Come sabbia fra le dita

di berlinene
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli esami non finiscono mai ***
Capitolo 2: *** Okinawa ***
Capitolo 3: *** Rincorrersi ***



Capitolo 1
*** Gli esami non finiscono mai ***


Al solito dopo mesi di agonia nasce l’ennesima pseudo-long di berlinene di cui nessuno sentiva davvero la necessità… Tranne lei stessa che… mah, chissà magari ha finalmente un OTP…

Grazie alle solite pungo latrici – beta ufficiali e ufficiose: Rel, Kits, Kara ed eos.

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Capitolo 1 – Gli esami non finiscono mai


Con un colpo secco chiuse la zip del borsone. Raddrizzò la schiena, poi ruotò lentamente le spalle e la testa per stiracchiarsi i muscoli.
Anche quella era andata.
Che estate del cavolo!
Prima la maturità, poi di corsa al raduno con la Nazionale e, adesso, dopo appena dieci giorni di pseudo-tregua a base di calcio, lo aspettavano di nuovo i libri: l’esame di ammissione all’Università incombeva.
Con un sospiro si gettò il borsone in spalla. Era nervoso, stressato e, per dirla con un pallido eufemismo, gli giravano le palle. Sperava solo che nessuno gli chiedesse…
“Ehilà, Nitta, allora? Dov’è che vai di bello per le vacanze?”
Ecco appunto.
Si voltò di scatto pronto a sputare in faccia al malcapitato curioso una risposta acidissima, ma si trovò davanti il volto di Ken Wakashimazu, che lo guardava esibendo uno dei suoi rari sorrisi.
Il cuore gli fece un tuffo e Shun temette seriamente di arrossire. Magari poteva accampare la scusa del caldo, della doccia…
Era passato un anno eppure quel sogno gli tornava vivido alla mente ogni volta che si trovava con lui da solo a solo. E, infatti, evitava come la peste tali occasioni… ma stavolta non ce l’aveva fatta: in quello spogliatoio c’erano soltanto loro due.

Il dojo di karate degli Wakashimazu: i raggi obliqui del sole pomeridiano entravano dalle finestre disegnando nell’aria trame di linee incorporee e spargendo nella palestra una luce aranciata, che annullava le differenze cromatiche fra il chiaro legno delle pareti e il morbido tappeto colorato che ricopriva il pavimento. A dire il vero il colore del rivestimento, usurato dal tempo, non era mai stato ben definito – rosso, amaranto, marrone, arancio…?
Anche il candido kimono indossato da Ken pareva avere una sfumatura rosata, mentre i capelli nerissimi rimandavano riverberi ramati invece dei soliti riflessi bluastri e la pelle stessa sembrava emanare un lucore dorato.

Shun era in piedi di fronte al portiere, gli occhi fissi sulla sua figura.
“Pronto?” gli sussurrava quello avvicinandosi di qualche passo. Luci e ombre giocavano birichine sul suo volto, impedendo al giovane attaccante di discernerne l’espressione.

Shun attaccava, cercando inutilmente, come sempre, di mandare a segno qualcuno dei suoi colpi inesperti. Ma Ken li parava, uno dopo l’altro. Infine gli bloccava i polsi e, prima che le ombre danzanti rivelassero la sua espressione, lo baciava.

Il sogno era finito così, con quella sensazione maledettamente reale della lingua morbida che gli si insinuava fra le labbra, mentre i lunghi capelli gli sfioravano le clavicole, lasciate scoperte dal kimono che indossava a sua volta. Quella notte si era svegliato madido di sudore, eccitato e incredulo. Si era tirato leggermente su, facendo leva su un gomito per voltarsi a osservare il portiere beatamente addormentato sul futon vicino al suo. Shun era rimasto sveglio per ore: gli occhi spalancati, il respiro affannato e un peso enorme sul petto.
La mattina seguente aveva fatto i bagagli ed era partito in fretta e furia, inventando una scusa qualsiasi. Da allora non si erano più visti, se non ai concentramenti della nazionale e, fra tanta gente, evitarsi era facile.

Ma ora erano soli e le immagini del sogno gli si ripresentarono davanti agli occhi, più prepotenti e vivide che mai, più di quando, a volte, da solo, con la fantasia…

Non ci voleva pensare. Non ci doveva pensare. Non era giusto, non era ammissibile, non era normale.

Cercò di focalizzarsi su quella ragazza con cui era uscito ultimamente… com’è che si chiamava? Ah sì, Ayumi.

“Verrai anche quest’anno ad imparare un po’ di karate?”

 “No” riuscì appena a dire Shun, la bocca arida come il Sahara.

“Peccato” disse Ken imbronciato. “Ci siamo divertiti l’anno scorso… mi faceva piacere avere qualcuno con cui parlare, oltre alle orde di ragazzini vocianti”.

“Ho l’esame d’ammissione all’Università” continuò Nitta, ostentando nonchalance.

“Università? Davvero? Cosa?”

“Architettura” rispose, lieto di parlare di qualcosa che sapeva. “Mio padre ha uno studio e… sai com’è, il calcio non dura per sempre… mi preparo al dopo”.

“Cavolo! E chi l’avrebbe detto che Shun Nitta fosse un tipo tanto assennato? Ti facevo uno che vive alla giornata! E invece, a quanto pare, ormai anche il piccoletto è diventato grande”.

“Tu cosa farai?” incalzò Nitta per tornare sul terreno sicuro degli argomenti futili.

“Starò un mesetto al dojo ad aiutare mio padre coi corsi estivi, poi spererei di farmi un po’ di mare… a dire il vero Kojiro e Maki mi avrebbero invitato a casa di lei a Okinawa. Non che mi esalti l’idea di andare a fare il terzo incomodo, ma una vacanzina low cost non si butta mai via…”

Nitta sorrise e annuì. Poi il portiere si congedò e uscì dallo spogliatoio.

Shun si buttò sulla panca con un sospiro.

Tutto sommato se l’era cavata egregiamente.

Col sorriso sulle labbra e nello sguardo, Shun consegnò il compito: quel test di ammissione gli era costato un mese a di sudore sui libri (nel vero senso della parola dato il caldo), ma ne era valsa la pena: aveva saputo rispondere a tutte le domande ed era completamente soddisfatto.
L’euforia non lo abbandonò per tutto il giorno e nei suoi occhi, alla sera, brillava ancora il sorriso, mentre, disteso sul letto,  impegnato nella tipica nullafacenza di scarico post-esame, fantasticava su come avrebbe trascorso i giorni di vacanza che lo separavano dall’inizio dei corsi. Dopo mesi in cui c’era sempre stato qualcosa da fare, tutta quella libertà, quelle possibilità infinite facevano quasi, in un certo senso, paura.

Tali pensieri, oziosi e casuali, furono interrotti dallo squillo del cellulare. Shun lo afferrò e strabuzzò gli occhi vedendo lampeggiare insistente sul display la scritta “Wakashimazu 17”.

“Novità dalla Nazionale, di sicuro” si ripeteva, appoggiando tremante il pollice sul tasto verde. Anche se di solito era “Ishizaki 14” a chiamarlo.

“Pronto?”

“Ciao Shun, sono Ken. Ti disturbo? Ho visto su internet che l’esame era oggi… com’è andata?”

“Cre… credo bene,” rispose meccanicamente, poi, in un guizzo di buona educazione aggiunse: “Grazie del pensiero”.

“Figurati, un puro caso,” si schernì l’altro. “Ieri sono finiti i corsi estivi e oggi ho cazzeggiato online tutto il giorno” continuò. Poi fece una pausa. “ A dire il vero” riprese, “mi chiedevo se ti andava di venire con me a Okinawa”.

Nitta rimase a bocca aperta e per poco il cellulare non gli cadde di mano. Non sentendo risposte, Ken ricominciò: “Capisco che è una cosa un po’ improvvisa, ma non so… andare là con Kojiro e Maki mi mette un po’ di tristezza, Sawada è in vacanza dai suoi, poi ci sono le amiche di Maki che non mi mollano un attimo e infine… boh… l’anno scorso c’eravamo divertiti qui al dojo, mi sei mancato quest’anno… magari possiamo recuperare… senza contare che ti meriti anche tu un po’ di vacanza dopo l’estate di fuoco che hai passato…”

“Devo pensarci” riuscì infine ad articolare l’altro.
“Ok, tanto io vado fra tre giorni”.

“Ma per Maki va bene?”

“Eh, figurati, Kojiro dorme con lei e tu dormirai con me, come quando eri qui a casa mia”.

“Ti faccio sapere” rispose, cercando di non far trapelare il sussulto provocatogli da quell’ultima affermazione.

Proprio quello che ci voleva. Aveva avuto la mente sgombra dai problemi per quasi dieci ore… qualcosa doveva pur succedere. Ma il buonumore della giornata pareva non essersene andato del tutto, perché cominciò a pensare che Ken aveva detto una serie di cose giuste: al dojo erano stati bene, lui si meritava una vacanza… Wakashimazu era un bravo ragazzo, l’aveva sempre trattato con rispetto e persino difeso. Quel sogno era solo un sogno in fondo, forse una proiezione del legame fraterno che li univa, argomentò, nonostante Freud non fosse stato nel programma d’esame.

Fatto sta, che il giorno dopo chiamò Wakashimazu e accettò la sua offerta.

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Mah… Come sempre mi capita con le mie FF la trovo… manchevole, mi dà sempre l’idea che potrei fare di più… ma mi sa che ve la prendete così^^

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Capitolo 2
*** Okinawa ***


Cap. 2 - Okinawa

Maki e Kojiro vennero a prenderli all’aeroporto. Shun non conosceva la ragazza di Hyuga, l’aveva giusto vista in foto: incontrarla tuttavia gli confermò la buona impressione avuta allora. Non era bellissima, ma aveva un viso aperto e simpatico e un fisico invidiabile, slanciato e muscoloso. Non appena la ragazza li vide, iniziò a sbracciarsi da lontano, poi, quando furono alla sua portata, accolse Shun con una stretta di mano decisa e Ken con una gran pacca sulla spalla seguita da un abbraccio fraterno e caloroso, mentre Kojiro si limitò ad accennare un saluto.
“Sono proprio contenta che siate venuti” disse, facendo l’occhiolino. “Ci divertiremo un sacco insieme… Avete fame? O ci facciamo prima un bel bagno?”
“Immagino debbano almeno passare da casa a lasciare i bagagli, Maki” intervenne Hyuga per la prima volta. La sua voce era calma e dolce, aveva un’aria rilassata, del tutto nuova per Shun.
“È vero, che sciocca! Ok, truppa, passiamo prima da casa!” disse sorridente, facendo strada ad ampie falcate.
La casa di Maki era una villetta a schiera, semplice e graziosa come la sua proprietaria che, senza smettere un attimo di ciarlare di quello che avrebbero fatto durante la settimana, mostrava ora ai due nuovi arrivati la propria stanza.
“C’è un solo letto, ma ho un futon… spero vi vada bene… si tratterà di stenderlo alla sera e toglierlo al mattino, perché come vedete non c’è molto spazio”.
“Va benissimo, figurati. Dormirò io sul futon, non ho problemi” rispose educatamente Ken.
“Benissimo, vedetevela voi…” disse Maki stringendosi nelle spalle. “Vi ho fatto un po’ di posto nell’armadio, potete metterci la vostra roba… sistematevi e cambiatevi, appena siete pronti andiamo in spiaggia. Vi aspetto di sotto”.  Fece una carezza sul petto di Kojiro e scese giù lasciando soli i tre ragazzi.
“Tutto bene il viaggio?” borbottò Hyuga.
“Tutto bene” confermò Ken, senza guardarlo in faccia.
“Il resto?’”
“Tutto bene, famiglia, palestra, nuova squadra, tutto bene” rispose il portiere come a voler esaurire subito gli argomenti, mentre tirava fuori i vestiti dalla borsa, riponendoli ordinatamente nell’armadio. C’era tensione fra i due, Shun la percepiva chiaramente e, per spezzarla, chiese:
“Posso dormire io sul futon, se vuoi” disse rivolto a Ken, “starai più comodo sul letto…”
"Ehi, cosa vuoi insinuare piccoletto?” sorrise finalmente il portiere, “Solo perché ho un paio d’anni più di te non vuol dire che abbia già i reumatismi!”
Hyuga ridacchiò a sua volta, Shun rimase un attimo perplesso: “No, è che sono più piccolo, nel senso, di statura e…”
“Scherzo” rispose il portiere, dandogli un colpetto sulla spalla. “Ma se proprio insisti, il letto lo prendo io”.
“Almeno ci risparmieremo le lagne mattutine” disse Hyuga, fingendo di fissarsi una mano, ma guardando di sottecchi il portiere. Fece appena in tempo a schivare un cuscino, che, lanciato da Ken, finì nel corridoio.
“Stai zitto che sei più vecchio di me… eppoi… mi sa che sarai tu in questi giorni ad avere mal di schiena, casomai…”
Ken fu pronto ad afferrare il cuscino gettatogli da Hyuga e a rispedirlo al mittente che, intanto, era visibilmente arrossito.
“Sbrigatevi” cambiò discorso il cannoniere. “Vi aspetta una lezione di beach soccer”.
Shun trasse dalla borsa dei calzoncini da bagno azzurri che indossò insieme a una maglietta intonata, quindi infilò le ciabatte e si buttò in spalla l’asciugamano. Intanto il portiere aveva preso a sua volta i pantaloncini da bagno, un modello lungo fin sotto il ginocchio, nero. Con un sorriso, Nitta pensò che erano un’ottima soluzione se avevi, come Ken, gambe lunghe ma un po’ magre, d’altronde, constatò infine guardando i suoi a metà coscia, se se li fosse messi lui, le sue sarebbero sembrate ancora più corte di quanto non fossero già.
“Sembro un bamboccio” pensò sconsolato, valutando il suo riflesso nello specchio, “loro invece…”
Guardò Kojiro appoggiato alla porta, canottiera bianca e costume attillato nero a fasciare un corpo possente, muscoloso e abbronzato e poi si voltò verso Ken, in tempo per vedere le natiche piccole e sode sparire sotto il costume, che il portiere legò in vita, lasciandolo poi scivolare un po’ lungo i fianchi stretti. Apparentemente soddisfatto dell’effetto, infilò delle infradito e si gettò l’asciugamano di traverso al torso nudo.
“Devi proprio farlo vedere a tutti, eh? Beh, certo, quando uno ci ha speso dei soldi…”
“Lo sai che l’ho fatto solo per nascondere la cicatrice!”
“Seh, per nascondere una cicatrice di due centimetri sulla scapola non c’era bisogno di tatuarsi mezza spalla… e di andare sempre in  giro seminudo”.
“Ma che palle, Hyuga! Cosa sei, mio padre o la mia fidanzata?”
“Cosa sono io non lo so, tu sei il solito esibizionista del cazzo, Wakashimazu”.
Shun seguì i due giù per le scale, osservando l’oggetto del contendere: un tatuaggio, a onor del vero nemmeno tanto grande, raffigurante un drago stilizzato sulla spalla sinistra di Ken, la stessa che, se non ricordava male, il portiere si era fratturato alcuni anni prima. Sghignazzò fra sé, ripensando allo scambio cui aveva appena assistito. Ora sì che li riconosceva: li aveva sempre visti, con una punta d’invidia, come la coppia di amici per antonomasia.

 

Andarono diretti in spiaggia, dove fecero subito il bagno. Quindi pranzarono a un chioschetto e trascorsero il pomeriggio in riva al mare, un po’ prendendo il sole, un po’ in acqua, un po’ giocando a pallone sulla sabbia. La sera, consumarono una cenetta deliziosa preparata da Maki, coadiuvata da un improbabile Hyuga versione chef: Shun sorrise sotto i baffi all’inizio, anche se, poi, dovette ammettere che se la cavava davvero alla grande!
La cena fu servita nel piccolo giardino: l’aria frizzante della sera profumava di mare. Il cibo era fresco e delizioso e, dopo un pomeriggio sotto il sole, la birra gelata che ti scorreva giù per la gola, era un piacere dei sensi. Shun si sprofondò nella sedia, estraniandosi per un attimo dalla conversazione. La stanchezza e la birra gli rendevano la testa piacevolmente leggera e, come da dietro un vetro, osservava i suoi compagni.
Maki, che fino ad allora aveva partecipato attivamente alla conversazione nonostante questa vertesse solo sul calcio, si era alzata agilmente dalle ginocchia di Kojiro e stava intimando a Ken di mettere il doposole ora e la protezione il giorno dopo “che tu mica hai la pelle di cuoio del tuo amico, guarda lì sembri già un peperone”. Shun osservò il portiere opporre una debole resistenza, poi si sfilò la maglietta e lasciò che la ragazza gli spalmasse la crema.
Nitta valutò l’espressione dei tre: continuavano a parlare del più e del meno, non c’era la minima traccia di gelosia  sul volto di Kojiro, né di imbarazzo su quello di Ken. D’altra parte non ce ne sarebbe stato motivo: ogni gesto, ogni parola di Maki verso il migliore amico del suo ragazzo trasudava spontaneità e cameratismo, un affetto fraterno e sincero senza ombra di malizia.
Sorrise fra sé il piccolo attaccante e pensò che sembravano davvero sereni e felici. Sentì come una fitta dolorosa al petto, che era al contempo invidia e desiderio di essere parte di quel quadretto, di non sentirsi solo come spesso gli capitava.
Quasi in risposta ai suoi pensieri, Maki gli si fece vicino e si offrì di spalmare anche a lui la lozione lenitiva. Shun annuì imbarazzato e si godette la sensazione di quelle manine fresche sulla pelle arrossata. Socchiuse gli occhi e all’immagine della ragazza per un attimo si sovrappose…
“Mi sa che il piccolo va portato a nanna” disse Ken sorridendo. “Si sta appisolando”.
“Non è vero!” protestò Nitta, mascherando a stento un gigantesco sbadiglio.
“Forse è meglio se ci andiamo tutti,” intervenne salomonico Hyuga, stiracchiando la schiena possente, “domattina ci alziamo presto per andare a correre”.
“Che cosa?” chiese Ken strabuzzando gli occhi. “Ti faccio notare che non sei più il mio capitano e io sono in vacanza”.
“Ma sì!” incalzò Maki. “Io e Koji ci facciamo sempre una corsetta sulla spiaggia al mattino… venite anche voi!”
“Per me va bene” disse Nitta conciliante. Adorava correre e, soprattutto, sentirsi parte di quel gruppo.
“E sia… ma che palle, però! Io devo starmene in porta mica scorrazzare per il campo…”.

 

Dopo due giorni tutto era diventato una rilassante routine: corsetta sul lungomare al mattino, doccia, colazione sulla spiaggia e poi giochi, chiacchiere, tuffi e pallonate sulla sabbia fino a sera. Quando il cielo cominciava a tingersi di arancione la “truppa”, come diceva Maki, tornava a casa e dopo la doccia cenavano, o nel giardino tranquillo e profumato di casa Akamine o in qualche ristorantino sul mare.
Grazie alle solerti attenzioni di Maki (che aveva questa capacità innata di trasformarsi da atleta in mammina in compagna di bagordi senza batter ciglio) la pelle di Shun aveva assunto un bel colorito dorato; e grazie alla frenesia di Kojiro, sempre in fibrillazione per andare a correre, nuotare o fare una partitella, il suo corpo era tornato in perfetta forma, dopo il mese trascorso in casa chino sui libri. E poi c’era Ken…
Per quanto maschiaccio, Maki era pur sempre una fanciulla innamorata del proprio bel calciatore ed era naturale che ogni tanto lei e Kojiro cercassero i loro momenti di intimità. Shun li trovava una coppia affiatatissima e faceva il tifo per loro. Anche perché così, poteva stare un po’ da solo con Ken. Adorava parlare con lui, era simpatico, gentile e interessante. Eppure… c’era qualcosa di diverso rispetto all’anno precedente al dojo, c’era meno spensieratezza nei suoi gesti e spesso una sorta di tristezza velava i suoi penetranti occhi scuri.
Parlavano un sacco anche la sera prima di addormentarsi, toccando gli argomenti più disparati, dall’onnipresente calcio, ai progetti per il futuro, dagli aneddoti sui compagni di nazionale ai loro gusti in fatto di cinema, musica e quant’altro. La voce profonda del portiere, dal letto di Maki, scendeva verso Shun disteso sul futon, coccolandolo finché non si addormentava e, poi, anche nei suoi sogni, continuava a sussurrargli parole inintelligibili. Nei sogni lo rivedeva tuffarsi, ora a parare un suo tiro, ora nelle onde della mare da cui usciva scuotendo i lunghi capelli stillanti goccioline d’arcobaleno. E le gocce si facevano granellini di sabbia sul corpo cesellato e abbronzato… E Shun li contava all’infinito, desiderando di soffiarli via e baciare quella pelle dorata. Eppoi c’era un mostro marino che lo avvolgeva o, forse, era il drago sulla sua spalla e il portiere stesso, con indosso il kimono, uccideva il mostro a colpi di karate e poi prendeva la borsa sull’armadietto e gliela passava con un sorriso.
Fotogrammi del passato si mescolavano folli alle immagini che gli occhi di Nitta rubavano avidi durante quei giorni, giorni rubati a loro volta, tanto sembravano lontani dalla realtà. 

 

 

E in un batter d’occhio la settimana era passata. Per l’ultima sera avevano deciso di andare a ballare in un delizioso localino sulla spiaggia, uno stabilimento balneare che, calato il sole, fungeva da discoteca all’aperto. A cena, tuttavia, Maki sembrava meno allegra e ciarliera del solito. Fu Hyuga, premuroso come sempre verso la compagna, a chiederle se qualcosa non andava. Lei fu costretta ad ammettere di non sentirsi bene.
“Spero non vi dispiaccia andare da soli per stasera” borbottò Hyuga, più tardi, appoggiato alla porta della loro stanza, senza guardarli in faccia. “In realtà Maki vorrebbe venissi con voi ma… mi dispiace lasciarla sola, starei in pensiero e vi rovinerei la serata…”
“Ma ti pare” rispose Shun con un sorriso. Ken ne accennò uno a sua volta, ma non disse niente.
In realtà a Nitta non dispiaceva affatto: certo, Maki era simpatica e alla mano e in coppia con Kojiro erano tutt’altro che noiosi o mielosi, ma in discoteca si stava sicuramente meglio fra ragazzi. Anche se la faccia di Ken sembrava dire altrimenti.
“Se non ti va…” azzardò il giovane attaccante, una volta che quello Hyuga inedito, versione maritino premuroso tanto esilarante quanto dolce, li ebbe lasciati soli. Shun non era mica tanto convinto che fosse lo stesso con cui da anni giocava in coppia in nazionale.
“No. Abbiamo detto di andare e andiamo.” rispose secco il portiere. “Almeno avrò portato questi vestiti per qualcosa” continuò, abbottonandosi l’elegante camicia grigio perla, salvo poi ri-slacciare i primi tre bottoni, gli occhi fissi sulla propria immagine riflessa nello specchio. Poi si voltò per vedere quanto i jeans blu scuro donassero al suo lato B, quindi li allacciò e mise la cintura. Infilò un paio di scarpe da ginnastica bianche e argento, dette un’ultima sistemata al colletto della camicia e alla collanina che portava sotto e infine si voltò e chiese:
“Pronto?”
Pur senza perdersi un movimento dell’elaborata vestizione del portiere, Nitta si era cambiato a sua volta: pantaloni sotto il ginocchio beige e una maglietta nera attillata, che metteva in risalto il fisico esile ma tonico; più un paio di scarpe nere a completare il tutto. Si passò una mano fra i capelli spettinandoli ad arte e rispose affermativamente. Ancora una volta immagini del famoso sogno si affacciarono alla sua mente, ma s’impose di non pensarci.
Ken scomparve in bagno per spazzolarsi i capelli e dare il tocco finale del dopobarba.
“Me ne presti un po’?” chiese Nitta, insinuatosi attraverso la porta socchiusa, accennando al profumo.
“Questa è roba da uomini, piccoletto” gli rispose Wakashimazu in tono canzonatorio, allungando il braccio in alto per portare il flacone dove l’altro non poteva arrivare.
“Guarda che non occorre essere alti per essere uomini” rispose Shun con un sorriso birichino e una strana luce negli occhi espressivi. Rapide le sue mani puntarono al fianco di Ken per fargli il solletico. Ridendo, l’altro abbassò il braccio e Nitta, fulmineo, s’impossessò del dopobarba.
“Vedi, basta saperci fare…” continuò, alzando un ditino da saputello.
Ma, inaspettatamente, Ken, afferrandolo per un braccio, lo fece voltare e lo immobilizzò fra il lavandino e il proprio corpo.
Shun si ritrovò con la faccia premuta contro la camicia grigio-perla e il profumo del portiere lo fece fremere.
“Che buono il tuo profumo” disse suo malgrado. Per fortuna il tessuto aveva attutito la voce.
“Che cosa?” chiese l’altro allentando la presa.
“Dicevo che questo profumo è buonissimo” proseguì Nitta, poi liberò la mano, stappò il flacone del dopobarba e ne prese un po’. Si voltò verso lo specchio, sperando che il portiere non notasse il rossore sul suo volto riflesso.

 

 Ken era decisamente scazzato, quella sera. Aveva già bevuto un paio di cocktail e non aveva spiccicato parola, né con lui né con alcuna delle belle ragazze semivestite che se lo mangiavano con gli occhi. A un tratto gli aveva proposto, praticamente a gesti, di allontanarsi dalla pista e andarsi a sedere un po’ sugli sdrai vicino al bagnasciuga, biascicando qualcosa circa il caldo e la musica troppo alta. Si sedettero in silenzio, a un metro circa l’uno dall’altro, sorseggiando le loro bevute.
“Non fraintendermi…” cominciò Ken all’improvviso. Nitta si guardò intorno cercando di capire con chi stesse proseguendo quel discorso: ma, dato che in giro non c’era nessuno e che il portiere non aveva l’auricolare del cellulare, arguì che stesse parlando con lui.
I grandi occhi di Shun brillavano nell’oscurità come quelli di un gatto, fissi sul profilo spigoloso del portiere. Nonostante avesse preso un po’ di sole in quei giorni, alla luce della luna la sua pelle appariva chiara come al solito, quasi luminosa. I suoi occhi erano neri e lucidi come la placida e misteriosa superficie opalescente del mare che fissavano.
“… Maki è una ragazza straordinaria, una delle più carine e simpatiche che abbia mai incontrato. Lo so, lo sento che si amano. So anche che se sono suo amico e gli voglio bene non dovrei desiderare che la sua felicità. E lo vedrebbe anche un cieco che Kojiro è felice. E Dio solo sa quanto se lo merita… eppure io… io… non riesco a non essere… geloso, ecco. Non credo ci sia un’altra parola. Per tanti anni siamo stati così uniti e adesso… mi sento… così… solo, ecco”.
La voce si spense e nell’aria non rimase che lo sciacquio delle onde e l’eco lontana della musica proveniente dalla pista da ballo.
Quelle parole colpirono profondamente Shun: solo ci si era sentito tante volte e aveva sempre invidiato quel legame speciale fra i due ex giocatori del Toho. Non era facile essere uno dei più piccoli della Nazionale, senza compagni provenienti dal proprio club a darti manforte, come Sano che aveva dalla sua Jito, o Sawada che aveva Hyuga e Ken. Senza contare che era quasi sempre titolare e gli altri non gli risparmiavano frecciatine invidiose e scherzi da caserma. Aveva smesso di contare le volte che si era dovuto arrampicare sull’armadietto per riprendersi qualche indumento misteriosamente finito sopra al mobile.
Però, una volta se la ricordava bene: in quell’occasione gli avevano gettato lassù tutta la borsa ma, mentre studiava come arrivarci, era stato proprio Ken, con un sorriso, a tirargliela giù.
Se solo fossero stati tutti più gentili con lui, avrebbero saputo che di natura non era caparbio e insolente come doveva, suo malgrado, mostrarsi, ma allegro e gentile. E anche riconoscente: non aveva mai scordato né quello e altri gesti da parte del Karate Keeper e, adesso, era probabilmente il momento di ricambiare.
“Fra voi c’era un rapporto speciale…” esordì infine, gli occhi fissi sulla sabbia. “Però le cose cambiano… ci sarà sempre un posto per te nel suo cuore, ma ora non è più… soltanto tuo, ecco”. Quasi senza accorgersene, Nitta, si posò la propria mano su quella di Ken, carezzandone le dita lunghe e affusolate.
Quel tocco riscosse Wakashimazu che, però, non si sottrasse: “Devo esserti sembrato patetico,” disse con un sorriso un po’ forzato. “Quando mi prende la sbornia triste sono più insopportabile del solito”, così dicendo guardò il bicchiere ancora mezzo pieno che reggeva e lo gettò con nonchalance in un cestino a pochi metri. La mano rimasta libera raggiunse l’altra e insieme strinsero quella di Nitta, così piccola e paffuta rispetto alle sue. Con un balzo si alzò dallo sdraio e, trascinando l’altro, disse “Andiamo, si era detto di divertirsi, no?”
Nitta gli trotterellò dietro tentando di tenere il passo con le lunghe falcate del portiere, un po’ imbarazzato da quella strana passeggiata mano nella mano che lo condusse in mezzo alla pista.
Si lasciarono entrambi andare, guidati dalla musica ritmata, dalle bevute già fatte e da qualche altra visitina al bar. Presto le gambe di Shun iniziarono a muoversi da sole, intorno c’erano solo immagini sfocate di Ken che si muoveva sinuoso strusciandosi quando a una quando all’altra ragazza, ma senza considerarne davvero nessuna. Confusamente, si rendeva conto di fare lo stesso. Sentiva mani delicate e corpi femminili sfiorarlo, ma fra tutto quel ben di Dio, tornava sempre a cercare lo sguardo di Ken, trovandolo.
A un tratto lo perse di vista, poi lo scorse seduto su un divanetto, le braccia distese sulla spalliera, la testa reclinata all’indietro. Facendosi strada nella folla e staccandosi di dosso come fossero sanguisughe le tipe di turno, Nitta lo raggiunse, un po’ barcollante.
“Tutto a posto, Ken?” gli disse, sedendoglisi vicino e passandosi una mano fra i capelli sudati.
L’altro sollevò la testa e rispose: “Sì, ma non ce la faccio più… andiamo a casa?”.
Fece per alzarsi ma ricadde all’indietro. Scoppiò a ridere e si portò una mano alla fronte, mentre l’altro braccio si appoggiava sulle spalle di Shun.
“Dio, ho bevuto veramente troppo… temo che avrò bisogno di un aiuto per tirarmi su”.
“Mah, la vedo dura… sei il doppio di me!” rise l’altro.
Comunque, tre o quattro tentativi e svariate crisi di ridarella dopo, ci riuscirono e, appoggiati l’uno all’altro come due ubriachi doc, si avviarono verso casa.
L’aria fresca giovò evidentemente alla lucidità del portiere che smise progressivamente di appoggiare il suo non trascurabile peso sulle spalle minute di Nitta, ma senza smettere di cingerle. Arrivati a casa, Wakashimazu si fiondò in bagno, mentre Nitta, con un ultimo sforzo, collassò sul letto.
Quando Ken tornò in stanza, lo trovò che dormiva come un angioletto di traverso al materasso. Si rese conto di non aver nessuna voglia di prendere il futon e stenderlo, così sollevò l’amico fra le braccia per spostarlo di qualche centimetro e si distese nel posto lasciato libero.
Solo che Shun non dormiva affatto. Si era riscosso dal dormiveglia nell’attimo in cui il compagno l’aveva sollevato – stretto fu la parola che gli si affacciò alla mente – fra le braccia. Il cuore aveva perso un colpo e poi si era messo a battergli fortissimo nel petto, tanto che temeva l’altro potesse udirlo. Aprì gli occhi solo quando lo sentì sdraiarsi e volgergli la schiena, nuda, come sempre.
Lentamente voltò la testa per guardarlo. Dalla finestra la luce della luna rischiarava la stanza e la pelle eburnea di Ken appariva luminosa, mentre il drago tatuato sulla spalla sembrava chiamarlo, come un serpente tentatore.
Per attimi interminabili i grandi, luminosi occhi di Shun fissarono ardenti il soffitto. Trasse alcuni lunghi ma silenziosi respiri, nel vano tentativo di rilassarsi. Ma ogni suo muscolo era in tensione, e si sentiva eccitato. Molto eccitato.
Era ancora vestito di tutto punto, eppure, anche attraverso i vari strati di tessuto, il suo membro sensibilissimo percepì il tocco della mano che vi corse rapida.
Una goccia di sudore gli scese lungo la guancia e il collo. Sempre attento a non fare rumore, si sfilò maglietta e pantaloni, rimanendo in boxer, la sua erezione ben evidente nella luce bianca della luna.
Ok, pensò Nitta, o la va o la spacca, anzi, si corresse, mi spacca la faccia. Ma così non posso andare avanti. Ripensò alle volte in cui Ken gli era stato amico, e agli ultimi giorni: la telefonata, l’invito, il viaggio, quei momenti in spiaggia e poi… quella sera stessa… chissà magari…
Lentamente, badando a non fare il minimo rumore, si mise in ginocchio: contemplò ancora quella schiena muscolosa che confluiva nei fianchi stretti, le natiche piccole e rotonde che si indovinavano sotto i boxer. Poi il suo sguardo risalì lungo quel corpo e di nuovo il drago stilizzato sulla spalla sinistra sembrò fissarlo con occhi inesistenti. Altrettanto inesistenti e incorporee erano le spire di quel rettile, eppure le sentiva chiaramente stringergli il collo, mozzandogli il respiro, e attraendolo verso sé. Solo una parte della sua mente si rendeva davvero conto che, finalmente, le sue labbra sottili erano entrate in contatto con la pelle fresca e profumata del portiere, che, nonostante la doccia, sapeva ancora un po’ di sale.
Ken si voltò. Ma non di scatto, non arrabbiato. Lentamente. Quasi lo stesse aspettando. Quando Nitta riaprì gli occhi, che aveva tenuti chiusi per assaporare appieno il sapore dell’altro, si trovò a fissare quelli di Ken e si accorse che non erano velati di sonno ma vigili e lo sguardo che vi lesse tradiva sì una certa sorpresa, ma era soprattutto infinitamente dolce.
E Nitta non esitò più. Con una mano liberò il volto di Ken dai lunghi capelli, poi la stessa mano corse a sistemare i propri dietro l’orecchio. Quindi si chinò e appoggiò le labbra su quelle del portiere. Per un attimo infinito sue le labbra  rimasero serrate e Shun temette seriamente di aver rovinato tutto. Poi si dischiusero appena e lasciarono che la sua lingua si facesse lentamente spazio. Il giovane attaccante ne leccò lentamente il profilo, poi, timidamente si spinse ad esplorare la bocca, andando ad incontrare la lingua dell’altro. Quando si toccarono una scarica elettrica percorse il corpo di Nitta, che si strinse a quello del portiere, continuando a baciarlo. Sentì le grandi mani carezzargli la schiena minuta, soffermandosi sull’incavo sopra il sedere, apprezzando la curva decisa dei glutei piccoli ma sodi.
Per un tempo che sembrò infinito, le bocche dei due ragazzi rimasero incollate, le lingue che si sfioravano, intrecciavano, separavano per poi cercarsi di nuovo, affannosamente, ineluttabilmente. Sarà stato il sapore di salmastro e di rum o semplicemente il sapore di Ken o forse la paura di incontrare il suo sguardo dopo, di quello che si sarebbero detti o non detti, ma Shun non riusciva a staccarsi.

 
Ma, alla fine, il momento giunse.

 
Allontanò la testa, stringendo piano per un ultimo attimo quelle labbra fra i denti. Poi dovette lasciarle andare. La bocca scivolò lungo il mento di Ken, leggermente ruvido per la barba che stava rispuntando, poi scesero giù lungo il collo, tornando verso la spalla da cui erano partite. Poi Shun piegò la testa e, col respiro affannato, gli appoggiò la guancia sul petto, stringendosi forte al corpo del portiere. Aveva gli occhi aperti ma fissi sulla parete opposta.
E ora? Cosa sarebbe successo? Poteva semplicemente restare con la faccia affondata in quel corpo fresco e odoroso per sempre? No, avrebbe dovuto guardarlo in faccia, a un certo punto.
Tremò al pensiero di ciò che vi avrebbe scorto.
Come in risposta ai suoi dubbi, una mano grande lo accarezzò dolcemente sulla testa. Al contrario di lui, il portiere respirava regolarmente e anche il battito del suo cuore era normale. 
Inspirando a fondo Nitta si fece coraggio e si tirò su. Il volto di Ken era piegato verso di lui. L’attaccante cercò di leggerne l’espressione, ma era imperscrutabile. Di sicuro non c’era sorpresa, né paura o biasimo. Sembrava che volesse tranquillizzarlo, consolarlo. Per un attimo gli ricordò l’espressione che aveva dopo che si erano scontrati in campionato, quando non era riuscito a fargli gol e, alla fine della partita, lacrime di rabbia gli avevano riempito gli occhi. Lui gli aveva messo la mano sulla spalla e sorridendo gli aveva detto “Forza”.
Adesso, aveva lo stesso sguardo. Diceva: “Non c’è niente di male, Shun”.
Fece quello che, forse, avrebbe voluto fare anche allora.
Si accoccolò contro il suo petto e si strinse a lui, mentre l’altro gli carezzava leggero la testa e la schiena.
Shun sentì il proprio cuore rallentare fino a battere all’unisono con quello di Ken, anche il respiro si fece regolare come il suo. Sempre più regolare e profondo. Sistemò il capo nell’incavo della clavicola. Ancora per qualche attimo percepì l’odore di quella pelle e la consistenza dei pettorali su cui poggiavano la guancia e le dita.

Poi si addormentò.

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Capitolo 3
*** Rincorrersi ***



Con notevole e colpevole ritardo, ecco la terza e ultima parte...


Cap. 3 - Rincorrersi

 

Erano passate alcune ore, ma a Shun parvero una manciata di secondi. Un raggio di sole gli ferì gli occhi, svegliandolo. Subito la mente saettò agli ultimi eventi: aveva baciato Ken Wakashimazu e si erano addormentati abbracciati.
Eppure…
Adesso il letto era vuoto.
Si sollevò di scatto e osservò la stanza. Del portiere nessuna traccia, a parte i suoi bagagli già pronti in un angolo.
Giusto, ricordò, oggi torniamo a casa…
Dette un’occhiata alla sveglia e vide che era comunque in orario. Infilò alla meno peggio i vestiti in valigia: un sorriso gli increspò le labbra al pensiero di come, invece, nei bagagli di Ken regnasse sicuramente l’ordine più assoluto.
Ken…
Ebbe la tentazione di aprire le borse per sentire ancora quel profumo. Senza dover affrontare lui in persona. Cosa si sarebbero detti? 

Niente di niente.

Ken si era comportato come se nulla fosse successo, parlando del più e del meno con Kojiro e Maki, sia a colazione sia durante il tragitto verso l’aeroporto e dormendo praticamente per tutto il viaggio in aereo. In una parola, ignorandolo bellamente. Che, calcolando quanto si erano avvicinati in quella settimana, non era esattamente far finta di niente, aveva riflettuto Shun, fissando, senza leggerle veramente, le istruzioni di sicurezza dell’aereo. Chissà se c’è qualcuno che lo fa… si ritrovò a pensare.
 

Scesero dal velivolo e si avviarono verso l’area per il recupero dei bagagli. Ken procedeva ad ampie falcate lungo gli androni dell’aeroporto e Nitta, al solito, era costretto ad accennare una corsetta per tenere il passo. E menomale facevo i cento metri in undici secondi, pensò. Ken si fermò davanti al nastro, gli occhi fissi sulla porticina coperta da quelle strane tende di gomma.
“Beh, a quanto pare è arrivato il momento di salutarci”. La voce del portiere lo fece sussultare. Non la sentiva da quasi due ore.
“Già” rispose imbarazzato Nitta, la gola prosciugata.
“Hai il treno, vero?”
“Sì”
“Mio fratello ci sta aspettando fuori, ti porterà lui… io…devo… sbrigare alcune cose”.
“In aeroporto?” chiese Shun dubbioso. Quest’impegno improvviso sapeva tanto di una balla per togliersi d’impiccio.
“No, dall’altra parte della città. Lascio la valigia e prendo un taxi”.
Lo sguardo del piccolo attaccante si fece torvo e la voce che gli uscì aveva il tono duro e sprezzante che Shun aveva imparato, suo malgrado, a opporre alla strafottenza altrui. In quella meravigliosa settimana credeva di averlo dimenticato, ma si accorse, con una stretta al cuore, che non era così.
“”No, figurati. Userò io i mezzi per andare alla stazione”.
“Sicuro?”
“Certo”.
In quella la valigia di Nitta sbucò dalle tendine. Ken fece per avvicinarsi al nastro trasportatore ma Shun gli tagliò la strada e la prese da solo, sul volto sempre l’espressione torva che non tradì lo sforzo che gli costò recuperare quel bagaglio. Ma la rabbia, come la paura, a volte ti fa tirare fuori energie che non neanche immagini di avere.
“Ci vediamo, Wakashimazu” disse, senza voltarsi. Quasi non lo udì il mormorare un saluto sommesso, ma sentì chiaramente che adesso lo sguardo del portiere era fisso sulla sua schiena. Serrò occhi e labbra perché non ne uscissero né lacrime né parole e anche le dita si strinsero convulsamente attorno al manico del trolley, ma non si voltò, ben consapevole di non essere Orfeo e che, per quanto si ostinasse a tenere lo sguardo fisso in avanti, nessun dio gli avrebbe restituito la persona che, durante quella breve parentesi, aveva creduto di amare.

 

Durante il viaggio in treno, la mente inquieta di Shun cominciò a vagliare ogni possibilità. Alla fine si era quasi convinto che quel bacio doveva essere stato solo frutto della sua fantasia, brillantemente coadiuvata dalla dose non indifferente di alcol ingerito. Eppure si era svegliato nel letto di Ken. Ma per quanto ne sapeva, lui poteva aver steso a terra il futon, dormito lì e riposto il tutto prima che lui si svegliasse… d’altronde, aveva anche fatto i bagagli e senza che lui si accorgesse di niente! Ma se non era successo nulla, perché aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti? Nei giorni precedenti erano diventati amici… no?
Prese in mano il cellulare. Gli bastò aprire il registro delle chiamate per trovarsi davanti quel Wakashimazu 17. Chiuse gli occhi e prese un lungo respiro mentre pensava ora lo chiamo e chiarisco tutto. Proprio in quell’attimo il telefono prese a suonare. Shun aprì di scatto gli occhi.
Il display recitava Mamma.
Convinto di aver ormai perso un paio d’anni di vita, mentre il battito gli tornava normale, rispose.
“Ciao cucciolo”
“Mamma” salutò atono.
“Cosa c’è, cucciolo? Triste che la vacanza è finita?”
“Già” disse lui, cercando di suonare convincente.
“Senti, lo so che non ci vediamo da una settimana, cucciolo…”
Se mi chiama un’altra volta così, Shun giurò a se stesso, lancio il cellulare dal finestrino, tipo tiro del falco…
“… ma papà ha un convegno e devo accompagnarlo. Partiamo adesso e torniamo dopodomani, ok? In freezer c’è un po’ di roba, se hai bisogno di qualcosa puoi chiamare la signora Rukawa, ok?”
“Va bene, mamma, non ti preoccupare, divertitevi”.
Finalmente una buona notizia. Non avrebbe dovuto sopportare sua madre affacciata alla porta della stanza col suo “raccontami, cucciolo” e quello sguardo dolce e luminoso nei grandi occhi da cerbiatta. Le voleva un gran bene e di solito si confidava volentieri con lei, ma stavolta…
Si rese conto di avere ancora il telefono in mano, ma si accorse di non avere il coraggio. E comunque non c’era niente da dirsi. Si sarebbe rinchiuso in casa per due giorni, si sarebbe pianto un po’ addosso ma, poi, avrebbe ripreso in mano la sua vita: presto avrebbe iniziato l’università e ricominciato gli allenamenti. Magari avrebbe pure richiamato Ayumi… E tutto quella storia sarebbe diventata presto solo un lontano ricordo o un sogno, in fondo, non c’era molta differenza.

 

Infine, scese anche dal taxi ed entrò in casa. Era una villetta supermoderna e dotata di ogni confort, come piaceva a suo padre, ma gli sembrò assai più fredda della casetta di Maki. Scosse la testa per scacciare quei ricordi, tanto vicini eppure già così lontani. Il movimento gli provocò una stilettata alla fronte, rendendolo pienamente consapevole del mal di testa che già da un po’ gli premeva sulle tempie. Era stanco, sfibrato quasi. Decise che ai bagagli avrebbe pensato più tardi ora ci volevano un bel bagno e una lunga dormita.
Ringraziò mentalmente le diavolerie fredde ma moderne di suo padre e accese l’idromassaggio. Si spogliò, quindi pensò che, affinché il tutto fosse davvero perfetto, mancavano ancora le candele profumate di sua madre e una tazzona fumante di tè verde.
Guardò a malincuore l’acqua già calda e piena di bolle, ma infilò l’accappatoio e andò a procurarsi gli ultimi due ingredienti. L’attesa, d’altronde, aumenta il piacere.
Seduto in cucina, aspettava il fischio del bollitore, quando un altro rumore gli giunse alle orecchie. Il rombo di una moto che si avvicinava sempre di più e poi si spegneva. Vicinissimo, nel suo giardino, avrebbe giurato. Incuriosito, si avvicinò alla finestra.
In effetti nel vialetto di casa sua c’era una moto da strada azzurra da cui stava scendendo…
La sua mente si rifiutava di crederci, ma il suo cuore aveva già riconosciuto le lunghe gambe fasciate da jeans chiarissimi che aveva visto solo poche ore prima. Ma quando il motociclista si sfilò il casco e ne uscì una cascata di lunghi capelli nerissimi non ci furono più dubbi.
Ken appoggiò il casco sulla sella e si tolse la giacca da moto. Anche la maglietta era la stessa che aveva indossato durante il volo. Mosse qualche passo incerto, come se le gambe gli tremassero, e uscì di nuovo dal vialetto per controllare il nome sul campanello. Poi dette un’occhiata all’abitazione, scorgendo l’unica finestra aperta e, dietro di essa, la faccia allibita di Shun. Gli fece un cenno di saluto.
L’attaccante si riscosse e corse ad aprire la porta. Lo guardò salire gli scalini appoggiandosi al muro.
“Ken… cosa…” balbettò.
Il portiere alzò stancamente una mano. “Ho bisogno di un bicchier d’acqua poi parliamo, ok?” accennò un sorriso ma il volto era pallido ed aveva l’aria esausta.
“Ho appena fatto il tè, se…” disse Shun ancora incredulo, spostandosi per farlo entrare.
“Perfetto” rispose l’altro, sedendosi faticosamente sul divano.
Cercando di controllare il tremore delle mani ed evitare eventuali ustioni, il padrone di casa riempì due tazze di tè, le sistemò su un vassoio assieme allo zucchero e a dei biscotti, quindi appoggiò il tutto sul basso tavolino del soggiorno. Si sedette poi su una poltrona a poca distanza da Ken, guardandolo con aria interrogativa. Il portiere si staccò faticosamente dallo schienale, sistemandosi sul bordo della seduta. Prese il tè, lo zuccherò abbondantemente e, socchiudendo gli occhi, cominciò a sorseggiarlo.
“Adesso va meglio” disse con un sospiro. Poi aprì gli occhi e, finalmente, il suo sguardo intenso incontrò quello di Shun.
“Innanzitutto scusa l’intrusione” esordì. “Di solito non mi presento così a casa degli amici…”
“Figurati” farfugliò Nitta. Quell’ultima parola gli aveva scaldato il cuore. Nonostante le ore precedenti, si sentiva come se tutto forse scomparso d’incanto… la rabbia, la tristezza, persino il mal di testa… era solo profondamente e irrazionalmente felice che Ken fosse lì con lui.
“… ma, d’altra parte, per lo più, neanche mi comporto in quel modo, con gli amici…”
L’attaccante sentì le guance imporporarsi e distolse lo sguardo, inclinando leggermente il capo.
Ken posò la tazza sul tavolino, poi gli prese il mento e lo fece girare in modo da tornare occhi negli occhi.
Le sue dita sfiorarono le labbra di Shun, che a stento si trattenne dal baciarle, poi tornarono verso la tazza, ma non l’afferrarono.
“… intendo dire, che non faccio finta che non sia successo niente, non fingo di dormire o di essere interessato ad altro quando, invece, ce ne sarebbero eccome di cose da dire…”
Nitta non riusciva a staccare gli occhi da quel volto, sempre più vicino.
“… avrei dovuto dirti quanto mi sono divertito in questa settimana, quanto la tua presenza mi abbia aiutato a non pensare alla mia stupida gelosia nei confronti di Maki, e avrei dovuto dirti quanto ti ho sentito vicino in spiaggia e quanto le tue attenzioni mi abbiano lusingato e quanto…”
Si interruppe. Un leggero rossore gli tinse le guance pallide, si passò una mano fra i capelli sudati, che gli si appiccicavano al volto, per poi toccarsi imbarazzato la nuca.
“Quanto parlo, quando ci sei tu! Non mi succede spesso, sai…”.
Questa volta fu Shun a premere le sue dita sulle labbra dell’altro: “Continua,” gli sussurrò.
“Avrei dovuto dirti…” continuò, la voce calda e profonda era ridotta a un sussurro ma i loro volti erano ormai tanto vicino che a ogni parola Nitta sentiva il fiato caldo e profumato di tè verde sulla pelle. “Avrei dovuto dirti che mi piaceva cogliere gli sguardi furtivi che mi lanciavi con quei tuoi bellissimi occhi, la loro luce mentre sorridi e il brillio che li percorre quando lasci correre la tua mente sveglia… persino ora, ma guardati… e il tuo corpicino così… me lo aspettavo, quello che è successo ieri notte, ma mai avrei osato… E poi, al mattino, ti ho visto accoccolato come un cucciolo sul mio petto, mi sei sembrato così… fragile che non avrei mai voluto… e allora ho pensato, che magari se facevo finta di niente tu avresti creduto di aver solo sognato e ognuno sarebbe potuto tornare alla sua vita… ma, quando in aeroporto mi sono ritrovato solo… mi son reso conto che l’unico a essersi mostrato fragile ero io, che sono stato il solito vigliacco mentre tu invece eri stato forte… soprattutto nel momento in cui, prendendo il coraggio a due mani, mi hai baciato e ancora quando te ne sei andato senza voltarti indietro. Arrivato a casa mia, stavo male e ho capito che volevo solo rivederti e allora sono andato in garage e ho pensato che la mia moto nuova non era ancora ben rodata e mi sono fatto una cavalcata…”
“Da Tokyo a qua in quanto? Un paio d’ore? Sei matto…”
“Dovevo chiederti scusa e dirti la verità… cioè che sono un coglione” svuotò la tazza in un sorso e, barcollando, si alzò in piedi.
“Dove vai?”
“Torno a casa. Tranquillo, andrò più piano”.
“Ma se sei distrutto, guardati, barcolli più di ieri sera…” disse Shun, alzandosi a sua volta e afferrandolo per un braccio. Ken lasciò che lo traesse a sé e si trovò il mento di Nitta appoggiato al petto, quei suoi bellissimi occhi che lo fissavano da sotto in su, ardenti. Una luce furbetta li fece luccicare, mentre gli diceva “io stavo andando a fare il bagno, se ti va…”
Le mani di Ken gli scivolarono ai lati del collo, insinuandosi sotto i capelli, verso la nuca, poi il portiere si chinò e le loro labbra si incontrarono ancora. Intanto le sue mani riscendevano lungo quelle spalle minute e facevano scivolare a terra l’accappatoio, in modo da poterlo accarezzare su tutto il corpo.
Shun sentiva l’erezione dell’altro sotto ai jeans, ma lo scostò leggermente da sé e raccolse l’accappatoio riaggiustandoselo alla belle’e meglio. Poi si sistemò un braccio di Ken attorno alle spalle e gli cinse la vita col proprio.
“Andiamo, rottame, appoggiati al bastone della tua vecchiaia” disse ridendo.
L’altro l’ammonì con un blando “Attento piccoletto” ma poi si lasciò condurre al piano superiore, godendo del contatto col corpo seminudo del compagno.
Lo lasciò fare anche quando, una volta entrati nell’enorme sala da bagno, Nitta lo spogliò lentamente e lo guidò verso la vasca. Shun sorrise vedendo l’espressione di beatitudine sul suo volto: doveva essere davvero distrutto dopo quella folle corsa in moto. Assaporando ogni attimo, il padrone di casa accese le candele, poi si tolse l’accappatoio ed entrò silenziosamente in acqua. Ken aveva la testa appoggiata al bordo e gli occhi chiusi. Quando le mani di Shun cominciarono ad accarezzarlo, sollevò il capo e lo guardò per un attimo, poi tornò a rilassarsi sotto le sue carezze.
Col cuore in gola, l’attaccante gli sfiorò il sesso e soffocò un gemito quando lo sentì già eccitato. Mentre sotto il pelo dell’acqua continuavano quelle carezze intime, sopra, Shun cominciò a tempestare di baci e piccoli morsi ogni centimetro del torace del portiere. Ken gemeva di piacere e rideva per il solletico provocato dai dentini aguzzi del giovane attaccante, che, rapido, gli si fece sopra: quando i due membri sensibilissimi entrarono in contatto, un brivido di eccitazione scorse sui loro corpi assieme alle bollicine. Ken lo strinse forte e lo baciò con passione, poi, come travolto da un’ondata di desiderio, dando un potente colpo di reni e quasi sollevandolo di peso, ribaltò le posizioni e Shun se lo ritrovò sopra.
Minuscole goccioline d’acqua scendevano lente lungo le ciocche corvine del portiere, stillando sul volto e sul torace di Nitta o rituffandosi con un leggero pluff nell’acqua calda che abbracciava i loro corpi. Adesso era il portiere a guidare quella strana danza: sdraiato su un fianco e sporgendosi leggermente, gli faceva scorrere le dita sull’addome, sui muscoli così piccoli ma perfettamente disegnati. Anche le cosce sembravano minuscole, eppure avevano quadricipiti tonici e possenti. La sua mano grandissima andò brevemente a stimolare il sesso del compagno, poi scese giù e cominciò lentamente a saggiare la sua apertura. Quando fece scivolare un dito all’interno, Shun si contrasse leggermente e i suoi occhi cercarono quelli del portiere. Lo sguardo che ricevette in cambio fu però così rassicurante e dolce che il piccolo annuì e si rilassò. Socchiuse gli occhi e per attimi infiniti esistettero solo sensazioni tattili… l’acqua calda, le bollicine e le dita di Ken… poi le sue labbra gli sfiorarono la fronte, i capelli e l’orecchio dove il portiere depositò un dolce sussurro: “Vuoi?”
In tutta risposta, l’altro voltò lentamente la testa e lo baciò, con trasporto, traendolo a sé. Ken ricambiò, ma si staccò quasi subito. Si alzò sulle ginocchia, ergendosi in tutta la sua bellezza statuaria e Shun deglutì a fatica. Poi gli prese le gambe e se le aggiustò attorno ai fianchi, quindi appoggiò le mani ai lati di Nitta e si lasciò scivolare giù, sfiorando con tutto il corpo il membro del compagno. Quando si trovò all’altezza giusta, lentamente iniziò a penetrarlo.
Faceva male. Nittà gli conficcò le unghie nelle braccia, stringendosi anche per non cadere sott’acqua, e lo fissò spaventato. Ma, ancora una volta, la dolcezza nello sguardo dell’altro lo tranquillizzò, e così si rilassò, permettendogli di entrare. Dapprima i movimenti furono lenti, poi sempre più decisi. Non appena Ken lo sentì ben dilatato, tenendolo stretto a sé, si gettò all’indietro per trovarselo sopra. Allora Shun iniziò a muoversi, oscillando su quel corpo, cercando il proprio piacere e quello del compagno. Quando lo sentì liberarsi dentro si sé, quasi di conseguenza, il suo corpo rispose.

Poco dopo, Shun si ritrovò seduto sul divano a carezzare distrattamente i capelli ancora umidi di Ken, che si era addormentato con la testa nel suo grembo. Il piccolo attaccante non si stancava mai di guardare il suo bellissimo amante, e con le dita ne percorreva e ripercorreva i tratti del viso, mentre l’altro mugolava piano nel sonno e le sue labbra si piegavano in un sorriso.
D’un tratto aprì gli occhi e si tirò su di scatto: “Oh mio Dio…” esclamò, “sarà tardissimo, devo andare”.
“I miei tornano solo fra due giorni, Ken, ti prego, resta… non sprechiamo più neanche un attimo… c’è tanto, troppo tempo per stare lontani”.
Gli occhi di Nitta brillavano di passione.
Ken sorrise. “Hai ragione, non mi lascerò mai più scappare neanche un attimo di quelli che posso passare con te, non fuggirò e non ti lascerò fuggire…” rispose attraendolo verso di sé. Shun sprofondò il viso nell’incavo fra la spalla e il collo, aspirando il suo profumo inebriante. Raccolse le ginocchia contro il fianco di lui e sentì le sue braccia lunghe cingerlo e proteggerlo.
Ken se lo strinse al petto e appoggiò la guancia sui capelli morbidi del compagno. Abbracciandolo, sentì che le tensioni e la stanchezza fluivano via. Anche le forze, tuttavia, sembravano averlo abbandonato, ma, per la prima volta, sentirsi inerme non gli faceva più paura, e così si riaddormentò, sereno.



Note di chiusura:

Questo era il dessert, ora caffè, limoncello e il CONTO! lol

Vorrei ringraziarvi davvero tutti per aver letto e commentato questa storia e per i tanti troppi complimenti che per essa e per me si sono sprecati... Comunque devo dire che c'ho preso gusto a questa coppietta e se il Golden 23 mi assiste... vedremo! ;)

Per ora, ancora grazie, grazie grazie....

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