Los Angeles in Noir

di Sammy_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: La colazione rovinata ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Il ragazzo della villa accanto ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Il silenzio dell'usignolo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Fantasmi in cantina ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: Angeli, demoni e Chardonnay ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: L'Inizio di tutto (Ovvero: Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: La colazione rovinata ***


Los Angeles. Anni '40.

Il detective Ashton M. Fell era in procinto di versarsi una buona tazza di tè.
Non c'era niente di meglio per accompagnare salsicce, uova strapazzate e funghi trifolati.

Naturalmente, nella colazione del detective, non potevano mancare tre pasticcini al cioccolato. Avrebbe poi preparato un bicchiere di spremuta d'arancia, senza zucchero, per stare attento alla linea.

Dicevamo... Il Detective stava per versare il tè quando il campanello suonò insistentemente per alcuni secondi.
Ashton sospirò e posò la teiera sul fornello.

Era una persona molto gentile e pacata, nessuno lo aveva mai sentito pronunciare una parola cattiva, eppure odiava essere disturbato durante i pasti.
Tutto quel suo sentimento negativo si sfogò in un sospiro mesto, seguito da un'occhiata languida ai pasticcini.

Il campanello suonò di nuovo.
-Arrivo! Un momento!- Disse, in un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire anche fuori casa. 
Appena aprì la porta, si ritrovò davanti il commissario di polizia James Marple.

Ashton sapeva ancora prima che l'uomo parlasse che si trattava sicuramente di un nuovo omicidio.

Veniva chiamato solamente per i casi più intricati perché aveva un certo sesto senso per scovare i colpevoli e, soprattutto, per riconoscere gli innocenti.
-Si tratta di un omicidio!- annunciò infatti l'omone che corrispondeva al nome di James Marple.

Aveva cinquantasei anni, dei baffoni grigi e la fronte stempiata. Gli occhi erano di un bel color nocciola. Da giovane doveva essere stato un uomo affascinante ma il tempo non era stato molto clemente con lui.

-Oh, santo cielo! sono appena le sette! Stavo per fare colazione...- si lamentò debolmente il detective.
-Il crimine non ha orari!- gli rispose prontamente il commissario. 
-Ti aspetto in macchina.- annunciò e se ne tornò nell'auto.
Sapeva bene che con Fell non aveva bisogno di insistere troppo.
L'uomo infatti alzò lievemente gli occhi al cielo, abbozzò un sorriso sconsolato e poi rientrò in casa per recuperare il suo fedele cappotto, e un pasticcino, ovviamente.

- Allora, dov'è successo?- chiese, una volta salito nel posto accanto al commissario. 
L'uomo gli lanciò un'occhiata quasi di rimprovero: Ashton aveva il mento sporco di zucchero a velo. Sbuffò e spostò lo sguardo sulla strada per mettere in moto e partire.
-Villa Sanders. Il proprietario è stato ucciso nella notte.- lo informò, asciutto.
Il detective si pulì la bocca con un fazzolettino, quasi avendo intuito quello sguardo, e cercò di focalizzare villa Sanders. Ne aveva già sentito parlare, ne era sicuro...
-E' quella delle..- iniziò a dire, ma il commissario annuì ancor prima di fargli finire la frase.
-Le feste degli svitati. Non mi sorprende che abbia fatto quella finaccia. Povero diavolo...- mormorò, scuotendo il capo fra sé.

Ashton aveva intravisto diverse volte sul giornale le lamentele dei vicini di Sanders riguardo i suoi festini "demoniaci".
Lui pensava che l'occulto fosse molto interessante.
Non credeva assolutamente a nulla ma leggeva volentieri di riti magici e cose simili... 

Mentre era perso in questi pensieri, il detective non si accorse del loro arrivo alla villa, fu quindi molto sorpreso di vedere la grande magione addobbata come per El dia de Los Muertos in Messico.
Trovava tutto ciò estremamente affascinante, così tanto da strappargli un sorriso.

Solo qualche momento più tardi, sentendosi osservato dal commissario, si ricordò di essere sulla scena di un crimine e quindi tornò immediatamente serio.
I due scesero dall'auto e si avviarono all'ingresso, dove, una singhiozzante e l'altro statuario, li stavano aspettando una cameriera e un maggiordomo.

La donna aveva più o meno una quarantina d'anni, così come il suo collega.
Aveva gli occhi rossi e stava ancora piangendo. Il fazzolettino che stringeva in un pugno era fradicio.
Il maggiordomo conservava la sua aria seria e professionale.
Teneva in mano un foglio di carta su cui erano riportati dei nomi in una calligrafia elegante.
-La lista degli invitati, come da voi richiesto.- esordì, porgendo il foglio al commissario.
Naturalmente un paio di volanti erano già arrivate prima del commissario e del detective e avevano già iniziato a lavorare.
Ashton intercettò il foglio e gli diede una rapida occhiata.
-Erano tutti presenti?- chiese, sorpreso della quantità di nomi riportati in così poco spazio.
-Non è possibile saperlo, signore. Non teniamo traccia di chi partecipa e chi no per motivi di riservatezza.- Rispose il maggiordomo.
Il commissario sbuffò.
-Questa sarà una rogna!- commentò, seccato.
Un giovane poliziotto corse in fretta fuori dalla casa e si liberò della colazione dietro ad un cespuglio. 
Ashton aggrottò la fronte, perplesso.
La cameriera scoppiò di nuovo in lacrime.
-Una scena davvero orribile! Orribile, signori! Quel pover'uomo! Povero signor Sanders!- singhiozzò, con autentica disperazione.
Il detective sospirò lievemente, era così straziante vedere una signora piangere in quel modo.
-Avanti, cara, si faccia coraggio! Lui non vorrebbe di certo vederla così!- tentò di rassicurarla.
-Ci porti da lui.- Ordinò semplicemente il commissario, molto più brusco nei modi. 
La cameriera annuì, smettendo di tirare su col naso.

Li guidò in casa, su per le scale, lungo un corridoio lungo quanto largo, e poi si fermò davanti ad una porta aperta.
-Vi prego, non fatemi entrare di nuovo!- li supplicò.
Marple alzò un folto sopracciglio. -E' stata lei a trovarlo, giusto? A che ora aveva detto?- chiese, scambiandosi un'occhiata d'intesa con il detective.
-Alle sei e un quarto. Ero arrivata da poco... Sono andata a cambiarmi e poi, non vedendo il signor Sanders in sala da pranzo, sapete, lui si alzava ogni giorno alle sei, sono andata a chiamarlo in camera, credevo che stesse ancora dormendo, dopo la festa di ieri sera... Gli piaceva bere e quel giovanotto ieri aveva portato del vino dalla Francia...-raccontò, cercando di non scoppiare di nuovo in lacrime.

Ashton prese un taccuino e una matita da una tasca del cappotto e annotò la storia della cameriera. Sottolineò la parola "Giovanotto" e "Vino". Potevano essere due dettagli molto utili.
Il commissario ringraziò frettolosamente la cameriera ed entrò nella camera da letto di Archibald Sanders.

Con le gambe sul letto e una guancia schiacciata contro il pavimento, fermo in una posa assolutamente innaturale, giaceva un uomo sui sessant'anni.
Indossava un completo in stile Ottocentesco, elegante. Archibald era un uomo molto ricco e stravagante ma aveva anche un ottimo gusto per le stoffe più pregiate.
Le aveva vendute, e le vendeva ancora, almeno fino a qualche ora prima, per quarant'anni. Aveva creato così la propria fortuna.

Adesso se ne stava lì, scomposto, sgozzato e lasciato a dissanguarsi come il più vile dei criminali. Doveva avere anche alcune ossa rotte.
Il detective Ashton M. Fell deglutì a fatica, lievemente disturbato dalla vista di tutto quel sangue.
Ora capiva quel povero poliziotto di poco prima.
Il commissario, per una volta, evitò occhiatacce.

Ashton prese ad esaminare la scena. C'era un bicchiere vuoto appoggiato sul comodino, alcune gocce di vino lasciavano intuire che ci fosse un bicchiere gemello da qualche parte.
Attento a non sporcare i pantaloni color sabbia, il detective si inginocchiò dalla parte libera del letto.

Bingo!
Il bicchiere mancante era proprio sotto il letto, come pensava. Indossò dei guanti e lo raccolse.
Era sporco di vino rosso, come le gocce presenti sul comodino e sulla moquette.
Lasciò il calice ad un giovane poliziotto ed iniziò a cercare anche la bottiglia: se fosse stato vino Francese avrebbe già avuto un potenziale colpevole...
Ma della bottiglia non c'era nemmeno l'ombra.
Poco importava, sapevano che Archibald era in compagnia di qualcuno, la notte del suo omicidio.

-Doveva essere una persona fidata... Hanno bevuto del vino e poi... E' stato aggredito...- sussurrò Ashton, come se pensasse ad alta voce.
Il commissario fece una smorfia.
-Una donna non può averlo ammazzato così, come un maiale! Non ne avrebbe avuto la forza!- fece notare, convinto.
Il detective gli rivolse un'espressione quasi di smarrimento. 
-Non ho parlato di una donna...- mormorò.
Scese un silenzio imbarazzato tra i poliziotti presenti nella stanza.
-Comunque...- riprese prontamente a parlare il commissario -Non sappiamo nemmeno se l'altra... persona... Sia stata rapita o uccisa e portata da un'altra parte.- 

Per quanto Ashton sentisse che non si trattava di nulla di tutto ciò, non se la sentì di ribattere alle parole del "collega".
Fece un altro veloce giro di perlustrazione della stanza e, accertato che non ci fosse altro di interessante, uscì e si fermò nel corridoio.
-Torno a casa a studiare la lista degli invitati! Ti farò avere presto notizie!- Sorrise cordiale al commissario, il quale grugnì in risposta e annuì appena col capo.
-Buona colazione!- Sorrise e ridacchiò.
Ashton arrossì lievemente e si avviò in strada, riponendo il foglio con i nomi nella tasca del cappotto. 

Non aveva nemmeno i soldi per un taxi ma poco importava, ormai la sua povera colazione era diventata fredda, tanto valeva camminare fino a casa, avrebbe sicuramente giovato alla sua linea.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Il ragazzo della villa accanto ***


CAPITOLO 2: IL RAGAZZO DELLA VILLA ACCANTO

Verso l'ora dell'aperitivo di quella stessa giornata, il detective Ashton M. Fell arrivò alla conclusione di dover andare a fare visita al giovane William Rosebert. Era stato già interrogato dalla polizia poco dopo la consueta ora di pranzo ma Ashton sentiva che il ragazzo non era stato del tutto sincero. Capiva bene che poteva non essere piacevole subire un interrogatorio con poliziotti dai modi a dir poco burberi perciò prese il cappotto, il cappello e si infilò nel taxi che lo stava aspettando davanti casa.
Questa volta si era premurato di prendere anche il portafogli, in modo da non dover arrivare in ritardo anche per la cena.
William Rosebert era il figlio di una famiglia rinomata di aristocratici ma il loro patrimonio era ormai in rovina da anni, avevano perso la miniera e, qualche anno dopo, anche la fabbrica di scarpe. Erano rimasti tra i loro possedimenti solo un piccolo negozio d'abbigliamento e la villa in cui abitavano, villa che si trovava proprio a trecento metri da casa Sanders.
Il detective Fell si prese qualche momento, una volta pagato e sceso dall'auto, per studiare la strada. Il sole stava tramontando in fretta e non c'erano molti lampioni tra una villa e l'altra...
Ashton prese il fedele taccuino e annotò anche quel dettaglio.
Non fece in tempo poi ad avvicinarsi al campanello della porta che qualcuno la spalancò con vigore.
Davanti a lui si pose un uomo alto, barbuto e ingrigito dagli anni. Aveva l'aria di un lupo stanco e affamato.
-Il mio ragazzo è innocente! Voi e i vostri galoppini potete andarvene tutti a...- iniziò a dire lo sconosciuto, con una certa enfasi, ma proprio in quel momento un ragazzo alto quanto quel signore, ma molto più giovane e bello, si avvicinò e sorrise gentilmente.
-Abbia pazienza con nostro nonno! E' un po'... Siamo tutti un po' scossi.- Mormorò e portò via l'anziano Rosebert. Un istante dopo si presentò davanti al detective un altro ragazzo. Aveva i tratti leggermente più maturi del primo giovanotto ma non poteva avere più di venticinque anni. 
Ashton si accorse che, sotto la luce del crepuscolo, i capelli dorati del ragazzo sembravano brillare tanto erano di una calda tonalità color miele.
Si abbinavano bene ai due vispi occhi color smeraldo che ora lo studiavano con timore.
C'era qualcosa che non andava.
-Salve, detective Fell, vero? Sono William Rosebert.- si presentò finalmente, tendendo la mano ad Ashton. Stringendola, il detective si accorse di quanta forza possedesse un ragazzo così slanciato.
-Mio nonno è malato, non sa più distinguere la realtà... Quello invece era mio fratello Frederick! Prego, si accomodi! Ho già detto tutto in commissariato ma... Sono pronto a rispondere alle sue domande.- Assicurò, in tono calmo.
Il detective Fell sapeva per esperienza che troppa calma in certe situazioni era un sintomo di una profonda agitazione interiore.
I due si accomodarono in un grazioso salottino arredato con le rimanenze della Belle Epoque. Anni prima quel posto doveva essere stato un vero spettacolo per gli occhi.
Le poltroncine su cui erano seduti profumavano vagamente di rose, era lo stesso leggero sentore che Ashton aveva percepito anche su William.
-Allora, signor Rosebert...- iniziò Fell, estraendo nuovamente il taccuino.
-La prego, mi chiami Will.- lo interruppe il ragazzo.
Ashton gli sorrise, rassicurante, ed annuì appena.
- Will... Sappiamo che lei era alla festa del signor Sanders, ieri sera... Ma le sue tracce si perdono tra le ventitré e le ventiquattro e trenta. Alcuni ospiti hanno detto di averla vista sparire al piano superiore con una bottiglia di vino ma senza alcuna accompagnatrice...- la voce del detective non era né accusatoria né tanto meno indagatrice: stava semplicemente riportando quello che altre persone avevano raccontato.
William però aveva iniziato a tamburellare distrattamente le dita sul bracciolo destro della poltroncina su cui sedeva.
-Avevo portato del vino, molti lo fanno...- mormorò.
-Vino Francese...?- chiese Ashton.
Il ragazzo annuì e anche questo dato venne trascritto sul taccuino.
-Da quanto risulta nei registri del signor Sanders, la sua famiglia era in affari con lui da circa cinque anni, è corretto?- chiese ancora il detective.
-Sei anni ad ottobre...- sospirò il giovane.
-Era in ritardo con il pagamento di febbraio e di marzo... Erano molti soldi!- notò Ashton, quasi sorprendendosi lui stesso.
Per una famiglia in disgrazia, una cifra simile significava di certo molto.
-Di queste cose se ne occupa mio padre, in genere... Ma so che siamo in debito con alcuni fornitori a causa di questo ritardo...- ammise.
Il detective fece un altro piccolo appunto e poi continuò con le domande.

Erano ormai le venti quando il telefono di casa Fell squillò, facendo saltare sul posto il pover'uomo, che era seduto a tavola a mangiare dell'ottimo pesce al forno con un buon vin bianco frizzante. Adorava le bollicine.
Gli piacevano un po' meno sui pantaloni ritirati proprio il giorno prima dalla lavanderia.
Quella macchia proprio non ci voleva.
Posò il calice e si passò frettolosamente il tovagliolo sulla stoffa bagnata prima di alzarsi e e andare a rispondere.
Era, naturalmente, James Marple.
Il commissario voleva una prima lista di sospettati. Ashton si assentò giusto il tempo per prendere il taccuino e poi iniziò a dettare nomi, esitando su quello di William. 
Era chiaramente colpevole di qualcosa.
Ma non riusciva ad immaginarlo uccidere in quel modo terribile un uomo. Non riusciva nemmeno ad immaginarlo fare del male a qualcuno.
In ogni caso, doveva inserirlo. Dettò anche il suo nome.
Alla fine il commissario ottenne una lista di cinque persone.
Ashton tornò alla propria cena ma all'improvviso sembrava tutto più insipido, senza gusto.
Aveva bisogno di fare chiarezza al più presto, doveva interrogare l'unica persona che, nonostante un alibi, ancora era sfuggita alle domande della polizia.

Fu con quell'idea che il giorno dopo si alzò dal letto e si avviò in commissariato.
La lista degli indagati scese a due persone.
Nel tardo pomeriggio il detective bussò a casa di Anthony J. Courtney dal pesante maniglione in stile vittoriano che era stato applicato alla porta di legno dipinta di nero. L'appartamento dell'uomo si trovava in uno stretto quanto alto palazzo di cinque piani.
Ad aprire  fu un uomo che aveva più o meno la sua età ed indossava una sottoveste da camera di seta nera. Era da donna, indubbiamente.
-Sei arrivato, finalmente! Ho da fare dopo di te, bellezza!- esclamò, con un forte accento scozzese.
Chiaramente il signor Courtney non era americano.
-Anthony J. Courtney...?- si accertò il detective, avanzando nell'eccentrica mansarda dove abitava l'ennesimo ospite di villa Sanders.
-E chi altri, sennò?- chiese l'uomo, con un sorrisetto sfacciato quanto malizioso che riuscì a far avvampare il detective nel giro di due secondi.
Anthony ridacchiò e si passò una mano fra i corti capelli color fuoco.
-Dove ho messo le sigarette...?- si chiese fra sé, iniziando a vagabondare in giro per casa. Era scalzo e sembrava non patire la fresca aria che proveniva dalla finestra.
Ashton si tolse il cappotto e se lo strinse fra le mani.
Lì dentro era decisamente troppo caldo anche per lui.
Forse era colpa di quelle costolette di maiale mangiate a pranzo.
-Eccole!!- esclamò ad un certo punto il signor Courtney, sventolando in aria un pacchetto, vittorioso.
-Adesso possiamo andare!- assicurò e si arrampicò fuori dalla finestra.
Il detective rimase a bocca aperta ad osservarlo, completamente spiazzato.
-Muoviti, carino!- lo richiamò ancora una volta il rosso.
Ashton, in imbarazzo, corse alla finestra e scoprì che lì accanto, era stata posizionata una scala per salire sul tetto.
Non si chiese il perché.
Non si chiese nemmeno cosa stesse davvero facendo, si arrampicò e basta.
Si ritrovò seduto di fronte ad Anthony J. Courtney, che aveva le gambe accovacciate al petto, nonostante la corta veste da camera. Ashton cercò di mantenere lo sguardo in alto... Presto però la sua attenzione fu catturata dal magnifico panorama che si poteva ammirare dalla loro posizione.
Anthony sorrise e studiò il detective per qualche istante.
-Prendi.- Gli porse una sigaretta.
Il biondo spostò gli occhi sulla mano tesa davanti a sè.
-Oh, grazie, ma io non...- Fece per dire ma il signor Courtney sembrava irremovibile.
Ashton sospirò lievemente e prese la sigaretta, portandosela alle labbra.
-Non ho un accendino...- Si rese conto solo allora.
Anthony sorrise e schioccò le dita, facendosi comparire una fiammella tra pollice e indice. Gli accese la sigaretta e poi scosse appena la mano, facendo svanire la fiamma.
-Come...?- chiese il detective, sbalordito.
Il rosso sorrise e alzò le spalle.
-Un piccolo trucco magico. Va forte con i ricconi!- spiegò semplicemente.
-Avevi delle domande, no? Ti ho già visto sul giornale, eri carino anche lì! Non dovresti fare qualcosa tipo... Prendere appunti?-.
Ashton impiegò un momento di troppo ad annuire.
Aveva gli occhi rossi e si tratteneva a stento dal tossire. Non aveva mai fumato in vita sua ma sarebbe stato tremendamente imbarazzante ammetterlo, soprattutto davanti ad un tipo così. Prese il taccuino e la penna e iniziò con le domande.
Anthony rispose a tutto, in un modo più o meno diretto e sfacciato, di certo molto più sicuro di sè del povero William.
Quando vide che la sigaretta era finalmente giunta a metà vita, la sfilò dalle labbra del detective e prese a fumarla lui, come nulla fosse.
Ashton dovette incantarsi di nuovo di fronte all'uomo perché il rosso fu costretto a richiamarlo un'altra volta.
-Pronto? c'è nessuno, lì?- chiese, ridacchiando, molto divertito.
Non sembrava proprio un colpevole ma era assolutamente fuori da ogni schema possibile.
Ashton sentiva che c'era qualcosa in lui... Ma focalizzarcisi troppo serviva solamente a fargli pensare alle sue labbra dove poco prima c'erano state le proprie, alle cosce scoperte, i capelli lievemente scompigliati dal vento...
Erano dettagli inutili al caso, eppure non poteva fare a meno di notarli.
L'unica cosa interessante che riuscì a ricavarne fu la scoperta che l'uomo era un veggente.
Aveva quindi a che fare anche lui con la magia in un modo più intricato di un semplice trucco di strada.
-Posso darti una mano col caso, se vuoi... Non ti costerò tanto! Posso fare un prezzo speciale, solo per te!- gli propose Anthony, leccandosi le labbra in un modo che Ashton reputò altamente immorale.
Rifiutò l'offerta, mise in tasca il taccuino e si inventò di dover correre a casa dal suo cane, rimasto solo per troppe ore.
Il signor Courtney lo salutò con un gesto della mano e rimase sul tetto, non scomodandosi nemmeno per andare ad accompagnarlo alla porta.

Ashton riprese in mano gli appunti solo una volta a letto, verso mezzanotte meno un quarto. Non riusciva a dormire, era tormentato da una strana sensazione.
Si sentiva in ansia ma non riusciva a capire il perché.
Ebbe diversi incubi, quella notte, e il suo sonno fu scostante e disturbato da ogni minimo rumore.

Il mattino dopo, un'orribile notizia gli diede il buongiorno sul quotidiano mattutino: William Rosebert era stato trovato impiccato in camera propria. Un suicidio, senza dubbio. Il biglietto scritto proprio dal ragazzo non lasciava spazio ad altre ipotesi.
Più tardi, in commissariato, Ashton ebbe modo di leggere quell'ultimo lascito, diceva:
" Mi dispiace di dover recare così tanta sofferenza a tutti voi che mi conoscete e mi volete bene. Non ho ucciso io Archibald Sanders ma sì, ero in compagnia di un uomo, durante la mia "scomparsa" al piano superiore. Ed è per amore suo che preferisco portare il suo nome nella tomba piuttosto che rovinare anche la sua vita.
Ti amo, sempre.
Will "

Ashton rilesse diverse volte quelle poche frasi e poi tornò a casa.
Ora aveva la pesantissima consapevolezza di essere colpevole della morte di quel ragazzo ed era ben lontano dalla risoluzione del caso.
Dopo aver bevuto un paio di bicchiere di Porto, si alzò e si diresse al telefono.
Che Anthony J. Courtney fosse o meno un vero veggente, aveva poca importanza. Doveva scoprire di più su di lui. Doveva seguire le proprie sensazioni, questa volta.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Il silenzio dell'usignolo ***


Un'ora dopo il detective Ashton si trovava nuovamente nell'appartamento di Anthony J Courtney.

Questa volta l'uomo portava un completo scuro, maschile, i capelli erano pettinati all'indietro ma alcuni ciuffi sembravano vivere di vita propria, conferendo in qualche modo un aspetto selvatico al sensitivo.
-Allora, com'è avere sulla coscienza quel poveretto?- chiese quest'ultimo, ridacchiando.
-No, no! Aspetta! Non dirmelo!- scoppiò a ridere, tenendosi teatralmente la pancia con una mano.
Ashton deglutì e chinò lievemente e il capo.

Era una sensazione orribile, ovviamente. Ed Anthony doveva essere una persona senza cuore, per riderne in quel modo.
Ma lui non era lì per diventare suo amico.
-Se non riesce ad essermi d'aiuto, la mia presenza qui...- fece per dire, impettito.
Il signor Courtney agitò pigramente una mano.
-Va bene, va bene! Andiamo!- sbuffò, recuperando un cappello appeso sull'appendi panni, pronto ad uscire.
Il detective si ritrovò ancora una volta spaesato. 
-Dove...?- chiese infatti, non riuscendo a seguire i ragionamenti della mente di Courtney.
L'uomo dai capelli rossi alzò gli occhi al cielo e sospirò ancora, seccato.
-Alla serra, ovviamente! Andiamo, non dirmi che volete ancora ignorarla!- gli rivolse uno sguardo di scherno.
Ashton arrossì e rimase senza parole.
Era vero, non si era mai preso la briga di controllare di persona la serra di villa Sanders, ma sicuramente la polizia... No?
Prese il proprio taccuino e lo sfogliò velocemente.
Nessuno l'aveva mai nominata. Rimise in tasca il prezioso libretto e si incamminò fuori.

Presero un taxi per raggiungere la villa.
Le decorazioni erano ancora appese ma l'atmosfera ora sembrava cupa, quasi spettrale, forse a causa anche della fitta nebbia che si era alzata non appena avevano raggiunto il viale.
Sarebbe stata una scena perfetta per un libro. Ashton ebbe l'impulso di mettere la mano in tasca per annotarlo ma un istante dopo il viso di William Rosebert gli apparve davanti, così giovane, così impaurito...
Era ingiusto trarre ispirazione da quella tragica storia.

Sospirò e prese la stradina che portava alla serra. Si trovava poco lontano dall'abitazione ed era facilmente raggiungibile dall'ingresso di servizio.
Courtney aprì la porta e fece qualche passo all'interno. Una volta quel posto doveva aver ospitato una grande quantità di piante da tutto il mondo. Adesso era rimasto ben poco ancora in vita, come se fosse stato tutto abbandonato mesi e mesi prima della prematura scomparsa del padrone di casa.

Ashton seguì il sensitivo all'interno e storse subito il naso per l'odore che arrivò alla sue narici, facendogli pungere gli occhi.
Sapeva di marcio... E di putrefatto.
Il detective ringraziò di non aver mangiato molto.
Lì, dove tempo prima doveva esserci stata una bellissima pianta rampicante, c'era un uccellino appeso per le ali, chiaramente morto.

Ashton si avvicinò, già scuro in viso.
Non prometteva nulla di buono.
Era un usignolo, poté notare. Era stato appeso a testa in giù e qualcuno lo aveva anche sgozzato.
Doveva aver usato un bisturi o uno strumento molto piccolo per infierire su quel povero animaletto.
Eppure quell'odore non poteva provenire da una bestiolina così piccola...
-Ah! Il caro vecchio latino! Chi li ha tradotti?? Anche una capra sarebbe più capace!-
Ashton si voltò verso di Anthony, perplesso.
L'uomo se ne stava con le mani sui fianchi a commentare i fogli trovati per terra.
Alcuni sembravano molto antichi e, il detective concordò, erano scritti in latino, altri, decisamente più nuovi, riportavano una traduzione davvero discutibile di quelle strane formule.
Il detective si chinò a dare un'occhiata più attenta.
La calligrafia era pulita e piena di ghirigori, forse quella di una giovane donna...
Spostò delicatamente uno dei fogli per poter finire di leggere una traduzione ma, sotto a quel pezzo di carta scoprì una piuma nera.
Era legata ad una perlina rossa tramite un laccetto in velluto. Ashton fissò quel reperto come se avesse visto un fantasma.
-Ehi, ma quello..- fece per dire Courtney ma le parole gli morirono in bocca.
-Oh, andiamo, detective! Non affrettare le cose! Ti ci ho portato io, qui!- fece notare, giustamente.
Ma il detective Fell aveva già tirato fuori un paio di manette dalla tasca.
Le aveva portate per sicurezza, sperava che non gli sarebbero servite, si sentiva sicuro dell'innocenza di Anthony eppure, di nuovo, il suo istinto aveva fatto cilecca.
L'uomo non oppose resistenza, sembrava piuttosto deluso, ferito, come se si aspettasse davvero di più da Ashton, il quale,  ancor più confuso di quanto non fosse già, si limitò a mettersi in contatto con la polizia per fare arrivare il commissario Marple e una volante per Anthony.
-Che mi venga un colpo, Fell! L'hai fatto cadere nella sua stessa trappola!- Ridacchiò il commissario, soddisfatto.
Ashton non rispose, non vedeva nulla di cui poter gioire.

Era altamente improbabile che Courtney fosse l'assassino, non lo avrebbe mai portato alla serra altrimenti, ma quella decorazione faceva per forza parte dell'abbigliamento dell'uomo durante la serata, aveva già abbastanza testimonianze a riguardo e lo aveva visto lui stesso con un look simile.
E poi c'erano i fogli in latino... Lo stesso Anthony si era lamentato della traduzione, poteva essere un tentativo di depistarlo...? Nulla aveva senso.
La voce del commissario Marple lo riportò alla realtà.
-Vieni con me? Così interroghiamo questa checca e chiudiamo il caso!-
Ashton serrò le labbra, disturbato da quell'insulto. Era ingiusto trattare così un semplice sospettato... E, a dirla tutta, era ingiusto trattare così chiunque. Ma tutto questo il detective lo tenne per sè. Si limitò ad annuire, seguendolo in macchina.

Anthony non era intenzionato a parlare. Aveva incrociato le braccia al petto e fissava Ashton con astio.
-Non servirà a nulla rimanere in silenzio...- mormorò ad un certo punto il biondo e paffuto detective.
In risposta Anthony voltò il capo da un lato. -Non servirà a nulla parlare visto che non vuoi ascoltarmi. Sono innocente come un angioletto.- Sorrise in un modo affatto angelico.
Ashton ebbe un fremito. Non sarebbero andati da nessuna parte, così.
-Mi hai portato alla serra, non hai ucciso Sanders... Allora dimmi che altro dovrei fare per provare la tua innocenza!- sbottò, stupendosi subito dopo di se stesso. Non perdeva quasi mai la calma così.
-Non sei il mio avvocato, non devi provare niente! E poi non funziona così, non sono un giocattolo! Esistono le sfere di vetro, se vuoi divertirti!- rispose a tono Courtney e poi sospirò, come sofferente.
- Insomma, esiste un professionista qui dentro?? Dove sono i poliziotti buoni e cattivi??- 
Ashton abbassò lo sguardo, ferito. Dalle parole di Anthony, da se stesso.
Sentiva che l'uomo dai capelli rossi aveva ragione ad avercela con lui, sapeva di stare ancora una volta nella direzione sbagliata e, cosa che non riusciva a spiegarsi, non era in grado di  trovare pace sapendo quel... Poco più che sconosciuto, dietro le sbarre a causa sua.
-Va bene. Abbiamo finito.- Assicurò, alzandosi in piedi e avviandosi alla porta.
Sentiva la schiena bruciare sotto lo sguardo del sensitivo.
-Sapevo che eri uno che dura poco!- fece una smorfia il rosso e alzò le spalle come se fosse superiore a tutto ciò.
Ashton non si degnò nemmeno di voltarsi. Si sentiva in profondo imbarazzo e una strana nausea aveva preso ad attanagliargli lo stomaco.

Arrivato a casa non pensò a prepararsi un buon pasto, non pensò nemmeno ad una tazza di tè. Si mise chino sulla scrivania e riguardò tutti i documenti sul caso. 
Tutte le relazioni sulle prove trovate, le ipotesi, le testimonianze...
Fu come un'autentica illuminazione. Rilesse più volte alcune pagine e, finalmente, se ne rese conto.
Tutte le testimonianze fornite dalla servitù erano pressoché identiche. 
Troppo identiche per essere davvero autentiche...
Forse, per la prima volta in tutto il caso, aveva davvero un indizio.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Fantasmi in cantina ***


Il detective non perse nemmeno un attimo di tempo. Doveva assolutamente intervenire prima che fosse troppo tardi anche per Crowley...

Courteny!

Ashton si sorprese di aver pensato a quel nome. Gli era così familiare, eppure…

Oh, non c’era tempo per pensare, doveva agire.

Chiamò un taxi e si fece lasciare davanti alla villa del signor Sanders. Nel tragitto appuntò quello strano nome che gli era balzato in mente dal nulla, per sicurezza. E poi sarebbe stato interessante utilizzarlo per uno dei suoi racconti…

Scese dall’auto, dopo una breve discussione con il tassista, e si strinse istintivamente nel cappotto. Faceva freddo, quella notte e una fastidiosa nebbiolina rendeva l’aria umida e conferiva un aspetto spettrale al quartiere.

 

Appena Ashton mise piede nella proprietà della vittima, fu avvolto da uno strano sentimento. Riusciva a percepire un'aura maligna che aleggiava intorno alla casa ma non ne capiva il perchè.

Dopotutto lui si era presentato da subito sulla scena del crimine, perfino quando era ancora presente il corpo del povero padrone di casa! Ma non aveva provato nulla  di simile… Un brivido gli percorse la schiena, doveva sbrigarsi.

Pensò di dare ancora un’occhiata nella serra ma l’unica luce disponibile in suo possesso era una piccola torcia che non illuminava un granché.

Quella quasi totale assenza di luce gli permise però di captare il lieve bagliore proveniente da una piccola finestrella che dava sul lungo e stretto corridoio con scale a chiocciola e portava alla parte della cantina usata come magazzino.

Ashton si avvicinò silenziosamente e spense la propria fonte di luce per non essere scoperto.

Ci aveva visto giusto! Qualcuno si trovava là sotto… Controllò l’orologio che aveva in tasca… Dovette riaccendere la torcia per poter leggere l’ora. L’appuntò nel taccuino e quindi entrò in casa dalla porta sul retro, che fortunatamente era aperta.

Un forte odore di incenso gli punse il naso e lo portò quasi alle lacrime.

Il cuore prese a battergli più forte.

Era ovvio che si stesse avvicinando ad una scoperta cruciale.

Scendere le scale a chiocciola ed entrare nel magazzino sarebbe stato troppo rischioso però, per questo decise di passare per le scale che portavano ad una stanza comunicante, era una parte di cantina utilizzata invece per tenere conservati in ottimo stato i vini più pregiati.

Non incontrò nessuno lungo il percorso, chiunque ci fosse là dentro, era sicuro che nessuno l’avrebbe disturbato.

 

La sensazione di stare andando incontro al demonio in persona si fece più prepotente. Il povero Fell non si rese nemmeno conto di aver iniziato a tremare, era troppo concentrato sul non fare rumore.

Si avvicinò il più possibile alla porta e tese l’orecchio.

C’erano cinque o sei voci diverse e Ashton riuscì a riconoscerne un paio.

Si trattava senza dubbio della servitù.

Per un momento il detective pensò di aver fatto un enorme buco nell’acqua.

Era ovvio che i dipendenti fossero ancora nella casa, era stato chiesto loro di rimanere lì, a disposizione della polizia, fino a data da destinarsi.

Poi, proprio nel momento in cui stava per girare i tacchi ed andarsene, come un cane con la coda fra le zampe… Sentì delle parole in latino.

Razionalmente il detective sapeva di non poter conoscere quella lingua ma, esattamente come con il ritrovamento dei fogli nella serra, appena qualche ora prima, era in grado di capire tutto. 

 

Si dispiacque tremendamente di non avere un registratore a portata di mano perché, se lo avesse avuto, avrebbe potuto chiudere il caso e far incarcerare i colpevoli dell’assassinio di Archibald Sanders nel giro di un quarto d’ora.

Forse dieci minuti, se il commissario Marple fosse stato veloce.

Ma così non aveva alcuna prova e rimanere lì ad origliare non avrebbe portato a nulla. E poi… Sebbene sapesse che un rituale magico non potesse assolutamente funzionare (era assurdo credere nella magia) più il maggiordomo continuava la sua nenia in latino più Ashton sentiva una forza oscura avvicinarsi.

Doveva semplicemente sbrigarsi a chiamare i rinforzi e sperare che intanto i camerieri non se ne andassero.

Sgattaiolò fuori dalla casa e corse dritto in strada. Chiedere all’autista di rimanere fuori, con il motore spento, ad attenderlo, era stata una buona idea.

Salì in macchina e si fece lasciare davanti al commissariato.

Spiegò in fretta alla polizia cosa aveva sentito e il commissario Marple non perse tempo ad andare alla villa con due volanti.

 

Nel frattempo rilasciarono anche Courtney, il quale mantenne un’aria di superiorità per non dimostrarsi colpito dal fatto che il detective si fosse davvero impegnato per provare la sua innocenza.

-Beh, angelo, ci vediamo! - lo salutò, mentre infilava la giacca. Nello stesso istante in cui pronunciò quelle parole, si fermò con una manica infilata e l’altra messa per metà.

Anche Ashton a quel nomignolo  rimase come paralizzato.

Era come se lo avesse sentito da tutta la vita… E proprio da Cro… Oh, di nuovo quel nome!

Non fece in tempo a chiedere spiegazioni che Anthony sembrò venire colpito in pieno da un treno per l’espressione che fece.

-UN RITUALE?? - sbottò, di punto in bianco. 

Erano passati ben cinque minuti da quando Fell gli aveva spiegato cosa stesse succedendo alla villa.

Quella reazione a scoppio ritardato lasciò il detective abbastanza perplesso.

-Sì, loro…- iniziò a rispondere ma si ritrovò mano nella mano con Anthony a correre fuori dalla struttura.

-Dobbiamo andare lì, angelo! O succederà una strage! Non sanno cosa stanno per combinare! Ah! Stupidi, stupidi umani!!- ringhiò, schioccando le dita.

Una Bentley nera sgommò all’improvviso davanti a loro. Era vuota, nessuno alla guida.

Ashton impallidì, era sempre più confuso.

-Ma cosa…?- cercò di chiedere, anche se il suo corpo agì d’istinto prima ancora che la sua mente potesse elaborarlo: salì in macchina e lasciò che l’uomo dai capelli rossi partisse a tutta velocità. 

Perchè Courtney si ostinava a chiamarlo “angelo”? Cosa stava blaterando contro gli umani? E… Per l’amor del Cielo, come poteva una macchina arrivare a comando senza alcun guidatore??

Ma, in cuor suo, sapeva che Courtney aveva ragione.

Stava per succedere una catastrofe e solo loro potevano fermarla.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: Angeli, demoni e Chardonnay ***


La macchina non si limitò a fermarsi in strada.

Entrò nel viale e arrivò quasi alla porta d’ingresso secondaria.

Per qualche istante il detective Fell pensò che Anthony fosse totalmente impazzito e volesse direttamente entrare in casa con la Bentley.

Avevano sterminato una ventina di begonie quando, per tagliare, Courtney era passato sulle aiuole.

Ma in quel momento le piante erano l’ultimo dei loro problemi.

 

Le auto della polizia erano ferme davanti all’ingresso principale, le avevano notate mentre sfrecciavano verso la porta di servizio, ma non c’era traccia degli uomini e nemmeno del commissario Marple.

Inoltre quella sensazione di pericolo imminente era aumentata a dismisura.

Ashton si scambiò uno sguardo con Anthony. La percepiva anche lui. Era scritto nella sua espressione e i suoi occhi… I suoi occhi!

Il detective non ne era certo ma sembravano… No, sicuramente la paura gli stava giocando brutti scherzi.

Entrarono velocemente in casa ma, appena dopo qualche passo, Ashton si ritrovò strattonato all’indietro. Tentò di divincolarsi e chiamò Courteny per chiedere aiuto. Le mani ora lo stavano stringendo per il collo e gli stavano mozzando il respiro. 

Di Anthony non c’era più nemmeno l’ombra.

Un istante dopo però Ashton si ritrovò libero. Si chinò in avanti e tossì un po’, paonazzo in viso. Fece dei profondi respiri per riprendere fiato, in affanno, e poi si voltò e vide Courtney, che brandiva ancora un candelabro, e uno dei poliziotti, ormai steso a terra. Notò un luccichio cremisi ma non volle indagare. Stava per venire ucciso, Anthony aveva agito per salvarlo, fine della storia.

 

Ma com’era possibile che qualcuno della polizia avesse aggredito lui? Anche se non l’avesse riconosciuto, anche un principiante sapeva che non era di certo quello il modus operandi della polizia. Ad infittire ancor più il mistero, ci fu un evento singolare: una nuvoletta color porpora uscì dalla bocca del poliziotto e scomparve giù per le scale che portavano alla cantina. Entrambi i presenti si guardarono e poi, all'unisono, si avviarono in fretta giù per le scale, Fell impugnando la propria pistola (che  aveva recuperato in commissariato), Crowley un soprammobile a forma di… Era un elefante…? E quando l’aveva preso? Che fine aveva… Oh, giusto. Il candelabro era insanguinato...

Ashton non ebbe nè tempo nè modo di rifletterci ancora su.

 

Davanti a loro, in un pentacolo disegnato in terra con del sale dallo strano colorito rosa, si ergeva un mostro dalla pelle rossa e dalle lunghe corna bianche attorcigliate. Stesi a pochi passi, forse privi di vita, c’erano i dipendenti del signor Sanders e gli uomini della polizia. Avevano un colorito violaceo e le labbra sembravano dipinte per quanto fossero di un color ciliegia acceso.

 

-Perchè invocano sempre i peggiori con cui chiacchierare..??- si lamentò Courtney, che non sembrava essere particolarmente sconvolto, al contrario di Fell che, in un momento di assoluto terrore, sparò un paio di colpi verso la creatura, la quale si voltò e ruggì.

Una nube cremisi si propagò nell’aria e andò in direzione di Ashton, il quale fece un’espressione perplessa quasi quanto quella della bestia.

Non riusciva a capacitarsi del perchè i suoi poteri avessero smesso di funzionare.

 

-Ma che bella idea, davvero!- borbottò Anthony, lasciando cadere il soprammobile a terra e spostando quindi l’attenzione su di sè.

-Senti, amico, sai che è illegale comparire in un pentacolo disegnato male… Guarda qua! Questa la chiami punta?? E quella linea tutta tremolante! Cioè, dai! Ci siamo abbassati a così tanto? La prossima volta comparirai anche quando un bambino disegnerà una stellina??-

Ashton lo ascoltò solo in parte.

Sapeva cosa doveva fare e sapeva anche di avere il tempo contato se voleva salvare tutta quella gente.

 

 Mentre Crowley continuava a distrarre la creatura infernale, Ashton… O forse era Aziraphale il suo nome…? Corse alla porta della stanza comunicante, prese quattro bottiglie del primo vino bianco a portata di mano, dello Chardonnay di una pregiata annata, e lo gettò a terra, ai piedi della bestia, pronunciando delle frasi in latino.

La creatura, ancora presa a litigare con il rosso, si accorse troppo tardi di cosa avesse fatto l’angelo intanto.

-Sia dannato tu e tutta la tua specie!! Mancava così poco!!- Urlò, in preda alla rabbia.

Si scatenò un vento fortissimo e una nube color porpora si levò dai corpi degli agenti e dei camerieri, scomparendo nel pentacolo insieme alla creatura infernale. 

Per un momento rimasero al buio totale visto che il vento aveva spento le candele usate per il rituale.

Era stato tutto molto intenso, nessuno dei due aveva voglia di aprir bocca per primo.

 

Quando il commissario Marple e gli altri malcapitati riaprirono gli occhi, non c’era traccia di Fell e Courtney.

E nessuno si ricordava di loro.

 

La governante confessò il piano che aveva organizzato con gli altri membri della servitù: si erano appassionati all’occulto grazie alle continue feste a tema del signor Sanders e avevano messo in piedi una vera e propria setta. Dopo aver visto i piccoli rituali funzionare, avevano organizzato qualcosa di più grande, per cui servivano passaggi specifici, tra cui anche l’uccisione del loro datore di lavoro, di un povero animaletto indifeso e l’uso del loro sangue mischiato con il sale.

Inutile dire che furono considerati dei pazzi e in più nessuno ricordava di aver mai visto una bestia infernale in vita propria, a parte loro. Vennero arrestati e messi tutti sotto processo.

 

Poco prima di lasciare la proprietà, il commissario Marple si fermò ad osservare dei segni sulle aiuole. Erano chiaramente stati lasciati da una macchina, ma… Nessuno dei loro era passato di lì…

I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo di due ragazzi.

Il moro era era alto, con gli occhi coperti dai capelli e un’espressione quasi scocciata. Il biondo, più basso, sorrideva come se stesse andando al luna park.

-Siamo della scientifica! Dobbiamo indagare!- disse, in modo piuttosto baldanzoso.

Nessuno dei due portava una divisa, erano solamente vestiti di nero. Uno aveva perfino uno strano tatuaggio sul collo.

“Bah, i giovani d’oggi!” pensò fra sè Marple e li lasciò entrare. Non capiva bene il perchè ma sentiva di doversi fidare di quei due… E poi era stanco e voleva andarsi a mangiare un vassoio di pasticcini.

Ebbe un vago ricordo di qualcuno con cui aveva trascorso del tempo che adorava i pasticcini ma era incapace di mangiarli senza sporcarsi con lo zucchero a velo… Abbozzò un sorriso.

 Il secondo dopo si chiese il motivo per il quale stesse sorridendo e se ne andò finalmente a casa.

 

Dal giorno dopo, quando su tutti i giornali uscì la notizia della chiusura del caso, Sanders potè riposare in pace e anche la famiglia del povero William Rosebert riuscì ad andare avanti con la rinnovata ( e definitiva) consapevolezza che il loro ragazzo fosse davvero innocente.

Nessuno si fece più domande riguardo quello che successe quella notte, tutti avevano la sensazione che mancassero dei pezzi ma sapevano di non dover indagare più a riguardo, potevano andare semplicemente avanti con le loro vite e dimenticare “L’omicidio a villa Occulto”.

 

Cosa ne fu di Ashton M. Fell e Anthony J. Courtney?


La notte in cui fermarono la bestia.


Per un momento rimasero al buio totale visto che il vento aveva spento le candele usate per il rituale.

Era stato tutto molto intenso, nessuno dei due aveva voglia di aprir bocca per primo.

 

Alla fine fu il biondo a spezzare quel silenzio.

-Crowley…- pronunciò quel nome in un soffio, come se fosse uno sforzo immane far uscire quella parola dalla bocca.

Il rosso sospirò lievemente, rasserenato dal sentirsi finalmente chiamare in quel modo.

-Angelo…- sorrise.

Aziraphale scosse il capo e, nonostante fossero ancora al buio, sapeva di essere visto da Crowley. 

-No.- fissò il demone, in fervente attesa.

Il rosso fece un profondo respiro prima di aprire di nuovo la bocca.

-Aziraphale.- .

L’angelo si commosse non appena sentì pronunciare il proprio nome.

 

In un attimo era di nuovo tutto lì, nella sua memoria.

-Da quanto…?- gli chiese, cercando i suoi occhi nell’oscurità.

-Prima, in commissariato…- Fu costretto ad ammettere Crowley, avvicinandosi all’angelo e utilizzando un piccolo miracolo demoniaco per far accendere una candela e permettergli di incontrare il suo sguardo.

-E perchè non…?- Iniziò a chiedere Aziraphale ma lasciò morire la frase così.

Sapeva già perché Crowley non lo aveva aiutato a ricordare prima del tempo.

-Credi che… Pensi… Il mio negozio di libri…?- abbozzò un lieve sorriso, un po’ in imbarazzo.

Il demone sorrise e lo abbracciò di slancio, incapace di trattenersi oltre.

-Andiamo a scoprirlo, angelo!- esclamò, con tutto l’entusiasmo di un demone che ha appena ritrovato il suo angioletto.

Aziraphale arrossì al ritrovarsi abbracciato all’amico e compagno di una lunga, lunghissima vita.

-E qui…? Come…?-

Crowley sorrise ancora, stringendosi di più a lui. 

-Ci penso io…- .

 

Quando il commissario Marple e gli altri malcapitati riaprirono gli occhi, non c’era traccia di Fell e Courtney.

E nessuno si ricordava di loro.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: L'Inizio di tutto (Ovvero: Epilogo) ***


Quei due avevano superato il limite.

In seimila anni (circa), non si era mai vista una cosa simile.

Gabriel e Beelzebub si ritrovarono a concordare assolutamente su quel punto.

Erano stati pazienti con loro, avevano chiuso più volte un occhio sul comportamento così sconsiderato di Aziraphale e Crowley perchè, in fondo, non venivano mai meno al loro lavoro e non intralciavano quello dei propri colleghi ma...

Un angelo e un demone che si baciano??

Quello era veramente troppo.

Avevano pensato a diverse punizioni... Entrambi trovarono che eliminarli fosse un po' troppo... Dopotutto era, seppur in minima parte, anche colpa loro se quei due si erano avvicinati così tanto.

Gabriel propose di cancellare loro la memoria.

Beelzebub pensò che fosse un'idea accattivante ma che lo sarebbe stata ancor più convincerli di essere umani, almeno per un po'.

Questo li avrebbe fermati e separati definitivamente?

Assolutamente no, lo sapevano entrambi.

Ma sarebbe stato divertente seguirli e vedere come se la sarebbero cavata...

Però occorreva un po' di trama, non potevano semplicemente renderli due smemorati vagabondi sulla Terra. Fortunatamente giù, da Beelzebub, c'erano ottimi scrittori, bastava solo donare loro qualche spunto.

Gabriel propose di far credere a Crowley di essere un sensitivo con la passione per la vita mondana, di contro Beelzebub decise il destino di Aziraphale: trovava più che divertente l'idea di un angelo che ha a che fare ogni giorno con morte, inganni, sofferenze... Sarebbe stato eccitante vederlo nella polizia!

Il suo amico angelico consigliò di fargli fare l'investigatore, sarebbe stato ancora più comico! Pensarono in quale città poterli collocare.

Già pregustavano il momento in cui quei due si sarebbero incontrati senza riconoscersi...

Decisero per Los Angeles, Beelzebub ne aveva sentito parlare bene da un collega che voleva aprirci un locale, magari tra qualche decennio.

Avevano un luogo, dei mestieri... Ora bastava solo far scrivere la storia e sostituire la vera memoria a quella fittizia.

E poi inserire anche un po' di convinzione che quella punizione venisse dal grande Capo in persona perchè, nel momento in cui i due avessero riacquisito la memoria, di certo non avrebbero trattato bene chi si era divertito a giocare con le loro vite

Una volta avuto tutto pronto, Gabriel e Beelzebub si scambiarono un sorriso d'intesa.

Lo spettacolo poteva iniziare.

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