Una settimana a Stanford

di luvsam
(/viewuser.php?uid=1074515)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Quella maledetta notte aveva giurato a se stesso che non lo avrebbe mai perdonato per quello che aveva fatto e che, se anche avesse chiamato, non gli avrebbe risposto al telefono perché questa volta era andato troppo oltre.
Non era il nuovo capriccio di un adolescente con la testa tra le nuvole, stavolta c’era di mezzo un tradimento pianificato e portato a termine sotto il suo naso e per questo era doppiamente furioso.
Cazzo, con tutto il suo addestramento si era fatto ingannare per mesi e non aveva colto nemmeno uno degli indizi che sicuramente aveva disseminato lungo la strada.
Come aveva potuto essere così cieco, come gli aveva permesso di agire alle sue spalle senza nemmeno intuire che cosa stava tramando? Se l’era chiesto continuamente, ma l’unica risposta che aveva trovato era la consapevolezza che quella porta sbattuta aveva provocato una frattura devastante.
Gli aveva fatto male, ne soffriva ancora, ma era un uomo con una sola parola, quindi se quel mix impazzito di testardaggine, saccenza e lingua lunga aveva scelto fuori, così sarebbe stato e da quella sera non aveva nemmeno più pronunciato il suo nome.
Si era imposto di cancellarlo dai suoi pensieri e di concentrarsi solo sul lavoro e sull’unica certezza rimastagli, ma in certe sere, soprattutto quando un bicchiere di troppo gli riscaldava la gola, il suo cuore in frantumi urlava così forte che non poteva fare a meno di ascoltarlo.
Era in quei momenti che la facciata dell'uomo che non arretrava nemmeno di un passo veniva giù miseramente e più di una volta aveva preferito passare la notte nel parcheggio di un motel piuttosto che ammettere la verità davanti ad una coppia di occhi verdi, che lo avevano aspettato sveglio.  
Non gli avrebbe mai confessato di essersi pentito di quello che aveva detto, non poteva perché questo avrebbe riaperto dolorose ferite che il tempo aveva in parte chiuso, ma lo era davvero e avrebbe dato qualsiasi cosa per riportare il nastro indietro.
Era tardi, però, troppo tardi e il peso del silenzio da quella sera gliene aveva dato la certezza.
Dopo qualche giorno di smarrimento aveva reagito a modo suo e aveva ripetuto a se stesso che poteva gestire il vuoto che gli aveva lasciato dentro, eppure di ritorno da una caccia in Oregon non aveva potuto fare a meno di inchiodare sulla U.S.101 quando aveva visto le indicazioni per Palo Alto.
Il cuore aveva iniziato a battere forte al solo pensiero di essergli tanto vicino e si era reso conto che tutte le emozioni represse lo stavano travolgendo.
Aveva accostato ed era uscito dal pick up sperando che lo schiaffo di aria fredda lo avrebbe fatto ritornare in modalità cacciatore, ma, dopo aver sostato a lungo accanto ad un tabellone pubblicitario di case in affitto per studenti, aveva capito di non star facendo un gran lavoro.
Era arrivato sul punto di cedere, poi si era dato mentalmente del coglione e si era rimesso al volante sbattendo lo sportello. Aveva fatto girare la chiave nel pannello d’accensione, aveva controllato nello specchietto se poteva immettersi sulla carreggiata ed era ripartito cercando di riaggrapparsi alla vecchia furia. Dopo pochi metri era passato davanti alla pubblicità del Country Inn Motel, poi aveva incrociato l’Hotel Parmani e quasi senza accorgersene aveva stretto forte le mani sul volante.
Cinque minuti, era a soli cinque minuti, quindi sarebbe bastato premere un pò sull’acceleratore per lasciarselo alle spalle, poteva farcela e ci sarebbe sicuramente riuscito se non ci si fosse messa di mezzo anche una pubblicità radiofonica su come partecipare alla settimana di orientamento per le nuove matricole.
Ci era andato anche lui?
La sua borsa di studio gli aveva coperto i 500 dollari necessari e soprattutto stava bene?
Nel momento in cui il suo cervello aveva formulato quest’ultima domanda, John aveva perso la sua battaglia: doveva vedere Sam.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



“Una singola, grazie, possibilmente isolata dalle altre stanze, ho il sonno molto leggero”
“Per quante notti, signor Preston?”
“Una, faccio solo una piccola pausa”
“Ah, quindi non è qui per vedere uno dei cervelloni di Stanford. Pensavo che avesse un figlio qui a Palo Alto e fosse venuto a trovarlo”
“No, sono in viaggio per lavoro”
“Non ha figli? Vedo che è sposato”
John guardò istintivamente il suo anulare sinistro e vide la fede al solito posto.
“Sì, ho un figlio, ma lavora con me nell’azienda di famiglia”
“Di che cosa si occupa?”
“Disinfestazioni, diamo la caccia a qualsiasi cosa fuori dall’ordinario”
“Davvero? La mia amica Mildred ha dovuto chiamare una squadra perché aveva la cantina invasa dalle termiti ed è stata ospite una settimana a casa mia. Detto tra noi, è stata un’esperienza terribile perché è una disordinata cronica e lasciava tutte le sue cose in giro. Quando è andata via, ho tirato un sospiro di sollievo e…”
“Mi scusi, signora Sanders, scommetto che è una storia interessante, ma sono davvero molto stanco e vorrei andare a riposare. Posso avere la mia chiave?”
“Certo, gliela prendo subito. Si troverà bene qui, è un posto tranquillo. Contanti o carta, mr Preston?”
Dopo pochi minuti John si ritrovò davanti alla porta della sua stanza e non appena vi entrò, notò che era decisamente di un livello superiore ai tuguri a cui era abituato. Era pulita e non si avvertiva nessun odore strano, una delle cose che Sammy faceva subito notare ogni volta che si erano fermati da qualche parte.
Dean lo aveva anche soprannominato Sneezy e il ricordo delle zuffe tra i suoi figli fece sorridere l’uomo mentre si dirigeva verso il bagno.
L’acqua calda e l’accappatoio morbido rilassarono il cacciatore, che, una volta finita la doccia, si fece la barba e indossò l’ultima cosa pulita rimastagli nel borsone. Si asciugò e si sistemò i capelli davanti allo specchio riflettendo sul fatto che aveva quasi dimenticato che cosa volesse dire prendersi cura di se stessi.
Non era sempre stato così indifferente al suo aspetto fisico, anzi quando aveva conosciuto Mary, aveva fatto di tutto per essere attraente ai suoi occhi e passabile a quelli di suo padre, ma da allora era passato così tanto tempo.
Nella vita di un cacciatore non c’era spazio per i fronzoli, anche se ci aveva sempre tenuto a dare ai propri figli un aspetto decoroso. Certo, raramente si era potuto permettere di prendergli dei vestiti nuovi, ma, nonostante la loro esistenza raminga, aveva inculcato nei suoi ragazzi l’importanza della pulizia della persona, un insegnamento che Dean, non appena aveva scoperto quanto potessero essere interessanti le ragazze, aveva fatto suo come un mantra.
Sam era arrivato a quello stadio con maggiore difficoltà e non certo perché non attirasse le attenzioni del gentil sesso, come d’altronde facevano gli altri uomini di casa, ma perché era sempre stato timido e insicuro e in qualunque posto si trovasse, cercava di nascondersi. Non importava se la barriera era costituita dalla lunga frangetta, o da un libro, trovava sempre il modo per mimetizzarsi e a volte John si chiedeva da chi avesse ereditato questo tratto del carattere. Né lui né Mary infatti avevano mai fatto parte della categoria “tappezzeria” alle feste, anzi erano stati dei gran casinari, amanti della compagnia e delle uscite fino a tarda notte, e Dean era decisamente un loro degno erede.
Mentre era perso in questi pensieri, John sentì squillare il cellulare e quando vide l’id del chiamante, ritornò alla realtà perché doveva ricorrere ad una storia credibile, che non facesse nemmeno sospettare dove si trovava in quel momento.
Da cacciatore navigato ne aveva una per ogni occasione e dopo aver tirato un profondo respiro, accettò la chiamata.
“Ehi, Dean”
“Wow, miracolo, hai risposto praticamente subito”
“Ci siamo svegliati spiritosi stamattina?”
“Non sto facendo lo spiritoso, sto solo esponendo i fatti. Comunque, dad, tutto bene? Hai finito la caccia?”
“Veramente credo di aver bisogno di un altro pò di tempo”
“Problemi? Hai bisogno di supporto?”
“No, tranquillo, tutto sotto controllo. Ero di ritorno, ma un mio vecchio amico mi ha intercettato e mi ha chiesto di dargli una mano”
“Dove sei?”
“Brownsville”
“E dove diavolo sarebbe Brownsville?”
“Sempre in Oregon. Pare che ci sia un po' di movimento in una certa Moyer House, ma potrebbe anche trattarsi di qualche voce messa in giro per attirare turisti”
“Moyer House? Mai sentita”
“E’ una villa in stile italiano della fine dell’Ottocento e i giornali locali hanno raccontato di avvistamenti duranti i tour”
“Da quando sei diventato un nerd? Villa in stile italiano…” lo prese in giro Dean.
“Si chiama ricerca, idiota. Sai bene che non bisogna andare a caccia impreparati “
“Non puoi sganciarti? Speravo che ci saremmo rivisti”
“Tranquillo, i nostri piani di qualche giorno senza caccia non sono cambiati, solo rimandati”
“Quanto pensi di trattenerti?”
“Domani andrò a dare un’occhiata in giro e se non ci dovesse essere niente di anomalo, ripartirò in serata”
“Quindi ti aspetto al rifugio di Cottonwood?”
“Sì, Jim ha detto che possiamo fermarci quanto vogliamo”
“Okay. Ci sarei arrivato entro stasera, ma, visto che hai fatto questa deviazione, mi fermo anch’io e faccio ricerche sulle bellezze locali”
“Ragazzino, vacci piano e non metterti al volante se…"
“Non preoccuparti, prenderò Baby solo se ne vedo due"
“Dean"
“Sto scherzando”
“Sarà meglio per te perché i postumi di una sbronza non saranno le cose peggiori che affronterai se, quando ci rivediamo, non superi la mia ispezione”
“Sì, signore"
“Un’altra cosa, figliolo”
“Dimmi”
“So che spesso ti ho dato buca in passato, ma questa volta non era mia intenzione fermarmi qui, non era previsto”
“Va bene, papà, nessun problema”
“Come è andata la tua caccia? Problema risolto?”
“Certo, ho imparato dall’ex migliore”
“Ex?”
“Ex, perché adesso sono io il cacciatore più bravo in circolazione. Potresti anche pensare ad un pensionamento anticipato”
“Ringrazia il cielo che…”
John si fermò sentendo l’allegra risata del figlio e non poté fare a meno di imitarlo pensando che sentiva molto la sua mancanza.
Si erano separati circa due settimane prima e anche se sapeva che Dean era un cacciatore veramente bravo, ancora non lo lasciava andare volentieri perché a volte era troppo impulsivo. Avevano iniziato a cacciare in solitaria poche settimane dopo la partenza di Sam, settimane in cui John aveva dovuto combattere contro il senso di colpa per aver cacciato suo figlio minore e la spirale in cui era precipitato il maggiore.
Anche se faceva il duro, infatti, il distacco dal fratello lo aveva segnato profondamente e il capofamiglia sapeva che Dean era molto arrabbiato con entrambi i membri della sua famiglia: ce l’aveva con Sam per avergli nascosto i suoi piani e averli scaricati, ma era furioso anche con lui per averlo cacciato e aveva bisogno di un po' di spazio per metabolizzare.
Per questo gli aveva consegnato in maniera definitiva le chiavi dell’Impala, anche se già da un po' Baby era la macchina di Dean, e non lo aveva mai rimproverato quando, soprattutto i primi giorni dal Big One, era tornato quasi costantemente all’alba tra una scia inconfondibile di sesso e alcool. Lo aveva lasciato sfogare, poi un pomeriggio aveva atteso il suo risveglio dopo l’ennesima notte brava e aveva strappato via il cerotto con un discorso da uomo a uomo, in seguito al quale il suo ragazzo aveva ripreso il controllo e si era dato anima e corpo alla caccia.
“Dean”
“Sì?”
“Questa me la sono segnata e ti consiglio di tenere al riparo il tuo culo quando ti avrò di nuovo a tiro”
“Lo farò. Ci vediamo domani salvo imprevisti?”
“Ci vediamo domani salvo imprevisti. Ciao, Dean, e stai attento”
“Anche tu”
La telefonata si interruppe e il cacciatore rimase con il telefono fra le mani per un po' sentendosi una merda per aver mentito in modo così spudorato, ma che cosa avrebbe dovuto dirgli?
“Dean, figliolo, sono a cinque minuti da tuo fratello, quello stesso fratello che ho cacciato di casa e del quale non ho mai più voluto parlare?”
Se avesse fatto una cosa del genere, suo figlio maggiore avrebbe infranto la barriera del suono e si sarebbe precipitato a Palo Alto per vederlo, ma come avrebbe reagito Sam?
Il suo ragazzo orgoglioso lo aveva preso in parola ed era completamente sparito. Non li aveva mai cercati nemmeno tramite Bobby, o il pastore Jim, cosa che sapeva non perché aveva chiesto di lui, ma perché i suoi amici avevano ritenuto opportuno urlargli al telefono che aveva fatto una grande cazzata spingendolo a tagliare i ponti con tutti, loro due compresi.
Si stese sul letto e chiuse gli occhi stringendo ancora il telefono in una mano, poi, dopo aver riposato un po', decise che era il momento di muoversi e lasciò la stanza. Si rimise al volante e seguendo le indicazioni, dopo pochi minuti si ritrovò all’ingresso della prestigiosa università di Stanford. Parcheggiò poco lontano e osservando la maestosa facciata si sentì quasi intimorito dalla sua eleganza.
Sorrise e si immaginò il suo Sammy, magro come un grissino, al momento del suo arrivo con solo uno zaino e un borsone al seguito.
Aveva provato una gioia incontenibile ritrovandosi a toccare con mano il suo sogno, o un gran senso di rivincita nei suoi confronti?
Si era emozionato varcando quell’ingresso, o aveva sfoderato la sua determinazione nel farsi strada e aveva affrontato la sua nuova vita a viso aperto?
Conoscendo il suo ragazzo, aveva provato tutte queste emozioni e John pensò con più di una punta di orgoglio che anche il dorato mondo di Stanford gli avrebbe fatto un baffo perché, quando l’uragano Sam decideva che voleva qualcosa, non c’era modo di contenerlo e la borsa di studio ne era la prova evidente.
Quale altro adolescente sarebbe riuscito ad avere una media scolastica tanto alta da essere accettato in un posto simile con la vita che facevano?
Chi altro avrebbe studiato sui sedili di un’auto sul retro dei bar mentre suo padre e suo fratello si procuravano più o meno onestamente da vivere al tavolo da biliardo, o alla luce di una torcia sotto le coperte fino a tarda notte? Cavolo, quante volte lo aveva sgridato per questo perché la mancanza di sonno non era una buona alleata durante una battuta di caccia.
Essere stanchi significava non essere lucidi e non essere lucidi equivaleva a mettere in pericolo tutta la squadra, cosa che era purtroppo accaduta un paio di volte. In quelle occasioni o Sam era rimasto direttamente ferito, o si erano fatti male lui o Dean per proteggerlo, e in una in particolare John era andato su tutte le furie arrivando a fare un falò dei libri e dei compiti del figlio minore, che non gli aveva più parlato per settimane.
“Neanche allora ti sei arreso, eh?”-pensò il cacciatore sedendosi su una panchina a poca distanza dall’entrata.
Non sapeva esattamente come procedere perché non si aspettava che Stanford fosse così grande e non poteva correre il rischio di imbattersi in suo figlio camminando a caso tra i suoi viali. Doveva assolutamente restringere il campo e si domandò come ottenere qualche informazione su di lui senza dare nell’occhio.
La cosa più facile sarebbe stata chiedere un favore ad Ash, ma non voleva che nessuno sapesse che era sulle tracce di Sam, quindi alzò il telefono e chiamò la segreteria dell’università.
“Stanford University”
“Buongiorno.  Sono Michael Harrison e la contatto dall’ufficio del preside Nolan della Lincoln High School di Sioux Falls”
“Buongiorno, signore, sono Susan Hinsch, in che cosa posso aiutarla?”
“Dovrei far recapitare ad un vostro studente il diploma originale e alcuni documenti”
“Nome dello studente”
“Samuel William Winchester”
“Mi può fornire qualche altro dato, signore? Non siamo abituati a rilasciare informazioni sui nostri iscritti senza qualche preliminare controllo”
“Certo, mi sembra giusto. Che cosa vuole sapere?”
“Luogo e data di nascita, per favore”
“Lawrence, 2 maggio 1983”
“Nome dei genitori?”
“Non so se il ragazzo li ha dichiarati entrambi, o solo quello del padre visto che la madre è deceduta”
“Nei nostri archivi abbiamo il nome del padre e quello di suo fratello”
“Okay. Il padre si chiama John Eric Winchester, suo fratello è Dean Winchester”
“Grazie. Mi diceva che deve fargli recapitare dei documenti”
“Sì e anche alcuni effetti personali che ha lasciato nel suo armadietto”
“Può mandarli a noi e…”
“No, ho bisogno che il signor Winchester firmi l’avvenuta consegna tramite corriere. Il mio dirigente è molto pignolo e vuole che la procedura venga eseguita alla lettera”
“Capisco benissimo, anche noi abbiamo delle regole piuttosto ferree. Le serve quindi l’indirizzo dell’alloggio?”
“Sì”
“Ha carta e penna con sé?”
“Sì, mi dica”
“Le suggerisco di aspettare qualche giorno per l'invio, molti nostri studenti non sono ancora rientrati in sede. Non so se il signor Winchester è tra loro, non tutti lasciano gli alloggi durante le pause didattiche"
“Faremo un tentativo e speriamo di essere fortunati “
“Vedo dai nostri registri che il signor Winchester è qui con una borsa di studio, deve essere un ragazzo in gamba"
“Si è distinto anche qui alla Lincoln “
La signorina Hinsch fornì le indicazioni sull'alloggio di Sam e John le annotò con precisione, poi ringraziò e riagganciò con un peso sul cuore.
Forse il suo ragazzo non era a Stanford e stava facendo un clamoroso buco nell’acqua?  Forse tutta quella storia era un tremendo sbaglio e avrebbe fatto meglio a non fermarsi?
Scosse la testa, poi si disse che, non avendo mantenuto i rapporti con Bobby e Jim, era molto probabile che fosse ancora a portata di mano e c'era un unico modo per avere una risposta alle sue domande.
“Okay, passiamo alla fase B”
Si alzò dalla panchina e si guardò attorno. Individuò un gruppo di studenti che si stavano avviando verso l’edificio e li fermò sfoderando un gran sorriso.
“Buongiorno, ragazzi, e scusate il disturbo, ma sono appena arrivato in città per fare una sorpresa a mio figlio che studia qui. Mi sapreste dire come raggiungere questo indirizzo?”
“Certo, signore. Ha l’auto?”
“Sì”
“Bene perché deve arrivare dall’altra parte del campus”
John prese mentalmente nota delle indicazioni dei ragazzi e dopo qualche tentativo andato a vuoto si ritrovò sotto le finestre del dormitorio, che ospitava suo figlio.
Si mise ad osservare il perimetro e notò il ripetuto passaggio del servizio di vigilanza oltre a sparuti gruppi di studenti, che a piedi o in bicicletta si aggiravano per il campus.
Sembravano tutti maledettamente impegnati e questo gli sembrò una buona cosa, sarebbe stato più semplice passare inosservato. Alzò di nuovo gli occhi sul dormitorio e cercò di immaginare il suo ragazzo dietro una delle tante finestre, magari impegnato a preparare qualche nuovo esame.
Il cuore gli diceva di provare ad avvicinarsi subito, ma razionalmente sapeva che sarebbe stata una mossa stupida. Per questo si scelse un posto appartato con una buona visuale sull’ingresso dell’edificio e non si mosse fin quando il sole non iniziò a tramontare e qualche sporadica luce iniziò ad accendersi nelle stanze.
Nessuna delle sagome che vide ogni tanto muoversi dietro le tende tirate gli ricordò Sam e dall'esterno era davvero impossibile localizzarlo.
La gentile signorina Hinsch gli aveva fornito anche il numero della stanza, ma, per evitare un faccia a faccia con suo figlio, aveva bisogno di un piano, così decise di ritornare al pick up.
Si sedette al posto del guidatore e si sentì stranamente rilassato come se respirare la stessa aria di Sam gli avesse fatto fare per un po' pace con il mondo.
Per non destare sospetti, si allontanò dal campus e andò a prendersi qualcosa da mangiare in un drive through, che consumò in una strada secondaria.
Ritornò dopo circa un’ora in vista di Stanford, ma parcheggiò sul lato opposto dell’entrata secondaria e si mise ad aspettare che la vita del campus si prendesse una pausa valutando tutte le opzioni che aveva a disposizione. Nella sua precedente ricognizione, aveva individuato un paio di punti vulnerabili nell’edificio e una rapida occhiata alla porta di ingresso gli aveva detto che non gli avrebbe creato nessun problema se avesse scelto di passare di lì.
Si domandò se il suo ragazzo avesse mantenuto le buone abitudini e avesse provveduto a proteggersi con qualche linea di sale qua e là e sorrise amaramente. No, probabilmente cocciuto com'era, aveva di certo fatto tutto il contrario di quello che gli aveva insegnato per il puro sfizio di andargli contro anche a distanza.
“Maledizione, Sammy"
Mentre era intento a pensare al suo figlio ribelle e a rammaricarsi per il loro difficile rapporto si accorse che la notte stava scendendo e lui era ancora al palo.
“Alza il culo, Winchester, sei qui per vederlo"
Scese dal pick up e si diresse verso il dormitorio facendo attenzione a non incrociare la vigilanza. Giunto di nuovo sotto la residenza studentesca, notò che tutte le luci erano spente e capì che non poteva farsi sfuggire l’occasione di entrare a dare un’occhiata. Si avvicinò all'ingresso e dopo aver forzato la serratura, entrò.
La prima cosa che notò fu un’enorme stanza alla sua sinistra dotata di tavoli, sedie e lampade e sulle cui pareti campeggiavano scaffali pieni di libri. Doveva essere la sala studio e sorrise all'idea della faccia estasiata di suo figlio.
Avanzò verso le scale perché sapeva che la stanza di Sam era al secondo piano e le salì in fretta senza fare alcun rumore. Continuò a camminare guardando i numeri sulle porte, poi si fermò con il cuore a mille davanti alla sottile barriera di legno che lo separava dalla nuova vita del suo ragazzo. Appoggiò la mano sulla maniglia e si bloccò in preda ai dubbi: e se alla fine avesse scoperto che Sam era partito per una destinazione che non conosceva? Se avesse fatto i bagagli e se ne fosse andato in vacanza con i suoi nuovi amici? Tanto rumore per nulla avrebbe detto un famoso autore…
E se invece Sammy fosse stato lì? Che cazzo pensava di dirgli se si fosse svegliato?
La mano gli scivolò dalla maniglia e fece per battere in ritirata quando una voce impastata alle sue spalle lo fece sobbalzare.
“Sam non c’è, ha il turno di notte"
John si voltò e si ritrovò davanti un ragazzone dai capelli rossi con una bottiglia di birra in mano.
“Turno di notte?”
“Sì, Wonder boy si fa un culo così”
“Perché lo chiami Wonder boy?”
“Perché deve essere per forza una specie di supereroe altrimenti non potrebbe lavorare così tanto e essere sempre tra i migliori agli esami"
“Pensavo che avesse una borsa di studio completa"
“Quella non copre mica tutto e a quanto ho capito non può contare sull’aiuto della sua famiglia”- fece il ragazzo prima di scivolare lungo la parete alla sua destra.
“Ehi, stai bene?”-chiese John accovacciandosi davanti a lui.
“Credo di aver bevuto un po’ troppo"
“Lo credo anch'io. In che stanza sei?”
“Non me lo ricordo"
L'uomo scosse la testa e iniziò a frugare nelle tasche dello studente.
“Come ti chiami?”
“William”
“Conosci bene Sam?”
“In realtà no, è sempre di corsa e se non è a lezione, o al lavoro, sta rintanato in camera a studiare.
Ho provato a convincerlo a far baldoria ogni tanto, ma mi ha sempre risposto che non ha tempo da perdere"
“D’accordo, William, adesso vai a nanna"
L’uomo tirò su il ragazzo e lo scaricò poco dopo in camera sua solo qualche porta più avanti rispetto a quella di Sam, poi tornò indietro.
Il suo ragazzo quindi era a Stanford e cosa più importante poteva dare un'occhiata al suo alloggio senza il timore di essere scoperto.
Fece scattare con facilità la serratura e scivolò nella stanza. Notò con disappunto che non c’erano linee di sale, poi si guardò intorno riconoscendo subito, appeso ad un attaccapanni, un giubbotto che Dean aveva regalato a Sam poco prima che se ne andasse. Si avvicinò al letto e vide che era in ordine, ma non nascondeva nessuna arma.
“Hai abbassato completamente la guardia, ragazzino”
Si avvicinò poi alla scrivania e anche quella era perfetta, anche se ospitava alcuni libri e quaderni.
Passò poi all’armadio e spalancando le ante cominciò per la prima volta a rendersi conto che la vita di Sam fuori dalla caccia non era poi così dorata. Non riconobbe molte cose diverse da quelle con le quali suo figlio era andato via mesi prima e il primo campanello di allarme cominciò a suonare.
Passò una mano sui vestiti come se quel gesto gli desse l’illusione di toccarlo davvero e mentre lo faceva, vide su una gruccia una divisa. La tirò fuori per guardarla meglio e lesse sul petto della maglietta il logo del Bodeguita del Medio, un ristorante etnico sulla California Ave.
William non aveva detto che Sam aveva il turno di notte?
Per quanto potesse essere frequentato un locale cubano, possibile che chiudesse all'alba?
Qualche dubbio si insinuò nello stomaco del cacciatore, che cominciava a sentire che qualcosa non andava, così, sentendo la necessità di saperne di più, si sedette alla scrivania di Sam e ne aprì il cassetto.
Ad un primo sguardo non c'era nulla di diverso da quello che ti saresti aspettato nella stanza di uno studente, poi John trovò una pila di ricevute trattenute da un elastico. Le liberò e prese a spulciarle. Erano ordinate per data e John capì che in quel modo Sam aveva voluto tenere sotto controllo le spese.
Cazzo, ne aveva tante e andavano decisamente oltre quelle che una borsa di studio avrebbe potuto coprire.
Rovistando nel cassetto, trovò altri due blocchi di fogli e guardandoli, scoprì che erano le buste paga di due posti differenti: Sam non lavorava solo al ristorante, ma anche come magazziniere.
Adesso i turni di notte avevano un po’ più senso, ma le continue scoperte, invece di tranquillizzarlo, non facevano altro che agitare John sempre di più.
Mise giù i fogli e dopo averli risistemati, chiuse il cassetto e si lasciò andare contro lo schienale.
Era evidente che suo figlio stava facendo i salti mortali per far quadrare i conti e non ci voleva certo un genio matematico per tracciare un rapido bilancio tra entrate e uscite. C'erano stati periodi in cui era sicuramente andato sotto e concluse che doveva essere stato allora che aveva preso un secondo lavoro.
Da padre era allo stesso tempo orgoglioso per la determinazione della testa calda a cavarsela da solo, ma anche devastato dall’idea che si fosse trovato seriamente in difficoltà e non avesse avuto nessuno a cui rivolgersi.
Rimase fermo alla scrivania a lungo e ad un certo punto notò qualcosa di lungo e rettangolare sul piano. Si sporse e vide sul suo dorso il simbolo di Stanford. Lo aprì e rimase senza fiato. Teneva tra le mani il libretto universitario di Sam e rimase sbalordito dal ritmo con cui aveva sostenuto gli esami e soprattutto dai voti che aveva preso. Davanti ai suoi occhi c'era una sfilza di A+, un percorso netto che avrebbe fatto impallidire i più.  Non che John non fosse abituato ai risultati brillanti del figlio minore, ma una cosa era la High School, un'altra era Stanford.
Lesse e rilesse le valutazioni, poi rimise il libretto al suo posto e guardò per la prima volta l'orologio intravedendo la luce del sole. Sarebbe voluto rimanere, ma non poteva rischiare di farsi cogliere in flagrante dal figlio minore.
“È ora di andare"
Si alzò e diede un’occhiata alla stanza controllando di non avere lasciato traccia del suo passaggio.
Decise di non sfidare la fortuna e si avviò verso l'uscita di emergenza. Scese le scale antincendio e in breve raggiunse il suo pick up. Mise in moto e si allontanò velocemente. Tornò alla base e pensò di aver bisogno di dormire dopo la notte in bianco.
Si stese sul letto vestito e chiuse gli occhi. Aveva scoperto un po’ di cose sulla vita di Sam, ma ne voleva sapere di più e soprattutto voleva vederlo. Si disse che aveva bisogno di più tempo, ma non era prudente rimanere nello stesso posto dopo aver detto alla signora Sanders che sarebbe rimasto solo una notte.
Doveva trovarsi un'altra sistemazione in zona, doveva chiamare Dean e dirgli che avrebbe ulteriormente tardato, ma il tutto avrebbe dovuto aspettare qualche ora perché John in pochi minuti scivolò nel sonno.
Non riuscì a riposare per molto perché verso le 10.00 qualcuno bussò alla sua porta e dovette alzarsi.
“Buongiorno, signor Preston. Mi scusi se l’ho svegliata, ma ho bisogno di sapere se tiene la stanza, o la libera”
“Signora Sanders, salve. Vado via, come le avevo detto, il tempo di fare una doccia e i bagagli”
“Certo, faccia pure, e non appena ha finito, può lasciare la chiave nella toppa”
“Lo farò”
“Spero che si sia trovato bene qui da noi”
“Molto bene, grazie”
“Beh, allora buon viaggio signor Preston”
“Arrivederla”
John chiuse la porta della stanza e tornò in bagno per una rapida rinfrescata, poi raccolse le sue cose e le mise nel pick up. Ripartì e si allontanò da Palo Alto. Guidò fino a Menlo Park e si fermò al primo diner che incontrò. Ordinò caffè e ciambelle, poi prese il telefono e chiamò suo figlio maggiore.
“Ehi, papà. Roba forte o perdita di tempo?”
“Non ne sono ancora sicuro, ma da una prima ricognizione direi che sta succedendo qualcosa in quella casa”
“Che vuoi dire?”
“Ho parlato con una guida e con altre persone che si occupano della manutenzione e tutti hanno riferito di fantasmi nella sala da ballo. Mi hanno detto che ogni sabato notte le luci si accendono da sole e parte la musica. Giurano di aver visto persone sbucare dal nulla in abiti antichi e…”
“Mi stai dicendo che c’è un party di fantasmi? Fico!”
“Non lo è, non dovrebbero essere qui”
“Non fare il bacchettone, avranno anche loro il diritto di divertirsi”
“Dean, devono andare oltre”
“Che cosa intendi fare?”
“Sabato li bandiremo”
“Sabato? Papà, ma oggi è lunedì e avevi detto che…”
“Avevo detto che, se non ci fosse stato un caso, sarei ripartito, ma devo fermarmi”
Dean tacque e John fece uno sforzo per mantenere la calma.
“Sai che non lasciamo mai un lavoro a metà”
Il giovane Winchester restò ancora in silenzio e suo padre temette che avesse riagganciato.
“Sei ancora lì?”
“Sì, signore”
“So che sei deluso, ma…”
“No, va bene, vuol dire che me la spasserò con Katie. Divertiti con i fantasmi”
“Dean”
“Signore?”
John colse al volo il fatto che suo figlio non lo stesse più chiamando papà e si sentì molto in colpa, ma doveva continuare a mentire per concentrarsi solo su Sam.
“Ti aggiorno appena ho finito”
“D’accordo, attendo istruzioni allora”
“Ciao, Dean”
Il cacciatore interruppe la conversazione e abbassò lo sguardo sul tavolo. Improvvisamente le ciambelle non sembravano più così appetitose e dopo qualche minuto chiese ad una cameriera di poterle portare via.
Prima di andarsene, le domandò dove potesse trovare una lavanderia a gettoni e una sistemazione a buon mercato, poi tornò al pick up. Si rimise al volante e si disse:
“Un figlio alla volta, John. Rimetterai le cose a posto con Dean, ma adesso la tua priorità è Sam”
Alle 20 era di nuovo davanti al dormitorio e notò subito la luce accesa nella stanza che aveva visitato il giorno prima.
“Ehi, Sammy, sei in casa?”
Come se in qualche modo suo figlio lo avesse sentito, si avvicinò alla finestra e spostò un po' la tenda, non abbastanza da farsi vedere dal padre.
“Andiamo, figliolo”
La seconda richiesta appena sussurrata non fu però accontentata perché Sam si ritrasse e cominciò a muoversi per la stanza. Dopo qualche minuto la luce si spense e John si chiese se stesse andando a letto, ma scartò subito l’ipotesi considerando il fatto che era sempre stato un guerriero del sonno sin da piccolo.
John sorrise amaramente perché gli venne in mente che il suo ragazzo non era più quel soldo di cacio che supplicava di non essere mandato a letto perché voleva vedere ancora i cartoni, era un brillante studente di Stanford. Forse il giorno dopo doveva alzarsi presto per andare a lavorare o in biblioteca a studiare, o più semplicemente aveva bisogno di riposare vista la vita frenetica che conduceva.
Il rumore di apertura della porta del dormitorio strappò John ai suoi pensieri e istintivamente si tirò indietro giusto un attimo prima che il suo Sammy gli passasse a pochi centimetri.
Sentì una forte stretta allo stomaco e avrebbe voluto uscire dal suo nascondiglio e stringerlo forte, ma rimase nel buio a guardarlo mentre si allontanava.
L’uomo ne notò l’andatura un po' lenta, ma la cosa che lo colpì fu l’evidente perdita di peso.
“Che cazzo stai facendo, ragazzino?”
Prese a seguirlo a debita distanza, in fondo Sam era stato addestrato come un cacciatore e doveva stare molto attento, e non si meravigliò più di tanto quando dopo qualche chilometro a piedi lo vide entrare nel retro del famoso ristorante cubano. Lo vide salutare degli altri impiegati, che stavano fumando fuori dalla porta della cucina, poi sparì dalla sua vista.
“E adesso?- si chiese John- Non posso entrare e ordinare dell’Arroz con pollo”
Rimase qualche minuto fermo a pensare, poi prese il telefono e chiamò il ristorante per sapere gli orari di apertura. Una volta saputo che il servizio quella sera terminava all'una , stimò che Sam non sarebbe uscito prima delle due, quindi aveva tutto il tempo di andare a riprendere il pick up. Si rimise in marcia e circa un’ora dopo era di nuovo davanti al Bodeguita del Medio.
Il locale aveva un aspetto abbastanza kitch visto che ai lati dell’ingresso erano ben visibili delle orribili palme di plastica e due enormi bandiere rosse con la stella d’ordinanza penzolanti, ma l’uomo lo promosse lo stesso perché dalle vetrine sulla strada era possibile vedere l’interno e sperò che il figlio facesse qualche lavoro che lo avrebbe portato a fare capolino nella sala, ma restò deluso.
Ad un certo punto concluse che probabilmente si facesse in quattro in cucina e si spostò in modo da tenere sotto controllo la porta, che Sam aveva imboccato ore prima.
Il secondo appostamento fu più fortunato perché dopo circa una mezz’ora di attesa il giovane Winchester uscì dal ristorante e si andò a sedere su delle casse di legno imitato da altri dipendenti.
Evidentemente erano in pausa e John vide uno dei ragazzi tirare fuori da una tasca il pacchetto di sigarette e offrirne una a suo figlio.
“Se ti sei messo a fumare, ti ammazzo”- esclamò ad alta voce raddrizzandosi sul sediolino per vedere meglio.
Sam stava sorridendo e l’uomo nel pick up pensò che stesse per accettare la proposta, ma poi gli vide scuotere la testa e si rilassò.
“Sei troppo intelligente per fare una cazzata del genere, vero?”
Ricordava come se fosse ieri la volta in cui aveva osato accendersi una sigaretta in sua presenza e il suo bambino di appena cinque anni gli aveva fatto un sermone sui rischi del fumo, accompagnato dalla promessa che non si sarebbe più avvicinato a lui perché puzzava, una paternale che aveva avuto l’effetto immediato di fargli mollare le bionde.
Tornò a guardare il suo ragazzo dall’aria piuttosto sbattuta e si chiese come avrebbe fatto a tornare a piedi al dormitorio a fine turno visto che era già così stanco, ma per fortuna, quando il ristorante tirò giù definitivamente le saracinesche, lo vide salire in macchina con il ragazzo della sigaretta, che lo accompagnò fino all’ingresso di Stanford.
John rimase parcheggiato in direzione delle finestre della sua stanza fin quando non vide prima le luci accendersi al momento del rientro e poi spegnersi dopo una decina di minuti.
Sam era andato finalmente a dormire e a quel punto anche l’ex marine decise di tornare a Menlo Park.
Prima di entrare in camera, prese la sacca della biancheria finalmente pulita, poi si concesse di crollare dopo essersi ripromesso di alzarsi presto per ritornare a vivere di nascosto un altro pezzo della vita di Sam.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


La sveglia arrivò troppo presto la mattina dopo e Sam ci impiegò un bel po' prima di decidersi a sporgersi verso il comodino per spegnerla.
Non poteva credere che fossero già passate quattro ore da quando era crollato sul letto, eppure il cicalino insistente non lasciava dubbi sul fatto che una nuova giornata doveva cominciare e che non si poteva concedere un minuto in più tra le braccia di Morfeo.
Cazzo, detestava le sveglie perché per lui era una cosa innaturale interrompere il sonno di qualcuno e aveva sempre reagito male quando il rompiscatole di turno lo aveva disturbato.
Certo, c’era una bella differenza tra le urla e le coperte strappate via da papà e i modi più soft di Dean per convincerlo a scendere dal letto, ma in ogni caso per lui la giornata iniziava male ed era meglio girargli al largo quando era costretto a svegliarsi prima di quando volesse, soprattutto se la levataccia preludeva ad una sessione di addestramento.
Quella mattina Sam si sentiva davvero a pezzi, proprio come dopo uno di quegli allenamenti, ma stavolta nessuna responsabilità di marca Winchester, era colpa solo, si fa per dire, del suo lavoro.
Il turno al ristorante era stato più pesante del solito perché , oltre alla solita rumorosa clientela, aveva dovuto far fronte ad un addio al celibato e i piatti, e soprattutto i bicchieri, erano ricomparsi accanto alle vasche del lavandino ogni volta che pensava di aver finito, ma la sveglia chiamava e lui doveva per forza rispondere.  
La cercò a tentoni per qualche secondo, poi, avendola mancata un buon numero di volte, si decise ad aprire gli occhi e a individuarla qualche centimetro più a destra rispetto a dove la stava rincorrendo. La spense con un colpo netto e per un attimo pensò di cedere di nuovo al sonno, poi il suo io interiore gli ricordò che non poteva permetterselo perché doveva sfruttare ogni momento libero per studiare.
Il mantenimento della sovvenzione da parte dell’università infatti era condizionato al fatto che fosse sempre in regola con gli esami e con una media alta, e non poteva assolutamente permettersi di perderla per tutta una serie di motivi: a) amava frequentare Stanford, b) si stava costruendo un futuro, c) non avrebbe mai potuto sopportare l’idea di lasciare gli studi perché non poteva più permetterselo e d)….
Da quando era arrivato aveva già rischiato di dover mollare e non perché non fosse un ottimo studente, ma perché si era trovato impreparato davanti al tenore di vita di Palo Alto in generale, ed era stata veramente dura rimanere ancorati all’obiettivo finale.
Era stato evidente fin dai primi giorni che le persone che lo circondavano erano di un altro livello e gli era pesato ancora una volta essere lo studente di seconda mano.  Aveva anche talvolta peccato di invidia quando aveva visto arrivare i suoi compagni di corso su auto importanti accompagnati da genitori facoltosi e non tanto perché era uno che voleva a tutti i costi la bella vita, in fondo non aveva nemmeno idea di che cosa volesse dire mettere la chiave nella stessa toppa per un mese di seguito prima di arrivare a Stanford, quanto per la sicurezza che mostravano.
Osservando i suoi coetanei, aveva notato che sapevano che avrebbero dovuto fare solo un cenno e le loro famiglie sarebbero arrivate in un attimo in soccorso. Si vedeva da come padri e figli camminavano gli uni accanto agli altri e dalla complicità dipinta sui loro volti ed era quello che Sam aveva per anni cercato in John, ma lui e la sua maledetta crociata avevano sempre avuto la precedenza.
Quando era piccolo, Dean era stato il suo tutto, fratello, amico, protettore, e questo gli era bastato fin quando non aveva cominciato a notare nei discorsi dei compagni di scuola che le cose nelle famiglie normali non funzionavano come nel clan Winchester. Nelle loro vite c’erano dei genitori, delle case, lavori ordinari e feste in famiglia, nella sua un sergente istruttore, un’auto, l’attività di famiglia e cene di Natale in pidocchiosi motel consumati in scatole di polistirolo.
A otto anni aveva chiesto quale fosse esattamente il lavoro di papà e aveva ricevuto la solita risposta evasiva e l’ammonizione a chiudere la bocca perché faceva troppe domande, accompagnata della solenne promessa di una ripassata al suo culo curioso se fosse tornato alla carica. In quel momento aveva abbozzato, ma voleva sapere a tutti i costi che cosa c’era di sbagliato intorno a lui e alla fine aveva letto il diario entrando a pieno titolo in un film horror con la differenza che non aveva a disposizione un telecomando per bloccarlo quando aveva paura.
Da allora ogni parvenza di normalità se ne era andata a farsi fottere e l’addestramento militare di papà lo aveva travolto senza sconti: corsa, sparring, flessioni, uso delle armi e punizioni severe quando il suo rendimento non era considerato adeguato.
Nel vocabolario del sergente Winchester avere le spalle coperte significava poter contare sul fatto che un altro sarebbe stato pronto ad intervenire in caso di pericolo, mentre Sam avrebbe voluto che si riferisse al fatto di non sentirsi solo e diverso in nessuna occasione perché John sarebbe stato lì per lui.
Aveva perso il conto nel corso degli anni di quante volte aveva inutilmente atteso che si presentasse ad un evento scolastico e aveva dovuto inventare scuse assurde con i professori e i compagni per la sua assenza.
Aveva imparato a mentire con un gran sorriso in pubblico e a mandare giù in privato le lacrime nei bagni delle scuole perché nessuno doveva farsi domande sul fatto che il signor Winchester non fosse in prima fila ad applaudire il figlio per l’ennesimo riconoscimento.
L’amarezza di quelle occasioni sommato all’evidente disinteresse verso quello che Sam voleva davvero per la sua vita erano il cardine della lettera “d” dell’elenco: in nessun caso sarebbe ritornato con la coda tra le gambe da suo padre ammettendo la sconfitta, anzi gli avrebbe dimostrato che non era vero che i Winchester potevano essere solo dei cacciatori e non potevano sfuggire a questo destino.
Il giovane studente si passò le mani sul viso, poi si fece coraggio e spostò le coperte. Si mise in piedi e dopo aver solo sfiorato il pavimento gelido, si ricordò che le pantofole dovevano decisamente scalare la classifica delle cose da acquistare. Si avviò verso il bagno e come faceva ogni mattina, si infilò nella doccia.
Avrebbe dovuto farla ore prima per staccarsi da dosso gli odori della cucina cubana, ma non ne aveva avuto la forza e giusto per essere sicuri di non puzzare ancora di spezie varie, si fermò più del solito sotto l’acqua calda.
Una volta finito si asciugò, si vestì e poi strofinandosi i capelli con un’asciugamani, si avviò verso la macchina del caffè. Inserì una cialda e aspettò che la tazza si riempisse, poi si andò a sedere alla scrivania e guardò i libri davanti a lui. Era a buon punto per il prossimo esame, ma un po' in ritardo sulla tabella di marcia.
Per quanto si fosse sforzato di non rallentare, infatti,nelle ultime due settimane aveva avuto poco tempo per studiare perché aveva dovuto sostenere delle spese impreviste e fare degli straordinari su entrambi i posti di lavoro.
Sam sospirò e sorseggiò ancora il caffè sperando di svegliarsi definitivamente, poi prese un tomo e un quaderno per prendere appunti e quando era solo l’alba, iniziò a darci dentro.
Rimase con la testa china sul testo per ore e si accorse che il tempo era passato quando sentì l’orologio di una chiesa vicina battere le undici. Era decisamente il momento di fare una pausa e si disse che forse avrebbe dovuto mangiare qualcosa, ma, prima di farsi il solito discorso sulla necessità di nutrirsi con regolarità, cominciò a sentire dei rumori provenire dall’esterno. Si alzò e aprì la porta per dare un’occhiata.
“Ehi, Wonder boy”
“La pianti di chiamarmi in quel modo?”
“E dai, è divertente”
“No, non lo è. Ma che diavolo hai fatto? Sembra che ti abbia investito un camion”
“Sto benissimo e tu ti sei perso una festa da sballo”
“Beh, non mi interessano le tue feste da sballo se questo vuol dire non reggersi in piedi il giorno dopo”
“Sono in piedi, non mi vedi? Stanotte no, ero spiaggiato proprio davanti alla tua porta, ma poi quel tipo deve avermi portato in camera”
“Quale tipo?”
“Non lo so, uno cazzuto, o era una? Boh, è tutto un po' confuso”
“Forse una delle tue amichette ti ha portato in camera, ma eri così sbronzo da non ricordartene”
“Però mi ricordo che gli ho parlato di te”
“Di me? Hai proprio pochi argomenti di conversazione, eh?”
Sam sorrise e chiese:
“Vuoi una tazza di caffè? Magari ti schiarisci un po' le idee”
“Non mi farebbe nulla. Sto andando a prendere dell’aspirina, ho un mal di testa che mi sta uccidendo”
“Se vuoi, ti risparmio la passeggiata, ne dovrei avere in camera”
“E poi dici che non ti devo chiamare Wonder boy”
Il giovane Winchester scosse la testa e rispose:
“Torna a letto e lascia la porta aperta, te la porto appena l’ho trovata”
“Sì, capo”
William si avviò verso la sua stanza e Sam si mise alla ricerca delle pillole nella sua. Aprì il mobiletto del bagno, ma non le vide e si chiese dove potesse averle messe. Era strano che non fossero al loro solito posto perché era una persona estremamente ordinata, poi si ricordò di averle spostate nella scrivania per averle più a portata di mano mentre studiava. Gli era capitato, infatti, soprattutto negli ultimi tempi, di soffrire di emicranie e non sempre aveva voglia di spostarsi da dove si trovava, quindi si era organizzato di conseguenza.
Tornò sui suoi passi e avvicinandosi al tavolo, notò che il cassetto non era chiuso bene.
Si sedette, lo aprì e lo sguardo gli cadde sulle pile di ricevute. Non sapeva dire con precisione che cosa ci fosse che non andasse, ma qualcosa c’era e forse se avesse potuto osservare con calma, avrebbe anche riconosciuto ciò che lo stava disturbando. Non ne ebbe il tempo però perché la voce di William che lo reclamava lo distrasse e si limitò a recuperare solo l’aspirina.
Dopo aver concluso il suo compito di buon vicino, Sam tornò nella sua stanza e osservando la sedia, sbadigliò.
Fermarsi lo aveva distratto, ma la stanchezza era ancora tutta sulle sue spalle e guardò di nuovo con desiderio il letto
“Devo uscire da qui, ho bisogno di una boccata d’aria”
Prese il giubbotto dall’attaccapanni e il suo zaino. Vi infilò dentro libri e quaderni e uscì dandosi come meta finale della sua veloce passeggiata la biblioteca.
                          ---------------------------------------
In una stanza di un motel non molto lontano John si stava appena svegliando e rimase davvero sorpreso quando si accorse di che ora fosse. In genere era un tipo mattiniero e invece eccolo lì, beatamente a letto, alle dieci del mattino.
Si guardò intorno un po' spaesato, poi le immagini di Sam gli riempirono la mente e si ricordò di essersi fermato a Palo Alto di ritorno da una caccia.
Il desiderio di rivederlo al più presto lo invase e decise di alzarsi. Ci mise giusto dieci minuti per lavarsi e vestirsi, poi prese le chiavi del pick up e uscì destinazione Stanford. Prima di andarci però si fermò al diner del giorno prima, fece un abbonante colazione perché non sapeva se avrebbe avuto tempo di mangiare nelle ore seguenti, poi controllò il telefono per vedere se gli erano arrivati dei messaggi.
Sperava che ce ne fosse qualcuno di Dean e il suo ragazzo non lo deluse.
“Ciao, papà. Volevo chiederti scusa per come mi sono comportato, mi dispiace. So che non si lasciano i lavori a metà e anche se ieri non ho fatto molto per renderlo credibile, non sono un ragazzino e capisco che devi fermarti a Brownsville fino a sabato. Ci vediamo a Cottonwood e se hai bisogno, chiamami”
John sorrise e rispose subito all’sms pensando a quanto fossero diversi i suoi figli: Dean era quello dall’aria strafottente e apparentemente sicuro di sé, ma dietro la scorza da duro batteva un cuore gentile che di fatto non riusciva a portare rancore; Sammy invece fotteva tutti con quella sua aria da cucciolo, ma in realtà era una iena e quando attaccava, lo faceva per fare male. Non era cattivo, ma perdeva qualsiasi freno quando esplodeva e questo era un lato del carattere che aveva ereditato proprio da suo padre.
La sera in cui si erano scontrati definitivamente, i due non si erano risparmiati colpi bassi e nella testa di John ancora risuonavano le parole di odio che aveva sentito uscire dalla bocca del suo secondogenito.
La gente in genere pensa che quello che si dice in preda all’ira non corrisponde alla realtà, ma il cacciatore non poteva negare che era rimasto sconcertato dalla furia del figlio. Sapeva da sempre che non voleva fare the life, ma quello che il suo ragazzo gli aveva sbattuto in faccia quella notte andava molto oltre.
Lo aveva messo in discussione come padre, lo aveva accusato di avergli rovinato la vita e di tante altre cose che si era sforzato di non registrare e quando Sam era andato via, anche il rude John Winchester aveva vacillato. Avrebbe voluto rincorrerlo e pregarlo di tornare indietro, avrebbe dovuto stringerlo e chiedergli perdono per averlo scacciato, e invece era rimasto fermo a fissare il vuoto con una bottiglia di birra in mano.
“Riusciremo mai a ritrovarci, figliolo?”
L’uomo mandò giù l’ultimo boccone, poi lasciò i soldi sul tavolo e uscì dal diner portando con sé un panino avvolto nel cellofan che si era fatto preparare per ogni evenienza.
Mentre guidava verso Stanford, gli tornò in mente quanto suo figlio minore fosse dimagrito e la cosa lo fece accigliare perché era evidente che non stava mangiando a sufficienza, una cattiva abitudine che si perdeva nel tempo.
Quando Sammy era molto piccolo, subito dopo la morte di Mary, aveva faticato ad accettare che non ci fossero più le calde e confortanti braccia della mamma a tenerlo mentre si attaccava al seno e non era stato semplice convincerlo che l’unica pappa che avrebbe ricevuto proveniva da una tettarella in silicone, o da un cucchiaino, ma poi si era rassegnato con buona pace delle orecchie degli altri due Winchester.
Intorno ai due anni aveva poi attraversato una nuova fase in cui aprire la bocca era un’impresa titanica e ancora una volta John aveva dovuto far appello a tutta la sua pazienza per risolvere il problema.
Aveva capito che non avrebbe rivisto in Sam la stessa autonomia di Dean, che orgogliosamente alla sua età aveva rivendicato le posate, perché il suo secondogenito era di fatto disinteressato al cibo, così si era rassegnato all’idea di mangiare con suo figlio sulle gambe e di imboccarlo.
A volte per svuotare un piatto di pastina ci metteva un secolo, ma alla fine quello che contava per John era che il suo bambino avesse mangiato e, ad esser sinceri, amava sentirlo canticchiare, tra un boccone e l’altro, melodie inventate mentre giocava con qualsiasi cosa gli venisse data in mano.
L’ex marine sorrise al ricordo di Sammy in versione small e pensò che gli anni erano passati troppo in fretta.
Dopo pochi minuti si ritrovò davanti all’università e parcheggiò il pick up non molto lontano dall’ingresso. Rimase fermo al posto di guida chiedendosi se dovesse rischiare di avvicinarsi al dormitorio in pieno giorno e si rispose che sarebbe stato allo stesso tempo imprudente e potenzialmente inutile. 
Il suo ragazzo era rientrato molto tardi e doveva mettere in conto che avrebbe anche potuto non mettere il naso fuori dalla porta per tutto il giorno. Da un lato avrebbe preferito saperlo a letto a riposare perché la sua postura di ritorno dal ristorante tradiva una profonda stanchezza, ma dall’altro si augurava di poter sfruttare ogni secondo della sua permanenza a Palo Alto per stargli il più vicino possibile.
Mentre era intento a riflettere sul da farsi, vide la familiare figura di suo figlio minore uscire da Stanford e iniziare a camminare zaino in spalla ad un ritmo abbastanza sostenuto.
Sfilò in fretta le chiavi dal quadro e scese dal pick up. Lasciò che si allontanasse il giusto, poi iniziò a seguirlo cercando di resistere all’impulso di avvicinarsi troppo.
Prese ad osservarlo e dopo un’attenta scansione concluse che, a parte l’eccessiva magrezza per un ragazzo della sua stazza, lo trovava in forma. La vita da studente non lo aveva rammollito, anzi il suo fisico asciutto sembrava tonico al punto giusto e ipotizzò che Sam non avesse perso l’abitudine di allenarsi.  
Lo tallonò fino ad un nuovo edificio verso il quale si dirigevano altri studenti armati di libri e zaini e John ipotizzò che fosse un’altra sede universitaria.
L’ingresso era preceduto da una fontana e due lunghe sedute a ferro di cavallo e una breve scalinata sui cui gradini alcuni ragazzi erano impegnati a leggere.
Sam puntò dritto all’entrata e il cacciatore lo lasciò sparire dietro le porte, poi lesse su un cartello che si trovava alla Stanford Library.
“E dove potevi andare, secchione?”
Si chiese se l’accesso fosse riservato solo agli studenti e decise di dare un’occhiata per non rischiare di essere allontanato attirando l’attenzione dei presenti e quindi anche di suo figlio. Fece un giro intorno all’edificio e notò un furgone parcheggiato davanti ad una porta secondaria spalancata.
Sulla fiancata c'era scritto che apparteneva ad una ditta che si occupava di trasporto libri e supporti didattici per l'università e John concluse che doveva cogliere la palla al balzo.Si avvicinò e dopo aver giudicato sufficientemente sicuro intrufolarsi nella biblioteca in quel modo, si mosse. Percorse un lungo corridoio e riuscì a raggiungere la sala studio senza essere notato. Entrò e si ritrovò davanti file e file di tavoli e scaffali traboccanti di libri. Per fortuna il posto era poco affollato e i pochi presenti sembravano talmente presi dai loro studi che difficilmente avrebbero fatto caso lui, compresa l’addetta all’accoglienza che era molto concentrata sul tomo davanti a lei.
Se Dean fosse stato lì avrebbe fatto sicuramente qualche battuta sullo squadrone di nerd, ma John sapeva che suo figlio maggiore era molto intelligente e se avesse voluto, avrebbe potuto conquistarsi un posto in qualche college. Ma Dean era Dean e aveva scelto suo padre e la sua crociata contro il Male ,cosa per la quale non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza perché probabilmente non avrebbe retto se tutti e due i suoi ragazzi gli avessero voltato le spalle.
Fu un attimo e il rancore tornò a galla ad avvelenare i pensieri di John, che si chiese dove avesse lasciato le palle. Non aveva giurato a se stesso che non lo avrebbe mai perdonato? Non si era forse comportato come se Dean fosse figlio unico e cancellato Sam dal suo cuore?
In fondo non aveva esitato nel rispondere alla domanda diretta di Mrs Sanders, giusto?
No, non lo aveva fatto perché solo il suo primogenito meritava di portare il suo cognome e star lì a fare la figura dello stalker non era una cosa da John Winchester.
Sentì forte l’impulso di alzarsi e andarsene, ma, guardando di nuovo in direzione di Sam, l’amore che provava per lui gli assestò un bel gancio e non riuscì a muoversi.
Il suo ragazzo stava giocherellando con una penna proprio come gli aveva visto fare decine di volte quando non riusciva a venire a capo di qualcosa e probabilmente il continuo scattare della molla avrebbe infastidito chiunque si fosse trovato nei paraggi, ma la biblioteca era praticamente vuota e nella desolazione generale, aveva scelto un angolo appartato. Continuò a fissarlo mentre scaricava il nervosismo attraverso quel gesto ripetitivo e John si ricordò che era un’abitudine che aveva trovato sempre molto fastidiosa, soprattutto mentre guidava. Più di una volta gli aveva urlato di smetterla dal sedile anteriore dell’Impala e ovviamente il rimprovero lasciava il tempo che trovava perché dopo pochi minuti il ticchettio riprendeva senza sosta. Una volta si era così esasperato da fermarsi alla prima stazione di servizio, sequestrargli tutte le penne a scatto e comprargliene alcune decisamente più silenziose.
“Sarai anche uno studente brillante di Stanford, ma in fondo sarai sempre il mio Sammy, vero?”
Dal punto in cui si trovava, non riusciva a vederlo bene, ma avrebbe scommesso qualsiasi cosa sul fatto che si stesse mordicchiando un labbro e rimase in attesa per scoprire quando la soluzione alle sue domande gli avrebbe illuminato il viso.
Dopo qualche ora John ebbe la certezza che le cose avessero preso la giusta direzione perché Sam aveva smesso di scrivere e poi cancellare i suoi appunti e la sua postura era molto più rilassata. Lo vide lasciare la penna con l’aria soddisfatta e appoggiarsi allo schienale della sedia.
“Ce l’hai fatta, ragazzino”
Delle campane in lontananza batterono le tre e lo stomaco del cacciatore brontolò richiedendo attenzioni. Era stato così preso da registrare nella sua mente ogni singolo istante che stava trascorrendo vicino al suo secondogenito che non si era nemmeno accorto che l’ora di pranzo era passata da un po' e soprattutto non se n’era accorto Sam.
“Ma che fai, salti i pasti? E’ per questo che sei diventato un chiodo?”
Ovviamente il suo ragazzo non aveva idea che fosse lì e John si chiese come potesse non accorgersi di essere osservato da tanto tempo. In un’altra vita non sarebbe mai successo, ma la caccia e tutto quello che implicava erano evidentemente solo uno scomodo ricordo relegato chissà dove.
La sessione studio continuò ancora per qualche ora, poi Sam guardò l’orologio e si alzò frettolosamente con l’aria di chi si era all’improvviso ricordato di un impegno urgente. Mise a posto i libri che aveva sparpagliato sul tavolo, riempì il suo zaino e fece per muoversi per lasciare la biblioteca.
John aspettò che uscisse, poi si alzò e mise a posto i tomi che aveva finto spudoratamente di consultare. Fece una capatina in bagno perché, se suo figlio non sentiva nessuno dei bisogni primari, questo non voleva dire che il suo corpo fosse d’accordo, poi uscì convinto di aver messo abbastanza spazio tra lui e Sam.
Non appena mise piede fuori dalla biblioteca però fu sorpreso dal vederlo seduto vicino alla fontana impegnato in una telefonata e si fece indietro. Con chi stava parlando?
Sicuramente non aveva chiamato lui perché il suo cellulare riposava nella tasca del giaccone e in ogni caso era l’ultima persona sulla faccia della terra a cui suo figlio avrebbe rivolto la parola, e avrebbe scommesso anche che non si trattava di Dean. Certo, non ci avrebbe messo la mano sul fuoco perché il legame tra i due fratelli era stato veramente profondo, ma era abbastanza sicuro del fatto che non si fossero tenuti in contatto.
Forse, nonostante quello che i suoi amici gli avevano detto, Sam sentiva ancora Bobby o Jim?
Sperò sinceramente che fosse così, gli avrebbe alleggerito un po' il cuore, ma era un’ipotesi come un’altra perché la verità era che non sapeva più niente della vita di suo figlio da un bel po'.
Magari stava parlando con qualche amico, oppure con una ragazza…
L’uomo dovette smettere di fare supposizioni perché nel frattempo Sam aveva preso a camminare dopo aver terminato la chiamata e lo seguì fin quando non lo vide inforcare la porta del dormitorio.
A quel punto si rifugiò nel pick up e mandò giù in pochi bocconi il panino che aveva portato con sé augurandosi che suo figlio stesse avendo la decenza di mangiare qualcosa dopo aver digiunato per tutta la giornata.
Rimase in vista della finestra della sua stanza ancora per un po', poi vide la luce spegnersi e dopo qualche minuto, eccolo di nuovo in movimento ma questa volta nella direzione opposta a quella del ristorante cubano. Aveva tra le mani qualcosa preso da un distributore automatico e John cominciò a chiedersi se Sam avesse qualche serio problema con il cibo.
Come cavolo poteva sostenersi un gigante del genere con una barretta o qualcosa di simile?
Lo seguì con lo sguardo fin quando non lo vide svoltare un angolo, poi accese il pick up e si diresse dalla stessa parte. Lo ritrovò pochi istanti dopo sotto la pensilina di un bus e capì che stavolta il pedinamento sarebbe durato più a lungo.
La linea 281 arrivò alla fermata dopo qualche minuto e John aspettò che Sam salisse prima di seguirlo.
Ad ogni sosta fece attenzione al ricambio dei passeggeri e alla fine della corsa l'uomo vide scendere il figlio in prossimità dello Stanford Shopping Center e avviarsi all’entrata per i dipendenti. 
. Passò un badge per accedere all’interno del mall, superò il tornello e sparì alla vista di suo padre, che si disse che sarebbe stato molto difficile seguirlo questa volta.
In biblioteca era stato fortunato, ma come avrebbe dovuto rintracciare Sam un posto così grande?
Sulle buste paga c'era scritto che lavorava part time, quindi, facendo un rapido calcolo, arrivò alla conclusione che non sarebbe uscito prima di mezzanotte e aveva tutto il tempo di tornare alla base prima di tentare di intercettarlo a fine turno, così avviò il pick up e si allontanò da Stanford.
Mentre guidava verso Menlo Park rifletté su quanto si fosse sbagliato sulla vita da universitario di Sam e si sentì un po' in colpa. 
Quando si era raramente concesso di pensare a lui, lo aveva immaginato diviso tra lezioni e confraternite, fiumi di alcool e notti brave, e gli era ribollito il sangue temendo che, essendo senza controllo, avrebbe potuto fare qualcosa di molto stupido. 
Ricordava perfettamente quanto si era divertito con i suoi commilitoni mentre serviva il paese, soprattutto le stronzate spinto dall’incoscienza tipica della giovinezza e l’idea che il suo ragazzo potesse trovarsi in qualche pasticcio gli aveva tolto il sonno più di una volta, soprattutto quando aveva incontrato casualmente qualche gruppo di ragazzi alticci in una città qualunque.
Da quello che aveva visto da quando era arrivato a Stanford, Sam stava invece rigando dritto, forse fin troppo visto che non si concedeva pause e questa non era una cosa positiva perché ogni tanto anche l’implacabile John Winchester scendeva dalla giostra e si concedeva una sbornia e la compagnia di una donna dopo la caccia se gli capitava l’occasione. Puro e semplice sesso ovviamente perché non avrebbe mai sostituito in maniera permanente l’amore della sua vita e il mattino dopo ognuno per la sua strada.
Non aveva mai pensato di ricostruirsi una vita dopo la morte di Mary e anche se a volte si era sentito sopraffatto dalla responsabilità di dover crescere da solo due bambini piccoli, era andato avanti. Erano lui e i suoi ragazzi, non c’era spazio per nessun altro, e aveva vissuto per anni pensando che tre fosse il numero perfetto, ma poi Sam aveva mollato la vita da cacciatore per un fottuto college e le cose non erano state più le stesse.
Lo aveva giudicato un egoista presuntuoso e invece il suo ragazzo, nonostante la sua media perfetta e la frequentazione di un’università prestigiosa, si era vestito di umiltà e ce la stava facendo a costo di enormi sacrifici.
John sentì di nuovo il suo stomaco stringersi tra l’orgoglio per l’uomo che Sam stava dimostrando di essere e la delusione per il suo voltafaccia e quando arrivò a destinazione, pensò che forse doveva concedergli delle attenuanti visto che anche lui aveva fatto orecchie da mercante quando gli avevano detto che era troppo giovane per sposare Mary e aveva lottato per lei contro suo padre.
In fondo non aveva fatto anche lui qualcosa di molto simile a quello che anni dopo aveva rimproverato a suo figlio? Non aveva sfidato chiunque per quello in cui credeva?
Non era stato lui ad insegnare ai suoi figli che, quando si vuole qualcosa, si deve cercare di ottenerlo a qualunque costo?
John parcheggiò il pick up e salì in camera non riuscendo a mettere un freno ai suoi pensieri. Si stese sul letto e rimase a fissare il soffitto fin quando la sua attenzione fu attirata da una vibrazione del telefono.
Lo prese e lesse il messaggio:
“Ehi, papà, sono quasi arrivato a Cottonwood. Novità sul caso?”
Il cacciatore si massaggiò stancamente la mascella e rispose:
“Per il momento sto solo acquisendo informazioni, ho passato mezza giornata in una biblioteca tra i libri”
“Immagino il divertimento… C’era almeno qualcuno di interessante?”
John sorrise cogliendo la malizia della domanda e replicò:
“Ovunque mi girassi, c’erano solo nerd”
“Passo successivo?”
“Devo avvicinarmi di più, mi servono più dettagli”
“Stai parlando con i testimoni degli avvistamenti?”
“Ho parlato con un ragazzo e mi ha dato molte informazioni utili”
“Sei sicuro che non vuoi che ti raggiunga?”
“No, Dean, è tutto sotto controllo”
“Okay. Ci sentiamo allora”
“Ci vediamo domenica”
“Ciao, papà”
L’ex marine chiuse il telefono e inspirò profondamente. Non gli piaceva mentire a Dean, ma aveva fatto la scelta di non dirgli di essere a Stanford e la farsa doveva continuare.
In fondo non aveva proprio sparato cazzate, aveva solo lasciato credere a suo figlio maggiore che le risposte alle sue domande si riferissero alla famosa villa in stile italiano.
John scosse la testa non convinto delle sue stesse riflessioni e decise di darsi una rinfrescata e andare a mangiare visto che, secondo i suoi calcoli, aveva ancora qualche ora a disposizione prima di tornare al mall.
La sua valutazione si rivelò giusta perché, quando tutte le saracinesche del centro commerciale furono abbassate e le luci furono spente, lui era già in attesa.
I primi dipendenti cominciarono a fare capolino sul piazzale dello Stanford Shopping Center circa una ventina di minuti dopo il suo arrivo e parte di essi si avviarono alle auto ferme nel parcheggio praticamente deserto.
Il cacciatore aspettò un po' prima di vedere spuntare anche Sam e nonostante fosse a distanza di sicurezza, lo vide appoggiarsi stancamente alla pensilina del bus notturno che lo avrebbe riportato a Stanford.
Insieme a lui c’erano altre poche persone, che un po' alla volta presero i loro bus, e il giovane Winchester rimase solo ad aspettare la sua corsa.
John si irrigidì al pensiero che in quella situazione il suo ragazzo era una preda facile e cominciò ad agitarsi quando vide avvicinarsi qualcuno. Istintivamente spostò la mano sulla pistola e si tenne pronto a reagire perché, a costo di farsi scoprire, non avrebbe permesso a nessuno di fare del male a Sammy in sua presenza.
Dal canto suo il giovane Winchester non sembrava interessato alla figura in arrivo e questo atteggiamento innervosì molto suo padre, che nel frattempo aveva anche aperto parzialmente la portiera del pick up.
“Che diavolo stai facendo? Hai davvero dimenticato tutto quello che ti ho insegnato?”
Sam rimase con lo sguardo basso impegnato a fissare qualcosa sul marciapiedi e non si mosse nemmeno quando la figura gli si parò davanti. A quel punto, venendogli meno una buona visuale, John scese dal suo veicolo e prese la mira.
“Fai una sola mossa sbagliata, amico, e per te è la fine”
L’uomo tenne gli occhi fissi sul suo ragazzo e quasi non si accorse dell’arrivo del bus, che con un rumoroso sbuffo di freni si fermò e raccolse in passeggeri in attesa. Ripartì dopo pochi secondi e il cacciatore sentì la tensione scivolare via. Evidentemente lo sconosciuto non aveva nessuna intenzione di far del male a Sam, ma stava aspettando di poter tornare a casa proprio come suo figlio. Ripose la pistola e si rimise al volante in direzione Stanford sbirciando nel mezzo davanti a lui.
Suo figlio era seduto nella parte posteriore del bus e questo gli dava l’occasione di vederne almeno la figura.
Lo scortò in un viaggio che gli sembrò brevissimo e quando lo vide scendere, riconobbe i segni inequivocabili di una giornata pesante sulle sue spalle abbassate.
Aspettò che entrasse nel dormitorio e che la luce si accendesse nella sua stanza segnalando di essere giunto a destinazione, poi spostò la mano verso il quadro di accensione con l’intenzione di andare via, ma poi la ritrasse.
Era una cosa stupida, ma vedere ancora attività nella camera di Sam non gli faceva mettere la parola fine a quella giornata passata “insieme” e si sentì quasi obbligato a non andare a dormire prima che lo facesse lui.
“Non ti metterai mica a studiare, vero?”
La logica avrebbe voluto che, dopo una maratona iniziata sicuramente molto presto la mattina, il suo ragazzo andasse a riposare, ma ricordava bene che diventava ossessivo quando si trattava di un compito in classe, o di una qualsiasi altra prova scolastica.
Anche quando era poco più che un ragazzino, doveva sapere tutto alla perfezione e se da un lato John trovava questa cura nella preparazione una buona cosa, soprattutto quando aveva cominciato ad affidargli la ricerca sui casi, dall’altra in certi momenti avrebbe voluto che affrontasse le cose con maggiore leggerezza.
Guardò ancora verso la stanza e la luce era ancora accesa quando l’orologio sul quadro di accensione segnava quasi l’una.
“Andiamo, Sammy, adesso basta”
Dopo una decina di minuti, il lampadario si spense e il cacciatore pensò che finalmente suo figlio si stesse infilando nel letto, ma tempo qualche secondo e la camera era di nuovo illuminata, probabilmente dalla lampada che aveva visto sulla scrivania.
“Adesso vengo su e ….”
John non riuscì a completare la frase perché la stanza ritornò nel buio e dopo una manciata di minuti di attesa, ebbe la certezza che non la luce non sarebbe stata riaccesa.
Infilò le chiavi nel quadro e avviò il motore.
“Buonanotte, Sammy”- mormorò lasciando definitivamente Palo Alto per quella giornata.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** capitolo 3 ***


Quando John arrivò nei pressi dell’università, notò immediatamente che la zona era molto più affollata dei due giorni precedenti e ne rimase sorpreso. Al posto di strade libere e poca gente in giro c’erano macchine parcheggiate ovunque, valigie e gruppetti più o meno numerosi di persone intente a raggiungere l’ingresso di Stanford.
“Da dove diavolo siete usciti tutti?”
Dopo qualche altro metro fu costretto a fermarsi perché davanti a lui una Landyact color argento aveva preso possesso della carreggiata e dal suo interno era uscito un ometto in giacca e cravatta, che si stava affannando a chiedergli a gesti un attimo di pazienza per poter scaricare il bagagliaio.
John rispose con un sorriso e si mise ad osservare la scena perché dopo il conducente erano usciti dall’auto una donna, presumibilmente sua moglie, e una ragazza dai lunghi capelli neri raccolti in una coda, e tutti e tre si stavano impegnando a portare il più velocemente possibile una serie di valigie coordinate sul marciapiedi.
Il cacciatore, abituato a viaggiare leggero, si chiese che cosa mai ci fosse nei bagagli e sorrise al pensiero di quante cose inutili la gente era solita portare con sé quando lasciava casa.
All’inizio della loro relazione lui e Mary erano stati sempre molto disinvolti su che cosa mettere in valigia quando decidevano di sgranchirsi le gambe lontano da Lawrence e spesso erano partiti solo con gli abiti che avevano addosso e poco altro, ma poi la sua donna era rimasta incinta e tutto era cambiato.
I viaggi improvvisati, le notti in macchina a dormire riscaldandosi con il calore dei loro corpi, pranzi e cene con quello che capitava caddero nel dimenticatoio e ogni volta che si muovevano avevano uno di tutto.
John prendeva spesso in giro sua moglie rimproverandole bonariamente il fatto che portava con sé tanta di quella roba che un giorno, o l’altro non sarebbero più entrati nell’Impala, ma era tutta scena perché era affascinato dalla capacità di Mary di essere preparata a rispondere a qualsiasi esigenza del loro bambino.
La sua donna era nata per fare la madre…
Pur sforzandosi John non riusciva a ricordare una volta in cui si era lamentata durante la gravidanza, o che fosse tornato la sera e l’avesse trovata esasperata perché il suo ometto aveva fatto i capricci tutto il giorno.
La sua Mary aveva sempre un sorriso per lui e per Dean e anche quando era palesemente stanca e avrebbe avuto bisogno di dormire un po', non accettava che suo marito prendesse il suo posto dopo una giornata al garage.
Le cose non erano cambiate nemmeno quando era rimasta incinta di Sam…
Tornando a casa, John la trovava spesso seduta sul tappeto del soggiorno, nonostante un pancione di otto mesi, a giocare con le macchinine con Dean, o impegnata a leggergli una favola.
Dio, quanto gli mancavano la pace che lo investiva quando varcava la soglia e il suo primogenito che gli saltava al collo, e le risate di Mary che gli diceva che, se voleva un bacio anche da lei, doveva prima darle una mano ad alzarsi.
Come diavolo era successo che la sua famiglia era andata in pezzi? Prima sua moglie uccisa da Occhi Gialli e poi Sam si era lasciato alle spalle la vita da cacciatore.
John sospirò tristemente perché era consapevole del fatto che il suo ragazzo era scappato da lui e si sarebbe fatto travolgere dai suoi pensieri se un rumore non lo avesse riportato alla realtà.
Si voltò alla sua sinistra e vide un poliziotto, che lo invitava ad abbassare il finestrino. Ispezionò velocemente l’abitacolo per vedere se ci fosse qualcosa fuori posto, poi ubbidì.
“Buongiorno, agente”
“Buongiorno, signore. Deve proseguire, o si deve fermare a Stanford?”
“Proseguire”
“Bene, allora faccia marcia indietro e prenda la prima a sinistra, aggirerà il campus”
“Grazie. Ma che succede? Che cos’è questo caos?”
“Stanno rientrando gli studenti dalla pausa e sono in arrivo le matricole, quindi traffico ovunque anche perché ogni famiglia pretende di accompagnare i propri figli fino all’ultimo metro”
“Beh, non è facile lasciarli andare”
“Questo lo capisco, ma i genitori dovrebbero rendersi conto che ad un certo punto i piccoli devono abbandonare il nido e volare per il mondo”
“Vero, ma non conosco nessuno che sia riuscito a farlo con disinvoltura”
“Dove è diretto?”
“Volevo fare una puntatina al mall prima di ripartire, sono solo di passaggio”
“Beh, le conviene fare come le ho detto se vuole arrivarci perché sarà così tutta la giornata, poi dopodomani inizieranno le sessioni d’esame e ritornerà la pace”
“E’ molto informato sulle attività di Stanford”
“Sono spesso di pattuglia qui e conosco molti studenti”
“Beh, buon lavoro allora”
“Buona giornata, signore”
John richiuse il finestrino e fece retromarcia imprecando contro il poliziotto perché era costretto ad allontanarsi da Stanford per non destare sospetti. Aveva intenzione di passare tutta la giornata “con Sam”, ma adesso doveva rivedere i suoi piani. Prese la strada a sinistra, poi appena fu sufficientemente lontano si fermò per chiarirsi le idee. Valutò tutte le possibilità, poi concluse che sarebbe stato prudente tenersi alla larga dal campus fino a sera e nel frattempo avrebbe cercato di saperne di più sui lavori di Sam in modo da poterlo seguire anche nei giorni seguenti. Riaccese il pick up e si diresse allo Stanford Shopping Center.
Aveva pensato che il modo migliore per avere notizie fosse accedere ai registri del personale, così, dopo essersi dato una veloce sistemata, prese il suo tesserino dell’FBI e si avviò verso l’ingresso principale. Non appena fu dentro, cercò il banco del customer care e chiese di poter vedere il direttore.
“Chi devo annunciare?”
“Sono l’agente Hutchinson e sto conducendo un’indagine per lo stato per eventuali reati fiscali”- rispose sicuro mostrando velocemente il distintivo.
“FBI? Wow, deve essere una cosa grossa”
“Signorina, non voglio essere scortese, ma non posso parlare con lei della questione”
“Oh, sì, capisco. Chiamo subito mr Brown”
Dopo qualche minuto un distinto uomo brizzolato raggiunse John e lo invitò a seguirlo nel suo ufficio per poter parlare senza essere disturbati.
“Prego, si accomodi e mi dica in che cosa posso aiutarla”
“Come dicevo alla signorina, sto conducendo un’indagine federale sui reati fiscali”
“Reati di che tipo?”
“Offerte di lavoro nero e guadagni nascosti al fisco”
“Qui allo Stanford Shopping Center?”
“Sospettiamo di alcune attività di questo mall, ma non posso dirle altro”
“Capisco. In che cosa posso aiutarla esattamente?”
“Tanto per cominciare, vorrei avere accesso ai registri del personale”
“Chiamo miss Benson e le dico di mettersi a sua disposizione”
“La ringrazio, ma preferirei lavorare da solo. Non metto in dubbio l’integrità della sua collaboratrice, ma non posso far trapelare nulla sulle mie indagini”
“Come preferisce”
Dopo circa dieci minuti John si ritrovò davanti agli elenchi desiderati e cominciò a spulciarli l’uno dopo l’altro alla ricerca del nome di suo figlio.
“Eccoti qui”
Il cacciatore prese un blocchetto e prese nota di tutto quello che riguardava il suo ragazzo. Scoprì dove lavorava, quante ore faceva e i suoi orari e soddisfatto si alzò dalla scrivania. Lasciò velocemente gli uffici e si rifugiò di nuovo nel pick up. Lo accese e si allontanò sentendo il bisogno di andarsi a sedere da qualche parte per fare il punto della situazione. Cercò un diner e una volta accomodatosi, tirò fuori gli appunti, ma non riuscì a rileggere molto di quello che aveva annotato perché una giovane cameriera si avvicinò al tavolo.
“Che cosa le porto?”
John diede un’occhiata al menu, poi chiese:
“C’è qualcosa che mi consiglieresti?”
“Di andartene?”
Il cacciatore rise e scosse la testa.
“Se la metti così, lo faccio sul serio”
Julie sorrise di rimando e chinandosi verso l’uomo gli sussurrò ad un orecchio.
“Ordina qualcosa perché devo tenermi questo lavoro di merda, ma se vuoi il dessert…”
Nonostante sapesse di essere affascinante, l’ex marine rimase sbalordito per la sfrontatezza della cameriera e guardandola meglio, notò che era un tipo che Dean avrebbe di certo apprezzato: capelli castano chiaro, bocca carnosa e occhi maliziosi, il tutto impreziosito da un corpo molto sexy.
Si raddrizzò sul sedile e chiese:
“Fai sul serio?”
“Perché, non mi trovi carina?”
“Sì, ma…”
“Scommetto che non sei di queste parti”
“No, sono del Kansas”
“Meglio, tua moglie non verrà mai a saperlo”
“Mia moglie è morta”
“Oh, scusa, non potevo immaginarlo visto che porti la fede”
“E se fossi un maniaco?”
“Lo sei?”
“No, ma non sai nulla di me”
“So che ti ho notato appena sei entrato e che mi piacerebbe conoscerti meglio”
“Non sono un po' troppo grande per te?”
“I mocciosi di Stanford non mi interessano”
“Perché?”
“Perché, salvando la pace di qualcuno, sono una massa di spocchiosi figli di papà”
“Non credo che siano tutti così”
“Non proprio tutti, ma la stragrande maggioranza”
La cameriera finse di scrivere qualcosa sul taccuino per non destare sospetti nel suo capo, poi tornò all’attacco:
“Ti porto il meglio che c’è e quando hai finito, mi fai sapere che cosa ne pensi della mia offerta”
Quando Julie si allontanò, John non poté non sentirsi stuzzicato dall’avere compagnia, in fondo non c’era nulla di sbagliato nel sesso tra due adulti consenzienti, e sentì la voce di suo figlio maggiore che gli diceva che era un delitto negarsi a delle signore quando le si poteva rendere felici.
Sorrise ancora, poi tornò a guardare il block notes in attesa di mangiare ciò che l’arrembante cameriera gli avrebbe portato e riordinò i pezzi del puzzle: Sam lavorava al mall il martedì, il giovedì, il sabato e la domenica, mentre era probabilmente al ristorante il resto dei giorni.
Lo aveva visto al Bodeguita del Medio lunedì sera e aveva sentito, quando il ragazzo delle sigarette lo aveva salutato, che si sarebbero rivisti il venerdì, quindi almeno sei giorni su sette suo figlio era impegnato a far soldi.
Forse William aveva ragione, Sammy era davvero un Wonder boy visto che lavorava tanto e allo stesso tempo riusciva a mantenere una media così impeccabile, ma in fondo aveva sempre saputo che era uno tosto.
Dopo circa dieci minuti Julie ritornò con una tagliata di carne, patate al forno e una birra e se lo mangiò ancora con gli occhi.
“Allora, vieni da me?”
“Julie, tavolo 7”
La ragazza si voltò indispettita verso il capo che gli indicava di andare a servire altri clienti, poi aggiunse prima di allontanarsi:
“Stacco alle nove”
John sospirò, poi si mise a mangiare riflettendo sul da farsi perché gli rimanevano ancora pochi giorni prima di dover ripartire e voleva sfruttarli al massimo per vedere Sam.
Alle tre si fece portare il caffè e il conto e rispose a Julie con un sorriso facendole intendere che l’avrebbe incontrata più tardi, ma, pur non scartando del tutto l’idea di una serata rilassante, non fece programmi perché non aveva ancora visto il suo ragazzo.
Tornò al pick up e si riavvicinò a Stanford sperando di essere fortunato. Parcheggiò lontano dall’entrata, poi si mise a passeggiare nei dintorni del campus gettando l’occhio alla finestra che aveva imparato a conoscere, ma ad un certo punto, complice un forte temporale, fu costretto a mollare.
Si rimise in macchina e guardò l’orologio. Erano le 8 e mezza e volendo avrebbe potuto raggiungere Julie e divertirsi un po', ma alla fine decise di ritirarsi perché la mattina dopo avrebbe montato presto la guardia.
In fondo aveva promesso a Dean che si sarebbero visti subito dopo la presunta ronda alla festa dei fantasmi di sabato sera e non si poteva quindi permettere nessuna distrazione.
Cena, doccia e dopo un’oretta a guardare annoiato la tv, buonanotte mondo.
Il giorno dopo John rimase in prossimità del campus ad aspettare che Sam uscisse, aprisse la finestra, accendesse la luce, qualsiasi cosa e invece ci fu solo un’inquietante calma piatta.
All'inizio si disse che non c’era nulla di cui preoccuparsi e che era perfettamente plausibile che non l’avesse mai beccato. In fondo non aveva montato una guardia H24 e il suo secondogenito poteva aver preso una boccata d’aria, fatto la spesa, o qualsiasi altra cosa gli fosse passata per il cervello nell’esatto istante in cui lui si era allontanato per mangiare qualcosa, o andare in bagno.
Era tutto perfettamente logico, eppure la preoccupazione cominciò ad insinuarsi nella sua mente, soprattutto dopo che, facendo riferimento ai turni di suo figlio al mall, non lo vide uscire dal dormitorio.
Si impose di restare calmo perché chiunque almeno una volta si chiamava una giornata di festa dal lavoro e sforzandosi di non essere catastrofico, verso le nove levò le tende e tornò alla base. Si fermò a prendere qualcosa da mangiare prima di chiudersi in camera, ma finì per giocare con il cibo e mandare giù solo birra.
Il suo stomaco gli ricordò durante la notte quanto fosse una cattiva idea bere senza aver ingerito qualcosa di solido ma, anche se non avesse fatto un nuovo attentato alla sua salute, quasi sicuramente non avrebbe dormito lo stesso, si sentiva molto irrequieto.
Verso mezzanotte si impose di stendersi, ma non si spogliò nemmeno come se avesse la sensazione di dover uscire in maniera precipitosa e alle due circa si rimise in piedi. Accese la tv per distrarsi, ma gira che ti rigira il pensiero andava sempre a Sam.
“Che diavolo ti prende, Winchester, hai passato mesi senza mai domandarti se fosse vivo e ora che non lo vedi da meno di quarantotto ore, diventi isterico?”- si chiese intorno alle tre e mezza, poi si forzò a spegnere luci e tv.
Il sonno finalmente lo raggiunse e John dormì fino alle sette, poi si tirò su e alle otto era di nuovo a Stanford.
Rimase in zona per tutta la giornata facendo qualche veloce cambio di parcheggio e aspettò pazientemente che suo figlio si facesse vivo, ma ancora una volta rimase deluso.
Quando vide il sole tramontare, il cacciatore guardò l’orologio per l'ennesima volta e vide che erano quasi le dieci.
“Un'ora, ti concedo solo un'ora”
Ormai non aveva dubbi: se entro i successivi sessanta minuti non avesse avuto un cenno di vita da parte di Sam, sarebbe andato su, e a costo di buttare giù la porta, avrebbe scoperto perché sembrava sparito dalla faccia della terra.
Iniziò a picchiettare sul volante e mandò giù quello che era rimasto del caffè che aveva preso lì vicino senza mai staccare gli occhi dalla residenza universitaria, poi riprese tra le mani il blocchetto con i turni di lavoro per essere sicuro che Sam sarebbe dovuto andare al mall e dopo aver letto quello che sapeva già, lo scagliò sul sedile accanto a lui.
Era buio e le luci erano ancora spente.
Dieci e venti.
Dieci e quaranta.
Dieci e cinquanta.
“Okay, ragazzino, adesso basta”
John scese dal pick up , controllò di avere la pistola e si avviò a grandi passi verso il dormitorio. Puntò verso l’uscita di emergenza e in breve si ritrovò nel corridoio della stanza di suo figlio, che fortunatamente non era affollato di studenti. Arrivò alla porta e con estrema facilità ne forzò la serratura. Scivolò all'interno e si chiuse la porta alle spalle aspettandosi di veder saltare in piedi Sam, ma lo accolsero solo il silenzio e il buio.Si sforzò di mettere a fuoco e per un attimo pensò che suo figlio non ci fosse, poi un fruscio lo mise sulla difensiva.
“Papà”
La voce , che avrebbe riconosciuto in mezzo ad una folla impazzita, gli arrivò come un sussurro e John si preparò ad affrontare qualsiasi reazione del suo ragazzo davanti all' irruzione, ma dopo quel bisbiglio tornò il silenzio.
L’uomo si innervosì temendo che da un momento all’altro lo stupore sarebbe stato rimpiazzato dalla rabbia e dal rancore, ma tutto nella stanza sembrava immobile. Si chiese se avesse solo immaginato di aver sentito il richiamo perché la stanchezza a volte fa dei brutti scherzi, poi il sussurro arrivò di nuovo seguito da un nuovo movimento tra le lenzuola.
“Papà”
La sofferenza di suo figlio lo investì come un treno in corsa e John avanzò verso il letto perché era evidente che la voce proveniva da lì, poi, abbandonando qualsiasi cautela, lo chiamò.
“Sammy”
Non vi fu una vera risposta, solo una serie di lamenti e borbottii e l’ex marine realizzò che c’era qualcosa di molto sbagliato. Sentì respirare affannosamente e si sporse verso la lampada sul comodino. La accese e quando vide il suo ragazzo, ebbe un tuffo al cuore.
Sam aveva il viso arrossato e sudato e tremava come una foglia mentre cercava calore tra le coperte.
“Ma che cazzo…”
La rabbia, l’orgoglio, la delusione, in un attimo tutto scivolò via e John si sedette sul letto accanto al figlio.
Gli appoggiò una mano sulla fronte già sapendo che l’avrebbe sentita calda, ma rimase scioccato dalla temperatura percepita dalle sue dita. Scosse la testa e si mise alla ricerca di un termometro. Ricordava di non averne visto uno nel cassetto della scrivania, così si diresse in bagno, ma anche lì non ottenne buoni risultati. Si mise a girare per la stanza, poi concluse che Sam non ne aveva uno, quindi prese le chiavi della camera appese accanto alla porta e si precipitò al suo pick up. Aprì il bagagliaio e afferrò il kit di pronto soccorso. Non perse tempo a controllare che contenesse quello che gli serviva perché l’idea di lasciare il suo ragazzo solo più del necessario non gli piaceva per niente e ritornò da lui nel giro di pochi minuti.
Non aveva cambiato sostanzialmente posizione, ma, se era possibile, tremava più di prima e John si affrettò a cercare un termometro tra le sue cose. Era abbastanza sicuro che ce ne fosse uno perché Sam aveva sempre reso vivace la sua esistenza con i febbroni da cavallo e Dean aveva provveduto anni prima a inserire nel loro kit di pronto soccorso la magica bacchettina e a essere sempre coperti con il Tylenol.
Si sfilò la giacca e cercò di trovare un varco verso l’ascella di suo figlio attraverso le coperte e la felpa che indossava. Non poteva non riconoscerla, era del suo primogenito e la cosa lo intenerì, ma non poteva perdere tempo, doveva sapere a che temperatura stava bruciando la fornace umana davanti a lui.
Con non poco sforzo riuscì a raggiungere il braccio sinistro di Sam e con altrettanta fatica ad infilare il termometro, ma alla fine ci riuscì e si mise nervosamente ad aspettare il segnale acustico.
Tempo pochi secondi e il bip continuò preannunciò guai seri quantificati in un 103.8.
John socchiuse per qualche secondo gli occhi leggendo sul display la sentenza, poi si alzò dicendosi che doveva agire e anche in fretta. Si stava avviando verso il bagno per recuperare un asciugamano e una bacinella d’acqua quando la voce arrivò di nuovo.
“Papà”
L’uomo si voltò pensando che i suoi movimenti avessero svegliato Sam, ma, quando si voltò, vide che aveva gli occhi ancora chiusi.
“Papà”
Il cacciatore rimase fermo sul posto sorpreso dal fatto che nel delirio di una febbre violenta lo stesse cercando, non era abituato ad essere primo nella top ten delle persone di supporto.
Storicamente, ogni volta che Sam non era stato bene, da un mal di pancia ad una rovinosa caduta, aveva sempre cercato Dean e a dire il vero, era stato anche geloso del fatto di essere stato sostituito.
Certo, era solo colpa sua perché ben presto aveva lasciato il testimone delle cure al più piccolo del clan Winchester a suo figlio maggiore, ma questo non voleva dire che gli aveva fatto meno male vedere il suo bambino in più occasioni agitarsi tra le sue braccia per raggiungere il fratello.
“Papà”
Al nuovo richiamo non poté fare a meno di avvicinarsi e di appoggiargli una mano sulla guancia:
“Sono qui, Sammy”
Il ragazzo si mosse voltandosi leggermente verso di lui, ma gli occhi restarono chiusi e a quel punto John si alzò e andò in bagno. Prese il necessario per fargli impacchi, poi tornò indietro e appoggiò il tutto sul comodino accanto al letto.
“Vedrai che presto ti sentirai meglio, ma, per renderlo possibile, devo fare qualcosa che non ti piacerà per niente”
John si sporse verso il figlio e lo scoprì totalmente provocandone la protesta. Si agitò tentando alla cieca di recuperare le coperte e aumentò i lamenti quando suo padre gli sfilò i pantaloni della tuta.
“Lo so, hai freddo, ma hai la febbre troppo alta per stare così coperto”
Senza scomporsi, attaccò la felpa e dopo qualche iniziale resistenza, la costrinse a capitolare.
L’immagine del figlio spogliato turbò l’uomo perché senza vestiti la sua magrezza era ancora più evidente, ma non poteva perdere tempo a rimproverarlo mentalmente perché Sam aveva bisogno del suo aiuto.
John lo accarezzò di nuovo cercando di confortarlo, anche perché aveva appena cominciato la crociata contro la febbre e il seguito sarebbe stato altrettanto scomodo.
Prese un asciugamano e dopo averla bagnata abbondantemente,gliela appoggiò sulla fronte.
Il contatto con la spugna strappò un sospiro di sollievo al ragazzo e osservandolo da vicino, suo padre notò che respirava a bocca aperta e che le labbra erano screpolate.
“Da quanto non bevi?”- chiese ad alta voce passandoci sopra un dito.
Considerato il lasso di tempo in cui non l’aveva visto, era presumibile che fosse a secco da almeno 24 ore.
Si alzò e cercò con lo sguardo un frigorifero, ma la stanza non ne era provvisto. C’era in un angolo un minibar con delle bottigliette di acqua e del succo di frutta, però in quel momento nessuna delle due cose gli era utile. Le tirò fuori, poi prese un altro asciugamano e da esso ricavò con le forbici quattro strisce.
Le infilò nel minibar e tornò da Sam per rinfrescargli di nuovo la fronte.
“Devo farti bere"
Nelle condizioni in cui si trovava, era davvero impensabile che l’ammalato avesse voglia di collaborare aprendo la bocca all'invito di un bicchiere, quindi, non volendo correre il rischio di essere visto mentre andava alla macchina del ghiaccio che era in corridoio, decise di arrangiarsi. Prese da un terzo asciugamano un quadratino, lo impregnò di acqua sotto la fontana, poi cominciò a far scendere delle gocce in direzione della bocca di Sam.
Non appena assaporò il liquido sulle labbra, il ragazzo le succhio' avidamente e pur nell'incoscienza ne cercò ancora con la lingua.
“Va bene, ho capito"
John continuava a parlare ad alta voce come se suo figlio potesse sentirlo e se da una parte gli sembrava sciocco, dall'altra aveva la speranza che potesse almeno registrare di non essere solo.
Ripeté altre tre volte l’operazione di raffreddargli la fronte ancora memore dello spavento che si era preso quando Sammy aveva appena sei anni ed era collassato tra le sue braccia.
Ricordava ogni metro percorso ignorando qualsiasi regola del codice della strada mentre lo portava in ospedale e l'angoscia che aveva provato fino a quando non gli avevano permesso di rivederlo.
Era stato durante quel ricovero che aveva appreso quanto fosse utile rinfrescare non solo la fronte, ma anche polsi e caviglie e nelle successive occasioni il semplice accorgimento gli era tornato molto utile.
Adesso Sam non era più un bambino, ma la febbre era sempre bastarda con lui, quindi a mali estremi, estremi rimedi. Si alzò, recuperò le strisce di spugna dal minibar, poi tornò a sedersi sul letto. Non appena sistemò le prime due, l'apparente calma di suo figlio se ne andò a farsi benedire e dovette trattenergliele sui polsi.
“Sta fermo, va tutto bene”
Sam si agitò ancora un po’, poi, complice la spossatezza che lo attanagliava, si arrese e John procedette a sistemare anche quelle intorno alle caviglie. Ripeté l’operazione più e più volte nell'ora successiva e rimase molto deluso quando il termometro gli restituì la temperatura di 104.
Di fatto i suoi sforzi non avevano portato a nulla ed era ovvio che suo figlio doveva assumere un antipiretico. Si mise il kit sulle gambe e prese tra le mani il Tylenol.
Sarebbe stato il massimo se Sam lo avesse mandato giù, ma farlo ingoiare gli sembrava un’impresa titanica in quel momento e si chiese come potesse risolvere il problema.
Scavò ancora tra i medicinali della cassetta, ma la sua ricerca non gli portò un piano B, quindi se Tylenol doveva essere, Tylenol sarebbe stato. Prese il blister con le pillole, poi mise da parte il kit e andò nell’angolo cucina a recuperare un bicchiere. Lo riempì e tornò indietro pensando a come potesse ottenere ciò che voleva
In realtà lo stato eventuale di veglia di suo figlio era a quel punto un problema secondario, così lo tirò su e gli fece prima appoggiare il capo sulla sua spalla, poi lo fece piegare all’indietro nell’incavo del suo braccio sinistro. Acquisito un sufficiente equilibrio, con il destro prese la pillola e gliela infilò in bocca costringendolo a dischiudere le labbra. Afferrò l’acqua e contrariamente a quello che si aspettava, Sam non si oppose, anzi mandò giù l’intero bicchiere.
“Bravo il mio ragazzo”- mormorò John riportandoselo al petto.
Ufficialmente lo stava tenendo in posizione eretta perché voleva essere sicuro che la pillola non gli andasse di traverso, ma ufficiosamente era grato all’universo per avere di nuovo la possibilità di avere il figlio tra le braccia. Gli accarezzò la nuca e dovette lottare contro le lacrime che si stavano affacciando nei suoi occhi.
Dopo qualche minuto lo rimise giù sentendolo tremare e tornò all’armadio alla ricerca di qualche indumento leggero. Prese da un cassetto una maglietta della Stanford University e gliele fece indossare, poi riprese a fare gli impacchi.
“Papà, ti prego”
John si sporse verso il figlio e si sentì stringere il cuore sentendolo implorare in quel modo.
Che cosa stava sognando? Forse la notte in cui lo aveva cacciato dalla famiglia?
Gli fece un’altra carezza e mormorò:
“Stai tranquillo, ragazzino”
Sam si mosse ancora sul letto e l’asciugamano sulla fronte scivolò giù. Suo padre lo recuperò e lo bagnò di nuovo prima di rimetterlo al suo posto, poi si disse che stava per affrontare l’ennesima notte insonne e farlo a stomaco vuoto non sarebbe stato confortevole.
Finalmente il suo ragazzo aveva smesso di lamentarsi e sembrava tranquillo, quindi si ritenne autorizzato a cercare qualcosa da mangiare. Si mise a girare per la stanza e ebbe la conferma che il cibo non era una priorità nella vita del rampante studente universitario, così prese il telefono e ordinò una pizza, che si fece consegnare direttamente nella stanza.
Quando il ragazzo di Alfredo’s arrivò dopo circa venti minuti, John era già pronto con i soldi in modo che la consegna e il relativo pagamento fossero molto veloci. Appoggiò il cartone sulla scrivania e cenò con gli occhi sul suo secondogenito, che non reagì nemmeno all’odore di salsiccia e peperoni.
Il completo distacco dal mondo circostante la diceva lunga su quanto Sam fosse esausto e il cacciatore si ricordò di altre occasioni in cui si era ammalato e aveva faticato a tener testa alla febbre.
Nel corso degli anni era successo spesso che viaggiassero con il più piccolo disteso sul sedile posteriore imbottito di Tylenol e per tanto tempo John si era chiesto che cosa ci fosse che non andasse in lui perché non era possibile che ogni virus americano gli facesse visita. Si era dato tante risposte differenti, dalla sua costituzione debole alla pura sfiga, ma la verità gliel’aveva sbattuta in faccia l’infermiera di una delle tante scuole in cui lo aveva iscritto: Sammy non era stato coperto da tutte le vaccinazioni necessarie.
Si era sentito una merda quando si era reso conto di quanto avesse trascurato la salute di suo figlio minore e il suo modo di chiedere scusa era stato prenotare subito un viaggio presso uno studio medico per sistemare le cose.
Non era stata una grande esperienza perché Sam aveva avuto qualche effetto collaterale in seguito alle iniezioni, ma almeno da quella massiccia protezione in poi era stato meno vulnerabile.
Terminata la pizza, John aprì leggermente la finestra per far cambiare un pò l’aria, raccolse in una busta il cartone e la bottiglia di birra che aveva mandato giù e la appoggiò vicino al letto. Doveva essere pronto a togliere le tende in fretta se suo figlio avesse deciso di tornare nel mondo dei viventi e questo significava cancellare qualsiasi traccia del suo passaggio.
Certo, Sam avrebbe perso giorni a chiedersi che fine avessero fatto le asciugamani, ma quello era una cosa della quale non poteva preoccuparsi.
Si guardò intorno e fece un elenco mentale di che cosa doveva fare prima di andarsene, ovvero rimettere a posto la bacinella e il bicchiere, ripristinare il minibar, portare via il Tylenol e il termometro, ma il responso di 103.5 intorno all’una disse a John che suo figlio sarebbe stato knock out ancora a lungo.
Lottò contro la febbre fino a quasi le quattro, poi la temperatura scese a 102 e l'ex marine iniziò a rilassarsi dicendosi che finalmente erano sulla strada giusta.
Alle sette un ulteriore calo fino a 101, la consapevolezza dello scampato pericolo e la stanchezza lo spinsero a chiudere gli occhi senza preoccuparsi del fatto che Sam si sarebbe potuto svegliare e non sarebbe stato facile spiegare perché si era addormentato accanto al suo letto in una posizione piuttosto scomoda.
Riposò fino a circa le otto e mezza quando una vibrazione lo svegliò e lo spinse ad alzarsi velocemente. Prese il suo cellulare dalla tasca tenendo d’occhio suo figlio, che nel frattempo si era girato su un fianco e dormiva tranquillamente, e lo aprì cercando qualche messaggio in memoria, ma la trovò vuota. Si disse che forse aveva solo sognato di sentire il rumore e stava per riavvicinarsi a Sam per controllargli la temperatura e vedere se poteva andare via, quando lo sentì di nuovo.Si guardò intorno e individuò il telefono del figlio su uno scaffale. Si avvicinò e vide che la casella SMS stava lampeggiando, così, in barba a qualsiasi rispetto della privacy, l’aprì e lesse:
“Signor Winchester, la preghiamo di confermare la sua presenza alla prova propedeutica del professor Smith di domani mattina”
Sabato suo figlio aveva un esame? Merda, questa sì che era una cattiva notizia!
Fece scorrere il menu e lesse il secondo messaggio:
“Le ricordiamo che, essendo uno studente beneficiario della borsa di studio, deve terminare entro il mese prossimo le attività previste dal suo piano di studi”
John rimase a fissare il telefono chiedendosi che cosa dovesse fare: da un lato voleva rispondere affermativamente alla richiesta dell’università in modo da non togliere a suo figlio la possibilità di andare all’esame, ma dall’altro, guardandolo a letto, non avrebbe scommesso un dollaro sul fatto che sarebbe stato in grado di rimettersi in piedi in così breve tempo.
Rimase vicino alla finestra a riflettere e si affacciò nella sua mente il pensiero egoistico che, se Sam non avesse sostenuto l’esame, avrebbe fatto fatica a mantenere la borsa di studio e magari avrebbe lasciato l’università. Forse a quel punto sarebbe tornato indietro e sarebbero stati di nuovo una famiglia.
Non sarebbe stato facile per lui ammettere la sconfitta, ma Dean sarebbe impazzito di gioia nel riaverlo con loro e per quanto lo riguardava…Avrebbe mentito spudoratamente e gli avrebbe fatto credere che gli stava facendo una concessione riprendendolo nel clan Winchester, ma l’unica verità sarebbe stata che avrebbe di nuovo dormito più tranquillo sapendo di poter vegliare più da vicino sul figlio ribelle.
L’idea di riavere con sé entrambi i suoi ragazzi gli scaldò il cuore, ma poi il suo sguardo cadde sul libretto universitario di Sam e si disse che, anche se odiava cordialmente Stanford, non poteva farlo.
Guardò il telefono, poi inspirò profondamente e digitò la risposta affermativa pregando di aver fatto la scelta giusta. Tornò poi accanto a suo figlio e gli sfiorò la fronte con una mano registrando finalmente una temperatura più che accettabile confermata da un ennesimo controllo con il termometro.
99.4, il peggio era passato e anche se a malincuore decise che era arrivato il momento di lasciare la stanza perché prima o poi Sam si sarebbe svegliato. Raccolse tutte le eventuali tracce della sua permanenza e le buttò nella busta accanto al letto. Rimise in ordine il minibar e riportò al loro posto bacinella e bicchiere, poi prese il kit di pronto soccorso e i rifiuti.
“Voglio vederti in piedi, ragazzino”
Si avviò verso la porta, poi gli lanciò un’ultima occhiata prima di uscire in corridoio. Raggiunse l’uscita senza incrociare nessuno e entrò nel pick up ripromettendosi di tornare presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** capitolo 4 ***


  
Sam riprese conoscenza nella tarda mattinata di venerdì quando John aveva lasciato la sua stanza da più di qualche ora. Si sentiva a pezzi e soprattutto a disagio, ma all’inizio non riusciva a capire che cosa ci fosse di sbagliato, poi realizzò di aver dormito solo con una maglietta.
“Che cavolo è successo?”
Si tirò su cercando di mettere a fuoco la situazione, ma, per quanto si sforzasse, non ricordava il motivo per il quale non indossasse la tuta con la quale solitamente si metteva a letto. La cercò con lo sguardo e la vide abbandonata sul pavimento, particolare strano numero due per una persona molto ordinata come lui.
Girò le gambe verso l’esterno del letto e si mise in piedi, ma il semplice gesto gli costò molta fatica.
Che diamine gli era successo? Era da sempre un cultore della salute del corpo e in teoria doveva essere in forma considerando il tempo che dedicava all’attività fisica e, quando si ricordava di mangiare, alla corretta alimentazione, eppure si sentiva come un novantenne asmatico.
Un sonoro brontolio del suo stomaco lo distrasse e cercò il cellulare per vedere l’orario.
“11.30?”- si chiese stupito dato che in genere non si alzava mai più tardi delle otto.
L’ultima cosa che ricordava era che era tornato dallo Shopping Center sentendosi davvero una merda e di essersi messo a letto, poi il nulla. Andò nell’angolo cucina e si prese una barretta, poi tornò a sedersi perché aveva la sensazione che le gambe non lo reggessero. L’aprì e l’addentò cercando ancora di ricordare, ma non fece molti progressi. Si disse che forse una doccia lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee, così si diresse verso il bagno e si infilò sotto il getto di acqua calda provando un immediato sollievo a gambe e braccia.
Dopo essersi lavato, uscì dalla cabina e si strinse addosso l’accappatoio, poi aprì le ante del mobile sotto lo specchio per recuperare un asciugamano con cui strofinare i capelli, ma non ne trovò.
“Cazzo, Will, un altro dei tuoi scherzi idioti?”
Si ripromise di fare un discorso al ragazzone, ma nel frattempo doveva rendersi presentabile, così si dedicò a se stesso per la seguente mezzora e dopo aver finito, si sentì di nuovo un essere umano.
L’orologio del campus batté l’una e a quel punto, anche per combattere le vertigini che non volevano abbandonarlo, si disse che era ora di mangiare qualcosa di più sostanzioso. Prese il libretto dei ticket e lasciò la stanza per andare a mensa.
La luce del sole, che lo investì non appena aprì la porta d’entrata del dormitorio, gli fece male agli occhi e come in un flashback gli venne in mente che provava quella spiacevole sensazione in una situazione specifica.
Aveva avuto la febbre alta?
Quando era un bambino e si riprendeva da un attacco piuttosto violento, era solito stare in braccio a papà e nascondere il viso nel suo collo per sfuggire al fastidioso bagliore e il ricordo gli fece male al cuore.
Era passato tanto tempo da quando era stato buttato fuori a calci dalla famiglia e anche se sfoggiava sicurezza, dentro di lui sentiva la mancanza opprimente di Dean. Stare lontano da suo fratello era un prezzo altissimo da pagare per inseguire il suo sogno e in certi momenti aveva reagito al dolore negandolo e seppellendolo sotto un cumulo di rabbia. In fondo non lo aveva difeso quando John lo aveva mandato via, non aveva proferito parola, e questo gli aveva fatto molto male.
Si era sentito tradito e aveva preferito la rabbia alle lacrime. Si era convinto di non aver bisogno di nessuno e che ce l’avrebbe fatta a diventare qualcuno, ma la verità era che spesso il peso della solitudine era insopportabile, soprattutto quando si avvicinavano gli esami, o durante i giorni di festa.
Non aveva nessuno a cui poter raccontare delle notti insonni e delle farfalle nello stomaco prima di una seduta, nessuno da chiamare, o a cui fare gli auguri per Natale perché non solo aveva tagliato i ponti con Dean e  con suo padre, ma anche con Bobby e il pastore Jim.
Non si era autoespulso dalle loro vite perché gli avevano fatto qualcosa, ma aveva paura del loro giudizio, temeva di sentire nelle loro voci la delusione e il disprezzo che John non aveva nascosto durante la lite.
Non avrebbe potuto sopportarlo e così aveva preferito scappare senza guardarsi indietro.
Perso nelle sue riflessioni, Sam arrivò alla mensa e andò a prendere un vassoio. Lo riempì con una quantità insolita di cibo per i suoi standard e si andò a sedere ad un tavolo che affacciava su una delle tante distese verdi di Stanford. Iniziò a mangiare e tra una forchettata e l’altra tentò ancora di ricordare che cosa gli fosse successo, ma era come se fosse entrato in stand by per un numero imprecisato di ore.
La sua mente gli restituiva solo le immagini di lui al lavoro che lottava contro il desiderio di lasciare tutto prima della fine del turno e della fatica che si sentiva sulle spalle mentre si trascinava all’appartamento, poi poco altro. Non ricordi veri propri, più che altro sensazioni e tra queste la più forte era quella di non essere stato solo ad un certo punto, ma non aveva senso.
“Ehi, Winchester”
“William, ti sarei venuto a cercare”
“Vuoi finalmente deciderti a far bisboccia nel weekend?”
“A parte il fatto che per il weekend ci vuole ancora un po', non era per questo che ti volevo”
“A parte il fatto che oggi è venerdì e quindi…”
“Venerdì?”
“Sì, sai il giorno che viene dopo il giovedì. Devi darti una regolata, Wonder boy, studi talmente tanto che non ti accorgi nemmeno che passano i giorni. Domani abbiamo il test, ricordi?”
“Domani è sabato?”
“Ehi, Sam, stai bene? Cominci a preoccuparmi”
“Mi sento piuttosto confuso e ho le vertigini”
“Non dirmi che ti sei sbronzato”
“Non credo”
“Non credi?”
“No, penso di no, ma stamattina non ero molto vestito quando mi sono svegliato”
“Oh, oh, la storia diventa interessante. Tira fuori i particolari piccanti, Wonder boy. Mora, bionda, rossa?”
“Piantala, Will, non ricordo di essermi portato qualcuno in camera e comunque non c’era nessuna traccia femminile in bagno quando ho fatto la doccia. E a proposito di questo, sai qualcosa delle mie asciugamani?”
“Mi ha preso per un feticista?”
“Non sto dicendo niente del genere, ma stamattina me ne mancavano un paio dal bagno”
“E perché hai pensato a me?”
“Perché non sei nuovo in incursioni in camera mia e pensavo che mi avessi fatto uno scherzo”
“Moi? Sono offeso”
“Davvero? Non sei stato forse tu a prendere i miei appunti dalla scrivania senza dirmelo?”
William sorrise e ammise la sua colpa.
“Mi hai fatto mettere sottosopra la stanza per trovarli”
“Potevi chiedermeli”
“E come avrei dovuto immaginare che eri venuto a prenderli?”
“Pensavo che fossi un tipo tutto cervello e lo avresti immaginato”
“Beh, non l’ho fatto e mi hai fatto perdere mezza giornata”
“Va bene, in quell’occasione avevi ragione, ma non ho preso le tue asciugamani, parola di scout”
“Sei stato uno scout?”
“No, detesto il campeggio e i pantaloncini corti, ma la sostanza è che non c’entro nulla. Forse le ha prese la bionda”
“Quale bionda?”
Una voce femminile si inserì nella conversazione e alzando gli occhi, Sam incrociò lo sguardo di una ragazza.
William sorrise e fece le presentazioni:
“Sam, lei è Beverly, Beverly, lui è Sam”
“So che si chiama Sam, abbiamo un paio di corsi insieme”
“Davvero?”
“Sì e domani condividiamo anche il test. A che punto siete?”- chiese la ragazza autoinvitandosi al tavolo.
“Mi sento un drago, sono preparatissimo”
“Sarà meglio per te, Will, o tuo padre ti taglia davvero i viveri”
“Non oserebbe”
“Beh, mezzo campus ha sentito che te lo diceva”
“Sì, ma papà è innocuo”
“Buon per te, il mio invece è molto uterino: un giorno sono la sua principessa, un altro la sua figlia scapestrata. Il tuo che tipo è, Sam?”
“Mio padre? Beh, è un ex marine e ha portato la disciplina del corpo in famiglia”
“Ah, ecco da dove arriva l’attaccamento al dovere. Deve essere molto orgoglioso di te allora, hai una media da paura”
“In realtà non ci parliamo nemmeno”
“Perché?”
“Will”- lo ammonì Beverly.
“Che c’è?”
“Magari Sam non vuole condividere e tu dovresti farti gli affari tuoi”
“No, Beverly, tranquilla, non ho problemi a rispondere. Mio padre non voleva che venissi a Stanford e quando gli ho detto che avrei lasciato l’attività di famiglia, è andato su tutte le furie e mi ha dato un aut aut. Quando ho scelto l’università, mi ha praticamente disconosciuto e da allora non ho più visto, o sentito, né lui né mio fratello”
“Ma sei uno studente eccezionale, perché non riesce ad accettare che tu voglia seguire le tue aspirazioni?”
“Diciamo che ha sempre visto me e mio fratello come dei soldati e la mia levata di testa non è stata tollerata”
“Cazzo, amico, ed io che mi lamento del mio. Tuo padre è proprio fuori, parola d’onore”
Durante lo scambio Beverly rimase in silenzio, poi disse:
“So che ho detto a Will di non impicciarsi, ma non credi di poter ricucire lo strappo? In fondo è tuo padre e dovresti almeno tendergli la mano”
 “Sarebbe inutile, John Winchester è un uomo vendicativo e non dimentica se qualcuno gli fa un torto”
“Il tempo è un ottimo medico”
“Per mio padre non esiste il perdono, credimi”
“Okay, non discuto, ma hai detto che hai un fratello. Anche lui è come il tuo vecchio?”
“Papà e Dean sono una cosa sola, l’anomalia ero io e forse è un bene per tutti essersi separati”
“Non è mai un bene quando le famiglie si sfasciano! Mia madre si è separata da mio padre quando avevo otto anni e non ho mai smesso di sperare che tornassero insieme”
“Non me l’avevi mai detto, Beverly”
“Non sai tutto di me, Will, e comunque abbiamo interrotto il pranzo di Sam”
“Potete restare se volete, non mi dispiace un po' di compagnia”
“Accetto-rispose subito la ragazza-vado a fare rifornimento e torno”
“Mi prendi della pasta?”
“Okay, in arrivo”
Non appena Beverly si allontanò, il giovane tornò alla carica.
“Allora, Winchester, torniamo alle cose serie”
“Di che stai parlando?”
“Hai detto che ti sei svegliato mezzo nudo”
“Non ho detto proprio questo, ma comunque è abbastanza corrispondente alla realtà”
“La storia delle asciugamani è strana”
“Sì”
“Non è che le hai portate in lavanderia e te le sei dimenticate?”
“No, ne sono sicuro, e poi c’è dell’altro”
“Cioè?”
“Ho la sensazione che qualcuno sia stato in camera mia stanotte”
“E torniamo alla bionda”
“Will, l’ultima cosa che ricordo è che ho smontato dal mall e mi sentivo un vero schifo. Sono tornato qui e mi sono messo a letto”
“E questo è successo?”
“A questo punto credo due giorni fa”
“Amico, questo non è bene”
“Lo so”
“Pensi di riuscire a fare il test domani?”
“Non importa cosa penso, non posso non farlo”
Beverly tornò con un vassoio e si sedette.
“Mi sono persa qualcosa?”
“Sammy sta una merda”
Il giovane Winchester cambiò espressione e William capì di aver toccato un tasto dolente.
“Solo mio fratello mi chiama così”
“Scusa”
La ragazza sentì la tensione salire al tavolo e si chiese che cosa potesse dire per stemperarla, ma fu lo stesso Winchester a riprendere la conversazione.
“Prima non ho risposto alla domanda sull’essere preparati”
Beverly si scosse e chiese:
“Vuoi illuminarci?”
“Onestamente non lo so. Credevo di riuscire a fare le ultime cose, ma ho avuto due giorni di black-out e pur facendo una maratona notturna…”
“Non credo che tu sia in grado di passare la notte in bianco”
“No, amico, non mi sento proprio in condizione di farlo”
“Vuoi che ti vada a prendere qualcosa in farmacia?”
“No, finisco di mangiare e torno in camera a riposare”
“E se invece ti portassimo alla clinica per un controllo?”
“Grazie per l’offerta, ma non penso di averne bisogno”
I tre ragazzi pranzarono insieme, poi Beverly e Will accompagnarono Sam in camera.
“Ci vediamo domani”
“Se hai bisogno, chiamami”
“Lo farò e se non mi vedete, venite a buttarmi giù dal letto”
Il giovane Winchester entrò nella stanza e chiuse la porta. Andò a sedersi alla scrivania e guardò i libri. Allungò una mano verso uno dei volumi e lo aprì con l’intenzione di tentare almeno una ripetizione last minute, ma capì subito che era proprio in riserva.
“Forse è meglio se lascio perdere”
Si alzò e andò a stendersi di nuovo sul letto. Sapeva che avrebbe almeno dovuto chiamare al ristorante per dire che non sarebbe andato a lavoro, ma non aveva la forza di intavolare una discussione con i proprietari, così contattò uno dei suoi colleghi chiedendogli se avrebbe potuto sostituirlo.
Ricevuta la risposta affermativa, si tirò addosso una coperta e chiuse gli occhi ripensando alla sensazione di non essere stato solo la notte precedente, ma era troppo stanco e si riaddormentò.
                  -----------------------------------------------
Dopo essere sgattaiolato fuori dalla stanza di Sam, John aveva deciso di tornare a Menlo Park per fare una doccia e dormire giusto lo stretto necessario perché, nolente o volente, domenica mattina doveva lasciare Stanford, lo doveva a Dean, che lo aveva contattato ancora in quei giorni per sapere se stava bene e per dirgli che era arrivato a Cottonwood. L’uomo gli aveva assicurato che lo avrebbe raggiunto nel giorno stabilito e il sollievo nella voce del suo primogenito gli aveva fatto capire quanto il suo ragazzo avesse voglia di rivederlo.
Arrivato a destinazione, si stese sul letto e ripensò al fatto che aveva confermato la presenza di Sam al test dell’indomani: se da un lato era convinto di aver scelto la cosa giusta, dall’altro aveva ancora la sgradevole sensazione che non sarebbe stato facile per lui presentarsi perché, dopo attacchi violenti come quello della notte precedente, faticava molto a rimettersi in piedi. Sembrava un controsenso che, dopo aver combattuto contro ogni specie di creatura soprannaturale, il gigante potesse andare al tappeto per un virus, eppure quello era Sammy, prendere o lasciare.
John chiuse gli occhi rifiutandosi di pensare ancora alla questione e lasciò che la stanchezza si insinuasse nel suo corpo. Era esausto, ma allo stesso tempo avrebbe passato altre notti insonni se questo avrebbe significato passarle con suo figlio. Stava quasi per addormentarsi quando il suo telefono iniziò a squillare e dato che non molte persone avevano il suo numero, stancamente si tirò su e lo prese tra le mani. Lo aprì e rispose:
“Winchester”
“Ehi, papà, stavi dormendo?”
“Stavo per farlo”
“Scusa”
“Non fa niente”
“Come mai volevi dormire a quest’ora? Notte di appostamenti?”
“Sono andato alla villa per un ultimo sopralluogo prima di domani sera”
“Qualche novità?”
“No, tutto sotto controllo”
“Quindi sei pronto per il party? “
“Sì, domani sera andremo alla villa e chiuderemo la partita”
“State attenti”
“Lo faremo, ma è una situazione tranquilla e ce la caveremo con poco. Ho già preparato i bagagli in modo da potermi muovere dopo qualche ora di riposo”
“Vorrei essere lì, secondo me ci sarà da divertirsi”
“Dean, è lavoro”
 “Andiamo, papà, non hai pensato che potresti rimorchiare qualche sexy fantasmina?"
L'ex marine scoppiò in una risata e ribatté:
“Non sono così disperato e mi difendo ancora bene se proprio vuoi saperlo“
“Che cosa mi sono perso?”
“Non discuto della mia vita privata con te, ragazzo"
“Stai battendo in ritirata”
“Non sto battendo in ritirata, è solo che non faccio lo spaccone come te vantandomi delle mie conquiste"
“Chi è la fortunata?”
“Ho detto che non ho intenzione di parlare con te di certe cose"
“Va bene, mi arrendo. Almeno ti ho fatto ridere, merce rara ultimamente”
“Si, lo so, hai ragione, ma sono stato molto preso dal lavoro”
“Diciamo che ti sei fatto travolgere! Stai accettando un caso dopo l'altro senza pause da mesi "
 “Mi stai sgridando?”
“Sono serio, papà, non ti fermi mai e questo non va bene. Anche tu hai bisogno di ricaricare le batterie ogni tanto, devi arrenderti al fatto che ormai l'età avanza”
“Dean Winchester, è la seconda volta che mi dai del matusa! Spero che tu abbia fatto testamento perché quando ci vedremo ti ricorderò chi detiene ancora il comando”
Il ragazzo rise e rispose:
“Beh, non ho molto da lasciare ai posteri, se non il ricordo della mia impareggiabile bellezza”
“Non stai dimenticando la modestia?”
“Perché essere modesti quando si è consapevoli delle proprie doti?”
“Sei proprio incorreggibile”
“Può darsi, ma questo non cambia il fatto che, quando arrivi qui, spegniamo i cellulari. Devi promettermelo, papà, una settimana solo noi due e niente caccia”
“Neanche quella tradizionale?”
“Uhm, su questo possiamo trattare, ma si spara con proiettili veri e solo contro creature dal sangue caldo e con un colorito normale, anzi, meglio ancora, andremo a pesca. Ti ricordi che vicino al rifugio c’è quel lago? Ci metteremo comodi con qualche birra in freddo e non faremo altro che aspettare che qualche pesciolino abbocchi all'amo”
“Come mai tutta questa smania di riposo? Stai bene, Dean?”
“Sì, alla grande, ma starò meglio quando ti vedrò fermo per un pò. Me l'hai insegnato tu, un cacciatore stanco è un cacciatore morto”
“Un punto per te e devo ammettere che sento il bisogno di riposare. Non ho dormito molto in questi giorni, soprattutto la scorsa notte”
“Bionda o bruna?”
“Dean”
John rise ancora e rispose:
“Una lite tra ubriachi nel parcheggio”
“E non li hai stesi?”
“Profilo basso, ti ho insegnato anche questo"
“Vero”
“Ci risentiamo in giornata?”
“Hai proprio bisogno di dormire, eh?”
“Sì, quei due figli di puttana non la smettevano di urlare. Ad un certo punto sono arrivati gli sbirri ed è tornata la calma, ma il sonno era andato”
“La mia telefonata ti ha rotto proprio le palle allora”
“No, puoi chiamarmi quando vuoi, lo sai”
“Il problema non è chiamare, è vedere se rispondi e a questo proposito voglio che, appena hai finito il lavoro, a qualsiasi ora, mi chiami”
“Lo farò”
“Ciao, papà”
“Ciao, figliolo”
John si lasciò andare sul letto e ripensò ancora alla nottata passata accanto a Sam. Era stata davvero dura, ma poi il termometro era andato giù, il suo ragazzo aveva smesso di agitarsi e aveva fatto pace con il mondo.
Si addormentò e non riaprì gli occhi fin quando la sveglia sul suo cellulare non lo avvertì che erano le cinque e doveva rimettersi in piedi se voleva andare a fare un’incursione a Stanford.Si preparò velocemente e dopo circa una trentina di minuti era al volante. Ormai conosceva ogni metro del percorso da e per la residenza universitaria e quando vi arrivò, decise di non sfidare troppo la sorte e di attendere che suo figlio minore uscisse nel pick up.
Passò il tempo ascoltando musica e facendo qualche telefonata, poi controllò l’orologio e vide che la possibile apparizione di Sam era ormai imminente, ma la sua attesa si rivelò vana perché all’ora x il portone del dormitorio non si era aperto.
Aveva forse sottovalutato le condizioni di suo figlio? Il suo ragazzo aveva avuto una ricaduta in sua assenza?
In fondo non era nuovo a questo tipo di scherzetti, giusto?
Nel corso degli anni era stato spesso capace di stare male una notte intera, rimettersi in piedi la mattina dopo dando l’illusione a suo padre e a suo fratello che la tempesta fosse passata per poi crollare dopo poche ore.
John aveva perso il conto di quanto Tylenol aveva fatto mandare giù a Sam e qualche volta aveva anche detto, scherzando, che gli avrebbe fatto pagare il conto delle farmacie prima o poi. Sorrise al ricordo della faccia sconcertata di suo figlio di nove anni e quando vide una luce accendersi nel punto giusto, si sentì sollevato: non stava andando al lavoro, ma almeno era abbastanza in forze da stare in piedi.
Restò seduto nel pick up fino a quasi mezzanotte non tanto perché pensava che Sam si facesse vivo quanto per sentirsi vicino a lui, poi afferrò le chiavi e fece per rimettere in moto quando notò che il portone del dormitorio si stava aprendo. Riconobbe subito la figura slanciata del suo ragazzo e ritirò la mano. Lo vide uscire con addosso un giubbotto e dirigersi verso i bidoni della spazzatura. Lo seguì con lo sguardo per tutto il breve tragitto e cercò di imprimere nella memoria ogni particolare di quel nuovo incontro ravvicinato, poi gli mancò il fiato quando vide Sam bloccarsi di colpo e voltarsi come se stesse cercando qualcuno. Ingoiò nervosamente temendo che potesse averlo visto e sentì il cuore andargli più forte.
Che cosa gli avrebbe detto se si fossero ritrovati faccia a faccia?
Come avrebbe giustificato la sua presenza a Stanford?
Avrebbero terminato quella settimana con un ennesimo furioso litigio?
John avrebbe voluto girare le chiavi e partire a razzo, ma questo non avrebbe fatto altro che renderlo ancor più palesemente colpevole, così rimase fermo sperando che Sam si tranquillizzasse non notando nessun movimento sospetto. Era la cosa che desiderava di più in quel momento perché non era nei suoi piani scontrarsi con suo figlio minore, ma d’altro canto sapeva che, nonostante il categorico rifiuto verso lo stile di vita Winchester, Sam era un cacciatore dannatamente bravo ed era sicuro che il suo addestramento non era poi così arrugginito.
Il giovane si guardò più volte intorno e ad un certo punto John ebbe la sensazione che stesse fissando proprio il suo pick up. Rimase in attesa per una manciata di secondi, poi la sua spina nel fianco aprì il bidone della spazzatura, depositò il sacchetto e si avviò con le mani in tasca verso il dormitorio.
Dopo qualche minuto la luce si riaccese nella stanza di Sam e suo padre tornò realmente a respirare.
Rimase a fissare la finestra ancora per circa quaranta minuti invitando mentalmente suo figlio darci un taglio, poi ci fu il buio e rassicurato da quello che aveva visto, John tornò alla base.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Sabato mattina il giovane Winchester fu svegliato da una chiamata di Will.
“Pronto?”
“Good morning, Wonder Boy”
“Ehi”
“Come va stamattina? Ti senti meglio?”
“Onestamente non lo so, sono ancora a letto”
“Beh, spiacente di interrompere i tuoi sogni, ma dobbiamo andare a fare l’esame, ricordi?”
“Sì, certo”
“Beverly ed io siamo già pronti e pensavamo di andare a mangiare qualcosa visto che non si sa a che ora finiremo. Ti aspettiamo?”
“No, grazie, ci vediamo in aula”
“Sei sicuro?”
“Sì, ho bisogno di fare una doccia per rimettermi in sesto e non voglio rovinare i vostri piani”
“Okay, come vuoi, e non tornare a dormire”
“No, sono sveglio, tranquillo”
Sam attaccò e per un attimo pensò che non era poi una brutta idea chiudere di nuovo gli occhi, ma poi la vocina della ragione gli ricordò quanto fosse importante non saltare la seduta con il professor Smith.
Si passò una mano sul viso, poi si tirò su e per fortuna questa volta le sue gambe sembravano molto più ferme rispetto al risveglio precedente. Si avviò verso il bagno e vi rimase circa una ventina di minuti, che spese tra doccia e barba appuntandosi un memo mentale sulla necessità impellente di comprare degli altri asciugamani. Lo avrebbe fatto quella sera stessa al mall durante una pausa, anche se era decisamente irritato dal fatto di non sapere che fine avessero fatto le precedenti.  
Era sicuro al 100% di non averle lasciate in lavanderia, come aveva suggerito Will, perché, dovendo fare continuamente attenzione alle spese, non poteva permettersi una distrazione simile, ma non riusciva proprio a trovare una spiegazione plausibile alla loro scomparsa. Erano nel bagno un giorno e poi non c’erano più.
Se fosse stato ancora con papà e con Dean avrebbe pensato allo scherzetto di qualche spirito con la sindrome di Peter Pan, ma quella era Stanford e il mostro più terribile che aveva affrontato era il polpettone della mensa universitaria. Scosse la testa al ricordo dell’indigestione che era seguita all’assaggio, poi guardò l’orario e concluse che doveva darsi una mossa.
Era nel secondo scaglione di esaminandi, ma era buona abitudine degli studenti del professor Smith presentarsi con largo anticipo perché il docente era noto per far durare molto poco gli esami di quelli che non giudicava all’altezza.
Si vestì, poi si diede un’occhiata nello specchio appeso alla porta d’ingresso e si trovò passabile. Era un po' pallido, ma non poteva preoccuparsene, così prese lo zaino con i libri ed uscì dalla stanza.
Al nuovo incontro ravvicinato con la luce del giorno reagì ancora con fastidio e la voce profonda di papà, che gli diceva che non poteva spegnere il sole, gli attraversò il cervello. Aveva forse quattro anni quando gli aveva fatto la bizzarra richiesta e l’uomo, dopo aver sorriso davanti alla sua innocenza, gli aveva coperto gli occhi con una mano. Era stato un gesto semplice accompagnato da delle carezze sulla schiena che lo avevano fatto sentire così amato, una sensazione che si era poi affievolita negli anni.
Il loro rapporto era diventato sempre più burrascoso e alla fine era successo quello che era successo.   
“Cazzo, Sam, niente viaggio sul viale dei ricordi”- si disse avanzando nervosamente il passo.
Non gli capitava di pensare spesso a John, anzi, eppure negli ultimi giorni era successo due volte e non gli piaceva perché riapriva vecchie ferite.
Non si era forse imposto da tempo di non pensare più a come si era sentito perso quando si era ritrovato da solo con uno zaino in spalla e poco altro dopo la lite, al freddo di quella notte mentre aspettava su una panchina la partenza dell’autobus per la California, o al sapore salato delle sue lacrime mentre i chilometri sfrecciavano fuori dal finestrino senza che nessuno avesse tentato di fermarlo?
Non aveva chiuso nei cassetti della memoria l’angoscia di quando era arrivato a Stanford e aveva dovuto aspettare tre giorni prima di poter prendere possesso dell’alloggio perché l’anno accademico non era ancora iniziato, e la paura che potessero portargli via i pochi soldi in suo possesso quando si era dovuto accontentare del riparo offerto dalla California Ave Caltrain Station?
Aumentò ancora l’andatura respingendo quei ricordi spiacevoli e tentò di concentrarsi sul suo obiettivo.
Dopotutto era un brillante studente universitario, si era fatto degli amici e nonostante tutte le difficoltà che era costretto ad affrontare, non aveva mai rimpianto la sua scelta, anzi era sempre più determinato a farsi strada nella vita alla faccia di John e della sua crociata contro il male.
Se all’inizio le urla del suo vecchio lo avevano tormentato di notte, con il tempo aveva iniziato a dormire senza saltar su al minimo rumore, a comprare il sale solo per condirsi il cibo e dopo il primo esame superato con successo, si era sentito finalmente vivo e soprattutto libero. Niente più caccia, niente più sangue, niente più testi in latino da imparare a memoria al solo scopo di esorcizzare un demone.
Quella era un’altra vita, il presente era il test e quando arrivò a destinazione, Sam inspirò profondamente ed entrò nell’aula in cui si sarebbe tenuta la prova. Come si aspettava, ospitava due categorie di persone: la prima era formata dagli studenti che dovevano fare l'esame, la seconda da quelli che erano solo venuti ad accertarsi della veridicità delle voci che giravano sul prof. Smith e sulla sua fama di sterminatore. Distinguerli era facile, era sufficiente osservarne la postura e la presenza o meno di testi aperti tra le loro mani e Sam si collocò mentalmente in una posizione intermedia. Non aveva l’abitudine di ripetere fino all’ultimo secondo, ma non era nemmeno capace di affrontare il tutto in completa scioltezza, soprattutto quella mattina.
Si sentiva ancora in riserva nonostante il riposo a cui si era costretto nelle ultime 24 ore e questo non era un bene considerando che non solo doveva sostenere l'esame, ma doveva assolutamente presentarsi al mall.
Le sue assenze ingiustificate non erano state apprezzate e aveva dovuto scusarsi più volte con i suoi datori di lavoro,prima di lasciare il dormitorio. Avevano fatto la voce grossa, ma per fortuna non lo avevano licenziato, anche se gli avevano subito imposto delle ore extra quella sera stessa e il giorno dopo.
Non era una prospettiva allettante, eppure sapeva che doveva ringraziare la sua fama di bravo ragazzo se gli era stata data una seconda chance, e fare buon viso a cattivo gioco.
I problemi legati al lavoro potevano comunque aspettare, il presente e il professor Smith erano le uniche cose sulle quali doveva focalizzare l’attenzione.
Avanzò tra i banchi cercando con lo sguardo Will e Beverly, ma non li individuò, così si andò a sedere accanto ad una ragazza decisamente carina, ma era troppo concentrato sull'esame per farci caso. Appoggiò il suo zaino a terra e si sporse in avanti per ascoltare le domande che il docente stava ponendo ad un altro candidato.
“Lo sta massacrando”- disse lei ad un certo punto.
“Scusa?”
“Dicevo che lo facendo a pezzi. È il terzultimo del primo gruppo e fino ad ora sono passati solo in tre"
“Da quanto sei qui?”
“Dall’inizio della sessione”
“Devi fare anche tu la prova?”
“L'ho già tentata due volte, ma mi ha fatto fuori"
“Io non posso fallire"
“Come mai? Ci sono altri appelli”
“Non per me"
Sam tornò a seguire la sessione e la ragazza pensò che carino era carino, ma troppo serio per i suoi gusti.
I colloqui proseguirono e dopo circa un'ora e mezza dal suo arrivo, il giovane sentì che la tensione lo stava divorando.
Voleva togliersi al più presto il pensiero, ma il prof quella mattina sembrava particolarmente ispirato tanto che gli esami si protrassero fino all'ora di pranzo quando l'uomo annunciò che la sessione sarebbe ripresa alle 15.30 .
Sam lo guardò avvilito perché aveva sperato fino all’ultimo di riuscire a fare l'esame in mattinata in modo da poter riposare qualche ora prima di andare al lavoro, ma evidentemente avrebbe dovuto tener duro e sperare che il suo corpo lo seguisse in questo sforzo di testardaggine.
“Pranziamo insieme?”
La voce della biondina riportò sul pianeta terra il giovane, che ebbe così la certezza di interessarle parecchio, ma non era proprio in vena di flirtare. Cercò inutilmente un modo gentile per declinare l'invito, poi fu lei a fare un'altra mossa.
“Sei gay?”
“Gay? No, che ti viene in mente?”
“Beh, non vedo nessuna ragazza a sostenerti e nemmeno una fedina"
“Non che siano proprio fatti tuoi, ma non ho una ragazza”
“Allora come mai non mi degni di uno sguardo? Non sono il tuo tipo?”
“No, non sei tu, credimi. Sono in piedi per scommessa e ho una lunga giornata davanti a me. Prima l'esame e poi devo andare a lavorare, o rischio il licenziamento”
“E non puoi darti malato?”
“No, non posso. Sono stato male nelle ultime ore e non ho avvertito. I miei datori di lavoro erano piuttosto seccati e non posso dargli di nuovo buca"
“Capito. Scusa se sono stata invadente. Ricominciamo d'accapo?”
“Okay"
“Ciao, sono Rebecca e non sono una mangiatrice di uomini “
“Ciao, sono Sam e non sono né gay, né fidanzato"
“E non mangi?”
“Ho lo stomaco chiuso in realtà”
 “Io, invece, quando sono sotto esame, mangerei di tutto. Non ti convinco a venire con me?”
“Magari un'altra volta”
Rebecca sorrise e si alzò.
“Ci vediamo dopo"
“Torni a seguire gli esami?”
“Il tuo di sicuro”
Sam sorrise di rimando e non appena rimase solo, tirò fuori il cellulare. Trovò un messaggio di Will, che lo invitava a raggiungerlo per una pizza al volo, ma non si sentiva proprio in condizione di muoversi. Rispose, mentendo spudoratamente, che aveva fatto un’abbondante colazione, e rifiutò l’offerta. Mise via il telefono, poi appoggiò la testa sulle braccia incrociate sul banco. Aveva una forte emicrania e tanta voglia di dormire. Chiuse gli occhi e pur non volendo, si appisolò. Si risvegliò solo a causa del rumore degli studenti che rientravano in aula e per la mano di Rebecca sulla spalla.
“Sam, stai bene?”
“Cosa?”
“Ti ho chiesto se ti senti bene"
“Credo di sì”
“Il prof sta rientrando”
“Okay"
“Quando siamo usciti, ha appeso l'elenco dei candidati del pomeriggio, sei il quarto. Perché non vai a sciacquarti un attimo la faccia e prendi un po’ d’aria?”
“Mi sembra un’ottima idea”
Il giovane si alzò e si diresse verso il bagno. Entrò e andò dritto al lavabo. Apri il rubinetto e si bagnò copiosamente il viso sperando così di riacquistare un po’ di lucidità.
Rientrato in aula, vide Will e poi Beverly, che si sbracciava per attirare la sua attenzione e rispose al saluto facendogli cenno che aveva le sue cose alcune file più avanti.
La ragazza annuì e gli fece capire a gesti che si sarebbero beccati dopo l’esame. Sam gli mostrò il pollice in su e tornò al suo posto.
                        --------------------------
Erano circa le due quando John fu svegliato dal televisore troppo alto dei suoi vicini di stanza e dopo averli mandati cordialmente a farsi fottere, si tirò su. Guardò l’orologio e fece una veloce scaletta di quello che avrebbe fatto nelle ore seguenti: doccia, abbondante pranzo e rifornimento viveri in vista del ritorno sulla strada, restituzione chiavi della stanza e infine ultimo appostamento tra il dormitorio e il mall prima di salutare Palo Alto.
Aveva deciso non tornare a dormire in albergo quella sera, ma di partire in nottata per non chiedere troppo alle sue finanze e anche perché la regola dello strappare via il cerotto in un solo colpo valeva anche per lui.
Era arrivato il momento di andare via, anche se il cuore gli diceva di restare. Doveva muoversi perché lo aveva promesso a Dean e perché in fondo non avrebbe avuto senso prolungare il suo soggiorno a Palo Alto. Nonostante il fatto che lo avesse riempito di gioia stargli vicino in quei giorni, non si sarebbe chiarito con Sam, un po’ per partito preso e un po’ per paura di essere rifiutato. Averlo sentito invocare il suo nome mentre delirava non cambiava di molto la situazione tra di loro perché da sveglio suo figlio non lo avrebbe cercato, ne era sicuro. Sam era orgoglioso forse più di lui e mai avrebbe ammesso di aver bisogno della sua famiglia, quindi fine della tregua e pedalare.
Il cacciatore sapeva di dover andare perché avevano fatto entrambi una scelta e non c'era spazio per una trattativa, ma quella settimana a Stanford aveva comunque avuto delle conseguenze.
Nelle ore passate ad aspettare di veder passare Sam, John aveva avuto molto tempo per riflettere e ripensare al rapporto che aveva avuto negli anni con suo figlio minore. Aveva sempre lottato per tenerlo sotto controllo da quando il bambino paffutello e coccolone aveva ceduto il posto ad un determinato pre-adolescente e in fondo aveva sempre saputo che prima o poi sarebbero arrivati ad un punto di rottura.
Le urla, le punizioni e la ferrea disciplina non avevano mai piegato il suo secondogenito e il sergente Winchester era da sempre consapevole che aveva davanti un potenziale disertore, ma non aveva potuto fermarlo. Ci aveva provato, ma aveva fallito ed era stato così stupido da cacciarlo via dalla famiglia, la decisione più sbagliata che avesse mai preso in tutta la sua vita.
Non poteva negare di sentire ancora la rabbia e la delusione ribollire nel profondo, ma vedere quanto Sam stesse lavorando per perseguire il suo obiettivo, gli aveva fatto pensare per la prima volta che forse suo figlio non aveva voluto voltare le spalle alla sua famiglia, aveva solo reclamato il diritto di lottare per ciò che riteneva importante.
Continuando a seguire il flusso dei suoi pensieri, John fece la doccia, si vestì, chiuse il borsone e dopo aver scansionato la stanza, prese le chiavi e si avviò alla reception.
Dopo pochi minuti si ritrovò al volante del suo pick up e guardò l’orologio. Erano le tre e venti e a quell’ora Sam aveva probabilmente dato l’esame ed era tornato al dormitorio, sempre che avesse avuto la forza di mettersi in piedi.
Il pensiero che suo figlio potesse stare ancora male lo angosciò, così decise di mettere in stand by la lista delle cose da fare e si diresse a Stanford. Parcheggiò in una strada adiacente all'ingresso dell’università e si mise a gironzolare cercando di non dare nell'occhio. Si sedette su una panchina piuttosto appartata e finse di leggere un giornale. Dopo qualche minuto la sua permanenza solitaria fu interrotta da un paio di ragazzi, che discutevano ad alta voce.
“Muoviti, non me lo voglio perdere “
“Davvero sta tenendo testa da quaranta minuti al professor Smith? Ma chi è questo mostro?”
“Un certo Dan, mi sembra.  No, Sam, si chiama Sam ed è un amico di Will"
John sgranò gli occhi e la sua mente formulò la domanda più ovvia: possibile che stessero parlando del suo Sam?
Il messaggio, al quale aveva con grande sforzo risposto, aveva lasciato intendere che avrebbe dovuto dare l'esame di mattina, eppure un Sam, amico di Will, era più di una coincidenza, così non resistette all’impulso di alzarsi e seguirli.
Dopo pochi minuti entrò in un edificio ad un piano, poi in una grande aula affollata di studenti. Si mosse in avanti fin quando non riconobbe suo figlio seduto davanti ad un uomo sulla sessantina con i capelli brizzolati e un paio di occhiali tondi di metallo. Si fermò e sentì il prof porre una domanda a Sam seguita da un brusio nell'aula. Si voltò a guardare gli altri ragazzi e capì dalle loro espressioni che doveva essere una richiesta molto complicata. Tornò a fissare la schiena del suo ragazzo e come un qualsiasi papà che vede il proprio figlio in difficoltà, avrebbe voluto afferrare quel presuntuoso e fargli ingoiare qualche dente, ma poi si accorse che con calma olimpica Sammy stava rispondendo.
Guardò di nuovo gli altri studenti e li vide sinceramente impressionati.
Alla prima domanda ne seguirono altre e il giovane studente non vacillò davanti a nessuna di esse.
John rimase in un angolo e minuto dopo minuto sentì l'orgoglio riempirgli il cuore, soprattutto notando che il professore ad un certo punto aveva cambiato totalmente atteggiamento. Non aveva più l'aria di chi si sente in una posizione dominante, il suo viso era concentrato e ammirato.
Il cacciatore ne ebbe la conferma quando l'uomo ad un certo punto fermò Sam e gli fece pubblicamente i complimenti per la sua preparazione e invitandolo a proseguire su quella strada perché avrebbe fatto di certo strada.
Cazzo, quel ragazzo aveva il potere di mandarlo sulle montagne russe delle emozioni e in quel momento si sentiva così fiero che avrebbe voluto uscire allo scoperto e abbracciarlo, ma era consapevole di non poterlo fare. Rimase ancora qualche attimo a godersi la piacevole sensazione, poi fece la strada a ritroso e in breve tornò all'esterno. Respirò a pieni polmoni l'aria fresca e sorrise, poi si avviò al pick up perché non sarebbe passato molto tempo prima che suo figlio sarebbe uscito. Vi entrò e si sedette al posto di guida.
Nel frattempo Sam era ancora davanti al prof., che stava studiando il suo libretto, e stava incassando altri complimenti con una buona dose di imbarazzo. Dopo aver riflettuto un po’ il prof Smith aggiunse una A+ alle precedenti e il giovane Winchester si sentì sollevato all'idea di aver superato la prova e di conseguenza di essersi assicurato il mantenimento della borsa di studio.
Non appena riebbe tra le mani il libretto, salutò il docente e si avviò verso l'uscita con Rebecca appesa al braccio sinistro, che gli faceva i complimenti e Beverly e Will alle costole.
“Sei stato grandioso e dobbiamo festeggiare. Fetta di torta e the freddo e non accetto un no come risposta”
“Okay, Rebecca, ma non ho molto tempo”
“E dai, Wonder boy, prenditi una pausa. Se avessi passato io l'esame, farei festa"
“Mi dispiace, ragazzi”- rispose il giovane Winchester ricordandosi che i suoi amici non lo avevano seguito sulla strada del successo.
“E di che? È passato il migliore”
“Se volete una mano per il prossimo appello, vedo di organizzarmi”
“Per il momento sei solo condannato a offrire"
I ragazzi raggiunsero una caffetteria lì vicino e sotto lo sguardo sollevato di John, Sam finalmente si rilassò e mandò giù un boccone di una crostata alla frutta. Cominciò a conversare con i suoi amici e perse la cognizione del tempo fin quando Will chiese:
“A che ora devi andare al lavoro?”
“Alle sette”
“Allora faresti bene ad alzare il culo”
“Perché, che ore sono?”
“Le sei e un quarto"
“Maledizione, arriverò in ritardo"- esclamò dopo esser balzato in piedi e aver iniziato a raccogliere velocemente le sue cose.
“Frena, cowboy, ho la macchina, ti accompagno “
“Dici sul serio?”
“Certo che sono seria”
“Grazie, Rebecca, mi serve proprio uno strappo”
“Mi fa piacere e magari standoti vicino, mi illuminerai con la tua scienza"
Una risata generale riempì il tavolo e da lontano John sorrise di riflesso. Era bello vedere Sam così rilassato e di certo avrebbe portato via più volentieri quell’immagine da Palo Alto piuttosto che quella del figlio in preda al delirio. Rimase a spiarlo fin quando non lo vide lasciare il tavolo e allontanarsi con una delle due ragazze .
Stava “conoscendo “ il primo amore adulto di Sam?
Osservò la coppia con attenzione e alla fine concluse che non sembravano intimi. Li vide salire su una Toyota, con lei al volante, e incuriosito gli si mise alle costole pur mantenendo una ragionevole distanza di sicurezza. Si accorse quasi subito che stavano puntando al mall, ma sapeva per certo che il turno di Sam sarebbe iniziato molte ore dopo. Forse i due avevano in programma una sessione di shopping?
John li seguì fino a destinazione convinto che magari era poco che si frequentavano e avevano mollato gli altri per stare un po' insieme, poi con somma sorpresa vide scendere dall'auto solo suo figlio, che dopo aver scambiato qualche chiacchiera con la sua accompagnatrice, si diresse all'ingresso dei dipendenti. Sam non si stava concedendo un pomeriggio frivolo, stava andando a lavorare.
John sentì una forte tenerezza per quel ragazzo e si mise pazientemente ad aspettare di vederlo ricomparire nel parcheggio del mall. Avrebbe potuto andarsene considerando il fatto che si sarebbe dovuto fermare per strada per fare rifornimento di viveri e carburante, ma si disse che non si sarebbe allontanato fin quando non lo avesse visto tornare al dormitorio. Rimase fermo nel parcheggio per ore e dopo aver ripreso tra le mani il blocchetto con su annotati i turni di lavoro di Sam, capì che stava facendo degli straordinari per recuperare le ore perse nei giorni precedenti.
Quando suo figlio riemerse, gli sembrò di rileggere lo stesso copione: tanta stanchezza, autobus e corsa notturna fino a Stanford.
John lo scortò fino a "casa" e dopo aver parcheggiato, alzò lo sguardo verso le finestre dell’alloggio di Sam in attesa che andasse a dormire. Quando la luce nella stanza del ragazzo si spense, il cacciatore dovette a malincuore prendere atto che era arrivato il momento dell’addio. Guardò per l'ultima volta in direzione del dormitorio, poi girò le chiavi nel quadro e a bordo del suo pick up voltò le spalle a Palo Alto.
Non appena si ritrovò sulla statale, prese il telefono e non appena l'altra metà del suo mondo rispose, disse:
“Ehi, Dean, metti le birre in fresco e prepara le canne da pesca, sto arrivando".
“Papà, tutto bene?”
“Sì, missione compiuta”
“Hai la voce stanca”
“E’stata una lunga settimana, ma ne è valsa la pena”
“Non appena arrivi voglio i particolari”
“Non si era detto niente caccia?”
“Touchè”
Dean rise e John desiderò raggiungerlo in fretta, così, dopo averlo salutato, premette sull’acceleratore. Rallentò solo un po' quando vide avvicinarsi il cartello “State lasciando Palo Alto” , poi diede gas e si allontanò nella notte.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4007064