In una galassia lontana lontana...

di Mex
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Porc...perchè tutte a me?? ***
Capitolo 2: *** II capitolo: Tornare a casa ***
Capitolo 3: *** III capitolo: Il Jolly ***
Capitolo 4: *** IV capitolo: Firmare o non firmare, questo è il problema! ***
Capitolo 5: *** V capitolo: Trasloco e saluti ***
Capitolo 6: *** VI Capitolo: Overflow ***
Capitolo 7: *** VII capitolo: Casa ***
Capitolo 8: *** VIII capitolo: I Druyiniani ***
Capitolo 9: *** IX Capitolo: La guerra inizia ***
Capitolo 10: *** X capitolo: I Mietitori ***
Capitolo 11: *** XI capitolo: Scambi ***
Capitolo 12: *** XII capitolo: La richiesta ***



Capitolo 1
*** Porc...perchè tutte a me?? ***


Premetto che questa è la mia primissima fanfiction e nonostante sia una grandissima fan di stargate molte cose potrebbero risultare inesatte. Aggiungo anche che io non capisco assolutamente nulla di tecnologia o computer o fisica, quindi se compariranno strafalcioni o complete idiozie non ridete troppo né prendetevela. Godetevi la storia.

 

I personaggi non mi appartengono e questa storia è scritta senza scopo di lucro

 

 

 

 

 

I capitolo: “Porc… perché tutte a me? Dio!”

 

“Mi sta dicendo che finalmente è riuscito a trovare Atlantide?” il professor Sorni si tolse gli occhiali ed iniziò a ripulirli di nuovo, per la terza volta, lo faceva sempre quando era nervoso. I suoi occhietti miopi si puntarono in quelli del giovane dottor Daniel Jackson. Sorni aveva collaborato da lontano al progetto Stargate, era stato il consigliere di Jackson, ma in realtà non aveva mai lasciato la scrivania della sua Università dove insegnava archeologia. Jackson, nonostante tutte le cose che aveva visto in dieci anni di missioni extramondo, era eccitato come un bambino: “Sì, professore. Ho trovato l’ottavo simbolo e, come avevamo ipotizzato, è in un’altra galassia, Pegaso per la precisione.” La temperatura nel piccolo studio affollato di carte e piccoli oggetti antichi aumentò. “Dunque quello che le sto chiedendo è solo di venire per un po’ con me in Antartide per qualche giorno, per vedere come vanno le cose. Lì valuterà lei se entrare nella squadra. Venga a dare un’occhiata è ora che i suoi sforzi siano ricompensati.” Il professore aggrottò la sua fronte già precocemente segnata da profonde rughe. Nei suoi sessantacinque anni di vita la sua ipocondria galoppante e la forte paura dei cambiamenti lo avevano sempre frenato e ancora adesso, nonostante la voglia di far parte nella più importante missione dell’umanità dove solo lui avrebbe rappresentato l’Italia, le sue fobie lo frenavano. Daniel sapeva tutto questo, ma era anche consapevole che forse solo lui superava Sorni in conoscenze, e lui non poteva far parte della missione Atlantis, l’SG1 richiedeva ancora la sua presenza. “Professore, oltretutto lei ha anche il gene degli Antichi. Abbiamo bisogno di chiunque lo possegga. Professore solo una prova, se non se la sente poi nominerò qualcun altro. Ma la prego venga in Antartide, sono sicuro che una volta là non riuscirà a dirmi di no” Combattuto dalla sua curiosità di scienziato e le sue paure da uomo, il professore fissò lo strano marchingegno che aveva davanti. La sera prima aveva impiegato un’ora per concentrarsi sufficientemente per attivare il congegno degli antichi col suo gene. Una cosa rara, e preziosa se si voleva fare una spedizione per contattare la civiltà che aveva costruito gli stargate. L’oggetto era stato ritrovato in Antartide nella base degli Antichi, scoperta fortuitamente l’anno prima dall’SG1. Dalle scritte che lo ricoprivano si era rivelato un piccolo database dove erano conservate la lingua e alcune conoscenze base, ma non si poteva sapere quanto era conservato perché nessuno alla base né il professore Sorni era riuscito a mantenere la concentrazione tanto da far scaricare il materiale nella mente della persona che lo attivava. Questo si pensava dovesse fare, almeno secondo Rodney McKay la mente più brillante (e presuntuosa) nel campo fisico e tecnologico. Doveva essere come una scatola del tempo per quando gli esseri sulla Terra sarebbero stati pronti a ricordare il popolo più importante che fosse mai vissuto dopo che questi erano ascesi. Avevano già incontrato qualcosa di simile e Jack quasi ci aveva lasciato le penne, ma questo doveva essere molto più contenuto e sopportabile la mente umana.

“Devo dire che la cosa mi alletta parecchio, dottore. Sono molto onorato che pensando alle persone più preparate tra tutto il mondo abbia scelto proprio me. Ma devo ancora pensarci. Potrebbe darmi una settimana?” Daniel rinunciò e con un sospiro annuì, se non fosse riuscito a convincere Sorni sarebbe stato costretto a mettere qualcun altro al suo posto e sinceramente non sapeva chi. “Adesso mi aggiorni su come vanno le cose da voi” Stava per farlo quando sentì un forte rumore di qualcosa che cadeva fuori dalla porta ed una voce che diceva: “Porc… perché tutte a me? Dio!” Daniel che capiva perfettamente l‘italiano insieme ad altre ventidue lingue, rimase sorpreso che ci fosse qualcuno fuori e soprattutto del linguaggio non certo accademico. Era l’ora di pranzo e aveva scelto proprio un momento in cui era certo che non ci fosse nessuno, ovvero un giorno di agosto inoltrato. Si girò con aria interrogativa verso il professore “Oh, tranquillo Jackson. È la Satriani, una mia studentessa che mi fa da segretaria dal momento che la mia è andata in maternità. Geniale, ma un po’ imbranata, ma ha una grande testa, anche se a volte sembra uscita da chissà quale epoca. Forse se fosse stata più vecchia e avesse già finito gli studi avrebbe potuto portare lei. Nonostante abbia finito solo il primo anno promette bene, peccato. Ma adesso nasconda il suo giocattolo” Jackson prontamente se lo infilò in tasca, dopotutto non era più grande di un telefono cellulare. Pochi secondi dopo si sentì bussare alla porta: “Scusi professore, qui ci sono i fogli che mi aveva chiesto. Mi scusi non sapevo che avesse ospiti”. Era una ragazza mora, con la coda di cavallo, maglietta raffigurante wolverine e jeans lunghi, nonostante il caldo. Non proprio magra, anzi più rotondetta che secca, il classico corpo mediterraneo da matrona romana, pensò Daniel anche se non così abbondante. Le piacque, il modo impacciato della ragazza, gli ricordava lui una ventina di anni prima, prima di passare dieci anni nell’SG1. Aveva un che di casual, di fuori dagli schemi ed assolutamente fuori moda.  Posò le carte sulla scrivania e poi si girò per andarsene, ma esitò combattuta dalla sua naturale timidezza. Alla fine fece un profondo respiro ed in un inglese reso zoppicante dall’agitazione chiese a Daniel diventando del colore dei pomodori maturi: “Le…lei è il professor Jackson, vero? Quello della teoria della comunione delle razze?” Daniel si aggiustò gli occhiali sul volto simpatico e fece un sorriso rassicurante: “Sì sono io fa piace sapere di essere letti anche all’estero. Molto piacere conoscerla”.

Si alzò per stringerle la mano ma appena si avvicinò il “cellulare” che aveva in tasca iniziò a scaldarsi a tal punto da bruciarlo. Fu un movimento istintivo che lo portò a mettersi la mano in tasca e lanciare l’oggetto incandescente il più lontano da sé. Ma questo una volta a terra iniziò ad emanare luce e scaldarsi ancora di più fino a lasciare una bruciatura nel prezioso tappeto persiano. Tutto questo non era durato che qualche secondo, non abbastanza da far allontanare la povera ragazza che guardava con gli occhi spalancati l’oggetto e troppo pochi anche per farla spostare fuori dalla traiettoria del raggio di luce che la investì.    

Si alzò a fatica dal pavimento e vide davanti a sé il dottor Jackson che la guardava inginocchiato davanti a lei e Sorni che le stava versando un po’ del suo famigerato brandy che nascondeva nello stipo del suo armadio. Daniel le passò il bicchiere da cui lei bevve un sorso: “Cosa, diavolo, è successo?” Una fitta lancinante le perforò il cervello ma come era venuta se ne andò via, non senza averla lasciata senza fiato. Iniziò a tempestarli di domande, ma invece di risponderle i due la guardavano sorpresi. Il primo a parlare fu Sorni: “Jackson, sono pazzo o anche a lei questo sembra Antico?” Daniel annuì: “Sì incredibile, mi sono solo avvicinato e lei è riuscita a scaricare le informazioni, senza neanche concentrarsi- le prese il viso tra le mani- adesso ascoltami…” Vedendo il suo viso terrorizzato chiese a Sorni come si chiamasse di nome: “Alice” “Alice, ascoltami. Concentrati, separa i dati, ci puoi riuscire, tranquilla” La ragazza, gli fissò gli occhi, e piano piano si calmò. Il respiro le tornò normale e fu aiutata a sedere sulla poltrona di pelle in uno degli angoli dello studio. Jackson prese una sedia e la trascinò davanti a lei: “Adesso riesci a distinguere le idee che hai in testa?- e al suo cenno di assenso continuò- sai che cosa ti è successo?” la ragazza fece un profondo respiro: “Sì so che cos’è il Tremigal” “Si chiama così? Tremigal?” “Sì, si chiama così dal nome del suo inventore. La conoscenza che era contenuta nel Tremigal è dentro di me, adesso.” “Hai tutta la conoscenza degli Antichi?” Sorni si asciugava con il fazzoletto la fronte imperlata di sudore. La ragazza scosse la testa: “No, è…come posso dire…come se fosse un libro delle elementari, c’è un pezzo della loro storia e della loro lingua. L’avete trovato a Spirmit, cioè in Antartide? Cosa diavolo sta succedendo, ho conoscenze di un popolo che viaggia per lo spazio, ma non ha senso. Cosa diavolo sta succedendo?”  Sorni si chinò per raccogliere il Tremigal ormai inutile avendo portato a termine il suo compito. “Sei nei pasticci piccola Satriani, ecco che succede”

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Capitolo 2
*** II capitolo: Tornare a casa ***


Bene siamo al secondo capitolo, un po’ più lunghetto dell’altro.  Da adesso in poi appariranno molti personaggi di entrambe le serie, spero di aver colto nel pieno le loro caratteristiche. Se mi fate sapere sarò più che felice di sapere com’è andata. Tanti saluti e buona lettura. Ciauuu




II capitolo: Tornare a casa

Quello che il dottor Jackson le stava dicendo sembrava impossibile, ma dopotutto lei aveva scaricato nel cervello la conoscenza di un popolo vissuto più di diecimila anni prima, quindi cosa si poteva ormai dire impossibile? Certo era sconvolgente venire a sapere del programma stargate, che la città perduta di Atlantide in realtà non solo non era un mito, ma era addirittura situata in un’altra galassia e che su tutto questo incombeva il massimo grado di segretezza che potesse esistere. Alieni, altre razze, altre galassie, astronavi… Alice strappò di mano a Daniel il bicchiere di brandy e lo buttò giù di un colpo. “Segreto… non è che adesso mi studierete come una cavia da laboratorio nell’aria 51, o come diavolo si chiama, e poi mi ucciderete o mi rinchiuderete in un manicomio, come in quei film sugli alieni da quattro soldi, vero?” Daniel sorrise “Sai, tu piaceresti al mio amico Jack. No, ma naturalmente dovrai venire con noi, non sappiamo quali effetti potrà avere su di te il congegno cioè il Tremigal, né quanto possa durare in te la conoscenza. Vorrei che venissi con noi in Antartide per farti vedere dai maggiori esperti di questo settore e per collaborare con noi.” Lei sembrò pensarci un po’ su “Io…insieme a tutte quelle menti? Perché dovrebbero dare retta a una ragazzina di vent’anni? A Spirmit? È necessario?” Daniel annuì: “Sì, dobbiamo partire il più presto possibile, questa sera sarebbe meglio. E poi attualmente tu sei la maggiore esperta del più grande popolo che sia mai esistito.- le sorrise- Coraggio, ti fidi di me?” Lei si raddrizzò sulla poltrona: “Professore ho detto di avere vent’anni non quattro, anche se ho ancora alcune paure di quando ne avevo tre, per esempio le cose fuori dall’ordinario” “Scusami, hai ragione. Ma il problema è che o vieni con me, o ti verrà a prelevare una squadra speciale facendo irruzione a casa tua. Perché dovrò dire il motivo per cui il Tremigal ha perso la sua energia” Alice ci pensò un po’ “Va bene verrò con voi in Antartide, ma non prima di dopodomani. Devo avvisare i miei e preparare le valigie e…e…non prima di dopodomani” “Per me va bene, naturalmente non dovrai dire niente ai tuoi” “Naturalmente, dirò che il professore Sorni mi deve portare ad un congresso all’estero come sua segretaria. Sperando che se la bevano. I biglietti chi li fa? E dove si prende un biglietto per l’Antartide?” una ragazza pratica, meno male, pensò Daniel “Sono venuto qui con un elicottero per venir a prendere il professor Sorni, quindi useremo quello. Una macchina ti passerà a prendere dopodomani alle quattro di mattina e ti porterà alla base militare dove ci aspetta l’elicottero. Porta solo l‘essenziale, l‘equipaggiamento te lo forniremo noi.” Lei annuì di nuovo fissando la bruciatura sul pavimento: “Devo essere pazza a fidarmi del primo venuto, ma non ho altra scelta vero? Cielo sembro la protagonista di un film di terz’ultima categoria!” Il professor Sorni interruppe i suoi pensieri: “Quindi Jackson, se porta lei di me non ha più bisogno?” Daniel annuì “Per adesso sì, ma voglio sapere cosa mi dice della squadra. In una settimana, Carlo, non di più”
Quando finalmente uscirono fuori era ormai sera. Si separarono, Daniel salì su un taxi che lo riportò al suo albergo, Sorni girò l’angolo e si trovò davanti a casa sua, Alice prese i mezzi fece tutta l’ora e mezza di tragitto scrivendo appunti sul suo quaderno, appunti che sperava risultassero utili agli studiosi, per quanto riguardava lei sicuramente l’aiutarono a non pensare in che cosa si fosse cacciata. La cena a casa Satriani fu temuta da Alice come poche cose nella vita. Mentre sua madre serviva il primo e c’erano i Simpson alla tv, Alice attaccò, mettendo in pratica tutto il suo talento per la recitazione: “Sentite ho una novità. Il Prof. Sorni, quello di archeologia, sapete quello simpatico che abbiamo incontrato quella volta al centro commerciale, ricordate?” Sua madre si accomodò anche lei e disse: “Oh, certo. Un po’ strano come uomo” il padre lo ricordò anche lui: “Quello con il bastone dal pomo d’oro, vero?” Alice annuì e sorrise: “Bhè, sapete che gli faccio da segretaria da quando la sua è in maternità. Deve andare ad un congresso in…in…-perché non aveva pensato prima ad un paese- in Guatemala- Guatemala? Ma era fusa?- Sì, in Guatemala. E mi ha chiesto di andare con lui, per accompagnarlo. Solo dovrei partire dopodomani, mi passerebbero a prendere alle quattro. E altro problemino, non ci sentiremmo spesso perché lì non penso che prenda molto il cellulare. Vi chiamerei io quando posso, ecco” brava, bella trovata quella del cellulare. I genitori, come Alice poteva prevedere, erano contentissimi. Il padre gongolava in silenzio, la madre sprizzava gioia da tutti i pori: “Oh, Alice, hai visto. Questo è un grandissimo onore, per te che non sei neanche al secondo anno. Finalmente hai superato le tue paure” La ragazza si strinse di più nella tuta blu e azzurra “A quanto pare, sì”

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Finalmente quella era l’ultima tappa in elicottero, dopo due giorni di viaggio Alice non ne poteva più di rimanere con le cuffie sulle orecchie e i piedi a chissà quanti metri di altezza. Soffriva tremendamente di vertigine, era tesissima per quello che le stava per accadere e si sentiva completamente fuori luogo. Avevano fatto due soste ed entrambe le volte erano atterrati su una portaerei militare. Odiava essere osservata, ma era inevitabile dal momento che non si vedeva tanto spesso una ragazzina che sembrava essersi perduta e che seguiva come un ombra il dottor Jackson. Fortunatamente Daniel era un ottimo compagno di viaggio, aveva fatto di tutto per metterla a suo agio, cercando di non farle sentire troppo la pressione e cercando di evitarle qualsiasi tipo di domande. Tutto sommato se non avesse avuto la sua fobia per il nuovo sarebbe stato una bellissima avventura, per lei che non aveva provato molto durante la sua breve esistenza. Le aveva raccontato delle migliaia di missioni e pericoli che avevano affondato spiegandole tutto del progetto e delle scoperte ottenute grazie agli stargate, facendole intendere che dopotutto se era sopravvissuto lui, chiunque sarebbe riuscito a farcela.
Stava guardando fuori ormai da circa un’ora chiusa in un silenzio ermetico, l’unica barriera tra lei e una crisi di panico. Ormai sorvolavano l’Antartide, era uno spettacolo magnifico, una landa ghiacciata, enorme. Il sole giocava col ghiaccio accecandola pur con gli occhiali da sole. Si strinse ancora di più nei suoi vestiti termici che le erano stati dati nella sua ultima tappa, non erano male. Giaccone nero e blu con cappuccio bordato da una soffice pelliccetta, guanti in coordinato e comodi pantaloni, nonché, cosa che Alice adorava, forti anfibi militari, introvabili normalmente di quel modello esatto. La voce di Jackson che proveniva dalle cuffie interruppe i suoi pensieri: “Cosa leggi?” Lei guardò il libro abbandonato aperto sulle gambe, gli rispose senza sollevare lo sguardo ma appuntandolo invece alla copertina consumata del libro “Guerra e pace. È sempre stato il mio libro preferito, pensavo fosse la cosa migliore da portarmi per distrarmi” “Sai, mi ricordi tantissimo me quando avevo la tua età. Andrà tutto bene, è una splendida occasione per te” Lei gli fece un sorriso esitante “Lo so e so di essere stata molto fortunata, ma questo non ferma il mio nervosismo. Pochi giorni e mi abituerò, sono solo i primi momenti a farmi una paura bestia” “Spero che la nostra improvvisa partenza non ti abbia messo nei guai con il tuo ragazzo” Lei agitò la mano chiudendo il libro e riponendolo nello zaino “No, nessun problema, anche perché sono, fortunatamente, libera come l’aria” “Davvero? Pensavo che quando hai voluto aspettare due giorni fosse perché dovevi sistemare le cose col tuo ragazzo, dirgli che partivi.” La ragazza rise, era la prima risata che le sentiva fare, buon segno voleva dire che non era patologicamente triste e preoccupata, ma timida sì, dal momento che mentre gli rispondeva si chinava sull’anfibio destro per riallacciare i lacci “No semplicemente è che mia cugina aveva il suo primo concerto e le avevo promesso che ci sarei stata. È stato uno spettacolo eccezionale e Lel ha fatto un grandissimo numero. Sa, è come una sorella per me” “Perché non mi dai del tu, Alice.” “Va bene, Dottor Jackson” Lui scosse la testa. Giovane, forse troppo giovane, ma ben presto si sarebbe fatta le ossa e si sarebbe smalizziata, o così o la pazzia. “Cos’è che ti ha spinto a studiare archeologia?” Lei si voltò e questa volta lo guardò in viso: “Oh, è una cosa che sento dall‘asilo. Mia madre dice che sono stati i libri di archeologia che leggeva mentre era incinta di me. C’è anche da mettere in conto che all’età di tre anni Indiana Jones è stato il mio secondo fidanzato” “Secondo?” il viso le si aprì in un enorme sorriso sotto gli occhiali da sole “Certo, il primo è stato Robin Hood, la volpe della Disney” stava per continuare quando Daniel la interruppe indicandole una cupola quasi invisibile tra il bianco del ghiaccio “Quella è la base. Sotto metri e metri di ghiaccio c’è Spirmit” Lei guardò quello spettacolo a bocca aperta: “E’ magnifico. Mi sento come se fossi tornata a casa, strano vero?” il suo compagno di viaggio le mise una mano sulla spalla.
Erano appena scesi dall’ ascensore che li aveva portati a Spirmit dalla superficie. Alice si guardò intorno, l’avamposto era molto cambiato rispetto all’immagine che aveva nella testa. Ora invece di Antichi i corridoi ghiacciati erano pieni di scienziati con cartelline in mano, impegnanti a studiare quel prodigio della tecnologia. Cavi, strumenti di cui le era impossibile scoprire la funzione erano dappertutto. La luce elettrica era l’unica fonte di illuminazione. Non fecero molti passi che un uomo non più giovane, ma nonostante questo molto affascinate venne incontro a Daniel “Scimmia spaziale, ben tornato!” e i due si abbracciarono “Jack che piacere rivederti, tutto bene?” Lui si mise le mani in tasca e con sufficienza disse: “Oh, sì a meraviglia Danny, a parte il dottor Beckett che voleva farci fuori con uno dei droni degli Antichi” alla faccia sbalordita di Daniel continuò “Oh tutto ok. McKay voleva provare la sedia di controllo ed il dottor Beckett, che ha il gene, ha perso un attimo il controllo. Per fortuna avevo con me un bravissimo pilota. Maggiore Sheppard, si chiama. Bravo ragazzo ma deve avere qualche problema con il pettine.- e si indicò i capelli con un gesto della mano- Ah e, ciliegina sulla torta, questo nostro splendido Maggiore ha anche il gene, pare ad una concentrazione maggiore della mia, guarda un po’. Ha azionato la sedia solo sedendocisi sopra, adesso gli stanno facendo i dovuti esami e una overdose di informazioni, povero ragazzo. Mi piace, mi ricorda me ed il suo stato di servizio lo prova. Questo è tutto Danny, è bello essere tornato a casa, vero?” Alice, sbirciava quell’uomo da dietro Jackson, aveva una faccia simpatica, per la verità, ispirava fiducia al primo sguardo. Lui la notò “Ehi, tu devi essere la bambina che ha avuto la fortuna di essersi scaricata la conoscenza degli Antichi? Te lo dico per esperienza, non è forte come il dottor Jackson lo fa passare” Daniel fece le presentazioni “Alice ti presento il mio buon amico Generale Jack O’Neill, Jack lei è Alice Satriani” I due si strinsero la mano sorridendosi “Bhè piccola, benvenuta in Antartide e nel mondo degli stargate, vedrai impazzirai prima di mezzogiorno, come tutti noi”







Ringraziamenti:

-Lel: Grazie, love, per avermi spinto a pubblicare questa mia follia estiva e per avermi aiutato con il cognome della protagonista e con tutto il resto, naturalmente. Un piccolo tributo per te Lel, per ringraziarti e ricambiare. Un bacione enorme, proprio sul naso. OHOHOHOHOHO!

-Najara: Ti ringrazio dal più profondo del cuore. Mi rallegra che ti piaccia come scrivo, quando il mio stile è stato definito “baroccheggiante”. Concordo con te per quanto riguarda Daniel ed anche Sam. La Carter è una scienziata di primordine e molto più saggia e brillante di Rodney, solo che quest’ultimo, a mio parere, non ha gli stessi giusti scrupoli, quindi è più propenso a sperimentare ed armeggiare con i suoi congegni anche se potrebbero risultare mortalmente pericolosi. Spero che questo capitolo ti piaccia tanto quanto il primo e ancora grazie. BYE

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Capitolo 3
*** III capitolo: Il Jolly ***


Greetings: È mezzanotte e cinque minuti e io vi posto il terzo capitolo. Perché a quest’ora? Non saprei assolutamente, ma comunque era pronto e quindi… Bando alle ciance. Leggete e se trovate errori fatemelo sapere. Che la forza sia con voi e buona lettura



III capitolo: Il Jolly

Daniel fu raggiunto da uno scienziato in camice che si mise a parlare fitto fitto con lui. Jack ne approfittò per scambiare due chiacchere con la ragazza che aveva davanti: “Allora, piccola. Non ti senti la persona più fortunata di questo mondo? Avere la conoscenza di quei cervelloni degli Antichi, deve far sentire dei geni.” “Per la verità mi sento la persona più sfigata e stupida del mondo. Non capisco nulla di quanto ho i testa, sono come un ripetitore automatico. Metti la monetina e parto a dire cose che non so neanche se stiano in cielo ed in terra senza poterle comprendere” “Ti capisco, piccola. Avuto quella esperienza. Almeno tu riesci ancora comunicare nella tua lingua. Mi è successo per ben due volte. Ci si sente degli idioti, lo so. Ma tu questo non dirlo in giro. Ho fatto il sedere a Rodney McKay perché adesso c’è qualcuno più intelligente di lui e che ne capisce di più di tutti questi giocattoli. Reggimi il gioco, ancora per poco” “Certamente, Generale” “Meglio Jack, piccola. Già troppa gente mi chiama così” lei annuì. “Va bene, ma lei mi deve promettere di dirmi come faccio ad uscire da questo pasticcio visto che lei l’ha già superato due volte” lui sorrise “Devi sapere che la prima volta degli esserini alieni tutti nudi e grigi mi hanno aiutato e la seconda volta sono rimasto congelato proprio qui” “Quindi lei suggerisce di non seguire il suo esempio?” Lui si girò verso Daniel, e togliendo una mano dalla tasca ed indicando con il pollice Alice, gli disse: “Sai, Danny, trovo simpatica la piccola, qui. Ha spirito e mi sembra sveglia” la ragazza arrossì e Jackson sollevando un attimo gli occhi dai fogli che stava esaminando gli disse: “Bene, l’avevo sospettato. Allora non ti dispiacerà accompagnarla dal dottor Beckett per gli esami, io ho da fare qui. Ti dispiace, Alice?” “Non si preoccupi, Daniel” “Bene, Jack te l’affido, divertitevi” O’Neill le mise un braccio sulle spalle “Da questa parte, pulce. Il nostro giro panoramico inizia. Mi raccomando allaccia le cinture di sicurezza ci potrebbero essere cervelli vaganti e sotto stress per non essere riusciti a risolvere un problema. Roba da matti, sono tutti schizzati. Io l‘ho detto a tutti questi pazzoidi che gli ci voleva Carter, ma non mi hanno dato ascolto o Carter è molto più furba di noi, cosa più probabile” “Sì signore”
Attraversarono alcuni corridoi affollati di gente per poi passare di sfuggita davanti ad una sala rotonda con una specie di trono in mezzo “Gen…Jack quella è la sala di controllo, vero?” “Certo piccola. Scusami se non ti faccio dare una sbirciatina, ma in questo momento ci impereggia McKay e non è consigliabile andarci vicino, soprattutto adesso che irritato perché ci sono altre due persone che posso usare le apparecchiature, mentre lui non può. Questione di geni, non è abbastanza evoluto e questo lo manda in bestia.” In quel momento si sentì una voce urlare: “No, no, ti avevo detto il primo a destra e poi quello a sinistra. Se vuoi una cosa fattela da solo! Levati sottospecie di scienziato” “Meglio andare, pulce. Prima che ci scopra qui e ci aggredisca” “Concordo”
Arrivarono alla stanza che era stata adibita ad infermeria “Dottor Beckett, le ho portato un altro prodigio da analizzare” Si fece avanti un uomo in camice bianco dalla faccia tonda e simpatica “Eccomi, chi mi ha portato? Oh, tu devi essere la ragazza che ha accompagnato il dottor Jackson, vero?” lei stese una mano e si presentò: “Sì, sono Alice Satriani. Molto piacere di conoscerla dottor Beckett” lui gliela strinse: “Piacere mio, Alice. Se ti vuoi accomodare sul lettino libero ti faccio tutti gli esami di routine. Ci metteremo un po’. Seguimi” O’Neill si accodò. “Oh, Sheppard sei ancora qui?” Uno dei due lettini era occupato da un militare che si stava facendo prelevare il sangue. Doveva avere circa una trentina di anni, abbastanza alto, con i corti capelli neri studiatamente in disordine. Alice non poté non notare che il maggiore era un magnifico esemplare di uomo. Una fitta alla testa le fece chiudere per un attimo gli occhi. Non avvisò nessuno, dopotutto erano tre giorni che non dormiva bene, inutile far preoccupare per nulla.
Quando la fitta passò sentì il Generale che si rivolgeva ancora al Maggiore “Allora, la dottoressa Weir ti ha parlato, quando l’ha fatto con me era tutta entusiasta” lui si rimise apposto la manica della divisa per poi massaggiarsi il collo mentre rispondeva: “Sì, l’ha fatto. E la mia risposta è no” “Non credo proprio. Ma ne parliamo dopo, quando mi porterai via da questo freezer. Mi stavo dimenticando, lei è Alice Satriani. Pulce, questo è il Maggiore John Sheppard, un altro “evoluto” ” lui si girò verso la ragazza che in quel momento si stava alzando la manica per farsi prelevare il sangue dopo essersi tolta il giaccone. Allungò una mano e le sorrise: “Io sono qui perché pensavo che almeno in Antartide sarei stato tranquillo, tu?” “Per la verità sei qui perché sei finito sotto corte marziale per aver salvato un tuo compagno disubbidendo agli ordini di un superiore, Sheppard” la voce di Jack arrivò fino ad Alice che alzò gli occhi dal tubicino che progressivamente diventava sempre più rosso e li puntò in quelli azzurri del Maggiore: “Consegnavo delle fotocopie riguardanti la denuncia fiscale del mio professore” Jack si intromise: “Andiamo ragazzi, mica è così male qui. Il freddo mantiene giovane la pelle. Per te pulce non c‘è ancora bisogno, ma, Sheppard, non si inizia mai abbastanza presto a prendersi cura di sé stessi” Alice rise ma non poté replicare perché il dottor Beckett si mise ad armeggiare intorno a lei. Mentre le controllava le reazioni delle pupille con una pila e preparava la macchina per la tac disse agli altri due: “Il maggiore Sheppard può andare. Generale non penso che ci rivedremo prima della sua partenza, mi ha fatto piacere rivederla. E lei Maggiore conoscerla” I tre si strinsero la mano. Jack sconvolse i capelli ordinatamente intrecciati di Alice dicendole: “Bhè pulce è stato un piacere conoscerti, ci vediamo presto. Carson” “Arrivederci Generale, anche per me è stato un piacere conoscerla, anche lei Maggiore. Buon volo” Sheppard iniziò ad arretrare, non vedeva l’ora di andarsene via da lì e tornare ai suoi aerei ed alla sua velocità “Grazie. Buona fortuna. Non penso avremo ancora occasione di incontrarci.” Jack strizzò l’occhio ad Alice “Io non credo proprio, non intendo accettare un no, Sheppard. Buona fortuna, piccola, e non farti mettere sotto. Se necessario, mordi”. I due se ne andarono lasciandola nelle esperte mani di Beckett. “Brava persona il Generale,vero?” Alice non poté fare altro che annuire visto che aveva un bastoncino infilato in bocca. “Vedrai, starai bene qui.”
Si stava rinfilando il pile blu, un’ora più tardi, quando sentì una voce di donna provenire dall’entrata dell’infermeria: “Carson? Ha finito con le analisi?” lui sistemò accuratamente l’ultima filetta di sangue nel porta provette: “Venga Elizabeth. Ho finito. Finalmente lascio libera la nostra ospite”. Una donna dall’aspetto deciso ma comunque cordiale si fece avanti. Pile rosso, capelli corti mossi, una quarantina d’anni, doveva essere la famosa dottoressa Weir, precedentemente nel campo diplomatico, in quell momento a capo del progetto Atlantis, secondo quanto il dottor Beckett aveva detto ad Alice. La donna tese la mano alla ragazza: “Piacere di conoscerti, sono Elizabeth Weir, responsabile del progetto” Alice fece un piccolo salto per scendere dal lettino “Dai, vieni. Ti faccio completare il giro, mentre ti spiego un paio di cose, ti presento agli altri e ti faccio provare la poltrona” Riattraversarono i corridoi fino alla sala di controllo dove un uomo tarchiato e con la faccia paffuta e molto comica, anche se in quel momento era rossa dalla rabbia, stava smanettando con ira su un tablet. La Weir si avvicinò con cautela, per evitare qualsiasi scoppio improvviso: “Rodney? Le presento Alice Satriani, sa, la ragazza di cui ci ha parlato Daniel”  Lui non alzò neanche gli occhi dallo schermo “Oh, sì,sì tanto piacere- poi sottovoce- ci mancava solo questa una bambina tra i piedi, non bastavano questi incapaci!” Elizabeth si voltò verso la ragazza facendole segno di non badare agli scatti di rabbia di quel genio “Cos’è successo McKay, questa volta?” lui finalmente alzò la testa e con una mimica assolutamente divertente rispose “E’ successo che questi inetti non capiscono quello che dico loro! Da questa sedia, oltre ad azionare i droni si dovrebbe controllare ogni cosa. Dovrebbe esserci un qualcosa come un pannello di controllo. Ma questa gente dal super evoluto gene non è capace di niente se non di far vedere la nostra posizione nel sistema solare.” La donna incrociò le braccia: “Perché non ha chiesto a Sheppard di farlo, ha attivato la sedia con molta naturalezza” “Per il semplice fatto che quel tizio lì mi è stato rapito dal Generale e da Beckett prima che io glielo potessi chiedere” la Weir gli indicò Alice “Facciamo provare a lei. Dovrebbe sapere cosa fare, giusto Alice” la ragazza annuì. Rodney si voltò verso di lei: “E tu chi sei?” “Il Jolly” e con un po’ di esitazione si sedette sulla poltrona. Appena la toccò, questa si attivò, inclinandosi indietro. Sapeva esattamente cosa fare, lo aveva scritto nella mente, non ascoltò neanche Rodney che cercava di chiederle di far apparire il quadro di controllo. Chiuse gli occhi e intorno a lei apparvero le proiezioni dei comandi. “Fantastico, c’è riuscita” McKay era tutto concentrato a decifrare i valori che apparivano sul suo schermo. Alice disse: “Illuminazione artificiale … attiva” e luci bianche si accesero per tutto il perimetro delle pareti. Qualcuno doveva chiamato all’auricolare la dottoressa perché questa rispose: “Tranquillo, dottore. Spegnete pure il generatore per le luci. Adesso è attiva quella dell’avamposto. Ci saranno degli altri cambiamenti non preoccupatevi, è tutto sotto controllo” Intanto la ragazza continuava a maneggiare lo strano materiale gelatinoso all’estremità dei braccioli “Sensori a lungo raggio … attivi. Nessuna astronave rilevata in tutto il sistema. Allarme di prossimità … attivo. L’avamposto è sicuro. Elicottero in allontanamento. Classe Sikorsky UH-60 BlackHawk. Trasporta due persone, entrambe col gene. Sensori interni … attivi. Sono presenti duecentocinquanta persone, quarantasette delle quali possiedono il gene degli antichi, queste sono rappresentati da puntini blu, gli altri sono rossi. Ora è possibile comunicare tramite il sistema dell’avamposto. Download delle informazioni … completato. Panino al prosciutto e formaggio … pronto” Rodney alzò la testa di scatto: “Davvero? Ho un piccolo calo di zuccheri…” la poltrona si rialzò ed Alice aprì gli occhi: “No, scherzavo.” “Ma… ma è fantastico, adesso abbiamo tutte le informazioni scaricate nei nostri computer. Abbiamo la visuale del nostro sistema solare con i sensori, e quella della base. Ed oltre tutto il consumo di energia è diminuito del settanta percento. Ma è fantastico!” La Weir incrociò le braccia: “Allora, ancora sicuro che non abbiamo bisogno di questa bambina?” lui cercò di smorzare il suo entusiasmo iniziale: “Bhè, diciamo che semplicemente lei l’ha fatto con più velocità. Ci sarei arrivato comunque, ero sulla buona strada, è solo che Carson non voleva collaborare” “Mmh, sì. Vieni Alice, finiamo il giro”
Si erano fermate alla mensa per mettere sotto i denti qualcosa dopo aver completato la visita alla base ed Elizabeth le stava parlando della missione che intendevano fare su Pegaso “Sarebbe la missione più importante della storia dell’umanità. Il problema è che l’energia richiesta per attivare il portale tra le due galassie è immensa e potrebbe essere un viaggio di sola andata. Ma siamo quasi certi che dall’altra parte riusciremo a trovare un altro ZPM, per creare un altro ponte per fare una capatina a casa, di tanto in tanto” vedendo la faccia perplessa della ragazza seduta davanti a lei “Lo ZPM è la nostra fonte di energia. Per i dettagli chiedi a McKay, ti spiegherà tutto, quello che è importante è che sviluppa una tale energia quanto nessun congegno umano” “Oh, allora ho capito di cosa sta parlando. Gli Antichi lo chiamavano in altro modo, ma penso che ZPM sia più facile da pronunciare. Certo che sarebbe una cosa fantastica portare a termine questa missione, ma capisco perché alcuni siano reticenti a partire, il non tornare più a casa non è una bella cosa. Nel database che ho in testa di Atlantide c’è molto poco, a parte che fu una spedizione per portare la vita in un’altra galassia, nulla di più. Il Tremigal deve essere stato creato quando ancora il progetto non era stato avviato. È rischioso, ma sono sicura che riuscirà a trovare tutto il personale che le serve, dottoressa” lei annuì. In quel momento arrivò Daniel tutto trafelato: “Cercavo proprio voi. Allora piaciuto il giro?” “Sì, grazie Daniel. Qui è tutto fantastico e strano” “Bene, bene. Ho saputo che hai dato una mano a Rodney, adesso potresti dare una mano anche a me. La miriade di dati che hai scaricato ha bisogno di una traduzione, con te sarebbe molto più semplice” “Certo, vengo subito, grazie dottoressa per il pranzo” e seguì l’archeologo. La Weir, finché non lasciarono la mensa, non staccò loro di dosso gli occhi, sorridendo sotto i baffi e mormorando: “Ed un altro è trovato, dovremmo essere al completo, così. Certo Sumner non sarà molto contento.”



Saluti: Un grazie per tutti coloro che leggono questi capitoli. Scrivere è bello anche se nessuno legge quello che scrivi, ma se ci sono dei lettori…tutta un’altra cosa. Quindi ringraziamenti a profusione. Per Najara e Lel farei anche degli inchini stile giapponese, ma andrebbero persi dal momento che non sarebbero visti da nessuno se non dal Synyster Gates appeso in camera di mia cugina. Alla prossima allora. 

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Capitolo 4
*** IV capitolo: Firmare o non firmare, questo è il problema! ***


Eccomi di nuovo qua con un altro capitolo. Come è naturale spero che vi piaccia. So che in questi capitoli non c’è molta azione e sono un po’ noiosetti, ma dopotutto si devono spiegare le cose. Vi chiedo un aiuto e scusa (nel caso qualcuno aspetti con ansia i prossimi capitoli) perché in questo periodo sto scrivendo molto poco anzi proprio per niente. Godetevi il capitolo e fatemi sapere qualcosa. Ave a tutti.



IV  capitolo: Firmare o non firmare è questo il problema!

IV cap.
Era la mattina successiva e tutti i responsabili per la missione Atlantis erano riuniti in quella che fungeva da sala del consiglio. Erano presenti Daniel Jackson, la dottoressa Weir, Rodney McKay, un paio di Generali dell’aviazione e anche un’assolutamente fuori luogo Alice Satriani. La Weir attaccò a parlare alzandosi in piedi: “Grazie alla collaborazione della signorina Satriani, abbiamo fatto passi da gigante. Io dico che siamo pronti per la missione Atlantis. Fra un mese esatto passeremo lo stargate diretti verso Atlantide. Questo tempo ci servirà per prepararci. Entro questa settimana riceveremo tutte le risposte dalle varie persone che abbiamo contattato. Siamo pronti” Daniel si tolse gli occhiali e si sfregò gli occhi stanchi. Lui, il suo team ed Alice avevano lavorato quasi tutta la notte per tradurre tutto il materiale, non erano arrivati neanche al 45% di tutte le informazioni scaricate. “A proposito di questo, il professor Sorni mi ha contattato e mi ha dato un gentilissimo no, insieme ad un bocca al lupo. Ah, e ti saluta, Alice.” Elizabeth appoggiò le mani sul tavolo “Questo non è un problema, dottor Jackson. Io e i Generali ieri siamo arrivati ad un accordo, mi hanno dato il permesso di portare la persona più adatta per questo lavoro e quella che più volevo. Anche grazie all’appoggio del dottor McKay” lui fece un gesto vago con la mano. Jackson finalmente era incuriosito “Chi avete scelto?” la Weir si girò verso Alice. La ragazza si staccò dalla spalliera: “No, no, no, no! Io … io cosa c’entro? Sono venuta qui solo per una consulenza privata. Io non sono neanche laureata. Non so assolutamente niente. Come vi potrei essere utile?” Elizabeth le sorrise: “Non abbiamo bisogno di un’archeologa in un’altra galassia. Ma di un’esperta degli Antichi. Il dottor Beckett ha detto che stai perfettamente bene e che la conoscenza ti dovrebbe rimanere per il resto della tua vita, ha anche aggiunto che non aveva mai visto una concentrazione di gene come la tua, hai lo stesso livello del Maggiore Sheppard, e di lui si sta occupando il Generale O’Neill. Siete due persone troppo preziose per lasciarvi andare. Senza parlare del fatto che sei a conoscenza di cose che vanno ben oltre il top secret. O questo o il lavaggio del cervello” la ragazza spalancò gli occhi spaventata “Sta scherzando, vero?” la dottoressa Weir annuì “Hai detto che questa potrebbe essere l’occasione di una vita. Te la stiamo offrendo” Alice ricadde indietro “Andare via. Lasciare ogni cosa, la mia famiglia, gli studi, il sogno di una vita, senza molte speranze di tornare. Io non posso farlo! Io non ho il coraggio di farlo!” La dottoressa cercò di tranquillizzarla: “Alice, io ho visto il luccichio nei tuoi occhi da quando sei qui. So che hai paura, ne abbiamo tutti e tutti lasciamo qualcuno qui, a casa. Ma sarebbe follia rinunciarvi. Il contratto è davanti a te. Ti diamo l’intera giornata per rifletterci, poi vogliamo una risposta.” “Un momento, aveva detto che mancava una settimana per le risposte” lei sorrise: “Per gli altri sì, ma con te penso che meno tempo ti do, più facilmente otterrò da te una risposta affermativa”

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Ormai era nel suo alloggio da più di tre ore e non riusciva a smettere di andare avanti ed indietro, né risolversi a prendere una decisione definitiva. Da una parte temeva di lasciare la sua casa, di non rivedere più la sua famiglia, di perdere per sempre la sua vita per andare a morire in un buco di galassia lontana chissà quanti miliardi di anni luce. Dall’altra l’avventura premeva o forse era la sua nuova coscienza di Antica. Dopotutto le possibilità per tornare non erano zero, del tutto. Chissà quante cose meravigliose ci potevano essere, se solo avesse avuto coraggio di andarci. Nuove specie, nuovi popoli. Aveva letto tre volte il contratto e doveva dire che era veramente vantaggioso. Lo stipendio era astronomico, i capi del progetto si sarebbero occupati di tutto, avrebbero aggiustato le cose con l’università, ogni cosa era sistemata. Lei non doveva fare altro che firmare, inventare una palla per la sua famiglia, dirle che non avrebbe più potuto vederla né sentirla né farle sapere se fosse ancora viva, una sciocchezza. Si sdraiò sulla brandina da campo e chiuse gli occhi, immediatamente si addormentò.
Fece un sogno stranissimo. Sognò di essere seduta al posto di comando di un elicottero, stava per farlo partire, ma un pensiero fisso la deconcentrava dal suo lavoro. Pensava se accettare o meno. La stava perseguitando anche nei sogni. Basta, non ne poteva più. Prese una monetina, un dollaro americano. Testa partiva, croce restava. La lanciò in aria e … testa, partiva. Si svegliò di soprassalto a causa di un’altra fitta alla testa. Prese in mano la penna e firmò i documenti con uno svolazzante Alice Satriani.  

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 Non aveva mai usato la sua fantasia come in quell’ultimo mese. Il ritorno a casa fu una gioia ed un dolore allo stesso tempo. Dovette giocare tutte le sue carte per convincere i genitori che il lasciare l’università per cui tutti avevano fatto tanti sacrifici ed impegnarsi in quel lavoro tanto redditizio quanto misterioso fosse una scelta ben ponderata. Non riuscì mai a capire se i suoi l’avessero veramente bevuta, ma loro si fidarono di lei e la lasciarono andare senza troppe domande. Riuscirono anche ad accettare il fatto che per molto tempo non l’avrebbero più rivista e che avrebbero avuto sue notizie tramite dei militari (ed un’unica notizia sarebbe stata loro comunicata: la sua morte), perché almeno questo lo aveva potuto dire, collaborava con l’esercito.
La penultima sera fu dedicata ad una pizzata tra ragazze. Lei e la cugina andarono alla pizzeria dietro casa ed ordinarono quanto cibo i loro stomaci potesse contenere, il tutto annaffiato da buona birra. Prima che portassero la cena Lel si appoggiò indietro sulla sedia allungando le gambe sotto al tavolo, si passò una mano tra i capelli corti e inframmezzati da ciocche più lunghe e verdi fosforescenti: “Allora, Alice, si può sapere che sta succedendo? Quale lavoro ti porterebbe al di fuori della portata di un buon cellulare?” la cugina scosse la testa: “Ale, ti prego non farlo. Non ne possiamo parlare … cioè … non ne voglio parlare. Godiamoci la serata e basta, potrebbe essere l’ultima- vedendo che l’altra si raddrizzava preoccupata- al momento, intendo” la cugina la studiò in silenzio per un momento mentre veniva loro servite le pizze. Poi prendendo a tagliare molto energicamente a fette la sua le disse: “Va bene, cugi, non ne parliamo. Se il livello di segretezza è così alto- vedendo la faccia scura- va bene, va bene, spero solo per te che troverai tanti bei militari in uniforme, Gem” Alice le offrì il bicchiere di birra per brindare: “Lo spero anch’io. Ed devo dire che un paio li ho già visti. Un’altra classe. Appena potrò ti manderò un bel reportage di quelli più belli. Con relativi commentini è logico. Questa è una grande occasione” “Aspetta per il brindisi, ho qualcosa da darti” si inclinò verso la sua più che originale borsa con su le toppe di tutti i suoi gruppi preferiti e ne tirò fuori una scatoletta incartata con una carta a teschietti con fiocchettino rosa su campo nero. Quando lo aprì ne tirò fuori una catenina ad anelli piccoli con appesa una pallottola d‘argento. “Da parte mia e degli zii, per ricordarti sempre di noi e portarti fortuna. Naturalmente l’ho scelto io- alzò ed abbassò velocemente le sopracciglia per un paio di volte.- Spaccagli il culo, cugina”

Prima che se ne rendesse conto era sull’aereo che la portava in America. Tirò fuori tutti i suoi documenti per verificarne la presenza, come tutti aveva la paura di aver lasciato a casa qualcosa. Carta di identità, passaporto, patente (a cosa diavolo le serviva?), porto d’armi nuovo di zecca che le era stato fatto avere dopo una visita di un quarto d’ora e ed un paio di prove al poligono, la collana, occhiali da sole, pass, bagagli, medicinali vari, libri per passare il tempo, per studiare e aveva anche tutto il materiale che il dottor Jackson le aveva dato, files e files su ogni popolo che si era studiato sulla terra e non, computer personale, cornice digitale ed Ipod. No, aveva tutto, sperava.
Le dieci ore di volo passarono e finalmente sbarcò. Ritirato il bagaglio ed uscita dal piccolo aeroporto scelto per la sua riservatezza, si guardò in giro per trovare la macchina che, le avevano promesso, sarebbe venuta a prenderla. Ad un certo punto sentì un: “Pulce, da questa parte!” si girò verso quella voce e vide un sorridente Jack O’Neill in divisa blu ed occhiali da sole che agitava il braccio dietro una berlina nera. Lei trascinò il suo borsone verso di lui il quale si affrettò ad andarle incontro. Lui l’abbracciò: “Sono stato molto felice che tu abbia accettato, nessuno sarebbe stato meglio di te, piccola. Ho voluto venirti a prendere di persona, vieni ti porto alla base. È un lungo viaggio, avremo tutto il tempo per parlare” fece segno all’autista di prendere il bagaglio e fece salire Alice sul sedile posteriore. “Allora, piccola. Un paio di consigli. Non farti intimidire dai militari, sai facciamo la faccia cattiva, ma dentro siamo di pasta, almeno, io lo sono. Se dovessi trovarti nei guai non cercare di fare cose per cui non sei stata addestrata, nasconditi dietro un cantuccio e non dare impaccio agli altri e se puoi scegliere dietro chi nasconderti, scegli il Maggiore Sheppard. È un bravo ragazzo ed una persona responsabile anche se un po‘ avventato” Alice si girò con un sorriso verso il Generale: “Allora ha accettato?” “Sì, nessuno può dirmi di no, pulce. Quando invece si tratta del tuo campo, allora non farti mettere i piedi in testa da nessuno, né farti limitare dalle vedute ristrette di qualche testa bacata. Soprattutto non badare a quello che dirà il Colonnello Sumner, è il classico militare che per aprire una scatoletta la farebbe saltare in aria. Io non dovrei dire queste cose, ma è le dico ugualmente. Vedrai sarà una passeggiata e tu sarai la più coccolata tra tutti essendo la più piccola” lei abbassò lo sguardo sulle mani “O la più odiata. Ci saranno persone che giustamente si chiederanno con quali qualifiche io mi presenti. Mentre loro hanno dovuto sudarselo il posto io non ho fatto altro che finire svenuta sul pavimento” O’Neill si tolse gli occhiali “Per questo c’è un’unica soluzione. Farti rispettare, compi il tuo dovere come tutti si aspettano. Fai vedere loro che non sei una raccomandata ma una ragazza intelligente e preparata e l’invidia sparirà. E poi avere l’appoggio di un egocentrico come McKay non è poco” “Sa perché l’ha fatto?” lui si strinse nelle spalle “Dice perché abbiamo bisogno del gene, ma per me è perché in qualche modo gli stai simpatica, ma non chiedermi perché. Quell‘uomo mi mette i brividi” “La ringrazio per essermi venuto a prendere, vedere una faccia conosciuta ed amica mi rassicura molto” Jack le strinse una spalla: “Grazie per ritenermi una faccia amica. Mi hanno chiamato anche in modi peggiori- si rimise gli occhiali- Sarebbe venuto anche Daniel, ma aveva da fare alla base, sai per preparare il tutto. Tra due giorni, si aprono le danze e si ballerà parecchio”. Alice tirò fuori dalla borsa una macchina fotografica digitale “Jack, le dispiacerebbe se le chiedessi di farle una foto?” lui si girò verso di lei e poi verso l’autista: “Aviere, si fermi per favore” “Sì, Generale, subito” Una volta scesi dall’auto Alice poté vedere in che posto meraviglioso si trovassero. Stavano costeggiando una foresta all’interno di una valle tra i monti, uno spettacolo mozzafiato.  Jack lanciò all’interno del veicolo il suo cappello “Credi che lo sfondo sia di tuo gradimento?” Alice alzò il pollice mentre continuava a guardare il panorama rapita e studiava il modo migliore per fare la foto. Jack ridacchiò “Lo prendo per un sì”. La foto che uscì fu una delle più belle che la ragazza avesse mai fatto. Il busto sorridente Jack O’Neill in primo piano, appoggiato al tettuccio della macchina. Una mano tra i capelli e l’altra che spariva lungo il fianco. Sopra alla sua testa la vetta del complesso Cheyenne. Dopo il Generale richiamò l’aviere e gli lanciò in mano la macchina che aveva poco prima strappato di mano ad Alice e con un “Ci faccia splendidi, aviere” mise un braccio sulle spalle della ragazza e appoggiò la mano libera sul fianco. La giovane si mise in posa anche lei incrociando le braccia e prendendo una posa da dura.
Mentre risaliva in macchina mormorò un: “E uno è assicurato”. Mentre riprendevano la strada Jack le chiese se avesse intenzione di portarsi la macchina fotografica ad Atlantide “Sai che non potrai far vedere a nessuno le foto, a parte quelle che la sicurezza ti permetterà di tenere e saranno molto poche” Alice annuì: “Cercherò di non fotografare alieni. Mi limiterò a paesaggi e a qualche foto rubata nel sonno, nulla di eccezionale” “Se riesci a prendere McKay che dorme o in mutande sono disposto a pagartela cento dollari. Per una sua faccia da sconfitto e da invidioso anche duecento. Le vedrò con molto piacere quando tornerete” “Le faro delle copie e le allegherò un messaggio con scritto quando e in quale contesto sono state scattate, sarà meglio dei rapporti ufficiali, vedrà”
Un’altra mezz’ora trascorse e alla fine arrivarono alle pendici del monte Cheyenne dove dovettero passare il posto di blocco. Una volta all’interno scesero per molti e molti livelli facendo vedere ad ognuna delle guardie i loro passes. Per Alice la base era tutta uguale, i corridoi si assomigliavano e le porte blindate si distinguevano solo grazie agli enormi numeri che erano segnate loro sopra. Grigi tunnel scanditi da lampade al neon e da scatole che sembravano contenere fusibili ecco come le appariva la base più segreta ed importante del mondo. Se non avesse avuto la guida di qualcuno avrebbe anche potuto girare per un’intera giornata senza trovare una via di uscita. Man mano che scendevano, gente sempre più indaffarata compariva, se i livelli più superficiali erano occupati soprattutto da soldati fermi ed armati che controllavano ogni persona, quelli inferiori brulicavano di uomini che imballavano oggetti delicati, che cercavano di comunicare tra loro superando le differenze di lingue. Jack la portò all’alloggio per gli ospiti “Allora per questa notte rimarrai qui. Dentro c’è la tua divisa, cambiati. Non vorrei che qualcuno di questi baldi giovanotti ti prendesse per una ficcanaso e ti arrestasse. Ti aspetto qui o se mi vengono a chiamare ti mando qualcuno a farti da scorta. Non ti permetterò di fuggire” lei mise il broncio “Mi ha sgamata, Generale!” “Come ho già detto tanti anni fa: io vado molto fiero delle mie capacità deduttive”
L’alloggio era … era la cosa più squallida che avesse mai visto, anche se, almeno in apparenza sembrava pulito. Un letto a castello con un materassino per ognuno dei due letti con sopra una coperta di lana, che avrebbe potuto fungere da cartavetrata, accuratamente ripiegata. Ecco un valido motivo perché lei non avrebbe mai potuto arruolarsi, vivere alla spartana era una cosa a cui non sarebbe mai riuscita ad abituarsi quando c’erano alternative molto più comode. Fece un sospiro, se non potava abituarcisi almeno l’avrebbe accettato e si sarebbe adattata. Sulla sedia accostata alla scrivania c’era appoggiata la sua nuova divisa. La prese in mano e l’esaminò accuratamente. Avrebbe messo quegli indumenti per molto tempo e per la maggior parte del giorno, una cosa assolutamente impensabile per lei che si cambiava tutti i giorni e non aveva una maglia uguale all’altra, anche se doveva ammettere che il suo guardaroba era alquanto scarso. La divisa consisteva in pantaloni e felpa con zip di un bel colore grigio chiaro con fascie rosse orrizzontali sulle spalle e lungo i bordi una toppa a strappo sulla destra con un aquila e la scritta Atlantis e sulla destra la bandiera italiana, i soliti comodi anfibi ed una maglietta rossa o a maniche lunghe o corte da mettere sotto. Questo è ciò che avrebbe indossato durante le ore di servizio e probabilmente anche per il resto del tempo dal momento che il bagaglio che le era stato permesso portare era abbastanza esiguo. Un po’ di biancheria, un paio di vestiti di ricambio e tre oggetti personali era tutto ciò che conteneva il suo borsone, il resto del materiale che aveva mentalmente rivisto durante il viaggio in aereo era stato spedito una settimana prima in diversi scatoloni che in quel momento stavano venendo imballati con tutto il resto. Sì, ormai era decisamente troppo tardi per cambiare idea.






Grazie ancora a tutti quanti per essere arrivati fino in fondo.
Lel: Jack non è solo sbellicoso ma è fantastico (love, tu sai quale faccina…). Risalutameli indietro e non stare troppo in contemplazione, mi raccomando!

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Capitolo 5
*** V capitolo: Trasloco e saluti ***


Questa volta non potrete lamentarvi. Ho finito un capitolo e ve lo pubblico. Vi annuncio che anche il prossimo è in cantiere. Spero che non pecchi in nulla. Ho voluto inserire una piccolissima scena per Najara, in pratica è un flash. Spero proprio che ti piaccia. Finalmente sono riuscita ad arrivare a questo punto! Posso anticiparvi che nel prossimo capitolo ci sarà un po’ più di movimento (speriamo bene). Se avete suggerimenti fatemi sapere.




V capitolo: Trasloco e saluti

Bibibip-bibibip. Alice aprì gli occhi. Era riuscita ad addormentarsi solo un paio di ore prima, ed adesso alle 6.30 del mattino del 3 settembre iniziava la sua nuova vita. La ragazza per l’ennesima volta dovette farsi coraggio. Si alzò dal letto e si preparò per fare una colazione veloce per poi ricontrollare per la millesima volta che tutto fosse pronto ed in ordine. Infilatasi la divisa, uscì.
La base era animata da una frenesia fuori dall’ordinario, mancava meno tre ore all’ora zero e tutti cercavano di fare gli ultimi aggiustamenti. Trovò una mensa più o meno vuota, i tavoli lindi ed in ordine erano popolati da poche persone immerse ognuna nei suoi affari e nessuno fece caso a lei mentre prendeva una tazza di caffé, un po’ di pane e una confezione di marmellata di albicocche.
Guardava disgustata il suo caffé che le sembrava acqua sporca, quando un’altra delle ormai troppo frequenti fitte alla testa la colse. Chiuse gli occhi e li strinse massaggiandosi le tempie. Non duravano mai molto ma erano sufficienti per deconcentrarla e farla bestemmiare mentalmente contro il dolore. “Anche tu con il mal di testa?”  lei sollevò gli occhi e si trovò davanti un sorridente e sempre più spettinato Maggiore Sheppard “Più che altro sono fitte che passano subito, fortunatamente” lui si portò alle labbra la tazza di caffé “Ultimamente succede anche a me. Deve essere tutta questa agitazione- indicò la sedia davanti a lei- Posso sedermi?” lei annuì ed abbassò gli occhi verso il pane. Sheppard si sedette appoggiandosi alla spalliera, si mise una caviglia sul ginocchio opposto e ci appoggiò sopra il polso della mano libera. Sembrava avesse trovato un equilibrio tutto suo. Scrutò la ragazza che non sollevava lo sguardo su di lui. Perfetto, aveva capito, toccava a lui iniziare un discorso: “Come va la testa?” lei finalmente smise di contemplare la marmellata spalmata sul pane e gli rispose che il dolore era passato. “Sai cosa dobbiamo aspettarci dall’altra parte?” Alice fece una smorfia di disgusto mandando giù una sorsata di caffé “Bleah…siete la potenza più grande del mondo, ma non sapete assolutamente fare un caffé!” lui si mise a ridere “Penso sia questione di abitudine. Dai non è così tremendo!” lei lo guardò dubbiosa “Comunque, so molto poco, mi dispiace. Ho paura che andremo alla cieca. L’unica cosa che ho potuto fare è stato confermare la tesi del dottor Jackson. Gli Antichi intendevano impacchettare la loro città-astronave ed andare in un’altra galassia. Se sia ancora lì o meno questo non lo so” lui poggiò la tazza sul tavolo “Ma il mito di Atlantide non parlava di una città oltre le colonne d’Ercole sommersa da un grande cataclisma?” Alice appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo “Le colonne d’Ercole una volta erano considerate il confine del mondo conosciuto, quindi penso che figuralmente possano essere anche considerate quelle della Terra. L’ubicazione in un’altra galassia è virtualmente giusta, oltre il nostro mondo. Ma il perchè del cataclisma e di come la nostra mitologia ne sia venuta a conoscenza, questo non saprei dirlo. Forse lì è successo qualcosa e alcuni Antichi sono tornati per rifugiarsi o il progetto è fallito. L’unico modo per saperlo è andare lì tra…-si guardò l’orologio- oddio sono in assoluto ritardo. Ci vediamo dopo, Maggiore” questo si portò due dita alla fronte per salutarla, poi guardò l’orologio. Le 7, mancavano due ore, poteva stare ancora tranquillo per un po’, in effetti doveva solamente mettersi lo zaino in spalla, il giubbotto antiproiettili, prendere il suo P90 e il rimanente dell’equipaggiamento, cosa da dieci minuti prendendosela comoda. Tutti erano pronti, anche la piccola Indiana Jones lo era. L’aveva vista di persona il giorno prima supervisionare l’imballaggio delle sue ultime attrezzature tra queste anche tutto l’occorrente per la datazione al carbonio 14 e qualche zappa e piccone per lo scavo. Era arrivato proprio mentre cercava di far valere le sue ragioni con il Colonnello Sumner che voleva lasciarle lì metà dell’equipaggiamento, cosa che riuscì a fare solo in piccola parte. Indiana poteva essere molto decisa e ferma anche se non sembrava a prima vista. Aveva sostenuto anche abbastanza bene il poco tatto del Colonnello che aveva fatto capire ad entrambi che lui non li voleva lì, ma erano presenti solo grazie all’intercessione della Weir. Sheppard perchè il suo stato di servizio in Afghanistan non era proprio da definirsi immacolato, la Satriani perchè era troppo giovane e considerata un peso inopportuno.
Mentre si dirigeva al suo alloggio Alice incontrò Jack e Daniel in compagnia di un uomo di colore altissimo con un simbolo dorato sulla fronte “Pulce, eccoti qui. Tutto bene? Preparato tutto?” “Stavo proprio andando a sistemare le ultime cose, Jack” “Aspetta solo un attimo, ti voglio presentare uno dei miei migliori amici. Il Jaffa Teal’c. Teal’c questa è la piccola Alice Satriani” Alice stese la mano con un sorriso enorme: “Ho sentito molto parlare di lei, maestro”. Il Jaffa ignorò la mano e si inchinò: “È un onore conoscerla Alice Satriani”. La ragazza ritirò la mano imbarazzata, non capendo se dovesse inchinarsi anche lei o meno. Sapeva tutto sui Jaffa e su Teal’c ma non come si dovesse salutarlo senza arrecargli offesa involontariamente.  Fu tirata fuori dall’impaccio da una voce che proveniva dalle sue spalle: “Non ti preoccupare, non si è offeso. Teal’c, nonostante tutti questi anni, non ha ancora adottato molte delle nostre usanze”. Quando Alice si voltò vide una donna, un militare accostarsi a loro. Bionda, non troppo alta e con un sorriso luminosissimo, non poteva essere nessun altro che Samantha Carter, il genio dell’astrofisica e grandissima amica di cui Daniel le aveva parlato moltissimo. Jack infilò le mani in tasca nella sua posizione abituale “Ciao, Carter. Da dove spunti?” “Dal laboratorio. McKay voleva controllare le ultime cose. È più isterico del solito.- si rivolse alla ragazza- Molto piacere sono Sam Carter, tu devi essere Satriani. Sei molto fortunata ad far parte di questa missione” “Così mi hanno detto più volte. Ho sentito molto parlare di voi due. È un vero onore conoscere la squadra al completo” La voce di Rodney McKay si fece sentire all’altoparlante: “Sam, se pensi di fuggirmi e non finire il lavoro te lo puoi scordare! Torna subito qui o, se succederà qualcosa per la tua negligenza, ci avrai tutti sulla coscienza!” Jack si portò le mani al volto “No, non riesco proprio a sopportarlo. Facciamo una cosa, ti accompagno, Carter. Non può manipolare così la gente! Ci vediamo dopo, piccola” I due si allontanarono. “Daniel ti posso chiedere una cosa” “Dimmi tutto, Alice” la ragazza si avvicinò di più all’archeologo ed abbassò la voce: “C’è qualcosa tra loro due? Appena è arrivata Jack è cambiato, gli si sono illuminato gli occhi” Non fu Daniel a risponderle ma Teal’c: “Infatti” Fu l’unica risposta che ricevette mentre tutti e tre osservavano la coppia che si allontanava.  
 
Alle nove in punto, duecento persone si riunirono nella sala di imbarco con tutto il materiale, provviste, speranze e coraggio. Alice guardava l’anello di pietra da dietro le spalle dei militari che formavano la prima e la seconda squadra di imbarco, l’una comandata da Sumner, l’altra da Sheppard, secondo in commando. Lei sarebbe passata col terzo ed ultimo gruppo ossia i civili. Non era preoccupata per l’attraversata, nella testa le era stato scritto come fosse perfettamente sicuro il passaggio. Era affascinata. Quel monumento in pietra era il simbolo della conoscenza, del potere, unico cimelio di una razza scomparsa da millenni. Poteva capire la venerazione che molti popoli extramondo gli tributavano, lei stessa si sarebbe inchinata se non avesse avuto nella testa ogni singolo particolare di come fosse stato costruito.
Man mano che il momento si avvicinava, mille dubbi iniziavano ad affollarle la mente. Lo zaino si faceva sempre più pesante per le sue ginocchia tremanti e il borsone e la valigetta le sfuggivano dalle mani sudate. Cercò di respirare a fondo per calmarsi, ma una mano rassicurante le si poggiò sulla spalla. Si voltò e vide il dottor Beckett in una uniforme simile alla sua (solo con bande gialle e la bandiera della Scozia). Le fece un sorriso e lei glielo restituì girandosi poi a guardare la Weir che si era fermata in mezzo alla rampa che portava allo stargate. “Dopo fatiche e sacrifici siamo giunti a questo punto. Un momento storico. Alcuni hanno lavorato una vita per essere qui, altri vi si sono trovati in mezzo, ma tutti siamo orgogliosi di rappresentare i nostri paesi e la Terra. Siete duecento volontari, i più preparati, i più meritevoli, i più coraggiosi. Abbiamo un’unica possibilità, non dobbiamo sprecarla. Il passaggio dovrà essere attraversato il più velocemente possibile. C’è qualcuno che vuole tirarsi indietro? È l’ultima occasione- tutti si guardarono in giro, ma nessuno alzò la mano- bene. Buona fortuna a tutti noi” Si spostò e dalla sala di controllo iniziarono ad inserire la sequenza. “Primo simbolo inserito, secondo simbolo inserito, terzo … quarto … quinto … sesto … settimo - le strutture iniziarono a tremare, qualche apparecchio andò in sovraccarico con una pioggia di scintille- ottavo simbolo inserito!- il passaggio si aprì con la solita onda di energia- il wormhole è stabile!” La sala scoppiò in un applauso scrosciante. Avevano superato il primo ostacolo e dall’altra parte c’era ancora uno stargate funzionante.
Fu inviato il M.A.L.P. ed Alice pensò che dovesse essere tutto apposto poiché dopo qualche minuto la voce di Jack risuonò negli auricolari che ognuno portava: “Prima squadra, fuori!”. Il Colonnello Sumner imbracciò il P90 e disse: “Ok, prima squadra di sicurezza, seguitemi. Maggiore ci segua solo dopo aver ricevuto il mio segnale” questo annuì. Sumner, la sua squadra e la dottoressa Weir scomparirono nel circolo azzurro elettrico.
Ci fu un momento di tensione. Nessuno parlava dall’altra parte, era come se il collegamento fosse stato interrotto. Poteva essere che avessero incontrato una popolazione ostile? O che ci fosse qualche gas o virus letale che i dati della sonda non avevano rilevato? Erano morti? O svenuti? Oppure … “Sheppard, passi con la seconda squadra” Alice fece un sospiro di sollievo e vide che il Maggiore attraversava con la sua squadra il passaggio, pronti ad ogni evenienza.
Ma la Satriani non era l’unica ad essere agitata. Al suo lato destro Rodney cercava di autoconvincersi che la traversata non avrebbe avuto effetti collaterali e che ogni suo pezzetto sarebbe stato rimesso al suo giusto posto. Al lato sinistro il dottor Beckett si inclinò verso di lei e le chiese a bassa voce: “Per caso nella tua banca dati non si dice cosa si prova?” lei gli rispose con un sussurro: “Durante, niente. Ma all’arrivo bisogna stare attenti perchè si viene sbalzati fuori e all’inizio si prova una sensazione di freddo dovuta alla compressione ed alla decompressione quasi istantanea delle molecole” lui guardò il passaggio dubbioso e spaventato: “Compressione…  decompressione… non è una cosa naturale” fu lei che questa volta gli batté una mano sulla spalla per fargli coraggio.
La voce di Jack si fece ancora sentire: “Signori prego, accomodatevi” ecco toccava a loro. Vide che pian piano i carrelli carichi di materiali venivano spinti su per la rampa e sparivano in un’altra galassia. Tutti gli scienziati chi da solo, chi in coppia, alcuni anche in gruppetti di tre o quattro facevano il grande passo. Arrivò anche il loro turno. Alice si voltò per un’ultima volta per salutare Jack e Daniel. Entrambi dalla sala di controllo le fecero gesti di saluto. Davanti a lei Rodney e Carson erano appena passati. Si voltò e con un ultimo saluto lasciò la Terra.
Fu scaraventata fuori violentemente, ma sarebbe rimasta in piedi se qualcosa non l’avesse ostacolata. Si ritrovò, perciò, a rotolare un paio di volte fino a fermarsi supina. Un fortissimo senso di nausea la colse ed un disarmante capogiro le impedì di sollevarsi. Si mise a sedere e si prese la testa tra le mani ghiacciate. La sensazione era orribile. Tutto intorno a lei girava, le orecchie le fischiavano ed era come se fosse stata immersa nell’acqua ghiacciata. E c’era gente che lo attraversava anche due, tre volte alla settimana, roba da matti!
Passarono un paio di secondi prima i brividi cessassero, quando si fu calmata riuscì ad alzarsi e guardarsi intorno. Era uno spettacolo da mozzare il fiato. La città stava pian piano riprendendo vita, riattivandosi dopo millenni. Alla scarsa luce Alice riuscì ad individuare le caratteristiche di quella che sapeva essere la sala di imbarco alla quale si affacciava la sala di controllo per mezzo di un balconcino. La semplicità era la regola d’ordine per gli Antichi, ma nonostante l’ambiente non avesse decori, l’incredibile altezza del soffitto che culminava con una torre, la forma ottagonale e l’elegante scala ad una decina di metri dallo stargate, la rendevano stupenda.
Vide anche l’oggetto o meglio la persona che l’aveva fatta cadere a terra. Rodney era ancora sdraiato a terra a poca distanza dallo stargate lamentandosi di qualsiasi cosa che la sua ipocondria galoppante gli stava suggerendo. Beckett finalmente riuscì a farlo tacere e rimettere in piedi.
La dottoressa Weir chiamò l’ SGC “Generale O’Neill, la base di Atlantide vi manda i suoi saluti da Pegaso” “Avete trovato bel tempo, lì?” Tutti sorrisero “Abbastanza buono, grazie” “Bene, ancora una cosa. La signorina Satriani potrebbe avvicinarsi per un attimo allo stargate?” La ragazza si voltò verso Elizabeth e questa annuì. Quando Alice si trovò davanti all’anello una mano sbucò fuori seguita subito dal viso di O‘Neill, le fece l’occhiolino e le piazzò in testa un cappello identico a quello di Indiana Jones “Questo, pulce, è un regalo da parte mia e degli altri della squadra. E questa- le mise in mano una bottiglia di champagne- è per battezzare la baracca. Ci sentiamo presto, Comando Atlantide. Buona fortuna.” Jack sparì, non senza aver arruffato per un’ultima volta i capelli alla sua piccola amica dopo aver fatto un ultimo saluto generale ed il passaggio si richiuse.






Rieccomi. È venuto il momento dei ringraziamenti. Vi ringrazio tantissimo per leggere questa fanfiction e mi scuso per gi errori che ho trovato nel capitolo precedente. L’ho pubblicato dopo averlo riletto superficialmente e qualcosa è scappato, speriamo che questo non abbia gli stessi errori. Un ringraziamento particolare a Najara e a Bamboletta per i loro commenti gentilissimi e anche a Lel che se anche non ha commentato so bene che ha già letto questo capitolo. Saluti ed alla prossima.

P.S.Vi consiglio di portare degli asciugamani per il prossimo capitolo (ops spoiler?)

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Capitolo 6
*** VI Capitolo: Overflow ***


Eccoci qua. Un nuovo capitolo fresco di giornata. Spero di aver reso le immagini che avevo nella testa e che erano molto precise (se avessi avuto il dono di essere un’artista ve le avrei disegnate).
L’idea è presa dalla prima puntata del telefilm ma lo svolgimento è interamente uscito dalla mia testolina.
Fatemi sapere com’è andata. Godetevi il capitolo. Il capitolo è stato modificato poichè alcune parole erano saltate (incompetenza tecnica dell'autrice)




VI capitolo: Overflow  

Stava facendo scorrere la mano lungo la parete di uno dei corridoi principali. Il passaggio era ancora semibuio ma poteva sentire sotto le dita che la parete aveva dei rilievi. Se avesse avuto più luce avrebbe volentieri osservato con più attenzione. Ecco una variante rispetto al classico schema delle città degli Antichi, nelle quale i muri erano completamente spogli. Si era fermata ad osservare strizzando gli occhi un ornamento che sembrava più grande degli altri, quando con la coda dell’occhio vide un’ombra dietro di lei. Si girò di scatto e vide una vetrata enorme completamente appannata. Si avvicinò con cautela. Forse non era stata una buona idea allontanarsi da sola. La vetrata ricurva occupava tutta la parete di fronte a lei. Alta più di quattro metri e di forma concava, in un giorno di sole sarebbe stata un ottimo punto luce. Ma in quel momento non fu certo un raggio di sole quello che si proiettò sul pavimento decorato con motivi geometrici. Tutt’altro, un’ombra gigantesca investì la giovane Satriani. Con cautela si avvicinò e tirò su la manica della divisa per pulire il vetro. Iniziò con un cerchio piccolo che man mano andò ad allargare.
Non riusciva a capire cosa avesse di fronte. Si muoveva, non riusciva a distinguerlo bene. Quando pulì una zona grande quanto il suo busto, riuscì a capire definitivamente cosa avesse davanti. Il terrore la prese, mozzandole il respiro. Uno squalo, ma non uno squalo qualsiasi, si stava avvicinando a gran velocità verso di lei. Era talmente grande che avrebbe potuto mangiarsela senza neanche farla a pezzi, ma lo avrebbe fatto lo stesso solo per mettere alla prova quei denti che sembravano essere ognuno un suo braccio, e ne aveva tanti, lei li poteva vedere mentre quell’essere orrendo si stava avvicinando per porre una fine tanto ingloriosa alla sua avventura.
Già vedeva piangere i suoi genitori mentre l’ufficiale comunicava loro: “Mi dispiace signori Satriani, ma vostra figlia è stata usata come stuzzicadenti da uno squalo nato a Cernobyl, cresciuto nell’atollo di Mururoa e stabilitosi nella zona 51”. Questo sarebbe avvenuto molto presto dal momento che il mostro si stava avvicinando sempre di più. La ragazza arretrò fino a trovasi con le spalle contro la parete. Ormai non aveva più scampo.
Venti metri, sarebbe morta subito? Quindici, no prima sarebbe affogata perché l’essere avrebbe frantumato il vetro. Dieci, vicino, sempre più vicino, oddio le era addosso, eccolo! “Ahhhhhhhhhhhh” il suo grido acuto attraversò i corridoi vuoti, mentre lei si chiudeva a palla in un’istintiva mossa di auto-conservazione. A peggiorare le cose la colse un’altra fitta alla testa, bel modo di passare a miglior vita! Ma l’impatto non avvenne. “Alice, sono qua. Che è successo?” Il Maggiore Sheppard la fece raddrizzare e le sollevò il viso per vederlo pallido, gelato e sudaticcio per lo spavento “Cosa è successo, cos’hai … cazzo!” fece uno scatto indietro stringendo la ragazza a sé per proteggerla, alzando al contempo il P90. Anche lui si era accorto del loro vicino. “Tranquilla … a quanto pare siamo sott’acqua. Abbiamo un campo di forza che ci protegge. Questo … coso deve essere stato attirato dalla luce” Alice si riprese e si vergognò profondamente. Era ovvio che lo squalo non sarebbe potuto passare, altrimenti la città non sarebbe durata tanto! O da brava scema pensava che un misero vetro avrebbe potuto reggere la pressione di un oceano?! Stupida! Fece un passo indietro e mise più distanza tra loro due: “Scusami, Maggiore. Ti ho fatto correre qui per niente e ti ho spaventato” “Siamo qui per questo. E poi il Generale mi ha detto di avere un occhio di riguardo per te. Se ti accade qualcosa mi licenzia in tronco e mi manda sotto i ponti. Parole sue, non mi sto inventando niente” Lei fece un sorriso incerto “Cercherò di non allarmare più nessuno, allora” “Alice puoi venire un attimo alla sala di imbarco, per piacere” La voce della Dottoressa Weir si fece sentire forte al suo auricolare “Arrivo subito, Dottoressa”
Quando lei e Sheppard arrivarono trovarono tutti riuniti intorno ad un fascio luminoso che partiva dal centro esatto della stanza. Elizabeth si voltò verso di lei “Ti abbiamo sentita urlare, tutto apposto?” Alice arrossì ancora della sua codardia “Sì, grazie. Problemi con un pesce troppo affamato e curioso. Allora, immagino sia per questo che mi abbia chiamato- vedendo il cenno affermativo, proseguì- è un trasmettitore. Serve a lasciare dei messaggi. Per attivarlo basta possedere il gene e dire attivazione in Antico, naturalmente. Posso?” “Certo, fa pure” Alice si avvicinò un po’ di più al fascio di luce e pronunciò ad alta voce la parola “Yestei” La colonna di luce si contorse, si restrinse e si allargò fino a prendere la forma di un uomo. “Un Antico?” Fu la domanda che le arrivò da dietro. Lei annuì continuando ad osservare l’uomo con un sentimento simile alla melanconia. Per certi versi gli Antichi ormai erano come se fossero anche in piccola parte la sua razza.
L’uomo iniziò a parlare e fu come se una cascata fosse lì vicino. La lingua era bellissima, melodiosa, trillante, favolosa. Per certi versi assomigliava al latino, ma Alice lo sapeva bene, la grammatica non aveva nulla a che fare. Era molto più complicata.
“Si può sapere cosa sta dicendo?” Il Colonnello Sumner interrogò Alice che ascoltava accigliata e con la mascella contratta la proiezione olografica di un uomo morto da millenni. La Weir lo fermò:“Aspetti che finisca, poi ci riferirà tutto”. Il discorso continuò per un altro paio di minuti. La registrazione (se così la potevano chiamare) indicava la sala, il soffitto e lo stargate, poi la figura fece un inchino e sparì. Elizabeth e il Colonnello si avvicinarono. “Ebbene?” dissero in coro. La ragazza sollevò gli occhi verso di loro e fece un sorriso tirato “Siamo nei guai. Dottor McKay, il nostro reattore al Naquadah potrebbe alimentare una cupola come quella che al momento c’è sopra la città?” Rodney scostò il Colonnello bruscamente “Assolutamente no. Neanche per un paio secondi, perché? Oh no! Aspetta ho capito, non lo voglio sentire …” e si mise le mani sulle orecchie, disperato. Sumner riprese la sua posizione: “Cosa? Che succede?” Alice si mise una mano sulla bocca mentre rifletteva sul da farsi, senza ascoltare il militare. Si poteva …  “Satriani!” La ragazza si riprese: “Quella era la proiezione olografica dell’Arconte della città. Aveva programmato la proiezione in modo da attivarsi quando anche l’ultimo dei tre ZPM si sarebbe esaurito. Lo scudo che una volta copriva tutta la città e adesso solo questa parte, ha esaurito tutta l‘energia e noi adesso gli abbiamo dato il colpo di grazia riattivando la città” Rodney si fece pallido “Lo sapevo che non saremmo dovuti venire. Vedi cosa succede a stare a sentire una ragazzina ed una pazza. Ah, ma Sam mi avrà sulla coscienza. Lei e il suo andrà tutto bene. La sopporto solo perché ha un‘ attrazione per me se no …” “La pianti McKay!” Finalmente Sumner riuscì a porre fine a quello sproloquio. Duecento persone, a quel punto, chiesero agitate spiegazioni in una dozzina di lingue diverse, ma fu la voce della Dottoressa a superare le altre “Calma. Spiegatemi cosa sta succedendo” Rodney le spiegò in un atteggiamento tra lo disperato e l’arrogante (lui era l’unico sulla faccia della terra a riuscire a conciliare le due cose) “La bambina ci ha appena annunciato una morte orribile! Quando lo scudo cederà tonnellate di acqua si riverseranno sulla nostra testa. E le garantisco che non servirà a molto saper nuotare. Perché lo scudo cederà, vero Satriani?” Lei scosse la testa “No. Ha già iniziato a farlo da quando siamo entrati. I vetri si sono appannati per l‘umidità- sporse le mani- e adesso piove. Non sentite? Ci devono essere delle valvole e dei “buchi” nello scudo che man mano si allargano che permettono all’acqua di entrare in modo che non pesi troppo sulla struttura, una volta esaurito lo ZPM. Immagino che sia un espediente per conservare la città anche se sommersa. In fondo all‘oceano, sì. Ma integra.” Piccole gocce iniziarono a cadere su di loro, mentre rivoli d’acqua scendevano lungo la parete andando ad allargare le pozze che già si erano formate sul pavimento “Non c’è energia per aprire un passaggio con lo stargate? Possiamo usare il nostro reattore. Qualsiasi pianeta va bene” Alice dovette scuotere nuovamente la testa “No. La città è in allarme. I suoi sensori hanno registrato sia l‘aumento della pressione che la sottigliezza dello scudo. Non permetterà che lo stargate si apra in queste condizioni rischiando di far passare l’acqua su un altro pianeta. Sono le forme di sicurezza degli Antichi. Nel giro di trenta minuti, al massimo, tutta la città sarà piena e lo scudo cederà del tutto” Elizabeth cercò ancora di mantenere la calma: “Nessuno ha un’idea. McKay, Zelenka, pensate a qualcosa!” Rodney e la sua controparte ceca iniziarono a confabulare tra di loro aiutati da tutta la loro equipe.
La leggera pioggerella intanto si era trasformata in una pioggia scrosciante. Dovettero alzare la voce perché lo scroscio era diventato fortissimo. Dai piani alti scendevano fiumi d’acqua che andavano ad alzare il livello nella sala. Ormai i piedi e metà polpacci erano coperti e tutti erano zuppi. Nessuno più riuscì a frenare i brividi che li scuoteva, i denti battevano e i vestiti si facevano sempre più pesanti. Intorno ad Alice ed ai due fisici il cerchio di voci aumentava sempre di più, confondendoli e mettendoli sottopressione “Potremmo uscire!” “La temperatura dell’acqua e soprattutto la pressione ci ucciderebbe prima di morire affogati” “Rafforziamo lo scudo con il reattore e limitiamolo a questa zona. Poi apriamo un passaggio e andiamo via” “L’energia non sarebbe sufficiente neanche per fare una piccola sfera per contenerci tutti” “È una città degli Antichi. Ci saranno delle navette da usare e da qualche parte dovrà esserci terra ferma” “Sì, le navette dovrebbero esserci, ma anche mettendo che le si sappia usare e che ci sia energia sufficiente per lanciarle, la città non consentirebbe all‘attracco di aprirsi per farci passare. Non in queste condizioni” Il panico iniziava a investirla, valutava tutte le possibilità mentalmente e poi le scartava una ad una. Un militare che non aveva ben capito come si chiamasse, Chernov, Charpov, qualcosa del genere, protestò vivamente con il suo pesante accento russo: “E allora che facciamo? Rimaniamo qui seduti a non fare niente?!”
Rimanere seduti e aspettare di morire, sedersi ed aspettare, una sedia … “Sì!” Tutti rimasero sbalorditi “Cosa?!” Alice ebbe un‘idea fulminante “Dottor McKay il reattore potrebbe alimentare la sedia?” “Ch … - Rodney si illuminò- certamente, basta collegarlo con…” “Questo lo so. Voglio sapere solo se con l’acqua non salterà tutto.” “No, dovrebbero resistere. I cavi sono rivestiti con un materiale speciale. Ed il reattore dovrebbe funzionare anche sott‘acqua, almeno spero.” “Scusate, che succede?” Elizabeth finalmente riuscì ad ottenere l’attenzione dei due “Dottoressa, possiamo far risalire la città usando la sedia, come è stata fatta scendere. Mi serve solamente il reattore e qualcuno con il gene a darmi una mano. Con un’energia così scarsa la concentrazione di gene deve essere maggiore.” Sheppard si fece avanti “Vengo io con te. Converrà togliersi un po’ si roba. Congeleremo ma non andremo affondo” Alice non perse tempo, senza neanche badare alla procedura si mise subito al lavoro“Perfetto. Maggiore, prendi il reattore. Voi salite ai piani superiori. Lì dovreste resistere un po’ di più. Noi scendiamo dove c’è la sedia” e spiegò loro che i sotterranei, in caso di attacco, erano i più sicuri. Per questo il centro nevralgico sia della difesa che della gestione della città era posizionato lì.
Si tolsero gli zaini, i giubbotti antiproiettili, le giacche, gli anfibi, le calze e naturalmente il P90 del Maggiore e il cappello di Alice. Tennero lo stretto necessario. Affidarono il tutto a Beckett e Rodney “Sheppard, Satriani dove state andando?! Non sappiamo assolutamente cosa ci sia là sotto, non è stato ancora messo in sicurezza.” Sheppard non diede il tempo ad Alice di rispondere, ma, mentre insieme sollevavano la cassa metallica che conteneva la fonte della loro salvezza, gli disse: “Colonnello, signore. Con tutto il rispetto. Se vuole, poi, potrà farci processare, rimproverare, scrivere una nota di demerito, degradare, persino frustare. Faccia pure. Almeno saremo vivi per affrontarlo, forse. Adesso ci lasci andare.” Fece segno ad Alice di afferrare la maniglia e si avviarono.
Raggiungere il nucleo della città non fu affatto facile. L’acqua ostacolava il passo essendo ormai arrivata a metà coscia per Alice, al di sopra del ginocchio per Sheppard. Le mani bagnate e intirizzite non facevano presa, i piedi ghiacciati protestavano ad ogni passo. “Se ne usciamo vivi, Maggiore, mi faccio una doccia bollente che duri minimo mezza giornata” “Temo che prima dovremo vedercela con il Colonnello. Vedrai, se le segnerà tutte”
Nei corridoi almeno non pioveva, ma le “correnti” di acqua in movimento, che li prendevano da dietro alle ginocchia, li scaraventava in avanti, facendo perdere loro l’equilibrio. “Ci vorrà ancora tanto?” La voce affannata di Sheppard la raggiunse mentre anche lei cercava di centellinare le forze che le rimanevano, energie che, poteva giuraci, erano assai inferiori di quelle del militare ben addestrato. “No, è dietro quella porta, alla fine del corridoio. Prega che si apra senza dare problemi, Maggiore” La raggiunsero, passò davanti la mano e … come prevedibile non si aprì.
“Diavolo! Appoggiati alla parete e sistema il reattore. La devo aprire manualmente. Il pannello è al livello del pavimento. Mi devi tenere ferma mentre lo faccio o l’acqua mi porterà via.” Sheppard annuì. Posizionò la cassa a terra, tra sé e la parete. L’acqua intanto gli arrivava a metà avambraccio, perciò, quando Alice si immerse, dovette aiutarla poggiandole sopra un piede, premendo quel tanto che bastava per non farla muovere ma non troppo per impedirle di risalire. Nel frattempo cercava di aggrapparsi alla parete per non essere portato via a sua volta. Alice localizzò immediatamente il pannello. Tentò di tirarlo con le mani, ma questo era incastrato e le sue dita gelate non facevano presa. Così risalì tutta tremante ed intirizzita. Balbettando riuscì a fasi capire “Maggiore, devo prendere in prestito il tuo coltello” Lo trovò, lo tolse dalla guaina e tornò sott’acqua con un “Grazie” “Alice, sbrigati. L’acqua mi arriva sotto le ascelle ormai!” un pollice sollevato spuntò. Con l’ausilio del coltello fu facile togliere il pannello, e spostare i cristalli azzurri che controllavano la porta fu questione di qualche secondo. I pannelli si aprirono e ci fu un piccolo risucchio che li trascinò, quasi, dentro la stanza, anch’essa purtroppo allagata. La sala della sedia era un grande uovo il cui centro era una piattaforma, alla quale si accedeva tramite una passerella. Ricordava moltissimo la stanza di Cerebro, nei fumetti degli X-Men, solo molto più piccola.
Collegare il reattore con i pannelli giusti non richiese più di cinque minuti. L’unico problema fu che lo dovettero fare tuffandosi nello spazio di circa quattro metri tra il pavimento e la piattaforma, che si era trasformato in una splendida piscina coperta.
Alice schiacciò il pulsante di avvio e vedendo che la testa di Sheppard che riemergeva dopo aver eseguito le sue ultime istruzioni gli disse: “Maggiore, adesso siediti e fammi posto. Appena ti sarai sistemato , inizia subito a far risalire la città e dai l’ordine che una volta in superficie le valvole di sfogo si aprano. Sperando di non togliere troppa energia allo scudo”
Quando la sedia si reclinò indietro l’acqua li coprì. Dovevano concentrarsi.  La testa le scoppiava e dovevano lottare per rimanere attaccati alla postazione. I protocolli da superare erano molti, ma era come se lavorassero all’unisono, velocemente. Effetto della sedia che essendo collegata a due persone diverse, in qualche modo doveva metterle insieme in un contatto subcosciente, in modo tale che ne risultasse uno solo. Perciò il cervello di Sheppard prese automaticamente le informazioni che gli servivano per compiere la sua parte di lavoro da quello di Alice. Quando sentirono un forte scossone poterono lasciarsi andare e raggiungere la superficie. Il processo di risalita era iniziato.
Appena in tempo visto che il fiato stava venendo loro a mancare.
Lo spazio era veramente esiguo. L’acqua aveva invaso quasi tutta la stanza e con le teste riuscivano a toccare il soffitto della camera. Mandavano giù moltissima acqua e i muscoli erano sempre meno elastici ed i movimenti che li tenevano a galla erano sempre più rigidi. Alice era quasi allo stremo delle forze. Faticava a tenere gli occhi aperti, adesso aveva compiuto la missione e l’adrenalina l’aveva abbandonata “Ho sonno. E non riesco a rilassare i muscoli” Sheppard si avvicinò e le mise un braccio intorno alle spalle ed una mano sotto il mento per tenerle la testa sollevata “Devi restare sveglia. È l’ipotermia. Manca poco. Non mollare adesso. Ricordi? Hai promesso di non farmi licenziare. Non te lo perdonerei mai” Alice annuì in maniera appena percettibile “Gli altri dovrebbero farcela. Sono sicura di sì- Sheppard sentì che il corpo della ragazza si era fatto più pesante e dovette tenerla con più forza. La voce di lei si faceva sempre più flebile- Sono tanto stanca.” “Alice … Alice. Continua a parlare … Alice!” Lei non gli rispose più.
Tenere a galla entrambi impegnò tutte le sue ultime energie. Anche lui iniziava a sentire i primi sintomi dell’ipotermia. Scarsa lucidità, un appesantimento di tutte le membra e sonno. Ma doveva resistere, ancora poco e ci sarebbero riusciti, ne era sicuro. Non poteva finire per nessuno dei due. Dopo tutto quello che aveva passato, morire affogato ad un passo dalla salvezza sarebbe stato ridicolo. La missione era appena iniziata e volevano entrambi scoprire una nuova galassia … erano troppo giovani per morire … non sarebbe finita così … l’acqua li sommerse riempiendo tutta la stanza.










Ringraziamenti:

-Borboletta: Ti ringrazio tantissimo. Purtroppo devo ammettere che la battuta del caffè non è mia, ma riciclata, anche se sono perfettamente d’accordo. Spero che ti abbia accontentato e che sia entrata abbastanza nel vivo. Ancora mille grazie.

-Najara: Il pezzo dedicato a te era dovuto. Hai commentato fin dall’inizio e non mi è costato nessuna fatica, anzi solo piacere. Ti ringrazio anche per la precisazione assolutamente giusta. Avevo già pubblicato da un paio giorni quando durante una delle mie insonnie mi è venuta in mente la cavolata che ho scritto. Il giorno dopo ho letto il tuo commento. Chiedo scusa, l’unica spiegazione (un po’ all’acqua di rose) che ho è che ero presa dalla scena senza pensare allo stargate. Imperdonabile!
Se capiterà ancora sarò felicissima se me lo farai sapere, in modo tale da evitare tutto questo nei capitoli futuri. Ti sono debitrice.

-Per tutti coloro che seguono e leggono la storia: Un arrivederci al prossimo capitolo che verrà scritto il prima possibile, giuro. Scrivete un commentino … altrimenti l’importante è che vi sia piaciuta la storia fin qui. Quindi a presto…

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Capitolo 7
*** VII capitolo: Casa ***


Chiedo perdono per il mio scandaloso ritardo e per la brevità del capitolo. Il primo pezzo era pronto ma poi è iniziata l’Università e sono stata un po‘ rapita da questo nuovo mondo. Il tempo mi è volato. Comunque il disegno è già delineato, manca solamente la mano per scriverlo. Spero che anche questo  capitolo vi piaccia; volevo dividerlo, ma risultava troppo breve perciò è uscito così. Fatemi sapere. Godetevelo e commentate. Salutoni.



VII capitolo: Casa

La notte era magnifica. Un pianeta molto  vicino troneggiava in cielo incoronato dalla sua cintura di asteroidi ed omaggiato dalla sua cerchia di vassalli. Le radiazioni, assolutamente non nocive che arrivavano da ovest, dipingevano il cielo notturno con lunghe lingue violette che sinuose danzavano creando disegni immaginari e suggestivi. Una brezza leggera increspava la superficie dell’oceano, giocando con l’acqua purissima. Il dolce profumo del Fraw, una pianta dai fiori enormi ed aranciati, si spandeva a diversi chilometri dalla terraferma ed andava a mescolarsi con l’odore marino della massa d’acqua. I maschi del Weru, uccello dal piumaggio scarlatto in invero e blu in estate, iniziarono a volteggiare ed a modulare la loro melodia per richiamare le femmine.
Insomma, per dirla in breve, era una notte magnifica.
La pace fu interrotta da un rombo fortissimo. La superficie calma in principio, iniziò a tremare e poi si trasformò in un enorme mulinello che diventava sempre più grande. Se in quel momento qualcuno avesse sorvolato quel punto esatto avrebbe potuto vedere che dal gorgo usciva da principio una sezione di cupola che man mano che si allontanava dall’acqua andava ad aprirsi andando a collegare gli squarci che già erano presenti. La punta ad ago della torre principale fu la prima a vedere la luce, subito seguita dal suo corpo affusolato. Qualche secondo dopo comparvero anche le sorelle più piccole. Viste dall’alto formavano gli angoli di un dodecagono il cui centro era, appunto, il torrione principale. Alla fine emersero anche i bracci che non si alzavano molto dal livello del mare, dodici in tutto. Ognuno aveva la sua base tra due torri per poi prolungarsi sul mare per diverse centinaia di metri e chiudersi con una terrazza. La città degli Antichi era risorta.
Le gradi valvole di sfogo di aprirono e fiotti d’acqua uscirono da ogni parte della città trasformandola in una pittoresca cascata. Uno spettacolo assolutamente irripetibile goduto solamente da uccelli starnazzanti per la paura e pesci in fuga.
L’acqua defluì in fretta. I membri della missione Atlantide rifugiatisi, ammassandosi in cima alla torre centrale ben presto sentirono che il livello si abbassava. L’acqua lasciò il petto (non era salita oltre), poi i fianchi ed infine non restarono che grosse pozze sul pavimento. Un urlo di giubilo sorse spontaneo. Tutti tra loro si battevano le spalle felici per lo scampato pericolo, si sentirono anche i primi starnuti. L’equipe medica non perse tempo e si mise subito all’opera. Prese tutto il necessario dalle poche casse che avevano trascinato fin lassù e che fortunatamente erano state ermeticamente chiuse e si mise all’opera. La città non dovendo più alimentare la cupola ed avendo registrato il drastico calo di temperatura diede una mano ai medici aumentando automaticamente il supporto vitale. La temperatura aumentò quasi istantaneamente di parecchi gradi facendo anche asciugare qualche vestito grazie alla brezza calda che usciva dai bocchettoni. McKay continuando a tremare come una foglia disse: “C … certo che pensavano davvero a tutto questi Antichi. Se non morirò di polmonite darò un’occhiata al processore” Carson alzò gli occhi al cielo e mentre lui stesso cercava di non farsi sopraffare dai brividi gli disse:“Non ti lascerò morire di polmonite, Rodney- vedendo la sua faccia di sufficienza, fece un grosso sospiro- Chissà come se la cavano il Maggiore e la Satriani. Loro devono aver avuto più problemi di noi” Si girò verso la Dottoressa Weir che era seduta sul primo dei tre gradini che correvano per tutto il perimetro circolare della piccola stanza. Al centro c’era la rampa da cui erano saliti loro. Una scala a chiocciola che portava al punto più alto della città. Accanto a lei c’era il Generale Sumner che cercava di riorganizzare la sua squadra. Carson si accostò. “Dottoressa non sarebbe meglio andare incontro a quei due ragazzi. Devono essere sfiniti.” Rodney fece sentire la sua voce: “Sempre che siano ancora vivi. Se l’acqua è arrivata fino a noi, e noi ci stavamo per rimanere secchi, figurati quale sfacelo deve essere accaduto nei sotterranei. No, sarà difficile trovarli ancora vivi.” Elizabeth e Carson lo fulminarono con gli occhi. Lui si strinse nelle spalle “Io cerco solo di essere realistico. Mi preparo al colpo. Non penserete certo che mi faccia piacere!” e girò le spalle per nascondere ai due la sua faccia preoccupata.

Nei sotterranei in effetti la situazione era ancora critica. Quando l’acqua aveva sommerso i due la superficie non era lontano. Sheppard veniva portato giù dal corpo svenuto di Alice e dall‘acqua che iniziava ad uscire, ma sapeva che doveva rimanere il più vicino possibile al soffitto in modo che appena ci fosse stato lo spazio lui avrebbe potuto prendere una boccata d’aria. Gli occhi ed i polmoni gli bruciavano, gli uni per il sale gli altri per la mancanza d’aria. Non si sentiva più i piedi e le mani per il freddo. Era stanco come non lo era mai stato in vita sua. Raccolse tutte le energie e le focalizzò tutte nel pensiero di sopravvivere. Cancellò qualsiasi altra cosa. Doveva farcela questo era l’importante. Perché? Perché lui voleva che fosse così.
Alice gli stava sfuggendo sempre di più e lui stava chiudendo gli occhi. Per poco solo per dare loro sollievo dal sale. Per molto poco … le mani iniziarono ad aprirsi e la ragazza scivolava sempre più giù. Ecco, era più leggero, gli veniva più facile rimanere vicino alla superficie, faceva meno fatica, forse così ci sarebbe riuscito … “Maggiore!” Sheppard si riscosse, riavvicinò a sé Alice e rinforzò la presa, poi diede un colpo con i piedi e riuscì ad uscire dall’acqua per un trenta centimetri. Respirò affondo più e più volte. Tossì e sputò l’acqua che aveva ingerito. Il cervello gli si snebbiò parzialmente. Ancora poco e sarebbero stati in salvo. Non sarebbero annegati.
L’acqua si abbassò gradualmente, pian piano. Riuscì a posizionare Alice in modo tale che gli poggiasse la testa sulle spalle e gli circondasse il collo con le braccia per avere le braccia libere per aiutarsi a rimanere a galla e a spostarsi in modo da stare sopra la sedia per toccare prima qualcosa di solido. Quando lo fece ci si accasciò sopra, stremato. Attese che l’acqua scendesse al di sotto della piattaforma poi mise Alice di traverso su di un bracciolo della sedia ed iniziò a massaggiarle con forza la schiena. “Coraggio … siamo in salvo. Sputa quell’acqua e riprenditi! Sono stanco e voglio riposarmi, non avrei la forza per essere triste e poi il nero non mi piace”
Alice con un conato buttò fuori l’acqua ed iniziò a tossire. Si sentiva male. Sputò fuori tutta l’acqua salata che le lasciò la gola irritata e la lingua quasi inerte e gonfia. Il cervello riprese coscienza del mondo circostante gradualmente. Aprì gli occhi brucianti ed appannati e si guardò intorno mentre cercava di rialzarsi. Finalmente si ricordò di dove fosse.
Si rannicchiò sulla sedia mentre Sheppard si afflosciava a terra ai suoi piedi sollevato e distrutto. Entrambi erano scossi da brividi. “Maggiore?- lui alzò la testa che aveva poggiato alla sedia a fatica. - tu sei sempre vestito di nero.- Riuscì a fare un minuscolo sorriso. In effetti la sua divisa era a varie gradazioni di nero. Lui riappoggiò la testa, chiuse gli occhi e si addormentò sfinito. Lei cercò alla cieca con la mano la testa del Maggiore, era l’unico punto che potesse raggiungere senza muoversi- Grazie per non avermi lasciata andare, John”. Fiotti d’aria calda li investirono e fu come se  bruciassero tra le fiamme. Sentirono come se i piedi e le mani fossero stati immersi nel piombo fuso. Ottimo segno.
“Maggioreeeeeeee … Satrianiiiiiiii … dove siete?” “Qui!” La gola le bruciò, ma ormai erano in salvo ed erano a casa.

“Eetchùùùù- Alice si soffiò rumorosamente il naso- scusate” erano riuniti in quella che era diventata la sala delle riunioni, ovvero la stanza che si affacciava allo stargate. Erano passati un paio di giorni dal loro arrivo e tutto, pian piano, stava prendendo il ritmo. Tutto il settore centrale era stato asciugato e preparato per ospitare una missione; l’infermeria funzionava a pieno regime curando febbri e raffreddori; McKay, Zelenka e la loro squadra avevano iniziato ad usare i sistemi che controllavano lo stargate (e tra questi anche lo scudo che fungeva da iride) e la città, grazie alla collaborazione della Satriani; il Colonnello Sumner avevano perlustrato una parte della città trovando anche alloggi agibili dal personale. Dopo due giorni, come è stato detto, finalmente avevano trovato il tempo per fare il punto della situazione.
Alice cercò di respirare a fondo e di parlare più chiaramente possibile. Ma per quanti sforzi facesse le m diventavano b e le n diventavano d, senza aggiungere il fato che ogni due parole doveva fermarsi per riprendere fiato: “Allora, vi stavo dicendo che si sono dovuti rifugiare in fondo all’oceano e poi scappare sulla Terra a causa di una minaccia di …  una popolazione” La Dottoressa Weir, la quale avrebbe dovuto rimanere a letto a causa della febbre, interruppe il faticoso discorso della ragazza: “Quale popolo avrebbe potuto costringere gli Antichi a sommergere la città ed a scappare con la coda tra le gambe” Alice scosse la testa “Non lo so. È stata la prima cosa che ho cercato nella biblioteca e nell’archivio. In questi due giorni non ho trovato niente, se non dei riferimenti ad una razza di “bestie” a cui non era stato dato nemmeno un nome. Se il popolo che ha cacciato gli Antichi è ancora in circolazione speriamo di non incontrarlo mai” Tutti annuirono. Elizabeth si prese tra le mani la testa dolorante “Come va la decifrazione dell’archivio?” “A rilento. Per adesso sono l’unica che possa leggere tutta quella roba. E dato che siamo in argomento, vorrei che l’archivio-biblioteca diventasse il mio laboratorio, solo per comodità, ovviamente. E se poi potrei rendere l’osservatorio il mio alloggio, lavorerei molto più in fretta” L’osservatorio non era nient’altro che la piccola stanza dove si erano rifugiati all’arrivo e l’enorme camera immediatamente sottostante era l’archivio di tutta la città. Fascicoli e fascicoli formato digitale riguardante tutta la cultura degli Antichi, salvatisi grazie al perfetto sistema di conservazione dei dati. “Perché, Alice, non ti trovi bene con il sottotenente Guerrera?” la ragazza pensò alla sua compagna di stanza. Era una di quelle donne che prima di dormire fanno dieci addominali e dieci flessioni, con un corpo perfetto che faceva sfigurare la pancetta della Satriani. Per non parlare della precisione militare con cui teneva tutto e l’abitudine di essere perfetta in ogni cosa che facesse “No, splendidamente. Era solo per praticità”  Sumner voleva opporsi, dopotutto quel alloggio sarebbe stato troppo distante dagli altri ed in caso di attacco … “Ne sono consapevole Colonnello. Ma questo velocizzerebbe il tutto. Il trasportatore mi porterebbe direttamente alla sala dello stargate in caso trovassi qualcosa e non dovrei fare molta strada per arrivare al mio alloggio, solo una scala a chiocciola. E l‘osservatorio è attrezzato anche di un bagno come lo sono gli altri alloggi, dovrei solo portarci un letto” La ragazza fece un timido sorriso per rassicurare il Colonnello. Questo non glielo restituì.
“Dottoressa Weir- la voce di Sheppard si fece sentire all’auricolare- penso di aver trovato l’hangar. Proprio dove aveva detto la nostra guida. Se McKay ed Alice volessero raggiungerci potremmo fare anche un giretto di prova” dal tono di voce si poteva percepire quanto lo desiderasse. “Non ci pensi nemmeno Sheppard! Niente si solleverà da terra senza la mia approvazione” il Colonnello frenò l’entusiasmo del suo sottoposto in partenza. La risposta di Sheppard ci mise un po’ ad arrivare: “Ha capito, Maggiore?” “Sì, signore” McKay e la Satriani guardarono Elizabeth anche loro in evidente stato di agitazione. Sembravano due bambini che aspettassero il permesso della madre per andare a fare il bagno in una calda giornata di sole. Lei indicò la porta e i due si precipitarono fuori. “Che alimentazione hanno?” “Dipende dal tipo. Se sono da esplorazione oppure da guerra …” il loro discorso si perse nei corridoi.
Il Colonnello intanto si stava alzando fissando con la fronte corrugata la porta con evidente disapprovazione per i due che erano appena usciti. “Perché fa così?” La voce della Weir lo raggiunse da dietro le spalle dove la donna era ancora seduta. “Perché deve limitare la nostra missione? Impedisce ad un pilota del calibro di Sheppard di provare quello che potrebbe diventare la nostra piccola aviazione e lo costringe a fare controlli di routine che avrebbe potuto svolgere il Tenente Dupont. Limita la Satriani, che ha già problemi di inferiorità in questa missione. Deve controllare ogni singolo passo che si fa qui. Prende decisioni senza consultarmi. Qual è il suo scopo?!” La voce della Dottoressa non si era mai alzata ma il suo sguardo era glaciale “Vuole davvero sapere cosa mi prende, Dottoressa ? Glielo dico subito: il problema è che ho una quarantina di militari per gestire un territorio che non so quanto possa essere grande e più di centosessanta civili inermi ed inesperti da difendere contro una minaccia che, reale o meno, ha sconfitto il popolo più potente della galassia. Sono preoccupato ecco che succede. Ho paura che qualcosa possa succedere e che io possa venire meno al mio compito- Elizabeth capì il punto- perciò non posso permettere che uno scavezzacollo come Sheppard faccia di testa sua e parta su un trabiccolo che, per quanto ne so, potrebbe saltare in aria con lui sopra, né che una ragazzetta che non sa badare a sé stessa stia da sola in una zona dove sarebbe difficile raggiungerla in caso di attacco.” la donna si alzò “Capisco quanto mi sta dicendo, Colonnello. Ma non posso permettere che la missione venga rallentata per eccessive precauzioni senza motivo. Ognuno di noi conosceva i rischi quando è partito e dobbiamo fare di tutto per adattarci il prima possibile a questa nuova casa. La Satriani avrà il permesso di spostarsi, i test sulle navette si faranno e se risulterà tutto a norma Sheppard farà il lancio di prova. Dupont prenderà il comando della squadra di sicurezza e continuerà lui a perlustrare la città. Colonnello non si preoccupi, andrà tutto bene. E per quanto riguarda la sua richiesta di addestrare il personale civile, sono d’accordo, affido a lei l’organizzazione” “Come vuole lei, Dottoressa” Sumner girò i tacchi e fece per andarsene quando tutti i presenti nella base furono bloccanti in ciò che stavano facendo “Attivazione dello stargate non programmata” Sumner fissò la Weir con un tacito “Glielo avevo detto. Adesso che facciamo?” dipinto in volto.






-Najara: Ti ringrazio. Scrivere il VI capitolo mi era piaciuto particolarmente. Spero che Sheppard ti piaccia anche in questo. Volevo anche dirti che il tuo ultimo post è fantastico ma non ho fatto in tempo a scrivertelo, ottimo lavoro (colgo due piccioni con una fava). Il Generale è tanto carino e gentile, Jack è sempre il migliore, in ogni caso. Sheppard deve ancora correre per raggiungerlo. Saluti

-Borboletta: Mi ha fatto particolarmente piacere il tuo commento perché mi hai confermato che i miei sforzi di rendere McKay e la scena iniziale come le avevo immaginante non sono stati vani. Comunque chi non invidierebbe Alice … dimmi come ti sembra Shep in questo capitolo. Ciao

-Lel: Come hai visto ho avuto problemi ad aggiornare! Riferisci se trovi intoppi, gem. Ave.

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Capitolo 8
*** VIII capitolo: I Druyiniani ***


Rieccomi di nuovo. Mille scuse per il ritardo è quasi un mese. Me ne vergogno tantissimo, ma il tempo mi vola. Non indugiamo oltre. Spero che nessuno si offenda per quello che c’è scritto in questo capitolo, non vi anticipo niente durante la lettura capirete. Grazie in anticipo


VIII Capitolo: I Druyiniani

Accovacciata sui talloni ed abbracciandosi le ginocchia cercava di tenere d’occhio i due uomini che erano sdraiati sotto ad una navetta da guerra per vedere con i propri occhi ciò che lei stava loro descrivendo riguardo il pannello dell’energia. Lo scafo affusolato ricoperto da una vernice nera riflettente, la velocità e la manovrabilità maggiore, una potenza di fuoco aumentata esponenzialmente, nonché il fatto che fosse un biposto, differenziavano i due modelli che avevano di fronte. In effetti le navette da esplorazione erano più tozze e meno veloci ma poteva trasportare attrezzature e persone senza difficoltà. “Vedete? È tutto molto semplice se ci fate caso. L‘energia passa dal primo circuito al secondo, qui si accumula per poi passare attraverso i due fusibili …” “Sì, sì posso vederlo da me!- la voce attutita di Rodney la mise a tacere- fantastico! Meraviglioso! Tutto è perfettamente in ordine, nonostante gli anni!” Sheppard scivolò fuori “Da come lo racconti sembra fantastico. ” Lei annuì “Te ne accorgerai appena ti metterai al posto di guida oppure a quello del cannoniere, Maggiore. La nave si configura con il tuo cervello e fa tutto quello che tu pensi, i comandi manuali sono un appoggio al sistema neuronale. Per le cose di precisione, ecco. Stessa cosa per quelli da esplorazione. Naturalmente entrambi sono dotati di dispositivo di occultamento” Anche McKay venne fuori e aveva la stessa espressione del Maggiore, come se fossero appena finiti in Paradiso. “Naturalmente serve il gene” Rodney si imbronciò e ritornò sotto la pancia della navetta riaccendendo la sua pila elettrica borbottando un “Aspetta che Carson finisca di sintetizzare il gene e poi la vedremo”. Sheppard roteò gli occhi in direzione dello scienziato e due si misero a ridere silenziosamente. Il Maggiore si rialzò spazzolandosi i pantaloni con forti manate “Non vedo l’ora di pilotare uno dei nostri Black-bird” Alice lo guardò da sotto, alzando un sopracciglio “Appassionato di fumetti, Maggiore?” Lui le fece un sorriso storto “Mi sembrava più appropriato di x-wing” Lei concordò ritornando a prestare attenzione a Rodney che a tratti veniva fuori con espressioni di sorpresa estatica. Fu allora che sentirono che lo stargate si era aperto e si precipitarono al trasportatore che lì portò nella sala di controllo dello stargate.
“Che pianeta è?” La Weir con le braccia incrociate si volse verso Sheppard “Aspettavamo che Alice ce lo dicesse” La Satriani e McKay arrivarono in quel momento con il fiatone e si misero all’opera. La ragazza controllò la consolle e poi disse: “Drunya. È un pianeta molto vicino, un paio di ore con … -si girò a guardare Sheppard- con i Black-bird o con gli esploratori. All’epoca le forme di vita umane erano ancora ad uno stadio primordiale. Vediamo che succede?” Sumner la fulminò con gli occhi. Passò qualche secondo, nulla accadde. “Chiudete!” Alice si mise in mezzo “No! Aspettate” si mise al posto dell‘analizzatore. “Satriani, cosa sta facendo!” Lei continuò ad armeggiare con la strumentazione. “Gli Antichi fornivano i loro stargate di proiettori olografici, ricevitori audio ed analizzatori di temperatura ed aria. Una specie di M.A.L.P molto più avanzato. Probabilmente nella nostra galassia i Goaud devono aver rovinato i meccanismi, sicuramente non sapevano come usarli- fermò lo sproloquio incalzante di McKay- Eccolo! Audio per adesso, sto per far arrivare anche il video” Cercò di aumentare la ricezione, pulì il segnale che arrivava ed aumentò il volume. Da principio si sentiva solo un ronzio indistinto, in seguito si poté distinguere un sordo rullare di tamburi e poi finalmente delle parole. Era un canto, o meglio, una litania, ripetuta da molte voci di donne. Voci forti creavano un ritmo incalzante, fiero, guerresco. Tutti rabbrividirono “Che sta succedendo?”Alice parlò da sopra la sua spalla “Sembra che stiano parlando davanti allo stargate, e sono in molte. Sembra come un canto rituale. Le parole sembrerebbero degli Antichi ma capisco molto poco. Deve essere passato parecchio tempo da quando un vero Antico ha parlato la sua lingua con quelle donne. È come se stessero ripetendo le parole a memoria senza capirle. Come accadeva a noi con i latino. La pronuncia è contorta e le parole si capiscono poco. “È giunto ancora il momento … noi ci faremo onore … voi sarete orgogliosi e … -il passaggio si richiuse- mi spiace è tutto quello che posso capire per adesso, e non ho fatto in tempo a mandare il video. Alla prossima apertura sarà operativo. Potrei analizzare la registrazione più tardi se volete” “Hai capito di cosa parlavano?” Alice si strinse nelle spalle “Potrebbe essere qualunque cosa, Dottoressa. Dall’altra parte ci potrebbero essere delle Valchirie pronte alla guerra come delle suore che inneggiano al loro dio. Per me è un rituale che compiono a scadenze fisse. La solennità era evidente. È l’unica cosa che posso dire, bisognerebbe andare a vedere di persona per saperne di più”
Elizabeth fissò per qualche istante il passaggio. Stava per mettere in pericolo tutti quanti? Diamine in qualche modo dovevano iniziare! “Colonnello, preparate un squadra. Quattro uomini, non di più. Andiamo a vedere cosa c’è la fuori” “Dottoressa …” lei si voltò decisa “Colonnello, dobbiamo trovarci degli alleati” “E lo Z.P.M.” intervenne Rodney. Il Colonnello, assentì. “Porterò con me Grey, Filmore e O’Conny -vedendo Sheppard che si faceva avanti- lei resterà qui. Le affido la base, Maggiore” “Sì, signore” Alice timidamente si intromise, non alzando la testa dalle mano incrociate sul bordo della consolle “Potreste aver bisogno di qualcuno che sappia qualcosa sugli Antichi, giusto?” Prima che Sumner potesse rispondere la Weir le disse di andare a prepararsi.
Un’ora dopo era di nuovo alla sala di imbarco. Alice con la pistola nella fondina, lo zaino in spalla, la macchina fotografica in tasca ed il suo cappello in testa era uno spettacolo assolutamente fuori dal comune soprattutto se la si paragonava ai tre militari che la circondavano. Sheppard li guardava serio appoggiato con i gomiti al parapetto del piano superiore. La Satriani gli fece una foto “Sorridi, Maggiore. Ti porteremo un souvenir!” Lui le puntò un dito contro “Cerca, piuttosto, di non cacciarti nei guai. Capito?” “Roger, roger” Lui alzò la mano in segno di saluto e poi si girò per andare nella sala di controllo.
“Ti prego fai che vada tutto bene!” Alice continuava a ripetersi questa frase all’infinito mentre aspettava che lo stargate si attivasse. Rivide nella sua testa le immagini della proiezione. Lo stargate era situato in una radura di un diametro di un paio di centinaia di metri, completamente circondato dagli alberi. Un sentiero battuto (segno che il passaggio veniva usato di frequente) spariva nel bosco. La temperatura era di quindici gradi ed era pieno giorno. L’aria era purissima e il cielo era sereno. Il passaggio si aprì ed il Colonnello passò per primo accompagnato del tenente Grey. Alice si trovava di passo alle spalle di Filmoore e O’Conny. Quest’ultimo disse al suo compagno: “Scommetto che quando esce dall’altra parte vomita” l’altro si girò a dare un’occhiata alla ragazza “Venti dollari che dobbiamo portarla a spalla. E di certo non è uno scricciolo” Alice si fece rossa per la rabbia e strinse i pugni. Non disse niente fino a quando vide che erano in procinto di mettere il piede nel passaggio. Quindi disse con un sorisetto diabolico: “Lo sapete che se state spalla a spalla così quando uscirete dall’altra parte lo stargate non saprà dove finisce l’uno ed inizia l’altro e vi unirà come se foste un’unica persona? Oppure potrebbe mischiarvi” Loro si girarono a guardarla con gli occhi spalancati, ma ormai era troppo tardi. Lo slancio li portò avanti. Riuscirono a sentire solo “Ops, troppo tardi” e si ritrovarono dall’altra parte. “Appena sarò dall’altra parte me la faranno pagare” si aggiustò lo zaino in spalla e passò anche lei.
L’arrivo non fu terribile come il primo grazie alle pastiglie antinausea che Carson aveva dato a tutti. Mentre cercava di riavviare la circolazione nelle mani gelate si guardò in giro e vide i soldati che si erano messi a semicerchio intorno allo stargate e perlustravano la zona con il P90 imbracciato. Si avvicinò ai due alla sua sinistra “Allora avete tutti le vostre parti apposto?” Incredibilmente invece di sentirsi lanciare dietro maledizioni sentì i due soldati che si mettevano a ridere. Smisero solo al rimprovero del Colonnello. “Ci hai fatto tremare, piccoletta. Per questa volta perdoniamo” Quello che aveva parlato era Filmore ovvero un uomo di razza indiana che arrivava quasi a due metri. “Meno male” pensò la ragazza.
 Camminavano da una mezz’oretta e tutto era tranquillo. Il movimento aveva scacciato il freddo e adesso Alice si stava godendo incoscientemente la passeggiata attraverso quel bosco meraviglioso. L’odore degli alberi era pungente molto simile al nostro pino ma con una punta di amarognolo. Ebbe un effetto curativo liberandole il naso e facendola respirare meglio. Il sottobosco era soffice sotto gli anfibi e l’aria risuonava di un canto melodioso. La macchina fotografica era sempre stata attiva per tutto il tragitto. “Ehi, ragazzina. Non sei nel mondo delle fiabe. Attenta a dove vai” Fenimoore le impedì di cadere dopo che inciampò per la terza volta. Lei in risposta gli fece una foto. Il Sergente stava per ribattere quando il pugno chiuso del Colonnello si alzò fermando la minuscola colonna. Alice fu spinta indietro e i militari si misero in cerchio ascoltando gli scricchiolii della vegetazione. Dopo qualche secondo anche loro riuscirono a sentire ciò che aveva fermato Sumner. Qualcuno si stava avvicinando alla loro destra, dal fitto degli alberi. Era un passo leggero e pur, sembrando molto cauto, a volte calpestava qualche ramo secco facendo rumore. Sumner comunicò con i suoi uomini e Grey si mise dietro all’albero accanto al quale sarebbe dovuto passare lo sconosciuto. Alice sbirciava da dietro le spalle di O’Conny. Quando lo videro avvicinarsi le foglie tremarono, poi furono scostate da una piccola mano, subito seguita da un braccio corto, una spalla magra e poi emerse un visetto sporco di terra. “Fermi è un bambino!” All’ordine del Colonnello i militari abbassarono le armi.
Quello che avevano davanti era in effetti un bambino di non più di sette anni. Ad una prima occhiata poteva sembrare umano, ma poi gli occhi con le pupille verticali e le iridi di due colori ed i capelli di una tonalità bluastra li fecero ricredere. Era vestito con dei pantaloncini di pelle che gli arrivavano a mezzo polpaccio e nonostante la temperatura non sembrava soffrire il freddo. L’unica altra cosa che indossava era una collana con un simbolo di pietra. Appena li aveva visti aveva afferrato il suo piccolo pugnale e in quel momento lo brandiva con fare minaccioso davanti agli uomini. Alice guardò quel visetto sporco di fango. Era un bellissimo bambino e con il tempo sarebbe diventato uno splendido uomo. Gli occhi per metà neri e per metà bruni erano stupendi e dall’intensità con cui li fissava si poteva intuire quanto fosse coraggioso. Doveva appartenere ad un fiero popolo. “Weruit tierse fremuinto?” La ragazza si fece avanti per cercare di comunicare con il piccolo alieno. Naturalmente non aveva capito una parola anche se nel “weruit” aveva ritrovato traccia del “Waruitium” Antico ovvero la seconda persona plurale maschile. Il resto gli era oscuro. Una lingua si modifica nel corso dei secoli, soprattutto se viene a contatto con altre. Si pose davanti ai soldati pensando che un viso gentile e sorridente avrebbe calmato il bambino facendogli abbassare l’arma. Ma quello che successe la lasciò di stucco. Non solo il piccolo lasciò cadere il pugnale, ma si inginocchiò e incrociò i pugni sul petto. Sumner le disse: “Cosa gli ha detto?” Alice scosse la testa a bocca aperta “Niente. Assolutamente, niente. Deve essere qualche forma di saluto” Grey si intromise “Con noi non l’ha fatto. Solo con te” La ragazza imbarazzata cercò di far rialzare il bambino che intanto la sbirciava da sotto la frangia dei capelli troppo lunga. “Alzati, piccolo. Su non fare così” e gli stese una mano. Lui l’afferrò e se la portò alle labbra e le diede un bacio sulle nocche. “Abbiamo un gentleman, qui. Ragazzi inchiniamoci anche noi a sua maestà la lillipuziana di Atlantide” “Fenimoore, la smetta” “Sì, signore”
Alice non ci stava facendo caso, era concentrata ad estrapolare qualcosa dal discorso rapido del piccolo Drunyiano“Tremiona. Prestingsh trif…” Vedendo che la ragazza davanti a lei non capiva una parola fece un respiro profondo e si alzò in piedi senza mai però guardare negli occhi Alice. Non degnò neanche di uno sguardo la rimanente parte del gruppo. Si batté un piccolo pugno sul petto con orgoglio e disse: “Xavolupa” e poi tese una mano indicando la ragazza in attesa. La Satriani capì e rispose poggiandosi una mano sul petto: “Alice”. Xavolupa si inginocchiò di nuovo e iniziò a pronunciare: “Kola grifosh Alice” Fenimoore si intromise ancora “Anche a te e a tua sorella” fu messo ancora a tacere. “Cos’ha detto, Satriani?” lei alzò le spalle cercando di seguire con gli occhi Xavolupa che indicava qualcosa “Non lo so, Colonnello. Ma sicuramente vuole che lo si segua. Forse ci porterà al suo villaggio” “Forse. E va bene. Facci strada piccoletto” gli fece segno di proseguire, ma il Drunyano non si mosse finché non glielo indicò Alice allora si mise in marcia alla testa del gruppo.
Uscirono dal bosco dopo qualche minuto e dopo aver attraversato un fiume quasi in secca si ritrovarono improvvisamente davanti ad un villaggio di capanne. E dannatamente popolato anche. Uomini vestiti come Xavolupa portavano grosse ceste sulle spalle contenenti armi strane oppure erano seduti davanti a casa a fabbricare quelli che sembravano delle armature di cuoio o erano impegnati in altri lavori manuali. Bambini e bambine correvano da tutte le parti cercando di dare una mano ai più grandi. Le donne camminavano spedite con i lunghi capelli intrecciati sulla testa e le corti vesti che aleggiavano intorno a loro.
Grey fece un fischio di ammirazione “È un popolo molto bello!” Gli altri annuirono guardando fissi. Attraversarono il villaggio senza che nessuno desse loro molta importanza a parte gli uomini, ovviamente, che si inchinavano non appena vedevano passare Alice. “Sono abituati a vedere gente dallo stargate” disse Sumner.
Il bambino li portò alla capanna più grande, era fatta da pelli, legno e grosse pietre come colonne. Pur essendo fatta con materiali rudimentali avevano un aspetto aggraziato e slanciato, quasi fosse un edificio costruito in mattoni. Fu fatto capire loro di aspettare fuori mentre li si annunciava. “Pensa che incontreremo il capo?” la ragazza non fece in tempo a rispondere che la stoffa che copriva l‘entrata fu spostata e furono fatti entrare. L’ambiente era immerso in una rilassante semioscurità intrisa di essenze che facevano sciogliere ogni muscolo del corpo. Quattro candele erano posti ai lati della tenda che aveva dimensioni notevoli, ma del tutto coperta da tappeti, morbide stoffe dai colori del rosso e del marrone. Su un cuscino enorme c’era un mucchietto di stoffa. Da questo spuntava la faccia più rugosa che si fosse mai vista, quella donna doveva avere per lo meno un centinaio di anni, come minimo. Nonostante questo, però, stava dritta con la schiena e tutto in lei ispirava reverenza e rispetto. Sul tavolo poterono vedere una piccola sfera luminosa che pulsava con una luce blu elettrico.
“Benvenuta” I quattro soldati sussultarono. Alice spiegò in fretta “Quello che vedete lì è come un traduttore simultaneo progettato dagli Antichi. Deve essersi calibrato quando lei ha parlato fuori, Colonnello” Sumner annuì poi si fece avanti e iniziò a parlare con quello che sembrava il capo dei Drunyiani “Vi ringraziamo per il benvenuto. Siamo venuti …” La donna anziana alzò una mano: “Noi comprendiamo che ogni mondo ha le sue usanze. Ma fin che resterete qui, vi prego di usare le nostre. Il fatto che un uomo mi rivolga la parola è altamente offensivo ed ingiurioso. Ma voi non lo sapevate perciò lascerò correre. Parlò con la giovane donna, voi potrete aspettare fuori, con gli altri uomini” O’Conny, il meno diplomatico dei quattro sbottò: “Che significa? Come avremmo potuto offenderla il comandante è stato gentilissimo” Alice si voltò verso di loro e cercò di essere il più conciliante possibile: “A quanto pare hanno un forte ordine matriarcale. Gli uomini devono essere considerati in un certo senso inferiori” La vecchia annuì “Nella nostra cultura l’uomo vota la vita a servire le donne. Esse sono al di sopra perché danno alla luce la vita, sono più sagge perché più posate, più forti perché più pazienti. L’uomo serve la donna come può, dando la sua forza muscolare come gli animali, donando il suo seme perché nuove generazioni vengano al mondo ed appoggiando le donne in guerra perché il numero fa la forza. Ma in nient’altro. Adesso vorrei parlare con la ragazza, per favore uscite. Potrete visitare il villaggio, ma mi raccomando non importunate le donne, alcune non potrebbero capire la differenza di cultura”.
Alice con la bocca spalancata li guardò mentre senza dire una parola uscivano dalla tenda. Si girò preoccupata verso la donna. Era spaventata. “Che cosa gli avete fatto?” lei battè una mano rugosa sul cuscino davanti a sé “Questo è un altro motivo perché le donne sono superiori agli uomini. Noi donne Drunyane con l’età sviluppiamo… come dire… un’influenza temporanea sui nostri uomini. Oh, non ti preoccupare, nulla di serio, non possiamo costringerli a fare cosa che vogliono. Sembra che solamente il nostro popola abbia questo dono, di tutte le razze con cui commerciamo noi siamo gli  unici. Immagino che neanche voi … - Alice immediatamente negò -Coraggio siediti, raccontami un po’ del vostro pianeta. Forse potremmo instaurare una reciproca amicizia” La ragazza si sedette ed iniziò a parlare della loro missione, quel tanto che era autorizzata a dire, ben poco in realtà. “Quindi se volesse parlare con la Dottoressa Weir potreste fare un accordo” La vecchietta aveva ascoltato tutto il discorso senza mai interromperla poi disse: “Peccato che non ci sia conosciuti prima” “Perché, Piona?- questo era il suo nome- Noi non abbiamo intenzione di andare da nessuna parte” La vecchietta fece per alzarsi, Alice si precipitò ad aiutarla “Sei una saggia ragazza, rispettosa della vecchiaia. Vieni con me, usciamo un attimo, godiamoci questi ultimi attimi di calma. Prendi il Traduttore”
Pian piano e dando il braccio a Piona uscirono dalla tenda alla luce del sole. L’intensità del sole del pieno pomeriggio le accecò per un attimo poi Alice vide Fenimoore che stava allacciando il suo casco in testa a Xavolupa che si inchinò al loro arrivo. Quando la vide in compagnia di Piona si fermò improvvisamente e da lontano la informò che il Colonnello e gli altri erano andati a fare rapporto alla base, lui sarebbe rimasto lì ad aspettarla ma che non si allontanasse troppo però.
Fecero una passeggiata di mezz’ora attraverso il bosco si fermarono solamente quando arrivarono un promontorio da dove si poteva dominare la radura dello stargate e buona parte della foresta circostante. Alice poteva vedere Sumner che comunicava con Atlantide “È bello qui, vero? Voi come vi siete preparati ad affrontare la “mietitura”?- vedendo che la sua accompagnatrice non riusciva a capire- Nella vostra parte di galassia non arrivano i Mietitori?” Alice scosse la testa. Non disse niente ma adesso riusciva a capire la cerimonia, l’agitazione, le armi. Stava succedendo qualcosa di grosso. “Allora dovreste dirci dove vivete perché ci si possa tutti trasferire lì. Ormai è cosa imminente. Da un giorno all’altro, massimo un mese l’antico flagello che ci affligge ogni cinquanta anni sta per risvegliarsi di nuovo. Dal Passaggio arriverà il messaggero che andrà a risvegliare gli altri nel bosco e poi verranno a cercarci e a portarci via” “Non capisco, Piona. Mi sta dicendo che ci sono delle creature che dormono per cinquant’anni nel vostro bosco, poi arriva qualcuno, li sveglia e vi portano via. Ma voi siete un popolo che non è sprovvisto di armi perché non li distruggete una volta per tutte mentre non si possono difendere?” “Alice, quelli che noi abbiamo nel bosco non sono che un granello di sabbia rispetto a quelli che sono disseminati per la galassia. Abbiamo tentato più volte di distruggerli ma nessuno mai tornava. Non siamo uno dei popoli più evoluti a livello tecnologico, abbiamo le nostre tradizioni. Alla fine abbiamo smesso, tranne qualche spedizioni di tanto in tanto. Noi non parliamo di queste creature, ma arriveranno presto, troppo presto. Durerà per qualche anno, ci decimeranno e poi torneranno a dormire ancora”
Era quasi il tramonto ormai e Sumner aveva chiuso la conversazione. Le due donne sedute su di una radice molto larga guadavano davanti a loro. La Satriani aveva paura, una paura cieca. E se questi Mietitori erano le Bestie degli Antichi, che diavolo avrebbero fatto loro. Che cos’erano? cosa voleva dire che mietevano ogni cinquant’anni? Prendevano schiavi? Oddio in che guaio si erano cacciati “Piona, come mai non avete delle sentinelle che vi avvisino?” L’anziana alzò le spalle “Non c’è bisogno. Noi li sentiamo arrivare e- lo stargate si aprì nuovamente- la nostra ora è arrivata”
Una navetta simile ai Black-bird attraversò il passaggio.
Alice come in un incubo vide un raggio partire dalla navetta verso i suoi compagni che cercavano di correre mentre le sparavano raffiche contro. Inutilmente, furono catturati dal raggio e sparirono. La navetta si diresse verso il bosco. Piona si alzò “Così inizia di nuovo. Chissà se riuscirò a sopravvivere anche alla terza volta” Si girò verso la ragazza che la fissava tremante con il fiato corto e le guance rigate di lacrime.





-Borboletta: Pensare che il titolo del precedente capitolo l’ho messo a caso (non si dovrebbe mai dirlo, ma non importa). Mi fa molto piacere che il personaggio di Alice ti piaccia, in effetti sto cercando di renderla il più comune possibile e a volte ho paura che cada nel ridicolo. Ma qualsiasi cosa pur di non creare una nuova Mary Sue ed è confortare che i miei sforzi siano apprezzati.

-Najara: Quando ho scritto quella scena non avevo in mente quei due film, ma dal momento che sono due dei miei cartoni preferiti (soprattutto la Bella e la Bestia) può essere benissimo che nel mio subconscio le cose si siano mescolate. È bello avere lettori attenti come te.

Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin quaggiù. Saluti e (spero) a presto

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Capitolo 9
*** IX Capitolo: La guerra inizia ***


Ciao a tutti dopo, ahimé, 22 giorni vi posto questo capitolo che pensavo di proseguire ma sarebbe divenuto troppo lungo sia come tempi che come lunghezza. Buona lettura e abbiate pazienza, il tempo per scrivere mi si restringe sempre di più.


IX Capitolo: La guerra inizia

La paura della morte in un essere giovane e cresciuto in un ambiente amorevole, privo di qualsiasi rischio, fa emergere involontariamente il lato più egoistico dell’essere stesso, che non pensa più ad altro che alla propria salute in equilibrio precario, disperandosi senza veder rimedio. Alice non fece eccezione a questa regola.
Crollò tutto in un colpo. Finì sulle ginocchia, scossa da forti singhiozzi, impotente. Piona si alzò e si avvicinò alla ragazza poi le disse poggiandole una mano sulla spalla: “Coraggio, bambina, dobbiamo tornare. Il destino ci attende. I guerrieri hanno bisogno di una guida. La battaglia ci aspetta” La Satriani si portò una mano a nascondere la faccia mentre scuoteva la testa in un gesto struggente, degno dei migliori melodrammi in programma. “Dai, bambina. Non tutto è perduto” La mano fu tolta velocemente dal viso, lampi d’ira le passarono per le iridi scure “Non tutto è perduto? Che dovremmo fare? Andare a buttarci in bocca al lupo? No! Questa è già la seconda volta! Ma almeno prima sapevo quello che dovevo fare. Invece adesso è tutto inutile. Cosa possiamo fare? Scegliere in che modo preferiamo morire?! Dovevo starmene a casa …” Un ceffone in piena faccia la fece tacere. “Taci! Non sei più una bambina! Forse moriremo tutti ma di certo non lo faremo piagnucolando come te! Anche i più piccoli del mio popolo sanno che non bisogna mai desistere, fino alla fine. E quando non ci resta nulla davanti se non la morte, bisogna fronteggiarla degnamente. Non sono arrivata all’età di centottant’anni per consolati. Se vuoi morire qui, sia! Io ho ben altro a cui badare” Girò i tacchi e si avviò verso il villaggio quanto più velocemente la sua persona potesse permettere.
Alice rimase per qualche momento immobile. Gli occhi fissi sullo stargate. Si tolse il cappello e lo guardò. Indiana Jones … chi diavolo credeva di essere? Non poteva sopportare tutto questo. Perché si era cacciata in quel guaio? E, Dio, ecco adesso anche le fitte alla tasta erano tornate. Chiuse gli occhi per cercare di far passare il dolore. Quando li riaprì fu invasa da nuovo coraggio. Ne aveva passate tante, sarebbe sopravvissuta anche a questa.
Ma lei non ne aveva passate tante. Perché le era venuto quell‘idea assurda? Ssshhh, conviene forse non ricordarglielo adesso che ha ripreso in mano la situazione.
Si alzò in piedi nuovamente risoluta. Si calcò il cappello in testa, strinse per un attimo la collana attraverso la maglietta e tirò fuori la pistola per controllarne il caricatore. Raggiunse Piona dopo pochi passi di corsa.
Il sole era completamente tramontato prima che arrivassero al villaggio. Questo era in fermento. Donne munite di alti archi e con il petto coperto da corazze di cuoio salivano su degli animali che fungevano loro da cavalli. Alcune, a capo del loro reparto, incitavano le loro guerriere e ricevevano in risposta lunghi ruggiti che facevano tremare il terreno. Gli uomini appiedati erano provvisti di scudi e lunghe spade affusolate.
Fenimoore appena le vide si affrettò ad affiancarle “Che succede, ragazzina? Il Colonnello non è tornato …” “Il Colonnello è morto e noi stiamo assistendo agli inizi di una guerra che a quanto ho capito travolgerà ogni cosa nella galassia” In poche parole gli riassunse quello che era accaduto e quello che sapeva. Fenimoore ci mise poco a decidere “Fai i bagagli. Si torna a casa” “Aspetti- si rivolse a Piona- quante persone conta il villaggio?” “Non più di duecento ed una ventina sono fuori, su altri pianeti, per il commercio” “Ci sono possibilità che riusciate a sopravvivere?” “Pochissime. Forse qualcuno riuscirà a rimanere vivo dopo che avranno finito il raccolto e avranno raggiunto gli altri” Alice si rivolse a Fenimoore “Portiamoli con noi” Il Sergente iniziò a scuotere la testa “Perché no? Se questi Mietitori sono le Bestie degli Antichi e si sono risvegliati dobbiamo avere degli alleati. Perché dobbiamo lasciarli morire inutilmente? Noi abbiamo i mezzi per difenderli, temporaneamente.” Fenimoore si guardò in giro.
Delle fascine erano state accumulate alla base delle capanne per darle fuoco, il villaggio sarebbe stato così avvolto dal fumo quando ci sarebbe stato l’attacco e il piccolo esercito avrebbe avuto un minimo di vantaggio. Erano pronti a lottare ed erano pronti a morire. Vide passare il piccolo Xavolupa, il visetto deformato dai segni rituali, lunghe righe praticati con le dita e tintura rossa. In testa portava un casco ed in mano uno scudo più grande di lui.
“Va bene. Raduniamoli alla svelta.” Piona si oppose “Il mio popolo non scappa, noi combatteremo” Fenimoore le girò le spalle mentre armava il P90 “Cazzo, vecchia, non abbiamo tempo di discutere- fu obbligato a voltarsi ed ad inginocchiarsi nonostante fosse palese la sua resistenza- Fermala ragazzina! Lo sta rifacendo” Si portò le mani alle orecchie cercando di ostacolare la voce che gli rimbombava nella testa. “Piona, si fermi! Fenimoore ha ragione, dobbiamo sbrigarci. Non vi stiamo offrendo un nascondiglio né una scappatoia. Vogliamo solo che vi uniate a noi nella lotta. Vi offriamo un modo più efficace di combattere” Diavolo altro che archeologa, il suo destino era in politica! Piona annuì. Chiuse gli occhi per un attimo e per prima cosa calò il silenzio poi pian piano tutti si riunirono attorno a loro. A tali livelli poteva arrivare la telepatia della donna! Alice iniziò a sospettare che se Piona fosse riuscita a sopravvivere ancora a lungo, nessuno avrebbe potuto immaginare la sua potenza. Il suo discorso fu breve ma incisivo. Nessuno fece obbiezioni a ciò che disse, e l’unico rumore alla fine del suo discorso fu una forte esplosione. Fenimoore tolse con uno scatto la sicura al fucile : “Molto toccante. Muoviamo il culo. Ragazzina, vai avanti. Apri il passaggio ed avvisa gli altri. Vecchi e bambini su quei cosi, così ci muoveremo più velocemente. Io starò nella retroguardia” Una donna sulla trentina, un comandante degli squadroni a “cavallo” gli si affiancò “Io e la mia unità ti aiuteremo” “Perfetto, ci mancava solo questa. Che la festa abbia inizio”
Le fiaccole furono gettate sulle fascine che immediatamente presero fuoco, incendiando così anche le capanne. Ben presto lunghe lingue sinuose salirono fino al cielo consumando quello che era stato costruito con fatica in cinquant’anni e rendendo lo spettacolo che avevano di fronte ancora più terrificante se possibile. Dal lato ovest del villaggio, dal margine del bosco illuminato in maniera spettrale dal rogo, alcune ombre vi si staccarono. La donna accanto a Fenimoore urlò: “Sapete bene cosa faranno. Non useranno armi da fuoco solo armi bianche e archi. Che gli Antenati siano con tutti noi!”
Le figure, tutte in una volta sola, sguainarono le spade. Quando furono colpite dalla luce, queste mandarono bagliori rossastri preannunciando sangue. L’arco era riposto accuratamente sulle spalle. Non rimasero certo ad aspettarli, ma mentre Alice aiutava Piona a montare in groppa all’animale  poté dare una fugace occhiata ad una delle “Bestie”.
La nonna di sua cugina, quando erano piccole le diceva sempre che il Diavolo non aveva né corna né le zampe caprine, ma in realtà si presentava sempre nella sua veste più seducente. C’era da dire che l’amabile nonnina all’età di sedici anni era stata sedotta e poi abbandonata da un aitante capitano che dopo la guerra era ritornato della sua fidanzata a New York. Nel momento in cui ci fu un guizzo delle fiamme Alice poté confermare quanto le aveva detto la donna.
Il primo della fila di Mietitori, che andava ad allargarsi ad ala, corrispondeva perfettamente a questa descrizione. Era alto circa due metri, con un corpo perfettamente proporzionato e muscoloso, aveva i capelli lunghi fino alle spalle di un colore indefinibile a quella luce. Portava pantaloni attillati e quello che assomigliava molto ad un gilet di pelle, le braccia muscolose erano completamente nude, il destro era ricoperto da tratti che si intrecciavano tra loro andando a creare un disegno intricato. Non poté vedere altri particolari perché la colonna si mise in moto. Incitarono gli animali e si misero a correre.
Alice, spronata dalle urla che sentiva provenire dalla retroguardia, aumentò la velocità tanto quanto le sue gambe poterono reggere. Quando intravide la radura raccolse le ultime forze e si precipitò al DHD. Perse per un attimo l’equilibrio, ma riuscì comunque a digitare il codice ed aprire lo stargate prima che quegli esseri arrivassero vicini, trattenuti com’erano dalla retroguardia. Attivò il GDO e per sicurezza buttò anche il cappello all’interno del passaggio per far capire che erano proprio loro anche se arrivavano persone sconosciute e diede il Traduttore a Piona. Per prima aiutò proprio questa a passare poi cercò di sollecitare i restanti a fare il più in fretta possibile.
Con la coda dell’occhio vide Fenimoore che si avvicinava correndo sparando raffiche che però non riuscivano a fermare i Mietitori. Non erano tanti, ma nonostante i colpi che ricevevano, nessuno di loro era caduto al suolo. Al contrario, il terreno era disseminato da molti Druyniani colpiti dalle frecce dei nemici. Fu in un secondo che riuscì a vedere il piccolo Xavolupa, che stava aiutando una bambina a passare attraverso il passaggio, essere sotto tiro di quello che sembrava il capo dei loro assalitori. Per istinto gli si buttò davanti e la lunghissima freccia trapassò la sua schiena. L’urto la portò a travolgere il bambino che fu trascinato insieme a lei giù dagli alti gradini per i quali si accedeva allo stargate. Quando finirono di rotolare nessuno dei due si mosse più.
Fenimoore aveva visto tutta la scena, ma ormai era troppo tardi per poterla portare via, dovette attraversare il passaggio per ultimo, con ormai i nemici a neanche cinque metri di distanza.
Giunse dall’altra parte riverso sulla schiena urlando un rauco: “Chiudete quel fottuto scudo!” Cosa che prontamente fu fatta e poi lo stargate fu richiuso. In un attimo fu raggiunto non solo dal Dottor Beckett, ma anche dalla Weir e da Sheppard. Carson lo aiutò a rimettersi in piedi. Elizabeth disse: “Chi è questa gente, Sergente?!” Fenimoore la ignorò e si rivolse a Sheppard: “Signore, ci hanno attaccato. Sono invincibili … gli ho sparato un intero caricatore contro e non ha fatto una piega. … Io … io non sono riuscito a portarli indietro” Il Maggiore strinse i pugni e le mascelle; in mano portava il cappello della ragazza: “La Satriani?” il Sergente scosse la testa senza guardarlo negli occhi. Elizabeth chiuse un attimo gli occhi cercando di dominare i suoi sentimenti, non poteva farsi vedere debole, non in quel momento. Sheppard strinse i denti con tanta forza che l’ultimo molare destro si incrinò.
Piona si guardò in giro mentre cercava di allontanarsi dalle cure di un troppo insistente dottore. Erano duecento, ma lì poteva vederne massimo una cinquantina. Molto di più rispetto a se fossero rimasti a Drunya. Si avvicinò ai tre con in mano il Traduttore. “Tu sei il capo di questi uomini?” La Weir si girò ed annuì “Alice mi ha parlato di voi. E se è vero, come mia ha detto la ragazza, che da qui si possono avere maggiori possibilità, dobbiamo fare in fretta” “Che cosa? Non riesco a capire” “Dovete dirmi se siete in grado di poter tornare indietro e salvare chi è rimasto là”



Un grazie a chi legge e recensisce. Alla prossima

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Capitolo 10
*** X capitolo: I Mietitori ***


Questa volta sono stata abbastanza veloce. Preparatevi lo stomaco


X capitolo: I Mietitori

Finalmente un po’ di pace. Il dolore alla schiena era passato, solo la gamba le faceva male quando la muoveva, ma non era obbligata a spostarla. Una corrente d’aria fredda la colpì e lei si rannicchiò in posizione fetale sul duro pavimento. Una mano gentile le spostò i capelli che aveva davanti alla fronte, sicuramente sfuggiti dalla coda che si era fatta, ormai quasi un secolo prima. Fece un profondo respiro ma aspirò anche polvere quindi iniziò a starnutire scompostamente. Quando aprì gli occhi ci mise un attimo a capire dove si trovasse poi, come una valanga, i ricordi le tornarono in mente. E il panico la prese. Era in una stanza quadrata, spoglia, la cui illuminazione non capiva bene da dove provenisse. Si toccò la schiena dove la freccia l’aveva colpita. Niente, se non uno squarcio nella canottiera della divisa che indossava ed un forte dolore alla spina dorsale. Sentì ancora più freddo e si accorse di essere in mutande, l’avevano ripulita di tutto, lasciandole almeno  il minimo per coprirsi e fortunatamente la sua collana. Xavolupa le si mise davanti. Aveva il faccino tutto sporco e negli occhi gli si poteva leggere la paura, ma il suo atteggiamento era risoluto, come doveva essere ogni Druyniano. Alice aprì le braccia ed il bambino si precipitò ad abbracciarla, sussurrandole parole nella sua lingua natale che volevano essere di conforto.
Perché l’avevano curata? Perché preoccuparsi di salvarle la vita per poi toglierla di nuovo? Li avrebbero presi come schiavi? Li avrebbero mangiati? Immagini di Predator ed Alien le si affollarono nella testa. “Calma!- disse ad alta voce- andrà tutto bene-iniziò ad accarezzare i capelli blu del bambino- Ben presto il Maggiore sarà qui. Mi prenderà per le orecchie e ci tirerà fuori di qui. Dicono che Sheppard sia abbastanza pazzo per tentare, piccolo. Ne sono sicura, John ci salverà tra pochi minuti”
I minuti si fecero ore e, cullati com’erano dal buio e dal ronzio di sottofondo che sentivano, si appisolarono uno sorretto dall’altra. Si ripresero solamente quando sentirono dei passi che si avvicinavano. Con un forte rumore metallico la parete davanti a loro si aprì e le figure di due Mietitori si stagliarono nell’apertura. Alice si risollevò in fretta e portò dietro di sé Xavolupa nonostante la sua resistenza. Quelle “Bestie” viste da vicino erano ancora più sensazionali che visti da lontano. Erano alti, molto alti, con un viso a punta ed affilato. Avevano i capelli di un blu petrolio e i segni che aveva visto sul braccio destro risalivano fino a sfiorare l’orecchio e la fronte, sicuramente occupavano tutto il fianco, però non sembravano tatuati, più che altro erano come marchi a fuoco. Erano pallidi e perfetti. Uno fece segno con la mano di avvicinarsi e il bambino riuscì a svincolarsi da lei per raggiungerlo come ipnotizzato. “Xavolupa, che diavolo fai?!” il ronzio che sentiva prima si era fatto più forte fino a quasi a stordirla. Bisbigliavano tante cose, ma nessuna che riuscisse a capire. Poi, quando la guardò dritto negli occhi, occhi tanto simili a quelli dei Drunyiani, le voci si uniformarono e divennero tanto forti da toglierle qualsiasi capacità di ragionamento “Cammina!”. Vide sé stessa mettere un piede davanti all’altro e seguire quelle due creature che la condussero per lunghi corridoi di roccia dalle pareti decorati da incisioni. Cercò di ribellarsi, ma le era impossibile. Così attraversò passaggi sorvegliati, camminando in mutande ed in canottiera, senza che nessuna di quelle creature li degnasse di uno sguardo.  
Arrivarono ad una sala circolare, con in mezzo un grande trono di pietra reso più comodo da numerosi cuscini. Sdraiata su questo in maniera scomposta stava una Mietitrice. Rivestita completamente di pelle rossa aveva una gamba che le penzolava oltre il bracciolo e la testa poggiata stancamente sulla mano sinistra. Non c’è bisogno di dire che era stupenda tanto quanto lo erano i maschi di quella razza. I capelli lunghissimi scendevano come in una cascata per andarsi a raccogliere per terra, elegantemente. I segni le incorniciavano il viso rendendolo più delicato.
Fece un solo gesto, alzando impercettibilmente l’indice della mano destra, e i due che avevano portato lì i prigionieri si allontanarono permettendo ad Alice di schiarirsi maggiormente la testa. Xavolupa, sempre chiuso nella sua prigione mentale, si sedette a terra a gambe incrociate, solo gli occhi mostravano quanto stesse combattendo per liberarsi. Con una voce roca, come se non fosse abituata a parlare disse: “Così voi credevate di poterci portare via il nostro gregge? Voi pensavate di poter sconfiggere noi, i padroni di questa galassia, di riprendere il posto degli Antichi, di abbatterci? Non siete che dei microbi, con armi rudimentali e rozze, voi siete un popolo rozzo. I tuoi compagni non sono riusciti a resistere neanche per un minuto, mi hanno detto tutto. E non appena avviseremo gli altri clan, voi pregherete di non esservi mai messi contro i Wreit” Il suo discorso aveva mostrato sempre maggiore animosità ed alla fine si era messa seduta, mostrando una sicurezza ed un potere degno di una regina. Alice tremante la fissò. Quello era il popolo che aveva sconfitto gli Antichi, ormai non c’erano più dubbi. Da millenni stavano terrorizzando la galassia … “Sì precisamente - le fissò la bocca che era rimasta sigillata. Le aveva invaso la mente, silenziosamente, senza che neanche se ne accorgesse- Ecco, brava. Non sei così ottusa come pensavo, allora. So che tu hai molte conoscenze degli Antichi. Dammele e forse potremmo fare di te qualcosa, dammele!” “Lego*” bella trovata, la grammatica greca le avrebbe tenuta impegnata la mente e non avrebbe contribuito alla distruzione dell’umana specie. “Non resistermi …” era un avviso “Legeis*” si alzò in piedi e le sia avvicinò piano. Adesso sì che sentiva una presenza estranea nella sua testa che le frugava dentro, ribaltando ogni nascondiglio e distruggendo ogni muro che lei cercava di formare. Era arrivata ormai alla coniugazione del congiuntivo perfetto attivo e sentiva che la resa era vicina, stava perdendo la concentrazione. Tutto in un tratto il sondaggio della sua mente finì e lei si trovò a respirare ancora. La Wreit le prese il viso con una mano ed iniziò a farla scorrere per tutto il volto. Delle strane profonde cicatrici partivano dal centro della mano destra per poi attraversare le cinque dita affusolate. “Siete una razza testarda. Ma forse questo ti farà capire quanto sia inutile la tua resistenza. Hai davanti a te una scelta: chi dovrà avere per primo l’onore di essere il nutrimento per uno dei signori della galassia?- cosa voleva dire?- chi sarà il primo- cosa significa?- chi morirà per primo?” il pensiero di Alice fu chiaro nella sua testa “Io non voglio morire!”. Il viso della Wreit si aprì in un sorriso aguzzo “Perfetto!- si girò verso il bambino- vieni qui, tu” Solamente in quel momento la ragazza capì il senso di quelle parole “Ferma. Io. Prendi me! Lascia stare il bambino” “Troppo tardi!” Il bambino si avvicinò mentre le due guardie di prima tenevano ferma Alice che cercava di ribellarsi. Xavolupa era evidentemente spaventato ma non riusciva a sottrarsi alle mani di quel essere. Riuscì ad aprire la bocca per dire alcune parole: “Dovete guardare … disonore” Non so come fece, ma Alice capì immediatamente cosa volesse dire. Non doveva distogliere gli occhi, non solo per dare coraggio al bambino in quello che doveva affrontare, ma anche perché girarsi quando un guerriero moriva era considerare la sua morte disonorevole o almeno così le aveva detto Piona nel loro breve colloquio, mentre parlavano della loro cultura. Così Alice fu costretta ad assistere a quello spettacolo. Spettatrice di un evento macabro e orrendo, perpetrato nei confronti di un povero bambino a due metri di distanza senza che lei potesse fare nulla.
La Wreit si posizionò alle spalle del Drunyiano e con un rapido movimento affondò le lunghe unghie affilate nel collo di Xavolupa e poi stappò con forza. Lo squarcio, tanto profondo da mostrare i muscoli pulsanti, iniziò immediatamente a sanguinare. Denso liquido blu scorreva giù, macchiando il petto candido del bambino. Il dolore era testimoniato solamente da un dilatarsi delle pupille sempre fisse in quelle di Alice. L’essere alzò la mano destra ed appoggiò quelle che la ragazza aveva preso per cicatrici, ed erano in realtà il prolungamento di quello strano tatuaggio, sul collo grondante sangue. Non appena la mano si trovò a contatto col sangue i segni si fecero di brace e si gonfiarono portando via la vita alla sua vittima. Anno dopo anno, Xavolupa fu privato dei giochi dell’infanzia, delle gioie e dei dolori della vita adulta e della rispettabilità di un’onorata vecchiaia. I suoi occhi sempre in contatto con Alice pian piano si fecero sempre meno presenti e meno vivi. La ragazza, cercando di dare conforto a quello che una volta era stato un ragazzino, intonò il lamento funebre degli Antichi. Non seppe mai se il piccolo riuscì a capire o solo sentire le sue parole, quel che certo è che il suo giovane viso di decrepito raggrinzito non fu deformato dalla bruttura del momento.
La macellaia staccò la mano compiaciuta ed il cadavere, non più sostenuto, cadde in un mucchietto d’ossa polverose tenute insieme da un sottile strato di pelle incartapecorita grigiastra. Si voltò verso la ragazza, ancora tenuta ferma dalle due guardie. Alzò la mano e la ribaltò con un malrovescio. “Mai più. Mai più si dovrà sentire quella lingua. I Wreit non saranno più soggetti a nessuno!” Alice si tirò su essendo finita a terra una volta lasciata andare. Sputò un grumo di sangue ai piedi di quella femmina “Prima o poi arriverà qualcuno abbastanza forte da farvi fuori così come meritate. E credimi, per noi sarebbe un grandissimo piacere. Non potete prosciugare tutti in questa galassia!” La strattonò per i capelli e la testa scoppiò “Posso sempre iniziare da te!”. Le unghie ancora sporche del sangue del piccolo Xavolupa si piantarono nel collo della ragazza. Si sentì strappare, squarciare, smembrare. Ma prima che potesse strappare la pelle un forte sparo risuonò per la stanza, seguiti da moltissimi altri.          
Le due guardie crivellate da una gragnuola di colpi caddero a terra e rimasero immobili, invece la femmina, sostenuta dalla vita che aveva appena portato via, riuscì a fuggire. Alice cadde a terra non riuscendo ben a capire cosa fosse successo, quando si riscosse vide sopra di sé un ciuffo ribelle e un paio di occhi verde-grigi. Non riuscì a parlare, la gola le faceva troppo male, ma lui capì e le sorrise “Sì, sono io. È stato difficile trovarti. Ti sei messa comoda?” indicando la canottiera. Se non avesse perso tutto quel sangue sicuramente sarebbe arrossita. “Maggiore, dobbiamo muoverci. Sento dei passi” “D’accordo, Fenimoore” La bendò in fretta con il kit d’emergenza, la aiutò ad alzarsi e facendola appoggiare a sé iniziarono a correre, cercando l’uscita. Dopo un paio di svolte si trovarono la strada sbarrata da un gruppo di Wreit armati. Sheppard imbracciò il fucile “Scusate, cercavamo il bagno” e fece fuoco, subito seguito da Fenimoore. Tornarono indietro ma trovarono anche da quella parte Wreit. Erano in trappola ed i colpi delle armi     Wreit li stavano per raggiungere. John si portò il comunicatore alla bocca “Ora, Brockovic!” il muro di fronte a loro saltò in aria con uno schianto e altri colpi di P90 si andarono ad unire ai loro, respingendo momentaneamente i nemici. Uscirono dal buco e si trovarono nel bel mezzo del bosco. Gli altri tre uomini che formavano quel piccolo commando di salvataggio si unirono a loro nella folle corsa che seguì.
Per Alice non fu facile, ogni ombra sembrava un Wreit e la perdita di sangue l’aveva resa debole ma strinse i denti e continuò a correre zoppicando. Arrivarono ad una radura che sembrava completamente vuota, ma i cinque la condussero con sicurezza al centro dove c’era una navicella d’esplorazione occultata. Entrarono dentro, dove li aspettava il sesto uomo. “Ce ne avete messo di tempo! Ma siamo matti. Lasciarmi qui tutto solo con quegli esseri che infestano questa foresta” Rodney. Sheppard gli passò davanti trascinandoselo dietro “Andiamo McKay volevi anche tu vedere come funzionava e poi ti sei offerto volontario”
 Alice fu fatta sedere su uno dei sedili del compartimento da carico ed il Tenente DeTilly, addestrato a prestare il primo soccorso, si prese immediatamente cura di lei. Sheppard si mise ai comandi e decollarono. La Satriani chiese la Tenete come fossero arrivati senza che nessuno se ne accorgesse. DeTilly le rispose con il suo morbido accento francese: “Ci abbiamo messo un’ora attraverso lo spazio, chérie. Il Maggiore ha trovato un aggeggio che fa vedere la pianta degli edifici e i segni vitali. Abbiamo fatto un giretto” “Avete trovato solo me?” “Purtroppo sì, chérie. Ed è stato un miracolo, ma il Maggiore sembrava sicuro su dove andare” “Alice ce la fai a venire qui avanti” la ragazza avvolta in una coperta passò allo scompartimento anteriore. Immediatamente Rodney la investì di parole di cui Alice sentì solo una piccola parte, poi notando la sua benda al collo, con aria preoccupata immediatamente le chiese come stava.  
Si sedette al posto del copilota e con voce mal ferma gli chiese quale fosse il piano “Passeremo lo stargate. Subito dietro di noi verrà richiuso lo scudo” “Lo sai che per passare lo stargate dovrai togliere l’occultamento?” lui le lanciò un’occhiata di traverso “Lo so, ma non abbiamo alternative. Ritornare per lo spazio sarebbe troppo lunga e se ci attaccassero dopo non avremmo difese. Il piano era questo: noi trasmettiamo il codice all’ultimo secondo e dopo richiudono immediatamente”Alice si voltò verso Rodney, ma lui era impegnato a maneggiare con dei pannelli di controllo, quindi si rivolse di nuovo verso Sheppard “Se dici che funziona, Maggiore” Lui non distolse gli occhi “Non ti preoccupare, funzionerà”
Arrivare al limitare del bosco non fu difficile, ma adesso li aspettava la parte peggiore. Alice dovette sbattere le palpebre più volte per mettere a fuoco la lettura dei sensori che aveva di fronte, non poteva cedere adesso, nessun altro era in grado di interpretare la lingua Antica. “Abbiamo due navicelle nemiche che sorvolano la radura dello stargate ed una ventina appiedati.” “Perfetto, McKay prendi il posto di Alice e tieniti pronto a digitare il codice. Pronti? Adesso” Tolse l’occultamento e Rodney aprì lo stargate. La navicella partì a tutta velocità schivando i colpi della navicelle e delle armi. “Sheppard?” “Non ancora, dobbiamo essere più vicini!” Aumentò ancora la velocità, ormai erano vicinissimi e se fossero passati con lo scudo ancora alzato si sarebbero sfracellati e allora sarebbe stata tutta una fatica inutile. Alice strinse la divisa di Sheppard convulsamente. Il muso della navetta era ormai all’altezza delle scale di accesso “Ora McKay” Entrarono nello stargate e ne uscirono incolumi dall’altra parte.
Alice lasciò andare la divisa e si sedette a terra ormai esausta. Rodney era rimasto con gli occhi aperti e la bocca spalancata e dal compartimento posteriore si sentirono delle grida di gioia, che comunque non riuscirono a coprire i forti schianti che seguirono la riattivazione dello scudo. “Sei proprio un bravo pilota, Maggiore”

Erano passate più di due settimane da quel momento e ancora, fortunatamente, i Wreit non si erano fatti vivi. I Drunyiani si erano stabiliti sulla terra ferma, coltivando e a volte anche commerciando con reciproco vantaggio. Alice aveva fatto un rapporto completo, non appena Carson l’aveva dimessa dopo sei giorni di convalescenza, e Sheppard temeva che una volta che fosse giunto il momento loro non sarebbero stati all’altezze. Ormai la responsabilità della sicurezza di Atlantide era sua e questo lo preoccupava sicuramente più di quanto desse a vedere.
In quel momento stava salendo alla torre centrale. Aveva scelto la sua squadra che sarebbe stata formata da Rodney, Fenimoore ed Alice, ma doveva andare a scovare quest’ultima dal nascondiglio che si era creata. Da più di dieci giorni la ragazza non si vedeva se non per prendere da mangiare e portare i risultati sull’enorme lavoro che stava facendo in quei giorni. Non voleva scendere per altro e non voleva parlare d’altro se non di questo.   
Il trasportatore lo fece arrivare al laboratorio della Satriani. Questo era perfettamente in ordine, con gli scaffali dei file decorati con qualche oggetto che avevano trovato in alcune casse, resti di studi archeologici fatti dagli Antichi. Nella stanza non c’era nessuno ma della musica si sentiva ad alto volume provenire dal piano di sopra. Salì per la scala a chiocciola e man mano che faceva i gradini riuscì a distinguere la canzone “I won’t to see you tonight”. Appena arrivò al piano di sopra la vide immediatamente, era vicino ad una degli enormi finestroni e guardava fuori. “Non pensavo che ti piacessero gli Avenged Sevenfold” Alice sussultò sorpresa e si girò di scatto. Si era un po’ ripresa da quando erano tornati. Il dolore alla gamba e alla schiena erano passati, ma aveva ancora il collo bendato e le ferite avrebbero lasciato delle brutte cicatrici. Pronunciò una parola in Antico e la musica finì. “Ah, ehm sì. Li sento parecchio- si guardò intorno un po’ persa- Volevi qualcosa di particolare, Maggiore?” “No, niente. Passavo … ti sei sistemata bene qua sopra” Alice passò in rassegna le sue cose. Le finestre erano state abbellite da leggere tende che in quel momento svolazzavano leggere nella corrente, c’erano tre grandi schermi olografici, uno che rappresentava lo spazio limitrofo al pianeta, uno la terra ferma e più precisamente uno dei suoi tredici deserti e l’altro mostrava le immagini portata da casa dalla ragazza- parecchie cose me le hanno date i Drunyaiani e molte sono degli ibridi tra la nostra tecnologia e quella degli antichi” Alice distolse nuovamente lo sguardo e lo concentrò sulle immagini. Sheppard fece un grosso sospiro: “Ok senti, io non sono bravo con queste cose dei sentimenti, ma so che non ti fa bene stare qui dentro reclusa a studiare. Sei un membro della mia squadra e so che il modo migliore per affondare la paura e ributtarsi in mezzo alla mischia …” “Non ho paura” “Cosa?” “Non ho paura, ho detto- riportò l’attenzione su di lui- io non sto qui dentro perché temo i Wreit, certo sono terrorizzata al pensiero di rincontrarli, ma non è per questo” “E allora?- vide che faceva per ritrarsi, ma la fermò- dimmelo, che cosa vuoi che cambi?” lei fece spallucce “La vostra opinione di me immagino, o così dice la psicologa. Non voglio che sappiate che sono stata io … io a far morire il piccolo Xavolupa” calde lacrime le scivolarono giù, finalmente. La psicologa aveva tentato più di una volta a rompere quella barriera di calma con cui si era circondata e adesso erano bastate le domande di un assai impacciato Sheppard in una veste inusuale e che gli stava parecchio scomoda. Non fece nulla per consolarla, non l’abbracciò, non le mise le mani sulle spalle, nè la confortò con dolci parole, tutt’altro aggrottò le sopracciglia e sbottò: “Ma sei scema?! Forse ti sei dimenticata che stavi per rimanerci anche tu le penne? La colpa è di quegli esseri, di quei cosi!” Alice scosse la testa mentre il pianto si faceva sempre più forte: “No, John! Io ero l’umana! Io ho una morale! Io sono stata cresciuta con l’idea che i bambini devono essere protetti ad ogni costo! Loro sono ciò che sono. Ma quando mi ha chiesto se volevo morire, io non ho pensato che a me stessa. Era un bambino.” Sheppard chiuse gli occhi per un attimo cercando le parole migliori per spiegare come funzionava la guerra e la mente umana in essa: “Alice, tu non hai spinto Xavolupa a morire al tuo posto. Tu hai avuto la reazione che avrebbe avuto chiunque. Se anche avesse preso te per prima, il bambino sarebbe morto comunque” “No tu saresti arrivato” lui fece un triste sorriso “No, non l’avrei trovato” la guardò un attimo in volto mentre lei scrutava il pavimento. Era ancora pallida ed era dimagrita in quei giorni. Aveva le occhiaie intorno agli occhi che erano arrossati per l’eccessivo sforzo. Non era certo un bello spettacolo. “Dormi?” lei annuì “Sì, il Dottor Beckett mi ha dato dei sonniferi.” le alzò il mento e la fissò dritto negli occhi. Se fossero stati in un film questo sarebbe stato il momento in cui l’eroe bacia l’eroina affranta, l’avrebbe presa tra le braccia e consolata, per poi avvicinarsi alla finestra, investiti dalla luce del tramonto per poi far comparire la parola fine. “Hai due occhiaie spaventose sotto gli occhi e hai il viso che sembra quello di un fantasma. Riposati. Domani sarai pronta alle otto zero zero. E se non ti presenterai di tua spontanea volontà, giuro che ti vengo a prendere di persona, che tu sia vestita, in pigiama, in mutande o nuda. Adesso voglio che tu spenga tutto e ti metta a letto. Tò leggiti questo, mi sembra un mattone- prese uno dei libri dalla pigna che vedeva su un tavolino- e poi dormi” Decisamente non erano in un film.
Comunque fosse, il giorno dopo Alice si presentò alle otto in punto.


*Purtroppo non mi visualizzava le lettere greche




 

Arrivederci al prossimo capitolo …

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Capitolo 11
*** XI capitolo: Scambi ***


Sono veramente mortificata! Sono in ritardissimo! Ma ho avuto tantissimo da studiare, chiedo perdono. So che questo capitolo non è molto ma ho deciso di pubblicarlo prima, nel caso dovessi fare ancora tardi. Leggetelo e fatemi sapere com’è. Chiedo anche scusa perchè mi sono accorta che il precedente capitolo conteneva qualche errore di battitura





Capitolo XI: Scambi

“Siete pronti?” I due risposero affermativamente. Sheppard ed Alice erano per l’ennesima volta seduti sulla sedia di controllo per l’ennesimo esperimento di McKay per riattivare le funzioni base della sedia usando il generatore solare degli Antichi che in quel momento contribuiva ad alimentare la città. Rodney era proprio accanto a loro con il suo fedele tablet in mano “Allora, se i miei calcoli sono giusti, e ovviamente lo sono, dovremmo riuscire ad attivare la sedia. Zelenka iniziamo con il 2% di potenza. Questa volta non dovrebbe saltare tutto” Radek lo guardò dubbioso da dietro gli occhiali “Sei sicuro? Guarda che mi sembra una mossa alquanto azzardata” McKay si voltò on sufficienza “Non mi aspetto che tu capisca questo procedimento complesso, va ben al di là delle tue capacità. Se IO dico che funziona, vuol dire che funziona” John e Alice si guardarono con aria preoccupata. Il primo disse: “Se c’è anche la minima possibilità di errore l’esperimento salta” Rodney lo rimise al suo posto “Andrà tutto bene. Zitti e concentratevi”
Fu data potenza “Bene, molto bene. I valori sono stabili, la sedia sta accumulando potenza. 10% Radek” L’energia aumentò e una spia rossa illuminò il monitor “Rodney, qui ho fluttuazioni per niente convincenti, dobbiamo staccare tutto” Un’espressione a metà tra lo sconfitto e lo stizzito si dipinse sul volto dello scienziato “E va bene, stacca tutto. È ovvio che questa idea non funziona. Allora vuoi staccare prima che vada tutto in fumo?!” “Va bene, va bene. Calmati, però”
L’energia fu tolta e la sedia si disattivò. I due che erano compressi sul sedile stretto riaprirono gli occhi confusi. Iniziarono a tastarsi il corpo a guardarsi le mani per poi voltarsi l’uno verso l’altro disperati. Quando le due paia di occhi si incontrarono la comprensione si fece strada in loro. Per i due scienziati che li stavano guardando, senza perdere una loro mossa, la scena era alquanto comica. Con la bocca spalancata videro un imbarazzassimo Sheppard con le orecchie completamente rosse, impedire a una più che strana Satriani di allargarsi lo scollo della maglia per vedersi il seno. “Cosa diavolo stai facendo?” lei fece spallucce “Controllavo se la prima sensazione era quella giusta” Poi insieme si voltarono a fulminare con gli occhi McKay e Zelenka.

Elizabeth incrociò le braccia: “Ditemi cosa è successo” Si trovavano in infermeria per i controlli d’obbligo. “Allora Maggiore?” Alice, sdraiata sul lettino, incrociò le caviglie e si mise le braccia dietro la testa “Che cosa vuole che le dica…” La Weir si avvicinò con cautela “Tutto bene Alice?” Sheppard alzò la testa per guardarla negli occhi, grattandosi la guancia “Tutto bene, grazie. A parte la barba. Mi sta uccidendo!” Elizabeth si voltò di nuovo verso il corpo della Satriani e questo fece spallucce.
“Ok, Carson dimmi cos’hanno” Lui infilò le mani nella tasche del camicie “Dal punto di vista fisico, sono apposto. Attività cardiaca normale, l’elettroencefalogramma pure, a parte il fatto che sono scambiati” “Cosa?!” “Voglio dire che la coscienza, l’anima, i Chakra, il soffio vitale, insomma quello che vuole lei, si sono scambiati. Sheppard è in Alice e Alice è in Sheppard” Elizabeth si girò verso Rodney e Zelenka che avevano accompagnato i due in infermeria “Avete un’altra volta smanettato con qualche congegno degli Antichi?” Gli scienziati si guardarono un secondo tra di loro per poi rispondere all’unisono “Assolutamente no” “E allora?” Zelenka si ristemò ancora gli occhiali sul naso “Noi abbiamo una teoria” Rodney lo fermò “No, fermati. Non siamo sicuri che sia stato proprio quello” “Che cosa?- vedendo che McKay esitava- coraggio, ditemelo” Il genio canadese assunse la sua aria sostenuta di quando non voleva ammettere un suo errore “C’è … c’è la remota possibilità …- Elizabeth gli fece segno di continuare- di …” “Oddio Rodney- Zelenka lo interruppe e prese lui in mano la situazione- durante l’esperimento con la sedia abbiamo rilevato delle fluttuazioni anomale nel campo energetico. È possibile che la sedia percependo il pericolo per le due menti unite le abbia scollegate in fretta e abbia sbagliato i corpi” Alice-John chiese: “Ehm, come farete a riportarci indietro. Non è per mettervi fretta, ma le cose si stanno facendo alquanto imbarazzante e poi … Maggiore la finisci di toccare il mio corpo” “Io non sto toccando niente! Non mi fa certo piacere trovarmi nel tuo corpo- abbassò la voce- fosse almeno quello di una top-model” “Ti ho sentito, cafone”

Erano stati appena congedati dall’infermeria. Per il momento erano stai sollevati dal servizio attivo, ma potevano comunque continuare con le loro attività nella città. Alice procedeva spedita forte delle sue nuove gambe più lunghe e allenate. Sheppard le stava un poco dietro “Sai dovresti allenarti di più. Sono già stanco, il tuo corpo ha pochissima resistenza. Magari ci penso io intanto che sono qui dentro” La Satriani si voltò: “Non avrai intenzione di farlo vero!” Lui alzò le spalle “Perché no, tanto sono qui. Senti, dov’è che tieni i vestiti per il cambio? E anche tu dovresti farti una doccia, la mia intenzione era proprio quella, ma adesso devi farlo tu” Alice aprì la bocca sbalordita e diventò rossa. Oddio che imbarazzo, avrebbe voluto morire. Essere rinchiusa in quel corpo che non era suo. Non aveva neanche il coraggio di andare in bagno anche se la natura chiamava. Questa non era certo la sua idea del suo primo contatto stretto con un corpo maschile! Per non parlare del suo che sarebbe stato visto da Sheppard. Perché tra tutti proprio lui! “Coraggio, Alice. Non può essere così tremendo. Sei nel mio corpo, se fossi stata in quello di McKay, che avresti fatto? Non ti preoccupare, non mi imbarazzo”  “Ma io, sì!”  Lui alzò le spalle.
“La squadra del Maggiore Sheppard si presenti immediatamente nella sala dello stargate”
Arrivati allo stargate scoprirono che la squadra del Tenente DeTilly era tornata in anticipo dalla sua missione. La Weir lo interrogò sulle ragioni “Dottoressa, al mercato abbiamo incontrato una mercante che chiedeva del Maggiore Sheppard” “Chi era?” “Una certa Gloffa, ha detto che vi aveva già incontrato” John si mise le mani sui fianchi “Sì l’abbiamo incontrata su M569” Rodney intervenne: “Tratta alta tecnologia e gli abbiamo fatto capire che saremmo interessati alle sue fonti di energia” Fenimoore chiese: “Era quella con le orecchie enormi?” “No, Richard, è quella con gli occhi da triglia che ha affascinato tanto il nostro Maggiore” “Alice?” Lei sollevò le spalle “McKay e Zelenka ci hanno fatto scambiare i corpi” Rodney la fermò “Ehi aspetta un attimo, bambina. Io so perfettamente cosa …” Tutti iniziarono a parlare allo stesso momento. Tra chi accusava, chi si difendeva e chi chiedeva spiegazioni, era impossibile capire qualcosa. Elizabeth si mise in mezzo “Per favore. Basta. Silenzio!” Tutti tacquero e abbassarono la testa come tanti bambini imbarazzati per una birichinata. “Allora Tenente, cosa voleva la mercante” Questo le mostrò una foto “Mi ha detto che se vogliamo comprare questo, deve presentarsi il Maggiore in persona, o niente” La Weir guardò la foto “Ma questo è uno ZPM!” Rodney gliela strappò di mano “Oh, sì! È proprio lui! Finalmente” “Perché vuole vedere Sheppard?” Il Tenente disse che Gloffa gli aveva detto che visto erano andati così d’accordo la volta precedente avrebbero trattato bene anche questa volta. “Mi ha dato le coordinate del pianeta dove c’è il suo negozio”  “Cosa facciamo, Maggiore?” “Io direi di andare” Alice lo fermò “Aspetta, ti devo ricordare che sei nel mio corpo e io nel tuo?” “E allora? Lei non lo sa”

Cinque ore dopo si trovavano sul pianeta indicato da Gloffa e avevano questa proprio di fronte. Alice doveva ammettere che era proprio una bella donna o, quanto meno, era molto affascinante “Benvenuti, benvenuto John” Alice fece un sorriso imbarazzato “Ciao, Gloffa. Allora, saremmo interessati alla tua merce. Potremmo dargli un’occhiata?” Lei si appese al suo braccio “C’è tempo, John. Venite siete miei ospiti. Da questa parte” Li portò verso un edificio non molto lontano dallo stargate. Tutto intorno non c’era niente. John le chiese: “Perché il tuo negozio è situato nel nulla?” Gloffa gli lanciò un’occhiata inceneritrice: “Vedi ragazzina, io tratto merce importante. Non posso rischiare che mi venga sottratta. Qui il posto è sicuro e posso portare solo le persone di cui mi fido” Arrivati alla porta ed inserito il codice d’accesso “Prego dopo di voi” loro entrarono e una nuvola di gas li avvolse. Uno dopo l’altro caddero sul pavimento, svenuti.
Alice si riscosse e si trovò legata mani e piedi ad un grata. Davanti a sé aveva Gloffa “Ho bisogno del tuo aiuto, John”






-Najara: In effetti quelli del telefilm sono proprio orrendi, ma li ho voluti modificare per rendere le cose un po’ più interessati per quello che accadrà dopo.

-Borboletta: Avevo pensato di modificare il nome dei Wraith perché quando ho visto le puntate mi sembrava strano che si dessero un nome in inglese. Così ho traslitterato il nome come si pronuncia per renderlo meno “umano”. Però non penso che sia stata un’idea felice, tornerò al nome originale.

-Fairy84 e Thaleron: Vi ringrazio per aver inserito la storia tra i preferiti. Se voleste lasciare anche qualche commento sarebbero più che graditi.

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Capitolo 12
*** XII capitolo: La richiesta ***


XII capitolo: La richiesta

Alice spalancò gli occhi “E c’era bisogno che ci attirassi in una trappola e ci facessi perdere i sensi?! Gloffa, bastava chiederci aiuto. Se avessimo potuto farlo, lo avremmo fatto. Dove sono i miei compagni?”
Lei le si fece più vicina “Non potevo rischiare che mi dicessi di no. Gli altri sono al sicuro, per ora” Alice si guardò intorno. Di certo non erano nel negozio della donna. La stanza era formata da pareti di roccia bruna, tranne che per un lato, questo era costituito da grosse sbarre di ferro. Era in una cella! L’unica fonte di luce proveniva da una lanterna posta sul pavimento di terra battuta.
“Dove siamo?”
“Sottoterra, in una delle tanti basi della nostra organizzazione. Ascoltami bene, John. - si appoggiò con le mani alle ginocchia che Alice aveva tirato su- Quello che voglio è che tu ci porti con una navicella nel luogo che ti indicheremo. Dopo sarete tutti liberi e vi daremo anche la cella di energia che vi ho mostrato nella foto”
“Perché io?” Ed in effetti Alice si chiedeva proprio perché tutte a lei. Gloffa gli fece un sorriso seducente e gli spiegò:
“Tu sei l’unico che conosco che può pilotare una delle navette degli Antenati. Vi ho seguito dopo che ve ne siete andati la prima volta che ci siamo incontrati. Tu immagina la mia sorpresa quando ho visto comparire dal nulla la navicella. Sono venuta immediatamente a riferirlo. Finalmente qualcuno poteva utilizzare quella che avevamo noi. Ho girato per qualche giorno nella speranza di incontrarvi e poi ho visto quegli uomini con la tua stessa divisa” Maledetto Sheppard! Perché si era fatto abbordare da quella donna alla taverna! Forse era meglio dirle la verità?
“Se ti rifiuti o inventi scuse, io farò fuori i tuoi compagni, dopo ti taglierò quelle belle mani esperte e le userò per far funzionare la navetta- si sporse ancora di più fino a sfiorarle il viso- Cosa ne dici?”
No, dire la verità era una pessima idea. “Voglio vedere i miei uomini” Lei per tutta risposta tirò fuori un pugnale dallo stivale di pelle. Glielo pose davanti agli occhi. Alice poté vedere i riflessi della luce catturati dalla lama sottile, era talmente vicino che i suoi occhi, o meglio gli occhi verdi di Sheppard, si riflettevano sull’acciaio. Alice deglutì a fatica. Fissò per un momento quegli occhi. Non erano i suoi, ma nello stesso tempo lo erano. Era lei e allo stesso tempo non lo era. E va bene forse doveva giocare ad essere Sheppard con più convinzione. L’occhio destro riflesso si chiuse in un gesto di complicità.
Sollevò le sopracciglia e avvicinò di più il volto al pugnale e così facendo raggiunse quasi anche il viso della donna “Hai intenzione di radermi?”
Gloffa sorrise: “Sei proprio il mio tipo, John- abbassò la lama e tagliò le corde che gli tenevano legate le mani e i piedi- vieni, ti faccio vedere la navetta …” Non finì la frase perché Alice la prese per il colletto della camicia, la sollevò e la sbatté contro la parete di roccia, forte della sua nuova forza da uomo.
“Se mi uccidi, i miei compagni uccideranno i tuoi”
La Satriani strinse ancora di più “Lo faranno anche se ti prenderò in ostaggio? Adesso dimmi dove sono” Un dolore lancinante che partiva tra le sue gambe e si propagava per tutto il corpo le fece mollare la presa e piegarsi in due, portandosi le mani alla parte dolorante. In quel momento non sentiva assolutamente imbarazzo per quello che stava toccando, riusciva solamente a pensare a quel dolore orrendo. Se fosse stata veramente un uomo, avrebbe fatto attenzione a cosa facevano le gambe di Gloffa! Le tornò in mente Garcìa, il Capitano che si occupava dell’addestramento dei civili. “Se siete in difficoltà con un uomo, c’è un solo punto a cui dovrete mirare”. Adesso poteva capirlo bene.

Elizabeth camminava avanti ed indietro ormai da un quarto d’ora. Stavano aspettando notizie dalla squadra che era andata a cercare quella di Sheppard, che ormai era in ritardo di ben sei ore.
Lo stargate si aprì e lei si precipitò giù ad accogliere gli uomini.
“Allora? Notizie?”
Il Capitano scosse la testa “No, il negozio era chiuso e dentro non c’era nessuno. Non ci sono tracce e se hanno passato lo stargate non c’erano indizi su dove fossero andati. Però ho portato il cristallo di controllo come mi aveva chiesto”
“Grazie, Capitano. Lo porti da Zelenka e appena avrete la lista dei pianeti organizzate delle squadre ed iniziate le ricerche”
“Sì, signora” Si ritirò in fretta lasciando una Weir sempre più preoccupata per i suoi uomini dispersi.

Era stata bendata e adesso veniva trascinata lungo dei corridoi. Non le avevano detto dove la stavano portando, semplicemente Gloffa era entrata un paio di ore dopo la loro conversazione con degli uomini completamente coperti che l’avevano tenuta ferma mentre lei le metteva un pezzo di stoffa scura sugli occhi.
Spesso la spintonavano per farla andare più veloce, sempre le tenevano una mano sulla spalla per impedirle di deviare. La situazione stava diventando alquanto frustrante. “Sentite. Facciamo un po’ di conversazione. Che ci fate qua sotto? E quanti siete?” La voce di Gloffa la raggiunse alla sua destra:
“Questa base non è più sicura, partiremo tutti insieme.- non aveva risposto alla sua domanda- Per quanto riguarda a cosa facciamo qui, diciamo che non siamo completamente d’accordo di come i nostri governi trattano la questione con gli Sterminatori”
“Intendi i Wreit?”
“Esattamente. Ci sono altri modi per porre fine alla guerra e tu ci darai una mano in questo”
“Intendi dire che avete trovato un’arma o una cosa del genere?” L’unica risposta che ricevette fu una risata.
Si fermarono e la Satriani sentì digitare un codice e poi l’aprirsi di porte metalliche, immediatamente dopo percepì che lo spazio si faceva più grande, l’aria non ristagnava più e non c’era più l’eco. Dove diavolo l’avevano portata?! La benda le fu tolta e quello che si trovò davanti fu un hangar che conteneva molte navi di diversa fattura e provenienza. Si girò a guardare Gloffa furente:
“A che gioco giochi? Qui avete navi per portare via un esercito! Non avete bisogno di quella degli Antichi e quindi neanche di me!” Involontariamente si portò in avanti, ma fu bloccata dagli uomini incappucciati.
“Tranquillo. Il motivo per cui ci serve la navetta degli Antenati e quindi tu, è il fatto che il luogo dove dobbiamo andare non consente l’accesso alle navette di altro genere se non queste”
Un deposito militare degli Antichi! Solo quel genere di struttura impediva l’ingresso alle altre specie. Allora forse era vero che avevano trovato un’arma per combattere i Wreit!
Venne spinta in avanti.

Lo stargate si aprì per quella che ad Elizabeth sembrava la millesima volta. Luke, l’ingegnere alla consolle di controllo la chiamò: “Dottoressa, è il codice del Maggiore Sheppard!” Si precipitò giù dalle scale ed arrivò in tempo per vedere Rodney, Fenimoore e il momentaneo corpo di Sheppard varcare il cerchio. “Allora che è successo? Dov’è Alice?” John si mise la mani sui fianchi. Era furibondo “Dov’è? Lo vorrei sapere anch’io! Siamo caduti in una trappola! Ci hanno portato su un pianeta sconosciuto e ci hanno mollati lì. Con noi non c’era più né Alice né mio corpo! Ma lo giuro, la prossima volta me la lego con la fune da arrampicata. Vedremo se riesce ancora a staccarsi da noi” Erano in condizioni orribili, bagnati fino al midollo e completamente sporchi di fango.
Dieci minuti dopo Rodney e Fenimoore erano nello spogliatoio maschile e si stavano spogliando per entrare nei box della doccia. La porta che sbatteva violentemente li fece sobbalzare e voltare.
John era furioso. Si era fatto infinocchiare come un poppante e aveva lasciato indietro un uomo. Anzi non un uomo, aveva lasciato indietro Alice! I suoi pensieri erano ancora più burrascosi delle sue maniere: “Non dovevo fidarmi di quella puttana!- aprì violentemente il suo armadietto- E quell’altra? Chi sa dove sarà adesso quella ragazza! Deve sempre rendere tutto più difficile! - iniziò a spogliarsi per darsi una ripulita- Perché l’hanno presa? L’hanno scambiata per me! Bastardi!” Le sue maledizioni furono interrotte dalla tosse discreta di Fenimoore. Si voltò e solo allora si accorse che McKay al suo ingresso si era coperto il petto nudo con un asciugamano e che Fenimoore cercava in tutti i modi di non fissarlo. Si levò la maglietta: “Bhè, che c’è? Avete respirato troppo gas?”
“Signore, lei è nel corpo della Satriani” Il Maggiore sollevò un sopracciglio in una muta domanda
“Non penso che dovrebbe cambiarsi insieme a noi” Dio! Ci mancava solo questa. Prese un asciugamano e si diresse verso i suoi alloggi. Per i corridoi la gente rimase a fissare il corpo di Alice che marciava in reggiseno come se nulla fosse.

Alice era davanti alla consolle della navetta. Le avevano permesso di fare un controllo delle funzioni, e per questo la navicella doveva essere chiusa. Si girò per controllare il compartimento sul retro, non c’era nessuno. Anche se non poteva decollare ed andarsene, almeno poteva inviare un messaggio ad Atlantide. Attivò il pannello delle comunicazioni. Impostò il messaggio sub-spaziale ed inserì le coordinate. Presto sarebbero arrivati gli aiuti. Nel preciso istante in cui Alice inviava il messaggio un errore fece cadere la connessione e il portellone si aprì.
“Cazzo!”
“Credevi davvero che ti avremmo permesso di avvisare i tuoi amici? I miei scienziati non potranno pilotarla ma sanno come fare a disattivare un comunicatore. Ah, ti volevamo ringraziare anche per questi gioiellini, sono veramente magnifici.” Le mostrò i loro Traduttori miniaturizzati. Zelenka era riuscito a riprodurre la tecnologia dei Drunyiani e a miniaturizzarla.
“Siamo pronti per partire?”
Doveva tirare per le lunghe finché non le veniva un’altra idea. “Ehm, non proprio, devo ancora controllare …” Quattro figure coperte da lunghi mantelli entrarono nella navetta. Erano inquietanti, completamente nascoste com’erano. I cappucci celavano completamente il volto e anche le mani erano coperte da guanti. Uno dei quattro uomini le si fermò davanti e la guardò per momento ed ad Alice non restò altro che fissare quell’ombra a sua volta rimase. Una paura primitiva, come quella per il buio o per l’uomo nero, rischio di sopraffarla. La voce di quell’essere la scosse: “Non aspettiamo oltre, partiamo. Gloffa, tieni d’occhio il nostro navigatore. Nasconde più di quello che da a vedere”
“Sì, signore. Gli starò molto vicina, non si preoccupi”
Ancora paralizzata, Alice non toglieva gli occhi di dosso da quegli esseri. Quando se ne accorsero, quello che aveva parlato le fece un gesto con la mano di proseguire. Lei si girò, si collegò con la navicella e partirono.
Erano passate molte ore da quando erano decollati. Appena avevano lasciato il pianeta le avevano dato le coordinate e poi nessuno più aveva parlato. I quattro nello scompartimento sul retro si erano chiusi dentro, mentre Gloffa trascorreva il suo tempo trastullandosi con il coltello. Dopo aver controllato per la millesima volta la rotta, Alice decise che era stufa di quel silenzio “Non potresti dirmi qualcosa d’altro? Se avete trovato una soluzione definitiva, forse potremmo darvi una mano. Basta che avvisi i miei e loro ci daranno tutto il supporto tecnico di cui avete bisogno”
“Non abbiamo bisogno di nessuno- lanciò in aria il suo giocattolo e lo afferrò al volo- abbiamo tutto sotto controllo”
“I miei uomini quando li libererete?”
Lo lanciò un’altra volta “Sono già al sicuro”
“Cosa significherebbe: Sono già al sicuro?”
“Significa che li ho lasciati su di un pianeta qualsiasi. Se non hanno incontrato intoppi saranno già a casa. Non c’era motivo per portarsi dietro una zavorra del genere. Tu eri l’unico di cui avevamo bisogno”
“Mi hai mentito. Mi avevi detto …”
Lei si voltò verso di lei. “Cosa c’è John, ti stai annoiando?” si alzò e le si avvicinò strusciandosi contro come una gatta “Potremmo trovare qualcosa di più interessante da fare fino al nostro arrivo” Sedendosi sulle sue ginocchia, Gloffa notò il viso di quello che lei credeva Sheppard, farsi progressivamente più rosso. “Andiamo, l’altra volta non eri così timido mentre mi facevi …” Alice le pose una mano sulla bocca e con una mossa rapida la riposizionò sul suo sedile “Forse è meglio che ricontrolli il supporto vitale”

“Maggiore, sei ancora qui?” Erano le tre di notte e Sheppard se ne stava seduto nella mensa con i piedi su di un tavolo a trangugiare caffé. Rodney gli si accostò “Cosa ci fai qui?”
“E tu che ci fai qui?- poi vedendo il pezzo di crostata che aveva in mano- oh, calo degli zuccheri? Stai ancora lavorando?” Quello annuì, mentre si sedeva e iniziava a mettersi grossi pezzi di crostata in bocca. “Non ti preoccupare, Sheppard, la troveremo e vi rimetteremo nei vostri giusti corpi. Se no …”
Lui finì l’ultimo sorso di caffè “Se no dovremo imparare a convivere con il fatto di avere perso un altro compagno” Si alzò e lasciò McKay alla sua crostata.
“Ma io non ho mai perso nessuno!”

Aveva chiuso gli occhi per quello che le era sembrato solamente un minuto quando un allarme di prossimità la costrinse a riaprirli. Si rialzò nella poltrona e fece apparire sullo schermo la struttura. Aveva ragione, quello era un deposito militare degli Antichi. Tutto lo confermava, primo tra tutti il fatto che era occultata ai normali sensori ma non quelli ad ampio spettro delle navette antiche, poi le dimensioni, che erano incredibili, poteva benissimo contenere una flotta intera. Sì, forse là dentro si poteva trovare un’arma abbastanza forte da difendere la galassia.
I quattro uomini entrarono nella parte anteriore. “Attracca ed entriamo”. Le manovre di attracco non durarono che un paio di secondi.
E adesso di lei cosa ne avrebbero fatto? I cinque si prepararono a scendere. Gloffa le si avvicinò: “Bene, John, adesso aspettaci qui. Noi torneremo presto e poi ti daremo la tua cella di energia” senza darle il tempo di reagire l’attirò a sé e la baciò “Peccato non riuscire a conoscerci meglio”. Lasciò cadere una piccola palla di metallo ed uscì a passo di corsa insieme agli altri.
Probabilmente se fosse stata nel suo corpo non avrebbe avuto la prontezza necessaria per accorgersi che quello che aveva lasciato cadere Gloffa era una bomba, con il conto alla rovescia innescato, e precipitarsi fuori dall’abitacolo prima che il portellone stagno si richiudesse. Nonostante la rapidità l’onda d’urto era riuscita a raggiungerla prima che il deposito venisse nuovamente sigillato. Lo spostamento d’aria la portò a sbattere violentemente contro la parete di fronte. In lontananza sentì la risata cristallina di Gloffa fare eco all’esplosione.
A fatica si sollevò in piedi, doveva essersi incrinata qualche costola, perché il dolore allo sterno era troppo forte. Cercò la concentrazione per due secondi poi li seguì. Appena arrivata ad Atlantide e riacquistato il suo corpo, si sarebbe presa le ferie per almeno un mese!
Il deposito non doveva essere più stato utilizzato fin dalla guerra con i Wreit, millenni prima. Il supporto vitale era al minimo e i lunghissimi, spogli corridoi erano solamente illuminati dalle luci di emergenza, il che rendeva difficile respirare per il poco ossigeno e quasi impossibile guardare dove stava mettendo i piedi. Dopo un’ultima svolta riuscì a raggiungerli. Anzi, per dire la verità, a momenti li investiva. Ringraziando il cielo, riuscì a non farsi scoprire.
Si appiattì contro il muro e ascoltò con molta attenzione, mentre faceva attenzione a dove posava i piedi.
“Pensate, mio signore, che siano ancora tutti vivi?”
“Così dovrebbe essere, Gloffa. Ci avete servito bene, non appena riordineremo le cose nella galassia, tu e tutti gli altri sarete ricompensati. Riferirò io stesso alla regina i vostri servigi. È stato solo grazie a te che questa nave è tornata in nostro possesso”
“Grazie, mio signore”
Un terribile sospetto prese Alice, subito confermato quando si trovarono nell’hangar del deposito. Nascosta dietro una cassa, Alice guardò con assoluto sgomento l’enorme nave alveare che era chiusa lì dentro. Da sola occupava tutto lo spazio, non c’erano altre navi. L’aveva riconosciuta all’istante grazie al database degli Antichi. Non avevano trovato un’arma per distruggere i Wreit, ne aveva messi in circolo degli altri che a quanto pare erano determinati a dominare! Come aveva potuto Gloffa ei suoi compagni aiutare quegli esseri!
Un forte fischio l’obbligò a portarsi le mani ala testa, ma per quanto coprisse le orecchie, l’intensità non diminuiva.  Cadde in ginocchio, contorcendosi. Quel rumore le impediva qualunque movimento, qualunque ragionamento, era insopportabile. Quando pensava di non resistere più e che le sarebbero scoppiati i timpani una voce le rimbombò nel cervello: “Sei sopravvissuta. Sei un umano dotato di un dono straordinario. Ci rivedremo presto”
Impotente, un’altra volta, Alice guardò i cinque salire sulla nave madre, aprire l’hangar, attraversare il campo di forza e scomparire nello spazio.

“Comunicazione in arrivo”
Sheppard arrivò in quel preciso istante, aveva appena mandato la Weir a riposare “Sappiamo chi è?” Rodney scosse la testa, John gli fece segno di procedere
“Atl … de - la trasmissione era disturbata- ho … aiuto”
“Chi è?”
“Alice”
“Voglio il codice di identificazione, potresti essere stata compromessa”
Ci fu un attimo di silenzio. Per un nano secondo ebbe paura che avessero perso la connessione “Andiam … Maggi … non ric … do”
Senza dubbio era lei. “Ti uccido appena arriviamo lì”
“V … bene”

Quarantotto ore erano trascorse, quando Elizabeth si sedette al tavolo delle riunioni per ascoltare il resoconto sul deposito degli antichi. Alice e Sheppard arrivarono contemporaneamente. La Weir li salutò con un sorriso: “Fa piacere vedervi di nuovo nei vostri corpi”
“Già è bastato che ci rimettessero sulla sedia et voilà, tornati come nuovi. A parte che il mio corpo mi è stato consegnato in condizioni pietose”
Alice si stava massaggiando la schiena e gli lanciò un’occhiataccia. Avevano appena finito di discutere animatamente su cosa avessero fatto con i rispettivi corpi. In effetti tutta la base li aveva sentiti
“Allora, cosa abbiamo scoperto nel deposito”
Rodney attaccò: “Per la verità molto poco. Era praticamente vuoto quando l’hanno abbandonata. Più interessante, invece, il database. Abbiamo scoperto che la nave Wreit era stata catturata durante una ricognizione, quasi tutto l’equipaggio era ancora ibernato. Probabilmente un malfunzionamento nel sistema aveva impedito agli ospiti di svegliarsi. I pochi svegli si sono dati alla fuga”
“Questo non spiega perché quei Wreit l’hanno voluta a tutti costi”
Zelenka iniziò a parlare ma fu interrotto ancora una volta da McKay “Silenzio, Radek, sto piegando io. Molto probabilmente perché quella nave è modificata ed è forse questo che ha provocato il malfunzionamento. Quella nave è un ibrido di molte culture e tecnologie, forse qualcosa è non è del tutto compatibile. Adesso, facciamo una supposizione, se quei Wreit erano i sopravvissuti della nave …”
“Che portata hanno queste modifiche?” Rodney fissò i volti preoccupati dei suoi compagni
“Mi è impossibile dirlo. Forse potrebbero essere in grado di dominare la galassia o forse potrebbero esplodere al primo salto nell‘iperspazio. Senza vedere delle specifiche non posso dirlo”
La Weir fece un sospiro “Bene, abbiamo a che fare con dei nuovi Wreit decisi a sterminare tutti gli altri, con una nave che potrebbe essere la cosa più potente ma vista. C’è altro da aggiungere?”
“Hanno anche un seguito di umani fedeli”
“Ecco, grazie Rodney”
Alice si tenne per sé cosa le aveva detto il Wreit. Già troppe brutte notizie aveva dovuto comunicare.




Questa volta sono stata molto veloce, penso sia stato quasi un record personale! Fatemi sapere cosa ne pensate e se vorreste magari darmi anche qualche suggerimento sarebbero più che bene accetti.
Grazie a tutti quelli che hanno ancora la pazienza di aspettare i miei tempi lunghissimi. Cercherò di darmi una mossa. Ah, quasi dimenticavo! Ho voluto provare questa nuova grafica (cioè semplicemente vado a capo ad ogni discorso diretto) Spero che così sia un po' meno pesante da leggere.

Ciao 

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