Perception

di BALTO97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***



Capitolo 1
*** I ***


Anche quel giorno Kim, seduta dietro la sua scrivania, leggeva alcuni documenti mentre le dita esperte battevano sui tasti senza neanche bisogno di guardarli.
Si prospettava un’altra giornata frenetica alla Beaver & Padalechi corporation; gente che correva avanti e indietro per i corridoi, su e giù da un piano all’altro portando fascicoli, chiedendo fotocopie o firme dell’ultimo minuto; la donna era così abituata che firmava ad occhi chiusi conoscendo ogni pratica solo dal numero.
 le telefonate arrivavano una dietra l’altra senza un attimo di tregua e, tanto per cambiare, chiunque chiamasse era arrabbiato, pretendeva di avere un appuntamento prima della fine del mese oppure di parlare con Jared, cosa impossibile visto che era autorizzata a passare le chiamate al boss solo ad una stretta, strettissima cerchia di persone, come i suoi genitori e ovviamente Jensen
 
Essere la prima assistente del capo era impegnativo, comportava parecchie responsabilità e ovviamente doverlo sopportare giorno dopo giorno con grande autocontrollo, se eri particolarmente sensibile alle critiche lavorare per Jared non faceva per te.
 come oggi tanto per cambiare…  
“Kim!” la chiamò la forte voce del capo del telefono anche se, talmente urlava, chiunque poteva sentirlo direttamente dal suo ufficio
“dov’è quel buono a nulla con il mio caffè?!” chiese con tono parecchio irritato che ti augureresti di sentire mai
La segretaria sospirò passandosi una mano tra i capelli
 
“dovrebbe tornare a minuti” rispose pregando che Jared fosse magnanimo e avesse pietà di Misha
“wow, l’astinenza da caffeina lo fa parecchio arrabbiare” rise Claire, una ragazza molto carina e simpatica appena assunta addetta alla stampa ed altri lavoretti, arrivando dal corridoio camminando su tacchi vertiginosi con il tailleur perfetto e i cappelli raccolti in una coda altrettanto perfetta.
 
La precisione nel lavoro e nell’aspetto era un requisito fondamentale per lavorare nella compagnia e non essere richiamato da un alquanto adirato Jared per sentirti dire “vestiti così nel tempo libero e non qui! Questo è un luogo di lavoro e non il circo equestre”
“già” sospirò la donna prendendo l’ennesima pila di carte sospirando
“anche se non l’ho ancora trovato qualcosa che non lo faccia arrabbiare”
 
Qualche minuto dopo Misha, trafelato con il respiro affannoso, uscì dall’ascensore tenendo in equilibrio un vassoio con due tazze di caffè
“c’era un traffico” mormorò
“questa scusa non piacerà affatto a chi so io” sospirò kim senza distogliere lo sguardo dal PC
 
La segretaria non si sbagliava, Jared non prese affatto bene il ritardo di Misha tant’è che il povero assistente dovette essere veloce nello schivare il ferma carte e la tazza di caffè che il giovane gli lanciò dopo averlo sputato urlando “E’ FREDDO!” aggiungendo un “INCAPACE!”
 
“credevo che con il cambio di stagione il suo umore migliorasse” mormorò il moro tornando a sedersi dietro la sua scrivania pulendosi gli schizzi di caffè che gli erano rimbalzati sulla camicia mandando un messaggio agli inservienti con il codice 3 = ripulire ufficio
(il 2 corrispondeva a “vetro rotto da oggetto lanciato” 1 “necessario nuovo pc visto che l’attuale si trova fracassato per terra”)
 
Kim rise scuotendo la testa, un altro anno era passato e le cose non erano cambiato alla Beaver e Palalechi corporation dove tutti erano certi di una cosa; il diavolo non solo veste Prada, ha i capelli lunghi, un berretto di lana bianco e si chiama Jared
 
 
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Il giorno dopo
 
L’orologio di vetro dell’ufficio segnava le 9:30 e nell’ufficio si respirava un’aria tranquilla, Jared non sarebbe arrivato prima delle 11 e tutti i dipendenti si rilassavano sorseggiando caffè alla loro scrivania lavorando con serenità, almeno fino a quando questo il cellulare di kim squillò avvisandola di un messaggio
 “o mio dio” mormorò alzandosi in piedi attirando l’attenzione di tutti, come per esempio gli altri segretari e i vari dipendenti appoggiati al bancone a chiacchierare o accanto alla macchinetta dell’acqua
“sta arrivando! Avvisa tutti!” disse dritta a Claire che, scattando come una molla corse verso il corridoio dove prese il citofono che comunicava con tutti gli uffici degli ultimi 3 piani “allarme rosso gente! ”
 
In men che non si dica tutti i dipendenti scattarono come colpiti da una scossa
Le donne, buttarono nel cestino gli snack nascondendo sotto la scrivania le scarpe comode per infilarsi i tacchi, si rimisero la giacca del tailleur e ritoccarono il trucco nella webcam del pc, lo stesso facevano gli uomini sistemandosi la cravatta e liberando la scrivania dal superfluo
“non doveva arrivare tra 2 ore?” chiese Mark, un dipendente muovendosi velocemente
“Per questo il suo autista mi ha mandato un messaggio, il suo personal trainer ha avuto un contrattempo” spiegò Kim mentre si affrettava nell’ufficio di Jared per sostituire la bottiglia d’acqua vuota con una piena, impilare perfettamente i vari moduli e riordinare le penne
 
Nel frattempo Misha era corso verso l’ascensore che si stava già aprendo rivelando l’alta figura del suo capo;
Jared, mantenendo la sua posa rigida e l’espressione serie, si tolse gli scuri occhiali da sole
“non capisco perché sia così difficile confermare un appuntamento!” affermò togliendosi la giacca lanciandola verso il suo assistente procedendo oltre
“sono spiacente, l’ho confermato ieri” spiegò il segretario seguendolo ma sapeva che niente di quello che avrebbe detto lo avrebbe scusato
“tieni le tue scuse per qualcuno a cui interessino!” come volevasi dimostrare
 
“di a Jeff che non approvo il contratto, chiama Stuart e digli che il nuovo spot fa pene e pietà, volevo una ragazza immagine ideale, alta, sobria e sorridente, non una modella magra come un manico di scopa e 2 canotti al posto delle labbra! per la festa di Joe l’autista mi porterà alle 8:30 e verrà a riprendermi alle 8:45 precise”
Mentre Jared parlava con al seguito il moro che prendeva appunti percorrevano i corridoi e ogni volta che incrociavano qualcuno questo, alla vista del boss, abbassava lo sguardo e tornava indietro
“devi contattare l’amministratore della Colt industries e digli che non ho intenzione di accettare le sue condizioni, non mi sembra di chiedere la luna?!” affermò passando accanto alla scrivania di kim lasciando cadere una pila di carte per poi dirigersi verso il suo ufficio
“voglio il mio latte caldo senza schiuma con il caffè sulla mia scrivania tra 7 minuti!” disse prima di chiudere la porta
 
Misha sospirò sedendosi alla sua scrivania e lasciandosi andare contro lo schienale “oggi è di buon umore”
Kim sorrise “come sempre”
La mattina procedette senza incidenti o intoppi ma Misha, tra un documento e l’altro notò che Kim aveva già guardato l’orologio un paio di volte ma prima che avesse il tempo di chiedergli cosa non andasse la segretaria si era alzava e stava già bussando alla porta di Jared
 
“mr padalechi?” la voce della sua assistente lo colse di sorpresa facendolo leggermente sussultare
“si?” chiese tramutando rapidamente la sua espressione da sorpresa a seria
“volevo ricordarle che la riunione con l’amministratore delegato è iniziata, sala 4” disse la donna restando sulla porta
Il giovane controllò rapidamente l’orologio mentre si alzava e usciva velocemente passando alla sua segretaria un biglietto
“chiama questo numero e prenotami un appuntamento il prima possibile” affermò prima di passargli oltre aggiungendo un fugace “grazie”
 
Kim annuì ma Jared era ormai lontano
 
“strano” mormorò tornando alla sua scrivania, Jared non aveva mai dimenticato una riunione anzi, spesso andava nella sala qualche minuto prima per essere lì prima dell’arrivo degli altri
 
“forse è distratto, in effetti ultimamente è stato parecchio nervoso” esclamò Misha
 
Kim annuì mentre componeva il numero restando assai sorpresa quando all’altro capo del telefono rispose uno studio medico, ma prese l’appuntamento e fece finta di niente anche se trovava la faccenda alquanto curiosa, o forse preoccupante
scrisse la data e l’orario e portò il post-it nell’ufficio del capo, l’appunto anche sull’agenda e sul palmare
 
All’ora di pranzo Misha aveva il compito di portare l’ordine, arrivato da asporto da uni dei ristoranti preferiti di Jared nel suo ufficio, il giovane infatti preferiva pranzare lì per restare concentrato sul lavoro e ogni tanto usciva probabilmente con Jensen o si vedeva in qualche bistrò per parlare di affari con delegati di altri paesi
Dopo aver bussato il segretario entrò con il vassoio mormorando “è arrivato il suo ordine”
Non si aspettava certo che Jared, dietro la scrivania, spostasse il telefono dall’orecchie dicendo “oggi no”
“non ho molta fame” aggiunse tornando alla sua telefonata, girando la sedia verso la grande vetrata che dava sulla città
 
Il moro, leggermente confuso, annuì per poi uscire.
Trovava assai strano che il suo capo non avesse quel suo tipico appetito che lo portava a divorare due bistecche con contorni vari e un’intera porzione di patatine fritte che mandava giù con litri di bibite gassate, riuscendo chissà come a mantenere quel fisico statuario da dio norreno
Portò il pranzo nella piccola cucina del piano e scrisse su un bigliettino “proprietà di Jared”, scrivere “se lo tocchi sei morto” sarebbe stato uguale ma preferì non esagerare
 
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“buona serata” disse Jared uscendo dal suo ufficio
“altrettanto” risposero i segretari mentre si mettevano la giacca anche loro pronti per tornare a casa ma a Kim non sfuggì il movimento del suo capo che, passando accanto alla scrivania, gettò qualcosa nel cestino prima di raggiungere l’ascensore
La donna non riuscì a trattenere i suoi occhi che, prima di lasciare l’ufficio seguita da Misha, caddero su quello che Jared aveva buttato nel cestino; uno strano flacone di pillole arancione completamente vuoto
“curioso” pensò 
 
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Jared parcheggiò l’auto nel vialetto e, come faceva ogni sera da quando tempo ormai neanche lui se lo ricordava, spense l’auto ma non uscì subito
Tenendo le mani sul volante guardò la luce che filtrava dalle finestre e sorrise
Il pensiero che dentro c’era l’amore della sua vita che, molto probabilmente, stava preparando la cena e litigando con i cani che gli stavano tra i piedi con in sottofondo un vecchio cd di musica classica lo faceva sentire davvero bene.
finalmente poteva lasciarsi alle spalle la maschera rigida e severa che doveva portare al lavoro e lascarsi andare, tornare a essere Jared, non più il boss che tutti temevano ma semplicemente sé stesso con vicino l’uomo che lo conosceva davvero per quello che era e lo amava davvero, non perché era il capo, ma perché era lui.
 
Prendendo un respiro profondo uscì dall’auto e entro annunciando con tono allegro
“Jens amore, sono a casa”
 
Come sempre i cani gli corsero incontro saltando festosi alla vista del loro padrone, il giovane non seppe resistere e ridendo si sdraiò a terra lasciando che il loro muscoloso doberman, Remson, gli leccasse il viso mentre Winston, il loro bulldog inglese, gli faceva il solletico camminandogli sul petto
Veniva naturale pensare che il minaccioso cane da guardia con i denti affilati e il fisico muscoloso con il collare borchiati fosse di Jared e che in una stanza della casa avesse un trono, in oro in stile barocco con una coperta di pelle di tigre bianca, dove si sedeva con accanto il fedele guardiano a 4 zampe proprio come in un film sulla mafia; ma la verità era ben diversa
Remson non solo era la guardia del corpo di Jensen ma il suo migliore amico, con il biondo l’intimidatorio cane si tramutava in un agnellino mansueto, coccolone e docile
Invece il buldog a cui avevano dato il nome tipicamente inglese Winstons perché li faceva tanto ridere, era il suo compagno di giochi, lo lanciava sui cuscini, nascondeva sotto la coperta e si divertiva a vestire con le magliette delle squadre di football e il cane con la corporatura tipicamente tozza, con le zampe corte e possenti, il muso schiacciato e le simpatiche rughe sulla fronte dormiva solo sul lato del letto di Jared e ogni volta che il giovane si tuffava in piscina lo seguiva
 
Anche quella sera, dopo aver sentito la squillante voce di Jared che lo avvisava di essere tornato Jensen gli andò incontro nell’atrio dove, tanto per cambiare, lo trovò sdraiato a terra con i cani che praticamente lo calpestavano
“devo iniziare a scodinzolare anche io per avere un bacio?” domandò con un sorriso ironico
Un attimo dopo il giovane era in piedi e aveva unito le loro labbra in un bacio appassionato e mentre gli stringeva i fianchi per tirarlo più vicino il biondo gli passava le dita tra i lunghi capelli, scompigliati
“è bello tornare a casa”
 
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“allora com’è stata la tua giornata?” domandò Jensen;
erano seduti a tavola, il maggiore davanti a una porzione di verdure e un petto di pollo grigliato, mentre il giovane si gustava una bistecca con contorno di patatine fritte affogata nella salsa barbecue che stava divorando con grandi bocconi, insieme a un grande bicchiere di bibita gassata
“bene” rispose Jared con la bocca piena lanciandogli un’occhiata veloce prima di tornare a concentrarsi sul pezzo di carne perfettamente al sangue
 “sapevi che hanno aperto un altro supermercato vegano? Dovremmo andarci, magari avranno anche quelle patatine alla barbabietola, lasciano la lingua rossa ma sono croccantissime” aggiunse prendendo un sorso del suo latte “e dobbiamo portare Ramson a tagliare le unghie” continuò ma ancora una volta il giovane al suo fianco sembrava troppo intento ad intingere le patatine nella salsa
“ho letto un’interessante articolo sulle balene nel nuovo numero di Oceani, sapevi che i piccoli appena nati pesano una tonnellata e solo lunghi 4 metri?” domandò e aspettò, quando fu certo che Jared non lo stava ascoltando raccolse un broccolo e lo lanciò colpendolo sulla guancia
“eh, si cosa?” chiese confuso il giovane con guardo spaesato e, quando incontrò i suoi occhi, si rese conto che non lo stava ascoltando
“scusa amore” affermò con un sospiro “stavo pensando” ammise
“qualcosa di importante?” domandò Jensen
Jared aprì la bocca e fece per dire qualcosa ma poi si fermò, osservò il suo ragazzo per qualche istante, perdendosi in quei bellissimi occhi verdi e in quel labirinto di lentiggini
“no” disse con un sospiro e un sorriso, lasciò il coltello e portò la sua mano su quella dell’altro facendolo sorridere e nel frattempo arrossire
“solo questioni di lavoro, niente di cui preoccuparsi” esclamò stringendogli la mano
“e tu” continuò “hai dipinto qualcosa con il rosso e l’arancione?” chiese sorridendo soddisfatto dell’espressione confusa del suo ragazzo poi, con gli occhi, indicò la sua felpa e a Jensen non ci volle molto per notare le varie macchie di vernice rossa e arancia sulle maniche, sulle mani e era certo ne avesse sia sul viso che sui capelli
“colpevole”
 
Per fortuna di Jared, Jensen non fece altre domande così il giovane non dovette trovare delle scuse per non farlo preoccupare e dopo cena, come sempre, si sistemarono sul divano per godersi un film sul loro maxi schermo e Jared non poteva chiedere di meglio; sdraiato comodamente sul divano dove poteva allungare le sue gambe senza problemi (valeva tutti i soldi per averlo fatto personalizzare) Jhonny Depp nei panni di Jack sparrow e, soprattutto, Jensen sdraiato sul suo torace dove poteva passare le dita tra i morbidi capelli biondi, ancora sporchi di pittura, era orgoglioso di se stesso per averlo convinto a farli crescere, certo non erano lunghi come i suoi ma erano comunque stupendi perché ora poteva giocare con quel bellissimo ciuffo che gli e le punte leggermente arricciate sulle orecchie
Tutto era perfetto, niente poteva renderlo più felice di essere a casa con l’uomo che amava
Ma il clima idilliaco, da film romantico, durò fino a quando Jensen, all’improvviso, si mise seduto iniziando a guardarsi intorno confuso, muovendo la testa a destra e sinistra
“tutto bene?” domandò Jared appoggiandosi sui gomiti ma l’altro non rispose, anzi, alzandosi si avvicinò velocemente alla vetrata che dal soggiorno dava sul giardino sul retro dove si vedevano il portico in legno, il barbecue in muratura e un pezzo della piscina
“Jensen” lo chiamò il giovane
“hai sentito?” chiese il maggiore con lo sguardo fisso all’esterno
Jared sospirò ma non in modo scocciato o esasperato, anzi, restando calmo domandò “cosa dovrei aver sentito, amore?”
“una voce” rispose l’altro per poi aggiungere “veniva da fuori” mentre apriva la porta finestra e freneticamente usciva a piedi nudi, con la maglia a mezze maniche, in pieno ottobre a Vancouver; per questo e altri motivi Jared lo seguì prontamente “Jens, ti prego amore, fa freddo torna dentro”
ma il biondo non parve sentirlo, appoggiato alla ringhiera di legno mormorava “gridava aiuto” continuando a muovere lo sguardo a destra e sinistra, tra il giardino e la piscina.
“Jensen” lo chiamò appoggiandogli una mano sulla spalla ma, come prevedibile, l’altro si allontanò al tocco esclamando “no! io l’ho sentito” lanciandogli uno sguardo a metà tra il furioso e l’esasperato ma al contrario di lui il giovane non si scompose; restando calmo gli andò vicino chiamandolo per nome mentre gli prendeva i polsi per non farlo allontanare e nonostante l’altro provasse ancora a desistere non si arrese fino a quando non riuscì a farlo stare fermo
“chiamava aiuto e…” sussurrò Jensen guardandosi ancora in giro
“aiuto mi stanno portando via?” finì per lui il giovane
“si” disse il biondo con un sorriso ma poi, i suoi occhi spalancarono mentre le spalle sprofondavano sotto il peso della consapevolezza
“mi dispiace” sussurrò con un sospiro e lo sguardo basso
Jared annuì tirandolo vicino in un abbraccio in cui l’altro si sciolse nascondendo il viso nell’incavo del suo collo prendendo un respiro profondo
Il giovane non smise di accarezzargli la schiena lentamente in un dolce movimento rilassante “tutto bene”
“forza” aggiunse non allontanandosi troppo “andiamo dentro”
Una volta tornati nel confortevole tepore della casa Jensen si diresse verso la cucina mentre Jared si preoccupava di chiudere tutte le porte e le finestre inserendo i vari allarmi e controllando che le telecamere fossero accese, poi anche lui andò in cucina dove il biondo, seduto sul bancone, beveva un bicchiere d’acqua
Il giovane si avvicinò e subito l’altro sorrise leggermente vedendo il compagno venirgli vicino
“va meglio?” chiese passandogli le mani nei morbidi capelli biondi per poi scendere sul viso e accarezzargli le guance
Jensen annuì evitando comunque il suo sguardo, il giovane lo notò e sapeva fin troppo bene che dopo episodi del genere il suo ragazzo si sentava imbarazzato a disagio e stanco, sicuramente la sola cosa che voleva fare era dimenticare e fare come se non fosse successo niente ma Jared sapeva che c’era un’altra questione spinosa da affrontare
“dovresti prendere le medicine” affermò mettendogli le mani sulle spalle massaggiandole dolcemente
“Le ho già prese oggi” rispose l’altro con un sospiro esasperato “le prendo tutti i giorni…”
“lo so” replicò Jared, sapeva che al contrario di quando lo aveva conosciuto, ora Jensen era molto più preciso con la terapia farmacologica invece che prenderle quando si ricordava, o aveva voglia, ma sapeva anche che nell’ultimo mese avevano smesso di fare effetto ed era proprio questo a spaventarlo
Jensen sospirò nuovamente “ma tanto non fa nessuna differenza, anche se le prendo non cambia niente…”
Il giovane annuì incrociando le braccia saltellando da un piede all’altro “oggi ho preso un appuntamento con quel medico, quello che ci ha consigliato Daniel” esclamò
“se credi che posso essere utile” disse Jensen con lo sguardo basso e un’alzata di spalle
“sentire un secondo parere è sempre utile” replicò il giovane e sapeva di star entrando in un campo minato
“dire che è più il quindicesimo parere” sbuffò Jensen “e tutti hanno detto la stessa cosa” aggiunse
“c’è un’altra cosa…” continuò il giovane “credo… credo che sia ora di iniziare a pensare a…”
“No” lo interruppe il biondo scuotendo la testa “non dirlo di nuovo” sospirò mentre si alzava dal bancone e camminando per la cucina passandosi una mano nei capelli “lo sai cosa ne penso di quella terapia… ci sono troppi lati negativi”  
Jared lo sapeva
“potrebbe essere una soluzione”
 
“avevamo detto che non ne avremmo parlato per un po'” esclamò Jensen voltandosi e sbattendo le braccia lungo i fianchi
“vero…” ammise Jared “ma poi non ne abbiamo più parlato” aggiunse
 
“Lo so quello che pensi” disse appoggiandogli le mani sulle ampie spalle “davvero lo capisco, ma aspettiamo” continuò accarezzandolo poi si sporse e alzandosi leggermente sulle punte dei piedi gli lasciò un morbido e semplice bacio sulle labbra sottili imbronciate in una chiara espressione di dissenso, ma Jared non disse altro e accontentandosi di mormorare un “come vuoi” osservo l’altro tornare verso il divano sperando che, la prossima volta, ne avrebbero davvero parlato
 
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La sveglia sul comodino segnava le 3:35 e Jared cercava di riaddormentarsi da quando si era svegliato alle 2:50
Le luci dei lampioncini del giardino erano l’unica fonte di luce che penetrava dalle tende non completamente tirate, il rumore della pioggia e i leggeri tuoi in lontananza erano rilassanti ma non lo aiutavano
Accanto a lui, sotto il piumino, seminascosto nel morbido cuscino Jensen dormiva pacificamente, il viso rilassato e il respiro leggero
Sarebbe stato un peccato svegliarlo
Si alzò facendo il più piano possibile, sistemò le coperte, infilò un paio di pantaloni e una maglietta scartata e, evitando di mettersi le pantofole uscì.
il piano di sotto era buoi, ma più illuminato dalla camera da letto visto che dalla grande vetrata che andava da una parte all’altra della casa entrava più luce non solo dai lampioncini del giardino ma anche da quelli del portico
Winstons era rimasto in camera dove dal suo cuscino non si era neanche accorto che il padrone si era alzato ma, al contrario Remson, da buon cane da guardia, appena sentiti i passi di Jared sulla scala aveva alzato le orecchie dal suo posto sulla poltrona
“hey bello” sussurrò accarezzandogli la testa passandogli oltre andando verso la vetrata dove per un lungo minuto osservò, o meglio contemplò, la pioggia che cadeva sul prato, il rumore che faceva battendo sul legno o gli effetti che produceva nell’acqua della piscina
10 anni prima, quando era un novellino nel mondo del lavoro, un ragazzino di 22 anni fresco di laura appena trasferito dal caldo Texas nella gelida Vancouver che viveva in un monolocale in cui per far diventare l’acqua calda dovevi dare un pugno ben assestato allo scaldabagno, non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe arrivato ad avere tanto, una casa lussuosa, una bella macchina e il suo nome su una delle aziende più importanti del Canada
Onestamente ogni tanto sentiva la mancanza di quel periodo in cui la sua unica preoccupazione era quale pizza ordinare per cena e soprattutto riuscire a convincere il suo vicino dagli occhi verdi a uscire per un caffè, quasi non riusciva a crederci che ora quel ragazzo stava dormendo nel suo letto e questo per Jared era il successo più grande
 
Ma allora perché non riusciva a dormire, perché si sentiva in colpa?
Forse perché non aveva detto a Jensen che aveva già chiesto a Kim di prendere un appuntamento con quel medico del centro o parlato di quei farmici prescrittigli dal medico
 
Con un sospiro tornò in soggiorno, di preciso verso il piccolo mobiletto preso in un viaggio in Tailandia, particolare per gli elefanti intagliati su entrambi i lati e per i tanti scompartimenti nascosti all’interno e proprio da uno di questi prese una bottiglia di rum, regalo di un collega, si sistemò sul divano, con le gambe allungate sul pouf e portò la bottiglia alla bocca prendendone un lungo sorso, assaporandone il sapore dolce amaro del liquido ambrato per poi prendere un sospiro e appoggiare la testa all’indietro sul divano
 
Il rumore della pioggia era rilassante e fu proprio il distensivo rumore che gli riempì la mente a non fargli sentire i passi di Jensen, per questo sussultò quando sentì la sua voce “si, la scelta per risolvere l’insonnia tra una camomilla e il rum è ovvia”  
Aprì gli occhi di scatto trovandosi il maggiore a pochi metri distanza con le braccia incrociate e l’espressione sia interrogativa che sorridente
 
Jared sorrise di rimando alzando le spalle mormorando uno “scusa” come un bambino beccato in flagrante con la mano nel barattolo di biscotti
Il biondo scosse la testa raggiungendolo e Jared gli avvolse le spalle con il braccio tirandolo più vicino così che avesse la testa appoggiata sulla sua spalla
“ti ho svegliato?” domandò dopo l’ultimo sorso
Jensen scosse la testa “mi sono svegliato e tu non c’eri” rispose con tranquillità accendendo la tv, non tanto perché ci fosse qualcosa di interessante ma avere giusto qualcosa da guardare
Infatti per qualche minuto restarono in silenzio, un piacevole silenzio, il giovane accarezzava la spalla mentre Jensen gli accarezzava la gamba
Il film, già a metà, sembrava interessante e Jared si lasciò coinvolgere dalla trama poliziesca, fino q quando non si accorse che Jensen lo stava fissando “che c’è?” domandò con un sorriso
L’altro non rispose e, anche lui con un sorriso, gli accarezzò la barba che copriva le guance e il mento ed era abbastanza lunga da permettergli di passarci le dita attraverso e vederle scomparire tra i peli scuri
“non ho avuto tempo di radermi, lo farò domani” affermò accarezzandosi a sua volta il viso, non aveva mai avuto la barba così lunga e, doveva ammetterlo, trovava sia comico e adorabile che nonostante lui fosse più giovane di Jensen con la barba sembrava molto più grande
“non mi dispiace” mormorò Jensen senza smettere di accarezzarla “anzi” continuò sporgendosi leggermente per sfiorargli le labbra “Mi piace” aggiunse
“mmh” gemette il giovane annuendo e alzando le sopracciglia “non ti sembravo un cavernicolo?” chiese mentre, inconsciamente ma non troppo, raddrizzava le spalle e alzava il mento con fare presuntuoso
Jensen stette al gioco e dopo aver sussurrato un “mh mh” si spostò sulle ginocchia con le mani sulle spalle e il viso a un soffio dal suo e, automaticamente, Jared gli portò le mani dietro la schiena non preoccupandosi di sfiorargli il fondoschiena avvolto nel sottile intimo
“un forte… rude cavernicolo?” domandò di rimando “hai intenzione di darmi la tua clava sulla testa, prendermi per i capelli e trascinarmi nella tua caverna?” aggiunse lasciandogli una lunga serie di baci sulle labbra
Il giovane dovette fare uno sforzo per controllarsi e non togliergli i pantaloni del pigiama e dimostrargli quanto poteva essere forte ma questo flirt non gli dispiaceva affatto
“vorresti farmi indossare un intimo di pelle di animale?” domandò strizzando l’occhio
Jensen si allontanò quel tanto che bastava per guardalo negli occhi poi si avvicinò al suo orecchio e sussurrò qualcosa che provocò a Jared non solo una serie di brividi che gli corsero lungo tutta la schiena e mandò una scossa alla sua virilità
“veramente mio forzuto uomo delle caverne, non ti vorrei con niente addosso”
 
il giovane con un movimento veloce lo spinse e se non fosse stato per la sua prontezza nell’afferrarlo Jensen probabilmente sarebbe caduto, ma il piano di Jared era proprio quello di usufruire del loro morbido tappeto a pelo alto, bianco e nero, per dimostrare al biondo quanto potesse essere soffice il suolo della sua caverna
e mentre Jensen era sdraiato sul soffice manto striato davanti Jared si toglieva i pantaloni e non esitava un attimo a raggiungerlo, coprendo il suo corpo con il proprio avventandosi sulla sua bocca e facendo vagare le mani praticamente ovunque su quel corpo magnifico, dalle spalle, ai fianchi fino ai glutei e poi sotto le ginocchia per incitarlo ad avvolgergli le gambe intorno a fianchi
 
con movimenti veloci e sconclusionati il biondo allungò la mano e frugò in uno dei cassetti del mobile dove recuperò il tubetto di lubrificante e un preservativo; ormai lo facevano praticamente in ogni stanza e così avevano disseminato il necessario in ogni dove, il che era anche imbarazzante quando un ospite cercando un pacchetto di fazzoletti si imbatteva in quegli oggetti.
 
Forse per via dei baci che il giovane gli stava lasciando su tutto il basso ventre o perché i muscoli degli addominali di Jared sfregavano contro la sua esposta virilità, ma le sue mani tremavano e non riusciva a strappare l’involucro del profilattico
Jared impaziente non riusciva ad aspettare ancora e prendendoglielo dalle mani se lo portò ai denti e lo strappò in un gesto che più ad un giovane amente si addiceva, con ironia, ad un rude uomo delle caverne voglioso
Il tubetto portava già i segni delle mani di Jared che così tante volte in preda all’euforia lo aveva schiacciato
Il gel era freddo e nemmeno il caldo bacio che si stavano scambiando impedì al biondo di sussultare all’intrusione delle dita del giovane e poi quando a queste sostituì la sua virilità Jensen strinse i ciuffi del divano
 
Pochi secondo dopo, entrambi sudati, respiravano affannosamente sdraiati sul tappeto
“vuoi andare a letto?”  domandò il biondo tra un respiro affannoso e l’altro
“non credo neanche di riuscire a stare in piedi e tu pretendi di farmi fare le scale” esclamò passandosi le mani nei capelli leggermente sudati
“che fine ha fatto il rude e brutale cavernicolo?!” domandò ironico Jensen raccogliendo la coperta dal divano per stenderla fino alla vita mentre il giovane recuperava due cuscini e rimetteva il lubrificante e i preservatici al loro posto
“il tuo cavernicolo non ha più 20 anni” rispose circondandogli la vita con le braccia tirandolo vicino poi, abbracciati entrambi si addormentarono
 

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Capitolo 2
*** II ***


Il giorno dopo era domenica e, escludendo la colazione nel loro bar preferito, la corsetta mattutina di Jared, i loro piano comprendevano il girare per casa in mutande, quando si ricordavano di indossarle, con in sottofondo un disco di musica rock facendo l’amore praticamente ogni volta che si sfioravano e su ogni superficie possibile; per esperienza sapevano che il paino della cucina era perfetto così come il tavolo, la mensola del mobile in corridoio no, visto che dopo l’ultima volta Jensen si era ritrovato con un livido sui glutei e Jared un gomito contuso
 
Dopo pranzo e un riposino pomeridiano, se così si potevano definire il crollare sul letto esausti dopo un magnifico amplesso, decisero che usufruire della loro piscina riscaldata sarebbe stato un buon modo per passare il pomeriggio
Jared divorava una vasca dopo l’altra alternandosi tra dorso e stile libero, insieme al correre nuotare era la cosa che preferiva per liberare la mente dai pensieri e dallo stress dovuto al lavoro, Jensen invece preferiva stare seduto su uno dei tavolini a bordo piscina e disegnare sul suo quaderno con davanti una tazza del suo thè fumante
La matita si muoveva leggiadra sul foglio, come se danzasse lasciando dietro di sé una striscia nera; era soltanto un abbozzo di quello che fra qualche giorno sarebbe stato un disegno su una tela, un qualcosa di astratto, proprio com’era nel suo stile
Un fruscio leggero, qualcosa di solo sottilmente percettibile proveniente dal canneto di bambù che si trovava accanto alla staccionata che divideva casa loro da quella dei vicini, attirò la sua attenzione
Strizzando gli occhi, il biondo, inclinò leggermente la testa confuso e incuriosito da quale potesse essere la causa
Per qualche secondo tutto rimase tranquillo, neanche una foglia di bambù si muoveva e né Remson né Winston si erano mossi, Jensen pensò che molto probabilmente doveva essersi confuso e fece per tornare al suo schizzo quando qualcosa attirò la sua attenzione
Un’ombra, un’ombra, grande quanto un essere umano si mosse dietro alcune canne; lasciando cadere la matita per terra iniziò a sentire il suo respiro accelerare mentre era certo che la stessa ombra ora lo stesse fissando
“Jay” sussurrò lanciando una veloce occhiata al giovane ma questo era a metà vasca e con la testa sott’acqua e Jensen non voleva tenere per troppo tempo gli occhi lontano dall’estraneo che lo stava ancora guardando nascosto tra le piccole piante verdi
Con movimenti sconclusionati, mani e gambe tremanti, si alzò in piedi iniziando a indietreggiare
 
I due cani guardarono il loro padrone disorientati e la stessa sensazione provò il giovane quando, riemerse dall’acqua, vide il maggiore camminare all’indietro ma prima di avere il tempo di chiedergli spiegazione lo vide inciampare nel tubo dell’acqua e cadere all’indietro mancando per poco lo spigolo di pietra dall’aiuola con la testa
“o cazzo Jensen” esclamò uscendo freneticamente dalla piscina raggiungendolo “cos’è successo?” chiese aiutandolo a mettersi seduto e, per sicurezza, controllando che il biondo non avesse colpito la dura pietra
Senza rispondergli il biondo si alzò e, ancora con il respiro affannoso un po' per la caduta e un po' per lo spavento, guardò velocemente Jared poi con passi piccolo e tremanti si avvicinò al canneto mentre il giovane, ancora inginocchiato, gli rivolse un sorriso incoraggiante e comprensivo
“va tutto bene” disse alzandosi e andandogli vicino “è passato” aggiunse abbracciandolo da dietro appoggiando il mento sulla spalla
“Non era niente”
 
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Qualche giorno dopo alla Beaver e Padalechi corporation
La pioggia batteva incessantemente contro le vetrate del palazzo e gli spessi nuvoloni neri che coprivano il cielo rendevano l’umore di tutti parecchio cupo
 
Jared era in ufficio, impegnato in una riunione al computer, e questo permetteva ai segretari del piano di stare tranquilli per almeno un’ora
Misha era comodamente spaparanzato sulla sua sedia e rideva insieme a Claire, appoggiata alla scrivania insieme ad altri dipendenti, chiacchieravano del più e del meno
“anche voi avete notato qualcosa di strano nel capo in questo periodo?” domandò ad un certo punto il moro guardando verso la porta dell’ufficio per essere sicuro che non spuntasse all’improvviso “in effetti non mi ha urlato contro quando gli ho detto che mi sono dimenticato di passare in lavanderia” affermò Claire annuendo “e anche ieri Kim ha dovuto ricordargli una riunione” aggiunse il segretario
“ha delegato la pratica dopulous a Tony” disse Steve, un altro dipendente
“quella pratica è importantissima, l’ha fa sempre lui!” replicò la ragazza e mentre i suoi colleghi discutevano tra loro Misha sospirò mormorando un “qualcosa non va…”
 
“Kim? Tu cosa pensi?” domandò voltandosi verso la prima assistente del boss
La donna non distolse lo sguardo dal PC mentre, con tono serio rispondeva “penso che non siano affari nostri”
Questo zitti gli altri segretari che, anche loro, si voltarono verso di lei
“Kim” disse Claire confusa “sai qualcosa?” chiese con una nota di curiosità e divertimento nella voce
Kim sospirò passandosi una mano tra i capelli “ok”
“ma io non vi ho detto niente” aggiunse “mi ha chiesto di prenotare una serie di visite mediche da uno specialista, sottolineando che era importante ottenere un appuntamento il prima possibile”
 
Tutti sussultarono stupiti “perché?” domandò Steve
“non me l’ha detto” rispose Kim
 
“certo che è strano … è distratto, sta sempre al telefono e prenota delle visite” mormorò Misha tornando a guardare verso la porta dell’ufficio
 
“comunque non sono fatti nostri” ripeté Kim ma Claire non sembrava affatto convinto anzi “lo sono se rischiamo il posto” esclamò con tono quasi di sfida, ma infondo non ci si poteva aspettare altro dalla giovane ragazza, per Jared era stato fin troppo facile domare questo suo lato ribelle, ma per tutti gli altri dipendenti era solo una peperina.
 
“sono sicura che non sia niente di grave e non dovremmo preoccuparci di perdere il lavoro” disse la segretaria seria rimettendo facilmente in riga l’atteggiamento della nuova assunta
“O impicciarci di cose che non ci riguardano” aggiunse “torniamo al lavoro prima che esca e ci faccia stare qui fino a mezzanotte”
 
I presenti sospirando si allontanarono tornando nei loro uffici, Claire tornò ai suoi moduli da stampare mentre Misha al suo computer almeno fino a quando, dopo un sospiro
“forse dovremmo chiedergli qualcosa” mormorò
 
La donna scosse la testa “dovresti sapere che non ama chi gli fa domande sulla sua vita privata. E ora torna al lavoro hai abbastanza cosa da fare per tenere la mente impegnata!”
 
Non erano neanche le 16 quando la porta dell’ufficio di Jared si aprì e il giovane boss uscì con la giacca in mano, le maniche della camicia bianca arrotolate fino ai gomiti e sotto braccio la sua cartellina nera che portava sempre con sé
“io vado, ho un impegno, Kim ricordati di inviare la pratica edilizia alla Wincherster company” annunciò lasciando sulla scrivania del segretario alcune carte per poi salutare con il solito “ci vediamo domani” incamminandosi verso l’ascensore
Kim e Misha lo salutarono mentre lo osservandolo allontanarsi
 
“sempre più curioso” mormorò il segretario accertatosi che l’ascensore si fosse chiuso
“va solo a casa prima, non è la prima volta” rispose Kim con una scrollata di spalla
 
“No” affermò serio Misha ruotando leggermente sulla sedia girevole
“hai notato il livido sulla parte interna del gomito?” chiese riferendosi ad un piccolo, insignificante livido bluastro con delle sfumature viola nell’incavo del gomito
 
Kim si arrese sospirando mentre anche lei si spostava con la sedia trovandosi così faccia a faccia con il moro
“si l’ho visto e allora?”
“probabilmente avrà fatto un esame del sangue” aggiunse
Misha non demorse “non sei neanche un po' curiosa di sapere perché è così strano in questo periodo?”
La donna sbuffò nuovamente “no! e ti ricordo che l’ultima volta che ti sei messo a curiosare nella sua vita privata ci hai fatto credere che fosse una specie di… di…  coso Grey con manette e frustino!” esclamò
Fu il turno di Misha di sbuffare prima di lasciarsi ricadere contro lo schienale della sedia, effettivamente l’ultima volta era stato parecchio imbarazzante, specie quando avevano scoperto che non era niente del genere
Ma proprio non riusciva a smettere di farsi tante domande e forse ad essere anche un po' preoccupato per Jared, dopo averlo visto alla festa con Jensen aveva capito che dietro quell’immagine da duro c’era un uomo sensibile.
 
Kim ruotò la sedia tornando al suo lavoro esclamando “sono sicura che va tutto bene”
 
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L’orologio segnava le 18:30 quando Jared entrò in casa, i cani non gli corsero incontro quindi probabilmente erano nel giardino sul retro o in qualche stanza ma mentre si toglieva la giacca vide Jensen venirgli incontro e sorrise “scusa il ritardo c’era traffico” disse, ma il biondo non sembrava molto interessato a quello che stava dicendo infatti, una volta arrivatogli vicino gli accarezzò le spalle mormorando qualcosa di incomprensibile
Il giovane avrebbe riconosciuti ovunque quei mormori e sorrise imitando i gesti dell’altro iniziando ad accarezzargli i fianchi “ti sono mancato?” chiese notando le macchie di vernice sulla felpa verde militare, sui jeans e persino nei capelli e suoi piedi nudi, era strano ma Jensen amava dipingere senza scarpe né calzini anche con meno 40 gradi
Il biondo non rispose ma sporgendosi, quasi con brutalità, intrappolò le labbra di Jared in un bacio appassionato, bagnato, prepotente
Al giovane non dispiacque affatto mentre prontamente rispondeva avvolgendogli i fianchi tirandolo più vicino e mentre Jensen gli metteva le mani nei capelli, gemendo staccandosi appena per prendere fiato mormorò
“se continui così non arriviamo in camera da letto” per poi tornare ad avventarsi su quelle labbra così invitanti, rosse e successo come una ciliegia matura
“chi ha detto che dobbiamo arrivare in camera da letto” rispose in un altro mormorio Jensen
 
Jared emise un suono gutturale, quasi un grugnito, portandogli le mani sui glutei perfetti e sollevandolo mentre il biondo avvolgeva le gambe intorno ai suoi fianchi e le braccio intrecciate dietro le ampie muscolose spalle
Entrambi potevano sentire che il bacio, le lingue che si sfioravano e le labbra che toccavano, succhiavano, ogni centimetro della pelle del collo, stavano facendo effetto anche più in basso dove il tessuto dei boxer era sia fastidioso contro la pelle tesa sia un appagante contatto
 
Jared sapeva che, nonostante la sua forza, non sarebbe riuscito a portare Jensen in camera, o meglio forse si, ma il suo ragazzo continuava a dimenarsi sfregando la sua intima durezza contro il suo basso ventre e questo non solo faceva tremare le braccia del giovane ma anche desiderare i arrivare alla prima superficie piana e sbottonargli i pantaloni
Per fortuna nell’atrio, accanto al piano forte, avevano sistemato una chaise longue in pelle nera su una base di legno di noce regalata da un vecchio amico il giorno dell’inaugurazione della casa
Poco importava se non sarebbero stati troppo comodi o se non sarebbero riusciti a sdraiarsi, era una superficie morbida e la prima a disposizione
Senza quella, probabilmente, Jared non ci avrebbe pensato due volte a farlo sul pavimento dell’ingresso; infondo lo aveva fatto in posto non solo molto più strani (il gazebo, sul tavolo da biliardo in taverna, il cofano della macchina in garage) o molto più pubblici ( il suo ufficio, il ripostiglio del museo durante una mostra)
Sdraiati, senza smettere un solo secondo di toccarsi o baciarsi, Jensen iniziò ad armeggiare con la zip dei pantaloni dell’altro mentre al giovane non ci volle molto ad abbassargli i pantaloni i pantaloni della tuta orientandosi, visto che stava ancora baciando Jensen, con le mani sorridendo quando costatò che oltre ai calzini il suo ragazzo non portava anche un’altra cosa.
E mentre il giovane sorrideva e sentiva la sua eccitazione crescere al pensiero di Jensen senza intimo per tutto il giorno, si sentì stringere proprio lì, la sua virilità stretto nella mano nell’altro
“wow” esalò incapace di trattenere un gemito “qualcuno qui è affamato” mormorò con un sorriso ma al contrario di lui Jensen non sorrise mentre gli afferra i capelli con la mano libera “non giocare” affermò con un filo di voce, il respiro accelerato e le pupille così grandi da riempire quasi tutto l’occhio
Jared si irrigidì un attimo poi, il suo sorriso divertito si tramutò in qualcosa di molto diverso; divenne un’espressione accattivante e mentre la lingua del giovane accarezza i denti bianchi le sopracciglia si sollevarono
“non vuoi giocare” sussurrò avvicinando la bocca al suo orecchio e la sua mascolinità a Jensen, sfiorandolo languidamente “e se io volessi farlo?” domandò poi le mani, che nel frattempo erano scese fino ai fianchi, strinsero le ossa del bacino e in un mossa precisa, ormai divenuta abitudine, lo fece suo
Il verso del biondo morì nella sua gola mentre gli occhi si chiudevano per andare incontro al piacevole dolore delle spinte del giovane “Jay” gemette quando sentì che, questa volta, era il giovane ad avere tra le mani la sua virilità “no…” mormorò tra un respiro e l’altro “Non credo che”
Infine, quando il giovane si irrigidì e gemette dopo l’ennesima spinta, mormorando un “o cazzo” gutturale e profondo con le labbra che tremavano e il sedure che gli impelava la pelle Jensen si inarcò in preda ad uno spasmo quando la sua virilità iniziò a secernere il bianco piacere che imbrattò la mano del giovane.
 
“wow” esalò Jared, qualche minuto dopo, seduto per terra con la schiena appoggiata alla gamba della sedia “fantfottustaticamente stupendo” aggiunse gettando la testa all’indietro respirando ancora affannosamente
Al contrario di lui, Jensen, sdraiato sulla chaise longe, era tornato a respirare regolarmente e quando il giovane esclamò “se il sesso fosse una disciplina olimpica noi vinceremmo l’oro” facendolo ridere e pesare quanto fosse fortunato fino a quando io suo occhio non cadde su un post-it che usciva dalla tasca dei pantaloni scartati di Jared e lesse “dottor Sheppard”
“cos’è?” domandò prendendolo
Il giovane si girò e quando vide il bigliettino scattò sull’attenti “niente” disse facendolo per riprenderlo ma l’altro si spostò mentre leggeva e Jared osservò prima lo stupore e poi la rabbia nascergli sul viso mentre borbottava un “non ci posso credere” alzandosi
“Jensen” esclamò il alzandosi anche lui
 
“sei andato da quel medico” replicò il biondo accartocciando il bigliettino tirandoglielo contro
“gli ho solo fatto vedere i risultati degli ultimi esami” replicò il l’altro cercando di afferrargli il braccio ma anche una volta Jensen si allontanò dicendo “senza dirmi niente!”
Il giovane sospirò “qual è il problema ?!”
“il problema è che ormai non parliamo d’altro” rispose Jensen battendo il piede per terra facendo cadere le braccia con fare esasperato “sono stanco di sentirti parlare sempre e solo di medici, medicine, visite e tutte quelle altre stronzate!”
“bè scusami se a quanto pare sono l’unico che si preoccupa per queste stronzate!” replicò Jared
“a me importa!” continuò “non posso semplicemente fare finta di niente come fai tu, nascondere la testa sotto la sabbia e fingere che sia tutto normale” aggiunse mentre il biondo scuoteva la testa con le braccia incrociate
“quindi è molto meglio fare come te! Non avere più una vita per colpa di questa merda?!” domandò ironico
“io almeno mi preoccupo! Al contrario di come fai tu!” replicò, quasi urlando, il giovane


“allora sai cosa c’è” affermò Jensen in piedi infondo alle scale
“visto che riesci solo a pensare a questa cosa pensaci anche mentre passi la notte sul divano”
 
Jared sospirò “Jensen ti prego, lo sai che non dovresti…” disse rivolto verso le scale, interrotto dal rumore della porta che sbatteva e un forte “FOTTITI!”

(chiedo scusa, questo capitolo è un pò corto ma prometto che il prossimo e forse ultimo, dipende cosa deciderò prima di pubblicare, sarà più lungo. baci)

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Capitolo 3
*** III ***


Jared avrebbe potuto dormire nella camera degli ospiti ma alla fine si addormentò sul divano con la televisione accesa e Winston sdraiato sulle gambe.
Al mattino, quando non fu la sveglia o uno dei baci di Jensen a dargli il buongiorno, ma un fastidioso raggio di sole la prima cosa che fece fu andare nella loro camera da letto per vedere se poteva parlare, spiegarsi, ma l’altro non c’era; la porta del suo studio era chiusa così al giovane non ci volle molto per arrivare alla conclusione che Jensen era già al lavoro o probabilmente non aveva neanche dormito
 
fece colazione da solo, sorseggiando una tazza di caffè appoggiato al bancone della cucina poi, prima di andare, andò sul retro dove sotto il portico di legno, lasciò un bigliettino sul tavolino sapendo che verso metà mattina Jensen sarebbe uscito sorseggiando il suo the con in mano il suo album degli schizzi
“sei la cosa più bella della mia vita
ci vediamo stasera.
 Ti amo Jared”
salutò i cani, lanciò un’altra occhiata al piano di sopra e uscì
 
“buongiorno Signor Padalechi” esclamarono all’unisono Misha e Kim quando lo videro uscire dall’ascensore
“buongiorno” rispose il boss lanciando, come ogni mattina, il cappotto sulla scrivania di Misha che ormai abituato lo prese al volo sistemandolo nell’armadio
“Kim chiama il fiorista” disse
“quella su Nelson St?” rispose prontamente la donna con penna e post-it alla mano
“si, prendimi un mazzo di fiori, devono essere sui toni dell’arancione del giallo, fallo spedire a casa” continuò prima di andare verso il suo ufficio “ah” aggiunse fermandosi “anche la gioielleria quella…” tentennò incerto
“Hamilton St signore” affermò Kim non distogliendo lo sguardo dal bigliettino dove stava scrivendo tutto
“voglio un orecchino colorato, niente di nero o grigio, qualcosa di bello, sai cosa fare” aggiunse prima di chiudere la porta
 
“wow” mormorò Claire, fermatasi dietro l’angolo quando aveva visto il capo  
“sembra che qualcuno debba farsi perdonare” aggiunse
Misha annuì ma Kim non la guardò mentre componeva il numero del fiorista, Jared non glielo aveva detto ma la segretaria sapeva che avrebbe fatto piacere a Jensen se insieme ai regalo ci sarebbe stato abbinato un biglietto con una bella frase d’amore. L’ultima volta che il suo capo aveva dovuto farsi perdonare per aver dimenticato una cena importante, oltre a un bellissimo regalato, Kim si era assicurata che sul biglietto ci fossa una bella frase d’amore, in compenso a fine mese sul suo stipendio aveva trovato un bell’aumento
 
Alle 10: 45 circa tutti i dipendenti dall’addetto al carello dei muffin ai segretari del boss lavoravano a pieno regime, Kim aveva ordinato tutto quello che Jared gli aveva ordinato e alle 11:30 i pacchetti sarebbero stati consegnati.
Lei e Misha compilavano moduli, leggevano mail e si assicuravano che tutti i documenti per Jared fossero pronti quando ad un colpo di tosse seguì un “ehm… scusate” entrambi distolsero lo sguardo dal loro pc e si trovarono davanti un ragazzo con indosso jeans strappati, larghi sia sui fianchi che sulle caviglie dove gli orli strappati cadeva sulle all star color azzurro sbiadito visibilmente consumate, la maglietta giallo fluo con sopra stampata un immagine di un piccolo alieno verde si intonava con l’orecchino, il simbolo della pace su uno sfondo nero, e con il piercing sul lato sinistro del labbro inferiore, un semplice cerchietto in metallo azzurro.
“Jensen” lo salutò Misha con un sorriso
“signor Ackles” disse Kim
“possiamo fare qualcosa per lei?” aggiunse
“Jared è in ufficio?” domandò il biondo avvicinandosi incerto al bancone
La prima e l’ultima volta che avevano visto Jensen era stato alla festa di natale, non era mai venuto in ufficio ed era palesemente ovvio che fosse a disagio in quell’ambiente cose formale, non osavano pensare come lo avessero guardato, per poi cambiare subito espressione davanti al suo cartellino personale
“no in riunione, ma se vuoi posso chiamarlo” rispose il moro facendo per alzarsi ma l’altro lo fermò con un cenno della mano “No, non è urgente, lo posso aspettare”
Misha annuì “può accomodarsi nel suo ufficio” esclamò la donna indicandogli la porta
“se non è un problema preferirei aspettarlo qui e, per favore, non… darmi del lei…Jensen va benissimo”
Il segretario annuì con un sorriso “vuoi qualcosa, un caffè? Un thè?”
“sono a posto, grazie” rispose poi, Misha lo notò, si guardò intorno sfregandosi le mani sui jeans mordendosi il labbro inferiore
“il signor Padalechi arriverà presto”
Jensen sorrise, probabilmente per il modo in cui aveva chiamato Jared
“grazie”
I minuti passavano e mentre Kim e Misha si stavano abituando all’idea di avere il ragazzo del loro spaventoso capo lì e tornavano al loro lavoro, Jensen non era così tranquillo; le situazioni nuove o che lo portavano a infrangere la sua routine lo innervosivano parecchio ma dopo aver trovato il biglietto di Jared aveva deciso che una telefonata non sarebbe bastato e aveva deciso di andarci di persona, ma adesso che c’era non era sicuro che fosse stata una buona idea considerato che da quando era entrato in ascensore continuava a sentire quella voce che da anni lo accompagnava
“sono sicuro che l’hai visto anche tu”
distogliendo lo sguardo dall’orologio sulla parete che stava osservando, il biondo lanciò una veloce occhiata alla grande vetrata alla sue spalle dove si potevano vedere altri palazzi con uffici poi, non fu sorpreso di vedere sé stesso seduto accanto, completamente vestiti di nero, con i capelli più lunghi dei suoi, la sigaretta fumante in mano di cui poteva anche sentire l’odore e gli occhi cerchiati dall’eyeliner nero “, terzo piano, seconda finestra” continuò portandosi la sigaretta alla bocca e aspirando “è armato e sta puntando proprio te” aggiunse soffiando fuori un nuvola di fumo grigio
Jensen non resistette all’impulso di lanciare un’altra occhiata alle sue spalle poi, giratosi, si portò le mani sulle orecchie sospirando “zitto”
“Jensen” lo chiamò Misha, aveva notato che il compagno del bossi si muoveva con fare nervoso e lanciava sguardi preoccupati alle sue spalle
“tutto bene?” domandò
Jensen annuì con un sorriso forzato
“chissà” esclamò l’altro sé, con le gambe incrociate, le braccia comode sullo schienale delle sedie e la sigaretta tra le labbra “forse questi due sono i suoi complici… ti stanno trattenendo qui così lui può spararti”
Il biondo non rispose subito, ma dopo esservi voltato ancora una volta, convinto delle parole dell’altro si alzò di scatto esclamando “lo avete visto anche voi?”
Misha strizzò gli occhi confuso “cosa?”
Il segretario non poteva saperlo ma ora Jensen stava guardando la sua copia che ora invece della sigaretta teneva in mano una pistola “non puoi scappare”
“tutto bene?” chiese nuovamente il moro
Il biondo stava per rispondere quando, proprio nella finestra del palazzo di fronte, vide l’ombra di un uomo armato “o mio dio!” disse indietreggiando “L’avete visto?!” domandò voltandosi verso i due segretari che, guardandosi confusi non capivano cosa stesse succedendo
“è… cioè” tentennò muovendosi a scatti
Kim, alzatasi si avvicinò e guardò fuori dalla finestra cercando di capire a cosa Jensen si stesse riferendo
“era un uomo, aveva una pistola e…” aggiunse il biondo senza smettere di camminare avanti e indietro, guardarsi in giro lanciando sguardi preoccupati in ogni direzione e masticarsi l’unghia del dito
La donna stava davvero iniziando a preoccuparsi, infatti stava per comporre il numero della sicurezza, quando i suoi occhi caddero sul braccialetto al polso del fidanzato del suo capo e abbassò il telefono
“kim” la chiamò Misha preoccupato e confuso sul da farsi
La donna non lo guardò e, prendendo una bottiglietta d’acqua, affermò seria “chiama Jared” per poi tornare dall’altro ragazzo appoggiandogli una mano sulla spalla affermando con parole dolci e calme un “Jensen tesoro calmati, va tutto bene”
 
Misha, veloce, raggiunse la sala dove si stava svolgendo la riunione
Gli uomini e le donne, seduti al grande tavolo ovale nonostante potessero vedere i corridoi attraverso le pareti di vetro della stanza non si accorsero del segretario fino a quando, dopo aver bussato un paio di volte e non aver aspettato la risposta, aprì la porta visibilmente agitato “Signor Padalechi”
“spero che sia importate!” affermò il giovane boss, seduto in cima al tavolo fissando il segretario con il pugno chiuso
“è Jensen” ansimò cercando di riprendere fiato per la corsa appena fatta
Gli occhi del giovane si spalancarono mentre si alzava di scatto non curandosi della sedia che cadeva all’indietro e degli sguardi confusi che gli lanciarono i dirigenti presenti alla riunione
“dov’è?” domandò Jared passandogli oltre procedendo a grandi passi quando il segretario gli rispose “fuori dal suo ufficio”
 
Superato l’angolo il giovane sentì la voce del suo ragazzo mentre diceva a gran voce “l’ho visto!” cono tono agitato e allora si mise a correre lasciando indietro il povero segretario che non poteva competere con le gambe kilometriche del suo capo
Quando arrivò i suoi occhi trovarono subito Jensen, seduto su una delle sedie della sala d’attesa che stringeva tra le mani un bicchiere d’acqua, la gamba tamburellava e Kim gli accarezzava la spalla ripetendo “va tutto bene caro”
“jens” lo chiamò raggiungendolo e quando il biondo alzò il viso incontrando il suo sguardo la sua espressione si fece subito più serena
“Jay” mormorò con un piccolo sorriso che il giovane ricambiò prima di dire “vieni” prendendogli la mano “andiamo nel mio ufficio”
Jensen si alzò seguendolo ma poi si voltò leggermente verso Kim “grazie” sussurrò e, prima che la donna ebbe il tempo di rispondergli anche il suo giovane boss gli rivolgesse un sincero “grazie” che lasciò sia lei che Misha spiazzati
 
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“che ci fai qui?” domandò il giovane, dopo aver chiuso la porta dell’ufficio, facendolo sedere sul divano in pelle nera (come tutto il resto del suo ufficio)
“ho visto il tuo biglietto” rispose, seduto sul divano dove Jared gli avvolse le spalle con il braccio tirandolo vicino
“jay io…” sospirò appoggiando la testa sulla sua spalla incapace di dire altro forse per vergogna o per stanchezza
“va tutto bene” si affrettò a dire Jared lasciandogli un bacio sulla fronte
“stanotte non sono riuscito a dormire” continuò Jensen con un filo di voce “sono andato nel mio studio… e” aggiunse ma iniziava a biascicare le parole per la stanchezza, il giovane sapeva che spesso il suo ragazzo quando non riusciva a dormire a andava nel suo studio a dipingere e, non badando all’orologio, alla fame o a tutto il resto, era capace di immergersi talmente tanto in un quadro da non uscire per un giorni interi, effettivamente il suo record era di 2 giorni e 12 ore
Probabilmente ieri sera Jensen non era riuscito ad addormentarsi e si era dedicato ad un disegno per tutta la notte
“poi… il tuo bigliettino… e ho…” mormorò
Il giovane voltandosi leggermente sorrise nel vedere il suo petto muoversi regolarmente, le labbra socchiuse e gli occhi chiusi con le bellissime ciglia che si sfioravano e non poté evitare di sorridere provando emozione infinita di tenerezza e amore
Ogni volta sia comico che adorabile come Jensen riuscisse ad addormentarsi ovunque e, visto i suoi strani ritmi sonno-veglia capitava assai frequentemente, come quando si appisolava a tavola, sul pavimento del suo studio, o al bancone della cucina mentre sorseggiava una tazza di the
Delicatamente Jared lo sistemò in modo che fosse sdraiato sul divano, appoggiato sui morbidi cuscini, gli tolse le scarpe e lo coprì con una delle coperte che, per ogni evenienza, teneva in ufficio
Gli lasciò un leggero bacio sulla fronte e uscì
 
Appena lo videro sia Kim che Misha scattarono come sull’attenti, da quando erano rimasti soli i due segretari non si erano detti niente
“sta bene?” domandò la segretaria e il giovane annuì restando comunque serio appoggiandosi al bancone del segretario
“credo che io non debba ricordarvi che quello che è successo oggi non deve uscire da questo ufficio”
“certo” rispose Kim annuendo
“si” si accodò Misha annuendo anche lui
“bene” mormorò il loro giovane capo
“per favore avvisate i responsabili degli altri piani, avete la giornata libera” aggiunse lasciandoli veramente basiti mentre lo osservavano tornare nel suo ufficio e chiudere la porta
I due segretaria si guardarono confusi poi, vedendo gli altri dipendenti uscire anche loro si alzarono e presero le loro giacche
“credi… credi Jensen starà bene?” domandò il moro, lanciando un’occhiata all’ufficio mentre andavano verso l’ascensore 
Kim annuì “si” rispose “c’è Jared con lui”
“prima…” continuò il moro tenendo lo sguardo basso “sembravi molto sicura… io stavo per andare nel panico” aggiunse
La dona mormorò un “um-uh” ma non proseguì oltre, mentre osservava i numeri sullo schermo dell’ascensore scendere ripensò a tutto quello che era successo e, soprattutto, al braccialetto;
infatti mentre cercava di capire cosa Jensen stesse guardando notò qualcosa che, da sotto il polsino della felpa, luccicava
sembrava un normale braccialetto, con il cinturino in pelle nera e una targhetta in acciaio, e fu proprio quella ad attirare la sua attenzione, sulla piccola targhetta vi era un disegno di una croce rossa con accanto una scritta
Kim sapeva che non erano fatti suoi, magari avrebbe potuto parlarne con Misha, o quanto meno diglielo, ma non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che parlarne fosse sbagliato
 
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Un’ora dopo Jared era tornato alla sua la scrivania per finire alcuni lavori ma appena percepì un mugolio distolse lo sguardo dal pc per posarlo sul compagno
“hey” sussurrò vedendo il biondo strofinarsi gli occhi e guardarsi in torno leggermente confuso mentre realizzava di non essere a casa o nel suo studio
“hey” lo salutò di rimando mettendosi seduto sul divano pettinandosi i capelli con le dita lanciandogli un timidi sorriso quando lo vide avvicinarsi con l’inconfondibile flacone arancione in mano
“te lo dicevo che farmi tenere qui un flacone di scorta era una buona idea” disse Jared con tono scherzoso porgendogli un bicchiere d’acqua “te l’ho detto che settimana scorsa mentre sistemavo alcuni documenti un flacone mi è caduto e ho dovuto buttarle tutte?” domandò scherzosamente con un sorriso sedendoglisi accanto sul divano
 
Jensen restò in silenzio per qualche secondo poi si portò una mano sulla fronte borbottando un “mi dispiace tanto Jared”
“non volevo…” tentennò passandosi le dita tra i capelli
“no” affermò in fretta il giovane “non è colpa tua” abbracciandolo per le spalle

“non credo che riuscirò a guardare in faccia i tuoi segretari” ammise con un sospiro frustrato “non ti preoccupare” disse Jared avvicinandolo per appoggiargli le labbra sulla fronte
“gli ho dato il resto della giornata libera, siamo rimasti solo noi” spiegò il giovane mentre gli accarezzava i capelli, sistemando le ciocche bionde in cui poteva riconoscere qualche goccia di pittura.
 
in auto verso casa Jared guidava tenendo principalmente gli occhi sulla strada ma ogni tanto lanciava un’occhiata a Jensen, seduto sul sedile del passeggiero che guardando il panorama che scorreva veloce fuori dal finestrino, come suo solito quand’era in auto, cliccava il pulsante del finestrino su e giù con un movimento ritmico
il giovane ormai si era abituato a questo tipo di tic del maggiore e non ci faceva più nemmeno caso
 
arrivati a casa i fedeli cani gli corsero incontro per accoglierli ma Jensen non era affatto dell’umore “non ora ragazzi” affermò scacciando gentilmente mentre andava verso il soggiorno dove si lasciò ricadere sul divano togliendosi le scarpe e gettando le felpa di lato; normalmente sarebbe stato molto più ordinato in quanto l’ordine quotidiano era essenziale per mantenere l’ordine nella sua mente, ma in quel momento aveva altre cose per la testa
“Jared so che te l’ho già etto… ma davvero mi dispiace” mormorò quando vide Jared raggiungerlo con in mano una tazza di the e prima di dargli il tempo di parlare continuò “se sei arrabbiato lo capisco…”
certo non si aspettava che il compagno sbattesse la tazza sul tavolino urlasse “SMETTILA”
“smettila di preoccuparti per me” aggiunse iniziò a camminare avanti e indietro per il soggiorno passandosi le mani nei capelli
“io onestamente non so più cosa fare…” borbottò senza guardarlo

“cosa devo fare per convincerti a prendere questa situazione sul serio?” domandò voltandosi e solo allora notò che Jensen, immobile con le gambe incrociate sul divano, aveva una singola e solitaria lacrime che gli scendeva lungo la guancia
“Jens, amore mi dispiace” affermò immediatamente sedendosi sul tavolino incorniciandogli il viso con le mani accarezzandogli dolcemente gli zigomi con i pollici raccogliendogli la lacrima


“hai ragione Jay… ma… non posso” mormorò il biondo allontanandosi leggermente dal suo tocco e sprofondando nel divano
“questa cosa… questa maledetta cosa ha la capacità di entrare nella vita delle persone e distruggerla” continuò non trovando il coraggio di guardarlo
“ha già distrutto il rapporto con i miei genitori e ho paura al pensiero che possa fare lo stesso con noi” aggiunse mentre un brivido freddo gli correva lungo la schiena al ricordo dei suoi; dopo la diagnosi il loro rapporto prima si era inclinato e infine si spezzato definitivamente.
Jared annuì, certo Jensen non gli aveva mai parlato apertamente dei suoi ma ricordava che una volta, qualche anno prima, aveva provato a chiamarli e loro avevano risposto con un sincero “noi non abbiamo più un figlio”.
Ma non gli piaceva parlarne, se per loro l’uomo che amava era morto allora loro per lui non erano mai esistiti.
 
Jensen si alzò e ora era lui a camminare avanti e indietro “se cominciamo a parlare di medicine, dottori e terapie finiremo per non parlare d’altro e…” si interruppe passandosi le mani tra i capelli frustati e sbattendo le mani lungo i fianchi mentre il giovane lo fissava “per litigare e lasciarci!” esclamò
Jared sgranò gli occhi alzandosi senza dire una parola e gli andò vicino, la sua espressione era indecifrabile e il biondo per un attimo ne fu quasi intimorito
“come puoi dire una cosa del genere?” affermò quando furono a meno di un passo di distanza
“come puoi anche solo pensarlo!” aggiunse puntandogli un dito contro annullando lo spazio tra loro  
“andiamo Jared!” replicò l’altro
“vuoi dirmi che era così immaginavi il tuo futuro?” chiese in tono ironico sbattendo le braccia sui fianchi “se ti accompagno ad una cena con un cliente potei mettermi ad urlare perché c’è un uomo armato o inizierai a parlare con una sedia vuota!”
“Jared” aggiunse esasperato “hai dimenticato che l’ultima volta che hai portato un ospite ho urlato perché aveva dei ragni sulla maglietta e hai dovuto letteralmente tenermi con la forza”
Tra tutti quello era il ricordo di un attacco che più gli faceva male, oltre all’umiliazione a farlo stare male erano stati i graffi che Jared aveva avuto sul braccio per una settimana
 
“Non… non posso farti questo” tentennò passandogli oltre e uscendo sulla loro veranda
 
Il giovane restò per qualche secondo in piedi nella silenziosa casa ma poi, con passo sicuro uscì “che ne sai di come immaginava il mio destino?!” domandò con fermezza arrivato sul portico “cosa?” chiese sottovoce il biondo, in piedi davanti alla piscina guardandolo confuso
 
“lo sai come immaginavo il mio futuro? Come lo desideravo?” ripeté Jared scendendo i gradini e raggiungendolo “con qualcuno che mi rendesse felice, che mi amasse, che non vedevo l’ora di riabbracciare la sera” affermò con gli occhi leggermente lucidi e la voce tramante per le emozioni crescenti “appena esco di casa la mattina non vedo l’ora che arrivi la sera per tornare da te, quando mi alzo voglio solo te, quando sono solo penso che ti vorrei lì con me, se chiedo gli occhi immagino le tue labbra sulle mie e il tuo profumo su di me” quelle parole venivano direttamente dal cuore e anche se esprimevano solo un decimo di quello che provava davvero per Jensen sperava che l’altro lo capisse mentre gli avvolgeva la vita con le braccia tirandolo più vicino


“Non rinuncerei a te per niente al mondo” affermò scuotendolo leggermente “quindi non chiedermelo” continuò “sarebbe come chiedermi di smettere di respirare”
 
Nella sua forte presa il biondo non distolse mai lo sguardo dagli occhi del giovane, velocemente, unì le loro labbra incrociando le braccia dietro le sue spalle
Al giovane non ci volle molte per rispondere prontamente al bacio
 
si separarono per riprendere fiato ma non si allontanarono troppo o si lasciarono, guardandosi negli occhi mentre sorridevano Jensen fu il primo a ridere nel suo tipico modo, lanciare la testa all’indietro mostrando i perfetti denti bianchi, i piccoli segni intorno agli occhi e le lentiggini che brillavano sotto la luce del giorno “tu sei matto” esclamò “e se lo dico io puoi credermi” aggiunse
fu il turno di Jared di ridere, con gli occhi che brillavano e le sottili labbra che si tendevano all’insù mostrando il suo bellissimo sorriso poi si sporse leggermente appoggiando la fronte sulla sua
“non lo sai che per amare un matto ci vuole un folle!”

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Capitolo 4
*** IV ***


Per 5 giorni Jared non andò in ufficio, chiamava ogni due ore per dare istruzioni a Kim come faceva ogni volta che, per una ragione o l’altra, restava a casa.
 
L’azienda procedeva a pieno regime, la segretaria e gli altri responsabili seguivano alla lettera le istruzioni del boss, ma il povero Misha ebbe l’ingrato compito di portargli alcuni documenti da firmare.
Kim gli aveva detto, o meglio ordinato, di andarci
“sono documenti importanti e Jared deve averli, se dovessero andare dispersi dovresti volare fino in Australia per rifarli! non puoi affidarli al primo fattorino in biciletta! Perciò muovi il culo e chiama un taxi!”
 
Così, ora, il segretario si trovava fuori dal cancello parecchio nervoso; l’ultima volta non era andata proprio bene e non aveva voglia di vedere il suo boss a torso nudo con in mano un frustino…
 
“arrivo” rispose la voce al citofono e pochi secondi dopo, la porta principale si aprì e uscì un cane
 
Misha, automaticamente fece un passo indietro ma non riuscì a trattenere un sorriso davanti al simpatico muso di quel bulldog, le rughe sul naso, le orecchie che ballonzolavano ad ogni passo, il corpo a salsicciotto, le zampe tozze e la maglietta dei Dallas Cowboy, lo rendevano un mix tra l’adorabile e il divertente
“Winston” appena sentì il suo nome, il cane, si girò e la coda mozza iniziò a muoversi alla vista del suo padrone
 
“Misha” lo salutò il biondo con un sorriso mentre apriva il cancellino
“Jensen” rispose il moro facendo un passo avanti ma bloccandosi quando il cane si avvicinò per annusargli la gamba, era simpatico ma non gli andava di provare se sapeva anche mordere “Winston, lascialo stare bello” lo richiamò Jensen “non preoccuparti non fa niente” aggiunse
il segretario annuì affermando un titubante “mi fa piacere vedere che va tutto bene” osservando il suo abbigliamento così particolare come quando era venuto in ufficio, jeans strappati e parecchio sporchi di vernice, così come i capelli e la maglietta verde fluo, intonata con l’orecchino e il piercing al labbro rosa brillante, l’unica differenza erano i piedi scalzi.
Jensen facendogli cenno di accomodarsi rispose “mi sento molto meglio” con un sorriso
“cosa ti porta così lontano dalla tua scrivania?” domandò
“sono… devo consegnare questo a mr Padalechi” tentennò visibilmente nervoso come la prima volta che si era presentato
“è uscito a fare una corsa con Ramson, il nostro altro cane” rispose mentre si avvicinavano al soggiorno dove, proprio come nell’ufficio del capo il divano, il mobile e il resto dell’arredamento erano sui toni del nero
“prego, mettiti comodo” aggiunse indicandogli il divano “è via già da un’ora, dovrebbe tornare tra poco”
Misha restò qualche minuto da solo a guardarsi intorno notando dettagli che la prima volta, essendo per lo più rimasto sulla porta non aveva avuto modo di notare, come i vari soprammobili e foto fino a quando Jensen non tornò offrendogli un bicchiere di succo mormorando “lo sai è curioso” mentre si sedeva su una delle poltrone
“il vecchio segretario di Jared non entrava neanche nel giardino se lui non era in casa, tu invece sei addirittura seduto sul divano… sembra che tu lo faccia apposto per stare con me”
Misha annuì “già” cogliendo il senso dell’affermazione solo dopo aver preso il primo sorso trovando abbastanza autocontrollo per non sputarlo sul tappeto
“o mio Dio non dirlo a Jared! Mi defenestrerebbe all’instante oppure mi userebbe come bersaglio per il tiro con le freccette” esclamò spaventato
Jensen rise senza preoccuparsi di trattenersi mentre si piegava sulla sedia
“non posso crederci! Hai davvero paura di lui” affermò una volta ripreso fiato
Il segretario annuì
 
“mette parecchia soggezione quando ti urla contro… o ti fissa facendo scrocchiare le dita” mormorando rabbrividendo leggermente al solo immaginarsi il suo giovane capo, seduto, con solo la luce della scrivania ad illuminarlo proprio come in un film gangster, le mani intrecciate che si muovevano producendo inquietanti “tock, clok”
 Il biondo non poteva immaginare cosa volesse dire trovarsi davanti ad una scena simile, il Jared che conosceva lui era un coccolone, giocherellone, scioccone, goffo e con due occhi da cucciolo
 
“Jared crede che un polso fermo sia la strategia migliore per gestire un’azienda” rispose Jensen e effettivamente visto il fatturato dell’ultimo mese e l’aumento di stipendio di tutti gli impiegati, dal primo all’ultimo, non aveva tutti i torti
“ma fidati, è l’uomo più buono e gentile che abbia mai conosciuto” aggiunse accarezzando la testa di Winston “il nostro padaorso ha un cuore d’oro, vero Winston?” domandò scherzosamente ignorando la risata che il suo ospite strozzò in gola
 
Passarono qualche minuto in silenzio, Jensen accarezzava il cane che scodinzolando beatamente si godeva le gentili coccole del padrone e Misha si guardava intorno
Ma al biondo non ci volle tanto per notare che il segretario del suo ragazzo evitava il suo sguardo e tamburellava con la gamba
“allora…” disse “ho l’impressione che tu voglia chiedermi qualcosa? “
ancora una volta il suo ospite non lo guardò, aprì la bocca un paio di volta ma non uscì niente, era chiaro che non sapesse cosa dire così, per smorzare la tensione, con un sospiro aggiunse “hai mai sentito parlare di psicosi dissociativa caratterizzata da un processo di disgregazione della personalità psichica?” chiese
Misha si guardò intorno spaesato, come se avesse appena sentito pronunciare una formula magica  o demoniaca e si aspettasse che da un momento all’altro un mostro venisse fuori da sotto le assi del parquet
“ecco… io…” tentennò indeciso se ammettere apertamente di non sapere cosa stesse dicendo o inginocchiarsi e implorarlo di annullare qualunque sortilegio gli avesse fatto
Jensen sorrise passandosi una mano tra i capelli e sospirò “che ne dici di… schizofrenia” affermò mostrandogli il braccialetto al polso
Il moro sussultò quasi sconvolto alla menzione di quella parola; non era un medico ma aveva già sentito quel termine e sapeva che non significava niente di buono
“quella malattia che ti fa avere delle visioni?” affermò sotto voce per paura di dire qualcosa di offensivo
Fortunatamente Jensen la presa bene, anzi benissimo, ridendo rispose “si, quella è la definizione comune, diciamo anche la più chiara”
 
Per qualche altro minuto di silenzio sia Jensen che Misha stessero nuovamente in silenzio, con lo sguardo basso probabilmente entrambi indecisi su cosa dire, o forse in imbarazzo
Alla fine fu ancora Jensen a parlare “i farmaci aiutano ma ultimamente hanno smesso di fare effetto” spiegò
“prendo questa medicina da così tanto tempo che ormai il mio corpo si è abituato e invece che fermare i sintomi li produce, è detto effetto-paradosso”
“ne ho sentito parlare” esclamò il moro annuendo leggermente “prima di poterne prendere un nuovo farmaco devo smaltire quello vecchio… nel frattempo devo convivere con i sintomi” spiegò alzando leggermente le spalle “in realtà ci sono alcune terapie sperimentali, Jared ha parlato con alcuni dottori” continuò sapendo che Misha sapeva delle prenotazioni ma non andò oltre
Misha annuì                                           
“è… dura?” chiese sottovoce  
“non è una passeggiata nel parco ma ormai ci sono abituato, me l’hanno diagnostica a 18 anni” rispose l’altro con un mezzo sorriso
“spesso la cosa più difficile è affrontare gli stereotipi, la gente pensando alla schizofrenia, automaticamente si immagina ad un pazzo legato ad un letto d’ospedale che urla e parla da solo” affermò con un sospiro
“certo è tosta ma con la terapia psicologa e i farmaci possono tenere sotto controllo i sintomi più difficili, come le allucinazioni” aggiunse abbassando lo sguardo
Misha era titubante a continuare la conversazione, non voleva spingersi troppo oltre rischiando di sembrare invadente ma la sua curiosità, che più di una volta gli era costata cara, tanto per cambiare prese il sopravvento “quella che hai avuto l’altro giorno era…”
“sì” confermò Jensen annuendo “allucinazione visiva e uditiva, è una cosa normale… cioè non lo è, insomma lo è per me” spiegò tentennando ma con sorriso, come se stesso dicendo qualcosa di comico
“tutti gli schizofrenici hanno quelli che si chiamano deliri, di controllo, persecuzione o onnipotenza, ma ogni persona li manifesta in modo diverso” continuò parlandone tranquillamente come se stesse raccontando la trama di un film “i miei…” rise “diciamo preferiti sono quelli di persecuzione, ossia credo che un uomo armato mi stia seguendo per uccidermi”
“wow” esclamò il moro “è affascinante”
“cioè” si corresse velocemente portando le mani avanti “non è, insomma non è affascinante la cosa, insomma sai… è” tentennò e ancora una volta Jensen rise gettando la tesa all’indietro mostrando i denti bianchi “sei proprio divertente Misha”
 
“certo… resta sempre una malattia psichiatrica” affermò tornando serio “ma ci sono alcuni lati positivi, per esempio mi ha aiutato molto con la mia carriera”
“dal punto di vista artistico è facile avere l’ispirazione quando il tuo cervello ti fa vedere o sentire cose che non ci sono” spiegò indicando un grande quadro appeso alla parete della cucina alle loro spalle.
“e poi devo ammettere che anche la pubblicità non è male, alla gente piace l’idea di vedere delle opere di uno schizofrenico… all’inizio credevo che fosse questo ad attirare la gente e non i miei disegni… ma ora ho più di 10 gallerie in tutto il paese e 5 oltreoceano quindi… non so” aggiunse ridendo “penso che piacciano”
Il moro ascoltava con attenzione e crescente curiosità “non sapevo che fossi un artista” disse e il biondo annuì “non uso il mio nome, non voglio, ho uno pseudonimo; Alec”
“Alec?” domandò di rimando Misha con gli occhi spalancati
“il pittore astratto che il mese scorso ha aperto una galleria a new York sulla salvaguardia del pianeta, con quelle opere dedicate ad ogni specie in via d’estinzione?” continuò
 
Jensen annuì “è piaciuta” mormorò con lo sguardo e un leggero rossore che gli colorava le guance

“ma perché? cioè, insomma perché non usi il tuo nome?” chiese ancora il segretario
“odio andare alle mostre” rispose l’altro con una smorfia “alle inaugurazioni o a tutti quegli eventi pieni di gente che ti vuole stringere la mano, fa domande e invade il tuo spazio” aggiunse “Non fa per me” borbottò scuotendo la mano
“è il mio agente Jeffrey che si occupa di queste cose, ritira i quadri, gestisce le mostre e si occupa di tutto il resto. è stato lui a suggerirmi di prendere un nome d’arte, a me sta bene così, non dipingo i quadri per la popolarità, la fama non mi interessa. I miei fan sanno solo che sono un pittore schizofrenico che vive a Vancouver”
 
“da quanto tempo dipingi?” domandò Misha
“mi è sempre piaciuto farlo, ma era più un hobby” rispose Jensen “Onestamente non pensavo che sarebbe diventato un lavoro ma poi, a 20 anni, ho passato un paio di mesi in una clinica e ho conosciuto Jefffrey Dean Morgan, un commerciante d’arte, i medici dicono che è nevrotico lui invece che il suo unico problema è la sua ex moglie” raccontò
“ma nel suo campo è il migliore, i miei disegni gli sono piaciuti e abbiamo fatto amicizia… è stato lui a convincermi ad aprire una galleria, ora Jeff lavoro solo per me”


“e tu?” domandò appoggiandosi contro lo schienale della poltrona
“hai sempre sognato di essere il segretario di Jared e farti tirare il caffè?” aggiunse con una risata facendo sorridere anche il moro che, quasi imbarazzato, disse “se devo essere sincero da piccolo volevo fare il pilota di aerei, ma poi ho scoperto che per farlo non devi soffrire di mal d’aria” ed entrambi scoppiarono a ridere
“dopo il college prima di essere assunto alla beaver e Padalechi ho lavorato in altre compagni… lo ammetto mi piace anche se non sempre è tutto rose e fiori”
“ti riferisci al comportamento di Jared?” domandò Jensen alzando un sopracciglio e Misha sbuffò “scusa se te lo dico, ma a volte vorrei lanciare nel suo ufficio una bomba puzzolente, specie quando sbraita MISHA! Dov’è il mio stramaledetto caffè incapace buono a nulla” aggiunse imitando scherzosamente la voce del giovane muovendo il pugno in alto
Jensen rise così forte che dovette piegarsi per tenersi la pancia
“o mio Dio” disse tra una risata e l’altra con il respiro corto “se ti sentisse”
 
Misha che fino a quel momento aveva sorriso divenne serio e spalancò gli occhi
“No!” esclamò “non puoi dirglielo! Mi appenderà per i pantaloni al ventilatore del soffitto e lo accenderà al massimo”
 
Recuperato un po' di fiato il biondo riuscì a biascicare un “tranquillo, resterà tra noi”
 
“se posso, come vi siete conosciuti?” gli chiese cambiando argomento
“abitavamo nello stesso complesso di appartamenti, lui sotto io sopra” iniziò a raccontare
“una sera ci siamo incontrati in lavanderia, era chiaro che non aveva mai fatto una lavatrice prima d’ora” continuò sorridendo al ricordo di come Jared fosse teneramente impacciato mentre guardava la lavatrice come fosse uno strano oggetto alieno
“l’ho aiutato e per ingraziarmi mi ha inviato al cinema” aggiunse “sai, allora era solo un centralinista alla Beaver Company” poi sorridendo spensierato sospirò “Il resto è storia” sussurrò

“quel ritratto” disse Misha indicando una cornice appesa al muro del soggiorno con all’interno un enorme disegno a matita che, chiaramente, raffigurava Jared di profilo, il viso rivolto vero il basso, l’espressione seria e lo sguardo fisso, i capelli lunghi e la barba sul mento erano così ben definiti che parevano muoversi, infine la cosa che più colpiva di quel ritratto erano le labbra, unite in una linea sottile
 
“c’è anche in ufficio” continuò ricordando un quadro molto simile nell’ufficio del boss
il biondo lanciò uno sguardo al suo disegno “Jared non ama farmi da modello” affermò
“è un vero peccato perché sarebbe perfetto, soprattutto per i nudi” continuò con estrema tranquilla, forse troppa per il segretario che tossì freneticamente dopo essersi quasi strozzato con il suo succo
“scusa?” biascicò con difficoltà
“che c’è?” domandò ridendo Jensen “non pensi che abbia il fisico adatto?”
“no, io, cioè… insomma” spiegarsi per Misha era già difficile e l’ultima cosa di cui aveva bisogno di sentire era la voce del suo capo “Jens, amore sono a casa” per poi trovarsi faccia a faccia con un doberman enorme, muscoloso e dall’aspetto minaccioso con un collare borchiato al collo
 
Automaticamente il biondo si spostò chiamandolo e iniziando ad accarezzarlo per tenerlo tranquillo
“sono qui Jay” disse
“ho preso il gelato, i nostri gusti preferiti, vaniglia e ciocco…”il giovane si interruppe quando, arrivato nel soggiorno, vide Jensen seduto sul divano accanto a Misha
“Misha è venuto a portarti dei documenti” spiegò il biondo con un sorriso, il segretario lo ringraziò mentalmente perché in quel momento sotto lo sguardo fisso del boss, che l’osservava come farebbe un orso che sorprende un intruso nella sua tana
Onestamente non sapeva chi fosse più spaventoso, se il cane o l’uomo.
 
“perché non sistemi il gelato nel freezer e ci raggiungi” disse
 
Jared, finalmente distolse lo sguardo da Misha e dopo aver dato una rapida occhiata a Jensen mormorò un “si, si certo,” e poi andò in cucina
Una volta che il giovane fu lontano il moro si voltò verso Jensen tentennando un “forse… forse dovrei…. Andare” facendo per alzarsi
“non dovevi fargli firmare dei documenti?” domandò
“si ma, ecco, posso farne a meno”
Misha si girò, non si aspettava certo di scontrarsi con l’ampio torace di Jared
 “perché tanta fretta?” domandò guardandolo in modo così profondo che l’unica cosa che il povero segretario poté fare fu tornare a sedersi
“allora” disse il giovane mentre, passandogli oltre, andava a sedersi accanto a Jensen, avvolgendogli le spalla con il braccio tirandoselo vicino “di cosa stavate parlando?” chiese
Il biondo, con un sorriso timido, alzò le spalle poi guardando Misha rispose “niente di che” e il segretario era convinto di essersi salvato, almeno fino a quando Jensen aggiunse “solo che saresti perfetto per un ritratto nudo”
“Cosa” quasi urlò il giovane portando gli occhi sul moro che, quasi come fosse stato colpito da un fulmine, scattò in piedi “devo davvero andare” affermò con voce tremante indietreggiando per allontanarsi dallo sguardo raggelante del suo capo, temeva davvero che se non se fosse andato si sarebbe trasformato in una statua di pietra
“io… io conosco… conosco la strada” tentennò con un cenno del capo “Jensen” aggiunse salutandolo “Jar, cioè, Signor Padalechi!” si corresse immediatamente “arrivederci, io… io… arrivederci” e finalmente era arrivato abbastanza vicino alla porta per girarsi e uscire e proprio come la prima volta urlare “bellissima casa buona serata!”
 
Quando il suono della porta principale che si chiudeva risuonò nella casa Jared, con un’espressione ancora scioccata, si voltò versò Jensen esclamando un “allora?”
il biondo, al contrario estremamente tranquillo e per niente scioccato, recuperava la ciotola di gelato portandosela in grembo, affondando il cucchiaio nel gustoso gelato e portandolo alla bocca  “allora cosa?” domandò di rimando strizzando gli occhi fingendosi completamente ignaro di cosa stesse disturbando il giovane compagno
Jared si appoggiò allo schienale del divano incrociando le braccia al petto mormorando un “Mh” “torno a casa e ti trovo a parlare di modelli nudi con il mio segretario, cosa dovrei pensare?” domandò
“non nudi qualsiasi” precisò togliendosi il cucchiaio dalla bocca e puntandoglielo contro con un sorriso e ammiccando “tu nudo”
 
Quella notte in camera da letto Jared dimostrò a Jensen con il suo corpo non era solo perfetto per i ritratti ma anche per incastrarsi perfettamente con il suo e soprattutto in grado di soddisfarlo come nessun’altro corpo poteva fare
Jensen fu molto, molto felice e appagato della sua dimostrazione

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Capitolo 5
*** V ***


1 settimana dopo
 
Se c’era una cosa che Jensen adorava dell’arrivo della bella stagione era poter dipingere fuori, armato della tela che sdraiava sul prato e dei tanti barattoli di vernice passava intere giornate, spesso anche fino a notte fonda a dipingere trasformando il giardino sul retro, completamente isolata grazie alle canne di bambù, in un casino di colori, schizzati ovunque, barattoli vuoti, pennelli dappertutto, come quel giorno.
Il sole splendeva e la temperatura era piacevole, Ramson correva per il giardino inseguendo uccelli e insetti, le povere lucertole che normalmente sarebbero uscite a godersi il lieve tepore primaverile non osavano uscire per timore del cane.
Winston, stanco del sole si alzò dal bordo piscina risalendo le scale arrivando sul patio in legno sistemandosi sotto una delle sedie in ferro battuto con i cuscini bianchi del tavolino dove Jared stava guardando il computer “Hey bello” lo salutò accarezzandogli la testa
 
Il telefono di Jensen, all’improvvisò squillò
Normalmente mentre dipingeva il biondo non si sarebbe fatto mai distrarre dal cellulare, spesso non era neanche necessario che lo mettesse sul silenzioso visto che era talmente concentrato sulla sua tela da escludere il resto del mondo, ma oggi non era uno di quei giorni
 
“è Daniel” disse a Jared prima di rispondere
Daniel Piece, professore universitario e psichiatra esperto in schizofrenia che, ironia della sorte, gli era stata diagnostica quando aveva 20 anni
Daniel era il medico di Jensen e amico fidato di entrambi
“hey Daniel”
“ciao Jensen, come stai?” domandò il dottore
“non mi lamento” rispose il biondo mentre raggiungeva il compagno
“ci tenevo a ringraziarti personalmente per la donazione che hai fatto all’ospedale e anche per il corso d’arte che hai organizzato per i pazienti, erano entusiasti” disse l’altro
“Non devi ringraziarmi per questo” affermò Jensen impostando il vivavoce
“volevo anche parlati di una cosa, abbiamo un appuntamento tra qualche giorno ma volevo parlartene subito… come promesso ho contattato quello psichiatra di Roma, si sta occupando di una terapia sperimentale, ti mando alcuni documenti, fai pure con calma”
“grazie Daniel” disse Jensen prima di riattaccare dopo che il dottore gli ricordò che per qualsiasi domanda poteva chiamarlo
 
Pochi minuti entrambi erano in casa, Jensen, seduto con le gambe incrociate, la schiena appoggiata al divano e il tablet in mano leggeva quello che Daniel gli aveva inviato a proposito della nuova terapia sperimentale per curare le psicosi.
Jared, non volendolo disturbare, si era seduto al bancone della cucina cercando di concentrarsi su un documento ma in realtà era talmente tanto ansioso che continuava a leggere la stessa riga, questo fino a quando Jensen si alzò di scatto e, dopo aver lanciato il tablet sul divano, a grandi passi si diresse di sopra.
Arrivato a metà strada, l’altra sé con la schiena appoggiata la muto, il solito pullover a collo alto nero e la sigaretta in mano ironicamente domandò “qualcosa di interessante?” con un sorriso beffardo
In compendo Jensen gli restituì un’occhiataccia “fottiti stronzo!” affermò passandogli oltre per andare in camera  
Il tutto sotto lo sguardo confuso di Jared che, dopo aver sentito sbattere la porta sospirò, aveva davvero sperato che questa volta il compagno potesse convincersi o anche solo prendere in considerazione una terapia
Decise di lasciargli qualche minuto ma nel frattempo non riuscì a trattenersi dal leggere i fascicoli che Daniel gli aveva mandato.
Alcuni dettagli, specialmente quelli più tecnici non riuscì a comprenderli ma altri prima lo incuriosirono per poi lasciarlo a bocca aperta; aveva già sentito parlare di psicochirurgia, ricordava che Daniel ne aveva parlato, come tecnica usata in caso che le terapie convenzionali non funzionino ma non aveva mai letto niente di così specifico in proposito
A quanto pare, attraverso un’operazione, si vanno a modificare alcune parti dei lobi frontali
Dopo una dettagliata spiegazione della procedura chirurgica il giovane iniziò a leggere le varie conseguenze che la terapia comportava e ad ogni parola che leggeva restava sconcertato nello scoprire quanto l’intero processo fosse difficile.
 
Era arrivato quasi alla fine quando il telefono squillò, era Jeff, il commerciante d’arte di Jensen
“Jeff” rispose in tono allegro
“Jared! Come va bello? Jensen?” rispose l’uomo con tono altrettanto pimpante, in sottofondo erano riconoscibili alcuni rumori della strada, come macchine e altro
il giovane sospirò “non è un buon momento” rispose lanciando un’occhiata al piano di sopra
“capisco” affermò Jeff, naturalmente anche lui sapeva cosa volesse dire avere una brutta giornata. “potresti dirgli che passerò tra 3 giorni per i quadri da portare a Chicago?” chiese
“certo” rispose Jared
Il commerciante stava per salutarlo quando, come fosse stato colpito da un’illuminazione esclamò
“ah, quasi dimenticavo, so che a Jensen non piace parlare con i giornalisti ma questi sono di una rivista scientifica, vorrebbero fargli qualche domanda, gli ho parlato e credimi sono rimasti davvero colpito dal suo lavoro”
“una rivista scientifica?” domandò leggermente confuso,
“non avevano mai incontrato un pittore con la schizofrenia e lo adorano, dicono che è incredibile, davvero sono entusiasti” spiegò l’altro
e Jared non riuscì a trattenersi dall’affermare in modo quasi aspro “gli piacciono i quadri o che li abbia schizofrenico?” ma si pentì quasi subito di averlo detto, era il fan numero 1 di Jensen e odiava sapere che certe gente andava alle sue mostra pensando che i quadri fossero belli solo perché era stato uno con una “difficoltà” come la sua a farlo, manco li avesse fatti un elefante con la sua proboscide
“che intendi?” domandò infatti Jeff
il giovane sospirò passandosi una mano nei capelli borbottando “no… no niente”
“Jay, ho capito quello che vuoi dire, Jensen mi ha accennato qualcosa sulla nuova terapia” affermò il commerciate d’arte
“onestamente credo che non dovrebbe fare niente, certo magari qualche farmaco per evitare di parlare da solo… senza offesa” aggiunse
“Jeff la terapia potrebbe aiutarlo” replicò il giovane attento a mantenere un tono basso
“Jared fidati, per esperienza so che quella merda di farmaci antipsicotici sono uno schifo, certo ti fanno smettere di pensare che ci sia un uomo nelle tue prese d’arie, ma ti spappolano il cervello e poi…” ci fu un sospiro “a Jensen non servono farmaci che lo stordiscano o operazioni per fulminare il cervello”


Jared stava per rispondere quando all’altro capo del telefono lo sentì urlare
“FOTTITI STRONZO CHE CAZZO HAI DA GUARDARE!”
“Jeff” lo chiamò con tono gentile, adorava Jeff, era allegro, senza peli sulla lingua e un vero amico per Jensen, ma spesso i suoi problemi venivano fuori e allora l’unica cosa che potevi fare era chiamarlo per nome e cercare di riportarlo alla realtà
“sto bene, uno non può parlare al cellulare che tutti si sentono in diritto di fissarlo” sbuffò l’altro, poi ci un un’altra pausa
“Jared io e te lo conosciamo molto bene e anche se in modo molto diverso lo amiamo, lui mi capisce, è l’unico con cui mi sia mai aperto davvero… e tu… bè non sono gay ma fidati, posso capire perché lo ami” affermò facendolo sorridere “Jeff”
“fidati Jared, ci ho provato a farmelo venire duro per lui ma niente”
“Jeffrey!” quasi urlò Jared dopo quello che aveva sentito mentre l’uomo al telefono rideva
“Jared” affermò Jeff tornando serio “non pretendere che diventi qualcuno che non è”
il giovane scosse la testa confuso e leggermente indignato “io non voglio che cambi”
“sul serio?” domando Jeffrey per aggiunse un “devo andare, stammi bene” e riattaccò
 
Qualche minuto dopo Jared era fuori dalla porta della loro camera da letto
“hey” chiamò bussando “posso entrare?”  e aprendo lentamente la porta
 
Jensen, seduto contro la testiera di pelle nera imbottita del letto sospirò “psicochirurgia” sospirò
“forse dovrei farlo” continuò
Il giovane, appoggiato allo stipite della porta scosse la testa poi, con passi lenti, entrò nella stanza
“lo vuoi davvero?” domandò sedendosi su un piccolo baule nero ai piedi del letto
l’altro scosse la testa nascondendosi il viso tra le mano mormorò “non lo so più nemmeno io Jay…”
 
Il giovane non sapeva cosa dire, o meglio come iniziare il discorso ma non ce ne fu bisogno, con un scatto Jensen si alzò e urlando “FIGLIO DI PUTTANA!” con il braccio rovesciò la lampada del comodino facendola cadere insieme alla sveglia e ad cornico con una loro foto.
Jared automaticamente portò la mano avanti ma il biondo si allontanò portandosi le mani nei capelli dicendo “la odio! Odio tutto questo! Odio questa fottuta cosa!”” con gli occhi lucidi, il labbro inferiore tra i denti e le gambe che tremavano mentre si lasciava ricadere per terra con le ginocchia al petto
“perché?!” domandò passandosi una mano nei capelli “a volte, giuro, vorrei così tanto che sparisse”
Dopo quest’altra triste affermazione Jared lo raggiunse sul tappeto sedendoglisi davanti dicendo con tono convinto “se non fosse stato per lei tanto per cominciare non avresti mai lasciato il Texas” per poi aggiungere
“Non saresti mai venuto in Canada e non ti saresti mai trasferito in quell’appartamento” aggiunse mentre Jensen alzava leggermente il viso per guardarlo confuso mentre continuava “e probabilmente non saresti mai stato in quella lavanderia… io non ti avrei mai incontrato e non mi sarei mai innamorato di te!”
Ora anche Jared aveva gli occhi lucidi e proprio come Jensen lasciava che una lacrima gli scorresse libera sulla guancia “la tua schizofrenia ci ha fatto incontrare… ti rende unico!” disse accarezzandogli il viso “ti rende la persona fantastica che sei e un artista incredibile”
“non ti voglio diverso… io voglio te”
 
Usando il polsino della felpa per asciugarsi il viso il biondo non riuscì a trattenere un sorriso carico di emozioni “grazie Jay” mormorò guardandolo con i suoi bellissimo occhi verdi ancora lucidi
“non devi mai dirmi grazie amore mio” rispose il giovane cingendogli il viso con le mani accarezzandogli gli zigomi dove nuove lacrime stavano scorrendo poi si avvicinò fino a quando le loro labbra non si sfiorarono “ti amo” chi dei due lo disse per primo non era importante
 
Il giorno dopo
 
Jensen non alzò neppure lo sguardo dal quaderno quando l’altro sé, seduto sulla poltrona con tra le mani un panino farcito da cui strabordavano maionese e salsa barbecue, con tranquillità continuò la conversazione che avevano iniziato quando il biondo si era seduto sul divano dopo aver passato la mattina e gran parte del pomeriggio nel suo studio sdraiato per terra a dipingere su una tela grande quasi quanto il pavimento “che ne pensi di un quadro che raffigura il decadimento di una scultura”
“che è banale” rispose Jensen continuando a disegnare
“dicevi così anche della mia idea sul realismo eppure ha avuto successo” replicò l’altro con uno sbuffo
“la tua idea?!” domandò quasi divertito Jensen guardando sé stesso, almeno uno dei suoi tanti sé che ogni tanto si presentava
Ma tra tutti questo era sicuramente il più particolare; aveva una cresta blu e rossa e i capelli rasati sui lati, il tatuaggio di uno scorpione stilizzato sul collo e una maglietta gialla con scritto a gradi caratteri “sai leggere”, un kilt a scacchi verde scuro, piercing al naso, pizzetto e molta matita sotto gli occhi; si era chiesto spesso cosa avrebbe pensato Jared se avesse visto questa parte di lui così tanto eccentrica
“ti ricordo che tu vieni da qui dentro” disse indicandosi la testa “le mie idea sono le tue idee e sono sicuro che nessuno la prenderebbe bene se iniziassi a ringraziare una sedia vuota” aggiunse
 
“hey” disse Jared rientrando in casa seguito dai cani che scodinzolavano felici, ogni volta che il loro giovane padrone restava a casa e giocava con loro in giardino era davvero un bel giorno
“perché non accendiamo il barbecue stasera” disse mentre recuperava dal frigo un cartone di succo di frutta e due bicchieri “stavo anche pensando che potrei invitare i ragazzi domani sera, per la partita, ti andrebbe bene?” domandò ma tanto sapeva che Jensen adorava i suoi amici, o meglio li tollerava visto che Rob e Richard poteva essere davvero casinisti, rumorosi e con poco tatto.
 
“resteremo di sotto e potremmo ordinare una pizza” aggiunse raggiungendolo sul divano e porgendogli il bicchiere di succo mentre l’altro annuiva “sarà divertente”
Il giovane sorrise sedendosi sul divano svuotando il bicchiere, abbracciando per le spalle e lanciando un’occhiata veloce al disegno ma gli bastò uno sguardo per accorgersi che Jensen sembrava leggermente distratto, quasi pensiero con lo sguardo perso davanti a sé
Dal giardino l’aveva visto parlare da solo, ridere e sbuffare proprio come se stesse parlando con un vecchio amico e, proprio come quando si erano conosciuti, l’aveva trovato naturale, non ci trovava niente di strano nel fatto che il suo ragazzo stesse parlando con una versione di sé stesso.
Perché Jensen era Jensen e lui lo amava.
 
“tutto bene?” chiese accarezzandogli la spalla
Il biondo, continuando a guardare davanti a sé annuì mentre l’altro sé annuiva a sua volta, sapeva lancio anche una breve occhiata al suo solito amico, vestiti di nero con la sigaretta in bocca, nell’angolo in fondo della stanza, con la schiena contro muro, le gambe accavallate e il viso illuminato solo sul lieve bagliore arancione della sigaretta.
Non sapeva da quanto tempo era lì che lo osservava, ma effettivamente, Jensen si rese conto che non gli importava, voltandosi verso Jared sorrise lasciandosi andare contro il sui fianco sospirò beatamente
“è tutto perfetto”
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Siamo arrivati alla fine di questa storia così, definiamola, “particolare” e voglio ringraziare di cuore tutti coloro che hanno trovato il tempo per leggerla e commentare, davvero grazie <3
 
Ci tenevo a chiarire giusto un paio di cose sulla patologia di cui ho parlato nella mia storia;
la Schizofrenia, come molti sapranno, è una malattia psichiatrica che comporta allucinazioni e deliri di vario tipo. ( per chiunque sia interessato, per la scuola o per mero interesse personale a sapere qualcosa di più su questa malattia così interessante non esiti a contattarmi J sarà un autentico piacere per me <3)
 
Il mio intento con questa fiction era mostrare come una persona schizofrenica attraverso una terapia psicologica a farmacologica, possa godere di una vita assolutamente normale, piena e appagante.
Voglio davvero sensibilizzare coloro che ancora oggi pensano che chi soffre di una malattia psichiatrica sia “Matto” “fuori di testa” “da rinchiudere”
Pensare questa cose è proprio come credere che gli americani siano tuti obesi e gli italiani tutti mafiosi… stereotipi vecchi nati da una mentalità chiusa e spaventata
Chi è schizofrenico, nevrotico, psicotico non è un alieno, un indemoniato da rinchiudere, un pazzo pericoloso …. Volete una prova?
 
Il grande pittore Van Gogh, si tagliò un orecchio per far sparire le voci che gli urlavano in testa, eppure ogni giorno milioni di persone rimangono affascinate dalla sua meravigliosa arte
 
L’autore Allan Poe, schizofrenico autore di romanzi come “Il corvo”
 
Il musicista a compositore Jazz Tom Harrell e, sempre nel mondo della musica, il cantante dei Pink Floyd Syd Barret
Ecc… ecc… ecc…
 
Spero caldamente che queste mie piccole considerazioni se non altri siano servite a dimostrare come grandi menti del passato, e di oggi, ad un certo punto della loro vita sia siano sentiti dire di non essere normali
Concludo rinnovando i miei ringraziamenti e aggiungendo una citazione
“non ci fu mai grande ingegno senza un pizzico di follia”
Aristotele 

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