Una Famiglia nel Pallone

di Yuphie_96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fischio D'Inizio ***
Capitolo 2: *** Senza Numero 10 ***
Capitolo 3: *** La Figlia del SGGK ***
Capitolo 4: *** Attaccante in Erba ***
Capitolo 5: *** Niente Calcio per la Piccola Wakabayashi ***
Capitolo 6: *** Cambio Campo per il Portiere e... ***
Capitolo 7: *** Nuova Compagna di Squadra ***
Capitolo 8: *** Verde Smeraldo & Azzurro Cielo ***
Capitolo 9: *** Kaiser's Kiss ***
Capitolo 10: *** Captain Mamma ***



Capitolo 1
*** Fischio D'Inizio ***


Angolino della Robh: Kombawa a tutti! ~ ♥
Sono tornata, dopo tanto, a rompervi i palloni da calcio, lo so che sentivate la mia mancanza *sbatte le ciglia*.
Scherzi a parte xD, sono tornata con la storia che conclude il ciclo della mia serie sull'omegaverse!
Devo dire che questa cosa mi emoziona un po' *-*.
Ma passiamo al contenuto!
Dunque, invece che una shot, questa è una long, perchè stavolta ho deciso di fare più capitoli? Perchè (anche se con salti temporali) in questa storia viene raccontato un arco di diciotto anni, racchiuderli tutti in un'unica shot sarebbe stato tremendamente complicato da scrivere per me, e dannatamente noioso e lungo da leggere per voi, con più capitoli siamo tutti più contenti... credo O.o ... comunque! Gli aggiornamenti della storia saranno tutti regolari, di lunedì sera, perchè la storia è già finita... quindi dovrete sopportarmi per un po', abbiate tanta pazienza che vi do tanti bacini in cambio ~ ♥.
Adesso vi parlo di questo primo capitolo, dunque dunque dunque (cit. Gas Gas), se avrete impressione che sarà un po' veloce... avete ragione, effettivamente lo è, ma ho dovuto racchiuderci dentro tutti i mesi di gravidanza di Tsubasa, abbiate pietà xD.
Ah, soprattutto, non guardatemi male se mi riferisco a quest'ultimo con dei termini femminili... chiamarlo 'mammO' mi faceva troppo strano o.O .
Parlando della gravidanza qui sopra citata, invece, sono andata a fare delle ricerche (manco fossi stata io in dolce attesa O.o) e ho cercato di attenermi il più possibilie ad esse, anche se qui stiamo parlando di una gravidanza maschile invece che femminile, quindi se rimarrete perplessi da quello che leggerete, chiedete pure e risponderò tranquillamente nelle risposte ai commenti ^^.
Potrei finire qui per questo capitolo ma... voglio parlarvi anche di un pezzetto che non citerò per non fare spoiler subito, ma credo che capirete subito quale sia... prendetemela per buona per favore, so che non funziona così nella realtà ma per esigenze della storia ho voluto cambiare, spero che questa cosa non faccia stocere il naso a nessuno >.>'''.
Con questo concludo qui e vi lascio finalmente al primo capitolo, con la speranza che vi possa piacere anche solo un pochino ♥ .
Buona lettura a tutti ♥.


Ps: Ringraziate insieme a me Serè (♥), perchè senza di lei non avrei mai un titolo decente da inserire >.>''' .

 

L’infermiera alzò lo sguardo dallo schermo del suo computer, sorridendo si stiracchiò leggermente, godendosi quel silenzio calmo e tranquillo che regnava quella mattina per i corridoi dell’ospedale, sospirò beata, riportando lo sguardo sulle pagine aperte del pc, quello si prospettava essere un giorno assolutamente tran-
“TI UCCIDO!”
… Come non detto.
La donna rialzò immediatamente lo sguardo e si ritrovò davanti due alpha – abbastanza impanicati  – e un’omega – l’unica tranquilla della combriccola appena entrata in ospedale – che le comunicarono che il secondo omega dietro di loro – quello che stava urlando e prendendo a cuscinate il terzo alpha presente – doveva partorire.
“Faccio portare subito una barella, cercate di farlo tranquillizzare nel frattempo”
Disse l’infermiera alzandosi velocemente dalla sua postazione per poter andare a recuperare la barella e per informare i medici.
“Farlo…”
“… tranquillizzare?”
Chiesero in coro Kodai e Roberto, guardandosi perplessi e nel panico più totale.
“Beh, almeno ha smesso di prendere Genzo a cuscinate”
Fece notare Natsuko, giratasi verso il figlio non appena l’infermiera era scomparsa, portando anche gli alpha a girarsi per vedere come si era evoluta la situazione tra i due futuri – ma molto prossimi – genitori.
“Questa è la prima e ultima volta, mi hai sentito?! Osa solo pensare che mi farò mettere di nuovo in questa situazione e ti castro! Prima ti castro e poi ti uccido!”
Tsubasa fermò un attimo il suo sproloquio per lanciare un nuovo urlo di dolore mentre una nuova fitta – gli sembrava di essere lacerato da milioni di coltelli dall’interno – gli attraversava tutto il corpo, fermandosi ed espandendosi nel basso ventre gonfio.
“Ti odio! Mi hai sentito Genzo Wakabayashi?! Ti odio! Ti odio!”
Il portiere gli annuì, dandogli ragione - guai se avesse provato a fare il contrario, ci aveva provato a casa e si era visto lanciare contro una ciabatta -, facendosi stritolare il braccio senza fiatare.
Aveva il panico negli occhi, Genzo, la paura che gli scorreva nelle vene e l’ansia che gli stringeva il cuore in una morsa dolorosa che non credeva di aver mai provato in vita sua, nemmeno la prima volta che era sceso in campo come portiere, si girò a guardare qualche secondo Natsuko per chiederle – ancora – se stesse facendo tutto giusto, quella gli sorrise e alzò il pollice in alto, cercando d’incoraggiarlo.
Ci riuscì per 1 minuto circa.
Poi Tsubasa urlò nuovamente e Genzo sprofondò di nuovo nel panico, era normale che provasse così tanto dolore?!
Gli accarezzò la fronte sudata fradicia mentre arrivava la barella insieme a un paio di infermieri, che aiutarono l’omega a stendersi così da poterlo trasportare velocemente in sala operatoria, dove lo aspettavano i dottori.
Durante il percorso fino all’ingresso della sala, Ozora continuò ad urlare tutto il dolore che sentiva, certe volte imprecando contro il compagno – a cui si rifiutava di lasciare il braccio -, certe volte cambiando lingua – Roberto si promise di fare quattro chiacchere con Pepe, lui di certo non gli aveva insegnato frasi del genere! -, certe volte ancora urlando e basta.
Si era aspettato di provare dolore, ma neanche nei suoi incubi più nascosti immaginava di provarne così tanto e così intensamente!
“Chi entra con lui in sala?”
Domandò un infermiere, una volta che si furono fermati davanti alla sala.
“Natsuko!”
“Genzo!”
Dissero in coro Kodai e Tsubasa, l’omega urlò nuovamente subito dopo.
“Forse è meglio che ci sia tua madre con te, io non saprei cosa fa-“
“Una sola cosa devi fare, portiere del cavolo, non devi lasciarmi!”
Urlò Ozora strattonandolo per il braccio per farlo avvicinare alla barella.
“Ma-“
“Vai”
Gli sorrise Natsuko accarezzandogli una spalla, anche il capitano e il brasiliano lo incoraggiarono sorridendogli.
Era lui il futuro papà, toccava a lui.
“Non lasciarmi”
Mormorò ancora Tsubasa, scosso dall’ennesima fitta.
“Allora?”
Chiese l’altro infermiere, il tono faceva intendere che doveva decidere in fretta.
“Vengo io”
Disse, allora, Wakabayashi stringendo la mano che lo stritolava.
“Bene, venga con me da questa parte”
L’infermiere lo condusse verso un’altra stanza, prima di richiudersi la porta alle spalle fece in tempo ad osservare Tsubasa, in preda al dolore, che portava la mano tornata libera a stringere il maglione sul ventre, quel ventre che era cresciuto davvero tanto…
 

Il giorno dopo aver scoperto di quella gravidanza tanto inaspettata quanto gradita, i due compagni si erano recati nuovamente dal dottore – stavolta insieme – per poter sapere tutto quello che dovevano sapere.
“E’ piccolissimo!”
E per poter vedere il frutto del loro amore, ovviamente.
“E’ normale che sia così piccolo?”
Chiese Wakabayashi stringendo forte la mano del compagno, gli occhi di entrambi fissi sullo schermo che mostrava il loro bambino.
“Normalissimo, il signor Ozora è entrato da poco nel secondo mese, alcune parti del feto stanno iniziando a formarsi solamente adesso, per questo deve fare particolarmente attenzione alle infezioni”
Tsubasa annuì serio e la dottoressa sorrise.
“Volete le foto dell’ecografia?”
“Sì può?!”
Domandò Genzo illuminandosi.
“Ma certo”
Rise la dottoressa.
Il centrocampista accarezzò la guancia al portiere con la mano libera, anche lui sentiva la stessa emozione che stava provando l’altro – forse addirittura ne sentiva un poco di più, visto che quel piccolino stava crescendo dentro di lui -, ma oltre all’emozione sentiva anche un peso sul petto che doveva assolutamente togliersi.
“Dottoressa”
“Sì?”
“Posso prendere l’aereo?”

Doveva tornare a Barcellona.
Non poteva fare altrimenti.
Doveva parlare con il mister, doveva parlare con Rivaul e lo voleva fare di persona.
La dottoressa gli disse che sì, poteva prendere l’aereo tranquillamente, ma non poteva sopportare un viaggio lungo come quello da Tokyo a Barcellona, non avrebbe fatto bene né a lui né al piccolo nonostante Tsubasa fosse in ottima forma dal punto di vista fisico, così – quella sera, una volta tornati a casa – Genzo, Kodai e Roberto si erano rimboccati le maniche per lui.
Si erano messi tutti e tre insieme e avevano organizzato tutto il viaggio con scali ogni tre/quattro ore di volo per rientrare nelle raccomandazioni che la dottoressa aveva dato loro, nel mentre Natsuko suggerì alcuni trucchi al figlio per poter viaggiare meglio, tipo sedersi sul lato del corridoio così da potersi alzare ogni mezzoretta circa per poter sgranchire le gambe.
Preparato tutto quanto e salutato la famiglia, i due erano partiti ed erano arrivati nella capitale dalla Catalogna stanchi e spossati per il lunghissimo viaggio, ma tranquilli, sicuri di aver fatto tutto come avevano programmato.
Wakabayashi avrebbe voluto fare comunque un piccolo controllo, ma il calciatore preferì andare direttamente al campo degli allenamenti della sua squadra dove trovò Rivaul e i compagni – felici e stupiti di rivederlo lì così presto -, Tsubasa parlò in disparte con l’asso del Barcellona e con lui andò dal mister, lasciando Genzo con i suoi compagni di squadra che ne approfittarono per metterlo un po’ in porta.
Ozora spiegò anche al mister la sua nuova situazione e, facendo un profondo inchino, gli chiese di aspettarlo per due anni, allo scadere di questi avrebbero deciso nuovamente cosa fare.
Era richiesta assurda e pretenziosa ma il centrocampista ci teneva davvero tanto a quella squadra, alla sua squadra, aveva lottato per arrivare fino a quel punto e non riusciva a rinunciarci con facilità, non in quel momento almeno.
Il mister guardò prima lui, poi il suo asso – aveva chiesto il suo parere, e quello gli aveva risposto che lui avrebbe potuto aspettare Tsubasa per due anni tranquillamente e, nel caso, andare avanti anche senza di lui, ma sarebbe stato un peccato perderlo subito -, alla fine sospirò.
“Due anni”
Disse solamente.
Ozora s’inchinò nuovamente, ringraziando a gran voce, facendo sorridere leggermente gli altri due; scompigliandogli i capelli, Rivaul lo riportò dal suo alpha.

Rimasero in Spagna per una settimana per poter permettere a Tsubasa di sistemare alcune cose – prima tra tutte il suo appartamento – e per dargli il tempo di salutare per bene i suo compagni, gli sarebbero mancati molto in quei due anni, avrebbe continuato a fare il tifo per loro anche da lontano, poi partirono di nuovo, stavolta diretti ad Amburgo, dove l’omega si sarebbe trasferito per poter stare insieme al suo alpha, che non poteva nascondere di essere contento di averlo vicino, soprattutto in quel momento che stavano vivendo.
Ma tutti i sogni ad occhi aperti di Genzo vennero infranti, siccome dovette lasciarlo solo praticamente subito per riprendere immediatamente gli allenamenti, in vista di una partita contro il Bayern Monaco.
Partita a cui Wakabyashi aveva anche pensato di non partecipare, visto che coincideva con la prima visita che Tsubasa avrebbe fatto ad Amburgo, ma fu proprio l’omega a spingerlo a presentarsi, era importante per il centrocampista che almeno lui continuasse a giocare a calcio, così il portiere decise di giocare… ma magari era meglio se non lo faceva.
Troppo preoccupato e preso a concentrarsi su Ozora piuttosto che sul pallone che gli sfilava davanti, Genzo in quella partita subì molti più goal del solito, tanto che ad un certo punto fu sostituito, ma ormai il danno era stato fatto e l’Amburgo perse contro il Monaco.
“Senza offesa, ma hai fatto davvero schifo”
Commentò Kaltz una volta che rimasero soli negli spogliatoi.
“Lo so credimi, ma non riuscivo a concentrarmi…”
Mormorò Wakabayashi massaggiandosi la fronte qualche istante.
“Dici che è già tornato a casa? Quanto dura di solito una visita?”
Domandò poi, il biondo, cambiando l’argomento – era inutile girare il coltello nella piaga -.
“Dipende, soprattutto da cosa vedono nell’ecografia”
“Magari fai ancora in tempo per raggiungerlo”
“Non credo”
Disse Genzo tirando fuori il cellulare dal borsone.
Sgranò gli occhi vedendo un messaggio audio da parte del compagno, lo aprì immediatamente sentendo il cuore aumentare il battito per la paura che fosse successo qualcosa.
Un secondo battito, velocissimo, si unì al suo.
“E’…?”
Bisbigliò Hermann dopo qualche minuto di silenzio.
Il portiere annuì solamente con le lacrime agli occhi.
Quello era il battito del cuoricino del suo bambino, Tsubasa glielo aveva registrato durante la visita e glielo aveva mandato.
“Ma guardatelo, il portierone grande e grosso”
Ridacchiò Kaltz, andando ad abbracciarlo per le spalle mentre alcune lacrime gli sfuggivano e rotolavano giù per le guance.
“Possiamo dire che, almeno, non è stata una giornata da buttare”

Da buttare fu il terzo mese.
Con l’inizio di questo, iniziò anche il periodo delle nausee per il centrocampista.
Ogni mattina presto si alzava di corsa e andava a rimettere tutto quello che aveva nello stomaco, il portiere lo seguiva subito e gli accarezzava dolcemente la schiena e il ventre mentre rimetteva – tentando di dargli un poco di sollievo -, e lo riportava in camera in braccio ogni volta siccome Tsubasa era troppo spossato per tornare a letto con le proprie gambe.
Fu un mese lungo da sopportare, ma per fortuna, finì e con esso cessarono anche le nausee.

Alla visita del quarto mese fu comunicato loro che il bambino era abbastanza grande da poter riuscire a identificarne il sesso.
Così scoprirono che non stavano aspettando un bambino, ma una bambina.
Una piccola principessa, tutta da coccolare e viziare.
Pensò Genzo di notte, accarezzando il ventre del compagno mentre questo dormiva profondamente.
Gli sembrò di percepire un calcetto.

Al quinto il portiere pensò di morire per infarto.
Tsubasa non aveva molto da fare in casa – se non allenarsi quel poco che poteva e provare le ricette che la madre gli inviava ogni tanto -, così Genzo aveva pensato di portare a casa Kaltz dopo gli allenamenti per farlo distrarre un po’.
Al posto del compagno, però, una volta che arrivarono a casa, trovarono solo un biglietto dove Tsubasa aveva scritto che si sarebbe recato in ospedale perché si sentiva strano.
Il tedesco non riuscì a tenere a bada l’amico che corse come un matto in ospedale, arrivato lì non perse altro tempo e interrogò il dottore che – con un sorriso del tutto tranquillo – gli spiegò che non era successo nulla di grave, Tsubasa aveva solo esagerato con gli zuccheri e questo aveva fatto agitare la bambina.
Wakabayashi decise che, da quel momento fino alla fine della gravidanza, avrebbe nascosto i dolci ad Ozora.

Il sesto e il settimo li passarono nella tranquillità più totale.
Le visite andarono bene, la piccola era sana, forte ed era giunto il momento di sceglierle il nome.
Fu una scelta difficile da prendere, per aiutarsi fecero una lunga lista dove ne scartarono tanti ma ne tennero da parte altrettanti, chiesero anche dei pareri agli amici ma quelli non furono d’aiuto siccome ognuno ne scelse uno differente, pensarono anche di scegliere sul momento dopo il parto, ma Natsuko li sconsigliò, sarebbero stati presi da altro per poter pensare al nome giusto.
Alla fine, fu proprio la loro piccola a scegliere per loro.
Erano sul letto con una delle lunghe liste che avevano fatto e, ad un nome detto ad alta voce, Tsubasa ricevette un calcio degno di sua figlia – lo aveva fatto sussultare da quanto era forte -, Genzo gli disse ridendo che dovesse essere per forza il nome giusto per ricevere una reazione del genere.
I loro amici rimasero un po’ delusi dal fatto che non avessero scelto il nome che avevano suggerito, ma presero tutti la palla al balzo per poter iniziare a fare dei regali personalizzati per la bambina – s’iniziò con un completino mandato da Yayoi e Yoshiko, passando per i peluche di Taro, fino ad arrivare ad una magliettina della nazionale giapponese fatta fare da Roberto e Mikami -.

All’ottavo Genzo rischiò nuovamente l’infarto.
Tsubasa aveva deciso di tornare in Giappone.
All’ottavo mese di gravidanza.
Voleva farlo morire, evidentemente.
Il centrocampista gli spiegò che non voleva partorire non capendo niente di quello che dicevano i medici durante il cesareo, e se fosse successo qualcosa? E se il portiere non avesse potuto stargli accanto? Lui come avrebbe fatto a capire, non poteva mica chiedere ai medici di parlare in inglese in un momento come il cesareo, impegnati come sarebbero stati nel far nascere la loro bambina, Wakabayashi non poté ridire su nulla, ma non voleva comunque che il compagno affrontasse un viaggio del genere.
L’omega – complice anche i cambi d’umore sempre più frequenti – , però, non mollò la presa, e alla fine fu l’alpha a capitolare… dopo la quinta notte passata sul divano.
Il portiere passò letteralmente dei giorni d’inferno pieni di ansia e paura, nonostante Tsubasa lo chiamasse ad ogni scalo, nonostante i messaggi rassicuranti di Roberto – andato a prendere il suo pulcino per accompagnarlo a casa, siccome Genzo non poteva allontanarsi da Amburgo per via degli allenamenti –, che il brasiliano gli inviava per informarlo sulle reali condizioni del calciatore ad ogni partenza, nonostante le rassicurazioni che avevano ricevuto dal dottore sul far viaggiare Ozora, Genzo aveva una paura folle che succedesse qualcosa – qualsiasi cosa – al suo compagno e alla loro piccola.
Tirò un grosso sospiro di sollievo solo quando Tsubasa lo chiamò e, di sottofondo, sentì le voci di Jun – che aveva aspettato l’amico all’aeroporto per portarlo nel migliore ospedale che conosceva – e di Roberto parlare con il medico che li informava dell’ottimo stato di madre e figlia, farli stare fermi un giorno intero tra uno scalo e l’altro era stata un’ottima idea, ma li sconsigliava dal riprovarci una seconda volta.
Wakabayashi giurò che lo avrebbe ascoltato a costo di dormire vita natural durante sul divano.

All’inizio del nono mese, il portiere riuscì a raggiungere il compagno a Nankatsu.
Quel giorno, Natsuko aveva deciso di festeggiare l’Hinamatsuri* per la nipote, stava sistemando le bambole facendosele passare dal figlio seduto sul divano, quando la bambina decise che era arrivato il momento di nascere, nonostante mancassero ancora più di due settimane piene alla data di scadenza.
Per fortuna Genzo era arrivato il giorno prima.
 

Wakabayashi entrò di corsa nella sala operatoria e si avvicinò altrettanto velocemente ad Ozora, gli accarezzò la fronte fradicia, spostandogli i capelli bagnati di sudore.
“…Gen…”
“Sono qui”
Gli mormorò cercando di fare il miglior sorriso rassicurante che riusciva, nonostante fosse ancora nel panico più totale.
Stava per nascere sua figlia, d’altronde.
“Mi dispiace di averti trattato male, non volevo dire quelle cose”
Bisbigliò Tsubasa chiudendo gli occhi.
L’anestesia che gli avevano praticato mentre aspettavano il portiere aveva portato via tutto il dolore che aveva provato fino al momento prima, ad averlo saputo l’avrebbe chiesta appena entrato in ospedale.
“Tranquillo, ci vuole ben altro per offendermi davvero”
Rispose Wakabyashi baciandogli la tempia.
“Però avrei fatto a meno della ciabatta in faccia, lo ammetto”
Aggiunse, facendolo ridacchiare.
L’omega allungò una mano e l’altro gliela strinse, con l’altra continuò ad accarezzargli la fronte mentre in silenzio ascoltavano il dottore parlare con gli infermieri accanto a lui, dandogli direttive.
Sembrava stesse andando tutto per il meglio ma Tsubasa tenne ostinatamente gli occhi chiusi per tutto il tempo, aveva paura che aprendoli avrebbe scoperto una realtà diversa da quella che sentiva.
Li riaprì solo quando sentì un pianto forte e disperato esplodere nella sala.
Guardò Genzo sorridendo, l’alpha stava osservando i dottori, non appena scorse un esserino tutto insanguinato, tornò anche lui a guardare il suo omega negli occhi lucidi, un sorriso enorme sul volto.
“Congratulazioni, è una bellissima bambina”
Esclamò il dottore, poggiando la piccola ancora tutta sporca e piangente tra le braccia del calciatore, che la strinse delicatamente contro di sé, fregandosene del fatto che si sarebbe sporcato anche lui.
Non aveva importanza in quel momento, stava stringendo la sua bambina.
“Senti come piange”
Rise Tsubasa, nonostante avesse cominciato a piangere anche lui.
“Chissà che notti passeremo d’ora in avanti”
Disse Genzo, ridendo con lui e accarezzando piano la testolina alla figlia.
La piccola stava iniziando pian piano a smettere di singhiozzare, ma appena un’infermiera andò a prenderla dalle braccia della madre ricominciò a gran voce, come per protestare di essere stata allontanata da Tsubasa.
“Il papà vuole farle il primo bagnetto?”
Domandò la donna sorridendo.
Il portiere annuì vigorosamente, dando un casto bacio al compagno prima di raggiungerla.
Ozora lo osservò prenderla in braccio per la prima volta e allontanarsi verso il fondo della sala, si asciugò con calma le lacrime e tornò a chiudere gli occhi.
“Benvenuta Hime”
Bisbigliò sentendola continuare a piangere.

“Guardala come ride! Sono già il suo zio preferito!”
Urlò Taro tutto felice, stringendosi la piccola ridente contro il petto.
“La cosa non è valida, sei entrato portando un orsacchiotto gigante e glielo hai fatto vedere subito, è ovvio che ride adesso, l’hai corrotta!”
Protestò Hikaru accanto a lui.
“Siamo gelosi, per caso, Hikaru?”
“Ovviamente!”
“Non dovrei essere io, quello geloso?”
Li interruppe Genzo, seduto accanto al letto di Tsubasa che cercava di nascondere le risate con la mano.
Erano passati due giorni dalla nascita di Hime Wakabayashi, la piccola stava bene nonostante fosse nata prematura di un paio di settimane, anche il taglio del centrocampista non stava dando troppi problemi, madre e figlia avrebbero potuto lasciare l’ospedale tranquillamente il giorno dopo ma gli amici avevano voluto far loro una sorpresa, andando a trovarli in ospedale e portando vari regali, come ad esempio l’orsacchiotto gigante grande quasi come Misaki stesso.
Misaki che ignorò bellatamente il neo papà e l’amico di fianco a lui per concentrarsi sulla piccolina che aveva tra le braccia.
“Vero che sono io il tuo preferito? Vero, Hime?”
Chiese toccandole delicatamente il nasino, scatenando così delle nuove risate.
“Ascoltatela, già mi ama, Tsubasa posso sposarla quando cresce?”
“Qualcuno gliela tolga dalle braccia!”
Urlò Hikaru a quel punto.
“Arriva lo zio Ryo!”
Intervenne a quel punto Ishizaki prendendo Hime dalle braccia di Taro, facendo protestare quest’ultimo e facendo scoppiare a piangere la prima.
“Vedi come succede a togliermela dalle braccia?”
“Non ti rispondo perché ti voglio bene, Taro”
Lo scambio di battute tra i due fece ridere tutti quanti, Jun approfittò del momento per prendere la piccola Wakabayashi in braccio, siccome con Ryo non faceva che piangere disperata, facendo disperare così anche il difensore, ormai sicuro di non piacerle per niente.
Tra le braccia di Misugi la neonata si zittì immediatamente, i suoi occhioni verdi presero ad osservare con attenzione il viso del calciatore dal cuore di cristallo, il quale, sorridendo, le diede un piccolo bacino sulla fronte – osservato con attenzione da una Yayoi altrettanto sorridente -, prima di lasciarla a Wakashimazu.
Non potevano monopolizzarla tutti come aveva fatto Taro, anche se sarebbe stato bello farlo.
In braccio al portiere karateka, Hime allungò le manine nel tentativo di afferrargli i lunghi capelli, così Ken la cedette praticamente subito a Hyuga, il quale ghignò in direzione dell’artista del campo.
“Osserva e impara Misaki, tutti sanno far ridere i neonati, la vera sfida è farli addormentare”
Esclamò iniziando a cullare la neonata, dondolandosi su se stesso, come aveva fatto in passato con i suoi fratelli minori.
“Non potrei essere più d’accordo”
Concordò Tsubasa.
“Ehi, tu dovresti essere dalla mia parte! Siamo o non siamo la coppia d’oro?!”
Scoppiarono nuovamente tutti a ridere e Genzo decise di prendere in mano la situazione, alzandosi per andare a recuperare la figlia ormai addormentata tra le braccia di Kojiro.
Jun prese il suo posto vicino al centrocampista.
“Sembra ieri che ci hai chiamati per dirci della gravidanza”
“Lo so, questi mesi sono volati”
Mormorò Tsubasa.
Restarono qualche momento ad osservare gli altri, poi Misugi si fece serio, voltandosi verso l’omega.
“Nove mesi sono già passati, sei davvero sicuro di voler restare fermo per un altro anno?”
Ozora capì dove volesse andare a parare l’amico con quel discorso, eppure non perse il sorriso, continuò a guardare con dolcezza Genzo che teneva in braccio Hime e parlava con Morisaki, e disse di sì.
Non era mai stato così tanto sicuro in vita sua.

“Non è giusto comunque, è riuscito a farla addormentare solo perché è pratico, il suo preferito rimango io!”
“Taro, sappi che anche se non ti rispondo perché ti voglio bene, posso sempre picchiarti”



 

* L'Hinamatsuri è la festa delle bambole o feste della bambine che cade il 3 Marzo ^^.
In questa festa vengono esposte su delle piattaforme con un tappeto rosso delle bambole ornamentali che rappresentano l'imperatore, l'imperatrice, gli attendenti e i musicisti della corte imperiale con vestiti di corte del periodo Heian.
I famigliari delle bambine pregano affinchè venga data loro bellezza e salute, si pensa infatti, che tutta la sfortuna delle piccole possa essere passata alle bambole.
Grazie Wikipedia ~ ♥



 

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Capitolo 2
*** Senza Numero 10 ***


Stavolta l'angolino sarà a fine capitolo, ma volevo augurarvi lo stesso una buona lettura ♥.




 

Il colorito sembrava a posto.
Gli ingredienti erano giusti, misurati perfettamente.
I procedimenti scritti nella ricetta erano stati seguiti passaggio dopo passaggio.
Il gusto?
Tsubasa assaggiò leggermente con un cucchiaino.
“Non è come il curry che fa la nonna, ma possiamo accontentarci, no Hime?”
Almeno non aveva bruciato nulla come l’ultima volta, pensò l’omega dentro di sé.
“Ta-ta-ta-ta-ta-ta”
Gli rispose la figlia, continuando a gattonare spedita sul suo tappetino rosso sistemato per terra.
Sorrise, Tsubasa, prendendo quelle sillabe come una conferma da parte della bambina, poi gettò un’occhiata attenta alla sua piccola maratoneta, non ci teneva a ripetere l’esperienza di non trovarla più per tutta casa – lui e Genzo avevano pensato il peggio, fino a quando non l’avevano trovata addormentata sotto il tavolo della cucina -.
La piccola Hime aveva ormai 10 mesi, pensò spegnendo i fornelli per andare a recuperarla.
Non nascondeva che le prime settimane erano state dure, nonostante fosse un’omega non aveva mai pensato a quando avrebbe avuto dei bambini – il calcio era stato il suo solo pensiero per parecchio tempo –, ma Hime non poteva certo aspettare che recuperasse tutto quello che c’era da sapere, così si era ritrovato impreparato, da solo – erano tornati ad Amburgo dopo una settimana dal parto -, a gestire una neonata.
Non era stato facile – certi notti riusciva a dormire solo 2 ore anche se Genzo gli dava spesso il cambio -, ma osservare quegli occhioni verde smeraldo illuminarsi di gioia non appena incrociavano i suoi neri lo ripagava di tutte le fatiche fatte.
“Vieni qui, è ora del seggiolone”
Rise Tsubasa prendendola finalmente in braccio, la piccola però continuò ad agitare le gambe e le braccia, non riuscendo a stare subito ferma – era proprio sua figlia! -.
Baciandole le guanciotte paffute e morbide la mise dentro il seggiolone, dove presto sarebbe iniziata la battaglia per farle mangiare tutto il passato di piselli.
“Cerchiamo di non tirarlo in faccia a papà come l’ultima volta, va bene?”
Le chiese stringendole una manina.
Hime rise agitando le gambine, e Ozora capì che anche quella sera il compagno si sarebbe ritrovato con il passato tra i capelli.
Chissà se avrebbe avuto occasione di scattare una nuova foto… l’ultima che aveva fatto – quella con Hime che impiastricciava la faccia del padre con il passato di lenticchie – era diventata la foto profilo della chat di gruppo della nazionale.
Preso com’era a chiedere alla figlia di evitare di sporcare almeno i vestiti del portiere – non poteva continuare a fare lavatrici ogni sera! -, non si accorse della porta di casa che si aprì.
“Sono a casa!”
“Oh, è arrivato papà!”
Esclamò Tsubasa sorridendo e agitando la mano della figlia che rise.
“E ha portato un ospite!”
Continuò Genzo, entrando nel campo visivo del compagno, che sgranò gli occhi sorpreso, quando vide comparire accanto a lui anche Tatsuo Mikami.

“Mi spieghi perché solo a me tira addosso il cibo?”
Chiese, borbottando, Genzo al compagno mentre osservava la figlia mangiare tranquilla gli spinaci, imboccata da Mikami.
“Perché adora giocare con te”
Rispose Tsubasa continuando a filmare la scena.
“Adora giocare con me o prendermi in giro?”
“Una cosa non elimina l’altra”
L’alpha si chiese se anche il suo omega non lo stesse prendendo in giro in quel momento… sospettava che la risposta fosse affermativa… ma la sua attenzione tornò subito alla figlia che batté le manine contenta quando ‘nonno’ Tatsuo le fece i complimenti per aver finito tutto.
Tsubasa smise di filmare e andò a togliere Hime dal seggiolone, la tenne in braccio mentre Genzo spostava la seduta nell’angolo della cucina, poi la passò all’alpha che tornò a sedersi con la piccola in braccio mentre lui recuperava i piatti sporchi dal tavolo per metterli in lavastoviglie.
“Vedo che ormai siete organizzati bene”
Commentò Mikami sorridendo.
“Tsubasa ha trovato il giusto ritmo per tutti e tre”
Sorrise Genzo, accarezzando delicatamente la testa della figlia.
“Questo almeno finché la principessa non sconvolgerà tutto di nuovo”
Aggiunse Ozora, ancora intento a sistemare i piatti.
Mikami si lasciò scappare una piccola risata, osservando come Hime – incurante del fatto che la madre stesse parlando di lei – si godesse tranquilla le carezze tra i capelli del padre.
“Sono felice di sapere che state tutti bene”
“E’ venuto qui per questo?”
Gli domandò Wakabayashi sorridendo.
Non sapeva il motivo della visita del suo mentore e non era stato avvisato di essa, lo aveva semplicemente trovato ad aspettarlo fuori dal campo degli allenamenti dell’Amburgo, ma capitava che ogni tanto ricevessero delle visite per vedere come se la stavano cavando – neanche a dirlo il più frequente era Taro, ormai innamorato perso di Hime, che viziava la piccola con tutti i peluche possibili ed inimmaginabili che gli capitavano sotto naso -.
“Non solo”
Rispose l’uomo, diventando improvvisamente serio.
Genzo lo guardò interrogativamente mentre Tsubasa l’osservò qualche secondo prima di finire quello che stava facendo.
Poteva immaginare il secondo motivo per cui Mikami era lì...
“Sono venuto per parlarvi dei mondiali che ci saranno quest’anno”
“E’ già l’anno dei mondiali?”
Chiese stupito il portiere, tra gli allenamenti, le partite e Hime aveva perso la cognizione del tempo.
“Già… Genzo…”
L’uomo incrociò le braccia sul tavolo, diede una rapida occhiata all’omega che si stava asciugando le mani appoggiato ai fornelli, poi riportò lo sguardo serio sul suo allievo.
“Solo tu sarai convocato”
“…Cosa?”
Chiese Genzo smettendo di accarezzare la figlia, non sicuro di aver capito bene.
Tatsuo sospirò e Tsubasa decise di dargli una mano.
“Gen”
Chiamò, portando l’attenzione del portiere su di lui.
“Non sarò convocato nella nazionale per i mondiali”
Annunciò serio e con parole decise.
Wakabayashi sgranò gli occhi.

“Come puoi essere così tranquillo?!”
Domandò Genzo al compagno, guardandolo fare avanti e indietro per la stanza mentre cullava Hime tra le braccia.
“Come potevi pensare che non sarebbe successo, piuttosto”
Gli rispose Tsubasa, riprendendo poi a canticchiare la ninna nanna per la figlia.
“Beh sei… sei Tsubasa Ozora! Sei il capitano! Sei-“
“Sono fermo da quasi due anni”
Finì l’omega andando ad appoggiare la piccola nella culla attaccata al loro letto matrimoniale, le rimboccò per bene le coperte e le baciò la fronte, appoggiandole vicino Mambo, il peluche a forma di cucciolo di pinguino, il suo preferito tra quelli che le aveva regalato lo zio Taro.
“Cosa importa? Sei sempre un ottimo calciatore”
Obiettò il portiere, abbassando di molto il tono della voce per non svegliare Hime.
“Cosa importa? Genzo non faccio un allenamento serio da quando sono rimasto incinto, è impensabile che io possa affrontare tutte quelle partite e portarvi in finale”
“Puoi sempre recuperare in questi mesi”
“E chi baderebbe a Hime?”
“Possiamo… sì, insomma ci sono-“
“Vorrei ricordarti chi di noi due si è rifiutato di lasciarla al nido dopo averne visitato solo uno”
Lo interruppe Ozora, incrociando le braccia al petto e guardandolo con un sopracciglio alzato.
Wakabayashi arrossì, guardando altrove per un momento… - non era piaciuto nemmeno a Kaltz, se dovevano dirla tutta! -.
Tsubasa sospirò.
“Mettiamo anche caso che ti convinci a lasciamo Hime in un nido, non riuscirei comunque a recuperare tutto il tempo perso entro l’inizio del mondiale, neanche con tutti gli allenamenti  che potrebbe propormi Roberto, prova a fare due calcoli”
Lo invitò, andandogli vicino per accarezzargli la guancia.
L’alpha se li fece quei due calcoli, portandosi la mano del suo omega alle labbra per lasciare un bacio sul dorso, si parlava di recuperare 19 mesi di fermo in 4 mesi o meno, perfino per Tsubasa – che non si era mai risparmiato quando si parlava di allenamenti – era impossibile.
“Allora non parteciperò nemmeno io”
Decise Wakabayashi in pochi secondi.
“Spero che tu stia scherzando… avanti dimmi che scherzi…”
Mormorò Tsubasa sgranando gli occhi e allontanandosi di scatto.
“Non è giusto che sia solo tu a non partecipare”
“Ho deciso IO di stare fermo due anni per la gravidanza!”
Urlò a quel punto Ozora.
“E IO posso decidere di non partecipare ai mondiali!”
Urlò di rimando Wakabayashi.
Hime mise fine al litigio ancor prima che iniziasse veramente.
A causa delle urla dei genitori si era svegliata di soprassalto ed aveva iniziato subito a piangere spaventata, i due corsero immediatamente da lei e, mentre la cullavano per rassicurarla e farla tornare a dormire, decisero di mettere da parte l’argomento per quella sera.

Era tutt’altro che chiuso, però.

Continuarono a ritornarci sopra – e a litigare di conseguenza - per i due mesi seguenti: Tsubasa insisteva che doveva partecipare, non poteva sprecare quell’opportunità per una decisione presa sul momento, di contro Genzo insisteva che non era giusto che fosse solo il compagno quello non convocato, erano stati in due a fare una figlia e come Ozora aveva preso la decisione di stare a casa per la gravidanza prima e per potersi occupare di Hime dopo, lui poteva prendere la decisione di astenersi alla convocazione per star vicino al compagno e alla figlia.
Non riuscivano ad andarsi incontro, ognuno s’infiammava di rabbia per le parole dell’altro, riuscivano a calmarsi solo quando non erano vicini o quando Hime richiedeva entrambe le loro presenze.
Per lei decisero di stabilire una tregua, non potevano litigare anche il giorno del suo compleanno, dopotutto.
Il suo primo compleanno, per intenderci.
La loro principessa compiva un anno esatto, così testimoniava la candelina posta sulla torta e su cui soffiarono al posto suo.
“Avanti Hime, esprimi un desiderio!”
La incoraggiò Genzo, accovacciato di fianco a lei, accarezzandole con dolcezza i capelli neri.
“Vorrebbe tanto che il suo papà partecipasse ai mondiali, anche senza la mamma”
Mormorò Tsubasa, accovacciato sull’altro fianco della figlia, mentre le accarezzava la guanciotta.
I due si guardarono negli occhi.
Tsubasa lesse tutto il dolore che Genzo sentiva al pensiero che non avrebbero giocato fianco a fianco come sempre, e Genzo lesse tutto il desiderio di Tsubasa di vederlo portare avanti il loro sogno.
L’alpha sospirò.
“Come posso non esaudire il desiderio di mia figlia?”
Domandò capitolando – come succedeva sempre -, facendo sorridere il calciatore.
I due si sporsero sopra Hime per scambiarsi un leggero bacio riappacificatore, ma la piccola non gradì troppo essere ignorata e lo dimostrò sporcando le guance dei genitori con la panna che prese direttamente dalla torta.
“Questo lato bisognoso di attenzioni lo ha preso sicuramente da te”
Commentò Tsubasa.
Il portiere decise saggiamente di prendere la decisione di non rispondere… per non dargli ragione.

Ma se Genzo capitolò sulla convocazione, Tsubasa dovette capitolare su altro.

“Hime!”
Urlò Misaki correndo ad abbracciare stretto la piccola in braccio all’amico.
“Ehi, ehi, piano o mi cade”
Rise Tsubasa.
“Nessun problema!”
Esultò Taro, rubandogli la bambina dalle braccia e iniziando a riempirle di baci tutto il visetto ridente.
“Quella bambina prima o poi resterà traumatizzata”
Commentò Hikaru, guardando male l’amico, insomma Tsubasa e Hime erano appena arrivati e già aveva assaltato la piccola!
“Non so se finirà proprio come dici tu”
Ridacchiò Jun, indicandogli come adesso fosse Hime a riempire di bacini la guancia dello zio, facendolo gongolare.
Matsuyama si calò una manata sulla fronte, poi andò a recuperare Taro – che dovette per forza lasciare Hime di nuovo tra le braccia della madre – per l’orecchio e lo trascinò dentro l’albergo prenotato per il ritiro della nazionale, nonostante le proteste ad alta voce dell’altro.
Inutile dire che tutti gli altri, rimasti all’entrata, scoppiarono a ridere.
Il portiere aveva insistito con il compagno per farsi accompagnare al ritiro, ovviamente portando anche la loro principessa, al centrocampista non sembrava una buona idea – ma proprio per niente -, ma fu costretto a capitolare quando anche Mikami, mister della nazionale, diede il suo assenso alla loro presenza, dicendo all’omega che avrebbe potuto aiutare i suoi compagni anche dalla panchina accanto a lui, e Hime… beh la piccola, con la sua magliettina blu della nazionale, sarebbe stata un’ottima mascotte.
Così, eccoli lì, in mezzo a tutti gli altri convocati, i quali non sapevano ancora che avrebbero affrontato quel mondiale con un nuovo capitano, scelto proprio da Tsubasa, insieme a Mikami.
“E’ cresciuta tanto”
Commentò Hyuga, accarezzando i capelli neri della piccola che storse il nasino, andando a nascondersi di più nel petto del centrocampista.
“Sembra proprio che tu non le piaccia, esattamente come al papà”
Rise Ishizaki, godendosi il fatto di non essere l’unico a non rientrare nelle preferenze della bambina, la quale continuava – nonostante fosse passato un anno e qualche mese – a scoppiare a piangere non appena le si avvicinava.
“Non sopporta di essere circondata da troppi odori diversi, dopo un po’ ricerca il mio e quello di Genzo”
Spiegò Tsubasa accarezzandole la schiena.
Kojiro annuì e fece l’occhiolino alla bambina che lo sbirciò per qualche secondo, prima di nascondersi di nuovo nel petto rassicurante della madre, l’alpha rise ed entrò anche lui dentro l’albergo, portandosi dietro anche Ryo – ormai rassegnato -.
“La scelta rimane sempre quella?”
Gli domandò Genzo avvicinandosi dopo aver finito di parlare con Wakashimazu e Morisaki.
“Sì, ne sono sempre più convinto”
“Uhm… dovrei esserne geloso?”
Domandò il portiere passandogli un braccio intorno alla vita.
“Mi sa tanto di déjà-vu questa domanda”
Sorrise malizioso Ozora.
“A me non dispiacerebbe proprio ripetere il finale”
Ghignò l’alpha.
Uno strattone e due occhioni verde smeraldo calmarono all’istante i loro bollenti spiriti.
“Possiamo sempre lasciarla a Taro per un pomeriggio”
Propose Wakabayashi pungolando la guancia morbida alla figlia con l’indice.
“E correre il rischio di non riaverla più indietro?”
“Credevo fosse sottinteso che mettessimo Hikaru a fargli da guardia”

“Posso parlarti qualche minuto?”
Kojiro si girò stupito verso Ozora, che gli aveva posto quella domanda con un sorriso tranquillo in volto.
“In privato”
Chiarì subito dopo Tsubasa, sorridendo anche a Ken.
I due amici si guardarono qualche secondo perplessi – di solito l’omega non si faceva problemi a parlare davanti a tutti -, ma alla fine la Tigre gli annuì e insieme uscirono sul balconcino della sala dove tutta la nazionale aveva deciso di riunirsi per quella sera, così da potersi raccontare tutte le novità che ognuno stava vivendo.
“Hime?”
Domandò Hyuga appoggiandosi al parapetto con la schiena, osservando gli altri dentro.
“E’ tranquilla”
Sorrise Tsubasa, mettendosi nella sua stessa posizione e indicandogli un punto della sala.
Hime era seduta per terra in mezzo alle gambe del padre e cercava di ‘arrampicarsi’ sul pallone davanti a lei per riuscire a mettersi in piedi, ma quello continuava a sfuggire alla sua presa, facendola imbronciare, ricominciava a provare subito dopo una carezza sulla testa da parte di Genzo.
“Non dovrebbe provare con un altro sostegno?”
Ridacchiò l’alpha osservandola.
“Lasciala fare, è talmente testarda che ci riuscirà alla fine”
“Esattamente come la madre”
I due si sorrisero e tornarono ad osservare gli altri.
“Non sono stato convocato”
Esclamò Tsubasa, senza girarci intorno, dopo qualche minuto di silenzio.
Hyuga riportò gli occhi sgranati dallo stupore su di lui.
“E’ stato Genzo a insistere che venissi al ritiro con voi, il mister era d’accordo, ma non sono stato convocato, è normale dopo due anni di fermo, no?”
Continuò il centrocampista tranquillo.
“… Immagino… di sì”
Mormorò Kojiro.
“Ho parlato con il mister…”
Iniziò Tsubasa, serio, portando lo sguardo in quello dell’altro.
“… Vogliamo che sia tu il capitano”
“Ne siete sicuri?”
Domandò l’alpha dopo essere stato in silenzio a riflettere.
In risposta, l’omega portò la mano alla tasca dei jeans e tirò fuori la fascia da capitano.
“Tocca a te guidarli”
Gli disse serio, porgendogliela.
Kojiro tentennò qualche istante ma alla fine la prese.
“Non ti deluderò”
Promise a Ozora, stringendo forte il tessuto nella mano.
“So che non lo farai”
Gli sorrise Tsubasa staccandosi dal parapetto per rientrare dentro la sala, seguito subito dopo dall’altro.
Nella sala regnava il silenzio – si sentiva solo Hime che continuava con i suoi tentativi di mettersi in piedi -, mentre il suo compagno era impegnato a parlare con Hyuga, Genzo aveva parlato con tutti gli altri, alcuni se lo aspettavano mentre per altri fu una triste sorpresa, tutti però sentivano nel cuore l’amarezza di non poter giocare con il loro numero 10.
“Andiamo ragazzi, non è mica morto nessuno, sono sempre qui con voi come potete vedere”
Li riprese Tsubasa.
“Sarà un po’ come quando vi ho fatto da allenatore durante il nostro primo mondiale insieme”
Disse Jun cercando di risollevare il morale, l’omega gli sorrise grato.
“Sì… sì, sarà come quella volta!”
Iniziò a dire Hikaru, presto seguito da tutti gli altri.
“Ma tu stai bene?”
Chiese Taro serio, avvicinandosi all’amico, preoccupato per lui.
Il calcio era sempre stato fondamentale per Tsubasa, i mondiali erano il suo sogno, era ovvio farsi qualche domanda sul suo stato quando non poteva parteciparvi.
“Sto bene”
Rispose Tsubasa e lo disse rivolgendosi a tutti quanti.
Non era certo felice di saltare un mondiale, ma non aveva rimpianti, non riusciva ad averli visto che lo stava saltando perché era rimasto incinto di Hime.
“Voglio vedervi alzare la coppa anche senza di me!”
Tutti, uno per uno a partire dal nuovo capitano, glielo promisero.


Più passavano i giorni del ritiro, più Genzo pensava di aver fatto proprio bene a portare Tsubasa con lui.
Nei primi giorni c’era stata della tensione, Ozora non era abituato a stare in panchina ad osservare ma tentennava quando gli si proponeva di fare qualche passaggio insieme, però, appena ritoccò il pallone con il piede si lasciò completamente andare e iniziò a partecipare più che volentieri alle piccole partite che i ragazzi organizzavano dopo i veri allenamenti, dopo due anni di fermo non era propriamente in forma e lo notarono tutti, ma allo stesso tempo era come se non fosse passato neanche un giorno, il suo sorriso, la sua euforia erano sempre gli stessi.
L’alpha era felice di vedere il suo omega così contento e cercò di creargli quante più occasioni possibili per lasciarlo giocare con gli altri, prendendosi lui cura di Hime, la bambina, però, ricercava spesso la figura di Tsubasa, nonostante adorasse il padre e giocare con lui fosse la cosa che la divertiva di più, era con la madre che aveva passato la maggior parte della sua vita, non era abituata a vedere l’omega troppo lontano da lei, così le partite del centrocampista qualche volta finivano con la principessa che – riuscendo a scappare dalle braccia di Genzo – faceva incursione in campo, gattonando spedita tra i giocatori fino a quando non lo raggiungeva e non si aggrappava stretta alla sua gamba, l’espressione beata che sfoggiava ogni volta che raggiungeva Tsubasa faceva – quasi - passare la voglia di riprenderla ai genitori, oltre che far scoppiare a ridere tutti gli altri.

Wakabyashi era convinto che quei giorni spensierati sarebbero continuati anche con l’inizio dei mondiali.

“Non vuoi stare in panchina?!”
Domandò stupito Genzo al compagno, che annuì serio.
Il Giappone stava per giocare la sua prima partita in quel mondiale e il portiere era stato sicuro – almeno fino a quel momento – del fatto che Tsubasa sarebbe stato vicino a loro, a lui, durante il loro debutto, seduto vicino a mister Mikami in panchina.
Distruggendo le aspettative del suo alpha, Ozora era andato a chiamarlo negli spogliatoi per informarlo del contrario.
“Preferisco stare sugli spalti, è quello il mio posto infondo, e ci sarà anche Yayoi a farmi compagnia”
Spiegò Tsubasa con un piccolo sorriso.
Quel sorriso non convinse troppo Genzo ma, purtroppo, in quel momento non aveva tempo per chiedere altre spiegazioni.
“Va bene… ma promettimi che nelle prossime partite starai in panchina”

Tsubasa non glielo promise.

Durante tutte le partire che la nazionale giapponese giocò, Ozora restò sugli spalti insieme a Hime e Yayoi, la quale notò come – fin dalla prima partita – il centrocampista stringesse forte la sua bambina contro il petto ad ogni fischio d’inizio, riferì questo fatto – preoccupata per l’amico – a Jun, che a sua volta lo disse a Genzo, ma questo non riuscì a parlarne con il compagno.
Tsubasa usciva spesso, andava a trovare i giocatori delle altre nazionali, portava Hime a fare lunghi giri in città, non lo trovava praticamente mai in stanza, le rare volte che succedeva, lo trovava a dormire con la piccola stretta a lui.
Una volta di queste trovò Hime sveglia che toccava il viso della madre con tocchi leggeri, la prese delicatamente in braccio – stando attento a non svegliare l’omega – e notò i suoi occhioni verde smeraldo lucidi e tristi.
“Sei preoccupata anche tu, eh?”
Le mormorò poggiando la fronte contro la sua.

In quei giorni lo sentì lontano come non mai.

Arrivò la finale contro l’Argentina.
Diaz guidò la sua squadra agguerrito come sempre, ma Hyuga non fu da meno, incoraggiò gli altri, li spronò, li riprese, avevano una promessa da mantenere - lui per primo -, dovevano fare di tutto per mantenerla e alla fine ci riuscirono.
La Tigre segnò il goal della vittoria a pochi secondi dal fischio finale.
Il Giappone vinse 4 a 3.
Kojiro si voltò verso gli spalti mentre gli altri iniziavano a circondarlo euforici, trovò Tsubasa che gli sorrideva.
Avrebbero alzato la coppa, la promessa era stata mantenuta.

I ragazzi iniziarono a festeggiare direttamente negli spogliatoi, presi dalla felicità e dall’adrenalina ancora in circolo dalla fine della partita, non riuscivano a smettere di urlare, abbracciarsi e piangere, avevano vinto il mondiale, il Giappone aveva dimostrato a tutti, ancora una volta, di essere il migliore.
Una vocina nuova si unì alle loro, all’improvviso.
“A-pà”
Wakabayashi s’immobilizzò tra le braccia di Ishizaki.
“A-pà!”
Ripeté quella vocina e Ryo lo spinse a girarsi.
La sua principessa, avvolta nella sua magliettina della nazionale, stava in piedi davanti alla porta dello spogliatoio e piano piano iniziò a fare i primi – tanto attesi e incerti – passi verso di lui, chiamandolo a gran voce.
“A-pà aione! A-pà aione!”
Continuò a dire Hime passetto dopo passetto, allungando le mani verso di lui per afferrarlo.
Genzo s’inginocchiò davanti a lei e attese che fosse proprio a pochi centimetri, prima di prenderla tra le braccia e stringerla forte, facendola ridere contenta.
“A-pà aione!”
“Sì, il tuo papà è un campione”
Rise il portiere baciandole la guancia, gli occhi pieni di lacrime si posarono sulla figura di Tsubasa - appoggiato allo stipite della porta con il cellulare in mano per riprendere quella scena – che sorrideva non solo a lui, ma a tutti loro.
Avevano vinto anche senza lui in campo, avevano mantenuto la promessa che gli avevano fatto la prima sera al ritiro, era fiero di Genzo, di Taro, di Jun, di Hikaru, di Ryo, di tutti, ma soprattutto era fiero del capitano Kojiro.
Wakabayashi, però, lo conosceva troppo bene e vide quella minuscola, leggera, quasi impercettibile nota triste negli occhi del compagno che rideva, abbracciato a Misaki e Hyuga, mentre rivelava che la prima parola di Hime in realtà era stata ‘palla’ il giorno prima.

Era arrivato il momento di parlare.

Colse l’occasione per farlo quando Tsubasa abbandonò la festa della vittoria a metà serata, i compagni tentarono di convincerlo a restare, ma il centrocampista fece leva sul fatto che era tempo per Hime di andare a letto e Genzo ne approfittò per seguirlo.
I due genitori si stesero con la bambina in mezzo a loro sul letto, in silenzio attesero che si addormentasse, cullata dalle loro carezze sui capelli neri e dai loro baci leggeri sulle guance rosse.
“Tsubasa”
Bisbigliò il portiere non appena Hime fu nel regno dei sogni.
“Parlami”
Gli disse semplicemente.
Tsubasa si prese ancora qualche istante, accarezzando delicatamente con l’indice una guancia della figlia.
“Credevo di essere più forte”
Confessò alla fine.
“Credevo che vedervi lì, sul campo, a vincere anche senza di me mi avrebbe fatto felice…”
“Ma non è stato così”
“No… mi ha fatto male, Genzo, ogni volta sentivo un male assurdo al petto… volevo essere lì anch’io, volevo giocare con voi, volevo ricevere i passaggi di Taro, volevo segnare insieme a Kojiro, volevo sentire la tua rassicurante presenza in porta, volevo indossare la mia maglia… il mio numero 10…”
“Perché non me lo hai detto prima?”
“Perché mi sentivo una pessima madre nei confronti di Hime”
Bisbigliò l’omega stringendosi alla figlia.
“Sentire il desiderio di tornare a giocare a calcio non fa di te una pessima madre, anzi, se rinunciassi al tuo sogno per lei, sarebbe proprio Hime a non perdonartelo una volta diventata grande”
Spiegò l’alpha prendendo entrambi tra le braccia.
“Hime ti ama e ti amerà anche se torni a giocare a calcio”
Gli mormorò all’orecchio.
Tsubasa portò i suoi occhi neri in quelli verdi del compagno, così chiari in confronto a quelli della loro principessa, che avevano assunto una tonalità più scura verso il quinto mese - forse presa dagli occhi della madre -, e prese una decisione.
“Voglio tornare a giocare nel Barcellona”


Angolino della Robh: Buonasera a tutti/e ~♥
Eccomi qui con il mio angolino, perchè l'ho fatto (stranamente) a fine capitolo? Perchè volevo spiegarvi la mia decisione riguardo a TsuTsu e non potevo farlo all'inizio senza fare spoiler u.u
Dunque, sappiate che ci ho pensato davvero tanto prima di scrivere questo capitolo, perchè? Perchè volevo scrivere dei primi passi e delle prime parole di Hime ma, facendo due calcoli (perchè sono andata a vedere intorno a che periodo i bambini iniziano a parlare e camminare), mi è sorto il problema dei mondiali e quindi le fatidiche domande: Tsubasa lo faccio giocare? Nel caso, il Giappone lo faccio vincere?
Alla prima domanda la risposta è stata ovviamente un grosso no, non potevo farlo giocare dopo tutto quel tempo fermo, ma per la seconda mi sono saliti i peggiori dubbi: senza di lui, la nazionale ha perso contro l'Amburgo giovanile, ai tempi, e tutti continuavano a sottolineare che se ci fosse stato Tsu in campo sarebbe stato diverso, quindi all'inizio avevo pensato di far arrivare il Giappone in finale ma di farlo perdere... però, detto sinceramente, mi veniva male, quindi ho chiesto a Santa Serè (♥) un consiglio, e lei giustamente mi fa 'ma vuoi davvero che la sua mancanza faccia così tanta differenza?' e, a ben pensarci, aveva ragione.
Facendo il confronto, contro l'Amburgo giovanile non avevano sì Tsubasa, ma non avevano neanche Genzo in porta, non avevano Taro, non avevano Jun, non so se già avevano Shingo Aoi (da me scoperto molto recentemente, per questo non lo vedrete nominato, chiedo perdono ç.ç), e soprattutto era la loro prima partita contro una squadra europea, quindi... ho deciso di farli vincere, spero che questa decisione non faccia storcere il naso a nessuno >.>'''.
Se vi chiedete perchè la finale si disputa contro l'Argentina... è perchè Diaz è pacioccoso e non mi andava di mettere di nuovo la Germania o il Brasile, ecco u.u'''.
Specifico anche la mia decisione di far Hyuga capitano invece che un altro, mi sembrava giusto che fosse lui semplicemente perchè, quando hanno debuttato come nazionale giovanile, il capitano all'inizio era lui, tutto qui.
Concludo dicendo che il nome per il peluche di Hime non è stato scelto a caso cari/e mie u.u soprattutto non è stata scelta a caso la forma di tale peluche, ma questo ve lo spiegherò nel prossimo capitolo, per quanto riguarda il nome, ho un altro nome per rispondervi... Happy Feet! *-* (*manda Serè a preparare i poc corn per l'ennesimo rewatch*)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, almeno un pochino ♥.
A Lunedì prossimo ~♥


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Capitolo 3
*** La Figlia del SGGK ***


Angolino della Robh: Buona serata a tutti e buon inizio settimana ~♥.
Sono tornata a rompervi le balle con un nuovo aggiornamento, stavolta (a mio dire) tutto da ridere! u.u
Voglio iniziare con il dire che io adoro Rivaul, seriamente, appena l'ho visto nel rewacth della serie Forever mi è entrato di diritto nella lista dei pargoli insieme a Santana, quindi non potevo non farlo comparire nella fict, vista la sh- L'AMICIZIA, sì, l'amicizia e la rivalità con Tsu u.u''' (*suda freddo sotto lo sguardo attento di Serè che la conosce fin troppo bene*).
Solo io me lo immagino versione fratello maggiore con Tsubasa in braccio e Santana e Natureza attaccati alle gambe versione mignon?... Sì?... Ho problemi più seri di quanto immaginassi, allora O.o.
Comunque, ritornando al capitolo, andando a spulciare su Rivaul ho scoperto di conseguenza che ha moglie e ben due piccini... qui mi è sorto il solito problema... come cippendal si chiama la moglie?! ç.ç Siccome, anche qui, com'è successo con la madre di Karl, non ho trovato niente... l'ho inventato di sana pianta, andando a cercare dei nomi femminili brasiliani, devo dire che a me piace, spero piaccia anche a voi ç.ç *incrocia le dita*.
Questo era l'unico appunto che dovevo fare sul capitolo, ma già che ci sono vi parlo un attimo anche di Hime, c'è un balzo temporale di due anni qui quindi la piccola ormai ha tre anni, sta crescendo e siccome io sono una pippa (ma proprio pippa) nel disegnare, per immaginarmela ho usato un prestavolto come ho fatto altre volte per altre OC, se volete andare a vederla (se vi viene la curiosità), cercate semplicemente Dia Kurosawa di Love Live Sunshine e la troverete, per me è semplicemente perfetta per il ruolo u.u.
Mi raccomando, tenete ben a mente il nome perchè in futuro mi/vi servirà u.u. 
Detto questo, vi lascio al capitolo augurandovi, come sempre, una buona lettura ~♥.


Ps: Ti voglio tanto bene Serè ♥.
Non c'entra una cippa con il capitolo, ma visto che legge sempre e che in questo periodo è giù, glielo dico anche qui ~♥.


I momenti prima delle partite erano quelli che piacevano di più a Rivaul.
Come i suoi compagni, iniziava a sentire quel filo di adrenalina – che sarebbe scoppiata una volta sceso in campo – scorrergli nelle vene ma riusciva comunque a mantenere la concentrazione, schemi di gioco e qualità avversarie gli tornavano in mente senza alcun sforzo, li ripassava fino all’istante prima di mettere piede sul manto verde.
Lo faceva ad ogni partita.

Tranne quella.

I giocatori del Barcellona erano arrivati da poco allo stadio dove si sarebbe disputata la partita contro il Valencia, la partita si sarebbe tenuta nel pomeriggio, quindi avevano tutto il tempo per potersi cambiare con calma e per poter parlare di alcuni schemi nuovi, che avrebbero introdotto in quella partita.
Rivaul, però, non era tranquillo come al solito e non perché fosse preoccupato per il pericolo che rappresentava Santana, no, lui era preoccupato per Tsubasa.
L’omega aveva chiamato il mister dicendo che avrebbe fatto tardi e di dirigersi, quindi, allo stadio senza di lui.
Era un fatto inusuale e strano se si parlava del centrocampista, e Rivaul sentiva che forse c’era qualcosa che non andava, così uscì dallo spogliatoio – approfittando del fatto che mancasse ancora un po’ al momento di scendere in campo – e lo chiamò sul cellulare per chiedergli dove fosse.
Tsubasa, fortunatamente, gli rispose quasi subito dicendogli che si trovava al chiosco vicino allo stadio.
Il brasiliano alzò il sopracciglio interrogativamente, cosa ci faceva lì?

La risposta a quella domanda furono due occhi verde smeraldo.

“Alla materna hanno avuto problemi con delle tubature scoppiate e la babysitter ha avuto un contrattempo all’ultimo, ho provato a cercarne altre ma niente, ho dovuto portarla con me”
Spiegò Ozora portando una forchettata di broccoli alla bocca della figlia, che girò la testolina schifata, mentre l’asso del Barcellona – che li aveva raggiunti dopo la chiamata – si sedeva vicino a loro con un piccolo sorriso in volto.
Ecco spiegato il motivo del ritardo, pensò Rivaul portando una mano ad accarezzare i capelli neri di Hime, che arricciò il nasino mentre mangiava il suo tramezzino con il pollo.
“Sai già a chi lasciarla durante la partita? Posso chiamare mia moglie se hai bisogno, manca ancora un po’ e dovrebbe fare in tempo”
“Ti ringrazio ma ho già risolto, starà sugli spalti con Pinto… sempre se finisce i broccoli”
Aggiunse Tsubasa, tentando ancora d’imboccare la bambina che si girò ostinatamente dall’altra parte, facendo sospirare la madre e ridacchiare Rivaul – ci era passato anche lui con i suoi figli e non lo invidiava per niente -.
“Andiamo Hime, hai promesso a papà di mangiare sempre le verdure, sarà triste di sapere che non stai mantenendo la promessa, sai?”
Disse a quel punto il centrocampista, sapendo che tasti toccare con la figlia.
Hime infatti sussultò e si girò di scatto verso la madre, guardandolo spaventata.
“Papà… triste?”
“Sì, il papà sarà molto triste”
La bambina indugiò ancora qualche istante, guardando male il contenitore di broccoli che Tsubasa aveva portato nel suo pranzo al sacco, ma alla fine cedette e si lasciò imboccare, facendo una faccia schifata mentre masticava.
“Papà adesso contento?”
Chiese poi Hime, dopo aver mandato giù il boccone con molta fatica.
“Certo, papà sarà contentissimo di sapere che stai mantenendo la promessa”
Le sorrise Tsubasa, facendo sorridere di rimando anche la sua principessa che continuò a farsi imboccare, non senza fare smorfie ovviamente.
Anche Rivaul stava sorridendo mentre osservava quella scena famigliare senza intromettersi, osservava e ricordava.


Tsubasa era tornato a Barcellona allo scadere dei due anni previsti e aveva detto al mister che era seriamente intenzionato a tornare a giocare.
Il mister aveva accolto quella notizia con un leggero sorriso in volto – non poteva nascondere di aver avuto paura di perdere un giocatore forte e abile come lo era Tsubasa -, al contrario dei suoi compagni che lo accolsero di nuovo nella squadra abbracciandolo entusiasti.
C’era ben poco da festeggiare, però.
Il centrocampista aveva affrontato una gravidanza ed era stato fermo per ben due anni, il suo stato fisico… il medico gli disse che non era – ovviamente – come due anni prima solo per non dirgli che era messo davvero male, nonostante avesse ripreso ad allenarsi seriamente dopo la fine dei mondiali, non poteva tornare a giocare subito, era impensabile, doveva ritornare in forma prima.
Ma quello era solo uno dei due problemi, il più facile da risolvere tra l’altro.
Il secondo problema era rappresentato dalla piccola principessa.
Hime sarebbe rimasta con Tsubasa – Wakabayashi li avrebbe raggiunti ad ogni giorno libero - ma l’omega non poteva portarla con sé durante i severi allenamenti che lo avrebbero aspettato da quel momento in poi, così aveva dovuto iscriverla in un nido – Genzo si era dovuto mettere l’anima in pace – che l’avrebbe tenuta per la maggior parte della giornata, lasciandolo libero di concentrarsi unicamente sugli allenamenti.
… Andò male già il primo giorno…
La bambina all’inizio sembrò tranquilla e contenta del nuovo ambiente, ma dopo un’oretta di gioco iniziò a ricercare la figura – fino a quel momento onnipresente – della madre, non trovandolo, scoppiò in un pianto disperato che si calmò solo quando Tsubasa – avvertito dalle educatrici – andò da lei nella pausa pranzo, per poi ricominciare ancora più forte quando lo vide andare via per tornare agli allenamenti pomeridiani.
Questa scena si ripeté per un’intera settimana, nonostante fosse intervenuto anche Genzo – la sera parlava con la figlia al telefono e la rassicurava, riuscendo a farla addormentare tranquilla, ma la mattina dopo si ricominciava sempre con un potente pianto -, all’ottavo giorno Rivaul vide Tsubasa arrivare agli allenamenti già sfinito, occhiaie messe in risalto dal volto pallido e gran mal di testa a coronare il tutto.
Decise, senza pensarci due volte, che era arrivato il momento di dargli una mano.
Quella sera andò con lui a riprendere la bambina e conobbe – finalmente – la piccola Hime, che non era poi messa meglio dalla madre, il visino era tutto segnato dalle continue lacrime e gli occhi erano rossi e gonfi, i singhiozzi le mozzavano il respiro e non riuscì a calmarsi del tutto anche quando fu tra le braccia della madre, ormai la paura di vederlo andare nuovamente via era radicata in lei.
Li portò entrambi a casa sua dove Hime… scoppiò a piangere ancora, spaventata dall’assalto che le fecero i due figli di Rivaul, presto sgridati da Raíssa che prese in mano la situazione, prese la piccola dalle braccia tremanti di Tsubasa – non convinto del tutto di lasciarle la figlia, visto come Hime stava piangendo – e la portò in un’altra stanza.
Nemmeno lo stesso asso del Barcellona seppe con precisione cosa disse la moglie alla piccola Wakabayashi, mentre lui preparava una grossa tazza di camomilla al compagno di squadra, ma dopo una mezzoretta le due fecero il loro ingresso nella sala, dove stavano lui e il centrocampista, mano nella mano e, soprattutto, tranquille.
Hime aveva smesso di piangere - Raíssa le aveva sciacquato il viso e poggiato sopra gli occhi un asciugamano bagnato con acqua fredda, per toglierle il gonfiore e il rossore - e mangiò tranquilla imboccata proprio dalla donna, finendo infine per addormentarsi dopo aver giocato un po’ con Ewell e il fratello.
Il giorno dopo Tsubasa non ricevette nessuna chiamata dalle educatrici, la sua principessa non pianse nemmeno una lacrima in tutta la giornata.
Raíssa aveva compiuto un miracolo e ne compì molti altri nei due anni che seguirono, aiutando Tsubasa in situazioni dove l’omega non sapeva proprio dove sbattere la testa.


Quando Hime finì tutti i suoi broccoli, Rivaul le accarezzò nuovamente i capelli, al contrario della moglie, lui non aveva saputo bene come aiutare il compagno di squadra nei momenti di bisogno perché… beh, aveva sempre avuto Raíssa al suo fianco quando sorgeva un problema con i loro figli, così aveva deciso semplicemente di stargli accanto quando aveva bisogno, facendo un po’ da ‘padre’ alla bambina che, purtroppo, non riusciva a vedere spesso il suo vero papà come avrebbero voluto lei e Tsubasa.
Come facevano i due – Ozora e Wakabayashi – a stare lontani per così tanto tempo, con una figlia di mezzo poi, ancora se lo chiedeva, il falco del Barcellona, lui non ce l’avrebbe fatta di sicuro.
Il centrocampista e l’asso aspettarono pazientemente che la bambina finisse anche la sua uva, poi si alzarono, e mentre Ozora sistemava le poche cose che aveva sul tavolo, Rivaul allungò una mano verso Hime, per iniziare ad incamminarsi con lei verso lo stadio.
La principessa guardò qualche istante quella mano tesa verso di lei che aveva afferrato tante volte, storse il nasino e andò ad aggrapparsi alla gamba della madre, lasciando il brasiliano sorpreso.
Era la prima volta che si rifiutava di dargli la mano…

Non notò l’occhiata torva che la bambina gli lanciò, semi nascosta contro la gamba di Tsubasa.

“Allora, ripetiamo le regole da seguire, uno…”
Disse Tsubasa, alzando il pollice.
“Hime stare tranquilla”
Disse la bambina, alzando il dito come la madre inginocchiato davanti a lei.
“Due?”
“Hime non disturba Pinto”
“Tre?”
“Hime ‘petta fine partita per vedere mamma”
“E quattro?”
“Hime non salta”
“E direi che questa è la più importante”
S’intromise Rivaul tra madre e figlia.
“Decisamente”
Concordò Pinto, sbiancando al ricordo della volta che, durante una partita, Hime aveva visto Tsubasa infortunarsi.
Spaventata, era scappata via dalla sorveglianza di Pinto per poter raggiungere la madre in campo, il modo più veloce che la bambina pensò per farlo, fu quello di saltare giù dagli spalti, l’urlo che aveva lanciato il calciatore quando aveva visto la figlia, in bilico in piedi e pronta a saltare, era risuonato in tutto lo stadio.
Per fortuna erano riusciti a fermarla prima che saltasse per davvero.
“Credo di aver perso almeno 10 anni di vita quella volta…”
Continuò Pinto mentre riprendeva colore in volto.
Da allora, era stato necessario introdurre una nuova regola a quelle che Ozora aveva imposto alla figlia, quando andava a vederlo allo stadio.
“Mai più Hime, promesso?”
Rincarò la dose Tsubasa, allungando il mignolo.
“Promesso!”
Giurò la bambina avvolgendo il dito della madre con il suo.
Entrambi si baciarono i pugni per chiudere il giuramento, poi la principessa si aggrappò alla sua mamma per salutarlo ancora.
“Mamma vinci!”
“Sì, vincerò per la mia principessa”
Le promise l’omega, riempendole di baci la guancia.
“E vola!”
Aggiunse Hime alzando le braccia al cielo, gli occhi illuminati dalla meraviglia.
Rivaul, dietro di loro, ridacchiò nascondendolo con una mano, aveva davvero una grande immaginazione la bambina a pensare che il centrocampista volasse ogni volta che compiva una rovesciata, faceva ridere poi che lo pensasse solo e unicamente della madre, quando vedeva lui fare la stessa rovesciata lo chiamava semplicemente salto alto.
Da lì si poteva capire quanto amasse Tsubasa.
Pensò il falco del Barcellona, vedendo il compagno di squadra ridere a sua volta e prometterle che avrebbe sicuramente volato.
“Dobbiamo andare adesso”
Avvisò l’omega mettendogli una mano sulla spalla, gli dispiaceva dover essere lui a separarli ma era giunto il momento di scendere in campo.
Tsubasa lasciò un ultimo bacio sul naso della figlia, facendola ridere, fece un occhiolino a Pinto e gli lasciò il suo bene più prezioso in custodia, allontanandosi infine con Rivaul.
“Bene, dobbiamo andare anche noi”
Disse Pinto avvicinandosi alla bambina per prenderle la mano, ma si bloccò osservandole il viso.
“Ehi, cos’è quel broncio? Ti manca già Tsubasa?”
Le chiese, prendendole la mano e iniziando a portarla sugli spalti.
Hime girò immediatamente la testa per non perdere di vista i due calciatori che si stavano allontanando, assottigliò lo sguardo verde smeraldo… mentre camminavano erano vicini…

“Mamma! Mamma! Mamma!”
Urlò Hime correndo incontro a Tsubasa, aggirando tutti gli altri giocatori che le intralciavano il percorso.
“Guardala come ci supera”
Rise Alaberdo, osservando la piccola correre spedita.
“Potrebbe diventare un’ ottima calciatrice, tu che ne dici Tsubasa?”
Continuò poi, rivolgendosi all’omega.
“Diventerà quello che vorrà, esattamente come ho fatto io”
Rispose tranquillo il centrocampista, accogliendo la figlia tra le braccia.
Come al solito, la sua principessa aveva fatto irruzione nello spogliatoio – almeno quella volta aveva fatto in tempo ad uscire dalle docce – e non poteva neanche riprenderla perché, effettivamente, Hime aveva rispettato la terza regola e aveva aspettato la fine della partita per raggiungerlo, ormai nessuno ci faceva neanche più caso, anzi si divertivano a mettersi davanti a lei e vederla superarli come Tsubasa superava gli avversari in campo.
Tale madre tale figlia, d’altronde.
“Ottima risposta”
Commentò Rivaul, vicino a lui, sorridendogli e accarezzando i lunghi capelli neri della bambina.
Bambina che si allontanò di scatto dal suo tocco per rifugiarsi nel petto della madre, non prima di aver mostrato al brasiliano la lingua.
“Ehi! Cos’è questa maleducazione?”
La riprese immediatamente l’omega, allontanandola per poterla guardare negli occhi.
“Non fa niente, tranquillo”
Sorrise Rivaul, iniziando a portare la mano che era rimasta in sospeso verso i capelli del compagno di squadra per scompigliarglieli, come faceva spesso.
Hime, a quell’azione, sgranò gli occhi e sussultò, ma si riprese subito, fece uno scatto e…

“Ha tentato di morderlo?!”
Chiese Genzo stupito e sconvolto, lasciando cadere il borsone sul pavimento tanto era scioccato.
“Già”
Confermò Tsubasa.
“Ma… ne sei sicuro?!”
“Sicurissimo, se non l’avessi sposata in tempo, Rivaul avrebbe tutta la mano segnata adesso”
Spiegò Ozora, stupito quanto lui dal comportamento della figlia.
Hime era sempre stata una bambina tranquilla – se non si contavano i suoi slanci verso la madre -, non aveva mai litigato con nessun altro bambino e aveva sempre obbedito ai suoi genitori, qualche volta avevano dovuto riprenderla ma non era mai stato necessario metterla in punizione.
Almeno fino a quel momento.
“Una settimana non è troppo?”
Mormorò il portiere, osservando preoccupato la porta chiusa della stanza della loro principessa.
“Per niente, ti rendi conto che avrebbe potuto ferirlo sul serio?”
Lo riprese Tsubasa, serio, per poi sospirare.
“Mi chiedo, piuttosto, perché questo cambiamento, Rivaul le è sempre stato simpatico ed ora, all’improvviso, dopo la partita contro il Valencia tenta addirittura di morderlo… a pranzo dobbiamo parlarle un po’”
Mormorò il centrocampista, incamminandosi verso la sala.
Genzo sussultò, Tsubasa non gli aveva detto che era successo dopo la partita contro il Valencia.
Loro due il giorno prima della partita avevano litigato appunto sul brasiliano – a Wakabayashi non piaceva come stava intorno alla sua famiglia e Ozora gli aveva risposto dandogli semplicemente del cretino, geloso per nulla – al telefono, sapeva che il centrocampista aveva il vivavoce in quel momento perché stava preparando la cena, quindi Hime aveva sicuramente ascoltato tutta la litigata visto che, mentre Tsubasa stava ai fornelli, lei tentava di dargli una mano apparecchiando le sue stoviglie giocattolo colorate – era ancora troppo piccola per maneggiare i piatti da grandi -.
Che Hime abbia tentato di aggredire il falco del Barcellona… perché aveva ascoltato le parole del suo papà contro di lui?
La porta della camera davanti a lui si socchiuse e, da uno spiraglio, gli occhi verdi dei due Wakabayashi s’incontrarono.
Padre e figlia restarono in silenzio ad osservarsi per un paio di minuti.
“Oggi pomeriggio ti porto a prendere il gelato”
Le bisbigliò a bassa voce, alzando in pollice in alto.
Hime sorrise e richiuse pian piano la porta.
Genzo la osservò, fiero e commosso di quello che aveva fatto per lui.
Quella era la sua bambina!


Quando Tsubasa scoprì il collegamento tra la litigata e il cambiamento della figlia, li fece scusare entrambi con Rivaul, in ginocchio, e Genzo – in aggiunta – dormì sul divano.
Hime gli lasciò Mambo per non farlo sentire troppo solo.
Quella era la sua bambina.




 

*
Tanto per farvelo sapere... Mambo 'esiste' davvero.
Nel senso, se andate a cercare Dia Kurosawa Koi Ni Naritai Aquarium, vi uscirà una card del gioco dove Dia tiene in braccio un peluche a forma di cucciolo di pinguino.
La mia genialata, eh?! U.U *fiera* (...*Serè le patta la testa per non dire niente*)

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Capitolo 4
*** Attaccante in Erba ***


Angolino della Robh: Buona sera a tutti e buon inizio settimana! ~♥
Eccomi con un nuovo capitolo a rompervi i palloni da calcio, dite la verità, state iniziando a volermi bene nonostante tutto u.u (xD).
Ordunque! Parliamo del capitolo tanto atteso (da nessuno)!
Allora, in questo capitolo c'è un nuovo salto temporale, ve lo dico subito, qui troviamo una Hime di 10 anni, pronta per... scoprirete questo leggendo, ohohoh u.u... giuro che adesso la smetto >>''', dicevamo, qui Hime ha 10 anni e va a scuola, ovviamente, in Spagna, non stupitevi se leggete le parole *sesta elementare*, non mi sono confusa con il sistema scolastico giapponese tranquilli, quando scrivevo sono andata a controllare per sicurezza (non so perchè ma ero convinta che fosse uguale a quello italiano O.o) e ho scoperto che il sistema scolastico spagnolo si divide in: 6 anni di elementari, 4 anni di medie e 2 anni (con l'aggiunta di uno facoltativo per prepararsi all'università) di superiori (sempre se non si sceglie la formazione professionale), cosa non si scopre quando si scrivono fiction u.u.
Altri avvisi o simili... no, non direi di averli, solo uno piccolissimo, ovvero che compariranno dei nuovi OC (due figli di due coppie che ho scoperto che mi piacciono assai ~♥), per il resto non ho altro da aggiungere... stranamente O.o... che mi stia venendo la febbre? o.O 
Spero che possa piacervi anche questo capitolo ~♥.
Buona lettura ♥


Ps: Santa Serè (♥) che mi aiuta con i titoli, come farei senza di lei ~♥


Voci che si abbassavano per bisbigliare su di lui.
Occhi che gli lanciavano occhiatine fugaci e meravigliate.
Notò anche qualche flash di alcuni cellulari, segno che qualcuno gli aveva fatto qualche foto di nascosto.
Tsubasa si sistemò il borsone degli allenamenti in spalla, tranquillo.
Si era abituato da cinque anni, a tutto quello.
Strano che nessun padre si fosse avvicinato per chiedergli un autografo, pensò, distogliendo lo sguardo dal portone di fronte a lui per osservare l’orario sul cellulare, sorrise nel constatare che, ormai, la campanella sarebbe suonata da lì a qualche secondo.
Fece giusto in tempo a mettere via il cellulare, che quella suonò, il portone si aprì e il fiume di bambini iniziò ad uscire dalla scuola elementare.
Tra tutti quei volti, notò subito quello che cercava lui.
Il sorriso si allargò sul suo volto quando i suoi occhi neri incrociarono quelli verde smeraldo, che si illuminarono per la sorpresa e la felicità, della figlia.
Hime lasciò la mano della ragazzina accanto a lei – che non se la prese, aveva notato anche lei Tsubasa – e corse da lui, superando e aggirando gli altri bambini come se fosse su un campo da calcio, alla fine gli si buttò tra le braccia, contenta.
“Mamma!”
“Ciao a te, principessa”
Rise il centrocampista, stringendola forte e lasciandole un bacio tra i capelli.
Non capitava spesso che riuscisse ad andare a prenderla a scuola – quelle poche volte succedevano o perché Hime tornava più tardi per via di una gita, o quando si sentiva male -, ma quel giorno gli allenamenti erano finiti prima, siccome erano gli ultimi per quella stagione, così aveva pensato di fare una sorpresa alla sua piccola.
A giudicare da come lo stava stringendo, la sorpresa era stata molto gradita.
“Ciao anche a te, Artemisia”
Salutò Tsubasa, mentre anche la ragazzina che teneva la mano alla figlia si avvicinava a loro per salutare l’amica.
“Salve, signor Ozora”
Rispose Artemisia, sorridendogli.

Lei e Hime erano diventate amiche in prima elementare.
Era stata Artemisia a fare il primo passo verso la sua principessa – troppo imbarazzata e impaurita da tutti gli altri che si avvicinavano solo per chiederle dei suoi genitori – il primo giorno di scuola, era andata da lei e le aveva detto semplicemente che le piacevano i delfini, Hime era rimasta interdetta, così Artemisia aveva indicato con un sorriso il suo astuccio azzurro con sopra dei pinguini e aveva ribadito la sua preferenza.
Era la prima bambina che non le parlava di calcio.
Era interessata a lei, Hime Wakabayashi, come persona e non come figlia di Tsubasa Ozora del Barcellona e di Genzo Wakabayashi dell’Amburgo.
Hime le aveva sorriso di rimando, felice, e aveva trascorso con lei tutto il resto dell’intervallo, parlando dei vari animali marini che conoscevano e che Artemisia aveva visto all’acquario, dove lavorava il padre.
Da quel giorno non si erano più lasciate.

Il centrocampista si accorse di essersi perso nei ricordi – gli sembrava che fosse solo ieri, il primo giorno di scuola della sua principessa, invece a settembre avrebbe iniziato la sesta elementare – solo quando un signore gli si avvicinò per chiedergli un autografo e una foto con suo figlio.
Succedeva sempre quando andava a prenderla – la prima volta Hime aveva dovuto abbassarsi e gattonare tra le gambe della gente per raggiungerlo, talmente era circondato -, Tsubasa da una parte era orgoglioso di avere così tanti fan che facevano il tifo per lui, dall’altra gli dispiaceva per la figlia… era andato lì per lei infondo… si rincuorò un poco vedendo che Hime non ci fece caso, troppo presa a parlare con Artemisia della verifica di matematica che le attendeva il giorno seguente, osservando la figlia e l’amica però, notò che quest’ultima aveva in mano un foglio e, improvvisamente, si ricordò di una cosa molto importante che era accaduto quel giorno.
“Com’è andata la visita per il secondo genere?”
Chiese a Hime una volta che presero la strada di casa, dopo aver salutato Artemisia e la madre.
Doveva molto, Tsubasa, ai signori Navarro, erano loro a prendere Hime a fine scuola – per questo sua figlia e l’amica si tenevano sempre per mano all’uscita, così da non perdersi nella calca dei bambini e poter raggiungere insieme la madre di Artemisia - ed ad ospitarla fino a quando non finiva gli allenamenti.
Come Artemisia con Hime, anche loro trattavano Ozora per quello che era, ovvero un genitore in difficoltà a cui potevano dare una mano volentieri, il centrocampista si rendeva conto di quanto facessero per lui e per la sua principessa, e cercava sempre di ripagarli in qualche maniera – ricordava ancora la faccia scioccata dell’uomo quando gli aveva regalato l’autografo di Natureza, suo giocatore preferito, al quale Tsubasa aveva chiesto un piccolo favore prima di una partita -.
“Non è andata”
Rispose Hime, prendendolo a braccetto.
La madre la guardò sgranando gli occhi.
“Cosa vuol dire che non è andata? E’ successo qualcosa?”
Domandò mentre sentiva la preoccupazione – amica che gli faceva spesso compagnia, da quando la sua principessa era nata – iniziare a farsi largo dentro di lui.
“E’ arrivata una chiamata d’emergenza e i medici sono corsi via, mancavo solo io quindi uno di loro prima di andarsene mi ha scritto gli orari per poter andare in ambulatorio a farlo, li ho scritti sul diario”
Spiegò la ragazzina, tranquilla.
“Oh… capisco…”
Mormorò l’omega, sorpreso.
La sorpresa, però, lasciò presto spazio alla curiosità… di che genere sarebbe stata sua figlia? Omega come lui? Ad osservarla, non sembrava... ma non lo era sembrato anche lui ai tempi, allora sarebbe stata un’alpha come Genzo? Non sembrava neppure quello, visto che non aveva mai avuto atteggiamenti dominanti… ma anche il suo compagno non li aveva spesso, che rientrasse nei beta, quindi? Era davvero una bella domanda…

“Non starci a pensare troppo, sarà quel che sarà”
Gli disse Genzo al telefono, mentre Tsubasa continuava a guardare la figlia, che in quel momento stava ripassando la tanto odiata matematica insieme a Rivaul.
Erano stati invitati all’ultimo da Raíssa e Hime aveva insistito per andare, sia per poter mangiare il cibo brasiliano che tanto le piaceva, sia per poter farsi aiutare dall’asso del Barcellona.
Ozora non era mai stato un genio con i problemi – se la cavava meglio con le lingue - e Wakabayashi quella sera aveva l’ultima partita contro il Bayern, quindi non poteva stare troppo tempo al telefono per poterle spiegare come faceva sempre.
Menomale che c’era Rivaul, altrimenti, l’insufficienza – per Hime – sarebbe stata assicurata.
“Lo so e non sono preoccupato, solo curioso”
Disse Tsubasa.
“Devi portare pazienza altre due settimane, credi di riuscirci?”
Dopo quelle due settimane sarebbero iniziate le vacanze estive anche per Hime e, come sempre, sarebbero partiti tutti e tre insieme per il Giappone, dove avrebbero trascorso un mese prima di andare al mare – quell’anno sarebbero andati a Nizza, in Francia, dove Taro avrebbe sicuramente fatto visita, quell’anno si era lamentato spesso con gli amici al telefono, l’artista del campo, perché non aveva avuto molte occasioni di vedere Hime, anche la piccola Wakabayashi sentiva la mancanza del suo zio preferito… almeno così diceva Misaki stesso… Tsubasa non sapeva esattamente di cosa la figlia sentisse la mancanza, tra lui e i macaron che le portava ogni volta -.
Parlando, avevano deciso di farle fare il test in madre patria, così da poter essere presenti entrambi e per poter condividere subito la notizia con i nonni, che Hime vedeva molto raramente.
“Sai che non sono molto paziente…”
Mormorò Ozora, osservando la loro principessa gioire per aver risolto un problema difficile da sola.
“Oh, lo so eccome, specialmente durante il calore… ti raggiungerò in tempo per quello, giusto?”
Gli sussurrò il portiere malizioso.
L’omega sentì dei brividi caldi su per la schiena, il compagno lo avrebbe raggiunto dopo due giorni mentre al suo calore ne mancavano ancora cinque, non vedeva l’ora di abbracciarlo… ma non era il momento – e il posto – giusto per pensarci.
“Vuoi davvero parlare del mio calore quando sono in casa di Rivaul?”

“Perché papà ha quell’espressione?”
Chiese Hime, una volta che furono davanti alla tv a vedere la partita dell’Amburgo, a casa loro.
“Chissà…”
Rispose Tsubasa, trattenendo le risate e osservando anche lui il broncio che indossava il suo amato portiere.

Le due settimane passarono molto lentamente, almeno a detta Hime  – ad un certo punto aveva iniziato a contare le ore che mancavano alle fine, facendo ridere Tsubasa -, per Genzo, invece, volarono.
Aveva raggiunto la sua famiglia dopo i due giorni previsti, aveva fatto in tempo a gioire con la figlia del suo voto – un bel 7, mica male visto come Hime odiava la matematica! – e a comprarle un meritato gelato come premio, poi dovette separarsi nuovamente da lei, come sempre accadeva quando Tsubasa entrava in calore.
Il giorno prima fu lui ad accompagnarla a casa di Rivaul, non fu propriamente contento di lasciarla dal brasiliano, ma era l’unico disponibile a tenere Hime per tre giorni e così dovette ingoiare il, cosiddetto, rospo… non che ebbe molto tempo per pensarci, dal giorno seguente in poi.
Il calore del suo omega lo assorbì completamente, in quei tre giorni recuperò il tempo passato lontano baciando, stringendo e amando il centrocampista con passione e con disperazione, lo tenne perennemente tra le sue braccia, aveva bisogno di sentirlo di nuovo suo dopo tanto che non si vedevano e lo stesso valeva per Tsubasa che, nonostante fosse perso nel calore, ricambiò tutte le strette del suo alpha, accogliendolo dentro di sé ogni volta che il bisogno diventava troppo.
Al quarto giorno, andarono a riprendere Hime insieme, tenendosi per mano – cosa che fece sorridere teneramente Rivaul e Raíssa -, e nello stesso modo la andarono a prendere a scuola nei giorni seguenti.
Grazie a quello, la principessa riuscì a sopportare meglio gli ultimi giorni di lezioni, trovare i genitori – entrambi – che l’attendevano fuori dall’istituto, la faceva sorridere e le dava la forza necessaria ad alzarsi la mattina, il giorno seguente, con lo stesso sorriso, nonostante dentro di sé stesse scalpitando esattamente come i suoi compagni di classe per le sue tanto agognate vacanze estive.
L’ultimo giorno tornarono a casa tenendosi tutti e tre per mano – Hime in mezzo a Tsubasa e Genzo -, da quel momento potevano, finalmente, stare tutti e tre insieme senza nessun impegno.

Partirono per il Giappone dopo un paio di giorni e ad attenderli, fuori dalla stazione dei treni, trovarono, come ormai tradizione, il capitano Ozora.
“Ti avevo detto che avremmo fatto da soli”
Lo rimproverò, bonariamente, il figlio.
“Oh, sciocchezze”
Borbottò Kodai, liquidando la cosa con un gesto della mano prima di essere assaltato dalla nipote, che gli saltò in braccio, contenta di vederlo dopo un intero anno.
“La verità è che vuoi vedere Hime prima di tutti, anche di mamma”
Lo prese in giro, Tsubasa, assottigliando lo sguardo divertito.
Il capitano fulminò sia lui che il portiere con un’occhiataccia, facendo ridere il figlio che si allontanò con la sua, di figlia – che era scesa dalle braccia del nonno dopo avergli dato un bacio sulla guancia per salutarlo -, per raggiungere la macchina, e sbiancare leggermente l’alpha più giovane.
“Io non ho detto niente!”
Precisò Genzo, alzando le mani in segno di resa.
“Ci mancherebbe altro!”
Precisò il capitano, guardandolo male… o meglio, facendo finta di guardarlo male, alla fine lasciò perdere la parte da burbero con una risata.
“Bentornati”
Gli disse, sorridendogli caloroso.
“Grazie”
Rispose Wakabayashi con lo stesso sorriso.

“Potrebbe essere benissimo una beta”
Disse Kodai, osservando la nipote addormentata sul divano.
“Tu dici?”
Gli chiese Tsubasa, guardando anche lui la sua principessa.
“Ne sono quasi sicuro visto che non mostra comportamenti né da alpha, né da omega”
“Eri sicuro che anche Tsubasa fosse un beta”
Ricordò Natsuko, andando vicino al marito dopo aver posato una coperta leggera sopra Hime, per non farle prendere freddo mentre dormiva, era crollata a causa del jetleg dopo averle fatto vedere tutte le foto che aveva fatto nell’anno in cui non si erano viste.
“Infatti stavolta ho detto quasi”
Specificò il marito.
“Con certezza lo sapremo solo la settimana prossima”
Disse Genzo, chiudendo la chiamata con l’ambulatorio e facendo sospirare il compagno.
“Ancora una settimana…”
“Sei preoccupato, tesoro?”
Gli chiese Natsuko, poggiandogli davanti una tazza di thè.
“No, solo curioso”
“Curioso?”
Domandò Kodai e Tsubasa annuì.
Per lui, scoprire il secondo genere era stato un avvenimento importante, anche se davanti a tutti i suoi compagni di squadra era rimasto tranquillo, quel giorno aveva scoperto una nuova parte – fino a quel momento nascosta - di sè stesso, che lo ha costretto a lottare, negli anni, con ancora più grinta e forza per raggiungere il suo sogno, e grazie alla quale ha ottenuto la gioia più grande della sua vita – che stava osservando dormire abbracciata a Mambo -, gli aveva fatto aprire gli occhi su Genzo, prima considerato solo un amico molto importante, e lo aveva unito a lui per tutto il resto delle loro vite.
Era curioso, quindi, il centrocampista, voleva scoprire se anche per la sua principessa sarebbe stato così importante… ma doveva aspettare, per forza, un’altra settimana.
Sospirò ancora, mentre il portiere lo attirava a sé, abbracciandogli le spalle, e gli lasciava un delicato bacio all’angolo delle labbra.
Forse avrebbe iniziato a contare le ore che mancavano, come aveva fatto Hime…

Non ne ebbe il tempo.
I primi giorni furono impegnati ad andare a trovare tutti i loro amici, tra risate, racconti e nuove conoscenze - Hime promise, eccitata, a Yoshiko e Hikaru che sarebbe andata presto da loro in Hokkaido, per poter tenere in braccio il piccolo Hajime, nato solamente pochi giorni prima -, a Tsubasa non venne più in mente il test per il secondo genere, e nei giorni seguenti ci pensò Genzo a trovare un modo per tenergli la mente occupata: di giorno, quando Hime non veniva ‘rapita’ dalla nonna che la portava con lei durante i suoi giri, la portavano al loro vecchio campetto da calcio, quello dove si erano sfidati la prima volta, e giocavano con lei, alla principessa piaceva quello sport – come poteva essere altrimenti? - e ci giocava volentieri, soprattutto con i suoi genitori, si divertiva moltissimo a fare goal a Genzo e ad esultare con Tsubasa, anche se sapeva benissimo che il padre glieli lasciava fare… quasi sempre, c’era una piccola percentuale di volte dove il portiere faceva fatica a parare i tiri della figlia, trovandoli sempre più simili ai tiri che faceva il centrocampista da bambino… con qualche allenamento, magari in futuro, ci sarebbe stata una Wakabayashi anche nel calcio femminile…
Di notte, invece, non gli lasciava via di fuga, solo tre giorni d’amore, anche se ininterrotti, non erano stati sufficienti per lui.
Tsubasa si ritrovò a ringraziare chi avesse costruito i muri della vecchia villa dei Wakabayashi – dove avrebbero abitato in quel mese, con buona pace di Kodai – belli spessi, altrimenti avrebbero dovuto far dormire Hime dai nonni.

Così, si ritrovarono al giorno prima del test.

“… E poi zia Yoshiko me l’ha lasciato tra le braccia, era così piccolo papà! Avevo paura che potesse cadermi, ho chiesto allo zio Hikaru cosa fare e lui mi ha detto di stringerlo forte, ma sembrava così fragile! Però l’ho stretto lo stesso, mi ha sorriso! Era così tenero! ~♥”
Finì di raccontare Hime, eccitata.
“Sono felice che ti sei divertita a casa degli zii”
Rise Genzo, osservando il volto sognante della figlia mentre camminavano verso il campetto.
“Voi non vi siete annoiati, senza di me?”
Chiese poi, la piccola Wakabayashi, ritornando in sé dal mondo dei sogni e prendendolo a braccetto.
Era andata a trovare i Matsuyama due giorni prima, come aveva promesso, rimanendo da loro a dormire la notte su insistenza del campione del nord, al ritorno erano stati i nonni ad andare a prenderla alla stazione dei treni ed era rimasta a dormire da loro, nella vecchia stanza di Tsubasa, lasciando i genitori completamente da soli.
“Tranquilla, anche papà e mamma si sono divertiti a modo loro”
Gongolò il portiere mentre il centrocampista gli lanciò un’occhiataccia, resa ancora più minacciosa dalle leggere occhiaie che gli segnavano il viso… e lui che sperava di riposarsi, in vacanza.
“Quindi… avrò presto un fratellino o una sorellina?”
Wakabayashi si fermò di colpo e quasi si strozzò con la sua stessa saliva, Hime ridacchiò lasciandolo andare e correndo al campetto, senza più aspettare i genitori.
“Ti sei dimenticato, di nuovo, che quest’anno ha studiato educazione sessuale, vero?”
Gli chiese Tsubasa, incrociando le braccia al petto e guardandolo divertito.
“La prossima volta ricordamelo prima che faccia allusioni”
“E perdermi nostra figlia che ti prende in giro? Che madre sarei?”
Il portiere ricambiò l’occhiataccia che l’altro gli aveva lanciato prima, facendolo ridere.
“Allegri come sempre, vedo”
L’interruppe una terza voce, conosciuta bene da entrambi.
“Yayoi!”
Sorrise Tsubasa, girandosi insieme al compagno e trovando la donna che li stava osservando, sorridendo dolcemente.
“Che ci fai qui?”
Le chiese, subito dopo.
“Io e Ai siamo venuti a fare visita a Hime, l’abbiamo incrociata poco fa e sono andati insieme al campetto più avanti”
Ai Misugi.
Il figlio di Jun e Yayoi.
Era più piccolo di Hime di soli due anni, e la ragazzina provava una sorta di adorazione per lui – così delicato e carino, la prima volta che lo aveva visto, appena nato, era andata in brodo di giuggiole esattamente come Taro faceva con lei  -, ricambiata da quest’ultimo che fremeva sempre per incontrarla, quando tornava in Giappone.
Erano inseparabili, quando erano insieme, e se da una parte Yayoi era felice di questo, dall’altra era preoccupata.
“Con gli altri bambini fa ancora fatica a legare?”
Le chiese Tsubasa piano, vedendo il suo sguardo scurirsi.
“Già… lo prendono spesso in giro e lo isolano… Jun dice di non preoccuparmi, che può riuscire a cavarsela da solo, che ha la forza per farlo ma-“
“Ma è difficile non preoccuparsi”
Finì per lei, il centrocampista, sorridendo leggermente.
Lui stesso faceva fatica a farlo, nonostante Hime gli desse prova di star iniziando a diventare sempre più indipendente giorno dopo giorno – Genzo aveva dovuto trattenerlo con un braccio intorno alla vita, per impedirgli di salire con lei sul treno per l’Hokkaido -.
“Già”
Mormorò mesta, Yayoi, abbassando lo sguardo.
“Ma perché se la prendono così con lui?”
Chiese il portiere, dopo qualche minuto di silenzio nel quale avevano raggiunto l’entrata del campetto.
“Perché lo vedono come un-“
“Omega!”
L’urlo richiamò l’attenzione dei tre adulti sui bambini che stavano al centro del campo verde, un gruppetto compatto e ridente stava di fronte a Hime, che nascondeva dietro la sua schiena un bambino più basso di lei, dai capelli castano chiaro e dai lineamenti delicati, Ai.
“Non lo vogliamo un omega con noi a giocare!”
“Non dovrebbero nemmeno avere il permesso di stare in campo!”
“Già, quindi vattene!”
“Non sono un omega!”
Urlò, a quel punto, il piccolo Misugi, sporgendosi da dietro la schiena dell’amica.
“Ah sì? Credi di essere un alpha con quel visetto?”
Lo prese in giro quello che doveva essere il capo del gruppetto.
“No io… non lo so! Mancano ancora due anni al mio test, fino ad allora non saprò il mio secondo genere, quindi non avete diritto di prendermi in giro così!”
“Ma sta zitto omega!”
Urlò a quel punto il capo, tirando un calcio alla palla davanti a lui, indirizzandola contro Misugi.
“Ai!”
Urlò Yayoi, sgranando gli occhi, mentre Genzo e Tsubasa scattarono dentro il campo.
Il bambino chiuse gli occhi color cioccolato, preparandosi all’impatto e al dolore che sarebbe seguito… ma non sentì niente, riaprì leggermente un occhio e vide davanti a lui i lunghi capelli neri della sua amica.
“Hime…”
Bisbigliò.
La ragazzina si girò verso di lui, il viso era leggermente segnato dalla botta che si era presa al posto suo, ma riuscì comunque a fargli un’ occhiolino, prima di rigirarsi verso il gruppetto davanti a loro.
“Cosa v’importa se Ai è un omega oppure no?”
Chiese loro con voce dura.
“Gli omega non possono giocare qui!”
“E chi lo ha deciso?”
“Io, problemi?!”
Disse il capo facendosi avanti.
“Dovresti fartene visto che hai preso una decisione talmente stupida che mi fa quasi ridere”
Anche Hime fece qualche passo in avanti, per fronteggiarlo.
“Gli omega hanno gli stessi diritti che hanno gli alpha e i beta, questo è una legge che è stata decisa parecchio tempo fa, dovresti averla già studiata a scuola, quindi Ai, omega o meno, ha lo stesso diritto di tutti voi di giocare in questo campetto”
Disse dura, ma con calma, era la più grande e doveva cercare di far capire loro che stessero sbagliando a dire quelle paro-.
“Gli omega sono buoni solo a letto!”
Urlò il bambino davanti a lei, ripetendo le parole che sentiva dire ogni giorno dal padre.

A quel punto Hime decise di fregarsene.
E gli andò addosso.

Non avrebbe permesso a nessuno di parlare così degli omega e di sua madre, nessuno, specialmente a un ragazzino che non conosceva.
“Ridillo se ne hai il coraggio, avanti, ridillo!”
Urlò infuriata, agitandosi tra le braccia del padre che riuscì a separarla dal bambino, questo tenuto da Tsubasa.
“Buona, avanti… calmati Hime!”
La ragazzina ignorò, per la prima volta in vita sua, la voce del padre – che dovette bloccare la figlia contro il proprio petto, così da non lasciare che andasse nuovamente contro il bambino – e continuò ad urlare come una pazza.
“Ma che ti frega a te?!”
Urlò il bambino, staccandosi malamente da Tsubasa per raggiungere i suoi amici, che si erano allontanati leggermente, spaventati da Hime.
“Mi frega visto che Ai è il mio omega! Se lui vuole giocare a calcio allora lo farete giocare a calcio senza discutere, se vengo a sapere che lo avete trattato nuovamente male vi verrò a cercare uno per uno, mi avete capita?! Uno per uno!”
Ringhiò la piccola Wakabayashi, guardandoli dritti negli occhi con i suoi oscurati dalla rabbia, facendoli scappare tutti via.
“E tanto per chiarirti le idee, mia madre è un omega e gioca a calcio a livello professionistico! Ricordatelo, quando pensi a quella idiozia, cretino!”
Urlò ancora Hime, dietro al capo ormai lontano, calmandosi infine.
Genzo mollò lentamente la presa su di lei, osservandola sconvolto insieme a Tsubasa.
Non l’avevano mai vista in quel modo, le avevano insegnato che c’era sempre un modo pacifico per risolvere la questione e Hime li aveva sempre ascoltati, praticando quell’insegnamento anche nei litigi più duri con i compagni a scuola, non era mai arrivata ad alzare le mani, ed erano stati convinti fino all’ultimo che anche quella volta sarebbe finita così, per questo si erano fermati vicino ad una porta quando l’avevano vista prendere le difese del piccolo Misugi… invece erano dovuti intervenire, e d’urgenza anche!
Il centrocampista cercò di avvicinarsi al compagno e alla figlia e aprì la bocca con l’intenzione di riprenderla – era nel giusto ma non avrebbe dovuto reagire così! -, ma una voce agitata lo precedette.
“Hime!”
Urlò Ai, mettendosi davanti all’amica ancora ansante a causa delle frasi urlate con rabbia e foga.
“Hime ti sei fatta male! Ti sta uscendo sangue!”
La ragazzina gli sorrise – ignorando le gocce rosse che perdeva dal graffio che il bambino le era riuscito a fare sulla guancia – tranquilla, e lo abbracciò stretto.
“Tranquillo, non mi sono fatta niente”
“Ma-!”
“Tranquillo”
Disse nuovamente lei, portandogli una mano tra i capelli e accarezzandoglieli con dolci tocchi.
“D’ora in poi ci penserò io a proteggerti, non ti daranno fastidio mai più”
Continuò, coccolandolo.
“Certo che avete in casa una piccola alpha bell’agguerrita”
Mormorò Yayoi – corsa anche lei in campo quando era scoppiata la rissa – all’amico.
Tsubasa e Genzo si guardarono con occhi sgranati.
Alpha?


Il test del giorno dopo confermò.
Hime Wakabayashi era un’alpha, esattamente come il padre.
“Dite che se Ai sarà davvero un omega, zio Jun me lo lascerà sposare? E’ così carino ~♥”





 

*
Come detto nel capitolo scorso, sono una schiappa a disegnare e quindi ho preso dei prestavolto anche per i nuovi OC :3
Artemisia Navarro: Kanan Matsuura di Love Live Sunshine, chi ha visto o comunque conosce l'anime, può capire il motivo per cui ho scelto lei xD.
Ai Misugi: per il piccolo Ai, ho scelto Guang Hong Ji di Yuri on Ice, amate con me questo orsacchiotto dolcioso ~♥
Hajime Matsuyama: ... eh niente, per lui non ho nessuno perchè è ancora piccolino >.>''''

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Capitolo 5
*** Niente Calcio per la Piccola Wakabayashi ***


Angolino della Robh: Buon lunedì a tutti/e e buon inizio settimana ~♥
Ladies and Gentleman, aggiornamento importante stasera, con questo capitolo siamo ufficialmente a metà storia! *-* Ahw, come passa il tempo ~... okay, adesso inizio a sentirmi vecchia quindi cambiamo argomento >.>''''.
Dunque, abbiamo un nuovo salto temporale, qui Hime ha ben 16 anni (come crescono in fretta! ç.ç *si asciuga una lacrimuccia*) e... leggendo scoprirete cosa le succede in questo capitolo xD.
Nello scorso capitolo mi sono dimenticata di menzionarlo, ma anche Artemisia, l'amica di Hime, è un' Alpha come la piccola Wakabayashi.
Per chi non lo sapesse (e anch'io rientravo in questo gruppo fino a un po' di tempo fa), Ewell è il nome del figlio maggiore di Rivaul, il secondo... non si sa, si vede che al sensei stava antipatico e quindi ha dato il nome solo al primo (?) u.u'''.
Per quello che succede nel capitolo... sono andata a random, lo ammetto e metto le mani bene in avanti, non so davvero come funzionano queste cose, ho scritto quello che mi veniva in mente con la fantasia, che fosse anche, però, abbastanza credibile... spero di non aver scritto solo boiate >.>'''.
Detto questo, ho finito con gli avvertimenti e quindi anche con l'angolino, MA (perchè c'è un ma! u.u) ci rivediamo in fondo perchè devo aggiungere un paio di cosette che qui non posso mettere causa spoiler u.u.
Ci leggiamo a fine capitolo, vii auguro una buona lettura ♥

 

Ps: promemoria per me, dare sempre retta a Serè (♥) sennò da sola mi complico la vita ç.ç



 

Paura.
Ansia.
Tsubasa era sicuro di non aver mai visto quelle emozioni riflettersi negli occhi della sua principessa – neanche per le tanto temute verifiche di matematica -… fino ad allora.
Gli occhi verde smeraldo delle sedicenne seduta davanti a lui, al tavolo della cucina, guardavano tutto quello che c’era nella stanza, scattando da un oggetto all’altro senza soffermarcisi troppo, tranne che lui, al contrario di Ozora che stava fissando attentamente la figlia da una buona ventina di minuti.
Gli occhi non erano gli unici a far trapelare le emozioni che stava provando in quel momento.
Il corpo di Hime era rigido sulla sedia, le mani non riuscivano a stare ferme e così nemmeno i piedi, un leggero velo di sudore le imperlava la fronte e i denti non smettevano di torturare il labbro inferiore.
Tsubasa la osservò ancora qualche istante prima di portare – nuovamente – gli occhi neri alle sei foto poste ordinatamente sul tavolo.
Foto di Hime.
Sopra di una, un biglietto da visita.
“Rispiegami cos’è successo, per favore”
Le chiese, prendendo in mano il biglietto.
“… Ancora?...”
Domandò la ragazza dopo aver sussultato.
“Ancora”
Finalmente gli occhi di Hime incrociarono i suoi, il centrocampista poté leggerci dentro quanto effettivamente la figlia fosse spaventata dalla sua reazione, che ancora tardava ad arrivare.
Da mezz’ora.
Era normale che fosse così tesa, dopo tutto quel tempo passato ad aspettare, ma Tsubasa doveva pensare, pensare molto… molto… molto bene, per questo insistette per farsi raccontare ancora cosa esattamente fosse successo nel pomeriggio.
Insomma, lui era rimasto che sarebbe uscita solamente per andare a prendere un gelato con Artemisia… com’è che era ritornata a casa con sei foto di prova e un biglietto di un fotografo di un’agenzia di moda?!


“Mi sembra di non uscire da mesi”
Borbottò Artemisia, allungando le braccia verso il cielo per potersi stiracchiare il più possibile, mentre continuava a camminare, insieme all’amica, verso il loro chioschetto dei gelati preferito.
“Sono stati solo due giorni”
La corresse Hime, ridacchiando.
“Due giorni di intenso e maledetto studio”
Precisò l’alpha spagnola, andando a pizzicare il fianco dell’amica, che la schivò come se niente fosse.
“Quanti argomenti ti mancano ancora?”
“Un paio… dannata filosofia!”
“Ti avevo detto se volevi una mano per la verifica, se mi avessi ascoltata non avresti preso un brutto voto, i tuoi non si sarebbero arrabbiati e ora non dovresti studiare come una matta per recuperare il voto con l’interrogazione”
“Eri così eccitata di andare a vedere la partita di tua madre allo stadio, mi sembrava brutto rovinarti il momento”
“Non ero eccitata”
“Hime… Ewell mi ha mandato la foto dove eri in piedi sulla seduta ad esultare, incoraggiando gli altri dietro di te a fare il tifo…”
Rivelò la spagnola ghignando, facendo sussultare e arrossire l’amica, che la guardò colta in flagrante.
“E’… E’ che… non andavo da tanto allo stadio e… e poi era la partita contro il Real Madrid!”
Cercò di giustificarsi Hime, continuando ad arrossire sempre più.
“Sì sì, come vuoi tu princesa”
“Smettila di prendermi in gi-!”
“Salve”
Una voce si sovrappose a quella della giapponese, sorprendendo entrambe, che si girarono curiose verso la donna che – dietro di loro – stava porgendo loro un volantino.
“Siete davvero due belle ragazze! Che ne direste di farvi fare qualche foto?”
Propose quella, facendo sgranare gli occhi verde smeraldo all’alpha giapponese che – istintivamente – indietreggiò, allontanandosi da lei, mentre Artemisia si metteva a farle da scudo.
Non era la prima volta che qualcuno si avvicinava in quel modo a lei.
I paparazzi, con l’avvicinarsi della sua maggiore età, stavano iniziando a farsi sempre meno scrupoli nel farle foto e tentare di creare uno scandalo che avrebbe messo in cattiva luce lei, ma soprattutto Tsubasa, alcuni erano arrivati perfino ad entrare dentro la sua scuola, una volta, pur di avere una foto imbarazzante della figlia del campione giapponese del Barcellona - sempre così calmo da riuscire raramente a scrivere qualcosa di male su di lui -, da quella volta Hime aveva iniziato a mantenere la guardia alta e a guardarsi spesso intorno.
Non sarebbe mai stata un problema per il sogno di sua madre, era una promessa fatta a sé stessa, da tanto impressa nel suo cuore anche se non ricordava esattamente il momento preciso in cui se l’era fatta, probabilmente quella lontana sera dove la moglie di Rivaul l’aveva aiutata a calmarsi spiegandole i sentimenti di Tsubasa verso di lei e verso il calcio.
La donna davanti a loro non perse il sorriso, anche se i suoi occhi tentennarono un poco, fu quel tentennamento a spingere Artemisia a prendere il volantino che ancora porgeva per darci una veloce occhiata.
Hime la vide rilassarsi man mano che leggeva, infine si girò verso di lei sorridendo tranquilla.
“Ho visto questo logo su alcune riviste, non sono paparazzi”
Le spiegò, porgendole il volantino, che Hime prese curiosa di leggere anche lei.
“Quello è il logo della nostra agenzia, siamo in cerca di nuove modelle e stiamo facendo delle fotografie all’aperto alle ragazze a cui piacerebbe candidarsi, perché non provate anche voi?”
Spiegò la donna con un grosso sorriso.
“Spiacente ma io non sono interessata… tu, però, potresti provarci”
“… Eh?”
La giapponese rialzò lo sguardo sull’amica sorridente.
“Dai, sei sempre così composta, quando usciamo, per paura dei paparazzi, è l’occasione giusta per scioglierti un po’”
Insistette Artemisia.
“Ma…”
“Potresti divertirti, è senza impegno, no?”
Domandò la spagnola alla donna, la quale annuì.
“E… le foto che vengono scattate, che fine fanno?”
Chiese Hime, era quello a cui continuava a pensare.
“Ti verranno immediatamente consegnate una volta sviluppate, potrai portarle con te all’agenzia se vorrai candidarti come modella, sennò saranno solo un bel ricordo”
“Non verranno divulgate, vero?”
“Assolutamente no, la privacy per la nostra agenzia è fondamentale”
“Uhm…”
“Andiamo Hime, ci sarò io con te se succede qualcosa”
Le disse Artemisia, andando a stringerle leggermente il braccio.
Rassicurata da quella stretta, Hime alla fine annuì e seguirono la donna fino al luogo degli scatti.

“Guarda come sono venute bene!”
Urlò Artemisia, eccitata, arrivando davanti all’amica con le sue foto appena sviluppate.
“Davvero?”
Chiese Hime, finendo di indossare il suo cappotto leggero e primaverile e recuperando la borsa.
“Sì! Guarda, guarda!”
La non più tanto piccola Wakabayashi si guardò, come insisteva la sua amica… e quasi non si riconobbe… era davvero lei, quella bella ragazza che vedeva? Si chiese, sfiorando leggermente le foto ancora in mano ad Artemisia.
“Sei davvero molto fotogenica”
S’intromise il fotografo, vicino a loro, mentre aspettava la prossima ragazza.
“Dovresti presentarti davvero in agenzia, tra qualche giorno, hai ottime possibilità di essere presa”
“Lo pensa davvero?”
Mormorò piano Hime, tornando a guardare le sue fotografie.
“Credimi, non ci guadagno nulla a darti false speranze… pensaci, questo, nel caso, è il mio biglietto da visita, sotto c’è scritto l’indirizzo dell’agenzia”


Così, sua figlia era tornata a casa con sei foto e il biglietto da visita del fotografo che gliele aveva scattate.
“Sei arrabbiato?”
Chiese Hime, torturandosi le mani.
Tsubasa non rispose e tornò ad osservare le sei foto disposte sul tavolo.
Nella prima si vedeva benissimo l’imbarazzo che provava la sua principessa ad essere fotografata, mentre indossava un semplice vestito smanicato e che andava sul rosato, i capelli raccolti in due codini bassi, stesso nella seconda, dove Hime sfoggiava un elegante vestito rosso scuro con una rosa dello stesso colore ad ornarle i lunghi capelli neri, nella terza – invece – l’imbarazzo stava cedendo il passo alla sicurezza, lo capiva dallo sguardo verde smeraldo del tutto tranquillo, mentre portava un altro vestito elegante, dello stesso colore del vestito prima ma molto più semplice, solo un nastro nero con fiocco usato come cintura a decorarlo, nella quarta e nella quinta – dove indossava dei semplici pantaloncini blu, una maglia rossa a righe, coperta da quello che, a Tsubasa, sembrava uno scaldacuore color panna e un completo bianco, formato da gonna e camicia, con dettagli neri e rossi - Hime era completamente rilassata e si era messa in posa come le aveva suggerito il fotografo.
L’ultima foto, però, era quella che aveva colpito di più Ozora.
La sua principessa indossava una maglia blu, coperta per metà da un gilet bianco con dettagli blu, la gonna era composta da tre balze, una bianca come il gilet con una linea blu, una blu con tema scozzese e l’ultima era rossa semitrasparente, alla vita un largo nastro bianco e rosso con dei fiocchi fungeva da cintura, sulla mano destra un guanto bianco – che le lasciava le dita scoperte – le arrivava al polso, mentre su quella sinistra le continuava fino al braccio, nei capelli neri un cerchietto rosso terminava con un fiocco a righe bianco e rosso.
Era in posa, stava lanciando un bacio con entrambe le mani come le aveva suggerito Artemisia.
Aveva le gote leggermente arrossate, come nelle altre foto.
Era bellissima e… si stava divertendo, era impossibile non notarlo, l’omega vedeva quella scintilla negli occhi smeraldo che tante volte Roberto aveva detto di vedere nei suoi, quando giocava a calcio.
“Non sono arrabbiato”
Le disse, osservando quella foto e sorridendo.
“Vorrei solamente sapere che intenzioni hai”
Dichiarò poi, tornando a guardarla, stavolta estremamente serio.
“Io… vorrei provarci…”
Mormorò la sedicenne, andando a guardarsi le mani.
“Vuoi andare all’agenzia?”
“Sì… mi sono divertita molto a fare a queste foto e-“
“Non è un gioco”
La interruppe Tsubasa, facendola sussultare, il centrocampista aspettò che i loro occhi s’incrociassero di nuovo e continuò.
“E’ un lavoro Hime, un lavoro molto serio, che richiede impegno e costanza, se ti vuoi solo divertire come oggi allora posso comprarti una macchina fotografica, così puoi farti le foto con Artemisia quando vuoi”
I suoi occhi neri erano duri e severi mentre osservavano con attenzione la reazione della figlia, che non tardò ad arrivare.
“Lo so benissimo che è un lavoro serio!”
Disse Hime alzandosi in piedi di scatto.
“E’ dal tragitto di ritorno con Artemisia che ci penso, ho pensato davvero a tutto quello che comporterebbe, ai cambiamenti, all’impegno, a tutto, e sono arrivata alla conclusione che sì, voglio provarci, voglio provare a lavorare divertendomi esattamente come fai tu con il calcio!”
“E la scuola?”
“Continuerò a frequentarla”
“E se non ti prendessero?”
“Uscirò comunque a testa alta, perché almeno potrò dirmi di averci provato”
Gli occhi verde smeraldo brillavano sicuri e fieri, a Tsubasa ricordarono tanto quelli del suo amato portiere.
“Capisco che tu possa essere preoccupato, è stata una cosa imprevista… ma non te ne avrei parlato, se le mie intenzioni non fossero davvero serie”
Finì Hime ritornando seduta.
L’omega sospirò, tornando a guardare le foto ancora poste sul tavolo in mezzo a loro, prese in mano l’ultima, quella dove la figlia lanciava il bacio.
La scintilla nei suoi occhi era sempre lì.
Non poteva essere ignorata, soprattutto da lui, che aveva fatto di tutto per raggiungere il suo sogno e che ancora si divertiva a giocare come se fosse ancora un bambino.
Perché non lasciare che anche sua figlia entrasse nel mondo del lavoro con un sorriso in volto? Era così sbagliato lasciarle fare un lavoro che l’aveva colpita in positivo? Era davvero un problema che Hime si divertisse mentre lavorava?
Tsubasa sorrise e la sua principessa esultò, correndo ad abbracciarlo.
“Sia chiaro però, io verrò con te e se ti prenderanno davvero, mi farai prima leggere il contratto, sei ancora minorenne signorina e senza il mio permesso non fai assolutamente nulla, va bene?”
“Va bene! Adesso avvisiamo anche papà?”
“No”
“No?”
Chiese l’alpha, staccandosi leggermente dalla madre e guardandolo confusa.
Ozora non le rispose per non smorzare il suo entusiasmo, il fotografo poteva averle detto quello che voleva, ma non era lui a decidere alla fine, quindi non sapevano ancora se davvero sarebbe stata presa, era inutile far preoccupare Wakabayashi senza un motivo preciso.

“Nostra figlia farà COSA?!”
Urlò Genzo quando gli dovette telefonare, una settimana dopo.
“…La modella…”
Mormorò Tsubasa a bassa voce, sperando che il compagno non lo sentisse.
A giudicare dall’urlo che ne seguì, il portiere aveva sentito fin troppo bene.
“Dimmi che stai scherzando!”
“Credi davvero che potrei farti uno scherzo del genere?”
“Sono contrario!”
“Ma va? Pensavo stessi urlando solo per dare fastidio ai vicini”
“Tsubasa! Sono serio!”
“Lo so e lo sono anch’io”
Specificò il centrocampista iniziando a fare avanti e indietro per la sala, come – molto probabilmente – stava facendo il compagno in Germania.
“Perché non me l’hai detto prima?!”
“Perché non era certo che la prendessero, non volevo farti preoccupare per nulla!”
E di certo non si sarebbe preoccupato perché c’era la possibilità che non la prendessero, si sarebbe preoccupato per la possibilità che la PRENDESSERO – com’era successo -, di questo Tsubasa ne era sicuro.
“E tu questo me lo chiami nulla?!”
“Hai ragione, ho sbagliato, avrei dovuto dirti tutto fin dall’inizio, ma ormai Hime è stata presa, è inutile essere contrari giunti a questo punto”
“Siamo giunti a questo punto perché tu non mi hai detto nulla! Se lo avessi saputo prima, stai sicuro che avrei impedito che qualcuno scattasse delle foto dove nostra figlia è mezza nuda!”
“Non è mezza nuda!”
“Adesso, e se tra qualche mese iniziassero a pretendere certi scatti?! Non lo permetterò Tsubasa, fosse l’ultima cosa che faccio!”
“Genzo, amore, calmati un attimo, respira… c’ero anch’io con lei, credi davvero che li avrei lasciati fare, se avessero avuto cattive intenzioni?”
L’omega sentì l’alpha prendere un grosso respiro – come gli aveva chiesto -, prima di rispondere.
“No, non lo avresti permesso… ma rimane il fatto che non mi piace, non voglio che faccia questo!”
Tsubasa non fece in tempo a rispondergli.
Il cellulare gli venne strappato dalla mano dalla protagonista della loro conversazione, arrivata in sala per chiedergli come stava andando, si era avvicinata in tempo per ascoltare l’ultimo urlo del padre.
“E quello che voglio fare io non conta?!”
Gli urlò, di rimando.
Ozora sentì il portiere urlare che il suo pensiero non contava perché era ancora una bambina, che era troppo piccola e che si era lasciata ingannare da un fotografo da strapazzo.
“Credi davvero che io sia così stupida?!”
Dopo qualche tentativo – urlato – da parte del padre per tentare di spiegarle, Hime chiuse la chiamata, troppo arrabbiata con lui per continuare ad ascoltarlo, e si girò verso la madre.
“Io farò questo lavoro, che lui lo voglia oppure no!”
“Hime…”
La figlia gli lanciò il telefono contro il petto e dopo corse nella sua stanza, sbattendo la porta mentre la chiudeva.
Tsubasa sospirò, ora di Wakabayashi arrabbiati ne aveva ben due…

Verso sera, Genzo ricevette un messaggio da parte del suo centrocampista, era ancora arrabbiato con lui per non avergli detto nulla, ma lo aprì lo stesso, curioso di vedere cosa gli aveva scritto… ma Tsubasa non gli aveva scritto nulla.
Era una foto di Hime.
La sua principessa stava indossando un kimono rosso, aveva i capelli neri raccolti e decorati con qualche fiore, in una mano teneva un ventaglio bianco e oro mentre l’altra stringeva il bordo della manica del kimono, il viso era arrossato e leggermente sorridente.
La trovò bellissima, più delle altre volte che la guardava.
Sospirò e chiamò l’omega.
“Dimmi la verità, provi piacere a farmi sentire in colpa?”
Gli chiese una volta che ebbe risposto.
“Uhm… un po’, ma l’intento principale era mostrarti nostra figlia”
“Ne hai altre?”
Domandò Genzo, tentennando un po’.
“Le vuoi vedere?”
Chiese, di rimando, Ozora.
“Mandale”
Entrambi misero il vivavoce e Tsubasa gli inviò le foto che era riuscito a scattare di nascosto a Hime, durante il servizio di prova.
In una indossava un vestito bianco senza maniche, semplice, con bordi neri, in un’altra un completo con pantaloncini neri, camicia bianca, gilet nero e giacca con coda di rondine bianca, la vide versione rocker con un corpetto rosso e nero coperto da una giacca di pelle nera con decorazioni, pantaloncini neri sempre di pelle con un lungo strascico rosso al fianco, calze a rete coperte dagli alti stivali e la vide versione odalisca con un reggiseno nero quasi del tutto coperto da della stoffa rossa/arancione, la gonna corta sul davanti che si andava allungandosi sul retro dello stesso colore della stoffa sul petto, i veli le ornavano gambe e braccia.
“Questa è l’ultima”
Lo avvisò Ozora ad un certo punto, mentre Genzo osservava in silenzio le altre.
L’ultima foto che gli arrivò mostrava Hime con indosso quello che sembrava un kimono nella parte superiore ma che finiva sui fianchi, sotto s’intravedevano dei pantaloncini neri aderenti, era un completo semplice rispetto a quelli prima… ma non era per quello che Tsubasa gliela aveva inviata per ultima, Wakabayashi lo intuì subito.
Hime non era in posa, stava parlando con il fotografo, aveva l’espressione seria, gli occhi verde smeraldo erano concentranti e attenti.
Sembrava così presa da quello che le stava venendo detto, così… felice…
Genzo sospirò, facendo ridacchiare il compagno.
“L’hai vista?”
“L’ho vista”
Confermò.
“Sei meno preoccupato?”
Chiese il centrocampista.
Lo scopo di mandargli le foto della loro principessa era quello, mostrargli che non c’era assolutamente nulla di male in quel lavoro, e quanto Hime fosse contenta di farlo.
“Al contrario, dopo i vestiti da rocker e odalisca lo sono ancora di più”
“Ma…?”
Aggiunse Tsubasa, capendo all’istante che c’era un ‘ma’, visto il tono del compagno.
“Ma questo non impedirà a nostra figlia di fare quello che desidera fare”
Finì Genzo, con un leggero sorriso rassegnato in volto.
Non avrebbe mai impedito ad Hime di fare quello che la rendeva felice, poteva borbottare, essere contrario, urlare la sua posizione, ma alla fine avrebbe sempre ceduto, come succedeva sempre con Ozora.
“Bene, sappi che nostra figlia ha appena sorriso”
Lo informò Tsubasa, facendolo ridere, avrebbe dovuto immaginare che Hime fosse di fianco a lui, era molto probabile, poi, che lo fosse fin dall’inizio della chiamata.
“Sta ascoltando?”
“Sì”
“Mi vuole parlare?”
“No”
“Va bene, allora dille che il suo papà le vuole bene”
“Te ne voglio anch’io”
Rispose la voce bassa di Hime dopo qualche istante di silenzio, facendo sorridere Genzo.
Con quella risposta avevano appena fatto pace.
“Parlatemi un po’ di questo lavoro, adesso”
 

Dannato lavoro, dannato fotografo, dannato rossetto e dannato lui quando aveva gettato l’ascia di guerra!
Pensò il portiere, guardando scioccato la rivista con sopra la prima pubblicità che ritraeva Hime come modella.
Cos’era quell’espressione mentre era intenta a mettersi il rossetto – soggetto della pubblicità - ?!
Perché quelle spalline dovevano essere cadenti sulle spalle?!
Almeno il vestito le arrivava alle ginocchia?! Ma, soprattutto, perché doveva essere così aderente il corpetto?!
“Non concentrarti troppo sul contenuto della foto, pensa solo che è il primo lavoro di Hime”
Gli disse Kaltz, seduto vicino a lui negli spogliatoi.
“… Il primo lavoro di Hime…”
Ripeté Wakabayashi.
“Sì, il primo lavoro di Hime, è solo il primo lavoro di tua figlia, nient’altro”
“E’ solo il primo lavoro di mia figlia, solo quello”
“Esatto! Dovresti essere fiero di lei!”
Disse Hermann, aiutandolo a vedere la cosa sotto un altro punto di vista.
Ma anche il biondo aveva i suoi limiti.
E questi assunsero la forma di un fischio acuto, fatto da un giocatore dietro di loro che si sporse per guardare la foto della ragazza sulla rivista.
A quel punto Kaltz aveva due opzioni: o aiutarlo a commettere un omicidio o trascinarlo via da lì.
Decise per la seconda perché sospettava che a Tsubasa e a Hime non sarebbe piaciuto andare a trovare Genzo e scoprirlo in prigione.


*
Ben ritrovati.
Allora! Come mai mi ritrovate anche qui? Semplice, perchè mentre scrivevo mi sono resa conto di essere una pippa incredibile a descrivere i vestiti, quindi, per farveli andare a vedere anche a voi e darvi così l'idea, vi scrivo qui sotto i nomi dei set del gioco in ordine.

Foto viste da Tsubasa:
Dia Kurosawa Soap Bubble Set versione non idolizzata
Dia Kurosawa Wedding Set versione non idolizzata
Dia Kurosawa Birthday
Dia Kurosawa card limited 6th SIF anniversary (entrambe la quarta e la quinta)
Dia Kurosawa AC limited

Foto del provino:
La prima non appartiene ad un set, ma se scrivete Dia Kurosawa All Stars card, dovrebbe essere tra le prime che vi escono ^^
Dia Kurosawa Something Personal Set
Dia Kurosawa Mirai Ticket (vi consiglio anche di ascoltare la canzone dell'anime, che s'intitola, appunto, Mirai Ticket :3)
Dia Kurosawa Punk Rock Set versione idolizzata
Dia Kurosawa Arabian Dancer Set versione idolizzata
Dia Kurosawa My Mai Tonight (anche qui consiglio la canzone, My Mai Tonight, è la mia preferita di tutto l'anime ~♥)

Foto della pubblicità vista da Genzo:
Dia Kurosawa Little Devil Set versione non idolizzata

Voglio anche precisare che non ho fatto diventare Hime una modella perchè la trovo la più bella del mondo o cose simili (nel capitolo ripeto spesso che è bellissima solo perchè sono i punti di vista di Tsu e Gen, chi è che vede la propria figlia brutta? ò.ò), anche se ammetto che Dia è una delle mie waifu, ma non voglio che pensiate male di lei, semplicemente ho voluto sfruttare i vari vestiti delle card del gioco di Love Live, tutto qui u.u.
A lunedì prossimo ~♥.


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Capitolo 6
*** Cambio Campo per il Portiere e... ***


Angolino della Robh: Buonaseraaaaaaaaaaaa! ~♥ 
Buon inizio settimana a tutti!~♥ Com'è iniziata la vostra? La mia davvero bene! *-* ... non tanto per il mio sederotto *ha mangiato il Mc*, ma dettagli! u.u'''
Parliamo della storia e lasciamo perdere la mia dieta và u.u'''.
Dunque! In questo capitolo abbiamo l'ultimo salto temporale per quanto riguarda Hime, da questo e per i restanti capitoli, la piccola Wakabayashi avrà ben diciotto anni (*piange commossa per la sua piccina diventata donna con Serè che le patta la testa*), e da adesso... eh, ci sarà da divertirsi, non vedo l'ora di leggere le vostre recensioni per vedere come ci rimanete per quello che succede a fine capitolo xD.
Ma parliamo anche di quello che succede prima, purtroppo non ho ancora recuperato il manga quindi non so con esattezza perchè e come sia successo quello che ho scritto, soprattutto non ho capito se è quello che si vede anche nella serie Forever in uno degli ultimi episodi, in un commento un tizio diceva di sì... spero che sia come diceva lui ò.ò.
Nel caso abbiate pietà di me e vi regalo montaggi sexy di Genzo fatti dalle manine sante di Serè (?) ♥.
Vi auguro come sempre una buona lettura ~♥.


Ps: laurakovac (♥) voglio vedere se riesci a farti spoiler da sola anche stavolta xD.


In casa Ozora regnava il silenzio.
Non un rumore, non una parola esclamata ad alta voce, niente.
Non si sentiva volare nemmeno una mosca.
I vicini si chiesero se per caso Tsubasa e Hime non si fossero sentiti male e avessero bisogno d’aiuto, era strano che proprio quella sera ci fosse così silenzio.
Quella sera giocava l’Amburgo.
E tutti, ormai, sapevano che quando giocava la squadra tedesca, madre e figlia si lasciavano andare con il tifo, facendo un sacco di casino – per scusarsi, la mattina dopo andavano sempre porta per porta -, per il loro portiere.
Quella sera non fu così.
Quella sera l’omega e l’alpha guardarono gli ultimi minuti della partita nel silenzio più totale, gli occhi di entrambi, sgranati, osservarono l’azione che compì il loro portiere per riuscire a portare a casa la vittoria contro la squadra bavarese.
La partita finì, ma vinse il Bayern Monaco.
I due si lanciarono un’occhiata e poi scattarono via dal divano, Tsubasa corse in camera a prendere il cellulare – lo lasciava sempre lì quando vedeva una partita in tv, per non essere disturbato da nessuno -, appena lo ebbe in mano digitò il numero che sapeva a memoria ormai da anni, se lo portò all’orecchio e si mise in attesta, ritornando in sala dove trovò Hime inginocchiata davanti alla tv, che cambiava velocemente i canali per trovare quello che premeva di più a loro.
La ragazza si fermò quando vide un volto noto e il centrocampista si mise ad osservare con lei, rimanendo in piedi, il cellulare ancora in chiamata.
In tv stava venendo intervistato l’allenatore dell’Amburgo, ci furono domande di cui anche loro volevano sapere la risposta… ma l’uomo non ne diede.
Dopo di lui, toccò a Rudi Schneider.
Hime, allora, tornò a cambiare canale… ma niente.
Nessuna intervista con Genzo Wakabayashi per quello che era successo in partita.
Il portiere non rispondeva nemmeno al cellulare.
“Mamma…”
Mormorò l’alpha girandosi verso il calciatore, gli occhi verde smeraldo pieni di preoccupazione e paura per il padre.
Tsubasa cercò di sorriderle.
“Non è successo niente, tranquilla, conosco tuo padre, vorrà solamente stare un po’ da solo per pensare, vedrai che ci contatterà lui quando sarà pronto”
“Lo credi davvero?”
“Certamente, per chi mi hai preso?”
Le domandò, scompigliandole leggermente i lunghi capelli neri.
“…Mamma?”
“Sì?”
“Tu credi che abbia fatto bene?”
Il centrocampista fermò la mano sui capelli della figlia, glieli accarezzò con dolcezza mentre il sorriso sul volto tentennava.
“Purtroppo non conta quello che credo io, Hime”

Andarono nelle loro stanze, ma nessuno dei due riuscì a dormire.
Verso le tre di notte, la ragazza andò nella stanza della madre e parlò un po’ con lui.
Quando Hime tornò nella sua stanza, si attaccò immediatamente al pc, mentre Tsubasa faceva lo stesso con il cellulare.

Wakabayashi vide la stanza illuminarsi pian piano, segno che un nuovo giorno era iniziato e lui aveva appena passato la notte in bianco.
Sospirò, passandosi una mano sugli occhi.
Aveva la testa piena di pensieri, pensieri su cui aveva rimuginato tutta la notte e a cui non era riuscito a dare un inizio e una fine, aveva un solo punto fermo da cui non si era mai smosso: lui non aveva sbagliato, ne era sicuro, aveva fatto la cosa giusta per la sua squadra.
Ed era finita in quel modo.
Sospirò nuovamente.
Adesso cosa doveva fare?
Il mister non gli avrebbe perdonato una cosa del genere.
Magari accendere il cellulare sarebbe stato un buon inizio, però… lo aveva spento non appena aveva lasciato lo stadio, ignorando Kaltz, i compagni, Schneider, i giornalisti, tutti quanti, non voleva parlare con nessuno, voleva stare solo con se stesso, ma quando vide tutte le chiamate perse da parte di Tsubasa, si sentì in colpa.
Il suo omega aveva sicuramente visto la partita insieme alla loro principessa, dovevano essersi preoccupati molto per lui, il pensiero della sua famiglia in pena riuscì a fargli mettere da parte tutti gli altri che ancora gli giravano in testa, doveva rassicurarli, senza perdere altro tempo chiamò Ozora, che gli rispose subito, dopo il secondo squillo.
“Genzo!”
La voce di Tsubasa riuscì ad alleggerirgli di poco il cuore.
“Ehi…”
“Stai bene?! Dove sei?!”
“Sono a casa e… no, non sto molto bene Tsu”
Mormorò, passandosi nuovamente la mano sugli occhi.
“Parlami”
Bisbigliò il centrocampista, dicendogli la stessa parola che gli aveva detto lui la sera dopo la finale dei mondiali, con gli stessi significati – ‘sono qui, sono vicino a te, sfogati con me, condividi il peso che senti, insieme possiamo risolvere tutto’ -.
“Ho fatto la cosa giusta… vero?”
Genzo era sicuro di averlo fatto, ma sentire Tsubasa confermarglielo gli alleggerì di nuovo il petto.
“Allora perché il mister mi ha urlato contro? Perché voleva accontentarsi di un semplice pareggio quando potevamo vincere?! Io non lo capisco!”
“Non glielo hai chiesto?”
“No… me ne sono andato subito dopo la fine della partita”
“Hai intenzione di chiederglielo?”
“Non credo, io non… non…”
“Ehi, respira”
Mormorò il centrocampista, con tono calmo.
“Non so se resterò all’Amburgo”
Confessò infine, l’alpha, portandosi il braccio libero sugli occhi.
“Sia che deciderai di restare, sia che deciderai di cambiare squadra, ti appoggerò sempre”
Gli disse Tsubasa, serio, facendolo sorridere leggermente.
“Tsu…”
“Dimmi”
“Ti vorrei qui, accanto a me”
Aveva bisogno di abbracciare il suo corpo caldo.
“Gen…”
“Lo so, lo so… stasera devi partire per la trasferta contro il Valencia di domani”
“Perdonami…”
Adesso che Wakabayashi sentiva il bisogno di avere Ozora vicino, il calcio si metteva nuovamente in mezzo, si erano incontrati da bambini, grazie al calcio, il calcio che era il sogno più grande di entrambi, ma era – paradossalmente – anche la cosa che li faceva stare lontani l’uno dall’altro.
Che strano scherzo del destino.
Prima che potesse tranquillizzare Tsubasa – non aveva fatto niente di male, semplicemente non poteva mancare a quella partita importante -, quello riprese a parlare.
“… ma non ti lascerò solo, tranquillo, ho già pronta la cavalleria!”
“La cavalleria?”
“Già, ormai dovrebbe essere arrivata”
Come predetto dall’omega, l’alpha sentì la porta di casa aprirsi.
Il portiere si tolse il braccio dagli occhi e si mise a sedere, confuso, tenendo sempre il cellulare all’orecchio.
Si vide arrivare contro un cuscino.
Se lo tolse dalla faccia, scioccato, ma fu presto sostituito da un altro.
E un altro.
E un altro ancora.
Quando finalmente i cuscini finirono – mannaggia a lui che ne aveva comprati tanti per il divano -, Genzo si ritrovò davanti la sua principessa, arrossata, con il fiatone e i capelli tutti scompigliati.
“Hi-“
“Se la prossima volta non accendi prima il cellulare, giuro sul tuo cavolo di cappellino, che ti prendo a calci da qui fino a Barcellona!”
Urlò la ragazza, gli occhi verdi smeraldo resi ancora più scuri dalle lacrime che finalmente iniziarono a scorrere libere sulle guance.
Si gettò addosso a lui, abbracciandolo stretto e nascondendo il viso nel suo collo.
“Non farci più preoccupare così papà, per favore!”
“Perdonami… perdonatemi”
Bisbigliò Wakabayashi.
Tsubasa chiuse la chiamata, promettendogli che li avrebbe raggiunti appena avrebbe potuto, e Genzo lasciò andare il telefono sul letto per poter ricambiare l’abbraccio della figlia.
La strinse forte, le accarezzò la schiena e inspirò forte il suo profumo.
Il calcio  non sarebbe mai riuscito a tenere lontana anche lei, la sua piccola principessa… per fortuna.

“Allora… cos’è successo, esattamente, ieri sera?”
Domandò Hime, stringendo tra le mani la sua tazza di thè caldo.
Cullata dalle braccia rassicuranti del padre, la ragazza – la mattina – aveva finito con l’addormentarsi e recuperare così la nottataccia passata in bianco in preda alla preoccupazione, Genzo l’aveva lasciata dormire ed era andato a pensare nell’altra stanza, finendo per essere travolto da quei pensieri che non gli lasciavano tregua – aveva quasi rischiato di bruciare il pranzo, per fortuna Hime si era svegliata a causa del trambusto e aveva preso il suo posto ai fornelli -.
Avevano pranzato in rigoroso silenzio, ma adesso era arrivato il momento di parlare, almeno così la pensava l’alpha più piccola.
“Niente che possa o che debba riguardarti”
Gli disse Genzo, duro anche se non era sua vera intenzione esserlo.
Non poteva coinvolgerla in quella storia, non lei che non c’entrava niente in tutto quello.
“Se riguarda te allora riguarda anche me!”
Protestò la ragazza, facendo sospirare il padre.
“Hime, ti ringrazio per volermi aiutare ma-“
“Prova a dire che sono ancora una bambina e recupero i cuscini del divano”
Lo minacciò la figlia, assottigliando lo sguardo verde.
“Non era quella la mia intenzione”
Sorrise, nonostante tutto, il portiere e la guardò con dolcezza.
“Anche se per me e tua madre rimarrai sempre una bambina”
“Ho diciotto anni!”
“Da solo un mese”
Specificò il padre, ghignando nel vederla gonfiare le guance offesa.
“… Sono seria però… se riguarda te allora riguarda anche me”
Mormorò Hime, seria, dopo qualche istante di silenzio.
“Non sono la mamma e capisco che vorresti parlare con lui delle questione con le vostre squadre ma… non potete tenermi fuori da queste questioni per sempre papà, se una cosa ti preoccupa puoi parlarmene, sono abbastanza grande ormai”
“Hime…”
“Provaci, almeno questa volta… me lo devi dopo la nottataccia che mi hai fatto passare!”
“Passiamo ai ricatti, adesso?”
Chiese, ironicamente, Genzo ma la figlia rimase seria e lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli scuri.
La sua principessa non avrebbe mollato la presa, non quella volta e lui non aveva abbastanza forza mentale per tentare di continuare a sviare l’argomento.
“Ci sono state delle incomprensioni…”
Mormorò.
“Gravi abbastanza da non poterle risolvere?”
Domandò la ragazza, rafforzando la presa sulla tazza che ancora aveva tra le mani.
“Potrebbe essere”
“Stai pensando di lasciare l’Amburgo?”
Genzo annuì solamente.
La Wakabayashi più piccola abbassò lo sguardo sul contenuto ambrato della sua tazza.
“Io… credo che tu debba fare quello che ti fa sentire meglio”
Gli disse con tono calmo ma serio, quello che spesso Tsubasa usava con lei.
“Se stare nell’Amburgo non ti fa più sentire bene, se davvero quelle incomprensioni sono così gravi da non poter essere risolte allora lascia la squadra… so che non è un discorso così semplice e so anche che sei profondamente legato a questa squadra perché è sempre stata la tua, fin da quando eri più piccolo, ma andando avanti correresti solo il rischio di rovinare i bei ricordi che hai e, soprattutto, inizieresti ad odiare il calcio a cui saresti costretto a giocare e tu questo non lo vuoi, ieri sera ne hai dato prova… il mio pensiero non è così importante, alla fine la decisione è solo tua, ma credo fortemente che in un’altra squadra staresti meglio... io e mamma vogliamo solo questo, che tu stia bene”
Nel dirlo, Hime rialzò lo sguardo e lo fissò dritto negli occhi.
Il portiere lasciò che il suo verde chiaro si fondesse con il verde smeraldo della figlia per alcuni minuti, poi spezzò quel contatto e iniziò a bere il suo thè ormai freddo.
Non parlò per tutto il resto della giornata.

Da quando la sua principessa faceva discorsi così seri?
Da quando era diventata grande?
Erano queste le domande che Genzo non smetteva di farsi da quasi tutto il giorno - avevano addirittura preso il posto dei pensieri che l’avevano fatto impazzire la notte precedente -, e più la guardava, più continuava a chiederselo.
Era ancora la sua bambina, come gli aveva detto, era ancora quella piccola che aveva fatto incerta i primi passi verso di lui chiamandolo campione… eppure era diversa.
Era cambiata, Hime, era diventata un’adulta, se ne era reso conto solo dopo il suo discorso, gli aveva parlato da adulta ad adulto, dandogli la sua opinione ma lasciando a lui la decisione finale.
E lui, la decisione, l’aveva presa proprio grazie alle sue parole.
Pensò con un sorriso, osservandola mentre dormiva tranquilla nella sua stanza, abbracciata a un Mambo che ancora resisteva nonostante fosse ormai vecchiotto – si vantava tanto di essere grande, ma ancora si rifiutava di staccarsi dal suo peluche -.
Si staccò dallo stipite della porta, le si avvicinò e le accarezzò delicatamente i capelli, lasciandole un leggero bacio sulla fronte, le promise sottovoce che non avrebbe fatto preoccupare mai più né lei né Tsubasa e dopo si allontanò, lasciò la sua stanza e chiuse la porta dietro di sé.
Prese il cellulare solo dopo essersi seduto sul divano e scorse velocemente la rubrica, trovato il nome che cercava, avviò la chiamata.
“Si può sapere perché diavolo mi chiami a quest’ora di notte?”
Borbottò la voce che gli rispose.
Effettivamente era l’una del mattino, constatò Genzo guardando l’orologio, ma non poteva aspettare un minuto di più, non dopo il discorso della sua principessa e averci riflettuto bene, quindi rispose a quella domanda, con un’altra domanda.
“E’ ancora valida l’offerta per il Bayern Monaco, Schneider?”

 
“Vedo che siamo ancora in altro mare, qui dentro”
Ghignò Karl, appoggiandosi allo stipite della porta con le braccia incrociate sul petto, dando una veloce occhiata all’appartamento pieno di scatoloni.
“Sei venuto qui solo per far notare l’ovvio?”
Borbottò Genzo, facendo sbucare la testa da dietro una pila di questi.
“Anche, ma soprattutto per vedere se ti eri trasferito veramente”
“Credevi che ti stessi prendendo in giro, per caso?”
“Beh sai, dopo tutti gli anni che ho passato a cercare di convincerti, tu ti sei svegliato così all’improvviso, pensare che mi stessi prendendo in giro è stato il minimo”
“E invece, guarda un po’, ero serio”
Gli rinfacciò il portiere, prendendo uno scatolone dall’ingresso per poterlo portare in quella che sarebbe diventata la sala.
Ci erano voluti due mesi ma Wakabayashi si era finalmente trasferito a Monaco, e a partire dalla nuova stagione, avrebbe giocato fianco a fianco con il Kaiser proprio come quando erano adolescenti.
Con Genzo in porta e lui in attacco, il Monaco non avrebbe avuto più rivali, di questo Karl ne era sicuro.
“Hai intenzione di fare ancora la bella statuina o mi aiuti?”
Lo richiamò il giapponese, facendolo ghignare nuovamente.
“Chiedi aiuto a me e non alla tua dolce metà? Credevo che sarebbe venuto lui ad aiutarti”
“Tsubasa è impegnato con gli ultimi allenamenti, lo sai benissimo, appena avrà finito verrà”
“Allenamenti che, suppongo, starà facendo con un certo brasiliano di nostra conoscenza”
Insinuò il biondo, prendendo uno scatolone e seguendo l’amico che si girò a guardarlo davvero molto male.
“Piantala!”
Urlò quello, facendolo ridere, come si divertiva a prenderlo in giro sfruttando la sua gelosia verso il centrocampista e l’asso del Barcellona.
“Quando troverai anche tu la tua persona speciale, la finirai di prendermi in giro così e capirai la mia gelosia!”
“Non lo metto in dubbio, per questo non mi sono ancora legato”
E non lo farò mai, aggiunse nella sua testa, il tedesco.
Il legame era per qualcuno più romantico, che voleva mettere su famiglia, come Genzo e Tsubasa, non per qualcuno come lui, che si riteneva soddisfatto delle sue avventure – che fossero esse di una sola notte o qualcosa di più – e che stava bene anche da solo.
“Ma come, mi fai la ramanzina e cosa trovo qui? Delle valigie di una donna?”
Domandò Schneider, malizioso, poggiando lo scatolone vicino ad esse.
“E il tanto decantato legame?”
“Idiota, quelle sono le valigie di-“
“Sono tornata!”
Urlò una voce femminile, interrompendoli.
Pochi secondi dopo entrò nel loro campo visivo una ragazza con dei sacchetti in mano.
“Hime!”
Sorrise Genzo, ricambiato dalla figlia.
“Lei è Hime, te la ricordi Schneider? Quelle valigie sono sue, ha finito la scuola e ha deciso di trasferirsi da me, crede che il suo vecchio non riesca a cavarsela da solo in una nuova città”
“Non è che lo credo, lo so per certo, e mamma è dalla mia parte”
“Come poteva essere altrimenti”
La ragazza gli mostrò la lingua per qualche istante e dopo corse in cucina a sistemare la piccola spesa che aveva fatto.
“Più diventa grande e più mostra il lato impertinente di Tsubasa… mi stai ascoltando Schneider? Schneider?... Karl?”
Richiamò Genzo, ma il biondo era perso nei suoi pensieri.
No, non era vero.
Quella non poteva essere Hime Wakabayashi.
Davvero… no.
La Hime Wakabayashi che si ricordava lui era una mocciosa urlante e appiccicata a Ozora.
Invece quella… quella era una bambolina… una bambolina dai lunghi e lucenti capelli neri, gli occhi color verde smeraldo intenso, la bocca resa rossa dal leggero lucidalabbra che indossava e il corpo… aveva davvero osservato il petto e le gambe della figlia del suo migliore amico con un certo interesse?!
Che diavolo gli prendeva tutto d’un tratto?!
Pensò scrollando la testa.
“Ehi, tutto bene?”
Gli chiese il portiere, poggiandogli una mano sulla spalla, preoccupato.
Non sarebbe stato così preoccupato se avesse saputo gli apprezzamenti che aveva fatto su Hime… ma non sarebbe stato certo il Kaiser a rivelargli di averli fatti.
“S-Sì, ho avuto solo un giramento”
Mormorò come spiegazione.
“Vuoi sederti qualche minuto? Vieni, in cucina ci sono già le sedie, così bevi anche un bicchiere d’acqua”
Karl si lasciò trascinare dall’amico e quando giunsero in prossimità del locale, un buonissimo odore gli arrivò al naso.
Doveva essere l’odore di Hime.
Frutti di bosco, pensò leccandosi leggermente le labbra.
Non li aveva mai trovati così irresistibili come in quel momento.

 

*
So che non è così semplice il discorso come invece lo fa Hime, ma, appunto perchè non so effettivamente che succede nel manga nella famosa partita Bayern - Amburgo, ho deciso di tenermi su toni vaghi e farla concentrare su come si sentisse Genzo, prendetela con le pinze nel caso ^^'''.


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Capitolo 7
*** Nuova Compagna di Squadra ***


Angolino della Robh: Buonaseraaa ~♥.
Son tornata con l'aggiornamento sulla dolce famigliola :3 .
Io lo so che aspettate di leggere cosa succede tra Karlino dolce e Hime, lo so... e so anche che mi darete della stronza, perchè leggerete di loro tra una settimana ancora! xD Eh sì, in questo capitolo non abbiamo traccia del Kaiser, ma in compenso abbiamo una nuova comparsa... ancora... forse ho aggiunto troppi oc O.o, ma dettagli! u.u''''
Non ho altre avvertenze da aggiungere, stranamente, è un capitoletto leggero volendo, un po' di passaggio ^^.
Spero vi possa piacere, vi auguro, al solito, una buona lettura ~♥.


Ps: chi di voi mi ha già maledetta per l'assenza di Karl? xD



 

Casa.
Hime Wakabayashi aveva avuto, fin da piccola, tanti posti da chiamare in quel modo: era nata a Nankatsu, in Giappone, la casa dei suoi cari nonni e dei suoi tanti zii, aveva vissuto per un periodo della sua vita ad Amburgo, casa dei suoi primi anni di vita, si era trasferita a Barcellona, casa dove risiedevano i sogni della sua amata madre, ed aveva vissuto lì con lui per tanti anni.
Infine, era arrivata a Monaco.
La nuova casa di suo padre.
Ci aveva riflettuto parecchio, la ragazza, prima di trasferirsi lì con Genzo, da una parte – quella più grande – non si sentiva di lasciarlo solo, non quando doveva fare dei cambiamenti così importanti nella sua vita, dall’altra le dispiaceva lasciare il capoluogo della Catalogna e con essa tutto quello che aveva di caro – sua madre in primis, Rivaul e la sua famiglia, Artemisia, Pinto -.
Non ne parlò con i genitori, era una scelta che doveva fare da sola… e scelse il suo papà, voleva dargli quel sostegno di cui il portiere diceva di non aver bisogno, ma che cercava appena poteva nelle braccia di Tsubasa.
Quando comunicò a quest’ultimo la sua decisione di andare con il padre, l’omega le sorrise, non poteva dire che non se lo aspettava, ma gli fece comunque un po’ male vederla impacchettare tutte le sue cose e partire, sapeva, però, che la sua principessa stava facendo la cosa giusta, il portiere aveva bisogno di lei, anche se non lo voleva ammettere.
Prima di partire, Tsubasa le organizzò una festa d’addio dove Hime poté salutare tutti quanti: Rivaul la salutò accarezzandole la testa, come faceva sempre, mentre Raíssa l’abbracciò stretta, Artemisia la prese in giro e la ‘minacciò’ di farle presto visita, la loro amicizia non si sarebbe infranta per così poco, Pinto pianse di star perdendo una grande incitatrice del Barcellona – dovette saltare addosso a Ewell, Hime, per far sì che non mostrasse a tutti le varie foto di questi incitamenti -.
La ragazza li salutò con il sorriso – si permise di piangere un poco solo in aeroporto, quando dovette salutare la madre -, ma se con loro erano bastati i saluti e la promessa di tornare presto a fare visita, con altri erano sorti alcuni problemi.

“Uhm…”
Mormorò tra sé e sé la donna davanti a lei, osservando attentamente le foto che facevano parte del suo book fotografico, Hime stritolò l’orlo della gonna mentre aspettava in silenzio il suo giudizio.
Lasciando Barcellona, aveva dovuto lasciare anche l’agenzia che l’aveva scoperta due anni prima – aveva ringraziato tutti, prima di andarsene, dal primo all’ultimo -, ma non voleva abbandonare il suo lavoro da modella, le piaceva, si divertiva e – cosa non meno importante – l’aiutava ad essere indipendente dai suoi genitori anche economicamente, presto avrebbe incominciato l’università e avrebbe voluto pagarsela da sola, nonostante sia Genzo che Tsubasa continuassero a dirle di non farsi certi problemi.
All’inizio si era parecchio abbattuta visto che non conosceva nessuna agenzia a Monaco, ma era venuto in suo soccorso Jean, il fotografo che l’aveva convinta a presentarsi in agenzia per la prima volta, l’uomo aveva dei contatti nella capitale bavarese e le aveva dato il nome di un’agenzia per cui aveva lavorato un paio di volte, a cui Hime si presentò subito dopo aver finito di sistemare la nuova casa insieme al padre.
“Non male, si vede che sono state scattate da Jean”
Pronunciò, infine, la direttrice dell’agenzia, alzando lo sguardo verso la ragazza.
La piccola Wakabayashi sussultò leggermente, ma mantenne in viso un’espressione serena anche se seria, non doveva far trapelare la sua ansia, nessuno avrebbe dovuto sapere che il suo cuore batteva così velocemente, come poche volte credeva di averlo sentito.
“Ha scattato molte delle mie foto, gli sono molto grata”
La donna le annuì, continuando a fissarla con attenzione, Hime cercò di mantenere il contatto visivo il più a lungo possibile ma, dopo un po’, sentì le sue gote iniziare ad arrossarsi per l’imbarazzo.
Altro che mostrare il suo orgoglio da alpha, come le aveva suggerito Genzo quella mattina, era già tanto se riusciva a non far trapelare quasi niente!
Con sua sorpresa, però, la direttrice le sorrise.
“Hai molto potenziale e io ho dei fotografi bravi quanto Jean, mi piacerebbe molto prenderti con noi”
“Davvero?!”
Esclamò Hime piena di gioia, sporgendosi verso la scrivania.
“Davvero”
Confermò la donna.
“Grazie, grazie mille!”
“Non ringraziarmi adesso, ho delle aspettative molte alte che impongo a tutte le mie modelle”
“Non la deluderò!”
Promise la ragazza, osservando i suoi occhi smeraldo si poteva vedere quanto fosse seria a tal proposito e questo fece sorridere la direttrice che si alzò, facendole cenno di seguirla fuori dal suo ufficio.
“Hai già iniziato ad ambientarti qua a Monaco?”
“Ho qualche difficoltà con le strade, ma risolverò in fretta”
“Cerchiamo di accelerare i tempi allora… Anja!”
La direttrice chiamò una ragazza bionda, che smise di parlare con un’altra ragazza di fianco a lei per girarsi verso di loro.
“Ti presento Hime, da oggi lavorerà con noi ma è nuova di Monaco, ti dispiacerebbe aiutarla ad ambientarsi?”
Gli occhi gialli incontrarono quelli verdi, dopo essersi fissate per qualche istante, Anja sorrise.
“Con piacere”

“Allora, come ti sembra?”
Chiese Anja mentre entrambe osservavano da fuori l’università a cui Hime aveva intenzione di iscriversi.
“Da fuori sembra molto bella, spero di riuscire ad iscrivermi”
“Sai già quale facoltà scegliere?”
“Mi piacerebbe molto lingue e letteratura”
“Lingue, eh?”
Domandò la bionda, incamminandosi verso il bar poco lontano dall’università, lì avrebbero potuto parlare con più calma.
“Sì”
Rispose la giapponese, una volta che si misero sedute, con le loro ordinazioni, a un tavolino posto fuori.
“Ho molti parenti sparsi un po’ qua e là per il mondo, mi piace parlare con loro nella lingua del paese dove si trovano”
E si divertiva come una pazza a parlare in portoghese con Tsubasa e Rivaul facendo imbronciare Genzo che, non parlando la lingua, si sentiva escluso… ma questo decise che poteva, anche, ometterlo.
“Capisco, quindi hai una famiglia allargata”
Sorrise Anja.
Hime annuì, prendendo un sorso del suo thè freddo.
“Molto più di quanto tu possa immaginare”
Le due continuarono a parlare tranquillamente, scambiandosi quelle prime informazioni che servivano per iniziare una conoscenza, sembravano essere entrambe a loro agio una con l’altra e questo avrebbe aiutato anche sul lavoro.
“Senti Hime…”
Iniziò la bionda, attirando l’attenzione dell’altra, che tirò su la testa dalla cartina della città dove stava segnando i luoghi consigliati proprio da Anja.
“Credo che tu abbia capito che io sono un’omega anche se non te l’ho detto, non è vero?”
“Beh… sì”
Mormorò la piccola Wakabayashi, arrossendo leggermente, la tedesca emanava un profumo dolce che non aveva potuto ignorare all’inizio.
“Mentre tu sei un’alpha, non è così?”
“Sì, sono un’alpha… sei preoccupata? Ti giuro che non ti farei mai niente, mia madre ha un odore molto forte qui-“
“Vuoi essere la mia alpha?”
Le domandò la bionda, interrompendola.
“… Eh?”
Chiese Hime, sbattendo le palpebre confusa.
Era da un po’ che non parlava tedesco, magari aveva capito male qualche parola.
“Ti sto chiedendo, Hime Wakabayashi, se vuoi mordermi e diventare la mia alpha”
Ripeté Anja tranquilla, sorridendole.
La giapponese restò in silenzio, ferma, immobile e rigida sulla sedia, neanche le palpebre sbattevano più, dopo un paio di minuti passati in quel modo, la tedesca iniziò a preoccuparsi che si stesse sentendo male, allungò una mano per toccare la sua ancora sul tavolino e quando lo fece, il viso dell’altra assunse una colorazione sul bordeaux acceso.
Di scatto, Hime si alzò e corse via… per poi tornare e lasciare i soldi per il suo thè, poi scappò nuovamente… ritornando per prendere la cartina che aveva dimenticato, poi se ne andò definitivamente, correndo come una pazza e schivando i passanti che la guardavano scioccati.
Anja Gillessen scoppiò a ridere.

“Dovrei iniziare a preoccuparmi?”
“Per cinque minuti di ritardo? Cosa farai, allora, quando tarderà di un’ora o due?”
Genzo distolse lo sguardo dall’orologio sulla parete e tornò ad occuparsi della cena, con il compagno in vivavoce al telefono.
“Potrebbe davvero ritardare due ore?”
“Potrebbe capitare con il lavoro, sì”
“… Stupendo…”
Sibilò funereo il portiere, guardando di nuovo l’orologio.
Hime gli aveva mandato un messaggio dove lo avvisava del successo del colloquio con la nuova agenzia, dicendogli anche che avrebbe fatto più tardi del previsto perché sarebbe uscita con nuova collega di lavoro ma promettendo di arrivare in tempo per la cena.
La cena, però, era quasi pronta e della sua principessa non vi era ancora traccia, e lui stava iniziando a preoccuparsi.
Che si fosse persa per le strade di Monaco?
Perché non gli aveva mandato un altro messaggio?
“Forse dovrei uscire a cercarla…”
“Asp-… cos’è stato quel rumore?”
Chiese Tsubasa.
Mentre iniziava a dirgli di aspettare ancora un po’ prima di uscire – doveva darle fiducia, sapeva per esperienza che se la figlia fosse stata davvero nei guai l’avrebbe contattato -, un forte rumore era rimbombato in tutta la casa e aveva raggiunto perfino il vivavoce.
“Era la porta di casa che sbatteva”
Lo informò Genzo, confuso.
Il portiere spense i fornelli e, preso il telefono, andò verso l’entrata dell’appartamento dove trovò Hime… spalmata contro la porta, che ansimava come se avesse appena finito di correre una maratona, il viso che faceva concorrenza ai pomodori che aveva tagliato poco prima per l’insalata… aprì la bocca per chiederle cosa fosse successo per essere così sconvolta – aveva quasi gli occhi fuori dalle orbite! – ma quella scappò in camera sua, sbattendo anche quella porta dietro di sé.
“Perché tua figlia è appena scappata in camera sua?”
Domandò l’alpha al compagno.
“Perché appena c’è un problema diventa solo mia figlia?”
Chiese, di contro, l’omega.

“Sicura che nessun ragazzo ti ha molestata per strada, vero?”
“Per la quinta volta, papà, sì... non è successo niente”
“Non puoi dirmi che non è successo niente quando torni a casa in quel modo!”
Hime sbirciò un poco il padre alzando lo sguardo dal suo piatto, le gote ancora arrossate.
“Non credo di essere sicura di volerne parlare con te…”
“Non eri tu a dire che se una cosa ci preoccupa, dovremmo confidarci l’una con l’altro?”
La ragazza sussultò, presa in contropiede, e il portiere poté decretare l’uno a zero per lui, non poteva tirarsi indietro davanti alle sue stesse parole, era una cosa che le avevano insegnato fin da quando era ancora piccola.
Hime si ritrovò a tentennare, indecisa, lei voleva parlarne con Tsubasa perché – essendo omega come Anja – magari le avrebbe saputo spiegare cosa passava nella testa della bionda per fare una richiesta del genere… ma, forse, Genzo avrebbe potuto aiutarla in un altro modo.
“Cos’hai provato quando ti sei legato con mamma?”
Stavolta fu l’adulto a sussultare, preso in contropiede.
“Ma-“
“E’ legato a quello che mi è successo, sì”
Il portiere la fissò perplesso qualche istante ma alla fine le annuì.
“Quando ho morso tua madre eh... ero felice, sì, davvero molto felice, provavo il vero significato della parola felicità, forse il tutto era amplificato dal fatto che era il suo secondo giorno di calore ma… è stato bellissimo vedere sul suo collo la prova tangibile che, da quel giorno, sarebbe stato mio per sempre”
“Lo amavi tanto?”
“Lo amo ancora, se è per questo!”
Rise Genzo, andando a pungolarle la fronte con l’indice, facendole gonfiare le guance.
“Comunque sì, lo amavo davvero tanto”
“Quando ti sei accorto di amarlo?”
“Mi sono accorto di amarlo quando mostrò a tutti che ero ancora il portiere più forte… io ero a casa infortunato e stavo guardando la partita della Nankatsu in tv, è stato mister Mikami a farmi notare che Tsubasa segnò al portiere, che si vantava di essere il migliore in mia assenza, da fuori area”
“Cosa che, con te, non è mai riuscito a fare”
Specificò la ragazza sorridendo e il padre annuì.
“Dopo la partita lo chiamai e la sua voce… beh, mi fece un certo effetto”
Ridacchiò il portiere, ricordando come il suo allenatore gli fece notare di avere il viso tutto rosso mettendogli uno specchio davanti, si era quasi strozzato con la sua stessa saliva – Genzo – e Tsubasa gli aveva chiesto preoccupato cosa fosse successo.
La sua voce gli aveva fatto aumentare il batticuore che già aveva.
“Decisi di aspettare a confessarmi perché, infondo, eravamo ancora dei bambini ma poi ci separammo, io venni in Germania seguendo mister Mikami, lui rimase a Nankatsu, ricordo che in quei tre anni la mia seconda preoccupazione più grande fu che trovasse un alpha che prendesse il mio posto”
“Ma non eri ancora il suo alpha”
“Puoi ben immaginare com’ero messo, allora”
La piccola Wakabayashi scoppiò a ridere, immaginando il padre telefonare a tutti i suoi amici per sapere se qualcuno avesse puntato il centrocampista o meno… non che andò poi così lontano, Hime, Genzo lo aveva fatto davvero, ma solo con il suo quartetto preferito della Shutetsu.
“Cosa ti ha fermato dal morderlo appena lo hai rivisto ai mondiali?”
“Mi ha fermato il fatto che non ero a conoscenza dei suoi sentimenti, tua madre li sa nascondere molto bene quando vuole, e il fatto che non sembrava aver bisogno di un alpha… quando si pensa ad un omega, si pensa a qualcosa di fragile, che ha bisogno di essere protetto, Tsubasa non era così, era forte e lo dimostrò a tutti quanti, reagì addirittura al suo primo calore tornando in campo il quarto giorno con un sorriso, pronto per giocare come se non fosse successo niente… decisi semplicemente di vegliarlo da lontano, anche se fu un’arma a doppio taglio, ero convinto della mia decisione di lasciarlo libero ma d’altro canto il mio amore per lui cresceva di giorno di giorno, lo volevo mio, volevo dirgli quanto lo amassi e lo desiderassi e… alla fine, cedetti davanti al suo calore, come il più prevedibile degli alpha”
“Ma anche allora… non lo hai morso”
“No, è vero, non lo morsi subito, lo feci quando lui mi confermò di provare lo stesso per me, se questo non fosse successo, mi sarei accontentato di averlo avuto durante il calore e avrei ricominciato a guardarlo da lontano”
“L’amore, quindi, è fondamentale nel legame…”
Bisbigliò Hime, gli occhi fissi sul piatto non sembravano osservarlo veramente.
“Per me sì, creare un legame senza amore… magari può essere conveniente, per alcuni, ma dev’essere sicuramente molto triste, passare tutta la vita accanto a una persona sapendo che non è quella che ami e che non puoi, comunque, separarti da lui o lei che sia dev’essere come una condanna per entrambi”
Disse Genzo serio.
La ragazza alzò lo sguardo smeraldo verso di lui e sorrise piano, poi si alzò e gli andò vicino per lasciargli un bacio sulla guancia.
“Grazie papà, adesso so cosa fare”
Mormorò facendolo sorridere.
“Non so come io abbia fatto, ma visto che posso aiutarti esattamente come Tsubasa?”
“Non esattamente come lui”
“Come no?”
“Beh, mamma è mamma”
“… Non posso darti torto, in effetti…”

“Posso parlarti qualche minuto?”
Chiese Hime alla ragazza bionda, che si girò a guardarla sorpresa, non si aspettava di vederla in agenzia vista la reazione che aveva avuto solo il giorno prima.
“Certamente”
Sorrise Anja.
La tedesca portò la giapponese sul tetto, così da poter parlare senza avere orecchie indiscrete ad ascoltare il tutto.
“Allora, cosa vuoi dirmi? Riguarda la mia proposta?”
Domandò la bionda, sempre sorridendo, mentre si appoggiava al parapetto e dava la schiena a tutto il panorama.
Hime si perse un attimo ad osservare Monaco, poi si girò verso di lei e la guardò dritta negli occhi con i suoi verde smeraldo, seria in volto, mostrando tutto l’orgoglio che aveva ereditato dal padre.
Fu quell’espressione a far tentennare il sorriso sul volto di Anja, ma prima che potesse parlare, la piccola Wakabayashi fece un profondo inchino davanti a lei.
“Ti chiedo scusa Anja, ma non posso accettare di diventare la tua alpha, non posso condannare entrambe a una vita senza amore”
Esclamò, ritornando poi in posizione eretta per poterla osservare nuovamente negli occhi.
“Il legame è qualcosa di troppo serio e importante, non dovresti andare a proporlo a qualcuno che neanche conosci a fondo, dovresti aspettare la persona giusta per te”
Finì Hime, addolcendo lo sguardo.
Al contrario delle aspettative della giapponese, però, la tedesca tornò a sorridere, anzi il suo sorriso si allargò su tutto il viso.
“Lo so, infatti non ero seria”
“… Come scusa?”
“Non volevo davvero che tu diventassi la mia alpha”
Confessò Anja, scioccando l’altra che si ritrovò a boccheggiare sconvolta.
“Ma- ma allora perc-?!”
“Perché volevo capire che genere di alpha tu fossi per la mia incolumità”
“E ti pare questo il modo?! E se avessi accettato, invece, che avresti fatto?!”
“Ma non l’hai fatto”
Constatò la bionda, continuando a sorridere.
“Hai pensato a me come persona, non come ad un omega da poter possedere”
“Gli omega non vanno posseduti!”
Urlò la giapponese con gli occhi infiammati di determinazione, credeva davvero a quello che aveva appena urlato.
“Sei una brava ragazza Hime”
Le mormorò Anja, prima di allungare una mano verso di lei.
“Allora, mi perdoni? Possiamo essere amiche?”
“Uhm… suppongo di sì… ma non farlo più! E’ pericoloso, non sai chi hai davanti!”
La riprese Hime, stringendole la mano.
La tedesca ghignò maliziosamente e, prendendo l’altra di sorpresa, si gettò sul suo seno che abbracciò.
“Hai ragione, menomale che mi sei capitata tu!”
Esclamò entusiasta, strusciando la guancia sul petto coperto dell’ – ormai – amica.
… Dopo qualche istante si ritrovò ad abbracciare l’aria…
“Hime?”
Chiamò, riaprendo gli occhi che aveva chiuso quando si era gettata su di lei.
Trovò solo la porta che dava sul tetto del tutto spalancata.

“Non ti avevo detto di stare attenta ai ragazzi che ci provano per strada?!”
Urlò Genzo alla figlia, trovandola rossa, con il fiatone e spalmata contro la porta esattamente come il giorno prima.
“Mi hai detto di stare attenta ai ragazzi, non alle ragazze!”
Urlò Hime, di rimando.
“Mi sono perso qualcosa?”
Chiese Tsubasa, a quel punto, in vivavoce al telefono.
Forse era meglio se faceva visita ai suoi due alpha… forse, eh.



 

*
Il prestavolto di Anja non può che essere Mari Ohara, sempre di Love Live Sunshine, non potevo non completare il trio del terzo anno :3 ~♥.
Ah, per essere precisi, la partita di cui Genzo parla, quella dove scopre di essersi innamorato di Tsubasa, è quella contro Nakanishi, sono andata in brodo di giuggiole quando Mikami ha specificato a Gen che Tsu aveva difeso il suo primato, e quindi mi sono immaginata quel momento come 'inizio' di tutto per il portierone *-*.

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Capitolo 8
*** Verde Smeraldo & Azzurro Cielo ***


Angolino della Robh: Oh buonasera!~♥ *Si mette in posa*
L'avete aspettato! (?) L'avete attesso! (?) Ed eccolo qui! Il capitolo dove Karl e Hime hanno un primo contatto! *Serè stappa champagne e il tappo va a finire chissà dove*
Dunque, avete dovuto attendere una settimana in più del previsto (sono una cattiva autrice, lo so u.u) per leggerlo, ma vi prometto... o almeno spero... che non deluderà la vostre aspettative! U.u ... A meno che non vi aspettate dello zinghi zinghi, in quel caso mi dispiace ma non succede, neanche accennato, è solo un primo contatto xD, primo contatto che, comunque, porterà delle conseguenze!
Quali saranno? Genzo ucciderà Karl? Se non lo farà lui, ci penserà Tsubasa a scatenare la sua ira funesta sul Kaiserino? Io avrei più paura della seconda (i tipi tranquilli sono sempre quelli più pericolosi u.u), ma leggete per scoprire belli miei, leggete per scoprire u.u .
Comunque non mi trattengo oltre (anche perchè sospetto che, caso contrario, mi mandereste molto volentieri di nuovo a fanciullo xD), e vi lascio al capitolo atteso augurandovi, come sempre, buona lettura ~♥


Ps: mi sono accorta che nel capitolo non lo menziono, ma il secondo genere di Karl è quello di beta, alzi la manina chi se lo aspettava alpha u.u .



 

Sfuggente.
Se Genzo avesse dovuto descrivere il Kaiser biondo di Germania in quei giorni, era quello l’unico aggettivo che gli veniva in mente: sfuggente, appena gli si avvicinava al mattino – prima di iniziare gli allenamenti -,  per poter fare due chiacchere, Karl inventava sempre la solita scusa di dover andare a parlare con il padre dei nuovi allenamenti della giornata, nella pausa pranzo il biondo – dopo che lo aveva invitato un paio di volte a pranzo da lui e Hime – non si faceva trovare in giro, e durante gli allenamenti raramente lo guardava in faccia, riusciva a scambiarci qualche parola giusto quando era il momento di tornare a casa.
Il portiere non riusciva a capire quell’atteggiamento, dopo averci pensato a lungo era arrivato alla conclusione di non avergli fatto nulla di male, era stato proprio Schneider ad insistere tanto negli anni per farlo trasferire a Monaco, quindi, perché adesso che era lì, lo evitava come se avesse la peste?
Non riusciva a darsi una risposta da solo, così aveva provato a chiedere prima a Levin e poi a Sho, ma anche lo svedese e il cinese non sapevano dare una spiegazione al comportamento del biondo tedesco.
Ne aveva parlato con Tsubasa e il compagno gli aveva suggerito di non darci peso, magari Karl aveva qualche problema personale per la testa, non insistere era la cosa migliore da fare per il momento, se l’attaccante avesse avuto bisogno, sapeva di poter contare su di lui e quindi si sarebbe riavvicinato da solo, Genzo decise di seguire quel consiglio e lasciò in pace l’amico.

Amico che si chiedeva come riuscire a guardarlo ancora in faccia, visto che continuava a pensare all’odore e agli occhi verde smeraldo di sua figlia…

 
“Rimanete in posa ancora un attimo ragazze, ferme così… perfette!”
Esclamò la fotografa scattando velocemente varie foto alle due modelle in posa.
“Okay, rilassatevi pure adesso”
A quelle parole Hime lasciò andare un grosso respiro e si sgranchì un attimo.
“Certo che sei proprio adorabile con il broncio”
Ridacchiò Anja, guardando la foto che aveva scattato con la macchina fotografica che aveva tenuto in mano durante gli scatti.
“Smettila di prendermi in giro”
Borbottò la piccola Wakabayashi, assumendo un’espressione simile a quella che aveva tenuto fino a qualche istante prima nelle foto per la pubblicità.
La loro prima pubblicità insieme.
Hime era stata entusiasta di quel lavoro, appena le era stato comunicato,  era uscita spesso con Anja, nei giorni seguenti la bizzarra uscita della bionda,  e le si era avvicinata molto, trovando in lei un’amica simile ad Artemisia – le avrebbe fatte incontrare, un giorno -.
Purtroppo per lei, la tedesca e la spagnola avevano in comune anche la voglia di prenderla – teneramente, a detta loro – in giro.
“Guarda che belle guanciotte rosse ~♥”
Cantilenò la bionda, scattandole una nuova foto.
“Anja!”
“Andiamo Anja, lascia respirare Hime”
Disse Irina, la fotografa, sorridendo bonariamente.
“Non è colpa mia, è lei che mi istiga!”
In risposta all’amica, Hime le fece una piccola linguaccia che fece scoppiare a ridere tutti i collaboratori presenti sul set, loro comprese.
Aveva avuto paura, la piccola Wakabayashi, di non trovarsi bene con i colleghi con cui avrebbe lavorato da lì in avanti, ma per fortuna erano state tutte paure infondate, fin dal primo set a cui aveva partecipato lì a Monaco – a Genzo era venuto mezzo infarto quando si era ritrovato la figlia vestita da sposa su un cartellone pubblicitario – erano stati tutti gentili e disponibili con lei, professionali quando il lavoro lo richiedeva, rilassati e pronti a ridere insieme quando giungeva la pausa, tutto questo collegato all’entusiasmo che provava Hime quando lavorava, l’aveva aiutata a ricreare l’atmosfera che si creava sempre sul lavoro a Barcellona.
“Dai, venite a dare un’occhiata alle foto”
Incitò loro Irina, le due le andarono vicino e quella iniziò a far passare gli scatti sulla macchina fotografica.
Per quel lavoro dovevano sponsorizzare una nuova marca emergente con la loro nuova collezione autunnale, per l’occasione, Hime indossava una camicia bianca, coperta da un maglioncino a maniche lunghe nero, coperto a sua volta da una giacca rossa chiusa con dettagli bianchi, una gonna rossa e delle collant nere, Anja portava lo stesso completo ma con colori diversi – il maglioncino era rosso, la giacca bianca aperta con dettagli neri e gonna sempre nera con tema scozzese, le collant nere le arrivavano poco sotto la gonna, al contrario di quelle dell’amica che le coprivano tutte le gambe -, tra i capelli portavano entrambe un fermaglio a forma di foglia rossa.
“Credo che questa sia la migliore, che ne dite?”
La fotografa fermò la macchina fotografica sulla foto che ritraeva le ragazze nell’ultima posa ricreata: Hime guardava Anja con un leggero broncio e Anja pungolava una guancia a Hime con l’indice, scattando una foto con la mano libera.
“E’ molto bella”
Si complimentò la giapponese sorridendo, oltre che bella era anche divertente, ma soprattutto, metteva ben in mostra i loro vestiti.
“Tu che ne pensi, Anja?”
Chiese, poi, girandosi verso l’amica.
Amica che trovò con lo sguardo perso nel vuoto, leggermente lucido.
“Anja?”
Chiamò ancora, perdendo leggermente il sorriso e toccandole piano il braccio.
“Cos- oh, sì… sì, è bellissima! Sei adorabile qui, Hime!”
Si capiva da lontano un miglio che quell’entusiasmo era forzato.
“Stai bene?”
Le chiese Hime, iniziando a preoccuparsi.
Aveva distolto lo sguardo da lei giusto qualche minuto per guardare le foto, cosa le era successo in quei pochi minuti per farla passare dalla solita, esuberante e divertente Anja a quella Anja che forzava un sorriso sul volto?
“Certamente”
Replicò la bionda, facendole un leggero occhiolino.
Ma un conto era dirlo, un altro dimostrarlo.
La piccola Wakabayashi la tenne d’occhio durante i seguenti scatti e notò che diventava sempre più strana: tremava leggermente, si guardava intorno impaurita e si scostava quando qualcuno le si avvicinava troppo.
Queste reazioni da parte della tedesca trasformarono l’atmosfera lavorativa da leggera e tranquilla a confusa e pesante, per tentare di aiutare la bionda, Irina decise di anticipare la pausa pranzo e Hime ne approfittò per fare quattro passi con l’amica, magari così sarebbe anche riuscita a capire cosa le stava succedendo.
“Se ti senti male posso continuare da sola, non credo che Irina si arrabbierà e alla direttrice possiamo spiegare che non ti sei sentita bene”
Le mormorò piano, camminando di fianco a lei con i loro pranzi al sacco in mano.
Anja scosse leggermente la testa negativamente e la giapponese la guardò preoccupata.
“Ne sei sicura? Non credo che tu possa continuare”
La tedesca scosse nuovamente il capo, facendo sospirare l’altra.
Forse poteva provare a farla distrarre in qualche modo, pensò – allora - Hime, guardandosi intorno, i suoi occhi verde smeraldo s’illuminarono quando intravide una struttura che le stava diventando famigliare.
“Guarda! Quello è il campo d’allenamento del Bayern Monaco! Mio padre dovrebbe essere lì adesso, chissà se possiamo mangiare in-“
“…Hime…”
La piccola Wakabayashi fece giusto in tempo a girarsi che vide l’amica crollare sulle ginocchia e raggomitolarsi su sé stessa, tremante.
“Anja! Che ti succede?! Stai male?! Devo chiamare qualcuno?!”
Nello stesso momento che le poneva quelle domande, un’improvvisa folata di vento le diede le risposte che stava cercando, i pranzi le caddero dalle mani e gli occhi le si sgranarono, mentre un forte ed avvolgente odore dolce iniziava ad espandersi intorno a loro.
Anja era appena entrata in calore.

Karl sospirò, passandosi una mano tra i capelli biondi e aprendo con l’altra la macchina, per non incrociare Genzo neanche per sbaglio, aveva dovuto aspettare che il portiere tornasse a casa per la pausa pranzo rinchiuso nell’ufficio di suo padre – neanche fosse tornato ad avere 4 anni -, così era finito per essere l’ultimo ad uscire.
“Da quando è così chiacchierone con Levin? Questa me la paga, oh se me la paga, glielo dirò a Tsubasa, spero lo faccia dormire sul divano per un mese”
Borbottò sistemando il borsone degli allenamenti sui sedili posteriori, chiuse la portiera e andò ad aprire quella che dava sul posto del guidatore, stava per sedervisi quando le sue orecchie captarono delle urla.
Alzò lo sguardo limpido e guardò intorno a sé, non c’era nessuno oltre a lui nel parcheggio… magari era stata la sua immaginazione, d’altronde era parecchio stressato in quel periodo tra allenamenti, partite, portieri da evitare e ragazzine a cui cercava in tutti i modi di non pensare.
Fece in tempo a mettere un piede dentro l’autovettura che sentì di nuovo quelle urla, stavolta ravvicinate, alzò nuovamente gli occhi azzurri e stavolta intravide una figura famigliare in avvicinamento.
… No, quel giorno i Wakabayashi non gli avrebbero lasciato tregua…

“Che succede?”
“Dov’è papà?!”
Si chiesero a vicenda, in contemporanea, Karl e Hime quando quest’ultima giunse davanti a lui.
“E’ andato via mezz’ora fa”
La informò il calciatore, vedendola lasciarsi andare a quella che supponeva essere un’imprecazione in portoghese.
“Che sta succedendo Hime?”
Le chiese nuovamente, gettando un occhio critico alla biondina che la giapponese teneva in spalla.
La ragazza stava visibilmente tremando, aveva il viso completamente arrossato seminascosto nei capelli neri dell’altra - gli occhi liquidi lasciavano cadere qualche lacrima -, e stringeva il più forte possibile le spalle della piccola Wakabayashi, la quale non era messa poi molto meglio, adesso che lo notava, anche Hime stava tremando seppur in maniera più lieve, le gote erano talmente rosse che potevano tranquillamente fare a concorrenza con la maglia della sua squadra, e aveva un fiatone troppo grosso per lo sforzo che aveva fatto correndo.
“Anja… Anja è in calore!”
Riuscì a dire Hime, cercando di riprendere fiato.
Stavolta fu Karl a lasciarsi andare a un’imprecazione.
“Non ha dei soppressori con sé? Hai controllato?”
Le chiese, poi, alternando lo sguardo preoccupato da lei alla bionda in spalla e avvicinandosi di qualche passo.
“S-Sì… non li ha, mi… mi ha detto che è in anticipo qui-quindi non li ha nella borsa…”
Mormorò la ragazza, ansimando e tremando leggermente più forte di prima.
Non doveva essere facile per la giovane alpha resistere all’odore che stava emanando l’omega, il Kaiser si rese conto di dover pensare in fretta a una soluzione prima che la situazione diventasse ingestibile per Hime e che perdesse il controllo.
“In infermeria… in infermeria dovrebbe esserci ancora il nostro medico, è un beta, non so se ha dei soppressori ma possiamo provare”
“E’… E’ tanto lon-lontana?”
“Abbastanza, credi di riuscire a farcela?”
Mentre poneva quella domanda, Schneider si era già sporto verso di lei per prenderle Anja dalle spalle, ma Hime si allontanò – d’istinto - di alcuni passi, sistemandosi meglio l’amica addosso.
“Sbri-sbrighiamoci!”
Sibilò l’alpha stringendo i denti.
“Per di qua, andiamo!”
Karl le indicò la strada, iniziando a correre con lei dopo aver soppesato la situazione un istante.
Non era un bene che la piccola Wakabayashi iniziasse a reagire in quel modo, avrebbe dovuto insistere nell’allontanarle così che la mente di Hime potesse iniziare a tornare più lucida, ma aveva scelto di dare la priorità al luogo in cui si trovavano.
Erano fuori, all’aria aperta, dove l’odore intossicante di Anja veniva trasportato dal vento, qualunque alpha avrebbe potuto sentirlo e avvicinarsi di conseguenza, ovviamente senza buone intenzioni.
Dovevano prima portarla al sicuro, all’interno dell’edificio, ci sarebbe stato tempo per preoccuparsi delle reazioni della giapponese.

Reazioni che Karl si rese conto di aver sottovaluto solo quando provò nuovamente a separarle, una volta giunti in infermeria.
“Hime…”
Chiamò con calma, facendo un passo verso di lei, la quale ne fece uno indietro di conseguenza.
“Se non ti allontani da lei, starete male entrambe”
Provò a dirle il medico, ricevendo un ringhio in risposta.
Il calciatore provò nuovamente ad avvicinarsi ma la ragazza indietreggiò fino quasi raggiungere la porta, stringendo la presa sulle gambe dell’amica che mugolò qualcosa di non comprensibile tra i suoi capelli neri.
“Fidati di me, posso farla stare meglio”
“Posso farlo anch’io!”
Urlò Hime al medico, guardandolo con odio.
“No, non puoi e lo sai”
Le disse Karl duramente, attirando lo sguardo smeraldo sulla sua persona.
“Pensaci bene, Hime, tu vuoi aiutare la tua amica, per questo sei corsa fino a qui, no? Adesso il medico può aiutarla, devi solo lasciarla andare”
“Ma-!”
“Hime”
La bloccò prima che potesse continuare a parlare, colto da un’improvvisa idea.
“Pensa a Tsubasa”
Le suggerì, facendola sussultare.
Tsubasa… Tsubasa Ozora… la sua mamma… la sua mamma che affrontava tutto con il sorriso,  la sua mamma che era forte davanti a lei ma fragile tra le braccia di suo padre, la sua mamma che volava durante le partite di calcio… la sua mamma che era un’omega proprio come Anja.
Chiuse gli occhi, Hime, e li strinse, cercando di concentrarsi sul centrocampista.
Era a lui che aveva pensato quando aveva avvolto la bionda nella sua giacca per cercare di coprire il suo odore da omega in calore con il suo da alpha più prepotente, a lui aveva pensato Hime mentre correva verso il campo degli allenamenti - dove sperava di poter incrociare il padre a cui chiedere aiuto -, il suo viso l’aveva aiutata a tenersi concentrata sulla corsa e il pensiero di essere sempre riuscita a non lasciarsi influenzare né dal suo odore, né da quello di Ai, di Yayoi, di Yoshiko, e di tutti gli altri omega che aveva incrociato nella sua giovane vita, aveva fatto leva sul suo orgoglio, grazie all’immagine degli omega a lei così cari, durante la corsa era riuscita a resistere all’odore di Anja.
Adesso poteva lasciarla andare, DOVEVA lasciarla andare, poteva farlo.
Era Hime Wakabayashi, figlia di Tsubasa Ozora e Genzo Wakabayashi.
Poteva vincere quella partita contro la sua stessa natura.
Poteva e ci sarebbe riuscita!
La principessa riaprì pian piano gli occhi verde smeraldo e osservò l’attaccante davanti a lei con determinazione, Karl si azzardò a fare un passo nella sua direzione e questa volta Hime gli andò in contro, facendolo sorridere leggermente.
Velocemente, Schneider fece un cenno al medico e insieme corsero dalla ragazza, che iniziò pian piano ad allentare la presa sulle gambe dell’amica, il biondo l’aiutò nel procedimento prendendole i polsi così che il medico poté prendere Anja in braccio e allontanarla dall’alpha.
“Siamo fortunati che ho qui dei soppressori che prende mio figlio”
Borbottò l’uomo, poggiando la bionda sul lettino e correndo a prendere la pastiglia che teneva insieme alle altre, nel cassetto della sua scrivania.
Aveva ragione, pensò Karl, erano stati fortunati, avrebbe potuto finire molto male quella situazione, ma le dea bendata era stata dalla loro parte e così non era successo, grazie al cielo.
Menomale che era finita… almeno, pensava che fosse finita visto che Anja aveva appena bevuto il soppressore… allora perché sentiva Hime tremare molto più forte di prima?
Si girò a guardarla e sgranò gli occhi.
Sulle mani della ragazza – a cui stava ancora tenendo i polsi – era colato del lubrificante dell’omega, e adesso lei se le stava osservando con gli occhi sempre più persi, inspirando forte l’odore intossicante che proveniva da esse.
Non poté evitare di imprecare nuovamente, il Kaiser, quando si rese conto che adesso era la piccola Wakabayashi che rischiava di entrare in calore.

La porta degli spogliatoi fu aperta con un calcio che la fece sbattere contro il muro.
Karl entrò velocemente dentro la stanza e con altrettanta velocità si diresse verso le docce, arrivato lì, entrò dentro un box, girò la manopola verso l’acqua fredda e l’aprì con forza.
L’acqua gelida lo travolse e con lui, anche la ragazza che teneva malamente sulla spalla – non una presa molto comoda per lei, ma il calciatore non ci aveva pensato, quando l’aveva afferrata ed era corso fuori dall’infermeria -, che gridò, agitando la gambe contro il suo  stomaco.
Il biondo la lasciò, rimettendola in posizione eretta davanti a lui, Hime cercò di togliersi da sotto il getto gelido ma Karl fu più veloce, le mise le mani sulle spalle e poggiò la fronte contro la sua.
“Hime! Hime, guardami… guardami, respira con me”
Le mormorò immergendo gli occhi azzurri nei suoi verde smeraldo.
Ma quel verde rimase liquido, perso, vedeva il suo azzurro ma non lo vedeva e il suo respiro continuò a restare affannato, Schneider allora la spinse di più sotto il getto d’acqua, sperando almeno quello l’aiutasse un poco a calmarsi.
Purtroppo, il medico era sprovvisto di soppressori per alpha siccome nessuno della squadra ne aveva mai avuto bisogno, quindi Karl era stato costretto  a prendere Hime e a trovare un’alternativa che non comprendesse il lasciarsi andare al piacere con lei.
L’alternativa, però, non sembrava star funzionando.
La ragazza sembrava sempre più presa dal fuoco che le scorreva nelle vene, e lui non poteva permettere che quel fuoco si scatenasse del tutto, altrimenti sarebbe stata la fine… certo, gli sarebbe piaciuto fare sesso con lei, sarebbe stato un bugiardo a dire che non ci aveva mai pensato in quei giorni e poteva sempre giustificarsi con la scusa che, se non l’avesse fatto con lui, Hime sarebbe tornata a cercare Anja… ma non poteva.
Non poteva fare questo a lei e a Genzo.
Non poteva.
Si ripeté mentalmente, portando una mano sulla sua schiena e l’altra sulla nuca, tra i lunghi capelli neri, se la strinse forte contro il petto e – lentamente – si lasciò cadere a terra, sedendosi sulle piastrelle, portandola con sé.
“Respira con me Hime, respira… tranquilla…”
Bisbigliò al suo orecchio, accarezzandole la testa.
La piccola Wakabayashi si lasciò stringere da quel corpo forte e caldo, chiuse gli occhi per godersi meglio quelle carezze sulla testa – erano, da sempre, il suo punto debole – e il battito frenetico del suo cuore impazzito iniziò a rimbombarle nelle orecchie.
Forte.
Il cuore batteva forte e veloce.
Non riusciva a calmarlo, non riusciva a dargli un freno come le chiedeva quella voce che le sussurrava all’orecchio, e non riusciva neanche a calmare il fuoco che continuava a divampare, violento, dentro di lei, accendendo tutto il suo corpo di un calore che non credeva di aver mai provato prima, in vita sua.
Lo sentiva che strisciava nelle vene, trasportato dal sangue, le era arrivato alla testa, annebbiandola, le era arrivato al seno, rendendolo sensibile, le era arrivato al basso ventre, stringendolo in una dolce e dolorosa morsa, che chiedeva solo di essere allentata.
Era certa che l’avrebbe arsa completamente, trascinandola in un lento e lungo delirio… quando lo sentì.
Un secondo battito si aggiunse al suo, nelle sue orecchie.
Era forte, ma calmo… tranquillo…
“Respira con me”
Le ripeté la voce del Kaiser.
Hime ci provò… e si stupì nel constatare che ci riusciva, poteva respirare con lui.
Seguì il suo ritmo, allora, inspirò ed espirò con lui.
Inspirò ed espirò.
Inspirò ed espirò.
Inspirò ed espirò.
Il cuore impazzito iniziò finalmente a calmarsi, adattandosi al ritmo di quello che sentiva nell’orecchio.
Un forte odore di pino le solleticò le narici, lo inspirò con forza prima di staccare il volto da quel petto accogliente per poter guardare in viso il calciatore che la stava stringendo, proteggendola in parte dall’acqua gelida che ancora scorreva su di loro.
Il verde smeraldo si perse nell’azzurro limpido.

“Hime!”
Urlò Genzo, spalancando la porta degli spogliatoi.
Gli occhi cercarono immediatamente la figura della figlia e la trovarono seduta davanti al suo armadietto, bagnata fradicia e tremante, coperta a malapena dall’asciugamano che Karl le aveva messo sulle spalle.
“Principessa”
La chiamò correndo ad abbracciarla preoccupato, sentendola spingersi  contro il suo petto – cercando un rifugio, esattamente come faceva da bambina -, le lasciò un bacio sulla fronte.
“Ti ringrazio, Schneider”
Disse, poi, il portiere, portando la sua attenzione sul compagno di squadra, appoggiato di schiena agli armadietti.
L’attaccante gli annuì continuando ad asciugarsi i capelli con un altro asciugamano, era stato lui a chiamarlo, una volta uscito dalle docce con Hime – lei aveva chiamato Irina e le aveva spiegato tutto quello che era successo, così che potesse passare a prendere Anja -.
“Davvero Karl… grazie”
Disse di nuovo Wakabayashi, serio, non voleva immaginare cosa sarebbe potuto accadere se non ci fosse stato lui ad aiutare le due ragazze.
Il Kaiser si abbassò l’asciugamano sulle spalle e gli fece l’occhiolino, sorridendo.
“Ci vediamo domani agli allenamenti, Genzo… oggi pomeriggio è meglio se stai a casa”
Il portiere annuì e, abbracciando la figlia per le spalle, si diresse con lei verso l’uscita.
Hime girò leggermente la testa per guardare indietro.
L’azzurro e il verde si fusero ancora.


*
Vi lascio nuovamente i nomi dei set per andare a cercare i vestiti di Hime e Anja ^^ ~♥

Vestito che Genzo vede sul cartellone pubblicitario:
Dia Kurosawa Wedding Set versione idolizzata

Vestito della pubblicità in coppia:
Dia Kurosawa e Mari Ohara Fall Leaves Set versione non idolizzata
Scrivendo entrambi i nomi insieme troverete la carta unita delle due, è da quella che ho preso la posizione per la fotografia che ha scattato loro Irina ^^


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Capitolo 9
*** Kaiser's Kiss ***


Angolino della Robh: Buon inizio settimana gente mia adorata! ~♥
Sono tornata con un nuovo capitolo anche questo lunedì, ma vi do una buona (?) notizia, questo non è un capitolo normale, e no, non mi sto riferendo al titolo e a quello che succederà, come credete voi (lo so che morite dalla voglia di saltare il mio angolino per scoprire cosa succede, ma OCCHI A ME u.u), mi sto riferendo al fatto che questo... è il penultimo capitolo, già, lunedì prossimo ci sarà l'ultimo aggiornamento di questa storia, tutti contenti?
*Parte carnevale di Rio*
Suppongo di sì ç.ç, ma comunque! Che dire del contenuto di questo capitolo... boh, sinceramente ho paura che qualunque cosa io dica, possa fare spoiler, quindi forse è meglio che me ne sto zitta xD, tanto ci pensa già il titolo a dirvi che succede, in pratica xD *Serè la guarda male, dato che si è spremuta lei le meningi per un titolo decente*.
Vi lascio, quindi, alla lettura, augurandovi che possa essere piacevole (ho cambiato la formula, bellina vero?! ~♥ *tutta eccitata* *Serè le patta la testa*) ~.
A lunedì prossimo con l'ultimo capitolo ~.


Ps: Auguri a Hikaru che ha fatto il compleanno ieri, e a Jun che lo fa domani ~♥
Sì, sono una di quelle pazze che si segnano le date dei loro personaggi preferiti, di che vi stupite esattamente? U.u'''''



 

Intatto.
Così Genzo trovò il vassoio della cena che aveva lasciato davanti alla stanza Hime, completamente intatto.
Non una pietanza assaggiata, non una posata spostata, niente, la figlia – molto probabilmente – non aveva neanche aperto la porta per vedere cosa c’era nei piatti.
“Allora?”
Gli chiese Tsubasa, al telefono.
“Niente”
Sospirò il portiere, passandosi la mano libera sul volto.
Era passata una settimana da quell’ ‘incidente’ sul lavoro e da allora Hime era cambiata, si era rinchiusa in se stessa escludendo fuori il padre, che la osservava da lontano per cercare di carpire i pensieri che le stavano affollando la testa.
Aveva provato a parlarle, a suggerirle di sfogarsi con lui ma la sua principessa gli aveva risposto che non c’era niente da dire e gli aveva fatto un piccolo sorriso tremolante, se Genzo già con quello ci credette poco, quando la trovò nella sua stanza mezza sepolta dai famigliari di Mambo – ovvero tutti gli altri peluche a forma di pinguino che Taro le aveva regalato nel corso degli anni – che sgranocchiava alcuni macaron – spediti sempre da Misaki, ormai fidato spacciatore di quei dolcetti che tanto piacevano alla sua nipotina –, con lo sguardo fisso sul soffitto ma perso nel vuoto, capì che sua figlia si stava tenendo dentro qualcosa di molto importante.
“Vedrai che prima o poi esce e mangia”
“Ne sei sicuro?”
Chiese il portiere, portando il vassoio in cucina e poggiandolo sul tavolo.
“Sicuro, lo ha sempre fatto, arrabbiata o pensierosa che fosse”
“Quindi non devo preoccuparmi, vero?”
“Beh… potrei dirti di no, ma non servirebbe a niente, sei già preoccupato, vero?”
Mormorò dolcemente il centrocampista al portiere che sorrise piano, andando verso la piccola finestra che vi era nella cucina e iniziando a guardare fuori.
“Se fosse successo qualcosa che non vuole dirmi? Se fosse una cosa seria e-“
“Se fosse una cosa seria, parlare con te, sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto”
Lo interruppe Tsubasa e Genzo non poté che dargli ragione.
Hime parlava sempre con loro quando le capitava qualcosa di serio, lo aveva fatto con Ozora quando aveva deciso di provare a diventare una modella e lo aveva fatto con Wakabayashi quando era giunto il momento di iscriversi all’università, e questi erano solo gli ultimi due esempi, la ragazza si fidava dei suoi genitori e sapeva che potevano aiutarla quando si trovava in difficoltà, ma allora perché – si chiedeva il portiere – quella volta rimaneva in silenzio? Si vedeva da lontano un miglio che c’era qualcosa che la preoccupava.
“Dalle tempo”
Suggerì Tsubasa.
“Ha preso da te, quando pensa troppo tende a isolarsi, devi solo portare pazienza e vedrai che finirà tutto bene”
“Come fai ad esserne così certo?”
Borbottò Wakabayashi, maledicendo tra sé e sé la genetica, proprio quel suo lato del carattere aveva dovuto ereditare?! Non sarebbe stato meglio se avesse ereditato la sua passione per i cappellini?!
“Semplicemente perché, quello che stai vivendo tu ora, io l’ho già passato”
Gli ricordò Ozora, ridendo.
“Allora ti faccio un’altra domanda, capitan mamma, come hai fatto a smettere di preoccuparti?”
“Non ho mai detto di aver smesso”
I due scoppiarono a ridere insieme, essere genitori era dura, crescere una bambina a distanza era stata dura, stare dietro ad un adolescente era stata dura, capire cosa passava per la testa di una giovane donna si stava rivelando altrettanto dura, ma sarebbero riusciti anche in quello.
Non si erano mai arresi davanti a una partita.
“Adesso devo andare, domani mattina ho delle visite da fare prima degli allenamenti”
Lo informò Tsubasa e Genzo annuì.
“Fammi sapere, mi raccomando”
“Tranquillo, è solo routine, piuttosto tu cerca di lasciarle i suoi spazi per adesso, va bene?”
“… Va bene…”
“Gen…”
“Ti ho detto va bene, insomma Tsu, hai davvero così poca fiducia in me?”

“Ti va se ti accompagno a lavoro?”
Chiese Genzo, la mattina dopo, alla figlia, mandando a quel paese tutti i buoni propositi che aveva detto al compagno neanche dodici ore prima.
Lasciarle i suoi spazi probabilmente sarebbe stata la cosa migliore da fare… ma non ci riusciva, era più forte di lui, pensava che – forse – se le fosse stato vicino, allora Hime si sarebbe finalmente aperta con lui, confidandosi.
“Non hai gli allenamenti, oggi?”
Domandò Hime di rimando, finendo di sistemare la borsa e girandosi a guardarlo.
“No, è giornata di riposo”
“E non dovresti riposare?”
“Trovi che sia così strano che voglia accompagnarti a lavoro? Tsubasa qualche volta l’ha fatto ed è anche rimasto durante gli scatti”
“Ma con mamma non ho mai corso il rischio di essere trascinata a casa se un vestito risultava un po’ troppo corto”
Uno a zero per la principessa.
“Hai ragione… ma se prometto di stare buono buono e zitto?”
Le propose, porgendole il mignolo.
“Voglio solo guardarti lavorare e passare un po’ di tempo con te, tutto qui”
Aggiunse, facendo nascere un piccolo sorriso sul volto della figlia, che alla fine prese il mignolo con il suo.
“Prometti davvero che non interferirai con gli scatti?”
“Prometto”
“Andata allora”
Si baciarono i pugni e si sorrisero.
Vedere la sua principessa sorridere era un passo avanti, per Genzo, non lo faceva da una settimana… magari nel viaggio in macchina sarebbe riuscito a chiederle cosa la preoccupava e lei avrebbe finalmente risposto.

Come non detto, pensò il portiere amareggiato, parcheggiando.
Durante il viaggio in macchina, la piccola Wakabayashi aveva passato il tempo a guardare il paesaggio che passava fuori dal finestrino, rispondendo a pezzi e bocconi alla domande che le faceva il padre.
Forse avrebbe dovuto dar retta a Tsubasa e darle il suo tempo… forse… ma ormai era in ballo e tanto valeva continuare a ballare.
“Cosa dovrai indossare, lo sai?”
Le chiese, affiancandola dopo aver chiuso la macchina, insieme iniziarono a dirigersi sul set dove li aspettavano già i primi collaboratori.
“Dei costumi da bagno di una marca abbastanza famosa, dovrei fare delle foto con Anja e con un’altra persona”
Rispose Hime, rileggendo velocemente la mail con i dettagli del lavoro e prendendolo a braccetto.
“Sai già chi?”
“No, la direttrice ha voluto che rimanesse una sorpresa”
E che sorpresa che fu, quando si ritrovarono davanti il Kaiser.
“Che ci fai tu qui?!”
Si urlarono a vicenda i calciatori.
“Ho accompagnato Hime al lavoro, ecco che ci faccio qui”
Chiarì il portiere facendosi da parte e rivelando la figlia, la quale – appena intravisto il biondo – era andata subito a nascondersi dietro la sua schiena.
Gli occhi di Karl e Hime s’incrociarono per qualche istante, ma poi entrambi distolsero lo sguardo, puntandolo a terra.
“Mi ha chiamato uno sponsor per un lavoro, devo fare delle scatti fotografici per promuovere dei costumi da bagno”
Mormorò il tedesco, rispondendo anche lui alla domanda, scompigliandosi i capelli.
“Ma quindi-“
“E~sat~to!”
Esclamò Anja, sbucando alle spalle dell’amica – interrompendola – e andando subito a stringerle il seno da dietro.
“Faremo delle foto in coppia con dei calciatori famosi, era questa la sorpresa della direttrice, non sei contenta Hime? ♥”
“Sarei più contenta se togliessi via le mani da lì!”
“Quanto sei adorabile quando sei imbarazzata ~♥”
Urlò la bionda, sporgendosi sulla spalla della giapponese per lasciarle un bacio a schiocco sulla guancia, Hime ne approfittò per alzare una mano e iniziare a tirarle la sua.
Quella sorpresa poteva andare anche suo favore, pensò Genzo guardando il compagno di squadra che fissava a sua volta leggermente scioccato le due modelle che avevano iniziato a litigare – “Hime! Se continui rimarrà il segno e non potrò lavorare!” “Il trucco serve proprio per quello, piuttosto lasciami il petto!” “Giammai!” -.
Era stato Karl ad evitare che sua figlia entrasse in calore, quindi era probabile che la sua principessa avesse iniziato a fidarsi un po’ del Kaiser di Germania, magari alleandosi come facevano in campo, sarebbero riusciti a farla confidare, una volta finito il lavoro.
Era un’ottima idea, quella, per il portiere.

Peccato che non sapesse che le preoccupazioni di Hime riguardassero proprio Karl…

Come promesso alla figlia, Genzo si mise buono buono in un angolino, ed osservò in silenzio l’inizio del lavoro della sua principessa.
Per i primi scatti, le modelle furono fotografate da sole, e indossarono dei costumi abbastanza semplici, per Hime venne scelto un costume intero bianco con una leggera gonna incorporata, Anja invece indossò un due pezzi lilla scuro, accompagnato da un pallone da spiaggia che la bionda si divertì a calciare contro l’amica una volta finito il suo turno – gongolò, Wakabayashi, quando vide la figlia parare il pallone -.
Per il secondo turno iniziarono ad arrivare i calciatori.
Fu Anja la prima a posare insieme ad uno di loro, le venne fatto indossare un altro costume lilla scuro, il pezzo sotto fu coperto da un pareo colorato mentre a quello sopra venne aggiunto un giacchettino (?) di pizzo a maglia molto larga, al pareo venne aggiunta una cinturina di perline, le braccia vennero decorate con dei bracciali e alla coscia le venne legato un cinturino simile a quello sopra al pareo, l’omega si portò sul set un altro pallone da spiaggia, che stavolta condivise con il suo compagno di scatti, facendo l’occhiolino e una leggera linguetta a Hime, la quale indossò – per quella linea – un due pezzi rosso con fantasia floreale che si intravedeva e non, il pezzo sopra coperto da un top semitrasparente e quello sotto da un pareo di pizzo a maglia molto larga, simile al giacchettino indossato prima dall’amica, anche a lei furono dati il cinturino di perline e i bracciali, e Genzo storse un po’ il naso quando un collaboratore le sistemò il nastro legato sulla coscia, ma rispettò la promessa e se ne stette in silenzio, sorridendole quando gli indirizzò l’occhiolino.
Al terzo turno arrivò sul set anche Karl.
“Ehi”
Lo salutò il portiere, quando gli fu affianco.
“Credevo ti avessero rapito i truccatori”
“Spiritoso, starai qui a guardare anche quando toccherà a me?”
“Ovvio, come potrei perdermi l’occasione di scattarti delle foto imbarazzanti di nascosto e condividerle poi con i nostri compagni”
“Dannato me quando ti ho invitato al Bayern…”
Anche quel giro di foto fu inaugurato da Anja, che indossò un costume nero a due pezzi completamente coperto dal top con maniche viola e nero e una gonnellina trasparente con il bordo viola, a quel costume vennero aggiunti dei gioielli che – il portiere si accorse – sfoggiò anche Hime, come la tedesca, anche lei indossava un costume a due pezzi nero coperto da un top con sopra dei fiori rossi e una gonnellina abbinata, al collo portava un collana fine color oro con pietre rosse che glielo avvolgeva quasi completamente, al braccio destro due bracciali abbinati e per finire degli orecchini sempre abbinati, i capelli lasciati sciolti le vennero leggermente inumiditi così da far intravedere qualche goccia d’acqua nelle foto, e le vennero ornati con un fermaglio con dei grandi fiori rossi circondati da altri più piccoli bianchi.
 Wakabayashi sorrise, era sicuramente di parte, ma per lui la sua principessa, in quel momento, era davvero bellissima.
Non si accorse che anche l’attaccante di fianco a lui stava osservando incantato la giovane alpha.
A risvegliare i due giocatori del Monaco ci pensò Irina.
“Vieni Schneider, poserai insieme a Hime!”
Urlò la fotografa facendo sussultare i due citati.
No… nonononono… non poteva posare con lui, pensò la piccola Wakabayashi guardandolo inpanicata, stesso pensiero ebbe anche il Kaiser che ricambiò l’occhiata della ragazza.
Sarebbe finita male, lo sapevano entrambi, lo percepivano sottopelle… ma non potevano rifiutarsi, stavano lavorando e non potevano fare una scenata per non posare insieme, anche perché quello avrebbe destato sospetti in un certo portiere che si sarebbe sicuramente domandato perché la figlia e l’amico non volessero lavorare insieme, quindi Hime abbassò la testa, cercando di mascherare l’imbarazzo visibile sulle sue gote rosse e s’incamminò verso il set.
Stessa cosa stava per fare Karl, che però venne fermato da una mano sul braccio.
“Schneider… mi raccomando…”
Gli sussurrò Genzo a bassa voce.
Ci teneva davvero a rispettare la promessa fatta alla sua principessa, e non avrebbe detto nulla se fosse toccato ad un altro calciatore, ma uno strappo poteva farlo visto che si trattava del suo amico biondo.
Poteva fidarsi di lui.
Karl si sentì un verme ad annuirgli, e continuò a sentirsi così anche quando fu vicino alla ragazza, la quale non doveva sentirsi poi molto meglio, il loro malessere dovette imprimersi anche nei primi scatti che furono fatti loro, a giudicare del disappunto che comparve sul volto di Irina quando ricontrollò le foto.
“Hime tutto bene?”
Domandò la fotografa, confusa di vedere la sua modella rigida e tesa proprio al terzo giro di scatti, che la imbarazzasse stare vicino ad un uomo con il padre ad osservarla?
Stava per girarsi, Irina, per chiedere al portiere se poteva allontanarsi dal set quando Hime le rispose.
“S-Sì… sì, ho solo un po’ freddo con i capelli umidi”
“Ho capito, cerca di resistere che dopo questi hai finito”
“Va bene”
“Magari avvicinati un po’ a Schneider, così senti meno freddo”
Consigliò la fotografa, facendo sgranare gli occhi ai due.
La piccola Wakabayashi si morse l’interno guancia, maledicendosi mentalmente, e si avvicinò al biondo di un paio di passi.
“Tu Schneider, passale un braccio intorno alla vita, stringila a te… così, tu Hime, poggiagli le mani sul petto… perfetto, adesso guardatevi negli occhi!”
Diresse Irina, posizionando i due in modo da poter scattare delle foto migliori di quelle precedenti.
Stava facendo il suo lavoro, e questo lo sapevano anche il calciatore e la ragazza… ma questo non impedì loro di maledirla nelle loro teste.
Se già prima era stato difficile non essere tesi, adesso stava diventando quasi impossibile.
L’ultima volta che erano stati così a contatto era stata in quella doccia, una settimana prima, anche allora Karl stringeva Hime a sé, e come allora, Hime percepiva il suo battito tramite le mani che gli teneva poggiate sul petto.
La piccola Wakabayashi alzò timidamente lo sguardo verso il Kaiser… e gli occhi s’incrociarono.
Il verde smeraldo si specchiò nell’azzurro limpido.
E tutto sparì.
Genzo, Irina, i collaboratori, Anja e gli altri modelli, il set, la pubblicità per i costumi.
Tutto.
C’erano solo loro due, i loro occhi e i loro odori che iniziarono pian piano ad espandersi, Karl inspirò quel dolce profumo di frutti di bosco, forse poco da alpha a pensarci, ma così adatto alla piccola bambolina che strinse un po’ più forte a sé, portando la mano libera tra i suoi lunghi capelli neri, accarezzandoglieli con lentezza, Hime invece si lasciò cullare dall’intenso profumo di pino, iniziando a muovere un poco le mani su quel petto muscoloso che sembrava pronto ad accoglierla in qualsiasi momento.
Sarebbe finita male, lo sapevano.
Non dovevano, lo sapevano.
Ma stavolta nessuno dei due ebbe la forza di staccarsi.
Karl si abbassò, Hime si alzò sulle punte e le loro labbra s’incontrarono in un bacio liberatorio e appassionato.

“Perfetto! Continuate così!”
Urlava Irina scattando velocemente delle foto.
Come faceva a incitarli così, si domandava Genzo, come faceva Anja – di fianco a lui – a fischiare entusiasta? Solo lui vedeva rosso davanti a quella scena? Solo lui si sentiva svenire guardando Karl che divorava le labbra di Hime?
Hime… la sua principessa… la sua bambina a cui aveva fatto una promessa… si aggrappò a quella, il portiere, per non iniziare a fare una scenata in mezzo a tutti e rovinare così il lavoro della figlia, ma niente gli impedì di andare ad agguantare il biondo una volta che questo si staccò da lei e che la fotografa dichiarò conclusi i loro scatti.
Lo trascinò lontano dal set e, una volta soli, lo sbatté contro un muro, aggredendolo.
“Che diavolo ti è passato per quella fottutissima testa?!”
“Io…”
“Tu hai appena baciato mia figlia!”
Urlò Wakabayashi, fuori di sé dalla rabbia.
“Mia figlia Karl! Una bambina in confronto a te, che potresti essere suo zio! Come hai potuto fare una cosa del genere?! Mi fidavo di te! Mi ero raccomandato perché ero sicuro che non avresti esagerato, non tu, non con lei e invece… invece le hai infilato la lingua in bocca, a mia figlia!”
“Genzo io… mi dispiace, mi dispiace davvero ma… non ho resistito, ci ho provato, credimi, ma il suo odore è così… così… mi è entrato dentro fin dalla prima volta, non riesco a resistergli…”
Mormorò il Kaiser, confuso, non riuscendo a guardare l’amico negli occhi.
“Lo rifaresti?”
Domandò, duro, il portiere.
“…Sì”
Affermò il biondo, alzando lo sguardo, serio.
Non poteva più mentirgli.
“Mi sento un verme, Genzo, e mi dispiace aver tradito la tua fiducia… ma bacerei di nuovo Hime seduta stante, senza esitare”
Davanti a quella confessione sincera, Genzo sentì una nuova ondata di rabbia  inondargli le vene e alzò il pugno pronto a colpirgli il viso.
Dannazione, quella che il Kaiser voleva baciare di nuovo era sua figlia! Come poteva anche solo pensare di farlo di nuovo?!
“Papà!”
Urlò proprio la voce della sua principessa, fermandolo prima di calare il pugno.
Entrambi si girarono verso di lei e la trovarono con indosso i suoi vestiti, quelli con cui era arrivata insieme a al padre, tremante e a un passo dalle lacrime.
“Per oggi ho finito, ho chiesto a Irina e mi ha detto che posso andare… andiamo a casa…”
“Hi-“
“Voglio andare a casa… ti prego…”
Chiese di nuovo la ragazza, mentre una sola lacrima le rigava la guancia.
Il portiere lasciò ricadere il braccio, sgranando gli occhi, le annuì piano e lasciò andare il compagno di squadra per andare da lei, tentò di abbracciarla, per consolarla e per farla nascondere nel suo petto come aveva sempre fatto quando piangeva… ma la principessa rifiutò il suo tocco.

Il silenzio regnò sovrano nel viaggio verso casa, Genzo gettava continue occhiate preoccupate alla figlia, ma questa teneva ostinatamente lo sguardo fisso fuori dal finestrino e, una volta arrivati sotto casa, la vide slacciarsi velocemente la cintura e correre fuori dal veicolo.
“Hime aspetta!”
La piccola Wakabayashi non ascoltò il padre, corse dentro casa e sempre correndo raggiunse la sua stanza, chiuse la porta dietro di sé a chiave, si appoggiò ad essa e si lasciò scivolare lentamente per terra mentre i singhiozzi iniziavano ad uscirle dalle labbra tremanti e le lacrime rotolavano giù per le guance.
Non capiva più niente, cosa le stava succedendo? Perché stava accadendo?
Non riusciva a rispondersi, non da sola, e non voleva parlarne con il padre, non dopo quello che gli aveva fatto.
Rovesciò il contenuto della borsa davanti a lei e lo setacciò qualche istante, prima di trovare quello che cercava, con mani tremanti afferrò il cellulare e lo sbloccò.
Con gli occhi appannati dalle lacrime vide un messaggio di Anja dove l’omega cercava di consolarla come aveva fatto in camerino, quando si era cambiata in fretta e furia per raggiungere i due calciatori, si ripromise di risponderle appena sarebbe stata un po’ meglio e alla fine digitò il numero che aveva imparato a memoria anni e anni prima.
Si portò il cellulare all’orecchio e con il braccio libero si abbracciò le ginocchia, tirandosele contro il petto.
Attese.
“Pronto?”
Rispose quella voce – dopo qualche squillo a vuoto – che ebbe immediatamente un effetto lenitivo sulla ragazza, che singhiozzò, chiudendo gli occhi.
“Mamma…”


*
Per l'ultima volta, ecco i nomi dei set da cui ho preso i costumi per Hime e Anja ^^

Costumi primo turno:
Dunque, questi sono i costumi che Dia e Mari indossano nell'anime di Love Live Sunshine, quindi basta che scrivete 'Dia Kurosawa/Mari Ohara summer' e dovrebbero uscirvi delle immagini di alcuni gadget dove indossano questi costumi... almeno, a me sono usciti così ?.?

Costumi secondo turno:
Mari Ohara Evarlasting Summer Set versione idolizzata
Dia Kurosawa Evarlasting Summer Set versione idolizzata

Costumi terzo turno:
Mari Ohara Summer Night Set versione idolizzata
Dia Kurosawa Summer Night Set versione idolizzata

Il costume di Karl non l'ho descritto perchè tanto al biondone starebbe bene pure un sacco della spazzatura u.u .

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Capitolo 10
*** Captain Mamma ***


L'angolino stavolta è in fondo al capitolo ~.
Buona lettura a tutti ~♥.



 

Era circondato.
Giornalisti, paparazzi, fan.
Gli occhi neri di Tsubasa scorrevano velocemente sui volti di tutte quelle persone intorno a se e ai suoi compagni di squadra, in cerca di un verde smeraldo tanto caro.
Fu la proprietaria di quegli occhi, però, a trovarlo per primo e a gettarsi tra le sue braccia.
Incurante dei giornalisti che iniziarono subito a fare domande, dei paparazzi che presero la palla al balzo per iniziare a scattare foto a madre e figlia, Hime si strinse al petto della sua mamma, sospirando piano e lasciandosi cullare dal suo odore di vaniglia.
Ozora le abbracciò le spalle con il braccio libero e se la strinse forte contro, prendendosi qualche istante per godersi quell’abbraccio, prima di iniziare a seguire i compagni fuori dall’aeroporto, sempre abbracciato alla figlia, che non aveva nessuna intenzione di lasciare tanto facilmente.
Gli si era spezzato il cuore, al centrocampista, quando – rispondendo alla chiamata della figlia qualche giorno prima – l’aveva sentita in lacrime e disperata, ed era andato in piccoli pezzi quando – una volta chiuso con lei – era stato chiamato anche dal suo portiere, confuso e disperato quanto la loro principessa, il suo primo pensiero era stato quello di raggiungerli immediatamente ma non aveva potuto, gli allenamenti lo avevano costretto a Barcellona, ma per fortuna era in programma una partita Bayern Monaco – Barcellona, così aveva dovuto attendere pochi giorni prima di raggiungere la sua famiglia.
Sospirò, l’omega, facendo un leggero cenno con il capo a Rivaul e al mister, li avrebbe raggiunti sul pullman più tardi, prima doveva pensare alla sua bambina.
Bambina che non era più, ormai, pensò guardandola salutare il brasiliano mentre quello le accarezzava la testa coperta dal cappellino bianco – rubato, molto probabilmente, a Genzo -, che Hime aveva messo per non farsi riconoscere subito.
Aveva diciotto anni, era una giovane donna.
E aveva trovato il suo compagno.
Tsubasa non aveva dubbi, su questo.
Quando si era fatto raccontare al telefono perché stesse piangendo in quel modo, Hime gli aveva confessato tutto quanto: cos’era successo durante l’incidente di Anja, cosa aveva pensato durante la settimana in cui si era isolata nei suoi pensieri e cos’era accaduto durante il servizio fotografico, lui aveva ascoltato il tutto in silenzio, aveva ascoltato i suoi pensieri, le sue domande, le sue paure ed era arrivato ad una conclusione talmente naturale, che si era chiesto com’era possibile che non ci fossero arrivati anche loro.
Hime aveva trovato il suo compagno.
Doveva ammetterlo, il centrocampista, lui aveva sempre pensato che sarebbe stato un’omega o un altro alpha come  lei, non avrebbe mai immaginato che invece fosse un beta… e che quel beta fosse proprio Karl Heinz Schneider, Kaiser di Germania e capitano della nazionale tedesca.
Che strani scherzi faceva il destino, a volte.
Il compagno di sua figlia si era rivelato essere un uomo con il doppio dei suoi anni, amico e rivale dei suoi genitori.
Ma non sarebbe stato un problema, pensò sciogliendo l’abbraccio che ancora li univa.
Le accarezzò una guancia mentre Hime lo guardava con i suoi occhioni verde smeraldo pieni di preoccupazione.
“Andrà tutto bene”

“Andrà tutto bene”
Ripeté Tsubasa, stavolta al suo amato portiere.
Mancava ancora un’ora alla loro partita, e il centrocampista ne aveva approfittato per raggiungerlo e per parlare anche con lui, prima che andasse negli spogliatoi a cambiarsi.
“L’ho fatta piangere”
Ripeté, a sua volta, Genzo, seduto per terra e con la testa tra le mani.
“Sono un pessimo padre”
“Sei un ottimo padre, invece”
Lo corresse Tsubasa, inginocchiandosi tra le sue gambe e prendendogli il volto tra le mani.
“Nonostante la rabbia hai mantenuto la promessa che le avevi fatto, non hai interrotto il servizio fotografico, hai aspettato anche se stavi morendo dentro e sono orgoglioso di te, per questo”
“Ma Hime-“
“Hime non piangeva per come hai reagito, era solo confusa da tutto quello che le stava succedendo, sai, non credo che avesse programmato di baciare Schneider mentre stavano lavorando”
Cercò di buttarla sul ridere, il centrocampista, ma quello che ottenne dall’altro fu solo un lungo sospiro mentre poggiava la fronte contro la sua.
“Credo di capire, adesso, cosa provavano tuo padre e Roberto quando ci vedevano insieme”
“Mi stai dicendo che hai in mente di far dormire Karl sul divano?”
“Mah… potrebbe essere un’idea da tenere in considerazione per il futuro”
Borbottò Genzo, facendo ridere piano il compagno.
“Credi davvero che andrà tutto bene?”
Chiese, poi, il portiere, guardando il suo omega negli occhi.
Tsubasa annuì, lasciandogli un piccolo bacio sulle labbra.
Avevano già fatto dei passi avanti: nei giorni in cui era dovuto rimanere a Barcellona, lui e Hime avevano parlato al telefono più volte, la ragazza aveva ascoltato il pensiero a cui era giunto la madre ed aveva dovuto fare nuovamente i conti con l’idea del legame e la prospettiva di aver trovato il suo compagno – per 17 tranquilli anni non le era capitato niente a Barcellona, pochi mesi a Monaco e quella era già la seconda volta, dannata lei quando aveva deciso di seguire il padre! -.
Se era arrivata a una decisione, Tsubasa questo ancora non lo sapeva, perché nelle ultime chiamate la loro principessa aveva evitato l’argomento.
In compenso era finalmente riuscito a tranquillizzare il suo portiere - il quale si era disperato per giorni credendo di aver ferito la figlia - parlandogli faccia a faccia, ma soprattutto, Genzo sembrava aver accettato l’idea di vedere l’amico e la figlia insieme, arrivando quasi a scherzarci sopra, e quello poteva essere già considerato un piccolo traguardo.
Per arrivare a quello vero, però, di traguardo, mancavano dei passi.
Passi rappresentati dall’attaccante che uscì in quel momento dagli spogliatoi, attirando l’attenzione dei giapponesi su di sé.
Calò un silenzio imbarazzante tra i tre, mentre Karl osservava sorpreso e imbarazzato Genzo e Tsubasa, e Genzo e Tsubasa osservavano Karl con attenzione.
“…Io…”
Iniziò il tedesco, ma poi decise di lasciar perdere, scuotendo la testa e dando loro le spalle.
“Ci vediamo al tunnel”
Li salutò, iniziando ad allontanarsi.
Wakabayashi sospirò, recuperando il cappellino che si era tolto per calarselo con forza sul volto, esasperato.
“Sarà una delle peggiori partite della nostra vita”
“Abbiamo sopportato di peggio”
Disse Ozora, sorridendo, alzandogli il cappellino così da poterlo guardare negli occhi e fargli l’occhiolino.
“Lascia fare a me, ci penso io al Kaiser”

Tsubasa fu di parola.
Durante la partita, sfruttò ogni occasione per andare contro l’attaccante tedesco, che fosse lui ad avere il possesso della palla oppure l’altro non importava, il centrocampista gli andava contro senza esitazione, destabilizzando il biondo più di quanto già non fosse.
“Sai, non stai facendo una bella figura”
Lo riprese l’omega, dopo aver passato la palla a Rivaul che avanzò velocemente verso l’area della porta, dove Genzo lo aspettava.
Karl non rispose, fece solamente una smorfia quando vide il brasiliano fare goal.
“Credi davvero che te la lascerò, se continui così?”
“Cos-?”
“L’ho tenuta dentro di me per nove lunghi mesi, Schneider, Hime è mia figlia e mi rifiuto di lasciarla a uno smidollato, come stai dimostrando di essere in questo momento, che tu sia il compagno destinato o meno”
Disse Tsubasa con tono duro, guardando l’altro negli occhi azzurri con i suoi estremamente seri, cercando di smuoverlo dalla sua insicurezza.
“Se davvero vuoi avvicinarti a lei, se anche solo una piccola parte di te pensa che ci possa essere un futuro per voi… allora dimostramelo, perché altrimenti la riporto in Spagna con me e farò in modo che non vi possiate vedere mai più”
Continuò l’omega, facendo sgranare gli occhi al beta.
“Asp-!”
Ozora non lo lasciò finire di parlare, lo superò dandogli una leggera spallata e andò incontro a Rivaul per dargli il cinque per il goal.
Schneider lo guardò qualche secondo, poi spostò lo sguardo su Genzo, e dal portiere lo riportò nuovamente al centrocampista.
Forse avrebbe dovuto arrendersi… lasciare che Tsubasa riportasse Hime a Barcellona, magari se non si fossero più visti sarebbero potuti andare avanti – tutti – come se niente fosse successo, Hime avrebbe trovato un compagno adatto a lei, della sua età, più giusto di lui che per anni era andato avanti senza sentire il bisogno di legarsi a nessuno, lui si sarebbe scusato con Wakabayashi, avrebbe recuperato il loro rapporto basato sulla fiducia e amicizia reciproca, e avrebbe aspettato la nuova, fugace, avventura.
Probabilmente era la cosa più giusta da fare.
Allora perché sentiva una stretta soffocante al cuore, al solo pensiero di non poter più vedere quegli occhi verde smeraldo?
Perché sentiva il suo orgoglio e il suo istinto spingerlo ad accettare la sfida lanciatagli dall’omega?
Cosa gli aveva chiesto di fare, infondo, quest’ultimo? Doveva solo fare quello che sapeva fare meglio, ovvero giocare a calcio, vincere.
Vincere… per Hime?
Aveva passato la vita tra un’avventura e l’altra, in attesa che arrivasse lei a sconvolgergliela?
Si diede una manata in fronte, Karl, dandosi dell’idiota, non era da lui farsi domande del genere, lui non credeva nel legame… eppure…
“Genzo!”
Wakabayashi sussultò e per poco non gli scappò la palla dalle mani quando riconobbe la voce che lo aveva chiamato, il suo sguardo trovò subito la figura bionda che teneva un braccio alzato.
“Lanciami la palla, ci penso io a recuperare!”
Urlò, ancora, Karl.
Il portiere sorrise.
“Vedi di farlo, altrimenti questa non te la faccio passare!”
Urlò a sua volta, lasciando andare il pallone per calciarlo nella sua direzione.
Grazie agli scambi di passaggi che fece con Levin e Sho, il Kaiser riuscì a segnare e quindi pareggiare.
“Non voglio sentire lamentele, quando verrò a prenderla”
Disse a Tsubasa, ricambiando la leggera spallata di prima.
Il centrocampista sorrise.

“Quindi eri qui”
Mormorò Karl alla ragazza seduta per terra, vicino alla porta degli spogliatoi del Bayern, dove aveva trovato i suoi genitori prima che iniziasse la partita.
Partita che era finita con un pareggio – 2 a 2 -, non un risultato soddisfacente dal punto di vista calcistico, ma era stato abbastanza per ricevere un cenno da parte di Tsubasa – gli aveva lasciato anche una pacca sulla spalla, prima di andare ad abbracciare il suo portiere -.
“Sei rimasta qui tutto il tempo?”
Le chiese, l’aveva cercata con lo sguardo, una volta finita la partita, ma non era riuscito a trovarla.
Hime scosse leggermente la testa, osservandolo con la coda dell’occhio e stringendosi le gambe al petto.
“Ero sugli spalti dedicati al Barcellona”
“In partite del genere, non dovresti essere neutrale?”
La piccola Wakabayashi gli lanciò un’occhiataccia e il Kaiser rise.
No, avrebbe fatto sempre il tifo per la madre, a prescindere dall’avversario.
“Mi sembra giusto”
Bisbigliò, mettendosi davanti a lei e porgendole la mano.
“Credo proprio che io e te dovremmo parlare”
Hime osservò quella mano tesa verso di lei, sembrò indecisa ma alla fine l’afferrò – annuendo - e si lasciò tirare in piedi.
Le mani restarono intrecciate, mentre si allontanarono verso un posto più isolato.
“Ti prego, ripetimi che sono un bravo padre”
Borbottò Genzo, osservando i due allontanarsi, stringendo la presa sulle spalle del compagno.
“Perché, seriamente, ho una voglia insana di correre da loro per separarli”
“Mi preoccuperei del contrario”
Rise Tsubasa, dandogli un bacio sull’angolo della bocca.
Il portiere catturò nuovamente la sua bocca subito dopo che si staccò, gli aveva fatto un goal, un bacio era il minimo che poteva dargli come risarcimento.


Rividero la loro principessa solo la sera.
Hime aveva un grosso sorriso stampato in volto e li abbracciò entrambi, felice.
Come aveva detto Tsubasa, alla fine, era andato tutto bene.





 

Angolino della Robh: Buonasera a tutti ~♥
Ohibò, mi fa strano pensare che questo è l'ultimo aggiornamento per questa storia... mi fa quasi piangere... la mia bambina ç.ç *Serè le passa i fazzoletti e parte la valle di lacrime*.
Ma cerchiamo di rimanere seri!... Cosa che mi capita già di per se raramente >.>''', insomma veniamo al capitolo e alla fine della storia, immagino che nessuno si sarebbe aspettato un finale del genere, e molti si chiederanno alla fine che hanno deciso Karl e Hime, ebbene ve lo dico io, si sono messi insieme, ovviamente (perchè, dopo tutti i casini combinati non potevano non farlo xD), e adesso vi spiego come mai ho voluto fare il finale un po' così.
Semplicemente, perchè la storia ruotava intorno alla famiglia Wakabayashi/Ozora.
Il mio intento è stato, fin dall'inizio, quello di raccontare le vite di Genzo e Tsubasa con l'aggiunta di Hime, la loro figlia inventata da me grazie a quella bellissima cosa che è l'omegaverse, andando avanti con altri capitoli, la storia si sarebbe sicuramente concentrata di più solo su Karl e Hime, e la cosa non mi piaceva troppo, così ho voluto farla finire così... non odiatemi, sono solo un'autrice che voleva vedere realizzato il sogno della sua otp affigliata ç.ç .
Ora passiamo alla fiction in generale, devo dire che mi è piaciuto molto scriverla, mi sono divertita mentre lo facevo, e devo dire che Hime è venuta fuori proprio come l'avevo immaginata, quindi non posso essere più soddisfatta di così ^^.
Non so se scriverò altro su di lei, però, ma posso dirvi che se succederà... non la metterò di nuovo con Karl xD, non guardatemi male, a dire il vero ho scelto il Kaiser solo per due motivi, il primo è perchè mi serviva creare un qualche genere di scompiglio in famiglia (e per questo le opzioni per il fidanzato di Hime erano o Schneider o Misaki) e il secondo... è che mi sembrava di aver creato già troppi oc >.>'''', comunque, nella prossima, se mai ci sarà, Hime avrà un fidanzato diverso... volendo saprei già chi, visto che ho già creato i bimbi per le altre coppie che mi piacciono >.>'''', abbiate pietà, so già da sola di essere irrecuperabile xD.
Che altro dire, ringrazio chiunque abbia recensito, letto o aggiunto la storia alle preferite/seguite/da ricordare, mi avete fatta tutti immensamente felice sappiatelo ~♥.
Ci si vede alla prossima storia! ~

Baci, Robh ~♥


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