I vicini di casa peggiori della storia di _Cthylla_ (/viewuser.php?uid=204454)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I vicini di casa peggiori della storia ***
Capitolo 2: *** Capitolo ### ***
Capitolo 3: *** Capitolo ### (possibile numero #. Ancora da definirsi) ***
Capitolo 1 *** I vicini di casa peggiori della storia ***
Neppure io so
dire con certezza se e quanto questa oneshot in cui il povero, giovane
Damus si trova ad avere a che fare con i vicini di casa peggiori della
storia, sia collegata al resto. Diciamo che è a libera
interpretazione, come io ho liberamente modificato russo e altre lingue
slave il poco che serviva per adattarle al settore chiamato Kostrobna.
Il Megatron presente qui è quello di Armada (una sua
versione giovane prima di diventare un Decepticon) e
c'è, come al solito, una OC di mezzo. C'è anche
tanto disagio ma non è da prendere sul serio xD
Memorie,
capitolo [numero ancora da definirsi]: I vicini di casa
peggiori della storia
Anno XXXXX.
Quando socchiudo gli occhi la tonalità rossastra dei raggi
del sole artificiale che è stata scelta per questo settore
mi suggerisce che
sia mattino presto. Lunghe ombre dei miei pochi averi si proiettano su
di me
come artigli ma da tempo non è più una visione
che trovo inquietante.
Mi rigiro nella cuccetta godendomi la quiete. Non è facile
trovarla in questo posto se non, appunto, al mattino presto, mentre
quasi tutti
dormono o cercano di trascinarsi a dormire tra un
“blyat” e un passo sghembo
dovuto all' ubriacatura.
Per un attimo ho perfino l'illusione di poter tornare in
ricarica, ed è allora che sento il rumore della porta del
bagno
nell'appartamento dei vicini aprirsi e la mia cara quiete viene
squarciata dal
suono di un gong e una fisarmonica, al quale poco dopo si aggiunge
quello di...
un flauto? Non sono del tutto certo ma, se lo è,
è forse il peggiore che abbia
avuto la sfortuna di ascoltare.
Torno a rigirarmi, in pieno stadio di negazione,
nascondendomi nella spessa coperta ricamata. Potrebbe funzionare se non
conoscessi i miei vicini di casa abbastanza bene perché il
mio processore
riesca a immaginare la scena che sta certo avendo luogo in quel
bilocale che al
momento, oltre a ospitare tre pessimi musicisti e due gemelli,
è divenuto patria
di molteplici specie fungine tecnorganiche.
Odo passi pesanti trascinarsi sul pavimento in direzione del
bagno e la porta spalancarsi con violenza. I pessimi musicisti
protestano col
dire che sono stati loro (i gemelli, i miei amabili vicini) a rapirli,
chiuderli in bagno e intimare loro di suonare ogniqualvolta avessero
spalancato
la porta, il che è estremamente probabile; quel che ignorano
è che venire
defenestrati sia un destino divenuto altrettanto probabile, per non
dire certo,
nel momento in cui la ricarica del Kostrobnese recante il nome di
"Megatron" (non è il solo a portare una simile designazione,
derivata
nientemeno che dal nome di uno dei Tredici Prime originari)
è stata interrotta.
Crogiolo ancora nella negazione udendo il rumore dei vetri
della finestra distrutti per l'ennesima volta. L'allarme di un veicolo
di
qualche natura colpito dai musicisti in caduta libera si sostituisce al
loro
grido, una volta giunto il tonfo assieme ai frammenti di vetro
tintinnanti.
Il susseguirsi di molteplici colpi di cannone sparati verso
l'esterno mi porta a sobbalzare.
«Se io sono sveglio a quest'ora non vedo perché
gli altri
devono dormire! Blyat».
Tipico buongiorno a Kostrobna per chiunque viva
sufficientemente vicino a questo palazzo da poter essere vittima del
rispetto,
della discrezione e della sopraffina, invidiabile, assolutamente
ineccepibile
educazione del mio vicino -la cui voce decisa e vagamente graffiata
risuona
molto chiara qui, causa pareti troppo sottili; tipico buongiorno per
me.
Il mio nome è Damus.
Mi sono trasferito a Kostrobna per ragioni di svariati
generi, principalmente economiche, che in questa sede non intendo
approfondire... e anche oggi, come ieri, devo accettare il fatto di
trovarmi
ancora qui.
«Daaaamusss».
Conosco la voce femminile dal timbro scuro localizzata decisamente troppo
vicino ai miei recettori audio, eppure dopo pochi istanti di istintiva
fissità
-oh, la fissità! La prima reazione di una povera preda, pia
illusione pensare
che sia realmente utile a qualcosa!- scatto in piedi per autodifesa,
sempre in
modo istintivo, e il mio braccio è teso, il pugno
è chiuso, la coperta a terra.
La mia mano va nella direzione giusta e il bersaglio è ora
davanti alle mie
ottiche, ma un suo fluido spostamento all'indietro fa sì io
colpisca solo aria,
sbilanciandomi.
La mano aperta di Wraith, gemella del vicino di casa
peggiore della storia -e vicina di casa peggiore della storia
anch'ella,
meritevole del titolo anche solo per il fatto di trovarsi nel mio
appartamento
senza essere stata invitata a entrare- raggiunge il mio pugno. Il
debole
attrito è sufficiente a salvarmi da una caduta e in parte
dall'imbarazzo.
«Come incubo doveva fare proprio schifo».
«Prego? Guarda che ero del tutto sveglio! Il contrario era
impossibile dato che tuo fratello, non pago di aver rotto la finestra,
ha
pensato bene di mettersi a sparare cannonate».
«Quindi avevi sentito».
«Come chiunque non sia sordo!»
La vedo annuire solennemente. Solo ora riesco a far caso al
particolare del cubo di energon extra forte nella sua mano sinistra.
«Di già?»
«Fino a poco fa non avevamo cibo in casa... e comunque non
si mangia asciutto, eh! Vieni a fare colazione con noi,
vicino!»
«Non sono certo che sia-»
La porta d'ingresso del mio appartamento viene spalancata
con una spallata che non lascia dubbi sull'autore di un simile gesto,
irrispettoso a una tale quantità di livelli al punto di
rendere impossibile
quanto inutile cercare di elencarli tutti.
«Wraaaith!» sbraita Megatron
«Lo stai svegliando o lo
stai costruendo daccapo?! Datevi una mossa, è ora di
mangiare!»
«Sveglio lo era da prima che arrivassimo... come al
solito!»
«Ecco, allora poche chiacchiere».
Megatron e Wraith, i vicini di casa peggiori della storia.
Giunti qui dalla campagna di questo disgraziato settore che
è Kostrobna, si
sono impossessati del bilocale vicino al mio defenestrando quelli che
fino ad
allora erano stati i proprietari. Per essere più precisi,
Megatron li ha
scaraventati fuori dalla finestra mentre Wraith si presentava al
sottoscritto
sorridendo, augurandosi che saremmo stati buoni vicini e chiedendomi se
avevo
dell’energon extra forte.
I precedenti proprietari erano persone tutto sommato
tranquille col solo difetto di sparare musica ad alto volume tutta la
notte e
che, in confronto a ciò che vedo ora, a volte riesco perfino
a rimembrare con
affetto.
«Hai di nuovo rotto la finestra» dico a al mio
vicino, tanto
per rompere il silenzio creatosi nella brevissima camminata tra gli
ingressi
dei nostri appartamenti.
«Quello che suonava il flauto non meritava altro».
Sì, sono costretto ad ammettere a me stesso che tutto
ciò mi
ha giovato in alcune cose (il mio pugno ha mancato Wraith ma, prima
dell’inizio
quasi obbligato della frequentazione tra me, lei e il fratello, non
sarei
riuscito a cercare di darlo e tantomeno sarebbe stato tra i miei
istinti. Quale
orribile fase della mia esistenza! Trascorsa a essere poco meno
indifeso di una
protoforma!) ma il fatto di trovarmi quasi a concordare con Megatron
causa una
certa inquietudine nel mio animo al pensiero di star diventando
talmente
avvezzo a loro e a Kostrobna da iniziare non solo a sopportarlo, ma a
anche
mescolarmi.
«Era abbastanza stonato, sì».
La presenza del mio vicino risulta particolarmente imponente
nell’ambiente angusto che ci circonda, tanto nel corridoio,
quanto nel
bilocale. Ad andar di similitudini lo descriverei alto e grosso come
una torre
di guardia, più resistente di un armodrillo, forte come tre
jurassanoidi e con
un brutto carattere che, pur non avendo avuto modo di conoscere quelle
creature, immagino fosse analogo; inoltre è dotato di un
cannone, procuratosi
non oso immaginare dove e come, di due lunghe corna dai molteplici
utilizzi che
svettano fieramente sulla sua testa e di uno sguardo rosso brillante
-unica
nota di colore acceso in una corazza viola scuro, verde cupo e
più d’un grigio-
che afferma, anzi urla, “Ho voglia di spaccare la faccia a
qualcuno e posso
riuscirci facilmente”. In altre parole, Megatron è
molto somigliante al tipo di
persona che cercavo in modo disperato di evitare quando vivevo ancora a
Tarn,
purtroppo senza riuscire nei miei intenti e con conseguenze negative da
qualsiasi punto di vista fisico e mentale -argomento che in questa sede
rifiuto
di approfondire.
I raggi di luce carminio che si fanno strada nella stanza
vengono divorati dall’insolenza del cubo verde brillante che
di sera e di notte
costituisce la sola fonte d’illuminazione del bilocale,
mentre di giorno può diventare
un poggiapiedi, un poggiatesta, una sedia, uno strumento utile per lo
yoga, un
punto rialzato sul quale ballare, un’arma impropria nel caso
sia Megatron a
prenderlo in mano e infine, nel caso attuale, un tavolo… sul
quale è stato
apparecchiato il cibo che fino a poco fa, sono sicuro, era nella mia dispensa.
Megatron sbuffa scocciato. «Tutto qua?»
Invitare a fare colazione il proprio vicino di casa dopo
avergli rubato il cibo e lamentarsi perfino della quantità:
assurdità o
avanguardia pura? Questo è il dilemma. Ciò che
dilemma non è, è il mio
desiderio di prendere a schiaffi uno, l’altra o tutti e due.
«Ora che ci penso non ho guardato sotto la cuccetta, vado a
vedere» replica Wraith con tutta la nonchalance del cosmo
«Voi intanto iniziate
pure senza di me, no problem!»
«Mi raccomando, fate come se quella fosse casa vostra e non
si trattasse del mio cibo!» esclamo.
Sono conscio che il mio sarcasmo cadrà nel vuoto -non
perché
manchino di comprenderlo, quanto perché a loro non importa-
attraversando senza
colpo ferire i loro processori da una parte all’altra
esattamente nel modo in
cui Wraith in questo momento sta attraversando la parete che divide
casa mia da
casa loro.
Nel caso ve lo stiate chiedendo, no, non avete sbagliato
alcunché nella lettura. Conosciuta come alterazione di fase
o “transfase” a
voler essere marcatamente gergali nell’abbreviare,
l’abilità della quale Wraith
è portatrice le consente di attraversare pareti, oggetti,
persone e qualche
altro trucco; è comoda -ancorché limitata sia per
l’essere a tempo sia per
altri motivi- specie per una femme che è sì molto
alta ma anche abbastanza
sottile e leggera perché il suo gemello possa, se mai
volesse, stringere il suo
punto vita con una mano e spezzarla in due.
«Ora però è il nostro
cibo!» dichiara Megatron, con un ampio cenno del braccio che
include anche il
sottoscritto.
Da una radiolina inizia a risuonare l’inno di Kostrobna
mentre Wraith, recante con sé nulla di nuovo avendo
già razziato in precedenza
tutto il poco che avevo, attraversa di nuovo la parete con testa alta e
pugno
destro premuto all’altezza della Scintilla. Megatron la imita
subito dopo.
“Soy’uz neurjshimy sectorj
svobodnykh
Splotila naveki
Kostrobna Velij!...”
Il patriottismo è uno dei pochi tratti dei miei vicini
riguardo cui non mi sento di obiettare.
Nella vita è importante avere uno o più punti
fermi, un
qualcosa a cui credere ciecamente, che sia la patria, che sia una
famiglia (non
necessariamente con CNA simile) o un Dio, una filosofia, se stessi. Una
persona
senza punti fermi è una foglia tecnorganica morta sbattuta
dal vento in ogni
direzione, senza possibilità di esercitare alcun controllo
sulla propria
esistenza: un destino tra i peggiori che possano capitare, in cui si
può solo
pregare per un colpo di vento fortunato che spinga la foglia sulla
strada
giusta verso la stabilità.
Il rispetto verso l’amor di patria dei gemelli e verso
quello che, per disastrato che sia, è il settore che mi ha
temporaneamente
adottato, è quel che mi spinge a imitarli a mia volta.
Megatron e Warith non lo
farebbero con l’inno di Tarn, ammetto che io stesso non
riuscirei a mostrare
affetto per quel posto, ma cosa mi vieta di avere più
riguardi di loro, se è
quel che desidero?
«E comunque noi ti offriamo sempre da bere, quindi poche
chiacchiere» mi rimprovera Megatron finito il momento
patriottico.
«Questo perché sapete benissimo che io non bevo
affatto! Se
lo facessi non credo proprio che sareste altrettanto
generosi».
«Oooh no, al contrario» mi contraddice Wraith,
accovacciandosi accanto al cubo verde «Sarei disposta a dare
via tutto
l’energon extra forte che abbiamo pur di vederti di nuovo portare a spasso un cane da te
rapito calandolo giù dalla
finestra per poi, nell’ordine, provarci con il divano,
slinguarti il mio
cuscino e infine-»
«Tentare di palpeggiarmi una chiappa chiamandomi
“bella
signora” e finendo a terra con una testata della quale ti
darò il bis se non ci
decidiamo a mangiare» completa Megatron, guardandomi con
evidente biasimo «…che
pervertito».
[
Nota
dell’autore: censurare questa parte dell’opera in
fase di editing. È bene che
simili memorie giovanili rimangano acquattate nei più bui
meandri del mio
processore. Conto di procedere limitandomi a dire che “ero
solo un po’brillo”
senza aggiungere dettagli. ]
Mi accovaccio
accanto
al cubo verde proprio come Wraith prima e Megatron poi hanno
già fatto. Sulle
prime non faccio caso all’attenzione con cui mi stanno
osservando ma poi la
noto e, nello stesso istante, comprendo.
«Hai imparato ma a chi non è kostrobnese serve
allenamento
costante. Costante!» ribadisce Megatron, puntando un indice
contro di me.
«L’hai fatto in modo istintivo! Sono
commossa!» esclama
Wraith, con le ottiche lucide più per un vago sentore di
sbronza che per
commozione reale. Spero.
Dovete sapere che accovacciarsi mantenendo la parte
posteriore dei piedi attaccata al terreno, pavimento o superficie in
genere, è
pratica tipica delle genti nate e cresciute in questo settore e viene
chiamata
“squat”. È una posizione che a detta
loro garantisce massima stabilità, massimo
comfort e la possibilità di scattare nuovamente in piedi con
facilità qualora
la situazione lo richieda. Ogni luogo e ogni occasione sono buoni: sei
in
attesa perché arrivi il tuo turno di entrare in un qualsiasi
luogo? Squat. Ti
sei stancato di restare in piedi ma non ci sono sedie attorno? Squat.
Stai
mangiando assieme ai tuoi amici o sei in giro assieme a loro e vi siete
fermati
da qualche parte? Squat. Sei abbastanza fortunato da possedere uno
schermo
grazie al quale poter godere di film e serie? Guardali facendo squat.
State pensando che quanto ho detto finora sembra recitato a
memoria? Sappiate che è così. A detta dei miei
vicini sarebbe stato più facile
per me imparare il loro squat aggiungendo la teoria a un costante
allenamento e
al “partire avvantaggiato grazie al mio non essere una
western spy, blyat” -ove
per western spy s’intende
dire chiunque provenga da città quali Cybercity, Iacon,
eccetera e qualsivoglia
settore non si trovi nel lato est di questo pianeta.
«Se mi
sono
accovacciato in questo modo è per evitare a una maggior
porzione della
superficie del mio corpo di venire in contatto con il vostro pavimento,
il
vostro divano o qualsiasi cosa diversa dal cubo verde! Ci sono funghi
in tutti gli
angoli!» ribatto, conscio di avere un alleato se si tratta di
rimarcare cose
simili.
«Shì» annuisce Wraith, con la bocca
piena «Le montagnole di
scorze di semechki di energon a volte fanno nascere qualcosa. Mai come
in bagno
però».
«Tutta colpa di una certa DISGRAZIATA,
Wraith, che aveva il compito di pulire questo mese e invece non
ha ancora toccato uno straccio, Wraith!»
Debbo ammettere che se Megatron avesse guardato me nella
maniera in cui sta guardando la sorella mi sarei sentito abbastanza
propenso ad
alzarmi e impegnarmi nelle pulizie, tuttavia lei non è me,
purtroppo per il
loro bilocale.
«Abbiamo uno straccio?»
«Sì! Quella cosa bianca che è in
bagno!»
«Quella dove sono nati i funghi che ho barattato ieri con
l’energon extra forte facendoli passare per
allucinogeni?»
«Quella!»
Mangia, non incrociare lo sguardo di uno o dell’altra e
taci, Damus.
Mangia, non incrociare lo sguardo di uno o dell’altra e
taci.
Mangia…
«Aaah… sì beh se vuoi usalo pure, io
non me la prendo».
«No, blyat, non
esiste! Pulire tocca a te, quindi tu pulisci, perché io non
intendo muovere un
dito fino a quando toccherà a me! Chiaro?!»
Una presa di posizione che sarebbe comprensibile se solo
servisse davvero, cosa che invece non è. Sono sempre stupito
di come due
persone tutto sommato ben messe riguardo l’igiene personale
(anche se spaccare
tubature all’esterno del palazzo per fare la doccia
è peggio che discutibile)
possano riuscire a vivere in qualcosa di molto simile a stalla di
porcineacon
anche quando spetta a Megatron pulire. Nonostante la mancanza di funghi
quando
è lui a occuparsi dei lavori di casa possa essere
considerata un netto
miglioramento, resta un esempio da non imitare.
«Cercherò di inventarmi qualcosa in questi
giorni».
«L’hai detto anche una settimana fa!
Disgraziata!»
Smetto di ascoltare il battibecco, che pure continua,
decidendo di concentrare i miei pensieri sul lavoro che mi
spetterà durante la
giornata.
Non che ci sia molto su cui riflettere per un operaio
qualunque di una fabbrica qualsiasi destinato a ripetere meccanicamente
lo
stesso gesto per otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana, il
tutto per
una paga che naturalmente è misera dato che il compito non
richiede particolari
requisiti se non riuscire a sopportare l’alienazione che il
tutto comporta.
Le cose sono migliori solo per i responsabili del reparto,
tanto che dopo milioni di considerazioni e ripensamenti ho perfino
trovato la
forza di fare domanda per quella posizione nel momento in cui si
è liberato un
posto: lo stipendio è più alto e, riuscendo ad
accumulare shanix più in fretta,
magari riuscirei ad andarmene da qui prima.
Non è andata bene.
“Ho visto come ti
muovi e come lavori, sei veloce, sei competente e sei organizzato ma,
detta in
modo molto schietto, ti mancano gli attributi per trattare con quelli
che
sarebbero i tuoi sottoposti. Sono stupito già solo del fatto
che tu abbia fatto
domanda. Cerca di imparare a essere più deciso e poi forse
ne riparliamo”.
Pensare al lavoro è stata una pessima idea.
La radiolina, che in tutto questo tempo non era stata mai
spenta e continuava a trasmettere l’inno di Kostrobna, inizia
a emettere una
serie di statiche per poi morire. Il mal di testa atroce che giunge dal
nulla subito
dopo mi fa desiderare di essere morto a mia volta, inizio a sentire
tutto in
modo ovattato, chiudo per un istante i sensori ottici e…
«… aver rotto la finestra prima non è
stato male, almeno non
devo farlo per buttare fuori il cadavere. Ehi! Di’ un
po’, vuoi darti una mossa
a svegliarti?!»
Non capisco cosa intenda Megatron, sono sveglio, ho solo
chiuso le palpebre un attimo.
Non comprendo perché mi succeda, non comprendo il motivo per
cui c’è sempre qualche oggetto che fa la fine
della radiolina poco prima che arrivi
il mal di testa. So di possedere un’abilità che mi
permette di paralizzare
parti corporee altrui e spegnere le macchine ma non la utilizzo per
più d’una
ragione (una delle quali è il mio fisico che ne subisce i
contraccolpi) e,
soprattutto, non ha alcun effetto a distanza.
«Ormai sono tre minuti... Wraith! Hai trovato o no quel coso
con la roba che prende?!»
«Ho solo due mani, gli scomparti sono tanti e non
è in
quello in cui lui lo mette di solit- semechki!
Ha dei semechki! Aveva. Eeee… eccolo! L’ho
trovato!»
«Non so se prenderlo a sberle per svegliarlo o aprigli la
bocca e sbattere dentro tutto».
«Sarebbe una perdita di tempo, gliela metto io direttamente
nel serbatoio assieme all’energon extra forte, almeno fa
effetto prima».
I discutibili approcci medici dei vicini peggiori della
storia riescono a darmi la forza di riaprire gli occhi. Il mal di testa
è
ancora pulsante ma il suono non è più ovattato e
la visuale diventa man mano
meno annebbiata, mostrandomi due paia di occhi dall’indentica
gradazione di
rosso.
«C-che… diamine…»
«Cerca di evitare di andare offline in casa mia, con tutto
il sudicio che c’è manca solo un morto e siamo a
posto. Si può sapere che ti è
preso?!» sbotta Megatron.
«Probabilmente è lo stress. Si ostina a lavorare
otto ore al
giorno, come altro deve finire?»
«Invece di perdere tempo in fabbrica potrebbe stare in giro
con noi, trovare quel che gli serve e imparare a darle quando
è in rissa invece
di bloccarsi e prenderle come quattro giorni fa!» esclama
Megatron, per poi
rivolgersi al sottoscritto «Idiota. Se ci avessi seguiti da
quando siamo
arrivati qui saresti diventato una macchina da combattimento, non come
me, ma
dignitosa».
«Sai che non apprezzo la violenza e ancor meno la violenza
inutile, in caso contrario ti avrei già preso a ceffoni, la
voglia c’è» dico,
ancora a terra, mordendomi la lingua troppo tardi.
Megatron fa un sorrisetto malevolo. «Come la volta in cui
abbiamo avuto quella breve discussione che è finita con lo
sfondamento della
parete che divide i nostri appartamenti? Per quel che mi riguarda
possiamo rifarlo
anche ora! Forza, alzati!» mi invita, facendo cenno di
avvicinarmi «Hai avuto
abbastanza coraggio con le chiacchiere, dimostrane altrettanto con i
fatti!»
Ho davvero voglia di farlo, per un attimo riesco persino a
immaginare il rumore del suo naso che si rompe contro il mio pugno e le
sue
corna a seguire, solo che poi torno bruscamente alla realtà
ricordando che la
mia inesperienza è pari alla sua abilità di
incassare. Non serve che qualche
istante per riuscire a fare due conti e capire che attaccare non
sarebbe una
grande idea.
«Perché invece di rompergli le scatole non gli
proponi di
nuovo di allenarvi a fare a botte insieme quando starà
meglio? Faresti prima»
commenta Wraith, lanciandosi in bocca quelli che erano i miei semechki.
È frustrante la mia incapacità di comprendere
dove finiscano
le azioni dettate puramente dalla natura di attaccabrighe di Megatron e
dove
inizi quello che, dal loro punto di vista, forse è perfino
una mano tesa in un
atto d’aiuto, perché pur vivendo nello squallore e
nel disagio è difficile che
qualcuno decida di rompere loro le scatole ed è ancor
più difficile che
suddetto “qualcuno” ne esca bene, dunque si sentono
più tranquilli e sicuri di
molti; sia come sia, mentre prendo il solito antidolorifico penso che
farei volentieri
a meno tanto delle provocazioni quanto dell’
“aiuto”, anche perché (come il
loro interesse verso la mia salute con tutto ciò che
implica) è più dannoso che
altro.
«Non lo faccio perché questo idiota direbbe di no
come al
solito, ecco perché» replica Megatron alla
sorella, per poi guardarmi «Riesci
ad alzarti in piedi?»
«Anche per forza, tra neanche mezz’ora devo partire
per
andare al lavoro».
«Ancora?! Warith, leghiamolo».
«Non abbiamo corde!»
«Allora lo stendo con una testata, è per il suo
bene».
«Non ci provare nemmeno!» esclamo «Mal di
testa ne ho già
abbastanza senza il tuo aiuto. Il lavoro non è faticoso, ce
la faccio, da qui
all’arrivo in fabbrica sarà passato
tutto… e domani, come dopodomani, sono
giorni liberi».
«Perché invece non vieni con noi a nord del
settore?» mi
propone Wraith, svuotando un cubo e mezzo di energon extra forte e
offrendo l’ultima
metà al fratello «C’è una
partita di Cube nel pomeriggio».
Avrei anche potuto prendere in considerazione l’idea di
accettare se fosse stata una giornata in cui non lavoro e, soprattutto,
se non
sapessi perfettamente che Megatron va allo stadio tanto per sostenere
la
squadra di Kostrobna quanto per dare inizio a risse spaventose che,
complice il
fatto che questo settore sia pieno di teste calde, di solito
coinvolgono tutta
la curva.
L’ultima volta, reo di aver accettato, sono finito mio
malgrado coinvolto nello scontro e ho paralizzato per errore la gamba
di
qualcuno che, come ho scoperto poi, stava fuggendo da Megatron; il
“Grandissimo!”
che ho ricevuto da quest’ultimo, seppur fosse un complimento,
non mi ha fatto
piacere.
«No, grazie, sarebbe molto più faticoso della
fabbrica. Vado
alla fermata…»
«Veniamo con te!» esclama Wraith.
«Il match di Cube non era nel pomeriggio? Perché
partite
ora?»
«Qualcosa da fare nell’attesa
c’è sempre. Lì poi ci sono
case un po’meglio delle nostre e ieri sera ragionavamo sul
fatto che è ora di
prenderci un televisore nuovo, blyat,
ormai è un po’ che siamo senza per…
com’è che è successo?»
«Se non erro, Megatron era ubriaco l’ha usato per
buttare
giù il vostro vicino del piano di sopra quando si
è calato qui e ha bussato
alla finestra per chiedergli se aveva una sigaretta di
energon».
Perché?
Perché eventi simili sono diventati la normalità
nelle mie cronache
ascoltate da Kostrobnesi troppo ubriachi per ricordare?
Wraith solleva le sopracciglia. «Sai che non lo ricordavo
proprio?»
«Questo perché quella stessa sera avete bevuto al
punto che
siete usciti a cercare voi stessi a vicenda, il tutto trascinandomi
dietro».
«Non ci aiuta granché, è successo un
paio di volte in queste
due settimane» sbuffa Megatron.
«Sei. È
successo sei
volte e io parlo della penultima».
«Aaaah».
[
Nota
dell’autore: con mio enorme rammarico debbo notare che
l’intermezzo tra questo
e il mio ritorno dalla fabbrica è andato perso. La mia
ipotesi è che sia andato
a finire in certi punti dei miei appartamenti dei quali io stesso
ignoro
parzialmente il contenuto. Chiedendo a Lord Megatron (quale ironia che
il mio
ex vicino di casa e Lui portino la stessa designazione pur essendo due
persone
totalmente diverse!) di darmi la forza di tuffarmi in una ricerca che
si
preannuncia ardua, per il momento continuo la prima rilettura di quanto
ho
scritto. ]
Quando giungo alla fermata la pioggia è diventata fortissima
e non resta altra luce se non quella delle insegne e quella dei pochi
lampioni
giallo sporco ancora miracolosamente sani.
Alzarmi è quasi difficile, non sono riuscito a sedermi che
cinque minuti fa dopo un viaggio fatto costantemente in piedi che oggi,
forse a
causa di quant’è accaduto stamattina, ho trovato
un po’stancante. Megatron e
Wraith forse sono ancora a nord a far danni o forse sono già
tornati, non so
dirlo (girano molto per il settore ma solitamente finiamo a incrociarci
nei
mezzi pubblici, specie di sera) quindi ho potuto dimenticarmi del posto
in
fondo che, se sono presenti anche loro, mi è riservato.
Quando salgono sui
mezzi pubblici l’espressione di Megatron fa sì che
si crei il vuoto attorno a
lui, alla sorella e a me, con conseguenti posti liberi.
La pioggia che inizia a battere sul mio corpo quando scendo
dovrebbe irritarmi o far sì che mi affretti per raggiungere
casa ma non è così.
La sensazione che provo non è di fastidio, è
quasi un massaggio che riesce a
lavar via la stanchezza e i brutti pensieri per qualche minuto, prima
che il
mio processore ponga un quesito quale “Dove saranno finiti
quei due?”
Il colpo di un cannone a neanche cento metri di distanza,
dal rumore che ormai mi è ben conosciuto, mi porta a
trasalire.
«EEEEEEEE- DYUREDE’DANJE!»
Megatron, perché di lui si tratta, canta (urla) il verso di
una tipica canzone del luogo prima di sparare un altro colpo.
«AJANI’SAM!»
Colpo di cannone numero tre.
Forse è colpa mia che, se in orari simili non sono ancora in
vista, mi chiedo ancora dove siano invece di limitarmi a essere
sollevato all’idea
di non dover assistere a simili sfoggi di kostrobnesitudine.
«SON OMKO JU VOLYM!»
Alle tre cannonate sparate in fila una dietro l’altra si
aggiunge il rumore dei colpi sparati dalle persone che a
quest’ora sono abbastanza
ubriache da mettersi a cantare a loro volta, applaudendo tra un
“blyat” e un
“cyka blyat”
(quel loro intercalare il cui significato cambia a
seconda del contesto, in questo caso d’approvazione, ma resta
sempre alquanto
volgare), alias… tutta la strada.
Questo è il posto in cui vivo al momento.
Incontro Megatron, visibilmente ubriaco, all’ingresso del
palazzo. «Quando ci sei, si sente…»
«AH! Vicino!»
esclama, dandomi una pacca sulla schiena che mi avrebbe fatto crollare
a terra
se fossi stato più esile «Dovevi venire allo
stadio, razza di ssss… zozzone! La
rissa più bella del mese! E il Kostrobna ha
vinto!»
Ciò conferma quel che temevo e quanto ho detto stamattina,
nulla
di sorprendente.
Il desiderio staccare i recettori audio, coricarmi e stare
tranquillo fino a domani mattina diventa sempre più grande
ma inizio a intuire
che non verrà soddisfatto nel momento in cui, giunti al
piano in cui si trovano
i nostri appartamenti, odo la musica tipica del posto sparata a un
volume tale
da far tremare le pareti. Inutile chiedersi da quale delle topaie qui
presenti
provenga di preciso.
«Ecco dov’era andata a finire la deesHgraziata»
commenta Megatron, fermandosi davanti all’ingresso
del suo bilocale e aprendo la porta.
«CYKA BLYAAAAT!»
Questo è il grido con cui Wraith e le oltre venti persone
presenti nello stretto bilocale ci accolgono e, fosse solo questo, non
sarebbe
nulla che non abbia già visto. A essere sconcertante
è ciò che realizzo negli
istanti che seguono.
Dalla finestra che Megatron ha rotto questa mattina entra la
pioggia ma Wraith, invece di fare un tentativo per tamponare il danno,
ha
lasciato entrare l’acqua e ha utilizzato la transfase per
mettere dei pezzi di
lamiera come barriere tra essa, la porta d’ingresso e la
stanza in cui c’è la
cuccetta sua e di suo fratello, creando dunque una piscina (ormai il
livello
dell’acqua è notevole e continua a salire); come
se ciò non fosse stato
sufficiente ha svuotato nell’acqua almeno due flaconi di
detergente profumato,
sopra il cubo verde che galleggia pigro c’è un il
televisore che lei e Megatron
devono aver rubato oggi e… sto pregando inutilmente
divinità di vario tipo che quello
che penzola dal soffitto e si tuffa parzialmente nell’acqua
non sia un grosso insieme
di serpentine arroventate prese da chissà dove per scaldare
l’acqua.
Forse è solo un
sogno. Forse è ancora mattina e io sono ancora svenuto,
perché se così non
fosse staremmo rischiando di saltare tutti in aria.
Kostrobnesi ubriachi marci, alcuni dei quali aggrovigliati
da fili di lucine, ballano, saltano, bevono, ridono e gridano. Il tuffo
che fa
Megatron nella piscina casalinga urlando “Finalmente un
po’di sapone in questo
posto” causa un’onda anomala che raggiunge la mia
faccia.
Io sono sveglio, l’acqua è effettivamente calda e
se avessi
un briciolo di autocontrollo o dignità in meno, sarei in
lacrime.
«…e tu vieni qua!»
Vengo sollevato e gettato in mezzo all’acqua saponata e alle
persone dal peggior vicino della storia.
Temo di poter dire con sicurezza che, anche questa notte,
dormirò la notte successiva.
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Capitolo 2 *** Capitolo ### ***
Memorie,
capitolo [numero ancora da definirsi]: I vicini di casa
peggiori della storia
Una cosa che mi accade sovente e mi accadeva anche prima del
trasferimento in quel di Kostrobna è, per una ragione o
l’altra, svegliarmi
all’alba o ancor prima dell’inizio di essa, come
oggi.
Non sempre
è colpa del rumore prodotto dalle genti ubriache,
dai veicoli vecchi e malconci che passano sferragliando in modo
detestabile lungo
la strada o dalle tubature nelle pareti intente, forse, a protestare a
loro
modo per essere state montate in questo condominio da costruttori
sadici; a
volte -spesso. La maggioranza. Sono le mie memorie, posso essere onesto
con me
stesso?- a destarmi sono i miei stessi pensieri. Il mio processore ne
è pieno,
lo è sempre stato. Penso al passato, al presente, al futuro:
nulla di allegro.
Non lo è praticamente mai.
Penso anche a
me stesso, e quando penso a me stesso diventa
tutto ancor più cupo. Rievoco in maniera costante i fatti
occorsi nei giorni
precedenti, le conversazioni, le parole degli altri, le mie in
risposta, quando
ci sono state, e immagino scenari differenti. “Avrei potuto
dire”, “avrei
dovuto fare”… non mi lasciano in pace, insieme
alla sensazione di non aver mai
agito nel modo corretto e il dubbio di non esserne in grado, non
abbastanza,
mai abbastanza, perché io non sono
abbastanza.
In questi
momenti mi sento perso, senza prospettive. D’altra
parte quali prospettive può avere una persona come me?
Il mio
obiettivo momentaneo è raggranellare abbastanza
shanix da poter lasciare Kostrobna e tornare a vivere in una parte
migliore
della mia città natale, con un tenore di vita migliore
grazie a quel che sto
risparmiando e all’esperienza acquisita che dovrebbe
permettermi di trovare un
lavoro migliore, più sicuro, ma certe volte ho il dubbio che
non riuscirò
neppure in questo. Sono abile ma non mi promuovono: non ho
l’atteggiamento
giusto. Non sono giusto.
Non
abbastanza, mai abbastanza… è il leitmotiv di
sempre.
Il dubbio poi
diventa certezza, la certezza diventa una
sensazione di ansia così opprimente che restare sdraiato
sulla cuccetta in
questo buco di appartamento diventa insopportabile. Capisco di aver
bisogno di
uscire all’aperto quando il mio sistema di ventilazione
inizia a lavorare male.
Sotto questo punto di vista ci sono stati dei miglioramenti, non mi
accade più
così spesso come quando vivevo a Tarn -il che è
paradossale considerando
l’ambiente e le persone caotiche che mi circondano qui a
Kostrobna- ma lo fa
ancora, certo che lo fa ancora: è l’ennesimo
aspetto di me che non va.
Esco, percorro
il corridoio quasi di corsa, salgo le scale
tre a tre. Il mio obiettivo è il tetto del palazzo, in alto,
lontano dalla
strada, dalla gente che a quest’ora risulta comunque poca e
nulla, lontano da
miserie in cui resto sempre e comunque invischiato come ad aver fatto
un bagno
nell’olio guasto. Arrivo alla porta, riesco ad aprirla
nonostante la resistenza
prodotta dalla corrente d’aria. Il vento freddo è
come uno schiaffo in pieno
volto, ma non mi dispiace, perché ho sempre apprezzato molto
più il freddo del
caldo, e la neve ancor più del solo freddo.
Mentre mi
trascino lentamente a un paio di metri dal bordo
del tetto, rigorosamente privo di parapetto -d’altra parte
questa è Kostrobna,
le misure di sicurezza sono un’opinione. Per la precisione
un’opinione che a
nessuno interessa ascoltare- mi accorgo del leggero tremore delle mie
mebra.
Vorrei che c’entrasse la temperatura ma è la mia
solita maledettissima
debolezza.
Ho voglia di
urlare e allo stesso tempo di non parlare mai
più, di prendere a pugni qualcosa o qualcuno e di sdraiarmi
a terra restando
inerte. Odio questo settore, odio la vita, la galassia e
l’Universo tutto
perché non riesco a trovare un posto in esso, vagolando in
un’esistenza
miserevole carico anche di una solitudine “interna”
che percepisco in maniera
pressoché costante.
[Mentre le memorie
fluiscono dalla mia
testa al datapad mi sorprendo sia della quantità di dramma
inutile, sia di quanto
i ricordi siano vividi. Anche troppo per i miei gusti. Ero
così giovane e così
sciocco… sono oltre ormai, ho trovato il mio scopo, il mio
posto. È tutto sotto
controllo. Va tutto bene.]
«Vicino!»
Lo strillo che
mi sale spontaneo alle labbra è poco virile
ma pienamente giustificato dalla stramaledetta mossa della mia
stramaledetta
vicina di appartamento che ha avuto la stramaledetta idea di spuntare
fuori dal
nulla senza avvisare, come del resto succede molto spesso. Come possa
una
persona chiassosa come Wraith essere così silenziosa, quando
le pare -in
perfetto accordo con la sua abilità, che la rende
impalpabile, e il suo stesso
nome, che rievoca uno spettro- risulta tutt’oggi un mistero
per me.
«M-ma
che diam- COSA
ci fai TU qui a
quest’ora?! E
piantala di arrivare di botto! È insopportabile, capito?!...
nemmeno prima
dell’alba si può stare in pace, nemmeno adesso,
maledizione!»
«A
dire il vero ero qui da prima di te, ti ho visto uscire»
rivela lei «Io e Megatron siamo tornati una
mezz’ora fa: lui è a duecento metri
da qui con un paio di ragazze, sai come va, e io non avevo ancora
voglia di
andare a dormire».
Le mie angosce
e la mia rabbia dirette al tutto diventano un
grumo di collera diretto a una persona molto precisa, alias la femme
che mi sta
davanti con un cubo di energon extra forte semivuoto -e poi vuoto, dopo
un
sorso, e poggiato a terra- in mano, l’espressione
più serena del mondo e che si
azzarda perfino a sorridere.
Ed
è una cosa insopportabile.
Vive in una
topaia poco più grande della mia, non ha uno
straccio di lavoro, non ha colleghi e superiori di cui curarsi
perché lei e
quel bel tomo del suo gemello trovano comunque di che campare, la sua
vita è un
susseguirsi incessante di disagio, bevute, feste, risse in cui si trova
coinvolta insieme al fratello -…che le crea- pensa solo al
“qui e ora” senza
mai preoccuparsi del futuro, cos’ha da sorridere? Cosa?!
Il mio pugno
parte da solo, diretto al volto di questa
“disgraziata”
-come Megatron la definisce spesso senza per una volta avere torto-
maledettamente tranquilla che inclina la testa da un lato in un
movimento tanto
rilassato da avere dell’irreale; in ciò non cambia
espressione, la mia rabbia
le scivola addosso come olio sul piano inclinato del suo totale
menefreghismo,
il che mi fa solo infuriare di più.
«Dunque,
come mai sei qui a quest’ora?» mi domanda mentre il
secondo pugno che le sferro passa a un paio di centimetri di distanza
dal suo
naso «Sei stato in giro tutta la notte anche tu?»
«Fatti»
un altro pugno a vuoto «Gli» e un altro
ancora, l’ennesimo, e il risultato non cambia «Affari» mi porto
in avanti, tento di
afferrarla, le mie mani stringono il nulla e quasi perdo
l’equilibrio «TUOI!»
La rabbia e
tutto il resto risultano più sopportabili ora
che ho qualcuno contro cui dirigerli. Il senso di oppressione che mi ha
portato
quassù inizia ad attenuarsi leggermente, il sistema di
ventilazione torna a
funzionare in modo regolare, man mano i miei colpi acquistano vigore e
velocità,
e la mia immane frustrazione si sposta tutta sul fatto di non riuscire
a dare a
questa dannata ficcanaso quel che si merita, sia per la sua invadenza
continua,
sia per tutto l’assoluto disagio che
sono costretto a subire da parte sua e di suo fratello.
«Si
vede che Megsha ti sta facendo allenare insieme a lui
più spesso» commenta, e schiva un mio affondo che
va a finire contro la porta
dalla quale sono uscito poco fa «Il modo in cui dai i diretti
è molto simile al
suo».
Sì,
sono costretto a subire gli allenamenti con a quel
grosso cafone tamarro di Megatron,
[L’effetto
dato dall’associare il Suo nome a simili aggettivi
è così profondamente
sgradevole!... perché, perché quel disgraziato
del mio per fortuna ormai ex
vicino di casa doveva avere l’onore di portare proprio il Suo
stesso nome?]
non ho altra
scelta considerando che se non gli do corda
continua a provocarmi fino a farmi innervosire abbastanza da scatenare
una
discussione che, potenzialmente, potrebbe finire con me sbattuto contro
la
parete che divide i nostri due appartamenti e con la parete in
questione
sfondata.
Un’altra
volta.
Meglio non
parlare del modo in cui abbiamo tentato di
ripararla finendo soltanto per sfondarla ancora di più, rei
di non aver ricordato
di avere a disposizione una transfasica che, tornata a casa, avrebbe
potuto
infilare nell’apertura lamiere su lamiere con immensa
facilità. In mia difesa,
e anche di Megatron, posso solo dire che comunque non saremmo stati
sicuri del
suo essere abbastanza sobria da portare a termine il compito.
«Taci!
Nessuno ve l’ha chiesto, nessuno vi ha chiesto
niente!»
esclamo, tornando all’attacco dopo essermi massaggiato
brevemente le nocche «E
smettila di muoverti!»
«Quando
sei abituata a cercare di evitare il mestolo di
babushka Valka, a volte con successo ma molto più spesso
purtroppo no E anche quando hai
successo finisci col
beccare il triplo delle mestolate appena ti ha a portata di mano, il
tuo corpo
si mette a schivare le botte da solo! È il trauma, blyat!» blatera
Wraith mentre cammina all’indietro «E aggiungo che
quando sai che babushka è sulle tue tracce anche farti
ospitare da un ursanokor
per nasconderti non pare una brutta idea».
«Peccato
solo che l’ursanokor non ti abbia mangiata!»
«Naaah,
Vladsha non l’avrebbe mai fatto, da piccoli era uno
dei nostri migliori amici».
Megatron e
Wraith avevano un ursanokor come migliore amico
quando erano piccoli.
Un ursanokor come
migliore amico.
D’altra
parte siamo a Kostrobna ma dettagli allucinanti come
questo rientrano tra le cose delle quali non riesco proprio a
capacitarmi,
anche se mi riesce più difficile pensare che sia una bugia
piuttosto che
pensare che sia vero.
«Io,
lui e Megatron giocavamo spesso alla lotta, solo che
babushka per qualche motivo che ignoro non voleva che ci
frequentassimo, quindi
quando ci beccava insieme fuggivamo tutti e tre nella sua
tana… o comunque ci
provavamo».
Ne ho
abbastanza di starla a sentire, ne ho abbastanza di
lei, del fratello, di tutto. Sono esasperato, sono arrabbiato. “Se solo
potessi strapparle via la testa!”,
penso perfino: d’accordo, non so quanto sia seria la mia
voglia di fare davvero
qualcosa di tanto violento, ma quella di prendere a pugni questa
disgrazia con
le corna c’è tutta.
Scatto in
avanti, stavolta sono stato particolarmente
veloce, riesco a sentire vagamente il calore del corpo di Wraith...
E succede di
nuovo, come all’inizio: si sposta di lato con
fluidità e il mio pugno colpisce solo l’aria, ma
stavolta sento sul braccio un
tocco leggero che devia completamente la traiettoria del mio colpo, del
mio
braccio e dell’intero me stesso, completamente senza
equilibrio e decisamente
troppo vicino al ciglio del tetto.
La paura di
finire col cadere mi impedisce di capire bene
cosa succede negli istanti successivi, so solo che il braccio sinistro
di
Wraith è attorno alla mia vita e di dà una
leggera spinta all’indietro, la sua
mano destra preme sulla schiena alla stessa altezza, e mentre lei
mantiene
saldamente l’equilibrio per tutti e due io sono fermo a
guardare la strada
sotto di noi.
«Ti
tengo» la sento dire vicino a uno dei miei recettori
audio «Tranquillo».
Alle mie gambe
non manca nulla per essere stabili se non la
consapevolezza di esserlo. Riprendo l’equilibro. Lo stupore e
la paura hanno
fatto svanire completamente la rabbia, anche se la mia scintilla pulsa
in modo
fastidiosamente forte a causa di essi. Anche l’ansia e il
senso di costrizione
nel mio sistema di ventilazione, ossia quel che mi aveva spinto
quassù, sono
scomparsi. Sto meglio. Oserei perfino dire che sto molto meglio, il tremore
è molto più ridotto.
Il braccio di
Wraith, lungo e sottile quanto saldo, è ancora
attorno alla mia vita.
«È
tutto ok, a volte ci sta sfogarsi un po’».
Realizzo che,
se Wraith era già sul tetto al mio arrivo,
probabilmente aveva notato le condizioni in cui versavo e tutte le sue
successive azioni sono state fatte di proposito.
È
invadente, è chiassosa, è alcolizzata,
è -assieme al
fratello- la personificazione di tutto il meglio e il peggio del
disagio profondo
che aleggia a Kostrobna, ma nella mia permanenza in questo settore ho
avuto
modo di comprendere che, per fortuna o purtroppo, né lei
né Megatron sono due
stupidi, e che dunque i difetti elencati in precedenza derivano
semplicemente
dall’essere stronzi; e nonostante questo è
riuscita a farmi stare meglio.
Non so come
sentirmi a riguardo.
Non sapere
come sentirmi riguardo certe loro azioni nei miei
confronti è qualcosa che accade spesso.
Rendermi conto
di tutto questo mi porta a pormi domande
stupidi quali “Se l’avessi colpita davvero, Damus?
È più alta di te ma è
sottile, non ha la struttura fisica del fratello. È una
femme profondamente esasperante
ma tutta quella rabbia non era rivolta a lei per davvero, è
con te stesso che
ce l’avevi e lo sai benissimo. Potevi…”
«…
uccidere qualcuno che voleva solo aiutare».
Non
l’ho detto ad alta voce, vero?
Non mi sono
lasciato sfuggire certi pensieri per davvero,
giusto?
(nota
dell’autore: ahimè l’avevo fatto,
ennesimo inaccettabile atto di debolezza. In quel frangente, pur non
essendo
nel torto nella parte riguardante la struttura fisica, avevo
dimenticato un
fondamentale dettaglio qual era la sua natura di kostrobnese. I
kostrobnesi
sono una piaga pressoché impossibile da estirpare,
più o meno come la tendenza
dei Phase Sixers alla ribellione.)
«Io
sono transfasica, ricordi?»
«N-non
è automatica. La transfase. Non scatta da sola quando
sei in pericolo».
«Vero,
Dasha, ma tu non sei babushka e non hai un mestolo.
Anche per paralizzarmi una parte del corpo avresti dovuto
toccarmi».
Tra i vari
difetti snervanti delle genti di Kostrobna c’è
anche questo modo di storpiare i nomi delle persone facendoli terminare
con la
desinenza “-sha”, ragion per cui
“Damus” diventa immancabilmente
“Dasha”, ma
del nomignolo mi curo ben poco stavolta, ho il processore impegnato con
ben
altri pensieri.
Lei poggia le
mani sulle mie spalle. Il fatto che io percepisca
il gesto come tranquillizzante risulta quasi fastidioso
all’inizio e so che
dovrei almeno voltarmi a guardarla, ma al momento sapendo che ha
assistito a
tutta quella scena patetica non ci riesco.
«E
non ci sono andato vicino» mormoro.
«Njet» conferma,
facendo poi una breve pausa «Hai voglia di narrarmi i tuoi
disagi? Sono quasi
sobria al momento».
«No.
Non era niente di importante, solo… pensavo. E alla
fine mi sono ritrovato quassù».
Non mi va di
spiegarlo, non alla mia vicina molesta con
addosso la perenne “fragranza”
dell’energon extra forte, e in ogni caso non
capirebbe. O forse sì, e in un certo senso sarebbe perfino
peggio.
«È
anche per questo che spesso reagisci in ritardo, e non
solo quando si tratta di darle o prenderle in una rissa. Hai il
processore
sempre troppo pieno, vicino!»
Purtroppo non
posso darle tutti i torti, ma non glielo dirò.
«E tu e tuo fratello ce l’avete perennemente
vuoto» borbotto «O pieno di
energon extra forte, che poi è la stessa cosa».
La sua assurda
risata simile al verso di un gabbianocon
pugnala i miei recettori uditivi. Trovo sempre incredibile che qualcuno
con un
timbro di voce caldo e scuro come il suo, possa emettere un rumore
così
stridulo. Per fortuna non dura molto.
«Hai
notato che oggi col vento l’aria è bella pulita
quassù?» mi domanda, non so perché, e
inspira profondamente «Prova anche tu, il
tuo sistema di ventilazione ringrazierà».
Inizialmente
borbotto qualche protesta, ma riconosco che la
cosa non può far danni, dunque l’assecondo.
Qualsiasi cosa pur di non guardarla
in faccia.
Dopo vari
respiri profondi il tremore passa del tutto.
«Forse
già lo sai, vicino, ma io amo particolarmente i luoghi
alti. Conosco i tetti bene quanto le strade. Il mio posto preferito in
assoluto
è la torre laggiù» dice Wraith,
indicando una torre che si riesce a distinguere
chiaramente nonostante la distanza «Ma qualunque cosa sia in
alto è ok. Qualsiasi
posto ti permetta di osservare più parti di questa
meraviglia di settore è ok…»
Mi permetterei
di dissentire se non fosse che lasciarla
parlare, insieme ai respiri, contribuisce a rilassarmi.
«E
qualsiasi eventuale problema diventa più piccolo o
sparisce. Tu sei qui, il resto è laggiù, e va
tutto bene. Nulla ti tocca, Damus.
Ripeti dopo di me: nulla ti tocca».
«Nulla
mi tocca…»
«”Va
tutto bene”».
«Va
tutto bene…»
«“Se
hai fame prendi tutti i semechki che ho nello
scomparto”…»
«Se
hai fame prendi tutti i semechki che ho- ma CHE DIA-»
«Sei
il miglior vicino del mondo, blyat!» esclama la
disgraziata, e mi giro di scatto solo per
vederla andare di corsa verso la porta «E
direi che dovremmo andare in ricarica tutti e due, Megatron parlava di
non so
quale idea che aveva per oggi pomeriggio
e che coinvolge anche te. C’è stato un allagamento
verso ovest, mi sa che c’entrava
quello…»
No. No, no e
poi no. Non so cos’abbia pensato Megatron ma
qualsiasi cosa sia non voglio farne parte, né mai
né tantomeno oggi. «Qualunque
cosa sia sappi che io non intendo minimamente-»
«Non
intendi minimamente perdertela, ci credo!» annuisce lei
«A dopo, vicino!»
«WRAITH-»
È
scomparsa nel pavimento, da buona transfasica nonché da
buona vicina di casa peggiore della storia: certe cose non cambiano mai
e lei e
il suo gemello sono una piaga sempre e comunque, anche se… anche se
°
° °
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CANCELLAZIONE
FILE “CAPITOLO #####” ESEGUITA
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Capitolo 3 *** Capitolo ### (possibile numero #. Ancora da definirsi) ***
Memorie,
capitolo [numero ancora da definirsi]: I vicini di casa
peggiori della storia
Il
panorama che si scorge guardando fuori dal finestrino del
bus in cui mi trovo è desolante e al contempo brulicante di
vita. Davanti ai
miei sensori ottici passano grossi casermoni tristi di colore grigio,
torbidi
canali di scolo che si snodano tra le vie, alcune larghe e alcune
strette ma
sempre malmesse, piazzali nei quali gruppi di persone più o
meno fitti sono
radunati a improvvisare l’ennesima follia alcolica della
giornata mentre si
“salutano” a suon di schiaffi, bidoni che vengono
fatti esplodere e volare in
aria come missili -sembra essere uno degli “sport”
più apprezzati del posto
insieme alle risse e alle discese su “veicoli”
improvvisati ai quali sono state
attaccate delle ruote, non ultimo il divano dei gemelli ieri- tavoli,
sedie e
avventori che volano magicamente fuori dalle porte e dalle finestre dei
locali
a causa delle, ahem, comuni discussioni pacifiche che intercorrono tra questi
assoluti barbari alcolizzati incapaci di mostrare civiltà
gli abitanti del
settore; tutto uguale e tutto diverso, come sempre.
Eccetto per le fauci dell’alloygator che schioccano accanto
al mio braccio un attimo dopo che la bestia è stata tirata
abbastanza indietro
da impedirle di fare un aperitivo con un pezzo di me.
«Katyusha! Non si morde il vicino. Non si fa!... ma chi
èèèèè la
alloygator più carina del bus? Ma sei tu! Ma sì
che sei tu!»
Già in condizioni normali la maggioranza degli abitanti
tende a tenersi
lontana dai sedili in
fondo quando vede che Megatron e Wraith ne hanno preso possesso, e oggi
se il
bus fosse stato meno pieno me ne sarei tenuto lontano io stesso dato
che il
cucciolo -tendente all’adolescenza- di alloygator lilla in
braccio alla mia
vicina di casa mi sta fissando con l’aria di chi sta
giudicando se sarei un
pasto buono oppure no.
«Non provare a portare in casa quella cosa, te lo
dico» dice
Megatron, e qui provo perfino del sollievo «Non voglio
bestiacce a ciancicare
il divano nuovo!»
Il divano nuovo, per la precisione quello che Megatron la
lanciato in modo poco urbano sui due sedili davanti a me. Non so dove
se lo
siano procurato e non sono certo di volerlo sapere ma immagino che
venga dalla
parte più a nord del settore, messa meglio di quella dove
vivo. A dir dei
gemelli ci sono perfino delle case che presentano una discreta opulenza
al
proprio interno, peccato appartengano a gruppi di spacciatori e
associazioni a
delinquere che la milizia di Kostrobna non riesce ancora a debellare.
La
maggioranza degli abitanti del settore fa
“soltanto” uso e abuso di energon
extra forte ed è gente un po’troppo semplice per
darsi alla criminalità
organizzata, ma questo non significa che non esista affatto, come del
resto
esiste ovunque. Agli abitanti della parte di Kostrobna dove vivo va
reso onore
almeno per una cosa: respingono con particolare violenza i tentativi
degli
spacciatori di mettere radici anche lì, alcuni
perché non apprezzano, altri
perché cercano solo una buona ragione per menare le mani.
«Katyusha è una signorina, non una bestiaccia. E
comunque a
breve scendo e la riporto dai suoi fratelli al
canale…»
«Basta che poi lei e loro ci restino anche, al
canale»
ribatte Megatron.
«Quella della settimana scorsa è stata
un’emergenza! Tu come
ti sentiresti se fossi un alloygator e ti prosciugassero casa
così di botto
senza senso?»
«Non lo so, ma so per certo che quando loro sono tornati a
stare dove dovevano stare e abbiamo prosciugato camera nostra mi sono
sentito molto felice. Una colonia
di alloygator in
casa, cazzo!»
«Avevi detto che andava bene, Megsha».
«Ero ubriaco fradicio! Disgraziata!»
«E io pure se è per questo, siamo ubriachi
sempre!»
«Ah già, è vero».
Come potete aver intuito dal delirante discorso ivi
riportato, la settimana scorsa i gemelli hanno accolto in casa una
famiglia di
alloygator in difficoltà causa prosciugamento del canale
dove vivevano. Credo
possiate immaginare l’espressione sul mio volto quando,
entrato in casa dei
gemelli, ho notato la barriera di lamiera tra il soggiorno e la camera
da
letto, l’acqua all’interno di essa e gli occhi di
un paio di alloygator a fare capolino
sulla superficie.
Dare rifugio a della fauna selvatica nell’attesa di
ripristinare il loro ambiente naturale -cosa che i miei vicini hanno
fatto un
paio di giorni fa con una tecnica mista tra cannonate e pseudo
ingegneria
kostrobnese deviando un canale poco lontano, e chi se ne importa del
danneggiamento e modifica di strutture pubbliche- potrebbe anche essere
considerato… encomiabile, di per sé.
Quasi. Se fossero stati cuccioli di cybergatti.
Ma vedere Megatron eseguire una tomb stone acquatica sul
capo della colonia di alloygator al grido di “CYKA
BLYAT!” per stabilire una volta per tutte chi fosse
l’alfa
dell’appartamento, il tutto mentre Wraith piazzava scommesse
con tutti i vicini
del pianerottolo accorsi in blocco a osservare la battaglia, era
qualcosa di
cui avrei fatto a meno volentieri.
Cielo, che periodo.
Wraith, come aveva anticipato, scende dal bus poco dopo con
Katyusha. Resto solo con Megatron, che sta svuotando un cubo di energon
extra
forte, e il suo divano nuovo. Nessuno dei due pare avere qualcosa da
dire
all’altro ma il silenzio non risulta pesante né
imbarazzante.
Giunti alla fermata scendiamo dal bus e Megatron non mi
chiede di aiutarlo col divano, che trasporta senza fatica. Arriviamo
fin sotto al
nostro condominio in relativa tranquillità, se si esclude il
vedere kostrobnesi
che hanno attaccato con un cavo una lamiera a un bus così da
farsi trascinare
su di essa come fosse uno slittino, ma con varie scintille in
più.
Inizio a essere avvezzo a simili scene. È grave.
«Stasera esci con noi, Dasha».
Mai che quella del mio vicino sia una domanda. «Veramente
stasera pensavo di leggere un po’, sai…»
«Sempre a leggere! L’hai fatto ieri sera, ci hai
anche
spiegato il pensiero di quel filosofo…»
Vero. Ieri sera, in un tentativo di unire la mia intenzione
di leggere alla compagnia non propriamente cercata dei miei vicini, ho
deciso
di provare a parlar loro del saggio di filosofia che stavo rileggendo
per la
terza volta. Mi ero rassegnato in partenza
all’inutilità di quel tentativo, scoprendo
con una certa sorpresa di sbagliare. Non solo si sono mostrati tutto
sommato
interessati, ma hanno perfino capito quel che ho spiegato e,
incredibile ma
vero, sono riusciti a spiegarlo anche ad altri loro amici arrivati in
seguito.
Avevo addirittura iniziato a sentirmi soddisfatto del
risultato -al di là dell’irritazione dovuta
all’ennesima conferma che il loro
essere esasperanti non venga dalla stupidità, ma
dall’essere stronzi- e
dall’essere riuscito a infilare nelle loro teste dure
concetti più “alti” dei
soliti, peccato che poi una discussione tra Megatron e uno degli altri
sul
pensiero di questo filosofo abbia fatto degenerare tutto in una rissa
con tanto
di defenestrazione finale. I frammenti di vetro sono ancora qui per
strada,
brillanti a causa della luce.
«L’ho fatto… e l’avete anche
compreso».
«Credi di avere a che fare con dei deficienti,
vicino?»
«No. Ma è anche per questo che mi
chiedo… non siete stupidi.
Tu e tua sorella potreste fare parecchio, ognuno a modo suo, se voleste
potreste fare carriera-»
«Dove?»
«Dove volete.
Letteralmente dove volete» al contrario di me, bloccato dove
sono sempre e
comunque «Se solo-»
Il divano viene lanciato da Megatron attraverso la finestra
già rotta dopo pochi attimi spesi a prendere la mira.
Ora al terzo piano del condominio c’è una finestra
con un
divano incastrato.
«E così non devo fare le scale con quello in
spalla!»
esclama, compiaciuto del gesto «Dicevi, vicino?»
«Niente. Assolutamente niente».
Per la mia salute mentale credo sia meglio non aggiungere
altro.
Saliamo le scale, Megatron mi parla di come lui e Wraith si
sono procurati il divano ma io ascolto solo a metà.
Arriviamo all’appartamento,
mi lascio trascinare dentro per inerzia e noto che Wraith è
già qui. Dev’essere
tornata poco fa e aver raggiunto casa saltando da un cornicione
all’altro, come
fa d’abitudine: “Si fa prima”, dice, e
almeno su questo ha ragione. Il divano
ovviamente non l’ha ostacolata, potendo passare attraverso le
pareti.
Una volta portato dentro il divano ci sediamo e accendiamo
il televisore. Grazie al cielo sembrano voler stare buoni per un
po’prima di
uscire e andare chissà dove con me a traino.
«… basketrek. Ieri uno dei ragazzi non aveva detto
a tutti e
tre qualcosa riguardo l’andare a giocare stasera, prima che
finisse fuori dalla
finestra?» domanda Wraith.
Me la cavo discretamente a basketrek, i miei tiri dal centro
del campo sono molto precisi. Io mi occupo dei tiri dal centro,
Megatron delle
schiacciate a canestro e Wraith ruba la palla agli avversari come ruba
il cibo
al mondo: la formazione funziona. Forse la serata non sarà
necessariamente un
disastro da subito.
È esattamente quando inizio a pensare così che il
rumore
nella strada inizia di botto ad aumentare. Kostrobna, e questa strada
ancor
meglio, non è mai propriamente silenziosa ma la
quantità di caos che sentiamo
non è normale.
«Wraaaith… che succede la fuori?»
domanda Megatron
scrocchiando le dita delle mani.
Pregusta già la rissa, lo vedo, e vedo anche il modo in cui
verrò trascinato dentro a mia volta. “Addio
all’illusione di una serata tutto
sommato decente”, sospiro nel mio processore, mentre Wraith
si avvicina
tranquillamente alla finestra, si sporge verso l’esterno per
più di metà e…
«CYKA BLYAT!»
Mai, in tutto il periodo trascorso in questo posto, avevo visto
così tanto allarme nella
mia vicina
di casa, la quale dopo quel grido scompare con un salto attraverso la
soffitta;
nulla di tutto questo è normale e sia io sia Megatron, in
risposta, siamo
scattati in piedi come se il divano avesse iniziato a bruciare.
«Cos...»
Si ode l’eco di un altro strillo di Wraith -ormai giunta sul
tetto, presumo- e Megatron, dopo aver urlato un “dr’mo” che in
kostrobnese indica l’energon esausto, mi solleva di
peso mentre sfonda la porta d’ingresso con un calcio e si
lancia nel corridoio.
«Ma che dia-?!...»
«DOBBIAMO ANDARE,
VICINO!» esclama, scendendo le scale a gruppi di
cinque con dei salti che
fanno tremare tutta la gradinata.
Megatron che fugge via come se lo inseguisse Unicron in
persona è qualcosa che getterebbe nell’angoscia
più pura qualsiasi essere
senziente che lo conosca anche solo di vista, e io non faccio
eccezione.
«Mettimi giù! Si può sapere che
succede?!»
«Il disastro, BLYAT!»
ribatte il mio vicino, sfondando la porta sul retro.
«Cosa-»
«Le dieci piaghe di Altheix tutte insieme, BLYAT!»
«Megatron-»
«BABUSHKA, BLYAT!
Babushka Valka è qui!»
Babushka Valka, alias la nonna dei gemelli, alias la stessa
persona alla cui furia, a dir loro, è preferibile la tana di
un ursanokor, nonché
la stessa persona che, quando loro erano troppo lontani per essere
colpiti dal
mestolo, nel futile tentativo di disciplinarli lanciava loro i piedi
per poi
inseguirli correndo sulle caviglie in caso di lanci a vuoto.
Ora comprendo meglio, anche se tutto questo continua a
sembrarmi eccessivo.
«Le avevamo detto che stavamo smettendo di bere, blyat, ma l’energon extra forte
che
abbiamo in corpo si sente da lontano, cyka
blyat!» impreca senza interrompere la sua folle
corsa «Cosa CAZZO ci fa
qui adesso?!»
«Ma più che altro io che c’entro?! Cerca
voi, non m-»
«E cosa pensi che avrebbe fatto trovandoti
nell’appartamento
se non cercare di farsi dire da te la nostra posizione a suon di
mestolate, dybil?! E tanto tutti
quelli che vivono
in questa strada per lei meritano la loro dose già solo per
quanto bevono! Un
motivo valido per una mestolata lo trova sempre! Sempre!»
«Ma se io sono-»
Il “pressoché
astemio” che avrei voluto dire si perde nell’etere
quando ai nostri recettori
uditivi giunge l’eco di uno “SCAPPA,
MEGSHA! SCAPPAAAAA” insieme a quella che inizio a
temere sia una serie di
colpi di mestolo.
«Wraith! L’ha
presa!...» esclama Megatron, fermando la sua corsa solo per
un attimo per
mettermi finalmente giù prima di riprendere con ancor
più disperazione nel
corpo e un “blyat”
a ogni passo «Non
c’è più niente da fare per lei ma forse
se riusciamo a trovare una cantina-»
«Come ha fatto a prenderla?! La transfase-»
«È transfasica anche babushka, ecco come, lo sai
come
funziona!»
Tra gli svariati limiti dell’abilità in questione
c’è anche
quello di essere inutilizzabile su un altro transfasico, quindi ha
senso, ma
che Wraith sia stata presa così alla svelta la dice lunga su
questa babushka
che ormai immagino poco meno grande di suo nipote e sulle nostre tracce
come un
segugio.
«Cantina! Cantina!»
esclamo, avvistandone una appena svoltato l’angolo.
«Cantina! Infiliamoci
dentro, prima
che-»
Qualcosa sul tetto vicino fa sì che una larga ombra scura
cada su di noi prima il “qualcosa” in questione
spicchi un salto spaventoso e
atterri davanti a noi sollevando un gran polverone e distruggendo
l’entrata per
la cantina.
Sento il mio vicino imprecare tanto alla svelta da non
riuscire a distinguere una parola dall’altra e lo vedo
cercare di allontanarsi,
ma tre dita di una grande mano rossastra afferrano una delle sue corna
e la
stringe in una morsa dalla quale è impossibile sfuggire,
mentre pollice e
indice stringono saldamente un grosso mestolo.
«“Stiamo smettendo di bere, babushka”,
dicevano».
Forse dovrei provare ad andarmene ma la voce cavernosa,
ancorché riconoscibile quale femminile, e il bagliore dei
sensori ottici rossi
brillanti che riesco a intravedere mi bloccano sul posto, mentre la
polvere si
dirada e il mio volto si solleva a guardare con una certa sensazione di
panico
una dei transformers più grossi che abbia mai visto.
Munita di quattro corna principali, due dentellate verso
l’interno e due verso l’esterno, massiccia, con
spalle “alte” sebbene non lo
siano quanto i cingoli del nipote -che supera in altezza di almeno
cinque
metri, il che è tutto dire- , un cannone sulla schiena che
svetta verso l’alto
e una combinazione di colori composta di rosso scuro, viola desaturato
e nero, la
sensazione che si prova è quella di avere davanti un titano
sconosciuto dei
tempi antichi che sta trattenendo e sollevando Wraith per il punto vita
con una
sola mano.
«Te l’avevo detto di fuggire, bl…in»
si corregge Wraith, la quale avendo già avuto la sua parte
di mestolate non dà minimamente mostra di voler provare a
liberarsi ma cade in
piedi quando, pochi istanti dopo, Valka la lascia e fa passare il
mestolo nella
mano ora libera.
«Ci ho provato, blya-
AHIO!» esclama Megatron dopo una mestolata della quale ho
avvertito lo
spostamento d’aria «Mollami subito brut- AHI! Idi nahuy cyka-»
Ormai le mestolate volano quasi da sole e io non so se il
mio vicino continui a sbraitare un’imprecazione dietro
l’altra perché è
masochista, perché è incosciente o
perché è coraggioso E
incosciente, al di là del fatto che io non comprenda come a
Megatron e Wraith possa essere mai saltata in mente l’idea di
contrariare
babushka, dato che questa
è babushka.
«“Stiamo mettendo la testa a posto,
babushka”» continua Valka
«“Stiamo cercando un lavoro,
babushka”» e giù, mestolate intense come
una
grandinata di Tarn «“Abbiamo smesso di usare brutte
parole al posto delle
virgole, babushka”-»
«Quello non l’ho mai detto, blya-
argh! Mollami!» sbotta Megatron, inascoltato, cercando di
stringere
il braccio di babushka. Lei naturalmente usa la transfase, dunque le
due dita
afferrano solo aria «Non sono più una protoforma!
Babushka! Babuskhaaaaa-»
«Non sarete più delle protoforme ma non siete
cresciuti
nemmeno un po’ da quando siete andati via di casa, questo
è certo!» altra
mestolata da far tremare la terra. Inizia a sembrarmi una sorta di
gradevole
sinfonia «Dovrei venire a controllare più
spesso-»
«Non c’è bisogno! No! Ma poi, si
può sapere che ci fai
quAHI- che ho detto stavolta?!»
«È andata in un po’di città
per delle faccende sue e già che
c’era è passata. Gliel’ho chiesto quando
mi ha beccata» risponde Wraith,
massaggiandosi una leggera ammaccatura sull’elmo
«Devo imparare a correre più
veloc-»
«Devi imparare a non stare solo a mangiare e bere di
continuo, Àisha!»
la interrompe Valka appena prima di assestare a Megatron
un’ultima, dolorosa
mestolata «Disgraziati!»
«Scappa» mi sussurra Wraith.
«Cos-»
«Scappah».
«Ma-»
La grande e terribile arma impropria di babushka Valka ora è
a pochi centimetri dal mio naso.
«Il mestolo dice che ne spetta una anche a te»
commenta la
femme, avanzando mentre io indietreggio molto, molto lentamente.
«Ahem io- io non c’entro con- sono solo quel povero
disgraziato del loro vicino di casa trascinato ogni santo giorno in una
delle loro faccende assurde, sono
anche
astemio» sono a mani giunte, e per una volta non riesco a
biasimare del tutto
me stesso per la cosa «Mi sono ubriacato solo quando loro mi hanno fatto bere di nascosto,
lavoro otto ore al giorno, mi
piace leggere non sono un teppista GIURO-»
Il mestolo si abbatte sulle mie mani giunte e, anche se
l’ammaccatura è leggera, per un attimo scorgo
l’intero firmamento passare
davanti ai miei sensori ottici insieme a tutta la misera esistenza
vissuta
finora.
«Non solo non sei in grado di farti rispettare ma non ci
provi neanche sul serio… il mestolo aveva ragione. Prima che
lo dimentichi: una
conoscenza in comune che abbiamo nella tua
Tarn» sottolinea, indicandomi «Mi ha chiesto
gentilmente di mandarti i suoi
saluti».
«N-non credo di comprendere-»
«Oh nooo, un’altra di quelle cose, non è
possibile» sbuffa
Megatron quando Valka, da uno scomparto, tira fuori una bambola di
piccole
dimensioni «Hai ancora quella bruttissima casa delle bambol-
ahio!»
«La mia splendida casa
delle bambole si è ingrandita e occupa buona parte di quella
che era la vostra
camera da letto, Megsha, e devo dire che come inquiline sono molto meno
problematiche di qualcuno che sfondava i mobili a testate.
Disgraziato!»
[N.d.A: sono costretto ad
ammettere con un
certo fastidio che ricordare il mestolo e il colpo subìto
sta causando un certo
“dolore fantasma” a entrambe le mani. Molto ironico
se si considera che le mani
colpite dalla babushka di quei disgraziati sono diventate metallo fuso
molto,
molto tempo fa. Non credo che per oggi andrò avanti oltre
nel narrare le
vicende di Kostrobna. Mi limito a dire che in seguito, dopo il ritorno
nella “mia”
Tarn (devo ancora comprendere il motivo di quella sottolineatura, come
se fosse
esistita più d’una Tarn) ricordo di aver chiesto
lumi a Scylla riguardo la sua
bizzarra conoscenza con quella femme: pare che quando Scylla era molto
piccola
Valka fosse già una cliente abituale del negozio. Ricordo
anche di essere
rimasto sia stupito, sia perplesso per ragioni che allora come adesso
non
saprei dire. Quel che invece so dire, e con certezza, è che
forse già da allora
avrei dovuto iniziare a notare il modo in cui fatti e persone della mia
vita
fossero (e tuttora si rivelino) bizzarramente intrecciati.]
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