa, tra di noi?!»
Helen,
allora, levò un sopracciglio con evidente scetticismo e
ribatté: «Se tutti,
e non so a quanto corrisponda
nello specifico questo ‘tutti’,
lo
pensiamo, comincia a chiederti come mai. Iris, davvero non hai notato
come lui
ti tenga d’occhio? O abbia tenuto d’occhio me?»
«Cosa?»
esalò Iris, facendo tanto d’occhi per la sorpresa.
Scuotendo
il capo con esasperazione e divertimento assieme, la cugina
mormorò: «Forse mi
sbaglierò, ma non penso che sia venuto per proteggerti. Mi
sembra che tu sia in
grado di stendere decine di uomini anche da sola, ora come ora. Quindi,
perché
è venuto?»
«Per
conoscerti? Perché non aveva voglia di rimanere in casa da
solo a cazzeggiare?»
brontolò Iris, cocciuta.
«Può
essere… ma non potrebbe anche essere perché
voleva controllarmi, essere sicuro
che fossi una brava cugina?»
«Che
intendi dire?» mugugnò sospettosa Iris.
«Lasceresti
che, una persona a cui tieni, vada in un luogo dove ce ne sono altre
che non le
vogliono bene?» sottolineò Helen. «Sa
che è tua intenzione tornare, ma vuole
anche essere certo che sia la scelta giusta per
te, non tanto un obbligo verso di
noi.»
«Stai
vaneggiando» sentenziò Iris, scuotendo il capo.
«Va
bene, vaneggerò. Che mi dici di te, allora?» le
ritorse contro Helen.
Iris
si irrigidì visibilmente e disse atona: «Non ho
niente da dire. Mi sono trovata
bene, a Clearwater, ma tornerò volentieri a casa.»
«Quindi,
lascerai tutti i tuoi nuovi amici senza neppure spendere una
lacrima?» ironizzò
Helen, incredula. «Iris, sei protettiva nei confronti di
Devereux tanto quanto
lo è lui con te. Da quando in qua ti preoccupi che un uomo
non soffra a causa
tua?»
«Se
intendi dire che prima ero un tantino superficiale, te lo concedo, ma
da qui a
essere interessata a Devereux, ce
ne
corre» mentì spudoratamente Iris, sapendo di non
farlo neppure troppo bene.
Che
senso ha
dirle una bugia, Iris?
“Ne
riparleremo
quando sarai una donna, Gunnar.”
Cioè,
mai?
“Esatto.
Sei
un’amina con un cervello d’eccezione”, ironizzò caustica Iris.
Non vi
capisco.
Passassero altri diecimila anni, non capirò mai le donne.
“Benvenuto
nel
club. Credo siano in molti, gli affiliati.”
Poco ma
sicuro…
Lasciato
perdere Gunnar, Iris si limitò ad aggiungere: «Io
e Devereux ne abbiamo passate
tante, perciò c’è un’amicizia
stretta, tra noi, ma la cosa finisce lì.»
«Se
lo vuoi credere…» scrollò le spalle
Helen, sorridendole però con l’aria di
saperla più lunga di lei. «Non voglio litigare con
te dopo anni di forzata
separazione. Ora devo rientrare in ufficio ma, se l’occasione
sarà propizia,
vorrei vedervi tutti prima di ripartire. Chiamami.»
«D’accordo»
mormorò Iris, abbracciando la cugina e sapendo di averle
appena fatto un grave
torto.
Non
era ancora davvero pronta a parlare di ciò che circolava
nella sua testa.
Uscite
che furono dal bagno, trovarono Dev già sulla porta e,
quando furono
all’esterno, Helen disse loro: «Devo proprio
scappare, ma è stato molto bello
conoscerti, Devereux. Spero di potervi rivedere entro
venerdì.»
«Faremo
il possibile» assentì l’uomo,
stringendole la mano.
«A
presto, cara, e riguardati» disse poi Helen, rivolgendosi a
Iris, che assentì.
Non
si dissero altro ma, quando Iris guardò la cugina
allontanarsi con grazia sui
suoi tacchi chilometrici, sentì prepotente il bisogno di
raggiungerla per
chiederle scusa.
Si
trattenne solo a stento e, quando Dev le chiese se andasse tutto bene,
si
costrinse a sorridere per poi annuire, mentendo quindi anche a lui.
Devereux,
però, non se la bevve e, avvolte le spalle della giovane con
un braccio,
borbottò: «Anche dopo il mio mutamento, se non ti
sentirai di ripartire subito,
noi di certo non ti cacceremo. Andrai solo se lo vorrai, e quando
vorrai.»
Iris
assentì, indecisa se apprezzare quel ‘noi’
o detestarlo con tutta se stessa.
***
«…
ovviamente non ho fatto nomi, perché non avevo idea di come
si debbano svolgere
queste cose» terminò di spiegare Iris, mettendo al
corrente Brianna e gli altri
del suo incontro con la cugina.
Lei
assentì pensierosa prima di scrollare le spalle e replicare:
«Sei stata cortese
a non dire nulla. Di norma, sottoporremmo il candidato a un incontro
presso il
nostro Luogo di Potere, il Vigrond, perché fosse accettato
dal branco ma,
poiché il vostro non è ancora un clan a tutti gli
effetti, credo che si possa
tranquillamente fare un’eccezione alla regola e dire a tua
cugina anche di
noi.»
«E’
una persona più che fidata, posso assicurarvelo»
sottolineò Iris.
«Su
questo non mi preoccuperei. Per quanto mi spiaccia ammetterlo, ho le
armi a mia
disposizione per mettere a tacere chiunque, oltre che la
possibilità di cancellare
arbitrariamente la memoria di chi potrebbe essere un pericolo per
noi» sospirò
Brianna, come se la sola idea la ripugnasse. «Stando
però a ciò che mi hai
detto, non solo la tua famiglia si è dimostrata disponibile
e solidale, ma ti
supporta appieno, perciò non posso che felicitarmi con te.
Casi simili sono
assai rari.»
Ciò
detto, sorrise a Lance, che ammiccò alla figliastra e disse:
«Devi sapere che
mia moglie, all’inizio, era umana, oltre a essere la matrigna
di Brianna e di
suo fratello Gordon. Per questo parliamo di casi rari, ma non
impossibili. Il patrigno
di Brianna, ed ex marito di mia moglie, era un Cacciatore, e nessuno in
famiglia ne era al corrente.»
«Beh,
immagino che le stranezze siano all’ordine del giorno, per
quelli come noi»
esalò sgomenta Iris, sgranando gli occhi per la sorpresa.
«La
normalità assoluta» annuì deciso Duncan
prima di sorridere a Lucas e
aggiungere: «Visto che con la piccola Chelsey abbiamo
già testato la cosa oggi
pomeriggio, perché non provi le tue nuove
potenzialità anche su Iris?»
Chelsey
sghignazzò spudoratamente, a quell’accenno e Iris,
accigliandosi leggermente,
fissò male l’amico e borbottò:
«Cos’hai in mente? Mi hai già
tagliuzzato come
un pesce, perciò pensa prima di agire.»
Lucas,
però, la guardò affabile e replicò:
«Non sarà nulla di tremendo, ma ammetto che
la cosa mi ha divertito molto. Non sapevo di poter fare una cosa del
genere.»
«Il
che mi fa preoccupare ancora di più»
mugugnò Iris.
Lucas
si limitò a ridere e, dopo alcuni momenti, disse con un tono
di voce secco e
freddo: «Stringi le mani tra loro fino a far sbiancare le
nocche.»
«Ma
che cavolo di…» iniziò col dire Iris,
prima di sentirsi costretta a
eseguire quello stupido ordine.
Le
mani si mossero da sole, prive di qualsiasi volontà e si
strinsero tra loro
come due morse, facendo sbiancare nocche e dorsi.
Proprio
mentre Iris stava per mandare al diavolo l’amico per quello
scherzo, Dev si
mosse fulmineo verso Lucas per scaricargli addosso un pugno ma lui,
lesto, si
scostò e annullò l’ordine, bloccando
poi l’uomo con una presa alle spalle.
«Cristo,
come sei suscettibile, amico! Era solo uno scherzo!»
sbottò Lucas,
trattenendolo senza sforzo.
«Prevaricare
una donna lo definisci
scherzo?!» gli sibilò contro Devereux,
scuotendosi inutilmente nel tentativo di liberarsi.
«Dev,
calmati!» gli urlò allora Iris, liberandosi le
mani per poi scrollarle
nervosamente.
«Papà,
davvero, non è nulla!» intervenne a sua volta
Chelsey, guardando poi disperata
Duncan.
«Forse
avrei dovuto spiegarmi, è evidente»
asserì spiacente Fenrir di Matlock, irriso
dallo sguardo della moglie, che sembrava saperla lunga.
«Devereux, scusami. Non
è davvero nulla di intenzionalmente indirizzato a
prevaricarla.»
Dev
si scrollò di dosso le braccia di Lucas non appena lui lo
lasciò andare e,
ancora irritato, replicò: «Come lo definiresti,
allora, obbligarla a fare qualcosa
contro la sua volontà?»
Serio
in volto, Duncan replicò: «Un Fenrir deve poter
tenere a freno i suoi
sottoposti, indipendentemente dal
sesso di appartenenza. Si chiama gerarchia, ed è molto
simile a quella dei lupi
naturali.»
Accigliandosi
leggermente, Dev si calmò un poco e borbottò:
«E se il capobranco è uno
stronzo?»
«Difetti
del sistema» ammise Duncan. «In generale,
però, la Voce del Comando, ciò che
Lucas ha sperimentato prima, serve per l’equilibrio del
branco ed è vitale che
si eserciti nell’usarla.»
Devereux
non disse nulla, ma la sua mascella contratta fece capire perfettamente
a tutti
quanto, in realtà, avrebbe voluto replicare a
quell’uscita.
Senza
scusarsi con nessuno, si allontanò quindi per raggiungere la
balconata
dell’appartamento e Lucas, dopo un attimo, lo
seguì.
Rock
e Iris, invece, si fissarono contriti e quest’ultima, rivolta
ai loro ospiti,
disse: «E’ un tantino ruvido nei rapporti sociali.
Scusate.»
Chelsey
assentì con ampi gesti del capo e dichiarò:
«Io mi sono divertita, oggi. Anche
se sentivo di essere costretta a
fare
le cose perché me le diceva Lucas.»
Iris
le sorrise, domandandole: «Cosa ti ha fatto fare?»
«Saltare
e fare le boccacce» ironizzò Chelsey.
Brianna
le sorrise a sua volta, fiera, e aggiunse: «E’
stata davvero brava a sottoporsi
così a quegli esperimenti. Di certo, però, Duncan
avrebbe dovuto essere più
delicato nel sottoporre te allo
stesso trattamento, e sotto gli occhi di Devereux. E dire che lo avevo
avvisato.»
Iris
si accigliò immediatamente, a quell’accenno e,
sbuffando, sibilò: «Non ti ci
mettere anche tu, Brianna. Non è
giornata.»
Ciò
detto, si scusò coi presenti e si allontanò a sua
volta, chiudendosi nella sua
camera da letto con un gran sbattere di porta e un grugnito a
corollario.
Brianna,
a quel punto, lanciò un’occhiata a Beverly e
chiosò: «E poi mi lamento di
Duncan? Guarda cos’ho combinato io!»
Beverly
le sorrise indulgente e replicò: «Sono abituata
con il mio Fenrir, perciò so come
prenderla. Le parlerò io.»
La
wicca sospirò
rassegnata, ben sapendo
cosa volesse dire Beverly con quella frase, e mugugnò:
«Grazie per avermi
ricordato le mie similitudini con Alec.»
Bev
ridacchiò ma non disse nulla e, dopo un attimo, si diresse
verso la camera di
Iris, pronta a interpretare il suo ruolo di pacere.
Chelsey,
a quel punto, guardò Rock con aria assai confusa e
domandò: «Ma che sta
prendendo a tutti, stasera?»
«E’
il guaio di essere grandi, tesoro.»
La
ragazzina storse il naso e borbottò per diretta conseguenza:
«Che bella
prospettiva, diventare così.»
Al
gruppo non restò altro che scoppiare a ridere, di fronte a
una simile uscita.
N.d.A.
L'incontro con Helen ha sicuramente colpito Dev, così come
il contrario, scatenando le illazioni della prima e i dubbi del
secondo. Nel frattempo, Dev ha ulteriore motivo di mettere a nudo parte
dei suoi sentimenti "grazie" ai test di Lucas, che sottolineano come
sia interessato
a Iris, anche se lui si ostina a intendere che non vi sia nulla di
sentimentale, in questo interessamento.
Una cosa è certa,
quando arriverà la sua mutazione, ci sarà da
ridere...
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Capitolo 18 *** Capitolo 17 ***
17.
Trattenuta
a Londra assieme a Rock con una scusa, Chelsey non avrebbe assistito
alla
mutazione del padre e, Iris sperò, alla sua rinascita come
licantropo.
Era
stato deciso così per salvaguardare la piccola da inutili
tensioni e tutti,
nessuno escluso, stavano pregando che ogni cosa si svolgesse nel
migliore dei
modi per evitare di essere i latori di una tragedia.
Ritti
nei pressi della possente quercia che cresceva nella tenuta dei duchi
Walford,
proprietari della Walford House e di tutti i possedimenti a essa
legati,
Devereux attendeva impaziente al fianco di Brianna.
Colton
Andrews, sesto duca Walford e, fra le altre cose, una delle
più forti
sentinelle del branco di Joshua, stava osservando tranquillo la
spianata del
Vigrond e, sorridendo a una tesa Iris, asserì:
«Non mi preoccuperei troppo, sai?
Con lady Fenrir al suo fianco, non ci saranno problemi.»
«Mi
calmerò quando saprò di non aver ammazzato il
padre di Chelsey. Ora come ora,
non riesco a pensare ad altro» mormorò in risposta
lei, pur apprezzando il suo
tentativo.
Quando,
poche ore addietro, erano partiti in auto per raggiungere la tenuta dei
Walford
nel Wiltshire, Iris aveva finalmente compreso come potessero, i
licantropi
londinesi, avere a disposizione un luogo ove incontrarsi in tutta
sicurezza.
In
un mondo ove tutto era controllato da telecamere e satelliti, e dove i
curiosi
potevano arrivare più o meno ovunque, era necessario avere
degli appezzamenti di
terreno privati.
Specialmente
nei pressi di città estese e popolose come Londra.
La
scoperta, però, che uno dei licantropi di Joshua fosse anche
un Pari del Regno,
aveva sorpreso non poco Iris, così come i suoi compagni di
ventura.
Era
divertente pensare che il trentacinquenne e aitante duca Walford
potesse
bazzicare per i corridoi di Buckingham Palace.
Lui,
predatore e discendente di un dio, si inchinava e ossequiava una umana
che,
stando alle leggende, era stata posta sul trono per mano di un altro
dio.
Tutto
questo aveva un che di folle, agli occhi di Iris e, proprio per questo,
di
stranamente logico, visto il mondo assurdo in cui ormai viveva da un
paio
d’anni.
«Beh,
qui siete più che rappresentati e, di certo, non avete
bisogno di me. Io torno
a Walford House per farvi preparare uno spuntino degno di tale nome.
Devereux
sarà sicuramente affamato, dopo… tutto
questo» dichiarò Colton, dando una pacca
sulla spalla a Iris prima di
salutare gli altri e allontanarsi con la sua corsa felpata e veloce.
Un’altra
cosa che a Iris e gli altri era parsa strana, era stata la sorprendente
familiarità degli altri mannari nei loro confronti.
Fin
dall’inizio, erano stati trattati con estrema cortesia, come
se si conoscessero
da anni, e non da pochi giorni – od ore – e tutto
perché appartenevano alla
stessa specie.
Rock,
in quanto Primo Compagno di Lucas - anche se era un umano - veniva
trattato con
i guanti e non era mai perso di vista, quasi dovesse essere protetto
anche
dalle ombre.
Brianna
le aveva spiegato che i rapporti tra alleati, o con persone che non si
ritenevano nemici, era assai informale, anche se i riti e i titoli non
venivano
mai dimenticati.
Pur
se ognuno di loro si dava del tu,
c’erano grandi strette di mano e tutti sorridevano, nessuno
avrebbe mai pensato
di mancare di rispetto a un Fenrir, così come a un Primo
Compagno, per
l’appunto.
Informalità
mista a rispetto puro e semplice.
“Abbiamo
ancora
un sacco di cose da imparare”, mugugnò Iris tra
sé, guardandosi
intorno con aria sempre più nervosa.
E’
lo scotto di
partire da zero, replicò
Gunnar, cercando di apparire confortante.
Iris
assentì tra sé ma, quando avvertì il
brivido famigliare della levata della
luna, fissò ansiosa il Vigrond e cercò di
prepararsi al peggio.
Brianna
non si fece attendere e, mordendosi un dito a sangue, lo
accostò alla bocca di
Devereux – già da tempo impegnato a grattarsi il
palmo di una mano per il gran
prurito – e disse a gran voce: «Io ti chiamo,
Figlio della Luna. Lascia che il
potere della Madre e della Luna entrino dentro di te! Giungi a me,
figlio di
Fenrir, stirpe divina!»
Ciò
detto, si allontanò lesta da Devereux, attirando con
sé anche una tesissima Iris
che, assieme agli altri, si pose ai bordi della radura per lasciare
tutto lo
spazio utile all’uomo per la sua mutazione.
Come
preda di un forte colpo di maglio, Dev si inarcò
all’indietro per poi piegarsi
su un ginocchio, quasi senza fiato, e stringere i denti per non urlare.
Iris
non poté che sentirsi male per lui e Lucas, poco distante da
lei, mormorò
ansioso: «Coraggio, amico… ce la puoi
fare…»
«Lasciala
fluire, Devereux… non frapporti tra Madre e il tuo nuovo
essere» mormorò tesa Brianna,
a poca distanza dagli altri, accigliandosi leggermente di fronte allo
strenuo
tentativo dell’uomo di non emettere fiato.
Dev
strinse ancor più i denti, stoico fino al midollo pur se
ricoperto da una
sottile patina di sudore, chiaro indicatore di quanto stesse in effetti
trattenendo dolore e sofferenza.
Brianna
lo richiamò ancora, sempre più ansiosa ma Dev,
invece di rivolgerle un cenno affermativo,
si volse e incatenò per un
istante i suoi occhi a quelli di Iris.
Fu
solo un attimo, poco più di un battito di ciglia, ma fu
sufficiente per far
comprendere a Iris cosa non stesse
andando per il verso giusto, e cosa avrebbe rischiato di far perdere la
battaglia a Devereux.
“Si
sta frenando
per non farmi soffrire! Non vuole che io veda il suo dolore!”, ansimò
terrorizzata Iris.
Temo tu
abbia
dannatamente ragione. Il punto è che…
Gunnar
non ebbe il tempo di terminare la sua congettura.
Le
gambe di Iris si stavano già muovendo mentre, dentro di lei,
il potere del landvættir
si scatenava in tutta la sua
forza, dominandola e pervadendola come fuoco.
Fu
inutile, del tutto inutile
richiamarla all’ordine, tentare di allontanarla da Devereux
perché non venisse
ferita durante il Mutamento dell’amico.
Sia
Duncan che Lucas tentarono di ordinarle di tornare ai bordi della
radura con la
Voce del Comando, ma lei rifiutò di accettare la
coercizione. La scavalcò,
cancellandola dalla sua mente e, raggiunto che ebbe Dev, lo strinse a
sé
urlando: «Vieni da me, Devereux! Ti prego! Esci da
lì! Urla, se vuoi, ma segui
la mia voce!»
Dev
resistette ancora un istante, la fissò spiacente nei suoi
occhi verde smeraldo
ma, alla fine, urlò, come se la voce di Iris avesse spezzato
un sigillo. Si
piegò all’indietro fin quasi a spezzarsi la
schiena ma mai, neppure per un
istante, tentò di aggredire Iris durante il suo cambiamento
da umano in bestia.
Brianna
e gli altri, invece, furono costretti loro malgrado a rimanere sulle
loro
posizioni, bloccati dal potere devastante del landvættir,
che stava proteggendo Devereux con la sua aura.
Assottigliando
le palpebre per proteggersi dai flussi ribollenti di
quell’onda energetica
spaventosa, Brianna borbottò: «Ecco cosa succede a
non tirarsi dietro una völva
con il suo stregone. E dire che avrei dovuto immaginare che, con
un’anima come
quella, avrebbe potuto succedere qualcosa del genere!»
«Pensi
che Iris sia al sicuro?» domandò Lucas,
impossibilitato a muovere un solo
muscolo per raggiungere i suoi amici.
«Siamo
noi a non esserlo! Al momento siamo un intralcio, per lei,
perché non stavamo
aiutando a sufficienza Devereux a mutare, almeno secondo i suoi
parametri. A
questo punto, credo che dovremmo indietreggiare poco alla volta,
così da
permetterle di calmarsi. E’ l’unica cosa che ci
è concesso fare, per ora»
replicò Duncan, muovendosi lentamente all’indietro
ma sempre tenendo
sott’occhio il centro del Vigrond.
L’esplosione
energetica prodotta da Iris aveva effetti devastanti, su di loro,
impedendo
loro de facto di avanzare,
permettendo
soltanto al gruppetto sparuto di allontanarsi dal centro di
quell’onda anomala.
Stranamente,
però, non sembrava avere alcun effetto sulla natura
circostante. Se si fosse
trattato di una semplice aura mannara lasciata libera a se stessa,
questa
avrebbe divelto piante e cespugli, ma così non stava
avvenendo.
Il
potere del landvættir, quindi,
agiva
in modo leggermente diverso e, almeno in quel caso, sembrava molto
più
devastante di una normale aura.
Lucas,
Brianna e Lance non poterono che imitare Duncan e l’Hati di
Matlock, guardando
la figliastra, disse con una certa ironia: «A quanto pare,
c’è ancora qualcosa
che non sapevamo.»
«Non
mi era mai capitato di incontrare un landvættir,
onestamente, e neppure Fenrir ne ha memoria,
perciò eravamo, a tutti gli
effetti, dannatamente impreparati» ammise Brianna, pur
sorridendo. «Dovrò farle
i miei complimenti. E’ la prima persona di mia conoscenza che
sia riuscita a
spezzare la coercizione della Voce del Comando di un Fenrir.
Evidentemente, se
il landvættir considera
prioritaria
la sua missione, prioritaria persino rispetto agli ordini del suo
capoclan, può
decidere di ignorare il blocco.»
Duncan
indietreggiò ancora, mormorando ammirato: «Questa
aura difensiva fa quasi
spavento. Eppure, non sta minimamente danneggiando ciò che
ci circonda. Tiene a
bada solo noi.»
«A
quanto pare, Lucas, ti sei appena guadagnato un Hati sotto steroidi,
anche se
non ha la livrea… ammesso che si calmi,
ovviamente» ghignò Lance, sorridendo al
giovane canadese.
«Ammesso
che rimanga con me, vorrai
dire»
sottolineò Lucas, poggiandosi contro il tronco di una
betulla prima di
aggirarla e nascondervisi dietro. «Iris ha la sua vita a
L.A., dopotutto, e non
penso vi rinuncerà per rimanere al mio fianco come
Hati.»
«Dopo
questo spettacolo? Dubito fortemente che abbandonerà
Clearwater» asserì per
contro Lance, sorridendo divertito nell’osservare la coppia
nel mezzo di quella
bufera di potere primigenio.
Proprio
in quel momento, la barriera psichica si esaurì
così come era giunta e al suo
posto, nel mezzo del Vigrond, fecero la loro comparsa due lupi.
Il
più piccolo, dal manto grigio e nero, stava leccando via il
liquido vischioso
della mutazione dalla spalla dell’altro, rossastro per livrea
e grande quasi il
doppio rispetto alla femmina ritta al suo fianco.
La
sorpresa si palesò sui volti di tutti e Duncan, ammiccando a
Lucas, dichiarò:
«Beh, credo tu abbia appena formato la tua Triade di
Potere.»
***
Era
stato più forte di lei. Non aveva resistito.
Intravedere
per un istante la sofferenza negli occhi di Devereux, soffocata dietro
la
barriera della sua cieca ostinazione, le aveva spezzato qualsiasi freno
inibitore.
Ora,
però, non poteva più tornare indietro,
né tacere ciò che quel gesto così
eclatante – quanto imprevisto – aveva messo ben in
chiaro.
Per
Devereux aveva appena rischiato la vita, e si era messa dichiaratamente
contro
una wicca e ben tre Gerarchi, al
solo
scopo di proteggere colui che amava dai suoi stessi freni inibitori.
“Che
diavolo ti
è saltato in mente di bloccarti? Non si era detto di
smetterla di fare gli
idioti?!”,
lo sgridò Iris, continuando a leccargli via il liquido denso
e vischioso dal
muso.
“Te
l’ho ripetuto
e straripetuto! Pensi sia divertente vederti soffrire a causa
mia?!”,
protestò
Devereux prima di reclinare il muso, guardarsi e borbottare: “Perché sono tanto
più grosso di te?”
“Guardati
il
pelo. A quanto pare, sei il nuovo Sköll del nostro sgangherato
branco. Forse,
nei tuoi antenati c’era un Gerarca, così il gene
è rimasto sopito finché non
abbiamo deciso di svegliarlo.”
Devereux,
però, non ascoltò tutta la sua articolata
spiegazione, ma solo una sola,
piccola, apparentemente insignificante parola e, dubbioso quanto
speranzoso,
ripeté: “Nostro?”
Iris
allora sbuffò, un gesto piuttosto ridicolo per un lupo e,
dandogli una zampata
sulla spalla, sbottò: “Cosa
pensi abbia
appena fatto?”
“Far
incazzare
due Fenrir, un Hati e una wicca,
rifiutando di obbedire ai loro ordini? Che poi, come hai fatto, scusa,
se
l’altro giorno non sei riuscita a controllare
l’imposizione di Lucas?”
La
lupa che era Iris inclinò la testa su un lato e non disse
nulla, fissando
spazientita il lupo dinanzi a lei e lasciando che fosse Devereux stesso
a
trovare la risposta.
“Lo
hai fatto…
per me?”
“Per
chi altri,
razza di stupida palla da demolizione che non sei altro!?”
Ciò
detto, se ne andò trottando via e Devereux, dopo una breve
occhiata ai loro
spettatori sconcertati, la seguì dappresso con passo un
po’ insicuro e
caracollante.
Lucas,
ancora interdetto di fronte allo spettacolo cui era stato suo malgrado
testimone, esalò: «Qualcuno mi può
spiegare?»
Fu
Brianna a rispondere, un mezzo sorriso dipinto sul viso acqua e sapone,
mentre
si sistemava i capelli scompigliati dall’onda di energia di
Iris.
«Devono
chiarirsi e, per farlo, credo che impiegheranno un bel po’,
viste le
insicurezze di entrambi sui rispettivi sentimenti. Noi possiamo anche
tornare a
Walford House, a questo punto. Lasciamo qui gli abiti di Devereux.
Credo che
serviranno loro più tardi.»
Con
un sorrisino furbo, la donna lasciò quindi lo zaino
dell’uomo nei pressi della
quercia del Vigrond e Duncan, dando una pacca sulla spalla a Lucas,
disse:
«Stanotte abbiamo imparato qualcosa anche noi. Mai mettersi
tra un landvættir e la
sua missione. Qualunque
essa sia.»
«Io
mi ricorderò di non far mai incazzare Iris, poco ma
sicuro» annuì divertito
Lucas, prima di aggiungere: «Però,
prenderò in giro a vita
Devereux. E’ davvero fissato con le donne
complicate.»
Tutti
risero e, senza preoccuparsi dei due licantropi, tornarono a Walford
House così
da lasciare loro lo spazio necessario per chiarire i punti di
disaccordo che li
dividevano.
***
Nonostante
la sua goffaggine nel correre – era così strano
farlo su quattro zampe, e con
quella prospettiva visiva in full HD! – Devereux non
impiegò molto a
raggiungere Iris, grazie alla sua falcata più lunga e
potente.
Scartandole
davanti in modo grossolano, si ribaltò per
l’inesperienza nell’usare il suo
nuovo corpo ma, per lo meno, riuscì a bloccare la lupa che,
sbuffando,
brontolò: “Che diavolo
vuoi, adesso? Non
ne hai avuto a sufficienza di ciò che ti ho detto
prima?”
“Sei
sicuramente
Iris, ora. La lupa con cui ho parlato alcune sere fa, non ha quel
tono”,
chiosò Dev,
rimettendosi ritto sulle zampe.
“Siamo
la stessa
persona… beh, entità. Solo che, in determinate
condizioni, possiamo agire
distintamente in base a ciò che devo fare. A volte,
è meglio ragionare da lupo,
quindi la lascio fare, altre volte – la maggioranza
– è la donna a parlare, ma
siamo sempre noi, Iris.”
“E’
curioso
sentirti parlare al plurale.”
“Appena
avrai
famigliarità col tuo lupo, capirai cosa intendo. Comunque,
io sono io, anche se
penso sia come lupo che come donna. E poi c’è
Gunnar che complica le cose.”
Grazie,
Iris.
“Di
nulla, anima
mia”,
ironizzò lei, sedendosi sul posteriore per poi guardare
torva Devereux e
domandare: “Cos’altro
vuoi farmi
ammettere? Sentiamo!”
Dev,
però, non le rispose subito e, avvicinatosi a lei, le
leccò il muso un paio di
volte prima di mormorare: “Posso
ammettere qualcosa io, se vuoi.”
Ancora
stordita dal gesto improvviso di Dev, Iris impiegò qualche
istante per assimilare
le sue parole e, scuotendo il muso per il nervosismo,
replicò: “Prima di dire
qualsiasi cosa, vorrei che…”
Lui
non ascoltò minimamente le sue parole e, così
come era divenuto un lupo, tornò
uomo, splendido e fiero nella sua nudità e del tutto
tranquillo nonostante
l’assurdità della situazione.
La
lupa distolse lo sguardo ma Dev afferrò il suo muso
perché tornasse ad
affrontarlo e disse: «Voglio parlarti faccia a faccia, Iris,
e non nell’altro
modo. Faccio ancora una fatica tremenda a seguire i tuoi pensieri,
perciò
accontentami. Dopotutto, non vedrei nulla di nuovo, lo sai.»
Le
ultime parole le disse con un sorriso affettuoso quanto beffardo
stampato sul
viso, ma Iris scosse il muso, ribattendo: “Sai
benissimo che non sono
più come mi
ricordi... cosa per cui la pagherai, prima o poi, tra le altre
cose.”
Devereux
fece un passo indietro, a quelle parole, sinceramente sgomento e, nel
carezzare
il muso della lupa, mormorò affranto: «Pensi davvero che io… che io potrei
trovarti meno bella, o non più la solita
Iris, per via di quella cicatrice? Non me ne frega niente, e te lo
dissi già
un’altra volta.»
La
lupa, allora, lasciò il posto alla donna nel breve decorrere
di qualche istante
e, irritata quanto spaventata, Iris si avventò contro
Devereux, esclamando:
«Perché dovresti accontentarti di una donna
menomata come me, quando potresti
averne a decine, e tutte perfette?!»
Dev
la guardò nei suoi occhi pieni di lacrime non versate e,
gelido, replicò: «Sei
una stupida, se lo pensi, e dai dello stupido a me, pensandolo, cosa
che mi fa
imbestialire di brutto.»
Iris
si morse il labbro inferiore, di fronte a quelle parole piene di fiele
ma
Devereux, non contento, proseguì dicendo: «Sei
davvero così poco sicura di te
da badare soltanto al tuo aspetto fisico, senza contare neanche un
po’ ciò che
sei come persona? La donna che mi ha fatto tremare le ginocchia non mi
è parsa
così sciocca da badare a simili baggianate, ma forse
sbagliavo.»
La
giovane sgranò gli occhi, a quelle parole e Dev,
avvolgendole la vita con un braccio,
la avvicinò a sé e si chinò per
baciarle la spessa cicatrice che le solcava lo
sterno.
Iris
rabbrividì a quel tocco così delicato e, al tempo
stesso, così deciso e si mise
a piangere silenziosamente, sorprendendo non poco Devereux, che
domandò: «Perché
devi piangere, ora?»
«Perché
non voglio la tua pietà. Ciò che ho fatto non
l’ho fatto per attirare la tua
attenzione, ma perché non volevo
che
tu soffrissi in silenzio per proteggere me, perciò non mi
devi nulla. Non
voglio la tua compassione, perché pensi di essere in qualche
modo in debito
verso di me» riuscì a dire Iris, pur morendo
dentro.
Desiderava
quel calore, quel tocco, era inutile negarlo. Si era gettata tra le
braccia del
pericolo, rischiando la vita pur di liberare Dev dai suoi inutili
blocchi mentali,
perché lo amava.
Ma
non desiderava che lui fosse accondiscendente con lei solo
perché l’aveva
salvato da una potenziale morte per squartamento.
Dev,
però, la sorprese come sempre e, sospingendola a forza fino
a raggiungere il
tronco di una quercia, le disse con un ghigno: «Vediamo se
questa è
riconoscenza, Iris.»
Ciò
detto, le schiacciò le labbra nel bacio più
dominante che lei avesse mai
ricevuto in vita sua e, complice l’aura rovente di Devereux
premuta contro il
suo corpo nudo, si sciolse come neve al sole.
Divenne
cedevole tra le sue braccia e rispose al bacio con la frenesia di una
donna che
non atteneva altro, aggrappandosi a lui come se ne andasse della vita.
Dev,
allora, la schiacciò tra sé e la pianta,
facendole comprendere senza ombra di dubbio
quanto, quel
bacio, lo stesse completamente coinvolgendo.
Scostandosi
unicamente lo spazio di un’ala di farfalla, le
sussurrò roco: «Se ti sento dire
altre stronzate come prima, ti rivolto sulle ginocchia e ti sculaccio. Non sono condiscendente! Ti amo, razza
di scema!»
Iris
non poté che ridere, di fronte a quell’accozzaglia
di parole, dolci e crude al
tempo stesso. Ma d’altronde, di che si stupiva? Quello era
Devereux, la palla
da demolizione di cui, a sorpresa, si era innamorata.
Lei,
da sempre abituata a giovani della società bene di
Hollywood, a figli di
imprenditori rampanti, si era innamorata di un uomo che,
dell’affettazione e
delle vacue parole, non voleva neppur sentire l’odore.
Dev
era un uomo di azioni, più che di parole e con quelle, di
solito, scartavetrava
le persone, ma aveva un cuore solido, piagato dal dolore
dell’abbandono ma
sanato dall’amore per la figlia.
Era
un uomo che, quando si concedeva, lo faceva pienamente, senza false
ipocrisie o
parole gettate al vento.
Era
l’uomo che aveva fatto tremare tutto il suo mondo, facendole
finalmente
comprendere cosa voleva per se stessa.
«L’eloquio
non è mai stato il tuo forte» mormorò
Iris, sorridendo contro le sue labbra.
«Arrangiati.
Ti devi accontentare di questo» scrollò le spalle
Dev, accennando un sorriso.
«E non venirmi più a dire che non sei bella, o che
quella cicatrice conta
qualcosa. Ti rende splendida, altro che storie!»
Iris,
a quel punto, lo scostò un po’ da sé e
replicò: «Ora non esagerare. Gli occhi
ce li ho anch’io, e uno squarcio lungo più di
venti centimetri e largo tre, non
può essere bello.»
«Ti
sbagli» replicò roco Devereux, carezzando quella
stessa cicatrice con un dito.
«E’ splendido perché mi ricorda in ogni
momento che ti sei lanciata su di me per
proteggermi. E’ splendido perché
dice al mondo quanto tu sia coraggiosa. E’ splendido
perché fa parte di te.
Punto.»
«Dev…»
mormorò Iris, puntando le mani sul suo torace.
«Dimmi.»
«Dammi
ancora della scema, e ti morderò sul sedere»
ironizzò la giovane, facendo
scoppiare a ridere Devereux, che la abbracciò con forza,
stampandole un bacio
sulla spalla.
«Non
garantisco niente» mormorò lui, scostandosi per
guardarla negli occhi con un
dubbio appena accennato. «Ora, però, che farai?
Helen mi è parsa davvero una
brava persona, e immagino che la sua famiglia sia uguale. Non puoi
semplicemente abbandonarli e via.»
«Pensi
che lascerei tutto, a L.A., e solo per te?»
ironizzò Iris, pur sapendo che il
dubbio di Dev era reale.
Lui
sollevò un sopracciglio con evidente scetticismo e
replicò: «Piccola sfacciata.
Non mi sono sperticato in così tante lodi per poi vederti
andare via come se
nulla fosse.»
«Oh,
quindi volevi lisciarmi un po’ il pelo per farmi
restare?» domandò la giovane,
sempre mantenendo un tono di voce faceto.
Stando
al gioco, Devereux ammise con candore: «Con le donne non si
può mai sapere. Un
po’ di adulazione non fa mai male.»
Iris
allora gli sorrise, reclinò il viso e afferrò le
sue mani, sollevandole tra
loro. Nuovamente seria, infine disse: «Non posso davvero
abbandonarli e via. Ma
so dove voglio stare… e con chi.»
«Pur
se non siamo moderni come L.A., nevica anche in primavera e in inverno
servono
i marines per uscire di casa?» cercò di ironizzare
Dev, comprendendo la
profondità nelle parole di Iris.
Accennando
un sorrisino divertito, Iris assentì e replicò:
«Insegnare a suonare la
chitarra a Chelsey mi ha ricordato cosa provavo stando coi bambini nei
centri
diurni, e mi ha fatto capire cosa voglio fare davvero. Mi piace dare
ciò che so
agli altri. Vorrei diventare un’insegnante. Dopotutto, i miei
studi me lo
consentirebbero.»
«E
ti basterebbe insegnare in una piccola scuola della Columbia
Britannica?»
«Potrei
anche insegnare in Alaska, o a Yellow Knife, se servisse. Ma
sarà sempre dove
sarete tu e Chelsey. E’ questo,
l’importante» dichiarò Iris,
intrecciando le
sue mani a quelle di Dev per poi alzarsi in punta di piedi e baciarlo,
come a
voler suggellare quel giuramento.
«Pensi
si offenderebbero, se arrivassimo in ritardo allo spuntino che hanno
preparato
per me?» mormorò un po’ di tempo dopo
Dev, scostandosi dalle labbra di Iris.
Lei
rise, scrollò le spalle e replicò:
«Sono lupi. Da quel che ho capito, sono cose
che non li sconvolgono affatto.»
«Buono
a sapersi…» sorrise lui, con un luccichio negli
occhi. «…ma solo se ti va.»
Iris,
allora, lo sospinse contro la pianta che Devereux stesso aveva usato
per
intrappolarla e, ammiccando maliziosa, gli passò le mani sul
corpo statuario,
mormorando: «Io e la mia lupa abbiamo fame.»
«Bene»
sussurrò soltanto Devereux, schiacciandole le labbra in un
bacio divorante.
Il
primo di molti, tra l’altro.
***
Arrotolandosi
le maniche della camicia, Iris sorrise divertita quando Devereux si
volse a
mezzo, la fissò sorridente e chiosò:
«Ormai è diventata un’abitudine, quella
di
indossare le mie camice.»
Rammentando
la notte disastrosa in cui Chelsey era mutata, a cui era seguita una
mattinata
tra le più strane della sua vita, Iris assentì e,
portandosi il tessuto al naso
per inspirarne il profumo, mormorò: «Hai un buon
odore.»
«Anche
tu» replicò lui, avvolgendole le spalle con un
braccio per poi incamminarsi
lentamente verso Walford House. «Tutto bene?
Pentita?»
«Di
aver fatto sesso strepitoso su un prato, nel bel mezzo di un bosco
inglese,
durante il Solstizio d’Estate? Per niente»
ironizzò lei, scuotendo il capo e
solo per ricevere un pizzicotto in risposta.
«Non
fare la spiritosa. Dico sul serio. Sai che questo complica, e di molto,
le
cose» replicò lui, accigliandosi.
Iris,
però, scosse il capo e asserì: «Non le
complica affatto, Dev. Ho davvero scelto
te. Non era solo la passione del momento, o la paura di averti quasi
perso.
Naturalmente, dovrò rientrare a L.A. per sistemare i miei
affari e per parlare
con la mia famiglia, ma poi tornerò a Clearwater. Il mio
branco è lì. Tu
sei lì.»
«I
tuoi zii che diranno? Dopotutto, non sono figlio di un Rockfeller, o
altro»
sottolineò lui, dubbioso.
«Ora
non farti venire delle paranoie inutili. Ti sembra che Helen sia una
donna
snob?»
«Per
niente. E’ una tipa forte» scosse il capo Dev.
«Ecco,
i miei parenti sono uguali. Capiranno il perché della mia
decisione, poiché
loro vogliono innanzitutto che io sia felice» gli
spiegò Iris. «Naturalmente,
zia Rachel piangerà tutte le lacrime del mondo, Liza si
lagnerà per il
comportamento della madre e lo zio cercherà di stemperare la
situazione, ma
sarà tutto normale, in casa Wallace.»
Devereux
le sorrise divertito, asserendo: «Potremmo invitarli. O noi
potremmo andare da
loro. Mi piacerebbe conoscerli.»
Iris,
allora, lo guardò con evidente divertimento e disse:
«Goditi questi momenti di
pace e tranquillità perché, nel momento stesso in
cui zia Rachel verrà a sapere
che mi trasferirò a Clearwater,
impazzirà.
Si intrometterà in maniera spaventosa, cercherà
di essere d’aiuto in modi che
neppure immagini e pianificherà il nostro matrimonio fino a
scegliere anche il
colore dei tappi del vino.»
Dev
impallidì leggermente, alla parola ‘matrimonio’
e Iris, scoppiando a ridere, esalò: «Non ho detto
che io voglio sposarmi!
E’ lei che è fissata, per cui ti ho solo voluto
avvisare.»
«Non
è di questo che mi stavo preoccupando, quanto piuttosto di mia madre. Io e Julia non ci siamo mai
sposati, per cui è sempre
rimasta all’asciutto, quanto a grandi eventi. Se parlasse con
tua zia…»
A
quel punto fu Iris a preoccuparsi e, torva in viso,
borbottò: «Forse, dovremmo
scappare davvero a Yellow Knife.»
«Non
farmici pensare troppo, o potrei trovare allettante
l’idea» grugnì Devereux.
Entrambi
sospirarono afflitti e ciò li portò, per diretta
conseguenza, a sorridere
complici.
Fu
con quel sorriso che raggiunsero finalmente Walford House e il padrone
di casa,
fermo sulla soglia con una bracciata di abiti, li salutò con
un cenno del
braccio e chiosò: «Oh, eccovi! Ormai cominciavamo
a pensare di dover mandare
una delle sentinelle a cercare i vostri cadaveri.»
«Niente
di tutto ciò» scosse il capo Devereux.
«Scusa per il ritardo.»
Colton,
però, si limitò a sorridere sornione e,
consegnando a Iris i vestiti che aveva
in mano, replicò: «Oh, nessun problema. Le
Mutazioni danno sempre il via a una
serie di eventi, ogni volta diversi. Certo, però, non avrei
mai immaginato di
sentire una tale bordata di energia psichica. Lady Fenrir mi ha detto
che sei
stata tu.»
Iris
assentì nell’infilarsi il paio di jeans che Colton
le aveva consegnato.
Volgendosi poi di spalle per togliersi la camicia di Dev e indossare la
maglietta
portatagli dal duca, disse: «A quanto pare, il mio essere un landvættir mi permette di fare
cose un
po’ particolari, come soprassedere alla Voce del
Comando.»
Colton
si volse con disinvoltura in direzione di Iris per chiacchierare
amabilmente
con lei, ma Devereux non gradì per
nulla
e, mentre la giovane terminava di vestirsi, lui si pose tra i due e
ringhiò:
«Un po’ meno spregiudicatezza, grazie.»
La
sentinella del branco di Londra lo fissò per diversi secondi
senza comprendere,
chiaramente non aspettandosi una simile marcatura del territorio ma,
nel
rammentare un particolare, scoppiò a ridere e disse:
«Oh, cielo… scusami!
Dimenticavo che non sei avvezzo ai nostri usi.»
«Guardate
anche le donne impegnate senza farci
una piega?!» protestò a quel punto Dev, mentre
Iris ridacchiava divertita.
Colton
lo fissò con estrema pazienza, mista a un pizzico di sano
divertimento, e
replicò: «La nudità non è un
tabù, per noi, in
nessun caso. Solo dei licantropi che hanno dei conti in
sospeso a livello
emotivo possono, eventualmente, essere in imbarazzo, ma solo
perché è più
facile essere smascherati, quando c’è di mezzo il
cuore. Diversamente, non ci
facciamo una piega.»
«Quindi,
tu hai… hai visto la moglie del tuo Fenrir senza
abiti addosso, e lui non ha aperto bocca?!»
gracchiò Devereux, incredulo.
«Come
Gretchen ha visto me, del resto. Te lo ripeto, non è un
tabù. Nasciamo nudi,
no? Per noi, vale sempre e comunque» scrollò le
spalle Colton, prima di
domandare a Iris. «Ti sembrava che ti stessi guardando
concupiscente?»
«Affatto.
Ma questa nostra… cosa
è piuttosto
nuova e, se la sommi al fatto che lui è un lupo solo da
qualche ora…» ammiccò
Iris, prendendo sottobraccio Dev per essere sicura che non scattasse
all’improvviso per malmenare il duca.
«…
giusto, succede il finimondo. Comunque, non volevo mancare di rispetto.
Solo,
mi piace guardare in faccia la persona con cui sto parlando. Tutto
qui» scrollò
le spalle Colton, invitandoli quindi a entrare.
Devereux
mugugnò un assenso e infine, al braccio di Iris,
entrò nella villa per prendere
parte al piccolo banchetto preparato in suo onore.
Non
che avesse molta voglia di stare in compagnia, in quel momento
– dopo quello
che era successo nel bosco, avrebbe preferito parlare con Iris in
privato – ma
capiva bene di dovere molto a quelle persone.
Li
avevano accolti a braccia aperte senza minimamente conoscerli, avevano
pazientato e ascoltato tutte le loro domande, i loro dubbi, e avevano
cercato
di aiutarli per quanto possibile.
Ora
toccava a loro ricreare, se lo volevano, una cultura mannara nei
territori del
nord America.
Il
primo passo era stato fatto, e il piccolo branco di Clearwater aveva
appena
preso vita. Da lì in poi, sarebbe spettato a loro scegliere
come comportarsi e
capire se e come richiamare a loro altri licantropi.
Non
sarebbe stato semplice, ma avevano tutte le carte in regola per
riuscire.
***
Era
stata sciocca a scappare, sciocca a lasciar cadere quello stupido
fucile.
Avrebbe
dovuto mostrare maggior coraggio e terminare ciò che aveva
cominciato.
Approfittare del colpo di testa di Iris e finire sia lei che lui.
Passandosi
le mani sul viso stanco, introrbidito dai farmaci che le davano per
tenerla
tranquilla, Alyssia fissò annebbiata il parco in cui si
trovava.
La
clinica appariva rilassante e tranquilla, per gli occhi ingenui di
coloro che
venivano in visita ma, per chi vi si trovava come paziente, era in
tutto simile
a una prigione.
Non
poteva fare ciò che voleva, né uscire se ne
avesse sentito l’esigenza. Il suo
unico conforto le veniva soltanto dall’immenso parco che
circondava la
struttura ma che, di fatto, li teneva anche a distanza dal mondo reale.
Quella
natura all’apparenza incontaminata era infatti circondata da
un alto muro di
cinta, impossibile da valicare e controllato a vista da telecamere a
circuito chiuso.
Suo
padre l’aveva pregata di mettercela tutta, di impegnarsi
realmente per guarire…
peccato che lei non fosse affatto malata e
non meritasse di trovarsi in quella sorta di lager a quattro stelle.
Quando
mai avrebbero capito, lui e sua madre, che lei desiderava soltanto
amore e
libertà? Quando mai glieli avrebbero concessi?
«Sapevo
che ti avrebbero rispedito qui al primo problema»
esordì una voce alle sue
spalle.
Quel
tono vagamente irridente, quella voce morbida e profonda fecero
scattare
qualcosa, nella mente ottenebrata di Alyssia, qualcosa che apparteneva
al
passato e all’unico amore che avesse mai ricevuto in vita sua.
Volgendosi
a mezzo con un sorriso speranzoso dipinto sul volto, la giovane si
ritrovò a
piangere piena di speranza quando i suoi occhi inquadrarono il viso a
lei caro
di Julia.
Erano
otto anni che non la vedeva, non la sentiva, eppure sapeva che, dietro
alla
donna dai capelli cortissimi che la stava guardando, si nascondeva la sua Julia.
«Sei
veramente tu? Non sono i farmaci, vero?» mormorò
sconvolta Alyssia.
Julia,
per tutta risposta, si sedette al suo fianco sulla panchina, le strinse
una
mano e disse: «Se hai le visioni, mia cara, è
tempo che io intervenga. Questo
posto ti sta divorando, e io non lo permetterò
più. E’ tempo che le cose vadano
a posto una volta per tutte, e ora so come fare.»
«Come…
come fai a essere qui? Chi ti ha detto che…»
tentennò Alyssia, scrutando
incredula le loro mani giunte.
Era
così calda, mentre lei era fredda come il ghiaccio! Sarebbe
stato così bello
essere avvolte per sempre da quel calore!
Un
attimo dopo, Julia la strinse in un abbraccio e mormorò:
«Mi sono arrischiata
ad avvicinarmi a Clearwater per parlarti, per scusarmi con te per la
mia
partenza frettolosa e per i miei silenzi, ma ho visto tua madre che
parlava con
Bethany Saint Clair, così mi sono avvicinata per ascoltare e
ho saputo.»
Accigliandosi,
Alyssia borbottò: «Oh, Bethany è
così contenta, adesso, visto che il suo caro
Dev si vede con una donna!»
Curiosa,
Julia le domandò: «E con chi si vedrebbe, Dev? Ho
cercato anche a casa, ma non
ho trovato nessuno.»
«Si
tratta di una turista. Una bionda californiana che è
arrivata a Clearwater agli
inizi di aprile, e non se n’è più
andata. Ha persino fatto amicizia con
Chelsey, pur di irretire Dev!» sbottò Alyssia,
prima di arrossire e fissare
contrita Julia.
Intuendo
vi fosse altro, in quelle parole livide, Julia chiosò:
«Hai provato ad
abbordarlo tu, ma non ha accettato. Sbaglio?»
«Scusami.
Pensavo che, se avessi condiviso la sua vita, sarebbe stato come quando
eravamo
insieme noi tre, tanti anni fa. E’ stato il periodo
più bello della mia vita, e
così…»
«…
e così hai pensato che, stando con Dev e Chelsey, avresti
potuto riviverlo, ma
lui non te l’ha permesso» terminò di
dire Julia, annuendo comprensiva. «Dev è
sempre stato un egoista, e non mi stupisce che gli anni non lo abbiano
cambiato.»
«Avresti
dovuto rimanere. Non per lui, ma per me»
sottolineò Alyssia, addolorata.
«Lo
so, Aly, ma dovevo fare chiarezza in me stessa, capire chi ero, e
ciò ha
richiesto anni di ricerche e tanti sacrifici, primo tra tutti
allontanarmi da
te. Ma ho sempre avuto intenzione
di
tornare. Per te, e per Chelsey. Lei come sta, ora?» le
spiegò Julia,
carezzandole il viso con gentilezza.
«Oh,
è diventata grande. Una piccola donnina dal carattere
allegro. Chiacchiera
molto» le spiegò Alyssia, scrollando le spalle.
«Donnina?
E’ già…» si
interessò subito Julia, sollevando le sopracciglia con
curiosità.
«Sì,
ha già avuto il mestruo. Ricordo che è venuta da
me, una volta che erano al ristorante,
per chiedermi aiuto. Era un po’ in ansia perché si
sentiva strana e, quando è
andata in bagno, ha scoperto di aver avuto delle perdite,
così l’ho aiutata e
poi ho spiegato tutto a Dev.»
«Bene.
Così è donna, ora» assentì
soddisfatta Julia, un ghigno vittorioso dipinto sul
viso. «E’ tempo che io mi prenda cura di lei come
devo. Adesso sono pronta,
così come lo è Chelsey e, naturalmente, tu verrai
con me. Non ti abbandonerò
qui perché questi uomini tarpino le tue ali. Tu devi volare, e io ti aiuterò a
farlo.»
Pur
se lieta della notizia, Alyssia asserì spiacente:
«Non posso uscire, Julia. E
le recinzioni sono troppo alte, perché io possa
scavalcarle.»
Julia,
allora, le sorrise maliziosa, sollevò una mano per
mostrargliela e, in un
mormorio, disse: «Posso offrirti la forza e
l’agilità che ti servono per
afferrare la tua vita e stringerla nelle mani. Accetterai di credermi?
Accetterai ciò che posso darti?»
«Accetterei
tutto, da te. Di te, so che posso fidarmi» assentì
con adorazione Alyssia.
Julia,
allora, le afferrò il polso e, sotto gli occhi sgomenti ed
eccitati dell’amica,
allungò i suoi artigli e la ferì al collo.
Il
sangue sgorgò scarlatto e, subito, Julia lo lappò
con la lingua, assaporandone
il sapore ferroso e dolce.
«Alla
prossima luna piena, cara, diverrai come me e, insieme, andremo a
prendere
Chelsey. Vivremo libere, come abbiamo sempre desiderato, e niente e
nessuno
potrà dirci come gestire la nostra vita» le
promise lei, accostando un
fazzoletto al collo dell’amica, che annuì
partecipe. «Salveremo mia figlia
dalla gabbia impostaci dagli uomini, e vivremo un’esistenza
appagante, senza
più nessuno a darci ordini.»
«Farò
tutto quello che mi dirai. L’importante, è stare
con te» mormorò Alyssia, la
mano poggiata sulle ferite dolenti e gli occhi ricolmi di una fece
cieca e
incrollabile.
«Sarà
così. Non temere» sorrise trionfante Julia.
N.d.A.:
finalmente Dev è riuscito a mutare e, sorpresa sorpresa, non
è altri che Skoll, il secondo in comando del branco di
Lucas. Chi però ha sorpreso tutti è Iris che, non
solo è riuscita a svicolare dalla Voce del Comando di ben
due Fenrir, ma ha anche dimostrato il suo amore per Dev nel modo
più lampante possibile. Cosa che, tra l'altro, ha permesso a
Devereux stesso di fare altrettanto.
Ovviamente, essendo io la tessitrice di storie, potevo far mancare un
villain? Julia è tornata e sta tentando di prendere con
sè Chelsey, sfruttando l'affetto di Alyssia per avere
appoggio durante il suo assalto a Clearwater. Ma riusciranno
nell'intento? Lucas e gli altri riusciranno a fermarle prima che
possano danneggiare il loro segreto? Di certo, l'avventura è
ben lontana dall'essere terminata, così come i guai.
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Capitolo 19 *** Capitolo 18 ***
18.
Rientrare
a Londra avrebbe dovuto essere un viaggio semplice da compiere. Iris,
però, non
si sentiva tranquilla all’idea di rimettere piede nel loro
appartamento.
Dubitava fortemente che sarebbe stato così facile o
indolore, o che Chelsey
avrebbe preso per buono ciò che era successo, senza
inalberarsi per essere
stata tagliata fuori.
Inoltre,
molte altre cose erano cambiate, e forse Chelsey non avrebbe accettato
– né approvato
– quel riassetto familiare imprevisto.
Un
conto era essere amiche. Un altro, era diventare una potenziale madre
per la
ragazzina.
Se
la scelta di rimanere con Dev e il branco era sorta quasi spontanea,
non appena
Iris si era vista sbattere in faccia la possibilità di
perdere l’uomo che aveva
imparato ad amare, non era detto che lo stesso avvenisse per Chelsey.
Dopotutto,
lei era abituata da più della metà della sua vita
ad avere solo un padre e, per
quanto Chelsey apprezzasse la sua compagnia, Iris non era del tutto
sicura che,
nel ruolo di compagna di papà,
quella
simpatia sarebbe rimasta tale.
Quando,
infine, l’auto in cui erano accomodati si fermò di
fronte all’appartamento in
Camden Road, Iris sospirò e, nello scendere, disse a
Brianna: «Per il momento,
grazie di tutto. Prima di partire, vorremmo comunque rivedervi tutti,
se fosse
possibile.»
«Non
mancheremo, non temere» le promise Brianna, sorridendole
incoraggiante.
Devereux
la seguì fuori dall’auto, ringraziò a
sua volta i loro accompagnatori e,
silenzioso, osservò i due veicoli andarsene nella
tranquillità della notte.
Lucas,
salito a bordo con Colton e Lance, si avvicinò a quel punto
alla coppia, infilò
le mani in tasca con fare pensieroso e mormorò:
«Come pensate di fare, adesso?»
«Chelsey
capirà subito che qualcosa è cambiato…
il suo odore non è più lo stesso»
dichiarò Iris, scrollando le spalle. «Quanto al
resto…»
A
quell’accenno, Lucas batté una mano sulla spalla
dell’amico e celiò: «Certo che
tu, le cose facili, mai…»
«Amo
le complicazioni, che vuoi…» chiosò
Dev, facendo spallucce. «Però, non voglio
certo ferire mia figlia, con il mio comportamento.»
«Amico,
è un tuo diritto avere una compagna, se la
desideri» sottolineò Lucas, tornando
serio. «Inoltre, Iris ha dimostrato di tenere molto a
entrambi voi, e sono
certo che Chelsey lo capirà.»
«Lo
spero» mormorò Dev, avviandosi per entrare nel
palazzo dove si trovava il loro
appartamento.
Iris
e Lucas lo seguirono silenziosi e, quando infine raggiunsero la porta
dietro
cui si trovava il loro personale Giudizio Universale, ai tre venne
spontaneo
emettere un eguale sospiro di apprensione.
L’attimo
seguente, comunque, Dev aprì la porta e, con un mezzo
sorriso, trovò Chelsey e
Rock impegnati nella visione di un programma di cucina non meglio
identificato.
Subito,
Chelsey si volse e disse: «Ce ne avete messo, di tempo, per
visitare…»
Non
terminò mai la frase.
I
suoi sensi la misero in allarme dopo pochi secondi e, nel sollevarsi
come una
molla dal divano, la ragazzina raggiunse rapidamente il padre, gli si
aggrappò
affranta ed esclamò: «Papà,
…ma perché l’hai fatto?!»
Devereux
le sorrise pieno d’amore e, carezzandole il viso,
asserì: «Era giusto così,
tesoro. Inoltre, abbiamo scoperto che sono il secondo in comando del
nostro
piccolo branco. Ci pensi, a prendere ordini da Lucas?»
L’ironia
nella sua voce non bastò però a placare le ansie
di Chelsey che, scuotendo il
capo, replicò disperata: «Ma
così… te ne andrai anche tu, prima o
poi!»
«Come?»
esalò Dev, sorpreso al pari degli altri da
quell’uscita.
Imperterrita,
Chelsey proseguì dicendo: «Mamma se
n’è andata perché non
è nata con questa cosa nel sangue, e
così ha fatto anche Iris,
che se n’è andata dalla sua famiglia, e ora lascerà
noi. Anche tu lo farai, quindi, e io rimarrò sola
coi nonni, perché sono
diversa da te!»
A
quello sfogò seguì il pianto e, in un battito di
ciglia, la ragazzina fuggì via
per raggiungere la sua stanza e chiudervisi dentro.
Basito
e ammutolito da quello sfogo imprevisto, Dev guardò senza
parole Iris che, a
sua volta, sembrava davvero impreparata a quelle accuse e a quella
piega della
situazione.
Lucas,
dal canto suo, esalò un sospiro e asserì dolente:
«Julia, Iris e tu, Dev, siete
tutti licantropi non nativi, per
questo si è spaventata. Ha visto una connessione tra di voi
e si è sentita
persa.»
«Julia
riesce a causare disastri anche quando non
c’è» brontolò Dev, avviandosi
a
grandi passi verso la stanza della figlia.
Iris
lo seguì dappresso, preferendo affrontare la sua personale
parte nella storia
assieme all’amichetta, così da eliminare alla
radice qualsiasi incomprensione.
Non
voleva che Chelsey pensasse che, il suo lasciare la casa natia, avesse
voluto
dire abbandonare per sempre i suoi parenti e, soprattutto, aver smesso
di
amarli.
Dev
entrò per primo e Iris, nel chiudersi la porta alle spalle,
mormorò: «Chelsey,
lasciaci spiegare.»
«Non
voglio essere blandita!» sbottò la ragazzina,
tergendosi le gote ricoperte di
lacrime.
Devereux
levò un sopracciglio con evidente sorpresa e
replicò: «Blandita?
Questa parola l’hai sentita da Rock. È lui che usa
i
paroloni.»
«Non
cambiare discorso, papà!» borbottò la
figlia, cercando suo malgrado di non
ridere.
Dev,
allora, si sedette sul bordo del letto, ove era assisa in posizione
difensiva anche
la figlia, e replicò più seriamente:
«Ti concedo di essere arrabbiata con me
per non averti detto della mia decisione, ma non avercela con Iris per
le sue
scelte di vita. Non si merita davvero il tuo biasimo.»
Chelsey,
però, strinse le braccia al petto e borbottò:
«Poteva cercare aiuto dove
abitava, invece di lasciare la sua famiglia. Ha fatto come la mamma. Se
n’è
andata e, ora che ha trovato ciò che voleva, lo
farà di nuovo. Se ne andrà e
lascerà noi.»
Iris
rimase in silenzio, preferendo che fosse Devereux a gestire quella
discussione
e l’uomo, scuotendo il capo, ribatté:
«Mamma ti ha abbandonata senza dire
nulla, senza lasciare tracce di sé o altro, guardandosi bene
dal dirmi che
avrebbe potuto succederti qualcosa di così destabilizzante.»
La
ragazzina strinse le labbra, quasi sigillandole per non dare al padre
la
soddisfazione di dargli ragione, così Dev
proseguì nel suo dire, ben deciso a
farle cambiare idea.
«Iris
era d’accordo con suo zio, al contrario, e ha sempre
mantenuto i contatti con
la sua famiglia, proprio perché
non
desiderava abbandonarli. Si è spinta lontanissimo
per capire chi era e, nel
frattempo, ha aiutato te a non
morire, infischiandosene di mettere a repentaglio il suo segreto con me,
un perfetto estraneo, pur di non abbandonare una bambina in pericolo.
Si è
presa una pallottola al posto mio ed è quasi morta, per salvare me. Ti sembra che si sia
comportata come mamma? Che sia
stata egoista?»
Chelsey
scosse il capo con un certo fastidio, ma borbottò:
«Ora che non deve più farmi
da balia, perché ci sei tu a farlo al posto suo, ci
abbandonerà in ogni caso.
Anche se non si è comportata come la mamma.»
«Quando
partì da casa, più di due anni fa, non immaginava
di certo che noi saremmo
entrati a far parte della sua vita. Fu normale, da parte sua,
promettere allo
zio un pronto ritorno, non ti pare? Inoltre, non pensi che possa
essersi
affezionata a noi a sufficienza per aver cambiato idea e rimanere con
il nostro
piccolo branco?» le ritorse allora contro il padre, dandole
un buffetto sul
naso.
«No,
perché tu le urli addosso e la chiami sottiletta.»
Alle parole seguì un grugnito e Iris, a quel punto, rise.
Devereux,
da parte sua, scosse il capo con espressione esasperata e
replicò: «Sei ancora
troppo piccola per capire le dinamiche degli adulti, Chelsey ma, se ti
dicessi
che Iris non solo rimarrà con noi, ma che io e lei ci
frequenteremo, cosa
diresti?»
«Che
mi stai prendendo in giro per blandirmi» sbuffò la
figlia, ben decisa a non farsi
convincere. «E la parola non l’ho imparata da Rock,
ma da Disney Channel.»
«Devo
proprio esserle parso un mostro, nei tuoi confronti»
celiò Dev, sorridendo
complice a Iris.
«Non
hai un tocco molto delicato, ammettiamolo» asserì
la giovane, accostandosi poi
alla figlia di Dev. «Hai ragione, Chelsey. Sono scappata da
casa mia, ma non
per i motivi che temi tu. Avevo paura che, rimanendo accanto ai miei
zii, avrei
potuto ferire accidentalmente qualcuno, perché non ero in
grado di controllarmi
come avrei dovuto, quindi mi sono allontanata per saperne di
più su di me, ma
anche per tenere al sicuro i miei cari e perché, al tempo,
avevo paura di
me
stessa.»
«Oh…
come me la prima volta?» mugugnò la ragazzina,
ripensando alla sua stanza
completamente distrutta. Non era davvero riuscita a controllarsi, in
quell’occasione, e molti dei suoi poster erano finiti nella
carta straccia,
così come un sacco di altre cose.
Le
era spiaciuto rovinare con le sue unghie le pareti in legno, ma suo
padre non
aveva fatto una piega e, poco per volta, le aveva completamente
risistemato la
camera da letto.
Capiva,
quindi, cosa avesse inteso fare Iris, allontanandosi da casa.
«Esatto.
Non sapevo cos’ero diventata e ne avevo paura
così, parlandone con mio zio,
abbiamo pensato che allontanarmi per un po’ e ritrovare un
equilibrio avrebbe
potuto servire. Di pari passo, ho cominciato a cercare qualcosa che mi
riguardasse, o qualcuno che capisse cosa fossi diventata ma, come ora
sappiamo,
era una cosa quasi impossibile da attuare… finché
non ho trovato Lucas.»
«Scusa
se ti ho paragonato alla mamma» mugugnò Chelsey,
reclinando abbattuta il capo.
«Non
scusarti. Ho capito perché l’hai pensato, e
perché hai temuto che anche il papà
potesse scappare. Ma non succederà. Io rimarrò
con voi perché amo il tuo papà,
e voglio molto bene anche a te. Se non mi credi, fatti spiegare da
Lucas cos’ho
combinato quando il papà stava mutando, e capirai che non
mento.»
Nel
dirlo, le sorrise e Chelsey, guardando dubbiosa il padre,
mormorò: «Quindi… lei
sarà la mia mamma?»
«Non
subito, anche perché credo che, prima di tutto, Iris voglia
un po’ della
normale vita tra due persone che si frequentano. O almeno
credo» sottolineò
Dev, guardandola dubbioso. «E’ una cosa talmente
nuova che non ne abbiamo
ancora parlato. Inoltre, prima di qualsiasi altra cosa, Iris
dovrà tornare a
casa per un po’ e sistemare ciò che è
rimasto in sospeso, oltre ad avvisare la
famiglia della sua decisione.»
«Sì…
è giusto. Non sarebbe corretto non dire nulla»
annuì meditabonda Chelsey.
«Cercherò
di fare il prima possibile, ma ti prometto che tornerò,
Chelsey. Non è una
bugia detta per rabbonirti. Io voglio entrambi voi, e credo
sarà divertente
uscire insieme come una coppia normale, ti pare?» le sorrise
Iris, stringendola
in un abbraccio.
«Potrò
venire con voi?» esalò Chelsey, eccitata alla sola
idea.
«Ogni
tanto» precisò Dev, ammiccando alla figlia.
«Ci sono cose che vorrei fare da
solo con sottiletta.»
«Papà…
non puoi più chiamarla sottiletta, se sarà la tua
ragazza» ironizzò a quel
punto la figlia.
Dev,
allora, si mise alle spalle di Iris e, a sorpresa, poggiò le
mani a coppa sui
seni di lei, facendo storcere il naso alla proprietaria e ridere la
figlia.
«Uhm,
sì, in effetti non posso più chiamarla
sottiletta. Adesso non è più piatta come
una tavola. Come la posso chiamare, allora, Chelsey?» ammise
Dev, sorridendo
complice alla figlia.
«Mentre
ci pensi, rimetti le mani a posto» sottolineò
Iris, scostandogliele.
“Come
se non lo
avessi già fatto, nel bosco”, ironizzò
l’uomo, parlandole
mentalmente.
“Lo
so benissimo, ma stiamo cercando di fare un discorso
serio a tua figlia, perciò contieni la brama, Dev!”,
replicò Iris,
stentando a non ridere per l’assurdità della
situazione.
Ancora
ridente, la ragazzina disse: «Iris va bene sia come nome che
come nomignolo,
visto che è il nome di un fiore, e lei è bella
come un fiore.»
«E
Iris sia, allora» dichiarò Dev, tornando serio.
«Scherzi a parte… ti sta bene
che il papà frequenti una donna?»
Chelsey,
a quel punto, lo fissò esasperata e borbottò:
«Credimi, avrei cominciato a
preoccuparmi se, diventando grande, non ti avessi visto cercare
compagnia
femminile. Ho visto fin troppi papà single, alla TV, per
volere che anche il
mio diventi così. Brrr!»
«Ah»
gracchiò Devereux, facendo tanto d’occhi e
rendendo praticamente impossibile a
Iris non scoppiare a ridere.
«Ovviamente,
preferisco che sia Iris, perché Alyssia non mi è
mai piaciuta, anche se mi
regalava le caramelle e mi dava sempre un anello di cipolla fritto in
più»
sottolineò la figlia con fare saputo. «Poi, dopo
quello che ha fatto a Iris,
non la vorrei neanche per tutta la pizza gratis del mondo.»
«Oh,
bene… sono lieto che la mia scelta non ti
dispiaccia» borbottò l’uomo, non
sapendo esattamente come prendere i commenti della figlia.
Chelsey,
a quel punto, lo abbracciò con forza e, contro di lui,
mormorò: «Ora sarai
felice anche tu. Sono contenta.»
«Anch’io,
piccolina. Anch’io.»
***
Seduta
a uno dei tavoli prenotati per quella sera al Prix
Fixe del quartiere di Soho, a Londra, Helen stava
sorseggiando
uno degli ottimi drink preparati dal barman – mannaro
– e, attenta, ascoltava
la descrizione di Walford House fatta dal suo proprietario.
Colton
sembrava affascinato da Helen e, da quando Iris gliel’aveva
presentata, i due
erano rimasti quasi sempre incollati a parlare di economia e, cosa
più
inquietante, di serre.
Quando
Iris li aveva sentiti accennare alla possibilità di poter
coltivare in
idroponica un certo tipo di zucca, era rabbrividita ed era scappata a
gambe
levate.
«Devi
considerare che parlare così apertamente con un essere umano
che sa di noi, è
cosa rara, anche se nei nostri branchi vi è una discreta
componente umana»
sottolineò Brianna, offrendo a Iris una delle birre
recuperate dal piano bar.
«Ammetto che, all’inizio, ricordarmi sempre cosa
dire, o non dire, era
difficile.»
Annuendo,
Iris ammise: «Sì, in effetti non è
stato affatto facile mentire alle mie cugine
e a mia zia, e avere almeno l’appoggio di mio zio
è stato vitale per darmi la
forza di proseguire nella mia ricerca.»
«Sei
stata coraggiosa a voler affrontare così di petto il
problema. Molti altri si
sarebbero semplicemente persi o, peggio, si sarebbero fatti ammazzare
dai
Cacciatori.»
«Pensi
che il tizio che mi ha aggredito possa aver fatto quella
fine?» le domandò
Iris, sorseggiando pensierosa la sua birra. Non era certa, a quel
punto, di
volere una simile fine per il suo aggressore. Forse, avrebbe preferito
un
incontro diretto con lei, ma non una fine ignobile e per mano di
cacciatori
dediti solo alla loro decimazione.
«Di
una cosa sono sicura. Se non ci sono mai state fughe di notizie nel
mondo
umano, non è solo per merito nostro ma, ahimè,
anche dei Cacciatori, che si
sono arrogati il dovere di tenere al sicuro dalla realtà dei
fatti l’intera
popolazione umana» mormorò
contrariata Brianna, gesticolando con
una mano come se fosse assai infastidita.
Iris
annuì torva, e la wicca proseguì
dicendo: «Faranno il tutto e per tutto per non smascherarci,
ma unicamente per
evitare le stragi indiscriminate che avvennero agli inizi della faida,
quando
tutti sapevano della nascita dei figli di Fenrir, ma nessuno era certo
quale
fosse il loro aspetto. Furono massacrati interi villaggi, nella
convinzione che
appartenessero alla genia di Fenrir.»
Sorseggiando
la sua birra mentre Nathan, completamente addormentato, dormiva contro
la
spalla del padre, Brianna sorrise speranzosa al figlio. Era chiaro, per
Iris,
quanto la wicca si sentisse vicina
alle paure che, sicuramente, Avya aveva dovuto provare nel sapere i
figli
perseguitati dalla sua stessa famiglia umana.
Incuriosita
da come il bambino, nonostante la confusione che li circondava,
dormisse
saporitamente, Iris domandò: «Ma come fa a dormire
con tutto questo caos?»
Sorridendo
alla giovane, la wicca ammise:
«Puoi
star certa che, se è tra le braccia del padre,
dormirà anche a un concerto dei Metallica.»
«Credo
siano le nenie che gli canta ogni volta Avya»
asserì Duncan, carezzando
debolmente la schiena ricurva del figlio. «Per la
verità, dopo un po’ rischio
anch’io di addormentarmi, ma sembra che Nat ami
particolarmente la voce di
Avya, e questo lo tranquillizza. Oppure, gli fa un sortilegio ogni
volta.»
Le
due donne sorrisero divertite a quel commento e Iris,
nell’osservare la
moltitudine di invitati presenti nel locale – quasi tutti
appartenenti al clan
di Joshua – mormorò: «Neppure nei miei
sogni più rosei avrei immaginato di
poter trovare ad accogliermi una comunità così
grande e solidale.»
«Il
viaggio di un lupo solitario è spesso costellato di
difficoltà ma, se esso
trova infine un branco che lo accoglie, la sua gioia non può
che essere
immensa» chiosò Brianna, prima di aggiungere:
«E prima che mi sgridiate, lo ha
detto Fenrir. Io ho solo riportato.»
«Mi
sembrava una frase troppo poetica per i tuoi standard,
infatti» celiò Duncan,
guadagnandosi un’occhiataccia.
Iris
sorrise, divertita dai loro battibecchi e stimolata dai loro sguardi
carichi di
complicità.
Sarebbe
stato spiacevole abbandonare una simile e così brillante
compagnia, ma era
davvero il tempo di concludere quel viaggio, così da poterne
finalmente
cominciare un altro, senza scheletri nell’armadio a
infastidirla.
L’arrivo
di Chelsey, che le strinse le braccia alla vita con calore, la
strappò a quei
pensieri dolce-amari e, con voce trillante, esclamò:
«Tua cugina Helen mi ha
detto di farle visita, quando andrai a L.A., perché vuole
mostrarmi la sua
serra!»
«Benissimo»
assentì Iris, ripensando alla chiacchierata telefonica che
aveva avuto con la
cugina, in occasione del suo invito per quella serata così
speciale.
Iris
aveva ammesso con Helen della sua decisione di volersi trasferire a
Clearwater
per seguire Devereux e Chelsey, oltre che il suo novello, piccolo
branco.
Le
aveva spiegato le sue reticenze nello scegliere tra la sua famiglia e
Devereux
e a come, nel vederlo in pericolo, il suo cuore avesse scelto per lei.
Helen
aveva ascoltato assorta per tutto il tempo, prima di mormorare un
assenso e
delle sentite congratulazioni, cui non erano mancate delle dubbie
battute circa
la bellezza di Dev.
Naturalmente,
Iris l’aveva pregata di non dire nulla alla famiglia,
più che desiderosa di
farlo personalmente, e Helen aveva accettato di buon grado. Era giusto
che, di
una cosa del genere, parlassero a quattr’occhi.
Solo
molto più tardi, nell’oscurità della
sua stanza e con il calore del corpo di
Dev premuto contro il proprio, Iris si ritrovò a sorridere
piena di speranza e
sì, di fiducia.
Suo
padre e sua madre sarebbero stati orgogliosi di lei perché,
finalmente, aveva
scelto in piena coscienza chi essere e come
essere.
Non
avrebbe seguito le orme di famiglia ma avrebbe fatto ciò che
davvero le stava a
cuore, al fianco di un uomo che la faceva ridere, la esasperava ma che,
più di
tutto, la amava.
***
«A
cosa stai pensando? Sento che stai rimuginando, ma lo fai in modo
troppo
erratico perché io riesca a seguirti»
mormorò Dev, carezzandole distrattamente
con un dito il contorno dell’ombelico.
«Pensavo
a mamma e papà, e a come sarebbero stati orgogliosi di me,
sapendo che
finalmente ho scelto il mio futuro» gli spiegò,
osservando i loro due corpi
nudi illuminati solo dalla fioca luce della luna in fase calante.
Erano
passate ore, dal loro rientro dalla festa, ma aveva ancora dentro di
sé le
piacevoli sensazioni provate nello stare assieme a
quell’enorme, nuova famiglia
che erano riusciti a scoprire dopo mille peripezie.
«Mi
spiace non averli potuti conoscere» mormorò Dev,
levando una mano a sfiorarle
il viso e il contorno della bocca.
«Conoscerai
mio zio e la sua famiglia. Pensavo che, dopotutto, potreste fermarvi un
paio di
giorni a L.A., prima di tornare a Clearwater. Che ne pensi?»
gli propose Iris,
vedendolo annuire.
«La
città mi farà ammattire – ancora non
capisco come facciate a regolarvi con
l’olfatto, visto che c’è una puzza
mefitica, per le strade – ma, per conoscere
la famiglia di Helen, farò questo sforzo.»
Ciò
detto, salì a cavalcioni su di lei, enorme e bellissimo, e
aggiunse roco: «Ora,
però, pensa soltanto a noi due. Niente parenti, lupi, o cose
simili. Solo io e
te.»
«E’
un piano niente male» mormorò lei attirandolo a
sé per un bacio.
Devereux
la penetrò con una fluida spinta e, mentre approfondiva il
bacio quasi
divorando le labbra di Iris, si impadronì di lei in tutti i
modi in cui un mannaro
poteva unirsi alla sua compagna.
Grazie
alle auree unite in una sola entità, ogni centimetro della
loro pelle divenne
incandescente, sensibile alle emozioni provate da entrambi. Quando
infine
raggiunsero l’acme, non fu una sorpresa, per Iris, sentirsi
pienamente
appagata, libera da ogni peso. Giusta.
Per
più di due anni era stata sola, credendo di non poter
più trovare nessuno che
la ascoltasse, la apprezzasse, la amasse.
Quello
pneumatico forato era stata un’autentica manna dal cielo e,
grazie a quel
piccolo incidente, era riuscita a trovare ciò che, per tanto
tempo, aveva
cercato, ma mai osato sperare di trovare.
***
Il
viaggio di ritorno risultò tutto sommato tranquillo e,
grazie alla Dramamina,
Devereux non si sentì male come invece aveva temuto.
Anche
la presenza solare di Helen fu di notevole aiuto. Dopo aver saputo del
loro
prossimo ritono in patria, partì assieme a loro sul Cessna
della Walsh Inc., e così
le lunghe ore di
permanenza in volo passarono senza disagio alcuno.
Atterrati
al LAX, Glenn si sistemò in una delle corsie secondarie per
permettere a Helen,
Iris, Chelsey e Devereux di scendere per il disbrigo doganale. Nel
frattempo,
fece effettuare un nuovo rifornimento per riprendere il volo e portare
Rock e
Lucas a Calgary.
Di
comune accordo, la coppia aveva deciso di rientrare subito –
occupandosi così
del camper di Iris. Quel viaggio a L.A., a detta di entrambi, doveva
essere
un’esclusiva di Devereux e Chelsey.
Grazie
a un paio di telefonate di Iris, quindi, a Glenn era stato permesso di
ricondurre a Calgary i due compagni, evitando loro di dover cercare un
volo per
rientrare in Canada.
Salutati
gli amici, quindi, il quartetto uscì
dall’aeroporto per prendere un taxi e
raggiungere finalmente la città di Beverly Hills, ad
accompagnarli un sole
cociente e una lieve brezza proveniente da est.
Indirizzato
il taxi verso Green Acres Drive, Helen si volse poi per sorridere a
Iris e gli
altri e, divertita, asserì: «Scommetto che la
mamma, vedendoti, scoppierà in
lacrime e, quando le dirai ciò che vuoi fare,
piangerà il doppio. Sarà uno
spasso.»
Iris
ridacchiò tesa, al solo pensiero di vedere zia Rachel alle
prese con una delle
sue crisi d’ansia. Le voleva bene ma, quando crollava per
l’emozione, non
sapeva davvero come comportarsi.
Rivolgendosi
poi a Dev e Chelsey, che la stavano guardando dubbiosi,
esalò: «Ehm… zia Rachel
tende a essere emotiva praticamente di fronte a qualsiasi
novità, sia essa bella o brutta. Anzi, credo che
più sia
bella la notizia, più siano abbondanti le lacrime.»
«Oh,
quindi mi dovrò preoccupare, se non userà
più di due o tre kleenex?» domandò
confuso Dev.
«Più
o meno sì» ammise lei, contrita.
«Scusa.»
«Per
me non è un problema. Mi spiace per tua zia,
però, perché rischia di farsi
venire delle emicranie terribili, così facendo»
replicò Devereux, facendo
spallucce.
Helen
assentì, dandogli pienamente ragione. «Sono
d’accordo con te, Devereux, ma non
c’è mai stato verso di farglielo capire.»
«Se
parlassi a raffica, riuscirei a distrarla e forse non arriverebbe a
piangere»
propose Chelsey, già pronta a mettersi all’opera.
Dev,
allora, sogghignò al suo indirizzo e dichiarò:
«Tu parli sempre a
raffica, tesoro. Dove sarebbe la novità?»
Chelsey
lo gratificò di una linguaccia, cui seguì un
buffetto sulla guancia da parte di
Dev e le risate di Iris e Helen.
La
ragazzina, allora, si lanciò in una delle sue filippiche
chilometriche,
spiegando come, il suo modo di parlare così frenetico e
veloce, rendesse
difficile alle persone perdersi in pensieri tristi.
Fu
così che, le miglia che li separavano dalla villa dei
Wallace, parvero volare
e, quando il minivan su cui erano saliti li lasciò di fronte
a un’imponente
struttura a due piani in stile europeo, Chelsey chiosò:
«Ho ragione o no?»
«Tutto
quello che vuoi, tesoro. Ma ora, per almeno un minuto e mezzo,
contieniti.
Giusto il tempo di presentarci» la ammonì
dolcemente il padre, mentre Iris e
Helen stentavano a smettere di ridere.
«La
adoro già, sappilo» disse Helen, rivolgendo un
sorriso alla cugina.
«Posso
capirti. Con Chelsey, è stato amore a prima vista»
ironizzò Iris, ritrovandosi
addosso lo sguardo accigliato di Devereux.
«E
con me no?» brontolò lui.
«Tu
sei più burbero. Mi ci è voluto qualcosa in
più» ammiccò lei, mentre Helen
cercava nella sua borsetta le chiavi di casa.
«Ma
tu guarda… si vede che il mio fascino comincia a fare
cilecca» borbottò
Devereux, lanciando diverse occhiate alla villa dei Wallace.
«Tu sei cresciuta
in una casa simile?»
«No,
noi avevamo un appartamento in centro» scosse il capo Iris,
mentre Helen
ridacchiava divertita.
«Appartamento
è riduttivo, visto che era di quasi mille metri
quadrati» ironizzò la cugina.
«Beh,
d’accordo, ma era pur sempre un appartamento. Non saprei in
che altro modo
definirlo, visto che era in un palazzo» sottolineò
Iris, arrossendo
leggermente.
Helen
scovò infine le chiavi, aprì il cancelletto
pedonale e, invitandoli a seguirli,
disse: «Non farti spaventare dalle dimensioni, Devereux.
E’ sempre una casa,
con quattro mura perimetrali e delle travature di sostegno per il
tetto.»
«Non
ho problemi con le case. Le costruisco» chiosò
lui, ammiccando. «Stavo solo
curiosandone la struttura.»
«Oh…
e di che tipo di case ti occupi?» si informò Helen
mentre raggiungevano la
porta d’ingresso.
«Sono
come quelle case bellissime coi tronchi di legno che abbiamo visto ad
Aspen» si
intromise Iris, vedendo Helen illuminarsi come una lampadina.
«Tu
fai… quelle case splendide?!»
esalò
la donna, afferrando d’istinto una mano di Devereux per poi
guardarlo con occhi
da cerbiatta.
Vagamente
confuso, Dev cercò sul viso di una divertita Iris qualche
spiegazione in merito
e lei, scrollando le spalle, dichiarò: «Se vedessi
la baita che hanno ad Aspen,
capiresti. E’ il suo personale santuario.»
Helen
assentì con vigore e, indicando una vicina villetta,
circondata da alte piante
e un muro di cinta alto un paio di metri, borbottò:
«Lì abito io, quando sono a
casa, ma solo perché a Beverly Hills non si possono
costruire baite,
altrimenti…»
Dal
suo tono infervorato, Dev comprese molte cose, tra cui la sua totale e
spassionata sincerità e, annuendo, chiosò:
«Credo di aver capito.»
Aprendo
la porta di casa, Helen si volse a mezzo per puntargli un dito contro e
borbottò: «Dopo, dovrai farmi vedere alcune tue
opere. Ma adesso dobbiamo
buttarci in mezzo alla mischia.»
Ciò
detto, lanciò un urlo tale da far sobbalzare sia Devereux
che Chelsey,
impreparati a un simile comportamento da parte di un avvocato di grido
come
Helen.
Anche
se, nel caso specifico, il ‘grido’
fu,
per l’appunto, ciò che lei usò per
farsi udire da tutta la famiglia.
Dal
piano superiore si percepirono subito dei passi concitati mentre una
donna in
livrea chiara, sbucando da una porta a scorrimento, sorrise divertita e
disse:
«Helen, bentornata.»
«Barbara…
guarda chi ho riportato a casa?» sorrise tutta contenta
Helen, attirando a
forza la cugina dentro casa.
Subito,
la donna si aprì in un sorriso lietissimo e, accorrendo
all’ingresso, strinse
entrambe le mani di Iris e disse commossa: «Oh, mio
Dio… Iris, è così bello
rivederla!»
Iris,
allora, abbracciò con calore la cuoca di casa Wallace e
replicò: «E’ bello
rivedere te, Barbara. Fai sempre quella buonissima torta alle
fragole?»
«Gliene
preparerò subito una, se ne ha sentito così tanto
la mancanza» le promise la
donna, dandole delle dolci pacche sulla schiena prima di scostarsi e
sorridere
ai nuovi venuti.
«Lascia
che ti presenti il signor Devereux Saint Clair e sua figlia Chelsey.
Per un
po’, si sono presi cura di Iris» disse allora
Helen, indicando alla coppia di
avvicinarsi.
«E’
un vero piacere fare la vostra conoscenza. Io sono Barbara Rambaldi, la
cuoca.»
«Il
piacere è tutto nostro» disse Devereux, stringendo
la sua mano protesa.
In
quel mentre, la famiglia Wallace raggiunse il pianoterra e Richard, nel
vedere
Iris nell’atrio di casa, mormorò:
«Bambina… sei tornata…»
Al
solo udire quel suono, ogni parola venne meno e, mentre Barbara si
scusava con
loro per lasciare alla famiglia quel momento, Iris corse verso lo zio
per
abbracciarlo con foga.
Richard
la strinse a sé come se non intendesse più
lasciarla andare e la nipote,
poggiando il capo contro la sua spalla, mormorò:
«Dio, è così bello risentire
il tuo profumo!»
Lui
rise tremulo e replicò emozionato: «Spero di non
aver usato troppa colonia.»
«No,
e poi mi piace, sulla tua pelle» asserì Iris,
baciandolo poi sulle guance prima
di sorridere alla zia e a Liza.
Rachel
aveva già i lacrimoni agli occhi e, quando Iris la strinse a
sé, questi debordarono
come pioggia primaverile, portando Liza a ciarlare scherzosamente di
tsunami e
distruzioni senza fine.
Di
fronte a quello spettacolo strappa lacrime, Helen mormorò a
Devereux: «Siamo un
po’ appiccicosi, ma poi ci si fa l’abitudine.
Considerate che erano più di due
anni che non vedevamo Iris di persona, per cui…»
«Ho
scoperto che anche i lupi tendono a esserlo e, stranamente, la cosa mi
piace
molto, adesso» ammiccò lui, sorridendo nel vedere
Iris così felice.
Dev
aveva temuto quel momento fin da quando aveva scoperto di amarla e, pur
avendo
apprezzato le parole di Iris circa il suo amore per lui, sapere di
quella
famiglia così affiatata e unita, non lo aveva
tranquillizzato.
Vederli
insieme, però, non aveva portato con sé il dolore
e la sensazione di perdita
che lo avevano reso tanto timoroso ma anzi, quelle emozioni
così forti gli
stavano regalando una strana, curiosa sensazione nel petto.
Era
bello scoprire quanto, la sua Iris, avesse alle spalle una famiglia
tanto
generosa nell’elargire amore perché, qualunque
cosa fosse successa, lei avrebbe
avuto almeno loro.
Non
prevedeva di dipartire in tempi brevi, ma la sua nuova anima di lupo
era
propensa a pensare a ogni risvolto della propria vita, anche agli
scenari più
nefasti.
Vederli
perciò tutti insieme lo rincuorò, così
come rincuorò Chelsey, che disse: «Sono
davvero belli, insieme.»
«Sì,
piccola» assentì Devereux, prima di veder giungere
a grandi passi il padrone di
casa.
Richard
li tributò di un caldo sorriso di benvenuto, cui
seguì una stretta di mano e
l’invito a seguirli nel vicino salotto.
«Iris
mi ha detto che si è trovata molto bene, con voi,
perciò non posso che essere
lieto che lei vi abbia trovati» disse loro Richard, prima di
sorridere
maggiormente a Chelsey e aggiungere: «Se più tardi
vorrai fare un giro in
piscina, credo ci sia qualche vecchio costume di Liza che dovrebbe
andarti
bene.»
«Wow!
Grazie, signor Wallace!» esclamò eccitata Chelsey,
assentendo con vigore.
«Bene,
molto bene… ma ora accomodiamoci qui. Parleremo agevolmente
e senza venire
disturbati» dichiarò l’uomo, avanzando
in una stanza ampia e dai colori tenui,
che degradavano dal grigio ghiaccio all’azzurro cielo.
Al
suo interno erano presenti diversi divani, un lungo tavolo in acero
laccato e
un televisore dalle dimensioni importanti, che fece sorridere
spontaneamente
Devereux.
Evidentemente,
qualcuno in casa apprezzava una buona visione su uno schermo gigante.
Uno
per uno, i membri della famiglia entrarono nel salone profumato di rose
e,
quando anche l’ultima persona si fu accomodata, Richard
chiuse le porte e
domandò: «Allora, com’è
andata la missione a Londra?»
Iris,
a quel punto, si sperticò nelle spiegazioni, tralasciando
però il lato più
mistico e sorprendente dell’intera faccenda. Per quello, vi
sarebbe stato
tempo.
In
fin dei conti, importava che non fossero più soli e che
conoscessero la verità
sulla loro natura. Tutto il resto era secondario e, ai fini di una
spiegazione
chiara e comprensibile, non era necessario specificarlo.
All’inizio
di quell’intricata avventura, Iris aveva quasi dato per
scontato di non trovare
nessuno come lei, mentre ora poteva dire di aver incontrato
un’intera, nuova
famiglia a cui voler bene.
Alla
fine del racconto, Richard assentì pensieroso e
dichiarò: «E’ dunque così.
Non
pensavo che quella maledetta guerra avesse fatto danni fino
a questo punto ma, a quanto pare, mi sbagliavo di
grosso.»
«Sono
ovviamente delle supposizioni ma spiegherebbero perché, ora
come ora, è così
difficile trovare un licantropo in giro per gli States mentre, in Gran
Bretagna, hanno una radicata – quanto complessa –
struttura sociale rodata
ormai da secoli» ammise Iris.
«Se
non altro, da questa travagliata storia, hai potuto almeno scoprire di
non
essere sola, cara» dichiarò Rachel, mentre Liza
allungava ghignante l’ennesimo
kleenex a sua madre.
Iris
sorrise divertita – sua zia era già arrivata al
sesto fazzolettino – e assentì.
«Ho anche scoperto qualcos’altro, zia, in
effetti.»
«E
cosa?» esalò Rachel, curiosa.
A
sorpresa, Devereux arrossì e Iris, accentuando il suo
sorriso, aggiunse: «Credo
di dovervi dire che, nel prossimo futuro, mi aspetta un trasferimento
definitivo in altro loco. Al nord, per l’esattezza.»
Liza,
con la sua solita spregiudicatezza, scoppiò a ridere di
gusto ed esclamò: «Iris
si è trovata il fidanzato lupo! E brava cugina!»
Rachel
la fissò stizzita quanto imbarazzata e replicò:
«E tu sembri allevata dai
lupi, santo cielo! Un po’
di contegno, per carità!»
Richard,
allora, guardò incuriosito Devereux e, con un mezzo sorriso,
chiese: «Quel che
tanto discretamente ha insinuato mia figlia risponde al vero?»
«Iris
ama il mio papà, e anche lui ama Iris!» intervenne
Chelsey, prima che Dev
potesse dire alcunché.
Liza
scoppiò in un’allegra risata e, alzandosi dalla
poltrona dove si era
spaparanzata, andò a battere il cinque con Chelsey,
dichiarando: «La adoro! Te
la ruberò subito, cugina!»
Devereux
allora sospirò di fronte a quella scena, scosse il capo e
infine disse al
padrone di casa: «Quel che tanto discretamente ha insinuato mia figlia, risponde al vero.»
Richard
batté simpaticamente una mano sul braccio
dell’uomo al suo fianco, sorrise a
una divertita Iris e infine dichiarò: «Ho idea che
avremo molto di cui parlare,
nelle prossime ore, oltre che di lupi, vero?»
«Credo
di sì, signor Wallace» assentì
Devereux, non sapendo se sentirsi sollevato, o
terrorizzato, all’idea di passare immediatamente un esame da
parte del padre
putativo della donna che amava.
«Solo
Richard, ragazzo. Mi hai riportato Iris tutta intera e, anche se poi la
porterai via con te, posso almeno essere certo che sarà con
persone che le
vogliono bene. Non è poco, posso assicurartelo»
dichiarò l’uomo. «Se non altro,
so di poter pregare davanti alle tombe di mio cognato e mia sorella
sapendo di
essermi preso buona cura della loro bambina.»
«Su
questo, può star certo» assentì
Devereux. «A Iris non mancherà mai
l’amore.»
Ciò
detto, lanciò uno sguardo alla donna che aveva saputo
strapparlo a una vita
solitaria e trattenuta da un passato soffocante, trasportandolo in un
mondo del
tutto nuovo. Del tutto diverso.
E
che, da quel momento in poi, avrebbe condiviso con lei.
N.d.A.:
Chelsey ha avuto un momento di smarrimento, ma le parole di Dev e Iris
l’hanno
convinta della loro buona volontà, e del loro desiderio di
vivere una vita
assieme a lei. Il rientro a casa è poi coinciso con una
visita a L.A. e la
conoscenza con la famiglia Wallace, dando il via alla chiusura di un
intero
capitolo della vita di Iris.
Cosa
succederà, però, al loro rientro a Clearwater?
Troveranno Julia ad attenderli?
|
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Capitolo 20 *** Capitolo 19 ***
19.
N.d.A.: tempo di ferie.
Vi anticipo due capitoli per due settimane di assenza,
perciò gestiteli al meglio per non sentire troppo la
mancanza dei nostri amici lupacchiotti. Ci rivediamo a luglio! A presto!
Era
piacevole e quasi insperato veder ridere e scherzare Chelsey assieme a
Iris,
immerse nella piscina della villa dei Wallace assieme alle cugine di
quest’ultima.
Devereux
non aveva mai realmente sognato di trovare una donna che potesse
apprezzare
tanto la compagnia di sua figlia, avendo a torto chiuso con il genere
femminile, almeno sul piano personale.
Il
tentativo grossolano che aveva fatto con Sherry, culminato poi con il
colpo di
testa di Alyssia, era stato più un riflesso dovuto alla
solitudine, non tanto
un reale interesse a creare una nuova vita di coppia.
Sherry
era una bella donna, e lui era un uomo di sani appetiti e, dopo anni di
vita solitaria,
gli era parso normale cercarsi una compagna.
La
cosa, però, non aveva funzionato e, da quel momento, aveva
semplicemente
pensato di rimanere solo finché Chelsey non fosse stata
adulta. In seguito,
forse, avrebbe anche potuto pensare a un impegno di qualche genere.
L’arrivo
a sorpresa di Iris, con la sua vita così complicata e i suoi
modi così teneri
nei confronti di Chelsey, però, lo avevano destabilizzato.
La
sua bellezza lo aveva certamente colpito, ma era stato il suo carattere
così
tenace a fargliela apprezzare.
Era
sempre stata schietta, con lui, non aveva mai finto condiscendenza, e
Dev aveva
potuto essere se stesso, sia nei pregi che nei difetti.
A
sua volta, Iris non aveva mai finto di essere migliore di quanto non
fosse, e
non si era mai nascosta dietro ai propri difetti, non li aveva mai
mascherati.
Con
Julia non era mai stato così. Fin da quando aveva memoria,
lui si era sempre
annullato per farla felice, convinto com’era che, a quel
modo, lei lo avrebbe
amato.
Si
era reso conto del suo errore nel modo peggiore, rimanendo solo con una
bambina
di tre anni, senza alcuna spiegazione a corollario. A quel punto, con
quella
dura realtà a fare da spartiacque nella sua vita, aveva
finalmente capito di
non poter concedere più nulla alla madre di sua figlia.
Aveva
dato troppo, di sé, a Julia. Anche se l’odio era
stato una parte del suo animo,
per qualche tempo, anche quello era stato cancellato, sostituito dalla
consapevolezza di aver amato la persona sbagliata, e per i motivi
sbagliati.
Si
era perciò impegnato per crescere al meglio Chelsey,
lasciandosi aiutare da
coloro che gli erano rimasti vicino … e poi era giunta Iris,
con la sua
parlantina sciolta e la sua lingua tagliente.
Vederla
con Chelsey lo aveva scosso non poco, riscaldandolo dentro dopo anni di
ghiaccio silente. Che fosse stato o meno il richiamo tra lupi ad
avvicinarle,
non poteva saperlo, ma era lieto che quella donna fosse entrata nella
sua vita.
In
quel momento, vederla mentre giocava con Chelsey, Helen e Liza nella
piscina,
era gratificante e lo appagava ma, in fondo in fondo, provava anche un
po’ di
inquietudine.
Poteva
realmente credere di aver trovato una persona che sarebbe rimasta con
lui per
la vita?
«Fa
un po’ paura, vero?» chiosò al suo
fianco Richard, sorseggiando del succo di
mela all’ombra del gazebo sotto cui si trovavano.
Devereux
lo guardò a mezzo, la camicia aperta sul torace e i
pantaloncini corti per
combattere il caldo di quella giornata, e assentì lentamente.
«Ho
sempre il terrore di svegliarmi. O che Iris possa pensare che io e
Chelsey non
siamo abbastanza per lei. Dopotutto, qui ha voi e tutto questo mentre,
a
Clearwater, non avrebbe nulla di tutto ciò.»
«La
vecchia Iris, forse, avrebbe potuto darti qualche pensiero»
ammise l’uomo,
sorridendogli divertito. «Sono abbastanza onesto per dire
che, quando Iris era
ancora vent’enne, i suoi capricci mi preoccupavano un
po’, così come
preoccupavano suo padre Aaron. Ma ora? No. Questa
Iris non si permetterebbe mai di ferire te o Chelsey. Ciò
che ha scelto è ciò
che le dice il cuore. Inoltre, non siamo così distanti da
non poterci vedere
spesso.»
Dev
rise sommessamente, ammettendo: «Sì, mi ha detto
di non essere stata molto
matura, a suo tempo. Ma chi non è stato un po’
egoista e superficiale, in
gioventù? Io fui assai superficiale nel credere di poter
cambiare Julia, la
madre di Chelsey, ma fallii miseramente e, soprattutto, sbagliai
nel pensare di cambiarla perché
andasse bene a me. Mi convinsi che il mio amore potesse
bastarle, o che lei mi avrebbe amato proprio per il mio modo di
comportarmi, ma
sbagliai alla grande. Ora so di non sbagliarmi, con Iris, ma il solo
pensarlo
mi terrorizza non poco, perché richiede anche che io sia
all’altezza di un tale
sentimento.»
«Non
credo che Iris sia meno in pensiero, soprattutto in virtù
del fatto che tu hai
una figlia, e perciò non avrà a che fare solo con
te, ma anche con quella
splendida bambina» dichiarò Richard, sorridendo
quando Chelsey levò un braccio
per salutarli. «Ciò che posso dirvi è;
il peggio lo avete passato, no? Ora, la
strada è solo in discesa.»
Dev
rise, asserendo: «Beh, sì, direi che venire a
sapere che tua figlia è un lupo
mannaro da una perfetta sconosciuta che, tra l’altro, muta in casa tua in un lupo enorme, sia un
battesimo del fuoco assai
singolare, ma molto allenante. Peggio di così non sarebbe
potuta andare. Ma
sono lieto che lei fosse lì, quella notte.»
«Iris
mi ha detto che l’hai messa all’ingrasso»
ironizzò Richard, guardandolo con
curiosità.
«Beh,
sulle prime, ho pensato che fosse giusto sdebitarmi in qualche modo, ma
poi ho
cominciato a preoccuparmi per la sua salute, perché era
veramente troppo magra
e rischiava di crollare da un momento all’altro. Inoltre, ha
questa sua pessima
abitudine di sfinirsi per gli altri,
perciò…»
«Capisco
bene cos’hai provato, perché era ciò
che pensavo anch’io nel vederla ogni volta
durante le nostre video-chiamate. Essere così distante da
lei e non poterle
essere d’aiuto, mi metteva a disagio. Sono lieto che abbia
trovato qualcuno
come te» assentì Richard, servendosi
dell’altro succo prima di offrirne anche a
Dev, che accettò.
«Mia
madre direbbe che Iris è una santa, a volermi
sopportare» ironizzò Devereux.
«So benissimo di non essere un tipo sdolcinato ma, in tutta
onestà, non mi è
mai parso che Iris cercasse miele e fiorellini, da me.»
Richard
scosse il capo, ridendo di un ricordo che poi condivise con Devereux.
«Rammento
bene quando, a un gala, danzò per diverse volte con il
figlio di un magnate
dell’edilizia. Era uno snob plurilaureato a Harvard che non
faceva che vantarsi
dei suoi successi, e dispensava perle di saggezza a ogni piè
sospinto. Mi
chiesi per tutta la sera perché Iris si fosse ostinata con
lui, visto che non
mi sembravano compatibili ma, quando vidi quel che combinò a
fine serata,
compresi.»
«Tremo
già al pensiero» esalò Dev, sollevando
dubbioso un sopracciglio.
«Oh,
fai bene a tremare. Iris non solo gli rovesciò addosso una
flûte di champagne –
lui voleva portarla nel suo appartamento, scoprii in seguito
– ma gli disse
chiaramente che, se un uomo dava così tanta aria alla sua
bocca, non aveva il
tempo di pensare ad altro, figurarsi a una donna. Lo aveva preso in
giro per
tutta la sera, in pratica, illudendolo per poi mollarlo in tronco
quando lui
pensava di averla avuta vinta su di lei.»
Devereux
scoppiò in una grassa risata che incuriosì le
donne in piscina e, nel
rivolgersi a Richard, esalò: «Ora capisco
perché non si è mai lamentata dei
miei silenzi. Di certo, non potevano darle fastidio!»
«Iris
ha sempre cercato la sostanza, nelle persone, anche se a volte ha
peccato di
superbia, nel farlo. Ora, credo sia molto più umile di
così» disse Richard,
prima di ridere nel notare l’occhiata sardonica di Iris
rivolta verso di lui.
«Ci hai sentiti, tesoro?»
«Vi
ho ascoltati per tutto il tempo, se è per questo. Devereux
non si è ancora
abituato, perciò si dimentica spesso che posso
farlo» chiosò Iris, prima di
tornare a giocare con Chelsey, che stava sogghignando fin quasi alle
lacrime.
Dev,
a quel punto, arrossì un poco e borbottò:
«Mi ero proprio scordato.»
Richard,
allora, gli batté una mano sulla spalla, consolatorio e,
mentre Rachel li
raggiungeva con degli stuzzichini per la merenda, disse: «Non
è un male, se la
tua donna sa quanto tieni a lei.»
«Sarà…»
brontolò Dev, lanciando un’occhiata da sopra la
spalla a Iris.
“Pensi
me ne
approfitterò?”
“Lo
farai?”, replicò cauto
Dev.
“Hai
ben visto
cos’ho combinato al Vigrond, per te. Più esposta
di così, non avrei potuto
essere, eppure non ho paura di averlo fatto.”
“D’accordo.
Non
mi preoccuperò, allora.”
Iris
rise, balzò fuori dalla piscina senza alcuna
difficoltà – causando così i
fischi eccitati di Liza – e, raggiunto che ebbe Dev, lo
abbracciò con fare
possessivo e disse: «Non temere. Mi approfitterò
della cosa solo in modo
appropriato.»
Rachel
ridacchiò a quella battuta e, nel posare il vassoio sul
tavolino da giardino,
chiosò: «Tesoro… sono cose da dirsi
altrove.»
«Oh,
fai finta di niente, zia. Tu non mi hai sentito, vero?»
«Io
no, cara. Ho una sordità selettiva che è
imbattibile» celiò Rachel, allungando
uno stuzzichino alle olive a Devereux. «Pensavo piuttosto a
una cosa, Devereux.
Che tu sappia, ci sono lotti liberi, nei pressi di Clearwater, dove
poter
costruire una casa?»
Iris
e l’uomo sobbalzarono sorpresi e la donna, con nonchalance,
si accomodò accanto
al marito e proseguì dicendo: «E’
inutile avere una casa ad Aspen, quando mia
nipote abiterà a Clearwater. Ho controllato sul sito, e ho
scoperto che il
parco naturale che avete in zona è molto bello. Essendo
un’appassionata di
fotografia, potrei divertirmi non poco. Inoltre, se volessimo andare a
sciare,
Calgary sarebbe molto vicino.»
Devereux
fissò dubbioso Iris, ma lei assentì tranquilla.
«E’ vero. E’ una paesaggista di
rara bravura. Inoltre, le piace anche dipingere. I quadri nel salotto
sono
tutti opera sua.»
Richard
ridacchiò di fronte all’espressione basita quanto
ammirata di Dev, e asserì:
«Ci piace molto la vita all’aria aperta e, infatti,
la casa di Aspen viene
usata sia in estate che in inverno. Sapendovi però a
Clearwater, pensavamo di
poter acquistare qualcosa lì.»
«Ah,
beh, non credo ci siano problemi. Mi informerò presso un mio
amico impresario,
e…»
Rachel
lo bloccò subito e, scuotendo il capo, replicò:
«No, caro. Penso di essermi
spiegata male. Io intendevo dire che la casa dovresti costruirla
tu. Liza mi ha mostrato il tuo sito internet e, a questo
punto, esigo una di quelle
splendide
case, o penso che piangerò fino alla fine dei miei giorni,
se non ne avrò una.»
Ciò
detto, estrasse un kleenex e si pose dinanzi a lui con occhi
così supplichevoli
da rasentare il pianto. Sconfitto da quello sguardo strappalacrime,
Devereux
non poté che dire: «Se ci tieni così
tanto, Rachel, mi informerò non appena
rientrerò a Clearwater. Va bene?»
La
donna sorrise immediatamente e, allungandosi per dargli una pacca sul
braccio, dichiarò:
«Non vi saremo d’intralcio, stai tranquillo. Ma
sarei davvero felice di passare
le mie vacanze in una casa costruita dal mio futuro genero.»
“Che
ti avevo
detto?”
“Mi
informerò se
cercano costruttori a Yellow Knife”, ironizzò
l’uomo, facendola ridere.
***
«…quindi,
cos’hai intenzione di fare, delle tue quote
azionarie?» terminò di dire
Richard, chiudendo la carpetta che aveva innanzi per poi osservare
attento la
nipote.
Non
lo aveva stupito vederla comparire dinanzi alla porta del suo studio,
subito
dopo cena, pensierosa ma con lo sguardo sicuro e pronto a tutto.
Nel
momento stesso in cui Richard aveva saputo della decisione di Iris di
trasferirsi al nord, aveva anche intuito che, presto o tardi, quella
discussione avrebbe avuto luogo.
In
fondo, se l’era aspettato fin dall’inizio, a
prescindere dall’esito che il
viaggio della nipote avesse avuto.
Iris
non aveva mai apprezzato quel lato della sua vita. Non era mai stato
nelle sue
corde e, fino a quel momento, a trattenerla in seno alla ditta era
stato il
ricordo dei genitori e la sua lealtà verso il loro progetto,
non la sua reale
volontà.
Iris,
però, in parte lo sorprese, asserendo: «Non
intendo abbandonare il Consiglio,
perché mi sembrerebbe di fare uno sgarbo sia a te che ai
miei genitori. Inoltre,
sento di poter dire la mia, a questo punto, e di non essere
più così
terrorizzata dalle prospettive che mi offre il futuro. Però,
vorrei vendere
parte delle mie quote a Helen e se lo vorrà, quando Liza
diventerà maggiorenne,
ne venderò una parte anche a lei, così che
entrambe facciano parte del
consiglio interno.»
«Come
mai hai deciso così?»
«Helen
è più brava di me, in queste cose, e ha occhio
per gli affari. Io rimarrei soltanto
come socio minoritario, al pari di molti altri consiglieri del board, e
seguirei
l’andamento della ditta che papà e mamma fondarono
anni addietro, e che tu stai
egregiamente guidando, ma non sarei io ad avere in mano le sorti
dell’azienda»
gli spiegò Iris, convinta del suo dire. «Sei tu la
roccia che ha tenuto in
piedi tutto, fino a oggi, ed è giusto che sia tu il membro
con le quote di
maggioranza, ma non per questo voglio abbandonare la ditta,
poiché vi è troppo
dei miei genitori perché io la tagli fuori dalla mia
vita.»
Richard
assentì, mormorando: «Mi sembra una decisione
sensata. Hai pensato a una
vendita, invece di un lascito, per non scontentare i consiglieri,
vero?»
«Sì,
credo che donare semplicemente parte delle mie quote sia da
irresponsabili. Ne
ho parlato anche con Helen, e lei è d’accordo. Mi
ha già detto di avere i fondi
necessari per l’acquisto. A mia volta, devolverò
quei soldi per gli studi di
Liza, così mi sentirò un po’ meglio a
livello morale, e anche in questo Helen è
d’accordo.»
Richard
rise sommessamente, replicando: «Potresti tenerli per gli
studi di Chelsey.»
«Metterò
da parte i dividendi che matureranno nel corso degli anni, per lei. Io,
invece,
farò in modo di diventare un’insegnante di Musica,
genere molto più nelle mie
corde» asserì Iris, scrollando le spalle.
«Sì,
questo è vero. Sei sempre stata brava, in questo. Liza era
felicissima, quando
tu le davi ripetizioni. Accontentare lei era un dramma, e lo sappiamo
entrambi.
Non a caso, Nancy era felice che tu avessi condotto degli studi
umanistici, e
non economici.»
Iris
assentì divertita, e ammise: «So che
sarà un salto nel buio, ma sento di
poterlo fare, che è giusto
per me.
Spero che durante la riunione di domani tutti siano d’accordo
con le mie
decisioni. Non voglio fare le cose sottobanco, non mi è mai
piaciuto.»
«Si
battibecca sempre, quando ci sono dei cambiamenti ma, tra i progetti di
modifica che vorresti proporre e la decisione di vendere parte delle
tue quote,
vedrai che qualcosa di buono ne verrà fuori»
dichiarò Richard, annuendo
soddisfatto. «Naturalmente, quando sarai a Clearwater,
terremo le riunioni in
videoconferenza, così che tu possa parteciparvi sempre e,
quando potrai, verrai
in ditta di persona.»
«Credi
che i membri del board saranno ancora disposti ad accettare questa
trafila?»
domandò allora Iris.
«Oh,
qualcuno storcerà il naso, ma sappiamo bene che la
maggioranza del Consiglio ha
sempre dato man forte a tuo padre… così,
sarà anche per te.»
Lei
allora assentì, più rilassata e, sprofondando
nella poltrona su cui era assisa,
mormorò: «Mi piace l’idea di affrontare
questa nuova avventura. Non ne sono
spaventata. Dici che è un buon segno?»
«Dico
che è un ottimo segno.
So bene quanto
ti stesse stretto il tuo ruolo prioritario in seno al Consiglio,
perciò capisco
perché tu abbia voluto fare un passo indietro. Avere
Devereux al tuo fianco,
inoltre, ti aiuterà ad affrontare anche i momenti
più difficili che potranno,
eventualmente, apparire all’orizzonte. Non è poca
cosa avere una spalla così
forte a cui aggrapparsi.»
Iris
annuì, coprendosi il viso prima di singhiozzare:
«Avrei tanto voluto che mamma
e papà potessero conoscerlo!»
Richard
si levò immediatamente dalla poltrona per raggiungerla, alla
sola vista delle
sue lacrime e, stringendola a sé, mormorò:
«Sono sicuro che loro ti vedono,
Iris, e sono felici per te.»
Tuo zio
ha
ragione. E’ possibile vedere il mondo reale attraverso le
Polle della Visione,
quando ci si trova su Niflheimr. Se i tuoi genitori avevano anime
senzienti,
possono sicuramente vederti e, poiché io sono qui,
è possibile che anche i tuoi
genitori non fossero dissimili da te, dichiarò Gunnar con
calore.
“Lo
dici solo
per consolarmi?”
Sarebbe
sbagliato?
“No,
affatto.
Grazie, Gunnar.”
Scostandosi
da suo zio, Iris perciò gli sorrise e disse:
«C’è ancora una cosa che non ti ho
detto, ma è stato già abbastanza difficile da
accettare per noi, e non so se
sarebbe facile, per voi, conoscere tutta
la verità. A ogni buon conto, non cambia nulla, saperlo o
meno ma, quando mi
sentirò pronta, te ne parlerò.»
«Mi
basta sapere che non sei sola, che hai persone che ti amano e che tu ti
senti
felice. Il resto può aspettare»
dichiarò Richard. «Ora, però,
sarà il caso che
tu vada a dormire. Domani avremo un sacco di impegni, tra la ditta e il
tuo
appartamento di Santa Monica.»
«Già.
Sarà il caso che vada. Buonanotte, zio»
mormorò lei, baciandolo su una guancia
per poi uscire.
Rimasto
solo, Richard tornò alla sua scrivania, sfiorò il
ritratto di sua sorella e
disse: «La tua Iris è cresciuta, Nancy, e ne
saresti davvero orgogliosa.»
Ciò
detto, sospirò e, con calma, raggiunse la sua stanza, dove
trovò Rachel
impegnata a pettinarsi i lunghi capelli castani.
Nel
vederlo, gli sorrise attraverso il riflesso dello specchio e, poggiata
la
spazzola sulla toeletta, si volse e domandò:
«Allora, tu e Iris avete parlato
di affari?»
Annuendo,
Richard si sedette sul bordo del letto e mormorò:
«Vuole inserire Helen nel
consiglio direttivo e, se Liza lo vorrà, anche lei ne
farà parte, perché Iris
vuole vendere a entrambe parte delle sue quote.»
«Oh,
cielo! Ma è…»
«…
troppo? Secondo me sì, ma capisco anche Iris. Non ha mai
amato quel ruolo, non
è mai stato nelle sue corde, e anche Aaron lo sapeva bene.
Ne parlammo poco
prima del suo viaggio, quel maledetto
viaggio, e lui era concorde con me. Iris avrebbe dovuto
ritirarsi per poter
fare ciò che più le piaceva»
mormorò Richard, passandosi una mano sul viso per
la stanchezza.
Rachel
lo raggiunse per carezzargli una spalla, comprensiva, e
mormorò: «Iris è
felice? Della sua scelta, intendo.»
«Credo
di sì. E’ davvero molto maturata, in questi due
anni e mezzo, e vederla assieme
a Devereux e Chelsey me l’ha confermato. E’ quella,
la sua vita.»
«Allora,
direi che va bene così. Devereux mi è parso un
uomo con le spalle robuste… e
non parlo solo del suo fisico» ironizzò Rachel,
ritrovandosi addosso lo sguardo
divertito del marito. «Sa accenderle lo sguardo, e lui ha gli
occhi giusti, quando la guarda. Mi
piace.»
«Sì,
piace anche a me. Le sa tenere testa, il che va bene, ma sa anche
essere
affettuoso. Mi spiace soltanto che Nancy e Aaron non lo abbiano
incontrato.
Sono sicuro che Aaron avrebbe avuto di che parlare, con lui.»
«Cercheremo
di essere noi, i loro occhi» sussurrò Rachel,
stringendolo in un abbraccio.
Richard
assentì, avvolgendo la vita della moglie con un braccio,
sentendo attorno a sé
il calore e la fiducia di Rachel.
Lei
poteva anche essere emotiva e facile alle lacrime ma, quando serviva,
diveniva
la roccia di cui lui aveva bisogno per aggrapparsi e non cadere.
Sperò
con tutto il cuore che Iris trovasse questo, nell’abbraccio
di Devereux.
***
«Tutto
bene?» domandò Devereux, in piedi accanto alla
porta-finestra della stanza che
divideva con Iris.
La
luce dei lampioni filtrava attraverso la tenda di batista bianca,
allungando
nere ombre sul pavimento in parquet.
Iris
seguì con lo sguardo per alcuni istanti le sagome simili a
sottili dita distese
sull’assito di legno, prima di tornare a scrutare il viso in
ombra di Devereux.
Era
così strano poter cogliere le sfumature del suo volto a quel
modo! Se fosse
stata ancora umana, non avrebbe mai potuto notare le infinitesimali
increspature della sua pelle, o la sua espressione.
Da
licantropo, invece, poteva scorgere senza problemi il leggero tremolio
delle
vene sul suo collo, così come l’aumento della sua
pressione sanguigna o il
formicolio del sangue nei suoi occhi. Lupo e uomo la desideravano,
eppure
ancora non si muovevano verso di lei, consci del suo nervosismo.
Lei
assentì muta, lo avvicinò per togliere dubbi a
entrambe le entità di Dev e,
spogliandosi completamente, lo abbracciò. Devereux allora la
prese tra le
braccia per depositarla sul letto e, dopo averla imitata, le si
sdraiò accanto
per avvolgerla con un braccio.
«Mi
spiace che domani dobbiate ripartire, ma è giusto che tu non
ti assenti troppo.
Qui, finirò tutto in una settimana, poi vi
raggiungerò» mormorò Iris, nel buio
della stanza.
«Se
vuoi, possiamo rimanere ancora» le propose Dev.
«Non
serve. Inoltre, preferisco tornare a L.A. con tutta calma e farla
visitare a
entrambi quando avremo davvero tempo,
e non così, di corsa. Faremo le cose per bene. E
ciò prevede che io chiuda i
ponti col passato, prima di cominciare con voi la mia nuova
vita» replicò Iris,
scuotendo il capo.
«Ti
terrò caldo il letto, nel frattempo» le promise
lui, baciandole la carne tenera
dietro l’orecchio.
Lei
si inarcò contro il suo torace, mormorando:
«Capisco perché i lupi si annusano
in quel punto. La sensazione di contatto è
magnifica.»
Devereux
la strinse maggiormente a sé e sussurrò:
«E’ magnifico in ogni caso. E’ come
essere percorsi da una carezza di velluto.»
Ridendo
sommessamente, lei replicò: «Non ti facevo
così poetico.»
«Non
saprei in che altro modo descrivertela. Non fare la pignola e
assecondami»
brontolò lui.
Iris
assentì, si volse tra le sue braccia e lo baciò.
«Quando parli così, potrei
assecondarti in tutto.»
«Molto
spiritosa. Meriteresti una punizione, sai?»
mugugnò l’uomo. «Ma sarebbe una
scocciatura perdere tempo in punizioni, quando posso fare altro, con
te.»
Lei
non poté che sorridere e, per il resto della notte, Devereux
le fece capire più
che bene cosa intendesse lui, per ‘fare
altro’.
La
mattina perciò venne velocemente e, quando la coppia discese
per la colazione,
trovò una Chelsey particolarmente divertita, al tavolo della
cucina.
Iris
si limitò a un bacetto sulla testa dell’amichetta
mentre Devereux, dandole un
pizzicotto sulla guancia, borbottò: «Non un fiato,
nanerottola.»
«Chi
dice niente?» ironizzò la figlia, guadagnandosi
un’occhiataccia da parte del
padre.
Barbara
fece finta di nulla, di fronte a quello scambio di battute e, nel
consegnare ai
due una tazza generosa di caffè, disse: «I pancake
saranno pronti a minuti. Nel
frattempo, ho messo marmellata e toast sul tavolo.»
«Potrei
abituarmi davvero male… grazie, Barbara»
dichiarò Dev, sedendosi al tavolo.
Nel
breve decorrere di qualche minuto, anche la famiglia Wallace si
ritrovò al
tavolo della cucina e, mentre le chiacchiere si diffondevano come
un’onda
leggera e piacevole, Iris non poté che sorridere compiaciuta.
Trovava
surreale quanto bellissimo ritrovarsi a quel tavolo che, per tante
volte,
l’aveva vista assieme ai suoi genitori e che, in quel
momento, vedeva un’altra
famiglia, un’altra realtà, al suo fianco.
La
sua nuova vita, assieme al suo uomo e alla figlia di
quest’uomo, che lei già
amava come se fosse sua, erano lì accanto a lei, pronti a
condividere tutto.
Dall’altro
lato, la sua vecchia vita, la sua famiglia, coloro che
l’avevano saputa amare
nel bene e nel male, apprezzandone le virtù e accettandone i
difetti.
Riuniti
insieme, magicamente, e pronti a muovere i passi in quella nuova
dimensione.
Non
stai
diventando sdolcinata?
“Concedimi
cinque minuti in stile soap opera,
dai…
tra poco, dovrò affrontare una riunione del Consiglio, un
trasloco e una
noiosissima compravendita con l’immobiliarista.”
Sii
sdolcinata,
allora. Alla parola ‘riunione’ ero già nel panico per te.
Ridendo
tra sé, Iris asserì: “Come
antico
guerriero, preferivi i fatti alle parole, vero?”
Nel
bene e nel
male, temo di sì.
“Beh,
oggi
armati di pazienza.”
Nel
caso,
dormirò. Per un po’, posso farlo…
esattamente come ho fatto stanotte. Tu e Dev
sapete essere assai indisponenti, quando volete.
“Ti
abbiamo disturbato?”
I film
a luci
rosse non sono il massimo, quando sei da solo a guardarli.
Iris
faticò molto a non ridere a crepapelle e Dev,
nell’intercettare quella
chiacchierata, asserì: “Il
tuo spirito si
è lagnato?”
“Lo
abbiamo
disturbato.”
“Non
mi scuserò,
sappilo.”
“Neanche
se lo
aspetta, credo. Ha detto che si è messo a dormire per non
vedere troppo.”
“Buono
a
sapersi. Potrei anche decidere di essere geloso di lui, sai?”
“Caschi
male. Il
mio Gunnar non si tocca”, ironizzò Iris,
sorridendo ammiccante a Dev, che
sbuffò.
“Ti
salvi
soltanto perché non si può fare altrimenti,
sennò lo gonfierei di botte.”
Il tuo
uomo sa
essere molto territoriale, sai?
“Lo
so, infatti
la cosa mi diverte molto, tutto sommato.”
Gunnar
preferì non replicare e, quando Iris ebbe terminato la sua
colazione, guardò lo
zio e domandò: «Hai già avvisato i
consiglieri della mia presenza, oggi al
Consiglio?»
«Ho
mandato un messaggio a tutti ieri sera, dopo che te ne sei andata dallo
studio»
assentì Richard. «Ho anche accennato alla tua idea
di far subentrare Helen e,
come pensavo, almeno tre consiglieri hanno avuto da ridire.»
Iris
sogghignò, replicando: «Non ti devo neanche
chiedere chi. Posso ipotizzare che
siano stati Robson, Starling e Fletcher?»
Lo
zio sorrise divertito e assentì. «Vedo che, anche
se manchi da un po’, ricordi
bene le loro intemperanze.»
«Non
fosse che sono vecchi collaboratori di papà, ne chiederei la
radiazione dal
Consiglio» brontolò Iris, levandosi in piedi per
raggiungere la finestra e
scrutare il giardino.
Alcune
cinciallegre stavano balzellando su e giù dalle sedie da
giardino, ciangottando
nel raccogliere le poche tracce di ciò che avevano mangiato
il giorno
precedente nel patio. Poco lontano, un corvo le osservava con interesse.
Fu
assai strano notare come gli uccelli fossero consapevoli della presenza
di un
predatore nelle vicinanze; i loro piccoli corpi fremevano per la fretta
di
mangiare il più possibile, non sapendo se essere
più preoccupati per il corvo,
o per il lupo.
“Povere
bestiole… dobbiamo sembrare loro degli scherzi della natura
coi fiocchi” pensò tra sé
Iris
prima di volgersi a mezzo, scrutando la tavolata dietro di
sé e aggiunse: «A
tal proposito, zio… non potrei comprare le loro azioni, se
vi fossi costretta?»
«Il
tuo capitale te lo permette, ma dubito che le metterebbero su
piazza» scrollò
le spalle Richard, mentre Dev levava sorpreso le sopracciglia e fissava
curioso
Iris in cerca di spiegazioni.
“Ne
riparliamo
un’altra volta” disse
sbrigativa la giovane.
“Vuoi
evitare di
dirmi che sei una sottospecie di Paperon dè
Paperoni?”
“Ti
preoccupa?”
“Magari
un po’
sì. E se tuo zio pensasse che sono un cercatore di
dote?”
“Lo
sei?”
“VAI
AL DIAVOLO,
SCEMA! SAI CHE NON LO SONO!”, sbottò a gran voce
Dev, mandandole quel
messaggio mentale corredato da un’occhiata raggelante.
Lei
però non vi badò, regalandogli solo un sorrisino
divertito.
“Di
che ti
preoccupi, allora?”
“A
volte mi
chiedo perché sia stato tanto idiota da innamorarmi di
te” grugnì
Devereux,
ingollando il suo caffè per poi alzarsi e scusarsi con la
famiglia di Iris,
dirigendosi poi al piano superiore per preparare le valige.
Richard,
allora, fissò la nipote con aria vagamente confusa e Iris,
scrollando le
spalle, ammise: «E’ preoccupato che tu possa
vederlo come un cacciatore di
dote.»
«Oh…
per il mio accenno di prima?» esalò sorpreso
l’uomo. «E’ chiaro che non lo
è,
ma è anche carino che si sia arrabbiato con te per questo.
Perché immagino che
tu lo abbia punzecchiato in merito, vero?»
Iris
fece la linguaccia e assentì, facendo sorridere zia Rachel,
che asserì: «Sei
davvero dispettosa, quando vuoi, tesoro.»
Chelsey,
allora, intervenne dicendo: «Al papà
passerà. Anche quando lo faccio arrabbiare
io, fa così, ma poi si calma.»
Liza,
che era al suo fianco, le diede una pacca sulla spalla e disse:
«E’ un po’
diverso, ma sono sicura che il tuo papà non terrà
il broncio troppo a lungo.»
Ciò
detto, guardò la cugina con divertimento e aggiunse:
«E’ troppo cool
questa cosa della lettura del
pensiero. Ti invidio un sacco.»
«Se
si potesse fare con tutti sarebbe utile ma, da quel che sappiamo,
possiamo
farlo solo tra lupi» le spiegò Iris, facendo
spallucce. «Vado a cambiarmi. Non
vorrei mai presentarmi al Consiglio meno che perfetta.»
Nel
risalire le scale, Iris sperò davvero che quella fosse
l’ultima volta in cui si
trovava a lottare all’interno del Consiglio. Era
già stato difficile la prima
volta quando, alla morte dei suoi genitori, lei era diventata azionista
di
maggioranza.
La
sua decisione improvvisa di partire, e di lasciare la gestione delle
sue quote
in mano allo zio, aveva generato più di un malcontento ma,
alla fine, la
maggioranza aveva prevalso.
Il
suo ritorno – oltre alla scelta di proporre Helen come nuovo
membro del
Consiglio – avrebbe scatenato ulteriori attriti, ma sperava
di essere giunta a
un livello di sicurezza tale da poterli affrontare a testa alta.
Non
era più la spaurita Iris, la donna che era fuggita da L.A.
senza sapere nulla
di sé stessa. Ora era la lupa Iris, la landvættir
del branco di Lucas, la donna di Devereux.
Raggiunto
il primo piano, sorrise nel vedere Dev sulla porta della sua stanza
che, con un
mezzo sorriso, le disse: «Stendili tutti, lupetta.»
«Contaci»
assentì lei, raggiungendo infine la sua stanza per cambiarsi
d’abito.
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Capitolo 21 *** Capitolo 20 ***
20.
La
sede della Walsh Inc. si trovava
tra
il sedicesimo e il ventesimo piano di uno dei tanti palazzi in acciaio
e vetro
del centro di L.A.
La
hall dell’azienda era interamente stato costruita in legno
chiaro sulle pareti,
pavimenti in marmo verde e ampie vetrate ovunque l’occhio
potesse spaziare.
Le
alte finestre a vetri riflettenti, che si gettavano sulla
città e mostravano lo
skyline e l’oceano in lontananza, si oscuravano
automaticamente grazie a un
sistema fotocromatico inserito tra le lamine di vetro con cui erano
state
costruite.
In
quel momento, con il sole del mattino già ben alto, le
finestre erano del tutto
oscurate e l’orizzonte era debitamente adombrato e dai toni
dell’azzurro. All’ingresso,
seduta dietro un lungo e spazioso bancone bianco – su cui
capeggiava l’insegna
della ditta – la centralinista Mary
Marshall-Jones salutò compita Richard prima di sorridere
sorpresa nel vedere
Iris.
Sollevatasi
in piedi, le allungò una mano per stringere quella protesa
di Iris e,
sorridente, si dichiarò lieta del suo ritorno.
«E’
un breve ritorno, ma grazie per l’accoglienza, Mary.
E’ davvero bello
rivederti» dichiarò la giovane Walsh.
Quella
frase lasciò la centralinista un po’ dubbiosa ma,
da brava segretaria quale
era, non fece domande e avvertì la coppia che alcuni
consiglieri si trovavano
già nella Sala del Consiglio.
Ringraziatala,
Richard mormorò poi alla nipote: «Pronta per
affrontare gli squali?»
«Oh,
alcuni sono solo placidi delfini. Devo preoccuparmi solo di tre,
quattro
persone al massimo, ma sono certa di potercela fare» sorrise
Iris, dandogli una
pacca sul braccio.
Richard
allora le fece strada e, dopo averle aperto la porta, lasciò
che entrasse nella
sala per affrontare gli sguardi dei presenti e gli inevitabili commenti.
Era
pronta per il combattimento e, avendo al suo fianco – per
così dire – un grande
stratega del passato, sapeva di non poter fallire. Che le mettessero
pure i
bastoni tra le ruote.
Ora
sapeva chi era, e non si sarebbe mai fatta mettere i piedi in testa da
nessuno.
***
Le
orecchie le dolevano ancora, per la gran discussione che era seguita
alle sue
proposte.
Melissa
Rodstein, sua madrina di battesimo e vecchia amica di famiglia
– oltre che
madre della sua ex amica Susan – le si era rivoltata contro
in maniera più che
mai subdola, portando al centro dell’attenzione sua figlia.
La
donna aveva messo in dubbio la capacità di Iris di prendere
decisioni accorte,
visto il lungo periodo di assensa fisica
dall’azienda. Al tempo stesso, aveva controproposto al board
la possibilità di
vendere le azioni di Iris a Susan.
Il
tutto, a suo dire, per non incomodare la già affermata Helen
con un progetto
che nulla aveva a che fare con il suo mestiere di avvocato.
Allo
stesso modo, Ronn Huckerman aveva perorato la causa di Susan,
scatenando la
curiosità dei più, l’indignazione di
Melissa e l’attenzione del membro più
anziano del consiglio, Conrad Greenwood.
Quest’ultimo,
dopo aver lasciato parlare entrambi, li aveva messi sotto torchio con
domande
sibilline, mettendo in dubbio sia le capacità di Susan che
le sue credenziali.
Ciò
aveva indotto anche i membri più restii del consiglio
– Robson, Starling e
Fletcher – a chiedere conto di ciò che i due
consiglieri avevano proposto e, a
quel punto, Melissa era esplosa in un fiume di lacrime.
Senza
più controllo, si era indignata con Ronn, dandogli
dell’inguaribile Don
Giovanni, tacciandolo di essere colpevole di aver irretito la sua innocente figliola. Di contro,
l’uomo si
era difeso, praticamente arrivando a dire che Susan si era gettata nel
suo
letto come una sgualdrina.
Il
tutto aveva raggiunto delle vette di ipocrisia davvero incredibili, ma
aveva
convinto una volta di più i consiglieri della buona scelta
fatta da Iris in
merito a Helen.
Sorseggiando
del buon vino bianco di fronte a un’abbondante porzione di
frutti di mare, Iris
lanciò un’occhiata pacifica all’oceano
poco distante e alla spiaggia ricolma di
vacanzieri.
Santa
Monica era un luogo sempre piacevole dove ritrovarsi per un buon pasto,
o per
gustare delle ore in santa pace all’ombra di una palma, ma
sentiva la mancanza
di Clearwater.
A
quell’ora, con tutta probabilità, Chelsey e Dev
erano arrivati a destinazione
e, ben presto, avrebbe ricevuto loro notizie.
«Direi
che questa riunione la ricorderemo per anni»
ironizzò Richard, attirando la sua
attenzione. «E’ stato un bene che non fosse una
riunione generale, ma solo con
i membri del board. Ti immagini una platea di un centinaio di persone,
a vedere
una scena del genere?»
Sorridendo
divertita, Iris assentì. «Non mi aspettavo che
proprio Melissa mi avrebbe messo
i bastoni tra le ruote, ma non avevo tenuto conto
dell’ambizione di quella
donna. Lei voleva approfittarsi della figlia per avere un membro in
più a suo
favore all’interno del consiglio, e Ronn voleva a sua volta
approfittarsi dell’amante.
Una combinazione letale.»
«Se
le condizioni fossero state a loro favore, avrei potuto prendere
in
considerazione l’idea di accogliere anche Susan nel board ma, dopo
quello che è emerso,
mi sorprende anche solo che Melissa ce l’abbia
proposto» chiosò lo zio. «Avevi
capito qualcosa?»
«Mi
sembrava che vi fosse qualcosa, perché Melissa era
particolarmente nervosa, ma
non pensavo a Susan. Però, quando Ronn ha accennato al suo
carattere in modo
così approfondito, mi sono chiesta come facesse a sapere
così tanto di lei.
Melissa non ha mai portato Susan in ditta e di lei parlava sempre
pochissimo,
in presenza degli altri. Io, infatti, la vedevo sempre fuori
dalla ditta o alle cene di famiglia, che erano rigorosamente
private» constatò Iris, ancora incredula
riguardando a ciò che era emerso da
quella riunione.
Richard
assentì, scuotendo ironico il capo.
«Questo
lo sai tu, come lo sanno gli altri. E’ sempre stata molto
gelosa della figlia,
molto più di quanto non lo sia mai stata di suo figlio
Brandon.»
Annuendo,
Richard aggiunse: «Ricordo che ha sempre detto ad Aaron che
sbagliava nel
portarti ai vernissage, perché questo ti avrebbe
danneggiato.»
Sbuffando,
Iris esclamò: «E dire che le madrine dovrebbero
essere più premurose di così,
con le proprie figliocce!»
«Oh,
lei ha cercato di proteggerti… a
suo
tempo, quando ancora non c’era di mezzo la
possibilità di ottenere più
quote in seno alla ditta. A quel punto, ha cercato di cogliere
l’opportunità, e
Ronn ci si è infilato dietro per lo stesso motivo»
asserì Richard, serafico.
«Quel che mi stupisce più di tutti,
però, è Conrad. Scoprire che aveva ingaggiato
un investigatore per mettere al setaccio il passato di Susan, mi ha
sorpreso.»
«Evidentemente,
deve aver sentito Melissa fare delle allusioni in merito già
in precedenza.
Forse, voleva portare in seno al consiglio l’idea che io
cedessi le mie quote a
favore di altri, visto che non ero mai presente» ammise Iris,
ancora sconvolta
da quell’ulteriore colpo di scena.
«E’
possibile. Già da qualche mese avevo subodorato che, la tua
assenza forzata,
non avrebbe potuto durare più di quel tanto. Alcuni
consiglieri stavano
mordendo il freno, ma da lì a pensare che proprio
Melissa ti si mettesse contro… giuro, non l’avrei
mai creduto possibile.
Inoltre, non avrei mai immaginato che Susan avesse pagato
per ottenere la sua laurea in economia. E’ davvero
sconcertante» borbottò contrariato Richard,
sorseggiando il suo vino. «Conrad è
stato davvero abile, nello scoprire questa truffa.»
Iris
rammentava bene le poche chiamate che aveva scambiato con Susan, prima
di
interrompere i contatti con lei, e le era parso strano che non fosse
turbata
dai suoi continui cambi di lavoro.
Evidentemente,
ogni qualvolta aveva sentito il terreno crollarle sotto i piedi, era
fuggita a
gambe levate prima che scoprissero il suo imbroglio.
Tutti
gli esami.
Tutti gli
esami che aveva dato all’università, erano stati
truccati ad arte – e pagati da
mammina – perché lei potesse passare e ricevere la
tanto agognata laurea in
economia.
Che
Melissa lo avesse fatto per far entrare Susan nella Walsh
Inc. in un futuro imprecisato, era impossibile saperlo, ma
già il fatto che avesse frodato a quel modo il sistema, era
ignobile.
Da
quel poco che aveva saputo, all’Università della
California stavano già cadendo
alcune teste.
Scuotendo
il capo, mormorò subito dopo: «Non mi
dispiacerà avere prevalentemente a che
fare con degli alunni e dei compiti da correggere.»
Richard
sorrise a quel commento e le domandò: «Hai
già fatto richiesta?»
«Sì.
Ho inviato tutta la documentazione all’ufficio immigrazione
del Canada, oltre
alle mie credenziali e alla mia decisione di abitare a Clearwater.
Dovrebbe
arrivarmi a giorni il permesso di soggiorno per scopi lavorativi e poi,
con
calma, inizierò l’iter per richiedere la
cittadinanza» assentì Iris, tutta
sorridente.
Richard
allora le batté una mano sul braccio, annuì e
disse: «Era questo il sorriso che
volevo vedere sul tuo volto. Ora, sono tranquillo.»
«Io,
invece, sarò tranquilla quando avremo venduto la casa,
perché vorrà dire che
non ho più conti in sospeso con il passato»
esalò Iris, ridacchiando.
«Faremo
anche quello, non temere» la rassicurò Richard,
terminando il suo vino.
Iris
assentì, il pensiero già rivolto a Clearwater e
alla sua nuova vita. A quel
punto, niente e nessuno avrebbe più potuto metterle i
bastoni tra le ruote. Il
suo passato era stato sistemato, e ora non le rimaneva che mettere
piede sul
nuovo sentiero che l’avrebbe ricondotta a quella che ora
considerava la sua casa.
***
Accucciata
nei pressi di una delle piante più vicine al muro di cinta,
l’aria smarrita e
le mani strette a pugno, Alyssia stava osservando ansiosa una
tranquilla Julia,
mentre la notte calava e le prime stelle si accendevano come fari nel
cielo.
Quella
stessa giornata, Julia era tornata come aveva promesso ad Alyssia e,
dopo aver
trovato un degno nascondiglio dove attendere la notte, aveva aspettato
il
momento propizio per far scappare l’amica.
Dopo
aver percorso il parco, facendo attenzione alle telecamere di
sorveglianza
poste sul muro che cingeva l’immensa proprietà, la
coppia si era fermata in
prossimità di un enorme abete e lì si era fermata.
Nascoste
agli sguardi dai rami che arrivavano a sfiorare l’erba, Julia
aveva fatto
accucciare l’amica e, con calma, le aveva spiegato
ciò che, con la levata della
luna, sarebbe avvenuto.
Sulle
prime, Alyssia si era spaventata non poco, ma l’amica
l’aveva rassicurata sulla
buona riuscita della mutazione e l’aveva coccolata contro il
suo seno per un
po’.
Questo
aveva chetato le ansie di Alyssia, riportandola indietro nel tempo,
agli anni in
cui lei e Julia erano state inseparabili e, con Dev, avevano formato un
trio
vincente.
Non
aveva dimenticato nulla, di quegli anni, e anche per questo aveva
sempre tenuto
a bada le donne che, per lungo tempo, avevano tentato di approcciare
l’uomo.
Devereux
era sempre appartenuto a Julia e, se mai qualcuna avesse dovuto averlo
in vece
dell’amica, quella avrebbe dovuto essere lei.
Loro
tre erano perfetti, insieme, e questo non lo avrebbe potuto mai mettere
in
dubbio nessuno.
Anche
per questo, una volta che fosse mutata, avrebbe sistemato quella
biondina
californiana una volta per tutte e, assieme a Chelsey, Julia e Dev,
sarebbero
stati insieme per sempre.
Avrebbe
accettato anche la bambina, non avrebbe avuto alcun problema.
Dopotutto, era
figlia del ventre di Julia, e perciò le sarebbe stata cara
come una figlia sua.
«Ci
siamo, mia cara… la luna sorge» mormorò
Julia, trionfante.
Lei
assentì, si tappò la bocca per non urlare e, dopo
alcuni secondi di ansiosa
aspettativa, percepì la prima fitta al costato.
Alla
prima ne giunse una seconda, che quasi le tolse il fiato, portandola a
togliere
le mani dalla bocca per prendere ampie boccate d’aria.
Julia
si accigliò, a quella vista, e la spinse a terra con forza,
coprendole le
labbra spalancate con la propria mano e, volto contro volto ad Alyssia,
ringhiò: «Devi fare quello che ti dico! Te lo sei
dimenticato?!»
Alyssia
scosse il capo, iniziò a piangere e dimenarsi mentre la lupa
che era in lei
gridava per uscire.
Trattenendola
a terra mentre l’amica sotto di lei si lasciava andare a
calci nell’aria e a
pugni sull’erba, Julia si lasciò andare a un
sogghigno di gelido dominio che
Alyssia ricordò fin troppo bene.
Julia
non era affatto cambiata, anche se era diventata un lupo. Lei era
sempre stata
dominante, tra loro due, e le aveva sempre detto cosa fare, e come
farlo.
Alyssia
sapeva bene che era questo il modo di Julia di amare e, fin quando
anche Dev si
era attenuto a questi precetti, tutto era andato bene.
Il
fatto che Julia se ne fosse andata, poteva solo voler dire che Devereux
non
aveva più accettato la sua compagna per quella che era.
Se
tutto fosse tornato come prima – e con Julia accanto a lei,
poteva finalmente
succedere – avrebbe accettato le scuse di Dev e da
lì sarebbero ripartiti. Sì,
poteva accettare le scuse dell’uomo, se si fossero dimostrate
sincere.
«Brava,
ci sei quasi» mormorò Julia, lasciandola infine
andare.
Alyssia
assentì col capo – no, col muso,
constatò dopo un attimo di sconcertata
sorpresa – e, reggendosi a fatica sulle zampe, si
guardò nelle sue nuove vesti
senza riconoscersi.
«Va
bene così, Alyssia. La prima volta è sempre
destabilizzante. Ma ti abituerai
alla svelta alla forza che ora hai nel tuo nuovo corpo» le
spiegò Julia,
carezzandole la gorgiera.
Alyssia
si beò di quel tocco – era raro che Julia si
lasciasse andare a dei complimenti
– e, quando l’amica le indicò di balzare
oltre il muro, lei semplicemente lo
fece.
Fu
strabiliante scoprire di poterlo fare, così come lo fu
vedere Julia fare la
stessa cosa, ma con le sembianze di una donna.
Non
appena si trovarono oltre quel maledetto muro che l’aveva
tenuta prigioniera
per lungo tempo, Alyssia ringhiò soddisfatta e Julia,
sogghignando, dichiarò:
«E ora andiamo a casa, Aly. La nostra nuova casa.»
La
lupa assentì col muso e, assieme, si avventurarono nei
boschi che si
distendevano come mantelli oltre Vancouver, avanzando verso
l’entroterra e
verso le Montagne Rocciose.
Infaticabili,
la donna e la lupa si addentrarono sempre di più nella
Columbia Britannica
prima, e nell’Alberta poi, finché non raggiunsero
un grazioso lago alpino,
racchiuso in un fittissimo bosco e lontano da qualsiasi arteria
stradale.
Lì,
finalmente Julia si fermò, indicò ad Alyssia un
accampamento di tende più o
meno grandi e, orgogliosa, disse: «La nostra nuova famiglia,
Aly. Lì, tutti ti
vorranno bene e sapranno apprezzarti per quello che sei ma, prima di
poter dire
di farne parte, dovrai aiutarmi a portare anche Chelsey entro questi
confini.»
Alyssia
si limitò ad annuire; avrebbe fatto qualsiasi cosa, per
Julia, e le sembrava il
minimo aiutarla a recuperare la carne della sua carne.
«La
nostra guida ti insegnerà i precetti da seguire e, a tempo
debito, verrai
marchiata come sua figlia e sua protetta» dichiarò
Julia, mostrandole i segni
di una vecchia bruciatura all’altezza della spalla destra.
«Lui ci garantirà la
protezione di un capobranco, e noi saremo le sue ancelle fedeli.
Vivremo come
la natura ci ha voluti, liberi e fieri, e nessun umano potrà
dirci a quali
leggi sottometterci. Sono inferiori, e tali rimarranno, per
noi.»
Alyssia
assentì e Julia, tornando sui suoi passi, disse:
«Torniamo verso Clearwater.
Voglio farmi un’idea degli spostamenti di Dev, prima di
capire quando agire.»
Ciò
detto, iniziò a correre e l’amica, da fedele
compagna quale era, si accodò a
lei.
Suo
malgrado, si allontanarono dal campo che tanto volentieri Alyssia
avrebbe
voluto visitare, ai volti di altre persone come lei che aborrivano la
civiltà
umana per come era stata concepita.
Comprendeva
però bene che era imperante portare via Chelsey dal mondo
degli umani. Se, come
le aveva detto Julia, c’era la possibilità che lei
avesse ereditato il gene
della licantropia, Chelsey doveva essere condotta al sicuro, lontana da
Devereux, lontana dagli umani ignoranti, che l’avrebbero
odiata e osteggiata.
Non
poteva indulgere nei suoi desideri superficiali, quando una loro
sorella
rischiava la vita a ogni attimo passato lontano da quel luogo ameno e
sicuro.
No,
Julia aveva avuto ragione a voler partire subito. Chelsey doveva essere
condotta via da Clearwater, e lei si sarebbe impegnata anima e corpo,
per
farlo.
***
Era
stato tutto dannatamente facile. Come sempre, del resto, trattandosi di
Alyssia.
Lei
l’aveva sempre seguita come un cagnolino adorante, e fare
breccia nel suo cuore
debole e in cerca d’amore, era stato semplice come bere un
bicchier d’acqua.
Julia
aveva contato di sfruttare il suo aiuto per avvicinare Chelsey ma,
quando si
era recata in gran segreto a Clearwater e non l’aveva
trovata, se n’era
domandata i motivi.
Una
volta scopertili, e non avendo potuto approcciare la figlia
perché assente da
casa, si era persuasa a raggiungere Alyssia a Vancouver per liberarla
dalla
prigionia e usare la sua gratitudine come spada per proteggersi.
L’essere
divenuta un lupo l’aveva resa più guardinga e, fin
da quando si era allontanata
dalla vita asfissiante di Clearwater e dalle attenzioni di Dev, aveva
scoperto
la vera se stessa.
Aveva
vagato per mesi e mesi nei boschi, apprezzandone la libertà,
lasciando che la
sua lupa si abbeverasse di quelle sensazioni, godendo delle prede
uccise
durante la caccia.
Era
quasi divenuta un lupo vero e proprio, perdendo molta della sua
umanità, quando
aveva incontrato Logan.
Licantropo
come lei ma infinitamente più forte e potente, le aveva
mostrato la vera Via, e
lei si era unita alla sua crociata per liberare i lupi dalla
schiavitù della
vita degli umani.
Si
era unita a lui carnalmente diventando la sua lupa ma, con
l’accrescersi del
branco, le coppie erano diventate promiscue e la libertà di
non avere legami
scritti l’aveva galvanizzata.
Aveva
scoperto di apprezzare cose che mai, da umana, avrebbe immaginato e,
sempre
grazie a Logan, aveva dato voce al suo bisogno di predominio.
Non
sarebbe mai stata all’altezza del lupo che le aveva fatto
scoprire tutto
questo, ma ne era seconda quanto a forza e intelligenza, e gli altri li
seguivano come una coppia reale.
Negli
anni, aveva annullato le lacune su se stessa e la sua razza, aveva
scoperto
della possibilità di passare ai propri figli i geni della
licantropia e, nel
parlarne con Logan, aveva ricevuto il suo assenso a portare in seno al
gruppo
anche Chelsey.
Forte
della possibilità di offrire a Logan un pezzo di
sé che ancora non aveva saputo
donargli, aveva atteso trepidante che gli anni passassero e che la
avvicinassero all’adolescenza della figlia.
Quando
infine il loro gruppo si era fortificato e saldato a sufficienza
perché lei
potesse assentarsi senza, per questo, danneggiare Logan, era partita
alla volta
di Cleawater per prelevare Chelsey.
Il
non trovarla l’aveva infastidita, e tutto era peggiorato
quando aveva saputo di
Alyssia ma, ora che lei aveva il suo scudo e la sua spada, poteva
affrontare
Lucas senza la paura di venire sconfitta.
Avrebbe
sacrificato Alyssia, se fosse stato necessario, ma avrebbe portato via
Chelsey
da Devereux.
Sapeva
che Lucas era abbastanza forte da rivaleggiare con lei –
ricordava bene la sua
stazza, e assomigliava troppo a quella di Logan, per non preoccuparsi
– ma,
dandogli in pasto Alyssia come diversivo, lei sarebbe riuscita nei suoi
intenti.
Devereux
avrebbe dovuto rassegnarsi a perdere anche la figlia. Dopotutto, aveva
trovato
quella sgualdrinella americana, con cui divertirsi.
Che
si accoppiassero pure tra umani. Lei aveva i suoi lupi, per questo
genere di
cose ed era molto, davvero molto meglio.
N.d.A.:
finalmente scopriamo cosa abbia combinato in tutti questi anni Julia, e
fino a che punto si sia spinta la follia di Alyssia. Con due
così, direi che ci si possa davvero aspettare il peggio. I
nostri amici riusciranno a rintuzzare il loro attacco?
|
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Capitolo 22 *** Capitolo 21 ***
21.
Qualcuno
avrebbe dovuto impiantarle una nuova mano perché, ormai, la
sua era
irreparabilmente danneggiata a causa delle troppe firme.
Perché
c’era bisogno di così tanti autografi, al mondo?
Ormai, ne serviva uno anche
per chiedere il permesso per poter respirare!
Dopo
una settimana passata a correre tra un ufficio e l’altro per
sistemare le
pratiche per il passaggio di proprietà delle sue quote, per
la trasformazione
del suo appartamento in una casa di accoglienza per madri single, era
ormai
distrutta.
Il
bel tempo aveva solo facilitato le cose, ma Iris non aveva potuto
godersi il
sole e la brezza fresca dell’oceano neppure un attimo, in
quella settimana così
caotica.
Nel
frattempo, sua zia e Liza si erano messe d’impegno per capire
quale fosse la
zona migliore dove costruire la loro nuova abitazione a Clearwater, e
Helen
aveva fatto il suo primo ingresso nel board della Walsh
Inc.
Melissa
e Ronn si erano dimessi, rimettendo le loro quote azionarie in Borsa.
Nessuno
dei due aveva voluto dare spiegazioni in merito ma, da quello che aveva
saputo
Iris, Melissa stava avendo un bel po’ di problemi con la
giustizia, a causa
degli esami pagati alla figlia.
Tramite
un vecchio amico di famiglia, i Wallace e Iris avevano saputo che Susan
si era
ritrovata a ingiuriare la madre sul
pianerottolo di casa, tacciandola di essere una strega, rea
di tenerla
lontana dal suo unico amore e di averla messa nei guai.
Fosse
o meno Susan innamorata di Ronn, Iris non lo sapeva. Quel che era
importante,
era che nessuno di loro avrebbe più potuto danneggiare
l’azienda dei suoi
genitori.
Grazie
al nuovo statuto – approvato in concomitanza con
l’uscita di scena di Melissa e
Ronn – Iris avrebbe seguito le riunioni ordinarie del
Consiglio tramite video
conferenza e, due volte l’anno, avrebbe presenziato a quelle
straordinarie.
Così
facendo, Iris avrebbe potuto gestire al meglio il suo duplice ruolo,
senza
venir meno agli impegni presi e continuando a occuparsi
dell’azienda di
famiglia.
Chiudendo
l’ultima cerniera delle sue valigie, serrando di fatto anche
quei pensieri in
un angolo del suo cervello, Iris lanciò
un’occhiata d’insieme al suo bagaglio
e, annuendo tra sé, si ritenne soddisfatta.
Lì
dentro aveva ciò che, della vita precedente, aveva voluto
portare con sé a
Clearwater. Fotografie, piccoli ricordi, oggetti appartenuti ai
genitori, pezzi
di vita vissuta che le erano rimasti nel cuore e nell’anima.
Tutto
ciò avrebbe creato il tessuto di base da cui ripartire per
creare quello che
aveva sempre cercato, ma mai trovato fino all’arrivo in quel
piccolo paese
canadese.
Glenn
l’avrebbe condotta al microscopico aeroporto di Clearwater
– una striscia di
terra battuta e poco altro – e, da lì in poi,
avrebbe cominciato la sua nuova
avventura.
Un
quieto bussare alla porta riportò Iris al presente e,
sorridendo alla zia, la
giovane disse: «Ehi, ciao. Entra pure.»
Armata
di fazzoletto ma con gli occhi ben asciutti, Rachel la raggiunse per un
rapido
abbraccio e, nell’osservarla piena di orgoglio,
dichiarò: «Dirò a Devereux di
farti ingrassare ancora qualche chilo.»
Iris
rise di fronte al suo tentativo di apparire scherzosa e serena e,
annuendo,
asserì: «Tranquilla. Appena mi rivedrà,
dirà sicuramente che senza di lui ho
perso almeno due o tre chili» ironizzò Iris,
dandosi dei pizzicotti sulle
guance.
Erano
passati i tempi in cui il solo camminare le costava sforzo, in cui gli
abiti le
cadevano addosso come sacchi informi, e il suo volto appariva sempre
stanco e
malaticcio.
Ora
era una licantropa cosciente di se stessa e della razza a cui
apparteneva, e
avrebbe fatto il tutto e per tutto per essere degna di ciò
che il Fato le aveva
messo tra le mani.
Quella
notte di quasi tre anni prima le aveva destabilizzato la vita, ma le
aveva
anche concesso le chiavi di un’esistenza che non sapeva di
volere, fino a
quando non l’aveva avuta tra le mani.
Sorridendo
a sua zia, Iris seppe di aver finalmente raggiunto il traguardo tanto
agognato
anche da suo padre e sua madre; era una donna forte, orgogliosa, ma
anche umile
e pronta ad ammettere i propri sbagli.
Rachel
annuì di fronte al suo sguardo volitivo, quasi avesse
compreso i suoi pensieri
e li condividesse appieno ma, dopo alcuni istanti di sorrisi forzati,
scoppiò
in lacrime e si gettò tra le braccia della nipote,
mormorando: «Oddio, scusa,
tesoro, scusa… avevo promesso a Liza e Helen di non
piangere, ma…»
Battendole
affettuosamente delle pacche sulla schiena, Iris replicò
sorridente: «Non c’è
problema, zia. Va bene così. So che sei emotiva,
perciò mi sarei preoccupata se
non avessi pianto.»
«Vorrei
tanto essere forte come lo era Nancy, ma mi emoziono subito, e
così…»
Al
sentire nominare la madre, Iris accentuò
l’abbraccio e disse: «La mamma era una
roccia e papà ne aveva grande stima, ma sappiamo bene
entrambe che mi aveva anche
viziato e, per lungo tempo, io ne ho approfittato. Ognuno di noi ha
pregi e
difetti, e sta a noi avere la forza di amare entrambe queste parti.
Perciò io
non ho problemi con le tue lacrime, zia, e anzi, mi dicono che sei
sempre tu.»
«Si
vizia sempre un po’, chi si ama tanto»
chiosò Rachel, scostandosi dalla nipote
per poi tergersi le lacrime col fazzoletto.
«Lo
so, e infatti non darò mai la colpa a lei, ma solo a me
stessa per essermi
adagiata in quei vizi. Ora, spero di essere cambiata in meglio, e ho
tutta
l’intenzione di dimostrarlo» assentì
Iris. «Mi accompagni all’aeroporto, o
preferisci restare a casa?»
«Verrò.
Anch’io voglio migliorarmi» ammiccò la
zia, prendendo poi una delle valigie
della nipote per portarla dabbasso.
Iris
si caricò di altre tre borse mentre Gilbert e Roland
– l’autista e il
giardiniere – pensavano al resto del suo bagaglio.
La
Bentley fu caricata in breve tempo e, insieme a Rachel, Iris
partì alla volta
del LAX per il suo imminente viaggio di ritorno.
Richard
e Helen l’avevano salutata quella mattina, prima di partire
per i loro
rispettivi lavori. Liza, invece, la sera precedente l’aveva
abbracciata con
tutte le sue forze, promettendole di scriverle dal Gran Canyon, luogo
in cui
era andata in vacanza con le amiche.
Impiegarono
quasi un’ora per raggiungere l’aeroporto e, quando
infine si trovarono dinanzi
al Cessna e al suo pilota, Rachel salutò Glenn per poi
abbracciare un’ultima
volta Iris.
«Chiamami
non appena atterri… e anche tu, Glenn. Dammi un colpo di
telefono per farmi
sapere che sei rientrato tutto intero» sottolineò
Rachel, facendo sorridere
entrambi.
«La
mia Samantha non è altrettanto solerte, sa, Mrs
Wallace?» ironizzò l’uomo.
«Solo
perché lei ci è più abituata, e sa
come compartimentalizzare le cose. Io devo
ancora imparare, perciò accontentami»
replicò con candore Rachel,
sorridendogli.
«Sarà
fatto, allora» gli promise il pilota, salendo poi a bordo per
accendere i
motori.
Rimasta
sola con la zia, Iris le disse: «Ci rivedremo presto, zia,
perciò stammi bene
fino ad allora, d’accordo?»
«Va
bene» assentì la donna, dandole un buffetto sulla
guancia prima di allontanarsi
e tornare alla Bentley.
Iris
percepì il profumo delle sue lacrime, ma non vi fece caso.
La zia aveva già
mostrato di voler migliorare se stessa, accompagnandola fino
all’aeroporto.
Quelle lacrime sapevano di vittoria, perciò Iris ne sorrise
fiera e salì a
bordo.
La
sera precedente aveva telefonato a Dev per comunicargli
l’orario previsto per
il suo arrivo, e l’uomo le aveva assicurato che non sarebbe stato là ad
aspettarla come un allocco preda di una
pena d’amore.
Iris
ne aveva riso fin quasi a farsi dolere le guance e, dopo avergli
lanciato un
bacio con lo schiocco – ricevendo insulti per diretta
conseguenza – aveva
chiuso la chiamata e si era apprestata a riposare.
Non
voleva che Dev cambiasse per lei, perché Iris amava tutto di
lui, anche quel
suo lato così ruvido e imprevedibile.
Se
ci fosse stato, lo avrebbe abbracciato e, se non ci fosse stato,
sarebbe andata
bene comunque.
Non
era così insicura da volere un uomo sempre al fianco, in
ogni momento della
giornata, pronto a porgerle la mano per saltare una pozzanghera, e
sapeva che
per Devereux era la stessa cosa.
Non
agognava ad avere una donna sempre in trepidante attesa di una sua
parola.
Preferiva di gran lunga una persona con i propri pensieri e le proprie
idee,
con cui lui avrebbe potuto confrontarsi.
Le
mancava, certo, ma restava comunque se stessa, anche quando era con
lui. Era
Iris, finalmente, in tutte le sue sfaccettature.
Stare
con lui la completava, e questo era bellissimo, ma aver ritrovato un
equilibrio
con la nuova se stessa era il traguardo più importante che
avesse mai
raggiunto.
Fu
per questo che molte ore dopo, quando discese sulla pista sterrata del
piccolo
aeroporto locale di Clearwater, non si stupì più
di tanto nel non trovare Dev
ad aspettarla.
Senza
porsi problemi, perciò, salutò Glenn e chiese un
passaggio fino al campeggio,
aiutando il suo zelante tassista improvvisato a caricare e scaricare
tutti i
suoi bagagli.
Nel
ringraziare il giovane che l’aveva aiutata – uno
dei meccanici che le avevano
aggiustato il camper –, raggiunse infine la casetta della
reception del camping
per salutare Lucas.
Quando,
però, non avvertì il suo odore, ma soltanto
quello di Clarisse, si chiese dove
egli fosse finito. Era raro che, a quell’ora del giorno, non
si trovasse al suo
posto di lavoro. Forse era in giro per il campeggio a sistemare qualche
inghippo?
Nell’aprire
la porta della baita di tronchi, Iris si esibì comunque nel
suo miglior sorriso
per rendere nota la sua presenza a Clarisse, ma comprese immediatamente
che
qualcosa non andava.
Il
viso della madre di Lucas appariva tirato e stanco e, quando la vide,
si coprì
la bocca con una mano ed esalò: «Oh, cielo,
Iris!»
Raggiuntala
in pochi, rapidi passi, Iris la afferrò per le spalle,
temendo di vederla
crollare a terra per l’ansia e, turbata, le
domandò: «Clarisse, cos’è
successo?!»
«Julia!
Julia è tornata!»
Quelle
semplici parole raggelarono la giovane che, scostandosi lentamente da
Clarisse,
sgranò gli occhi e dovette aggrapparsi al bancone della
reception per non
crollare a terra.
Sorpresa,
sconforto e confusione le balenarono sul volto in un susseguirsi
caotico e,
quando Clarisse le sfiorò un braccio per consolarla e, al
tempo stesso,
sorreggerla, Iris sobbalzò scioccata, esalando:
«Spiegati, per favore.»
«E’
successo mentre Dev era al lavoro. Essendo Chelsey un licantropo, non
aveva più
alcun problema a lasciarla a casa da sola. Chi mai avrebbe potuto farle
del
male, ti pare?» scrollò le spalle la donna, ora
più nervosa di prima. «Julia,
invece, si è presentata a casa loro e l’ha portata
via. Via, capisci?!»
Iris
dovette stringersi le braccia attorno al corpo per trattenere la sete
di sangue
della sua lupa, oltre all’istinto protettivo del landvættir quale lei era grazie
a Gunnar.
Prendendo
grandi boccate d’aria, Iris si costrinse a sedersi e, a
fatica, domandò con
voce metallica: «Come sapete che
è stata
lei?»
Comprendendo
al volo cosa stesse succedendo, Clarisse si portò alle
spalle di Iris per
praticarle un massaggio rilassante alle spalle e, tesa e preoccupata,
asserì:
«Lucas e Dev ne hanno riconosciuto l’odore.
Inoltre, Dev aveva installato delle
telecamere di sicurezza, un paio di anni fa, e dalle registrazioni ha
potuto
vedere cos’è successo.»
«Lucas
non le ha avvertite avvicinarsi a Clearwater?»
domandò turbata la giovane,
mordendosi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.
Il
sapore metallico e forte del suo sangue la fece rabbrividire e, al
tempo
stesso, la portò a ringhiare a bassa voce mentre Clarisse,
proseguendo nel
massaggio, mormorava: «Deve averne controllato i movimenti
per qualche tempo,
per agire quando anche lui era assente da Clearwater. Non abbiamo
saputo
trovare altra spiegazione. Inoltre, c’è un altro
problema. C’era anche Alyssia,
con lei.»
Quella
notizia non contribuì di certo a calmarla ma Clarisse,
affondando maggiormente
le dita nella sua carne, disse: «Respira, Iris, respira. Non
lasciare che la
rabbia abbia il sopravvento. Lucas e Devereux stanno setacciando il
bosco alla
loro ricerca. Le troveranno, vedrai.»
«Devo
andare» mormorò Iris, risollevandosi a fatica
dalla poltrona su cui era
praticamente crollata. «Devo trovarla.»
«Ovviamente
non ti fermerò. Come potrei? Ma ricorda questo, Iris. La
vendetta ha molte
sfumature e sono quasi tutte brutte, a lungo andare» le
ricordò Clarisse, prima
di batterle una mano sulla spalla.
«Devo
raggiungere il mio Fenrir e proteggerlo, innanzitutto»
dichiarò Iris, pur
sapendo di non stare dicendo l’assoluta verità.
«Solo dopo penserò a sistemare
Julia. Dev non può farlo, e forse neanche Lucas,
perché ha un cuore troppo
buono, ma io sì che posso.»
«Oh,
per come stanno le cose ora, penso che Dev potrebbe anche divorarla,
tanto è
furioso» replicò Clarisse. «Lucas mi ha
detto che le tracce che hanno trovato
puntavano verso nord-ovest, lungo la Clearwater Valley Road.»
Annuendo,
Iris fece per correre fuori ma, prima di farlo, mormorò
spiacente: «Ho lasciato
tutte le mie valige all’ingresso. Sono molte, scusa
tanto.»
Scrollando
una mano, Clarisse ribatté: «Non mi importa se
sono anche cinquanta. Vai,
piccola, e non pensare a me. Trova quella bimba e proteggi il mio
ragazzo, se
puoi.»
«Lo
farò» assentì Iris, lanciandosi
letteralmente fuori dalla casupola per poi
dirigersi a grandi passi verso il bosco.
Non
era il caso di mutare in lupo nel bel mezzo di un campeggio gremito di
ospiti.
***
Stordita
dall’aconito, Chelsey riaprì a fatica gli occhi
dopo un tempo a lei
sconosciuto, e soltanto per ritrovarsi nel fitto del bosco, lontano da
casa e
dalla sua famiglia. Accantò a lei vide Alyssia e la donna
che, a detta di
quest’ultima, era sua madre. Julia.
Le
fotografie che aveva sbirciato - non vista - nello studio del padre,
ben
nascoste in uno scatolone, le davano ragione, ma era difficile credere
che
quella donna fosse colei che l’aveva partorita.
In
quel momento, coi capelli corti e scompigliati dalla corsa e gli occhi
invasati
quanto pericolosi, appariva sul chi vive, pronta a tutto pur di portare
a
termine la sua missione e ben decisa a uccidere chiunque
l’avesse intralciata.
Alyssia,
seduta al suo fianco su un tronco caduto, sembrava invece frenetica ed
eccitata, una neo-lupa appena risvegliata a quel mondo e disposta a
qualsiasi
sacrificio pur di seguire la vecchia amica del cuore. La sua guida in
quella
folle impresa.
Mugugnando
a causa del dolore – Julia l’aveva colpita alla
nuca, quando aveva cercato di
sfuggirle – Chelsey cercò di mettersi seduta per
non dover respirare l’umidore
della terra su cui era distesa, ma finì con
l’attirare l’attenzione delle due.
«Bene,
ti sei ripresa. Ora, vedi di fare la brava, o dovrò sedarti
di nuovo» dichiarò
Julia, lanciandole un’occhiata piena di risentimento.
«Potremmo
scappare più agevolmente, se la lasciassimo a
loro» sottolineò Alyssia,
grattandosi nervosamente un braccio nell’osservare la sua
guida con occhi
tremebondi e ammaliati al tempo stesso. «Se tornassimo con i
rinforzi, non
avremmo problemi a riprendercela, e…»
«Lei
è mia! Non la lascerò in un mondo di
rozzi umani perché cresca in una gabbia. Ora che
è un lupo, non ha più motivi
per rimanere con suo padre. Dev ha avuto la sua parte di tempo, con
lei. Ora
tocca a me. Imparerà a obbedirmi come dovrebbe fare
qualsiasi altro cucciolo, esattamente
come hai fatto tu, Aly…»
L’amica
assentì, piena di letizia all’idea che
l’amica l’avesse voluta al fianco per
quella missione che Julia riteneva così importante.
Non
che Julia l’avesse mai trattata con gentilezza, o da sua
pari, nel corso della
loro travagliata amicizia, ma almeno si era accorta
della sua esistenza. L’aveva vista,
anni prima, e l’aveva voluta di nuovo con lei, adesso, in
quel meraviglioso e
selvaggio mondo che le aveva appena fatto conoscere.
Trovarsela
dinanzi nel giardino della rehab – dove il padre
l’aveva spedita dopo la
vicenda legata a Iris – l’aveva sorpresa e confusa.
Erano anni che non si
vedevano, e aveva ormai dato per scontato che lei fosse morta.
Quando
Julia le aveva spiegato i motivi della sua presenza, così
come della sua fuga
da Clearwater, si era detta felice di essere stata scelta per
quell’impresa e,
soprattutto, scelta dall’amica per diventare come lei.
Al
suo nuovo risveglio come licantropo aveva gioito come mai nella vita,
sentendosi
più forte e più potente che mai. Julia, inoltre,
si era complimentata con lei,
mostrandole l’attenzione che, da sempre, aveva sognato.
L’aveva
così stupita sapere da Julia della sua licantropia,
così come di quella di
Lucas Johnson!
Aveva
sempre ritenuto Lucas una mezza calzetta e, anche complice il suo
carattere
così docile, non gli aveva mai dato troppo peso,
né come uomo e neppure come
persona in sé e per sé.
Saperlo
un mannaro a sua volta, e colui che per primo aveva riconosciuto Julia
come un
suo simile, l’aveva resa più guardinga. Avrebbe
dovuto proteggere la sua amica,
se mai si fosse presentato dinanzi a loro.
Attesa
la partenza di Devereux per recarsi al cantiere, quindi, avevano
raggiunto la
casa, scoprendo così della licantropia di Chelsey e,
ahimè, della sua strenua
decisione di non seguirle.
Julia,
così, l’aveva colpita alla nuca con un colpo di
taglio della mano e, con
estrema attenzione, le aveva somministrato della polvere di aconito per
tenerla
buona.
«Non…
non sei il mio capoclan…» riuscì a dire
la ragazzina, fissando la madre con
occhi intrisi d’odio e strappando Alyssia ai suoi ricordi.
«Accetterai
nuove regole, d’ora innanzi. Ho atteso anni,
perché tu raggiungessi l’età
giusta per comprendere se saresti diventata come me o meno. Ho sofferto
la
solitudine mentre imparavo a conoscere me stessa e quale fosse il posto
adatto per
persone come noi ma, infine, ho trovato l’unica creatura che
potessi seguire
come un maestro, e che mi ha insegnato a essere un vero
licantropo» dichiarò Julia, con occhi
ebbri di esaltazione.
«Lui ci guiderà verso una nuova esistenza, lontano
dagli indecenti umani e la
loro progenie.»
«Io…
voglio stare con papà… e
Iris…» singhiozzò Chelsey, disperata.
Julia
scoppiò in una risata perfida, replicando: «Tuo
padre è un lurido umano! E
quella ragazza californiana non è da meno. Aly mi ha parlato
di loro e della
loro tresca. Starai meglio con noi, te lo assicuro.»
Preferendo
non dire loro della licantropia di entrambi, ipotizzando potesse andare
a suo
vantaggio, Chelsey si limitò a mormorare: «Mi
troveranno, e ve la faranno
pagare.»
«Devi
lasciarti alle spalle la tua esistenza umana per godere appieno del tuo
lupo,
Chelsey. Ti insegnerò ciò che è giusto
tu sappia sul tuo lato animale e alla
fine mi sarai grata, figlia mia» la rassicurò
Julia, sfiorandole una spalla.
Lei
si ritrasse appena e la donna, accigliandosi, tornò a
volgere lo sguardo verso
Alyssia che, contrariamente alla figlia, sembrava pronta a esaudire
qualsiasi
suo desiderio.
«Controlla
che nessuno ci segua. Non voglio ficcanaso nei dintorni del nostro
campo.
Uccidili, se necessario, mentre io ti precedo. Farò in modo
che la nostra guida
ti invii dei rinforzi ma, nel frattempo, io dovrò
allontanarmi con lei. Troverai
la mia scia senza problemi, non temere» dichiarò a
quel punto Julia, lanciando
uno sguardo vacuo al bosco.
«Lo
farò» assentì la donna, levandosi in
piedi in tutta fretta mentre Chelsey
esplodeva in un grido di rabbia, provando a rialzarsi per fermarla.
Julia,
però, le coprì il viso con un pannetto imbevuto
di aconito e, suo malgrado,
Chelsey crollò senza forze, ormai prossima allo svenimento.
Raccoltala
inerme da terra, la madre la prese in braccio dopodiché,
amorevole quanto
gelida, disse: «Imparerai come hanno imparato gli altri
bambini, Chelsey.
Imparano tutti, alla fine.»
La
ragazzina sgranò gli occhi, confusa e spaventata, ansimando:
«In che senso, tutti?»
Sprezzante
di fronte alla sua occhiata raggelata, Julia asserì:
«Pensi di essere l’unica
ragazzina strappata a un destino infausto, passato in mezzo a umani
inconsapevoli? Io e altri come me abbiamo creato un paradiso in terra
per voi
tutti, in cui potrete essere liberi di vivere come veri lupi, senza
dovervi mai
più nascondere.»
Chelsey
rammentò le parole di Brianna riguardo ai lupi allontanatisi
volontariamente
dalla civiltà, e rabbrividì. Era questo che sua
madre le stava proponendo? O
c’era qualcosa di molto peggiore, nelle sue parole?
Vivere
in mezzo alla foresta, dimenticando il suo lato umano a favore di
quello
animale? No, davvero non lo voleva. Lei era entrambe le cose!
Voleva
essere un lupo come Iris, il papà e Lucas, ma vivere con i
suoi nonni e i suoi
amici! Non desiderava essere solo una cosa o l’altra.
Iniziando
a piangere, Chelsey reclinò il viso e mormorò:
«Voglio il mio papà…»
Julia
sbuffò di fronte a quell’inutile richiesta e,
gettandole un sacchetto di pelle
conciata tra le mani, borbottò: «Mangia. Parli
così perché sei affamata.»
Chelsey
però lo scansò con un gesto rabbioso della mano
e, ributtandosi a terra, si
ripiegò su se stessa per ignorare la donna, sperando di
prendere sonno e
fuggire almeno nel mondo dei sogni.
Sapeva
infatti che, nel mondo reale, non avrebbe mai potuto salvarsi da sola.
***
Devereux
era fuori di sé dalla rabbia, oltre che spaventato a morte.
Si sentiva un
idiota al pensiero di aver lasciato da sola la propria bambina,
convinto
com’era che nessuno avrebbe potuto farle del male, a questo
punto.
Tornare
a casa per l’ora di pranzo e scoprire che, non solo Chelsey
non era dove
avrebbe dovuto essere, ma che la sua abitazione era pregna di due aromi
che mai
si sarebbe immaginato di trovare, lo aveva mandato nel pallone.
Altri
lupi erano stati nella sua abitazione.
Subito,
aveva controllato le videocamere a circuito chiuso che, tempo addietro,
aveva
fatto sistemare dentro e fuori casa e, sgomento, aveva scoperto
un’atroce
quanto imprevista verità.
Chiamato
Lucas per metterlo al corrente della presenza di Julia nelle vicinanze,
aveva poi
avvisato Clarisse perché attendesse al posto suo
l’arrivo di Iris.
Aveva
bruciato di contrizione al pensiero di non essere presente al suo
ritorno, ma ritrovare
la figlia e impedire che le tracce di Alyssia e Julia diventassero
fredde, gli
era parso un imperativo inderogabile.
Guardare
le due donne attraverso il filtro offerto dalle telecamere di
sorveglianza, non
aveva reso più facile attendere l’arrivo di Lucas.
Vedere
Alyssia e Julia avventarsi su Chelsey per poi stordirla –
avevano usato l’aconito?
Ne erano dunque a conoscenza? – lo aveva quasi del tutto
privato del controllo
ma, anche se a stento, aveva resistito.
All’arrivo
di Lucas, trafelato per la corsa in auto da Kamloops – dove
si era recato
proprio quella mattina per alcuni acquisti – aveva chiamato
Rock perché lo
coprisse con una scusa qualsiasi al lavoro, dopodiché erano
partiti per avventurarsi
nel bosco. A Clarisse avevano lasciato l’ingrato compito di
rispondere alle
giuste domande di Iris.
Ora,
al fianco di Lucas e ben lontani da Clearwater, i due licantropi
stavano
setacciando la boscaglia per trovare le tracce olfattive delle
fuggiasche.
«Avrei
dovuto sapere che Alyssia sarebbe scappata alla prima occasione utile.
Metterla
in una clinica riabilitativa è stato un atto fin troppo
generoso. Avremmo
dovuto sporgere una denuncia effettiva, quando vi ha sparato»
brontolò Lucas
annusando l’aria, satura di odori a causa del vento che
spirava da nord.
Dev
scosse le spalle, replicando irritato: «E’ inutile
pensarci adesso. All’epoca,
lo facemmo per far mantenere un basso profilo a Iris. Chi se lo
immaginava che
Julia sarebbe ricomparsa dal nulla per rapire Chelsey e tirarsi dietro
Aly?»
«Adesso
capisco quando Duncan mi disse che, essere a capo di un clan, vuol dire
avere
occhi e orecchie in ogni direzione. E’ stata una leggerezza
da parte mia»
sbottò Lucas, snudando i denti per la rabbia.
«Siamo
in due a doverci dare la colpa, allora. Anch’io ero
d’accordo per non far
rinchiudere in galera Alyssia. Inoltre, se Julia c’entra
qualcosa con la fuga
di Aly, dubito che i muri di una cella l’avrebbero mai
fermata» dichiarò Dev,
riprendendo a correre quando percepì l’odore di
Alyssia. «Da questa parte.
Stanno proseguendo tenendosi a ovest della Clearwater Valley
Road.»
Lucas
assentì e lo seguì nel bosco, saltando cespugli e
piccoli rii con facilità
estrema, lasciando che il suo lupo prendesse il sopravvento
sull’uomo per
muoversi con un’agilità e velocità
maggiori rispetto al normale.
Si
sentiva responsabile per ciò che era successo, e provava
infinita vergogna
perché Julia e Alyssia erano penetrate nel suo territorio
senza che lui si
accorgesse di nulla.
Solo
ora iniziava a comprendere cosa volesse dire essere un capo, quanto
fossero
indispensabili le figure delle sentinelle, e quanto l’avere
un branco coeso e
forte fosse vitale. Era stato manchevole, ma avrebbe fatto qualsiasi
cosa per
dimostrare di essere degno di fiducia.
Quando,
però, avvertì altri odori oltre a quello di
Alyssia, sia Lucas che Dev si
preoccuparono non poco e, accelerando il passo, quest’ultimo
borbottò: «E’
troppo vicina alle Spahats Falls. Potrebbe aggredire dei turisti per
rallentarci.»
«Sembra
quasi che vogliano portarci a
crederlo» assentì Lucas, accelerando il passo.
«Non vorrei che fosse proprio
questa, la loro idea.»
Dev
si bloccò quasi di colpo, rischiando che Lucas gli andasse
addosso e,
sconcertato, esalò: «Si sono divise! Ecco
perché avvertiamo solo la scia di
Alyssia!»
«Che
diavolo vogliono fare?» si domandò Lucas prima di
guardare Dev, ringhiare
frustrato e mormorare: «Dobbiamo prima di tutto bloccare
Alyssia. Non possiamo
rischiare che attacchi qualcuno. Sappiamo che Julia non farà
del male a
Chelsey, ma con Aly non possiamo mettere la mano sul fuoco.
E’ come un cucciolo
senza guida, e non credo che Julia le abbia detto di non attaccare gli
umani.»
Dev
percepì senza sforzo l’irrigidimento di ogni sua
fibra muscolare e, pur se
attraversato da un’ira così profonda da poter
arrivare a uccidere, non poté che
dare ragione al proprio Fenrir.
Alyssia
era il pericolo principale, in quel momento. Chelsey, per quanto sola
con
Julia, non rischiava nell’immediato.
Stringendo
i denti fino a farli sanguinare, Dev ringhiò roco per poi
scaricare un pugno a
un incolpevole abete, che si spezzò sotto l’impeto
della sua rabbia, finendo
con il crollare sulle piante vicine.
Lucas
non disse nulla, comprendendo più che bene la sua
frustrazione e, dopo un
attimo ancora concesso a Dev per recuperare la calma, riprese la sua
corsa per
raggiungere Alyssia.
«Giuro
che la ammazzerò, stavolta…»
sibilò Dev, livido in viso per l’ira.
«Di
certo, non ti fermerò» sbottò Lucas,
imprecando subito dopo.
Aumentando
la velocità, Dev lasciò che l’odore di
Alyssia divenisse la sua unica priorità.
Quando però ravvisò l’ormai prossima
vicinanza con l’enorme parcheggio che si
trovava nei pressi della cascata, fece segno a Lucas di accerchiare la
donna in
modo tale che non potesse raggiungere i turisti.
Lucas
si spinse sulla destra, mentre Dev proseguiva diritto, speranzoso
– grazie alla
sua maggiore velocità – di poterla raggiungere in
tempo.
“Alla
tua
sinistra, Dev!”
gli urlò nella mente Lucas, mettendolo in allarme.
Acuendo
lo sguardo, l’uomo notò tra il fitto bosco la
sagoma indistinta di una donna,
piegata in avanti in una corsa sfrenata quanto selvaggia.
Lasciandosi
dominare dalla sua parte animale, permise ai suoi istinti primari di
avvolgerlo
e, come il predatore quale era, si abbatté su di lei con
tutta la sua forza.
Alyssia
e Dev, quindi, divennero un tutt’uno, ruzzolando tra il
sottobosco e contro i
trochi di abeti sitka, artigliandosi a vicenda per difendersi e
attaccare al
tempo stesso.
Fu
l’intervento di Lucas a dividerli, e a decretare la fine
della rissa.
Senza
troppi complimenti, Lucas afferrò Alyssia alla collottola e,
con forza, la
scaraventò contro un tronco, strappandole ogni stilla di
ossigeno dai polmoni.
Febbricitante
di rabbia, Dev fece per tornare ad aggredirla ma il suo Fenrir lo
bloccò,
fissando gelido la donna rannicchiata a terra.
Pur
se ferita e sanguinante, Alyssia si sollevò sulle mani con
aria di sfida e,
fissando i due uomini dinanzi a lei, sibilò:
«Siete due idioti… proprio come
aveva previsto Julia, avete pensato agli umani prima che a Chelsey.
Curioso,
comunque, trovare te nelle vesti di
mannaro, Dev.»
Ciò
detto, ghignò all’indirizzo di Devereux e
sputò a terra saliva e sangue in
spregio alla sua novella doppia identità.
«Qualsiasi
vita è importante, Alyssia. E’ questo che ci
differenzia da voi» sottolineò
Lucas, sprezzante.
«Poco
importa. Vi ammazzerò entrambi e poi la
raggiungerò al campo, dove vivremo
libere da vincoli e dal puzzo degli umani» sbottò
Alyssia, rimettendosi in
piedi a fatica.
Lucas,
però, le rise in faccia e replicò: «Sei
lupa da quanto? ...una settimana? un
mese?…e già sputi nel piatto in cui hai mangiato
per una vita? I tuoi genitori
ti hanno protetta per tutta la tua esistenza, e tu li ringrazi inveendo
contro ciò
che ti hanno dato?!»
«Se
mi avessero amata come amavano Jeremy, non li avrei odiati
così tanto!» gli
urlò contro Alyssia, perdendo la pazienza.
«Cosa
c’entra tuo fratello, adesso? E’ morto da quasi
vent’anni» borbottò Dev,
accigliandosi.
«Lui
si prendeva tutte le attenzioni, e a me non rimaneva nulla… nulla!» gli sputò
addosso Alyssia,
muovendosi per attaccarlo.
Lucas,
però, glielo impedì, bloccandola con la Voce del
Comando e Alyssia, nonostante
tutto, fu costretta a obbedire, fissandolo comunque con un odio
viscerale
dipinto negli occhi di pece.
«Cosa
stai cercando di dirci, Alyssia? Cosa c’entra Jeremy con
tutto questo?» domandò
Lucas, imprimendo il tono del comando nella sua voce.
Alyssia
imprecò, si dimenò per non rispondere ma, suo
malgrado, dovette dar seguito alle
richieste di Lucas.
Fu
così che ammise con loro l’omicidio del
fratellino, affogato nel Dutch Lake per
mano sua.
Con
una dovizia di particolari davvero agghiacciante – mista alla
follia più pura –
Alyssia spiegò come avesse congeniato quel piano ma come, a
sorpresa, le si
fosse rivoltato contro.
Ansimante
e stremata dal peso della Voce, la giovane ringhiò:
«I miei genitori lo
piansero, e lo piansero, senza mai
rendersi veramente conto che io ero ancora lì. Non pensarono
mai di riversare
le loro attenzioni su di me, perché erano troppo depressi e spezzati, per farlo. Così li
odiai
ancora di più… fu Julia a darmi ciò
che mi mancava e, solo per questo, io le
sarò fedele a vita!»
«Non
riesci a capire che ti ha solo sfruttata?!»
esclamò Dev, furioso. «Ci
ha sfruttati entrambi, e ha
abbandonato sua figlia quando le è tornato comodo!»
«Doveva
prima ritrovare se stessa e, ora che è forte e libera,
potrà prendersi degna
cura di Chelsey» replicò serafica Alyssia.
«Sei
pazza» sentenziò sconvolto Devereux, scuotendo il
capo per lo sgomento.
«Sei
ancora in tempo per cambiare idea, Dev. Rifuggi gli uomini e vieni con
noi. Io
e Julia saremo le tue lupe, e tu potrai crescere Chelsey lontano
dall’odio e
dalla discriminazione» gli propose allora Alyssia con tono
sottomesso.
Dev,
però, la fissò con estremo disgusto e
replicò: «Non mi abbasserei a toccarvi
neppure se foste le ultime due donne rimaste sulla faccia della
Terra.»
Accigliandosi,
Alyssia ringhiò: «Cosa dirai, allora, alla tua
puttana umana, quando sarà
troppo difficile trattenere il lupo che è in te? La muterai
per poterla rendere
schiava di una vita a metà?»
Scoppiando
a ridere con una certa cattiveria, Dev replicò:
«Iris è lupa da più tempo di
te, ed è stata così coraggiosa da mettere a
rischio il suo segreto, e se
stessa, soltanto per aiutare Chelsey. Lei è, e
sarà, l’unica donna – e lupa –
che io mai sfiorerò e amerò, e questo
perché la ammiro e la rispetto, oltre ad
amarla come non ho mai amato Julia.»
«Allora
muori con lei, visto che non sei in grado di essere un vero
lupo» decretò
Alyssia, estraendo dalla tasca dei pantaloni una Beretta Tomcat
nichelata.
Prima
ancora che potesse sparare, però, Lucas la bloccò
con la Voce del Comando e,
furioso come non mai, ringhiò: «Ti sei giocata la
tua ultima carta, con questa
stronzata, Alyssia. Ora assaggerai il mio lato peggiore.»
Bloccata
con ancora il braccio a metà del suo percorso, la giovane lo
fissò tremante e
confusa e, con voce resa roca dall’odio, sibilò:
«Lasciami andare!»
«Non
ci penso proprio. Adesso, mi obbedirai per filo e per segno e, se non
mi
piaceranno le tue risposte, vedrai l’abisso dietro di te, e
poi più nulla» la
minacciò Lucas, vedendola finalmente impallidire.
Dopo
un attimo di teatrale sospensione, Lucas sibilò: «Dimmi dov’è Chelsey!»
Alyssia
uggiolò dolorosamente, crollando su un fianco mentre il suo
corpo veniva
squassato dai tremiti e Dev, rabbrividendo a sua volta,
borbottò: «Cristo,
Lucas, vacci piano con la Voce…»
«DIMMELO!
ORA!» gridò subito dopo Lucas e
Alyssia, con uno strillo carico di dolore, crollò nuovamente
sul sottobosco
ricoperto di aghi di pino. Piangendo, spezzata e vinta,
cominciò a parlare.
«Morirete,
se vi avvicinerete al campo. Non avete speranze… sono
troppi, per voi. Chelsey
diventerà una lupa libera e felice, lontana dalle ipocrisie
dell’uomo» mormorò
ansimante Alyssia, fissando con odio puro il volto contratto di Lucas.
«Dove
la sta portando?» ripeté per la terza volta Lucas.
Alyssia
si strinse le mani al petto, ormai priva di forze, e
gorgogliò: «Al nord.
Vicino al McDougall Lake.»
Lucas,
allora, squadrò preoccupato Dev e borbottò:
«E’ parecchio distante da qui.
Julia ci ha trascinati lontani da lei, sacrificando Alyssia per poter
avvicinarsi ai suoi alleati. Forse, ha pensato di usare Aly fin
dall’inizio,
sapendo che io avrei tentato di impedirle di portare via Chelsey.
Creando
un’esca, mi ha attirato lontano perché non potessi
nuocerle.»
«Lei
mi aspetta» lo rimbeccò irrispettosa Alyssia,
ridendogli in faccia.
«Non
credo proprio. Tu non ti muoverai da qui finché non
deciderò diversamente»
replicò Lucas, gelido quanto lapidario.
«Tu
non puoi ordinarmi…» iniziò col dire
Alyssia prima di venire schiacciata a
terra da una forza terrificante, che la fece urlare di dolore.
«Come puoi?!
Come, dimmelo!»
«E’
il mio dono e il mio peso…» mormorò
Lucas, fissandola con astio in quegli occhi
iniettati di rancore. «…ma questo tu non puoi
saperlo, visto che Julia ti ha
raccontato solo una parte della storia.»
«Muterò
in lupa e mi trascinerò fino a lei…»
«Muta
pure, ma nulla cambierà. Rimarrai qui fino a mio nuovo
ordine, perché tu non
puoi nulla contro di me» dichiarò lapidario Lucas.
Alyssia,
allora, gli rise in faccia e replicò acida: «Julia
è cento volte più coraggiosa
di te! Non si abbasserebbe mai a usare un vantaggio del genere sul
proprio
nemico.»
Scrollando
le spalle, Lucas allora la lasciò andare e, come una furia,
le si avventò
contro, esclamando: «Affronta la ferocia di un lupo,
allora!»
Alyssia
mutò in lupo per respingere l’attacco in forma
umana di Lucas, ma a nulla servì
l’essere diventata una lupa, messa di fronte alla forza
primigenia del
licantropo lanciato contro di lei.
Dev
lo lasciò fare, ben sapendo che Alyssia aveva messo in
dubbio le sue capacità
decisionali, con quella provocazione, e spettava solo a lui mettere in
chiaro
la verità.
Fu
comunque difficile vedere l’amico combattere a mani nude
contro quell’enorme
lupo maculato, pur se cosciente della sua reale forza.
Con
tutta probabilità, se Rock fosse stato presente, avrebbe
dato di matto. Era un
bene che, almeno per il momento, Lucas non lo avesse mutato in lupo.
Alla
vista del suo compagno impegnato nella lotta, non avrebbe saputo
trattenersi, e
avrebbe rischiato il tutto e per tutto per evitargli delle ferite, o
peggio,
finendo però per mettere in pericolo se stesso.
Seguendo
il combattimento con lo sguardo, Devereux non ebbe comunque alcun
dubbio su chi
avrebbe vinto e, pur provando odio nei confronti di Alyssia, non fu
lieto di
saperla già perdente.
Julia
l’aveva manipolata, sfruttando le sue debolezze per una vita
intera. Anche
adesso, l’aveva spinta contro un altro lupo con la quasi
totale certezza che
avrebbe perso.
Nessun
giovane licantropo avrebbe potuto tenere testa a un qualsiasi mannaro
anziano e
Lucas, di fatto, lo era più di tutti loro messi assieme,
poiché che era nato così.
Essere Fenrir, inoltre, gli
conferiva una forza che nessun lupo normale avrebbe mai potuto avere.
Il
gap tra i due contendenti, non a caso, divenne sempre più
evidente finché, nel
lento procedere della lotta, Alyssia non riuscì
più a mantenere la sua forma di
lupo, mutando nuovamente in donna.
Ricoperta
di ferite ed ecchimosi, aveva in gran parte perso la bellezza che
l’aveva sempre
contraddistinta, e la rabbia che ne sfigurava il volto completava
l’opera.
Quella
non era più Alyssia. Era una creatura guidata solo dai suoi
più bassi e laidi istinti.
«Ora,
basta, Alyssia. Hai perso. Non ha più senso
lottare» sentenziò Lucas, il viso
percorso da un’infinita tristezza.
Lei,
però, scosse il capo con violenza e, rimessasi in piedi con
fare caracollante,
gli urlò contro: «Non guardarmi come se fossi mio
padre!»
«Ti
guardo come guarderei qualsiasi creatura persa in una bugia»
replicò Lucas,
allungandole una mano.
Alyssia
indietreggiò di fronte a quell’offerta di pace e,
terrorizzata, scosse la
zazzera di capelli che le ricadeva come una mantello sul volto e le
spalle,
sibilando: «Non mi toglierete la libertà. Non
farò mai più ciò
che non voglio!»
L’attimo
seguente, sorrise vittoriosa e, sorprendendo sia Devereux che Lucas,
annullò la
distanza che la separava dallo strapiombo e si gettò
dabbasso, andando a
schiantarsi sul fondo del burrone, a poca distanza dal Spahats Creek.
«Cristo
Santo…» ansimò sgomento Devereux,
guardando verso il basso prima di sentire
Lucas imprecare.
Guardandolo
a mezzo, mormorò: «Amico, non voleva essere
salvata. Non puoi fartene una
colpa.»
«Avrei
potuto tramortirla» replicò Fenrir.
«E
per cosa? Per vederla fuggire alla prima occasione? Alyssia non ha mai
voluto
la vita che le è stata donata alla nascita, ma una che non
avrebbe mai potuto
avere. Anime così sono destinate soltanto a
soffrire» dichiarò Dev, battendogli
una mano sulla spalla.
Lucas
assentì dopo alcuni istanti e, mentre le prime voci sgomente
si levavano dai
poco distanti punti di osservazione della Spahats Falls, Dev
mormorò: «Andiamo.
Qui non possiamo fare più niente.»
Le urla dei turisti si elevarono per forza e virulenza, e fu con questo coro infernale alle spalle che i due licantropi si allontanarono dal luogo in cui Alyssia aveva esalato il suo ultimo respiro.
N.d.A.:
eccoci di nuovo con Iris e soci! La pacchia è
finita, per così dire, e i nostri amici devono affrontare la
peggiore delle loro paure... il rapimento del membro più
debole del loro piccolo branco!
Alyssia
e Julia hanno giocato subdolamente le loro carte, preferendo non
attaccare direttamente, ma aggirando l'ostacolo per poter avere libero
accesso a Chealsey senza combattere. Julia, però, non ha
esitato ad abbandonare la compagna, una volta riottenuta la figlia e
Alyssia ha dovuto affrontare - impreparata - le ire di un Fenrir e del
suo secondo.
Iris, nel frattempo, si
è messa sulle loro tracce non appena saputa la notizia... li
raggiungerà in tempo per unirsi alla lotta, o Dev e Lucas
risolveranno tutto prima del suo arrivo?
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Capitolo 23 *** Capitolo 22 ***
22.
Attraversata
la Clearwater Valley Road per poi rientrare nel bosco, Dev e Lucas
ripresero la
loro corsa verso nord, disdegnando l’idea di cercare
nuovamente le tracce di
Julia.
Le
ore che li separavano, ormai, erano troppe e, poiché
conoscevano già il luogo
in cui recarsi, non aveva senso perdere ulteriore tempo per ritrovare
la pista.
Quando,
però, nella mente di Dev balenarono degli sprazzi di
conversazione sconnessi e
senza senso, l’uomo si bloccò a metà di
un passo, la mano alla fronte e,
dubbioso, disse: «Lucas, aspetta un attimo.»
“…ev…ove…
se…”
La
comunicazione mentale lo raggiunse stentata, a pezzetti, come
un’onda radio
disturbata, ma la voce che lo sfiorò gli risultò
inconfondibile.
Ritrovando
per un istante il sorriso, Dev esalò:
«E’ Iris! E’ qui, da qualche
parte!»
Lucas
si ringalluzzì non poco, a quella notizia e, forte del suo
maggiore potere e
abitudine nell’uso dei suoi doni, disse mentalmente: “Iris, mi senti?!”
“Lucas!
Finalmente! Dove siete?!”, esclamò Iris,
sollevata.
“Riesci
a
seguire la mia aura mentale?”
“Tenterò.
Voi,
però, non vi muovete!”
Ciò
detto, si scollegò e Lucas, scrutando speranzoso il suo
compagno di viaggio,
dichiarò: «Arriva la cavalleria.»
«L’unica
buona notizia della giornata» borbottò Dev,
piegandosi in avanti per rilassare
i muscoli e poggiare le mani sulle cosce, stanche per la lunga corsa.
Anche
Lucas lo imitò, approfittando di quella pausa temporanea per
recuperare le energie.
Per quanto superiore in forza e tecnica, quello con Alyssia era stato
comunque
il suo primo, vero combattimento, e ora cominciava a sentirne sul corpo
i
contraccolpi.
Era
stata una fortuna che Alyssia non avesse conosciuto abbastanza bene la
sua
natura di licantropo per sfruttare la sua aura durante la lotta, o
avrebbero
potuto abbattere mezza foresta.
Inoltre,
lui non sarebbe uscito di certo illeso da quello scontro, ma avrebbe
potuto
riportare danni tali da rendergli impossibile proseguire nella ricerca
di Julia
e Chelsey.
“Sembri
piuttosto sbattuto, sai?” gli fece notare Iris, durante il
suo avvicinamento.
“Ti
spiegheremo
ogni cosa non appena sarai qui” le promise lui, lasciando che la
sua
aura si elevasse a sufficienza per creare una sorta di faro visibile
per Iris.
Seguendo
l’onda residua della traccia mentale di Lucas, la giovane
riuscì infine a
raggiungere il punto in cui lui e Dev si trovavano. Quando,
però, scorse i
volti scuri di entrambi e gli abiti stazzonati dei due uomini, le
domande si
affastellarono nella sua mente come tanti mattoncini impilati
l’uno sull’altro.
Annusando
curiosa l’aria, percepì sul corpo di entrambi
l’aroma residuo di Alyssia e,
sempre più dubbiosa, borbottò: «Dando
per scontato che non avreste mai fatto
un’orgia con Alyssia… mi spiegate
perché sembrate appena passati nel tritacarne
e avete il suo odore
addosso?»
«Alyssia
ha dato il meglio di sé… in
tutti i sensi»
riassunse in poche parole Dev, lanciando un’occhiata
significativa a Lucas.
Iris,
allora, guardò Lucas in cerca di spiegazioni e, nel notare
il suo sguardo
contrariato, mormorò spiacente: «Hai dovuto
ucciderla? Per questo sembri così
abbattuto?»
Scuotendo
il capo, l’uomo replicò: «Si
è uccisa. Ha rifiutato il nostro aiuto.»
La
giovane sgranò leggermente gli occhi, a quella notizia e,
sfiorando con la mano
un braccio di Lucas, sussurrò: «Non è
colpa tua. Ha avuto tutte le possibilità
del mondo, per cambiare.»
Lanciata
poi un’occhiata a Devereux, domandò ansiosa:
«Avete scoperto qualcosa, prima
che decidesse di farla finita?»
«Alyssia
è stata costretta a parlare, quando Lucas ha usato la Voce,
e ora sappiamo dove
si trovano i compagni di Julia, e dove lei e Chelsey sono
dirette» assentì Dev,
determinato e pronto a ripartire per la ricerca.
Annuendo
determinata, Iris allora disse: «Bene. Procediamo
pure.»
«Da
quel che Alyssia ci ha detto, sono almeno cinquanta lupi adulti, e
quasi
altrettanti cuccioli. Te la senti?» le spiegò
Lucas, scrutandola apprensivo.
Iris,
però, sorrise ironica e replicò:
«Credimi, quel che hai visto al Vigrond è
nulla. Cinquanta o cinquecento, per me non fa differenza. Ne ho parlato
un po’
con Gunnar mentre vi stavo cercando, e quel che ho capito mi ha
rassicurato
parecchio.»
Lucas
annuì, un poco rinfrancato e, dopo aver guardato i suoi due
compagni di
viaggio, si mosse per riprendere il cammino verso nord e verso il campo
di lupi
di cui faceva parte Julia.
***
Fermi
nei pressi di un ruscello per recuperare le forze e mangiare qualcosa,
Iris
raccolse mentalmente le idee su ciò che i due uomini le
avevano detto riguardo
alle dichiarazioni sconcertanti ottenute da Alyssia.
Era
stata dunque lei a uccidere il fratellino, non era stato un tragico
incidente
guidato da un Fato avverso.
Lei era stata la
mano del Fato. E tutto per avere le attenzioni esclusive dei genitori
che
invece, di fronte a quell’infausta disgrazia, si erano
disgregati come neve al
sole, lasciandola ancor più sola di prima.
Ciò
che lei aveva freddamente messo in atto per avere il loro amore, le si
era
ritorto contro nel modo più beffardo possibile.
Una
preda perfetta, quindi, pronta per essere fagocitata da Julia e dal suo
desiderio egoistico di avere tutti ai suoi piedi.
Anche
Dev ne era rimasto vittima, al pari di Alyssia. Era stato stregato dal
suo carismatico
magnetismo, dal suo essere così selvaggia e passionale, ma
aveva saputo
riprendersi dallo shock della perdita quando lei si era smascherata,
mostrando
il suo vero Io.
Alyssia
non era stata in grado di farlo, si era ancorata al passato, e a quel
passato
Julia si era aggrappata per sfruttarla a suo piacimento, ben sapendo
che a
Clearwater avrebbe trovato Lucas, a darle noia.
Devereux
era stata una sorpresa per Alyssia, ovviamente, e il fatto che Julia
ancora non
sapesse, era per loro un vantaggio.
Restava
comunque il fatto che un intero gruppo di licantropi –
capitanato probabilmente
da un folle al pari di Julia – li attendeva al varco, pronto
a dar battaglia
per sostenere ideologie ai limiti del paradossale.
Che
detenessero dei bambini, però, era la cosa che
più preoccupava Iris, in quel
momento. Trovava quel particolare sconcertante, e la sua anima di landvættir premeva per poter
combattere
in loro difesa.
“Ti
capisco
bene, Gunnar, ma pazienta ancora un po’. E’ un
tantino troppo presto per
esplodere.”
Oh, lo
so bene,
e credimi… la penso come te. Le persone che toccano i
bambini andrebbero punite
severamente, perciò mi troverai d’accordo
qualsiasi decisione prenderai, e
qualsiasi grado di potere vorrai sviluppare.
“Mi
fa piacere
saperlo, e non stavo scherzando, prima. Parlarne con te è
importante, perché tu
sei stato un guerriero, e comprendi meglio di me situazioni
così instabili e
pericolose.”
Il tuo
potere ti
permette di colpire selettivamente solo il nemico, risparmiando coloro
che non
rientrano in tale categoria… Natura compresa. Fai
però attenzione a non
esaurirti troppo, o le conseguenze saranno pesanti. Gli shock psichici
non sono
mai leggeri.
“Vedrò
di
contenermi, per quanto possibile. Tu dammi un fischio. Io spero di
sentirti.”
Sarà
fatto, le
promise
Gunnar.
Iris
sospirò nel rialzarsi dalla posizione accucciata che aveva
preso per
abbeverarsi e, nel sedersi al fianco di Dev – impegnato a
sbocconcellare una
barretta energetica – mormorò: «Come ti
senti?»
Lui
si limitò a sospirare e, reclinando il viso,
poggiò il capo contro la sua
spalla, cercando così un contatto che, fino a quel momento,
aveva evitato.
«Non
ti ho ancora detto che sono contento di rivederti. Scusa.»
«Hai
molte attenuanti a tua discolpa, credimi» replicò
lei, baciandogli i folti
capelli corvini.
Non
aveva davvero idea di come Dev potesse sentirsi, al pensiero di non
aver potuto
proteggere sua figlia dalle mire di Julia ma, se il malessere che
provava ne era
solo la decima parte, non poteva che sentirsi spiacente per lui.
Aveva
accettato in silenzio la sua decisione di evitare abbracci o altri
gesti di
affetto, comprendendo più che bene quanto fosse importante,
in quel momento,
raggiungere Julia e Chelsey. Trovarlo così prostrato,
quindi, la preoccupò un
poco, ben sapendo quanto Dev fosse poco incline a mostrare le proprie
debolezze.
Con
una carezza, gli sfiorò il viso ed espanse l’aura
per abbracciarlo nel suo
calore e Dev, con un sospiro, vi si accoccolò per alcuni
istanti, trasmettendole
il suo muto ringraziamento.
Lucas
sorrise a entrambi e, nel risistemare il proprio zaino dopo aver
mangiato,
asserì: «Cominciava a mordere il freno,
all’idea del tuo ritorno.»
Dev
lo fissò malissimo e, arrossendo suo malgrado, si
risollevò dalla spalla di
Iris e replicò serafico: «Penso che
farò diventare vedovo Rock, dopo questa
uscita.»
Sia
Lucas che Iris risero e quest’ultima, nello stringergli una
mano, disse:
«Anch’io non vedevo l’ora di
rivederti.»
«Sì,
sì, va bene… ma adesso smettiamola di fare i
mielosi e ripartiamo, altrimenti
mi verrà il diabete, ad ascoltare voi»
borbottò Dev, levandosi in piedi per poi
attirarsi al fianco Iris con una mossa repentina.
Lei
lo lasciò fare, addossandosi al suo corpo tonico con piacere
e, sorridendogli,
mormorò maliziosa: «Sei molto
contento di vedermi.»
«Spiritosa»
mugugnò lui, dandole un bacio di fuoco e sollevandola da
terra al tempo stesso.
Lucas
rise nuovamente, di fronte a quell’evidente dichiarazione di
possesso e, quando
Dev lasciò finalmente andare una stordita Iris,
chiosò: «Questo sì che è un
benvenuto! Mi chiedevo quanto altro tempo avresti aspettato per
baciarla come
si deve.»
«Fatti
gli affari tuoi, se non vuoi che ti stenda con un pugno»
ghignò Dev, squadrando
beffardo l’amico mentre Iris si faceva aria con le mani,
paonazza in viso.
«Che
razza di Sköll irrispettoso, mi ritrovo»
celiò Lucas, dandogli una pacca sulla
spalla prima di indossare il suo zaino e aggiungere, più
seriamente:
«Ripartiamo. La pausa è finita.»
I
due assentirono e, silenziosi come ombre nella notte, ripresero il loro
cammino
verso nord, preparandosi mentalmente all’inevitabile scontro,
che li avrebbe
visti contrapposti ai loro simili.
Era
difficile da accettare, soprattutto in considerazione del fatto che, a
dividerli, era solo la visione che avevano del mondo, e non un odio
personale e
profondo.
Lucas
non avrebbe mai voluto arrivare a muovere guerra contro di loro ma,
avendo Julia
rapito Chelsey, gli avevano reso inevitabile reagire a quel modo. E
sapeva bene
che anche per Dev e Iris era lo stesso.
Avrebbero
lottato, ma non certo per il piacere di farlo.
***
Lucas
fu il primo a bloccare i propri passi, ponendo così le basi
per l’arresto
simultaneo dei suoi compagni.
Silenzioso,
si sfiorò il naso con l’indice, stese il braccio
per indicare a ovest e, dopo
essersi accucciato accanto a un alto abete sitka, disse mentalmente a
Dev: “A ore dieci…
l’odore viene da là. Vai a
controllare, ma non intervenire. Dobbiamo primariamente pensare a un
piano.
L’aria è così satura di odore di
licantropi che non si accorgeranno di te, ma
tu presta attenzione comunque.”
“Potrei
andare
io…” buttò
lì Iris, ricevendo per diretta conseguenza
un’occhiataccia da parte di Devereux
e una più divertita da Lucas, che scosse il capo.
“E’
giusto che
sia lui a capire dove sia Chelsey. E’ sua figlia, ed
è giustamente in pena per
lei, perciò immagino stia mordendo il freno per riaverla.
Inoltre, sei la
nostra arma primaria e non voglio scoprire troppo presto le mie carte,
impiegandoti durante un eventuale scontro con le sentinelle” sottolineò
Lucas.
“Se
scopro che
lo fai perché sono una donna, ti strappo le palle. Fenrir o
non Fenrir,
sappilo”
lo minacciò per contro la giovane.
Lucas
si limitò a scrollare le spalle, incolpevole, mentre
Devereux si toglieva il
suo zaino per sistemarlo tra i rami più alti
dell’abete, al riparo da animali
curiosi e lupi.
Ciò
fatto, mutò in lupo e discese verso valle, protetto dal
vento favorevole che
spirava verso di loro e che allontava dal campo il loro aroma selvatico.
Iris
ne seguì la figura dal manto rossiccio e, al tempo stesso,
dedicò anche la sua
attenzione al McDougall Lake, dove si trovava l’accampamento
di licantropi in
fuga.
Sviluppato
in lunghezza per diverse miglia, il lago era intravedibile a malapena,
attraverso
la fitta boscaglia in cui erano nascosti, ma sia Iris che Lucas
potevano
avvertirne il lieve odore limaccioso.
Eliminata
con certezza la minaccia di potenziali sentinelle nel bosco –
non ne avevano
trovata traccia, in quel tratto di avvicinamento al campo –
il trio si era
potuto assestare in un punto favorevole da cui osservare
l’intero campo.
Questo,
però, era più o meno l’unico vantaggio
in loro possesso, a parte i micidiali –
quanto imprevedibili – poteri di Iris, di cui nessuno
conosceva la portata vera
e propria.
Quel
pensiero era rimasto ben sedimentato nella mente di Lucas per tutta la
durata
del loro viaggio e, quando finalmente furono soli e non più
alla portata
d’orecchio di Dev, l’amico le domandò:
«Hai saputo qualcosa di più sulla potenza
del tuo dono?»
La
giovane scosse il capo, spiacente, limitandosi a dire: «Posso
solo dirti che,
quando ho sviluppato per la prima volta quell’onda
energetica, sapevo di non
essere al mio limite. Avevo ancora molta forza, dentro di me, ma sapevo
di non
dovervi fare del male… solo, di tenervi a distanza. Gunnar
mi ha però avvisata
di non esagerare, o potrei avere dei contraccolpi psichici piuttosto
forti.»
Con
una scrollata di spalle, Iris si scusò per non avere altre
risposte da dargli e
Lucas, scuotendo una mano con fare noncurante, replicò:
«Non è colpa tua se non
ne sappiamo niente. Persone più esperte di noi sono rimaste
ugualmente
sorprese, se ben ricordi.»
Iris
assentì, ma disse: «Il punto è un
altro. Non so esattamente come attivarlo. La
prima volta che si è sviluppato, è stato a causa
della paura provata nel vedere
Dev in pericolo ma, onestamente, non me la sento di spingerlo tra le
braccia
del nemico solo perché funga da pulsante di
accensione.»
Lucas
annuì grave, facendosi pensieroso.
«Così
su due piedi, posso solo pensare che molto di ciò che hai
fatto, è stato spinto
innanzitutto dall’adrenalina. L’ansia per Dev
l’ha fatta schizzare alle stelle
e, se tanto mi dà tanto, ciò che troveremo
laggiù ti aiuterà senza problemi a
farla debordare.»
Iris
ghignò a quelle parole e, rivolgendosi a Lucas,
dichiarò: «Speriamo sia così.
In ogni caso, ho pronto il pulsante off.
Spero soltanto di riuscire a sentire quando Gunnar lo
azionerà.»
«Preghiamo
che urli forte. Allora aspettiamo che…»
iniziò col dire Lucas, prima di udire a
sorpresa l’ululato furioso di Devereux.
Questo
si fece largo nella vallata, simile al rimbombo di mille tamburi e, nel
piccolo
raggruppamento di licantropi, si scatenò il caos.
Lucas
non perse tempo a chiedersi il perché di
quell’errore grossolano e cominciò a
correre verso il fondo della valle, subito seguito da Iris.
«Ma
che diavolo gli è saltato in mente? Non si era detto di fare
le cose con
discrezione?!»
«Tremo
al pensiero di quello che possa aver visto, per portarlo a smascherarsi
con così
tanta platealità!» replicò Iris,
allungando il passo per precedere Lucas.
Oltre
a essere in pensiero per Dev, Iris doveva pensare innanzitutto alla
sicurezza
del suo Fenrir. Dato che si era presa l’incarico di essere
l’Hati del branco
fino a nuovo ordine, doveva fare le cose per bene ed evitare che Lucas
venisse
ferito.
Inoltre,
l’adrenalina nel suo sangue stava aumentando a dismisura,
facendole brillare la
mani come due fari d’auto. L’energia si stava
accumulando e, ben presto,
avrebbe dovuto rilasciarla in qualche modo, ed era preferibile che
Lucas non si
trovasse nel messo di questa esplosione energetica.
Non
avrebbe di sicuro avuto problemi a fare il centravanti da sfondamento
per
proteggere Lucas, visti i poteri che si ritrovava, ma doveva anche
stare
attenta a non far male a nessuno che non fosse direttamente coinvolto
nella
loro missione.
“Dev,
mi
senti!?”
gridò nel frattempo Iris, cercando con l’olfatto
il suo compagno.
“Quei
bastardi
li stanno marchiando come bestie!” urlò nella sua testa
Devereux, prima di
scollegarsi da lei con un secco strappo.
Iris
lanciò un’occhiata furente quanto disperata a
Lucas, che aveva ascoltato ogni
parola e, furibondo non meno di lei, le urlò:
«Annientali tutti, Iris! ORA!»
La
giovane non seppe dire se la Voce del Comando scaturì dalle
labbra di Lucas a
causa della furia, o per darle un maggiore sprone. A ogni buon conto,
Iris non
solo accettò volentieri l’ordine, ma lo
utilizzò per incanalare la sua energia
nei gangli di potere imprigionati dalla Voce del suo Fenrir.
Bloccandosi
su uno spuntone di roccia per aver una visuale migliore del campo nei
pressi
del lago, Iris si piegò su un ginocchio, raccolse
all’indietro le braccia e,
come un dannatissimo supereroe, scagliò contro i nemici la
sua onda di energia.
Nella
realtà dei fatti, ciò che avrebbe potuto vedere
un comune umano sarebbe stata
una strana nuvola di nebbia mossa da un vento impetuoso ma, per i
licantropi
presenti nella valle, fu qualcosa di molto peggio… e di
molto più terrificante.
Scostandosi
dalla linea di tiro non appena Dev vide giungere l’onda di
energia, simile a un
denso miasma rossastro per i suoi occhi di lupo, il licantropo si
ritrovò a
osservare per la prima volta il reale potere di Iris.
Ciò
che, all’interno del Vigrond, lui aveva percepito solo in
minima parte e con
colori decisamente più tenui e rassicuranti, ora era dinanzi
a lui, spaventoso al
pari di un tornado di fuoco o a una tempesta marina d’immane
grandezza.
Le
onde di potere purpuree si abbatterono sui licantropi presenti nel
campo,
scaraventandoli a terra come se qualcuno li avesse trascinati a forza
per la
collottola.
Come
desiderato da Lucas e previsto da Iris, non tutti vennero colpiti da
quell’onda
di energia primigenia. Al pari di un lupo in caccia, il potere di Iris
cercò i
colpevoli, li scovò e li colpì con forza,
tramortendoli e gettandoli a terra
perché consentissero agli innocenti di fuggire.
I
membri più giovani di quell’anomalo branco non
esitarono a darsi alla macchia,
dopo aver visto i loro aguzzini spazzati via da quell’onda
anomala di energia.
Le
urla di richiamo degli adulti furono inutili, strangolate e rese
inudibili
dalla potenza del dono di Iris.
Solo
pochissimi ragazzi rimasero rigidi nelle loro posizioni e, per questo,
vennero
trascinati via al pari degli altri, dimostrando una volta di
più come l’onda fosse in
grado di scegliere chi fosse il
nemico, e chi dovesse risparmiare.
Deciso
a comprovare quella ipotesi, Dev sfiorò il bordo ondulato e
rilucente dell’onda
e, a sorpresa, non ne venne affatto travolto.
Percepì
invece Iris, la sua forza, il suo desiderio di proteggere Chelsey e gli
innocenti del campo e, non da ultimo, la speranza di potersi vendicare
su
Julia.
Rinfrancato
dalla possibilità di potersi muovere agevolmente in mezzo a
quell’energia
sfrigolante senza subirne le conseguenze, Dev si mise quindi alla
ricerca di
Chelsey, mentre Lucas si lanciava nel mezzo del campo per trovare Julia.
Quando
fu del tutto certa che l’onda avesse svolto il suo compito,
Iris sciolse i nodi
di potere uno a uno e, con un lungo sospiro, mormorò
mentalmente: “Tutto bene,
lì dentro? Io mi sento okay.”
Procedi
pure… il
cervello non ha subito alcun danno, il che mi fa pensare che, a conti
fatti, tu
non
abbia limiti oggettivi, commentò
sorpreso e ammirato Gunnar.
Preferendo
non pensare agli inevitabili significati di quella frase, la giovane
scese fino
al limitare del bosco e, con passo cauto, si avventurò lungo
quella che considerò
essere la strada principale del campo di licantropi.
Preferiva
non pensare al fatto che, se il suo potere non aveva limiti fisici, lei
avrebbe
potuto fare più o meno ciò che voleva, con esso.
Questo le avrebbe messo tra le
mani capacità infinite, ma che non aveva nessuna intenzione
di avere… o di
sfruttare.
Storcendo
il naso, lasciò quindi quei pensieri per un secondo momento
e, attenta,
controllò con attenzione ciò che la circondava.
Non
v’erano costruzioni in muratura o tensostrutture di un
qualche genere. Qualcuno
aveva improvvisato la costruzione di un teepee indiano, scoprendo solo
in
seguito quanto, in realtà, fosse complicato innalzarlo, per
mani inesperte.
Perché
avessero deciso di vivere a quel modo, rifiutando la
civiltà, rimaneva per lei
un mistero, ma non perse tempo a rimuginarci troppo.
In
quel momento, aveva altro a cui pensare.
Era
consapevole dei giovani presenti oltre il limitare del campo ma,
sapendo che
Dev era con loro – la sua aura era così forte, in
quel momento, da essere
visibile a vista – Iris non si preoccupò di
raggiungerli. Erano al sicuro,
lontani da coloro che li avevano strappati alle loro famiglie, e
protetti da un
lupo capace di tutto, per loro.
Avrebbero
pensato più tardi al modo migliore per riavvicinarli alle
famiglia da cui erano
stati forzatamente allontanati. Quel che contava, era chiudere la
partita con
coloro che avevano dato inizio a quella follia.
Passando
oltre coloro che, ancora intontiti dal suo potere, erano stesi a terra
in
posizione fetale, deprivati della loro forza, Iris finalmente
intercettò la
traccia mentale di Lucas, e la seguì.
Non
impiegò molto per trovarlo. Immerso in una bolla di puro
potere, e impegnato in
una battaglia all’ultimo sangue con un altro lupo alfa, era
circondato da uno
sparuto gruppetto di licantropi, impegnati con le loro forze residue a
sorreggere la cupola protettiva che permetteva loro di compattere.
Scrutando
meglio l’avversario di Lucas, Iris non si stupì
più di tanto nel trovare un
altro Fenrir. Un simile assembramento di persone aveva potuto essere
messo in
piedi – e contenuto – solo grazie ai poteri di un
simile Gerarca. Diversamente,
Iris dubitava fortemente che persone non abituate a vivere in un clan,
avrebbero accettato di abbandonare ogni cosa per vivere lontani dal
mondo.
Nel
vederla sopraggiungere – e riconoscendo immediatamente la sua
traccia mentale –
molti licantropi si fecero da parte, intimiditi dal suo potere e, per
un
istante, la barriera vacillò.
Incutere
un po’ di timore non poteva che far bene, in quel particolare
frangente, ma
Iris sperò che il suo arrivo non facesse esplodere la
barriera contenitiva. Sprigionare
il potere latente di due simili auree, avrebbe potuto voler dire fare
del male
anche ai bambini lontano dal campo, non solo a loro che si trovavano
nelle sue
immediate vicinanze.
Avvicinatasi
quindi a uno dei licantropi che aveva eretto la barriera di
contenimento delle
auree, Iris domandò: «Perché stanno
combattendo? La lezione di prima non vi è
bastata?»
Il
licantropo a cui aveva rivolto la parola, ancora piuttosto sofferente
ma ben
saldo sulle gambe, la fissò preoccupato ma non
mollò la presa sulla barriera.
Iris,
allora, lo squadrò in viso, sondò la sua aura e,
sospirando, mormorò: «Ti è
stato imposto di non muoverti, vero?»
Lui
riuscì a malapena ad assentire, il corpo ora percorso da
brividi di paura e gli
occhi inondati di lacrime. L’istinto stava suggerendogli di
scappare da lei, ma
la Voce del Comando lo bloccava inesorabilmente al suo compito.
La
giovane scosse il capo, disgustata da quell’uso
indiscriminato del potere, e si
limitò a dire: «Non ti farò alcun male,
non temere. Se avessi voluto farlo, non
ci sarei andata così leggera, prima.»
Quelle
parole fecero impallidire i pochi licantropi presenti e, ancora, Iris
si chiese
se sarebbe stata capace, in futuro, di avere la forza necessaria per
gestire un
simile dono.
Se
già quello che aveva fatto era bastato per incutere un
simile timore
reverenziale, cosa avrebbe potuto succedere se si fosse infuriata davvero?
Non
pensarci
ora. Ne parlerai con Brianna, che è l’unica che
può capirti. Ora bada soltanto
al momento,
le ricordò Gunnar, riportandola sul binario.
«Puoi
dirmi i motivi del duello? Questo ti è concesso?»
domandò allora Iris.
«Il
tuo lupo alfa ha proposto un duello, così da decidere che
fine faranno i
bambini, insieme a coloro che vorranno andarsene da qui. Il nostro capo
ha
accettato» mormorò il licantropo, sbattendo
furiosamente le palpebre per la
paura.
Iris
sospirò ancora, si allontanò di un passo
– causando il relativo spostamento di
tutti i presenti – e, nel volgersi a mezzo quando
percepì l’aura di Dev in avvicinamento,
mormorò tra sé e sé: “Dovrò
dire a Rock
che il suo ragazzo è come Nelson Mandela.”
Devereux
impiegò meno di un minuto per raggiungere quel piccolo
assembramento di
licantropi ancora attivi e, dopo aver osservato il combattimento per
alcuni
istanti, domandò: «Che gli è
preso?»
«Combatte
per la libertà dei bambini e degli adulti che vorranno
andarsene» gli spiegò
succintamente Iris.
«Mai
una volta che Lucas non decida di fare la parte del grande
eroe» chiosò Dev,
poggiando le mani sui fianchi.
L’attimo
dopo, però, si accigliò e Iris, seguendone lo
sguardo adombrato, scrutò la
donna sul lato opposto del campo di battaglia e, colta da un dubbio,
domandò:
«Julia?»
«Sì,
è lei.»
Iris
fissò la bellezza bruna con occhio clinico, cercando di non
pensare a lei tra
le braccia di Dev, o mentre partoriva Chelsey, ma fu una cosa davvero
complicata da fare.
La
gelosia inevitabile che provava nel pensare a lei era ancora
lì, non morta del
tutto, nonostante sapesse che Dev la amava e che Chelsey non aveva
nulla a che
spartire con la madre.
“Te
l’ho già
detto. Non provo più niente, per lei. A parte una gran
voglia di prenderla a
schiaffi per quello che ha fatto a Chelsey, ma quello varrebbe per
chiunque
l’avesse rapita, non tanto perché è lei
in particolare” le rammentò
Dev, lanciandole uno sguardo di sbieco.
“D’accodo,
non
conta nulla. Ma io posso odiarla almeno un po’?”
“Fai
pure. Chi
ti ferma?”
ironizzò Dev, lasciandosi andare a un sogghigno divertito.
“I
ragazzi sono
rimasti fuori dal campo?” si informò allora lei,
accigliandosi quando vide
Lucas cadere malamente sul terreno per poi rialzarsi con grande
agilità.
Era
bravo, ma anche il suo avversario ci sapeva fare. Uno scontro tra
Fenrir era
cosa rara a cui assistere, per quanto le era dato sapere,
perciò vederli
combattere era di per sé un evento.
Il
fatto che, di mezzo, vi fossero motivazioni più che serie
non faceva che
rendere quegli attimi molto speciali e, non fosse stato per
l’ansia che
provava, anche affascinanti.
Avrebbe
di gran lunga preferito non veder combattere Lucas, che era un
pacifista
convinto, ma Iris sapeva bene che quello scontro apparteneva a lui, e
lui solo.
Lei
poteva difenderlo fin quanto Lucas non decideva di intervenire, e
questo era
uno di quei momenti.
“Ho
detto ai
ragazzi di tenersi lontani finché non dirò a
Chelsey di avvicinarsi” le risposte
Dev, continuando a fissare malamente Julia finché ella non
si accorse di lui.
I
suoi occhi scuri si sgranarono leggermente, alla sua vista e un lento,
derisorio sorriso spuntò su quel viso selvaggio e pieno di
grazia ferina.
Iris,
per bella posta, si lasciò andare a un gesto di possesso
tutto femminile e,
delicatamente, sfiorò la schiena di Dev con una carezza.
Carezza che venne
intercettata dallo sguardo di Julia, la quale le disse mentalmente: “Oh… quindi sei tu la donna di
cui ha
blaterato tanto Chelsey. Non avevo idea che a Dev potessero piacere le
bamboline bionde americane.”
“Sai
una cosa?
Potrei farti rimangiare parola per parola ciò che hai detto,
grazie ai miei
poteri, ma mi atterrò alle decisioni del mio capoclan e non
ti massacrerò adesso”
sibilò Iris nella mente
dell’avversaria. “Il
potere che hai
avvertito prima non è dilagante, ma selettivo,
perciò non farmi incazzare prima
del tempo, o vedrò di farti ingoiare parola per parola
quello che hai detto.”
Julia
si accigliò immediatamente, al suo dire e, rivoltasi a un
compagno al suo
fianco, lasciò a lui il compito di reggere la barriera
contenitiva,
distaccandosene un attimo dopo. In barba alla tregua chiesta e ottenuta
da
Lucas, poi, si lanciò contro Iris a denti snudati con il
chiaro intento di
rispondere con i fatti alle minacce dell’avversaria.
Vi
furono delle grida di sorpresa unite a cori di protesta, ma Iris non vi
badò,
così come non badò allo sguardo ansioso di
Devereux. I suoi occhi erano solo
per Julia e, quando Dev fece l’atto di aiutarla, lei gli
urlò: “Non muoverti!
Loro hanno rotto il patto,
non noi! Inoltre, era da un po’ che volevo menare le mani e
farle la festa!”
“Stai
attenta,
però!”
“E
quando mai
non lo sono!?”
protestò Iris, scalciando Julia lontano da sé.
“Potrei
citarti
un sacco di esempi in cui non sei stata attenta a…”
“Devereux!
DOPO!” gli
urlò nella testa Iris, troppo impegnata a confrontarsi con
la sua nemica.
L’attimo
seguente, Iris si tramutò in lupo, mandando
all’aria i suoi abiti e
scaraventando lontano il suo povero zaino, mentre Julia si abbatteva su
di lei
come una furia.
Lo
scontro tra le loro due auree produsse un contraccolpo energetico che
mandò
all’aria le tende più vicine, costringendo suo
malgrado Dev a intervenire in
tutta fretta per elevare una barriera protettiva che contenesse le due
lupe.
“Ho
notato che
non ti sei neanche presa la briga di chiedere della tua grande amica.
Non vuoi
sapere se è viva o morta?!” le urlò contro Iris,
balzando contro di lei per
azzannarle una zampa.
Schivando
il suo morso con abilità, Julia replicò
sardonica: “Sei così
ingenua da credere che mi importi? Alyssia è stata il mezzo
che mi è servito per giungere qui e sottomettere Chelsey
alla legge del nostro
clan. Fin dall’inizio, doveva servirmi nel caso in cui Lucas
ci avesse
attaccate prima di arrivare qui. Di certo, non immaginavo che sia tu,
che il
caro Dev, foste come noi! In ogni caso, ormai è tardi per
tutto, perché Chelsey
è mia, ora!”
“Che
intendi
dire, con sottomettere
Chelsey alla legge del clan?!”
sbottò
Iris, già presagendo la risposta.
Scoppiando
a ridere, Julia esclamò: “E’
stata
marchiata come gli altri così, per tutta la sua esistenza,
lei sarà MIA e di
questo luogo. Combattete finché volete.
Io ho vinto, perché lei non crescerà mai nel
mondo degli umani! Ora che ha il
marchio su di sé, non si potrà più
allontanare!”
Strabuzzando
gli occhi di fronte all’assurdità delle sue
parole, Iris le ringhiò contro: “E’
questo ciò che ti ha raccontato il tuo
capo? Che sarebbe bastato uno stupido marchio per obbligarli a rimanere
con
voi?!”
“Tu
non puoi
conoscere il suo grande potere!” le sibilò contro Julia.
“Certo
che lo
conosco, razza di idiota, e lui l’ha usato su di voi per
farvi credere ciò che
voleva!” sbottò
Iris, mandando al diavolo tutto e scatenandole contro il suo potere.
Julia
non poté resisterle e, travolta da quell’onda
primigenia dalla potenza immane,
ruzzolò per diverse decine di metri prima di riuscire ad
arrestare il suo
corpo.
Furente
come poche altre volte era stata, Iris avanzò simile a uno
spirito vendicativo
e, livida in viso, colpì nuovamente, schiacciando Julia al
terreno come se
volesse inglobarla in esso.
Fu
in quel mentre che un coro di sgomento si levò tra i lupi e,
suo malgrado,
anche Iris si volse a mezzo per coglierne i motivi.
Lucas
stava stringendo le zanne sul collo del Fenrir suo nemico, minacciando
di
spezzarglielo se i patti non fossero stati rispettati.
A
quel punto, vistosi costretto ad accettare la resa per avere salva la
vita, il
lupo niveo steso a terra distrusse le imposizioni mentali sui suoi
sottoposti
che, confusi e irritati, si guardarono intorno in cerca di spiegazioni.
Fu
straziante, per Iris, vedere così tante persone muoversi
come in trance, del
tutto incapaci di comprendere i motivi della loro presenza in quel
luogo,
deprivati com’erano stati della loro volontà. Era
probabile che quella
condizione di sudditanza forzata si fosse protratta per mesi, o
addirittura
anni interi, e la giovane non sapeva che danni potesse aver prodotto
tutto
questo sul loro cervello.
Tutto
ciò, però, non avvenne con Julia che, seppur in
linea teorica liberata dalla
Voce del Comando, fu con piena lucidità si
rivoltò contro Iris per ucciderla, sprezzante
come se nulla fosse successo.
Schivato
di un nonnulla il suo morso, Iris la azzannò alla coda e,
forte della sua
frustrazione così come della sua rabbia, la
scaraventò nuovamente a terra per
poi gettarsi su di lei e azzannarla al collo.
“Cedi,
maledetta… CEDI!”
“Perché
vi siete
voluti intromettere!? Perché?! Avevo finalmente ottenuto
ciò che volevo!” le urlò contro
Julia, mostrando i primi segni di cedimento.
Lanciando
occhiate furtive agli altri lupi, impauriti loro malgrado da quella
situazione
inverosimile e incapaci di comprendere i motivi della loro presenza nel
bosco, Iris
replicò: “Non mi sembra
che i tuoi
compagni la pensino come te… sono stati ingannati e basta,
turlupinati da colui
che avrebbe dovuto guidarli con saggezza.”
“Guidarli?
I
lupi vanno solo comandati! Il potere è l’unica
legge che conta!” le urlò contro
Julia, artigliandola con una zampa e ferendola così al
garrese.
Uggiolando,
Iris si scostò quel tanto che bastò a Julia per
rialzarsi e attaccarla, ma la
giovane fu più veloce e, lasciandosi guidare
dall’istinto, l’afferrò alla gola
e strappò.
Il
sangue le cadde addosso in un fiotto, mentre la vita che fino a un
attimo prima
aveva galoppato nel cuore di Julia, scivolava via veloce, spegnendosi
del
tutto.
Null’altro
si mosse, attorno a loro.
Anche
la foresta era silente e immobile.
Iris
osservò muta il corpo inerme della sua avversaria mentre
Lucas, zoppicante ma
vittorioso, la raggiungeva al pari di Dev.
I
tre guardarono ciò che rimaneva di Julia e Dev, sfiorando la
gorgiera
dell’amata, mormorò: «Le hai dato tutte
le possibilità di questo mondo, per
ritirarsi dal duello. Era chiaro che, morto il suo sogno, neppure lei
aveva un
gran desiderio di vivere.»
Lei
assentì, non sapendo se sentirsi o meno turbata
all’idea di non provare rimorso
per ciò che aveva appena fatto.
Fu
Gunnar ad aiutarla a comprendere.
In
battaglia non
puoi permetterti di provare pietà per il tuo nemico, o sarai
sopraffatto.
Potrai pregare per la loro memoria, se li riterrai degni, ma dovrai
avere
sempre mano salda, per vincere.
“Il
punto è
questo, Gunnar. Io non ritengo che Julia meriti di essere ricordata, ma
mi
sento male per i suoi genitori che, invece, sono delle brave
persone.”
Allora
rammenta
questo, quando avrai dei dubbi sul tuo operato, Iris. Che i suoi
genitori
capiranno, perché sanno chi era la loro figlia.
“Gunnar
ha
ragione, Iris” intervenne
Lucas, dandole un colpetto con la spalla. “Non
si sono mai fatti delle false speranze, su di lei. Inoltre, non
è necessario
che sappiano tutto.”
“Non
potrei mai
guardarli in faccia, se non raccontassi loro la
verità” replicò affranta
Iris.
“Allora,
gliela
racconteremo insieme”
decretò Dev, affondando la mano nella sua gorgiera per
sfiorarle i muscoli del
collo.
Iris
si lasciò andare a quel tocco familiare e protettivo e,
tornando a osservare il
corpo senza vita di Julia, pregò di non dover mai
più essere costretta a
uccidere qualcuno per poter avere salva la vita.
N.d.A.:
lo scontro è avvenuto, ma non senza danno, e ora un intero
branco si trova
sperduto e senza guida, nel bel mezzo del Canada, senza sapere
perché si trovi
in quel luogo sperduto.
La
Voce del Comando della loro guida li ha condotti lì assieme
a una consapevole
Julia, ma ora non rimane nulla supportarli.
Penserà
Lucas a essere la loro guida, o ognuno di loro deciderà di
tornare alle loro
precedenti vite?
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Capitolo 24 *** Capitolo 23 ***
23.
La
sottomissione prolungata alla Voce del Comando era ormai svanita e,
mentre
alcuni licantropi piangevano di fronte ai loro figli marchiati come
bestie,
altri inveivano contro colui che li aveva ingannati per così
tanto tempo.
Solo
una sparuta minoranza sembrava non essere ancora in grado di
riconnettere
realtà e finzione e Iris temeva che, per loro, non vi
sarebbero state molte
possibilità di sfuggire a quel sogno – o incubo
– a occhi aperti in cui erano
caduti forzatamente.
Non
sapeva davvero come avrebbero potuto riprendersi, e dubitava anche che,
facendo
intervenire i loro amici inglesi, qualcosa avrebbe potuto essere
salvato.
Valeva comunque la pena tentare e, quanto prima, si sarebbe presa
l’onere di
avvertire Brianna di quanto avvenuto.
Continuando
a guardarsi intorno, Iris non si stupì troppo nel vedere
l’odio e la rabbia
dipinti sui volti di coloro che, a turno, si ritrovavano a passare
accanto a
Logan, l’ormai deposto Fenrir.
Lucas
non aveva voluto infierire oltre sul suo avversario, né
dargli il colpo di
grazia, ritenendo giusto che egli si confrontasse con un altro tipo di
giustizia. Quella portata da coloro i quali erano stati ingannati dalla
sua
sete di potere, così come dal suo delirio di onnipotenza.
Lucas
si era solo assicurato che, mai più, potesse utilizzare la
Voce contro qualcun
altro; cosa avrebbero deciso i suoi ex seguaci, non era compito suo, a
quel
punto.
Era
comunque straziante incrociare gli sguardi di genitori piangenti
dinanzi ai propri
figli, devastati da ciò che loro stessi avevano commesso
senza che, alcuno di
loro, avesse mosso un dito per impedirlo.
Chelsey
non aveva detto nulla in merito alla morte della madre, o al fresco
marchio inciso
a fuoco sulla sua spalla, livido sulla pelle ambrata e ben evidente
anche a un
occhio disattento. Si era limitata ad abbracciare alcuni attimi il
padre per
poi stringersi a Iris senza più lasciarla andare.
A
più di tre ore da quel triste e inevitabile evento, le due
non si erano ancora
separate e sedevano su una toppa di legno senza proferire parola.
Osservandole
pensieroso mentre, con l’aiuto di Lucas, era impegnato a
curare le ferite più
recenti dei bambini sottoposti a tortura, Devereux domandò
preoccupato: «Credi
che la supereranno? Sembrano così perse in loro
stesse.»
«Dal
brontolio che avverto nella testa, credo stiano avendo una lunga
conversazione.
Non ne capisco il senso, perché stanno sussurrando, ma penso
che Chelsey stia
tentando di calmare i sensi di colpa di Iris» gli
spiegò Lucas, sorridendo a un
bambino in lacrime, da poco marchiato sul braccio.
Cospargendo
di crema antisettica – e ricolma di aconito – la
ferita rossa e gonfia, gli
disse: «Non rimarrà quasi nulla, non temere. Solo,
non toccare la crema o
potresti svenire, se la portassi al naso per annusarla.»
Il
ragazzino assentì e la madre con lui, ossequiosa,
mormorò un ringraziamento
prima di allontanarsi per lasciare il posto a un altro bambino.
Sospirando,
Lucas scosse il capo e mormorò subito dopo: «Come
si può pensare di ridurre in
schiavitù delle persone, al solo scopo di avere ai propri
piedi dei servitori
fedeli quanto soggiogati?»
«Purtroppo,
non sono tutti buoni come te, amico» chiosò Dev,
dando una pacca sulla testa a
una bambina bionda, in compagnia del suo papà.
Quando
la coppia si fu allontanata, il primo licantropo con cui Iris aveva
parlato
durante la battaglia tra capiclan si rivolse timoroso a Lucas, e disse:
«Se ci
sarà concesso, vorremmo seguirvi al sud, a Clearwater. Ci
sono già sei famiglie
che desiderano trasferirsi e considerarti loro capoclan.»
Lucas
arrossì suo malgrado e mormorò:
«Beh… sarò lieto di dare una mano, se
vorranno
far parte del mio branco.»
Il
giovane licantropo, di nome Darren, sorrise appena, rinfrancato da
quelle
parole, e asserì: «Hanno visto come ti sei
comportato, e desiderano proseguire con te
il loro percorso di vita, ora che
hanno scoperto che esiste una via che non comporti solo
l’odio verso gli uomini…
o il maltrattamento dei figli tramite una menzogna perpetrata con la
forza.»
«Sono
innoridito io stesso dall’uso che quell’uomo ha
fatto della Voce del Comando,
poiché trovo orribile che si possa pensare di rendere
schiave altre persone»
asserì Lucas, guardandosi poi intorno dubbioso.
«Immagino, però, che molti di
loro sentano la mancanza della famiglia, e che questa scampagnata
fuori porta non fosse esattamente in programma.»
«Per
alcuni di loro sarà necessario passare sotto il ventaglio
della legge, visto
che diversi si sono macchiati di rapimento, e ci sono delle pendenze a
loro
carico, ma credo che saranno lieti di affrontare il giudizio della
legge umana,
ora che sanno che esiste un’alternativa»
mormorò Darren, sospirando afflitto.
«Quanto a me, ho capito di essermi ingannato, nel voler
seguire mio fratello in
questa follia. Non avevo affatto capito che il suo potere mi aveva
soggiogato.»
«Non
eri a conoscenza del dono che deteneva impropriamente, mentre lui aveva
capito
di poterlo sfruttare a proprio vantaggio, e senza essere
scoperto» replicò
Lucas, vagamente sorpreso da quella parentela che, di certo, non si era
aspettato. «Tu sai quando conobbe Julia?»
«Circa
cinque anni fa. Se la intesero subito, da quel che ricordo, e venne a
entrambi
l’idea di radunare una gran quantità di lupi in un
luogo sperduto, così da
vivere senza le leggi dell’uomo. In seguito, Logan
– mio fratello – pensò che
fosse giusto portare qui anche i bambini nati in famiglie di
licantropi, così
che potessero crescere liberi, e Julia fu
d’accordo» gli spiegò Darren, osservando
turbato la lunga fila di bambini pronti a essere medicati.
«Io dovevo già
essere schiavo del suo potere, perché li aiutai a
trovarli.»
Dev
sbuffò contrariato, nell’ascoltare quella storia,
e gli domandò: «Perché non
portare via subito Chelsey, allora?»
«Abbiamo
scoperto, nel corso degli anni, che è possibile capire se un
bambino ha
sviluppato la licantropia solo al raggiungimento della maturazione
sessuale. L’odore
cambia, così imparammo a riconoscerli dalla loro traccia
odorosa. Prelevarli a
giochi fatti, ci permise di portare qui solo i bambini con il gene mannaro,
lasciando stare gli altri»
ammise suo malgrado Darren, passandosi una mano tra la zazzera di
capelli color
paglia. «Julia ci aveva detto che sarebbe passata da
Clearwater per capire se
la figlia fosse già entrata in quell’arco di
maturazione, e che ci avrebbe
raggiunti qui con lei, se fosse stata pronta.»
Devereux
assentì grave e, nell’osservare il licantropo di
nome Logan steso a terra e
legato con pesanti catene, ringhiò: «Che senso ha
avuto torturare dei bambini?
Non lo capisco.»
«Posso
solo dirti che, a mente lucida, non so davvero cosa sia passato per la
testa di
mio fratello. Ciò che noi facevamo era dettato dalla sua
coercizione, quindi
non posso darti risposte in merito» mormorò
spiacente Darren.
«La
sete di potere è un demone dalle molte facce, e credo che
tuo fratello le abbia
sfruttate tutte» dichiarò stanco Lucas, lanciando
poi un’occhiata a Iris,
ancora stretta a Chelsey. «E’ difficile avere per
le mani un simile dono e
saperlo gestire con saggezza.»
Darren
ne seguì lo sguardo e, rabbrividendo suo malgrado,
mormorò: «Non avrei mai
immaginato che potesse esistere una simile energia. Spero davvero che
la vostra
amica sappia gestirla meglio di quanto non sia stato in grado di fare
Logan.»
«Iris
è forte a sufficienza per gestire qualsiasi cosa e, dove non
arriverà lei,
arriveremo noi» asserì fiducioso Lucas, sorridendo
con orgoglio. «Imparerai
presto, Darren – se vorrai venire con noi – che,
prima di tutto, per noi conta
il gruppo.»
Il
giovane annuì contrito e, dopo aver lanciato
un’occhiata al fratello, disse:
«Non so se può interessarti, ma esistono molti
licantropi che vivono nella
clandestinità, ma che hanno rifiutato di abbandonare la
cività in cambio di ciò
che gli offriva Logan. Per quanto fossi sotto coercizione, ricordo bene
dove si
trovano e, se lo vorrai, ti fornirò i loro nomi.»
Lucas
assentì grato, dichiarando: «Li
avviserò della possibilità di formare un clan
e, se lo vorranno, potranno crearne uno a loro volta, seguendo le
antiche
regole. Di certo, non mi imporrò mai per essere la loro
guida, ma offrirò loro
aiuto e collaborazione.»
«Bene»
mormorò Darren.
Dopo
essersi scusato con loro, si avviò verso il capannello di
persone che, uno dopo
l’altro, si stava assembrando per decidere delle sorti di
Logan.
Lucas
si spiacque per il giovane. Non doveva essere semplice scoprire che il
proprio
fratello era la causa di tanto dolore, e che sarebbe spettato anche a
lui
decidere come punirlo.
Fu
in quel momento che, dopo tante ore di immobilità e
apparente silenzio, Chelsey
e Iris si levarono in piedi per allontanarsi insieme e dirigersi verso
l’esterno del campo.
Mano
nella mano, le due presero a camminare lungo ciò che
rimaneva dell’accampamento
di tende e Dev, in fretta, balzò in piedi per seguirle.
Raggiunte poi le due
con poche falcate, domandò loro con tono volutamente
leggero: «Dove state
andando, così alla chetichella? Roba da donne?»
«Seppelliremo
la mamma, perché ci sembra brutto lasciarla in pasto ai
lupi. Poi, non ne
parleremo più» disse Chelsey con aria tranquilla,
la mano salda in quella di
Iris.
«Volete
una mano?» domandò loro Dev, chiedendosi cosa si
fossero dette in tutto quel
tempo.
Aveva
preferito non interferire per rispettare il loro bisogno di privacy, ma
la
curiosità era tanta.
Iris
levò lo sguardo per curiosare nei suoi occhi e Dev,
sorridendole, si allungò
per darle un bacio sulla guancia, mormorando: «Te
l’ho detto mille volte. Quel
che c’era tra me è Julia è morto anni
fa. Mi spiace soltanto che sia stata tu a
dover chiudere una volta per tutte – e nel modo peggiore
– questa situazione
incresciosa.»
«Ci
facciamo dare una mano, allora?» chiese a quel punto Iris,
sorridendo a
Chelsey.
«Va
bene» assentì la ragazzina prima di guardare
speranzosa il padre e domandare:
«Visto che questo coso
sul braccio è
brutto e, anche con la pomata di aconito, resteranno dei brutti segni,
potrò
farmi un tatuaggio per coprirlo?»
Dev
la fissò con occhi strabuzzati per alcuni attimi prima di
scoppiare in
un’allegra risata. Annuendo, esalò: «Oh,
beh… visto che la situazione è così
particolare, vedrò di chiudere un occhio, o magari anche
tutti e due.»
«Sì!»
sussurrò vittoriosa Chelsey, facendo sorridere maggiormente
anche Iris.
La
ragazzina si strinse a lei per un attimo e, dopo averle sollevato una
mano, le
mordicchiò un dito come avrebbe fatto un lupacchiotto con la
propria madre.
Iris,
allora, allargò il suo sorriso, la prese in braccio e la
tenne stretta a sé in
silenzio per tutto il tempo, lasciando a Dev il compito di portare il
corpo di
Julia nel bosco.
Sempre
in silenzio, Dev accettò l’amaro profumo delle
lacrime di Iris e, per una
volta, preferì che fosse la figlia a prendersi cura della
donna che amava,
piuttosto che agire in prima persona.
Ci
sarebbe voluto del tempo, per tutti loro, per superare quel momento, ma
l’unione tra di loro li avrebbe aiutati a passare sopra anche
a quella
disgrazia.
Una
volta nel bosco, Iris depositò Chelsey a terra e, dopo aver
lavorato assieme a
Dev con gli artigli e con la pura forza per scavare una buca abbastanza
profonda, disse con semplicità: «Spero che Madre
possa darti la pace che, in
Terra, non sei mai stata in grado di trovare.»
Dev
e Chelsey annuirono e quest’ultima, inginocchiata accanto
alla fossa che
conteneva i resti di una madre che non era mai stata tale, per lei,
mormorò:
«Ho cercato di non odiarti. Ma hai ferito papà. E
fatto male a Iris. Forse
avrei potuto anche perdonarti per questo…»
Azzittendosi
per alcuni attimi, Chelsey si toccò la spalla, fremette e
strinse i denti,
quasi a trattenere la stizza ma, quando rilasciò le energie
trattenute, fu per
dire: «… se i nonni me lo diranno, ti
perdonerò. Addio.»
In
silenzio, Dev e Iris ricoprirono e compattarono la fossa, coprendola
poi con diverse
pietre, così da impedire che i lupi scavassero per trovarne
il corpo.
Sospirando
stanca, ma non certo per lo sforzo fisico, Iris si appoggiò
a Dev e, tenendo
per mano Chelsey, mormorò: «Ora, credo che
possiamo tornare a casa.»
***
Chelsey
riposava saporitamente nel suo letto mentre Iris e Dev, seduti al
tavolo della
cucina, stavano sorseggiando una tisana bollente, accompagnata da
qualche
biscotto.
Erano
le quattro del mattino, ma nessuno dei due aveva desiderio di andare a
dormire.
All’esterno,
la foresta era tranquilla e solo il fischio sommesso di una civetta
spezzava il
silenzio della notte.
«Cosa
vuoi chiedermi?» domandò a sorpresa Iris,
poggiando la tazza sul tavolo ligneo.
Dev
le sorrise da dietro il bordo della propria e, imitatala, si
lasciò andare
contro lo schienale della sedia per poi dire: «Mi piacerebbe
sapere cosa vi
siete dette tu e Chelsey ma, se ritieni sia una segreto tra donne,
rispetterò
la scelta.»
La
giovane sospirò, a quell’accenno, ma ammise:
«Abbiamo parlato di Julia, per la
maggiore. Anche se ciò che ho fatto è stato
necessario, dettato dal momento di
pericolo e quant’altro, ho pur sempre ucciso sua
madre.»
Dev
scosse il capo, replicando con tono quieto: «Hai ucciso la
donna che l’ha
partorita. Nel caso specifico, non mi sento di definirla sua
madre. Tu, invece, ti sei comportata fin
dall’inizio come la
madre che avrebbe dovuto avere, e che io ho sognato, un tempo, potesse
essere
Julia. Nel momento stesso in cui l’ha abbandonata, ha perso
ogni diritto di
essere chiamata con quell’appellativo… e dopo
quello che ha fatto a decine di
bambini, credo che neppure un santo si sarebbe permesso di vederla in
quelle
vesti.»
Il
solo ripensarci lo fece fremere d’ira e, silenzioso,
terminò di bere la sua
tisana alle erbe, chiedendosi nervosamente dove, in
gioventù, avesse sbagliato
così clamorosamente.
Certo,
Julia era sempre stata una bella ragazza, e lui aveva sempre avuto un
occhio
lungo su queste cose. Purtroppo per lui, però, non si era
rivelato essere
altrettanto scaltro nel vedere dentro le persone.
Era
stato superficiale, a basarsi unicamente sul suo aspetto e a credere di
poterla
cambiare in meglio. Si era infilato nelle vesti del bravo ragazzo che
redime
l’anima persa ma, in realtà, aveva condannato se
stesso – e sua figlia in
seguito – ad anni di sofferenza inutile.
Il
tutto, perché non aveva saputo riconoscere la sua vera
natura. Si era lasciato
ingannare dalla bella confezione, preferendo non ammettere che il suo
contenuto
lasciava a desiderare… e che mai avrebbe potuto bastargli.
«Ora
chi ha pensieri oscuri?» ironizzò Iris, poggiando
il mento sulle mani aperte a
coppa.
Accennando
un ghigno, Dev mormorò: «Sono in fase ‘mi
sento un idiota per…’ ma mi
passerà alla svelta, promesso.»
«Per
averla amata?» domandò lei, vedendolo annuire in
risposta. «Dev, si commettono
sempre degli errori, ma mi sembra che Chelsey sia il tuo massimo
riscatto da
ciò che, in passato, tu puoi aver sbagliato.»
«Il
fatto di aver avuto una madre simile, non lo scorderà mai. E
la colpa è mia»
sottolineò Devereux, levandosi in piedi per poggiare la sua
tazza nel
lavandino.
L’attimo
seguente, aprì l’acqua per sciacquarla e, mentre
il liquido freddo gli scorreva
tra le dita, aggiunse: «Dovrà convivere tutta la
vita con il pensiero di avere
parte del suo retaggio nelle vene.»
«Ha
anche quello dei suoi nonni materni… e non mi sembra un
male, ti pare?» replicò
Iris, levandosi in piedi per raggiungerlo e strinsersi a lui.
Lui
assentì cauto, strindendo una mano su quelle intrecciate di
Iris e asserì:
«Così suona meglio, in effetti.»
Annuendo
debolmente contro la sua schiena, Iris comunque replicò:
«Mi sentivo in colpa
anche nei tuoi confronti, tra le altre cose, se proprio vuoi
saperlo.»
«Lo
immaginavo» sbuffò lui, sorridendo a mezzo e
volgendosi per poterla guardare in
volto. «Capirai se non ti facevi delle seghe
mentali…»
Iris
ammiccò, ma disse seriamente: «Non è
facile togliere la vita a una persona.»
«Non
lo è perché hai una coscienza»
sottolineò Dev, tornando serio a sua volta.
«Julia non ha dimostrato di averne una. Ha fatto uccidere
colei che l’ha sempre
reputata sua migliore amica, ha rapito – e marchiato
– la sua stessa figlia, ha aiutato un folle a
perpetrare i suoi sogni di
dominio ma, prima di tutto questo, ha tradito la fiducia di coloro che
la
amavano. Non penso meriti molta pietà, ma non
sarò io a dirti ciò che devi
fare.»
«Forse
avrò degli incubi per un po’. Ti
scoccia?» dichiarò a quel punto Iris,
scrollando le spalle.
«Solo
se mi arriverà una gomitata nei denti mentre sto
dormendo» celiò lui. «Proviamo
a riposare un po’? Domani si torna alla vita normale
e…»
Iris
sgranò gli occhi sgomenta, a quelle parole e, portandosi le
mani al viso, esalò
terrorizzata: «Oh, santo cielo!»
Subito
preoccupato, Dev la afferrò alle spalle e le chiese:
«Che succede, Iris?»
«Non
ho chiamato mia zia!» gracchiò Iris, facendo
strabuzzare gli occhi per la
sorpresa a Dev.
«Che,
scusa? Che intendi dire?» borbottò lui, ora assai
confuso.
Camminando
avanti e indietro per la cucina, preda del più grave attacco
di panico di cui Dev
fosse stato testimone, Iris esalò: «Le avevo detto
che l’avrei chiamata una
volta atterrata qui, e invece…»
Devereux
impallidì leggermente, a quella notizia, e
bofonchiò: «Ehm… cioè,
quattro giorni
fa?»
«Oddio,
oddio, oddio…» gorgogliò sempre
più in ansia Iris, correndo verso il salone
dove aveva poggiato il suo zainetto, reduce della loro ricerca nei
boschi. I
suoi bagagli, invece, erano ancora al camping.
Rovistando
al suo interno, Iris scoprì suo malgrado che il cellulare
aveva esalato il suo
ultimo respiro, probabilmente distruttosi quando lei era mutata in lupo
e lo
zaino era volato a terra in malo modo.
Con
le lacrime agli occhi lo mostrò a Dev che, sorridendo
sghembo, le offrì il
proprio mormorando: «Dai, prova a chiamare. Magari non ha
ancora chiamato la
Reale Guardia a Cavallo.»
«Non
fare dello spirito, su questo» lo minacciò lei,
afferrando in fretta il
cellulare prima di guardare l’orario, imprecare e
bofonchiare: «Al diavolo!
Meglio così che aspettare ancora!»
Iris
batté nervosamente il piede a terra mentre gli squilli si
susseguivano uno
accanto all’altro, come tante formichine in fila indiana.
Ne
occorsero dieci, prima che la voce insonnolita di Rachel rispondesse un
laconico: «Chi è?»
«Zia!
Sono Iris! Dio, scusami! Non ti ho chiamato quando sono atterrata
perché…»
iniziò col dire la giovane, subito bloccata dalla voce
sonnacchiosa e impastata
di Rachel.
«Va
bene… lo so» gorgogliò lei, prima di
mormorare alcune parole – presumibilmente
a Richard – e proseguire dicendo: «Visto che Glenn
mi ha avvisata una volta
atterrato, e tu non chiamavi, ho telefonato al campeggio e Mrs Johnson
è stata
così carina da spiegarmi tutto.»
Sciogliendosi
in un sospiro di puro sollievo, Iris crollò contro il torace
di Dev, che stava
sogghignando divertito, e disse: «Meno male! E’
successo tutto così in fretta
che ho proprio dimenticato di chiamare. Scusa ancora.»
Rachel
si limitò a dire: «Tesoro, mi sembra il minimo che
tu sia andata a cercare
Chelsey. Spero soltanto che sia andato tutto bene ma, visto che hai
chiamato…»
«Sì,
tutto bene» asserì Iris, preferendo evitare di
raccontarle la parte più
truculenta di quegli eventi. Non aveva bisogno di sapere che lei aveva
ucciso
Julia, che Chelsey era stata marchiata a fuoco e che il folle capoclan
era
stato fatto a pezzi da coloro che aveva tradito.
Per
certe cose, sua zia non era ancora pronta e, forse, non lo sarebbe mai
stata.
Sbadigliando,
Rachel allora mormorò: «Mi racconterai tutto
più tardi… ora scusami, cara, ma
sono davvero a pezzi, e riuscirei a capire sì e no la
metà di quello che
potresti dirmi.»
Liberandosi
in una risata piena di sollievo, Iris assentì e, augurandole
buon riposo,
chiuse la chiamata. Lanciata poi un’occhiata a Dev, disse:
«Dovrò ringraziare
Clarisse. Mi ha evitato una grana enorme.»
«Sempre
detto che quella donna è un mito»
chiosò Dev. «Quindi, ora possiamo andare a
riposare?»
«Sì»
annuì lei, accettando la mano offertale da Devereux.
Insieme, quindi, salirono
le scale per raggiungere la camera di lui.
Fu
in quel momento che Dev, osservando Iris alla luce diafana della luna
– che
penetrava dalle alte vetrate del pianterreno – sorrise
dolcemente e mormorò: «Claire
de lune.»
Lei
si bloccò a metà di un gradino, lo sguardo
confuso puntato sul suo compagno, e
domandò: «Come, prego?»
Ridendo
sommessamente, lui le sfiorò i capelli biondo platino che,
illuminati dalla
perlacea luce lunare, sembravano essere intessuti con
l’argento puro. Perso nei
suoi pensieri, mormorò: «Mia madre fa la
parrucchiera, lo sai, e c’è una tinta
per capelli che si chiama così. E’ come il colore
dei tuoi capelli in questo
momento, e io penso che sia splendida.»
Iris
arrossì suo malgrado – era raro che Dev si
lanciasse in simili complimenti – e,
sorridendogli, disse: «E’ un pensiero carino.
Grazie.»
«Sarà
il tuo nomignolo. Chiaro di Luna. Visto che ne stavamo cercando
uno…» scrollò
le spalle lui, come a stemperare quel momento fin troppo sdolcinato,
per i suoi
gusti.
Lei
sorrise, riconoscendo al volo il suo tentativo di fuggire da una
situazione
imbarazzante e, annuendo, disse: «E’ sicuramente
meglio di sottiletta.»
«Sottiletta
andava bene quando pesavi quaranta chili coi vestiti e sembravi una
tavola da
surf…» sottolineò Dev, riprendendo la
salita assieme a lei. «…ma ora che hai
recuperato il tuo charme, hai
bisogno
di un nome adatto, ti pare?»
Nel
dirlo, le sfiorò la base della schiena con una carezza
lievissima e, suo
malgrado, Iris sospirò deliziata.
Sapeva
benissimo che quello era il suo
punto
debole, e il mascalzone se ne approfittava sempre.
Ridendo
piacevolmente – consapevole di averla fatta eccitare
– Dev la diresse verso la
sua camera da letto e Iris, nell’entrarvi, sorrise
spontaneamente.
Era
la prima volta che dormiva in quella stanza in particolare e, quando si
infilò
tra le coltri fresche e avvertì il suo odore, si
rilassò nel breve decorrere di
qualche attimo.
Socchiudendo
poi gli occhi, si strinse a lui non appena l’ebbe raggiunta
e, deposto un bacio
sulla sua spalla, mormorò: «Mi è
mancato tutto, di te.»
«E
tu a me. Ma non montarti troppo la testa» ironizzò
lui, avvolgendola con un
braccio per stringerla a sé.
Con
un bacio, Dev la condusse lentamente verso il piacere, amandola con
tenerezza
fino a che le loro auree non furono così stremate da non
poter reggere oltre.
Fu
così che, in breve, Iris finì con
l’assopirsi contro il suo torace, ascoltando
la musica placida e confortante del suo cuore.
Forse,
questo le sarebbe bastato per non avere incubi, ma sapeva che la prova
più difficile
doveva ancora essere affrontata.
Doveva
ancora parlare di ogni cosa a Graham e Jennifer, e non sapeva ancora
come
l’avrebbero presa.
Di
una cosa, però, era certa. Ascoltando quel suono
così forte e regolare, avrebbe
trovato dentro di sé il coraggio necessario per parlare.
***
Seduta
nel salone della casa di Dev, i nonni di Chelsey accomodati sul grande
divano
mentre la nipote era accoccolata su una poltrona vicina, Iris si
sentiva in
imbarazzo, oltre che profondamente insicura.
Nel
vederli arrivare, la mattina seguente il loro ritorno, aveva quasi
desiderato
di darsi alla fuga, ma Devereux le aveva fatto coraggio, spingendola a
non
avere timore della verità.
Iris,
quindi, aveva accettato i ringraziamenti di tutti e aveva riso delle
battute
lanciate a Dev sulla sua conversione da “palla
da demolizione” a “uomo
rintronato
dall’amore”.
Lui
aveva liquidato le loro chiacchiere con un’alzata di spalle e
una battutaccia
di spirito dopodiché, con Iris e Chelsey al fianco, li aveva
invitati ad
accomodarsi.
Lì,
il silenzio era caduto come una pesante coperta, avvolgendoli tutti e
Dev,
rimanendo sul vago ma sottolineando le colpe di Julia e
l’intervento imprevisto
di Alyssia, aveva spiegato loro la dinamica degli eventi.
Iris
aveva ascoltato, aveva assentito più volte al pari di
Chelsey e, quando infine
era giunto il momento di ammettere la morte di Julia, aveva sospirato
tremula,
chiudendo gli occhi per lo sconforto.
Ne
era seguito un silenzio ancor più ammorbante, spezzato
unicamente dal
cinguettio degli uccelli della foresta e dal sibilare leggero del vento
tra le
fronde.
Non
erano giunte accuse o recriminazioni. I genitori di Julia si erano
limitati ad
accettare la verità così come era stata loro
presentata.
Dopo
quasi dieci minuti di quella silenziosa accettazione, era
però giunto il
momento di agire.
Chelsey
si levò quindi dalla poltrona per stringere Iris in un
abbraccio e la giovane,
immediatamente, la prese accanto a sé, replicando con calore
alla stretta.
A
quel punto, la ragazzina mormorò dura: «Mi ha
marchiato a fuoco. E’ stata la mamma.»
«Fagiolina,
basta…» sussurrò Dev, sfiorandole il
viso con una carezza.
«Non
voglio che si arrabbino con Iris per quello che ha fatto»
sottolineò però la
figlia, cocciuta.
Fu
Jennifer a parlare, chetando così le sue paure.
Sorridendo
alla nipote con aria triste quanto consapevole, la madre di Julia disse
con
immensa onestà e profondo sconforto: «Non siamo
arrabbiati, cara. Delusi da
nostra figlia, sì. Ma arrabbiati con Iris, no.
Davvero.»
Graham
assentì alle parole della moglie e aggiunse: «Si
fa di tutto per instillare le
giuste nozioni ai propri figli ma a volte, semplicemente, questo non
basta. E’
difficile accettare che il proprio sangue abbia commesso simili
atrocità… sulla
propria figlia, poi! Ma l’evidenza dei fatti è
lampante, e non possiamo che
accettarla.»
Bethany
sfiorò comprensiva la spalla di Jennifer e la donna,
sorridendo alla madre di
Dev, mormorò: «Non so come facciate a sopportare
ancora la nostra presenza,
dopo tutto questo. Già la fuga di Julia aveva causato danni
enormi, ma questo…»
«Non
dirlo nemmeno!» replicò Samuel, scuotendo il capo,
lanciando occhiate
ugualmente comprensive a entrambi i coniugi.
Iris
assentì con vigore alle parole di Samuel e, scostata
Chelsey, si alzò per
raggiungere i genitori di Julia. Inginocchiatasi poi dinanzi a loro,
strinse
Jennifer in un abbraccio e mormorò addolorata: «Mi
spiace tanto di non aver
trovato un’altra soluzione!»
«Tesoro,
non è colpa tua… avete fatto il possibile, ma lei
non desiderava il genere di
salvezza che le avete offerto, tutto qui» replicò
Jennifer, carezzandole la
schiena.
Graham
assentì grave, dandole delle gentili carezze sul capo e Dev,
con un sospiro,
disse: «Alyssia e Julia, alla fine, hanno scelto la stessa
soluzione. Questo
mondo non era davvero il posto adatto a loro.»
«Carole
non ha preso per niente bene la morte di Alyssia»
mormorò spiacente Samuel,
scuotendo il capo.
Dev
a quel punto indurì lo sguardo e replicò duro:
«Con tutto il rispetto, ma non
mi interessa. Sono stati fin troppo permissivi, con Alyssia, e questo
ha
portato con sé un sacco di problemi. Mi ci vorrà
ancora molto per accettare che
Alyssia ha quasi ammazzato Iris, e anche se ora è morta, non
significa che il
mio rancore verso di lei scemerà così in
fretta.»
Bethany
sfiorò una mano del figlio con la propria, ma Devereux
sbuffò, borbottando:
«Amo Iris, d’accordo, ma questo non vuol dire che
mi sia del tutto rammollito,
sapete? Queste cose non vanno di pari passo.»
Quel
tentativo di alleggerire la tensione accumulata funzionò
solo in parte e Iris,
nell’avvicinarsi a Dev, lo abbracciò per un
istante e disse: «Ti amo anche
perché sei un po’ cocciuto.»
«Da
che pulpito…» brontolò lui, scansandola
imbarazzato prima di avviarsi verso la
cucina, scuro in volto e con l’aria di non avere
più desiderio di parlare.
Sospirando,
Iris scrollò le spalle e, guardando alternativamente i
quattro nonni, si
soffermò in ultimo su Jennifer, mormorando:
«E’ sepolta nel bosco, al riparo
dai predatori. Abbiamo pensato fosse meglio così.»
La
donna assentì, si levò in piedi al pari del
marito e, dopo aver abbracciato la
nipote, si avvicinò a Iris per dire: «Dopotutto,
è dove voleva stare. Credo che
avrebbe odiato anche essere sepolta in un cimitero. Sarebbe andato
contro i
suoi ideali di libertà, a questo punto.»
Iris
assentì, non sapendo bene cos’altro dire. Si
lasciò perciò andare a un sospiro
e a un altro abbraccio, che venne più che accettato da
Jennifer e, subito dopo,
da Graham.
A
quel punto, sia i genitori di Dev che quelli di Julia decisero di
tornare a
casa, così da permettere al figlio di riprendersi
dall’apparente cedimento
emotivo che l’aveva colto all’improvviso.
Chelsey
e Iris li ringraziarono per la visita e, dopo averli osservati mentre
discendevano lungo la stretta via che conduceva alla strada principale,
tornarono in casa per cercare Devereux.
Lasciandosi
guidare dall’olfatto, lo trovarono appollaiato sul davanzale
della finestra
della cucina, lo sguardo perso verso la pineta che circondava la casa.
Sembrava
assorto in mille pensieri, ma Iris preferì non sbirciare per
permettergli di
conservare un minimo di privacy. Cosa alquanto difficile, in un branco
di
licantropi.
Lui,
però, le disse mentalmente: “Puoi
curiosare finché vuoi, sai?”
“Non
vuoi
startene un po’ per conto tuo? Mi sei sembrato turbato,
prima” replicò confusa
Iris.
“Stavo
per
esplodere, ma nel modo sbagliato. Così sono andato
via.”
Sempre
più curiosa, la giovane gli domandò: “In
che senso, scusa?”
“Volevo
che Jenn
e Graham si infuriassero con Julia. Non che accettassero passivamente
la sua
fine, dando per scontato che lei non fosse più recuperabile
da anni.”
Sorridendo
appena, Iris lo avvicinò per stringerlo a sé e
mormorò: “Hai desiderato
salvarla fino all’ultimo, vero?”
“Ho
pensato che
forse, parlandole, avrebbe capito. Avrebbe visto te, e compreso che era
possibile convivere con gli umani senza sentirsi sopraffatti dalla
nostra
doppia natura. Tu
ci sei riuscita. Era pur sempre la madre
di mia figlia, no? Dovevo provare a
darle una mano.”
Il
tono di Devereux fu così disperato che anche Chelsey si rese
conto del suo
dolore – anche se il padre aveva tentato di trattenerlo
perché solo Iris ne
fosse consapevole.
Stringendosi
a sua volta al padre, la ragazzina mormorò:
«Papà, ti prego, non essere
triste!»
«Ah,
fagiolina… mi spiace che tu abbia sentito.»
«Devi
smetterla di proteggermi» protestò però
Chelsey, sorprendendolo. «Voglio
aiutarti! Se sei triste, voglio che tu me lo dica, così ti
renderò di nuovo
felice.»
Dev,
allora, la sollevò per stringerla a sé e, dandole
un bacio sulla guancia,
replicò: «Ma tu mi rendi sempre
felice.
Solo, speravo di convincere la mamma a cambiare idea. Iris rappresenta
il
giusto equilibrio tra umano e mannaro. Lei ci è riuscita, e
speravo che Julia
capisse a sua volta che non era necessario estraniarsi, per essere
felici.»
Accigliandosi,
Chelsey borbottò: «Ma tu ami Iris, no?»
Scoppiando
suo malgrado a ridere, Devereux assentì e disse:
«Ma certo, tesoro. Questo però
non significa che io abbia dimenticato tua madre. Solo, non
è più la persona
che avevo nel cuore quando fosti concepita tu.»
«Quindi,
non la odi?»
«No,
Chelsey. Non la odio, ma odio ciò che ha fatto a te. Questo
sì. Per questo, ho
sperato che si redimesse. Soprattutto per te, perché tu non
conservassi di lei unicamente
ricordi brutti» mormorò Dev. «Io posso
convivere con ciò che mi ha fatto, ma
avrei sperato sinceramente che si ravvedesse, perché voi
poteste avere un
qualche genere di rapporto. Così non è stato, e
mi spiace.»
«Sei
contorto, papà» sentenziò Chelsey,
facendo scoppiare a ridere entrambi gli
adulti. «Però ti voglio bene lo stesso.»
«Troppo
buona, fagiolina» la ringraziò il padre,
depositandola nuovamente a terra.
«Ora, però, devo andare al lavoro.
Vedrò di sistemare le cose per prendermi una
settimana intera di ferie da passare con voi due. »
Chelsey
strillò eccitata ma Iris domandò: «Puoi
farlo?»
«Sono
o non sono il capo?» strizzò un occhio Dev, prima
di ammettere: «Diciamo che
unirò l’utile al dilettevole. Ho un paio di
clienti sulla costa che hanno
richiesto un incontro con me così, mentre saremo a Vancouver
per il tatuaggio
di Chelsey, farò anche un salto a incontrare loro.»
Iris
si sentì un poco più tranquilla – non
voleva che Devereux avesse ulteriori
problemi sul lavoro, anche se era lui il titolare – e,
sorridendo all’uomo,
disse: «Penso io a prenotare, allora.»
«Neanche
per sogno. Andremo con il tuo camper. Sono l’unico a non
averci viaggiato, e la
cosa mi rende un po’ geloso» ironizzò
lui, dandole un bacetto sul naso. «Se
vuoi, puoi controllare se ci sono delle stazioni di sosta, o dei
campeggi.»
«Troppo
buono!» ammiccò lei.
«Lo
so. Deve essere la fase della novità. In seguito,
tornerò lo scorbutico di
sempre. Goditela finché dura» rise lui, dandole
una pacca sul sedere prima di
avviarsi al piano superiore per cambiarsi.
Chelsey
ridacchiò di quel gesto e Iris, pur scuotendo il capo, non
poté che sorridere.
Dev
avrebbe passato anche questa. Era abbastanza forte per reggere
qualsiasi cosa.
N.d.A.:
il branco tradito ha deciso le sorti di colui che per primo aveva
cospirato
contro di loro, mandandolo a morte. Così, i sogni di Logan
si sono scontrati
contro la volontà di coloro che lui aveva cercato di
plagiare fino all’ultimo.
Darren,
fratello di Logan, a sua volta plagiato, ha già iniziato il
suo percorso di
redenzione ed è più che disposto a dare una mano
a Lucas per ampliare – in meglio
– il branco di Clearwater.
Iris,
nel frattempo, affronta le conseguenze di ciò che
è successo e mette a parole
il suo dispiacere e il suo dolore dapprima con Chelsey e Dev e, in
seguito, con
i genitori di Julia.
Il
percorso di cancellazione del dolore sarà lungo –
e, come Brianna insegna,
qualcosa rimarrà sempre – ma, alla fine, Iris
riuscirà nell’intento, perché ha
attorno a sé persone che la amano e la sostengono.
|
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Capitolo 25 *** Capitolo 24 ***
24.
La
notizia della morte di Alyssia ebbe, sul piccolo paesino di Clearwater,
lo
stesso effetto di una piccola bomba atomica.
Le
illazioni circa il suo suicidio – così lo avevano
definito i poliziotti, nelle
loro indagini preliminari – si fecero subito strada come un
incendio nella
steppa ma, altrettanto rapidamente, scemarono per rispetto verso lo
sceriffo e
sua moglie.
Perdere
entrambi i figli, e in circostanze così tragiche, sarebbe
stato terrificante
per chiunque e, anche se Alyssia non era mai stata veramente apprezzata
dai
più, vi furono solo parole di cordoglio per la famiglia.
Stranamente,
i coniugi Rochester accolsero il tutto con una strana rassegnazione
mista a
sollievo, quasi che quell’evento infausto fosse, in fondo,
l’unica soluzione
che Alyssia avrebbe mai potuto accettare per se stessa.
Nessuno
dei due, evidentemente, si era fatto illusioni su uno suo recupero
psicofisico
e, anche per questo, lo sceriffo non richiese ulteriori indagini e fece
chiudere il caso.
Chiese,
però, il trasferimento in un’altra stazione di
polizia e, nel giro di alcuni
giorni, mise in vendita la casa con il chiaro intento di non tornarvi
mai più.
Era
evidente come, per lui e la moglie, Clearwater non avesse rappresentato
un’isola felice in cui prosperare, bensì un
inferno in terra in cui avevano
perso entrambi i figli in circostanze tragiche.
Nel
riferire quelle notizie a Dev, a Vancouver assieme a Iris e Chelsey,
Lucas li
informò inoltre dell’arrivo della prima coppia di
licantropi conosciuti al
campo del McDougall Lake.
Questo
avrebbe comportato un riassetto all’interno del loro piccolo
branco, ma avrebbe
portato una bella novità per Chelsey, che avrebbe guadagnato
una nuova compagna
di scuola e, soprattutto, una mannara al pari suo.
Dev
assentì più e più volte e, dopo aver
ringraziato Lucas per le ultime novità,
chiuse la chiamata e scrutò vagamente ansioso la sua bambina
e la sua donna.
Era
stato davvero strano ammettere in ufficio di volersi prendere una pausa
di un
paio di settimane. Soprattutto, quando aveva dovuto borbottarne
stentatamente i
motivi.
La
sua segretaria sapeva essere un mastino, se ci si metteva
d’impegno e, nel
reperire informazioni, era come una piccola 007 in gonnella.
Quando
il nome di Iris era sgusciato fuori a fatica dalla sua bocca, Charline
aveva
sorriso così apertamente che Devereux aveva temuto per la
tenuta delle sue
mandibole. Aveva rischiato di slogarsele.
Con
uno ‘sciò! Che ci fai
ancora qua?’, lo
aveva praticamente cacciato dalla sua stessa ditta e, da quando erano
partiti
per quel viaggio imprevisto, non aveva ricevuto una sola telefonata dai
cantieri.
Rock
era stato di parola, in questo; nessuno li avrebbe disturbati e
Charline si era
messa d’impegno perché quel divieto venisse
rispettato.
Iris
gli sfiorò un braccio, riportandolo alla realtà e
Chelsey, lanciando occhiate
veloci al padre e alla vetrina dello Unity
Tatoo - dietro cui si potevano intravedere disegni di ogni
genere e forma –
esclamò: «Dai, papà!
Entriamo?»
Dev
sospirò e assentì torvo, borbottando:
«Ma tu guarda cosa mi tocca vedere… e
dire che, in condizioni differenti, saresti morta prima di poter fare
un
tatuaggio!»
Chelsey
ghignò tutta contenta nell’aprire la porta dello
studio, facendo così
tintinnare una campanella tibetana e, soddisfatta, fissò il
padre dicendo per
contro: «Meglio per me, allora!»
Dev
la fissò malissimo ma non replicò.
L’odore dei coloranti, misto al profumo di
limone e all’aroma silvano di un licantropo, lo stordirono al
punto tale da
fargli perdere la battuta che aveva già preparato per
ribattere alla figlia.
A
loro volta, anche Iris e Chelsey si volsero in direzione di
quell’odore a loro
così familiare e, speranzose, attesero di veder comparire la
proprietaria del
negozio. Darren li aveva indirizzati bene. La licantropa di cui lui
aveva
parlato loro lavorava ancora in quello studio.
Quando
infine comparve una giovane sorridente e coloratissima, con tatuaggi
floreali
sulle braccia e un piercing al naso, la loro soddisfazione si fece
più intensa.
«Beh,
che mi venga un colpo…» cominciò col
dire la ragazza, scrutandoli con immensa
sorpresa. «… di sicuro, posso segnare sul
calendario questa data. Benvenuti
allo Unity Tatoo. Io sono Destiny.
Chi di voi si vuole dipingere, oggi?»
Iris
sorrise spontaneamente alla ragazza – la sua aura era
frizzante come una coppa
di champagne – e disse: «Siamo stati indirizzati
bene, a quanto pare… ma penso
che ti sorprenderemo ulteriormente, visto che a tatuarsi
sarà lei.»
Ciò
detto, la giovane indicò Chelsey, e subito Destiny
sollevò le sopracciglia con
evidente shock. «Sapete che serve il permesso di un genitore
o del suo tutore,
vero, per tatuare un minorenne?»
«Tocca
a me questo ingrato compito» sospirò Dev, battendo
una mano sul capo di
Chelsey.
Ancora
piuttosto confusa, Destiny lì invitò in una
saletta laterale e, pregato il
gruppo di accomodarsi, chiuse la porta e domandò:
«Scusate la curiosità innata,
ma… ci siete nati, o vi hanno trasformato? E
perché hai detto che ‘vi
hanno indirizzato bene’?»
«Io
e lei siamo stati trasformati, mentre mia figlia ha preso il gene dalla
madre
e, da quel che ho saputo, ha anche quello latente di un mio
antenato» le spiegò
Dev, sorprendendola ulteriormente.
«Quanto
all’essere indirizzati bene, forse ricorderai un lupo di nome
Darren, che passò
qui a Vancouver assieme a una donna di nome Julia, qualche anno
addietro» le
spiegò Iris, vedendola aggrottare la fronte per diretta
conseguenza.
«Se
siete venuti per perorare la loro causa, vi rispedisco
subito…» cominciò col
dire Destiny, prima di venire interrotta dal cenno di diniego di Iris.
«Tranquilla.
Darren ci ha spiegato ciò che successe, e posso dirti che
Julia e il loro
capoclan non torneranno più a disturbarti. La loro congrega
è stata sciolta.»
«Benissimo.
Avevano delle idee balzane, e quella Julia mi faceva un po’
paura» brontolò
Destiny, trovando la piena comprensione dei presenti.
Sedendosi
poi lentamente su un alto sgabello dal cuscino di pelle, la tatuatrice
mormorò:
«Se siete stati voi a fermarli, vi ringrazio. Non avevo
nessun desiderio di
vedermeli ricomparire in negozio. A suo tempo, fecero spaventare un
paio di
clienti, con il loro comportamento da teppisti.»
Devereux
scosse il capo e asserì: «Non ti disturberanno
più, e Darren ha compreso più
che bene cosa, il fratello, gli stesse facendo fare. Ora, se mai ti
servirà
aiuto o una consulenza medica, noi saremo a tua disposizione,
così come saremo
a disposizione dei lupi di tua conoscenza.»
«Siete
una sorta di missionari?» ironizzò Destiny, a quel
punto.
Iris
e gli altri risero sommessamente, scuotendo il capo e Chelsey, tutta
sorridente, disse: «No, ma abbiamo un branco completo e
conosciamo tante cose,
grazie a dei nostri amici, e sarebbe un peccato non aiutare i nostri
simili, ti
pare?»
«Un
branco, eh? E vivete in mezzo alla gente…»
mormorò interessata la tatuatrice.
Iris
gli consegnò un biglietto con alcuni numeri di telefono e,
annuendo, asserì:
«E’ un piccolo branco, per ora, ma stiamo cercando
di ripristinare gli antichi
riti che seguono i nostri fratelli in Europa. Se mai avrai bisogno di
noi,
potrai trovarci a Clearwater.»
Ringraziandoli
con un sorriso, Destiny sistemò il biglietto nella tasca del
suo gilet e disse:
«E’ una cosa fica. E avere dei nuovi amici che
possono capire le tue grane, è
sempre un aiuto. Ora, però, parliamo di te, ragazzina? Come
mai questa idea del
tatuaggio?»
Chelsey,
allora, sbuffò e, sollevando la manica della sua maglietta,
borbottò: «La Julia
che è passata di qua, era mia madre… ed
è per
questo che voglio farmi un tatuaggio.»
La
tatuatrice si accigliò immediatamente non appena
notò la marchiatura sulla pelle
della bambina e, masticando un’imprecazione tra i denti,
sbottò dicendo: «Se
avessi saputo che avevano in mente questo, come concetto di clan, li
avrei
divorati. Che maledetti!»
A
quell’accenno di ribellione, Chelsey lasciò andare
a ruota libera la lingua per
darle man forte ma Destiny, invece di bloccarla come molti altri
avrebbero
fatto, la fece parlare di ciò che aveva passato.
Sorridendo
divertita, approfittò di un momento di pausa nella lunga
dissertazione della
ragazzina per chiosare: «Ho imparato più cose in
questi dieci minuti, su ciò
che sono in realtà, rispetto ai tanti anni passati a
ficcanasare qua e là da
sola. Altro che segnarlo sul calendario. Me lo inciderò
sulla pelle, questo
giorno!»
Iris
e Dev sorrisero divertiti e Chelsey, ammiccando alla tatuatrice,
aggiunse: «So
un sacco di altre cose, ma prima vorrei sapere se puoi coprire questo coso. E’ un po’
migliorato, ma non tanto
da sparire.»
A
quel punto, Destiny ghignò spavalda e replicò:
«Tesoro, per te sfodererò le mie
arti migliori. Naturale che posso coprirlo. Devi dirmi soltanto cosa
vuoi al
suo posto.»
Chelsey
lanciò un’occhiata a Iris prima di sorridere e
dire con sicurezza: «Vorrei un
iris blu. E’ possibile?»
Iris
la fissò sorpresa e Destiny, sorridendo, chiosò:
«Tiro a indovinare. Iris è il
tuo nome?»
«Sì»
annuì la giovane, chinandosi per dare un bacio sulla tempia
a Chelsey.
«Ti
va bene, uno così?» le domandò allora
Destiny, indicandole una foto alla
parete.
L’iris
raffigurato era stilizzato e contornato da un articolato glifo celtico
e
Chelsey, nel vederlo, sospirò e disse: «Wow!
E’ perfetto!»
«Benissimo,
allora. Preparo la decalcomania. Nel frattempo, preparati
psicologicamente a
sopportare una buona dose di dolore. Per esperienza personale, la pelle
dei
licantropi è piuttosto coriacea»
mormorò Destiny, spiacente.
Chelsey
esalò un sospiro tremulo ma annuì. Iris, invece,
fu colta da una folgorazione e
domandò: «Se ci fosse il sistema di rendere la
pelle meno… mannara,
andrebbe meglio?»
Destiny
la fissò con autentica meraviglia e, speranzosa,
esalò: «Non mi dire che avete
qualcosa del genere?»
Iris,
quindi, le parlò degli unguenti all’aconito e
dell’argento – cosa,
quest’ultima, già sperimentata anni addietro dalla
stessa Destiny – e, quando
le mostrò la pomata fornita loro dagli amici inglesi, disse:
«Mi sono fatta
spedire i semi per piantare l’aconito in serra,
così da potermi rifornire di
materia prima quando voglio. So comunque che è un fiore
semplice da curare, e
vive tranquillamente nei giardini. Inoltre, non disdegna il freddo,
visto che è
una pianta alpina, perciò non soffrirebbe neppure nei nostri
terreni esterni.»
Ammirando
il contenitore in vetro come se fosse stata una sacra reliquia, Destiny
mormorò: «Al solo pensiero di non soffrire come
una matta per farmi un nuovo
tatuaggio, penso che potrei piangere di gioia. Questo sì che
è un giorno da
ricordare!»
Mentre
Destiny si avviava nella stanza accanto per recuperare i fogli per la
decalcomania, Dev chiosò: «Abbiamo appena trovato
una fan.»
«Così
pare» assentì Iris, mentre stendeva un
po’ di crema di aconito con l’apposita palettina
in legno. Se solo l’avesse toccata con le dita, le si
sarebbero addormentate
per ore intere.
Subito,
Chelsey sentì un brivido sulla pelle, oltre a una fastidiosa
sensazione di
prurito. Pur avvertendo tutto ciò, non vi diede alcun peso
e, ammirata, osservò
Destiny mentre le applicava la decalcomania e iniziava la sua magia con
i
colori e la pistola da inchiostro.
Dev
divenne un tantino verdognolo, durante l’intera operazione e
Iris,
inframmezzando le sue attenzioni tra lui e Chesley, dovette ammettere
con
candore quanto la seconda fosse più coraggiosa del primo, di
fronte a quella
prova.
Alla
fine, Destiny offrì un succo di frutta a Chelsey e un
caffè a Devereux,
convinta che, presto o tardi, sarebbe svenuto.
In
tutto questo, Iris si limitò a sorridere e a godersi il
momento. Era ancora
incredula di fronte a ciò che era avvenuto in quei mesi e,
anche se tutto
sembrava essere a posto, era difficile credere di poter tirare un
sospiro di
sollievo.
Quando,
però, uscirono insieme dallo studio per dirigersi verso la
baia e prendere un
traghetto per il whale watching,
riuscì quasi a credere che tutto potesse essere perfetto, al
mondo.
***
Chelsey
dormiva saporitamente nel suo enorme letto a due piazze, posizionato
nella
parte anteriore del camper.
Iris
e Dev, invece, distesi nel loro letto sopra il gavone, e protetti agli
sguardi
da una porta a soffietto chiusa tra loro e Chesley, erano ancora svegli
e
stavano chiacchierando mentalmente tra loro. Il sonno era ben lontano,
ma non
era di per sé un male.
“Ammetto
che
stavo per svenire, oggi. Se quella tortura fosse durata ancora un
po’, sarei
stramazzato molto poco valorosamente a terra. E’ disturbante
vedere la propria
figlia mentre viene punzecchiata a quel modo.”
Iris
sorrise nell’oscurità e replicò: “Lo so,
non è stato molto bello vederla arricciare il naso per il
dolore, ma pensa solo
a questo; ha trasformato un’esperienza di per sé
tragica in qualcosa di bello.”
Dev
assentì e, oscurandosi in viso, mormorò: “A
proposito di questo, volevo chiederti una cosa.”
“E
cioè?”
“Vorrei
essere
certo che tu abbia capito quello che ho detto a Chelsey, riguardo a
Julia.”
“Allora
era
questo che ti arrovellava, in questi giorni!” esalò sorpresa Iris. “La tua testa sembrava un nido di vespe,
tanto ronzava!”
“Non
è
esattamente un paragone edificante, ma fa niente”, brontolò Dev. “Non vorrei tu pensassi che il mio
desiderio
di salvarla venisse da un qualche mio genere di amore verso di lei. Non
è così,
è chiaro?”
Iris
gli sorrise nell’oscurità e, volgendosi a mezzo,
depositò un bacio sulla sua
spalla, replicando: “Dev, saresti
un
mostro, se non desiderassi salvare le persone da loro stesse.
Soprattutto, chi
conosci da così tanto tempo. Inoltre, che ti piaccia o meno
ammetterlo, l’hai
amata, e da lei hai avuto una figlia. Dici di non provare
più nulla, per lei, e
ti credo, ma rimani pur sempre una persona con un cuore. Dubito avresti
lasciato a se stesso chiunque, figurarsi Julia.”
“E
ti sta bene?
Sì, insomma… niente gelosie strane o
che?”
“Va
bene così.
Sento quello che provi per me, e so quello che prova per me Chelsey,
perciò
sono a posto. E prima o poi verrò a patti anche con
ciò che ho fatto. Mi ci
vorrà un po’, ma sapervi al mio fianco mi
aiuterà a impiegare meno tempo per
guarire.”
Dev
non disse nulla, limitandosi a stringerla a sé in un dolce
abbraccio, abbraccio
che lei ricambiò, sentendosi finalmente al sicuro e,
soprattutto, capita.
Era
stato un percorso lungo, doloroso e colmo di incognite e, per
più di due anni,
aveva dovuto convivere con una parte di sé che aveva
faticato a comprendere e che,
per molto tempo, le aveva fatto paura.
Ora
sapeva, e aveva tutta la vita per poter continuare a scoprire meglio se
stessa
e coloro che le vivevano vicino.
Aveva
scoperto cosa fare di se stessa e, ben presto, sarebbe tornata a casa
con le
persone che amava, dove avrebbe costruito la sua nuova esistenza.
Una
volta che gli incartamenti fossero stati completi, avrebbe fatto
richiesta per
insegnare Musica a Clearwater e, se vi fosse riuscita, avrebbe dato
anche
lezioni di chitarra a chi l’avesse desiderato, anche al di
fuori della scuola.
Naturalmente,
avrebbe dovuto tenere in debito conto anche il suo ruolo
all’interno della
ditta dei genitori ma, per come stavano le cose in quel momento,
sarebbe stato
tutto molto più gestibile di un tempo.
Lasciare
la quota di maggioranza a suo zio era stata la scelta migliore. Lui era
la persona
più adatta per portare avanti l’azienda, e lei
avrebbe potuto comunque dare il
suo contributo, pur se come socio minoritario.
Avere
anche Helen in Consiglio, inoltre, la rinfrancava, poiché la
cugina era la
persona migliore per dare nuova vitalità
all’azienda.
Aveva
fatto bene a fare un passo indietro; non aveva tradito il sogno di
mamma e
papà, lo aveva solo modificato in modo che le somigliasse un
po’ di più, senza
per questo snaturarlo.
“Andrà
bene,
vedrai”
le disse a un certo punto Dev, dandole un bacetto sul naso.
“Se
anche
sbaglierò, avrò voi ad aiutarmi” si rincuorò lei,
sorridendo.
Era
pronta. Non doveva più camminare a tentoni nel buio.
***
«…e
così, hai scoperto di non avere praticamente limiti,
eh?» terminò di dire
Brianna, con tono curioso e sorpreso assieme.
Il
viaggio di ritorno verso Clearwater era ormai agli sgoccioli e, ben
presto,
avrebbero scorto dinanzi a loro il cartello che avrebbe dato il
benvenuto al
trio nel rientrare a casa.
Durante
quel lento rientro, Iris aveva perciò colto
l’occasione per telefonare a
Brianna e metterla al corrente di ciò che aveva scoperto
durante lo scontro al
McDougall Lake.
Dopo
averle spiegato come aveva usato i suoi poteri, e quali erano state le
reazioni
di Gunnar, Iris le aveva chiesto lumi e consigli.
Anche
Brianna se n’era sorpresa e, dopo averle promesso di parlarne
sia con Fenrir
stesso che con Thor, ben più esperto di loro sui doni
mentali delle creature
mistiche, l’aveva rincuorata su Julia.
Uccidere
non era mai facile per nessuno, e Brianna stessa aveva avuto sulle sue
mani il
sangue di un lupo, anche se non direttamente.
L’aver
ucciso, ancora da umana, un Freki in caccia, le aveva lasciato
l’amaro in bocca
per lungo tempo, e un sacco di incubi a corollario.
Veder
uccidere un suo amico proprio dinanzi agli occhi, e tutto per causa
sua, non
aveva che peggiorato la situazione, e aveva rischiato di impazzire. Ma
era
sopravvissuta.
Brianna
le aveva assicurato che, ben presto, tutto si sarebbe ridotto a uno
sbiadito
ricordo e soltanto a un pensiero veloce quanto fugace.
«Gunnar
pensa che non ve ne siano, perché non ha notato alcuna
sofferenza nel mio
cervello. Il punto è; come posso gestire tutto
questo?» asserì a quel punto
Iris.
«Temo,
nello stesso modo in cui io gestisco il potere di Fenrir. Sapendo che,
se non
controllo me stessa, tutti moriranno. Non è un bel pensiero,
ma è assai
efficace. Inoltre, avere persone che ti amano, è di molto
conforto» replicò
Brianna, con un tocco di brio nella voce.
«Quindi,
devo ricordarmi di avere una bomba in mano, ma che la sto sostenendo
anche
grazie all’aiuto di tutti» riassunse Iris, non
sapendo bene se, la faccenda
della bomba, le piacesse o meno.
«Direi
che come paragone può calzare. Ricordati questo, Iris. Gli
eventi che possono
portarti a usare il dono del landvӕttir
non sono così frequenti e, io spero, tu penserai seriamente
di prendere lezioni
di yoga come ti è stato consigliato, nel
frattempo.»
«Ho
un’ottima amica che può essermi di grande aiuto,
in questo» dichiarò Iris,
pensando subito a Clarisse e ai suoi utili consigli.
Iniziare
questo percorso assieme a lei sarebbe stato oltremodo interessante e,
se tutto
fosse andato come lei sperava, Clarisse avrebbe avuto molte altre
allieve – e allievi
– oltre a lei.
La
piccola scuola di joga che Clarisse avrebbe aperto entro
l’anno, era sembrato a
tutti come il segno di un nuovo inizio. Anche grazie al pieno sostegno
di
marito e figlio, Clarisse non avrebbe avuto problemi.
Sita
all’interno del campeggio, sarebbe stata fruibile per i
clienti a prezzi molto
convenienti e, per tutti gli altri, vi sarebbero stati dei pacchetti di
ingresso
per ogni tipologia di spesa.
In
questo, Clarisse era stata insolitamente maniacale quanto scrupolosa,
portando
persino lo stesso Chuck a riderne, tacciandola di essere ancor
più pragmatica
di lui.
«Molto
bene. Per il resto, fidati di Gunnar e dei suoi consigli. Avere
un’anima
senziente è di aiuto, anche se a volte possono essere
fastidiosi, quando ti
chiacchierano in testa» ironizzò Brianna,
strappandola ai suoi pensieri
L’attimo
seguente, nel sentire Brianna lagnarsi al telefono, rise e
replicò: «Fenrir non
era d’accordo?»
«Puoi
dirlo!» brontolò la wicca.
«Porgi i
miei rispetti alla nonna di Rock, e dille che sarò onorata
di fare la sua
conoscenza durante le feste di Natale.»
«Credo
che ne sarà felicissima» annuì Iris.
«Ora
temo di doverti lasciare. Nathan richiede la mia attenzione e, se non
mi
sbrigo, potrebbe decidere di distruggermi la cucina»
ironizzò Brianna.
Scoppiando
a ridere, Iris assentì e, dopo averla ringraziata, chiuse la
comunicazione per
poi dire: «Brianna dice che ci faranno visita per le feste di
Natale.»
«Prenoteremo
i bungalow nel camping di Lucas» dichiarò con
semplicità Dev, infilandosi sotto
l’arco di entrata del campeggio.
Nel
farlo, l’occhio gli cadde sulla veranda della baita ove si
trovava la Reception
del camping di Lucas e lì, con sua grande sorpresa, Dev vide
la porta aprirsi e
uscirne proprio l’amico, in compagnia di un ufficiale della
Reale Polizia a
Cavallo.
Bloccando
il camper nel vederli stringersi la mano come se fossero stati grandi
amici,
sebbene Dev sapesse che quell’uomo non era nativo di
Clearwater, abbassò il
finestrino della portiera e si affacciò per dire:
«Ehi, ciao, Lucas!»
«Ragazzi,
bentornati!» esclamò Lucas, ammiccando poi
all’ufficiale perché si avvicinasse
al camper assieme a lui. «Capitate a fagiolo. Lasciate che vi
presenti il nuovo
comandante della caserma di polizia. Lui è Curtis Ahern.
Curtis, loro sono
Devereux, il mio Sköll, e la signorina al suo fianco
è Iris, la mia Hati.»
Dev
non si stupì affatto di quella presentazione davvero
singolare; l’odore di lupo
che aveva percepito non appena aveva aperto il finestrino, gli aveva
detto
immediatamente chi fosse il realtà l’ufficiale.
Sentire
i loro titoli nel mondo mannaro causò, come sempre in Dev,
uno strano brivido
alla base del collo; udirli dalla bocca di qualcuno gli causava ancora
un certo
disagio.
L’ufficiale
assentì onorato, nell’udire i loro gradi
all’interno del clan e, allungata una
mano, disse: «E’ un vero piacere conoscervi. Darren
mi ha chiamato un paio di
settimane fa per avvisarmi di questo posto vacante, così ne
ho approfittato per
avvicinarmi a un branco di lupi dalla Triade completa.»
«Sapevi
dei Gerarchi?» esalò confusa Iris, allungata sopra
Devereux per curiosare fuori
dal finestrino.
«Per
mia fortuna, ho prestato servizio presso l’ambasciata
Canadese a Londra per
diverso tempo, così ho conosciuto dei miei
simili… e tutto ciò che
stava dietro alla nostra natura» annuì
l’uomo,
arricciando i corti baffi bruni in un sorriso simpatico.
«Anche per questo, a
suo tempo, misi in guardia Darren e suo fratello dai loro piani
assurdi, ma non
venni ascoltato. Mi fa piacere che almeno Darren sia rinsavito. Logan
era
davvero una testa calda.»
Sia
Dev che Iris assentirono con vigore, non potendo che essere
d’accordo con lui.
Ciò che aveva fatto quel licantropo andava contro tutto
ciò che Duncan e i loro
amici avevano detto, riguardo ai doveri di un Fenrir. Il fatto che
fosse morto
per mano di coloro che lui aveva tradito, aveva un che di karmico.
«Ora,
sarà il caso che io ritorni al lavoro. Avremo tempo
più avanti per conoscerci
meglio, ma mi ha fatto piacere vedervi» chiosò
l’ufficiale, salutandoli
cordialmente per poi allontanarsi a passo svelto.
Fischiando
ammirato, Dev asserì: «Beh, Darren si sta davvero
impegnando molto per
redimersi dai suoi antichi errori.»
Lucas
assentì, pieno di orgoglio. «Avere un ufficiale
all’interno della polizia ci
sarà di grande aiuto. Inoltre, Darren mi ha avvisato che
giungeranno a
Clearwater un altro paio di famiglie, tra cui un dottore mannaro.
Papà ne è davvero
compiaciuto, perché l’idea di essere il solo a
doversi occupare di noi lo
preoccupava un po’.»
«Potranno
mettere insieme ciò che sa Chuck grazie alla mia operazione,
e quello che sa
questo dottore, riguardo all’anatomia umana»
assentì Iris, più che soddisfatta.
«A
proposito di nuovi arrivi… blocca per i nostri amici inglesi
almeno tre
bungalow. Brianna ci ha detto che saranno in visita per Natale, e
vorrebbero
conoscere la nonna di Rock» intervenne Devereux con un mezzo
sorriso.
«Grazie
per la dritta. Li metterò subito in agenda»
annuì Lucas, prima di sorridere
quando vide comparire anche la figura sonnacchiosa di Chelsey.
«Ciao,
piccolina. Ti abbiamo svegliato, con le nostre chiacchiere?»
Lei
assentì con un gran sbadiglio dopodiché, tutta
orgogliosa, sollevò la manica della
sua camicetta per domandare: «Ti piace?»
Lucas
sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa nel vedere il
disegno di un iris
blu e, annuendo orgoglioso, disse: «E’ stupendo,
piccola. Sono fiero di te.»
«Grazie,
Lucas» sorrise tutta contenta la ragazzina, rimettendo a
posto la manica.
«Adesso, andrò a farlo vedere anche a
Clarisse.»
Ciò
detto, corse fuori dal camper e si avviò verso la casa dei
coniugi Johnson.
Sorridendo,
Dev rimise in moto il camper e chiosò:
«Sarà il caso che vada a parcheggiare a
casa questa sottospecie di camion. Ti lascio Chelsey… tanto,
sono sicura che
vorrà farlo vedere anche ai nonni, prima di voler rientrare.
Più tardi, ti farò
un resoconto di ciò che ho saputo a Vancouver.»
Annuendo,
Lucas disse: «Te la porterò a casa non appena
avrà finito i suoi giri, così
parleremo tranquillamente.
Mentre
Dev annuiva, Iris sorrise nel salutare Chelsey e Clarisse sulla veranda
di casa
e, quando uscirono nuovamente in strada, commentò:
«E’ bello sapere che abbiamo
un appoggio in polizia. Sarà tutto più facile,
ora che il nostro numero è
aumentato.»
«Mi
sento un po’ meno inadeguato, adesso»
annuì Dev, avviandosi in mezzo al rado
traffico cittadino.
Iris
gli sorrise, strinse la mano sul braccio di Dev e mormorò:
«Non sei mai stato
inadeguato, neppure quando eri soltanto un umano.»
«E’
meglio ora, credimi» replicò lui, allungandosi per
un bacio.
N.d.A.:
il branco sta espandendosi e, come promesso da Darren, altri lupi
stanno
dirigendosi verso Clearwater per iniziare una nuova vita. Il fatto di
avere un
membro della polizia all’interno del branco, non
potrà che essere utile, così
come contare un nuovo dottore tra le loro fila.
Forse,
dopotutto, Iris può davvero iniziare a credere che quella
sua nuova vita possa
essere costellata dalla felicità, e non dal dubbio. Con il prossimo capitolo, avremo raggiunto il finale di questa storia... ma già un'altra sta crescendo, perciò non preoccupatevi. Le novità non finiranno certo qui.
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Capitolo 26 *** Epilogo ***
Epilogo.
24
Dicembre 2018
Se
non avesse smesso di nevicare, avrebbero dovuto chiamare gli
artificieri, per
liberare le strade. Ormai, persino per gli standard canadesi, quella
nevicata
colossale stava prendendo una piega preoccupante.
Dev
fissò corrucciato i pallidi fiocchi cadere dal cielo, come
se bastasse fissarli
malamente perché smettessero di cadere.
«Sei
così accigliato che ti verranno un sacco di rughe sul viso,
Dev» chiosò Iris,
raggiungendolo accanto alla vetrata del salone assieme a un vassoio di
polpette
di patate.
Dev
ne mangiò una in un boccone prima di dedicarsi alla seconda
e la giovane,
scoppiando a ridere, esalò: «Ammettilo che sei
capitolato la prima volta che le
hai mangiate!»
«Non
confermo né smentisco» borbottò lui,
addentando la terza.
Iris
lo fissò tutta sorridente, gli occhi caldi e pieni di
promesse che, ben presto,
avrebbe potuto mantenere e Devereux, nell’allontanare
temporaneamente il
vassoio tra di loro, le diede un bacio e mormorò:
«Sei del tutto sicura che
Helen voglia passare il pomeriggio con Chelsey?»
«Più
che sì… ammesso e non concesso che non affoghi in
tutta questa neve» affermò
Iris, lanciando un’occhiata dubbia verso le finestre.
Dev
brontolò un’imprecazione tra i denti, tornando a
scrutare accigliato il
panorama e, poggiate le mani sui fianchi, ringhiò:
«L’ultima volta che è
nevicato così tanto, abbiamo dovuto spalare per
mesi.»
«Ora
avresti un indubbio vantaggio, ma sarà sicuramente una
scocciatura» ammise lei,
storcendo la bella bocca in una smorfia.
«Puoi
dirlo forte! Lupo o non lupo, dopo un po’ spalare neve viene
a noia a tutti»
sottolineò Dev, prima di scoppiare a ridere quando vide
giungere un cingolato
dallo stradello di casa.
Iris
lo fissò senza parole per alcuni istanti, prima di
riconoscere Rock al volante
del mezzo color mandarino.
«Ma
da dove salta fuori?» esalò la giovane,
mangiucchiando distrattamente una
polpetta.
«E’
uno dei mezzi della ditta, ma non pensavo che qualcuno si sarebbe
sobbarcato
dieci miglia solo per andarlo a prendere» scrollò
le spalle Dev, prima di
accigliarsi leggermente e borbottare subito dopo: «A meno
che…»
Iris
lo fissò dubbiosa per un istante prima di lanciare
un’occhiata al cielo
ingombro di nubi e borbottare: «Quand’è
stata l’ultima luna piena?»
«L’altro
ieri» mugugnò Dev, passandosi una mano sul viso
con espressione esasperata.
«Stai a vedere che, come regalo di Natale, gli ha fatto il
dono della
licantropia!»
«Sarebbe
molto da Lucas» sorrise dolcemente Iris.
Dev
storse il naso e grugnì: «Se adesso sospiri,
vomito.»
Iris
gli diede una pacca sul sedere, replicando: «Sei un cuore di
pietra! E’ molto
romantico, invece.»
«Preferisco
il modo che ho scelto io» ribatté lui, ghignando
in risposta.
«Non
avevo dubbi. Quando mai non sei soddisfatto delle tue
scelte?» ironizzò Iris,
schivando la mano protesa di Dev, quando egli tentò di darle
un pizzicotto.
«Su
di te pensavo di aver scelto bene, ma potrei ricredermi»
ammiccò lui,
allungandosi per afferrarla e stringerla a sé.
Iris
rise, lasciandosi prendere e, nell’estremo tentativo di
salvare il vassoio
delle polpette, sollevò un braccio sopra le loro teste
mentre Dev si
impadroniva della sua bocca.
A
quel punto, però, lei lanciò tutto alle ortiche,
il vassoio cadde rovinosamente
a terra con un gran fragore di metallo e, dal piano superiore, Chelsey
urlò:
«Ma che combinate?!»
Scoppiando
a ridere, i due si scostarono per osservare il disastro appena venutosi
a
creare, giusto in tempo per scorgere Rock scivolare fuori dal cingolato
e
balzare agilmente verso la casa.
«Mannaro»
chiosarono entrambi, scostandosi definitivamente l’uno
dall’altro.
Rock
li salutò con un cenno della mano, aprì la porta
per entrare e, dopo aver
lasciato gli scarponi sull’entrata, poggiò le mani
sui fianchi e disse
ghignante: «Stradello pulito, capo!»
«Abbiamo
visto, grazie» chiosò Dev, avvicinandosi per
dargli una pacca sulla spalla. «A
quanto pare, Lucas ha infine ceduto. Quando l’ha
fatto?»
Sorridendo
da orecchio a orecchio, Rock disse: «Una settimana fa.
Abbiamo anche fatto
controllare a Lady Fenrir, e lei era certa che non vi sarebbero stati
problemi,
visto che tra i miei antenati ho diversi licantropi.»
Dev
assentì soddisfatto. La Prima Famiglia di Matlock era giunta
a Clearwater dieci
giorni addietro, assieme alla famiglia di Hati. Da quel che sapevano,
il suo
Sköll era invece rimasto in seno al branco per la
continuità di governo del
clan, oltre che per occuparsi della moglie incinta.
Iris
abbracciò l’amico con calore, asserendo:
«Hai scoperto se appartieni ai
Gerarchi?»
«No,
Iris. La carica di Hati, fino a nuovo ordine, rimarrà a te.
Il mio pelo è
grigio, infatti. Lucas, però, sostiene che ho le doti di un
Freki, e Duncan lo
ha confermato» le spiegò Rock.
«Beh,
la cosa non mi stupisce. Sappiamo bene che, per Lucas, faresti di
tutto»
assentì Dev, trovando quella qualifica assai congeniale
all’amico.
Per
quanto Rock fosse una persona solare e prosaica, era anche in grado di
mostrare
il suo lato più oscuro, se qualcuno interferiva con la vita
di Lucas.
Il
ruolo di Freki gli calzava a pennello.
«Quindi,
attualmente, abbiamo la Triade al completo, un Freki nuovo di
zecca…» cominciò
a enumerare Iris, sollevando man mano le dita. «…
il Guardiano di un Santuario
e un medico…»
Ghignando,
Dev intervenne dicendo: «Chuck si sbellica dalle risate tutte
le volte che
glielo dico… Guardiano del
Santuario…
lo trova molto divertente.»
«Beh,
ci dovrà fare l’abitudine, visto che è
l’unico su tutto il territorio canadese,
per quel che ne sappiamo» scrollò le spalle Iris,
tornando al suo calcolo.
«Allora, tolti loro, abbiamo acquisito cinque famiglie
complete di lupi e due
coppie miste con figli piccoli e che hanno già sviluppato il
dono. Abbiamo un
ufficiale di polizia e due poliziotti, oltre a una fiorista, che si
è presa
l’incarico di curare la serra con l’aconito. Direi
che non siamo messi male, vi
pare?»
«Per
essere un branco novello, direi che ce la caviamo e, stando a quello
che dice
Brianna, abbiamo già creato una rete abbastanza capillare
per attirare a noi
altri lupi» assentì Rock, tutto soddisfatto.
Iris
annuì, ripensando a Destiny e al loro viaggio a Vancouver.
Pur se la ragazza
era rimasta nella città costiera – dove poteva
contare su un bacino di clienti
più ampio – aveva però parlato a una
coppia di lupi erranti che, a loro volta,
avevano sparso la voce.
Poco
per volta, nel corso degli anni, si sarebbe conosciuta la
verità e, per chi lo
avesse desiderato, avrebbe potuto conoscerla direttamente dalla loro
bocca,
unirsi al loro branco o crearne di nuovi.
Forse,
dopotutto, i licantropi non avevano perso la battaglia per la
sopravvivenza
della specie, in quelle lande così distanti da casa.
***
«E’
un vero peccato che Liza non sia potuta giungere prima… si
sarebbe risparmiata
il viaggio in pullman» sospirò Rachel guardando
distrattamente l’orologio da
polso.
Lucas
le sorrise comprensivo, stando ben attento a tenerla al coperto sotto
il suo
enorme ombrello.
In
effetti, soltanto tre giorni addietro, Liza avrebbe potuto raggiungere
Clearwater con il Cessna della Walsh Inc.
ma, a causa di un test scolastico a cui la ragazza non aveva voluto
rinunciare,
la sua partenza era stata ritardata.
I
genitori e Helen l’avevano preceduta su suo espresso ordine
– o, come aveva
detto Rachel, su sue espresse urla
–
e la governante di casa aveva assicurato la sua presenza costante,
così che
potessero partire sereni.
Al
loro arrivo, Dev aveva potuto mostrare alla famiglia Wallace la loro
nuova
seconda casa – avrebbero poi pensato i coniugi a scegliere il
mobilio –
scatenando il pianto di Rachel e il pieno compiacimento dei restanti.
«Sono
sicura che, se Liza è grintosa anche solo la metà
di quanto me l’ha descritta
Iris, non avrà avuto problemi» la
rassicurò Lucas.
«Oh,
la è sicuramente, caro…»
annuì Rachel, battendogli affettuosamente una mano sul
braccio.
Rachel
aveva passato un’intera giornata a ringraziare tutti i nuovi
amici di Iris per
ciò che avevano fatto per la loro nipotina e, ovviamente,
anche in quel caso le
lacrime si erano sprecate.
Nessuno
se n’era però sorpreso – grazie agli
avvisi di Iris – e, anche grazie a
Jennifer, Clarisse e Bethany, la crisi era stata annullata quasi
immediatamente.
Richard
e Helen erano stati più composti, nei ringraziamenti ma, nel
complesso, quel
giorno Iris aveva rischiato il pianto diverse volte.
Mai,
da quando quel licantropo l’aveva ferita, aveva sperato in un
simile
stravolgimento in positivo della sua vita, eppure era avvenuto.
L’anno
a venire avrebbe sposato Dev, considerava già Chelsey come
sua figlia, il suo
lavoro a scuola andava alla grande – anche se aveva un paio
di teste calde in
classe – e la ditta non aveva affatto risentito del
cambiamento avvenuto in
sede di Consiglio.
A
volte, Iris si ritrovava la notta a scrutare il cielo, sperando di
poter
sentire la voce dei genitori, pur se sapeva che sarebbe stato
impossibile.
Gunnar,
però, aveva insistito perché lei parlasse col
cuore, certo che qualcosa, presto
o tardi, avrebbe raggiunto Helheimr e il luogo in cui le anime buone
dimoravano
per l’eternità.
Pur
se non poteva sapere se, nel caso dei genitori, le anime fossero
rimaste
un’unica entità o si fossero spezzate in mille
neonate anime, Gunnar le aveva
però assicurato che, in un modo o nell’altro, qualcuno avrebbe udito.
A
questo si era attenuta e, pur se non aveva mai avuto riprova di un
avvenuto
contatto, il solo pensiero di poterlo fare, l’aveva resa
felice.
«Oh,
eccolo che arriva!» esclamò Rachel, stringendo le
mani al petto mentre il
mezzo, con tutte le precauzioni del caso, si avvicinava alla fermata.
Per
se le strade erano state ripulite alla bell’e meglio,
sull’assito rimaneva
ancora un discreto strato di neve, e questo non permetteva di mantenere
alta la
velocità di crociera.
Non
appena il mezzo si fermò e le porte vennero aperte, Rachel e
Lucas si
avvicinarono e, senza neppure troppa sorpresa, videro Liza dare il
cinque
all’autista prima di scendere con il suo borsone alla mano.
Evidentemente,
si era fatta riconoscere anche durante quel viaggio in solitaria.
Salutato
l’autista e il resto dei passeggeri non appena
toccò terra, Liza scrutò il
mezzo allontanarsi prima di sorridere a sua madre ed esclamare:
«Questo viaggio
è stato una ficata! Devo assolutamente rifarlo!»
«Amen…»
esalò Rachel, prima di stringerla in un abbraccio.
«Sono lieta che ti sia
piaciuto, cara.»
«Non
potevano esserci dubbi» assentì Liza, sorridendo
poi a Lucas. «Io sono Liza
Wallace, molto piacere.»
«Lucas
Johnson, piacere mio. Benvenuta a Clearwater»
replicò lui, allungando una mano
per stringere quella protesa della giovane.
Lei
la afferrò con grinta e, per Lucas, fu come ricevere una
scossa alla base della
gola.
Senza
che lui l’avesse cercata, la parola Geri
scaturì dalle sue labbra mentre i suoi occhi spalancati,
fissando sgomenti
Liza, portarono la ragazza a sobbalzare e gorgogliare: «Come,
scusa?»
«Che
mi venisse un colpo!» esalò Lucas, passandosi una
mano tra la chioma bionda
prima di scoppiare a ridere. «Mi ammazzeranno… lo
so già!»
Un
lento, gongolante sorriso si fece largo sul viso di Liza mentre Rachel,
confusa, stringeva un braccio attorno alle spalle della figlia prima di
domandare timorosa: «Lucas caro… cosa volevi dire,
prima?»
«Sarà
meglio che lo spieghi in presenza di tutti. Credo che sarà
una cosa abbastanza sconvolgente,
ed è meglio affrontare l’argomento una volta
sola» le disse in risposta Lucas,
fissandola spiacente.
La
stretta di Rachel si acuì, al pari del sorriso ghignante di
Liza.
Oh,
sì, quella sì che sarebbe stata una Vigilia coi
fiocchi!
***
«Geri?!»
esclamarono i presenti, sconcertati per i più svariati
motivi.
Iris
fissò allibita il suo Fenrir senza sapere cosa dire, Dev fu
ugualmente
sorpreso, Richard si passò le mani sul viso con espressione
sgomenta e Rachel
crollò sul divano mentre Helen le passava preventivamente un
fazzoletto.
Liza,
dal canto suo, sembrava toccare il cielo con un dito e pareva che
quella
notizia bomba non l’avesse minimamente sconvolta…
anzi, tutt’altro.
«Ma…
ma… ma ne sei sicuro, caro?» gorgogliò
Rachel, guardando speranzosa Lucas.
Lui
si limitò a un’alzata di spalle, replicando:
«Mi è davvero venuto spontaneo
dirlo, quando le ho sfiorato la mano. E sa Dio quante mani ho
stretto… temo di
non sbagliarmi.»
Richard
sospirò tremulo prima di guardare la figlia minore, al colmo
della felicità, e
dire: «Invece di sembrare un gatto che ha mangiato il
canarino, pensa a quello
che realmente vuol dire questa
carica, Lizzie.»
Sentendosi
interpellata, Liza tornò seria e, dopo aver guardato la
sorella maggiore – che
assentì orgogliosa – la ragazza disse:
«Oh, papà, so benissimo cosa significa.
Iris aveva spiegato più che bene, a suo tempo, quali fossero
i ruoli più
importanti all’interno di un branco, e io ho una buona
memoria.»
«Quindi,
ti sta bene essere un sicario?» replicò Rachel,
affranta.
«Non
si tratta della faccenda del sicario, mamma…»
replicò la figlia, avvicinandola
per stringere le sue mani. «… ma si tratta di
poter essere di aiuto a Iris e
alla sua nuova famiglia. Si tratta di poter vivere a contatto con un
mondo che
penso di poter sentire più mio di quanto, la mia vita
precedente, lo sia mai
stata. Si tratta di poter dimostrare a me stessa di essere
all’altezza di un
compito che credo di poter svolgere al meglio.»
Lucas
assentì al suo indirizzo e così pure Dev, che
asserì: «Non credo che Liza sia
così sciocca da aver preso la cosa sottogamba. Penso
piuttosto che, non appena
Lucas ha messo a voce il suo pensiero, qualcosa sia andato al suo posto
come il
pezzo di un puzzle.»
Liza
annuì, sfiorandosi il petto. «Dev ha ragione. Sento che è giusto
così, mamma…
papà…»
Helen
intervenne a sua volta e dichiarò: «Liza non ha
mai voluto fare il nido in
nessun posto, ammettiamolo. Nessun club le piaceva, cambiava idea in
continuazione e, anche coi suoi amici, ha sempre fatto il bello e il
cattivo
tempo. Non credo sia mai stato perché era troppo noiosa
quanto, piuttosto,
perché le mancava il posto giusto.»
La
ragazza assentì alla sorella e Richard, annuendo suo
malgrado, borbottò:
«D’accordo. Mia nipote può distruggere
città intere, mentre mia figlia sarà un
cacciatore di traditori e un’addestratrice di corvi. Che
dire?»
Scoppiando
a ridere, Iris esalò: «Oddio, messa
così suona strana davvero!»
Liza
rise a sua volta, abbracciò il padre e mormorò:
«Ti renderebbe più felice
sapere che, da quando lo so, mi sento veramente
bene?»
«Sarà
sempre la cosa più importante, per me…»
annuì lui, stringendola a sé per un
attimo per poi lasciarla andare. «…ma
sarà dura perdere anche te, piccola mia.»
Lei
si scostò, scrutò la sua vecchia famiglia e
quella nuova e infine disse: «Non
mi perderai. Io e Iris saremo sempre qui, dopotutto. Non saremo
così lontane e
voi, dopotutto, avete una seconda casa, a Clearwater.»
Helen
assentì alla sorella e chiosò: «Dovrai
trovarti una nuova scuola, a questo
punto.»
«Beh,
c’è la Clearwater Secondary School dove lavora
Iris…» ammiccò Liza, scoppiando
poi a ridere nel dire: «… sarà uno
spasso avere la propria cugina nel corpo
docenti!»
Rachel
non resistette oltre. Si levò dal divano ov’era
rimasta assisa fino a quel
momento e, stringendo a sé la più giovane delle
sue figlie, mormorò contro la
sua spalla: «Sii diligente, tesoro, e ricordati che ora devi
mettere la testa a
posto! Dio solo sa se hai sempre mille e più pensieri, in
quella tua testolina…
ma ora devi diventare grande!»
Liza
smise immediatamente di ridere e, nello stringere a sua volta la madre,
assentì
e disse: «Lo so, tranquilla. Non mi permetterei mai di fare
una scemenza. So
che questa cosa non è una scampagnata e che, se Lucas ha
visto in me questa
qualità, io dovrò impegnarmi a fondo. Ma non dici
sempre anche tu che, se una
cosa mi piace, do’ il meglio?»
Scostandosi
da Liza, Rachel si asciugò una lacrima e, annuendo fiera,
baciò su una guancia
la figlia e disse: «Sì, tesoro. Puoi fare
meraviglie, se vuoi.»
«Ti
prometto che, in questo caso, mi impegnerò come mai prima
d’ora. Sarò la
miglior Geri che l’America ricordi»
dichiarò la giovane, facendo scoppiare a
ridere la madre per diretta conseguenza.
«Oh,
tesoro… non potrebbe essere altrimenti. Saresti la prima da
un bel po’ di anni,
da quel che ho capito!»
Liza
si limitò a una scrollatina di spalle e Iris sorrise
più serena. Il peggio
sembrava essere passato e, anche grazie alla presenza dei loro ospiti,
tutto
sarebbe stato più facile.
***
Mancavano
pochi minuti alla mezzanotte e, dopo la cena luculliana preparata a
casa di
Dev, i presenti si erano poi divertiti a scambiarsi aneddoti, avventure
e
battute in merito alle loro doppie vite di lupi ed esseri umani.
Nonna
Katherine aveva passato la maggior parte del tempo a colloquiare con
Brianna, e
quest’ultima era rimasta affascinata dall’anziana
Piedi Neri e dalla sua
saggezza antica.
Perfino
Fenrir aveva espresso il suo compiacimento nel conoscere una persona
così
profonda e consapevole di ciò che la circondava.
Naturalmente,
la notizia della neo investitura a Geri di Liza aveva riempito la
maggior parte
dei discorsi, ma Brianna e Duncan avevano garantito loro
l’aiuto di Branson in
tal senso.
Il
loro Geri avrebbe addestrato Liza, aiutandola anche a trovare due
cuccioli di
corvo da addestrare perché diventassero, un giorno, Huginn e
Muninn.
Fu
all’approssimarsi dell’ultimo minuto della Vigilia
che Brianna levò il calice
di champagne che teneva in maso, sfiorò i sottili rami della
quercia piantata
solo pochi mesi prima in un piccolo vaso, e disse: «Il seme
è cresciuto
fiorente e, entro la prossima primavera, la vostra quercia sacra
potrà essere
piantata nel luogo che diverrà il vostro Vigrond. Essa vi
porterà la sapienza
antica tramandata dalla madre da cui è nata, e vi
sarà di aiuto e guida.»
Ciò
detto, lanciò uno sguardo a Lucas e aggiunse: «Tu
solo potrai accedere alle sue
conoscenze, perciò fai buon uso del suo sapere,
poiché grazie a Lei potrai
guidare con saggezza il tuo branco.»
Il
giovane assentì, stringendo nella sua la mano grande e forte
del compagno.
«Avete
già deciso dove istituirete il vostro Vigrond,
dunque?» domandò infine la wicca.
Fu
Dev a parlare e, levandosi in piedi, indicò il limitare
della foresta che
circondava la sua proprietà e disse: «Questi
terreni sono miei e, per almeno un
altro centinaio di iarde all’interno del bosco, tutto
è recintato e interdetto
ai ficcanaso. Pianteremo la quercia al limitare del bosco,
così che sia
visibile dalla casa.»
Brianna
assentì, asserendo: «E’ un ottimo luogo.
Protetta dal gelo e dagli sguardi dei
curiosi… e una posizione molto comoda per le riunioni visto
che, in caso di
maltempo, potrete riunirvi qui.»
Un
coro di risate si levò tra i presenti e Duncan, levandosi
accanto alla moglie
tenendo in braccio il piccolo Nathan, aggiunse: «La Prima
Famiglia di Matlock,
in rappresentanza di tutti i clan britannici, irlandesi e norvegesi, vi
dà il
benvenuto in famiglia, amici miei. Pur se lontani, saremo sempre e
comunque a
vostra disposizione.»
Lucas
a quel punto si alzò a sua volta, allungò una
mano verso Duncan e replicò: «E’
un onore e un piacere e, a nostra volta, saremo sempre a disposizione
per
qualsiasi vostra esigenza.»
Dev
sorrise a Iris e Chelsey, sedute sul divano in contemplazione di quel
momento
pieno di pathos e, ironico, chiosò: «Direi che hai
ammortizzato più che bene il
costo del tuo pneumatico forato. Tu che dici?»
Le
due risero sommessamente e Iris, nell’alzarsi, gli si strinse
contro per un
abbraccio, mormorando: «Non avrei mai pensato di dover
ringraziare quella
benedetta buca che ha mandato al creatore lo pneumatico, ma penso che
le
costruirò intorno un altarino, a questo punto.»
Chelsey
si alzò a sua volta, si strinse a entrambi e aggiunse:
«Posso darti una mano,
vero?»
«Gliela
daremo entrambi» le promise il padre, sollevandola per
stringerla a sé.
La
pendola segnò la mezzanotte e, in coro, tutti esclamarono:
«Buon Natale!»
N.d.A:
e qui terminano – per ora – le avventure di Iris e
soci. Vista la bomba finale
riguardante Liza, non vi dico neanche chi sarà il
personaggio principale della
prossima avventura. Essendo una cosa ancora embrionale,
impiegherà mesi e mesi
per svilupparsi pienamente, ma arriverà a compimento.
Promesso.
Per
ora, qui vi saluto e vi dico arrivedersi. Nel frattempo,
proseguirò con le mie
storie su dèi ed eroi e, se mi verrà in mente
qualcosa, posterò degli
aggiornamenti anche nella cartella delle OS dei licantropi.
A
presto, e grazie per avermi seguita!
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