La morte dell'anima

di 33NaLu33
(/viewuser.php?uid=1090566)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inizio ***
Capitolo 2: *** Fine ***



Capitolo 1
*** Inizio ***


 
This may be the last sunset I'll see
Questo potrebbe essere l'ultimo tramonto che vedrò
 
So I'll take it in, I'll take it in
Quindi lo terrò con me… lo terrò con me
 
This may be the last air that I'll breathe
Questo potrebbe essere l'ultimo soffio d'aria che respirerò
 
So I'll breathe it in, I'll breathe it in
Quindi respirerò… respirerò

 
Lucy provava un dolore talmente intenso da essere insostenibile; mai, in tutta la sua breve vita, aveva provato una sofferenza simile.
Dove mi trovo? Riuscì a pensare mentre il panico più primordiale e straziante la pervadeva, non sapeva se era giorno o notte, non si ricordava niente delle ultime ore e, mentre il terrore le serrava la gola impedendole di urlare, non riusciva a capire dove si trovasse.
A fatica riuscì però ad aprire un occhio vedendo, intorno a se, solo la più nera delle oscurità. L’aria era così rarefatta da essere quasi irrespirabile e mentre polvere mista a quella che sembrava cenere le bloccavano il respiro, lacrime di paura e dolore iniziarono a solcarle il viso.
Morirò qui si rese conto con una fredda consapevolezza sempre se non lo sono già.
I minuti passarono con una lentezza straziante riuscendo inspiegabilmente a calmarla invece che paralizzarla. Aveva tutta la parte inferiore del corpo bloccata sotto dio solo sapeva cosa ed era sicura che quello che le usciva dal fianco fosse il suo stesso sangue.
Non si sarebbe dissanguata però, quello che la immobilizzava inchiodandola a terra le impediva anche di morire.
 
Un miagolio poco lontano attraversò la cortina di dolore e spaesamento attirando immediatamente l’attenzione si Lucy. Un gatto… si chiese frastornata. Qui?
-Happy hai trovato qualcuno? –
Non riusciva a credere alle proprie orecchie.
Una persona?
Suoni di graffi fendettero l’aria come a voler dare un segno d’assenso. 
-C’è qualcuno? – l’urlo penetrò nella mente intorpidita di Lucy strappandole un singhiozzo.
-A… aiuto- pianse sentendo il panico tornare a montarle dentro. La parola però non riusciva a uscirle di gola –Sono… qui- riprovò ottenendo un suono rauco e ovattato.
-C’è qualcuno? – un secondo e più disperato grido seguì il primo.
-Ti prego… aiutami-
Con tutte le sue forze la ragazza si pretese verso la voce dello sconosciuto pregando affinché lui la sentisse. Lucy, in ventuno anni di vita, non aveva mai pensato alla sua morte, non si era mai soffermata davvero a pensare sul come sarebbe passata a miglior vita e a quello che ci avrebbe potuto essere dopo, eppure, adesso che era quasi al capolinea della sua breve esistenza si era resa conto delle infinite cose che non aveva ancora mai fatto e di quelle che evidentemente non sarebbe mai più riuscita a fare.
Non voleva morire.
Nessuno vuole morire singhiozzò tremando.
Non voleva morire… da sola.
-C’è…-
-Non c’è nessuno amico, andiamo- una seconda voce fece cadere Lucy nel terrore.
-No… vi prego… non ve ne andate. Io sono qui-
Non riuscivano a sentirla e lei non riusciva a raggiungerli. Chiunque fossero quelle persone se ne stavano per andare e per lasciarla di nuovo da sola nella più nera delle oscurità.
-Io. Sono. Qui-
I passi si stavano allontanando.
-Aiutatemi per favore-
Niente. Sono un assordante silenzio.
-AIUTO! –l’urlo le uscì finalmente dalle labbra bruciandole la gola. Era allo stremo della forza e del dolore conscia di non avere ancora molto tempo.
-Sono qui- mormorò ingoiando le sue stesse lacrime. –sono… qui…-
I secondi successivi sembrarono durare minuti… addirittura ore. Il tempo intorno a lei sembrava aver deciso di rallentare a dismisura.
Lucy stava per arrendersi quando un movimento di pietre spostate e lasciate cadere sopra di lei le ridiede speranza.
Mi hanno sentita pensò la ragazza piangendo convulsamente questa volta con il cuore che le batteva martellante nel petto. Non morirò da sola.
 
Un urlo di puro dolore fendette l’aria quando ciò che teneva Lucy imprigionata penetrò più in profondità nella sua carne.
-Sto arrivando- gridò lo sconosciuto riuscendo ad aprire un varco in quelle che, grazie alla poca luce filtrante, sembravano le mura crepate e distrutte di casa sua.
In un attimo tutto tornò alla mente di Lucy. La sera passata con la sua migliore amica e coinquilina Juvia: loro due sedute sul divano, con i pop corn in mano e la commedia alla tv.
Avevano guardato il film, avevano riso, verso le una erano andate a dormire e poi…
-Juviaaa
Dov’era?
-Juvia! – urlò Lucy più forte. La gola le faceva malissimo, era come se qualcuno le avesse infilato un attizzatoio ardente in bocca e glielo avesse spinto giù fin nella trachea.
Devo trovarla… Devo…
Due uomini scesero dall’apertura venutasi a creare nella stanza e non appena toccarono terra, facendo attenzione ai detriti sparsi sul pavimento, si precipitarono nella sua direzione. Il chiarore del giorno che penetrava dal buco sul muro le permetteva di vederli. Il primo aveva dei singolari capelli rosa e dei preoccupati occhi verdi, il secondo aveva i capelli neri come la pece e i occhi azzurri. Erano molto diversi tra di loro eppure entrambi portavano la stessa divisa.
Poliziotti si rese conto Lucy.
-Juvia- pianse la ragazza terrorizzata per la sorte della sua migliore amica –per favore andate a salvarla-
-Dov’è? – le chiese l’uomo dai lineamenti freddi e duri.
-Nella stanza…- Lucy si fermò a riprendere fiato –in fondo al corridoio-
Lui non aggiunse altro, si voltò e si diresse subito nella direzione indicata.
-Andrà tutto bene- la rassicurò l’uomo con gli occhi smeraldo.
-Non voglio… morire… da sola-
Parlare era iniziato a diventare difficile.
-Tu non morirai! -
La convinzione nella sua voce fece vacillare Lucy. Sarebbe sopravvissuta?
-Tra un attimo arriveranno i paramedici e ti libereremo-
 
Per la prima volta da quando la luce era tornata Lucy trovò il coraggio di guardare in basso. Non appena lo fece il fiato le morì in gola alla vista del suo stesso corpo: i detriti del soffitto le aveva bloccato il busto e le gambe mentre un pezzo di trave le fuoriusciva l’addome.
Oddio.
-Come ti chiami? – la richiamò il poliziotto inginocchiandosi accanto a lei.
La ragazza dovette soffocare il terrore prima di poter rispondere con voce tremante: -Lucy-
-Lucy…-  disse fissandola dritto negli occhi –tu non morirai-
Avrebbe tanto voluto crederci.
 
L’altro uomo tornò con un incosciente Juvia tra le proprie braccia. Lucy non vedeva sangue ma dal modo innaturale in cui pendeva il suo braccio sinistro intuii che doveva essere rotto.
Sta bene provò a convincersi mente un innaturale sensazione di freddo le penetrava nelle ossa. Se la caverà!
-Natsu! –
Urla di altre persone raggiunsero le sue orecchie.
-Siamo qui! – gridò in risposta l’uomo dai capelli rosa segnalando la loro posizione.
In un attimo una donna dai capelli rossi si fece largo tra le macerie, anche lei era in divisa, molto probabilmente il capo dal modo in cui dava ordini.
Lucy fu avvolta da un forte torpore mentre guardava i poliziotti e i paramedici liberare Juvia. Alla vista della sua migliore amica salvata sorrise mentre una sensazione di sonnolenza piombava su di lei.
 
-Natsu? – lo chiamo Lucy con le palpebre pesanti.
-Tra un attimo sarai salva- la rassicurò lui dandole coraggio –non preoccuparti-
-Potresti… tenermi la mano? –
La sua voce era flebile e roca, appena udibile.
-Devo aiutare gli altri a liberarti- si oppose gentilmente sorridendole. Era così dannatamente rassicurante che per un istante, un singolo secondo, lei credette alle sue parole.
-Ti prego… - insistette mentre un’ultima lacrima le solcava, solitaria, la guancia ormai senza colorito -tienimi la mano-
Lui la guardò negli occhi velati di dolore e lacrime e intreccio le dita alle sue.
-Grazie-
 
-Devi rimanere sveglia- la riscosse lui con voce grave.
Lucy avrebbe tanto voluto fare quello che lui le chiedeva ma il vortice di sonno e freddo la stava già risucchiando.
-Potresti…-
Le parole si impastavano, si ingarbugliavano tra di loro non volendo uscire e lei era sempre più stanca.
-Potresti – ritentò con l’ultimo briciolo di forza e lucidità che le rimaneva in corpo –prenderti cura di Juvia almeno per un po’? –
-Andrà tutto bene- disse stringendole forte la mano –sarai tu stessa a…-
-Per fa…-
Il fiato le morì in gola.
Le palpebre si chiusero e l’oscurità l’avvolse.
Si sarebbe mai risvegliata?
L’ultima cosa che sentì fu un: -Ti prego. Non morire-

 
Grab my hand, I'm drowning
Tienimi la mano, sto annegando
 
I feel my heart pounding
Sento il mio cuore palpitare
 
Why haven't you found me yet?
Perché non mi hai ancora trovato?

 
 



 
Angolo autrice:
Lost in the moment
Trauma

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Fine ***



Where is the real me?
Dov'è il vero me?
 
I'm lost and it kills me
Sono perso e questo mi uccide
 
Inside
Dentro
 
I'm paralyzed
Sono paralizzato
 
 
Juvia non sapeva cosa fare. Dove andare. Con chi parlare.
Era seduta su una panchina poco fuori dall’ospedale e fissava l’erba verde da così tanto da aver perso la cognizione del tempo. Disperata posò la testa sull’unica mano sana. L’altra gliel’avevano ingessata due giorni prima.
Due giorni prima…
Nell’arco di quarantotto ore aveva parso tutto. La sua amata casa, il suo amato lavoro, la sua migliore amica.
Cosa rimane a Juvia?
Non le rimaneva nulla. Né un posto dove tornare, né qualcuno con cui parlare. Non riusciva a pensare. Non riusciva neppure a capacitarsi che quella fosse la realtà.
La cruda e crudele realtà.
Lucy non sarebbe venuta a svegliarla. Lucy non sarebbe venuta a prenderla. Lucy non l’avrebbe abbracciata e non le avrebbe detto che sarebbe andato tutto bene.
Era andata a dormire ma a svegliarla non era stata la sua migliore amica. A svegliarla era stato il dolore. Così tanto dolore… alla testa, al braccio, all’anima. Aveva capito subito che qualcosa non andava. Aveva capito subito che era rimasta da sola al mondo, ma si era rifiutata di crederlo.
 
Seduta sul retro dell’ambulanza aveva guardato il poliziotto dai capelli neri, gli occhi di ghiaccio e la faccia sporca di sudore e polvere.
-Dovete andare a prendere l’amica di Juvia. Dovete salvare Lucy-
Lui non aveva detto nulla riguardo al suo modo di parlare. L’aveva guardata, fissa negli occhi e aveva scosso la testa.
-Mi dispiace. Non c’è stato nulla da fare per lei-
Juvia non capiva.
Che l’avessero già portata in salvo? Si. Si, doveva essere per forza così! In mezzo a tutto quel caos di urla e silenzio Lucy stava di certo bene.
-Juvia vuole parlare con Lucy-
Doveva vedere la sua amica, parlarle. Lucy doveva essere molto preoccupata per lei. Di certo la stava cercando. Stava sicuramente facendo il diavolo a quattro per trovarla.
Deve essere così.
Ma il poliziotto si inginocchiò di fronte a lei e le prese la mano sana.
Ti prego non dirlo lo aveva supplicato in silenzio. 
-Juvia? – aveva chiesto lui incerto.
Lei aveva annuito con gli occhi velati di lacrime.
-Mi dispiace molto Juvia. La tua amica è morta-
Di fronte a quell’innegabile verità era scoppiata in lacrime. E aveva pianto. Aveva pianto come non faceva da quando era bambina. Aveva singhiozzato tra le braccia di un perfetto estraneo mentre tutto il suo mondo si frantumava e cadeva in mille pezzi.
 
Il terremoto le aveva portato via tutto. Aveva fatto crollare i palazzi, con una forza distruttiva, in un domino che aveva ucciso la sua migliore e unica amica.
Juvia si sentiva in colpa. Perché lei era viva e Lucy no?
Perché lei era salva e la sua amica era morta sotto le macerie?
Perché? Perché?
Juvia se lo era chiesta così tante volte… aveva pianto così tante volte… ma poi aveva capito. Aveva capito che non c’era risposta a quel perché.
Aveva imparato che c’erano cose della vita che semplicemente non puoi controllare. Potevi solo raccogliere i pezzi e andare avanti.
 
Juvia si toccò il gesso e poi la testa. Se l’era cavata con un braccio rotto e un trauma cranico. Era stata fortunata. L’osso non era spezzato e il trauma non era grave. L’avevano tenuta sotto osservazione per quarantotto ore e poi… l’avevano dimessa.
Le avevano dato una busta di plastica con i suoi vestiti sporchi e logori, le avevano fatto un sorriso di circostanza e l’avevano lasciata da sola in balia del mondo intero.
Da sola.
Era completamente da sola e non sapeva che cosa fare.
 
Ore dopo era ancora lì. Non si mosse quando il freddo pungente prese il posto del tiepido caldo e non alzò la testa quando un uomo si sedette accanto a lei sulla panchina. Il sole era tramontato da un pezzo e l’unica fonte di luce proveniva dai lampioni che li circondavano. Juvia sapeva di essere da sola, indifesa e impaurita, ma non dallo sconosciuto. L’uomo accanto a lei ansimava ma l’unica cosa che la terrorizzava era il futuro.
-Accidenti che corsa- disse lui voltandosi verso di lei –Avevo detto a Porlyusica di chiamarmi quando ti avrebbero dimessa-
Chiamare per sapere di Juvia?  
Juvia lo guardò e a parte i capelli rosa non c’era nulla di particolare in quell’uomo. Se lo avesse incrociato per strada non si sarebbe girata a lanciargli una seconda occhiata.
Era confusa. Era spesata. C’erano momenti in cui il mondo sembrava impazzire in una corsa spericolata e altri in cui tutto sembrava rallentare di una lentezza devastante.
-Ma hanno così tanti pazienti che si è dimenticata- continuò a parlare l’uomo giustificando la dottoressa che l’aveva curata. 
Juvia però continuava a non capire.
Era in questa bolla e ogni suono che arrivava alle sue orecchie era ovattato.
-Io sono Natsu- si presentò lui.
Juvia distolse lo sguardo. Non afferrò la mano che Natsu le stava porgendo e non diede nemmeno segno di averlo sentito. Non era da lei ignorare le persone. Lei si faceva sempre in quattro quando poteva aiutare, ma qualcosa si era rotto. Qualcosa dentro di lei era andato in frantumi insieme al suo cuore. In una singola notte il crudele mondo le aveva insegnato una grande lezione. Una lezione che non si sarebbe mai dimenticata. Le aveva insegnato che nulla dura per sempre. Le aveva fatto vedere che le relazioni e le cose create in anni di dura fatica possono essere spazzate via in un singolo secondo.
Aveva perso tutto in un secondo e non le sarebbe bastata una vita intera per riavere indietro quella perdita. Niente avrebbe mai riempito il vuoto.
-Sono un poliziotto-
Juvia si voltò e guardò il distintivo che lui le stava porgendo.
Perché un poliziotto sta cercando Juvia?
Lei non aveva mai commesso un crimine in vita sua, non aveva mai preso nemmeno una multa.
-Vorrei che venissi a vivere con me-
Juvia lo fissò stranita ma non disse nulla, non ne aveva le forze. Rimase semplicemente lì indecisa sul da farsi. Natsu però riprese subito a parlare.
-Con noi ci sarà anche un altro uomo…- Il poliziotto si bloccò passandosi le mani tra i capelli. Era evidentemente frustrato –No. Così suona anche peggio-
Un breve silenzio calò tra loro ma di nuovo Natsu ripartì alla carica: -Io vivo con Gray. Lui è il mio coinquilino e anche un poliziotto. Lavoriamo insieme, e tu lui lo hai già conosciuto. È l’uomo che ti ha portata in salvo-
Lei quell’uomo se lo ricordava bene, molto bene, ma…
-Perché questo dovrebbe interessare Juvia? – chiese parlando per la prima volta in due giorni.
-Perché io voglio offrirti una casa e un lavoro. Puoi venire a vivere con noi finché vuoi e, se ti va, puoi aiutarci. Non fraintendere…- si precipitò a specificare –Non sarai una poliziotta ma puoi dare una mano con tutte le scartoffie che in questo periodo non abbiamo il tempo di compilare. Ovviamente verrai pagata!-
Lei abbassò la testa.
Perché sta aiutando Juvia? Perché tra tutte le persone bisognose di aiuto lui stava porgendo la mano proprio a Juvia?
Le si erano velati gli occhi di lacrime ma trovò la forza di guardarlo dritto in faccia.
-Perché?- chiese con un filo di voce.
Lui la fissò di rimando: -Perché l’ho promesso a Lucy. Ero con lei quando è morta e… -
Juvia non lo ascoltò più. Abbassò la testa e pianse. Pianse perché Lucy non l’aveva abbandonata. Pianse perché Lucy le stava mostrando la strada.
 
 
It feels like a tear in my heart
Sembra come una lacrima nel mio cuore
 
Like a part of me missing
come se mancasse una parte di me
 
And I just can't feel it
E io proprio non riesco a sentirla
 
I've tried and I've tried
Ci ho provato e ci ho provato
 
And I've tried
e ci ho provato
 
 
 




Angolo autrice:
Paralyzed
Can you hold me

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3896677