There's no place like London

di Klood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** 1. Capitolo 1 ***


THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO I

 

 

J

uliet non poteva quasi credere di essere davanti a quella porta: quante volte era passata con lui davanti a quella casa, guardandola e sognando un giorno di entrarci. Perché lui ce l’avrebbe fatta. Avrebbe realizzato il suo sogno diventando quello che sognava fin da quando si conoscevano. E lui avrebbe comprato quella casa. Quante volte i due, adolescenti, ne avevano immaginato l’interno, trasformandolo a loro piacimento. Perché nessuno dei due vi era mai riuscito ad entrare, nonostante ne conoscessero il proprietario. E forse non avevano mai chiesto il permesso di poterla vedere, nemmeno con una scusa, probabilmente per rispetto o per paura che le loro aspettative si tramutassero in delusioni. Così i giorni si erano susseguiti, tramutandosi in settimane, mesi e anni, in cui i sogni aumentavano e crescevano. Poi, d’improvviso, quasi come una doccia fredda, era arrivata la lontananza. Per i primi tempi Juliet aveva sperato che nonostante tutto, lui sarebbe tornato, meno regolarmente, certo, ma l’avrebbe fatto; e come si sbagliava. Ormai erano passati sei anni, ma la ragazza, che era diventata una donna, aveva continuato a coltivare nel profondo un barlume di speranza.

A 32 anni ormai compiuti, con un lavoro sicuro ed una meravigliosa casa nella capitale britannica, ci si aspettava solo l’arrivo del principe azzurro; lei invece aspettava l’arrivo di qualcun altro. Era una di quelle cose che nessuno si sapeva spiegare, specialmente le sue colleghe in redazione: Juliet era davvero una bellissima donna. Capelli lunghi e leggermente mossi color castano, occhi castano scuro, labbra sottili e viso da principessa delle favole; instancabile lavoratrice, solare, divertente, disponibile e ambiziosa al punto giusto…ma senza una relazione fissa. Era uscita con alcuni ragazzi, in quel periodo, ma nessuno aveva superato la terza settimana. L’unico che ci era riuscito, a sentire le storie che circolavano, era una storia di anni prima: ancora ventenne e fresca di laurea, Juliet, appena assunta, aveva avuto una storia con un famoso editore, un certo Christian Johnston. I due erano sempre insieme, facendo i fidanzatini alla prima cotta senza nessun tipo di timore. Poi, dopo due anni, inspiegabilmente, tutto era finito. Nessuno sapeva la ragione di questa separazione improvvisa: si sapeva solo che due anni dopo Christian Johnston si era sposato con Jane Banks, giornalista di People, ed ora aveva ormai tre figli.

Altro fatto alquanto inconsueto per una donna, era lo strano attaccamento di Juliet per vari oggetti alquanto bizzarri che riempivano il suo ufficio. A prima vista non si notavano molto, ma se si cominciava ad osservare lo studio con più attenzione, non si potevano non notare il teschio sulla mensola alla destra della scrivania, la freccia che era stata appesa al muro sopra la porta; L’arma di un eroe, citava una scritta a mano sotto di essa. Per non parlare dei vari proiettili e pezzi di artiglieria che si intravedevano qua e là nella libreria. “I ricordi di un periodo particolare” spiegava a chiunque le chiedesse delucidazioni su quegli oggetti. E ormai nella redazione londinese di Vogue si erano tutti abituati a quella particolare donna che avevano visto arrivare ormai cinque anni prima con la convinzione di conquistare la meta che si era prefissata nel minor tempo possibile. E dopo tre anni l’aveva raggiunto: era lei ad intervistare i volti di copertina che capeggiavano sulle copertine della rivista.

Ancora di fronte a quel cancello, fu scossa dai suoi pensieri, sentendo il campanello di una bicicletta che passava di lì. Respirò profondamente e suonò il campanello in cui era scritto ancora il nome del vecchio proprietario, cosa che fece sorridere la donna. Il temutissimo professor Seamus Cooper, che insegnava la letteratura citando Shakespeare anche se si parlava di James Joyce. Pochi secondi dopo aver suonato il campanello, sentì il citofono alzarsi e, sorridendo, Juliet iniziò a parlare.

O Romeo, Romeo! Wherefore art thou Romeo?

Deny thy father and refuse thy name!

Or, if though wilt not be but sworn my love,

And I’ll no longer be a Capulet.

Non appena ebbe finito sentì il cancello scattare e con una lieve pressione lo aprì, entrando lungo il vialetto di quella casa tanto sognata. Quindi davanti alla porta, bussò con due colpi. Attese qualche secondo, prima di trovarsi davanti un ragazzo, o meglio un uomo, con i capelli castani medio lunghi, gli occhi azzurri, il naso un po’ a patata e le orecchie leggermente a sventola. Vestiva con un semplice paio di jeans un po’ vissuti, una t-shirt colorata ed una giacca nera. Juliet sorrise, serena: le sembrava passata un’eternità da quando quei due si erano visti, ma ogni momento le era tanto scolpito nella mente che sembrava quasi che quei ricordi fossero stati congelati per essere poi tirati fuori freschi al momento adatto. Istintivamente si sfiorò il ciondolo che portava al collo: una j intagliata in un pezzo di legno; lo stupore che percorse il volto della persona di fronte a lei, le fece allargare il sorriso ancora di più.

“Juliet!” esclamò ancora più stupito.

“La sola ed unica, Dom.” fu la risposta di lei, che non appena finì quella frase gli si gettò tra le braccia, felice. Lui la strinse a sé inspirando quel profumo…lo stesso che aveva l’ultima volta che si erano visti. Lui si staccò da lei, guardandola negli occhi per poi farle fare una piroetta. Sorrise. Non solo il profumo non era cambiato, ma anche tutto il resto. Era solo maturato a causa del passare degli anni. I capelli sempre raccolti in quella maniera, che non aveva mai capito come potessero restarsene in quel modo; e quella solita ciocca che scendeva incorniciando il suo occhio destro. Quante volte mentre lei stava studiando, lui aveva cercato di sistemargliela, facendola sorridere e cominciare a scherzare, lasciando perdere completamente lo studio.

Juliet a sua volta l’osservò: l’ultima volta che l’aveva visto era stato in un minuscolo riquadro di People. Biondo, con quel suo solito sorriso, scherzava in una località tropicale assieme ad una donna molto bella, con cui stava da parecchio. L’articolo parlava di matrimonio imminente, e i due sembravano molto affiatati insieme, dando una conferma apparente alle affermazioni della giornalista. Juliet ricordava di aver sorriso leggendo quel trafiletto: non si immaginava possibile il matrimonio di quel ragazzo, ormai diventato uomo anch’esso, con cui aveva condiviso davvero tanto. Era quasi impossibile che una come Dom si sposasse…la parola matrimonio con annessi e derivati non compariva nel vocabolario personale di Dom.

“Juliet Wollstonecraft.” la interrupe Dom da quei pensieri, “sono passati sei anni e non sei cambiata di una virgola.”

“Tu invece in sei mesi diventi un altro.” gli rispose.

“Che fai? Spii?”

“Assolutamente no. Leggo i giornali…” gli sorrise. “Immagino che ci sia anche Evangeline, qui.”

A quell’affermazione Dom si bloccò: era ormai un anno che le cose non funzionavano con Evie, come la chiamava lui, e la rottura definitiva era avvenuta qualche mese prima, in un modo alquanto burrascoso. Stava per rispondere quando una voce lo bloccò.

Dominic Monaghan, se stai di nuovo cercando di abbordare qualcuno…” iniziò, per poi bloccarsi alla vista di quella scena. Il suo sorriso si allargò e si diresse a passo svelto verso Juliet.

“Sam!” esclamò quest’ultima, abbracciandola. “Sono secoli…”

“Secondo i miei calcoli, direi un anno, ad occhio e croce.” le rispose ridacchiando. “Spero tu non stia lavorando.” osservò, guadando in direzione di Dominic. “Oggi è vietato lavorare, e se vedo anche solo l’ombra della giornalista, giuro che ti caccio fuori a pedate nel fondoschiena!”

“Giornalista?” chiese Dominic con gli occhi sgranati. Juliet annuì, per poi fulminare bonariamente Sam con lo sguardo.

“Com’è che ti chiamano? Ah, sì! La temibile Wollstonecraft.” affermò Samantha, guardandola con occhio scrutatore. “Io però non vedo nulla di temibile…”

Dominic era sempre più stupefatto. “Tu sei la giornalista di Vogue? Quella dei servizi di copertina?” chiese.

“Affermativo, Mr. Monaghan.” gli rispose Juliet, lanciandogli un’occhiata che doveva incutere terrore, per poi ridere di gusto. Dopo di ché si rivolse all’altra donna. “Questa l’ha fatta mamma.” le disse, porgendole un sacchetto al cui interno vi era un contenitore quadrato. “Le ho ripetuto che non era necessario, ma lo sai com’è fatta…”

Samantha sorrise, annuendo, per poi prendere il sacchetto e sparire dietro ad una porta non lontana da loro.

Per un poco i due rimasero in silenzio, poi fu Dominic ad interromperlo. “Vieni, ti mostro la casa…” le fece, conducendola verso la sala. Mentre percorreva l’ingresso, Juliet si guardava intorno: a destra e a sinistra, man mano che procedevano, si aprivano alcune stanze che Dominic le indicava. Subito a sinistra, dietro la porta in cui era sparita Sam, c’era la cucina, collegata alla sala, mentre a sinistra c’era un ripostiglio e più avanti una stanza per gli ospiti. A quell’altezza il corridoio si muoveva verso sinistra, affiancando il bagno e arrivando dritto nella sala. Poco prima dell’entrata, una scala conduceva al piano di sopra.

Appena Juliet entrò nella sala rimase a bocca aperta: mentre l’ingresso era particolarmente sobrio e spoglio, la sala era completamente diversa. Nella parete opposta due finestroni immensi la percorrevano, lasciando da un lato spazio per una porta che conduceva nel giardino. Di fronte a lei vi era un lungo tavolo in legno, ora colmo di leccornie di ogni genere, dal dolce al salato. Infondo alla sala un divano in pelle bianca a elle di fronte ad un impianto tv da far rabbrividire con tanto di lettore dvd, vhs e l’immancabile play station. Appesi alle pareti, dove non c’erano mobili e mensole, vi erano due riproduzioni di quadri: un Constable ed un Van Gogh. Ora, in quella stanza vi erano un mucchio di persone, ed all’entrata di Dominic e Juliet molti si voltarono. La donna si rese conto di come molte di quelle persone le fossero familiari; ovviamente c’era tutto il gruppo che aveva condiviso con lei quell’esperienza favolosa. Passò in rassegna ogni viso, notando la mancanza di tre elementi: Dominic, che le era accanto, il fratello di Sam, ed un terzo, di cui stava per chiedere notizie, ma Dom sembrò leggerle nel pensiero.

“E’ andato a prendere il padrone di casa. Lo sai, che è il più affidabile…” le disse, facendola sorridere.

Poco distante da quel gruppo, ve n’era un altro, verso cui Juliet si diresse, andando ad abbracciare una ragazza bionda dai capelli corti e gli occhi vispi e sorridenti. Viola Barrie, figlia del noto Jonathan Barrie, primo violino della Royal Albert Hall di Londra, e lontana parente dello scrittore J. M. Barrie. Veniva da una famiglia di artisti: la madre infatti era stata membro della Royal Ballet e sua nonna prima ballerina della Scala. Da una ragazza simile ci si aspettava quindi un mestiere legato alle arti, anche diverso dalla professione che ricoprivano i genitori, come per esempio l’attrice o la pittrice. E invece Viola era diventata un chirurgo abbastanza importante e stimato dai suoi colleghi.

Dopo essersi salutate, Juliet salutò anche il resto del gruppo: erano presenti Hugh, Conrad, e Sylvia. Aggiungendo lei stessa, Viola, ed il fratello di Sam, si formava quello che loro stessi avevano nominato il Canterbury Shakespearian group. I sei erano infatti tutti nati a Centerbury e, fino a 16 anni, avevano frequentato le stesse scuole. All’età di 12, avevano costituito il gruppo: ognuno di loro aveva il nome di qualche personaggio di cui William Shakespeare aveva scritto ed ognuno rappresentava un’opera diversa dell’autore che tutti amavano particolarmente.

I cinque membri presenti in quel momento si scambiarono qualche parola, raccontandosi cos’era successo negli ultimi giorni; infatti nonostante l’assenza di un membro del gruppo, che ormai era così lontano da non venire più agli incontri, che si svolgevano comunque regolarmente, i ragazzi continuavano a frequentarsi. Dopo di ché Juliet si congedò da loro per dirigersi verso il gruppo dove c’era Dominic.

“Capisco che sono passati anni, ma almeno un ciao non sarebbe male…” commentò lei divertita, facendo zittire tutto il gruppo per qualche istante. Ma fu davvero un tempo davvero ristretto perché dopo il silenzio si trasformò in una gioia fatta di abbracci, baci, domande semplici e dirette che avevano il sapore di un tempo lontano, quando ancora la leggerezza dell’età era qualcosa di palpabile. E in quello scambio di sorrisi e gioia, Juliet rivide davvero tutti: Elijah, Billy, Liv, Karl, Miranda, Cate, John, Andy, Bernard, David, entrambi gli Sean, ed infine Ian che la chiamò come usava fare anni addietro, riempiendola di una serenità ritrovata per la prima volta dopo così tanto tempo. Ma quella festa fu improvvisamente interrotta dal trillo di un telefono, seguito dall’entrata nella sala di Samantha, proveniente da una porta laterale. Alzò la cornetta, mentre nell’intera stanza calò il silenzio, intervallato dalle brevi parole di Sam.

“Perfetto!” concluse la donna chiudendo la conversazione. Poi si guardò intorno seria, scrutando gli occhi di ognuno dei presenti, per poi rivolgersi a Dominic. “Occupati del piano di sotto. Io vado di sopra. Mi raccomando la porta… ed ognuno al suo posto.” concluse, rivolta a tutti.

In quel momento, sembrò scoppiare il finimondo; Dominic partì a tutta birra, dirigendosi verso le altre stanze. I restanti, invece, si divisero in due gruppi: Juliet e molti altri (tra cui l’intero gruppo con cui stava parlando) si recarono in cucina, e gli altri in bagno.

“Ma che cavolo…?” chiese Juliet non capendo, ma fu interrotta da due dita che le tapparono la bocca.

“Fai la brava, Jules, e non una parola…” le rispose Billy.

Poco dopo entrarono nella stanza anche Dominic e Samantha; lui si mise accanto a Juliet, mentre lei andò alla finestra.

“Eccoli.” fu il sussurro di quest’ultima, qualche minuto dopo.

Improvvisamente il silenzio calò nella casa, come se non ci fosse anima viva. Neanche i respiri erano percepibili e fu per Juliet qualcosa di irreale. Si rese conto in quel momento di come, nonostante sei anni di lontananza, non fosse cambiato niente in quel rapporto così particolare ma anche profondo. Anche se, in effetti, una cosa era cambiata: durante quei 18 mesi passati lontani dal mondo, aveva avuto la sua prima vera storia, finita dopo 7 mesi senza nessun tipo di rancore da parte di entrambi. I due si erano resi conto che la cosa non sarebbe potuta continuare, ed ora erano rimasti amici. Forse per una questione di riflesso, Juliet strinse la mano di Dominic che sorrise: aveva ragione lei. Nonostante quei 7 mesi non era cambiato il loro rapporto; certo, non facevano più i fidanzatini, ma i sorrisi, gli abbracci, e tutti quegli altri gesti che definiscono una profonda amicizia non si erano assopiti, anzi, si erano fortificati.

Improvvisamente, due mani si posarono sui fianchi di Juliet, che presa alla sprovvista stava per urlare, ma Dominic fu più veloce. Le tappò la bocca appena in tempo. Subito dopo infatti la porta d’entrata scattò e la luce dell’ingresso si accese, illuminando attraverso la fessura della porta la cucina. In quel momento Juliet si voltò, trovandosi di fronte a colui che in quella famosa esperienza era diventato un vero e proprio mentore per lei: il viso era leggermente invecchiato, ma quel suo fascino incredibile era rimasto inalterato. I capelli non erano più lunghi fino alle spalle, ma corti, ed un paio di baffi incorniciavano la bocca; i suoi penetranti occhi azzurri le sorridevano e lei ricambiò quel sorriso, rendendosi conto di essere finalmente tornata in quell’atmosfera fantastica e riempita di una gioia che davvero non provava più da tempo.

I passi nell’ingresso si facevano sempre più nitidi, dirigendosi verso la sala. Un cenno di Samantha e la porta che collegava cucina e salotto si aprì. I passi si fermarono, per farsi più veloci verso la sala. Rapidamente tutti uscirono dal loro nascondiglio, e proprio nel momento in cui il padrone di casa entrò nella casa, si accese la luce, e tutti si voltarono.

“Sorpresa!!!” fu il grido unanime che rimbombò per tutta la sala.

Il cane nero accanto a lui, sembrò riconoscere qualcosa, perché si buttò tra la folla, alla ricerca di quell’odore così familiare. Lui invece no, rimase lì. Fermo immobile. Incredulo che tutte quelle persone potessero essere lì per lui. Non che non fosse circondato da migliaia di persone ogni volta, ma solitamente erano tutte attratte dalla luce che emanava indirettamente, e non per quello che in realtà era. Sicuramente era stata la sorella ad organizzare il tutto, e doveva ammettere che la sorpresa era pienamente riuscita; e guardandosi attorno riconobbe tutti quei volti che gli sorridevano felici.

“Allora, non dici niente?” chiese Dominic, sorridendo soddisfatto.

Lui aprì bocca, ma non gli uscì niente. Non riusciva ad esprimere l’emozione forte e la gioia che gli aveva provocato quella sorpresa, ma nessuno gliene fece una colpa, perché subito fu investito da quella marea di gente che lo abbracciava, lo baciava affettuosamente, facendo riaffiorare vecchi ricordi. Poi, come in un viaggio nel tempo fatto a ritroso, se li ritrovò davanti: Viola, Sylvia, Conrad e Hugh. Dapprima il sorriso e la gioia lo pervase, per poi portare il suo occhio a vagare per la stanza, nella disperata ricerca di quell’unica persona che poteva riempire quel senso di vuoto e di smarrimento che lo stava attanagliando, facendogli quasi mancare il respiro.

“E’ qui, Gibbo.” gli disse Viola, quasi leggendo i suoi pensieri. “L’ho vista accanto a Dom quando siamo usciti. Un attimo prima era lì, e quello dopo era sparita… sarà in giro per la casa.”

“Forse hai ragione…” le rispose poco convinto, rendendosi conto in quel momento di come gli mancasse quel rapporto. Del perché aveva deciso di comprare quella casa non appena aveva saputo che era in vendita, occupandosi personalmente di arredarla, nonostante il parere contrario di Aileen. Non voleva che nessun altro la toccasse: quella casa aveva un significato che solo lui e lei sapevano. Quella era la casa che entrambi avevano sognato, ed ora che lui l’aveva, l’avrebbe trasformata, facendola diventare identica a come l’avevano sognata. E ora che vi era riuscito, o almeno così sperava, aveva intenzione di recuperare tutto, specialmente quegli anni perduti, in un modo o nell’altro.

Dopo aver scambiato qualche parola con ciascun membro del Group, rivangando vecchi ricordi, ed esperienze passate, li salutò, dirigendosi verso la sorella.

“Allora balenottera, potevi avvisare prima? Almeno chiamavo qualcuno a riordinare…” le disse.

“Ci abbiamo pensato io e la mamma, gambo di sedano… e ringrazia che sono passata prima di lei per vedere in che condizioni era.” gli rispose lievemente critica, “Tre giorni che vivi qui e sembrava passato Attila con il suo esercito.”

“Tu esageri…”

“E tu sei un casinista di dimensioni cosmiche.” gli disse Samantha, porgendogli poi un piatto con una fetta di torta. “Bentornato a Londra, fratellino.”

A quel gesto lui prese il piatto dalle mani della sorella, la guardò sorridente e le si avvicinò sfiorandole la guancia con un bacio delicato.

“Grazie, Sammie… per tutto.” le rispose dolce. Poi con la mano destra, impugnò la forchetta e mangiò un pezzo di torta. Samantha lo guardò incuriosita, come se stesse attendendo una reazione da parte del fratello più piccolo di due anni, che non comprendeva quello sguardo da parte della sorella. Poi improvvisamente, quando tolse la forchetta dalle sue labbra, cominciando a gustare il dolce, chiuse gli occhi. Quel sapore… lo riconosceva benissimo, anche dopo anni. Mentre iniziava a masticare, vedeva le mani di quella donna, che ormai aveva già circa 60 anni, ancora quarantenne, impastare e preparare quello stesso dolce, mentre due bambini giocavano in cortile, ridendo sereni ed ignari del futuro che li attendeva. In quel momento gli apparve un flash; i medesimi bambini, ormai adulti. L’uno accanto all’altra. Il sapore di quella torta in bocca e nelle narici il suo profumo. Un arrivederci e la promessa di un ritorno che non era mai accaduto: un ritorno che aveva dovuto aspettare anni prima di diventare concreto. Di colpo aprì gli occhi, ritrovandosi davanti la sorella che lo osservava.

“Ogni volta che la mangio torno indietro, ricordando dettagli che sembravano insignificanti a quell’epoca…” gli disse. “Sei anni di astinenza non so a cosa possano portare…” concluse, salutandolo con un bacio sulla guancia ed allontanandosi dal fratello che improvvisamente, iniziò a trangugiare quella fetta. E ogni boccone era un ricordo, un’emozione. I giochi al parco, gli esami, l’incidente a casa di Paul, l’operazione alla schiena, le lacrime di lei, le risate agli scherzi di lui. E fu così che si ritrovò di colpo con il piatto vuoto; lo pose su un tavolino vicino a lui e si voltò casualmente verso la finestra. E fu proprio lì, con il braccio destro a mezz’aria e quello sinistro lungo il fianco, gli occhi fissi al giardino, che si bloccò, mentre lungo il corpo si sentì il sangue scorrergli nelle vene ancor più velocemente del solito, inondandolo di un calore ritrovato. Con una lentezza quasi esasperante, si incamminò verso la porta da cui si accedeva in giardino, aprendola e richiudendola dietro di sé silenziosamente. Poco distante, alla sua destra, Sidi, suo fido compare a quattro zampe da ormai tre anni, era steso sull’erba scura, confondendosi con essa. Il muso rivolto verso qualcuno: una donna. Portava un paio di decolté nere, le gambe fasciate da calze color carne sotto ad una gonna scura. Dalla giacca scura (probabilmente dello stesso colore della gonna) usciva una camicetta bianca molto semplice. I capelli erano tenuti raccolti grazie ad un bastoncino, ed il viso, ce si vedeva solo in parte, sembrava sorridente e disteso.

Abbagliato da quella visione che gli sembrava così lontana, rimase per qualche attimo bloccato sul pavimento, poi il suo piede si posò sull’erba fresca facendo un passo verso di lei. Mentre compieva questo movimento prese fiato, e parlò, scandendo le parole e amplificando la voce, rendendola cristallina, come gli era stato insegnato.

If I profane with my unworthiest hand

This holy shrine, the gentle sin is this:

My lips, two blushing pilgrims, ready stand

To smooth that rough touch with a tender kiss.

Alle prime parole la mano della donna si bloccò. Il cane si voltò verso colui che aveva parlato, per poi tornare con gli occhi a quell’amorevole persona che ormai conosceva da un anno. Quando era entrato in quella immensa sala, ne aveva riconosciuto immediatamente l’odore, e l’aveva rivista in giardino, intenta a contemplare il cielo. Ma ora, le vedeva qualcosa sul viso che non aveva mai visto. Fece un mugolio, cercando di capire cosa stesse succedendo. Lei gli accarezzò dolcemente la testa, sorridendogli amorevolmente, mentre una nuova e ritrovata luce si impossessò dei suoi occhi. Si alzò in piedi, prese un respiro e si voltò verso il suo interlocutore.

Good pilgrim, you do wrong your hand too much,

Which mannerly devotion shows in this;

For saints have hands that pilgrim’s hands do touch.

And palm to palm Is holy palmer’s kiss.

Senza fare oltre, lui mosse un passo verso di lei.

Have non saints lips, and holy palmers too?

Lei sorrise, muovendo un passo in sua direzione.

Ay, pilgrim, lips that they must use in prayer.

Un altro passo verso di lei.

O then, dear saint, let lips do what hands do:

They pray: grant thou, lest faith turn to despair.

Lei si mosse verso lui. E la distanza tra loro era quasi colma.

Saints do not move, though grant for prayer’s sake.

Un altro passo. Avrebbe potuto sfiorare le braccia di lei, se solo avesse allungato il braccio, ma non lo fece.

Then move not, while my prayer’s effect I take.

E non appena le parole diventarono solo un ricordo, colmarono insieme quella minima distanza che c’era tra di loro, trovandosi l’una nelle braccia dell’altro, abbracciandosi dopo sei anni di lontananza, mescolando i ricordi di una vita passata insieme, una vita che li aveva riempiti di esperienza, di sogni, e di ambizioni. Quella stessa vita,che li aveva allontanati, ma che ora li aveva fatti riunire in quel giardino di quella casa tanto sognata. Lui la strinse di più a sé inalando il suo profumo e sorridendo. Era sempre lo stesso di sei anni fa, lo stesso da quando la conosceva; quell’odore di vaniglia che ti entrava nelle narici anche se tu non volevi.

“Usi ancora quel bagnoschiuma.” ruppe il silenzio lui.

“Credo di mandare avanti la casa da sola.” sorrise lei.

Lui si lasciò scappare una risata, per poi iniziare ad accarezzarle la schiena.

“Sono un coglione… non ho mantenuto la promessa…” si scusò.

“Non è vero. Siamo qui…” fu la risposta di lei, che alzò il viso sorridendogli e guardandolo in quegli occhi color nocciola. “Siamo a casa.”

La guardò negli occhi. Era cresciuta, certo, diventando una donna, ma la ragazza che aveva conosciuto lui era ancora lì, in attesa del suo ritorno. Le scostò la solita ciocca, sorridendo, posizionandogliela dietro l’orecchio.

“Mi sei mancata, Jules.”

“Mi sei mancato anche tu, Orlando.”

 

 

Questa è la mia prima fanfic... chissà che ne verrà fuori… spero gradiate… Ah! Ovviamente non conosco Orlando Bloom e nemmeno mi appartiene, non intendo quindi con questa fan fic offenderlo…

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO II

 

 

Q

uando i due amici rientrarono nella casa pochi minuti dopo il loro riavvicinamento, notarono che nella sala i presenti erano aumentati riempiendo la stanza ancora di più, cosa che a Juliet sembrò alquanto impossibile, visto che già prima il numero di persone a quella festa era enorme. Anche Orlando si guardava intorno, mentre la folla non sembrava essersi resa conto di quello che era successo in quegli ultimi minuti, come se l’assenza sua e di Juliet fosse normale amministrazione.

Mentre la sua mano non si decideva a lasciare quella della donna che gli si trovava accanto, lui continuava a scandagliare i volti di tutte le persone che si trovavano lì unicamente per lui; vide molti suoi colleghi accompagnati chi dal proprio compagno, chi dal proprio manager, ma anche soli, come Dom, che da quando aveva lasciato Evangeline era tornato il solito marpione incallito con cui aveva condiviso per più di un anno quella mega villa in Nuova Zelanda. Accanto a Dominic, Viggo, con il quale aveva deciso di uscire quella sera, ignaro che proprio quell’idea che gli era venuta in mente mesi prima, mentre si trovava nel suo letto di Los Angeles ad osservare un’addormentata Miranda, sarebbe stata la scintilla che avrebbe fatto scaturire la festa.

“Credo sia il tuo turno di public relations.” lo interruppe dai suoi pensieri Juliet. “Anche loro hanno diritto a 5 minuti di Orlando Bloom quanto me.”

“Lo so, ma loro non sono te.” replicò lui, che proprio non aveva voglia di staccarsi da lei. Aveva intenzione di recuperare quei 6 anni, e non gliene fregava una mazza di tutta l’altra gente. Si sentiva in colpa per non aver mantenuto quella promessa, ed era pronto a recuperare.

“Smettila di fare il bambino.” lo rimproverò lei. “Ora che il mondo pende dalle tue labbra, non vuol dire che tutti ti cadano ai piedi come pere cotte. Svegliati, Bloom! Non sei in un covo di fan, ma nella tua casa, tra persone che hanno significato e significano tanto per te. Magari loro non hanno dovuto aspettare 6 anni, ma se sono qui vuol dire che hanno a cuore te e non un ammasso di mattoni…”

“Senti,” iniziò, lievemente irritato, “se stai cercando di farmi sentire in colpa per questi 6 anni, sappi che non ce n’è bisogno. Mi ci sento già abbastanza di mio.” le disse.

“A quanto pare non abbastanza, visto che hai intenzione di far aspettare qualcun altro.” fu la risposta di lei, che lo fece irritare ancora di più, tanto che si staccò da lei, andando dritto filato da Dominic e Viggo, a cui si era aggiunta anche Liv. I tre cominciarono a parlare di lavoro: Liv stava girando una commedia al fianco di Ben Affleck -già suo collega in Jersey girl-, dividendosi tra il set e Milo, il suo meraviglioso bambino di ormai 5 anni. Viggo, invece, stava analizzando un paio di copioni che gli erano stati mandati, tra cui il nuovo progetto di David Cronenberg, a cui stava pensando di partecipare. Infine Dominic aveva deciso di tornarsene a Manchester dalla sua famiglia; si era reso conto che la sua permanenza negli USA, alla ricerca di un lavoro, si era rivelata inutile e quindi aveva ritenuto opportuno tornarsene tra le quattro mura di casa sua in Gran Bretagna.

“Tu, invece?” si informò Liv, rivolta ad Orlando.

“È troppo impegnato con Miranda.” sentenziò Dominic.

Orlando s’incupì per un istante: nessuno ancora lo sapeva e in quel momento proprio non se la sentiva di rovinare quell’atmosfera. Così sfoderò il suo migliore sorriso e rispose agli amici come aveva ormai fatto con tutti, appioppandogli quella scusa modellata ad arte, giusto per contenere lo scandalo.

“È partita per l’Australia una settimana fa. Aveva alcune cose da sistemare e una sfilata per David Jones… un paio di settimane e torna a New York.” fu la sua risposta, che sembrò convincere tutti e tre, cosa di cui Orlando fu incredibilmente soddisfatto.

Infondo, Miranda Kerr, angelo di Victoria’s Secret, era davvero partita per l’Australia, giustificandosi con la storia della sfilata. Certo, vi avrebbe partecipato, ma come lui ormai sapeva da mesi, la modella intratteneva una relazione con lo stilista. Non ne era certo al 100% e non li aveva ancora colti in flagrante, ma era certo che qualcosa non andava. Così, dopo settimane di litigi, avevano deciso di prendersi una pausa; lui se n’era tornato a Londra, mettendo anima e copro nella ristrutturazione di quella casa, mentre lei, dopo qualche tempo, lo aveva avvisato che sarebbe tornata nella sua patria per lavoro.

I due si erano conosciuti circa un anno prima ad un party. Lui stava parlando con Leonardo DiCaprio quando gli erano passate accanto Giselle Bündchen e un’amica; stando alle parole di Leo avevano lavorato insieme nella linea di Victoria’s Secret, e mentre Giselle aveva acquisito maggior fama, l’altra era rimasta tra gli angeli. Per tutta la serata non era riuscito a staccarle gli occhi di dosso: non poteva negare che era una gran bella ragazza ed il mini abito che indossava le risaltava il fisico praticamente perfetto. Così, dopo un paio d’ore passate ad osservarla, nel momento in cui lei si trovò sola al bancone, le si era avvicinata sfoggiando un sorriso smagliante, offrendole da bere. Quella sera stessa, complice qualche bicchiere in più per entrambi -soprattutto per Orlando-, lui l’aveva accompagnata a casa, con tutta l’intenzione di tornarsene nel suo appartamento e partire l’indomani all’alba alla volta di Londra, arrivando in città proprio la mattina del compleanno di Juliet. Ma, ovviamente, quella sera Orlando non tornò a casa. Infatti, Miranda -così si chiamava la ragazza-, a cui non stava di certo indifferente, lo invitò in casa per bere qualcosa, volendo ringraziarlo per il passaggio; non avevano nemmeno varcato la soglia, che le loro bocche erano già incollate l’una all’altra, le loro lingue intrecciate, mentre le loro mani vagavano sul corpo dell’altro.

Da quel giorno -in cui Orlando perse l’aereo per Londra, non tornando nella sua nazione per più di un anno-, i due avevano cominciato a frequentarsi, cercando di stare il più attenti possibile a non sbandierare il loro rapporto in pubblico. Pochi mesi ed i primi gossip circolarono; gossip che si trasformarono in certezze quando decisero di uscire allo scoperto, diventando la preda preferita dei paparazzi. All’inizio questa cosa non aveva impensierito più di tanto Orlando, il quale era abituato a quel genere di situazione, convinto che in pochi mesi tutto si sarebbe sgonfiato; il problema si presentò quando lui, folgorato da non si sa bene cosa, si rese conto di come ormai la sua vita fosse pienamente in funzione di lei, facendogli dimenticare tutto il resto. Da quel momento si rese conto anche di come quel rapporto fosse logorante, soprattutto per lui; era sempre stato una persona molto attiva, a cui piaceva poco la sedentarietà e la monotonia. Viveva di grandi passioni e grandi emozioni, lasciandosi trascinare dall’avventura, dal pericolo, dalle emozioni e dall’entusiasmo che le altre persone gli comunicavano. Tutte cose che in quell’ultimo periodo si erano affievolite, riducendolo all’ombra di sé stesso.

L’arrivo di Elijah lo scosse da quei ricordi, facendolo tornare alla realtà dei fatti; dopo aver salutato il nuovo aggiunto al gruppo e scambiato qualche parola con lui, cominciò a muoversi lungo la stanza, scambiando qualche parola con tutti e spostandosi di persona in persona abbastanza velocemente, mentre nella sua mente pensieri e ricordi che sembravano perduti si facevano spazio man mano. I suoi movimenti così veloci erano stati osservati da Juliet, rimasta ferma dove lui l’aveva lasciata, per qualche istante. Poi la donna si era diretta in cucina, dove trovò Samantha intenta a sistemare alcuni vassoi nel lavello.

“Vuoi una mano?” le chiese Juliet.

“No, grazie, Jules. Ormai ho finito.”

Per un attimo piombò il silenzio, rotto dopo un po’ da Sam.

“Che te ne pare?”

“Di cosa?”

“Mio fratello.”

“È sempre lo stesso, o almeno così vuole far sembrare. Vorrebbe non dover crescere, poi si deve arrendere al fatto che gli anni passano anche per lui… prima abbiamo discusso.”

“Neanche 24 ore che vi siete rivisti e già battibeccate? Ha ragione mamma, siete impossibili.”

“Tuo fratello aveva intenzione di catalizzare l’attenzione su di me.” si giustificò.

“Io lo chiamo senso di colpa.”

“…io anche egoismo. Non fraintendermi, posso capire come si senta in questo momento, ma deve capire che non può fare aspettare qualcun altro per 6 anni. Sarebbe sbagliato.”

Samantha sorrise.

“Lo conosci. Questa cosa è per lui la più grande cazzata che ha fatto nella sua vita, e vuole rimediare in qualunque modo possibile.”

“Ha fatto ben di peggio…”

“Tipo?”

“…Canarie…” fu la risposta stizzita della giornalista. Ricordava perfettamente quella riunione in cui si era impuntata perché quelle foto non venissero pubblicate sulla rivista, arrivando quasi a minacciare i vertici con il licenziamento. Quella volta era riuscita a parargli il culo, ma non si poteva permettere alzate di testa di quel tipo con la frequenza con cui Orlando combinava cavolate.

“Perché noi lo conosciamo da prima. Secondo lui, averti promesso di tornare almeno una volta l’anno per poi lasciarti da parte, è ben peggio.”

“Ma ha messo in ridicolo sé stesso!”

“Non è la prima volta…”

“Lascia perdere le altre volte. Il mondo non ne era né tantomeno ne è a conoscenza.”

“E adesso tocca a te.” le disse la donna, porgendole un bicchiere di champagne.

“A fare che?” chiese Juliet, prendendo il bicchiere, bagnandosi le labbra in quel liquido chiaro.

“A farlo tornare sé stesso.”

“Più facile a dirsi che a farsi. Finché rimarrà con quella… se lo rigira come un calzino in maniera assurda. Pensavo che nemmeno un figlio l’avrebbe ridotto così.”

“Non piace nemmeno a me, ma vallo a spiegare a mia madre. La trova carina, elegante, raffinata, modesta e riservata.”

Juliet roteò gli occhi. “Allora non sono l’unica che sta nascondendo alla propria madre le peggiori uscite di lei e le cazzate di lui.” osservò. “Tutto ciò che fa lei, mamma lo usa per fare un paragone con me. Sembra che sia la donna perfetta.”

“Elimino ogni rivista di gossip che prova ad entrare in casa; per fortuna che ne entrano poche. E nonostante tutto anche mia madre fa paragoni; dovrei dimagrire, dovrei impegnarmi maggiormente nel lavoro,…”

Juliet sospirò, poi uno dei suoi cellulari -quello che usava per lavoro-, vibrò. Sullo schermo comparve la busta, segno inconfondibile dell’arrivo di un sms. Schiacciò il pulsante leggi e vide che il mittente era la sua segretaria, Caroline.

La McMiller mi ha mandato lo schedario per la prossima intervista… la vittima è un attore. Orlando Bloom.

La donna rilesse più volte quel messaggio, assicurandosi di non aver perso la facoltà visiva. Era pressoché impossibile; avrebbe dovuto intervistare la stessa persona che aveva atteso per 6 anni, lo stesso attore che le aveva regalato sin dall’inizio grandi emozioni. E in quel momento, si trovava nella sua cucina.

Rispose a Caroline con un criptico Perfetto. Mandami tutto via mail. A lunedì., mentre sorrideva divertita, visto che quella mail sarebbe stata totalmente unitile. L’avrebbe direttamente cestinata non appena avesse acceso il portatile l’indomani, per poi dare una sfogliata allo schedario il lunedì mattina nel suo ufficio, giusto per non destare sospetti. Solitamente lo schedario era un plico, più o meno grosso, riguardo l’intervistato; conteneva una biografia dettagliata con tanto di filmografia e ultimi gossip più alcuni fogli contenenti i photoshoot fatti fino a quel momento. Tutte cose che erano totalmente inutili. Conosceva la sua vittima dall’età di 7 anni e di certo non ne era intimorita; non dopo aver intervistato mostri sacri quali Leonardo DiCaprio, Robert DeNiro, Nicole Kidman e molti altri. Orlando Bloom, era per il mondo un attore che sembrava dover ancora mostrare il suo talento; per lei, Juliet Wollstonecraft, era quell’amico parecchio sciroccato con cui aveva fatto le più grandi cazzate della sua vita, e che si era appena trasformato nella più succulenta tra le prede che le erano capitate tra le mani. Persa in questi pensieri, la giornalista chiuse il cellulare e lo ripose nella tasca della giacca, mentre Samantha la guardava interrogativa.

“Lavoro.” si spiegò la giornalista. “Nuova intervista.”

“Per quanto mi riguarda non puoi fare meglio che con DiCaprio… mamma le tiene tutte.” Sorrise la donna. “Chi è la prossima vittima?”

Juliet non riuscì a trattenere una risata.

Fu così che Orlando la trovò, quando arrivò in cucina. Con quel sorriso che le illuminava il volto in maniera stupenda; ne era rimasto colpito sin dal primo momento che l’aveva vista ridere, quando, all’età di 6 anni, era stata spostata nella sua classe da quella parallela. Sentendone il cognome per la prima volta, Orlando pensò che quella bambina dal caschetto castano doveva essere sicuramente la figlia di una tra le migliori amiche di sua madre; supposizione corretta, visto che al primo incontro tra Sonia, madre di lui, e Sophie, comparve anche Juliet. Così i due bambini, per volere delle madri, furono costrettiti a vedersi spesso, dovendo fingere di essere amici, visto che la realtà era ben diversa. I loro caratteri erano parecchi diversi: mentre Juliet era schiva, timida e parecchio legata alla sua migliore amica, Viola, Orlando era incredibilmente estroverso ed anche parecchio egocentrico. Adorava essere considerato un leader ed il centro dell’attenzione di compagni ed insegnanti, che lo adoravano. Non era un ignorante, né il migliore della classe, causa anche una lieve dislessia che lo costringeva a fare il doppio del lavoro. Juliet, invece, aveva molte meno difficoltà rispetto a lui ed era molto brava, con un talento innato per la scrittura. Fu proprio grazie a questa sua propensione che i due si avvicinarono, gettando le basi di quell’amicizia.

Era passato poco più di un anno dall’arrivo di Juliet nella classe di Orlando, quando Sonia decise di iscrivere entrambi i figli ad un corso di lettura di poesie. Sia Samantha che Orlando avevano preso la cosa positivamente, ma non furono così contenti di scoprire che quella volta avrebbero dovuto scrivere loro stessi un pezzo. Nonostante tutto, mentre la sorella era riuscita a tirare fuori qualcosa, lui non trovava l’ispirazione, arrivando così alla vigilia della lettura nel panico; e fu così che lo trovò Juliet, nel giorno del loro incontro settimanale. Vedendo che lui continuava a guardare quella pagina del libro di matematica, alzò lo sguardo dai suoi esercizi.

“Va tutto bene?”

“Sì.” le rispose tagliente.

“Non sei carino.”

“Neanche tu. A scuola fai finta di non conoscermi; fallo anche qui.”

“Scusa se non ti trovo perfetto, come tutti.” Rispose tagliente a sua volta. “È da stamattina che fissi il vuoto.”

“Non puoi aiutarmi…”

“Non se non mi dici che c’è. Problemi con la poesia?” gli chiese.

Orlando abbassò il capo. Dirle tutto avrebbe compromesso la sua nomea, ma in quel momento avvertì, nello sguardo di quella bambina, una strana sensazione…lei l’avrebbe aiutato. Prese un profondo respiro, chinò nuovamente il capo e parlò.

“Non ho una poesia.”

Juliet sbarrò gli occhi.

“Ma tua madre…”

“Le ho detto una bugia. La verità è che non ho scritto niente.”

La bambina gli sorrise, poi dallo zaino tirò fuori un foglio e glielo diede.

“Tieni. Leggi questo domani.”

Quella cosa colpì molto Orlando; la poesia non era certo degna di grandi talenti, e non arrivò nemmeno prima al concordo. Fu il gesto completamente altruista e disinteressato che lo fece riflettere, facendogli scoprire una Juliet molto più estroversa di quanto non si aspettasse.

Questi pensieri furono interrotti però dalle parole di Samantha, la quale lo aveva visto comparire sulla porta intento ad osservare Juliet.

“Hai bisogno di qualcosa, Mr. Superstar?”

“No, cercavo lei.” disse, indicando l’altra donna. “Non la vedevo più e la stavo cercando.”

“Mi hai trovata…” constatò lei.

“Già…”

Sam si ritrovò in quella strana situazione, sentendo l’imbarazzo che c’era tra suo fratello e la sua migliore amica, ma non capendone la ragione. Di certo non era a causa di una discussione che i due si trovavano così imbalsamanti, l’uno davanti all’altra; quella non era di certo la prima né l’ultima volta, e molto volte erano proprio i loro caratteri a scontrarsi. Erano due persone molto simili per certi versi, ma anche molto diverse. Erano testardi, ambiziosi e si divertivano molto a scherzare e punzecchiare, non solo gli altri, ma anche loro stessi. Il loro entusiasmo e la loro solarità erano contagiosi, ed averli insieme sotto lo stesso tetto era come aver a che fare con un uragano di quelli devastanti. Orlando però era comunque rimasto parecchio egocentrico e crescendo si era un poco impermalito; Juliet invece era diventata sì più estroversa e aperta, ma non amava comunque essere al centro dell’attenzione e rimaneva molto riservata, cercando di proteggere non solo la sua privacy, ma anche quella delle persone a lei care, Orlando in testa, specialmente da quando era diventato attore.

Fu per questo che, dopo aver osservato prima lui, che si era avvicinato con le mani in tasca e la testa bassa, poi lei, che osservava il suo interlocutore mentre sorseggiava champagne, la donna lasciò la stanza. Così i due furono nuovamente soli, mentre il silenzio calava inesorabile. Orlando avrebbe voluto dirle tante cose: avrebbe voluto chiederle scusa per il suo comportamento di prima anche se riteneva di aver ragione; avrebbe voluto chiederle che lavoro faceva, perché quel suo modo di vestire non era di certo quella che ricordava lui, e pensava che solo il lavoro potesse averle fatto cambiare il suo abbigliamento che gli ricordava moltissimo quello delle varie segretarie della sua attuale manager che, poco prima di due anni fa, erano cambiate in maniera alquanto repentina, con sommo stupore di Aileen. In tre mesi si erano sedute a quella scrivania qualcosa come una decina/quindicina di aspiranti segretarie -tutte rigorosamente sposate. Come richiesto da contratto-. E tutte avevano catturato l’attenzione di Orlando, il quale era in quel periodo in cui non vuoi prendere le cose troppo sul serio. Così in quei tre mesi, le varie segretarie, oltre a svolgere impeccabilmente il loro lavoro, avevano anche scaldato le lenzuola di un Orlando in piena fase carpe diem.

Improvvisamente Good old-fashioned lover boy dei Queen rimbombò nella stanza. Juliet si voltò verso Orlando, guardandolo scettica… di certo la sua modestia non era aumentata, si ritrovò a pensare. Lui la guardò, non cogliendo l’occhiata critica, poi prese il cellulare e senza nemmeno vedere il nome rispose.

“Ciao, dimmi… sì… chi? Ma sei sicura?... Sì, ok, non farò casini… ma che vuoi che sia… sì, lo so che nomea ha, ma non mi hanno mai fregato… va bene, lo farò. Ciao.” e chiuse la conversazione. “Scusami, il lavoro…” disse, rivolta a Juliet.

“Tranquillo, ho imparato cosa vuol dire vivere in simbiosi con un cellulare per lavoro.” gli spiegò, ridendo sotto i baffi, poiché aveva capito da quello stralcio di conversazione che lui non sapeva ancora dell’intervista, fino a quella chiamata.

“A proposito! Sam mi diceva che avevi trovato un lavoro importante e proficuo. Di che si tratta?” le chiese, mentre si metteva di fronte a lei, appoggiato al mobile, riempiendosi il bicchiere di champagne.

Juliet sorrise soddisfatta da quella domanda ed anche parecchio divertita, poiché conscia dell’espressione che avrebbe assunto il volto di lui. Con un piccolo saltello si mise a sedere sull’isola, incrociando i piedi e dondolando ritmicamente le gambe.

“Nessuna idea?” osservò, alzando un sopracciglio e fissandolo malignamente divertita.

E fu lì, in quello sguardo, che ad Orlando si accese la lampadina; spalancò occhi e bocca, guardando quella che era sempre stata la sua migliore amica come un miraggio. Gli sembrava impossibile. Quanti attori e attrici pronunciavano quel nome con una sorta di timore, specialmente tra quelli che venivano considerati i poster boys/girls del momento. Tanti altri la ammiravano per il suo lavoro, e per il rispetto che traspariva dai suoi occhi verso di loro. Così almeno l’aveva descritta un affascinato Leonardo DiCaprio , che ci aveva guadagnato uno dei migliori articoli della sua carriera.

“Wollstonecraft!” esclamò Orlando, risvegliatosi da quei pensieri.

Juliet sorrise. “Quando si parla di lavoro gradirei che tu aggiungessi al cognome l’aggettivo temibile. Sai, ho una certa…nomea…” disse, citandolo, con voce suadente e provocatoria.

Orlando la osservò e sorrise. Averla accanto era come una ventata di aria fresca, frizzante, come quella di montagna, che ti fa rabbrividire ma ti riempie i polmoni donandoti quasi una nuova vita. E lei era proprio così; e lui era tornato a respirare quell’aria. Sarebbe stata dura, lo sapeva, molto dura, perché lei lo conosceva meglio di chiunque altro e lui sapeva perfettamente che non sarebbe stata gentile in onore dei bei vecchi tempi, anzi. Forse sarebbe stata più severa con sé stessa nel tentativo di non essere di parte.

Con queste considerazioni, si avvicinò a lei.

“Scommetti che faccio sparire quell’aggettivo?” la provocò.

“E sentiamo, come avresti intenzione di fare?” gli chiese, guardandolo mentre si avvicinava a lei.

Conosceva benissimo quello sguardo: era come se sulla sua fronte ci fosse già scritto che aveva intenzione di fregarla. E Juliet decise di cascarci senza alcun tipo di problema, anche se non conosceva precisamente i piani di lui, il quale aveva appoggiato le mani accanto alle sue gambe, incastrandole tra le sue. Si avvicinò col busto a lei e le scostò i capelli dietro un orecchio, per poi avvicinare le labbra ad esso. Juliet fu percorsa da un brivido lungo la schiena, ma fu solo un attimo, perché subito le giunsero le parole di Orlando.

“Ti conosco abbastanza bene, Jules.” le disse con voce bassa, mentre un ghigno si dipingeva sul suo volto.

Pochi attimi e la donna sentì qualcosa di liquido bagnarle la testa e scendere lungo i capelli, arrivando a bagnare il vestito. Alzò lo sguardo e le ultime gocce d’acqua che si trovavano nella brocca che Orlando le aveva rovesciato addosso, le caddero in faccia. Cercando di fare l’espressione più arrabbiata che conosceva, andò a puntare i suoi occhi in quelli di Orlando, che a quel punto non riuscì più a trattenersi, rompendo il silenzio con una risata cristallina e pura, ridendo di gusto, mentre si scostava da Juliet e posava la brocca ormai vuota. Non si rese nemmeno conto della mossa fulminea di lei che prese la brocca, scese dall’isola, e riempito il contenitore, gettò l’acqua addosso all’amico. Per un attimo rimasero entrambi fermi immobili, guardandosi a vicenda, mentre l’acqua scendeva lungo i loro corpi, bagnando i loro indumenti e creando delle pozze sul pavimento in marmo. Poi, come se si svegliassero da un incantesimo, scoppiarono entrambi a ridere, appoggiandosi l’uno all’altra. Juliet appoggiò il capo sul petto di Orlando, continuando a ridere, mentre lui le cingeva la schiena con le braccia, cercando di tornare serio.

“Erano secoli che non combinavo casini del genere…” osservò lui, sorridendo sereno. Sembrava che grazie a quel gesto l’imbarazzo se ne fosse andato, che la giornalista e l’attore fossero scomparsi, lasciando il posto a due ragazzi, che cercavano di mostrarsi adulti, ma che tra loro rimanevano sempre due ragazzini che si facevano scherzi di continuo.

“6 anni per la precisione. Almeno per me.” gli rispose lei, alzando lo sguardo ed incontrando il suo, sorridendogli, malandrina. “Allora, sei pronto a trovarti tra le mie grinfie?”

“Tremo di paura al solo pensiero.” disse, ironico.

“Non sarò di certo un pezzo di pane.”

“Questo lo so.”

“Non dopo tutto quello che mi devi.”

Orlando aggrottò la fronte. “Mi sono perso qualcosa? Abbiamo dei conti in sospeso?” chiese, non capendo di cosa stesse parlando lei.

Juliet si staccò e mise una mano sotto il mento, cercando di ricordare tutto. “Allora, vediamo. Intanto la parata di culo con la storia delle Canarie, le cui foto non sono state pubblicate su Vogue, grazie ad una sfuriata con quasi minaccia di licenziarmi se solo provavano a metterle; poi, il fatto che mia madre non sa niente né delle Canarie, né di tutte le altre cazzate che hai fatto con la tua attuale ragazza, visto che l’unica cosa che entra in casa mia è Vogue, unicamente per le mie interviste. Ovviamente ti ho parato il tuo inesistente fondoschiena in altre situazioni in redazione, non facendo pubblicare le foto peggiori, salvando il culo anche a Miranda e ad altri attori, se volevo salvare te. Infine, mi devi tutte le critiche di mia madre, che da un anno a questa parte mi paragona a lei, dicendo che se nel lavoro vado bene, ho fallito magistralmente nelle relazioni interpersonali…” concluse, con un sorriso. “Capisci perché ti dico che sarò parecchio bastarda?” gli disse, alzando un sopracciglio. In realtà stava palesemente scherzando; infondo sul lavoro era molto professionale e non gliene fregava niente di vendicarsi, specialmente di Orlando. Aveva fatto tutte quelle cose istintivamente, sapendo che anche se lui le avrebbe detto di non farlo, lei l’avrebbe fatto lo stesso. Non voleva che attraverso di lei, anche se indirettamente, l’immagine del suo migliore amico venisse sporcata. “Ah! Le stesse cose valgono anche per tua sorella, che sta bruciando riviste su riviste, requisendole da casa di tua madre. Certo, lei non si impunta con i giornali, ma fa da ambasciatore ad Aileen pur di non far sapere ai tuoi che combini in giro per il mondo… tu non dirle che te l’ho detto, però.”

Orlando la ascoltò stupito da quelle parole: quel suo continuo atteggiamento di protezione verso di lui, nonostante il suo comportamento verso di lei, non era cambiato. Era tutto rimasto come la prima volta; lei lo aveva aiutato fregandosene bellamente del fatto che lui l’aveva lasciata al suo destino, senza nemmeno farsi sentire… era forse l’unica persona non facente parte della sua famiglia, che continuava a difenderlo nonostante tutto, senza chiedere niente in cambio. Sapeva benissimo che quella sua confessione non era una richiesta di qualcosa in cambio visto quello che aveva fatto per lui… e questo lo faceva stare ancora peggio; lo faceva sentire sempre più in colpa, con il rimorso che lo consumava dentro, sgretolando il suo corpo mano a mano che si rendeva conto dei suoi errori. Aveva sbagliato, e non c’era modo di tornare indietro; ma voleva rimettere tutto a posto. Voleva riacquistare la fiducia che tutti gli avevano dato, da sua madre a sua sorella, da suo padre a Sophie e Jack, da Aileen a Juliet; voleva tornare ad essere la persona che era in precedenza, e più di tutto voleva mostrare al mondo e soprattutto a Juliet, che i suoi sforzi non erano stati vani, che lui valeva davvero qualcosa…e come al solito aveva bisogno di lei per farcela, e lei era lì pronta ad aiutarlo, aspettandolo alla fine di quel tunnel.

“Non ti preoccupare,” le assicurò, “sono pronto ad affrontare anche la più temibile delle giornaliste.” disse convinto e sorridente, per poi accarezzarle una guancia. “Avrei solo voluto aprire gli occhi prima e tornare in tempo, ma ti prometto che questa volta non sbaglierò.”

“Il passato è passato, e non ci possiamo fare niente…” osservò lei, appoggiandogli una mano sulla spalla. “Vivi il presente e vivilo al meglio per poter migliorare il tuo futuro.”

Orlando la osservò. Sembrava così lontana da quella ragazza che ricordava, in quel momento. Aveva davanti a sé una donna adulta e per un attimo la paura di aver perso forse per sempre la ragazzina scapestrata lo percorse, ma fu davvero un istante, visto che Juliet, forse conscia dell’effetto che quel discorso gli aveva provocato, si mise a ridere, guardandosi il completo bagnato. “Alla fine siamo sempre noi, eh? Se non combiniamo casini e ci comportiamo come dei bambini non siamo contenti. Forse tua madre ha ragione: siamo davvero impossibili. Ma è questo il bello…” constatò.

“Concordo in pieno… finalmente mi sento a casa.”

“Bentornato, allora.” gli disse, divertita, mentre ricominciava a ridacchiare, stringendo il suo migliore amico a sé, convinta che quella volta sarebbe stata quella giusta. Avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per riaverlo com’era prima; cresciuto sì, ma con quella pazzia e quel brio che non l’avrebbe mai abbandonato, nemmeno quando sarebbe stato vecchio e con il bastone.

 

Ed ecco il secondo capitolo… sono già in stesura del quinto capitolo, ma non so quanto ci metterò a scriverlo, visto che vado molto ad ispirazione. Di conseguenza chiedo già perdono per possibili lungaggini nella pubblicazione.

Intanto ringrazio eminae e bebe (le citazioni shakespeariane continueranno, ovviamente…) per aver letto e recensito… spero di non deludere le aspettative…

Ah! Dimenticavo… le citazioni shakespeariane del primo capitolo sono tutte tratte da Romeo & Giulietta. La prima è la famosa scena del balcone, mentre la seconda è il primo incontro dei due innamorati…

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO III

 

 

L

a mattina seguente, Juliet si svegliò con tutta calma, mentre i primi raggi solari le scaldavano le guance; aprì entrambi gli occhi e si voltò verso il comodino dove la sveglia segnava le 10:00. Le parve incredibile di essere sveglia a quell’ora dopo aver fatto tardi -e tardi era dire poco- la notte prima. Solitamente, quando partecipava a qualche party, o usciva con gli amici, facendo tardi, si svegliava il mattino seguente stanca morta e con le occhiaie bene in evidenza e delle borse da fare invidia a Louis Vuitton… se si svegliava. Il più delle volte tirava dritto fino al primo pomeriggio, a meno che il lavoro non la obbligasse a farsi trovare in ufficio fin dal mattino. Ma quel giorno non era uno di quelli: era domenica. Jack e Sophie, i suoi genitori, se n’erano andati per due settimane a Parigi, con lo scopo di andare a trovare Henry, fratello minore di Juliet, 28 anni, sposato da uno e mezzo con Marion; quindi non c’erano pranzi di famiglia a cui partecipare, né qualsivoglia orario da rispettare.

La festa a casa di Orlando era terminata alle 4 del mattino, quando avevano fatto la loro uscita di scena la tutti gli invitati, poco per volta, chiudendo la carrellata di ospiti con i membri del group, che si erano dati appuntamento come al solito il mercoledì, includendo anche Orlando e cambiando luogo di ritrovo; invece di un locale, si sarebbero visti a casa dei genitori di Juliet a Canterbury, la quale sarebbe stata ancora libera. Dopo la dipartita di questi ultimi invitati, Juliet si era sentita in dovere di aiutare i due fratelli nella pulizia, visto il quarantotto che regnava sovrano nel pian terreno. Dapprima i due non erano stati molto d’accordo, poi la testardaggine della giornalista aveva prevalso. Alle 5 avevano finito di sistemare, ed erano seduti sul divano, quando Jules decise che era ora di tornarsene a casa a sua volta: ci avrebbe messo una mezz’ora con la metro -la sua fedele automobile era dal meccanico-, ed aveva approfittato dell’ospitalità di Orlando fin troppo. Così, si alzò con eleganza, dirigendosi verso il termosifone accanto al quale erano appesi i suoi vestiti, ormai asciutti. Non riuscì a fare un passo, che un braccio la tirò nuovamente sul divano.

“Che hai intenzione di fare?” le chiese Orlando curioso.

“Andare a prendere i miei vestiti.” fu la risposta asciutta della donna.

“Secondo me stai bene pure così.”

“Questa è una tuta di tua sorella. Non posso andare in giro con questa.”

“A parte che mi chiedo dove tu voglia andare, poi, scusami tanto, ma hai paura di rovinarti la nomea se ti si vede in giro con una tuta?”

Sam, che era salita un attimo al piano di sopra per andare a controllare che tutto fosse in ordine, lì trovò entrambi seduti sul divano a gambe incrociate, uno di fronte all’altra, bisticciando come bambini. Orlando si era impuntato affinché Juliet rimanesse lì a dormire, mentre lei aveva tutte le intenzioni di andare a casa…da sola con i mezzi pubblici, cosa che fece imbestialire ancora di più Orlando. Alla fine era stata Sam a smorzare i toni, convincendo il fratello che magari non era il caso di farle troppa pressione -poteva avere un impegno l’indomani, oppure non se la sentiva di restare-, e convinse Juliet a farsi dare un passaggio a casa da Samantha stessa. Così si erano salutati e alle 6 la giornalista era fra le quattro mura del suo appartamento.

Ripensare a quei fatti, strappò a Juliet un sorriso. Orlando era testardo come suo solito e non voleva nemmeno provare a capire che quel comportamento era solo per il suo bene; era ovvio che lei sarebbe stata più che felice di restare lì per la notte. Però, almeno fino alla data dell’intervista, la donna doveva mantenersi il più possibile distaccata per non andare ad intaccare la professionalità di entrambi, cosa che sarebbe di certo accaduta se si fosse lasciata influenzare da quel ragazzo un po’ pazzo che aveva visto rivivere nell’uomo adulto dopo tutto quel tempo. Ci avrebbero guadagnato entrambi: lei avrebbe svolto il suo lavoro al meglio, e lui, se tutto fosse andato per il verso giusto, ne avrebbe ricavato un buon articolo e magari un discreto ritorno d’immagine positivo. Così, con la mente già a lunedì, si alzò dal letto, dirigendosi in cucina dove la sua adorata Tink la stava già aspettando scodinzolante: era una kokerina che aveva trovato al canile di Canterbury, quando aveva deciso di trasferirsi nella capitale. Se n’era innamorata subito: il pelo, marrone chiaro un po’ arruffato; il musino vispo e quei meravigliosi occhioni bisognosi d’affetto. E così l’aveva presa con sé, occupandosi di lei nel più amorevole dei modi, quasi fosse una figlia.

Come ogni mattina, Juliet si mise a preparare la colazione, dopo aver riempito la ciotola di Tink; tirò fuori dal frigo il latte, riempiendo un bicchiere, e dopo aver preso il barattolo dei biscotti si sedette su una sedia e cominciò a fare colazione persa nei suoi pensieri. Fu la cagnolina a risvegliarla, leccandole una mano che teneva a penzoloni; la giornalista la guardò e sorrise, per poi alzarsi.

“Forza, piccola, andiamo a fare due passi.” disse, prima di sparire nuovamente nella sua stanza, uscendone poco dopo in jeans e maglioncino, dato che le temperature erano ancora basse mentre i primi intrepidi raggi di sole primaverili facevano capolino tra le nuvole.

Juliet e la sua compagna a quattro zampe rimasero nel parco per tutta la mattina, passeggiando e giocando. All’ora di pranzo fecero ritorno a casa, dove, dopo un pasto veloce, la donna iniziò a pensare all’intervista. Ovviamente l’uscita del suo nuovo film -Simpathy for delicious-, che sembrava sancire l’inizio di un nuovo periodo lavorativo, sarebbe stato l’argomento principale, ma come ogni intervista che si rispetti, ci sarebbero volute quelle domande, magari un po’ pungenti, sulla sua vita privata. Così in un block notes molto sobrio, i cui fogli erano pieni di schemi e schizzi di domande di precedenti interviste, trascrisse un paio di domande che le erano saltate in testa, depennando poi quelle a cui lei stessa avrebbe saputo rispondere in maniera alquanto sicura; voleva qualcosa di nuovo, magari di non troppo creativo ed estroso. Voleva mostrare ai suoi lettori che dietro a quell’aria da eterno Peter Pan e tombeur de femmes consumato, c’era un uomo adulto, combattivo e capace di incantare il mondo attraverso il suo talento.

Rilesse velocemente la lista delle domande, trovandosi soddisfatta, poi andò al portatile dove, dopo aver aperto la casella postale e cestinato quella di Caroline, navigò in rete guardando tra i siti ed i forum dell’attore; la sua minima conoscenza del francese e dello spagnolo le rese possibile qualche veloce occhiata alle pagine web in quelle lingue. Finita quella ricerca sui gusti di coloro che sarebbero stati probabili lettori, cominciò a preparare ciò che sarebbe diventato il regalo per il compleanno di suo fratello: una sorta di album fotografico che ritraeva una piccola parte di quello che era stato il loro rapporto e ciò che si era perso andandosene a Parigi. Non tanto ciò che riguardava lei, ma i cambiamenti esterni, come il London Eye, l’espansione della loro città natale, il nuovo negozio che Mrs. Collins -la ex insegnante di Henry- aveva aperto poco lontano da casa dei suoi genitori, ecc.

A cena ricevette la chiamata della madre che le chiedeva come procedevano le cose a casa e chiederle come stava; Juliet non si dilungò troppo, dicendole che aveva visto Samantha e che stava bene. Sophie pensava che alla festa a cui la figlia si era recata ci sarebbero stati i soliti amici di sempre, Orlando escluso, vista l’idea di Sam di rendere ufficiale il ritorno in sordina di del fratello, di cui nessuno al di fuori della sua famiglia era a conoscenza, e non aveva nessuna intenzione di dirle dell’intervista per telefono; avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per farlo quando i genitori sarebbero tornati. Dopo la telefonata, la giornalista andò in salotto a guardarsi un film, per poi recarsi a letto quasi a metà film, viste le ore arretrate di sonno che doveva recuperare; la mattina dopo la sveglia sarebbe suonata alle ore 6.30.

E così fu. Lunedì mattina, ore 6.30. Trillo della sveglia. Colazione a base di fette biscottate e succo d’arancio. Qualche coccola a Tink durante la vestizione. Un filo di trucco. Controllo borsa. E via. Una nuova giornata di lavoro.

L’entrata della giornalista alle ore 8.00 fu accolta da qualche saluto di alcune colleghe, finché non arrivò accanto alla scrivania della sua segretaria. Caroline portava un tailleur gessato nero e una camicia bianca, mentre Juliet aveva un completo beige, camicia a maniche corte bianca, calze color carne e scarpe tacco 10 dello stesso colore del completo.

“Buongiorno, Juliet.” la salutò con un sorriso la segretaria.

“Buongiorno a te, Caroline. Tutto bene?”

“Splendidamente. Fiona è tutta gasata per il suo articolo sul party di Paris Hilton a LA di ieri sera. Sembra abbia visto cose incredibili, e a quanto pare un mega scoop, ma come al solito tace come un pesce. Ha detto che se ne parlerà alla riunione della prossima settimana. Tu, invece? Com’è andata la festa per quel tuo amico australiano?”

“Benone, è stato molto contento di rivederci tutti quanti.” fu la risposta della giornalista. Era stata lei stessa a inventarsi quella panzana dell’amico australiano anche se infondo non era tutta farina del suo sacco… non era stato Orlando stesso a dire circa un anno prima che il suo cuore era nelle mani di un’australiana?

“Ottimo. La McMiller farà la sua comparsa per darti qualche dritta verso le 9.00. Alle 10.30 circa chiamerà l’addetta stampa di Bloom per fissare il giorno dell’intervista, che io consiglierei di fare questa settimana; mercoledì, per esempio. Hai un paio di party a cui devi partecipare, e mercoledì mi sembra il giorno migliore, oltre quello in cui dovresti essere più fresca e riposata.” e detto ciò prese un foglietto. “E stamane c’era un messaggio in segreteria di una certa Aileen Keshishan, a quanto pare la manager di Bloom, che diceva che il suo cliente si farà fare il servizio dal cugino, Sebastian Copeland, e tu lo devi contattare per mettervi d’accordo sui tempi di consegna eccetera. Qui c’è il recapito.” e le porse il foglietto.

“Perfetto. Altro?”

“Per ora no.”

“Bene, io mi occupo subito di Copeland. Intanto mi guardo qualche cosa sullo schedario. Per qualunque cosa sono nel mio ufficio.”

Caroline annuì e con un ultimo sorriso, Juliet sparì dietro la porta del suo ufficio. Guardandosi intorno, la giornalista non riuscì a trattenere un sorriso: pochi giorni e avrebbe avuto tra le mani la penna per uno degli articoli che più aveva desiderato scrivere. Cercando di riprendere un certo contegno, si avviò alla scrivania, si sedette e guardò il foglietto con il numero del fotografo, che aveva posato in cima allo schedario di Orlando. Conosceva Sebastian: si erano conosciuti da adolescenti, visto l’attaccamento tra lui ed Orlando. Inoltre aveva visto i lavori fatti da Sebastian, specialmente quelli sul cugino, che le erano piaciuti particolarmente. Con calma, compose il numero e attese, finché dopo un paio di squilli, la voce familiare e matura di Sebastian le rispose.

“Studio Copeland.”

“Salve, sono la giornalista Juliet Wollstonecraft e vorrei parlare con…”

“Jules, non fare la formale con me. Sei la giornalista più temuta del globo, la migliore amica del mio adorato e scellerato cugino, la mia prima ragazza seria; ti conosco sotto tutti questi aspetti, e tu mi tratti come uno sconosciuto?”

“Si da il caso che io sia nel mio ufficio, e che nonostante tutto mi ritrovo nuovamente intrappolata in questa rete, e voi due non siete cambiati di una virgola. Avete per caso i geni che non maturano in famiglia?” gli rispose lei per le rime.

“Come siamo suscettibili. Svegliata male questa mattina?”

“No, sto semplicemente cercando di fare il mio lavoro. Ma voi due non mi aiutate per niente.”

“E così nessuno è a conoscenza delle tue amicizie d’infanzia.”

“No, e gradirei che nessuno lo sapesse.”

“Ho capito, ne va della tua reputazione. Allora, Miss Wollstonecraft, che tipo di servizio le serve?” le chiese Sebastian, tornando formale, ma con un pizzico di ironia.

“Punto primo non ne va della mia reputazione, ma di quella di Orlando. Se si sapesse quello che siamo l’uno per l’altro pensi che mi farebbero fare questo articolo? Comunque, tornando al servizio, non voglio qualcosa di già visto. L’articolo cercherà di vertere sulla professione dell’intervistato, più che sul gossip. Quindi opterei per qualcosa di semplice, ma allo stesso tempo originale, non so se mi piego. Dovremmo mostrare l’attore, l’uomo maturo…”

“In poche parole, devo essere buono e caritatevole verso di lui, e fargli il servizio che lo aiuterà a ristabilire la sua posizione, aggiungendomi alla coppia Samantha-Juliet…”

“Vedo che avete centrato il punto, Mr. Copeland.”

“Sei una delusione, Jules. Pensavo che gli avresti teso una trappola con i fiocchi.”

“Non si preoccupi, dell’intervista me ne occupo io. Lei si preoccupi del servizio, e veda di non consegnarmi un servizio sulla coppia del secolo, o se ne pentirà amaramente.”

“Che bello sentire che tutta la generazione più giovane della famiglia è unita…”

“A parte che non sono della famiglia. E poi Colin ha la mia età per caso?” gli chiese. Colin Stone, padre biologico di Orlando e Samantha, era l’unico tra gli adulti a conoscenza delle mirabolanti peripezie del figlio.

“Lui è l’eccezione che conferma la regola. E tu sei praticamente di famiglia; ti ricordo che hai passato più tempo con lui di tutte le barbie che gli sono state accanto in questi anni… tornando al mio lavoro, per quanto lo vuoi pronto? A quanto ne so, Miranda torna a New York all’inizio della prossima settimana, e subito verrà qui, se lui non sarà tornato in America. Quindi mi velocizzerei lavorando questa settimana. Stessa cosa vale per te, se non te la vuoi beccare tra i piedi.”

Juliet stava per iniziare a rispondere, quando Sarah McMiller, il suo capo, entrò nel suo ufficio. La giornalista si schiarì la voce e riprese. “L’intervista dovrebbe essere fissata per mercoledì pomeriggio, se Mr. Bloom non ha altri impegni.”

“Allora direi di farlo lavorare anche il mercoledì mattina… via il dente, via il dolore. Anche perché immagino che il giovedì mattina sarà irreperibile. Un uccellino esagitato mi ha detto che il group si riunisce al completo.”

La giornalista avrebbe voluto rispondergli a tono, ma la presenza del suo capo non glielo permise. “Direi che non ci sono problemi, a questo punto. Attendo i negativi per sabato. Conosce l’indirizzo della redazione?”

“No, ma ho la sensazione che ti chiamerò non appena saranno pronti, mio unico amore.” la stuzzicò, ma non sentendo risposta, Sebastian riprese. “Ora, visto che sei in compagnia, e non posso provocarti a dovere, ti lascio tornare al tuo lavoro. Io ho il culo di mio cugino da parare con un bel cuscino di piume e se non lo faccio a dovere, la sua migliore amica mi cazzia.” e ridacchiò. ”È stato un piacere, Miss Wollstonecraft.”

“Arrivederci, Mr. Copeland.”

Quando riattaccò, il suo capo la osservò sorridente. Ricordava ancora il primo giorno in cui quella ragazza si era presentata nel suo ufficio, vestita con quello che forse era il suo primo completo: non sembrava nemmeno il suo da quanto era in contrasto con quel suo viso da ragazzina appena uscita dal liceo. Con il tempo però quel viso si era talmente modellato a quel modo di vestire e comportarsi, che della ragazzina si era persa ogni traccia; c’era una donna fatta e finita al suo posto. Una giornalista che col tempo aveva creato un’aura particolare attorno a sé. Una giornalista che non aveva nessuna paura di far crollare o innalzare un qualsivoglia personaggio pubblico. Cercava di andare oltre i suoi pregiudizi e le sue aspettative, costruendo interviste che mostrassero il vero volto dell’intervistato, facendo sì che fossero gli stessi personaggi a fregarsi, rimanendo intrappolati da soli, in maniera positiva o negativa.

“Allora, hai studiato?” le chiese.

La giornalista annuì. “È stato più facile del solito.” spiegò. “Molti dei suoi film sono blockbuster, e quindi famosi abbastanza da averli visti. Per quanto riguarda i meno famosi, è bastata una lettura allo schedario.” mentì. “Ed era un anno che non lavorava prima di questo film. In conclusione sembra una preda abbastanza facile da inquadrare, a meno che non nasconda qualche asso nella manica.” osservò la giornalista. In realtà aveva visto ogni suo film e avrebbe tirato fuori dalla star quegli assi nella manica che lui stesso nascondeva con estrema naturalezza.

“Sembra che tu ti sia fatta una certa idea su di lui.”

“Mi sembra abbastanza ovvio. Da quello che ho letto nello schedario, ultimamente sembra molto più interessato al gossip che ad altro, ma questo lo sapevamo già bene da un po’ o sbaglio?” e alzò un sopracciglio. “Sarà interessante capire come quello che doveva diventare la nuova stella nel firmamento di Hollywood, il nuovo Johnny Depp, si sia trasformato in un burattino di pezza. Sarà un’intervista alquanto interessante.”

Improvvisamente la porta dell’ufficio si aprì, facendone entrare Caroline, coperta dal seno in su da un gigantesco mazzo di fiori… gialli. Per un attimo Juliet si chiese chi potesse essere il mittente, ma il suo sguardo incrociò la freccia incorniciata sopra la sua porta, dandole la soluzione immediata e facendola sorridere. Si alzò dalla sedia e svuotò un lungo vaso di vetro in cui c’erano alcune rose ormai secche, le tolse dal vaso, cambiò l’acqua, rovesciando quella delle due rose in un vaso di ciclamini che aveva su una mensola e usando dell’acqua naturale per riempire nuovamente il contenitore. Si fece passare il mazzo che liberò dalla carta velina che lo avvolgeva, mise i fiori nel vaso e lo posò sulla scrivania, colorando la stanza e illuminandola maggiormente… o così parve alla giornalista.

“Non pensavo che Efron fosse così stupido da capire quanto fosse critico il tuo articolo.” osservò la McMiller, ricordando l’ultima intervista di Juliet in cui il teen idol Zac Efron si era impantanato da solo, confezionando così la sua peggiore intervista.

“Non sono da parte sua…” le rispose Caroline, passando un biglietto alla giornalista, che nascose la preoccupazione per le parole della sua segretaria. Non poteva avere avuto la malsana idea di venire allo scoperto in quel modo. Ma quando prese tra le mani il biglietto e lo lesse, le preoccupazioni svanirono; scritto a mano, in una calligrafia a lei incredibilmente familiare c’era un brano un prosa.

This is it, Adam, that grieves me:

and the spirit of my father,

which I think is within me,

begins to mutiny against this servitude.

I will no longer endure it,

though yet I know no wise remedy how to avoid it.

Juliet si ritrovò così a sorridere in maniera talmente naturale, che le due donne presenti non si capacitarono di quella cosa. Era difficile vedere quell’espressione sul suo volto e per loro significava qualcosa di particolarmente importante. Quel sorriso perdurò anche quando la giornalista posò il biglietto sulla scrivania.

“Allora, la temibile giornalista ha un ammiratore…” osservò il suo capo.

“Non è un ammiratore.” le rispose prontamente. “Non credo abbia nemmeno mai letto un mio articolo. È semplicemente un amico.” …e uno degli unici in grado si far sparire il temibile dalla mia nomea, accidenti a lui; fu il pensiero inespresso.

“Un amico che manda dei fiori?” chiese Caroline, interrogatoria.

“È una sua prerogativa. Mandare fiori e creare anonimamente scandalo… e far sì che sia il centro del mondo di tutti, compresi quelli che non lo conoscono.” osservò un poco caustica, cosa che sembrò soddisfare le due donne oltre che placare le loro curiosità.

“Tornando al lavoro, ho sentito che stavi parlando con Copeland.” interruppe l’indagine la McMiller.

“Sì, ho parlato con lui e sembra che si occupi del servizio mercoledì mattina. Mi sembra una persona molto professionale.”

“È sempre suo cugino; cercherà di aiutarlo.”

“Per quanto possa essere perfetto il servizio, è l’intervista quella che avrà maggior spazio, o sbaglio?”

La McMiller annuì soddisfatta. “Nonostante tutto, la giornalista prevale.”

“Così pare…”

“Bene, io torno al mio lavoro. Buona giornata a tutte.” e detto ciò Sarah McMiller uscì dall’ufficio di Juliet, lasciandola con la sua segretaria, la quale continuava a fissare i fiori che capeggiavano sulla scrivania.

“È il tuo amico australiano, vero?” chiese Caroline, curiosa. A quanto pareva, la risposta della giornalista non era stata soddisfacente. L’altra donna annuì, facendo comparire sul viso di Caroline un sorriso soddisfatto.

“Ma non pensi che lui possa pensare a te come a più di un’amica?”

“Assolutamente no!” le rispose Juliet, scoppiando a ridere divertita. “È fidanzato e felicemente con la ragazza perfetta, e poco ci manca che si sposino…”

Detto ciò la segretaria la lasciò, tornandosene alla sua scrivania, mentre Juliet si sedette alla sua lanciando un’occhiata ai fiori per poi cominciare a sfogliare lo schedario; come aveva previsto non c’era nulla che lei già non sapesse, ma si mise lo stesso a rimirare le foto presenti, cercando di osservarne i particolari con occhio critico, ma l’unica cosa che rivedeva erano ricordi, momenti indimenticabili che non l’avrebbero mai lasciata. Passando poi alle foto delle fiamme più o meno presunte dell’attore, cercò di contenere le risate: Orlando era continuamente alla ricerca di una storia, la vita da scapolo non faceva per lui, e questo suo atteggiamento non veniva dal fatto che per lui le donne erano una sorta di trofeo, ma dal fatto che aveva vissuto la sua vita circondato per la maggior parte da donne, in particolar modo sua madre e sua sorella.

Osservò le foto che lo ritraevano con Kate Bosworth, la più lunga e forse più importante storia che aveva avuto; le due ragazze si erano pure conosciute, visto che Orlando voleva il suo parere prima di presentarla alla famiglia. Al primo impatto le era sembrata una ragazza per bene, un poco timida; di certo non spiccava per bellezza, ma Juliet era certa che la particolarità dei suoi occhi -ne aveva uno azzurro e uno color nocciola- fosse stata una forte componente attrattiva, specialmente per uno come Orlando. Durante quella storia, che la giornalista aveva seguito attraverso quello che Sam le raccontava, Orlando sembrava avere trovato il suo equilibrio, barcamenandosi tra il lavoro e la sua ragazza. Sembrava che tutto andasse per il verso giusto… ma la realtà era diversa. Certo, le colpe per quella separazione non erano unicamente di Kate, ma lei aveva superato ogni limite. E così dopo un paio di tira e molla, era finita del tutto. Dopo di ché erano circolate voci riguardo presunti flirt con colleghe famose, finché non era arrivata Miranda, con cui ormai stava da un annetto.

Questi pensieri vennero interrotti dallo squillo del telefono, a cui la giornalista rispose, tornando con i piedi saldamente per terra. Dall’altra parte della cornetta, Caroline la informò che la manager di Bloom era al telefono.

“Passamela…” le disse Juliet, aspettando che la linea passasse al suo telefono. Quando ciò avvenne e sentì il telefono della segretaria terminare la connessione, prese un profondo respiro. “Salve, Miss Keshishan.”

“La tua segretaria è uno schifo, Jules, lasciatelo dire. Non ha nemmeno riconosciuto che la voce non era quella di Aileen ma di Sam…” le rispose la voce parecchio divertita di Orlando, che ridacchiava.

Juliet spalancò la bocca, per poi scuotere la testa sorridendo, mentre con una mano sfiorò uno dei fiori. “Io meglio che non commenti… e per quanto mi riguarda in questo momento dovrei malamente chiudere questa conversazione.”

“Quindi nessuno lo sa…”

“Non un’anima.”

“Perché?” le chiese.

“Cosa?”

“È da ieri sera che me lo chiedo ma non riesco a trovare una risposta. Perché hai fatto tutto quello che hai fatto? Ieri sera mia sorella mi ha fatto una capa tanta sul fatto che mentre io sono un pazzo incosciente e squilibrato, tu eri qui a cercare di mettere tutto nell’ordine giusto. Io non ho fatto altro negli ultimi 6 anni che fregarmene di tutti e tu invece non hai perso un attimo di tempo.”

“Si chiama amicizia non per niente.” lo fermò lei, tranquilla. “Smettila di preoccuparti di cose che non hanno alcun senso, se non quello di farti sentire in colpa. Quello che devi fare ora è concentrarti su quello che ti aspetta questa settimana.”

“Aileen mi ha detto che mercoledì avrò il giorno occupato…avete intenzione di ridurmi ad un vegetale tu e mio cugino?”

“No, ma ti avverto che ho chiesto espressamente a tua sorella che la tua manager e la tua agente stampa non sappiano niente di me… è per il tuo bene… se si sapesse in giro non potrei lavorare mercoledì e non voglio nemmeno pensare a quello che succederebbe.”

“Hai paura di perdere il lavoro?” le chiese, un pochino piccato.

“No, testa dura, del mio lavoro non me ne frega niente! Se vuoi la peggiore intervista della tua carriera basta che me lo chiedi e vado a prendermi un megafono e urlo ai quattro venti tutto… compreso che i fiori che sono sulla mia scrivania sono i tuoi.” gli rispose per le rime. “Lo capisci? Ti sto cercando di aiutare e non ho nessunissima intenzione di fallire; non questa volta.”

“Capito. Allora ci vediamo mercoledì pomeriggio.” disse Orlando, e il suo tono era particolarmente mogio e dispiaciuto.

Juliet sospirò. “Sì. Mi ha fatto piacere sentirti…” e riattaccò.

Qualche minuto e fu la volta dell’agente stampa dell’attore, con cui rimase al telefono parecchio tempo: Mrs. Baum era d’accordo sulla data dell’intervista, ma aveva voluto essere a conoscenza delle domande, cosa che Juliet le negò, assicurandola che non si sarebbe troppo intrufolata nella sua vita privata, cosa che non faceva mai con piacere. Avrebbe tenuto come punto focale l’uscita del nuovo film, e su quello la donna ne poteva stare certa. Alla fine di quell’interminabile telefonata, era ormai ora di pranzo e Juliet decise che era ora di andare a mettere qualcosa sotto ai denti; solitamente usciva con Caroline in un bar lì accanto, ma quel giorno non si sentiva dell’umore adatto. Così salutò la sua segretaria e presa la metropolitana, si allontanò dal suo ufficio, finendo così a Kensigton Park. Lì entrò e preso un panino in un chiosco all’entrata, cercò un luogo solitario dove consumare il suo pranzo.

Quella telefonata che Orlando gli aveva fatto e le parole che lei gli aveva detto gli erano pesate più di quanto non lo facesse vedere: erano la verità, ma era stata abbastanza caustica verso di lui, trattandolo come se davvero lo considerasse un idiota. Non voleva trattarlo così, ma ancora una volta aveva agito per il suo bene, o così pensava. Non voleva illuderlo, né tantomeno illudere sé stessa di trovarsi davanti al suo migliore amico a fare una chiacchierata di piacere; la sua agente stampa, viste le premesse, le aveva confermato che sarebbe stata presente durante l’intervista, e anche se non ci fosse stata, Juliet voleva fare il suo lavoro al meglio. Voleva superare sé stessa, mantenendo la sua estrema professionalità, e se questo le costava non dover sentire né vedere il suo migliore amico, era disposta a fare questo sacrificio… era dura, ma ce l’avrebbe fatta. Infondo aveva aspettato 6 anni, era così difficile ora per lei attendere altri due giorni?

Tornò nel suo ufficio molto più carica e rinfrancata, buttandosi a capofitto nel lavoro -ovvero sull’intervista-, facendo come se quella volta fosse come tutte le altre interviste per cui si era preparata. Di conseguenza si mise a leggere di buona lena tutto lo schedario; ogni tanto ridacchiava, specialmente se si trattava del periodo riguardante The Lord of the Rings, lanciando occhiate agli oggetti che comparivano qua e là nel suo studio. In effetti, se un fan della trilogia si fosse presentato lì dentro, si sarebbe reso benissimo conto che quella donna doveva avere qualche amico che aveva lavorato ai film, oppure che lei stessa era stata in Nuova Zelanda tra il 1999 e il 2000; di certo avrebbe fatto un collegamento con Orlando, vista la freccia di Legolas incorniciata sopra la porta. Quello studio sarebbe stato il modo più facile per essere scoperta…

Alle 18.00 Caroline lasciò l’ufficio, e a quel punto Juliet decise di seguirla verso l’uscita, proponendole un aperitivo insieme. Lungo la strada e al bar, chiacchierarono insieme evitando l’argomento lavoro e risero pure. Poi si salutarono; la segretaria andava dal suo ragazzo con il quale sarebbe andata al cinema, mentre Juliet se ne tornava tra le mura della sua casa, dove consumò la cena a base di pasta con le melanzane e insalata mista. Portò fuori Tink per una passeggiata notturna, poi si rintanò nel suo letto, dove si addormentò profondamente.

 

Ma grazie! Non immaginavo che la storia potesse essere così apprezzata…

Lady Elizabeth: ti ringrazio un mondo e spero che i personaggi continuino ad essere di tuo gradimento…

Bebe: sei davvero gentile e spero di potervi divertire ancora con le uscite di questi due pazzi…perché ce ne saranno ovviamente ancora…

Grazie anche a Ramona37, alice brandon cullen, e gabrycullen….e grazie ai lettori silenti…

La citazione shakespeariana di questo capitolo è tratta da “As you like it” atto 1, scena 1…. Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO IV

 

 

Martedì arrivò ancor prima che Juliet si rendesse conto che mancava solo un giorno all’intervista, e con la stessa velocità finì, portando con sé le aspettative di Sarah McMiller, la curiosità di Caroline, e la tensione della giornalista. Nello stesso giorno, Orlando era rimasto nella sua casa di Londra, rifiutando educatamente l’invito della madre di passare la giornata a Canterbury. Non se la sentiva di starsene tra persone che avevano creduto in lui così fortemente; quelle stesse persone che non erano a conoscenza dell’ultimo periodo della sua vita. O meglio, ne erano a conoscenza, ma non conoscevano la verità, e questa cosa lo faceva sentire male; prima di tornare a Londra era convinto che la sua famiglia -sua madre in testa- gli avrebbe fatto una di quelle ramanzine coi fiocchi al suo ritorno. Era preparato a questa eventualità. Ma non era successo: era stato riaccolto a braccia aperte, e se questa situazione non lo aveva impensierito all’inizio, ora gli riempiva la mente. E i suoi pensieri andarono a sua sorella prima, e alla sua migliore amica poi: entrambe si erano fatte in quattro per far sì che niente e nessuno potesse rovinargli la vita nella sua terra natia, e lui non si era nemmeno fatto sentire.

Poco prima di pranzo di quel martedì, vigilia dell’intervista, ricevette la telefonata della sua agente stampa, che lo informò che l’intervista si sarebbe fatta in quella casa; la giornalista non aveva voluto dire all’agente le domande che aveva preparato e lei voleva far sì che la donna si trovasse con il minor vantaggio possibile. Temeva che quello sarebbe stato il colpo di grazia per la carriera di Orlando, e quindi dovevano giocare in contropiede, cercando qualsiasi appiglio a cui aggrapparsi. L’attore per parte sua, era sì un poco agitato e nervoso, ma non tanto per l’intervista in sé per sé, quanto per la singolarità di quella situazione: non si sentiva pronto per quell’incontro. Avrebbe dovuto fingere di essere uno sconosciuto agli occhi di Juliet. Comportarsi e muoversi in modo che la sua agente non avesse nemmeno il minimo sospetto che i due si fossero anche solo visti per un minimo secondo. Doveva temere la sua migliore amica. Doveva essere ciò che non era; e questo lo intimoriva più di ogni altra cosa. Conosceva abbastanza bene la donna da sapere come si sarebbe comportata, ma sapeva bene di non conoscerne il lato professionale, e quindi non era certo di riuscire a gestire al meglio la situazione; ma di una cosa era certo. Juliet Wollstonecraft non aveva nessuna intenzione di fregarlo in qualche subdolo modo. Glielo aveva ormai ripetuto più di una volta in quei giorni, e per questo non aveva di che temere, se si sarebbe fidato di lei e l’avesse seguita.

Il mercoledì mattina si presentò assolato e fresco; una giornata perfetta, almeno dal punto di vista climatico. Juliet si svegliò come suo solito alle 6.30, per poi arrivare al lavoro alle 8.00 precise, spaccando il secondo. Passò il mattino in ufficio, navigando tra i pensieri ed i ricordi, che si intervallarono alla visita del suo capo e della sua segretaria. La giornalista però era già con la testa a quel pomeriggio: si impose di non pensarvi troppo, che doveva mantenere il suo comportamento professionale e obbiettivo; Orlando stesso si sarebbe rialzato praticamente da solo…tutto quello che lei doveva fare era rimanere concentrata e comportarsi in maniera ineccepibile. Aveva inoltre notato dalla telefonata con Mrs. Baum, che quella donna la riteneva un pericolo che minava la carriera del suo cliente, e presentarsi all’intervista nel modo sbagliato l’avrebbe insospettita. Non poteva permettersi passi falsi, né farsi intimorire dalla situazione; conosceva bene Orlando e il rispetto e il timore che la gente portava per lei. Sapeva tutto e niente poteva diventare un tranello teso per fregarla; era forte e non si sarebbe lasciata distrarre da niente e nessuno. Verso le 11.30 ricevette la chiamata dell’agente dell’attore che l’avvisava che l’intervista si sarebbe fatta nella casa del suo cliente, e le diede l’indirizzo. Juliet, mentre le veniva detto il luogo dell’incontro, sorrise divertita. Non avrebbero potuto scegliere luogo migliore: poteva sembrare una mossa per metterla a disagio, e sicuro lo era per Mrs. Baum, ma per lei era come giocare in casa. A mezzogiorno uscì dall’ufficio, salutata da Caroline con un occhiolino, poi andò a casa, portò un poco a spasso Tink, approfittandone per mangiare un boccone in un bar. Riportò Tink a casa, e guardò l’orologio: le 13.30. Mezz’ora e si sarebbe trovata davanti a casa di Orlando. Sorrise tra sé, e con leggerezza, mise in borsa un block notes in cui aveva appuntato le domande, la penna, e si avviò verso l’uscita di casa sua, direzione casa della sua prossima vittima.

Orlando, invece, si era svegliato alle 8, si era fatto una doccia per calmarsi, ed aveva atteso l’arrivo di Aileen. Anche se il servizio l’avrebbe fatto sua cugino Sebastian, al quale era particolarmente affezionato e legato, la sua manager insisteva nell’accompagnarlo dovunque andasse, specialmente negli ultimi tempi. Stava ancora facendo colazione, mentre Sidi lo guardava curioso, quando suonò il campanello. L’attore, ancora in boxer, andò ad aprire: sicuramente era la sua manager, ma ebbe una piacevole sorpresa. Si trovò davanti sua sorella, che gli sorrideva radiosa.

“Buongiorno!” esclamò lei, raggiante. “Visto che meravigliosa giornata?”

Orlando la guardò stupito e accigliato. Cosa ci faceva Samantha lì a quell’ora? “Buongiorno a te. Sicura di stare bene?”

“Certo. Allora, hai intenzione di lasciarmi sulla porta per molto così che i paparazzi ti vedano, o entriamo in casa?”

“Avanti, entra.” le rispose piatto.

La donna entrò nella casa, notando come fosse in ordine. “Bene, bene. Ti sei dato alle pulizie?” chiese, mentre scompigliava il pelo di Sidi, arrivato a prendersi un po’ di coccole.

“Jules viene qui.”

“Cosa?”

“Faremo l’intervista qui. Robin la vuole prendere in contropiede… ha paura di lei.” le rispose, sedendosi sul divano.

Sam sorrise, per poi sedersi accanto al fratello. “E tu? Hai paura?”

“No, è la mia migliore amica…” fece una pausa. “Sì, perché voglio farmi valere ai suoi occhi. Voglio dimostrarle che valgo.”

“Per lei vali…e tanto. Non farti abbattere, ti aiuterà. Credo che abbia iniziato il lavoro di giornalista principalmente a causa tua…o meglio. Avrebbe potuto lavorare in altri campi, e le erano arrivate proposte importanti dopo un anno a Vogue, ma non ha accettato. È voluta restare lì, e nessuno ne ha capito il perché.” e ridacchiò. “Che sciocchi! Noi che pensavamo fosse per quell’editore…”

“Editore?”

Samantha annuì. “Christian Johnston. Sono stati insieme per un po’ di tempo. Eravamo convinti che si sarebbero sposati…” alzò gli occhi al cielo. “In effetti, lui è sposato…ma non con lei. Juliet l’ha presa bene; è pure andata al matrimonio e ai battesimi dei figli.”

Orlando abbassò il capo. “…ho perso così tanto…”

“Forza e coraggio, fratellino. Hai tutto il tempo del mondo ora. Certo, quando arriverà Miranda sarà un po’ più difficile, ma vedrai che lei ci sarà comunque. Hai detto che viene qui a Londra, tornata dall’Australia, vero?”

Orlando la guardò: prima o poi avrebbe dovuto affrontare pure quella sconfitta, avrebbe dovuto dirlo a tutti… Juliet compresa. Ma non in quel momento. Così sorrise alla sorella. “Credo di sì. Ci dobbiamo organizzare ancora.”

“Perfetto. Ora vai a vestirti; alla cucina penso io.” e dopo avergli dato un bacio sulla guancia, la donna si diresse in cucina, mentre il fratello andò al piano di sopra a cambiarsi: optò per un paio di jeans scoloriti, t-shirt grigia e capelli spettinati. Ai piedi gli inossidabili stivaletti. Guardandosi allo specchio, sorrise alla sua immagine riflessa, per poi scendere tranquillo. Ma quando arrivò nella sala, la sorpresa era tripla. Oltre a sua sorella, c’erano anche entrambi i suoi genitori e suo cugino, comodamente seduti sul divano a chiacchierare serenamente.

Bast?” lo chiamò Orlando.

“Il solo e unico.”

“Pensavo di dovere venire io da te.”

“Cambio di programma. Il servizio è spostato di qualche giorno…” si giustificò, lui, alzando le spalle. “Tranquillo, Aileen lo sa.”

“Domani io non posso per nulla al mondo.” gli ricordò.

“Me lo ricordo, Gibbo.”

“Cosa fai domani, caro?” chiese Sonia al figlio.

“Stasera esco con alcuni amici, quindi immagino che farò tardi…” le spiegò, vago.

“Eddai, diglielo…” lo incoraggiò Sam.

“Che devo sapere?” chiese Sonia.

“Esce con Viola, Hugh, Conrad, Sylvia e Juliet!” le rispose sua figlia, prima che Orlando la potesse fermare. “Si trovano a casa di Sophie, visto che lei e Jack sono ancora in Francia.”

“Ma è meraviglioso!” esclamò la madre.

Colin sorrise soddisfatto ad Orlando.

“Io vado un attimo di là in cucina a farmi un caffè.” interruppe la discussione Sebastian.

“Vuoi una mano?” chiese il cugino.

“Sono capacissimo da solo, grazie.” e con un occhiolino sparì dietro la porta.

Orlando passò così tutta la mattinata assieme alla sua famiglia ed il suo cane. Si spostarono in giardino, dove più di una volta l’attore si mise a giocare con il suo cane, a cui era davvero affezionato. Si rotolarono nell’erba parecchie volte, causando le lamentele di Sonia, che veniva ripresa da Colin, il quale cercava di tenerla calma. Samantha guardava il fratello raggiante, stupita di come lui potesse essere rimasto così, nonostante tutto quello che era accaduto. Aveva pensato di averlo perso per sempre, ma si sbagliava di grosso. Ogni tanto, la donna lanciava qualche occhiata alla finestra della casa, o tra i cespugli. Quell’idea era stata semplicemente geniale, e non aveva richiesto niente di particolare, e cosa ancora più incredibile, suo fratello ne era totalmente ignaro, non insospettendosi nemmeno.

Alle 11.30, la famiglia Bloom/Copeland si mise a tavola per consumare il pranzo, cucinato da Sonia, poi Orlando si mise sul divano a leggere un copione, mentre Sonia, Colin, Samantha e Sebastian, dopo aver riordinato la casa -specialmente la cucina-, si congedarono da lui, augurandogli buona fortuna e facendogli gesti di vittoria. L’ultima fu la sorella, che lo salutò con un bacio ed un occhiolino. “Fidati di lei, e credi in te stesso…” e detto ciò uscì dalla casa, lasciandolo solo.

Trovandosi in quella casa così grande, solo con i suoi pensieri, decise di tornare al suo copione, stravaccandosi sul divano. Erano le 13.30 quando Robin Baum fece la sua comparsa nella casa. Trovando il suo cliente sdraiato sul divano intento a leggere un copione e con i vestiti sporchi d’erba, lo guardò parecchio stupita: doveva essere completamente impazzito.

“Orlando!” lo chiamò. “Ma ti sembra intelligente presentarti davanti alla Wollstonecraft conciato così? Sei impazzito del tutto per caso?”

L’attore si mise a sedere e la guardò, riponendo il copione sul tavolino di fronte a lui. “Robin sta calma.” le rispose. “Vogliamo stupirla o no?” osservò, alzando un sopracciglio.

“Ma questa è pazzia! Non puoi presentarti sporco d’erba.”

“Eccome che posso.” le disse, poi le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla. “Fidati.” e con un occhiolino si diresse in cucina. Arrivato lì, sorrise. Quella volta avrebbe seguito il consiglio di sua sorella e avrebbe fatto di testa sua; e nessuno avrebbe interferito. Con questi pensieri tirò fuori il bollitore e tutto l’occorrente per preparare il tè. Qualche minuto e versò l’acqua calda nella teiera, vi infilò la bustina del tè, mentre preparava tre tazze, posando tutto su un vassoio, mettendoci anche lo zucchero. Mentre attendeva che il tè si finisse di preparare, aprì il frigo per bersi un bicchiere d’acqua, trovandosi davanti una torta al cioccolato fatta da sua madre. Se non si comporta come si deve, corrompila con la torta recitava il biglietto con la calligrafia di Sonia. Orlando sorride divertito, poi preparò tre piatti in cui mise tre fette di torta, tolse la bustina dalla teiera, e se ne tornò nella sala, in cui posò tutto ciò che aveva preparato, facendo un paio di giri da una stanza all’altra.

Robin lo guardava sempre più stupita e sconcertata; non capiva i piani dell’attore e gli sembrava sempre più di avere a che fare con un pazzo scatenato uscito dal manicomio. Non avrebbe di certo corrotto una giornalista come quella con una torta al cioccolato e del tè. Orlando doveva avere qualcosa, ma non riuscì a scoprirlo, perché pochi attimi dopo il campanello suonò. La donna sobbalzò sul divano, mentre l’attore, con una strana calma, andò alla porta, aprendola e trovandosi davanti Juliet Wollstonecraft, che lo guardava dal cancello della villa.

“Porta Sidi di sopra, per favore.” chiese a Robin gentilmente, la quale seguì l’indicazione del suo cliente. Dopo di ché, alzò il citofono.

“Sono Miss Wollstonecraft, Mr. Bloom.” lo raggiunse la voce di Jules. Orlando azionò il cancello e l’attese all porta sorridente. Pochi secondi e i due si trovarono di fronte. La giornalista gli sorrise professionalmente, e lui ricambiò.

“Mr. Bloom, è un piacere per me conoscerla.”

“Il piacere è tutto mio, Miss Wollstonecraft. Ormai non si fa che parlare di lei…” le rispose, facendola accomodare.

Percorsero insieme il corridoio che conduceva nella sala, dove trovarono l’agente stampa che si presentò alla giornalista, stringendole la mano cordialmente. Poi tutti e tre si accomodarono, e Juliet tirò fuori il block notes e la penna dalla borsa, mentre Orlando le serviva il tè e Robin studiava entrambi. Mentre stava riponendo la borsa, la giornalista si rese conto di un messaggio ricevuto nel cellulare; si scusò con i presenti e lo lesse.

Se ti chiede qualcosa del servizio interrompilo prima che possa dire troppo dicendogli che sai tutto. Per lui l’abbiamo posticipato, mentre per l’entourage l’abbiamo fatto oggi. Doveva venire Aileen a sovrintendere ma Sam è riuscita a offrirsi per accompagnarlo. In realtà siamo restati a casa sua… gli ho scattato le foto a tradimento durante tutta la mattinata. Non dirgli niente. E con questo il mio sporco lavoro l’ho fatto al meglio. Ora tocca a te! Ci sentiamo presto ;)! Bastian.

Leggendo quel messaggio, Juliet sorrise malefica. Sebastian era stato a dir poco grandioso: aveva adempiuto al suo compito egregiamente e osservando con la coda dell’occhio l’abbigliamento dell’attore fu ancora più curiosa di vedere quel servizio. In quattro e quattr’otto mandò il messaggio di risposta al fotografo.

Ottimo! Sei un genio, Bast! Hai superato te stesso. Ora lo metto un po’ io sotto i ferri… Grazie per l’aiuto; senza di te e Sam non ci sarei mai riuscita. Vi sono debitrice. A presto!

Dopo di ché, ripose il telefono nella borsa e guardò i presenti. “Vogliamo cominciare?” chiese, riprendendo un tono professionale, mentre apriva il block notes e la penna.

“Non volete finire prima il tè ed assaggiare un po’ di torta?” la invitò Robin.

Juliet le lanciò un’occhiata indagatoria. “State cercando di rabbonirmi, Mrs. Baum?” chiese lei, alzando un sopracciglio, e facendo arrossire copiosamente l’agente. Orlando trattenne una risata, mostrandosi serio e tranquillo. Era un atteggiamento tipico di Jules quello.

“No, assolutamente no, Miss Wollstonecraft.” balbettò l’altra donna.

“Bene, allora se non vi sono problemi, io inizierei.” constatò la giornalista. “Ho un impegno serale, ed immagino che Mr. Bloom voglia finire al più presto. Oggi è stata una giornata impegnativa per lui.” concluse, guardando direttamente negli occhi la sua preda.

“Non si preoccupi per me.” le rispose lui. “Ma non voglio trattenervi a lungo, visto che avete degli impegni. Quindi direi di procedere…”

Juliet sorseggiò il suo tè, ripose la tazzina, riprese la penna tra le mani, e con un sorriso, pose la sua prima domanda.

“Mr. Bloom, è passato parecchio tempo dalla sua ultima comparsa sugli schermi dei cinema. L’ultima volta è stato nel 2007 con l’ultimo capitolo di Pirates of the Caribbean al fianco di Johnny Depp. Dopo di ché c’è stato il teatro con In Celebration, e la piccola comparsa nel film uscito solo per il commercio digitale New York I love you, in cui recita accanto a Christina Ricci. Che effetto le fa tornare davanti ai riflettori del cinema dopo così tanto tempo?”

Robin impallidì sempre di più, mano a mano che la domanda prendeva corpo mentre Orlando non faceva una piega. Era una domanda talmente ovvia che sorrise alla giornalista, prese fiato e rispose.

“È come tornare in sella ad una bici dopo anni che non ci sali. Il teatro mi ha molto aiutato e avevo deciso di prendermi un pausa per poter scegliere con più cura i progetti a cui partecipare. Avrei voluto tornare prima sul grande palco del cinema, ma non mi è stato permesso per varie ragioni, anche a causa dell’attuale commercio, in cui si predilige fare uscire alcune pellicole solamente in DVD.”

“E tra le cause possiamo anche annoverare la sua storia con la modella Miranda Kerr che ormai va avanti da più di un anno?”

Orlando sorrise provocatorio. Sperava che ci avrebbe messo più tempo prima di arrivare a quel tipo di domanda. Robin invece, fulminò la giornalista, e stava per ricordarle dell’assicurazione che lei stessa le aveva fatto per telefono, ma l’attore la fulminò con lo sguardo facendola tacere.

“Sì, ma come ben vedete, continuo a lavorare tutt’ora.” fu la semplice risposta di lui.

“Così sembrerebbe…” osservò la giornalista a denti stretti, mentre scribacchiava qualcosa sul suo block notes. Robin aveva quasi raggiunto l’apice; era furiosa e non nascondeva i suoi sentimenti verso la giornalista. Orlando invece era quasi divertito da quell’atteggiamento; si trovava bene, a suo agio, e le reazioni di Robin lo divertivano parecchio.

Juliet prese un forchettata di torta, prima di porre un’altra domanda. “Tornando al film,” iniziò, “questa per lei è una parte un po’ diversa dal solito. Certo, la figura del sex symbol rimane intatta, ma questa volta il personaggio è più negativo rispetto ai precedenti. Dev’essere stata un’esperienza quantomeno particolare…” osservò, provocatoria.

E fu così che l’intervista andò avanti per circa un paio d’ore, dilungandosi a causa di Robin che di quanto in quanto si assentava, andando a sbollire la rabbia al piano di sopra, mentre Orlando e la giornalista rimanevano a studiarsi in silenzio. Inizialmente le domande erano state abbastanza provocatorie, e tutte miravano non solo al carattere dell’agente stampa, ma anche a quello dell’attore. Dopo un po’ però il tipo di domanda era cambiato, e pure l’atteggiamento della giornalista; sembrava quasi avere una sorta di ammirazione verso di lui, andando a toccare temi tra i più disparati. Passò dal suo ultimo progetto, al compito di ambasciatore per l’Unicef, alla sua battaglia per l’ambiente assieme al cugino, per poi tornare di nuovo al suo lavoro, lasciando campo libero ad Orlando per poter esprimere appieno le sue sensazioni e gli ideali per cui faceva quel mestiere.

Robin non poteva credere alle sue orecchie, nel sentire le parole del suo cliente; non le sembrava nemmeno lui per certi versi. Ed era ancora più stupita dalla giornalista; qualcosa durante le prime domande doveva averle fatto cambiare idea sul suo conto, e ne rimase notevolmente colpita. Normalmente i giornalisti di certe riviste non erano certo inclini a cambiare idea sulla visione che avevano di certi personaggi; e si chiese se forse era per questo che quella donna veniva temuta. Era talmente imprevedibile nei suoi giudizi che non si poteva pensare di fregarla in una qualsiasi maniera: era lei a fregare gli altri, mostrando al mondo la vera natura della persona a cui si trovava di fronte. Nessuno era mai riuscito a tirare fuori tanto da Orlando Bloom, e lei l’aveva fatto con un eleganza tale, che sembrava sapere benissimo cosa si nascondeva dietro quel viso.

Ormai Juliet era arrivata alla fine della sua lista di domande. Il block notes era pieno e lei era soddisfatta del suo lavoro…ma c’era una domanda che le ronzava per la testa dall’inizio dell’intervista, così prese un bel respiro e puntò i suoi occhi castani in quelli color nocciola dell’attore.

“Progetti per il futuro?”

“Recuperare il tempo perso; diventare un vero attore, anche a costo di dover passare in rassegna ogni misero teatro di questa città. Non mi do per vinto. La mia famiglia crede in me, e ho ritrovato amici che non pensavo credessero ancora in me con una tale forza. Questo mestiere è ciò che di più bello mi è stato donato, e non posso vivere senza di esso… perché i grandi amori durano una vita intera.” gli uscì di getto, senza nemmeno soppesare prima quelle parole. Erano uscite direttamente dal cuore, e attraverso i suoi occhi la giornalista colse l’immensa sincerità di quell’ultima risposta, e sorrise, cercando di contenere l’immensa gioia che quelle parole le avevano provocato dentro. Non scrisse nulla sul foglio; avrebbe ricordato quei momenti per molto tempo…erano stati impressi nella sua mente come una bruciatura fatta con il ferro caldo sulla pelle.

“E con questo, direi che abbiamo finito.” concluse lei, sorridendo. “Non so come ringraziarla per il tempo che mi ha dedicato durante questa giornata.”

“Il piacere è stato solo mio, Miss Wollstonecraft.” le rispose lui, seguendola mentre si alzava per riporre le sue cose nella borsa.

“E grazie per il tè e la torta… fate i complimenti alla cuoca.”

“Sarà fatto.”

Tutti e tre si ritrovarono così sulla porta di casa. Robin che finalmente sorrideva per la fine di quella strana situazione; Orlando che guardava la giornalista sereno, come se fosse andato a fare due passi al parco; ed infine Juliet, orgogliosa non solo del suo lavoro, ma anche del suo migliore amico. Era stato perfetto e quelle ultime parole erano state il tocco finale…aveva concluso con un botto splendido, un vero colpo da maestro.

“Vi farò avere un’anteprima dell’articolo prima della pubblicazione.” li informò Jules.

“Perfetto.” rispose l’agente.

“Bene…Mrs. Baum…Mr. Bloom…” e sorrise. “Buona serata…”

“Buona serata anche a lei.” la salutò Orlando, guardandola percorrere il vialetto fino al cancello da cui uscì.

L’attore e la sua agente rimasero un poco ad osservare quella scena, poi Robin si congedò, lasciandolo solo con i suoi pensieri. Per prima cosa andò a recuperare Sidi al piano di sopra, lo liberò e tornò a distendersi sul divano dove si rimise a leggere il copione di prima.

Juliet, invece, se ne tornò a casa con il sorriso sulle labbra. Quando arrivò coccolò un poco Tink, per poi andarsi a fare una doccia, trascorrendo in bagno una mezz’oretta. Arrivata poi davanti al suo armadio lo aprì e lo guardò come se non l’avesse mai visto prima: era pieno di eleganti completi, tailleur, pantaloni gessati, camicie impeccabilmente bianche e una caterva di scarpe dai tacchi vertiginosamente alti. Sembrava quasi il guardaroba di una snob, e ne rise di questo. Era incredibile per lei che quella trasformazione fosse avvenuta; non se ne era resa nemmeno conto, e da ragazzina scatenata si era trasformata in una elegantissima donna in carriera. Forse sua madre aveva davvero ragione: non aveva niente se non la sua carriera. La famiglia la vedeva di rado, e con gli amici non si vedevano tutti insieme più di una volta al mese, e tutto ciò che riuscivano a dirsi era riversare le loro frustrazioni sul lavoro addosso agli altri. In poche parole, erano diventati l’ombra di quello che erano, e questa non era maturità. Il diventare adulto non significava diventare i fantasmi di sé stessi; trasformarsi in persone tristi, lamentose e piatte.

Spinta da una forza a lei sconosciuta, forse una sorta di voce interiore, Jules alzò lo sguardo, trovandosi a guardare una scatola trasparente posta sopra l’armadio. Sorrise, poi prese una sedia su cui salì per tirare giù la scatola. Dalla polvere che si sparse nella stanza da letto, la donna si chiese quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che l’aveva tirata giù. Dentro c’erano jeans scoloriti, magliette dei più svariati colori…tutte cose che sarebbero state un colpo agli occhi per qualunque persona che avesse conosciuto la giornalista dopo la sua ascesa nella redazione di Vogue. Rise divertita pensando che nemmeno Christian l’aveva mai vista con quella roba addosso; solo vestiti eleganti e tacchi alti con lui. Lo riteneva un uomo raffinato, elegante, a cui piacevano le donne con una certa postura, un certo modo di comportarsi; e quando si prende una sbandata si fanno le cose più assurde, persino quella di cambiare completamente il guardaroba.

Dalla scatola, Juliet tirò fuori un paio di jeans e una maglietta gialla con un fiore al centro, per poi andare ad aprire un cassetto del comò, che era stipato di gioielli, tutti molto standard, tranne alcuni, racchiusi in una scatola di camicie. Da lì estrasse un paio di orecchini tondi regalatigli da Samantha e l’orologio di acciaio da uomo che, incredibile ma vero, funzionava ancora. Legò i capelli in una coda alta, si infilò le scarpe da tennis, e la giacca di pelle nera che usava da adolescente. Era appartenuta ad Orlando e lei l’adorava talmente tanto che lui a 16 anni gliel’aveva regalata… a quel tempo le maniche erano lunghe e ci navigava dentro. Ora invece le maniche avevano bisogno solo di un risvolto, ma la taglia rimaneva comunque un po’ più grande rispetto alla sua corporatura. Infine sostituì alla borsa della mattina una tracolla vecchia nera, a cui erano attaccate due spille. La sua tracolla dell’università. Ci mise dentro il portatile, il block notes, cellulare e tutto il necessario, poi se la mise sulla spalla.

Quando passò davanti allo specchio e si voltò, l’immagine riflessa davanti a lei era quella di un’altra persona: vedeva una giovane donna, serena, felice, che nonostante il nero della giacca di pelle emanava una luminosità ed una luce incredibile. Sorrise a quell’immagine ed ammiccò. Passò dalla cucina a salutare Tink, le preparò la cena, e dopo qualche coccola scese le scale per andare ai garage. Lì, dove solitamente si trovava la sua macchina, vi trovò la moto di suo padre, che aveva parcheggiato lì ormai anni prima, e non l’aveva più spostata se non per portarla dal meccanico una volta l’anno. Di corsa infilò la borsa a tracolla, prese un casco dalla mensola, lo infilò e montò in sella alla moto, facendolo uscire dal garage con tutta calma. Dopo averlo richiuso, rimontò in sella e dopo aver dato gas, uscì mentre la brezza serale della capitale le carezzava il viso, dirigendosi verso Canterbury.

Arrivò lì verso le 18.30; parcheggiò la moto nel garage ed entrò nella villetta. Era piccola e un po’ fuori dalla cittadina, ma ci aveva vissuto tutta la sua vita e nulla le sembrava più bello e accogliente. Visto che l’appuntamento era per le 19.30, Juliet decise di iniziare a preparare la tavola e la cena. Viola, che aveva una copia delle chiavi, era andata a fare la spesa tra un turno e l’altro, prendendo le cose che gli sarebbero servite e la riserva per ciò che avrebbero usato di già presente nella casa. Infondo, non potevano far trovare il frigo vuoto a Sophie e Jack. Così, spulciando nel frigorifero, la giornalista vi trovò l’occorrente per fare un condimento fresco e, a suo parere, allegro. Tirò fuori mozzarella e pomodorini che tagliò a cubetti, prese due foglie di basilico dalla pianta sulla finestra, mise tutto in padella, poi si occupò dell’acqua per la pasta. Riempì la pentola e cominciò a pensare al tipo di pasta da usare, guardando nella dispensa. Nulla era meglio di un bel piatto di spaghetti. Per il secondo non si prodigò in ricette particolari: patate al forno e carne alla griglia, dalla salsiccia alle braciole. Preparò tutto in modo da essere pronto per la cottura non appena arrivati gli altri, poi apparecchiò la tavola, aggiungendo al centro di essa un bel mazzo di fiori colorati. Erano le 19.00 quando tutto fu pronto.

Sorridendo a sé stessa, la donna si diresse poi sul divano, dove, accesso il pc, iniziò a scrivere l’introduzione all’articolo. L’intervista era ancora fresca, e preferiva mettersi al lavoro il prima possibile o certe sensazioni sarebbero risultate offuscate più avanti nel tempo. Improvvisamente, però, dal piano di sopra giunsero dei rumori. Jules smise di battere i tasti del computer, facendo piombare la casa nel silenzio. Nuovamente dei lievi rumori si udirono. Sicuramente provenivano dal piano di sopra. Così la giornalista si tolse le scarpe, e salì le scale lentamente, facendo attenzione a non fare alcun tipo di rumore; per fortuna il parquet attutiva i suoi passi abbastanza bene. Arrivata al piano superiore di fermò, in attesa di captare meglio quei suoni. Una finestra si chiuse. La finestra della sua camera. In quattro e quattr’otto, senza nemmeno pensarci su un secondo, Juliet piombò nella sua vecchia stanza, spalancando la porta e accendendo la luce, convinta che chiunque fosse entrato nella stanza, se n’era già andato. Ma fu piuttosto sorpresa: davanti a lei, con una mano sul cuore per lo spavento, c’era Orlando, che si trovava proprio di fronte alla finestra.

“Jules, per l’amor di Dio, mi vuoi far prendere un infarto a 30 anni!” esclamò.

“32 anni, se vogliamo essere precisi.” lo rimbeccò. “E poi non sono io quella che entra in casa dalle finestre come un ladro. Sai, hanno inventato le porte.”

“A che servono le porte se hai le finestre che continuando ad aprirsi dall’esterno con una semplice pressione? Se un ladro arrivasse per davvero, entrerebbe in un attimo.”

“Allora presumo che devo avvisare i miei, quando torneranno dalla Francia, che la finestra della mia camera è danneggiata visto che all’età di 13 anni tu e Sebastian avete cambiato gli infissi, mentre i miei erano al mare, pur di far sì che voi due poteste entrare in casa a vostro piacimento; Sebastian perché era il mio ragazzo, e tu per farmi le tue confessioni.” osservò lei, con un ghigno.

Orlando rise. “Non pensavo Sophie e Jack sapessero che Bastian era il tuo ragazzo.”

“Infatti non lo sanno, ma di certo ora non mi sgrideranno se glielo dico.”

Entrambi scoppiarono a ridere di gusto.

“Mi chiedo cosa ci vedevi in lui.”

“Me lo chiedo pure io…”

“Allora siamo messi bene…”

“Eddai! A quei tempi era un pazzo scatenato… quello trasgressivo e scapestrato. Era più grande di me, e mi sembrava il tipo giusto.”

“Anch’io ero scapestrato…” protestò Orlando.

“No.” puntualizzò lei. “Tu non eri scapestrato. Né un pericolo pubblico. Eri il ricercatore di disastri più grande della contea. Ti rompevi ogni tre giorni! Cosa ti sei pure rotto mentre salivi dalla mia finestra?”

“La testa per la seconda volta.” le ricordò.

“Giusto! E per tutti eri caduto in bicicletta…” sorrise. “Poi tu eri sempre circondato da ragazzine in adorazione…” e alzò un sopracciglio. “Non che la cosa sia molto cambiata ora che sei adulto…”

“Ma sentila questa brutta civetta bastarda e scorbutica!” esclamò l’attore, per poi scaraventarla sul letto e iniziarle a fare il solletico, mentre lei si dimenava come una pazza e rideva a crepapelle. “Rimangiati tutto quello che hai detto. Devi dire Orlando Bloom è il più bello, il più magnifico, il più fantasmagorico degli uomini e degli attori.”

“E il più paraculo, vanitoso ed egocentrico degli uomini con sindrome da Peter Pan incurabile, dove lo metti?” riuscì a dire tra una risata e l’altra.

“Vuoi la guerra, eh?” la minacciò, riprendendo a farle il solletico, mentre lei cercava in vano di sottrarsi a quella tortura, che la faceva ridere di cuore.

Improvvisamente suonò il campanello. Entrambi si fermarono. Juliet lanciò un’occhiata all’orologio: le 19.20.

“Sarà sicuramente Viola.” constatò lei. Orlando si alzò, tirandola su con un braccio.

“Vai, o chissà che va a pensare quando mi vede.”

“Non lo farà. Sa che non sono il tipo.”

“E perché?”

“Ti conosco troppo bene…” concluse, per poi dargli un veloce bacio sulla guancia ed andare alla porta.

Orlando invece, rimase lì fermo per qualche secondo, sfiorandosi la guancia: non gli sembrava vero che potesse essere tutto davvero tornato come lo aveva lasciato. Erano passati anni dal giorno che aveva deciso che quella ragazzina sarebbe stata la sua migliore amica, erano entrambi diventati adulti, ed avevano avuto le loro vite, così diverse ma così simili per certi versi. Si erano allontanati l’uno dall’altra, ma qualcosa li aveva tornati ad unire. Nelle loro vite -specialmente in quella di Orlando- erano passate donne e uomini che erano stati tutti importanti; per Orlando c’erano state le storie di una notte, e quelle importanti che gli avevano fatto capire tante cose. Ma quel mercoledì sera, nella stanza che Juliet aveva occupato per buona parte della sua vita, lui si rese conto che non c’erano altre possibilità, non c’erano alternative per lui. Quella giovane donna che quel pomeriggio l’aveva intervistato tirando fuori la sua anima, e che ora si trovava nel salotto della casa dei suoi a conversare con la sua migliore amica, sarebbe stata per sempre il suo unico ed impossibile grande amore.

 

 

 

 

Allora, eccoci qua al quarto capitolo… ringrazio le lettrici che continuano a seguire la storia…davvero, non pensavo che qualcuno la leggesse…

Il quinto capitolo è appena stato concluso, e già il sesto è in lavorazione…spero di andare avanti così…

Besitos

Klood

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO V

 

 

V

iola, quando arrivò davanti alla porta di casa dei genitori di Juliet, tutto si aspettava meno di trovarsi la sua migliore amica vestita sportiva. Quel cambiamento le sembrava quasi impossibile: ormai si era troppo abituata a vederla.

“Che c’è?” le chiese Juliet, notando il suo stupore.

“Stai bene.” osservò l’altra, indicandole l’abbigliamento.

“Grazie. Stavano facendo la muffa in uno scatolone sopra l’armadio, così ho pensato di fargli prendere un po’ d’aria.”

Viola sorrise. “C’è nell’aria un fermento, perché il cambiamento è giusto.” canticchiò.

“Hai fatto pediatria oggi?”

“Si nota?”

“Se ti metti a cantare le canzoni de La Bella e la Bestia, sì.”

Le due donne sorrisero, poi la giornalista fece accomodare l’amica che si tolse la giacca, appendendola all’attaccapanni, notando così la giacca di pelle e il casco. Guardò quei due oggetti sempre più stupita poi si rivolse a Jules.

“E questi?”

L’altra alzò le spalle. “Ho fatto fare un giro alla moto di mio padre.” Rispose, come se fosse una cosa abitudinaria per lei. “Gli altri?”

“Hugh e Conrad sono andati a recuperare Sylvia e arrivano. Di Orlando ne saprai di sicuro molto più di me. Com’è stato oggi?”

“È già qui; è entrato dalla finestra della mia camera.”

“Quella rotta?”

“Sì. Ora è di sopra… comunque oggi è stato perfetto.” e sussurrò quest’ultima frase, per poi condurre Viola in cucina. “Mi dai una mano, vero?

“Certo, capo.” annuì lei., che si avvicinò alle labbra dell’orecchio di Juliet. “Ancora troppo egocentrico per sentire i tuoi complimenti?”

“Decisamente…” sibilò l’amica tra i denti, mentre accendeva il fornello per l’acqua da bollire.

“State per caso confabulando sul mio avvenente aspetto fisico ed il mio irresistibile charme?” le interruppe Orlando, sicuro di conoscere già le reazioni di una simile domanda.

Le due amiche si scambiarono un’occhiata di assenso, per poi dire all’unisono: “…Decisamente…” e scoppiare a ridere il secondo dopo.

“Mi sono perso qualcosa?” chiese lui, non capendo.

“No, sono cose che sai da 22 anni, tranquillo.” gli rispose Juliet.

“Stavamo constatando quanto era aumentato il tuo innato egocentrismo.” gli chiarì Viola.

L’attore alzò gli occhi al cielo. “Come tutti, ho qualche insignificante difettuccio, ma rimango comunque un uomo con un certo fascino…tranne che per Jules.”

A quelle parole le due donne si immobilizzarono; Viola rivolse lo sguardo verso la sua migliore amica, incredula. Orlando non poteva aver lanciato quell’ultima frase, così, senza alcun motivo. Juliet, invece, guardava l’acqua bollire come se ne fosse rimasta incantata; sapeva la ragione di quell’uscita ma la riteneva una di quelle assurde frecciatine che il suo migliore amico lanciava di consuetudine  per gratificare il suo ego ed averla ogni volta vinta.

“A parte che come al solito sei di un permaloso che la metà basta. Poi non ho detto questo. Ho detto che trovo difficile l’idea di noi due insieme.”

“Quindi mi concedi il fascino!” esclamò lui, soddisfatto.

La giornalista alzò gli occhi al cielo: maledetta Viola e la sua lingua.

“Eccome se te lo concede!” esclamò quest’ultima. “Si prese una cotta di quelle colossali per te a 14 anni.”

Jules la fulminò con lo sguardo. Un’altra parola e l’avrebbe accoltellata. Quella era una di quelle cose che non aveva voluto rivelare ad Orlando ed i motivi erano fondamentalmente due: primo fra tutti, in quel momento lui stava con Viola, che infatti aveva saputo di quella cotta solo dopo che si erano lasciati, qualche settimana dopo. Secondo, perché la reputava una classica infatuazione adolescenziale, dove le ragazze fanno tutte il filo al bel ragazzo di turno. Non che Orlando a quell’età fosse particolarmente bello –anche se buona parte della scuola gli filava dietro-; lei ne aveva adorato la solarità e la gioia di vivere, considerandolo per queste caratteristiche anche straordinariamente bello.

Lui, sentendo le parole di Viola, sgranò gli occhi: gli sembrava impossibile che Juliet avesse potuto avere una cotta per lui circa nello stesso periodo in cui lui aveva avuto la sua prima cotta per lei. Ricordava quel momento come se lo avesse vissuto da poche ore: era in casa di suo cugino Sebastian, il quale stava consolando il cugino, che era stato mollato da poco da Viola. Era ormai passata una settimana  da quell’evento ed Orlando continuava ad essere molto taciturno e pensieroso. Incalzato da Bastian, il ragazzo aveva confessato: in realtà non stava così per la fine della storia con Viola; aveva preso una cotta per Jules ma era stra sicuro che niente sarebbe mai potuto accadere. Così, dopo aver fatto promettere al cugino di non fiatare, aveva cercato di seppellire quella cosa, che si ripresentò anni dopo, e lui rigettò quel sentimento, soprattutto per paura di rovinare quell’amicizia. E così era stato per tutti quegli anni; ogni tanto, quel sentimento sempre più forte con gli anni che passavano, faceva capolino insinuandosi tra i pensieri di Orlando.

“Sono passati secoli ormai.” lo interruppe Juliet dai suoi pensieri.

“Perché non me ne hai mai parlato?” le chiese curioso.

In quel momento suonarono al campanello: Viola guardò entrambi i due amici e si diresse verso la porta, lasciandoli soli. Istintivamente lui si avvicinò a lei, appoggiando entrambe le mani sul mobile, mentre la giornalista aveva buttato giù la pasta.

“È storia passata ormai…” fu la risposta di Juliet. “Tu stavi con Viola ed era una di quelle tipiche cotte adolescenziali senza senso. Ne avevi già troppe di ragazze sbavanti attorno.” concluse semplicemente.

Orlando sorrise, per poi mettersi dietro di lei ed abbracciarla. “Se io ti dicessi che magari avrei potuto anche dirti di sì, una volta mollata Viola?”

Un brivido percorse la schiena della donna, che sentì una strana sensazione riempire il suo stomaco. Un’altra volta l’aveva provata, ma non così forte, ed era stato il preludio di un periodo nero per lei: così chiuse gli occhi, tornando a prendere il controllo di sé, ed una volta riaperti gli occhi si voltò verso di lui, che continuava a tenerla intrappolata tra le sue braccia.

“Chissà,” iniziò con un tono parecchio divertito, “magari ora saresti circondato da bambini che ti venerano come il loro eroe, mentre la sottoscritta fa la giornalista/mamma/moglie di successo…” rispose alzando un sopracciglio. “Anche se penso che la santa che ti farà capitolare a vita voglia ancora godersi la pace e la serenità di una vita… almeno finché non si innamorerà.”

Orlando sorrise: avere a che fare con lei era forse la cosa che gli era mancata di più in quegli anni. Quando si parlava di lei e della sua vita privata abbozzava sempre, scherzandoci sopra e dando ad ogni gesto, ogni momento, ogni situazione, poca importanza, come se non valesse niente. Al contrario di quello che si poteva pensare da quel comportamento, Juliet assaporava ogni singola parte della sua vita come se fosse l’ultima: tutto diventava unico ed irripetibile, anche le cose comuni e quotidiane, come lo svegliarsi o il mangiare una pizza con gli amici; c’era sempre una peculiarità, come una canzone o anche solo una nuvola, che trasformava quel momento in qualcosa di straordinario. Per questo verso i problemi altrui aveva un atteggiamento a tratti drammatico: ascoltava chiunque avesse bisogno per ore intere, lasciandoli parlare –a volte era quasi uno sproloquio-, tanto che a volte veniva menzionata e provocata pur di farla parlare. Alla fine di quel monologo, lei si avvicinava e con estrema serietà, come se dovesse spiegare un’invenzione scientifica, esponeva la sua tesi, dialogando con chi aveva accanto; non pretendeva di avere ragione ed era sempre pronta a cambiare opinione o idea….quante volte Orlando aveva provato sulla sua stessa pelle quel suo comportamento. L’atteggiamento che aveva verso sé stessa era per buona parte una tecnica di difesa, che adottava anche con chi conosceva bene, ma anche un modo ottimistico di vedere la sua vita: c’era sempre qualcuno con problemi più grossi dei suoi, quindi perché lamentarsi di una vita che le aveva regalato tanta serenità e tanti bei momenti?

“Sempre ironica, eh?” osservò lui. “Mi chiedo quando mai capirai che non è più il momento di giocare a fare gli adulti, ma di esserlo davvero…”

Eccolo là, pensò lei, l’uomo vissuto… “Nello stesso momento in cui non ci sarà più il mio compagno di giochi preferito a permettermi di vedere il mondo con i suoi occhi di eterno Peter Pan.” fu la risposta della giornalista.

“Allora stiamo freschi,” osservò, roteando gli occhi e facendo un’espressione talmente assurda che Jules trovò irresistibile, “è possibile che questa situazione perduri nel tempo.”

“Io mica mi lamento…infondo mica ammazzo qualcuno.”

“Mia madre ne sarà entusiasta.”

“E quando mai l’hai ascoltata quella povera donna? Poi scusami tanto, ma la vita è la tua. L’unica che possa lamentarsi in questo momento è Miranda, che ha l’arduo compito di sopportarti.”

“Tu non eri quella che non poteva sentirne il nome?”

La giornalista si voltò verso l’amico. “Mai detto che l’adoro; ho solo constatato che averti accanto è un attentato ai nervi, e per una come lei aggiungerei una piccola tortura.”

“Che alta opinione che hai di me.” La provocò, appena risentito per quell’osservazione.

Juliet roteò gli occhi… possibile che fosse così cieco, oltre che permaloso, da non vedere la realtà dei fatti?

“Lo sai che opinione ho di te… e non saresti il mio migliore amico, se non avessi la capacità di trasformare ogni momento in un’avventura da film. Ma come tutti hai quei 3-4 difetti che tendi ad estremizzare…” rispose, mentre guardava il volto di Orlando cambiare. Si era spettato una sarcastica ma altrettanto dettagliata critica dei suoi pregi e difetti, ma era rimasto spiazzato a quella frase; l’ultima parte del discorso l’aveva a malapena registrata, come se l’avesse udita in maniera ovattata, lontana, passata. Non c’era ironia, né tantomeno sarcasmo. Era uscita pura e semplice dal cuore, e l’aveva portato dritto su una nuvola che si alzava sempre più in alto nel cielo meravigliosamente azzurro. In un attimo di lucidità si chiese quanto in quegli anni lei fosse riuscita a leggergli dentro, se non sapesse benissimo quello che gli scatenava in corpo; un attimo dopo si disse che era impossibile visto che per lui stesso era quasi inaccettabile il fatto che non esisteva al mondo nessuna ragazza prima, e donna poi in grado di farlo sentire così… lei di conseguenza non poteva nemmeno immaginarlo.

I pensieri di Orlando furono interrotti da una voce proveniente dalla sala, che riconobbe come quella di Duncan.

“Allora questa pasta è pronta?” urlò.

Juliet sorrise all’amico un’ultima volta, prima di tornarsi ad occupare della cena. Rimasero entrambi in silenzio, l’uno osservando i movimenti dell’altra, poi quando lei finì di riempire i piatti, prese un vassoio e glieli posò sopra. Passandogli accanto si fermò, sorrise ed avvicinò la bocca all’orecchio di lui, tanto che il suo respiro gli provocò alcuni brividi che lo costrinsero a chiudere gli occhi, prendendo con la forza il controllo di sé.

“È per questo che sarei disposta ad aspettar anche 12 anni, se non di più. Mi basta sapere che al tuo ritorno non sarà cambiato nulla se non il tempo… e di questo ne sono arci sicura.”

Detto ciò uscì dalla stanza, entrando nella sala, ormai apparecchiata, seguita poco dopo da Orlando. L’ovazione che seguì l’entrata della giornalista la convinse che quella sarebbe stata un’altra serata da non dimenticare: e così fu. La cena fu ottima, grazie anche alla complicità di Viola, di gran lunga migliore tra i fornelli rispetto a Juliet, e alla inaspettata quanto provvidenziale comparsa della torta al cioccolato fatta da Sonia che Orlando aveva saggiamente deciso di portare. Ovviamente tutti si dilungarono nei complimenti alla madre dell’attore, prima fra tutti Jules che fu decisamente più espansiva rispetto al pomeriggio.

Dopo cena erano stati gli uomini ad occuparsi di piatti e compagnia bella, mentre le donzelle –così le chiamavano affettuosamente Duncan, Conrad ed Orlando- erano andate nel salotto. La padrona di casa aveva sistemato tutto il materiale di lavoro nella cartella che aveva riposto nell’ingresso. Tutti in quella casa sapevano dell’intervista, ma nessuno osò fare domande a riguardo; quella sera erano semplicemente sei amici che si ritrovavano finalmente tutti insieme per condividere una serata in piena tranquillità.

Quando arrivarono anche i maschi si misero sui divani, raccontandosi presente ma anche, e soprattutto, passato. All’attore non ci erano voluti che pochi attimi per capire che finalmente Duncan e Sylvia si erano messi insieme: in effetti erano la seconda coppia all’interno del group. Primi erano stati Orlando e Viola, che a quanto pareva ora frequentava sin dall’università un pediatra che lavorava nel suo stesso ospedale, e la cosa sembrava seria.

“Quando lui aprirà gli definitivamente gli occhi, ci sarà profumo di fiori d’arancio nell’aria… e sarà fra poco fidati.” gli aveva sussurrato Jules all’orecchio, facendolo sorridere divertito all’idea di Viola, la sua prima ragazza seria, vestita con un abito bianco, diretta verso un altare a cui l’attendeva un medico. E pensare che c’era stato un periodo della sua vita in cui avrebbe voluto esserci lui, davanti a quell’altare… mentre ora cercava di scacciare qualsiasi pensiero che lo legasse sentimentalmente a Juliet, anche se sperava di perdere quell’inutile sfida contro sé stesso. Il problema si poneva in alcune situazioni, in cui lui era costretto a dover controllare maggiormente sé stesso, e quello era proprio uno di quei momenti: appena arrivato in salotto si era istintivamente seduto accanto a Juliet che, altrettanto istintivamente, dopo pochi minuti, si era appoggiata a lui. Dapprima Orlando aveva assecondato quel gesto totalmente affettuoso, avvicinandola di più a sé, in modo da farle appoggiare la schiena contro il suo petto, ma come aveva iniziato ad abbracciarla, si era reso conto del pericolo che stava correndo; il suo profumo la inebriava ed il desiderio di avvicinarsi al suo collo e lasciarvi un lento e studiato bacio era talmente prepotente che dovette fare affidamento a tutte le sue forze pur di non cedere a quelle sensazioni. Per tutta la serata era rimasto lì ad abbracciarla, beandosi di quei momenti, sapendo benissimo che erano solo un palliativo che non avrebbe placato i suoi sentimenti per molto tempo.

Era circa l’una quando i primi sbadigli interruppero la conversazione, cosicché Viola, Conrad, Hugh e Sylvia decisero di tornarsene a casa; in realtà anche Orlando aveva intenzione di andare a casa dai suoi, ma Juliet, che non era riuscita a convincere Viola, si era impuntata perché lui restasse. Così avevano iniziato a discutere dimostrandosi i soliti due testoni di sempre, gesticolando in aria mentre bisticciavano come bambini. Lui non aveva certo intenzione di rimanere lì in quella casa; sapeva bene che se fosse rimasto Juliet si sarebbe rifugiata sotto le coperte e avrebbero dormito insieme come facevano da ragazzi; e per lui sarebbe stato praticamente impossibile resistere. La donna invece non capiva le ragioni per quel suo rifiuto secco: inizialmente pensava che la colpa era da attribuire alla gelosia di Miranda, poi quando aveva capito che il motivo non era quello, ma un altro che lui non voleva dirle, si era alterata parecchio. Cosa poteva succedere? Avrebbero semplicemente dormito come avrebbe fatto due miglior amici…

Alla fine Orlando si era arreso, sperando in cuor suo di riuscire in quella che a lui sembrava un’impresa titanica. La giornalista lo aveva accompagnato nella stanza degli ospiti e poi era scesa di sotto a sistemare le ultime cose prima di coricarsi, lasciandolo solo in quella camera; non appena vi era rimasto, aveva preso il cellulare e composto il numero del cugino. Pochi secondi e la voce di Sebastian gli giunse all’orecchio.

“Ma buonasera!”

“…risparmiati il sarcasmo, Bastian…”

“A parte che non ero sarcastico, comunque pensavo che con Jules andasse tutto a meraviglia.”

“Infatti…” gli rispose “Se non fosse che litighiamo con una frequenza allarmante.”

Sebastian notò una strana nota nella voce del cugino, che lo mise in allarme. “Non mi sembra una cosa così strana sa parte vostra…” si interruppe per un attimo. “C’è qualcosa che devi dirmi? Non credo che tu mi abbia chiamato solo per dirmi dei tuoi litigi con la mia ex…”

Alla parola ex Orlando chiuse gli occhi, scacciando la visione di Juliet e Sebastian insieme. Sospirò e si disse che quella situazione stava diventando insostenibile, e c’era bisogno di trovare una soluzione al più presto.

Dall’altra parte del telefono, il fotografo sorrise; c’era qualcosa che turbava e preoccupava il cugino ed era palese che stesse cercando di risolvere il problema .

“Con Miranda è finita…” esordì l’attore.

“Quando?”

“In realtà ci siamo presi una pausa, ma sappiamo benissimo entrambi che è la fine.” osservò “Lei ha David Jones che la pubblicizza e le scalda le lenzuola.”

“E tu?” chiese il fotografo, curioso.

“Io devo smettermi di inventarmi cazzate per nascondere la verità. Fingere di essere ciò che non sono non serve più a nulla.”

“Ma di che stai parlando?” Sebastian non capiva nulla di quello che stava dicendo il cugino.

“Di lei, Bastian. Devo smetterla di pensare che non è nulla più di affetto, perché non è affatto così; e dire che di donne ne posso avere quante me ne pare, e ti giuro che ho fatto di tutto e di più per metterci una pietra sopra, ma non serve. È come una droga e restare qui è un supplizio, cazzo, ma non riesco a dirle di no.”

“Ma lei chi?! Possibile che tu abbia appena chiuso con Miranda e già ti sei invaghito di un’altra? Pensavo l’amassi… a te la fama ha aumentato i geni della marpionaggine.”

“Anch’io pensavo di amarla, peccato che è da quando ho 14 anni che mi sto prendendo per il culo. Se solo mi avesse detto che le piacevo, ora non sarei qui a scervellarmi con te, ma sarei di là a dormirle accanto… e quel che è peggio è che al solo ricordo di voi due insieme verrei a Londra a spaccarti la faccia.” rispose, frustato dalla situazione ed accorato.

Dall’altra capo, Sebastian si era seduto meglio sul letto: non poteva credere a ciò che aveva sentito. Suo cugino, il famoso attore Orlando Bloom, ormai ex teen idol, dichiarato da più riviste un vero e proprio sex symbol, nonostante la fama improvvisa e tutto quello che gli era capitato era ancora cotto della stessa ragazza per cui aveva preso una sbandata anni prima. Tutto quel tempo non aveva fatto altro che alimentare quel sentimento, trasformandosi, cambiando, crescendo.

“Devi dirglielo.”

“La fai facile tu. Non sa di me e Miranda e poi ho una paura fottuta, cazzo.”

“Finalmente sperimenti anche tu questa sensazione.” osservò il fotografo.

“Te ne rendi conto che in un attimo rischio di mandare 22 anni a puttane?”

“Solo tu sai come prenderla.” lo rassicurò. “Sei l’unico, quindi giocatela bene, e se vuoi un consiglio, guarda oltre i tailleur ed i completi eleganti; quella è una maschera.”

“Grazie, Bast.”

“Figurati. E mi raccomando comportati da bravo bambino, e dalle tempo per metabolizzare.”

“Cosa?”

“Il fatto che per ora tocca a lei sopportare tutto quello che combini.”

Orlando rise divertito a quella frase, decisamente più rilassato rispetto a prima. Ringraziò per l’ennesima volta il cugino prima di chiudere la conversazione, augurandogli la buonanotte. Dopo di ché si incamminò fuori dalla stanza alla ricerca di Juliet, che trovò intenta a salire le scale che la conducevano al piano. Vedendo l’amico venirle incontro, salì velocemente gli ultimi gradini e si fermò proprio davanti a lui.

“Mio cugino ti saluta.” inizio lui, incerto sul da farsi.

“Grazie. Senti, io ho alcune cose da sbrigare giù in salotto, e finché ho qualche idea meglio che me ne occupi.” gli spiegò. “Tu dormi pure e se hai bisogno avvisami.”

Detto ciò si augurarono  la buonanotte con un bacio sulla guancia, poi si avviarono verso la stanza degli ospiti lui, ed il salotto lei, dove ritirò fuori sia il pc che il block notes. Li prese e si guardò intorno scettica: il salotto non era un posto adatto per scrivere un articolo. Ci voleva qualcosa di più libero, di più aperto, di più… verde. Pochi istanti ed era già seduta ad una delle sedie di plastica bianche attorno al tavolino dello stesso colore in giardino, con il portatile davanti a sé ed il blocco degli appunti accanto a lei.

La notte non era di certo calda, ma quell’aria fresca riempì delicatamente i polmoni di Jules, che avvolta nel giubbotto di pelle aveva iniziato a battere le dita sui tasti. Attorno a lei il silenzio più totale, nel quale il regolare ticchettio delle dita sulla tastiera pareva una melodia, intervallata di tanto in tanto dal fruscio delle foglie o dal vento che scompigliandole i capelli la rilassava. Meticolosamente e senza il minimo accenno di esitazione stava ricostruendo nella sua mente quel pomeriggio, per poi trascriverlo sul computer sotto forma di intervista; non aveva modificato una virgola di ciò che era stato chiesto e risposto, e l’unica libertà che si era presa era quella di ritrarre ciò che l’intervistato aveva fatto durante l’intervista.

Erano ormai le tre del mattino quando terminò di battere sulla tastiera; se ne accorse praticamente per caso, lanciando un’occhiata all’orologio del pc. Rilesse l’articolo, correggendo gli errori di battitura e sistemando i vari blocchi di domande in maniera più ordinata, aggiungendovi anche le foto che Sebastian le aveva mandato per e-mail poche ore prima. Dopo di ché ne aveva stampate due copie, salvato tutto sul computer, e stampato altre due copie dell’intervista senza foto. Sorridendo a sé stessa, prese un raccoglitore ad anelle, in cui raccoglieva le sue interviste e vi mise una delle due copie senza foto ed una copia di quelle con tanto di fotografie; ripose il raccoglitore sulle mensole del mobile accanto alla tv, tornando in giardino con due carpette: una gialla e una verde. Sopra la seconda scrisse in fretta la dicitura Vogue – Novembre 2009 e sotto di essa Orlando Bloom. Vi mise dentro ‘intervista corredata di foto e ripose tutto nella sua cartella; passò poi alla carpetta gialla, infilò l’ultima copia rimasta all’interno e vi scrisse davanti una frase.

Prendilo come un regalo di Natale in anticipo, però sappi che io ne voglio uno altrettanto bello! J

Jules

Fatto ciò, riportò tutto dentro casa, riponendo le cose che aveva preso al loro posto. Lasciò la carpetta gialla sotto la sua cartella universitaria sul tavolo del salotto, pronta ad un bel sonno ristoratore nel suo letto.

Mentre saliva le scale sorrise al pensiero del volto di Orlando, ancora mezzo addormentato, intento a leggere le sue stesse parole, riportate con fede appassionata, tra le cui righe si tesseva l’elogio di un uomo che viveva per quel mestiere ricolmo di luci ma anche ombre; sicuramente non si aspettava né quelle parole, né tantomeno l’anteprima di un articolo che sarebbe uscito a breve, scritto da colei che tutti paragonavano ad una sorta di megera del giornalismo. E la cosa più divertente era che tutt’ora lei rideva di questi nomignoli, ogni volta che li sentiva questo perché infondo si sentiva come una giovane donna –forse più ragazza-, che sul lavoro fingeva di essere quella che non era mai stata, ma che col tempo, forse, era diventata, obbligata dalla stringente morsa dell’abitudine che l’aveva intrappolata, rendendole il mondo talmente facile da farla desistere dal liberarsi ed uscire da quella gabbia. Ma era questo il significato del verbo vivere? Adattarsi al mondo che ci circonda, diventando squali o pesci rossi a seconda di quello che ci viene richiesto, senza nemmeno poter essere sé stessi? Decisamente no, si rispose Juliet, e in quel momento decise che era ora di finirla con quella sceneggiata. Doveva avere la possibilità di decidere della sua vita, senza doversi nascondere dietro i completi eleganti ed i tacchi a spillo.

Con questi pensieri arrivò di fronte alla porta della sua stanza che aprì automaticamente; trovandola vuota e avvolta nel buio, si trovò spaesata, come se quella fosse per lei una camera totalmente sconosciuta, di cui aveva una gran paura. Istintivamente, senza nemmeno ragionarci troppo sopra, richiuse la porta e s’incamminò verso la stanza degli ospiti, entrandone in punta di piedi e lasciando che un unico raggio di luce potesse entrare ad illuminare debolmente la stanza. Orlando era sdraiato nel lato sinistro del letto a due piazze, coperto fino al bacino dalle lenzuola, da cui usciva la parte alta del corpo completamente priva di abiti. Dormiva steso sul lato, abbracciato al cuscino, di modo che Juliet poté osservarne il profilo disteso, mentre alcuni ricci gli coprivano la fronte; sorrise ricordando quante volte aveva scostato qualche capello ribelle da quel viso.

Con estrema lentezza posò la cartella su una sedia lì accanto, aggiungendo poi anche i pantaloni. Rimasta con la maglietta, richiuse la porta, salendo poi sul letto a gattoni, cercando di non svegliare l’amico. Arrivata in cima, si rifugiò sotto le coperte, andando a posizionarsi accanto a lui cingendogli la schiena con le braccia, e appoggiando la testa sulla sua spalla. A quel contatto, il ragazzo si avvicinò istintivamente a lei, facendo sì che le mani di lei andassero ad unirsi sulla sua pancia; per Juliet quel movimento fu l’innesco dell’affiorare di un ricordo, risalente ad anni prima… era stato l’inizio della tragedia più grossa che le fosse mai capitata… In quel periodo sembrava che andasse tutto a meraviglia, poi uno ad uno, gli eventi  l’avevano trascinata negli abissi più profondi, da cui era riuscita a risalire a fatica, grazie all’aiuto di Viola e del lavoro. Nessuno oltre alla sua migliore amica sapeva nulla; aveva deciso di buttare via ogni minima cosa che gli ricordasse quei pochi mesi, come se nulla fosse mai successo, e ora, mentre abbracciava l’unica persona a cui avrebbe voluto dire tutto, ogni particolare era tornato vivo e limpido nella sua mente. Strinse maggiormente a sé il corpo dell’amico addormentato, mentre silenziose le lacrime sgorgavano copiose, assieme a tutti i sogni che si erano frantumati come bicchieri di cristallo dopo una forte scossa di terremoto.

Per un attimo le lacrime sembrarono terminare, e fu in quell’istante che Orlando, sentendo probabilmente il corpo della ragazza contro il suo, si rigirò nel letto, abbracciandola e facendo sì che appoggiasse la testa sul suo petto. La giornalista lo chiamò debolmente, ma si rese conto che lui era addormentato ed aveva agito nel sonno, spinto dall’inconscio. Così si strinse maggiormente a lui, cercando di cacciare tutti i dolor e riposarsi qualche ora cullata dal respiro regolare dell’amico e avvolta nel suo tenero abbraccio.

 

Chiedo umilmente perdono per l’immenso ritardo con cui pubblico il quinto capitolo, ma purtroppo ho avuto parecchio da fare… ringrazio LadyElizabeth che continua a recensire… beh, vedo che comunque ci sono altre lettrici e spero di magari leggere anche un loro commento…

Il sesto capitolo è terminato, ma il settimo è un po’ in fase di stallo, ma spero di concluderlo al più presto.

Klood

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ed eccomi qua a pubblicare il sesto capitolo… avviso ai naviganti, è un po’ lunghetto, anzi lo è parecchio quindi equipaggiatevi bene, perché sono previste lunghe ore (non terrorizzatevi…).

Ringrazio le lettrici silenti e soprattutto eminae e bebe che recensiscono…

Ah! Piccola nota: avrete notato che nel precedente capitolo, compare un certo DUNCAN… in realtà è stato un cambio di nome a HUGH, solo che la sottoscritta ha lasciato qualche HUGH inalterato a causa della demenza senile della sottoscritta, per cui chiedo venia a tutte.

Bene, dopo questo sproloquio, vi lascio alla lettura del capitolo… besitos,

Klood

 

THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO VI

 

 

Q

uel mattino, fu Orlando a svegliarsi per primo, sentendosi estremamente rilassato e tranquillo; aveva dormito divinamente, come non gli era capitato da tempo. Continuò a bearsi di quella meravigliosa sensazione ad occhi chiusi, fin quando non percepì qualcosa appoggiata sopra di lui. Aprì di colpo gli occhi, ritrovandosi nella stanza degli ospiti di casa Wollstonecraft, e abbassando lo sguardo trovò Juliet ancora addormentata che sorrideva serena, persa in chissà quale sogno, abbracciata a lui che la teneva stretta a sé. Si chiese quando fosse arrivata lì e come fosse riuscito a sentirne la presenza tanto da ritrovarsi la mattina in quella posizione incredibilmente pericolosa per lui, ma allo stesso tempo meravigliosamente unica: le loro gambe erano intrecciate le une alle altre ed i loro corpi erano incastrati alla perfezione, tanto da far fantasticare la mente dell’attore. S’immaginò svegliarsi tutte le mattine così, trovandosela tra le braccia ancora nel mondo dei sogni; andare in cucina a preparare la colazione per entrambi; portarla nella stanza e svegliarla dolcemente, vedendola aprire gli occhi castani stringendosi a lui per non vederlo scappare via di fretta.

In un attimo di razionalità cacciò via quelle immagini tornando alla realtà quel tanto che bastava per ricordargli che per quel giovedì aveva tassativamente obbligato Aileen a disdire qualsiasi impegno avesse, lasciandogli un giorno di totale libertà, con la promessa di buttarsi a capofitto nel lavoro dal giorno seguente; aveva deciso di riprendersi il suo posto di attore con le unghie e con i denti, volendo dimostrare al mondo quello che era veramente, un attore in gradi di dare tanto, e non solo il ragazzo dal bel faccino ultimamente più dedito al gossip che alla recitazione. Con questi pensieri, si accomodò meglio nel letto, stringendo Juliet a sé, e mentre le accarezzava la schiena delicatamente con il sorriso stampato sul volto, chiuse gli occhi, cadendo nuovamente tra le braccia di Morfeo.

Fu il trillo del telefono a svegliare Juliet qualche ora dopo; si mosse nel letto per un po’ prima di realizzare che non stava sognando. Aprì stancamente un occhio, sbuffando: l’ultima cosa che voleva fare era sciogliersi da quell’abbraccio. Sentiva chiaramente il braccio di Orlando stringerla a sé, mentre l’altro era steso sopra la sua testa; dalla posizione in cui si trovava, veniva pervasa dal suo odore e dal calore che emanava la sua pelle… avrebbe dato qualsiasi cosa per poter restare sotto le coperte, ma quel maledetto telefono continuava a trillare senza sosta, così la giornalista si alzò dal letto, senza svegliare Orlando, e andò nell’ingresso, prendendo il cordless tra le mani e andando in camera sua.

“Pronto?”

“Juliet, sono Caroline.” le rispose la voce allegra della segretaria.

La giornalista roteò gli occhi, quando si accorse di una carpetta con un biglietto sopra.

 

Nonostante gli anni siano passati, sono ancora in grado di calarmi nel ruolo di Romeo… sono ancora nel pieno delle forze!!!!!!!!!!

Tornando a noi, mi sono permesso di entrare nella tua stanza per fare una consegna speciale. Spero gradirai…

Giusto per informarti; visto che avrai dormito con mio cugino (è una supposizione, giuro che non ho spiato), preparati ad un cazziatone di prima mattina. Per evitarlo consiglierei una bella colazione a letto…

Io il mio sporco lavoro l’ho fatto, per entrambi…ora vedete di darvi voi una mossa.

Bacio,

Sebastian.

P.S. Ho mandato una copia delle foto in redazione…

Mentre leggeva il biglietto, sorrise, per poi rispondere a Caroline.

“Ti ricordo che è il mio giorno libero, e detesto che mi si parli di lavoro.” la avvertì, ricordandosi che quello era il primo giorno libero che si era presa negli ultimi due anni. In redazione avrebbero potuto fare a meno di lei per un giorno, ma a quanto pare non era così.

“Scusami tanto, davvero, ma la McMiller ti ha fatta chiamare. Sembra abbia urgente bisogno di parlarti… riguardo l’intervista.”

“L’ho terminata; sarei venuta a consegnarla nel pomeriggio.” La interruppe, mentre apriva la carpetta, contenente le foto del servizio di Orlando, sviluppate su fogli in formato A4. Guardandole attentamente notò l’atmosfera totalmente casalinga e per certi versi normale che quelle foto esprimevano, soprattutto grazie ad Orlando, che non sembrava nemmeno accorgersi dell’obbiettivo puntato su di lui. Era in quei momenti che riusciva a tirare fuori quello che era veramente, attraverso piccoli gesti ed espressioni di cui lui solo era capace. Le ultime foto lo ritraevano in compagnia di Sidi; Juliet non poté fare a meno di notare i tratti distesi e sereni che si avvicendavano sul volto dell’attore, ed il suo inimitabile sorrido, che la donna trovò affascinanti. In quegli scatti era di una bellezza disarmante…

Jules si bloccò per un attimo; aveva appena definito il suo migliore amico con le stesse parole che aveva usato da adolescente. Ripensò a quegli ultimi giorni focalizzandosi sul loro rapporto, e capì. Capì il motivo per cui quella notte non aveva dormito nella sua stanza; perché quella mattina non voleva alzarsi dal letto… quella famosa cotta che lei aveva definito come stupida, era cresciuta… si era innamorata di lui.

“Che casino…” le uscì, di getto.

“Ma mi stai ascoltando?” le chiese Caroline, in un leggero tono di rimprovero.

“Scusa, mi ero persa nei miei pensieri.”

Sentì la segretaria sospirare.

“Ho detto che è probabile che tu debba fare delle aggiunte all’intervista. Fiona ha del materiale a riguardo. Non posso parlartene al telefono; devi essere qui al più presto.”

“Non prima di un’ora…” si arrese, chiedendosi cosa avesse quella gallina isterica di Fiona di tanto interessante da farle perdere il giorno libero.

“Ok, avviso la McMiller. A dopo.” E riattaccò.

La giornalista salutò la sua segretaria per poi posare il telefono sul letto, accanto alla carpetta che le aveva portato Sebastian. Era aperta su una delle tante foto raffiguranti Orlando ed il suo cane. Guardandola per l’ennesima volta si passò le mani tra i capelli; quella considerazione l’aveva completamente colta impreparata ed incapace di reagire. Pensava che quella stupida cotta fosse sparita anni prima, mentre invece era solo rimasta sepolta per tutti quegli anni, alimentata da quell’amicizia, che l’aveva nutrita e fatta crescere, trasformandola in un sentimento pronto a palesarsi all’occasione propizia. Ed eccola lì, l’occasione; e come si era presentato davanti ai suoi occhi, così chiaro e limpido, lei ne aveva preso coscienza, come se dentro di sé sapesse che prima o poi sarebbe accaduto. Ora era giunto il momento di affrontare quella situazione, nel bene, o nel male, dovunque l’avrebbe portata.

Con un movimento veloce, prese in mano la carpetta e il telefono, che ripose nell’ingresso. Scese le scale, avviandosi in salotto dove mise le foto sotto l’intervista all’interno della carpetta gialla, che portò con sé in cucina. Lì preparò una veloce colazione a base di caffè, latte e biscotti che mise s un vassoio (sul quale aveva già posato la carpetta) portandolo al piano di sopra.

Quando aprì la porta della stanza degli ospiti, Orlando era ancora beatamente addormentato, abbracciato al cuscino come l’aveva visto la notte prima. La tentazione di tornare sotto le coperte ad abbracciarlo era fortissima, ma resistette ricordandosi del suo impegno lavorativo. Piano, iniziò a svegliare, l’attore, chiamandolo per nome e scuotendolo delicatamente. Dopo qualche secondo aprì un occhio, ancora mezzo addormentato. Trovandosi davanti il viso sveglio e sorridente di Juliet pensò per un attimo di essere ancora nel mondo dei sogni.

“Ancora cinque minuti…” protestò, affondando la testa nel cuscino che aveva ancora l’odore della ragazza…sorrise pensando che sarebbe restato lì a vita.

A quella visione Juliet contenne le risate; nonostante gli anni era rimasto il solito dormiglione da svegliare con le buone… Sebastian come al solito ci aveva visto giusto.

“Ti sono concessi.” gli rispose, avvicinandosi al suo viso. “Io purtroppo però devo scappare; sembra ci sia una sorta di emergenza in redazione e mi vogliono lì.” gli spiegò, dispiaciuta.

Orlando alzò la testa. “Non puoi mandarli a fanculo tutti, e prenderti un giorno di pausa?”

“Era quello che avevo fatto, ma il mio capo vuole assolutamente vedermi.” sospirò. “Non sai quanto avrei voluto restarmene a letto.” si sbilanciò, per poi tornare seria. “Spero di farmi perdonare con la colazione.” concluse, andando a recuperare i jeans e le scarpe.

L’attore si mise a sedere sul letto, appoggiando la schiena contro i cuscini, osservandola mentre si vestiva in tutta fretta, pensando a quanto avrebbe voluto fermarla e confessarle tutto; ma aveva ancora troppa paura della sua possibile reazione. Continuò ad osservarla, rapito da quei movimenti così semplici ed eleganti, finché lei non si voltò verso di lui. Vedendo che aveva assunto un’espressione piuttosto sbattuta a triste, si mise a sedere sul letto accanto a lui, mettendogli un biscotto in bocca.

“Non sto andando in guerra, e ho serie intenzioni di recuperare questi 6 anni…” e gli scompigliò i capelli “Quindi stai in campana, Bloom.”

“Da domani sarò pieno d’impegni; avevo preso il giorno libero apposta.” si lamentò, facendo il labbrino come un bambino.

“Vorrà dire che usciremo quando sai libero. C’è sempre la sera, e soprattutto la notte.” osservò, alzando un sopracciglio. Quante volte da ragazzi erano usciti la notte all’insaputa dei rispettivi genitori, combinandone di cotte e di crude. “Poi devi venire in redazione per darmi il nulla osta per la pubblicazione.” e gli diede le chiavi di casa in mano. “Lasciale a casa dei tuoi. Passo a prenderle io appena ho due minuti.”

Si avvicinò quel tanto per baciargli una guancia, appoggiando una mano sull’altra. Poi si staccò e con un occhiolino lo salutò catapultandosi fuori di casa.

Dopo 40 minuti, si ritrovò davanti alla redazione di Vogue: era la prima volta in assoluto che si presentava in jeans e t-shirt, ma non le importava nulla; fosse stato per lei sarebbe stata ancora a Canterbury. Parcheggiò la moto ed entrò nel palazzo: ricevette parecchie occhiate stupite dal look di quel giorno, ma non se ne curò particolarmente, facendo rotta verso il suo ufficio. Fuori vi trovò Caroline, seduta alla scrivania, che non appena la vide si alzò strabuzzando gli occhi.

“Qualunque commento sui miei abiti può essere posticipato.” iniziò, frenando qualsiasi domanda della segretaria.

“La McMiller e Fiona ti attendono in sala riunioni.” le spiegò, mentre Juliet le porgeva casco e giubbotto, e tirava fuori dalla cartella una carpetta verde.

“Ottimo, ma posso sapere che è successo?” chiese, consegnando a Caroline anche la cartella.

“Te ne parleranno loro.” fu l’unica risposta.

“Ho capito; è successo un qualche casino. Io vado e qualunque telefonata arrivi per me, fingi che io non ci sia. E se sono i miei, digli che sono in riunione e che li richiamo.”

Detto ciò si avviò verso la sala riunioni, dove trovò il suo capo assieme alla collega Fiona Richardson, responsabile del settore moda nonché giornalista con uno spiccato senso del gossip. Aveva iniziato a carriera in quel settore, poi era stata trasferita, prima ancora che Juliet venisse assunta; a quanto pareva le piaceva parecchio lo scoop anche all’interno del suo luogo di lavoro.

Era sempre perfetta, in qualsiasi situazione si trovasse; i lunghi capelli biondi sempre legati in una coda alta, il trucco mai sbiadito, gli abiti sempre perfetti come appena stirati. Più volte Juliet si era chiesta se non passasse più tempo a rendersi così maniacalmente impeccabile piuttosto che a lavorare. Com’era prevedibile, le due non erano mai andate d’accordo, e per Fiona ogni occasione era buona per rovinare la reputazione della collega.

“Scusate il ritardo e l’abbigliamento, ma ero a casa dei miei genitori e sono venuta direttamente in ufficio.” esordì quest’ultima, vedendo il sorriso beffardo della collega farsi largo sul suo viso.

“Non ti preoccupare,” le sorrise il suo capo. “la tua dedizione al lavoro è impeccabile come al solito.

E questo è un punto per me, stronzetta pensò Jules sorridendo, mentre veniva fatta accomodare.

“Allora, cos’è tutto questo mistero?” chiese.

Il ghigno sul volto di Fiona, che era sparito per un attimo, tornò a farsi largo, mentre la McMiller passò alla giornalista una carpetta.

“Come sai, Fiona e Diane erano presenti al party di Paris Hilton a LA.” iniziò. “Queste sono alcune foto.” e indico la carpetta.

Quando Juliet la aprì, l’impulso di spalancare occhi e bocca fu fortissimo, ma riuscì a trattenersi. Questo sì che è un gran casino, si trovò ad osservare, mentre l’ultima foto le apparve davanti agli occhi; quella volta non riuscì a trattenere un sospiro. Cercò di trovare dentro di sé la fredda ed impassibile giornalista di cui aveva un disperato bisogno in quel momento e dopo un ultimo respiro, alzò lo sguardo, incontrando quello del suo capo e di una soddisfattissima Fiona.

Se speri di incasinarmi la vita, cocca, hai sbagliato.

“Ne sapevi qualcosa?” le chiese la prima.

“No.” negò Jules, stupendosi lei stessa del tono con cui le aveva risposto.

“Queste foto sono scattate anche da People; ho parlato con il loro capo redazione e mi hanno detto che se ne occuperà Jane Banks.” riprese il capo.

Perfetto, ci mancava solo Jane in questo casino…

“Visto lo scoop, pensavo di affidarlo a Diane, che era presente. Fiona si occuperà come al solito del settore moda.” continuò la McMiller. “Per quanto ti riguarda, hai qualche idea?”

Eccoci. Di sicuro vorrà una confessione; infondo non può mica buttare uno scoop come questo e lasciare l’esclusiva a People… non con l’intervista in primo piano.

“Posso convocarlo in ufficio e provare a chiedergli chiarimenti, ma è stato ermetico a riguardi ieri… non so cosa possa venirne fuori.” fu la risposta della giornalista, che consegnò la carpetta verde al suo capo. “Questa per ora è l’intervista completa. Ho aggiunto le foto che mi sembravano più adatte; mi sono arrivate via e-mail da Copeland.”

“Oggi sono arrivati gli scatti sviluppati in redazione.” le spiegò l’altra, prendendo la carpetta. “Ti faccio sapere nel pomeriggio se servono modifiche. E quella puoi tenerla.” concluse, indicando la carpetta aperta su quell’ultima foto. Dulie la chiuse e si alzò tranquilla, come se nulla fosse successo.

“Se non c’è altro, io vado a fare il mio lavoro.” Sentenziò, con un sorrido che fece innervosire Fiona ancora di più; oltre a non aver scalfito minimamente la collega, non avrebbe nemmeno potuto occuparsi dello scoop.

“Puoi andare.” confermò la McMiller.

Con un ultimo saluto, la giornalista uscì dalla stanza, con la carpetta incriminata tra le mani; avrebbe voluto gettarla fuori dalla finestra, o nel primo cestino disponibile, ma sapeva bene che sarebbe stato totalmente inutile. Quelle foto erano forse l’unico mezzo per riuscire nel suo scopo.

Arrivata davanti all’ufficio, si fece dare da Caroline il numero dell’agente di Orlando, per poi pregarla di non disturbarla. Dopo di ché entrò nel suo ufficio, lasciandosi cadere sulla sedia;si sentiva a pezzi, come se la vista di quelle foto ed il suo totale distacco fossero stati spossanti come una lunga scalata a mani nude. Si fece forza e dopo un respiro profondo compose il numero, mentre scriveva un sms a Viola.

Ho intenzione di mandare a puttane la carriera e questi ultimi 22 anni da qui alla fine del mio orario di lavoro…

Le spiegazioni al termine della missione…wish me luck!* :P

Julesxx

Dopo una paio di squilli la voce di Robin rispose.

“Salve,” iniziò Jules, mostrandosi tremendamente professionale. “sono la giornalista Juliet Wollstonecraft, della rivista Vogue. Volevo informarvi che l’articolo è quasi pronto e gradirei alcuni chiarimenti dal signor Bloom, oltre che un suo parere.”

“Purtroppo oggi non è reperibile, e sarà impegnato fino a lunedì.” le rispose cortesemente Robin.

Peccato che l’unico motivo per cui aveva preso il giorno libero sia qui con te al telefono…

“Può farmi il piacere di informarlo e chiedergli se possiamo vederci in giornata? E’ una questione piuttosto urgente.” insistette, supplicandola.

“Proverò…” le disse l’agente, chiedendosi il perché di tutta quell’urgenza.

“Grazie! Mi faccia chiamare in ufficio…” la ringraziò la giornalista, per poi congedarsi.

Chiusa la conversazione trovò un messaggio di Viola

Complimenti! Mi chiedo cosa tu possa aver combinato.

Attendo una chiamata…

Baci,

Vioxx

Passarono una decina di minuti, prima che il telefono squillasse di nuovo.

“C’è Bloom al telefono.” l’avvisò Caroline, dall’altro capo.

“Passamelo…”

Aspettò che la segretaria riagganciasse il telefono prima di parlare.

“Mr. Bloom…”

“Che sta succedendo?” la interruppe lui, preoccupato.

Sin dal mattino aveva intuito che c’era qualcosa che non andava, così dopo aver sistemato tutto in casa Wollstonecraft, era tornato a Londra, doveva aveva ricevuto la chiamata di Robin che dava conferma ai suoi sospetti. Aveva capito che le era successo qualcosa di grave, altrimenti non l’avrebbe mai chiamato. Così si era precipitato verso la redazione senza pensarci due volte.

Dall’altro capo del telefono, Juliet chiuse gli occhi, mentre sentiva di non riuscire a sopportare più quel peso.

“Ho bisogno che tu venga qui in ufficio al più presto.” Gli disse, seppellendo la giornalista, e fregandosene di dove si trovava, mentre le saliva un tremendo groppo in gola.

“Sono già qui vicino, Jules. Cinque minuti e sono lì.” La rassicurò, mentre accelerava il passo.

“Grazie…” concluse lei, mentre il groppo in gola si stava sciogliendo attraverso le lacrime, prima di chiudere la conversazione.

Mentre attendeva l’arrivo del suo migliore amico, la giornalista cercò di calmarsi tornando alla sua professionalità, e scacciando le lacrime che erano scese, nonostante si fosse imposta di rimanere tranquilla; doveva mostrarsi quantomeno distaccata da tutta quella faccenda altrimenti non avrebbe ottenuto nulla. Da quando aveva visto le foto per la prima volta, sapeva cosa doveva fare e in che modo.

Pochi istanti e bussarono alla porta.

“Avanti...”

La porta si aprì e ne comparve Caroline. “C’è qui Orlando Bloom.”

Juliet sorrise. “Fallo pure accomodare…”

La segretaria ubbidì, facendo spazio ad Orlando, vestito come la sera precedente: portava una camicia chiara, jeans larghi a vita bassissima e scarpe da tennis. Sorrise a Caroline per poi entrare in quell’ufficio, dove l’attendeva la donna che meno di 24 ore prima l’aveva intervistato, tirando fuori quell’articolo che aveva letto poche ore prima, in esclusiva, ancora seduto nel letto intento a fare colazione.

Richiuse la porta dietro di sé prima di muovere un passo in direzione della scrivania, dove spiccava il mazzo di fiori gialli.

“Miss Wollstonecraft.” La salutò.

“Mr. Bloom, la ringrazio per essere venuto.” Iniziò lei, alzandosi dalla sedia, lanciando istintivamente un’occhiata divertita alla freccia, dietro di lui. Notando quell’occhiata, l’attore si voltò e alzando gli occhi sopra la porta, rimase basito. Appesa alla parete c’era una sua freccia; e non una a caso, ma quella con cui aveva ucciso Peter Jackson durante la sequenza dei corsari di Umbar presente nella extended cut di The Return of the King. Era stato il regalo che le aveva fatto a fine riprese.

Si era voltato per commentare la presenza della freccia in quell’ufficio, quando li vide: i due teschi e i vari pezzi di artiglieria sparsi qua e là sulle mensole.

“A parte che quello” e indicò uno dei due teschi, “è un prestito, e come tale devi restituirlo al suo legittimo proprietario; poi non mi sembra che tu tenga molto ben nascoste la tue amicizie.” le fece notare, ironico, alzando un sopracciglio.

Jules sorrise divertita, facendogli cenno di andare accanto a lei di fronte alle mensole. Quando se lo trovò affianco, girò i due teschi; su entrambi i crani c’erano delle scritte. La prima era in inglese, mentre la seconda era scritta con caratteri eleganti che Orlando riconobbe immediatamente.

Lesse prima la dedica sul teschio più vicino a lui, che era in inglese.

Il tuo ragazzo è un fifone, il tuo migliore amico manco ti pensa quando fa il ladruncolo da quattro soldi… mi chiedo cosa ci stai a fare con loro, quando hai a portata di mano uno come me!!!

In ricordo di questa fantastica esperienza,

Billy.

Poi si fece passare l’atro cranio, in cui impiegò più tempo, dovendo tradurne il contenuto in quella lingua che non usava più da lunghi anni.

Alla principessa britannica, i cui occhi vedono ben oltre i tempi moderni, affinché trovi la sua strada attraverso le insidie di questo mondo e possa un giorno sedere sul trono costruito per lei, accanto al suo re.

Juliet, vanimelda, namarië!*

Infondo ad essa, una scritta in inglese.

P.s. Al primo di voi due che si lamenta del regalo, giuro che vengo di persona a staccargli un dente, e rompergli le costole una ad una (fatti realmente accaduti sono VOLUTAMENTE messi in evidenza… :P)

Viggo.

L’attore sorride; mentre a Jules aveva regalato quel teschio, a lui Viggo aveva donato una copia dell’anello di Barahir. Ovviamente Orlando, che a quell’epoca era ancora ventenne, si era lamentato definendo il suo anello un regalo da donna, mentre quello di Juliet una patetica scusa per fare l’idiota. Viggo però non aveva mantenuto la promessa di rompergli qualcosa; la mattina dopo il giovane attore si era trovato le scarpe completamente inzuppate e tutti i vestiti nascosti per la casa. Ci aveva impiegato 2 ore per trovarli tutti, e ne aveva altrettante per fare le valigie, visto che quel pomeriggio sarebbe tornato a casa dopo 18 mesi passati in Nuova Zelanda.

Juliet al contrario aveva apprezzato il suo dono come anche quello di ogni altro componente di quella squadra si pazzi, e di conseguenza non era stata sottoposta alla tremenda vendetta di Viggo.

“Alla fine ho dovuto buttarle quelle scarpe.” osservò lui a voce alta.

“Se non sbaglio, qualcuna te la ha poi regalate il Natale dopo.” gli rispose.

“Già… comunque non trovo giusto che ci siano solo i regali miei e di Viggo.” protestò.

Juliet roteò gli occhi. Possibile che non gli andasse mai bene nulla?

“In casa mia la freccia non centrava una mazza, quindi l’ho spostata qui; ed il teschi era più bello qui, in coppia con la refurtiva di Billy.” gli spiegò “Quindi come vedi il tuo teschio non ce l’ho io. Per me Sonia l’ha messo da qualche parte.” molto probabilmente nel primo cestino che si è trovata davanti… “E smettila di fare osservazioni inutili!”

Gli sorrise, e dopo aver riposto i teschi, si voltò verso la scrivania, prendendo tra le mani la carpetta.

“A proposito di perspicaci osservazioni, che mi dici di queste?” chiese, porgendogliela.

Quando l’attore l’aprì, non poté far altro che chiudere gli occhi, lasciandosi scappare un sospiro. E pensare che aveva creduto di trovare Juliet in quello stato per colpa di qualche collega, o del suo capo che voleva farle riscrivere l’articolo; di certo non pensava che la ragione lo riguardasse direttamente.

Guardò quelle foto una ad una, dando conferma ai suoi sospetti: ormai tra lui e Miranda era finita. Non erano mai stati la coppia perfetta di cui tutti parlavano, ma loro stessi –Orlando soprattutto- alla fine ci avevano creduto; non si erano mai amati e quelle foto stavano mostrando all’attore i suoi errori per l’ennesima volta. Questa volta però non poteva scappare: doveva alzare lo sguardo, incontrare quello di Jules e dirle tutto, dall’inizio alla fine. E così fece. Chiuse la carpetta, la mise sulla scrivania, e puntò i suoi occhi dritti in quelli della giornalista.

Stava per parlare, quando due dita si posano sulle sue labbra, delicatamente, quasi accarezzandole. Per lui fu durissimo non perdere la concentrazione, abbandonandosi a quello che gi comandava il cuore, ma ancora una volta resistette.

“Sono state scattate a Los Angeles.” iniziò, e vide il volto dell’attore farsi sorpreso. “A quanto pare è tornata dall’Australia.” osservò. “Comunque, anche People è in possesso di quelle foto. Il mio capo mi ha comunicato che se ne occuperà Jane Banks, mentre da noi Diane Brown scriverà l’articolo; sono entrambe ottime giornaliste nel loro campo, oltre che parecchio obbiettive.”

Fece una pausa, prima di continuare, tenendo sempre le due dita sulle sue labbra.

“Non posso vietare la pubblicazione; sei il volto di copertina. Però posso fare un’altra cosa; aveva assicurato a Robin che non avrei fatto domande dirette riguardo la tua vita privata, e a ciò mi attengo.”

“Scusa patetica, Jules…” osservò lui, spostandole la mano.

“Non per il mio capo. Le dirò che ti ho mostrato le foto, provando a farti qualche domanda a riguardo, ma senza ottenere nulla di ché; e non ho insistito troppo in virtù dell’accordo pattuito con la tua agente.”

“Quindi non vuoi una confessione nell’articolo? Vendereste molto di più.” osservò lui, sorridendo.

“Non mi interessa venderti al mondo come l’innocente attore inglese cornificato dalla sua dolce ed amorevole ragazza australiana.” gli rispose. “Anche perché se vogliamo dirla tutta, era ora; finalmente paghi per tutte le corna che mai messo alle tue ex, Viola esclusa.”

Orlando alzò gli occhi al cielo divertito. “Sappi che non tutt’è oro quel che brilla…” inarcò un sopracciglio. “Non sto con Miranda da due mesi ormai. Dovevamo dare un comunicato stampa la prossima settimana; ma a quanto pare, mi sono risparmiato questa idiozia.” concluse, guardando Juliet, stupefatta da quella inaspettata confessione. Aveva gli occhi spalancati ed un’espressione che non riuscì a decifrare, ma gli infuse la forza necessaria per concludere. Si avvicinò a lei, e sfiorò con le labbra il suo orecchio sinistro.

“Viola è stata fortunata; non avevo il coraggio di provarci con quella che mi piaceva…nemmeno dopo che ci siamo lasciati.” le sussurrò, per poi staccarsi.

L’espressione della giornalista era tranquilla, come se quel contatto e quelle parole non l’avessero nemmeno toccata. Lì per lì Orlando ne rimase parecchio turbato, ma non aveva intenzione di darsi per vinto; tuttavia non reputava che quella fosse la situazione adatta per andare oltre.. così le sorrise e andò verso l’uscita.

In realtà, per Jules era stata un’impresa non reagire alla confessione e al contatto di quelle labbra sul suo orecchio. La frase che le aveva sussurrato l’aveva appena udita, troppo intenta a non mostrare le sensazioni che le aveva procurato.

Vedendolo andarsene, gli andò incontro, e quando era a pochi passi da lui, lo afferrò per un braccio, pochi attimi prima che aprisse la porta. Cogliendolo di sorpresa, riuscì ad attirarlo a sé, e alzandosi sulle punte dei piedi, gli sfiorò le labbra in un morbido bacio; si staccò pochi secondi dopo, sorridendogli. L’attore, dal canto suo, era ancora parecchio stordito da quel gesto… piacevolmente stordito, dovette ammettere con sé stesso.

“Mr. Bloom, la ringrazio per il tempo che mi ha concesso.” gli disse, tornando la fredda giornalista, mentre apriva la porta dell’ufficio.

“La ringrazio già in anticipo, Miss Wollstonecraft.” le rispose, lievemente irritato.

E poi dicono che non è capace di recitare… vorrei che quei critici lo vedessero ora...

I due si salutarono con una stretta di mano abbastanza formale, sotto gli occhi di un’attenta Caroline che però non aveva notato nulla di anomalo; Orlando se ne andò, salutando cordialmente la segretaria, per poi dirigersi verso l’ascensore, dove, una volta chiuse le porte, si lasciò andare in un sorriso, sereno e felice, passandosi istintivamente la lingua sulle labbra che avevano ancora il suo dolcissimo sapore.

Juliet lo osservò qualche secondo, prima li lanciare un’occhiata irritata a Caroline, tanto per farle capire cos’era successo, prima di tornare nel suo ufficio. Arrivata lì si lasciò nuovamente cadere sulla sedia, sorridendo; aveva agito talmente d’istinto che era rimasta inizialmente stupita di sé stessa.

Guardò l’orologio di fronte a lei: erano le 11.30. Stava pensando di chiamare Viola ed invitarla a pranzo, quando il telefono squillò. Era il suo capo.

“Ho appena terminato l’articolo.” le spiegò. “Non pensavo che avresti scritto una cosa simile.”

“Nemmeno io, prima di entrare in quella casa; e non penso che nemmeno lui se l’aspettasse.” le rispose.

“È veramente bello…e reale…” osservò. “Hai fatto un ottimo lavoro, come al solito.”

Direi anche meglio, visto che non hai capito il rapporto che intercorre tra noi.

“Grazie; avrei voluto fare di meglio, ma è stato ermetico poco fa e con la sua agente avevo accordato di non indagare troppo sulla sua vita privata.”

“Fa niente; almeno ci hai provato.”

Come no… ci ho provato in ben altro senso.

“Giusto. Quindi l’articolo va bene?”

“Assolutamente sì.” le confermò la McMiller.

“Ottimo! A questo punto mi prenderei il pomeriggio libero.”

“Accordato; e penso che tu possa prenderti il giorno libero per la giornata di domani. Infondo oggi non hai potuto goderne.”

Juliet sorrise. “Allora ne approfitto. Grazie.”

“Grazie a te per la disponibilità.”

Le due donne si salutarono, e non appena riattaccò il telefono, la giornalista telefonò a Viola, che le rispose poco dopo.

“E dire che mi sembrava una missione impossibile.”

“Ma io sono mille volte meglio di Tom Cruise… comunque, ti offro il pranzo, se hai tempo e soprattutto voglia di avermi tra i piedi.”

“Dipende che pranzo.”

Fish and chips?”

“Andata; almeno mangio schifezze buone e non orride come quelle della mensa.”

“Dammi una ventina di minuti e sono da te.”

Detto ciò si salutarono e Jules mise la carpetta in cartella, infilò il giubbotto, prese il casco, e uscì dall’ufficio. Spiegò tutto a Caroline e si congedarono.

Dopo 20 venti minuti esatti, era davanti all’ospedale, attendendo la sua migliore amica appoggiata alla moto, con il casco sul cruscotto. Scrutava i volti delle persone che entravano ed uscivano, chiedendosi perché in un mondo così avanzato, bastava un fabbricato per cambiare la vita delle persone, donando speranza o distruggendola interamente.

Pochi istanti e dalla porta ne uscì Viola, avvolta nel cappotto.

“Ma tu non eri al lavoro?” le chiese squadrandola.

“E da quando in qua non posso andare al lavoro vestita così?”

Il chirurgo sorrise. “Non so perché ma sento che sarò entusiasta di sapere cos’hai combinato. Lo sento…”

Nell’aria, nell’acqua, e nella terra. La conosco quella battuta.” la interruppe Jules.

“Guarda che sei tu che citi quel film, non io.” osservò l’altra. “E ora forza, andiamo a mangiare che sono curiosa.”

“Non sarai entusiasta…”

“Io dico di sì. Scommettiamo?” le chiese. “Anzi, meglio di no. Una mi basta.”

La giornalista la guardò interrogativa.

“Un giorno lo scoprirai…forse…” le rispose, criptica, Viola.

Così si avviarono insieme verso un locale dove ordinarono fish and chips e due birre. Mentre aspettavano, Juliet iniziò.

“Quale parte della missione vuoi sentire prima?”

“La prima, ovvio.”

Detto ciò, la giornalista passò la carpetta all’amica, che rimase basita alla vista delle foto.

“Sono state scattate a LA qualche giorno fa. Sabato sera, credo. Avevo quasi pensato di non farle pubblicare, ma poi mi sono detta che mi avrebbero licenziata. Così ho avuto un’idea migliore.”

“Ovvero?”

“Che pubblichino pure quelle foto; sia Vogue che People. Diane e Jane non possono negare i fatti. E la mia intervista farà il resto.”

Viola la guardò incuriosita.

“Non c’è una singola critica, se non qualche piccola provocazione, in tutto l’articolo. Non credo di avere mai elogiato qualcuno quanto lui, se non DiCaprio.” si spiegò meglio Jules.

Il chirurgo sorrise. “Sei tu che non ti fidi prima di tutto delle tue capacità, poi di quello che ti dicono gli altri. Lui come l’ha presa?”

“Non stanno più insieme da un pezzo ormai; dovevano dirlo al mondo la prossima settimana, ma lei l’ha preceduto.” le rispose.

“…interessante…”

“Vio, per la miseria, mi spieghi che sono tutti questi misteri? Sono la tua migliore amica e mi sembra di parlare con un’estranea.” si lamentò Juliet.

L’amica richiuse la carpetta,restituendola alla giornalista, che la ripose nella cartella.

“Allora, me lo dici o no di che stai parlando?” la incalzò.

“Prima finisci di raccontarmi della missione, poi forse ti dirò qualcosa.”

Jules sospirò; se inizialmente le sembrava la cosa migliore, ora non ne era più tanto convinta. Aveva paura, perché sarebbe stata una chiara ammissione di ciò che aveva tenuto nascosto persino a sé stessa in quegli anni.

“Quando Orlando è venuto in ufficio l’ho visto preoccupato” iniziò, “e pensavo che sapesse già delle foto. Il fatto è che non era quello il motivo! Penso che la causa fossi io; non avrei mai voluto che quelle foto venissero pubblicate. Quando ho sentito la sua voce al telefono sono crollata, per un attimo, ma ho sentito il peso di quella notizia.”

Viola l’ascoltava attentamente, mentre un sorriso si allargava furtivo.

“Quando è arrivato abbiamo cominciato a divagare, e sulle foto non ci siamo nemmeno dilungati!” continuò.” E io non lo so perché, o meglio lo so eccome, ma quando se n’è andato non ci ho visto più, e prima che aprisse la porta l’ho fatto.” Concluse, alzando solo in quel momento lo sguardo verso la sua migliore amica, che la guardava con un sorriso impertinente e divertito.

“E di grazia, cos’avresti fatto?” le chiese, conoscendo forse già la risposta.

“Cazzo, Vio; giuro che ti prenderei a randellate ora! Sembra di parlare con un alieno venuto da un’altra galassia! In che lingua ti devo dire che l’ho baciato?!” esclamò al colmo della frustrazione.

Il chirurgo la guardò per qualche istante, osservandola attentamente. Poi prese il telefono e compose un numero.

“Due parole…” le disse, avvicinando il cellulare all’orecchio. “Era ora!”

“Coosa???” le chiese Juliet, capendoci sempre di meno; quella sua domanda restò tale, perché dall’altra parte avevano risposto.

“Salve, Bastian!” esclamò pimpante l’altra donna.

Sebastian?? E che cavolo centra lui?

“Posso rendere partecipe anche Jules della conversazione?...Oh, ottimo!” e spostò il cellulare dall’orecchio, premendo il pulsante del vivavoce.

“Eccoci!”

“Ciao Juliet!” la salutò la voce di Sebastian.

La giornalista rispose al saluto e stava per chiede cosa stesse succedendo quando fu interrotta.

“Jules…” la salutò la voce flebile ma chiara di Orlando.

Io Viola la uccido questa volta!

“Bando alla ciance!” interrupe il silenzio quest’ultima. “Bast, spero che le tue finanze siano salde.”

“Perché?” le chiese, mentre Orlando e Juliet ci capivano sempre meno.

“Mi devi quelle famose 100 sterline!” esclamò lei tutta contenta.

Per un attimo calò il silenzio; Juliet si chiedeva su cosa la sua migliore amica avesse scommesso con il fotografo, anche se cominciava a temere il peggio. La risposta non si fece attendere molto.

“Che palle, Orlando! Ma possibile che anche quando sei in vantaggio perdi?!” lo rimproverò suo cugino.

“Se non cominciate a spiegarvi voi due giuro che vi mando tutti a quel paese!” lo minacciò Juliet, lanciando un’occhiataccia a Viola.

“Mi aggrego!” asserì Orlando.

“Qui siamo a rischio mazzate.” osservò Sebastian. “Ma visto che sono cavaliere, lascio la parola alla mia collega.”

“Grazie, caro.” rispose, ironica, per poi sorridere a Jules. “Sono…quanti anni?”

“18…” le venne in soccorso il fotografo.

“Grazie! Dicevo, sono 18 anni che io e Bast aspettiamo questo giorno…”

“No so Jules, ma io sinceramente non so di cosa tu stia parlando.” la interruppe Orlando.

“Gibbo, che è successo 18 anni fa?” gli chiese.

Fu Juliet a rispondere. “Lo sanno anche i muri ormai. Vi siete mollati; o meglio, l’hai mollato.”

“E perché?” chiese Viola, ponendo la domanda a cui solo Sebastian sapeva rispondere. Orlando aveva accettato la decisione dell’allora ragazza, troppo preso dalla sue cotta per Juliet per ragionarci. Jules, invece era stata liquidata con un criptico un giorno te lo dirò.

“Che palle, però! Mi sa che non hanno capito una mazza!” si lamentò Seb, prima di ricevere uno scappellotto dal cugino. “Ahia!” protestò. “Se mi meni ora, dopo che fai, mi uccidi a coltellate?”

“Viola concludi.” La intimò Juliet. “Io e Orlando non lo sappiamo il perché.”

“Semplice; si era follemente innamorato di un’altra.” rispose. “E prima che tu prenda un coltello, Gibbo, sappi che l’avevi stampato in fronte. Se n’erano accorti tutti… persino gli insegnati.”

“Io no!” osservò Juliet cercando di apparire serena. Nel momento in cui Viola aveva risposto, la giornalista si era ricordata di quella frase detta dall’attore nel suo ufficio qualche ora prima…ma chi cavolo era quella tipa?

“Perché sei deficiente!” le rispose il fotografo. “E tu non provare a menarmi,” si rivolse ad Orlando. “perché ce n’è anche per te. Aveva scritto a caratteri cubitali il tuo nome, e tu lì fermo a farti seghe mentali sui se e sui ma. E dopo tutti questi anni non siete migliorati affatto; anzi, siete peggiorati di brutto! Continuate imperterriti, dritti per la vostra strada come un direttissimo.” sbottò. “Juliet ti ha pure baciato e tu sei qui con una faccia da pesce lesso!”

La giornalista sbiancò. Ecco perché Orlando era andato lì; gli aveva detto tutto.

“E Jules, no. Questo cretino patentato non mi aveva ancora detto nulla.” fermò i suoi pensieri Bastian. “Io e Viola scommettemmo su chi sarebbe stato il primo a svegliarsi… e ovviamente da cretino convinto delle doti di mio cugino, raddoppiai con l’aggiunta del bacio.” concluse.

Le due donne si guardarono: a Juliet non sembrava possibile che una cosa così palese per gli altri, fosse rimasta oscura a lei per tutti quegli ani. Non riusciva a dire nulla; continuava a guardare Viola in cerca di parole che non conosceva nemmeno lei.

E per quanto riguardava Orlando, aveva capito che aveva provato qualcosa per lei, ma erano passati anni… ma allora che senso avevano le parole di Sebastian?

Dall’altra parte del telefono sentì sospirare.

“Vabbè, ho capito, è inutile.” iniziò quest’ultimo. “Io vado a lavorare; ho un servizio fra mezz’ora. Vio, appena ci becchiamo ti do i soldi che ti devo.” concluse, abbattuto.

“Tranquillo.” lo rassicurò. “E sii ottimista.”

“Ottimista un cazzo dopo 20 anni” protestò. “Vado. Ciao ragazze.”

La due stavano per salutarlo quando Orlando strappò di mano a suo cugino il telefono.

“Jules!” chiamò, attirando l’attenzione degli altri tre, stupiti da quel tono supllichevole e dolce allo stesso tempo.

“Dimmi…”

“I tuoi sono tornati oggi, a quanto pare con tuo fratello e Marion.” iniziò. “Mia madre ha invitato a cena tutti…stasera.”

Juliet sospirò: temeva un nuovo incontro con lui, specialmente se erano presenti le loro famiglia, ma non poteva tirarsi indietro, anche perché le mancava un sacco il fratello.

“A che ora?” chiese, tranquilla, mascherando l’ansia.

“Indovina un po’?”

“Sette e mezza, possibilmente puntuale. Altrimenti non si mangia.” rispose citando le parole di Sonia. “A questo punto ci vediamo dopo, Gibbo.” lo salutò. “Seb, grazie mille per il servizio. L’ho semplicemente adorato.” e detto ciò chiusero la conversazione.

La giornalista si sedette più comodamente sulla sedia, lanciando all’amica un’occhiata omicida, anche se vagamente divertita.

“Certo che voi due non siete normali. Su certe cose non dovreste pensarci nemmeno di scommettere.” la rimproverò bonariamente. “E comunque potevi avvisarmi. Magari facevo durare la vostra attesa molto meno.”

“Vuoi dire che se l’avessi saputo, ci avresti provato prima?” le chiese, scettica.

“Chissà…” rispose, criptica.

“Ora che intenzioni hai?”

“Detta in tutta sincerità, a parte una lieve ansia latente, non ho intenzioni di farmi troppe paranoie; quel che è successo è successo. Ormai mi sono sputtanata, quindi non ha molto senso farsi inutili seghe mentali.”

“Sebastian sarebbe orgoglioso di te…in parte.”

“Almeno la vostra strigliata è servita a qualcosa…” concluse Juliet, prima che arrivasse il cameriere con i piatti.

Per tutto il pranzo le due chiacchierarono del più e del meno, evitando l’argomento Orlando e affini, fino a quando non arrivò l’ora –per Viola- di tornare al lavoro. S’incamminarono verso l’ospedale, salutandosi davanti all’entrata, con la promessa di vedersi al più presto.

Il chirurgo era quasi sulla porta, quando si voltò verso l’amica, che si stava infilando il casco.

“Jules!” la chiamò, facendola voltare. “Lui adora le donne intraprendenti!” le ricordò, ridacchiando.

Per tutta risposta, la giornalista le fece una linguaccia, scuotendo la testa sconcertata, ma con uno splendido sorriso sulle labbra. Montò a cavallo della moto e con un rombo e un ultimo saluto se ne andò alla volta di casa sua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*: cit. The Devil wears Prada (Il diavolo veste Prada)

*: cit. The Lord of the Rings (Il Signore degli Anelli)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO VII

 

 

P

er tutto il pomeriggio, Juliet continuò a rimuginare su quello che era successo, e sulle parole di Viola e Sebastian. Era stata davvero così palese la sua cotta per Orlando? Lui non se n’era mai accorto, e neppure lei si era resa conto di come lui fosse innamorato –o così aveva detto Viola- lei. In quel periodo erano stati parecchio uniti, e lei lo aveva attribuito al fatto che entrambi erano usciti da poco dalle loro prime storie importanti, e di conseguenza avevano entrambi bisogno di qualcuno che li aiutasse a non rendere quei distacchi troppo repentini. Vivevano quasi in simbiosi, e se non fosse stato per la mancanza di tutti quei gesti affettuosi tipici di due innamorati, si poteva benissimo pensare che quei due ragazza stavano insieme.

Ora, dopo quasi 20 anni, ripensare a quei momenti la fece sorridere; chissà cosa sarebbe successo se entrambi si fossero accorti d quello che provavano l’uno per l’altra. Sarebbero passati tutti quegli anni? O la loro amicizia si sarebbe distrutta quando tutto fosse finito?

Rimase parecchio tempo sdraiato sul divano, ponendosi mille domande a cui non riusciva a dare una risposta; poi si ricordò delle parole che aveva detto a Viola. Perché farsi paranoie inutili? Ormai si era scoperto, e non c’era nulla che la potesse far tornare sui suoi passi; tanto valeva giocare fino infondo, perché non aveva più niente da perdere.

Si alzò dal divano, e riordinò un poco l’appartamento, mentre Tinkerbell le girava intorno curiosa, come se vedesse la sua padrona sotto una nuova luce.

Verso le 17.00 ricevette la chiamata di Sophie, avvisandola dell’invito di Sonia e raccomandandosi sulla puntualità, aggiungendo che c’erano delle interessanti novità.

Juliet cercò di farla sbottare, ma Sophie fu ermetica, liquidandola con un frase che usava spesso in quelle situazioni: i tuoi trucchetti da giornalista con me non attaccano.

Conclusa la chiamata, finì di rassettare, per poi concedersi un bagno ristoratore che durò un buon tre quarti d’ora. Si avvolse in un asciugamano e andò nella sua stanza, dove, aperto l’armadio, cominciò a cercare qualcosa di adatto, che fosse elegante, ma allo stesso tempo casual. Mentre rovistava, arrivò Tink, che si mise accovacciata sul letto, in attesa dell’attenzione della padrona.

Dall’armadio Jules tirò fuori alcune crocette, per poi andare in bagno a cambiarsi; ne uscì tre volte, con tre tipologie diverse di abbigliamento. La prima volta indossava un completo grigio con una camicia bianca che aveva alcune frappe; Tink la guardò perplessa.

“Hai ragione; troppo professionale…” osservò, storcendo la bocca la giornalista, tornando a cambiarsi.

La seconda volta ne uscì con jeans scuri, stivali, e maglia con scollatura a V viola; anche questa volta non era particolarmente convinta, dicendo che la faceva troppo ragazzina per bene. Alla terza uscita, la cagnolina scattò giù dal letto, andandola incontro scodinzolando. Juliet indossava un abitino giallo, senza spallina, la cui gonna, che terminava con alcuni fiori bianchi e neri, arrivava appena sotto il ginocchio.

“Direi che ce l’abbiamo fatta…” osservò, coccolando Tink, che la riempiva di feste.

Dopo di ché, indossò un paio di decolté nere, e concluse la vestizione con un paio di anelle dorate, mantenendo i capelli sciolti, e un filo di trucco.

Soddisfatta del risultato, legò il cane al guinzaglio, infilò la giacca, e prese la borsa uscendo di casa giocando con le chiavi dell’auto.

Arrivò a Canterbury alle 19.20, impiegando 5 minuti per trovare parcheggio. Dopo di ché, uscì dall’auto seguita da Tink, arrivando fino alla casa dei genitori di Orlando.

Tutto ad un tratto, una strana tensione l’avvolse, facendole sembrare ogni movimento sempre più difficile; suonare il campanello le sembrava n’impresa, ma l’arrivo provvidenziale di Sidi le evitò il tutto.

“Ma guarda chi si vede…” osservò, mentre il cane nero abbaiava allegramente. Pochi secondi e notò la cockerina, che la osservava leggermente impaurita.

Dulie li guardò entrambi sorridendo, per poi abbassarsi all’altezza dei due animali.

“È un cane buono, Tink. Si chiama Sidi e so già che diventerete amici.” Le spiegò, coccolandola.

“E così hai una compagna a quattro zampe…” osservò una voce maschile di fronte a lei. Si alzò, trovandosi davanti Orlando, in maniche di camicia, che la osservava sorridente. Aprì il cancello e la fece entrare.

“Dovevo trovare qualcuno che sostituisse il mio migliore amico.” gli rispose sibillina, slegando il cane che subito andò di fronte a Sidi, che capendo di avere a che fare con una possibile amica si avvicino e le fece cenno di seguirlo.

“A quanto pare vanno d’amore e d’accordo.” osservò Jules. “Ci speravo.” concluse, rivolgendo il suo sguardo verso Orlando, il quale, senza preavviso alcuno, la attirò a sé, unendo le sue labbra a quelle di lei, che le schiuse, dando vita ad un vero e proprio bacio. Quando si staccarono, i loro volti erano stupiti ma anche irrimediabilmente sereni, avendo entrambi scoperto le loro carte.

Come se fossero attratti da una forza a loro sconosciuta, si baciarono nuovamente, lasciandosi andate a quelle meravigliose sensazioni che si procuravano a vicenda; Juliet gli cinse il collo con le braccia, insinuando una mano tra i suoi capelli. Orlando la strinse maggiormente a sé, accarezzandole i fianchi; quante volte aveva sognato quel momento, tanto da pensare che forse, ancora una volta, si trovava nel mondo dei sogni.

Fu Sidi ad interrompere quel momento, richiamando il padrone all’ordine, abbaiando festosamente.

“Forza, Bloom. Non farmi fare la figura della ritardataria.” Gli disse lei, dandogli una leggera botta con il fianco mentre andava verso la porta. Bussò e pochi secondi le aprì Samantha.

“Allora eri davvero tu!” esclamò.

“Sì. Ho portato con me il cane, e volevo vedere come andava con Sidi.”

“Ci scommetto che ne sarà affascinata. Non c’è cane o umano che non lo adori… mi ricorda qualcuno…” osservò.

“Ma io non sono un cane, per cui gradirei entrare. Non è poi tutto questo caldo…” le rispose Orlando, arrivato dietro a Juliet pochi istanti prima.

“Che dici, lo facciamo entrare?” chiese Sam alla giornalista.

“Tua madre ci lincia se lo lasciamo fuori.”

“Vero! Lui è il cocco di mamma…”

“Sam, lo sai che l’età adolescenziale è finita da un pezzo? Possibile che tu debba perdurare a sfottere?” s’impermalì il fratello.

Eccolo là, parla l’angioletto.

“Guarda che è tua sorella e avete parecchi geni in comune.” osservò Juliet.

Orlando stava per risponderle a tono, quando una voce all’interno li richiamò all’ordine.

Sammie, Orli, Ju, perché non la smettete di fare i bambini e venite a tavola? La cena è pronta!”

“Sì, mamma…” risposero tutti e tre in coro.

Ormai Sonia Copeland, madre di Samantha ed Orlando, era diventata a tutti gli effetti una seconda genitrice anche per Jules, come Sophie lo era per i fratelli Bloom, Orlando in primis.

Arrivati nell’ingresso, la giornalista si tolse la giacca, appendendola all’attaccapanni.

“Sei uno schianto!” osservò Samantha. “Devi fare conquiste?”

“E chi lo sa…” le rispose, ironica, per poi rivolgere un’occhiata ad Orlando. Vedendo la sua espressione, dovette trattenere una risata. In effetti, non appena la donna aveva iniziato a sfilarsi la giacca, l’attore era rimasto pietrificato. Quell’abitino giallo, faceva risaltare il suo fisico non troppo magro, ma ben delineato. La gambe, dritte e agili, compivano eleganti movimenti, come se le decolté su cui camminava fossero comodissime scarpe. Per non parlare del viso; solare, allegro, incorniciato dai capelli lasciati sciolti… insomma, quella sera era semplicemente meravigliosa.

“La smetti di radiografarmi come se fossi la più bella delle creature?” gli sussurrò lei ad un orecchio, dopo essersi avvicinata a lui. Detto ciò gli stampò un bacio sulla guancia, e si avviò verso il salotto.

Samantha gli si avvicinò. “Ora pure lei…” gli disse. “Fare l’attore ti ha fatto decisamente male.” osservò. “Oppure sei talmente disperato da ripiegare su di lei.”

“Sam, piantala una buona volta.” ringhiò lui. “Tu non sai nulla.” e detto ciò entrò nella sala dove Juliet stava salutando i genitori. Aveva già abbracciato il padre, e in quel momento era tra le braccia di Sophie, che si stava lamentando di non essere stata avvisata prima dell’ultima intervista della figlia.

“Ma eri in Francia!” protestò lei. “Te l’avrei detto non appena fossi tornata; e comunque, te ne ho già messa una copia nel raccoglitore.”

“Ce l’ha fatto leggere Sonia mentre ti aspettavamo.” le disse Sophie, indicandole la carpetta gialla aperta sul suo articolo.

Juliet stava per protestare, quando suo fratello intervenì a stemperare gli animi.

“Hanno pianto per 10 minuti buoni.” disse, riferendosi alle due madri. ”Sono così orgogliose dei loro figlioli.” e fece una smorfia. ”Io mi chiedo come il tuo capo non abbia ancora capito nulla… io ti avrei già licenziata.”

“Ma tu non sei il mio capo; e nemmeno un giornalista.” gli rispose, andandogli incontro per abbracciarlo, contenta di rivederlo dopo lungo tempo. Quando si staccò da lui, fu la volta di Marion.

Sin da quando si erano conosciute, era stata molto timida nei confronti di tutta la famiglia Wollstonecraft, nonostante l’avessero subito accolta ben volentieri in famiglia. Ora, la situazione in cui si trovava la metteva maggiormente in imbarazzo; Henry le aveva ovviamente parlato di Sonia e della sua famiglia, Orlando compreso, senza però pensare al cognome. Quindi Marion aveva scoperto che il famoso migliore amico di Juliet altri non era che il famoso Orlando Bloom, solo quando se lo era trovato davanti agli occhi. Ovviamente la ragazza non aveva incolpato Henry per non averglielo detto; per lui Orlando era un amico, quasi un membro della famiglia. La sua fama era solo una piccola parte di lui.

Per questo, non appena Juliet le fu davanti, notò che aveva una strana luce negli occhi che glieli faceva brillare; una sorta di orgoglio materno per un segreto che custodiva tenacemente dentro di sé. Riconobbe subito quello sguardo, di cui tanto Viola le aveva detto, ma cercò di sotterrare quel buco allo stomaco che le si era formato, assieme a quel senso di inadeguatezza tipico di quando si era trovata in una situazione simile negli ultimi 3 anni. Sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e la salutò cordialmente.

“Allora, quali sono queste novità?” chiese, curiosa.

Fu in quel momento che Sonia sbucò dalla cucina accompagnata da Colin che reggeva una leccarda di pasta al forno.

“Una la conosci,” iniziò la donna “mentre l’altra è una sorpresa anche per noi.”

E quel noi si riferiva ovviamente alla famiglia Bloom. “Ma ne possiamo parlare tranquillamente a cena.” concluse, avviandosi verso la sala da pranzo.

In quel momento suonarono alla porta, e tutti si voltarono incuriositi; nessuno di loro aspettava l’arrivo di qualcuno.

“Vado io!” esclamò Sam dall’ingresso, mentre le due coppie di genitori, assieme ad Henry e Marion, entravano nella sala.

Jules si ritrovò accanto Orlando che, con il solito tono di voce che usava per provocarla le disse: “Aspetti per caso il tuo ragazzo?”

Lei subito reagì, voltandosi verso di lui e assestandogli uno scappellotto coi fiocchi.

“Scemo!” lo redarguì a denti stretti. “Sarà Alan…”

Orlando grugnì in senso di disapprovazione, per poi andare con Juliet nella sala da pranzo, sedendosi come di consuetudine (quando Orlando non era ancora una star) uno accanto all’altra.

Alan altri non era che l’attuale ragazzo di Samantha, il quale secondo Orlando non era il tipo adatto alla sorella, come non lo era stato nessuno prima di lui; in poche parole, era geloso di chiunque si presentasse come ragazzo di sua sorella.

Jules a questi pensieri sorrise, e stava per difendere Alan, quando Samantha entrò nella stanza.

“Hai visite, Gibbo.” disse al fratello, che la guardò interrogativa, prima che lei si scostasse dalla porta per far entrare Sebastian.

“Ci avevo quasi preso…” osservò l’attore, rivolgendosi a Juliet che non appena sentì quelli parole, gli rifilò un ennesimo scappellotto.

Sebastian osservò per qualche attimo i due con un sorriso soddisfatto, poi la giornalista si alzò per salutarlo e quando vide il suo look della serata rimase parecchio stupito. Le prese la mano e le fece fare una piroetta.

“Ti adoro, Jules…” commentò, divertito e soddisfatto di quello che vedeva. “Sono davvero orgoglioso.”

“Era la mia speranza…” osservò lei, sorridendo. “Come vedi, la speranza è l’ultima a morire… e io sono una donna intraprendente…” concluse, facendogli un occhiolino.

Sebastian le sorrise, per poi lasciarla tornare al suo posto.

“A proposito!” riprese. “Grazie ancora per il servizio. Sei stato fenomenale…” si congratulò.

“Figurati… è stato come al solito un piacere…”

“Sebastian, resti a cena con noi?” gli chiese Sonia, cambiando discorso.

“No, grazie, zia. Ero passato per prendere una cosa di Orlando.” e vedendo il cugino alzarsi si rivolse a lui, fermandolo. “Se mi dici dov’è la prendo io, tanto so arrivarci in camera tua.” gli disse. “Ci metto un secondo, poi scappo che devo uscire con alcuni amici. Andiamo al Pacha dopo cena… vi unite a noi?” chiese ai due Bloom e a Juliet. “Sam, tu puoi chiamare Alan, se vuoi.”

Orlando storse il naso alla parola Alan, ma non rispose; non amava andare in discoteca, soprattutto perché veniva sempre riconosciuto, ma il Pacha London per quanto in centro non era l’ultimo locale alla moda, e aveva un po’ voglia di divertirsi fregandosene del resto del mondo… a Londra i paparazzi non erano come cani affamati alla ricerca dell’ultima pazzia del VIP di turno; e infondo lui andava solo a ballare con alcuni amici, nulla più.

Per Juliet non c’era alcun problema, anzi: erano secoli che non andava a ballare, perché a Viola non piaceva particolarmente e non se la sentiva di uscire con le sue colleghe, con cui non aveva un rapporto, se non professionale, tranne che con la sua segretaria. Quindi l’idea di Sebastian non era affatto male; sarebbe prima passata da casa a mettersi qualcosa di più adatto ad una discoteca. Ovviamente il tutto se ad Orlando avesse fatto piacere, visto che per quella sera aveva deciso di fregarsene altamente del mondo e occuparsi solo di sé stessa, stando con la persona a cui teneva forse di più al mondo.

Fu proprio lui, a prendere la parola.

“Jules, ti va?” le chiese. “Possiamo chiamare anche gli altri…” disse, riferendosi al group.

“A me va benissimo, anzi. Ne ho proprio voglia di andare a ballare!” annuì con un sorriso. “Gli altri non verranno; lavorano tutti e lo sai che non amano le discoteche.” gli ricordò.

“Vengo pure io! E Alan ha detto che viene!” confermò Samantha, e quando vide Orlando sbuffare, lo fulminò con lo sguardo. “È il mio ragazzo e ci esco quando mi pare, quindi smettila di fare la pentola a pressione!”

Orlando le fece una boccaccia di rimando, mentre i loro genitori li guardavano, arresi all’evidenza che i loro figli sarebbero sempre rimasti i soliti, anche se ora avevano entrambi 30 anni suonati.

“Okay, allora ci vediamo dopo!” concluse il discorso Sebastian. “Ah, Orlando, dove hai la Canon?” gli chiede.

“È nella seconda mensola dall’alto sopra la scrivania…” fu la risposta dell’attore. Il cugino lo ringraziò per poi andare di sopra. Tornato di sotto passò a salutare tutti quanti, e prima di andare via si avvicinò a Samantha, mettendogli una mano sulla spalla.

“Poverina, non sai quanto mi dispiace andare via…” commentò, ricevendo dalla donna un’occhiata interrogativa, mentre Orlando e Jules lo guardarono leggermente innervositi, calmandosi un attimo dopo, visto che Sam aveva guardato il fratello interrogativa.

Dopo di ché, il fotografo uscì, salutato da un coro di Ciao Sebastian!.

“Ma che stava dicendo?” chiese alla fine Sam.

“Lascia stare… ha qualche rotella fuori posto.” tagliò corto Orlando, volendo cambiare argomento.

Così le due famiglie cominciarono a cenare, chiacchierando di tanto in tanto degli argomenti più disparati. Ovviamente l’intervista di Juliet ad Orlando fu uno degli argomenti principali, che tenne banco a quella tavola per buona parte della durata dell’intera teglia di pasta al forno. I loro genitori erano davvero orgogliosi di entrambi, come se avessero raggiunto in quel momento il top delle loro carriere.

Col passare del tempo Juliet scoprì qual era la novità di cui era già a conoscenza, e che si rivelò principalmente per opera sua: Orlando, prima che i giornali avessero potuto pubblicare alcunché aveva detto ai suoi della rottura con Miranda, spiegandogli le ragioni e aggiungendo anche la questione delle foto. Durante la cena Sonia si pentì amaramente delle buone parole che aveva avuto per quella ragazza, dicendo che forse era proprio lei una delle cause del crollo artistico del figlio. Ad essa si aggiunse anche Sophie che, dispiaciuta, aiutò la sua amica a distruggere la buona reputazione che la modella godeva fino a qualche tempo prima nelle famiglie.

Samantha e Juliet si guardavano complici, alzando gli occhi quando una delle loro madri rivedeva le proprie teorie a riguardo; erano state paragonate in continuazione, negli ultimi due anni, a Miranda, e sentirsi nuovamente migliori di lei, diede loro un certo senso di rivalsa e soddisfazione, anche perché non erano state responsabili di quello che era accaduto. Mentre le madri continuavano la loro opera di distruzione, Juliet poté osservare come Orlando non fosse affatto toccato da quelle considerazioni; sembrava che non fosse lui quello che era stato prima usato per arrivare in cima allo star system e poi cornificato alla grande in mondovisione. Non era di certo la prima volta, ma la giornalista ricordava che era abbastanza suscettibile da essersela presa ed esserci stato anche maluccio nei primi tempi. Davvero non ne era mai stato innamorato, così da non scomporlo nel momento della rottura? Certo, anche lei aveva capito che entrambi aveva sfruttato quei momenti anche per farsi pubblicità, ma una parte di lei aveva sperato che anche per un po’ lui fosse stato lievemente preso da lei in quanto persona, avendo trovato in lei una qualche qualità dalla quale era stato particolarmente affascinato. Ma probabilmente così non era, vista la reazione attuale dell’attore.

“Con la prossima sappi che ho intenzione di farci due chiacchiere faccia a faccia.” sentenziò Sonia, in conclusione. “Non si può andare avanti così; siete ormai adulti entrambi e emi chiedo quando comincerete a pensare ad avere una vostra famiglia, invece di venire sempre qui a sbaffo.” si lamentò.

“Sonia, cara, sono ancora giovani; perché dovrebbero pensare ad una famiglia… hanno una vita davanti.” cercò di calmarla Colin, trovando l’approvazione di Jack.

“Colin, io mi trovo d’accordo con Sonia; ormai i nostri figli sono tutti grandi e vaccinati e mi sembra il caso che comincino TUTTI a pensare al loro futuro, oltre che alla loro carriera.” giunse in aiuto di Sonia, la madre di Juliet ed Henry, lanciando un’occhiata eloquente alla figlia, che sbuffò, roteando gli occhi.

“Ma mamma!” protestò. “Perché dovrei pensare a costruirmi una famiglia, quando non ho nemmeno qualcuno con cui costruirla?” le chiese sibillina. “Posso capire Samantha e Henry, ma né io né Orlando possiamo prendere in considerazione una cosa simile…”

“Cara, forse se inizierete a pensarci potreste anche accorgervi che ciò che cercate non è poi molto lontano, e magari si nasconde entro le mura della vostra casa…” osservò Sonia, senza voler fare nessun reale riferimento a qualcosa che in realtà stava accadendo.

A quelle parole infatti, Jules e Orlando spalancarono gli occhi, guardando la donna interrogativi e chiedendosi entrambi se non avesse capito molto più di quello che dava ad intendere. Infondo, secondo quanto dicevano Viola e Sebastian, c’era stato un periodo in cui tutti avevano capito quello che stava accadendo a loro due, tranne ovviamente loro stessi.

La giornalista, volendo cambiare argomento alla velocità della luce, si ricompose, scoprendo che istintivamente aveva stretto la mano al suo migliore amico, si staccò lievemente, rendendo quel distacco leggero ed elegante, per poi prendere la parola.

“Okay, appurato che io e Orlando dobbiamo trovare un ragazzo che ci sopporti per l’eternità…” e roteò gli occhi, come se questo tipo di persona non potesse esistere, e facendo ridacchiare Marion. “Direi che è arrivato il momento per sapere la seconda novità, giusto, ma?” osservò diretta verso la madre.

Ormai avevano spolverato tutto quella che la cucina di Sonia aveva da offrire; il ché era stata una montagna di cibo, considerando che erano solo in otto, ma la cuoca aveva constatato che i giovani della famiglia -suo figlio in testa- parevano piuttosto deperiti e magrolini, ovviamente secondo la sua visione materna che voleva i figlia belli in forma. Di conseguenza, quella semplice cena era diventata una sorta di cenone natalizio rivisitato e corretto in chiave leggermente più sobria e ridotta, ma non di molto. All’appello mancava solo il dolce, che si trattava come di consueto di una cheesecake alle fragole, che da sola avrebbe fatto rabbrividire qualunque persona sotto dieta ferrea, facendola crollare sotto quell’immenso quantitativo di calorie.

“Credo tu abbia ragione…” fu la risposta di Sophie, voltandosi poi verso il figlio. “Henry?” lo chiamò, per farlo iniziare a parlare.

Marion in quel momento abbassò lo sguardo, leggermente imbarazzata e arrossita nelle guance. Henry a sua volta si schiarì la voce, prendendo la mano della sua ragazza, alzando lo sguardo vero i commensali che lo stavano guardando incuriositi e bramosi di conoscere questa novità.

“Quando mamma e papà mi sono venuti a trovare, gli abbiamo presentato anche i genitori di Marion, che erano ansiosi di conoscerli, come non vedono l’ora di conoscere anche Juliet…e ovviamente anche voi…” iniziò, lievemente agitato, facendo sorridere sua sorella.

“Appena ho un weekend prometto che vengo in Francia seduta stante…” gli promise lei, per poi incitarlo a continuare.

“Di sicuro saranno contentissimi…” osservò lui, prima di riprendere il discorso. “Ma penso che saranno loro a venire qui…” disse, facendo calare il silenzio, mentre tutti lo osservarono interrogativi.

“Resteremo per un po’ qui a Londra; abbiamo trovato una casa in affitto e con il lavoro darò una mano a papà per un po’; infondo è stato il primo vero lavoro che ho avuto…” osservò, lievemente divertito.

Jack lavorava in una ditta di imbianchini e si occupava anche di decorazioni natalizie artigianali; Henry aveva iniziato a lavorare proprio con il padre, prima di trasferirsi in Francia, dove faceva l’avvocato in un suo studio, che era poi il lavoro per cui aveva studiato. Marion invece era una ballerina di danza classica; faceva parte di un gruppo che si esibiva in vari teatri, tra i quali pure l’Opera di Parigi.

“Ma quanto resterete?” chiese Sonia. “Mi sembra strano che vogliate tornare a Londra, così, senza un motivo preciso.” osservò.

“Resteremo qui per un annetto, forse anche due…” fu la risposta di Henry. “Un motivo in realtà c’è. Marion fra qualche mese non potrà più muoversi liberamente…” e non riuscì ad andare oltre, abbassando lo sguardo.

Juliet in quel momento ebbe la conferma di ciò che aveva sospettato sin da quando era entrata in quella stanza. Il buco nello stomaco tornò ad aprirsi, e nuovamente sentì quel peso sulle spalle che ogni volta la schiacciava. Cercò di rimanere impassibile all’esterno, imponendosi la calma e un sorriso tranquillo e rilassato.

Tutti erano in attesa di sapere cosa stava accadendo, ma Henry sembrava non riuscire più a parlare. Con sommo stupore di tutti, fu Marion ad alzare lo sguardo, decisa, lasciando da parte ogni timore ed ogni imbarazzo. Strinse maggiormente la mano di Henry e prese un respiro; Juliet intanto si stava preparando a quella conferma di cui ormai era già certa. Sicuro sua madre e suo padre ne erano felici; infondo erano una coppia perfetta e si amavano, quindi non c’era nulla di male…

Con tutto il coraggio e la forza d’animo che possedeva, sorrise a Marion, spostando il suo sguardo su di lei, come per incoraggiarla, mentre la famiglia Bloom era ferma immobile, con lo sguardo fisso sulla ragazza, che dopo aver preso un bel respiro, parlò.

“Sono incinta.”

 

 

Ragazze grazie e mille!!!!

Sono contenta che nonostante la lunghezza, il capitolo vi sia piaciuto!

bebe: qui non vai in apnea, assicurato!

Lady Elizabeth: Oddio! Ti ho commossa??? Aiuuutooo!

eminae: che dovevo farlo più lungo? 12 pagine non erano abbastanza? :P Cmq se vuoi scommetto io, anche se non so quanto sia valido, visto che sono l’autrice XD.

Bene, detto ciò, ringrazio anche tutte le lettrici silenti, che immagino stiano gradendo la storia, visto che la continuate a seguire, o così pare…

Ah! Il capitolo è appositamente più corto, giusto per lasciare un pochino di suspance, e spezzare la serata… poi dopo il papiro dell’ultimo mi sembrava pure giusto farvi prendere un po’ d’aria…

Spero di aggiornare presto, visto che ultimamente sono parecchio ispirata sotto tutti i fronti, però l’ottavo capitolo è solo nella mia mente e non ne ho scritto ancora una riga. Di conseguenza spero di poter aggiornare alla fine della prox settimana, ma non datelo per certo.

Bene, direi che ho finito di sproloquiare!

Besitos,

Klood

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO VIII

 

 

E

ra calato il silenzio nella sala da pranzo di casa Bloom, e Juliet sperava che qualcuno parlasse al più presto, ma si rese ben presto conto che nessuno si sarebbe ancora azzardato a rompere quel silenzio che per lei si stava facendo man mano sempre più pesante. Henry aveva ancora lo sguardo basso mentre stringeva la mano della sua ragazza che, come Jules scrutava i volti dei presenti; Sophie e Jack guardavo il proprio figlio orgogliosi, come se la notizia di cui erano a conoscenza già da qualche giorno fosse la migliore che mai potessero avere. Juliet si chiese cosa sarebbe successo se 3 anni prima le cose fossero andate in modo diverso; come avrebbero reagito i suoi genitori a quella notizia? Sarebbero stati felici, e l’avrebbero appoggiata nonostante tutto? E Orlando? Sarebbe forse tornato non appena avesse saputo? Nel momento più nero, in quei mesi pieni di avvenimenti, aveva più volte pensato di chiamarlo, e raccontargli tutto, anche se forse non sarebbe servito a nulla, se non a farla stare peggio; ma sperava che sentirlo vicino, anche se solo spiritualmente, le sarebbe potuto servire. Poi si era ricreduta: se solo l’avesse fatto era sicura che lui avrebbe mollato tutto e sarebbe tornato, rinunciando magari a qualcosa a cui teneva, quindi non aveva mosso un dito, affidandosi a Viola e a James -il ragazzo della sua migliore amica-, che si era dimostrato gentilissimo con lei.

Ritornando con la testa al presente, sfoderò il suo miglior sorriso e guardando Marion le destinò un’occhiata di pura felicità.

“E’ una bellissima cosa…” ruppe il silenzio, con voce soave. “Sono contentissima per voi. Congratulazioni.” concluse, e quando il fratello alzò lo sguardo, guardandola in maniera interrogativa, lei gli sorrise, per poi fargli un occhiolino complice. “Finalmente divento zia, e mamma e papà sono felici perché saranno nonni…” osservò.

E così tutti cominciarono a fare i complimenti ai due ragazzi, stemperando quella strana atmosfera che si era creata: in realtà per Juliet quella situazione stava diventando insopportabile. Sentiva l’aria mancarle sempre di più, e non sapeva come fare a venirne fuori. Nessuno per fortuna si stava rendendo conto di quello che le stava succedendo; tutti avevano focalizzato la loro attenzione su Marion e Henry, che si stavano prendendo i complimenti da tutta la famiglia Bloom, tra risate e sorrisi.

Improvvisamente il cellulare della giornalista squillò; nuovamente calò il silenzio e tutti rivolsero lo sguardo verso di lei, che si ricompose immediatamente, sfoderando un sorriso per poi andare nell’ingresso dove recuperò il cellulare dalla borsa. Sul display il nome di Viola lampeggiava insistentemente, mentre la suoneria non cessava di trillare.

La mia salvatrice… pensò Jules, mentre spinse il bottone verde, uscendo nel giardino della casa.

“Ehilà!” la salutò. “Qual buon vento?”

“La visita di Sebastian, che è venuto a pagarmi, dicendo che è profondamente orgoglioso di te. Mi chiedevo che avessi combinato.”

“Hai presente l’abito giallo con i fiori?”

“Quello che ti ho fatto comprare con la forza?”

“Sì, proprio lui…” le disse.

“Te lo sei messo!” esclamò il chirurgo, stupita.

“Il giallo è il suo colore preferito…” fu la risposta di Juliet.

“Sei una grande! Ti adoro, Jules…”

“Lo so…” ridacchiò lei, per poi tornare seria, e sospirare.

Calò il silenzio per qualche secondo, mentre la giornalista stava cercando le parole adatte per poter spiegare la situazione alla sua migliore amica.

“Vio, Marion è incinta…” le disse infine, con la voce ridotta ad un semplice sussurro.

Passarono un paio di secondi, prima che dall’altra parte ci fosse una risposta. “Tu come stai?”

“Bene; cioè, sono tanto contenta per loro. Vedessi i miei: sono tutti così eccitati e orgogliosi di entrambi… anche Sonia, Colin Sam e Orlando sono così felici…” le spiegò.

“E tu?”

“Lo sai che giorno è oggi?”

Dall’altro capo, il chirurgo sospirò. “Sì, il 28 ottobre.” le rispose.

“Tre anni, Viola. Tre anni e non riesco a farmela passare; torna sempre tutto a galla… non so se questa volta ci riuscirò. Forse dovrei dirglielo…”

“Io sono sempre stata di quell’opinione. Forse però dovresti aspettare; tuo fratello non penso sarebbe molto contento di sentire una cosa del genere ora. Si sentirebbe in colpa.” le fece notare “Ma restano qui a Londra?”

“Sì, resteranno qui fino alla nascita.”

“Se vuoi James si può occupare di tutto.”

“Chiederò a loro….”

“Se ci sono stasera ne parliamo meglio…”

“Stasera?” chiese Juliet. “Cioè, tu e James venite al Pacha?”

“Perché, non si può?”

“Ma tu odi le discoteche!” esclamò lei.

“Orlando non me lo ricordo un appassionato di danze…”

“Okay, okay. Ho capito l’antifona. Comunque non vengono. Ci siamo io, Orlando, Sam e Alan… e ti avverto che ho intenzione di rispolverare le vecchie abitudini…”

“Cosa?” le chiese Viola, leggermente preoccupata.

“Penso di avere in casa ancora il regalo di compleanno di Sebastian che mi fece a vent’anni…”

“Oddio! No, non starai parlando dell’abitino minuscolo che ti aveva regalato sperando che te lo saresti messo all’occasione più propizia? Non hai vent’anni, Jules, ma trenta compiuti da un po’!” la rimproverò.

“E allora? Pensi che al Pacha qualcuno noterà qualcosa di strano? No, perché ti ricordo che stai per andare in una DISCOTECA abbastanza in voga, dove di certo non troverai persone vestite eleganti. Ti voglio in stratiro, Vio! E vedi di non deludermi… perché io non ho intenzione di deludervi…” e detto ciò, le due amiche si salutarono, dandosi appuntamento a qualche ora più tardi.

Rimasta così sola fuori in giardino, Juliet sospirò: era vero, non poteva dare alla sua famiglia una notizia così importante in un momento felice come quello… ma prima o poi avrebbe dovuto farlo.

Stava per ritornare dentro, quando dietro di lei comparve Orlando, che le sorrideva sereno. “Sei sparita…” osservò arrivandole accanto.

“Era Viola al telefono…” gli spiegò. “Stasera ci sono anche lei e James…il suo ragazzo.” concluse, sospirando.

Orlando la osservò per qualche istante, studiandone il profilo che si stagliava contro il cielo invernale. Per quanto fosse passati anni dall’ultima volta che si erano parlati e confidati, la conosceva troppo bene per non aver capito che c’era qualcosa che non andava in lei. Aveva visto come si era comportata, anche se lei cercava di nascondere quelle reazioni a tutti; non ne capiva le ragioni, ma sapeva benissimo che dentro di lei c’era qualcosa che la stava torturando…

“Jules, è tutto okay?” le chiede, quindi, serio.

“Certo!” gli rispose lei, tranquilla. “Perché non dovrebbe?” osservò, alzando le spalle.

Orlando sorrise, scuotendo la testa lievemente divertito. “Non sei cambiata affatto… continui a voler nascondere quello che senti dentro…” osservò lui, prendendo il suo viso con una mano, facendo sì che i loro sguardi si incrociassero. “Sputa il rospo…”

A quelle parole, Juliet crollò come un castello di carte esposto al vento, e si rifugiò tra le braccia del suo migliore amico, cercando conforto e sostegno. “Orlando… è successa una cosa…” iniziò, mentre cercava di trattenere le lacrime che insistevano per uscire.

“Dimmi tutto, Juliet…” la esortò lui.

“Prometti che non dirai niente a nessuno… né a Sam, né ai tuoi, né a nessun altro…” lo implorò.

“Promesso…”

La giornalista raccolse tutte le sue forze e, alzato lo sguardo, parlò. “Immagino tu sappia che stavo con un editore…”

Orlando annuì.

“Ci siamo mollati circa 4 anni fa; lui si era invaghito di una giornalista… Jane Banks… lavora per People…”

Ad Orlando quel nome parve familiare.

“E’ la giornalista che scriverà l’articolo sulle foto di LA…” gli ricordò. “Comunque, ci siamo mollati e loro due si sono sposati…”

“Me ne aveva parlato Sam…” le disse, tranquillo, sorridendole.

“Il giorno che ci siamo lasciati, in realtà io avrei dovuto dirgli una cosa… lui non sa nulla; non ho voluto dirgli nulla…”

“Di cosa stai parlando?”

“Ero incinta…” concluse, chiudendo gli occhi.

Orlando in quel momento rimase pietrificato. Il solo pensiero di lei abbracciata ad un altro lo mandava in iperventilazione, per non parlare di lui che la accarezzava e la baciava… quindi, il pensiero di una vita che cresceva dentro di lei, una vita che non era stata opera sua, lo mandava forse più in bestia di quanto non volesse ammettere. Cercando di reprimere quelle emozioni, la strinse maggiormente tra le sue braccia e, dopo aver sospirato, la guardò negli occhi.

“Il bambino…cos’è successo?” gli chiese, con il tono di voce incrinato leggermente dalla rabbia, cosa che fece per un attimo sorridere la giornalista, prima di tornare con il pensiero a quei momenti.

“Al quinto mese…” rispose, mentre la voce si incrinava e le lacrime cominciavano a scendere, fuori controllo. “Ho avuto un aborto spontaneo…” concluse, senza guardarlo in faccia, e stringendosi nuovamente su di lui, bagnando la sua camicia di tutte quelle lacrime che aveva dovuto reprimere davanti a tutti, fatte di parole non dette, dolori che non aveva potuto confessare a nessuno, perché la paura le aveva incatenato la lingua silenziosa, senza farsi notare, e mettendola all’angolo, senza una possibile via d’uscita. Così aveva optato per la soluzione più facile: si era affidata all’aiuto di Viola e James, che l’aveva seguita per tutti i 5 mesi della gestazione, fino all’aborto, che aveva attribuito allo stress emotivo della ragazza. In effetti, la sua storia con Christian era finita in modo completamente inaspettato e per lei era stata una vero e proprio crollo emotivo: un momento prima era felice perché gli stava per dire del bambino, e l’attimo dopo si era trovata da sola, con un bambino di cui il padre nemmeno sapeva nulla. Aveva da subito deciso che nessuno ne avrebbe dovuto sapere nulla, nessuno tranne Viola, che nonostante non fosse d’accordo, aveva deciso di aiutarla. Per i mesi successivi aveva continuato a lavorare, finché alla fine del terzo mese non aveva messo in atto il suo piano: aveva chiesto al suo capo di poter prendersi una specie di lunga vacanza, continuando però a lavorare da dove si sarebbe trovata. Aveva detto a tutti che non sarebbe rimasta in Inghilterra, lasciando intendere che avrebbe passato quei mesi in giro per l’Europa o in America. In realtà si era trasferita da Viola, che l’aveva accolta nel suo appartamento a braccia aperte.

I mesi erano passati talmente in fretta, e Juliet non si era nemmeno accorta dello scorrere dei giorni: fino a quel maledetto 28 ottobre. La gravidanza sembrava procedere bene; poi improvvisamente l’incubo. Era stata portata in ospedale d’urgenza, e non riuscendo in altro modo, era stata sottoposta ad un’operazione per eliminare il feto morto. Quando la mattina dopo si era svegliata, era andata nel panico più totale; aveva appena perso il suo bambino, che aveva deciso di tenere nonostante il suo ragazzo l’avesse lasciata, e conscia che una volta nato ci sarebbero state delle difficili spiegazioni da dare.

Col tempo, aveva imparato a nascondere tutto, buttandosi nel lavoro a capofitto e aveva cercato di eliminare il ricordo di quei mesi dalla sua mente. Per uno strano senso di masochismo aveva poi partecipato al matrimonio di Christian, e anche al battesimo dei suoi figli; tutt’ora con Jane ogni tanto, anche se di rado, si sentiva, e i loro rapporti erano molto tranquilli, nonostante lei fosse la causa della separazione con Christian. Juliet aveva molto obbiettivamente deciso di non prendersela con lei: era una persona gentile e carina, e di sicuro la colpa non era la sua se si era invaghita di Christian, ed era stata ricambiata.

Questo era quello che Juliet stava raccontando ad Orlando, ancora abbracciata a lui, nel giardino di casa Bloom; ed ogni parola erano una pugnalata tanto per lei, quanto per lui. Se solo l’avesse saputo…se solo lei lo avesse chiamato come aveva pensato, sarebbe corso da lei; l’avrebbe sostenuta e aiutata nel migliore dei modi, e molto probabilmente avrebbe evitato la storia con Miranda. Ma le cose erano andate diversamente ed era giunto il momento di comportarsi da adulti e prendere una decisione…

“Jules, se non te la senti di uscire, stasera…” le disse, dolcemente.

“No!” esclamò. “Voglio uscire.” asserì decisa. “Ho bisogno di avere la sicurezza di poter andare avanti e so di potercela fare. Henry non è il primo che ha un bambino negli ultimi 4 anni, e verrà il giorno in cui dovrò dirlo ai miei.” osservò. “Sarai con me, vero, quel giorno?” gli chiese, poi, di getto. “Mi sarai accanto a sostenermi?”

Orlando si staccò lievemente da lei, le accarezzò una guancia, asciugandole le lacrime e sorridendole sereno, e innamorato. “Io ci sarò sempre…sarò sempre accanto a te a sostenerti e a reggere con te qualsiasi peso…” le disse, per poi avvicinarla nuovamente a sé e darle un morbido bacio sulle labbra.

“Te la senti di rientrare?” le chiese, staccandosi da lei.

Juliet lo osservò meglio, chiedendosi se quello che stava succedendo tra loro avrebbe compromesso qualcosa, poi si disse che non era il momento per farsi dei problemi e mandò via ogni minimo pensiero a riguardo. “Sono abbastanza presentabile?” gli chiese, tornando la solita Juliet di sempre; quella forte, quella che non aveva mai avuto un problema come il suo.

“Il trucco waterproof fa miracoli…” le disse, per poi allungare il braccio, per prenderle la mano.

Così i due ragazzi rientrarono in casa, e si trovarono le loro famiglie in piedi, intente a complimentarsi ancora con Henry e Marion, che sembravano quasi intimoriti da tutti quei festeggiamenti. Orlando strinse più forte la mano di Juliet che gli sorrise di rimando: la sua vicinanza la rendeva più forte, e avergli raccontato tutto quello che era successo le aveva tolto un gravoso peso, aiutandola così a distendersi e riuscire a sopportare la situazione. Andò incontro al fratello, abbracciandolo calorosamente, per poi fare la stessa cosa con Marion, che timidamente le sorrise.

“Conosco un medico che ti può seguire durante tutto il periodo della gravidanza e anche per il parto…” le disse, “E’ un amico… si occuperebbe di te molto volentieri.”

“E chi sarebbe?” le chiede Henry.

“James, il ragazzo di Viola.” le rispose la sorella. “Prima era Vio al telefono e quando gliel’ho detto mi ha confermato la disponibilità di James. Stasera verranno al Pacha, quindi magari gli posso passare parola, oltre al numero di telefono…” osservò.

I due fidanzati sorrisero felici, ringraziando Juliet e dicendole di parlare con James, mentre Sonia stava arrivando col dolce. “Non c’è niente di meglio del cheesecake alle fragole per festeggiare una cosa simile.”

“Ma mamma!” protestò Orlando. “Poi dici che non vengo mai a Londra; per forza, mi riempio come un maialino e dopo non mi prendono più a fare film, oppure mi fanno mangiare roba alla soia e mi sottopongo a ore e ore di palestra.

“Ma se sei magro come un chiodo!” gli rispose sua madre. “Mi sembri così deperito… e anche tu, Ju, il lavoro di giornalista dev’essere un bello stress; dovresti mangiare di più cara.”

Juliet roteò gli occhi: fino a qualche settimana prima sua madre la confrontava con Miranda, dicendole che doveva pensare alla linea se avesse voluto trovare un ragazzo per bene; ora, Sonia si stava lamentando perché troppo magra. Ma qualcuno a cui andasse bene così com’era?

Così si rimisero nuovamente a tavola, dove consumarono il dolce in allegria, spazzolando il vassoio per bene, complici ovviamente Orlando, Juliet e anche Marion che si era lasciata andare.

“Devo mangiare per due, giusto?” si era giustificata con Henry, che la guardava sbalordito.

“Io ti metto assieme ai due spazzini così almeno ti diverti…” la minacciò, indicando Jules e Orlando, che stavano finendo di spazzolare il loro piatto.

“Beh, almeno questa volta non se la sono tirati addosso!” osservò Sam, sollevando la curiosità di Marion che riportò a galla un episodio di anni prima, quando i due ragazzi, adolescenti, avevano fatto la lotta con una delle cheesecake di Sonia, riducendosi come due maialini.

“Ma aveva iniziato lui!” protestò Juliet.

“Sei tu che devi sempre fare l’esagerata! Io ti avevo lanciato un’arachide nella maglia…” osservò lui.

“Perché ti stavi lamentando che la maglia che avevo era troppo scollata…” lo punzecchiò, ricordando che lui, impunito com’era, aveva mirato all’incavo dei suoi seni, centrando il bersaglio.

Così, tra un aneddoto e l’altro, arrivò l’ora per Orlando, Juliet e Samantha di uscire; Alan era arrivato da qualche minuto e Sam l’aveva tenuto a debita distanza dal fratello che gli aveva lanciato qualche occhiataccia, mentre Jules cercava di calmarlo, stringendogli la mano sotto il tavolo.

“Prima di andare, passo un attimo da casa dei miei.” gli disse tranquilla, mentre lui la guardava appena incuriosito. “Andiamo in una discoteca,” riprese “e non mi sembro vestita in modo appropriato.”

“Jules, ti prego…” iniziò lui, per poi essere fermato dalla mano di lei, posata delicatamente sulle sue labbra.

“Smettila di fare il lamentoso e comportati come un qualsiasi ragazzo che sta per andare in discoteca…” lo redarguì, indicandogli con un cenno della testa Alan, vestito giustappunto per l’occasione.

Orlando sbuffò leggermente, facendo divertire Juliet: adorava quelle smorfie che solo lui riusciva a fare così spontaneamente; uno come lui avrebbe potuto fare solo l’attore.

“Ci vediamo fra 10 minuti sotto casa mia. Ce la puoi fare?”

“Non mica una donna io…”

“Ma ti ci avvicini, quando si tratta di prepararti.” lo punzecchiò. “Tanto si vedono lo stesso i 30 e passa anni; non passi più per un ventenne.”

“Tu nemmeno, mia cara, quindi non starti a inventare chissà cosa.”

“Agli ordini.” lo assecondò. Unicamente per non dargli troppi indizi. “Non prendere la macchina; andiamo con la mia.” concluse, alzandosi e iniziando a salutare i vari commensali. Arrivò per ultima a suo fratello e Marion, facendo loro ancora una volta le congratulazioni per la meravigliosa notizia, poi fece un cenno a Sam e Alan, prima di sparire a casa dei suoi, a cui ricordò di prendersi cura del cane.

Arrivata in casa, si precipitò nella stanza che l’aveva vista crescere e guardandosi attorno per un attimo, rivide tutti quei momenti che erano per lei indimenticabili, ma che comunque aveva voluto appendere nella camera attraverso le foto che ormai ricoprivano interamente le pareti. Sorrise, rivedendo alcune di quelle foto, poi si diresse verso l’armadio, rovistando tra le varie grucce, alla ricerca  del famoso vestito, che trovò schiacciato tra alcuni vecchi indumenti che non usava più. Osservandolo meglio si rese conto di quanto fosse un capo d’abbigliamento diverso da ciò che di solito indossava: in effetti non l’aveva mai indossato, e l’unica volta che ci aveva provato aveva dovuto poi ripiegare su altro. Aveva 23 anni e si trovava in Nuova Zelanda assieme ad Orlando; non appena lui l’aveva vista così vestita, aveva cominciato a obbligarla a tornare a cambiarsi, iniziando così una litigata coi fiocchi, che era poi terminata con la vittoria di Orlando, unicamente perché Juliet non ne poteva più di sentirlo brontolare, e sentirlo comportarsi quasi fosse suo padre. Mentre ridacchiava, ricordando quella situazione, andò alla ricerca delle calzature adatte: un paio di tronchetti neri dalla punta tonda che in cima avevano una grossa fibbia tonda. Poi indosso l’abito, che abito in realtà non era: la schiena rimaneva quasi per la metà scoperta e l’allacciatura al collo permetteva una scollatura più o meno ardita, a seconda di quanti bottoni di quella finta camicetta venivano lasciati aperti; in vita una cintura le si posava sui fianchi, da cui iniziavano degli shorts neri che terminavano parecchio sopra il ginocchio. Dopo essersi infilata gli stivaletti, si guardò allo specchio: i bottoni erano tutti aperti e la scollatura era piuttosto ardita, specialmente per una persona come lei, quindi si allacciò un bottone, arrivando a chiudere la camicetta fino all’altezza del seno, creando un effetto non volgare ma allo stesso momento leggermente provocante. Soddisfatta del risultato, corredò il tutto con dei bracciali nel polso destro, l’orologio in quello sinistro, degli orecchini fatti di perle bianche e nere ed un filo di trucco. Dopo di ché, prese la borsa, inserì tutto ciò di cui aveva bisogno, indossò il giaccotto e uscì di casa, in attesa di Orlando, che non ci mise molto ad arrivare.

Non appena si era messa accanto alla macchina l’aveva visto arrivare, avvolta nella sua giacca nera, da cui fuoriuscivano un paio di pantaloni neri abbastanza eleganti, dai quali sbucavano gli inossidabili stivaletti che risalivano ormai al paleolitico, visto quante ne avevano passate. Juliet si era sempre chiesta cosa ci trovava di meraviglioso in quel tipo di scarpa, ma non l’aveva mai capito.

“Sei stato bravo…” gli disse, mentre le veniva incontro. “Non ci hai messo poi molto; pensavo di doverti aspettare per un bel pezzo.”

Lui roteò gli occhi al cielo. “Molto spiritosa…” commentò. “Allora, sono abbastanza in tiro?” le chiese, alzando un sopracciglio. “Tanto ora o dici di no, oppure dici che non hai ancora visto la parte di sopra…” disse, scettico, cercando di capire cose avesse indossato lei, visto che la giacca era lunga fino al ginocchio e le copriva qualsiasi cosa avesse indossato.

“Lo scoprirai al momento opportuno che mi sono messa, non prima…” lo provocò lei.

“Ti ricordo che posso essere molto persuasivo…”

“Non ricordo una volta in cui tu mi abbia persuasa da qualcosa che volevo fare… con me i tuoi trucchetti non attaccano…” concluse lei.

Lui non se lo fece ripetere una volta di più: con una foga che neanche lui sapeva di avere, la attirò a sé, mettendole una mano su un fianco, mentre l’altra la posò dietro la sua nuca, che avvicinò maggiormente a sé, imprigionandone le labbra con le sue in un bacio carico di passione e desiderio; un bacio che abbatté anche le minime difese che Juliet si era costruita. Si strinse maggiormente a lui, lasciandosi andare a quella passionalità che lui le scatenava dentro, ricambiando il bacio con altrettanta irruenza. Non si resero conto di quanto durò quel bacio, se solo qualche secondo o parecchi minuti, ma quando si staccarono avevano entrambi il fiato corto, e gli occhi lucidi. Cercando di prendere nuovamente fiato, Orlando si stacco da lei, poi le puntò i suoi occhi castani in quelli di lei, e parlò con voce calda.

“Non giocare col fuoco… rischi di farti molto male…” le disse, prima di staccarsi del tutto da lei, dirigendosi verso lo sportello della macchina che aprì, entrandovi.

Per buona parte del tragitto i due rimasero in silenzio, scambiandosi di tanto in tanto qualche parola su discorsi futili e leggeri, come se poco prima non fosse accaduto nulla; in realtà per entrambi era stato abbastanza sorprendente scoprire questa forte attrazione che avevano l’uno per l’altro. Ovviamente non erano due stupidi e sapevano benissimo che tra loro non c’era solo qualcosa di platonico, ma nessuno dei due aveva analizzato la componente attrattiva verso l’altro in maniera specifica, relegandola ad una delle tante cose che provano verso l’altro; di conseguenza scoprire che tra loro l’attrazione era così forte, tanto da lasciarli sopraffatti, li aveva un po’ stupiti. Orlando aveva cominciato a chiedersi se quello che provava per lei era solo semplice attrazione; se una volta che l’avesse avuta sarebbe tutto finito. Di sicuro non era quello che voleva, perché temeva che essersi aperto e aver scoperto così le sue carte -anche se una parte della colpa andava da attribuire a Sebastian e Viola- alla fine avrebbe portato alla rottura totale, una volta tutto fosse finito…

Anche Juliet era pensierosa: Orlando le scatenava un fuoco dentro che non riusciva a controllare. Nemmeno con Christian le era mai successo, e il fatto che conosceva l’attore meglio di chiunque altro, e orse meglio di sé stessa, in quel momento si stava rivelando inutile, visto che per quanto in parte prevedibili, le situazioni la prendevano sempre in contropiede.

Quando arrivarono nei pressi della discoteca, ci misero un po’ a trovare parcheggio, sistemando l’auto un po’ lontano dal locale, raggiungendolo a piedi. Lì trovarono ad aspettarli Samantha e Alan, che salutò Juliet ed Orlando con un sorriso, che quest’ultimo ricambiò con un cenno della testa.

“Non farci caso, Alan… è solo geloso della sua adorata sorella maggiore…” lo tranquillizzò Juliet, facendogli un occhiolino.

Assieme ai due, c’erano anche Viola e James, che finalmente Orlando poté conoscere; lo trovò particolarmente adatto a Viola. Era una persona molto tranquilla e pacata, che di certo non le avrebbe fatto fare certe mattane che le aveva fatto fare lui a suo tempo. Poi arrivò Sebastian con alcuni amici e la sua ragazza.

“Alcuni sono già dentro…” disse loro il fotografo, salutando gli ultimi arrivati. “Sono andati a prendere un tavolo…”

Così entrarono tutti nel locale, mentre Juliet e Viola si erano affiancate, sorridendosi. La giornalista notò che James guardava la sua ragazza lievemente critico e lanciando un’occhiata alla sua migliore amica come a chiederle cosa fosse successo, il chirurgo alzò gli occhi al cielo.

“Ho seguito il tuo consiglio, anche perché non volevo farti sentire sola; quindi mi sono messa qualcosa di adatto ad una discoteca. E James si è leggermente lamentato…” le spiegò.

“Hai detto a James che è colpa mia?”

“No, anche perché comunque avrebbe detto che sono io a non saper tenerti testa…”

“Oh, non ti preoccupare…” la tranquillizzò Jules. “Il mio cazziatone arriverà presto…” le disse, criptica, mentre arrivavano al guardaroba.

Lì trovarono una biondina in attesa, come li vide arrivare fece un sorriso a trentadue denti e venne loro incontro, andando subito in direzione di Orlando, che salutò con affetto, come se lo conoscesse da una vita.

“Non so se ti ricordi; ero una tua compagna alla Guildhall…” cinguettò, con una vocina che fece salire il nervoso a Juliet; ora era pure gelosa di lui???

Orlando le sorrise, cercando di ricordare quel volto tra i suoi compagni, ma non la riconobbe affatto: quella sera la ragazza portava un mini abito nero di pelle nera, che le arrivava parecchio sopra il ginocchio e delle vertiginose scarpe nere lucide.

“No, mi dispiace…” le disse lui, leggermente mortificato.

“Oh, fa niente… io mi ricordo di te…” gli rispose, lasciando intendere molto di più di quello che le parole dicevano.

Per Juliet quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: con tranquillità, passò di fianco ai due, andando dritta al guardaroba dove posò sul bancone la borsa e lentamente si sfilò la giacca, e la consegnò ad una delle addette che la presero in consegna. Poi riprese la borsa e si voltò verso il resto del gruppo, trovando parecchi volti stupiti, specialmente tra gli uomini: James passava il suo sguardo da Viola a Juliet e ritorno, ringraziando in quel momento che la sua ragazza non era uno spirito libero quanto la giornalista; Sebastian rivedendo quel vestito sorrise alzando un sopracciglio; Alan e Samantha la guardarono con tanto d’occhi chiedendosi dove avesse scovato una cosa simile. Ma il volto più stupito era ovviamente quello di Orlando: come Jules si era sfilata la giacca, la sua attenzione si era concentrata su di lei, e nel momento in cui si era voltata aveva deglutito a vuoto, rimanendo a occhi spalancati e bocca leggermente aperta. Aveva riconosciuto solo poco dopo il capo che portava, ricordando quella sera di anni prima in Nuova Zelanda… sapeva che mettendoselo avrebbe preso un mezzo cazziatone da lui, che non gradiva che lei indossasse cose simili, ma in quel momento l’attore non riusciva a cavarle gli occhi di dosso; la trovava dannatamente sexy e desiderabile, e per un attimo desiderò non avere attorno a sé tutta quella gente, tra i quali c’era sua sorella, per andarle incontro, stringerle un braccio attorno al fianco come una seconda cintura, e far capire al mondo che quella era la sua donna, e che chiunque si fosse avvicinato avrebbe fatto una brutta fine.

“Sono semplicemente un genio!” esclamò Sebastian soddisfatto.

“Non solo tu…” osservò Juliet, avvicinandosi a lui, alzando un sopracciglio. “Allora, che si fa, andiamo?” propose, mentre anche Viola e Samantha andavano a depositare le loro giacche.

Orlando in quel momento riprese per un attimo contatto con la realtà, spostandosi da dove si trovava, e lasciando lì la bambolina che sbuffò, non essendo riuscita nel suo intento di abbordare l’attore, che in quel momento si stava dirigendo verso il cugino.

“Così è opera tua questa…” iniziò, lievemente critico.

“Parliamo di anni fa, però era un regalo per i suoi vent’anni.” cercò di giustificarsi.

“Oh, lo so che risale a tempo fa; le avevo già vietato di usarlo una volta.”

“Questa volta ti ho fregato…” lo provocò lei, birba.

“Eccome se ti ha fregato…” osservò leggermente malizioso Sebastian, ricevendo un’occhiata piuttosto inteneritrice dal cugino. “C’è mia sorella!” esclamò a denti stretti.

“E allora?” chiese lui semplicemente. “Secondo te da qui alla fine della serata non lo capisce?” continuò.

Dopo di ché entrarono nella discoteca, dove andarono inizialmente a sedersi, ordinando un primo giro di bevute a base di birre e qualche superalcolico. Juliet si sedette accanto a Viola, per poi trovarsi accanto anche ad Orlando, che molto semplicemente le si mise accanto; Samantha e Sebastian si trovavano di fronte a loro.

Subito Juliet parlò a James di Marion, che si rese disponibilissimo ad occuparsi di lei, mentre cercava di capire lo stato d’animo della giornalista che sembrava molto tranquilla e serena, mentre parlava della gravidanza della ragazza di suo fratello; quello che avrebbe potuto far crollare una qualsiasi donna che aveva vissuto una situazione come la sua, la stava rendendo più forte, rendendola capace di vivere questa notizia come una festa.

Dopo di ché la serata prese tutt’altra piega: più volte vennero serviti alcolici a quel tavolo, rendendo tutti abbastanza brilli da fare un giro di ballo tutti insieme. Persino Viola e James, che fino a quel momento erano stati parecchio restii a darsi alle danze furono convinti. In quel momento in pista c’erano solamente loro, che si stavano scatenando, sotto gli occhi divertiti di buona parte del gruppo; Juliet, che ormai aveva fatto un giro con più o meno tutti i ragazzi del gruppo, mentre Orlando ogni volta rodeva dentro, non aveva avuto il coraggio di chiedere all’attore di buttarsi, in quanto aveva recepito che con sua sorella presente non aveva intenzione di muovere un solo dito… come se Samantha non avesse visto la faccia che aveva fatto prima quando si era tolta la giacca e quando era entrata in casa loro per cena.

“Andiamo a farci due salti, Jules?” chiese inaspettatamente lui, facendo ruotare le teste di Samantha e Sebastian che lo guardarono con tanto d’occhi, mentre Juliet lo guardava incuriosita.

“Perché no…” gli rispose, mentre lui si alzava e le allungava la mano, che lei strinse alzandosi a sua volta.

Insieme si avviarono verso la pista, in direzione di Viola e James, che continuavano a ballare, leggermente brilli; si misero accanto a loro e cominciarono a muoversi a ritmo di musica. Vedendo il maldestro modo di danzare di Orlando gli altri tre ridacchiarono divertiti, mentre lui si era fermato guardandoli leggermente infastidito; ecco perché non era molto incline ad andare a ballare. Era abbastanza incapace e non passava volta che qualcuno lo prendesse in giro, anche se solo lievemente, il ché lo infastidiva tanto da farlo desistere dal ballare; quella volta invece, stava per andarsene, quando era stato strattonato e fermato dalla mano di Jules che stringeva la sua.

La musica cambiò di colpo, e mentre le prime note di Sweet Dreams degli Eurythmics uscivano dalle casse, la giornalista gli sorrise e gli si avvicinò appoggiando una mano sul suo torace, mentre l’altra cingeva il suo fianco; per un attimo lui chiuse gli occhi a quel contatto, per poi stringerla delicatamente a sé cingendole i fianchi e muovendosi seguendo i movimenti di lei, senza rompere il contatto visivo che entrambi avevano costruito, guardando l’uno negli occhi dell’altra, mentre il ritmo della musica si faceva più incalzante e con essa i loro movimenti, i loro corpi sempre più vicini, e i loro respiri lievemente alterati. Sembrava che tutto il resto fosse ovattato; in quel momento c’erano solo loro su quella pista, mentre la musica rimbombava nelle loro orecchie, e la loro danza continuava senza tregua, mentre lei veniva fatta piroettare in quei pochi centimetri di spazio. Si aggrappò nuovamente a lui, facendo scorrere il naso lungo il suo collo, e andando a sussurrargli poche semplici parole all’orecchio “Sweet dreams are made of this…” gli disse, mentre le mani di lui le circondavano i fianchi.

A quelle parole anche i freni che Orlando si era posto si ruppero; con una mano alzò il viso di lei, facendolo arrivare quasi all’altezza del suo, abbassandosi leggermente per baciarla dimentico di tutto quello che c’era intorno a loro, di chi fosse e dei problemi che ne sarebbero conseguiti.

 

Ed eccomi qua, a ringraziare nuovamente per le recensioni delle aficionados, e scusandomi per avervi fatto attendere, ma come avevo anticipato era un capitolo da scrivere per intero, e ci si è messa pure la febbre a bloccarmi. Alla fine però l’ho finita, ed eccola pronta per voi ragazzuole.

Quindi un grandissimo grazie a bebe (ora capisci perché ti ho fatto quella domanda qualche giorno fa su quando comincia a vedersi la pancia?), eminae (guarda, sarei bravissima a perdere senza barare visto che cambio i miei piani duemila volte mentre scrivo) e LadyElizabeth (mi fa piacere che la storia ti appassioni così tanto…), e un grazie anche alle altre lettrici che non commentano ma che vedo cmq seguono. Grazie anche a rosa62 e Saori Kido Athena che mi hanno messo tra i preferiti, ed infine a coloro che hanno messo la fic tra le seguite ovvero gabrycullen, lalausonoio e Ramona37…

Bene, direi che questo è tutto, quindi non mi resta che darvi appuntamento al prox aggiornamento, che spero ci sia prima di Natale, anzi, penso proprio ci sarà prima, visto che ho già pianificato il chap! Detto ciò

Besitos a todos!

Klood

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO IX

 

 

Q

uando Orlando cominciò a risvegliarsi, tenendo ancora gli occhi chiusi sospirò; sentiva il leggero peso del corpo di Miranda su di lui e il pensiero di quella che era nuovamente successo lo fece innervosire. Non poteva continuare così; sapeva benissimo che la storia fra loro era ormai giunta al termine e che non aveva più senso andare avanti in quel modo. Non poteva, ogni volta che lei tornava a casa, cadere nella sua rete lasciandosi sopraffare dall’istinto. Doveva prendersi un periodo di totale lontananza da lei; doveva chiudere veloce come la luce quella storia e prendere armi e bagagli, imbarcandosi sul primo volo per Londra, per andare da lei. Doveva dirle tutto quello che aveva represso in tutti quegli anni, tutto quello che non aveva mai avuto il coraggio di dirle; riprendere in mano la sua carriera e avere la propria vita sotto il suo controllo. Il sogno di quella notte, con il sapore di poter riprendersi tutto quello che si era lasciato scappare in quegli ultimi due anni, lo aveva fatto sentire libero, sereno e tranquillo come non lo era da tempo.

Con questi pensieri per la testa, aprì debolmente un occhio, poi l’altro; notò subito che il soffitto non era quello della sua casa di LA… eppure era convintissimo che quella sera si fosse addormentato nella sua villa. Non fece nemmeno in tempo a guardarsi intorno per cercare di capire dove si trovava, che sentì Miranda muoversi contro di lui, e abbassò lo sguardo, nello stesso momento in cui si rese conto che uno dei seni appoggiati al suo petto non poteva essere assolutamente quello della modella; ma questa considerazione non fu seguita da alcuna domanda, visto che, non appena abbassò lo sguardo, Orlando si trovò davanti agli occhi il volto addormentato di Juliet, con la testa appoggiata al suo torace, mentre una mano era posata accanto ad esso. Il suo viso era disteso e sorridente come se trovarsi tra le braccia di lui fosse l’unico posto in cui avrebbe potuto stare… l’unico rifugio sicuro.

Orlando, dapprima stupito da quella piacevolissima scoperta, ripercorse subito quello che era accaduto la sera prima, dove pensava che il sogno -che sogno alla fine non era- si fosse concluso.

Ovviamente quando erano tornati al tavolo, Sam aveva guardato Juliet con un sorriso leggermente indagatorio, poi aveva bevuto un po’ della sua birra.

“Quando sei libera?” le aveva chiesto, pacata. “Per pranzo, intendo…”

“Perché?” chiese lei, non lasciando la mano di Orlando, che però continuava a tenere sotto il tavolo.

“Beh, anche se sei tu, mia madre comunque penso vorrà parlarti per capire che intenzioni hai con mio fratello…” osservò, alzando un sopracciglio.

Orlando spalancò gli occhi e Juliet arrossì lievemente, abbassando lo sguardo.

È tutta sera che lei ci prova e la laparoscopia di pochi secondi fa non era di certo discreta…” rispose Samantha al fratello che l’aveva guardata leggermente perplesso. “Comunque sempre meglio lei dell’ultima…” aveva infine sorriso.

Per il resto della serata i due non si erano lasciati più andare troppo, anche se di tanto in tanto si lanciavano qualche occhiata complice, flirtando e provocandosi come sempre erano soliti fare; sembrava che fossero i soliti, solo di tanto in tanto uno dei due cercava un contatto, attraverso una stretta di mano o un bacio semplice lasciato sulla spalla di lei o sul collo di lui, per cui Juliet aveva scoperto di andare matta, ripromettendosi di dirglielo, anche se avrebbe comportato una notevole reazione da parte di Orlando, che di sicuro si sarebbe pavoneggiato per una buon quarto d’ora…se non di più…

Alle 3 avevano finalmente deciso di tornarsene a casa tutti quanti, così dopo essersi salutati, ognuno aveva preso la sua strada. Orlando e Jules, essendo venuti con la macchina di lei, si avviarono insieme verso l’auto.

“Ti andrebbe di venire da me?” le chiese lui, di getto, dandosi subito dopo del cretino per averlo fatto.

La risposta di Juliet arrivò distratta, come se a lei non importasse poi molto quello che stava succedendo loro: annuì semplicemente, mentre guidava tranquilla in direzione della nuova casa di Orlando, che aveva comprato dal loro vecchio professore. Quando giunsero a destinazione, la giornalista parcheggiò di fronte all’abitazione, rimanendo seduta sull’auto anche quando aveva ormai spento il motore. In realtà aveva semplicemente paura di quello che sarebbe potuto succedere: si rendeva benissimo conto che quella che stava accadendo loro era la normale conseguenza di ciò che provavano l’una per l’altro, ma dall’altra parte temeva -come anche Orlando, nonostante lei non lo sapesse- che una volta fosse finito tutto, non sarebbe rimasto più nulla, e anche la loro amicizia si sarebbe tramutata in cene, incapace di ardere nuovamente.

Orlando stava per scendere dal veicolo, quando si rese conto dello stato di Juliet, ferma immobile e con lo sguardo fisso nel vuoto davanti a sé. Così, intuendo forse le ragioni delle sue condizioni, intrecciò la sua mano con quella di lei, sorridendole non appena ella si voltò guardandolo interrogativa.

“Jules, se non te la senti…” iniziò, prima di essere messo a tacere dalle labbra della giornalista che premevano delicate sulle sue.

“Ora capisco perché tutte ti vogliono ma alla fine ti mollano… non fai altro che blaterare…” lo provocò, prima di scendere, avviandosi verso la villa. Con agilità ne scavalcò il cancello, atterrando all’interno del giardino.

Aveva appena raggiunto la porta, e stava per voltarsi in attesa dell’attore, quando lui l’attirò a sé, imprigionandola tra lui e la porta. Appoggiò entrambe le mani su di essa, aprendola con la destra e facendovi entrare Juliet, che prima di poter anche solo pensare a come scappare, si trovò nuovamente imprigionata, questa volta tra le braccia di Orlando, le cui mani avevano già gettato la giacca di lei a terra.

“Te l’ho detto che giocare con il fuoco non è saggio.” le disse, prima di lasciarle uno studiato, lento e languido bacio sul collo, liberandola subito dopo dalla presa, rimanendo comunque fermo davanti a lei.

Jules riaprì gli occhi, mentre il cuore le batteva all’impazzata, senza la minima intenzione di voler smettere; da anni non provava una sensazione così forte. Dopo Christian c’erano stati altri ragazzi, ma nessuno le aveva più scatenato niente di simile, e forse nemmeno l’editore era stato in grado di farle provare dei sentimenti così forti fin da subito.

Si guardarono negli occhi per qualche istante, prima di avvicinare nuovamente i loro visi, unendo le loro labbra in un bacio carico di tutta l’attrazione e il sentimento che provavano l’uno per l’altra; in quel momento non c’era più nulla, nessun ostacolo o problema di alcun genere. Erano crollati i dubbi e le barriere con una naturalezza tale che nessuno dei due si era accorto di aver attraversato il corridoio e raggiunto le scale, dove Orlando la prese in braccio, facendola ridere divertita.

“Ecco cosa mi succede quando faccio il cavaliere nella vita reale…” osservò fintamente offeso.

Per tutta risposta Juliet gli baciò il collo dolcemente continuando a sorridergli. “È deformazione professionale la mia. In realtà la giornalista è una copertura.”

“E quale sarebbe la tua reale professione?” le chiese, mentre ormai era arrivato in cima alle scale, senza però dare segno di volerla posare a terra.

“Sono un’esperta in Bloomologia; ormai mi posso definire la numero 1 nel settore…” gli spiegò, compenetrata nel suo ruolo, facendolo sorridere, mentre inarcava un sopracciglio.

“Ah, davvero?” chiese, guardandola scettico. “Quindi sarai di sicuro in grado di dirmi cosa succederà…”

“Veramente sto andando alla scoperta… e sono proprio curiosa di vedere dove vado a parare…” gli rispose, per poi lanciare un’occhiata verso il pavimento, facendo sì che l’attore la posasse a terra, dove lei gli prese la mano. Poi cominciò ad aprire la porta che si trovava davanti alle scale: come entrò si trovò in una stanza buia, ed accendendo la luce sorrise in un misto tra il divertito e il critico. Davanti a lei c’erano diverse mensole, alcune piene di quadernoni le cui scritte a mano facevano presupporre la presenza all’interno dei vari copioni a cui aveva partecipato, mentre dall’altra c’erano quelli che aveva rifiutato o solo letto. Sotto la prima mensola ve n’era un’altra, piena di videocassette e dvd. Alle pareti campeggiavano alcuni poster oltre ad alcuni costumi di scena e foto, che raffiguravano soprattutto la sua esperienza in Nuova Zelanda, oltre ad alcuni eventi che avevano lasciato un segno nella sua carriera e nella sua vita, come ad esempio la prima foto con Sidi, vestito con il costume di Balian, o una foto con il costume da Legolas a cavallo davanti a Brett Beatie, controfigura di John Rhys-Davies.

Proprio davanti a lei, Jules vide una mensola, piena di strani oggetti, disposti tutti in fila, come se fossero qualcosa di estremamente sacro: tra di essi c’era una collana con un pezzo di vetro scuro levigato in maniera esemplare; un anello al cui centro era incastonata una pietra verde smeraldo; un arco finemente decorato; alcuni pezzi di artiglieria,…

“Sempre il solito egocentrico…” osservò lei. “Ti sei pure fatto una collezione privata. La lascerai al British quando passerai a miglior vita?”

Lui le si avvicinò. “Spiritosa… sono ricordi, nulla più.” concluse, posandole una mano su un fianco e osservando quella mensola per l’ennesima volta dopo che l’aveva creata.

“Questa è l’unica parte che parla di tutto… a parte le foto ovviamente.” disse lei, per poi sorridere, “Ma non sono qui per questo…” e detto ciò riprese la mano di Orlando, trascinandolo fuori dalla stanza, e riprendendo la sua ricerca. Aprì un paio di porte, accendendone le luci, per poi spegnerle un attimo dopo e procedere a quella successiva, non trovando quello che cercava.

“Hai bisogno di una mano?” le chiese lui, non capendo che stava cercando, prima che lei aprisse la quarta porta e accendesse la luce.

Quello che vide sembrò soddisfarla, visto che vi entrò sorridendo; era una stanza da letto. L’arredamento era moderno e minimal: alla sua destra un letto matrimoniale, davanti a cui c’era un comò di legno scuro sopra a cui capeggiava uno specchio; sopra al comò una pianta rampicante verde, ancora giovane, accanto ad alcune foto che lo ritraevano assieme alla famiglia. Nella parete di fronte alla giornalista si facevano spazio delle ante scure, che aperte portavano al guardaroba; tra la fine di quella parete e quella alla sua sinistra (dove c’era il comò) un piccolo passaggio portava ad una porta finestra che dava sul terrazzo.

Orlando seguiva con lo sguardo la ragazza, osservandola spostarsi in quella stanza che aveva personalmente arredato, come del resto tutto il resto della casa, attraverso i ricordi che da quando era tornato in patria si facevano sempre più nitidi e sicuri. Sorrise quando lei tornò verso di lui, accarezzandogli una guancia.

“È lei; semplicemente quella che avevamo deciso che fosse…” disse, “e sa decisamente di te.” concluse, prima di tornare sulle sue labbra, assaporandole come fossero un frutto gustoso e fresco, mentre le sue mani, andarono ad intrufolarsi sotto la camicia bianca, che lui aveva lasciato leggermente sbottonata in alto; con i polpastrelli gli accarezzò i fianchi, indugiando per un attimo nella posizione in cui sapeva esserci il tatuaggio, gesto che portò Orlando ad intensificare quel bacio, iniziando ad accarezzare la schiena della donna con crescente desiderio.

Pochi attimi e la camicia di lui finì da qualche parte nella stanza; per un attimo i due si fermarono, guardandosi dritti negli occhi, come a voler leggere i pensieri e le paure dell’altro. Poi Orlando con delicatezza, fece risalire le sue mani lungo la schiena, andando a liberare con estrema lentezza il busto di Jules dal vestito che le ricadde sulla vita, fermato dalla cintura. La osservò per qualche attimo, prima di riprendere a baciarle il collo, mentre la trascinava con sé verso il letto, dove atterrarono con un sorriso. Ben presto si ritrovarono pelle contro pelle, senza ormai più barriere a dividerli, abbracciati l’uno all’altro, mentre la stanza si riempiva delle loro sensazioni e dei loro respiri, e l’amore li univa come un vortice musicale, talmente armonico da poterne produrre una dolce melodia che li avvolse per tutta la notte, tra le coperte di quel letto che li aveva visti dolci ed appassionati amanti per quella che sembrava essere una notte infinta, mentre i raggi della luna illuminavano debolmente la stanza.

Ancora col fiato corto, continuarono ad osservarsi, in silenzio, lasciando di tanto in tanto un bacio sulla pelle dell’altro, mentre le loro mani non smettevano di coccolarsi vicendevolmente, almeno finché lui non si addormentò accoccolato a lei, che sorridendo, gli si strinse contro, abbracciandolo ed inspirando il suo odore, prima di cadere a sua volta prigioniera di Morfeo.

Orlando stava ancora osservando Juliet dormire tra le sue braccia, e non poteva fare a meno di sorridere al pensiero di quello che da lì in poi sarebbe successo; questa volta aveva intenzione di fare le cose sul serio. Sapeva benissimo che non sarebbe stato facile, perché i loro caratteri rimanevano comunque abbastanza diversi, nonostante si somigliassero per certi versi; inoltre il lavoro di lui non aiutava il suo desiderio, che sapeva essere condiviso anche da Juliet, di mantenere questa situazione il più nascosto possibile, specialmente alla stampa che chissà quali idiozie avrebbe potuto inventarsi pur di distruggere psicologicamente la giornalista, che avrebbe rischiato di perdere anche il lavoro. Mentre era perso in quei pensieri, Jules si mosse nuovamente nel sonno, stringendosi maggiormente all’attore, che sorrise, per poi iniziare a darle alcuni piccoli baci sulla spalla, continuando lungo il collo, in modo da svegliarla nella maniera meno indolore possibile.

Juliet inizialmente storse lievemente la bocca, svegliandosi con la strana sensazione di trovarsi in uno strano posto; poi sentì le labbra di Orlando, che riconobbe come se fossero le uniche che avesse mai sentito sopra la sua pelle, che le assaporavano delicatamente la pelle poco sotto l’orecchio. Così sorrise, ed aprendo gli occhi, alzò il volto verso di lui, che non appena la vide le destinò un meraviglioso sorriso.

“Buongiorno.” lo salutò, prima di fare un timido sbadiglio, allungandosi per dargli un bacio sulle labbra, gesto che fece gongolare Orlando come un bambino che si trova sotto l’albero il regalo che desidera per Natale. “Che ore sono?”

“Le 9.” le rispose con un sorriso. “E io fra un’ora devo essere perfettamente pronto per un photoshoot.”

Jules lo osservò, e vederlo nuovamente con gli occhi leggermente abbottonati dal sonno, i capelli sparati in aria come se gli fosse scoppiata una bomba in testa, cosa che lo faceva assomigliare parecchio a Sidi appena uscito da un bagno (nonostante Orlando fosse asciuttissimo), la fece sentire leggera e si beò di quella visione per qualche attimo, prima di rispondergli.

“Perfettamente pronto non lo sarai mai, a meno che tu prima non abbia una visita con un chirurgo plastico.”

Per tutta risposta, Orlando le fece una linguaccia con i controfiocchi, trasformando il suo viso in una maniera talmente buffa che Juliet non potè non ridacchiare.

“Questa notte mi sembrava che apprezzassi.” le fece notare, con la sua irrimediabile faccia da schiaffi.

Jules roteò gli occhi, critica: ci avrebbe scommesso che lui avrebbe subito tirato fuori quella frase; era qualcosa di tipica di ogni maschio, se per giunta ci si aggiungeva l’abbondante dose di egocentrismo di Orlando, beh, la sua uscita diventava più che prevedibile.

“Come sei prevedibile…” gli rispose, quindi, prima di sgattaiolare fuori dal suo abbraccio, voltandosi in procinto di alzarsi da quel letto. Infondo, nonostante un poco se lo aspettasse, la giornalista non aveva molto apprezzato l’uscita dell’attore, e immediatamente i dubbi erano tornati tali da farla scattare in posizione di difesa.

Lui, rendendosi conto della sua reazione, la guardò stranito, per poi fermarla bloccandole un braccio, stringendolo con la mano. “Che è successo? Mi spieghi cosa c’è?” le chiese, mentre stava iniziando ad innervosirsi.

“Non te ne rendi nemmeno conto di come ti comporti? Non sei il centro del mondo, Orlando, men che meno del mio…”

“Ma si può sapere che ti prende? Stavo scherzando, lo sai…”

“Beh, io mi sono stancata di scherzare. Possibile che tutto quello che fai si debba ridurre a dire cazzate? Non hai più vent’anni, ma 32! Cresci una buona volta!” esclamò lei, liberando il braccio dalla presa di lui, e alzandosi raccolse alcuni indumenti, che si rimise alla velocità della luce, prima di sparire al di là della porta, fuori dalla stanza.

Orlando si infilò i boxer alla svelta, correndo poi fuori dalla camera, per andare verso Jules, che sembrava avere tutta l’intenzione di voler andarsene; quando la raggiunse, la trovò ferma nell’ingresso, al telefono con il suo capo, o almeno così sembrava dal tono che aveva assunto non solo vocale, ma anche fisico. Sembrava che quell’abito sminuisse la figura assolutamente composta e fredda che ora si stagliava davanti ai suoi occhi.

“Certo… arrivo subito. Non preoccuparti… dammi solo il tempo di vestirmi e arrivo in ufficio.” concluse, chiudendo la chiamata e voltandosi verso l’attore.

“Non ho tempo per stare qui a litigare; il mio capo mi vuole in ufficio, e stasera devo presenziare ad un party della redazione… alla faccia del giorno libero che dovevo avere.” commentò, amaramente. “Quindi lascia perdere tutto; cancella quello che è successo dalla tua mente e ricominciamo dall’altra sera a casa mia.” disse, mentre recuperava la borsa e la giacca.

Orlando non poteva credere alle sue orecchie: non poteva essere vero. In quel momento sperava ardentemente di essere nel suo letto, addormentato, ma ben presto di rese conto di star vivendo la realtà, e se non avesse fatto qualcosa Jules sarebbe uscita dalla porta di casa sua, portandosi via quella notte, e lui non poteva assolutamente permetterlo. Senza che potesse prevedere alcunché, la giornalista fu attirata contro il corpo dell’attore, che la bloccò stringendola a sé, non mollando la presa nemmeno per un attimo.

“Non puoi farlo… non puoi sparire così.” le disse, accorato.

“Non sto sparendo,” si difese lei, “sto andando al lavoro.”

“Stai scappando per paura…” le rispose lui, prima di metterle una ciocca dietro l’orecchio e abbassare il suo viso per baciarla sulle labbra; inizialmente fu solo un lieve sfioramento, poi passò con la punta della lingua sopra le labbra di lei, facendole schiudere e approfondendo così maggiormente quel bacio, che la coinvolse molto più di quanto lei stessa avrebbe voluto. Orlando sembrava sapere esattamente come farla crollare e come baciarla, cosa di cui Juliet se ne rese ben presto conto, quando si trovò nuovamente nella stanza di lui, senza che nemmeno se ne fosse resa conto.

“Orlando… ti prego…” sussurrò, con il fiato ormai corto, tra un bacio e l’altro.

In risposta lui si staccò controvoglia, guardandola con gli occhi lucidi, per il desiderio che aveva di lei; non l’avrebbe lasciata andare per nessun motivo in quel momento, ma quelle sue parole lo fecero fermare per qualche attimo, in preda alle domande che ancora non si era voluto porre. Aveva attribuito l’uscita di Jules ad un momento di rabbia nei suoi confronti, e si era intestardito su questa convinzione: ora invece stava cominciando a chiedersi se quella reazione provenisse da qualche altra parte, se lei credeva veramente in quelle parole tanto da voler chiudere definitivamente quel capitolo, cancellando l’episodio con un colpo di spugna… e questa alternativa lo stava consumando di dubbi e di paura.

Abbassò lo sguardo, mesto, per poi recuperare quel poco di dignità tale da fargli alzare la testa e sorriderle in modo tirato. “Hai ragione… devi andare…” disse solo, cercando di apparire tranquillo, ma Juliet vide nei suoi occhi quello che lui stava cercando di nascondere con una frase. Gli accarezzò una guancia e lo guardò dritta negli occhi.

“Starei qui anche per una vita intera con te.” Iniziò, a fatica. “E stanotte sei stato semplicemente magnifico, però… ho paura.” confessò infine. “Ti prego, cerca di capirmi: scompari per 6 anni e non appena torni sembra che tutto sia tornato indietro nel tempo. Mi sono rivista com’ero a 14 anni e mi sono resa conto che quella cotta non mi era mai passata, nemmeno per un secondo e…” provò a continuare, fermata dalle labbra di Orlando che per l’ennesima volta premettero sulle sue.

“Non m’importa.” gli rispose, stazzandosi da lei. “Lo so che posso sembrare l’ultima persona adatta per fare una cosa simile, ma ti prometto che non ho intenzione di fare il coglione un’ennesima volta.” le disse. “Non posso permettermi di rovinare l’unica cosa bella che mi è stata data in una vita intera; e non lo farò… ho troppa paura di perderla…” concluse, con un sorriso, spiazzando Juliet a tal punto, che lo guardò con gli occhi spalancati, prima di gettargli le braccia al collo e stringerlo a sé, abbracciandolo stretta.

“Scusami, sono una stupida e una sciocca.” sussurrò, nascosta contro il petto di lui, che sorrise, cingendole la schiena delicatamente.

“Non fa niente, Jules. Io non avrei dovuto fare il deficiente di prima mattina…” si scusò a sua volta.

“Ma tu sei deficiente 24 ore su 24!” protestò lei. “Io mica posso aspettarmi il principe azzurro…” commentò, quasi autofustigandosi.

“Ti ci riabituerai, te lo assicuro; ho intenzione di starti particolarmente appiccicato, specialmente ora…” le confessò.

“Sei il solito Don Giovanni in carenza d’affetto.” lo sfotté allegramente, dandogli poi un ennesimo bacio sul collo. “Basta, ora, devo staccarmi da te altrimenti non vado più via! Devo anche passare da casa a cambiarmi.” sentenziò, decisa.

“Ti presto io qualcosa di Sam… e ora andiamo a farci una doccia, perché ne abbiamo bisogno entrambi. Tu non puoi presentarti in redazione tutta sudata, ed io devo essere bello profumato per il photoshoot… e voglio le coccole…” concluse, usando la voce di un bimbo.

A quell’ultima frase Jules rise di gusto, in maniera talmente cristallina che ad Orlando sembrò illuminare per qualche secondo la stanza di una nuova luce.

“E doccia sia…” diede lei il benestare, e di nuovo gli baciò l’attaccatura del collo, per poi ridacchiare. “Ora non tirartela, ma mi fa sbarellare il tuo collo.” gli confessò.

“Vedo, vedo…” osservò lui, trascinandola verso il bagno. “E comunque io faccio TUTTO sbarellare.” concluse, con un sorriso, prima di sparire in una stanza, dove recuperò una tuta di Sam, mentre Juliet si spogliava ed entrava nella doccia, dove fu raggiunta poco dopo anche da Orlando. Vi restarono dentro una decina di minuti, dedicandosi l’uno all’altra con estrema dedizione, tra coccole e giochi, schizzandosi a vicenda come due bambini piccoli.

Usciti da lì, Orlando avvolse la ragazza in un accappatoio, mentre lui si cinse solamente un asciugamano in vita, cosa che la giornalista notò subito.

“Tiratela meno, Bloom; guarda che ti mollo all’istante.” lo minacciò.

“Ah, perché, stiamo insieme?” chiese, fintamente ignaro, mentre Jules si avvicinava a lui.

“Ovvio, e vedi di rigare dritto altrimenti ti taglio i viveri…” sentenziò, minacciosa, per poi baciarlo appassionatamente e scappare via nella camera dove si rivestì, legandosi i capelli in una coda alta.

Orlando, rimasto imbambolato per un attimo dal bacio, si riprese alla minaccia, seguendola stancamente verso la stanza, dove si appoggiò allo stipite della porta che collegava le due stanze, intento ad osservarla mentre si rivestiva. Si sentiva estremamente leggero e sereno, pronto ad affrontare qualunque ostacolo gli si parasse davanti quel giorno.

Quando fu pronta, la giornalista si voltò verso di lui sorridendogli. “Bene, io scappo, altrimenti il mio capo mi fa lo scalpo.” disse, andandogli incontro. “Tu fai il bravo e non strapazzarti.” si raccomandò, materna.

“Tu invece fai la brava alla festa, e vedi di non andare a rimorchio, perché hai un ragazzo estremamente geloso.”

Ah, perché, stiamo insieme?” chiese, imitandolo.

In risposta ricevette una linguaccia. “Poi sono io il bambino…” commentò lui, per poi tornare serio. “Ti aspetto, sappilo.”

“Cosa?”

“Dai, vieni qui…” la implorò, facendo il labbrino.

“Ma cosa ho fatto di male io per non riuscire a liberarmi dei Bloom?” chiese lei, alzando gli occhi al cielo. Dopo di ché gli diede un veloce bacio sulle labbra. “Vedo che riesco a fare… e se non finisco all’alba.” gli promise, “Ci sentiamo appena posso…” e dettò ciò lo salutò con un altro bacio e scappò via, uscendo di casa a tutta birra.

Entrò in macchina e gettata borsa e giacca nel sedile accanto a lei, infilò le chiavi nel quadro e ingranata la marcia, partì alla volta della redazione, parcheggiando poco lontano dall’ufficio, verso cui si precipitò, entrandovi con foga; prese l’ascensore, e scese al quarto piano, mentre di tanto in tanto qualche collega la salutava, scrutandone lo strano abbigliamento con occhi leggermente critici.

Dopo aver percorso un paio di lunghi corridoi, abbastanza di fretta, raggiunse lo studio del suo capo, salutando con un radioso sorriso la sua segretaria, che le sorrise a sua volta in maniera particolarmente tirata, cosa di cui però Juliet non si curò, non prima di aver aperto la porta, dove trovò non solo il suo capo, Sarah McMiller, seduta alla sua solita sedia di pelle nera, ma anche una ragazza, seduta dall’altra parte della scrivania. Portava un mini abitino a righe colorate che terminava a metà coscia; i capelli castani chiari le ricadevano lisci lungo le spalle e non appena si voltò, la giornalista capì di trovarsi in una situazione non proprio semplice. Davanti a lei, a separarla dalla scrivania del suo capo, gli occhi di Miranda Kerr la stavano osservando.

 

Ed eccomi qua! Chiedo umilmente perdono per non avervi finito il capitolo per la vigilia, ma oltre ai vari impegni causa feste natalizie che tutti abbiamo, la storia aveva improvvisamente preso due strade, e l’autore (alias me) si è trovata in un profondo dubbio amletico, trovandosi così a scrivere due capitoli allo stesso momento, prediligendo a volte uno e a volte l’altro (che alla fine è rimasto a metà, nonostante sia più che intenzionata a finirlo, appena potrò). Alla fine questo è il risultato e spero gradiate vivamente.

Come al solito mi premuro di ringraziare le mie lettrici che recensiscono:

Lady Elizabeth: sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto e che continui ad appassionarti.

Bebe: tesoro, datti pazienza e te lo dirò cosa succede dopo il bacio, mica posso scrivere dei capitoli lunghi 20 pagine, altrimenti non ve li posto più e ci mettete ore e ore a leggerli….

Eminae: baro… no, non baro… alla fine non so nemmeno io cosa succederà -vedi il doppio nono capitolo-, ed anche in questo capitolo ci sono cose che inizialmente non erano previste ed altre che ho dovuto eliminare… quindi boh, alla fine non so se lo si può chiamare barare o andare ad istinto…

Grazie anche alle lettrici silenti che sembrano seguire… detto ciò vi saluto, augurandovi un buon week-end, oltre ad un buon anno, anche se fortemente in ritardo. Ci vediamo al prox aggiornamento!

Besos,

Klood

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