Cuore freddo di Cress Morlet (/viewuser.php?uid=918469)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Ghiaccio tra i petali ***
Capitolo 1 *** Preludio ***
Preludio
Distrutto, spezzato e tormentato.
Il suo animo non trovava quiete neppure durante la notte - soprattutto durante la
notte.
Il suo mondo grigio e vuoto era un atomo stilettato da lame affilate,
forgiate in un passato ancora più oscuro. Esse creavano
cicatrici profonde,
incidevano la carne e lì rimanevano: tra i muscoli e i
tendini, tra un osso e
l’altro. Il suo cielo era cosparso di stelle e pianeti troppo
lontani da
stringere tra le dita e troppo distanti da schiacciare sotto le suola
delle
scarpe. Nelle sue giornate non esisteva alcuna forma di calore, vigeva
soltanto
un’amara indifferenza ricoperta da una bambagia di ironia e
di arroganza.
Fredda era l’immensità eterna
dell’universo che non decideva mai di abbassarsi
a preoccuparsi delle povere anime che ciondolavano e che si affannavano
senza
meta. Ghiaccio crudo e sottile era l’isolamento in cui si era
relegato,
aggrappandosi ad una patetica forza di volontà nata dal
risentimento, cresciuta
dall’odio e rafforzata dalla consapevolezza di essere stato
tradito da chiunque
- persino dal suo Maestro - e di essere stato abbandonato
da ogni membro della
propria famiglia. Così tanto solo,
così tanto potere
sprecato. La solitudine
aveva assunto la consistenza di una panacea in grado di inglobare
l’anima della sua persona, di masticarla e di rigettarla
nella galassia nelle sembianze di un
involucro vuoto e spaesato. Una trasformazione lenta e dolorosa. Una
muta di
pelle, ossa e sangue di cui chiunque avrebbe riconosciuto i sintomi
soltanto nell’esatto istante in cui il cambiamento sarebbe
oramai diventato
irreversibile. Come i pianeti disgregati dalle lame rosse dei tiranni.
Come i
residui scricchiolanti di alcuni stralci di polvere scura, generati
dalla
collisione di neuroni impazziti, piegati dall’uso di un
affrettato schiocco di
dita. L’universo gridava e nessuno riusciva a percepirlo
nell’ingrossarsi delle
vene: lamenti capaci di strappare le orecchie a mani nude, urla che
nulla
avevano di umano e che tutto avevano delle bestie primordiali. La
sofferenza
sradicava, divorava e conquistava. Non esisteva pietà, non
esisteva compassione.
Non
esisteva misericordia.
Rimaneva
soltanto la certezza di una verità ineluttabile: o sei un
granello di sabbia o sei un colosso di ferro. Ma che significato
avrebbe mai
potuto assumere questa verità ai suoi occhi e alla sua
mente? Lui non era
neppure riuscito a diventare l’ombra di un uomo. Bambino era stato
definito.
Un
bambino spaventato che avvolgeva il suo volto in una maschera nera - un
giocattolo che non rappresentava null’altro se non il suo
patetico tentativo di
eludere ogni timore, ogni confronto e ogni dubbio.
Una maschera che era il suo
nome, era la sua storia, era il suo sangue. Avrebbe dovuto generare nel
suo
animo un senso di confortante appartenenza a un qualcosa - alla sua famiglia,
al suo destino, a ciò che doveva essere e a ciò che
sarebbe potuto diventare -
e invece gli aveva procurato soltanto vergogna. Gli aveva ricordato i
suoi
fallimenti e la sua inferiorità, chi non riusciva ad
eguagliare e chi non
sarebbe mai riuscito ad inorgoglire. La certezza della sua condizione e
la
staticità di certe scomode realtà erano un
groviglio di spine e lenzuola
conficcato con forza nella sua gola. Nodi di schegge che gli
trapassavano la
fronte e che gli occludevano ogni possibilità di fuggire da
se stesso. Perché
non si può mai sapere in quali posti sia più
opportuno rifugiarsi quando delle
notti incolori e indesiderate riescono a rapire la tua attenzione, a
possedere i
tuoi pensieri e a trasformarli in qualcosa di cui pentirsi. Possono
afferrare i
tuoi piedi e legarli a delle punte aguzze di alcune stelle crudeli che
inghiottiscono il loro stesso corpo e si trasformano in buchi neri di
vacua
speranza di salvezza. Possono illuminare ogni desiderio represso negli
angoli
più imperscrutabili della tua mente e ricordarti il tuo
patetico passato e il
tuo ancora più patetico presente. Loro erano la causa per
cui non gli era più
possibile negare la verità che gli stringeva il ventre e gli
fracassava le
costole: ogni notte la
sua presenza confortava il suo petto e dilaniava la sua
anima - dissacrante realtà di un pugno di nervi immerso nel
suo costato
dolorosamente aperto.
Era vulnerabile, sconvolto,
coinvolto. Trascorreva ogni sera crogiolandosi
in una lenta e tortuosa agonia. Perché c’era
sempre Rey al suo fianco. Lui era
sempre più sfiancato dal grave peso del suo quotidiano
comandare e dall’onere
di dirigere le operazioni contro la Resistenza. Nulla pareva
confortarlo. Nulla
aveva le sembianze di una casa.
Quando
Kylo decideva di sdraiarsi e di riposare, non appena spostava le
lenzuola e il suo peso sformava il materasso, compariva la ragazza al
suo
fianco. Lei era lì. Lei era sempre
lì, silenziosa come una maledizione sibilata
dall’anima e non dalla bocca. Immobile, in posizione supina,
ostinata nella sua
decisione di considerarlo alla stregua di un oggetto inanimato e rotto.
Osservava il soffitto e non faceva niente altro. Non gli parlava, non
lo
guardava, non rispondeva mai alle sue domande e neanche alle sue
più dure
parole. Non c'era alcuna soddisfazione nella guerra fredda che si
consumava tra
i loro corpi e le loro menti: erano troppo giovani e troppo inesperti
con le
pedine della loro esistenza. A Kylo non importava il modo in cui erano
erroneamente giunti ai confini di una sfida che nessuno dei due avrebbe
più
avuto la forza di vincere. Lui aveva preferito rifugiarsi - scavando con le
unghie rotte e zeppe di sangue - nel bozzolo del suo
orgoglio ferito e fremente
di impaziente vendetta, un dolore antico che bruciava le sue vene viola
e le
sue ossa oscure. Mentre Rey sembrava aver deciso di non voler
più sprecare la
sua voce e il suo tempo con una tale causa persa. Ogni notte si
rifiutava di
voltarsi o di guardarlo negli occhi o anche solo di sfiorargli le
spalle.
Avrebbe voluto urlare e strappare il Legame. Calpestare il loro Legame
ridotto
in brandelli e chiedere perché - perché,
maledizione, perché, perché - era
costretto a
vivere una tale tortura. Averla vicino e non averla mai.
Sentire ogni notte il
suo respiro, ma mai le sue parole. Osservare soltanto la sua nuca, ma
mai il
suo viso. Non osava toccarla, non osava avvicinarsi, non osava nulla.
Era come
masticare sale e zucchero, inghiottire spine e petali. Una disperazione
infinita che non gli concedeva tregua e che squassava ogni suo giorno e
ogni
secondo della sua vita. Era un tormento di pensieri illogici e
disordinati.
Ti
ho salvato. Ho combattuto per te. Ti avevo soltanto chiesto di restare
al mio fianco. Sai che cosa è significato per me pregarti?
Ti ho chiesto di
restare al mio fianco e ti ho pregata, tu tentennavi e io ti ho
pregata. Ti
prego, ti ho detto. Ti prego.
Tu
hai tentennato e il ragazzino debole e sciocco è tornato.
Ben Solo era
morto, io stesso gli avevo strappato voce e volontà. Era un
ragazzo solo,
spaventato e tradito: doveva necessariamente morire. Credevo che di lui
fosse
rimasto soltanto un ricordo e un rimpianto. Eppure non è
andata così, non è vero?
Ti prego, ti ho detto. Stupido incosciente. Disposto ad umiliarmi pur
di averti
con me. Per te non è stato abbastanza. Per te nulla di
ciò che faccio è mai
abbastanza. Ti prego, ti ho detto, e tu mi hai abbandonato lo stesso.
Ciò che
abbiamo condiviso non ha significato niente. Ciò che
potevamo essere non ti ha
mai interessato e non ti ha mai tormentato, neppure una notte. Io
invece sono qui.
Perso
ad osservare la mia stanza buia e a pregare che questo istante non
finisca mai. Tu, al mio fianco. La Forza ci costringe ad incontrarci
ogni sera.
E ogni sera tu non parli, ogni sera tu non mi guardi. Ho provato ad
allontanarmi da te.
Ma
cercare di allontanarti è come ferire una persona brandendo
il pugnale
dalla parte della lama: il risultato è una mano scavata da
un taglio profondo,
grondante sangue. A cosa ci porterà tutto questo? Quanto
lontani potremo mai
essere? Per quanto tempo ancora? Tu non mi parli, tu sei furiosa.
Vorresti
uccidermi. Colma di ira e di rancore, io sento che vorresti farmi del
male. Lo
sento ogni notte, lo sento da mesi. E sento ancora il tocco della tua
mano
sulla mia pelle. È un marchio che non smetterà
mai di bruciare i miei nervi e
il mio sangue. Mi ricorda che sono ancora vivo.
Angolo autrice.
Ciao a tutti! Spero questo primo capitolo possa avervi incuriosito. Io
amo Ben e Rey in maniera viscerale, spero di aver reso loro giustizia.
Ditemi cosa ne pensate, ne ho un estremo bisogno. Spero anche di poter
aggiornare al più presto :) Tra pochissimo avremo Episodio
IX, evviva!
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Capitolo 2 *** Ghiaccio tra i petali ***
Ghiaccio tra i petali
"Hai
freddo", constatò, neutro.
Una densa aria ghiacciata aveva inglobato la sua schiena e un marchio
composto da neve sottile e chicchi di grandine gli aveva solleticato le
articolazioni e ogni giuntura. Rey doveva trovarsi su
un pianeta freddo e inospitale. Sentì che detestava qualcosa
della sua missione
e che aveva stranamente paura. C'era qualcosa di poco rassicurante che
tormentava i suoi pensieri e che assoggettava la sua volontà.
Sentiva la sua
frustazione e il suo turbamento attraversare la galassia e riversarsi
su di lui.
Era
abbacinante il modo in cui riusciva a percepire ogni sua sensazione e
ogni sua emozione. Come riuscisse a percepire il battito del suo cuore,
lo
sfrigolio dei suoi denti, la pressione della sua lingua sul palato. I
suoi
occhi bruciavano e le sue palpebre erano pesanti. Provava una
spossatezza
mentale che aggravava la sua sofferenza fisica. Dei graffi
tagliuzzavano la sua
pelle esposta ad un vento freddo che agganciava il lento scorrere del
suo
sangue in minuscoli aghi acuminati. Vene spezzate che si condensavano
in lividi
viola che macchiavano il suo corpo. Un dolore acuto che stringeva i
suoi
polmoni e che graffiava la sua gola ad unghiate. Soffriva,
era ferita, doveva avere la febbre. Percepiva dei brividi
freddi attraversare la sua mente a ondate.
Ben
volse il suo capo verso sinistra e osservò il profilo del
viso di Rey.
C’erano
delle lacrime sporche -
no, non era così, erano bianche, erano
lacrime trasparenti in grado di rigare le sue guance sporche di
fuliggine - che
caracollavano giù sul suo mento, sulla sua giugulare, sulle
sue spalle. Rey
sussultava ad ogni singhiozzo non trattenuto. Osservò il
modo in cui si mordeva
le labbra, in cui si abbracciava il petto e si stringeva i vestiti tra
le dita
malamente chiuse in un pugno sfatto e debole. Stava tentando di
lamentarsi il
più silenziosamente possibile. Le pupille vagavano lente
dall’alto verso il
basso mentre cercava impaziente una via di fuga. Consumava il centro
dei palmi
delle sue mani sfregandosele contro la stoffa sporca che fasciava il
suo
addome. Garze bianche coprivano in obliquo altri graffi rossi e altri
lividi
giallastri. C’era una cicatrice a forma di mano all’altezza
superiore del suo
braccio destro e il ricordo di come duramente la lama avesse inciso la
sua
pelle lo scosse profondamente. Un turbamento crudele che gli
sfigurò il volto
in un’espressione arcigna e insoddisfatta. Erano costretti a
condividere ogni
più intima forma di emozione e di sensazione. Il dolore dell’uno era
il dolore
dell’altra. Avrebbe potuto pensare che
nell’intera galassia non esistevano un
legame indissolubile come il loro e così facendo avrebbe
sicuramente sbagliato.
Tra loro non era così. Tra
loro non sarebbe mai stato così.
Delle
minuscole perle di ghiaccio, delle misere briciole ghiacciate,
caddero in quel momento sul suo letto - ma non era forse diventato il
loro
letto? o forse era soltanto un angolo di galassia che erano costretti a
condividere senza alcuna possibilità di scelta? non
c’era davvero nulla tra di
loro? erano semplicemente due nemici che covavano e maceravano odio nei
loro
petti straziati?
Alcuni
di quei grani ghiacciati riuscirono ad impigliarsi nella sua maglia
nera e
il ghiaccio si trasformò in acqua. La sua pelle
percepì una sensazione
spiacevole, la stessa che doveva star provando Rey.
Potevano
provare le stesse sensazioni, ma non significava nulla. Come
potevano realmente essere vicini? Loro non accettavano il legame che la
Forza
gli aveva imposto. Lo combattevano, lo sfregiavano. Cercavano con
ostinazione
di dimenticare l’emozione a cui mesi prima si erano
aggrappati. Incoscienti
entrambi. Stupidi illusi.
Nessuno dei due compirà mai un passo
verso l’altro. Nessuno dei due schiaccerà mai
l’ira che ancora striscia e
gorgoglia nelle loro costole e che cresce ogni notte e che li trasforma
in
degli esseri umani talmente tanto rancorosi da poter quasi assomigliare
a dei
ragazzini delusi e impauriti. Nessuno
dei due mai...
“Hai
molto freddo”, si corresse, e non poté
controllarsi. Il suo tono di
voce tradì un qualcosa che neppure Rey poté
ignorare. C’era un’emozione nuova
sul suo volto stanco. Uno stupore autentico che gli ricordò
il sorriso
estasiato dei bambini Jedi nel momento esatto in cui
riuscivano per la prima volta a trattenere tra le proprie piccole dita
il
tremolio di una bolla d’acqua chiara e limpida. Rey sciolse i
pugni e
spostò il viso verso la sua spalla destra - verso di lui.
Dopo
settimane, dopo mesi.
Erano
talmente vicini. Talmente
tanto vicini. E il suo volto era talmente
tanto stanco. Ben toccò le sue guance sporche e il suo mento
bagnato. Sfiorò i
suoi occhi, la sua mandibola, le sue ciglia. Odiò se stesso.
Avrebbe voluto
schiaffeggiarsi e disperarsi. Distruggere la stanza e ogni ricordo che
lo
trasformava in un essere tanto debole.
Sono
debole come mio padre.
Come
era accaduta una cosa del genere? Come aveva potuto permettere che
accadesse una cosa così tremenda e spaventosa? Il viso e il
respiro di Rey
erano diventati un bene prezioso e la sua vita una speranza impossibile
da
abbandonare.
Tu
sei nulla.
Negarlo
era inconcepibile.
Ma
non per me.
Ora
come avrebbe potuto smembrare una debolezza tanto importante? Come con
suo padre? Era un’immagine macabra che aveva la spaventosa
solidità di un
pugnale seghettato lasciato ad affondare nelle sue viscere e
lì barbaramente
dimenticato.Ben non
riusciva ad accettare di vivere senza Rey, non poteva neppure
pensarlo - un nuovo
tremito gli intorpidì un punto perduto in una parte oscura
del suo petto.
Come
poteva anche solo pensare di doverla uccidere? Come poteva perdere
ancora ogni cosa? Come?
“Spezza
il legame.”
Rey
glielo ordinò, all’improvviso, stringendo i denti
e inspirando a
fatica. Il significato delle sue parole gli bloccò il
respiro. Le sue ossa
sfrigolarono elettriche, talmente tanto forte da ostruirgli la gola e
inclinargli la voce.
“Non
posso”, sussurrò, e si morse le labbra. Si
costrinse a tacere subito
dopo. Avrebbe voluto dirle altro, avrebbe voluto dirle la
verità.
Non voglio,
pensò intensamente.
Non voglio e non lo farò, non lo farò mai. Mai.
Non posso
lasciarti.
Rey
percepì i suoi pensieri, li sentì.
Il
dolore trasfigurò i suoi lineamenti in una maschera
d’odio e l’ira
indurì l’incavo delle sue guance.
“Non
vuoi”, ripeté Rey, ad alta voce. Perché
lei aveva sentito ogni cosa e
perché non esistevano più pensieri che potessero
celare l’uno all’altra.
La
vide portarsi una mano al fianco -
al suo livido più grande, un viola
scuro che aveva assunto le sembianze di una rosa morta - e
cercare i suoi occhi.
Soltanto
un istante Ben sperò che Rey gli sorridesse. Che si
avvicinasse
al suo viso e sorridesse. Un solo istante di cui poi si sarebbe
vergognato in solitudine.
Avrebbe riso di se stesso allo specchio e poi non avrebbe
più sostenuto la sua
stessa vista e avrebbe indossato la maschera che aveva ricostruito.
Così
avrebbe ricominciato a smettere di respirare e avrebbe calpestato ogni
suo
pensiero capace di imporporargli le guance. Avrebbe compiuto assurde
imprudenze
che avrebbero ridotto il suo corpo e la sua mente in un insieme
disordinato di brandelli di sabbia e di sassi. Soltanto
perché aveva concesso a se stesso di sperare che
Rey potesse essere felice di essere insieme a lui.
“Non
vuoi e non lo farai. Non lo farai
mai”, continuò a ripetergli ad alta
voce mentre il suo tono diventava sempre più incredulo e
rancoroso. Masticava
le sue frasi e gliele restituiva sputandogli fiele e veleno.
“Perché
tu non puoi lasciarmi.”
La
vide soffocare tra i denti un rantolo causato dai suoi movimenti
scoordinati e avvicinarsi al suo viso. Il suo collo era in tensione, le
vene
gonfie.
Sperò
qualcosa che non avrebbe mai dovuto sperare. La mattina dopo avrebbe
riso di se
stesso e avrebbe distrutto il primo specchio in cui si sarebbe
riflesso. No,
avrebbe demolito ogni
specchio in cui si sarebbe riflesso. Avrebbe scorticato la
pelle delle sue nocche tanto duramente da far affiorare le sue ossa tra
le
schegge. Pugni infiniti contro una semplice lastra di vetro che gli
avrebbe
mostrato la sua vera natura. Lui era - e sarebbe sempre stato - un
ragazzino patetico.
“Spezza
il legame”, gli ordinò, tentando di imporsi sulla
sua volontà.
Sentì
un fremito in quell’oscuro punto perduto del suo petto che
avrebbe
dovuto essere vuoto e secco -
soltanto altro sangue e delle croste di cicatrici.
Si
impose di rimanere impassibile.
“Sai
che non funzionerà. Non puoi farlo a distanza. Lo sforzo
potrebbe
ucciderti.”
La
sua risposta calma sembrò colpirle il petto e spezzarle ogni
costola.
Gli mostrò i denti. Il modo in cui mordeva
l’interno delle sue guance scavate e
come tremavano i suoi polsi e le ossa delle sue dita: cercava in ogni
modo di
sottomettere la sua volontà.
Lo
sai che anche a me tremano i polsi? Il mio sforzo è pari al
tuo. Lo
sento. Così implacabile, così asfissiante. Ma io
e te non combattiamo lo stesso mostro.
“Spezza
il legame.”
Rey
era costantemente in bilico, altre volte credeva di averlo immaginato,
ma adesso riusciva a percepirlo meglio.
C’era un conflitto perpetuo nella sua anima: aveva sempre il
costante desiderio
di colpirlo e di fargli del male, aveva sempre il costante desiderio di
avvicinarsi e di fare qualcosa di ancora più terribile. Era
un conflitto che
dilaniava e che comprometteva e che prosciugava.
Potresti
spezzare tu il legame. Avresti potuto farlo ogni notte, ma non lo
hai mai fatto. Tu vuoi essere qui con me - ma perché? io non
voglio lasciarti e
forse tu non vuoi lasciare me? forse tu lo vuoi tanto quanto me?
Tu
vuoi essere qui con me, ora lo sento - è questo il motivo
per cui tu mi odi così
tanto? oppure odi una parte di te stessa? oppure sto impazzendo?
Credo
che sia tutto un sogno. Una visione. Non mi hai parlato per
settimane. Non mi hai guardato per mesi. Deve essere questo. Devo
essere
sconvolto da questa improvvisa tregua e fraintendo. Fraintendo ogni
cosa.
“Dove
sei?”
Ti
ho salvato da Snoke.
“Adesso
spezzerai il legame.”
Ho
combattuto per te.
“Quale
missione suicida stai affrontando?”
Ti
avevo soltanto chiesto di restare al mio fianco.
“Adesso
spezzerai il legame, Ben.”
Ben.
“Non
credevo mi avresti più chiamato Ben.”
Non
credevo avrei più voluto sentire quel nome.
Angolo
autrice.
Ciao a tutti! Mi dispiace tantissimo se questo capitolo fa schifo,
davvero tanto. Volevo avvertire che la descrizione "livido a forma di
mano" non è mia, ma di Hanna Sophie Lewis. Inoltre, tra poco
avremo Episodio IX, sono così emozionata da sentirmi male. E
voi? Scusate davvero per questo scempio, spero di riuscire a portare a
termine questo progetto. A presto!
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