La Dea Bambina

di DarkDemon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo+Spiegazioni ***
Capitolo 2: *** Gita notturna - capitolo di transito ***
Capitolo 3: *** Selezione OC ***
Capitolo 4: *** 1-Camp Half-Blood ***
Capitolo 5: *** 2-Vita da Semidei ***
Capitolo 6: *** La Profezia ***
Capitolo 7: *** Guai ***
Capitolo 8: *** Volontari ***
Capitolo 9: *** Fine presentazioni ***
Capitolo 10: *** Incubo ***
Capitolo 11: *** XI ***



Capitolo 1
*** Prologo+Spiegazioni ***


Non scapperai facilmente piccola Dea...–
La voce risuonava rauca e graffiante, nella sua mente, rilasciando una serie di piccoli brividi lungo la spina dorsale, come quando si gratta la lavagna con le unghie.
Vedeva il lontananza una piccola sagoma avvolta in vesti marroni correre nella leggera nebbia mattutina che avvolgeva le colline e il bosco, mentre una grossa sagoma umanoide la sovrastava, dando l'idea al ragazzo che la fanciulla stesse correndo in un vicolo ceco.
Felix però doveva rimanere li, ad osservare tutto in silenzio, senza poter muovere un muscolo, obbligato sul posto.
Non sapeva cosa stesse succedendo, non capiva nulla, Dea, aveva sentito bene? Non capiva il significato di quella parola, non lo aveva mai capito, nemmeno ci aveva mai creduto. Però... c'era qualcosa, qualcosa di diverso, diverso da quello che predicava suo padre, la domenica in Chiesa, diverso da quel Dio in cui mai aveva creduto. Prese un sospiro tremante e si riscosse dai suoi pensieri. Ora era solo nel bosco, la piccola fanciulla sparita, così come la grossa sagoma scura; si sentiva finalmente libero dal vincolo che lo tratteneva fermo sul posto, mosse un passo tremante, e la bolla che lo avvolgeva scoppiò completamente. Non si era accorto di non provare freddo, o alcuna sensazione, lo dava per scontato, era solo un sogno... no? Eppure eccolo, qual singolo passo lo aveva svegliato, ribaltato in quella che era troppo reale per essere ancora la dimensione onirica. Sentiva il freddo pungergli pelle nuda, delle braccia e delle gambe, dove gli strappi dei jeans chiari permettevano, percepiva l'umidità insinuarsi nei tessuti che indossava, si strinse nella felpa e sospirò, dalle labbra socchiuse una nuvoletta di vapore si levò velocemente, dissolvendosi in breve tempo nella foschia circostante. Avanzò qualche passo cauto, gli aghi e le pigne dei pini che scricchiolavano con suoni secchi sotto le suole delle sue Adidas, qualche goccia cadeva di tanto in tanto dalle fronde degli alberi, interrompendo la monotonia opprimente del silenzio. Il ragazzo drizzò di colpo le spalle, aveva sentito qualcosa, anche se non lo aveva identificato; rimase in silenzio, pietrificato sul posto ancora leggermente chinato per dare spinta ad un altro passo lungo le pendici della collina, tese le orecchie dai tratti leggermente elfici in attesa di risentirlo. Non tardò, ne ad udirlo ne ad identificarlo, era un pianto, sommesso e acuto, interrotto da singhiozzi a quelli che parevano intervalli quasi regolari. Proseguì piano, con cautela, un passo dopo l'altro, si portò una mano alle tasche, per vedere cosa poteva avere come arma, nel caso ci fosse stato un pericolo, un pacchetto di Brooklin, un paio di cartacce di esse, un accendino e un pacchetto mezzo vuoto di Chesterfield.

Fantastico”

Si disse con una piccola smorfia, proseguì con cautela, estraendo le mani dalle tasche, nel caso fosse caduto, ma stringendo saldamente l'accendino nella mancina, tra tutte le cose quella era “l'arma” più letale. La fonte del pianto era sempre più vicina, e finalmente la scorse: era una donna, una bella donna, seduta su una grossa radice sporgente di un pino, indossava un vistoso abito estivo a fiori, i capelli corvini erano spettinati, come se si fosse messa le mani tra i capelli e avesse provato a strapparli, quasi, al collo una collana aveva come ciondolo un pesante segno della pace; a stonare con l'abbigliamento allegro era un pesante scialle di lana nero, riposto sulle spalle, o almeno un tempo, i violenti singhiozzi lo avevano fatto scivolare lungo le braccia piegate, le mani coprivano il viso in lacrime. Felix avanzò ancora qualche passo cauto, un tuffo al cuore lo fece però bloccare sul posto, capiva finalmente la causa del dolore della donna, un fagottino di tessuto giaceva ai suoi piedi, non vedeva molto, ma scorgeva il pallido viso e la manina altrettanto bianca spuntare dalle fasce; non ci mise molto a capire che quel povero neonato, o poco più, era un cadavere, che il mondo aveva stroncato sul nascere, con una vita davanti. Stava ancora fissando il piccolo quando si accorse che la donna lo fissava, con occhi scuri e lucidi, schiuse le labbra tremanti.
–Salvala... fallo per me... fallo per noi...– Disse con un tono che mai aveva udito, il tono di una madre, dolcezza e risolutezza, ora spezzate dall'infrenabile pianto che solo una madre può versare sulla salma della figlia, andatasene dal mondo troppo presto. Boccheggiò a vuoto, un paio di volte, non sapendo bene cosa fare, per dire infine la frase più stupida, tra tutte le domande che poteva porle.
–Chi sei?– La donna piegò le labbra in un sorriso amaro, e rispose alla sua domanda, era una risposta straordinariamente breve, ma non la capì, al posto del suo nome sentì il proprio, con una voce che decisamente non apparteneva alla donna, con la voce di suo padre.

Felix...

Strabuzzò gli occhi azzurri, sentendo la morsa della nausea attanagliarli lo stomaco, mentre tutto intorno a lui vorticava e collassava su se stesso, gli sembrava di essere in una centrifuga.

Spalancò gli occhi e fece per mettere il busto dritto, ma la cintura di sicurezza dell'auto blocco il suo gesto improvviso assieme al suo fiato. Passo una mano tra i capelli castani con un sospiro e lasciò poi scivolare il braccio fuori dal finestrino abbassato.
–Felix... sicuro di stare bene..?– Si voltò di scatto verso il padre, quasi si era dimenticato della sua presenza.
–Si si... era... era solo un sogno...– Sussurrò con poca convinzione stringendo il polso della manica della felpa grigia, quasi non fu sorpreso di sentirla umida al tatto.


 



Felix Alfarson
Non Riconosciuto.

"Non crede in nulla, in nulla che possa toccare, l'amore, la magia, la divinità... 
sono solo parole a vuoto"



 

Angolo    
Autrice

 

Shao! Mi faccio schifo da sola? Oh si, non sapete quanto, ma la tentazione di fare una nuova interattiva era troppa, sopratutto dopo che “Le Sfide di Apollo” mi ha lanciato così tanta carne al fuoco. Essendo che immagino che molti non abbiano ancora letto il suddetto libro questa storia non terrà conto della serie, nonostante sia ambientata parecchi anni dopo i nostri eroi preferiti.
Il prologo è scritto abbastanza alla cazzo de cane, spero che non faccia così tanto schifo visto che, miracolo, non schifa troppo nemmeno me; anzi, visto considerato che io l'idea l'avevo da un po', ma non avevo la più pallida idea (evviva le ripetizioni) di come fare il prologo... sono parecchio soddisfatta.
Spero che non si sia capito troppo di chi sono la fanciulla in marrone e la bimba morta, se non ne avete idea... fantastico, sono riuscita nel mio intento, altrimentiii... eh pace.

Ciancio alle bande! Ecco le regolucce di base.

 

  • Non so quanti semidei manderò al macel...*erm* sceglierò per l'interattiva, più me ne mandate meglio è.
  • Potete mandare fino a 4 personaggi a testa (mi voglio male? Probabile)

  • Per carità divina del signore nostro che ci guarda dall'altro (Amen) niente personaggi perfetti, niente descrizioni (sopratutto caratteriali) che altro non sono che un elenco di aggettivi. State tranquilli che nel caso vi lincio subito. :)

  • Le schede sono entro il 13, non oltre considerato che il 17 parto e vorrei decidere bene con chi voglio lavorare in questa storia

  • Non è una regola ma un avvertimento, è probabile che il primo capitolo con i personaggi arrivi verso settembre perchè poi devo finire la marea di compiti che non sto cagando più di tanto (un genio indiscusso lo so)

  • Prenotazioni per recensione, solo ed esclusivamente per comodità. Magari lasciate giù un piccolo parere, che oltre a farmi felicia fa si che gli admin non mi cancellino la storia :)

  • Le schede dopo il mio OK

  • Non offendetevi se non vi scelgo il personaggio

  • Se morite dopo avermi rifilato il pargolo farò scorrere la mia lista di torture e sappiate che non farà una bella fine :)

  • Seguire le regole (LoL, come sono divertente)

  • Accetto semidei e cacciatrici, anche qualche cattivo, se vi va, ma non azzardatevi a presentarmi figli di titani, giganti o cose varie

 

Vi prego di rispettare le regole, si vive meglio se tutti in sintonia, Iride sarebbe fiera di me...

Passiamo alle schede carine piccine picciò:
 

Nome completo:
Età+Data di Nascita:
Carattere:
Fisico:
Prestavolto:
GD e rapporti (si sono mai visti? L'ha riconosciuto?):
GM e rapporti (è vivo? Morto? Si sentono ancora? Lavoro?):
Arma:
Storia (includere età arrivo al campo e riconoscimento):
Eventuali poteri (potrei anche accettarli in parte/prenderne spunto o rifarli da me):
Orientamento sessuale+vorresti che abbia una relazione:
Altro (inserite tutto ciò che non ho messo che pensate posso caratterizzare meglio l'OC):
Nickname creatore:

 

E tutto qui! Spero di avervi incuriosito e attirato almeno un pochino e che partecipiate in tanti!
Piccola nota, se volete potete fare il vostro pargolo “non riconosciuto”, basta che mi diciate chi sia il suo GD e che nella sezione mettiate appunto che non è stato però riconosciuto e se vuoi che lo sia durante la storia o meno.

Baci
 

ΩEbeΩ

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Capitolo 2
*** Gita notturna - capitolo di transito ***


Con un sospiro Felix dedicò lo sguardo al paesaggio, che monotono si susseguiva, alberi campi alberi, campi, fattoria. Sembrava uno si quei giochini di macchine, dove lo sfondo è sempre lo stesso, ripetuto all'infinito. L'occhio celeste saettava da un soggetto all'altro, ma la mente non prestava attenzione, la mente era ancora la, nella foresta, con la donna che piangeva, la ragazza che scappava e il fagottino morto; il sol pensiero gli dava i brividi, era così confuso... Troppe cose non avevano senso, troppe domande gli affollavano la testa: “Chi era la ragazza?” “E l'ombra?” “Cosa voleva quella donna, chi era?” “Il piccolo cadavere... a chi apparteneva?”. Si portò una mano alla testa premendo una tempia e chiudendo gli occhi, c'era qualcosa... ma non capiva... nelle sua mente, c'era stato quel famoso clic, si era aperta una porta, ma non la trovava. Si girò lentamente verso l'uomo che guidava, ne osservò i lineamenti, non dimostrava più di una quarantina d'anni, età che di fatto gli apparteneva, in comune con il figlio aveva solo le labbra piccole e il naso dritto leggermente all'insù, per il resto, Felix, sarebbe potuto benissimo essere il figlio del postino... se solo avesse saputo come fosse stata sua madre. Gli diceva ogni giorno che le assomigliava, ma non ci credeva.
Osservò gli occhi castani vagare sulla strada, vigili e attenti, notò qualche capello bianco far capolino nella corta zazzera nera e riccia, non riusciva ancora a credere di essere suo figlio.
–Papà...– Disse, la voce gli risultò secca e rauca, se la schiarì portando la mano a pugno davanti alla bocca e riformulò: – Papà... come... quando hai capito qual'era la tua vocazione?– Gli faceva così strano parlare di quelle cose, non ne aveva mai parlato, e colse senza fatica la sorpresa negli occhi dell'uomo che sedeva alla sua sinistra.
–Felix io...– Il ragazzo immaginò che stesse per esporre la sua sorpresa nell'averlo sentito formulare quella domanda, ma alla fine lasciò correre. Si schiarì la voce.
–Bhe all'incirca quando avevo la tua età... un po' più tardi forse... vedi i nonni, come saprai, sono molto credenti e mi hanno sempre osservare la religione in modo rigoroso... tanto che me ne allontanai... anche per questo non ti forzo... anche se...– Il ragazzo roteò gli occhi.
“Grazie al cielo... o no... ci risiamo”
Pensò. Quando suo padre attaccava con quel discorso la situazione si faceva tesa, non lo sopportava, ma non reggeva il suo sguardo ferito.
–Vai avanti...– Lo incitò piano, volendo a tutti i costi evitare l'argomento.
–Bhe... una sera pregai di mia spontanea volontà, chiesi al Nostro Signore di farmi capire cosa dovevo fare... di mandarmi un cenno... un segno... qualcosa, gli giurai “Se questa sera non fai nulla... non crederò in te mai più”, lo avevo detto più volte, ma in quei giorni era un brutto periodo... ed ero risoluto... ed ecco, sognai la madonna correre fino alla Croce, inginocchiarsi e baciare il legno scuro tra le lacrime, si voltò poi verso di me e mi disse queste precise parole: “Salvalo con la fede, salvali.” Il mattino dopo dentro di me regnava un fuoco nuovo, il fuoco dello Spirito Santo... benedetto sia quel giorno...– Felix fissava davanti a se, gli occhi sbarrati, la madre che piangeva la morte del figlio, ed implorava di salvarlo... un brivido gli percorse la schiena, era quasi come il suo sogno, si scrocchiò nervosamente le dita e tornò a guardare fuori, il respiro leggermente tremante e irregolare.
–Come mai questa domanda figliolo?– Chiese il padre, nella voce una briciola di speranza che il figlio si fosse convertito, quella stessa luce che gli brillava negli occhi morì poco dopo, in risposta ricevette solo un scrollata di spalle e un debole segno di dissenso con il capo.
–Così per chiacchierare...– Disse piano, l'uomo non ribatté, quel gesto, aveva imparato a capitolo: “Argomento chiuso”.
Il viaggio proseguì ancora parecchi minuti in silenzio, tanto che il ragazzo fece in tempo a mettere le cuffiette e ascoltarsi mezzo repertorio del telefono, di tanto in tanto aveva rischiato di appisolarsi, voglia eliminata appena ripensava alla dimensione onirica, e quindi al recente sogno. Fu proprio dopo uno di questi episodi che il ragazzo riconobbe il luogo dove si trovava, pur non essendoci mai stato: la collina, gli alberi, la strada che aveva scorso a malapena nella bruna, e persino quel vecchio palo della luce storto, a cui aveva dato talmente scarsa importanza che fu sorpreso di ricordarlo; si fece ritto sul sedile, togliendo lentamente una delle bianche cuffiette.
–Emm... papà... potresti fermarti..? Ho... ho un po' di nausea...– Improvvisò sul momento, l'auto si fermò.
–Vuoi un sacchetto..?– Chiese piano l'uomo sporgendosi mentre il ragazzo abbandonava il mezzo quasi ipnotizzato, scosse la testa in tutta risposta e prese a guardarsi attorno camminando nell'erba alta che costeggiava la strada in terra battuta. Era tutto così familiare, il sole che filtrava dalle colline alle sue spalle illuminava il prato che saliva alla collina di fronte, accanto poteva scorgere un fitto bosco che la separava da un frutteto, rabbrividì. In qualche modo sentiva che quello era il bosco, quello dei suoi sogni, rabbrividì, temendo quasi di udire di nuovo il pianto lontano. Sentiva suo padre dirgli qualcosa, ma non prestò attenzione, preso a osservare il paesaggio, fino a quelle fatidiche parole.
–... Dai, Fel, manca poco...– Si voltò con più disinvoltura possibile.
–Poco.. poco quanto?– L'uomo allungò il collo per scorgere meglio la strada, mentre il figlio seguiva il suo sguardo
–Mhmm... saranno un paio di miglia... ad occhio e croce... non più di cinque minuti in macchina...– Alzò sorpreso le sopracciglia notando il figlio schizzare in auto e riallacciarsi, fresco come una rosa appena schiusa.
–Stai meglio..?– Chiese con cautela.
–Io..? Oh si... molto meglio... sto sempre meglio dopo aver respirato aria pulita lo sai... è che devo andare in bagno... dai parti?– Disse velocemente, mentre il cervellino gli schizzava alla velocità della luce per prendere sempre più dettagli di come si sarebbe potuta svolgere la sua serata, di quando sarebbe stato il tempo debito per levare le tende e tornare li, cercando di capirci qualcosa.
Ripartirono, e solo quando girarono la curva e la grossa collina scomparve dietro gli alberi il ragazzo notò, per un secondo, nello specchietto retrovisore qualcosa di bianco e oro brillare al sole, proprio vicino al pino solitario. Corrugò la fronte, la faccenda si stava decisamente incasinando.
Arrivarono alla piccola villetta nell'arco di cinque minuti, esattamente come annunciatogli dal padre. Era una costruzione in mattoni, il tetto molto spiovente, i muri ricoperti d'edera.
–E... per quanto ci staremo?– Chiese piano scendendo dalla macchina, gli occhi fissi sulla costruzione, l'uomo si strinse nelle spalle mentre scaricava le due valigie.
–Un paio di settimane... che c'è non ti piace..? C'è il wi-fi...– Si affrettò ad aggiungere, consapevole che il figlio non se ne sarebbe mai stato fermo sui libri per una giornata, nonostante non lo schifasse leggere, e consapevole che non poteva nemmeno sforzarlo troppo.
–No è perfetta... solo per ricordarmi...– Spiegò Felix in fretta, stava per prendere la propria valigia il padre lo bloccò e gli lanciò le chiavi della macchina e una piccola chiave singola.
–Sul retro c'è il garage, parcheggia l'auto, a queste ci penso io...– E senza aspettare proteste si diresse verso la casa trascinando le valigie, il ragazzo rimase a fissare le chiavi per qualche minuto con sguardo cupo, era davvero un catorcio con i piedi. Continuavano a farne una catastrofe, tutti, suo padre, i dottori, erano passati sei anni dal piccolo attacco cardiaco dovuto in parte ad una crisi d'asma, ed ecco, ad un vecchio si dava più fiducia. Aveva fatto controlli su controlli, e lo dicevano anche i medici, andava tutto bene, situazione stabile. Perché non se lo mettevano in testa?! Era ancora asmatico, ma il suo cuore stava bene, era passato... possibile che dovesse davvero rinunciare a correre, a camminare in montagna, ad andare con gli amici all'età di diciassette anni?! Gli dava su i nervi, malediva il suo corpo debole, malediva Lizzie Bolton, che aveva perso il suo inalatore quel fatidico pomeriggio di pasqua, mentre cercavano le uova, malediva ogni cosa, non accettava di aver smesso di vivere ad undici anni. Sbuffò e strinse la chiave del garage così forte che quasi temette di vederne spuntare l'estremità dall'altra parte della mano.
Parcheggiò svogliatamente ma con precisione per poi tornare in casa, si guardò attorno, aveva un arredamento in legno scuro molto semplice e minimal, suo padre era già in cucina a cucinare.
–Di sopra la tua camera è quella a sinistra, la porta di fronte le scale è il bagno...– Salì lentamente, come aveva detto suo padre la scala arrivava a metà di un corridoio, prese la sinistra e aprì l'unica porta presente, la sua valigia lo attendeva sul letto che stava in mezzo alla stanza. Non c'era nient'altro che il comodino, la scrivania, un armadio e un cassettone, sotto la finestra, andava benissimo; sospirò e iniziò a mettere via la roba canticchiando pezzi delle prime canzoni che gli saltavano in mente, spaziando da “Zitto e nuota” a “Titanium” fino a roba “più soft” come “Chop Suey”. Aveva appena finito quando suo padre lo chiamò per cena.
Si svolse tutto esattamente come aveva immaginato: La cena, la tv, due chiacchiere, ognuno nelle proprie camere e puf, alle 23.30 esatte il pesante russare dell'uomo riempiva la casa.
Sorrise e si alzò, si era lavato ma non cambiato, scese lentamente le scale di legno, fermandosi per cinque secondi ogni volta che questo scricchiolava, sapeva quanto suo padre avesse il sonno pesante, ma meglio non rischiare. Prese le chiavi della macchina e del garage esattamente da dove le aveva lasciate qualche ora prima ed uscì. Rabbrividì leggermente e lanciandosi continue occhiate furtive alle spalle si diresse sul vetro, aprì il garage, saltò in macchina e lentamente si diresse dove aveva visto il luogo del suo sogno. Lasciò la macchina in mezzo alla strada, consapevole che nessuno sarebbe passato da li a quell'ora... o almeno lo sperava; prese qualche respiro e inizio a risalire le pendici della collina con il pino solitario, faceva fatica a vederla bene, gli costava molta fatica, quando alzò di nuovo la testa dai propri piedi per vedere quanto mancava l'aria vicino al pino tremolò, rivelando poi di nuovo un enorme statua, era bianca e oro, di una donna armata, uno scudo ai piedi, in una mano reggeva una figura alata -e solo quella era ben più alta di un uomo reale- e nell'altra una lancia. Sentì mancare il fiato e si sedette sul posto attendendo di recuperarlo; una decina di minuti dopo riprese a camminare, era circa a tre quarti, sentiva i muscoli tirare, la cassa toracica compressa in una dolorosa stretta, la milza gli doleva, i respiri erano sempre più veloci e radi, il cuore gli batteva a velocità eccessivamente elevata. Era quasi in panico, se avesse avuto un attacco di cuore li nessuno avrebbe potuto chiamare i soccorsi, sarebbe stato spacciato, allungò una mano in tasca e tremante si portò l'inalatore alle labbra. Il forte getto d'aria si fece largo tra suoi bronchi, sentì i polmoni riprendere a funzionare del tutto, ansimò e si passò una mano ancora tremante tra i capelli imperlati di sudore dallo sforzo di riuscire a respirare. Riprese a camminare cocciutamente verso la cima, continuava a non accettare la sua condizione fisica, non si sarebbe fermato per così poco. Si abbandonò lungo il tronco del pino, gli occhi celesti chiusi, respirando pesantemente; quando il cuore riprese una velocità più umana aprì gli occhi, e quasi l'infarto non gli venne davvero, un'enorme vallata si stendeva ai suoi piedi fino al mare, circondata dai boschi e punteggiata di strutture strane, come case tutte diverse, un'arena di combattimento, quello che sembrava un teatro greco, e una parete di roccia... quella... quella era lava vera?! Sbatté gli occhi incredulo e scese la collina non frenando l'inerzia che lo faceva camminare velocemente e incespicare più volte, inciampò proprio davanti alla macchina, si rialzò dando sfogo al suo repertorio di parole di cui uno scaricatore di porto sarebbe stato fiero e salì accendendo il motore. Si pulì i palmi sporchi di terra sui pantaloni e tornò a casa alla velocità della luce. Mise via la macchina e corse a letto ansimante, fu costretto ad utilizzare l'inalatore di nuovo altrimenti non sarebbe riuscito a dormire... cosa che comunque fece a fatica.
Non poteva credere a quello che aveva visto, e non ci credette.
Era stato solo un sogno ad occhi aperti, lui di li non si era mai mosso.


 

Angolo    
Autrice

Hola a todos!
Non so lo spagnolo e ho scritto a caso, se è giusto è un miracolo...
Questo è un capitolo di transito, giusto per ricordare che le schede sono entro il 13, ma prima le mandate meglio è, così potrei iniziare a scrivere un primo capitoletto, visto che ultimamente l'ispirazione non manca. Per chi volesse iscriversi potete fino al 12, a patto che il tredici sera io abbia le schede.
E nulla, spero che il capitolo non sia totalmente un fiasco

Baci

ΩEbeΩ

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Capitolo 3
*** Selezione OC ***


SONO VIVA!
 
Mi dispiace non vi siete ancora liberati di me! Allora, la faccio breve perché questo capitolo mi ha già fatto tirare abbastanza imprecazioni.
Ho diviso i personaggi in tre classi
1° Classe: Protagonisti:
2° Classe: Coprotagonisti
3° Classe: Comparse o poco più
Spero sia chiaro. Chi è stato scartato dubito fortemente che apparirà... sorry. Comunque, ho fatto delle piccole frasi di presentazione, ditemi se sono corrette o meno e che ve ne pare, perché a me fanno abbastanza schifo... ew... 
Comunque complimenti davvero a tutti perché mi avete fatto dannare per scegliere.


P.S. Mi scuso per la foto girata ma non sono riuscita a caricare quella giusta ^^"

P.P.S. Scusate se cé una gif che stona un po', ma é da tre giorni che cerco di pubblicare ed era l'unica foto che funzionava...

 
1° Classe




Felix Alfarson
Non Riconosciuto - OC di DarkDemon
Non crede in nulla, in nulla che possa toccare, l'amore, la magia, la divinità...  sono solo parole a vuoto.
Non ama le restrizioni e nemmeno i rimpiazzi, vuole solo vivere la sua vita.



Miles Jeremiah Lowell
Figlio di Gelos - OC di Madame_Bovary

“Anche nelle situazioni più tragiche c'è sempre qualcosa di comico alla fine”
Goffo e autoironico è pessimista, ma con classe, lui non crede di farcela, ma lo fa sorridendo.
Non sa come approcciarsi con chi non conosce, ma raggiunta una certa confidenza si dimostra un vero buffone.



Alexander Townsend

Figlio di Clio - OC di Pendragon
“Che senso ha la vita se non fai la differenza?” Testardo e caparbio non lo si può smuovere dal proprio obbiettivo. 
Logorroico dispensatore di abbracci è perennemente distratto dai millemila pensieri che gli affollano la mente.



Red Skull "Lorcan" Cunningham

Non riconosciuto - OC di Sabaku No Konan Inuzuka
Tranquillo e allegro è un ragazzo apparentemente infantile, ma molto osservatore. 
Non comprende il peso degli errori, propri e altrui, e rimedia sempre in fretta e con noncuranza. 
Nonostante tutto è più che consapevole di sfaccettature più macabre del mondo.



Dawn Shining

Figlia di Efesto - OC di Pendragon
Frizzante, allegra e dal sorriso facile. 
Fantasiosa e dall'ispirazione facile nella sua mente ribomba la parola “Eureka” fin troppe volte,
anche se raramente finisce ciò che ha iniziato.
Cerca sempre di risolvere i problemi altrui dimenticandosi dei propri



Emerald Orwell

Figlia di Poseidone - OC di Kaira Jackson
Dolce e dai comportamenti leggermente infantile. 

Perennemente immersa nel suo mondo e di conseguenza svampita come chi mai. 
Ultima scelta di chiunque per una missione dove non avrebbe mai il coraggio di uccidere un mostro.



Harsha Sarasvati Rujula

Non riconosciuta - OC di Saroyan
Indipendente, selvaggia e indomabile come una tigre. 
Caparbia e dallo spirito bellicoso, è sportiva e accetta la sconfitta, nonostante abbia un'alta considerazione di se.

Pensa che l'unico modo di vivere sia dignitosamente.



Alniyat Callaway

Figlio di Nyx - OC di Briciole_di_Biscotto
Tranquillo e osservatore, ma se coinvolto nell'azione determinato e aggressivo. 
Maniaco della privacy fino a diventare ossessivo. Ama leggere tra le righe cercando le risposte che vuole. 
Stratega e paziente architetta tutto con calma. Non sopporta gli obblighi, non toglieteli le ali.



Joseph Parker "JP" Heat
Figlio di Apollo - OC di Sabaku No Konan Inuzuka
Completamente fuori dai canoni del “bravo ragazzo” è una persona calma. 
Per raggiungere la vetta fa di tutto, non importa quanto sbagliato sia, 
ma ogni azione sarà calcolata e ogni conseguenza sarà stata prevista.



Infinito

Figlio di Nyx - OC di _Littles_
Allegro e cocciuto, deve sempre dire la sua. Abile con le parole: nessuno sa di lui, ma lui sa tutto di loro. 
Assolutamente incapace di vincere, in squadra diventa completamente diverso da com'è: zitto e fa tutto di testa propria.



Timothy Alexander Wraith

Figlio di Thanatos - OC di LuthienFelagund
Arrendevole, sottomesso e senza voglia
di vivere. 
Da tutti spesso definito inutile e senza carattere ha finito per crederci. 
Perennemente triste, odia mostrarsi debole, non sopporta la compassione negli occhi altrui.


Orion Dallas Parker

Figlio di Ade - OC di _Littles_
Il sorriso perennemente sul volto, le battute squallide e la sua “italiana chiassosità” 
lo rendono il figlio di Ade più bizzarro e improbabile che il mondo abbia mai visto. 
Il volto bello ma solcato da profonde occhiaie sempre acceso di una luce vivace e contagiosa.

 

2° Classe
 


Isidro Vega

Figlio di Alalà - OC di Saroyan
"Balilla di terno millennio”, appariscente ed eccentrico. 
E' il classico ragazzo della nuova generazione, viziato e che ha avuto tutto e troppo dalla vita. 
Eccessivamente impulsivo e chiassoso urla, sempre.


Parker Carson
Figlio di Morfeo - OC di Sabaku No Konan Inuzuka
Calmo e tranquillo ha un atteggiamento quasi da vecchio. Con una smorfia stanca perennemente dipinta sul viso. 
Diplomatico e pacato cerca sempre di evitare i litigi. 
Determinato, andrà sempre avanti, odia sentirsi inutile, non sopporta che gli sforzi vengano resi vani.



Dawn Faith Justice

Figlia di Atena - OC di _Littles_
Intelligente, creativa e tremendame
n
te pigra. 
E' la tipica ragazza che dorme quasi sempre e mangia gelato su una poltrona. 
Poco le importa di ciò che dicono o pensano di lei, anche per questo non si fa problemi a dire una cosa e farne un'altra.


Brando Oleksandr Akolzin

Figlio di Apollo - OC di C o c o
Timido ed imbranato, tende sempre a fare dei danni. 
Odia essere rimproverato, anche se è il primo a farlo quando altri fanno degli errori. 
Nonostante sia introverso è in realtà gentile e premuroso verso gli altri. 
Per quanto lo nasconda è molto romantico, un principe d'altri tempi.



Leah Cage

Figlia di Efesto - OC di Sabaku No Konan Inuzuka
Rozza ed arrogante, non si fa problemi a mostrare la propria ignoranza. 
Critica gli altri tanto quanto critica se stessa, con un ampio uso di sarcasmo ed ironia. 
E' realista e deve toccare con mano le cose, non ha tatto e pensa che addolcire la realtà dei fatti non serva a nulla.



Honey Grace Truman

Figlia di Iride - OC di lafayette
Dolce quanto il suo nome, vive in un mondo di zucchero filato ed arcobaleni. Ingenua e ceca alla crudeltà del mondo. 
Vuole assicurarsi sempre che gli altri stiano bene, e se ne prenderà cura personalmente. 
Dispensa fiducia più di quanto dovrebbe e perdona fin troppo facilmente.



Malia Sugg

Figlia di Eos - OC di Pendragon
Allegra e dolce è paziente solo con le persone, che riesce ad ascoltare e a cui da spesso preziosi consigli.
Non ama portare rancore, e per questo perdona in fretta, porge spesso anche l'altra guancia.
E' estremamente premurosa e se vede qualcuno triste e solo sente il bisogno di andare e risollevargli il morale.

 

3° Classe

 


Gwaine Summers

Figlio di Demetra - OC di lafayette
Spigliato e allegro parla, fino allo sfinimento dell'ascoltatore. E' una perso
na leale, un amico decisamente pesante.
Malizioso con le ragazze ma porta alla femminilità un forte rispetto. Vede l'amore come ancora di salvezza.



Evelina Lyudmila Makarov
Figlia di Morfeo - OC di Madame_Bovary
Allegra e spontanea, non sa cosa sia la timidezza, e attacca bottone con chiunque.
Logorroica non conosce limiti e spesso esagera, come anche negli scherzi che tanto ama fare.
Si distrae facilmente, e spesso si perde le spiegazioni delle tattiche, finendo per fare di testa propria e mandando tutto a monte.



Deianee Maeve Lilithfille

Figlia di Ecate - OC di Briciole_di_Biscotto
Cinica e sarcastica, ha la capacità di freddare qualsiasi discussione in poche parole.
Ha una mentalità simile a quella delle Amazzoni: femminista convinta che vede l'uomo come mezzo per la procreazione.
Fissata con le predizioni la mattina presto legge l'oroscopo nelle stelle
.



Justin Alexander Fair

Figlio di Astrea - OC di Aiko_Miura_36
Ha sempre la battuta pronta, nonostante difficilmente capisca quando è meglio evitare. 
Tremendamente disordinato perde sempre le proprie cose. E' solare e non vole mai vedere i suoi amici tristi. 
Estroverso e gentile, vole sempre far sentire tutti a proprio agio e spesso si occupa dei nuovi arrivati più piccoli

 


Kaya Merhida

Figlia di Eros - _little_sweet_things
Frizzante e spigliata è decisamente una ragazza “maschiaccio”. Non ha tatto e non capisce quando è meglio che stia zitta. 
Le battutacce sono il suo cavallo di battaglia, e fa spesso del sarcasmo tipicamente maschile. 
Non è assolutamente pudica e non si fa problemi a parlare di argomenti espliciti. 

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Capitolo 4
*** 1-Camp Half-Blood ***


And now  I've been gone for so long
I can't remember who was weong
All innocence is long gone 
I pledgenallegiance to a world of disbelief
Where I belong

A walking disaster
The son of all bastards
You regret you made me
It's too late to save me

Walking Disaster - Sum41
 



 

Felix aprì gli occhi lentamente e si rivoltò sotto il leggero piumone, spalancò le braccia e affondò il viso nel cuscino mugugnando, perché diavolo non chiudeva mai le imposte!? Si maledisse piano. Proprio in quel momento suo padre bussò piano alla porta e l'aprì facendo fare capolino al suo volto sorridente.
–Ehi... Aurora, conti di tornare nel mondo reale o dormi ancora un po'?– Ridacchiò per poi tornare di sotto lasciando la porta aperta; il ragazzo stava giusto allungando la mano alla ricerca della scarpa da lanciare contro ad essa per chiuderla quando dallo spiffero si fece spazio il dolce profumo dei pancake, accompagnato dalla fragranza di sciroppo d'acero e da quella del burro d'arachidi. Sorrise e si stiracchiò producendo un acuto suono con la gola come era solito a fare, si alzò passandosi una mano tra i capelli e scese lentamente fino in cucina Si sedette, distese le braccia e appoggiò con decisamente poca grazia la testa in mezzo alle due. Toc. Il padre si girò ridacchiando per poi tornare ad occuparsi dei pancake, rivoltò l'ultimo e iniziò ad apparecchiare servendo i deliziosi dolcetti e le cose per condire. Felix si rifece dritto e iniziò a far colazione, accompagnato da un bicchiere di succo d'ace.
–C'è una cascina che fa delle fragole deliziose a cinque minuti da qui...– Disse dopo qualche secondo di silenzio il padre con un piccolo sorriso rivolto al figlio che ricambiò lo sguardo dell'uomo con un sorrisetto. Adorava le fragole, erano il suo cibo preferito, ne era ossessionato.
–Ah si? Bhe direi che la frutta fa bene...– Disse con disinvoltura tagliando con sguardo innocente il pancake, che stava letteralmente affogando nello sciroppo d'acero.
–Va bene... andiamo a piedi..?– Al ragazzo brillarono gli occhi e osservò il padre stupito. Scattò in piedi e lo abbracciò, era da tanto che non faceva una camminata nella natura.
–Ehi ehi... però finisci di mangiare...– Annuì sorridendo e tornò al posto finendo la colazione. Stava giusto mettendo nel lavandino i piatti quando un tuono gli smontò tutta l'allegria guadagnata precedentemente. In poco tempo grosse gocce d'acqua scendevano velocemente, avvolgendo tutto il paesaggio di un tetro colore grigiastro.
–Papà... prendiamo l'ombrello...– Disse piano. L'uomo non rispose.
Tornò in camera sbattendosi la porta alle spalle, spalancò la finestra e si appoggiò al davanzale sbuffando. Rimase a fissare fuori per minuti che parvero ore fino a che il padre non entrò piano.
–Senti preparati... andiamo la in macchina ma alla punto vendita ci si arriva solo a piedi quindi un po' puoi camminare...–
Sbuffando andò in bagno a lavarsi e cambiarsi, quindici minuti dopo erano in macchina.
Il sangue si gelò nelle vene quando il padre fermò la macchina proprio dove l'aveva fermata nel suo sogno. Lanciò un'occhiata alla collina, chiedendosi se davvero c'era quel bizzarro luogo che aveva visto mentre dormiva. Tirò un sospiro di sollievo quando l'uomo si diresse verso il lato opposto dove nella pioggia si vedevano brillare le finestre di una piccola casetta in legno, grossa circa come un paio di quelle casette in legno da giardino, poco più grandi di un normale capanno degli attrezzi. Camminarono con tutta calma sul sottile sentiero di ghiaia, fregandosi della pioggia e del vento, ma godendosi semplicemente il momento. Quando entrarono un caldo profumo di fragole e legno li accolse, assieme al tintinnare della campanella appesa alla porta. Dietro ad un bancone c'era un ragazzo che non dimostrava più di una ventina d'anni, sorrise cordialmente e andò incontro ai due.
–Buongiorno! Che bel temporaletto estivo eh!? Cercate rifugio o siete venuti a comprare?– Disse mostrando con un gesto i muri ricoperti da scaffali stracolmi di cassette piene di fragole grosse e succose.
–A comprare! Abbiamo preso la casa qui vicino in affitto e quando ero venuto a vederla mi hanno parlato di questo posto...–
–Oh che onore...– Felix iniziò a guardarsi attorno, divorando con gli occhi i rossi frutti, ma notò comunque che il ragazzo sembrava reggersi male sulle gambe e zoppicava vistosamente, iniziò a fantasticare su cosa gli potesse essere successo per ridurlo così quando sentì suo padre nominare il suo nome, catturando la sua attenzione.
–Oh no, non siamo per nulla lontani, siamo del Bronx, Felix ha alcuni problemi di salute e gli hanno consigliato un minimo di due settimane nella natura.– Il ragazzo annuì e soppesò il figlio del Pastore, si passò una mano sotto il naso per poi starnutire e tirare su con il naso.
–Ho un fazzoletto...– Disse Felix, tirando fuori il pacchetto dalla tasca della giacca e porgendogli un fazzoletto, Yuri, così diceva la targhetta blu che spiccava sulla maglia arancione, si soffiò il naso continuando a fissare il ragazzo.
–Sa signore... noi coltiviamo le nostre fragole oltre quella collina...– Iniziò, tenendo però lo sguardo sul figlio, spostandolo solo in un secondo momento fuori dalla finestra per indicare la grossa collina, dove il ragazzo rivide la statua e trasalì. –La abbiamo anche un campo per ragazzi difficili, sia caratterialmente che fisicamente, ne abbiamo aiutati molti... perché non ci prova a dare suo figlio..? Ecco...– Porse un depliant pieghevole ad entrambi.

 

Camp Half-Blood

Attività sportive regolate per ogni ragazzo, serate attorno ad un fuoco e suggestive attività
da cui vostro figlio uscirà completamente incolume.

Tutto questo e molto altro, solo al Camp Half-Blood!

 

E dopo questo inizio patetico, a detta di Felix, si iniziavano ad elencare le attività, scoccò un occhiata al padre, trovandolo, purtroppo, estremamente ammaliato dal volantino.
–Sembra estremamente suggestivo! Ti piace Felix!?– Si mosse incerto, temeva di offendere il commesso che sembrava estremamente fiducioso, anche se quell'espressione pareva quasi disperata mentre fissava il ragazzo.
–Bhe... penso che ci dovrei pensare... perché non prendi le fragole..?– Provò a sviare.
–Una domanda, come mai Half-Blood?– La domanda parve cogliere di sorpresa Yuri che dopo aver boccheggiato un po' rispose in modo non troppo convinto.
–Oh... beh... è una cosa scelta dagli amministratori, è un giochino, i ragazzi vengono divisi nelle cabine a seconda dei comportamenti simili, in modo da non avere troppe baruffe, e tutto il campo ha come tematica la mitologia greca, fingiamo che i ragazzi siano figli di divinità antiche.. è tutta una cosa psicologica, fa sentire i ragazzi più sfortunati comunque speciali, in qualche modo...– Felix cercò di non ridere vedendo la reazione del padre che pareva estremamente deluso.
–Oh... mi dispiace ma io sono un pastore... capisco l'idea ma sa...–
–Ma che idea fantastica! Posso andare? Dai mi serve un po' di autostima! Magari sono figlio di Giove e...– Iniziò Felix, aveva la fastidiosa abitudine di cambiare idea a seconda di ciò che non garbava al padre, se a uno non piaceva l'altro ne andava pazzo.
–Scusa scusa scusa ma ti devo fermare eh! Giove è romano, al massimo di Zeus, c'è una bella differenza! Ecco, imparerete anche un sacco di mitologia!– Disse stizzito Yuri per poi passarsi una mano tra il ciuffo biondo, o almeno quel che ne spuntava sotto il bizzarro cappello verde con il pon- pon rosso.
–Scusami... comunque... posso andare papà?– Fissò il padre con occhi da cucciolo, sapendo che non avrebbe resistito. L'uomo sospirò iniziando a far scorrere il depliant.
–Quanto costa..?–
–Oh non costa nulla! E' un sistema gratuito, ci finanziamo con le fragole che anche i vostri figli ci aiutano a produrre!–
–Meglio di così! Dai papà! Goditi la casa, sciogli i nervi, e io mi godo un po' di sana libertà okay..?–
–Okay...– Felix batté le mani soddisfatto.
–Vado a fare la valigia– Prese le chiavi dalla tasca del padre e tornò alla macchina.

Venti minuti dopo era di nuovo li, la valigia al proprio fianco e un sorrisetto ebete e leggermente strafottente dipinto sul volto.
–Bhe... non scomparire...–
–Siamo oltre quella collina, sarete vicini tranquilli.– Disse Yuri mettendo una mano sulla spalla di Felix. Il ragazzo spostò il peso da una gamba all'altra, allora non se l'era sognato, o si..? Restava l'effettiva presenza di un campo oltre quella collina, oltre quella statua.
Abbracciò il padre che se ne tornò alla casa con una cesta di fragole e iniziò a salire lungo la collina, Yuri si affrettò a prendere la valigia e trasportarla fino in cima, nonostante non fosse molto più robusto di lui. Finalmente arrivarono in cima
–Bene Felix, ben venuto al Campo Mezzosangue... abbiamo molte cose di cui parlare–

 

<°>

 

Down Shining stava uscendo proprio in quel momento dai bagno, si era appena lavata i denti dopo la colazione e ora, saltellando, si stava avviando verso le fucine, dove avrebbe passato le prime due ore della mattinata.
–Ciao a tuttti!– Trillò entrando nell'afoso ambiente dove i suoi fratelli, che aveva come minimo salutato sei volte quella mattina, si accingevano a riprendere i lavori lasciati in pausa il giorno precedente. La figlia di Efesto si diresse verso la propria postazione: un alto tavola da lavoro cosparso di minuscole viti e fili di ferro, levò la grossa felpa grigia e iniziò a smanettare su un minuscolo robottino, mentre la pelle pallida si imperlava di sudore. Non che le desse fastidio, anzi, tra caldo e freddo avrebbe preferito centomila volte il caldo. Si scostò una riccia ciocca rossa dal volto, sfuggita alla scompigliata coda che si era fatta, con uno sbuffo e si mise dritta osservando la sua opera.
–E quello sarebbe..?– Chiese una voce leggermente acida alle sue spalle. Down ridacchiò.
–Un taglia formaggio, Leah.– Spiegò. –Con questa rotella imposti la dimensione... e guarda– Poggiò il robottino su un pezzo di formaggio che aveva rubacchiato la sera prima e questo prese a girarci attorno sfoderando lame e lamette e affettando un perfetto cubo di caprino.
–Vuoi del formaggio?– Esordì sorridente voltandosi verso la sorella e porgendole il cubetto che questa rifiutò con una piccola smorfia.
–Finirà con gli altri?– Chiese facendo subito dopo una grossa bolla con la gomma da masticare che ruminava sempre. La rossa si strinse nelle spalle.
–Probabile...– Si rigirò sullo sgabello e buttò il robottino in un cassetto del tavolo dove ce ne stavano molti altri dalle più svariate dimensioni. Rimase qualche secondo a fissare il tavolo, tamburellando le dita su di esso per poi illuminarsi.
–Ci sono!– Esultò, iniziando a schizzare su un post-it un progetto, non badando nemmeno alla mano della sorella che le batteva sulla spalla e al suo: –Divertiti–

Le due ore passarono in mezzo secondo e la campanella trillò il cambio base, con un lamentio generale la cabina nove levò le tende diretta verso il campo di tiro con l'arco.
Una volta uscita all'aria aperta prese un lungo respiro, grazie al cielo il lavoro la distraeva dall'ambiente chiuso in cui stava, ma quando poi abbandonava la claustrofobica fucina si rendeva finalmente conto di quanto le mancasse l'aria carica di ossigeno e profumata di fragole e pini.
Si stiracchiò pigramente e assieme ai suoi fratelli proseguì verso il campo da tiro, il capo cabina della casa di Apollo stava parlando con un ragazzo accompagnato da un satiro, inclinò la testa divertita.
–Novellino– Disse indicando con il mento il ragazzo a Leah, che in quel momento le passava di fianco. La ragazza alzò un sopracciglio e fece un'altra bolla rosa, sistemò una ciocca riccia dietro l'orecchio e con passo sicuro avanzò verso il gruppetto che Down le aveva indicato.
–Che si dice? Novellino? Piacere Leah Cage– Disse in fretta, allungando una mano color cioccolato, ancora leggermente sporca di olio per motori, verso il ragazzo che stava ascoltando tra l'interessato e il confuso il figlio di Apollo.
Spostò gli occhi blu sulla ragazza per poi stringerle piano la mano con un espressione parecchio diffidente dipinta sul volto. La ragazza sorrise e inclinò la testa, incitandolo con lo sguardo a presentarsi.
–Felix Alfarson e si, novellino, presumo...– Disse piano, tornando a guardare Erin che gli stava spiegando le attività del campo.
–Tutto molto interessante, senti Felix, vedi di non prenderla troppo male eh. Sei troppo rilassato per sapere. E guarda, io sono del tuo stesso parere, le cose vanno dette tutte subito.– Batté due leggere pacche sulla spalla al ragazzo e tornò dai fratelli, che stavano montando gli archi.
–... eh?– Le gridò dietro, ma nessuna risposta uscì dalle carnose labbra della figlia di Efesto.

 

<°>

 

Clang.

La spada in bronzo celeste rimbalzo sul terreno in terra battuta. Timothy sospirò e si passò una mano tra i folti capelli scuri, si chinò e raccolse l'arma dall'elsa nera e osservò il proprio avversario.
Era un ragazzo della cabina di Ares, dall'aspetto risoluto e altezzoso. Voleva sfidarlo in un duello di scherma, e come sempre il figlio di Thanatos non aveva protestato.
Non lo faceva mai, era ormai una marionetta, caduta nelle mani del popolo, qualsiasi cosa gli fosse stata detta lui avrebbe agito, la testa china. Come ci si poteva immaginare non era andato a buon fine, ma il quindicenne non ne fu sorpreso. Ripresa la propria spada andò agli spalti e si sedette, bevendo dalla propria bottiglietta d'acqua. Mentre ancora riprendeva fiato la mente iniziò a vagare, non sentendo nemmeno gli insulti che l'avversario gli stava tirando.
Ripensò al sogno di quella notte, ed inevitabilmente a quel giorno, di sette anni prima.

Chiamava disperatamente sua madre, cercando di individuarla tra il fumo e le fiamme. Si portò il bordo della maglia a coprire il naso, mentre l'aria si faceva pesante ed irrespirabile. Aveva individuato il corpo sotto una trave e si stava avvicinando quando questo aveva alzato la testa e aveva mostrato un volto che non apparteneva alla donna che lo aveva dato alla luce. Era sfigurato, e con la bocca tagliata in un sorriso innaturale e poi ricucita alla ben meglio, la donna spalancò la cavità orale, strappando i punti di sutura, strappando labbra e guance e facendole sanguinare, esibendosi in un urlo disumano.

Si era svegliato in un bagno di sudore. Sentì un fremito nelle pallide mani e le strinse attorno all'elsa. Non sapeva se quel sogno avesse un significato, ma sperava con tutto se stesso di no.
–Ehi, pillola di vita, lo fai di nuovo– Timothy si voltò di scatto trovandosi davanti gli occhi azzurri e i capelli scompigliati di Infinito. Sbuffando leggermente si fece scivolare lungo la panca borbottando un sommesso.
–Cosa?– Con la cosa dell'occhio vide il figlio di Nyx avvicinarglisi con un sorriso idiota stampato sulla faccia.
–Canti, Summertime Sadness. Lo fai sempre, quando soprappensiero– Spiegò sorridendo. Infinito era un tipetto strano, abbastanza inquietante in un certo senso, riusciva sempre a leggere le persone, si faceva dire ciò che voleva, ma nessuno sapeva nulla di lui, nemmeno il suo nome. Per tutti lui era solo “Infinito”.
Timothy corrucciò un attimo lo sguardo, gli avevano già detto che lo faceva, ma pensava fosse l'ennesimo scherzo idiota. Si rigirò sospirando la spada tra le mani facendo poi scorrere le dita sulle fiamme nere che decoravano la lama.
–E allora? E' bella.– Si giustificò svogliatamente alzandosi, suscitando la risata del biondo.
–Daammi una lametta che mi taglio le venee...– Canticchiò battendogli delle pacche sulla spalla per poi andarsene così come se n'era venuto.
Il figlio di Thanatos sbatté un attimo le palpebre per poi sospirare e tornarsene alla cabina, con l'intenzione di darsi almeno una lavata prima di pranzo.
Mentre tornava verso la propria cabina sentì parecchi sguardi pesanti posarsi sulla sua esile figura e soppesarlo, lanciando un veloce sguardo ad uno dei semidei curiosi notò una ragazza che lo guardava come si guarda una persona in ospedale: pena. Abbassò lo sguardo, odiava vedere quell'espressione, non la sopportava.
Entrò nella cabina sbattendo la porta e andò a lavarsi, e mentre sciacquava il viso si concesse il lusso di un paio di piccole lacrime solitarie a rigargli il volto.
Era inutile, gli era stato detto più volte, ora mai ci credeva, era così evidente no? Non serviva a nulla, e non mancavano di ricordarglielo.


 

Angolo    

Autrice

Eccomi! Sorprendentemente anche prima del previsto!
Alluora, ho avuto pietà e deciso di scaglionare la presentazione degli OC, di modo da non incasinarvi troppo i neuroni. Come sono gentile, meo deo.
Allora, spero che non vi faccia troppo schifio come capitolo, sono abbastanza soddisfatta pure io... il che è raro. 
Mi scuso solo per l'ultimo Pov, che ritengo più scarsi in confronto ai precedenti, in effetto questo capitolo parte bene e cala via via... Comunque, mi stavo appunto scusando, ma sono reduce da un fastidioso blocco dello scrittore, che porco schifo mi ha fatto tirar giù gli dei dall'Olimpo. Ma mi sto più o meno riprendento, con una dose nauseante di "cose che mi ispirano", e grazie agli dei funziona. Comunque, che ne pensate?
Mi farebbe utile un vostro parere per potermi migliorare, quindi andate tranquille con le critiche! Se poste nei dovuti modi le prendo con più che positività! E la recensione serva anche al vostro pargolo, per respirare :D Non ora magari, ma non sparite.
Quanti conoscono la canzone d'inizio? Quanti il gruppo? Verrete premiati! Nah non è vero...
Ho deciso appunto di mettere delle citazioni molto random all'inizio, di canzoni, poesie, libri, cose a caso carine. Che rappresentano il capitolo oppure no. Bho, non lo so, sono schizzata la sera.
C'è qualcuno in particolare che siete curiosi di conoscere meglio? Un OC che vi incuriosisce? Si sa mai che soddisfi le vostre richieste... èwé
Piccolo sondaggio, a fine capitolo vorreste una piccola lista, quì nell'angolo autrice, degli OC presenti/presentati? Almeno all'inizio per schiarirvi le idee... non so ditemi, anche in messaggio privato.
Ora vi do la buona notte... o il buona *inserire momento della giornata in cui state leggendo*

Baci

ΩEbeΩ



 




 

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Capitolo 5
*** 2-Vita da Semidei ***


Hey, hey, hey,
Every day when I wake 
I'm trying to get up, they're knocking me down
(Chewing me up, spitting me out)
Hey, hey, hey,
When I need to be saved
They counting me out, but this is my round 
(You in my corner; look at me now)
Shot like a rocket un into the sky
Nothing could stop me tonight.

You make me feel invincible
Earthquake, powerful
Just like a tidal wave
You make me brave
You're my titanium
Fight song, raising up
Like a roar of victory in a stadium
Who can touch me cause I'm
(I'm made of fire)
Who can stop me  tonight
(I'm hard wired)
You make me feel invincible


Feel Invincible - Skillet



 

Alexander era seduto al padiglione della mensa già da un'ora quando i ragazzi iniziarono ad entrare uno dopo l'altro, chi più affamato, chi meno. Arricciò il naso quando il gruppo dei ragazzi di Ares gli passarono dietro, evidentemente non tutti avevano avuto l'accortezza di darsi una lavata dopo gli allenamenti. Ringraziò mentalmente sua madre che il suo tavolo fosse lontano dal loro, e pregò gli Dei che governavano i venti, chiedendo che non portassero quel fetore nella sua direzione.
–Finisco la pagina...– Mormorò a denti stretti tra se e se, facendo vagare sempre più velocemente gli occhi lungo le righe di parole, e finì la pagina.
Con un sospiro ripose il segnalibro di stoffa tra le pagine e chiuse il volume, si voltò poi per riporlo nella borsa che si era portato -mai avrebbe osato lasciare un libro in balia degli altri ragazzi, in una mensa poi- e mentre la stava per riporre con accortezza a terra, al sicuro tra i suoi piedi una vocetta squillante lo fece sussultare.
–Ma tu leggi sempre?– Il figlio di Clio si girò, leggermente accigliato e confuso da quella domanda.
–Si, perché mai non dovrei, no? E' bello conoscere, non credi?– Sorrise squadrando la curiosa ragazzina che gli si era posta davanti. Aveva la pelle chiara, bizzarri capelli blu e due brillanti occhi celesti.
–Sei E... Evelina, giusto? Io sono Alexander– Chiese, e la ragazza annuì vigorosamente.
–Penso tu abbia ragione, comunque, si, Evelina, figlia di Morfeo.– Disse la sedicenne tendendo la pallida mano che il ragazzo strinse sorridendo.
–Che leggevi di bello?– Chiese inclinando la testa con un sorriso dipinto sulle labbra rosee. Il ragazzo sorrise, decisamente lieto per quella domanda.
–I Miserabili– Sorrise. –Lo conosci?– Proseguì, sperando vivamente in una risposta positiva, chissà che avesse trovato qualcuno con cui poter parlare di questo genere di cose.
La ragazza ci pensò qualche secondo per poi scuotere il capo, facendo svolazzare i lisci capelli in tutte le direzioni.
–No, mi dispiace, trama?– Un luccichio passò negli occhi di Alexander, stava aprendo la bocca, pronto a dare una dettagliata spiegazione della trama del romanzo, che già aveva letto e riletto, spiegarne la propria opinione e fare un motivante discorso per portarla a leggerlo.
Ma proprio in quel momento dal fondo della mensa si levò una voce profonda e austera.
–Semidei!– Si voltarono tutti verso Chirone, in piedi vicino ad un ragazzo nuovo, La figlia di Morfeo salutò sorridendo Alexander, e saltellò al proprio posto.
–Abbiamo una nuova recluta! Vedete di trattarlo nei dovuti modi.– Sorrise e diede una pacca al ragazzo, invitandolo ad andarsi a sedere al tavolo di Ermes.
In breve tempo i tavoli si riempirono di ogni sorta di leccornia, ed Alexander prese a mangiare , sempre parlando, ovviamente, con la sua unica sorella.

 

<°>

 

La prima cosa che pensò è che il cibo era buono, incredibile, solitamente ai campi estivi si mangiavano sbobbe disgustose, o se ai moderatori veniva la malsana idea di cucinare o farli cucinare sul fuoco... allora la cenere era il piatto principale.
Ma la sua mente vagava ancora a quello che gli era stato detto durante le ore precedenti, robe da matti, dei greci, romani, titani, muse... non poteva avere senso. Eppure qualcosa dentro di lui gli diceva che era vero, qualcosa si opponeva a quello che la sua mente voleva credere.
Scosse la testa piegando le labbra in una piccola smorfia, gli stava venendo il mal di testa.

–Ehi, tutto okay?– Chiese una voce squillante davanti a lui. Alzò lo sguardo verso un ragazzo dal sorriso storto e gli occhi scuri, un espressione leggermente divertita dipinta sul volto dai tratti elfici, mascherata malamente da una di preoccupazione. Felix annuì portandosi due dita alla tempia destra.
–Solo mal di testa...– L'altro annuì e mise in bocca un pezzo di pollo, mentre finiva ancora di masticare riprese a parlare, avendo però la decenza di coprirsi la bocca con il dorso della destra, che ancora stringeva la forchetta.
–Tante cose eh? Un bel casino... già, siamo tutti una grande famiglia, divina e semidivina... oh ma tranquillo, vale solo per i fratelli la parentela. Legami come tra zii e cugini non contano– Disse agitando la forchetta a mezz'aria con un largo sorriso. –Quindi vai tranquillo che incesto non è.– Ammiccò e tornando poi al suo pollo.
–Mh... non è che sia ancora molto convinto... cos, non sono tipo da farmi gente in un'estate!– Disse mentre il volto prendeva un colorito più rosato, suscitando la fastidiosa risata dell'altro.
–Certo certo... hahaha! Un'estate... una... vai convinto!– Esclamò e picchiò la mano sulla spalla dell'altro. –Sono Lorcan comunque.–
–Felix...– Borbottò l'altro, servendosi un po' di dolce alle fragole.
–Hai una parlata strana... di dove sei?– Continuò, evidentemente intenzionato a non lasciarlo stare.
Lorcan era un ragazzo piuttosto particolare, a detta di tutti, calmo e pacato, quasi zen, ma perennemente allegro. Aveva sempre attaccato bottone con facilita, anche se spesso il malcapitato che aveva suscitato il suo interesse si ritrovava con un curioso diciassettenne alle calcagna a riempirlo di domande.
–Islanda, vivo in America da tre anni.– Sbuffo, mettendo in bocca subito dopo un po' di dolce, e rilassando le spalle nel sentire il sapore delle fragole, era qualcosa di Afrodisiaco. Nulla era più buono delle fragole, a detta sua.
–Fico! E come mai?!– Chiese immediatamente dopo, ma in risposta ricevette solo un'annoiata scrollata di spalle, non aveva intenzione né di continuare quella discussione, e men che meno di raccontare ciò che era successo. Non era pronto.

 

<°>

 

Harsha scivolò silenziosamente nella mensa, e approfittando del vociare generale si sedette nel posto che sua madre aveva tenuto occupato con la borsa. Appena in tempo i volontari passarono a prendere i piatti per poterli servire.
–Sei in ritardo...– Sibilò Amira, seriamente preoccupata. La figlia fece scorrere le dita scure, rovinate da anni di lavoro in un industria tessile, sul tirapugni che ancora portava alla mancina.
–Che palle, sempre le solite cose, lo sai.– Sospiro, riponendo l'arma nella tasca dei pantaloni.
La ragazza non era a conoscenza del Campo Mezzosangue, né era certa dell'esistenza di altri semidei, la sua esperienza in America era iniziata con un lavoro in nero finito male, in seguito a cui ora viveva con la madre in una casa d'accoglienza.
–Cos'era questa volta?– Sospirò la donna scostando una ciocca di crespi capelli dal volto della figlia per poterla vedere in volto, ma ritrasse la mano appena vide un grosso taglio sulla tempia, ancora colante di liquido scarlatto. –Harsha...– Mormorò preoccupata.
–Sto bene, mamma... e cacchio attenta, non so che storie potrebbero farmi se mi trovano altri tagli... penseranno a combattimenti clandestini o che cazzo ne so...– Sbotto, sistemandosi la ciocca in modo da assicurarsi che coprisse il taglio.
–Sei sempre così garbata, figlia mia.– Amira sospiro e si sciolse in un piccolo sorriso, suscitando la leggera risata della ragazza.
–Sempre mamma, sempre. Ho già la strada spianata per il lavoro da camionista... o scaricatrice di porto, se vuoi– Strizzò l'occhio e prese a mangiare il polpettone.

Tornarono nella loro camera un'ora dopo, era un abitacolo piuttosto squallido, o comunque decisamente rustico. Lungo e piuttosto stretto, sul lato corto, a nord c'era un unica e grossa finestra, ai lati di questa, appoggiati uno ad ogni parete, due letti, opposta alla finestra si trovava la porta del piccolo bano, e ai lati di essa una cassettiera a destra ed un armadio a sinistra. Sopra la porta un grosso chiodo ospitava un crocifisso, che le due avevano deciso di rimuovere e riporre in un cassetto. Harsha era molto rispettosa delle idee altri, ma altrettanto testarda, non si sentiva apposto a tenere appeso un crocifisso quando lei era figlia di un dio greco.
Si sedette pesantemente sul letto, attendendo la madre che andò in bagno a prendere il piccolo kit di pronto soccorso che avevano convenuto prendere per le frequenti ferite che la sedicenne si procurava.
Strinse i denti mentre Amira tamponava con delicatezza il taglio e lo disinfettava.
–Merda–



 

Angolo    

Autrice

Ohilà! Sono viva, chi l'avrebbe mai detto!
Quanto è lunga la cit iniziale?! o.o No okay è davvero troppo...
Dopo aver passato un bel periodo con l'amico "blocco dello scrittore" con cui sto entrando talmente tanto in confidenza che penso proprio che gli darò un nome,sono riuscita a mettere giù questa mezza schifezuola. Della prima parte posso ritenermi piuttosto soddisfatta... ma come sempre la qualità va calando.
E' molto breve ma come si dice da me "Piutos de nient le meij piutos", ovvero, se non dovesse essere chiaro, "Piuttosto di niente è meglio piuttosto"
Quindi appresate il mio sforzo, spero che con il proseguire della trama i capitoli si alluinghino e migliorino di qualità.
Come sempre vi chiedo un parere, tramite qualsiasi mezzo, recensione, messaggio privato, posta via gufo... qualsiasi cosa. Mi serve solo per sapere che state leggendo e interessando alla storia e anche per migliorare, visto che è impossibile che sia impeccabile, e sono su EFP proprio per migliorarmi, più di quanto già non abbia fatto da quando ho iniziato.
Ma, come registrato nel sondaggio (manco fosse referendum nazionale) ho deciso di ricapitolisciare "petaloso" fatti da parte i personaggi presenti:

  • Alexander Townsend - Prima classe
  • Evelina Lyudmila Makarov - Terza classe
  • Red Skull "Lorcan" Cunningham - Prima classe
  • Harsha Sarasvati Rujula - Prima classe

Eee... nulla, spero che sia un minimo di vostro gradimento!

Baci

ΩEbeΩ

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Capitolo 6
*** La Profezia ***


Where you lead your lives
Before from our small island
Brought right  back to these shores
To these shores, to these shores.

It's alive, It's alive
When I see it throught your eyes
It's alive, It's alive
Now I understand your lives


Durban Skies - Bastille





 

Seduto sugli spalti del teatro Alniyat aveva il volto rivolto verso la volta celeste, scura e limpida. Le stelle rilucevano argentee nella notte nera, ai suoi occhi, come lucciole intrappolate nella carta moschicida. Le dita affusolate picchiettavano il ritmo di un'antica ninnananna sui gradini di pietra.
Mancava ancora mezz'ora al falò serale, ma poco gli importava, aveva tempo libero, e perché non sfruttarlo per godersi la bellezza del firmamento, e staccandosi un po' dalla frenesia del campo.
Il figlio di Nyx non era mai stato un individuo esattamente espansivo, preferiva la compagnia della musica, sparata a livelli poco ortodossi dalle cuffiette, a quella delle persone. E i pochi che osava chiamare amici avevano impiegato una buona dose di tempo per raggiungere quell'appellativo, da lui così raramente usato. A interrompere il sottile filo dei suoi pensieri furono dei delicati passi provenire da destra. Una piccola e minuta figura femminile stava salendo le gradinate, noto spiacevolmente che lo osservava, e sembrava avere tutta l'intenzione di venire da lui. Fece scivolare una mano in tasca ed estrasse il lettore MP3 a cui erano collegate le cuffiette, diventato un grumo bianco ed indefinito.
–Cazzo...– Sibilò, e iniziò a far andare le dita affusolate cercando di sbrigliare il nodo in tempo. Inutilmente. La piccola ragazza si sedette al suo fianco con un largo sorriso, lisciandosi la gonna e sfiorandosi il voluminoso fiocco che portava sul capo, per assicurarsi che fosse ancora li e dritto.
–Guardi le stelle?– Chiese alzando lo sguardo, la sua voce era morbida e dolce come il miele, ma il ragazzo non rispose. –Belle eh? Io sono Honey!– Esclamò, tendendogli la mano. Il figlio di Nyx non rispose, si limitò a voltarsi e osservarla. Le piccole dita giochicchiavano con il pizzo chiaro in fondo alla gonna, e il lieve movimento della mandibola faceva chiaramente capire che si stesse mordicchiando qualcosa in bocca. Inclinò la testa di lato.
–Perché vieni a parlarmi se sei così timida?– Chiese in un filo di voce, gli occhi azzurri socchiusi leggermente. La figlia di Iride trattenne il respiro, e il suo sorriso cordiale vacillò. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di prendere a parlare, anche se balbettava ancora, leggermente impacciata.
–Bhe... ecco, bhe... mi piace fare amicizia, adoro le persone!– Concluse annuendo convinta, le labbra morbide si schiusero in un altro sorriso dolce.
Il gran vociare proveniente da sinistra fece capire ai due che il resto del campo stava arrivando, pronto ad arrostire marshmallow e a cantare canzoncine allegre.
Arrivò correndo un'altra ragazzina dalla pelle chiara e i capelli rossi. Fece il suo plateale ingresso inciampando sin un sasso ed urtando una pila di scudi accuratamente impilati uno sopra l'altro, facendoli cadere e sbatacchiare. Si strinse nelle spalle strizzando gli occhi e stringendo le piccole mani al petto, chiuse a pugno. Solo quando l'ultimo scudo finì di rotolare e si fermò a terra aprì un occhio verde e fece un piccolo risolino colpevole.
–Ops...– Honey si alzò sorridendo dolcemente e saltellando giù dagli spalti, mentre il fiocco ondeggiava come una medusa sulla sua testa, correndo incontro all'amica.
–Ed ecco Lia! Ti sei fatta sentire eh?– Ridacchiò prendendola sotto braccio e andandosi a sedere sugli spalti più bassi, vicino al fuoco.

 

<°>

 

Emerald batteva allegramente le mani, a tempo della canzone intonata dai figli di Apollo. Un largo e smagliante sorriso le illuminava il viso, mentre i capelli rossi, legati in una coda alta, ondeggiavano seguendo il ritmo della sua testa, completamente sbagliato rispetto alla canzone, decisamente più veloce. I suoi occhi verdi come il mare vagavano con spensieratezza sui visi dei ragazzi che le stavano attorno. Spesso si girava per poter vedere anche chi era seduto sui gradoni dietro di lei, e anche di loro osservava l'espressione. Il buio della notte era illuminato dal fuoco, alto e dai colori purpurei intensi. Seppur non fosse in prima fila la figlia di Poseidone ne percepiva chiaramente il calore, sentiva la pelle del viso tirare e gli occhi come se si stessero lentamente essiccando, tuttavia era una sensazione non del tutto sgradevole.
Si voltò di nuovo di scatto, urtando qualcuno o qualcosa con la lunga chioma. Da dietro una mano si posò sulla sua testa e con delicatezza gliela girò verso il fuoco.
–Adesso stai ferma. Perchè mi stai facendo venire il mal di mare, e se dovrò sboccare sarà sulla tua testa. Grazie.– La ragazza sbatté le palpebre leggermente confusa; ci mise un po' per riconoscere la voce, che aveva udito di sfuggita, associata ad un nome. Quando finalmente ricordò stava per chiedere conferma, ma con una risatina demente si ritrovò a dire:
–Mal di mare... haha! Carina! … perché era una battuta, vero?– Chiese in fine. Non sapeva se quello che supponeva essere JP avesse fatto di proposito quel paragone, ma ai suoi occhi pareva una battuta davvero carina. Un sospirò simile ad una lieve risata giunse alle sue orecchie.
–Complimenti, dieci punti a Tassorosso!– Emerald girò leggermente la testa, giusto per conoscere il viso del suo interlocutore, e nel caso, avere la conferma della sua identità. Come sospettava poté riconoscere i capelli scuri e scompigliati, che risaltavano gli occhi chiari e limpidi di Joseph Parker.
Soddisfatta di se stessa e di aver ricordato qualcosa che non fosse un mito la ragazza tornò ad osservare le fiamme purpuree.
–Perché non sei a dirigere i canti?– Chiese curiosa, resasi conto che il figlio di Apollo non era assieme ai suoi fratelli in fondo ai gradoni.
Alle sue spalle il ragazzo scrollò le spalle con la sua solita e sempre presente nonchalance, per poi sbuffare leggermente, consapevole che la ragazza non avrebbe potuto notare il suo gesto.
–Non mi andava... poi abbiamo i turni, doveva essere il mio ma Brando mi ha chiesto di fare cambio–
–Capisco...– Disse annuendo la sedicenne, chiudendo così la discussione con JP.

 

<°>

 

Quando Felix voltò in dietro la testa persino quella calda notte di luglio gli parve fredda e pungente. Aveva avuto la malsana idea di sedersi particolarmente vicino al fuoco; quando gli avevano detto che ci sarebbe stato un falò non pensava che si trattasse di una struttura tanto grande, e che l'intensità delle fiamme variasse a seconda dello stato d'animo dei ragazzi. A quanto pareva cantare disagiate canzoncine di falchi che non erano morti ma solo feriti esaltava davvero tanto i semidei, nemmeno fossero negli Scout.
Tuttavia doveva ammettere che l'effetto pirotecnico delle fiamme aveva qualcosa di ipnotico. A intervalli regolari si univa un sonoro “Ciock” dato dallo scoppio di un ramo tra i carboni, spesso accompagnato da una nuvola di vivaci lapilli. All'inizio si spaventava ogni volta che uno di quei minuscoli corpuscoli incandescenti, tanto simili ad innocue e tenere lucciole, gli si avvicinava, ma dopo che un paio si erano posati ai suoi piedi o sui suoi jeans, spegnendosi in pochi secondi e lasciando spazio ad un agglomerato di cenere aveva smesso di reagire con troppo terrore.
Non sapendo i testi delle canzoni si perse osservando il vecchio centauro che stava in ombra ma vicino al fuoco. I bagliori purpurei illuminavano il manto bianco, come la barba. I ragazzi gliene avevano parlato come un possente maestro d'armi, vecchio e saggio, ma di tutto quello, a Felix, pareva rimanere solo il “Vecchio”.
La pelle del viso era molle e leggermente cadente, sulla mano appoggiata al fianco poteva, quando la fiamma era più intensa, scorgere qualche macchiolina di vecchiaia, e sotto gli occhi aveva ben più di cinquanta sfumature di viola. Sembrava sciupato e malaticcio.
La sua attenzione fu presto catturata da una donna dai capelli rossi e crespi, si era avvicinata a Chirone con una mano poggiata sulla fronte e l'altro braccio avvolto attorno allo stomaco. Come per fargli un favore arrivò il ritornello, e i ragazzi cantarono con più foga, facendo alzare e brillare le fiamme, riusci a scorgerne il volto di profilo, corrucciato in una smorfia mentre parlava con il centauro, che pareva tentasse di rassicurarla.
Distolse lo sguardo giusto per ammirare una di quelle piccole lucciole incandescenti posarsi sulla parte in plastica delle sue Convers quando sentì le voci cessare di colpo, era il silenzio più totale, pareva che tutti, attorno a lui, trattenessero il sospiro. Le fiamme erano rasenti alle braci, di un blu-verde irrequieto e per nulla luminoso. Alzò confuso lo sguardo e seguì quello del ragazzo al suo fianco. La donna dai capelli rossi era svenuta, ed ora alcuni ragazzi, aiutati da Chirone la stavano trasportando su uno sgabello a tre gambe. Aprì la bocca per parlare, non era un medico, ma da quel che sapeva quella non era la posizione da far assumere a qualcuno di svenuto. Non fece in tempo nemmeno a prendere aria che con un sospiro la donna spalancò gli occhi, che brillavano di un inquietante luce verde. La mascella si spalancò come uno di quei vecchi schiaccianoci a forma di soldatino e con un lieve sibilo del fumo verde prese ad uscire copiosamente dalla cavità orale della rossa. Come ipnotizzata richiuse la bocca, e con una voce simile a quella di cento vecchie signore iniziò a declamare:

Ancora una volta eroi dovran partire

e qualcuno, per mano amica o nemica dovrà perire.

Andranno undici a svelare l'inganno,

se vorran veder luce il prossimo anno.

Se l'Olimpo non voglion far cadere

il respiro dell'Africa non dovranno temere.

Saran stranieri in terra straniera,

per trovare la Dea che non era guerriera.

E' stata rinchiusa e or sta morendo

e assieme a lei l'Olimpo perendo.

Al focolare lei assicurava ristoro,

ma presto non vi sarà alcun tesoro.

Andran verso sud, verso la copia perita

Le notti dovran far loro da guida,

seguendo la storia, per mano infinita.

Acqua tiranna della propria innocenza,

sporcherà di rosso la propria coscienza.

Insieme al figlio di chi d'arte è signore

dovran tenere un segreto nel cuore.

Il figlio dell'angelo che non si vuole incontrare

dovrà sopportare la prova di chi vuole solo aiutare.

Se fallirà sarà la condanna,

di lui e di chi della fucina ha la fiamma.

L'orfano di padre farà il suo corso,

portando onore o disonore al suo ormai chiaro genitore.

Flagello sarà lo sconosciuto

se del suo passato non avrà soluzione

Sarà una risata a salvare la vita

o al contrario denunciar la sconfitta.

La morte, in fine, bugiarda signora

troverà modo di vincere ancora.

Veglierà sugli undici da molto vicino,

e determinante sarà per il loro destino.

Veglierà come il guerriero, sulla sua amata,

caduta vittima di una bugia trafelata.

Dove la torcia arde, profonda nel cuore

la Dea aspetta, in preda al terrore.
 

Gli occhi si spensero, l'esile corpo si accasciò, e il fumo si disperse nel nulla.

Il fuoco, ormai, era spento.
 


 

Angolo    

Autrice

Badabadaboom!
Sono viva!
Mi scuso per il capitolo disgustosamente breve. Giuro che mi impegnerò a scrivere qualcosa di più sostanzioso quando saremo all'interno dell'impresa vera e propria.
I personaggi sono ancora tanti da presentare, ma ho intenzione di far iniziare la trama vera e propria quando avrò terminato di presentare i personaggi principali, altrimenti dovremo aspettare il duemilamai.
Come vedete ho iniziato già a movimentare le cose! Oh yas! Ho partorito per voi una delirante profezia più lunga del capitolo, in cui sono ben visibili le mie carenze lessicali per trovare rime ad ogni cosa. Giuro che mi sono impegnata, e anche un po' divertita e uscita di senno più di quanto già non sia, ma è stato divertente, giuro.  Tuttavia non posso dirmi del tutto schifata dal risultato, dai. Anzi... mi aspettavo moolto peggio, solo la lunghezza non mi convince. Ma, giusto per fingere di essere colti, "ai posteri l'ardua sentenza". Vuol dire recensite! Mi crepate! Oh! "Ceh che se non trovo almeno tre recensioni smetto eh"
Okay scherzavo. Spero lo abbiate capito. Scrivo certo per voi ma anche per me e per migliorarmi, se chiudo la storia, e speriamo di no, di sicuro non è perchè non vi vate sentire. 
Solo alcuni chiedo per cortesia di farsi vivi, almeno per messaggio privato. Solo per sapere se siete vivi, e leggete. Poi, non voglio essere cattiva eh, ma ho un numero nauseante di OCs, e non mi faccio scrupoli a far morire la gente. Per logiche ragioni faccio fuori prima chi appartiene a gente non troppo presente, a meno che il suo OCs non abbia ormai un posto speciale nel mio cuore. Ma tanto sono masochista e potrebbe crepare ugualmente :D
Più avanti è anche probabile che vi debba fare delle domande, e se siete vivi e disponili è comodo saperlo.
Ma ora la pianto, perchè fare l'elemosinatrice di recensioni irrita pure me.
Quindi vediamo chi è apparso quest'oggi:

  • Alniyat Callaway - Prima classe
  • Honey Grace Truman - Seconda classe
  • Malia Sugg - Seconda classe
  • Emerald Orwell - Prima classe
  • Joseph Parker Heat - Prima classe
​Ed Eccoli tutti! Spero comunque che il capitolo sia stato di vostro gradimento! Io ora vado a fare una veloce recensione se non voglio vedere i miei pargoli morti!
Quindi buona nanna buon quel che è!

Baci

ΩEbeΩ


 

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Capitolo 7
*** Guai ***


Unlimited
My future is unlimited
And I've just had a vision
Almost like a prophecy
I know it sounds truly crazy
And true, the vision's hazy
[...]
So if you care to find me
Look to the western sky
As someone told me lately
Everyone deserves the chance to fly


Kimberley Walsh - Defying Gravity





 

Miles fissava ad occhi sgranati le braci del falò, in silenzio, come il resto del campo. Sussultò sentendo l'improvviso scoppio di una brace ma rimase a fissare l'oracolo svenuto che veniva portato via dai ragazzi di Apollo, che in fretta e furia avevano lasciato gli strumenti.
I versi della profezia gli rimbombavano in testa, in un eco frustrante, come una voce che gridava e pulsava, premendogli le tempie. Si passò una mano tra i capelli rossi, e scoprì le radici umide, stava sudando freddo? Non se ne era neppure resoconto. Fece un grosso respiro tremante, mentre il suo cervello lavorava alla ricerca di una battuta pessima, da dire anche solo a se stesso.
Miles Jeremiah Lowell era fatto così: sdrammatizzava, anche nelle occasioni migliori, se ci rideva sopra i problemi sembravano meno insormontabili. Ma se non trovava la battuta? Si mordicchiò il labbro inferiore mentre l'indice della mancina giochicchiava nervosamente con il filo del buco sui jeans, causa della sua goffaggine. Qualcosa, dentro di lui era irrequieta, non sapeva dire cosa, con precisione, ma sentiva che in quella faccenda, in quel dannatissimo casino lui c'era dentro, fino al collo.
«Semidei.» Prese parola Chirone dopo interminabili minuti, la voce profonda, ma meno sicura di come solitamente erano abituati udirla. «É stata una serata intensa. Abbiamo tutti bisogno di dormire, riposate, semidei, riposate. Domani mattina alle dieci ci sarà una riunione con i capi cabina.» Concluse, si voltò e trotterellò via.
Ci vollero parecchi minuti che i primi ragazzi si alzassero, e sciamassero verso le proprie cabine, mentre il vociare spaventato saliva di livello.
Il figlio di Gelos si strinse nelle spalle e con passi pacati si diresse verso la propria cabina, la numero venti. Una casa di Ermes secondaria, dove stavano i figli di divinità minori, riconosciuti ma troppo pochi per poter avere una casa tutta loro.
La casa era piuttosto grande e arredata in modo a dir poco spartano: una sfilza di letti a castello in legno scricchiolante, posti paralleli l'uno all'altro, sembrava quasi il dormitorio di un esercito, piuttosto opprimente come ambiente. In un angolo a destra una scala a chiocciola portava al piano superiore, in un ambiente pressoché identico a quello di sotto. L'unica cosa che rendeva la cabina venti meno claustrofobica era l'enorme vetrata che faceva da muro alla parete di fondo di entrambe le stanze, lasciando la vista vagare un suggestivo panorama del laghetto delle canoe e del campo di tiro con l'arco.
Miles si era già lavato prima del fuoco, e con sonnolenza si mise il pigiama, si arrampicò sul suo letto, terzo, partendo dalla vetrata, e si mise a gambe incrociate, ammirando la luna riflettersi nello specchio d'acqua. Si strinse nelle spalle, pregando sua madre Gelos di fargli chiarezza.
Si avvolse sotto le coperte, e lanciando un ultimo sguardo all'esterno chiuse gli occhi verdeazzurri.
Non sognò nulla quella notte. Solo una frase, ripetuta a macchinetta nella sua mente.
E tutto gli fu chiaro.

 

<°>

 

Il materassino su cui lo avevano messo era scomodo.
Molto, tanto. Gli avevano detto di essere fortunato, solo due giorni prima un figlio di Afrodite era stato riconosciuto, e quindi si era liberato il materassino gonfiabile.
A cena glielo avevano indicato, un biondino dagli occhi blu, di bell'aspetto, ma decisamente mal messo, stava dritto solo grazie a un busto ortopedico, chiaramente visibile sotto la maglia arancione.
Ma Felix non si sentiva fortunato, era come stare sui materassini gonfiabili nel mare, ogni volta che ti giravi provocavi un rumore allucinante, infastidendo tutta la cabina, per non parlare di come questo fosse molle e di quanto lo facesse sentire instabile, gli veniva la nausea, e aveva la sensazione di cadere di lato da un momento all'altro. Solo che se cadevi dai materassini da spiaggia sotto avevi il mare, qui no, solo legno duro, e se eri fortunato qualcuno che ti smorzasse la caduta.
Considerato che erano ottanta centimetri dislivello l'islandese constatò che stare fermo con gli occhi puntati sul soffittò avrebbe giovato di più alla sua incolumità fisica, anche se forse un po' meno a quella mentale.
Ci volle poco perché il ragazzo incappasse di nuovo nel suo solito e fastidioso problema. Sentiva il corpo protestare, i piedi gli facevano male per aver girato per tutto il giorno esplorando ogni angolo nel Campo, le braccia dolevano al minimo sforzo per colpa dei figli di Apollo che avevano insistito per fargli provare un arco troppo duro per lui, e sopratutto le palpebre erano pesanti come piombo.
Ma la sua mente galoppava, oh se galoppava, un mustang nelle praterie del suo cranio.
Pensava a come il suo mondo fosse cambiato da un giorno all'altro, a cosa potesse avere preso senso nella sua vita. Che forse lo psicologo non gli era davvero servito dopo l'incidente.
A flash tornarono le immagini di come sua madre era morta, e un senso di nausea gli prese la bocca dello stomaco e la gola.
Si alzò di scatto, stringendosi nelle spalle quando qualcuno lo mandò a cagare per il casino. Si alzò il più silenziosamente possibile, infilò le scarpe e si strinse nella fidata felpa a quadri ed uscì.
L'aria era più frizzante di quel che ricordasse. La sentiva infilarsi negli spifferi, solleticargli il collo e insinuarsi su per le caviglie. Per un attimo fu tentato di tornare dentro a prendere il suo fidato cappello, ma la pigrizia ebbe la meglio, si ripeté uno dei suoi fidati detti tra i denti e proseguì.
«Se è troppo lontano non ti serve davvero» Optò così per tirare su il cappuccio grigio, sistemò alla ben meglio il ciuffo, mise le mani in tasca ed iniziò a vagare.
Stava osservano la punta delle sue Adidas quando una voce divertita lo fece sobbalzare.
«Immagino che non ti abbiano spiegato nulla riguardo alle Arpie, vero?» Felix si voltò verso l'edificio nero dalla quale proveniva la voce, attorno all'entrata c'erano due focolari di fuoco verde, e sulla chiave di volta dell'arco d'ingresso era stato appeso un elmo nero su cui in argento era stato scritto il numero tredici. Alla destra della porta una finestra era aperta, e un ragazzo era pigramente appoggiato al davanzale, mentre con pigrizia faceva scattare un accendino rosso che teneva in mano, facendo di tanto in tanto passare l'indice dell'altra mano velocemente attraverso la fiammella.
«Eh?!» Fu l'intelligente risposta del ragazzo, osservando l'altro con curiosità mista ad una seria preoccupazione per il dito che tagliava la lingua rossa e calda sempre più lentamente.
«Le arpie... pattugliano il campo di notte per assicurarsi che nessuno se ne vada a zonzo... non sono molto gentili...» Ridacchiò tra se e se «Ma alcune se le prendi nei giorni buoni sono quasi simpatiche!» Alzò finalmente lo sguardo posandolo sul ragazzo, la luna illuminò un volto scolpito, labbra carnose e un anellino in argento ad una narice, che brillando d'argento pareva una falce di luna. Non riusciva a capirne il colore degli occhi, ma le ombre scure accentuavano di più le occhiaie che gli contornavano gli occhi.
Il figlio di Ade sorrise smagliante e tornò al suo accendino
«Deduco che tu sia spesso fuori, date le tue affermazioni» Sbottò in tutta risposta, il ragazzo schiocco la lingua e inclinò la testa di lato.
«Colpevole, mi hai beccato.» Sospirò «Ho problemi di prostata di notte mi sveglio un sacco di volte per andare in bagno... ma ti prego, non dirlo in giro, rovinerebbe la mia reputazione» Gli strizzò l'occhio e sparì nel buio della sua cabina, lasciando Felix li fermo e confuso, non capendo se credergli seriamente o meno.
«Felix Alfarson comunque, è stato un piacere...» Borbottò iniziando a tornare sui suoi passi.
«Orion Dallas Parker!» Si sentì rispondere da dentro la cabina.
Ridacchiò, aveva immaginato i figli di Ade in tutt'altro modo.

 

<°>

 

Il mattino successivo il cielo era plumbeo e una nebbiolina leggera stava sciamando via lungo il terreno. Il Campo si stava destando lentamente, e alle nove e mezzo tutti sarebbero stati seduti ai loro tavoli pronti per la colazione.
Forse non proprio tutti, in realtà: Dawn Faith Justice era ancora avvolta nel tripudio del suo lenzuolo color tiffany, i capelli biondi scompigliati e il viso contorto in una smorfia decisamente poco elegante. Quando la sveglia segnò le nove e un quarto dovette tirar giù cinque santi dal cielo e sette dei dall'olimpo prima di alzarsi pigramente e spegnere quell'arnese malefico. E doveva ringraziare il cielo se aveva rotto la sveglia regalatale dalla sua omonima amica figlia di Efesto.
Quell'arnese maledetto si spegneva solo se ti alzavi a riprendere il cavolo di elicotterino che partiva quando suonava e lo riattaccavi al suo posto. Maledizione di Satana.
Con lentezza e dopo qualche minuto preso per realizzare che era giorno si trascinò in bagno dove si lavò velocemente, mise i vestiti e con tutta la calma del mondo raggiunse il padiglione a cielo aperto -dove ormai tutti stavano mangiando- si sedette al proprio posto e si servì un po' di frappè, il gelato non lo servivano alla mattina.
Quella mattina avevano obbligatoriamente una lezione di tiro con l'arco, e ovviamente qualche figlio di Apollo avrebbe controllato che nessuno morisse nell'intento.
Splendido”
Questa volta non poteva scappare, era riuscita a sfuggire alle ultime cinque lezioni per colpa di un influenza, in realtà durata molto meno, ma ora era condannata.
Si lavò i denti assieme ai fratelli ed estrasse da sotto il letto Polvere, il suo arco, da sotto il letto. Non sapeva con precisione nemmeno lei il perché di quel nome, ma quel giorno decise che era per gli elefanti, non gatti, di polvere di cui riusciva a ricoprirlo, quando si impegnava. Dopo aver cercato per tutta la stanza la corda -trovandola in fine nella stessa custodia dell'arco- sbuffando si diresse al campo di tiro.
Ad occuparsi di loro poveri tiratori non scelti c'era un certo Brando Akolzin, un tipetto particolare per essere un figlio d'Apollo, sembrava quasi più lui l'allievo che doveva imparare come mettere una corda sull'arco senza spezzarne il legno o slogandosi la spalla. Ma alla fine era bravo, spiegò, seppur farfugliando un po', a Dawn che doveva aspettare che tutti avessero tirato prima di recuperare le frecce, altrimenti finiva impalata.
«Lo so, razza di gerbillo, sono figlia di Atena eh...» Borbottò leggermente imbronciata, e sbuffando prese una freccia della faretra e l'incoccò, tirò fino ad avere le dita a sfiorarle la guancia, chiuse uno dei due occhi azzurri, mirò e scoccò.Cerchio rosso, otto punti.
Sorrise felice e si girò a guardare gli altri paglioni. Brando dal fondo del campo scoccò con precisione una freccia che si conficcò nel cerchio giallo del nove. La figlia di Atena sbuffò sonoramente: finiva sempre così, non andava troppo male nel tiro con l'arco, ma quei dannati figlio di Apollo finivano sempre per sfigurarla.
Con un sospiro stava prendendo una seconda freccia quando un rumore di zoccoli che si avvicinavano li fece voltare. Chirone si avvicinava al galoppo, Dawn riconobbe sul volto dei suoi fratelli la sua stessa espressione confusa nel vederlo così... vecchio.
«Alle undici voglio i capo cabina, dobbiamo discutere della profezia di ieri...» Stava già per voltarsi quando Brando lo bloccò all'ultimo, leggermente rosso in volto mentre parlava.
«Cosa vuol dire? Hai idee, intendo.» Il centauro girò solo leggermente la testa, un'ombra scura sul viso.

«Guai»
 

 


 

Angolo    

Autrice

Badabadaboom!
Ancora si procede con i capitoli corti. Lo so. Ma almeno sono più o meno costanti no? Si lo so, la cosa non mi giustifica. Sopratutto visto che l'ultimo era ado ottobre...
Comunque, ho finito di presentare i personaggi principali, quindi da prossimo si entrerà nel vivo della questione, e mi impegnerò a fare capitoli di almeno duemilacinquecento parole (questi vanno attorno ai millesettecento) e spero che non risultino delle cavolate. Questo cappy era ancora schallo, ma temo sia tra gli ultimi che vedremo! Le cose iniziano a movimentarsi! 
Ma scopriamo chi abbiamo visto quest'oggi!

  • Miles Jeremiah Lowell - Prima classe
  • Orion Dallas Parker - Prima classe
  • Dawn Faith JusticeSeconda classe
  • Brando Oleksander Akolzin - Seconda classe
​Ed Eccoli tutti! Spero comunque che il capitolo sia stato di vostro gradimento! Spero di aver impersonato bene i vostri personaggi, visto che spesso mi è sembrato di uscire un po' da come me lo avete presentato. Quindi vi prego di farmi sapere!
Quindi buona nanna buon quel che è!

Baci

ΩEbeΩ





 

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Capitolo 8
*** Volontari ***


Don't stop us now, the moment of truth
We were born to make history


Dean Fujioka - History Maker


 Infinito era convinto, anzi certo, che suo fratello sarebbe stato molto più adatto di lui a quel ruolo: era più grande di lui, anche se solo di un anno, al campo da più tempo, ma sempre solo di un anno, e sopratutto più maturo. Tuttavia seduto al tavolo da ping pong c'era lui, per qualche oscura ragione sconosciuta anche agli Dei. L'unica spiegazione che il biondo si era dato era che con la sua parlantina fluida era più partecipe alle riunioni ed una figura più presente di quanto Alniyat avrebbe potuto essere.
 
La leggera pallina bianca rimbalzava a intervalli regolari, prima da un lato e poi dall'altro della racchetta rossa che il figlio di Nyx teneva in mano. Ogni tanto aveva dato qualche occhiata attorno a se, scorgendo gli sguardi infastiditi degli altri ragazzi presenti, mentre nel silenzio più totale si udiva solo il ritmico e continuo rimbalzare della sfera. Si mise più comodo, incrociando la gamba sinistra sulla destra, tenendo i piedi comodamente appoggiati sul tavolo.
 Venti, ventuno, ventidue,...
Contava nella sua mente, seguendo con gli occhi azzurri il proprio minuzioso lavoro di coordinazione e prontezza di riflessi. Una parte di lui era leggermente dispiaciuta: era piuttosto sicuro di star diventando abbastanza irritante. Dall'altro lato poco gli importava, quei ragazzi più di tutti avrebbero dovuto comprendere l'iperattività che lo colpiva e di come fosse, a tutti loro, assolutamente impossibile stare fermi.

 La porta si spalancò con un tonfo, facendo sobbalzare tutti e cadere la pallina. Sulla porta Isidro Vega osservava soddisfatto gli sguardi dei presenti, con un espressione talmente gioconda e soddisfatta da raggiungere il ridicolmente idiota. Soddisfatto di aver fatto anche quella volta la sua entrata d'effetto.
Il figlio di Alalà annuì deciso e saltellando si diresse verso l'ultima sedia vuota presente.

«EIA, EIA, EIA ALALÀ» Esclamò con convinzione saltando sulla seggiola arancione. Batté le mani sul tavolo e si guardò attorno con lo sguardi di chi ha bevuto troppi caffè.
«Camerati, buongiorno! La seduta può avere inizio! Dunque si discute di...» Chiese alzando un sopracciglio castano e facendo passare lo sguardo inquisitore sui presenti.
«Grazie, Isidro, di essere sempre così sobrio, puntuale e presente...» Iniziò Chirone, avanzando dal caminetto di cui scrutava le braci spente da circa cinque minuti.
«Tuttavia, la riunione che si terrà oggi non è per scegliere i turni delle pulizie o come sarà la caccia alla bandiera. Ci troviamo di fronte ad una profezia, straordinariamente lunga, ma altrettanto intricata. Oggi siamo qui perché alcuni dei nostri ragazzi... undici di loro partiranno per una missione» Mormorii preoccupati si levarono tutto attorno, mentre lungo la schiena di Infinito serpeggiavano dita gelate, come se un coltello rimasto in un abbattitore per una notte gli stesse ora ripercorrendo con la lama affilata la miriade di cicatrici che gli ricoprivano la schiena. Da che ne sapeva le missioni erano un argomento delicato, mai avrebbe osato anche solo immaginare una decisione così repentina e avventata... che ci fosse qualcosa di strano nelle ceneri del camino? Conoscendo il Dio che aveva dimora li non se ne sarebbe per nulla sorpreso.
 «Chi?» La domanda sbucò decisa tra il chiacchiericcio crescente, ammutolendo tutti con ferma decisione.
 Parker se ne stava seduto in un angolo, quasi in doppia fila, vicino al pac-man su cui poggiava la schiena visto che era seduto di lato e teneva il braccio sinistro sullo schienale. Il viso spigoloso portava la sua perenne espressione annoiata e insofferente, piuttosto in disaccordo con la domanda che sembrava celare un velo di sadica curiosità dentro di lui cresceva la sensazione che lo portava a pensare che, almeno quella volta, il camion di letame che era la vita, con tutti i suoi splendidi colpi di scena, aveva scaricato il proprio contenuto addosso a qualcun altro. 
Gli sguardi dei ragazzi ora erano di nuovo concentrati sul volto stanco del centauro, che fissava una delle lattine di coca-cola mentre si accarezzava la barba.
«La tua domanda mi mette in difficoltà: come tutti sapete più si tenta di decifrare una profezia più la situazione si aggrava, sopratutto non sempre la si interpreta correttamente...» Disse in fine in un filo di voce assorto, lo sguardo fisso ora sulla ciotola di noccioline, visto che Orion si era impossessato della lattina per berne il contenuto.
«Bhe... potremmo decifrarne solo alcuni versi, penso sia doveroso, o non sapremmo dove sbattere la testa...» Mormorò Alexander guardando il saggio maestro accanto a se, dando voce all'idea che serpeggiava in tutti i semidivini cervelli li presenti.
 «Inizierei con calma, Estia è stata rapita.» Il capocabina di Demetra aveva spiegato il palese, ma nonostante tutti avessero capito, probabilmente era l'unica parte chiara, la frase rimase ad aleggiare nella stanza procurando a tutti un inquietante senso di smarrimento.
«Perché Estia? E' una Dea che pochi prendono in considerazione, custodisce il focolare, e nessuno ha un focolare ora, o non come era inteso al tempo.» Chiese ingenuamente la ragazza in rappresentanza della Cabina di Hypno.
 «Al contrario di ciò che dici Estia è assolutamente essenziale» Iniziò a spiegare il figlio di Clio «É la fiamma della vita, l'anima dell'Olimpo, fino a che il focolare brucia la nostra realtà sarà viva e presente; ma se Estia viene annientata, se la fiamma Olimpica si dovesse estinguere... il nostro mondo scomparirebbe. Quella fiamma a cui nessuno pensa è il cuore della nostra civiltà, e se annienti quello...» Alexander strinse nel pugno la lattina vuota di thé e la lascio cadere con un sordo suono metallico sul tavolo. «Annienti l'organismo intero.»
 L'ansia era diventata ormai palpabile, presente e concreta quanto i loro corpi, serpeggiava tra di loro come un infido serpente, sfiorano le caviglie, e i colli con il suo viscido corpo freddo, ritrasformandosi in aria per essere inspirata e raggiungere i cervelli in cui scatenava il panico.
«Penso... che andranno dei volontari. Non si obbliga nessuno. Ma undici semidei dovranno partire.» Sentenziò Chirone in risposta all'originaria domanda del figlio di Morfeo, guardando uno ad uno i volti dei presenti e fermandosi poi su quello del ragazzo.
«Non me ne intendo di profezie e di tutte quelle cose li, ma solitamente non ci sono delle indicazioni precise? Voglio dire, “fuoco o tempesta” indicavano delle persone precise... no?» Chiese Orion, allungandosi sul tavolo e agitando una mano verso la ciotola dei salatini, fino a che il capocabina di Atena non gliela avvicinò con sguardo scocciato.
«Dobbiamo tener presente che le profezie di non prevedono il futuro, quindi è destino che ci siano determinati volontari. Almeno me lo auguro...» Il figlio di Ade annuì mentre metteva in bocca metà arachide per poi ignorare completamente la ciotola, come se lo avesse saziato alla perfezione.
«Lo dirò a pranzo, e al falò chiederò se ci sono volontari, è questione di tempo prima che la Fiamma Olimpica si spenga, dobbiamo agire in fretta. Voi... voi iniziate a spargere la voce.» E con questo il centauro se ne andò.
 Ci volle qualche secondo prima che i ragazzi si alzassero iniziando ad uscire, come se nessuno volesse essere il primo, mentre sul loro volto si leggeva chiaramente la voglia di alzarsi ed uscire a distrarsi.

 

<°>

 

 Volontari. Chirone voleva dei volontari.
In pochi sarebbero andati, sicuramente in pochi; Alexander era quasi del tutto sicuro di essere l'unico folle che quella sera avrebbe alzato la mano e già si immaginava gli occhi strabuzzati di quelli che lo circondavano. Tuttavia, per qualche motivo strano, lui sarebbe partito. Probabilmente le sue ragioni avrebbero fatto ridere un sacco di gente: Era un occasione d'oro, il figlio di Clio aveva sempre vissuto con l'idea che ognuno dovesse lasciare un segno, il puntino di sistemare il mondo, fare anche un piccolo gesto che facesse la differenza. “Che senso avrebbe la vita se non fai la differenza?” Chissà, magari era un influenza indiretta di sua madre, Musa della Storia. Forse voleva entrare nella storia, almeno quella semidivina, non per la fama, quella di sicuro non gli interessava, era un volere personale. Uno scopo che aveva, che sicuramente ben in pochi condividevano, o di sicuro non completamente, non arrivando a mettere a serio rischio la propria vita. Ma Alexander era testardo, se aveva un obbiettivo, cadesse il mondo, lo avrebbe raggiunto.
 «Partirai, vero?» La domanda giunse dalle sue spalle, seguito dallo scoppio di una bolla: Leah. Il ragazzo si strinse nelle spalle, scostandosi appena per farla sedere.
«Colpevole» Disse con un sorrisetto mentre la figlia di Efesto si sedeva al suo fianco fissando lo specchio d'acqua davanti a loro.
«Che gran cagata. E' praticamente un suicidio» Sbotto, biascicando appena per via della gomma da masticare con cui subito dopo fece una bolla.
«Nah non credo. E poi, anche se fosse? Nel senso, meglio morire avendo provato a far qualcosa, a sistemare la situazione, che morire da codardi rintanati in un angolo. Non puoi scappare dalla morte, vorrei morire in modo dignitoso, non perché un empusa mi uccide mentre sono sulla water.»
«Meglio vivere e basta»
 L'amicizia tra i due era così: decisamente singolare nel suo genere, era un cercarsi a vicenda, per soddisfare i propri desideri: se ad Alexander piacevano i dibattiti verbali e spiegare la propria opinione, a Leah piaceva avere ragione, dire la propria con franchezza e sincerità e lasciare l'interlocutore senza una risposta convincente. Era un continuo battibeccare, un alzare la voce per farsi valere e, anche quando l'argomento era chiuso, un susseguirsi di frecciatine. Quei due erano decisamente uno spasso assieme, vederli discutere era senza dubbio divertente ed interessante.
 «Abbiamo la possibilità di fare qualcosa! Di cambiare il corso degli eventi, non tutto è perduto, e non lo sarà, per gli dei! Non intendo stare a guardare mentre la mia realtà si sgretola e piangermi addosso in punto di morte perché avrei potuto aiutare. E' difficile e ci vuole coraggio, anche un briciolo di follia, ma non è impossibile.» Esclamò il riccio gesticolando animatamente
«Ma potresti restare qui comunque, altri potrebbero non far sgretolare la tua realtà e se anche fosse potresti passare i tuoi ultimi momenti con le persone a cui tieni, vivere gli ultimi giorni facendo ciò che ti piace, rileggendoti quei tuoi libri ad esempio.» Rispose con calma la ragazza, osservando una macchia di luce filtrata tra le foglie degli alberi dietro di loro illuminarle un pezzo della coscia color cioccolato. Il ragazzo sorrise leggermente divertito.
«Bhe si... ma se lotto i libri li potrei rileggere centinaia e centinaia di volte.»
«Buon suicidio allora, farò un discorso quando bruceremo il tuo drappo: “Io glielo avevo detto, ma sappiamo tutti che era una testarda testa di cazzo”» Ridacchiò estraendo un piccolo ingranaggio dalla tasca che prese a rigirarsi tra le dita.
«Neanche una lacrimuccia piccina picciò?» Chiese il ragazzo con un'espressione infantile, cercando con le iride azzurre quelle chiare della ragazza che ricambiò lo sguardo inarcando un sopracciglio.
«Forse...» Osservò di nuovo l'ingranaggio prima di schiaffarglielo in mano con scarsa delicatezza «Tieni, eroe. Quando sarai in punto di morte guardalo e ricorda la mia faccia mentre ti dico “te lo avevo detto”» Era ironica e seccata, la solita Leah Cage, all'apparenza. Tuttavia Alexander la conosceva abbastanza da sapere che la voce era venata da una leggera tristezza. Sorrise teneramente guardando la rotellina d'ottone nella sua mano, la figlia di Efesto ci teneva agli altri, alla fine, aveva un cuore sotto quegli ingranaggi ed era gentile, a modo suo. Con un sorriso le gettò le braccia al collo in uno dei suoi soliti abbracci teneri che dispensava a chiunque, mettendo in quello qualcosa di speciale.
«Certo capo, ma non ne avrò bisogno.»

 

<°>

 

 L'aria frizzante serale era intrinseca di ansia mista ad una malsana curiosità. Il crepitio del fuoco era unito ad un vociare curioso e preoccupato mentre Chirone avanzava lentamente verso il cratere iniziando a parlare con voce grave.
Cadde il silenzio.

 «Semidei, ci troviamo di fronte ad una grande profezia. Sappiamo solo che Estia è sparita, la dea del focolare, custode del fulcro di vita dell'Olimpo e del nostro mondo. Se lei è in trappola la Fiamma Olimpica si consumerà e con lei il nostro mondo, tutti noi. Undici semidei dovranno partire verso sud, non voglio obbligare nessuno quindi... se ci sono volontari, che si facciano avanti.»
 Gli occhi castani del centauro schizzarono subito verso un lato degli spalti dove Miles Lowell si era alzato di scatto, il volto più rosso dei capelli color carota. Con passo impacciato e insicuro scese le scale in mezzo ai mormorii stupiti. Nessuno si sarebbe aspettato il figlio di Gelos come volontario, come 
primo volontario. Deglutì rumorosamente e si avvicinò al maestro d'armi.
«Mi offro come volontario per questa missione» Disse velocemente, solo quando concluse la frase rilassò le spalle visibilmente contratte: era soddisfatto, era stato veloce, come togliere un cerotto. Non era la persona più coraggiosa del campo, ma lui sapeva che doveva partire, se lo sentiva, per qualche strana ragione.
 Una mano si posò sulla sua spalla facendolo sussultare, Alexander Townsend era in piedi al suo fianco, un caldo sorriso sul volto roseo, con l'altra mano giocava con le quattro perle colorate che portava al collo, il ragazzo notò anche una piccola rotellina di un ingranaggio infilata nel cordino di cuoio.

Assieme i due osservarono gli spalti con una muta domanda di aiuto negli occhi, con la richiesta di farsi avanti, ed uno ad uno i volontari si alzarono.
 Il terzo a farsi avanti fu Lorcan Cunningham, che con sguardo basso si diresse velocemente vicino ai due, mormorando un piccolo "ciao". Era piuttosto sicuro che nella profezia si parlasse di lui, ma non nel modo più simpatico di tutti. Poi chi lo sapeva, magari non centrava nulla, ma magari moriva da eroe, magari suo padre decideva di riconoscerlo, almeno nei Campi Elisi.
 Quando Infinito scese gli scalini di pietra, con la solita camminata leggera e dritta di chi sta fronteggiando qualcuno, i tre ragazzi non ne furono eccessivamente felici. In tre anni che il ragazzo stava al campo tutti avevano imparato a conoscerlo principalmente in due aspetti: Infinito non sapeva stare in un gruppo: era decisamente il peggior compagno che si potesse avere. Sembrava del tutto incapace a giocar di squadra, se normalmente gli si voleva scocciare la bocca quando si trattava di strategie e azione bisognava pregarlo perché parlasse, affinché collaborasse e si attenesse ai piani. Ma ogni tentativo era sempre risultato vano. Punto secondo: c'era quasi una prova scientifica che provava che il figlio di Nyx non sapeva vincere. Ovunque fosse, qualsiasi schieramento, in ogni gioco, battaglia, o che si voglia, Infinito perdeva. Sempre.
 Timothy non sapeva che problemi avesse quella figlia di Efesto, sapeva solo che la sua presenza, quasi perenne attorno a lui iniziava seriamente a infastidirlo. Non era nemmeno sicuro del suo nome, ma tutti la chiamavano Dawn. Gli trotterellava attorno da circa una settimana, in modo velato, non troppo appariscente, ma la notava: si sedeva con disinvoltura al fuoco vicino a lui, faceva quasi sempre copia con lui quando avevano le lezioni di scherma assieme, o semplicemente lo guardava di sottecchi. Il figlio di Thanatos odiava lo sguardo altrui, saper di essere centro dell'attenzione di qualcuno, il disagio che ne scaturiva, sopratutto poiché trovava sempre pena nello sguardo altrui.
 «Allora andiamo?» Era la prima volta che la rossa gli rivolgeva la parola, aveva un tono squillante, nonostante stesse parlando a bassa voce per non farsi sentire troppo nel silenzio quasi totale. Il quindicenne girò leggermente il capo verso di lei, confuso.
«E' un esperienza... no?» Continuò la ragazza; era piuttosto sicuro di essersi perso qualche pezzo della frase, ma non aveva assolutamente intenzione di chiederle di ripeterla. Alzò lo sguardo verso i quattro ragazzi in piedi al centro dell'arena, sul volto la stessa espressione; forse solo Infinito sembrava più rilassato.
«Come vuoi...» Con un sospiro Dawn si alzò e trotterellò giù fino ad unirsi al gruppetto, un sorriso sul volto e le mani che lavoravano ad un filo di metallo che continuava a piegare e modellare. Timothy non era uno psicologo, ma probabilmente tutti avevano notato che quel gesto non era dovuto solo alla sua grande iperattività, ma sicuramente anche a qualcosa di più, ansia, forse.
 Quella ragazza però gli aveva mosso qualcosa dentro, un idea malata, a cui non voleva dare ascolto, eppure prendeva sempre più in considerazione. Si riteneva l'essere più inutile del mondo però partendo avrebbe potuto far qualcosa, forse, se anche non fosse stato il combattere valorosamente... almeno avrebbe fatto numero. Fece per alzarsi ma si bloccò, e se fosse morto lentamente? Quella era l'unica morte che temeva e di sicuro i mostri non volevano non farlo soffrire. Fece il terribile errore di incontrare gli occhi azzurri di Dawn, che con un sorriso incoraggiante fece un piccolo cenno con la testa per invitarlo ad aggiungersi al gruppo, forse con un tono troppo deciso.
 Perché Timothy Alexander Wraith si alzò, scese la scalinata e si aggiunse al gruppo, perché ancora una volta era sottostato all'idea di qualcun'alro.

 


 

Angolo    

Autrice

Quattro mesi sono tanti...
Lo so, e vi chiedo umilmente scusa, mi sento l'essere più spregevole sulla faccia della terra, ma mi ero ripromessa di fare un capitolo più sostanzioso dei precedenti, e cavarlo fuori è stato davvero, davvero un parto.
Come se non bastasse non ne sono nemmeno del tutto soddisfatta, ma proprio per nulla, ew.
Spero che a voi non abbai deluso troppo... *si prepara a ricevere i pomodori*
Come sempre una recensione con un vostro piccolo parere mi solleverebbe molto la giornata.
Piccola noticciola, non se se avete notato, ma il titolo e l'autore della canzone sono un link per andare alla canzone.
Che dio mio quanto è bella?! Quanto?! Voglio la seconda stagione, help~
Quindi vi invito tutti a cliccare ed ascoltare! Che poi sono anche un sacco fiera perchè finalmente ha più o meno senso rispetto al contenuto del capitolo, yay!
Btw, appena ho tempo e voglia inserirò i link anche alle canzoni precedenti, quindi magari date un occhio ogni tanto (?)
Dunque,  in questo capitolo conosciamo due personaggi nuovi, vi presento dunque:

  • Isidro Vega - Seconda classe
  • Parker Carson - Seconda classe
​E con questo vi do definitivamente l'arrivederci :3

Baci

ΩEbeΩ

 

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Capitolo 9
*** Fine presentazioni ***


Can somebody tell me what to do?
Though we're meant to be
There's no going back
Time has already come
Sun is gone and no more shadows
Can't give up I know and this life goes on
I'll be strong I'll be strong 'til I see the end


Glassy Sky




Una giornata senza fare il bagno almeno una volta era una giornata sprecata, per Emerald. Soprattutto quando il tempo era ancora abbastanza buono da non regalarti l'ipotermia.
 Il sole era sorto da poco e la foschia si stava ancora ritirando, rimanendo solo attorno ai tronchi del bosco. La luce scaldava a malapena il sottile corpo della figlia di Poseidone, immersa fino ai fianchi nel mare mentre ammirava Apollo risalire nel cielo.
 
La sensazione di pace era assoluta, la rinsacca leggera, il vento sottile e i capelli rossi dolcemente cullati dalle onde. Prese un profondo respiro, inspirò il profumo del mare e quello più leggero delle fragole; chiuse gli occhi e li riaprì.

 “Padre, non mi aspetto una tua risposta, non pretendo un colloquio, voglio solo un cenno, qualcosa che mi dica che ci sei... che sai che ci sono.”

 Mise in quel pensiero, in quella richiesta, tutto il suo desiderio, tutta la sua passione.
 Dopo essere arrivata al campo Poseidone la riconobbe appena dopo una settimana, appena tagliato il traguardo nella gare con le canoe il tridente apparve sulla sua testa. Da allora, tuttavia, il dio sparì completamente. Non si aspettava una presenza costante, regali di compleanno ed uscite padre-figlia. Ma un segno... qualcosa, ogni tanto. Erano passati sette anni ed Emeral iniziava realmente a pensare che si fosse dimenticata di lei. 

 Dopo tutto non era un eroe, era goffa, imbranata, non sapeva tenere in mano nessun arma e non aveva mai ucciso un mostro. Una figlia facile da dimenticare, facile da non voler riconoscere come propria. Probabilmente quando la riconobbe si aspettava un nuovo Percy Jackson, una nuova stella del firmamento a cui tutti avrebbero chiesto aiuto... e invece restò solo lei, Emerald, un metro e sessanta di timidezza e goffaggine.
 
Uscì lentamente dall'acqua, quando sentì il corno mattutino suonare alle sue spalle.
 
La cosa che più preferiva della capacità di non bagnarsi era non dover stare ore a togliersi la sabbia appiccicata in ogni centimetro del corpo. Rimise i vestiti e si incamminò verso la mensa.

 La mensa si affollò velocemente e nel giro di venti minuti si stava già mangiando, nonostante qualche ritardatario.
 
Emerald mangiò con calma le proprie fette con la marmellata e assaporò il proprio cappuccino facendo vagare lo sguardo sugli altri ragazzi. Non era una ragazza particolarmente loquace, anzi, si esprimeva quasi sempre solo a gesti. Era l'unica occupante della cabina tre e questo la rendeva triste, il suo silenzio non voleva dire che non le piacessero le persone, anzi! Ma dopo tutto che poteva farci lei? Chiedere al suo assente padre “Ehi papà? Posso avere un fratellino? Anche una sorellina va bene!” Non era il caso.
 
Con un sospiro si alzò prendendo il piatto e di unì alla coda davanti al focolare in mezzo al padiglione per potere bruciare la propria offerta.

 

<°>

 

 Quando il bicchiere le si rovesciò addosso Deianee aveva appena finito l'offerta al focolare.
 
Si voltò con sguardo impassibile verso la ragazzina. Avrà avuto probabilmente la sua stessa età ma aveva un espressione talmente spaventata ed infantile da sembrare una quattordicenne. Se ne stava li come un imbecille a fissarla borbottando scuse con un filo di voce mentre si chinava per raccogliere il calice un tempo pieno di succo ottenendo come unico risultato quello di rovinare per terra anche il contenuto del piatto.
 
Daianee non conosceva il suo nome, come non ne conosceva quasi nessun altro, ma sapeva chi era. La figlia di Poseidone non passava inosservata con quei capelli color carota che si ostinava ad abbinare con la maglia del campo creando un accozzaglia tremenda capace di far perdere la vista a chiunque.
 
«Si può sapere che diavolo ti passa nella testa?!» Disse con un sibilo aggrottando le definite sopracciglia scure
 «Io... io sono desolata...» Provò a scusarsi Emerald, risultando ancora più ridicola agli occhi della figlia di Ecate.
 
«Hai la più pallida idea di quanto costino questi abiti?!» Rincarò, la voce alta e chiaramente arrabbiata mentre si osservava la lunga gonna nera; lo stile gotico era bello quanto costoso.
 
«Prega tuo padre che questa roba si tolga o che io sia abbastanza abile da toglierlo con un incantesimo... sempre ammesso che tuo padre si ricordi chi sei. Probabilmente è troppo imbarazzato anche di averti riconosciuta come sua figlia.» L'espressione sul volto di Emerald si spezzò, rimase a fissarla troppo sconvolta anche solo per provare a dire qualcosa.
 
«Potresi provare ad andare in missione, anche se non credo saresti molto utile, o magari mori...» Non poté mai finire la sua crudele frase perché Chirone arrivò al galoppo facendosi largo tra i ragazzi che si erano radunati attorno alle due sedicenni.
 
«ADESSO BASTA. Daianee sono certo che del succo di mela non abbia mai segnato la morte di nessuna gonna in pizzo, inoltre sono certo che tu sia una figlia di Ecate abbastanza brava da avere qualcosa per queste situazioni, ti prego di tornare nella tua cabina e di darti una calmata.» Esclamò il centauro, tuttavia la ragazza si era già allontanata borbottando cose non troppo carine, non le captò tutte ma sentì chiaramente un “Datti all'ippica centauro di merda.” Che non si sarebbe dimenticato facilmente.
 
«E voi? Non avete attività da fare?» Esordì in fine, congedando così i ragazzi che stavano ancora li attorno.

 

<°>


 Gwaine se ne stava comodamente seduto su uno dei lettini dell'infermeria mentre Brando gli medicava il braccio con delicatezza.
 
«Sai Akolzin, se chiudo gli occhi e mi concentro posso pensare che una qualche bella infermiera mi stia medicando...» Ridacchiò il figlio di Demetra chiudendo gli occhi rilassato.
 
«Poi apri gli occhi e ti accorgi che è solo il nostro Brando... a cui stanno cadendo gli occhiali, di nuovo. Seriamente doc, come fai a non rendertene conto?» Ridacchiò Justin alle sue spalle.
 
Il figlio di Apollo si sistemò gli occhiali con un gesto veloce e sbuffando leggermente. «Al posto dei miei occhiali perché non parliamo della vostra delicatezza in battaglia? Seriamente ragazzi, finirete per farvi del male serio, tenetevi le energie per i casini veri, che direi che stanno arrivano... Non potete ferirvi ad ogni allenamento, inoltre le scorte di ambrosia e di garze si dimezzano solo per voi, ci servono, sopratutto vista l'aria che tira adesso. Inoltre date una brutta impressione ai più piccoli e...» Borbottò velocemente continuando a disinfettare il grosso tagli sul braccio del figlio di Demetra che non cessava di sanguinare.
 
«Ed ecco qui la nostra crocerossina. Ci devi scusare, mamma, giuriamo che la prossima volta faremo i bravi, che riordiniamo la camera e facciamo i compiti» Disse Gwaine con un finto tono colpevole corrucciandosi appena quando il figlio di Apollo gli rovesciò altro disinfettante sul braccio.
 
Brando non sapeva bene quando Gwaine avesse deciso che lui sarebbe diventato suo amico, sapeva solo che ad un certo punto si era trovato con una vera e propria palla al piede fatta di battute orribili e risatine. Poco dopo era arrivato anche Justin, talmente simile, caratterialmente, al figlio di Demetra che sembravano assieme da sempre. Si era formato così il loro trio, due gocce d'acqua e... bhe e Brando, che in mezzo a quei due non ci azzeccava proprio nulla. Tuttavia non poteva dire di trovarsi male in loro compagnia, nonostante le continue bonarie prese in giro si sentiva a suo agio, sentiva di poter starsene tranquillo senza diventare troppo un ameba. Erano persone con cui condividere le proprie passioni senza sembrare stupido... nel senso che li aiutava con i compiti di matematica e fisica. Per quanto fosse complesso fargli capire cose basilari come “meno per meno fa più” alla fine si divertiva.

 

<°>

 

 Quando era riuscito a scappare dai ragazzi della cabina di Ermes non pianificava di imboscarsi, letteralmente, solo di usare finalmente il bagno da quando si era alzato e magari chiamare suo padre, giusto per fagli sapere che i suoi problemi non sfioravano minimamente quelli degli altri occupanti del campo.
 
Tuttavia Felix si era trovato nel bosco mentre cercava almeno una mezza tacca con il telefono, che sembrava aver deciso di non collaborare nel salvarlo da quella gabbia di matti fanatici. Nemmeno suo padre avrebbe apprezzato la sua permanenza in mezzo a gente del genere. Già era ateo, se gli tornava pure pagano probabilmente lo avrebbe mandato a scoprire se il suo Dio esisteva davvero o no.
 
Rassegnato ripose il dispositivo nella tasca della giacca e si mise a passeggiare tra gli alberi osservando i ragazzi allenarsi nel campo al sicuro all'ombra delle foglie. Le mani presero istintivamente a giocare con l'accendino che stava nelle tasca destra mentre quella sinistra iniziò ad aprire e chiudere il pacchetto di sigarette. Lentamente iniziò a canticchiare distrattamente “Somewhere over the rainbow”, tuttavia i suoi sforzi furono vani, iniziò ad avere quella spiacevole sensazione in gola, paragonabile solo a quella che si avverte davanti ad un ricco buffet ore di digiuno.
 
Non fumava da tre giorni, aveva portato quel pacchetto per casi rari, dubitava di usarlo ma era li... solo, nascosto. Lentamente si sedette con la schiena poggiata ad un tronco rivolto verso il campo, di modo che vedesse se qualcuno si avvicinava.
 
Fece ogni movimento con calma, come se stesse facendo qualche precisa cerimonia, come un gesto sacro, qualcosa di raro da assaporare una volta ogni tanto, un rito che avrebbe voluto poter fare più spesso ma che in cuor suo voleva solo che finisse. Aprì il pacchetto e si portò una sigaretta alla bocca, la strinse tra le labbra e con un lento gesto la accese. Ispirò quanto i suoi malati polmoni permettevano, trovava quella sensazione magica, non avvertiva il fumo scivolargli in gola, farsi strada nei bronchi ed incatramare le sue membra... eppure ciò che avveniva all'interno del suo corpo aveva del magico. Espirò il fumo nero dalla bocca socchiusa e dal naso, alzando leggermente il mento ed ammirandolo volteggiare e disperdersi nell'aria. Strizzò gli occhi al leggero pizzicore che le sue narici avvertirono mentre il fumo usciva.
 
Prese altri tiri, lenti e meditati come il primo, immaginandosi il percorso che il fumo percorreva e godendosi quella sensazione di allargamento dei bronchi, che sapeva che da li a poco sarebbe sparita, lasciando, con il passare del tempo, una situazione peggiore della precedente.
 
«Non ti han detto che non si può fumare, novellino?» Ci mancò poco che saltasse sul posto. Si voltò di scatto; una ragazza dai capelli castani e i vispi occhi nocciola lo guardava con sguardo scettico, un sopracciglio alzato e lo sguardo leggermente schifato nel guardare la sigaretta.
 
«No. Non me lo han detto, veterana» Rispose acido prendendo l'ormai ultimo tiro, infastidito che dovesse concludere così un momento così tanto rilassante e perfetto.
 
«Che stronzetto simpatico. Forza spegni quello schifo. E ringrazia gli dei se la driade a cui sei appoggiato non fa rapporto a Chirone» Disse divertita accucciandosi davanti a lui.
 
«Kaya Merhida, comunque, figlia di Eros» Si presentò allungando una mano che tuttavia non venne mai stretta.
 
«Piacere, credo. Che cacchio è una driade? Sei un'altra fanatica? Ma uno sano qui no?» Rispose sprezzante spegnendo la sigaretta ma non buttando il mozzicone a terra, fumatore non voleva dire incivile, alla fin fine.
 
«Ahahaha!» Rise l'altra facendo inarcare uno dei curati sopraccigli di Felix. «Che merda che sei, mamma mia! Le driadi sono spiriti degli alberi, comunque» Disse alzandosi e spazzolandosi i pantaloni. «Comunque lo dico per te, dovresti smettere con quella roba.» Concluse incamminandosi.
 «Tanto ormai fanno già cagare...» Mormorò a mezza voce, tirando fuori l'inalatore e spruzzandoselo in gola.


 

Angolo    

Autrice

*picchietta sul microfono*
Cof cof, prova prova... funziona? Si? Cazzo.
Frateli e sorele salve a tutti quanti. Tutti chi... penso che il novanta percento di voi sia sparito dalla piattaforma ed abbia messo su famiglia ormai.
Mi presento qui dopo... più di un anno! Per questa mia rinascita da far impallidire una fenice dovete ringraziare, o incolpare _Littles_ che mi ha fatto venire nostalgia di questa storia e dei suoi personaggi. Che mi ha ricordato i grandi piani che avevo per le vite sentimentali di questi pargoli.
Ho partorito così questo capitolo a dir poco imbarazzante. Ne sono soddisfatta? No. E' in qualche modo utile? Poco. Potevo fare di meglio? Probabile.
Tuttavia ciò che più mi importa è essere qui ora, con la grinta o quasi di proseguire con questa storia che oggi come allora mi fomenta. Spero di non avervi persi tutti per strada, ma importa scrivere prima di tutto a me stessa, per quanto ami leggere le recensioni, ma non posso pretendere nulla, me ne rendo conto. 
Dunque. In questo capitolo ho finalmente trerminato la presentazione dei personaggi, ergo ora le cose si possono fare un po' più mortali movimentate

  • Daianee MaeveLilithfille - Terza classe
  • Justin Alexander Fair - Terza classe
  • Gwaine Summers - Terza classe
  • Kaya Merhida - Terza classe

Spero davvero che questo aggiornamento sia stato anche solo minimamente gradito e che il capitolo vi sia piaciuto.

ΩEbeΩ

 

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Capitolo 10
*** Incubo ***


I got guns in my head and they won't go 
Spirits in my head and they won't

I been looking at the stars tonight 
And I think oh, how I miss that bright sun 
I'll be a dreamer 'til the day I die 
But they say oh, how the good die young 
But we're all strange 
And maybe we don't wanna change


The Strumbellas - Spirits


 Harsha aveva sempre fatto brutti sogni, come ogni semidio che si rispetti, dopo tutto. Solo da quattro anni, però sapeva a cosa erano dovuti, solo da quattro anni sapeva che suo padre era niente meno che il dio greco della guerra. Tuttavia c'era una cosa che la distingueva da tutti glia altri: Hasha non sapeva che non era l'unica, che come lei ce ne erano altri, non sapeva ci fosse un intero campo, li, nello stato in cui era immigrata clandestinamente con sua madre, quando ancora era una bambina.
 
Lì, in America, c'era quello che per lei sarebbe stato il posto più sicuro del mondo, di certo più piacevole delle case d'accoglienza in cui era costretta a stare.
 Era la terza casa d'accoglienza che cambiavano, in due anni: Detroit, Atalanta, Philadelphia e ora New York. Erano state spostate inizialmente per 'motivi logistici', poi in quella di Atalanta era stato scoperto un qualche giro losco che non aveva completamente capito e che non voleva capire, forse facevano prostituire alcune ragazzine, o forse droga... mafia? Chi lo sa, non c'erano rimaste più di due mesi, non le importava.
 
A Philadelphia si stava bene, anche se le sembrava che la concentrazione di mostri fosse infinitamente maggiore a quella che aveva avvertito da altre parti. Ci rimasero per tredici mesi tondi tondi, era quasi riuscita a fasi persino degli amici. Quando in maggio era arrivata la proposta di trasferimento, tuttavia, ad Amira erano brillati gli occhi: un nuovo centro, appena aperto, nella sfavillante New York, certo non Manatthan, ma Brooklyn aveva comunque il suo fascino. Questo voleva dire edificio nuovo di pacca, o per lo meno appena restaurato, inoltre offrivano alle persone anche piccoli lavori legali, risolvendo l'enorme fatica di cercare lavoro in una città completamente nuova.
 
Quando erano arrivate era come essere in una reggia, almeno da fuori, l'edificio era intonacato di fresco, senza una singola scritta o un ammaccatura, rifletteva il sole di tarda primavera accecando gli occhi verdi della figlia di Ares. Anche adesso, a distanza di due mesi, la sua camera profumava ancora di vernice, i mobili erano scarsi ed in alcune stanze letti ed armadi erano totalmente smontati. Più che uno scenario desolato, ad Harsha, faceva molto ridere. Pezzi sparpagliati per tutto il pavimento, eccetto per viti e bulloni, riposti con religiosa cura, assieme al manuale di istruzioni, in un angolo della stanza. Ogni tanto veniva chiesto ai ragazzi di montare qualcosina, gli lasciavano la libertà di mettere la musica e giocare, inoltre concedevano ai volontari una serata cinema in più a settimana, abbastanza per qualche oretta ad insultare Ikea.
 
Tuttavia quella mattina, Harsha, si stava pentendo amaramente di aver accettato di montare l'ennesima libreria “Billy” solo perché gli altri volevano andare a vedere l'ultimo film horror, che a quanto parte era veramente da urlo.
 
Non che avesse particolari problemi, aveva visto e combattuto mostri ben peggiori, ma conoscendo i sogli che la sua mente semidivina partoriva, avere il proprio cervello a metabolizzare anche carilon assatanati e pupazzi di pezza ripieni di interiora umane, non aveva reso il suo sogno più soave.
 
Il cielo era ancora scuro, tranne in un angolino a sinistra in cui iniziava a schiarirsi, l'intero centro era avvolto nel silenzio più totale. Si passò una mano tra i capelli sudati e fissò l'unica fonte di luce della stanza: la piccola spia verde del caricabatterie di sua madre, troppo spaventata da guardare l'oscurità.

Si trovava in un corridoio di pietra, stretto e claustrofobico, probabilmente erano sottoterra, ma l'aria era insolitamente calda e secca. Davanti a lei si scorgeva un bagliore caldo, mentre alle sue spalle vigeva l'oscurità più totale.
 
Voci diverse urlavano nella sua testa frasi indistinte, in lingue che non conosceva o che non comprendeva. Di colpo le sue gambe si fecero molli e il terreno iniziò a vibrare, le sembrava di essere su una gelatina mentre tutto attorno a lei ondeggiava con una mollezza innaturale. Un vento gelato le arrivò alle spalle, spingendola a proseguire, malferma sulle gambe, tanto da doversi sorreggere ai muri della galleria. Il corridoio sembrava allungarsi ed accorciarsi come una molla, le voci nella sua testa erano sempre più insistenti mentre la sua vista si annebbiava e tornava normale.
 
Si piegò in due, le mani sulle pareti, aspettando che la cena risalisse completamente il suo esofago. In quel momento dal terreno, un orsetto di pezza emerse come se fosse un fantasma e le afferrò la gamba. Percepì prima il tessuto, morbido, poi il giocattolo divenne umidiccio e caldo, con orrore si rese conto che l'animale stava trasudando sangue. Altri giocattoli e peluches iniziarono a comparire dal terreno, dai muri o persino dal soffitto, avvinghiandosi a lei. Con un urlo provò a scansarli e malferma sulle gambe cominciò a correre. La luce era sempre più vicina, non si fermò, non riusciva più a fermarsi, provò a fare attrito con le mani sui muri di roccia, trovandosi solo profondi tagli. Il gelido vento la soffiò fuori dal tunnel.  Stava cadendo: un gigantesco cratere circolare, sopra di lei le stelle, sotto il fuoco. Al centro un isola di ossidiana, c'era qualcuno, una donna, no una bambina incatenata. Si scambiarono uno sguardo di terrore prima che Harsha cadesse nelle fiamme. L'ultima cosa che sentì fu una voce, vecchia come il mondo
 
Non potete sconfiggermi, sono ovunque, sono eterno. Esistevo, esisto ed esisterò per sempre.–”

 

<°>


 A Miles non piaceva il Giovedì mattina.
 
Dalle nove alle undici aveva due ore di scherma, con uno dei gruppi attività più grandi del campo: Tutta la Cabina di Ermes, metà delle cabine con meno persone e la Cabina di Atena, li probabilmente solo a tenere ordine in quello che arrivava, senza sforzi, ad essere un gruppo di più di 30 persone. Tuttavia a mantenere, o sarebbe più appropriato dire “tenere”, il controllo, se ne occupava niente popò di meno che Isidro Vega.
 
Si trovavano schierati in linee da sei, busto dritto e mani dietro la schiena, a pregare che il figlio di Alalà finisse il suo, inutile, discorso mattutino prima che il sole mandasse definitivamente le cornee di tutti quanti in malora.
 
–... avete sentito ciò che ha detto la Sibilla?! Abbiamo una profezia davanti! Voglio vedervi sudare sangue quest'oggi! E non osate posare i vostri culi pesanti per prendere fiato! Eskere!– Con il suo ennesimo slang imbarazzante sciolse le fila e si avviò correndo verso la sua ascia accuratamente riposta in un angolo.
 
Come ogni giovedì, i semidei si riunirono attorno ai cinque figli di Atena, che avevano imparato a dare quei cinque minuti di palcoscenico ad Isidro prima di organizzare per davvero l'attività. Come ogni giovedì Isidro pestò i piedi e sbuffò, per poi a malincuore pescare uno dei bastoncini che Dawn tendeva a tutti quanti con sguardo annoiato.
 
–Datevi una mossa, su!– Sbuffò la ragazza, agitando i bastoncini sotto il naso dei presenti.
 
–DAWN?! Quando la smetterai di rubarmi le maglie?– Disse una voce irritata dal fondo del gruppo. La figlia di Atena agitò una mano sbuffando –Mai Laurance, mai, mi chiedo quanto tu smetterai di chiedermelo.– Nel frattempo i semidei stavano pescando i bastoncini dalle mani della ragazza, controllando i numeri sul fondo e creando le coppie per l'allenamento.
 
–DICIANNOVE? CHI HA IL DICIANNOVE?– Urlava Infinito, a pochi metri del gruppo, agitando lo stecco per aria.
 
Miles pescò l'ultimo bastoncino, avendo aspettato di proposito che la folla si smaltisse, non era esattamente quello che si definiva un animale sociale. Osservò il numero, scritto con una penna glitterata fuxia, in fondo al, un tempo, stecco del ghiacciolo. Un gemito strozzato gli uscì dalla gola quando lesse le brillanti cifre che componevano niente meno che il tanto ricercato diciannove.
 
–Ho io il diciannove...– Disse a mezza voce dopo essersi avvicinato ad Infinito, che non aveva ancora smesso di urlare.
 
–HA LUI IL DICIANNOVE!– Urlò questo, gettando un braccio sulle spalle al povero figlio di Gelos, che si ritrovò ad avvampare fino alla punta delle orecchie e con un timpano in meno.
 
–Non penso gli interessi.– Borbottò il rosso, provando a scivolare via dal braccio del figlio di Nyx, che non sembrava assolutamente intenzionato a lasciarlo andare.
 
–Ho fatto tanta caciara, mi sembrava giusto chiarire questa causa che di certo avevano tutti quanti preso molto a cuore. Sono solo molto gentile... pensavo fossi rosso di capelli, non di faccia.– Concluse con un ghigno voltandosi verso di lui.
 
–Oh mi stai dicendo che mi è cresciuta di colpo la barba?! Ed io che non ci speravo più!– Rispose Miles, levandosi il suo braccio dalle spalle ed avviandosi a lunghe falcate verso la catasta di armi iniziando a soppesare varie spade in cerca di quella più adatta a lui, prese quella che gli sembrava meno peggio e si diresse verso uno spazio vuoto dell'arena dove il suo fastidioso compagno lo stava aspettando.
 
–Vediamo come te la cavi!– Sorrise il figlio di Nyx, sollevando la sua spada e concedendo pochi secondi di vantaggio a Miles prima di attaccare con un affondo, che il poverino si ritrovò a deviare con un gridolino di sorpresa. –Ma sei pazzo?! Avresti dovuto...–
 
–Avvertirti?– Concluse Infinito, alzando un sopracciglio ma senza abbandonare la posizione d'attacco. –“Mi scusi signora manticora, potrebbe concedermi cinque minuti che mi preparo?” Cosa credi di essere, una Winx? O una qualche Sailor, che ti puoi prendere venti minuti per trasformarti mentre i cattivoni la fuori ti guardano senza muovere un dito?– Continuò, facendo con il mento un cenno al compagno di mettersi in posizione.
 
–Non nego che abbiano tutte quante delle trasformazioni invidiabili– Disse, mentre goffamente cercava di imitare la posizione assunta dal figlio di Nyx, che con una risata attaccò di nuovo.
 
–Sei simpatico, sai? Sarà divertente andare incontro alla morte con te, spero solo che le tue battute diventino un po' meno autoironiche, prima che tu possa andare nell'Ade.– Ridacchiò, menando un fendente a sinistra. –Oh non fare quella faccia, non serve essere Sherlock per capire che non sei l'individuo con il più alto tasso di autostima qui. Basta guardarti: un fendente a sinistra e... sei a terra. E si che te l'ho anche detto eh...– Guardò con occhio critico, ma pur sempre divertito, il ragazzo che si era sbilanciato dopo la sua ultima mossa e si trovava ora per terra.
 
–Prima che Isidro veda il tuo “culo pesante nella polvere” ti conviene alzarti.– Rise, tendendogli una mano che Mils afferrò infastidito, ma con un piccolo sorriso sulle labbra, dopo l'ultimo commento.
 
–Allora, c'è qualche arma con cui sopravvivi più di due minuti?– Chiese Infinito, scacciandogli una mosca dalla spalla.
 
–Ho un pugnale...–
 
–Hai un pugnale, okay, e lo sai usare questo pugnale?– Domandò roteando gli occhi. Nel vedere l'espressione imbarazzata dell'altro si concesse un piccolo sbuffo.
 
–Oh per gli dei... Ti darò una mano okay? Ora corri a recuperare un pugnale, o non sarò così gentile la prossima volta.–

 

<°>

 

 –Cosa mi vuol dire “Uma ha cagato in doccia”, Gwen?– JP era entrato nelle stalle da nemmeno quindici minuti e già era il panico tutto attorno.
 
Apollo era tra le Cabine con il più alto numero di bambini, Gwen aveva dodici anni, così come altri due ragazzini, e si andava a scendere fino ad arrivare persino a Boniface, un bambino di appena sette anni, trovato da un satiro in un orfanotrofio. Fortunatamente, per ogni bambino c'era almeno un ragazzo più grande di sedici anni, ad assicurarsi che nessuno si facesse del male. Pur non essendo capo cabina, JP era pur sempre il più grande tra di loro, seppur sono venti giorni lo separavano da Bailee.
 
–Vuol dire che attaccato Uma ai venti in doccia perchè nei corridoi non c'era spazio. E ha fatto la cacca.– Spiegò la ragazzina, scostandosi una ciocca, colorata malamente di viola, dal volto.
 
–Lo avevo capito, intendo, cosa me ne frega a me?– Disse, appendendo il nettapiedi ad un box e stirandosi la schiena, dolorante dopo aver pulito i quattro zoccoli del pegaso.
 
–Che mi devi aiutare! La pala è pesante e la cacca puzza!– Sbuffo, pestando un piede per terra.
 
–Perché la vostra profuma, milady?– Ridacchiò scompigliandole i capelli biondi e superandola, diretto alla doccia dove si trovava Uma. Con un sospiro iniziò la spostare gli escrementi dell'animale, che come da etichetta, si preoccupò di non rendere il lavoro più facile, premurandosi di sostare ad intervalli regolari su pezzi diversi.
 
–Sai cosa vuol dire Uma?– Disse con fatica mentre apriva la pesante botola in mezzo al corridoio e ci scaricava dentro tutto quanto.
 
–Noo!– Cantilenò la bambina, di colpo sorridente ed interessata.
 
–Cavallo, in giapponese. Non so chi abbia avuto l'idea.–
 
–Hahahaha! Divertente!– Gwen rise, riprendendo in mano la striglia e continuando il lavoro da dove lo aveva lasciato. –Non sapevo parlassi giapponese.–
 
–Non lo parlo in fatti, ho solo letto questo da qualche parte–
 
–Sai proprio tante cose, eh?–
 
–Solo tante piccole curiosità, ma questo non ti autorizza a rifilare a me la biancheria di nuovo, so a malapena che forma abbia una lavatrice.– Ridacchiò il ragazzo.
 
–Wopsy, non succederà di nuovo– Gwen gli fece una linguaccia colpevole strizzando un occhio.
 
–Ma una cosa che so è che dubito che i pennarelli ad acqua siano fatti per colorarsi i capelli.– E con questo si dileguò, tornando a sellare il proprio pegaso.
 JP non era un bravo ragazzo, non si riteneva tale, non rientrava nei canoni di figlio di Apollo né fisicamente né caratterialmente. Tuttavia, nonostante il suo pessimismo cosmico, il suo sguardo quasi perennemente annoiato dalla vita, non negava a nessuno qualche gentilezza. Anzi, era sempre pronto ad aiutare chiunque, soprattutto i suoi fratellini. L'idea gli ronzava in testa dalla sera prima, l'aveva presa più in considerazione di quanto avrebbe voluto ammettere, l'aveva soppesata, valutata: i pro e i contro.
Riscatto o morte.
Non cercava la morte, ma una ragione per amare di più se stesso, un'azione buona in quell'infinita lista nera, era qualcosa che gli faceva gola.
 Pur non essendo capo cabina, JP era pur sempre il più grande tra di loro, non disdegnava aiuto a nessuno. Cosa sarebbe successo se fosse partito per la missione?

 

<°>

 

 Dawn stava ancora osservando l'arma mentre scendeva la scala a chiocciola che conduceva alla fucina della cabina di Efesto, seguita da un trotterellante Lorcan.
 
–Ripetimi come hai fatto a piegare letteralmente una spada, te ne prego.– Sospirò la ragazza avviandosi alla propria postazione, mentre con uno schiocco di dita faceva partire il fuoco della fornace.
 
–Io, Noel e qualche altro ragazzo di Ermes volevamo giocare a baseball. Non avevamo il materiale quindi abbiamo optato per spade e sassi– Disse quasi con ingenuità il ragazzo, un sorriso leggero sulle labbra mentre si sedeva su uno degli sgabelli della postazione di Dawn, iniziando a girare sul seggiolino regolabile.
 
–Giocare a baseball con spade e sassi... ma certo... aspetta, Noel non è mica il vostro capo cabina?–
 
–Si! Non è fantastico?! Ci si diverte un sacco da noi altri, sai!? No in realtà non credo tu lo sappia, non ti ho mai visto ad una festa...– Alzò gli occhi con sguardo innocente, come se avesse parlato troppo.
 
–Di cosa stai parlando?– Domandò la ragazza con tono divertito e curioso mentre infilava la spada nella fornace ormai calda.
 
–Oh niente, ma se vuoi sentire il mio parere, ti consiglio di farti amico Noel– E con questo le fece l'occhiolino. Si alzò e saltellò fino all'enorme cesta dei progetti scartati di Dawn; pescò un piccolo robottino con troppe lame per il suoi gusti e l'osservò sbattendo le palpebre.
 
–Sareebbeee?– Chiese lentamente muovendo uno dei minuscoli bracci meccanici.
 
–Un taglia formaggio... è un po' difettoso, non ci giocherei troppo. Ma se vuoi puoi avere il soffia candeline– Ed agitò la mano verso la cesta, come se quello potesse rendere chiaro quale di quei marchingegni demoniaci fosse il soffia candeline, che poi, chi aveva bisogno di un soffia candeline?! Lorcan ripose il taglia-formaggio e sbirciò nella cesta, non troppo fiducioso all'idea di ravanarci dentro.
 
–Allora... ci siamo offerti entrambe eh?– Ridacchiò, voltandosi verso l'amica e rimandando la ricerca del soffia-candeline per un'altra volta.
 
–A quanto pare... Non so molto perché io mi sia offerta, ho solo pensato che forse sarei potuta essere utile, in qualche modo. Estia è pur sempre la dea del focolare, ed io l'unica figlia di Efesto con il potere del fuoco, non saprei sinceramente, ma potrei centrare, non credi?–
 
–Ha senso, ahaha, io non ho ragioni così pensate. Wopsy.– Si grattò il retro del collo con sguardo colpevole. –O meglio, un po' mi sentivo coinvolto, non lo so, un verso mi ha toccato particolarmente, e poi chissà che Ermes decida di riconoscermi una volta che faccio un po' l'eroe della situazione...– Nel frattempo la ragazza aveva estratto la spada dalla fornace e la muoveva con mano esperta sotto l'incudine meccanica che aveva costruito, essendo il suo corpo troppo gracile per sperare di poter forgiare una spada a mano.
 
–Penso che se ne uscirai vivo ti riconoscerà, deve farlo, suvvia. Non so come mai non lo abbia ancora fatto, ma sai come sono gli dei: egocentrici ed orgogliosi; se possono vantare un eroe nella loro sfilza di marmocchi non si fanno di certo scappare l'occasione.–
 
Lorcan risiedeva al campo ormai da ormai quattro anni e da quattro anni passava ogni estate nella cabina di Ermes. C'era solo un minuscolo problema, nonostante tutto il campo desse per scontata la sua discendenza divina, Chirone e Signor D compresi, restava pur sempre un non riconosciuto. La cosa non lo turbava troppo, c'erano problemi ben peggiori nella vita, semplicemente si chiedeva che problemi avesse suo padre, come mai si rifiutasse così categoricamente di riconoscerlo come suo figlio.
 
–Bhe allora speriamo di tornare vivi...– Constatò l'altro alzando le spalle, come se non stesse nemmeno parlando di una missione mortale con tanto di Grande Profezia.
 
–Oh si, assolutamente, facciamo del nostro meglio. Hai qualche idea su dove dovremmo andare? So che le profezie non andrebbero interpretate, e tutto quanto, ma onestamente l'idea di partire alla cieca non mi alletta particolarmente, sai...–
 
Il ragazzo si strinse nelle spalle –Sarà folle ma una parte di me sostiene che andremo in Africa... “andranno verso sud” e “il respiro dell'Africa non dovranno vedere”...–
 
–“Temere”– Lo corresse Dawn ridacchiando.
 
–Oh si, bhe quella roba li, è abbastanza ovvio no? –
 
–Miei dei, spero di no, troppo vicino al Mare Nostrum e quelle robe li. Penso sarebbe veramente pericoloso. Inoltre, penso che sia troppo ovvio. Le profezie non sono mai così chiare, trovo alquanto improbabile che ci venga detto dove andare in modo così chiaro– Un sottile strato di disperazione rimase ad aleggiare nel silenzio, interrotto solo dal ritmico rumore del martello automatico sull'arma.
 
–Speriamo almeno che Alexader, o chi per lui, si faccia venire qualche idea–

 

<°>

 

 Alniyat non stava ascoltando, ma non era una novità.
 
Le lezioni di greco antico erano qualcosa che aveva sempre ritenuto di relativa utilità. Dopo tutto tutti i semidei avevano la capacità di leggerlo e comprenderlo, non vedeva il bisogno di impararne alla perfezione la grammatica. Tuttavia eccolo li, assieme ad uno sproposito di altri semidei, ad ascoltare la noiosissima lezione del Capo Cabina di Atena, attentamente sorvegliata da Chirone.
 
Era perso ad osservare il centauro quando qualcuno gli picchiettò la spalla sinistra. Si voltò lentamente alzando un sopracciglio, trovandosi faccia a faccia con il largo sorriso di Orion: il figlio di Ade più atipico, e quasi fastidioso, gli astri avessero mai visto.
 
–Tu manovri l'ombra, vero?– Chiese in un bisbiglio, gli occhi luccicanti come se avesse appena detto di aver vinto alla lotteria.
 
–Si...– Rispose lentamente in figlio di Nxy osservando dubbioso il ragazzo.
 
–Ti va di offrirti con me? Tu manovri l'ombra, io faccio viaggi ombra, potremmo collaborare bene!– Il ragazzo era decisamente troppo eccitato per i gusti di Alniyat, lo fissava con insistenza e con un sorriso incoraggiante che quasi tradiva una sorta di disperazione, anche se non era certo fosse una caratteristica sola di quella situazione.
 
–Anche mio fratello lo sa fare, e si è offerto– Rispose secco, intenzionato a chiudere li quella discussione, nonostante parlare di probabili ed eventuali strategie lo stesse intrattenendo molto più che la grammatica greca.
 
–Oh si, Infinito... ma lui perde, sono sicuro tu lo sappia, quante volte avete vinto a caccia alla bandiera..?– Inclinò la testa e socchiuse gli occhi, come se cercasse di ricordare il numero esatto, che tuttavia era tanto triste quanto banale: zero.
 
–Se vuoi che collaboriamo lo possiamo fare alla prossima partita.–
 
–Mi dispiace deluderla, milord, ma se moriamo non ci sarà una “prossima partita”–
 
–Come sei tetro...–
 
–È un dono di famiglia.– In quell'istante Chirone li scoccò un occhiata mentre con un sibilo intimava il silenzio. Orion ridacchiò affondando la testa tra le spalle e mordendosi la lingua.
 
–Comunque, mi dispiace ma se vuoi andare buona fortuna, non sono tipo da essere obbligato.– Ed era vero, Alniyat non era certo il genere di ragazzo da sottostare alle idee degli altri. Quella frase fece finalmente tornare il silenzio, che tuttavia durò pochi minuti, poiché un corno in lontananza annunciò la fine dell'attività.
 
–Comunque non ti stavo obbligando, ti stavo chiedendo.– Borbottò Orion con un broncio infantile mentre raccoglieva le proprie cose per poi andarsene a mento alto.



 

Angolo    

Autrice

Ma salve, chi non muore si rivede.
Abbastanza patetico da parte mia ripresentarmi qui dopo penso 9 mesi, con un capitolo che onestamente non mi soddisfa più di tanto.
Non credo che ci siano ancora tante persone a seguire questa ciofeca, ma ormai mi sono rassegnata all'idea, sarà qualcosa di divertente da leggere tra qualche anno.
In ogni caso è certamente una buona palestra per la mia mente ritardata che non ha il coraggio di buttarsi sui propri progetti più seri, quindi per vostra fortuna o sfortuna, con la stessa frequenza delle glaciazioni, avrete degli aggiornamenti.
A quelle settanta persone giunte fino qua, prima di tutto grazie della fiducia, secondo, scrivendo questo capitolo ho un po' capito quali sono i punti che non mi piacciono del mio stile ed in sostanza so cosa sistemare. Non vi dico che dal prossimo capitolo avrete uno stile corposo ed impeccabile, ma diciamo che so da dove cominciare.
Fino alla prossima volta siate sani e godetevi la vita.

ΩEbeΩ

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Capitolo 11
*** XI ***


Through silence, hear the thunder in you
I know your mind is looking for our truth
Don't need reminding, the living proof
So, walk with me and I'll walk with you


One ok Rock - Gigants

 

 –E così sei venuto in America...– Concluse con un sospiro Lorcan, lo sguardo perso nelle fronde sopra la loro testa. Felix annuì piano, al contrario, lo sguardo abbassato sull'erba, mentre la strappava con una sorta di nervosismo.
 
Lorcan era un ragazzo simpatico, aveva preso a gironzolargli attorno sin da quando era arrivato, e nonostante fosse pazzo tanto quanto gli altri, non gli dispiaceva la sua compagnia. Era divertente, ed in un modo o nell'altro riusciva sempre ad incastrare una battutina qua e la, strappando anche qualche sorriso dal volto di Felix. Era così che aveva accettato la sua richiesta di passare la siesta assieme, creduloni o meno, avrebbe dovuto passare un po' di tempo ancora a quel campo -che lui avrebbe definito manicomio- e farsi degli amici non sarebbe stata una cattiva idea.
Gli aveva appena raccontato la storia della sua vita, gli eventi più salienti, le cose più convincenti, anche private, qualsiasi cosa pur che la smettessero tutti di dirgli che era un semidio.
 Era nato a Reykjavik e li aveva vissuto per tutta la sua vita. Anni stupendi, in compagnia di suo padre e sua madre. Una madre mortale, anche troppo. Quando era venuta a mancare, quando Felix aveva tredici anni, il mondo era caduto letteralmente addosso, sia a lui che a suo padre.
L'avevano visto, l'incidente d'auto, la stavano aspettando fuori casa, le avevano preparato una sorpresa per la festa della mamma: tirato a lucido la casa, preparato la cena, con tanto di candele e decorazioni. Avevano fatto anche una torta, speravano solo fosse più buona di quanto non fosse bella.
Guardavano dalla finestra in attesa di vederla parcheggiare nel vialetto di casa. Stava facendo manovra quando l'auto aveva svoltato sgommando nella via residenziale e senza frenare era andata a ottanta chilometri orari contro la fiancata, colpendo in pieno sua madre.
 
–Stai bene..?– La voce di Lorcan lo riportò alla realtà, si rese conto di avere le guance rigate di lacrime silenziose, mentre una zolla di terra davanti a lui era ormai brulla. Si sfregò le mani, guardando con disgusto il terriccio che gli si era infilato sotto le unghie.
 
–Si... E' solo che ho rivisto tutto...– Disse piano, cercando un bastoncino abbastanza piccolo per potersi pulire le unghie.
 
–Mi dispiace, la foschia può essere molto poten...–
 
–Fanculo la foschia, so cosa ho visto. Sai cosa mi fa girare più il cazzo di voi cretini? Che volete a tutti i costi che le cose siano come volete voi, volete farmi credere alle vostre minchiate, non portando alcun rispetto. E poi una dea che resta per dodici anni? Ci ho capito molto poco, ma abbastanza da decretare che questo è oltremodo impossibile.–
 
–Ehi ehi, mi dispiace okay..? Magari è tuo padre...– Lorcan alzò le mani in segno di resa mettendosi a sedere, dalla sua posizione coricata, il suo solito sorriso ormai vacillante. Era preoccupazione il modo in cui osservava il ragazzo di fronte a lui. Molte persone faticavano ad accettare la realtà, ma non aveva mai visto nessuno ripudiarla con tanta violenza come Felix. Osservò il suo viso, provando a rimandarlo a qualche io, a dargli una discendenza, ma era praticamente impossibile. Era bello... molto bello, sarebbe potuto essere un figlio di Afrodite, o forse solo di un normale dio, ed essere solo fortunato. Poi negli anni aveva constatato che la bellezza di un figlio della dea dell'amore era direttamente proporzionale alla velocità con cui questa li riconosceva.
 
–Mio padre dici? Mio padre? Hahahahahaha, mio padre è un prete, Lorcan, per favore, non ci provare nemmeno.– Si passò una mano tra i capelli corvini, rassegnato.
 
–Voglio andarmene da qui, adesso.–
 
–Non ti faranno uscire, non fino alla prossima settimana, come han pattuito con tuo padre.– Il ragazzo era quasi triste, gli sembrava di guardare un leone in gabbia nervosamente camminare avanti e indietro davanti alle sbarre. Inoltre... chi era davvero Felix Alfarson? Non poteva avere solo la vista, era stato fiutato e per questo era stato portato al campo. Eppure era certo di avere due genitori. Vedeva le driadi, vedeva Chirone e per poco non era svenuto nel veder un pegaso, eppure negava tutto con una testardaggine che Lorcan non aveva mai visto.
 
–Potresti offrirti per la missione...– Mormorò dopo poco. Era un idea folle e sbagliata, ma voleva aiutarlo, non era così che funzionava il campo, lo scontento era pericoloso, lo avevano imparato con Luke Castellan. –Probabilmente non ti manderanno, diranno che è pericoloso. Ma è già stato fatto: anni fa, un semidio figlio di Poseidone si offrì per una impresa poco dopo il suo arrivo... certo poi divenne uno dei più grandi eroi degli ultimi tempi, salvò il mondo più volte eccetera eccetera... ma questa parte penso non ti interessi.–
 
–Okay, dove devo firmare?– Con un sospiro Lorcan si rese conto che a “missione” aveva già perso l'attenzione dell'islandese, che lo fissava con una certa intensità, non molto rassicurante.
 
–Da nessuna parte, devi solo convincere culo di cavallo...– Stava ancora parlando quando il ragazzo balzò in piedi e corse via. –Grazie Lorcan, sei un amico.– E con quelle parole era sparito.

 

 Quel posto puzzava... o forse profumava, non ne era certo. Sapeva di legno vecchio e libri, un odore non troppo male, se non fosse stato mischiato a quello di vino ed umido, che gli provocava un fastidioso prurito al naso. Nonostante il nome, la Casa Grande, dava a Felix una certa sensazione di claustrofobia, il corridoio d'ingresso era stretto, con una porta a destra ed una sinistra, e si allargava al termine quando bastava per ospitare una scala scricchiolante ed un altro pezzo di corridoio. Non sapeva con certezza dove dirigersi, così sbirciò nella stanza sulla sinistra; la porta socchiusa gli concedeva una visione molto limitata: un pack-man, quello che sembrava un tavolo da ping pong, su cui un ragazzo riccio era seduto, dandogli le spalle, mentre parlava con qualcuno fuori dalla sua visuale. Per un attimo pensò di tornare più tardi, ma qualcosa dentro di lui si mosse ancora prima che potesse deciderlo, e si trovò a spalancare la porta. Il ragazzino si era voltato a guardarlo con un sopracciglio alzato, mentre il misterioso interlocutore, Chirone, sembrava piuttosto seccato dalla situazione.
 
–Serve qualcosa..?– Felix si ritrovò ad arrossire mentre, non sapendo bene cosa fare, si richiudeva la porta alle spalle.
 
–Io... si, hum, posso? Mi dispiace essere entrato così, io non so cosa...– La voce gli morì in gola quando il ragazzino, che non poteva avere più di sedici anni, saltò giù dal tavolo e gli andò incontro stringendogli la mano. –Figurati! Alexander, Alexander Townsand!– Felix sbatté le palpebre confuso, stringendogli a sua volta la mano, con scarsa convinzione. –Felix Alfarson...– Rispose con scarso interesse, puntando però le iridi chiare sul centauro.
 
–Voglio partire per l'avventura...– Si sentiva veramente stupido, sperava solo di sembrare più convinto di quando la sua voce non suonasse nella sua testa. Sentì alle sue spalle Alexander soffocare una risatina e bisbigliare un 'missione'. Voltò leggermente la testa verso di lui, infastidito, per poi tornare a concentrarsi sul più anziano, che ora sembrava quasi preoccupato.
 
–Non hai alcun tipo di addestramento, potresti venire ucciso...– Nonostante non credesse a quella farsa, anche trovandosi faccia a faccia con un centauro in carne ed ossa, la notizia gli fece venire un groppo alla gola. Ma dopo tutto, lui non sarebbe partito no? Sarebbe tornato a casa, niente morte per l'islandese, non quell'anno. Deglutì con forza e si umettò le labbra.
 
–Ma non sarei il primo, no? È già successo, il figlio di Nettuno...–
 
–Poseidone– Lo corressero in coro gli altri due, facendogli roteare gli occhi.
 
–Quello che è. E' partito, ed è diventato un eroe per questo.– Più parlava più era convinto di quello che diceva, una parte di lui fremeva all'idea di lanciarsi in una missione spericolata, a salvare il mondo da non si sa cosa. Si rese conto che gli stavano tremando le mani, non faceva freddo e non aveva paura; la sua era adrenalina. Cercò di mantenere il suo sguardo deciso, mentre analizzava sconvolto il proprio comportamento, stava forse impazzendo?
 
–Non esiste, è fuori discussione, Percy era parte di una profezia, era in figlio di Poseidone, un semidio potente. Era così che le cose dovevano andare.– Un ghigno si dipinse sulle labbra di Felix: ce lo aveva in pugno. Sapeva, o meglio sperava, che prima o poi, nel dire tutte quelle stronzate, il vecchio avrebbe fatto un passo falso e così era stato.
 
Alzò il mento con aria fiera e, nonostante si sentisse molto in soggezione, fissò Chirone dritto negli occhi. –E chi ti dice che io non sia parte di una profezia? Chi ti dice io non sia figlio di qualche dio super potente? Chi ti dice che non è così che le cose devono andare?– La sicurezza sul volto dell'altro vacillò, scalpitò sulle quattro zampe e frustò l'aria con la coda. Lo sguardo che gli scoccò trasudava di quella che Felix non sapeva se riconoscere come rabbia o paura, posò in fine lo sguardo su Alexander, dietro di lui, tornato seduto sul tavolo con le gambe a penzoloni.
 
–Cosa ne pensi?– Felix si girò a guardarlo, il ragazzo a sua volta si voltò, incredulo alla domanda di Chirone, per controllare che non ci fosse nessuno alle sue spalle. Un centauro, vecchio di migliaia di anni stava chiedendo a lui? Un sedicenne del Kent?! Constatato che, si, la domanda era rivolta a lui, si aprì in un sorriso a trentadue denti, per poi rabbuiarsi e farsi serio.
 
–Il ragazzo non ha tutti i torti... ma è pericoloso, molto. Però è vero, potrebbe essere il destino che gli sta dicendo di partire... o comunque sta decidendo per lui.– Questa volta fu Felix a sorridere, gli fece l'occhiolino, facendo arrossire leggermente l'altro e si voltò verso Chirone allargando le mani.
 
–Sentito il ragazzo? È il destino che mi sta dicendo cosa fare, o si. Decisamente il destino.– Sorrise angelico. Il centauro si passò una mano sul volto sconsolato.
 
–Per gli dei... pregate tutti che sia vero.– E con questo li superò, uscendo dalla porta.

Felix aspettò di non sentire più il suono degli zoccoli prima di scoppiare a ridere. –Ahahahahah! Il destino... ahahahaha– Si asciugò una lacrima dall'angolo dell'occhio e ricambiò lo sguardo di Alexander, che lo osservava dubbioso.
 
–Che ti prende...– Felix gli si avvicinò sorridendo e gli posò una mano sulla spalla, guardando con dolcezza il povero figlio di Clio. Quasi gli faceva tenerezza, si sentiva in colpa per averlo usato in quel modo, probabilmente lui teneva davvero a quella causa per cui tutti li stavano lottando, ma non Felix. –Io non vado da nessuna parte, mi serviva solo una scusa per uscire dal campo e tornare a casa.– Si strinse nelle spalle. Lo scintillio che passò negli occhi chiari dell'altro lo spaventò un poco, il suo sguardo si rabbuiò e con una manata spostò la sua mano dalla propria spalla.
 
–Sei un cretino, posso dirlo? O si, certo che posso. Per te sarà anche un gioco, ma qua ci sono in ballo delle vite, la tua vita. Non crederai a tutto questo, ma è comunque vero. La tua idea, la tua opinione non cambia nulla.– Ridacchiò quasi istericamente saltando giù dal tavolo, non la migliore delle mosse, poiché ora si trovava una spanna sotto Felix. Tuttavia Alexander era risoluto, non si sarebbe arreso solo per qualche centimetro, alzò lo sguardo e lo fissò in quello dell'altro, che nel frattempo aveva smesso di sorridere. –Pensaci, per una volta esci dalla tua testa e sii un po' aperto, okay? Tu puoi non credere al sole, puoi non credere alla luna, pensare che siano tutto un progetto della NASA. Puoi credere che la Terra sia piatta, per gli dei! Il punto è, ciò che tu credi non cambia la realtà delle cose. Hai un padre? Bene. Avevi una madre? Benissimo!– Gli si fece più vicino e gli puntò un dito contro. –Molti qui non conoscono né il proprio padre né la propria madre, tu in qualche modo hai tre genitori, di cui due ti amano o amavano. Quindi fai un piacere a tutti quanti, smetti di fare la cazzo di vittima.– Detto ciò uscì, lasciandolo da solo.

 

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 L'amicizia tra Timothy e Parker era insolitamente profonda, per due tipi come loro, era per entrambi la più stretta che possedessero e contemporaneamente alla stregua dell'unica, sopratutto per il primo.
 
Condividevano quella visione nera della vita, quel senso di abbandono ad essa. Non la nera disperazione dei suicidi, ma nemmeno l'entusiasmo dei folli. Nel loro modo di approcciarsi alle vicende dell'esistenza avevano leggere sfumature: se il primo era quasi succube degli eventi e delle azioni che gli altri facevano per lui, il secondo aveva quasi un desiderio di redenzione, che tuttavia non sfociava nell'indole dell'eroe, come se nemmeno lui credesse in quella possibilità. Non si cercavano a vicenda, ma gradivano la presenza l'uno dell'altro quando accadeva, si affiancavano nel camminare o si sedevano vicino, ma non programmavano attività assieme. Era per quello che quel pomeriggio il giovane figlio di Thanatos si sentiva così tanto in ansia mentre attendeva Parker. Si trovava seduto su un vecchio tronco portato alla deriva dal mare, mentre distrattamente annodava un cordino trovato in spiaggia.
 
A pranzo il figlio di Morfeo gli era passato di fianco posando una mano sulla sua spalla: –Dopo le attività aspettami in spiaggia– E senza aggiungere altro era sparito così come era venuto. Non c'era niente che potesse fargli sospettare qualche cosa di grave, nessun indizio di una catastrofe imminente, eppure non era da loro, gli sembrava sbagliato. Parker non gli era sembrato diverso: aveva parlato con il suo solito tono annoiato, gli occhi pigri e l'espressione impassibile; il solito vecchio Parker, alla fin fine.
 
–Sono in ritardo, scusami– La bassa figura del figlio di Morfeo apparve nella sua visione periferica, mentre scavalcava il tronco per potersi sedere al suo fianco. –Volevo solo salutarti.– Disse strascicando le parole come il suo solito, mentre incrociava le braccia e si piegava in avanti per posare i gomiti sulle ginocchia, gli occhi castani che andavano a perdersi nelle onde che andavano ad infrangersi sulla battigia poco lontana.
 
Timothy rimase in silenzio osservando la figura dell'amico, senza smettere di giocare con la cordicella. Non avrebbe risposto e questo Parker lo sapeva, che parlava solo se interpellato direttamente. Era forse anche per questo che apprezzava la sua compagnia: niente parole a sproposito, commenti inutili e discorsi frivoli, soli risposte franche, velate di tanto in tanto di un nero umorismo che caratterizzava anche lui stesso.
 
Rimasero in silenzio per qualche minuto, in ascolto delle onde del mare e del sussurro delle fronde, senza la necessità di parlare. Non si sentivano a disagio, non era la prima volta che succedeva, che semplicemente stessero uno accanto all'altro senza dire nulla. Tuttavia quell'occasione era speciale, era un addio, o che gli dei volessero, un semplice arrivederci.
 
–Perché ti sei offerto?– Ruppe così il silenzio il maggiore dei due, voltandosi indietro e guardando finalmente l'amico negli occhi. Timothy resse lo sguardo solo pochi secondi, prima di abbassarlo sulla sabbia. –Io... non lo so, me l'hanno detto, non avevo niente da fare tanto.– Disse a mezza voce, facendo velocemente saettare gli occhi verso Parker, giusto per controllarne l'espressione, per poi tornare alla sabbia, con un lieve sospiro di sollievo. Agli occhi del quindicenne la più grande qualità del figlio di Morfeo era quella morti consideravano il suo peggior difetto: la sua espressione. Se c'era una cosa che il figlio di Thanatos non poteva sopportare era la pena e la compassione sui volti di chi lo guardava, presto o tardi ci cadevano tutti: un sorriso amaro da una parte, un fremito alle sopracciglia dall'altra. Lo facevano sentire miserabile, più di quanto non si sentisse già da solo. Ma Parker era diverso: nel suo sguardo vecchio, il suo viso annoiato e gli occhi spenti, Timothy trovava normalità per se stesso. Parker guardava tutti allo stesso modo, non gli importava chi fossi o da dove venissi, non bastavi ad incrinarli quel suo solito viso di gesso. Avevano ben tre anni di differenza, non così tanti, ma a quell'età sufficienti per poter far chiamare quelli come lui “bambini” da parte di quelli come Parker. Ma non era così, non si era mai sentito chiamare in quel modo, nemmeno “ragazzino”, solo Timothy.
 
–Ho capito... buona fortuna allora– Le labbra del figlio di Morfeo si incresparono in un sorriso, un sorriso vero, non ampio e solare ma leggero e quasi timido, non storto ed inaffidabile, come i suoi soliti ma amichevole. Un sorriso che quasi lasciò interdetto l'altro, che si ritrovò a rispondere al gesto abbassando lo sguardo quasi in imbarazzo. –Vedi di tornare, ho bisogno di qualcuno con cui lamentarmi della vita.– Continuò con semplicità, tornando a guardare il mare, con di nuovo la sua solita espressione, il sorriso sparito, senza lasciare traccia, come un miraggio. Timothy si ritrovò ad osservargli il volto, come alla ricerca di una conferma che fosse effettivamente stato li, su quel volto annoiato che pareva quasi vecchio, mentre osservava il mare.
 
–Tornerò...– Mormorò, quasi più a se stesso che all'amico, prima di alzarsi ed incamminarsi verso la propria cabina, con l'intenzione di preparare le cose per l'indomani mattina.
 
L'amicizia tra Timothy e Parker era insolitamente profonda, del tipo che un interazione poteva interrompersi in buoni rapporti semplicemente andandosene.
 Eppure forse, quella volta, avrebbero dovuto salutarsi..?

 



 

Angolo    

Autrice

Okay questo capitolo è una cacatina. Sono veramente due righe che probabilmente sarebbe stato meglio aggiungere al precedente, ma vi sembro forse un essere itelligente? No, certo che no.
Lo pubblico sia per mostrare che ho più o meno fatto qualcosa in questi due mesi e quindi fingere una sorta di costanza, che morirà subito visto che mi accingo ad iniziare la quinta liceo.  Ma anche e sopratutto perchè finalmente i nostri eroi partiranno dal prossimo capitolo!
Volevo dedicare un capitolo giusto alla partenza, ci sono varie cose da chiarire e da fare per cui c'è una remota possibilità che il prossimo capitolo possa risultare discretamente sossolo e ricco.
Ma parlando di questo capitolo. Non ci crederete ma sono quasi soddisfatta di ciò che ho scritto, shoccante, lo so. Ovviamente non è che sia il mio miglior scritto, ma nemmeno il peggiore, e sono anzi riuscita a raggiungere alcuni dei pallini che mi ero fissata. In primis l'essere un po' più prolissa e narrativa, e non basarmi quasi esclusivamente sui dialoghi, penso di esserci riuscita... se poi il risultato sia discutibile o meno starà a voi deciderlo.
In ogni caso spero questo breve capitolo vi sia piaciuto.
Prima di dileguarmi a studiare, un paio di annunci. 
 Primo: vi consiglio davvero tanto la canzonicina di questo capitolo, non solo perchè bella bella, ma anche perchè da indizi, se non praticamente dice, chi è l'aantagonista di questa storia èwé
 Secondo: Visti i tempi e la penso scomparsa/mancata frequentazione del 70% dei partecipanti a questa storia, i personaggi non di prima classe saranno significativamente meno presenti del previsto, e di conseguenza quelli di terza ancora meno. Mi dispiace perchè alcuni erano veramente bellini, giuro. Tuttavia per il bene della storia ci sono da fare dei sacrifici, e per essere onesta a me e sopratutto a voi, riconosco di non essere capace di gestire così tanti OC. Appariranno di certo, di tanto in tanto, ma non così tanto come mi ero promessa. Spero davvero possiate capite.
 Terzo: Avevo detto "paio", ik, ma mi è venuto in mente ora. E' una cosa su cui non dovrei scusarmi troppo, ma io sono ansiosa e lo faccio. La prima classe sono tutti protagonisti, ma mi sembra relativamente ovvio Felix lo sia leggermente di più. Questo non vuol dire che apparirà di più, ma che il suo ruolo è leggermente più chiave degli altri. L'intenzione sarebbe di dare equo spazio a tutti. Tuttavia potrebbero accadere momenti, come questo capitolo, dove il mio OC riceverà parecchio spazio. Semplicemente essendo mio mi è più facile da muovere e gestire ed è un ottimo mezzo per svincolarsi da blocchi o situazioni scomode. Sorry not sorry. 
Ora vado a studiare o sono fottuta.
Alla prossima

ΩEbeΩ

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