Sex Ed di Little Firestar84 (/viewuser.php?uid=50933)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hide ***
Capitolo 2: *** Shan ***
Capitolo 3: *** Mick, Kazue & Sayuri ***
Capitolo 4: *** My First Kiss (went a little like this) ***
Capitolo 5: *** Metti un giorno, d'inverno... ***
Capitolo 6: *** drabble ***
Capitolo 7: *** drabble 2/foto ***
Capitolo 8: *** Flashback ***
Capitolo 1 *** Hide ***
Le cose strane a cui si pensa mentre si fanno le pulizie... una storiella breve senza troppe pretese, su amore, sesso e famiglia...
“Ryo Saeba! Non hai nulla da dire a tuo figlio?!” Ryo, con una fetta di toast in bocca, alzò lo sguardo dal giornale e fissò la donna che era sua compagnia da oltre sedici anni sbattendo le palpebre più volte; aveva sentito il suo urlo collerico, aveva sentito il Saeba, ed aveva temuto di averne combinata un’altra delle sue o di aver guardato troppo intensamente una bella donna. Ma la martellata punitiva non solo non era arrivata, ma si era poi reso conto che lei aveva urlato contro l’unica creatura sulla faccia della Terra che non aveva mai prima di allora attirato le sue ire e le sue punizioni divine.
Saeba, sì, ma non Ryo: Hideyuki.
Altresì detto il loro figlio sedicenne.
Kaori aveva stravisto per il piccolo Hide dal momento che era nato: non era solo il fatto che fosse sua madre, ma anche sì, perché lei lo trovava adorabile, e con il bambino era stata dolcissima, così tanto che aveva perfino fatto venire le lacrime agli occhi a Ryo. Hide era una copia in miniatura del padre, capelli ribelli neri e occhi scuri come la notte, e lei aveva deciso di riversare su quel “Piccolo Ryo” tutto l’amore di cui il padre era stato privato crescendo.
E poi, era sensibile, intelligente, discreto, scrupoloso e affabile, tutte qualità che, se non al massimo nel campo lavorativo, nessuno di loro possedeva (se non Kaori la sensibilità, ma solo con chi diceva lei), e che davvero non capivano da dove le avesse tirate fuori.
Quindi, no, in sedici anni Kaori non si era mai arrabbiata con suo figlio.
Anche se, a dirla tutta, quella era la prima volta che trovava quel genere di roba nella stanza del suo bambino.
“Sì, allora, quale sarebbe il problema?” Ryo sbatté di nuovo le palpebre alla visione del “pacco” che lei gli aveva messo sotto al naso, e che davvero, non capiva esattamente come potesse creare delle difficoltà- non sarebbe stata né la prima né l’ultima madre a trovare cose del genere nella stanza del figlio...
“Come qual’è il problema? Tuo figlio tiene in camera riviste porno, profilattici e libri sul sesso e non ti sembra un problema?”
“Veramente,” continuò lui in tutta tranquillità, sorseggiando il caffè come se avessero discusso del sole e non del fatto che il sangue del loro sangue pensava al sesso e non era più il loro adorabile bambino, e magari il sesso lo praticava pure. “Quella è tutta roba che gli ho dato io.”
“Tu...Tu…” Kaori cadde sulle ginocchia, balbettando, poi però la portata dell’affermazione del compagno la colpì in pieno petto, e si alzò, tuonando con la forza di un vulcano, sovrastando con uno dei suoi martelli micidiali. “Tu, lurido porco pervertito, vergogna della nazione, vuoi trasformare mio figlio nel nuovo stallone di Shinjuku!”
Provò a colpirlo, ma lo mancò - Ryo era diventato bravo ad evitare le martellate, specie quando sapeva di non essere nel torto, ovvero la maggior parte delle volte.
“Senti, Kaori, a parte che educazione sessuale la fanno pure a scuola, ma poi, cosa vuoi fare, nascondere la testa sotto alla sabbia? Hide ha quasi diciassette anni. I ragazzi della sua età pensano al sesso. Spesso e volentieri lo fanno. E spesso e volentieri non sanno cosa stanno facendo, il perchè, o come comportarsi, e te lo dice uno con cognizione di causa. Quindi, cosa preferisci: che impari del sesso parlandone con gli adulti, o che ne abbia una visione malata data dai porno e dai racconti di altri ragazzini che vogliono solo farsi belli?”
Kaori, piagnucolando, si sedette sulla sedia davanti a Ryo, con le mani in grembo. “Però… sembra ieri che lo pettinavo per andare a scuola…”
Ryo allungò la mano, e prese ad accarezzare la pelle della compagna; Kaori aveva ormai quarantaquattro anni, ma la sua pelle era morbida e profumata esattamente come il primo giorno che l’aveva incontrata quasi trent’anni prima, e dimostrava quasi dieci anni di meno di quelli che aveva; anche lui, che aveva superato la cinquantina, e che aveva dovuto ammettere di non essere più un giovanotto di vent’anni, non se la cavava malaccio: era ancora in forma, aveva ancora una buona vista, poche rughe- ma che secondo la sua donna lo rendevano ancora più affascinante- e nemmeno un capello grigio. Chiunque fossero stati i suoi genitori, li ringraziava per quei geni meravigliosi che gli avevano trasmesso.
“Sugar, a parte che puoi stare tranquilla perchè due profilattici gli ho dato dei miei, e due ancora ne ha… guarda che lo so che ti fa strano pensare ad Hide che è grande e fa sesso, ma non pensi che sia più normale e sano un adolescente che lo fa, in modo sano, sicuro e protetto, rispetto a come eravamo noi?” Entrambi sospirarono, ripensando ai loro passati…
Ryo, che la verginità all’età del figlio l’aveva già persa da un bel po’ e con una donna che aveva il doppio dei suoi anni quasi, che ci provava con tutte, che se la spassava (grazie al cielo sempre fuori casa) con delle sciacquette, che passava il tempo a sbavare dietro ai porno, che importunava il 99,9% delle donne che incontrava.
Kaori, che non aveva avuto modelli femminili, che era stata cresciuta credendo che il sesso fosse solo sporco e perverso, che aveva perso la verginità a quasi trent’anni con il suo compagno di vita, ma che era così tonta in materia che non aveva mai percepito tutti i segnali che lui le aveva mandato negli anni.
Ricordavano ancora quando si era trattato di, finalmente, coronare la loro relazione portandola sul piano fisico: erano stati timidi, insicuri, lei aveva avuto paura di deluderlo, lui aveva avuto paura di farle male e di non sapersi controllare, con il risultato che erano stati tesi come dei tronchi d’albero, lei non aveva provato piacere, anzi, solo dolore, lui aveva perso l’erezione, e si erano poi evitati per settimane.
Settimane.
Poi però il loro sentimento aveva avuto la meglio, avevano sentito la mancanza l’uno dell’altra, ed avevano deciso di riprovarci, ma i risultati erano sempre stati gli stessi, ogni sacrosanta volta, e se prima avevano dormito insieme ma dandosi le spalle, adesso erano tornati a dormire separati tanta era la sofferenza per la loro situazione.
Erano dovuti ricorrere alla terapia per poterne uscire, ed il responso degli specialisti che avevano visto era stato unanime: vaginismo di natura psicologica.
Ci avevano impiegato parecchio tempo per superare quella difficoltà, ma alla fine avevano raggiunto un’intesa sotto alle lenzuola pari solo a quella che avevano sul campo di battaglia.
Kaori sospirò, rassegnata. Immaginò che Ryo avesse ragione: doveva accettare che suo figlio fosse grande, e che provasse interesse e desiderio per l’altro sesso (specie, con tutta probabilità, per una sua coetanea dai capelli neri e gli occhi azzurri, nippo-americana, che viveva proprio davanti a loro).
D'altronde, pure io alla sua età, quando ho incontrato Ryo, mi ero così emozionata… e… e mi ero fatta anch’io le mie fantasie… e chissà, se fossi stata un po’ più grande… e lui non fosse stato un così grande donnaiolo… magari lui… ed io… noi...
“Ma guarda un po’, la mia ragazza fa dei pensieri sozzi… scommetto che pensi a me quando ero quel gran bel ragazzo di vent’anni che hai incontrato quando andavi al liceo!” Le sorrise sornione attraverso il tavolo, facendole l’occhiolino, e Kaori arrossì. Senza tergiversare, lo sweeper afferrò i due profilattici sul tavolo e si caricò la bella compagna in spalle, come un novello cavernicolo, e con maestose falcate, percorse le scale tre scalini alla volta.
“Ma, Ryo!” Squittì lei, ridendo.
“Oh, senti, tutto questo parlare di sesso mi ha messo voglia, e poi…” arrivato davanti alla porta della loro stanza, si fermò, leggermente imbarazzato ed arrossì, mettendola giù. “E poi, mi è venuto in mente quanto era stato bello stringerti tra le braccia, con il tuo seno premuto contro il mio petto, e poi.. e poi appena hai urlato Hide è scappato ai cento all’ora da Amaya, e ho pensato che, potremmo approfittarne per farci un po’ di coccole… a malapena riusciamo a rubarci qualche minuto per noi, e poi dobbiamo sempre stare zitti e fare piano e…”
Non finì la frase, che lei gli diede un bacio veloce sulle labbra, prima di dargli le spalle ed entrare in camera da letto.
Perdendo, ad ogni passo, un articolo di vestiario.
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Capitolo 2 *** Shan ***
A grande richiesta, una sorta di "seguito"... Ryo, sempre prese, ma alle prese con la secondogenita, Shan, e le sue turbe ormonali...
Mentre tornava a casa dopo aver - brillantemente, a suo dire - risolto l’ennesimo caso, gli occhi di Ryo ricaddero su una piccola utilitaria, recente, parcheggiata sotto al suo palazzo; sorrise un po’ malinconico alla vista dei vetri appannati e delle sagome degli occupanti del veicolo, chiaramente affaccendati in un amplesso amoroso di qualche tipo.
Ah, che ricordi! La mente ogni tanto gli tornava ai tempi in cui era stato quello che lui definiva “un giovane stallone di vent’anni”, tempi in cui la Mini di cose ne aveva viste succedere, con la sua bella Kaori, soprattutto quando avevano ingranato!
Con un sorriso strafottente, Ryo si avvicinò alla portiera del veicolo per dare una sbirciatina - certe ossessioni non gli erano ancora passate- e picchiettò sul vetro.
“Ehi, ragazzi, guardate che c’è un love hotel qui vicino, vi conviene andare a prendervi una stanza se non volete essere disturbati!”
Ryo, da quella intrusione, si era aspettato due possibili risultati: che gli occupanti della macchina lo mandassero a quel paese, o che accendessero il motore sgommando via il più veloce della luce.
Scelsero la terza opzione: rimasero immobili all’interno del veicolo.
Ryo alzò un sopracciglio, un po’ dispiaciuto di non aver potuto vedere quel piccante spettacolo dal vivo, ma scrollò le spalle e fece per andarsene quando però notò un piccolo particolare..
L’improvviso abbassamento di temperatura all’interno della macchina aveva reso nuovamente i vetri trasparenti, quell’alone di condensa era sparito e lo sweeper non potè che notare una capigliatura di capelli rossi mossi appartenente ad un elemento di sesso femminile che lui ben conosceva.
E se lei era lì, allora significava che....
Digrignando i denti, vedendo nero e rosso, Ryo sfoderò la sua fedele Python, compagna di tante avventure e che solo poche volte aveva mancato il bersaglio, e con un poderoso calcio spalancò la portiera della macchina, lasciando gli occupati, abbracciati, intimoriti e terrorizzati alla vista di quel demonio dagli occhi scuri.
“CORRI IMMEDIATAMENTE IN CAMERA TUA SHAN!” Urlò, impugnando la sua fedele arma. La ragazzina non se lo fece ripetere due volte, e scoppiando a piangere corse via, sfuggendo alle braccia del suo innamorato, che se ne stava appiccicato alla portiera chiusa, osservando Ryo ed attendendo una sua mossa, tremando come una foglia, improvvisamente rammentando tutte le gesta del mitico City Hunter quando si era trattato di salvare la sua compagna.
“Shin…” Ryo sospirò, rimettendo la pistola nella fondina; si chinò verso di lui, e gli diede uno scappellotto, senza però troppa convinzione. “Dì a tuo padre e tua madre che gli faccio una telefonata più tardi, va bene? Tu e la mia bambina dovete darvi una regolata!”
Shin si limitò a fare segno di sì, e Ryo, con le mani in tasca, sbatté la portiera- quasi facendola cadere - prima di tornare a casa, dove, ad aspettarlo, c’erano i singhiozzi sommessi di Shan che si stava confidando con la madre tra le lacrime.
Ryo si grattò il capo, sconsolato; Kaori, come minimo, gliene avrebbe dette quattro, ma a sua discolpa, quando aveva visto la sua bambina di soli diciassette anni intenta a pomiciare con il figlio adottivo del suo miglior nemico/amico, non ci aveva visto più… era stato più forte di lui, aveva dovuto fare quella scenata.
Hide aveva messo la testa fuori dalla sua camera, e osservava curioso lo sviluppo di quella intricata vicenda, mentre Kaori si limitò ad andargli incontro. Aveva lo sguardo severo e le braccia incrociate, e lo osservava come se fosse stata delusa dal suo comportamento.
“Ryo, vai immediatamente a chiedere scusa a tua figlia! L’hai fatta vergognare col suo ragazzo!”
Ragazzo? L’uomo ripeté, sbattendo le palpebre. Da quando Shin era il ragazzo della sua bambina? Pensava fossero solo amici!
Da quando la sua bambina aveva un ragazzo? Era davvero abbastanza grande da avere un ragazzo?
Digrignando i denti, gli occhi insanguinati da una furia accecante che gli bruciava dentro, Ryo marciò verso la cucina, dove Shan era seduta al tavolo, abbracciandosi le ginocchia. Guardandola torvo, lo sweeper si sedette a cavalcioni su una sedia, senza mai distogliere lo sguardo dalla carne della sua carne.
“Allora, signorina, hai qualcosa da dirmi?” Le disse, freddamente, col tono distaccato del tipico interrogatorio. “Da quando in qua ci interessano i ragazzi, eh? Sei troppo giovane per queste cose!”
Shan aprì e chiuse gli occhi, imbambolata, con un’espressione che aveva preso tale e quale dalla madre- d'altronde, se Hide era un mini-Ryo, lei era una Kaori con i capelli leggermente più lunghi e la carnagione un po’ più scura.
“Papà, va bene che ti dia fastidio che esco con Shin, però non puoi dirmi che non possono interessarmi i ragazzi,” Shan si lamentò, facendogli il broncio. “Mamma alla mia età era già innamorata persa di te!”
Dalla sala, giunse un rumore di vetri rotti, segno che Kaori aveva sentito tutto ed era stata messa in imbarazzo da quell’affermazione, che aveva stupito un po’ anche Ryo, lasciandolo senza parole.
Sì, era vero che quando aveva incontrato Kaori lei era un po’ più giovane della loro figlia, ma non gli era sembrato che fosse romanticamente interessata a lui- anche perchè lo aveva ritenuto un assassino a sangue freddo. Attratta? Forse sì, ma lui dopotutto era il primo uomo con cui non fosse imparentata con cui faceva più di due parole, ma… davvero si era già innamorata di lui all’epoca?
Era così… così dolce e romantico!
“Non è affatto vero! Io non mi sono innamorata a prima vista di tuo padre! Lui era un dongiovanni senza arte né parte!” la donna si infervorò, sbattendo i piedi. “Chi ti ha detto una tale assurdità?”
“Lo zio Mick e la zia Sayuri. Zio dice che sei stata tu a confessarglielo tanti anni fa, perché volevi che si mettesse il cuore in pace sul vostro amore.” Le rispose con pacata naturalezza. “Dice anche che eri così innamorata che ti sei, ehm, conservata per papà, anche se lui era… qual era la parola? Ah, sì: un lazzarone idiota. Ha detto proprio così: che ti chiamavano lo stallone perchè eri un lazzarone idiota che correva dietro tutte le donne tranne mamma, ma ti incavolavi di brutto quando qualcuno voleva uscire con lei, ed una volta un tizio voleva pure chiederle di sposarlo e tu hai fatto di tutto per ostacolarli, e anche quando lui ci ha provato con lei tu gli hai sparato, e zia Sayuri dice che eri terrorizzato all’idea che mamma scoprisse che erano sorelle e se ne andasse a New York con lei.”
Ryo sbatté il pugno sul tavolo, che fece un sinistro rumore scricchiolando. “Quel.. quel… quel cretino ossigenato, come si è permesso di parlare di certe cose con la mia bambina? Shan, ci ha forse… insomma, ci ha provato con te?”
Shan alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Papà, guarda che a scuola facciamo educazione sessuale, non c’è bisogno che cammini sulle uova. Lo so cos’è il sesso. E comunque Zio Mick non mi ha detto niente che non abbiano già raccontato Reika e Saeko… io ho la collezione completa dei romanzi di Urban Hunter, e me lo hanno detto che i protagonisti siete tu e la mamma… il donnaiolo Ryoichi e la bella Katarina che finiscono con l’innamorarsi anche se lui non smette di correre dietro a tutte le belle donne che vede.”
Ryo rimase a bocca aperta, la mandibola pressoché dislocata, mentre meditava di dirne quattro alle terribili sorelle, tutte e cinque, e di fare causa al ministero dell’istruzione per aver irretito la sua adorabile bambina!
Sbuffò. Ma le ragazze non potevano essere tutte come Kaori, che aveva aspettato quasi i trent’anni per fare sesso?
“...e comunque, sei un maschilista che usa due pesi e due misure solo perchè sono una ragazza. Amaya dice che ad Hide davi consigli alla mia età, e a me invece mi vuoi chiudere in camera mia fino ai vent’anni!” La ragazzina lo guardò dall’alto in basso, altezzosa e fiera, la fotocopia di Kaori.
“Non ho mai parlato di vent’anni! Tu uscirai con un ragazzo quando lo sposerai, e solo dopo il matrimonio ti permetterò di fare… di… di dormire… di…”
“Guarda che so contare, papà! Lo so che Hide è nato quattro mesi dopo che tu e la mamma vi eravate sposati, quindi non venire a raccontarmi la storia del dover aspettare la prima notte di nozze per consumare!”
“Tua madre non era più una ragazzina quando è successo, era una donna adulta che ha riflettuto per bene prima di prendere una decisione così importante!”
Shan capì che urlare e mettere il muso non sarebbe servito; prese un profondo respiro, e si ricompose.
“Papà…” sospirò. “Senti, non sono una bambina. Le cose le so...le, ehm, basi biologiche la mamma me la spiegate con zia Kazue quando mi è venuto il ciclo la prima volta, e, e ho letto anche molto. So che ti è difficile accettarlo, ma io non sono più piccola, e, e tu mi dici sempre che sono molto più matura della mia età, e quindi, io penso di essere abbastanza grande da fare le mie scelte, no?”
“Shan…” Ryo le scompigliò i capelli, sorridendole. “Vedi, il fatto è che tu sei la mia bambina, e sei arrivata quando non ce lo aspettavamo più. Ti avevamo cercata per quasi due anni ma non era capitato, i dottori non capivano perché tua madre non rimanesse di nuovo incinta, facevamo tutto quello che ci dicevano… e poi abbiamo deciso di smettere di provare, ci eravamo rassegnati ed un bel giorno, quando non ce lo aspettavamo, cosa mi fa Kaori? Sta male preparando il caffè. E lì abbiamo capito che tu saresti entrata nella nostra vita. Ti abbiamo voluta tanto, Shan, e adesso, vederti aprire le ali… per certe cose un genitore non è mai pronto, sai?”
Si alzò, e le diede un bacio in fronte, come tante volte aveva fatto con la madre, e Shan, piagnucolando come una bambina, abbracciò forte il suo papà, che affondò il naso in quei capelli che profumavano come quelli della sua amata. Lentamente, si separarono, e Ryo andò sul tetto a fumarsi una sigaretta e contemplare la sua amata città; perso nelle sue elucubrazioni, a malapena si accorse della donna che lo raggiunse, abbracciandolo da dietro e posando il mento sulla sua spalla prima di lasciargli un bacio sulla guancia.
“Lo sai, se trent’anni fa mi avessero detto che ti avrei sposato e fatto due figli con te, non ci avrei mai creduto…”
“Eh, niente di personale, Kaori, ma io avrei dato del pazzo a chiunque mi avesse detto che mi sarei sposato, punto.” Le baciò i capelli, spegnendo nel posacenere la sigaretta. “Porca miseria, sembra ieri che io ero un giovane uomo di vent’anni e tu giocavi a fare la stalker con me, e guardaci adesso: un figlio di diciannove anni che vuole seguire le orme dello zio, ed una ragazzina di diciassette che vorrebbe fare la sweeper. E nessuno dei due single… e guarda, non so cosa sia peggio, che siamo quasi imparentati con quel rompiballe che ti girava sempre intorno o che lei invece sta con il figlio dello scimmione.”
“Oh, andiamo, lo sai che Mick non mi ronza più intorno da anni!” Kaori gli diede un leggero pizzicotto sulla guancia, sperando di metterlo di buon umore; stava davvero prendendo male il fatto che la loro piccola stesse crescendo e fosse abbastanza adulta da prendere le sue decisioni: Kaori si chiese se davvero fosse il fatto che uscisse col figlio di Umibozu a turbarlo, e non che Shan avesse più e più volte negli ultimi anni indicato di voler seguire le loro orme professionali - un campo in cui, effettivamente, era molto portata.
“Però un mezzo pensierino se l’è fatto dopo che ha divorziato da Kazue… e comunque, che sua moglie sia uguale a te ma coi capelli lunghi non è poi così rassicurante come cosa, eh...” Si imbronciò, facendo innervosire Kaori, che mise le mani ai fianchi. Certo, dopo il divorzio Mick era stato spesso da loro con la sua piccola, ma la coppia erano i suoi migliori amici. In più, Mick si era trovato dal giorno alla notte padre single che non sapeva cosa fare o come comportarsi, dopo che la moglie lo aveva lasciato per inseguire i sogni di carriera. Ma, ne era certa, non vi era malizia in quelle visite: lui era… non era nemmeno il suo migliore amico, lui era… la sua persona, il suo confidente.
E comunque, Mick si era poi risposato: un Natale era andato a festeggiare a casa loro, ed aveva incontrato tra gli ospiti quella che sarebbe poi divenuta la sua seconda moglie, ed era stato un colpo di fulmine per entrambi: Sayuri, la sorella maggiore di Kaori.
Prendendo il volto del marito tra le mani, lo fece voltare, e gli diede un appassionato bacio, preludio di bollenti momenti che avrebbero passato insieme una volta usciti i ragazzi.
“Oh, andiamo Ryo, guarda il lato positivo, sono passati trent’anni da quando ci siamo incontrati, ma tu sei come il vino, sei invecchiato molto bene!”
Dandogli un ultimo bacio, corse via, ridendo, e Ryo la seguì, camminando tranquillo e alzando gli occhi al cielo.
“Eh, Maki, Maki, Maki… scommetto che è la tua punizione divina, Shan che sta col figlio del polipone, come vendetta per aver irretito la tua sorellina… però, dai, guardaci: trent’anni, e ci amiamo ancora come il primo giorno!”
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Capitolo 3 *** Mick, Kazue & Sayuri ***
Appena varcò la
porta di casa, al ritorno da un caso in cui aveva assistito Ryo e che
lo aveva
tenuto lontano dai suoi cari per alcuni giorni, Mick fu colpito in
pieno petto
dallo straziante silenzio che aleggiava nell’aria; non
c’era il chiacchiericcio
insensato della sua neonata, né il suono dello stereo con la
musica jazz che
Kazue tanto amava o il televisore acceso.
Una luce, però, era
accesa, nella sala, una lampada che illuminava con il suo tenue
chiarore
l’ambiente, rendendolo quasi magico.
Un sorriso furbo si
dipinse sul volto dell’ancora affascinante americano, quando
immaginò che la
sua sposa avesse lasciato la loro bambina con gli amici per il fine
settimana
per poter stare finalmente soli, e rinnovare, tra le fresche lenzuola
di seta,
le loro promesse d’amore che si erano scambiati ormai da
quasi due anni.
Tuttavia, con ogni
passo che Mick Angel faceva, egli sentiva l’ansia salire, ed
un curioso senso
di oppressione, quasi terrore, si impadroniva del suo animo.
Quando vide le
valige, ordinatamente impilate di fianco alla poltrona, capì
che il suo istinto
di sweeper aveva avuto ragione.
Kazue non aveva
lasciato- a chi, poi- Amaya per poter stare un po’ sola con
lui in intimità.
Lo aveva fatto
perché, nel momento in cui lo avesse lasciato, non voleva
testimoni, né
qualcosa che le ricordasse il motivo per cui si erano scelti, tante e
tante
volte ancora.
“Quindi, è
così.”
Mick a fatica strinse i pugni, ancora doloranti dopo anni, e a denti
stretti
guardò il pavimento, rifiutandosi di incrociare lo sguardo
di quella donna che
stava rannicchiata sulla poltrona, a riccio. “E sentiamo, per
quale motivo mi
mandi fuori casa, eh? Non sarò la persona più
facile con cui vivere, Kazue, ma
ti sono sempre stato fedele, lo sai. E la cosa non mi è mai
pesata.”
“Non sei tu ad
andartene, Mick.” Lei sospirò, tra singhiozzi
sommessi, asciugandosi con la
manica le lacrime che le rigavano il bel volto. “Me ne vado
io.”
Gli occhi e la
bocca dell’uomo si spalancarono in un’espressione
di sorpresa; tuttavia, lo
aveva sempre saputo: Kazue
poteva
benissimo fare meglio di lui, meritava molto meglio di un handicappato
ex
tossico e, sì, lo aveva capito già da tempo: lui
era solo un rimpiazzo per quel
grande amore ormai defunto da anni, e, chissà, forse anche
per Ryo, che l’aveva
un tempo desiderata nel corpo, ma mai nell’anima, mentre lei,
sì, lo aveva
amato davvero, rinunciando allo sweeper solamente quando aveva compreso
che,
ormai, nonostante la riluttanza dell’uomo, lui apparteneva a
Kaori sola.
Per Mick, invece,
era stato diverso: aveva amato la dedizione, il coraggio di quella
donna, e la
pace che lei gli donava. Eppure, non era bastato. Aveva capito da tempo
che le
cose non andavano come dovevano, ma pensava fosse un po’ di
crisi del settimo anno
giunta in anticipo; e comunque, avevano avuto Amaya, ed era certo che,
se non
fosse più stata certa dei suoi sentimenti, Kazue non avrebbe
mai cercato quella
nascita, anche se, forse, a desiderare una famiglia era stato
più lui di lei...
“Kazue, ascolta, se
ho fatto qualcosa di sbagliato, credo di…”
“Mi hanno chiamata
al CDC di Washington.” gli disse, freddamente, stringendo i
pugni in grembo.
“Parto domani, inizio tra un paio di settimane ma prima
voglio sistemarmi nel
mio nuovo appartamento.”
Mick sentì la bile
salirgli in gola, e venne assalito da un sentimento di puro odio e
risentimento.
Aveva un nuovo
lavoro.
Si era trovata una
nuova casa.
Se ne sarebbe
andata dall’altra parte del mondo, lasciando lui
lì da solo e…
“Okay. Dovrò
chiedere un po’ di cose a delle mie vecchie conoscenze ma
credo che dovrei
riuscire ad essere di nuovo in grado di viaggiare
e…”
“Quella è casa mia,
Mick,” gli rispose, piccata, alzandosi e standogli davanti.
“Mia, non nostra.”
“Beh, vorrà dire
che mi cercherò una casa mia, perché
dubito che tu possa rinunciare a una tale allettante proposta di
carriera,” le
disse, velenoso e crudele e freddo. “Ma di certo io non
rinuncerò ad Amaya.”
“Sono io a non
volerlo, Mick.” Ammise, con gli occhi bassi. Lui fece un
passo verso di lei ed
alzò una mano come per accarezzarla, ma Kazue si
scansò, abbracciandosi come
per farsi coraggio. “Non te, io… non voglio fare
la mamma e la moglie di
famiglia, ora. Voglio, voglio solo essere Kazue.”
“E non ti è venuto
in mente quando parlavamo di diventare genitori, che non volevi dei
figli?” La
accusò lui, freddo e glaciale. “Siamo stati
insieme anni, e non ti è mai
passato per la testa che non volevi sposarmi?”
“Ero giovane, Mick,
molto più giovane di te.” Lo accusò.
“Non sapevo cosa volesse dirti starti
accanto. A cosa stavo rinunciando.”
“Ah, ecco il
nocciolo del problema!” Mick rise, di gusto, accasciandosi
sulla poltrona che
lei aveva lasciato vacante e accendendosi una sigaretta. “Ti
sei stufata di
stare accanto ad un handicappato di mezza età! Scommetto
però che se il tizio
di mezza età fosse stato Saeba non te li saresti fatti tanti
problemi, e
avresti continuato a scaldargli il letto…”
“Sei crudele,
Mick!” Lo accusò lei con grinta e coraggio.
“Forse,” Mick
lasciò andare una boccata di fumo che raggiunse il soffitto.
“Ma lasciatelo
dire, dolcezza. Tanto gentile con me non lo sei stata nemmeno
tu…”
“Grazie, non sapevo
proprio come fare.” Seduto nel salotto di casa Saeba, Mick si
allentò la
cravatta, ed accettò di buon grado il liquore che il
migliore amico ed ex socio
gli offriva. Kaori era nella stanza di Hide, che aveva messo a letto
con la
piccola Amaya. La bambina aveva pianto a dirotto, un po’ per
le coliche, un po’
per i primi denti che le stavano spuntando: nulla di che, stava
accadendo anche
al suo bambino, ma lei non era sola ad affrontare le notti insonni ed i
problemi, lei aveva Ryo.
Mick… beh, Mick
adesso aveva lei. O meglio, loro: perché, anche se ancora un
po’ gli seccava
vederlo gironzolare per casa sua e piagnucolare sulla spalla di Kaori,
Ryo si
era comunque visto ben disposto a supportare l’amico durante
e dopo il
divorzio.
La rossa le avrebbe
come minimo spaccato la testa, alla cara Kazue: faceva tanto la buona
crocerossina, ma
appena aveva potuto
aveva spalancato le ali e mollato tutto e tutti. Non le rimproverava il
desiderio di carriera, quanto l’aver unilateralmente deciso
che voleva solo
quello, quando avrebbe potuto benissimo continuare a fare la mamma, la
moglie e
il medico: Mick sarebbe tornato volentieri nel suo paese, sarebbe stato
ben
felice di fare il casalingo, stravedeva per la figlia ed era davvero
molto
portato come uomo di casa, non come Ryo.
“Senti, ma perché
non la raggiungi tu? Magari…”
“No, non se ne
parla.” Ma Mick scosse il capo alla domanda
dell’amico. “Lei non vuole essere
madre. Dice che l’ho convinta io, che mi ha accontentato
perché sperava di
salvare il matrimonio, ma che lei figli non ne ha mai voluti. No,
credimi…”
Sbuffò, lasciando ricadere il capo contro il poggiatesta.
“Ormai non c’è nulla
da salvare, ed io non ho intenzione di imporle Amaya così
che poi si sfoghi con
lei. Meglio che faccia la madre a distanza e part-time, credimi, colpa
mia,
avrei dovuto capirlo da solo che lei non era interessata, ma,
sai… non volevo
vedere e quindi mi sono rifiutato di arrendermi
all’evidenza.”
Ryo si voltò, in
silenzio, verso la camera del figlio, e sorrise, sentendosi colpevole
come un
cane: lui aveva tutto. Il suo amico… Amaya, che sapeva
essere amata come la
cosa più preziosa al mondo. Ma la domanda che attanagliava
lo sweeper era: alla
lunga, sarebbe bastato? Inoltre, non lo voleva ammettere, ma da quando
Kazue se
n’era andata, Mick, che aveva preso a trascorrere sempre
più tempo a casa loro,
aveva preso a osservare Kaori con uno strano sguardo, uno che,
purtroppo, Ryo
conosceva bene. Mick l’aveva guardata così prima
di lasciarle un casto bacio
sulla guancia, e salire sull’aereo dove avrebbe trovato la
presunta morte.
All’epoca, lui aveva lasciato andare Kaori, un po’
perché aveva capito che per
lei esisteva solo il suo socio, un po’ perché non
c’era gusto a non rubare la
donna d’altri. E poi, era arrivata Kazue a scombussolargli la
vita.
E adesso?
Adesso, lui era
single, sarebbe potuto di nuovo tornare a caccia, e chissà,
magari aveva di
nuovo messo gli occhi addosso a Kaori, adesso che era impegnata, e che
aveva
visto che ottima madre fosse -non che ne avessero mai avuto alcun
dubbio: lei
aveva cresciuto praticamente tutti loro…
Kaori uscì dalla
cameretta ed andò in cucina, dove prese due bicchieri
d’acqua e delle aspirine-
ci erano andato giù pesante quella sera- e li
portò ai due uomini. Scompigliò i
capelli di Mick, come fosse stato un bambino, e a Ryo, che ricevette un
veloce
bacio, si sciolse il cuore.
Non importava se
Mick avesse mire su Kaori o meno.
Lei sarebbe stata
sua, e lui suo, fino alla fine dei tempi, e niente e nessuno li avrebbe
mai
divisi.
“Sei sicuro che non
disturbo?” Mick entrò nell’appartamento
della coppia di sweeper con le braccia
piene; da una parte aveva Amaya, che adesso aveva tre anni, imbacuccata
con
piumino, sciarpa, berretto, guanti e stivali (neanche avesse dovuto
fare due
chilometri, invece dei cinquanta metri scarsi che dividevano le case
degli ex
soci in linea d’aria), nell’altra un borsone pieno
di regali, per cui Ryo lo guardò
un po’ storto.
“Mick, bello,
guarda che in Giappone solo le coppiette si fanno regali. Pensavo che
dopo
tutti questi anni lo sapessi…” Ryo
sbuffò, scrollando le spalle, grato che
Kaori avesse intuito questa possibilità e avesse preso dei
pensierini per Mick
e la figlia. “Bastava che portassi del vino, del liquore, o
dei cioccolatini.”
“Beh, ho anche
portato dei pasticcini…” l’ex sweeper
ammise, arrossendo lievemente, mentre
liberava da quel bozzo soffocante la figlia, che era più
rossa di un peperone. “Però
mi dispiaceva venire e non portare dei regali. Non è da buon
padrino, e
soprattutto da buon cattolico.”
“Ah! Questa è
buona!” Ryo scoppiò a ridere, e gli diede una
pacca sulla schiena così forte
che l’americano vacillò e perse
l’equilibrio. “Dubito che un buon cattolico
farebbe lo sweeper!”
“Sì, beh, allora
diciamo che mi dispiaceva intromettermi. Questo è il primo
Natale che passi con
la tua famiglia…” Mick gli mise leggermente il
muso, mentre, allungando il
collo, scorgeva gli ospiti presenti alla festa organizzata da Kaori;
Mick li
conosceva di nome, e perché Ryo, un po’ paranoico
(e a ragione), quando Kaori
aveva avuto la brillante idea di mandare un suo tampone ad una
compagnia che si
occupava di genealogia, aveva investigato sui
“presunti” parenti che erano
saltati fuori. La coppia aveva però tenuto strettamente
divise le due vite
di Ryo, e Mick era il primo della
loro sgangherata famiglia allargata ad incontrare i parenti biologici
dell’ex
socio: lo zio Tetsui, gemello del padre dello sweeper, sua moglie Kiyo,
il loro
figlio Takeshi (più giovane di Ryo di un mesetto) con la
moglie Sakura ed i
suoi due figli adolescenti, che si erano riuniti per festeggiare il
tanto
agognato arrivo di Shan, la bambina che Ryo e Kaori avevano cercato di
avere per
quasi due anni.
Gli occhi degli
sweeper si incrociarono, e Ryo si trattenne dal dire qualcosa di
sdolcinato,
cose che non erano da lui, nonostante considerasse Mick una parte della
sua
famiglia come e più dei suoi ospiti.
Con Amaya che li
teneva per mano, i due sweeper andarono in sala da pranzo, dove il
chiacchiericcio era davvero molto forte, e Ryo sorrise a Mick, con una
strana
luce negli occhi che l’amico non comprese. Tuttavia, una
volta che si trovarono
davanti al tavolo, lo sweeper giapponese fissò, stupito, il
fraterno amico, che
aveva avuto una reazione ben diversa da quella che si era aspettato.
Niente avances
moleste o altro. Niente baci rubati o tentativi di assalti. Non si
comportava
nemmeno da cretino allupato patentato come suo (loro) solito. Oh,
no… Mick
Angel fissava a bocca aperta la donna- anzi, le donne- sedute al tavolo
che
chiacchieravano con un sorriso sulle labbra.
Vedeva doppio.
Anzi, no, perché una donna- Kaori- era rossa coi capelli
corti mossi, l’altra
castana con una lunga chioma liscia. I visi, però, erano
identici in tutto e
per tutto.
“Che c’è Angel, il
gatto ti ha mangiato la lingua?” Ryo gli domandò,
un po’ maligno, dandogli una
serie di leggere pacche sulla schiena come per risvegliarlo.
“Oh, non ti avevo
parlato della sorella di Kaori, Sayuri?” Lo aveva fatto di
proposito, era
curioso di vedere se Mick si sarebbe comportato con la sorella maggiore
come
faceva con la minore, se, come il buon Ryo, avrebbe avuto
l’immediato desiderio
di gettarsi in quelle forme generose per avere anche solo un sentore di
quello
che avrebbe potuto provare con la versione originale.
“Oh, Mick, sei
arrivato!” Raggiante, Kaori lasciò il suo posto a
tavolo e raggiunse l’amico,
dandogli un bacio sulla guancia. “Buon Natale Mick
e… ma stai bene?” La rossa
sollevò un sopracciglio con fare interrogativo, toccando al
contempo la fronte
dell’amico di lunga data chiedendosi se avesse la febbre.
No, Mick era
piuttosto freddino, in realtà. Quindi il motivo per cui non
le stava saltando
addosso o chiedendo ardenti baci focosi non era che fosse malato.
però, si disse,
c’era qualcosa di strano, in lui. Aveva la bocca
così aperta che sembrava che
la mandibola si fosse slogata, e fissava un punto alle spalle di Kaori.
La rossa si voltò
seguendo la sua linea visiva, e sorrise machiavellica, con uno sguardo
da
criminale di carriera alle prese con il suo più grande
piano.
Mick era rimasto
incantato alla vista della sorella di Kaori, la giornalista Sayuri;
parlarono
per tutta la sera, avvolti come in una nuvola tutta loro, e Sayuri, che
col
marito non aveva avuto figli ma che i bambini li adorava, si
interessò alla
piccola Amaya senza tuttavia essere invadente. Kaori guardava da
lontano la
scena con gli occhi lucidi, felice che la sua intuizione fosse andata a
buon
fine: sua sorella ed il suo migliore amico erano davvero una bella
coppia, e
sembravano ben affiatati. Ryo ogni tanto le lanciava
un’occhiataccia
inquisitoria, ben capendo dove la sua mente vagasse, ma lei si limitava
a
scrollare le spalle; lui usciva da un divorzio che, per quanto
semplice, lo
aveva lasciato col cuore a pezzi, lei da uno che era stato lungo e
complicato.
Entrambi lo sapevano, e sinceramente… fosse stato amore,
bene, sarebbe stato
perfetto, ma fosse anche solo un testare le acque e riabituarsi a
frequentare
l’altro sesso sarebbe andato bene lo stesso,
perché, in fondo, gli avrebbe
fatto bene comunque.
C’era qualcosa che
preoccupava Ryo, un tarlo che lo opprimeva così tanto che
nemmeno il sesso era
riuscito a scacciare quel pensiero opprimente.
“Allora…” Kaori
iniziò, disegnando arabeschi immaginifici sul petto nudo del
suo uomo con un
dito, sdraiata accanto a lui vestita solamente della camicia che gli
aveva
precedentemente strappato di dosso. “Devo preoccuparmi che la
gravidanza mi
abbia reso meno seducente ai tuoi occhi, signor Saeba?
Perché l’ultima volta
che ti ho visto così pensieroso post coito è
stato dopo la prima volta che
siamo finiti a letto insieme….”
Ryo si voltò verso
di lei, con sguardo ,malandrino ed un sopracciglio alzato; mosse una
mano, che
andò, birichina, a giocare con uno dei seni della donna,
soppesandolo e
facendolo sobbalzare sul palmo ruvido. Paonazza, Kaori
sussultò quando.
ghignando, Ryo strinse il capezzolo tra due dita, facendo uscire due
gocce di
perlaceo liquido dalla florida punta a cui diede una veloce leccata con
la
punta della lingua come se fosse stato un cagnolino che faceva le feste
alla
sua padrona, e Kaori, incerta se fosse per l’atto stranamente
erotico di Ryo
che assaggiava il latte che il suo corpo produceva per loro figlia, o
perché
avesse sempre trovato conturbante la visione di quella criniera scura
contro la
sua pelle d’avorio, sussultò in preda ad una
profonda eccitazione. Lo sweeper,
ad occhi chiusi, inalò l’aroma del desiderio della
sua donna, e soddisfatto se
ne tornò a coricarsi nella sua metà del letto,
con le braccia incrociate dietro
al capo ed una gustosa erezione che svettava sotto alle coperte.
“Eh, no, socia, sei
seducente come sempre, anzi, la gravidanza ti ha reso ancora
più bella… ad
allattare ti sono venute certe tette, e poi, sei diventata molto
più gustosa!”
Le disse, con tutta la calma del mondo.
Kaori sospirò,
sentendosi sconfitta. Era inutile, Ryo era Ryo e se non faceva un
po’ il porco
per sdrammatizzare non era contento.
“Ryo… cosa
c’è?”
Gli chiese, perché se faceva il cretino voleva dire che un
problema c’era, e
non era lei.
Lo sweeper rimase
in silenzio per quello che apparve un lunghissimo tempo, gli occhi
fissi sul
soffitto prima di riprendere a parlare. “Non ti preoccupa che
Mick frequenti
Sayuri? Voglio dire… non ti chiedi se sia…
insomma… se esca con lei
perché…”
“Perché mi
somiglia? Dai, Ryo, Mick non è così veniale. E
comunque, lui ed io
siamo amici, ha smesso di essere
innamorato di me da tanto tempo.” Ridacchiò,
riprendendo le dolci carezze. “E
poi, con lei fa il gentiluomo, e tu e lui, lo fate solo quando siete
seri…”
“Dici?” Non era del
tutto convinto della sua affermazione. Lui, gentiluomo? Ma quando?
“Uh, uh.” Sensuale
e maliziosa, Kaori si sdraiò su di lui, i loro corpi nudi
che si strusciavano
l’uno contro l’altro, madida pelle contro madida
pelle, eccitandosi a vicenda.
“Non ti ricordi quando siamo tornati dalla radura? Appena
siamo entrati in casa
io mi sono messa sulle punte e ho cercato di darti un bacio, ma tu mi
hai presa
per le spalle e tenuta a distanza, e guardandomi negli occhi mi hai
sorriso
timido e mi hai chiesto, Kaori, vorresti
venire a cena con me domani sera? E poi… e poi
hai iniziato a corteggiarmi,
e mi portavi fiori, cioccolatini.. prendevamo la macchina e andavamo a
fare
gite fuoriporta, perché non volevi tenermi per mano davanti
a tutti quelli che
sapevano che siamo City Hunter.... Eri l’ultima persona da
cui me lo aspettavo,
e io non sapevo se essere stupita o frustrata perché non mi
davi nemmeno un
bacio…”
“Eh, ma tu eri
diversa, mica potevo saltarti addosso come un maiale in calore come
facevo con
tutte le altre, poi rischiavo che pensassi di essere una delle tante, e
tu
invece sei stata la prima e volevo che fossi anche
l’ultima…” Ammise, sornione,
prendendo a giocherellare con quanta più pelle della sua
donna che poteva,
senza mai smettere di guardarla negli occhi.
“Sull’ultima poco
ma sicuro, ma ho dei seri dubbi,” Kaori alzò un
sopracciglio, con fare
interrogativo. “Sul fatto di essere stata la tua prima
amante, caro il mio
stallone…”
“Beh, sì, non sei
stata la prima donna con cui sono andato a letto, e forse nemmeno la
prima di
cui dicevo di essere innamorato…” Ammise lui,
arrossendo lievemente mentre le
prendeva la mano tra le sue e portandosela al cuore. “Ma sei
stata la prima che
ho amato prima qui, e poi....” Sogghignò, con la
sua aria da maniaco patentato,
mentre faceva scorrere la manina di Kaori sul suo corpo, molto
più a sud, fino
a che non giunse a sfiorare il setoso acciaio della sua eccitazione.
“Qui.”
“Tu, Ryo Saeba, sei
un cretino patentato…” gli disse. Eppure, mentre
lo diceva, gli diede un bacio
da capogiro.
“Allora, che novità
ci sono?” Sayuri aveva telefonato a Kaori dicendole che
sarebbe passata a
trovarla quella mattina; ormai, al suo ritorno a New York, mancavano
pochi
giorni, e le sorelle approfittavano di ogni momento per stare insieme.
Tuttavia, c’era qualcosa nell’atteggiamento della
giornalista che preoccupava
Kaori: non la guardava negli occhi, e si stringeva le dita.
“Sayuri?”
“Mi hanno offerto
di dirigere la filiale giapponese di News Weekly qui a
Tokyo.” Ammise, a voce
bassa. Kaori fece un fischio, impressionata; chiaramente, da editor e
direttore, sarebbe stato un bel passo avanti per la sua carriera, per
non
parlare che cosa avrebbe significato nel grande schema delle
cose…. Sayuri era
giovanissima e donna, quante potevano vantare una simile posizione?
Quanti
uomini suoi coetanei avevano già raggiunto i suoi traguardi
alla sua stessa
età? Sarebbe stata una bella conquista per il movimento
femminista.
“Non mi sembri
molto felice…”
“Il fatto è che la
mia vita ormai è a New York, e poi…”
Sospirò. “Sai, mi sono sempre detta che
non avrei mai fatto come nostra madre che aveva permesso a nostro padre
di
prendere le redini della loro storia, eppure con Kevin ho fatto la
stessa cosa,
e credo… forse sto facendo la stessa cosa, di
nuovo.” Con Mick, senza
bisogno di aggiungerlo; Kaori lo capiva anche da
sola.
“Sorellina…” Kaori
le disse, gentile e soave, stringendole la mano. “Dimenticati
di Mick per un
attimo: se lui non ci fosse e ti avessero offerto il lavoro, cosa
avresti
fatto?”
Lo avrebbe
accettato, lo sapeva: non solo perché era un riconoscimento
dei suoi obiettivi
e delle sue indiscusse qualità, ma anche perché a
Tokyo aveva la sua famiglia,
la sorella e due adorabili nipoti.
Mick... beh, Mick
era giusto un punto a favore in più. E poi,
chissà. Forse Kaori aveva ragione,
e per una volta faceva sul serio.
Due mesi dopo,
mentre erano abbracciati a letto, nudi, lui le diede un dolce bacio
sulla
fronte, ammettendo imbarazzato di essere innamorato… e da
quell’appartamento,
Sayuri, non si mosse mai più.
(Almeno fino alla
notte prima delle nozze, civili, che celebrarono nel parco; quella, lei
la
passò a casa della sorella, che, contrariamente a quanto
tutti si aspettavano,
non le fece da damigella, ma fece da testimone- a Mick.)
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Capitolo 4 *** My First Kiss (went a little like this) ***
A tutte le hunterine, che alla visione di questa
vignetta/fanart si sono sciolte....
“Che vuoi?” Non era da
Hide essere così diretto, né scorbutico; quel
ragazzo, Ryo lo sapeva, era
quello che poteva essere definito in un sol modo: un santo - anche se,
con lui
e Kaori come genitori, non aveva ancora ben capito come avesse fatto a
venire
su così. Tuttavia, Ryo capiva come mai il suo ragazzo fosse
così acido: lui era
tutto bravo alla sua scrivania che faceva i compiti, si faceva i fatti
suoi, e
suo padre cosa faceva? Se ne stava sdraiato a pancia in giù
sul suo letto
dondolando le gambe neanche fosse stato un bimbetto, fissandolo con un
sorrisetto che sembrava dire “Io so che hai fatto una cosa
che non dovrei
sapere che tu hai fatto”
E questo da tipo due
ore.
Chiunque avrebbe perso
la pazienza. Anche un santo.
“Fonti attendibili mi
hanno riferito che hai comprato due biglietti per il ballo della
scuola…” Ryo
si mise a sghignazzare, abbracciando un cuscino, con la stessa
espressione di
una ragazzina petulante e pettegola. “Non è che
vuoi portarci una certa moretta
dagli occhi azzurri, nippo-americana, vero?”
Hide avvampò. Copia
sputata di Ryo nel fisico, aveva preso però tutto da sua
madre per quello che
riguardava le emozioni; arrossì, quasi stesse andando a
fuco, e Ryo, sognante,
sospirò, ricordando la volta che aveva posato un delicato e
casto bacio sulla
fronte di Kaori e lei era quasi letteralmente andata a fuoco- le era
perfino
venuta la febbre alta. Per un bacetto. Sulla fronte.
“Eh, no, eh, non va
mica bene…” Stuzzicandolo ancora, Ryo prese a dare
delle pacche sulla schiena
del figlio, prima di abbandonare il suo posto sul letto e
avvicinarglisi. Con
fare cospiratorio, gli mise un braccio sulle spalle, e gli si
avvicinò; Ryo
diede una rapida occhiata intorno, come per essere certo che qualcuno-
Kaori, o
quella piccola pettegola intrigante della figlia – non fosse
intorno a sentirli,
ed abbassò la voce.
“Hide, ascoltami, non
va bene arrossire così solo
a pensare di
portare Amaya a ballare. Ne va della reputazione del nome di
famiglia.”
Hide, stupito, alzò un
sopracciglio con fare interrogativo. “La reputazione del nome
Saeba?”
“No, figliolo, non
parlo di quel nome… parlo del mio vero nome, quello con cui
tutti mi
conoscevano…” gli mise le mani sulle spalle, con
espressione grave, e Hide si
chiese, di nuovo, cosa avesse a che fare City Hunter con tutto questo,
perché per
forza doveva essere quello il nome a cui suo padre si riferiva.
“Devi sapere,
Hide, che prima di sposare tua madre, io ero noto come… come
lo stallone di
Shinjuku!”
Un gocciolone di sudore
corse lungo la fronte del giovane mentre, scioccato, cadeva a terra,
prima di
rialzarsi con tono a dir poco inferocito, ricordando a Ryo fin troppo
bene, con
quelle urla di rimprovero, la bella Kaori.
“MA TI SEI RINCRETINITO,
PAPÀ? IO CON AMAYA NON FACCIO
QUELLE COSE!”
Ryo gli si gettò addosso,
tappandogli la bocca, controllò fuori dalla stanza, per
vedere se per caso Kaori
fosse accorsa alle grida di rabbia del giovane uomo, il suo prezioso
tesorino, ma
grazie al cielo era ancora sul tetto a stendere.
“Ma ti sei rincretinito,
Hide?!” Ryo sibilò. “Vuoi che tua madre
mi uccida? Per la miseria, che modi! Se
continui così mi beccherò una martellata in testa
di sicuro!”
Ryo si sedette, a gambe
incrociate, sul tappeto colorato, mentre il figlio, imbarazzatissimo e
con le
gote velate da un leggero rossore, rimase alla sua scrivania, fuggendo
lo sguardo
del padre. Quando il silenzio e l’immobilità
divennero troppo opprimenti, Ryo,
sbuffando, alzò gli occhi al cielo.
“Dì un po’, ma
almeno
vi siete già baciati?”
Hide sospirò, e girò la
sedia, incrociando il volto del padre; Ryo aveva un sorriso birichino,
un po’
malizioso, allegro… non per la prima volta, Hide
capì che suo padre non era
come gli altri genitori.
Hide non rispose, ma
prese a fissarsi i piedi rimanendo in silenzio.
Ryo non ebbe bisogno di
ascoltare la risposta a voce del figlio- come con Kaori, con i suoi
ragazzi non
aveva bisogno di parole, per comunicare. I loro occhi, la loro mimica
fisica diceva
tutto, e anche di più.
L’uomo si alzò, ed
andò
ad appoggiarsi con la schiena contro il bordo della scrivania in vetro,
e con
un sorriso che lo fece sembrare felice e sollevato, sospirò,
guardando fuori
dalla finestra lo spettacolo che era Shinjuku, il quartiere che lui e
Hideyuki
Makimura avevano adottato come loro, difeso strenuamente e che adesso,
tanti
anni dopo, era finalmente vivibile, un luogo in cui non si aveva paura
di
crescere i propri figli.
Nonostante Kaori fosse
strenuamente contraria a questo suo vizio, Ryo si accese una sigaretta,
offrendo
il pacchetto al figlio che lo guardò di traverso, scuotendo
il capo rispondendo
silenziosamente con un misto di “no,
grazie” e “ma
sei scemo?”.
Accendendola con l’accendino
di metallo regalatogli di Kaori quando appena si conoscevano, un anno
per
Natale, quando si era resa conto che tanto, quel vizio, lui non
l’avrebbe mai
preso, Ryo abbassò le spalle, noncurante.
Mentre inspirava il
fumo, e lasciava che l’aroma ed il gusto della sigaretta gli
entrassero dentro,
permeando il suo intero essere, lo
sweeper prese a guardare come nel vuoto, mentre la sua memoria veniva
invasa
dai ricordi.
“Senti, Hide, lo so che
con questa ragazza fai sul serio, e se vuoi un consiglio…
non fare il cretino. Non
rovinare il vostro primo bacio, ok? Di casini coi baci ne ho
già fatti io con
tua madre, e quelli bastano e avanzano per parecchie
generazioni…” Ridacchiò, e
fece un’altra tirata. “Ti ha mai raccontato del
nostro primo bacio? Il nostro
primo bacio vero, intendo, non quello che le ho dato sulla nave, con un vetro che ci
divideva… anche se devo dire
che era stato molto romantico.” Peccato che poi Kaori avesse
temporaneamente
perso la memoria, e lui non avesse fatto nulla per fargliela tornare,
preferendo
comportarsi come il donnaiolo pervertito che era con il risultato che
Kaori lui
l’aveva quasi persa quando lei aveva ricordato quel gesto -
al limite dello
sdolcinato per uno come lui.
“Le avevo detto che ero
innamorato di lei, ma non avevamo ancora fatto passi avanti,
perché una vera
relazione era una cosa nuova per tutti e due... sai, lei non aveva mai
avuto un
ragazzo, e io avevo sempre tenuto tutti gli spasimanti alla larga, ed
io ero un
donnaiolo impenitente che correva dietro a tutte le belle donne che
incontrava.
Una sera esco con Mick, e ci eravamo
ubriacati fino
allo svenimento…”
Si grattò il capo, vergognandosi
un po’, sapendo che con quell’aneddoto non stava
dando il buon esempio a suo
figlio, ma tuttavia desideroso di condividere con qualcuno quel ricordo
che gli
scaldava sempre il cuore, e a cui tornava ogni volta che vedeva Kaori
fare
delle piccole cose. “Comunque, tuo zio se n’era
tornato a casa con una ragazza,
perché all’epoca lui e Kazue erano in pausa, sai
che novità, io invece mi ero
addormentato in un vicolo. Alle prime luci dell’alba, tua
madre vede che non
sono tornato a casa, ed immaginando cosa possa essere successo viene a
cercarmi, e dove mi trova? Ma in quel vicolo, ovviamente, coricato su
delle
vecchie casse di birra vuote. Lei mi afferra, e mi rimprovera
perché mi dice
che, se dovesse capitare d’inverno, morirei
assiderato… e io intanto facevo
finta di dormire ancora, perché era così bello
stare nelle sue braccia… e
allora cosa faccio? La stringo e la bacio, un bel bacio alla francese,
eh, mica
robetta a stampo, dicendole a chiare lettere che l’amo. Solo
che lei è così
sotto shock, anche perché quello è il suo primo
vero bacio, e rimane così,
ferma, immobile come una statua. E lì, mi sono incazzato un
po’, perché mi sono
sentito ferito nel mio orgoglio di stallone, e cosa le dico appena mi
stacco,
mentre ficco la faccia tra quelle belle poppe? Ti
amo, Saeko! Eh, tua madre si incazzò come una
belva. Mi rifilò
una martellata da 380 tonnellate, che ne ho avuto per tre
giorni… solo che
mentre se ne stava andando era così arrabbiata, e piangeva,
e io, Hide, alle
lacrime di tua madre non ho mai resistito, e così, insomma,
sai com’è…”
A guardarla con la schiena curva e tesa che ne
stava
andando, a Ryo si spezzò il cuore, e si rese conto di aver
fatto una vera carognata;
la afferrò per il polso, prima che fosse troppo lontana, e
la fece cadere nel
suo grembo. Le sorrise, dolce, sfiorando quel delicato viso con la
punta del
naso.
“Dai, Kaori, guardami negli
occhi…. Davvero credi che
potrei baciare te e pensare ad un’altra donna?”
Lei si mise a piangere, ma Ryo capì
subito che quelle erano
le stesse lacrime che aveva versato nella radura, quando lui aveva
confessato
di voler vivere per lei. Insicura e un po’ impaurita, timida,
lei gli mise le
braccia al collo, sospirando. “Ti amo così tanto,
Ryo… a volte mi sembra che il
mio amore per te sia più grande perfino di
me…”
Senza aggiungere altro, si chinò su di
lei, e unì le loro
bocche in un tenero bacio, delicato. Stavolta, Kaori non si
lasciò intimorire,
e stringendo Ryo a sé, approfondì il bacio,
rispondendo al suo uomo con
passione, sfiorando le labbra dello sweeper con la punta della lingua.
Sorridendole malizioso contro la bocca, Ryo non si
fece
ripetere due volte il silente invito della bella donna, e la strinse
forte a sé,
premendo il seno sodo contro il suo petto, avvertendo i capezzoli
turgidi
svettare sotto al sottile tessuto della vecchia maglietta, e mentre,
ansimando,
esplorava con la lingua la succulenta bocca della rossa, la fece
sistemare a
cavalcioni su di sé. Kaori avvertiva la pressione
dell’erezione dell’uomo, e
guidati dal desiderio e dall’istinto, dal loro amore
travolgente, si mosse,
entrambi coperti dagli abiti, su di lui, imitando l’atto
sessuale, ansimando
nella bocca di Ryo e, fradicia, con il tessuto delle mutandine che le
entrava
dentro, poteva avvertire il ruvido jeans sfregare contro la sua
delicata pelle.
Avvertendo i suoi muscoli contrarsi, la donna
capì che
stava per avere un orgasmo, e soffocò il suo grido di
piacere nella bocca dell’uomo,
mordendogli il labbro con tale forza che poté saggiarne il
sangue…
“No, papà, non lo so, e
non voglio saperlo…” Hide sospirò,
interrompendo quel delizioso ricordo che
tanto Ryo amava e che non mancava mai di eccitarlo. Per arrivare poi al
sodo ce
ne avevano messo, avevano avuto i loro problemi, era stato frustrante,
ma quel
ricordo aveva mantenuta viva in lui la speranza- la certezza- di quanto
in
realtà lui e Kori fossero compatibili, sotto alle lenzuola
(e non solo).
“Accidenti, come siamo
pudici. Ma dì un po’ ragazzino, cosa credi, che
tua madre ed io ti abbiamo
avuto con l’inseminazione artificiale?” Ryo
sbuffò, leggermente seccato, e fece
per andarsene. Tuttavia, una volta giunto alla porta, si
fermò, prese qualcosa
dalla tasca dei pantaloni e lo tirò in testa al figlio, che,
non appena si rese
conto di cosa si trattasse, arrossì, e fu quasi tentato di
tirarli dietro al
padre, che stava bellamente sghignazzando come
un completo idiota.
Dei profilattici. Suo
padre gli aveva tirato dei profilattici. Roba da non credere. Era
decisamente
un genitore sui generis.
Con un sorriso sghembo
e da monello, Ryo si riaffacciò alla camera, facendo
l’occhiolino al suo
primogenito, che lo guardava furente, nemmeno avesse potuto staccargli
la testa
a morsi.
“Non fare tanto lo gnorri,
che un giorno e l’altro ti serviranno, con la tua
bella… guarda solo di essere
un gentiluomo, e sii preparato, che la mia bella Kaori ed io siamo
troppo belli
e giovani per fare i nonni, eh sì!”
Scoppiando a ridere,
non si accorse del dizionario di Tedesco che il figlio gli
lanciò, colpendolo
in pieno viso, causandogli un dolorosissimo
déjà-vu.
|
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Capitolo 5 *** Metti un giorno, d'inverno... ***
Buona
parte degli eventi di questa storia sono altamente ispirati a fatti
ahimè reali. A voi lettori imamginare cosa sia vero e cosa
sia stato inserito per rendere il racconto in chiave city hunter...
Quel
grigio pomeriggio, un folto manto nevoso copriva la città di
Tokyo; i treni
erano i ritardo, il traffico era in tilt, e la gente, ammassata per
strada
vestita pesantemente, annaspava in venticinque centimetri di poltiglia
bianca,
portandosi i bambini sulle spalle.
Kaori,
incinta di otto mesi, due settimane e 3 giorni, era arrivata in
Ospedale alle
otto e trenta del mattino, quando, mentre stirava, le si erano rotte le
acque;
il riscaldamento in casa era rotto, non riusciva a spegnere i
termosifoni né ad
abbassarli, e perciò aveva stirato con una maglietta corta
che le tirava sulla
pancia, e quando aveva avvertito la sensazione di umidità
sui piedi, era
rimasta talmente stupita che il ferro le era scappato di mano e le
aveva
lasciato una bella striatura rossastra di piccole bolle proprio sul
ventre.
Sospirando,
aveva guardato verso la porta della loro camera da letto; Ryo non
c’era, era
via per un lavoro con Falcon, un lavoro offerto da un ricco magnate che
aveva
richiesto la loro protezione, e Kaori sapeva che, non fosse stato per
quella
gravidanza che avevano ricercato dalla nascita di Hide senza successo e
che
aveva prosciugato i loro risparmi con i tentativi fallimentari della
fertilizzazione in vitro, Ryo quel lavoro non lo avrebbe mai accettato,
perché,
se c’era una cosa che l’uomo odiava di
più che lavorare per gli uomini, era
lavorare per ricchi snob, uomini o donne che fossero.
Si
vestì, mettendosi l’impermeabile, raccolse la
borsa che aveva già preparato e
con passo deciso andò a bussare all’appartamento
proprio davanti alo loro,
dall’altra parte della strada; Mick, spettinato, con due
occhiaie profonde come
gli abissi, vestito solo con boxer ed una canottiera, le
aprì la porta
sbadigliando, grattandosi un’ascella- decisamente non
l’immagine del galantuomo
affascinante che di solito dava.
“Porca
miseria, donna, ma lo sai che ore sono?” Le disse, o almeno
così Kaori
comprese, dato che nella frase aveva messo più sbadigli che
parole.
“Sono
quasi le nove, e ho bisogno che tu mi orti in ospedale
perché mi si sono rotte
le acque, ma tranquillo, non mi sono ancora iniziate le contrazioni, o
comunque
sono debolissime, quindi abbiamo tempo. Ah, appena arriviamo in
ospedale
potresti telefonare a Ryo? Grazie mille!”
Senza
nemmeno aspettare risposta, afferrò le chiavi della macchina
che Mick teneva
sul comò dell’ingresso, e scese in garage con
totale nonchalance, mentre lo
sweeper, solo in quel momento afferrando cosa stesse succedendo
effettivamente.
Kaori
stava per partorire e Ryo era via.
Buttando
giù un sorso di caffè, afferrò i
vestiti e si vestì mentre scendeva le scale, e
quando trovò la macchina già in moto e calda, fu
grato all’amica; partì sulla
sua Jeep- acquistata su consiglio di Umi, che gli aveva detto che in
inverno ne
sarebbe stato felice- ed ingranò la marcia, diretto
all’ospedale, e, per un
tragitto di normalmente quindici minuti, ci mise il triplo del tempo
necessario. Lanciava ogni tanto occhiate a Kaori, la vedeva mordersi il
labbro
tremante, e fingere che andasse tutto bene, ma sapeva che era nervosa,
preoccupata, spaventata e forse aveva pure male.
E
Ryo non c’era.
Appena
arrivarono, la lasciò nelle mani del suoi dottori, e poi
corse a chiamare Ryo
al telefono che aveva in macchina; provò anche la
trasmittente di Umi, ma
nulla; intanto, una dottoressa era entrata nella stanza di Kaori, e le
aveva
fatto sollevare la maglia. La stava visitando quando si rese conto di
quella
strana striscia, e le lanciò un’occhiata severa.
Kaori arrossì, e sentì il
bisogno di nascondersi.
“Avevo
caldo e stiravo solo con una maglietta….” Ammise,
mettendo il broncio come una
bambina, mentre la dottoressa la tastava e la controllava, sollevandole
capo
dopo capo di abbigliamento.
Bussarono
alla porta, e Mick si limitò a mettere la testa dentro per
riferire il
messaggio; aveva trovato Ryo, chiamandolo al fisso della casa dove
lavoravano,
e il fraterno amico lo aveva rassicurato che sarebbe partito subito, e
che
sperava di arrivare in tempo. ATA:
due
ore circa. La dottoressa fece cenno di sì col capo,
rassicurando Kaori che il
marito sarebbe arrivato in tempo per vedere la nascita del loro
bambino, di
cui, stavolta, non conoscevano il sesso…
Nella
grande ed imponente villa, Ryo e Falcon stavano percorrendo il maestoso
viale
di ingresso, diretti verso la dependance dove avevano nascosto la Mini.
Ryo si
stava fumando la settima sigaretta in quindici minuti, e Falcon se la
stava
ridendo della grossa, andandoci giù pesante di pivello come
mai prima di
allora.
“Senti,
ammasso di muscoli senza cervello e dalla crapa pelata, uno di questi
giorni
anche tu e la tua bella vi ritroverete ad avere a che fare con la
nascita di un
bambino, e voglio vedere proprio come ti comporterai, va
bene?” Ryo
gli strillò in faccia, sputacchiando.
Falcon
però non reagì a quelle battutine, e incrociando
le braccia riprese a camminare
come se nulla fosse, fino
a che….
MIAO!
MIAO! BRRR….. EU, EU, EU, MIAO!
La
montagna d’uomo si immobilizzò sul posto, e
sudando come se ci fossero stati
quaranta gradi e non zero, rigido, prese a camminare lentamente
all’indietro,
mentre, da un cespuglio spinoso, due gemme verdi luminose si
avvicinavano
lentamente agli sweeper…
MIAO!
MIAO! BRRR….. EU, EU, EU, MIAO!
Appena
il pelo bianco del gattino prese a risplendere sotto alla neve, Falcon,
in
preda al terrore più acuto, si voltò, e corse in
direzione della casa, mentre
Ryo lo seguiva piuttosto nervoso, col gattino che gli si strusciava
addosso.
La storia della
fobia dei gatti era
stata divertente fino ad un certo punto, adesso stava diventando
ridicola ed
anche un problema: era meglio che il suo amico andasse in terapia per
capire la
radice del problema, perché la cosa stava degenerando e
iniziava anche a dargli
problemi sul lavoro.
L’ex
mercenario stava sbattendo i pugno contro la porta di legno,
così nervoso che
si era dimenticato del campanello, quando, dalla finestra, si
affacciò la
domestica, che li guardò spaventata e nervosa.
“Oh
mio dio, siete ancora qui! Credevo ve ne foste andati, e… e
li ho liberati!” Si
guardò intorno con concitazione e fischiò,. Una,
due, tre volte, senza alcuna
risposta. Poi, nell’aria si avvertì qualcosa di
elettrico…. Un suono sommesso,
basso, e dall’angolo, arrivarono loro quattro, con i loro
otto occhi che
risplendevano rossi, assetati di sangue, le narici gonfie che fumavano,
lo
sguardo deciso, le mascelle serrate mentre loro quattro erano pronti a
colpire,
decisi e determinati, freddi come solo loro, killer naturali, potevano
essere.
Si chiamavano Athos,
Porthos, Aramis e
D’artagan, come i moschettieri.
I
quattro letali doberman del loro datore di lavoro, che più
volte avevano
rischiato la gogna per aver quasi ammazzato dei ladri.
E
adesso, avevano deciso chi dovesse essere il loro spuntino: loro.
Ryo
e Falcon presero a scappare- soprattutto Falcon, perché il
gattino non la
voleva smettere di trottare al loro fianco, visto che con i quattro era
cresciuto e tra di loro c’era un ottimo rapporto. Le creature
infernali, nate
sicuramente dalla mente di un essere malato, li seguirono, senza mai
perdere il
passo, muovendosi come un branco per annientare la loro preda.
E
poi, un albero, una quercia imponente nel bel mezzo del giardino.
I
due uomini riuscirono a malapena ad arrampicarsi, anzi, a Ryo, Athos
riuscì
pure a prendere una scarpa, che masticò come se fosse stata
un pezzetto di
gomma da masticare, mentre li guardava come a dire: questo
è solo l’inizio, prima o poi dovrai scendere e
vedrai come ti
riduco le ossa, umano…
Per
tutto il tempo, Falcon tremò, col gatto che si strusciava
contro la sua guancia
da una parte, e Ryo che gli puntava la Python sotto al mento
dell’altra,
urlandogli che era colpa, sua, che si stava perdendo la nascita di suo
figlio,
e che adesso sarebbe andato in terapia per risolvere la questione dei
gatti.
Preso
tra l’incudine ed il martello- anzi, tra il gatto e la
Python- dispiaciuto più
per la povera Kaori che era sola che per Ryo, che tanto sarebbe rimasto
in sala
d’aspetto onde evitare di svenire pure stavolta, Umibozu
acconsentì, a
malincuore, a fare quel tentativo. Tanto, cosa aveva da perdere?
“Dove
diavolo si è cacciato quel cretino? Io lo uccido! Lui non mi
toccherà mai più,
giuro su dio che il glielo taglio quel suo maledetto
amichetto!” Dentro
alla stanza, Kaori urlava, stringendo
i denti. Erano passate quattro ore da quando era arrivata in ospedale,
Ryo non
era arrivato e adesso aveva male e sapeva che la colpa era tutta di
quel
maniaco che l’aveva convinta a donargli la sua
verginità.
La
cosa andò avanti per un'altra oretta, Mick continuava ad
andare avanti e
indietro nella saletta, ogni tanto andava sul terrazzino fumando come
una
ciminiera, Ryo non era arrivato, e adesso le linee telefoniche erano in
tilt
quindi chissà quando sarebbe arrivato.
E
intanto, Kaori, gridava, e piangeva, e si disperava, alternando rabbia
ad odio
a paura e preoccupazione, soprattutto per l’emerito imbecille
che aveva
sposato.
Un’altra
ora. Altri due futuri padri erano arrivati portando le loro compagne, e
la
dottoressa aveva detto a Mick che ormai c’erano quasi.
C’era qualcos’altro, ma
non volle, o forse non poté, dirgli nulla: ma quella donna,
era preoccupata. La
sua esperienza era però papabile, nell’aura come
nelle rughe che correvano sul
suo volto, simbolo di anni passati a fare quel lavoro.
Kaori
urlò, e la donna fece un piccolo inchino, prima di tornare
dalla sua protetta,
aveva appena oltrepassato la soglia che le porte automatiche si
aprirono,
facendo entrare una corrente d’aria fredda, e Ryo, bagnato
fradicio, incazzato
nero e senza una scarpa ed i pantaloni strappati in più
punti, fece il suo ben
poco trionfale ingresso, terrorizzando gli altri due futuri padri.
“Mapperò.
Ce ne hai messo di tempo ad arrivare. Sei venuto fin qui a
piedi?” Mick
scherzò, togliendo dalla criniera nera un paio di rametti
secchi.
“Questo
emerito imbecille- disse indicando Falcon, che si fece piccolo ed
arrossì,
imbarazzato, sbraitando a denti stretti- si è spaventato di
un cucciolo, e così
è corso dritto nelle fauci di quattro doberman inferociti he
ci hanno
azzannato! Siamo dovuti scappare su un albero perché alla
governante non
ascoltano, e abbiamo passato tre dannate ore lì sopra, al
freddo, a congelarci,
aspettando che il padrone tornasse e sono quasi caduto nelle grinfie di
quei
mostri famelici perché quel dannato gattino faceva LE FUSA a
questo idiota!”
Ryo
si sedette, desiderando come non mai di poter fumare, senza ascoltare
le scuse
del compare, senza sapere cosa stava accadendo dentro alla stanza della
sua
Kaori.
Erano
ormai dieci minuti buoni che Kaori, ormai dilatata del tutto, spingeva,
ma non
succedeva nulla: il suo bambino non sembrava voler uscire. La
dottoressa
ascoltò il monitor, e sospirò dietro alla
mascherina chirurgica, preoccupata.
Si chinò nuovamente sulla paziente, esaminandola, e vide la
testolina del
neonato: tuttavia, non sembrava volerne sapere di uscire, era come se
qualcosa
la trattenesse all’interno del corpo della madre contro la
sua volontà.
Controllò
la cartella clinica, poi di nuovo la madre, e nella sala, solo i
sospiri
ansanti di Kaori ed il battito sul monitor potevano essere uditi.
“Kaori,
ascolta…” sospirò, passandosi
l’avambraccio guantato sulla madida fronte. “Il
tuo bambino è molto piccolo… sta cercando di
nascere, ma il cordone si è
attorcigliato intorno al collo, quindi, tutte le volte che spingi, il
cordone
si stringe e lo riporta nell’utero, e più a lungo
la cosa va avanti, più
pericoloso è, lo capisci?”
Con
le lacrime negli occhi e la morte nel cuore, Kaori annuì.
“Prima
di chiamare l’anestesista per il cesareo, voglio tentare una
cosa, ma solo se
ti fidi di me e se pensi di riuscire a non spingere alla prossima
contrazione,
va bene?”
La
rossa annuì, incapace di smettere di singhiozzare, temendo
che a quella
creatura tanto desiderata potesse
capitare l’impensabile.
C’era
una parola per chi perdeva un genitore, il compagno, ma nella cultura
moderna,
per un figlio, no.
La
contrazione arrivò, Kaori spinse e poi trattenne la spinta,
i muscoli tesi come
corde di violino. Guardò la dottoressa tra le sue gambe, e
nei suoi occhiali
vide la scena.. ciuffetti scuri che spuntavano, seguiti da una
testolina
minuscola (più piccola di quella di Hide, che pesava quasi
cinque chili alla
nascita)… il volto scuro, non solo per il liquido amniotico,
le labbra
violacee… il cordone ombelicale avvolto intorno al
sottilissimo collo.
Si
fece forza, perché se avesse pianto, sarebbe stata la fine.
“Lama
da 17,” disse con tranquillità la donna, tuttavia,
Kaori sapeva essere tutta
una finta. Era tesa, nonostante le sue mani fossero ferme.
E
poi, accadde: lo vide, il bisturi avvicinarsi al cordone, tranciato di
netto
mentre era ancora avvolto intorno al collo del suo bambino, fu tutto
rapido e
veloce, il taglio, il sangue che colpiva gli occhiali della donna, che
mise un
dito guantato nella piccola bocca, e poi, il grido.
Suo
figlio aveva solo la testa fuori, eppure, già piangeva.
Già respirava con i
suoi polmoni.
La
donna, sorrise, con le lacrime agli occhi, mentre Kaori singhiozzava di
felicità.
“E
adesso, Kaori… spingi!”
“È
una deliziosa bambina!” I futuri padri si voltarono verso
l’infermiera che aveva
appena parlato con voce squillante; erano stati così
preoccupati e tesi, che
non avevano idea da quale delle tre stanze fosse uscita.
“Shan In, chi è il
papà di Shan In?”
Tutti
e tre gli uomini si guardarono confusi, grattandosi il capo. Nessuno di
loro aveva
discusso di quel nome con la propria compagna.
“Saeba!”
Sbattè i piedi, infervorata, esasperata. “Shan In
Saeba!”
“Saeba?
Siamo Noi! Cioè, sono io!” Ryo, tra gli sguardi
compiaciuti e divertiti degli
amici, corse all’interno della stanza a
perdifiato, quasi sbandando ed andando contro il muro. Poi, la vide,
addormentata nel letto, pallida, ma che sembrava una regina, la sua
Kaori.
Prese
dalla culla la figlia, piccola e delicata e con i colori della madre, e
le
diede un bacio sulla fronte, prima di sedersi accanto alla sua sposa.
Finalmente,
era a casa.
Finalmente,
era tutto perfetto.
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Capitolo 6 *** drabble ***
La gente gli chiede spesso quando
si sono innamorati. Ryo non sa dire come
e quando è successo, ma gli piace pensare che non sia
avvenuto nei momenti
epici, tra la vita e la morte, ma nelle piccole cose, quando cucinava
per lui
con un sorriso, gli stirava le maglie… ad attrarlo non
è stato tanto il corpo
fasciato nelle tutine, quanto le guance arrossate mentre si sistema i
capelli.
La raggiunge dal lavello, e mentre
posa una mano sul ventre e bacia il
collo, Ryo inspira il suo profumo.
Tutti i giorni si innamora un
po’ di più di Kaori.
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Capitolo 7 *** drabble 2/foto ***
Kaori ha una vecchia polaroid.
Fin da quando ha visto Ryo per la prima volta, a sedici anni, la usa per fotografarlo, spesso e volentieri di nascosto oppure all’improvviso Ha decine di foto sue, forse centinaia, perché continua a fotografarlo, quasi fossilizzare su pellicola l’immagine di lui le possa permettere di rendere più reale e duratura la presenza dell’uomo nella sua vita.
Non lo vede mai fare foto a lei, però. Non si indigna, si limita a scrollare le spalle, senza sapere che ogni sera, prima di coricarsi, lui da un bacio al quadrato di carta lucida: lei che dorme nel letto del compagno, dopo che hanno fatto l’amore per la prima volta.
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Capitolo 8 *** Flashback ***
La sua sorellina stava arrivando. Salutandola con la mano, Hideyuki si voltò verso Ryo, che stava finendo di fumarsi una sigaretta con un sorriso sbruffone stampato sul volto. Stava guardando Kaori correre verso di loro, col sorriso sulle labbra, ed un’espressione che l’ex poliziotto avrebbe potuto solo descrivere come enigmatica.
“Vieni a cena da noi, stasera? Kaori ci sa fare ai fornelli!” Gli domandò all’improvviso, incuriosito dallo strano comportamento del socio. Da quando aveva riportato a casa Kaori quella sera di cinque giorni prima, aveva preso a comportarsi in modo strano. In tre anni, Ryo non aveva mai espresso la volontà di incontrare Kaori, e anzi, forse per quello che lui gli aveva detto, aveva sempre fatto in modo di evitarla come la peste.
Adesso, nel giro di cinque giorni, tutte le volte che lui era con Kaori, si trovavano sempre Ryo tra i piedi.
“Solo se avete qualcosa contro l’acidità di stomaco!” Ryo gli rispose, alzando il pollice in aria, e facendo l’occhiolino. Kaori arrossì, gli occhi le si scurirono mentre la rabbia le montava dentro, e lo colpì in pieno volto senza pensarci due volte.
“Hai solo da tenere la bocca chiusa e non ce ne sarà bisogno!” Lo punzecchiò, petulante come una ragazzina ben più giovane dei suoi vent’anni. Ryo prese a lamentarsi e domandare una pomata per evitare che gli si formasse un livido che avrebbe solo finito per rovinare il suo bel viso, ed intanto Hideyuki prese a sgridare la sorella minore. Kaori aveva abbassato lo sguardo, si stava fissando i piedi, con le guance arrossate per l’imbarazzo, ed intanto continuava a dirgli che la colpa era di Ryo, che era stato Ryo a cominciare…
Ryo, Ryo, Ryo…
L’ex poliziotto, divenuto sweeper, sbuffò, alzando gli occhi al cielo, mentre guardava nascostamente il migliore amico e la sorella.
Non gliela raccontavano giusta.
Dubitava che, per quanto Ryo fosse scapestrato, qualcosa fosse capitato tra lui e Kaori; lei non era quel tipo di ragazza che si concedeva facilmente, e Ryo non si comportava con lei come faceva con tutte le altre sue “conquiste” o con quelle che desiderava ardentemente portarsi a letto. Si comportava quasi come....
Come un bambino che, non avendo il coraggio di dire alla bella bambina che gli piace, le fa una marea di scherzi.
E anche Kaori, sembrava quasi desiderare l’attenzione dell’altra metà di City Hunter, dimostrandogli il suo interesse con quel suo modo manesco.
Fece un sorrisetto mentre, nella tasca, sentiva il peso della pistola che Ryo gli aveva dato per l’incontro di quella sera al Silky Club: non sapeva il come e perché, ma c’era qualcosa nel modo in cui Ryo e Kaori si punzecchiavano che gli metteva come tenerezza ed anche allegria.
Gli infondeva speranza: sapeva che se gli fosse capitato qualcosa, Ryo si sarebbe preso cura della sua sorellina.
“Kaori, dovresti comportarti un po’ meglio con Ryo, come una ragazza!” Le disse, stropicciandole il ciuffo ribelle quasi fosse stata ancora una bambina, e dandole un bacio sulla fronte, che la mise in imbarazzo. “Non si sa mai, magari un giorno essere stata gentile con lui potrebbe tornarti utile!”
“Io? Ma se è solo colpa sua!” Sbuffò lei, arrossendo ancora di più. E mentre si allontanavano per prendere un caffè in santa pace, il braccio del giovane uomo intorno alla spalla della sorella, il ragazzo scosse il capo, immaginando che le cose non sarebbero mai cambiate: quei due, avevano una bella testa dura.
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