Broken Tear

di SkyDream
(/viewuser.php?uid=423935)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1: The sound of broken bread ***
Capitolo 2: *** Chapter 2: The sound of a heartbeat ***
Capitolo 3: *** Chapter 3: The sound of memory ***
Capitolo 4: *** Chapter 4: The sound of waterfall ***
Capitolo 5: *** Chapter 5: The sound of truth ***



Capitolo 1
*** Chapter 1: The sound of broken bread ***


Prima di leggere: Nella storia Lluvia ha perso una gamba a causa della maledizione di Akio, che sarà l'antagonista principale di questa storia.
Consiglio - non obbligo -  pertanto la lettura di Soul Rain prima di cominciare, dove si spiega il tutto e si introduce il personaggio di Akio.
La storia è ambientata dopo il ciclo narrativo di Tartaros.


Broken Tear


Chapter 1: The sound of broken bread

 
Natsu aveva lasciato la gilda poco più di dodici mesi prima.
Era partito, con Happy al suo fianco, verso un nuovo orizzonte e con una meta più spirituale che materiale. Sentiva il bisogno di crescere, di maturare e, soprattutto, di diventare abbastanza forte da poter proteggere i suoi amici.
Aveva mosso i primi passi con un magone in gola che lo bloccava, avrebbe voluto piangere ancora per la scomparsa di Igneel, ma non ci riusciva e, da un lato, forse era meglio così.
Mentre si incamminava aveva anche pensato a Lucy, la sua Lucy, che aveva sacrificato un suo Spirito Stellare per salvarli tutti. Si era anche rialzata e ne era uscita vittoriosa nonostante le ferite.
Si perse un momento, uno solo, nei suoi pensieri su Lluvia: la sua amica aveva perso una gamba da poco a causa di un pazzo che voleva estirparle il simbolo della gilda.
Natsu, in quei giorni che avevano stravolto Fairy Tail e cambiato la vita di Lluvia, era in missione e quando era tornato aveva trovato tutto diverso, ma la gilda unita ancora più di prima.
Tutti questi pensieri e altri si erano accavallati sia all’inizio del suo cammino che sulla via del ritorno, quando aveva mosso i primi passi sulla neve per entrare a Crocus e far vedere chi fosse diventato.
Fu proprio il pensiero della gilda che lo aspettava - soprattutto per le feste natalizie -  ad averlo fatto saltellare, trepidante d’orgoglio per i suoi nuovi poteri, davanti l’entrata della città.
E fu sempre lo stesso pensiero a far crollare il suo castello di carte, scosso dal vento gelido dell’inverno.
Crocus era stata in parte rasa al suolo: centinaia di case erano ridotte ad un cumulo di macerie ormai innevate, della grande torre principale era rimasto ben poco, dell’arena dei Grandi Giochi, invece, più nulla.
Non una voce aleggiava nella città, nessun bambino correva per le strade e mancava l’allegria e il calore che avevano sempre avvolto la Capitale.
Natsu percorse la via centrale, imbiancata e solitaria come non mai, senza emettere alcun suono oltre quello delle scarpe che scricchiolavano sui detriti e affondavano nella neve, solo con il suo piccolo amico a fianco. Per le strade rotolava parecchia spazzatura, dai vestiti strappati alle bottiglie rotte, fogli di giornali e vecchi ricordi appartenuti a chissà chi.
Uno di quei fogli di giornale gli si incastrò sotto il piede, nel toglierlo vi scorse un sorriso familiare.
Lucy, con il viso roseo e i capelli raccolti da un nastro blu, rideva davanti la telecamera con i grandi occhi evidenziati da un leggero trucco. La foto era piccola, ormai stropicciata, e presentava uno dei numerosi articoli scritti dalla neo giornalista.
«Così Lucy ora lavora per il Sorcerer?» chiese Happy svolazzando accanto al suo amico per guardare la foto. Abbassò lo sguardo sull’ultima riga del giornale e lo indicò con una zampetta:«L’articolo è di un mese fa!».
Natsu scese oltre al titolo leggendovi poche sporadiche notizie riguardo un attacco alla Blue Pegasus che, però, aveva avuto solo l’effetto di sollevare un polverone. Nessun ferito e nessun danno, solo paura. Forse un’intimidazione.
«Se è successo qualcosa di brutto, deve essere avvenuto nelle ultime settimane, Happy.» dedusse il mago continuando a camminare. Aveva piegato il foglio di giornale e lo aveva infilato in una tasca interna della giacca nera. Si era issato un timido vento gelido che ora gli colpiva gli occhi umidi.
«Come pensi di arrivare a Magnolia per raggiungere la gilda?» aveva chiesto il suo amico appollaiandosi sulla sua spalla. Natsu parve pensarci un po’ prima di rispondere, come se una brutta sensazione gli stesse mordendo lo stomaco.
«Forse è meglio trovare un posto per dormire qui stanotte, e nel frattempo cercare di capire chi ha fatto tutto questo!» decise continuando a vagare per le strade. Si era  ricordato di una piccola casa in centro a cui Lucy si era affezionata, anni prima, durante una missione.
Non ricordava cosa fosse successo di preciso, ma era sicuro che Lucy si sarebbe rifugiata lì se fosse stata a Crocus, in un’occasione simile, così decise di sostarvi almeno per quella notte.
Quando raggiunse l’abitazione, la trovò malandata e la porta era stata brutalmente scardinata.
Entrò dentro ignorando le proteste di Happy, assolutamente contrario a quell’infiltrazione, e si stupì di ciò che vide: Sarebbe stata una camera assolutamente deserta se non fosse stato per un fagotto buttato in un angolo, vicino la finestra, ed un secchio d’acqua vuoto su cui era poggiato un asciugamano macchiato di rosso ed una piccola ciotola.
«Natsu, non c’è nessuno qui, andiamo via! E’ un posto spettrale, mette i brividi.» protestò il piccolo exceed facendosi spazio tra la porta e l’uscio, pronto ad affrontare la neve piuttosto che restare lì.
«No, c’è qualcuno.» disse semplicemente l’altro, restando fermo. Era un profumo debole ma familiare, ne era certo.
Un profumo che ricordava qualcosa di dolce, che non sentiva da tanto.
«Ti dico che non c’è nessuno!» ribattè il più piccolo spingendo per uscire da quella stanza putrida e, se possibile, più fredda dell’aria che c’era all’esterno.
Natsu ignorò, ancora, le proteste del suo amico e si avvicinò al fagotto scuro che era poggiato nell’angolo. Più accorciava le distanze e più si rendeva conto che tremava, come se fosse vivo.
Quando vi fu veramente accanto poggiò una mano sopra, scoprendolo tiepido, e lo girò per vedere cosa nascondeva.
Natsu vide due occhi gelidi fissarlo, sembravano privi di vita, le labbra cianotiche tremavano e sanguinavano, le guance screpolate sembravano fatte di cera tanto erano candide.
Perse un battito, ne era sicuro, e non resistette all’impulso di passare una mano sul viso della ragazza, quasi a constatare che fosse una persona e non una bambola di porcellana.
Gli occhi di lei si aprirono ulteriormente a quel gesto, quasi avesse riconosciuto il contatto così familiare, ma nessuno dei due proferì parola. Natsu scostò una parte della coperta che le infagottava la testa e scoprì delle lunghe ciocche bionde.
Non ebbe alcun dubbio e, finalmente, la invocò.
«Lucy?» sospirò passandole un braccio sotto le spalle e sorreggendola. Era così magra e provata dal lungo freddo da non sembrare nemmeno lei. Ma il suo profumo non era cambiato.
La ragazza sembrava non capire1, non dava alcun segno di vita se non con le pupille che saettavano e tremavano fissandolo.
Natsu si rese conto di quello che stava succedendo, non era la prima volta che ne sentiva parlare seppur lui - mago del fuoco e figlio di Igneel- non avesse mai avuto a che fare con l’ipotermia o il congelamento.
Di quegli istanti gli rimase ben poco in mente, ricordava solo di aver preso il secchio accanto a lei e di averlo lanciato ad Happy affinchè prendesse della neve da fuori. Aveva poi sfilato la sciarpa dal collo e si era messo a torso nudo, in pochi secondi.
Le mani gli tremavano per l’agitazione e continuava a  fare ciò che gli passava per la testa senza pensare alle conseguenze.
Tipico suo.
Lucy, invece, di quei momenti avrebbe ricordato senz’altro l’improvviso tepore che l’aveva travolta. Si era ritrovata quasi totalmente senza vestiti, alcuni strappati senza ritegno, quest’ultimi erano stati disposti a terra come una protezione e lei vi era stesa sopra, a coprirla c’era solo una coperta che ricordava vagamente di aver usato per tentare di scaldarsi in quelle notti gelide.
Aveva visto un gatto volare con un secchio tra le zampe, un ragazzo familiare lo aveva preso facendolo diventare incandescente, poi aveva versato parte del contenuto nella ciotola e le aveva accostato questa alle labbra.
L’acqua calda le aveva finalmente ridato la vita, sentiva tutto dentro di lei risvegliarsi quasi con dolore. Mai nulla le era sembrato dolce e buono come quell’acqua.
Finalmente col sorriso sulle labbra si era permessa di rilassarsi, accanto a sé sentiva un forte calore avvolgerla e quasi commossa sussurrò:«Sto per morire, ho di nuovo le allucinazioni. Gatti che volano e acqua calda, sto per morire».
Aveva socchiuso gli occhi, l’ultima cosa che le era balenata davanti era stata una cicatrice che, spesso, aveva visto ma non ricordava proprio dove.
D’altronde, si disse, non ricordava da giorni nemmeno il suo nome, figurarsi delle cose del suo passato.
Il freddo le aveva gelato prima le ossa e poi la mente, aveva scritto su dei fogli per qualcuno finchè aveva potuto, prima che le si gelassero le dita, poi aveva dimenticato anche il motivo di tutto ciò e aveva deciso di aspettare la morte in quel cantuccio.
Se la morte portava quel dolce tepore, che la cogliesse! Purchè le staccasse quel freddo dalle ossa e dal cuore.
«Non morirai, Lucy. Non so perché tu sia qui, ma ti devo riportare a Fairy Tail. Dobbiamo tornare a casa, a Magnolia».
Quelle parole la fecero sorridere, ricordava vagamente le parole “Fairy Tail”, ma non sapeva perché una coda di fata dovesse farle provare quella gioia dentro.
Lasciò che quelle emozioni la scaldassero ancora e, finalmente, si addormentò.
Natsu socchiuse appena gli occhi senza smettere un momento di stringerla a sé, sentendola fredda e tremante contro il proprio corpo.
Era partito per diventare forte e poter proteggerla, perché non dovesse mai più sacrificare sé stessa o i suoi Spiriti, invece era quasi morta.
Cercò di reprimere il senso di colpa e portò il suo capo biondo contro il suo petto caldo, come se facendole ascoltare i propri battiti potesse convincerla, in qualche modo, a non mollare.
 
Lucy aprì gli occhi qualche ora dopo, davanti a lei scoppiettava un fuoco invitante, le lunghe fiamme si alzavano e abbassavano sotto i fiati di vento che entravano dalla porta scardinata.
«Come ti senti?» chiese qualcuno al suo fianco. Happy uscì la testolina da sotto la coperta e la guardò con i suoi grandi occhi scuri.
Lucy allungò una mano sul suo capo spelacchiato e imitò delle carezze. Avrebbe tanto voluto sentire il calore del suo pelo blu sotto le dita, ma aveva perso da giorni la sensibilità degli arti.
Non che le importasse, era tutto così calmo ed etereo - finalmente- che quasi la commosse.
«Lucy, come ti senti?» chiese ancora Happy con il musetto contratto in una smorfia preoccupata. Sperò che Natsu tornasse presto con qualcosa da mangiare.
«Sto bene. Comincio a ricordare qualcosa, ma è tutto così confuso. E’ tutto confuso da quando è cominciata questa inutile guerra».
Happy sollevò la coperta ancora di più per scaldarla, le coprì le spalle e si assicurò che tenesse le mani al riparo. Aveva visto come le dita tendevano ormai al violaceo ed erano irrigidite.
«Quando è cominciata la guerra?» chiese ancora, sedendosi davanti a lei con le spalle rivolte verso le fiamme.
«Era gennaio, credo. Sì, era gennaio perché ho passato il mio primo Natale senza i miei amici. Sai, ormai sono rimasta sola e non ho più nessuno da proteggere.» Lucy si stupì quando i ricordi cominciarono ad annebbiarle la vista.
Non capiva perché quei sentimenti la scuotessero così tanto. Mano a mano che si scaldava, però, sembrava esserle tutto più chiaro.
Happy le passò una ciotola d’acqua calda che lei accettò volentieri.
Poi, riprese a raccontare.
«Avevo una famiglia, ma un anno fa ho perso tutti. Ho provato una vita nuova qui a Crocus, ma la guerra ha travolto tutto e non sono riuscita a rendermi utile come avrei voluto. Ho provato a salvarlo ma-» Lucy cominciò a tremare, sentì le lacrime scorrerle sul viso e rianimarla da quello stato di torpore che il freddo le aveva incollato addosso.
Mentre strofinava le dita fredde sul viso, nel tentativo di fermare le lacrime, vide che le fiamme davanti a sé avevano origine da due travi di legno incrociate che, però, non si stavano consumando.
“Fuoco magico” pensò d’un tratto. Già, lei era stata una maga. “Sembra opera di Natsu”.
Natsu.
Quella semplice parole le ricordò l’estate2, poi le ricordò a sprazzi il suo intero passato che, con la potenza di un treno, la investì riuscendo a farla piangere ancora di più.
Non aveva salvato quel Natsu.
Ma se l’exceed era lì, il vero Natsu doveva essere vivo.
«Sei tu, Happy?» chiese guardando il suo amico che le sorrideva, si avvicinò per abbracciarla e lei lo circondò con un braccio portandolo al collo e stringendolo, ancora scossa dai singhiozzi.
Erano tornati, Happy e Natsu erano tornati.
Quest’ultimo fece capolino dalla porta, i capelli colmi di neve densa e il naso rosso lo rendevano più buffo di quanto già non lo fosse. Si fermò sulla soglia guardando quella scena commovente: Lucy stringeva a sé il piccolo Exceed e piangeva di gioia con la fronte poggiata sulla sua.
Natsu fu quasi sicuro che anche Happy stesse piangendo, emotivo come era sempre stato.
«Lucy, ti sei svegliata finalmente! Pensavo che avrei dovuto prenderti in spalla come un sacco di patate.» disse il mago entrando, il freddo aveva messo a dura prova anche il suo fisico da Dragon Slayer del fuoco e si scoprì a desiderare un po’ di calore attorno.
Si avvicinò per ricevere la sua dose di coccole da parte dei due amici, ma si beccò solo un sonoro schiaffo sul viso.
Non fu l’unico a gemere: Lucy portò la mano al petto come se si fosse e ferita e si morse un labbro, ora molto più roseo rispetto a qualche ora prima.
«Ti sembra il modo di salutare un amico che è stato via?» disse Natsu sedendosi sotto la coperta e portandosene un lembo sulle gambe infreddolite. Si massaggiò una guancia senza reprimere un cipiglio infantile.
«Ti sembra il modo di tornare dopo averci abbandonati tutti?» sbottò Lucy tra l’adirato e l’addolorato. Le era mancato così tremendamente.
Poi ricordò, si ricordò perché scriveva quelle lettere quando ancora riusciva a tenere un pennino in mano. Per chi, soprattutto.
Le aveva scritte per lui, perché le trovasse dopo la sua morte e non si dimenticasse di lei. Perché sapesse che fino all’ultimo lei aveva rivolto i suoi pensieri all’unico amico e ragazzo che le avesse fatto battere il cuore.
Evitò di dire ciò che pensava, e si lasciò trasportare dal dolce momento.
Natsu poggiò una mano sui suoi capelli biondi, scompigliandoli con un largo sorriso.
«Non ho abbandonato né te né Fairy Tail, sono stato via perché avevo bisogno di allenarmi! Appena torneremo mostrerò a tutti i miei progressi!» annunciò con tono solenne, alzando un mento come se fosse fiero dei risultati ottenuti.
Un rumore strano gelò l’aria. Lucy arrossì mentre si portava una mano allo stomaco, affermando che non mangiava qualcosa di decente ormai da giorni.
Natsu sembrò ricordarsi solo in quel momento il motivo per cui era uscito con quel freddo, aprì la giacca scura che ancora portava addosso e ne uscì un filone di pane e un pesce accartocciato in una busta.
I suoi amici lo guardarono come si sarebbe guardato un gioiello d’oro, Lucy prese il pane e fece per spezzarlo, ma si fermò a metà. Non riusciva a sforzare i polsi.
Natsu lo riprese tra le mani e ne staccò un modesto pezzetto, lasciando il resto alla ragazza.
«Allora, vuoi dirmi chi ha combinato questo casino?» disse mentre sgranocchiava la sua cena.
Lucy annuì e, tra un morso e l’altro, cominciò a raccontare.
 
[1] L’amnesia temporanea è un tipico segno degli ultimi stadi dell’ipotermia, così come le allucinazioni che, erroneamente, Lucy crede di avere.
[2] Natsu in giapponese significa Estate.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter 2: The sound of a heartbeat ***


Chapter 2: The sound of a heartbeat

Joan si sedette sul davanzale della finestra, le gambe ciondolavano mentre i calzini sfregavano sul muro sottostante.
«Dovresti metterti un paio di ciabatte, Joan, o finirai per prenderti un malanno!» esclamò Akio mentre fumava la pipa davanti al camino.
Al suo fianco una ragazza dai capelli castani, raccolti in una morbida treccia laterale, lucidava il suo fucile ultimo modello come se stesse coccolando un micio.
«Non ho freddo.» rispose secco Joan senza staccare gli occhi dalla finestra. La loro villa sopra Magnolia era ampia e calda, ma non poteva far altro che pensare alla distruzione che aleggiava qualche chilometro sotto di loro.
Se a Crocus qualche casa era rimasta in piedi, qualche mattone ancora dritto e sostenuto dalla neve, Magnolia era ormai un cumulo di polvere.
Non vi era una singola pietra impilata e i cittadini, quelli sopravvissuti alla strage, avevano cercato rifugio negli altri regni di Fiore.
«Quanto ancora andrà avanti questa storia, Akio?» chiese il ragazzino volgendo, finalmente, lo sguardo al più grande.
«Fino a quando non lo riterrò necessario, fratellino. Ora metti il pigiama e vai a dormire, questa notte si prospetta più tranquille delle precedenti. Pare che nessuno ci verrà a disturbare».
Joan, riluttante, scese dalla finestra e andò verso il corridoio, senza trattenere un risolino amaro.
«Chi vuoi che ci disturbi? Hai ucciso tutti!» esclamò tagliente mentre girava, per l’ultima volta, gli occhi in direzione dell’altro.
Joan, sotto l’occhio sinistro, aveva tre piccole cicatrici bianche. Akio aveva voluto sigillare il loro legame così, con le cicatrici.
Nessun marchio colorato o scintillante; nessun amuleto della fortuna o una bandana in fronte.
Le cicatrici. Avevano sancito il loro legame col sangue.
«Oh, Joan, non fare lo sciocco. Vuoi provare ad usare la Quintessenza con me?» chiese retorico Akio, mentre faceva scivolare via la pipa dalla bocca.
 
***
Lucy aveva finito il pane davvero in fretta, si sentiva decisamente meglio e, con un sospiro contento, si era poggiata al muro pronta a finire il racconto che stava riservando a Natsu.
«Hai detto che Fairy Tail si è sciolta?» chiese ancora Natsu, non molto convinto di quella versione dei fatti.
«Sì, Makarov ha detto che era giunto il momento che ognuno di noi prendesse la propria strada e, onestamente, credo che tu sia l’ultimo che può dire di non averla già presa di testa propria.» gli fece notare Lucy senza reprimere quella nota di amarezza che provava sempre quando ripensava a quel biglietto con cui lui l’aveva mollata a Magnolia, un anno prima.
«Comunque,» continuò lei sospirando,«dopo lo scioglimento di Fairy Tail ho trovato lavoro qui a Crocus come scrittrice per il Sorcerer, ho cercato di mandare delle lettere ad alcuni dei membri della gilda dopo aver scoperto dove si trovavano, ma non ho ricevuto mai risposta. Qualche mese fa si è saputo che le linee postali sono state bloccate, sotto minaccia, e poi sono cominciati gli attacchi intimidatori».
Natsu uscì dalla giacca un foglio di carta ripiegato, lo aprì e lo mostrò a Lucy. La ragazza ne rimase sorpresa.
«Credo sia stato uno dei miei ultimi articoli.» spiegò mentre lo rileggeva e, inevitabilmente, faceva scorrere il suo sguardo tra le righe e la foto che la ritraeva ancora sorridente.
«Lucy, ma cos’altro ti è successo?» chiese Happy avvicinandosi, ancora con la sua lisca di pesce nella bocca.
Il vento, all’esterno, infuriava sempre più forte lasciando presagire l’ennesima amara nevicata.
«Fairy Tail era stata sciolta, tu e Natsu eravate andati via, non avevo più la mia casa a Magnolia, mio padre era ormai morto. Ero rimasta sola, così quando il Sorcerer ha chiuso a causa della guerra, sono andata in ospedale ad aiutare come potevo, ho venduto tutto quello che avevo e ho donato tutti i mobili, i vestiti e i beni all’ospedale, dove la gente ne aveva davvero bisogno».
Seguì un intenso momento di silenzio, carico di domande e, soprattutto, del dubbio più grande che tartassava la mente dei tre.
«Lucy, perchè non hai usato i tuoi Spiriti per combattere contro questo Akio?» chiese Natsu con una punta di stizza. Era davvero assurdo tutto quello che era successo in sua assenza.
«Perché non sono più una maga, Natsu, ho smesso con la magia».
“Ho smesso con la magia”, pensò Lucy tra sé e sé, “Come se fosse una droga o qualche sorta di dipendenza”.
«Che cosa hai fatto tu?!» esclamò Natsu scattando sulle ginocchia e afferrandola per le spalle. La guardava come se non avesse più la sua amica di fronte, la studiò con lo sguardo per assicurarsi che fosse proprio lei.
«Natsu, dopo aver perso Acquarius perché ha voluto proteggermi, non me la sono più sentita di mettere a repentaglio anche gli altri Spiriti. Avrei voluto imparare qualche altra magia, ma mi sembrava di tradirli. So che non mi giustifica, ma ero sola e senza nessuno al mio fianco, ho preferito dare il mio aiuto agli ammalati, ai feriti e soprattutto a-». Il vento sembrò soffiare più forte, Lucy si aggrovigliò nella coperta come se avesse potuto nascondere il suo dolore dietro di essa. Una scossa di freddo le attraversò la schiena.
Happy si avvicinò come a coccolarla, ricevendo solo una distratta carezza sul capo spelacchiato.
«Chi hai aiutato?» chiese il piccolo gatto guardandola in viso.
«Natsu.» rispose semplicemente, mordendosi le labbra. Gli altri due rimasero sorpresi ed il chiamato in causa scosse la testa come per negare le sue parole.
«Lucy, io e te non ci vediamo da un anno.» fece notare il mago provocando una risatina isterica all’altra. A volte era proprio ottuso.
«Non tu!»specificò Lucy imponendosi di smettere di tremare. «Quando sono andata all’ospedale ho conosciuto un bambino, non aveva nemmeno due anni ed era stato trovato per strada, senza genitori, nessuno sapeva come si chiamasse, così l’ho chiamato Natsu».
Lucy sollevò gli occhi in direzione del suo amico, cercando con disperazione i suoi. Aveva sognato così tante volte di rivederlo e di abbracciarlo.
«L’ho chiamato come te con l’augurio che fosse forte, che potesse avere lo spirito di un drago del fuoco. I capelli rossi lasciavano presagire bene, sai?».
Lucy lo vedeva ancora, quel piccolo bambino dalla testolina del colore delle fiamme, mentre si spegneva abbracciato a lei. Con gli occhi contornati di nero che la guardavano, bisognosi di amore.
Era piccolo, si era rifiutato di mangiare e chiedeva solo della sua mamma. Un bambino di poco più di un anno si era lasciato morire circondato solo dal profumo e dall’affetto di Lucy. Aggrappato al suo seno dove per tanti notti aveva riposato cercando serenità nei sogni, cullato dal battito del cuore e dalla voce melodiosa della ragazza.
Quando la maga finì di raccontare la storia, con la voce spezzata, Natsu le afferrò un gomito tirandola verso di sé e circondandola in un abbraccio.
La strinse più che potè, sentendo le lacrime premere contro le palpebre.
Il destino inesorabile della guerra, quello di distruggere ogni cosa che ancora respira.
«Vendicheremo quel bambino, Lucy, e faremo vedere ad Akio cosa succede a commettere certe atrocità!».
 
La notte tornò, spaventosa e fredda come lo era ormai da un mese, Lucy scivolò sotto le coperte e lasciò che Happy e Natsu la raggiungessero.
Il piccolo gattino si addormentò ai loro piedi.
Il fuoco magico continuava a scoppiettare alle loro spalle, scaldando quella camera come non succedeva da ormai troppo tempo.
Natsu, steso al suo fianco con la sciarpa al collo e le braccia sotto la testa, non riuscì a darle subito la buonanotte.
«Non pensavo che sarebbe potuto succedere tutto questo in mia assenza.» ammise d’un tratto, aspettando una risposta che tardò ad arrivare.
«Il pensare è sempre stato un tuo problema, Natsu, ma devo ammettere che a volte ha portato anche cose positive. D’altronde, se sono entrata alla Fairy Tail è stato perché tu mi hai trascinata senza pensarci» rispose Lucy con una punta di gioia nella voce, sperava davvero che potesse riformarsi la gilda. Sarebbe stato il punto di inizio per una nuova vita. Di nuovo.
«Quando ci siamo incontrati ne parlavi con lo spirito giusto, allegra come è sempre stata la gilda. Non riesco a capire perché Ojīchan abbia preso una scelta simile, e perché nessuno abbia fatto nulla.» la voce di Natsu era carica di delusione e tristezza, sapere che la sua famiglia non lo aspettava, chiassosa come sempre, lo feriva nel profondo.
«Forse perché era arrivato il momento per tutti di crescere da soli, sarebbe potuta andare bene se Akio non avesse deciso di sterminare la città.» rispose sottovoce la ragazza lanciando una sguardo dolce al suo amico. «Ma riusciremo a far tornare le cose com’erano prima, davvero».
Natsu sembrava davvero triste e Lucy fu tentata di carezzargli una guancia per rassicurarlo. Gli sorrise.
«Cosa faremo domani?» chiese lei sapendo che qualcosa sarebbe uscita da quella testa bollente.
«Che domande, andremo a recuperare i ragazzi e poi cercheremo Akio per suonargliele di santa ragione. Devo assolutamente mostrargli il mio nuovo attacco segreto.» spiegò l’altro allungando le labbra in un piccolo sorriso. Era tutto quello che riusciva a fare in quel momento: sperare. Sperare con tutto se stesso.
Lucy in un certo senso si scoprì ad invidiarlo. Come poteva riuscire ad essere speranzoso e ottimista anche in un contesto disastrato come quello?
Smise di farsi domande e si rannicchiò di più al suo petto per riposarsi. Sentire quel calore, quel profumo e il suo battito energico e regolare, la fece tornare con la mente nella sua casa a Magnolia, alle notti tiepide passate a dormire fianco a fianco.
«Lucy?» sussurrò lui sperando che ancora non dormisse.
«Che c’è?».
«Troveremo una soluzione per le tue mani, potrai tornare a scrivere, ma solo ad una condizione…» rispose senza alzare la voce.
«Ovvero?».
«Dovrai impugnare anche le tue chiavi Stellari».
 
***
«Akio, sei preoccupato per Joan?» chiese la ragazza dalla lunga treccia mentre finiva di ripulire il suo fucile.
«No, è solo un bambino scapestrato che deve ancora crescere. Presto capirà l’importanza delle mie azioni e mi sarà grato per avergli dato un tetto sulla testa, con tutto il male che c’è nel mondo.» rispose l’altro poggiando la pipa sul comodino e alzandosi in piedi per tornare in camera.
«Credo che tu sia stato davvero geniale, Akio, nel riuscire ad attaccare così la città di Crocus e Magnolia.» si congratulò la maga, sorridendo felice con le lentiggini che riflettevano sulle sue guance ambrate.
«Grazie, Cinny, adesso vado a riposarmi un po’. Vedi di essere pronta per domani, il Consiglio è troppo disorganizzato e debole per poter prevedere un attacco di questa gittata». Il mago si ripulì le unghie sulla camicia e si incamminò verso il corridoio.
«Buonanotte, mio Signore! Seguirò le sue direttive ed andrò subito a dormire!» disse l’altra sollevandosi dal divano su cui era seduta e facendo oscillare il pomposo vestito di tulle rosa.
Cinny era finita in quella casa pochi anni prima, non ricordava nemmeno come. Aveva l’impressione di aver passato la vita ad amare Akio senza nemmeno conoscerlo, e a giudicare dal suo aspetto e dal suo modo di fare, era certa che chiunque potesse rimanerne affascinata.
Aveva portato fin da subito rispetto e riverenza verso quella figura così eterea, avrebbe dato la vita e sterminato l’intero pianeta, solo per vederlo sorridere soddisfatto di lei.
Lisciò l’ultima volta il calcio del suo fucile e poi, saltellando felice, tornò nella sua camera.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter 3: The sound of memory ***


Chapter 3: The sound of memory

 
«Sei sicuro di quello che stai facendo?» si chiese a voce alta mentre continuava a camminare. Joan aveva ormai imparato a dialogare con se stesso, se non altro perché almeno si rendeva conto da solo di ciò che pensava.
Da quando era sotto l’ala protettiva di Akio, non si sentiva mai al sicuro.
Non era mai certo che facesse ciò che voleva, ma gli restava attaccata addosso la sensazione che lui - sotto sotto - lo stesse manipolando a suo piacimento.
Joan sbuffò e salì il suo cappuccio di juta fin sopra i capelli biondi, camminava lentamente tra i detriti di Magnolia e si fermò un momento solo davanti una donna stesa a terra.
«Che tu abbia un eterno e santo riposo, donna civile senza magia.» sussurrò accovacciandosi accanto al cadavere ormai irrigidito dal freddo e dall’ineluttabile morte. Il ragazzino poggiò una mano sul viso gelido e incolore dell’altra e sussurrò poche flebili parole.
Il corpo si riempì di luce e poi sparì, come se si fosse disintegrato. Joan si rimise in piedi, avvolto dal suo mantello di juta, e riprese a camminare in mezzo a quei detriti.
Uscì rapidamente da Magnolia e percorse un breve tratto affondando i piedi nella neve, superò la barriera magica che Akio aveva creato per bloccare le comunicazioni e non far sapere oltre delle orribili torture che si erano celate al suo interno.
Joan respirò aria di vita in mezzo a quei monti.
Akio l’aveva mandato lì per attaccare Lamia Scale e, magari, ottenere qualche informazione sulle altre gilde, prima di uccidere i singoli componenti.
«Che piano maledetto.» sbottò il ragazzo dando un calcio ad un sasso pieno di neve. Gonfiò le guance ormai arrossate per il freddo e riprese a camminare, forse più arrabbiato con sé stesso che con suo fratello maggiore.
Fratello acquisito. Capitato per caso.
Suo fratello, quello vero, era morto troppi anni prima.
Joan aveva solo sette anni quando era rimasto solo, ormai ne aveva quasi diciotto e nonostante l’aspetto lo facesse sembrare più piccolo era molto maturo. Oltretutto aveva superato Akio lì dove aveva fallito, imparando la magia della Quintessenza e ora aspettava solo l’occasione giusta per andarsene.
«Certo, se Akio si ostina a distruggere tutto, non vedo dove potrò mai andarmene e con chi.» pensò ancora mentre l’insegna della gilda riluceva sotto la neve mattutina.
Una ragazzina dai capelli rosa era scesa di cosa e d’era inciampata finendo con la faccia a terra, spiaccicandosi sul terreno con un tonfo.
Un’altra ragazza la seguì, urlando, inciampò anche lei facendo la stessa fine della sua amica.
Si rialzarono e guardarono le loro sagome sulla neve, ridendo come due bambine. Avevano all’incirca la sua età e un uomo dai capelli chiari, sulla trentina forse, li guardava con aria buona dalla porta della gilda.
Joan si avvicinò fino ad appostarsi dietro un albero, le due ragazze avevano preso a costruire un pupazzo di neve gigante e di tanto in tanto tiravano dei colpi mortali ad altri amici che uscivano dalla gilda.
Un uomo dalle sopracciglia giganti finì per rotolare dalle scale e diventare una palla gigante di neve, un uomo dalle sembianze ambigue lo guardava ridendo e indicandolo mentre l’uomo biondo, che aveva appena espresso un sorriso, rientrava con aria preoccupata e solenne.
“Devo davvero distruggere tutto questo?” si chiese mentalmente guardando una piccola onda della Quintessenza svolazzargli sulla mano.
«Wendy! Stai attenta!» Una gattina bianca si buttò sopra una delle due ragazze, atterrandola prima che una palla di neve gigante la colpisse in piena faccia.
Joan atterrì, si avvicinò ancora fino a scoprirsi del tutto. Sentiva il cuore scalpitare e la prima, la prima dannatissima cosa che gli venne in mente, fu un ringraziamento a qualche Nume per averlo mandato lì.
Se Cinny o Akio fossero andati con lui o, peggio ancora, al suo posto, lui non l’avrebbe mai rivista.
«Chi sei tu?» chiese nuovamente il ragazzo dai capelli chiari, scendendo le scale a due a due e avvicinandosi senza timore del freddo. Teneva la testa alta con fierezza, sembrava un leone.
«Lyon!» lo articolò la ragazzina dai capelli magenta mentre si avvicinava al suo mentore.
«Ti ho detto di dirmi chi sei!» esordì verso Joan che, sperduto, fissava Wendy con sguardo ancora incredulo. Le mani pesanti.
Wendy annusò l’aria, poi si alzò da terra e lo raggiunse fino ad essere talmente vicino da poter guardarlo negli occhi. Verdi come le foglie coperte di rugiada.
Wendy gli scostò il cappuccio dalla testa, rivelando la testa bionda, e lo fissò un eterno momento prima di balbettare, forse, il suo nome.
«Lo conosci?» chiese Lyon, un po’ più sereno ma decisamente incuriosito dalla scena. Non era facile vedere Wendy che prendeva iniziativa.
«Joan Genevieve, sei davvero tu?» La Dragon Slayer non riusciva a crederci, le guance le erano diventate rosse e gli occhi lucidi lasciavano presagire una rara commozione.
Il ragazzino annuì, incredulo, mentre portava due dita sul viso freddo della ragazza, quasi a constatare che fosse reale.
Non vi fu lo spazio per ulteriori domande, nessuno si chiese più chi fosse, né da dove venisse o perché fosse lì a spiarli.
Wendy gli saltò addosso abbracciandolo, lacrime di commozione presero a scendere sul suo viso mentre il ragazzo, ancora tremante, la stringeva come se potesse inglobarla dentro di sé.
Fu un momento carico di sentimento e di calore, i due ragazzi - con un singolo gesto d’affetto - riuscirono a dirsi più cose di quelle che non avevano potuto dire per quasi dieci anni.
Già, dieci anni erano passati per Joan, ma per Wendy non erano più di tre e il ricordo del ragazzino era ancora vivido dentro di sé. Sotto le palpebre, nell’oscurità della mente, lo rivide mentre camminava mano nella mano con suo fratello e finalmente capì che le voci che le erano giunte non erano false.
«Cales è morto dieci anni fa, dopo che abbiamo lasciato la Cat Shelter.» annunciò con tono cupo, senza staccarsi dall’abbraccio della ragazza, «Mi sei mancata tremendamente, Wendy Marvel, figlia del drago del vento».
 
Lyon lasciò che Joan entrasse e bevesse qualcosa di caldo in loro compagnia, Wendy sembrava molto interessata alle sue parole e Sheria, la ragazza dai capelli magenta della sua età, non li aveva lasciati un attimo da soli.
Lyon si sedette al bancone, accanto a Charle che era rimasta a guardarli da lontano, facendo ondeggiare la lunga coda bianca, come faceva spesso quando pensava.
«Come mai non gli sei saltata addosso anche tu, Charle? Hai conosciuto Wendy dopo il loro incontro?» chiese, cercando di non apparire troppo curioso.
Charle sospirò e rigirò il bicchiere di cioccolata tra le zampe, con fare preoccupato.
«Wendy è sempre stata molto ingenua, lo è perché il suo cuore è buono. Io mi preoccupo per lei, non voglio che soffra, soprattutto perché sa difendersi dagli attacchi fisici e non da quelli morali o, peggio, sentimentali».
Il mago del ghiaccio la guardò di sbieco, notò che anche lei aveva abbassato gli occhi e sembrava sul punto di scoppiare e andare da Joan a graffiargli la faccia.
«Credi che Wendy ne sia innamorata?».
«Credo che lei non si sia resa conto che sono passati dieci anni, e la gente cambia molto in poco tempo, figurarsi in anni. Perché è qui? Cosa vuole da lei?» si chiese mentre finiva di sorseggiare la sua merenda.
Si ripulì i baffi chiari e si avvicinò a loro fingendo di sorridere, forse decisa a fare delle domande specifiche.
Lyon capì dalle spiegazioni di Wendy e del protagonista indiscusso, Joan, che quest’ultimo non era un mago. Aveva passato un paio di anni della sua infanzia alla Cat Shelter, la gilda surreale che Wendy chiamava famiglia, e lì aveva conosciuto lei e Charle, con cui aveva condiviso tanto.
Non sentiva l’esigenza di imparare le arti magiche, per cui si limitava di tanto in tanto a giocare con i mulinelli d’aria che la sua amica riusciva a creare. Erano diventati inseparabili e quando Cales, suo fratello maggiore, gli aveva detto che era giunto il momento di partire, aveva meditato di fuggire.
Non aveva mai avuto un rapporto conflittuale con suo fratello, anzi, lo aveva sempre stimato e passavano parecchio tempo insieme, soprattutto la sera prima di andare a dormire. Gli parlava dei loro genitori, che erano partiti per un lungo viaggio quando loro erano piccoli. Erano maghi di classe S, toccavano a loro le missioni centenarie.
Che lo volessero o meno.
Cales stava cercando una persona, un mago potentissimo capace di insegnargli a sbloccare l’ultimo tassello per evocare la Quintessenza e poterla manovrare.
Ci lavorava da parecchio, una missione lunga una vita intera, e quando il Master della Cat gli disse che il ragazzo si trovava a Magnolia, costrinse Joan a seguirlo per andare a trovarlo.
Il fantomatico mago che avrebbe dovuto finalmente realizzare i frutti delle sue ricerche e studi, era talmente potente da cambiare la densità dei pensieri e delle emozioni: sarebbe stato capace di sbloccare il tassello della razionalità che impediva a Cales di accedere alla vastità del potere che deteneva.
La Quintessenza era la magia oscura più potente che fosse mai stata scoperta, quella magia capace di aggregare e disgregare i singoli atomi. Sarebbe bastato perdere il controllo per disgregare tutto ciò che lo circondava.
Ed in parte era successo: Cales era morto guardando la sua pelle e il suo corpo diventare polvere. Sentiva i singoli atomi scindersi, non potendo nemmeno urlare per l’irragionevole dolore.
Joan lo aveva sentito, aveva avvertito che suo fratello stava morendo, ma aveva aspettato seduto fuori, a fissare la luna nell’attesa che qualcuno venisse a riprenderlo.
Quel qualcuno era stato Akio, che il mattino dopo lo aveva preso in braccio e portato al castello, quello che ora chiamava casa, e gli aveva permesso di parlare e sfogarsi.
Poi si era proposto di insegnargli la magia, ma lui aveva rifiutato.
Joan raccontò solo questo a Wendy, omettendo il resto per non spaventarla.
Aveva bisogno innanzitutto della sua fiducia, doveva scoprire se era rimasta la dolce Wendy del Cielo di dieci anni prima.
Poi, solo poi, le avrebbe raccontato il resto.
Rimase tutto il pomeriggio alla Lamia Scale, ascoltando volentieri le ultime missioni che aveva compiuto con Sheria, gli aveva raccontato di Fairy Tail, di come la Cat Shelter si fosse rivelata solo il frutto della loro immaginazione e di come aveva finalmente amici veri, che l’amavano.
Lyon, prima di ritirarsi in cucina a preparare la cena, si perse un momento a guardare le labbra sorridenti della ragazzina, della sua nuova sorellina acquisita a cui - nell’ultimo anno - si era affezionato oltre ogni aspettativa.
Dopo lo scioglimento della Fairy Tail aveva pensato che Gray si sarebbe unito alla loro gilda, e l’idea lo allettava molto, ma quando Sheria gli aveva chiesto di prenderla con sé, alla Lamia, non era riuscito a dire di no.
Wendy era parte della loro famiglia adesso, e per un momento si chiese se quel ragazzo non fosse venuto a portare sventura.
 
***
«Natsu, sei stanco?»
La vocina del gattino volante cominciò a spandersi per l’aria fredda delle montagne di Crocus. Natsu continuava a camminare, strisciando i piedi nella neve, con Lucy aggrappata alla sua schiena, forse assopita.
«No, Happy, dobbiamo raggiungere al più presto il paese qui vicino, Rainfall Town.» spiegò il Dragon Slayer continuando a trascinare i piedi. Cominciava a sentire i morsi della fame e portare Lucy non si stava rivelando un compito facile.
Sembrava molto più leggera dell’ultima volta, il suo viso smagrito ne era la prova inconfutabile, eppure quell’aria desolata e inanimata era riuscita a trascinarsi anche la sua vitalità.
«Lucy ci ha detto che a Rainfall è stata avvistata Lluvia e con lei ci sarà sicuramente Gray, ma come faremo a ricongiungere tutta la gilda in poco tempo?» chiese ancora, con le zampette infilate nella casacca verde. Il pelo gli si era rizzato per il freddo, rendendolo più simile ad un porcospino che ad un gatto.
«La gilda si riunirà, come abbiamo sempre fatto, Happy. Dobbiamo avere fiducia nei nostri compagni, e poi sono sicuro che qualcuno sarà già uscito a dare l’allarm-».
Natsu diede una testata a un muro invisibile e cadde a terra facendo rotolare anche la sua amica, che si sedette massaggiandosi la nuca.
«Che diamine è questa roba?!» chiese Lucy guardando davanti a sé. Non vedeva nulla di strano.
Happy continuò a calciare l’aria, producendo lo stesso rumore di un piede che batte contro la porta.
“Un blocco magico?” si chiese la ragazza mentre si alzava in piedi, a stento, e si avvicinava alla parete invisibile. Si ricordò improvvisamente di Levy - la sua migliore amica - e di come le avesse spiegato che certe magie sono frutto di una serie di Lacrima installate nel terreno.
Abbassò gli occhi lì dove le sembrava provenisse una debole luce, in mezzo a tutta quella neve candida non era per nulla facile.
«Che stai facendo?» chiese Natsu mentre la vedeva scavare a mani nude nella neve, le dita già cianotiche e screpolate, ripresero a sanguinare leggermente, tingendo di rosa la neve attorno.
«Deve esserci una Lacrima qui sotto, se riusciamo a distruggerla possiamo passare. Akio ha isolato la città, nessuno è entrato o uscito, per questo le provviste sono finite e le mie lettere non sono mai state spedite.»
«Se così fosse, perché io e Natsu siamo entrati a Crocus senza problemi?» chiese il gatto scendendo con le ali fin davanti al viso della ragazza.
Quella fece spallucce e sembrò pensarci un momento.
«Forse aveva bisogno di energie per attaccare un altro paese, per questo ha diminuito la forza del campo qui attorno e devono essersi creati punti ciechi. Meglio così, la Lacrima dovrebbe essere più debole di energia.» spiegò Lucy mentre due mani, decise ma non irruente, le bloccavano i polsi a mezz’aria.
Natsu la guardava con le sopracciglia unite e lei non potè fare a meno che stupirsi e arrossire, contemporaneamente.
«Cosa fai?» chiese allora lei, fissandolo negli occhi. Poi attorno, sul viso.
Natsu aveva sempre avuto quelle leggere lentiggini sulle guance?
«Cosa fai tu? Smettila, ci penso io con una vampata a scongelare tutto!» esordì il mago lasciandole liberi i polsi; Lucy non ebbe il tempo di fermarlo a voce, così si mise davanti il suo viso e gli afferrò la sciarpa sperando che non le incenerisse la faccia.
«Lucy?» chiese quello, perplesso.
«Non puoi usare il fuoco! Sei debole, non hai mangiato quasi nulla, proprio come me ed Happy, risparmia le forze per distruggere la Lacrima, ci penso io a cercarla, Natsu, siamo una squadra!».
Si fissarono ancora, un momento solo, in silenzio. Poi Lucy riprese a scavare, lasciando lunghi solchi di sangue sulla neve.
Aveva ormai la sensibilità così ridotta, da non sentire il freddo sulla pelle. Usava le dita come se fossero un unico pezzo di legno e si sforzava di non piangere, pensando a quando probabilmente il freddo le avrebbe catturato anche le braccia.
D’altronde, per giorni aveva congelato anche i suoi pensieri.
«Non infrangerò una promessa solo perché tu non vuoi.» Natsu le prese nuovamente le mani, stavolta con molta più decisione, e si sfilò la sciarpa per avvolgerle dentro e stringerle.
Lucy sembrava ammanettata e quell’assurda situazione la fece ridere di gusto. Cosa pensava di fare?
«Io cerco la Lacrima e la distruggo, tu siediti lì e resisti. Ho detto che tornerai a Fairy Tail come una maga, e ho promesso che tornerai a chiamare i tuoi Spiriti Stellari».
«Ma…» Lucy era arrossita, pronta a replicare.
«Niente ma! Sei o non sei una maga di Fairy Tail che ha giurato di proteggere le città?».

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter 4: The sound of waterfall ***


Chapter 4: The sound of waterfall

 
Lluvia era intenta a parlare con Moshi, il suo cavallo marroncino che le era stato donato da Gray un paio di anni prima, e mentre espletava il suo monologo teneva in mano una carota.
La cosa buffa, che faceva sempre sorridere Gray, era che spesso Lluvia finiva per gesticolare animatamente mentre raccontava a Moshi del più e del meno.
Gesticolava con la carota in mano, facendo impazzire il povero cavallo che seguiva la sua mano con gli occhi imploranti e decisamente più interessati allo spuntino che ai discorsi.
Gray si sentiva sollevato, non era il solo a dover sopportare quel martirio, seppur non potesse ormai nascondere i sentimenti che provava per la ragazza.
Lluvia, nonostante avesse una gamba in meno ed una protesi in più, era rimasta allegra come sempre: cucinava, parlava tanto, lo abbracciava e lo accompagnava nelle missioni insieme a Moshi, che la prendeva in groppa quando i fastidi cominciavano a farsi sentire.
Lluvia non poteva più correre né nuotare, non poteva nemmeno tramutare in acqua la protesi, ma non si era arresa e aveva continuato con le piccole magie.
Gli abitanti di Rainfall Town la adoravano, chiedevano spesso di lei e non passava giorno senza che tornasse dal paese con almeno una fetta di torta fumante.
Gray adorava la sua abitudine di dividere ogni cosa in due pezzi - tre quando era commestibile anche per Moshi -, gli ricordava la sua maestra Ur, quando lui e Lyon ancora si allenavano insieme da bambini.
Ur non comprava spesso dolci o piccole delizie, ma provvedeva sempre a comprare una sola porzione da dividere in due, perché a parer suo la condivisione era importante e andava imparata in tenera età.
Gray si riprese da quei pensieri, in cui spesso si ritrovava ad affogare, e si alzò per raggiungere la sua compagna quando un gatto blu gli andò a planare davanti alla faccia.
«Gray! Devi aiutarli, ti prego devi aiutarli!» Happy sembrava allarmato e continuava ad indicare un punto non ben precisato dell’orizzonte, sulla linea di confine del paese.
Il mago non ci pensò due volte, intuendo che dovesse trattarsi di Natsu, e prese a correre dimenticandosi di tutto il resto.
Tranne che di svestirsi, Lluvia vide solo la sua maglietta a terra e un gatto volare in cielo, inseguito dal suo ragazzo.
Moshi nitrì e i due si scambiarono uno sguardo d’intesa.
 
«Dimmi Gray, Lluvia ha ancora l’abitudine di seguirti?» chiese Happy mentre volava, dando uno sguardo all’orizzonte.
«Sì, perché?». Gray non ebbe il tempo di finire la frase, che il nitrito del cavallo e la voce della maga cominciarono a propagarsi nell’aria.
«Lluvia! Non è il momento, si tratta di qualcosa di importante!» urlò Gray senza smettere di correre. Lluvia, in groppa al suo fidato amico, l’aveva raggiunto senza difficoltà e manteneva il suo passo guardandolo con aria truce.
«Dove pensi di andare, Gray-sama, senza dire nulla?» chiese fingendosi offesa.
Avrebbero dato vita ad un battibecco mentre uno correva e l’altra cavalcava, ma per fortuna una voce debole li chiamò.
Videro Lucy e Natsu stesi a terra, con gli occhi chiusi.
Gray si fiondò al capezzale del suo amico, preoccupato e con le mani tremanti. Anche Lucy sembrava priva di vita.
«Natsu, che diamine è successo?» chiese sollevandolo, l’amico aprì lentamente gli occhi e lo guardò afflitto, mentre con fatica portava una mano sullo stomaco.
«Dammi qualcosa da mangiare, sto morendo di fame!» esordì fingendo di collassare.
Gray rimase lì, furibondo per lo scherzo di pessimo gusto a cui stava facendo da cavia, e fu davvero tentato di abbandonarlo sul terreno e farlo pestare dagli zoccoli del cavallo.
«Non credo stia per morire, ma qualcosa da mangiare farebbe piacere ad entrambi!» rise Lucy, con le labbra screpolate e le guance nivee. Aveva un pessimo aspetto, nonostante si sforzasse di non mostrare quanto avesse patito.
Lluvia la aiutò a sollevarsi per farla salire in groppa al suo amico, poi si accigliò nel guardarla meglio: «Lucy, perché hai le mani legate con una sciarpa?».
 
Natsu diede fondo all’intera dispensa di Gray e Lluvia, mangiando anche degli avanzi che avevano solo la nomina di essere commestibili.
Lucy si era accontentata di una zuppa calda e di una crema per le mani - creata appositamente da Lluvia -che adesso le stava spalmando lungo le dita.
«Da quando Lluvia vive a Rainfall ha trovato tanta gente buona, regalano fette di torta e mi hanno anche insegnato ad utilizzare delle erbe medicinali. Le tue dita staranno presto molto meglio, Lucy.» la rassicurò la maga con un sorriso, continuava a massaggiarle la pelle cianotica, stimolando il flusso del sangue.
Natsu aveva appena finito di raccontare a Gray tutto quello che era successo, aveva anche ricevuto un pugno in testa per lo spavento che gli aveva fatto prendere poco prima.
«Natsu, non ci hai detto però chi ha combinato tutto questo e perché vuole una guerra con Crocus.» fece notare la maga dell’acqua, voltandosi in direzione del tavolo, dove i due ragazzi erano seduti.
Stavolta fu Lucy a prenderle le mani, senza sapere esattamente che parole utilizzare.
Lluvia aveva passato tanti anni nella stessa gilda di Akio, che continuava a torturarla, finendo perfino per bruciarle tutti i libri di poesie.
Dopo alcuni anni passati alla Fairy Tail, dove aveva trovato Gray e, più in generale, la vera felicità, era ricomparso tormentandola e finendo per necrotizzarle una gamba.
Era colpa sua se adesso era costretta a tenere la protesi magica da circa due anni.
«Si può sapere, sì o no?» Gray cominciò a spazientirsi, al solito suo, incrociando le braccia sul petto e guardando verso i suoi due amici.
«Lluvia,» cominciò Lucy cercando i suoi occhi chiari, «Non so per quale motivo abbia attaccato Crocus, ma sono quasi sicura che non fosse quello il suo unico obiettivo».
Bastò quella frase.
Anzi, bastò il tono con cui pronunciò il suo nome per farle gelare il sangue.
Lluvia, come ci si sarebbe aspettato, cominciò a tremare.
«No, non può essere. Torna sempre, lui torna sempre …» sentiva il bisogno di ricevere un abbraccio da Gray, che non tardò ad avvicinarsi, inginocchiandosi di fronte il divano dove lei era seduta. Lluvia si teneva il volto tra le mani e cercava di respirare. Le ferite fisiche che Akio le aveva inflitto cominciarono a bruciare, al solo ricordo.
Le ferite spirituali, invece, non avevano mai smesso di sanguinare.
Gray portò le sue mani sulle labbra, baciandole dolcemente e catturando il suo sguardo. Non era nel suo carattere essere romantico e non aveva intenzione di fare una dichiarazione d’amore in quel momento, ma sentiva il bisogno di rassicurarla.
Se non altro perché l’ultima volta non aveva potuto farlo, ma adesso erano insieme.
«Lluvia, ci sono io al tuo fianco, e Fairy Tail si riunirà per fargliela pagare a quel bastardo. Dovessimo attaccarlo tutti insieme, distruggeremo il tuo incubo.» esclamò con un tono solenne, di promessa.
«Gray-sama.» lo chiamò lei, con le lacrime che avevano cominciato a scenderle sulle guance, scivolandole oltre la linea del mento e sul collo.
“Dovessi morire per riuscirci, Lluvia, prometto che quel farabutto non verrà a trovarti né negli incubi né nella realtà” pensò Gray stringendola contro il suo petto, dove lei sembrava essersi calmata.
Lucy, con l’indice sulle labbra, aveva fatto cenno a Natsu di rimanere in silenzio. Vi erano momenti importantissimi dove l’aiuto degli amici - o, come la chiamavano loro, della loro grande famiglia - era indispensabile; altresì importanti erano i momenti in cui bisognava cercare sostegno solo su chi ti è stato accanto in ogni istante.
Lucy aveva avuto il tempo, da sola con lui, di poter riallacciare quel rapporto di fiducia che sembrava essersi spezzato in quell’anno di silenzio.
Ora toccava a Lluvia e Gray formulare le loro promesse.
 
***
Wendy rimase con i piedi penzoloni dalla finestra. Era un’abitudine che avevano entrambi e che avevano preso alla Cat Shelter, quando ne facevano parte.
Alla vecchia gilda, lì dove avevano passato interi anni a giocare assieme, lei aveva una camera con un’ampia finestra dove spesso si arrampicavano per guardare le stelle.
Joan si era seduto con le gambe incrociate sul letto, teneva gli occhi bassi come se si vergognasse delle cose che le aveva appena rivelato.
Non poteva dirle tutto, non davanti a Sheria e Lyon.
«Quindi la vostra non è una gilda oscura?» chiese, con il tono apatico di chi non riesce ad esprimere davvero ciò che sente.
«No. Akio ha espressamente detto che la nostra è un’alleanza, stretta con il sangue e impossibile da sciogliere».
«Quindi è una gilda!» sostenne Wendy, apparendo un po’ confusa «Non è tanto diverso da ciò che eravamo quando anche tu facevi parte della Cat».
Joan sospirò e si accucciò nel mantello di juta che si era portato dietro.
«Ho davvero paura che possa succederti qualcosa, Wendy, per tanti anni ho sperato di ritrovarti e ora che ci sono riuscito sono tuo nemico. E’ qualcosa di difficile da accettare».
Wendy scivolò via dalla finestra e raggiunse il suo amico, cercando in quegli occhi verdi la complicità che per tanti anni li aveva uniti.
«Joan, se è vero che detieni un potere tanto inestimabile, dimmi perché non vuoi unirti a noi! Se parlassi con Lyon sono sicura che non ti direbbe di no, potresti vivere qua con noi e passare del tempo con me e Sheria. Anche gli altri compagni sono molto simpatici».
Il ragazzo si morse un labbro, abbassando il capo come se fosse sconfitto. Non era riuscito ancora a dirle l’ultimo tratto della verità.
«Wendy, il mio potere, la Quintessenza, è capace di distruggere qualsiasi cosa. Akio sa come tenere a bada il mio potenziale perché gli basta toccarmi la fronte per cambiare ciò che sono dentro. Lui ha capacità immense e conosce antiche formule che lo rendono capace di aiutarmi a non sopperire a ciò che sono».
Joan alzò gli occhi, finalmente, scontrandosi con le iridi lucide della sua Wendy.
«Quando ho detto alla gilda che ho imparato la magia della Quintessenza, Lyon sembrava sapere a cosa mi riferivo. Ma tu? Tu sai cosa significa avere questo potere?».
Wendy scosse la testa, in quel momento i suoi lunghi capelli blu ondeggiarono e Joan non  potè che trovarla bellissima, come sempre.
«Tu sei rimasta piccola perché hai passato sette anni congelata sul’isola del Master. Io sono rimasto piccolo perché il mio potere rallenta la crescita molecolare, oltretutto la Quintessenza è la forza oscura che rallenta l’Universo intero ed è anche capace di scatenare il Big Rip.» Prese fiato, sistemandosi sul letto mentre lei lo fissava ancora, con le labbra schiuse.
«Se l’energia oscura che circonda l’Universo fosse superiore ad ora, tutta la materia verrebbe fatta letteralmente a pezzi. Le stelle e i pianeti verrebbero disintegrati e gli atomi verrebbero distrutti riducendo l’Universo ad una serie di particelle elementari».
Wendy si sedette a terra, stravolta da quella confessione assurda, irreale.
Esisteva davvero un potere tanto forte? Era davvero quel potere che aveva portato suo fratello a morire sotto dolori atroci?
«Di noi non rimarrebbe nulla?» chiese ancora la piccola Dragon Slayer, con la testa tra le mani.
«Rimarrebbero solo gli universi paralleli, come Edolas».
«Tu conosci Edolas?» chiese, ancora più sorpresa. L’altro annuì, spiegando che col suo potere era a conoscenza di tutto ciò che è composto da atomi, da materia.
«Wendy, non posso controllare ancora del tutto il mio potere, oltretutto se tradissi Akio significherebbe vendetta, e vendetta per lui è solo sinonimo di distruzione».
Joan vide la ragazza piangere, a piccoli singhiozzi, ancora seduta a terra ai suoi piedi.
Le prese il viso tra le mani e lo sollevò per guardarle quel piccolo viso bagnato dalle lacrime.
«Perché piangi? Ho detto che non ti farò del male, voglio proteggerti, Wendy Marvel!».
L’altra provò a smettere di singhiozzare, con il risultato che finì per piangere ancora più forte. Mise le mani su quelle di Joan.
«Chi proteggerà te? Parlane con Lyon, ti prego, troveremo una soluzione ma non puoi rimanere con quel mago folle, finirà per farti del male! Lui non è la tua famiglia, Joan, qui puoi essere ciò che vuoi senza essere costretto a far del male a nessuno, dacci una possibilità, ti prego. Lascia che possa proteggerti!».
Joan, a sua volta, sentì gli occhi pizzicare a quella confessione e negare con un cenno del capo fu forse la scelta più dura della sua vita.
«Non posso, Wendy, Akio ha già sterminato Crocus e Magnolia. Devo fargli credere che della Lamia Scale sia rimasto solo cenere e fare in modo che lui non venga mai qui, se dovesse trovarvi sarebbe la fine».
«Crocus? Magnolia?» la vocina tremante di Wendy e i suoi occhi sgranati fecero intuire a Joan che qualcosa dovesse legarla a quei posti.
Non poteva di certo immaginare che Fairy Tail, di cui lei gli aveva parlato quella sera, era proprio a Magnolia.
Non poteva sapere dei Grandi Giochi di Magia di Crocus, né che proprio lì si trovava una delle sue migliori amiche.
«Sterminato?» chiese ancora lei, stringendo le mani di Joan contro il suo viso. «Sono morti tutti?».
«Sono sopravvissuti in pochi»

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter 5: The sound of truth ***


Chapter 5: The sound of truth


«Non riesci a dormire?».
La domanda di Lucy lo fece trasalire, non aveva sentito né il rumore dei suoi passi né il suo profumo.
Indossava un abito nero di Lluvia e finalmente aveva potuto farsi una doccia. Sorrideva, nonostante il viso scarno lasciasse trapelare l’enorme sofferenza che aveva patito in quel mese di guerra.
Natsu non era stupido, per quanto spesso lo sembrasse, e aveva intuito come la sua decisione di partire senza lei l’avesse profondamente segnata. Forse più della guerra stessa.
Lucy si sedette accanto a lui sugli scalini della casa, avvolta da una coperta, e rimase lì a guardare la neve lucida sotto il colore del fuoco che Natsu aveva acceso poco più sotto, ai suoi piedi.
La luce era poca, ma abbastanza per poter notare le profonde occhiaie che si erano disegnate sotto gli occhi del suo amico.
«Quale delle tante cose successe nelle ultime quarantotto ore ti sta frullando in testa?» chiese Lucy, cercando di rompere quell’atmosfera cupa che li stava soffocando.
«Sono andato ad allenarmi per diventare più forte, per proteggervi e pensavo che tornando sarebbe stato tutto come prima. Invece Fairy Tail non esiste più, Crocus è stata rasa al suolo e il peggior nemico di Lluvia vuole sterminare ogni cosa e non sappiamo nemmeno il perché».
Natsu giocò con il fuoco, facendogli assumere forme strane e divertenti, riuscì a creare perfino la forma di Happy che mangiava un pesce.
Lucy sorrise, portandogli una mano sulla gamba e stringendola.
«E quindi, Natsu? Non è da te abbatterti!» disse cercando il suo sguardo che poco aveva a che vedere con il vecchio Natsu.
«Non ho intenzione di arrendermi, sconfiggerò Akio e rifonderò Fairy Tail, dovessi cercare i membri uno ad uno. E’ solo che-» non riuscì a finire.
Non perché non sapesse cosa dire - quello lo sapeva benissimo!- ma perché non riusciva a dare un nome a quella tempesta che gli infuriava dentro.
Preoccupazione? Rimorso? Senso di colpa?
«Natsu» lo chiamò Lucy con la voce dolce che spesso l’aveva distinta, «Se vuoi dirmi le cose che mi hai detto l’altra notte mentre mi scaldavi, sappi che le ho sentite già».
Natsu arrossì.
Decisamente non era da lui arrossire, ma fu inevitabile anche se da un lato quella confessione gli aveva alleggerito il carico di cose da dire.
«Mi dispiace, Lucy, per averti lasciata da sola a Crocus. Avrei dovuto chiederti di venire con me, ma avrei finito per non concentrarmi o per farti del male e ironicamente pensavo di averti lasciato al sicuro».
Lucy si stupì di sentirgli dire quelle parole, non era da lui scusarsi.
Quella notte, quando si erano stretti e lei era tornata a sentire il calore sul suo corpo, lui l’aveva avvolta con le braccia promettendole solennemente di non lasciarla mai più. Le aveva detto che non si sarebbe perdonato quel gesto insulso - partire senza di lei - e che ora che era più forte l’avrebbe protetta sempre.
Natsu non era mai stato bravo con le parole, nemmeno con i gesti a dire la verità, ma il modo in cui l’aveva stretta, affondando il viso sui suoi capelli biondi, faceva intuire come fosse preoccupato per la sua salute.
Come temesse di perderla per sempre.
«Non permetterò mai più che tu vada via da me.» le parole di Lucy sembravano una promessa e allo stesso tempo una minaccia.
La ragazza si protese verso l’altro, infilando le sue braccia tra le sue e accoccolandosi al suo petto. Natsu la strinse forte, affondando ancora il viso tra i suoi capelli chiari e profumati.
«Hai promesso di riprendere in mano i tuoi Spiriti, Lucy, sei una maga di Fairy Tail».
«Non so se sono pronta per rimettermi in gioco, ho ancora paura di poter ferire i miei Spiriti, di non essere abbastanza forte per loro.» gli confessò, ancora con la testa poggiata al suo corpo.
«Sei sopravvissuta all’attacco a Crocus e non hai esitato a prenderti cura di quel bambino, di Piccolo Natsu».
Lucy sorrise, pensando a quella piccola testolina rossa tra le sue braccia, con gli occhietti assonnati e il ciuccio. Quel bambino che cercava solo, disperatamente, la sua mamma.
Sentì una morsa al cuore, ricordò di aver dovuto assistere mentre lo seppellivano, senza tomba, avvolto solo da un lenzuolo.
Piccola anima.
Natsu sembrò leggerle nel pensiero e la strinse ancora, ancora più forte, rimanendo lì con lei davanti il fuoco magico.
 
Lluvia non aveva preso sonno quella notte, come anche i suoi amici. Era sdraiata nel letto e Gray era entrato di soppiatto nella stanza, chiamandola per nome.
Lei si era ritratta sotto le coperte, quasi volesse proteggersi da tutto.
«Lluvia, lo so che sei sveglia».
Lei annuì, come se nell’oscurità della notte lui potesse vederla. Ma ormai le parole tra loro erano vane, comunicavano a gesti, a sospiri, ad occhiate.
Soprattutto lui, parlava davvero poco.
«Posso rimanere qui con te?».
«Perché vuoi rimanere nel letto con Lluvia?» chiese l’altra borbottando contro il cuscino. Sentì il suo ragazzo infilarsi sotto il lenzuolo e arrivare ai suoi fianchi, circondandoli con un braccio.
«Perché non stai dormendo e sei spaventata, non posso lasciarti così. Sarebbe ingiusto, non trovi?».
L’altra annuì, aveva poca voglia di parlare, seppur di solito amasse trascorrere il tempo con Gray.
Aveva paura dei mille scenari che Akio poteva creare.
Aveva prima distrutto il suo passato e il suo presente, aveva modificato il suo futuro e poi aveva distrutto le città dove lei era legata.
Aveva distrutto ogni cosa. Probabilmente non ne sarebbe uscita viva, non questa volta.
«Sapevo che era vivo, e anche tu, era solo questione di tempo ma ce la caveremo. Non siamo soli, Fairy Tail sta tornando e stavolta nessuno rimarrà indietro».
Lluvia si voltò verso di lui, facendo aderire il suo corpo morbido contro quello snello di Gray, lui le carezzò ancora la schiena e i fianchi, scendendo giù fino alla protesi e risalendo.
«Gray-sama, prometti a Lluvia di farla combattere ancora, al massimo delle sue possibilità. E prometti che non sacrificherai la tua vita per quella di Lluvia, promettimelo!» gli sussurrò con un fil di voce.
Gray rimase a guardarle il viso candido, spaventato, e non riuscì ad annuire. Non era da lui fare promesse a vuoto e non poteva di certo giurarle di farla andare in contro alla morte.
«Combatterai al mio fianco, come abbiamo sempre fatto, mi guarderai le spalle e io farò altrettanto. Darai sfogo alla tua rabbia, proprio come farò anche io. Ma se tu fossi in pericolo, non esiterei a mettermi davanti e lo sai».
«Lo hai già fatto, Gray».
«E tu sei viva, qui con me, Lluvia, sei viva e mi stai parlando».
La ragazza sentì le lacrime agli occhi, si strinse contro la sua spalla fredda e rimase lì, senza piangere, a bearsi del suo profumo.
«Posso chiederti una cosa?» le disse d’un tratto con tono non troppo serio. Sembrava averci pensato solo allora.
«Cosa?».
«La tua abitudine a parlare in terza persona, come l’hai presa?».
 
***
Akio non aveva più ricevuto notizie di Joan.
Non era particolarmente preoccupato, quel ragazzino aveva modi suoi di infliggere danni e di sottostare ai suoi ordini, tuttavia non potè fare a meno di pensare che quell’arma che chiamava Joan poteva rivolgersi contro di lui.
Cales, suo fratello maggiore, aveva per tanto tempo dominato il potere della Quintessenza, ma mai al massimo. Quando ci era riuscito, grazie ad Akio che lo aveva sbloccato, era morto sopraffatto.
Joan era molto più capace di lui, era perspicace e intelligente, raramente si lasciava andare ai sentimenti e questo lo aveva irrigidito al punto da riuscire a sottomettere il suo potere.
Akio non poteva dominare la Quintessenza, non ormai a ventisei anni e con una vita passata a manovrare il Mutant Power. Poteva mutare i pensieri, le parole e la consistenza degli oggetti, ma non apprendere nuove magie.
Poteva far sì che eseguissero il suo volere, proprio come stava succedendo con Joan e Cinny. Aveva preso la volontà dei cittadini di Crocus e di Magnolia, riuscendo a farli combattere l’uno contro l’altro. Poteva scatenare la guerra quando voleva e quando ne aveva bisogno.
D’altronde il suo scopo era sempre stato uno solo: vendetta.
Josè lo aveva tenuto sempre segregato dentro la gilda, al riparo dal resto del mondo, perché aveva paura che nello scatenare la sua potenza potesse combinare danno.
Lo aveva sempre trattato come un animale rabbioso, incatenato ad un pilastro.
E quel comportamento lo aveva davvero trasformato in una bestia: non provava sentimenti, non provava affetto, non provava pietà.
Nulla.
Aveva visto Lluvia la prima volta, così piccola e candida, silenziosa, e aveva pensato che sarebbe stato bello tormentarla.
Sì, Lluvia era esattamente il tipo di ragazzina da cui lui era attratto. Sempre sulle sue, colpita dalla sventura del suo potere, senza amici.
Avrebbe voluto averla tutta per sé, alla stregua di una schiava, che gli obbedisse e gli giurasse fedeltà. Era quello che tutti chiamavano amore, almeno per lui.
Invece no, Lluvia sgattaiolava via e spesso si rifugiava dietro la schiena di Gajeel, che aveva imparato a difenderla e a picchiare.
Oh, se lei non voleva giurargli fedeltà, allora lui l’avrebbe tormentata fino alle lacrime.
Fino a strapparle via ciò che era per lei più caro. Per l’eternità.
Ora aveva deciso di eliminare ogni gilda, in modo da far vedere a tutti il potenziale che per anni Josè aveva nascosto. Avrebbe distrutto tutto, come un uragano, togliendo ad intere città ogni sorta di privilegio e affetto che a lui erano stati negati.
«Akio-sama!» lo chiamò Cinny sbucando dal corridoio con i suoi capelli color cannella davanti gli occhi, «Lamia Scale è scomparsa dal radar! Joan ha completato la missione e l’ha distrutta, sono certa che domani sarà di ritorno».
«Ottimo, hai fatto bene ad avvertirmi. Ora puoi andare a dormire, domani mattina attaccheremo Rainfall Town e poi passeremo ad Hasgar».
«Akio-sama, hai sempre delle idee così geniali! Cosa hai individuato a Rainfall? Se non sbaglio il piano originario non prevedeva la piccola cittadina come una prima tappa».
Akio sbuffò il fumo dal naso e posò la pipa, stendendo le gambe sul divano e scolando l’ultimo sorso di vino dalla bottiglia. Freddo.
«Magia, Cinny, a Rainfall c’è la magia che mi serve adesso. Credevo fosse morta e pensavo di fare un salto a Sabertooth per giovarmi di Yukino. Eppure, le sorprese sono sempre dietro l’angolo».
«Chi c’è a Rainfall di così importante per te?» chiese con insistenza la ragazza, entrando nella stanza e posando le mani sui fianchi avvolti dal tulle rosa.
«Heartphilia. Colei che ha chiuso il portale e colei che ha il potere delle Chiavi Stellari».
Cinny stese le labbra in un sorriso freddo e agghiacciante. Scoprì i denti bianchi e le gengive rosse come fuoco.
Anche gli occhi si spalancarono al punto che sembrarono uscire fuori dalle orbite, conferendole un aspetto orripilante e mostruoso. «Lucy. Lucy Heartphilia. A quanto pare ho una nuova rivale in amore!»

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3848866