Cuore freddo

di Cress Morlet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Ghiaccio tra i petali ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


Preludio


Distrutto, spezzato e tormentato. Il suo animo non trovava quiete neppure durante la notte - soprattutto durante la notte. 
Il suo mondo grigio e vuoto era un atomo stilettato da lame affilate, forgiate in un passato ancora più oscuro. Esse creavano cicatrici profonde, incidevano la carne e lì rimanevano: tra i muscoli e i tendini, tra un osso e l’altro. Il suo cielo era cosparso di stelle e pianeti troppo lontani da stringere tra le dita e troppo distanti da schiacciare sotto le suola delle scarpe. Nelle sue giornate non esisteva alcuna forma di calore, vigeva soltanto un’amara indifferenza ricoperta da una bambagia di ironia e di arroganza. Fredda era l’immensità eterna dell’universo che non decideva mai di abbassarsi a preoccuparsi delle povere anime che ciondolavano e che si affannavano senza meta. Ghiaccio crudo e sottile era l’isolamento in cui si era relegato, aggrappandosi ad una patetica forza di volontà nata dal risentimento, cresciuta dall’odio e rafforzata dalla consapevolezza di essere stato tradito da chiunque - persino dal suo Maestro - e di essere stato abbandonato da ogni membro della propria famiglia. Così tanto solo, così tanto potere sprecato. La solitudine aveva assunto la consistenza di una panacea in grado di inglobare l’anima della sua persona, di masticarla e di rigettarla nella galassia nelle sembianze di un involucro vuoto e spaesato. Una trasformazione lenta e dolorosa. Una muta di pelle, ossa e sangue di cui chiunque avrebbe riconosciuto i sintomi soltanto nell’esatto istante in cui il cambiamento sarebbe oramai diventato irreversibile. Come i pianeti disgregati dalle lame rosse dei tiranni. Come i residui scricchiolanti di alcuni stralci di polvere scura, generati dalla collisione di neuroni impazziti, piegati dall’uso di un affrettato schiocco di dita. L’universo gridava e nessuno riusciva a percepirlo nell’ingrossarsi delle vene: lamenti capaci di strappare le orecchie a mani nude, urla che nulla avevano di umano e che tutto avevano delle bestie primordiali. La sofferenza sradicava, divorava e conquistava. Non esisteva pietà, non esisteva compassione.
Non esisteva misericordia.
Rimaneva soltanto la certezza di una verità ineluttabile: o sei un granello di sabbia o sei un colosso di ferro. Ma che significato avrebbe mai potuto assumere questa verità ai suoi occhi e alla sua mente? Lui non era neppure riuscito a diventare l’ombra di un uomo. Bambino era stato definito. 
Un bambino spaventato che avvolgeva il suo volto in una maschera nera - un giocattolo che non rappresentava null’altro se non il suo patetico tentativo di eludere ogni timore, ogni confronto e ogni dubbio. 
Una maschera che era il suo nome, era la sua storia, era il suo sangue. Avrebbe dovuto generare nel suo animo un senso di confortante appartenenza a un qualcosa - alla sua famiglia, al suo destino, a ciò che doveva essere e a ciò che sarebbe potuto diventare - e invece gli aveva procurato soltanto vergogna. Gli aveva ricordato i suoi fallimenti e la sua inferiorità, chi non riusciva ad eguagliare e chi non sarebbe mai riuscito ad inorgoglire. La certezza della sua condizione e la staticità di certe scomode realtà erano un groviglio di spine e lenzuola conficcato con forza nella sua gola. Nodi di schegge che gli trapassavano la fronte e che gli occludevano ogni possibilità di fuggire da se stesso. Perché non si può mai sapere in quali posti sia più opportuno rifugiarsi quando delle notti incolori e indesiderate riescono a rapire la tua attenzione, a possedere i tuoi pensieri e a trasformarli in qualcosa di cui pentirsi. Possono afferrare i tuoi piedi e legarli a delle punte aguzze di alcune stelle crudeli che inghiottiscono il loro stesso corpo e si trasformano in buchi neri di vacua speranza di salvezza. Possono illuminare ogni desiderio represso negli angoli più imperscrutabili della tua mente e ricordarti il tuo patetico passato e il tuo ancora più patetico presente. Loro erano la causa per cui non gli era più possibile negare la verità che gli stringeva il ventre e gli fracassava le costole: ogni notte la sua presenza confortava il suo petto e dilaniava la sua anima - dissacrante realtà di un pugno di nervi immerso nel suo costato dolorosamente aperto.

Era vulnerabile, sconvolto, coinvolto. Trascorreva ogni sera crogiolandosi in una lenta e tortuosa agonia. Perché c’era sempre Rey al suo fianco. Lui era sempre più sfiancato dal grave peso del suo quotidiano comandare e dall’onere di dirigere le operazioni contro la Resistenza. Nulla pareva confortarlo. Nulla aveva le sembianze di una casa.
Quando Kylo decideva di sdraiarsi e di riposare, non appena spostava le lenzuola e il suo peso sformava il materasso, compariva la ragazza al suo fianco. Lei era lì. Lei era sempre lì, silenziosa come una maledizione sibilata dall’anima e non dalla bocca. Immobile, in posizione supina, ostinata nella sua decisione di considerarlo alla stregua di un oggetto inanimato e rotto. Osservava il soffitto e non faceva niente altro. Non gli parlava, non lo guardava, non rispondeva mai alle sue domande e neanche alle sue più dure parole. Non c'era alcuna soddisfazione nella guerra fredda che si consumava tra i loro corpi e le loro menti: erano troppo giovani e troppo inesperti con le pedine della loro esistenza. A Kylo non importava il modo in cui erano erroneamente giunti ai confini di una sfida che nessuno dei due avrebbe più avuto la forza di vincere. Lui aveva preferito rifugiarsi - scavando con le unghie rotte e zeppe di sangue - nel bozzolo del suo orgoglio ferito e fremente di impaziente vendetta, un dolore antico che bruciava le sue vene viola e le sue ossa oscure. Mentre Rey sembrava aver deciso di non voler più sprecare la sua voce e il suo tempo con una tale causa persa. Ogni notte si rifiutava di voltarsi o di guardarlo negli occhi o anche solo di sfiorargli le spalle. Avrebbe voluto urlare e strappare il Legame. Calpestare il loro Legame ridotto in brandelli e chiedere perché - perché, maledizione, perché, perché - era costretto a vivere una tale tortura. Averla vicino e non averla mai. Sentire ogni notte il suo respiro, ma mai le sue parole. Osservare soltanto la sua nuca, ma mai il suo viso. Non osava toccarla, non osava avvicinarsi, non osava nulla. Era come masticare sale e zucchero, inghiottire spine e petali. Una disperazione infinita che non gli concedeva tregua e che squassava ogni suo giorno e ogni secondo della sua vita. Era un tormento di pensieri illogici e disordinati.
Ti ho salvato. Ho combattuto per te. Ti avevo soltanto chiesto di restare al mio fianco. Sai che cosa è significato per me pregarti? Ti ho chiesto di restare al mio fianco e ti ho pregata, tu tentennavi e io ti ho pregata. Ti prego, ti ho detto. Ti prego.
Tu hai tentennato e il ragazzino debole e sciocco è tornato. Ben Solo era morto, io stesso gli avevo strappato voce e volontà. Era un ragazzo solo, spaventato e tradito: doveva necessariamente morire. Credevo che di lui fosse rimasto soltanto un ricordo e un rimpianto. Eppure non è andata così, non è vero? Ti prego, ti ho detto. Stupido incosciente. Disposto ad umiliarmi pur di averti con me. Per te non è stato abbastanza. Per te nulla di ciò che faccio è mai abbastanza. Ti prego, ti ho detto, e tu mi hai abbandonato lo stesso. Ciò che abbiamo condiviso non ha significato niente. Ciò che potevamo essere non ti ha mai interessato e non ti ha mai tormentato, neppure una notte. Io invece sono qui.
Perso ad osservare la mia stanza buia e a pregare che questo istante non finisca mai. Tu, al mio fianco. La Forza ci costringe ad incontrarci ogni sera. E ogni sera tu non parli, ogni sera tu non mi guardi. Ho provato ad allontanarmi da te.
Ma cercare di allontanarti è come ferire una persona brandendo il pugnale dalla parte della lama: il risultato è una mano scavata da un taglio profondo, grondante sangue. A cosa ci porterà tutto questo? Quanto lontani potremo mai essere? Per quanto tempo ancora? Tu non mi parli, tu sei furiosa. Vorresti uccidermi. Colma di ira e di rancore, io sento che vorresti farmi del male. Lo sento ogni notte, lo sento da mesi. E sento ancora il tocco della tua mano sulla mia pelle. È un marchio che non smetterà mai di bruciare i miei nervi e il mio sangue. Mi ricorda che sono ancora vivo.







Angolo autrice.

Ciao a tutti! Spero questo primo capitolo possa avervi incuriosito. Io amo Ben e Rey in maniera viscerale, spero di aver reso loro giustizia. Ditemi cosa ne pensate, ne ho un estremo bisogno. Spero anche di poter aggiornare al più presto :) Tra pochissimo avremo Episodio IX, evviva!

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Capitolo 2
*** Ghiaccio tra i petali ***


Ghiaccio tra i petali


"Hai freddo", constatò, neutro.
Una densa aria ghiacciata aveva inglobato la sua schiena e un marchio composto da neve sottile e chicchi di grandine gli aveva solleticato le articolazioni e ogni giuntura. Rey doveva trovarsi su un pianeta freddo e inospitale. Sentì che detestava qualcosa della sua missione e che aveva stranamente paura. C'era qualcosa di poco rassicurante che tormentava i suoi pensieri e che assoggettava la sua volontà.

Sentiva la sua frustazione e il suo turbamento attraversare la galassia e riversarsi su di lui.
Era abbacinante il modo in cui riusciva a percepire ogni sua sensazione e ogni sua emozione. Come riuscisse a percepire il battito del suo cuore, lo sfrigolio dei suoi denti, la pressione della sua lingua sul palato. I suoi occhi bruciavano e le sue palpebre erano pesanti. Provava una spossatezza mentale che aggravava la sua sofferenza fisica. Dei graffi tagliuzzavano la sua pelle esposta ad un vento freddo che agganciava il lento scorrere del suo sangue in minuscoli aghi acuminati. Vene spezzate che si condensavano in lividi viola che macchiavano il suo corpo. Un dolore acuto che stringeva i suoi polmoni e che graffiava la sua gola ad unghiate. Soffriva, era ferita, doveva avere la febbre. Percepiva dei brividi freddi attraversare la sua mente a ondate.
Ben volse il suo capo verso sinistra e osservò il profilo del viso di Rey.
C’erano delle lacrime sporche - no, non era così, erano bianche, erano lacrime trasparenti in grado di rigare le sue guance sporche di fuliggine - che caracollavano giù sul suo mento, sulla sua giugulare, sulle sue spalle. Rey sussultava ad ogni singhiozzo non trattenuto. Osservò il modo in cui si mordeva le labbra, in cui si abbracciava il petto e si stringeva i vestiti tra le dita malamente chiuse in un pugno sfatto e debole. Stava tentando di lamentarsi il più silenziosamente possibile. Le pupille vagavano lente dall’alto verso il basso mentre cercava impaziente una via di fuga. Consumava il centro dei palmi delle sue mani sfregandosele contro la stoffa sporca che fasciava il suo addome. Garze bianche coprivano in obliquo altri graffi rossi e altri lividi giallastri. C’era una cicatrice a forma di mano all’altezza superiore del suo braccio destro e il ricordo di come duramente la lama avesse inciso la sua pelle lo scosse profondamente. Un turbamento crudele che gli sfigurò il volto in un’espressione arcigna e insoddisfatta. Erano costretti a condividere ogni più intima forma di emozione e di sensazione. Il dolore dell’uno era il dolore dell’altra. Avrebbe potuto pensare che nell’intera galassia non esistevano un legame indissolubile come il loro e così facendo avrebbe sicuramente sbagliato. Tra loro non era così. Tra loro non sarebbe mai stato così.
Delle minuscole perle di ghiaccio, delle misere briciole ghiacciate, caddero in quel momento sul suo letto - ma non era forse diventato il loro letto? o forse era soltanto un angolo di galassia che erano costretti a condividere senza alcuna possibilità di scelta? non c’era davvero nulla tra di loro? erano semplicemente due nemici che covavano e maceravano odio nei loro petti straziati?
Alcuni di quei grani ghiacciati riuscirono ad impigliarsi nella sua maglia nera e il ghiaccio si trasformò in acqua. La sua pelle percepì una sensazione spiacevole, la stessa che doveva star provando Rey.
Potevano provare le stesse sensazioni, ma non significava nulla. Come potevano realmente essere vicini? Loro non accettavano il legame che la Forza gli aveva imposto. Lo combattevano, lo sfregiavano. Cercavano con ostinazione di dimenticare l’emozione a cui mesi prima si erano aggrappati. Incoscienti entrambi. Stupidi illusi. Nessuno dei due compirà mai un passo verso l’altro. Nessuno dei due schiaccerà mai l’ira che ancora striscia e gorgoglia nelle loro costole e che cresce ogni notte e che li trasforma in degli esseri umani talmente tanto rancorosi da poter quasi assomigliare a dei ragazzini delusi e impauriti. Nessuno dei due mai...
“Hai molto freddo”, si corresse, e non poté controllarsi. Il suo tono di voce tradì un qualcosa che neppure Rey poté ignorare. C’era un’emozione nuova sul suo volto stanco. Uno stupore autentico che gli ricordò il sorriso estasiato dei bambini Jedi nel momento esatto in cui riuscivano per la prima volta a trattenere tra le proprie piccole dita il tremolio di una bolla d’acqua chiara e limpida. Rey sciolse i pugni e spostò il viso verso la sua spalla destra - verso di lui.
Dopo settimane, dopo mesi.
Erano talmente vicini. Talmente tanto vicini. E il suo volto era talmente tanto stanco. Ben toccò le sue guance sporche e il suo mento bagnato. Sfiorò i suoi occhi, la sua mandibola, le sue ciglia. Odiò se stesso. Avrebbe voluto schiaffeggiarsi e disperarsi. Distruggere la stanza e ogni ricordo che lo trasformava in un essere tanto debole.
Sono debole come mio padre.
Come era accaduta una cosa del genere? Come aveva potuto permettere che accadesse una cosa così tremenda e spaventosa? Il viso e il respiro di Rey erano diventati un bene prezioso e la sua vita una speranza impossibile da abbandonare.
Tu sei nulla.
Negarlo era inconcepibile.
Ma non per me.
Ora come avrebbe potuto smembrare una debolezza tanto importante? Come con suo padre? Era un’immagine macabra che aveva la spaventosa solidità di un pugnale seghettato lasciato ad affondare nelle sue viscere e lì barbaramente dimenticato.Ben non riusciva ad accettare di vivere senza Rey, non poteva neppure pensarlo - un nuovo tremito gli intorpidì un punto perduto in una parte oscura del suo petto.
Come poteva anche solo pensare di doverla uccidere? Come poteva perdere ancora ogni cosa? Come?
“Spezza il legame.”
Rey glielo ordinò, all’improvviso, stringendo i denti e inspirando a fatica. Il significato delle sue parole gli bloccò il respiro. Le sue ossa sfrigolarono elettriche, talmente tanto forte da ostruirgli la gola e inclinargli la voce.
“Non posso”, sussurrò, e si morse le labbra. Si costrinse a tacere subito dopo. Avrebbe voluto dirle altro, avrebbe voluto dirle la verità. 
Non voglio, pensò intensamente. Non voglio e non lo farò, non lo farò mai. Mai. Non posso lasciarti.

Rey percepì i suoi pensieri, li sentì.
Il dolore trasfigurò i suoi lineamenti in una maschera d’odio e l’ira indurì l’incavo delle sue guance.
“Non vuoi”, ripeté Rey, ad alta voce. Perché lei aveva sentito ogni cosa e perché non esistevano più pensieri che potessero celare l’uno all’altra.
La vide portarsi una mano al fianco - al suo livido più grande, un viola scuro che aveva assunto le sembianze di una rosa morta - e cercare i suoi occhi.
Soltanto un istante Ben sperò che Rey gli sorridesse. Che si avvicinasse al suo viso e sorridesse. Un solo istante di cui poi si sarebbe vergognato in solitudine. Avrebbe riso di se stesso allo specchio e poi non avrebbe più sostenuto la sua stessa vista e avrebbe indossato la maschera che aveva ricostruito. Così avrebbe ricominciato a smettere di respirare e avrebbe calpestato ogni suo pensiero capace di imporporargli le guance. Avrebbe compiuto assurde imprudenze che avrebbero ridotto il suo corpo e la sua mente in un insieme disordinato di brandelli di sabbia e di sassi. Soltanto perché aveva concesso a se stesso di sperare che Rey potesse essere felice di essere insieme a lui.
“Non vuoi e non lo farai. Non lo farai mai”, continuò a ripetergli ad alta voce mentre il suo tono diventava sempre più incredulo e rancoroso. Masticava le sue frasi e gliele restituiva sputandogli fiele e veleno.
“Perché tu non puoi lasciarmi.”
La vide soffocare tra i denti un rantolo causato dai suoi movimenti scoordinati e avvicinarsi al suo viso. Il suo collo era in tensione, le vene gonfie.
Sperò qualcosa che non avrebbe mai dovuto sperare. La mattina dopo avrebbe riso di se stesso e avrebbe distrutto il primo specchio in cui si sarebbe riflesso. No, avrebbe demolito ogni specchio in cui si sarebbe riflesso. Avrebbe scorticato la pelle delle sue nocche tanto duramente da far affiorare le sue ossa tra le schegge. Pugni infiniti contro una semplice lastra di vetro che gli avrebbe mostrato la sua vera natura. Lui era - e sarebbe sempre stato - un ragazzino patetico.
“Spezza il legame”, gli ordinò, tentando di imporsi sulla sua volontà.
Sentì un fremito in quell’oscuro punto perduto del suo petto che avrebbe dovuto essere vuoto e secco - soltanto altro sangue e delle croste di cicatrici.
Si impose di rimanere impassibile.
“Sai che non funzionerà. Non puoi farlo a distanza. Lo sforzo potrebbe ucciderti.”
La sua risposta calma sembrò colpirle il petto e spezzarle ogni costola. Gli mostrò i denti. Il modo in cui mordeva l’interno delle sue guance scavate e come tremavano i suoi polsi e le ossa delle sue dita: cercava in ogni modo di sottomettere la sua volontà.
Lo sai che anche a me tremano i polsi? Il mio sforzo è pari al tuo. Lo sento. Così implacabile, così asfissiante. Ma io e te non combattiamo lo stesso mostro.
“Spezza il legame.”
Rey era costantemente in bilico, altre volte credeva di averlo immaginato, ma adesso riusciva a percepirlo meglio. C’era un conflitto perpetuo nella sua anima: aveva sempre il costante desiderio di colpirlo e di fargli del male, aveva sempre il costante desiderio di avvicinarsi e di fare qualcosa di ancora più terribile. Era un conflitto che dilaniava e che comprometteva e che prosciugava.
Potresti spezzare tu il legame. Avresti potuto farlo ogni notte, ma non lo hai mai fatto. Tu vuoi essere qui con me - ma perché? io non voglio lasciarti e forse tu non vuoi lasciare me? forse tu lo vuoi tanto quanto me?
Tu vuoi essere qui con me, ora lo sento - è questo il motivo per cui tu mi odi così tanto? oppure odi una parte di te stessa? oppure sto impazzendo?
Credo che sia tutto un sogno. Una visione. Non mi hai parlato per settimane. Non mi hai guardato per mesi. Deve essere questo. Devo essere sconvolto da questa improvvisa tregua e fraintendo. Fraintendo ogni cosa.
“Dove sei?”
Ti ho salvato da Snoke.
“Adesso spezzerai il legame.”
Ho combattuto per te.
“Quale missione suicida stai affrontando?”
Ti avevo soltanto chiesto di restare al mio fianco.
“Adesso spezzerai il legame, Ben.”
Ben.
“Non credevo mi avresti più chiamato Ben.”
Non credevo avrei più voluto sentire quel nome.







Angolo autrice.
Ciao a tutti! Mi dispiace tantissimo se questo capitolo fa schifo, davvero tanto. Volevo avvertire che la descrizione "livido a forma di mano" non è mia, ma di Hanna Sophie Lewis. Inoltre, tra poco avremo Episodio IX, sono così emozionata da sentirmi male. E voi? Scusate davvero per questo scempio, spero di riuscire a portare a termine questo progetto. A presto!

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