Sex Ed

di Little Firestar84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hide ***
Capitolo 2: *** Shan ***
Capitolo 3: *** Mick, Kazue & Sayuri ***
Capitolo 4: *** My First Kiss (went a little like this) ***
Capitolo 5: *** Metti un giorno, d'inverno... ***
Capitolo 6: *** drabble ***
Capitolo 7: *** drabble 2/foto ***
Capitolo 8: *** Flashback ***



Capitolo 1
*** Hide ***


Le cose strane a cui si pensa mentre si fanno le pulizie... una storiella breve senza troppe pretese, su amore, sesso e famiglia...


“Ryo Saeba! Non hai nulla da dire a tuo figlio?!” Ryo, con una fetta di toast in bocca, alzò lo sguardo dal giornale e fissò la donna che era sua compagnia da oltre sedici anni sbattendo le palpebre più volte; aveva sentito il suo urlo collerico, aveva sentito il
Saeba, ed aveva temuto di averne combinata un’altra delle sue o di aver guardato troppo intensamente una bella donna. Ma la martellata punitiva non solo non era arrivata, ma si era poi reso conto che lei aveva urlato contro l’unica creatura sulla faccia della Terra che non aveva mai prima di allora attirato le sue ire e le sue punizioni divine. 

Saeba, sì, ma non Ryo: Hideyuki

Altresì detto il loro figlio sedicenne. 

Kaori aveva stravisto per il piccolo Hide dal momento che era nato: non era solo il fatto che fosse sua madre, ma anche sì, perché lei lo trovava adorabile, e con il bambino era stata dolcissima, così tanto che aveva perfino fatto venire le lacrime agli occhi a Ryo. Hide era una copia in miniatura del padre, capelli ribelli neri e occhi scuri come la notte, e lei aveva deciso di riversare su quel “Piccolo Ryo” tutto l’amore di cui il padre era stato privato crescendo. 

E poi, era sensibile, intelligente, discreto, scrupoloso e affabile, tutte qualità che, se non al massimo nel campo lavorativo, nessuno di loro possedeva (se non Kaori la sensibilità, ma solo con chi diceva lei), e che davvero non capivano da dove le avesse tirate fuori. 

Quindi, no, in sedici anni Kaori non si era mai arrabbiata con suo figlio. 

Anche se, a dirla tutta, quella era la prima volta che trovava quel genere di roba nella stanza del suo bambino. 

“Sì, allora, quale sarebbe il problema?” Ryo sbatté di nuovo le palpebre alla visione del “pacco” che lei gli aveva messo sotto al naso, e che davvero, non capiva esattamente come potesse creare delle difficoltà- non sarebbe stata né la prima né l’ultima madre a trovare cose del genere nella stanza del figlio...

“Come qual’è il problema? Tuo figlio tiene in camera riviste porno, profilattici e libri sul sesso e non ti sembra un problema?”

“Veramente,” continuò lui in tutta tranquillità, sorseggiando il caffè come se avessero discusso del sole e non del fatto che il sangue del loro sangue pensava al sesso e non era più il loro adorabile bambino, e magari il sesso lo praticava pure. “Quella è tutta roba che gli ho dato io.”

“Tu...Tu…” Kaori cadde sulle ginocchia, balbettando, poi però la portata dell’affermazione del compagno la colpì in pieno petto, e si alzò, tuonando con la forza di un vulcano, sovrastando con uno dei suoi martelli micidiali. “Tu, lurido porco pervertito, vergogna della nazione, vuoi trasformare mio figlio nel nuovo stallone di Shinjuku!”

Provò a colpirlo, ma lo mancò - Ryo era diventato bravo ad evitare le martellate, specie quando sapeva di non essere nel torto, ovvero la maggior parte delle volte. 

“Senti, Kaori, a parte che educazione sessuale la fanno pure a scuola, ma poi, cosa vuoi fare, nascondere la testa sotto alla sabbia? Hide ha quasi diciassette anni. I ragazzi della sua età pensano al sesso. Spesso e volentieri lo fanno. E spesso e volentieri non sanno cosa stanno facendo, il perchè, o come comportarsi, e te lo dice uno con cognizione di causa. Quindi, cosa preferisci: che impari del sesso parlandone con gli adulti, o che ne abbia una visione malata data dai porno e dai racconti di altri ragazzini che vogliono solo farsi belli?”

Kaori, piagnucolando, si sedette sulla sedia davanti a Ryo, con le mani in grembo. “Però… sembra ieri che lo pettinavo per andare a scuola…”

Ryo allungò la mano, e prese ad accarezzare la pelle della compagna; Kaori aveva ormai quarantaquattro anni, ma la sua pelle era morbida e profumata esattamente come il primo giorno che l’aveva incontrata quasi trent’anni prima, e dimostrava quasi dieci anni di meno di quelli che aveva; anche lui, che aveva superato la cinquantina, e che aveva dovuto ammettere di non essere più un giovanotto di vent’anni, non se la cavava malaccio: era ancora in forma, aveva ancora una buona vista, poche rughe- ma che secondo la sua donna lo rendevano ancora più affascinante- e nemmeno un capello grigio. Chiunque fossero stati i suoi genitori, li ringraziava per quei geni meravigliosi che gli avevano trasmesso.

“Sugar, a parte che puoi stare tranquilla perchè due profilattici gli ho dato dei miei, e due ancora ne ha… guarda che lo so che ti fa strano pensare ad Hide che è grande e fa sesso, ma non pensi che sia più normale e sano un adolescente che lo fa, in modo sano, sicuro e protetto, rispetto a come eravamo noi?” Entrambi sospirarono, ripensando ai loro passati…

Ryo, che la verginità all’età del figlio l’aveva già persa da un bel po’ e con una donna che aveva il doppio dei suoi anni quasi,  che ci provava con tutte, che se la spassava (grazie al cielo sempre fuori casa) con delle sciacquette, che passava il tempo a sbavare dietro ai porno, che importunava il 99,9% delle donne che incontrava.

Kaori, che non aveva avuto modelli femminili, che era stata cresciuta credendo che il sesso fosse solo sporco e perverso, che aveva perso la verginità a quasi trent’anni con il suo compagno di vita, ma che era così tonta in materia che non aveva mai percepito tutti i segnali che lui le aveva mandato negli anni.

Ricordavano ancora quando si era trattato di, finalmente, coronare la loro relazione portandola sul piano fisico: erano stati timidi, insicuri, lei aveva avuto paura di deluderlo, lui aveva avuto paura di farle male e di non sapersi controllare, con il risultato che erano stati tesi come dei tronchi d’albero, lei non aveva provato piacere, anzi, solo dolore, lui aveva perso l’erezione, e si erano poi evitati per settimane. 

Settimane

Poi però il loro sentimento aveva avuto la meglio, avevano sentito la mancanza l’uno dell’altra, ed avevano deciso di riprovarci, ma i risultati erano sempre stati gli stessi, ogni sacrosanta volta, e se prima avevano dormito insieme ma dandosi le spalle, adesso erano tornati a dormire separati tanta era la sofferenza per la loro situazione. 

Erano dovuti ricorrere alla terapia per poterne uscire, ed il responso degli specialisti che avevano visto era stato unanime: vaginismo di natura psicologica.

Ci avevano impiegato parecchio tempo per superare quella difficoltà, ma alla fine avevano raggiunto un’intesa sotto alle lenzuola pari solo a quella che avevano sul campo di battaglia.

Kaori sospirò, rassegnata. Immaginò che Ryo avesse ragione: doveva accettare che suo figlio fosse grande, e che provasse interesse e desiderio per l’altro sesso (specie, con tutta probabilità, per una sua coetanea dai capelli neri e gli occhi azzurri, nippo-americana, che viveva proprio davanti a loro). 

D'altronde, pure io alla sua età, quando ho incontrato Ryo, mi ero così emozionata… e… e mi ero fatta anch’io le mie fantasie… e chissà, se fossi stata un po’ più grande… e lui non fosse stato un così grande donnaiolo… magari lui… ed io… noi...

“Ma guarda un po’, la mia ragazza fa dei pensieri sozzi… scommetto che pensi a me quando ero quel gran bel ragazzo di vent’anni che hai incontrato quando andavi al liceo!” Le sorrise sornione attraverso il tavolo, facendole l’occhiolino, e Kaori arrossì. Senza tergiversare, lo sweeper afferrò i due profilattici sul tavolo e si caricò la bella compagna in spalle, come un novello cavernicolo, e con maestose falcate, percorse le scale tre scalini alla volta. 

“Ma, Ryo!” Squittì lei, ridendo.

 “Oh, senti, tutto questo parlare di sesso mi ha messo voglia, e poi…” arrivato davanti alla porta della loro stanza, si fermò, leggermente imbarazzato ed arrossì, mettendola giù. “E poi, mi è venuto in mente quanto era stato bello stringerti tra le braccia, con il tuo seno premuto contro il mio petto, e poi.. e poi appena hai urlato Hide è scappato ai cento all’ora da Amaya, e ho pensato che, potremmo approfittarne per farci un po’ di coccole… a malapena riusciamo a rubarci qualche minuto per noi, e poi dobbiamo sempre stare zitti e fare piano e…”

Non finì la frase, che lei gli diede un bacio veloce sulle labbra, prima di dargli le spalle ed entrare in camera da letto. 

Perdendo, ad ogni passo, un articolo di vestiario.

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Capitolo 2
*** Shan ***


A grande richiesta, una sorta di "seguito"... Ryo, sempre prese, ma alle prese con la secondogenita, Shan, e le sue turbe ormonali...

 

Mentre tornava a casa dopo aver - brillantemente, a suo dire - risolto l’ennesimo caso, gli occhi di Ryo ricaddero su una piccola utilitaria, recente, parcheggiata sotto al suo palazzo; sorrise un po’ malinconico alla vista dei vetri appannati e delle sagome degli occupanti del veicolo, chiaramente affaccendati in un amplesso amoroso di qualche tipo. 

Ah, che ricordi! La mente ogni tanto gli tornava ai tempi in cui era stato quello che lui definiva “un giovane stallone di vent’anni”, tempi in cui la Mini di cose ne aveva viste succedere, con la sua bella Kaori, soprattutto quando avevano ingranato!

Con un sorriso strafottente, Ryo si avvicinò alla portiera del veicolo per dare una sbirciatina - certe ossessioni non gli erano ancora passate- e picchiettò sul vetro. 

“Ehi, ragazzi, guardate che c’è un love hotel qui vicino, vi conviene andare a prendervi una stanza se non volete essere disturbati!”

Ryo, da quella intrusione, si era aspettato due possibili risultati: che gli occupanti della macchina lo mandassero a quel paese, o che accendessero il motore sgommando via il più veloce della luce. 

Scelsero la terza opzione: rimasero immobili all’interno del veicolo. 

Ryo alzò un sopracciglio, un po’ dispiaciuto di non aver potuto vedere quel piccante spettacolo dal vivo, ma scrollò le spalle e fece per andarsene quando però notò un piccolo particolare..

L’improvviso abbassamento di temperatura all’interno della macchina aveva reso nuovamente i vetri trasparenti, quell’alone di condensa era sparito e lo sweeper non potè che notare una capigliatura di capelli rossi mossi appartenente ad un elemento di sesso femminile che lui ben conosceva. 

E se lei era lì, allora significava che....

Digrignando i denti, vedendo nero  e rosso, Ryo sfoderò la sua fedele Python, compagna di tante avventure e che solo poche volte aveva mancato il bersaglio, e con un poderoso calcio spalancò la portiera della macchina, lasciando gli occupati, abbracciati, intimoriti e terrorizzati alla vista di quel demonio dagli occhi scuri. 

“CORRI IMMEDIATAMENTE IN CAMERA TUA SHAN!” Urlò, impugnando la sua fedele arma. La ragazzina non se lo fece ripetere due volte, e scoppiando a piangere corse via, sfuggendo alle braccia del suo innamorato, che se ne stava appiccicato alla portiera chiusa, osservando Ryo ed attendendo una sua mossa, tremando come una foglia, improvvisamente rammentando tutte le gesta del mitico City Hunter quando si era trattato di salvare la sua compagna. 

“Shin…” Ryo sospirò,  rimettendo la pistola nella fondina; si chinò verso di lui, e gli diede uno scappellotto, senza però troppa convinzione. “Dì a tuo padre e tua madre che gli faccio una telefonata più tardi, va bene? Tu e la mia bambina dovete darvi una regolata!”

Shin si limitò a fare segno di sì, e Ryo, con le mani in tasca, sbatté la portiera- quasi facendola cadere - prima di tornare a casa, dove, ad aspettarlo, c’erano i singhiozzi sommessi di Shan che si stava confidando con la madre tra le lacrime.

Ryo si grattò il capo, sconsolato; Kaori, come minimo, gliene avrebbe dette quattro, ma a sua discolpa, quando aveva visto la sua bambina di soli diciassette anni intenta a pomiciare con il figlio adottivo del suo miglior nemico/amico, non ci aveva visto più… era stato più forte di lui, aveva dovuto fare quella scenata. 

Hide aveva messo la testa fuori dalla sua camera, e osservava curioso lo sviluppo di quella intricata vicenda, mentre Kaori si limitò ad andargli incontro. Aveva lo sguardo severo e le braccia incrociate, e lo osservava come se fosse stata delusa dal suo comportamento. 

“Ryo, vai immediatamente a chiedere scusa a tua figlia! L’hai fatta vergognare col suo ragazzo!”

Ragazzo? L’uomo ripeté, sbattendo le palpebre. Da quando Shin era il ragazzo della sua bambina? Pensava fossero solo amici!

Da quando la sua bambina aveva un ragazzo? Era davvero abbastanza grande da avere un ragazzo?

Digrignando i denti, gli occhi insanguinati da una furia accecante che gli bruciava dentro, Ryo marciò verso la cucina, dove Shan era seduta al tavolo, abbracciandosi le ginocchia. Guardandola torvo, lo sweeper si sedette a cavalcioni su una sedia, senza mai distogliere lo sguardo dalla carne della sua carne. 

“Allora, signorina, hai qualcosa da dirmi?” Le disse, freddamente, col tono distaccato del tipico interrogatorio. “Da quando in qua ci interessano i ragazzi, eh? Sei troppo giovane per queste cose!”

Shan aprì e chiuse gli occhi, imbambolata, con un’espressione che aveva preso tale e quale dalla madre- d'altronde, se Hide era un mini-Ryo, lei era una Kaori con i capelli leggermente più lunghi e la carnagione un po’ più scura. 

“Papà, va bene che ti dia fastidio che esco con Shin, però non puoi dirmi che non possono interessarmi i ragazzi,” Shan si lamentò, facendogli il broncio. “Mamma alla mia età era già innamorata persa di te!”

Dalla sala, giunse un rumore di vetri rotti, segno che Kaori aveva sentito tutto ed era stata messa in imbarazzo da quell’affermazione, che aveva stupito un po’ anche Ryo, lasciandolo senza parole. 

Sì, era vero che quando aveva incontrato Kaori lei era un po’ più giovane della loro figlia, ma non gli era sembrato che fosse romanticamente interessata a lui- anche perchè lo aveva ritenuto un assassino a sangue freddo. Attratta? Forse sì, ma lui dopotutto era il primo uomo con cui non fosse imparentata con cui faceva più di due parole, ma… davvero si era già innamorata di lui all’epoca?

Era così… così dolce e romantico!

“Non è affatto vero! Io non mi sono innamorata a prima vista di tuo padre! Lui era un dongiovanni senza arte né parte!” la donna si infervorò, sbattendo i piedi. “Chi ti ha detto una tale assurdità?”

“Lo zio Mick e la zia Sayuri. Zio dice che sei stata tu a confessarglielo tanti anni fa, perché volevi che si mettesse il cuore in pace sul vostro amore.” Le rispose con pacata naturalezza. “Dice anche che eri così innamorata che ti sei, ehm, conservata per papà, anche se lui era… qual era la parola? Ah, sì: un lazzarone idiota. Ha detto proprio così: che ti chiamavano lo stallone perchè eri un lazzarone idiota che correva dietro tutte le donne tranne mamma, ma ti incavolavi di brutto quando qualcuno voleva uscire con lei, ed una volta un tizio voleva pure chiederle di sposarlo e tu hai fatto di tutto per ostacolarli, e anche quando lui ci ha provato con lei tu gli hai sparato, e zia Sayuri dice che eri terrorizzato all’idea che mamma scoprisse che erano sorelle e se ne andasse a New York con lei.”

Ryo sbatté il pugno sul tavolo, che fece un sinistro rumore scricchiolando. “Quel.. quel… quel cretino ossigenato, come si è permesso di parlare di certe cose con la mia bambina? Shan, ci ha forse… insomma, ci ha provato con te?”

Shan alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Papà, guarda che a scuola facciamo educazione sessuale, non c’è bisogno che cammini sulle uova. Lo so cos’è il sesso. E comunque Zio Mick non mi ha detto niente che non abbiano già raccontato Reika e Saeko…  io ho la collezione completa dei romanzi di Urban Hunter, e me lo hanno detto che i protagonisti siete tu e la mamma… il donnaiolo Ryoichi e la bella Katarina che finiscono con l’innamorarsi anche se lui non smette di correre dietro a tutte le belle donne che vede.”

Ryo rimase a bocca aperta, la mandibola pressoché dislocata, mentre meditava di dirne quattro alle terribili sorelle, tutte e cinque, e di fare causa al ministero dell’istruzione per aver irretito la sua adorabile bambina!

Sbuffò. Ma le ragazze  non potevano essere tutte come Kaori, che aveva aspettato quasi i trent’anni per fare sesso?

“...e comunque, sei un maschilista che usa due pesi e due misure solo perchè sono una ragazza. Amaya dice che ad Hide davi consigli alla mia età, e a me invece mi vuoi chiudere in camera mia fino ai vent’anni!” La ragazzina lo guardò dall’alto in basso, altezzosa e fiera, la fotocopia di Kaori. 

“Non ho mai parlato di vent’anni! Tu uscirai con un ragazzo quando lo sposerai, e solo dopo il matrimonio ti permetterò di fare… di… di dormire… di…”

“Guarda che so contare, papà! Lo so che Hide è nato quattro mesi dopo che tu e la mamma vi eravate sposati, quindi non venire a raccontarmi la storia del dover aspettare la prima notte di nozze per consumare!”

“Tua madre non era più una ragazzina quando è successo, era una donna adulta che ha riflettuto per bene prima di prendere una decisione così importante!”

Shan capì che urlare e mettere il muso non sarebbe servito; prese un profondo respiro, e si ricompose. 

“Papà…” sospirò. “Senti, non sono una bambina. Le cose le so...le, ehm, basi biologiche la mamma me la spiegate con zia Kazue quando mi è venuto il ciclo la prima volta, e, e ho letto anche molto. So che ti è difficile accettarlo, ma io non sono più piccola, e, e tu mi dici sempre che sono molto più matura della mia età, e quindi, io penso di essere abbastanza grande da fare le mie scelte, no?”

“Shan…” Ryo le scompigliò i capelli, sorridendole. “Vedi, il fatto è che tu sei la mia bambina, e sei arrivata quando non ce lo aspettavamo più. Ti avevamo cercata per quasi due anni ma non era capitato, i dottori non capivano perché tua madre non rimanesse di nuovo incinta, facevamo tutto quello che ci dicevano… e poi abbiamo deciso di smettere di provare, ci eravamo rassegnati ed un bel giorno, quando non ce lo aspettavamo, cosa mi fa Kaori? Sta male preparando il caffè. E lì abbiamo capito che tu saresti entrata nella nostra vita. Ti abbiamo voluta tanto, Shan, e adesso, vederti aprire le ali… per certe cose un genitore non è mai pronto, sai?”

Si alzò, e le diede un bacio in fronte, come tante volte aveva fatto con la madre, e Shan, piagnucolando come una bambina, abbracciò forte il suo papà, che affondò il naso in quei capelli che profumavano come quelli della sua amata. Lentamente, si separarono, e Ryo andò sul tetto a fumarsi una sigaretta e contemplare la sua amata città; perso nelle sue elucubrazioni,  a malapena si accorse della donna che lo raggiunse, abbracciandolo da dietro e posando il mento sulla sua spalla prima di lasciargli un bacio sulla guancia. 

“Lo sai, se trent’anni fa mi avessero detto che ti avrei sposato e fatto due figli con te, non ci avrei mai creduto…”

“Eh, niente di personale, Kaori, ma io avrei dato del pazzo a chiunque mi avesse detto che mi sarei sposato, punto.” Le baciò i capelli, spegnendo nel posacenere la sigaretta. “Porca miseria, sembra ieri che io ero un giovane uomo di vent’anni e tu giocavi a fare la stalker con me, e guardaci adesso: un figlio di diciannove anni che vuole seguire le orme dello zio, ed una ragazzina di diciassette che vorrebbe fare la sweeper. E nessuno dei due single… e guarda, non so cosa sia peggio, che siamo quasi imparentati con quel rompiballe che ti girava sempre intorno o che lei invece sta con il figlio dello scimmione.”

“Oh, andiamo, lo sai che Mick non mi ronza più intorno da anni!” Kaori gli diede un leggero pizzicotto sulla guancia, sperando di metterlo di buon umore; stava davvero prendendo male il fatto che la loro piccola stesse crescendo e fosse abbastanza adulta da prendere le sue decisioni: Kaori si chiese se davvero fosse  il fatto che uscisse col figlio di Umibozu a turbarlo, e non che Shan avesse più e più volte negli ultimi anni indicato di voler seguire le loro orme professionali - un campo in cui, effettivamente, era molto portata.

“Però un mezzo pensierino se l’è fatto dopo che ha divorziato da Kazue… e comunque, che sua moglie sia uguale a te ma coi capelli lunghi non è poi così rassicurante come cosa, eh...” Si imbronciò, facendo innervosire Kaori, che mise le mani ai fianchi. Certo, dopo il divorzio Mick era stato spesso da loro con la sua piccola, ma la coppia erano i suoi migliori amici. In più, Mick si era trovato dal giorno alla notte padre single che non sapeva cosa fare o come comportarsi, dopo che la moglie lo aveva lasciato per inseguire i sogni di carriera. Ma, ne era certa, non vi era malizia in quelle visite: lui era… non era nemmeno il suo migliore amico, lui era… la sua persona, il suo confidente.

E comunque, Mick si era poi risposato: un Natale era andato a festeggiare a casa loro, ed aveva incontrato tra gli ospiti quella che sarebbe poi divenuta la sua seconda moglie, ed era stato un colpo di fulmine per entrambi: Sayuri, la sorella maggiore di Kaori. 

Prendendo il volto del marito tra le mani, lo fece voltare, e gli diede un appassionato bacio, preludio di bollenti momenti che avrebbero passato insieme una volta usciti i ragazzi. 

“Oh, andiamo Ryo, guarda il lato positivo, sono passati trent’anni da quando ci siamo incontrati, ma tu sei come il vino, sei invecchiato molto bene!”

Dandogli un ultimo bacio, corse via, ridendo, e Ryo la seguì, camminando tranquillo e alzando gli occhi al cielo. 

“Eh, Maki, Maki, Maki… scommetto che è la tua punizione divina, Shan che sta col figlio del polipone, come vendetta per aver irretito la tua sorellina… però, dai, guardaci: trent’anni, e ci amiamo ancora come il primo giorno!”

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Capitolo 3
*** Mick, Kazue & Sayuri ***


Appena varcò la porta di casa, al ritorno da un caso in cui aveva assistito Ryo e che lo aveva tenuto lontano dai suoi cari per alcuni giorni, Mick fu colpito in pieno petto dallo straziante silenzio che aleggiava nell’aria; non c’era il chiacchiericcio insensato della sua neonata, né il suono dello stereo con la musica jazz che Kazue tanto amava o il televisore acceso.

Una luce, però, era accesa, nella sala, una lampada che illuminava con il suo tenue chiarore l’ambiente, rendendolo quasi magico.

Un sorriso furbo si dipinse sul volto dell’ancora affascinante americano, quando immaginò che la sua sposa avesse lasciato la loro bambina con gli amici per il fine settimana per poter stare finalmente soli, e rinnovare, tra le fresche lenzuola di seta, le loro promesse d’amore che si erano scambiati ormai da quasi due anni.

Tuttavia, con ogni passo che Mick Angel faceva, egli sentiva l’ansia salire, ed un curioso senso di oppressione, quasi terrore, si impadroniva del suo animo.

Quando vide le valige, ordinatamente impilate di fianco alla poltrona, capì che il suo istinto di sweeper aveva avuto ragione.

Kazue non aveva lasciato- a chi, poi- Amaya per poter stare un po’ sola con lui in intimità.

Lo aveva fatto perché, nel momento in cui lo avesse lasciato, non voleva testimoni, né qualcosa che le ricordasse il motivo per cui si erano scelti, tante e tante volte ancora.

“Quindi, è così.” Mick a fatica strinse i pugni, ancora doloranti dopo anni, e a denti stretti guardò il pavimento, rifiutandosi di incrociare lo sguardo di quella donna che stava rannicchiata sulla poltrona, a riccio. “E sentiamo, per quale motivo mi mandi fuori casa, eh? Non sarò la persona più facile con cui vivere, Kazue, ma ti sono sempre stato fedele, lo sai. E la cosa non mi è mai pesata.”

“Non sei tu ad andartene, Mick.” Lei sospirò, tra singhiozzi sommessi, asciugandosi con la manica le lacrime che le rigavano il bel volto. “Me ne vado io.”

Gli occhi e la bocca dell’uomo si spalancarono in un’espressione di sorpresa; tuttavia, lo aveva sempre saputo:  Kazue poteva benissimo fare meglio di lui, meritava molto meglio di un handicappato ex tossico e, sì, lo aveva capito già da tempo: lui era solo un rimpiazzo per quel grande amore ormai defunto da anni, e, chissà, forse anche per Ryo, che l’aveva un tempo desiderata nel corpo, ma mai nell’anima, mentre lei, sì, lo aveva amato davvero, rinunciando allo sweeper solamente quando aveva compreso che, ormai, nonostante la riluttanza dell’uomo, lui apparteneva a Kaori sola.

Per Mick, invece, era stato diverso: aveva amato la dedizione, il coraggio di quella donna, e la pace che lei gli donava. Eppure, non era bastato. Aveva capito da tempo che le cose non andavano come dovevano, ma pensava fosse un po’ di crisi del settimo anno giunta in anticipo; e comunque, avevano avuto Amaya, ed era certo che, se non fosse più stata certa dei suoi sentimenti, Kazue non avrebbe mai cercato quella nascita, anche se, forse, a desiderare una famiglia era stato più lui di lei...

“Kazue, ascolta, se ho fatto qualcosa di sbagliato, credo di…”

“Mi hanno chiamata al CDC di Washington.” gli disse, freddamente, stringendo i pugni in grembo. “Parto domani, inizio tra un paio di settimane ma prima voglio sistemarmi nel mio nuovo appartamento.”

Mick sentì la bile salirgli in gola, e venne assalito da un sentimento di puro odio e risentimento.

Aveva un nuovo lavoro.

Si era trovata una nuova casa.

Se ne sarebbe andata dall’altra parte del mondo, lasciando lui lì da solo e…

“Okay. Dovrò chiedere un po’ di cose a delle mie vecchie conoscenze ma credo che dovrei riuscire ad essere di nuovo in grado di viaggiare e…”

“Quella è casa mia, Mick,” gli rispose, piccata, alzandosi e standogli davanti. “Mia, non nostra.”

“Beh, vorrà dire che mi cercherò una casa mia, perché dubito che tu possa rinunciare a una tale allettante proposta di carriera,” le disse, velenoso e crudele e freddo. “Ma di certo io non rinuncerò ad Amaya.”

“Sono io a non volerlo, Mick.” Ammise, con gli occhi bassi. Lui fece un passo verso di lei ed alzò una mano come per accarezzarla, ma Kazue si scansò, abbracciandosi come per farsi coraggio. “Non te, io… non voglio fare la mamma e la moglie di famiglia, ora. Voglio, voglio solo essere Kazue.”

“E non ti è venuto in mente quando parlavamo di diventare genitori, che non volevi dei figli?” La accusò lui, freddo e glaciale. “Siamo stati insieme anni, e non ti è mai passato per la testa che non volevi sposarmi?”

“Ero giovane, Mick, molto più giovane di te.” Lo accusò. “Non sapevo cosa volesse dirti starti accanto. A cosa stavo rinunciando.”

“Ah, ecco il nocciolo del problema!” Mick rise, di gusto, accasciandosi sulla poltrona che lei aveva lasciato vacante e accendendosi una sigaretta. “Ti sei stufata di stare accanto ad un handicappato di mezza età! Scommetto però che se il tizio di mezza età fosse stato Saeba non te li saresti fatti tanti problemi, e avresti continuato a scaldargli il letto…”

“Sei crudele, Mick!” Lo accusò lei con grinta e coraggio.

“Forse,” Mick lasciò andare una boccata di fumo che raggiunse il soffitto. “Ma lasciatelo dire, dolcezza. Tanto gentile con me non lo sei stata nemmeno tu…”

 

“Grazie, non sapevo proprio come fare.” Seduto nel salotto di casa Saeba, Mick si allentò la cravatta, ed accettò di buon grado il liquore che il migliore amico ed ex socio gli offriva. Kaori era nella stanza di Hide, che aveva messo a letto con la piccola Amaya. La bambina aveva pianto a dirotto, un po’ per le coliche, un po’ per i primi denti che le stavano spuntando: nulla di che, stava accadendo anche al suo bambino, ma lei non era sola ad affrontare le notti insonni ed i problemi, lei aveva Ryo.

Mick… beh, Mick adesso aveva lei. O meglio, loro: perché, anche se ancora un po’ gli seccava vederlo gironzolare per casa sua e piagnucolare sulla spalla di Kaori, Ryo si era comunque visto ben disposto a supportare l’amico durante e dopo il divorzio.

La rossa le avrebbe come minimo spaccato la testa, alla cara Kazue: faceva tanto la buona crocerossina,  ma appena aveva potuto aveva spalancato le ali e mollato tutto e tutti. Non le rimproverava il desiderio di carriera, quanto l’aver unilateralmente deciso che voleva solo quello, quando avrebbe potuto benissimo continuare a fare la mamma, la moglie e il medico: Mick sarebbe tornato volentieri nel suo paese, sarebbe stato ben felice di fare il casalingo, stravedeva per la figlia ed era davvero molto portato come uomo di casa, non come Ryo.

“Senti, ma perché non la raggiungi tu? Magari…”

“No, non se ne parla.” Ma Mick scosse il capo alla domanda dell’amico. “Lei non vuole essere madre. Dice che l’ho convinta io, che mi ha accontentato perché sperava di salvare il matrimonio, ma che lei figli non ne ha mai voluti. No, credimi…” Sbuffò, lasciando ricadere il capo contro il poggiatesta. “Ormai non c’è nulla da salvare, ed io non ho intenzione di imporle Amaya così che poi si sfoghi con lei. Meglio che faccia la madre a distanza e part-time, credimi, colpa mia, avrei dovuto capirlo da solo che lei non era interessata, ma, sai… non volevo vedere e quindi mi sono rifiutato di arrendermi all’evidenza.”

Ryo si voltò, in silenzio, verso la camera del figlio, e sorrise, sentendosi colpevole come un cane: lui aveva tutto. Il suo amico… Amaya, che sapeva essere amata come la cosa più preziosa al mondo. Ma la domanda che attanagliava lo sweeper era: alla lunga, sarebbe bastato? Inoltre, non lo voleva ammettere, ma da quando Kazue se n’era andata, Mick, che aveva preso a trascorrere sempre più tempo a casa loro, aveva preso a osservare Kaori con uno strano sguardo, uno che, purtroppo, Ryo conosceva bene. Mick l’aveva guardata così prima di lasciarle un casto bacio sulla guancia, e salire sull’aereo dove avrebbe trovato la presunta morte. All’epoca, lui aveva lasciato andare Kaori, un po’ perché aveva capito che per lei esisteva solo il suo socio, un po’ perché non c’era gusto a non rubare la donna d’altri. E poi, era arrivata Kazue a scombussolargli la vita.

E adesso?

Adesso, lui era single, sarebbe potuto di nuovo tornare a caccia, e chissà, magari aveva di nuovo messo gli occhi addosso a Kaori, adesso che era impegnata, e che aveva visto che ottima madre fosse -non che ne avessero mai avuto alcun dubbio: lei aveva cresciuto praticamente tutti loro…

Kaori uscì dalla cameretta ed andò in cucina, dove prese due bicchieri d’acqua e delle aspirine- ci erano andato giù pesante quella sera- e li portò ai due uomini. Scompigliò i capelli di Mick, come fosse stato un bambino, e a Ryo, che ricevette un veloce bacio, si sciolse il cuore.

Non importava se Mick avesse mire su Kaori o meno.

Lei sarebbe stata sua, e lui suo, fino alla fine dei tempi, e niente e nessuno li avrebbe mai divisi.

 

“Sei sicuro che non disturbo?” Mick entrò nell’appartamento della coppia di sweeper con le braccia piene; da una parte aveva Amaya, che adesso aveva tre anni, imbacuccata con piumino, sciarpa, berretto, guanti e stivali (neanche avesse dovuto fare due chilometri, invece dei cinquanta metri scarsi che dividevano le case degli ex soci in linea d’aria), nell’altra un borsone pieno di regali, per cui Ryo lo guardò un po’ storto.

“Mick, bello, guarda che in Giappone solo le coppiette si fanno regali. Pensavo che dopo tutti questi anni lo sapessi…” Ryo sbuffò, scrollando le spalle, grato che Kaori avesse intuito questa possibilità e avesse preso dei pensierini per Mick e la figlia. “Bastava che portassi del vino, del liquore, o dei cioccolatini.”

“Beh, ho anche portato dei pasticcini…” l’ex sweeper ammise, arrossendo lievemente, mentre liberava da quel bozzo soffocante la figlia, che era più rossa di un peperone. “Però mi dispiaceva venire e non portare dei regali. Non è da buon padrino, e soprattutto da buon cattolico.”

“Ah! Questa è buona!” Ryo scoppiò a ridere, e gli diede una pacca sulla schiena così forte che l’americano vacillò e perse l’equilibrio. “Dubito che un buon cattolico farebbe lo sweeper!”

“Sì, beh, allora diciamo che mi dispiaceva intromettermi. Questo è il primo Natale che passi con la tua famiglia…” Mick gli mise leggermente il muso, mentre, allungando il collo, scorgeva gli ospiti presenti alla festa organizzata da Kaori; Mick li conosceva di nome, e perché Ryo, un po’ paranoico (e a ragione), quando Kaori aveva avuto la brillante idea di mandare un suo tampone ad una compagnia che si occupava di genealogia, aveva investigato sui “presunti” parenti che erano saltati fuori. La coppia aveva però tenuto strettamente divise le  due vite di Ryo, e Mick era il primo della loro sgangherata famiglia allargata ad incontrare i parenti biologici dell’ex socio: lo zio Tetsui, gemello del padre dello sweeper, sua moglie Kiyo, il loro figlio Takeshi (più giovane di Ryo di un mesetto) con la moglie Sakura ed i suoi due figli adolescenti, che si erano riuniti per festeggiare il tanto agognato arrivo di Shan, la bambina che Ryo e Kaori avevano cercato di avere per quasi due anni.

Gli occhi degli sweeper si incrociarono, e Ryo si trattenne dal dire qualcosa di sdolcinato, cose che non erano da lui, nonostante considerasse Mick una parte della sua famiglia come e più dei suoi ospiti.

Con Amaya che li teneva per mano, i due sweeper andarono in sala da pranzo, dove il chiacchiericcio era davvero molto forte, e Ryo sorrise a Mick, con una strana luce negli occhi che l’amico non comprese. Tuttavia, una volta che si trovarono davanti al tavolo, lo sweeper giapponese fissò, stupito, il fraterno amico, che aveva avuto una reazione ben diversa da quella che si era aspettato.

Niente avances moleste o altro. Niente baci rubati o tentativi di assalti. Non si comportava nemmeno da cretino allupato patentato come suo (loro) solito. Oh, no… Mick Angel fissava a bocca aperta la donna- anzi, le donne- sedute al tavolo che chiacchieravano con un sorriso sulle labbra. 

Vedeva doppio. Anzi, no, perché una donna- Kaori- era rossa coi capelli corti mossi, l’altra castana con una lunga chioma liscia. I visi, però, erano identici in tutto e per tutto.

“Che c’è Angel, il gatto ti ha mangiato la lingua?” Ryo gli domandò, un po’ maligno, dandogli una serie di leggere pacche sulla schiena come per risvegliarlo. “Oh, non ti avevo parlato della sorella di Kaori, Sayuri?” Lo aveva fatto di proposito, era curioso di vedere se Mick si sarebbe comportato con la sorella maggiore come faceva con la minore, se, come il buon Ryo, avrebbe avuto l’immediato desiderio di gettarsi in quelle forme generose per avere anche solo un sentore di quello che avrebbe potuto provare con la versione originale.

“Oh, Mick, sei arrivato!” Raggiante, Kaori lasciò il suo posto a tavolo e raggiunse l’amico, dandogli un bacio sulla guancia. “Buon Natale Mick e… ma stai bene?” La rossa sollevò un sopracciglio con fare interrogativo, toccando al contempo la fronte dell’amico di lunga data chiedendosi se avesse la febbre.

No, Mick era piuttosto freddino, in realtà. Quindi il motivo per cui non le stava saltando addosso o chiedendo ardenti baci focosi non era che fosse malato.

però, si disse, c’era qualcosa di strano, in lui. Aveva la bocca così aperta che sembrava che la mandibola si fosse slogata, e fissava un punto alle spalle di Kaori.

La rossa si voltò seguendo la sua linea visiva, e sorrise machiavellica, con uno sguardo da criminale di carriera alle prese con il suo più grande piano.

Mick era rimasto incantato alla vista della sorella di Kaori, la giornalista Sayuri; parlarono per tutta la sera, avvolti come in una nuvola tutta loro, e Sayuri, che col marito non aveva avuto figli ma che i bambini li adorava, si interessò alla piccola Amaya senza tuttavia essere invadente. Kaori guardava da lontano la scena con gli occhi lucidi, felice che la sua intuizione fosse andata a buon fine: sua sorella ed il suo migliore amico erano davvero una bella coppia, e sembravano ben affiatati. Ryo ogni tanto le lanciava un’occhiataccia inquisitoria, ben capendo dove la sua mente vagasse, ma lei si limitava a scrollare le spalle; lui usciva da un divorzio che, per quanto semplice, lo aveva lasciato col cuore a pezzi, lei da uno che era stato lungo e complicato. Entrambi lo sapevano, e sinceramente… fosse stato amore, bene, sarebbe stato perfetto, ma fosse anche solo un testare le acque e riabituarsi a frequentare l’altro sesso sarebbe andato bene lo stesso, perché, in fondo, gli avrebbe fatto bene comunque.

 

C’era qualcosa che preoccupava Ryo, un tarlo che lo opprimeva così tanto che nemmeno il sesso era riuscito a scacciare quel pensiero opprimente.

“Allora…” Kaori iniziò, disegnando arabeschi immaginifici sul petto nudo del suo uomo con un dito, sdraiata accanto a lui vestita solamente della camicia che gli aveva precedentemente strappato di dosso. “Devo preoccuparmi che la gravidanza mi abbia reso meno seducente ai tuoi occhi, signor Saeba? Perché l’ultima volta che ti ho visto così pensieroso post coito è stato dopo la prima volta che siamo finiti a letto insieme….”

Ryo si voltò verso di lei, con sguardo ,malandrino ed un sopracciglio alzato; mosse una mano, che andò, birichina, a giocare con uno dei seni della donna, soppesandolo e facendolo sobbalzare sul palmo ruvido. Paonazza, Kaori sussultò quando. ghignando, Ryo strinse il capezzolo tra due dita, facendo uscire due gocce di perlaceo liquido dalla florida punta a cui diede una veloce leccata con la punta della lingua come se fosse stato un cagnolino che faceva le feste alla sua padrona, e Kaori, incerta se fosse per l’atto stranamente erotico di Ryo che assaggiava il latte che il suo corpo produceva per loro figlia, o perché avesse sempre trovato conturbante la visione di quella criniera scura contro la sua pelle d’avorio, sussultò in preda ad una profonda eccitazione. Lo sweeper, ad occhi chiusi, inalò l’aroma del desiderio della sua donna, e soddisfatto se ne tornò a coricarsi nella sua metà del letto, con le braccia incrociate dietro al capo ed una gustosa erezione che svettava sotto alle coperte.

“Eh, no, socia, sei seducente come sempre, anzi, la gravidanza ti ha reso ancora più bella… ad allattare ti sono venute certe tette, e poi, sei diventata molto più gustosa!” Le disse, con tutta la calma del mondo.

Kaori sospirò, sentendosi sconfitta. Era inutile, Ryo era Ryo e se non faceva un po’ il porco per sdrammatizzare non era contento.

“Ryo… cosa c’è?” Gli chiese, perché se faceva il cretino voleva dire che un problema c’era, e non era lei.

Lo sweeper rimase in silenzio per quello che apparve un lunghissimo tempo, gli occhi fissi sul soffitto prima di riprendere a parlare. “Non ti preoccupa che Mick frequenti Sayuri? Voglio dire… non ti chiedi se sia… insomma… se esca con lei perché…”

“Perché mi somiglia? Dai, Ryo, Mick non è così veniale. E comunque, lui  ed io siamo amici, ha smesso di essere innamorato di me da tanto tempo.” Ridacchiò, riprendendo le dolci carezze. “E poi, con lei fa il gentiluomo, e tu e lui, lo fate solo quando siete seri…”

“Dici?” Non era del tutto convinto della sua affermazione. Lui, gentiluomo? Ma quando?

“Uh, uh.” Sensuale e maliziosa, Kaori si sdraiò su di lui, i loro corpi nudi che si strusciavano l’uno contro l’altro, madida pelle contro madida pelle, eccitandosi a vicenda. “Non ti ricordi quando siamo tornati dalla radura? Appena siamo entrati in casa io mi sono messa sulle punte e ho cercato di darti un bacio, ma tu mi hai presa per le spalle e tenuta a distanza, e guardandomi negli occhi mi hai sorriso timido e mi hai chiesto, Kaori, vorresti venire a cena con me domani sera? E poi… e poi hai iniziato a corteggiarmi, e mi portavi fiori, cioccolatini.. prendevamo la macchina e andavamo a fare gite fuoriporta, perché non volevi tenermi per mano davanti a tutti quelli che sapevano che siamo City Hunter.... Eri l’ultima persona da cui me lo aspettavo, e io non sapevo se essere stupita o frustrata perché non mi davi nemmeno un bacio…”

“Eh, ma tu eri diversa, mica potevo saltarti addosso come un maiale in calore come facevo con tutte le altre, poi rischiavo che pensassi di essere una delle tante, e tu invece sei stata la prima e volevo che fossi anche l’ultima…” Ammise, sornione, prendendo a giocherellare con quanta più pelle della sua donna che poteva, senza mai smettere di guardarla negli occhi.

“Sull’ultima poco ma sicuro, ma ho dei seri dubbi,” Kaori alzò un sopracciglio, con fare interrogativo. “Sul fatto di essere stata la tua prima amante, caro il mio stallone…”

“Beh, sì, non sei stata la prima donna con cui sono andato a letto, e forse nemmeno la prima di cui dicevo di essere innamorato…” Ammise lui, arrossendo lievemente mentre le prendeva la mano tra le sue e portandosela al cuore. “Ma sei stata la prima che ho amato prima qui, e poi....” Sogghignò, con la sua aria da maniaco patentato, mentre faceva scorrere la manina di Kaori sul suo corpo, molto più a sud, fino a che non giunse a sfiorare il setoso acciaio della sua eccitazione. “Qui.”

“Tu, Ryo Saeba, sei un cretino patentato…” gli disse. Eppure, mentre lo diceva, gli diede un bacio da capogiro.

 

“Allora, che novità ci sono?” Sayuri aveva telefonato a Kaori dicendole che sarebbe passata a trovarla quella mattina; ormai, al suo ritorno a New York, mancavano pochi giorni, e le sorelle approfittavano di ogni momento per stare insieme. Tuttavia, c’era qualcosa nell’atteggiamento della giornalista che preoccupava Kaori: non la guardava negli occhi, e si stringeva le dita. “Sayuri?”

“Mi hanno offerto di dirigere la filiale giapponese di News Weekly qui a Tokyo.” Ammise, a voce bassa. Kaori fece un fischio, impressionata; chiaramente, da editor e direttore, sarebbe stato un bel passo avanti per la sua carriera, per non parlare che cosa avrebbe significato nel grande schema delle cose…. Sayuri era giovanissima e donna, quante potevano vantare una simile posizione? Quanti uomini suoi coetanei avevano già raggiunto i suoi traguardi alla sua stessa età? Sarebbe stata una bella conquista per il movimento femminista.

“Non mi sembri molto felice…”

“Il fatto è che la mia vita ormai è a New York, e poi…” Sospirò. “Sai, mi sono sempre detta che non avrei mai fatto come nostra madre che aveva permesso a nostro padre di prendere le redini della loro storia, eppure con Kevin ho fatto la stessa cosa, e credo… forse sto facendo la stessa cosa, di nuovo.” Con Mick, senza bisogno di aggiungerlo; Kaori lo capiva anche da sola.

“Sorellina…” Kaori le disse, gentile e soave, stringendole la mano. “Dimenticati di Mick per un attimo: se lui non ci fosse e ti avessero offerto il lavoro, cosa avresti fatto?”

Lo avrebbe accettato, lo sapeva: non solo perché era un riconoscimento dei suoi obiettivi e delle sue indiscusse qualità, ma anche perché a Tokyo aveva la sua famiglia, la sorella e due adorabili nipoti.

Mick... beh, Mick era giusto un punto a favore in più. E poi, chissà. Forse Kaori aveva ragione, e per una volta faceva sul serio.

 

Due mesi dopo, mentre erano abbracciati a letto, nudi, lui le diede un dolce bacio sulla fronte, ammettendo imbarazzato di essere innamorato… e da quell’appartamento, Sayuri, non si mosse mai più.

(Almeno fino alla notte prima delle nozze, civili, che celebrarono nel parco; quella, lei la passò a casa della sorella, che, contrariamente a quanto tutti si aspettavano, non le fece da damigella, ma fece da testimone- a Mick.)

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Capitolo 4
*** My First Kiss (went a little like this) ***


A tutte le hunterine, che alla visione di questa vignetta/fanart si sono sciolte....

“Che vuoi?” Non era da Hide essere così diretto, né scorbutico; quel ragazzo, Ryo lo sapeva, era quello che poteva essere definito in un sol modo: un santo - anche se, con lui e Kaori come genitori, non aveva ancora ben capito come avesse fatto a venire su così. Tuttavia, Ryo capiva come mai il suo ragazzo fosse così acido: lui era tutto bravo alla sua scrivania che faceva i compiti, si faceva i fatti suoi, e suo padre cosa faceva? Se ne stava sdraiato a pancia in giù sul suo letto dondolando le gambe neanche fosse stato un bimbetto, fissandolo con un sorrisetto che sembrava dire “Io so che hai fatto una cosa che non dovrei sapere che tu hai fatto”

E questo da tipo due ore.

Chiunque avrebbe perso la pazienza. Anche un santo.

“Fonti attendibili mi hanno riferito che hai comprato due biglietti per il ballo della scuola…” Ryo si mise a sghignazzare, abbracciando un cuscino, con la stessa espressione di una ragazzina petulante e pettegola. “Non è che vuoi portarci una certa moretta dagli occhi azzurri, nippo-americana, vero?”

Hide avvampò. Copia sputata di Ryo nel fisico, aveva preso però tutto da sua madre per quello che riguardava le emozioni; arrossì, quasi stesse andando a fuco, e Ryo, sognante, sospirò, ricordando la volta che aveva posato un delicato e casto bacio sulla fronte di Kaori e lei era quasi letteralmente andata a fuoco- le era perfino venuta la febbre alta. Per un bacetto. Sulla fronte.

“Eh, no, eh, non va mica bene…” Stuzzicandolo ancora, Ryo prese a dare delle pacche sulla schiena del figlio, prima di abbandonare il suo posto sul letto e avvicinarglisi. Con fare cospiratorio, gli mise un braccio sulle spalle, e gli si avvicinò; Ryo diede una rapida occhiata intorno, come per essere certo che qualcuno- Kaori, o quella piccola pettegola intrigante della figlia – non fosse intorno a sentirli, ed abbassò la voce.

“Hide, ascoltami, non va bene arrossire così solo  a pensare di portare Amaya a ballare. Ne va della reputazione del nome di famiglia.”

Hide, stupito, alzò un sopracciglio con fare interrogativo. “La reputazione del nome Saeba?”

“No, figliolo, non parlo di quel nome… parlo del mio vero nome, quello con cui tutti mi conoscevano…” gli mise le mani sulle spalle, con espressione grave, e Hide si chiese, di nuovo, cosa avesse a che fare City Hunter con tutto questo, perché per forza doveva essere quello il nome a cui suo padre si riferiva. “Devi sapere, Hide, che prima di sposare tua madre, io ero noto come… come lo stallone di Shinjuku!”

Un gocciolone di sudore corse lungo la fronte del giovane mentre, scioccato, cadeva a terra, prima di rialzarsi con tono a dir poco inferocito, ricordando a Ryo fin troppo bene, con quelle urla di rimprovero, la bella Kaori.

“MA TI SEI RINCRETINITO, PAPÀ? IO CON AMAYA NON FACCIO QUELLE COSE!”

Ryo gli si gettò addosso, tappandogli la bocca, controllò fuori dalla stanza, per vedere se per caso Kaori fosse accorsa alle grida di rabbia del giovane uomo, il suo prezioso tesorino, ma grazie al cielo era ancora sul tetto a stendere.

“Ma ti sei rincretinito, Hide?!” Ryo sibilò. “Vuoi che tua madre mi uccida? Per la miseria, che modi! Se continui così mi beccherò una martellata in testa di sicuro!”

Ryo si sedette, a gambe incrociate, sul tappeto colorato, mentre il figlio, imbarazzatissimo e con le gote velate da un leggero rossore, rimase alla sua scrivania, fuggendo lo sguardo del padre. Quando il silenzio e l’immobilità divennero troppo opprimenti, Ryo, sbuffando, alzò gli occhi al cielo.

“Dì un po’, ma almeno vi siete già baciati?”

Hide sospirò, e girò la sedia, incrociando il volto del padre; Ryo aveva un sorriso birichino, un po’ malizioso, allegro… non per la prima volta, Hide capì che suo padre non era come gli altri genitori.

Hide non rispose, ma prese a fissarsi i piedi rimanendo in silenzio.

Ryo non ebbe bisogno di ascoltare la risposta a voce del figlio- come con Kaori, con i suoi ragazzi non aveva bisogno di parole, per comunicare. I loro occhi, la loro mimica fisica diceva tutto, e anche di più.

L’uomo si alzò, ed andò ad appoggiarsi con la schiena contro il bordo della scrivania in vetro, e con un sorriso che lo fece sembrare felice e sollevato, sospirò, guardando fuori dalla finestra lo spettacolo che era Shinjuku, il quartiere che lui e Hideyuki Makimura avevano adottato come loro, difeso strenuamente e che adesso, tanti anni dopo, era finalmente vivibile, un luogo in cui non si aveva paura di crescere i propri figli.

Nonostante Kaori fosse strenuamente contraria a questo suo vizio, Ryo si accese una sigaretta, offrendo il pacchetto al figlio che lo guardò di traverso, scuotendo il capo rispondendo silenziosamente con un misto di “no, grazie” e “ma sei scemo?”.

Accendendola con l’accendino di metallo regalatogli di Kaori quando appena si conoscevano, un anno per Natale, quando si era resa conto che tanto, quel vizio, lui non l’avrebbe mai preso, Ryo abbassò le spalle, noncurante.

Mentre inspirava il fumo, e lasciava che l’aroma ed il gusto della sigaretta gli entrassero dentro, permeando il suo intero essere,  lo sweeper prese a guardare come nel vuoto, mentre la sua memoria veniva invasa dai ricordi.

“Senti, Hide, lo so che con questa ragazza fai sul serio, e se vuoi un consiglio… non fare il cretino. Non rovinare il vostro primo bacio, ok? Di casini coi baci ne ho già fatti io con tua madre, e quelli bastano e avanzano per parecchie generazioni…” Ridacchiò, e fece un’altra tirata. “Ti ha mai raccontato del nostro primo bacio? Il nostro primo bacio vero, intendo, non quello che le ho dato sulla nave, con  un vetro che ci divideva… anche se devo dire che era stato molto romantico.” Peccato che poi Kaori avesse temporaneamente perso la memoria, e lui non avesse fatto nulla per fargliela tornare, preferendo comportarsi come il donnaiolo pervertito che era con il risultato che Kaori lui l’aveva quasi persa quando lei aveva ricordato quel gesto - al limite dello sdolcinato per uno come lui.

“Le avevo detto che ero innamorato di lei, ma non avevamo ancora fatto passi avanti, perché una vera relazione era una cosa nuova per tutti e due... sai, lei non aveva mai avuto un ragazzo, e io avevo sempre tenuto tutti gli spasimanti alla larga, ed io ero un donnaiolo impenitente che correva dietro a tutte le belle donne che incontrava.  Una sera  esco con Mick, e ci eravamo ubriacati fino allo svenimento…”

Si grattò il capo, vergognandosi un po’, sapendo che con quell’aneddoto non stava dando il buon esempio a suo figlio, ma tuttavia desideroso di condividere con qualcuno quel ricordo che gli scaldava sempre il cuore, e a cui tornava ogni volta che vedeva Kaori fare delle piccole cose. “Comunque, tuo zio se n’era tornato a casa con una ragazza, perché all’epoca lui e Kazue erano in pausa, sai che novità, io invece mi ero addormentato in un vicolo. Alle prime luci dell’alba, tua madre vede che non sono tornato a casa, ed immaginando cosa possa essere successo viene a cercarmi, e dove mi trova? Ma in quel vicolo, ovviamente, coricato su delle vecchie casse di birra vuote. Lei mi afferra, e mi rimprovera perché mi dice che, se dovesse capitare d’inverno, morirei assiderato… e io intanto facevo finta di dormire ancora, perché era così bello stare nelle sue braccia… e allora cosa faccio? La stringo e la bacio, un bel bacio alla francese, eh, mica robetta a stampo, dicendole a chiare lettere che l’amo. Solo che lei è così sotto shock, anche perché quello è il suo primo vero bacio, e rimane così, ferma, immobile come una statua. E lì, mi sono incazzato un po’, perché mi sono sentito ferito nel mio orgoglio di stallone, e cosa le dico appena mi stacco, mentre ficco la faccia tra quelle belle poppe? Ti amo, Saeko! Eh, tua madre si incazzò come una belva. Mi rifilò una martellata da 380 tonnellate, che ne ho avuto per tre giorni… solo che mentre se ne stava andando era così arrabbiata, e piangeva, e io, Hide, alle lacrime di tua madre non ho mai resistito, e così, insomma, sai com’è…”

A guardarla con la schiena curva e tesa che ne stava andando, a Ryo si spezzò il cuore, e si rese conto di aver fatto una vera carognata; la afferrò per il polso, prima che fosse troppo lontana, e la fece cadere nel suo grembo. Le sorrise, dolce, sfiorando quel delicato viso con la punta del naso.

“Dai, Kaori, guardami negli occhi…. Davvero credi che potrei baciare te e pensare ad un’altra donna?”

Lei si mise a piangere, ma Ryo capì subito che quelle erano le stesse lacrime che aveva versato nella radura, quando lui aveva confessato di voler vivere per lei. Insicura e un po’ impaurita, timida, lei gli mise le braccia al collo, sospirando. “Ti amo così tanto, Ryo… a volte mi sembra che il mio amore per te sia più grande perfino di me…”

Senza aggiungere altro, si chinò su di lei, e unì le loro bocche in un tenero bacio, delicato. Stavolta, Kaori non si lasciò intimorire, e stringendo Ryo a sé, approfondì il bacio, rispondendo al suo uomo con passione, sfiorando le labbra dello sweeper con la punta della lingua.

Sorridendole malizioso contro la bocca, Ryo non si fece ripetere due volte il silente invito della bella donna, e la strinse forte a sé, premendo il seno sodo contro il suo petto, avvertendo i capezzoli turgidi svettare sotto al sottile tessuto della vecchia maglietta, e mentre, ansimando, esplorava con la lingua la succulenta bocca della rossa, la fece sistemare a cavalcioni su di sé. Kaori avvertiva la pressione dell’erezione dell’uomo, e guidati dal desiderio e dall’istinto, dal loro amore travolgente, si mosse, entrambi coperti dagli abiti, su di lui, imitando l’atto sessuale, ansimando nella bocca di Ryo e, fradicia, con il tessuto delle mutandine che le entrava dentro, poteva avvertire il ruvido jeans sfregare contro la sua delicata pelle.

Avvertendo i suoi muscoli contrarsi, la donna capì che stava per avere un orgasmo, e soffocò il suo grido di piacere nella bocca dell’uomo, mordendogli il labbro con tale forza che poté saggiarne il sangue…

 

“No, papà, non lo so, e non voglio saperlo…” Hide sospirò, interrompendo quel delizioso ricordo che tanto Ryo amava e che non mancava mai di eccitarlo. Per arrivare poi al sodo ce ne avevano messo, avevano avuto i loro problemi, era stato frustrante, ma quel ricordo aveva mantenuta viva in lui la speranza- la certezza- di quanto in realtà lui e Kori fossero compatibili, sotto alle lenzuola (e non solo).

“Accidenti, come siamo pudici. Ma dì un po’ ragazzino, cosa credi, che tua madre ed io ti abbiamo avuto con l’inseminazione artificiale?” Ryo sbuffò, leggermente seccato, e fece per andarsene. Tuttavia, una volta giunto alla porta, si fermò, prese qualcosa dalla tasca dei pantaloni e lo tirò in testa al figlio, che, non appena si rese conto di cosa si trattasse, arrossì, e fu quasi tentato di tirarli dietro al padre, che stava bellamente sghignazzando  come un completo idiota.

Dei profilattici. Suo padre gli aveva tirato dei profilattici. Roba da non credere. Era decisamente un genitore sui generis.

Con un sorriso sghembo e da monello, Ryo si riaffacciò alla camera, facendo l’occhiolino al suo primogenito, che lo guardava furente, nemmeno avesse potuto staccargli la testa a morsi.

“Non fare tanto lo gnorri, che un giorno e l’altro ti serviranno, con la tua bella… guarda solo di essere un gentiluomo, e sii preparato, che la mia bella Kaori ed io siamo troppo belli e giovani per fare i nonni, eh sì!”

Scoppiando a ridere, non si accorse del dizionario di Tedesco che il figlio gli lanciò, colpendolo in pieno viso, causandogli un dolorosissimo déjà-vu.

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Capitolo 5
*** Metti un giorno, d'inverno... ***


Buona parte degli eventi di questa storia sono altamente ispirati a fatti ahimè reali. A voi lettori imamginare cosa sia vero e cosa sia stato inserito per rendere il racconto in chiave city hunter...

Quel grigio pomeriggio, un folto manto nevoso copriva la città di Tokyo; i treni erano i ritardo, il traffico era in tilt, e la gente, ammassata per strada vestita pesantemente, annaspava in venticinque centimetri di poltiglia bianca, portandosi i bambini sulle spalle.

Kaori, incinta di otto mesi, due settimane e 3 giorni, era arrivata in Ospedale alle otto e trenta del mattino, quando, mentre stirava, le si erano rotte le acque; il riscaldamento in casa era rotto, non riusciva a spegnere i termosifoni né ad abbassarli, e perciò aveva stirato con una maglietta corta che le tirava sulla pancia, e quando aveva avvertito la sensazione di umidità sui piedi, era rimasta talmente stupita che il ferro le era scappato di mano e le aveva lasciato una bella striatura rossastra di piccole bolle proprio sul ventre.

Sospirando, aveva guardato verso la porta della loro camera da letto; Ryo non c’era, era via per un lavoro con Falcon, un lavoro offerto da un ricco magnate che aveva richiesto la loro protezione, e Kaori sapeva che, non fosse stato per quella gravidanza che avevano ricercato dalla nascita di Hide senza successo e che aveva prosciugato i loro risparmi con i tentativi fallimentari della fertilizzazione in vitro, Ryo quel lavoro non lo avrebbe mai accettato, perché, se c’era una cosa che l’uomo odiava di più che lavorare per gli uomini, era lavorare per ricchi snob, uomini o donne che fossero.

Si vestì, mettendosi l’impermeabile, raccolse la borsa che aveva già preparato e con passo deciso andò a bussare all’appartamento proprio davanti alo loro, dall’altra parte della strada; Mick, spettinato, con due occhiaie profonde come gli abissi, vestito solo con boxer ed una canottiera, le aprì la porta sbadigliando, grattandosi un’ascella- decisamente non l’immagine del galantuomo affascinante che di solito dava.

“Porca miseria, donna, ma lo sai che ore sono?” Le disse, o almeno così Kaori comprese, dato che nella frase aveva messo più sbadigli che parole.

“Sono quasi le nove, e ho bisogno che tu mi orti in ospedale perché mi si sono rotte le acque, ma tranquillo, non mi sono ancora iniziate le contrazioni, o comunque sono debolissime, quindi abbiamo tempo. Ah, appena arriviamo in ospedale potresti telefonare a Ryo? Grazie mille!”

Senza nemmeno aspettare risposta, afferrò le chiavi della macchina che Mick teneva sul comò dell’ingresso, e scese in garage con totale nonchalance, mentre lo sweeper, solo in quel momento afferrando cosa stesse succedendo effettivamente.

Kaori stava per partorire e Ryo era via.

Buttando giù un sorso di caffè, afferrò i vestiti e si vestì mentre scendeva le scale, e quando trovò la macchina già in moto e calda, fu grato all’amica; partì sulla sua Jeep- acquistata su consiglio di Umi, che gli aveva detto che in inverno ne sarebbe stato felice- ed ingranò la marcia, diretto all’ospedale, e, per un tragitto di normalmente quindici minuti, ci mise il triplo del tempo necessario. Lanciava ogni tanto occhiate a Kaori, la vedeva mordersi il labbro tremante, e fingere che andasse tutto bene, ma sapeva che era nervosa, preoccupata, spaventata e forse aveva pure male.

E Ryo non c’era.

Appena arrivarono, la lasciò nelle mani del suoi dottori, e poi corse a chiamare Ryo al telefono che aveva in macchina; provò anche la trasmittente di Umi, ma nulla; intanto, una dottoressa era entrata nella stanza di Kaori, e le aveva fatto sollevare la maglia. La stava visitando quando si rese conto di quella strana striscia, e le lanciò un’occhiata severa. Kaori arrossì, e sentì il bisogno di nascondersi.

“Avevo caldo e stiravo solo con una maglietta….” Ammise, mettendo il broncio come una bambina, mentre la dottoressa la tastava e la controllava, sollevandole capo dopo capo di abbigliamento.

Bussarono alla porta, e Mick si limitò a mettere la testa dentro per riferire il messaggio; aveva trovato Ryo, chiamandolo al fisso della casa dove lavoravano, e il fraterno amico lo aveva rassicurato che sarebbe partito subito, e che sperava di arrivare in tempo.  ATA: due ore circa. La dottoressa fece cenno di sì col capo, rassicurando Kaori che il marito sarebbe arrivato in tempo per vedere la nascita del loro bambino, di cui, stavolta, non conoscevano il sesso…

 

Nella grande ed imponente villa, Ryo e Falcon stavano percorrendo il maestoso viale di ingresso, diretti verso la dependance dove avevano nascosto la Mini. Ryo si stava fumando la settima sigaretta in quindici minuti, e Falcon se la stava ridendo della grossa, andandoci giù pesante di pivello come mai prima di allora.

“Senti, ammasso di muscoli senza cervello e dalla crapa pelata, uno di questi giorni anche tu e la tua bella vi ritroverete ad avere a che fare con la nascita di un bambino, e voglio vedere proprio come ti comporterai, va bene?”  Ryo gli strillò in faccia, sputacchiando.

Falcon però non reagì a quelle battutine, e incrociando le braccia riprese a camminare come se nulla fosse,  fino a che….

MIAO! MIAO! BRRR….. EU, EU, EU, MIAO!

La montagna d’uomo si immobilizzò sul posto, e sudando come se ci fossero stati quaranta gradi e non zero, rigido, prese a camminare lentamente all’indietro, mentre, da un cespuglio spinoso, due gemme verdi luminose si avvicinavano lentamente agli sweeper…

MIAO! MIAO! BRRR….. EU, EU, EU, MIAO!

Appena il pelo bianco del gattino prese a risplendere sotto alla neve, Falcon, in preda al terrore più acuto, si voltò, e corse in direzione della casa, mentre Ryo lo seguiva piuttosto nervoso, col gattino che gli si strusciava addosso. La  storia della fobia dei gatti era stata divertente fino ad un certo punto, adesso stava diventando ridicola ed anche un problema: era meglio che il suo amico andasse in terapia per capire la radice del problema, perché la cosa stava degenerando e iniziava anche a dargli problemi sul lavoro.

L’ex mercenario stava sbattendo i pugno contro la porta di legno, così nervoso che si era dimenticato del campanello, quando, dalla finestra, si affacciò la domestica, che li guardò spaventata e nervosa.

“Oh mio dio, siete ancora qui! Credevo ve ne foste andati, e… e li ho liberati!” Si guardò intorno con concitazione e fischiò,. Una, due, tre volte, senza alcuna risposta. Poi, nell’aria si avvertì qualcosa di elettrico…. Un suono sommesso, basso, e dall’angolo, arrivarono loro quattro, con i loro otto occhi che risplendevano rossi, assetati di sangue, le narici gonfie che fumavano, lo sguardo deciso, le mascelle serrate mentre loro quattro erano pronti a colpire, decisi e determinati, freddi come solo loro, killer naturali, potevano essere.

 Si chiamavano Athos, Porthos, Aramis e D’artagan, come i moschettieri.

I quattro letali doberman del loro datore di lavoro, che più volte avevano rischiato la gogna per aver quasi ammazzato dei ladri.

E adesso, avevano deciso chi dovesse essere il loro spuntino: loro.

Ryo e Falcon presero a scappare- soprattutto Falcon, perché il gattino non la voleva smettere di trottare al loro fianco, visto che con i quattro era cresciuto e tra di loro c’era un ottimo rapporto. Le creature infernali, nate sicuramente dalla mente di un essere malato, li seguirono, senza mai perdere il passo, muovendosi come un branco per annientare la loro preda.

E poi, un albero, una quercia imponente nel bel mezzo del giardino.

I due uomini riuscirono a malapena ad arrampicarsi, anzi, a Ryo, Athos riuscì pure a prendere una scarpa, che masticò come se fosse stata un pezzetto di gomma da masticare, mentre li guardava come a dire: questo è solo l’inizio, prima o poi dovrai scendere e vedrai come ti riduco le ossa, umano…

Per tutto il tempo, Falcon tremò, col gatto che si strusciava contro la sua guancia da una parte, e Ryo che gli puntava la Python sotto al mento dell’altra, urlandogli che era colpa, sua, che si stava perdendo la nascita di suo figlio, e che adesso sarebbe andato in terapia per risolvere la questione dei gatti.

Preso tra l’incudine ed il martello- anzi, tra il gatto e la Python- dispiaciuto più per la povera Kaori che era sola che per Ryo, che tanto sarebbe rimasto in sala d’aspetto onde evitare di svenire pure stavolta, Umibozu acconsentì, a malincuore, a fare quel tentativo. Tanto, cosa aveva da perdere?

 

“Dove diavolo si è cacciato quel cretino? Io lo uccido! Lui non mi toccherà mai più, giuro su dio che il glielo taglio quel suo maledetto amichetto!”  Dentro alla stanza, Kaori urlava, stringendo i denti. Erano passate quattro ore da quando era arrivata in ospedale, Ryo non era arrivato e adesso aveva male e sapeva che la colpa era tutta di quel maniaco che l’aveva convinta a donargli la sua verginità.

La cosa andò avanti per un'altra oretta, Mick continuava ad andare avanti e indietro nella saletta, ogni tanto andava sul terrazzino fumando come una ciminiera, Ryo non era arrivato, e adesso le linee telefoniche erano in tilt quindi chissà quando sarebbe arrivato.

E intanto, Kaori, gridava, e piangeva, e si disperava, alternando rabbia ad odio a paura e preoccupazione, soprattutto per l’emerito imbecille che aveva sposato.

Un’altra ora. Altri due futuri padri erano arrivati portando le loro compagne, e la dottoressa aveva detto a Mick che ormai c’erano quasi. C’era qualcos’altro, ma non volle, o forse non poté, dirgli nulla: ma quella donna, era preoccupata. La sua esperienza era però papabile, nell’aura come nelle rughe che correvano sul suo volto, simbolo di anni passati a fare quel lavoro.

Kaori urlò, e la donna fece un piccolo inchino, prima di tornare dalla sua protetta, aveva appena oltrepassato la soglia che le porte automatiche si aprirono, facendo entrare una corrente d’aria fredda, e Ryo, bagnato fradicio, incazzato nero e senza una scarpa ed i pantaloni strappati in più punti, fece il suo ben poco trionfale ingresso, terrorizzando gli altri due futuri padri.

“Mapperò. Ce ne hai messo di tempo ad arrivare. Sei venuto fin qui a piedi?” Mick scherzò, togliendo dalla criniera nera un paio di rametti secchi. 

“Questo emerito imbecille- disse indicando Falcon, che si fece piccolo ed arrossì, imbarazzato, sbraitando a denti stretti- si è spaventato di un cucciolo, e così è corso dritto nelle fauci di quattro doberman inferociti he ci hanno azzannato! Siamo dovuti scappare su un albero perché alla governante non ascoltano, e abbiamo passato tre dannate ore lì sopra, al freddo, a congelarci, aspettando che il padrone tornasse e sono quasi caduto nelle grinfie di quei mostri famelici perché quel dannato gattino faceva LE FUSA a questo idiota!”

Ryo si sedette, desiderando come non mai di poter fumare, senza ascoltare le scuse del compare, senza sapere cosa stava accadendo dentro alla stanza della sua Kaori.

 

Erano ormai dieci minuti buoni che Kaori, ormai dilatata del tutto, spingeva, ma non succedeva nulla: il suo bambino non sembrava voler uscire. La dottoressa ascoltò il monitor, e sospirò dietro alla mascherina chirurgica, preoccupata. Si chinò nuovamente sulla paziente, esaminandola, e vide la testolina del neonato: tuttavia, non sembrava volerne sapere di uscire, era come se qualcosa la trattenesse all’interno del corpo della madre contro la sua volontà.

Controllò la cartella clinica, poi di nuovo la madre, e nella sala, solo i sospiri ansanti di Kaori ed il battito sul monitor potevano essere uditi.

“Kaori, ascolta…” sospirò, passandosi l’avambraccio guantato sulla madida fronte. “Il tuo bambino è molto piccolo… sta cercando di nascere, ma il cordone si è attorcigliato intorno al collo, quindi, tutte le volte che spingi, il cordone si stringe e lo riporta nell’utero, e più a lungo la cosa va avanti, più pericoloso è, lo capisci?”

Con le lacrime negli occhi e la morte nel cuore, Kaori annuì.

“Prima di chiamare l’anestesista per il cesareo, voglio tentare una cosa, ma solo se ti fidi di me e se pensi di riuscire a non spingere alla prossima contrazione, va bene?”

La rossa annuì, incapace di smettere di singhiozzare, temendo che a quella creatura tanto desiderata  potesse capitare l’impensabile.

C’era una parola per chi perdeva un genitore, il compagno, ma nella cultura moderna, per un figlio, no.

La contrazione arrivò, Kaori spinse e poi trattenne la spinta, i muscoli tesi come corde di violino. Guardò la dottoressa tra le sue gambe, e nei suoi occhiali vide la scena.. ciuffetti scuri che spuntavano, seguiti da una testolina minuscola (più piccola di quella di Hide, che pesava quasi cinque chili alla nascita)… il volto scuro, non solo per il liquido amniotico, le labbra violacee… il cordone ombelicale avvolto intorno al sottilissimo collo.

Si fece forza, perché se avesse pianto, sarebbe stata la fine.

“Lama da 17,” disse con tranquillità la donna, tuttavia, Kaori sapeva essere tutta una finta. Era tesa, nonostante le sue mani fossero ferme.

E poi, accadde: lo vide, il bisturi avvicinarsi al cordone, tranciato di netto mentre era ancora avvolto intorno al collo del suo bambino, fu tutto rapido e veloce, il taglio, il sangue che colpiva gli occhiali della donna, che mise un dito guantato nella piccola bocca, e poi, il grido.

Suo figlio aveva solo la testa fuori, eppure, già piangeva. Già respirava con i suoi polmoni.

La donna, sorrise, con le lacrime agli occhi, mentre Kaori singhiozzava di felicità.

“E adesso, Kaori… spingi!”

 

“È una deliziosa bambina!” I futuri padri si voltarono verso l’infermiera che aveva appena parlato con voce squillante; erano stati così preoccupati e tesi, che non avevano idea da quale delle tre stanze fosse uscita. “Shan In, chi è il papà di Shan In?”

Tutti e tre gli uomini si guardarono confusi, grattandosi il capo. Nessuno di loro aveva discusso di quel nome con la propria compagna.

“Saeba!” Sbattè i piedi, infervorata, esasperata. “Shan In Saeba!”

“Saeba? Siamo Noi! Cioè, sono io!” Ryo, tra gli sguardi compiaciuti e divertiti  degli amici, corse all’interno della stanza a perdifiato, quasi sbandando ed andando contro il muro. Poi, la vide, addormentata nel letto, pallida, ma che sembrava una regina, la sua Kaori.

Prese dalla culla la figlia, piccola e delicata e con i colori della madre, e le diede un bacio sulla fronte, prima di sedersi accanto alla sua sposa.

Finalmente, era a casa.

Finalmente, era tutto perfetto.

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Capitolo 6
*** drabble ***


La gente gli chiede spesso quando si sono innamorati. Ryo non sa dire come e quando è successo, ma gli piace pensare che non sia avvenuto nei momenti epici, tra la vita e la morte, ma nelle piccole cose, quando cucinava per lui con un sorriso, gli stirava le maglie… ad attrarlo non è stato tanto il corpo fasciato nelle tutine, quanto le guance arrossate mentre si sistema i capelli.

La raggiunge dal lavello, e mentre posa una mano sul ventre e bacia il collo, Ryo inspira il suo profumo.

Tutti i giorni si innamora un po’ di più di Kaori.

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Capitolo 7
*** drabble 2/foto ***


Kaori ha una vecchia polaroid.

 Fin da quando ha visto Ryo per la prima volta, a sedici anni, la usa per fotografarlo, spesso e volentieri di nascosto oppure all’improvviso Ha decine di foto sue, forse centinaia, perché continua a fotografarlo, quasi fossilizzare su pellicola l’immagine di lui le possa permettere di rendere più reale e duratura la presenza dell’uomo nella sua vita.

Non lo vede mai fare foto a lei, però. Non si indigna, si limita a scrollare le spalle, senza sapere che ogni sera,  prima di coricarsi, lui da un bacio al quadrato di carta lucida: lei che dorme nel letto del compagno, dopo che hanno fatto l’amore per la prima volta.

 

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Capitolo 8
*** Flashback ***


La sua sorellina stava arrivando. Salutandola con la mano, Hideyuki si voltò verso Ryo, che stava finendo di fumarsi una sigaretta con un sorriso sbruffone stampato sul volto. Stava guardando Kaori correre verso di loro, col sorriso sulle labbra, ed un’espressione che l’ex poliziotto avrebbe potuto solo descrivere come enigmatica.

“Vieni a cena da noi, stasera? Kaori ci sa fare ai fornelli!” Gli domandò all’improvviso, incuriosito dallo strano comportamento del socio. Da quando aveva riportato a casa Kaori quella sera di cinque giorni prima, aveva preso a comportarsi in modo strano. In tre anni, Ryo non aveva mai espresso la volontà di incontrare Kaori, e anzi, forse per quello che lui gli aveva detto, aveva sempre fatto in modo di evitarla come la peste. 

Adesso, nel giro di cinque giorni, tutte le volte che lui era con Kaori, si trovavano sempre Ryo tra i piedi. 

“Solo se avete qualcosa contro l’acidità di stomaco!” Ryo gli rispose, alzando il pollice in aria, e facendo l’occhiolino. Kaori arrossì, gli occhi le si scurirono mentre la rabbia le montava dentro, e lo colpì in pieno volto senza pensarci due volte. 

“Hai solo da tenere la bocca chiusa e non ce ne sarà bisogno!” Lo punzecchiò, petulante come una ragazzina ben più giovane dei suoi vent’anni. Ryo prese a lamentarsi e domandare una pomata per evitare che gli si formasse un livido che avrebbe solo finito per rovinare  il suo bel viso, ed intanto Hideyuki prese a sgridare la sorella minore. Kaori aveva abbassato lo sguardo, si stava fissando i piedi, con le guance arrossate per l’imbarazzo, ed intanto continuava a dirgli che la colpa era di Ryo, che era stato Ryo a cominciare…

Ryo, Ryo, Ryo…

L’ex poliziotto, divenuto sweeper, sbuffò, alzando gli occhi al cielo, mentre guardava nascostamente il migliore amico e la sorella. 

Non gliela raccontavano giusta. 

Dubitava che, per quanto Ryo fosse scapestrato, qualcosa fosse capitato tra lui e Kaori; lei non era quel tipo di ragazza che si concedeva facilmente, e Ryo non si comportava con lei come faceva con tutte le altre sue “conquiste” o con quelle che desiderava ardentemente portarsi a letto. Si comportava quasi come....

Come un bambino che, non avendo il coraggio di dire alla bella bambina che gli piace, le fa una marea di scherzi. 

E anche Kaori, sembrava quasi desiderare l’attenzione dell’altra metà di City Hunter, dimostrandogli il suo interesse con quel suo modo manesco. 

Fece un sorrisetto mentre, nella tasca, sentiva il peso della pistola che Ryo gli aveva dato per l’incontro di quella sera al Silky Club: non sapeva il come e perché, ma c’era qualcosa nel modo in cui Ryo e Kaori si punzecchiavano che gli metteva come tenerezza ed anche allegria. 

Gli infondeva speranza: sapeva che se gli fosse capitato qualcosa, Ryo si sarebbe preso cura della sua sorellina.

“Kaori, dovresti comportarti un po’ meglio con Ryo, come una ragazza!” Le disse, stropicciandole il ciuffo ribelle quasi fosse stata ancora una bambina, e dandole un bacio sulla fronte, che la mise in imbarazzo. “Non si sa mai, magari un giorno essere stata gentile con lui potrebbe tornarti utile!”

“Io? Ma se è solo colpa sua!” Sbuffò lei, arrossendo ancora di più. E mentre si allontanavano per prendere un caffè in santa pace, il braccio del giovane uomo intorno alla spalla della sorella, il ragazzo scosse il capo, immaginando che le cose non sarebbero mai cambiate: quei due, avevano una bella testa dura.

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