Oltre

di elenabastet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo primo

Françoise Jarjayes scese dalla Renault d’ordinanza della polizia e si diresse verso il suo ufficio, nel centro di Versailles, a due passi dalla storica reggia, ma su un altro pianeta. Poco prima, le era arrivato un SMS da parte del tenente Alain Soissons, un membro della sua squadra, su un nuovo, possibile caso.

Françoise entrò in ufficio e salutò Victor Girodelle, il criminologo, che stava prendendo un caffè di fretta con Rosalie Lamorlière, l'anatomopatologa. In ufficio, al computer, c’era già Diane Soissons, sorella di Alain, e tecnica informatica.

“Comandante Françoise, Alain è già andato in missione con Lasalle, pare che abbiano trovato un cadavere vicino all’area commerciale di Parly 2”, disse Diane.

“Grazie, allora il problema è questo. Bene, cosa si sa?”

Victor Girodelle si avvicinò al suo capitano:

“Ci hanno girato una chiamata, un ragazzo delle consegne di cibo a domicilio, mentre passava in moto vicino ad un capannone abbandonato ha intravisto un cadavere: Lasalle mi ha già mandato un paio di foto via cellulare” e mostrò a Françoise le prime immagini di quello che era indubbiamente la vittima di un omicidio, con il volto fracassato e sangue ovunque.

“Bene, direi che dobbiamo muoverci: Diane, ti lasciamo padrona dell’ufficio fino al nostro ritorno, ti manderemo istruzioni. Rosalie, Victor, ho bisogno di entrambi”.

 

“Direi che la foto non rende giustizia a questo macello, se così ci si può dire”, disse Françoise non appena arrivò al capannone abbandonato e aperto sulla strada, da dove era comunque facile vedere la scena del crimine.

C’era sangue ovunque, e il cadavere per terra era stato letteralmente massacrato: il lavoro di uno psicopatico, ma fatto con metodo, e in modo che fosse scoperto al più presto.

Victor Girodelle iniziò subito a fotografare vari aspetti della scena del crimine: Rosalie Lamorlière ebbe un tentennamento, ma poi si avvicinò al cadavere con i guanti e cominciò pian piano a esaminarlo, capendo subito che era praticamente irriconoscibile da come era stato straziato e sfigurato.

“Direi che hanno usato di tutto: armi da taglio e da fuoco. Raro vedere un simile accanimento...”, aggiunse la giovane, che aveva individuato, in una pozza di sangue, vicino al braccio massacrato, una borsa.

“Si sa chi è?”, chiese Françoise a Gerard Lasalle e Alain Soissons, i due agenti della sua squadra.

“Per ora no, ma sarebbe utile capirlo”, rispose Alain, “uno spacciatore, un magnaccia, un mafioso, certo che è raro vedere una simile carneficina, un simile accanimento e poi è come se avessero messo tutto in posa.”

“Voleva che lo trovassimo”, disse Gerard, “e mi sa che non era un solo assassino”.

“Sarà un problema raccogliere i resti e portarli in laboratorio per l’autopsia”, disse Victor.

“Comunque, sappiamo chi era”, disse a quel punto Rosalie, che era riuscita a recuperare il contenuto della borsa.

“Henri Germaine”, aggiunse.

“Quell’Henri Germaine?”, chiese Françoise.

“Credo proprio di sì”, disse Rosalie.

“Oh mamma mia”, aggiunse Alain, “per cui cercare chi ha fatto questo casino sarà come cercare un ago in un pagliaio”.

 

Henri Germaine, ricco aristocratico che viveva in una specie di maniero fuori Versailles, noto per le sue idee reazionarie e estremiste così forti da essere stato cacciato via da un paio di gruppi comunque non certo moderati, perché la sua presenza era troppo imbarazzante. Henri Germaine, che predicava l’annientamento dei cosiddetti inferiori, immigrati, senza fissa dimora, omosessuali, emarginato, e che aveva ucciso tempo prima un ragazzino senegalese, colpevole di aver tentato di borseggiarlo.

Grazie all’intervento di una personalità politica, era stato prosciolto da quello che eraun omicidio e si era vantato di questo suo atto in una trasmissione televisiva e sui social, concedendo anche interviste per un giornale estremista d’oltre oceano.

Françoise aveva seguito il caso come poliziotta, ricordava i volti pieni di lacrime della mamma e dei fratelli del ragazzino morto, ricordava anche la strafottenza di Germaine, il suo maschilismo verso lei donna che aveva disgustato anche Alain e Victor, le sue minacce velate. E ora qualcuno gliel’aveva fatta pagare e cara.

Rosalie si rese presto conto che il macello di sangue, interiora e simili era tutto concentrato vicino al cadavere: nel resto del capannone non c’erano altre tracce.

“Hanno fatto tutto in poco tempo, mi sa, strano ma possibille”.

“Strano davvero, tenendo conto che dalla strada lì si vede tutto ed è un bel po’ di ore che ci sono auto e mezzi in passaggio”, aggiunse Victor.

“Porterei il cadavere in laboratorio”, disse Rosalie.

Françoise annuì, era in una situazione delicata, soprattutto sapendo come era stata coinvolta in passato con Henri Germaine.

“Alain, Gerard, ma di preciso chi vi ha avvisato di questo?”

“Ecco, comandante”, disse Gerard, “anche questo è strano: abbiamo ricevuto un messaggio vocale di un giovane che si è qualificato come un fattorino di pranzi a domicilio, e ci ha mandato insieme anche una foto. Ma arrivati qui non c’era più e il numero risulta adesso irraggiungibile”.

“Ottimo”, disse Françoise in tono sarcastico. Era come se avessero voluto a tutti i costi che lei e gli altri lo trovassero.

“Comandante Françoise”, disse Victor, “abbiamo trovato anche il cellulare di Germaine”.

“Così Diane avrà da lavorare”, disse Gerard ridendo e dando una gomitata ad Alain.

 

Finalmente tornarono tutti in ufficio, ognuno alle proprie incombenze.

“Certo che ieri sera il Paris Football Club non ha brillato”, disse Alain, giusto per parlare di qualcos’altro che non dell’omicidio e per punzecchiare un po’ Victor.

“Ne riparliamo dopo lo scontro tra voi del Paris Saint Germain e il Manchester dopodomani in Champion’s”, rispose Victor, mentre Gerard Lasalle, a cui il calcio non interessava, alzava gli occhi al cielo e gettava uno sguardo di sottecchi a Diane, che rideva davanti al computer.

“Questo cellulare è un delirio di follia”, disse ad un tratto la ragazza, dopo aver iniziato ad esaminare i dati del morto, “estremismo, apologia di vari reati, diciamo che questa persona non era molto amata”.

“Ma era sposato?”, chiese Alain.

“Per questo mi è bastato un giro sul PC non appena Rosalie mi ha comunicato l’identità del defunto: era divorziato da anni, la ex vive in Martinica con un nuovo marito più giovane di quindici anni e sono là. Non si conoscono sue relazioni né etero né omosessuali, viveva in maniera solitaria e con il terrore di essere ucciso, aveva rotto con diverse associazioni e persone a cui era legato. Un estremista odiatore del mondo e solitario, che ha trovato qualcuno che l’ha fatto fuori in maniera plateale”, concluse Diane.

“Come si suol dire brancoliamo nel buio, e il nostro comandante può avere molti problemi visti i suoi trascorsi con Germaine”, disse Alain. Doveva aiutarla, temeva che qualcuno la volesse danneggiare.

 

Rosalie stava esaminando il cadavere, era raro vedere un simile scempio, la criminologia non era la sua specializzazione, ma era evidente che chi aveva ucciso Henri Germaine lo aveva fatto mosso da un profondo odio. Stava esaminando le ferite per capire le modalità di offesa, quando di colpo ebbe un accesso di nausea insolito visto che lei era abituata a quel lavoro. Si fermò un attimo e guardò verso il calendario: aveva forse un altro problema, se di problema si poteva parlare, ma ci avrebbe pensato dopo.

“Rosalie, ci sono novità?” Victor era entrato, sollecito come sempre.

“Sto raccogliendo i reperti, per eventuali riscontri con le armi e la balistica: mi sa che ci sono troppe piste da seguire”.

“E dobbiamo fare in modo che la nostra comandante ne esca a testa alta”, disse Victor a mezza voce. Rosalie annuì e si rese conto ancora una volta quanto il suo collega tenesse a Françoise, del resto non era un segreto per nessuno.

 

“Bene”, disse Françoise, “direi che per oggi possiamo dire di avere quasi finito. Gerard, se puoi preparare tu un comunicato per i media, stanno telefonando in maniera insistente e ci sono state anche delle mail. Diane, ho visto le ricerche che hai fatto su Internet, ci sono un paio di piste da seguire, quel forum sulle armi dove Germaine ha litigato con un paio di utenti può essere interessante, così come quel contatto che lo minacciava su Facebook. Alain, bisognerà trovare il modo di ricontattare la famiglia del ragazzo ucciso dal nostro assassinato. Rosalie, forse il test per le sostanze stupefacenti è superfluo, ma forse no. Victor, il profilo del potenziale assassino mi sembra interessante. Ci aggiorniamo domani. Ah, a proposito, pare che il nostro nuovo collaboratore, un altro criminologo, arrivi domani”.

“Ottimo, come si chiama?”, chiese Alain.

“Grandier, André Grandier”.

“Il nome non mi è nuovo”, disse Rosalie.

“Beh, non è l’ultimo arrivato, ha collaborato per un po’ a Londra con Scotland Yard e ha seguito dei corsi di aggiornamento a Quantico...”

“Wow, come Fox Mulder!”, disse Diane.

“Eccola, cuoricino di nerd!”, disse suo fratello Alain, “ma effettivamente è un nome familiare, magari abbiamo beccato qualcosa di suo o i suoi profili on line”.

Anche a Françoise il nome sembrava familiare.

 

Arrivò a casa, non lontana dall’ufficio, un alloggio spazioso in una casa d’epoca sulla via che andava verso la reggia, dove viveva anche suo padre, militare prima e poliziotto poi, ora in pensione.

Hadija, la badante, la accolse sulla porta: Augustin Jarjayes non stava più bene, la sua mente si era persa in un limbo dopo la morte dell’adorata moglie e madre di Françoise, due anni prima.

“Come è stato oggi?”

“Ha dormito e poi si è messo a sfogliare dei libri di Storia, sulla Rivoluzione, scuotendo la testa e dicendo cose strane”.

Era una mania che veniva ogni tanto a suo padre, una sera qualche tempo prima in TV avevano trasmesso un documentario sulla regina Maria Antonietta prigioniera alla Conciergerie, e lui si era messo a dire forte:

“Ma quante palle raccontano! Io so come andarono le cose”.

A Françoise faceva tristezza vedere suo padre così, ricordando come era fino a due anni prima e come l’aveva supportata nella sua scelta di intraprendere quasi la sua stessa carriera.

Andò nello studio e suo padre era in preda ad una frenesia mai vista in quei mesi, aveva fatto una pila di libri sulla scrivania e li prendeva in mano, aprendoli e chiudendoli in maniera compulsiva.

“Papà, sono tornata”.

“Questo è tutto falso! Questo non è reale! Tu sei Oscar, sei mio figlio, e questo non è il nostro posto! Tu devi ricongiungerti con il tuo amore André, Oscar, io ho sbagliato a crescerti come un uomo!”

Ma cosa stava dicendo suo padre? Françoise era spaventata e perplessa.

Arrivò Hadija, con un bicchiere con dentro le gocce per calmarlo, ma Augustin ebbe una reazione quasi violenta.

“Anche lei non è reale, questo non è il nostro mondo, è tutto finto, tu hai già sconfitto il duca di Germaine, Oscar, e lo sai...”

Françoise avrebbe dovuto essere abituata alle stranezze di suo padre, era una triste condizione, ma qualcosa in quelle parole le metteva addosso un’inquietudine senza pari.

Poi lui si calmò, singhiozzando come un bambino e mormorando un Perdonami, perdonami.

Françoise andò a dormire, Diane e Rosalie le avevano mandato una lista di serie televisive belle di vario genere da recuperare, con i commenti di Gerard, ma era davvero troppo stanca. Era stata una giornata lunga e l’indomani sarebbe stato forse anche peggio e arrivava il nuovo collega, André… come il nome di quel suo presunto amore detto da suo padre.

Questo fu l’ultimo pensiero di Françoise prima di addormentarsi.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Occhio pezzo hot

Capitolo secondo

Bianca o rossa che sia, una rosa è sempre una rosa, una rosa non sarà mai un lillà.

Come osava dirle questo? Come osava non capire il suo dolore e la sua voglia di lasciarsi tutto alle spalle, la debolezza che aveva avuto con Fersen, le lacrime, la consapevolezza che nessuno l’avrebbe mai voluta perché non era una donna come si conveniva per il mondo? E allora, tanto valeva vivere da uomo e non soffrire più!

“Vuoi dirmi che una donna resta una donna in ogni caso? È questa la morale, André? Rispondimi!”

Dalla sua mano partiva verso quel volto amico, a cui lei voleva bene, che aveva perso un occhio per lei, uno schiaffo feroce e senza pietà, che lo faceva girare da una parte e vacillare.

Ma lui continuava a non risponderle, la guardava di sottecchi, con dolore ma anche con rabbia, e come si permetteva di essere così insolente?

“Rispondimi, devi rispondermi, è importante per me!” e lo afferrava per il bavero della camicia, scuotendolo, voleva fargli male, rovesciargli addosso il suo dolore, la sua rabbia, e quelle parole con cui l’aveva messa a nudo.

Di colpo, lui la afferrava per i polsi, stringendoglieli con forza, facendole male.

“Mi fai male, lasciami” e a quel punto la bocca di lui si posava sulla sua, baciandola con rabbia prima e poi con passione, riempiendola del suo respiro e della sua presenza.

Ora la stringeva facendole sentire il suo corpo, pieno di desiderio, e la spingeva sul letto poco lontano, dove lei si trovava alle prese per la prima volta con qualcosa di sconosciuto, il desiderio di un uomo che la voleva, a qualsiasi costo, per ricordarle che era una donna ma anche per prendersi il suo piacere e forse dargliene anche.

“Lasciami, lasciami o chiamo aiuto!”, urlava lei, mentre lui scendeva con le sue labbra sul collo e poi verso il suo seno, dove era anche arrivata una sua mano.

Di colpo, le strappava la camicia, denudandole il seno, e lei, terrorizzata, girava il volto dall’altra parte, piangendo, per l’orgoglio ferito, la paura, la sensazione di impotenza e fragilità.

“E adesso, adesso cosa vorresti farmi, cosa vuoi provare?”.

“Ti prego, perdonami, giuro su Dio e sul mio onore che non ti farò mai più una cosa come questa. Una rosa non potrà mai essere un lillà, non potrai mai cancellare di essere nata donna. Per una vita sono stato con te, vivendo con te, provando dell’affetto per te, solo per te. Io ti amo, credo di averti sempre amata...”

Ma ora era di nuovo su di lei, non c’erano più pianti, la baciava con passione e lei contraccambiava, perché sentiva di averlo sempre amato. Sentiva la pelle di lui nuda contro la sua, mentre la bocca che già una volta l’aveva assaggiata scendeva sul suo corpo, ad adorarla, darle gioia, amore, piacere, godimento. Lei accarezzava quei folti capelli scuri, gemeva, cercava di ricambiare quel mare di sensazioni che le stava arrivando addosso.

La sua bocca e le sue dita erano ovunque e lei giungeva all’estasi, fremendo, cercando di baciare a sua volta lui, il suo amore per sempre… Poi, vide quel suo volto amato da una volta che sovrastava il suo, la baciava di nuovo, e lo sentì che entrava dentro di lei, pronto a prendersi il suo piacere, e di nuovo si sentì viva, erano insieme, erano un’unica cosa, niente poteva dividerli, mai più. Lui spingeva a fondo, rendendola sua in ogni angolo del suo corpo, con un ardore folle che la risvegliava alla vita, e lei lo assecondava, sentendo il battito del suo cuore vicino al suo, cercando le sue labbra, trovando gioia e felicità.

“Amore mio, staremo insieme per sempre, la mia meravigliosa Oscar...”

“Il mio André...”, sussurrò, “ti amavo e non lo sapevo, André, mio André...”

 

Françoise sobbalzò nel letto: ma che sogno aveva fatto? Vivido e eccitante, si sentiva davvero come se avesse appena fatto l’amore, con il suo corpo che aveva risposto in quel modo. Imbarazzante, ma molto piacevole.

Forse era davvero troppo tempo che era single e pensava solo alla sua carriera, ma quando mai nella realtà si avevano quelle sensazioni di puro godimento mescolato ad un amore grande come il mondo? Sapeva benissimo che sia Alain che Victor erano innamorati di lei, non aveva mai voluto mescolare lavoro e vita privata, anche perché c’era già la rivalità calcistica tra i due, con lazzi e battute. Ma magari avrebbe evitato sogni come quello, anche se era stato davvero bello.

Françoise andò in bagno e si guardò allo specchio, notando che aveva le labbra gonfie e tutto il suo corpo ancora sensibile. Ma poi, di colpo le venne in mente un particolare.

Quell’uomo del sogno, quel meraviglioso uomo, bello come il sole e un amante raro, l’aveva chiamata Oscar… come suo padre la sera precedente. E lei lo chiamava André, come il suo amore secondo suo padre, e come il nuovo collega che doveva arrivare il giorno dopo.

Strano, era tutto molto strano. Françoise si buttò un po’ d’acqua in faccia, cercando di dimenticare quelle sensazioni, ma erano state talmente profonde e incredibili che era difficile cancellarle. Alla fine, si calmò e crollò in un sonno profondo, che durò fin quando non suonò la sveglia.

 

Quel sogno non la abbandonava, e Françoise ci pensava ancora quando arrivò il mattino dopo alla centrale per una nuova giornata. Entrò in ufficio.

“Comandante, è già arrivato il nostro nuovo collega”, la accolse Victor.

Vicino alla macchinetta del caffè c’erano Alain, Gerard e un terzo uomo girato di spalle. Françoise si sentì mancare il respiro, vedendo una folta chioma bruna, come quella che accarezzava la sua pelle in sogno. L’uomo si girò, pronto a presentarsi e salutare, ma di colpo restò zitto vedendola e a bocca aperta.

Ma anche Françoise non fu da meno: perché quel nuovo collega, quell’uomo in giacca e cravatta come un agente federale dei serial TV, dai capelli color dell’ebano e gli occhi verdi, era lui, era lo stesso amante appassionato che la notte precedente in sogno l’aveva amata. Era proprio lui, e si chiamava André Grandier. E anche lui la guardava in maniera sorpresa e strana.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo terzo

L’agente André Grandier guardò con molto interesse tutto il materiale che i suoi nuovi colleghi avevano raccolto sull’omicidio di Henri Germaine, e concordò con loro che le condizioni del ritrovamento erano bizzarre e piene di coincidenze.

“Certo che inizio proprio bene con voi, con un caso bello tosto, del resto io amo le sfide...”

Alain lo guardava con aria perplessa e ad un tratto gli disse:

“Senti, io sono convinto di conoscerti già, Grandier, non è che sei appassionato di calcio?”

“Già”, fece Victor, “per che squadra tifi?”

“Il calcio mi appassiona solo quando gioca la Nazionale, agli Europei o ai Mondiali. Ma effettivamente anche a me sembra di conoscervi tutti...”

“Hai visto i nostri profili social?”, intervenne Diane.

“No, sono sui social, ma non ci sto tanto. Mi sembrate tutti familiari, come se vi conoscessi da tanto. Vabbé, meglio così, se ci troviamo bene insieme sarà bello lavorare”, concluse André. Per modo di dire, disse a se stesso.

Perché c’era una cosa che non poteva dire, non subito almeno. Tutti i suoi nuovi colleghi, Victor, Alain, Gerard, Diane e Rosalie gli sembravano noti, anche se era sicuro di non averli mai incontrati. Ma era il comandante Françoise a turbarlo di più. Perché lui quella donna la conosceva, visto che ogni notte in sogno era la sua amante appassionata.

Tutto iniziava sempre con un alterco, erano in una strana stanza ricca di mobili antichi, lui diceva una frase confusa sulle rose e sui lillà, lei lo schiaffeggiava e poi finivano a fare amplessi folli, appassionati, intensi e anche un po’ imbarazzanti per quando si svegliava. E la cosa strana è che lei lo chiamava André ma lui la chiamava Oscar, un nome da uomo.

Forse era single da troppo tempo, le storie con Carol a Londra e con Gillian a Quantico non erano state un granché, erano simpatiche e carine, certo, ma c’era sempre quel sogno che si metteva tra di loro. In quello che sognava c’era tutto, desiderio, passione, amore, e ora aveva di fronte l’oggetto di quelle brame.

“Un bel casino”, disse a mezza voce.

Alain lo sentì e fraintese:

“Oh sì, soprattutto per il comandante, che ha avuto problemi con l’assassinato...”

“Perché uccise un bambino di fronte a lei, gli sparò per strada e lei vide tutto...”

“No, uccise un bambino che aveva cercato di entrare in casa sua e lei non riuscì a farlo incriminare...”

“Sicuro? A me sembra che andò in un altro modo... boh forse ho visto male… cioè ho letto male...”

 

Rosalie sentiva la testa che le scoppiava, mentre illustrava al nuovo agente André Grandier i suoi rilievi sul cadavere di Henri Germaine. Una sensazione di nausea le attanagliava lo stomaco, e lei sapeva bene dove doveva andare dopo il lavoro, e prevedeva anche che ci sarebbe stata una telefonata da fare a Bernard.

Il suo fidanzato, Bernard Chatelet, giornalista e blogger, che era a Calais dove seguiva da vicino il dramma degli immigrati che volevano attraversare l’Eurotunnel per arrivare nel Regno Unito. Si erano visti giusto prima che lui partisse, un mese e mezzo prima, e doveva essere successo allora quello con cui Rosalie doveva fare i conti.

Fu felice di andare a casa, non stava lontana dal centro di Criminologia, una decina di minuti a piedi, e si infilò, oltre che al supermercato, in farmacia per comprare quello di cui aveva bisogno: un test di gravidanza. Era emozionata, e non in maniera negativa, in fondo poteva essere un modo per dare una svolta ad una vita che la rendeva felice ma che a tratti sentiva come monotona. Non l’avevano previsto, quella volta di un mese e mezzo prima era stato tutto molto improvviso e appassionato, e non era poi così male se dentro di lei c’era la conseguenza di quell’incontro.

Man mano che si avvicinava a casa sua, notò una figura appoggiata alla porta. No, non poteva essere lei. Porca miseria, quando arrivava c’erano sempre guai, e non era il momento, tra i casotti al lavoro e quella bella ma spiazzante novità che forse il test le avrebbe riservato.

E invece era proprio lei, sempre più macilenta, con gli occhi spiritati e i capelli stopposi. La sua sorella Jeanne, una vita bruciata dalla droga e tutti i problemi arrecati per anni a lei e alla sua defunta madre Nicole, morta in un incidente stradale pare provocato proprio da lei.

“Jeanne… non ti aspettavo qui, ascolta, vorrei che tu mi lasciassi in pace...”

“Mi accogli così? Sono tua sorella, ho bisogno di te, devo parlarti, è molto importante”.

“Perché non vai dak il tuo Nicholas? Siete fatti l’uno per l’altra”.

“Rosalie, lo sai benissimo che Nicholas è morto”.

Morto? Non ricordava questo, ma Rosalie ne fu sollevata, ricordava le scenate di Nicholas, pieno di droga come Jeanne, ma molto più violento. Una volta l’aveva anche picchiata, se lo ricordava bene.

“Ah, alla fine la droga l’ha ucciso?”, disse Rosalie, sarcastica, cercando le chiavi nella borsa, e guardandosi attorno in cerca di qualcuno che potesse aiutarla. Non voleva scacciare Jeanne ma non la tollerava più, e non aveva proprio niente da darle e dirle.

“No, Rosalie, sai benissimo come è morto. Nell’esplosione a Sauverne”.

La situazione era davvero grave, ma cosa stava dicendo, si vede che ormai la droga le aveva distrutto il cervello. Sauverne… però aveva già sentito quel nome.

“Va bene, Jeanne, se vuoi ti do due spicci per andare a mangiare qualcosa o dove vuoi, ma lasciami in pace”.

“Rosalie, mi devi ascoltare… tu non sai la verità, non vuoi vedere la verità”.

“Che verità? Che tu sei una tossica senza speranza, che per anni hai distrutto la mia vita e quella di nostra madre? Che il tuo fidanzato, amante o cosa era Nicholas era un violento che veniva in casa nostra in crisi di astinenza e che una volta mi ha picchiata? Jeanne, io adesso sono felice, ho un bel lavoro, dei buoni amici e un uomo che mi ama, e non ti permetterò di portarmi via tutto”.

Jeanne la guardò con un dolore che colpì malgrado tutto Rosalie nel profondo, scuotendo la testa.

“Rosalie, ma non capisci? Tutto questo non è vero, tu credi di essere una dottoressa, con un fidanzato, tanti amici e un bambino in arrivo, vero? Ma non ricordi la verità, tu sei vissuta tanto e tanto tempo fa, hai avuto un marito e dei figli, ma allora, questa non è la tua realtà e devi accettarlo… Io sono morta con Nicholas a Sauverne, tanti e tanti anni fa, in un’altra epoca, mi davano la caccia, e c’erano anche quelli che oggi tu consideri i tuoi colleghi. La tua vita è finita tanto tempo fa, sei stata moglie e anche madre, ma poi...”

“Oh, basta, Jeanne, vattene via, ti do un po’ di soldi, ma vattene!”

Jeanne si alzò dal gradino della porta e si allontanò da Rosalie:

“Dovrai affrontarlo, insieme agli altri, prima o poi, e non potete aspettare tanto. Questo non è il vostro mondo, non è il nostro mondo. Ciao, piccola Rosalie, tornerò da te presto” e si allontanò.

Rosalie scosse la testa, Jeanne era proprio andata. Ma le sue parole le riecheggiavano nella mente in maniera inquietante. Ma come poteva dare crediti ai deliri di una tossica?

Salì in casa, diede la pappa a Chloe, la sua gatta nera, e poi andò in bagno con il test a fare quello che andava fatto per avere il responso. E quando comparve la barretta che diceva che era incinta, Rosalie sorrise. Doveva subito dirlo a Bernard. Ma che roba da matti, come si poteva pensare che tutto questo non fosse vero, il suo lavoro, il suo amore, quella notte meravigliosa in cui questa nuova vita era iniziata? Rosalie sperò di non vedere più Jeanne, davvero, aveva una vita, una vita vera, tutta da costruire.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo quarto

Bernard Chatelet pagò il biglietto del TGV che da Calais lo avrebbe riportato verso Rosalie, la sua fidanzata e si diresse correndo verso il treno che stava per partire. Alla fine, lei l’aveva spiazzato, ma aveva adorato quel messaggio che gli aveva mandato sullo smartphone: Cosa ne dici, Bernard?

E sotto la foto del test di gravidanza positivo. Papà, sarebbe diventato un papà e la cosa gli piaceva. Del resto, erano ormai diversi mesi che lui e Rosalie si frequentavano, aveva avuto altre ragazze prima, ma con lei era stato tutto diverso, e dire che lei collaborava con la polizia, che lui aveva sempre visto di cattivo occhio. Ma Rosalie e i suoi colleghi cercavano giustizia e aiutavano i più deboli, a cominciare dalla sua comandante, Françoise Jarjayes, una donna davvero eccezionale.

Forse era il momento giusto di mettere su famiglia, anche se aveva una strana sensazione di deja vu, strano, lui non era mai stato padre, nessuna delle altre sue ragazze era mai rimasta incinta. Di questo era sicuro, quella sera di un mese e mezzo prima erano stati imprudenti, troppa birra, troppo ardore nell’amarsi, ma ripensandoci era andata bene così.

Il viaggio fu veloce, Bernard lo passò cercando di leggere un libro che aveva dietro, un testo sempre attuale, il Discorso sull'origine e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini di Jean Jacques Rousseau, del resto lui amava i classici.

Scese alla Gare du Nord e imboccò con decisione il sotterraneo che lo portava verso il binario da cui partiva il servizio metropolitano che conduceva a Versailles, non vedeva l’ora di essere da Rosalie. Si fermò ad un certo punto, con il cellulare che aveva poco campo, per mandarle un SMS con tre parole: Sto arrivando, amore!

Ad un tratto sentì un’atmosfera strana e inquietante che lo avvolgeva. C’era una nebbia insolita che era comparsa di colpo in quel corridoio, faceva freddo, ed era di colpo tutto troppo buio. Non c’era nessuno, strano, a quell’ora di solito nei corridoi sotterranei sotto la stazione c’era gente. Bernard tremò, di freddo e di paura.

Di colpo, sentì dei passi che venivano verso di lui e si voltò: c’era un ragazzo giovane, molto più giovane di lui, vestito in uno strano modo, con un mantello addosso, sembrava uscito da un altro tempo. Aveva un volto quasi femminile, e gli era familiare, molto familiare, anche se non sapeva dargli un nome e ricordare dove l’avesse visto. Ma del resto, Bernard vedeva tanta gente per via del suo lavoro.

“Bernard, non saluti i vecchi amici?”

“Uhm… ci conosciamo? Comunque… salve!”

“Continui a negare la realtà… sono Louis de Saint Just, eravamo amici, io scrivevo racconti scandalosi ma poi mi piaceva anche andare a sparare agli aristocratici….”

Ma cosa diceva questo ragazzo? Bernard ebbe paura per un attimo, di psicopatici purtroppo era pieno il mondo, nonché di mitomani, e gli capitava anche di conoscerli per il suo lavoro, e non era mai una cosa piacevole.

Louis de Saint Just.. ma non era un personaggio della Rivoluzione francese? Già, ma non aveva senso, a meno che questo povero ragazzo non fosse fuori di testa, o magari sotto l’effetto di qualche sostanza pericolosa.

“Senti, se vuoi che ci sentiamo per qualcosa, un’intervista o altro, ti lascio un mio recapito, adesso sono un po’ di fretta, devo andare a casa dalla mia fidanzata...”

“Già, Rosalie, non è vero? Tu pensi che tutto questo sia reale… tu sei già diventato padre, mentre scoppiava la Rivoluzione, ma non vuoi ricordartelo, non vuoi ammettere che è quella la verità… solo, che non sei vissuto abbastanza per vedere crescere i tuoi figli...”

Bernard pensò a Gualtiero, un blogger e giornalista napoletano che conosceva e ai suoi scongiuri molto pittoreschi e gli venne quasi voglia di farli. Poi pensò che quel ragazzo probabilmente aveva problemi seri e non meritava di essere deriso. Però, come cavolo sapeva che la sua fidanzata si chiamava Rosalie? La sua vita privata non trovava spazio sui social e nei suoi profili ufficiali, era visibile solo ad una stretta cerchia di amici molto selezionata.

“Guarda, Louis o come ti chiami, io adesso ho da fare, cercami sul mio blog Le chevalier de la liberté, ci sono tutti i miei contatti e ci sentiamo se ti va” e Bernard accellerò il passo.

Dietro, sentì il ragazzo che gli diceva:

“Inutile che fuggi, Bernard Chatelet, tu qui sei un’ombra senza vita, la tua vita è stata allora, tanto tempo fa, devi ricordartelo”.

 

Per tutto il giorno, alla sezione di Criminologia arrivarono telefonate e mail da giornalisti che volevano notizie in esclusiva sull’omicidio di Henri Germaine. Le consegne erano dire che era tutto fermo, che non c’erano sviluppi, che poi era la verità.

Françoise salutò tutti, voleva arrivare a casa non tanto tardi, c’era suo padre da seguire. Eppure, mentre se ne andava, sentì una stretta al cuore al pensiero che non avrebbe più visto André Grandier per qualche ora. Ma cosa andava a pensare? Lui era un collega, nuovo, brillante, simpatico, eppure era come se lo conoscesse da sempre, e l’aveva appena conosciuto.

A casa, suo padre era in stato catatonico, guardava in televisione su un canale un film di anni prima, anche divertente, Gli sposi dall’anno secondo, con Jean Paul Belmondo e Marlene Jobert, sulla Rivoluzione francese in Vandea, e ogni tanto scuoteva la testa, sconsolato. Ma non le disse più niente di strano, se non quando andò a dormire:

“Buonanotte, Oscar”.

La chiamava così, ma non aveva senso. Ma forse, ormai, la testa e il cuore di suo padre erano persi da qualche parte, e Françoise sapeva che le cose sarebbero andate sempre peggio.

Françoise si addormentò e quel sogno vivido la travolse di nuovo. L’alterco con André che la chiamava Oscar, il bacio folle che lui le dava, e poi loro due che si amavano in maniera totale, come mai le era capitato nelle sue relazioni, i loro corpi uniti e avvinti, lui che la colmava con il suo ardore, lei che gemeva sempre più forte…

“Quando sono con te André sento di vivere.. per te voglio vivere, con te voglio vivere..”, lei diceva così mentre stava tra le sue braccia e diventava un tutt’uno con lui.

Françoise si svegliò di nuovo eccitata e turbata: la cosa non era spiacevole, anzi, ma era leggermente imbarazzante.

 

Arrivò presto alla sezione di Criminologia, incrociando subito Rosalie che era raggiante:

“Bernard è tornato”, le disse. Bernard… era un giornalista anche abbastanza polemico con le forze dell’ordine, ma Rosalie ne era innamorata.

Vedere André le fece piacere, anche se per un attimo arrossì, pensando al sogno, a come era lui là, appassionato, passionale, audace, ma cosa andava a pensare su un collega? Meglio non mescolare le cose, anche se forse era davvero troppo che era single.

“Ti trovi bene, qui Grandier?”

“Ma certo, comandante. Spero solo che ci siano sviluppi presto”.

Anche André era in imbarazzo: ricordava anche lui il sogno della notte precedente, cosa aveva fatto con Françoise, che però lui chiamava Oscar… sentiva ancora i suoi gemiti, sentiva la sua pelle sotto le dita, sentiva sopra le sue labbra il suo sapore, preso dal suo posto più intimo, la sentiva fremere sotto i suoi baci, la sentiva unita a lui, due corpi e due cuori che vibravano all’unisono e come se fossero destinati a stare insieme da sempre e per sempre… ma poteva essere tutto un sogno?

“Scusate, c’è una novità”. Alain era entrato nell’ufficio di Françoise.

“C’è un altro morto, è arrivata di nuovo una segnalazione anonima, stavolta via mail a Diane, con tanto di foto e del luogo”.

“Sicuro che sia vero?”

“Gerard ha fatto un salto là e ha confermato”.

“Là dove?”

“Al vecchio castello di Salles, a dieci chilometri da qui. Sappiamo anche chi è l’assassinato, un altro simpaticone”.

“E cioè?”, chiese André.

“Roland Guise, accusato più volte di essere un pedofilo.”.

Françoise impallidì, ricordava fin troppo bene chi era, ma anche stavolta non aveva scelta, doveva occuparsene di nuovo lei con la sua squadra.

 


Grazie per l'attenzione per le mie fanfiction, che continuerò a scrivere, ma al momento per quello che riguarda la nostra Lady sono anche al lavoro sulla Guida non ufficiale completa e su alcuni progetti creativi per il quarantennale.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo quinto

Quando la squadra di Françoise arrivò nella blindata, lussuosa e terrificante casa di Roland Guiche, capì che non era una montatura, ma che era di nuovo un enigma da risolvere con la volontà di tirarli in mezzo.

Roland Guiche giaceva cadavere nel sallot della sua casa, come dimostravano le immagini che erano giunte all’Unità di Criminologia, attraverso una mail che poggiava su un server colombiano. Morto assassinato, con una modalità molto simile a quella di Henri Germaine, e assassinato era un eufemismo, quello era un massacro.

E la sua casa non era poi così blindata, visto che Françoise e i suoi colleghi trovarono la porta di quel sontuoso ma cupo appartamento aperta.

“Un altro macello”, commentò Victor entrando.

“Puoi dirlo forte”, rispose Rosalie.

Il cadavere era in una pozza di sangue, in ginocchio e con la testa bassa, e per quanto fosse brutto da vedere non era la cosa peggiore lì dentro.

La casa di Roland Guiche era disgustosa, c’erano foto pedopornografiche di bambine ovunque, riviste, DVD e una stanza per soddisfare le sue voglie con oggetti appositi che fecero impallidire Alain e André.

“Non nascondeva niente delle sue perversioni, ma pare che in questa casa solo in pochi potessero entrare, e ultrafidati. E chi gli ha fatto la festa, ha lasciato tutto aperto e ci ha avvisati”, disse Gerard, in fondo soddisfatto. Non era certo una persona di cui rimpiangere la dipartita.

Françoise era ammutolita: sapeva che persona era Roland Guiche, ricordava quella madre disperata, la cui figlia di appena undici anni era scomparsa dopo che l’assassinato l’aveva sequestrata, purtroppo le prove erano state tutte fatte sparire e lei non era riuscita a farlo incriminare. Era stato il suo primo caso e lo ricordava bene, certo, era andata così.

Ma qualcuno l’aveva tirata in mezzo di nuovo, sapendo i suoi trascorsi e i problemi che aveva avuto con il morto.

“Comandante, c’è una cosa interessante”: Diane per una volta li aveva seguiti sul campo anziché lavorare dall’ufficio da remoto con il computer e aveva trovato qualcosa.

“Come immaginavo, l’alloggio era monitorato da un servizio di videocamere, con cui il morto riprendeva tutte le sue attività. Credo che potremo vedere presto il suo assassino”.

“Direi che è morto da circa quattro ore”, disse Rosalie.

Diane evitò di andare troppo indietro, per evitare scene raccapriccianti. Mise l’orario delle riprese a quattro ore e mezza prima.

La videocamera riprendeva in primo piano il volto di Roland Guiche, ancora vivo, con l’aria soddisfatta, diceva qualcosa, ma non c’era l’audio. Di colpo, la sua espressione cambiò, aprì la bocca in una smorfia, mentre il suo corpo sussultava, qualcuno lo stava massacrando, come lo stato del cadavere faceva chiaramente capire. Ad un tratto, il suo volto scomparve, mentre sul vetro della videocamera finivano delle gocce di sangue. Poi tutto diventò scuro per una manciata di secondi, mentre Diana scuoteva la testa, arrabbiata, temendo che non ci fossero più immagini.

Poi, tutto si riaccese su un altro volto: una ragazzina giovanissima, dai lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e gli occhi azzurri, con qualche macchia di sangue sul volto, fece passare sorridendo un coltello sporco davanti allo schermo. Poi, prese in mano uno smartphone e compose un messaggio, scattando qualche foto a chi aveva ai suoi piedi. Prima di mandare il messaggio girò lo schermo verso la videocamera e Françoise trasalì: stava mandando lei le foto e la comunicazione al loro ufficio.

“Abbiamo trovato l’assassina...”, disse Victor, esitante.

“Ma come cavolo ha fatto una ragazzina così esile a fare questo macello?”, sbottò Alain mentre André scuoteva la testa, incredulo.

“Comunque dovremmo cercarla”, disse Françoise, “senz’altro non era da sola, ed è comunque implicata”. Per una ragazzina di quell’età non ci sarebbe probabilmente nemmeno stato il carcere minorile, solo terapia psichiatrica. Quanto poteva avere? Undici o dodici anni, non di più.

 

Era tardi, quando Françoise si incamminò verso casa, lasciò la macchina vicino all’ufficio e tornò a piedi, voleva svariarsi un attimo. Era stata una giornata pesante per tutti, l’unica nota positiva era Rosalie contenta perché le cose con il fidanzato andavano bene.

Sulla strada di casa, non lontana dall’ufficio, dove la aspettavano suo padre ormai sempre più assente, c’era ad un certo punto un angolo verde, con al centro una fontana antica.

Françoise era sovrapensiero, ma amava guardare verso la fontana, e notò una presenza che le fece saltare il cuore in petto.

Seduta sul bordo della fontana c’era lei, la ragazzina bionda del video, la ragazzina bionda che aveva mandato il messaggio, la sospettata di concorso in omicidio. Françoise la guardò e si guardò attorno, temendo la presenza di eventuali complici: ma c’erano soltanto loro due, intorno a loro era tutto silenzioso, non si sentiva più il traffico e anche gli altri rumori della città erano come spariti, clacson, musiche, voci, tutto scomparso.

La ragazzina la guardò sorridendo:

“Che bello rivedervi. Siete sempre gentile e affascinante, vi ho sempre adorata...”

Françoise la guardò, perplessa e tentò una parola:

“Credo che noi dovremmo parlare...”

“Certo che sì. Dovete ritrovare la vostra strada. E allora vi ricorderete tutto, del mio nome e di cosa è successo, e di che senso hanno i vostri sogni di notte, quei sogni, dove amate il vostro André, perché voi eravate e siete amanti da sempre e per sempre. Anche se io avrei voluto vivere con voi, con una persona gentile, affascinante e adorabile come voi… madamigella Oscar!”

Françoise fece un salto all’indietro, di nuovo quel nome, di nuovo quella strana sensazione, e la ragazzina le prese le mani con la sua, era piccola, fragile e non le avrebbe mai fatto del male, lei lo sapeva.

E di colpo vide quello che lei le mostrava, era nel parco della reggia di Versailles, vicino alla Fontana di Latona, e parlava con quella ragazzina, per convincerla a tornare dentro, e lei la abbracciava, piangeva, e le prendeva la rosa che aveva appuntata sul petto.

E poi era a corte, dove c’era un ballo: vide anche André e Rosalie, ma era tutto diverso, loro erano vestiti in maniera diversa, con abiti di foggia antica, come se fossero in un altro tempo. Ad un tratto, un valletto dava l’allarme:

“La contessina Charlotte de Polignac minaccia di lanciarsi nel vuoto!”

Oddio, sapeva chi era Charlotte, la conosceva, e conosceva sua madre. Corsero tutti fuori, nel parco, e Charlotte, la stessa ragazzina del video, la stessa ragazzina che era nel giardinetto, si era arrampicata in cima ad un abbaino al piano più alto, era scarmigliata, ormai folle, con i capelli al vento, e con la rosa in mano. Si librava nel vuoto, perché non voleva sposarsi… con il duca Roland de Guiche, Roland de Guiche, un ultra quarantenne depravato, come l’assassinato, certo, perché era lui. Ora lo ricordava, e ricordava anche quel tonfo sordo, quel corpo scomposto sul selciato, il sangue che cominciava a spandersi, la rosa distrutta, gli occhi sbarrati...

E Rosalie piangeva perché Charlotte era sua sorella. Françoise restò immobile, lei aveva visto tutto, lei era lì a corte, in quel mondo lontano, e c’erano anche gli altri, aveva intravisto anche Victor, e non sembrava un sogno.

Scosse la testa e si ritrovò nel giardino, da sola. Sembrava passato un tempo interminabile: per terra, c’era un foglio di carta, con sopra una scritta: Place de la Revolution.

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo sesto

“Alain, che dici, ci fermiamo a prendere la solita pizza?”, chiese Diane a suo fratello, mentre erano a due passi da casa in auto, con Gerard.

“E me lo chiedi? Gerard, ovviamente l’invito vale anche per te”. In fondo, abitavano a due passi, e non era la prima volta che si fermava a casa di due colleghi e amici.

“E poi ci facciamo una bella maratona di Vikings, che ne dici?”, disse Gerard, che non voleva perdere l’occasione per stare un po’ con Diane. Lavoravano insieme ma avevano legato anche al di fuori, avevano tanti interessi in comune, chissà, forse poteva nascere qualcosa di veramente bello tra di loro.

Alain sorrise e scosse la testa, Gerard gli piaceva e poi, dopo aver passato gli ultimi tre giorni a occuparsi di due omicidi, era ora di offrirsi una pausa. Rimpianse di non aver invitato André Grandier, il nuovo collega, visto che era davvero molto simpatico.

“Vado io a prendere la pizza, come la volete?”, chiese a quelli che ormai vedeva come due piccioncini, prima di scendere dall’auto.

“Io funghi e carciofini”, disse Diane.

“E io peperoni e tonno”, aggiunse Gerard.

“Ottimo”, rispose Alain, mentre pensava a quale sarebbe piaciuta a lui.

Diane e Gerard si guardarono, erano stanchi, erano state giornate pesanti, ma era bello adesso pensare a qualcosa di diverso.

“Guarda, guarda chi c’è qui”.

Una voce improvvisa, rozza e minacciosa, li fece voltare verso fuori dal finestrino. C’era un omone, con una cicatrice sul volto e l’aria non certo rassicurante. Gerard fece un gesto per chiudere la portiera, ma quell’uomo la aprì con la forza e allungò una mano verso di lui.

Diane urlò.

“Andiamo, accogliete così chi vi conosce da tanto tempo? Gerard, non ti ricordi il tuo vecchio amico Louis Perrier?”

Louis Perrier. Il nome gli era familiare, ma non riusciva a collegarlo a niente. Gerard pregò che non fosse legato a quel giro di magnaccia su cui aveva indagato alcuni anni prima, aveva risolto bene il caso, ma certe cose ti mettono in pericolo, era purtroppo inevitabile e lo sapeva. Ed ebbe paura.

“Ma dai, Gerard, non ti ricordi? Eravamo compagni d’arme, vuoi mica dirmi che hai dimenticato i Soldati della Guardia?”

Ma che diceva? I Soldati della Guardia? Lui era un poliziotto.

“E tu Diane, venivi sempre in caserma a trovare il tuo fratellino Alain, eri bellissima, e non ti dico che pensierini mi sono fatto su di te, soprattutto quando andavo nella ritirata o a letto di notte. Oh, cosa avrei fatto a te e alla nostra cara comandante prima di farla secca, quela bionda altera e con un corpo da urlo. Purtroppo tuo fratello e il suo amico guercio mi hanno ammazzato...”

Diane lo guardò atterrita e guardò Gerard, che tirò fuori la pistola:

“Chiunque tu sia hai dieci secondi per sparire o finisce male!”

“Ma non capisci, nessuno capisce. Non vi ricordate più niente, questo non è il vostro posto, siete come me, siete morti: E siete morti anche male, tu, soldatino, ti sei scagliato contro i fucilieri del reggimento del re per salvare il culo alla tua adorata comandante e ti hanno impallinato, e tu, fighetta adorabile, ti sei impiccata perché quello stronzo del tuo fidanzato ti aveva mollata...”

Gerard e Diane rimasero immobili per un attimo, sconvolti. Diane si sentì soffocare e Gerard sentì come se gli avessero sparato in petto. Sbatterono gli occhi e il bestione sparì, come se non fosse mai esistito.

“Ehi, ragazzi, che c’è?” Alain era tornato, con tre meravigliose pizze nei cartoni.

“Niente, c’era un tizio che chiedeva soldi, era un poveraccio ma era un po’ insistente”, disse Diane prontamente.

“L’importante è che non sia successo niente, andiamo a casa”.

Gerard e Diane annuirono: una pizza, una birra e una maratona di serie televisive poteva forse cancellare quello che era successo. Non ne parlarono più, ma era successo davvero?

 

Françoise arrivò a casa, sempre più confusa e vide che suo padre era già a letto. Era stanca, mangiò poco e poi si mise a letto, dove pensava di non riuscire ad addormentarsi ma si sbagliava.

C’era di nuovo André, il suo collega, che la stringeva, la amava, la possedeva, con passione e disperazione, e lei sentiva come se fosse tutto reale, sentiva i gemiti suoi e di lui, il calore che emanava dai loro colpi, gli umori che si mescolavano, il corpo di lui che la colmava e il suo corpo che lo avvolgeva.

“Noi ci dobbiamo ritrovare, Oscar, per stare insieme per sempre”, le mormorò André e di colpo Françoise lo vide ancora sopra di lei, nudo, mentre la stringeva tra le braccia e continuava a baciarla ovunque, ma con un’orrenda ferita al petto che sanguinava sopra di lei, coprendola tutta.

Si svegliò urlando, era ancora molto presto e si ricordò che doveva controllare una cosa sullo smartphone, dove era Place de la Revolution. Ricordava bene, era il vecchio nome di Place de la Concorde e sarebbe andata là l’indomani. Françoise tornò a letto e cercò di riprendere sonno. C’era di nuovo André, questa volta senza più la ferita, che le sussurrava parole dolci, mentre la avvolgeva di nuovo con il suo corpo:

“Tu non devi sentirti in colpa per cosa è successo, ci siamo amati e ci ameremo sempre, e questo è importante. Ma ora dobbiamo ritrovarci...”

 

A diversi isolati di distanza, André Grandier dormiva anche lui, dopo aver pensato agli avvenimenti della giornata e a quei due strani omicidi da risolvere.

Lei era di nuovo con lui, anche in quel sogno, e André la amava con tutta la sua foga, all’inizio lei gli resisteva sempre, si girava da un lato, mezza nuda, con i seni ansimanti, mormorando piangendo:

“E adesso André, cosa vorresti farmi, cosa vuoi provare?”

E lui non si tratteneva, le saltava di nuovo addosso, la copriva di baci ovunque, sulla pelle che aveva esposto, sulla bocca, sul volto, le asciugava le lacrime e lei pian piano abbandonava i singhiozzi per i gemiti di piacere.

Si amavano come se si conoscessero da sempre, come se non ci fosse nessun altro al mondo oltre a loro, e lei ad un certo punto mormorava:

“Il mio André...”

Di colpo, André sentì un bruciore al petto e guardò in basso, dove era unito al petto della sua amata: si era aperta una ferita da cui sgorgava sangue, macchiando i seni di lei, e Françoise, o come si chiamava, urlava e piangeva.

André si svegliò di scatto, sentendo ancora dolore al petto. Ma era tutto a posto, non c’erano ferite. Il suo smartphone stava suonando, era arrivato un messaggio.

Non c’era il mittente, era anonimo, ma c’era scritto Place de la Révolution domani alle 10 e scoprirai tutto sui due morti.

Place de la Révolution: il nome non gli era nuovo, e una rapida ricerca gli confermò che era il vecchio nome di Place de la Concorde.

André guardò l’ora, era presto per qualsiasi cosa, e provò a tornare a dormire. Stavolta il sogno fu tranquillo, era abbracciato alla sua amata identica al comandante Françoise, era dopo l’amore, si baciavano dolcemente, più come due bambini che come due innamorati, lei gli diceva:

“Ma allora mi ami dalla prima volta che mi hai visto, André? Eri un bambino, anch’io ti ho voluto subito bene”.

“Certo, da allora. Chiaramente, ho capito di desiderarti come donna qualche anno dopo. Io ti ho sempre vista come una donna… Oscar!”

“André, dobbiamo ritrovarci, ritrovarci per sempre...”

Il suono della sveglia lo destò: un’altra giornata lo attendeva, e forse stavolta avrebbe scoperto qualcosa di nuovo.

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo settimo

Erano stati bene quella sera, lui, Diane e Gerard, e Alain si affacciò dalla finestra per dare un ultimo saluto al suo amico e collega, nonché potenziale futuro cognato, che abitava due porte più in là, nello stesso caseggiato.

Diane era andata in bagno a prepararsi per la notte e Alain mise i cartoni delle pizze nella pattumiera, accorgendosi che era piena.

“Diane, scendo un attimo per portare giù l’immondizia, prendo le chiavi”, urlò dietro alla porta e uscì, voleva sbrigarsi, aveva sonno.

Ormai era quasi l’una di notte, tutti dormivano e dove c’erano i bidoni non c’era nessuno. La pizza e la birra erano sempre ottime, e le avventure della saga di Vikings sempre avvincenti, ma l’euforia che aveva provato poco prima era sparita, e non solo perché portare giù l’immondizia non era certo esaltante.

Si sentiva inquieto, in un modo che non sapeva spiegare, forse centravano le indagini del lavoro, eppure doveva essere routine, ormai, per Alain e i suoi colleghi.

Buttò via i cartoni della pizza e fece per girarsi per tornare in casa e vide qualcuno che ostruiva la porta di accesso alle scale.

Era buio, ma vedeva chiaramente che era un uomo grande e grosso, ed Alain ebbe paura, sapeva difendersi bene, all’occorrenza, ma non era armato e un corpo a corpo era sempre rischioso.

“Guarda, guarda chi si vede… il mio caro amico Alain de Soissons!”

Alain ora riusciva a vedere meglio l’uomo, era grande e grosso, con un’enorme cicatrice sul volto.

“Non ti ricordi di me, vero? Non vuoi ricordarti… il tuo compagno d’armi Louis Perrier, ti rispettavo, anche se avrei voluto fottermi tua sorella, la tua cara sorellina. E volevo anche fottermi la nostra cara comandante, prima di farla fuori, quella bionda, algida aristocratica per cui tutti avevate perso la testa, quella che aveva quel cagnolino fedele che ho ammazzato di botte insieme agli altri, che poi mi hanno tradito, mi avete tradito tutti...”

“Io non so chi siate, ma andate via!”, disse Alain e la sua voce tremava. Quelle parole gli avevano messo addosso un’enorme inquietudine, e non per le cose che aveva detto, volgari e orribili, ma per qualcos’altro che sentiva dentro di sé.

“Ah, che bell’amico poi. Tu e il cagnolino della bionda che volevo aprire da sotto mi avete fatto fuori in cima a quel castello diroccato, guastafeste, mi sarei tanto divertito con lei...”

“Siete pazzo!”, disse Alain, cercando un oggetto contundente, che c’era, un bel pezzo di ferro che qualcuno aveva lasciato lì, poteva servire, questo tizio non gli piaceva proprio per niente e doveva smetterla di dire quelle orrende assurdità.

“No, sei tu e gli altri i pazzi, voi che vi illudete di vivere e rimanete qui anziché andarvene. Ah, quanto vorrei ancora fottermi tua sorella e la comandante, peccato che non si possa, per quanto magari ci potrei provare!”

Scoppiò a ridere in maniera fragorosa, e ad Alain vennero i brividi. Alzò la sbarra e colpì. Colpì il muro, l’uomo era scomparso.

Tornò su di fretta, guardandosi intorno, chiuse bene la porta, andò a salutare Diane, che sembrava dormire. Cosa era successo?

 

Françoise mandò un messaggio in ufficio dicendo che avrebbe tardato e prese il treno per andare nel centro di Parigi. Arrivò abbastanza facilmente a Place de la Concorde, una delle più vaste di Parigi, piena di traffico e persone, dove era effettivamente difficile pensare di incontrare qualcuno se non si avevano indicazioni precise, ma iniziò a guardarsi attorno lo stesso.

Non c’era nessuno di sospetto, tra turisti e passanti, tutti impegnati a fotografare, chiacchierare, baciarsi, passare di fretta o più lentamente, godendosi il panorama. Poi, ad un tratto, la vide.

Era nello spiazzo verso l’ingresso del giardino delle Tuilieries, era una donna anziana, con i capelli tutti bianchi, sembrava una senza fissa dimora, mal vestita, scarmigliata, sporca, e guardava verso di lei e sorrideva. Ma aveva qualcosa di familiare, come di qualcuno che Françoise conoscesse da tempo.

Françoise si avvicinò e mentre andava verso quella donna, che la guardava e le sorrideva, sentì pian piano svanire i rumori delle auto, delle suonerie dei cellulari, della gente che parlava, tutto diventava silenzioso in maniera strana, non certo adatto ad una mattinata normale a Parigi.

 

André era arrivato in auto vicino a Place de la Concorde, aveva parcheggiato in Rue de Rivoli e poi si era diretto verso là, pensando comunque che era tutto un po’ folle, ma meglio non tralasciare nessuna pista. Place de la Concorde era una delle piazze più grandi d’Europa, e senza informazioni precise era un po’ dispersiva.

Effettivamente, era piena di gente e di auto, e per un attimo si sentì smarrito. Ma poi di colpo la vide, anzi le vide.

C’era Françoise, che stava andando verso l’imbocco dei giardini delle Tuilieries, quanto era bella, non aveva mai desiderato così una donna. Quei sogni, così reali, così eccitanti, facevano parte di lui da mesi, da anni forse. E all’imbocco dei giardini c’era quell’altra donna, mal messa, ma lui la conosceva, era certo di conoscerla, di averla già vista, in un altro tempo che tornava in quel momento.

André si diresse verso le due donne, e di colpo sentì un ronzio nelle orecchie, mentre tutto diventava silenzioso e svaniva.

Arrivò anche lui vicino alla sconosciuta misteriosa, dove c’era già Françoise e lei guardò entrambi e sorrise, e quel volto era familiare, anche se era rovinato dal dolore e dagli anni, loro la conoscevano e anche molto bene.

 

“Che bello rivedervi e ritrovarvi”, disse lei.

“Ci conosciamo?”, chiese Françoise, anche se sentiva una strana sensazione, e si accorse in quel momento che c’era anche André.

“Oh, avessi ascoltato i vostri consigli, non sapete quanto l’ho rimpianto. Voi eravate la mia migliore amica, l’unica su cui potevo contare, ma mi sono lasciate traviare dalle cattive compagnie prima e dalla mia infelicità dopo. Sono stata sorda per tutto il tempo, e bastava solo che vi ascoltassi, voi mi avete aiutata fin da subito, quando ero una bambina appena arrivata in Francia”.

Françoise guardò la donna, perplessa. Come facevano a conoscersi? Negli anni, aveva aiutato tante persone disagiate, poteva forse essere una di loro? Ma cosa stava dicendo? Però era vero, lei la conosceva.

“Mi avevate detto di ritirare le truppe da Parigi, che non bisognava arrivare ad uno scontro tra la famiglia reale e il popolo. Ma io ero distrutta dal dolore per la morte di mio figlio, e non vi ho ascoltata, e così tutto è precipitato, e voi siete morta, combattendo per i vostri ideali, con il vostro amore. Io sono stata la causa della vostra morte, della morte di voi due”.

No, ma cosa stava dicendo? Era tutto folle.

“Signora”, intervenne André, “mi spiace per la morte di vostro figlio, diteci come possiamo aiutarvi...”

“Oh, André. Io ho capito subito quanto la amavate, eravate come la sua ombra, due anime unite per l’eternità, come se ne vedono poche. Il vostro era un grande amore, un amore senza fine, molto più grande di quello che ho vissuto io, e ve lo ricordate ancora, vero, ogni notte, quando sognate… era così bello vedervi insieme, quando seppi delle vostre morti piansi, piansi perché ero colpevole, era come se vi avessi uccisi io, e da lì crollò tutto e pagai anche per quello.”

Françoise e André si guardarono, perplessi.

“Signora, noi vi possiamo aiutare, ma voi avete qualcosa da dirci su quei due omicidi? Ci avete attirato voi qui?”

“Ah, stanno avendo quello che meritano, quei due criminali. Ma voi siete eroi, voi dovete andare oltre, per essere per sempre felici e contenti, continuate a non ricordare, e non va bene...”

Le parole di quella donna erano inquietanti, ma c’era qualcosa che turbava profondamente sia Françoise che André.

“Quanti ricordi abbiamo… quante lacrime ho versato per voi, quando Rosalie mi raccontò tutto, mentre ero alla Conciergerie, mi raccontò come vi aveva conosciuta, degli anni passati con voi due a palazzo, del vostro amore, di come vi aveva ritrovata e di quali erano state le vostre ultime parole, Seppellitemi con il mio André sulla collina di Arras...”

No, erano troppe le cose che non tornavano.

Françoise decise di prendere la situazione in mano, aveva pena della follia di quella poveretta, ma lei aveva un lavoro da portare a termine e due indagini da risolvere:

“Signora, vi prego, cerchiamo di venirci incontro e aiutarci.”

“Ma io voglio aiutarvi. Non riconoscete la vostra regina? Sono tanto cambiata? Certo, hanno distrutto Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, e sono diventata l’ombra della donna che ero. Voi, invece, siete stati degli eroi, e vi siete sacrificati per coloro che mi hanno poi uccisa insieme a mio marito, proprio qui mi hanno ammazzata, quel giorno, dopo avermi trascinata qui su quella carretta, con tutti che mi insultavano e sputavano addosso, dopo quello che mi avevano detto al processo… davvero non ricordate niente, André e madamigella Oscar?”

Françoise e André si guardarono stupiti e atterriti. Una strana sensazione li invase, di essere fuori posto, ma nello stesso tempo di ricordare cose che di colpo appartenevano a loro, e quello che diceva quella donna non era folle, ma era vero.

In un battito di ciglia, quella che si era definita Maria Antonietta scomparve e riapparvero i rumori di una mattina a Parigi.

André e Françoise si guardarono:

“Ma cosa sta succedendo?”, disse lui, perplesso.

“Troppe cose strane. A te è capitato solo questo?”, chiese lei, in un sussurro.

“No”, rispose André, guardando Françoise di colpo con un amore infinito.

“Fai anche tu quei sogni?”, chiese allora d’impulso lei.

“Quali sogni? Quelli in cui noi due, anche prima di conoscerci, ci amiamo con passione e desiderio rari e unici? Da anni, Françoise, e ti chiamo in un altro modo. Come ti ha chiamata la presunta regina”.

Françoise stette zitta, non sapeva cosa dire. Chi erano loro due? Cosa facevano lì?

“Torniamo in ufficio a Versailles”, disse Françoise, “dobbiamo chiarire cosa sta succedendo”.

“Sempre se ci riusciremo”, disse André.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo ottavo

Victor Girodelle corse come un fulmine fuori di casa, lanciando parolacce mentali contro la maledetta sveglia che non era suonata in tempo e lui adesso era in ritardo. La sua bella Vespa fiammante lo aspettava per portarlo in ufficio, doveva fare più in fretta possibile.

“Buon giorno, non mi salutate?”

Victor si girò, sul marciapiede vicino a casa sua si era materializzato un uomo imponente, anzi lo si poteva definire obeso a essere poco gentili, dal volto gioviale, che in qualche modo gli era familiare, ma non sapeva dove l’aveva già visto.

“Buon giorno. Devo correre al lavoro, ma mi fa piacere salutarvi”, disse Victor, mentre si chiedeva dove avesse già visto quell’uomo. In qualche indagine passata, era un poliziotto, o un giornalista, o frequentava lo stadio, o era un conoscente di amici?

“Ah, il vostro lavoro, voi siete sempre ligio al dovere. Tranne quella volta, in cui vi avevamo incaricato di far sgomberare l’autoproclamata Assemblea nazionale e non lo faceste, perché ve lo chiese la donna che amavate invano. Vi capii, sapete? L’amore non è controllabile, soprattutto quando non è contraccambiato, io ne so qualcosa”.

Ma quando mai aveva pensato di sgomberare l’Assemblea nazionale? Lui si occupava di entrare nella mente dei criminali, perché voler far sgomberare una sede istituzionale del suo Paese? La donna amata… ormai si era rassegnato a stare da solo, amava il comandante Françoise, ma c’era qualcosa che lo frenava, lei era sempre gentile e corretta con lui, forse Victor doveva solo trovare il coraggio di farsi avanti e rischiare, anche se dentro di sé sentiva che sarebbe stato inutile.

“Però poi vi perdonai, avevamo bisogno di qualcuno che ci stesse vicino, mia moglie ed io, e quando la vostra amata morì in battaglia combattendo dalla parte degli insorti la vostra presenza fu essenziale”.

Cosa stava raccontando quest’uomo gentile? Nessuna sua amata era mai morta in una battaglia. Victor non aveva tempo da perdere, ma c’era qualcosa che lo bloccava.

“E poi anche voi ci avete lasciato, quel maledetto 10 agosto, quando hanno dato l’assalto alle Tuilieries. Siete caduto come un eroe, certo, l’ultimo rimasto fedele e noi, e vi sarò sempre grato per questo.”

Victor riuscì ad aprire bocca:

“Sentite, mi ha fatto piacere salutarvi anche se non ricordo dove ci siamo visti, ma mi sembra che forse avete qualche problema. Devo andare al lavoro, ma se volete possiamo magari sentirci, uno dei prossimi giorni...”

“No, voi non ricordate. Ma lo farete e presto. Intanto vi sarò sempre riconoscente, certo che potevate salutare meglio il vostro sovrano, Luigi Augusto decimosesto”.

Victor rimase immobile. No, era troppo, pensò per un attimo che quell’uomo avesse davvero dei problemi, non aveva l’aria di essere pericoloso, ma senz’altro non c’era con la testa. L’uomo gli sfiorò la mano con il gesto di stringerla e di colpo un’ondata di ricordi lo travolse.

Spari, una bellissima donna bionda, con un’uniforme antica ma identica al comandante Françoise che si metteva di fronte a lui, un ragazzo con un parrucchino da Settecento che piangendo gli diceva Lei è morta, è caduta oggi a Parigi, e poi l’assalto di una folla inferocita che lo travolgeva.

L’uomo era scomparso. Victor saltò in moto e si diresse verso l’ufficio, la giornata era cominciata in maniera decisamente inquietante.

 

“Venite nel mio ufficio, è necessario che io parli con tutti voi”. Il comandante Françoise era appena arrivata all’Unità di Criminologia e convocò tutti i suoi collaboratori.

Rosalie, Victor, Gerard, Alain e Diane raggiunsero Françoise ed André: c’era una strana tensione che avvolgeva tutti.

“Non voglio parlarvi delle nostre due inchieste, che sono sempre più convinta che siano collegate, anche se non so come e non so perché. Vorrei sapere se vi è successo qualcosa di strano, ultimamente”.

“Strano in che senso?”, chiese Alain.

Françoise si schiarì la voce:

“Qualcuno vi ha detto cose strane per esempio? Anche non sul nostro lavoro? O avete fatto degli… strani incontri?”

Tutti rimasero in silenzio a lungo, e capirono che qualcosa era successo a ciascuno di loro.

Alain iniziò a parlare per primo e raccontò dell’incontro con l’uomo che si faceva chiamare Louis Perrier, omettendo i particolari disgustosi, e anche Gerard e Diane dissero cosa era loro successo, con la stessa persona.

“Non conosciamo nessun Louis Perrier ma era come se lo conoscessimo, lo abbiamo percepito come una minaccia”, dissero tutti e tre.

Victor ricordò cosa gli era accaduto poco prima, omettendo quelle visioni che aveva avuto, ma liquidando tutto come il delirio di una persona con problemi mentali, anche se era stato davvero troppo inquietante.

Rosalie disse:

“L’altra sera ho trovato mia sorella Jeanne sotto casa. Forse vi ho parlato di lei, ha problemi di droga e per questo ha creato molta sofferenza a me e mia madre nel corso degli anni, con anche suo marito Nicholas. Lei ha iniziato a raccontarmi cose strane, a dirmi che la mia vita non era vera. Ho deciso di sposarmi con il mio fidanzato Bernard, io… noi aspettiamo un bambino...”

Un grido unico di gioia e congratulazioni interruppe il discorso di Rosalie.

“Ma tutto mi sembra strano, come se non fosse vero. Il mio fidanzato Bernard mi ha raccontato che è successo qualcosa di strano anche a lui, ha incontrato un ragazzo vicino alla stazione, che si è definito Louis Antoine de Saint Just e gli ha detto cose molto simili a quelle che mi ha detto Jeanne. Sembra come se qualcuno stesse cercando di confonderci, per conto mio c’entrano i due omicidi su cui stiamo indagando...”

Françoise stette zitta per un attimo e poi disse:

“Rosalie, puoi anche avere ragione, ma sono troppe le cose inquietanti. Ha iniziato mio padre a dirmi cose strane, chiamandomi con un altro nome, Oscar, è malato da tempo di Alzheimer ma è come se vedesse e sentisse qualcosa che io non riesco a percepire. Poi c’è stata quella ragazzina, una sospettata dell’omicidio di Roland Guiche, che ha tirato fuori una storia su me e lei, chiamandomi sempre con il nome Oscar. Infine, stamattina sono stata attirata con André a Parigi in Place de la Concorde e ho trovato una donna che mi ha detto di essere… nientemeno che la regina Maria Antonietta”.

“Qualcuno ci sta prendendo per i fondelli”, disse Rosalie, “per un qualche motivo che ci sfugge”.

“Giusto, Rosalie. Ma mio padre come te lo spieghi? E poi… tra le cose strane io intendevo anche i sogni o la modalità in cui vedete queste persone, come fossero quasi delle apparizioni...”

Tutti furono concordi a dire che questi incontri erano sempre strani e che a volte i loro interlocutori… sparivano nel nulla durante un battito di palpebre.

“Ma dai, non siamo in un episodio di The X-Files o Supernatural”, disse Diane, cercando di convincersi.

“C’è anche un particolare, che voglio raccontarvi, anche se è molto personale. André è arrivato nel nostro ufficio da poco, ma io da mesi faccio sogni in cui ci conosciamo… intimamente, e ci amiamo, e una volta mi è morto tra le braccia, mentre eravamo abbracciati a fare quello che avete capito. E mi chiama sempre Oscar. Come spiegate questo?”, concluse Françoise.

“Io faccio gli stessi tuoi sogni”, disse André.

Rimasero di nuovo in silenzio, guardandosi. Perché stava loro succedendo tutto questo?

Il rumore della porta dell’ufficio che si apriva li fece trasalire, si erano dimenticati di chiuderla.

Arrivarono nel corridoio verso l’ingresso: c’era un uomo, alto e prestante, che a Françoise e André ricordò qualcuno.

“Buon giorno, sono venuto a costituirmi, sono l’assassino di Henri Germaine e Roland Guiche… e noi comunque ci conosciamo da tempo, sono Hans Fersen, cittadino svedese”.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo nono

“Allora, non mi arrestate, comandante Jarjayes e tenente Grandier?”, disse Hans Fersen ai suoi interlocutori, ignorando deliberatamente tutti gli altri.

“Come facciamo a sapere che ci state dicendo la verità?”, chiese Alain, “vi ricordo che la simulazione di reato è un crimine”.

“Ah, già, ci siete anche voi, Soissons. E anche il caro Girodelle, la dolce Rosalie, la bella Diane e voi chi eravate già? Lasalle, forse? Non ho mai voluto frequentare voi popolani, già prima di quello che faceste alla mia amata”.

Victor guardò il nuovo arrivato in maniera decisamente arrabbiata: ma come si permetteva di essere così insolente e strafottente?

“Moderate i termini, innanzitutto”, disse, sentendosi autorizzato a intervenire.

“Ah, eravate permaloso allora e lo siete adesso. Non vi è mai andata giù che lei non vi abbia contraccambiato e vi abbia preferito il suo attendente, vero? Ma voi non ve lo ricordate, non ancora”, continuò Hans Fersen.

Girodelle rimase in silenzio: oh, no, un altro che sparava assurdità.

“Io parlo solo comunque con il comandante Jarjayes e il tenente Grandier, se vogliono interrogarmi”, concluse Fersen.

“Va bene!”, disse Françoise, “venite di là ma sappiate che se ci state prendendo in giro pagherete”. Non le piaceva come quell’uomo si era rivolto ai suoi colleghi, ma nello stesso tempo sentiva una strana sensazione, come se lo conoscesse da tempo.

André chiuse la porta dell’ufficio di Françoise e si sedette al tavolo di fronte a Fersen e accanto alla sua superiora. Era pronto a recitare la parte del poliziotto cattivo, se necessario, non gli piaceva quell’uomo e non solo per come si era comportato con gli altri.

“Bene”, disse Françoise, “vi ascoltiamo. Iniziate con il raccontarci con parole vostre come avete ucciso Henri Germaine e Roland Guiche, poi vi faremo alcune domande per avere un quadro più chiaro di tutto”.

“Davvero volete sapere come sono morti quei due bastardi? Ve lo dirò senza problemi, furono uccisi entrambi dai loro servitori, il primo il 15 luglio, il giorno dopo il vostro ultimo atto eroico, da vigliacco qual era invece lui, e il secondo un anno e mezzo dopo, pare da qualcuno che voleva vendicare la figlia di cui lui aveva abusato. Ah, inutile che facciate quelle facce, mi spiace solo che non abbiate assistito alle loro morti, a differenza vostra erano degli esseri ignobili, io non parteggiavo ovviamente per il popolo, ma non è stata una grande perdita… A differenza di voi, vi ho rimpianti per sempre”.

“Non fateci perdere tempo, per piacere”, disse Françoise.

“Siete sempre così bella, coraggiosa, leale. Avessi saputo che donna eravate fin dall’inizio la mia vita sarebbe stata diversa, la nostra vita sarebbe stata diversa, ma forse voi amavate già il vostro attendente, bastava vedervi insieme. No, non avrebbe mai funzionato tra di noi, non poteva funzionare. Con che foga vi scagliaste contro di me perché avevo tolto la maschera alla principessa al ballo all’Opéra, e con fierezza vi diceste il vostro nome. Non parliamo poi di quando mi accusaste di averle scritto una lettera d’amore, per fortuna che arrivò il vostro attendente con quell’altro poveraccio che sta di là a morirvi d’amore dietro. Che fortuna per me, ovviamente.

Ma io vi ammiravo, vi ammiravo davvero tanto, come quando chiedeste clemenza per quello che non era solo il vostro attendente, proprio voi, André, al re che voleva condannarlo a morte. Il vostro senso di giustizia era straordinario, il vostro coraggio impagabile, vi ho sempre invidiata e non solo per questo.

Fu allora che scoprii che eravate una donna, grazie a quella simpaticona di vostra nonna, André, che non voleva spogliare la sua bambina davanti a me. Stavate male, avevate perso tanto sangue e avevamo tutti paura per voi, che ci lasciaste, ma non era ancora giunto il vostro ultimo giorno. Io cercai di consolarvi, André, e capii quanto la amavate.

Avessimo seguito i vostri consigli, lei ed io… Vi odiai per un attimo, quando veniste a dirmi di tornare a casa in Svezia e vi chiesi se non vi sentivate mai sola, con quell’uniforme addosso, in un ruolo che non era il vostro. E voi mi diceste che per voi andava bene così, anche perché non eravate sola, avevate il vostro André accanto”.

Fersen si fermò e bevve un bicchiere dell’acqua che gli avevano messo vicino:

“Mi hanno ucciso, sapete, perché chiesi ai miei aguzzini un bicchiere d’acqua dopo che mi avevano massacrato di botte.. ma voi eravate già nel paradiso degli eroi, o almeno credevo foste lì. Comunque, quando vi salvai anni dopo da quell’agguato ne fui felice, e voi mi diceste di non venire a corte ma io ci andai. La passione che mi legava alla mia amata regina ci travolse, e voi ci aiutaste a evitare lo scandalo, ve ne sono stato grato per tutta la vita. Me ne andai oltreoceano a combattere e tornai molto tempo dopo, in una Francia che era ormai cambiata...”

Françoise avrebbe voluto dire qualcosa, ma era sempre più allibita. No, non stava delirando, non li stava prendendo in giro, stava raccontando una storia che lei sentiva sempre più come sua.

“Mi ospitaste a casa vostra, e c’era anche il vostro André e che rapporto che c’era tra di voi, eravate un’anima sola, quando spararono dalla finestra dentro il vostro salotto vi gettaste sopra di lui, nessuno poteva toccarlo… mi stupii quando capii che vi eravate infatuata di me, ma eravate così bella con quell’abito al ballo e se vi avessi sempre vista così vi avrei desiderata eccome, certo che con André non avrei avuto vita facile. Venni a casa vostra a chiedervi spiegazioni e quanto piangevate, vi avevo proprio ferita, e dire che la felicità voi ce l’avevate a portata di mano...”

André continuava a stare in silenzio, ma nella mente gli passò un flash, la donna che amava davanti a lui, trattenuta per un braccio da Fersen, che scappava poi in lacrime fuori. Dopo, piangeva in salotto mentre raccoglieva i vetri di un bicchiere e lui non osava abbracciarla per consolarla. Era un altro mondo, un mondo a lume di candela e con il camino, ma lui sentiva che aveva vissuto quel momento.

“Sapete la cosa divertente? Ho pensato per anni che voi ed André foste intimi, ma ad un certo punto lo siete diventati, vero? Quando mi urlaste in quel vicolo Il mio André è in pericolo, dopo che eravate state aggrediti, capii che ormai i vostri destini erano legati, e rimpiansi di non aver approfittato della vostra infatuazione, in fondo non sareste stata l’unica mia amante al di fuori della nostra cara regina.”

Françoise sbatté gli occhi: qualcosa nella sua mente cominciava a prendere senso, ma come era possibile? André era silenzioso e sempre più cupo, c’era qualcosa che gli tornava alla mente, anche un gesto disperato che aveva commesso, in un altro tempo, un gesto che tornava nei suoi sogni.

“Mi stupii quando seppi che avevate abbracciato ideali così lontani da quelli della vostra famiglia, ma del resto per amore si fanno cose pazze. Piansi quando seppi di voi e del vostro destino, avrei potuto e dovuto farmi avanti con vostro padre per sposarvi, alla fine avrebbe potuto essere una soluzione per tutti, o meglio per me e per la mia amata… per voi e André no, di amori come il vostro ne esistono pochi, pochissimi, e alla fine vale la pena morire per un amore così.”

Françoise guardò di nuovo André e deglutì:

“Scusate, ma voi ci avevate promesso una confessione sui due omicidi...”

“Ma non è più importante ridarvi le vostre vite, così possiate finalmente stare insieme? Non tutti sono come me e la mia amata, la persi per sempre quel dannato 20 giugno, un giorno che ho maledetto per sempre, finché non sono morto proprio in quella data, anni dopo… e sono condannato a vagare, ma voi invece dovete solo capire e andare oltre. Forse allora saremo tutti in pace. Ve lo meritate, André e madamigella Oscar, il migliore amico che abbia mai avuto, la donna che ho rimpianto di non aver saputo rendere felice… Basta vagare nell’oscurità di un mondo che non vi appartiene, voi dovete passare oltre”.

André trovò il coraggio di dire una frase:

“Voi non avete confessato nessun omicidio. Non intendiamo incriminarvi, ma è meglio che ne andiate, di tempo ce ne avete già fatto perdere troppo”.

“Non sapete quanto avete ragione, André. Vi lascio ai vostri pensieri e vi dico, appena potete, di andare sulla collina vicino ad Arras, dove c’è l’antico cimitero. Lì ci saranno tutte le vostre risposte. Questo non è il vostro posto, qui siete delle ombre, che vivono nei sogni di chi si è appassionato alla vostra storia. Addio e vi invidierò sempre. Dovete andare ad Arras”.

Fersen si alzò ed uscì dall’Unità di Criminologia.

Alain venne verso Françoise:

“Lo sapevo che era un contapalle. Lo arresto?”

“No, Alain, credo che ci sia un posto dove dobbiamo andare tutti. Ad Arras”.

“Arras… nel Pas de Calais? Ma che c’entra con noi?”

“Temo molto”.

Rosalie intervenne:

“Può venire anche il mio fidanzato Bernard con noi? Anche a lui non tornano alcune cose”.

“Certo”, disse Françoise. Qualcosa le diceva che erano coinvolti tutti.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo decimo

“Allora, ci dividiamo in più auto e andiamo verso Arras: io però devo prima passare da casa per vedere come sta mio padre”, disse Françoise, molto agitata.

“E di quel Fersen che ci dite? Perché non l’abbiamo arrestato?”, chiese Gerard.

“Era un mitomane, lo segnalerò a chi di dovere”, rispose Françoise.

Salì in auto, era con André, e le sembrò quasi una cosa naturale, come se fossero stati insieme sempre, e dire che in teoria si conoscevano da pochi giorni.

Si fermò sotto casa ed entrò nell’appartamento dove aveva abitato con suo padre. La casa era silenziosa e buia, cercò un interruttore ma non riuscì a trovarlo. Sembrava che fosse saltata la luce, ma soprattutto sembrava che nessuno ci abitasse da anni, era tutto come abbandonato.

“Hadijia, non ci sei?”, chiamò Françoise, ma nessuno rispose. In casa non c’era nessuno. Una luce fioca trapelava da una finestra sopra il tavolo del salotto, e Françoise vide che c’era un biglietto. Il cuore le saltò in gola quando lesse cosa c’era scritto, con la scrittura di suo padre:

“Vai alla collina di Arras, lì capirai tutto”.

 

“Speriamo di capire qualcosa di più di questa storia”, disse ad un certo punto André, che teneva d’occhio la strada mentre Françoise guidava.

“A chi lo dici, sai, a me sembra che qualcuno ci abbia volutamente ingannati, tirando su questo insieme di assurdità, e non sarebbe male scoprire perché. Ma perché coinvolgere mio padre? Come avranno fatto a ingannarlo? L’importante è che non gli capiti niente..”

“Hai ragione, speriamo in bene. Ma...”

“Ma cosa, André?”

“Sai, io ho come l’impressione che… beh a parte quei sogni che faccio ogni notte, che facciamo ogni notte. Ti sembrerà strano, ma a me questa non sembra la mia vita, e non solo per quello che succede nei sogni, ma in generale, è come se questa vita di ogni giorno fosse un sogno surreale che non esiste”.

“In che senso? Sei un poliziotto, hai vissuto all’estero, sei tornato in Francia per lavorare...”

“Ma è come se tutto questo fosse falso e finto, l’unica cosa vera sono quei sogni che fai anche tu e il ricordo di cosa provo.”

“André… io non ho mai creduto a certe cose, Diane e Gerard mi hanno soprannominata Scully, come la protagonista di The X-Files, da quanto sono scettica… Ma adesso non so più cosa pensare, prima in casa mia era come se fosse tutto finto, come se non ci avesse mai vissuto nessuno”.

“Speriamo di trovare risposte per tutti. Ma io sono sempre più sicuro di avere già conosciuto tutti gli altri, oltre a te. Ma può anche essere che ci hanno presi tutti bellamente in giro”.

Si ritrovarono tutti nella piazza centrale di Arras, dove parcheggiarono le auto, vicino ad una zona pedonale dove c’era una freccia che indicava la collina e il cimitero.

Françoise vide Rosalie insieme a Bernard, e sentì una strana sensazione, come una quasi avversione per il fidanzato della sua collega, e in teoria non le aveva fatto niente.

“Cosa facciamo?”, chiese Alain.

“Direi che dobbiamo tenere gli occhi aperti e segnalare subito se vediamo qualcosa di strano”, disse Françoise.

“Ci hanno parlato del cimitero sulla collina, non deve essere lontano da qui”, disse André. Non ricordava di essere mai stato ad Arras, capita che si viaggi e si conoscano posti lontani dal proprio Paese natale, ma non luoghi a pochi chilometri da dove si abita. Eppure, ricordava di esserci stato, ricordavo quel borgo antico, e quella strada che passava dietro ad una chiesa gotica per arrampicarsi verso la collina, in mezzo agli alberi e ad antiche tombe.

Gli altri li seguivano silenziosamente e sempre più inquieti per quello che poteva succedere.

Ad un tratto, Diane e Gerard sussultarono: di fronte a loro, da dietro una delle lapidi, era ricomparso l’uomo sfregiato, Louis Perrier.

“Continuate a non voler capire, vero? E dire che potreste essere finalmente in pace, non siete come me. Oh, guarda chi c’è, il nostro caro comandante, beh almeno una soddisfazione me la posso togliere”.

L’uomo attaccò Françoise, guardandola con aria minacciosa e lasciva:

“Non servirà a cambiare niente, ma ho proprio voglia di farlo, di conciarvi per le feste, mio caro comandante”.

Françoise urlò e André si precipitò verso di lei, alzando la pistola e colpendo l’aggressore.

Louis Perrier urlò e poi si accasciò, svanendo nel terreno letteralmente.

André, d’istinto, strinse Françoise tra le braccia perché era quello che avrebbe voluto fare quel giorno di tanto tempo prima, in quel castello diroccato che sapeva reale, e le loro labbra si incontrarono. E di colpo, si ricordarono chi erano.

Lui si rivide bambino, quel giorno lontano ma ancora nel suo cuore, quando era rimasto orfano, e sua nonna lo attendeva sulla porta di un immenso palazzo, dove avrebbe dovuto vivere d’ora in poi.

“Benvenuto, André, dovrai comportarti bene, soprattutto con madamigella Oscar, è la figlia del padrone e tu sarai il suo compagno di giochi”.

Vedere e amare a prima vista quel ciclone di bambina era stato un attimo, certo, i primi anni aveva provato l’affetto di un amico fraterno, ma poi venne quel giorno, a tredici anni, quando André capì che avrebbe voluto stringerla in un altro modo, che lei era un’altra cosa, l’unica donna che avrebbe amato per tutta la sua vita.

Lei faceva una vita strana, con questo padre durissimo e glaciale che pretendeva l’impossibile, con madre e sorelle che la evitavano, e il nipote della sua governante fu da subito tutto il suo mondo, anche se non sapeva ancora fino a che punto lo sarebbe stato.

Suo padre le voleva imporre di diventare la guardia personale della principessa Maria Antonietta, lei amava la sua vita ben più libera di quella delle sue sorelle, con quegli orrendi corsetti e quelle scomode gonne, ma aveva dubbi, tanti dubbi, voleva rimanere ragazzina per sempre, e lui, solo lui, la capiva ed accoglieva il suo sfogo a pugni.

Erano rimasti sempre insieme per anni, come se fossero un essere solo, un cuore solo, un’anima sola, mentre il mondo intorno a loro cambiava, un mondo così diverso da quello dove si trovavano adesso, che forse non era reale. Ma lei non capiva cosa era quel sentimento forte che la legava a lui, era in imbarazzo, voleva essere il soldato che tutti si aspettavano che lei fosse, e poi si infatuava dell’amante della regina.

Lui soffriva in silenzio, finché un giorno, dopo prove durissime, non ne poteva più di fronte al dolore e all’ostinazione di lei e faceva una cosa imperdonabile, una cosa che aveva scavato un baratro tra di loro. Ma si erano ritrovati, anche se per poco, e si erano amati fisicamente, l’unica cosa che non avevano mai fatto era stata loro, a suggellare due anime destinate dall’eternità.

André guardò Françoise tra le sue braccia, non Françoise, ma Oscar, perché lei era Oscar, la sua Oscar da sempre e per sempre e la strinse di nuovo:

“Come ho potuto dimenticare tutto”, disse Oscar, “ma allora...”

“Conta solo che siamo insieme”, rispose André, di nuovo André Grandier per sempre, baciandola ancora.

“Comandante...” Alain li aveva raggiunti, lo sguardo triste. Dietro c’erano gli altri, i loro colleghi in quel mondo mai vissuto che credevano reale, Gerard, Diane, Rosalie, Victor, Bernard, e tutti ormai avevano capito.

“Ma cosa è successo a noi tutti? Credevo che questa fosse la nostra vita...”, disse Rosalie, passandosi per un attimo la mano sul ventre e ricordando quello che aveva provato al pensiero che lì ci fosse una nuova vita. C’era stata, più di una volta, ma tanto tempo prima.

“Non lo so”, disse Françoise, voltandosi verso la fine del sentiero: erano quasi sulla cima della collina di Arras, era di colpo tutto buio, ma si vedevano chiaramente due semplici croci.

Ma non erano solo loro sulla collina, perché videro presto che c’erano altre persone, e non tutte gradite. C’era anche qualcuno che avevano dimenticato fino a poco prima, qualcuno che a Oscar e André era caro come pochi. E li stavano tutti aspettando.

“Mi sa che questa è la fine di tutte le cose”, disse Oscar rivolta ad André.

“L’importante è che nessuno ci divida più”, rispose André.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo undicesimo

“I miei ragazzi...”

Françoise, o meglio Oscar, e André conoscevano la donna che stava venendo verso di loro: era la nonna di André, che li aveva riempiti di amore per anni e anni. Cosa ne era stato di lei?

“Il mio cuore non ha retto alla vostra perdita, spero che siate riusciti ad essere felici almeno per una volta. Ma ora dovete andare oltre...”

“Nonna, cosa significa?”, chiese André.

“Voi tutti siete eroi, e gli eroi pensano sempre di dover fare qualcosa per salvare il mondo, e non basta mai loro quello che fanno. Siete ancora degli eroi, lo sarete per sempre, nelle storie di chi è venuto dopo di voi, in questi giorni avete visto un pezzo del mondo in cui vi amano ancora, vi ricordano ancora, siete protagonisti di storie e epopee, come è giusto. Ma non potete continuare a voler salvare tutto e tutti, dovete andare oltre, in pace, a pensare finalmente solo a voi stessi”.

“Capisco… nonna Marie, ma cosa dobbiamo fare?”

“Avete delle cose in sospeso con qualcuno, dovete solo chiarirle e poi andrete avanti, e anch’io potrò finalmente riposarmi e restare per sempre con voi.”

“Nonna, avrei voluto che tu fossi più felice e non soffrissi.”, disse André, commosso.

“Io avrei voluto diventare bisnonna… purtroppo è andata così, ma coraggio, possiamo di nuovo essere felici tutti insieme, potete essere felici, dovete essere felici, vi aspetta un’eternità di felicità”.

Oscar e André si guardarono e guardarono gli altri che erano sulla collina con loro, quelli che avevano vissuto con loro quella strana vita che era sembrata loro reale e quelli che avevano trovato sulla collina.

Bernard si avvicinò a loro due:

“André, mi spiace di averti ferito all’occhio, so di averti rovinato la vita. Per colpa mia, tu sei poi morto, io ho causato la tua fine.”

“Io non ti ho mai odiato, Bernard, per quello che mi hai fatto. Mi spiace solo che non ho potuto aiutarti di più..”

Bernard guardò Oscar:

“Non posso chiederti il perdono, Oscar….”

“Bernard, nessuno ha colpa di quello che è successo. Ti ho odiato, anche se non volevo darlo a vedere per non dare un dispiacere ad André. Ma alla fine ho condiviso i tuoi valori, con il mio amato, perché erano i nostri valori.

“I miei valori mi sono costati cari, sono morto con i miei amici di un tempo, Robespierre e Saint Just, ho lasciato sola mia moglie e non ho potuto vedere crescere i miei figli..”

“Io ti perdono, Bernard”, disse Oscar, “e non solo perché ti ha perdonato André”.

“Grazie”, disse Bernard, che poi andò verso Rosalie.

“Avrei voluto una vita con te lunga e felice, invecchiare con te, vedere crescere i nostri figli. Mi puoi perdonare di averti preferito degli ideali diventati sbagliati? Mi puoi perdonare sapendo che ho causato indirettamente la morte di André e della tua madamigella Oscar?”

“Io ti amavo anche per quello. Ti perdono Bernard e ti ho sempre amato...”

Bernard sorrise e pian piano si dissolse nella notte, nella luce di tante lucciole.

Oscar guardò verso Gerard Lasalle:

“Non riesco a perdonarmi di averti fatto morire in quel modo, Gerard. Eri un ragazzo, dovevi costruirti una vita, amare, essere amato, fare carriera, invecchiare.”

“Comandante.. voi siete stato il miglior comandante di tutti, io vi ho ammirata… amata, eravate così bella e nobile d’animo, valorosa, coraggiosa. Io ero un soldato, e il mio destino era quello di cadere in battaglia. Almeno sono morto da eroe, e non c’è fine migliore. Addio, comandante, addio a tutti, è stato un onore conoscervi”.

Il volto di Gerard svanì in un volo di lucciole nella notte.

Alain guardò sua sorella Diane, l’aveva vista in un altro tempo e luogo, dove era la ragazza che non aveva mai potuto diventare.

“Diane, non ho potuto salvarti dalla cattiveria umana e dal dolore, avrei dovuto parlarti, avrei dovuto fermarti...”

“Alain, io ero disperata ed ho fatto un gesto sbagliato… me ne sono pentita quando era troppo tardi, tu non hai colpa, sono io che avrei dovuto fare un’altra cosa… tu sei il mio fratellone adorato, non dovevo lasciarti solo...”

Diane abbracciò suo fratello Alain, sorridendo serena. Poi si rivolse ad Oscar e André:

“Grazie di essere stati amici di mio fratello, ci vedremo dall’altra parte, ne sono sicura”.

Anche Diane svanì.

Girodelle si era avvicinato ad Oscar e André:

“Avrei voluto avere il privilegio di essere amato da voi, madamigella Oscar. Ero troppo legato alla mia famiglia nobile per capire il vostro percorso, ma vi ho amata e il mio cuore è morto con voi. Vi rimpiangerò sempre, vi amo per sempre, perché eravate così diversa da cosa pensavo dovesse essere una donna, ed eravate la parte migliore di me, quella capace di amarvi. Non potevate essere mia, non potevo competere con il vostro André, ma sappiate che sarete nel mio cuore per sempre...”

“Ma io vi auguro di trovare la pace, Girodelle, eravate molto meglio di quello che pensate, siete molto meglio. Vi ringrazio per la vostra lealtà”.

Girodelle si girò verso André:

“Mi perdonate per essere stato così sprezzante con voi? Ero solo tanto geloso, perché voi stavate sempre con la donna che amavo”.

“Ma io non me la sono mai presa per le vostre battute e ho sempre avuto fiducia in Oscar”, disse André, “in un altro mondo, come è stato in questo strano mondo in cui abbiamo vissuto, avremmo potuto essere amici”.

Victor de Girodelle trovò la sua pace.

Rosalie capì che doveva affrontare una parte del suo passato: le sue due sorelle la guardavano.

“Rosalie, tu andrai oltre, io non posso. Ma perdonami se puoi, tu hai scelto la strada giusta, e per questo ti ho odiata, un tempo”, disse Jeanne.

“Io sono stata felice alla fine, Jeanne, per un po’ ma sono stata felice. Ti ho biasimata, ma non ti ho mai odiata. Eri mia sorella, ti volevo comunque bene, malgrado tutto”.

“Grazie, Rosalie”, disse Jeanne, abbracciandola. Poi si rivolse ad Oscar.

“Quanto vi ho odiata madamigella… ma ora vi ringrazio, per quello che avete fatto per mia sorella e anche per me. Non volevo che mio marito vi uccidesse… Voi eravate il sole, un’eroina pura e chi si avvicinava a voi non poteva farcela, finiva bruciato dal vostro splendore”.

“Io vi perdono comunque, madame. Dovevo catturarvi e ho odiato come vi hanno trattata, quel marchio… Ma non riesco a passare oltre alle vostre calunnie”, disse Oscar.

“Avrei dovuto conoscervi meglio… erano calunnie, ma alla fine vi ho desiderata, sapete, e avrei voluto che fossero vere. Sono un’anima nera, e avrei voluto stringervi tra le mie braccia come un’amante, non la regina, non la Polignac, ma voi sì...”, disse Jeanne.

“Scherzate… Ho ammirato comunque la vostra caparbietà e il vostro orgoglio al processo”.

“Tanto non posso inzozzarvi. Voi troverete la felicità eterna e io resterò invece qui in questo limbo”. Jeanne si allontanò e scese dalla collina, per lei non c’era posto, non poteva passare oltre. Ma non sarebbe stata sola, perché sia Oscar che Rosalie videro che Nicholas la raggiungeva e la abbracciava, e ne furono felici.

Rosalie abbracciò Charlotte:

“Avrei voluto stare con te e volerti bene, sorellina”.

“Non sai quanto ti invidiavo perché stavi con madamigella Oscar. Mi spiace averti trattata male, saremmo andate d’accordo, ma ci rifaremo di là”.

Oscar si avvicinò a Charlotte:

“Avrei dovuto salvarvi, avrei dovuto aiutarvi”, disse Oscar, ricordando l’indignazione e il dolore che aveva provato per quella povera ragazzina.

“No, madamigella, non c’era niente che potevate fare. Ma vi ho amata, e tanto, e spero che dove saremo tutti più felici potrò avere un posto nel vostro cuore...”

“Ma certo”, disse Oscar.

“Vi ringrazio comunque per esserci stata e anche tu, Rosalie...” Charlotte svanì nelle ombre di quella strana notte.

Ora veniva la parte più difficile: Oscar vide venire verso di sé Maria Antonietta, bella come quando era a Versailles, non come la vecchia che aveva visto a Parigi.

“Madamigella...”

“Maestà, perdonatemi se vi ho abbandonata, ma il mio cuore era diviso tra la giustizia verso il popolo e la devozione verso di voi...”

“E c’era l’amore per il vostro André, so tutto, siete stata fortunata ad amare ed essere amata da un uomo simile. Io vi capisco, e siete voi che dovete perdonarmi. Perdonatemi di non avervi ascoltata, perdonatemi di aver dimenticato negli anni la nostra amicizia ed essermi persa dietro a cose futili e al mio dolore, perdonatemi per non aver ritirato le truppe da Parigi, causando così la morte del vostro amato e la vostra… mi siete mancata ogni giorno, e non potrò trovare la pace anche per molto tempo. Infesterò ancora gli incubi e i rimorsi di qualcuno, ma voi dovete andare in pace, come è andato il mio sposo...”

Oscar prese tra le braccia la sua regina, e le parve di nuovo di rivederla come quando era ragazzina, dolce, simpatica, pasticciona, e provò una grande dolcezza nel cuore. Occuparsi degli altri, di donne che sentiva come più fragili di lei, era sempre stato importante per lei.

“Voi dovete andare oltre, Oscar, vi sarò grata per l’eternità, almeno ho visto dove riposate con il vostro amore, ma il vostro spirito è nell’aria, è nei sogni, nelle leggende, nelle storie di tutto il mondo. Insieme al vostro André”.

Maria Antonietta si allontanò, e Oscar vide Fersen venire verso di lei. Ne era stata infatuata, e, solo dopo, aveva capito che il suo era il sentimento che si prova per qualcosa di irraggiungibile.

“Fersen, perdonatemi se ho girato le spalle alla regina...”

“Voi eravate troppo eroica, Oscar, per restare con la nobiltà. Sembravate uscita da un’antica leggenda, eravate come l’acqua del mare che sfugge tra le mani, come il sole che illumina tutto, come il vento che scompiglia gli alberi. Vi ho perdonata, e avrei voluto avere il vostro coraggio e la vostra lealtà. Sono diventato un uomo schiavo del dolore, un uomo cattivo e vile, tanto diverso da voi e non mi avreste più riconosciuto e stimato. E l’ho pagata cara, me l’hanno fatta pagare cara. Ma voi e il vostro André meritate il paradiso degli eroi, io spero solo di stare con la mia regina...”

Poi Fersen si girò verso André:

“Perdonatemi anche voi, André, so che mi avete odiato e non avrei mai voluto che succedesse. Voi eravate molto più nobile di me, solo voi eravate l’altra metà del cuore di Oscar, un unico essere diviso in lui, ogni tanto capita di avere il privilegio di vedere un amore come il vostro”.

André lo sapeva, l’aveva sempre saputo, ma nonostante questo aveva ancora rancore per Fersen, per come aveva fatto soffrire Oscar, per come l’aveva trattata con sufficienza, non vedendola per la donna che era, per come l’aveva respinta distruggendola dentro. Oscar non aveva accettato il suo amore per tanto tempo a causa di Fersen. Ma guardò quel nobile, così diverso da lui, e capì che doveva lasciarlo libero, doveva lasciarlo andare. Lui sapeva fino a che punto Oscar gli era stata fedele, lui era stato l’unico a farle scoprire l’amore, quello vero, quello che ha tutti i colori del mondo e che è fatto anche di carne e sangue.

“Sì, conte, vi perdono. Vorrei solo aver avuto più tempo da passare con la mia Oscar”.

“Ma voi siete vissuti insieme fin da bambini, bastava vedervi per capire quanto vi amavate. E la avrete per l’eternità”.

“Certo, addio”. Fersen si allontanò nella notte, verso Maria Antonietta, e André si strinse ad Oscar, baciandola. Sua nonna tossicchiò.

Le prove non erano ancora finite: c’era il generale de Jarjayes che li stava guardando.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


OLTRE

 

Rating: toni thriller e paranormali, AU (una sorta), tematiche delicate, violenza, amore

Fandom: Lady Oscar.

Note: Françoise Jarjayes è la responsabile del nucleo della polizia criminale di Versailles e si trova con i suoi colleghi a indagare su alcuni omicidi misteriosi. Ma quale sarà la verità? Un omaggio anche ad una celebre serie di genere fantastico, il cui doppiaggio è stato curato dal nostro Massimo Rossi.

 

Capitolo dodicesimo

André si strinse d’istinto ad Oscar, ricordando troppe cose, e non certo buone, a cui aveva assistito. Oscar guardò suo padre:

“So che non potete perdonarmi, ma io ho fatto quello che mi indicava il mio onore, la mia morale e il mio cuore”.

“Tu hai girato le spalle alla tua famiglia e alla casa reale, in nome dell’amore per André, un tuo sottoposto, non della tua stessa classe sociale, e per i tuoi ideali di giustizia. Ti eri già ribellata agli ordini della corona, e per quello stavo per giustiziarti. Quando trovai il tuo biglietto di addio, e non sapevo che era un addio vero, giurai che non ti avrei mai perdonato”.

“So di non meritare il vostro perdono, ma io non potevo rinnegare quello che mi ordinava il cuore. Ho visto la povertà del mio Paese, ho visto come vivevano i miei soldati, ho capito quanta ingiustizia c’era...”

“Quando seppi che ti avevo persa, che eri volata via con il tuo André, il mio cuore si spezzò per sempre e non seppi perdonarmi per cosa ti avevo fatto fin da quando eri bambina...”

“Padre, come vi dissi una volta, io vi ringrazio per avermi dato l’opportunità di fare una vita diversa dalle altre donne, perché ho potuto essere libera di scegliere, di scoprire il mondo, di capire tante cose. E anche di amare davvero un uomo, e non essere costretta ad un matrimonio di convenienza”.

“Ma sei morta troppo giovane, nessun padre deve vedere morire i suoi figli… Marie morì di crepacuore dopo aver saputo delle vostre morti, tua madre mi lasciò presto anche lei, consumata dal dolore, e io alla fine scelsi la morte cercando di salvare la nostra sovrana...”

“Ho vissuto fino in fondo la vita che mi era stata data, avrei voluto continuare a lottare per la giustizia e stare con il mio amato André, ma quello era il mio destino. Io vi perdono padre, non vi odio, ho compiuto il mio destino”.

Il generale Augustin de Jarjayes guardò la sua bellissima figlia e sorrise:

“Avrei voluto un’altra vita per te, una vita più lunga per te e il tuo André...”

“Ma questo ho avuto e mi basta, e ora ci sarà l’eternità...”

André guardava il suo antico padrone con avversione.

“André, tu per me eri un servo, certo un servo fedele, e ti consideravo un brav’uomo. Ma avevo capito cosa ti legava a mia figlia, e non potevo accettarlo. Per questo non potrò avere il tuo perdono, per questo e per quello che volevo farvi, perché non accettavo cosa vi legava e i vostri ideali.”

“Almeno lo riconoscete. Non posso odiarvi per amore di Oscar, perché è anche grazie a voi che ho conosciuto e amato Oscar, ma non posso perdonarvi, mi spiace”.

“Ma questa è la croce che devo portare in eterno, del resto devo vegliare sul fatto che tu e mia figlia non siate dimenticati. Voi siete fatti della stessa materia di cui sono fatte le leggende, voi siete eroi e siete l’infinito. Non c’è posto per me vicino a voi, non per ora… ed è giusto così, non merito di restare con voi dopo quello che vi ho fatto...”

Il generale si allontanò da sua figlia e dal suo amato:

“Sussurrerò a tutti la vostra storia… è il mio destino. Nessuno vi deve dimenticare, nessuno vi dimenticherà”.

Lo guardarono allontanarsi dalla collina, mentre Alain si avvicinava a loro.

“Tu sei stato il nostro migliore amico”, disse André.

“Io vi amavo entrambi e non ho mai potuto dimenticarvi. Eravate nel mio cuore, eravate parte di me”.

“E cosa c’è di male?”, chiese Oscar.

“Io vi amavo come si amano gli innamorati, amavo tutti e due così, e non sono riuscito a salvarvi...”

“Era il nostro destino, ma saremo felici di passare l’eternità con te..”, disse André.

Alain serrò a sé entrambi, le due persone che aveva amato con tutto il cuore, un amore irrealizzabile, ma intenso. E seppe che quello che quell’amore gli aveva dato, la fedeltà e l’attaccamento a tutti e due, non sarebbe mai venuto meno.

“Vi aspetto di là...”, disse svanendo in un volo di lucciole.

Marie lo guardò andare via e poi abbracciò anche lei i suoi ragazzi.

“Avrei voluto fare di più, soprattutto per te, bambina. Avrei voluto diventare bisnonna. Avrei voluto che voi mi sopravviveste.”

“Nonna, tu ci hai dato tutto l’amore di cui avevamo bisogno, per il resto è andata così..”, disse André.

“Grazie a te ho avuto André e ce l’avrò per sempre, il dono più grande che potevi farmi”, disse Oscar.

Marie sorriso e diede un buffetto ad Oscar ed uno scappellotto ad André.

“E ora sbrigatevi a venire da me” e svanì, vicino alle tombe dei suoi adorati ragazzi.

“Siamo rimasti soli...”, disse Oscar, “avrei voluto vivere tutta la vita con te, André”.

“Ma l’hai fatto”, disse André, “e io ho amato ogni giorno passato con te...”

“André, io non mi sono nemmeno accorta che tu mi amavi. Per questo mi sento in colpa, per questo sto male, perché non abbiamo vissuto il nostro amore, ti ho negato me stessa per troppo tempo. Tu eri fatto di sangue e carne, e io ti ho ignorato e respinto, e non posso perdonarmelo”.

“Siamo vissuti insieme per anni, abbiamo diviso tutto, e per me questo è amore. Piuttosto ho sbagliato io, e non mi perdono di averti aggredita...”

“Tu non mi hai aggredita, ero io che non avevo capito il tuo amore e ho sbagliato a scagliarmi contro di te per quello che avevi detto… Io ero tua anima e corpo da sempre, ma l’ho scoperto troppo tardi...”

“Ma staremo insieme per sempre, se tu lo vuoi”.

Un raggio di sole illuminò i capelli di Oscar: era l’alba, l’alba sulla collina di Arras.

Si presero le mani a vicenda, si guardarono negli occhi, si baciarono e poi guardarono quel mattino, il mattino di tutti i giorni del mondo.

“Sono fortunata ad averti incontrato, ad aver vissuto con te, ad averti amato… ad amarti. Non c’è mai stato un altro, ho sempre provato affetto per te, con tutto il cuore. Non voglio niente di più al mondo che il tuo amore e te. Io ti amo con tutto il cuore, ti ho sempre amato, tu sei una parte di me, sei il mio cuore e la mia anima”.

André sorrise e la strinse a sé:

“Guarda, Oscar, è l’alba ad Arras, dovevamo rivederla insieme, era una promessa, in questo momento è tutto più bello, perché sappiamo cosa ci unisce..”

“André, la cosa migliore della mia vita sei stato tu, niente è stato più bello di averti incontrato, di aver vissuto con te e di averti amato… e di amarti per sempre”.

Si baciarono, mentre la luce del sole nascente li avvolgeva, in quella mattina ad Arras, dove tutto ricominciava e fu come se si fusero per diventare luce pura, rendendo tutto più splendente.

 

Ci sono due vecchie croci, sulla collina di Arras, in Francia, dove c’è il cimitero antico, meta di gite. Sono sempre lì, unite, e sopra è cresciuta una pianta di rose selvatiche, bianchissime, che è intrecciata a loro e ad un lillà viola, anche lui stretto alla rosa, come se fossero una cosa sola.

Ma in tanti vengono, e non solo per vedere una cosa rara per chi ama i fiori, ma perché lì riposano due eroi di una leggenda, due amanti immortali. L’oltre per loro è questa collina, è l’aria intorno, le nuvole, il fatto che c’è chi dice di averli visti, abbracciati nell’erba, a rincorrere le lucciole.

A volte il vento mormora:

“Abbiamo avuto anche questo tempo per noi, André, oltre le nostre vite”.

“Cosa ti ho detto? Questa continua ad essere la nostra storia. Noi viviamo dentro chiunque continua ad appassionarsi a cosa siamo stati, noi viviamo dentro chiunque racconta di noi e parla con noi, e siamo insieme”.

E in tanti continuano a sentirsi ispirati da loro e a ricordarli, in quella collina tra due mondi e dove le loro vite sono andate oltre.

 

 

Per costruire questa storia, mi sono ispirata all’ultima stagione del serial Lost, prendendo alcuni spunti: un serial a cui ha lavorato come direttore di doppiaggio il grande nostro Massimo Rossi a cui dedico questo mio lavoro.

 

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