Vita e menzogne di Rosalie Weasley

di ChiarainWonderland
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il medaglione e la fotografia ***
Capitolo 3: *** Un viaggio movimentato ***
Capitolo 4: *** Nuovo inizio, vecchie abitudini ***
Capitolo 5: *** Alla ricerca di un piano ***
Capitolo 6: *** Cuori in tempesta ***
Capitolo 7: *** La pozione Aguzzaingegno ***
Capitolo 8: *** Indagini in corso ***
Capitolo 9: *** Grifondoro e Corvonero ***
Capitolo 10: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 11: *** Burrobirra e Zuccotti di Zucca ***
Capitolo 12: *** Incontri inattesi ***
Capitolo 13: *** Dolcetto o scherzetto? ***
Capitolo 14: *** "Guida completa alle rune scandinave" ***
Capitolo 15: *** Il Lumaclub ***
Capitolo 16: *** Nessuna pietà e nessun rancore ***
Capitolo 17: *** Di riunioni e uragani distruttivi ***
Capitolo 18: *** Questione di fiducia ***
Capitolo 19: *** Inviti e Imprevisti ***
Capitolo 20: *** Compleanno nella neve ***
Capitolo 21: *** Calma apparente ***
Capitolo 22: *** La lince rivelatrice ***
Capitolo 23: *** Voci dal Ministero ***
Capitolo 24: *** Due promesse ***
Capitolo 25: *** Il Reparto Proibito ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO


Rose Weasley non avrebbe mai pensato di essere emozionata per l'inizio del suo sesto anno alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Insomma, non è che rivedere un certo ragazzo biondo le mettesse ansia.

Per niente.

Alla fine si sarebbero ignorati a vicenda, o almeno finché uno dei due non avrebbe trovato un motivo per scatenare la terza guerra magica come al solito.

Non è che fosse gelosa del fatto che quella Serpe da strapazzo conosciuta come Scorpius Malfoy la eguagliasse in tutto: voti, Quidditch, Albus…

Eh già, il suo adorato cuginetto Serpeverde Albus Severus Potter era diventato il miglior amico del biondino non appena si erano ritrovati nella stessa Casa. Con grande piacere di Rose.

Lei invece era una vera grifona, orgogliosa e testarda come solo i maghi appartenenti a Grifondoro sanno essere.

Ovviamente, da vera grifona, era anche impulsiva.

E ritardataria. Tremendamente ritardataria.

Ed era proprio per questo che si trovava in mezzo al salotto di casa sua in pigiama, cercando scuse credibili e pregando Merlino, Morgana e persino Salazar di far calmare sua madre, niente di meno che Hermione Jean Granger, che sbraitava riguardo al ritardo vergognoso che avrebbero fatto.

Quel giorno infatti, il 30 agosto, tutta la famiglia Weasley-Potter, con Scamander e Paciock compresi, si sarebbe trovata a Diagon Alley per le ultime spese prima dell'inizio della scuola.

O almeno, tutta a parte la sua.

«Mamma, ti giuro che ora corro in camera e mi preparo in due secondi!»

Rose sapeva di non potersi ritenere la figlia migliore del mondo. Per quanto somigliasse a sua madre, alcune cose erano proprietà esclusiva del suo carattere, procrastinamento cronico incluso.

«Questo non giustifica il fatto di essere in ritardo tutte le sante volte» stava dicendo Hermione, mentre si versava il tè in una tazza e, Rose ne era sicura, le lanciava mentalmente tutte le maledizioni di cui era a conoscenza. E si trattava di un numero di almeno tre cifre.

«Tesoro, non credi di stare esagerando un pochino...?» provò a chiedere Ron, o pacificatore, come ormai Rose lo identificava, mentre sorseggiava il caffè fumante cercando di non scottarsi la lingua.

«Non sto per niente esagerando, Ronald» lo interruppe Hermione, lanciando al marito quello che era ormai noto come “Lo Sguardo”. Rose lo temeva più di ogni altra cosa. Più dei ragni, più di un Troll in Incantesimi, perfino più di un appuntamento da Madama Piediburro.

«Rose ti giuro, questa è la volta buona che ti faccio saltare la colazione» continuò imperterrita la famigerata strega in una posa tipica da so-tutto-io, dito alzato in segno di accusa e mano sul fianco compresi.

«Ma io non posso saltare la colazione mamma! Merlino solo sa che sofferenze devo subire in questa famiglia…» sussurrò l'ultima frase Rose, consapevole che se Hermione avesse sentito, l'avrebbe messa in punizione per almeno due settimane.

La povera ragazza vantava già una grande esperienza con l’ira di sua madre, consistente in un vario e completo catalogo di punizioni originali, sfuriate epiche e figure imbarazzanti.

«Fa' come ti ho detto! E ora Hugo…»

Hermione guardò a destra, poi a sinistra. Ma del figlio minore non c’era traccia. Rose si batté una mano in faccia, ripromettendosi di comprare al più presto a suo fratello una di quelle diavolerie babbane che suo nonno Arthur chiamava “sveglia”.

«Dov'è finito Hugo!?»

Ron impallidì allo sguardo inquisitore della moglie, iniziando a balbettare parole senza senso: Rose non era l’unica ad avere esperienze con l’ira funesta di Hermione Granger. Dandosi un contegno, Ron posò con cautela la tazza di caffè sul tavolo e, cercando tra il suo repertorio l’espressione più innocua di cui fosse capace, proclamò:« Credo sia ancora in camera sua».

Oh no.

Rose si fiondò su per le scale, raggiunse la sua camera e chiuse la porta con un tonfo secco.

“Appena in tempo” pensò.

Anche da lì sentiva le grida di sua madre che intimavano a suo padre di salire immediatamente a svegliare Hugo, minacciandolo di non comprare più i suoi cereali preferiti.

La ragazza si fiondò nell'armadio, scaraventando vestiti da tutte le parti e arrivando alla conclusione di doverne acquistare di nuovi al più presto. Il risultato dell’assalto al povero mobile, ormai reduce da molte scene simili, fu un paio di pantaloncini in denim e una maglia nera con il logo di una band babbana, regalo di suo zio Charlie.

Bastò solo una veloce occhiata allo specchio per determinare la rinuncia all’uso di una spazzola. La natura aveva dotato i capelli di Rose del colore rosso carota tipico dei Weasley, ma soprattutto dei crespi ricci marchio Granger. Quella mattina, per esempio, la chioma della ragazza poteva ricordare vagamente una nuvola carica di pioggia.

Dopo essersi infilata il suo paio preferito di converse blu e aver maledetto come ogni mattina la sua misera altezza, da cui derivava la sua figura poco slanciata, provò ad affacciarsi sulla soglia della porta e, appurando di non sentire più urla, decise di arrischiarsi a scendere le scale.

Vide sua madre che stava allacciando i bottoni della maglia di suo padre, come se quest'ultimo fosse troppo imbranato e ingenuo per poterlo fare. Rose capì immediatamente di essere fuori pericolo. Scese l'ultimo scalino e andò incontro a Hugo, seduto in cucina e impegnato a ingozzarsi di pancake.

«Sei proprio un cretino Hugo, non vedo come possano dare a me della ritardataria quando ho un fratello del genere» gli sussurrò all'orecchio, non prima di aver rubato un pancake dal piatto stracolmo del fratello.

Rose si esibì in un’espressione di disgusto non appena il sapore dello sciroppo d’acero le sfiorò la lingua, quindi optò per un mezzo croissant abbandonato al centro del tavolo.

«Non è successo niente Rosie, non vedi che mamma è tranquilla? Ho tutto sotto controllo, non preoccuparti» liquidò la faccenda Hugo, alzandosi e dirigendosi dal padre, non prima di beccarsi uno sguardo poco convinto di Rose.

La ragazza mangiò un po’ di biscotti per essere sicura di evitare attacchi di fame durante la mattinata, scolò la sua tazza di caffelatte giornaliera e, dopo aver cercato di simulare una parvenza di ordine mettendo le stoviglie nel lavandino, raggiunse il resto della famiglia in salotto.

Non poté fare a meno di notare, come al solito, la stupefacente somiglianza tra suo padre e Hugo, stravaccati entrambi sul divano – a discutere dell’ultima partita dei Cannoni di Chudley, Rose ne era sicura – e per un momento, una fitta di gelosia la colpì in pieno petto al pensiero dello speciale legame che intercorreva tra i due uomini di casa. Fitta spazzata via non appena la voce di sua madre le rimbombò nelle orecchie.
 
«Ragazzi, dobbiamo muoverci. Sì Ronald, sto parlando anche con te, è inutile che ti lamenti. Chi vuole usare per primo la metropolvere?»

Rose odiava la metropolvere. La cenere sporcava i vestiti e le rendeva i capelli, che si trovavano già in una situazione difficile, ancora più crespi. Inoltre una brutta esperienza, dovuta al nome estremamente lungo e ridicolosamente impronunciabile della cittadina in cui vivevano i suoi nonni materni, aveva minato irrimediabilmente la fiducia in quel magico mezzo di trasporto. La ragazza, che all'epoca aveva solo dieci anni, si era ritrovata in un'isola deserta al largo della Scozia e gli Auror erano riusciti a ritrovarla solo dopo sette ore di ricerche.

Consapevole però che come alternativa avrebbe dovuto subire la guida spericolata di suo padre, Rose decise che per una volta la metropolvere poteva anche sopportarla. Via il dente via il dolore, come diceva un detto babbano.

«Vado prima io mamma».

«Sei sicura Rosie? Se vuoi può andare prima Hugo o...»

«No tranquilla, è meglio che vada io per prima» la interruppe Rose, prendendo in mano una manciata di cenere e posizionandosi al centro del grande camino del salotto. Non dovette neanche abbassarsi per entrarci.

«Diagon Alley!» pronunciò forte e chiaro, buttando la cenere incantata ai suoi piedi.

Dopo un attimo, era sparita.







Angolo dell'autrice

Non so in quanti si possano ricordare di questa storia, ma dopo molto tempo di assenza, ho deciso di rivederla, ripubblicarla e, se possibile, finirla.
La verità è che scrivere mi è mancato tanto, e purtroppo l'ultimo periodo non mi ha permesso di concentrarmi su questa mia passione. Mi è mancato scrivere di tutti i personaggi e, non dimenticando la cosa più importante, il mondo di Harry Potter avrà sempre un grande posto nel mio cuore.
A presto
ChiarainWonderland
 

 

 

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Capitolo 2
*** Il medaglione e la fotografia ***


CAPITOLO PRIMO

IL MEDAGLIONE E LA FOTOGRAFIA


Dopo qualche secondo di oscuro vuoto, Rose si ritrovò nell'enorme camino del Paiolo Magico coperta di cenere dalla punta dei capelli alla punta delle dita. Uscì un piede alla volta, attenta a non inciampare come le era successo molte altre volte. Il Paiolo Magico era sempre l’antico e famigliare locale dove potevi incontrare qualunque tipo di mago per finire con il parlarci senza un evidente motivo, con un enorme boccale di Burrobirra davanti.

Rose notò subito che il grande pub era pieno fino a scoppiare, al punto di dover sgomitare tra la gente e alzarsi sulle punte per poter guardare oltre alle teste degli altri maghi. Riuscì a trovare un angolino vuoto vicino al bancone in cui fermarsi a riprendere fiato.

«E poi mi chiedono perché odio la metropolvere. A volte invidio proprio i babbani, con i loro mezzi di trasporto moderni…»

Fece appena in tempo a togliersi gli ultimi granelli di cenere di dosso, quando un uragano dai capelli castani la investì abbracciandola forte.

Dopo aver capito a chi appartenessero quelle braccia, Rose non poté fare altro che ricambiare l'abbraccio di quella che ormai era la sua migliore amica da ben dieci anni. Dopo un tempo che a loro parve infinito le due ragazze si staccarono guardandosi negli occhi colmi di gioia e nostalgia.

«Rosie! Vecchia canaglia!»

«Chiamami ancora così, Paciock, e ti farò vedere io di cosa è capace questa vecchia canaglia».

Alice Paciock era una ragazza timida e un po' impacciata, ma con un grande cuore. Assomigliava molto al padre per via dei capelli e degli occhi castani e per la sua goffaggine, ma il fisico snello lo aveva ereditato dalla madre. Rose e Alice si conoscevano da sempre e questo le aveva portate ben presto ad essere migliori amiche, grazie anche al fatto di essere coetanee. La loro amicizia si era confermata quando le due furono smistate nella stessa casa e nello stesso dormitorio.

Spesso Rose si chiedeva perché mai per Alice il cappello parlante avesse preferito Grifondoro e non Tassorosso, visto che l'amica era generosa e leale da far piangere il cuore. “Fin troppo, a volte” pensò tra sé e sé.

Le ragazze non si vedevano da due mesi. La famiglia Paciock aveva visitato durante l'estate le serre magiche più famose degli Stati Uniti, con grande piacere di Neville. Alice, al contrario, si era annoiata a morte. Inoltre il fatto di aver mangiato decine di hamburger, vista la sola presenza di fast food, non aveva migliorato la situazione.

«Per Merlino Weasley, ma quelle gambe da dove le hai tirate fuori? Godric, che impressione farò io accanto a te?» esclamò Alice, dando a Rose una leggera spinta sulla coscia e scoppiando a ridere. Nessuna delle due notò ovviamente che le persone accanto osservavano incuriosite il loro scambio di battute.

«Non aggiungere niente, potrei arrossire troppo! Devo dire che i capelli lunghi ti stanno proprio bene» rispose Rose, prendendo nella mano una ciocca di capelli dell’amica.

«Sì certo, peccato che tutte le piante che ho dovuto vedere mi avranno sicuramente passato la loro muffa!» sussurrò Alice, guardandosi intorno per appurare che suo padre non fosse in giro. Tutti sapevano che, con Neville Paciock, non si poteva scherzare sull’Erbologia. Rose alzò gli occhi al cielo e diede una pacca sulla spalla all’amica, evidente gesto di condoglianze.

«Devo ammettere, Alice, che la tua grazia ed eleganza mi stupisce ogni giorno di più».

Alice si girò di scattò. Rose le vedeva solo le spalle, ma sapeva perfettamente quale fosse l’espressione che la Paciock aveva dipinta sul volto: sopracciglio inarcato, sguardo di ghiaccio e le labbra ridotte a una linea. L’espressione era esclusivamente riservata, tranne una eccezione, a suo fratello maggiore Frank. Rose dedusse che il ragazzo dovesse aver assistito all’intera scena.

«E cosa vorresti dire con questo, brutto idiota?»

Rose decise di intervenire prima che gli insulti peggiorassero inesorabilmente. Se Alice si applicava anima e corpo in qualcosa, quello era ferire le persone con le parole. Se sfidata, dava il meglio di sé. Rose sosteneva che l’amica prendesse il motto “la penna ferisce più della spada” eccessivamente alla lettera.

«Che ne dici di raggiungere gli altri, Alice?» propose la Weasley, trascinando per il braccio Alice la quale, dopo una debole resistenza, si lasciò portare via dal fratello e quindi da un probabile scontro con bacchette annesse.  Sgomitando e spingendo un po’ a destra e un po’ a sinistra, le due ragazze raggiunsero con fatica il loro obiettivo.
 
La grande famiglia Weasley-Potter o, come si definivano loro, il “Grande Clan”, era riunita in un esteso tavolo circolare al centro della sala. Rose fece il giro, abbracciando e salutando chiunque gli capitasse a tiro. Si rese subito conto che molti suoi parenti, tra cui Hugo e suo cugino Albus, mancavano all’appello, probabilmente già nel grande viale di Diagon Alley a fare compere e a cercare i propri amici. I suoi genitori invece, in mano un boccale di Burrobirra, erano impegnati in una chiacchierata con i signori Potter. Rose avrebbe scommesso qualunque cosa che l’argomento della conversazione fosse una delle tante avventure che ormai era in grado di recitare a memoria.

Dopo aver scoccato un ultimo bacio sulla guancia di suo zio George, Rose prese a braccetto Alice prima che riprendesse ad azzuffarsi con suo fratello. Le ragazze si scambiarono uno sguardo complice.

«Noi andiamo, ci vediamo più tardi» gridò Rose, cercando di sovrastare il chiacchiericcio che si propagava per l’intero locale. Probabilmente nessuno le prestò attenzione, ma non ci badò. Lei e Alice si diressero verso un’anonima porta cigolante sulla parete in fondo al pub.

«Spero in una mattinata tranquilla» commentò Alice, aprendo la porta per poi chiudersela alle spalle. Si trovavano in uno stanzino con pareti di mattoni rossi.

«A chi lo dici, Paciock. Meno è il dramma, meglio è. Non voglio incontrare certa gente prima del previsto». Rose sperava vivamente che "certa gente" non avesse capelli biondissimi e occhi grigi.

«Non credo ci sia da preoccuparsi. Diagon Alley esploderà di persone» continuò. «E poi, sai benissimo che noi sappiamo mimetizzarci perfettamente».

«Io sicuramente, ma credo che per te possa risultare difficile con quella fiamma ambulante che ti trovi in testa» esclamò Alice scoppiando a ridere e beccandosi un colpo sulla testa dall’amica. Rose tirò fuori la bacchetta e colpì alcuni mattoni della parete opposta alla porta, creando una sequenza senza senso per chiunque non fosse dotato di poteri magici.

«E comunque, posso sempre far finta di essere una lanterna» non mancò di aggiungere la rossa, prima di tornare a osservare il varco che, in pochi secondi, aveva preso il posto del muro.

 E così, con uno strano presentimento, lei e Alice si apprestarono a oltrepassare il passaggio di mattoni.

 

*    *    *

Stavano ormai passeggiando da quelle che parevano ore attraverso le strette vie di Diagon Alley, girando continuamente la testa a destra e a sinistra per osservare i negozi da ogni lato della strada.

Rose adorava il quartiere magico di Londra.

Gli edifici erano tutti unici e colorati, le botteghe vendevano ogni cosa che un mago potesse desiderare e c'era sempre un via vai di persone di tutti i tipi. Potevi incontrare maghi centenari vestiti secondo la tradizione oppure giovani che indossavano abiti alla moda babbana. Non erano rari i venditori ambulanti che vendevano oggetti strani e introvabili nei normali negozi, e a Rose piacevano le loro bizzarre bancarelle.

Alice invece non amava particolarmente quel luogo che qualunque altra persona avrebbe trovato meraviglioso. Troppo caos, troppi tipi loschi, troppi gruppetti di ragazzine che si pavoneggiavano cercando di attirare l'attenzione dei bei maghetti che gironzolavano lì intorno.

«Bene, ora direi di andare da Madama McClaine per le nuove divise, e poi ci mancano solo i libri che compreremo al Ghirigoro…»

Rose aveva in mano una lista accurata di tutti gli acquisti che avrebbero dovuto fare quel giorno. Aveva preso il suo amore per i libri e per l'ordine da sua madre, e sarebbe stata sempre grata per aver ereditato il cervello di quest'ultima. La ragazza era una delle alunne più intelligenti che Hogwarts avesse mai avuto, al contrario di Hugo, che a scuola aveva non poche difficoltà.

Purtroppo i suoi ottimi voti avevano anche un lato negativo. Lei e Alice non erano sicuramente le ragazze più popolari in circolazione ad Hogwarts, ma questo non era mai importato: come dice il detto, “vivi e lascia vivere”. Rose era sicuramente la più forte, mentre Alice spesso ci rimaneva male e non parlava più per giorni a qualunque persona che non fosse la sua migliore amica.

«Rosie, perché non facciamo un salto al Ghirigoro prima? È appena uscito il nuovo libro sulle mosse di difesa per i Battitori».

«Non accetto cambi di programma, Paciock. Ho una lista, e noi la seguiremo alla lettera».

Non lasciando all’amica il tempo di controbattere, Rose continuò imperterrita a camminare. Alice alzò gli occhi al cielo e si ripromise di uccidere la Weasley nello sfortunato caso in cui tutte le copie del suo desiderato libro fossero già finite.

«Sei una testa dura Rose. Sai quanto ci tenga a entrare in squadra anche quest’anno».

«Primo, sei di gran lunga la miglior battitrice che Grifondoro abbia mai avuto in parecchi anni. Secondo, mio cugino James è capitano della squadra e sa benissimo che senza noi due la possibilità della coppa di Quidditch si riduce di parecchio. Terzo, non ti serve uno stupido libro per imparare nuove mosse» la rassicurò Rose, contando le sue ragioni con le dita.

«Quarto, se Serpeverde vince anche quest’anno giuro che non salirò su una scopa per il resto della mia vita» aggiunse Alice, un’espressione di pietra dipinta in faccia.

Così si incamminarono verso la sartoria, Rose meditando sui galeoni che rimanevano da spendere, Alice riflettendo sulle ormai prossime selezioni per le squadre di Quidditch della scuola. Le due amiche si fermarono davanti all'ingresso del negozio e si guardarono, preparandosi psicologicamente alle ormai note stranezze della proprietaria. Poi, si decisero a spingere la porta e ad entrare.

A una prima occhiata il locale appariva deserto.

La sartoria era costituita da un ampio spazio dove erano esposti numerosi capi d'abbigliamento su antichi manichini, fra cui le divise delle quattro Case di Hogwarts, un lungo bancone con una cassa e una scrivania dove la proprietaria segnava gli ordini e le varie misure dei clienti.

Un arco collegava il locale a uno spazio più piccolo dove un piedistallo di velluto rosso era affiancato da un grande specchio a figura intera, mentre a lato una tenda color cremisi copriva l'entrata di un camerino.
Ad un certo punto un'anziana signora balzò fuori dal bancone, spaventando le due ragazze.

Madama McClaine era una donna davvero bizzarra: era molto bassa, tanto che arrivava a malapena alle spalle di Rose, e aveva una corporatura robusta. I capelli erano un miscuglio di bianco, grigio e castano, formando una matassa ingarbugliata che l'anziana donna cercava di tenere a bada con un nastro di tessuto celeste. Gli occhi marroni sembravano grandi quanto due gomitoli di lana grazie agli occhiali spessi come il fondo di una bottiglia. Nel complesso Madama McClaine ispirava fiducia ed emanava un'aurea di positività che avvolgeva chiunque le stesse intorno.

«Oh, ma guarda un po' chi si vede! Rosanna e Alissa se non sbaglio? Siete venute per le nuove divise suppongo. Forza venite di là, così prendiamo le misure».

La donna si era subito precipitata nell'altra stanza, senza lasciare il tempo di replicare alle due ragazze che la seguirono velocemente, non prima di lanciarsi uno sguardo disperato.

«È Rose, signora. Weasley» tentò Rose, consapevole dell’inutilità di quella correzione.

«Cerchiamo di fare in fretta. Questa donna mi inquieta ogni giorno di più» le sussurrò all’orecchio Alice.
 
«Fai almeno finta di essere a tuo agio» aggiunse la Weasley leggermente irritata, salendo sul piedistallo rosso. Madama McClaine iniziò a prendere le misure della vita, dei fianchi e delle braccia della ragazza, per poi correre nell'altro locale per segnarle su un blocchetto e per disegnare il bozzetto.

«Guarda e impara Paciock, potrei passare benissimo per una ballerina».

Rose si era messa in posa, alzandosi sulle punte e aprendo le braccia fino a sfiorare la superficie dello specchio.

«Ma per favore Weasley, sono capaci tutti così» e così dicendo Alice la raggiunse sul piedistallo e iniziò a spintonarla, cercando di farla cadere. Iniziò una vera e propria battaglia, e le ragazze si spingevano a vicenda cercando di rimanere in equilibrio. Fino a quando Alice non vide dallo specchio una cosa che la fece immobilizzare e spalancare gli occhi dal panico.

«E ora che ti prende? Hai visto un troll?» le chiese Rose scoppiando in una risata. Risata che si spense non appena si sporse verso la direzione indicata dall'amica, sbiancando dal terrore. Grazie allo specchio che rifletteva l’entrata della sartoria, la ragazza scorse una testa biondo cenere, una nero pece e due castane. Non ci volle molto tempo per identificarle.

Appena fuori dal negozio si trovavano le ultime persone che voleva vedere in quel momento. E stavano per entrare.

Scorpius Malfoy, Albus Severus Potter, Dustin Zabini e Richard Nott.

Alti, belli e Serpeverde.

Ovviamente il fascino di Scorpius aveva colpito Rose, anche se lei non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, neanche ad Alice. L'amica invece era completamente cotta di Albus probabilmente dal primo giorno in cui lo aveva visto. Rose sosteneva che i due avrebbero formato una bellissima coppia, ma il cugino non sembrava aver mai dimostrato simpatia per Alice.

Non che alla Paciock importasse in quel momento.  Anzi, in quella situazione avrebbe sicuramente preferito non essere notata affatto.

I ragazzi erano ormai nell'ampia stanza dove Madama McClaine li accolse allegra come sempre. Rose e Alice erano ancora paralizzate sul piedistallo, non riuscendo a togliere gli occhi di dosso dai quattro Serpeverde, ma consapevoli di dover fare qualcosa. Così la Weasley prese il comando e trascinò l'amica dentro al camerino per poi tirare le tende rosse, facendole segno di non fiatare.

Intanto nell'altra sala, i ragazzi stavano chiacchierando con l'anziana sarta.

«Come se la passa Madama McClaine? È libera o ha già clienti? Se vuole possiamo passare più tardi…» stava dicendo Albus, spostandosi con la mano una ciocca di capelli corvini dalla fronte.

«State tranquilli, di là ho solo due ragazze della vostra età che devono ordinare una divisa nuova, ci metterò un secondo. Voi potete pure aspettare qui» e così dicendo la donna ritornò nella stanza più piccola.

Le due ragazze osservarono l’anziana donna guardarsi intorno tramite una fessura tra le tende vermiglie. Dopo qualche secondo, la sarta fece il suo ritorno dai ragazzi, il volto una maschera di perplessità.

«Strano... Sono sicura che le ragazze fossero qui un momento fa».

I quattro ragazzi la osservarono confusi.

«Davvero? E chi erano le ragazze? Magari le conosciamo» chiese Scorpius, curioso di sapere chi fossero. Madama McClaine si accarezzò il mento, alla ricerca del nome che la ragazza dai capelli rossi le aveva ripetuto pochi minuti prima.

«Non mi ricordo precisamente, ma quella rossa di capelli ha detto di chiamarsi Rosanna, o Rosella, oppure…»

«Rose?! Rose Weasley?»

La donna non sembrò aver minimamente preso in considerazione il suggerimento di Albus, continuando invece a borbottare:«Mentre l'altra era mora e il suo nome era Alissa, o Alice credo». Dustin capì subito di chi poteva trattarsi.

«Potrebbe essere la Paciock! Sono sempre insieme quelle due».

Intanto nel camerino Rose e Alice, che avevano ascoltato tutta la conversazione, erano nel panico più totale. Se le avessero trovate, sicuramente a settembre tutta la scuola sarebbe venuta a sapere che a Diagon Alley si erano nascoste per paura di farsi vedere dai bei Serpeverde. Non per parlare inoltre dell'orribile figura che avrebbero fatto in quel momento.

Le due ragazze cercavano di evitarli come la peste in ogni situazione in cui non era strettamente necessario parlarci. I ragazzi le avevano sempre prese di mira, prendendole spesso in giro oppure trattandole come se non fossero alla loro altezza. Albus non infastidiva mai la cugina, anche perché era una delle sue più grandi amiche. D'altro canto non lasciava tregua ad Alice, che versava un sacco di lacrime per il ragazzo. Scorpius adorava far arrabbiare Rose, chiamandola con nomignoli o cercando di superarla ogni volta in voti e Quidditch, e spesso andavano vicini a lanciarsi incantesimi a vicenda. Fortunatamente la preside McGranitt era sempre riuscita a fermarli in tempo. O almeno, fino a quel momento.

Dal camerino le due amiche sentirono dei passi avvicinarsi, e iniziarono subito a tremare dall'agitazione. All'improvviso un lembo di tenda rossa si spostò, mostrando gli occhi ingigantiti di Madama McClaine. Rose le fece segno di tacere, per poi congiungere le mani a mo’ di preghiera. Inaspettatamente, la donna fece loro l'occhiolino e ritornò dai ragazzi.

«Ho cercato ovunque, ma non le trovo da nessuna parte. Probabilmente ho immaginato tutto, sapete? A volte mi succede, la vecchiaia si fa sentire. E anche la solitudine, così spesso mi sembra di parlare con persone reali».

I quattro Serpeverde la guardavano straniti e perplessi, ma decisero di non commentare.

«Ora, mi sono accorta di avere delle cose da fare in magazzino, potreste tornare più tardi? Mi fareste un enorme piacere» aggiunse la sarta, aprendo la porta del negozio per i Serpeverde.

«Certo signora, nessun problema. Ragazzi, andiamo al negozio di Quidditch per le nuove scope?» propose Albus.

Così, dopo aver salutato l'anziana donna, i quattro ragazzi uscirono dal negozio e sparirono dietro una curva che portava al centro di Diagon Alley. Rose e Alice uscirono lentamente dal loro nascondiglio, sospirando di sollievo e riconoscenti alla sarta per averle coperte.

«Le siamo grate per la sua discrezione, Madama McClaine. Per qualunque cosa noi vi siamo debitrici» disse Rose, mentre Alice annuiva convinta.

«Sciocchezze, ragazze mie. Non mi dovete un bel niente, vi capisco sapete? Ah la gioventù, quanto mi manca…»

Le due ragazze iniziarono a sentirsi un po' a disagio, così decisero di risvegliare la donna dai suoi ricordi e di prendere velocemente le misure per uscire finalmente dal negozio. Dopo aver disegnato i bozzetti, la sarta si fece dare l'indirizzo delle due ragazze, così che le divise sarebbero state consegnate direttamente alle loro abitazioni il giorno seguente.

Rose e Alice uscirono dal negozio e si incamminarono verso il Ghirigoro, contente di aver scampato l'inconveniente. Stavano passeggiando nella via principale di Diagon Alley, godendosi il sole che filtrava dalle strette vie e ammirando il cielo, che quel giorno era di un azzurro opaco.

«Sai, forse era davvero una buona idea quella di andare prima al Ghirigoro» commentò tranquillamente Rose, lo sguardo perso nella vetrina di una bottega.

Alice non mancò di fulminarla con lo sguardo, evitando di replicare. Rose era testarda. Maledettamente testarda. Se si metteva qualcosa in testa non c’era nessun modo per farle cambiare idea e Alice questo ormai lo sapeva molto bene. Ne ebbe un’ennesima prova di lì a pochi minuti, quando l’amica la trascinò in un vicolo in penombra completamente occupato da bancarelle. Alice avrebbe scommesso qualunque cifra che, nascosti tra la merce, ci fossero artefatti di magia oscura.

Ad un certo punto una bancarella in particolare attirò l'attenzione di Rose, che si avvicinò per osservare le cianfrusaglie esposte. C'erano vecchi orologi incantati, vari oggetti di antiquariato, fotografie magiche di persone vissute secoli prima e molto altro ancora. Una cosa però attirò l'attenzione della ragazza. Un medaglione. Aveva una pietra turchese incastonata al centro e tutt'attorno, incise nel metallo che probabilmente era argento, si potevano leggere delle parole in una lingua sconosciuta.

Era appoggiato sopra a un’antica fotografia babbana ritraente una donna sulla ventina, con i tratti del volto vagamente nordici, capelli biondi raccolti in due trecce e occhi celesti. Rose non riusciva a non guardarla negli occhi, come se questi ultimi potessero essere in grado di comunicarle qualcosa da un momento all’altro. Si sporse verso il proprietario della bancarella, attirando la sua attenzione. Alice non poté fare altro che osservare con perplessità la scena.

«Mi scusi, quanto viene questo medaglione?» chiese la Weasley al venditore, indicando con un dito il misterioso oggetto.

«Solo dieci galeoni. La pietra è autentica, ma me lo porto dietro da anni ormai» rispose il vecchio ambulante, in bilico sulle gambe posteriori della sedia su cui era seduto.

«E perché si trova sopra a questa fotografia?»

Alice, palesemente confusa, lanciò all’amica uno sguardo interrogativo.

«L’uomo che me l’ha venduto ha detto che questa donna era la sua ultima vera proprietaria».

Rose prese il medaglione tra le mani, sfiorandone delicatamente il bordo.  L’unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento era quanto fosse bello quel gioiello. Non fu quindi sorpresa quando le parole sembrarono uscire autonomamente dalle sue labbra.

«Lo compro».

Il venditore ambulante si esibì in un sorriso soddisfatto, e Rose non mancò di notare l’assenza di parecchi denti. In effetti, a una seconda occhiata, l’uomo non vantava un aspetto rassicurante. Rose alzò le spalle e gli consegnò le monete, ignorando la sua parte razionale.

«Aspetti signorina, la fotografia è inclusa nel prezzo» aggiunse l’uomo porgendogliela. Rose gli rivolse un sorriso di circostanza, mise gli acquisti nella sua borsa – a cui era stato applicato un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile – e prese sottobraccio Alice, ignorando la sua espressione inquisitoria.

«Ma Rose…»

«Tranquilla Paciock, abbiamo ancora abbastanza soldi per comprare tutti i libri dal Ghirigoro».

Le ragazze uscirono dal vicolo in silenzio. Non passò neanche un minuto, e Alice riprese l’uso della parola. Piantò i piedi a terra e si mise le mani sui fianchi.

«Mi spieghi perché hai comprato quelle cose? E poi ho visto come stavi guardando la fotografia di quella donna, sembravi quasi incantata!»

«Ora non esagerare. Mi è piaciuto quel gioiello e sono interessata alla storia che c'è dietro, tutto qua» e così dicendo, Rose accelerò il passo e la superò.

Alice la guardò allontanarsi, capendo che c'era qualcosa che non andava. Avrebbe scoperto cosa era successo all'amica con o senza il suo aiuto. Dopo pochi secondi la raggiunse, decisa a continuare con le compere e a dimenticare l'accaduto. O almeno per il momento.

«Giuro che se sono finite le copie del mio libro sei morta Weasley» non mancò di specificare.

 

*    *    *

Quella sera Rose si era chiusa in camera sua.

Aveva cenato frettolosamente, assaggiando solo un boccone dello stufato alle erbe di sua madre e spiluccando le patate arrosto. Sapeva che avrebbe fatto preoccupare i suoi genitori, ma sinceramente non le importava granché in quel momento.

Era seduta alla sua scrivania, osservando il paesaggio che mostrava la finestra accanto a lei. Le foglie iniziavano a ingiallirsi e l'erba era coperta da un sottile velo di rugiada: l'autunno arrivava già alla fine di agosto in Inghilterra, spazzando via il caldo estivo che in quei mesi si era fatto sentire.

La ragazza era immersa nei suoi pensieri, pensando al nuovo anno che stava per cominciare e, per qualche strano motivo, era in ansia all'idea di ritornare a scuola.

Certo, Hogwarts era la sua seconda casa, ma sentiva che quell'anno non sarebbe stato come tutti gli altri. I suoi sentimenti per Scorpius Malfoy la stavano confondendo: non era normale avere la mente occupata dal proprio nemico così di frequente. Però il suo nervosismo quando lo vedeva e il rossore sulle guance quando la guardava altezzosamente parlavano chiaro. Ovviamente, non per questo avrebbe rinunciato al sano piacere di sgonfiare il più possibile l’ego smisurato di quella Serpe.

Alice da qualche tempo non riusciva più a ribattere alle battutine derisorie di Albus, limitandosi ad abbassare gli occhi e a contenere le lacrime. Comportamento insolito per una ragazza in grado di uccidere qualcuno con le parole più velocemente di un Avada Kedavra. Toccava quindi a Rose proteggerla, anche se non riusciva proprio a capire perché l’amica non rispondesse per le rime a suo cugino. Se lei si fosse fatta sottomettere così da Malfoy, quel furetto albino sarebbe diventato ancora più arrogante del solito, se possibile.

Un rumore proveniente dal piano di sotto la distrasse dai suoi pensieri, facendole distogliere lo sguardo dalla finestra. Davanti a lei, appoggiati sulla scrivania, vi erano il medaglione e la fotografia.  Non ne capiva il motivo, ma quegli strani oggetti attiravano continuamente la sua attenzione. Non aveva detto a nessuno della loro esistenza, e aveva fatto promettere ad Alice di non parlarne ad anima viva. Forse non era stato saggio comprarli, ma per una volta aveva agito d'istinto, mettendo da parte la sua razionalità.

All'improvviso qualcuno bussò alla porta di camera sua, e Rose capì subito che si trattava di sua madre dal tocco gentile sul legno. Nascose in fretta il medaglione e la fotografia in un cassetto della scrivania e prese un libro a caso appoggiato lì vicino, per poi buttarsi sul letto facendo finta di niente.

«Che c'è mamma?»

La testa di Hermione sbucò dalla fessura della porta, e Rose capì subito che era preoccupata dall’espressione dei suoi occhi.

«Rose, tesoro, ti senti bene? A cena non hai mangiato molto».

Prevedibile. Rose non la biasimava, naturalmente. Era normale che sua madre fosse preoccupata, considerando che durante i pasti la ragazza era solita mangiare il triplo.

«Tranquilla mamma, semplicemente non avevo molta fame» le rispose, girando distrattamente una pagina del libro. "Orgoglio e Pregiudizio". Neanche a farlo apposta.

Hermione la guardò apprensiva, andando a sedersi sul letto accanto alla figlia.

«Ricordati che io sono tua madre Rose, puoi dirmi qualunque cosa».

Rose la osservò attentamente, ricordando quella volta alla stazione di King's Cross in cui aveva preso per la prima volta l'Espresso per Hogwarts. Non aveva mai visto sua madre così nervosa prima di allora: Hermione continuava a controllare se la ragazza avesse tutto il necessario per il viaggio. Ora riusciva a scorgere la stessa preoccupazione, e si sentì un po' in colpa per esserne la causa.

«Bene, ora ti lascio alla tua lettura. E per la barba di Merlino, Rose! Quel romanzo l’avrai letto almeno dieci volte!»

L’unica reazione che Hermione ottenne fu un’alzata di occhi al cielo.

«C'è Hugo giù di sotto che ha mangiato tutti i biscotti preferiti di papà, e ora stanno litigando! Sono dei bambini a volte» aggiunse allora, mettendosi a ridere.

Rose la trovò però una risata forzata, molto diversa da quella sincera e cristallina che caratterizzava sua madre. Non ottenendo risposte dalla figlia, Hermione la guardò un'ultima volta, per poi alzarsi e uscire dalla porta senza voltarsi più indietro.

Rose restò a osservare il punto in cui sua madre se n'era andata, senza rendersi neanche conto del tempo che stava scorrendo. Guardò distrattamente la sua camera: il letto, le mensole, lo specchio, l'armadio, la scrivania...

E solo per un momento, da uno dei cassetti semiaperti dove era nascosto il medaglione, a Rose sembrò di intravedere una debole luce azzurrognola.

 

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Capitolo 3
*** Un viaggio movimentato ***


CAPITOLO SECONDO

 UN VIAGGIO MOVIMENTATO


King's Cross non era mai stata così affollata da mesi. Era tutto un unico viavai di persone che cercavano amici, parenti, binari, bagagli perduti. Quello era un giorno di partenze, e non solo per i babbani. Rose aveva sempre trovato strano il fatto che questi ultimi non si fossero mai accorti del passaggio del binario 9 e 3/4. Centinaia di maghi sparivano dietro a un muro, senza mai destare sospetti nella comunità non magica.

Eccolo lì, il muro. Quello che avrebbe ufficialmente segnato la fine delle vacanze estive e l'inizio del nuovo anno scolastico. Rose lo stava osservando come se fosse uno Schiopodo Sparacoda. Lesto, il suo giovane gufo bruno, era agitato: non era abituato a stare troppo tempo in gabbia, e la ragazza per calmarlo gli stava carezzando distrattamente la testolina piumata.

«Eh muoviti Rosalie, non abbiamo tutto il giorno! L'Espresso parte alle undici in punto».

Hugo la distolse dai suoi pensieri, facendola sussultare. Come al solito suo fratello dimostrava una sfera emotiva paragonabile a quella di un bradipo, caratteristica che aveva ereditato da suo padre. Rose non mancò di alzare gli occhi al cielo. Odiava quando veniva chiamata con il suo nome di battesimo.

«Sempre simpatico, vero Hugo? Questa mattina ti ha per caso morso uno gnomo da giardino?» gli rispose ridacchiando.

«Se non ricordo male non sono io quello che settimana scorsa è scappato terrorizzato dal giardino della Tana mentre veniva rincorso da uno gnomo, o sbaglio?»

«Ora basta ragazzi, se continuate di questo passo il treno lo perderete veramente!» intervenne Hermione.

Rose decise che ribattere alle battutine di Hugo era inutile, e ci aveva provato troppe volte ormai. Così afferrò saldamente il carrello con il baule con entrambe le mani, chiuse gli occhi e iniziò a correre verso il muro. L'ultimo suono che sentì prima di attraversare il passaggio fu il fischio di un treno che stava per partire, poi alzò lo sguardo sul panorama attorno a lei. Nel binario 9 e 3/4 si poteva osservare la stessa scena ogni primo settembre di ogni anno. L'unica parola che poteva descriverlo era caos. Caos ovunque. C'era quasi più confusione lì che nella stazione intera.

Solo una cosa rimaneva estranea a tutto e a tutti, osservando immobile l'andirivieni della gente. L'Espresso per Hogwarts era ormai da duecento anni in servizio, ma non sembrava voler abbandonare il suo compito di trasportare gli studenti. Il rosso delle sue innumerevoli carrozze era sempre vivo e smagliante, e il nero della locomotiva lucido e senza ammaccature. Il comignolo emetteva già un fumo grigio come il cielo di quella mattina, che si disperdeva per tutto il binario e rendeva più difficile identificare le persone.

Per Rose però il compito era semplice, visto che la sua famiglia consisteva in un'enorme insieme di chiome rosse, bionde e corvine facilmente individuabile.

Riconobbe subito il gruppetto dei Grifondoro del settimo anno, più separato rispetto dagli altri, che stava parlando di argomenti che Rose non desiderava sapere. Era formato da James Sirius Potter e Fred Weasley jr, due veri e propri malandrini, Lysander Scamander, l’ideatore di scherzi, e Frank Paciock, il mediatore tra i suoi amici e gli insegnanti.
Rose cercava di averci il meno a che fare possibile, vista la nota fama dei quattro ragazzi. Adorati dal gentil sesso – non quanto i quattro famosi Serpeverde, ma ci andavano vicino –, scapestrati e menefreghisti. Da qui derivava il difficile rapporto che intercorreva tra Alice e suo fratello.   

In mezzo alle varie persone si potevano intravedere Dominique e Louis che salutavano Bill, Fleur e la loro sorella Victoire, che si era diplomata a Hogwarts da qualche anno e che da poco tempo conviveva con il fidanzato Teddy Lupin. In tutti e tre i fratelli si poteva notare la parte veela ereditata dalla madre, evidente nei visi dai tratti angelici che Rose invidiava loro parecchio.

Lily Luna Potter, Lucy Weasley e Roxanne Weasley, un altro noto trio della scuola del quarto anno, erano sedute su una panchina e chiacchieravano tranquillamente, Rose ne era certa, dei nuovi prodotti dei Tiri Vispi Weasley. All’appello mancava soltanto la loro amica Beatrice, fondamentale punto di riferimento nell’ideazione delle loro bravate giornaliere. Quella ragazza era un genio. “Se si applicasse così anche a scuola”, pensò Rose, “potrebbe diventare la strega più brillante della sua età”.

Infine davanti al treno, Molly Weasley jr e Lorcan Scamander, settimo anno a Hogwarts, guardavano distratti le persone attorno a loro. Erano migliori amici da tempo, loro due. Condividevano alcune passioni e passavano molto tempo insieme, tanto che alcuni parlavano di una segreta relazione. Probabilmente erano solo falsi pettegolezzi che si facevano strada fra i corridoi di Hogwarts, che a volte ospitavano ragazzi più simili a giornalisti di gossip che a normali studenti.

Rose notò subito la mancanza di suo cugino Albus, ma non ci diede molto peso: sapeva benissimo dove poteva essere andato. Raggiunse i suoi genitori e suo fratello Hugo, che si erano fermati accanto a una carrozza dell’espresso.

«Mi raccomando Hugo, cerca di prendere almeno un Accettabile in Pozioni e in Trasfigurazione. E non metterti nei guai prima di novembre, o te ne pentirai amaramente» stava dicendo Hermione abbracciando forte il figlio. Poi si rivolse a Rose, ripetendo le raccomandazioni che la ragazza ormai avrebbe saputo recitare a memoria.

«Niente gite fuori orario, niente Reparto Proibito senza un permesso, niente mosse azzardate sul campo di Quidditch» affermò, per poi stritolarla nella morsa ferrea delle sue sottili braccia. Rose ricambiò l’abbraccio alzando gli occhi al cielo. Era consapevole che non avrebbe rispettato neanche una regola.

«Mi mancherai Rosie» disse Ron, mettendole una mano sulla spalla. «Ma so che farai grandi cose. Quest’anno Grifondoro deve assolutamente vincere la coppa» concluse, facendole l'occhiolino.

Rose ricambiò il gesto, gettandogli successivamente le braccia al collo e stringendolo forte.

«Tranquillo papà. Stai parlando con la miglior cacciatrice della squadra, d’altronde».

Così, al lungo fischio del treno, tutti gli studenti di Hogwarts si apprestarono a fare gli ultimi saluti e a salire sulle varie carrozze. Rose sapeva bene quale vagone doveva raggiungere: lei e le sue amiche occupavano lo stesso scompartimento dal loro primo anno. Stava percorrendo velocemente lo stretto corridoio del treno cercando di non colpire troppe persone, anche se era sicura di aver travolto qualche ragazzino sperduto del primo anno.

Arrivata a destinazione, sbirciò oltre il vetro della porta e vide coloro che stava cercando. Oltre ad Alice, nel vagone erano sedute altre due ragazze, sue care amiche e compagne di dormitorio. Insieme formavano un quartetto inseparabile. Samantha Miller, figlia di due babbani, era una ragazza vivace e solare con lunghi capelli biondi e profondi occhi azzurri. La migliore amica Isabel Thomas era completamente l’opposto: pelle scura, chioma mora e riccia e occhi neri. Suo padre Dean Thomas era un caro amico di Harry e Ron, e le ragazze si erano conosciute proprio grazie a loro.

«Rose!» esclamò quest’ultima non appena la Weasley fece il suo ingresso trionfale. 

«Eccoti finalmente!»

Samantha e Isabel corsero ad abbracciarla, felici di rivedere l'amica dopo lungo tempo. Poi la Weasley si sedette accanto ad Alice, che le scoccò un bacio sulla guancia. Rose ricambiò con una linguaccia.

«Alice ci ha raccontato cosa è successo a Diagon Alley due giorni fa... Ma è possibile che quelle Serpi siano ovunque?» commentò Samantha, uno sguardo di sfida celato negli occhi chiari.

Rose esibì un sorrisino di scherno, non lasciando perdere l’occasione che l’amica le aveva porto su un piatto d’argento.

«Tranquilla Sam, sappiamo benissimo che alle Serpi preferisci di gran lunga McLaggen».

Samantha distolse lo sguardo, le guance imporporate. Le ci volle solamente qualche secondo per riprendere il suo cipiglio di battaglia.

«Non cercare di cambiare argomento, Rosalie» ribatté, notando con soddisfazione lo sguardo infastidito della Weasley all’udire il suo nome di battesimo. 

Rose lanciò una lunga occhiataccia ad Alice, e l'amica rispose con uno sguardo colpevole. Samantha, curiosa all’inverosimile, non avrebbe lasciato correre. Aspettava con ansia il racconto in ogni suo dettaglio, e sapeva che l’avrebbe ottenuto.

«Diciamo che incontrare Malfoy prima dell'inizio della scuola non era esattamente nei miei piani. Per fortuna Madama McClaine ci ha coperte, perché altrimenti non so proprio cosa avremmo fatto» spiegò Rose alle ragazze, decisa a non aggiungere altro.

«Non so che cosa ti sia passato per la testa in quel momento, Rosie, ma nascondersi nel camerino è stata l’idea più brillante che la tua mente contorta abbia avuto negli ultimi mesi» commentò sinceramente colpita Isabel, mentre Alice annuiva convinta. La Paciock era perfettamente consapevole che senza Rose sarebbe rimasta immobile sul piedistallo rosso della sartoria.

«E pensare che quegli idioti ci avevano praticamente riconosciute» aggiunse Rose, ormai persa nei ricordi di quello sfortunato evento.

«A proposito di idioti» cambiò improvvisamente argomento Samantha, rivolgendosi ad Alice, «sei riuscita a non uccidere tuo fratello in vacanza? Mi sembra che Frank abbia apprezzato la visita a tutte quelle serre magiche».

«Sicuramente non ho mai visto mio padre così felice in vita mia, e Frank non era da meno» le rispose Alice, guardandosi distrattamente le unghie.

«Una cosa è certa», aggiunse dopo qualche secondo, «io mi sono annoiata a morte. Le piante erano tutte uguali. Anche il cibo era sempre lo stesso, per Merlino! Il prossimo anno una settimana al mare non me la può togliere nessuno». 

Alice, al contrario di quanto ci si potesse aspettare, odiava con tutto il suo cuore la materia che suo padre insegnava a Hogwarts da tempo. Rose non aveva mai visto l'amica ottenere un voto maggiore di Accettabile, e di certo Neville non faceva favoritismi. A volte sembrava ancora più severo quando si trattava dei suoi figli, e questo comprendeva non solo i voti, ma anche le punizioni. Alice la riteneva una vera sfortuna.

«Avrei preso volentieri il tuo posto, Paciock. Chissà a quante piante rare tu sia passata accanto senza neanche accorgertene» commentò Isabel con un sospiro. Adorava Erbologia tanto quanto Alice la detestava. Quest’ultima le lanciò uno sguardo poco convinto, per poi spostare la sua attenzione sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino.

«E tu Rose? Cosa hai fatto durante l'estate?» chiese Samantha.

«Niente di particolare: compiti e partite di Quidditch tutto il tempo, quest'anno la Coppa deve essere dei Grifondoro. Mi dispiace di non essere nuovamente diventata Prefetto, si vedeva che mamma era un po' delusa».

La preside McGranitt aveva modificato da poco tempo, sfortunatamente per Rose, l’organizzazione dei Prefetti: uno studente che aveva ricoperto quella carica durante il suo quinto anno non lo avrebbe fatto al sesto, lasciando il posto ad altre persone altrettanto meritevoli. Solo i maghi e le streghe che più si erano distinti potevano aspirare a ottenere il ruolo di Prefetto per due anni consecutivi.

Rose credeva fosse una vera ingiustizia: era una studentessa modello e si sarebbe meritata di diventare Prefetto un’altra volta. A essere onesti, l’anno precedente era finita nell’ufficio della McGranitt un paio di volte. Niente di preoccupante, naturalmente. Si era recata nel Reparto Proibito senza permesso per parecchi giorni e aveva tentato di utilizzare un incantesimo a lei sconosciuto – e a quanto pare decisamente pericoloso – su Malfoy.

«Tu e Alice meritavate quel titolo più di chiunque altro! Ho sentito dire che i nuovi Prefetti di Grifondoro sono Baston e Smith, ma scherziamo?! Voglio proprio vedere cosa possono combinare se pensano solo ad entrare nella squadra di Quidditch!»  rispose Samantha indignata. Rose e Alice si scambiarono uno sguardo d’intesa: con loro in carica la situazione non si sarebbe rivelata troppo diversa.

«E tu, Sam? Fatto qualche conquista?»

«A luglio ho visitato Amburgo, città davvero fantastica, e devo ammettere che i ragazzi tedeschi non sono proprio niente male! Purtroppo il loro inglese è incomprensibile e non riuscivo mai a intendermi» rispose la bionda, un’espressione contrariata stampata in faccia.

«Tranquilla Miller, hai pur sempre McLaggen ad aspettarti a scuola» commentò Alice con un sorrisino di scherno.

Samantha rispose con una gelida occhiata, evitando di controbattere. 

«Io invece sono andata a trovare mia nonna. Pensate che non la vedevo da due anni, e mi è mancata molto» cambiò argomento Isabel cercando di placare gli animi.

«Sei fortunata ad avere ancora i nonni Isa, io farei qualunque cosa per vedere i miei solo un'altra volta…» rispose Alice, pensando alla lotta che i suoi nonni avevano affrontato per tutta la vita contro gli effetti della maledizione Cruciatus. I genitori di Neville erano morti l'anno prima a poche ore di distanza l'uno dall'altro.

«Mi dispiace Paciock, so quanto tenevi a loro» rispose Rose, passandole un braccio attorno alle spalle. Si ritrasse di scatto a causa di un dolore acuto al petto, come se fosse stato trapassato da una lama affilata. Le amiche le rivolsero uno sguardo preoccupato.

«Tutto bene, Rosie?» chiese Isabel, sporgendosi leggermente verso la Weasley.

La ragazza si era fatta improvvisamente pallida. Alice aveva uno sguardo strano, come se sapesse a cosa fosse dovuto quel malore improvviso. Rose si riprese in fretta, cercando di nascondere il dolore che doveva risultare evidente sul suo volto.

«Sì sto bene! Devo solo andare... In bagno, arrivo subito».

E così dicendo uscì dallo scompartimento, lasciando indietro le  confuse amiche e non dando loro il tempo di replicare. Iniziò a correre per il lungo corridoio del treno, non curandosi dei vari ragazzi che travolgeva e che, di conseguenza, le urlavano dietro.  Avvertiva ancora quel dolore acuto al petto che non accennava ad andare via, e un terribile presentimento prese possesso nella sua mente. Accelerò la corsa, non accorgendosi di aver spintonato un certo biondino che si era affacciato dal suo scompartimento per capire da dove provenisse quella confusione.

«Weasley! Che diavolo stai...?!»

Rose lo superò senza neanche udire le sue parole, troppo occupata a raggiungere in poco tempo i bagni in fondo al treno. Arrivata finalmente a destinazione, chiuse la porta e si posizionò davanti al piccolo specchio sopra al lavandino, slacciandosi velocemente la felpa grigia.

Il suo presentimento era fondato.

In mezzo alle clavicole il medaglione, che aveva ingenuamente indossato quella mattina, stava emanando una debole luce azzurrognola. La stessa che a Rose era sembrato di vedere quella sera del 30 agosto. Se lo tolse immediatamente di dosso e lo appoggiò sul bordo del lavandino, e il dolore iniziò a passare lentamente. Dopo essersi calmata, si risciacquò il volto con dell'acqua fredda e si mise il gioiello nella tasca dei jeans.

Forse era stato un errore portare con sé quell'oggetto e la fotografia a scuola, ma non si sarebbe sentita tranquilla a lasciarli a casa, dove sua madre avrebbe potuto trovarli in qualsiasi momento. Si era convinta che nella biblioteca di Hogwarts ci sarebbe stato di certo un libro che avrebbe risposto a tutte le sue domande, bastava solo avere la pazienza di cercare negli innumerevoli scaffali. La cosa certa era che quel medaglione non l’avrebbe mai più indossato. Si maledisse mentalmente per la sua stupidità: che cosa le era saltato in testa, fidarsi di un venditore ambulante dall’aspetto inquietante e sprecare dieci galeoni per oggetti che, ne era sicura, nascondevano un passato oscuro!

Rose si osservò allo specchio, fino a quando un rumore non le fece distogliere lo sguardo dalla sua immagine riflessa: qualcuno stava bussando.

«Weasley, si può sapere che cavolo stai facendo?! Prima mi hai quasi investito! Cerca di contenere la tua goffaggine, vista la tua pericolosità per le altre persone!»

E ora le toccava pure Malfoy che le rompeva le pluffe. Di bene in meglio. Il primo giorno di scuola si stava rivelando il peggiore degli ultimi anni. Tra tutti gli studenti che potevano lamentarsi in quel momento doveva capitarle proprio lui. “Ovviamente Rose, cosa ti aspettavi” pensò, respirando profondamente. Aprì la porta, decisa a rimetterlo al suo posto.

«Parla per te Malfoy, sei tu che mi hai tagliato la strada! Come al solito devi sempre cercare di attirare l'attenzione» gli rispose, cercando di intimidirlo. Obiettivo difficile, visto che gli arrivava più o meno alle spalle e che, per guardarlo negli occhi, doveva piegare completamente la testa all’indietro.

«Io?! Attirare l'attenzione!? Se non sbaglio sei tu quella che ha travolto metà Hogwarts e che si è guadagnata gli sguardi di tutti facendosi passare per una psicopatica!» ribatté il ragazzo, passandosi nervoso una mano tra i capelli.

«Ma fammi il favore, inutile serpe egocentrica! Non ho mica chiesto il tuo parere!»

«Egocentrica? Mi stupisci Weasley, fino a un momento fa ero convinto che il tuo vocabolario fosse composto da cinque parole o giù di lì» la prese in giro Scorpius, non dimenticando di esibirsi in un sorriso che fece mancare un battito al cuore di Rose. La ragazza si ricompose in meno di un secondo.

«Non credo sia necessario ricordarti, Malfoy, che i miei voti dimostrano il contrario. Ora ti sarei grata se mi lasciassi in pace, non siamo arrivati neanche a scuola e già mi devo subire le tue stupide polemiche».

Scorpius allora si spostò di lato come se la invitasse a superarlo, un sorrisino furbo a increspargli il viso. Rose intuì immediatamente che un’idea era balenata nella mente del ragazzo.

«Ma certo Weasley. Però prima, mi duole dirtelo, devo togliere 20 punti a Grifondoro per insulti a un Prefetto» rispose infatti.

La ragazza era perplessa: non aveva ancora insultato nessuno che non fosse Malfoy, e poi quell'idiota non era autorizzato a toglierle punti. Gli rivolse uno sguardo poco convinto, ormai sicura che il Serpeverde non ci fosse più con la testa.

«Ma ti senti quando parli? Non hai il diritto di…»
 
Non riuscì neanche a terminare la frase che il ragazzo indicò una piccola spilla appuntata al suo petto, e tutto fu chiaro.

Malfoy era un Prefetto. Malfoy. Un Prefetto.

Quel biondino senza uno scopo nella vita che non fosse quello di infastidirla era un Prefetto, mentre lei no. Era riuscito a superarla. Rose era indignata: divenne tutta rossa e aggrottò le sopracciglia, non sapendo cosa dire o fare. Malfoy per una volta era veramente riuscito a lasciarla senza parole. Poi, come un faro nella tempesta, un ultimo barlume di speranza.

«Ma non siamo ancora a Hogwarts, quindi non puoi…»

«Lo so benissimo Weasley» la interruppe il ragazzo «ed è per questo che toglierò i punti non appena saremo arrivati a scuola. Presumo che Grifondoro partirà svantaggiato! Tranquilla, sono sicuro che Albus troverà qualche scusa per togliere punti anche alla Paciock».

«Albus..?»

«È Prefetto anche lui, non te l'ha detto? Strano che io sia stato il primo a saperlo, mentre tu ne sei venuta a conoscenza solo ora, vero? Ci si vede Weasley!» e così dicendo il ragazzo girò i tacchi e se ne andò, con quella sua solita eleganza che lo caratterizzava.

Rose restò a fissare il punto da cui il ragazzo se n'era andato, non riuscendo ancora a metabolizzare tutto quello che le aveva detto in quei pochi minuti. Non era possibile, doveva aver immaginato tutto: forse quel medaglione era in grado di illudere la gente. "Ma era sembrato tutto così reale, miseriaccia!" continuava a ripetersi nella mente.

Che Malfoy fosse veramente diventato Prefetto? Sicuramente la McGranitt non era stata completamente in sé al momento della scelta. La ragazza arrivò alla deprimente conclusione che quell'anno Grifondoro poteva solo sognarsi la coppa delle Case: Scorpius le avrebbe tolto un sacco di punti durante tutti quei mesi, anche per delle stupidaggini.

Rose si incamminò di nuovo nel corridoio, dirigendosi con il morale a terra verso il suo scompartimento. Molti ragazzi si affacciavano dai loro vagoni guardandola fra il perplesso e l'arrabbiato, ma lei non se ne accorse neanche. Aprì lentamente la porta scorrevole del suo vagone e andò a sedersi vicino ad Alice senza dire una parola.

«Weasley, ci vuoi dire cosa diavolo è successo?» chiese Isabel immediatamente. Rose pensò velocemente a un modo per distogliere l’attenzione dal suo strano comportamento di prima.

«Diciamo che ho avuto bisogno urgente del bagno, e nella fretta ho probabilmente urtato parecchia gente».

Le tre ragazze la osservarono con un’espressione interrogativa.

«Tra cui Malfoy» aggiunse.

Lo sguardo delle amiche passò dall’essere preoccupato a quello di chi la sapeva lunga in una frazione di secondo: quando c'era di mezzo Malfoy, non bisognava scherzare con Rose.

«Cosa potrà mai aver combinato questa volta?» chiese Alice mentre si sfregava stancamente gli occhi.

«Mi ha raggiunto in fondo al treno, abbiamo iniziato a… chiacchierare», le rispose Rose, «e ho scoperto alcune cose non esattamente piacevoli».

«Tipo?» chiese Samantha poco convinta.

«Ah beh, nulla di importante sai», continuò la Weasley inarcando un sopracciglio, «sono solo venuta a conoscenza che Malfoy è un Prefetto».

Un urlo generale di sorpresa colse due delle ragazze, che non se lo aspettavano per niente. Alice, al contrario, scoppiò a ridere sguaiatamente.

«Malfoy?! Prefetto?! La McGranitt si sarà scolata almeno due bottiglie di Whisky Incendiario prima di scegliere» commentò tra le risate.

«E non è tutto» riprese il suo discorso Rose, pregustandosi la reazione che avrebbe avuto la sua migliore amica alla notizia successiva, «Albus farà compagnia a Malfoy durante le ronde».

«Potter è un Prefetto?!»

Come previsto, ora era il turno di Alice di reagire esageratamente: ci mancò poco che non sbattesse la testa sul finestrino dallo scatto di sorpresa in cui si esibì.

«E da quando?!» aggiunse dopo aver riacquistato una posizione dignitosa.

«Credo da quest'estate Alice» rispose ironicamente Isabel, guardando l'amica come per dirle di stare tranquilla.

«Ma non è possibile! Io vado a protestare dalla McGranitt! Non accetto un simile affronto!» continuò Alice gesticolando freneticamente.

«Calmati, Paciock! Ormai è fatta, non risolverai proprio niente andando a lamentarti con la McGranitt» affermò Isabel cercando di placare la furia dell’amica.

«Il vero problema è che io l'ho saputo solo oggi, mentre Malfoy è stato il primo ad esserne informato. Credo che mio cugino abbia definitivamente scelto lui a me» aggiunse Rose, rivolgendosi più a sé stessa che alle altre.

«Ora basta!»

A sovrastare il miscuglio di voci fu Samantha, lanciando un’occhiata infastidita a ognuna delle amiche.

«Non starete sul serio discutendo per Potter e Malfoy, vero? Bene, la soluzione è semplice. Basta che non facciate niente di sbagliato e loro non potranno togliervi punti» concluse, chiudendo la questione.

Rose non era assolutamente d'accordo con l'amica. Come se quella Serpe di Malfoy non avesse colto al volo quell’occasione. Ma per favore! Aveva aspettato solo il momento giusto per sbatterglielo in faccia. E ora… alla ragazza non restava altro che sperare nella sua clemenza.

“Diavolo, Weasley, ma che cosa stai pensando”, si riscosse, “non mi ridurrò mai a supplicare Malfoy. Che prosciughi completamente la Clessidra Segnapunti dei Grifondoro, se ne ha il coraggio”.

Destatasi dai meandri della sua mente, Rose appoggiò la testa sul finestrino, con la mano che incontrava il vetro freddo e lo sguardo fisso sul paesaggio che scorreva velocemente. Pian piano si addormentò cullata dal dolce tremolio della carrozza, non notando lo sguardo preoccupato di Alice che stava osservando insistentemente la tasca dei suoi pantaloni.










Angolo autrice

Ehilà, finalmente sono tornata con un nuovo capitolo.
Le cose stanno diventando più interessanti... diciamo che le chiacchierate tra Rose e Scorpius non sono esattamente tranquille. Che cosa sarà mai successo tra di loro nel passato? La McGranitt si sarà veramente scolata una bottiglia di Whisky Incendiario prima di scegliere i Prefetti? E che mistero si nasconde dietro il medaglione? Ditemi pure cosa ne pensate della storia e ci vediamo al prossimo capitolo.
ChiarainWonderland
 

 

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Capitolo 4
*** Nuovo inizio, vecchie abitudini ***


CAPITOLO TERZO

NUOVO INIZIO, VECCHIE ABITUDINI


Entrare nella Sala Grande il primo giorno di scuola era sempre un’esperienza indescrivibile per tutti gli studenti, e Rose non faceva eccezione. La ragazza infatti era da parecchi minuti con il naso all’insù per osservare meglio il cielo stellato dell’alto soffitto, fino a quando un braccio non la riportò alla realtà, bloccandola.

«Stai attenta Rose! Stavi per travolgere uno del secondo anno!»

In effetti abbassando lo sguardo, la Weasley si trovò davanti un ragazzino mingherlino che la stava guardando male. Cercò di rimediare con un sorrisino di scuse, ma quando il ragazzo si sedette al tavolo di Corvonero sembrava ancora piuttosto seccato.

«Come al solito non guardi mai dove metti i piedi» commentò Alice, con lo sguardo di chi la sapeva lunga.

«Come se tu fossi diversa» sussurrò Rose, guadagnandosi un’occhiataccia dall’amica.

Le ragazze si sedettero nella parte centrale della tavolata Grifondoro, affiancate da Samantha e Isabel. Tutti aspettavano l’arrivo dei nuovi alunni non tanto per la curiosità, ma per l’inizio dello squisito banchetto preparato dai numerosi elfi domestici che lavoravano nelle cucine di Hogwarts. I vari professori e la preside McGranitt erano già seduti al loro tavolo, osservando con disinteresse gli alunni che avrebbero dovuto sopportare per tutta la durata dell’anno scolastico. Mancava solo Neville, che aveva il compito di accogliere gli studenti del primo anno al portone principale della scuola. L’enorme Sala era pervasa dall’incessante mormorio proveniente dai centinaia di studenti. Rose, frastornata da tutto quel rumore, cercò di focalizzare la sua attenzione sulla conversazione più vicina.

«…e così ho evitato la fiammata di quel maledetto Petardo Cinese», stava raccontando Bree McMillan a chiunque la stesse ascoltando.

«Se non mi fossi buttata di lato, ci avrei rimesso la faccia» concluse, incrociando le braccia al petto.

«Questo è quello che accade quando frequenti un inutile campus estivo sui draghi» aggiunse Samantha.

Rose lanciò un’occhiataccia all’amica: quel campus era stato ideato e veniva gestito niente di meno che da suo zio Charlie, dedito allo studio e alla cura dei draghi da una vita.

«Solo perché detesti Cura delle Creature Magiche, Sam, non vuol dire che sia inutile» rispose infatti con un cipiglio infastidito.

La conversazione fu però interrotta dall’arrivo di un grande gruppo di ragazzini, appena entrato dal portone della sala, che si guardava spaesato intorno. A capo della comitiva, il professor Paciock camminava a testa alta lungo il corridoio fra i due tavoli centrali, concedendo un occhiolino ad Alice quando la superò. I nuovi studenti si posizionarono davanti al palco del tavolo dei professori, dove si poteva osservare uno sgabello di legno dall’aria traballante. Dava l’impressione di essere molto antico, così come il cappello consunto appoggiato sopra di esso. Nella Sala calò un silenzio carico di attesa. All’improvviso, una piega del cappello si aprì con un forte strappo, formando una specie di bocca, e per tutta la sala iniziò a riecheggiare una filastrocca ormai conosciuta a memoria dai ragazzi più grandi.

Forse pensate che non son bello,
ma non giudicate da quel che vedete
io ve lo giuro che mi scappello
se uno più bello ne troverete.
Potete tenervi le vostre bombette
i vostri cilindri lucidi e alteri,
son io quello che al posto vi mette
e al mio confronto gli altri son zeri.
Non c'è pensiero che nascondiate
che il mio potere non sappia vedere,
quindi indossatemi ed ascoltate
qual è la casa in cui rimanere.
forse Grifondoro la vostra via,
culla dei coraggiosi di cuore:
audacia, fegato, cavalleria
fan di quel luogo uno splendore.
O forse è a Tassorosso la vostra vita,
dove chi alberga è giusto e leale:
qui la pazienza regna infinita
e il duro lavoro non è innaturale.
Oppure Corvonero, il vecchio e il saggio,
se siete svegli e pronti di mente,
ragione e sapienza qui trovan linguaggio
che si confà a simile gente.
O forse a Serpeverde, ragazzi miei,
voi troverete gli amici migliori
quei tipi astuti e affatto babbei
che qui raggiungono fini ed onori!
Venite dunque senza paure
E mettetemi in capo all'istante
Con me sarete in mani sicure
Perché io sono un Cappello Parlante!


Appena la filastrocca finì un forte applauso lodò il cappello per le sue parole, il quale concesse un piccolo inchino a tutte e quattro le Case della scuola. Rose e Alice si scambiarono uno sguardo annoiato, impazienti di poter riempire la loro pancia brontolante e di fare una sana dormita. Mentre stava per essere sollevato dal professor Paciock, il vecchio oggetto riaprì una piega e pronunciò una strofa nuova, probabilmente un’improvvisazione del momento.

Ricordate però che la giusta via
non è così semplice da trovare.
A destra, a sinistra, qualunque essa sia,
state attenti a non farvi ingannare!

Il silenzio di tomba che aleggiava nell’aria e nelle menti era così denso da poter essere percepito sulla pelle. Quelle parole avevano provocato una grande confusione non solo in tutti gli studenti, ma anche negli insegnanti. La preside McGranitt stava infatti guardando i suoi colleghi e sembrava abbastanza preoccupata, mentre nella sala gli studenti osservavano i compagni in cerca di qualcuno che potesse fornire spiegazioni. La persona che era rimasta più sconvolta era sicuramente Rose. Non capiva il motivo, ma le era sembrato che il Cappello Parlante si stesse riferendo a lei, come se volesse darle una specie di avvertimento. La sua mano andò istintivamente a sfiorare la tasca della divisa in cui era riposto il medaglione, riflettendo su tutti i collegamenti possibili.

«Rose…»

La ragazza spostò lo sguardo alla sua destra e vide Alice che la stava osservando apprensiva.

«Tu non pensi che…»

«Sì che ci ho pensato Alice, ma può darsi che sia una pura coincidenza, no?» la interruppe l’amica nervosamente, seppure per niente convinta delle sue stesse parole.

La conversazione finì immediatamente, vista la quantità di pensieri che in quel momento si faceva strada nella mente delle due ragazze. La McGranitt decise di mettere momentaneamente da parte l’accaduto e distrarre gli studenti con lo smistamento dei nuovi alunni. Fece un cenno eloquente al professor Paciock, il quale srotolò una lunga pergamena dall’aria antica.

«Adams, Brianna!»

Una ragazzina paffutella con due trecce castane si separò dalla massa indefinita di studenti, salì i pochi gradini che la separavano dal suo destino e si sedette sopra lo sgabello, guardandosi intorno con visibile interesse. Dopo qualche minuto, il Cappello Parlante sapeva già quale fosse la Casa giusta per lei.

«Corvonero!»

Dal lungo tavolo della Casa di Priscilla si propagò un forte applauso e qualche grido di incoraggiamento per la loro prima nuova studentessa. Brianna si alzò con un sorriso smagliante e si diresse verso quella che sarebbe stata la sua nuova famiglia, visibilmente soddisfatta.

«Campbell, Elinor!»

Una ragazza minuta palesemente terrorizzata si incamminò verso lo sgabello, inciampando e quasi cadendo a terra. Si sedette tremante, con le mani in grembo che continuavano a torturarsi dall’agitazione e sussultò non appena le venne messo il cappello in testa. Ci vollero cinque minuti buoni per sapere a quale Casa sarebbe stata smistata, e più il tempo passava più la ragazzina sembrava spaventata. Poi, all’improvviso, il verdetto.

«Grifondoro!»

Tutto il tavolo scoppiò in un fragoroso applauso che tranquillizzò Elinor, la quale si incamminò verso la sua nuova Casa a passi incerti. Ci furono molti altri ragazzini che vennero smistati, ma Rose non stava prestando attenzione. Teneva lo sguardo fisso sul suo piatto dorato ancora vuoto, osservando il riflesso dei suoi occhi azzurri sulla superficie scintillante. Almeno fino a che, con un battito di mani, la McGranitt non attirò l’attenzione di tutti per il consueto discorso d’inizio anno. L’anziana donna si alzò dal suo posto e si mise dietro il leggio a forma di gufo, il quale spiegò le grandi ali d’oro.

«Bene, visto che ci siamo tutti direi che è ora di dare come al solito alcune raccomandazioni. Agli studenti al di sotto del terzo anno l’accesso alla Foresta Proibita è severamente vietato, a meno che non vogliate guadagnarvi una brutta punizione! Le selezioni per le squadre di Quidditch della scuola si terranno tra due settimane e saranno organizzate dai capitani. Per quanto riguarda qualunque altro tipo di attività, ricordate sempre di avvisare me o un insegnante, perché avete bisogno della nostra autorizzazione. Gli orari delle lezioni vi saranno dati domani mattina qui in Sala Grande, quindi cercate di non saltare la colazione» concluse, lanciando un’occhiata generale di avvertimento.

 «Ora, senza ulteriori indugi, che inizi il banchetto!»

Al battito di mani della preside, comparvero sui tavoli vassoi stracolmi di cibi per tutti i gusti, dalle patate arrosto alle pannocchie di mais appena tostate, dalle cosce di pollo agli spiedini di frutta. La sala fu pervasa da un aroma delizioso e fragrante che avrebbe fatto sciogliere perfino una lastra di ghiaccio. Samantha aveva immediatamente riempito il piatto con tutto quello che le capitava a tiro mentre Isabel e Alice la guardavano perplesse, non riuscendo a capire come l’amica riuscisse a rimanere così snella. Così come Sam anche Hugo sembrava non mangiare da giorni, rischiando addirittura di ingozzarsi con le salsicce.

«Sei disgustoso» commentò Rose in modo piatto.

Quest’ultimo le riservò un’occhiataccia, per poi riprendere a mangiare. La ragazza sospirò rassegnata e prese da un grande vassoio lì vicino una fetta di roastbeef e un po’ di purè, decisa a dimenticare le sue preoccupazioni per qualche ora.  In tutta la sala risuonavano le centinaia di voci degli studenti di Hogwarts che chiacchieravano, scherzavano e ridevano spensierati. La serata andò avanti tranquilla, e tutti sembravano aver dimenticato le parole del Cappello Parlante e la precedente confusione generale. Ben presto il grande banchetto finì, e la McGranitt spedì tutti gli studenti a letto perché, sue testuali parole, “non c’è modo migliore d’iniziare un nuovo anno scolastico se non con una buona dormita”. I Prefetti accompagnarono gli studenti del primo anno verso le rispettive Sale Comuni, spiegando anche quali corridoi dovevano percorrere per raggiungerle e informandoli delle varie parole d’ordine, o dei probabili indovinelli per i Corvonero. Le quattro Grifondoro raggiunsero il loro dormitorio con l’intenzione di buttarsi sui grandi letti a baldacchino rossi e oro e dormire per il maggior numero di ore possibile. Rose non riuscì comunque a evitare di fissare il vuoto per parecchio tempo, ripetendosi nella mente come una filastrocca l’ultima bizzarra strofa pronunciata dal Cappello Parlante.

  *    *    *

Le due settimane successive erano trascorse in un lampo, portatrici di compiti e prime verifiche. Quel tardo lunedì pomeriggio Rose si trovava con Samantha e Isabel sulle sponde del Lago Nero, godendosi gli ultimi giorni miti e la leggera brezza che faceva ondeggiare i rami degli alberi. Le tre ragazze erano sdraiate sull’erba, gli occhi chiusi e i libri sparsi tutt’intorno. Se Rose avesse allungato leggermente la mano, avrebbe potuto sfiorare l’acqua scura e opaca del lago.

«Non ci posso credere che Rüf ci abbia dato due rotoli di pergamena sulla Terza Rivolta dei Goblin. Insomma, siamo alla seconda settimana di scuola! Mi aspettavo un po’ più di comprensione» ruppe il silenzio Samantha, reprimendo uno sbadiglio.

«Comprensione? Da Rüf!? Sinceramente, Sam, io non mi aspettavo altro» commentò Rose, mentre si girava a pancia in su per lanciare uno sguardo divertito all’amica.

«Qui l’unica che può lamentarsi sono io. Oggi Sanders ha avuto la brillante idea di spiegare le proprietà dei numeri primi per due ore consecutive» aggiunse Isabel.

«Proprio per questo, mie care signore, al terzo anno non ho scelto Artimanzia» annunciò Samantha sorridendo.

Rose si alzò a sedere, lo sguardo perso verso l’orizzonte, dove il profilo delle montagne risultava meno definito e il cielo si confondeva con la terra. Si portò una ciocca di capelli dietro all’orecchio e, come un fulmine a ciel sereno, le tornarono di nuovo alla mente le ultime rime che il Cappello Parlante aveva solennemente pronunciato. Probabilmente stette in quella posizione per un po’ di tempo, perché a interrompere il suo flusso di pensieri fu la voce preoccupata di Isabel.

«Tutto bene Rosie? Non mi sembri tranquilla».

Rose sobbalzò, girandosi verso le amiche. Stava per rispondere che andava tutto bene, quando una figura in lontananza attirò la sua attenzione. La suddetta figura, vestita di rosso e oro, si stava dirigendo a passo di marcia verso di loro con una scopa sottobraccio, rischiando di scivolare un paio di volte sul terreno in pendenza.  La Weasley ci mise meno di un secondo a identificarla. “Non ci posso credere” riuscì solo a pensare, passandosi una mano sulla faccia.

«Ma che diavolo…?» commentò Samantha, stringendo gli occhi per vedere meglio.

Ormai a pochi metri di distanza, in tutta la sua gloria, si ergeva una non poco nervosa Alice Paciock in divisa da Quidditch, i capelli legati in una coda disordinata e la mazza da Battitore in una mano.

«Eccoti finalmente! Ma dov’eri finita?» chiese Isabel alla nuova arrivata.

«Dov’ero finita io? Dov’era finita lei, semmai!» esclamò mentre indicava Rose con la mazza. «Tra poco ci sono le selezioni, Weasley!»

Rose alzò gli occhi al cielo, cercando di non perdere la pazienza. «Alice, le selezioni della squadra iniziano almeno tra mezz’ora. Che cosa ci fai già in divisa?»

La Paciock si esibì in un’espressione innocente. «Può darsi che io mi sia ritrovata, per puro caso ovviamente, negli spogliatoi leggermente in anticipo…» iniziò a spiegare.

Rose si coprì il viso con entrambe le mani, sapendo già cosa aspettarsi.

«…e che, sempre per puro caso, abbia assistito a parte delle selezioni delle altre squadre…» continuò, guardando qualunque cosa non fosse una delle tre amiche.

«Non ci posso credere!» esclamò Samantha indignata. Dopo pochi secondi però, l’espressione della bionda cambiò, facendo trapelare la curiosità sull’argomento. «Che cosa stai aspettando? Dicci tutto Paciock!»

Il volto di Alice si illuminò in un sorriso. «Diciamo che mi sono concentrata sulla squadra più pericolosa» specificò con uno sguardo eloquente. Le amiche le fecero segno di andare avanti.

 «Se non consideriamo il nuovo Cacciatore del terzo anno, devo ammettere di non aver scoperto nulla di interessante» concluse, lanciando un’occhiata delusa a Samantha.

Rose si accarezzò il mento, meditabonda. Dunque la squadra di Serpeverde era rimasta prevalentemente la stessa, e questo voleva dire che suo cugino e Malfoy occupavano ancora rispettivamente i ruoli di Cacciatore e Cercatore. “C’era da aspettarselo”, pensò infastidita, “quei due idioti non possono certamente rinunciare alla vittoria così facilmente”. Alla sola raccapricciante immagine di Malfoy che le sbatteva in faccia la coppa di Quidditch, la ragazza si ridestò.

«Sai cosa, Alice? Devo cambiarmi, e in fretta. Questa volta non voglio assolutamente fare tardi» affermò, alzandosi in piedi e scrollandosi i fili d’erba di dosso. Prese Alice sottobraccio e la trascinò via, verso il castello, senza lasciarle il tempo di controbattere.

«Ci vediamo dopo in Sala Grande!» si ricordò di urlare alle due amiche rimaste sul prato prima di allontanarsi troppo.

E fu così che, tre crisi di nervi dovute agli indomabili capelli di Rose e quattro attentati alla vita di Alice da parte di innocui scalini dopo, le due ragazze si trovarono sul campo da Quidditch della scuola, circondate da decine di altri ragazzi. Al centro dell’enorme prato, in mano una lista spiegazzata, James Sirius Potter cercava di attirare l’attenzione dei presenti. Rose alzò gli occhi al cielo, per poi stringere la folta coda in cui erano legate le sue ciocche fiammanti. Alice, agguerrita più che mai, camminava avanti e indietro, ripetendo ininterrottamente mosse e tattiche di gioco e gesticolando con le mani.

«Bene!» esordì James, uno sguardo determinato dipinto sul volto. «Inizieremo con le selezioni dei Cacciatori, per poi passare ai Battitori e al Portiere. Le scope della scuola sono nello sgabuzzino vicino agli spogliatoi, se qualcuno ne avesse bisogno. Voglio ricordarvi che l’aver fatto parte della squadra l’anno scorso non vi garantisce un posto quest’anno» concluse, lanciando un’occhiata obliqua alla cugina. 

Rose si esibì in un sorriso innocente, per poi stringere la mano ad Alice e salire a cavallo della sua Firebolt: ora toccava a lei. Si diede una leggera spinta con le gambe e prese il volo, chiudendo gli occhi e godendosi il vento sulla pelle. Aveva sempre amato volare, la sensazione di libertà che dava l’essere sospesi in aria, in una dimensione parallela tra il cielo e la terra. Adorava il brivido, quella scarica di adrenalina che percorreva la spina dorsale in una picchiata, la costante consapevolezza di essere in bilico su un precipizio. La ragazza fece qualche giro del campo aumentando man mano la velocità e osservando le altre persone in volo che ambivano al suo ruolo. James, ancora con i piedi ben piantati a terra e la Pluffa sottobraccio, richiamò tutti gli aspiranti giocatori. Senza perdere tempo, il Capitano li sistemò in una fila ordinata, informandoli che chi avesse segnato per cinque volte consecutive avrebbe ottenuto il posto.

Evan Mitchell, Portiere dell’anno precedente che avrebbe molto probabilmente superato di nuovo le selezioni, lanciava sguardi di ghiaccio a ogni sfidante che gli si parava davanti. Il ragazzo era un talento nato: sembrava prevedere la traiettoria della Pluffa ancora prima che venisse lanciata dall’avversario. Le sue parate erano ormai divenute leggenda, e ad alcune mosse da lui eseguite era già stato dato un nome; per non parlare delle voci che dicevano che l’anno dopo i Puddlemore United gli avrebbero riservato un posto in squadra. Rose osservò attentamente i suoi rivali uno a uno, mentre cercavano nella difesa di Evan un varco che permettesse alla palla di entrare negli anelli. Fino a quel momento l’unica persona con cinque punti nel proprio bagaglio era Debbie Linton, quinto anno, furba e scattante come un’aquila. La Weasley assistette sorpresa alle stupefacenti finte che la ragazza metteva in atto e che avevano ingannato perfino Mitchell.

Arrivato il suo turno, Rose si librò in aria. Il cielo era sereno e, facendo vagare lo sguardo per un attimo, la ragazza scorse il tramonto in lontananza, i vivaci colori riflessi nei suoi occhi. “Coraggio Rose” si disse, riscuotendosi da quel momento di trance, “è il momento di concentrarsi, adesso”. Segnare cinque volte non fu difficile, per lei: la salda presa sulla Pluffa dimostrava quanto fosse abituata a muoversi sinuosa per il campo e a sgretolare le difese di chiunque si trovasse davanti. La ragazza atterrò sul prato soddisfatta e corse a battere il cinque ad Alice.

«Grandiosa! Semplicemente grandiosa!» commentò quest’ultima, passandole un braccio dietro alle spalle.

Rose si sedette sull’erba e osservò con interesse il resto delle selezioni. Alice spediva bolidi da una parte all’altra del campo con una determinazione e una superiorità tale che le avrebbero sicuramente assicurato il posto. Alla fine James annunciò i componenti della squadra, provocando l’allontanamento di decine di studenti delusi: Rose, Debbie e Ben McLaggen – il presunto amore di Samantha – come Cacciatori, Alice e David Shepherd nel ruolo di Battitori, Evan a proteggere gli anelli e, ovviamente, James alla ricerca del Boccino.

Dopo una doccia veloce e un cambio d’abito, Rose e Alice uscirono dagli spogliatoi stanche, felici, ma soprattutto affamate. Non persero tempo a risalire l’enorme rilievo su cui sorgeva il castello e a dirigersi verso la Sala Grande, brulicante di studenti che chiacchieravano e prendevano posto alle lunghe tavolate. Le due amiche raggiunsero Samantha e Isabel, già sedute e occupate a leggere una copia dell’ultima uscita della Gazzetta del Profeta.

«Indovinate chi è entrato a far parte della squadra anche quest’anno!?» esclamò Rose, attirando l’attenzione di parecchie persone.

Samantha e Isabel alzarono gli occhi dal giornale e si complimentarono sinceramente con le amiche.

«Non credo ci fossero dubbi. Insomma, cosa farebbe James senza la sua spia personale?» commentò Isabel, rivolgendosi ad Alice e ottenendo un’occhiataccia in cambio.

«Ve l’ho già detto, mi sono trovata lì per puro caso. E poi, non mi sembra vi sia dispiaciuto ascoltare quello che avevo da dire» specificò la Paciock, mentre osservava impaziente la McGranitt sedersi e battere le mani: i tavoli si colorarono di pietanze quasi immediatamente. Alice non perse tempo a riempirsi il piatto di cosce di pollo e pomodori grigliati, seguita a ruota da Samatha.

«Alla fine, devo ammettere che James ha tirato su una bella squadra» esordì Rose, lanciando uno sguardo d’intesa ad Alice. Quest’ultima lo colse al volo, intuendo dove la Weasley volesse andare a parare.

«Hai ragione Rosie, sono sicura che McLaggen sarà un’ottima novità» aggiunse infatti, dopo aver ingoiato un boccone piuttosto consistente di patate arrosto. Le due amiche osservarono con la coda dell’occhio la reazione di Samantha, che non tardò ad arrivare. La ragazza, che stava bevendo tranquillamente un sorso d’acqua, iniziò a tossire violentemente e assunse un colorito paonazzo. Isabel, sul volto una maschera di compassione, le passò una mano dietro la schiena per calmarla, mentre Rose e Alice scoppiarono in una fragorosa risata.

«Che c’è Sam? Emozionata di vedere il tuo ragazzo in campo?» chiese Rose, nascondendo il sorriso malandrino dietro al bicchiere.

«Zitte, o vi sentirà!» riuscì a pronunciare Samantha tra i vari attacchi di tosse, lanciando uno sguardo concitato verso McLaggen, seduto a qualche posto di distanza. Per sua fortuna il diretto interessato non sembrava essersi accorto del loro scambio di battute.

«E comunque», aggiunse la bionda Grifondoro non appena si fu ripresa, «McLaggen non è il mio ragazzo. Quante volte ancora ve lo devo ripetere!?»

«Tranquilla Miller, non c’è nulla di male nell’essere perdutamente innamorata di qualcuno a quest’età» infierì Rose, godendosi apertamente l’imbarazzo dell’amica. Di certo non si aspettava che l’argomento della conversazione cambiasse così repentinamente.

«Ma per favore, Weasley! Voglio proprio vedere cosa riuscirai a combinare in campo quando ti ritroverai davanti Malfoy!» controbatté Samantha, fulminando la sua aguzzina con lo sguardo. Isabel, abbandonato l’intento di calmare le acque, lanciava sguardi nervosi da un’amica all’altra, la consapevolezza della brevità dei frequenti battibecchi come unico appiglio per la sua pazienza. Rose, che aveva appena infilzato una carota, si fermò con la forchetta a mezz’aria. Posò delicatamente la posata sul piatto, squadrando la ragazza di fronte a lei. Occhi color cielo a contrasto con occhi blu oceano.

«Cosa vorresti insinuare con questo, Sam?» chiese pacatamente.

«Oh, sai benissimo cosa voglio dire. E non farmi neanche parlare di Alice, perché…»

Samantha si interruppe all’improvviso, notando solo in quel momento l’aura tetra che si irradiava dall’amica dalla disordinata chioma castana. Alice fissava insistentemente un punto davanti a lei in un amaro silenzio, una mano a stringere la forchetta così forte da rendere le nocche bianche. Anche Rose se ne accorse poco dopo. Seguì lo sguardo dell’amica, accorgendosi che puntava al tavolo dei Serpeverde, al lato opposto della sala: non fu una sorpresa scoprire che la causa dell’improvviso sbalzo d’umore di Alice fosse una persona in particolare. Suo cugino Albus, circondato dal solito gruppo di amici, sussurrava parole all’orecchio della ragazza sedutagli accanto, mentre quest’ultima rideva e gli prendeva la mano appoggiata sul tavolo. Non era necessario un indovino per capire che tra i due ci fosse qualcosa. Rose fece scorrere lo sguardo dall’amica al Serpeverde con espressione interrogativa. Albus di ragazze ne aveva già avute parecchie, e le quattro Grifondoro negli ultimi tempi lo aveva beccato in numerose “dimostrazioni di affetto”, come le chiamavano loro. Certo, Alice non si era mai risparmiata in bisbigliati insulti rivolti al malcapitato ma, nonostante la sua recente mancanza di grinta nel combattere il nemico, era la prima volta che dimostrava un comportamento del genere.

La Weasley non fece in tempo a dire alcunché. Alice posò la forchetta, si alzò balbettando qualche pallida scusa sull’aver perso l’appetito e uscì dalla Sala Grande silenziosamente come un fantasma, sotto lo sguardo preoccupato delle amiche. Il cibo fumante nel piatto e l’adrenalina delle selezioni ancora aleggiante nell’aria erano l’unica testimonianza della sua precedente presenza. Rose constatò che la placida uscita di scena dell’amica era stata notata da poche persone, tra la confusione generale. Fu sorpresa, quindi, quando fece scivolare nuovamente lo sguardo sul tavolo dei Serpeverde e trovò Malfoy impegnato a osservare l’imponente portone della sala. Quest’ultimo, come se avesse avvertito un paio d’occhi squadrarlo curiosamente, spostò la sua attenzione verso gli studenti al tavolo dei Grifondoro, fino a incontrare lo sguardo celeste di Rose. I due ragazzi si fissarono per qualche secondo, prima che la Wealsey rompesse velocemente il contatto. “Questo sì che è strano”, pensò, “Malfoy che per una volta si accorge di non essere l’unico abitante del castello”. Rose tornò a concentrarsi sulle cosce di pollo e sulle carote, ripromettendosi di finire al più presto di mangiare per poter tornare in dormitorio e parlare con la sua incorreggibile amica. Non poté comunque fare a meno di notare lo sguardo di Malfoy, che le era ancora puntato addosso.










Angolo autrice

Ehilà, sono tornata con un nuovo capitolo.
Rose è sempre la solita Rose, impulsiva e distratta all'inverosimile. A quanto pare però le ultime rime del Cappello Parlante l'hanno un po' scossa.
Ovviamente Alice è sempre pronta a sostenerla e consigliarla, ma cosa le sarà successo? Forse una fitta di gelosia improvvisa? Credo di poter parlare per la maggior parte delle ragazze quando dico che ci succede spesso u.u
Lasciatemi pure un parere sulla storia: dopo tanto tempo senza scrivere, credo di essere un po' arrugginita.
A presto,
ChiarainWonderland
 

 

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Capitolo 5
*** Alla ricerca di un piano ***


CAPITOLO QUARTO

ALLA RICERCA DI UN PIANO


La mattina seguente, Rose percorreva velocemente gli affollati corridoi del castello con Alice al suo fianco, consapevole di essere in ritardo. La lunga veste nera svolazzava da ogni parte, così come i crespi capelli fiammanti che impedivano una nitida visione delle persone che le venivano incontro. Ogni tanto lanciava di sfuggita uno sguardo alla migliore amica, apparentemente troppo concentrata nei suoi pensieri per accorgersene. Le due ragazze scesero le lunghe scale che portavano ai sotterranei, attente a saltare l’infido scalino che scompariva e riappariva a intervalli irregolari. Attraversarono lunghi corridoi all’apparenza identici e ben presto si trovarono davanti alla porta dell’aula di pozioni, irrimediabilmente chiusa.

«Maledizione!» esclamò Rose, le mani sui fianchi. «Ma è possibile che Lumacorno sia sempre puntuale?»

«Non essere così dura con lui Rosie, d’altronde non gli resta altro che insegnare, nella vita» le rispose l’amica esibendo un sorriso di scherno.

Rose ricambiò, riconoscendo con inaspettato sollievo l’abituale sarcasmo di Alice. La sera prima non si era stupita quando, tornata in dormitorio con le compagne, aveva trovato le tende scarlatte del baldacchino della Paciock serrate, un chiaro segno della sua necessità di stare sola. Rose aveva deciso di concederle una notte per sfogarsi e riflettere, aspettandosi la mattina dopo di dover trascinare l’amica fuori dal letto per convincerla a mettere piede in Sala Grande. Di certo non avrebbe mai pensato, all’alba, di trovare Alice in bagno intenta a legarsi i perennemente scompigliati capelli castani in una coda alta, un’espressione serena in volto. Era come se l’aura tetra della ragazza fosse stata completamente spazzata via in una notte. Rose decise di non fare domande e aspettare che fosse stata l’amica ad aprirsi. Durante la colazione la situazione non era mutata: Alice si era tranquillamente gustata la sua ciotola di porridge senza batter ciglio, immune perfino alle smancerie che si scambiavano Albus e quella che si poteva considerare la sua nuova conquista. Rose, Isabel e Samantha non riuscirono proprio a evitare di osservare l’amica tra il perplesso e il preoccupato.

La Weasley fu riscossa dai suoi pensieri dal timido bussare di Alice sulla porta e dal profondo “Avanti” che ricevette come risposta.  Le due ragazze si affacciarono dentro l’ampio sotterraneo e lanciarono un sorrisino di scuse all’enorme e anziano professore in piedi davanti alla cattedra. Lumacorno portò una mano a lisciarsi i lunghi baffi da tricheco, invitandole a entrare con un cenno del capo. La classe comprendeva una decina di studenti: in pochi avevano deciso di continuare il corso di pozioni dopo i G.U.F.O. dell’anno precedente. Rose e Alice raggiunsero le amiche al tavolo in seconda fila, accanto a un gruppo di Tassorosso che parlottava ininterrottamente riguardo a dei compiti di Trasfigurazione.

«Ma dove eravate finite?» sussurrò Isabel, mentre sistemava il calderone nero pece e i vari strumenti sul piano da lavoro.

«Avevo dimenticato il libro in dormitorio» spiegò Rose. Tirò subito fuori dalla borsa “Pozioni Avanzate”, sfiorando con le dita sottili la copertina scura su cui spiccava un calderone argentato, da cui usciva del fumo del medesimo colore.

Solo in quel momento le ragazze si accorsero che, sul tavolo più vicino alla cattedra, erano esposte in bella vista varie pozioni in ampolle e calderoni di misura diversa, da cui provenivano odori particolari. Le pozioni ribollivano e borbottavano sopra ai focolari, riempiendo il sotterraneo di vapori colorati che rendevano l’ambiente piacevole. Lumacorno fece raggruppare gli studenti davanti ai misteriosi intrugli.

«Bene, ora che ci siamo tutti» esordì, non dimenticandosi di lanciare un’occhiata a Rose e Alice, «direi di iniziare. Ho preparato un po’ di pozioni, questa mattina, per farvi vedere cosa dovreste essere in grado di preparare ai M.A.G.O dell’anno prossimo. Probabilmente alcuni di voi ne avranno già sentito parlare. Qualcuno sa dirmi di che cosa si tratta?» concluse, avvicinandosi all’estrema sinistra del tavolo, dove un’ampolla scheggiata conteneva un liquido bianco come la neve, e osservando speranzoso i volti perplessi dei ragazzi. La mano di Samantha scattò in aria.

«Signorina Miller?»

«Quella è Pozione della Bellezza, signore. Rende straordinariamente attraente il mago o la strega che ne fa uso».

«Ottimo! Davvero ottimo, signorina Miller! Dieci punti a Grifondoro. In effetti, la preparazione di questa pozione è decisamente insidiosa. Ovviamente non sarà argomento di quest’anno, ma potrebbe essere oggetto di esame. Ora…» riprese, indicando il calderone accanto, da cui proveniva un caratteristico fumo argenteo, «questa è più famosa. Qualcuno sa dirmi…»

Il professore fu interrotto dalla rapida mano di Rose, che riuscì a superare quella di un Corvonero seduto dall’altra parte dell’aula.

«Signorina Weasley! Molto bene…».

«Si tratta di Pozione Depietrificante. Ha la capacità di riportare al loro stato naturale le persone e gli animali che sono stati pietrificati».

«Esattamente, signorina Weasley», commentò Lumacorno compiaciuto, «Ovviamente ne avrà sentito parlare da suo zio, presumo…» concluse, continuando il giro e spiegando le proprietà degli intrugli rimasti.

Rose cercò di nascondere l’irritazione e l’imbarazzo dovuti ai continui accenni del professore alla sua famiglia ma, soprattutto, alla verità della sua affermazione. Si girò verso Alice, che non mancò di lanciarle uno sguardo annoiato, per poi riportare la sua attenzione su Lumacorno.

«Mi scusi signore, ma non ci ha ancora detto cosa c’è lì dentro» constatò Ellie Bones, Tassorosso, avvicinandosi al professore di un passo, senza sforzarsi di nascondere la sua curiosità. La ragazza stava indicando con la mano una piccola ampolla contenente un liquido dorato e ribollente. Rose era perfettamente a conoscenza di che cosa si trattasse.

«Oh… giusto».

Lumacorno si girò a osservare il peculiare intruglio, cercando inutilmente di celare il sorriso soddisfatto che gli spuntò sulla faccia tonda. Sfilò l’ampolla dal portaprovette per mostrarla alla classe, soffermandosi più del dovuto su Rose e lanciandole un’occhiata eloquente. La ragazza alzò gli occhi al cielo non appena il professore distolse lo sguardo.

«Vedete… questa è una pozione veramente curiosa. È conosciuta con il nome di Felix Felicis o, in parole povere, Fortuna Liquida. Bevetene un sorso, e per una giornata intera ogni vostra impresa avrà successo. Finché l’effetto non si esaurisce, tutto andrà per il verso giusto» spiegò Lumacorno, sondando le reazioni degli studenti. Rose notò che molti dei compagni si erano dimostrati improvvisamente interessati alla lezione; anche Alice aveva abbandonato il suo sguardo annoiato. “In effetti”, pensò, “quella pozione potrebbe rivelarsi davvero utile…”

«Questo è ciò che offro in premio oggi», dichiarò il professore lisciandosi i baffi, «allo studente che riuscirà a preparare un’accettabile Bevanda della Pace nell’ora che ci rimane. La ricetta si trova a pagina 57 del libro di testo»

Lumacorno non riuscì a terminare la frase che gli studenti iniziarono a sfogliare rapidamente il libro, correre verso gli scaffali dell’aula per accaparrarsi tutti gli ingredienti e organizzare i vari strumenti. Rose era saltata in piedi come una molla, seguita immediatamente da Alice. Le erano balenati in mente il medaglione, che giaceva intoccato sul fondo del suo baule, e la mancanza di risposte sul misterioso oggetto e la correlata fotografia. Non poteva lasciarsi sfuggire quell’occasione.

«Rose, non starai pensando…»

«Immagina, Alice. Un sorso di quella roba, e potrei finalmente fare chiarezza su quei maledetti artefatti. Sarebbe tutto risolto in un pomeriggio in biblioteca, con una ricerca sui libri giusti. Non ti sembra un’idea geniale?» sussurrò concitata Rose, mentre arraffava quanti più fiori di gelsomino possibile. Alice le rivolse uno sguardo poco convinto.

«Mi duole ricordarvi», gridò Lumacorno, cercando di sovrastare il caos generale mischiato al borbottio dei calderoni, «che nella mia intera carriera solo due studenti hanno dimostrato capacità tali da meritarsi questo premio». Rose decise di ignorare l’ennesimo sguardo eloquente del professore. Ora capiva il motivo per cui Albus non aveva scelto di proseguire il corso di Pozioni dopo i G.U.F.O.

La ragazza aprì il libro a pagina 57, constatando che la preparazione della Bevanda della Pace richiedeva un livello di abilità nettamente superiore a tutto ciò che aveva affrontato fino a quel momento. Guardandosi intorno, Rose si rese conto con sollievo che molti dei compagni esibivano espressioni perplesse e, addirittura in alcuni casi, decisamente smarrite. Alice, la testa china sulla pagina, sembrava stesse traducendo un complicato testo runico. Determinata a non scoraggiarsi, Rose decise di seguire le istruzioni alla lettera. Versò il tiglio accuratamente sminuzzato nell’acqua borbottante del calderone e aggiunse l’essenza di elleboro, lasciando bollire il composto per venti minuti. Osservando con la coda dell’occhio come se la stavano cavando le sue amiche, aggiunse fiori di gelsomino finché l’intruglio non divenne trasparente.

“E ora…”, lesse a mente, “girare tre volte in senso orario e una in senso antiorario…”.

Allo scadere del tempo, Rose poté ritenersi abbastanza soddisfatta. Certo, la lieve nube che si sprigionava dal suo calderone era di colore grigio opaco e non argentea, e i suoi capelli erano diventati ancora più crespi a causa dei vapori che riempivano l’aula, ma aveva fatto del suo meglio. Lumacorno, impegnato a valutare le pozioni, lanciava frequenti sguardi di compassione alle nubi dai più disparati colori, che variavano dal viola intenso al giallo canarino. Arrivato al tavolo delle quattro Grifondoro, il professore concesse un cenno di incoraggiamento alla nube grigio scuro di Samantha e scoccò un’occhiata perplessa a quella verde smeraldo di Isabel. Non degnando di un briciolo di attenzione la nube celeste di Alice, l’anziano mago si soffermò sulla pozione di Rose.

«Ma guarda un po’, signorina Weasley, devo dire che mi ha stupito. La sua pozione, anche se neanche lontanamente paragonabile a un risultato ottimale, si merita il titolo di migliore della classe» commentò bonariamente.

Rose percepì il fuoco della speranza invaderle il torace, ritrovandosi già a programmare quando avrebbe potuto utilizzare la Felix Felicis. Il fuoco si spense qualche secondo dopo, non appena Lumacorno si sedette alla cattedra, sul volto un’espressione delusa.

«Bene, devo ammettere che nessuno studente ha dimostrato capacità tali da meritare il premio» annunciò. «Pazienza, ragazzi, i risultati si ottengono solo con la costanza e il duro lavoro. Ora potete andare, ci vediamo settimana prossima».

Un mormorio di dissenso si propagò nel sotterraneo. Rose rimase ferma al suo posto per qualche minuto, consapevole del cipiglio di disappunto che doveva aver assunto. Era sicura di avere la Felix Felicis in pugno, di essere a un passo dal stringere tra le mani quella preziosa piccola ampolla. La soluzione al mistero del medaglione, che le era sembrata per la prima volta una realtà vicina, pareva più lontana che mai. Accortasi di essere l’unica ancora seduta, si accinse a sistemare gli strumenti e a rimettere a posto gli ingredienti avanzati, a lanciare un’ultima occhiata a Lumacorno e a seguire le amiche fuori dal sotterraneo. L’umore di Samantha e Isabel non si alterò eccessivamente; si era fatta ora di pranzo, e i pensieri delle due ragazze erano probabilmente rivolti al banchetto che le attendeva in Sala Grande. A Rose non sfuggì la familiare occhiata che le scoccò Alice, interpretabile come un irrimediabile “te l’avevo detto”, a cui rispose con un’alzata di sopracciglia.

«Che cosa ti aspettavi, di ricevere la Felix su un piatto d’argento?», commentò con sarcasmo Alice, «probabilmente Lumacorno se la scolerà tutta questo pomeriggio».

«Oh Rosie, non devi rimanerci male. Sai com’è fatto Lumacorno… pretende il massimo, soprattutto da te» disse Samantha, accorgendosi solo in quel momento dello sguardo deluso dell’amica.

«E sappiamo benissimo il perché, vero Sam? Di solito sei tu la migliore in pozioni, eppure non sei mai stata invitata a quelle stupide riunioni del Lumaclub. Se non fosse per la mia famiglia, non credo che Lumacorno si comporterebbe allo stesso modo… eppure, questa volta, pensavo di aver avuto fortuna…»

«Su con la vita, Rose! Ci saranno ben altre occasioni per dimostrare a quel pallone gonfiato che vali almeno il triplo del tuo cognome» dichiarò Isabel, esibendosi in un sorriso che spazzò via buona parte del malumore dell’amica e accelerando il passo, trascinandosi appresso anche Samantha. Presto sparirono dietro la curva del corridoio.

«Sai che dobbiamo iniziare a fare qualche ricerca sul medaglione, vero?» sussurrò Alice, stando bene attenta alle persone che si trovavano a portata d’orecchio.

«Lo so, lo so… ero sicura di avere la soluzione in pugno, e invece…»

«Certo, credevi di passare un allegro pomeriggio in biblioteca e risolvere la questione in due ore? No, Rose… per me qui c’è qualcosa di grosso. La fotografia, le ultime parole del Cappello Parlante… non può essere tutta una coincidenza».

«E c’è anche quella luce azzurrognola…» aggiunse Rose pensierosa.

«Che cosa hai detto?!»

«Sì, hai sentito bene. Il medaglione ha emesso per un paio di volte una luce piuttosto inquietante».

«Lo sapevo che c’era qualcosa di strano! Scommetto che una volta è capitato sul treno, quando sei dovuta correre in bagno» esclamò Alice. Rose la zittì, guardandosi preoccupata intorno.

«Sì, ma non urlare. Non vuoi mica che tutta la scuola venga a saperlo, no?»

Alice alzò gli occhi al cielo. «Potremmo dividerci gli scaffali della biblioteca, e dedicare mezz’ora alla ricerca di informazioni ogni volta che andiamo lì per studiare. Ci metteremo un’eternità a controllare tra i migliaia di titoli… ma almeno è un inizio».

Rose ci pensò un attimo. «Non credo di avere alternative», disse infine, «questo è il miglior piano che abbiamo».

Alice annuì distrattamente, meditabonda, la mente occupata da una domanda che aveva zittito per parecchio tempo.

«Non hai mai pensato di liberartene?» chiese, ricevendo un’occhiata confusa dall’amica.

«Il medaglione, intendo. Non hai mai pensato, che ne so, di gettarlo nel Lago Nero?»

«E rischiare che qualcuno lo trovi? Non sappiamo quanto possa essere pericoloso, Alice! E se fosse in grado di uccidere se indossato per troppo tempo? Come ti sentiresti, a vivere con un peso così addosso?» le rispose Rose con uno sguardo indignato, mentre attraversavano la Sala d’Ingresso.

Alice si astenne dal dire la sua, convinta che nessuno sarebbe mai stato in grado di scoprire, figurarsi recuperare, un oggetto sepolto dalla sabbia nei profondi meandri del Lago Nero. Sarebbe stato più facile che il medaglione si impigliasse in uno dei tentacoli della Piovra Gigante, o che venisse scambiato per un pesce da un Avvincino. Rose, a quanto sembrava, la pensava diversamente.

Le due ragazze entrarono nella Sala Grande e raggiunsero Samantha e Isabel, già impegnate a riempirsi il piatto di costolette di agnello e carote al burro. Rose non fece neanche in tempo a finire di versarsi il succo di zucca nel calice dorato, che un giovane gufo bruno entrò svolazzando da una delle finestre spalancate della sala, dirigendosi verso il tavolo di Grifondoro e attirando lo sguardo di parecchi studenti.

«Posta a quest’ora?» chiese Isabel confusa, guardandosi intorno.

«Quello è Lesto» constatò Rose, aggrottando le sopracciglia.

Il gufo le atterrò accanto e strusciò delicatamente la testa piumata sulla sua spalla. La ragazza slegò il nastro rosso che legava alla zampina un foglietto arrotolato, avvicinò un pezzo di carne al becco del rapace – che sembrò apprezzare il dono – e gli concesse una carezza. Dopodiché Lesto riaprì le ali e prese il volo, uscendo dal castello rapido così come era entrato. Rose srotolò il foglietto sotto lo sguardo perplesso delle amiche e cercò di decifrare la disordinata grafia, che identificò come quella di Hagrid.

Rose,
vuoi venire a prendere un tè oggi alle tre di pomeriggio? So che c’hai due ore libere. È da tanto che non ti vedo, e voglio sapere come hai passato le vacanze. Puoi portarti anche le tue amiche, se hanno voglia. Ho preparato i biscotti, quindi non mangiare troppo a pranzo.

                                                                                                                                                                                                                         Hagrid

«Chi ti scrive, Weasley?» chiese Alice curiosa, sporgendosi per cercare di leggere il biglietto. Rose appiattì il messaggio al centro del tavolo, in modo che tutte e quattro le amiche potessero vederlo.

«Hagrid ci ha invitate tutte da lui, questo pomeriggio. Anche voi avete delle ore buche, quindi non dovrebbero esserci problemi, giusto?» domandò Rose.

«Oh, peccato, mi sto già strafogando di costolette… non credo ci sia posto per i biscotti» dichiarò Samantha, che da sempre dimostrava timore nei confronti di Hagrid e, soprattutto, una radicata repulsione per le creature magiche adorate dal mezzogigante.

«Non fare storie, Sam! Tranquilla Rosie, ci saremo tutte» disse Isabel, guadagnandosi un’occhiataccia dall’amica dalla chioma dorata.
 

*    *    *

A metà pomeriggio le ragazze uscirono dal castello, rabbrividendo dal freddo. Tirava un vento gelido e fastidioso, che scuoteva le oscure fronde della Foresta Proibita e increspava le acque del Lago Nero. Le nubi grigiastre che correvano rapide nel cielo non promettevano nulla di buono. Mentre scendeva per il tortuoso sentiero che conduceva alla capanna di Hagrid, Rose sperò di evitare la pioggia che sembrava incombere da un momento all’altro. Ritrovarsi con l’acqua nelle scarpe e il maglioncino fradicio non era esattamente nei suoi piani.

Arrivate davanti al piccolo casolare, le quattro Grifondoro si persero qualche minuto a osservare il panorama. Nell’orto lì vicino facevano bella mostra le gigantesche zucche piantate da Hagrid a inizio estate, mature al punto giusto. Rose non vedeva l’ora di osservarle fluttuare nella Sala Grande durante la sera di Halloween, illuminate da centinaia di candele. Poco distante, una lapide di pietra, quasi come a guardia della Foresta Proibita, segnava il punto di sepoltura di quella che anni addietro era stata un’enorme Acromantula. In lontananza si poteva intravedere il Platano Picchiatore, coperto da graziose foglioline verdi, che si stiracchiava allungando verso il cielo i rami aggrovigliati. Fu Isabel la prima a destarsi da quella visione caratteristica. Bussò tre volte sulla spessa porta di legno, che si aprì poco dopo.

«Eccovi, Finalmente! Di questo passo il tè si raffreddava tutto».

Hagrid si stagliava imponente sul ciglio di casa sua, in mano un vassoio di grossi biscotti al cioccolato appena sfornati. Rose non aveva idea di quanto vivesse mediamente un mezzogigante, ma Hagrid durante tutti quegli anni non era cambiato di una virgola, se non si consideravano le numerose striature grigie e bianche che avevano fatto capolino tra la barba e i capelli folti e ispidi. Tuttavia, da qualche tempo aveva rinunciato alla cattedra di Cura delle Creature Magiche, preferendo dedicarsi esclusivamente al ruolo di guardiacaccia. A Rose mancava molto. Si ricordava ancora delle prime lezioni, del suo bizzarro metodo di insegnamento e della passione per il suo lavoro, che trasmetteva con gioia agli alunni.

«Mi sei mancato tanto» ammise la Weasley, abbracciando il vecchio amico: le sue braccia non riuscivano neanche a circondare metà dell’enorme torace del guardiacaccia. Hagrid sorrise teneramente, dando leggere pacche sulle esili spalle della ragazza.

«Anche tu, Rosie. Anche tu mi sei mancata tanto».

Dopo essersi liberato dall’abbraccio della rossa, Hagrid stritolò Alice, non dimenticandosi di commentare la strabiliante somiglianza tra lei e Neville, e rivolse due luminosi sorrisi a Samantha e Isabel. Si mise da parte, per far entrare le ragazze e corse a sfornare altri biscotti al cioccolato, mentre Artiglio, il suo cucciolo di danese, si fiondò alla porta saltando e scodinzolando. Samantha, per la quale il cane dimostrava una predilezione, cercò di spostarsi senza impregnarsi la felpa di bava, sul volto uno sguardo sconsolato.  Le Grifondoro si sedettero intorno al piccolo tavolo al centro della stanza: Rose e Alice condividevano una gigante poltrona verde smeraldo, mentre le altre due ragazze si erano accomodate su sedie larghe come il loro proprietario. Hagrid tornò rapidamente con una teiera di porcellana bianca in una mano e un piatto di biscotti nell’altra, versò il tè fumante in quattro bicchieri, più simili a ciotole, e si sedette sullo sgabello cremisi accanto al camino. Artiglio saltò in grembo a Isabel, accucciandosi sulle sue gambe e lasciando tracce di bava appiccicosa sui suoi pantaloni rosa pallido.

«Servitevi pure, ne ho preparati per un esercito» disse Hagrid, accennando agli enormi dolci in bella vista al centro del tavolo. Il mezzogigante, per l’occasione, aveva scelto una tovaglia blu acceso decorata con pois candidi e un vaso pieno di fiori di campo come centrotavola.

Per educazione, le ragazze si riempirono il piatto, consapevoli del fatto che qualunque cosa offrisse Hagrid fosse raramente commestibile. Come previsto, Rose constatò che quei biscotti erano pesanti come un sasso, tanto che dovette prenderli con due mani per portarseli alla bocca.

«Mmm, squisiti! Complimenti al cuoco!» commentò Isabel incerta, mentre cercava di ammorbidire il più possibile quei mattoni al cioccolato nel tè.

«Sì, in effetti ce l’ho modificata un po’ la ricetta… sai, per aggiungere quel tocco in più di sapore» rivelò Hagrid, gesticolando come se stesse discutendo di un argomento di cui era esperto. Le ragazze annuirono lentamente.

«Oh, immagino. Un po’ di burro in più non guasta mai, per renderli… consistenti» aggiunse Alice, esibendosi in un sorriso sarcastico che ovviamente Hagrid non colse.

«Per la barba di Merlino, come hai fatto a capirlo? Anche Albus ha detto la stessa cosa quando è venuto a trovarmi, qualche giorno fa».

Al nome del cugino, Rose avvertì l’intero corpo dell’amica irrigidirsi, come se fosse stato pietrificato. Ghignò internamente, al pensiero che forse Alice non era divenuta immune al Serpeverde così all’improvviso.

«Ah sì? E di cosa avete parlato, se posso saperlo?» domandò infatti la Paciock ostentando indifferenza, la voce un’ottava più alta del normale.

«Niente di che, davvero», rispose Hagrid tranquillamente, mentre masticava un pezzo di biscotto con trasporto, «c’era Malfoy che continuava a lamentarsi dei suoi impegni da Prefetto, o robe del genere…»

«Pff, ovviamente» commentò Rose, alzando gli occhi al cielo, prima di bere placidamente un sorso di tè. Malfoy poteva pure lamentarsi dei suoi impegni da Prefetto, ma di certo non sembrava affatto dispiaciuto quando le toglieva punti. Anzi, probabilmente era il momento della giornata che aspettava con più ansia, vista la quantità di punti che aveva ingiustamente sottratto a Grifondoro dall’inizio dell’anno.

«… e Albus che non la smetteva di ciarlare sulle incredibili qualità della squadra di Serpeverde…  “abbiamo le scope più veloci”… “siamo i più organizzati”… non la smetteva più. È convinto che i Grifondoro siano spacciati» concluse il guardiacaccia, lanciando uno sguardo eloquente alla Weasley.

«Tipico di Albus» aggiunse Isabel, mentre se la rideva sotto i baffi.

«Non vedo l’ora di godermi la sua espressione quando si renderà conto della superiorità della nostra, di squadra»  dichiarò Alice tra un sorso di tè e l’altro, assottigliando gli occhi. Rischiò di scottarsi la lingua.

Hagrid scoppiò in una sincera e fragorosa risata, e qualche goccia della bevanda bollente cadde dalla tazzina che teneva in mano, finendo sull’incolta barba. L’argomento della conversazione cambiò. O meglio, fu Samantha a cambiarlo, visto che non era in grado di sentir parlare di Quidditch per più di cinque minuti. Nel resto del pomeriggio, la capanna del guardiacaccia fu invasa da risate e chiacchiere riguardo le vacanze estive, il rientro a scuola e i bei vecchi tempi. Il tè si era ormai raffreddato del tutto quando le ragazze decisero che era ora di andare; salutarono calorosamente Hagrid, promettendogli di fargli visita presto, e Samantha gli concesse perfino un colpetto sulla mano.

Ormai al crepuscolo, il cielo era attraversato da striature rossastre che si riflettevano sul castello. Le ragazze si persero nuovamente a osservare il panorama mentre risalivano il sentiero: Alice inciampò un paio di volte, rischiando di trascinarsi dietro anche le amiche e guadagnandosi parecchie occhiatacce. Con un ultimo sguardo verso la ormai lontana capanna del guardiacaccia, Rose si richiuse alle spalle il portone d’ingresso della scuola un attimo prima che scattasse il coprifuoco. Non voleva certo dare a Malfoy ragione di toglierle punti per sciocchezze del genere.

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Capitolo 6
*** Cuori in tempesta ***


CAPITOLO QUINTO

CUORI IN TEMPESTA


Rose chiuse con un tonfo secco l’enorme volume che stava sfogliando da parecchi minuti e si appoggiò allo schienale della sedia. Era da metà pomeriggio che lei e Alice si trovavano in Biblioteca per cogliere una speranza, un appiglio che, seppur fragile, avrebbe potuto avvicinarle alla risposta sul medaglione e sulla sua misteriosa proprietaria. Appena finiti i compiti di Trasfigurazione, le due ragazze si erano divise un reparto della biblioteca della scuola e avevano cominciato a selezionare libri su libri, scorrendo gli indici e pregando Merlino di scovare qualcosa.

«Basta, ci rinuncio» esclamò Alice, in bilico su una scala per raggiungere gli scaffali più alti e con i capelli più scompigliati del solito.

«Ci mancano ancora una decina di libri, ma ti prometto che appena finiamo ce ne andiamo a dormire. Per fortuna oggi non abbiamo più lezioni» la rassicurò Rose, passandosi una mano sul viso.

Era da qualche settimana che le due ragazze si rinchiudevano in Biblioteca non appena racimolavano un po’ di tempo, cercando di conciliare lezioni, compiti e allenamenti. Rose osservava sconsolata le foglie degli alberi ingiallirsi sempre di più e una pioggerellina fastidiosa riempire quasi tutte le giornate, che a mano a mano concedevano sempre meno spazio alla luce del sole. La fine di settembre era ormai passata, portando con sé le ultime giornate miti e lasciando il posto a ottobre.

«Ma non capisci? Non abbiamo trovato ancora niente, Rose! Non c’è nessun libro che ci possa aiutare. Abbiamo perfino controllato nel Reparto Proibito, e sai quanto è stato difficile ottenere l’autorizzazione da Madama Wells» precisò Alice, accennando con la testa alla giovane bibliotecaria della scuola, in quel momento impegnata a sistemare dei volumi su uno scaffale poco distante. La donna, generalmente di carattere dolce e comprensivo, si rivelava in tutta la sua severità non appena si parlava di libri e, soprattutto, della sua collezione di giornali della Gazzetta del Profeta. Chiusa a chiave nei cassetti della sua scrivania, quella raccolta comprendeva, Rose ne era sicura, anche le edizioni più antiche. Un vero tesoro per storici e appassionati, a cui però l’accesso era irrimediabilmente negato.

«Cerca di non attirare la sua attenzione un’altra volta, che ormai la nostra scusa non è più così credibile».

«Oh, intendi quella della ricerca sui manufatti magici del ventesimo secolo? Quella a cui staremmo presumibilmente lavorando da due settimane? No… secondo me è ancora credibile» le rispose Alice, esibendosi in un sorriso ironico e ottenendo un’occhiataccia in cambio.

Rose puntò lo sguardo sulla superficie rugosa del tavolo lì accanto, riflettendo attentamente. Quel cercare alla cieca non aveva portato a nessun risultato, causando solo una notevole perdita di tempo. Se lei e Alice volevano cavare qualcosa da tutto quel mistero, dovevano cambiare strategia. Ma quale? Cosa avrebbero potuto fare? Rose non ne aveva idea. All’improvviso avvertì un senso di oppressione stringerle il petto come in una morsa, e il soffitto e le pareti della Biblioteca farsi sempre più vicini. Il pensiero di non aver ottenuto ancora nessuna risposta la faceva sprofondare nello sconforto più totale.

«Per oggi può bastare, Alice. Giuro che se sto in questa maledetta biblioteca un altro minuto impazzisco».

Alice le lanciò uno sguardo sorpreso e divertito allo stesso tempo: perfino Rose, che spesso restava in quel luogo ore ed ore a studiare, si era dichiarata esausta. Non facendoselo ripetere due volte balzò giù dalla scala, rischiò di cadere a terra e tentò goffamente di assumere una posizione dignitosa, tutto sotto l’occhiata non troppo incredula dell’amica. Le due ragazze presero le loro cose, salutarono Madama Wells e uscirono dalla Biblioteca, imboccando il primo corridoio a destra.

«Non ce la facevo più Rose… probabilmente questa notte sognerò di venire inseguita da libri polverosi e noiosi» disse Alice, ottenendo come risposta una risata. «Dopo abbiamo pure un allenamento! E domani c’è il compito di Erbologia, e figurati se mio padre per una volta mi può fare un favore. Ma no… sarebbe uno scandalo, minerebbe la sua moralità da professore perfetto! Spero mi conceda almeno uno Scadente».

«Sempre meglio del solito Troll, non credi?» le rispose Rose con sguardo divertito. Alice le scoccò un’occhiataccia.

«Ovviamente, Rosalie» concordò, facendole storcere il naso all’utilizzo del nome di battesimo. «Sta di fatto che ho ansia, costantemente. Siamo piene di verifiche», continuò, «e mancano due settimane alla prima partita di Quidditch della stagione… ma ti rendi conto? James raddoppierà gli allenamenti. E rimane la questione irrisolta del medaglione, per non parlare di Pot…»

Alice si interruppe bruscamente, tappandosi la bocca con entrambe le mani.

«Cosa stavi dicendo?» chiese Rose, mentre un sorrisetto spontaneo le incurvò le labbra. Non ci voleva un genio per capire che l’amica si stesse riferendo al famigerato Serpeverde dagli occhi smeraldini.

«Nulla, nulla di importante. Davvero» liquidò la faccenda Alice, accelerando il passo. Rose la seguì.

«Oh non fare così, Paciock, voglio solo sapere cosa sta succedendo».

«Un bel niente. Non sta succedendo un bel niente, Rosie» sussurrò nervosamente l’amica.

«Ah, davvero? Un bel niente, dici? Allora non sarà un problema, per te, dirmi una volta per tutte il motivo per cui sei praticamente scappata dalla Sala Grande ormai due settimane fa» constatò Rose, afferrando Alice per un braccio. «Cavolo, Alice, sono la tua migliore amica… e non mi hai detto nulla. Ero preoccupata! E quando la mattina dopo ti ho trovata in bagno, come se niente fosse, non capivo cosa ti fosse preso. E non lo capisco neanche ora».

Al discorso dell’amica, lo sguardo di Alice si addolcì, e le labbra si distesero in un sorriso malinconico, che però non arrivava agli occhi. A Rose parve forzato.

«Non devi preoccuparti così per me, Rosie. Sto bene, è stato un momento di debolezza, tutto qua» la tranquillizzò Alice, prendendole la mano e stringendogliela delicatamente. Rose alzò le sopracciglia, limitandosi a uno sguardo poco convinto. Erano ormai davanti all’ingresso della Sala Comune.

«Dragoncello» pronunciò la Weasley, per poi oltrepassare il varco lasciato dal quadro della Signora Grassa.

La sala conteneva una decina di studenti: c’era chi studiava, chino sui libri e senza alzare la testa neanche per un istante, e chi si dilettava con una partita a Spara Schiocco davanti all’enorme camino di pietra. In quest’ultimo gruppo Rose scorse suo fratello Hugo, che a quel gioco era ferrato come Ron con gli scacchi, ma non si perse in una seconda occhiata. Le due Grifondoro si diressero verso un ragazzo dall’aria corrucciata seduto da solo in un angolo, i corti capelli castani scarmigliati. Era circondato da parecchi libri e stava scrivendo su una pergamena con foga, mordicchiandosi la lingua.

«Ciao, Ben» lo salutò Rose. McLaggen alzò la testa di scatto, sorridendo non appena vide chi lo aveva interrotto.

«Oh, ciao ragazze! Tutto bene?» rispose, facendo scorrere lo sguardo tra le due compagne di squadra.

«Sì, stiamo andando a fare un sonnellino. Abbiamo passato tutto il pomeriggio in Biblioteca, sai… siamo piene di roba» raccontò Rose. Alice non aprì bocca.

«Non dirlo a me! Devo ancora finire i due rotoli di pergamena sull’ Incantesimo Rallentante per domani…», spiegò il ragazzo, e Rose si ricordò con sollievo di aver svolto quel compito la settimana prima, «e tra un’ora ci sono gli allenamenti. Con questo tempo, ritorneremo esausti» concluse, lanciando un’occhiata al panorama che si poteva osservare dalla finestra lì accanto. Quel giorno non aveva ancora piovuto, ma oltre il profilo dello stadio di Quidditch cumuli di nuvole scure si avvicinavano rapidamente.

«Allora noi andiamo, ci vediamo dopo agli al… e quella cos’è?» chiese Rose, notando solo in quel momento una piccola ampolla, contenente un intruglio grigiastro, appoggiata sul tavolo accanto al braccio del ragazzo.

«Questa?» chiese McLaggen, accennando all’ampolla. «Oh, è solo una dose di Pozione Aguzzaingegno, sai… per studiare. Me l’ha data Lumacorno, dopo avergli spiegato che in questo periodo faccio un po’ fatica a stare dietro a tutto… ma di solito la prepara solo per studenti veramente in difficoltà. Mi ha detto che un ingrediente, fondamentale per la pozione, è davvero raro» raccontò confidenzialmente, come se Lumacorno gli avesse concesso un privilegio riservato a pochi eletti.

«Ah, certo! Aumenta le capacità intellettive di chi ne fa uso… me lo ricordo. Spero tu finisca in tempo il tema per gli allenamenti, Ben» rispose Rose sorridendo.

«Oh, devo finirlo per forza! James mi ammazza se non mi presento in campo».

«Fidati, lo so».

Rose concesse un ultimo sorriso a McLaggen, poi trascinò Alice su per le scale fino in dormitorio, la mente che lavorava frenetica.

«Credo di aver avuto un’idea…», dichiarò poco dopo, «riguardo al medaglione. Non credi che se io bevessi un po’ della pozione di cui parlava McLaggen, potrebbe venirmi in mente qualche cosa? Non so… magari un nuovo piano».
 
Alice teneva gli occhi bassi, senza dimostrare entusiasmo.

«Non lo so, Rosie…»

«Qualcosa deve pur fare, no? D’altronde, ti aumenta temporaneamente l’intelligenza».

Erano ormai arrivate al Dormitorio. Alice si buttò sul suo letto, chiudendo immediatamente i malinconici occhi castani, mentre Rose, abbandonata l’idea del sonnellino, non smetteva di confabulare riguardo alla pozione e a come procurarsela, persa tra i suoi pensieri.

«… Lumacorno non sprecherebbe nemmeno un goccio di quella pozione per me… insomma, a scuola vado bene…»

“Bene è un eufemismo” si disse tra sé, evitando però di dirlo ad alta voce.

«…quindi l’unica soluzione è prepararla da sole. Dobbiamo farlo in segreto, ovviamente, visto che l’uso di pozioni non autorizzate è vietato, qui a scuola…»

Rose continuò a borbottare ininterrottamente per tutta l’ora successiva, ignorando il leggero russare dell’amica che riempiva la stanza. Le ragazze arrivarono agli allenamenti con due minuti di ritardo, Rose con uno stivaletto ancora slacciato e Alice cercando di levarsi dalla faccia i lunghi capelli sciolti, mossi dal forte vento che tirava quella sera. Riuscirono a cavarsela solo con un’occhiataccia di James. Ormai i nuvoloni neri incombevano sopra le loro teste, minacciosi e mutevoli, e in lontananza si scorgevano i lampi saettare nel cielo, seguiti dal rombo cavernoso del tuono. Rose si innalzò in aria, cercando di ripararsi con un braccio dalle sferzate di vento che le arrivavano in pieno volto, e inspirando l’odore di pioggia che impregnava l’aria.

L’allenamento non fu dei migliori. Si sentiva a terra, il fisico affaticato dal ritmo incessante della vita scolastica e la mente distratta dal nuovo piano che aveva escogitato poco prima. La Pluffa le scivolò spesso dalle mani, complice anche la pioggia che a metà allenamento aveva iniziato a riversarsi suoi poveri giocatori infreddoliti. Alice non era da meno: lanciava i Bolidi senza una meta precisa, mettendoci poca forza, tanto che James le urlava di darsi una svegliata ogni dieci minuti.

Dopo due ore, tutti – James compreso – si dichiararono esausti. Quest’ultimo si fiondò in spogliatoio, non prima di aver chiesto ad Alice di rimettere a posto la Pluffa e i Bolidi, compito di solito riservato al giocatore peggiore della giornata. A quanto sembrava, constatò Rose, l’amica aveva fatto più schifo di lei. Seguì il Capitano, felice di poter godere di una doccia bollente per eliminare il freddo pungente che ormai le si era intrufolato perfino nelle ossa. Fu l’ultima ad uscire dagli spogliatoi, asciutta, pulita e pronta a fiondarsi in Sala Grande per ingurgitare la maggior quantità di cibo possibile.

Decise però, prima di tornare al castello, di dare un’occhiata all’amica ancora in campo, e quello che vide… le svuotò la mente. Non esistevano più il medaglione, il nuovo piano, le verifiche, i compiti, il Quidditch. In quel momento l’unica cosa che importava era Alice, in piedi in mezzo all’enorme prato, immobile, le guance bagnate da gocce che, Rose ne era sicura, non appartenevano alla pioggia. La Weasley non esitò nemmeno un secondo a rituffarsi correndo sotto il diluvio scrosciante, infradiciandosi di nuovo i vestiti e i capelli. Il rumore delle falcate che calpestavano l’acqua riscosse Alice, che si girò di scatto verso l’amica, gli occhi e le guance rosse dalle lacrime e le sopracciglia aggrottate. Rose si fermò a pochi passi di distanza.

«Io… io ci ho provato, Rose… ho provato a… a fare l’indifferente, ma…» tentò di spiegarsi Alice, con voce flebile e rotta dal pianto, sovrastata dal rumore frastornante della pioggia.

«Cosa stai…?»

«Quando… quando sono scappata… dalla Sala Grande. Non… non ce la facevo più, Rosie… v-vederlo così… è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso…»

Un lampo di comprensione balenò negli occhi della rossa, e un’espressione di sconforto si dipinse sul suo volto.
 
«Alice…»

«Da quanto va avanti, questa storia? Anni? E non cambia mai n-nulla… sono sempre io... quella che ci sta male…»

Rose si avvicinò un passo dopo l’altro, grata che non ci fosse più nessuno nei paraggi, mentre l’amica sfogava il suo dolore.

«Anni… in cui lui mi ignora, mi prende in giro… mentre io…»

Alice cadde improvvisamente in ginocchio sull’erba fangosa, le mani a coprirsi il viso. Rose fece lo stesso, circondando l’amica con le braccia, accarezzandole i capelli fradici e sussurrandole parole di conforto all’orecchio. Le ragazze rimasero nella stessa posizione per quella che a loro parve un’eternità, con la pioggia che cadeva senza pietà e il vento che ululava, quasi a unirsi alla disperazione di Alice.

«Fa… fa male, Rosie. P-perché deve fare così male? È come… come se qualcuno mi stesse stringendo il cuore, per poi… strapparlo…»

Rose non poté farne a meno ma lì, sotto la tempesta, aggrappata all’amica, si ritrovò a pensare al ragazzo dai capelli biondi e gli occhi grigi che, ne era sicura, stava occupando la serata a fare Merlino solo sapeva cosa con qualche ragazza ignota. Sembrò quasi che le sensazioni descritte pochi secondi prima da Alice stessero prendendo vita dentro di lei. “Non va bene” si disse, cercando di mettere fine alla confusione che le stava inondando la mente. “Non va affatto bene. Ti pare questo il momento adatto per concentrarti su sciocchezze del genere?”. Più il tempo passava, più Rose era convinta che Malfoy le avesse lanciato una maledizione o che le avesse rifilato qualche filtro d’amore scadente. Oppure era veramente possibile che il Serpeverde non fosse più associato esclusivamente all’odio, ma anche… a una sorta di interesse? Un brivido di disgusto percorse la spina dorsale di Rose al solo pensiero. “Va bene il rossore sulle guance, va bene il battito cardiaco accelerato, ma quel che è troppo è troppo”.

Così, in quella tempestosa serata di inizio ottobre, la ragazza avvertì la sottile barriera di verità nascoste, creatasi in quelle due settimane tra lei e Alice, sciogliersi come neve al sole. Strinse più forte l’amica disperata tra le braccia, ripromettendosi di confidarsi con lei al più presto, e cercando di ignorare la persistente sensazione di oppressione che le invadeva il torace.

«Lo so, Alice. Lo so».

 

*    *    *

Samantha e Isabel si preoccuparono, a cena, quando non videro le amiche fare il loro ingresso in Sala Grande. Convinte che fossero semplicemente in ritardo a causa degli allenamenti, si dovettero alla fine rassegnare al fatto che non si sarebbero presentate. Tornate in Dormitorio, tirarono un sospiro di sollievo quando le videro rannicchiate sul baldacchino di Rose che chiacchieravano spensierate in camicia da notte, il libro di Erbologia aperto davanti a loro ormai dimenticato.

«Sessione di studio molto intensa, non è vero ragazze?» scherzò Isabel. Rose si girò di scatto, scuotendo Alice per attirare la sua attenzione.

«Ma che fine avevate fatto?» chiese Samantha avvicinandosi.

«Eravamo esauste. Quella testa vuota di James ci ha fatto allenare per due ore di fila sotto al temporale» spiegò Rose distrattamente.

«Non ci credo che la McGranitt permetta una cosa simile! Alla fine è solo Quidditch» esclamò Samantha con fare ovvio, guadagnandosi un’occhiataccia dalle due amiche.

«A saperlo, Rosie, vi avremmo portato qualcosa da mangiare…» asserì dispiaciuta Isabel.

«Tranquilla, non siamo proprio in vena. È già tanto se domani mattina non ci svegliamo con un raffreddore» la rassicurò Alice, accennando un sorriso.

La serata andò avanti tranquilla. Le ragazze chiacchierarono del più e del meno e si dedicarono con concentrazione allo studio, tra borbottii ininterrotti sulle proprietà del Sempervivum Tectorum e ripetizioni ad alta voce dei passaggi per estrarne le foglie. Samantha e Isabel si addormentarono poco dopo, la prima sdraiata al contrario, i piedi sul cuscino, e la seconda con gambe e testa a penzoloni da ciascun lato del letto. Rose e Alice rimasero immobili per parecchi minuti, ascoltando attentamente il respiro delle amiche farsi sempre più calmo e regolare. Poi, ormai sicure che fossero entrambe perse nel mondo dei sogni, si mossero lentamente, cercando di non far scricchiolare il materasso.

«“Non siamo proprio in vena”… magari! Sto morendo di fame» bisbigliò Alice.

Rose le fece segno di tacere portandosi l’indice alla bocca, poi tirò fuori qualcosa da sotto il baldacchino, qualcosa che Alice ci mise meno di due secondi a identificare. Le due ragazze si alzarono cautamente dai letti, afferrarono le bacchette, aprirono la porta del Dormitorio con delicatezza e si intrufolarono fuori, lanciando un ultimo sguardo alle due ignare amiche. Rose non perse tempo ad avvolgere lei e Alice in uno scintillante drappo argenteo, assicurandosi che le coprisse interamente.

«Oh, sono così emozionata! Da quant’è che non ci facevamo un giro notturno per la scuola? È il giusto passatempo per tirarci su il morale, non credi?» sussurrò Alice concitata calpestando per sbaglio il piede a Rose, che le lanciò un’occhiataccia.

«Tutto merito di Lily che prima ci ha prestato il Mantello dell’Invisibilità. Ricordami che le devo un favore».

«Certo, certo… ma ora andiamo alle Cucine! Spero sia avanzata un po’ di torta alla melassa».

Rose si esibì in un sorrisetto, alzando gli occhi al cielo. «Ti devo per caso ricordare che poche ore fa stavi piangendo disperatamente sotto la pioggia?»

Il volto di Alice, illuminato dal pallido chiarore della luna che si infiltrava dalla finestra sul pianerottolo, si rabbuiò di colpo.

«Ovviamente no, Rosalie», mormorò, «ed è proprio per questo che ho bisogno urgente di dolci».

Uscirono di soppiatto dalla Sala Comune, in camicia da notte e a piedi nudi, ed ebbero la fortuna di evitare una discussione con la Signora Grassa, che si appisolò subito dopo aver blaterato qualcosa riguardo alla mancanza di giudizio della maggior parte degli studenti. Scesero di parecchi piani, stando attente alle scale, ai Prefetti che pattugliavano la scuola e al decrepito Gazza, il custode, rabbrividendo dal freddo e guidate solamente dalla flebile luce proveniente dalle grandi finestre.

«Chi ha avuto la geniale idea di uscire senza scarpe?» sussurrò Alice, stringendo con forza la bacchetta nella mano.

«Prima uscivamo dal Dormitorio, meno possibilità avevamo di farci beccare…», spiegò Rose, «e sai che Isabel ha il sonno leggero».

Alice si strinse le braccia attorno al corpo mentre osservava con meraviglia i corridoi del castello, che di notte parevano ancora più ampi e misteriosi, e affrettava il passo, ansiosa di riempirsi lo stomaco.

«Mi sarei accontentata delle mie pantofole rosa, Weasley… almeno non avrei i piedi ghiacciati, adesso».

«Anche le pantofole fanno rumore! Vuoi farti scoprire, per caso?» la zittì Rose. Alice la fulminò con lo sguardo.

Le ragazze erano ormai arrivate nelle profondità della scuola, precisamente sotto la Sala Grande, e si trovavano di fronte a un quadro raffigurante un piatto di frutta. Rose non perse tempo a solleticare con leggerezza la pera, che si trasformò in una maniglia, e a entrare nelle Cucine. Alice, concentrata a guardarsi intorno, inciampò sui suoi stessi piedi, finendo addosso all’amica.

«Shhh, ma sei matta?! La Sala Comune dei Tassorosso è a due passi di distanza! Ci manca solo che ne svegliamo qualcuno…»

Alice non rispose, troppo impegnata a osservare incantata le Cucine, invase da Elfi Domestici che pulivano i quattro lunghi tavoli, riordinavano le centinaia di stoviglie e spegnevano l’enorme focolare in mattoni in fondo alla stanza. Nell’aria permeava ancora l’odore dei piatti che erano stati preparati quella sera, provocando alle ragazze un brontolio allo stomaco che non lasciava adito a dubbi.

«Abbiamo fatto appena in tempo, hanno quasi finito di lavorare» constatò Alice, mentre Rose, sfilato il Mantello, lo ripiegava con cura. Subito un Elfo Domestico si avvicinò a loro, gli enormi e acquosi occhi celesti colmi di riverenza e curiosità.

«Signorine», esclamò, inchinandosi profondamente, «Cosa può fare Willy per voi, signorine?»

Alice si inchinò a sua volta come una principessa, agguantando i lembi della candida camicia da notte, mentre Rose si abbassò fino ad appoggiare un ginocchio a terra, arrivando all’altezza dell’elfo.

 «Ciao Willy, io e la mia amica», e così dicendo rivolse uno sguardo ad Alice, «non abbiamo cenato. Non è che è avanzato qualcosa da mangiare?»

Willy saltellò allegramente sul posto, battendo emozionato le mani e facendo cenno alle ragazze di seguirlo. Man mano che avanzavano, gli Elfi Domestici sorridevano e si inchinavano profondamente, quasi a sfiorare il pavimento con il lungo naso sottile.

«Oh sì, qualcosa è avanzato, è avanzato eccome! Willy ora lo mostra alle signorine» continuava a ripetere l’elfo.

Nel tavolo più a destra, proprio davanti al focolare, Rose notò qualche decina di larghi vassoi d’argento pronti per essere lucidati. Solo cinque contenevano ancora del cibo: un pasticcio al formaggio sorprendentemente fumante, del purè di patate, qualche coscia di pollo arrosto, dei pomodori farciti e, per la gioia di Alice, un quarto di torta alla melassa. 

Quest’ultima spalancò gli occhi castani, superando Willy e fiondandosi sul dolce. Rose invece si servì di un’abbondante porzione di pasticcio al formaggio e di qualche pomodoro, tutto sotto gli occhi speranzosi e riverenti degli elfi. Le ragazze conversarono amabilmente con molti di loro, felici di potersi svagare dopo tutte le forti emozioni provate quel giorno. Il senso di oppressione che aveva attanagliato Rose sotto il temporale solamente poche ore prima, però, non l’aveva abbandonata. Era ancora lì, quasi impercettibile, a ricordarle che, per quanto desiderasse negarlo, Malfoy non le provocava pensieri d’odio. O meglio, non le provocava solamente pensieri d’odio. Anche Alice, che in quel momento cercava di pulirsi invano la bocca dalla melassa, non era da meno. Certo, sfogarsi le aveva fatto bene, ma la sua mente la riportava continuamente ai dolorosi sentimenti che avrebbe voluto far scomparire nel nulla.

Dopo essersi riempite lo stomaco a sufficienza, le due Grifondoro ringraziarono profusamente gli Elfi Domestici, che si inchinarono tutti una seconda volta, e uscirono di soppiatto dalle Cucine. Subito scivolarono sotto al Mantello e percorsero i corridoi a ritroso, stando attente a non farsi cogliere in flagrante. Ormai vicine al ritratto della Signora Grassa, convinte di essere salve, s’imbatterono in Lola, la tremenda gatta di Gazza. Dimenticando momentaneamente di essere invisibili si appiattirono contro il gelido muro di pietra, coprendosi la bocca con la mano e trattenendo il respiro. La gatta grigia le oltrepassò miagolando, provocando assonnate lamentele da parecchi quadri lì accanto, e sparì dietro un angolo. Dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, Rose alzò un lembo del Mantello fino a scoprirsi il viso e si avvicinò all’entrata della Sala Comune.

«Dragoncello» sussurrò alla Signora Grassa, che si svegliò di soprassalto.

«Ancora voi due?! Ma vi rendete conto di che ore sono? Vi denuncio dalla Preside, vi denuncio eccome, potete giurarci! Oh, ormai il rispetto è una virtù scomparsa…» farfugliò la Signora Grassa, portandosi una mano al cuore.

«Così come siamo uscite ora dobbiamo anche rientrare» spiegò Rose, non risparmiandole un’occhiata infastidita.

La Signora Grassa si esibì in un ultimo, sonoro sbuffo, poi si aprì permettendo alle ragazze di passare.

«Dobbiamo rifarlo, Rosie! Dobbiamo rifarlo più spesso!» continuava a mormorare Alice mentre salivano rapide le scale del Dormitorio.

«Per fortuna avevamo il Mantello… ma non so quante volte Lily sia disposta a prestarcelo».

«Ma se non facciamo nulla di male! Anzi, si offenderà di sicuro quando verrà a sapere che oggi non l’abbiamo invitata».

Rose ridacchiò e aprì la porta della loro stanza, stando attenta a non farla cigolare. Le due ragazze si addormentarono subito, al calduccio sotto le coperte scarlatte, con lo stomaco pieno e il cuore un po’ più leggero.









Angolo autrice

Ehilà, sono tornata con un nuovo capitolo, spero che vi piaccia.
Finalmente Alice si sfoga con Rose (era anche ora), e finalmente un barlume di speranza illumina la strada verso la soluzione del mistero sul medaglione.
L'elfo Willy è un omaggio a Dobby... Sì, non ho ancora superato la sua morte dopo tutti questi anni.
Ringrazio di cuore le persone che hanno inserito la storia nelle seguite, e ci vediamo al prossimo capitolo.
ChiarainWonderland
 

 

 

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Capitolo 7
*** La pozione Aguzzaingegno ***


CAPITOLO SESTO

LA POZIONE AGUZZAINGEGNO


«… ed è così che nel 1741 Eldricht Diggory morì di Vaiolo di Drago. Il suo era stato un mandato proficuo, pieno di successi dal punto di vista pubblico e politico. La scelta del nuovo Ministro della Magia cadde sul vice di Diggory, il carismatico Albert Boot, un mago di discreto successo, reso famoso dal suo trattato “Bei Babbani” in cui sosteneva la pacifica convivenza tra i Maghi e i Babbani…»

Rose prendeva freneticamente appunti, tentando invano di stare al passo con Rüf che blaterava senza sosta e lanciando sporadiche occhiate ad Alice che sonnecchiava al suo fianco con la testa appoggiata sul banco. Samantha, seduta dietro di lei, borbottava nel sonno parole sconnesse mentre la vicina di banco Millie, Serpeverde, cercava invano di tenere gli occhi aperti. Rose la considerava un amica, ammirandone la spigliatezza e la faccia tosta, anche se parte di quel rispetto era dovuto a un fatto comune: entrambe detestavano il loro nome di battesimo. Rose in fondo sapeva di non avere il diritto di lamentarsi, consapevole che “Mildred” costituisse un’alternativa ben peggiore di “Rosalie”. Alzò gli occhi al cielo ringraziando Merlino per la capacità di giudizio di sua madre, e continuò a scrivere frettolosamente, maledicendo internamente il professore che, ritto davanti alla lavagna, non accennava a rallentare la sua parlantina. Abbassò lo sguardo infastidito sulla pergamena piena di quelle che avrebbero dovuto essere parole, ma in realtà si presentavano come scarabocchi, e trattenne uno starnuto. Ecco quello che avevano guadagnato lei e Alice, una settimana prima, dal pianto disperato sotto al temporale e dalla gita notturna a piedi nudi e in camicia da notte. Un raffreddore coi fiocchi. Rose non ne era sorpresa. D’altronde se l’erano cercata.

La lezione finì pochi minuti dopo, e Rüf non perse tempo a sparire attraverso la lavagna senza degnare di uno sguardo gli studenti. Rose si girò a osservare i compagni stiracchiarsi, indugiando sull’ultimo banco a destra, dove Albus e Malfoy stavano riordinando le loro cose. Con il cugino non parlava da settimane: non era ancora riuscita a capire se il Serpeverde ce l’avesse con lei o se la stesse semplicemente ignorando. Rose non aveva idea del motivo per il quale potesse essere arrabbiato. Semmai era lei quella che avrebbe avuto una valida ragione, vista la situazione con Alice. “E chi li capisce” pensò, strattonando l’amica per un braccio nel tentativo di risvegliarla dal mondo dei sogni.

«Mh… altri cinque minuti… per favore» mugugnò Alice, allontanando Rose con la mano.

«Se non ti svegli subito, sarò costretta a lanciarti un Aguamenti in piena faccia».

Alice alzò di scatto la testa, sputacchiando una ciocca di capelli che le era finita in bocca. «Non un’altra volta, Weasley. Non te lo permetterò un’altra volta» dichiarò, ottenendo come risposta una risatina.

«Io vado, ragazze. Isabel mi aspetta in Sala Grande» le informò Samantha, sparendo poco dopo oltre la porta dell’aula.

«Se non fossi una frana, frequenterei anche io Artimanzia con la Thomas» commentò Millie, ravvivandosi la frangia color caramello con la mano.

«Sai benissimo che non dureresti un minuto con Sanders a insegnare» commentò Alice ancora mezza addormentata, mentre infilava il libro di testo nella borsa.

«Non è colpa mia se quell’uomo non concede mai un voto maggiore di Scadente. Comunque devo scappare anch’io, ci vediamo in giro».

Millie si esibì in un ultimo sorriso e si defilò dalla classe un attimo dopo. Rose ricambiò il saluto, raccattando velocemente pergamena e piuma d’oca e trascinando Alice verso la porta, impaziente di raggiungere la Sala Grande per riempirsi di cibo.

«Fame, Weasley?»

Al suono di quella voce, Rose si immobilizzò improvvisamente. Non si accorse neanche di Alice, che andò goffamente a sbattere contro la sua schiena pestandosi il naso. Riusciva solo ad avvertire il battito del suo cuore accelerare e le guance tingersi di rosso. “Merlino, dimmi che mi sono addormentata durante la lezione e che sto ancora sognando” si ritrovò a pensare.

«Non mi stupirei, viste le visite fuori orario nelle cucine del castello» aggiunse Malfoy, fissando gli occhi grigi in quelli della ragazza. Albus, immancabilmente al fianco dell’amico, sghignazzava apertamente facendo scorrere lo sguardo dalla cugina ad Alice.

Rose restò imbambolata ad osservare i due ragazzi, un’espressione sbigottita dipinta sul viso. La confusione che regnava nella sua mente poteva essere paragonata a un campo di battaglia attraversato da una carica di cavalleria. Nulla in quella situazione aveva senso. Malfoy non poteva sapere della loro scappatella notturna, quell’unica e innocente trasgressione alle regole che si erano concesse lei e Alice la settimana prima. Che il ragazzo fosse in realtà un Legilimens? No, impossibile, l’avrebbe già scoperto dopo tutti quegli anni a stretto contatto. Doveva esserne venuto a conoscenza in un altro modo. “Ma per quale motivo me lo rinfaccia proprio adesso?” continuava a ripetersi, constatando che la faccenda risultava sempre più bizzarra a ogni minuto che scorreva. Riscuotendosi dai suoi pensieri, Rose decise che la carta migliore da giocare in quel momento fosse l’indifferenza.

«Non so di cosa tu stia parlando, Malfoy. È da una vita che io e Alice non ci passiamo neanche davanti, alle Cucine».

«Attenta a quello che dici, Weasley. Non vi ho tolto dei punti solamente perché non vi ho beccate con le mani nel sacco. Sono un Prefetto onesto d’altronde». Rose non mancò di fulminare il ragazzo con un’occhiataccia.

«Vedo che prendi molto sul serio il tuo ruolo» commentò con un sorriso sarcastico.

«Rosie», pronunciò dolcemente Albus, esibendosi in quello che Rose definiva un sorriso da schiaffi, «non devi vergognartene. A tutti capita di avere degli attacchi di fame improvvisi».

«Ma quindi sai ancora parlare? Dopo tutte queste settimane di silenzio? Mi stupisci, Albus».

«Potrei dire lo stesso di te, cugina» le rispose il ragazzo, passandosi una mano nella chioma corvina e rivolgendo alla Weasley uno sguardo colmo di risentimento.

«Non ti è mai passato per quella tua mente brillante, Potter, di farti gli affari tuoi?»

Rose spostò stupita lo sguardo su Alice, negli occhi un lampo di orgoglio. Dopo mesi di lacrime trattenute e frasi non dette, seppur con voce insicura e un po’ buffa a causa del raffreddore, l’amica era riuscita a rispondere ad Albus. Gli occhi verde smeraldo del Serpeverde brillarono maliziosi, divertiti e, soprattutto, pieni di sorpresa.

«Oh, Paciock, io lo dico per te. Non credo che altre visite alle Cucine possano farti molto bene» rispose, guardandola dall’alto in basso. Alice allargò gli occhi castani tentando con tutte le forze di reggere il suo sguardo. Notando la crescente difficoltà dell’amica, Rose decise di mettere fine a quell’inaspettata conversazione.

«Al contrario, credo sia salutare concedersi uno spuntino qualche volta, considerando che noi donne possiamo essere molto irritabili a digiuno. Ricordatelo, cugino… sai, per la tua nuova ragazza».

Alice si esibì in un sorriso furbo, sul volto un’espressione compiaciuta. Rose avvertì il suo cuore mancare un battito non appena notò il sorrisetto divertito che le rivolse Malfoy. Cercando di ricomporsi nel minor tempo possibile, la ragazza prese a braccetto Alice e si avviò verso la porta dell’aula ormai deserta, tutto sotto lo sguardo stupefatto di Albus. Appena prima di scomparire dietro l’angolo, Rose si girò nuovamente.

«E comunque, Malfoy, devi stare tranquillo… non farò più nulla di sbagliato. Non vorrei certo darti altro su cui lamentarti».

Le due ragazze uscirono trionfalmente. Rose provò invano a immaginarsi la faccia che doveva aver assunto Malfoy, resistendo all’impulso di sbirciare di nuovo dentro l’aula. Alice ridacchiava, e Rose constatò con soddisfazione che il sorriso stampato sul volto dell’amica raggiungeva gli occhi.

«Che dire, Weasley… a volte riesci ancora a stupirmi».

«Ricordami di ringraziare Hagrid. Senza di lui, non avrei mai saputo delle lagne di Malfoy riguardanti i suoi faticosi impegni» rispose Rose ironicamente, portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.

«Tralasciando gli scherzi, come cavolo facevano quei due a sapere della nostra gitarella notturna? Erano di ronda quella sera? Ci hanno spiate?» sussurrò Alice.

«Non lo so, non credo ci abbiano seguite, non è da loro. E non possono averlo scoperto da nessuno… a meno che…»

«Cosa? A chi pensi?»

Rose lanciò all’amica uno sguardo dubbioso. «Lily. Era l’unica a saperlo».

«Lily non farebbe mai una cosa del genere! Andare a spiattellare i nostri segreti a suo fratello e a Malfoy? E per quale motivo l’avrebbe fatto?» esclamò Alice, prendendo un fazzoletto da una tasca della divisa e soffiandosi rumorosamente il naso.

«Non ne ho idea… ma sembra l’unica risposta plausibile» rispose Rose. La sua parte razionale aveva ormai preso il sopravvento.

«Non credo, Rosie. Secondo me c’è dell’altro».

Con la mente occupata da centinaia di domande, le due ragazze percorsero velocemente i corridoi che le avrebbero portate nella Sala Grande, ansiose di raggiungere le amiche per raccontare della conversazione con i Serpeverde. Arrivate sulla soglia del portone, si ritrovarono a osservare stranite lo spettacolo che si era parato loro davanti. Nella sala regnava il caos, e fin lì tutto si profilava normale. Ma ciò che aveva provocato perplessità nelle due Grifondoro era la quantità di copie dell’ultima uscita della Gazzetta del Profeta sparse per i tavoli. L’aria era invasa dagli odori provenienti dai vassoi colmi di cibo fumante e dai rumori delle posate degli studenti, ma non c’era traccia di alcun professore. Rose trascinò Alice al tavolo di Grifondoro, dove individuò Samantha e Isabel, i piatti già pieni, che leggevano con sguardo corrucciato una copia del giornale.

«Rose, Alice, finalmente! Dove eravate finite?» esclamò Samantha, spostandosi per fare spazio alle due amiche.

«Nulla di importante… ma cosa sta succedendo?» chiese Alice.

«I gufi hanno portato decine di copie della Gazzetta del Profeta pochi minuti fa» le rispose Isabel, osservando con apprensione il tavolo deserto dei professori.

«Ma per quale motivo? Qualcosa di urgente?»

Come risposta Isabel le passò il giornale. Rose si sporse per poter vedere la prima pagina, cercando di ignorare suo cugino James che si stava lamentando a gran voce della punizione che avrebbe dovuto scontare quella sera.

«… e alla fine Cardon mi ha detto di farmi trovare davanti alla Sala dei Trofei alle otto in punto… tutto questo solamente per un innocuo scherzo a Bones… quel figlio di un Troll… per fortuna oggi non ci sono allenamenti…»

Rose fulminò il cugino con lo sguardo, intimandogli senza mezzi termini di fare silenzio. Concentrandosi, riportò l’attenzione sul giornale, e quello che lesse le provocò un brivido lungo la schiena.

“La scorsa notte, data 11 ottobre 2022, durante una ronda di controllo effettuata dal Dipartimento Auror del Ministero nel quartiere magico di Londra, sono stati ritrovati oggetti con tracce di magia oscura, molti dei quali intaccati da maledizioni estremamente pericolose. I suddetti oggetti erano esposti in bancarelle con un permesso di vendita temporaneo fornito dal Ministero, non presenti al precedente controllo degli Auror avvenuto più di sei mesi fa. Molti dei venditori ambulanti saranno presto sottoposti a un processo tenuto dal giudice Wilkinson e supervisionato dal Ministro in persona. Tuttavia, come è emerso dall’intervista all’Auror Richard Ashdown a pagina 8, alcuni degli indagati sarebbero riusciti a fuggire la notte stessa…”

Rose distolse lo sguardo dalla pagina stropicciata, assimilando quelle sconcertanti informazioni e lanciando un’occhiata allarmata ad Alice. Immagini sfuocate del medaglione, della piccola bancarella straripante di merce e del poco rassicurante venditore le riaffiorarono alla mente. Era tutto collegato, la ragazza ne era certa. Il medaglione aveva conosciuto la magia oscura e, se non fosse stato per lei, avrebbe fatto la fine degli altri oggetti: perquisito, trasportato in massima sicurezza in qualche reparto del Ministero per essere analizzato accuratamente o, nel peggiore dei casi, distrutto. “Se si possa effettivamente distruggere” pensò.

«E pensare che l’ultimo fatto degno di nota in questi anni è stato l’attacco al Ministero da parte dei Folletti della Cornovaglia» ricordò Alice.

«Da tempo non accadeva qualcosa del genere…», constatò Samantha, «… insomma, oggetti oscuri a Diagon Alley?»

«Se li avessero trovati a Notturn Alley, me lo sarei anche aspettato…», commentò Isabel mentre tagliava distrattamente un pezzo di carne, «… ma quest’anno si stanno verificando strani avvenimenti, non trovate? Prima il Cappello Parlante, poi questo…»

«Pensi che sia tutto collegato?» chiese Alice, tirando una leggera gomitata a Rose.

«No… non credo. In che modo potrebbe esserlo? Saranno solamente coincidenze».

Rose abbassò lo sguardo sul tavolo, evitando di incrociare gli occhi pensierosi di Isabel, consapevole che il filo conduttore tra quegli eventi si trovasse custodito nel suo baule.

 

*    *    *

Quel tardo pomeriggio il bagno di Mirtilla Malcontenta era invaso da un fumo denso, che si confondeva con le anonime lastre di pietra del pavimento e che non accennava a diradarsi. Proveniva da un vecchio calderone in cui un composto grigiastro ribolliva sopra a un fornelletto da pozioni, posizionato all’interno di un lavandino. In mezzo a quella confusione si poteva distinguere una scompigliata chioma rossiccia che mescolava diligentemente l’intruglio, mentre teneva d’occhio le istruzioni fornite dal libro Pozioni Avanzate, appoggiato lì vicino.

«Rose, per quanto io mi fidi delle tue capacità, non credo che tutto questo fumo sia normale».

Alice si era abbandonata contro la fredda parete di granito e osservava l’amica con sguardo confuso, controllando di tanto in tanto il corridoio per accertarsi che non ci fosse nessuno. Pochi giorni dopo aver sentito McLaggen parlare della pozione Aguzzaingegno, le due ragazze si erano organizzate per prepararla in segreto. Avevano scelto il bagno del secondo piano, quasi sempre deserto a causa del fantasma che lo abitava.

«Qui dice che la sua quantità elevata dimostra la buona riuscita della pozione, essendo la reazione chimica fra le radici di zenzero e la bile di armadillo».

«Se lo dici te… so solo che dobbiamo finirla il più presto possibile, con la notizia di Diagon Alley e tutto il resto. Quando sarà pronta?»

«Domani. A proposito, dobbiamo aggiungere le uova di Runespoor. È l’ingrediente raro di cui parlava Ben, e l’ultimo che va aggiunto alla pozione».

«E tu hai un’idea su dove possiamo trovarle?» chiese Alice sconsolata, scivolando con la schiena fino a sedersi sul pavimento.

All’improvviso una figura trasparente uscì volando da un gabinetto e si sedette sul davanzale della grande finestra del bagno, scostandosi i lunghi codini dalla faccia.

«Se non sbaglio il professor Lumacorno ne ha un’intera scorta nel suo ufficio, sapete? È custodita in uno dei tanti scaffali» rivelò ridacchiando.

Rose rivolse la sua attenzione al fantasma, gli occhi luccicanti di sorpresa. «E tu come fai a saperlo, Mirtilla?»

«Sono un fantasma», rispose semplicemente, spingendosi gli spessi occhiali alla base del naso, «noi sappiamo tutto, qui nel castello».

Alice le lanciò uno sguardo interrogativo, cercando invano di celare il sorriso scettico che le era spuntato spontaneamente sulle labbra.

«Sveglia, ragazzina… possiamo attraversare i muri e fluttuiamo nell’aria. Oh, se sapeste quante conversazioni proibite io abbia origliato…»

Ricevendo come unica risposta una lunga occhiataccia, Mirtilla si alzò in volo con il naso all’insù e galleggiò altezzosamente fino a scomparire dietro la porta del suo gabinetto. Ben presto per tutto il bagno si propagarono lamentosi ululati, e le uniche parole che riuscirono a distinguere le due Grifondoro furono ‘morte’, ‘maleducazione’ e ‘ragazzine ingrate’.

«Direi che per oggi può bastare, Paciock» proferì Rose, alzando la bacchetta e puntandola verso il calderone.

« Desilludo!» pronunciò ad alta voce, muovendo il polso con un gesto fluido e preciso.

Tutti gli strumenti appoggiati lì vicino, pozione compresa, sembrarono fondersi con il muro, come se fossero diventati dei camaleonti capaci di mimetizzarsi con l’ambiente circostante. Chiunque fosse passato di lì avrebbe visto solamente un lavandino vecchio e crepato, sovrastato da un piccolo specchio ridotto nelle stesse condizioni.

«I tuoi Incantesimi di Disillusione sono sempre incredibili» commentò Alice, osservando ammirata il risultato ottenuto. Rose era forse l’unica del suo anno in grado di compiere quell’incantesimo in modo efficace.

Le due ragazze uscirono come se niente fosse dal bagno, nelle orecchie l’eco dei fastidiosi lamenti di Mirtilla e nella mente un vortice di pensieri rivolti alla pozione. Che l’unico modo per ottenere l’ingrediente mancante fosse il furto? Rose iniziava a essere convinta di non avere altra scelta che non fosse quella di frugare fra le scorte di Lumacorno, pregando di non farsi beccare. Lei e Alice avevano programmato tutto alla perfezione, tralasciando solamente quel dettaglio. “Non che ci sia stato molto da programmare” ammise tra sé; gli altri ingredienti della pozione erano compresi nelle scorte personali degli studenti, e l’unico problema che dovettero risolvere consisteva nel trovare un luogo sicuro per attuare il piano. Persa com’era tra le sue riflessioni, Rose non si accorse che Alice le stava parlando.

«… e quindi dobbiamo per forza inventarci un’altra soluzione… Rosie, mi stai ascoltando?»

Rose sobbalzò, esibendosi in un sorriso di scuse. Alice si limitò ad alzare gli occhi al cielo, fermandosi nel bel mezzo del corridoio deserto.

«Stavo dicendo che non possiamo rubare dall’ufficio di Lumacorno».

«E perché? Posso chiedere di nuovo il Mantello a Lily, sono sicura che…»

«Non c’entra quello! Ok, forse in parte sì, però non è ciò che intendevo» esclamò Alice, trattenendo uno starnuto e maledicendo a mezza voce il raffreddore.

«E allora cosa?»

«Non è sicuro andare in giro a trasgredire le regole con Malfoy e Potter che ci stanno alle calcagna! Hanno saputo della visita alle cucine, e indossavamo perfino il Mantello. Se ci cogliessero sul fatto a rubare dalle scorte di un professore, non credo si limiterebbero a toglierci punti».

«Ci denuncerebbero alla Preside…» sussurrò Rose, annuendo lentamente.

«Esattamente. Ci sarà un altro modo che non implichi l’espulsione».

Rose cominciò a camminare in tondo, la mano a carezzarsi il mento e la mente che lavorava frenetica. Lumacorno, da persona mattiniera qual era, si ritirava nei suoi alloggi relativamente presto e questo concedeva qualche ora in più per compiere il furto. Qualcun altro doveva svolgere il lavoro sporco al posto loro, ma chi? Era necessaria una persona fidata, scaltra, abituata a gestire il pericolo e l’adrenalina e, soprattutto, immune alla minaccia costituita dai due Prefetti Serpeverde. Qualcuno che sarebbe stato in grado di sgusciare nell’ufficio del professore ed uscirne senza lasciare tracce. Magari uno studente che si trovasse già fuori dalla Sala Comune…

«Ho avuto un’idea».

Alice si girò di scatto verso l’amica, gli occhi spalancati e le sopracciglia aggrottate. Rose non perse tempo: le afferrò il braccio e iniziò a correre per il corridoio, ansimando mentre le parlava concitata.

«James. Ha una punizione questa sera, l’ho sentito in Sala Grande che si lamentava. Per lui rubare un ingrediente sarà un gioco da ragazzi, non farà troppe domande. E poi, Albus non lo denuncerebbe mai, insomma, è suo fratello… ma dove sarà adesso?»

«Non ne ho idea, ma non credi che possa dire tutto a Potter e Malfoy?»

«No, se lo pregherò di non rivelare nulla a nessuno. Anche se non sembra, James sa essere molto discreto, quando vuole».

Erano ormai arrivate davanti al ritratto della Signora Grassa. Si precipitarono in Sala Comune, ritrovandosi James sdraiato sul divano rosso davanti al camino. Circondato dal solito gruppo di amici.

«James, posso parlarti?» tentò Rose, attirando la sua attenzione.

«In privato» aggiunse, quando si accorse che suo cugino Fred, Lysander e Frank la squadravano incuriositi.

«Che cosa devi rivelare di così segreto a Jamie?» scherzò Fred, scompigliandosi i capelli rossi e rivolgendole un sorrisetto. Lanciò un bacio ad Alice, ottenendo come risposta un’alzata di sopracciglia, e si incamminò verso il Dormitorio seguito da Lysander che salutava allegramente con la mano.

«Non hai sentito cosa ha detto Rose?» domandò sarcastica Alice al fratello, seduto in bilico su un bracciolo del divano. Frank si esibì in un sospiro rassegnato, per poi alzarsi e dirigersi dagli amici, scomparendo presto alla vista.

«Quindi», iniziò James, «che cosa volevi dirmi?»

«Voglio chiederti un favore, ma non devi fare domande» proferì Rose, ignorando l’occhiata interrogativa del cugino. «Ci servirebbe un ingrediente piuttosto raro per terminare una pozione, un ingrediente che si trova solo nella scorta personale di Lumacorno. Si tratta di uova di Runespoor, hanno l’aspetto di piccole palline gialle. Ecco… diciamo che io e Alice non siamo nella condizione ideale per rubare dall’ufficio di un professore, quindi… visto che questa sera sei fuori dalla Sala Comune per la punizione… pensavamo che avresti potuto farlo tu. E ti sarei davvero grata se non ne parlassi con nessuno».

James ascoltò tutto in silenzio, osservando con cipiglio serio Rose che gesticolava e pronunciava parole a raffica.  Terminato il discorso, si spostò sul lato sinistro del divano e tamburellò con la mano un cuscino, facendo cenno alle due ragazze di sedersi.

«Ma che pozione state preparando?» non riuscì a evitare di chiedere.

«Avevamo detto niente domande» gli ricordò Rose con voce incerta.

James si guardò intorno, un’espressione combattuta dipinta in volto. Rose strinse le labbra, sicura che il cugino stesse valutando i pericoli di un favore di quella portata, e si mordicchiò nervosamente la guancia.

«E va bene, finita la punizione vi ruberò questo maledetto ingrediente… a patto che voi facciate un favore al sottoscritto» aggiunse, notando il luccichio di gioia che brillava negli occhi delle ragazze. «Voglio che mi procuriate un appuntamento con Penelope Nott».

Rose strabuzzò gli occhi, sperando che il cugino stesse scherzando, mentre Alice scoppiò a ridere, a scopo di mascherare la sorpresa provocata da quella richiesta.

«Non dirai sul serio, vero?» bisbigliò Rose, così piano da non essere sicura che James avesse sentito.

«Stai parlando di quella Penelope Nott? Serpeverde, timida, praticamente inavvicinabile? Sorella di uno dei migliori amici di Pot… di tuo fratello?» domandò Alice scettica.

«Proprio lei» confermò James, con un sorriso divertito.

«Ma se non ci hai neanche mai scambiato una frase!»

«È proprio per questo che esistono gli appuntamenti, Rosie. Sentite, non voglio rischiare di rovinarmi la reputazione ricevendo un no, e con lei ci sono alte probabilità che accada… insomma, da quel che mi ricordo ha rifiutato qualunque proposta abbia ricevuto dai ragazzi».

«E cambierebbe qualcosa, se glielo chiedessimo noi?»

James si esibì in uno sbuffo esasperato. «Voi», rispose, sottolineando la parola, «dovrete sondare discretamente il territorio e poi, quando sarete certe che io gli interessi, vi farete avanti. La prima uscita a Hogsmeade si avvicina… quindi non aspettate troppo».

Rose si scambiò uno sguardo d’intesa con Alice e allungò titubante una mano. James la strinse con forza, le labbra piegate in un sorriso sghembo, dopodiché si alzò dal divano, si spolverò la divisa e si pettinò alla bell’e meglio i capelli con le dita.

«Ah, e se per caso ignoraste la vostra parte del patto dopo che io vi abbia dato l’ingrediente», aggiunse girando leggermente la testa, «non mi farò scrupoli a raccontare della vostra pozione segreta in giro per il castello».

Il ragazzo si incamminò verso i Dormitori e sparì alla vista, lasciando Rose e Alice davanti al camino a riflettere sul guaio in cui si erano cacciate.








Angolo autrice

Ehii, sono tornata con un nuovo capitolo.
Finalmente Rose e Alice smettono di cercare alla cieca in biblioteca e decidono di fare qualcosa. Ma a che cosa porterà il ritrovamento degli oggetti oscuri a Diagon Alley? E le due ragazze come si comporteranno ora che Scorpius e Albus sembrano scoprire ogni loro mossa? Ringrazio sempre di cuore le persone che hanno inserito la storia nelle seguite, mi fa davvero piacere.
Alla prossima,
ChiarainWonderland
 

 

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Capitolo 8
*** Indagini in corso ***


CAPITOLO SETTIMO

INDAGINI IN CORSO


«È un cuor di leone tuo cugino, non credi?»

Alice cosparse la torre di pancake che si ergeva sul piatto dorato con una buona dose di sciroppo d’acero, attenta a non urtare il calice colmo di succo di zucca. Rose si incantò a fissare i rivoli colanti di sciroppo, la mano a sostenere il mento. Era consapevole che le occhiaie violacee che contornavano gli occhi dell’amica erano un’immagine riflessa delle proprie. Quella notte entrambe si erano trovate in balia di un sonno frammentato e tormentato da pensieri riguardanti il patto che avevano stipulato poche ore prima. Rose si ricordava di una nube opaca di incubi, aventi come protagonisti James espulso dalla scuola per essersi fatto beccare, o lei e Alice che fallivano nell’intento di ottenere un appuntamento da Penelope Nott. O peggio ancora, il venir cacciate dal castello a causa della pozione segreta davanti allo sguardo derisorio dell’intera popolazione studentesca.

«Insomma, una richiesta del genere me la sarei aspettata più da un Serpeverde o un Corvonero» continuò Alice implacabile, tagliando con foga il bacon abbrustolito. Rose arricciò il naso allo stridio del coltello sul piatto. Alice non la smetteva di lamentarsi da quando erano entrate in Sala Grande per la colazione e avevano notato l’assenza di James. Rose non si era dimostrata eccessivamente preoccupata: la prima ora di lezioni era già iniziata, portandosi via la maggior parte degli studenti e permettendo a lei e Alice di godersi l’ora buca e la sala poco affollata con un’altra decina di fortunati. Samantha e Isabel erano corse verso l’aula di Divinazione dopo aver trangugiato metà ciotola di porridge a testa.

«James può essere impavido quanto vuole, ma non è di certo un incosciente. Sa distinguere una realtà possibile da un desiderio irrealizzabile».

«Desiderio irrealizzabile? Secondo me l’animo Serpeverde di suo fratello l’ha influenzato, ecco tutto».

«Può darsi. L’unica cosa di cui ho la certezza è che James non è a Grifondoro per il coraggio, ma per l’orgoglio» commentò Rose, portandosi alla bocca un’abbondante forchettata di uova. Scosse la testa, cercando di spostare la ciocca di capelli che le era finita in faccia. Quella mattina le occhiaie erano elegantemente incorniciate da un groviglio color carota, colpevole di averle provocato un infarto non appena aveva rivolto uno sguardo allo specchio. Alice osservava la suddetta chioma – se così si poteva definire – con un sorriso divertito, ringraziando Merlino di essersi fatta una coda alta prima di uscire dal Dormitorio e consapevole che i suoi capelli si sarebbero trovati nella stessa identica situazione.

«Parlando di cose serie», cambiò argomento all'improvviso, «tu hai idea di come possiamo procurarci quel maledetto appuntamento senza fare la figura delle idiote?»

Rose si guardò intorno, sperando in un’ispirazione improvvisa. Facendo scorrere lo sguardo sul tavolo dei Serpeverde individuò Millie, intenta a ridere rumorosamente sputacchiando succo di zucca sotto lo sguardo infastidito dei compagni. L’attenzione di Rose fu però attirata dalla persona che le era seduta accanto e che rideva insieme a lei, seppur in modo più contenuto. Penelope Nott.

«Da quant’ è che Millie è in confidenza con la Nott?» chiese ad Alice, non aspettandosi una risposta.

«Non lo so, non sono a conoscenza del suo giro di amicizie oltre a noi. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere la migliore amica di Malfoy».

All’udire quel nome, Rose avvertì il suo cuore mancare un battito. Si maledisse mentalmente. «Non dirlo neanche per scherzo» esclamò, guadagnandosi le occhiate interrogative dei pochi studenti lì accanto.

Alice alzò le spalle. «Li ho visti chiacchierare insieme un po’ di volte, a Babbanologia… se frequentassi il corso, al posto di quella noia mortale di Rune Antiche, l’avresti notato anche tu. Malfoy aveva tutta l’aria di una persona amabile».

«Non credo di aver mai udito ossimoro più grande», dichiarò Rose placidamente, «però l’amicizia tra Millie e la Nott potrebbe rivelarsi utile».

«Non vorrai chiedere a Mildred consigli su come ottenere un appuntamento, vero?» chiese Alice, strabuzzando gli occhi.

«Ovviamente no, voglio informazioni su Penelope».

«Menomale… pensala come vuoi, ma l’ossimoro più grande che io abbia mai sentito ha come protagoniste le parole “Mildred” e “romanticismo”».

Rose si esibì in un sorriso divertito e riportò lo sguardo sul tavolo dei Serpeverde, dove Penelope stava leggendo assorta un libro dall’aria pesante. Di Millie non c’era traccia.

«Miseriaccia» bisbigliò a mezza voce, ignorando l’occhiata interrogativa di Alice e osservandosi rapida intorno. Avvistò l’amica dalla chioma color caramello mentre stava per uscire dal portone della sala, la borsa in spalla e la divisa svolazzante. Rose non perse tempo: balzò in piedi e afferrò Alice per un braccio, alzando gli occhi al cielo nell’udire le sue deboli lamentele riguardo il voler finire la colazione. In un attimo raggiunsero la Sala d’Ingresso.

«Millie! Millie… aspetta un momento».

La Serpeverde si fermò all’improvviso sulle scale che stava salendo frettolosamente, a metà tra un piano e l’altro, e rivolse gli occhi scuri verso l’origine della voce che la chiamava con foga.

«Wealsey! Paciock! Qual buon vento…»

«Hai un minuto?» la interruppe Rose.

Millie annuì lentamente, le sopracciglia aggrottate. Rose si guardò intorno furtiva, consapevole che la Sala d’Ingresso non fosse il posto adatto per parlare senza essere ascoltate. S’incamminò con le due amiche nel primo corridoio a destra, che si affacciava in uno dei tanti cortili verdeggianti del castello, e si fermò accanto a uno dei grandi archi decorativi in pietra. Si perse a osservare le foglie secche che ricoprivano il terreno come un prezioso tappeto persiano, sforzandosi di pensare a come iniziare quella conversazione senza risultare inopportuna.

«Abbiamo chiesto un favore a James» dichiarò. Si maledisse per la seconda volta quella mattina, consapevole che la sua mente avrebbe potuto fare molto di meglio. Millie si esibì in un’espressione confusa, lanciando uno sguardo dubbioso ad Alice che, per tutta risposta, strinse le labbra.

«Ma mio cugino ha ovviamente voluto qualcosa in cambio, e per questo abbiamo bisogno del tuo aiuto…», cercò di spiegarsi Rose, «… perché, vedi… vuole che gli procuriamo un appuntamento con Penelope Nott».

Di tutte le reazioni che avrebbe potuto manifestare Millie, la risata era quella che Rose si aspettava di meno: la sorpresa magari, o l’indignazione, ma non il scoppiare a ridere sguaiatamente. Eppure è proprio quello che accadde. Rose e Alice non aprirono bocca, incredule, finché anche l’ultimo eco rimbombante della risata dell’amica non si disperse nei meandri della scuola.

«State scherzando, vero?» domandò Millie, il riflesso di un sorriso ancora brillante sul suo volto. Alice si limitò a negare scuotendo la testa, mordendosi nervosa il labbro inferiore.

«Wow, non avevo idea che… insomma, che Potter fosse interessato a Penny in quel modo, altrimenti gliene avrei già parlato. Ha una cotta tremenda per lui da… non mi ricordo neanche da quanto tempo, ma l’ha sempre considerata una realtà lontana, una debolezza. Francamente, Penny non è esattamente il suo tipo e lei lo sa bene» rivelò Millie distrattamente, non accorgendosi dell’espressione sorpresa e trionfante che si stava facendo largo sui volti delle due Grifondoro.

«Quindi, accetterebbe volentieri un appuntamento con mio cugino?» domandò Rose speranzosa.

«Se lo accetterebbe? Farebbe i salti di gioia, ve lo dico io. Ha sempre rifiutato tutti i ragazzi che le si dichiaravano, anche se cercavo inutilmente di convincerla nel dare una possibilità a uno di loro e lasciare il passato alle spalle. Ma non sprecate tempo ad avanzare voi stesse l’invito di Potter, ci rimarrebbe solamente male. Penny detesta le persone che si nascondono dietro agli altri».

La luce d’entusiasmo di cui erano colmi gli occhi celesti di Rose si placò leggermente. Alice al contrario annuiva lentamente, come se le fosse balenata alla mente un’idea.

«Ora devo andare, tra poco ho un’ora di Alchimia e ho lasciato il libro in Dormitorio… Samantha mi starà già aspettando» proclamò Millie, per poi percorrere a passo di marcia il corridoio e sparire dietro l’angolo.

Rose e Alice si guardarono sollevate, sorprese che tutto si fosse rivelato così facile, e si incamminarono di nuovo verso la Sala d’Ingresso, confabulando su come organizzare l’appuntamento senza farsi scoprire da Penelope.

«Potremmo scrivere un biglietto con la firma di James, come se fosse opera sua» propose Alice.

«Sì, credo che sia la soluzione migliore. Ci aggiungiamo il luogo d’incontro e…»

Rose fu interrotta dall’assordante scoccare dell’ora scandito dall’enorme e antico pendolo del castello, che si propagava implacabile nei corridoi e nelle aule. Lanciò uno sguardo allarmato all’amica: la seconda ora stava per iniziare.

«Erbologia!» esclamò Alice, battendosi la mano sulla fronte.

Le due ragazze iniziarono a correre, uscirono dal portone principale della scuola e si fiondarono verso le serre, attraversando l’orticello ed entrando nella prima costruzione di vetro a destra. Subito vennero avvolte da un umido tepore e dall’odore aspro del terriccio. Si guardarono intorno, notando con immenso sollievo la mancanza del professor Paciock, e raggiunsero Isabel che aveva riservato loro due posti. La lezione incominciò poco dopo, lenta come granelli di sabbia che scorrono in una clessidra e come l’ora seguente, in cui Alice e Rose si dovettero separare. La prima si recò al terzo piano per la lezione di Babbanologia, mentre la seconda salì al quinto piano, raggiungendo l’aula di Rune Antiche. Entrando nella Sala Grande a pranzo, Rose individuò subito James seduto tra Fred e Lysander, intento a chiacchierare con una bella brunetta, forse del quinto anno, che sembrava pendere dalle sue labbra. Alzò gli occhi al cielo, per poi raggiungere Alice, già seduta e con il piatto pieno.

«Non disturbarti a chiederglielo, l’ho già fatto io» la informò Alice distrattamente, lo sguardo rivolto al tavolo di Serpeverde dove Albus stava chiacchierando animatamente con quella che ormai si poteva definire la sua ragazza. Rose lo fulminò con lo sguardo.

«E quindi?»

«Ha alzato un pollice, per poi mimare con la bocca la parola “allenamenti”, quindi deduco che sia riuscito a procurarsi l’ingrediente senza farsi espellere».

Rose chiuse gli occhi, liberando il respiro che stava inconsciamente trattenendo e ringraziando Merlino per la buona riuscita del piano. Il resto della giornata fu un totale calvario, che le ragazze trascorsero tra sbuffi ansiosi e sospiri impazienti. Restare sedute sui banchi si era dimostrata una vera e propria tortura, con la consapevolezza che la pozione Aguzzaingegno si trovasse incompiuta nel bagno di Mirtilla e che l’ultimo ingrediente fosse più vicino che mai. Rose poteva quasi percepire la consistenza granulosa e viscida delle uova di Runespoor sulla mano. Gli allenamenti del tardo pomeriggio trascorsero in un lampo, e il Quidditch fu in grado di eliminare la maggior parte dei pensieri dalla mente delle ragazze almeno per qualche ora. James si attardò più del solito fuori dagli spogliatoi, assicurandosi che tutti i compagni fossero tornati al castello e che non ci fosse nessuno nei paraggi. Consegnò a Rose un barattolo di vetro non appena lei e Alice lo raggiunsero e se ne andò silenziosamente.

Rose controllò il contenuto del barattolo, per poi infilarselo nella borsa e incamminarsi verso il castello seguita da Alice. Raggiunsero in fretta il bagno al secondo piano e ricevettero una calda accoglienza da Mirtilla non appena misero piede sul freddo pavimento di pietra. Il fantasma iniziò a ululare a gran voce.

«Non di nuovo, per favore» implorò Rose, mentre annullava l’incantesimo di Disillusione con un movimento fluido della bacchetta. Subito nel lavandino più vicino apparve il calderone contenente l’intruglio grigiastro.

La ragazza tirò fuori dalla borsa Pozioni Avanzate e scorse rapidamente le pagine fino a trovare la ricetta giusta. Poi sollevò il barattolo di vetro, facendo scorrere lo sguardo tra il contenuto e le indicazioni fornite dal libro di testo.

«Miseriaccia… ce n’è solo per una dose…»

«E allora? La prendi tu, no? L’importante è che la pozione funzioni» la tranquillizzò Alice.

Rose annuì respirando profondamente, poi stappò il barattolo e gettò i piccoli granuli gialli nell’intruglio. Con il mestolo girò sei volte in senso orario e una in senso antiorario, ripetendo l’operazione per quattro volte. Il liquido nel calderone aveva assunto la stessa sfumatura grigia di quello nell’ampolla di McLaggen.

«È pronta» dichiarò Rose, frugando nella borsa e afferrando una provetta di vetro. La riempì fino all’orlo di pozione grigiastra.

Alice le si avvicinò, mettendole una mano sulla spalla e rivolgendole un sorriso di incoraggiamento. Rose si portò la provetta alle labbra e bevve l’intruglio in un sorso solo. Avvertì un sapore opaco invaderle la bocca, ma non lo trovava necessariamente fastidioso. Era come se avesse bevuto dell’aria polverosa, rimasta intrappolata in una stanza chiusa a chiave per troppo a lungo. Nel secondo successivo percepì distintamente qualcosa scattare nella sua testa, come uno schiocco di dita, e il suo cervello iniziò a lavorare frenetico, invaso da immagini del medaglione e della donna dagli occhi celesti immortalata immobile nella fotografia.

«Ok, fino ad ora ci siamo concentrate sui libri riguardanti oggetti magici e personaggi famosi del ventesimo secolo, giusto?»

«Esatto, abbiamo letto il Catalogo dei manufatti del sedicesimo e diciassettesimo secolo, Maghi celebri del ventesimo secolo, Storia di Hogwarts, Oggetti oscuri nel corso dei secoli, Storia della magia moderna, Gingilli Incantati… e molti altri ancora, per non parlare della visita al Reparto Proibito».

«I Babbani che hanno fatto la storia? Unioni tra stirpi? Indice completo degli artefatti maledetti? Tutti controllati, vero?»

Alice annuì convinta. Rose ripose gli strumenti e il libro nella borsa, fece scomparire con un colpo di bacchetta la pozione avanzata, rese il calderone nuovamente invisibile e per buona misura pulì il lavandino con un Gratta e netta.

«Calderone Locomotor» pronunciò, e uno scricchiolio, come di un oggetto che si sollevava, confermò la buona riuscita dell’incantesimo.

Le ragazze uscirono dal bagno confabulando tra loro, la presenza del calderone invisibile e svolazzante che incombeva sulle loro teste, e si diressero verso i sotterranei per riportare gli strumenti al proprio posto nell’aula di Pozioni. Ovviamente Rose dopo pranzo si era accertata che non ci fosse nessuna lezione.

«… ci dev’essere per forza un libro che ci è sfuggito… sento che manca qualcosa».

«Enciclopedia dei monili perdutiLuci incantate… tutti ispezionati» constatò Alice, mentre osservava l’amica rimettere il calderone nell’armadio con gli altri.

«Pare di sì» le rispose Rose, mordendosi pensierosa il labbro.

«Chiedere aiuto a un insegnante è fuori discussione, vero?»

«Ovviamente. Confischerebbero il medaglione senza perdere tempo ad ascoltarci».

«Potrebbe essere un bene, non trovi?» tentò Alice incerta.

Rose le rivolse uno sguardo corrucciato. «Non consegnerò il medaglione a un professore, Alice. È l’ultima cosa che farei, in questo momento» dichiarò.

«Va bene, va bene… era solo un’idea. È che abbiamo controllato la Biblioteca da cima a fondo, e non so più cosa…»

«Aspetta un secondo», la interruppe Rose, un luccichio furbo negli occhi celesti, «noi non abbiamo controllato tutta la Biblioteca».

Alice le rivolse uno sguardo interrogativo, avvicinandosi inavvertitamente di un passo. «Che cosa intendi dire?»

«La collezione di giornali di Madama Wells, non ci hai mai pensato? Chissà quanti tesori si possono scoprire, in quelle pagine».

«Certo, come se fosse possibile, quella donna non ci darà mai il permesso per… Oh no Rosalie, non se ne parla neanche», esclamò notando il sorrisino che increspava le labbra dell’amica, «…noi non ci infiltreremo nella Biblioteca di notte, non con Potter e Malfoy che scoprono tutto quello che facciamo. Mi dispiace ma l’argomento per me è chiuso».

 

*    *    *

«Ti odio» riuscì solamente a pronunciare Alice, mentre lei e Rose percorrevano i corridoi semibui e deserti del castello sotto al Mantello dell’Invisibilità e in camicia da notte. Erano uscite dalla Sala Comune a venti minuti dalle undici.

«Non è vero» bisbigliò Rose con un sorrisino.

Alice fece finta di pensarci su, carezzandosi il mento con una mano. «Ok, ma solo perché questa volta mi hai permesso di indossare un paio di calze…», ammise, lanciando un’occhiata ai suoi calzini rosa, «… anche se credo che il raffreddore peggiorerà, con questo freddo».

Rose annuì distrattamente mentre osservava le alte volte dei corridoi con il naso all’insù. Le ronde dei Prefetti avrebbero avuto inizio in un quarto d’ora. Lei e Alice dovevano sbrigarsi, se non volevano essere colte con le mani nel sacco.

Presto arrivarono davanti all’enorme portone della Biblioteca. Madama Wells non lo chiudeva mai, convinta che le porte del sapere dovessero rimanere costantemente aperte. Percorsero l’enorme sala scivolando tra le miriadi di scaffali fino ad arrivare dall’altro lato, dove un arco di pietra fungeva da collegamento a un’altra stanza. L’ufficio della bibliotecaria.

La scrivania di mogano era provvista di quattro cassetti giganteschi, che Rose sapeva essere colmi di giornali. Ne aprì uno con un Alohmora, notando con espressione confusa che conteneva solamente le edizioni di tre anni.

«Che strano… insomma, qui non possono starci anche le copie più antiche…»

Si interruppe, guardandosi sorpresa intorno. Due enormi armadi occupavano l’intera superficie delle pareti laterali, riempiti da decine dei medesimi cassetti della scrivania. Sopra ognuno di essi, in bella vista, era applicata una targhetta con scritti dei numeri. “Anni” pensò Rose.

«Oh no…» sussurrò Alice, che aveva seguito lo sguardo dell’amica.

«Aspetta un attimo» disse Rose cercando di non perdere la calma, l’effetto della pozione Aguzzaingegno non ancora del tutto svanito, «il venditore ambulante aveva detto di possedere il medaglione da anni…»

«Poteva intendere qualunque cosa, Weasley! Cinque, dieci, quindici…»

«E lo guardava in modo strano, quando me lo consegnò, come se ci fosse affezionato… come se lo avesse da molto tempo. E mi sorrise, quasi a dimostrare la soddisfazione di liberarsene».

Alice guardò Rose con un sopracciglio alzato, gli occhi colmi di dubbio e curiosità.

«E la fotografia… la fotografia sembra antica… di una quarantina d’anni, forse» dichiarò Rose, controllando le targhette dei cassetti. «Io direi di controllare le copie dagli anni ’80 in giù».

Non seppero dire quanto tempo stettero a rovistare tra i cassetti e a sfogliare giornali, poteva trattarsi di qualche minuto come di un’eternità. Le notizie si contavano a centinaia, essendo quello il periodo della Prima Guerra Magica. Sparizioni, rapimenti, omicidi… ogni edizione sembrava una lista di persone morte o scomparse nel nulla. L’unica cosa che distrasse Rose da quella ricerca contro il tempo fu il sospiro mozzato di Alice che riempì l’ufficio. Le si avvicinò, constatando che l’amica stava osservando insistentemente un articolo lungo neanche mezza pagina sotto la fievole luce della bacchetta.

«È del 1973» proclamò Alice con voce tremante.

Rose avvertì brividi gelidi percorrerle tutto il corpo e il battito del proprio cuore accelerare. Perché gli occhi che stava fissando in quel momento, quegli occhi celesti impressi nella piccola immagine stampata sul giornale, erano gli stessi della donna della fotografia. Gli stessi capelli biondi, lo stesso viso dai tratti vagamente nordici. Era lei.

Le ragazze cominciarono a leggere, Rose con gli occhi luccicanti dall’emozione e Alice con le sopracciglia sollevate dalla sorpresa.

“… Georgiana Harris, l’ennesima vittima di questa settimana, è stata trovata morta nella casa dove viveva con il marito babbano Steven Harris. Si presume che la strega sia stata uccisa brutalmente da uno dei Mangiamorte di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, anche se il motivo risulta essere ignoto. Il marito, all’apparenza scomparso nel nulla, potrebbe essere stato rapito e delle squadre di ricerca stanno setacciando i territori circostanti nella speranza di indizi…”

Alice lanciò a Rose uno sguardo perplesso. «Tutto qui?»

Rose annuì debolmente. «Ricordati di che periodo stiamo parlando. A quel tempo una notizia del genere era piuttosto comune. Sposata con un babbano… questo spiega il motivo per cui la fotografia che ho comprato non è magica. Gliel’avrà scattata il marito».

«Certo, ma questa Georgiana Harris potrebbe essere una strega qualunque! Una delle tante vittime della Prima Guerra Magica… per Merlino, e se Voldemort centrasse in tutta questa storia?» esclamò Alice allarmata.

«Shhh, fai piano! Voldemort è morto, mentre il medaglione no… è vivo, ha emesso quella strana luce. E poi, noi non conosciamo ancora l’identità di questa Georgiana» sussurrò Rose.

Alice le rivolse un’occhiata interrogativa, a cui Rose rispose con un’alzata di occhi al cielo. «Harris è il cognome del marito, l’ha preso quando si è sposata. Non sappiamo quale fosse il suo cognome da nubile e da quale famiglia provenisse» le spiegò.

«Hai ragione…», commentò Alice pensierosa, «…ma ora andiamocene, credo si sia fatto piuttosto tardi».

Rose illuminò con la bacchetta il piccolo orologio che si trovava sulla scrivania di Madama Wells. Mezzanotte meno dieci.

«Sì, muoviamoci».

Le ragazze riordinarono l’ufficio, posizionando ogni cosa esattamente così come l’avevano trovata e stando attente a non lasciare tracce. Percorsero a ritroso gli scaffali della Biblioteca e s’infilarono nel primo corridoio a destra, dirette verso la Sala Comune. Rose era elettrizzata: finalmente aveva compiuto un passo avanti. Se il medaglione rappresentava un enigma ancora irrisolto, i contorni della donna della fotografia erano divenuti notevolmente più nitidi, il mistero meno aggrovigliato. Rivolse un sorriso sincero ad Alice, che venne subito ricambiato. Erano entrambe così prese dai loro pensieri che quasi non si accorsero delle due lunghe ombre che si accorciavano man mano che venivano verso di loro.

«Miseriaccia…» bisbigliò Rose, trascinando Alice in un corridoio adiacente, appiattendosi contro il muro e appurando che il Mantello le coprisse interamente.

Pochi secondi dopo, con sommo orrore delle ragazze, apparvero Albus Potter e Scorpius Malfoy nelle lustre divise con lo stemma di Serpeverde, intenti a chiacchierare sommessamente. Si fermarono nel bel mezzo del corridoio, apparentemente ignari di essere osservati. La ronda sarebbe terminata da lì a pochi minuti e, dalle facce insonnolite dei due ragazzi, si poteva intuire che non vedessero l’ora di andare a letto. La luce lunare che filtrava da una finestra lì vicino li illuminava per intero, e Rose evitò di fissare i profondi occhi grigi del biondo tentando di concentrarsi su qualcos’altro. L’antica pergamena che teneva in mano suo cugino, per esempio. A una seconda occhiata, quella pergamena aveva un’aria familiare. Estremamente familiare. A Rose sembrava di averla vista già numerose volte, e per un buon motivo.

«Ma certo!» bisbigliò concitata, attirando l’attenzione dell'amica. «La Mappa… Albus ha la Mappa del Malandrino! Sono un’idiota!»

Alice allargò gli occhi, un barlume di comprensione nelle iridi castane. I due ragazzi erano troppo lontani e presi dalla loro conversazione per accorgersi dei sussurri delle Grifondoro.

«La utilizzano nelle ronde, quelle due teste di Troll, per semplificarsi il lavoro! Ecco come…»

«…come hanno fatto a scoprire della nostra gita alle Cucine! Ci hanno viste sulla Mappa! Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima?» completò Alice, mordendosi il labbro inferiore.

«E pensare che ero arrivata a sospettare che fosse colpa di Lily… lei non farebbe mai una cosa del genere».

«Ma come mai questa notte non ci hanno ancora beccate?»

Rose riportò lo sguardo sui ragazzi, la Mappa chiusa e al sicuro nella presa ferrea del cugino.

«Magari non l’hanno usata» ipotizzò, ricevendo un’occhiata scettica dall’amica. «Oppure non hanno controllato la Biblioteca. D’altronde il castello è immenso, e ci sono ben altri posti in cui una persona andrebbe durante un giro notturno».

«Comunque sia andata, abbiamo avuto una fortuna spacciata» commentò Alice, osservando i due Serpeverde riprendere lentamente a camminare e sparire dietro l’angolo.

«Concordo. E sarà meglio tornare il prima possibile in Dormitorio, prima di venire scoperte veramente. Non si sa mai, con la Mappa in loro possesso».

Si girarono e attraversarono velocemente il corridoio in cui si erano nascoste, decise a evitare il percorso che portava anche ai Sotterranei a costo di allungare la strada. Il Mantello svolazzante nell’aria avrebbe permesso a chiunque fosse passato di lì di intravedere i piedi nudi di Rose e i calzini rosa di Alice.








Angolo autrice

Ehilà, sono (finalmente) tornata con un nuovo capitolo.
E (sempre finalmente, direi) il mistero sembra dipanarsi leggermente, anche se c'è ancora tanto da scoprire e da raccontare. Per quanto riguarda la situazione con Scorpius e Albus la Mappa del Malandrino era abbastanza prevedibile, ma ovviamente Rose e Alice non sono due Corvonero... e alla fine è stata necessaria l'evidenza. Bisogna però ammettere che l'utilizzare la Mappa durante le ronde non può essere effettivamente definito un comportamento da Prefetto onesto. Detto questo, ringrazio sempre di cuore le persone che seguono e recensiscono la storia e fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima,
ChiarainWonderland

 

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Capitolo 9
*** Grifondoro e Corvonero ***


CAPITOLO OTTAVO

GRIFONDORO E CORVONERO


East Hampshire, 18 aprile 1968

Georgiana fissava assorta il panorama su cui si affacciava la finestra del suo salottino privato, contemplando i fiori che ornavano il parco della tenuta di famiglia. Cardi, narcisi, rose, viole, tulipani, gigli… il loro profumo sembrava quasi trapassare il vetro, portato dalla leggera brezza primaverile. La ragazza fece scorrere la mano sulla stoffa ruvida color turchese che rivestiva la poltroncina su cui si era abbandonata pochi minuti prima. Da quando aveva terminato gli studi a Hogwarts, l’anno precedente, trascorreva le sue giornate occupandosi dei giardini, curando le delicate piante e gli alberi secolari che gli stavano così a cuore. Se sua madre avesse potuto notare in quel momento le unghie sporche di terriccio, avrebbe emesso un urletto indignato. Georgiana si abbandonò a una risata sommessa, pensando alle eccentriche abitudini e ai modi eccessivamente eleganti di quella che aveva sempre considerato la donna più importante della sua vita. Non riuscì a evitare una fitta di amarezza nel constatare che i ricordi si rivelavano sempre più sbiaditi ogni giorno che passava. Il cigolare della porta la fece sussultare, portandola a rivolgere l’attenzione all’uomo alto che entrò nella stanza. Suo padre.

«Georgiana» proferì ritto e serio, lo sguardo di disapprovazione puntato sui capelli biondi e spettinati della ragazza.

«Padre» rispose Georgiana, il tono di voce dolce e pacato che rispecchiava il suo animo di Tassorosso.

«Devo parlarti».

La ragazza si alzò in piedi, passandosi le mani sul vestito verde smeraldo come a togliere della polvere che non c’era, e si avvicinò di qualche passo.

«Domani sarà il giorno del tuo diciannovesimo compleanno…», iniziò suo padre, «…un giorno importante. Se tua madre fosse ancora qui, sarebbe molto fiera di te».

Georgiana non si lasciò abbindolare dalle lusinghe dell’uomo davanti a sé. La voce era fredda come il ghiaccio, e non lasciava trapelare né affetto né orgoglio. Per quanto rispetto potesse avere per lui, il comportamento di suo padre nei suoi confronti rasentava l’indifferenza. La ragazza non aveva mai compreso se la mancata dimostrazione di sentimenti derivasse da uno stile di vita troppo impegnato o da una semplice propensione alla compostezza e alla rigidità.

«Grazie, lo apprezzo molto» si limitò a rispondere, portandosi una ciocca di capelli biondi dietro all’orecchio.

«Sei una donna, ormai. Credo… sì, credo che tu sia abbastanza grande per questo» continuò suo padre, infilando una mano in tasca e tirando fuori un oggetto, che a una prima occhiata poteva essere scambiato per un innocuo gioiello. Georgiana l’aveva visto molte volte; ai balli privati organizzati nei saloni della grande villa, alle riunioni degli amici di suo padre che spiava dalla fessura della porta, alle sontuose cene dalle portate interminabili. Si trattava di un medaglione argenteo, decorato da una splendida pietra turchese e ornato da strani segni che sapeva essere un antico linguaggio runico. Era perfettamente a conoscenza di cosa avrebbe comportato quel dono.

«Volevo dartelo domani, ma poi ho pensato che con i festeggiamenti e tutto il resto… apparteneva a tua madre».

Georgiana spalancò gli occhi, facendo inavvertitamente un passo indietro. «No, io… io non lo posso accettare, davvero».

Negli occhi scuri di suo padre la ragazza scorse un lampo di confusione, accompagnato da un sorriso dubbioso. «Che cosa intendi dire? È tempo che lo abbia anche tu, tesoro».

Georgiana avvertì un brivido nell’udire l’ultima parola, pronunciata come se ci fosse voluto uno sforzo immane ad articolare le labbra. Aveva sempre saputo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma non così presto. Avvertì il panico invaderle la mente, come l’acqua invade una nave destinata ad affondare. Non poteva rinunciare alla libertà, alle passioni, alla felicità. “E a Steven” le ricordò una vocina nella sua mente.

«E se… se io n-non volessi? Se non volessi farne parte?» riuscì a pronunciare con un coraggio che non credeva di possedere.

Lo sguardo di suo padre si incupì, e le labbra si distesero in un ironico sorriso di pietra. «Oh, Georgiana…», bisbigliò, talmente piano che la ragazza quasi non sentì, «… è da quando sei nata che ne fai parte».

 

*    *    *

Hogwarts, 19 ottobre 2022

«È una brutta idea» sussurrò Alice, lanciando un’occhiata poco convinta al sottile biglietto ripiegato in una mano di Rose. Si erano rifugiate dietro a uno scaffale della Biblioteca e sbirciavano cautamente dalle fessure polverose tra i libri, il tutto a meno di un’ora dall’inizio della prima partita di Quidditch dell’anno scolastico. «Anzi, pessima. Assolutamente pessima».

«Da quel che mi ricordo l’hai avuta tu questa pessima idea. E non lamentarti solo perché abbiamo saltato la colazione».

«Sì, lo so che l’idea è stata mia. E no, non mi lamento solo perché tra poco dovrò volare su una scopa senza un briciolo di cibo nello stomaco», ci tenne a precisare Alice, «ma perché in questo momento dovremmo essere dirette verso il campo, come il resto della popolazione studentesca».

Rose strinse le labbra, accennando con la testa a ciò che osservavano furtivamente con interesse. «Non è colpa mia se la Nott è una delle poche anime solitarie che si rifugia in Biblioteca a studiare al posto di guardare la partita», asserì, lanciando un’occhiata ai pochi tavoli occupati da qualche studente chino sui libri. «Certo che con James non centra proprio niente… e poi, se fosse così innamorata di lui come ci ha detto Millie, non dovrebbe trovarsi sulle tribune a vederlo giocare?»

«Non mi interessa che cosa ha detto Millie! So solo che avremmo potuto riferirlo a James senza tanti giri di parole e farla finita. Non possiamo basarci su un piano che mi è venuto in mente mentre ero presa dall’entusiasmo e senza averci pensato sopra a sangue freddo. E se Penelope venisse a scoprire che ci siamo noi dietro a tutto?».

«È da una settimana che non dici altro, eppure sai benissimo il motivo per cui ho questo foglietto in mano. James ci ha ricattate per essere sicuro di ottenere ciò che desiderava…»

«Ricattate mi sembra esagerato» borbottò Alice.

«… e lo avrà in tutto e per tutto, rischi compresi. Ha minacciato di raccontare a tutti della pozione! Ci ha chiesto di procuragli un appuntamento e noi lo faremo. E non sto esagerando Alice, lo sai anche tu… vedila come una specie di rivincita».

Alice bofonchiò qualcosa di incomprensibile, ma evitò di rispondere. Rose sospirò, ripensando alla sfiancante settimana appena trascorsa e colma di allenamenti che aveva portato lei e Alice a rimandare il piano fino all’ultimo. La sua tendenza a procrastinare non aveva certo aiutato, ma ormai la prima uscita ad Hogsmeade si profilava imminente: avrebbe avuto luogo il giorno seguente. Alle ragazze non era rimasta altra scelta che agire in un momento non esattamente consono, alla cui ansia di farsi scoprire da Penelope si aggiungeva la trepidazione per la partita. James da parecchi giorni era divenuto intrattabile a causa della irremovibile determinazione nel voler vincere il Campionato e sottrarre la Coppa a suo fratello. Irascibile e nervoso, rispondeva a monosillabi e urlava ordini ai compagni di squadra, rendendo gli ultimi allenamenti un inferno.

«Non vorrei trovarmi nei nostri panni nel caso in cui arrivassimo in ritardo alla partita» sussurrò Alice flebilmente.

Rose sventolò la mano, come a voler scacciare il solo pensiero. Una ramanzina da parte di James avrebbe aggiunto la ciliegina sulla torta, quella mattina. Poco tempo prima, mentre i compagni erano impegnati a riempirsi lo stomaco in Sala Grande, le due ragazze si erano appostate nella Sala d’Ingresso in attesa della comparsa di Penelope. Rose si vergognò un po’ nel ricordare di come l’avessero tenuta d’occhio negli ultimi tempi, ma si era rivelato necessario. Solitamente Penelope si recava in Biblioteca alle otto e un quarto precise dopo colazione, in caso di ore buche o nel fine settimana. Puntuale come un orologio svizzero, anche quel sabato sbucò dal portone ignara di essere osservata. Dalla sala provenivano le rumorose chiacchiere e le urla degli studenti, rilassati per l’assenza di lezioni e in fibrillazione per la partita. Rose e Alice dovettero a malincuore saltare la colazione: uscire subito dopo Penelope sarebbe sembrato troppo sospetto.

«Bene, è ora di agire» sussurrò Rose, notando con la coda dell’occhio che Penelope si era alzata dal tavolo dove stava studiando per riporre un malandato volume su uno scaffale. Tirò la bacchetta sottile fuori dalla tasca della divisa.

«Wingardium Leviosa!»

Il foglietto galleggiò immobile nell’aria per qualche secondo, per poi fluttuare elegantemente guidato dal polso di Rose e adagiarsi sulla pergamena che Penelope avrebbe ben presto riempito d’inchiostro. Le due ragazze schizzarono via in un attimo senza guardarsi indietro. La fortuna quel giorno doveva avere voltato loro le spalle, poiché sulla soglia del portone della Biblioteca si imbatterono in Madama Wells. Imbacuccata nel suo cappottino di flanella e con il collo avvolto in una sciarpa di un viola accecante, la donna sembrava essere pronta ad affrontare il vento fastidioso che tirava fuori dal castello. Rose non poté evitare di osservare la bandierina blu e bronzo che stringeva in una mano.

«Weasley, Paciock», esordì sorpresa, «che cosa ci fate qui? Non dovreste trovarvi negli spogliatoi con il resto della vostra squadra?»

Rose abbassò lo sguardo, incapace di fissare per più di qualche secondo quelle profonde iridi bluastre. Una voce nella sua mente le ricordò dell’incursione avvenuta la settimana prima nell’ufficio della bibliotecaria.

«Noi… noi stavamo…» farfugliò Alice osservandosi intorno.

«Non importa, non importa… Che cosa farà il professor Paciock se vi vedrà arrivare in ritardo? Dovete muovervi, manca solo mezz’ora all’inizio della partita».

Le Grifondoro non se lo fecero ripetere due volte: rivolsero un lieve cenno a Madama Wells e si avviarono nel corridoio. Un attimo prima di svoltare l’angolo, Rose si girò un’ultima volta.

«Pensavo fosse vietato agli insegnanti il tifare una squadra…», disse indicando la bandierina, «…o almeno così apertamente».

Madama Wells nascose velocemente la bandierina dietro la schiena, un sorriso malandrino a incresparle il viso. «Infatti io non sono un’insegnante, o mi sbaglio? E non prendetela sul personale, ragazze… l’orgoglio per la propria Casa rimane sempre. Sono stata la Cercatrice della squadra di Corvonero per cinque anni, sapete?»

Le due ragazze si scambiarono un’occhiata stupefatta, provocando alla bibliotecaria una risata sommessa.

«E non mostrate quelle facce sorprese. Se salissi su una scopa, sarei ancora in grado di fare faville…», rivelò con aria sognante, «… ma ora andate, o farete davvero tardi».

Rose e Alice uscirono dal castello in meno di due minuti. Il cielo, di un azzurro opaco, era sgombro di nuvole e il sole rifletteva la sua flebile luce mattutina sulle gocce di rugiada dei fili d’erba. Le condizioni atmosferiche erano perfette per una partita. Il campo di Quidditch si stagliava fiero e imponente, circondato dai prati verdi del parco della scuola e già interamente occupato dalle centinaia di studenti. Dalle tribune, decorate con enormi stendardi colorati, proveniva il frastornante coro di voci che riempì le orecchie delle due ragazze e provocò un brivido di adrenalina lungo la schiena. Intrufolatesi negli spogliatoi, ritrovarono la squadra ormai pronta nelle divise scarlatte; c’era chi si stava allacciando uno stivaletto, chi si infilava i guanti e chi ripeteva sommessamente tattiche di gioco. Solo una persona si alzò di scatto dalla panca su cui era seduto, gli occhi lampeggianti di un’irritazione malcelata. James.

«Voi due!»

Rose scoccò un’occhiata di scuse ai compagni che si erano girati ad osservarla, attirati dall’esclamazione infuriata del Capitano.

«Questa… oh sì, questa è la volta buona che vi bandisco dalla squadra! Si può sapere cosa stavate combinando a venti minuti dalla partita? Perché non eravate in Sala Grande a fare colazione, questa mattina?», continuò nervoso il discorso. Rose arretrò inavvertitamente di un passo.

«E non provate a giustificarvi» aggiunse James, notando che Alice stava tentando di rispondergli con voce flebile. «Ora indossate in fretta le divise e concentratevi. Mi aspetto un gioco eccezionale da voi due, che sia ben chiaro».

Rose sospirò, maledicendosi mentalmente mentre indossava la divisa. Solo lei e Alice potevano ridursi all’ultimo giorno nel portare a termine una missione così delicata qual era l’ottenere un appuntamento. Sospettava che l’irritazione dimostrata da James negli ultimi giorni fosse causata in parte anche dalla mancanza di novità sulla questione di Penelope. “Forse aveva ragione Alice, dovevamo dirglielo e basta…”, pensò, “…ma non avrei mai potuto dargliela vinta così facilmente, non dopo quella velata minaccia”.

Alice si avvicinò silenziosamente mentre si legava i capelli in uno disordinato chignon, la mente palesemente dispersa negli intricati rami di qualche pensiero sfuggente. Le urla e i boati di acclamazione provenienti dalle tribune si infilavano dispettosi tra le fessure della porta, fino ad arrivare alle orecchie dei giocatori. Rose dovette imporsi ripetutamente di calmarsi; poche volte si era sentita agitata in quel modo prima di una partita.

«Bene», asserì James incerto, ritto davanti alla porta e con la scopa nuova fiammante in una mano, «il momento è arrivato: la prima partita dell’anno sta per disputarsi. Non starò qui a ripetervi tutte le tattiche di gioco, anche perché credo di averle ricordate a sufficienza durante gli ultimi allenamenti. Voglio solo dirvi di dare il massimo, come sempre, e di non scoraggiarsi mai… perché la felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce».

Rose e Alice si scambiarono un’occhiata divertita. Quella frase densa di significato ripetuta a rituale prima di ogni partita, che nell’uscire dalle labbra malandrine di James pareva quasi fuori luogo, era di origine ignota. Rose sospettava che provenisse dal vasto repertorio di saggezza che poteva vantare suo zio Harry. David Shepherd spalancò la porta degli spogliatoi, la mazza da battitore stretta in pugno, e il frastuono che un attimo prima risultava ovattato si amplificò propagandosi per tutta la stanza. I giocatori sparirono uno a uno dietro l’angolo, infilandosi nello stretto corridoio che li avrebbe portati al campo. Ben McLaggen si spostò di lato, incoraggiando con un gesto della mano Rose e Alice a superarlo.

«Prima le signore» bisbigliò scherzosamente, anche se i suoi occhi scuri non riuscirono a celare un lampo di paura.

«Non temere Ben», tentò di rassicurarlo Rose con una pacca sulla spalla, «la prima partita è così per tutti».

Ben annuì leggermente. «Spero solo di non finire in infermeria nei primi cinque minuti di gioco» ammise, seguendo le due amiche fuori dagli spogliatoi.

Raggiunsero la squadra in fondo al corridoio, stringendosi nei mantelli e con le scope sottobraccio. Rose si guardò intorno agitata, notando con un pizzico di sollievo che Alice non sembrava essere messa meglio da come si torturava le mani. Anche James era parso piuttosto nervoso poco prima. Più nervoso del solito. Le riaffiorarono alla mente la palese irritazione nei suoi occhi non appena lei e Alice erano entrate in spogliatoio, e il tono incerto della voce con cui aveva pronunciato il discorso. “Non posso lasciarlo giocare così…”, si disse, “…se perdiamo perché mio cugino non prende il Boccino mi sentirò in colpa a vita”. Non ci stette a pensare una seconda volta: si catapultò in avanti, superando silenziosamente i compagni e fermandosi accanto a James davanti al passaggio che dava sul campo. Il Capitano teneva lo sguardo fisso di fronte a sé e continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore.

«Domani alle due di pomeriggio, nella Sala d’Ingresso» bisbigliò Rose, sporgendosi leggermente verso il cugino. James girò di scatto la testa, perplesso.

«L’appuntamento con Penelope; io e Alice te l’abbiamo procurato in tempo per Hogsmeade. Siamo a posto?» specificò Rose allungando una mano.

James le scoccò un’occhiata indecifrabile, ma un piccolo sorriso divertito prese il posto dell’espressione neutra che aveva esibito fino a poco prima. Una voce amplificata irruppe improvvisamente nell’aria, una voce che Rose riconobbe come quella di suo cugino Fred. La partita stava per iniziare.

«Merlino, è ora» sussurrò James, per poi catapultarsi in avanti e fare il suo trionfale ingresso nello stadio. Rose rimase lì immobile, lasciandosi superare dagli altri giocatori, fino a ritrovarsi accanto Alice.

«Glielo hai detto, vero?»

Rose annuì lievemente, persa nella reazione del cugino. Le era sfuggito qualcosa forse? Un movimento, un particolare? Alzò lo sguardo celeste fino a puntarlo sulla squadra, ormai lontana. Prese il braccio di Alice, inspirò a fondo ed entrò in campo.

«E se qualcosa andasse storto?» ipotizzò Alice. «Se Penelope per qualche motivo non leggesse il biglietto, o non potesse venire all’appuntamento?»

Rose si girò a osservarla irritata, continuando a dirigersi a passo di marcia verso il centro del campo. «Ti sembra questo il momento adatto?» sputò fuori.

James e il Capitano di Corvonero, un certo Bradford Corner, si stringevano la mano mentre Madama Bumb si preparava a lanciare la Pluffa. Rose salì a cavallo della scopa, concedendosi un minuto per guardarsi intorno; Ben, pallidissimo, sembrava essere sul punto di vomitare. Rose avrebbe voluto dirgli che in un angolino sperduto tra la chiassosa tribuna di Grifondoro c’era una ragazza a lei molto cara, con lunghi boccoli biondi e profondi occhi azzurri, che faceva il tifo per lui. Lo sguardo di Rose fu poi attirato come da una calamita verso la tribuna Serpeverde. Lì da qualche parte si stagliava Malfoy, pronto a non perdersi neanche un secondo della partita. L’avrebbe studiata, avrebbe cercato di memorizzare le mosse e di prevedere le tattiche come un efficiente soldato di pietra. Alice la imitò, lo stesso pensiero in mente, solo che la sua maggiore preoccupazione consisteva in un paio di profondi e sfrontati occhi verdi. Con il Quidditch Albus poteva rivelarsi peggiore di Malfoy.

Fred commentava ogni avvenimento attraverso il megafono come se fosse il suo unico scopo nella vita. «Ed ecco che i giocatori si schierano in cerchio accanto ai Capitani! Madama Bumb lancia la Pluffa e…»

Rose avvertì il familiare miscuglio indistinto di ansia e adrenalina stringerle lo stomaco. Il suono del fischietto d’argento di Madama Bumb sembrò immobilizzare l’aria, incorniciando quell’eterno attimo sfuggente.

«… inizia la partita!»

Quattordici giocatori si alzarono in volo e cominciarono a volteggiare sinuosi e determinati per il campo. Evan si posizionò davanti agli anelli, pronto a respingere qualunque attacco nemico, mentre James raggiunse un punto da dove avrebbe potuto individuare il Boccino più facilmente. La Pluffa finì subito nelle mani dei Corvonero.

«Ed ecco che Baxter s’impossessa della Pluffa e si dirige spedito verso gli anelli… Debbie Linton, nuova aggiunta alla squadra di Grifondoro, gli sta alle calcagna. Cavolo, quella ragazza ha un talento naturale… era solo un commento innocente, professore! Come stavo dicendo, Baxter è ormai in prossimità degli anelli, tira… e Mitchell para!»

Rose rivolse un sorriso luminoso a Evan, ricambiato con un veloce occhiolino. Ormai sapeva che sotto alla facciata di ragazzo duro e freddo si celava un cuore tenero.

«Linton è ora in possesso della Pluffa… Weasley la affianca… per Merlino, un Bolide di Paciock stava quasi per disarcionare Corner dalla scopa! Linton sempre più vicina agli anelli… forza ragazza! Oh, mi scusi professor Paciock…»

Rose sfrecciava accanto a Debbie, i Cacciatori di Corvonero che incombevano come una nuvola tempestosa. Le due Grifondoro si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi Debbie lasciò cadere la Pluffa.

«Ma che cosa… McLaggen è spuntato dal nulla e ha acchiappato la Pluffa prima che cadesse a terra! McLaggen segna! Dieci punti per Grifondoro!»

Ben alzò il pugno in aria, un’espressione di pura gioia stampata sul volto. Dalle tribune Grifondoro Rose avvertì un urlo emozionato che sovrastò tutti gli altri e che attribuì spontaneamente a Samantha. Dopodiché si lanciò spedita verso Draper, il terzo Cacciatore di Corvonero dopo Corner e Baxter, pronta a tutto pur di sottrargli la Puffa dalle mani.

«Weasley raggiunge Draper e lo costringe a deviare la traiettoria… Per Merlino, Draper scontra Weasley con la scopa! Weasley non molla, ma Draper è nettamente più forte…»

Rose brillava per riflessi e agilità, ma la forza fisica non rientrava di certo nel suo arsenale. Draper vantava un fisico corpulento, di gran lunga superiore al metro e sessanta e alle curve delicate della ragazza. Ancora qualche spallata da parte del Corvonero e Rose sarebbe caduta nel vuoto. Percepiva la presa sul manico della scopa farsi sempre più debole… fino a quando tutto tornò tranquillo.

«… e un Bolide di Shepherd costringe Draper ad allontanarsi e a lasciar cadere la Pluffa! Linton non perde tempo a farsela scappare, sfreccia come una saetta verso gli anelli avversari… e segna! Venti a zero per Grifondoro!» sbraitò Fred nel megafono, visibilmente euforico.

Rose raggiunse Debbie e le batté un rapido cinque, poi ripartì all’inseguimento della Pluffa. Si distrasse solo un attimo per individuare Alice, impegnata in una battaglia a suon di Bolidi contro Mallory, uno dei Battitori avversari.

«Paciock rischia di prendersi un Bolide in testa! Mitchell viene distratto… e Baxter segna! …Dieci punti per Corvonero!»

Rose rivolse lo sguardo preoccupato ad Alice, sorridendo nel notare la truce espressione che l’amica sfoggiava verso Mallory. “Poteva finire davvero male” pensò a malincuore, ma perfettamente consapevole che da quel momento l’accumulo di rabbia avrebbe portato Alice a lanciare Bolidi come se fossero dei missili.

La partita continuò regolare per quella che parve un’eternità, tra scontri ravvicinati, parate spettacolari e goal da mozzare il respiro con Grifondoro che conduceva per quaranta punti… ma del Boccino ancora nessuna traccia. Rose non si era mai sentita così viva: aveva appena segnato grazie a una finta messa a punto durante gli ultimi allenamenti e che le meritò una frastornante ovazione dai Grifondoro. Si accorse con non poca sorpresa che anche la maggior parte dei Tassorosso e Serpeverde la acclamava entusiasta; e solo per un momento, proprio al centro delle tribune verdi e argento, le parve di scorgere due ragazzi, rispettivamente dalla chioma bionda e corvina, che applaudivano euforici.

«Incredibile finta di Rose Weasley! Arnolds ci casca in pieno e si butta verso l’anello opposto! Grandissima Rosie… oh, mi scusi professor Paciock, era solo un urlo d’incoraggiamento… tornando alla partita, la Pluffa è in mano ai Corvonero, mentre il Boccino sembra essere sparito nel nulla! I due Cercatori compiono larghi giri del campo nella speranza di avvistarlo!»

Rose tentò di concentrarsi sul gioco, ma il suo sguardo continuava a seguire James, gli occhi socchiusi per il vento e la mano a ravvivarsi i capelli. “Miseriaccia, è ancora nervoso. Se continua così il Boccino lo prenderà davvero Le Grant”.

«Corner schiva un Bolide di Shepherd… e segna! Corner segna! Altri dieci punti guadagnati da Corvonero! Il vantaggio dei Grifondoro diminuisce sempre di più…» constatò Fred preoccupato attraverso il megafono.

Rose scosse la testa e si costrinse a rivolgere l’attenzione verso la Pluffa, ora in mano a un Ben McLaggen piuttosto in difficoltà. Era stato affiancato da Baxter e Draper che lo sballottavano da una parte all’altra. Rose non perse tempo a correre in suo soccorso.

«McLaggen cerca di liberarsi invano dai due Cacciatori avversari… ma ecco che Weasley si precipita ad aiutarlo! McLaggen riesce a passare la Pluffa a Weasley, che sfreccia verso gli anelli affiancata da Linton e si prepara a… per la barba di Merlino! Credo che i Cercatori abbiamo avvistato il Boccino!» urlò concitato Fred.

Rose si immobilizzò nell’aria, il braccio piegato in attesa di scaraventare la Pluffa con tutta la forza che aveva, e si girò cercando James con lo sguardo. Lo stadio e i giocatori sembrarono congelarsi in un silenzio surreale. Tutti osservavano con il fiato sospeso le uniche due persone che sfrecciavano in picchiata verso un luccichio dorato che splendeva come una pietra preziosa.

«Potter e Le Grant fianco a fianco inseguono il Boccino in una picchiata da accapponare la pelle… i due ragazzi sono sempre più vicini al terreno, e il Boccino non sembra voler cambiar traiettoria…»

Rose assistette al tutto con una mano a coprire la bocca, ancora vicina agli anelli e con Debbie accanto. Alice, a pochi metri di distanza, non si accorse neanche della mazza che le sfuggì dalla presa e che cadde a terra con un tonfo secco.

«I ragazzi sterzano violentemente per evitare l’impatto con l’erba… ma Le Grant cade dalla scopa portandosi dietro anche Potter! Entrambi i ragazzi sono a terra e del Boccino non c’è più traccia!»

I secondi successivi pesarono come mattoni sui cuori che battevano all’unisono nello stadio. Il silenzio regnò sovrano mentre i due Cercatori si misero a sedere, frastornati. “Ti prego, ti prego, ti prego…” riusciva solamente a pensare Rose. James si alzò per primo, si guardò intorno e sollevò in aria una piccola pallina dorata, ben stretta nella mano, quasi invisibile a occhio nudo da quell’altezza. Il silenzio sovrastò lo stadio per qualche istante ancora. Poi, scoppiò il caos.

«James Sirius Potter conquista il Boccino d’oro! Grifondoro vince!» annunciò esultante Fred, causando un boato che compensò di gran lunga la calma precedente. Le tribune esplosero, gli studenti balzarono in piedi applaudendo, saltando, urlando e acclamando la squadra scarlatta. Gli stendardi rossi e oro volteggiavano al vento illuminati dal sole, le bandierine erano sventolate quasi a voler creare un gigantesco vortice che inglobasse quel momento all’infinito. Rose si esibì in un urlo di gioia e quasi cadde dalla scopa quando abbracciò di slancio Debbie. Alice le raggiunse poco dopo con un sorriso euforico in bella mostra e tutte e tre, le uniche ragazze in campo, si presero per mano cominciando a ridere spensierate. Ben percorse l’intero perimetro dello stadio con un pugno alzato mentre David si catapultò ad abbracciare Evan, che si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a concedergli qualche pacca sulla spalla. I giocatori scesero lentamente a terra accompagnati dalle acclamazioni degli spettatori, gustandosi appieno la meritata gloria. Rose atterrò delicata sull’erba, abbandonò la scopa e iniziò a correre verso James, che non si era ancora mosso di un centimetro; solo quando si fu avvicinata abbastanza, la ragazza fu in grado di scorgere l’espressione dipinta sul volto del cugino. E in quell’istante si dimenticò completamente di tutto, del patto, del bigliettino, dell’ansia e della rabbia. Perché il sorriso che esibiva James era più luminoso di cento Boccini d’oro messi insieme.









Angolo autrice

Sì, lo so... ci ho messo un po' a scrivere questo capitolo, ma la scuola è ormai iniziata da un paio di settimane.
Purtroppo gli aggiornamenti saranno meno frequenti rispetto a quest'estate.
Ma per farmi perdonare, ecco a voi la prima partita della stagione! Che ne dite? Io mi sono divertita un mondo a raccontarla.
Ed ecco svelato il motivo per cui Rose si è fissata con questa idea rischiosa del bigliettino, la "velata" minaccia di James... alla fine ne varrà davvero la pena?
Questa piccola battaglia di rivincite si concluderà qui o causerà altri guai?
Ultima ma non ultima cosa, finalmente incontriamo faccia a faccia la nostra dolce Georgiana!
Ah, mi stavo quasi dimenticando...
Nei dialoghi ho sostituito i trattini con le virgolette (ovviamente per tutti i capitoli finora pubblicati)... era da un po' che lo volevo fare.
Credo che le virgolette siano più eleganti.
Alla prossima,
ChiarainWonderland
 

 

 

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Capitolo 10
*** Sensi di colpa ***


CAPITOLO NONO

SENSI DI COLPA


Rose non avrebbe mai immaginato che un abbraccio avesse la capacità di scaldare un cuore e di spazzare via qualunque traccia di fredde emozioni, soprattutto se il proprietario dell’abbraccio era James. Ma lì in mezzo al campo, circondata dalle tribune colme di folla adorante e con le braccia serrate attorno al torace del cugino, si dovette ricredere. Il sapore dolce della vittoria e l’euforica consapevolezza di aver giocato al meglio non accennavano ad abbandonarla. 

«Abbiamo vinto, James! Non ci credo… abbiamo vinto!»

«Ce l’abbiamo fatta… io… mi dispiace, Rosie… mi dispiace tanto» si lasciò sfuggire James da sopra la sua spalla. La ragazza si scostò leggermente, osservando il cugino dritto nei profondi occhi castani. Si accorse che erano lucidi.

«Che intendi dire?» chiese con un sorriso a metà tra l’incredulo e il divertito.

«Mi dispiace… non dovevo… non avrei dovuto chiedere a te e ad Alice così tanto. Non avrei mai dovuto coinvolgervi nella storia dell’appuntamento».

Rose sgranò gli occhi e avvertì il proprio cuore sprofondare in un baratro. Scosse la testa confusa, non intuendo dove volesse andare a parare James. Non lo aveva mai visto parlare con uno sguardo così limpido e sincero. “Miseriaccia, che diavolo sta succedendo?” pensò, l’entusiasmo per il risultato della partita ormai sparito.

«Ma che…» riuscì solamente a pronunciare.

Le doveva essere sfuggito qualcosa, ancora una volta. Un gesto, una frase… o magari più di una. Magari si trattava di un insieme di particolari. E all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, le balenarono alla mente immagini che fino a quel momento non aveva collegato. Il silenzio del cugino alla consegna delle Uova di Runespoor, gli scatti d’ira e il generale e perenne nervosismo che lo avevano caratterizzato negli ultimi tempi, la bizzarra reazione che aveva dimostrato prima dell’inizio della partita, quando l’aveva informato dell’appuntamento. Era convinta si trattasse dell’ansia per il Quidditch e del peso delle aspettative dei Grifondoro, mescolato alla mancanza di novità sulla questione di Penelope. E se invece la causa si celasse in altro? Se quel sorrisetto che le aveva rivolto prima di entrare in campo fosse servito a nascondere qualcosa? Senso di colpa, magari.

«Io non… io non so cosa dire» aggiunse titubante, sciogliendo l’abbraccio.

«Non devi dire nulla, davvero. Perdonami» la rassicurò James, prima di venire interrotto da un missile dai capelli castani.

«Potter! Potter… Merlino, sei stato grande» esclamò Ben al colmo della gioia, mentre dava poderose pacche sulla spalla del malcapitato.

«Grazie McLaggen… così può bastare» bisbigliò James, scostandosi faticosamente.

«Suvvia Benjamin, non vorrai per caso ucciderlo prima della prossima partita, vero?» domandò Evan ironicamente, passando un braccio attorno a Rose e cogliendola di sorpresa. La ragazza cercò di esibire un sorriso che fosse il meno finto possibile. La verità era che per quanto senso di colpa avesse provato James, era sicura che non si avvicinasse nemmeno alla sensazione che stava vivendo lei in quel momento. Era come se una mano invisibile le stesse stritolando lo stomaco. James le aveva chiesto scusa per un insignificante appuntamento. E lei? Non si era mai resa conto di che cosa gli avesse chiesto, lei? Rubare dalle scorte di un professore… e non si era posta nessun problema; nessun senso di colpa le aveva corroso il cuore la notte. Gli unici pensieri che l’avevano tenuta sveglia riguardavano il timore che la storia della pozione Aguzzaingegno venisse scoperta, o che James finisse beccato mandando tutto all’aria. La faccenda del bigliettino peggiorava solo la situazione. In quel momento si accorse veramente di che idea stupida si trattasse, nonostante i numerosi avvertimenti di Alice. E se qualcosa fosse andato storto, non se lo sarebbe mai potuto perdonare. Fu come se un secchio di acqua gelata le venisse tirato addosso: era la stessa opprimente sensazione di realizzazione che aveva provato sotto il temporale con Alice, qualche settimana prima. Si era davvero comportata in quel modo? Era da lei? “No, non è da me” pensò fermamente.

«…ose? Rose, ci sei?»

Rose scosse inavvertitamente la testa, rivolgendo l’attenzione verso la voce che la stava chiamando. Alice.

«Ti eri imbambolata» commentò quest’ultima con un sorriso.

«Tutto bene Weasley? Sembri pallida» aggiunse Debbie, poggiando il dorso della mano sulla guancia di Rose.

«È colpa mia, ragazzi. Le ho appena chiesto scusa per come l’ho trattata in spogliatoio prima della partita» intervenne James ridacchiando.

«Potter che chiede scusa? Questa entrerà nei libri di storia, amico» esclamò David, lanciando un’occhiata divertita a Evan.

«Molto divertente Shepherd, davvero… ah, e scusa anche a te Alice».

«Tranquillo, è acqua passata» rispose Alice perplessa, lanciando a Rose un’occhiata che lasciava intendere la necessità di ulteriori spiegazioni. Rose mimò un impercettibile “dopo” con le labbra, osservando distrattamente le tribune che si stavano pian piano svuotando.

Tutta la squadra uscì dal campo con il morale alle stelle. O almeno, la maggior parte. Rose camminava un passo dopo l’altro affiancata da Alice, non vedendo l’ora di tornare al castello e tentando di ignorare i compagni che si congratulavano a vicenda. Il clima gioioso non cambiò negli spogliatoi.

«Questa sera si festeggia in Sala Comune, Clegg e Lysander erano talmente convinti della nostra vittoria che hanno già organizzato tutto…», proruppe David, «… ci manca solo qualcuno che si procuri il Whisky Incendiario».

«A quello ci penso io» si offrì James. Sembrava completamente un’altra persona rispetto agli ultimi giorni. «Fred andrà a prendere qualche cassa di Burrobirra ai Tre Manici di Scopa».

«Ai Tre Manici di Scopa? Ma… non potrebbe finire nei guai? Insomma… Madama Rosmerta potrebbe dirlo a qualcuno…» suggerì Ben, suscitando la risata del resto dei ragazzi nello spogliatoio.

«Ma non sei mai venuto a una festa post-partita, McLaggen?»

«Bè, i-io… sì, certo».

«Allora saprai benissimo che non abbiamo mai avuto problemi» rispose James, passandogli un braccio sopra le spalle e trascinandolo fuori dagli spogliatoi, seguito da Evan e David.

«Ci vediamo questa sera!» si ricordò di gridare quest’ultimo prima di girare l’angolo.

Rose sospirò, impegnata a ripiegare con cura la divisa da Quidditch. A volte Ben si rivelava fin troppo innocente. Scosse leggermente la testa e si concentrò sulla conversazione tra le due giocatrici rimaste.

«…comunque quel passaggio all’inizio della partita è stato grandioso» stava dicendo Alice, sinceramente colpita.

«Avrei dovuto essere più precisa, ci mancava poco che a Ben non scivolasse la Pluffa dalle mani».

«Forza Linton, per una volta accetta un complimento…»

Debbie rise arricciando il nasino all’insù. Rose non aveva mai notato fino a quel momento quanto fosse bella oggettivamente, con i lunghi capelli color ebano e la pelle diafana. «Diciamo che me la sono cavata…», concesse, dirigendosi verso la porta, «ci vediamo dopo». E anche lei sparì alla vista, lasciandosi dietro un pesante silenzio colmo di dubbi e parole non dette.

«Bene», esordì Alice, sedendosi sulla panca accanto a Rose, «siamo sole. Ora puoi dirmi cosa è successo».

Rose avvertì un pizzicore agli occhi: capì che se avesse raccontato tutto sarebbe scoppiata a piangere. «Non è…»

«Non provarci. Ti conosco Rose, è accaduto qualcosa in campo… forse con James?»

Rose respirò a fondo, maledicendosi mentalmente non appena avvertì le lacrime bagnarle le guance. Ormai non aveva più senso fare finta di nulla. Alice aggrottò le sopracciglia, sorpresa.

«Lui mi ha… mi ha chiesto scusa, per tutta la storia dell’appuntamento. Mi ha detto che non avrebbe mai dovuto chiederci una cosa del genere» spiegò Rose, le lacrime che man mano aumentavano. «Mi sento uno… schifo… insomma, gli ho chiesto di rubare dalle scorte di un professore senza pensarci neanche due volte. E poi il bigliettino… se qualcosa va storto, non me lo potrei mai perdonare… non so che cavolo mi sia preso… non era da me, insomma… non sono una persona cattiva, vero? Non sono così, giusto Alice?»

Rose cominciò a singhiozzare, sfregandosi le mani sulle guance nel vano tentativo di asciugarle. «Non va bene nulla… se Penelope scoprisse che dietro al bigliettino ci siamo noi, James non mi perdonerebbe mai. E poi è da quando abbiamo scoperto di quella Georgiana che non abbiamo fatto progressi sul medaglione… e ti ho trattata malissimo prima, davvero non so cosa mi fosse preso. I-io non sono così, so di non essere così, giusto?»

Alice intrappolò i polsi di Rose in una presa ferrea e li spostò dalle guance ormai rosse.

«Calmati Rosie, ora calmati… va tutto bene, ok? Sei un essere umano, tutti commettiamo degli errori, stupidi o gravi che siano» affermò Alice abbracciando l’amica. «Non sono gli errori a definire chi siamo, è la nostra reazione a essi che lo fa. A volte sei troppo dura con te stessa… l’importante è che tu ti sia accorta di aver sbagliato. Ormai quel che è fatto è fatto, è inutile stare a rimuginarci sopra».

Rose annuì, i singhiozzi che iniziavano a diminuire. «Forse è meglio che questa sera non venga alla festa…».

«No, ascoltami Rose», la interruppe Alice, «non devi sentirti in colpa. Tutto questo è stato anche a causa mia, non avrei dovuto permettere che tutta la faccenda del bigliettino accadesse. E non angosciarti per il medaglione, non si tratta di una questione di vita o di morte; se scopriamo dell’altro ben venga, altrimenti lasceremo perdere».

A Rose venne subito in mente il lancinante dolore al petto provocato dal medaglione che aveva avvertito sul treno, quasi due mesi prima. Scacciò subito il pensiero, stringendo la presa attorno al torace dell’amica e accorgendosi che dai suoi occhi non scendevano più lacrime. «Non sei arrabbiata con me?» domandò titubante.

Alice scosse semplicemente la testa con un sorriso. «Non eccessivamente».

«Grazie», riuscì solamente a sussurrare Rose, sinceramente sollevata, «non so che cosa farei senza di te Alice».

L’amica rispose con una risata divertita. «Su con il morale. Questo è il tuo periodo dell’anno preferito, cavolo, non ti ho mai vista così depressa. Manca poco ad Halloween… e abbiamo vinto la partita, per Merlino! Ci sono così tante cose per cui essere grati nella vita, non ti sembra?»

Le due ragazze sistemarono le scope nello sgabuzzino, si misero in spalla i mantelli neri e uscirono dagli spogliatoi. Alice prese Rose sottobraccio chiudendosi la porta alle spalle.

«Sai cosa? Ci godremo il resto della giornata… e questa sera ci mettiamo in tiro e ci divertiamo alla festa» affermò visibilmente soddisfatta. Rose non riuscì a contenere il sorriso spontaneo che le attraversò il volto nel vedere i tentativi dell’amica di risollevarle il morale.

Arrivate al castello trovarono la Sala Grande mezza vuota. La partita aveva occupato tutta la mattinata, e il miscuglio di emozioni contrastanti si propagava ancora per il castello. La maggior parte degli studenti aveva già mangiato, James compreso, risparmiando a Rose l’ennesima ondata di sensi di colpa e permettendo alle due ragazze di chiacchierare in pace. Di Samantha e Isabel non c’era neanche l’ombra. Alice si riempì il piatto quattro volte, reduce da una mancata colazione e da uno sforzo fisico non indifferente, mentre Rose cercò di contenersi un po’ di più.

«Mh, ne mangerei a quintali di questo pollo» commentò Alice con trasporto, aggiungendo altre due cosce di pollo al mucchietto già consistente.

Rose rise di gusto, tentando di ignorare la persistente sensazione di ansia che le torturava la mente. Le preoccupazioni riguardo l’appuntamento improvvisato di James e Penelope non erano sparite con le lacrime. Il giorno successivo avrebbe rivelato la verità. Niente intoppi e Rose avrebbe potuto lasciarsi quella spinosa situazione alle spalle; qualche imprevisto e la storia non sarebbe di certo finita lì. Il suo filo di pensieri fu interrotto da una persona che si sedette rumorosamente accanto a lei. Rose notò lo stemma di Serpeverde sulla divisa e la frangia spettinata color caramello. Millie.

“…ma non sprecate tempo ad avanzare voi stesse l’invito di Potter, ci rimarrebbe solamente male. Penny detesta le persone che si nascondono dietro agli altri…”

«Mildred» pronunciò Alice maliziosamente. Il fatto che avesse la bocca piena rese la scena quasi comica.

«Paciock, quante volte ti ho detto di non chiamarmi così?», esclamò Millie irritata. «Ero venuta a farvi i complimenti, ma vista la tua voglia di scherzare…»

«I complimenti?»

«Per la partita» precisò Millie, abbandonando in un attimo il cipiglio infastidito e mostrando l’entusiasmo da fan sfegatata di Quidditch qual era. «Quando non vi ho viste a colazione mi sono preoccupata, ma ve la siete giocata alla grande… e quella finta! Quella verso la fine… è stata eccezionale. Persino Scorpius ha dovuto ammetterlo» concluse, girandosi per guardare Rose dritto negli occhi. Quest’ultima li abbassò, incapace di sostenere le iridi scure dell’amica neanche per pochi secondi. I sensi di colpa tornarono come un fiume in piena.

«Sì… eccezionale…» ripeté debolmente, infilzando controvoglia una patata arrosto.

Millie sembrò non accorgersi del suo malumore, perché continuò a chiacchierare tranquillamente del più e del meno con Alice. Rose fissò inerme il vuotò, spiluccando il cibo con la forchetta, fino a quando Millie non pose una specifica domanda. «Ah, non è che per caso avete visto Penelope? So che si è rifugiata in Biblioteca a studiare al posto di guardare la partita, ma ora non la trovo da nessuna parte».

Alice osservò di sottecchi la reazione di Rose, che non tardò ad arrivare. La forchetta che la ragazza teneva in mano sfregò contro il piatto, producendo un rumore tremendo che fece sussultare Millie. Alice si affrettò a rispondere.

«Penelope? No, non l’abbiamo vista».

«Cavolo, chissà dove si sarà cacciata…» commentò Millie pensierosa. Rose socchiuse gli occhi, pregando Merlino che la conversazione finisse lì.

«Ma per l’appuntamento? L’uscita a Hogsmeade è domani. Penelope non mi ha accennato nulla negli ultimi giorni, e di un appuntamento con James Potter me ne avrebbe parlato subito».

«Tutto a posto, assolutamente…», rispose Alice troppo in fretta, «… non c’è neanche bisogno che tu ne parli con lei».

Rose alzò gli occhi al cielo, in un unico, finale gesto di disperazione. Millie fece scorrere lo sguardo tra le Grifondoro, le sopracciglia aggrottate.

«Che cosa avete combinato, voi due?»

Rose e Alice si scambiarono una lunga, significativa occhiata. Se non avessero parlato loro, Millie avrebbe chiesto sicuramente spiegazioni a Penelope, con conseguenze imprevedibili. Tanto valeva tentare di salvare il salvabile. Così Alice raccontò la storia, tralasciando però i dettagli più compromettenti.

«Siete matte» constatò semplicemente Millie. «Sapete quanto ci resterebbe male Penny se scoprisse che in realtà siete voi le responsabili del bigliettino? Mi sembrava di avervi avvisate… perché cavolo non avete detto a James che aveva campo libero?»

Rose si morse il labbro inferiore. Non poteva rivelare che la causa di tutto era il suo stupido orgoglio. “Sai, non volevo darla vinta a mio cugino così facilmente, non dopo la sua minaccia di raccontare a tutta la scuola della pozione che io e Alice abbiamo preparato illegalmente in un bagno”. Non prometteva nulla di buono.

«Sappiamo di aver sbagliato, però devi promettere che non dirai nulla a Penelope o a nessun altro».

«Capito… non tirerò fuori l’argomento “appuntamento”, ma lo faccio solo per il suo bene. Se Penny nominasse il bigliettino a James, quello sì che sarebbe un bel casino… anche se mi sembra abbastanza improbabile, è troppo timida per farlo» ipotizzò Millie pensierosa. «Potreste comunque parlarne con James. Non si arrabbierebbe, vero?»

Alice strinse le labbra, portandosi alla bocca il calice e bevendo un lungo sorso. «Non lo so… è rischioso: James è imprevedibile e potrebbe chiedere spiegazioni. Credo che in situazioni incerte come questa la soluzione migliore sia sperare che tutto vada per il meglio».

Rose annuì debolmente, sollevata di poter contare su un’altra persona di cui si fidava. Il pomeriggio passò lento e noioso, ma con lo scorrere delle ore l’umore di Rose migliorò notevolmente. Lei e Alice fecero una lunga passeggiata al limitare della Foresta Proibita, ammirando le foglie dai colori autunnali che ornavano gli alberi del parco del castello. Poi si sedettero sulla riva del Lago Nero, che rifletteva le nuvole grigie che avevano coperto il cielo terso di quella mattina. Strette nei pesanti mantelli e con il viso nascosto dalle sciarpe di lana, si misero a studiare Trasfigurazione.

«Forse domani non dovremmo andare a Hogsmeade» dichiarò Rose a un certo punto. Stava fissando la stessa pagina da parecchi minuti, chiaro segno che qualcosa le stava passando per la mente.

«Prima la festa, ora Hogsmeade…»

«Dico sul serio, è meglio rimanere al castello. Non potremmo fare a meno di pedinare James e Penelope per accertarci che tutto fili liscio».

«E anche se fosse? Non vedo dove sia il problema».

«Se ci scoprisse, James si infurierebbe. E stiamo già rischiando troppo nella situazione in cui ci ho cacciate… è meglio non peggiorare le cose».

Alice puntò lo sguardo sui rami aggrovigliati e ormai quasi interamente spogli del Platano Picchiatore che si intravedevano in lontananza.

«Magari possiamo impegnarci a non pedinarli» suggerì speranzosa. «Senti, non dobbiamo per forza rinunciare a tutto. Conosco James come le mie tasche, sicuramente porterà Penelope da Madama Piediburro ed eviterà i posti più affollati. Quindi basta che ci sbrighiamo a uscire dal castello prima delle due e ci barrichiamo per tutto il pomeriggio ai Tre Manici di Scopa».

«E cosa cambierebbe dalla mia idea? Resteremmo comunque bloccate in un luogo per un tempo relativamente lungo».

«Non voglio rimanere al castello mentre tutti vanno a divertirsi. Ai Tre Manici ci sono i ragazzi, litri di Burrobirra e gli Zuccotti di Zucca appena fatti» spiegò Alice con fare ovvio. Non trovando argomentazioni migliori, Rose decise di non controbattere. Probabilmente svagarsi un po’ le avrebbe fatto solamente bene.

Entrata in Sala Grande quella sera si ritrovò a osservare con perplessità il tavolo dei Serpeverde, dove Millie era misteriosamente seduta a parecchi metri di distanza da Penelope. Tralasciando quel dettaglio e le numerose domande di Samantha e Isabel sul perché lei e Alice avessero saltato la colazione, la cena trascorse tranquilla. Prima che la festa dei Grifondoro iniziasse, Alice costrinse l’amica a salire in Dormitorio per cambiarsi, convinta che una sana dose di autostima l’avrebbe fatta sentire ancora meglio. Rose decise per una gonna nera a balze e un maglione di lana giallo, rifiutando categoricamente il mascara che Alice continuava a sventolarle davanti alla faccia.

«Almeno fatti fare una treccia» pregò Alice disperata.

Rose rispose con un’alzata di occhi al cielo, ma si sedette sul letto e le permise di acconciarle i capelli. Quando tornarono in Sala Comune, le ragazze trovarono la festa al suo culmine e furono subito acclamate da grida e applausi. C’erano tutti gli studenti di Grifondoro dal quarto anno in su: se qualcuno più piccolo avesse provato a intrufolarsi, sarebbe stato spedito nel proprio Dormitorio senza tanti giri di parole. James era in piedi su un tavolo, con la camicia sbottonata per metà e un bicchiere di una bevanda che sicuramente non era Burrobirra in mano. Continuava a chiedere i brindisi più disparati: al Quidditch, a Hogwarts, alla McGranitt, al Boccino d’Oro, a Madama Rosmerta… quando vide Rose, si schiarì la voce e sollevò il bicchiere ancora più in alto, rischiando di perdere l’equilibrio.

«A Rose, la cugina migliore che chiunque possa mai desiderare».

Il brindisi ricevette in risposta un’acclamazione generale. A Rose sembrò invece di sprofondare nel pavimento. Una sensazione opprimente allo stomaco la informò del repentino ritorno dei sensi di colpa. Si guardò intorno, impaziente di trovare una distrazione, fino a quando non vide un Ben dall’aria sbarazzina circondato da quattro ragazze. Quattro belle ragazze. E su uno dei divanetti rossi poco distanti, con l’immancabile Isabel al suo fianco, c’era Samantha che le fulminava ripetutamente con lo sguardo. Rose non perse tempo a prendere Alice per mano e a trascinarla dalle amiche.

«Sam, come…»

«Non è un buon momento, Rose» si intromise Isabel, la mano appoggiata sulla schiena di Samantha in un gesto di conforto.

«… certo, ora che è nella squadra è circondato da ragazze… c’era da aspettarselo, i giocatori di Quidditch piacciono a tutte…» sussurrava concitata quest’ultima mentre si torturava una ciocca di capelli. Rose la osservò aggrottando le sopracciglia.

«Mi dispiace, posso fare qualcosa…»

«Sto ancora aspettando una vera risposta alle domande che ti ho posto a cena, Rosie» affermò Isabel con una chiara nota d’irritazione nella voce. «In questo periodo tu e Alice sparite spesso, non trovi? Io e Sam abbiamo smesso di preoccuparci, ormai».

Rose fece inavvertitamente un passo indietro, colta alla sprovvista. Alice la trascinò poco distante, non prima di aver scoccato un’occhiata interrogativa a Isabel.

«Tranquilla, provo a parlarci io. Tu vai a prendere qualcosa da bere» disse, accennando al tavolo delle bevande.

Rose seguì il consiglio e si fece largo tra la gente cercando di non spintonare nessuno. Il tavolo delle bevande si trovava vicino all’entrata della Sala Comune, dove erano esibite numerose bottiglie. Burrobirra, Acquaviola, rum di ribes rosso, sciroppo di ciliegia, succo di zucca, Whisky Incendiario… ce n’era per tutti i gusti. Tra le varie persone che affollavano il tavolo, Rose riconobbe Debbie. Aveva i lunghi capelli lasciati sciolti e si stava versando in un bicchiere di plastica una buona dose di Acquaviola.

«Debbie».

«Rose! Ti stai godendo i momenti di gloria?» esclamò entusiasta. Rose notò che parecchi ragazzi lì vicino, tra cui con sua grande sorpresa anche Evan, stavano adocchiando l’amica incuriositi e affascinati.

«Più o meno» sussurrò poco convinta.

«Non dire così… cos’è quella faccia da funerale? Forza, so io quello che ti ci vuole» rispose Debbie, afferrando la bottiglia di Whisky Incendiario.

«Oh, non credo sia il caso…»

«Per le mutande di Merlino Weasley, prova a buttarti. Senti, io devo andare…» aggiunse, sollevandosi in punta di piedi e salutando qualcuno con la mano, «… fai come vuoi».

Rose rimase da sola ancora una volta, con un bicchiere vuoto in una mano e il Whisky Incendiario nell’altra. Osservò quest’ultimo come se fosse uno strano animale che non aveva mai visto prima; di solito alle feste si accontentava di un po’ di succo di zucca. “Cosa c’è di male se ne provo solo un goccio?” pensò, avvicinando la bottiglia e leggendo distrattamente l’etichetta. Ci voleva proprio qualcosa che avesse il potere di distrarla e di sollevarle il morale, dopo la giornata intensa che aveva vissuto. Così riempì per un quarto il bicchiere di Whisky ambrato e lo annusò con circospezione, guadagnandosi qualche sguardo stranito e divertito. Ne bevve un sorso, avvertendo il liquido scorrerle per la gola, e arricciò il naso in una smorfia disgustata non appena l’amaro le invase la bocca. Una sensazione di calore iniziò a propagarsi dal suo stomaco. Visibilmente soddisfatta s’intrufolò di nuovo tra la folla alla ricerca di Alice, sorseggiando di tanto in tanto il Whisky. La trovò impegnata in un’accesa discussione con Isabel, così decise saggiamente di allontanarsi senza farsi vedere. Si appostò in un angolino vuoto poco distante e si mise ad osservare gli amici che intravedeva nella confusione generale. Mentre di Samantha non sembrava esserci più traccia – Rose ipotizzò che potesse essersi rifugiata in Dormitorio – Ben era stato raggiunto da altre tre ragazze e aveva tutta l’aria di sentirsi a disagio. Dall’altra parte della sala Rose intravide la chioma rossa di Hugo, fermo nella sua stessa identica posizione, che spiccava tra la folla. Alzò un braccio per attirare la sua attenzione, ricevendo un sorriso sorpreso e sincero come risposta. Rimase imbambolata a riflettere su quanto suo fratello fosse cresciuto negli ultimi tempi finché qualcuno non le toccò la spalla, riscuotendola dai suoi pensieri. Alzando lo sguardo si ritrovò davanti un ragazzo, forse del quinto anno, che esibiva un’espressione vagamente scocciata.

«Sei tu Rose Weasley?» chiese senza giri di parole.

«Chi me lo chiede?»

«Sei Rose Weasley sì o no?!» insistette il ragazzo con tono infastidito.

«Sì, sono io! Sono Rose Weasley» rispose allora Rose sulla difensiva. Cosa diavolo poteva mai volere da lei?

«C’è qualcuno che ti aspetta fuori dalla Sala Comune» aggiunse il ragazzo, l’espressione meno scocciata.

«Qualcuno? E chi sarebbe questo qualcuno?»

«Scorpius. Scorpius Malfoy».







Angolo autrice

Ta dannn! Cosa ne pensate del "colpo di scena" finale? Lo so, sono un po' cattiva.
Ma cosa diavolo ci fa Scorpius Malfoy fuori dalla Sala Comune dei Grifondoro, per di più in attesa di Rose? E chi lo sa ;)
In questo capitolo Rose è un po' depressa e, diciamocelo, se l'è anche cercata. Alice, santa Alice, mi ricorda troppo la mia migliore amica. Sempre a tirarmi fuori dai casini.
E James, alla fine un lato umano ce l'ha anche lui. Forse persino più di molti altri. Resta solo da vedere cosa succederà nella prima gita a Hogsmeade dell'anno.
Al prossimo capitolo,
ChiarainWonderland


 

 

 

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Capitolo 11
*** Burrobirra e Zuccotti di Zucca ***


CAPITOLO DECIMO

BURROBIRRA E ZUCCOTTI DI ZUCCA


“Miseriaccia”. La mente solitamente brillante di Rose non riuscì a produrre nulla di più interessante in quei pochi secondi che la portarono davanti al ritratto della Signora Grassa. La ragazza si bloccò di colpo, tentando di isolarsi dalla confusione della festa e riflettendo se fosse meglio tornare nel suo angolino e far finta di niente. Era davvero una buona idea, uscire dal rifugio sicuro che rappresentava in quel momento la Sala Comune? Che cosa poteva mai avere Malfoy di così urgente da comunicarle a quell’ora? Pur non avendo un orologio a portata di mano, Rose era quasi certa che mancasse poco alle undici e che il coprifuoco sarebbe potuto scattare a minuti. Si guardò intorno, arrivando alla conclusione che se non avesse preso una decisione in quel momento, sarebbe rimasta a fissare il muro per un’altra ora. “Coraggio Weasley, cosa hai da perdere?” le urlò nella testa una voce estremamente simile a quella di Alice, subito sostituita dal volto contrariato di Ron che la guardava con disapprovazione. Se suo padre si fosse trovato con lei in quel momento, avrebbe bloccato il passaggio del ritratto piuttosto che lasciarla uscire.

«Oh, al diavolo» sussurrò, mandando a quel paese le raccomandazioni che si era sentita ripetere in tutti quegli anni. O forse fu il Whisky Incendiario a farlo per lei.

Si catapultò in avanti e uscì dal passaggio senza voltarsi più indietro, ritrovandosi nel corridoio fiocamente illuminato dalle torce appese al muro di pietra. Malfoy era pigramente appoggiato sulla parete opposta, i capelli biondi perfettamente scompigliati e l’immancabile spilla da Prefetto in mostra sulla divisa. Non appena vide la Grifondoro, gli occhi grigi gli si spalancarono dalla sorpresa. Rose dedusse che il ragazzo non si aspettasse davvero di veder esaudita la sua richiesta.

«Weasley» esordì incerto, facendo qualche passo verso di lei.

Rose ne fece uno indietro, intimidita, notando lo sguardo di Malfoy indugiare sulla gonna a balze nera e sulla treccia color carota che le ricadeva su una spalla. Si riscosse improvvisamente, maledicendosi da sola e sollevando il mento nel vano tentativo di racimolare un po’ di orgoglio.

«Che cosa vuoi?» domandò senza mezzi termini.

Malfoy non sembrò essere colto alla sprovvista da un approccio così diretto, o comunque si dimostrò abbastanza pronto di riflessi da nasconderlo. Si avvicinò ancora di più alla ragazza, un sorrisino divertito ad increspargli le labbra.

«Volevo farti i complimenti per come hai giocato oggi» buttò lì con nonchalance, osservando con la coda dell’occhio la rossa in caso di una sua reazione. «Ero già da queste parti per la ronda, così ho pensato di dirtelo di persona… e vedo che i festeggiamenti sono già iniziati da un po’» aggiunse, rivolgendo un’occhiata eloquente al ritratto semiaperto della Signora Grassa da dove filtravano le luci e i suoni della festa.

A Rose occorse un’enorme autocontrollo per mantenere la sua espressione impassibile. L’istinto la portò subito a pensare che Malfoy la stesse prendendo in giro o che avesse architettato uno scherzo. D’altronde era successo così tante volte che ormai aveva perso il conto, e in tutta la sua carriera di Cacciatrice di Grifondoro non si ricordava di una sola occasione in cui il ragazzo le avesse fatto i complimenti. Le tornarono alla mente come un lampo le parole che Millie le aveva rivolto a pranzo; “…e quella finta! Quella verso la fine… è stata eccezionale. Persino Scorpius ha dovuto ammetterlo”. Impossibile.

«Allora devo proprio aver giocato bene, visto che sei la seconda persona che me lo dice» rispose con una punta non troppo celata di sarcasmo.

Scorpius aggrottò le sopracciglia in uno scatto di sorpresa, ma non commentò. Un’altra volta Rose dovette fare appello a tutte le sue forze per non lasciar trapelare la crescente perplessità: normalmente Malfoy avrebbe già sfoderato come risposta una battutina acida tipica del suo arsenale.

«Guarda che sono serio».

«Mh, davvero» commentò Rose sulla difensiva. «Mi risulta difficile da credere».

Scorpius sospirò, nel palese tentativo di mantenere la conversazione in un tono quantomeno civile. Il celato stupore di Rose aumentò ancora di più.

«Sei impossibile, per Merlino… perché sei sempre così diffidente?» chiese allora il ragazzo, visibilmente poco convinto della sua stessa domanda.

«Hai davvero trasgredito al fondamentale compito di un Prefetto modello qual è la ronda per venire a farmi i… aspetta un momento, dov’è Albus?»

L’espressione corrucciata di Scorpius fu di nuovo sostituita da un sorriso sghembo. «Che c’è, paura che qualcuno possa origliare la nostra conversazione?»

«Avrei paura se ci fosse qualcosa d’interessante da origliare… e comunque non mi stupirei se mio cugino si trovasse nascosto dietro l’angolo, vista la vostra tendenza a impicciarvi negli affari degli altri».

«Come se a te e alla Paciock desse realmente fastidio».

Rose non poté fare a meno di spalancare gli occhi, sbigottita. «Scusami?»

«Oh dai, lo sai…», rispose Scorpius passandosi una mano dietro al collo, imbarazzato «…per Albus; e non fare quella faccia. Chissà perché all’inizio dell’anno la tua amichetta era scappata dalla Sala Grande proprio quando Al si era fidanzato…»

Rose si ricordò di come avesse sorpreso Malfoy a fissare il portone della sala subito dopo l’uscita di scena di Alice, e di come i loro sguardi si fossero incatenati l’uno all’altro per qualche secondo. “Quindi l’ha capito” pensò, la mente che lavorava frenetica. Il Serpeverde iniziava a essere a conoscenza di fin troppe cose, per i suoi gusti.

«Non hai capito niente, Malfoy» ribatté allora, tentando di salvare il salvabile. «Almeno io e Alice non perdiamo tempo a spiare le persone».

Scorpius si accigliò visibilmente. «Spiare? Ti ricordo Weasley, come hai evidenziato tu qualche secondo fa, che tenere un occhio su chi infrange le regole fa parte dei fondamentali compiti di un Prefetto modello. Dovresti saperlo, visto che fino all’anno scorso ricoprivi questo ruolo».

Rose avvertì l’irritazione scorrerle nelle vene. La giornata che le pesava sulle spalle mescolata a una buona dose di Whisky non faceva altro che abbassare ancora di più il suo livello di pazienza. Sentiva che sarebbe stata in grado di rivelare qualsiasi cosa, pur di ridurre l’arroganza del ragazzo.

«Perché utilizzare la Mappa del Malandrino durante le ronde è proprio un comportamento da Prefetto modello… pensavi davvero che non l’avrei mai scoperto? Era così ovvio. Altrimenti come avreste fatto tu e mio cugino a scoprire della nostra visita alle Cucine?»

«Oh Weasley, magari si trattasse solo delle Cucine…» sussurrò il ragazzo.

Rose si pietrificò, domandandosi se avesse solamente immaginato quelle parole uscire dalla bocca di Malfoy, da quanto fievoli e sfuggenti erano risultate. Magari si trattava di un brutto gioco del suo subconscio dovuto alla stanchezza. “E se invece sapesse…?” urlò una voce nella sua testa. “La Biblioteca. L’ufficio. La Mappa. Miseriaccia.”

Nel mentre Malfoy aveva ripreso il discorso come se niente fosse. «…comunque ero davvero venuto con buone intenzioni» dichiarò, le spalle incurvate e lo sguardo spento, «ma avrei dovuto tener conto del fatto che è impossibile per noi non litigare. È l’ordine naturale delle cose».

Il ragazzo girò sui tacchi, si mise le mani in tasca e s’incamminò un passo dopo l’altro per il corridoio, convinto di aver avuto l’ultima parola. Rose non seppe che cosa le fece alzare la testa di scatto e stringere i pugni, non riuscì a descrivere la forza che la portò a ribellarsi al pensiero che il Serpeverde se ne andasse con la consapevolezza di aver vinto. Magari era l’audacia procurata dal Whisky, o il turbinio di emozioni contrastanti della giornata. O addirittura gli anni passati a dover subire e sopportare scherzi e prese in giro. L’unica cosa di cui era sicura era che quelle parole, che rimbombarono nel corridoio per istanti interminabili, se le portava dietro da troppo tempo.

«Non ti sei mai chiesto il motivo? Se solo ti comportassi meglio nei miei confronti, magari potremmo andare d’accordo. Dopo tutto questo tempo non ho ancora capito perché tu mi debba sempre criticare e prendere in giro! E poi mi chiedi anche la ragione della mia diffidenza? Ah! Hai proprio un bel coraggio! Ti conviene fare un esame di coscienza, Malfoy!»

Il ragazzo si fermò in mezzo al corridoio, immobile. Rose non perse tempo a precipitarsi in Sala Comune e a richiudersi il passaggio alle spalle con un pesante sospiro. Tra la rabbia, la frustrazione, la confusione e l’ansia che le occupavano la mente, un’unica certezza spiccava incontrastata: era come se qualcuno le avesse tolto dal cuore un macigno che la opprimeva da molto tempo. Osservò le persone lì accanto, notando con sollievo che la sua precipitosa entrata in scena non era stata notata. Si fece largo tra la folla tenendo lo sguardo fisso a terra, in modo da non attirare attenzioni indesiderate, e raggiunse in poco tempo le scale che l’avrebbero portata nell’unico luogo in cui si sarebbe voluta trovare in quel momento.

Il Dormitorio era deserto. Le coperte cremisi dei letti a baldacchino giacevano perfettamente piegate sopra i materassi, segno che nessuno aveva messo piede nella stanza durante la serata. Rose comprese dunque che la sua ipotesi si era rivelata errata: Samantha doveva essersi rifugiata in qualche altro nascondiglio. Si sedette sul letto con un tonfo secco, la conversazione con Malfoy ancora impressa nella sua testa. Incapace di stare ferma troppo a lungo, si rialzò di nuovo e si avvicinò al suo baule sciogliendosi la treccia, con l’intenzione di rovistare alla cieca alla ricerca della sua camicia da notte. Non appena alzò il coperchio di qualche centimetro, una luce azzurrognola la investì in pieno volto e illuminò i contorni dei mobili sbiaditi nel buio.

«Per Merlino!» esclamò, richiudendo di scatto il baule. La stanza fu di nuovo invasa dalla semioscurità.

Consapevole della provenienza di quel bizzarro fenomeno, Rose si arrischiò ad aprire completamente il coperchio. Quella volta la luce non si limitò a sfiorare l’ambiente circostante, ma riempì ogni spazio vuoto di azzurro, accentuando le ombre che si allungavano sul pavimento. La candida luce lunare proveniente dalla finestra che dava sul cielo notturno creava un netto contrasto con l’atmosfera quasi eterea. Rose si guardò intorno, impaurita e al contempo affascinata, poi infilò una mano nel baule fino a grattare il fondo con le dita, tastando gli oggetti che le capitavano a tiro. Dopo qualche secondo il suo mignolo s’impigliò in una sottile catena metallica, e la ragazza capì di aver trovato ciò che cercava. Non appena tirò fuori il medaglione la luce che riempiva la stanza aumentò, più forte e decisa rispetto al bagliore azzurrognolo del viaggio in treno e di quella lontana sera di agosto.

«Oh…»

Per quanto ne sapeva Rose, il medaglione poteva aver emesso quella luce decine di altre volte, rinchiuso e intoccato per settimane sul fondo del baule. La ragazza si diresse lentamente verso la finestra senza staccare gli occhi dal gioiello, per poi sedersi sullo stretto e gelido davanzale. Non poté evitare di concentrare la sua attenzione sui simboli incisi attorno alla pietra turchese, chiedendosi quale fosse il loro significato e se appartenessero a qualche sconosciuto alfabeto runico. Spostò lo sguardo verso la luna piena che brillava rischiarando le montagne, circondata da cumuli di nuvole trasportate veloci dal vento, come i suoi pensieri.

«Perché deve essere tutto così complicato…» mormorò affranta.

Era dalla scoperta dell’identità della donna misteriosa, avvenuta la settimana precedente, che lei e Alice non avevano la più pallida idea di come procedere con le indagini, ma quei simboli insoliti si sarebbero potuti rivelare un buon punto di partenza. Rose non pensò ad altro, in quei pochi minuti che la separarono dallo sprofondare sotto le coperte rabbrividendo dal freddo. Ripose accuratamente sul fondo del baule il medaglione, che ormai emetteva solo un fievole luccichio, e si infilò la camicia da notte. Si buttò sul materasso cigolante e chiuse le pesanti tende rosse in modo da non essere disturbata dalle amiche, che sarebbero potute arrivare a minuti: i rumori sempre più attutiti provenienti dalla Sala Comune preannunciavano l’imminente fine della festa. Gli strani simboli continuarono a vorticarle nella mente, ma fu solo un attimo prima di addormentarsi che le venne un’idea.

 

*   *   *

«Malfoy lo sa?!» strepitò Alice il pomeriggio seguente, attirando gli sguardi della metà delle persone che affollavano i Tre Manici di Scopa e rischiando di rovesciare la Burrobirra sul tavolo. «Sa che a me piace Potter!?» aggiunse, appurandosi di bisbigliare.

«Lo sospetta» precisò Rose nervosa, osservandosi intorno. Lei e Alice avevano trovato posto per miracolo in un angolo piuttosto appartato vicino al bancone, ma ciò non escludeva la possibilità di essere sentite. Il gremito locale era addobbato in occasione di Halloween: le zucche finemente intagliate creavano un’atmosfera autunnale e c’erano molte più ragnatele del solito; se fossero vere o finte, Rose non avrebbe saputo dirlo. «Ti ha vista uscire di corsa dalla Sala Grande quella sera, e ha fatto due più due».

«Per tutti i Folletti, la mia vita è finita» commentò Alice tragicamente, allungando una mano verso l’ormai quasi vuoto piattino di Zuccotti di Zucca.

Rose la fulminò con un’occhiataccia. «Ehi, quelli sono miei! Ne hai mangiati più della metà».

«Possiamo sempre ordinare un’altra porzione… e poi sono io quella che ha bisogno di dolci in questo momento» aggiunse Alice, ignorando lo sguardo assassino dell’amica e afferrando uno Zuccotto, «perché scommetto quello che vuoi che il buon caro vecchio Malfoy abbia spiattellato i suoi geniali sospetti a quell’idiota di tuo cugino».

«Siamo già al quarto piatto» dichiarò Rose secca, evitando di esprimere la sua opinione sull’ultima ipotesi, consapevole di pensarla allo stesso modo.

Alice alzò le spalle, addentò con particolare ferocia il dolce e lo masticò con trasporto. «Quindi, ricapitolando» esordì, aggrottando le sopracciglia, «Malfoy potrebbe essere a conoscenza della nostra incursione nell’ufficio di Madama Wells e della mia irritante cotta per Potter, ieri sera il medaglione si è illuminato di nuovo, Isabel e Samantha sono arrabbiate con noi e, ciliegina sulla torta, non abbiamo la più pallida idea di come stia andando l’appuntamento tra James e Penelope».

«Esattamente» concordò Rose con un sospiro, per poi sollevare il boccale di Burrobirra. «Alla vita?»

«Alla vita… anche se non credo che possa andare peggio».

Rose si esibì in un mezzo sorriso, per poi bere un lungo sorso della bevanda dolciastra. «Ma che cosa vi siete dette tu e Isabel alla festa? Vi avevo viste litigare prima che… insomma… prima che uscissi dalla Sala Comune».

«Le ho fatto capire che anche per te è un momento difficile e lei si è arrabbiata ancora di più, sostenendo che in questo periodo escludiamo lei e Sam… non che io possa biasimarla».

«Hanno ragione, è ovvio che abbiano ragione…».

«Lo so. Spero solo che tutto ritorni presto come prima. Mi manca il gruppo unito che eravamo, Rosie».

«Manca anche a me, ma non dobbiamo rivelare del medaglione a nessuno, almeno finché non scopriremo qualcosa in più» sostenne Rose a malincuore, prima che i simboli sconosciuti le tornassero alla mente. «A proposito, mi è venuta un’idea…»

La porta del locale si aprì di scatto e un consistente miscuglio di voci si propagò nell’aria, attirando l’attenzione delle due ragazze. Una decina di studenti era appena entrata nel locale. Rose li riconobbe dalla ventata di arroganza che si diffuse con il loro arrivo: erano Serpeverde del sesto anno. Malfoy e Albus, al centro del gruppo, si osservavano intorno altezzosamente alla ricerca di un tavolo libero, che ottennero incredibilmente dopo pochi minuti di attesa. Rose identificò ciascuno di loro senza difficoltà; Dustin Zabini, Richard Nott, Aidan Cavendish, Geraldine Macnair e la fidanzata di Albus Diana Dumont, il cui nome era stato scoperto da Samantha qualche settimana prima.

«Ci mancava solo questa. Potter con la sua ragazza perfetta» commentò Alice piatta nascondendosi dietro al boccale di Burrobirra, prima di spalancare i grandi occhi castani, stupita. «Ma c’è anche Mildred?»

Rose si girò di nuovo verso i Serpeverde, ormai seduti e ignari della loro presenza, e notò solo in quel momento una ragazza di bassa statura dalla lucente chioma color caramello che chiacchierava animatamente con Malfoy. Millie Montague.

«Non ci credo… ma quindi sono davvero così amici?»

«Te l’avevo detto che li vedevo sempre parlare a Babbanologia» rispose Alice con un’occhiata che la sapeva lunga.

Rose arricciò il naso perplessa, ma decise di lasciar perdere. Agguantò l’ultimo Zuccotto di Zucca prima che Alice potesse precederla e lo finì in pochi morsi, la sua attenzione inevitabilmente attirata da una testa bionda poco distante che stava ordinando un succo di ciliegia. Un calcio al ginocchio da parte di Alice la distrasse.

«Sbaglio o non riesci a togliere gli occhi di dosso a un certo… com’è che lo avevi definito prima? Ah sì, a un certo essere spietato e sgradevole» insinuò Alice, alzando e abbassando le sopracciglia.

«Mh? Oh, no io… stavo guardando male Cavendish per la storia con Dominique l’anno scorso, quando l’aveva lasciata davanti a tutti» tentò di salvarsi Rose, consapevole di non riuscire a convincere neanche se stessa. «E levati quel sorriso idiota dalla faccia» aggiunse, mentre Alice se la rideva sotto i baffi.

«Va bene, la smetto» concesse Alice, scolandosi la Burrobirra fino all’ultima goccia. «Andiamo?»

«Che ore sono?»

«Saranno le cinque e mezza passate. Magari riusciamo a fare un salto da Mielandia prima di tornare al castello».

«Va bene… cerchiamo solo di non farci notare da Malfoy e compagnia».

Le ragazze si alzarono, pagarono Madama Rosmerta al bancone – solo quattro galeoni e dieci scellini grazie allo sconto dello studente – e raggiunsero velocemente l’uscita, infilandosi giubbotto e sciarpa. Furono quasi in grado di tirare un sospiro di sollievo, quando una voce le immobilizzò.

«Weasley!»

Era la voce di Millie. Rose alzò gli occhi al cielo, maledicendo qualunque mago o strega osasse comparirle nella mente in quel momento. Si girò piano, intrappolando Alice per il polso e costringendosi a sorridere all’amica entusiasta che la salutava con la mano e le faceva cenno di avvicinarsi.

«Non siamo obbligate ad andare…» tentò debolmente Alice.

«Faremmo una brutta figura se la ignorassimo».

Rose s’incamminò controvoglia verso il famigerato tavolo trascinandosi dietro Alice, non lasciandosi sfuggire la leggera gomitata di dissenso che Malfoy tirò a Millie. L’unica risposta che ottenne il ragazzo fu una breve frase che, a giudicare dalla sua espressione, bastò a neutralizzare almeno la metà della sua arroganza.

«Ah Paciock! Ci sei anche tu quindi» esordì Millie bonaria. Alice si esibì in un sorriso tirato, torturandosi le maniche del giubbotto. I Serpeverde osservavano le nuove arrivate come se fossero un esemplare piuttosto sgradevole di Vermicolo, in apparenza incuranti dell’imbarazzo che permeava nell’aria, così denso da poterlo sentire sulla pelle. Rose abbassò gli occhi, consapevole dello sguardo inquisitore di Malfoy e decisa a concentrarsi sulle mani intrecciate di Albus e Diana, accuratamente bene in vista. Passò qualche secondo di pesante silenzio, interrotto dal nervoso tossicchiare di Millie che tentò di alleggerire l’atmosfera.

«Oh… ehm… volete sedervi?»

«No, noi… ce ne stavamo proprio andando. Dopo quattro porzioni di Zuccotti di Zucca, non credo possa entrarci altro nello stomaco» se ne uscì Alice, scoppiando a ridere nervosamente. Rose si morse il labbro inferiore, trattenendosi dal lanciare all’amica qualche fattura. In suo aiuto arrivò Diana, che si allungò sul tavolo per stringerle la mano.

«Rose, giusto? Finalmente ci conosciamo, Al mi ha parlato così tanto di te».

Rose la osservò da vicino per la prima volta e si accorse di quanto fosse realmente bella, con le delicate lentiggini che le ricoprivano le guance e i lucenti capelli scuri che le sfioravano le spalle. Le iridi verde prato sembravano sincere.

«Davvero ti ha parlato di me? Strano, non pensavo di essere degna di tale onore» rispose, per poi fulminare con lo sguardo il diretto interessato. L’irritazione non le impedì di notare con stupore le occhiate sfuggenti che il cugino lanciava ad Alice; non seppe dire se il senso di colpa che ci intravide era solo frutto della sua immaginazione.  A quanto pare anche Diana lo notò, perché si avvicinò ancora di più al fidanzato – se possibile – e gli diede un bacio sulla guancia.

«Weasley, mi accompagneresti un attimo in bagno?» chiese Millie all’improvviso. Rose annuì, capendo subito che aveva urgenza di parlarle. Rivolse un sospiro ad Alice, che dall’espressione pareva stesse per essere abbandonata davanti al patibolo, e le strinse un braccio in un gesto di scuse. Poi seguì Millie sulla rampa di scale che portava ai bagni.

«Sai qualcosa dell’appuntamento tra James e Penny?» domandò Millie non appena mise piede sul pianerottolo in cima.

«No… tu invece? Penelope non ti ha raccontato nulla?»

«Ho dovuto evitarla, altrimenti le avrei rivelato tutto perché non so mentirle così spudoratamente. Non che sia stato difficile… di solito ci vediamo solo in Sala Grande e in Sala Comune».

«Ecco perché ieri a cena eri seduta distante da lei! Oh Millie, hai davvero fatto questo per me? Ma Penelope non ci è rimasta male?»

«Non preoccuparti, è abituata ai miei momenti no», dichiarò Millie con un sorriso, «e scusami per la situazione imbarazzante in cui ho appena messo te e Alice, ma non appena ti ho vista ho colto l’occasione per parlarti».

«Tranquilla, abbiamo affrontato di peggio. A quanto pare solo il tempo ci mostrerà che cosa è davvero successo all’appuntamento».

«Sono sicura che questa sera Penny mi racconterà tutto e che James verrà a parlartene, ma tu promettimi che nel frattempo non ci penserai troppo».

«Ci proverò» disse Rose con un mezzo sorriso. «Ora è meglio se torniamo dagli altri, o Alice mi ammazzerà di sicuro per averla lasciata da sola».

Millie annuì e seguì Rose uno scalino alla volta, prima che si ricordasse di un altro dettaglio. «Ah Weasley, un’ultima cosa… per caso hai litigato di nuovo con Scorpius? È irritabile da questa mattina».

Rose si girò di scatto, soppesando l’amica con espressione indecifrabile. «Ti ha detto qualcosa» affermò mesta.

«Ti ha definita la persona più fastidiosa e incomprensibile che lui abbia mai conosciuto, e che per una volta che ha cercato di essere amichevole l’hai trattato come al solito».

«Amichevole è una parola grossa. Era solo venuto a farmi i complimenti per la partita, da quanto mi ha detto».

«Non ci credo!» esclamò Millie strabuzzando gli occhi.

«Lo so, è sembrato molto strano anche a me».

«Strano? No, tu non capisci. In tutta la mia vita non ho mai visto Scorpius Malfoy fare un complimento a qualcuno, è fin troppo orgoglioso. Il fatto che ne abbia concesso uno proprio a te è inspiegabile» proferì Millie, superando l’amica e salutandola con una pacca sulla spalla, per poi correre dagli altri Serpeverde.

Rose restò immobile per una manciata di secondi, sbalordita. Poi ricompose i suoi pensieri e scese i pochi scalini che la separavano dal polveroso pavimento, attirando con un cenno l’attenzione di Alice, che la raggiunse in un istante. Insieme uscirono dal locale e si inoltrarono nella pioggia battente senza guardarsi più indietro. Per quanto Rose avrebbe voluto dimenticarsene, l’ultima frase di Millie la tormentò durante tutto il viaggio di ritorno verso Hogwarts; a nulla servì ascoltare Alice lamentarsi per le domande invadenti di Diana Dumont e per gli sguardi adoranti che Albus rivolgeva a quest’ultima. Arrivate al castello, l’umore delle due Grifondoro non migliorò: erano entrambe così concentrate sui loro pensieri che non si accorsero della mancanza di James e Penelope a cena.








Angolo autrice
Eccoci qui con un nuovo capitolo!
Beh, che dire... Rose e Scorpius non ce la possono fare ad avere una conversazione civile per più di un minuto.
Secondo voi Malfoy aveva davvero intenzioni sincere? E sarà davvero a conoscenza della piccola gita di Rose e Alice nell'ufficio della bibliotecaria?
Qualunque sia la risposta, Rose non è una da fidarsi così facilmente.
Fa la sua ricomparsa il medaglione con la sua strana luce azzurra, ma che cosa c'è dietro è ancora un mistero. Che idea avrà mai avuto Rose?
Infine James e Penelope... come mai non erano a cena? Rose e Millie riusciranno a scoprire cosa è successo?
E poi Samantha e Isabel, Albus e la sua ragazza e la tremenda cotta di Alice. Sono ancora tante le cose da scoprire.
Fatemi sapere cosa ne pensate, e ci vediamo nel prossimo capitolo!
ChiarainWonderland 
 

 

 

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Capitolo 12
*** Incontri inattesi ***


CAPITOLO UNDICESIMO

INCONTRI INATTESI


Il vivace fuoco crepitante del camino di pietra diffondeva bagliori a tratti sinistri per tutto il perimetro della Sala Comune dei Grifondoro. Rose lo osservava tremolare rapita, arricciando il naso agli scoppiettii incessanti dei ceppi di legno. Lei e Alice si erano tuffate sul comodo divano cremisi subito dopo cena, e non l’avevano abbandonato fino a quel momento; l’avanzare delle ore aveva portato via gli altri studenti, che si erano rifugiati nei Dormitori, lasciando la sala a completa disposizione delle due ragazze. Tutt’intorno al divano giacevano scatole e carte stropicciate di vari dolciumi. Rose studiò con espressione vagamente disgustata l’ennesima Cioccorana che aveva scartato, acchiappandola prima che potesse balzare sul pavimento e lanciando uno sguardo ad Alice, impegnata a masticare una Bacchetta di Liquirizia. Non aveva idea di come il suo stomaco fosse ancora in grado di sopportare tutto quello zucchero, dopo la torta al cioccolato della cena e gli Zuccotti di Zucca del pomeriggio a Hogsmeade. La verità era che non riusciva a smettere di mangiare: i pensieri che turbinavano nella sua testa si placavano leggermente, sovrastati dall’avvolgente sapore del cioccolato. C’era solo un ricordo che continuava imperterrito a opprimerle il cuore, immune a qualunque tentativo di distrazione.

«Strano? No, tu non capisci. In tutta la mia vita non ho mai visto Scorpius Malfoy fare un complimento a qualcuno, è fin troppo orgoglioso. Il fatto che ne abbia concesso uno proprio a te è inspiegabile…»

«Rosie, ti posso fare una domanda?» chiese all’improvviso Alice. Rose si alzò a sedere e invitò con un cenno del capo l’amica ad andare avanti, il flusso di pensieri ormai interrotto.

«Secondo te piacerò mai a Potter?»

Rose strabuzzò gli occhi, non aspettandosi un’uscita del genere. Che cosa avrebbe potuto rispondere? L’istinto la portava a negare senza un attimo di esitazione: Albus aveva tutta l’aria di essere in paradiso ogni volta in cui era con la fidanzata, e a dirla tutta Alice non era neanche il suo tipo. Lo sguardo carico di sensi di colpa che suo cugino aveva lanciato ad Alice ai Tre Manici di Scopa rappresentava ancora un enigma, ma avrebbe potuto significare qualsiasi cosa. Oppure non significava nulla. Da vera amica avrebbe dovuto esprimere la sua sincera opinione, ma non se la sentiva di infrangere così brutalmente le speranze – già piuttosto fievoli – di Alice. In mancanza di idee geniali, decise di evitare la domanda con un’altra.

«Perché me lo chiedi?»

«Non lo so… pensavo…»

Rose si esibì in un’occhiata poco convinta, portandosi davanti alla faccia la figurina che aveva trovato nella confezione della Cioccorana. Gregory il Viscido. “Miseriaccia, ne ho già tre di lui”. «E a che pensavi, esattamente?»

«A Diana. So che mi sono lamentata di lei per almeno tre ore, ma cercavo solo di farmela odiare. Per principio, capisci? La verità è che… non ho alcun motivo per odiarla».

«Be’, sta con il ragazzo che ti piace da anni. Magari non è una ragione valida per giustificare l’odio, ma un’innocente antipatia è più che lecita direi».

«In effetti… sta di fatto che, per quanto le sue domande siano spesso risultate forzate, questo pomeriggio è stata l’unica che ha cercato di intrattenere un minimo di conversazione con me, mentre tu e Millie eravate in bagno».

«Davvero?»

Alice annuì debolmente. «Capisco perché piaccia a Potter. Da quanto ho visto è carina, educata, gentile e Serpeverde. Possibile che non abbia neanche un difetto?»

«Ovvio che ce li ha… ma tu ci hai parlato per meno di dieci minuti. Non puoi pretendere di aver già individuato i suoi pregi e vizi».

«Lo so… ma sembrava una ragazza così… sofisticata. Se mi impegnassi sarei anche io molto raffinata».

«Certo, soprattutto con le dita impiastricciate di liquirizia» commentò Rose con un sorriso furbo.

Lo sguardo di Alice scattò verso le sue mani, che sfregò ripetutamente sul divano nel vano tentativo di pulirle. «Per tutte le Mandragole di mio padre…»

Rose scoppiò in una risata e si sdraiò di nuovo, appoggiando la testa sulle gambe dell’amica e passandosi una mano tra i capelli crespi a causa dell’umidità tipica di fine ottobre. Il rumore di uno scatto e uno scricchiolio familiare la fecero ammutolire. Era il ritratto della Signora Grassa che si apriva. Rose si alzò in un attimo, lo sguardo che saettava verso il passaggio che era effettivamente aperto, ma da cui non era entrato nessuno. La luce soffusa della Sala Comune illuminava di striscio il corridoio buio e deserto. Alice si portò istintivamente una mano alla tasca della felpa, dove era custodita la bacchetta, e si alzò dal divano. Il ritratto si richiuse di nuovo con un tonfo secco, facendo sussultare le due ragazze che tirarono fuori le bacchette e le puntarono… verso il nulla.

«Se questo è uno scherzo non è divertente!» proferì Alice con voce incerta.

A un certo punto l’aria si mosse, come spostata da qualcosa, e dal nulla apparve James con la bacchetta in una mano e una vecchia pergamena nell’altra. Una pergamena che Rose conosceva molto bene.

«James!» esclamarono all’unisono le due Grifondoro, abbassando le bacchette. Il ragazzo si esibì in un sorriso enorme, avvicinandosi di qualche passo e ripiegando con cura il Mantello dell’Invisibilità.

«Cosa hai… come… aspetta, dov’eri a cena?» chiese Rose esterrefatta, l’improvvisa consapevolezza che la investì in pieno. Era davvero rimasta così concentrata sui suoi problemi da non accorgersi di quel cruciale dettaglio?

«Oh Rosie, vieni qui!» esplose James, per poi abbracciare la cugina di slancio. Rose si immobilizzò, confusa, dando delle leggere pacche sull’ampia schiena del ragazzo.

«Ma che diavolo…»

«Alice! Senza di voi nulla di tutto questo sarebbe stato possibile» dichiarò James. Circondò Alice in una morsa e la sollevò da terra, provocandole una risata spontanea.

Il volto di Rose s’illuminò. «Devo quindi dedurre che oggi sia andato tutto bene con Penelope?»

«Bene?! È stato il giorno migliore della mia vita! Non ho mai conosciuto una ragazza del genere e…» si bloccò, lo sguardo puntato sulle confezioni vuote che giacevano abbandonate sul tappeto. «Quanti dolci vi siete mangiate?»

«Non provare a cambiare argomento!» sbottò Rose concitata, trascinando il cugino sul divano. «Raccontaci tutto».

E così James confidò di come lui e Penelope si fossero incontrati nella Sala d’Ingresso all’orario prestabilito, e di come la Serpeverde fosse splendente anche in un semplice cappotto a quadri. I due si erano poi rifugiati da Madama Piediburro, dove avevano parlato senza interruzione per tre ore, e avevano raggiunto la Stamberga Strillante, permettendo a James di sfoggiare le sue incredibili doti di narratore di storie dell’orrore.

«Sul serio? Spiriti maligni e vampiri vagabondi?»

«Dovevi vederla, Rosie… era spaventata a morte!»

«Ma di solito le conquisti così le ragazze?» domandò Alice, diabolicamente ironica.

James le rivolse un’occhiataccia. «Diciamo che ho i miei metodi».

«Penelope ti ha per caso accennato qualcosa riguardo a… bigliettini o cose del genere?» si arrischiò a chiedere Rose, cauta.

«Bigliettini? Non mi sembra, perché?»

«Nulla d’importante, tranquillo. E dopo cosa è successo? Perché sei tornato solo adesso?»

«Be’… da Madama Piediburro Penelope mi ha detto che adora osservare il cielo notturno, così mentre tornavamo al castello mi è venuta un idea geniale. Le ho chiesto di aspettarmi nella Sala d’Ingresso e sono corso in Dormitorio, ho preso la Mappa e il Mantello e sono ritornato da lei. L’ho portata fino al prato davanti al Lago Nero, dove siamo rimasti ad ammirare il tramonto e poi le stelle. Per fortuna che il tempo si è rasserenato…».

«Wow» commentò Rose, stupita, «non pensavo potessi essere così romantico».

«Aspetta un momento, come facevi ad avere la Mappa e il Mantello? Non appartengono ai tuoi fratelli?» suggerì Alice.

«Ovvio, infatti avevo già previsto tutto. Ci ho parlato questa mattina e me li sono fatti prestare, per arrivare preparato in caso di evenienze come questa. Con Lily non ci sono stati problemi, ma con Albus… ho dovuto pagare un caro prezzo».

«Avresti dovuto prevederlo. Dopotutto è un Serpeverde».

«Hai ragione, ma n’è valsa la pena. Ho riportato Penelope sana e salva davanti alla Sala Comune dei Serpeverde, ed è questo quello che conta. Ah, e la prossima volta le chiederò di uscire a Hogsmeade davanti a tutta la Sala Grande» concluse, sopprimendo uno sbadiglio e ricevendo un segno di approvazione dalle due ragazze. «Sono stanco morto, vado a letto. A  proposito, dovreste farlo anche voi, domani è lunedì».

Rose annuì convinta; ora che sapeva della buona riuscita dell’appuntamento sentiva il cuore più leggero, la mente libera da almeno metà dei pensieri che l’avevano tormentata incessantemente. Osservò il cugino trascinarsi sulle scale e salire un gradino alla volta, prima che un enigma a cui non aveva ancora trovato risposta le balenò nella testa.

«James, mi sono sempre chiesta… come mai il Mantello e la Mappa sono di Lily e Albus?»

«È una lunga storia» rivelò James, lo sguardo divertito. Con un sorriso enigmatico salì altri due scalini, girò l’angolo e sparì.

 

*    *    *

«Psst, Weasley».

Rose alzò gli occhi al cielo, seccata, sistemandosi nervosamente i capelli dietro un orecchio e continuando a scrivere imperterrita sul rotolo di pergamena.

«Weasley, mi senti?»

«Che c’è!?»

«Weasley, Belby! Vi siete accorti che questa è una verifica di Trasfigurazione e non un lavoro di gruppo?» tuonò il professor Avory dalla cattedra con cipiglio minaccioso. Rose avvertì le proprie guance andare a fuoco: raramente le accadeva di essere richiamata da un professore. Se solo quel figlio di Troll di Belby avesse almeno letto il paragrafo sulla Trasfigurazione umana…

«Mancano solo pochi minuti allo scadere del tempo, vi consiglio di sbrigarvi» annunciò il professore con la profonda voce baritonale. Batteva l’indice sulla sinuosa clessidra lì accanto, la cui sabbia era ormai quasi completamente scivolata verso il basso. Rose si morse le labbra e cercò di aggiungere il maggior numero possibile di informazioni alla risposta dell’ultima domanda. La mano che doleva in maniera quasi insopportabile era difficile da ignorare, ma al termine della prova si potè ritenere generalmente soddisfatta. Raggunse Alice in fondo alla classe, non prima di aver incrociato lo sguardo celeste con quello scuro di Isabel, ancora seduta al suo banco e impegnata a rimettere in ordine la borsa. Ovviamente ad Alice non sfuggì il dettaglio.

«Quand’è che parleremo con lei e Samantha?» bisbigliò concitata non appena uscirono dall’aula. «È mercoledì, Rosie! È da quattro giorni che ci ignoriamo a vicenda! Sono sicura che non sono neanche più arrabbiate con noi e che si tratti solo di una questione di orgoglio. Ho visto lo sguardo che ti ha lanciato Isa prima, e non ho intravisto altro che tristezza».

«L’ho visto anch’io… e non sai quanto mi è costato andare dritta per la mia strada. Quanto vorrei risolvere anche questa storia, ora che con James è tutto a posto».

«Allora perché non andiamo da loro e la risolviamo, una volta per tutte? È diventato imbarazzante stare in Dormitorio senza che nessuno spiccichi una parola».

«Non è così semplice, Alice… non possiamo ancora parlare del medaglione. Finiremmo solo per mentire di nuovo, e tutto si ripeterebbe».

«E per questo dovremmo evitarle fino a quando non scopriremo qualcosa in più? Ci sono altre soluzioni, come cercare di organizzarci meglio e passare più tempo con loro».

Rose ci pensò su, lo sguardo che vagava per il corridoio poco affollato. «Potrebbe essere un’idea» concesse, continuando imperterrita a camminare, «ma ora andiamo in bagno? Non credo di riuscire a resistere ancora a lungo».

«Ci sei appena andata un’ora fa!»

«È l’ansia post-verifica», commentò Rose distratta, per poi trascinare l’amica nel primo corridoio a destra, «e poi abbiamo un’ora buca, quindi possiamo fare con calma».

Alice sbuffò, ma non oppose resistenza. «A proposito di idee e del medaglione, credo che il tuo piano abbia bisogno di qualche perfezionamento».

Rose aggrottò le sopracciglia, perplessa. Si ricordava bene di quando, due giorni prima, aveva raccontato della sua trovata ad Alice. Era già sul punto di parlargliene ai Tre Manici di Scopa, durante la gita a Hogsmeade, ma l’arrivo di certi Serpeverde indesiderati aveva brutalmente interrotto la loro conversazione. Rose sospirò, tentando di isolare qualunque pensiero che fosse anche solo collegato a Malfoy in un angolo remoto del suo subconscio.

«Perfezionamento? Del tipo?» borbottò. Il piano consisteva nel trascrivere gli strani simboli del medaglione su una pergamena e portarli dalla professoressa Nerivir, amata insegnante di Antiche Rune di Rose, alla disperata ricerca di risposte e con la scusa di averli trovati su un libro della Biblioteca. Ora, Rose era consapevole che si trattasse di un’idea azzardata, che necessitava di una pianificazione precisa e che avrebbe comportato dei rischi, ma almeno era qualcosa.

«Per esempio, credo che non convenga mostrare alla Nerivir l’intero messaggio, nel caso in cui il suo significato fosse qualcosa di… compromettente» ipotizzò Alice.

Rose dovette riflettere pochi secondi per capire che l’amica avesse ragione. Annuì piano, meditabonda, varcando l’arco di pietra che separava il corridoio dagli ampi bagni, prima di udire un debole suono. Sembrava qualcuno che piangeva.

«…vedrai che si sistemerà tutto…» continuava a sussurrare una voce femminile calda, accogliente e a Rose molto familiare, anche se non riusciva a intravederne la proprietaria.

«No! Non capisci? Non mi perdonerà mai… ho rovinato tutto…» rispose una seconda voce altrettanto familiare, più acuta della precedente e rotta dal pianto.

Le due Grifondoro si scambiarono uno sguardo, poi Rose si apprestò a compiere i pochi passi che la separavano dal cubicolo da cui provenivano tutti quei rumori. Non appena ci sbirciò dentro, spalancò gli occhi dalla sorpresa: sua cugina Molly era seduta con la schiena contro la parete, il viso rigato dalle lacrime appoggiato sulle ginocchia, mentre Dominique le era accovacciata accanto e le accarezzava la schiena con una mano in un gesto di conforto. Quest’ultima si alzò di scatto, come un bambino colto a rubare caramelle.

«Rose! Alice!»

«Dominique?» se ne uscì Rose in tutta risposta. Anche in una situazione del genere non potè fare a meno di osservare il folgorante aspetto esteriore della cugina di cui, sotto sotto, era sempre stata un po’ invidiosa. Si trattava di un’invidia lieve e innocente; d’altronde, non conosceva anima viva – e anche morta, in effetti – che non avesse dimostrato anche solo una sottle gelosia per la pelle perfetta e i liscissimi capelli biondi di Dominique.

«V-va tutto bene?» si azzardò a chiedere Alice, titubante. Dominique lanciò un’occhiata allarmata a Molly, che si alzò lentamente asciugandosi le guance con il dorso della mano. Balbettò qualcosa riguardo ad alcuni impegni a cui stava facendo tardi e sfrecciò fuori dai bagni con i capelli rossi, così simili a quelli di Rose, che volteggiavano nell’aria. Dominique sospirò, spolverandosi la divisa di Corvonero e apprestandosi a seguirla.

«Aspetta, Dominique!» esclamò Rose, afferrando la cugina per un polso prima che scappasse via. «Che cosa è successo?»

«Ha litigato con Lorcan» si limitò a rivelare la bionda, come se quella risposta bastasse a spiegare la situazione. Si liberò con delicatezza dalla presa di Rose e sparì nel corridoio.

«Be’» pronunciò Alice, «questa non me l’aspettavo».

Rose non potè fare altro che concordare. Le tornò alla mente l’immagine di Molly e Lorcan che chiacchieravano spensierati davanti al treno, l’ormai lontano primo di settembre. Erano migliori amici da anni, e Lorcan sembrava essere stato l’unico, oltre a Dominique, in grado di scalfire lo spesso strato di timidezza e riservatezza che portava al cuore di Molly. Il fatto che avessero litigato era quasi destabilizzante.

«Forse dovremmo seguirle…»

«No, saremmo solo di peso. Molly aveva palesemente bisogno di stare da sola, o comunque con qualcuno che sappia come consolarla» dichiarò Alice sicura. «Noi abbiamo un intero piano da perfezionare».

Uscite dai bagni, le ragazze occuparono l’ora buca a confabulare riguardo al medaglione e all’attuazione dell’idea di Rose e a studiare per la prova teorica di Difesa contro le Arti Oscure del giorno seguente. Il resto delle lezioni trascorse in un’anonima attesa del tanto agognato allenamento del pomeriggio, il primo dopo la partita. Le due ore di Erbologia rappresentarono l’ultimo ostacolo alla libertà. Oltre a prendere appunti sulle qualità della Mimbulus Mimbletonia, Rose fu costretta a dover svegliare cinque volte Alice dai suoi sonnelini fuori orario, il tutto sotto lo sguardo di disapprovazione del professor Paciock. Alice se la cavò con dieci punti in meno a Grifondoro e con un discorsetto a fine lezione che le fece arrivare in ritardo agli allenamenti.

«Per tutti i Folletti della Gringott!» esplose Alice a un certo punto, mentre lei e Rose correvano a perdifiato giù dalla collina che portava al campo di Quidditch, i capelli frustati dal vento. «Lui lo sapeva! Sapeva benissimo che avevamo un allenamento… ma no, teniamo la mia indisciplinata figlia altri venti minuti in classe per tentare di trasmetterle un minimo di moralità, tanto non ha altro di meglio da fare nella vita».

«Certo che anche tu avresti potuto evitare di addormentarti cinque volte di fila mentre spiegava…»

«Non è colpa mia se avevo sonno! Credo di aver esagerato con il cibo a pranzo, mi succede sempre quando mangio troppo».

Rose si limitò a un’occhiata poco convinta e risparmiò il fiato per la corsa. Arrivate all’enorme stadio circolare, le due Grifondoro si infilarono nell’entrata secondaria che portava agli spogliatoi, prima che la loro attenzione fosse attirata da un miscuglio di voci lontane.

«Non dirmi che sono già in campo!» sbottò Alice disperata correndo a controllare.

Rose aggrottò le sopracciglia, perplessa, avvicinandosi alla porta degli spogliatoi e appoggiandoci l’orecchio. Anche da fuori riusciva a sentire la voce determinata di James che stava concludendo il suo tipico discorso post-partita. Ma allora, se la squadra di Grifondoro era ancora lì dentro…

«Alice aspetta!» esclamò a gran voce. Percorse lo stretto corridoio fino all’entrata che dava sul campo, fermandosi a due passi da Alice e maledicendosi da sola non appena si rese conto di chi aveva davanti. L’intera squadra di Serpeverde, grondante di sudore e intirizzita dal freddo, le osservava incuriosita e altezzosa. Albus, davanti a tutti, teneva gli occhi smeraldini fissi su Alice. Rose tentò invano di indirizzare lo sguardo in quella direzione, consapevole che alla destra del cugino si stagliasse una figura che avrebbe volentieri evitato come la peste. Malfoy era lì, con la scopa sottobraccio e i capelli scompigliati dal vento, che la squadrava. Le guance, solitamente candide, erano colorate da un tiepido rossore dovuto alla fatica appena affrontata. Rose si stupì nel constatare di come negli occhi grigi del ragazzo non ci fosse più traccia della rabbia che aveva scorto a Hogsmeade. Tutto quello che era rimasto era una gelida, indecifrabile indifferenza.

«Bene bene… Weasley e Paciock. Ansiose di mettere piede in campo, a quanto vedo» proferì Lance Vaisey, settimo anno e Capitano, facendosi largo tra gli altri giocatori.

Rose aprì la bocca per controbattere, ma non ne uscì alcun suono. Lei e Alice rimasero immobili a fissare i Serpeverde per attimi che parvero interminabili, finchè una voce non le salvò come un faro salva le navi in balia di una tempesta.

«Problemi, Vaisey?»

Rose si girò di scatto, sollevata. James era pochi passi dietro di lei, seguito dal resto della squadra di Grifondoro, e guardava torvo il capitano avversario. Tra i due era sempre intercorsa una profonda rivalità sportiva, ma Rose era quasi sicura che non si sopportassero anche fuori dal campo.

«Nessuno, Potter» rispose Vaisey con aria innocente.

«Ottimo, perché credo sia arrivato il momento che voi Serpi vi rintaniate nei vostri spogliatoi… non vorrei che vi beccaste un raffreddore, con questo tempo».

Il tipico ghigno malizioso che esibiva Vaisey si spense, sostituito da un’espressione indifferente. «Ti piacerebbe» si limitò a replicare, incamminandosi nel corridoio con la sua squadra. Rose si appiattì contro il muro per lasciarli passare; avvertì il cuore perdere un battito non appena Malfoy le sfiorò involontariamente la spalla, senza degnarla più di uno sguardo.

«Siete in ritardo…» dichiarò James impassibile, girandosi di nuovo verso Rose e Alice non appena i Serpeverde sparirono alla vista, «…ancora».

«Abbiamo avuto un imprev-»

«Avete perso il mio discorso, e sapete quanto è importante. Abbiamo discusso delle nuove tattiche che potremmo adottare per la prossima partita, che per vostra informazione è contro i Serpeverde».

«Lo sappiamo. Scusa James, è stata colpa mia» disse Alice abbattuta.

James la fissò qualche istante, poi si sciolse in un sorriso e fece un cenno con la testa verso gli spogliatoi dei Grifondoro. «Andate a mettervi le divise e fatevi trovare in campo entro due minuti» concesse.

Le due ragazze annuirono e percorsero a ritroso il corridoio. Un attimo prima di entrare negli spogliatoi, l’attenzione di Rose fu attirata dalla porta sulla parete opposta. Si fermò a osservarla, consapevole che dall’altra parte ci fosse la squadra verde e argento.

«Weasley, ci sei?» la richiamò Alice, riscuotendola dai suoi pensieri.

«Mh? Oh, arrivo…»

«Promettimi che non parleremo di quello che è appena successo».

«Era l’ultima delle mie intenzioni».

Alice riuscì a rimanere zitta solo per qualche istante. «Ma da quando si allenano prima di noi il mercoledì? Possibile che nessuno di loro avesse lezione?»

«Malfoy e Albus non frequentano il corso di Erbologia, quindi avevano due ore libere. Per quanto riguarda il resto, ne so meno di te».

Gli allenamenti si rivelarono faticosi, complici il vento che ululava indomito e la ferrea intransigenza di James, causa la prospettiva della partita contro i Serpeverde programmata per dicembre. Rose sperava di non dover sopportare la severità del cugino per i due mesi successivi.

«No Rosie, in questo schema la Pluffa devi passarla prima a Debbie e poi a Ben! È già la seconda volta che fai esattamente il contrario!» urlava James, in bilico sulla scopa.

«Che cosa? Questo non è il primo schema?»

«È il secondo» rispose James, avvicinandosi. «Passi la Pluffa a Debbie, te la ripassa, la lanci a Ben che tira nell’anello sinistro».

Rose annuì e ripetè l’ordine svariate volte sotto lo sguardo apprensivo del cugino. «Senti, Rose… se hai bisogno di cinque minuti di pausa, sai… per staccare un attimo, basta dirmelo».

«Non ho bisogno di una pausa!» sentenziò Rose infervorata. Si allontanò di scatto da James e si esibì in un sospiro irritato: non riusciva a concentrarsi sull’allenamento. La sua mente era altrove, trasportata davanti alla porta dello spogliatoio della squadra avversaria, dove c’era Malfoy. L’occhiata che il ragazzo le aveva rivolto poco prima continuava a tormentarla; Rose preferiva di gran lunga l’aria maliziosa e strafottente di quando la prendeva in giro, o l’espressione furibonda di quando litigavano fin quasi a lanciarsi fatture a vicenda. Ma quell’indifferenza, quella totale mancanza di emozioni che aveva dimostrato non appena l’aveva vista, non le era piaciuta. Non le era piaciuta per niente.









Angolo autrice
Ehilà,
sono tornata con l'ultimo capitolo del 2019 (fa abbastanza strano dirlo).
Prima di tutto auguro a tutti un felice anno nuovo e buone feste, anche se ormai siamo già a metà vacanze *piange disperata*
Passando al capitolo, Rose e Alice iniziano a organizzare un nuovo piano e hanno parercchi incontri a sorpresa.
La storia con James e Penelope si è davvero conclusa con un lieto fine con tanto di coniglietti e arcobaleni, oppure ci saranno altri imprevisti?
Be', è presto per dirlo.
E con Scorpius e Albus le nostre Grifondoro hanno un po' di conti in sospeso... Per esempio, cosa ci sarà dietro l'indifferenza di Scorpius?
Non dimentichiamoci di Samantha e Isabel, con cui Rose e Alice dovranno trovare il modo di parlare, e della povera Molly.
Ci vediamo al prossimo capitolo (e al prossimo decennio, che inizia letteralmente da domani... Non sono pronta per il 2020).
ChiarainWonderland

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Dolcetto o scherzetto? ***


CAPITOLO DODICESIMO

DOLCETTO O SCHERZETTO?


East Hampshire, 7 agosto 1964

La bara era nera. Georgiana la fissava con occhi vitrei, lo sguardo che si confondeva con la luce accecante del sole che quasi si beffeggiava del suo dolore. Il mausoleo della sua famiglia, collocato al centro dell’affollato cimitero di Petersfield, non le era mai apparso più desolante. Ci era stata solo altre due volte, la prima per un prozio sconosciuto e la seconda per suo nonno paterno. Non si ricordava granché, considerando che all’epoca aveva più o meno sette anni, ma era certa che la sofferenza che doveva aver provato non era neanche lontanamente paragonabile a quella che avvertiva scorrerle sotto la pelle in quel momento. Perché mai quella bambina dai riccioli d’oro che era stata avrebbe potuto prevedere di ritrovarsi in una circostanza simile, appena otto anni dopo. Mai avrebbe potuto anche solo concepire che al posto di un lontano parente o del suo indifferente e gelido nonno, sotto il coperchio della bara sigillato per l’eternità, riposava il corpo di sua madre.

«Sì, credo che… insomma… credo sia ora di metterla dentro» sussurrava concitato il prete, ritto davanti all’entrata del mausoleo, mentre si torturava un lembo della stola nera che gli avvolgeva le spalle e lanciava occhiate nervose ai presenti. Era un uomo giovane, appena arrivato nella parrocchia, ancora trattato con indifferenza e scetticismo. Georgiana faceva scorrere lo sguardo da lui ai becchini che stavano trasportando la bara all’interno del tetro edificio, per tumularla in uno dei numerosi loculi che l’avrebbe celata per sempre ai suoi occhi. Rimase a fissare il vuoto, inerme, fino a quando una mano non le strinse una spalla.

«Tra poco andiamo a casa per il rinfresco» le ricordò suo padre, il volto privo di qualsiasi accenno di emozioni. Georgiana annuì debolmente, girandosi a osservare il resto delle persone che si erano riunite per dare l’ultimo addio a una donna che neanche conoscevano. Erano quasi tutti maghi, vestiti alla babbana per non insospettire il prete e il personale del cimitero. L’unico dettaglio che accumunava molti di loro, tra cui suo padre, era un medaglione con una pietra turchese incastonata al centro. Georgiana alzò gli occhi al cielo: sua madre li detestava tutti. Eppure anche lei era stata trascinata in quella situazione senza via d’uscita, con l’unico risultato di attirare al suo funerale individui per i quali provava solo odio.

«Condoglianze, Claudius. Una tragedia, davvero una tragedia» commentò un uomo basso e sottile – un certo Selwyn, da quello che si ricordava Georgiana – facendosi avanti e stringendo la mano a suo padre. Subito fu seguito da altri uomini accompagnati dalle loro mogli, desiderosi di esternare tutta la loro più sincera e profonda commozione per quel terribile, straziante lutto.

«Brutta faccenda… brutta faccenda Claudius. Hai tutta la mia vicinanza».

«Sono rimasto scioccato non appena ho saputo… Vaiolo di drago… non riuscivo a credere alle mie orecchie».

«E la ragazzina? Come l’ha presa la ragazzina?»

A Georgiana sembrò di venire punta da uno spillo. Anche dal basso dei suoi modesti quindici anni, si riteneva più intelligente della maggior parte delle persone che la circondavano. Poiché solo uno stolto avrebbe esternato un tale quesito, così fuori luogo da risultare quasi imbarazzante. Come avrebbe mai potuto prenderla? Nelle ultime settimane si era in un certo senso preparata alla morte inevitabile di sua madre, ma si trattava pur sempre della donna più importante della sua vita, del suo punto di riferimento. E se n’era andata. Non c’era più. Scomparsa per sempre. Come avrebbe mai potuto prenderla?

«Stai bene, tesoro? Vuoi allontanarti un po’ per prendere aria?»

La voce che aveva pronunciato quelle parole con tono stomachevolmente mellifluo era la stessa che pochi secondi prima aveva osato avanzare la domanda inopportuna. La proprietaria era una donna sulla cinquantina, tonda e con il viso troppo truccato, il corpo tornito fasciato in uno stretto tubino nero che faceva risaltare i rotoli di grasso sui fianchi. Georgiana si allontanò di un passo senza dare nell’occhio. La sua mente era come un buco nero: assorbiva le emozioni, i pensieri, la volontà, la forza di reagire, lasciandosi dietro il nulla. Voleva andarsene da quel luogo. Voleva allontanarsi da tutto e da tutti anche solo per qualche istante.

«Tesoro, da brava, rispondi alla signora» intervenne prontamente suo padre, agguantandola di nuovo per una spalla.

Georgiana sospirò. «Grazie, ma sono a posto» sputò fuori nella maniera più cortese possibile. Si passò una mano sulla guancia, ma non c’era alcuna traccia di lacrime. Sospettava a malincuore di averle finite.

«Sicuramente te l’avranno già detto, ma le somigliavi molto» continuò la donna invadente, con gli occhi assottigliati. Georgiana rivolse lo sguardo al mausoleo per un fugace istante. «Lo so» replicò piattamente. Doveva trovare il modo di andarsene, e in fretta. Se già al cimitero faticava a mantenere una compostezza quantomeno decorosa, per l’ora del rinfresco sarebbe esplosa. Di una cosa era certa: l’avrebbero riempita di domande; nessuno le avrebbe concesso un po’ di pace.

«Vuoi salutare un’ultima volta la mamma prima che chiudano la tomba?» intervenne suo padre, accennando con la testa al mausoleo, dove i due becchini stavano ultimando il loro lavoro.

Georgiana lo fissò a lungo, diffidente. «L’ho già salutata prima».

«Allora possiamo andare?»

Georgiana era già sul punto di annuire, quando le venne in mente un’idea. «No anzi… credo… credo di aver bisogno di qualche minuto da sola con lei. Voi iniziate pure ad andare, io torno dopo a piedi. Tanto fino a casa sono solo venti minuti».

Suo padre la squadrò perplesso, ma non indagò oltre. «Ti aspetto per il rinfresco».

Georgiana annuì, stupita: in una normale occasione non l’avrebbe mai lasciata da sola. Si riscosse dalla sorpresa e si avvicinò al mausoleo, aspettò che i becchini uscissero ed entrò cauta. L’interno era angusto, ancora più grigio e inquietante rispetto alla facciata esterna. Sulle pareti decine di loculi esibivano nomi sconosciuti e date antiche che celavano le storie dei suoi antenati. Ma lei non era interessata alle tombe coperte da muffa e polvere. L’unica degna della sua attenzione era quella che era appena stata sigillata, dall’aspetto nuovo e pulito, posizionata al centro della parete di fondo. Vi ci appoggiò una mano e mosse le dita sulla superficie liscia del marmo, seguendo i contorni del nome inciso sopra.

«Ti aspetto per il rinfresco… tu non avresti voluto niente di tutto questo, non è vero mamma?» mormorò con un sorriso amaro.

 Dopo qualche istante si staccò a malincuore, come se separarsi da quell’anonima lastra significasse dirle veramente addio. Dovette aspettare parecchi minuti prima che anche l’ultimo ospite si defilasse dal cimitero per smaterializzarsi e che il prete e i becchini sparissero alla vista. Abbandonò cautamente il suo rifugio momentaneo, strizzando gli occhi alla luce accecante del sole, e s’incamminò tra le varie lapidi. Oltrepassò il cancello arrugginito e prese la direzione che si addentrava nel bosco, opposta al sentiero che conduceva a casa sua. I pensieri turbinavano nella sua testa come vortici d’aria. Non le importava nulla se suo padre si fosse infuriato per la sua imperdonabile assenza: avrebbe accettato di buon grado la punizione, piuttosto che vedersi costretta a dover trascorrere ore con persone insopportabili. E non si trattava solo di una questione di volontà; lei non poteva andare al rinfresco. Aveva sopportato fin troppo, in quella giornata. Iniziò a correre non appena si accorse che più si allontanava da casa sua, più si sentiva meglio. Si stupì di sé stessa nel constatare che stava compiendo l’atto più ribelle della sua vita, così da Grifondoro, quando in realtà era una Tassorosso fino al midollo. Continuò a correre per parecchio tempo, la mente occupata dall’immagine di sua madre, fino a quando non inciampò in un sasso e rotolò giù per un piccolo pendio erboso.

«Ahi… maledizione!»

Si distese sull’erba sbuffando. Il polso le doleva leggermente, ma per il resto non sembrava essersi rotta niente. Alzò lo sguardo verso la cima della collina da cui era appena caduta, dove finiva il bosco. Non era mai stata in quella zona, e vista l’intransigenza di suo padre non ne aveva mai avuto la possibilità. Davanti a lei si estendevano a perdita d’occhio campi incolti, interrotti solo da quella che aveva tutta l’aria di essere una cascina circondata da qualche albero. Georgiana si alzò e si incamminò in quella direzione, curiosa. Man mano che si avvicinava riusciva a scorgere nuovi dettagli, come le tegole sconnesse del tetto e le tende colorate che ornavano le finestre. La cascina era del tutto diversa dalla tenuta della sua famiglia, ma era proprio quella differenza che la attirava inesorabilmente. Non c’erano cancelli, staccionate o ringhiere che la separavano dall’ambiente circostante. Pareva quasi che fosse inglobata nel paesaggio stesso. Aveva ormai raggiunto i primi alberi che circondavano l’antico edificio, quando una voce maschile la colse di sorpresa.

«Ciao».

Georgiana s’immobilizzò, indecisa se girarsi verso chiunque l’avesse beccata o scappare nella direzione opposta. Magari il proprietario della voce l’avrebbe seguita, ma fino a un certo punto. Bastava raggiungere in fretta la collina…

«Ti sei persa? Se vuoi ti posso dare una mano» continuò quello che doveva essere un ragazzo, e Georgiana pensò di non aver mai udito una voce così gentile e rassicurante. Si girò d’istinto, trovandosi davanti un giovane dai capelli scuri. Aveva sì e no la sua età.

«Sì… no, io… cioè… non mi sono persa» balbettò, incespicando nei suoi stessi piedi. Il ragazzo trattenne una risata. Georgiana pensò di non aver mai visto un sorriso più bello.

«Allora cosa ci fai qui?»

«Io… stavo scappando».

«Scappando? In effetti, hai proprio l’aria di essere in fuga».

Georgiana arrossì al pensiero del suo aspetto in quel momento. Il sobrio vestito nero che aveva indossato per il funerale era cosparso di fili d’erba e i suoi capelli erano probabilmente in uno stato peggiore. Se si aggiungevano anche gli occhi gonfi dai pianti degli ultimi giorni, era quasi sicura che tutto l’insieme ricordasse in modo vago una cornacchia arruffata.

«Sono caduta dalla collina» spiegò, indicandola con il dito, «e mi fa un po’ male il polso».

«Davvero? Se vuoi posso chiedere a mia madre di dargli un’occhiata. Sai, noi viviamo qui».

Georgiana non riuscì a trattenere la fitta di dolore che le attraversò il cuore quando sentì il ragazzo nominare sua madre. «Sì, l’avevo capito» rispose, riscuotendosi e allungando la mano destra. «Comunque mi chiamo Georgiana».

Il ragazzo sorrise e allungò la mano a sua volta. «Steven. Mi chiamo Steven».

 

*    *    *

Hogwarts, 31 ottobre 2022

Lumacorno stava blaterando ininterrottamente da due ore sui fantomatici antidoti ai veleni. Rose represse uno sbadiglio, scribacchiando qualche appunto sul libro di testo e lanciando un’occhiata esasperata a Samantha. L’ora di Pozioni era l’ultima della giornata e Rose, reduce da Incantesimi e Difesa contro le Arti Oscure, faticava a rimanere seduta sulla sedia.

«Ma non gli si secca mai la lingua a parlare così tanto?» sussurrò Alice, lanciando un’occhiata sbieca a Lumacorno.

«Se fosse possibile, sarebbe già accaduto molto tempo fa» ribatté Isabel divertita. Rose riportò lo sguardo sul professore e si incantò sul movimento ritmico dei baffi da tricheco, modellato come le parole che scorrevano più veloci di un fiume in piena. La lezione teorica rimaneva pur sempre uno strazio, ma almeno le evitava il supplizio dei vapori delle pozioni che rendevano impraticabili i suoi capelli. Non che in quel momento fossero anche lontanamente accettabili.

«Parlando di cose serie, questa sera festeggiamo?»

«Intendi in Sala Grande?»

«Ma no, in Dormitorio! È pur sempre Halloween… ci raccontiamo storie dell’orrore, mangiamo caramelle... ne ho una scorta che farebbe impallidire tuo fratello, Rosie!» bisbigliò Samantha concitata.

«Comunque non possiamo fare tardi» intervenne Rose, che come al solito rappresentava la voce della ragione. «Domani abbiamo lezione».

«Oh, non fare la guastafeste. Già quest’anno ci è andata male che Halloween è giovedì».

«Infatti, bastava che fosse domani e avremmo potuto stare sveglie fino a tardi…»

«Se le signorine permettono», tuonò una voce dalla cattedra, «necessiterei di un po’ di silenzio per continuare la spiegazione».

Le ragazze fecero un balzo dalla sorpresa. Lumacorno sorrise, compiaciuto di aver ottenuto il risultato sperato, e riprese il suo discorso, non senza guadagnarsi un insulto da Alice. La lezione finì un interminabile quarto d’ora e una dozzina di sbuffi dopo.

«Per la barba di Merlino, finalmente!» esplose Samantha, cacciando alla bell’e meglio libro e piuma d’oca nella borsa. Rose pensò che la spontaneità della bionda le era mancata, contrariamente al solito. Si ricordò di come lei e Alice avessero cercato le due amiche per tutto il castello, qualche giorno prima, in modo da chiarire la situazione. Come avevano previsto, l’ira di Isabel si era placata e si trattava solo di una questione di orgoglio. Tutto era tornato come prima… o quasi. Era come se tra di loro ci fosse ancora un velo che, seppur sottile, non accennava a dissolversi. Una verità nascosta rimaneva pur sempre tale, e Isabel e Samantha avevano capito che ce n’era una, e anche ingombrante. Rose sapeva che l’unico modo per chiudere la questione era di rivelare il mistero del medaglione, ma era consapevole di non poterlo fare. Si riscosse dai suoi pensieri non appena notò che le tre compagne stavano uscendo dall’aula.

«Non capisco il motivo per cui James abbia dovuto programmare un’ora extra di allenamenti per questo pomeriggio» disse Alice.

«Magari perché manca solo un mese alla partita contro i Serpeverde».

«Allora le ultime settimane quanto ci farà allenare? Ogni giorno?»

«Sai com’è fatto. Tutti gli anni la stessa storia…»

«Signorina Weasley, mi scuserebbe un momento?» proruppe una voce dietro di loro. Lumacorno era sulla soglia dell’aula, le mani serrate sui lembi della giacca elegante che si ostinava a indossare e il tipico sorriso affabile che esibiva esclusivamente per una cosa. Una cosa che Rose cercava di evitare come la peste.

«Professore! Mi scusi tanto ma io e Paciock siamo già in ritardo per gli allenamenti, quindi dovremmo proprio…»

«Non si preoccupi signorina Weasley, volevo solo informarla che sto organizzando il primo incontro del Lumaclub. Si tratta di una cenetta intima, niente di troppo impegnativo… riceverà presto l’invito con la data e l’orario esatti».

«Sono onorata signore, ma probabilmente sarò già occupata con il Quidditch».

«Nessun problema, ragazza mia, nessun problema! È proprio per questo che la cena si terrà in un weekend! Non credo che abbia allenamenti il fine settimana, o sbaglio?»

Rose sollevò gli angoli della bocca quanto bastava per accennare un sorriso di cortesia. Lumacorno si lisciò la giacca soddisfatto, girandosi di nuovo e tornando nel suo covo di calderoni nero pece e bizzarri ingredienti.

«Sapevi che prima o poi questo momento sarebbe arrivato» commentò Samantha.

«Lo so» si limitò a rispondere Rose, l’espressione impassibile.

Gli allenamenti si svolsero mezz’ora dopo, sotto nuvoloni scuri separati da strisce di cielo. Rose non riusciva a concentrarsi: aveva troppi pensieri per la testa, e la Pluffa le passava accanto senza che la vedesse veramente. Veniva riportata alla realtà dalle urla di James, che attraversavano il campo da una parte all’altra. C’era una strana atmosfera nell’aria, quasi eterea. La leggera brezza che scuoteva le cime degli alberi s’infrangeva sui corpi dei sette giocatori e riempiva il silenzio che dominava il paesaggio. Dopo un’ora, James fu il primo a toccare terra.

«Per oggi può bastare!»

I Serpeverde erano già a bordo campo, le scope sottobraccio, in attesa di avere il via libera. Da quello che si ricordava, Rose era quasi certa che di solito non si allenassero il giovedì: si trattava quindi di un allenamento aggiuntivo, come il loro. Vaisey batteva ritmicamente il piede a terra, impaziente, e non si trattenne dal lanciare un’occhiata maliziosa alle tre ragazze Grifondoro quando gli passarono accanto. Rose lo ignorò e si avvicinò a James, lo sguardo che continuava a vagare verso l’alto e biondo Cercatore della squadra avversaria. Malfoy teneva ostinatamente gli occhi fissi sul prato.

«Tra poco il sole inizierà a tramontare» constatò Rose, rivolta al cugino. «A quanto pare Vaisey è stato meno clemente di te con gli orari».

«Si è dovuto accontentare. Per quest’ora mi ero già prenotato io, e questo pomeriggio Albus aveva Cura delle Creature Magiche».

Rose annuì, riflettendo se esternare o meno i suoi pensieri al cugino. «C’è da dire che si stanno allenando molto» si limitò infine a mormorare.

«C’è una differenza tra allenarsi molto e allenarsi bene».

James fece un leggero cenno con la testa a suo fratello e uscì dal campo. Il resto della squadra lo seguì e si rifugiò negli spogliatoi, pregustando le delizie che la cena avrebbe riservato loro in occasione della notte delle streghe. Rose, Alice e Debbie chiacchierarono del più e del meno mentre i ragazzi discutevano della vittoria schiacciante dei Montrose Magpies sugli Appleby Arrows.

«Avete visto che mossa ha fatto Mooley quando ha scartato Horton? Non so voi, ma per me la battezzeranno con il suo nome».

«No Ben, io ho preferito di gran lunga il gioco di McGie. Ne avrà parate sette o otto che sembravano dei missili».

«Senza offesa Evan, ma credo che il portiere degli Arrow sia nettamente superiore…»

«Mi spiace interrompervi, ragazzi» tuonò Alice seccata a un certo punto, «ma l’unico giocatore degno di nota è stato quel gran pezzo di battitore che è Philegan, punto. Ah, quell’uomo sa fare magie…»

«Alice!»

«Che c’è? È vero».

Rose scosse la testa, incapace di nascondere un sorriso divertito, mentre Debbie scoppiò in una risata sguaiata che la fece cadere sul pavimento. I ragazzi le guardavano come se avessero appena detto che Lumacorno era l’uomo più seducente dell’universo. Presto gli spogliatoi si svuotarono, lasciando Rose e Alice da sole. Debbie fu l’ultima a uscire: sparì dietro l’angolo dopo aver salutato le compagne con la mano. Rose attese finché anche l’ultimo rimbombo di passi nel corridoio non si disperse del tutto.

«Ieri sera il medaglione si è illuminato di nuovo» sussurrò, quasi avesse il timore che i Serpeverde in campo potessero sentirla.

«Sei seria?»

«Sì, l’ho visto quando ho aperto il baule per cercare un libro. Per fortuna Sam e Isabel dormivano».

Alice si bloccò a fissare il vuoto. «Che c’è?» domandò Rose perplessa.

«Stavo pensando che dovremmo stabilire un giorno in cui attuare il piano. Lo stiamo continuando a rimandare da settimana scorsa, e non vorrei che finissimo come l’ultima volta, quando ci siamo ridotte alla mattina prima della partita di Quidditch».

«Lo so, la mia tendenza a procrastinare di certo non aiuta. Però ho controllato gli orari delle lezioni della Nerivir, e forse ho trovato…».

Un urlo particolarmente forte s’insinuò negli spogliatoi e interruppe la conversazione. Rose riconobbe la voce come quella di Vaisey e riuscì a cogliere con un ghigno qualche parola, tra cui “Potter”, “imbranato” e “femminuccia”. Le due ragazze finirono frettolosamente di cambiarsi e si diressero d’istinto verso il campo, dove i Serpeverde seguivano gli ordini e sfrecciavano da un anello all’altro, macchie verdi illuminate dai colori caldi del tramonto. Per un istante a Rose parve di scorgere un luccichio dorato fendere l’aria.

«Quindi con Malfoy?» chiese all’improvviso Alice, lo sguardo ancora puntato verso il cielo.

«Mh?»

«È ancora indifferente?».

«Eccome. Da una settimana non mi prende in giro, non mi guarda, non mi infastidisce… mi ignora e basta».

«Be’» rispose Alice accondiscendente, «non avete mai passato così tanto tempo senza litigare. Dovrebbe renderti felice, giusto? Non avere Malfoy per la mente».

«Certo che mi rende felice!» scattò Rose sulla difensiva. «È solo che vorrei sapere il motivo».

«Strano che tu non l’abbia ancora capito. Sono quasi sicura che la causa sia stata la reazione che hai avuto quando è venuto a farti i complimenti per la partita, fuori dalla Sala Comune. Non ho idea del perché l’abbia fatto, ma se avesse avuto buone intenzioni…»

«Certo, voleva che diventassimo amici per la pelle».

«Guarda che sono seria».

«Anche io. Cosa avrei dovuto fare, sentiamo…avrei dovuto ringraziarlo, e magari invitarlo alla festa? Non dopo i nostri trascorsi, le prese in giro e gli schiantesimi che ci siamo lanciati addosso. Chissà lui cosa si aspettava, che gli offrissi il tè con i biscotti? No Alice, te lo dico io… è il solito egocentrico che vuole attirare l’attenzione» concluse Rose, trascinando l’amica perplessa fuori dallo stadio e su per la collina che portava al castello.

Quando entrò in Sala Grande per cena, quella sera, Rose parve dimenticare tutti i suoi problemi. Un cielo scuro punteggiato di stelle sovrastava i quattro tavoli imbanditi con pietanze di ogni genere, e zucche intagliate galleggiavano nell’aria rischiarando fiocamente la spettrale penombra in cui era avvolta la sala. Stormi di pipistrelli volteggiavano insieme, creando elaborate danze che scomparivano e riapparivano al chiarore della luna che filtrava dalle ampie finestre laterali. Qualche pipistrello si avvicinava molto ai tavoli, fin quasi a sfiorare le teste dei ragazzi, e lasciava un’espressione terrorizzata sulla faccia degli studenti più piccoli.

«Merlino» si lasciò sfuggire Alice.

«Lo so» concordò Rose, «è bellissimo».

Le due ragazze percorsero il corridoio centrale e raggiunsero Samantha e Isabel, già sedute e con i piatti straboccanti. Rose si guardò intorno, affamata, non sapendo da dove cominciare: c’erano tortini salati dai più variegati ripieni, interi vassoi di salsicce accompagnate dal purè di patate, arrosti conditi con varie salse, la tipica Shepherd’s Pie – ironicamente adorata da David – e contorni di verdure. Ma il vero spettacolo arrivò con la comparsa dei dolci. Interi cesti di caramelle, decine e decine di lecca-lecca incastrati a formare castelli di zucchero, torte al cioccolato e alla melassa affiancate dall’appiccicoso Sticky Toffee Pudding e le classiche mele caramellate. Rose ne prese una e l’addentò, lo sguardo che vagava per la sala. Alice era impegnata a riempire il piatto dell’ennesima porzione di torta alla melassa, incurante delle occhiate incredule dei compagni, mentre Samantha tentava di staccare un lecca-lecca senza far crollare tutti gli altri. Rose alzò gli occhi al cielo, rivolgendo involontariamente l’attenzione verso il tavolo dei Serpeverde. Individuare Malfoy non fu difficile: era seduto tra Albus e Zabini e teneva la forchetta sospesa in aria, come se fosse rimasto intrappolato in un pensiero. Poi lo sguardo tempestoso del ragazzo scattò verso l’alto fino ad incrociare il suo. Rose s’immobilizzò, il frastornante chiacchiericcio e il tintinnio delle posate che invadevano la sala improvvisamente spariti e il battito del cuore che rimbombava nei timpani. Malfoy fu il primo a interrompere quel contatto temuto e allo stesso tempo desiderato; abbassò di scatto la testa, come se si fosse scottato, e non la rialzò più. Rose rimase a fissare il nulla, sbalordita: lo strano comportamento di Malfoy avrebbe dovuto risultarle indifferente o addirittura piacevole, eppure avvertiva un senso di vuoto ogni volta che veniva ignorata. Aveva ormai capito di provare una sorta di interesse per il ragazzo, ma quella fastidiosa sensazione le era del tutto sconosciuta, e sotto sotto le faceva male. Molto male. Così male da farla infuriare. “Davvero sto soffrendo per quell’idiota?” si ritrovò a pensare. “Come se la mia vita ruotasse solo intorno a lui”. Se davvero Malfoy intendeva evitarla per sempre, allora lei si sarebbe concentrata sulle faccende importanti.

«Il piano lo attuiamo martedì. È l’unico pomeriggio in cui la Nerivir non ha lezione» bisbigliò ad Alice, attenta a non farsi sentire.

L’amica si bloccò con la bocca piena di torta alla melassa. «Sicura?» biascicò esitante.

«Eccome» rispose Rose, alzando il calice riempito per metà di succo di zucca. «Dolcetto o scherzetto, Alice?»












Angolo autrice
Ehilà!
Sono tornata con un nuovo capitolo finalmente!
La prima parte è incentrata su Georgiana, e devo dire che è stato difficile descrivere le sue emozioni in un momento del genere. Spero di esserci riuscita bene!
Rose ha i suoi soliti casini, quindi per questo capitolo nessuna novità, se si esclude l'invito di Lumacorno. Spero di aver portato un po' di gioia agli amanti di Halloween che aspettano con ansia il prossimo ottobre!
Alla prossima,
ChiarainWonderland

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Capitolo 14
*** "Guida completa alle rune scandinave" ***


CAPITOLO TREDICESIMO

“GUIDA COMPLETA ALLE RUNE SCANDINAVE”


Il primo pensiero che attraversò la mente di Rose, quel martedì mattina di inizio novembre, riguardò il piano. Quando la ragazza si alzò dal letto il Dormitorio era avvolto nell’oscurità, la luce del sole bloccata dalle pesanti tende di velluto rosso che coprivano la finestra. Rose ci mise qualche secondo a mettere a fuoco la stanza. Samantha russava ancora pesantemente, a Isabel colava un rivolo di bava dalla bocca, e sotto a quell’ammasso di lenzuola e cuscini sul letto accanto al muro non poteva che esserci Alice. Rose trattenne uno sbadiglio, afferrando l’orologio da polso – regalo di nonno Arthur per un suo lontano compleanno – appoggiato sul comodino. Le lancette segnavano le sette e un quarto.

«Per tutti i tentacoli della Piovra Gigante…»

La sera prima una lunga lezione di Astronomia sulla costellazione dello Scorpione aveva tenuto le quattro Grifondoro impegnate fino a tardi. Rose adorava le lezioni pratiche della professoressa Sinistra fin quando non si svegliava la mattina successiva.

«Ragazze, muovetevi…» proferì, mentre apriva le tende sulla nebbia mattutina che celava il paesaggio, «…o vi lancio un Aguamenti in piena faccia».

Isabel mugugnò delle parole incomprensibili, ma in cinque minuti era già in piedi con la divisa addosso. Alice ce ne mise dieci, senza contare il rischio – scampato – di inciampare nelle collant e di finire faccia a terra sul pavimento. Il vero problema riguardava Samantha, ma Rose sapeva benissimo quale tattica adoperare in casi del genere.

«McLaggen! C’è McLaggen!»

«Mh… Cosa…Dove…»

«Ops, l’ho scambiato per un gufo che usciva dalla Guferia» rispose Rose brutale, lanciandole la divisa sul letto. Le ragazze fecero il loro ingresso trionfale in Sala Grande un quarto d’ora dopo, Samantha con un broncio che non accennava a sparire in poco tempo.

«Giuro che la prossima volta che nominate McLaggen in mia presenza…»

«Vai a lamentarti dalla McGranitt? Non te la prendere Sam, Rose l’ha fatto solo per il tuo bene» dichiarò Alice. Si sedette in uno degli ultimi posti liberi del tavolo dei Grifondoro e venne subito imitata dalle amiche.

«Per il mio bene?»

«Eccome… in qualche modo dobbiamo pur svegliarti, la mattina» s’intromise Isabel, rubando dalla mano di Alice un biscotto e scatenando le proteste di quest’ultima.

«Fin qui concordo, ma dico solo che Ben è un mio punto debole e che dopo il suo comportamento alla festa post-partita non voglio più sentirlo nemmeno nominare».

«Ma se circondato da quelle ragazze sembrava la persona più a disagio dell’universo! E poi, da quand’è che lo chiami Ben?» se ne uscì Rose, l’espressione innocente solcata da un sorriso vispo.

Samantha avvampò e si nascose dietro al calice dorato ancora vuoto. Per sua fortuna, la conversazione venne interrotta dall’arrivo dei gufi con la consueta posta mattutina. Nella vasta quantità di giornali che vennero consegnati, al contrario, non c’era nulla di consueto. Decine di copie dell’ultimo numero della Gazzetta del Profeta caddero dal soffitto come gocce di pioggia. Rose si sporse per afferrarne una, la mente occupata da una terribile sensazione di déjà-vu. Il titolo in prima pagina le fece accapponare la pelle.

 «“Rubati oggetti oscuri perquisiti dal Ministero”…»

«Che cosa?»

«Per tutte le ballate di Celestina Warbeck, non di nuovo!»

«Non ci posso credere!»

«Ragazze, sentite qua» esclamò Rose, cercando di sovrastare il crescente chiacchiericcio che invadeva la sala. «“La scorsa notte, data 4 novembre 2022, sono stati trafugati dal Ministero gli oggetti intaccati da maledizioni oscure perquisiti dagli Auror durante la ronda a Diagon Alley dell’11 ottobre. Gli artefatti, che erano custoditi in massima sicurezza nell’Ufficio Misteri e sorvegliati da una scorta di Indicibili, sono spariti senza lasciare tracce. Non appena è stato verificato il furto, il Ministro ha avviato una serie di indagini che si estenderà a tutti i Dipartimenti. I principali sospetti vertono sui venditori ambulanti, rilasciati qualche settimana fa in seguito alla conclusione degli interrogatori, e sui dipendenti del Ministero stesso. A pagina 9 l’intervista a uno degli Indicibili incaricati di sorvegliare gli artefatti…”»

Samantha non finì di ascoltare la frase che già aveva sottratto da sotto al naso il giornale all’amica, e sfogliava con foga alla ricerca della nona pagina. Rose e Alice si scambiarono uno sguardo pieno di significato. Chi mai poteva aver rubato quegli oggetti contraffatti?

«Qui dice che gli Indicibili erano di guardia durante il furto. Chiunque sia il ladro, è stato davvero bravo».

«Il ladro? Io non credo che si tratti di una sola persona, Sam» ipotizzò Isabel.

«Quindi secondo te i venditori ambulanti si sono messi d’accordo tutti insieme per riprendersi la merce che era stata loro sottratta?»

«Certo che no! Non so come il Ministero e la Gazzetta possano supporre certe cose. Un gruppo di venditori ambulanti non riuscirebbe mai a rubare dall’Ufficio Misteri e farla franca. Mio padre lavora al settimo livello, Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici, e mi dice sempre che l’Ufficio Misteri è intoccabile. Io sono dell’idea che le uniche persone in grado di mettere in atto un crimine di questa portata provengano da dentro il Ministero stesso».

«E perché mai qualcuno vorrebbe entrare in possesso di oggetti che hanno a che fare con la magia oscura?» domandò Samantha, chiudendo di scatto il giornale.

«Per usarli» se ne uscì Rose, in un sussurro che fu udito da tutte e tre le amiche. E con quell’ultima ipotesi sconcertante ancora nella mente, le Grifondoro si avviarono a lezione di Incantesimi. Il professor Flitwick si cimentò in un intricato e dettagliato discorso sull’Incantesimo Rallentante e non risparmiò rimproveri agli studenti che venivano beccati a chiacchierare.

«Per tutte le bacchette, questa mattina non c’è verso di mantenere la vostra attenzione» sbottò a un certo punto, allentandosi il colletto della camicia con un dito.

Rose si sfregò gli occhi, annoiata: sapeva già tutto sull’argomento, e i continui mormorii dei compagni le procuravano un gran mal di testa. Osservandosi intorno, notò la mano timidamente alzata di Celia Marshal, una Corvonero con cui scambiava qualche parola di tanto in tanto.

«Sì, signorina Marshal?» concesse Flitwick, speranzoso di sentirsi rivolgere una domanda sulla lezione.

«Mi scusi signore, volevo solo chiedere se lei sa qualcosa in più riguardo a ciò che è accaduto al Ministero».

Nell’aula calò un silenzio di tomba. Tutti gli studenti volsero lo sguardo verso il professore, che parve diventare ancora più nervoso di prima. Rose sollevò di scatto la testa dal banco, curiosa di sapere la risposta dell’insegnante, e tirò una gomitata ad Alice per attirare la sua attenzione.

«Oh, be’…ecco…» balbettò Flitwick a disagio, cercando di ricomporsi, «certo…è ovvio che ne vogliate sapere di più. Ma mi dispiace deludervi ragazzi, non c’è assolutamente nulla di cui preoccuparsi. La preside McGranitt si è già messa in contatto con il Ministro in persona, e si sono accordati su come gestire la faccenda. Questi sono affari interni del Ministero, e Hogwarts non deve intervenire per questioni di sicurezza».

Celia annuì, palesemente delusa, ma non obiettò. Rose alzò le spalle, consapevole che quella del professor Flitwick rappresentasse la migliore risposta che si poteva sperare di ottenere da un insegnante. La lezione finì poco dopo e gli studenti uscirono dall’aula, infilandosi nei corridoi stipati all’inverosimile. C’erano ragazzini che cercavano di farsi largo tra la folla e giovanotti che ridevano e scherzavano, nel tentativo di divertirsi nei pochi minuti di svago che avevano a disposizione. Rose si appostò nell’ultimo angolo vuoto rimasto e fece un cenno alle amiche, decisa ad approfittare del ristretto margine di tempo libero prima della lezione di Trasfigurazione.

«Non credevo che qualcuno osasse davvero interrompere Flitwick, visto il suo nervosismo» confidò Isabel.

«Celia appartiene ai Corvi per un motivo. È disposta a tutto pur di placare la sua sete di conoscenza».

«Io la definirei più come un’inguaribile curiosità, Alice» suggerì Samantha, stringendosi le braccia al petto.

«Sì, sta di fatto che…»

«Ciao Rosalie» s’intromise dal nulla una voce maliziosa e familiare. Rose si voltò e si ritrovò faccia a faccia con sua cugina Lily, la chioma rosso fuoco inusualmente in disordine. Dietro di lei le sue tre inseparabili amiche Roxanne, Lucy e Beatrice sorridevano come se avessero appena messo in atto lo scherzo più grande del secolo.

«Lilian, tutto a posto?»

«Andrebbe alla grande, se non fossi costretta a fungere da gufo».

«Cosa…?»

Lily si limitò ad allungare la mano destra, stretta attorno a una busta sigillata da ceralacca verde e con una H e una L intrecciate al centro. Rose ci mise poco a riconoscere il mittente.

«Alla fine dell’ora Lumacorno mi ha chiesto di darti questa» spiegò, alzando un sopracciglio. «Vedo che sei sempre presente nella lista dei suoi studenti prediletti».

«Miseriaccia!» esplose Rose, e afferrò la famigerata busta con due dita come se fosse qualcosa di disgustoso. «È già arrivato l’invito!»

«Quindi si sa la data della cenetta intima?» domandò Alice con un sorriso ironico.

Rose aprì la busta con foga, rischiando di stracciare anche il biglietto all’interno. «Questo sabato alle otto di sera» proferì infine.

«Se vuoi» s’intromise Lily con nonchalance, «organizzo uno scherzo per ravvivare l’atmosfera durante la cena… ad esempio, potrei mettere del pus di Bobotubero nella zuppa di Lumacorno».

«Pus di Bobotubero?!»

«Precisamente. Pensa che bello, niente Pozioni per una settimana, e poi» aggiunse, l’espressione malandrina, «anche Albus è stato invitato. Non posso escludere la possibilità che la sua zuppa venga misteriosamente contaminata a sua volta».

Rose avvertì il suo cuore stringersi in una morsa e si dovette sforzare per mantenere un atteggiamento impassibile. Si aspettava che Albus venisse invitato alla cena esclusiva del Lumaclub, ma non era pronta a sentirselo dire così su due piedi. Il loro rapporto era cambiato irrimediabilmente dal momento in cui furono smistati in Case diverse, ma nell’ultimo periodo la situazione era peggiorata: entrambi tenevano viva l’indifferenza che era sorta all’inizio dell’anno. Rose si ricordò della furia provata sul treno, quando aveva scoperto che Albus si era astenuto dal confidarle di essere diventato Prefetto e Malfoy aveva avuto la geniale idea di rinfacciarglielo. La rabbia era ormai scemata, ma il silenzio era rimasto. Albus doveva essere arrabbiato con lei per qualche motivo ignoto. Magari la cenetta intima era il momento giusto per parlargliene.

«…e se ci aggiungi anche un po’ di veleno di Doxy, fa venire delle pustole giganti sulla faccia» stava intanto spiegando Lily. Le guance le diventavano sempre rosse, quando discorreva di argomenti che le stavano a cuore.

«E dove mai la trovi, una pianta di Bobotubero?» se ne uscì Alice interessata. «Non dirmi che saresti disposta a rubare dalle serre di mio padre!»

«Certo che no. Lo zio George vende la polvere Bulbadox, che è a base di pus di Bobotubero. Una spolverata nella zuppa, e il gioco è fatto».

Rose fece finta di pensarci su. «Non credo sia una buona idea. Anzi, una polvere che causa enormi pustole non dovrebbe neanche circolare a scuola… ma visto che quest’anno non sono un Prefetto, non è compito mio stabilire cosa è giusto e cosa no».

Lily sorrise complice, incamminandosi di nuovo con le amiche per il corridoio. «E dimmi se cambi idea sullo scherzo a Lumacorno!» aggiunse prima allontanarsi troppo. Rose sorrise, sinceramente divertita, quando si accorse che Lucy era ancora lì accanto, con l’espressione di chi doveva chiedere un favore.

«Va tutto bene Lucy?» pronunciò dolcemente Isabel, tentando di metterla a proprio agio. Tra la spavalderia di Lily, la sicurezza di Roxanne e l’ingegno di Beatrice, Lucy era di gran lunga la più timida.

«Ecco, io… volevo chiedervi… insomma, non so se sapete che mia sorella ha litigato con Lorcan».

Rose annuì, il ricordo di Molly che piangeva in bagno nitido come se fosse accaduto solo qualche ora prima. «Sì, io e Alice l’abbiamo incrociata mentre era in lacrime settimana scorsa. Perché, non hanno ancora risolto?»

«No» si limitò a rispondere Lucy, e dal tono Rose capì che si trattava di qualcosa di serio. «Sapete come è fatta Molly, è ancora più chiusa di me, e Lorcan era il suo unico amico. O almeno uno dei pochi, visto che ora le è rimasta solo Dominique. Così mi chiedevo, se per voi non è un problema, se potreste passare un po’ di tempo con lei, per tirarle su il morale».

Le Grifondoro più grandi non ebbero nulla da obiettare. «Tranquilla» disse Rose, «puoi contare su di noi».

«Ma perché hanno litigato? Da quel che mi ricordo, non li ho mai visti discutere» mormorò Samantha sovrappensiero.

«Non credo di essere la persona giusta per dirvelo. Se Molly se la sentirà, ve lo racconterà lei».

E dopo un cenno di saluto Lucy si volatilizzò, in cerca delle amiche che erano ormai più avanti. Anche Rose e le altre si separarono; lei, Alice e Isabel si avviarono verso l’aula di Trasfigurazione, mentre Samantha sparì dietro l’angolo che portava alla torre di Grifondoro con un gran sorriso e la prospettiva di una sana ora buca davanti. A pranzo il tempo volò, e in men che non si dica Rose e Alice si ritrovarono di nuovo sole a guardare le due compagne che sfrecciavano per non tardare a Divinazione.

«Be’» proruppe Alice nervosa, «eccoci qua».

«Già. Hai il foglio? »

Per tutta risposta Alice estrasse dalla borsa un pezzo di pergamena accartocciato e lo srotolò; al suo interno due strani simboli erano stati scritti con cura. «Speriamo che basti».

«Di sicuro non potevamo trascrivere l’intero messaggio. Troppo rischioso» affermò Rose, incamminandosi verso la rampa di scale lì accanto. Stava per appoggiare un piede sul primo scalino quando uno scricchiolio precedette il movimento secco della scala, che si spostò.

«Miseriaccia» bisbigliò Rose, così piano che Alice quasi non la sentì, «dobbiamo fare la strada lunga». Prese l’amica per il polso e la trascinò in un corridoio dopo l’altro, la luce azzurra del medaglione che sembrava spuntare a ogni angolo e che la spingeva a camminare più veloce; si fermò solo quando raggiunse una porta isolata al quinto piano.

«Bene, abbiamo meno di due ore prima che Isabel e Samantha inizino a cercarci per tutto il castello».

«E se la Nerivir si dovesse insospettire troppo?»

«Alice, nel Reparto Proibito c’è la peggior specie di libri che si possa immaginare. Volumi che urlano, tomi che trattano delle magie più orrende mai esistite… quei due simboli a confronto non sono nulla» dichiarò Rose. Si avvicinò alla porta, rivolse un ultimo breve sguardo ad Alice e bussò.

«Avanti!» esclamò una voce squillante dall’altra parte. Rose entrò senza farselo ripetere due volte, strabuzzando gli occhi allo spettacolo che le si parò davanti. Dietro ai banchi e alla cattedra, la professoressa Nerivir era in bilico su una scala a pioli dall’aria malferma e sistemava una pila di libri. Gli ondulati capelli scuri, solitamente sciolti, erano intrappolati in un foulard del colore del Lago Nero in primavera.

«Signorina Weasley!» aggiunse sorpresa non appena girò la testa e intravide Rose; la scala oscillò pericolosamente.

«Mi scusi, non vorrei disturbare…»

«Oh, nessun disturbo, ragazza mia, nessun disturbo» assicurò la professoressa, scendendo dalla scala e appoggiando i libri sulla cattedra con un gran tonfo, «avete proprio centrato il mio pomeriggio libero».

Rose e Alice si scambiarono uno sguardo innocente, e fu solo in quel momento che la Nerivir si accorse che c’era un’altra ragazza nell’aula. «Ma tu non sei la figlia del professor Paciock?» mormorò stralunata, indicando Alice e non lasciandole il tempo di rispondere. «Non ti avevo mai vista prima! Merlino, siete identici…»

Alice strinse le labbra nella miglior parvenza di sorriso che era in grado di ottenere. «Sì, è lei» s’intromise Rose, disposta a tutto pur di evitare silenzi imbarazzanti. «Ora, mi premeva chiederle…»

«Volete accomodarvi nel mio ufficio?» la interruppe la professoressa, «potrei prepararvi qualcosa, un tè, una tisana… li preparo da sola gli infusi, sapete? Oh, mi fa sempre così piacere fare due chiacchiere con i miei studenti!»

Dopodiché si sedette, la schiena dritta e le mani congiunte, sul volto un’espressione incoraggiante. Rose si aspettava un’accoglienza del genere, abituata all’approccio espansivo e poco formale della donna. Si costrinse a trattenere una risata alla maschera di perplessità che esibiva Alice, anche se non la biasimava: lei stessa avrebbe avuto una reazione simile davanti a una sconosciuta indubbiamente carismatica, a cui era affidato un ruolo autoritario e che ti accoglieva come un’amica di vecchia data.

«Professoressa Nerivir, noi vorremmo chiederle…» iniziò Rose, incerta su come continuare. Decise che erano meglio i fatti alle parole, così si fece passare il foglio da Alice e lo appiattì sulla cattedra, davanti allo sguardo incuriosito della professoressa. «Li abbiamo trovati in un libro della Biblioteca e mi sembravano delle rune, ma sul Sillabario dei Sortilegi non ci sono. Mi domandavo… ci domandavamo se lei avesse un’idea di cosa possa trattarsi».

La Nerivir osservò i simboli per un minuto buono, lasciandosi di tanto in tanto sfuggire qualche “interessante”. Rose trattenne il respiro, consapevole di essere arrivata alla parte del piano in cui pregava di non sentirsi rivolgere troppe domande.

«Ma su quale libro li avete trovati?»

«In uno del Reparto Proibito» s’intromise Alice, come stabilito, «che abbiamo preso in prestito con autorizzazione per un compito».

«Ah, capisco… non c’è che dire ragazze mie, siete state fortunate» decretò, un luccichio nei penetranti occhi glaciali. «Queste sono rune medievali provenienti dalla Scandinavia, molto rare. Venivano utilizzate anche in Inghilterra da ristrette minoranze, principalmente per messaggi in codice, robe del genere. Non si studiano a scuola in quanto rappresentano una branca molto specifica della materia».

«E lei saprebbe tradurle?»

«Oh, senza un sillabario assolutamente no. So riconoscerle perché sono leggermente più complesse rispetto agli altri alfabeti, ma per tradurle così dal nulla è necessaria una persona specializzata».

Rose e Alice si scambiarono un’occhiata allarmata, ma il sorriso della Nerivir non si era incrinato di un millimetro. «Tuttavia» riprese, alzandosi e dirigendosi verso gli scaffali alla sua destra, «dovrei avere un volume che fa proprio al caso vostro… ma dove l’avrò mai messo?»

Frugò tra volumi giganteschi e libriccini così sottili da sembrare fili di ragnatela. Dopo quella che alle due ragazze parve un’eternità, la professoressa tornò con un tomo dalle dimensioni ragionevoli e che dal suo stato sembrava intoccato da parecchio tempo.

«Eccolo qua!» esclamò, soffiandoci sopra e spolverandolo con il braccio. Poggiò il libro sulla cattedra, e Rose si sporse per leggere il titolo.

«“Guida completa alle rune scandinave”. È una specie di sillabario?»

«C’è anche quello. Basta cercare la sezione dedicata al Medioevo e dovreste trovare una risposta a ogni domanda sull’argomento».

«Possiamo…?»

«Certo che potete prenderlo! Potete usarlo per tutto il tempo che vi serve».

Rose si sciolse in un sorriso luminoso, prendendo il libro con riverente rispetto. «Grazie mille professoressa, davvero, non so come ringraziarla» affermò, mentre Alice annuiva convinta e si riprendeva furtivamente il foglio con i simboli. Le due ragazze si girarono e s’incamminarono verso la porta, sforzandosi di contenere l’entusiasmo e rivolgendo un ultimo sguardo di gratitudine alla professoressa.

«E ricordatevi di venirmi a trovare dopo le lezioni, ogni tanto!» la sentirono urlare, prima che la porta si richiudesse completamente dietro di loro. Un silenzio denso di incredulità misto a inquietudine avvolse il corridoio dalle alte volte. Rose fissava il libro che teneva tra le mani come se la sua vita dipendesse da esso; ora che era così vicina a sciogliere un altro nodo dell’ingarbugliato mistero che la torturava da mesi, aveva anche paura di ciò che avrebbe potuto scoprire.

«Dobbiamo andare subito in Dormitorio» la riscosse Alice, torturandosi le mani. «Quanto tempo ci resta prima che Sam e Isabel si rifacciano vive?»

«Non ne ho idea, più di un’ora forse. Forza, andiamo».

E così le Grifondoro raggiunsero la Sala Comune nel minor tempo che una camminata rapida permetteva: l’ultima cosa che volevano era attirare l’attenzione correndo per il castello. Arrivate davanti al passaggio, la Signora Grassa le bloccò per una dimostrazione delle sue elevate abilità canore.

«Fattura Orcovolante!» sibilò Alice, il naso arricciato in un’espressione di sufficienza.

«Ah, spero che tu ne riceva presto una, signorinella!» sbottò la Signora Grassa indignata, lasciandole passare con riluttanza.

«Santissimo Godric! Io non la sopporto più…»

Rose non ribatté. Concesse qualche occhiata alla sala poco affollata e si diresse a passo di marcia verso le scale che conducevano ai dormitori femminili. Alice la seguì, impegnata a borbottare maledizioni contro la Signora Grassa, e si chiuse la porta del Dormitorio alle spalle.

«Brutto inutile pezzo di tela raggrinzito, la prossima volta chiamo Peeves e…»

«Alice».

«Scusa».

Rose s’inginocchiò davanti al suo baule e sollevò il coperchio, un angolo della bocca sollevato in un accenno di un sorriso. Come al solito il medaglione era custodito sul fondo, tra un paio di calzini di lana e dei rotoli di pergamena nuova; Rose ci mise qualche secondo a recuperarlo. Dalla pietra turchese non si sprigionava alcuna luce.

«Sarà difficile tradurre le rune?» chiese Alice, inginocchiandosi accanto all’amica.

Rose sfogliò le prime pagine del libro e scorse l’indice con il dito finché non trovò l’argomento che la interessava. Il sillabario delle rune medievali contava una ventina di pagine.

«Morgana, sono un bel po’ di rune. Non le avevo mai viste prima…»

«Se c’è una persona che può farcela, quella sei tu. Andiamo Weasley, sei un genio in Rune Antiche! Non mi ricordo di una volta in cui tu abbia preso meno di Eccezionale».

Rose annuì, avvicinando il medaglione al viso e lanciando di tanto in tanto lunghe occhiate al sillabario abbandonato lì accanto sul pavimento. Non seppe dire quanto tempo passò prima che aggrottasse le sopracciglia e attirasse come una calamita l’attenzione di Alice.

«Quindi?» esplose quest’ultima, la voce incrinata da una sottile sfumatura d’incertezza.

«Lince».

«Cosa?»

«Lince».

«Lince… come l’animale?»

«Sì Alice, lince come l’animale!» sbottò Rose, le mani a sfregarsi stancamente gli occhi. Si alzò e percorse a grandi passi la stanza, la mente in una dimensione tutta sua. «Non ha senso, non ha assolutamente senso».

«Sei sicura di non aver sbagliato? Completamente sicura?»

«MI hai definita tu un genio in Antiche Rune, poco fa».

«Giusto. Ma quindi cosa potrebbe mai voler dire?»

«Non lo so… io pensavo… pensavo di ottenere delle risposte».

«E le otterremo!» assicurò Alice, alzandosi a sua volta e raggiungendo l’amica. «Le otterremo, dobbiamo solo rifletterci sopra».

Rose sbuffò e si sdraiò a pancia in su sopra le coperte del suo letto. Il piano geniale che credeva di aver escogitato brillantemente le si era ritorto contro; la risposta – o meglio, l’enigma – che aveva scoperto dopo notti insonni e un sottile ma perenne senso d’ansia non sembrava condurla da nessuna parte. Eppure, qualcosa doveva pur significare. Magari si trattava di un enigma vero e proprio, in cui la lince fungeva da metafora per rappresentare un concetto più grande, più concreto. Oppure l’animale riguardava qualcosa di personale, di così personale da risultare incomprensibile a qualunque individuo al di fuori di Georgiana Harris. Se davvero quella era la verità, allora la donna della fotografia si era portata il segreto nella tomba, da dove non sarebbe più uscito. Rose non ne aveva idea. Le domande che la tormentavano e la punzecchiavano come spilli appuntiti si erano triplicate e le rimbombavano nella testa.

«Sinceramente Rosie» riprese Alice nel tentativo di sdrammatizzare la situazione, «che cosa speravamo di trovare? Insomma, sono quattro simboli in croce».

«Quei quattro simboli in croce costituivano la nostra unica pista. Mi auguravo di scoprire qualunque cosa, un nome, un luogo… ma non un animale».

Un silenzio pesante come un macigno si fece largo nell’aria. «Quindi…» se ne uscì Alice, le mani incrociate sotto il mento, «quanti libri sulle linci ci saranno in biblioteca?»

Rose sospirò. L’aspettava una settimana molto lunga.









Angolo autrice
Ehilà, sono tornata con un nuovo capitolo!
Finalmente Rose e Alice hanno messo in atto il fatidico piano di cui hanno tanto parlato.
E' andato tutto per il verso giusto, eppure i risultati non sono stati quelli sperati.
Secondo voi, che cosa potrà mai voler dire la parola "lince" in questo contesto? Le nostre due Grifondoro avranno un bel mistero da risolvere.
Fa anche la sua comparsa il quartetto di malandrine capitanato da Lily (io personalmente la adoro) insieme all'invito alla cenetta del Lumaclub.
Mi sa che questa volta Rose non potrà usare il Quidditch come scusa...
E non dimentichiamoci della tempestiva notizia del furto al Ministero! Rose e Alice non sembravano molto preoccupate, ma come biasimarle... avevano ben altro da fare.
Ci vediamo al prossimo capitolo,
ChiarainWonderland

 

 

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Capitolo 15
*** Il Lumaclub ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO

IL LUMACLUB


La Biblioteca era deserta il sabato pomeriggio. La sola presenza costante era costituita da Madama Wells che, come un fantasma indiscreto, si aggirava di tanto in tanto tra gli immensi scaffali all’instancabile ricerca di trasgressori alle leggi sacre di quel luogo. Ogni mezz’ora non si risparmiava di controllare le uniche due studentesse che rompevano il silenzio tombale con i loro borbottii, accampate in uno dei tavoli da quelle che sembravano ore.

«Siete sicure di non aver bisogno di una mano, ragazze?»

Rose si girò di scatto, esibendosi nel miglior sorriso innocente di cui era capace. «No signora, ma grazie per l’interessamento!»

Madama Wells assottigliò gli occhi in un’espressione sospetta, ma si allontanò. Alice chiuse con un tonfo secco un volume e Rose si ritrovò catapultata in un ricordo simile, quando all’inizio dell’anno lei e l’amica consultavano libri per placare la loro sete disperata di informazioni sul medaglione. Non avrebbe mai immaginato che la stessa situazione potesse ripresentarsi soltanto qualche mese dopo, con l’unica differenza che, quella volta, l’oggetto delle sue domande era una lince.

«Niente. Anche in quest’enciclopedia non c’è assolutamente niente di non ordinario sulle linci» mormorò Alice, salendo la scala a pioli per riporre il libro appena consultato al suo posto.

«È la quinta questo pomeriggio. Non credo che qualche enciclopedia sia in grado di rispondere alle nostre domande».

«E allora cosa proponi di fare?»

«Potremmo cambiare tattica» suggerì Rose. L’ultima volta che aveva adottato quella strategia si era imbattuta nella Pozione Aguzzaingegno e aveva ottenuto risultati concreti. «Magari iniziare a leggere qualche libro di Storia della Magia, non so… lince potrebbe rappresentare un messaggio segreto. Non ti ricordi quello che ha detto la Nerivir? “Queste rune venivano utilizzate anche in Inghilterra da ristrette minoranze, principalmente per messaggi in codice”».

«Hai ragione, ma se si tratta davvero di un messaggio in codice, allora sarà molto difficile venirne a capo».

«Lo so. Per questo settimana prossima verremo ancora qui a continuare con le nostre ricerche».

Alice buttò indietro la testa, portandosi una mano alla fronte in una posa colma di disperazione. «Basta solo che non mi trascini qui di sabato un’altra volta».

«Va bene, va bene…»

«Sono seria Rosie, non credo che ci convenga venire di sabato. Madama Wells inizia a insospettirsi veramente: siamo sempre rinchiuse qui agli orari più disparati per cercare solo Merlino sa cosa. Almeno durante la settimana ci sono altre persone e quella bibliotecaria malfidata non si concentra esclusivamente su di noi».

Quasi avesse sentito qualcuno nominarla, Madama Wells riapparve da dietro uno scaffale con un fruscio della lunga veste di velluto rossa. Il sorriso tirato di Alice la fece scappare di nuovo pochi istanti dopo.

«Concordo, niente sabato» bisbigliò Rose, chinando la testa sulle pagine consunte che stava esaminando. Le ragazze stettero in un silenzio confortevole per qualche minuto; ogni tanto l’equilibrio che si era creato veniva interrotto da una mano che riportava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, o da uno sbuffo annoiato che si propagava in ogni angolo della Biblioteca.

«Non è ora che ti prepari per la cena?» domandò a un tratto Alice, girando distrattamente una pagina del libro che aveva sotto al naso.

«Mh?»

«La cenetta del Lumaclub».

«Ah… non credo».

Alice sollevò le sopracciglia. «Non mi sembri molto entusiasta».

«Ma davvero?» sibilò Rose ironica, chiudendo la copertina del volume con foga, «non l’avrei mai detto».

Un angolo della bocca di Alice si sollevò in uno scatto fulmineo, ma il suo volto si oscurò all’improvviso, come se un pensiero funesto le avesse rubato il solito luccichio dagli occhi castani. «Quindi… Albus ci sarà».

I lineamenti di Rose si addolcirono. «Da quello che ha detto Lily, sembrerebbe di sì. Non mi stupisce che sia stato invitato anche se non frequenta più Pozioni».

«Secondo te…» iniziò Alice incerta, «…Malfoy gli ha veramente raccontato della mia cotta per lui?»

Rose sospirò. Avevano già affrontato quel discorso, ma a quanto pareva la speranza di Alice era più tenace di un’erbaccia ben radicata. «Ti ho detto come la penso. Malfoy e Albus sono migliori amici da tanto tempo, e mi sembra logico che si confidino certe cose».

«Magari potresti cercare di scoprirlo alla cena» buttò lì Alice, ammirandosi strategicamente le unghie.

«Cosa?»

«Sai benissimo cosa, se Albus lo sa veramente».

«Alice, sai che in questo periodo non ci parliamo neanche…» rispose Rose, ma s’interruppe non appena vide l’espressione implorante dell’amica.

«Oh, ti pregooo! Non riesco più a vivere con un dubbio del genere! È come se in un angolo della mia mente avessi questa fiamma che ogni tanto arriva fino al cuore».

«E queste metafore degne di Beda il Bardo da dove le tiri fuori? Comunque va bene, ti prometto che ci proverò» si arrese Rose, tentando di celare la nota scettica che aveva assunto la sua voce. Voleva già parlare con il cugino per risolvere i loro problemi, non per complicarli.

Alice sorrise riconoscente, dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia. «Chissà perché Lumacorno non invita mai James. So che Lily è ancora troppo piccola, ma il maggiore dei Potter costituirebbe una valida aggiunta alla sua collezione».

«Fidati, Lumacorno ci ha provato eccome, ma si è dovuto arrendere all’evidenza. James riesce sempre a scampare alla tortura: o è in punizione, o trova una valida scusa per declinare l’invito».

«È furbo quel ragazzo» commentò Alice, per poi continuare con curata noncuranza, «Malfoy, invece, è mai stato invitato?»

 Rose avvertì le proprie unghie conficcarsi nei palmi delle mani, ma la sua risposta fu anticipata dal pendolo della scuola, che segnò lo scoccare della mezz’ora e causò il movimento di uno stormo di cornacchie appollaiate sui davanzali delle finestre lì vicino.

«Le sette e mezza».

«Oh-oh, qualcuno è in ritardo» cantilenò Alice, osservando divertita l’amica mentre rimetteva a casaccio negli scaffali i libri consultati e la costringeva ad alzarsi dalla sedia. Madama Wells riapparve da dietro l’angolo, attirata dall’odore di regole infrante e sacri tomi profanati.

«Che cosa credi di fare, Weasley?!» sbottò indignata, «sai quanto mi costa tenere ordinati tutti questi libri? Tu stai annullando i miei sforzi in pochi miseri secondi!»

«Mi scusi Madama Wells, mi scusi tanto, ma abbiamo fretta di andare» dichiarò Rose, incamminandosi verso l’uscita con Alice alle calcagna e Madama Wells che sibilava minacce di espulsione.

«Quindi ora saremmo bandite a vita dalla Biblioteca. Mossa decisamente astuta, Weasley» commentò Alice in tono solenne.

«Tanto entro settimana prossima le passa. Sai com’è fatta, devi solo dare alla rabbia il tempo necessario per sbollire».

In men che non si dica le due ragazze percorsero i corridoi e salirono le rampe di scale che le separavano dalla Sala Comune. La Signora Grassa lanciò un’occhiata di fuoco ad Alice, ma aprì il passaggio non appena le venne detta la parola d’ordine. La Sala Comune era quasi deserta, ma Rose non si stupì: in Sala Grande la cena doveva già essere iniziata da un pezzo. Le uniche eccezioni erano costituite da Isabel e Samantha, nel bel mezzo di una partita a scacchi davanti al fuoco crepitante del camino.

«Ma che ci fate ancora qui?» esclamò Alice stupita.

«Vi stavamo aspettando. Quanto vi ha trattenuto tuo padre? Avevate detto che la punizione durava due ore».

Rose rimase smarrita per qualche istante, poi si ricordò della scusa che lei e Alice avevano inventato per giustificare la loro assenza del pomeriggio: una punizione gentilmente offerta dal professor Paciock, a causa di un loro comportamento scorretto nei corridoi del castello. Sentì un’improvvisa vampata di vergogna inondarle il petto; le sue amiche l’aspettavano leali, mentre lei come ringraziamento mentiva così spudoratamente. Cacciò il pensiero in un angolo remoto della sua mente, ripetendosi che al momento giusto le avrebbe messe al corrente di tutto.

«Sì Isabel, ma a quanto pare mio padre adora complicarmi la vita» continuò Alice con una logica inoppugnabile.

«Non capisco come abbiate fatto a investire Paciock nel bel mezzo del corridoio facendolo cadere a terra».

«Slancio affettivo» se ne uscì Rose, scatenando l’ilarità delle compagne.

«Tu non hai una cenetta intima in programma?» domandò Samantha.

«Miseriaccia! Sono ancora in tempo a restarmene in Dormitorio facendo finta di avere la spruzzolosi».

«Eh no, signorinella» intervenne Alice, acciuffando Rose per un braccio e trascinandola verso le scale, «gli impegni presi vanno mantenuti, e poi devi rubare un po’ di giovani cuori».

«Sì, quello di Lumacorno».

Un quarto d’ora dopo, Rose si ritrovò di nuovo nella Sala Comune vestita di tutto punto, con le tre amiche che la squadravano soddisfatte. Le collant nere le causavano un leggero prurito, ma l’abito che indossava era di un delizioso celeste che faceva risaltare il colore dei suoi capelli, e le arrivava appena sopra le ginocchia. Si ritenne fortunata, ricordando con un brivido l’argentata – e parecchio striminzita - gonna che le aveva proposto Samantha.

«Oh Rosie, sei adorabile».

«Adorabile un corno, Isabel!» esclamò Alice. «È una vera bomba!»

«Secondo me avremmo dovuto lasciarle i capelli sciolti» sentenziò Samantha, accennando allo chignon dell’amica da cui sfuggivano alcune ciocche ribelli.

«Io, invece, credo che sia perfetta così com’è» rispose Alice, e si avvicinò a Rose per lisciarle affettuosamente le spalle. «Forza, è ora di andare, altrimenti la principessa farà tardi al ballo e alle tre fate madrine non rimarrà nulla da mangiare per cena».

«Cos’è una fata madrina?»

«Non frequenti Babbanologia, Isabel, non capiresti».

Le Grifondoro si affrettarono a defilarsi dalla Sala Comune e a inoltrarsi nel cuore del castello, fino a raggiungere la Sala d’Ingresso. Si fermarono esattamente al centro. Da una parte si stagliava l’enorme entrata della Sala Grande, da dove fuoriuscivano le chiacchiere degli studenti, dall’altra la silenziosa rampa di scale che avrebbe condotto Rose al patibolo.

«Be’, buona fortuna» pronunciò Samantha, per poi allontanarsi seguita da Isabel. Alice si congedò con un occhiolino e uno sguardo eloquente e lasciò l’amica al suo destino. Rose rimase immobile a fissare il vuoto per interminabili istanti, chiedendosi se ritornarsene in Dormitorio e buttarsi sul letto rappresentasse una valida alternativa. Il sonoro scoccare dell’ora la riscosse. Le otto.

“Vado o non vado. Vado o non vado. Vado o non…”

E alla fine ci andò. Rivolse alla Sala Grande un’ultima occhiata rassegnata e s’incamminò verso le scale. L’ufficio di Lumacorno si trovava al quinto piano, alla fine di un corridoio secondario. Rose rischiava di perdersi quasi ogni volta, se non fosse stato per l’arazzo di Wilfur lo Sgraziato che indicava con il dito la giusta strada. La porta di quercia a due battenti che la separava dalla destinazione si stagliava accanto a un’ampia finestra a volta, e la fievole luce lunare proiettava la sua ombra sulle lastre di pietra del pavimento. Rose si avvicinò titubante, appoggiandoci sopra la mano, e uno dei due battenti si aprì con un cigolio. La porta era aperta.

«Con permesso…» sussurrò, anche se consapevole che nessuno le avrebbe risposto. L’ufficio era enorme, ma deserto. Rose non si stupì: sapeva di essere in ritardo, e che le abituali cenette a cui era costretta a partecipare dall’anno prima si tenevano in una stanza separata. Così si addentrò nella sala, spostando lo sguardo dai divanetti davanti al camino al mobile da esposizione con decine di fotografie di studenti che avevano vissuto tra le mura del castello prima di lei.  In bella mostra sul terzo scaffale, un’immagine incorniciata più grande delle altre ritraeva una persona familiare. Suo zio Harry, fasciato in un abito da cerimonia piuttosto elegante, se ne stava rigido accanto a un Lumacorno entusiasta e le restituiva un sorriso tirato. Non doveva avere più della sua età. Rose sorrise a sua volta, rivolgendo l’attenzione verso la porta anonima a pochi passi di distanza. Non perse tempo e l’aprì.

«Signorina Weasley! Ero quasi convinto che non ci raggiungesse più» tuonò bonario Lumacorno dall’ampia sedia che riempiva per intero. Al centro della stanza un tavolo di legno circolare e riccamente intagliato era occupato da un manipolo di studenti, che immediatamente si girarono a osservare la nuova arrivata. Gli antipasti erano già sui piatti dorati.

«I-io… mi scusi, non…»

«Non si preoccupi, non si preoccupi! Venga, le abbiamo riservato un posticino».

Rose s’incammino a testa bassa verso l’unica sedia libera, avvertendo gli occhi di tutti puntati su di lei come fiamme che le lambivano la schiena. Non appena prese posto si accorse che il suo vicino era niente di meno che Ben McLaggen.

«Ben, non pensavo che anche tu fossi stato invitato!» sussurrò, sollevata di avere un amico al suo fianco ma allo stesso tempo perplessa. Non lo aveva mai visto a un evento del Lumaclub, e per un buon motivo: il ragazzo non era di certo una cima in Pozioni.

«Rose, sei bellissima questa sera» bisbigliò di rimando Ben con un occhiolino complice.

Rose alzò lo sguardo con un sorrisetto impacciato e si ritrovò a fissare il volto imperscrutabile di Albus, seduto esattamente di fronte a lei. Gli concesse un’occhiata incerta e si mise a osservare uno a uno gli altri invitati. C’erano Aidan Cavendish e Geraldine Macnair di Serpeverde, Celia Marshal di Corvonero e i due fratelli Finch-Fletchley di Tassorosso.

«Ottimo, dov’eravamo rimasti? Ah sì, la signorina Marshal ci stava raccontando della brillante promozione di suo padre al Ministero. Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti Magici, non è così?»

«Sì, signore. È a capo del Quartier Generale degli Obliviatori».

«Splendide notizie, davvero. E lei signorina Macnair, come sta sua madre? Ha nuovi progetti in via di realizzazione?»

Rose sbuffò forte, ma riuscì a camuffarlo per un colpo di tosse. Aletha Macnair era famosa in tutta la Gran Bretagna per le sue formidabili creme di bellezza che, a detta delle sue clienti, ringiovanivano la pelle meglio di una Pozione Antirughe. “Dalla pelle che si ritrova” pensò Rose, “sua figlia se ne mette almeno venti, di creme”.

«Per ora no, signore. Si sta godendo la tenuta che lei e mio padre hanno appena acquistato nello Wiltshire» rispose la Macnair con voce melliflua, sfiorando lo smeraldo che pendeva dalla sua vistosa – e quasi certamente costosa – collana. Rose la paragonò al sottile ciondolo che indossava, che a confronto sembrava un anonimo filo di metallo, e abbassò gli occhi sulle ostriche e i gamberetti ancora intatti nel piatto.

«Ah, lo Wiltshire, ci ero andato per una conferenza sugli antichi siti magici a Stonehenge. Posto incantevole, soprattutto la Valle di Salisbury».

Agli antipasti proseguirono altre due portate, che videro Lumacorno cimentarsi in un vivace discorso sul Decreto di Tutela dei Centauri con i Finch-Fletchley, Albus prodigarsi in interminabili scuse per cui fosse stato costretto ad abbandonare Pozioni, e Cavendish lodare l’esemplare carriera dello zio al San Mungo. Fu solo con l’arrivo del pudding al cioccolato che il professore si concentrò sui due Grifondoro dall’altra parte del tavolo.

«Quando ho saputo della sua ammissione come Cacciatore nella squadra di Quidditch, signor McLaggen, devo confessare di averne dubitato, ma appena l’ho vista volare… oh sì, ho captato subito del talento grezzo. Io ho occhio per queste cose, sa…»

Ben rischiò d’ingozzarsi con il pudding. Rose si diede dell’idiota per non aver capito subito il motivo dell’improvvisa presenza dell’amico al Lumaclub. Ben era entrato nella squadra e aveva dimostrato di sapersela cavare egregiamente con la Pluffa. Lumacorno era con tutta probabilità a corto di ex-studenti che gli procuravano biglietti gratis per le partite, decidendo quindi di attivare la ricerca di candidati nel settore. Il fatto che Cormac McLaggen, il padre di Ben, fosse un pezzo grosso dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia non peggiorava di certo la situazione.

«La ringrazio per le sue parole, signore. Significano molto per me».

«Niente ringraziamenti, ragazzo mio, sto solo dicendo la verità!» esclamò Lumacorno, che era già passato a un tono più informale. «Ma dimmi, come mai sei entrato in squadra solo quest’anno? Non hai mai partecipato alle selezioni? Di certo, un giocatore abile come te non avrebbe mai potuto passare inosservato…»

«In realtà mi ero presentato per il ruolo di Battitore, al secondo anno. Joey Jenkins dei Cannoni di Chudley era il mio idolo e volevo a tutti i costi essere come lui, solo che non riuscivo nemmeno a tenere in mano la mazza. La delusione di essere scartato fu tale che non salii più su una scopa fino alla scorsa estate, quando iniziai a giocare partite amichevoli con i miei amici. Fu in quel momento che capii quale fosse il ruolo adatto a me».

«Storia davvero affascinante. Di certo non avrai problemi ad avere successo se sceglierai di continuare a giocare… ma parlando di giovani talenti del Quidditch» continuò Lumacorno, e Rose avvertì il proprio corpo irrigidirsi sotto gli sguardi dei compagni, «signorina Weasley! Mi aiuti a ricordare, in che anno è entrata a far parte della squadra?»

Rose sospirò, sollevata. Meglio parlare di Quidditch piuttosto che decantare lodi e inni sugli innumerevoli successi dei suoi genitori. «Al terzo, signore. Ho fatto i provini con la mia amica Alice, siamo state scelte insieme».

«La figlia del professor Paciock, giusto. E una di voi due ha già un’idea di voler intraprendere questa carriera, in futuro?».

«Temo di no, signore. Adoro il Quidditch, ma…».

«Per tutte le cavallette, è un vero peccato! Anche se la capisco, ovviamente, con i suoi voti un futuro da giocatrice professionista pare quasi sprecato. Di sicuro la prenderebbero ovunque, al Ministero, con una buona parola…»

«Oh, non credo che lavorerò per il Ministero».

Lumacorno si zittì. Rose alzò lo sguardo, notando con stupore il sorriso furbo e mal trattenuto di Albus. I suoi occhi s’incontrarono con quelli smeraldini del cugino per un attimo, prima che lui li abbassasse sulle posate abbandonate nel piatto.

«Allora cosa vorrebbe fare dopo il diploma, signorina Weasley?» ripartì all’attacco Lumacorno, le mani appoggiate sull’enorme pancia rotonda.

«Ancora non lo so, signore. Vedrò con il tempo cosa il fato ha in serbo per me».

«Ah, il fato. Personalmente, trovo che venga preso eccessivamente alla lettera».

E dopo quell’opinione non richiesta, Lumacorno cominciò a esporre la tesi che aveva presentato all’ultimo Consiglio dei Pozionisti. La cena finì poco dopo, non appena uno dei Finch-Fletchley ingurgitò l’ultima cucchiaiata della terza porzione di pudding. Gli studenti si riversarono fuori dalla saletta e nell’ufficio, dove furono invitati a trattenersi per bere qualcosa.

«Niente alcolici, ragazzi, o gli altri professori mi uccideranno» specificò Lumacorno, «ma niente paura! Ho del succo di ciliegia, dell’Acquaviola, un po’ di succo di zucca…»

Rose si concesse di buon grado un calice di succo di ciliegia, dopo aver visto Albus fare lo stesso. Sapeva che il momento di parlargli era sempre più vicino. Iniziò a gironzolare per la stanza insieme a Ben, decisa a evitare altre chiacchiere inutili e curiosa di scoprire gli artefatti che Lumacorno adorava collezionare.

«Sono sempre così, gli incontri del Lumaclub?»

«Più o meno sì, tranne la festa di Natale. Lì vengono invitate anche persone importanti in confidenza con Lumacorno, e devi portarci qualcuno come ospite».

«Devo portarci qualcuno? E a chi dovrei chiederlo?»

«Con tutte le ragazze che ti gironzolano intorno in questo periodo, Ben, non credo sarà un problema trovarne una» commentò Rose distrattamente, gli occhi celesti fissi su un oggetto in particolare. Una clessidra bellissima, decorata da serpenti verde smeraldo che si arrampicavano sul vetro liscio e celavano in parte la sabbia che scorreva piano al suo interno. Aveva di sicuro un grande valore.

«Se lo dici tu. Guarda, Lumacorno sta salutando tutti, mi sa che è ora di andare» la riscosse Ben.

In men che non si dica Lumacorno spedì tutti gli studenti fuori dall’ufficio e socchiuse il portone, lasciando uno spiraglio grande abbastanza da far passare la sua testa. «Vi conviene ritornare nelle vostre Sale Comuni, ragazzi miei, tra poco scatta il coprifuoco. Organizzerò presto un altro evento, quindi… occhio al mio gufo!» esclamò. Il portone si chiuse completamente con un rumore sordo. Gli otto ragazzi s’incamminarono insieme fino all’arazzo di Wilfur lo Sgraziato, dove le strade per raggiungere le varie Sale Comuni si sarebbero divise.

«Be’, io vi saluto. Rose, McLaggen, ci vediamo lunedì a lezione» esordì Celia, prendendo il corridoio a destra che l’avrebbe portata alla torre di Corvonero. I fratelli Finch-Fletchley si dileguarono subito dopo.

«Torniamo in Sala Comune?» chiese Ben, ma Rose scosse la testa. Aveva adocchiato Albus parlottare in un angolo con Cavendish e la Macnair. Quella era l’occasione giusta per confrontarsi con lui.

«Tu vai, io devo fare una cosa».

Ben sembrò capire, perché le strinse una spalla in segno di saluto e sparì. Rose aspettò finché il cugino non incrociò il suo sguardo. Cercò di trasmettergli la necessità di parlargli e, con suo enorme sollievo, Albus fece un cenno ai suoi amici, che se ne andarono, e si avvicinò a lei. Erano soli.

«Ciao» proferì Rose cauta. Solo in quella frazione di secondo, ad avercelo davanti agli occhi senza altra gente intorno, comprese quanto le fosse mancato realmente.

«Ciao» borbottò titubante Albus. I suoi occhi erano privi di rabbia. Era un buon segno.

«Come va?»

L’espressione di Albus cambiò in un istante. Dove prima c’era una propensione all’ascolto e al dialogo si era eretto un muro invalicabile. Rose si maledisse mentalmente per aver parlato troppo presto. «“Come va?” Davvero non sai fare di meglio?» sibilò il ragazzo, appoggiandosi al muro.

“Calma, devi stare calma. Sei qui per risolvere la situazione, non per complicarla” si disse Rose con un bel respiro. «Perché» mormorò, «cosa avrei dovuto dire?»

«Non so, magari mi aspettavo delle scuse».

«Delle scuse… se mi informi su cosa ho fatto di sbagliato, magari potrei anche soddisfare le tue aspettative».

«Cosa hai fatto di…!?» iniziò Albus, e si passò la mano tra gli scompigliati capelli corvini. «È da mesi che non mi parli, che infrangi le regole, che vai in giro di notte per il castello, che passi ore e ore in Biblioteca a fare chissà cosa! E poi mi chiedi che hai fatto di sbagliato?»

«Io non ti parlo? Non mi sembra ci siano stati tentativi di contatto da parte tua. E poi, come fai a sapere che passo tanto tempo in Biblioteca? Ah, ho capito, ora tu e Malfoy usate la Mappa per controllarmi anche di giorno» rispose Rose, pur con tono pacato.

Albus si passò una mano sulla fronte. «Io cerco solo di fare ciò che ritengo giusto».

«Allora andate pure a dire alla McGranitt delle mie gite notturne, tu e Malfoy, se proprio lo ritenete giusto».

«Non credi che se l’avessimo voluto fare, l’avremmo già fatto?»

Rose aprì la bocca, spiazzata, ma non ne uscì alcun suono. Albus ne approfittò per avvicinarsi ancora di più alla cugina, abbassandosi per fissarla negli occhi. «Che cosa ci facevate di notte tu e Alice nell’ufficio di Madama Wells, un mese fa?»

Rose avvertì il cuore saltare un battito. Era come se sentisse le parole di Malfoy rimbombarle nella mente.

«Oh Weasley, magari si trattasse solo delle Cucine…»

Quella era la conferma che la subdola frecciatina di Malfoy, mormorata la sera della vittoria sui Corvonero e attutita dai rumori dei festeggiamenti in Sala Comune, celava davvero un’insinuazione ben più fondata. I due Serpeverde lo sapevano. Sapevano della loro avventura in Biblioteca. Lei e Alice si erano lasciate cullare da un senso di tranquillità, quella fatidica notte, non appena avevano visto la Mappa chiusa tra le mani di Albus. Erano troppo emozionate dalla scoperta di Georgiana Harris per ragionare a mente lucida e capire che la realtà non era sempre quella che appariva.

«N-non sono… affari tuoi» balbettò. Doveva escogitare un modo per cambiare argomento nel minor tempo possibile. Albus ridusse gli occhi verdi a due fessure; era chiaro che fosse scettico. Rose si morse il labbro fino a quando non avvertì il sapore metallico del sangue sfiorarle la lingua.

«Io credo di sì, invece».

«Be’, credi male. Non c’è nulla di cui ti devi preoccupare, Albus» lo rabbonì Rose, fissandolo dritto negli occhi nel tentativo di trasmettergli sincerità, per quanto falsa potesse essere in realtà. «Io e Alice non stiamo facendo nulla di illegale» concluse con un piccolo sorriso.

Albus si scostò di scatto, girandosi verso il corridoio che lo avrebbe portato nei Sotterranei. «Ora devo andare, Scorpius mi aspetta in Sala Comune» l’avvisò, incamminandosi un passo dopo l’altro. «È meglio che torni nella tua, a proposito, o sarò costretto a toglierti dei punti». Lo sguardo implorante di Rose non servì a farlo tornare indietro. La ragazza rimase ferma immobile a guardarlo andare via e quasi non si accorse delle parole che la raggiunsero prima che il cugino svoltasse l’angolo.

«Scoprirò cosa stai combinando, Rose, in un modo o nell’altro».









Angolo autrice
Ehilà, sono tornata con un altro capitolo.
Rose e Alice hanno iniziato le ricerche per quello che appare come un enorme punto di domanda.
Come ci si aspettava, non basterà qualche libro in Biblioteca. Magari l'unica soluzione è un'idea geniale o, chi lo sa, un colpo di fortuna.
E poi la cena al Lumaclub! Spero di essere riuscita a rendere bene l'atmosfera.
La bellissima clessidra che attira l'attenzione di Rose è ovviamente presa da HP e il Principe Mezzosangue (dal film, non mi ricordo se viene citata anche nei libri ma andrò a controllare).
Invece la foto di Harry e Lumacorno, bonus a chi indovina a quale momento fa riferimento! (anche se dovrebbe essere abbastanza facile).
Detto questo, ci vediamo alla prossima.
ChiarainWonderland

 

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Capitolo 16
*** Nessuna pietà e nessun rancore ***


CAPITOLO QUINDICESIMO

NESSUNA PIETÁ E NESSUN RANCORE


Visto dalla finestra della capanna di Hagrid, il cielo ricordava uno specchio crepato da sottili increspature. Rose se n’era accorta solo quando aveva lasciato vagare lo sguardo fino all’orizzonte, dove le montagne si confondevano tra di loro. Era forse la terza volta che trovava così interessante il familiare paesaggio che circondava il castello, ma d’altronde qualunque cosa sarebbe apparsa più interessante del libro di Difesa contro le Arti Oscure che aveva sotto al naso. Non che odiasse la materia. Al contrario, nella teoria eccelleva. Era la pratica che costituiva un problema. 

«Ok, prova a dirmi un incantesimo di attacco e io ti dico con cosa lo respingerei».

«Alice, non credo che serva a molto sul momento. È l’indecisione che ci frega».

«Sicuramente è più utile che studiare dal libro, visto che dobbiamo simulare un duello e non riempire due rotoli di pergamena» brontolò Alice, sporgendosi dall’enorme poltrona su cui era seduta per appoggiare la tazza di tè sul tavolo. Rose si passò una mano sulla fronte. Mancava poco alla prova pratica di Difesa di quel lunedì pomeriggio, la prima dell’anno. Fino a quel momento aveva dovuto affrontare solo verifiche teoriche, niente di troppo impegnativo, ma i duelli erano un’altra storia. Non appena Isabel e Samantha erano corse rispettivamente alla lezione di Cura delle Creature Magiche e Alchimia, lei e Alice si erano rintanate da Hagrid a ripassare approfittando dell’ora buca. Si erano premurate di evitare la Biblioteca, in modo da isolare qualsiasi pensiero riguardante il medaglione almeno per quella giornata. La scuola aveva pur sempre la priorità.

«E va bene… ehm… Immobilus».

«Protego».

«Stupeficium».

«…Protego

«Non puoi sempre usare quell’incantesimo! Devi impegnarti, c’è una valutazione!» dichiarò Rose divertita.

«Oh, sai che nei duelli sono peggio di te» mormorò Alice torturandosi la sciarpa rossa e oro, le dita rosse dal freddo. Oltre la capanna il vento piegava al suo volere i rami degli alberi. Pochi studenti osavano mettere piede fuori dal castello con quel tempo, ma Rose e Alice non si erano fatte intimorire, abituate com’erano ad allenarsi a Quidditch anche sotto alle tempeste. Erano corse giù dalla collina e avevano raggiunto la casa del guardiacaccia in un baleno.

«Ci assomigli tanto a Neville, sai? Insicura proprio come era lui da ragazzino» tuonò Hagrid, appena rientrato. Prese uno strano aggeggio da giardinaggio e scomparve di nuovo oltre la porta, non accorgendosi dell’occhiata contrariata di Alice.

«Riproviamo… Locomotor Mortis».

Alice arricciò il naso, confusa. «Sinceramente, non mi ricordo nemmeno della sua esistenza».

Rose si passò la mano sulla faccia, la seconda volta in quel breve lasso di tempo. Era un record. «Pietrifica le gambe dell’avversario, che non può più camminare. Ora ricordi?»

Alice rimase concentrata un altro istante, prima che le sue labbra si allargassero in un sorriso beato. «No, ma non importa» disse sicura, «perché mi devi concedere qualche incantesimo ad effetto. Ho un Accettabile scarso di media, quindi mi basta solo un Oltre Ogni Previsione e poi posso concentrarmi su Erbologia».

Le sopracciglia di Rose scattarono verso l’alto. «Be’, sta di fatto che anche io ho bisogno almeno di un Oltre Ogni Previsione per mantenerla, la media».

«Allora non ci resta che collaborare e dimostrare che siamo entrambe degne di una O».

«Compromesso onesto» concesse Rose, e si sporse per stringere con finta serietà la mano dell’amica. Una folata di vento particolarmente forte fece sbattere i vetri della finestra. Alice sussultò, la testa conficcata nell’enorme schienale della poltrona.

«Il mio vero problema alle lezioni di Difesa» iniziò, appurandosi dell’assenza di Hagrid, «è tuo cugino».

«Non tirare fuori quell’argomento di nuovo» precisò Rose. Era da quando le aveva raccontato della conversazione con Albus, avvenuta due giorni prima, che Alice non parlava d’altro che non fosse il Serpeverde. Rose cercava subito di cambiare discorso, e non solo per la stretta allo stomaco che le causava il ricordo delle parole del cugino. Pensare ad Albus equivaleva pensare a Malfoy.

«Ah, e vuoi liquidarlo come se non fosse nulla?» continuò Alice imperterrita, «“Scoprirò cosa stai combinando, Rose, in un modo o nell’altro”. Io sento odore di guai».

«Anche io, se è per questo. Non capisco perché lui e Malfoy non siano andati a raccontare tutto alla McGranitt. Avevano la possibilità di metterci in guai seri, questa volta, eppure…»

«Magari ti ha detto così solo per ingannarti, e ora sono già nel suo ufficio».

«Non credo. Ha detto che se l’avessero voluto fare, l’avrebbero già fatto. Sembrava sincero, lo guardavo dritto negli occhi e sembrava sincero».

«La sincerità si può anche fingere, Rosie. Noi due lo sappiamo bene, non è vero?»

Rose sospirò, consapevole che l’amica avesse ragione. «Be’, sta di fatto che dovremo stare più attente, d’ora in poi. Albus è furbo e intelligente».

«Non dimentichiamoci di Malfoy. Pure lui è intelligente, insomma, ci manca poco che prenda i tuoi stessi voti…» ammise Alice, e Rose la interruppe fulminandola con un’occhiataccia.

«Allora è proprio per questo che oggi» sentenziò, e si premurò di sottolineare l’ultima parola, «daremo il massimo e prenderemo un voto più alto del loro».

Alice scoppiò a ridere. «Impossibile. Sono tra i migliori della classe quando si tratta di duelli, mentre noi… be’, noi…»

«Noi facciamo pena».

«Mi hai tolto le parole di bocca, Weasley. Non credo ci sia bisogno di parlare dello Scadente che ci siamo beccate l’anno scorso».

Un colpo secco e un rumore di passi pesanti segnò l’entrata di Hagrid. Il mezzogigante cominciò a rovistare in un baule semiaperto contenente varie cianfrusaglie. Rose e Alice rimasero a osservarlo, curiose, finché Hagrid non riemerse del tutto, la fronte imperlata da goccioloni di sudore.

«Che cosa stai cercando, esattamente?» domandò Alice, attorcigliandosi un filo della sciarpa tra le dita. Hagrid raggiunse il tavolo, osservò il piatto colmo di biscotti, scelse quello con più gocce di cioccolato e iniziò a masticarlo come se fosse del pudding, e non una roccia travestita da dolce. Rose nascose il sorriso divertito dietro il libro di Difesa.

«Ho perso il repellente per lumache carnivore, mi sembrava di averlo messo in quel baule, ma…»

«Non è quel contenitore sulla mensola?» suggerì Rose, indicando con il dito una specie di vecchio spruzzino coperto da ragnatele.

Lo sguardo di Hagrid saettò verso quella direzione. «Perbacco, hai ragione! Grazie Rosie» esclamò, arraffando lo spruzzino e facendo pericolosamente oscillare alcune gabbie appese al soffitto. Una in particolare avrebbe preso in pieno Alice, se fosse caduta.

«Quindi, come va con il ripasso?»

«Male Hagrid, i duelli non sono il mio forte» rivelò Rose, versandosi altro tè nel boccale che Hagrid faceva passare per una tazzina. Il tepore della bevanda calda raggiunse le sue dita, alleviando la sensazione di intirizzimento dovuta al freddo.

«Ma non mi dire! Rose Weasley, figlia di Ron e Hermione e nipote di Harry Potter, niente di meno, in ansia per un duello! Questa non avrei mai pensato di sentirla!» esclamò Hagrid, un sorriso bonario stampato in mezzo alla folta barba.

Rose si accigliò, lo sguardo puntato sul tè. Era abituata a sentire commenti di quel genere, ma non riusciva mai a evitare di pensare alle grandi imprese compiute dai suoi genitori. A confronto le sue, di imprese, parevano bazzecole. Hagrid aveva ragione. Preoccupata per un semplice duello di Difesa, la cui conseguenza peggiore era un voto insufficiente? Patetico. Alice sembrò leggerle nel pensiero, o forse si accorse della sua espressione corrucciata, perché intervenne al posto suo.

«Be’ Hagrid, sai bene che non tutti sono uguali ai propri genitori».

«Oh, ma certo, io… Rosie sai che io… non intendevo…» tentò di rimediare Hagrid mettendo le mani avanti, accortosi anche lui del repentino cambio d’umore della Weasley.

Rose scosse la testa con un sospiro. «Tranquillo Hagrid, non è niente» affermò, e si esibì in un sorriso a conferma delle sue parole.

«Giusto… sarà meglio che vada. Devo finire di preparare l’orto per l’inverno, ormai potrebbe nevicare da un giorno all’altro».

«Andiamo anche noi» affermò Alice, alzandosi dalla poltrona con un balzo, «mi sa che tra poco dobbiamo essere in classe. Grazie per il tè, Hagrid».

Uscire all’aria aperta fu un supplizio. Il vento s’insinuava nei vestiti, scompigliava i capelli e faceva sbatacchiare i lembi della sciarpa da tutte le parti. Rose e Alice si aggrapparono allo stipite della porta come se fosse l’albero maestro di una nave in balia di una tempesta. Hagrid era già nell’orto a spalare e appiattire terriccio, il repellente per lumache carnivore stretto in una mano.

«Non comprendo come riesca a lavorare con questo tempo» mormorò Alice, stringendosi nel mantello.

«Credo che l’essere un mezzogigante centri qualcosa».

Le ragazze salirono la collina e si fermarono nel cortile centrale a riprendere fiato. Dopo qualche secondo il pendolo della scuola segnò l’ora, costringendole a scattare attraverso il portone d’ingresso e a precipitarsi verso l’aula di Difesa.

«Mi spieghi come… come mai siamo sempre… in… ritardo?» soffiò Alice, il respiro irregolare dalla corsa.

Rose era sul punto di rispondere, quando qualcosa – o qualcuno – la colpì sul fianco facendola cadere addosso ad Alice. Entrambe finirono a terra con le gambe per aria, le borse rovesciate e i libri sparsi sul pavimento.

«Per Salazar, non ti ho proprio vista, Rosie! Mi dispiace!» esclamò una voce familiare. Rose vide confermati i propri sospetti non appena alzò lo sguardo sulla persona che, appena svoltato l’angolo, l’aveva investita. Millie, la frangia insolitamente scompigliata, le si era già precipitata accanto e le stava raccogliendo i libri con foga. Samantha, dietro di lei, faceva lo stesso con Alice.

«Ahi… tranquilla, Millie, siamo noi che non dovremmo correre nei corridoi».

«Se è per questo, anche noi stavamo correndo. La lezione di Alchimia è finita più tardi del solito» chiarì Samantha mentre aiutava Alice a rimettersi in piedi, «la Douglas ci toglierà punti di sicuro per il ritardo».

«Muoviamoci» suggerì Rose, la borsa con i libri di nuovo in spalla.

A quanto pareva il destino era loro avverso, perché a soli venti passi dalla destinazione le ragazze si trovarono davanti un Peeves sghignazzante che fluttuava sopra le loro teste. Il poltergeist ridacchiò malizioso e si prodigò nell’esibire il talento che lo rendeva noto in tutta la scuola. Canzoncine derisorie per prendere in giro gli studenti.

“Grifondoro furbacchione, in ritardo alla lezione,
ecco arriva il professore, dà una bella punizione!”


«Ehi, brutto spiritello impertinente, io non sono una Grifondoro!» sbottò Millie, come se Peeves le avesse appena rivolto un insulto particolarmente crudele. Rose roteò gli occhi all’ennesima conferma che l’orgoglio dei Serpeverde era in grado di concorrere con quello della sua Casa.

«Coraggio, Mildred, non rendere un sassolino una montagna»

«Se mi chiami un’altra volta così, Paciock, vedi che fine fa il sassolino».

«La smettete? Sembrate delle bambine di cinque anni» intervenne Samantha, già di fronte alla porta dell’aula, «quanto mai Isabel non frequenta Difesa…».

 Un rumore sordo proveniente dall’interno della classe si propagava in tutto il corridoio, mescolandosi alle voci di Millie e Alice che continuavano a punzecchiarsi. Si trattava dello stridio dei banchi che venivano spostati e che grattavano contro il pavimento: la Douglas non voleva che si usasse la magia per quel genere di piccolezze. Rose scambiò un’occhiata d’intesa con Samantha. Con tutto quel casino nessuno le avrebbe notate entrare.

«Voi due – sì Alice, sto parlando anche con te – dovete stare zitte. Sam, cerca di aprire il meno possibile la porta. Ci basta uno spiraglio».

Samantha annuì, abbassò la maniglia e spinse in avanti la porta, che non emise scricchiolii. In un attimo furono dentro. Rose si appiattì contro il muro, impegnandosi a mimetizzarsi con l’ambiente circostante. L’aula di Difesa Contro le Arti Oscure era ariosa, con finestre a volta che permettevano alla luce di occupare anche l’angolo più nascosto. Gli studenti stavano ancora sistemando i banchi, tanto che nessuno si accorse delle nuove arrivate. La professoressa Douglas era in piedi accanto alla cattedra che coordinava l’operazione, le rughe del volto stirate in un’espressione severa. Era un’ex Auror, autoritaria ma allo stesso tempo amorevole con i suoi studenti. Almeno finché non le si dava un motivo per arrabbiarsi. Il carattere forte doveva essere eredità del lontano antenato di cui amava raccontare le avventure: James, meglio conosciuto come “Black Douglas”, eroe scozzese famoso sia per la sua lealtà sia per la spietatezza con cui affrontava i nemici. Rose ringraziò Merlino per averle concesso la grazia di passare inosservata. Ben presto gli studenti si radunarono al centro dell’aula. Rose adocchiò Albus e Scorpius poco lontano, il primo immancabilmente attaccato alla sua ragazza. Erano troppo presi dalla conversazione con Zabini per accorgersi di lei. “Malfoy sembra particolarmente spensierato questo pomeriggio” non mancò di notare, avvicinandosi di un passo ad Alice e afferrandole la manica della divisa.

«Ottimo, ora che ci siamo tutti… sì ragazze, vi ho viste entrare in ritardo e quindi vi verranno tolti dieci punti a testa» tuonò la Douglas scoccando un’occhiata obliqua alle dirette interessate, e Rose si morse il labbro maledicendosi da sola. «Quindi, come stavo dicendo, oggi ci sarà il test di cui abbiamo parlato la volta scorsa. La prossima prova pratica sarà sugli incantesimi non verbali, quindi vi consiglio di approfittare di quest’occasione per ottenere il miglior risultato possibile. Non verrete valutati in base all’esito del duello, ma in base alla padronanza degli incantesimi. È fondamentale che vi ricordi, come ogni anno» continuò, e la sua attenzione sembrò essere rivolta in particolare verso il gruppo di Albus e Scorpius, «che questo test serve solo a saggiare la vostra preparazione e abilità, e non a dare spettacolo».

Rose osservò con cipiglio infastidito Malfoy mentre ridacchiava. Decise di concentrarsi sulla professoressa, che scorreva i nomi sul foglio delle presenze con lo sguardo, e un presentimento le si formò nella mente. Anche Arnold Corner di Corvonero doveva aver avuto la sua stessa intuizione, poiché alzò la mano titubante.

«Sì, Corner?»

«Mi scusi professoressa, mi chiedevo se le coppie le scegliessimo noi, come gli anni scorsi».

All’improvviso nella classe calò un silenzio carico di attesa, tanto che la Douglas si sistemò gli occhiali rotondi in uno scatto nervoso. «Potrei anche lasciare a voi la scelta se non mi trovassi davanti le stesse coppie ogni volta, signor Corner. Nella vita reale non avete la possibilità di scegliere il vostro avversario, ed è quindi fondamentale esercitarsi anche in questo determinato aspetto. Ma d’altronde, per voi allievi con un G.U.F.O oltre l’Accettabile non dovrebbe costituire un problema, dico bene?»

Nessuno osò contraddirla. La professoressa annuì soddisfatta e iniziò a decantare le coppie. Rose lanciò un’occhiata allarmata ad Alice, più pallida del solito, e si mise a fare due calcoli a mente. Con nessuno assente sarebbe finita assieme a Zabini, che nei duelli era circa al suo livello. Non le era andata male.

«Malfoy e Miller… Montague e Nott…»

Samantha si avviò con aria contrariata verso il gruppo dei Serpeverde. Rose sospirò, dispiaciuta per l’amica ma grata di non essere al suo posto. Malfoy era l’ultimo avversario che avrebbe voluto trovarsi davanti. Alice le strinse il braccio per richiamare la sua attenzione, sul volto un’espressione spiritata.

«Ma quindi, io sono con…»

«Paciock e Potter».

«Per tutte le Tentacule Velenose di mio padre» farfugliò Alice, stringendo il polso di Rose fino a causarle una fitta di dolore. «Lo sapevo… lo sapevo che questa era la volta buona che mi beccavo un Troll».

«Alice, devi andare… la Douglas ti sta guardando, devi andare…» insistette Rose, staccandole le dita una a una dal suo polso e spingendola leggermente verso la parte opposta dell’aula. Alice prese un bel respiro, alzò la testa in un’ovvia quanto insulsa parvenza di orgoglio e si diresse verso il suo destino, che in quel momento la stava squadrando come un predatore squadra la preda.

«Rogers e Smith… e per finire Weasley e Zabini».

Rose stava per incamminarsi verso il gruppo dei Serpeverde, quando si accorse che Zabini era già accanto a lei che osservava tranquillo gli altri studenti. Sobbalzò, colta di sorpresa. Tra gli amici di suo cugino, Dustin Zabini era di gran lunga il più calmo e maturo, quello con cui sarebbe andata più d’accordo. Gli occhi blu del ragazzo, che a contrasto con la pelle scura risultavano ancora più intensi, si posarono infine su di lei. Sembravano quasi leggerle dentro. A Rose la sensazione non piacque per nulla.

«La tua amica non sembra molto a suo agio con Al, non è vero?»

«Mh? Oh, no… assolutamente no».

In effetti Alice era rigida come un fuso, le guance rosse e gli occhi che dardeggiavano in qualunque direzione che non fosse il Serpeverde. Diana, la ragazza di Albus, era a tre passi di distanza che li teneva d’occhio con aria vigile. Rose si costrinse a trattenere una risata.

«Cosa c’è di divertente?» chiese Zabini, sinceramente interessato.

Rose finse di avere un attacco di tosse. Era di sicuro apparsa ridicola. «Nulla, io… mi sono ricordata di una battuta che Alice mi ha detto poco fa».

«Ah» si limitò a rispondere Zabini, riportando lo sguardo davanti a sé. “Wow, non credevo fosse uno da così poche parole” si disse Rose, il filo di pensieri subito interrotto dai primi duellanti che si posizionavano al centro dell’aula. Gli altri studenti si avvicinarono alle pareti per lasciare vuoto il maggior spazio possibile. La Douglas era tornata alla cattedra, la bacchetta in bella vista nel caso ci fosse bisogno di un suo intervento e una pergamena immacolata lì accanto pronta per essere riempita. I duelli iniziavano e finivano velocemente, tra schiantesimi, incantesimi di attacco e di protezione, cadute, lamenti soffocati e il grattare incessante della piuma della professoressa che prendeva nota di ogni cosa. Zabini commentava sottovoce alcune mosse.

«Ecco, vedi, Diana ha un’ottima mira e una determinazione infallibile, ma spesso è troppo avventata. Ha appena abbassato la guardia per attaccare, ma sono sicuro che Corner ne approfitterà».

Neanche a dirlo, Corner scagliò una Maledizione Pietrificus che centrò in pieno petto Diana. La ragazza cadde a terra, immobile. Rose osservò allo stesso tempo Corner sospirare sollevato, Albus stringere le labbra in un evidente gesto di sconforto per la fidanzata e Alice impegnarsi a trattenere un sorrisino divertito.

«Un attimo signorina Dumont, ora la libero» proferì la Douglas, alzandosi e raggiungendo l’alunna pietrificata.

«L’avevo detto» commentò placido Zabini.

«Sei davvero intuitivo! Come mai di solito…» iniziò Rose, per poi interrompersi non appena si accorse di quello che stava per dire.

«Come mai di solito nei duelli non sono un granché?» concluse Zabini per lei. «Non so, dimmelo tu. Come mai di solito nei duelli non sei un granché, considerando che nella teoria eccelli?»

Rose si zittì, punta sul vivo; Zabini poteva anche essere un tipo da poche parole, ma quelle che pronunciava le formulava in modo egregio. Si girò, pronta a controbattere, quando notò il sorriso malcelato del ragazzo, e si ritrovò a sorridere anche lei. I duelli continuavano come un’incessante sottofondo di rumori indistinti, fino a quando la Douglas non chiamò l’ennesima coppia. Rose drizzò le orecchie al nome di Malfoy.

«Oh, ora c’è da divertirsi» sussurrò Zabini.

Samantha si avviò a passo di marcia davanti all’avversario. Se c’era qualcuno che poteva anche solo sperare di eguagliare Malfoy in un duello oltre ad Albus, era lei. Non possedeva la stessa preparazione teorica di Rose, ma la prontezza di riflessi e il sangue freddo compensavano di gran lunga la mancanza. Malfoy assottigliò gli occhi, per poi sollevare la bacchetta e pronunciare il primo incantesimo. Samantha lo parò senza apparente difficoltà. Continuarono così per un po’, con un tira e molla di attacchi improvvisi ed evitati. Man mano il ritmo aumentava, tanto che le bacchette volteggiavano nell’aria come quelle di un direttore d’orchestra. La Douglas li osservava attentamente, la piuma d’oca abbandonata sulla cattedra.

«Rictusempra!» esclamò a un certo punto Malfoy, e il raggio di luce che fuoriuscì dalla sua bacchetta sfiorò di una manciata di centimetri l’orecchio di Samantha.

«Va bene, basta così, altrimenti non ci resta tempo per gli altri duelli. Malfoy, ammirevole varietà degli incantesimi usati. Miller, ottima prontezza nella difesa. Assegno a entrambi una E».

Samantha allungò la mano verso Malfoy, che la strinse senza esitare con un sorriso sincero. Rose avvertì una vampata di orgoglio salirle fino alle guance, così forte che quasi non si accorse di un’altra sensazione che le stava divorando lo stomaco. Fu solo quando iniziò il duello tra Millie e Richard Nott che si rese conto di cosa si trattava. Gelosia. La parola era quasi strana da sillabare nella mente. Gelosia? Lei che provava gelosia? Impossibile…

«Nott! Per la barba di Merlino, non puoi già trovarti disarmato! Recupera la bacchetta…»

…eppure era vero. Provava gelosia verso Samantha. “D’altronde è normale, ha preso lo stesso voto di Malfoy e ha avuto l’occasione di ridurgli quell’enorme ego che si ritrova. È ovvio che io sia gelosa” si convinse, anche se in fondo sapeva di star mentendo, sapeva che il motivo era un altro. Era gelosa per il sorriso che Malfoy aveva rivolto all’amica. All’amica e non a lei.

«…Desolante Nott, non posso darti più di un Desolante! E ritieniti fortunato di non esserti beccato un Troll… Merlino, aiutami tu… bene, avanti i prossimi».

«La tua amica Paciock, sembra che stia per vomitare» notò Zabini, e per una buona ragione.

Un’Alice terrorizzata si diresse verso il centro dell’aula, dove l’avversario la stava già aspettando. La mano era stretta a pugno sulla bacchetta per evitare che tremasse, Rose ne era sicura. Gli altri avrebbero pensato che Alice fosse nervosa perché Albus rappresentava un rivale quasi imbattibile, ma lei era consapevole di cosa stesse passando per la testa dell’amica. Albus inarcò un sopracciglio, si passò una mano tra gli spettinati capelli corvini e alzò la bacchetta con aria tranquilla. Probabilmente credeva che Alice si sarebbe arresa in meno di cinque minuti. Rose pregò che avvenisse il contrario.

«Expelliarmus!»

«Protego!» strillò Alice, e una barriera invisibile l’avvolse interamente. L’incantesimo di Albus s’infranse nel nulla. “Brava, bene così” pensò Rose, “usa sempre Protego, piuttosto”.

«Stupeficium!»

Alice si spostò con un balzo, e il lampo rosso si scontrò con il pavimento. La Douglas corrugò la fronte e scribacchiò in fretta e furia qualcosa sulla pergamena. Alice si spostò un ciuffo di capelli che le era rimasto appiccicato alla fronte e alzò la bacchetta, pronta a respingere un altro attacco.

«Incendio!»

«Aguamenti!»

«Expulso!»

Altro balzo di lato. Altro incantesimo andato a vuoto. Alice respirava sonoramente, ma gli occhi erano fissi su Albus, pronti a captare qualsiasi movimento.

«Immobilus!»

«Impedimenta!»

L’incantesimo di Albus fu fermato da un ostacolo invisibile, ma Alice inciampò nei suoi stessi piedi e cadde a terra. Albus si avvicinò trionfante, puntando la bacchetta per disarmare definitivamente l’avversaria. Rose distolse lo sguardo, la tenacia che aveva permesso all’amica di resistere per un po’ come unica consolazione.

«Locomotor Mortis!»

La voce di Alice rimbombò per tutta l’aula. Gli occhi di Rose saettarono di nuovo verso l’alto, per assistere a un Albus in evidente difficoltà, il sorriso vittorioso congelato in faccia, che tentava di muovere inutilmente le gambe. Era come se avesse i piedi incollati al pavimento. Alice si trovava ancora a terra, ma non ci rimase per molto.

«Levicorpus!»

In un attimo Albus aveva contrattaccato e Alice si era ritrovata a mezz’aria, appesa per i piedi a un gancio invisibile. I capelli le coprirono il viso rosso dallo sforzo e le mani annaspavano alla ricerca di un sostegno.

«Basta così, Potter!» intervenne la Douglas, e con un movimento fluido della bacchetta liberò Albus dalla gabbia di pietra in cui erano intrappolate le sue gambe. «Liberacorpus!» aggiunse, e Alice ricadde a terra con un tonfo sordo, «Potter, buona intraprendenza e scelta degli incantesimi. Paciock, discreta nella difesa e ottimo attacco a sorpresa, anche se personalmente avrei scelto una fattura più efficace… darei una O meritata a tutti e due».

Alice si rialzò, raddrizzò la schiena e mantenne un atteggiamento composto, ma il sorriso che le increspava le labbra la diceva lunga. Lo stesso non si poteva supporre per Albus: tornò dai suoi amici come se non fosse successo nulla, ma Rose lo conosceva meglio di così. Sapeva che il cugino si infastidiva se qualcosa non andava come previsto.

«La Paciock è più brava di quanto mi ricordassi» sussurrò Zabini colpito.

«Solo quanto si convince di esserlo» precisò Rose. L’orgoglio le bruciava nel petto come un carbone ardente, e in quel caso non era contaminato da altre emozioni quali gelosia o invidia. No, la sua era pura felicità per Alice, che aveva proprio scelto l’incantesimo che avevano ripetuto da Hagrid nonostante l’infinita varietà da cui poteva attingere. Era quasi come se avesse voluto condividere una piccola parte della vittoria con lei. Rose era così coinvolta da quella sensazione euforica che quasi non si accorse del suo nome che veniva chiamato a gran voce dalla professoressa. La realizzazione che fosse arrivato il suo turno la riportò bruscamente all’aula di Difesa, dove Rogers e Smith, un po’ammaccati, si stringevano la mano e filavano dai compagni. Lo sbalzo di emozioni sembrò triplicare l’ansia che le attanagliava lo stomaco. Le parole di Hagrid tornarono puntualmente a tormentarla.

«Ma non mi dire! Rose Weasley, figlia di Ron e Hermione e nipote di Harry Potter, niente di meno, in ansia per un duello! Questa non avrei mai pensato di sentirla!»

«Nessuna pietà e nessun rancore, Weasley?» bisbigliò Zabini.

Rose si ritrovò ad annuire incerta, anche se non aveva afferrato metà delle parole, e seguì il Serpeverde con la bacchetta salda nella mano destra. Il palmo sudato a contatto con il legno le procurava un fastidio quasi insopportabile. “Calmati Rose, è Zabini. È solo Zabini. Siete allo stesso livello”. Posizionatasi di fronte all’avversario, si permise di lanciare un’occhiata alla classe. Malfoy entrò immediatamente nel suo campo visivo; con enorme sorpresa, il ragazzo le teneva già gli occhi puntati addosso. Era la prima volta che la osservava senza distogliere lo sguardo, da quando aveva iniziato ad ignorarla.

«Everte Statim!»

La fattura di Zabini arrivò senza preavviso, tanto che Rose riuscì a pararla per un soffio. Da quel momento accadde l’inimmaginabile. Zabini cominciò a scagliare incantesimi a raffica, uno dopo l’altro, le formule che si confondevano tra loro.  Rose non ebbe nemmeno il tempo per metabolizzare lo stupore e lo sconcerto: schivava i raggi di luce alla meno peggio, con scudi protettivi e movimenti scoordinati…

«Incarceramus!»

…ma non riuscì a evitarli tutti. Avvertì le corde evocate da Zabini stringerla in una morsa, e il pavimento farsi vicino… sempre più vicino… finché un dolore acuto non le invase un braccio, e capì di esserci caduta sopra a peso morto. Le arrivarono delle voci ovattate alle orecchie, e forse riconobbe quella della Douglas. Chiuse gli occhi. L’Oltre ogni previsione se lo poteva anche scordare.









Angolo autrice
Eihlà, eccomi con un altro capitolo!
Bè, che dire? Scriverlo è stato abbastanza difficile, devo ammetterlo, ma volevo troppo descrivere qualche buon sano duello.
So che riguardo alla trama in sè non ci sono stati chissà quali sviluppi, però un capitolo di passaggio mi serviva per introdurre nuovi personaggi e approfondirne di altri. (E poi ammettiamolo, Rose e Alice sono pur sempre a scuola, con lezioni, verifiche eccetera).
Partendo proprio dai nuovi personaggi, che ne pensate di Zabini e della Douglas? Secondo voi come mai Zabini, che a Rose non sembrava tutto questo granchè nei duelli, si è rivelato una specie di macchina da guerra? Bisognerà aspettare il prossimo capitolo...
A proposito di Rose, sinceramente io me la sono sempre immaginata con un punto debole a scuola, nonostante nella maggior parte delle materie non prenda mai meno di Eccezionale, e ho sempre associato il punto debole ai duelli. Forse per l'ansia di sbagliare, forse per la paura di deludere le aspettative...
Mentre scrivevo la parte di Alice, potevo quasi avvertire la vampata di orgoglio che Rose poi descrive. Finalmente ha dimostrato quanto vale, e che non bisogna mai dare nulla per scontato.
Non ci resta che aspettare di vedere come reagirà Rose nel prossimo capitolo e come si evolveranno le cose!
Alla prossima,
ChiarainWonderland

P.S. Spero che questo periodo brutto passi presto, e che stiate tutti bene


 

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Capitolo 17
*** Di riunioni e uragani distruttivi ***


CAPITOLO SEDICESIMO

DI RIUNIONI E URAGANI DISTRUTTIVI


East Hampshire, 17 settembre 1969

L’alto soffitto marmoreo del salone sembrava risplendere, illuminato dalle migliaia di fiammelle provenienti dalle candele del lampadario. Il pavimento era stato tirato a lucido con cura quasi maniacale dagli Elfi Domestici. Ogni granello di polvere era stato spazzato via dai soprammobili. L’argenteria, talmente lustra da specchiare perfettamente chiunque la osservasse, era esibita sulla mensola sopra all’enorme camino. Vassoi incantati volteggiavano tra gli ospiti, portando cibi, bevande e calici di cristallo sempre pronti per essere riempiti. Georgiana, appostata in un angolo isolato del salone, riuscì appena in tempo ad afferrare un Bonbon Esplosivo mentre il vassoio le sfrecciava davanti. Si mise in bocca la caramella, assaporandone il delizioso sapore al mirtillo, per poi rimproverarsi da sola: era dall’inizio della riunione che mangiava dolci. Non che avesse altre consolazioni. Aveva estremo bisogno di energie per affrontare suo padre e i suoi amici. Una mano andò spontaneamente a stringere il medaglione dalla pietra turchese che le pendeva dal collo, regalo del padre per il suo diciannovesimo compleanno. Si ricordò, come sempre, della prima volta in cui l’aveva indossato: un repentino ma acuto dolore le aveva invaso il torace, così improvviso da toglierle il fiato, e una paura selvaggia le aveva attanagliato le viscere. I blandi tentativi di suo padre di tranquillizzarla non avevano funzionato. Le aveva detto che era una cosa normale, che succedeva solo la prima volta… e almeno su quello aveva ragione. Georgiana era certa, tuttavia, che non si sarebbe mai abituata alla gelida sensazione che le procurava il metallo a diretto contatto con la pelle.

«Georgiana… tesoro, ma dove sei andata a cacciarti? Vieni, tuo padre ti sta cercando».

A chiamarla era stata una signora sulla sessantina. Portava un elegantissimo abito viola scuro, troppo stretto di almeno due taglie, e i capelli grigi erano raccolti in uno chignon decorato con piume e perle. Al collo, immancabile, il medaglione. Georgiana la vedeva spesso alle riunioni, anche se il ricordo più vivido che aveva di lei la riportava indietro al funerale di sua madre. Se non si sbagliava – e di solito non sbagliava mai – quella donna si era rivelata piuttosto invadente.

«Mio padre…?»

«Sì, sì! Vuole che partecipi alla conversazione!» la interruppe la donna, afferrandola per un polso e guidandola attraverso il salone.

“Magnifico” pensò Georgiana. Cercò di divincolarsi dalla stretta d’acciaio che le intrappolava il polso, ma senza successo. Dopo pochi altri tentativi, si limitò a lanciare sguardi supplicanti agli altri ospiti e ad abbassare leggermente la testa ogni volta che un vassoio le passava troppo vicino. Ad un certo punto riuscì a intravedere un gruppo di uomini con lunghi mantelli neri, tra cui suo padre, che parlavano concitati tra di loro. Più si avvicinava, più coglieva stralci della conversazione.

«…la lettera con data e orario della riunione non mi è arrivata, Claudius…»

«Impossibile, Tiberius le recapita sempre al solito indirizzo! A meno che… ah, quel gufo è troppo vecchio. È già accaduto che abbia perso delle lettere per strada».

«Be’, allora dovresti sostituirlo. Stiamo pur parlando di lettere che non devono essere intercettate da nessuno».

«Sì, hai ragione… comunque, come hai fatto a venire a conoscenza della data?»


«Non l’ho saputo. Per fortuna qualche ora fa ero ancora in ufficio e ho visto il medaglione che s’illuminava, così sono corso subito…»

«Signori!» esclamò la donna senza alcun riguardo, trascinando Georgiana accanto a sé, «guardate chi ho trovato nascosta in un angolo!»

«Georgiana» proferì asciutto suo padre. Il tono di voce era piatto, ma quello sguardo, Georgiana l’avrebbe riconosciuto tra mille. Era consapevole che avrebbe ricevuto un rimprovero, non appena gli ospiti se ne fossero andati.

«Scusatemi, io stavo…» iniziò, rendendosi conto di non avere idea di come continuare e decidendo quindi di cambiare approccio. «Padre, desideravi vedermi?»

«Certamente! Vorrei che prendessi parte alla conversazione. È fondamentale che tu, come nostro futuro, sappia come vanno le cose nel mondo dei maghi».

Ecco spiegato il motivo per cui suo padre aveva richiesto la sua presenza. Voleva coinvolgerla, inserirla tra le sue conoscenze, presentarla alle persone importanti. Georgiana cercò di trattenere il sospiro spontaneo che le era salito alle labbra. Già all’inizio della riunione aveva dovuto svolgere un compito talmente delicato da essere solitamente riservato a suo padre: controllare che gli ospiti combaciassero perfettamente con i nomi scritti sulla Lista, e che ognuno di essi portasse il medaglione. E ora era addirittura costretta a partecipare a discorsi di cui non le importava nulla. La serata stava proseguendo di male in peggio.

«Ma io so cosa succede nel mondo magico… ogni giorno Tiberius mi porta una nuova edizione della Gazzetta del Profeta, ho l’abbonamento».

«Ah! La Gazzetta del Profeta!» esplose un uomo basso e tarchiato sulla destra – un certo Fawley, se Georgiana ricordava bene – scoppiando in una risata incredibilmente acuta e venendo subito imitato da tutti gli altri. Georgiana aggrottò le sopracciglia, confusa. Nessuno si prese la briga di chiarirle la situazione.

«Ma dimmi, Georgiana» esordì un signore dai tratti anonimi, ancora scosso dalle risate, «hai frequentato Hogwarts, non è vero? A quale Casa appartenevi?»

«Tassorosso» dichiarò Georgiana con fierezza, ignorando il cipiglio infastidito di suo padre che scomparve rapidamente così com’era arrivato. Tra i suoi interlocutori serpeggiò un vento di perplessità che spazzò via ogni espressione divertita.

«Tassorosso? Devi essere la prima da molto tempo. Di solito i membri della tua famiglia vengono sempre smistati a…»

«Serpeverde, sì. Devo ammettere, invero, che ero rimasto molto sorpreso non appena ero venuto a conoscenza del risultato dello Smistamento di mia figlia. Nonostante ciò, Georgiana ha dimostrato con il tempo di possedere un senso di giudizio di gran lunga più sviluppato rispetto ad altri componenti della famiglia appartenenti alla Nobile Casa dei Serpeverde».

Georgiana lanciò un’occhiata circospetta al padre, notando come l’attenzione dei presenti non fosse più rivolta verso di lei. L’argomento della conversazione era cambiato.

«Non ti starai per caso riferendo a quel tuo lontano nipote, vero Claudius?» chiese il signore dai tratti anonimi. «Quello che si dice abbia a che fare con…»

«Lord Voldemort, precisamente. Grazie alle mie fonti, sono quasi certo che mio nipote sia entrato a far parte dei cosiddetti Mangiamorte, e non solo lui. Altri membri della mia estesa e antica stirpe hanno seguito le sue orme».

La menzione del mago oscuro fu accompagnata da un numero indefinito di sospiri terrorizzati. Georgiana sapeva l’identità del nipote – per lei cugino – nominato dal padre. Osservò l’espressione di quest’ultimo passare dal disdegno al timore con crescente curiosità. L’atmosfera si era d’un tratto congelata, come se un Dissennatore fosse appena entrato nel salone.

«Tu credi… credi che scoppierà una guerra, Claudius?» sussurrò un signore allampanato con una calvizie incipiente che non aveva ancora aperto bocca.

«Oh, sì. È questione di poco tempo prima che la situazione sfugga al controllo del Ministero. Dobbiamo rimanere nell’ombra in modo da non correre rischi».

«Ah, non è forse quello che facciamo da secoli? Rimanere nell’ombra? Agire in segreto?» insinuò quello che appariva come il più giovane tra i presenti. Scoppiò in una risata guardando speranzoso gli altri, forse nel tentativo di smorzare l’atmosfera. Nessuno lo imitò.

«Potremmo provare a stringere accordi con… con Tu-Sai-Chi… magari potrebbe portare benefici…»

«Se ti fossi degnato di informarti un minimo su Voldemort, Baldwin, sapresti che non ha alleati ma solo servitori, e io non intendo servire nessuno. Nemmeno se questo nessuno si rivela essere il più temuto e pericoloso mago oscuro della storia».

Georgiana si ritrovò per la prima volta a concordare su un’opinione detta dal padre. Spostò la sua attenzione verso gli interlocutori, aspettandosi di trovare un assenso generale, quando l’unica reazione fu una serie di sguardi titubanti.

«Claudius… non credi che…»

«No, non credo. Voldemort prima o poi incontrerà la sua fine, Ewart, proprio come ogni altro mago oscuro prima di lui. So che i tempi sono poco propizi e che il futuro appare più che mai incerto. Ma vi posso assicurare, signori, finché potremo contare su persone leali» rispose con tono definitivo Claudius, e Georgiana si accorse che quegli occhi così simili ai suoi la fissavano imperscrutabili, «che il nostro momento arriverà. Arriverà di sicuro».

Georgiana dovette distogliere lo sguardo. Avvertì un senso di oppressione stringerle il torace in una morsa. Non poteva biasimare il cugino per essersi rifugiato tra i ranghi di Voldemort, quando nella sua famiglia le cose non erano poi tanto diverse.

 

*   *   *

Hogwarts, 12 novembre 2022

L’alto soffitto incantato della Sala Grande lasciava presagire una giornata limpida, sgombra dalle nuvole tipiche di novembre. Timidi raggi del sole illuminavano i quattro tavoli imbanditi per la colazione, dove i pochi studenti rimasti si sbrigavano a defilarsi per arrivare in orario a lezione. Rose alzò lo sguardo con una smorfia: la luce che filtrava dalle enormi finestre era talmente bianca da risultare accecante. Sbuffò, persa nella consapevolezza che il cielo non si abbinava al suo umore, e intinse un biscotto con tale forza che il tè fuoriuscì per metà dalla tazza.

«Ma che… Weasley, per le mutande di Merlino!» esclamò con poca grazia Alice. Alcune gocce di tè bollenti le erano finite su una mano.

Per tutta risposta Rose brontolò qualcosa d’indistinto. Lanciò uno sguardo ai biscotti ripieni che giacevano intoccati sul piatto. Il solo pensiero di mangiarli le procurava la nausea. Si strofinò una mano sugli occhi, consapevole delle occhiaie che li incorniciavano, e si costrinse a finire il succo di zucca rimasto nel calice. Non avrebbe resistito metà mattinata a stomaco vuoto.

«Stavo pensando che potremmo approfittare dell’ora buca per ripassare Pozioni… o preferisci occuparla a fare ricerche sul medaglione in Biblioteca? Samantha e Isabel hanno lezione, quindi abbiamo via libera per un po’» borbottò Alice.

Rose sospirò pesantemente, biascicando qualcosa simile a “Pozioni”.  Alice si accigliò, le calde iridi castane velate da incredulità. «Non dirmi che sei ancora arrabbiata per quello che è successo ieri a Difesa…»

Rose si esibì in uno scatto fulmineo per scoccare un’occhiata di avvertimento all’amica, ma nel mentre colpì la tazzina con la mano. Il poco tè rimasto s’insinuò nelle fessure del legno. La tazzina rotolò fino a sparire oltre il bordo del tavolo, e per tutta la Sala Grande si propagò un rumore di ceramica rotta che fece voltare la testa agli studenti che, come le due Grifondoro, stavano per godersi un’ora buca. Rose strinse seccata le labbra e tirò fuori la bacchetta, pronta a rimediare al danno, quando qualcuno la precedette.

«Reparo!» cantilenò una voce soavemente ironica, e la tazzina si ricompose sul tavolo un pezzo alla volta.

«Millie, cosa ci fai qui?» esclamò Alice, talmente sorpresa da non utilizzare il nome di battesimo dell’amica. «Lasci Penelope Nott da sola per stare con noi?»

Rose spostò l’attenzione verso il tavolo dei Serpeverde e, in effetti, Penelope era da sola a leggere uno dei suoi immancabili libri.

«Se la caverà» decretò Millie, «e poi, c’è più bisogno di me qui».

«Davvero?» se ne uscì Rose nel tono più sarcastico che fu in grado di produrre.

«Sai Weasley, non so se l’hai notato, ma la tua aura negativa invade tutto ciò che ti circonda».

«La mia aura negativa

«Precisamente. È già tanto che non stia per arrivare un uragano distruttivo…»

«Senti, Montague, se c’è proprio un giorno in cui non devi fare la spiritosa con me, quel giorno è oggi» dichiarò Rose, e già si stava alzando dal tavolo quando la mano di Millie le agguantò un polso.

«Aspetta! Sei sempre la solita precipitosa. Ho delle novità sul duello di ieri, e su Zabini».

«Su Zabini? Ma se avevi una faccia più sorpresa della mia!» affermò Alice con un sorriso furbo.

Millie roteò gli occhi con fare ovvio. «Certo che ero sorpresa, d’altronde Zabini non ha mai dimostrato quel genere di talento! Ma al contrario di voi due, ieri sera ho avuto la possibilità di dilettarmi con qualche ricerca. Non indovinerete mai cosa ho scoperto…»

Rose distolse lo sguardo. L’ultima cosa che desiderava in quel momento era l’ennesimo pretesto per parlare del suo fallimento più clamoroso. Il Desolante che le aveva assegnato la Douglas dopo averla aiutata a rialzarsi da terra bruciava come una ferita aperta. Si ricordò di come si fosse sentita spaesata, quasi come se il suo corpo non le appartenesse più, e di come le voci le fossero arrivate ovattate anche dopo essere uscita per andare in Infermeria a farsi controllare il braccio. Ricordò le iridi colme di dispiacere di Alice, l’occhiata di compassione di Samantha, l’espressione incredula di Millie. E ancora gli occhi smeraldini di Albus, incapaci di celare il sottile velo di preoccupazione che li attraversava. Lo sguardo impassibile di Malfoy, che la seguiva mentre si allontanava. La soddisfazione stampata sul volto di Zabini, anche se era sicura di aver intravisto del senso di colpa prima di chiudersi la porta dell’aula alle spalle.

«…e quindi Zabini si tratteneva per Nott?»

La voce di Alice districò la mente di Rose dai suoi pensieri, riportandola alla conversazione con Millie. «Ehm… cosa?»

«Non stavi ascoltando?!» esclamò Millie seccata. «Come ho già detto, ieri sera ero molto curiosa di scoprire come mai Zabini si fosse rivelato all’improvviso una specie di maestro dei duelli. Ho immaginato che tuo cugino, Scorpius e Richard sapessero più di quello che davano a vedere perché, insomma, sono i migliori amici di Zabini. Così ho beccato Al mentre era da solo in Sala Comune…»

«Perché proprio Potter? Perché non sei andata a parlare con Zabini stesso?» chiese immediatamente Alice.

Millie le riservò un’occhiata maliziosa. «Sempre interessata ad Albus, a quanto vedo. Comunque» continuò, ignorando le proteste di Alice, «con Nott e Zabini non sono così in confidenza, e per quanto riguarda Scorpius, è il meno ingenuo in questo aspetto».

«In che senso?» volle sapere Rose, improvvisamente interessata.

«Diciamo che è molto riservato riguardo agli affari privati delle persone a lui vicine. Dov’ero arrivata? Ah sì… sono andata da Al e ho cercato di convincerlo a vuotare il sacco. Ci è voluto un po’ ma alla fine mi ha detto tutto».

«E quindi?» insistette Rose.

Millie sorrise e restò zitta ancora per qualche istante, in un palese tentativo di pausa a effetto. «E quindi, Zabini è davvero un fenomeno nei duelli! Ti ricordi che stava sempre in coppia con Nott? Be’, un motivo c’era. Nott nei duelli fa pena, e Zabini lo aiutava fingendo di non essere un granché, in modo che l’amico potesse ottenere almeno un Accettabile».

«Ora che ci penso, ieri Nott era contro di te e ha fatto particolarmente schifo!» proferì Alice, emozionata come se avesse appena risolto un’indagine investigativa.

«Allora Zabini si penalizzava apposta per aiutare un amico?» domandò Rose scettica.

«Quello che facevi di solito tu per me».

«No Alice, io non dovevo nascondere le mie capacità per permetterti di avere un voto più alto, semplicemente perché non le ho. Noi collaboravamo per mantenere la media».

«Sì, quello che volete» s’intromise Millie, «sta di fatto che ieri Zabini deve averne approfittato per mostrare le sue doti brillanti, anche se ha un po’ esagerato…»

«Esagerato? Mi ha quasi rotto un braccio!» esplose Rose, sollevando l’arto ancora dolorante e guadagnandosi gli sguardi allarmati dei pochi compagni lì accanto.

«Sì, be’… pensa al lato positivo, almeno non è riuscito a prendere Eccezionale».

«La Douglas non è una che passa da voti bassi a voti alti così all’improvviso. Hai visto che faccia aveva messo su? Era più esterrefatta di tutti noi messi insieme» affermò Alice.

Rose annuì distrattamente, immersa nelle sue riflessioni. Quindi Malfoy sapeva a cosa stava per andare incontro nell’affrontare Zabini. Era per questo che l’aveva osservata senza distogliere lo sguardo? Solamente per godersi tutto lo spettacolo? Non ne aveva idea, anche se era certa di una cosa. Malfoy non avrebbe smesso di ignorarla.

«Be’, come dice il detto babbano: è inutile piangere sul latte versato».

«Giusto, Mildred ha ragione. Rosie, non stavamo per andare a ripassare Pozioni?»

Ma lo studio non fu in grado di distogliere Rose dagli avvenimenti del giorno precedente, e nemmeno le tre ore di lezione che seguirono. Anche se molti dubbi che le frullavano in testa avevano trovato una risposta e la rabbia si era placata, il suo umore non era migliorato. L’umiliazione era rimasta; ripensandoci, doveva essere apparsa ridicola mentre schivava alla meno peggio le fatture di Zabini. Per non parlare della paura che l’aveva attanagliata mentre percorreva i corridoi che la separavano dall’Infermeria: un braccio rotto, per quanto facile da sistemare, equivaleva al divieto ferreo di Madama Chips di partecipare agli allenamenti per almeno una settimana – a meno di un mese dalla partita contro Serpeverde, per di più. Era stato un sollievo quando l’infermiera l’aveva tranquillizzata, assicurandole che si trattava solo di una bella botta. Una botta che le avrebbe comunque precluso il Quidditch per quel pomeriggio.

A pranzo la situazione non migliorò. Consapevole che James non avrebbe creduto a una rovinosa caduta dalle scale, Rose fu costretta a raccontargli del duello per giustificare l’assenza agli allenamenti che si sarebbero svolti da lì a qualche ora. La reazione che ottenne fu alquanto prevedibile.

«Che cosa?! MA IO LO AMMAZZO!»

«No… James… io… non…» balbettava Rose, mentre cercava di trattenere James per un braccio. Per quanto ce l’avesse ancora con Zabini (e con i Serpeverde in generale), aveva deciso di mantenere il sangue freddo per l’interesse della squadra. E l’interesse della squadra sicuramente non comprendeva l’ennesimo motivo che alimentasse la competizione – già accanita – tra le due Case.

«Lo sapevo! Lo sapevo! Stanno tentando di sabotarci! C’è dietro un complotto!»

«Calmati, James» s’intromise Debbie Linton, seduta poco distante, «Zabini non fa neanche parte della loro squadra. Perché mai avrebbe il desiderio di sabotare la nostra?»

«Perché gliel’ha chiesto mio fratello, naturalmente! Non capisci? Il fatto che Zabini non giochi a Quidditch rende il tutto meno sospetto!»

«James… James, calmati» riuscì a scandire Rose con voce ferma, e il cugino smise riluttante di divincolarsi. «Era solo una prova di Difesa. Non c’è nient’altro dietro. Da domani sarò di nuovo in campo, ma tu devi promettermi che non causerai guai con i Serpeverde. Non ne vale la pena».

James aprì la bocca un paio di volte per ribattere, poi prese un bel respiro e i tratti del volto si distesero in una calma misurata. «Va bene» concesse, «ma se un altro membro della squadra si fa male per colpa loro, giuro che una chiacchieratina a Vaisey non me la toglie nessuno».

«Se dobbiamo essere sinceri, non è stato propriamente Zabini a far male a Rose. Le ha lanciato un Incarceramus e lei è caduta male».

«Grazie, Sam» sibilò Rose a denti stretti, ma decise di approfittare della schiettezza dell’amica per rabbonire del tutto il cugino. «Vedi? Non c’è da preoccuparsi, e soprattutto non c’è alcun complotto segreto».

James non replicò, preferendo lanciare un’occhiata fulminante al tavolo dei Serpeverde. Rose non si sarebbe stupita se uno degli studenti fosse finito arrosto. Ora capiva cosa intendeva Millie, quella mattina, quando parlava della sua aura negativa e di uragani distruttivi…

Con il termine delle lezioni pomeridiane, Rose e Alice tornarono in Dormitorio per completare il tema sugli Incantesimi Evanescenti per il professor Avory e la mappa celeste delle Lune di Saturno per la professoressa Sinistra. Rose era concentrata a descrivere le caratteristiche di Iperione quando gli occhi le ricaddero su qualcosa che sporgeva da sotto al suo letto.

«Ma che diavolo…?»

Si alzò ignorando lo sguardo perplesso di Alice, s’inginocchiò davanti al letto e tirò fuori quello che si rivelò essere un libro di medie dimensioni. In copertina, a caratteri sbiaditi, spiccava il titolo: “Guida completa alle rune scandinave”.

«Miseriaccia… me n’ero dimenticata, tra le ricerche in Biblioteca, i duelli e tutto il resto! È da una settimana che è lì sotto».

La testa di Alice spuntò da dietro il volume di Trasfigurazione. «Tu sei pazza… se Isabel o Samantha lo trovavano?»

«Avrei detto che lo stavo usando per una ricerca» rispose semplicemente Rose con un vago gesto della mano, «ne capiscono meno di un Troll, di Antiche Rune. Be’, mi conviene riportarlo alla Nerivir, prima di dimenticarmene un’altra volta. Tanto a quest’ora non ci sono lezioni».

Alice raggiunse l’amica con un balzo. «Forza allora, tra un quarto d’ora devo essere in campo. Ti accompagno fino a un certo punto».

Le due ragazze si separarono in un corridoio del quinto piano. Rose rimase a fissare Alice che correva per arrivare in orario agli allenamenti con una punta di invidia. Poi spostò lo sguardo verso le ampie finestre a volta, dove si apriva una veduta mozzafiato dello stadio che peggiorò di nuovo il suo umore. Un rumore di passi la riscosse.

«E ora che cosa ti sei dimenticata…?»

Ma non era Alice quella che camminava a passo spedito verso di lei in tenuta da Quidditch verde e argento. Albus Potter, i capelli più scarmigliati del solito e la fronte imperlata di sudore, si fermò a due passi di distanza, il volto contratto dalla sorpresa.

«Rose?» proferì, e i suoi occhi indugiarono un secondo di troppo sul libro in una domanda tacita.

Rose strinse maggiormente il volume tra le braccia, scattando sulla difensiva. Non ci volle molto per capire che l’idea di nasconderlo e fare finta di nulla era da scartare a priori. “Svegliati Rose, è solo un innocuo libro. Non stai mica girando per i corridoi con una Caccabomba”. Si ricordò della conversazione con Alice in Dormitorio, e decise di usufruirne a proprio vantaggio.

«Me l’ha prestato la mia professoressa di Antiche Rune per una ricerca e sto andando a restituirlo. Non c’è scritto nulla di illegale, non è maledetto e non mette in pericolo la vita di altri studenti» dichiarò con tono di sfida.

Albus indietreggiò di un passo, chiaramente preso in contropiede. «I-io… non… Rose, non stavo insinuando nulla…»

«Piuttosto tu cosa ci fai qui al quinto piano?» scandì Rose, pentendosi subito della stupidità della domanda. Come se il cugino non avesse il permesso di andarsene dove più gli pareva.

Ora fu il turno di Albus di scattare sulla difensiva. «Be’, si dà il caso che Pucey si sia beccato un Bolide in piena faccia e che ora si trovi incosciente in Infermeria. Sto andando a chiamare Lumacorno, credo che la situazione non sia delle migliori…»

Rose abbassò gli occhi. Lumacorno era il Direttore di Serpeverde. Il suo ufficio si trovava al quinto piano. I conti tornavano.

«Aspetta un attimo» obiettò Albus, «gli allenamenti di Grifondoro non iniziano adesso? Perché non sei in campo?»

Rose rimase immobile a fissare il vuoto per una frazione di secondo. Poi la rabbia esplose di nuovo dentro di lei, come un uragano distruttivo.

«Oh, ci sarei eccome in campo, se non fosse stato per il tuo amico! Ieri è riuscito a conciarmi proprio bene il braccio!» esclamò, superando Albus senza dargli il tempo di rispondere.

Raggiunse in tre minuti la destinazione e bussò con foga, ma non ottenne risposta. Dopo qualche altro tentativo, si accorse che l’aula non era chiusa a chiave. Entrò senza pensarci due volte, trovandosi davanti la stanza completamente vuota. Spostò l’attenzione sulla porta che conduceva all’ufficio della professoressa; probabilmente la Nerivir si trovava lì. Parlarci era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento. Si fece strada tra i banchi, sbatté “Guida completa alle rune scandinave” sulla cattedra e si precipitò fuori, stufa del giornata, ignara del motivo per cui lei e Albus dovessero litigare ogni singola volta in cui si vedevano, ma soprattutto consapevole che in quel caso la colpa era sua.








Angolo autrice
Ehilà! Sono tornata prima del solito con un nuovo capitolo!
Prima di tutto, la parte di Georgiana fino ad ora è stata una delle scene più complicate da scrivere.
Quando si ha un mistero per le mani, bisogna dare degli indizi ai lettori, ma senza esagerare (a proposito, se leggete attentamente quella parte ci sono un sacco di nuove informazioni). Non immagino quindi quanto sia difficile mettere in piedi una trama molto più articolata della mia, come in molte fanfiction che ho letto, oppure nella saga di Harry Potter, dove addirittura ti ritrovi dettagli che erano stati introdotti a libri di distanza. Non posso fare altro se non congratularmi con la Rowling e con tutti gli autori in questo sito.
Tornando al capitolo e a Rose, be', non credo ci sia bisogno di soffermarsi sul motivo per cui il titolo sia "Riunioni e uragani distruttivi". Rose è fatta così, può essere razionale finchè vuole, ma quando si arrabbia... ricordiamoci che è pur sempre figlia di Ron e Hermione (e chi ha letto i libri saprà che a Hogwarts metà del tempo lo passavano a litigare). E il povero Albus si è trovato nel luogo sbagliato al momento sbagliato e ha dovuto subirsi la rabbia della cugina. Prometto però che i loro litigi non dureranno ancora a lungo ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate e alla prossima,
ChiarainWonderland


 

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Capitolo 18
*** Questione di fiducia ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO

QUESTIONE DI FIDUCIA


«…ed ecco che Baxter s’impossessa della Pluffa, scarta i tre Cacciatori avversari e si fionda verso gli anelli… ragazzi, sembra un altro giocatore rispetto alla partita contro i Grifondoro… supera il Bolide di MacMillan e segna! Altri dieci punti per Corvonero!»

La voce di Fred si perdeva tra le raffiche di vento, nonostante il megafono fosse stato incantato per amplificarla all’inverosimile. I fiocchi di neve cadevano implacabili, trascinati da una parte all’altra del campo insieme ai giocatori. Quella stessa notte aveva iniziato a nevicare e da quel momento non aveva più smesso. Le nuvole grigio pallido non avevano dato cenno di voler sgombrare il cielo o lasciare spazio anche al più timido raggio di sole. Rose ringraziò Merlino di non dover giocare quel giorno. Se la prima nevicata dell’anno fosse capitata durante una sua partita, probabilmente si sarebbe barricata dentro agli spogliatoi.

«Con questa neve non si distingue nulla! Dove sono i due Cercatori? È da un pezzo che non si vedono!»  gridò Isabel cercando di sovrastare il vento, una mano a tenere saldo il berretto. Rose si limitò a scuotere la testa, impegnata a scorgere le figure dei giocatori e a concentrarsi sulla voce di suo cugino Fred contemporaneamente.

«In queste condizioni e per quel che ne sappiamo, potrebbero benissimo essere usciti dal campo» rispose Samantha contrariata. Era dal fischio d’inizio partita che non la smetteva di lamentarsi sul motivo inesistente per cui doveva stare lì seduta al freddo, a osservare ragazzini che giravano in tondo su una scopa spelacchiata. Alice, appostata lì accanto e con la sciarpa che le copriva metà faccia, faceva scattare gli occhi da una parte all’altra nel tentativo di seguire il gioco.

«Millie? Tu che ne pensi?» continuò Isabel speranzosa.

Millie non replicò, visibilmente a disagio. Si era unita a loro nella tribuna dei Grifondoro, ed era l’unico puntino verde argento in un mare oro e rosso. Non che prendere posto in una tribuna di un’altra Casa fosse vietato, ma accadeva molto di rado. Il Quidditch tirava fuori ogni singola goccia di competizione tra le Case.

«Mi auguro solo che quel Troll di Le Grant si muovi ad acchiappare il Boccino. Mi si sta congelando la faccia» dichiarò Rose. Sperava che Corvonero vincesse, perché contro la sua squadra aveva già perso. In quel modo sarebbero partiti avvantaggiati contro Tassorosso.

«Corner si lascia scappare la Pluffa, che viene subito presa da Bones… o era Rogers? Non riesco a distinguerli, con questo tempo!» gridava intanto la voce di Fred, anche se udibile a intermittenza. Rose strinse gli occhi, come se il gesto potesse aiutarla a sentire meglio. Fu in quel momento che due missili sembrarono bucare lo strato di nuvole basse che ricopriva lo stadio.

«Guardate! Cosa diavolo…?»

«Credo che siano i Cercatori! Devono aver avvistato il Boccino».

A conferma delle parole di Isabel arrivò la voce di Fred. «Ecco Charles Le Grant e Jackie Hunt sbucare dal nulla all’inseguimento del Boccino d’Oro! Dove si erano cacciati? Forse erano impegnati in altre romantiche attività… Professor Paciock, sto solo tentando di riscaldare l’atmosfera!»

I due Cercatori saettavano fianco a fianco verso il suolo, e a Rose parve per un istante di scorgere un luccichio dorato spiccare tra i fiocchi di neve. Fu questione di un secondo: Jackie Hunt allungò di qualche millimetro in più la mano, acchiappò la pallina dorata e risalì per prima verso il cielo.

«Hunt conquista il Boccino! Ma il risultato è ancora incerto, Corvonero aveva un notevole vantaggio. Se solo si riuscisse a leggere il tabellone segnapunti…»

Rose spostò lo sguardo verso il tabellone, dove Madama Bumb agitava convulsamente le braccia nel tentativo di comunicare qualcosa a Fred. «Ecco, Madama Bumb… Madama Bumb mi dice, o meglio mi indica che… Corvonero? Sì, Corvonero vince la partita per dieci punti, nonostante il Boccino se lo siano aggiudicati i Tassorosso!»

Dal lato blu e bronzo dello stadio si levò un boato di urla e acclamazioni. Anche Rose si ritrovò ad applaudire: i Corvonero avevano fatto passi da gigante in poche settimane. Ghignò al pensiero di cosa si sarebbero trovati davanti i Serpeverde alla partita di febbraio.

«Bene, ora direi che ce ne possiamo anche andare, prima che si crei il solito ingorgo di gente che scende dalle tribune» disse Samantha, e già era in piedi quando la mano guantata di Alice le afferrò un braccio, costringendola a risedersi.

«Aspettiamo ancora qualche minuto. Guardate che carino Le Grant, si sta complimentando con Jackie!»

«Paciock, giuro che se ci ritroviamo incastrate in una marea di studenti scalpitanti solo per dei complimenti, non ci penserò due volte ad affatturarti» chiarì Millie.

Il risultato fu ovvio: le quattro Grifondoro – più una Serpeverde – si ritrovarono incastrate in una marea di studenti scalpitanti. Rose fu costretta a tenere Millie e Samantha sotto controllo in modo da evitare che Alice cadesse accidentalmente dalle scale, il tutto mentre era circondata da ragazzi a cui evidentemente non importava nulla della sua incolumità. Venne infatti spintonata cinque volte. Arrivata all’uscita dello stadio non sentiva più il piede destro, da quanto gliel’avevano schiacciato. Se tutto ciò fosse accaduto qualche giorno prima, probabilmente sarebbe stata lei stessa a non pensarci due volte ad affatturare qualcuno, per via del duello e tutto il resto. Ma la settimana era passata tranquilla, e quel sabato mattina si era svegliata di buon umore. Le ricerche in Biblioteca sulla parola che lei e Alice avevano scoperto dai simboli runici diventavano man mano più rade e brevi. La mancanza di risultati concreti non aiutava.

«Se mi avessi ascoltato, Alice, ora saremmo già al calduccio nel castello. E invece no… patiamo il freddo per assistere ai festeggiamenti dei Corvonero in mezzo alla neve!»

«Nessuno ti ha obbligato a rimanere lì con noi, Sam».

«Ti ricordi quello che ho detto prima, vero Paciock? Mi sa che oggi ho la fattura facile…» sussurrò Millie, forte quanto bastava alle altre per sentirla.

Rose e Isabel si scambiarono uno sguardo, poi acchiapparono rispettivamente Millie e Samantha e le allontanarono da Alice, che rimase indietro a chiedersi cosa avesse mai fatto di male. Il vento si era placato, riducendosi a una brezza che solleticava la pelle. La neve aveva ricoperto gran parte dei prati estesi che circondavano il castello, e anche gli alberi scuri della Foresta Proibita parevano meno minacciosi grazie al candido strato che li rivestiva. Rose si guardò in giro, concentrando l’attenzione su una conversazione poco distante. Arnold Corner, circondato dai suoi amici Corvonero, si stava vantando a gran voce delle brillanti mosse di cui il fratello Bradford aveva appena dato prova in campo.

«Come no, deve andare in pensione Lumacorno prima che le mosse di Corner possano essere definite brillanti. Il che vuol dire mai» intervenne Millie, che doveva aver origliato la conversazione a sua volta.

«Mh. Se devo essere sincera, i Corvonero sono migliorati nettamente in poco tempo. Voi Serpi avrete una bella gatta da pelare».

Millie si limitò a un gesto noncurante della mano. «I nostri si stanno allenando quasi ogni giorno. Mi sa che sarete voi Grifondoro a rimanere fregati a dicembre».

Rose alzò le spalle, evitando di precisare che anche loro si allenavano praticamente ogni giorno. «Comunque… domenica prossima ci sarà un’uscita a Hogsmeade, giusto?»

«Sì».

«Ed è anche il tuo compleanno, dico bene?»

«E quindi?»

Rose avvertì il sorriso scivolarle dalla faccia. «Be’, festeggiamo insieme… a meno che tu non abbia già altri piani con i tuoi amichetti» aggiunse, senza il bisogno di specificare chi fossero gli amichetti.

Millie alzò gli occhi al cielo, ma faticava a trattenere l’espressione divertita. «Con i miei amichetti ho già festeggiato l’anno scorso, però stavo pensando… sì, insomma, per il mio diciassettesimo compleanno… che potremmo uscire tutti insieme».

Rose rischiò di scivolare sulla neve. «Insieme?»

«Esatto! Voi quattro, Al, Scorpius, Zabini, Nott, Geraldine, Diana e Aidan! E non dimentichiamoci di Penelope! Ovviamente se siete d’accordo…»

«Chi è d’accordo per cosa?» trillò la voce di Isabel. Lei e Samantha le raggiunsero ai due lati del sentiero che riportava al castello. Alice non si fece attendere, sbucando dal nulla oltre la spalla di Isabel. Millie illustrò con grande entusiasmo l’idea di passare il suo compleanno tutti insieme appassionatamente – Rose lo odiava, quel film – a Hogsmeade.

«Per me non ci sono problemi» disse Samantha, seguita a ruota da Isabel.

«Che cosa!?» esplose Rose, «vi va bene uscire con quelle Serpi!»

«Siete tu e Alice ad avere problemi con Potter e Malfoy, e sono sicura che per la felicità di Millie sarete in grado di fare un’eccezione. E poi, Rose, prima o poi dovrai pur superare ciò che è successo con Zabini».

Rose mise su un’espressione sbalordita. “Maledetta Sam, lei e il suo talento per le verità scomode” pensò. «Ma… ma…ma… Alice!» esclamò, sicura di trovare un po’ di solidarietà.

Alice strinse le labbra in un’espressione incerta. «Se è per la felicità di Mildred, allora credo che riuscirò a sopportare Potter e la sua fidanzata per qualche ora».

Millie era così entusiasta da non accorgersi di essere appena stata chiamata con il suo nome di battesimo. «Oh, Alice, non sai quanto significhi per me avere tutti i miei amici riuniti!»

«Però c’è una condizione! Dobbiamo invitare anche Molly. Avevo già in mente di chiederle di venire a Hogsmeade con noi, dopo quello che aveva detto Lucy sulla litigata con Lorcan…»

«È una bella trovata» commentò Isabel, «magari la aiuterà a fare amicizia».

«Molly Weasley? Nessun problema» decretò Millie, e tutte e quattro si girarono verso Rose per ottenere l’ultima conferma. Rose annuì lentamente, cercando di esibirsi nel sorriso meno falso di cui era capace, ma dentro di sé era orripilata. Uscire a Hogsmeade con Malfoy era uno scenario che non le si era presentato nemmeno nei suoi peggiori incubi. Il fatto che la stesse ignorando completamente avrebbe soltanto aggiunto più tensione a un incontro che si profilava già critico. E poi la povera, timida Molly… in balia di quelle Serpi… no, non era così che aveva immaginato di tirarle su il morale. Alzò lo sguardo sul castello, che ormai incombeva su di loro come un’immensa e fiera roccaforte decorata da decine di guglie e pinnacoli.

«Comunque non penso che Penelope verrà con noi a Hogsmeade» disse, senza abbassare lo sguardo.

«E perché mai? Certo, non ci vediamo spessissimo ma resta sempre una mia cara amica…»

«Ah, Millie, non sto mettendo in dubbio la vostra amicizia. Sono sicura che si unirebbe a noi con piacere… se non fosse per James».

«Non ci credo! Potter le ha chiesto un secondo appuntamento!»

«Non ancora, ma lo farà presto» precisò Rose, con una pausa d’effetto. «In Sala Grande davanti a tutti».

Una serie di esclamazioni eccitate seguì la rivelazione, mentre Alice annuiva birbante. La lontana sera di ottobre in cui si erano ritrovate con James in Sala Comune sembrava aver avuto luogo solamente qualche giorno prima. Rose si ricordava per filo e per segno le parole del cugino.

«…ho riportato Penelope sana e salva davanti alla Sala Comune dei Serpeverde, ed è questo quello che conta. Ah, e la prossima volta le chiederò di uscire a Hogsmeade davanti a tutta la Sala Grande».

L’unica persona che non aveva esultato alla notizia era Millie. Aveva le sopracciglia aggrottate e i lineamenti contratti dall’incertezza.

«Con davanti a tutti intendi che arriverà al tavolo dei Serpeverde e chiederà a gran voce un appuntamento?»

«Be’, sì, suppongo di sì. Non ti so dire con precisione le dinamiche…»

«Non credo che gli convenga» proferì Millie piatta, superando la soglia del portone principale ed entrando nella Sala d’Ingresso.

«Oh, non fare la guastafeste. Se James la vuole invitare di nuovo è perché ci tiene a conoscerla meglio…»

«No, non hai capito» continuò Millie, «non gli conviene perché sono quasi sicura che Richard Nott non approvi l’idea di sua sorella che esce con James Potter. Per la sua reputazione, per la rivalità tra le Case... puoi star certa che si arrabbierà a morte».

“Ed ecco che ci risiamo” pensò Rose.

«Aspetta, quindi mi stai dicendo che Nott non sa di sua sorella e James? Della loro uscita?» chiese Alice.

Millie scrollò le spalle. «E come avrebbe fatto a saperlo? Io non gliel’ho detto. Penelope nemmeno. Pure gli altri ne sono all’oscuro. Di Albus non ti so dire, magari James gli ha accennato qualcosa… sta di fatto che Nott non ha avuto neanche la possibilità di vederli in giro per Hogsmeade perché ci eravamo barricati ai Tre Manici di Scopa. Ti ricordi, no? Quando vi abbiamo incontr- ARGH».

L’urlo di sorpresa uscì dalla bocca di Millie prima che potesse fermarlo. Una figura sbiadita le passò attraverso senza dare segno di averla vista. Era ricoperto da sangue argenteo e le catene che gli legavano polsi e caviglie producevano un rumore sinistro.

«Ehi tu, sai che non è molto piacevole per un vivo essere trapassato da…» iniziò Millie, ma si fermò non appena si accorse chi era il fantasma in questione. Il Barone Sanguinario. Quest’ultimo girò leggermente la testa, come se qualcosa di particolarmente fastidioso lo avesse appena disturbato.

«Oh, mi scusi io… non pensavo fosse stato lei…»

Il Barone non diede segno di aver sentito alcunchè e riprese a vagare senza una meta, le catene che tintinnavano e stridevano. Rose osservò il resto della sala e, proprio sul lato opposto al loro, c’era Peeves che galleggiava nell’aria con gli occhi fissi sul Barone. Lo temeva più di ogni altra cosa. Non appena il fantasma svoltò l’angolo Peeves sembrò riacquistare il solito carattere: vide il gruppetto di ragazze e si avvicinò di soppiatto, probabilmente desideroso di sfogarsi.

«Oooohhh, guarda chi abbiamo, cinque Grifondoro…»

«Peeves, se non ti dilegui in tre secondi giuro che riporto qui il Barone Sanguinario» disse Millie.

Peeves si esibì in una linguaccia, volò verso le scale e sparì.

*   *   *

I giorni seguenti passarono relativamente tranquilli – se così si potevano definire. Tra compiti e allenamenti, Rose non sapeva più da che parte girarsi. Alice, al contrario, pareva vivere in una specie di bolla che la riparava da ogni possibile causa di malumore e girava per i corridoi con un sorriso stampato in faccia. Rose era a conoscenza del motivo; la neve si era insediata in modo permanente nel paesaggio scozzese che circondava il castello, e la neve voleva dire solo una cosa: l’avvicinarsi del periodo natalizio. E Alice adorava il Natale tanto quanto lei amava Halloween.

«Che bello il venerdì pomeriggio!» esclamò senza motivo, appena uscita dall’aula di Incantesimi.

Rose fece un sorrisino impacciato a un gruppo di piccoli Serpeverde che le osservava sconcertato. «Potresti smetterla di metterci in imbarazzo?»

«Oh, Rosie, su con la vita… non vedi?» riprese Alice. Si avvicinò alla finestra più vicina e puntò l’indice sul vetro, come se stesse indicando qualcosa di sensazionale. «Neve! Neve ovunque! Non è magnifico?»

«Te l’avevo detto che le si è completamente fuso il cervello» s’intromise Samantha. Isabel le lanciò un’occhiata di avvertimento. «Che c’è? È vero! Insomma, guardala». Alice continuava a osservare i fiocchi di neve dalla finestra, il respiro che si condensava in una patina opaca sul vetro.

«In effetti…»

«Ragazze, devo andare. Tra cinque minuti ho lezione di Antiche Rune» disse Rose, e non lasciò nemmeno il tempo alle amiche di rispondere che era già a metà del corridoio che l’avrebbe portata al quinto piano. Arrivò in classe al preciso scoccare dell’ora e si catapultò al suo solito banco in seconda fila, vicino a Celia Marshal di Corvonero.

«Rose» la salutò cordialmente quest’ultima.

«Celia» rispose Rose, gettando la borsa zeppa di libri sul banco, «mi chiedo sempre come fai ad arrivare prima della sottoscritta, nonostante abbiamo appena avuto Incantesimi entrambe».

«Magari il fatto di non stare a chiacchierare con le mie amiche e di non dover svegliare Alice dai suoi sonnellini fuori orario aiuta, non credi?»

Rose annuì distrattamente e tirò fuori il libro di testo, proprio quando la Nerivir comparve dalla porta che conduceva al suo ufficio. I capelli erano legati in uno dei tipici foulard che usava indossare, quella mattina di un vibrante porpora.

«Bene… ci siamo già tutti? Ottimo…» borbottò, fermandosi in piedi dietro la cattedra. Rose avvertì lo sguardo della professoressa indugiare qualche secondo in più su di lei. «Molto bene, oggi riprenderemo il discorso sui campi d’attivazione per i rituali runici…»

Rose tentò di rimanere concentrata, ci provò davvero, ma la mente continuava a vagare sull’argomento che più l’aveva tormentata in quei giorni: James e l’appuntamento. Ciò che aveva detto Millie l’aveva portata a riflettere sul da farsi insieme alle amiche. Samantha sosteneva che fosse meglio non interferire con il destino, permettendogli di seguire il suo corso. Isabel, da persona pacifica e insofferente ai litigi qual era, era convinta del contrario; aveva proposto di persuadere James dal compiere il suo intento.

«…il Cerchio di Mvak è quindi utilizzato per i rituali più complessi, ed è costituito da due circonferenze concentriche, una più piccola dell’altra…»

Alice era stata la più titubante. Non aveva dato un’opinione precisa, ma Rose era certa che ricordasse fin troppo bene il pasticcio che avevano combinato l’ultima volta in cui si erano intromesse nella vita sentimentale di James.

«…nell’area più esterna della circonferenza minore e, corrispettivamente, nell’area interna alla circonferenza maggiore, vi sono raffigurate tutte le rune dell’alfabeto in un ordine ben preciso…»

In quanto a lei, Rose desiderava solo evitare altre incomprensioni che avrebbero aumentato la competizione tra i Grifondoro e i Serpeverde. Con la partita a qualche settimana di distanza, gli animi erano bollenti e ogni motivo era buono per aggiungere zizzania tra le due Case.

«… qualcuno ricorda in quali occasioni questi specifici rituali vengono impiegati maggiormente?»

Su una cosa erano però d’accordo tutte e quattro le Grifondoro: evitare di dire a James la probabile reazione che avrebbe dimostrato Nott. Rose rabbrividì al solo pensiero. Se suo cugino lo avesse saputo, tutti i loro tentativi di mantere calma e ordine sarebbero risultati vani.

«…Weasley? Rose… Rose, ci sei?»

Una mano le scosse delicatamente il braccio. Rose girò di scatto la testa, trovandosi davanti i sottili occhi scurissimi di Celia. La Nerivir si ergeva a pochi passi di distanza in tutta la sua considerevole altezza, il lungo vestito abbinato al foulard che toccava terra.

«Rose, hai sentito la domanda che ho fatto? Non eri attenta?»

«No!» esclamò Rose nel panico. «No, ero attenta! Attentissima!»

«Allora, la risposta?»

Rose si guardò intorno; Celia teneva le labbra serrate e fissava ostinatamente il banco. Il resto della classe la imitava. «Ecco…» mormorò allora, sconfitta, «non… non la so».

La Nerivir aggrottò le sopracciglia in un gesto di sorpresa. Con un’ultima occhiata perplessa e indagatrice tornò alla cattedra, il passo misurato e la lunga veste che frusciava, una visione del tutto opposta rispetto all’insegnante entusiasta e carismatica che di solito animava l’aula. Rose tenne lo sguardo fisso sul banco per il resto della lezione. Non si ricordava una volta in cui non aveva saputo dare la risposta a una domanda di Antiche Rune. Quella era la sua materia. Nella classe era lei il talento raro, la studentessa con la predisposizione più evidente, l’orgoglio della professoressa. Al termine dell’ora si alzò velocemente e seguì i compagni fuori dall’aula, quando una voce accondiscendente la fermò.

«Rose, possiamo scambiare due parole?»

La Nerivir era seduta alla cattedra a esaminare distrattamente delle pergamene in cui si distinguevano le calligrafie più disparate. Probabilmente temi di altri studenti. Rose osservò rapida i dintorni, constatando di essere l’unica persona rimasta. Raggiunse titubante la professoressa e si sedette di fronte a lei, sulla sedia che quest’ultima aveva appena appellato.

«Hai un’altra lezione, per caso? Allenamenti?»

«No, niente».

«Ottimo, ottimo…» rispose cordiale la Nerivir. «Gradisci un tè? Una tisana?»

«Oh, non si preoccupi, io-»

Ma la professoressa aveva già agitato la bacchetta, e in un baleno la porta del suo ufficio si aprì. Arrivarono fluttuando due tazzine di ceramica dal bordo decorato, una teiera abbinata da cui fuoriusciva un vapore invitante, una scatola zeppa di infusi e un vassoio a piani colmo di biscotti e dolcetti. Rose si stupì, come ogni volta in cui la Nerivir usava la magia. Era un’abilissima strega, e l’unica azione per cui non adoperava la bacchetta era, sorprendentemente, la sistemazione degli amati libri sugli scaffali. Rose le aveva chiesto il motivo, una volta, e la professoressa le aveva risposto che i libri costituivano un bene troppo prezioso per essere trattato in modo ordinario.

«Serviti pure, niente complimenti. Gli infusi per le tisane li preparo io, ma credo di avertelo già detto, vero? I biscotti provengono invece dalle Cucine, un piccolo regalo degli Elfi Domestici. Ci sono gli shortbread, i biscotti al cioccolato e al limone, degli scones, alcuni muffin al lampone, anche se non mi sembrano appena fatti…» disse la Nerivir, e a conferma di ciò scelse un muffin, lo annusò e poi lo addentò con un’alzata di spalle.

Rose si scrocchiò le dita a disagio. La professoressa la osservava speranzosa, così decise di prendere uno shortbread. Il biscotto era così friabile che parecchie briciole le finirono sulla divisa, ma il sapore pieno e deciso del burro la trasportò per un istante alla Tana e ai dolci preparati sapientemente da sua nonna Molly.

«Bene, sono sicura che ti stia chiedendo il motivo per cui sei qui in questo momento» riprese la Nerivir pratica. Dopo l’ennesimo movimento di bacchetta, la teiera si librò di nuovo in aria e versò l’acqua bollente nelle due tazzine, dove due infusi vi si tuffarono con qualche schizzo.

«In effetti sì» rispose Rose, anche se un sospetto ce l’aveva.

«Be’, si dà il caso che qualche giorno fa» continuò la Nerivir, le punte delle dita congiunte davanti al mento. «Ah, non so come dirtelo in maniera delicata. Qualche giorno fa ho visto una certa chioma rossa riportare qui uno specifico libro per poi fiondarsi fuori come una furia. La scena ti suona familiare?»

Rose aprì la bocca sbalordita. «Ma l’aula… era vuota… io…lei…»

«Stavo uscendo dal mio ufficio quando ti ho vista andare via, ma avevo udito perfettamente il rumore di qualcosa che veniva sbattuto sulla cattedra».

«Mi dispiace. Non volevo, davvero».

«Lo so. Ma non ho potuto fare a meno di notare che negli ultimi tempi hai dimostrato un comportamento, diciamo… inusuale. Ci tenevo quindi a chiedertelo. Stai bene, Rose?»

«Sì».

La Nerivir sospirò. «Voglio che tu sappia» continuò, «che puoi fidarti di me. Se hai qualcosa da dire, se hai bisogno di qualcuno con cui parlare oltre ai tuoi amici, io ci sono. Puoi fidarti di me. Non so cosa possa essere successo, magari hai litigato con qualcuno, hai preso un brutto voto… non ne ho idea. Ma puoi sfogarti con me. Puoi sfogarti, e stai pur certa che non ti giudicherò».

Rose mantenne lo sguardo fisso su un biscotto al limone sperando che la conversazione terminasse al più presto, ma a quanto pareva la professoressa non era disposta a lasciar correre così facilmente.

«È successo qualcosa? Magari agli allenamenti? Oppure le ricerche sulle rune non sono andate come previsto?»

«No! Le ricerche sono andate… bene!»

La Nerivir si esibì in un sorriso sincero. «Davvero? Che hai scoperto di interessante?»

«Niente… solo… cose senza importanza» borbottò Rose, passandosi una mano dietro al collo.

«Strano. L’entusiasmo che avevi dimostrato quando ti avevo prestato il libro suggeriva il contrario».

Rose avvertiva il disagio crescere dentro allo stomaco come un germoglio particolarmente ostinato di Tentacula Velenosa. Doveva trovare il modo di andarsene da lì. Si fidava della Nerivir, ma non fino a raccontarle i suoi fatti personali. E soprattutto non ora che la conversazione si stava inoltrando in un argomento pericoloso.

«Senta, mi sono appena accorta di avere un impegno improrogabile. Allenamenti extra. Mi è appena venuto in mente. Se arrivo in ritardo James… il mio Capitano mi fa fuori. Lei capirà che…»

«Certamente» acconsentì la Nerivir, le sopracciglia corrugate. «Certo, puoi andare».

Rose annuì, si alzò dalla sedia e si trattenne dal fiondarsi fuori dalla porta come aveva fatto qualche giorno prima. Uscì a passo misurato, lasciandosi indietro la professoressa, la tisana, i biscotti e mille altre domande.







 

Angolo autrice
Salve a tutti! Sono tornata dopo un mese ma, vista la fine della scuola (se posso definire la didattica a distanza come scuola), potrò dedicarmi per più tempo alla storia.
Alcuni punti da chiarire:
-Lo so che molti mi odieranno per aver fatto detestare a Rose “Tutti insieme appassionatamente”, quindi mi scuso pubblicamente. Sapete quando un headcanon stupido vi entra nella testa, ma poi non ne potete più fare a meno? Ecco, questo è quello che mi è successo: ho dovuto per forza far odiare a Rose quel film, perché ormai nella mia testa Rose odia quel film. Non so se mi spiego. (Sono sicura che Rose sappia cosa sia un film, con Hermione come madre).
-Ormai avrete capito che adoro scrivere di cibo. Come avevo fatto nel capitolo di Halloween, ho cercato anche qui di inserire qualcosa di tipicamente inglese.
Shortbread: biscotto tipico scozzese, tradizionalmente preparato con una parte di zucchero, due di burro e tre di farina, con l'eventuale aggiunta di altri ingredienti. Il nome shortbread si riferisce alla sua particolare friabilità ("short" è un termine in disuso per friabile).
Scone: prodotto alimentare da forno. Storicamente specialità gastronomica scozzese, è simile per lievitazione alla pasta brioche, ma meno dolce. Generalmente accompagnano il tè ma non solo, e possono essere serviti in una varietà di modi differenti con la clotted cream e confettura, con il miele o con il lemon curd.
Detto questo, ci vediamo alla prossima!
ChiarainWonderland

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Capitolo 19
*** Inviti e Imprevisti ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO

INVITI E IMPREVISTI


Il varco che separava la Sala d’Ingresso dalla Sala Grande offriva un’ottima vista sui quattro tavoli occupati da studenti. E ovviamente di sabato erano più affollati del solito, vista l’assenza di lezioni e vari impegni extrascolastici. Rose si appoggiò allo stipite della porta dorata, reduce da una sessione di allenamenti organizzata all’ultimo momento da suo cugino – tra le proteste della squadra – per la quale si era dovuta alzare alle sette e mezza. Alice si trovava nelle medesime condizioni.

«Ti giuro che se James non viene ammazzato da Nott, ci penso io a farlo fuori entro oggi. Mi dici come si può fissare un allenamento alle otto di sabato mattina!? È da psicopatici!»

«E ricorda che più la partita si avvicina, più la situazione peggiorerà. Tra un po’ quell’idiota arriva a trascinarci in campo di domenica».

«Deve prima passare sopra al mio cadavere» sibilò Alice mesta.

Raggiunsero Samantha e Isabel al tavolo dei Grifondoro e si lasciarono cadere sulla panca, che scricchiolò pericolosamente. Subito Alice si riempì il piatto di spezzatino, e Rose la imitò senza tante cerimonie.

«Ma ben arrivate» le accolse Samantha con un sorrisetto ironico, «sopravvissute al Quidditch?»

«Più che altro sopravvissute a James».

«Sono sicura che dopo una doccia rigenerante e una bella scorpacciata vi sentirete meglio. Giusto Alice?» pigolò Isabel accondiscendente.

Alice biascicò qualcosa tra una forchettata di spezzatino e l’altra, qualcosa che Rose interpretò come “la doccia era gelida”, e non poté fare altro che concordare. L’acqua della doccia dei bagni femminili rasentava la temperatura all’esterno del castello. Le veniva la pelle d’oca solamente a pensarci. Isabel scrollò le spalle e riprese a raccontare a Samantha dell’ultima verifica di Artimanzia, così Rose ne approfittò per parlare con Alice.

«Di mio cugino ancora nessuna traccia» pronunciò dopo una veloce occhiata in giro.

«Mpf… si starà… preparando…» bofonchiò Alice, impegnata a masticare lo spezzatino.

«Quante volte ti ho detto di non parlare con la bocca piena?»

Per tutta risposta Alice roteò gli occhi e si allungò per raggiungere il vassoio delle patate arrosto. «A proposito, durante gli allenamenti hai provato a…»

«Sì» la interruppe subito Rose, aspettandosi quella domanda. Tracannò il succo di zucca fino all’ultima goccia, preparandosi a raccontare ciò che era accaduto qualche ora prima…

…l’ultimo passaggio con la Pluffa si era rivelato un successo. La palla di cuoio sfrecciò dritta e sicura nell’anello sinistro. Evan tentò di pararla con una virata improvvisa, ma la sfiorò solamente con la punta dei guanti da portiere. James lasciò perdere l’allenamento con il Boccino e si avvicinò, un ghigno soddisfatto stampato in faccia.

«Ottimo passaggio incrociato, Debbie. Rose, il tiro era leggermente fuori asse ma nel complesso andava bene. Ora, Ben… BEN! Vieni qui, lascia perdere l’esercizio con i Bolidi!»


Ben girò di scatto la testa, tanto che un Bolide rischiò di centrarlo in pieno. Era da mezz’ora che si allenava insieme a David nella complicata arte di schivare le micidiali sfere di ferro. David indirizzava con la mazza un Bolide dopo l’altro verso il malcapitato Cacciatore, che dai goccioloni di sudore che gli imperlavano la fronte pareva esausto.

«Ben, voglio che provi insieme a Debbie il passaggio incrociato di cui parlavamo in spogliatoio. Rose, vieni, devi esercitarti sui tiri liberi. Magari riusciamo a correggere la tua traiettoria prima della prossima partita».


Rose annuì. Seguì il cugino e nel mentre lanciò uno sguardo ad Alice, impegnata in un allenamento individuale per aumentare la forza fisica: colpiva i Bolidi con un’intensità tale da spedirli fino alla parte opposta del campo e ritorno.

«Quindi domani si va a Hogsmeade, eh? Hai già invitato Penelope?» iniziò Rose, gli occhi ancora puntati sull’amica. Magari James aveva ritrovato il senno e si era accontentato di invitare la ragazza dei suoi sogni in un angolo appartato del cortile. Sì, magari.


«Sai benissimo cosa ho intenzione di fare oggi a pranzo» rispose infatti James, un luccichio malandrino negli occhi. Rose si ritrovò a imprecare tra sé e sé. Non si sarebbe arresa così facilmente.

«Certo, hai reso il tuo progetto molto chiaro, ma mi chiedevo solo se… forse… Penelope potrebbe non apprezzare il tuo… come dire… gesto romantico. È una persona molto timida».

Per un’istante le iridi color nocciola di James furono attraversate dall’incertezza. «Tu dici?»


Eccola, una possibilità. La porta sigillata che conteneva la ferrea volontà di James si era aperta. Un semplice e innocuo spiraglio, ma abbastanza grande da permettere all’insicurezza di insinuarsi come un serpente malevolo.

«Oh, sì. Penso di sì… non l’hai notato?»

James stette a rimuginare qualche secondo. Poi gli occhi tornarono limpidi e duri. La porta si era richiusa con un tonfo secco. La possibilità si era sgretolata come un castello di carte in balia del vento.

«Ormai ho già deciso. Questa volta voglio far capire che ho intenzioni serie, e non solo a lei. Lo voglio far capire a tutti».


Rose arrivò alla conclusione che la sua era una causa persa. Da un lato era felice per il cugino e per il perenne buon umore che lo caratterizzava negli ultimi tempi. Dall’altro temeva ciò che sarebbe accaduto da lì a poche ore. «Onorevole, da parte tua».

James sghignazzò. Urlò a David di passargli un’altra Pluffa dalla scorta negli spogliatoi e, appena l’ebbe tra le mani, la lanciò a Rose. «Ora vedi di concentrarti sui tiri. Mai mischiare Quidditch e sentimenti, Rose, ricordatelo».

Rose sbuffò, ma ascoltò il consiglio del cugino e riprese ad allenarsi…


…e il tentativo era così fallito miseramente. James si era dimostrato irremovibile. Alice storse la bocca, come se avesse appena ingoiato un boccone molto difficile da digerire, e si riempì di nuovo il piatto di spezzatino. Mangiava sempre quando era pensierosa.

«Ah be’, se non ci sei riuscita te figurati se ci riusciva mio fratello».

«Tuo fratello?»

«Ieri in Sala Comune, quando tu eri già salita in Dormitorio, ho provato a convincere Frank a persuadere James» spiegò brevemente Alice agitando la forchetta, la carne appesa che dondolava avanti e indietro.

«E?»

«E niente. Mi ha dato della solita rompiscatole».

«No…!»

«Già. Dovevi sentire i discorsi che faceva, neanche fosse chissà quale esperto in amore. Per lui sono infastidita dal fatto che le persone abbiano una vita sentimentale, al contrario della sottoscritta, e che per consolazione cerchi di intromettermi nelle storie degli altri… Merlino, eccolo che arriva».

Dalla porta a battenti della Sala Grande entrò James, bello come il sole, i capelli più ordinati del normale e la maglia immacolata. Subito dopo seguirono Fred, Frank e Lysander, quest’ultimo con la solita aria trasognata. Tre componenti del gruppo si sedettero chiacchierando al loro tavolo, ma il quarto filò dritto verso i Serpeverde. Rose non gli staccò gli occhi di dosso nemmeno per un decimo di secondo.

«Miseriaccia…» borbottò, sentendo odore di guai nell’aria.

Penelope si accorse di James solo dopo la gomitata non troppo celata di Millie, e le sue labbra si distesero in un sorriso talmente luminoso da brillare più del riflesso del sole sulla neve. Nello stesso istante anche Richard Nott, a qualche metro di distanza, avvertì una presenza estranea al tavolo verde e argento. Il ragazzo aggrottò la fronte, l’attenzione del tutto rivolta verso la sorella, suscitando nel mentre la curiosità dei suoi amici.

«Dalla faccia di Albus possiamo dedurre che James non gli abbia accennato nulla» osservò Samantha pratica.

Rose sobbalzò, come se la bolla in cui si era rinchiusa negli ultimi due minuti fosse scoppiata con un sonoro “pop”. Il rumoreggiare delle centinaia di voci le rimbombò nelle orecchie. Girandosi di poco si accorse che Alice, Isabel e Samantha erano concentrate sulla medesima scena che l’aveva incantata fino a un attimo prima. E soprattutto, riportando lo sguardo sul tavolo dei Serpeverde, constatò che effettivamente Albus esibiva l’espressione più confusa che gli avesse mai visto in faccia. Intanto James doveva aver già avanzato la sua proposta, poiché il sorriso di Penelope si era fatto – se possibile – ancora più largo. E la fronte di Nott ancora più aggrottata.

«Non si mette bene» sussurrò Isabel con una vocina.

Nott scattò in piedi e si diresse a grandi passi verso la sorella, il tutto sotto le occhiate incredule dei suoi amici. Nonostante gli sforzi, Rose non fu in grado di udire ciò che venne detto; si trovava pur sempre nella parte opposta di una sala invasa da un continuo sottofondo di chiacchiere e risate. Le labbra di Nott si articolavano in una serie di parole ignote, ma dalla faccia esterrefatta di Penelope e dall’aura assassina di James era possibile coglierne il significato generale. James si avvicinò di un passo con il chiaro intento di ribattere a tono, ma una voce lo precedette. E Rose si ritrovò ad ascoltare, con non poca fatica, le parole pronunciate con l’inconfondibile timbro di Penelope.

«Mi dispiace che ti dia fastidio Richie, ma non puoi controllare la mia vita. Non hai il diritto di decidere con chi devo o non devo uscire, e soprattutto non è accettabile che tu venga qui a farmi la predica mettendo in imbarazzo non solo me e James, ma anche te stesso».

Millie sgranò gli occhi, stupefatta. Il brusio e il grattare delle posate sui piatti diminuirono. Molti studenti s’interessarono alla scena che stava avendo luogo al tavolo dei Serpeverde, ma non perché Penelope stesse urlando. No, la voce che ormai risultava udibile da ogni punto della Sala Grande era controllata, limpida e squillante. Rose era stupita: non che avesse mai sostenuto una vera e propria conversazione con Penelope, ma non si aspettava quella sicurezza. Dall’esterno Penelope Nott dava tutta l’impressione di una timida ragazza tranquilla, che amava leggere e che di certo detestava qualsiasi pretesto che la mettesse al centro dell’attenzione. Un pretesto come questo.

«Ma… Penny, lo faccio solo perché mi preoccupo per te…»

«Lo so, e lo apprezzo» rispose calma Penelope al fratello, che pareva rimpicciolire a vista d’occhio nonostante fosse parecchio più alto di lei, «ma sono grande abbastanza da assumermi la responsabilità delle mie scelte e da accettarne le conseguenze. Sono pur sempre la sorella maggiore, dopotutto».

E detto ciò Penelope afferrò la mano di James, ignorando la sua espressione di lieta incredulità, e uscì dalla Sala Grande seguita da una moltitudine di occhiate affamate di pettegolezzi. Guardandosi intorno, Rose notò che alcuni professori presenti non erano da meno: la Douglas tentava di mascherare il ghigno che le sfigurava la maschera di severità mentre la McGranitt, seduta lì accanto sulla gigante sedia dorata, non nascondeva nemmeno il sorrisetto divertito che le era spuntato sulle labbra. Nott era l’unica persona contrariata; si sedette di nuovo e cominciò a discutere animatamente con Albus.

«Be’, è stato… inaspettato?» esordì Isabel incerta.

Alice scoppiò a ridere e le diede una pacca sulla spalla. «Direi che hai usato il termine più adatto. E chi lo immaginava, che Penelope Nott fosse in grado di mettere in riga suo fratello, eh? Povero James, non ha nemmeno pranzato».

«Sai, non credo che gli interessi più di tanto in questo momento» commentò Rose con un sorriso sollevato, riprendendo a mangiare lo spezzatino.

*    *    *

Rose inaugurò quel pomeriggio con l’intenzione di rintanarsi in Dormitorio per concedersi una bella dormita di qualche ora. Ovviamente il suo piano andò in fumo non appena Isabel trascinò lei, Alice e Samantha fino alla torre dei Corvonero, informandole di essersi messa d’accordo con Molly Weasley per un’intensa sessione di studio per la prossima verifica di Trasfigurazione.

«Le ho chiesto una mano con gli incantesimi non verbali, è al settimo anno e ormai per lei dovrebbero essere una passeggiata… e poi è stata talmente gentile da accettare…»

«Isabel, a me non serve una mano in Trasfigurazione» la interruppe Rose mentre salivano la stretta scala a chiocciola che portava in cima alla torre.

«E io che non la faccio nemmeno, cosa dovrei dire!?»

«Di certo non ti fa male esercitarti sugli incantesimi non verbali, Sam, visto che servono anche in Difesa» replicò Isabel.

«Okay, ferme tutte» intervenne Alice, arrestandosi su uno scalino. Era la prima della fila e le altre rischiarono di finirle addosso. «Isabel, qual è il vero motivo per cui siamo qui?»

Isabel si torturò le mani, nervosa. «Non c’è nessun vero motivo».

«Isabel».

«Va bene, va bene! Ecco… può darsi che io non abbia detto a Molly della presenza dei Serpeverde, domani a Hogsmeade».

«Che cosa!?»

«Non ci credo…»

«Miseriaccia, ti sei presa l’impegno d’invitarla e non l’hai nemmeno informata di questo?»

«Calmatevi! Provate a mettervi nei miei panni» tentò di giustificarsi Isabel, «se le avessi detto dei Serpeverde non avrebbe mai voluto venire con noi, e io ci tenevo tanto che accettasse…»

«Non importa, è suo diritto saperlo!» esclamò Rose con foga. Se si fosse trovata al posto di Molly avrebbe già scagliato a Isabel un Maleficio Mucovolante.

 «Lo so. Ho capito il mio errore e ora voglio rimediare. Perciò siamo qui, perché penso sia meglio dirglielo tutte insieme».

Alice sbuffò sonoramente. «Quindi è solo questo il motivo per cui ci hai trascinate fin quassù?»

«No, per quanto ti risulti difficile crederlo! Ho anche pensato che fosse carino passare del tempo con lei prima dell’uscita di domani, per conoscerla un po’ meglio. Insomma, è tua cugina, Rose, ma non vi ho mai viste scambiare più di due parole. E poi c’è la promessa che avevamo fatto a Lucy, vi siete già dimenticate?»

Rose avvertì la rabbia che aveva accumulato in quei minuti sciogliersi come neve al sole: era chiaro che Isabel avesse buone intenzioni. Scambiò un’occhiata significativa con Alice. «Be’, forse un aiuto negli incantesimi non verbali ci sarà utile».

Le labbra di Isabel si sollevarono in un sorriso. Samantha sospirò, ma fece un cenno con il capo che Rose interpretò come un “se proprio dobbiamo”. Così ripresero a salire gli scalini, Alice in testa, e presto arrivarono in cima, dove trovarono Molly ad aspettarle. Rose pregò che non avesse udito nulla.

«Ciao!» esclamò Molly emozionata, facendo un passo avanti. Poi, come se si fosse ricordata della sua proverbiale timidezza, si ricompose e portò una ciocca di capelli rossi e ricci dietro all’orecchio.

«È da tanto che non ti vedo, come stai?» disse Rose, raggiungendola sul pianerottolo.

Molly alzò le spalle. «Meglio di come mi hai vista l’ultima volta».

Rose desiderava ardentemente chiederle cosa fosse successo con Lorcan, ma per il bene della cugina decise di reprimere la curiosità in un cassetto che avrebbe riaperto in un momento più opportuno. Non si era scordata le parole di Lucy: «Non credo di essere la persona giusta per dirvelo. Se Molly se la sentirà, ve lo racconterà lei».

«Bene, ehm, come entriamo nella Sala Comune?» chiese Isabel. Molly si limitò ad accennare alla porta di legno antico sulla parete opposta alle scale, che non aveva né maniglie né serrature: l’unico elemento che spiccava era un battente a forma di aquila. Molly allungò la mano e bussò una volta. Il colpo si propagò per gli scalini della torre, rischiando di coprire le parole che fuoriuscirono dal becco dell’aquila di bronzo.

“Esisto solo prima d’esser nato,
appena nato son già trapassato”

«Un indovinello» constatò Samantha. «Chissà perché non sono sorpresa».

«Sì, non lo sapevi? Questo è l’unico modo per passare. Mmm… voi che ne pensate?»

«Non ne ho idea! Insomma, cosa può mai esistere prima di essere nato?» esclamò Alice perplessa.

«Molte cose, stupida ragazza» declamò placida una voce dietro di lei. La Dama Grigia svolazzò altezzosa fino a sbarrare loro la strada, i lunghi capelli che ricadevano in onde morbide oltre le spalle. «Che ci fanno qui quattro Grifondoro?»

«Oh, salve!» disse Molly cordiale.

La Dama Grigia spalancò gli occhi, come se avesse appena notato la presenza di uno studente appartenente alla sua Casa. «Molly Weasley, che piacere» rispose con un piccolo sorriso.

«Non si preoccupi, sono tutte con me. D’altronde non è vietato studiare in una Sala Comune che non sia la propria, se si è con una persona che ne fa parte».

La Dama Grigia fece un unico, impercettibile cenno con la testa. «In tal caso, potete entrare» acconsentì, per poi sparire dentro al muro di pietra più vicino.

«Come se avessimo bisogno del suo permesso» borbottò Samantha.

Molly le lanciò un’occhiataccia. «Non essere troppo dura con la Dama Grigia, nella sua breve vita ne ha passate tante. È particolarmente gentile con me però, dice che le ricordo lei da viva» spiegò aggrottando le sopracciglia, «ma non so se si possa considerare un complimento».

Rose stava per chiedere il motivo, ma appena notò che l’attenzione di tutte era ritornata all’indovinello decise di lasciar perdere. «Quindi» intervenne, «qualcuno ha qualche idea?»

«Credo proprio che la risposta sia il domani» disse solenne Molly. «Quando nasce diventa già oggi, perciò esiste solo finché non arriva».

«Esattamente» cantilenò l’aquila di bronzo, e la porta si aprì. Rose e Alice si scambiarono uno sguardo sbalordito, entrambe consapevoli che non sarebbero mai riuscite ad arrivare alla soluzione in così poco tempo.

«Venite» mormorò Molly, «vi piacerà».

Rose non era mai entrata nella Sala Comune dei Corvonero, e fu per questo motivo che rimase a bocca spalancata davanti al cielo stellato che decorava il soffitto. Ampie finestre ad arco permettevano di godere di una splendida vista, e scaffali di libri e libri ricoprivano le pareti. In una nicchia di fronte alla porta, quasi messa in ombra da tutto il resto, si ergeva una statua di marmo bianco. Rose assottigliò gli occhi per capire chi fosse.

«È Priscilla Corvonero» precisò Molly, che evidentemente aveva notato il suo sguardo. «Bella, vero?»

I boccoli di pietra erano incorniciati da una tiara sottile. Rose si avvicinò e lesse le parole che vi erano incise sopra. «“Un ingegno smisurato per il mago è dono grato”».

«Ti unisci a noi, Rose, o devi analizzare ogni centimetro della Sala Comune?» la richiamò una voce cristallina e tagliente come il frammento di uno specchio. Dominique Weasley era appoggiata a uno dei tavolini di cui era disseminata la stanza e la osservava con cipiglio divertito.

«Ops, questo complica le cose» sussurrò Alice lì accanto.

Molly si passò una mano dietro la testa con un sorriso di scuse. «L’ho invitata a studiare con noi, ma se non volete…»

«Oh no, nessun problema!» si affrettò a chiarire Isabel, raggiungendo Dominique e venendo imitata da tutte le altre. I Corvonero presenti, notò Rose, le degnarono solo di un veloce sguardo prima di tornare al loro studio.

«Non credo che ci abbiano mai presentate ufficialmente. Piacere, sono Isabel».

«Dominique» rispose la Corvonero, per poi rivolgersi verso Samantha. Erano molto simili di aspetto, ma appartenevano a due toni cromatici differenti: i capelli e gli occhi di Samantha erano grano e oceano, quelli di Dominique cenere e ghiaccio.

«Bene, ora che abbiamo fatto le dovute presentazioni» riprese Molly, «direi di metterci al lavoro».

E così ognuna occupò una sedia di velluto blu notte e, dopo aver tirato fuori i libri, gli incantesimi non verbali furono l’unico argomento che riempì il silenzio per l’ora successiva. Molly si era gentilmente procurata un calice di vetro, e a turno Rose, Alice e Isabel tentavano di farlo scomparire e riapparire senza l’ausilio di parole. Fino a quel momento solo Rose era riuscita nell’intento. A Isabel tremavano le labbra, tanto era forte la tentazione di sussurrare la formula. Ma la più esilarante era di gran lunga Alice, la faccia rossa e le sopracciglia aggrottate, che fissava la bacchetta come se le avesse fatto un torto imperdonabile.

«No Alice, il movimento non è esatto. La Trasfigurazione è una disciplina magica sistematica ed è importante eseguire le istruzioni alla lettera. È inutile che ondeggi la bacchetta a caso» la riprese Molly.

«E dai, questo me lo ricordo pure io! L’aveva detto Avory alla prima lezione del primo anno… non tollero confusione e inutili sventolii di bacchette, bla-bla-bla» disse Samantha in una perfetta imitazione del professore, prima che Dominique la colpisse in testa con la pergamena. «Ahi, ha fatto male!»

«Il tema di Difesa non si scrive da solo».

«Che strano, non l’avrei mai detto».

«Io non farei molto la spiritosa se fossi in te. La vostra prossima prova pratica riguarda gli incantesimi non verbali…»

«È sarcasmo, mademoiselle, ma capisco che voi Corvonero del settimo anno siate superiori a certe cose».

Rose seguiva lo scambio di battute tra le due bionde come se stesse osservando una partita di tennis – sport che Hermione le aveva fatto praticare da piccola, nella speranza vana che sua figlia non sviluppasse l’ossessione per il Quidditch – e si costrinse a trattenere un ghigno. Quelle due avevano lo stesso carattere. Testarde, ciniche, brutalmente oneste e a tratti irascibili. Uno scontro diretto era inevitabile.

«So benissimo cos’è il sarcasmo, grazie» rispose a tono Dominique, scuotendo i lunghi e liscissimi capelli all’indietro.

Samantha si limitò a sbuffare, ritornando alla pergamena macchiata d’inchiostro che aveva riempito per metà. Passò un’altra mezz’ora senza intoppi. Nel momento in cui Alice e Isabel riuscirono a far sparire e riapparire il calice senza il minimo rumore, Molly dichiarò di voler salire in Dormitorio a cercare un oggetto più grande, in modo da aumentare la difficoltà dell’esercizio. Rose decise di prendere l’iniziativa: aveva percepito l’opportunità di parlare con la cugina senza la presenza di Dominique, che era molto protettiva nei suoi confronti e che di sicuro si sarebbe messa in mezzo.

«Molly, aspetta, ti accompagno».

«Tranquilla, non ce n’è bisogno…»

Ma Rose le aveva già passato un braccio attorno alle spalle e, dopo essersi scambiata un occhiolino d’intesa con Isabel, si diresse verso la porta che conduceva ai Dormitori. Da lì si trovò in un pianerottolo da cui partivano diverse scale a chiocciola; non fece in tempo a contarle che Molly era già sparita in quella più a sinistra. La seguì in fretta, e in cima si trovò davanti a una porta aperta. La stanza in cui entrò richiamava lo stile della Sala Comune, con i grandi baldacchini rivestiti da trapunte di seta blu e decorati da drappi bronzei impalpabili come l’aria. Molly aveva preso un cuscino da quello che era presumibilmente il suo letto e lo misurava con occhio critico.

«Sì, questo dovrebbe fare al caso nostro».

«Possiamo… ehm… parlare un attimo? Ti devo dire una cosa».

Rose si sedette sul letto. Batté una mano sulle coperte, invitando la cugina a imitarla, e Molly non si fece pregare. Le molle del materasso cigolarono sotto il suo peso. «Si tratta di Hogsmeade» aggiunse Rose in fretta.

Gli occhi castani di Molly si spalancarono. Rose li vide indugiare sulle mani che si torturavano in grembo e poi rialzarsi fino a incontrare un punto imprecisato della stanza. «Non volete più che venga con voi?»

«No! Questo non c’entra niente» si affrettò a rassicurarla Rose, «vogliamo che ci sia anche tu!»

«E allora cosa?»

«Ecco… Isabel si è dimenticata di dirti un dettaglio, quando ti ha invitata. Domani non saremo solo in cinque».

«Ah no?»

«No» confermò Rose, preferendo arrivare dritta al sodo, «ci saranno anche dei Serpeverde».

Un lampo d’incertezza e diffidenza balenò sul viso di Molly.  A Rose non sfuggì lo scatto nervoso con cui si portò dietro all’orecchio una ciocca di capelli, della stessa tonalità rossa dei suoi. «Chi?»

«Albus e il suo gruppo di amici. Zabini, Nott, la Macnair… hai capito, insomma» elencò Rose. Evitò con cura il nome di Malfoy. Non riusciva nemmeno a nominarlo.

«Ma, scusami l’osservazione, non credevo andaste molto d’accordo».

«E infatti normalmente non mi sfiorerebbe neanche il pensiero di uscire con loro. Ma si dà il caso che un’occasione speciale mi abbia costretta. Domani è il compleanno di Millie Montague».

«Intendi… intendi Mildred Montague?» chiese Molly, improvvisamente interessata.

«Sì, ma non chiamarla così in sua presenza» rispose Rose, il viso tutto ghigno e occhi speranzosi.

«Quindi ci sarà anche lei». I denti di Molly si fiondarono sul labbro inferiore, pronti a torturarlo. La ragazza ci mise poco a decidere. «Va bene» decretò infine, «verrò».





 

 

 


Angolo Autrice
Sì lo so, avevo detto che sarei riuscita a pubblicare con più frequenza durante l’estate e invece eccomi qui, un mese dopo l’ultimo capitolo. Non avrei mai pensato di metterci così tanto a scrivere questo, sinceramente, ma ho avuto molti dubbi. Prima di tutto, all’inizio avrei voluto mettere dentro almeno la prima parte della gita a Hogsmeade, ma poi ho capito che dovevo dedicarci tutto un capitolo. Quindi no, ancora niente Hogsmeade ma arriverà presto (spero). Seconda cosa, dovevo chiarire alcune cose, ovvero la situazione di James e Molly, in modo da presentare bene i personaggi. Detto ciò, è passato più di un anno da quando ho pubblicato il Prologo! Non ci credo di essere arrivata fin qui, devo festeggiare.
Tornando al capitolo, come al solito Rose non riesce a star fuori dalle situazioni difficili, ma ci si butta a capofitto. Avrà forse preso da qualcuno? (*risata ironica*).
Come vi è sembrata Molly? Come mai al nome di Millie ha deciso di venire a Hogsmeade? E vi aspettavate una Penelope Nott che sa tenere testa al fratello? Io mi sono divertita un mondo a scrivere quella parte.
Ultime due precisazioni riguardanti la traduzione italiana:
-ci ho messo una giornata a decidere quale nome usare per la Fondatrice dei Corvonero: Corinna, Cosetta o Priscilla? Nella edizione che ho io viene chiamata Corinna, ma alla fine ho scelto Priscilla visto che mi sembra il più usato.
-Stessa cosa per la fattura che Ginny è tanto brava a scagliare: Maleficio Mucovolante o Fattura Orcovolante? In questo caso mi sono affidata alla mia edizione e ho scelto il primo.
Detto questo ci sentiamo alla prossima,
ChiarainWonderland

 

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Capitolo 20
*** Compleanno nella neve ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO

COMPLEANNO NELLA NEVE


«Ripetimi un’altra volta perché siamo qui» borbottò Alice per l’ennesima volta.

«Perché è il compleanno di Millie e lei ci tiene a festeggiarlo con tutti i suoi amici» rispose Isabel soave, lo sguardo fisso sul paesaggio innevato che le si stagliava davanti. «E perché, tue testuali parole, per la sua felicità riuscirai a sopportare Potter e la sua fidanzata per qualche ora».

Alice sospirò, le mani strette attorno al regalo per la festeggiata. Rose era incantata da quelle che sembravano ore a osservare il colore della carta che lo rivestiva. Un viola cupo, molto diverso dal verde smeraldo del suo pacchetto. Isabel ne teneva in mano due di una sfumatura argentata estremamente simile. Uno era il suo e l’altro era di Samantha, che si trovava ancora in Sala Grande a finire di pranzare quando loro erano salite in Dormitorio a prendere i regali. Ora, venti minuti dopo, Rose, Alice e Isabel la stavano aspettando davanti al portone d’ingresso del castello. Anche Molly e i Serpeverde erano attesi con trepidazione.

«Ma quanto ci mettono? Di solito quelle in ritardo siamo noi».

«Per una volta che siamo puntuali, Alice, direi che non conviene lamentarci» ribatté Rose pungente. Da quella mattina il suo umore era come un’altalena che saliva e scendeva, saliva e scendeva, saliva e scendeva. Momenti di serenità venivano travolti da scatti nervosi, come un’eterna battaglia interiore. A pensare che in pochi minuti avrebbe avuto Zabini a poca distanza, o peggio ancora, Malfoy…

«Ragazze, ragazze!» esclamò una voce alle loro spalle. Molly scese in fretta e furia le scale coperte di ghiaccio, scivolando sull’ultimo scalino e finendo gambe all’aria nella neve.

«MOLLY!» urlarono le tre Grifondoro contemporaneamente, in un baleno accanto alla malcapitata.

 «Morgana, scusate per l’attesa».

«Chi se ne frega dell’attesa! Tu stai bene?» intervenne Rose, raccogliendo il sacchettino che era sfuggito di mano alla cugina mentre Alice e Isabel aiutavano quest’ultima a rialzarsi.

«Sì, sì, sono abituata… ma ho sbagliato orario, non è così? Ho capito due e un quarto, ma forse l’appuntamento era alle due in punto, oppure-»

«Sei puntualissima. Anzi, fino ad ora sei l’unica ad esserti fatta viva» la rassicurò Rose, togliendole un po’ di neve dal cappotto e porgendole il sacchetto. «Questo è il regalo, vero? Non eri obbligata a farlo, hai avuto poco preavviso».

Molly arrossì. «Nessun problema, è stato un piacere lavorarci. Sì, l’ho fatto a mano» aggiunse allo sguardo interrogativo delle amiche, «anche perché non ho avuto modo di comprarlo a Hogsmeade. E voi invece, dove li avete presi i regali?»

«Li compriamo tutti d’estate e li portiamo a scuola, così sono già pronti» spiegò Isabel, sfregandosi le mani avvolte nei guanti di lana. «Be’, tutti tranne quelli per me e Alice. Visto che il nostro compleanno è a luglio, sarebbe abbastanza inutile». Alice annuì, prima che la sua attenzione venisse catturata da un tornado dai capelli biondi che scendeva di corsa le scale d’ingresso e che per miracolo non finì in un cumulo di neve come Molly.

«Dobbiamo andare» esordì Samantha non appena le raggiunse. Riprese il suo pacchetto regalo dalle mani guantate di Isabel e s’incamminò per il sentiero che avrebbe condotto alle carrozze.

«Aspetta, cosa?» esplose Rose, faticando per raggiungerla.

«Ho incontrato Millie, in Sala Grande. A quanto pare i Serpeverde sono già tutti a Hogsmeade, mentre lei… lei deve parlare urgentemente con il professor Sanders e poi ci raggiungerà ai Tre Manici».

«Di domenica?»

«Sì, sì» confermò Samantha con un gesto vago della mano, «per un compito o qualcosa del genere».

Erano intanto arrivate alle carrozze, che come da tradizione non avevano né cocchiere né cavalli. Si trainavano da sole dal castello fino a Hogsmeade e ritorno. Alice ne scelse una e aprì lo sportello nero pece.

«Forza, tutte dentro» le esortò Samantha, e pian piano la carrozza si riempì. Rose si catapultò accanto al finestrino, seguita a ruota da Isabel che le si accomodò accanto. Sul lato opposto, strette come sardine, Alice, Molly e Samantha.

«E come al solito devo beccarmi l’angolino più stretto di tutti…»

«Per-venti-minuti» scandì Samantha, le dita che disegnavano ampi cerchi sulle palpebre chiuse, «puoi adattarti, Alice, per-venti-minuti?!»

Il resto del viaggio fu trascorso nel silenzio. Rose guardava il cielo scorrere sotto ai suoi occhi, la fronte contro il vetro del finestrino. Nubi grigiastre mutavano forma e venivano trascinate veloci dal vento, minacciando l’ennesima nevicata, quasi a predire il disastro colossale che si profilava quel pomeriggio. E pensare che il tempo prezioso avrebbe potuto essere speso in Biblioteca, sulle tracce di un qualche collegamento con la lince che da diverse notti la rincorreva in incubi infiniti… No, Rose non si era dimenticata del medaglione. La luce azzurrognola era lì, dietro a ogni pensiero, pronta a ristabilire il predominio nella sua mente. La mancanza di risultati e il destreggiarsi tra Quidditch e verifiche avevano fatto sì che le ricerche diventassero irrimediabilmente più rade e frettolose. Ma a volte, tra una lezione e l’altra o poco prima degli allenamenti, dieci minuti bastavano per imbucarsi in Biblioteca, evitare Madama Wells e consultare un libro. Uno solo era abbastanza.

«Be’, siamo arrivate» borbottò a un tratto Alice, per poi aprirsi in un sorriso. «Che bello, Hogsmeade con la neve!»

Rose sbuffò apertamente, guadagnandosi occhiatacce da tutte le amiche esclusa Molly. Almeno Alice aveva la neve a contrastare il malumore. Cosa aveva lei?

«Forza, meglio andare» bofonchiò, prima di mettere un piede fuori dalla carrozza. Pian piano una scia di impronte si fece strada nella neve fino alla via principale di Hogsmeade, High Street. Fu solo quando si trovarono a una trentina di metri dai Tre Manici di Scopa che Rose si accorse di un dettaglio che la mise a disagio senza alcun motivo apparente. Era la peggio vestita del gruppo. D’altronde, i jeans secolari che aveva deciso di indossare quella mattina non erano al livello della gonna e dei collant di lana di Alice, o degli orecchini con bracciali abbinati di Isabel. Merlino, c’era del trucco sul viso di Molly? E i capelli di Samantha da quando si arricciavano in boccoli perfetti? In confronto i suoi, di capelli, parevano un nido di Augurey.

«Per tutte le cavallette, sono quelli?» sibilò Molly con voce acuta, accennando a un gruppo consistente di studenti che presenziava davanti all’entrata del pub. Le sciarpe verde-argento erano inconfondibili.

«In tutta la loro gloria» mormorò ironicamente Rose. La prima che le balzò all’occhio fu la Macnair, elegantissima nel sua pellicciotto talmente bianco da accecare chiunque lo fissasse per troppo tempo. Subito dopo notò Malfoy, l’espressione rilassata, che parlava tranquillo con Zabini. “Magnifico” si disse mesta, “semplicemente magnifico”. Quasi quasi sperava di venire ignorata come negli ultimi tempi. Accanto a Zabini si stagliava Nott, che dalla faccia sembrava ancora alterato per la storia di Penelope; stava discutendo insieme ad Aidan Cavendish con cipiglio infastidito. E infine, seminascosto dagli altri, c’era Albus che teneva per mano l’immancabile fidanzata. Rose avvertì Alice irrigidirsi al suo fianco.

«Quindi, cosa facciamo? Li raggiungiamo o aspettiamo Millie qui?» sussurrò Molly, quasi avesse paura di farsi sentire. Ma prima ancora che chiunque di loro potesse anche solo elaborare una risposta, Geraldine Macnair si girò e le vide. E fece la cosa meno prevedibile di tutte.

«Ragazze! Finalmente, vi stavamo aspettando da un sacco! Come state?»

La prima vittima fu Alice. Geraldine si avvicinò e la baciò su entrambe le guance, sotto lo sguardo esterrefatto delle altre. Poi lo stesso trattamento fu ripetuto quattro volte, e quando arrivò il suo turno Rose cercò di reprimere l’espressione sbalordita che doveva esserle spuntata in faccia. Lo smeraldo che la Macnair portava al collo alla cena del Lumaclub le brillò davanti agli occhi, quasi a ricordarle di nuovo quanto fosse inadatta all’occasione.

«Forza, venite insieme a noi! C’è Richie che continua a lamentarsi per sua sorella Penelope… magari sarete in grado di sollevargli il morale».

«S-sollevargli il morale?» ripeté Molly paonazza, suscitando in Geraldine una risatina.

Rose era sicura che sotto a quel bizzarro comportamento c’era Millie. L’ultima volta che aveva scambiato un’occhiata con la Macnair, infatti, quest’ultima aveva squadrato lei e Alice come se fossero due spiacevoli esemplari di Vermicolo. Si ricordava ancora il preciso momento: era accaduto un mese prima proprio lì, ai Tre Manici di Scopa, ed era presente anche Millie.

«Quindi, venite o no?» insistette Geraldine. Samantha e Isabel scrollarono le spalle e la seguirono, imitate da una Molly terrorizzata che non voleva allontanarsi da nessuna faccia conosciuta per più di un minuto. Rose e Alice rimasero indietro, l’una affianco all’altra.

«Guardali, come si tengono per mano».

«Ti fa stare tanto male?»

«Un po’» rispose Alice, gli occhi spenti.

Quasi le avesse sentite, Albus girò di scatto la testa e le vide. Rose giurò che gli occhi smeraldini del cugino avevano esitato su Alice per un secondo di troppo. Albus tirò una gomitata a Malfoy e, come in un domino, pian piano le nuove arrivate catturarono l’attenzione di tutti.

«Ragazzi, Diana» annunciò Geraldine a gran voce, «anche se alcuni di voi le conoscono già, vi presento le amiche Grifondoro di Millie. Isabel, Samantha, Alice e Rose». Poi, come se si fosse ricordata solo in quel momento della presenza di un’altra persona, aggiunse: «Ah, e questa è Molly di Corvonero».

«Non ti ho mai vista parlare con Millie. Perché ti ha invitata?» insinuò Nott con tono arrogante. La squadrò dall’alto in basso, e Molly sembrò rimpicciolire.

«Vacci piano Richie» ribatté Albus, «è pur sempre mia cugina».

Rose si accigliò. Cosa intendeva con “è pur sempre mia cugina”? Che anche se non arrivava al loro livello di popolarità non era da buttare via poiché faceva parte della famiglia? Che non dovevano deriderla eccessivamente per il rischio che qualche genitore lo venisse a sapere?

«Non ascoltarli» disse Diana, passando un braccio attorno alle spalle di Molly, «sono degli idioti».

«Concordo» mormorò Alice, abbastanza forte da attirare l’attenzione di tutti.

«Qualcosa non va, Paciock?» sibilò Albus facendo un passo avanti. La tensione tornò a regnare sovrana nell’insolito gruppo. Gli occhi dei presenti saettavano dalla Grifondoro dalle iridi castane al Serpeverde dalla spettinata chioma corvina.

Alice ridacchiò. Una risata tagliente, che usava quando voleva ferire. Si avvicinò di un passo anche lei, fronteggiando Albus con aria imperturbabile. La ragazza che era fuggita dalla Sala Grande sembrava non essere mai esistita, e fu in quel momento che Rose capì quanto il dolore fosse in grado di cambiare le persone. «Tutto a posto, Potter, ma grazie della preoccupazione».

«Dalla faccia che hai non mi sembra che sia tutto a posto».

«E da quando in qua te ne importa?»

«Alice» s’intromise Rose, una mano sulla spalla dell’amica. «Dai, lascia stare…»

«Allora hai ancora il bisogno d’intervenire negli affari altrui, Weasley… pensavo ti fosse passato».

«Scorpius!» sbottò Geraldine.

Rose non si lasciò cogliere impreparata. Era pronta da mesi a una battaglia verbale contro Malfoy. «In realtà stavo solo cercando di calmare gli animi, e il tuo commento era alquanto fuori luogo. Forse sarebbe meglio che tornassi a ignorarmi».

«Weasley, non pensavo che mi portassi rancore! Ti sono mancato così tanto?»

«Ora basta! Sta arrivando Millie!» li avvisò Samantha, e in un attimo la tensione sparì così com’era apparsa. Un istante dopo, con un respiro talmente affannato da far concorrenza al più gracile degli Elfi Domestici, Millie sbucò tra Nott e Cavendish, che torreggiavano sopra di lei.

«… dieci… undici… dodici… sì, ci siamo tutti. Ho fatto in tempo ad arrivare prima che venisse ucciso qualcuno».

Rose udì Zabini mormorare: «Per un pelo!» e fu tentata di riprendere la discussione solo per dargli fastidio.

«Auguri testa di Troll! Finalmente maggiorenne!» esclamò Scorpius. Abbracciò Millie con trasporto, sollevandola da terra e beccandosi uno scappellotto sulla testa. «Mettimi giù! Mi hai sentita, maledetto di un Malfoy? Ti ho detto di rimettermi a terra!»

Non appena le suole di gomma della festeggiata tornarono a calpestare la neve un coro di “tanti auguri” e “buon compleanno”, seguiti da una serie di epiteti e soprannomi unici nel loro genere, si sollevò dall’entrata dei Tre Manici di Scopa. Prima fu il turno dei Serpeverde che, in quanto amici più stretti, circondarono Millie in un abbraccio collettivo. Poi si avvicinò Molly, titubante e con le guance rosse – se per il freddo o per qualcos’altro, nessuno avrebbe saputo dirlo –, le mani che torturavano la sciarpa blu e bronzo. Millie saltò i convenevoli e le gettò le braccia al collo, nonostante non le avesse mai rivolto una parola in vita sua. Rose la trovò una cosa potente.

«Buon compleanno alla mia unica amica Serpeverde!» cinguettò Alice, il buonumore ritrovato. La neve doveva aver fatto bene il suo lavoro.

«Vorrai dire all’unica Serpeverde che sopporti» la corresse Samantha con un sorriso di scherno. Dopo che anche lei e Isabel la abbracciarono, Millie strinse le braccia attorno a Rose. «Grazie per essere qui, Rosie. So quanto ti è costato venire» le bisbigliò all’orecchio. Rose rispose con un vago gesto della mano, come a dire “non è nulla”. Era diventata brava a mentire.

«Quindi» disse Geraldine, battendo le mani in un palese tentativo di alleggerire l’atmosfera, «visto che è presto per la Burrobirra, che ne dite di fare prima un giro?»

Nessuno ebbe da obiettare. A gruppi di due o tre si avviarono per High Street diretti ai due negozi più frequentati dagli studenti: Mielandia e la filiale di Hogsmeade dei Tiri Vispi Weasley. Rose e Alice rimasero, non troppo sorprendentemente, per ultime. Dalla loro posizione godevano però di un’ottima visuale per osservare gli invitati senza essere osservate a loro volta. Millie e Molly, in particolare, erano in mezzo agli altri e sembravano rapite in una conversazione tutta loro.

«Almeno loro due stanno facendo amicizia in fretta».

«Molly prima è arrossita peggio di una Fenice nel giorno del falò. Ti dirò, secondo me non è normale arrossire così per un’amicizia».

Alice si fermò e fissò Rose a occhi spalancati. «Intendi dire che… a Molly…»

«Be’, perché no? Ti darebbe fastidio? »

«No, assolutamente no» si sbrigò a chiarire Alice, «ma non credi che il tuo giudizio sia un po’ affrettato?»

«Quando venerdì ho detto a Molly che ci sarebbero stati i Serpeverde, lei era sul punto di rifiutare l’invito, finché…» e qui Rose si avvicinò con fare cospiratorio, «…finché non ho parlato di Millie».

Alice si guardò in giro; la neve non solo la calmava, ma l’aiutava anche a concentrarsi. E Hogsmeade ne era zeppa, sulle tegole cigolanti dei tetti, sopra i davanzali delle finestre, impigliata sui fitti rami dei pini. Per non parlare del manto candido che nascondeva la strada e i marciapiedi. Nonostante il gelo, però, era ancora novembre. Troppo presto per decorazioni e cori natalizi.

«Potrebbe darsi» decretò infine Alice. «Ma se così fosse, promettimi che non ci intrometteremo. Riusciamo solo a mettere in pericolo le vite sentimentali degli altri».

 Intanto erano arrivati davanti alla sgargiante entrata di Mielandia. La mezz’ora successiva trascorse senza che nessuno aprisse bocca se non per mangiare. Consapevoli che la loro scorta in Dormitorio stesse esaurendo, le quattro Grifondoro fecero incetta di dolci spendendo metà dei galeoni che si erano portate dietro. Sette scatole di Api Frizzole, sei pacchetti di Fildimenta Interdentali, tre confezioni di Topoghiacci e otto bustine di Mosche al Caramello. Ci mancò poco che Alice svuotasse da sola lo scaffale delle Bacchette di Liquirizia, le sue preferite in assoluto. Tra una corsia e l’altra incrociarono Celia che chiacchierava con i fratelli Finch-Fletchley ed Ellie Bones di Tassorosso.

«Ehi, ragazze! Ma Molly non è con voi?»

«Ciao Celia» disse Rose cordiale, «sì, è qui nascosta dietro a qualche scaffale… prima l’avevo vista nei pressi delle Cioccorane».

«Ecco, infatti mi aveva detto che sarebbe uscita con voi altri. Di solito veniamo a Hogsmeade insieme, io, lei e Dominique».

«Ah, e oggi Dominique non c’è?»

«No» rispose Celia, l’espressione impassibile. «È rimasta al castello».

Rose e Alice si scambiarono uno sguardo, mentre Samantha borbottava un “meno male” con voce non troppo velata. In quel momento il campanello della porta tintinnò: i Serpeverde stavano uscendo dal negozio.

«Ciao Alice» sussurrò uno dei Finch-Fletchley prima che le ragazze filassero via. Aveva le guance paonazze e fissava ostinatamente il pavimento.  Alice ricambiò con un sorriso imbarazzato, per poi sgusciare fuori dalla sua visuale.

«E quello cos’era?» chiese Rose maliziosa, appiattendosi contro la parete per far passare due ragazzi che stavano entrando.

«Che ne so. Sinceramente, non mi ricordo nemmeno il suo nome».

«Sei brutale».

«No, sono onesta».

Fu poi la volta dei Tiri Vispi Weasley. Era il negozio più bizzarro e stravagante di Hogsmeade, il che era tutto dire. La vetrina di sinistra era occupata da strani marchingegni rotanti di vari colori e dall’utilità sconosciuta. Quella di destra conteneva invece prodotti dedicati alla sopravvivenza scolastica, i più gettonati dagli studenti. Rose era sicura che persino alcuni insegnanti ne facessero uso.

«Guardate, sono arrivati i rifornimenti di Pasticcetti Svenevoli» disse Samantha, il naso incollato alla vetrina, «devo comprarne almeno dieci scatole!»

Lei e Isabel entrarono per prime, seguite da Molly e dai Serpeverde. L’interno esplodeva di clienti a tal punto che era impossibile avvicinarsi agli scaffali. Rose dovette sgomitare per raggiungere un angolino meno affollato.

«Guarda qui» esclamò ad Alice, «Detonatori Abbindolanti, era da un secolo che non li vendevano!»

«Li abbiamo appena rimessi in produzione» spiegò una voce conosciuta. Una scala a pioli scivolò verso di loro e, oltre una pila di scatole di cartone, sbucò la testa di Lee Jordan. Rose non fu sorpresa di vederlo: era da anni che il vecchio amico d’infanzia di suo zio George aiutava a dirigere la filiale a Hogsmeade.

«Ma è grandioso! Ti ricordi quante volte li usavamo, Alice? Quando sgattaiolavamo nel Reparto Proibito?»

«In effetti» concordò Alice, prendendo in mano una delle trombette nere che sgambettavano sullo scaffale, «potrebbero tornare utili. Questi aggeggi sono degli ottimi diversivi».

Il volto di Lee Jordan si aprì in un ghigno. «Voi due avete in mente qualcosa».

«Ci conosci, Lee. Abbiamo sempre in mente qualcosa».

«Be’, in questo caso» disse Lee, e frugò nella scatola in cima alla pila che teneva in equilibrio precario tra le braccia, «questo vi potrebbe servire». Tirò fuori una specie di trottola di vetro colorata e la lanciò a Rose, che la prese al volo. «Vi presento lo Spioscopio Pro Deluxe, nuova aggiunta alla collana di prodotti riservati alla difesa personale».

Rose e Alice studiarono l’oggetto con interesse. «E cos’ha di diverso da uno Spioscopio normale?»

«Di solito un semplice Spioscopio si attiva solamente nelle vicinanze di magia oscura. Questo, invece, avvisa il proprietario nel caso in cui qualcuno abbia brutte intenzioni. Badate bene, qualsiasi brutta intenzione! Anche per un innocuo scherzo…»

«…o per il rischio di essere denunciate dalla Preside!» completò Rose.

«È geniale» affermò Alice, «lo prendiamo».

Salutarono Lee Jordan e si addentrarono tra la folla, abbassandosi per evitare di essere colpite da areoplanini di carta volanti e piccoli fuochi d’artificio scoppiettanti. Accanto ai prodotti Tumistreghi, di un incredibile quanto fastidioso rosa acceso, intravidero Isabel e Samantha che discutevano.

«…stai scherzando, Sam!? Non puoi somministrare un filtro d’amore a McLaggen!»

«Solo un goccio, che male vuoi che faccia? Come se quelle vipere che gli gironzolano attorno non ci abbiano mai provato…»

«Tranquilla che nemmeno con un filtro d’amore hai speranze con McLaggen» sussurrò scherzosamente Rose quando le passò accanto.

L’urlo di protesta di Samantha («Weasley!») venne udito da metà negozio, ma Rose era già scappata in direzione della cassa con Alice alle calcagna. Attraversarono la sezione dedicata ai nuovi brevetti, e fu con enorme piacere che accolsero la visione di uno Scorpius Malfoy con i capelli bruciacchiati e la faccia sporca di fuliggine. Il piccolo scrigno che teneva tra le mani doveva essergli esploso addosso non appena l’aveva aperto, scatenando le risate sguaiate dei suoi amici. Rose non si pentiva più così tanto di aver accettato l’invito di Millie.

«Quattro Detonatori Abbindolanti e uno Spioscopio Pro Deluxe» dichiarò, mentre Alice posava con decisione gli articoli. La cassiera, una giovane strega dalla chioma violetta e dall’aria annoiata, le squadrò con malcelata inquietudine. «Fanno undici Galeoni, cinque Falci e due Zellini» disse, impegnata a osservare Rose che frugava nella borsa.

Uscire all’aria aperta fu un sollievo. L’affollamento del negozio era tale da rendere la temperatura quasi insopportabile anche senza giubbotto, e Rose e Alice accolsero la gelida carezza della neve sulla pelle come una pozione lenitiva. Presto furono raggiunte dagli altri.

«Cosa avete comprato?» domandò Albus sospettoso, accennando alla busta tra le mani di Alice.

Rose si preparò a mentire; dire la verità equivaleva a compromettere qualsiasi piano futuro. «Torroni Sanguinolenti. Sono i miei preferiti».

«Bene, ora direi che è venuto il momento di festeggiare con un boccale di Burrobirra!» esclamò Millie. Aveva un braccio attorno a Molly e un’espressione di pura felicità stampata in faccia.

Anche i Tre Manici di Scopa non scherzavano in quanto ad affollamento. Miracolosamente, un tavolo da otto in fondo al locale sembrava quasi aspettare l’arrivo dell’insolito gruppo. Rose non concepiva com’era possibile che i Serpeverde trovassero sempre posto, mentre lei e le amiche dovevano fare un patto con il diavolo per beccare un angolino libero. Le sedie mancanti vennero racimolate in giro finché ognuno non ne ebbe una.

«Allora…» iniziò Millie rivolta al cameriere, mentre gli altri si sedevano e le comunicavano le ordinazioni, «nove Burrobirre, di cui due con la cannella e una con lo zenzero… poi tre succhi di ciliegia e un’Acquaviola… e… facciamo cinque? Sì, cinque porzioni di Zuccotti di Zucca».

Tra la confusione generale Rose perse di vista Alice e si ritrovò, con suo grande rammarico, seduta accanto a Zabini. Esattamente di fronte a lei c’era Malfoy, ancora con il volto sporco di fuliggine, che si lamentava. «Questa roba non viene via!» continuava a borbottare, e intanto si sfregava le guance con le mani.

«Ragazzi, offro io» dichiarò Millie con voce squillante. Liquidò le deboli proteste con un gesto vago. «È il mio compleanno e siete venuti tutti. È il minimo che possa fare».

Pian piano il ghiaccio si sciolse e all’arrivo delle ordinazioni le chiacchiere, che evitavano l’argomento “Quidditch” per ovvie ragioni, avevano coinvolto tutti. O almeno, tutti tranne una persona: Rose faceva scorrere a disagio lo sguardo tra Zabini e Cavendish. Anche Alice non era messa meglio, visto che si sforzava di ascoltare i discorsi di Geraldine annuendo all’occorrenza.

«Ehm, ne vuoi uno?»

Rose si girò. Zabini le stava offrendo uno Zuccotto di Zucca con aria amichevole. «No, grazie» rispose secca, bevendo un lungo sorso di Burrobirra.

Zabini insistette: «Da quel che mi ricordo ti piacciono parecchio. Cos’è che aveva detto la Paciock la scorsa volta? Che avevate mangiato più di quattro porzioni?»

Rose si ostinò a tenere gli occhi puntati sulla Burrobirra, decisa a ignorarlo. Zabini sospirò. «Senti, Rose. Mi dispiace, ok? Per quello che è successo a Difesa… è da un po’ che ti volevo chiedere scusa. Sappi… sappi solo che non l’ho fatto con cattiveria. Mi stai simpatica» aggiunse a mo’ di spiegazione. Rose non lo guardò, ma si ritrovò suo malgrado ad accettare il dolce. Sul volto di Zabini fece capolino un sorrisetto.

«Non ci credo!» esclamò una voce. Rose sussultò, e lo Zuccotto di Zucca rischiò di finire sul pavimento.

«Richie, ti pare il modo?» sbottò Geraldine, ma Nott non sembrò neanche sentirla, concentrato com’era sulla scena che stava avendo luogo a una decina di metri di distanza.

Millie allungò il collo. «Per Salazar, pensavo che sarebbero andati da Madama Piediburro» mormorò, guardando preoccupata Richard. Rose dovette torcere la schiena per vedere meglio. In un tavolo isolato, lontani da occhi indiscreti – o almeno, così credevano –, James e Penelope parlavano fitto fitto e si tenevano per mano. Dovevano essere appena arrivati.

 «Dai, non fanno nulla di male…»

«Nulla di male, Scorpius? Nulla di male?!» sibilò Nott, ed era già in piedi quando Albus lo afferrò per il gomito.

«È ora che la festeggiata apra i regali!» suggerì Isabel in fretta. Non si dimenticò di scoccare un’occhiata obliqua a Nott. Diana le diede man forte: «Sì, Millie, apri prima i nostri!»

I Serpeverde di certo facevano sul serio; Millie ricevette uno stupendo cappotto di marca da Geraldine e Diana, un nuovo set completo di ampolle per Alchimia da Cavendish, Nott e Zabini e una collana di zaffiri da Scorpius e Albus.

«Sappiamo che è la tua pietra preziosa preferita» spiegò Scorpius con semplicità. Millie gli strinse le braccia al collo.

Rose rimase a bocca aperta alla vista di quei doni. Dovevano essere costati un’immensità. A confronto, il suo e quelli delle amiche non valevano uno Zellino. “Non è possibile che Albus abbia trovato tutti quei soldi senza una mano dai genitori. Almeno io ho comprato il regalo con i miei risparmi” pensò, ma sapeva che era solo un modo di risollevarsi il morale. Una sensazione opprimente le serpeggiava nelle viscere. Vergogna. O meglio, inadeguatezza.

«Grazie ragazze, non dovevate» disse Millie. Guardava con trepidazione le buste rimanenti sul tavolo.

«Non… non aspettarti chissà che cosa…» balbettò Isabel. Se anche i regali l’avessero delusa in qualche modo, Millie non lo diede a vedere. Apprezzò la scatola di Cioccorane ripiene di Samantha, la maglietta dei Falmouth Falcons di Alice e la Penna Prendiappunti di Isabel. Le si illuminarono gli occhi non appena tolse la carta da regalo dal pacchetto di Rose e vide il libro sui Battitori migliori della storia.

«Non ci credo che l’hai trovato, pensavo che tutte le copie fossero finite! Come hai fatto a sapere che…»

«…che l’anno prossimo vuoi provare per quel ruolo visto che Pucey si diploma? Me l’avevi detto l’anno scorso».

«E a proposito» intervenne Alice con un sorrisetto, «non so se ti conviene, tenendo in considerazione chi ti ritroveresti contro».

«Evitiamo di parlare di Quidditch, grazie» scattò Samantha, timorosa di una possibile reazione di Millie. E la reazione sarebbe anche arrivata, se la Serpeverde presa in causa non fosse stata impegnata a osservare con aria sorpresa l’ultimo sacchetto rimasto.

«E questo?»

«È da parte mia» mormorò Molly. Undici paia di occhi le si posarono addosso, e lei arrossì. «Una sciocchezza, davvero… mi dispiaceva venire senza un pensierino…»

«Una sciocchezza? Ma se l’ha pure fatto a mano!» protestò Alice, ricevendo una gomitata da Rose dritta in una costola.

Millie aprì lentamente la confezione e tirò fuori una sciarpa di lana azzurra decorata da ghirigori bianchi. Se la mise subito al collo. «Grazie» si limitò a dire, e guardò Molly con lieta incredulità.

«Fammi capire» insinuò acidamente Nott, ancora infastidito dalla vista di James e Penelope, «lavori le cose a maglia?»

Il silenzio. Poi Isabel proclamò: «Nott, per amor di Morgana, stai zitto». E tutti scoppiarono a ridere.

«È la… è la prima volta che risponde… così… a qualcuno» riuscì a pronunciare Samantha tra le risate.

Rose fece uno sforzo immane pur di non sputacchiare mezza Burrobirra dappertutto. Posò lo sguardo divertito tra i presenti e, ovviamente, non poté fare a meno di soffermarsi su Malfoy. Quest’ultimo aveva ancora la faccia e i capelli sporchi di fuliggine, e il nero che nascondeva la pelle candida faceva risaltare i suoi occhi grigi come due stelle nella notte. Successe tutto troppo in fretta, talmente in fretta che Rose non fu in grado di distogliere lo sguardo, o di sostituire l’espressione felice e spensierata con una indifferente. Malfoy si girò, la vide, alzò un sopracciglio. E poi sorrise. Somigliava più a un mezzo ghigno, niente di esagerato. Ma bastò a Rose per non farle pensare ad altro per quella notte. E la notte successiva.


 

 

 



 

Angolo autrice
Salve a tutti!
Rieccomi qui a fine agosto, un po’ tardi lo ammetto, con un nuovo capitolo! Purtroppo in montagna non sono riuscita a portare il computer, ma poi ho capito che ero già fortunata ad andare in vacanza, vista la situazione attuale, e ho cercato di godermela senza apparecchi elettronici. Comunque, I’m baaack, pronta e in azione per futuri capitoli. Un po’ preoccupata per l’inizio della scuola a settembre, ma è meglio non aprire determinate parentesi. Bando alle ciance, ecco la benedetta gita a Hogsmeade con tutta la banda. Che ne pensate? Credo che questo sia il capitolo più lungo di tutti, per ora. E… ta daaa, Malfoy non è più così indifferente nei confronti di Rose. Come mai? Forse la rabbia è passata? O c’è qualcos’altro?
Ah, un piccolo disclaimer: spero che nessuno si sia offeso nel leggere la battuta di Nott sul lavorare a maglia. L’ho scritta perché mi sembrava molto probabile che Nott dicesse una cosa del genere. Mi sono immedesimata nel suo punto di vista, insomma. Ciò nonostante, porto un grande rispetto per le persone che sanno lavorare a maglia perché so quanto sia complesso, e un giorno mi piacerebbe imparare.
Detto questo, ci sentiamo alla prossima,
ChiarainWonderland

 

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Capitolo 21
*** Calma apparente ***


CAPITOLO VENTESIMO

CALMA APPARENTE


East Hampshire, 21 giugno 1955

«Più in alto! Più in alto, Finn!»

L’altalena oscillava a una velocità tale da rendere i contorni del mondo circostante un ammasso indefinito. O almeno era quello che vedeva Georgiana quando i riccioli biondi non le finivano davanti agli occhi. Le mani sudate erano aggrappate alle corde che reggevano l’altalena a uno dei giganteschi rami della quercia in giardino. Era l’albero più grande della zona.

«Dai, Finn… un po’ più su!» urlò un’altra volta, le gambe piegate in modo da ottenere la maggior spinta possibile. Già da sola era in grado di raggiungere l’altezza massima consentita dall’altalena, ma con l’aiuto del cugino ci doveva impiegare metà della fatica.

«Ti ho già detto che non mi piace quel soprannome!» urlò di rimando il cosiddetto Finn. Aveva il respiro pesante e irregolare. Le braccia tese e i palmi delle mani aperti erano pronti a spingere la schiena di Georgiana.

«Cos’è, preferisci il tuo nome?» fu la pronta e maliziosa risposta.

Finn si limitò a scrollare le spalle. Era abituato alle uscite schiette di quella bambina dai riccioli ribelli che si ritrovava in famiglia. Nonostante la giudicasse spesso irritante e inopportuna, tra la miriade di cugini Georgiana era la più vicina a lui d’età e, di conseguenza, la sua compagna di giochi più fedele. Dall’alto dei suoi sette anni e mezzo, si era inoltre incaricato di controllarla e proteggerla. Georgiana passava infatti dall’essere la creatura più tranquilla dell’universo al diventare un uragano in una manciata di secondi. Lui era l’opposto: pacato, serio, fin troppo maturo per un bambino.

«Sei sicura che non dobbiamo rientrare in casa?»

Georgiana scoppiò in una risata acuta. «Come sei noioso! Mamma mi ha detto di stare in giardino finché non ci vengono a chiamare».

«Chissà che cosa fanno lì dentro ogni volta» ribatté Finn, che quasi non si accorse di averlo detto ad alta voce. Le mani sudate mancarono la schiena di Georgiana e annasparono nel nulla.

«Ho provato a spiarli».

«Davvero?!»

«Sì, ma mi hanno sempre trovata».

«Chissà perché non sono sorpreso…»

«Ehi!» protestò Georgiana, e girò la testa quel tanto che bastava per guardare il cugino negli occhi. «Cosa vuoi dire?»

Le labbra di Finn si aprirono in un sorriso furbo. «Dico solo che sei una femmina, e le femmine non sono brave a nascondersi», spiegò, schivando una gamba di Georgiana che, quando l’altalena si era avvicinata, ne aveva approfittato per tirargli un calcio.

«Rimangiatelo!»

«No, perché è vero! Sono sicuro che non hai scoperto nulla di quello che succede lì dentro» continuò a infierire Finn, indicando con il dito l’imponente villa che si stagliava a un centinaio di metri di distanza.

«E invece ti sbagli di grosso! So che ci sono tante persone con i nostri genitori… un giorno mi ero nascosta dietro una tenda in corridoio, e le ho viste passare tutte!»

«Sì, prima che ti chiudessero la porta del salone in faccia» disse Finn. L’irritazione che provava in quel momento lo portava a spingere l’altalena sempre più forte. Le corde tiravano e stridevano contro la corteccia e il vento sferzava il viso di Georgiana, che raggiungeva ormai l’altezza del ramo.

«Smettila, non mi hanno chiuso la porta in faccia!»

«Invece sì, solo perché non lo vuoi ammettere…»

Ma Finn avvertì le ultime parole morirgli in gola. Perché Georgiana, che si era girata per controbattere e si reggeva con una sola mano, aveva perso la presa. Ed era stata catapultata in avanti. Successe tutto così in fretta che l’unica cosa che Finn riuscì a fare fu allungare le braccia in avanti, i palmi delle mani spalancati. Georgiana sembrò imitare la sua mossa un istante dopo, gli occhi puntati sul terreno che si avvicinava a rallentatore. Li chiuse d’istinto e si preparò al dolore dell’impatto. Solo che l’impatto non arrivò.

«Per Merlino!»

La voce di Finn era lontana anni luce, ma bastò a Georgiana per accorgersi che erano passati troppi secondi. Così riaprì un occhio, poi un altro, e infine spalancò la bocca dalla sorpresa. Stava fluttuando. L’aria pareva sostenerla e accompagnarla lentamente verso terra, una gigantesca rete invisibile sostenuta dal vento. Georgiana atterrò sul prato fresco di rugiada, prima le ginocchia e poi tutto il resto, e fu investita dalla tipica sensazione di chi tocca terra dopo un volo movimentato o mesi passati in mare. Strinse i fili d’erba tra le dita come se fossero ancore che la tenevano legata alla vita.

«Io… tu…» balbettò Finn. I due cugini si squadrarono rapiti in una tacita conversazione: ciò che era appena accaduto poteva significare una sola cosa. E infatti presero a correre verso casa senza curarsi di quello che era stato loro detto, intenzionati ad arrivare uno prima dell’altra. A metà strada cominciarono le spinte, gli sgambetti e i calci sugli stinchi. Tutto era ammesso nei loro giochi. Quasi come se li avessero sentiti, due slanciate signore uscirono dalla porta della villa che dava sul giardino.

«Mamma! Mamma, non ci crederai!» disse Finn non appena raggiunse la donna più alta. Era riuscito a superare Georgiana all’ultimo, ma il fiato corto gli impedì di continuare.

«Tesoro, cosa c’è? Siamo venute ad avvisarvi che potete rientrare in casa».

Finn si piegò in due. L’unica cosa che vedeva era il lungo vestito di raso di sua madre. «L’altalena… Georgiana… caduta…»

«Mia figlia è caduta dall’altalena?»

Era stata l’altra signora a parlare. Finn alzò lo sguardo e osservò ogni dettaglio di quella che avrebbe potuto benissimo essere scambiata per una Georgiana adulta: il viso segnato da qualche ruga contornato da riccioli biondi, l’abito dal taglio sartoriale, le dita ingioiellate. Non si poteva definire propriamente bella nel senso stretto del termine, ma Finn era certo di non aver mai visto donna più elegante.

«Cos’è successo? Tesoro, perché non rispondi?»

Finn si sforzò di regolarizzare il suo respiro. Prima che avesse anche solo la possibilità di aprire bocca, però, una quarta voce si fece largo a suon di strilli: «Non ascoltatelo! Non è come dice lui! Sono stata io a farlo!»

Georgiana percorse gli ultimi metri che la separavano dagli altri, saltando in maniera deliziosamente aggraziata la linea che divideva il prato dal selciato. Fu solo quando ebbe raggiunto Finn che sua madre si accorse dello stato deplorevole in cui versava.

«Per tutte le Mandragole di Tosca Tassorosso, Georgiana, le tue calze… le scarpe… e il vestito! Allora sei davvero caduta dall’altalena».

«Mamma, non è importante…» rispose Georgiana, ma lanciò comunque un’occhiata rapida al suo aspetto: le calze bianche esibivano due chiazze verdi all’altezza delle ginocchia, le costose scarpe con il fiocchetto erano imbrattate di terra e il vestito a balze aveva una spallina stracciata – che le era stata strappata da Finn una manciata di minuti prima quando, in un moto disperato, quest’ultimo aveva cercato di trattenerla mentre correvano giù per la collina –.

«Non voglio sentire storie. Sei in punizione, signorina! Te l’ho detto mille volte che devi stare attenta con quell’aggeggio babbano».

«Ma mamma, è successa una cosa incredibile…»

«Cosa? Cosa può essere successo di così incredibile?!»

«L’ho fatta volare!» esclamò inaspettatamente Finn. Le due donne lo guardarono come se gli fosse spuntato un terzo occhio sulla fronte.

«Prego?»

«Non dire frottole, Finn» intervenne Georgiana, «sono scivolata dall’altalena, ho allungato le braccia puntando le mani verso terra e ho iniziato a galleggiare in aria. Sono stata io a fare la magia».

«Anche io ho allungato le mani! Chi ti dice che non è merito mio?» tentò di protestare Finn, ma la madre di Georgiana si era già catapultata sulla figlia, dimentica della punizione, delle calze macchiate e del vestito spiegazzato.

«Oh, che emozione! Finalmente hai mostrato i primi segni di magia involontaria!»

«Ehi, mi avete sentito? Magari sono stato io!» ripeté Finn.

«Suvvia» lo consolò sua madre, inginocchiandoglisi accanto per poterlo guardare negli occhi, «non devi prendertela».

Finn aggrottò le sopracciglia. «Non me la sono presa» sussurrò, «dico solo che…»

«So cosa intendi. Ma spesso la magia involontaria si manifesta in una persona quando quest’ultima si trova in una situazione di imminente pericolo. Da quello che ho capito è stata Georgiana a cadere dall’altalena».

«Sì, però…» riprovò Finn speranzoso.

«Mi dispiace tanto, tesoro» lo interruppe di nuovo sua madre, «ma forse è meglio accettare la realtà. Vedrai che presto anche tu mostrerai di possedere il dono della magia, e sono sicura che diventerai un mago dalle capacità strabilianti».

Finn mantenne lo sguardo sulla ghiaia finché non poté più ignorare quegli occhi chiari che lo fissavano apprensivi. Sua madre non lo aveva mai deluso e non gli aveva mai mentito. Perché avrebbe dovuto farlo in quel momento? Così si buttò nelle sue braccia, tra le pieghe del vestito di raso e il profumo di vaniglia che emanava.

«Ti voglio bene, mamma».

«Anch’io, Thorfinn. Anch’io».


*    *    *


Hogwarts, 6 dicembre 2022

Quel venerdì mattina Rose si era svegliata nervosa. Un presentimento strano aveva preso a gironzolarle nella testa dal momento in cui aveva aperto gli occhi. No, non centrava il pensiero fisso che era diventato il sorriso di Malfoy, che continuava a tormentarla da giorni e giorni. E nemmeno il fatto di dover passare metà del tempo a ripetere a se stessa che no, quel ragazzo di certo non le poteva piacere. Forse la consapevolezza che nel pomeriggio si sarebbero tenuti gli ultimi allenamenti prima della partita contro Serpeverde…? Sì, forse era quello a renderla irrequieta.

«Buongiorno, Rosalie! Il sole è sorto, gli uccellini cinguettano… sai che giorno è oggi?» esordì Alice, spalancando le pesanti tende di velluto rosso della finestra. Era già pronta con divisa scolastica, capelli raccolti in una stretta coda alta e viso riposato. L’adrenalina del pre-partita l’aveva sempre resa vivace e pimpante, tranne in casi eccezionali – come quando era stata trascinata in Biblioteca per combinare un appuntamento tra il suo Capitano e una certa ragazza studiosa, si appuntò mentalmente Rose –, ma se ci si aggiungeva pure la neve, allora Alice diventava imperturbabile.

«Paciock, mi fai il favore di chiudere quelle maledette tende? Non credo che gli uccellini si mettano a cinguettare con questo tempo» brontolò Samantha dal suo letto, coprendosi la faccia con le lenzuola. In effetti, oltre le mura del castello si stava scatenando una vera e propria tempesta di neve.

Alice ignorò bellamente le lamentele e continuò a rivolgersi a Rose: «Sì Weasley, pensi bene, è il giorno prima della partita! Ti vuoi alzare o no?»

In un attimo Rose avvertì le coperte venirle strappate di dosso. Il freddo parve penetrarle fin dentro le ossa. «Ma sei matta?!» strillò, mentre tentava di divenire tutt’uno con il materasso. Stava per riprendere a inveire contro l’amica, quando lo sguardo le cadde sui fiocchi di neve che turbinavano contro la finestra.

«Miseriaccia, come riusciremo ad allenarci oggi solo Merlino lo sa…»

«Suvvia, è soltanto un po’ di neve. Non fare la tragica».

«Non per contraddirti Alice, ma a me sembra una bufera in piena regola» pigolò Isabel da sotto il cuscino.

Alice sbuffò, impegnata a scuotere Rose per un braccio. «Coraggio, siamo già in ritardo per le lezioni!»

«Be’, il fatto che l’orario di venerdì sia terrificante rende tutto più difficile. Due ore di Pozioni, una di Alchimia…»

«A me è andata bene con Babbanologia» borbottò Alice.

«…e come condanna finale, due ore di Storia della Magia prima di pranzo» concluse Samantha.

«Almeno potrò ripassare gli schemi di gioco prima di questo pomeriggio» ribatté Alice. Tutte le lanciarono un’occhiata rassegnata.

A colazione la Sala Grande era in subbuglio: i Grifondoro e i Serpeverde si squadravano malevoli dai propri tavoli. Sguardi colmi di sfida saettavano da un lato all’altro, rimbalzavano sui muri e serpeggiavano tra le pallide nuvole sul soffitto. Quando Albus e Malfoy entrarono dal portone a battenti, una serie di ovazioni si alzò dal tavolo verde-argento.

«Esibizionisti» soffiò Alice tra una cucchiaiata di porridge e l’altra.

«Io proprio non ci arrivo. Non è nemmeno il giorno della partita!»

«È il Quidditch, Sam» sentenziò Rose, «e tu non l’hai mai capito».

In effetti, il Quidditch era talmente preso sul serio che anche durante le lezioni di quella mattinata si poteva avvertire una certa tensione. Nelle due ore di Pozioni la classe si dovette confrontare con la Pozione Corroborante, un intruglio di livello Mago che causò non poche difficoltà. La pozione di Isabel si solidificò, diventando un tutt’uno con il calderone nonostante i tentativi di Samantha di salvare il salvabile. Ad Alice successe pure di peggio: un petalo di Ibisco di troppo portò il suo decotto a evaporare in un fumo nero. Rose se la cavò bene finché non arrivò Lumacorno a chiederle di rimanere in classe dopo la lezione, mandando la sua concentrazione a farsi benedire. E infatti, al termine delle due ore, l’enorme e anziano professore le comunicò con aria affabile che si sarebbe tenuta un’altra cena privata del Lumaclub prima della festa di Natale. Rose tornò dalle amiche, afflitta.

«Dai, pensa che adesso hai un’ora buca» tentò di consolarla Isabel.

Ma nemmeno il dolce far niente fu in grado di distrarla. Rose rimase sdraiata per un’ora sul divano cremisi della Sala Comune deserta, a fissare il soffitto. Rimuginò sui più disparati argomenti, che variavano dagli ormai frequenti e indesiderati sentimentalismi – Malfoy doveva averle fatto un qualche infido sortilegio – al Quidditch, al medaglione e infine a quel pallone gonfiato di Lumacorno e alle sue seccanti cenette. Quando raggiunse l’aula di Storia della Magia, Alice aveva occupato il solito banco; Isabel era quindi già filata ad Artimanzia.  La testa di Rüf sbucò dalla lavagna e si guardò in giro: non appena si accorse che mancavano ancora metà studenti, il professore si rintanò di nuovo nel suo ufficio.

«Weasley, sono qui!» esclamò Alice agitando una mano.

Rose alzò gli occhi al cielo, ma non poté fare a meno di sorridere. «Lo so dove sei, genio, occupiamo lo stesso banco da quando frequentiamo il corso» precisò, prendendo posto accanto all’amica. «Comunque, com’è andata Babbanologia?»

Ma prima che Alice riuscisse a rispondere, Samantha e Millie, reduci dalla lezione di Alchimia, si fiondarono a occupare il tavolo dietro il loro gettandoci sopra le borse. «Giuro che se la professoressa Berrycloth ci fa arrivare ancora in ritardo…» iniziò Samantha, «è già la seconda volta».

«Quand’è stata la prima?»

«Quando vi avevamo investite in pieno nel bel mezzo del corridoio, mentre correvamo a Difesa» spiegò Millie.

«Ah» si limitò a rispondere Alice, «sì, il mio ginocchio destro se lo ricorda bene».

«Volevo chiederti» s’intromise Rose, desiderosa di cambiare argomento visto che anche i suoi gomiti si ricordavano quella caduta, «i Serpeverde oggi si allenano dopo di noi. Li vai a vedere?»

«Ci andrei sicuramente, se non avessi un altro impegno».

«Davvero?!» se ne uscì Rose. Millie non si perdeva mai l’ultimo allenamento prima di una partita. Nemmeno con una bufera di neve. «E che avresti di così importante?»

«Ehm…» balbettò Millie, le guance paonazze. Ecco un’altra cosa che Millie non faceva mai: arrossire. Sembrava di avere davanti un’altra persona. «Tua cugina Molly mi ha chiesto di studiare insieme, questo pomeriggio. E io ho accettato l’invito».

Le tre Grifondoro si scambiarono uno sguardo di chi la sapeva lunga. «E cos’è che intendi esattamente per studiare?»

«Idiota!» sibilò Millie, colpendo Alice con la piuma d’oca, «Molly è disposta a darmi una mano in Astronomia. Ci vediamo come… amiche. Tutto qua».

Rose alzò le sopracciglia. «Ti piace» disse semplicemente.

Millie si astenne dal rispondere. «Ora giratevi, è arrivato Rüf» borbottò mentre frugava nella borsa, nel palese tentativo di nascondere le guance che si erano fatte, se possibile, ancora più rosse.

Rose e Alice l’accontentarono ridacchiando. «Voglio proprio vedere Millie alle prese con questa faccenda. Ti ricordi cosa avevo detto un po’ di tempo fa? Che l’ossimoro più grande che io abbia mai sentito ha come protagoniste le parole “Mildred” e “romanticismo”».

«E in tutto questo non sappiamo ancora il motivo del litigio tra Molly e Lorcan» ricordò Rose, mentre scribacchiava le parole del professore sulla pergamena.

«Sarà una cosa passeggera, vedrai» la tranquillizzò Alice con un vago gesto della mano.

Rose alzò le spalle e riprese a scrivere, tentando di stare al passo con Rüf. Il fantasma spiegava in fretta. Probabilmente il fatto di essere morto e di non avvertire il bisogno di respirare aiutava. Le parole si confondevano, si mescolavano e si creavano come oro che viene fuso per fabbricare monete.

«…di indole molto vivace ed estroversa, Grogan Stump venne eletto Ministro della Magia nel 1811 proprio per queste caratteristiche, che influenzarono il suo approccio politico. Solamente un altro mago gli somiglierà in questo aspetto: sto parlando di Hector Fawley, che salirà al potere più di un secolo dopo. I due sono così strettamente legati nell’immaginario pubblico da avere addirittura un monumento in comune… qualcuno sa quale?»

Silenzio di tomba. Rüf non si scompose.

«È al Ministero, sopra all’ingresso dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, in onore delle importanti riforme attuate dai due Ministri in questo settore. Si tratta di un bassorilievo in cui sono scolpiti un falco e una tigre, simboli delle due famiglie…»

Rose ci mise quattro secondi a collegare la tigre a un altro felino che la tormentava da settimane. Nella sua mente prese forma l’immagine del bassorilievo, solo che al posto dei due animali c’era una lince agile e fiera che la fissava dritta negli occhi. Provò a spostare lo sguardo, ma le iridi ambrate della lince la seguivano come se stessero fiutando una preda.

Un rumore in lontananza la ricosse e la costrinse a tornare alla realtà, dove tutti la stavano osservando allarmati. Rüf per primo aveva un’aria oltraggiata: qualcuno aveva osato interrompere la sua lezione. Rose non capiva. Cosa aveva combinato? Ma la risposta le arrivò non appena un rigolo di una sostanza nero pece fece capolino oltre il suo banco. Bastò sporgersi un poco per vedere la boccetta d’inchiostro, la sua boccetta d’inchiostro, in frantumi a terra. I pezzi di vetro erano ovunque. L’inchiostro s’infilava nelle crepe e si ramificava in centinaia di steli sottili. Rose rimase a fissarli, inorridita.

«Tu!» gracchiò il professore, puntandole contro un dito rugoso e trasparente. Non ricordava i nomi di nessuno studente. Nemmeno di Rose, l’unica che riusciva a strappargli qualche Eccezionale. «Che cosa hai fatto?»

«Io… mi dispiace… non ho…» balbettò Rose, mortificata.

Rüf non le diede il tempo di finire la frase: «Dopo la lezione ti fermerai qui a pulire il macello che hai combinato, senza magia! Così la prossima volta eviterai di interrompere la spiegazione in questo modo».

Scoraggiata, Rose si guardò attorno; ovviamente non le fu risparmiata la vista di Albus e Malfoy che ridacchiavano in ultima fila. A lezione terminata, Gazza il custode – il cui odio verso gli alunni sembrava aumentare con l’età – si palesò dal nulla, quasi avesse captato l’odore di punizione a decine di metri di distanza, con un secchio d’acqua e uno straccio lurido. Li consegnò a una Rose disgustata, che li prese con la punta delle dita. Lo straccio fu in grado di assorbire l’inchiostro, ma era talmente sporco che lasciò un alone scuro sulla pietra. Allora Rose si guardò in giro: Rüf era sparito attraverso la lavagna non appena era finita l’ora, mentre di Gazza nemmeno l’ombra. Così tirò fuori la bacchetta.

«Gratta e netta».

La lastra di pietra tornò come nuova, e Rose poté filare via. Alice era accanto alla porta, che l’aspettava. «Ma che diavolo è successo?»

«Eh?»

«A cosa stavi pensando quando hai fatto cadere la boccetta d’inchiostro?»

«Sai, potrebbe essere stato un incidente…»

«Non mi freghi, Rosalie. Ti stavo guardando. Eri palesemente nel tuo mondo».

Rose sospirò. Appurando che non ci fosse nessuno in giro, trascinò Alice in un angolo in penombra. «Credo di aver trovato una pista».

«Una pista?»

«Per il medaglione».

A quelle parole Alice strinse le labbra. «Pensavo che ormai ci fossimo rassegnate».

«Cosa? Assolutamente no! Anzi, dobbiamo andare subito in Biblioteca».

«Aspetta, aspetta, aspetta» disse Alice. Staccò il braccio dalla presa di Rose, che si stava già incamminando verso il terzo piano. «È ora di pranzo, e non ho intenzione di rinunciarci. E nemmeno tu».

«Allora questo pomeriggio…»

«Ci sono gli allenamenti! Non vorrai saltarli, vero?»

Ci fu una pausa di assoluto silenzio. Incredulità da parte di Alice, indecisione da parte di Rose. «Io…»

«Stai scherzando, Weasley?! James ha dovuto fare carte false per organizzarli!»

E Alice aveva ragione. Visto che il campo era stato prenotato dai Serpeverde per il tardo pomeriggio e che la sera faceva ormai troppo freddo per allenarsi, James non aveva trovato altra soluzione che non fosse quella di saltare le lezioni pomeridiane. Così era andato lui stesso dai professori a ottenere il permesso per ogni singolo componente della squadra. Rose non si era lamentata: avrebbe saltato Antiche Rune. Ogni scusa era buona per evitare la Nerivir, che da quella discussione nel suo ufficio sembrava tenerla fastidiosamente d’occhio.

«No, hai ragione» convenne. Era come se qualcosa fosse scattato nella sua testa. «Cosa dico, non possiamo saltarli. In Biblioteca ci andremo un altro giorno».

«Questo è lo spirito giusto! Domani c’è la partita contro le serpi, Rosie, la par-ti-ta. È il momento che sto aspettando dall’inizio dell’anno… quello che mi permetterà di dimostrare il mio valore, quello in cui avrò la possibilità di scaricare tutta la mia rabbia repressa verso tuo cugino a suon di Bolidi!»

«Lo so, lo so» ripeté Rose lungo il tragitto fino alla Sala Grande, mentre Alice non la finiva di parlare di quanto fosse fondamentale rimanere concentrati fin da subito e non lasciarsi andare in distrazioni. Al tavolo di Grifondoro raggiunsero Samantha e Isabel.

«Rüf è una testa di Troll» esordì Sam. «Scusami se non ti ho aspettata, Rosie, ma mi ero accordata con Isabel di vederci qui non appena la lezione fosse finita».

Rose fece un gesto vago della mano, impegnata com’era a fissare Alice che riempiva il suo piatto all’inverosimile: due bistecche, verdure miste, un’enorme porzione di purè di patate e sei polpette di carne.

«Ma come fai?»

Per tutta risposta Alice iniziò a riempire anche il piatto di Rose, con il tipico sorriso di un adulto che si rivolge a un bambino piccolo. «Dobbiamo essere in forze per questo pomeriggio. Non vorrai mica svenire in mezzo al campo».

«Non vorrei neanche vomitare in mezzo al campo» disse Rose. La montagna di cibo la fissava malevola, come se le stesse lanciando una sfida. “Non mi finirai mai”.

«No, non la finirò mai».

«Dai, almeno le polpette!»

Rose si sforzò di mandar giù qualche boccone, ma la verità era che non si poteva definire entusiasta di allenarsi: nevicava ancora, e parecchio. Il pensiero della partita così vicina, poi, non faceva altro che attorcigliarle le viscere. Fu solo grazie ad Alice che un’ora dopo arrivò in orario al campo, il che rappresentò un’impresa già di per sé. Il sentiero era infatti coperto da uno spesso strato di neve. I fiocchi turbinavano senza pietà, uniformando lo scenario in un bianco spento e senza luce. Le nuvole grigie che correvano in cielo non permettevano al più fievole dei raggi di sole di filtrare.

«Siete puntuali» constatò James quando le due ragazze entrarono negli spogliatoi. Rose lo ignorò preferendo salutare Debbie, con cui non si vedeva spesso fuori dagli allenamenti per via dei vari impegni. Ben stava in piedi con aria solenne accanto al suo Capitano. Alice gli fece l’imitazione e suscitò l’ilarità di tutti.

«Bene», iniziò James non appena le risate scemarono, «il discorso lo risparmierò per domani. So che le condizioni atmosferiche non sono ideali, ma voglio chiedervi di approfittare di queste due ore per correggere gli ultimi errori, abituarsi al freddo o semplicemente mettersi nell’ottica della partita» .

Le parole furono accolte con vari cenni di assenso. L’intera squadra uscì dagli spogliatoi e percorse in silenzio il corridoio fino al varco che si apriva sul campo. Rose rimase a osservare per qualche istante quel bianco totale che annullava qualunque altro colore: era come se stesse per entrare nel nulla. Strinse la scopa tra le dita congelate. Doveva concentrarsi. Spinse il medaglione, la partita, il Lumaclub e Malfoy in un cassetto, che chiuse a chiave.

Era pronta.

 






 

 

Angolo autrice
Ehilaaaaaaà!
Ok, è passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho pubblicato, ma il rientro a scuola è stato più traumatico del previsto. Non so per quanto tempo ci andrò ancora. Mi sono già rassegnata al fatto che, prima o poi, nonostante gli sforzi, la scuola chiuderà di nuovo.
Cooomunque, passando al capitolo. Sono accadute un bel po’ di cose. Prima di tutto, abbiamo fatto la conoscenza del cugino di Georgiana… e non sarà l’ultima volta che lo incontreremo. Finalmente si apre uno spiraglio sulla storia del medaglione. Che pista avrà trovato Rose? Lei e Alice si metteranno ancora nei guai? La risposta a quest’ultima domanda è abbastanza prevedibile direi. E poi, si avvicina la famigerata partita contro Serpeverde. E qui, gente, si aprono le scommesse! Io spero solo che Alice non si faccia prendere troppo dall’entusiasmo… E Millie e Molly? Ormai si è capito che c’è qualcosa tra loro. Cos’è successo tra Molly e Lorcan, invece, resta ancora un mistero.
 Un ringraziamento doveroso va a tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite, preferite e ricordate, e ovviamente eventuali pareri sulla storia sono sempre ben accetti. Noi ci vediamo alla prossima (e prometto che sarà prima del previsto).
A presto,
ChiarainWonderland

 

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Capitolo 22
*** La lince rivelatrice ***


CAPITOLO VENTUNESIMO

LA LINCE RIVELATRICE


Quando si era coricata, la sera prima, Rose aveva trascorso un intero quarto d’ora a pregare Merlino. Aveva indossato la camicia da notte, si era infilata sotto alle coperte e aveva tirato le tende cremisi del baldacchino. Di solito non le chiudeva mai, ma per quella volta dovette fare un’eccezione: non voleva che le altre – soprattutto Alice – la vedessero con le mani giunte, gli occhi serrati dalla concentrazione e la fronte aggrottata. Rose pregò di non trovare una tempesta di neve al suo risveglio, all’alba del giorno della partita. Mai il Quidditch l’aveva spaventata a tal punto da portarla a chiedere un piccolo aiuto dall’alto.

«Il sole! C’è il sole!»

Come previsto, la mattina dopo fu la voce di Alice a svegliarla. Rose si stropicciò gli occhi e aprì le tende. Le sembrava di essersi addormentata solo due minuti prima, e invece erano passate delle ore. Quando guardò fuori dalla finestra, una luce accecante la costrinse a distogliere gli occhi.

«È un buon segno» concesse Samantha. Nonostante odiasse il Quidditch per principio, nei giorni delle partite s’impegnava nel sostenere le amiche come poteva. Rose tirò un sospiro di sollievo. Non solo il tempo era ideale, ma il pomeriggio precedente gli allenamenti si erano svolti a gonfie vele nonostante la bufera di neve. Era addirittura riuscita a calibrare il tiro nell’anello sinistro, guadagnandosi i complimenti di James.

Samantha e Isabel scesero per prime in Sala Grande. Rose e Alice decisero di prendersela comoda, visto che alla scorsa partita non avevano potuto godere di questo lusso. Indossarono con calma la divisa mentre ripetevano gli schemi di gioco, in modo da non dover patire il freddo negli spogliatoi, e cercarono di distrarsi parlando del più e del meno. Rose prestò attenzione a non accennare mai al medaglione. Si era ripromessa di non pensarci, almeno per quel giorno, e soprattutto per il bene di Alice: nonostante la neve, l’ansia crescente stava intaccando anche il suo umore. Quando sbirciarono dal portone a battenti, le due ragazze constatarono che la Sala Grande era già piena, e che molti dei membri delle squadre si trovavano ai propri tavoli circondati e inneggiati dai compagni. I Serpeverde, in particolare, ridevano e scherzavano come se non avessero un pensiero al mondo. Appena superata la soglia Rose avvertì parecchi sguardi venirle puntati addosso, ma cercò di non badarci. Raggiunse il tavolo dei Grifondoro e filò dritta dalla sua squadra, seguita da Alice.

«Ragazze!» esclamò Debbie. Si alzò in piedi e assestò alle compagne di squadra due poderose pacche sulle spalle, sorprendentemente forti per una persona così esile. «Come state? Venite, ci vuole una bella colazione».

James, Evan e David le salutarono con un cenno del capo. Ben, pallido e tremante, si limitò a rivolgere loro un’occhiata prima di tornare a giocherellare con il porridge. «È la sua prima partita contro Serpeverde e la cosa lo preoccupa non poco» si prese la briga di spiegare Debbie.

«Coraggio Ben, la scorsa volta sei andato benissimo! Cos’è che ti rende così nervoso?» intervenne Alice, che come al solito aveva iniziato a riempirsi il piatto con qualsiasi pietanza le capitasse a tiro.

Per tutta risposta Ben puntò lo sguardo spiritato verso la parte opposta della sala, e tutti lo seguirono. I giocatori di Serpeverde si erano alzati in piedi e stavano brindando con i calici colmi fino all’orlo. James rise amaramente, le iridi nocciola fisse sul fratello. «Con Pucey ancora fuori gioco io non riderei se fossi in loro».

«È il Battitore che è stato colpito da un Bolide in piena faccia?» chiese Rose, ricordandosi ciò che le aveva detto Albus in un corridoio del quinto piano qualche settimana prima, durante uno dei loro frequenti diverbi.

«Proprio lui. L’hanno sostituito con un ragazzino smilzo del terzo anno, quello alla destra di Malfoy. Niente che David e Alice non riescano a gestire. L’ho osservato durante gli ultimi allenamenti, e vi posso assicurare che…»

Ma James s’interruppe a metà frase, perché un’ombra si stava allungando sul tavolo. Una mano titubante picchiettò sulla spalla di Alice, che si girò talmente in fretta da rischiare di rovesciare la sua tazza di latte.

«Ehm… scusate… disturbo?»

Rose spalancò gli occhi. Era uno dei gemelli Finch-Fletchley, lo stesso che a Mielandia aveva salutato timidamente Alice. Basso e magrolino, se ne stava in piedi come se fosse appeso a un gancio e si torturava in continuazione le mani. Guardava speranzoso Alice con i grandi occhi azzurri.

«Oh…ciao?» se ne uscì lei in evidente difficoltà. Squadrava il nuovo arrivato come se stesse cercando di decifrare un codice antico quando in realtà, immaginò Rose, si stava impegnando nel ricordare il suo nome.

«Dew» le venne in aiuto lui, «mi chiamo Dew. Ehm… senti, volevo solo augurarti buona fortuna per la partita. Ah e, ovviamente, tifo per il Grifondoro» aggiunse, e a dimostrazione di ciò tirò fuori dalla tasca una malconcia bandierina a strisce oro e rosse.

Alice ingoiò lentamente il boccone di cereali che stava masticando e cercò di sembrare colpita. «Oh… grazie… anche se non so quanto ti convenga tifare per noi» dichiarò pratica. «Se vinciamo questa partita, e poi anche quella contro voi Tassorosso, vi sarà molto difficile rimontare per ottenere una posizione decente in classifica».

David sghignazzò. Evan sputacchiò metà del succo di zucca addosso a James, che protestò sonoramente: «Ma che cavolo, Mitchell! Dovevi farlo proprio oggi!?»

Evan roteò gli occhi, ma tirò fuori la bacchetta e con un fluido gesto della mano fece scomparire la macchia dalla divisa di James. Rose scosse la testa, divertita, rivolgendo lo sguardo verso i Serpeverde per studiare il Battitore del terzo anno. Quando si accorse che Malfoy gli era ancora seduto accanto e che, per di più, la stava osservando, decise che per quella volta poteva anche rinunciare al suo intento. Così abbassò gli occhi, chiedendosi perché mai Malfoy dovesse squadrarla in quel modo a colazione. Stava per caso valutando il suo umore, in modo da sfruttarlo durante la partita? Era dunque lei stessa un elemento di studio per gli avversari? Rose non ne aveva idea, ma quando si azzardò a rialzare lo sguardo Malfoy era ancora lì, completamente indifferente alle parole che il nuovo Battitore gli stava rivolgendo.

Mezz’ora dopo la squadra al completo si trovava negli spogliatoi. Tutti erano pronti, con le scope sottobraccio, le espressioni concentrate e il battito del cuore accelerato dall’adrenalina. E dalla paura. «…quindi, quel che intendo è che… sono fiero di voi» concluse il suo discorso James. Accanto a lui c’era Ben, che si trovava in quell’esatta posizione anche il giorno prima, e Rose provò un forte senso di déjà-vu. Tutto pareva uguale: il freddo, le divise scarlatte, il fiato che formava tante nuvolette di vapore. Da un momento all’altro le risate spensierate della squadra avrebbero potuto riempire il vuoto opprimente, ma non arrivarono mai. L’aria solenne di Ben era infatti svanita, lasciando il posto a un broncio corrucciato. Alice non gli fece l’imitazione e nessuno osò interrompere il Capitano.

Uscirono dagli spogliatoi uno alla volta, con Rose, Alice e Debbie a chiudere la fila. Stavano percorrendo il corridoio che li separava dal campo, quando un bisbiglio seguito da una risatina portò Rose a girarsi. Appiattite contro il muro e nascoste nell’ombra c’erano Millie e Molly, e avevano l’aria di divertirsi un mondo.

«Pssst, Rose! Per Salazar, la divisa da Quidditch comprende anche i tappi per le orecchie?» fu il sussurro di Millie, a cui seguì l’ennesima risatina.

Rose sospirò. Poi agguantò Alice per una manica e la trascinò indietro, stando ben attenta a non attirare l’attenzione di Debbie. Quando si fu avvicinata abbastanza notò che Millie indossava la sciarpa azzurra a ghirigori bianchi che le aveva regalato Molly.

«Cosa ci fate qui? Non solo è contro le regole, ma la partita sta addirittura per cominciare!» sibilò Alice contrariata.

«È questo il modo di trattare due amiche venute ad augurarti buona fortuna, Paciock?» replicò Millie con aria innocente. «Non fraintendetemi, tifo sempre e comunque la mia Casa. Spero solo che il margine di vittoria non sia troppo eccessivo!»

«Sei acida perché Vaisey ha sostituito Pucey con un ragazzino invece che con te?» ribatté Alice.

«Bene, noi dobbiamo andare… coraggio, so che darete il massimo» pigolò Molly, prima che Millie avesse la possibilità di rispondere.

«Rose! Alice! Che diavolo state facendo!?» gridò James dal semicerchio di luce in fondo al corridoio. Millie e Molly si rintanarono nell’ombra, appiattendosi contro il muro. Rose concesse loro un ultimo sorriso – Alice solo a Molly – e decise saggiamente di tornare dai compagni.

«Niente, mi sembrava di aver visto qualcosa» rispose, arrancando e spintonando finché non raggiunse James. Non si dimenticò di concedere una pacca d’incoraggiamento a Ben, quando gli passò accanto.

«Sei pronta?» sussurrò James, «ricorda… la felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce».

«La devi smettere con questa frase» scherzò Rose, ma in fondo era grata che il cugino gliel’avesse ripetuta.

«Forza, andiamo».

Entrarono nel campo acclamati da urla festanti. La voce di Fred non si fece attendere e rimbombò per tutte le tribune, annunciando uno ad uno i giocatori. Rose seguì James, una mano serrata sul manico di scopa, finché non si trovò davanti Madama Bumb e ai Serpeverde al completo. Malfoy era girato a parlare con il suo Capitano, mentre Albus le rivolse un sorrisino che non augurava niente di buono. Rose decise di ignorarlo e di concentrarsi su un punto fisso davanti a sé.

«Bene, conoscete le regole e siete consapevoli che non apprezzo le scorrettezze» esordì Madama Bumb. Prese in mano la Pluffa e si posizionò al centro del cerchio formato dalle due squadre. Rose sorrise incoraggiante a Ben e scambiò un ultimo sguardo d’intesa con Alice. Al suono del fischio d’argento quattordici giocatori s’innalzarono in volo e Madama Bumb lanciò la Pluffa.

«Weasley s’impossessa subito della Pluffa e sfreccia verso gli anelli avversari, immediatamente seguita da Potter e Vaisey!»

Rose non avvertì nemmeno la voce amplificata di Fred. Era troppo concentrata a reggersi con una mano al manico e a tenere la Pluffa con l’altra, mentre Albus cercava di sbilanciarla. Tentò di depistarlo volando basso, fino a sfiorare il fitto strato di neve che ricopriva il suolo e a provocare l’innalzarsi di una candida nube pungente. Ma Albus era ancora dietro di lei. Proprio quando anche Vaisey riuscì a fiancheggiarla sul lato destro, Rose si accorse che l’anello sinistro avversario si stava avvicinando sempre di più. Decise di puntare a quello, nonostante rappresentasse il suo punto debole.

«Weasley si prepara a tirare, punta l’anello centrale… ed era una finta! Bella giocata, ma Bolton para con facilità» esclamò Fred con una punta di delusione.

La Pluffa venne conquistata da Albus, che saettò via. Rose rimase lì impalata, gli occhi ancora puntati sugli anelli. Aveva provato così tante volte quella mossa. Il giorno prima le era riuscita perfettamente in allenamento, eppure nel momento che contava davvero non era stata in grado di soddisfare le aspettative. “Come al solito…” si disse.

«Rose… Rose! Muoviti!» la riscosse una voce. Era Debbie, i lunghi capelli scuri frustati dal vento. Accennò alla loro parte di campo, dove un Albus esultante aveva appena segnato. Rose inorridì: se James si fosse accorto del suo errore… ma era troppo occupato a scandagliare il campo alla ricerca del Boccino, così come Malfoy.

«Andiamo Rose, Ben ha bisogno di aiuto!»

Non facendoselo ripetere due volte, Rose sfrecciò verso il povero Ben che, paralizzato dalla paura, era stato accerchiato dai Cacciatori avversari. Ma un Bolide provvidenziale arrivò con la potenza di un tornado e li sbaragliò tutti quanti. Rose cercò con lo sguardo Alice e David, che si stavano battendo il cinque. Poi ripartì all’inseguimento della Pluffa.

«Debbie Linton vola verso gli anelli avversari fiancheggiata da Weasley e McLaggen… ma ecco che Fernsby cerca di rompere la formazione! Troppo tardi, Linton tira e segna! Dieci pari!»

L’ultimo goal risollevò gli animi della squadra scarlatta, ma l’ottimismo ebbe vita breve. Evan iniziava ad accusare i primi segni di stanchezza dovuti ai continui attacchi, e i Serpeverde si portarono in vantaggio di altri quaranta punti. E fu solo allora che James si accorse di ciò che stava succedendo. Lasciò perdere la caccia al Boccino, chiese un time-out e si catapultò dai suoi Cacciatori.

«Ma che diavolo fate!?»

«Sono fortissimi, James» tentò di spiegare Debbie, «a quanto pare si sono allenati parecchio e hanno perfezionato nuove tattiche…»

«Fortissimi!? Siete voi che state facendo schifo! Cos’era quella mossa di prima, eh? E Ben, ti vuoi dare una svegliata? Sei terrorizzato dai Serpeverde tanto quanto dalle ragazze che ti gironzolano intorno negli ultimi tempi!»

«James!» esplose Rose incredula. Ben si limitò a distogliere lo sguardo, le guance paonazze dalla vergogna.

«Che c’è, è vero! Ora cercate di ricordare ciò in cui vi siete esercitati durante gli allenamenti e attaccate il più possibile».

La partita ricominciò tra i mormorii perplessi della folla, che osservava i tre Cacciatori Grifondoro tornare in campo con particolare interesse. Di solito la richiesta di un time-out non lasciava presagire nulla di buono. E infatti, l’umore dei Serpeverde era alle stelle.

«Ed ecco che il gioco riprende dopo il time-out dei Grifondoro! Hanno forse discusso di qualche tattica segreta che stanno per mettere in atto?» ipotizzò Fred, ma dal suo tono di voce trapelava una vena disperata che non avrebbe convinto nemmeno il più stolto degli stolti. Il professor Paciock, seduto lì accanto, non era da meno e riservava occhiate apprensive ad Alice. A quanto pare, la squadra non era stata la sola a sottovalutare gli avversari.

«McLaggen frega la Pluffa a Vaisey da sotto il naso! Forse Ben si è risvegliato dallo stato catatonico in cui si trovava a inizio partita? Passaggio diretto a Linton, poi Weasley, di nuovo McLaggen… e segna, McLaggen segna! I Grifondoro salgono a venti punti!»

Il tempo di battere un cinque e i Cacciatori dovettero scansarsi a causa di un Bolide che arrivava a tutta velocità. Dietro di loro apparve David, che spedì la micidiale sfera di ferro dall’altra parte del campo con un colpo ben assestato.

«Attenta, Alice! Stavi per colpire tre dei nostri!» urlò prima di sfrecciare via.

La Pluffa finì di nuovo nelle mani di Albus, ma quella volta Rose non se la lasciò scappare. Si avvicinò al cugino tanto quanto bastava a fiancheggiarlo: se l’avesse urtato per sbaglio, sarebbero finiti entrambi a terra. Poi cercò di deviarne la traiettoria con subdoli sbandamenti, proprio come aveva fatto lui a inizio partita. Volavano così bassi da sfiorare la neve con i lembi delle divise.

«Ah, usi il mio gioco Rosie? Cosa pensi di ottenere?» se ne uscì Albus divertito. Rose venne allontanata da una spinta particolarmente forte e rimase investita dalla scia di schegge ghiacciate creata dalla scopa. Ma non si arrese e, lottando contro il dolore del gelo che le sferzava le guance, spuntò dal nulla e colpì il cugino con tutta la potenza che aveva in corpo.

«Sta’... zitto!» urlò, e fu con immensa gioia che accolse la Pluffa tra le sue braccia.

Proprio quando era ormai a un soffio dal segnare, un boato generale proveniente dalla folla la spaventò a tal punto da distrarla, mancando l’anello. Quando si girò si accorse in una frazione di secondo che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Riuscì a malapena a vedere un Bolide sfrecciare sicuro verso Evan, troppo impegnato a osservare il gioco in campo per scansarsi in tempo. La sfera metallica era più rapida di lui. E l’impatto fu terribile. Evan venne colpito in pieno alla spalla, batté la schiena contro il palo dell’anello centrale e cadde al suolo come una bambola di pezza. La neve attutì la botta, e sul manto bianco il colore scarlatto della divisa pareva sangue che sgorgava da una ferita. A una decina di metri di distanza, con la mazza ancora in posizione di lancio, si stagliava la giovane nuova recluta dei Serpeverde. Rose lo squadrò incredula.

«Evan!» gridò Debbie. Scattò in avanti come se stesse per precipitarsi da lui, ma Rose era poco distante e riuscì a trattenerla in tempo.

«Non puoi» le strillò di rimando, «dobbiamo continuare a giocare!»

Anche lei avrebbe desiderato mandare al diavolo la partita e correre ad accertarsi delle condizioni di Evan, ma le regole erano regole: il gioco poteva essere fermato solo in caso di incidente grave. E Rose era quasi sicura che ciò che era capitato allo sfortunato compagno di squadra non era classificabile come tale.

«M-ma… lui…» insisté Debbie. A Rose si spezzò il cuore nel vederla così sconvolta. Un lampo di memoria la immerse in un’immagine lontana di settimane, colma di adrenalina, risate e Whiskey Incendiario. La festa per la vittoria contro i Corvonero era un ricordo vivido, così com’era vivido lo sguardo di Evan che adocchiava in continuazione la Cacciatrice dai capelli scuri vicino al tavolo delle bevande. Sul momento Rose non ci aveva dato troppo peso – d’altronde, era assorta nella terribile decisione che riguardava il bere o non bere un liquore – ma ora, a mente fredda, cominciava a collegare i pezzi del rompicapo.

«Mi dispiace Debs» si limitò a mormorare, «prima finiamo, prima andiamo da Evan».

In campo gli avversari erano impegnati a scandagliare ogni angolo alla ricerca della Pluffa. Rose sbuffò e volò verso terra: la palla le era caduta, finendo dritta nella neve.

«Weasley recupera la Pluffa e viene subito accerchiata… Linton accorre in suo aiuto ma non riesce a sciogliere la formazione dei Serpeverde» commentò Fred, il cui tono tradiva una nota di agitazione, «Fernsby conquista la Pluffa, vola fino agli anelli e segna! Sessanta a venti per Serpeverde!»

Senza portiere e con Debbie totalmente nel pallone, Rose ci mise poco a capire che Grifondoro avrebbe perso. Nonostante gli sforzi di tutti i suoi compagni nel compensare l’assenza di Evan buttandosi davanti agli anelli, i Cacciatori avversari segnarono, e segnarono, e segnarono finché il loro vantaggio divenne incalcolabile. Quando James fregò il Boccino a Malfoy, Rose non dovette aspettare che Fred annunciasse il risultato. Era perfettamente consapevole che Serpeverde aveva vinto.

*    *    *

Il giorno dopo la partita era sempre calmo. Mentre i vincitori festeggiavano, coloro che avevano perso non osavano mettere il naso fuori dalla loro Sala Comune, dove rimanevano barricati a leccarsi le ferite. Rose decise di approfittarne per mettere in atto l’idea che le era venuta in mente durante Storia della Magia. Nemmeno l’umore nero di Alice la trattenne dal trascinarla in Biblioteca.

«Come ha fatto quella piccola inutile Serpe a mettere fuori gioco Evan, possibile futuro Portiere dei Puddlemore United e giocatore esperto? Proprio lui, così debole e mingherlino? Quattrocentoventi a centosessanta… non riuscirò più a camminare nei corridoi dalla vergogna. Dicono che i Serpeverde stiano ancora festeggiando, giù nei sotterranei… e tuo cugino, mi sa che non potrò più guardarlo in faccia».

«Parlando di questioni importanti» scattò Rose, «Evan è ancora in Infermeria?»

Alice parve per un istante infastidita di essere stata interrotta nel bel mezzo del suo monologo che andava avanti da due ore, ma rispose lo stesso: «Sì, David me l’ha detto oggi a colazione. Sta bene, ha solo preso una bella botta alla spalla. Debbie è lì da questa mattina e nessuno è riuscito a convincerla ad uscire, nemmeno Madama Chips».

Un sorriso spontaneo increspò le labbra di Rose. «Ha trovato pane per i suoi denti» commentò, citando un vecchio detto babbano.

Alice si guardò in giro con fare sospetto. «Dicono che James sia furioso» sussurrò. Rose alzò gli occhi al cielo.

«James deve imparare a perdere».

«Ci è rimasto male perché questa era la sua ultima occasione di battere i Serpeverde prima del diploma» continuò Alice, e le sue parole rappresentavano un eufemismo. Dopo la partita James non aveva spiccicato una sola parola. Si era cambiato negli spogliatoi in un ostinato silenzio e aveva lasciato la sua squadra lì impalata. Nessuno aveva osato fermarlo.

«Questa non è una scusa per comportarsi come un Troll. Ieri durante il time-out ha detto qualcosa di davvero poco carino a Ben».

Nel mentre erano giunte davanti alla Biblioteca deserta. I corridoi erano vuoti, tant’è che non avevano incontrato nessuno senza contare un paio di fantasmi che vagavano come anime solitarie. «Madama Wells troverà strano che ci rinchiudiamo qui di domenica pomeriggio a cercare chissà cosa, visti i nostri trascorsi».

«Non preoccuparti» liquidò la faccenda Rose, «ho pensato anche a questo».

Come predetto da Alice, Madama Wells si palesò di fronte a loro appena misero piede nell’enorme sala. Portava la lunga veste di velluto rosso con grazia, come una regina che accoglieva dei forestieri nel suo regno. Le squadrò dall’alto in basso.

«Ragazze, posso aiutarvi in qualche modo?» esordì incerta, probabilmente ancora traumatizzata dal ricordo di Rose che rimetteva i libri a casaccio sugli scaffali. Rose s’impegnò allora nel replicare la sua migliore espressione abbattuta. Tirò un’impercettibile gomitata ad Alice, che si sbrigò a imitarla.

«Temo, Madama, che le nostre angosce vadano oltre il suo aiuto» ammise. Alice la guardò come se fosse impazzita e ricevette in cambio l’ennesima gomitata. «Purtroppo la funesta perdita contro Serpeverde ci ha debilitate sia nel corpo che nello spirito».

«Oh sì, immagino» concesse Madama Wells, «ancora adesso ricordo l’orribile sensazione legata alle mie prime sconfitte in campo».

Rose dovette trattenersi dall’esultare: aveva centrato l’obiettivo. L’unico modo per rabbonire Madama Wells era puntare sul suo debole per il Quidditch. Ricordava ancora quando lei e Alice avevano sorpreso la bibliotecaria con una bandierina blu e bronzo in una mano, il giorno della partita contro Corvonero.

«Speravamo di poterci rifugiare qui, tra i nostri amati libri, in modo da evitare la tremenda desolazione che regna nella nostra Sala Comune».

Madama Wells tergiversò, indecisa se fidarsi o meno. Poi riportò gli occhi sulle due ragazze, e Rose si premurò di rendere la sua espressione ancora più afflitta. «Oh, e va bene, ma quando ve ne andrete voglio trovare i libri esattamente dove li ho lasciati. Io sarò nel mio ufficio, se avrete bisogno di me» decretò infine, e se ne andò con un sordo fruscio della lunga veste.

Rose mantenne l’aria abbattuta finché Madama Wells ebbe svoltato l’angolo, e solo allora si permise di sorridere soddisfatta. Si avviò verso uno specifico scaffale, e Alice non ebbe altra scelta che seguirla.

«Cosa hai intenzione di fare, di preciso?»

«Lo vedrai» rispose enigmatica Rose. Si fermò di botto e iniziò a percorrere con l’indice i titoli dei tomi, fino a quando non arrivò a uno in particolare che attirò la sua attenzione. Lo tirò fuori, e dovette afferrarlo con due mani da quanto era pesante.

«“Dinastie magiche dal Medioevo a oggi”?» lesse Alice.

«L’ho usato così tanto in questi anni che so a memoria dove è riposto».

«Weasley, ti sarei grata se ora mi mettessi al corrente della tua idea».

Rose si abbandonò a un respiro profondo. «Ti ricordi che venerdì Rüf aveva parlato di Stump e Fawley, i due Ministri della Magia?»

Alice si passò una mano sul collo, palesemente in imbarazzo. «Ecco, me lo ricorderei se non fossi stata occupata a fare un sonnellino, prima che tu facessi cadere la boccetta d’inchiostro…»

«Lascia perdere. Come stavo dicendo, al Ministero c’è un bassorilievo in loro onore con i simboli delle loro famiglie. Un falco e una tigre».

«Non vedo come questo centri con…» iniziò Alice, ma venne interrotta da un’occhiata incredula di Rose. Un’occhiata che pareva urlarle di ampliare le proprie prospettive e guardare oltre al proprio naso. Alice colse quello che l’amica le aveva lasciato intendere, una consapevolezza segreta che galleggiava tra di loro come una frase non detta, ma che se pronunciata avrebbe perso metà della sua potenza.

«Non crederai che…?»

«Perché no? Fino ad ora abbiamo cercato basandoci sull’unica certezza che avevamo, ovvero che la lince rappresentasse un codice o un messaggio segreto. E se tutto quello che pensavamo si rivelasse sbagliato? Se la soluzione fosse in realtà più facile del previsto?»

«Non tutte le famiglie hanno un animale come emblema. Alcune non ce l’hanno proprio».

«Ma le più antiche sì. Le più importanti ce l’hanno. I Lestrange avevano un corvo, i Silente una fenice… Merlino, anche la mia famiglia ha come simbolo una donnola».

«Davvero?» se ne uscì Alice, ma Rose aveva già aperto il mastodontico volume e sfogliava le pagine spesse come pergamene. Dopo circa mezz’ora si fermò, indicando ad Alice un paragrafo in particolare.

«Guarda qua».

«“Famiglia Rowle”…» lesse Alice scettica, «“emblema: lince”».

«Il segreto sul medaglione potrebbe centrare con questa casata. Se il medaglione di Georgiana ha inciso il suo simbolo, allora lei doveva farne parte».

«Georgiana Rowle» disse Alice, come se stesse assaporando lentamente il gusto di quelle parole. Poi i suoi occhi castani s’illuminarono. «Aspetta, non c’era un Mangiamorte che si chiamava Rowle?»

«È vero… ma d’altronde stiamo parlando di vere e proprie dinastie magiche. Ci saranno decine di persone in Inghilterra che portano questo cognome».

Alice sembrò pensarci su. «Per caso dà qualche altra informazione?»

«“L’antica e nobile casata dei Rowle”» recitò Rose, «“è una delle cosiddette ‘Sacre Ventotto’, invero considerate nell’opinione comune le ultime ventotto famiglie non contaminate da sangue non magico esistenti attualmente. Primi accenni riguardanti il cognome dei Rowle risalgono al tredicesimo secolo, anche se la famiglia acquistò potere e prestigio solamente nel quindicesimo secolo con Finward l’Astuto”».

Alice alzò di scatto la testa. «Nient’altro? Sono poche informazioni per un libro così grande».

«Qui dentro ci sono scritte tutte le dinastie magiche dal Medioevo ai giorni nostri. È ovvio che non si soffermi per pagine intere su ognuna di esse».

«Bè» continuò a obiettare Alice, «di sicuro avrebbero potuto aggiungere più dettagli, se non ci fosse stato quell’enorme disegno del loro vessillo».

In tutta risposta Rose passò le dita sulla superficie ruvida della carta, dove oro e grigio si univano a creare una lince rampante con un paio d’occhi che sembravano due gocce d’ambra da quanto erano vividi. Un silenzio pregno di incertezza appestò l’aria.

«Ma queste sono tutte supposizioni, no? Non saremo mai in grado di sapere se la nostra teoria è corretta, se davvero Gerogiana Harris fosse in realtà una Rowle».

«Veramente» ribatté Rose, «un modo c’è».

Rimise accuratamente il volume nello scaffale e si avviò verso un altro reparto della Biblioteca. Al contrario della precedente ricerca ci mise parecchi minuti per trovare ciò di cui aveva bisogno. E ciò di cui aveva bisogno corrispondeva a un libro ancora più grande e pesante del primo.

«“Alberi genealogici del mondo magico”... non l’avevamo mai preso in considerazione prima d’ora».

«Senza una pista non avremmo mai potuto pensare di controllarlo tutto… Ah, qui dice che le informazioni vengono costantemente aggiornate» mormorò Rose più a se stessa che all’amica, mentre osservava la prima pagina. Sapendo già cosa cercare, consultò l’indice a inizio volume: l’albero genealogico dei Rowle occupava due delle pagine centrali. Rose le trovò, girò il libro in verticale e aprì dei lembi che ne raddoppiarono l’ampiezza. Davanti ai suoi occhi crebbe sulla carta bianca un’enorme quercia nodosa che si articolò in decine e decine di ramificazioni, da cui spuntavano foglie e fiori. Fu un momento incredibile. Ma il momento ancora più incredibile, quello che fece emozionare Rose e sorprendere Alice, accadde quando il nome di Georgiana Rowle apparve su uno degli ultimi rami, circondato da delicati boccioli gialli.







 

Angolo autrice
Ehilà, eccoci qui con un nuovo capitolo! Nonostante la chiusura delle scuole, sono stata comunque impegnata con verifiche e interrogazioni, addirittura più del solito. Perciò non sono riuscita a pubblicare nei tempi che avevo previsto, ma l’importante è che alla fine ci sia riuscita. Beh, da dove iniziare… la partita è finita come è finita, con la vittoria dei Serpeverde. Mi è dispiaciuto dover mettere fuori gioco Evan, ma era necessario ai fini della trama. Debbie sembrava essere molto preoccupata per lui. Non so chi si ricorda della festa per la vittoria contro Corvonero, ma se andrete a controllare potrete constatare da voi che Rose si era davvero accorta di certi sguardi che il nostro portiere lanciava alla formidabile cacciatrice. Tornando a noi, c’è stata una scoperta fondamentale riguardo a Georgiana. È quindi una Rowle? Gli alberi genealogici non mentono. E il Mangiamorte grande e biondo che abbiamo conosciuto nei Doni della Morte potrebbe essere coinvolto più di quanto immaginiamo. Voi vi aspettavate che la lince rappresentasse in realtà l’emblema di una famiglia tanto importante? A proposito, una precisazione: non è mai stato specificato se il simbolo dei Weasley sia davvero una donnola, anche se inconsciamente io ho sempre creduto così. D’altronde “weasel” in inglese vuol dire proprio “donnola”. Se così in realtà non fosse, vi prego di perdonarmi questa piccola licenza poetica.
Alla prossima!
ChiarainWonderland

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Capitolo 23
*** Voci dal Ministero ***


CAPITOLO VENTIDUESIMO

VOCI DAL MINISTERO  


Il vento ululava selvaggio quando avevano osato mettere piede fuori dalle mura del castello. Samantha non si era dimostrata entusiasta e aveva cercato di dissuadere le amiche per tutta la durata delle lezioni, ma l’ultima intenzione di Rose era quella di cedere. Lei stessa rabbrividì non appena affondò un piede nella neve, maledicendo il suo buon cuore. Ma era da settimane che non passava a trovare Hagrid. Nessuno si premurava di andare a trovarlo, con quel freddo. Immaginava il mezzogigante da solo, seduto nella sua enorme poltrona a osservare il castello da una delle finestre della sua capanna, e una stretta le teneva in ostaggio il cuore. Così aveva trascinato le amiche con lei, grata di aver trovato resistenza solo in Samantha, con la sua radicata paura verso il guardiacaccia e il suo odio per il clima freddo. Isabel, al contrario, si era limitata a scrollare le spalle dichiarandosi ben lieta di tenere compagnia a Hagrid. E ovviamente Alice non avrebbe mai rifiutato una passeggiata nella sua adorata neve. Così la questione era stata chiusa.

«Si gela qui fuori» disse Samantha. Si strinse il mantello attorno al corpo e stette ben attenta a non scivolare su un tratto ghiacciato di sentiero. Il cappello di lana le scivolò sulla fronte a seguito di un alito di vento particolarmente forte, e il sibilo che lo accompagnò rimandava all’eco di una risata – quasi si stesse prendendo gioco di lei.

«Forza, ormai ci siamo» la incoraggiò Rose. La capanna di Hagrid si stagliava nel bianco totale, contrastando con il grigio mutevole delle nuvole. Il sole stava tramontando e la luce invitante che proveniva dall’interno del casolare proiettava le ombre delle finestrelle sulla neve. La porta d’ingresso era adorna di una grossa e selvaggia ghirlanda di abete, decorata da nastri rossi e campanelli che tintinnavano sinistri. Isabel arrivò per prima sulla soglia e bussò.

«Ma chi… a quest’ora… Artiglio, attento!» esclamò una voce profonda, e un rumore sordo fece capire alle ragazze che qualcosa di pesante era caduto, «arrivo, un attimo!»

Un maneggiare frenetico di chiavi e lo scatto di una serratura accompagnarono la porta che si aprì, permettendo alla sagoma scura di Hagrid di apparire nella mezzaluna di luce. «Voi?! Che ci fate qui a quest’ora, voi?»

Ma non poté aggiungere altro poiché Artiglio, il suo cucciolo di danese, gli sgusciò tra le gambe e saltò addosso a Isabel, alzandosi sulle zampe posteriori per leccarle meglio la faccia. La neve lo costringeva in casa, mentre solitamente preferiva girovagare per il parco del castello. L’unico posto dove non osava avventurarsi era la Foresta Proibita perché, nonostante fosse già grande come un cucciolo d’orso, aveva paura della sua stessa ombra.

«Siamo venute a trovarti» rispose semplicemente Rose. Diede due pacche affettuose a Hagrid, sul punto più alto del braccio che riuscì a raggiungere, mentre quest’ultimo tentava di rabbonire Artiglio. «Non ti disturbiamo, vero?»

Il volto di Hagrid si distese in un sorriso così ampio da formare delle rughette attorno agli occhi. «No» disse, «ovvio che no».

L’interno del casolare era zeppo di addobbi per la maggior parte grezzi e male accostati, molti dei quali creati dalle mani stesse del mezzogigante, ma l’ambiente risultava nell’insieme accogliente e familiare. Sulla mensola sopra il camino erano appesi dei sonagli d’argento che riflettevano il rosso delle fiamme. In un angolo si stagliava quella che doveva essere la cima di un gigantesco abete, agghindata alla meno peggio con ghirlande probabilmente sgraffignate dalle scorte della scuola. Rose fissò la gabbia che giaceva a terra, identificandola come la probabile causa del tonfo che aveva avvertito poco prima.

«È bello che almeno tu abbia addobbato per Natale» commentò Alice mentre si arrampicava sulla poltrona verde smeraldo che occupava di solito, «il castello è completamente spoglio».

Isabel prese posto accanto ad Alice, in bilico sul bracciolo della poltrona, rischiando di finire gambe all’aria quando Artiglio le saltò in grembo. Rose aveva occupato una delle sedie e appoggiato i gomiti sul tavolo, mentre Samantha si accontentò di uno sgabello di rami intrecciati.

Hagrid si passò una mano dietro al collo, forse consapevole della semplicità delle decorazioni. Il pensiero sembrò tuttavia abbandonarlo quando disse: «Oh, non rimarrà spoglio per molto! Domani porto gli alberi in Sala Grande».

«Davvero?!» esclamò Alice estasiata, «era ora!»

Hagrid scoppiò in una risata sincera, poi le invitò tutte e quattro a cena con il pretesto di aver cucinato la sua ricetta migliore. Rose si disperò al pensiero degli ormai conosciuti biscotti rocciosi alle gocce di cioccolato, ma quando Hagrid aprì il forno fu costretta a ricredersi: uno squisito profumo di pollo arrosto le arrivò alle narici.

«Da quand’è che sai cucinare?» chiese Isabel. Se anche Hagrid si accorse della velata insinuazione che i suoi piatti in genere non fossero commestibili, non lo diede a vedere. Oppure, pensò Rose, era più probabile che non se ne fosse proprio accorto.

«Questa ricetta mi ci viene sempre bene. Uso un ingrediente speciale per evitare che la carne si secca nel forno» spiegò Hagrid. Staccò una coscia dal pollo e la lanciò verso Artiglio, il quale scese con un balzo dal grembo di Isabel per divorare la cena. «Quindi, restate?»

Al suono di “ingrediente speciale” le Grifondoro si lanciarono un’occhiata allarmata. Rifiutarono in modo cortese l’offerta, sostenendo di non voler disturbare ulteriormente e che avrebbero mangiato in Sala Grande. Hagrid alzò le spalle e si servì un’abbondante porzione di arrosto. Ci volle poco affinché l’atmosfera si riscaldasse grazie alla sua parlantina facile.

«…e quindi, il povero Jamie ci è rimasto male?» chiese divertito. Ovviamente l’argomento della conversazione era virato ben presto sul Quidditch e, in particolare, sulla partita che si era disputata il sabato precedente.

«Direi parecchio, considerando che si nebulizza appena un membro della squadra gli si avvicina troppo» concordò Rose. «Merlino, non ha ancora programmato i prossimi allenamenti! Millie mi ha detto che sta ignorando addirittura Penelope».

«Penelope… Nott?» Hagrid strabuzzò gli occhi.

«Sì, si stanno frequentando».

«Magari Albus può parlargli. Insomma, è pur sempre suo fratello. Anche se Serpeverde».

Ad Alice scappò uno sbuffo a metà tra il divertito e il rassegnato. «Potter!? È troppo impegnato a vantarsi della vittoria nei corridoi con la sua ragazza».

«Vedo che con Albus e Malfoy non vanno ancora d’accordo» disse Hagrid a Samantha e Isabel, che si limitarono ad annuire.

«Io la chiamo indifferenza reciproca» lo corresse Alice con un dito alzato, «noi ignoriamo loro e loro ignorano noi. Il castello è abbastanza grande da non incrociarli all’infuori delle lezioni».

«Parla per te» intervenne Rose, che all’improvviso pareva invecchiata di dieci anni, «tra due giorni ho un incontro del Lumaclub che non sono riuscita a evitare. E Albus sarà presente».

Alice le picchiettò la spalla in un gesto di conforto. «Magari se t’impegni riesci a convincerlo a parlare con James».

«Come quando mi avevi chiesto di scoprire se fosse a conoscenza della cotta che hai per lui?» scherzò Rose, «non ero riuscita a introdurre l’argomento che avevamo già iniziato a litigare». Alice aprì la bocca, indignata, ma la richiuse un istante dopo.

«Forse è solo preoccupato» pigolò Isabel. Era rimasta zitta fino a quel momento, e la sua espressione suggeriva che fosse arrivata a una conclusione dopo una lunga riflessione.

«Chi, Albus?»

Isabel scosse la testa. «No, James. Potrebbe essere nervoso per altre ragioni. Per i suoi genitori, ad esempio».

«Che cosa intendi?» scattò subito Rose, raddrizzando la schiena. Il suo tono di voce tradì una nota di panico.

«Tranquilla, niente di grave. Solo che… oh, e va bene. Penso che i vostri genitori non ve l’abbiamo detto per evitare di allarmarvi inutilmente, ma sapete che io e mio padre ci confidiamo tutto. Ebbene, ieri ho ricevuto una sua lettera e, oltre alle solite chiacchiere, ha scritto di come vanno le cose al Ministero. Sembrerebbe che ci sia un’atmosfera… movimentata».

«Sarà per la storia dei venditori ambulanti e degli artefatti oscuri» ipotizzò Alice.

Isabel scosse di nuovo la testa. «Ci sono delle voci secondo cui il Ministro abbia intenzione di dimettersi».

«E tutto il Ministero è in subbuglio per questo? Ehi Weasley, tua madre potrebbe tentare di ottenere la carica un’altra volta!» ribatté Alice, la voce pregna di sarcasmo. Rose stava per precisare che sua madre non aveva la benché minima intenzione di essere rieletta, quando Alice la precedette: «Ma dai, i Ministri si dimettono in continuazione!».

«Non si tratta solo di questo, Alice. È l’insieme degli eventi che ha creato scompiglio. Prima la magia oscura a Diagon Alley, ora le possibili dimissioni del Ministro, per lo più immotivate. Non puoi affermare che tutto ciò non sia strano» dichiarò Samantha. La sua sentenza fu un getto di acqua gelata che raffreddò la spensieratezza natalizia. Rose maledisse per quella che doveva essere la millesima volta il talento dell’amica per le verità scomode.

Poi pensò al medaglione e lanciò un’occhiata ad Alice. Non riuscì a farne a meno, nonostante dopo la scoperta riguardante Georgiana si erano trovate d’accordo nel prendersi qualche giorno di pausa dalle ricerche. In questo modo avrebbero sia evitato ulteriori sospetti di Madama Wells, che le vedeva sempre in Biblioteca a confabulare, sia guadagnato tempo per riflettere e raccogliere le idee. E infatti non solo Alice non ricambiò il suo sguardo, ma alzò gli occhi al cielo infastidita. Rose avvertì il suo stomaco stringersi dall’amarezza: in fondo al cuore lo sapeva. Sapeva dell’onnipresente speranza di Alice di poter abbandonare quella questione, una volta per tutte. Oh sì, Rose lo vedeva – quando Alice cercava scuse per evitare la Biblioteca, oppure dall’espressione scettica che indossava ogni volta in cui facevano un piccolo passo in avanti – ed era consapevole che l’amica la sosteneva solo perché era leale e gentile e tutto ciò che una vera amica dovrebbe essere. Ma Rose non poteva rinunciare al medaglione e a Georgiana. Non poteva e non voleva. Ogni volta che per un attimo contemplava l’opzione di mandare tutto al diavolo, una vocina nella sua testa la costringeva a cambiare idea.

E infatti, solamente due giorni dopo, tirò fuori l’argomento in Sala grande durante la colazione. Era un freddo giovedì mattina e minuscoli fiocchi di neve cadevano dal soffitto incantato, sciogliendosi a metà della loro discesa. Come promesso da Hagrid, dodici mastodontici abeti ai due lati della sala esibivano decorazioni d’oro, d’argento e di cristallo. A Rose non sfuggì l’espressione raggiante di Alice e l’assenza di Samantha e Isabel, ancora in Dormitorio. Decise di approfittarne per introdurre varie ipotesi e dubbi: come previsto Alice non si lamentò e tentò il più possibile di dimostrarsi partecipe, da amica leale qual era, ma era chiaro che il suo umore si fosse guastato.

«Bè, la prima domanda che sorge spontanea riguarda il runico scandinavo. Perché è stata usata proprio questa lingua? Ma poi sono arrivata da sola alla risposta, che è abbastanza ovvia. Si tratta di un alfabeto poco noto, difficile e raro da trovare. Nemmeno la Nerivir sa tradurlo senza un sillabario, e non conosco una persona più esperta di rune di lei».

«E quindi?» chiese Alice mentre masticava un biscotto.

«E quindi» continuò Rose, «chiunque ne faccia uso non vuole essere scoperto o ha segreti da nascondere. D’altronde c’è un motivo se con le rune scandinave venivano scritti messaggi segreti e in codice».

Alice continuò a masticare. Poi aggrottò le sopracciglia, come se le fosse venuto in mente qualcosa. «Siamo sicure che la Georgiana sull’albero genealogico sia proprio la nostra Georgiana?»

«Le date di nascita e di morte coincidono con quelle che avevamo trovato sul giornale: 1949 e 1973».

«Giusto… allora deve essere proprio lei».

«Già, e a proposito del giornale, non capisco il motivo per cui nell’articolo non c’è scritto che Georgiana facesse parte dei Rowle. Si tratta pur sempre di una famiglia importante, quindi perché mai chiamarla con il cognome del marito?»

Alice alzò le spalle, ma quando aprì la bocca per rispondere due voci provenienti dalla porta a battenti la sovrastarono. Rose le riconobbe subito e strabuzzò gli occhi dalla sorpresa. Erano Molly e Lorcan. Che si urlavano addosso.

«Non me ne frega un emerito accidente che ora tu voglia parlare! Ti sei già espresso a riguardo l’altra volta…»

«L’altra volta!? Ma se non mi avevi dato neanche il tempo di reagire!»

«Bè, sono passati due mesi, Lorcan, due mesi! Non sei venuto a parlarmi, non mi guardavi in faccia! Cosa avrei dovuto pensare, per Merlino!?»

«Prova a metterti nei miei panni! Avevo appena scoperto che la ragazza di cui sono innamorato è…»

«È COSA, LORCAN?! È COSA?!»

Lorcan s’interruppe di botto, passandosi imbarazzato una mano dietro al collo. «Insomma… hai capito».

Molly strinse gli occhi. Anche a quella distanza Rose vide che erano colmi di lacrime non versate. «Non riesci neanche a pronunciarlo» constatò la Corvonero, la voce più bassa di un tono.

«I-io… Molly, sai che non potrei mai…» iniziò Lorcan, ma Molly era già corsa via verso il tavolo dei Serpeverde. Millie doveva aver assistito a tutta la scena, poiché si alzò per accoglierla tra le braccia. Alice si mosse sulla panca come se volesse alzarsi a sua volta per raggiungerla, ma Rose la fermò con un braccio.

«Lasciamo loro un po’ di spazio» mormorò, «con Molly parleremo più avanti». Sentiva ancora la voce della cugina rimbombarle nelle orecchie: non l’aveva mai vista così, con le guance rosse dalla rabbia, gli occhi vividi e lucidi e la voce sicura e piena di rancore. Era la prima volta che la vedeva urlare. Rose si guardò intorno, appurando che tra il casino generale pochi avevano seguito la discussione. Il fatto che lei e Alice fossero sedute vicino al portone le aveva permesso di udire ogni parola. E ora aveva finalmente una vaga idea di cosa fosse accaduto di così grave da portare due migliori amici a ignorarsi per mesi.

«Sbaglio o Lorcan ha indirettamente detto che è innamorato di Molly?» chiese Alice.

«Non sbagli» confermò Rose. Si girò un’ultima volta verso il tavolo dei Serpeverde prima di uscire dalla sala per incontrare Sam e Isabel e recarsi a lezione.

La giornata scolastica trascorse lenta ma, con l’incontro del Lumaclub che si profilava all’orizzonte, per Rose avrebbe potuto durare per sempre. Al termine delle due ore di Pozioni Lumacorno le indirizzò uno sguardo particolarmente compiaciuto, esprimendole la gioia che provava ad averla con gli altri e il lieto sollievo nello scoprire che impegni di Quidditch non le aveva precluso di partecipare. Rose maledisse mentalmente James. Erano passati giorni e non si era ancora fatto sentire. “Se si fosse deciso a programmare gli allenamenti” pensò, “magari avrei avuto una scusa per evitare questa pagliacciata”. L’unica nota positiva della giornata si presentò con Evan. Le Grifondoro lo incrociarono in corridoio e furono felici di trovarlo in piedi e in forma.

«Lo sapevo che un solo Bolide non era in grado di farti fuori» scherzò Alice. Stava per dargli un’affettuosa pacca sulla spalla quando il Portiere si sottrasse al suo tocco.

«È quella che è stata colpita» la informò, «per Madama Chips ormai è guarita, ma mi ha consigliato comunque di starci attento».

«Per il resto come stai?» si premurò di domandare Rose.

«Come dovrei stare? Per colpa mia abbiamo perso la partita».

«Non è vero! Non è stata colpa tua!» protestò Isabel.

«Sì invece, Thomas, e lo sai. Ho sottovalutato il nuovo Battitore dei Serpeverde, lo abbiamo sottovalutato tutti. Merlino, è da sabato che James non mi parla. Non riesce a guardarmi nemmeno in faccia…»

«James si sta comportando come un Troll di prima categoria, e non solo con te» lo interruppe Rose accalorata, «ma non per questo devi assumerti tutte le responsabilità».

Evan le concesse uno dei suoi rari quanto brevi sorrisi. «Mi mancava la tua parlantina, Weasley» disse, stringendole affettuosamente un braccio. «Ora devo andare. Ci vediamo agli allenamenti… se James si deciderà a programmarli, almeno» aggiunse in un sussurro.

Dopo quell’incontro la giornata finì per peggiorare inesorabilmente. Al termine delle lezioni Rose fu trascinata in Dormitorio dalle amiche, che come al solito si rifiutavano di lasciarla andare a un evento del Lumaclub in tuta da ginnastica.

«Non capisco il motivo per cui io debba vestirmi elegante. Non si tratta neppure di una cena vera e propria» si lamentò, mentre Samantha le intrecciava i capelli, «Ahi, fa male!»

«Ho quasi finito» fu la secca risposta.

«Cosa vuol dire che non si tratta di una cena?» domandò Alice. Era sdraiata sul letto a leggere l’ultima uscita del Settimanale delle Streghe.

«Lumacorno l’ha descritto più come un incontro… informale» spiegò Rose. «In pratica ci ha invitati a spettegolare e a bere qualcosa».

«Ah, interessante» replicò Alice, ma era chiaro dalla sua espressione distratta che non avesse ascoltato una parola.

«Stai per caso leggendo l’oroscopo?»

«I-io… non… neanche per sogno!» esclamò Alice indignata, chiudendo di scatto la rivista. Rose scoppiò a ridere.

«Finito!» dichiarò Samantha battendo una volta le mani. Rose prese lo specchietto rotondo che l’amica le stava porgendo per contemplare il risultato. Sfiorò delicatamente le ciocche acconciate in un’intricata treccia che le partiva dalla testa.

«Oh… wow» commentò infine.

«Se vuoi ti presto uno dei miei abiti».

«Tranquilla Sam, metto questa» si affrettò a dire Rose, sollevando la sua fidata gonna nera che aveva precedentemente pescato dal baule. Dopo aver appurato di essere come al solito in ritardo, si infilò in fretta e furia il primo maglione su cui mise le mani – di un viola acceso – e uscì dal Dormitorio. Il percorso che la separava dall’ufficio di Lumacorno le parve più lungo del previsto, forse perché lo passò nel più assoluto silenzio e senza compagnia: si era infatti accordata con Ben di incontrarsi direttamente al quinto piano. I corridoi a quell’ora erano vuoti e avvolti nella penombra. Rose si strinse nelle spalle, tirando un sospiro di sollievo non appena intravide l’arazzo di Wilfur lo Sgraziato che indicava la giusta strada.

«Rose!» irruppe una voce, e Rose dovette trattenere un urlo di spavento. Era Ben.

«Sei matto?!» sibilò allora, premendosi una mano sul cuore.

Ben scoppiò a ridere. «Scusami» disse, guardandola dall’alto in basso. «Stai bene».

Rose alzò gli occhi al cielo, tentando di celare il rossore che le era spuntato automaticamente sulle guance. Prese Ben per un braccio e lo trascinò fino all’ufficio di Lumacorno.

«Weasley e McLaggen!» esplose l’anziano professore non appena li vide, «finalmente, pensavo che vi foste persi!»

Rose diede una rapida occhiata intorno. Gli ospiti si erano accomodati al tavolo vicino al camino e sembravano già a loro agio. Celia Marshal, i fratelli Finch-Fletchley, Aidan Cavendish, la Macnair e Albus… c’erano tutti. Lumacorno sedeva a capotavola, con una scatola di ananas canditi mezza vuota davanti.

«Ci scusi, io… io e la puntualità non siamo compatibili, a quanto pare».

Lumacorno esplose in una risata rauca e forzata. «Non si preoccupi, signorina Weasley! Capita a tutti, non è vero ragazzi?»

Geraldine Macnair arricciò il naso, come se la sola idea di arrivare in ritardo la scandalizzasse. “La cortesia dimostrata durante l’ultima gita a Hogsmeade è già sparita” pensò Rose con un ghigno. Albus la osservò, un’espressione indecifrabile stampata in faccia. Poi le sue labbra si aprirono in quel mezzo sorriso che lo caratterizzava, quasi derisorio, e Rose capì che non vedeva l’ora di rinfacciarle la vittoria dei Serpeverde all’ultima partita.

«Cosa state aspettando? Per Merlino, ragazzi miei, sedetevi!»

Rose non se lo fece ripetere due volte e valutò in un attimo la situazione: erano rimasti due posti, di cui uno proprio di fronte ad Albus. Così si catapultò sulla sedia accanto.

«Volete qualcosa da bere?» offrì Lumacorno, sventolando la bacchetta. Un vassoio colmo di bottiglie svolazzò sopra la sua testa. «Burrobirra, Acquaviola, succo di ciliegia o di zucca…?»

«Acquaviola per me, grazie» disse Ben gioviale.

Rose decise invece di andare sul sicuro con il suo solito succo di ciliegia. Con un altro sventolio di bacchetta, Lumacorno appellò due calici di vetro e incantò le bottiglie in modo che li riempissero.

«Allora, stavamo parlando della partita appena giocata… McLaggen, ragazzo mio, non vorrei infierire ma non sembravi molto in forma!»

Il volto e la gola di Ben divennero paonazze. «…signore?»

«Bè, insomma» continuò Lumacorno, «dalla tua performance contro i Corvonero, mi sarei aspettato qualcosa di più».

Rose bevve nervosamente un sorso del succo di ciliegia. Se Ben non si fosse dimostrato all’altezza delle aspettative, Lumacorno lo avrebbe escluso dal Lumaclub? Era l’unica persona fidata su cui poteva contare in quel covo di vipere, e il pensiero che non fosse più invitato agli incontri le strinse lo stomaco. Decise di concentrarsi sul sapore dolciastro della ciliegia, almeno finché Lumacorno non puntò i suoi occhi acquosi su di lei.

«In generale, tutta la squadra dei Grifondoro mi è parsa piuttosto… come dire… fiacca».

Un silenzio calò sui presenti. Rose si agitò sulla sedia, chiedendosi se toccasse a lei rispondere e, soprattutto, quali parole dovesse proferire per evitare una discussione. «Non ci aspettavamo una sconfitta, signore, soprattutto se si considera con quanto impegno e dedizione ci siamo allenati negli ultimi mesi» disse infine, lo sguardo gelido puntato su un Albus sghignazzante.

«Anche noi ci siamo allenati duramente» intervenne difatti quest’ultimo, «o almeno abbastanza da battervi, a quanto pare».

Se un’occhiata avesse potuto uccidere, Rose era sicura che la sua e quella di Ben avrebbero mandato Albus da Merlino e ritorno. L’atmosfera cadde di nuovo in un silenzio teso che si protrasse per parecchi istanti.

«Per tutte le cavallette, ragazzi» esplose Lumacorno, risultando fuori luogo quanto una nota stonata, «se farete così alla festa di Natale, finiremmo tutti congelati, e non di certo dal freddo!»

Poi scoppiò in quella sua rauca e forzata risata che Rose era ormai abituata a udire. Tuttavia nessuno gli si unì o ribatté alla battuta. Il silenzio continuò indisturbato a regnare.

«Ehm… bè…» balbettò allora il professore, tossicchiando un paio di volte. I suoi occhi dardeggiavano per la stanza alla disperata ricerca di un argomento di conversazione. «Ah, certo! A proposito della festa natalizia, che come sapete si terrà il fine settimana prima delle vacanze di Natale, vorrei ricordarvi che avrete la possibilità di essere accompagnati da un ospite a vostra scelta».

«Uno solo?»

«Sì, Cavendish, mi dispiace deluderla… uno solo. E vi consiglio di sceglierlo bene, visto che inviterò personalità del Ministero molto importanti.  Potrebbe rivelarsi un’occasione unica per il vostro futuro».

«Signore...» mormorò Celia, «lei… lei sa qualcosa riguardo a quello che sta succedendo al Ministero?»

Rose scattò sull’attenti: allora Isabel non era l’unica ad essere stata informata. Spostò lo sguardo su Lumacorno, sperando in una risposta esaustiva invece delle solite noiose chiacchiere sulla festa di Natale.

«Al Ministero, signorina Marshal?»

«Sì, ho sentito voci riguardo alle possibili dimissioni del Ministro».

«Oh, non ci conviene credere a tutte le voci che circolano, ragazza mia, soprattutto se rappresentano affari interni del Ministero! E poi, anche se il Ministro dovesse davvero dimettersi, non vedo come questa possa essere una notizia sconvolgente…»

«Lei crede che le dimissioni del Ministro siano collegate in qualche modo con il ritrovamento di artefatti oscuri a Diagon Alley e la loro successiva sparizione dall’Ufficio Misteri, professore?»

Le parole le uscirono dalla bocca prima che trovasse la forza di fermarle. Rose cercò di mantenere un minimo di integrità mentale tenendo gli occhi fissi su Lumacorno, colto mentre stava per gustare uno dei suoi ananas canditi. La mano rugosa e tremolante si fermò a mezz’aria.

«Questa è… davvero una domanda interessante, signorina Weasley. Tuttavia, come ho già detto, riguarda affari interni del Ministero, questioni di cui non dobbiamo né occuparci né preoccuparci».

Rose si passò le mani sudate sui collant, annuendo leggermente e ignorando lo sguardo attento di Albus. Anche Flitwick aveva dato una risposta del genere durante una lezione di Incantesimi di settimane prima, quando Celia glielo aveva chiesto. Ma davvero non c’era nulla di cui preoccuparsi? O erano i professori a sottovalutare la situazione? Rose non ne aveva idea. Era sicura di una cosa, in tutta quella faccenda: le ricerche sul medaglione sarebbero continuate. Gerogiana Rowle non sarebbe rimasta solo un nome scarabocchiato su un antico albero genealogico.

 






 

Angolo autrice
Ehilà, buone feste a tutti! Alloooora, questo capitolo è un po’ di passaggio e ho delle precisazioni da fare.
Prima di tutto, il dialogo tra Molly e Lorcan è stato non difficile da scrivere, di più. Spero di aver fatto capire il motivo per cui hanno litigato, o comunque presto Rose e Alice, impiccione quali sono, lo chiariranno una volta per tutte. Per fortuna che Molly ha Millie sempre pronta ad accoglierla a braccia aperte. Io le adoro troppo insieme… è normale adorare il personaggio di una saga fantasy con uno inventato, per lo più da me medesima? Spero di sì. Nonostante ciò, sono molto fiera di loro.
Ora, per chi non si ricorda visto che è passato un po’ di tempo, Celia chiede a Flitwick cosa sta accadendo al Ministero nel capitolo 13, “Guida completa alle rune scandinave”. Se qualcuno vuole dare un’occhiata, è tutto lì. E a proposito del Ministero, ora le cose iniziano a farsi interessanti (*risata malvagia*).
E James? Si sta comportando da vero Troll o sbaglio? Procrastinare gli allenamenti non è proprio da lui.
Per quanto riguarda le interazioni tra Rose, Scorpius, Albus e Alice, sono consapevole che per ora stiano ancora navigando nell’indifferenza reciproca (?) ma, sapete cosa, Hogwarts alla fine non è poi così grande, giusto?
Come sempre, pareri sulla storia sono ben accetti, e noi ci vediamo al prossimo capitolo!
ChiarainWonderland

P.S. gli errori di grammatica quando parla Hagrid sono intenzionali ;)

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Capitolo 24
*** Due promesse ***


CAPITOLO VENTITREESIMO

DUE PROMESSE

 

Erano di nuovo in Biblioteca. Considerando le informazioni trovate sui Rowle e la consapevolezza di non poter optare per un’altra pista, Rose non aveva esitato un istante a consultare ogni libro di Storia della Magia che si concentrasse sugli avvenimenti storici dal tredicesimo al quindicesimo secolo. D’altronde, come citava l’enorme volume sulle dinastie magiche, “…primi accenni riguardanti il cognome dei Rowle risalgono al tredicesimo secolo, anche se la famiglia acquistò potere e prestigio solamente nel quindicesimo secolo con Finward l’Astuto”. Il problema si concretizzò nel trovare delle effettive informazioni su Finward l’Astuto, o sulle attività della famiglia Rowle in quei due particolari secoli. Incredibilmente, tutto quello che le ragazze riuscirono a scoprire si rivelò essere un garbuglio di frammenti e accenni sparsi.

«Impossibile» sospirò Rose. Chiuse di scatto il tomo che aveva appena terminato di sfogliare. Il titolo era scritto in un corsivo dorato, sbiadito dagli anni: “Sotterfugi e inganni nel Medioevo inglese”.

Alice era in equilibrio sulle gambe posteriori della sedia, intenta a osservarsi le unghie. «Pensi ancora di poter trovare qualcosa?»

«Tutta questa faccenda è strana» continuò Rose, lanciandole un’occhiataccia, «se la famiglia Rowle aveva questo grande prestigio, come mai è citata così raramente?»

«Magari si è astutamente limitata a occuparsi degli affari propri, senza intromettersi nelle nefandezze che il genere umano commetteva a quei tempi».

Rose si pizzicò distrattamente la base del naso. Era già da due giorni che la speranza aveva iniziato a scivolarle dalle dita come sabbia, da quando aveva consultato per tre volte “Personaggi famosi del quindicesimo secolo” invano. Era sicura che quel grezzo libro pieno di ragnatele contenesse una qualche preziosa informazione. Ma la famiglia Rowle veniva citata un paio di volte per poche righe. Nulla di rilevante. Rose era rimasta a contemplare il vuoto per parecchi minuti. Davvero le ricerche avevano raggiunto un punto morto? L’unico risultato a cui sarebbe arrivata era una completa delusione? Aveva sprecato tutti quei mesi, quelle innumerevoli ore in Biblioteca, quelle notti insonni a rigirarsi nel letto inseguita da fantasmi di ragazze bionde e luci sinistre, solo per finire con l’amaro in bocca? No, non poteva accettarlo. E infatti aveva marciato fino all’ufficio di Madama Wells per scambiare due chiacchiere con lei, il tutto sotto lo sguardo stupefatto di Alice. Nonostante fossero passati già due giorni, si ricordava la conversazione parola per parola…

«Ehm… mi scusi» aveva balbettato, attraversando l’arco di pietra che separava l’ufficio dalla Biblioteca. “Personaggi famosi del quindicesimo secolo” era al sicuro sotto il suo braccio. Per un attimo, i famigerati cassetti zeppi di giornali parvero inghiottirla.

Madama Wells era seduta alla sua scrivania a riempire frettolosamente una pergamena. Ovviamente, non fu sorpresa di vederla nonostante fosse sabato. «Weasley… ti conviene trasferirti qui, ormai».

Rose tossicchiò per dissipare l’imbarazzo e si avvicinò, un passo dopo l’altro. «Volevo solo porle una domanda riguardo a questo volume».

Madama Wells alzò un sopracciglio. «È da mesi» iniziò, «che mi chiedo cosa diavolo tu e Paciock stiate combinando».

«Madama?»

«Non ho mai visto nessuno passare così tante ore tra i miei amati scaffali. E non provare a rifilarmi la storia della ricerca scolastica» si affrettò ad aggiungere, e Rose strabuzzò gli occhi all’uso di un linguaggio così informale, «siete le uniche studentesse del sesto anno che passano in Biblioteca i sabati pomeriggio. Anzi, a pensarci bene siete le uniche studentesse in tutta la scuola a farlo. Merlino, ho provato a vedervi qui persino di domenica…»

Rose si maledisse mentalmente. Alice l’aveva messa in guardia sul non presentarsi in Biblioteca agli orari più disparati: nel fine settimana gli studenti si barricavano nelle Sale Comuni. Ma d’altronde, le giornate scolastiche erano spesso occupate da verifiche e compiti che non lasciavano altra scelta che non fosse quella di procrastinare le ricerche.

«Ecco, io e Alice abbiamo… deciso di portarci avanti p-per… i MAGO…». Non esisteva scusa più improbabile. Rose si diede ripetutamente dell’idiota, accompagnando la cantilena con epiteti non classificabili come lusinghieri. Rimase a riflettere un secondo su quanto fosse senza speranza per maledirsi da sola due volte nello stesso minuto.

Madama Wells aveva alzato tutte e due le sopracciglia. Guai in arrivo. «Un anno e mezzo prima? Ambizioso. Persino per una studentessa del tuo calibro».

“Per Godric, datti un contegno” si disse Rose. Aveva evitato argomenti pericolosi in conversazioni di gran lunga peggiori di questa. «Credevo l’avrebbe resa felice vedere ragazze che hanno così a cuore lo studio».

«Io… b-bè, certo» rispose Madama Wells, presa alla sprovvista. Rimase senza parole per pochi attimi. Poi sospirò, sfregandosi gli occhi, e roteò la penna d’oca tra le dita. «E va bene, Weasley, cosa volevi chiedermi?»

Rose si avvicinò ancora di più e appoggiò “Personaggi famosi del quindicesimo secolo” sulla scrivania di mogano. Madama Wells smise di roteare la penna d’oca, posandola accanto al libro. I suoi occhi scuri incontrarono quelli di Rose in una muta domanda.

«Sono quasi certa che manchino delle pagine».

«Impossibile».

Rose sbuffò, beccandosi un’occhiataccia. «Stavo cercando informazioni sulla famiglia Rowle, che da quanto so era molto importante in questo periodo storico. Ma non c’è nulla. Qualche accenno al massimo».

«Tutto quello che c’è da sapere è lì dentro».

«No, non è realistico che in un libro incentrato sui personaggi celebri del quindicesimo secolo non si parli di una famiglia che aveva un tale prestigio per almeno tre capitoli interi! Magari… che ne so… qualcuno ha per sbaglio fatto evanescere delle pagine, o cose del genere…»

«Ti dico che è impossibile, Weasley».

«Ma perché?!» insistette Rose. Non si accorse nemmeno di aver iniziato ad alzare la voce. «Vuole che nei mille anni in cui è esistito questo castello nessuno abbia mai provato a…»

«NO! E anche se qualcuno ci avesse provato, non avrebbe comunque ottenuto grandi risultati» scattò Madama Wells. Anche lei aveva alzato la voce: si portò una mano alle labbra quando se ne rese conto. Rose la osservò fare due respiri profondi prima di riprendere a parlare. «I libri… i libri della Biblioteca sono protetti da un incantesimo che preserva le parole al loro interno. Le parole sono l’essenza stessa della conoscenza, capisci? Non possono essere intaccate. Nessuno riuscirebbe a far evanescere le pagine, o a incendiarle, o a distruggerle completamente per quel che importa. Non possono nemmeno essere portate fuori dal castello. Se qualcuno ci provasse, esse riapparirebbero subito qui, nel posto a cui appartengono».

Rose spalancò la bocca. «Io n-non… non lo sapevo».

«Ovvio che non lo sapevi» sbuffò Madama Wells, «non vado di certo in giro a spifferare i segreti della Biblioteca».

«Giusto… quindi mi sta dicendo che questi libri sono praticamente indistruttibili».

«Non i libri, Weasley, le parole! Se sulla carta non ci fosse scritto nulla, allora saresti in grado di farne ciò che vuoi. In effetti, le pagine possono essere strappate dal libro. Basta solo che non ne vengano intaccate le parole».

«Ma quindi» s’illuminò Rose, «è possibile…»

«Tu hai visto i segni di pagine strappate in quel libro per caso? Carta stracciata, rilegatura rovinata, discontinuità nel testo?»

Rose negò con la testa. «No» borbottò, «non ci sono irregolarità». La speranza non era più sabbia che le scivolava dalle dita, ma aria che le usciva da tutti i pori. Aveva sfogliato quel libro decine di volte. Si sarebbe accorta anche del più minuscolo particolare fuori posto. In un attimo, Rose si chiese perché mai si trovasse in quell’ufficio. «Mi scusi. Ha ragione. Non c’è nulla che non va».

Era già pronta a girarsi e tagliare la corda quando la voce decisa di Madama Wells la raggiunse di nuovo: «Sono certa che c’è un altro libro in questa Biblioteca che saprà rispondere alle tue domande».

«Non ne sono sicura, ma grazie lo stesso» fu la pronta risposta. Rose esitò, guardando la bibliotecaria dritta negli occhi. «Perché mi ha confidato queste cose? Sull’incantesimo protettivo e il resto?»

«Perché anche se non lo credi, Weasley, mi rende felice vedere ragazze che hanno così a cuore lo studio» dichiarò Madama Wells con tono di sfida. Quando le sue labbra si aprirono in un sorrisetto orgoglioso Rose si era già girata per andarsene…


…e da quel momento il suo umore, e di conseguenza quello di Alice, si erano incrinati. Si era fatto lunedì e si trovavano al punto di partenza. Rose sbuffò, posando con un tonfo “Sotterfugi e inganni nel Medioevo inglese” sul tavolo. Alice si dette una spinta in avanti e le gambe anteriori della sedia discesero fino a toccare terra. «Rose» disse, con un tono che non lasciava adito a dubbi.

«Non provare a compatirmi».

«Sai anche tu che è tutto inutile. Se ci fosse stato qualcosa da scoprire, l’avremmo già scoperto giorni fa».

«So… so che c’è dell’altro. Non può essere tutto qui».

«Oh, cosa vuoi che ci sia?» scattò Alice, «abbiamo sondato ogni maledetto libro sulla storia del mondo magico, ci manca solo che tu voglia controllare i libri che risalgono direttamente al quindicesimo secolo…»

La testa di Rose si rialzò così in fretta da causarle un capogiro. «Che hai detto?»

«…o che mi trascini agli archivi del Ministero… cosa?»

«Prima, sui libri del quindicesimo secolo».

«Ho detto che ci manca solo… Rose, stavo scherzando!»

Ma la mente di Rose aveva già iniziato a lavorare frenetica. «Ha una sua logica. Se i Rowle avevano qualcosa da nascondere, sarà stato facile far sparire qualunque evidenza sulle loro azioni passate… ma i tomi antichi di secoli, rari da scovare e spesso custoditi con la massima attenzione? Quelli sono un’altra storia». Si osservò intorno, mentre Alice la soppesava terrorizzata. «I libri della Biblioteca sono tutti abbastanza recenti, diciottesimo secolo al massimo. Quelli più antichi devono per forza trovarsi» e qui uno scintillio eccitato le balenò nelle iridi azzurre, «nel Reparto Proibito».

«Rose, tu non ti rendi conto di quello che stai dicendo!»

«Ma certo, non capisci? Sei un genio! Le risposte che desideriamo ottenere devono per forza nascondersi lì!»

«E quindi, cosa vorresti fare?» rispose a tono Alice, pur sempre bisbigliando in modo da non attirare attenzioni indesiderate, «chiedere a Madama Wells un’altra autorizzazione per entrare nel Reparto Proibito?»

La spirale di emozioni che aveva preso in ostaggio la mente di Rose si fermò bruscamente. «No» mormorò, ricordandosi la conversazione avvenuta due giorni prima. Si sforzò di ragionare a sangue freddo. «No, non possiamo più chiedere nulla a Madama Wells. Sospetta fin troppo».

«Ehi, questo non me l’avevi detto!»

Rose ignorò il commento, tant’era impegnata a riflettere. «Resta un’unica possibilità» si limitò infine a dire.

Le sopracciglia di Alice si incurvarono comicamente. «Non vorrai…»

«Sì» confermò Rose, «dobbiamo entrarci di nascosto».

Alice spalancò la bocca, quasi fosse pronta a protestare e a rinfacciarle addosso ogni difetto e insensatezza di una simile idea, ma Rose la bloccò prima che riuscisse a spiccicare una parola. «So che sei contraria e che ti chiedo un enorme favore, ma giuro su Godric Grifondoro che se non provo da me che nel Reparto Proibito non c’è nulla di rilevante, il rimpianto mi mangerà viva per i prossimi dieci anni».

«Rose, io… ah, lascia perdere. Posso chiederti una cosa in tutta sincerità?»

«Sicuro».

L’attimo di esitazione che seguì fu rivelatore di quanto Alice avesse dovuto rimuginarci e rimuginarci sopra, chissà da quanto tempo. «Perché lo stiamo facendo? Perché ci tieni così tanto?»

Rose aprì subito la bocca, ma non ne uscì un suono. Rimase così, a labbra spalancate, gli occhi che sfioravano i libri impilati sugli scaffali in una lieve carezza. La risposta alla domanda le pervenne da un angolo della sua mente di cui non era nemmeno a conoscenza, un pezzo di subconscio che parve risvegliarsi sul momento. “Perché devo farlo. Perché c’è una vocina che mi sussurra che è la cosa giusta da fare. Perché so che è importante”. Ovviamente nessuna di queste parole venne pronunciata. Eppure erano lì, incastrate tra le corde vocali, bloccate da quello stesso pezzo di subconscio che aveva permesso loro di riaffiorare.

«Non è questo ciò che conta adesso. Come ho già detto, Madama Wells ha ormai fin troppi sospetti e non credo sia saggio continuare con le solite ricerche. Quello che sto cercando di dire è che…»

Si fermò, le sillabe difficili da articolare. La vocina tornò puntuale a infastidirla, a sussurrarle all’orecchio lo sbaglio che stava commettendo. Non fare promesse che non puoi mantenere. «Se non troveremo nulla di rilevante nel Reparto Proibito» riprese a uno sguardo incoraggiante di Alice, «lasceremo perdere tutto. Il medaglione, le rune, Georgiana… sarà come se non avessimo mai scoperto niente. Getterò il medaglione nel Lago Nero, come mi avevi suggerito di fare tempo fa. Te lo prometto, Alice».

Dal canto suo, Alice sembrava essere stata appena colpita da un Bolide. Si avvicinò impercettibilmente. Era stupefatta. «Dici sul serio?»

Rose annuì. Si dovette sforzare per riuscirci. La vocina continuava a bisbigliare sbagliato, sbagliato, sbagliato. «Ho bisogno di te, ma non voglio costringerti in qualcosa che non vuoi. Andrò da sola nel Reparto Proibito, se necessario».

Alice si lasciò scappare uno sbuffo divertito. Il suo umore era cambiato: ora lasciava trapelare una nuova leggerezza, chiaro indizio di quanto desiderasse lasciarsi tutta quella storia alle spalle. «Sai che non ti lascerei mai sola a vagare nei corridoi bui del castello. E poi è passato così tanto tempo dalla nostra ultima gita notturna… magari riusciamo persino a fare una capatina nelle Cucine».

«Verrai davvero con me?»

«Sì, è il giusto modo per concludere questa storia. Tutto è iniziato con un’incursione segreta in Biblioteca, e così finirà. Perché sono sicura, Weasley, che non c’è niente nel Reparto Proibito che sia in grado di rispondere alle tue domande» disse Alice perentoria. La sua espressione si ammorbidì in un sorriso indulgente. «Forza» disse, «ora abbiamo un piano da organizzare».

Rose si sforzò di ricambiare il sorriso. Mentre la vocina proveniente dal subconscio continuava a sussurrarle quanto fosse sbagliato interrompere le ricerche, il suo cuore si strinse al pensiero di aver fatto una promessa alla sua migliore amica solo per ottenere il suo appoggio.

*  *  *

Il giorno successivo non parlarono d’altro ogni volta in cui erano da sole. Rose si era dimenticata quanto fosse difficile discutere in segreto di piani e congetture, con Isabel e Samantha sempre attorno. Ma loro non costituivano l’unico problema: sembrava che tutti avessero il bisogno di interromperla di quei tempi. L’ultimo era stato Ben, che era corso verso di loro a perdifiato rischiando di finire faccia a terra. Samantha era arrossita all’inverosimile non appena l’aveva visto.

«Rose?! Alice?»

«Ben! È successo qualcosa?»

Il ragazzo si fermò, le mani poggiate sulle ginocchia nel tentativo di riprendere fiato. «Ho iniziato a cercarvi non appena ho saputo… James ha programmato i prossimi allenamenti per giovedì. Me l’ha detto David».

«Bè, era ora» commentò Alice, «di questo passo saremmo arrivati alla partita contro i Tassorosso senza esserci allenati una sola volta!»

«James non ha nemmeno la decenza di avvisarci lui stesso, a quanto vedo. Grazie per averci informate, Ben» disse Rose con un sorriso.

Ben annuì, e sembrò accorgersi solo in quel momento della presenza delle altre due Grifondoro. «Isabel… Samantha…» mormorò, e il suo sguardo si soffermò un istante su quest’ultima. A Rose il dettaglio non sfuggì. Forse i sentimenti dell’amica erano ricambiati, dopotutto. O forse, Ben aveva solamente notato le guance di Samantha, più rosse delle piume di una fenice, e il suo bizzarro comportamento irrequieto.

Dopo quell’incontro con Ben e durante il corso della giornata, si alternarono interruzioni da Peeves, alcuni professori – tra cui Lumacorno, che non si dimenticò di proclamare con quanto ardore stesse aspettando la festa natalizia – e perfino la Signora Grassa. L’unico momento di pace arrivò dopo pranzo: Rose e Alice approfittarono della scusa di dover spedire delle lettere per rifugiarsi in Guferia.

«Potter e Malfoy sono il vero problema» ripeté per l’ennesima volta Alice. Porse un bocconcino di carne cruda a Lesto, il gufo di Rose, che lo divorò con avidità.

«Ne sono consapevole. So che con la Mappa e il Mantello sono più pericolosi di Gazza e Madama Wells messi insieme, ed è per questo che voglio prendere una precauzione che la scorsa volta avevo ignorato».

«Cioè?»

«Le ronde dei Prefetti. Dobbiamo agire in una notte in cui Albus e Malfoy non sono di ronda, in cui non c’è ragione di controllare la Mappa».

Alice soppesò con attenzione la proposta. «Ha perfettamente senso… Merlino, perché non ci abbiamo pensato prima?»

«Eravamo giovani e ingenue» scherzò Rose, «e poi, non sapevamo ancora della Mappa».

«Ah-ah. Resta però un dubbio. Come facciamo a mettere le mani sul programma delle ronde?»

«Solo i Prefetti e i Capiscuola ne sono al corrente. Escluderei già quelli di Corvonero e Tassorosso, visto che non li conosciamo nemmeno…».

«…e immagino che il Caposcuola di Serpeverde sia fuori discussione».

Rose sorrise. «Pure Abigail Midgen, la Caposcuola di Grifondoro, sarebbe da evitare. Troppo pettegola. Rimangono perciò i Prefetti di Grifondoro, ovvero…»

Alice mugugnò. «…Baston e Smith».

«Sì, l’idea non alletta neanche me».

«Preferisco Abigail Midgen».

«Baston e Smith non sono pettegoli quanto Abigail Midgen».

«Ma sono due palloni gonfiati! Non accetteranno mai senza fare domande! Insomma, si chiederanno come mai siamo così interessate all’orario delle ronde…»

«Abbiamo altra scelta?» chiuse la questione Rose, accennando a Lesto di avvicinarsi. Legò delicatamente un rotolo di pergamena arrotolato a una zampa. Era la lettera periodica indirizzata a sua madre. Dopo aver accettato di buon grado una carezza, Lesto si librò in volo. Uscì da una delle finestre della Guferia e si perse nel cielo pallido, lasciandosi indietro le due ragazze che lo osservarono scomparire.

Finite le lezioni pomeridiane, si rivelò difficile rintracciare Smith e Baston. I due Prefetti solevano trascorrere il tempo libero a spassarsela per i corridoi e a confabulare su fantomatiche tattiche di Quidditch, ma alla terza circospezione del terzo piano l’unico risultato che ottennero fu un alquanto imbarazzante incontro con Gazza.

«Così non risolviamo nulla» mormorò Alice dopo che anche Mrs Purr, la spelacchiata gatta del custode, ebbe voltato l’angolo.

«Per caso hai un’idea migliore?»

«Potremmo chiedere a Ben. Sono compagni di Dormitorio, no? Magari sa dove potrebbero trovarsi».

«E ora noi dove lo troviamo Ben?» rispose Rose sarcastica.

Alice sorrise, la prese per mano e iniziò a percorrere il corridoio a ritroso. In un attimo si trovarono fuori, in balia della brezza di dicembre e di sporadici fiocchi di neve, davanti all’imponente campo di Quidditch. Rose inspirò a fondo. Una sensazione di calma l’avvolse. Come se al mondo tutto fosse al proprio posto. Come se da un giorno all’altro non dovesse entrare nel Reparto Proibito di nascosto.

«Perché siamo qui?»

Le labbra di Alice si distesero in un sorriso pacato. «Perché è qui che Ben si trova».

Salirono sulle tribune stando attente a non scivolare sui gradini ghiacciati, e davanti a loro si aprì la vista dei boschi innevati che circondavano il castello. In mezzo alla neve, combattendo contro il vento gelido, una figura solitaria volava con una Pluffa in mano. La figura saettò verso gli anelli, compì una brusca curva come se stesse scartando un avversario e tirò. La Pluffa attraversò l’anello centrale, ma prima che cadesse troppo in basso venne riacciuffata dal suo tiratore. Rose avrebbe riconosciuto quello stile di volo ovunque. Si girò verso Alice.

«È dalla partita contro Serpeverde che viene qui appena ha tempo e quando il campo è libero» spiegò Alice, «ho sentito Millie e Malfoy che ne parlavano a Babbanologia. A quanto pare l’hanno beccato allenarsi durante una tormenta di neve settimana scorsa… sta di fatto che di martedì nessuno ha gli allenamenti, quindi ero abbastanza certa che fosse qui».

Rose tornò a guardare Ben. Aveva appena segnato un’altra volta e, dopo che la Pluffa fu di nuovo al sicuro tra le sue braccia, si fermò a mezz’aria a prendere fiato. Il dorso della mano libera raggiunse la fronte sudata, forse alla ricerca di un po’ di sollievo. «Giuro che se lo fa per quello che gli ha detto James…»

«Se così fosse?»

«Be’» borbottò Rose, «penso proprio che la famiglia riuscirà a sopravvivere con un cugino in meno».

Alice non rispose, gli occhi di nuovo volti al solitario giocatore. Ben aveva ripreso a volare verso le tribune opposte alle loro, dove si stagliavano altre due figure che applaudivano entusiaste. Rose ne rimase sorpresa: non aveva prestato attenzione ad altro che non fosse Ben, e di certo le condizioni atmosferiche non aiutavano. Ma in quel momento, nonostante la barriera nebbiosa creata dai fiocchi di neve, le sciarpe rosse e oro dei due ragazzi – perché erano chiaramente dei ragazzi – parvero impossibili da ignorare.

Al suo fianco Alice trattenne il respiro. «Non ci posso credere».

«Che…»

«Muoviti!»

Alice aveva iniziato a percorrere le tribune con la schiena piegata, quasi volesse passare inosservata. Rose alzò gli occhi al cielo. Stava per dirle che nascondersi non sarebbe servito a nulla, ma Alice con un movimento brusco del braccio la esortò a raggiungerla. E appena fu abbastanza vicina, fu il turno di Rose di restare a bocca aperta.

«Non ci posso credere!» disse, ripetendo le parole di Alice.

La zazzera color nocciola e la corporatura robusta del primo ragazzo non potevano che appartenere a Baston. Così come la figura esile e i capelli biondicci identificavano il secondo come Smith. I due Prefetti di Grifondoro erano lì, appollaiati sui gradini di legno e intenti a gesticolare entusiasti a Ben, che li ascoltava con un sorriso rassegnato. Quando Rose e Alice furono vicine abbastanza da essere notate il Cacciatore era già tornato in campo con la Pluffa sottobraccio, ignaro di tutto.

«Ehi, voi!» urlò Alice. Rose strinse le labbra. Non avevano iniziato bene.

Smith fu il primo a girarsi. Osservò Alice con interesse, come se fosse uno strano animale da laboratorio. «Paciock?»

«Sì, Smith, dico a te. Anche tu, Baston. Dobbiamo chiedervi un favore. È un buon momento?»

Baston spostò per un attimo gli occhi su Ben, impegnato a centrare l’ennesimo anello. «Dicci pure».

«Ecco, noi…» iniziò Alice. Si interruppe, guardando Rose in attesa, e in un istante la spavalderia aveva lasciato posto alla sua tipica timidezza con gli estranei. Rose sospirò. «Sapete per caso i giorni in cui Potter e Malfoy sono di ronda?»

Smith e Baston si scambiarono un’occhiata. «Certamente» disse infine quest’ultimo.

L’aria era fredda, resa ancora più gelida dal silenzio che calò. Rose aspettò qualche secondo, riprendendo a parlare solo quando fu sicura che quella sarebbe stata l’unica risposta che avrebbe ottenuto. «Ebbene? Quali sono?»

«Non capisco come questa informazione possa interessarti, Weasley, visto che non sei più un Prefetto dall’anno scorso» intervenne Smith con aria di superiorità.

Alice fece un passo avanti, già pronta a ribattere a tono, ma Rose la fermò con un braccio. «Coraggio, ragazzi, non vi stiamo chiedendo chissà quale favore. Diteci i giorni e vi lasceremo in pace».

«Vedi» rispose Smith, «di solito domande del genere portano solo guai. A chi mai interessa degli orari delle ronde se non per un motivo… come dire… illecito? E se per caso trascinaste anche noi nei casini con la scusa di avervi aiutate, spifferando quello che volevate sapere?»

«Quindi date già per scontato che non abbiamo buone intenzioni».

«Perché, le avete invece?» chiese Baston. «Forza, Weasley, dimmi il motivo per cui ti serve conoscere gli orari delle ronde, e magari posso anche pensare di rivelarteli».

Rose serrò la mandibola e strinse i pugni. Detestava quando qualcuno le parlava con un tono di superiorità, soprattutto se quel qualcuno era un individuo come Baston. E soprattutto in un caso come quello, in cui le parole adatte non le salivano alle labbra. Incrociò di sfuggita le iridi di Alice, e dal timore che vi lesse dentro capì che nemmeno lei sapeva come sfuggire alla domanda.

I due Prefetti presero il silenzio come risposta e risero malevoli. «Non disperatevi, sarà per un’altra volta…»

«Vi divertite, vero?» esclamò Alice, «dopotutto non avreste diversi motivi per comportarvi così».

«Non hai sentito prima, Paciock? Se per caso finite nei casini e trascinate pure noi…»

«Promettiamo di non farlo. Quello che viene detto qui resta qui» disse Rose. Cercò lo sguardo di Baston, pregando che i suoi occhi suggerissero a quelli scuri del ragazzo una sincerità limpida tanto quanto il loro colore.

«Tsk, promesse… sai che me ne faccio di una promessa? Ne ho viste più infrangersi che avverarsi» decretò Smith, ma per la prima volta Baston non gli si unì. Stava ancora fissando Rose dritto negli occhi. Poi, lentamente, il suo sguardo si spostò fino a raggiungere Ben, intento a volare così vicino a terra da sfiorare lo strato di neve.

«Sei una che mantiene la parola, Weasley?»

Rose sgranò gli occhi. «Ci provo».

Baston annuì, lo sguardo ancora puntato su Ben. «Ti dirò i giorni in cui Potter e Malfoy sono di ronda» concesse, «se tu mi prometti che quando l’anno prossimo sarai Capitano della squadra…»

«Non so se l’anno prossimo sarò Capitano della squadra».

«Con tuo cugino, Mitchell e Sheperd diplomati, chi vuoi che il professor Paciock nominerà Capitano?»

Rose non lo contrariò, e Baston riprese: «Come stavo dicendo, quando sarai Capitano della squadra e noi ci presenteremo alle selezioni come ogni anno, dovrai… ecco… trattarci con un occhio di riguardo».

«Neanche per sogno!» protestò Alice, mentre Smith ghignava deliziato, come se non stesse credendo alle proprie orecchie, «Rose, non puoi…»

«Calmati Paciock, non le sto chiedendo di farci entrare in squadra. Solo… di non dimenticare questo favore» precisò Baston, scambiando un sorriso sodisfatto con Smith. Poi la sua espressione divenne seria. «Perché noi di certo non lo dimenticheremo».

Rose si morse le labbra. Da un lato il pensiero di infangare la sacralità che circondava il Quidditch la portava a rifiutare di getto l’offerta. Ma una parte del suo subconscio, quella che temeva di essere scoperta dai Serpeverde nel Reparto Proibito, le suggeriva di accettare. Le sussurrava che quello era un accordo onesto. Che il prezzo da pagare non era poi così alto. E alla fine fu quella parte a prevalere.

«Io…» iniziò, ma si accorse di non essere l’unica a dover accettare. Osservò Alice chiudere gli occhi e strizzare le palpebre per qualche secondo. La immaginò ripetersi che tutto quello a cui stava acconsentendo serviva a lasciarsi la storia del medaglione alle spalle. E dopo un impercettibile cenno del capo, Rose seppe di avere il suo consenso. «Va bene».

«Prometti?»

«Prometto».

Il sorriso di Baston si allargò. «Potter e Malfoy sono di ronda lunedì, mercoledì, venerdì e sabato. È questa l’informazione che volevate, no?» concluse, e lui e Smith tornarono a guardare Ben. «Usatela bene».

 






 

Angolo autrice (abbastanza in ritardo)
Eeeeeeehilà!
Sono troppo felice di essere riuscita finalmente a pubblicare! Ho passato un periodo abbastanza impegnativo tra test universitari e l’esame teorico di patente, fortunatamente andato a buon fine, ma ormai dovrei esserne quasi uscita… (inoltre in questa quarantena ho visto per la prima volta Game of Thrones, e devo ancora riprendermi dal finale).
Tornando al capitolo, succedono un bel po’ di cose! Non vedevo l’ora di scrivere la conversazione tra Rose e Madama Wells, perché si rivelerà parecchio importante. Stesso discorso per quella tra Rose e Alice in Biblioteca. E poi a quanto pare una nuova disavv- ehm, avventura aspetta le nostre due sventurate Grifondoro. Tra gli allenamenti e l’inevitabile incontro con James, la visita al reparto Proibito, Potter e Malfoy che incombono come una nuvola temporalesca e la spensierata chiacchierata con Baston e Smith, Rose e Alice ne affronteranno delle belle. A proposito, mi dispiace di aver reso Baston abbastanza antipatico: ho sempre adorato Oliver con tutto il mio cuore, e giuro che suo figlio non è così male come sembra. Bisogna tenere a mente che vediamo tutto dal punto di vista di Rose ;)
Ultima cosa e poi chiudo, visto che l’angolo dell’autrice rischia di diventare più lungo del capitolo stesso. Sia Lesto, il gufo di Rose, che i due Prefetti di Grifondoro (Baston e Smith, appunto) vengono già nominati nel capitolo 2, se qualcuno si fosse dimenticato. D’altronde è passato un bel po’ di tempo.
Al prossimo capitolo (in tempi brevi, spero)!
ChiarainWonderland

 

 
 

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Capitolo 25
*** Il Reparto Proibito ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
 
IL REPARTO PROIBITO
 

East Hampshire, 29 aprile 1970

Si erano dati appuntamento sotto alla collina, dove per la prima volta il destino – o una caduta – li aveva fatti incontrare. Si davano sempre appuntamento lì, sotto insistenza di Georgiana. Era abbastanza lontano dalla villa di famiglia dei Rowle, e di conseguenza abbastanza sicuro dalla presenza incombente di suo padre. Georgiana percorse il breve tratto in discesa che la separava dal terreno pianeggiante. Si fermò a osservare i dintorni, appiattendo le pieghe del vestito bianco che aveva deciso di indossare. L’aria di primavera accarezzava gli steli dei cardi selvatici, increspava le acque del ruscello lì vicino e muoveva le nuvole che punteggiavano il cielo terso. Fu quando rivolse un’occhiata sull’ormai familiare cascina, che lo intravide. Non era mai diventato molto alto. I capelli scuri si nascondevano come al solito sotto un berretto. La camicia rattoppata troppe volte lasciava scoperti gli avambracci abbronzati dal lavoro all’aperto. Quando alzò lo sguardo, i suoi occhi brillarono.

«Ehi, ‘Gia».

«Ti ho già detto mille volte di non chiamarmi così, Steven».

«Non dirai sul serio…» si portò una mano al cuore, ma le sue labbra erano aperte in un sorriso furbo. Come se avesse appena trovato un pacchetto di sigarette ancora intatto. «Il tuo nome è così antico. È un vizio di famiglia o sbaglio?»

Neanche a farlo apposta, tirò fuori dalla tasca una sigaretta e se la mise in bocca. La mano di Georgiana lo fermò prima che potesse prendere l’accendino.

«Sai che odio quando lo fai» sussurrò lei. Steven la guardò un istante, rimise la sigaretta in tasca e le concesse un sorriso. Uno di quelli gentili, che l’avevano inesorabilmente trascinata nel lento passaggio dall’amicizia all’amore.

«Dov’è che le trovi, comunque? Insomma» continuò Georgiana, «vivi in aperta campagna».

«Anche tuo padre, eppure non penso abbia problemi a procurarsi i sigari».

Al nome di suo padre Georgiana si rabbuiò. Steven se ne accorse subito, come si accorgeva di ogni cosa che la riguardava. Si fermò e le alzò il mento con un dito. «Ehi, che hai?»

«Niente, io…» disse lei, «ti devo dire una cosa. Vieni, andiamo al vecchio faggio».

Arrivarono all’albero che aveva fatto da sfondo a molti dei loro momenti nel corso degli anni. Georgiana si sedette sulla radice più sporgente, non curandosi del candore del suo vestito, e trascinò Steven accanto a sé.

«Ieri mio padre mi ha convocata nel suo ufficio».

«Non è mai un buon segno».

«No» concordò Georgiana con un sorriso fievole, «non lo è». Si fermò, permettendo ai suoi occhi di incontrare quelli del ragazzo. «Vuole che mi sposi».

«Cosa? Con chi?»

«Non lo so ancora. Steven, ti prego…», ma il giovane si era già alzato e la stava confrontando a pieno petto.

«Ti sta obbligando, è così?»

«L’ho sempre saputo!» ribatté Georgiana alzandosi a sua volta. Poi, più piano: «Ho… sempre saputo che sarebbe arrivato questo momento. Un giorno o un altro. I matrimoni combinati sono la regola, per noi».

Steven emise un verso indignato. «E quindi? Che hai intenzione di fare, accettare?»

«No! Certo che no… non che io abbia molta scelta» aggiunse lei con una risolino ironico, nel vano tentativo di alleggerire la tensione.

Steven si risedette sulla radice, sconfortato. «Credevo… che noi… ah, lascia stare».

«No, finisci la frase».

«Credevo che avessimo potuto sperare in un futuro insieme».

Georgiana lo raggiunse sulla radice, gli occhi lucidi e speranzosi. «Ci hai pensato».

«Certo che l’ho fatto. Diamine, ‘Gia, abbiamo vent’anni, programmavo di sposarti prima che ne passassero, che ne so, altri due?»

Il cuore di Georgiana mancò un battito. Anche lei lo aveva pensato, ovviamente. Non passava giorno senza che sognasse di scappare con Steven lasciandosi le insidie della sua famiglia alle spalle. Non passava notte senza che rimuginasse sulla sensazione di protezione che le avrebbe dato essere accolta nelle braccia del ragazzo – dell’uomo – che le aveva rubato il cuore, in una casa lontana da lì. Tutta per loro. Ma le cose fuori dalla loro piccola bolla stavano cambiando rapidamente: un’ombra oscura incombeva sul mondo magico. Sempre più Babbani scomparivano senza una traccia, per poi ricomparire settimane dopo senza vita. Rendendo ufficiale il legame con Steven, lo avrebbe sottoposto a un grosso rischio.

«Se fosse per me ti avrei già sposato» esclamò comunque, gettandogli le braccia al collo. Lo slancio fu talmente forte che Steven balzò all’indietro. La manica destra della camicia si impigliò a uno dei rami più bassi del faggio e si strappò.

«Oh… io, s-scusami. Sono così goffa a volte…»

«Ehi» la interruppe Steven, bloccandole le braccia che erano già dirette verso lo strappo, «ehi, guardami. ‘Gia, guardami. Non è nulla, okay? È solo una vecchia camicia che avrei dovuto buttare tanto tempo fa».

Georgiana sorrise, un lieve accenno delle labbra. Si liberò dalla stretta con delicatezza e sollevò con una mano l’avambraccio di Steven coperto dalla manica incriminata. L’altra mano andò alla tasca del vestito bianco e impugnò sicura la bacchetta.

«Reparo».

I fili strappati delle cuciture sembrarono prendere vita. In un attimo la manica era tornata come nuova. Steven guardò la ragazza dai riccioli biondi come se la vedesse per la prima volta. Era sempre così, quando usava la magia davanti a lui.

«Sai, a volte mi domando se tu sia in realtà un angelo» mormorò Steven.

Georgiana rise per nascondere l’amarezza. Avrebbe voluto esserlo. Se fosse stata un angelo avrebbe potuto vegliare su di lui, proteggerlo dall’alto. Avrebbe potuto fare in modo che nessuno, dal Signore Oscuro a suo padre, gli arrecasse alcun male. «Sono solo una comune mortale, te l’assicuro» disse infine.

Si risedettero sopra la loro radice. Georgiana appoggiò la testa sulla spalla di lui. Steven le accarezzò i capelli. Erano più corti di quando era ragazzina, ma non tanto corti da non poter avvertire la sensazione dei riccioli tra le dita. «Accetteresti davvero di sposare l’uomo scelto da tuo padre?»

«No» rispose subito Georgiana, stringendosi ancor più a lui, «non sposerei nessuno che non sia tu. Troveremo un modo». Il fato l’aveva resa sì una comune mortale, ma l’aveva anche dotata di poteri magici. Li avrebbe usati fino all’ultima goccia per tenere Steven al sicuro dalla magia oscura. Ma la magia oscura spesso arrivava indesiderata, si insinuava nei dubbi, divideva famiglie. Le tornarono alla mente immagini che pensava di aver sepolto nella memoria. Capelli biondi. Una brutta caduta da un’altalena.

«Forse so chi ci potrebbe aiutare».
 
*   *   *
 
Hogwarts, 19 dicembre 2022

Quel giovedì mattina Rose si svegliò con una leggera sensazione di nausea. Si portò una mano alla testa indolenzita: doveva aver riposato malissimo. Non appena si rese conto di che giorno fosse, l’ansia le attanagliò le viscere. Calata la notte e approfittando del fatto che Malfoy e suo cugino non avessero ronde, lei e Alice si sarebbero intrufolate nel Reparto Proibito per cercare informazioni sui Rowle. Non solo, quel pomeriggio avrebbero avuto luogo i primi e a lungo posticipati allenamenti dopo la partita contro i Serpeverde. Si sarebbe trovata faccia a faccia con James.
Lei e Alice non parlarono molto né durante le lezioni né a pranzo, limitandosi a lanciarsi a vicenda sguardi complici. Scoccate le cinque si diressero al campo di Quidditch insieme a Debbie, che incontrarono sul Ponte di Pietra.

«Evan si allena con noi oggi?»

«No» rispose Debbie, mentre si legava i capelli alla bell’e meglio, «Madama Chips gli ha consigliato di stare a riposo per un’altra settimana».

«Quindi riprenderà a giocare dopo le vacanze, no? Questi sono gli ultimi allenamenti prima di Natale».

«Esatto Weasley. Tanto la prossima partita è a marzo, avrà di sicuro il tempo necessario per tornare in forma».

Arrivarono davanti al campo di Quidditch. Il cielo era limpido e pallido. La neve era ormai più simile a ghiaccio a causa delle fredde temperature, tanto che si faticava a camminarci sopra. Senza stendardi a decorarla, l’immensa impalcatura di legno dello stadio ricordava uno spettrale bosco di alberi spogli. Le tre ragazze arrivarono davanti agli spogliatoi ed entrarono.

«Alice» salutò David con un breve cenno del capo, «Linton, Weasley».

Rose si stupì. Di solito il Battitore non si risparmiava in saluti e chiacchiere, soprattutto con la sua compagna in campo per eccellenza. Se ci fece caso, Alice non lo diede a vedere.

«Ehi Dave» trillò infatti. Stava cercando di riportare un briciolo di normalità nello spogliatoio, abituale teatro di risate infinite, ma in quel momento gelido come la neve ghiacciata all’esterno.
Ben fu più difficile da individuare. Sedeva sulla panchina in fondo, seminascosto dagli armadietti. Lucidava il manico della scopa con foga. Rose aveva già visto quell’espressione determinata e allo stesso tempo spaventata a morte qualche giorno prima, mentre il ragazzo si allenava da solo contro il vento. Decise di non andare a parlarci: Ben sarebbe venuto da lei quando ne avrebbe sentito il bisogno.

E infine, ultimo ma non per importanza, a qualche metro da Ben si stagliava James. Teneva in mano una dozzina di fogli stropicciati – probabilmente schemi di gioco – e se li rigirava tra le mani con movimenti secchi. Quando alzò lo sguardo e lo puntò su di lei, Rose ci intravide tutto e niente. Quelle iridi nocciola parevano impassibili, ma al loro interno si stava scatenando una tempesta. James era vulnerabile.

«Bene… visto che ci siamo tutti, direi di spostarci in campo» si limitò a dire.

Alice si rivolse a Debbie: «Quindi, come sta Evan?»

«Ma l’hai già chiest-AHI» esclamò la Cacciatrice. Alice le aveva tirato una gomitata, non prima di averne tirata una anche a David per buona misura.

«Diamine Alice… ah sì, Debbie, Mitchell come sta?»

Ben alzò speranzoso la testa. James continuava a fissare i giocatori a turno, le labbra ridotte a una fessura.

«Oh, Evan sta bene! Riprenderà ad allenarsi dopo le vacanze di Natale» rispose Debbie, attenta a qualunque reazione da parte di James. Quest’ultimo si limitò ad aprire la porta degli spogliatoi, in un silenzioso invito a raggiungere il campo. Uscirono tutti: Alice prese per il gomito David e s’incamminò dietro a Ben, non prima di aver indirizzato uno sguardo eloquente a Rose.

«Weasley» la esortò James.

Nonostante l’atmosfera congelata che stringeva gli spogliatoi in una morsa, a Rose sfuggì una risata. Dalle labbra socchiuse le uscì uno sbuffo sfacciato che parve tirare uno schiaffo sulle guance di James.

«Da quand’è che mi chiami Weasley?»

«In che senso da… sono il tuo Capitano. Come ti dovrei chiamare?»

«James».

«Davvero? Be’, sono onorato che il mio nome ti piaccia fino a questo punto…»

«Sai che intendo. Non provare a sviare il discorso».

Il moro sbuffò e si avvicinò alla porta, bloccandosi non appena toccò lo stipite con la mano. Rose si ritrovò a osservare le spalle contratte del cugino per una manciata di secondi. Poi si alzò, lentamente, quasi avesse timore di spaventare un animale ferito. Raggiunse James e gli toccò la spalla. Ci appoggiò sopra un dito alla volta, finché l’intero palmo della sua mano aderì con la divisa scarlatta. James sembrò irrigidirsi ancora di più. Esitò, e per un attimo la speranza fiorì nel petto di Rose. Ma poi il ragazzo si scrollò la mano di dosso e imboccò il corridoio senza voltarsi indietro. Rose rimase immobile con il braccio sollevato a mezz’aria, il volto incastrato in un’espressione rassegnata. Dopo essersi concessa qualche secondo per riprendersi dalla delusione strinse i lacci dei parastinchi, afferrò la scopa e seguì il cugino nel corridoio che l’avrebbe condotta in campo.

Gli allenamenti si svolsero senza particolari intoppi. Nonostante tutto, James si dimostrò cordiale: elargì consigli e correzioni come al solito, con l’unica mancanza delle sue tipiche battute che servivano a rallegrare l’atmosfera quando diveniva eccessivamente seria. In effetti, a Rose parve quasi di partecipare a un allenamento di una squadra di alti livelli piuttosto che di una semplice organizzazione scolastica. Normalmente non le sarebbe nemmeno dispiaciuto ma, con l’incursione nel Reparto Proibito che incombeva come la lama di una ghigliottina, avrebbe preferito un po’ di spensieratezza. E infatti, senza neanche farlo apposta, si avvicinò ad Alice e notò che l’amica era nervosa almeno quanto lei – un modo educato di affermare che tirava i Bolidi completamente a caso – e cercava di dissimulare il tutto fingendo di aver inventato un nuovo schema di gioco.

«Te lo giuro James, sto solo mettendo in pratica una strategia innovativa che mi è venuta in mente!»

«Quando… a lezione? Mentre schiacciavi il sonnellino pomeridiano? A me sembra che tu stia solo improvvisando».

Alice aprì e chiuse la bocca un paio di volte, prima che David arrivasse in suo soccorso. «Dai James, lascia perdere… facciamo che ora ci alleniamo con i passaggi veloci, eh Alice?»

Quest’ultima annuì, ma invece di seguire David volò verso le panchine con la scusa di bere un sorso d’acqua. Rose la seguì e atterrò sul prato coperto di neve.

«Chiunque potrebbe capire che stai per combinare qualcosa, da quanto sei nervosa».

Alice bevve un sorso dalla sua borraccia e si passò il dorso della mano guantata sulle labbra. «Non posso farne a meno» disse, gli occhi puntati verso i compagni, «l’attesa mi sta uccidendo».

«Lo so. Agiremo non appena saremo sicure che Sam e Isabel siano addormentate. Hai preparato tutto?»

«Mh-mh».

«Perfetto. Ora torniamo dagli altri» disse Rose, ed era già a cavallo della sua scopa quando Alice la interruppe. «Sei riuscita a parlare con James, prima?»

Rose le rivolse uno sguardo eloquente. «Secondo te?» si limitò a rispondere, e con quella domanda enigmatica chiuse la conversazione.

Gli allenamenti finirono così com’erano cominciati, con James che fu il primo a scaraventarsi fuori dagli spogliatoi e Ben che lo imitò qualche minuto dopo. “Uomini” pensò Rose, mentre risaliva con Alice al castello. Dopo cena, le due ragazze si ritrovarono in Dormitorio a chiacchierare del più e del meno con le compagne, nel tentativo di sembrare il più disinvolte possibile. Ogni tanto Rose controllava che lo zaino preparato quella stessa mattina fosse ben nascosto sotto il letto di Alice, quasi si aspettasse che fosse in grado di muoversi da solo. Aveva infilato dentro le bacchette, dei vestiti e, ultimo ma non per importanza, lo Spioscopio Pro Deluxe che avevano comprato ai Tiri Visti Weasley di Hogsmeade. Grazie a quell’aggeggio si sarebbero accorte di qualsiasi imprevisto. I Detonatori Abbindolanti, invece, li aveva lasciati nel suo baule: nonostante la grande utilità, il loro strombettio avrebbe svegliato l’intero castello.

«Penso proprio di andare a dormire» disse a un certo punto Isabel, «domani ho Artimanzia alla prima ora».

«Mi dispiace per te. Dopo tutti questi anni non ho ancora capito come fai a seguire quel corso» ribatté Samantha, mentre si infilava sotto le coperte e chiudeva le tende. Isabel scrollò le spalle, sbadigliò sonoramente e la imitò. «Buonanotte ragazze».

Rose e Alice rimasero sedute nei loro letti a guardarsi. Alice sembrò aprire bocca per dire qualcosa, ma Rose la zittì con un gesto della mano. Non appena arrivato il momento opportuno, l’avrebbe avvisata. Sparì dietro le pesanti tende rosse del suo letto e si sdraiò. Restare immobile per tutto quel tempo, mentre ogni singola parte del suo corpo formicolava, fu una tortura. Iniziò a contare i respiri per calmare il battito impazzito del suo cuore. Nel caso in cui quella notte venissero scoperte – da qualche professore, dai Prefetti, persino da Gazza – lei e Alice sarebbero finite in guai seri. Serissimi. Farsi beccare nel Reparto Proibito era tutto un altro paio di maniche rispetto all’essere scovate nelle Cucine. Sia chiaro, non era innocente. Aveva vagato di notte per il castello decine di volte. Certo, non c’era mai stato il rischio di essere spiate da Albus e Malfoy, Prefetti solamente da settembre, ma Rose poteva ormai vantare una certa esperienza. Nonostante ciò si sentiva come una ragazzina del primo anno che sfidava le regole per la prima volta.

Quando fu certa che fosse passata almeno mezz’ora e il russare di Samantha divenne una cantilena ininterrotta, Rose agì. Scostò delicatamente i drappeggi di velluto e mise a terra un piede dopo l’altro. Lo scricchiolio del materasso la costrinse a immobilizzarsi. Quell’affare duro come la pietra doveva avere la stessa età della McGranitt. “Un passo alla volta” si ripetè, “un passo alla volta”. Riuscì a ergersi completamente senza causare rumori eccessivi, poi percorse il breve tratto che la separava da Alice. Recuperò lo zaino nascosto e infilò il braccio tra le tende cremisi. Cercò a tentoni finché non afferrò quella che doveva essere la caviglia dell’amica. Un respiro teatralmente trattenuto rimbombò per la stanza.

«Sono sveglia, sono sveglia…» bisbigliò Alice, sfregandosi la caviglia, «Merlino, hai le mani gelide».

«Scusami» sillabò Rose con le labbra, indicando con la testa le due paia di scarpe ai piedi del baule. Alice le afferrò senza farselo ripetere due volte.

Uscirono dal dormitorio, chiusero la porta e si appostarono sulla soglia. Rose aprì lo zaino e tirò fuori felpe e pantaloni. Era stata Alice a insistere su quel punto. “Non sia mai che io mi aggiri di nuovo tra quei gelidi corridoi in camicia da notte” aveva detto. Si cambiarono velocemente, esortate dal freddo, e cacciarono a forza le due camicie da notte nello zaino. Scarpe allacciate e bacchette alla mano, si inoltrarono nelle buie viscere del castello. Ogni volta che svoltavano un angolo, le deboli fiamme delle torce appese ai muri tremavano. Rose teneva ben stretto lo Spioscopio, attenta a qualsiasi sua reazione. Normalmente l’aggeggio girava, si illuminava e suonava non appena captava qualcosa. Quella stessa mattina, tuttavia, Rose aveva disattivato l’ultima opzione seguendo le istruzioni che le erano arrivate per lettera dal proprietario dei Tiri Vispi in persona, George Weasley. Abbastanza certa che suo zio non le avrebbe posto domande inopportune, gli aveva scritto qualche giorno prima. Un’ulteriore precauzione per evitare guai.

«Ci siamo» sussurrò Alice.

L’enorme portone della Biblioteca ricordava delle fauci in procinto di inghiottirla, e Rose era pronta ad attraversarle. Lo scricchiolio che produssero i due battenti risultò di gran lunga più assordante di quello del materasso. Il suono rimbalzò per i muri del lungo corridoio, inducendo Rose e Alice a fermarsi. Oltre al tremolio delle torce, null’altro scalfiva la penombra. Nessun Prefetto, professore o chicchessia. Rose si calmò; la penombra era un’amica. Permetteva di passare inosservati, ma non lasciava sfuggire ombre vaganti a chi prestava attenzione.

«È sicuro?»

Rose diede un’ultima occhiata intorno. «Sì» disse infine, «via libera».

 L’interno della Biblioteca era leggermente più buio: c’erano meno torce, ma più finestre. Le grandi vetrate gotiche permettevano alla sottile fetta di luna di stiracchiare i suoi raggi. Se già gli scaffali erano quasi indistinguibili in quel punto, il Reparto Proibito doveva essere invaso dall’oscurità. E infatti, più Rose e Alice si addentravano tra i libri, più la penombra calava. Arrivate alla meta, furono costrette a usare le bacchette.

«Lumos».

Alice aprì il chiavistello e la porta si mosse con un cigolio. Prima di entrare, Rose lanciò un’occhiata alla scritta “Proibito” stampata a caratteri cubitali nel legno. Come previsto, quel reparto era ancora più buio del resto della Biblioteca. Dopo aver deposto lo Spioscopio su una mensola vuota, lei e Alice presero a leggere le etichette degli scaffali e a scorrere i dorsi dei tomi, molti dei quali legati a catene arrugginite. Le bacchette erano la loro unica fonte di luce. Passarono parecchi minuti prima che una delle due aprisse bocca.

«Trovati».

Rose sobbalzò, fulminando Alice con lo sguardo. Non aveva certo urlato, ma la sua voce le arrivò forte e chiara. Nonostante non fosse in grado di vederla, Alice colse la sua espressione. «Scusami», bisbigliò infatti, «sono stata incauta».

Rose lasciò perdere, concentrandosi sull’etichetta che Alice stava illuminando. Quello che lesse le causò un brivido lungo la schiena: avevano trovato lo scaffale dedicato ai libri del quindicesimo secolo. Era posizionato lontano dall’entrata, in un angolo a cui nessuno avrebbe prestato particolare attenzione. D’altronde, chi si sarebbe mai interessato a dei libri così antichi?

«E ora?»

«…Maledizioni e artefici infrangibiliCaccia alle streghe… Merlino, è tutto in inglese antico… va bene, proviamo questo».

Prese un tomo dall’aspetto fragile e dal titolo accattivante. “Cronaca magica nera”. Sfogliò rapidamente l’indice, ma niente attirò il suo interesse. Si trattava per la maggior parte di uccisioni di massa di Babbani e di processi a vari membri illustri del mondo magico. Il nome dei Rowle non compariva nemmeno una volta. O erano sempre sfuggiti alle persecuzioni babbane, o non erano così importanti come il libro “Dinastie magiche dal Medioevo a oggi” affermava.

«Niente» disse infine Rose. Ripose il libro con delicatezza, nonostante l’istinto fosse quello di chiuderlo con quanta più forza possibile. Erano già in equilibrio su una corda tesa, e non sarebbero cadute per un passo falso tanto evitabile.

«Tentiamo con quest’altro… Ignes et Inquisitionem questo è in latino».

«Ha le catene attaccate, sei sicura che…»

Ma Rose lo aveva già aperto. Un germoglio di rovi iniziò a crescere dalle pagine, allungando i suoi rami verso Rose. Era molto diverso dalla quercia nodosa che era spuntata in “Alberi genealogici del mondo magico”. Quella era fatta di carta, mentre le spine appuntite che si trovava davanti avevano tutta l’aria di essere vere. Alice cacciò un urlo. Rose chiuse il libro con un colpo secco, ma la forza dei rovi continuò a premerle contro i palmi delle mani mentre si affrettava a rimettere quel dannato volume al suo posto.

Alice aveva ancora le dita premute sulla bocca quando parlò. «Stai bene?»

«Sì, io… sì».

«Rose, forse dovremmo andare. Non c’è niente qui…»

«Un’ultima cosa. Alice, ti prego, solo un’ultima cosa».

Si concentrò su un altro libro che aveva attirato la sua attenzione. Questo non aveva catene, ma lo spavento di poco prima la portò ad aprirlo con una lentezza snervante. Si soffermò un attimo sul titolo: “Misteri irrisolti del quattordicesimo secolo”. Non dovette nemmeno sfogliarlo per capire che qualcosa non andava.

«Alice… Alice guarda, a questo libro mancano delle pagine».

«Dai Weasley andiamo, siamo qui da un po’».

Rose passò le dita sui bordi irregolari delle pagine. O almeno di quello che ne rimaneva. Dovevano esserne state strappate almeno una decina.

«Non siamo venute qui per controllare i difetti di ogni libro» continuò Alice, ma Rose non la stava ascoltando.

«Com’è possibile? Madama Wells aveva detto…»

«Weasley, muoviamoci».

«…le pagine si possono strappare, ma non possono essere distrutte o portate fuori dal castello…»

«Non abbiamo trovato niente, e mi avevi detto che ti saresti lasciata tutta questa storia alle spalle. È ora di mantenere la tua promessa».

«…quindi vuol dire che…»

«Rose!»

Entrambe si girarono di scatto verso la porta. Non era stato un suono a spaventarle, ma una luce improvvisa e colorata. Si muoveva circolarmente, creando baluginii inquietanti che si riflettevano sulle catene. Con sommo orrore, le due ragazze si accorsero che proveniva dallo Spioscopio.

«Miseriaccia… miseriaccia!»

Rose non ci pensò due volte: rimise il libro al suo posto, corse verso l’aggeggio roteante e lo infilò sotto la felpa, cercando di nascondere del tutto la sua luce.

«Merlino, chi può essere? Gazza? Rose, ch-che facciamo adesso?»

«Shh» cercò di calmarla Rose, portandosi un dito alle labbra. Raggiunse la porta del Reparto Proibito e sbirciò fuori.

«Non sembra esserci nessuno» sussurrò, anche se lei stessa iniziava ad avvertire una nota di panico. «Forza, dobbiamo tornare in Dormitorio». Tirò fuori lo Spioscopio e se lo rigirò tra le mani, cercando invano di spegnerlo. «Ma come diavolo funziona questo coso?»

«Non sai come spegnerlo?!»

«Certo che lo so!» sibilò Rose, tastando la superficie dello Spioscopio alla ricerca del minuscolo tasto. Era buio, e le mani le tremavano. Ormai era in panico anche lei. Proprio quando stava per perdere le speranze una lieve sporgenza, quasi impercettibile, le sfiorò un polpastrello. In un attimo la luce si spense, lo Spioscopio smise di roteare e tutto ricadde nel buio più totale.

Alice esalò un respiro trattenuto. Fece per alzare la bacchetta, ma Rose la fermò prontamente. «No, meglio di no». Avanzarono a tentoni fino a quando il bagliore dei raggi lunari non arrivò in loro aiuto. Si chiusero la porta del Reparto Proibito alle spalle, sigillarono il chiavistello e presero a correre a ritroso verso l’entrata della Biblioteca. Il rumore dei loro passi concitati non importava più: qualcuno era nei paraggi, qualcuno che di certo non aveva intenzione di fare un’amichevole chiacchierata notturna. La priorità era sparire dalla Biblioteca e disperdersi negli innumerevoli corridoi del castello. Una volta lì, sarebbero state al sicuro.

«Di qua!»

Alice scomparve dietro agli scaffali e iniziò a sbucare a tratti nel passaggio laterale che costeggiava le ampie vetrate. Rose comprese l’idea dell’amica e la seguì: meglio evitare il corridoio centrale. Erano quasi arrivate in fondo. Un’ultima svolta a sinistra e avrebbero attraversato la porta. Proprio quando stavano per girare l’angolo, Rose lanciò un’occhiata verso il corridoio centrale e intravide un’ombra andare nella loro direzione. Stava per informare Alice, ma era troppo tardi. Alice si fermò di colpo e Rose le finì addosso. Una luce che proveniva chiaramente da una bacchetta le illuminò in pieno. Rose socchiuse gli occhi. La luce era talmente accecante da rendere impossibile vedere chi ci fosse dall’altra parte, ma la voce che si levò alta e compiaciuta non lasciava adito a dubbi.

«Weasley».
 
 
 
 
 









Angolo autrice
Ehilàà… sì, sono ancora viva. Ammetto che è da un po’ che non pubblico (10 mesi, ma tralasciamo). È stato un anno molto particolare, in cui ho vissuto un sacco di cambiamenti. Ho anche dovuto affrontare un blocco dello scrittore parecchio potente, ma alla fine sono riuscita a mettere un punto a questo capitolo (che spero ripaghi dell’attesa, anche se ne dubito). Parecchie cose sono riprese dai capitoli precedenti, quindi una rilettura veloce è di sicuro consigliata (soprattutto considerato il tempo che è passato, mannaggia a me). Non so se riuscirò a essere regolare come una volta a pubblicare i capitoli, quando ne sfornavo uno circa ogni mese, ma cercherò di sicuro di non far passare così tanto tempo tra un capitolo e l’altro… ah, e se qualcuno ha esperienza su come evitare/superare i famigerati blocchi che colpiscono noi amanti delle parole, accetto volentieri consigli ;)
Non mi resta che dirvi alla prossima!
ChiarainWonderland
 

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