Le Tre Verità

di N92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Luci, Ombre, e Verità ***
Capitolo 2: *** Una Vita Quasi Tranquilla ***
Capitolo 3: *** Caccia Notturna ***



Capitolo 1
*** Luci, Ombre, e Verità ***


Prologo

 

Luci, Ombre e Verità

 

 

 

Non dare mai niente all’Ombra,

Poiché lei è Male,

E il Male prende sempre senza restituire”

 

Detto Popolare dei Soletramonto

 

 

 

 

«Senti Nonno, perché il mondo è diviso?» chiese il Nipote.

Il Nonno, che stava fissando le fiamme guizzare in cerca di gloria contro il buio della sera, posò lo sguardo sul Bambino seduto al suo fianco sopra un vecchio ceppo. Gli sorrise.

«E’ davvero un’ottima domanda Figliolo» commentò dolcemente, «ma non sei un po' troppo piccolo ancora per preoccuparti di certe cose?»

Il Nipote scosse il capo energicamente «Ho nove anni ormai Nonno, non sono più un bambino!» affermò con fierezza, poi continuò: «Ieri sera ho sentito papà e mamma che ne parlavano con i loro amici sai?»

«Ah si?» chiese il Nonno fingendo stupore. Il Nipote annuì «Però erano tristi» continuò abbassando gli occhi, «papà stava dicendo che le persone sono divise e… ehm… che… che gli Ideali Assoluti non vengono condivisi... si, ha detto così» concluse con decisione, «ma io non so cosa vuol dire. Però poi ho pensato che tu lo potevi sapere Nonno, perché sei più grande di Mamma e Papà e sai più cose». Il volto gli si illuminò, sicuro che il Nonno conoscesse la risposta.

Il Vecchio invece si concentrò sui due pesci che cuocevano sulla brace guadagnandosi un’occhiata delusa dal Nipote che attendeva impaziente che cominciasse a parlare. Dopo un’attenta osservazione concluse che necessitavano ancora di qualche minuto per essere pronti. Lo riusciva a capire dalla quantità di vapore bianco che emettevano. Poggiati su una base di bastoni intrecciati fra loro poco sopra dei carboni incandescenti, erano avvolti in delle grandi foglie verdi, per evitare che la carne e la pelle si bruciassero a contatto col calore. Li avevano pescati quel pomeriggio in un torrente nelle vicinanze della radura dove si erano ora accampati per la notte, e il Nipote aveva insistito affinché il Nonno gli insegnasse come fare per prepararli a dovere alla cottura. Allora il Nonno glielo aveva spiegato ed era stato bellissimo. Insegnare ai nipoti dava un senso nuovo alla sua vita ormai poco più che vuota.

Ora era arrivata la sera, e il Nonno era felice per poter condividere con il suo nipotino una tranquilla cena a base di pesce arrosto.

Ad un certo punto, dopo aver girato il fagotto per far cuocere la parte che era stata rivolta fino a quel momento verso l’alto, il Nonno alzò la mano sinistra, callosa per il grande uso che ne aveva fatto nel corso della vita, verso l’abbraccio caldo del fuocherello.

«Vedi li?» chiese indicando con l’altra mano un punto poco dietro a loro sul terreno erboso. Il Bambino annui.

«Che cosa vedi?» Il Nipote aggrottò la piccola fronte illuminata dalle fiamme.

«Vedo l’Ombra della tua mano Nonno» rispose, osservando nel punto indicato dall’uomo la debole sagoma nera che occupava una piccola porzione di terra.

«Giusto! Ora immagina che questa sia tutto il mondo» disse il Nonno facendo ballare le dita della mano alzata in ogni direzione.

«Da una parte c’è la Luce, che corre fino a fermarsi, quando si infrange sulla pelle. Vedi? Dall’altra si crea l’Ombra, che viene proiettata andando poi a finire nel terreno. Guarda, nessuna delle due si mischia con l’altra. Luce e Ombra sono due facce della stessa medaglia completamente opposte fra loro, tuttavia l’una non può esistere senza l’altra. Dove c’è la luce, debole o forte che sia, da qualche altra parte c’è anche l’Ombra».

«Non capisco Nonno, e questo che cosa c’entra con il fatto che il mondo è diviso?» chiese il nipote.

Il Nonno ritrasse la mano e guardò con un sorriso la faccia confusa del Bambino.

«Potremmo dire che la Luce e l’Ombra sono tutte le persone con le proprie idee e opinioni. Alcuni vedono l’esistenza in un modo, e con le loro esperienze, belle e brutte che siano, arrivano a delle conclusioni. Quelle conclusioni, che diventano essenziali per la vita di queste persone vengono, chiamate Verità Assolute. Ma altri arriveranno a delle Verità Assolute differenti, e questo cambierà il loro modo di fare le cose e di pensare rispetto ai primi. E purtroppo è proprio la differenza fra Verità Assolute che porta le persone alla divisione. Ma capisco che è un concetto difficile Figliolo, è normale se non lo capisci.»

Il Nipote invece aveva capito molto bene, e tutto quello che ne conseguì fu una faccia sofferente, che quasi oscurò la luce calda del fuoco che la stava accarezzando.

«Quindi... il mondo non potrà mai essere unito?» domandò guardando il Nonno negli occhi.

«Non lo so questo Figliolo» rispose il Nonno ricambiando lo sguardo, «capirai, col tempo, che il mondo è uno strano posto. Ma tu non preoccuparti, pensa solo a vivere felice e cercare di costruire le tue Verità Assolute nel modo migliore possibile. Trova qualcuno che le condivida, le apprezzi e le ami come fai tu, e vedrai che la tua vita sarà meravigliosa». Gli arruffò i capelli con dolcezza e il Nipote gli sorrise di rimando.

«Bada bene però...» continuò sollevando l’indice, «che la Verità Assoluta non è una semplice idea o convinzione, ma qualcosa di molto più profondo, che non se ne va. Rimane legato per sempre all’anima della persona, ne guida le azioni, ne determina gli errori o le scelte giuste, e sta solo, e soltanto a noi decidere che Verità Assoluta vogliamo onorare, quando arriva il momento».

Il Nipote rimase meravigliato. Non aveva mai sentito di queste “Verità Assolute”, ma gli piaceva l’idea e voleva saperne di più. Pensava fosse una cosa degna di uno di quegli eroi leggendari che venivano raccontati nelle storie.

«Quindi ne avrò alcune anche io, Nonno?» chiese tutto eccitato. Il Nonno rimase in silenzio per qualche attimo, contemplando sulla risposta che avrebbe dovuto dargli. Lui sapeva. Sapeva tutto, ma non c’era bisogno che sapesse anche il Bambino, non ancora almeno.

«Si Figliolo. Tutti prima o poi ne riceviamo una, e sono sicuro che la tua sarà bellissima, perché sei un bravo bambino, e io sono fiero di te».

Il sorriso del Nipote si allargò e il Nonno ne ammirò la grande purezza. Questo era ciò che gli piaceva dei bambini: la purezza nell'esprimere le emozioni, nel meravigliarsi delle cose, nel viverle sempre al massimo dell'intensità.

«Nonno, cos’è quest’odore?» domandò il Nipote annusando l’aria all’improvviso.

«Maledizione!» imprecò il Vecchio girandosi per guardare il fagotto. Si operò immediatamente per toglierlo dalla brace. Poco dopo Il Bambino e il Nipote osservarono con aria delusa la carne bruciata. Avevano adagiato i pesci tutti abbrustoliti sul terreno soffice, spogliati della protezione di foglie che era ormai piena di fori contornati di nero.

«Scusa Figliolo, mi sono distratto solo un momento…» cominciò a dire Nonno...

«Non preoccuparti Nonno» l’interruppe il Nipote con allegria, «la mamma dice sempre che sei un po' sbadato, e ha preparato qualcosa da mangiare semmai non fossimo riusciti a pescare niente». Tirò fuori da una bisaccia del pane e della frutta. «Scusa, ma mi ha fatto promettere di non dirti niente, perché sapeva che ti saresti arrabbiato».

«Arrabbiato?» fece eco il Nonno, «no, anzi fortuna che tua madre mi conosce così bene» concluse ridendo. La ringraziò in silenzio, per aver permesso al Bambino di poter mettere qualcosa sotto i denti, e maledì se stesso per essere stato così poco attento.

Il Nipote divise la cena col Nonno, che ne fu molto felice. Parlarono e risero per tutta la sera, con il Vecchio che gli raccontò tante storie di quando era giovane. Fu un momento perfetto, e alla fine il Bambino crollò sfinito. Il Nonno allora preparò un giaciglio con alcune foglie e rametti che aveva raccolto in precedenza, e ce lo adagiò delicatamente, notando la difficoltà del Nipote a tenere gli occhi aperti.

«Sai Nonno?» esordì all’improvviso il Nipote quasi in dormiveglia, «ho deciso: unirò il mondo con le mie Verità Assolute, così la Luce e l’Ombra potranno finalmente incontrarsi e Papà a Mamma non saranno più tristi». Quell’affermazione colpì il Nonno forte come un pugno sullo stomaco. Sgranò gli occhi e lacrime cominciarono a sgorgargli copiose dagli occhi.

«ne sono sicuro Nyterian, ne sono sicuro! Sei un bravo bambino!»

«Nonno te l’ho già detto, non sono un bamb...» la frase gli morì in gola e finalmente si addormentò.

Il Nonno lo strinse forte per qualche momento ancora con le lacrime che scendevano dalle guance rugose.

Poi lo lasciò al suo sonno.

 

 

 

 

 

 

Non guardare mai la Luce direttamente,

Perché ti accecherà,

Alimentata dalla tua fiducia

E dalla sua superbia”

 

Detto Popolare dei Buiocrepuscolo

 

 

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Capitolo 2
*** Una Vita Quasi Tranquilla ***


1

 

 

Una Vita Quasi Tranquilla

 

 

 

Ovrien stazionava silenzioso sotto un grande albero di melo. Levò lo sguardo sulle diramazioni che partivano dall’enorme tronco proprio di fronte a lui e ne ammirò gli splendidi dettagli. Alla luce di quella limpida giornata di sole, le ramature, di un bel color marrone scuro, correvano sul legno moltiplicandosi ogni volta che incrociavano un nuovo ramo. E ce n’erano tanti di rami, e ognuno di questi era pieno di grandi foglie dalla forma ellittica verde brillante. La pianta era molto alta, ed aveva grosse radici che perforavano il terreno in profondità, ma la cosa che stupiva Ovrien ogni volta che la ammirava erano i suoi frutti: le mele che produceva erano enormi, grandi quasi come la testa di un uomo, ed erano di un rosso talmente vivo che pareva qualcuno ci avesse sanguinato sopra.

Il ragazzo tuttavia non era qui per raccogliere mele, infatti chiuse gli occhi e sfilò lentamente con la mano destra la grande spada di legno che teneva inguainata sul fianco opposto. L’arma scivolò via lamentandosi, mentre sfregava contro il fodero nero, anch’esso in legno, saldamente ancorato alle brache marrone scuro. La spada, interamente in legno di quercia, perfetto sia per durezza che per peso, era un cielo color arancione rossiccio, con nuvolette più chiare che ne chiazzavano la superficie. Dalla base, fin alla punta smussata, era piena di graffi e intaccature, ma faceva ancora bene il suo lavoro. L’elsa era equipaggiata con una piccola guardia crociata quasi invisibile e un pomolo sferico liscio. L’impugnatura, levigata con cura, aveva dei dislivelli che riprendevano la forma delle dita per avere una presa migliore e per evitare alla mano di scivolare. Quando infine anche la punta deteriorata uscì dal fodero, Ovrien tese il braccio armato perpendicolare al corpo, con la lama che ne seguiva la direzione, e rimase silenziosamente in attesa del segnale: vento.

Era il segnale.

Si concentrò profondamente su quello che lo circondava, annusando, udendo, ragionando, giudicando. I profumi erano vergini in quella parte dell’altopiano, ed erano forti, come fossero amplificati. Lui li analizzò, riconoscendone la provenienza: fiori di diversi tipi, erba fresca, odore di selvaggina, e naturalmente mele. Spostò la concentrazione sull’udito e captò una brezza accarezzare i fili d’erba da qualche parte dietro di lui. Tornò ad annusare: ora c’erano altri odori ancora, anche se molto deboli, che venivano da lontano, da sud-est concluse, ragionando sulla morfologia del territorio.

Ora doveva giudicare.

Giudicò che la brezza era abbastanza potente, e si preparò richiamando davanti a se il braccio teso in precedenza e impugnando la lama anche con l'altra mano, sempre ad occhi chiusi, sempre concentrato al massimo.

La brezza arrivò puntuale da sud-est, e cominciarono ad udirsi i primi scricchiolii, poi alcuni tonfi sordi, come se qualcuno avesse lanciato dei grossi sassi lì sul prato vicino al melo. Troppo lontani, pensò. Aspettò paziente che venisse il suo momento, calcolando il tempo che correva fra scricchiolii e tonfi, ma la brezza stava per esaurirsi, lui lo sapeva. Doveva succedere a breve. Poi udì all’improvviso un crepitio leggero ma deciso proprio sopra la sua testa, e fulmineo sollevò la spada in orizzontale al lato dell’orecchio destro. Aveva calcolato con cura i tempi e seppe perfettamente quando muovere la lama. Sferrò il fendente, velocissimo, sicuro che avrebbe centrato il bersaglio. La lama fendette l’aria con un sibilo, ma Ovrien sentì qualcosa sfiorargli l’orecchio sinistro e poi uno schiocco secco proprio nel punto in cui da lì a poco sarebbe transitata la lama, che andò a vuoto colpendo solo aria. Ovrien rimase immobile con la spada puntata verso il basso, come a vergognarsi di aver fatto cilecca. Aprì gli occhi, e gli odori tornarono ad essere normali.

«Stai migliorando!» esordì una voce decisa e profonda poco dietro di lui proprio dalla direzione da cui era stato pericolosamente accarezzato all’orecchio.

Ovrien non si mosse, fissando la freccia conficcata sul tronco del melo. Era lunga e ben lavorata, con un impennaggio ordinato che variava dal nero all’azzurro in una fantasia a macchie di varie grandezze. L’asta, marroncino chiara, era perfettamente dritta. Un lavoro ben fatto.

Levò poi lo sguardo in basso osservando la grossa mela a metà strada fra lui e il busto dell’albero. Rinfoderò la spada di legno, e si avvicinò al frutto rosso steso lì per terra. Si accovacciò e lo raccolse. Erano necessarie tutte e due le mani perché la mela era davvero enorme. La esaminò ma non vide segni di penetrazione. Sorrise poi, notando delle lievi ammaccature che la attraversavano orizzontalmente da un lato.

«Anche tu!» rispose alla voce che lo aveva interpellato prima, poi lasciò andare la mela, che rotolò un poco prima di fermarsi. Si alzò e raggiunse il tronco perforato. Afferrò la freccia, che stazionava tranquilla proprio all’altezza dei suoi occhi, ed operò per liberarla dal legno. Dopo poco la stava esaminando da vicino, in cerca dell’indizio fondamentale. La rigirò fra le mani studiandola, e finalmente colse il dettaglio che voleva cogliere. Una macchia fresca lungo una parte dell’asta.

«Come pensavo» confermò con un sorriso ancora più grande di prima, «sei davvero grande fratello!» dichiarò voltandosi verso la famigerata voce,

«la mela. Non l’hai perforata, ne hai solamente deviato la traiettoria quel tanto che bastava per mandare a vuoto il mio fendente». Sollevò il dardo in aria.

La voce intanto era diventata una sagoma, che sbucata da un albero di melo decisamente più piccolo si avvicinò a Ovrien con passo virile.

Ne uscì un ragazzo bellissimo.

Portava delle brache simili a quelle di Ovrien ma color nero pece, infilate dentro stivali marrone scuro leggermente sporchi di terra. A contrario del fratello, che era a torso nudo, indossava una camicia bianca tutta sbottonata che arrivava fin sotto al sedere, con delle toppe scure sui gomiti. Una catenella con due anelli color grigio argento incastrati fra loro scendeva legata al collo fino ai pettorali. Una spada di legno nero faceva compagnia al suo fianco sinistro. Aveva un viso squadrato con un leggero velo di barba. Il taglio degli occhi color nocciola era stretto e misterioso. Portava dei lunghi capelli che lasciava ricadere selvaggi fino alle larghe spalle, tranne per le due trecce che dai lati della fronte spaziosa scendevano delicate verso il mento. Aveva una bocca carnosa per essere un uomo. Era alto e aveva il fisico slanciato.

«Sei arrivato Derevor» disse Ovrien porgendogli la freccia. Derevor coprì la distanza che ancora li separava e afferrò la freccia, sorridendo al fratello gemello.

«Certo, non posso mica lasciar perdere quando mi viene lanciata una sfida» esordì afferrando la freccia dalla coda piumata. La esaminò anche lui, e Ovrien colse un leggero ghigno di soddisfazione deviare il corso delle sue splendide labbra, quando si accorse del lavoro accurato che aveva svolto la sua freccia. Con un gesto elegante, la ripose nella faretra di pelle di pecora che portava a tracolla sulle spalle. La faretra era molto spaziosa, e Ovrien notò che conteneva altri dardi, sempre con quel particolare impennaggio colorato.

Non dirmi che…

«È nell’impennaggio vero? È quello il segreto della tua precisione». Quell’affermazione deviò l’attenzione di Derevor verso il gemello.

Centro! pensò Ovrien compiaciuto.

Il gemello annuì. Quella scoperta lo infastidì un poco, ma lo nascose bene. A Derevor non piaceva quando qualcuno comprendeva i suoi trucchi, e questo invogliava Ovrien a provarci sempre di più.

«Che sciocco che sono stato. So che sei un ottimo osservatore, non avrei mai dovuto portarmi tutte queste frecce» disse voltando lo sguardo verso la faretra piena di dardi. Se la tolse e la poggiò per ferra, insieme ad un grosso arco anch'esso nero. Tornò a guardare il gemello.

«Beh fratello, finché solo tu conosci il mio segreto va bene. Però non dirlo a nessuno ok?»

«Se vuoi che il tuo piccolo trucchetto rimanga tale dovrai battermi» dichiarò Oevrin in tono di sfida.

«Una posta in palio, dunque?» chiese Derevor ghignando, «le cose si fanno interessanti»

«Già» concordò il fratello, cominciando a muovere la mano destra verso l’impugnatura della spada al fianco.

«Aspetta Ovrien» disse Derevor alzando un braccio verso il gemello, che bloccò il movimento bellicoso arrivato ormai a metà strada.

«Però...» osservò «Come sei reattivo ad eseguire gli ordini!» disse alzando un sopracciglio, divertito. Ovrien arrossì un poco.

«Piantala!» tagliò corto, riprendendo a far avanzare la mano alla spada.

«Così non mi pare giusto» commentò Derevor.

«Cosa?», chiese il fratello arrestando di nuovo il movimento.

«C’è una posta in gioco solo per me. Se perdi lo scontro non ci sarà per te nessuna conseguenza, se invece lo perdo io, sarò costretto a rivelare uno dei miei segreti. A proposito. Segreti, non trucchi.»

«Io non ho nessun trucco da condividere fratello», disse Ovrien in tono innocente mentre osservava il gemello mettersi a riflettere. Non era del tutto vero, ma non vedeva il motivo per cui Derevor dovesse saperlo. Poi vide d’un tratto la faccia del fratello mutare come la pelle di un camaleonte in procinto di mimetizzarsi con l’ambiente e intuì che gli era venuta un’idea. La cosa non gli piacque granché, anzi, proprio per niente a dirla tutta. Le idee di Derevor erano come una donna nel periodo del mestruo: pericolose e imprevedibili.

«Mi è venuta un’idea!» esclamò infatti Derevor. La sua eccitazione preoccupò un poco Ovrien.

«Ah si?» lo assecondò, «e sarebbe?»

Il ghigno era tornato a dominare la faccia di Derevor mentre era in procinto di esporre la sua grande intuizione. .

«Se vinco io, caro il mio fratellino...», cominciò guardandolo dritto degli occhi S’interruppe un attimo, cosa che irritò Ovrien.

«...dovrai andare a parlare con Ulena, questa sera stessa!» concluse puntando l’indice verso il basso a ribadire il concetto.

Ovrien sgranò gli occhi così tanto che Derevor temette quasi che gli sarebbero potuti schizzare fuori dalle orbite e rotolare sul prato. Sembrava come se avesse visto un fantasma.

«Tu...tu sei pazzo Derevor, non ci penso neanche!» gli era venuto il fiatone tutto insieme, barcollava e stava sudando freddo.

«Ma dai Ovrien!» ribatté il ragazzo dandogli una pacca forte sul petto che quasi lo fece cadere a terra, «tu sei un bel ragazzo! E poi hai visto come ti guarda? Neanche fossi tutto rivestito di diamanti e perle...»

In effetti più di qualcuna lo aveva definito bello, elogiando la sua mascella squadrata, e i capelli a caschetto castano scuro gli davano un’aria da bravo ragazzo. Per non parlare poi degli occhi marroni, grandi e puri, e il fisico scolpito. Certo, non era bello come Derevor, tuttavia era più che apprezzato dal genere femminile.

«Non ce la faccio Derevor, ti prego! Non lei.»

«Ma scusa fratello, lei ti piace giusto?»

«Da impazzire...»

«E a lei tu piaci, giusto?»

«Così mi è stato riferito.»

«E allora buttati no? Non la vuoi per caso?»

«Certo che la voglio!» ribatté brusco Ovrien.

«E allora falla tua, prima che lo faccia qualcun altro». Poi decise di stuzzicarlo un po', giusto per fargli capire quanto fosse follemente innamorato di quella ragazza e che sbaglio colossale stesse facendo.

«Cosa che succederà Ovrien, stanne certo» continuò, «ma l’hai vista? È una tale bellezza…con quei capelli lisci biondo platino, quegli occhi azzurri come il cielo, quella bocca sensuale perfetta per baciare. E vogliamo parlare delle sue curve? oooohhh!!» incocciò ripetutamente il palmo della mano sulla fronte, come a simulare la pazzia che lo avrebbe pervaso al solo pensarci. «Ha le gambe perfette e sensuali, lisce come seta, sicuro! Ti piacciono le sue gambe Ovrien? Si, immagino... Ma la parte migliore l’ho voluta lasciare per ultima». Ora Derevor voleva veramente farlo infuriare, così avrebbe accettato la sfida, l’avrebbe persa, e sarebbe dovuto (finalmente) andare a parlare con Ulena. Ma era mai possibile che doveva essere lui a fare questo genere di lavori?

Mentre stava elencando tutti i pregi della ragazza che piaceva ad Ovrien in quel modo diciamo... non proprio elegante, aveva notato il viso del gemello contrarsi sempre più in un’espressione di furia. Ovrien però aveva capito il gioco che stava facendo Derevor, quindi cercò di rimanere calmo, cosa gli riuscì con difficoltà.

«Il seno Ovrien» sussurrò Derevor, in tono estasiato. Ora era a pochi centimetri dalla faccia del fratello «talmente perfetto, per forma e dimensioni...». Si guardavano negli occhi, come due grossi ariete prima di uno scontro mortale «...che fa venir voglia di farle di tu..». Non riuscì a completare la frase che dovette sguainare la sua spada di legno nero per parare il fendente fulmineo diretto al fianco sinistro. Ovrien aveva sguainato la spada in un lampo, senza dire una parola.

Derevor parò il colpo all’ultimo. Era di una potenza inaudita e temette che la sua lama potesse rompersi.

«Considero questo colpo come l’accettazione alle poste in palio da noi stipulate» disse a denti stretti, tanta era la forza che doveva imprimere per tenere a distanza di sicurezza la lama di suo fratello. Le due spade si abbracciarono in una prova di forza che però sfociò in un pareggio.

«Non mi importa Derevor, voglio solo massacrarti!» disse Ovrien con una calma gelida che fece preoccupare Derevor, poi richiamò la lama dal legno nemico e la fece roteare per cercare di colpire le gambe del fratello. Derevor parò ancora e provò ad attaccare, ma la spada di Ovrien era già all’altezza della sua testa costringendolo ad un’altra azione difensiva al limite.

Questo vuole farmi secco! Pensò, forse ho un po' esagerato! Fece due passi indietro. «Ascolta Ovrien, cerchiamo di rimanere cal...» iniziò cercando di parlamentare, ma Ovrien gli era già arrivato addosso con la spada sollevata, che presagiva un potentissimo fendente pronto ad esplodere.

Quello che ne seguì invece fu una serie infinità di attacchi che Derevor riuscì a malapena a respingere, e intanto dentro di lui montava una rabbia ed una competitività fortissime. Passò allora all’attacco anticipando il gemello, che si era fatto di nuovo sotto per un’altra scarica di attacchi micidiali. Quella mossa improvvisa costrinse Ovrien a passare sulla difensiva. Deviò il fendente a lato con un altro altrettanto forte ma Derevor si mosse in una giravolta che lo colse di sorpresa. Il gemello sferrò colpo preciso, e la lama andò a colpire violentemente al fianco sinistro di Ovrien, che gemette dal dolore. Derevor si accorse di aver esagerato vedendo il fratello lamentarsi, con il braccio sinistro sul fianco dolorante. Si sarebbe formata una mora, sicuro.

«Mi dispiace Ovrien! Non volevo, davvero, non...» provò a spiegare, ma Ovrien urlò furente e si lanciò a capofitto su di lui con la faccia contorta dalla rabbia. Adesso i fendenti che calava erano ancora più veloci, tuttavia Derevor notò che il fratello non cercava mai i punti vitali. Questo lo rassicurò. Ora controbattere i colpi era diventato ancora più difficile, in più non voleva fare niente che potesse ferire il fratello, anche se comunque non credeva che potesse riuscire a colpirlo. La rabbia ora era scemata in preoccupazione. Non aveva mai visto combattere suo fratello in quel modo. Velocità e precisione dei colpi erano pazzeschi, ma non erano mai sferrati a caso. Era davvero migliorato il suo fratellino, ma aveva perso la testa, e questo lo rendeva pericoloso. Dovette ricorrere a tutta la sua abilità per stare al passo di Ovrien, che ora variava l’altezza e l’angolazione dei fendenti, rendendoli difficili da prevedere e schivare. Fece quello che poté e riuscì a tenere a bada la furia del gemello, ma stava perdendo terreno, arretrando sempre di più. Ovrien invece sembrava instancabile, mulinava la sua spada come se fosse posseduto senza risentire apparentemente per niente della stanchezza. All’improvviso Derevor inciampò su una roccia che sporgeva dalla terra, cadendo all’indietro.

Maledizione! Sono fritto! Pensò a mezz’aria, poi cozzò a terra col sedere, riuscendo a trattenere in mano la spada nera. Alzò lo sguardo e Ovrien era già lì pronto ad infilzarlo. Derevor non avrebbe fatto in tempo né a spostarsi né a tentare una parata disperata.

Non va bene! Non va per niente bene!

«Sei mio!» urlò Ovrien calando la lama sul corpo inerme del fratello. Derevor aveva perso, e non era totalmente sicuro se il fratello lo avrebbe risparmiato o lo avrebbe ucciso veramente.

La lama venne però deviata da una più piccolina e andò a sbattere con la punta smussata sulla terra erbosa. I due si girarono confusi e videro un bambino dai lunghi capelli ricci imbracciare quella spada che sembrava un giocattolo. La chioma contornava un viso dolce, con bei lineamenti. I grandi occhi color nocciola erano contratti in un’espressione sbigottita, seguiti a ruota dalla piccola bocca delicata.

«Fratellone Ovrien, perché vuoi fare male al fratellone Derevor? Ti ha fatto qualche torto?» chiese a Ovrien, che insieme a Derevor era rimasto a bocca aperta.

«Nyterian?» esclamarono tutti e due insieme esterrefatti. Com’era possibile che il loro fratellino minore di soli dieci anni li avesse raggiunti così a nord? Così lontano da casa? E poi come aveva fatto a deviare quel colpo?

«Beh, come dire…» cominciò a cianciare Ovrien, fisso sugli occhi tristi del bambino in cerca di una scusa plausibile. Derevor colse quel momento in cui il gemello aveva la guardia abbassata e gli sferrò un calcio che lo fece cadere come un sacco. Si gettò di scatto sopra di lui e gli puntò la spada al petto.

Ovrien digrignò i denti, poi gettò la spada a lato e sollevò le mani a terra sopra la testa in segno di resa. Poi dopo qualche attimo il suo viso si rilassò, come se si fosse tolto un grosso peso.

Cominciò a sorridere, poi a ridere di gusto.

Derevor rimase di sasso. Nyterian si grattò al testa confuso.

«Hai vinto fratello!» ammise chiudendo gli occhi e allargando le braccia a terra come a volergli dare un abbraccio. Aveva il fiatone, ma sembrava felice.

«Ma che cosa è successo?» gli chiese Derevor ritraendo la lama dal petto del fratello, «fino a poco fa sembravi uscito di senno». Aveva la fronte aggrottata al limite umano possibile.

Ovrien riaprì gli occhi «Credevi davvero che qualcosa del genere, fra l’altro detta dal mio fratello gemello, possa ridurmi in quello stato? Certo, mi fa arrabbiare quando si parla in quel modo di Ulena, ma ho capito subito il tuo giochetto e ho voluto assecondarti, per darti una lezione. E tu ci sei cascato in pieno Derevor!»

«Quindi… era tutta una messinscena?» Derevor era visibilmente arrabbiato «e questa brillante idea solo per darmi una lezione? Pensavo che fossi impazzito maledizione! Pensavo volessi farmi la pelle!» L'ultima frase l'aveva detta quasi urlando, con le braccia che gesticolavano in modo scomposto.

«No» rispose Ovrien scuotendo il capo, «volevo anche vedere a che livello sono arrivato, e l’unico modo era quello di farti combattere al massimo delle tue possibilità. Questo era un buon modo, e allora ho sfruttato il tuo trucco come base per il mio. Direi che non me la sono cavata male!» concluse sorridendo.

Derevor rimase a fissarlo per qualche secondo, poi scosse il capo alzandosi. Rinfoderò la spada e trasse un respiro profondo.

«Sei proprio un idiota!» gli disse.

«Beh, almeno la prossima volta impari a farti gli affari tuoi» ribatté Ovrien, «comunque ho perso, stasera gli parlerò». E già cominciava a sudare freddo al solo pensiero.

Si guardarono per qualche momento, e poi scoppiarono a ridere entrambi.

Nyterian, che aveva fatto da spettatore allo strano monologo ancora non aveva capito cosa fosse successo.

«Allora non state litigando» disse a metà fra domanda e affermazione. I due gemelli smisero di ridere di colpo, voltarono lo sguardo su di lui con occhi freddi.

Nyterian li guardò tutti e due. Comprese le loro intenzioni e sgranò gli occhi. Fece due passi all’indietro, visibilmente impaurito, e cominciò a correre urlando verso la macchia che fiancheggiava la radura degli alberi di melo.

Verso sud. Verso casa.

I due Fratelli lo rincorsero urlandogli contro quello che gli avrebbero fatto se lo avessero preso, ma con la felicità dipinta sul volto.

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Capitolo 3
*** Caccia Notturna ***


2

 

Tattiche di Fuga

 

 

 

Notte precedente allo scontro dei Fratelli…

 

 

 

Tre uomini correvano nella foresta del Confine Ultimo. Era Notte, e questo li preoccupava più di ogni altra cosa. La Notte, lo sapevano, era il male, perché prendeva e non restituiva mai. Era infida, pericolosa, e partoriva esseri ancora peggiori. Proprio questi individui, prodotti dal buio più oscuro, quello che paralizza e manda in frantumi il coraggio e le certezze di una persona, che ora con tutta probabilità gli erano alle calcagna.

D’altronde i Buiocrepuscolo erano figli dell’oscurità, e come dei cuccioli appena nati, trovavano il massimo agio e conforto solo fra le braccia protettive della loro madre. La Notte li preservava, e faceva si che potessero esprimere il loro massimo potenziale, quello che nessuno di quei tre Soletramonto in fuga avrebbe mai voluto trovarsi di fronte. Perciò dovevano continuare a correre, fino a che non fosse sbucato di nuovo il sole dalle alte vette montuose a nord, e il Giorno non fosse arrivato a scacciare le tenebre che ora minacciavano di prenderli e di non restituirne neanche un pezzo. Mancava tuttavia qualche ora all’alba. Qualche ora in queste condizioni sarebbe potuta non bastare, pensava Threo mentre si faceva strada fra la macchia di pini accarezzati dal vento fresco di mezza estate. Erano piante di notevoli dimensioni, ma non intralciavano la marcia perché avevano il tronco lunghissimo e le foglie cominciavano ad abbracciarlo solo da due metri d’altezza. Si trovavano abbastanza distanti fra loro, e facevano da tetto ad un sottobosco colmo di piccole piantine di cui Threo non conosceva il nome. Il problema principale erano le radici, poco visibili nel nero della Notte, che giocavano fra loro spuntando dal terreno e rischiavano di farlo inciampare.

Quegli orridi randagi notturni Buiodannati diventavano inarrestabili quando scendeva il buio, e loro non avevano nessuna possibilità neanche se fossero stati tre contro tre.

E non erano tre contro tre.

Erano tre contro dieci, come minimo. Avevano subito un’imboscata poche ore prima, in pieno Giorno! Impensabile per un Soletramonto. Ovviamente la Luce aveva resi potenti, molto più dei nemici ombrosi che li avevano assaliti, ma la forza numerica da cui erano stati colpiti era stata sconvolgente. Almeno quattro Buiocrepuscolo per un Soletramonto. Da lì era stato tutto piuttosto facile per loro.

Un massacro.

Gli unici riusciti a fuggire erano stati Threo e due dei suoi compagni, che sfruttando una disattenzione nemica erano riusciti a sgattaiolare via dalla battaglia ormai perduta. Poi era sceso il buio. Sapevano di essere braccati, e i Buiocrepuscolo erano fastidiosamente svegli oltre che formidabili militarmente. Ecco perché Threo, il più alto di grado del gruppo dei fuggitivi, aveva ordinato una corsa sostenuta nella direzione opposta alla battaglia.

E ora si trovavano in questa situazione scomoda da cui probabilmente non ne sarebbero usciti vivi.

Fortunatamente era una sera di luna piena, e questo permetteva loro di intravedere, seppur con qualche difficoltà, la via che avevano davanti.

«Incredibile!» esordi Athyr, un ragazzo dai capelli rosso sangue e dal fisico rotondo. Portava, come gli altri due, la tenuta da battaglia Soletramonto: un’armatura molto leggera, quasi trasparente, che lì corazzava da cima a fondo. Il materiale era un composto di vetro e una sostanza chiamata Brilligrana. Quest’ultima, realizzata dai mastri Soletramonto, e da loro soltanto, rendeva il vetro più duro del normale e gli conferiva elasticità. In più amplificava la luce che ne veniva a contatto.

«È come se la Foresta fosse morta. Non si sente niente, neanche un singolo richiamo o verso animale.»

«Questo perché sanno che la Notte è all’opera» gli rispose Threo. «Quando i Buiocrepuscolo girano a quest’ora, anche gli animali capiscono che è meglio rimanere nascosti.»

«E questo la rende ancora più macabra», commentò Athyr, «almeno c’è un buon odore di pino.» Fece una pausa.

«Threo, tu conosci la zona?» chiese schivando a lato un grosso albero che cercava di sbarrargli la strada, quasi fosse d’accordo con il nemico.

«Purtroppo no» rispose Threo mentre scrutava accuratamente la vegetazione per scegliere il percorso migliore, «sono venuto più di una volta in queste zone con le squadre di ricognizione, ma mai così a nord, ed era Giorno ovviamente. Semmai c'era qualche punto di riferimento lo abbiamo passato da un pezzo. E come se non bastasse non si vede quasi niente!»

«E tu Miran?» insisté Athyr girando il capo alla sua destra dove correva a poca distanza il suo compagno, «qualche picnic nelle vicinanze per caso?»

«No, anche per me è la prima volta. Fra l’altro neanch’io sono mai stato in ricognizione da queste parti» rispose Miran scuotendo il capo.

«Meraviglioso!» esclamò Athyr in tono sarcastico, «siamo morti.»

«Non giungere a conclusioni affrettate Athyr» lo ammonì Threo, «dobbiamo valutare la situazione e decidere con calma cosa fare. Non siamo ancora spacciati, abbiamo un discreto margine di distacco, credo. Per ora continuiamo a correre. Per di qua!»

Il Soletramonto fece una deviazione decisa verso sinistra e gli altri lo seguirono come delle ombre.

«Ci sono due possibilità per noi adesso. O meglio tre, ma l’ultima è talmente improbabile che non la considererei come tale» riprese poi, saltando con agilità un tronco abbattuto che voleva farli lo sgambetto a tradimento, «possiamo deviare a sinistra cercando di fare un’inversione molto ampia, per provare ad aggirargli e tornare nei territori Soletramonto. Oppure possiamo continuare dritti e tentare di seminarli sulle montagne al nord, cosa che credo sia più fattibile. Da lì poi aspettare il Giorno ed affrontarli a viso aperto col favore della luce. Non ho neanche bisogno di dirvi cosa succederebbe se scegliessimo di andare ad est».

Miran annuì la seconda opzione presentatagli dal suo compagno ma intuì dei dubbi sulla faccia di Athyr che contemplava riflessivo.

«Tu quale pensi sia la scelta migliore?» gli chiese.

Athyr lo guardò per un istante, poi si riconcentrò sul sentiero da percorrere «Threo ha ragione, queste sono le opzioni, e anch’io escluderei a priori la scelta di andare e ovest e poi tornare indietro. I Buiocrepuscolo sono troppo abili per farsi ingannare così facilmente. Inoltre è Notte, e questo li rende più veloci e più forti. Non ci sarebbe possibilità per noi di aggirarli». Fece una pausa di alcuni attimi per riprendere fiato. Correre e parlare era faticoso, soprattutto dopo uno scontro. Colpa era anche però della sua pigrizia, e del fatto che non aveva mai curato il corpo a dovere come dovrebbe fare un guerriero Soletramonto.

«Tuttavia credo anche la seconda possibilità sia errata, in parte, perché se anche dovessimo riuscire a seminarli sulle montagne, poi dovremmo per forza tornare indietro. Le montagne ci sfiancherebbero, e moriremmo di sete o di fame. Lassù non c’è niente, solo miseria, voi lo sapete. In caso contrario, se decidessimo di affrontarli probabilmente moriremmo, anche con il favore della Luce.»

«Perché dici questo?» domandò Miran, «riusciremmo a tenerli a bada di Giorno, forse anche ad ucciderli tutti». Threo intanto guardava Athyr. Era un ottimo elemento, perché quando c’era da usare i cervello lo usava, e anche bene.

«Perché ne dovremmo affrontare di più.»

«No capisco» disse confuso Miran.

«Probabilmente hanno già chiamato rinforzi, per compensare la disparità di forza che ci sarebbe se riuscissimo ad arrivare vivi all’alba. Col sole i nostri poteri aumenterebbero, ma anche i loro numeri, e riuscirebbero lo stesso a sopraffarci. Scommetto che hanno mobilitato qualcuno subito dopo essersi messi all’inseguimento.»

«E allora cosa facciamo?»

«Credo che dovremmo avvicinarci il più possibile al confine Hyvreria, e mandare un segnale di aiuto» si inserì Threo, «dopodiché uno di noi dovrà rimanere a tenere occupati i nemici il più possibile, mentre gli altri due corrono verso le montagne, e sperare che qualcuno dei nostri noti il segnale così da poter mandare dei rinforzi e annientare questi bastardi.»

«Non credo sia una buona idea», commentò Athyr pensieroso.

«Spiegati meglio» lo invitò Threo, che ora aveva leggermente diminuito il passo. Cominciava ad essere stanco, e decidere la linea di percorso non aiutava, perché necessitava di energie mentali, oltre che fisiche. In più il terreno cominciava a farsi in salita.

I tre ormai fuggivano da più di due ore, e cominciavano a sentire i morsi della stanchezza e della fame.

«Se rimanesse solo uno di noi a fronteggiarli, per quando forte esso sia, verrebbe eliminato in pochi secondi, e sarebbe uno spreco. In più complicherebbe ulteriormente la situazione degli altri. Se invece rimanessimo uniti avremmo più possibilità»

«Ed allora tu cosa suggerisci?» chiese Miran.

«Di dividerli, in modo da assottigliare i loro numeri in caso di scontro. Molto meglio sarebbe per noi se ne dovessimo affrontare tre, o quattro per volta, invece che tutti insieme. Certo, gli altri Buiocrepuscolo sarebbero lì in poco tempo appena iniziate le ostilità, ma quei pochi minuti, o secondi di margine sarebbero per noi determinanti.»

«Capisco» disse Threo annuendo.

«Ma la tua idea Threo, non era per niente male» riprese Athyr, «potremmo proprio servirci dei segnali luminosi di aiuto per sviare i Buiocrepuscolo, e per segnalare la nostra posizione. Il problema è che verrebbero subito spenti e anche i nemici saprebbero con precisione dove ci troviamo». I tre rimasero in silenzio, cercando di trovare una soluzione al problema. Intanto il paesaggio mutò leggermente, diventando più roccioso.

«Io ho un’idea» dichiarò Miran all’improvviso. Athyr si girò verso di lui e Threo tese l’orecchio dall’avanguardia.

«Potremmo creare delle luci e farle fluttuare rasoterra nella boscaglia, in modo da nasconderle il più possibile. Farle allontanare le une dalle altre, diciamo... di qualche centinaio di metri e poi spararle all’improvviso verso l’alto, in modo da cogliere di sorpresa i nemici». Ne simulò il movimento con le mani. «Probabilmente verrebbero estinte quasi subito, ma anche qualche secondo basterebbe, e di notte sarebbero visibili da chilometri.»

«Potrebbe funzionare» concordò Threo, «ma controllare tre sfere luminose insieme molto distanti fra loro e dall’utilizzatore è impossibile, almeno di Notte.»

«Io posso!» dichiarò Miran. Athyr lo guardò inarcando un sopracciglio, e Threo addirittura si girò, rischiando di inciampare su una radice sporgente.

«Tu puoi?», gli domandò Athyr.

Miran sorrise, «Sono specializzato nello sfruttamento della luce lunare. In pratica posso sfruttare la debole luce del sole riflessa dalla luna e concentrarla. Questo amplifica i miei poteri anche di notte. Ovviamente la luna deve essere piena o quasi, affinché funzioni.»

«Wow! Fantastico!» esclamò Athyr a bocca aperta.

«Già!» concordò Threo.

«È una nuova pratica sviluppata a Hyvrir di recente» spiegò Miran, «è davvero molto utile in certe situazioni. Mira a diminuire la disparità fra noi e loro di Notte. Ovviamente non sarò mai minimamente forte come quando c’è il sole, ma riesco comunque a fare cose notevoli anche al buio.»

«Hyvrir», ripeté Athyr con occhi sognanti, «da quanto tempo non la vedo. È colpa di queste maledette ricognizioni!»

«Non preoccuparti Athyr, è sempre meravigliosa come l’hai lasciata!» dichiarò Miran.

«Non perdiamoci in chiacchiere», si inserì Threo, «abbiamo del lavoro da fare». Tuttavia anche lui stava ripensando alla loro amata capitale, da cui era stato via per troppo tempo. Hyvrir, stella raggiante nell’oscurità, perennemente illuminata dalla luce dei suoi cittadini. Era il tesoro più caro di tutti. Un Soletramonto avrebbe dato la vita senza pensarci due volte pur di difenderla.

«Allora Miran, mi assicuri che sei in grado di fare quello che hai detto?», chiese al giovane dai capelli amaranto.

Lui guardò il cielo. Era una bella nottata, se la Notte può essere definita così. Sicuramente non era affatto come una limpida giornata di sole, ma non era male.

«Al cento per cento» affermò.

Threo annuì. Incredibile dove erano riusciti ad arrivare i maestri Soletramonto.

«D’accordo, facciamolo!» disse voltandosi di nuovo verso la macchia scura.

«Aspettate un momento» li bloccò Athyr, «dobbiamo decidere prima dove lanciarle. Siamo abbastanza vicini al confine nord-ovest di Rax-Marhy»

«E con questo?» chiese Miran.

«Se io fossi un Buiocrepuscolo, non crederei affatto che i miei nemici, inseguiti da me e una decina dei miei compagni, siano così stupidi da dirigersi verso le mie terre.»

«Certo!» annuì Threo, «penseresti subito a un diversivo.»

«Esatto» confermò Athyr, «dobbiamo lanciare le sfere a nord-ovest, verso i nostri territori. Non a est.»

Gli altri due Soletramonto si trovarono d’accordo.

«E c’è un’altra cosa» continuò, «non possiamo neanche lanciarle ora, perché la luce emessa da Miran e dalle sue sfere sarebbe troppo intensa. Ci farebbe scoprire subito, anche da molto lontano.»

«Tu cosa proponi?» gli chiese Threo.

«Questa salita che stiamo percorrendo ora prima o poi finirà. E dato che le montagne sono ancora lontane, con tutta probabilità ci sarà un tratto in discesa. Io dico di sfruttare il dislivello per lanciare le sfere. Saranno coperte dalla terra e dagli alberi.»

«E se non dovesse finire a breve?» domandò Miran, «non sappiamo in quanto tempo quei bastardi ci saranno addosso.»

«Allora avremo perso tempo prezioso e le lanceremo comunque» rispose Athyr, «ma credo che dovremmo rischiare.»

«Tu che ne pensi Threo?» chiese poi al suo compagno.

Il Soletramonto si fermò di colpo, e gli altri due per poco non andarono a sbattergli addosso.

«Ma che diavolo fai?» chiese Miran, dopo averlo scartato al lato per miracolo, «ti pare il modo?»

Threo non rispose. Appoggiò una mano al tronco di un pino e rimase in silenzio. Ora tutti e tre i compagni erano affaticati.

«Threo, non possiamo fermarci. Si avvicinano in fretta» disse Athyr. Era la sua, più che quella di Miran, in cui Threo leggeva preoccupazione.

«Lo so» affermò l’altro, poi dopo qualche attimo a osservare il tronco nodoso si voltò verso i compagni.

«D’accordo Athyr, facciamo come dici tu. A te sta bene Miran?»

Il ragazzo annuì. «Credo si ala scelta migliore.»

«Ok. Andiamo allora» disse riprendendo a correre.

Gli altri lo seguirono.

Passarono alcuni minuti, ma ancora la strada non si degnava di scendere. Dopo una mezz’ora buona ancora stavano salendo.

Ma quanto ci vuole? Brontolò Athyr fra sè, andiamo maledetta salita! Non fare l’ingorda e lascia qualcosa anche alla discesa, che ne abbiamo bisogno! Non c’è più molto tem…

«Ci siamo» affermò Threo. Athyr esultò e Miran sorrise.

La salita diventò pianura, e dopo una cinquantina di metri iniziò la discesa.

I tre percorsero alcuni metri verso il basso, poi Threo diede l’ordine di fermarsi.

«Qui può andare?», chiese a Athyr.

«Credo di si.»

«Bene. Procedi Miran, ogni momento è prezioso» ordinò Threo.

«Comincio subito.»

Chiuse gli occhi, sciogliendo i muscoli contratti e concentrandosi al massimo. All’improvviso il suo corpo cominciò a illuminarsi, come una grossa torcia giallo pallido appena accesa. Diventò luminosissimo in pochi attimi e subito si formarono davanti a lui, all’altezza delle ginocchia, tre agglomerati di luce, che presero forma sferica. Threo notò allora una cosa impressionante che non aveva mai visto: un piccolo filamento, finissimo, che dalle sfere andava sù, verso l'alto, in direzione della luna. Sperò che fosse invisibile all'acutissima vista notturna dei Buiocrepuscolo.

La lucentezza sprigionata dal corpo di Miran scomparì con la stessa velocità con cui era apparsa e rimasero solo le tre sfere brillanti e il filamento che galleggiavano in aria illuminando l’area circostante. Miran frustò le braccia e le sfere cominciarono a volare velocissime rasenti al suolo verso nord-ovest. I tre le videro allontanarsi da loro portandosi appresso la luce.

«Fatto» dichiarò il Soletramonto riaprendo gli occhi, «ora aspetteremo un po', poi le farò curvare verso l’alto ed esplodere. Credo che una distanza di cinquecento metri l’una dall’altra possa bastare»

«Ben fatto Miran!» si congratulò Athyr dandogli una pacca sulla spalla.

«Andiamo ragazzi» ordinò Threo, «non possiamo perdere neanche un secondo.»

Gli altri due annuirono.

Passarono alcuni minuti senza che nessuno proferì parola, tutti in balia dei propri pensieri e incertezze.

«È ora» dichiarò Miran rallentando il passo. Gli altri lo imitarono.

«Le sfere sono a circa tre chilometri a nord-est da noi»

«Fallo!» sentenziò Threo.

«Si fallo!» fece eco Athyr eccitato.

Miran allora chiuse di nuovo gli occhi e strinse i pugni. Dopo qualche secondo ne dilatò le dita accartocciate come a simulare un’esplosione. Subito il cielo si illuminò ad ovest, come se un lampo avesse colorato la notte. Le luci impazzarono nel cielo, abbagliando per qualche secondo la foresta circostante, poi scemarono tramontando nel buio.

«È fatta» affermò Miran, ora seriamente affaticato. Controllare quelle sfere era stato faticoso.

Athyr annuì. Threo invece, senza neanche una parola ricominciò a correre verso le montagne. Verso Nord. Gli altri lo seguirono a ruota.

Speriamo abbocchino, pensò aumentando il passo per recuperare i pochi attimi persi, oppure non ci sarà mai più per noi un nuovo giorno da assaporare.

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