7 Comandamenti

di Aranel95
(/viewuser.php?uid=667963)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Onora il padre e la madre ***
Capitolo 2: *** Non uccidere ***
Capitolo 3: *** Non commettere atti impuri ***
Capitolo 4: *** Non rubare ***
Capitolo 5: *** Non dire falsa testimonianza ***
Capitolo 6: *** Non desiderare la donna d'altri ***
Capitolo 7: *** Non desiderare la roba d'altri ***



Capitolo 1
*** Onora il padre e la madre ***


“Onora il padre e la madre.”

 

“Boing… Boing!! Signorino Inuyasha, ma dove siete?!” 

Myoga non riusciva a trovare il suo giovane padrone e questo lo preoccupava. Lo scontro con Sesshomaru nella tomba del padre, per la conquista della Zanna della Distruzione, aveva profondamente segnato il giovane hanyo. Non solo: Sesshomaru era stato più meschino di quanto già non lo fosse, facendo leva sui sentimenti che il povero Inuyasha provava per la madre umana, ormai defunta, e questo aveva creato ulteriore scompiglio nel cuore e nella mente di Inuyasha.

“Speriamo non gli sia successo nulla di grave… povero signorino!” 

Saltellando tra una foglia e un’altra, Myoga riuscì a sentire l’aroma del sangue canino del mezzodemone. Kagome aveva visto giusto quando disse all’anziana pulce che Inuyasha era andato via da solo, in silenzio, lasciandola al villaggio di Kaede: la ragazza, infatti, intuì che Inuyasha fosse andato a visitare la tomba di Izayoi. Seguendo quelle istruzioni, Myoga si avviò sul luogo e rimase in disparte, nascosto tra l’erba alta, ad osservare il figlio del suo defunto padrone e amico, il Generale Cane. 

 

Inuyasha era seduto di fronte quella piccola lapide, sulla quale era inciso il dolce ed elegante nome di sua madre. 

 

いざよい

 

Myoga notò fiori freschi, forse appena portati dallo stesso Inuyasha: gigli e peonie, i preferiti della splendida principessa. Già, la madre di Inuyasha era un’aristocratica, la cui unica colpa era stata quella di amare ed essere amata da un demone. E Inuyasha era la prova concreta di questo grande amore, consumatosi in una tragedia che non aveva permesso al giovane hanyo di conoscere suo padre. 

“Sai, ho conosciuto mio padre…” sentì Myoga. Inuyasha parlava spesso alla tomba della madre. “Immagino quanto fosse stato forte, quando era in vita.”

Inuyasha sospirò, guardando le sue mani artigliate. Poi toccò Tessaiga, adesso al suo fianco: sapere che quella spada era stata forgiata da suo padre per proteggere sua madre lo rendeva orgoglioso! Ma, per quanto adorasse e volesse bene la sua amata madre, Inuyasha non riusciva ad accettare la sua condizione di mezzodemone. Lui voleva essere come suo padre, come Sesshomaru… voleva fare parte di quella famiglia di grandi demoni! Ma sua madre… che colpa aveva? L’amore non è un sentimento che va a comando e lui lo sa benissimo, quando aveva conosciuto Kikyo. 

“Vorrei visitare la sua tomba, ma non mi è possibile farlo sempre. Io vorrei che fosse ancora qui, per dirgli che… per dirgli tante cose! E vorrei che ci fossi anche tu, madre.” 

Inuyasha non riuscì a stare oltre, in quel luogo. Lui, a modo suo, amava i suoi genitori: era rimasto solo al mondo perché suo padre era morto per proteggerli e sua madre era stata stroncata da una malattia in giovane età. Eppure, Inuyasha non si sentiva solo, non più. 

“Tessaiga…” mormorò. 

Toccò la spada che pulsò, come se avesse una volontà propria. Avere Tessaiga era come avere sempre con sé i suoi genitori. Sorrise appena ma, dopo pochi istanti, scosse la testa, ricacciando dentro di sé tutti quei sentimenti, pensando che potessero solo renderlo più debole.

“Che sciocchezze! Queste smancerie non fanno per me!”

Myoga scosse la testa, sentendo quelle cose. Quando vide Inuyasha andare via, il demone pulce saltellò sulla lapide di Izayoi e vi appose un fiore. 

“Signora, vostro figlio vi ama ma non lo vuole ammettere perché è uno sciocco! Ma siate sicura che, da oggi, è orgoglioso di voi e di suo padre, il mio caro padrone.” 

Detto ciò, il vecchio Myoga saltellò verso il villaggio della sacerdotessa Kaede, andando così da Kagome per rassicurarla che il signorino Inuyasha, finalmente, stava bene. La pulce pensò che, dopotutto, Inuyasha non era tanto diverso dal defunto padre: entrambi amavano e proteggevano delle donne umane. In fondo, questa era la prova che il Generale Cane viveva in suo figlio Inuyasha.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Non uccidere ***


“Non uccidere.”

 

Sorridere, sorridere sempre anche di fronte al proprio nemico o alla morte stessa. Questo era il motto di Bankotsu, persino di fronte al daimyo* che lo aveva catturato e deciso la sua condanna e quella dei suoi fratelli

“Finalmente, abbiamo catturato la famigerata squadra dei Sette!” esclamò uno dei samurai pronto ad eseguire la decapitazione di quei sette mercenari. 

“Hanno smesso di dare fastidio ai villaggi del nostro feudo!” disse un altro, bevendo ingordamente del sakè. 

“Pagheranno per tutte le stragi commesse e per aver depredato il nostro signore!” esclamò un terzo samurai, intento a pulire la propria katana.

 

Sette mercenari, sette uomini che si definivano fratelli tra di loro, uniti dall’odio, dalla sete di sangue e dalla brama di potere e ricchezza. Il loro unico scopo era quello di uccidere, di portare scompiglio, sia autonomamente che per conto di altri signori feudali della zona. Il loro capo, Bankotsu, era il più meschino di tutti - non che gli altri fossero dei santi, ma essere capo di una banda simile non gli faceva certo onore.  Quando il daimyo della zona era riuscito a catturarli con una trappola magistrale, inorridì quando seppe dei crimini commessi da quelle bestie… perché non potevano essere definiti umani, erano alla stregua degli oni o degli yokai

 

Kyokotsu, a discapito della sua stazza, era il più debole dei sette ma sembrava non essere dotato di razionalità: il maledetto aveva commesso atti di cannibalismo, facendo paura persino ai demoni! Mukotsu, un viscido ometto di bassa statura, aveva avvelenato un intero villaggio, lasciando morire di asfissia gli abitanti, tra atroci sofferenze. Ginkotsu, uno strano essere a metà tra un umano e un ammasso di ferraglia, aveva dilaniato i corpi di centinaia di persone, senza provare alcuna pietà… anche il suo cuore era d’acciaio! Suikotsu, un uomo in apparenza gentile e altruista, altri non era che un sadico dalla doppia personalità, che, con le sembianze di un medico, aveva ucciso tantissimi bambini. Jakotsu, che con il suo fare ammaliante, in realtà celava un animo oscuro, aveva stroncato tantissime vite con la sua spada serpentina. Renkotsu, il più astuto di tutti, era in grado di domare il fuoco e la polvere da sparo, tanto che fosse capace di creare fiumi di lava con i quali aveva sterminato numerosi villaggi.

 

Infine c’era lui, quel maledetto Bankotsu. Il daimyo gliela avrebbe fatta pagare per primo perché, a sua detta, la colpa era sempre del capo. Si sarebbe tenuto la sua alabarda, Banryu, come trofeo per aver eliminato quella banda di selvaggi assassini e come monito: chiunque avesse osato compiere nuovamente simili scempiaggini nel suo feudo, avrebbe fatto la loro stessa fine. 

“Levami le mani di dosso, schifoso!” 

L’urlo da signorina indispettita di Jakotsu fece comprendere al daimyo che era ora di compiere l’esecuzione. Nell’ampio cortile del suo castello, i sette mercenari vennero portati al centro, pronti per essere decapitati. Non meritavano di certo una morte onorevole: meritavano l’impiccagione, come tutti i ladri, ma il signore del feudo volle concedere loro una morte semi dignitosa, almeno per poter commemorare la morte di tutte quelle persone innocenti. 

 

I sette vennero messi in ginocchio, con le braccia legate e a capo chino. Il daimyo provò orrore nel vedere quel sorrisino soddisfatto dipinto sulla bocca di Bankotsu. Si avvicinò, chinandosi alla sua altezza e guardandolo con aria disgustata. 

“Ultime parole?”

Bankotsu sorrise ancora, guardando il signore. 

“Non mi pento di niente.” 

Il daimyo, ulteriormente inorridito, diede l’ordine di decapitazione. Osservò in silenzio quella macabra scena che si stava consumando sotto i suoi occhi. 

“Sette vite per migliaia di altre vite.”





*daimyo - signore feudale giapponese

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Non commettere atti impuri ***


“Non commettere atti impuri.”



 

Essere un monaco morigerato, per Miroku era un’impresa ardua. Per il giovane bonzo, tre erano i grandi piaceri della vita: sakè, denaro e donne. E non era nemmeno l’ordine esatto, perché al primo posto c’era il piacere per le esponenti del gentil sesso. 

Nel suo lungo errare alla ricerca di Naraku, Miroku non perdeva mai occasione di importunare qualche giovane e bella contadina per chiederle di avere un figlio con lei. La cosa non faceva altro che urtare Sango, la sterminatrice di demoni che viaggiava con lui e il giovane mezzodemone. Kagome ci aveva visto lungo, capendo che Miroku non fosse indifferente alla cara Sango… e anche il monaco sembrava interessato alla splendida sterminatrice dal fisico statuario. 

 


“Keh! Ma la pianti?! Saranno affari loro, non tuoi!” 

Kagome guardò Inuyasha sottecchi, fulminandolo con gli occhi. Erano stati ospitati, per l’ennesima volta, dall’ennesimo capo villaggio, alle prese con l’ennesimo demone che infestava la zona. E per l’ennesima volta, Miroku aveva messo in atto una splendida arringa che potesse convincere il capo villaggio ad ospitarli e ad assumerli per lo sterminio del demone. 

“Dai, Inuyasha. Lasciamo che dormano insieme!” 

“E tu con chi staresti?! Con me?!” disse Inuyasha, drizzando le orecchie e diventando rosso. 

“E con Shippo, mi sembra ovvio!” 

Inuyasha sbuffò, riprendendo a strafogarsi con il delizioso banchetto che il capo villaggio aveva preparato per festeggiare la sconfitta del demone. Non aveva la benché minima intenzione di pagare Miroku e compagnia bella in denaro - la scusa era perché viaggiavano con quel cane vestito di rosso - ma, in compenso, li avrebbe ripagati con cibo e sakè. Tanto sakè. Troppo sakè. 
Miroku sedeva accanto a Sango la quale sembrava turbata. Sconfiggere un demone per conto di un capo villaggio o di un giovane signore le ricordava brutalmente quando prestò i propri servigi nella dimora del principe Kagewaki, o meglio, Naraku. Lo stesso maledetto che aveva manipolato suo fratello Kohaku, lo aveva ucciso e lo aveva riportato in vita con un frammento della sfera degli Shikon. Il dolore ogni volta riemergeva ma Sango non voleva assolutamente che questo potesse rovinare i loro affari in giro per il paese. 

Mandò, dunque, giù un abbondante sorso di sakè, diventando rossa in volto. Miroku la osservò divertito. 

“Sango, così ti ubriacherai!” disse il monaco, ridendo.

“Non sono affari tuoi monaco…” disse lei, alzandosi e barcollando.

Se Miroku non l’avesse afferrata al volo, sarebbe finita per terra, facendo preoccupare gli ospiti. Sango era andata, anche perché quello non era di certo l’unico bicchiere che aveva mandato giù! Non era il caso che rimanesse ancora… Con la sua solita nonchalance, il monaco si scusò per il congedo e si giustificò dicendo di voler accompagnare Sango nella propria stanza. Kagome, Shippo e Inuyasha non persero tempo a puntare i loro occhi curiosi verso i due che si allontanavano. 

“Miuuuu!” 

Kirara si apprestò a seguire Sango ma Kagome, con delle tenere carezze, aveva persuaso il demone gatto a rimanere con lei, garantendole che Sango stava bene. 



 

“Mi…Miroku! Guarda che sto bene!” disse lei, riprendendosi e toccandosi la fronte. 

“A me sembri molto stanca, oltre che ubriaca.” rispose il monaco, accendendo una candela. 

Sango si prese qualche istante a guardarlo: Miroku era davvero un uomo affascinante, intelligente e coraggioso ma quel suo essere donnaiolo era una caratteristica che Sango decisamente non riusciva a mandare giù. Eppure, in fondo, le piaceva quando il monaco le dava certe attenzioni, toccandole il fondoschiena. Ma lei avrebbe voluto di più e anche Miroku, il quale aveva appena incrociato lo sguardo voglioso della sterminatrice. 

“Sango… qui?” 

“Mi tocchi il sedere all’aria aperta, davanti a Inuyasha e Kagome o davanti ad un villaggio intero. Qui siamo soli.” 

“Non chiedevo altro, mia dolce Sango!” 

Miroku gattonò verso la sterminatrice, fiondandosi sulle sue labbra, iniziando una danza tra la propria lingua e quella della ragazza. Sango avvampò, sarà colpa del sakè o di quel monaco? Non lo sapeva e non le importava. Adesso quel monaco degenerato era tutto per lei, senza contadinelle che gli ronzavano intorno, senza occhi indiscreti. Miroku non perse tempo a insinuare le sue mani sotto il kimono di Sango: mentre le loro labbra e le loro lingue si cercavano in quel vortice di saliva, le mani di quel monaco per nulla morigerato cercavano i morbidi seni della giovane donna. Una volta trovati, non poté fare a meno di bearsi della loro sofficità e del loro profumo delizioso… Certo che il vecchio monaco Mushin gli aveva insegnato bene l’arte della seduzione! 

“Sei lussurioso per essere un monaco…” mormorò lei, mentre riprendeva fiato da quel bacio selvaggio.

“E a te dispiace?” rispose lui, togliendosi la sua tunica. 

“Assolutamente no.” controbattè lei, rimuovendo quello che restava del kimono già andato a farsi benedire. 

Nulla quella notte impedì al monaco di macchiarsi del peccato della lussuria: si fiondò tra le gambe aperte della giovane sterminatrice, sentendo un fuoco bruciargli dentro. La cosa che rendeva il desiderio per Sango diverso da quello che provava per le altre donne era una: il sentimento d’amore che provava per lei.  

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Non rubare ***


“Non rubare.”


Pensare di poter rubare la sfera degli Shikon senza pagarne le conseguenze era stato l’errore più grande che Onigumo potesse fare. E non solo il pensiero di poter trafugare l’antico cimelio ma anche il come farlo: tradire Kansuke, rubandogli gli uomini. La vita di Onigumo era un continuo trafugare… ma anche la sua vita, non sa, verrà presto rubata.

“Presto, potremmo banchettare per la nostra conquista!” urlò il brigante, sollevando una bottiglia di sakè. 

“Sì!! Lunga vita al nostro nuovo capo!” risposero gli altri ladri. 

Onigumo era sicuro di sé, si faceva forza sui suoi uomini e sulla sua furbizia. Rubare la sfera degli Shikon, tuttavia, non era il suo unico obiettivo… lui voleva anche la splendida sacerdotessa posta a difesa del gioiello! Una volta derubata Kikyo della sua purezza, si sarebbe sentito completo e appagato. Ardeva e bruciava di passione e lussuria per lei… sognava continuamente i suoi splendidi capelli corvini, i suoi penetranti occhi, la sua pelle diafana, il suo corpo puro tra le sue mani, nudo e indifeso. La sognava dal giorno in cui la vide e seppe chi fosse. 


Ardeva e bruciava come il palazzo in cui si trovava. Ardeva e bruciava come il suo corpo divorato dalle fiamme. Ardeva per Kikyo, per la sfera! Ma il suo desiderio era stato punito dai kami che avevano appena soddisfatto la sete di vendetta di Kansuke, depredato dei suoi uomini e della sua fiducia proprio da uno di loro. Onigumo era un traditore e avrebbe pagato il tradimento e la sua ingordigia in quel modo! Doveva bruciare, divorato dalle fiamme, così come il suo desiderio di possedere la sfera aveva bruciato la sua anima corrotta. Kansuke ci aveva rimesso un occhio per quella maledetta sfera, colpito da quella maledetta sacerdotessa! Onigumo invece, voleva lasciare il lavoro sporco agli altri e prendersi i meriti, oltre al gioiello demoniaco e alle caste carni  di Kikyo. 

Per Kansuke, quello sarebbe stato il suo ultimo atto da bandito, sperando di vedere Onigumo perire. Ma non sapeva che quel ladruncolo aveva una tremenda fortuna sfacciata! Sfacciata come la sua volontà di unirsi a Kikyo… 



 

“Sorella Kikyo, quell’Onigumo non mi piace!” 

Le parole di Kaede non potevano che essere quelle di tutti coloro che avevano avuto a che fare con quell’uomo. Onigumo non aveva rubato solo oggetti: lui aveva rubato vite, esistenze, aveva portato via genitori a dei bambini, mogli a degli uomini e mariti a delle donne, aveva rubato le vite dei figli di numerosi contadini… ma non sapeva che, di lì a poco, sarebbe stata rubata anche la sua di vita, ormai appesa ad un filo. 

Onigumo non sapeva assolutamente che quel demone ragno gli ha rubato la sua misera vita, solo perché aveva bisogno di un corpo e di un’anima putrefatta come la sua. Prima il suo vecchio amico brigante che aveva tradito, adesso quel demone. Il brigante Onigumo aveva subito il suo stesso karma: se tu rubi, verrai derubato. La sua esistenza era stata cancellata perché di Onigumo non vi era più alcuna traccia, solo una cicatrice a forma di ragno.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Non dire falsa testimonianza ***


“Non dire falsa testimonianza.”



 

“Ma non è vero!!” urlò Rin. 

“Sei solo una sciocca bambina bugiarda! Lo sai che le bugie non si dicono?!” 

Rin guardò quegli umani con occhi sbarrati e terrorizzati. Aveva la gola secca per quanto aveva urlato ma non era servito a nulla. Nessuno le credeva. 

“Io… Il signor… Il signor Sesshomaru è un demone buono! Dovete credermi!”

“Sesshomaru? Quel lurido demone cane che ha sterminato il villaggio vicino?! Non è possibile, tu sei matta, stupida bambina!” 

Gli abitanti del villaggio presso cui Rin si era persa, durante uno dei tanti viaggi a fianco di Sesshomaru e Jaken, non le credevano. Pensavano che la bambina fosse stata ingannata da quel demone, convincendola a seguirla, per poi essere uccisa e divorata; o semplicemente, quella ragazzina era pazza e bugiarda.

“Signor Sesshomaru…”

Rin si incamminò fino all’ingresso nord del villaggio, dove vi era un enorme albero secolare. La bambina si rannicchiò ai piedi di quell’albero, aspettando il ritorno del suo adorato signor Sesshomaru. Gli umani sapevano essere più cattivi dei demoni, non solo a gesti ma anche a parole: il signor Sesshomaru mai le aveva detto di essere stupida o bugiarda - magari Jaken, qualche volta - ma il giovane demone non aveva motivo di definire Rin a quel modo. Sesshomaru sapeva benissimo che la famiglia di Rin era stata massacrata dai briganti e lei era sopravvissuta per miracolo. Ed era stato un miracolo che proprio lui, il gelido principe dei demoni, l’abbia riportata in vita dopo che era stata sbranata da un branco di demoni lupo. 

Chi lo spiega a quelle genti che Rin era diffidente? 

Chi lo spiega a quelle genti che Rin si era sentita voluta bene solo da quel demone, oltre che dalla sua famiglia?

Chi lo spiega a quelle genti che non c’è una verità assoluta? 

Rin magari si sbaglia: non tutti i demoni sono buoni, e lo stesso Sesshomaru non lo è. Ma ha scelto di esserlo con lei perché ha dimostrato coraggio nell’avvicinarsi a lui mentre era ferito e rabbioso. 




“Dov’è finita quella bambina?” chiese un contadino.

“Chiyo l’ha vista allontanarsi verso l’esterno!” esclamò una donna.

“Quella ragazzina è matta! Farà una brutta fine a stare con quel demone, sempre che sia vero quello che dice!”

“Ma certo che non è vero! Fosse davvero così, quella bambina sarebbe morta da tempo!” 

Il vocio degli abitanti del villaggio non poté raggiungere Rin che, per fortuna, si era addormentata. Era stanca, affamata e stufa di farsi dare della bugiarda. Non volevano aiutarla? Bene, avrebbe atteso il ritorno del signor Sesshomaru lì. Il sonno fu più forte di qualsiasi altra cosa e, a svegliarla fu il fruscìo del vento dentro le orecchie e il cigolare di spade. Poi qualcosa di caldo e morbido, candido, l’avvolgeva. Aprì meglio gli occhietti e si rese conto di stare volando, in braccio a lui.

“Signor Sesshomaru!” disse felice.

“Rin.” la chiamò con la sua voce atona.

“Sì, signor Sesshomaru??”

“Non perderti più.”

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Non desiderare la donna d'altri ***


A/N ciao a tutti! Noto che alcuni non hanno letto la storia precedente (Non dire falsa testimonianza). Per non perderla, vi ricordo di leggerla 😊 e ha una protagonista speciale 😚

“Non desiderare la donna d’altri.”


Era difficile tenere a freno i propri istinti, soprattutto di fronte alla donna tanto desiderata. Sentiva qualcosa sul petto, così pesante tanto da soffocarlo. Rabbia e gelosia, ecco cosa erano. Quella lurida sgualdrina lo aveva rifiutato perché era un ammasso di carni bruciate! E per chi?? 

Per un mezzodemone

Passare le proprie giornate a osservare Kikyo non giovava alla sua precaria sanità mentale, soprattutto quando si rendeva conto che la sua sacerdotessa non era più sua. Non era mai stata sua ma lui la reclamava di diritto. No… Kikyo era innamorata di quel cane e lui ricambiava, perché si sentiva amato, perché sua madre era una sporca donna umana che si era concessa ad un demone.
Il demone ragno rinato dagli inferi coprì il proprio volto con la sua pelle di babbuino, allontanandosi, roso dalle fiamme della gelosia. Naraku avrebbe messo a ferro e fuoco il villaggio di Kikyo pur di farla piegare al suo volere e farsi dare la sfera. Ma c’era lui, nel mezzo. C’era Inuyasha. E se Kikyo non poteva essere sua, non sarebbe stata di nessun altro.


Kikyo si era fatta bella per un altro, si era fatta bella per il suo uomo. Non si era fatta bella per lui, per Naraku, che tanto la bramava… 

Quella tinta rossa sulle sue labbra la rendeva la lussuria in persona, così passionale, così… bella. Naraku sarebbe entrato nella capanna, ucciso Kaede e fatto Kikyo sua. Ma c’era Inuyasha tra loro due. Come osava quell’essere?! Naturale, un mezzo demone, figlio di un’umana, sentiva il desiderio di continuare a stare tra le gambe di una donna umana. Che miserabile… le aveva donato quella tinta che apparteneva proprio alla vecchia sgualdrina che lo aveva messo al mondo! 

Che miserabile…



 

“Inuyasha!!” 

La freccia di Kikyo aveva inchiodato il mezzodemone all’albero sacro, nonostante la ferita fatale che aveva sulla spalla, lungo tutto il petto. Era finita. Il sangue di Kikyo aveva macchiato il terreno ai piedi dell’albero… rosso, rosso come la passione malata di Naraku, come i suoi occhi che si godevano lo spettacolo. Inuyasha aveva tradito Kikyo, Kikyo aveva tradito Inuyasha. Lei non era più di quel disgustoso demone cane, non era più di nessun altro. Naraku fu soddisfatto, nonostante Kikyo non fosse un oggetto… nessun essere umano lo era! Ma cosa voleva saperne un demone nato dall’anima marcia di un brigante?  

Vide, da lontano, la cremazione del corpo di Kikyo. Vide la sua donna venire bruciata assieme alla sfera degli Shikon, quello stesso maledetto oggetto che aveva spinto, prima Onigumo e poi Naraku, a compiere atti terribili. 

Sorrise pensando che Inuyasha desiderava la sfera per diventare un demone completo. 

Patetico. 

Voleva portargli via tutto, ma Naraku aveva fatto la sua mossa. Ad Inuyasha aveva portato via tutto: la vita, la sfera degli Shikon e Kikyo.

“O mia, o morta.”

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Non desiderare la roba d'altri ***


“Non desiderare la roba d’altri.”

 

In alcune terre lontane, luoghi di cui si era soltanto sentito parlare, esisteva una legge che, quando si commetteva un crimine, si subiva una punizione pari al torto commesso. La legge del taglione, la chiamavano. 

Se avevi ucciso qualcuno, venivi ucciso. Se rubavi, ti veniva tagliata la mano. 

O il braccio. 

Ma lui era convinto di essere nel giusto. Lui non voleva rubare Tessaiga perché quella spada gli apparteneva. Lui era il principe erede, il futuro Inu no Taisho e non poteva di certo comandare eserciti e dominare terre con una spada inutile, che può solo guarire e ridare la vita! Tessaiga, lasciata in eredità a quello stupido mezzodemone era uno spreco. 

Dolore. 

Il braccio sinistro di Sesshomaru pizzicava, bruciava, come la sconfitta subita da parte di quello sciocco Inuyasha! Punito perché accecato dal desiderio di possedere Tessaiga… la zanna capace di radere al suolo un intero villaggio o un esercito di demoni, in mano ad un inetto. 

Dolore. 

Il giovane principe dei demoni pensò a sua madre, a come gli avrebbe dato dell’umano per aver provato invidia e brama di qualcosa. Secondo la signora dei demoni, il figlio non aveva bisogno di quella spada, lui era già sufficientemente potente di natura, ma Sesshomaru non lo accettava. 

Dolore. 

Non poteva sopportare che quella spada avesse una barriera e che potesse essere impugnata solo da uno schifoso mezzodemone! Questo perché suo padre la fece forgiare per proteggere Izayoi e il disgustoso ibrido che portava in grembo… Lui non si sarebbe mai arreso ad una simile bassezza per ottenere Tessaiga! Cosa che invece, quell’idiota di Inuyasha aveva fatto con quella strana umana dagli strani abiti. Somigliava a Kikyo, quella sacerdotessa… il solito rognoso!

Dolore.

La fuoriuscita di sangue si era fermata e il braccio cicatrizzato. Ma lui era il grande Sesshomaru, sarebbe andato avanti anche con un solo braccio - o tre zampe sotto forma di demone. Avrebbe cercato altre braccia che gli avrebbero permesso di impugnare Tessaiga, uccidere Inuyasha e diventare il nuovo sovrano dell’Ovest. Tessaiga doveva essere sua. Ma Tessaiga non era sua. Suo padre l’ha forgiata per suo fratello, per il più debole dei due. Sesshomaru poté sentire la voce di suo padre, come se, una volta stato nella sua tomba, fosse riuscito a mettersi in contatto con l’anziano demone.

 

Sei solo un egoista, Sesshomaru





A/N Finisce qui la raccolta di queste one-shot! Mi sono dilettata a scriverla e spero di riuscire nuovamente in un progetto simile. La prossima in dirittura d'arrivo sarà "Uno strano appuntamento" e già ho le lacrime agli occhi. Avrei in progetto tante altre storie però devo fare ordine nella mia testa e riuscire a comprendere da quale iniziare, quindi, se non vedrete pubblicazioni, non vi preoccupate XD sono in fase di "pausa aristica"
Vi invito, se non l'avete fatto, a recuperare la storia numero 5! 

Vi ringrazio e alla prossima <3 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4026422