I moti del cuore

di Afrodyte
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Morsa ***
Capitolo 2: *** Pioggia ***
Capitolo 3: *** Il ritorno ***
Capitolo 4: *** Iridi ***
Capitolo 5: *** Consapevolezza ***
Capitolo 6: *** Contatto ***
Capitolo 7: *** Rimpianti ***
Capitolo 8: *** Tormento ***
Capitolo 9: *** Come voi ***
Capitolo 10: *** Angelo biondo ***
Capitolo 11: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 12: *** Agonia ***
Capitolo 13: *** Lillà ***
Capitolo 14: *** Disperazione ***
Capitolo 15: *** Speranza ***
Capitolo 16: *** Nuova vita ***
Capitolo 17: *** Confessioni notturne ***



Capitolo 1
*** Morsa ***



A Riccardo, 
perchè in silenzio te lo avevo promesso.

 
Morsa
 
 
Quella mattina Andrè si svegliò all'alba, accompagnato da uno strano senso d’inquietudine che non lo abbandonava dalla sera precedente.
Pensò che fosse troppo presto ma, per quanto si sforzasse, non riuscì più a prendere sonno.
Per diverse ore, quella notte, si era girato e rigirato nel letto a causa di una strana morsa alla bocca dello stomaco che lo aveva tormentato ininterrottamente.
Subito pensò che, probabilmente, il dolore fosse causato dalla difficile serata che aveva trascorso a Parigi insieme ad Oscar solo qualche ora prima e che adesso il suo corpo stesse cercando di smaltire gli effetti della sbronza, anche se non ne era del tutto convinto.
Riportò alla mente gli avvenimenti della sera precedente e si ricordò di quanti boccali di birra fosse riuscita ad ordinare Oscar nel giro di qualche ora e di quanta fatica avesse fatto lui per poterne bere altrettanti insieme a lei, solo per tenerle compagnia.
Non avrebbe mai potuto farla bere da sola, non quella sera in cui aveva letto nel suo sguardo una profonda sofferenza, la stessa che sentiva di provare anche lui da diverso tempo.
Così le fece compagnia bevendo insieme a lei perchè voleva farle sentire di essere meno sola, anche se in quel modo assurdo.
Tra loro aveva sempre funzionato così e Andrè  si domandò se in futuro le cose sarebbero cambiate ma, in fondo, non gli dispiaceva affatto sapere di poter essere l'unica persona sulla quale Oscar potesse sempre contare e la sola a saper leggere il suo animo senza che lei fosse costretta ad aprirgli il proprio cuore.
L'aveva capita anche quella sera quando, di ritorno da Versailles, avevano incontrato per le strade di Parigi un reduce di guerra.
Gli era bastato voltarsi verso di lei e vedere il suo sguardo assente per comprendere quanto quella vista le avesse fatto male, facendole correre il pensiero al conte di Fersen che si era allontanato anni prima per andare a combattere in America.
Diede indicazioni a quell'uomo e condusse Oscar in una locanda sulle rive della Senna, dove trascorsero la serata a bere un boccale dopo l'altro.
Ebbe la tentazione di chiederle cosa provasse, se avesse bisogno di sfogarsi con lui, ma sapeva bene che a lei quelle cose non interessavano e che, invece, preferiva affogare la propria sofferenza nell'alcol senza dar voce ai propri pensieri, così come avrebbe fatto un vero uomo.
Da anni, infatti, si era messa in testa di comportarsi come avrebbe fatto suo padre, uomo tutto d'un pezzo, che sicuramente non avrebbe mai confessato ad alta voce di essere innamorato di qualcuno e  tantomeno lo avrebbe fatto lei che, ogni giorno della sua vita, doveva combattere contro se stessa per poter mettere a tacere la sua parte femminile pur di non deludere le aspettative di nessuno.
Così, quella sera, piuttosto che aprire il suo cuore al suo più caro amico, preferì bere finchè il suo corpo glielo permise.
E, infatti, fu quello che fece anche grazie alla presenza di Andrè che, boccale dopo boccale, continuava a sostenerla in quella sua lotta contro la ragione.
La sostenne anche quando iniziò a battibeccare con uno sconosciuto che aveva bevuto almeno tanto quanto lei e prese le sue parti anche quando gli sembrò che stesse esagerando tirando quell'uomo per il colletto della camicia e sferzandogli contro un primo pugno.
Quello fu l'inizio del declino perchè diedero vita ad una rissa che coinvolse tutti gli uomini presenti in quella locanda, che si avventarono contro di loro convinti che avessero aggredito ingiustamente il loro amico.
Il ritorno a casa fu molto duro per entrambi, l'alcol e la rissa li avevano devastati e ogni passo trascinato a terra faceva sentir loro le gambe pesanti, quasi come se stessero sorreggendo sulla schiena un grosso macigno.
E, quella mattina, ad Andrè sembrò che quello stesso macigno gli appesantisse anche lo stomaco.
Per tutta la notte non aveva fatto altro che girarsi e rigirarsi nel letto, sperando di scacciare da sè quella preoccupazione che non lo abbandonava da tempo ma erano così tante ore che sentiva quella terribile sensazione che gli sembrò di averla posseduta da sempre.
Continuava a pensare al dolore di Oscar e a quello strano senso di inquietudine che provava man mano che si avvicinava il nuovo giorno.
Non capiva perchè si sentisse così, ma aveva un brutto presentimento, era come se quella giornata fosse diversa dalle altre, come se un'ombra oscura fosse calata su di lui, come se fosse l'inizio della sua persecuzione.
Voleva scappare, ma si sentiva in trappola e non sapeva come fare.
Cercò di trovare consolazione nel paesaggio, ma anche quello era nefasto: una nube scura ricopriva il cielo grigio e un forte vento scuoteva le chiome degli alberi facendo volteggiare in aria le foglie che ricadevano, infine, a terra.
Si portò istintivamente una mano allo stomaco perchè sentì nuovamente quella morsa, ma questa volta percependo un dolore ancora più acuto.
Ricondusse il suo stato di sofferenza immotivata alla preoccupazione per la sua amica, per la donna che oramai amava più di se stesso e così decise di raggiungerla, non poteva aspettare un minuto di più.
Percorse a passo svelto tutto il corridoio fino a che non arrivò davanti alla porta della sua stanza e, in un primo momento, rimase con il braccio a mezz'aria senza trovare in sè il coraggio per bussare a quella porta.
Si domandò con quale scusa avrebbe potuto disturbarla a quell'ora del mattino e a come avrebbe potuto giustificarle quell'improvvisata nella sua stanza ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare in sè una risposta plausibile.
Iniziò a respirare a fatica, quasi come se gli mancasse l'aria e un senso di disperazione lo avvolse.
Bussò disperatamente alla sua porta, quasi come se lei fosse l'unica persona in grado di salvarlo da se stesso e dall'oscurità che stava incombendo su di lui.
Quando vide il volto di Oscar oltre l'uscio della porta, Andrè si aggrappò mentalmente alla sua immagine, come se quella fosse la sua ancora di salvezza ma, nonostante i suoi tentativi disperati, ancora non era riuscito a trovare un modo per sentirsi meglio.
"Andrè stai.. stai bene?"
Oscar cercò di sincerarsi sulle sue condizioni di salute ma lui non se la sentì di allarmarla inutilmente, così la liquidò con un semplice "Sì".
Si sedettero a terra, l'uno accanto all'altra, senza proferir parola, ad osservare dalla finestra le foglie che volteggiavano per aria mosse dal vento.
Fu Oscar a rompere il silenzio: "Andrè io volevo ringraziarti per ieri sera, per essermi stato vicino in una situazione come quella.. ma adesso sto bene, non devi essere in pena per me"
Andrè si voltò verso di lei per cercare il suo sguardo, come la sera precedente.
Le era riconoscente per aver tentato di aprirgli il suo cuore, non lo faceva molto spesso ma in alcuni rari momenti ci provava perchè capiva quanto lui ne avesse bisogno.
E in quel momento sentiva di aver bisogno di una rassicurazione, di qualcosa a cui aggrapparsi per potersi sentire meglio e, grazie a quella rivelazione, iniziava ad insinuarsi in lui l'illusione di poter tornare a stare bene, ma si trattava solo una flebile speranza.
Non disse niente, non se ne sentiva in grado e non riusciva a comprendere come mai in quel momento si sentisse tanto spaesato.
Si sentiva come un pesce fur d'acqua e non ne capiva il motivo.
In fondo era insieme a lei, l'amica di una vita, sapeva di potergliene parlare ma non sapeva da dove iniziare.
Dopo qualche minuto, che a lui sembrò un'eternità, decise di provare a parlarle di quella strana sensazione perchè, se davvero c'era qualcuno in grado di aiutarlo, quel qualcuno era proprio lei.
"E' che mi sento così.. strano, mi sono svegliato con questo.. umore senza alcun motivo e non riesco a trovare una spiegazione"
Provò a spiegarsi come meglio potè e sperò che la sua amica non iniziasse a pensare che lui stesse impazzendo, perchè non era così e lui lo sapeva bene.
"E' strano" sentenziò lei "Ma anche io mi sento così"
Uno strano stupore illuminò il volto del giovane "Davvero Oscar?"
Se le stesse cose le provava anche lei, allora qualcosa voleva pur dire.
Non era strano, nè matto, ma c'era una spiegazione dietro a quell'angoscia, a quello smarrimento.
"Sì, ti confesso che fino a ieri sera mi sentivo così triste dopo aver visto con i miei occhi come la guerra avesse ridotto quell'uomo che stava tornando a casa dalla sua famiglia e.. ho voluto bere per non pensarci"
La flebile immagine del conte svedese riaffiorò nella mente di Oscar ma volle scacciarla via prima che una lacrima scendesse a rigarle il viso.
"Ma stranamente oggi è tutto diverso, non ne capisco il motivo ma.. mi sono svegliata felice, nonostante la nottata di ieri e il brutto tempo di oggi"
Gli sorrise, convinta che quel suo strano umore fosse ciò che la legasse al suo più caro amico e anche lui ricambiò a quel sorriso, anche se il suo era tutt'altro che sincero: non avrebbe voluto preoccuparla o rattristarla, così seppellì i suoi pensieri lasciando che facessero male solo a lui.
Trascorsero così l'intera mattinata, in silenzio, seduti l'uno accanto all'altra, persi ciascuno nei propri pensieri ma con la consapevolezza di non essere soli.



Angolo dell'autrice 
Ciao a tutti!
Dopo anni di silenzio, sono tornata anch'io con una nuova storia che cercherà di indagare i pensieri e i sentimenti dei vari personaggi che metterò sulla scena.
In questo capitolo ho voluto mettere in risalto il contrasto tra i sentimenti di Oscar e quelli di Andrè e, in particolare, come tutto ciò che circondasse il nostro povero Andrè gli facesse presagire che presto sarebbe accaduto  qualcosa che avrebbe stravolto la sua vita, come la strana sensazione che continua a sentire allo stomaco o il tempo che è una rappresentazione del suo mondo interiore.
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, grazie a tutti coloro che decideranno di seguirmi in questa nuova avventura, un saluto a tutti! :)

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Capitolo 2
*** Pioggia ***


Pioggia
 
Nel pomeriggio decisero di andare a fare una passeggiata a cavallo, il vento si era fermato, a differenza di quella fastidiosa morsa allo stomaco che, di tanto in tanto, tornava a tormentarlo.
Decise di ignorarla e di provare a godersi la cavalcata insieme ad Oscar, forse quello che gli serviva era un po' di serenità e sperava di riuscire a trovarla passando un po' di tempo insieme a lei, anche se gli venne difficile.
Condussero i cavalli nei boschi, avanzando l'uno accanto all'altra fino a raggiungere un piccolo ruscello dove erano soliti trascorrere le loro giornate estive quando erano ancora dei ragazzi.
Lasciarono i cavalli riposarsi all'ombra di un grande albero sotto al quale anche loro decisero di sedersi.
Andrè strappò una foglia dal ramo che sporgeva di fronte a sè e se la portò alle labbra, facendo vibrare nell'aria quel dolce suono che amava riprodurre sin da quando era un ragazzo.
"Sai Andrè, ricordo che fino a qualche anno fa, in estate, ci svegliavamo all'alba e venivamo fin quì per poter vedere il sorgere del sole e solo in alcune occasioni tu suonavi quella melodia"
Disse Oscar voltandosi a guardarlo "Lo facevi quando ti sentivi triste.. che cosa ti succede?"
Il ragazzo la scrutò attentamente, senza dirle una parola, e la sua mente vagò al ricordo dell'ultima volta che si era trovato a suonare quel motivetto, quando anni prima aveva compreso la natura dei sentimenti che legavano la sua Oscar al bel conte svedese.
Gli sembrò che fossero passati appena due minuti da che l'amica gli avesse rivolto quella domanda, ma capì che si trattava solo di una sua impressione quando realizzò che lo sguardo di Oscar era ancora fisso su di lui e lo scrutava attentamente.
Andrè chiuse gli occhi e mentì anche a se stesso quando le rispose di non avere nulla, anche se entrambi sapevano benissimo che non fosse così.
Ma come poteva parlarle di quella strana sensazione se nemmeno lui era in grado di saperla decifrare? Come poteva parlarle di quel peso sul petto quando nemmeno lui sapeva spiegarsene la ragione?
E così rimasero in silenzio, ancora una volta, a contemplare la natura e a vagare con la fantasia, ognuno perso nei propri pensieri.
Quando Oscar percepì il vociare del vento farsi sempre più intenso, propose di iniziare a tornare indietro, sperando di raggiungere casa prima ancora dell'acquazzone che a breve li avrebbe travolti.
E, infatti, non fecero in tempo a raggiungere il palazzo che una leggera pioggerella iniziò a cadere imperterrita su di loro.
Condussero i cavalli al galoppo verso la loro dimora ma sembrava che il tempo non fosse dalla loro parte: via via che si avvicinavano alla meta, Andrè percepì la pioggia farsi sempre più insistente e il soffiare del vento farsi sempre più acuto, così come quella morsa allo stomaco e quel brutto presentimento che da ore non volevano abbandonarlo ma che, anzi, si stavano impossessando di lui con una forza e un vigore sempre maggiore.
Raggiunsero il palazzo dopo alcuni minuti, con molta rapidità Andrè prese le redini di Caesar e si diresse nelle scuderie, mentre Oscar corse velocemente dentro casa per non prendere ulteriore freddo.
Rimasto solo, Andrè decise di prendersi cura dei cavalli senza nessuna fretta, non gli importava del tempo che imperversava là fuori, nè degli abiti tutti bagnati che aveva indosso, sentiva il bisogno di stare un po' da solo per poter svolgere le proprie mansioni con una calma apparente dietro la quale si celava un'insolita spossatezza.
In effetti, poco gli importava dei cavalli in quel momento, ma doveva svolgere il proprio compito, nonostante il peso che sentiva gravare sulle sue spalle.
Terminato il proprio lavoro, si fermò ad osservare quella nube scura che troneggiava nel cielo cupo e gli sembrò che la natura, più di chiunque altro, potesse comprendere il proprio stato d'animo, sebbene non ne capisse ancora il motivo, ma gli bastò volgere lo sguardo verso la strada che la terribile sensazione che qualcosa di nefasto si sarebbe presto abbattuta su di lui aumentava con l'avanzare di una carrozza che si stava dirigendo proprio verso la loro dimora e il cui incedere era scandito dal rumore degli zoccoli dei cavalli che la stavano trainando e dal rimbombare dei tuoni in quel cielo plumbeo.
Osservò, rimanendo al proprio posto, un giovane dai lunghi capelli castani scendere dalla carrozza e dirigersi all'interno del palazzo dentro al quale si diresse senza la benchè minima esitazione.
Dopo un breve attimo di smarrimento, Andrè scosse la testa e si domandò dove avesse già visto quel giovane che ancora non era riuscito a identificare a causa della distanza che li separava e dal suo viso coperto dai lunghi capelli sciolti e dal cappello nero che portava in testa per coprirsi dalla pioggia.
In un primo momento si sentì confuso, non era sicuro di voler scoprire quale fosse l'identità che si celava dietro quel giovane ma sentiva dentro di sè la consapevolezza che, volente o nolente, lo avrebbe saputo non appena avrebbe rimesso piede a palazzo.
Decise di andare incontro al suo destino, senza cercare di sfuggirgli, perchè trovava inutile prolungare ulteriormente la propria sofferenza, consapevole che dietro al suo malessere immotivato ci fosse molto più di una semplice luna storta con la quale credeva di essersi alzato dal letto quella mattina e sentiva crescere dentro di sè la sicurezza di trovare la causa di tutti i suoi mali in quel misterioso giovane che era arrivato solo qualche minuto prima.
Si diresse nelle cucine dove trovò tutti molto indaffarati: sua nonna stava ordinando ad alcune giovani al suo servizio di preparare la tavola per la cena mentre ad altre diede il compito di sistemare la camera per gli ospiti.
Andrè si sentì di troppo in quel momento e stava quasi per andarsene quando sentì la voce di sua nonna richiamare la sua attenzione
"Andrè ma che ci fai ancora in quelle condizioni? Guardati nipote mio, sei impresentabile conciato a quel modo! Sù, coraggio, và a farti un bagno e torna quì sotto al più presto, ci sono ospiti per cena e abbiamo bisogno di una mano quì in cucina".
Fece come gli venne ordinato mantenendo il più rigoroso silenzio e dopo poco più di una mezz'oretta si trovava di nuovo lì in mezzo a loro.
"Coraggio" gli disse sua nonna "Porta questo vassoio di là nel salotto e avverti madamigella Oscar e il suo ospite che tra pochi minuti sarà pronta la cena"
Si diresse a passo lento verso ciò che da ore lo stava tormentando e prima di riuscire a bussare alla porta sentì Oscar pronunciare quelle che per lui erano delle terribili parole che gli trafissero il petto più dolorosamente di quanto non avrebbe potuto fare una lama.
"Sono anni che non ci vediamo, sarà per me un immenso piacere ospitarvi quì a palazzo Jarjayes.. coraggio Fersen, non dite di no"
E fu così che Andrè comprese che il più terribile dei suoi incubi si era trasformato in realtà e che si trovava proprio lì, a qualche centimetro di distanza da lui, a stringere la mano di colei che, in breve tempo, sarebbe stata completamente e totalmente persa per lui.

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Capitolo 3
*** Il ritorno ***


Il ritorno

Non appena ebbe terminato il suo bagno, Oscar fu avvertita da una delle cameriere di essere attesa, con urgenza, da un ospite in salotto.
Una viva curiosità la rese scattante in ogni suo gesto e, in meno di un quarto d'ora, scese al piano inferiore per dirigersi dal suo visitatore.
Quando varcò la soglia di quella porta, vide un uomo dai lunghi capelli castani darle le spalle, rivolto verso la finestra, intento ad osservare il temporale che imperversava là fuori.
Non lo riconobbe subito, ma quando lo fece sentì un tonfo al cuore: il suo Fersen era tornato in Francia sano e salvo.
"Ma.. Ma voi siete.."
Le parole le morirono in gola quando il giovane svedese si voltò a guardarla, inebriandola con tutto il suo splendore.
Era cambiato dall'ultima volta in cui si erano visti: quel terribile giorno in cui, dopo aver ballato per tutta la sera con la regina Maria Antonietta al posto suo, l'aveva attesa con la carrozza poco distante dalla reggia e le aveva detto addio.
Qualcuno dirà che sono un codardo, ma non m'importa.. Oscar io devo andare molto lontano anche se mi dispiace.
Quelle parole l'avevano tormentata per anni provocandole un dolore lacerante al petto di fronte alla consapevolezza di non vederlo tornare in Francia mai più.
Ma adesso era proprio lì, davanti a lei, con i capelli un po' più lunghi, l'aria un po' più matura e un fascino che solo l'esperienza ti può conferire e si stava dirigendo proprio verso di lei.
"Oscar, che piacere rivedervi, è passato tanto di quel tempo.."
L'abbracciò, provocandole un sussulto con quel gesto così inaspettato e con quel contatto così intimo al quale non era mai stata abituata.
Chiuse gli occhi beandosi di quel momento e scacciando dalla sua mente il pensiero che solo Andrè, prima di Fersen, si era preso una simile libertà con lei.
Quando si allontanarono, un piccolo senso di sconforto l'avvolse: quel breve contatto non era durato che un istante, eppure già sentiva la mancanza di quelle braccia attorno a lei.
Si sedettero al tavolo vicino al camino, proprio come erano soliti fare anni prima, e Oscar chiese a una delle cameriere di portare una bottiglia di vino per brindare al ritorno del conte.
"Fersen, sono passati così tanti anni.. ditemi di voi, che cosa è accaduto in America? I nostri volontari sono già tornati in patria da un pezzo.."
Un amaro sorriso comparve sul volto del conte che, tra un sorso di vino e l'altro, raccontò alla sua più cara amica di essere stato molto male alcuni mesi prima: un terribile malessere lo colpì durante l'ultimo periodo bellico, cosa che lo costrinse ad abbandonare il campo di battaglia e a prolungare la sua permanenza in quelle terre lontane.
Oscar sgranò gli occhi incredula, preoccupata, e uno strano senso di ansia per la salute del suo amico l'avvolse.
"Ma adesso state bene?"
Cercò di parlare piano, pacatamente, sperando che la sua voce non tradisse la sua preoccupazione.
"Mi sento molto meglio ora, anche se il medico mi ha consigliato riposo assoluto ancora per qualche tempo, per.. per questo ho deciso di non presentarmi a corte, almeno per qualche periodo"
Lo disse un po' titubante, illudendosi che la sua amica non avesse colto nella sua voce quel senso di amara consapevolezza che da giorni gli attanagliava il cuore, perchè sapevano entrambi che, nella profondità dei suoi sentimenti, Fersen non aspettava che quel momento per rivedere, dopo tanto e forse troppo tempo, l'unica donna che avesse mai davvero amato con tutto se stesso.
"Stavo pensando che potreste fermarvi quì da noi per qualche tempo"
Si stupì di se stessa quando quelle parole le uscirono così sfacciate e così spontanee, tanto da indurla a bere un altro sorso di vino per poter nascondere le sue gote arrossate dietro al calice che teneva stretto tra le dita.
"Oh no Oscar, non vorrei disturbare"
"Nessun disturbo" insistette ancora lei "Sono anni che non ci vediamo, sarà per me un immenso piacere ospitarvi quì a palazzo Jarjayes.. coraggio Fersen, non dite di no"
Il conte si portò le dita agli occhi per asciugare le lacrime che adesso gli stavano rigando il volto.
"Sapete Oscar, stare quì insieme a voi mi ha fatto dimenticare per un momento tutte le atrocità della guerra.. vi ringrazio, accetto molto volentieri il vostro invito"
Un senso di gioia iniziò a pervaderle il corpo di fronte alla consapevolezza che per qualche periodo lei e Fersen avrebbero vissuto sotto lo stesso tetto, potendosi beare l'uno della gradevole compagnia dell'altro, magari sfidandosi a duello, magari facendo qualche corsa a cavallo o magari facendo qualche passeggiata lungo il fiume.
La verità è che poco le importava di ciò che avrebbero o che non avrebbero fatto, l'importante per lei era bearsi della sua presenza dopo tutti quegli anni di assenza e fu ciò che fece a partire da quel momento e per tutti i giorni successivi.

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Capitolo 4
*** Iridi ***


Iridi

Quando riuscì a trovare in sè la forza per bussare a quella porta, Andrè l'aprì con mano tremante e annunciò ad Oscar e a Fersen che a breve avrebbero servito la cena.
Al suo ingresso nella stanza, Fersen si alzò in piedi e gli andò in contro.
"Andrè è un piacere rivedervi"
Gli tese la mano in segno di saluto ma Andrè la osservò per qualche secondo prima di stringergliela: non riusciva a cancellare dalla propria mente l'immagine di Oscar che, solo qualche secondo prima, la stava tenendo stretta tra le sue dita e un senso di rabbia l'avvolse.
Continuava a guardarla con insistenza e a spostare il proprio sguardo tra la mano tesa di Fersen e quella di Oscar poggiata sul tavolino, a pochi centimetri di distanza da loro.
Cercò di cancellare dalla sua mente il ricordo di quel contatto e, non potendo fare altro, strinse quella mano, consapevole di tener stretta tra le proprie dita la mano del suo più acerrimo nemico, e si congedò.
Dopo aver visto da vicino le iridi azzurre di Oscar brillare di felicità per il ritorno di Fersen, decise di rintanarsi nella sua stanza per rimanere solo con la propria sofferenza e per non vedere più, almeno per quella sera, l'effetto che il bel conte svedese riusciva a suscitare nella sua amica.
Con lo sguardo perso nel vuoto, rivolto verso il soffitto, Andrè ricordò la prima volta in cui vide quel volto brillare di felicità e un senso di nostalgia l'avvolse: era da poco arrivato a palazzo Jarjayes per poter affiancare quella che, in breve tempo, sarebbe diventata la sua amica più fidata e la compagna di mille avventure.

Un mattino, all'alba, Oscar entrò di corsa nella sua stanza gettando ai piedi del letto quella che, da quel momento in avanti, sarebbe diventata la sua spada.
"Pendi Andrè, questa spada è tua"
Prese in mano quell'oggetto che giaceva sul letto e sgranò gli occhi per lo stupore: sapeva bene di non poter accettare un dono del genere, non avrebbe mai potuto ricambiare a tanta generosità.
"Ma questa spada appartiene alla vostra famiglia, io non sono degno di averna una"
Cercò di protestare e allungò la mano verso di lei per restituirgliela ma le vide scuotere la testa.
"Mio padre me ne ha consegnate due dicendomi che una dovevo darla a te, sei contento?"
Le sorrise e gli si illuminarono gli occhi di gioia mentre stringeva a sè il primo regalo che qualcuno gli ebbe mai fatto in tutta la sua vita e, grato, le rispose di esserne felice.
"Coraggio Andrè, battiamoci!"
Corsero fuori da quella stanza, senza mai voltarsi, fino ad arrivare in quel giardino che divenne il teatro delle loro mille sfide.


D'istinto, si voltò verso la finestra e gli sembrò di essere uno spettatore silenzioso del proprio passato: si rivide in compagnia di Oscar, quella stessa mattina del suo ricordo, e gli sembrò che il tempo fosse fermo a quell'istante, a quel momento in cui, per la prima volta, si fermò ad osservare la felicità dipinta sul volto della sua amica e quelle iridi azzurre che brillavano solo per lui.
Quel ricordo riuscì a scaldargli il cuore e si trovò a pensare che avrebbe dato qualunque cosa per poter tornare a quel periodo in cui la loro unica preoccupazione era quella di restare a palazzo per poter tirare di scherma e fare delle passeggiate a cavallo ma, per quanto potesse pregare, nulla lo avrebbe mai potuto riportare indietro.
Tornò a sedersi sul suo letto e si voltò verso quella sedia vuota accanto alla porta dove l'aveva vista seduta di fronte a sè tante di quelle volte che, anche in quel momento, riusciva a vederla lì, con un libro in mano e con lo sguardo assente, che si rivolgeva a lui.
Va tutto bene finchè giochi e corri ma poi quando diventi più grande e devi scegliere diventa tutto più difficile, cominci a chiederti perchè.. succede anche a te, Andrè?
Gli tornarono in mente quelle parole che Oscar gli rivolse anni fa, mentre era seduta proprio su quella sedia, quando si trovò a prendere quella decisione che avrebbe cambiato irrimediabilmente il loro futuro: vivere come un uomo, come avrebbe voluto suo padre, o vivere come una donna?
Nonostante tutte le raccomandazioni del generale, lui aveva deciso di seguire il proprio istinto e le aveva consigliato di non indossare quella divisa bianca se non lo avesse voluto, perchè per lei non era troppo tardi, avrebbe potuto cambiare radicalmente la sua vita e iniziare a vivere come una donna, anche se in quel momento non aveva ben chiaro nella sua mente che quella scelta avrebbe finito per incrinare il loro rapporto.
Se ne stava rendendo conto solo in quell'istante in cui aveva compreso che il cuore inconsapevole di Oscar aveva iniziato a battere per il conte svedese e che quel sentimento così grande avrebbe finito per allontanarli.
Lei si sarebbe allontanata da lui, a poco a poco, e lo avrebbe sostituito con Fersen nelle passeggiate a cavallo e nelle lotte con la spada senza neppure rendersene conto.
Pregò che quel momento arrivasse il più tardi possibile anche se sapeva che presto, molto presto, sarebbe arrivato e quella triste consapevolezza riuscì a dilaniargli l'anima, facendolo sentire disperato e rendendogli impossibile trattenere le lacrime in quelle iridi verdi che, a differenza di quelle della sua amica, si erano ormai spente.

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Capitolo 5
*** Consapevolezza ***


Consapevolezza

Quel pomeriggio, di ritorno da Versailles, Oscar propose a Fersen di fare una passeggiata lungo il fiume per poter godere della leggera brezza primaverile e del profumo degli alberi in fiore che avvolgevano l'aria.
Da giorni, si era accorta che le sue giornate trascorrevano più veloci del solito in compagnia del conte e la sera non vedeva l'ora che arrivasse il pomeriggio successivo per poter godere di nuovo della sua compagnia.
Realizzò che, dopo una lunga mattinata trascorsa alla reggia, il suo ritorno a casa era diventato più piacevole e che i lunghi allenamenti che doveva fare con la spada erano diventati fonte di letizia se ad esercitarsi insieme a lei c'era anche lui che non perdeva occasione per proporle le sfide più disparate.
Ma quel pomeriggio avvertì subito che il suo amico provava uno strano malessere nell'animo e il tono cupo con cui si rivolse a lei l'angosciò ancora di più.
"Vedete madamigella, questa mattina, mentre voi eravate alla reggia, ho pensato di andare a fare una passeggiata a cavallo per le vie di Parigi, era passato così tanto tempo dall'ultima volta che mi ero diretto in quei luoghi che un po' mi mancavano"
Oscar lo scrutò attentamente, cercando di comprendere dove il suo amico volesse andare a parare facendole quel discorso.
"Sarò schietto con voi, ho trovato Parigi profondamente cambiata: la povertà dilaga in ogni angolo della città e i popolani si derubano a vicenda, ma ciò che più mi ha colpito è stato tutto l'odio e il disprezzo che la gente del popolo prova nei confronti della famiglia reale, tanto da indurli a colpire con dei piccoli pugnali i volti dei sovrani dipinti su dei fogli di carta attaccati alle pareti.."
Fersen scosse la testa, scacciando dalla propria mente l'immagine di quel pugnale che aveva tenuto stretto fra le proprie mani e che aveva lasciato cadere a terra subito dopo aver liberato quel volto che aveva accarezzato diverse volte, in passato.
"Che cosa sta succedendo?"
Oscar si fermò ai piedi di un grande cipresso dove, dopo un attimo di esitazione, decise di sedersi intimando al conte di fare altrettanto.
"Vedete Fersen, la Francia che avete lasciato partendo sette anni fa è profondamente cambiata.."
Un velo di amarezza si dipinse sul volto di Oscar, certa che, con il suo racconto, avrebbe intristito ulteriormente il suo amico.
Decise di raccontargli tutto fin dal principio, partendo da quelle voci maligne che avevano calunniato sulla persona della regina Maria Antonietta quando, pochi mesi dopo la sua partenza per le Americhe, aveva annunciato al re di aspettare un erede che il popolo aveva ritenuto figlio illegittimo, fino ad arrivare al fragoroso scandalo della collana avvenuto solo quale mese prima e che aveva dipinto la sovrana come un'arpia che aveva derubato un gioielliere di Parigi dando poi la colpa alla povera Jeanne Valois che era stata ingiustamente accusata.
Terminato quel discorso, Oscar portò alla mente il ricordo di quel lungo processo durante il quale lei stessa venne accusata di avere assecondato i capricci della regina e di aver fatto da tramite tra quest'ultima e Jeanne Valois per definire i dettagli del furto.
Fu la speranza che la verità potesse venire a galla insieme a Jeanne che la spinse ad adoperarsi tanto per catturare lei e suo marito dopo la loro fuga dal carcere, anche se fu tutto inutile poichè la verità morì con loro e, con essa, anche la reputazione della sovrana.
Venuto a conoscenza di quella dura verità, Fersen rimase sbigottito di fronte a tanto malanimo nei confronti della sua amata regina e il doloroso pensiero di averla lasciata sola in una situazione dura come quella iniziò a farsi spazio nel suo animo.
Si portò le mani alle tempie, disperato, per poter capire cosa fare e, dopo un attimo di esitazione, si rivolse alla donna seduta al suo fianco che, da quando il silenzio era calato tra di loro, non aveva smesso di osservarlo nemmeno per un attimo.
"Oscar io.. so bene ciò che vi avevo detto riguardo alla mia permanenza in Francia, ma ora le cose sono cambiate"
Abbassò lo sguardo poichè non trovava in sè la forza di dirle, guardandola negli occhi, ciò di cui entrambi avevano ormai preso consapevolezza.
"Devo tornare al più presto al fianco della famiglia reale per dimostrare loro il mio appoggio in un momento così difficile"
Oscar sapeva bene che non era dell'intera famiglia reale che il suo amico si stesse preoccupando in quel momento ma la speranza che quella visita avrebbe potuto dare un nuovo volto alla Francia le rese sopportabile l'idea che Fersen avrebbe ben presto fatto ritorno a corte.
"Certo, posso comprendere le vostre ragioni, è bene che in un momento delicato come questo la famiglia reale abbia l'appoggio di tutti i nobili che ancora sono rimasti fedeli alla corona"
Cercò di convincere anche se stessa con quelle parole che, alle sue orecchie, suonavano come una preghiera per il suo cuore che, dolente, stava cercando di attutire il colpo perchè non poteva permettere che quei sentimenti, che giorno dopo giorno si stavano facendo sempre più intensi, prendessero il sopravvento.
"Vi ringrazio Oscar, sapevo che avreste capito"
Ripresero a camminare, fianco a fianco, lungo il sentiero che li avrebbe ricondotti verso casa ma, ad ogni passo che faceva verso quella direzione, Oscar sentiva le sue gambe diventare sempre più pesanti, come se la loro leggerezza fosse rimasta ancorata a quel cipresso.
Cercò di scacciare dalla propria mente il pensiero che il giorno dopo Fersen sarebbe tornato dalla donna che un tempo aveva amato con tutto se stesso e pregò che quei sentimenti non fossero per lui che un lontano ricordo anche se presto, molto presto, si sarebbe resa conto di quanto quell'amore sarebbe tornato a far battere quel cuore che, indomito, desiderava ricongiungersi a quello della sua metà per poter battere all'unisono.

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Capitolo 6
*** Contatto ***


Contatto
 
Quella notte Fersen non riuscì a dormire per l'emozione, sapere che solo qualche ora lo separava dall'incontro con la donna che sentiva di amare ancora con tutto se stesso gli tolse il sonno e lo fece fantasticare per tutto il tempo su come sarebbe stato rivederla dopo tutti quegli anni, su cosa le avrebbe detto e su che gioia avrebbe provato a tenerla di nuovo stretta fra le sue braccia.
Alle prime luci dell'alba si alzò e si iniziò a preparare con cura meticolosa per poter essere impeccabile e molto affascinante ai suoi occhi.
Non appena terminò di prepararsi, fece sellare il proprio cavallo e si diresse al galoppo verso il Petit Trianon dove gli era stato detto che, da qualche tempo, la regina alloggiava insieme ai suoi figli.
Chiese un colloquio privato con quella donna che, ancora una volta, lo aveva attratto a sè come una calamita e, dopo pochi minuti di attesa, la vide entrare in quell'enorme salotto nel quale lo avevano fatto accomodare.
"Fersen.. siete davvero voi?"
Udire quel dolce suono della sua voce, dopo tutti quegli anni in cui aveva solo potuto immaginarlo, lo fece sentire come in Paradiso e poter ammirare da vicino quel candido angelo biondo che gli stava innanzi lo fece sentire come il più grato dei fedeli.
E lei era lì, ferma, di fronte a quella porta che i suoi servitori avevano appena richiuso alle sue spalle.
Si fissarono a lungo prima di rendersi conto che erano passati interminabili minuti di silenzio da che lei era entrata in quella stanza.
"Maestà io.."
Fersen si avvicinò titubante e si inginocchiò al suo cospetto per poi prenderle delicatamente la mano e baciargliela a fior di labbra.
La guardò intensamente per diversi minuti, restando ancora lì, inginocchiato al suo cospetto, tenendo stretta quella mano nella sua.
Avrebbe voluto prolungare quel contatto il più possibile, dopo tutti quegli anni in cui aveva desiderato essere di nuovo al suo cospetto per poter ammirare da vicino quegli occhi azzurri che gli ricordavano l'oceano che a lungo li aveva tenuti separati e quelle labbra rosee che tante notti aveva sognato di poter baciare, soffermandosi poi su quelle mani candide che nei momenti difficili aveva tanto desiderato di poter stringere.
Tante volte, in quegli anni, aveva portato alla mente il ricordo del loro primo incontro, a quel ballo in maschera che li aveva visti accarezzarsi con lo sguardo per tutta la sera in cui aveva potuto tenerla stretta fra le sue braccia fra un minuetto e l'altro, fino a che la loro impazienza e la loro attrazione non li condusse fuori da quella stanza, lontani da sguardi indiscreti, per poter parlare un po' da soli e per poter vedere quale volto si celasse dietro a quella maschera nera che nascondeva il viso ad entrambi ma che lasciava ugualmente trasparire una grande bellezza.
L'aveva portata in quel balcone al chiaro di luna dove si tolse la maschera che anche lui stava portando sul viso e le chiese di fare altrettanto.
Voi dovete essere bellissima e io vorrei avere il piacere di vedere il vostro viso almeno un istante.
Le tolse quella maschera dal volto e, in un attimo, vide il suo viso illuminato dal bagliore della luna.
Pensò di non aver mai visto niente di più bello e gli venne spontaneo paragonare la bellezza di quella giovane sconosciuta a quella di una dea.
Si inginocchiò al suo cospetto anche quella sera in cui scoprì l'identità della donna che aveva innanzi: l'allora principessa Maria Antonietta.
L'immagine di quella giovane che riusciva a vedere con chiarezza nei suoi ricordi si sovrapponeva a quella della donna che gli stava davanti in quel momento e che  lo stava pregando di accomodarsi al suo fianco.
"Fersen è passato tanto di quel tempo, non credevo che vi avrei più rivisto"
Lo disse in un sussurro, con le lacrime agli occhi per la sofferenza causata da tutti quegli anni di lontananza e per la gioia di poterlo riavere finalmente al suo fianco.
Si strinsero a lungo le mani, bisognosi di quel contatto che per anni era loro mancato e per lungo tempo si accarezzarono con lo sguardo senza pronunciar più parola.
Fu Fersen a rompere quel silenzio per poter esprimere alla donna al suo fianco tutto il suo amore e tutto ciò che era disposto a fare in nome di quel sentimento che, prepotente, arrivava a togliergli il respiro.
"Maestà, sono tornato per morire per voi se necessario, io vi proteggerò da chi non è capace di amarvi"
Era una promessa la sua e non avrebbe più permesso a nessuno, nemmeno alle voci malevole che calunniavano su di loro, di allontanarli nuovamente.
Si avvicinò lentamente al suo viso e, dopo averle sfiorato la guancia con lo sguardo e con le dita, suggellò quella promessa con un bacio.
Avrebbe voluto dargliene un altro e un altro ancora, ma sapeva che il tempo che avevano a disposizione non sarebbe bastato per potersi  beare di quello sguardo e di quel contatto che disperatamente aveva cercato, invano, in quegli anni.
Si avvicinò adagio alla porta finestra alle sue spalle che, una volta aperta, lo condusse in quel balcone che tanto gli ricordava quello del loro primo incontro e si soffermò ad osservare il paesaggio che lo stava circondando.
Quella vista gli ricordò il motivo della sua visita e, anche se a malincuore, dovette rovinare quel dolce momento per raccontarle della spiacevole situazione che aveva visto passeggiando per le vie di Parigi.
Le chiese di tornare a vivere alla reggia e di cercare di avvicinare alla famiglia reale tutti quei nobili che, da qualche mese, si erano allontanati a causa delle mancate udienze e di rinforzare il legame con quelli che, invece, erano rimasti loro fedeli.
"Va bene Fersen, farò come voi dite"
Le strinse nuovamente le mani fra le sue e temette di non riuscire a trovare in sè la forza per annullare quel contatto quando, qualche minuto dopo, la sua dama di compagnia venne ad annunciarle di essere attesa ai piani superiori dal suo legittimo consorte.
Rimasti soli, intrecciarono nuovamente le dita nelle mani dell'altro per ricreare quel legame che per qualche breve attimo era stato spezzato.
Le carezzò il viso, catturando con il proprio pollice una lacrima che era scesa a rigarle il volto.
"Vi prego, non piangete, le vostre lacrime mi fanno provare un dolore profondo e il tempo che ci separa dal nostro prossimo incontro diventa insostenibile"
Fu quasi una supplica la sua, il pensiero di doverla salutare lo faceva sentire altrettanto disperato ma in quel momento aveva bisogno di essere forte anche per lei e di pensare a quando avrebbe potuto nuovamente stringerla fra le sue braccia, come stava facendo in quell'istante.
Quando si separarono, sentì un grande vuoto albergare dentro al suo cuore e una incommensurabile tristezza pervadergli l'animo, rendendolo disperato.
Non aveva potuto vederla che per qualche minuto, che a lui era sembrato un solo istante, ma la consapevolezza che il giorno seguente l'avrebbe rivista gli diede la forza per ritornare sui propri passi e allontanarsi lentamente da quel luogo che aveva raggiunto con tanta fretta.

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Capitolo 7
*** Rimpianti ***


Rimpianti

Quella mattina, mentre con il proprio cavallo si stava dirigendo verso il Petit Trianon dove avrebbe trovato ad attenderla i propri soldati, Oscar continuava a ripensare alla sera precedente.
Stava percorrendo la stessa strada di sempre ma, anzichè vedere di fronte a sè il palazzo che stava per raggiungere e che poteva già scorgere da lontano, rivedeva nella propria mente i calici di vino che lei e Fersen avevano alzato la sera prima per festeggiare la decisione presa da sua maestà la mattina precedente e che l'uomo con il quale stava brindando l'aveva convinta a prendere.
Aveva dormito poco quella notte perchè quel brindisi al quale non riusciva a non pensare l'aveva tormentata per tutto il tempo, quando quella sera Fersen le aveva annunciato felicemente che era riuscito nel proprio intento, lei si era sentita terribilmente in colpa perchè, mesi prima, non aveva avuto il coraggio di fare ciò che il suo amico aveva fatto.
Stava percorrendo la strada per raggiungere il Petit Trianon, dove la stava attendendo il compito di condurre la regina, insieme ai suoi figli, alla reggia di Versailles dove sarebbero tornati a stabilirsi, ma se solo quel pomeriggio di qualche mese prima avesse avuto il coraggio di parlare apertamente con la sua amica, quel compito l'avrebbe già portato a termine da giorni.
Per diverso tempo si era domandata perchè quel pomeriggio non avesse avuto il coraggio di farlo e, anche in quel momento, quella domanda tornò a riecheggiarle nella mente.
Scosse la testa per non tormentarsi più e si rispose mentalmente ciò che, in quei mesi, aveva continuato a ripetersi fino allo sfinimento: avrebbero dovuto vederla giocare con i propri figli come aveva fatto lei per poterlo capire.
Era stata proprio l'immagine di quei bambini felici, che adesso che era arrivata a palazzo poteva vedere mentre stavano salendo sulla carrozza, che l'aveva fatta desistere nel suo intento.
Infatti, quel pomeriggio di alcuni mesi prima, si era diretta al Trianon per poter parlare alla regina di uno spiacevole screzio che aveva avuto con un nobile straniero alla reggia di Versailles: quest'uomo aveva viaggiato a lungo per incontrare sua maestà ma, poichè gli era stata negata la possibilità di farlo e gli era stato consigliato, invece, di rivolgersi a un ministro competente per risolvere il suo problema, lui aveva iniziato ad urlare con rabbia di fronte a tutti i presenti e lei era stata costretta a cacciarlo dalla reggia con la forza.
Questa non è più una reggia dal momento che manca la regina!
Quel nobile straniero aveva ragione, se lo era ripetuto più volte in quei mesi in cui, varcando la soglia dei cancelli di Versailles ed osservandone il panorama, quella frase era tornata a rimbombarle nella mente, ma non aveva potuto fare niente per scacciarla perchè il coraggio per chiedere alla sua amica di tornare a vivere a corte le era mancato a causa di quei bambini che, adesso, la stavano salutando da lontano agitando la mano.
Quella gioia che in quel momento avevano dipinta sul viso era la stessa che le aveva impedito di parlare alla regina quel pomeriggio in cui si era diretta a palazzo per farlo.
Ricambiò al loro saluto sollevando a sua volta la mano e sorridendo verso la loro direzione, poi si voltò a guardare proprio quella mano ancora a mezz'aria che, quel pomeriggio di alcuni mesi prima, quei bambini le avevano stretto tra le proprie dita per invitarla a giocare con loro.
Quel dolce ricordo le svanì dalla mente quando, poco prima di partire, si voltò alla sua sinistra per scrutare il paesaggio ma la sua attenzione fu catturata dalla figura del conte di Fersen che si era affacciato al balcone e che aveva sollevato il braccio in segno di saluto.
Oscar sentì il suo cuore sussultare ed improvvisamente percepì le sue gote arrossarsi per l'imbarazzo, tanto da farla voltare velocemente dalla parte opposta per evitare il suo sguardo.
Si portò una mano alle guance per nascondere il proprio imbarazzo e cercò di darsi un contegno quando vide il tenente Girodelle avvicinarsi verso la sua direzione.
"Comandante, siamo pronti per la partenza"
Ordinò al tenente di posizionarsi con alcuni uomini davanti alla carrozza sulla quale avrebbero viaggiato i membri della famiglia reale, mentre lei avrebbe preso posto, insieme agli altri soldati e ad Andrè che, come sempre, l'aveva seguita in quell'impresa, dietro alla carrozza dove avrebbe potuto controllare meglio la situazione.
Oscar sapeva bene che, oramai, la famiglia reale non era più amata come un tempo e che i rischi che qualcuno cercasse di attaccarli erano sempre più elevati, per questo era necessaria una grande attenzione in quell'impresa che li vedeva molto esposti ai pericoli.
Quando giunsero alla metà del loro tragitto, Oscar arrestò il proprio cavallo poichè sentì dentro di sè una terribile sensazione.
"Che cosa c'è Oscar? Perchè ti sei fermata?"
Andrè le si fece più vicino e lasciò che il resto del gruppo proseguì senza di loro per poter continuare a vegliare sulla famiglia reale.
"Ho un brutto presentimento, Andrè"
Iniziarono ad osservare meglio il territorio circostante, ma non riuscirono a vedere nulla al di fuori della carrozza e dei soldati che, a poco a poco, si stavano facendo distanti da loro.
Fu quando iniziarono a pensare di essersi sbagliati e di voler raggiungere il proprio gruppo che due uomini a cavallo li superarono imbracciando il loro fucile e tenendolo puntato nella direzione della famiglia reale.
Con uno scatto, Oscar e Andrè li raggiunsero portando i loro cavalli al galoppo ed estrassero la pistola dalla fondina.
"Fermi! Fermatevi! Fermatevi!"
Oscar urlò loro più e più volte di fermarsi ma i due uomini non sembravano intenzionati ad eseguire quell'ordine, anzi spararono due colpi verso la carrozza che, ormai, era troppo lontana per essere colpita.
A quel punto, Oscar sparò un colpo nella direzione dell'uomo che era poco distante da lei, facendolo cadere a terra insieme al suo fucile, mentre l'altro svoltò per una via ai lati della strada.
"Pensaci tu a lui, Andrè!"
Senza pensarci due volte, svoltò per quella via anche lei, lasciando Andrè alle sue spalle, e raggiunse l'uomo che le stava sfuggendo.
Quell'uomo continuava a scappare, ma lei non poteva permetterglielo, così estrasse nuovamente la pistola e sparò nella sua direzione un secondo colpo che lo colpì all'altezza del petto, facendolo cadere a terra.
Si avvicinò a quel ferito e sgranò gli occhi quando constatò che si trattava di un giovane che aveva pochi anni in più di lei.
Così, si chinò su di lui per tamponargli quella ferita che, erroneamente, gli aveva inflitto al petto ma il ragazzo le strattonò il braccio per spingerla via.
"Non voglio farti del male, sto solo cercando di aiutarti"
Cercò di rassicurarlo ma sapeva bene quanto fosse difficile crederle visto che, poco prima, gli aveva sparato alle spalle.
Si avvicinò nuovamente a quel giovane, ormai in fin di vita, che prima di spegnersi le disse con molta fatica "E' bello.. morire.. per la Francia".
Abbassò lentamente lo sguardo, portandolo verso la mano che aveva sparato quel colpo mortale e che, adesso, le cadeva a penzoloni lungo il fianco.
Si voltò di scatto dalla parte opposta e subito le venne in mente che, solo qualche ora prima, aveva fatto lo stesso quando Fersen l'aveva salutata dal balcone del Petit Trianon e subito si vergognò di se stessa per averci pensato in un momento triste come quello.
"Non si può pensare all'amore adesso"
Poco dopo, sentì dei passi avvicinarsi velocemente a lei e, voltandosi, vide Andrè seguito da alcuni dei soldati che stavano scortando la carrozza insieme a loro quella mattina che presero il corpo esanime di quel giovane per portarlo via.
Oscar salì sul proprio cavallo e, sempre con lo sguardo basso, si rivolse ad Andrè
"Credo che oramai non ci siano più pericoli per la famiglia reale, dì a Girodelle di assumere il comando, io torno a casa"
Si voltò di scatto e si allontanò velocemente da quel luogo e da Andrè che continuava ad urlarle di fermarsi.
"Ma che cosa ti succede?"
Poteva ancora sentire la sua voce anche se, ormai, era troppo lontana per rispondergli.
Quando arrivò nei pressi di palazzo Jarjayes, riuscì a pronunciare quelle parole che, da giorni, il suo cuore aveva gridato con forza.
"Fersen.. adesso l'ho capito, io vi amo"
Per la prima volta, il suo cuore di donna aveva iniziato a battere per un uomo.

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Capitolo 8
*** Tormento ***


Tormento

Non appena ebbe varcato la soglia dell'imponente cancello di palazzo Jarjayes, l'attenzione di Oscar fu catturata da una carrozza posteggiata di fronte all'ingresso, ancora vuota.
Si avvicinò lentamente, continuando a tenere strette tra le proprie dita le redini di Caesar che si trovava ancora alle sue spalle.
"Madamigella, già di ritorno?"
Arrestò il proprio passo quando sentì quella voce alle sue spalle che, per un breve attimo, ebbe la forza di farle perdere un battito.
Si voltò lentamente, cercando di mantenere il suo solito contegno, ma perse ogni speranza quando si rese conto che il conte di Fersen aveva indossato l'alta uniforme, che gli conferiva un ulteriore fascino, e lei lo stava osservando con aria sognante.
"State andando da qualche parte?"
Il conte abbassò lo sguardo e, guardandosi l'abbigliamento, comprese il motivo di quella domanda.
"Questa sera prenderò parte ad un ballo a corte per festeggiare il ritorno della regina a Versailles"
Oscar annuì con la testa ed arrossì lievemente quando sentì le mani del suo amico sfiorarle delicatamente le dita.
"Perchè non venite con me?"
Abbassò lentamente lo sguardo, soffermandosi ad osservare quelle mani che la stavano accarezzando e un lieve rossore tornò ad imporporarle le guance, proprio come le era accaduto quella mattina prima di partire per la sua impresa.
Ritrasse velocemente la mano, portandosela al viso, per nascondere a Fersen quel lieve imbarazzo che aveva provato per il suo tocco e, dandogli le spalle, rifiutò il suo invito dicendogli di essere molto stanca.
In realtà, il motivo che la spinse a rifiutare quella proposta fu la paura di quelle nuove sensazioni che sentiva di provare solo quando era insieme a lui e che non le era mai capitato di avvertire prima di allora.
Con ancora il cuore in gola, si diresse verso le scuderie, così come avrebbe voluto fare prima di quell'incontro, e lasciò che Caesar entrasse nel suo box prima di chiudere quella porta sulla quale notò delle piccole tacche incise nel legno.
Sorrise al ricordo di un pomeriggio di molti anni prima in cui lei ed Andrè, che erano ancora dei bambini, decisero di misurare le loro altezze e di lasciare impressi nel legno i segni del loro passaggio.
Accarezzò con l'indice i solchi che negli anni avevano scalfito su quella porta e ripensò con un po' di nostalgia ai tempi in cui era stata davvero convinta di essere un maschio.
Posò nuovamente lo sguardo sulle sue dita, con le quali stava ancora accarezzando quei segni, ricordando che poco prima Fersen le aveva tenute strette fra le proprie mani.
Perchè non venite con me?
Quella richiesta, che adesso si era pentita di aver rifiutato, tornò a riecheggiarle nella mente, facendo nascere in lei il desiderio di poter tornare indietro per poter dire a Fersen di aver cambiato idea.
Così, con uno scatto, si alzò in piedi e rapidamente si diresse dentro al palazzo per chiedere al suo amico di aspettarla ma, non appena ebbe varcato la soglia d'ingresso, incontrò Nanny che le disse, dispiaciuta, di aver mancato il conte per pochi minuti.
Con un velo di tristezza, Oscar salì nella propria stanza e diede disposizioni affinchè le venisse preparato un bagno caldo.
Tutto ciò che desiderava in quel momento era di poter scacciare dalla propria mente tutte quelle preoccupazioni, alle quali sentiva di non riuscire a non pensare, per potersi godere il suo bagno ristoratore.
Tuttavia, la richiesta di Fersen continuava a risuonarle nella mente come un tormento che non le lasciava tregua.
Perchè non venite con me?
Avrebbe voluto dirgli di sì ma in quel momento il coraggio per accettare quella proposta le era venuto a mancare e adesso se ne stava pentendo amaramente.
Perchè non venite con me?
Sarebbe stato facile dire di sì, perchè non ci era riuscita?
Tornò a guardarsi la mano, la stessa che Fersen le aveva carezzato poco prima e sulla quale riusciva ancora a percepire il suo tocco, ormai assente, sentendone la mancanza.
La sua mente la portò a quel ballo, facendo nascere in lei un desiderio nuovo che la vedeva ballare al centro della sala con quell'uomo al quale sentiva che sarebbe arrivata a concedere tutto in nome di quel sentimento che, prepotente, riusciva a toglierle il respiro.
Così, decise che proprio in nome di quel sentimento avrebbe fatto l'impensabile.
Raggiunse di corsa i piani inferiori, sperando che non fosse troppo tardi, e bussò timidamente alla porta della cucina, dove trovò Nanny intenta a preparare del latte caldo.
"Oh, bambina, sei tu! Mi hai fatto prendere uno spavento! Stavo giusto per portarti qualcosa di caldo da bere, ne vuoi?"
Allungò una tazza verso la sua direzione ma lei non la prese.
"Veramente io.. avrei bisogno di chiederti un favore"
Abbassò timidamente lo sguardo poichè, altrimenti, non avrebbe avuto il coraggio di dirle, guardandola negli occhi, ciò che ormai aveva deciso di fare.
"Vorrei prendere parte a un ballo questa sera.. vestita da donna"
Pronunciare ad alta voce quell'ultima frase fu molto difficile per lei ma l'imbarazzo svanì quando la sua governante iniziò ad urlare per la felicità.
"Il grande giorno è arrivato! Il grande giorno è arrivato! Sono felice!"
La prese per una mano e la condusse ai piani superiori dove iniziò a vestirla con un elegante abito bianco e a pettinarle i capelli come mai, prima di quel momento, aveva concesso a qualcuno di poter fare.
Quando Nanny ebbe terminato il suo lavoro, si guardò allo specchio e notò una giovane e bella donna vestita elegantemente.
Si sentì alla stregua delle altre dame di Versailles e a stento riuscì a riconoscersi.
Fece un giro su se stessa e continuò ad osservarsi, domandandosi se Fersen l'avrebbe notata in mezzo a tutte le altre donne che, ne era certa, sarebbero state sicuramente più femminili di lei.
Accarezzò delicatamente quell'abito che mai nella vita avrebbe pensato di indossare e si portò una mano al petto per riuscire a contenere l'emozione che sentiva di provare al solo pensiero di poter ballare insieme a lui.
Ancora una volta, tornò a ripetere a se stessa che tutto quello lo stava facendo per lui e in nome di quel sentimento che, anche in quel momento, era arrivato a toglierle il fiato.
Uscì dalla sua stanza con il cuore in gola e un lieve rossore arrivò a colorarle le guance quando sentì la sua governante chiamare a gran voce Andrè che si trovava ancora ai piani inferiori.
"Andrè, presto, vieni! Vieni a vedere che bella la nostra Oscar!"
Lo sentì ridacchiare in fondo alle scale e si imbarazzò pensando che la stesse prendendo in giro, così come era solito fare quando erano ancora dei ragazzi, ma quando lo vide alzare la testa verso la sua direzione, e i loro sguardi si incrociarono, calò il silenzio.
Scese lentamente le scale fino a raggiungerlo al fondo, dove si era fermato quando l'aveva vista muovere un primo passo verso di lui.
"Oscar sei davvero.. bellissima"
Ruppe con un sussurro quel silenzio imbarazzante che, per un breve attimo, era calato fra di loro e lei gli sorrise timidamente, sollevata per non aver dovuto parlare per prima.
Dopodichè, si diresse lentamente verso la carrozza che la stava attendendo all'ingresso, continuando a viaggiare con la fantasia su ciò che, a breve, sarebbe accaduto a quel ballo.

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Capitolo 9
*** Come voi ***


Come voi

Non appena fece il suo ingresso nella sala da ballo, la musica che aveva sentito suonare fino a quell'istante cessò di vibrare nell'aria per lasciare il posto ad un leggero mormorio che, ad ogni passo rivolto verso gli altri invitati, sentiva farsi sempre più forte e persistente.
Si guardò attorno, ignorando tutti quegli sguardi che, insistenti, indugiavano su di lei per soffermarsi ad osservare gli unici occhi cerulei che desiderava vedere più da vicino.
Andò verso la sua direzione sperando, in cuor suo, che Fersen la notasse e che trovasse il coraggio per invitarla a danzare.
Gli passò accanto, sfiorandogli delicatamente un braccio con il proprio, senza mai voltarsi e si andò a sedere su uno dei tanti divanetti posti ai lati della sala dove, subito, venne circondata da un gran numero di giovani che desideravano conoscere l'identità di quella che per loro era una duchessa straniera.
Lo cercò ancora con lo sguardo, ignorando le richieste di quei giovani che, insistenti, continuavano a chiederle di ballare e constatò che Fersen non si trovava più vicino alla colonna dove lo aveva notato quando aveva fatto il suo ingresso nella sala, così si alzò di scatto per vedere dove fosse andato.
Ispezionò mentalmente ogni angolo della sala senza, però, riuscire a trovarlo e fu proprio quando le sembrò di perdere ogni speranza che sentì la sua voce provenire alle sue spalle.
"Perdonatemi duchessa, mi concedete l'onore di ballare con voi?"
Si voltò lentamente verso di lui, cercando di mantenere un contegno che sentiva mancarle, ed allungò una mano verso la sua direzione, sorridengogli.
Fersen la prese delicatamente e la condusse al centro della sala dove le circondò i fianchi in un abbraccio che la fece sussultare.
Mai nessuno, prima di quel momento, si era avvicinato così tanto a lei e quel contatto, così nuovo come i sentimenti che aveva scoperto di provare, le procurò delle nuove sensazioni.
Quei desideri, che fino a qualche ora prima aveva tenuto racchiusi nel proprio cuore, adesso erano diventati una realtà più dolce e più bella di quella che avrebbe solo potuto immaginare e quelle braccia, che tante volte aveva sognato di sentire attorno a sè, la tenevano stretta in un abbraccio che arrivava a toglierle il respiro per l'emozione.
Danzarono a lungo, stretti l'uno nelle braccia dell'altra, fino a che il minuetto, che per tutto quel tempo li aveva visti volteggiare insieme per la sala, finì e Fersen si allontanò da lei, procurandole una sensazione di vuoto che la fece sentire spaesata.
"E' stato piacevole danzare con voi, ma adesso che ne direste di fare una passeggiata quì fuori?"
La prese per mano e la condusse nel giardino della reggia, illuminato solo dalla luce lunare e dalle stelle che brillavano nel cielo rendendo quel posto ancora più incantevole, e la fece sedere ai bordi di un'enorme fontana prima di prendere posto accanto a lei.
"Perdonate duchessa, posso sapere da dove venite? Sapete, conosco una persona che vi somiglia moltissimo"
Lo guardò, con un po' di timore, senza sapere cosa rispondergli e spalancò le labbra, con l'intenzione di mentirgli, quando le parole le morirono in gola.
"Lei è.. bionda, come lo siete voi"
Proseguì lui, di fronte al suo silenzio, avvicinandosi lentamente a lei e accarezzandole il viso, con le dita e con lo sguardo, prima di portarle una ciocca di capelli dietro all'orecchio e sorriderle dolcemente.
"Ed è bella, come lo siete voi"
Si avvicinò ancora di più, indugiando con lo sguardo su quelle labbra rosee che per tutta la sera aveva desiderato di poter baciare e, presosi di coraggio, annullò la poca distanza che era rimasta tra di loro dandole un bacio che arrivò a toglierle il respiro.
Con ancora il cuore il gola, Oscar lo guardò spaesata, senza riuscire a credere a quanto fosse appena accaduto fra di loro.
Si portò una mano alla bocca, sfiorando con l'indice quelle labbra che ancora sapevano di lui, senza riuscire a pronunciar più parola.
"Perdonatemi, forse non avrei dovuto"
Fu Fersen a rompere il silenzio che era calato fra di loro e che stava iniziando a trovare insopportabile, per poi prenderle la mano e tenergliela stretta fra le sue.
"Sono davvero mortificato"
Si sentiva disarmata di fronte a quel tocco così dolce e delicato al quale si stava abituando e al quale, temeva, non sarebbe più riuscita a rinunciare in futuro, così come sentiva che non avrebbe più potuto fare a meno di quelle labbra che aveva scoperto saper essere così audaci e capaci di donarle sensazioni mai provate in precedenza.
Gli sorrise timidamente e, ricambiando a quella stretta di mano, provò a tranquillizzare il suo amico.
"Non vi preoccupate"
Glielo disse in un sussurro quasi impercettibile che, però, arrivò chiaro alle orecchie e al cuore di Fersen che, dopo aver udito quelle parole, iniziò a sentire dentro di sè una terribile sensazione.
"Duchessa ma.. anche la vostra voce.."
Oscar lo osservò in silenzio, senza pronunciar più parola, iniziando ad avvertire in cuor suo il timore di essere stata scoperta.
Lo vide fare un sospiro prima di pronunciare ad alta voce quella frase che la trafisse al petto più dolorosamente di quanto avrebbe potuto fare una pallottola.
"Anche la vostra voce mi ricorda.. il mio migliore amico"
Si alzò di scatto, abbassando il suo triste sguardo verso il pavimento, sentendosi incapace di trattenere quelle lacrime che, adesso, erano scese a rigarle il viso.
"No, non ci posso credere, è impossibile! Ma.. ma voi siete.."
Ritrasse la mano, portandosela al vestito, per poi dare le spalle all'uomo che l'aveva appena rifiutata e correre velocemente verso la carrozza che la stava attendendo all'ingresso della reggia.
Non appena la raggiunse, ordinò al cocchiere di ricondurla a palazzo Jarjayes, dove sperava di poter rientrare prima di lui, e pianse silenziosamente per tutto il viaggio.
Non riusciva a non pensare a quel bacio che poco prima si erano scambiati e alla miriade di sensazioni che era riuscita a provare stando stetta fra le sue braccia durante quel ballo che li aveva visti accarezzarsi, con le braccia e con lo sguardo, per tutto il tempo, ma non poteva nemmeno dimenticare ciò che le aveva detto solo qualche istante prima che fuggisse e che le aveva straziato il cuore facendole provare un dolore lancinante di fronte alla consapevolezza di ciò che avrebbe potuto ottenere da lui: solo amicizia.
No, non ci posso credere, è impossibile! Ma.. ma voi siete..
Continuava a rivivere nella propria mente quel terribile momento in cui era fuggita via da lui e da ciò che sarebbe potuto essere se solo si fossero conosciuti quella sera stessa e, con la voce rotta dal pianto, pronunciò ad alta voce quelle parole che alle sue orecchie suonavano come una condanna.
"Fersen mi ha tenuto fra le braccia, i suoi sguardi mi hanno accarezzato, ma mi ha detto anche quello che prova per me, solo amicizia.. devo rinunciare a lui".

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Capitolo 10
*** Angelo biondo ***


Angelo biondo

Un acuto rumore di vetri in frantumi fu tutto ciò che ruppe il silenzio che la notte aveva portato in quella casa che Andrè sentiva essere così vuota senza di lei.
Oscar, la sua Oscar, non era lì insieme a lui ma a quel ballo a cui non aveva potuto accompagnarla per mantenere segreta la sua vera identità.
Da ore, si domandava cosa stesse facendo alla reggia mentre lui era rimasto nella propria stanza, a bere per non poterla immaginare stretta fra le braccia di Fersen, ma fu tutto inutile poichè, per quanto si sforzasse, quell'immagine continuava a riaffiorargli nella mente come un tormento che non aveva mai fine.
Ripensò a quelle ultime settimane in cui era arrivato ad odiarlo per averla portata via da lui e si domandò se il dolore che stesse provando in quel momento non fosse la giusta punizione per quei sentimenti che erano arrivati ad avvelenargli il cuore.
Da quando Fersen era tornato dalle Americhe, la sua vita era cambiata irrimediabilmente: gli unici momenti in cui poteva godere della compagnia della donna che amava erano di prima mattina, mentre entrambi erano di pattuglia alla reggia di Versailles, ma anche in quelle poche ore la sentiva distante da sè, sebbene gli fosse così vicina, e lui non riusciva a sopportarlo.
Sentiva che, in quei giorni, qualcosa in lei era cambiato, percepiva che il suo pensiero era sempre rivolto a Fersen che era rimasto a casa ad aspettarla e la vedeva contare le ore che la separavano dal suo ritorno a palazzo per poter stare di nuovo insieme a lui.
Aveva creduto che quel dolore che sentiva nel petto ogni qual volta la vedesse correre da lui non appena varcata la soglia di casa fosse la giusta punizione per i brutti pensieri che erano arrivati ad offuscargli la mente in quei giorni di solitudine in cui si era sentito abbandonato da lei, dalla sua amica di sempre, ma non avrebbe mai potuto pensare che quella sera il suo cuore avrebbe ricevuto il colpo di grazia.
Quando quel pomeriggio era corsa via di fronte ai suoi occhi, Andrè aveva percepito che qualcosa avesse scosso l'animo della sua amica ma non ebbe il coraggio di parlarle apertamente fino a che non la vide troppo distante da sè per poter udire le sue parole.
Ma che cosa ti succede?
Lo aveva urlato al vento, più che alle sue spalle, perchè in realtà sapeva benissimo che stesse tornando di corsa da lui e questa consapevolezza lo fece sentire disperato: la stava perdendo e non avrebbe potuto fare niente per cancellare dal cuore della sua amica quei sentimenti nuovi e potenti che la rendevano così felice e raggiante in quel periodo.
Aveva cercato di essere felice per lei perchè, per la prima volta in vita sua, era riuscita a provare un sentimento che sarebbe stato in grado di farle raggiungere la felicità completa, ma il pensiero che non fosse lui a procurargliela, ma un altro uomo, gli rendeva difficile questo intento.
Quando quel pomeriggio tornò a casa, e sentì un gran vociare provenire dai paini superiori, s'incupì ancora di più perchè percepì dentro di sè la terribile sensazione che tutti, tranne lui, sarebbero stati felici per quel che stesse per accadere.
E aveva ragione, ora lo sapeva, ma prima come avrebbe potuto?
Vederle scendere le scale in abito bianco era stato sconvolgente per lui: per anni si era domandato come sarebbe stata con indosso un abito lungo e, anche quella sera, era tornato a rifletterci su, ridacchiando fra sè e sè di fronte all'eventualità che potesse sembrare uno spaventapasseri ma le parole gli morirono in gola guando posò il suo sguardo su quello che, a prima vista, gli parve essere un angelo sceso dal cielo.
La osservò incredulo per alcuni minuti, che a lui parvero essere brevi istanti, prima di riuscire a riprendere lucidità e dire qualcosa a quella dea che, adesso che era scesa dalle scale, poteva ammirare da vicino.
"Oscar sei davvero.. bellissima."
Ruppe quel silenzio, cercando di contenere dentro di sè tutto lo stupore che provava di fronte a tanta bellezza, facendole un complimento che potesse evitare di farla sentire più in imbarazzo di quanto già non fosse.
La guardò allontanarsi da lui in rigoroso silenzio, sentendo dentro di sè la terribile sensazione che quella sera l'avrebbe perduta per sempre.
E quella paura, che adesso era arrivata a togliergli il respiro, tornò a farsi spazio nel suo animo anche in quel momento in cui si era alzato dal letto tanto bruscamente da far cadere a terra il bicchiere che aveva dimenticato di avere al suo fianco, facendo riecheggiare nell'aria il rumore del vetro che si era frantumato sul pavimento.
Osservò quelle schegge di vetro sparse per la stanza e gli sembrò che la medesima sorte fosse toccata al suo cuore nell'istante in cui Oscar era salita su quella carrozza, allontanandosi da lui.
Provò a fare un passo verso la finestra alla sua sinistra, che per tutta la sera aveva guardato con ossessione nella speranza di vederle fare ritorno a casa, ma si sentì le gambe cedere e dovette sorreggersi all'asta del proprio letto, come se si stesse aggrappando ad una speranza con tutte le sue forze, per poter restare in piedi e muovere un primo passo verso quella finestra che lo aveva attratto a sè come una calamita.
Attese a lungo, osservando il buio della notte, prima di vedere una carrozza avvicinarsi lentamente al palazzo e facendo crescere in lui il desiderio di raggiungere la sua amica al piano inferiore.
Con tutta la forza che gli era rimasta in corpo, si alzò da quella sedia che a lungo lo aveva sorretto al posto delle sue gambe, e avanzò lentamente fino ad arrivare di fronte alla scalinata.
Guardò verso il basso, dove trovò Oscar intenta a salire adagio un gradino dopo l'altro, mantenendo il più rigoroso silenzio.
Quando gli arrivò di fronte, la vide alzare lentamente la testa verso la sua direzione e, quando i loro sguardi si incrociarono, Andrè riconobbe in quegli occhi, tristi e spenti, la stessa sofferenza che stava provando anche lui in quel momento.
Avrebbe voluto stringerla forte a sè per poter cancellare con il proprio amore tutta la disperazione che le stava dilaniando l'animo in quell'istante, ma sapeva leggere bene dentro di lei e aveva capito che, con quel silenzio, lo stava implorando di non porle alcuna domanda, così tacque, lasciando che i dubbi che erano tornati ad offuscargli la mente facessero male solo a lui.
Rimase immobile quando lei gli passò accanto, sfiorandogli un braccio con il proprio, per poi andarsi a rifugiare all'interno della propria stanza e abbandonarsi ad un pianto disperato che Andrè riuscì a percepire dal fondo del corridoio.
Abbassò lentamente la testa, indugiando con lo sguardo su quel braccio che, qualche secondo prima, lei gli aveva sfiorato con il proprio e si beò di quel contatto, ormai assente, che ancora riusciva a percepire sulla pelle.
Con passo stanco, raggiunse lentamente la propria stanza dove si lasciò cadere, sfinito, sul letto, incapace di sorreggersi ulteriormente sulle proprie gambe.
Tutta la sofferenza provata quel giorno era arrivata a togliergli le forze e, per alcuni brevi istanti, persino il respiro che tornò regolare quando il suo pensiero andò a lei e al suo sorriso che, più di una volta, era riuscito a fargli provare la gioia di vivere.
Si addormentò, sfinito, dopo qualche minuto, cullandosi con l'immagine del proprio angelo biondo che lo accompagnava dolcemente fra le braccia di Morfeo.

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Capitolo 11
*** Sensi di colpa ***


Sensi di colpa

Quel mattino, Fersen lasciò la propria stanza alle prime luci dell'alba, con la speranza di poter parlare con la sua amica prima che si dirigesse a Versailles.
Aveva pensato per tutta la notte a ciò che, solo qualche ora prima, era accaduto tra di loro e ancora non riusciva a comprendere come avesse fatto a non riconoscere fin da subito la reale identità di quella dama.
L'aveva tenuta stretta fra le proprie braccia, l'aveva accarezzata con lo sguardo e, più di una volta, si era soffermato ad osservare la bellezza di quel viso che per tutta la sera aveva tenuto ad un palmo dal proprio senza mai rendersi conto di quale fosse la verità.
Duchessa ma.. anche la vostra voce..
Si sentì uno sciocco per averla trattata a quel modo e, ancor di più, per non aver mai capito, prima di quella sera, quanto fossero profondi i sentimenti che la sua amica nutriva nei suoi confronti ma, ormai, nulla lo avrebbe potuto riportare indietro e niente avrebbe potuto cancellare ciò che le aveva fatto.
Si diresse a passo spedito verso i piani inferiori dove era certo di poterla trovare intenta a consumare la propria colazione, così come era solita fare a quell'ora del mattino, ma non appena varcò la soglia di quell'enorme salotto si rese conto di essere solo.
Si sedette attorno a quell'enorme tavolata già imbandita per la colazione in attesa che sua amica lo raggiungesse ma, più il tempo passava, più la speranza di vederla entrare da quella porta, che da diversi minuti stava osservando con insistenza, iniziava a svanire.
Che fosse già uscita?
Quando il dubbio di non vederla arrivare si trasformò in certezza, lasciò quella stanza anche lui per poi dirigersi verso l'ingresso del palazzo dove era certo di trovarla in compagnia di Andrè ma, anche lì, di lei non c'era traccia.
Uno strano senso di disperazione s'impossessò di lui: sapeva bene che lei lo stesse evitando ma lui doveva parlarle, spiegarle che non era sua intenzione fare ciò che aveva fatto, scusarsi per come l'aveva trattata e per averla lasciata andare via in quel modo.
Anche la vostra voce mi ricorda.. il mio migliore amico.
L'immagine di lei, con il viso rigato dalle lacrime, s'impadronì della sua mente e i sensi di colpa arrivarono a togliergli il respiro.
Mio Dio, che cosa aveva fatto?
Si portò una mano all'altezza del petto, nel punto in cui sentiva di provare fastidio, e socchiuse gli occhi con la speranza di riuscire a trovare un po' di pace nel suo animo disperato, ma fu tutto inutile poichè il pensiero di lei e di quello che era accaduto tra di loro erano, per lui, un tormento senza tregua.
Decise di tornare ai piani superiori e di provare a cercarla nella sua stanza ma, quando bussò alla sua porta, non ottenne risposta.
Rimase fermo, in silenzio, con la speranza di veder comparire il volto della sua amica da quell'uscio che continuò a rimanere chiuso per diverso tempo.
Dopo alcuni interminabili minuti, scorse al fondo del corridoio un viso familiare dirigersi verso la sua direzione e, con la flebile speranza di poter ottenere delle risposte, si diresse verso quello che a lui pareva essere un miraggio.
"Andrè, voi.. non siete andato alla reggia insieme ad Oscar, stamane?"
Lo vide arrestare il suo cammino, per poi volgere lentamente il volto verso la sua direzione.
"Quest'oggi non andremo a Versailles, conte di Fersen, Oscar non si sente troppo bene"
Voltò istintivamente il viso verso la porta che si trovava alle sue spalle, dove era certo che si trovasse la sua amica, abbassando lentamente il suo triste sguardo verso il pavimento, sentendosi il colpevole della sua sofferenza.
"Se la vedete, potete dirle che avrei bisogno di parlare con lei?"
Alzò lentamente il suo sguardo portandolo su quello spento dell'uomo che gli stava innanzi, scorgendo in lui la medesima malinconia che dalla sera precedente stava albergando il suo animo.
Probabilmente, come lui era preoccupato per Oscar e per lo strano atteggiamento che aveva riservato loro quella mattina.
"Come desiderate"
Lo osservò in silenzio mentre, con un leggero inchino, si congedò da lui e proseguì per la propria strada, senza più voltarsi verso la sua direzione.
Si guardò intorno, quel palazzo sembrava essere così vuoto adesso e, per la prima volta da quando era lì, si sentì solo.
Si diresse con passo stanco verso quella che, ormai, era diventata la sua stanza e lì attese fino all'ora del pranzo.
Mentre ripercorreva quei corridoi che lo avevano visto alla ricerca di Oscar per tutta la mattina, in cuor suo sperò di vederla seduta nella lunga tavolata del soggiorno a consumare il proprio pranzo in silenzio.
Si, gli sarebbe bastato vederla per poter tornare ad essere tranquillo e allontanare da sè quei sensi di colpa che gli stavano dilaniando l'animo in quelle ultime ore.
Avrebbe compreso e assecondato le ragioni del suo silenzio nei suoi confronti e glielo avrebbe perdonato, così come lui sperava di poter  essere perdonato per quel bacio che aveva osato darle la sera precedente.
Le avrebbe regalato qualche sorriso e si sarebbe limitato a scambiare con lei un saluto di cortesia per poi consumare in sua compagnia un pasto silenzioso ma, quando fece il suo ingresso nella stanza, si accorse di essere nuovamente solo.
Con un velo di dispiacere, si sedette al tavolo, indugiando con lo sguardo su quel posto vuoto accanto a lui, dove era solita prendere posto la sua amica in quelle ultime settimane in cui avevano vissuto sotto lo stesso tetto.
Consumò il proprio pasto con l'amarezza nel cuore, consapevole di aver rovinato anni di amicizia con quel gesto inopportuno che, adesso, si era pentito di aver fatto.
Per più volte, quella mattina, si era domandato perchè l'avesse baciata ma non riusciva a trovare dentro di sè la reale spiegazione per quell'azione sconsiderata che aveva compiuto con troppa leggerezza.
Adesso lo sapeva bene, aveva sbagliato, ma prima come avrebbe potuto comprenderlo?
Non avrebbe mai potuto immaginare che sotto a quel vestito ci fosse lei, la sua più cara amica, altrimenti non avrebbe mai osato tanto, non con lei.
Terminò il proprio pasto solitario nel silenzio più assoluto, pena che dovette sopportare anche quella sera a cena e il giorno successivo.
Per due giorni l'aspettò, invano, in quel soggiorno che era diventato la dimora della sua speranza, senza mai riuscire a scambiare una parola con lei che, ostinata, rimase chiusa nella propria stanza senza mai uscirne.
Quella sera, al calar del sole, decise che l'avrebbe affrontata apertamente e, anche se a malincuore, l'avrebbe messa al corrente di ciò che sarebbe accaduto il mattino successivo e che avrebbe mutato, irrimediabilmente, la loro amicizia.

 

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Capitolo 12
*** Agonia ***


Agonia

Toc toc.
Toc toc, toc toc.


Sei colpi ben assestati alla sua porta ruppero il silenzio che la notte aveva portato a palazzo Jarjayes e frantumarono, come cristallo sotto le dita, la quiete che in quei giorni Oscar aveva cercato di far recuperare al proprio animo.
Per diverse e interminabili notti passate in bianco, aveva avuto di fronte ai propri occhi l'immagine del conte di Fersen, così vicino a lei da riuscire persino a sentirne il profumo, che la guardava con gli occhi sbarrati di fronte alla consapevolezza che la duchessa con la quale aveva ballato per tutta la sera altri non fosse che lei, la strana donna vestita da soldato.
Per più volte, in quelle notti, le era comparso sul volto un amaro sorriso di fronte al riverbero di quelle parole che suonavano alle sue orecchie come un'umiliazione.
Anche la vostra voce mi ricorda.. il mio migliore amico.
Per sette, lunghi, anni aveva nutrito dentro di sè quel forte sentimento che da poco tempo aveva compreso essere amore e, in tutti quegli anni, aveva covato dentro di sè la speranza di riuscire, un giorno, a conquistare il  cuore del suo amico, così come lui era riuscito a fare con il suo, ma mai, in tutto quel tempo, la sua mente aveva sfiorato la possibilità di non essere nemmeno considerata come una donna.
Senza neppure rendersene conto, Fersen le aveva inflitto una profonda umiliazione, facendola sentire ancora più sciocca di quanto non lo ritenesse  possibile per quel gesto che si era sforzata di fare solo ed esclusivamente per lui, per sembrare bella e femminile ai suoi occhi che, invece, non erano mai stati capaci di andare al di là delle apparenze.
E adesso lui era lì, a bussare alla sua porta, dopo due giorni in cui aveva mantenuto il silenzio con chiunque e in cui si era rintanata nella propria stanza perchè si sentiva incapace di sostenere il suo sguardo.
Lui era lì, a chiederle di farlo entrare in quella gabbia dorata che si era costruita in quelle lunghe ed interminabili ore di reclusione forzata in cui non aveva fatto altro che avere sempre e solo il suo viso ad un palmo dal proprio che la guardava prima ammaliato e poi, dopo aver scoperto la verità, stupito ed, infine, pentito.
Dopo alcuni interminabili minuti, che a lei parvero essere brevi istanti, si avvicinò lentamente a quella porta che continuava a chiamarla a sè con insistenza e, dopo avere indugiato con lo sguardo su quella maniglia che aveva preso ad accarezzare con due dita, l'abbassò adagio, permettendo finalmente a Fersen di vedere la sua immagine.
Si osservarono per diversi minuti, restando immobili l'uno di fronte all'altra, senza più avere il coraggio di pronunciar parola.
Fu Fersen a parlare per primo, rompendo quel silenzio che aveva cominciato ad essere imbarazzante.
"Oscar io.. avrei bisogno di parlare con voi. Vi prego, permettetemi di parlare con voi"
Con un debole cenno della testa, Oscar gli diede il suo assenso, spostandosi quel poco che permise al suo amico di entrare in quella stanza buia come il suo animo.
"Sono venuto per scusarmi con voi, avrei voluto farlo già da tempo ma voi non me ne avete data l'occasione"
Alzò lentamente il suo sguardo, fino a quel momento rivolto verso il pavimento, senza trovare il coraggio di posarlo su quello di lui, che invece la stava scrutando dispiaciuto.
Si voltò lentamente verso la sua sinistra, attratta dalla luce lunare che filtrava dalla tenda lasciata semiaperta, dando le spalle al suo amico per non permettergli di vedere quelle lacrime che, silenziose, erano scese a rigarle il viso.
"Perdonatemi, ma non riuscivo a trovare in me la forza per sostenere il vostro sguardo"
Ruppe flebilmente il silenzio che da giorni si era imposta di tenere con chiunque e parlò sinceramente al conte di Fersen in nome dell'amicizia che li aveva legati per tutti quegli anni.
"Perdonatemi Oscar, vi prego, perdonatemi. Non avrei dovuto osare tanto, non con voi che siete stata per tutti questi anni come un migliore amico per me"
Ecco, lo aveva rifatto.
L'aveva umiliata per la seconda volta e lei questo non riusciva a sopportarlo.
Si portò una mano al petto per poter contenere nel proprio palmo tutta la sofferenza che il suo cuore le stava procurando in quei giorni.
"L'amore può portare a due cose: alla felicità completa o a una lenta e triste agonia"
Pronunciò quelle parole con la voce rotta dal pianto, continuando ad osservare con insistenza la propria mano aperta, incapace di contenere tanta sofferenza.
"Ma per quanto ne so io porta solo.. a una lenta e triste agonia"
Asciugò con il proprio indice quelle lacrime amare che le ricordavano la sua triste sorte e, volgendo lo sguardo verso la luna, concluse il suo discorso.
"Proverò a cancellare certi sentimenti dal mio cuore"
Chiuse gli occhi e fece un profondo sospiro, ascoltando in silenzio i passi del conte farsi sempre più vicini alle sue spalle.
Dopo alcuni, brevi, istanti percepì la mano del suo amico poggiarsi come una carezza sul proprio braccio e d'istinto piegò la testa verso la propria destra, come richiamata da quel contatto che in quei giorni le era mancato.
"Oscar, mi addolora molto sapere di essere la causa della vostra sofferenza, se io avessi saputo che donna siete quando vi ho conosciuta, forse io.."
La sentì tremare sotto al tocco delicato della sua mano e capì, dalla sua reazione, che sarebbe stato meglio tacerle una verità che le avrebbe procurato altro dolore.
"Ho dato disposizione affinchè la mia stanza venga liberata domani mattina, credo sia meglio che io torni a vivere nel mio palazzo"
Percepì sciogliersi il loro contatto insieme a quelle parole che sembravano volerle dire addio e quella sensazione di vuoto, che le aveva lasciato con l'assenza del suo tocco su di lei, le pervase l'animo.
Lo sentì indietreggiare lentamente e riaprire quella porta che, per giorni, lo aveva tenuto lontano da lei e da quel confronto che, prima o poi, sarebbe dovuto arrivare.
"Buona notte Oscar, spero che un giorno possiate perdonarmi e.. anche a riuscire a guardarmi nuovamente in faccia"
Le sembrò quasi una supplica quella che le fece prima di richiudere la porta alle sue spalle e lasciarla sola con la propria sofferenza.
Dopo alcuni, interminabili, minuti trovò la forza per riaprire gli occhi, che fino a quel momento aveva tenuto chiusi, e volgere il proprio sguardo verso quella porta che lo aveva visto andare via da lei solo qualche istante prima.
Alzò una mano verso la sua direzione, come a volerlo trattenere a sè, ma fu tutto inutile poichè ormai era rimasta sola.
Come in quegli ultimi due giorni, si abbandonò ad un pianto disperato che la tenne sveglia tutta la notte e la fece sprofondare negli abissi della propria anima.

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Capitolo 13
*** Lillà ***


Lillà

Se ne era andato, alla fine lo aveva fatto per davvero.
Dopo anni di amicizia, le aveva detto addio e l'aveva lasciata sola in quella casa che adesso sentiva essere così vuota e silenziosa senza di lui.
Quando quella mattina un flebile raggio di luce penetrò dalla finestra colpendole il viso, Oscar maledisse il nuovo giorno, che era arrivato a portarle via tutto ciò che ci fosse di bello nella sua esistenza.
Rimase immobile sul letto a guardare il vuoto del soffitto finchè sentì le voci delle cameriere che parlottavano fra di loro mentre eseguivano quell'ordine che lei avrebbe voluto non arrivasse mai.
Ascoltò per ore quel rumore provocato nella stanza accanto alla sua, che alle sue orecchie suonava come una tortura inflitta a un condannato, e si rammaricò pensando che quella triste sorte fosse toccata proprio a lei.
Per la prima volta in vita sua, aveva sperimentato le gioie che l'amore può provocare in una donna ma ne aveva anche pagato il prezzo che, adesso, le pareva essere molto elevato.
Sollevò una mano per aria, cercando di sfiorare con l'indice quel flebile raggio di luce che pareva volesse infonderle speranza ma, al contrario, suscitò in lei il triste ricordo dei suoi giorni felici.
Aveva volato troppo vicino al sole, adesso lo aveva capito, e con le sue ali bruciate stava espiando la colpa del proprio peccato.
Si sollevò adagio per raggiungere quella stanza che adesso era rimasta vuota, come la sua anima, ma che sapeva ancora di lui.
Si sedette su una sedia posta vicino alla finestra e si mise ad osservare il sole che illuminava il suo triste giorno, pensando che, tante volte in quelle ultime settimane, anche Fersen avesse fatto lo stesso.
Ripensò alla sera precedente e all'umiliazione inflittale dal suo amico per la seconda volta in quella settimana, iniziando a pensare che forse avesse ragione lui, che dietro a quel corpo così poco femminile si celasse l'animo di un vero uomo.
Vagò con la mente al ricordo di un passato valoroso che le aveva portato lustro e prestigio grazie al coraggio che aveva dimostrato di avere in ogni incarico assegnatole e in ogni impresa portata a compimento e provò nostalgia per quel periodo, così lontano e spensierato, che adesso avrebbe voluto riottenere.
Abbandonò quella stanza, decidendo di lasciare lì dentro il ricordo di quell'uomo che le aveva fatto capire quanto fosse difficile essere donna, per poi rientrare nella propria camera.
Si lasciò cadere debolmente sul letto, voltando il viso verso quella divisa scarlatta che le ricordava che, prima o poi, sarebbe dovuta tornare a Versailles.
Ma come avrebbe potuto guardare negli occhi la sua regina sapendo di aver assaporato il gusto delle dolci labbra dell'uomo al quale, prima di lei, ella aveva giurato amore eterno?
Come avrebbe potuto consolare il triste cuore della sua amica per quell'amore impossibile se anche sul suo ricadevano lacrime di disperazione?
No, non avrebbe potuto continuare a difendere la regina sapendo che, lei per prima, era stata una rivale silenziosa in quel duello d'amore  che l'aveva vista sconfitta senza che la sua amica neppure lo sapesse.
Aveva tradito la sua fiducia e adesso sentiva di non meritarla più, non dopo che aveva cercato di conquistare il cuore dell'uomo che, adesso lo sapeva, lo aveva già donato a lei anni prima.
Iniziò ad abbracciare nella propria mente la possibilità di abbandonare il suo ruolo di colonnello delle guardie reali per poter iniziare una nuova vita, allontanando dal proprio animo i momenti di debolezza che l'avevano colpita in quelle ultime settimane.
Quell'idea, inizialmente vaga, iniziò a farsi spazio nella propria mente con una forza e un vigore sempre maggiore via via che i secondi passavano e, quasi senza rendersene conto, si trovò a pianificare i dettagli del proprio congedo, senza riuscire a trovarne una giustificazione plausibile.
Si girò su di un fianco, tornando ad osservare dalla finestra aperta quel sole che le ricordava quanto facesse male scottarsi con i suoi raggi roventi e attese.
Attese che il sole calasse, che la notte arrivasse, che il buio l'avvolgesse.
Aveva aspettato che l'oscurità colorasse quel cielo che adesso sentiva essere spento come la propria anima per poter scendere dal letto e avvicinarsi nuovamente alla finestra per avere l'impressione di sfiorare con un dito il bagliore della luna che, silenziosa, riusciva a rasserenare il suo animo.
Rimase con lo sguardo fisso sul buio di quella notte per diversi minuti, prima di sentire bussare flebilmente alla sua porta e perdere un battito di fronte al ricordo di quanto accaduto la sera precedente.
Si avvicinò adagio alla porta alle sue spalle e l'aprì lentamente, scorgendo in quel lungo corridoio il triste volto di Andrè che le chiedeva il permesso di entrare.
Si spostò un poco per permettere al suo amico di farsi spazio in quella stanza che adesso era illuminata dalla fioca luce di una candela che Andrè aveva posato sulla scrivania accanto alla finestra.
"Sono venuto per ravvivare il fuoco, Oscar, altrimenti questa notte sentirai freddo"
Gli fece un cenno di assenso con la testa e l'osservò silenziosa mentre aggiungeva altra legna al caminetto.
"Ecco, ho finito"
Disse lui facendosi più vicino.
"Prima che vada, hai bisogno di qualcosa?"
Rimase in silenzio per alcuni istanti, indecisa se confessargli o meno la decisione che aveva preso quel pomeriggio.
Dopo un attimo di esitazione, decise che ne avrebbe parlato con lui quella sera stessa, sarebbe stato inutile rimandare.
"Si, per favore Andrè, resta. Avrei bisogno di parlarti"
Lo vide appoggiare sulla scrivania la candela che poco prima aveva ripreso in mano e con un cenno della testa le diede il suo assenso.
"Parla, ti ascolto"
Fece un lungo sospiro per riuscire a trovare in sè la forza che in quel momento sentiva mancarle e iniziò a parlare, oramai non avrebbe più potuto tirarsi indietro.
"Ho deciso di lasciare la guardia di sua maestà e di iniziare a vivere come un uomo. Per questo, d'ora in avanti non avrò più bisogno di te, devo imparare a vivere senza appoggiarmi a nessuno. Questo è tutto, buona notte, Andrè"
Gli diede le spalle e si avviò decisa verso quel letto che, negli ultimi tre giorni, non aveva mai abbandonato, convinta che il suo amico se ne andasse da un momento all'altro lasciandola sola, ma si sbagliò.
Si voltò nuovamente verso il suo viso, che adesso le parve essere spento come il proprio, e lo guardò incredula: perchè era ancora lì?
"Anch'io ti devo dire una cosa"
Ruppe il silenzio dopo alcuni, brevi, istanti in cui i loro sguardi si studiarono a vicenda e mosse un primo passo verso la sua direzione.
"Una rosa è sempre una rosa, anche se essa sia bianca o rossa, una rosa non potrà mai essere un lillà, Oscar"
Avanzò anche lei senza alcuna riluttanza, in balìa della collera che, minuto dopo minuto, sentiva prendere il sopravvento su di lei.
"Vorresti dire che una donna resta sempre una donna in ogni caso? Questo vuoi dire?"
Lo afferrò bruscamente per il colletto della camicia attirandolo a sè con forza, senza dargli la possibilità di indietreggiare e di chiudere lì quella converazione che adesso avrebbe voluto non aver mai iniziato.
"Rispondimi, lo voglio sapere!"
Lo strattonò ancora, in cerca di risposte che forse non le sarebbero arrivate, senza pensare alle conseguenze di quella sua azione di violenza contro un'amico che non lo meritava affatto.
Fu allora che lo vide alzare le braccia verso di lei per poi afferrarle con forza i polsi sotto al suo sguardo attonito.
"Così mi fai male, Andrè"
In una lamentela, che alle sue orecchie suonava come una supplica, gli chiese di sciogliere quella presa che sentiva divenire sempre più forte sotto al suo tocco, ma lui non lo fece.
La strinse ancora di più a sè, senza preoccuparsi di quella preghiera che le era sfuggita dalle labbra, e diminuì la poca distanza che già c'era tra di loro strappandole con la forza un bacio pieno di tristezza e disperazione.
Si dimenò, sotto alla presa possente del suo amico, fino a che entrambi non caddero sul letto che si trovava alle loro spalle e lei iniziò ad urlare spaventata.
"Lasciami Andrè o chiamo aiuto!"
Tutto accadde in un attimo, in un breve istante in cui le sembrò che il mondo si fosse fermato di fronte a quella supplica urlata tra le lacrime e al sordo rumore di quello squarcio provocatole sulla camicia ma che percepì bruciarle sulla pelle.
Nascose le proprie lacrime tra i capelli sparsi sul cuscino e chiuse i propri occhi per non dover sostenere lo sguardo dell'uomo che la stava ancora sovrastando.
"Ti prego, perdonami Oscar, giuro su Dio che non ti farò mai più una cosa come questa"
Lo ascoltò mantenendo il silenzio e l'osservò mentre, con il viso coperto di lacrime, le coprì il corpo seminudo con il lenzuolo, implorando silenziosamente il suo perdono.
Non trovò in sè la forza per pronunciar più parola, nè per muovere più un muscolo in quella notte che avrebbe voluto dimenticare.
L'osservò ancora mentre, dandole le spalle, le lanciò un ultimo e fugace sguardo, prima di congedarsi da lei parlandole con il cuore in mano.
"Una rosa non potrà mai essere un lillà"
Glielo ridisse, ancora una volta, ancora quelle parole.
Ma perchè? Perchè doveva essere tutto così difficile?
Perchè non poteva scegliere da sè ciò che voleva essere?
E perchè, perchè il suo amico le aveva fatto quel torto?
Non lo avrebbe mai potuto dimenticare e, forse, neppure perdonare.
"Ascolta Oscar, non potrai mai cancellare di essere nata donna"
La voce di Andrè risuonò flebile in quella stanza che era diventata terribilmente silenziosa e che avrebbe nascosto, fra quelle quattro mura, quel loro terribile segreto.
"Per vent'anni ho vissuto con te e ho provato dell'affetto per te, solo per te. Io ti amo Oscar e credo di averti sempre amato"
Ascoltò quelle dolci e terribili parole mantenendo il silenzio più assoluto e versando, una dopo l'altra, tutte le lacrime che aveva nel corpo.
Non riusciva a credere di non essersi mai resa conto di quali fossero i sentimenti che Andrè nutriva per lei, non dopo tutti quegli anni di amicizia, eppure era così.
Le tornò in mente Fersen e la sua incapacità di andare al di là delle apparenze, al di là delle convenzioni e si rammaricò pensando che, in fondo, lei e il conte non fossero, poi, così diversi: entrambi troppo ciechi per potersi accorgere di qualcosa che, in realtà, era fin troppo evidente.
Si voltò verso la porta che Andrè aveva appena richiuso alle sue spalle ed allungò una mano verso la sua direzione, per poter sfiorare, un'ultima volta, l'essenza di quell'amicizia che si era, ormai, incrinata.

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Capitolo 14
*** Disperazione ***


Disperazione

Tum tum.
Tum tum, tum tum.


Il sordo eco del suo cuore disperato fu tutto ciò che Andrè riuscì a percepire in mezzo al brusìo di quelle quattro mura.
Non era riuscito a chiudere occhio quella notte, non dopo quello che le aveva fatto, sbagliando irrimediabilmente.
Come avrebbe potuto cedere al sonno, così come aveva quasi fatto con il suo desiderio, dopo che aveva assaporato il gusto di quelle labbra proibite?
Come avrebbe potuto abbandonarsi alla notte dopo che aveva osato prendere con la forza ciò che per anni aveva bramato con atroce intensità?
Non avrebbe mai potuto dimenticare quel terribile attimo in cui aveva rovinato la propria esistenza squarciando quella stoffa sotto allo sguardo terrorizzato della sua amica e sapeva che nemmeno lei lo avrebbe fatto.
Come avrebbe potuto, del resto?
Lui per primo sentiva di non meritare quel perdono che in cuor suo sperava di ottenere con tutte le sue forze e si maledisse per l'intensità di quel desiderio che gli lacerava l'anima come quella notte aveva osato fare con la sua camicia.
Si avvicinò stanco alla finestra e si mise ad osservare l'alba di quel nuovo giorno che si sentiva indegno di vivere, portando lo sguardo verso quel cancello che Oscar aveva appena varcato in groppa a Caesar.
Stava andando alla reggia senza di lui, probabilmente per lasciare quel ruolo di colonnello che aveva ricoperto per tutta una vita, così come gli aveva anticipato la notte precedente.
Avrebbe voluto seguirla, come sempre, ma sapeva che dopo quella notte non avrebbe più potuto farlo e questa consapevolezza fece disperare ancora di più il suo animo tormentato.
Si portò una mano al petto, cercando di contenere nel suo pugno serrato tutto il rimorso che provava per averle confessato la verità su quei sentimenti che le aveva taciuto per anni e cercò di darsi un contegno prima di scendere nelle cucine dove lo stava attendendo sua nonna.
"Andrè, ti sembra questa l'ora di arrivare?"
Prese posto attorno al tavolo, dove trovò ad attenderlo un bicchiere di latte caldo che iniziò a sorseggiare lentamente mentre, alle sue spalle, ascoltava le grida di sua nonna che lo rimproveravano per essere sceso a quell'ora del mattino.
L'ascoltò in silenzio mentre, con lo sguardo chino sul tavolo, continuava a vedere di fronte a sè il volto spaventato di Oscar che mai sarebbe riuscito a dimenticare.
Scosse la testa per più volte, cercando di scacciare dalla propria mente quell'immagine che tornava a tormentarlo come il peggiore degli incubi e sperò che un giorno quel suo supplizio potesse avere fine.
Quando ebbe terminato la propria colazione, si trascinò in giardino dove iniziò a prendersi cura del suo cavallo per cercare di tenere la mente impegnata ma, nonostante tutti i suoi sforzi, il suo pensiero tornava sempre a quella terribile notte e a quelle urla di terrore che lo avevano supplicato invano.
"Lasciami Andrè o chiamo aiuto!"
Per l'ennesima volta in quel giorno, tornò a disprezzare se stesso per quel terribile istante di pazzia che gli sembrava di rivivere da ore e a maledirsi per non essere riuscito a proteggerla da se stesso.
"Andrè!"
I suoi terribili pensieri furono interrotti dalla voce severa del Generale che, per diversi minuti, aveva urlato il nome del figlio cercandolo invano in ogni angolo della casa.
"Andrè, devi dirmi dov'è Oscar"
Si voltò verso la porta d'ingresso del palazzo dove trovò il Generale Jarjayes ad attenderlo con le braccia serrate.
"Non lo so, signore, credo che sia andata a fare una cavalcata"
Posò a terra la spugna che teneva stretta tra le dita e si avvicinò a quell'uomo che continuava a guardarlo severo.
"Una cavalcata? Andrè, io sono sicuro che tu sappia ciò che passa per la mente di mio figlio, perchè ha chiesto alla regina di abbandonare il suo ruolo di colonnello e di essere destinato ad un altro incarico?"
Andrè abbassò il viso mortificato, senza riuscire a sostenere lo sguardo di quell'uomo che, anni prima, gli aveva chiesto di proteggere la figlia da ogni avversità, senza sapere che, in realtà, avrebbe dovuto trovare qualcuno che la proteggesse da lui stesso.
"Mi dispiace, signore, ma con me non ha fatto parola al riguardo"
Sentì il Generale tirare un lungo sospiro per cercare di mettere a tacere la collera che stava prendendo il sopravvento su di lui.
"Andrè, se io ti ho messo al suo fianco è solo perchè tu le impedissi di fare qualche pazzia!"
Annuì silenziosamente, senza riuscire a trovare dentro di sè le parole adatte per rompere quel silenzio che, adesso, era calato tra di loro.
Dopo brevi istanti, che ad Andrè parvero essere interminabili minuti, vide il Generale dargli le spalle e congedarsi da lui con tono grave.
"Raggiungila alla reggia e assicurati che non commetta qualche altra sciocchezza"
Fece come gli venne ordinato e, silenziosamente, si diresse a cavallo verso una scorciatoia che gli avrebbe fatto raggiungere Versailles molto velocemente.
Non appena arrivò nei giardini della reggia, scese da cavallo e proseguì la sua ricerca a piedi, dirigendosi verso l'ingresso di quell'imponente palazzo.
S'indirizzò verso i piani superiori, dove trovò la sua amica fuori dalla porta di uno dei tanti salotti privati della regina in compagnia del tenente Girodelle e capì che fosse meglio attendere che si congedasse da lui prima di potersi avvicinare.
"Tenente, ho chiesto che foste voi a prendere il mio posto di colonnello, vi affido i miei soldati"
La vide salutare con un cenno della mano il suo sottoposto e dirigersi con passo spedito verso la sua direzione, senza mai voltarsi a guardarlo.
La chiamò flebilmente, senza trovare dentro di sè il coraggio per posare il suo triste sguardo su di lei e l'attese in silenzio ai lati della scalinata.
"Mi ha mandato tuo padre"
Provò a giustificare la sua presenza non appena gli si fece più vicina e sperò, in cuor suo, che Oscar gli rivolgesse almeno la parola.
Dopo alcuni, brevi, istanti fu lei a parlare, rompendo per prima il silenzio che era calato fra di loro.
"Mi hanno affidato il comando della guardia metropolitana, in attesa di assumere il nuovo incarico andrò nella villa di famiglia in Normandia. D'ora in avanti non dovrai più occuparti di me"
Il tono severo con il quale si rivolse a lui risuonò alle sue orecchie come una condanna.
Mai, in tutti quegli anni, lo aveva trattato in quel modo ma, dopo quello che le aveva fatto, sentiva di meritarselo.
Non avrebbe potuto sperare compassione da parte sua, nè che l'affetto che li aveva uniti da quando erano bambini potesse addolcire il suo animo ferito.
La osservò mentre, dandogli le spalle, iniziò ad avvicinarsi di qualche passo all'enorme scalinata che l'avrebbe condotta ai piani inferiori e si domandò se volesse essere seguita fino ai giardini della reggia o se quello fosse il loro addio definitivo.
"Per ciò che è accaduto ieri sera non ce l'ho con te, comunque preferisco dimenticare"
Ascoltò in silenzio quelle parole che decretavano la fine della loro amicizia, guardandola raggiungere l'atrio senza di lui.
Non riuscì a seguirla, per quanto desiderasse posare lo sguardo su di lei un'ultima volta, non trovò in sè la forza per dirle addio.
Rimase immobile lungo quei corridoi per diverso tempo e, solo quando si rese conto di essere rimasto solo, si accasciò a terra lasciando che la disperazione prendesse il sopravvento su di lui.


Angolo dell'autrice

Ciao a tutti!
Nonostante questo capitolo sia molto distante dalla gioia del Natale, ho pensato di pubblicarlo proprio oggi che è la Vigilia per poter fare, a modo mio, un piccolo pensiero a tutti voi.
Faccio a tutti un caloroso augurio di buone feste: che possiate trascorrerle nel migliore dei modi e, se potete, accanto alle persone che vi vogliono bene.
Buon Natale!

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Capitolo 15
*** Speranza ***


Speranza

Aveva vagato per le vie di Parigi per diverso tempo prima di riuscire trovare quel posto.
Ci era entrato con molta riluttanza, poichè sentiva che affogare i propri dispiaceri nell'alcool non avrebbe potuto lenire il profondo dolore che da ore gli stava dilaniando l'animo, facendolo sentire disperato di fronte alla consapevolezza di non rivederla mai più, perchè lei se ne era andata.
La sua Oscar se ne era andata riservandogli il più freddo degli addii, come se fosse stato un servo qualsiasi, come se non fosse stato lui.
Da ore non faceva altro che pensare a quel loro triste addio mentre, seduto al tavolo di quella locanda, faceva girare tra le proprie dita il coltello che aveva trovato nella propria tasca, incurante di essere visto dall'oste o da qualche cliente.
Che senso avrebbe avuto continuare a vivere senza di lei?
Da sempre, lo scopo della sua vita era stato quello di proteggerla, di vegliare su di lei, sentiva di essere nato solo per questo, ma adesso lei se n'era andata e lui non serviva più a nulla.
Andrè prese tra le mani il boccale di birra che l'oste aveva poggiato al suo tavolo, lasciando risuonare nell'aria il sottile rumore metallico procurato dalla caduta di quella lama affilata che poco prima stava stringendo tra le dita.
Bevve qualche sorso di quella bevanda che gli risucchiava a poco a poco la lucidità necessaria per vietargli di compiere qualche pazzia e chiamò a gran voce l'oste ordinandogliene dell'altra.
Non avrebbe più voluto pensare a niente per quella sera, non avrebbe più voluto sentire dolore per quella notte e avrebbe desiderato non poterne provare mai più.
Riprese ad accarezzare con un dito la lama di quel coltello che giaceva sul tavolo, attratto dal bagliore che gli colpiva il volto ad ogni movimento, domandandosi se quella notte avrebbe trovato in sè il coraggio per porre fine alle sue sofferenze.
"Ehi, amico"
Andrè sollevò lentamente lo sguardo verso il giovane in divisa che aveva appena richiamato la sua attenzione e con un cenno della testa lo invitò a parlare.
"Ti dispiace se mi siedo un po' insieme a te? Sai, non mi è mai piaciuto bere da solo"
Abbassò nuovamente lo sguardo verso quell'oggetto che continuava a richiamare la sua attenzione, sperando che quel soldato se ne andasse senza troppe storie, ma non fece in tempo a rifiutare la sua compagnia che, senza attendere una sua risposta, quel giovane prese posto sulla sedia accanto alla sua e chiese all'oste di portare altri due boccali di birra al loro tavolo.
"Che ci fai quì tutto solo? Non ti ho mai visto da queste parti"
La voce allegra di quel giovane vibrò nell'aria che Andrè iniziò a percepire farsi pesante ad ogni parola pronunciata con tanta ilarità nei suoi confronti.
"Non vengo quì spesso"
Bevve un sorso di quel nettare che lo stava inebriando da diverso tempo, con la speranza di concludere una conversazione che non avrebbe mai voluto iniziare.
"Ho capito, sei venuto quì per soffocare le tue pene d'amore, lei come si chiama?"
Andrè sbuffò sonoramente di fronte al poco tatto dimostratogli da quell'uomo e, lanciandogli un'occhiataccia, lo mise a tacere.
"Non ho voglia di parlarne"
Lo vide scrollare le spalle con indifferenza e portarsi alla bocca uno stuzzicadenti con il quale iniziò a giocherellare per diverso tempo.
"Mi dispiace, è solo che oggi sono di riposo e avevo voglia di fare quattro chiacchiere"
Posò lo sguardo sulla divisa scura di quel giovane ed iniziò a domandarsi in quale reggimento fosse arruolato.
Aveva l'aria di essere un tipo molto rude e di certo non aveva il portamento regale dei soldati della guardia che era solito vedere tra le mura della reggia.
Per togliersi ogni curiosità, decise di domandarglielo, ma quando fu a conoscenza della risposta gli si cancellò dalla faccia il lieve sorriso che era riuscito ad abbozzare per un breve istante.
Quell'uomo era un soldato della guardia metropolitana, lo stesso reggimento che a breve avrebbe comandato Oscar.
Ancora una volta, la vita lo stava riportando a lei e al suo triste destino che li vedeva separati a causa sua, per quel gesto disperato che aveva compiuto in un attimo di pazzia.
Abbassò nuovamente lo sguardo, cercando inutilmente sul tavolo quel coltello che aveva perso di vista da qualche minuto.
"Questo lo tengo io, per il momento"
Spostò lo sguardo da quella superficie di legno alle dita di quel soldato che avevano iniziato a giocherellare con ciò che gli era stato sottratto ad un palmo dal naso senza che neppure se ne rendesse conto.
"Che ne dici di fare due passi?"
In silenzio, lasciò il suo posto attorno al tavolo, seguendo quell'uomo misterioso che sembrava essere in grado di comprendere il suo animo tormentato più di chiunque altro.
Neppure Oscar, dopo tutti quegli anni, si era dimostrata in grado di saper leggere bene dentro di lui come, invece, era riuscito a fare quello sconosciuto e gli fu grato per aver saputo ascoltare quel grido disperato che aveva implorato silenziosamente un aiuto.
"Ecco, siamo arrivati"
Dopo aver vagato per le strade deserte di Parigi, il suo nuovo amico si fermò di fronte ad un imponente cancello di ferro, sopra al quale appoggiò le proprie spalle con disinvoltura.
"Se domani mattina mi raggiungerai quì, ti accompagnerò dentro a parlare con il colonnello"
Andrè sollevò lo sguardo verso quell'enorme inferriata e, pian piano, lo abbassò fino a raggiungere il viso di quell'uomo che, sputando a terra lo stuzzicadenti che teneva ancora in bocca, ruppe il silenzio che si era insinuato tra di loro.
"Ho capito che volevi arruolarti anche tu da quando hai iniziato a studiare la mia divisa alla locanda"
Gli sorrise amaramente, conscio del fatto che il suo desiderio di seguirla ovunque fosse dipinto in ogni tratto del suo volto.
"Allora, verrai domani mattina?"
La sua attenzione venne richiamata da quella domanda alla quale non seppe dare risposta, non subito almeno.
Il dubbio s'insinuò in lui come fitta nebbia nella mente che gli impediva di scorgere la sagoma del suo desiderio recondito: l'avrebbe seguita in quell'impresa anche quella volta?
Pensò ad Oscar e a quel freddo addio che si erano scambiati quel pomeriggio prima che lei partisse, conscio del fatto che lei non lo avrebbe voluto più vedere, ma non poteva finire così, non tra di loro, non lo avrebbe potuto permettere.
"Sì"
Fu una semplice affermazione che gli sfuggì dalle labbra prima ancora che lui la pensasse e l'idea che l'avrebbe rivista molto presto gli dipinse un sorriso sul volto, facendogli battere il cuore all'impazzata.
"Bene, allora credo di poterti restituire questo"
Andrè allungò le mani verso il suo salvatore per poter riprendere il coltello che gli era stato sottratto a inizio serata e che adesso aveva iniziato a stringere tra le proprie dita.
"Credo che non farai più sciocchezze per questa sera"
Gli sorrise, conscio del fatto che senza la sua compagnia sarebbe sprofondato negli abissi della propria anima quella notte stessa e si domandò se avrebbe mai potuto ripagare quel giovane sconosciuto in qualche modo.
"Comunque, io sono Alain"
Con quella presentazione, Andrè diede un nome al volto del proprio salvatore e in un flebile sussurro gli confessò anche il proprio.
Si scambiarono una stretta di mano che sapeva di gratitudine e si sorrisero a vicenda, consci del fatto che in quel momento stesse nascendo la loro amicizia.
"Ci vediamo domani"
Si salutarono e Andrè si avviò verso casa con il volto chino verso quell'oggetto che gli era stato da poco restituito e tornò a farlo roteare tra le proprie dita attratto da quella lama che adesso gli infondeva speranza.
Sfiorò, con un dito, la punta di quell'arma che avrebbe decretato l'inizio della sua nuova vita prima di portarsela alla testa e recidere il lungo ciuffo di capelli scuri che teneva stretto nel proprio pugno.
Conservò in tasca il lungo nastro nero che adesso avvolgeva la sua mano, come a voler riporre in un angolo remoto del proprio cuore gli ultimi brandelli della sua esistenza passata, e s'incamminò verso casa con la consapevolezza di aver trovato il proprio posto nel mondo.

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Capitolo 16
*** Nuova vita ***


Nuova vita

Alle prime luci dell'alba, lo sguardo azzurro di Oscar si mescolò con i colori del nuovo giorno che decretavano l'inizio della sua nuova vita.
Dopo essere tornata dalla Normandia, aveva fatto in modo di non uscire mai dalla propria stanza, accusando i dolori procurati dalla stanchezza del viaggio, così da non rischiare di incrociare Andrè nei corridoi.
Da quando si erano detti addio, si era imposta di non pensare più a lui e di confinare in un angolo remoto della propria mente ciò che aveva decretato la fine della loro amicizia, anche se la trovava un'impresa alquanto difficile.
Anche quel mattino, mentre si stava dirigendo verso la caserma della guardia francese, si era voltata più volte a guardare il posto vuoto lasciato dal cavallo che era solito affiancare al suo e si domandò quale ruolo avesse ricoperto a palazzo Jarjayes in quelle ultime settimane dal momento in cui aveva perso il suo ruolo di attendente.
S'impose di non pensarci, decisa a cancellare dalla propria mente quei pensieri che tornavano a turbarle l'animo come la peggiore delle condanne e in silenzio raggiunse la sua meta, sperando che l'impegno nel suo lavoro potesse tenerla lontana dai tormenti della propria anima.
Non appena entrò nel suo nuovo ufficio, venne affiancata dal colonnello D'Agoult, il vice-comandante del reggimento, per recarsi in visita alle camerate e conoscere i suoi uomini.
L'eco dei loro passi rimbombò per il lungo corridoio della caserma fino a giungere prepotente all'orecchio dei soldati nel dormitorio che si sbrigarono a far sparire la carte da gioco e le bottiglie di vino, sparse in giro per la stanza, dentro a una sacca che nascosero sotto a un cuscino.
Quando entrò nelle camerate, Oscar trovò i suoi soldati schierati alla perfezione lungo tutta la stanza e con passo rapido ne raggiunse il centro.
"Soldati, sono il vostro nuovo comandante e il mio nome è Oscar Françoise De Jarjayes"
Sentì la sua voce vibrare fra quelle quattro mura e sorrise, fiera di sè, per la decisione dimostrata di fronte ai suoi soldati.
Iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, osservando i suoi uomini uno ad uno per cercare di imprimere nella propria mente i loro volti ma, quando portò il suo sguardo in seconda fila, il suo cuore perse un battito.
"Soldati della guardia, salutiamo tutti il nostro nuovo comandante"
La voce di quel giovane le arrivò sorda alle orecchie, così come quella del colonnello D'Agoult che, vedendola pallida in volto, le chiese se stesse bene.
Deglutì a vuoto, scuotendo leggermente la testa per fare al suo sottoposto un cenno di assenso e, senza spostare lo sguardo da quello verde di quel soldato, si morse il labbro, incerta sul da farsi.
Dopo qualche, breve, istante decise che sarebbe stato meglio affrontarlo in privato per potergli urlare addosso tutta la rabbia che sentiva farle ribollire il sangue in quel momento.
"Soldato, nel mio ufficio"
Percorse con passo svelto il lungo corridoio della caserma con quell'uomo alle sue spalle e, non appena raggiunse la meta tanto desiderata, chiuse sbattendo la porta dietro di sè, facendo vibrare nell'aria il sordo eco di quel tonfo.
Iniziò a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza, cercando di placare l'ira che, a poco a poco, sentiva prendere il sopravvento su di lei ma le sembrò che fosse tutto inutile poichè ancora non aveva rivolto al suo amico quella domanda che le tormentava il cuore.
Posò il suo sguardo azzurro in quelle iridi verdi che, da sempre, erano state in grado di leggere bene dentro di lei e poi più in basso, su quei boccoli che gli ricadevano indomiti sulle spalle.
"Hai tagliato i capelli"
Fu un pensiero che prese voce in un sussurro, senza che lei riuscisse a fermarlo in tempo, e si morse la lingua per il poco contegno che aveva dimostrato di avere in quell'istante.
Si schiarì la voce ed avanzò di qualche passo, quel poco che le consentì di accarezzare con lo sguardo quel ciuffo ribelle che gli ricadeva sul viso e che arrivò ad incantarla per il fascino che riusciva a conferirgli.
"Andrè, perchè ti sei arruolato?"
Non c'era rabbia nella sua voce, solo una profonda malinconia che risuonò flebile in quella stanza silenziosa.
"Per poter stare vicino a te, Oscar, ma questo lo sapevi già"
Sostenne il suo sguardo, sperando di non cedere di fronte a quelle pozze smeraldo che le ricordavano i vecchi tempi in cui non riusciva a fare a meno di lui, ma sentiva dentro di sè che era una battaglia persa in partenza: la sua collera si era affievolita dal momento in cui si era accorta di quel cambiamento che aveva fatto in sua assenza.
"So cavarmela bene anche da sola"
Cercò di rimanere impassibile, dimostrando una freddezza d’animo che in realtà sapeva di non possedere.
Andrè era cambiato durante la sua assenza e non solo nel taglio di capelli, adesso Oscar riusciva a leggere nei suoi occhi spenti tutto il dolore che in quelle settimane gli aveva dilaniato l’anima e sentì un tonfo al cuore quando le sfiorò la mente il pensiero che fosse lei la causa di tutta quella sofferenza.
"Lo so che ne sei in grado Oscar ma, qualunque cosa tu possa pensare, io sono l'unica persona in grado di proteggerti"
La sua voce, così dolce e profonda, le arrivò al cuore in una carezza e le fece provare una profonda nostalgia di fronte al ricordo degli anni passati in cui, più di una volta, lui era riuscito a salvarla, anche da se stessa.
"Andrè io.."
Le parole cariche di sentimento, che fino a quel momento aveva sentito risuonarle nella mente come un'eco lontana, le morirono in gola di fronte allo sguardo limpido del suo amico che era tornato a posarsi nuovamente su di lei.
"Se quì abbiamo finito, chiedo il permesso di tornare in camerata"
Allungò una mano verso di lui, come a volerlo trattenere ancora con sé ma, quando aprì la bocca per chiedergli di restare, le parole le morirono in gola.
Gli fece un cenno di assenso con la testa, abbassando lo sguardo verso quel braccio rimasto ancora a mezz’aria e così vicino al suo tanto da percepirne il calore sulla propria pelle, come se l’avesse sfiorata.
Lo abbassò lentamente, cercando di trattenere, a fatica, il forte impulso di stringerlo a sè per impedirgli di lasciare quella stanza e l’osservò mentre, portandosi la mano alla fronte, si congedò da lei.
 "Sempre ai vostri ordini, mio comandante"
Fu il sordo eco dei suoi passi che rimbombarono per tutto il corridoio a riportarla a quella triste realtà, una realtà in cui Andrè non era più con lei.
Si lasciò cadere a terra, sfinita dopo quel confronto che temeva da settimane, sentendosi terribilmente sola.
Prima di rivederlo, aveva pensato di poter continuare a vivere senza di lui, sapeva che all’inizio sarebbe stato difficile, ma pensava che fosse solo questione di tempo e, prima o poi, si sarebbe abituata alla sua assenza.
Per settimane aveva ripensato al loro addio e a ciò che lo avesse indotto, avvelenando il proprio cuore con il disprezzo per il pensiero di ciò che le avesse fatto quella sera in cui tutto era cambiato, ma averlo rivisto dopo tutti quei giorni di assenza l’aveva destabilizzata.
Fino a quel momento, aveva creduto che avrebbe potuto farcela anche da sola, ma adesso non ne era più tanto sicura.
Andrè era la sua ombra da che ne avesse memoria, come aveva potuto pensare di cancellarlo dalla sua vita tanto repentinamente?
Calde lacrime scesero a rigarle il volto senza che Oscar se ne accorgesse, mentre i pensieri che albergavano il suo cuore e la sua mente presero voce rompendo il rigido silenzio che era calato in quella stanza.
“Andrè, ti prego, perdonami se puoi”

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Capitolo 17
*** Confessioni notturne ***


Confessioni notturne

“Ragazzi, volete conoscere il segreto del nostro nuovo comandante?
Si tratta di una donna, anche se indossa l’uniforme militare, è assurdo ma vero!”
"Ma non è uno scherzo?"


Erano passate diverse ore da quando aveva fatto ritorno alle proprie camerate, eppure Andrè continuava a percepire lo sguardo azzurro di Oscar fisso su di sè e sulla propria uniforme.
Per settimane aveva temuto il giorno in cui sarebbe tornata dalla Normandia perchè sapeva bene che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontarla, ma come?
Come avrebbe potuto dirle che in sua assenza aveva deciso di seguirla ancora una volta, nonostante lei gli avesse chiaramente detto di non farsi vedere mai più?
Come avrebbe potuto dirle che aveva deciso anche per lei, senza voler sentir ragioni?
E alla fine lo aveva scoperto, forse nel peggiore dei modi, ma come avrebbe potuto dirglielo altrimenti?
Lei gli aveva detto addio, ma lui non era riuscito a fare altrettanto.
Adesso il suo pensiero era tornato a straziarlo come nelle ultime settimane ma, d'altronde, non avrebbe potuto essere altrimenti: lei era da sempre il suo tormento, la sua ossessione.

“Non so voi, ma io non ho alcuna intenzione di prendere parte alla rivista in onore del nuovo comandante, non se si tratta di una donna!”

Toccava a lui sorvegliare le strade di Parigi quella notte, ma era un compito di cui non si sentiva all'altezza.
Non riusciva a non pensare a lei e alle difficoltà che avrebbe incontrato prestando servizio presso i soldati della guardia metropolitana, decisamente più burberi e irruenti rispetto ai damerini che erano soliti vedere alla reggia di Versailles.
Ma lei questo ancora non lo sapeva, lui invece si.
Per questo motivo, Andrè era molto preoccupato e non riusciva a pensare ad altro da alcune ore a questa parte.
I suoi pensieri arrivarono a sovrastare qualsiasi altro rumore lo circondasse, persino quello della voce di Alain che per più volte lo aveva invitato a sedersi accanto a lui.
"Tanto non succederà niente neanche questa notte"
Forse aveva ragione lui: una pausa gli avrebbe fatto bene.
Posò il fucile alla sua sinistra e prese posto accanto al suo amico che, nel frattempo, aveva tirato fuori dalla tasca interna dell'uniforme una fiaschetta "per potersi riscaldare un po'."
In effetti, Andrè iniziò a sentire che l'alcool fosse ciò di cui avesse bisogno per poter dimenticare, almeno per un po', i suoi tormenti.
"Sai Andrè, oggi ho finalmente capito il perchè della tua presenza quì"
Lo vide bere un sorso di quel nettare che aveva iniziato a bramare anche lui da qualche istante, per poi stiracchiarsi dopo essersi messo un po' più comodo.
"Ma certo Alain, devo sorvegliare le strade di Parigi insieme a te"
Cercò di cambiare discorso e di soffocare le proprie pene d'amore in quel liquido inebriante che aveva iniziato a scaldargli l'anima.
"Non fare lo spiritoso, lo sai a cosa mi riferisco"
Andrè continuò a far finta di niente, scuotendo la testa in senso di diniego.
"No, non lo so"
Lo ascoltò sospirare in silenzio, ma non si voltò a guardarlo: aveva paura di incontrare il suo sguardo perchè, a quel punto, non sarebbe più stato in grado di mentirgli.
"Riesco a riconoscere bene la sofferenza quando la vedo e tu, amico mio, sei un ragazzo sofferente”
Andrè fece un profondo respiro e, rivolgendo la testa al cielo, chiuse gli occhi per cercare di scacciare dalla propria mente il pensiero del tuo triste tormento.
“E che ne sai tu della sofferenza, Alain?”
Lo sentì mormorare tra sé e sé: “Molto più di quello che pensi, amico mio, molto più di quello che pensi”
Con un cenno del capo, Alain richiese ad Andrè la propria fiaschetta e, dopo aver bevuto un altro sorso, proseguì il suo discorso.
“Ho visto l’estrema sofferenza dipinta su molti volti ma, soprattutto, ne so riconoscere il l’effetto perché per diverso tempo ha albergato anche dentro il mio cuore”
Andrè si voltò a guardarlo, sorpreso.
“Che cosa intendi dire?”
Lo sentì sospirare prima di spezzare il silenzio che era calato tra di loro.
“Per anni io e la mia famiglia abbiamo vissuto di stenti: non avevamo di che mangiare e mia madre, malata, faceva fatica a trovare un lavoro, per molto tempo ho creduto che quella fosse la vera sofferenza.. finchè non è mancata mia madre, solo allora ho capito che cosa fosse veramente e quanto potesse essere distruttivo il suo potere”
Andrè posò una mano sulla spalla del suo amico, sperando che con quel gesto riuscisse a rincuorarlo almeno un po’.
“Come te, anche io ho pensato di farla finita perché credevo che la mia vita non avesse più un senso e lo avrei fatto se non ci fosse stata lei: la mia Diane.. lei aveva bisogno di me, non potevo lasciarla sola, ne aveva già passate troppe, così mi sono fatto forza e sono riuscito a risollevarmi.. è grazie a lei se adesso io sono qui”
Una lacrima silenziosa scese a rigare il volto di Alain che, subito, si ridestò dai propri pensieri e si alzò in piedi di scatto.
“Ma non pensiamo a queste cose adesso, quello che volevo dirti è che i soldati covano un odio profondo nei confronti degli aristocratici, soprattutto nei confronti delle donne aristocratiche, e dopo il tuo colloquio con il comandante tutti hanno iniziato ad avere il sospetto che tu sia un suo informatore.. quindi guardati le spalle, amico”
E, detto questo, riprese a fare la ronda.
Andrè rimase ancora un po’ seduto a terra, scosso per tutto quello che aveva sentito.
Non avrebbe mai potuto immaginare che un ragazzo all’apparenza tanto forte come Alain avesse sofferto così tanto, soprattutto perché era stato in grado di nasconderlo molto bene.
Invece, era stato esattamente come lui: disperato.
E chissà se adesso il suo cuore avesse trovato veramente un po’ di pace.
Sentì di provare molta pena per lui, ma anche una grande ammirazione perché, a differenza sua, Alain era stato in grado di rialzarsi da solo, mentre lui avrebbe compiuto un gesto estremo se non lo avesse incontrato sul suo cammino.
Ancora una volta, in quelle settimane, ringraziò il Signore per averlo messo sulla sua strada e, dopo aver afferrato il proprio fucile, riprese anche lui a fare la ronda.

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