Cinq
piccolo suggerimento musicale per voi qui.
Victor
Clément Florian de
Girodelle era uomo, anzi, un uomo tutto d’un pezzo, e come
tale non si era
sicuramente fatto intimidire da quella strana missione. Aveva osservato
guardingo l’insegna del negozio, Carrousel,
e a parte alzare il
sopracciglio per la banalità del nome non aveva potuto far
altro che farsi
coraggio ed entrare.
Quanto poteva
essere
difficile comprare un regalo?
Era entrato con
molti
dubbi e poche certezze, ma una volta dentro la situazione si era
aggravata. Si
era ritrovato assalito da due commessi che lo avevano tempestato di
domande
senza dargli alcuna sosta. Lo avevano lasciato stordito e interdetto
tanto che
la sua stoica compostezza aveva vacillato per qualche secondo.
È per
suo figlio?
Sbatté
più volte le
palpebre, fissando la giovane ragazza che lo stava servendo come se non
avesse
compreso a pieno la domanda.
Mio figlio?
Lo
ripeté a voce alta,
come se l’averlo sentito lo avesse scosso nelle membra. Vide
il viso della
fanciulla dipingersi di un evidente disagio davanti al suo silenzio.
L’aveva
messa in imbarazzo e cercò di sfoggiare il suo sorriso
più cordiale e gentile.
No mademoiselle,
è per il
figlio di una cara amica.
Gli occhi di lei
si
rianimarono e prese a girare per il negozio cercando le scelte migliori
per le
sue richieste. L’osservò addentrarsi per i vari
scaffali e prendere giochi,
pupazzi e scatole delle forme e dai colori più disparati.
Mio figlio.
Sentì
le sue labbra
incurvarsi in qualcosa di più amaro di un sorriso. Avrebbe
potuto essere suo
figlio, ma lei aveva scelto lui.
La prima volta
che aveva
incontrato Oscar François de Jarjayes era stata ad una cena
di lavoro che suo
padre aveva organizzato a casa loro. I de Jarjayes erano stati da
sempre soci
in affari di suo padre e per l’occasione l’intera
casa era stata tirata a
lucido, lui compreso.
Comportati bene,
verrà
anche il figlio di Monsieur de Jarjayes.
Aveva annuito,
leggermente annoiato da quel trambusto che da diversi giorni si
respirava. Da
poco aveva compiuto sedici anni e l’idea di doversi annoiare
trascorrendo
un’intera serata ascoltando i discorsi sull’azienda
di suo padre lo allettava
ben poco. Ancor meno contando che avrebbe dovuto intrattenere questo
fantomatico Oscar per tutta la serata, quando
avrebbe trascorso
volentieri il suo tempo in altro modo.
Eppure, quello
che gli si
parò davanti infranse qualsiasi sua aspettativa.
Ciao, io sono
Oscar.
Era rimasto
interdetto.
Muto. Lo aveva squadrato da capo a piedi, ma questo Oscar sembrava
tutto
fuorché un lui. Portava i capelli corti,
all’altezza delle spalle, e il
loro colore era talmente intenso da sembrare oro. Gli occhi azzurri
erano
grandi e brillanti, così tanto da sembrare zaffiri. Si
sentì avvampare, non
aveva mai visto qualcuno di così bello.
Gli aveva
stretto la
mano, ma nonostante la decisione, percepì una stretta
delicata e le sue mani
estremamente piccole e morbide.
Victor.
Avevano
conversato a
lungo durante la cena e aveva scoperto che questo Oscar non era
così male come
si era aspettato. Avevano molte cose in comune: leggevano gli stessi
libri e
frequentavano anche la stessa scuola. Si era scoperto per la prima
volta interessato
a qualcuno che non fosse lui stesso o che facesse parte della sua
famiglia.
Questo strano ragazzo biondo, che poi scoprì essere una lei,
provando
che i suoi dubbi erano quindi fondati, era la persona più
interessante e
curiosa che avesse mai conosciuto. Sorrideva poco, e le parole erano
sempre
misurate nei discorsi, ma la sagacia e l’acume fluivano nelle
sue parole.
Quella cena trascorse più in fretta del previsto e prima che
se ne accorgesse la
serata era già terminata.
Sai duellare?
Duellare?
Sì,
con la spada. Sai
farlo?
Sì,
sono anche bravo.
Un ghigno si
dipinse sul
suo volto angelico.
Allora vieni al
club di
spada ogni tanto. Io e André andiamo spesso lì ad
allenarci.
André.
André Grandier. Lo
aveva citato più volte nelle conversazioni e ne aveva
dedotto fosse il nipote
della sua governante e che fossero cresciuti insieme. Nulla di
straordinario,
capitava spesso in famiglie come le loro che i figli o i nipoti dei
dipendenti
fossero presenti, ma questo André appariva molto importante
per come ne
parlava.
Non aveva ancora
ben
compreso quanto lo fosse.
Quale preferisce
monsieur: il puzzle, il libro illustrato o il kit per la pittura?
Osservò
i tre oggetti che
la ragazza gli aveva disposto in ordine sul bancone. Non aveva la
benché minima
idea di cosa si regalasse ad un bambino; quindi, cercò di
mascherare il suo
dubbio con classe. Era ormai maestro in quest’arte.
Mademoiselle,
sono adatti
per un bambino di cinque anni?
Oui monsieur,
sono adatti
per quell’età e anche per essere utilizzati
più avanti nel tempo. Sono
splendidi, mi creda, perfetti per lo sviluppo della
creatività.
Le sorrise
gentilmente,
mentre tirava fuori il portafogli.
Li prendo tutti.
La giovane si
lasciò
sfuggire una esclamazione di sorpresa nel sentire quella affermazione.
Quei
giocattoli costavano una fortuna, il prezzo dello scontrino sarebbe
stato
esorbitante.
Certo, allora
glieli
incarto. Suo nipote sarà felicissimo!
Victor le
sorrise di
nuovo, senza nemmeno disturbarsi di correggerla.
Il campanello
aveva
suonato, ma dubitò per qualche secondo che qualcuno lo
avesse udito. La musica
che fuoriusciva non era assordante, ma era piuttosto alta, e il vociare
rimbombava per tutto il pianerottolo.
Avrebbe mentito
a se
stesso se non avesse ammesso che si era pentito di aver accettato
quell’invito,
ma allo stesso tempo non poteva più in alcun modo rifiutare.
Si era incastrato
con le sue stesse mani, ma si era condannato diversi anni addietro
quando aveva
accettato di duellare con lei.
Ah, eccoti, non
pensavo
saresti venuto.
Mantengo sempre
la parola
data.
Le aveva porso
la mano e
lei l’aveva stretta salutandolo. Non avrebbe mai dimenticato
le sue mani
candide.
Lui è
André.
Già,
lui era André. Il
famoso e onnipresente André. Riccioli bruni e occhi verdi
gentili, un sorriso
affabile e una calma contagiosa. Non avrebbe immaginato persona diversa
accanto
ad Oscar. Si conoscevano dall’età di sette anni,
era rimasto orfano da
pochissimo e il padre di Oscar aveva accettato di buon grado di
accoglierlo
nella loro casa. Non avrebbe mai negato questo alla dolce Nanny.
Avevano convissuto
per la maggior parte della loro esistenza e vederli interagire era
qualcosa di
straordinario. A tratti appariva come se il loro linguaggio non fosse
verbale,
ma quasi telepatico.
Nonostante
tutto, André
si era dimostrato una persona gentile e perspicace. Non amava molto la
sua
compagnia, perché aveva sempre l’impressione che
lo scrutasse nel profondo,
penetrando la sua anima, ma allo stesso tempo la sua esistenza era
strettamente
legata a quella di Oscar e trovarli separati era spesso difficile.
Si scambiavano
poche
parole di cortesia, più per necessità che per
interesse reciproco, ma capì
subito che era una partita persa in partenza. Erano come una diade
speciale,
indipendenti una dall’altro, ma allo stesso tempo legati
irrimediabilmente per
sempre. Si era detto che era solo questione di tempo, e terminata
l’adolescenza
le loro strade si sarebbero separate, rompendo quel legame simbiotico.
E a tratti ebbe
quasi
ragione, dopo l’università i due avevano iniziato
ad allontanarsi. Orari
diversi, lavori diversi, nuovi amici e nuove scoperte. La diade si era
rotta.
Agli occhi di Victor quella fu come una benedizione.
L’interesse che Oscar gli
aveva provocato in adolescenza si era tramutato in qualcosa di
più profondo una
volta raggiunta l’età adulta. Lo aveva capito una
volta essersi ritrovato
disarmato durante uno dei loro allenamenti. Lei gli aveva sorriso per
poi
raccogliergli la spada e porgergliela.
Il suo cuore era
sobbalzato e per la prima volta nella sua vita aveva sentito le parole
mancargli di bocca.
Si era
innamorato.
Lavoravano
insieme da
diversi anni nell’azienda che un tempo dirigevano i loro
genitori e ancora una
volta lei si era rivelata più brillante e pronta di lui
nella dirigenza e si
era ritrovato suo vice. Non che la cosa gli dispiacesse, lavorare con
Oscar era
sempre sinonimo di zelo, precisione e perfezione, ma voleva sempre di
più. Ne
bramava sempre di più di tempo con lei, dal lavoro, ai
pranzi in ufficio, alle
riunioni, fino alle uscite al di fuori dell’orario
lavorativo.
L’aveva
persino fatto.
L’aveva invitata ad uscire più di una volta, ma da
parte sua non aveva mai
percepito lo stesso interesse che lui le dimostrava. Era stata a lungo
innamorata di un giovane svedese che aveva conosciuto
all’università e che poi
in poco tempo era diventato il marito della sua migliore amica. Era
stato
impossibile non notarlo, quelle poche volte che l’aveva visto
lei pendeva dalle
sue labbra, ma anche lì, quell’infatuazione non
era paragonabile a quello che
vedeva in lei quando André appariva.
Era come se il
tempo fra
loro si fermasse, come se qualsiasi altra cosa perdesse di colpo
significato.
Qualche volta lui la veniva a prendere per tornare a casa insieme,
visto che
nessuno dei due ancora aveva lasciato la casa d’infanzia, ma
lei si trasformava
in quei frangenti. Smetteva di recitare, la maschera cadeva
magicamente. Se
durante la giornata appariva fredda, dura e impeccabile, con lui si
poteva
persino vederla sorridere e fare battute. Lui era capace di tirare
fuori la sua
parte migliore.
Non era passato
molto
tempo che qualcosa cambiò passando inizialmente in sordina.
Se la presenza di
André era diventata una abitudine a cui ormai aveva smesso
di prestare
attenzione, quel piccolo e semplice anello che apparve da un giorno
all’altro
al dito di Oscar lo destabilizzò.
Era
semplicissimo e ai
suoi occhi persino insulso, visto il patrimonio della suddetta
quell’anello non
era che una sciocchezza, ma per come se lo rigirava era chiaro che
fosse più
importante di tutto l’impero costruito da suo padre. Aveva
negato a se stesso
quello che stava succedendo, ma quando lei si presentò alla
sua scrivania con
le partecipazioni per il loro matrimonio, l’intera situazione
precipitò.
Ci sposiamo il
dodici
luglio, mi farebbe tanto piacere se tu ci fossi.
Ci
sarò sicuramente, sono
molto felice per voi.
Quel caldo
giorno di
luglio sentì il suo cuore frantumarsi. Assistere ad una
cerimonia in cui la
donna che ami sposa un altro era fra le cose più dolorose
che lui si potesse
mai immaginare.
Se qualcuno ha
qualcosa
da dire, parli adesso o taccia per sempre.
Avrebbe voluto
urlare.
Alzarsi di scatto, scomporsi e dichiarare a tutto il mondo che lui
avrebbe
saputo renderla felice, non quel ragazzo squattrinato (e per di
più ora anche
quattr’occhi). L’aveva amata sin
dall’adolescenza, loro si appartenevano.
Provenivano dallo stesso modo e da famiglie di pari livello, con
educazioni
simili e sapevano destreggiarsi in determinati contesti per nascita.
Cosa ne poteva
sapere
lui? Di umili origini e con neanche un soldo in tasca. Tutto quello che
era e
poteva diventare lo doveva solo a lei e ai suoi genitori, se non fosse
stato
per lei cosa sarebbe mai potuto diventare? La rabbia e la gelosia lo
divoravano.
Lo distruggeva sapere della loro nuova vita insieme, della casa, dei
viaggi, di
tutto. La nausea gli bloccava il respiro e vederla così
contenta gli sembrava
la più grande punizione per la sua infelicità
silente.
Quando credette
di star
soffocando, si rese conto che al peggio non poteva esserci limite.
Anche lì,
forse per evitare il dolore, forse perché veramente non se
ne era accorto, ma
quando si rese conto che il suo ventre che era sempre stato piattissimo
aveva
ora una curva, leggerissima e a tratti impercettibile, la fitta era
stata
fortissima.
Era incinta.
Collegare il
nome di
Oscar all’aggettivo incinta era veramente difficile, ma
nonostante fosse
difficile, divenne ancora più bella, ancora più
splendente. Emanava luce e
gioia da qualsiasi parte del suo corpo, e più quella piccola
pancia cresceva,
più il suo sorriso si allargava.
Suonò
nuovamente, e sentì
qualcuno rispondere al suo trillo con un arrivo!
Prese un bel
respiro, ben
conscio che anche questa sarebbe stata un’esperienza di
dubbio gusto. Non amava
le feste, tantomeno i bambini, quindi la combo di queste due cose
preannunciava
solo un disastro senza precedenti.
E dire che ho
pure accettato
di buon grado.
Si
ravviò i lunghi
capelli, il caldo di luglio era soffocante e i vestiti gli si stavano
appiccicando tutti addosso. Sentì il chiavistello della
porta muoversi e uno
spiraglio di luce aprirsi sul suo volto. Si aspettò una voce
adulta, ma dovette
presto rendersi conto che il suo interlocutore si trovava ben al di
sotto della
soglia del metro e trenta.
Abbassò
il capo e vide degli
occhietti vispi fissarlo con attenzione, quando dopo una breve
osservazione li
vide brillare di gioia.
Tonton Victor!
Gli sorrise
gentilmente
mentre il bambino apriva ulteriormente la porta. Era impressionante la
sua
somiglianza con lei. La genetica si era divertita nel crearlo,
perché questa
piccola creaturina era talmente bella da ammaliare chiunque. La prima
volta che
lo aveva visto aveva poco più di qualche settimana. Una
pelle diafana e
bianchissima coperta da una moltitudine di riccioli scuri che
risultavano in
numero spropositato rispetto al suo breve tempo di vita. Il viso
piccolo e
delicato, le labbra rosse come le guance, ma la cosa che lo aveva
colpito erano
stati i suoi occhi.
Azzurri,
più azzurri del
cielo e del mare. Di una sfumatura leggermente più scura
rispetto a quelli
della madre, che a tratti ricordavano gli abissi marini. Si era
aspettato che
cambiassero con la crescita, ma erano soltanto diventati più
belli e più
brillanti. Era incredibilmente somigliante a lei e se alla apparenza
per un
osservatore distratto poteva apparire come una versione più
piccola di suo
padre, una volta scrutatolo con attenzione era palesemente la copia
sputata di sua
madre.
Se il suo
aspetto
rassomigliava ad Oscar, il suo carattere era però molto
influenzato da quello
di André. Solare, vivace, gentile e molto, forse troppo
perspicace ed empatico.
Quelle rare volte che lo incontrava e quegli occhietti blu lo
guardavano
percepiva la stessa sensazione di disagio che aveva provato anni
addietro
quando André lo osservava. Quella sensazione di essere
penetrato e scoperto,
messo a nudo.
Ciao Charles,
buon
compleanno, scusami se ho tardato.
Il suo piccolo
visetto
roseo si dipinse di un sorriso grande mentre la porta si spalancava
lasciando
che il caos che regnava dentro lo investisse. La camicina a quadretti
blu che
portava si intonava benissimo al suo incarnato e ai suoi occhi.
Sembrava un
piccolo principino per come si comportava e per il suo abbigliamento.
Aveva pensato
di odiarlo, per quanto odiare un bambino potesse essere infattibile, ma
Charles
aveva un carattere e un’anima tale che non amarlo era
impossibile. Era come se
avesse ereditato le miglior qualità dei suoi genitori
rendendolo un esserino a
dir poco perfetto.
Ovviamente,
questa era
una affermazione fallace, era comunque un essere umano, e possedeva dei
difetti,
anche se in piccola parte, ma era capace di nasconderli mostrando
sempre la sua
parte migliore. L’aveva visto piangere e fare i capricci
pochissime volte e la
maggior parte delle volte la situazione si risolveva nel giro di pochi
minuti senza
troppi sforzi dei suoi genitori.
Sei arrivato, ti
stavamo
aspettando! Vieni!
Prima che
potesse
rispondergli sentì la piccola manina del bambino afferrare
la sua e trascinarlo
dentro senza troppe cerimonie. Si guardò intorno, scrutando
la stanza. La casa
di Oscar e André non era mai stata troppo grande. Un piccolo
appartamento nel
centro di Parigi che per il suo personale gusto era fin troppo umile.
Per l’occasione
il salone era stato riempito di palloncini blu e verdi, dei teneri
festoni si
destreggiavano fra le pareti, finendo a volte a terra per la
sbadataggine di
qualche invitato. Non si sarebbe mai abituato a una cosa del genere.
Nella sua
famiglia per festeggiare un qualsiasi compleanno di una qualsiasi
età, si
sarebbero riuniti in un ristorante di classe senza generare tutto quel
baccano.
Si
lasciò condurre dal bambino
che si muoveva con leggiadria tra tutti quegli impedimenti.
Maman! Maman!
Tonton Victor
è arrivato!
Sentì
la gola asciugarsi
di botto e le labbra seccarsi quando la vide arrivare. La presa del
bambino si
allentò, mentre si avvicinava sua madre, fino a quando non
fu così vicina da
poterla abbracciare.
Non si sarebbe
mai
stancato di guardarla, ogni volta che i suoi occhi si posavano su di
lei il suo
corpo prendeva fuoco e il suo cuore batteva così forte da
fargli male. Nonostante
gli anni, quell’amore lo continuava a tormentare senza sosta,
divorandolo nel
profondo. Era come una goccia d’acqua, inizialmente innocua,
fino a che la sua
persistenza non aveva penetrato la roccia del suo animo facendolo
dannare.
Vederla e
incontrarla era
un’arma a doppio taglio. Innaffiava quella speranza vana di
poterla avere per sé,
ma allo stesso tempo gli mostrava la realtà come era davvero.
La
salutò cordialmente,
scusandosi per il ritardo imprevisto. Gli sorrise gentile e parlarono
del più e
del meno, ma quel piccolo momento di calma fu interrotto prima del
previsto.
Ciao Victor,
sono
contento che tu sia riuscito a venire.
Lo vide apparire
in poco
tempo, posizionandosi a fianco della moglie e prendendo in braccio il
figlio.
Scusatemi il
ritardo.
Gli sorrise
calorosamente, porgendogli un bicchiere di champagne mentre il bambino
guardava
con curiosità crescente quella busta colorata nella sua
mano. Era palese che la
bramasse, come qualsiasi bambino che sa che riceverà dei
giocattoli di lì a
poco, ma tentò di trattenersi il più che potette.
Tieni Charles,
questo è
per te, spero che ti piaccia.
Un tintinnio di
eccitazione
uscì dalla sua bocca, dimenandosi per farsi mettere
giù dal padre. Afferrò con
entusiasmo la busta iniziando a rovistarci dentro, così
tanto preso da finirci quasi
di testa dentro.
Charles! Come si
dice?
Un rimprovero
gentile, ma
severo che André gli aveva indirizzato. Interruppe la sua
caccia al regalo, rendendosi
conto di non aver nemmeno ringraziato il suo interlocutore. Gli rivolse
un
sorriso tenero sincero a cui non potette rispondere.
Grazie
moltissime tonton
Victor.
Riprese a
scartare con
vorace curiosità i regali, trillando di euforia ogni qual
volta ne tirava fuori
uno. Li mostrava ai suoi genitori con occhi brillanti e pieni di
allegria, fino
a quando non scartò anche l’ultimo e lo
abbracciò con gioia nonostante a malapena
arrivasse alla sua coscia.
Si
sentì braccato
improvvisamente da quel piccolo umano che aveva invaso più
volte nel giro di pochi
minuti il suo sacro spazio vitale. Emanava un calore dolce, mentre
quella
testolina scura gli stringeva le gambe con forza. Gli
accarezzò goffamente il
capo.
Grazie, grazie,
grazie,
son bellissimi! Posso andare a giocare con
Thérèse e Louis Joseph per farglieli
vedere, papa?
Appena vide il
padre
annuire lo lasciò andare portando con sé
l’enorme busta con difficoltà. Si
diresse saltellando verso i due bambini dall’altra parte
della stanza che lo
stavano aspettando insieme ad un omone altissimo e possente che li
stava
facendo sbellicare dalle risate raccontando storielle buffe.
Avvertì
un improvviso
freddo e un vuoto nel punto in cui il bambino lo aveva lasciato andare.
Non amava
essere toccato, ma nonostante Charles avesse invaso e superato
qualsiasi limite
fisico che si era imposto, fu quasi rammaricato di vederlo andar via a
giocare.
Non aveva mai desiderato dei figli, o almeno, non ci aveva mai
veramente
pensato.
Aveva trascorso
la sua
intera infanzia da solo, o al massimo con la sua governante. I suoi
genitori
erano sempre stati troppo presi da loro stessi o dai loro affari per
poter
occuparsi di lui. Una volta raggiunta la maggiore età era
diventato un semplice
strumento da utilizzare per far fruttare al meglio gli affari
dell’azienda. Cosa
poteva offrire lui ad un figlio? Non aveva mai sperimentato
l’affetto, tantomeno
la dolcezza o il senso di famiglia.
Non dovevi
disturbarti
con tutti quei regali, ne sarebbe bastato uno solo.
La voce di Oscar
lo
distolse dalla visione di Charles che mostrava agli altri i suoi
bellissimi
regali appena ricevuti.
Non si compiono
mica
cinque anni tutti i giorni, Oscar.
Faceva davvero
caldissimo
e nonostante le finestre spalancate, quel giorno si boccheggiava. Erano
passate
diverse ore da quando era arrivato alla festa e si era ritrovato a
chiacchierare
amabilmente con Monsieur de Jarjayes e sua moglie, per poi finire nelle
grinfie
del celeberrimo Alain de Soisson e della sua cara sorella.
Era ormai sera
quando,
durante una bella conversazione con Diane, le luci si spensero
improvvisamente.
Ma che diavolo
sta
succedendo?
Si
guardò intorno e vide
tutti rivolgere la loro attenzione al tavolo in mezzo alla stanza dove
André
stava stringendo a sé un Charles euforico che saltellava
pericolosamente sulla
sedia su cui era appollaiato per vedere meglio.
Lo
guardò con insistenza,
mentre lui era troppo preso dal controllare che il suo piccolo monello
non
finisse di testa per terra. Si era sforzato per anni di capire cosa
Oscar ci
trovasse in lui, ma tutt’ora gli risultava difficile
comprenderlo a pieno.
Cosa aveva lui
in più? Non
aveva soldi, terre, palazzi. Era bello, questo era vero, ma anche lui
lo era. Quindi
perché alla fine aveva scelto André?
Dalla piccola
cucina vide
Oscar uscire con una piccola torta azzurra illuminata da cinque
candeline
colorate mentre l’intera sala intonava sgraziatamente un
canto di auguri.
Si era risposto
appellandosi
al fatto che fossero cresciuti insieme, ma in cuor suo sapeva che non
era così.
Lo poteva vedere da come si guardavano. Generavano invidia e gelosia
nel suo
cuore. Era come se loro si appartenessero in qualche modo, come se la
loro
anima fosse unica. Due corpi che però ospitavano pezzi della
stessa essenza. Fiamme
gemelle. Così venivano chiamate dagli esoteristi,
ma lui aveva sempre
faticato a credere a certe corbellerie, anche se in questo caso
faticava a
negarlo.
Anche stavolta,
mentre
lei appoggiava il dolce sul tavolo gli occhi di lui erano solo per lei,
nonostante la sua attenzione fosse indirizzata al bambino.
Coraggio
Charles! Esprimi
un desiderio e non sputacchiare sulla torta che poi me la devo mangiare
io.
Un sacco di risa
si
diffusero per il salone dopo che Alain aveva urlato al bambino che per
tutta
risposta gli aveva fatto una linguaccia, scatenando
l’ilarità di Oscar e André.
Charles si
strinse ai
suoi genitori, soffiando vigorosamente sulla torta, mentre i primi
fuochi per
festeggiare il quattordici luglio erano partiti.
Guardò
il fumo delle
candeline volare via e i suoi genitori abbracciarlo con dolcezza.
Alzò
il bicchiere di champagne
a quel quadro, perché per la prima volta la risposta era fin
troppo chiara.
André
non le aveva dato
materialità, ma qualcosa di ben più importante e
prezioso che prescindeva tutto
il resto. Lui le aveva donato l’amore, ma non
quell’amore becero che si leggeva
nei romanzetti.
Loro erano
l’amore.
Anche quel
piccolo esserino
che ora si dimenava fra loro, ricoperto di affetto e dolcezza, era
stato
generato dal loro amore. Anzi, era la prova vivente e la
personificazione di
quell’amore straordinario e puro.
Sorrise
amaramente,
buttando giù diversi sorsi di champagne.
Lui quel tipo di
amore
non glielo avrebbe mai potuto donare.
E dopo veramente
diverso
tempo, rispunto dal nulla.
Questa one shot
è stata
difficile, lo ammetto. Non ho mai e dico mai scritto su Girodelle.
È sempre stato
un personaggio da me poco amato e forse poco compreso. Ho faticato
moltissimo a
mettermi nei suoi panni e non sono certa di esserci riuscita.
Ammetto
però che mi avete
fatto riflettere, e il fatto di averlo dimenticato nel primo capitolo
mi ha
fatto pensare che in qualche modo dovevo fargli giustizia. E quindi
perché non
renderlo il vero protagonista di una shot?
Mi incuriosiva
l’idea di
vederlo interagire con un bambino e chi se non il piccolo diavolo che
Oscar e
André possono aver generato?
Non credo di
essere
proprio nell’IC con tutti, ma poco male, essendo una AU ci
sta.
Come sempre vi
ringrazio
per la vostra attenzione e per essere arrivati fin qui a leggere.
Grazie e spero a
presto,
se avete commenti, critiche o idee da sottopormi sono sempre a vostra
disposizione. La raccolta terminerà a breve
poiché non vorrei scadere nel
banale, ma se avete qualche desiderio di qualche compleanno speciale vi
ascolto
volentieri.
Bye!
Flitwick
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