We are the brave di Fuuma (/viewuser.php?uid=1725)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una canzone per il Capitano ***
Capitolo 2: *** Fortuna a fior di labbra ***
Capitolo 3: *** Le ben educate frivolezze di un Ballo ***
Capitolo 4: *** Un Torneo da lunedì ***
Capitolo 1 *** Una canzone per il Capitano ***
pairing:
Steve/Bucky { stucky }; Tony/Pepper { pepperony }; Thor/Loki {
thorki };
warnings: slash, incest, post-siero Steve, au (hogwartsverse),
I
personaggi appartengono a chi di diritto. |
We are the Brave
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I
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Una canzone per il Capitano
A riempire la
Sala Grande è l’ululato dei grifondoro, a cui per un po’ si sono
unite anche le grida d’esultanza delle altre casate, ma si sa che
certe goliardie riescono meglio (e più a lungo) a chi veste
rosso-oro.
Come uno stormo
di falene, i figli di Godric circondano il Calice di Fuoco,
inscenando finti balletti ritualistici ogni qualvolta un nuovo
studente si approccia per gettare la sua iscrizione tra le fiamme.
La minaccia muta
e storpia che il Capo degli Auror Fury ha lanciato loro, con l’unico
occhio sano che possedeva, è rimasta sospesa nel soffitto incantato
per qualche ora (“Non sono qui per fare da balia a un gruppo di
marmocchi che non conoscono i loro limiti, sono qui per riportare il
cadavere alle vostre famiglie se qualcosa dovesse andare storto!”)
per poi scivolare via, dimenticata dietro ai passi pesanti e al
petto gonfio di Thor Odinson.
Alto, grosso e
bello come un dio norreno, è stato lui ad aprire le danze, in uno
scrosciare di applausi.
O-din-son!
O-din-son! O-diiiiii-n…. SON!
La cantilena è
durata fino all’ora di pranzo, con tanto di ola – interrotta nel
momento in cui è giunta alle braccia incrociate di Tony, per nulla
intenzionato ad alzarsi dalla panca.
Thor è stato il
primo e a Tony un po’ brucia, ma non poteva pretendere di essere
l’unico rappresentante dei grifondoro – è una casata che vomita eroi
a ogni ciclo lunare, di strano al massimo c’è che in giro non abbia
ancora visto quell’altro gigante biondo tutto muscoli. Era convinto
sarebbe stato lui l’apripista di Hogwarts, chi meglio di Capitan
Puritano Rogers, che alla presentazione delle scuole di Dursmstrang
e Beauxbatons è andato a stringere la mano di tutti e augurar loro
buona fortuna?
Al suo posto,
invece, si fa avanti il solito duo scapestrato di ragazzini del
quinto anno che Stark ha imparato a conoscere fin troppo bene.
«S-sei… sei
sicuro che funzionerà se lo metto dentro? Non rischio, che ne so, di
esplodere?»
«Fidati, Peter,
ho fatto i miei calcoli, c’è una buona probabilità del novantacinque
per cento che funzioni.»
«Ok, insomma,
novantacinque per cento non è male.»
«Forse ottanta
per cento…»
«Ottanta?»
«Facciamo
sessantanove virgola nove e non ne parliamo più!»
«Ned!» urlacchia
Peter Parker, che stringe tra le mani un piccolo rotolo di pergamena
in cui ha scritto il suo nome. Ha dimenticato il mantello altrove,
la divisa è stropicciata e la cravatta rosso-oro dal nodo talmente
allentato da arrivargli all’ombelico, lo fa sembrare un puledro
scalpitante preso al lazzo. E Tony sa che quel puledro non ha l’età
adatta per proporsi come Campione – e anche l’avesse, è più
probabile rischi di rompersi l’osso del collo o di diventare mangime
per Ippogrifi. Conosce le prove degli anni passati, il Torneo
Tremaghi non è un gioco, ma è invece quel che di più simile si può
trovare a una guerra.
Forse è anche per
questo che non si stupisce quando alle spalle di Peter si staglia
alta l’ombra verde-argento di ben altro tipo di Odinson.
Loki è il
riflesso distorto di Thor, è tutto ciò che il ragazzo non è: pelle
d’argento, capelli di petrolio e occhi da serpe verdi come smeraldi
nella notte. Il mantello gli fruscia dietro le spalle come ali di un
corvo pronto a portare sventura, e dall’alto, pianta uno sguardo
gelido sulla nuca di Peter, piegando labbra sottili in
un’espressione di disgusto.
«Levati di mezzo,
insetto» Perfino la sua voce ha un languore cupo e
affascinante, e non sai mai se la voglia che ti mette addosso è
quella di gettarti ai suoi piedi o mandarlo a quel paese.
Peter
temporeggia troppo a lungo, tanto che Tony è costretto a
tenere d’occhio la bacchetta di Loki col timore che la usi per una
delle Maledizioni senza perdono – e gira voce tra gli studenti che
lo abbia già fatto una volta. Ma di voci sul Prefetto serpeverde ne
girano tante, ognuna più oscura dell’altra.
«Devo ripetermi?»
Le dita lunghe e bianche di Loki si stringono al manico della
bacchetta dalle venature altrettanto candide, in legno di tiglio
argentato, lunga, dal manico intagliato di scaglie scure e la punta
quasi bianca, così simile alle spine di un Ungaro Spinato.
Tony apre la
mano, indosso un guanto di pelle e placche d’acciaio scarlatto
incantato personalmente – è tutto quello che gli serve perché la
bacchetta, agganciata alla coscia destra, si sganci magicamente
e s’infili tra le sue dita.
«Accio biglietto
del ragnetto» esclama, in un breve agitare della punta. A essere
acciato, non è solo il biglietto con il nome di Parker, ma anche
gli sguardi dei presenti, a cui regala un sorriso e un mezzo
inchino. «Sono un poeta nato, lo so.»
Peter lo
raggiunge, libera il passaggio a Loki, che preferisce non perdere
tempo e gettare finalmente il suo nome nel Calice. Lo ha scritto con
le rune e un inchiostro dorato che per qualche istante riluce nel
fuoco.
I compagni della
casata di Salazar scattano in piedi e con un’invidiabile sincronia
(che Tony giurerebbe poter appartenere solo ai ballerini coreani o
agli atleti del nuoto sincronizzato) stringono una mano al gomito,
piegano l’altro braccio verso l’alto e lo allungano in un sibilo che
la Sala Grande amplifica, trasformandosi per qualche istante in un
nido di serpi velenose.
Una coreografia
carina, ma ci vuole altro per spaventare Tony Stark e al massimo,
quando Loki si volta e non lo degna nemmeno di uno sguardo, quel che
prova è una punta d’irritazione. Tutti conoscono dove pende l’ago
della bilancia nelle idee politiche di Loki Odinson, e un
mezzosangue come Tony, potrà anche avere una famiglia che
sguazza nei galeoni, ma non varrà mai più di mezzo zellino agli
occhi di un purosangue.
Scuote il capo,
tornando a…
«Ehm, potrei
riavere la mia pergamena?»
Peter e amichetto
del cuore.
«No, che non
puoi. Cosa pensavi di fare, Parker?»
«Ahm… avevamo
pensato, che magari… beh…»
«Io e Peter
abbiamo trovato questo incanto runico tra i libri nell’ufficio del
professor Strange e—»
Tony piega la
mano a formare il becco di una papera e lo chiude in un gesto che
parla da solo: «Shsss. La mia era una domanda retorica.»
«Oh.» Peter china
il capo.
Riuscire ad
aggirare le serrature magiche del professore di Antiche Rune non è
cosa da poco, ma la Linea dell’età è un incanto di Silente e serve
più di una coppia di sbarbatelli furbi per fregare il vecchio – Tony
lo sa forse meglio di tutti lì ad Hogwarts.
«Sperate che la
vostra bravata non costi punti a griffondoro…» Un’occhiata veloce ai
colori della divisa di Ned «…o a corvonero; ma soprattutto al vostro
posto pregherei tutti i santi babbani e non che conoscete, affinché
non lo venga a sapere Captain Harlock, o si prenderà uno dei vostri
occhi, per averne di scorta.»
Pallidi in volto,
i due ragazzi si scambiano sguardi e balbettano scuse, ed è in
questi momenti che Tony, ridacchiando, un poco ammira Fury, il cui
solo nome è sufficiente per instillare un po’ di sana strizza.
Come loro si
allontanano, è Virginia Potts ad avvicinarsi. Alta ed elegante, nei
colori di tassorosso è la sua Ape Regina, senza la spocchia delle
ragazzine snob da teen-movie.
«Se non ricordo
male, l’anno scorso, un certo grifondoro è riuscito a far perdere
cento punti alla sua casata a causa delle sue bravate.»
Tony scrolla le
spalle; è da sempre convinto che la Coppa delle Case sia truccata,
Silente abbia i suoi cocchi e per ogni punto che Stark porta via, ce
ne saranno altri dieci regalati ai bicipiti gonfi del buon Steve
Rogers. Non è per questo che infila la pergamena di Peter in tasca,
ma non è nemmeno tipo da dare spiegazioni.
Invece allarga le
braccia e ruota lentamente su se stesso.
Il mantello
incantato si solleva e si riempie di sfumature rosso sgargianti
ogni qual volta la luce delle candele lo colpisce con l’angolatura
giusta.
«Odinson vi ha
morso la lingua o posso avere un po’ di tifo?»
La Sala Grande si
rianima.
«Stark! Stark!
Stark!» I ragazzi inneggiano e battono i piedi infervorati: è musica
per le sue orecchie.
«Rhodey?» Il nome
dell’amico si trasforma in segnale: dalle panche tassorosso, James
Rhodes solleva la bacchetta, bisbiglia un incanto e dalla punta
schizzano fuochi d’artificio che esplodono in una pioggia di
scintille rosso e oro.
Questa è una
coreografia coi controcazzi,
vorrebbe spiegare ai fratelli barbari arrivati dal nord.
Pepper, al
contrario, porta una mano al viso.
Tony sfila dalla
tasca opposta a quella in cui ha nascosto il biglietto di Parker un
foglio – un post-it colorato –, il suo nome vergato in nero ha
l’inconfondibile scrittura “a macchina” delle penne autoinchiostranti
Stark. Lo stringe nel pugno e lo avvicina alla bocca di Virginia.
«Portami fortuna,
Pepper.»
«Da quando credi
nella fortuna?»
«Da quando posso
usarla come scusa per chiederti un bacio, se verrò scelto come
Campione. E ora, chop-chop, non deludermi.»
Lei non commenta
– a farlo al suo posto è il dolce rossore che le tinteggia le guance
e fa risaltare le piccole efelidi sul naso –, si tende in avanti e
soffia sulle dita di Tony un’alitata calda che gli accarezza la
pelle.
Stark sorride, se
la fortuna esista o no non è affar suo, perché con Pepper al suo
fianco, sarebbe in grado perfino di volare senza scopa.
⍣
A Bucky Barnes
piace respirare l’aria di festa che orna il Castello. È fatto per la
caciara, per le danze di ogni tipo – meglio se un lento in punta di
piedi o un tango sul filo di un bacio – e ogni scusa pur di saltare
una lezione o due è sempre la benvenuta.
Il suo interesse
per il Torneo Tremaghi è però tutto qua.
Seduto alle
panche, è circondato da ragazze di ogni casata che gli pizzicano il
braccio e gli chiedono quando infilerà il suo nome nel Calice. Sono
sicure ne uscirebbe vincitore – oh, così sicure che se
vincerà, gli bisbigliano all’orecchio, sono disposte a infilarsi con
lui nei bagni dei prefetti e dargli un premio che farà sfigurare
perfino le fate in blu di Beauxbatons.
Bucky sorride e
scuote il capo, si solleva in piedi sulla panca, balza a quella
accanto e schiocca loro un occhiolino.
«Siete perverse,
ragazze.»
Le rifiuta con
garbo, senza “no” e senza “sì” – lasciandole danzare sull’orlo di un
“forse” che, da quasi un anno a quella parte, lo rende il ragazzo
più inarrivabile di Hogwarts. Perfino più di Rogers, l’Apollo dei
grifondoro, che in sette anni di scuola e diciotto di vita ha
baciato una sola ragazza senza che l’evento ricapitasse.
«Penso che
lascerò fama e gloria agli altri. Ma grazie per l’offerta,
l’apprezzo davvero.»
Ancora non sa che
le sue sono le ultime parole famose.
«James! Buchanan!
Barnes!»
Bucky potrebbe
riconoscerlo perfino nel mezzo di una tempesta: è il ruggito di un
leone, che un po’ vorrebbe fosse suo, ma che è soprattutto il leone
dorato dei grifondoro.
I portoni della
Sala sbattono quando Steve Rogers, colletto slacciato, camicia fuori
dai pantaloni, cravatta legata a un polso e l’aria selvaggia di un
animale a caccia, avanza col fiato pesante. Di colpo, ogni ragazza
che prima parlava con Barnes, ora guarda lui e desidera essere una
delle gocce di sudore che gli rigano il collo scomparendo sotto agli
abiti.
Steve marcia
verso Bucky e verso di lui agita il polso. Non servono parole, a
malapena basta un’occhiata lì intorno per capire che hanno bisogno
di privacy e che dovranno andare altrove se la vogliono.
Poco prima che
Bucky venga trascinato via, è la voce di Stark che ancora si fa
sentire e li insegue fino al corridoio.
«Se dovete
figliare, Barnes, assicurati che esca meno ariano di Rogers e
col tuo cervello. Che di troll col bel culo ne abbiamo abbastanza!»
⍣
La stanza dei
Trofei sembra la più appropriata. Steve l’ha amata da subito e da
subito ha desiderato vedere il suo nome sulle placche dorate, sotto
alle coppe di Quidditch o alle teche con le fotografie degli alunni
più dotati. Ha sempre avuto fame di competizione, fame di vittoria,
perché per quasi dodici anni ha trascorso le sue battaglie nella
polvere, a venir deriso, calciato e trattato alla stregua di un Elfo
domestico.
Prima di Hogwarts
viveva di sconfitte, ora invece scalpita per sapere quanto in alto
può volare – ma Bucky vede ancora le sue ali di cera per quello che
sono e teme il giorno in cui arriverà troppo vicino al sole. È anche per
questo che, al contrario di Rogers, lui detesta quella stanza e
vorrebbe un giorno trovare le parole giuste per spiegare a Steve che
non ha bisogno di medaglie, trofei o coppe per mostrare il suo
valore.
Invece, sotto i
riflessi dorati della stanza, si trova incastrato tra il muro e
il ragazzo, che chiude il pugno sopra la sua testa.
«È stato uno
scherzo cretino!»
Bucky non chiede
spiegazioni, la cravatta che ancora penzola dal polso del grifondoro
racconta tutto quel che c’è da sapere, senza contare che è stato
Barnes a incantarla affinché lo legasse al letto.
«Lo scherzo
cretino è quello che vuoi farmi tu infilando il tuo nome in quello
stupido Calice.»
«E il tuo piano
qual era? Tenermi legato in dormitorio per tutta la settimana?»
Bucky si stringe
nelle spalle. Non ha mai creduto di poter tenere Steve lontano dai
guai – ma provarci, tentare di proteggerlo (il più dalle
volte da se stesso) è l’unica cosa che gli rimane. «Qualche
dettaglio era ancora da mettere a punto.»
«A-ah, e poi
secondo Stark sarei io quello col cervello da troll.»
Bucky stira le
labbra in una linea piatta e preoccupata.
Steve vi passa
sopra il pollice, raccoglie sotto il polpastrello il colore rosato
della sua bocca e su di lui si china, a un respiro di distanza. Ora
che non ci sono compagni (e ragazze) a circondarli, stare vicini
viene loro naturale, scivolare tra gli spazio l’uno dell’altro e
annullarli un poco alla volta.
«È un torneo
scolastico, Buck, non mi succederà niente. Perché continui a
preoccuparti tanto?»
Ha ammorbidito la
voce, ma Bucky non cede – se la lealtà è tassorosso, la
testardaggine è tutta sua.
«Dannata sia la
faccia di Morgana!» impreca. «Perché ti conosco Steve! Perché so che
tu invece non conosci il significato della parola “basta”! Quando
avevamo undici anni facevi a botte con maghi esperti grandi il
triplo di te, cosa succederà quando ti troverai davanti un Drago o
ti chiederanno di buttarti nel fuoco? Cosa c’è di male a stare in
panchina per una volta tanto?»
«Sono stato
relegato in panchina per tutta la mia vita, non—»
«Ma ora non sei
più quello di un tempo! E anche lo fossi, non devi dimostrare niente
a nessuno.»
Ecco, lo ha
detto finalmente. Bucky lo
butta fuori tutto d’un fiato e quando ha finito, sa di non avere più
alcuna freccia al suo arco.
Steve annuisce.
Piano spinge il naso contro la punta di quella del ragazzo e lo
strofina, lento, come quando erano piccoli e lui era costretto a
sollevarsi sulla punta dei piedi per arrivarci o a infilarsi nel
letto di Bucky, strofinandoglielo via il perdono. A chiedere scusa
per essere se stesso, Steve non è mai stato bravo.
E in fondo va
bene così.
Preso un sospiro,
Bucky lo guarda negli occhi. «Se credi di essere l’unico a saper
scrivere il proprio nome su un pezzo di pergamena, ti sbagli di
grosso, Rogers.»
«Credevo tu non
fossi interessato.»
«Ho cambiato
idea. Se tu salti, salto anch’io.»
«L’hai sentito
anche tu Silente, in questo Torneo ognuno è per sé.»
«Lo so, ma magari
al calice stai antipatico e preferisce i tassorosso belli come il
sottoscritto.»
«A-ah, come le
ragazze in Sala Grande? Beato te che hai potuto rincorrere sottane,
mentre io ero legato in dormitorio.»
Bucky lascia che
dalla gola vibri una risata calda e maliziosa, mentre incurva la
schiena come un gatto affamato di coccole e negli occhi brilla una
proposta sconcia, anche se Steve, che alle volte forse sembra fatto
più per la guerra che per l’amore, non ha ancora imparato a
leggerle certe cose.
⍣
La scelta dei
Campioni è stata una scarica d’eccitazione e meraviglia. Nessuno si
aspettava quel risultato, nessuno tranne Loki Odinson. Lui è stato
il primo nome sulla bocca di Silente, l’unico dei campioni di
Hogwarts, Dursmstrang e Beauxbatons a non aver battuto ciglio – le
rune gli avevano già parlato, e prima ancora, ha sognato se stesso
in quell’esatto momento, accanto a Stark e al tassorosso dal sorriso
seduttore e gli occhi da lupo.
Il nome di Steve
Rogers, invece, non è mai uscito.
E ora Tony
sguscia insieme a lui nella sala comune di Tosca Tassorosso, mani in
tasca e un grido rivolto a uno dei coperchi di botte che tappezzano
il muro e conducono ai dormitori.
«Barnes, esci
dalla tua tana e vieni a levarmi Capitan Piangina dalla spalla!»
«Guarda che non
sto piangendo e non c’era bisogno mi accompagnassi.»
Prima di Bucky è
Clint Barton a farsi avanti. Arriva dall’alto – un’abitudine
dura a morire –, da una nicchia nascosta nel soffitto, balzando giù
più simile a un grosso volatile che a un tasso.
Poco dopo, Bucky
spunta da uno dei tunnel, lo sguardo che danza da Stark a Rogers.
«E voi due come
siete entrati?»
Tony gli sventola
una mano davanti al volto. «Non guardarmi con quegli occhi da
cerbiatto sorpreso dai fari di un’auto babbana. Ho scoperto parole
d’ordini e ingressi segreti di ogni dormitorio al primo anno di
scuola.»
«Non sarai la
faccia-da-snaso che è andato a raccontare ai primini serpeverde che la loro
password era cambiata?»
«Ti sembro uno
che ha voglie suicide? Con una bravata del genere finisci dritto
sulla lista nera della Romanoff. No grazie, quella suona tanto da
follia di Rock of Ages.»
Steve solleva un
sopracciglio.
«Odinson» gli
chiarisce Clint.
«Già, il fratello
stecco di California Ken,» Tony annuisce e punta Bucky. «a cui,
detto fuori dai denti, io e te dovremo fare attenzione. E parecchia
anche, se vogliamo uscirne con tutti gli arti intatti.»
Di riflesso,
Bucky si tocca il braccio sinistro. Si è cambiato la divisa e le
braccia sono nude, addosso una maglia senza maniche e un paio di
pantaloncini.
Delle delegazioni
di Durmstrang e Beauxbatons non ne fanno menzione; potranno essere
avversari degni, ma quello che scorre nelle vene di Loki è veleno da
Basilisco.
«Comunque, ora
che ho fatto la mia buona azione di oggi, posso finalmente liberarmi
di Rogers e in cambio:» con uno schiocco di dita indica Clint
«Legolas, con me.»
Barton
reclina il capo svogliato. «Fammi indovinare, vuoi chiedermi aiuto
perché sai che Barnes ha una mira migliore della tua con gli
incantesimi di puntamento e l’unico in grado di batterlo sono io.»
Tony storce il
naso, non gli piace quando qualcuno fa notare le sue mancanze – ne
ha poche e tutte ben nascoste – ma questa volta Clint ha ragione; e se è
vero che i tassi sono perlopiù ciechi, non ci si può aspettare altro,
invece, da chi ha l’occhio allenato di un falco.
«Visto che la
Romanoff non è stata scelta e io sono il suo campione preferito, è
tuo dovere aiutarmi» si giustifica, ben conoscendo il rapporto che lega i due ragazzi.
«Sono quasi
sicuro che Nat preferisca me» s’inserisce Bucky.
«E lo dici
davanti al tuo fidanzatino?»
Tony colpisce
dritto nel segno e affonda, mentre Rogers e Barnes fanno a gara a
chi arrossisce di più.
Non rimane a
godere dei frutti delle sue frecciatine, ma con Clint si allontana,
sventolando una mano in saluto.
«Non fare niente
che non farei io, Capitano.»
⍣
Bucky non è
abituato ad avere Steve in camera sua; è lui quello che la sera
sgattaiola per i corridoi del Castello sfidando la buona sorte, il
coprifuoco e gli schiantesimi del professor Phillips.
Clint e Scott
Lang sono i suoi compagni di stanza; se il primo ha seguito Stark,
il secondo finge di dormire, ma quando prendono posto seduti tra le
lenzuola del letto a baldacchino, Bucky estrae la bacchetta e si
rinchiude con Steve in una bolla di mondo tutta per loro.
Non sa da dove
cominciare, forse dovrebbe scusarsi o assicurare al ragazzo che non
è portato per la Divinazione lui e che quel che ha detto
nella Sala dei Trofei era un modo come un altro per riempirsi la
bocca di sciocchezze. Forse un po’ ci ha sperato, ma ora che ha
privato Steve delle luci della ribalta che tanto agognava vorrebbe non
averci mai provato.
«Sei ancora
arrabbiato con me per aver preso il tuo posto?» chiede, guarda in
basso, tra le proprie gambe incrociate e, nervoso, si picchietta la
coscia con la bacchetta.
Steve lo ferma,
raccoglie la mano nella sua e gli sfila il legnetto in quercia
rossa, per posarlo sul comodino.
«Non era il mio
posto e non sono arrabbiato. Sono solo, non lo so, invidioso,
immagino. Ma a questo sono abituato, sono sempre stato invidioso di
te.»
Bucky lo guarda
come se il ragazzo che ha di fronte non fosse lo stesso Steve Rogers
che conosce da una vita, il piccolo magonò che ha preso a calci il
destino e ha riscritto perfino il suo DNA. «Mi prendi in giro? Sei
il prefetto di Grifondoro, il capitano della vostra squadra di Quidditch, hai la media di
eccezionale in ogni materia e la tua faccia è finita perfino
sulla Gazzetta del Profeta. Non hai nulla da invidiarmi.»
«Eccetto il fatto
che la mia magia è nata in provetta. Se non fosse stato per Erskine—»
Steve vorrebbe
parlare e spiegarsi, ma Bucky non glielo permette, non questa volta.
«E con questo?
Quello che ti ha dato lui sono stati i mezzi per essere come tutti
gli altri, il resto è tutta farina del tuo sacco.» Gli tira una
schicchera alla fronte che gli solleva morbide ciocche bionde e le
sue dita si fermano lì, fanno il nido tra i suoi capelli e li
vezzeggiano in carezze delicate, sfiorandogli di quando in quando la
punta di orecchie che hanno iniziato a prendere un colore più
rosato.
«Lo sai che
alcune ragazze della mia casata hanno creato una canzone su di te?
Nemmeno Stark può vantare tanto.»
Steve arriccia il
naso, è quel genere di cose che lo mette seriamente in imbarazzo ed
è per questo che Bucky ne approfitta e la mano che gli accarezzava i
capelli, ora si apre al suo petto e ne saggia la consistenza di
marmo.
«Il Calice avrà
avuto le sue ragioni, ma sono certo di non essere stato scelto
perché sono più degno di te o sciocchezze del genere. Voglio dire, è
stato scelto anche Odinson ed è più probabile che ci uccida tutti
nel sonno pur di avere la vittoria assicurata.»
Steve spalanca la
bocca e s’abbandona a un sospiro lento, lo afferra per i fianchi e
stringe, incollandogli addosso mani grandi e calde, che un
tempo si sarebbero spezzate come niente e che ora invece potrebbero
prendere a pugni il muso di un troll. «Allora forse dovrei rimanere
e assicurarmi che non ti accada niente.»
Bucky ammicca.
«Stai proponendo di farmi da guardia del corpo?»
«Potrei.»
«Potresti. Il mio
cavaliere senza macchia e senza paura. È così grifondoro.»
Steve ride,
mozzicando uno di quei mezzi insulti babbani che sarebbe meglio non
ripetere.
«Comunque farò il
tifo per te» aggiunge infine, chiudendo Bucky in un abbraccio che li
trascina entrambi sdraiati, in un incrocio di gambe e con la testa
ad occupare l’unico cuscino.
«Sarà meglio per
te, pal. Sono un Campione del Torneo Tremaghi ora, ho bisogno
di tutto il sostegno possibile.» Ma se anche il suo fosse un
sussurro tra la folla, Barnes sa che gli arriverà dritto al cuore,
ovunque si trovi, che sia in una scuola piena di studenti o sul
fondo del Lago Nero.
«Quindi… c’è una
canzone su di me, eh? E hai intenzione di cantarmela o devo
chiederlo alle tue ragazze.»
«Punk.»
Nonostante
l’insulto, Bucky si arrampica al suo orecchio e a occhi chiusi,
sottovoce canta per lui.
[ 3.996w ] |
Dopo "Wipe him..." era
d'obbligo dedicarmi a una fic cazzara, per depurarmi di tutta la
depressione che quella storia mi ha messo addosso. Questa è la scusa
ufficiale per aver scritto 'sta roba. XD
Non ho idea di come
proseguirà; è una mini long scritta per una challenge che prevede la
scelta di tre protagonisti che parteciperanno come campioni al
torneo, e a ognuno di loro deve essere dedicata una delle prove –
nel mio caso, come si sarà capito, i prescelti sono Loki, Tony e
Bucky. Mi ci è voluta un'eternità per decidere i personaggi, sono
stata in dubbio fino alla fine soprattutto a causa di Loki, perché è
un personaggio complesso che proprio per questo tendo a non inserire
mai nelle mie fic (e perché quando scrivo ho bisogno della ship e
con lui ho gusti difficili, ma per ora penso punterò alla thorki).
Per ora però mi accontento
di essere almeno riuscita a finire il primo capitolo in tempo;
capitolo che in realtà non avevo per niente programmato in questo
modo, che pensavo sarebbe uscito molto più corto e che invece è
andato per i fatti suoi. Ma io cosa plotto a fare, che tanto non
seguo mai la scaletta?!
Comunque, tenete d'occhio
i warning perché è possibile che da qualche parte nei prossimi
capitoli ne verrà aggiunto almeno un altro (age difference,
coffcoff) quindi se non è il vostro cup of tea ora
lo sapete.
Per tutti gli altri,
grazie di cuore a chiunque sia arrivato fino a qui e avrà voglia di
seguire questa storia. You da best.
♥
---
Scritta per
Torneo Tremaghi - Multifandom edition @L'angolo
di Madama Rosmerta |
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Capitolo 2 *** Fortuna a fior di labbra ***
pairing:
Steve/Bucky { stucky }; Tony/Pepper { pepperony }; Thor/Loki
{
thorki }; Peter/MJ { spideychelle}
warnings: slash, incest, post-siero Steve, au (hogwartsverse),
I
personaggi appartengono a chi di diritto. |
We are the Brave
______________________________
II
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Fortuna a fior di labbra
Un tassofesso,
un grifondiota e un serpeverde vengono scelti come campioni del
Torneo Tremaghi. È la
barzelletta con cui Loki si è svegliato nelle settimane che hanno
seguito l’annuncio; non faceva ridere la prima volta e, ora che è
storia vecchia, s’è fatta fastidiosa come il ronzio di una mosca.
Eccetto che quel
ronzio si trasforma nella voce familiare di una vecchia conoscenza,
che lo pugnala alla schiena mentre avanza sulla sponda del
Lago Nero, occhieggiando le vele sfilacciate di un veliero fantasma.
Una parte di sé sa che quello sarebbe dovuto essere il suo
posto, l’altra invece ha il muso butterato e la risata scartavetrata
di Helblindi Laufeyson, il Campione dei giganti venuti da
Durmstrang, che calcia sgraziato una zolla di terra e gli parla alle
spalle.
«Hai visto
la vostra miserabile sconfitta e sei venuto a implorare l’aiuto di
Durmstrang,
vǫlva[1]?»
domanda in norreno, una lingua antica che soltanto nelle scuole del
Nord insegnano ancora. Ma Loki legge le rune da quando aveva cinque
anni e sedeva con le gambe a penzoloni in braccio a sua madre,
conosce quella lingua come fosse la sua.
Si volta con
calma, per nulla intaccato dal modo in cui l’altro lo ha appellato –
allenato fin dall’infanzia alle prese in giro di Thor e dei suoi
amici idioti. Sotto al mantello scuro chiuso al collo con la spilla
di un serpente che si mangia la coda, la divisa è stirata, la
cravatta verde-argento annodata alla perfezione e alla cintura si
allaccia la bacchetta.
Helblindi
è una montagna di muscoli che in altezza supera perfino Thor, ma
anche se è costretto a guardarlo dal basso, il sorriso di Loki è una
tagliola che gronda boria.
Avanza verso di
lui, un passo e poi un altro.
«Perché dovrei
chiedere aiuto a un perdente?» Fino a sbattergli il volto sotto al
naso, piantandogli occhi languidi e crudeli nel cranio, quasi
potesse aprirlo in due per tirarne fuori i pensieri. Legilimens,
direbbe qualcuno, e anche per questo a Hogwarts lo temono e lo
evitano, ma la verità è ben altra – a cosa serve leggere un
pensiero, quando sei già in grado di leggere le persone?
«Lo sai qual è il
problema di quelli come voi? Che muovete la bocca, ma tutto
quello che ne esce è il latrato disperato di un cane.»
«Sporco…»
Helblindi serra il pugno – gli basterebbe un colpo solo per farlo
crollare a terra. Ma il sorriso di Loki lo sfida a provarci, la mano
già corsa alla bacchetta e la punta a premere contro la giugulare
del ragazzo, come la lama di un pugnale bianco.
«Dicevi?»
Helblindi
deglutisce, nella mascella serrata s’incastra tutta la sua
irritazione. Non indietreggia, però, gonfia il petto come un toro
pronto alla carica, anche se alla fine c’è poco che possa fare
davanti alla minaccia sibillina di Loki Odinson. Una Cruciatus
o un Imperius e sarebbe umiliato per sempre – a Hogwarts
hanno un cuore molle, troppo per insegnare certi incanti, ma
d’istinto sa che non vale lo stesso per il serpeverde.
«Come se non
sapessi già che sei un codardo» ringhia, digrignando i denti.
Loki affila lo
sguardo, accarezza mentalmente gli incanti più pericolosi – e da
quella distanza perfino un Expelliarmus potrebbe strappargli
la carne. «L’intelligenza non è la tua più grande dote, suppongo.»
«Non glielo hai
ancora chiesto, vero?»
Si blocca.
Forse lo ha
giudicato male, dopotutto non è così stupido come pensava.
Helblindi ne
approfitta per calare in avanti con la testa, sfidando la bacchetta.
«Sarà presente
anche lui durante il Torneo. Chiediglielo. Ti confermerà che non sei
altro se non una reliquia presa in prestito, un baratto che è
servito all’Allfǫðr[2]
per mantenere una facciata umana. Ma non sarà sempre così, Loki
Odinson.» Sputa il suo nome come fosse acido. «Un giorno
quell’orbo cadrà, e sarà mio padre a prenderne il posto.»
Loki ne ingoia
ogni parola, le sente bruciargli nella gola e nelle vene, ma è un
ragazzo cresciuto a pane, invidia e umiliazioni, ha imparato da anni
a modellare ogni stilla d’odio e risentimento per trasformarla in
veleno. È una serpe, e delle più pericolose.
«Continua a
vivere nella tua illusione, Helblindi, ma se anche quel giorno
dovesse arrivare, non sarai presente per godertelo.»
«È una minaccia,
Odinson?»
«Perché sporcarmi
le mani con qualcuno di inferiore, quando basterà lasciarti
partecipare a un Torneo mortale?»
«Tu menti.»
Loki ammicca. La
menzogna è sua compagna da sempre, ma non serve leggere le rune per
sapere di aver appena piantato il seme del dubbio nel petto del
ragazzo – non è un caso se l’altro lo ha chiamato
vǫlva,
conosce bene le sue capacità divinatorie.
«Porta le mie
condoglianze a tuo padre.»
E con una risata
sottile, che si raccoglie ai timpani del campione di Durmstrang come
un sibilo pericoloso, il serpeverde si allontana.
⍣
Una volta sua zia
gli ha detto che è portato per Cura delle Creature Magiche perché ha
un cuore buono e gli animali lo percepiscono. Peter dubita sia
quello il motivo, ma nell’aula di Cura si sente a suo agio, anche
ora che la guarda da una prospettiva tutta nuova.
Dondola
silenzioso appeso al soffitto, nelle vene sangue freddo e tutto
intorno un caleidoscopio di immagini che si raccolgono in troppi
occhi.
Sapeva di aver
riconosciuto l’uomo che si accompagna al professore di Cura; li ha
seguiti fin da quando sono entrati, ascoltandoli confabulare. E
quando i due escono dall’aula, chiudendosi la porta alle spalle,
Peter non ha più dubbio alcuno.
Agile e veloce,
s’infila tra le fessure degli infissi, percorre il muro fin dove il
corridoio svolta e, dove sa, Ned si è appostato per aspettarlo.
Accanto ai piedi del ragazzo, un mantello gonfio raccoglie al suo
interno un’ammucchiata disordinata di vestiti maschili.
Non appena lo
adocchia, Peter prende slancio e con una capriola si lascia cadere
sulla sua spalla.
Grosso errore.
Non ha notato che
il ragazzo non è più solo da un pezzo. Con il capo reclinato e
riccioli castani sfuggiti alla coda che le scivolano sulla fronte,
Michelle Jones-Watson si dondola annoiata sul posto.
I due indossano
gli stessi colori, Corvonero fino al midollo, ma le maniche della
camicia di lei sono risvoltate, dal colletto sbottonato spunta un
ciondolo in oro con le sue iniziali e al collo non compare alcuna
cravatta – ogni tentativo, da parte di professori e prefetti, di
fargliene indossare una è caduto nel vuoto fin dal primo anno.
MJ fissa la
macchiolina nera sul golf di Ned; all’inizio non capisce cosa possa
essere, ma quando la vede zampettare inorridisce.
«Un ragno!»
«Cos…»
«Dammi la
bacchetta!»
«No, aspetta,
quello è—»
Non perde tempo
in chiacchiere e non aspetta che Ned obbedisca, gliela sfila dalla
tasca – di certo non userà la sua per spazzare via quel coso
– e con la precisione millimetrica che si confà alla miglior
battitrice della sua Casa, le basta un colpo per lanciare via il
ragno.
Ned si allarma,
grida il nome di Peter e questo potrebbe far drizzare le antenne di
MJ, se solo quel maledetto ragno, atterrato sul pavimento lucido del
corridoio, non si fosse messo a zig-zagare stordito verso di lei.
C’è una nota poetica da qualche parte, la certezza che esista una
forza invisibile che condurrà sempre Peter Parker da MJ e viceversa,
ma quando la ragazza di cui sei cotto da anni tenta di ucciderti
spiaccicandoti a terra, il romanticismo si perde via.
E a questo punto
è rimasta solo una cosa da fare: Peter si concentra, le otto lunghe
zampette si riuniscono in due gambe e due braccia, il suo corpo si
fa più grande e riconquista lentamente sembianze umane.
Davanti a quello
spettacolo grottesco, però, MJ risponde d’istinto, prima ancora di
capire che quell’ammasso di pelle, chele, occhi e peli irti, sia una
persona. Lo calcia via, una scarpata dritta in faccia che lo
spedisce con un biglietto di sola andata verso il Paradiso.
O così vorrebbe.
Quando la
trasformazione termina, ci sarebbe tanto di cui parlare, a partire
dal fatto che Peter non indossa nulla se non l’impronta di una suola
di All Star babbane stampata in faccia, ma per un attimo, tutto
quello a cui i due corvonero riescono a pensare è il fatto che si
trovi ancora lassù.
«Wo! Come ci
riesci?» chiede Ned.
«Come riesco a
fare cosa?» Peter guarda verso l’alto, l’intonaco bianco del
soffitto a cui le sue dita hanno aderito «Oh.» e da cui ora stanno
perdendo la presa. «Oh merd-Aaaaahaaa!»
Ricade di
schiena, in un tonfo sordo che gli svuota i polmoni d’ossigeno.
Il pavimento è
freddo contro la sua pelle e lui è nudo, dolorante e imbarazzato, il
suo volto una maschera rosso fuoco in cui le guance si scioglieranno
per quanto bruciano. Non era così che pensava sarebbe finita la sua
missione di spionaggio.
Allunga un
braccio tra le cosce e uno a recuperare mantello e abiti che usa per
coprirsi, mentre rivolge a MJ un sorriso stiracchiato che rischia di
cadergli dalla faccia e unirsi alla dignità precipitata da qualche
parte lì per terra.
«E-ehy, MJ…»
balbetta in saluto.
La ragazza
sussulta e gli dà di colpo le spalle, sulla pelle ambrata si fa
strada un tenue rossore. Sotto la divisa grifondoro sempre
trasandata, si sarebbe aspettata di vedere linee acerbe e sottili di
un ragazzo allampanato, invece Peter ha muscoli tonici, addominali
sviluppati e la figura elegante di un ballerino.
Nervosa si
tortura le unghie, cercando qualsiasi altra cosa a cui pensare, come
ad esempio: «Tu… tu eri un ragno.»
Meglio.
Peter ridacchia,
si gratta la guancia con la punta dell’indice. «Già, ehm, è una
storia lunga…»
«Sei un animagus.»
«…ok, forse non
così lunga.»
«E cosa stavate
combinando? Ho visto Ned che teneva d’occhio il professore di Cura.»
Chiamato in
causa, il corvonero tiene le dita dritte e solleva le mani
incrociate davanti al volto, in una posa che ha del ridicolo.
«Silenzioso come un Auror e letale come un Dissennatore!»
«Questo non l’ho
detto.» MJ gli porta una mano sulla spalla in un gesto di
compatimento. «E non dovresti dirlo nemmeno tu.»
Ned affloscia
l’ego appena gonfiato; ma quando Peter finisce di vestirsi – la
camicia abbottonata storta crea un bozzo deforme sotto il golf, di
cui si preoccuperà più tardi – batte una mano alla fronte e scatta
di corsa verso le scale.
«Me ne stavo quasi dimenticando,
dobbiamo avvertire Tony! So quale sarà la Prima Prova!»
⍣
Tony detesta la
noia, per questo ha sempre qualcosa con cui tenersi occupato, che
siano gli allenamenti di Quidditch, i tentativi di entrare nella
Sezione Proibita della biblioteca (per ora rivelatisi vani), i
duelli contro Steve che un giorno riuscirà a cogliere di sorpresa e
mettere al tappeto, o, come in questo momento, le sue creazioni
magiche.
Si trova
nell’aula di Babbanologia, che i professori gli lasciano come spazio
sicuro, per evitare che faccia esplodere un intero dormitorio o
affumichi i suoi compagni di Casa. Non che sia mai accaduto, ma
data la sua predisposizione a fare quello che gli pare perfino
durante le ore di Pozioni e Alchimia – perché le nozioni dei libri
di testo non gli bastano e ha bisogno di più – hanno pensato
fosse meglio così.
Sulla cattedra,
si apre un ventaglio di strumenti dalle forme più strane – magici e
babbani, per lui non fa differenza. Un bicchiere autorigenerante di
caffè è poggiato in un angolo insieme a un sacchetto di Gelatine
Tuttigusti+1; accanto ad essi, rimbalza una puffola pigmea dal pelo
rosso e il musetto nascosto da un maschera da saldatore in
miniatura.
Tony è seduto
alla poltrona girevole della cattedra. Sta dando le spalle alla
porta, quando viene aperta da un Peter trafelato, che sembra essersi
vestito al buio, e dai due ragazzini del quinto anno che gli fanno
da ombra.
«Dunque, dunque,
dunque…» Con lentezza, quasi li avesse attesi per tutto questo
tempo, Tony ruota la sedia. Acciambellato sulle sue gambe, c’è un
gattino dal pelo bianco e morbido che il grifondoro accarezza come
il villain di un film di spionaggio. «Finalmente ci incontriamo,
Mister Parker.»
«Oh. Uhm, mi
stavi aspettando?»
Tony scuote il
capo. «Essere mezzobabbani è uno spreco per voi.»
Ma i ragazzi non
sono gli unici ad averlo cercato. Con uno spintone che scansa Peter
di lato, Loki fa il suo ingresso nell’aula, seguito quasi subito da
Bucky e dall’occhiata seccata che indirizza alle cosce di Tony.
«Quante volte
dovrò dirti di smettere di rapire il mio gatto, Stark?» Borbotta il
tassorosso, avanzando fino alla pedana che ospita la cattedra.
«Lo dici come se
a lui dispiacesse. Guardalo: dietro a quell’adorabile musetto peloso
si nasconde un anima da Mangiamorte. Non è vero, Alpine[3]?
Chi è il gattino più malvagio del mondo, che distruggerà tutte le
cravatte di Rogers, eh? Ma certo che sei tu! Rendi fiero il tuo
papino~»
«Stark, non sei
suo padre.»
«No, ma mi
preferisce a Rogers e questo è tutto quello che conta.»
Bucky si preme il
setto nasale; questo è il karma che lo punisce per aver preso un
posto che spettava a Steve, per averlo voluto mettere da parte
invece di fidarsi fino in fondo di quel caprone grifondoro.
«Se solo la
smettessi di traviarlo» sospira, inginocchiandosi con una mano tesa
in avanti. «La volta scorsa ho impiegato una settimana a convincerlo
che Steve non fosse un tiragraffi ad altezza umana.»
Con un fischio
richiama l’attenzione del piccolo micio.
Orecchie tese e
musetto sollevato, Alpine si libera dalle carezze del grifondoro per
balzare tra le braccia del suo padrone.
Tony lo guarda
offeso, ma ora che la solitudine dell’aula nel dopo-lezione ha
lasciato il posto a una folla da circo, ha ben altro a cui pensare
che non sia il tradimento del famiglio di Barnes.
«Mamma gatto
cercava il suo cucciolo, wannabbe Lord Oscuro… non voglio
saperlo…» Lo sguardo passa da Bucky, a Loki, per poi fermarsi sul
trio più giovane. «Voi tre piccoli porcellini, invece, che ci fate
qui?»
Peter e i due
corvonero si rianimano di colpo.
«Abbiamo visto
Artemio Stavridis!» esclamano in coro, facendo a gara a chi urla di
più.
Tony li guarda
senza capire cosa ci sia di così entusiasmante e cosa c’entri lui in
tutto questo.
«Congratulazioni?»
Peter scuote il
capo con vigore. «No, no, non capisci! Ho letto tutto su di lui su “ADS”!»
«ADS?»
«“Affari da
Snaso”. È una rivista che tratta di personalità di spicco nel
mondo dell’Erbologia, delle Creature Magiche e dell’Alchimia. Tempo
fa è comparso un articolo perfino su Olivander e sulla teoria di una
bacchetta senza nucleo e le sue infinite potenzialità.»
Bucky si
irrigidisce, stira le labbra e per un attimo le sue dita vengono
attraversate da un guizzo nervoso.
MJ tira una
gomitata al grifondoro, come farebbe con un qualsiasi motore
ingolfato. «Arriva al punto, Peter.»
«Ah sì! Quello
che volevo dire è che si tratta di un esperto Magizoologo greco! Lui
e il professore di Cura delle Creature Magiche stavano parlando di
condizioni in cattività, prede, cibo… sono sicuro che la sua
presenza qui ad Hogwarts non sia un caso, ma c’entri con la Prima
Prova. Si tratta di una Creatura magica! Deve essere così!»
Tony butta fuori
uno sbuffo. «Nella perfetta tradizione del Torneo.»
Bucky si
risolleva in piedi. Al sicuro tra le sue braccia, Alpine ha iniziato
a fargli le fusa e struscia il musetto sulla sua divisa. «Se hanno
scomodato qualcuno addirittura dalla Grecia…»
«Uh! Uh! Questa
la so:» dice Ned, saltellando sul posto con un braccio sollevato.
«vuol dire che la Creatura Magica viene da lì.»
«Manticora.»
Quattro paia di
occhi si muovono a fissare MJ e la sua ovvia conclusione. «Che c’è?
Ho anche io l’abbonamento ad “Affari da Snaso”.»
Mentre i suoi due
amici la guardano con le bocche ancora spalancate, come avesse
appena sconfitto un Dissennatore, Bucky le sorride e Tony le concede
un’espressione ammirata. Ora capisce perché quel ragnetto esagitato,
che ha troppa fretta di diventare grande, si sia preso una sbandata
per la corvonero mezzosangue – ha buon gusto in fatto di donne,
questo deve concederglielo.
L’unico rimasto
indifferente è Loki. «Se è tutto qui, uno di voi due basterà per
ucciderla.»
«Tutto qui?»
«Ucciderla?»
«Uno di noi due?»
Uno dopo l’altro,
Ned, MJ e Bucky fanno notare cosa non vada nella sua frase.
Peter, invece,
tende il braccio e indica la scrivania. «Ehm… è normale che quella
puffola abbia una bacchetta?»
Tony si volta a
seguirne la traiettoria, appena in tempo per vedere la piccola
creaturina tenere in equilibrio sulla testolina un cilindro di ferro
che termina con una punta rovente.
«Quello è un
saldatore e no, Ironpuff[4],
metti giù quell’affare!»
La puffola pigmea
squittisce, ma alla fine rotola lontana dal saldatore che
cade sul tavolo.
Pericolo
cessato, vorrebbe poter
dire Tony, ma uno ben più insidioso lo accende di brividi quando si
volta a cercare Loki, trovandolo già sulla porta, con una smorfia
irritata a spiegazzargli le labbra. Se non sapesse che Rock of Ages
non ha spazio per gli altri in quel suo cuore di ghiaccio, direbbe
quasi che fosse preoccupato per loro e per il Torneo, ma il
serpeverde li ignora.
Tony lo
intercetta prima che esca.
«Non eri venuto
qui per aiutarci a pensare a una strategia?»
Loki neppure si
ferma. «Non esaltarti troppo Stark, ho già respirato abbastanza
della vostra aria. E se non siete in grado nemmeno di sconfiggere
una sola bestia, meritate di venire divorati.»
Tony ormai
nemmeno si stupisce delle sue frecciatine minacciose, ma non riesce
a togliersi dalla testa l’impressione che il serpeverde abbia in
mente qualcosa. Per un po’ lo segue con lo sguardo, esce sul
corridoio e lo osserva sparire verso il basso, in direzione dei
sotterranei e della Sala Comune serpeverde.
Che si sia
sbagliato?
Quello a cui però
non ha pensato, è che nei sotterranei si trova anche l’aula di
Pozioni.
⍣
Tony e Bucky si
sono giocati a gobbiglie la Prima Prova.
Ha vinto Tony.
O ha perso,
immagina dipenda dai punti di vista, ma perché fare i pignoli quando
puoi cominciare la settimana affrontando un Ammazzadraghi?
Non ha voluto
nessuno insieme a lui nella tenda allestita per i campioni del
Torneo. Non appena ha adocchiato Rogers cercare di nascosto di
intrecciare le dita alla mano della sua mogliettina
tassorosso, ha rischiato un attacco di orticaria e li ha cacciati
fuori dai piedi, insieme a Rhodey e a Pepper venuti per augurargli
buona fortuna.
È meglio così.
Non vuole che lo vedano nervoso, o sappiano che anche Tony Stark
conosce la paura, anche se la sua, più che di venire sventrato e
divorato da una bestia che sembra un patchwork dell’Arca di Noe, è
paura di fallire.
Seduto a uno
sgabello, apre e chiude a pugno le dita della mano destra per
assicurarsi che il suo guanto non gli sia d’impiccio. Ha passato la
sera a migliorarlo e ora la pelle e le sottili placche d’acciaio che
gli danno forma arrivano a coprirlo fino al gomito.
I suoi professori
sono così abituati a vederlo con quell’affare sempre addosso, che
ormai lo considerano parte di lui; così quando è stato il momento di
controllare le divise, nessuno ha battuto ciglio.
Seduti in
cerchio, i ragazzi di Beauxbatons e la sua preside uniscono le mani
intonando l’inno francese della loro scuola.
Nell’altro angolo
della tenda, il Campione di Durmstrang è solo – una montagna tutta
muscoli, che sembra aver scuoiato un leone per indossarne la
pelliccia. Non gli concederebbe più di un’occhiata fugace, se non
fosse per una seconda ragazza di Durmstrang che lo raggiunge e gli
sorride con un languore attraente quasi familiare.
La vede sollevare
il palmo e soffiare un bacio alla montagna. In controluce, gli
sembra di notare qualcosa sollevarsi nell’aria, una polvere
semitrasparente che si deposita sul volto del campione, ma questi
non fa una piega e invece si batte il petto come un vichingo appena
uscito dall’800, borbottando qualcosa in una lingua che non capisce.
Curioso, Tony
insegue la scia della ragazza che sparisce fuori dalla tenda. C’è
qualcosa di lei, nel suo passo elegante, nelle mani lunghe e
aggraziate, nei colori verde e oro del suo abito e nei capelli di
seta corvina, che gli ricordano…
«Oh cazzo!»
Convinta di
essere sola, le curve della ragazza si rimodellano, diventano linee
più forti ma altrettanto eleganti, il seno si appiattisce e i tratti
duri di un volto tipico della gente del Nord si ammorbidiscono in un
profilo nobile e affascinante.
È come vedere la
nascita di un elfo oscuro.
Un dannatissimo
elfo oscuro che porta il nome di Loki Odinson.
«Ma che…» Per la
prima volta nella sua vita Tony rimane senza parole. Ha sentito
parlare di metamorfomaghi, ma non credeva ne avrebbe
incontrato uno proprio ad Hogwarts, e ora non sa se lo ripugna di
più scoprire che tra si tratti di Loki o il fatto che lo abbia
trovato sexy fino a un attimo fa.
Forse la
Manticora lo ha già ucciso e questo è il suo inferno personale.
«Che diavolo gli
hai fatto?» si costringe a chiedergli.
Loki sorride
affilato e Tony non è più sicuro di voler conoscere la risposta.
Dovrebbe parlarne con i professori, ma nemmeno quel figlio d’un
Basilisco può essere così pazzo da uccidere apertamente un ragazzo,
solo per vincere uno stupido Torneo.
«Preoccupati di
quello che farò a te se non riuscirai a recuperare il mio
cilindro.»
…o magari sì.
«Il tuo spirito
di squadra mi scalda il cuore, Odinson.»
⍣
Il campione di
Durmstrang non è morto. Qualcosa è andato storto, ma è
sopravvissuto, e quando il colpo di cannone spacca il cielo come il
ruggito di un Drago, Tony non ha tempo di preoccuparsi di lui.
È il suo turno.
Estrae la
bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni. Un pezzo di legno di
noce non più lungo di venti centimetri, che da una parte si mostra
cavo, scavato fino al nucleo, dove corde di cuore di drago si
intrecciano scoperte. È come se quella cavità fosse fatta per
contenere qualcosa – nello specifico J.A.R.V.I.S., il pennino
grafico che il grifondoro usa per registrare i dati dei suoi duelli,
ma che quest’oggi ha dovuto lasciare in dormitorio.
Con un sospiro
profondo, ruota la bacchetta tra le dita come un batterista pronto
per il suo concerto.
«E andiamo.»
Un passo e
l’Arena si apre davanti a lui: uno spazio ovale di più di mezzo
chilometro di circonferenza, circondato da enormi rune di
contenimento e, al di sopra, dagli spalti a cui siedono gli
spettatori.
Il terreno è
perlopiù roccioso. Al centro un’arrampicata verticale conduce alla
zona sopraelevata, una ricostruzione in scala di un’Acropoli su cui
torreggia lo scheletro del Partenone: colonne crollate e macerie
senza quasi più forma. È lì che la Manticora lo aspetta, un bestione
che perfino da lontano sembra imponente.
Il suo compito è
quello di recuperare il cilindro di piombo legato al collare della
Bestia. Né più, né meno.
Tony schiocca la
lingua contro il palato.
E…
«Nope.»
com’è avanzato,
fa dietro-front.
Dagli spalti si
levano rimbrotti, risate e gridolini di sorpresa. C’è chi si chiede
se stia già fuggendo con la coda tra le gambe, ma quando lo vedono
agitare la bacchetta, si stringono tutti d’istinto alle loro
poltrone.
Una dopo l’altra
si creano piccole piattaforme circolari che mano a mano salgono
verso gli spalti, una scala magica su cui Tony balza, sino ad
arrivare alla balconata che ospita la scuola di Hogwarts, là dove si
raccolgono i tassorosso.
Si aggrappa alla
balaustra di ferro e strizza un occhiolino alle ragazze che
ridacchiano e lo salutano sventolando una bandiera che cambia colore
ad ogni movimento, mostrando i volti dei tre campioni della loro
scuola. Ma è una in particolare la ragazza che cerca: capelli d’oro
rosso, una manciata di lentiggini sul naso e lo sguardo di chi lo
capisce anche nei silenzi. È Virginia Potts, che ne incrocia gli
occhi e vorrebbe farsi ingoiare dalle panche.
Quando raccoglie
abbastanza coraggio da alzarsi in piedi, sotto gli urletti concitati
dei compagni di Casa, e lo raggiunge, Tony ha un sorriso da
canaglia.
«Pensavi davvero
non ti avrei trovata, qui in mezzo?»
Pepper sospira e
con una pacca leggera stira le maniche corte della divisa da combattimento del
grifondoro, in un gesto dato più dall’abitudine che dalla necessità.
«Non stai guardando dalla parte sbagliata dell’Arena? Dovresti
pensare alla tua prova, invece di distrarti, Tony.»
«Quella distratta
sei tu, Miss Potts.»
Lei sbatte ciglia
lunghe e folte in un’adorabile espressione confusa.
«Mi è stato
promesso un bacio e non l’ho ricevuto. Di’ un po’, patteggi per la
scopa in culo dalla lingua biforcuta e cerchi di uccidermi? Almeno
scegliti un partito migliore.»
«Se patteggiassi
per lui, non saresti qui a chiedermelo. Una delle mie migliori
qualità è l’efficienza.»
Tony annuisce – e
non perché la prenda in giro, ma perché sa che è vero. Pepper è
efficiente, bella, intelligente e spiritosa, e lui alle volte sente
di non meritarla, ma è troppo egoista per lasciarla andare, troppo
giovane per non credere che senza di lei sarebbe perso per sempre.
«In questo caso…»
Affonda una mano tra i capelli lunghi della ragazza e la avvicina a
sé. Il resto è pura e semplice magia, di quelle per cui non serve
una bacchetta, ma un cuore che batte e la bocca soffice di Pepper
contro la sua.
Davanti a quel
bacio, qualcuno fischia dalla zona dei serpeverde e da quella di
Durmstrang, qualcuno applaude tra i grifondoro, da Beuxbatons urlano
“Ah, l’amour”, mentre dalla terrazza occupata dal Ministro
della magia inglese e ospiti illustri, Fury desidera strapparsi
anche l’occhio buono.
Quando il bacio
si scioglie, Tony è finalmente pronto ad affrontare la Manticora;
diamine!, per come si sente potrebbe affrontare un’intera nidiata di
Draghi!
Così com’è
salito, l’incanto Circularis lo riporta nell’Arena,
direttamente all’ingresso dell’Acropoli, dove la Manticora si muove
avanti e indietro come una bestia guardiana di un tempio.
«Scusa l’attesa,
buddy. Ti sono mancato?»
La creatura cala
una delle grosse zampe leonine nel terreno, schiaccia roccia e terra
sotto la sua enorme impronta. Dietro il massiccio corpo di leone, si
agita la grossa coda di scorpione, mentre il muso in parte uomo e in
parte bestia si deforma in uno spalancare di fauci.
Lo schiocco della
mascella è un suono tetro che rimbomba per l’intera Arena.
I fischi, gli
applausi e i commenti si sono ormai spenti; non c’è nessuno ora che
possa aiutare Tony – è solo con una bacchetta, il suo cervello e un
bacio portafortuna.
«Allora, come
vogliamo giocarcela?»
Quando le fauci
della Manticora si riaprono, l’ultima cosa che il grifondoro si
aspetta è una risposta; invece, nel ruggito feroce si mescolano
quelle che crede siano parole: «Fagitó. Tróo.»
Reclinando il
capo all’indietro, si gratta la tempia con la punta della bacchetta.
«Il mio greco è
un po’ arrugginito, ma è troppo sperare che abbia appena dichiarato
la tua resa, vero?»
«Cibo. Io
divora.»
Come poco prima,
la traduzione giunge inaspettata e Tony schiocca le dita e termina
il gesto con l’indice puntato verso la Manticora.
«La sai una cosa?
Ti preferivo quando non parlavi.»
Non è una
battaglia che può vincere a colpi di sarcasmo, ma non può farne a
meno, e ancor prima di riuscire a terminare la sua frase, un’ombra
si abbatte su di lui. La coda di scorpione ha frustato l’aria, uno
schiocco così forte che gli riverbera nel petto e se non fosse per i
riflessi allenati e l’agilità da Cercatore, non sarebbe riuscito a
evitare il colpo per un soffio, tuffandosi di lato, sotto una
pioggia di detriti.
Scuote il capo,
levandosi dai capelli la patina di polvere e terra che lo ha
ricoperto e che per un attimo lo rende cieco. È un attimo di troppo:
la coda della Manticora si muove in una spazzata, prendendolo in
pieno – è come venire investiti da una squadra di Quidditch al
completo, in accelerata contro il suo stomaco, che lo scaraventa
lontano, a schiantarsi addosso a una delle colonne rimaste ancora in
piedi.
Lo scontro è così
forte che la sente tremare pericolosamente dietro di sé, sul punto
di crollare.
Si porta una mano
allo stomaco. Il dolore esplode tra i nervi tingendo il mondo di
bianco, e sa per certo di essersi incrinato qualche costola.
«Il prossimo che
mi dice che non è vero che Silente programma da anni l’omicidio
perfetto dei suoi studenti, si becca un Mangialumache.»
Eppure c’è una strana eccitazione che gli attraversa il corpo, una
scarica di adrenalina che gli fa pompare il cuore a mille anche
quando quel maledetto pungiglione, grosso quanto una noce di cocco,
danza nell’aria. Ama le sfide, ama il pericolo e ama riuscire a
uscirne sempre vincitore.
Un’altra
frustata. Troppo veloce questa volta perché possa evitarla e allora
Tony non ci prova neppure, ma punta la bacchetta e grida «Bombarda!»
L’onda d’urto
dell’esplosione che investe la coda della Manticora sbatte Tony
lontano dalla traiettoria, ma non abbastanza da sfuggire alla
zampata che all’ultimo secondo lo artiglia rigettandolo a terra.
Tra le rocce, a
qualche metro di distanza, cade e rotola via un pezzo di legno.
Quando il fumo si
dirada, non c’è nemmeno una scalfittura sul carapace della coda e
quel che è peggio è che la mano destra del ragazzo è vuota: ha perso
la bacchetta.
Tendendo le
braccia indietro, fa forza sulla colonna traballante alle sue spalle
per tirarsi in piedi. Ha la maglia stracciata all’altezza del petto,
strisce di sangue che gli attraversano la pelle e gli ricordano
perché non è mai un bene fare incazzare le bestie in possesso di
artigli. Dovrà ricordarsene la prossima volta che rapirà Alpine
dalle braccia di Barnes.
Ma per ora,
mentre tasta il marmo dietro di sé e si abbassa leggermente sulle
ginocchia, c’è ancora un bestione extra large di cui deve occuparsi.
Il cilindro di
piombo non è mai stato così vicino, stretto al collare anti-accio
chiuso al collo della Creatura a un passo dal grifondoro.
Sorride e
spalanca le braccia, «Facciamo che te la faccio più facile, mhm?»
offrendosi come facile bersaglio.
E la coda cala di
nuovo.
Non appena sente
il rumore di frusta, però, Tony scatta, scivola con i piedi in
avanti e si lascia cadere di spalle, incrociando le braccia davanti
al volto per coprirlo.
Il pungiglione
sbatte contro la colonna e il colpo questa volta è troppo forte,
portandola inevitabilmente al crollo – enormi pezzi di marmo bianco
rovinano sulla coda della Manticora, imprigionandola sotto al loro
peso.
Sotto la
creatura, Tony ruota il capo, osserva compiaciuto la tomba
momentanea del pungiglione, mentre sopra di sé l’uomo e il leone
ruggiscono di dolore e frustrazione, senza riuscire a liberarsi.
«Hai mai giocato
d’azzardo?» chiede d’un tratto il grifondoro. È il gran finale e
vuole che conti. «No, certo che no. Allora preparati perché stai per
perdere la verginità con me: il tuo corpo sarà anche a prova di
incanti, ma scommetto che ne conosco almeno uno che non puoi
annullare.»
Nel muso della
bestia, si forma un’espressione umana. La Manticora sorride: un
sorriso selvaggio che mette in mostra fila di denti affilati come
rasoi, mentre occhi ferali lo inchiodano a terra e grondano fame e
voglia di sangue.
«Tu. E quale.
Bacchetta?» Il ruggito fa colare filami di saliva sul volto di Tony,
ma il grifondoro gli è grato per la domanda e con un mezzo ghigno,
allunga il braccio di lato.
«Quella
bacchetta.»
Abbandonato tra
le rocce, il legnetto di noce vibra, risponde al richiamo e in un
guizzo magico, la bacchetta si solleva e torna tra le mani del suo
mago.
Dal palco si leva
un tuono: «Gliel’ho insegnato io!»
Nonostante la
distanza, Tony sa già che si tratta di Thor e vorrebbe rispondere
che no, quel surfista shakespeariano non gli ha insegnato un
accidenti – che al massimo, e a essere molto generosi, gli ha dato
l’idea, lui e la sua stupida mazza da battitore, Mjolnir, come se un
nome inciso nel legno servisse per trasformarla nel martello di un
dio norreno. Ma la magia istillata nel guanto di Stark è sua,
tutta sua.
E quando
finalmente torna a stringerla tra le dita, svelto allunga la punta
verso il muso della Manticora.
«Scacco matto.»
O così ha
creduto.
Crack
È bastato un
secondo.
Le fauci della
bestia si spalancano, l’azzannata gli ingoia mano e bacchetta e tra
i denti perlati colano gocce di sangue che si infrangono sul volto
di Tony.
È silenzio tra i
palchi, un silenzio innaturale, che sospende nell’aria lo stupore,
la paura, il dolore. E in quel silenzio si fa strada una melodia
dolce, un mugugno di gola – la Manticora sta cantando per lui.
«To-TONY!» grida
Pepper.
Oh Pepper, la
sua Pepper, di cui porta ancora il sapore sulle labbra.
«Non…»
Intrappolato in una morsa feroce, Tony tasta le parole.
La manticora
canta e mastica. Mastica. Mastica.
Il braccio ha un
tremito involontario.
«Non te l’ho detto?»
Crack Crack Crack.
Tony strizza gli
occhi, ma quando li riapre, le labbra si arricciano in un sorrisetto
sardonico.
«Un piccolo
ragnetto mi ha prestato una rivista interessante; in un articolo si
parla tanto della tua pelle impenetrabile agli incanti, ma nemmeno
una parola sulle tue budella.»
Cra—
La melodia
s’interrompe di colpo.
Tony scorge la
confusione che attraversa la Manticora quando si rende conto che
quello che ha incastrato tra i denti non sono schegge d’osso, ma
placche di metallo rafforzato che lo schiocco della mandibola è
riuscita a penetrare, ma non a rompere.
Con la mano
ancora nella bocca del mostro, il grifondoro rinsalda la presa e
concentra l’incanto.
«Incen—»
Allarmata, la
Creatura sbarra occhi di bestia e uomo, agita inutilmente il
pungiglione incastrato tra le macerie.
Tony ridacchia
«Scherzavo, dopotutto siamo ancora in fascia protetta.» ma non le dà
comunque il tempo di fuggire «Pietrificus Totalus!»
E quel carosello
di adrenalina e paura può finalmente interrompersi sul fermo
immagine di una Manticora ruggente, nei cui occhi si specchia il
sorrisetto vittorioso di Stark, mentre fa forza sugli addominali e
si solleva quel che basta per poter finalmente appropriarsi del
cilindro.
«Questo lo prendo
io~»
Con un sospiro,
infine, si lascia cadere di schiena sul terreno, il braccio rimasto
incastrato tra fauci pietrificate.
«Ehy! La prova è
finita! Qualcuno può venire a recuperarmi o devo portarmi dietro il
bestione?!»
⍣
Fuori dall’Arena
è un’esplosione di urla e ovazioni.
Con il braccio
destro bendato da un Ferula di primo soccorso, Tony si fa
strada tra i ragazzi che lo acclamano.
Riesce a sentire
il campione di Durmstrang sputare lamentele, gridare al sabotaggio,
ma un uomo dagli occhi gelidi e il sorriso affilato lo fredda sul
posto sibilando qualcosa a proposito della sua stupidità
nell’essersi fatto spruzzare polvere di testosterone di Manticora. A
quelle parole ha smesso di ascoltare, l’ultima cosa che desidera è
sapere che quell’armadio a quattro ante sia stato molestato da una
Creatura magica.
Mentre Rodhey gli
grida, oltre la folla di compagni, che è arrivato al primo posto a
pari merito con Beauxbatons, lui fa segno a Pepper di pazientare.
Prima di raggiungere lei, il suo passo si ferma di fronte a uno
stupito Peter Parker che lo guarda con un’occhiata da cucciolo
scodinzolante e quasi lo chiama Signor Stark, quando Tony gli
sbatte la mano sana sul braccio.
Non gli dirà che
se non fosse stato per lui e la sua rivista, non avrebbe passato la
sera a rafforzare il suo guanto, ma quando lo vede illuminarsi come
un marmocchio a Natale, qualcosa gli suggerisce che Peter lo ha già
capito.
Poco prima di
allontanarsi da lui, gli lancia qualcosa tra le mani.
«Un souvenir.»
Quando Peter apre
la mano, nel palmo stringe un dente di Manticora.
[ 5.924w ] |
[1] nella mitologia norrena è una
maga esperta nella divinazione e negli oracoli (e sì, il femminile è voluto)
[2] letteralmente: padre di
tutto (allfather), è uno dei nomi con cui viene chiamato Odino nella
mitologia, ma visto che non ho idea di come funzioni il governo del Nord, ho
deciso che a capeggiare quella zona invece di un Ministro o un presidente o
quel che l'è, c'è una figura chiamata Allfǫðr e più che altro la loro è una
monarchia. Perché? Perché sì e perché significa che Thor e Loki sono
effettivamente principi, easy! (e perché tanto ai fini della storia non è
davvero importante XD)
[3] nei fumetti Marvel, Bucky
possiede un gatto dal pelo bianco di nome Alpine
[4] in inglese la puffola pigmea
si chiama pygmy puff, da qui il gioco di parole
A questo punto potremmo intitolare il
capitolo: "gente che cambia i connotati everywhere"! Ops. XD
All'inizio, per Loki
pensavo di dargli la Legilimanzia, ma dato che è già portato per la
Divinazione - e che già questa è una seccatura per me - ho optato
per farlo diventare un metamorfomagus, che tanto
è abbastanza nel personaggio.
Per quanto invece riguarda
gli animagus: non mi ricordo se la loro trasformazione comprendesse
anche i vestiti; sono abituata alle land potteriane dove solitamente
quelli vengono tolti e a logica mi sembra strano che si trasformino
insieme al mago; comunque, visto che ero troppo pigra per
controllare, ho deciso io per tutti e pace!
Un po' piange il cuore che in
questo capitolo non sia riuscita ad inserire nessun accenno concreto alla stucky, ma sono comparsi così tanti personaggi che aggiungerci anche
Steve avrebbe significato allungare di più il brodo e portarmi a un
passo da una crisi di nervi, senza
contare che la prova era dedicata a Tony e che quindi il focus
principale volevo fosse lui. Mi rifarò con il prossimo capitolo che,
tempo e ispirazione permettendo, sarà sul Ballo del Ceppo, per ora è
un miracolo che almeno con questa fic io sia ancora in gara.
Auguratemi buona fortuna XD
---
Scritta per
Torneo Tremaghi - Multifandom edition @L'angolo
di Madama Rosmerta – Prima Prova |
|
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Capitolo 3 *** Le ben educate frivolezze di un Ballo ***
pairing
pairing:
Steve/Bucky { stucky }; Tony/Pepper { pepperony }; Thor/Loki
{
thorki }; Peter/MJ { spideychelle}; Zemo/Bucky {
winterbaron - accenni oneside }; Clint/Natasha { clintasha }
warnings: slash, incest, post-siero Steve, au (hogwartsverse),
age difference
I
personaggi appartengono a chi di diritto. |
We are the Brave
______________________________
III
|
Le ben educate frivolezze di un Ballo
Popolare, Tony Stark, lo è stato fin
dal primo giorno di scuola. Di inchiostro per gli articoli su di
lui, sul The Merlin’s Voice scolastico[1],
se ne è sprecato a litri, senza contare le foto in movimento rubate
dalla polaroid più veloce di Hogwarts – a chi appartenga davvero è
ancora un mistero, la firma è un allegro “Il vostro amichevole
stregone di quartiere”, che ha dato adito a tante speculazioni.
Dopo la vittoria alla Prima Prova del
Torneo, la sua popolarità ha avuto un upgrade e ha fatto di Stark un
vero e proprio eroe. Dalle finestre ad arco della Torre Grifondoro
sventolano stendardi rossi con la sua immagine e una manticora
svenuta ai suoi piedi; a pranzo c’è chi fa a gara per potersi sedere
accanto a lui sulla panca o sviene quando per puro caso gli sfiora
il mantello; non c’è fan del Fantaquidditch[2]
che non lo abbia acquistato per la propria squadra fittizia; e
perfino tra le fila della Casa di Salazar c’è chi lo guarda con
ammirazione.
Non da meno, i suoi compagni di
squadra vivono di fama riflessa.
Nemmeno Loki può sfuggire ai pigolii
innamorati delle ragazze serpeverde. In Sala Comune, su una
lavagnetta a diffindo nascosta dietro le braci del camino, i più
piccoli tengono conta di ogni volta che il Prefetto rivolge loro la
parola – di solito minacce velate. L’ultima tacca l’ha aggiunta
Darcy Lewis, forse l’unica corvonero di tutto il Castello sempre
informata sulle trame delle serpi.
Per Bucky, però, le cose si fanno un
po’ diverse.
A seguirlo per i corridoi, a fissarlo
con occhi a cuore durante le lezioni o a cercare di rubargli le
piume dalla tracolla per avere un pezzo di lui a tutti i costi, non
c’è soltanto la scolaresca di Hogwarts.
Da un po’ di tempo ha iniziato a
sospettare di essere entrato nel mirino di uno dei professori che
hanno accompagnato la delegazione di Durmstrang e del loro preside.
Se quest’ultimo lo ricorda per aver rimesso in riga il loro Campione
alla fine della Prima Prova, diversa storia è per il professore, che
i ragazzi di Durmstrang chiamano con il soprannome di Baron Zemo.
Ogni scusa sembra buona a Baron Zemo
per rivolgergli la parola e metterlo in imbarazzo davanti a tutti. E
ora che il professore ha avuto il permesso di tenere una lezione
speciale, Bucky cerca di farsi ingoiare dalla massa di studenti
raccolti in cerchio intorno all’aula.
«Mi è stato riferito che i ragazzi di
Hogwarts non conoscono l’importanza di un’arte antica quanto la
danza. E dato che non vogliamo che facciano brutta figura al Ballo
del Ceppo, vi insegnerò come si fa. Per quanto sia possibile
insegnare qualcosa a delle scope babbane» afferma il professore,
l’accento spigoloso delle Terre del Nord e gli occhi scuri che
attraversano la scolaresca, rimbalzando sulle loro teste.
Dai ragazzi di Durmstrang e da quelli
di Beauxbatons si levano ridolini di scherno.
«Per questa dimostrazione ho bisogno
di un volontario.»
«Non me, non me, non me…» Bucky prega
sottovoce, scivola dietro le spalle ampie di Thor Odinson, protetto
dal borbottio annoiato che il ragazzo ha condiviso con la vicina
Sif per tutto il tempo, e si convincere di essere al sicuro.
Sciocco illuso, ha dimenticato che il
Grifondoro ha lo spirito dei guerrieri, di chi sa vedere dietro la
schiena e a occhi chiusi potrebbe attraversare un nido di
Acromantule, ma manca di tutto il resto.
«Signor Barnes?» chiama Zemo, fingendo
di leggere il nome dall’elenco che Silente ha consegnato alle scuole
ospiti.
L’aula tace, i ragazzi si guardano
intorno; anche Steve alza la testa a cercarlo, perché fino a un
attimo fa giura di averlo avuto al proprio fianco.
È Thor a mettere fine alla ricerca:
alza la mano, richiama l’attenzione del professore e si fa di un
passo di lato.
«È qui. Non lo vedeva perché coprivo
il suo corpo gracile.»
Bucky lo guarda a braccia spalancate.
«Gracile?»
Il grifondoro ride orgoglioso e sbatte
una manata sulla schiena del ragazzo, che lo butta in avanti, oltre
i compagni, verso il centro dell’aula.
«Grazie, Thor…»
«Non c’è di che,
Beorn[3]
dei tassorosso.» Con un sorriso largo,
Thor annuisce – Bucky non si capacita di come condividere gli stessi
geni di Loki non gli abbia affilato l’intuito, e dopo diciassette
anni ancora non abbia naso per il sarcasmo.
Lascia perdere invece la strana
pronuncia del proprio cognome; dopo anni che si conoscono,
ha rinunciato ad ogni sorta di correzione (o alla preghiera di
chiamarlo Bucky, non James, non Barnes, definitivamente non Beorn,
ma solo Bucky). E quando il professore di Durmstrang lo invita a
prendere posto letteralmente tra le sue braccia, l’aula si riempie
di risate e il corpo di Bucky di brividi gelati.
Se solo avesse lasciato perdere le
gobbiglie di Stark e avesse partecipato lui alla Prima Prova! A
quest’ora almeno sarebbe già stato digerito da una Manticora, invece
di ritrovarsi a muoversi a passo di danza insieme a un professore
sconosciuto di una scuola rivale.
«Si rilassi, non sia timido» gli dice
l’uomo, una manciata di centimetri più basso di lui, ma con mani
grandi e dita lunghe da pianista che ne impostano il passo e quasi
con prepotenza lo conducono dove vogliono.
Se non sapesse che si tratta di una
lezione, giurerebbe che si stia divertendo a fare di lui un
bambolotto da muovere a suo piacimento, e la cosa non gli piace
affatto.
Di inviti ai Balli, Bucky ne ha avuti
da tutta la vita; ci sono conti e duchi da qualche parte nell’albero
genealogico dei purosangue Barnes e se anche il titolo non è giunto
sino a lui, non esiste famiglia purosangue in tutta la Londra Magica
che non gli abbia messo gli occhi addosso e non lo consideri un buon
partito per le figlie.
È già stato il cavaliere di metà
popolazione femminile londinese, ma assumere il ruolo della dama è
un’esperienza nuova, che avrebbe preferito condividere con qualcun
altro – ad esempio un certo grifondoro biondo, alto, con gli occhi
azzurri e possibilmente non imparentato con gli Odinson.
Muove i piedi meccanicamente, senza
prestare ascolto a quello che il professore ha da dire alla classe
(Non guardate i vostri piedi, tenete le spalle dritte, scandite
nella vostra testa il ritmo, un-due-tre, un-due-tre) finché
questi non gli si rivolge direttamente.
«È portato per la danza, Signor
Barnes.»
«È un dono di natura.» Solleva gli
angoli della bocca nella brutta imitazione di un sorriso. «Abbiamo
finito?»
È l’impazienza a fregarlo.
Un passo falso all’indietro e inciampa
sui propri piedi, cadendo di schiena.
La presa del professore si
stringe, l’uomo stende una gamba di lato, cambia il baricentro e
ferma la caduta in un perfetto
casquè[4]
da mozzare il fiato, che fa scrosciare applausi dall’intera classe.
Rovesciato all’indietro, il cuore in
gola e le mani aggrappate alle spalle del professore, Bucky mantiene
i muscoli tesi. Avrebbe preferito ritrovarsi sdraiato a terra, una
botta alla schiena e via, così invece gli tocca sopportare anche lo
sguardo di Zemo che, a un respiro di distanza, gli serpeggia
addosso, quasi a volergli entrare dentro. Riesce a sentire la forza
delle sue dita che gli stringono un fianco, una presa dura che per
un attimo gli sembra si muova in una carezza lenta, quasi
inesistente, ma che Bucky percepisce dirigersi verso la cintura dei
calzoni.
Di colpo fa leva sulle reni,
sollevandosi a forza e obbligando il professore a fare lo stesso.
«Ora può lasciarmi.»
Lo sguardo stupito di Zemo è una
piccola vittoria che si segna mentalmente.
Helmut Zemo sorride, il volto disteso,
le emozioni di nuovo perfettamente sotto controllo.
Da giovane, Durmstrang è stata la sua
casa, il rigore e la disciplina delle arti oscure il suo credo, ma
di quel posto e delle terre che la ospitano non condivide
null’altro. Tra i giganti di quella scuola sembra un nano, gli manca
la minaccia dell’imponenza, l’intimidazione del fisico; ma dietro al
sorriso quieto, allo sguardo ambiguo e all’eleganza figlia di nobili
natali, c’è il volto di uno stregone calcolatore e pericoloso.
Non si aspettava che il ragazzo fosse
in grado di rialzarsi da solo da quella posizione, ma deve ammettere
che Barnes ha l’agilità di un felino e una muscolatura asciutta ed
elastica che si rifiuta di essere modellata dalle sue dita.
È una sfida, quel James Buchanan
Barnes, forse perfino più interessante del ragazzo nato magonò che
ha tanto attirato l’attenzione del loro
rektor[5].
Con calcolata lentezza, muove un passo
indietro e allontana le mani dal tassorosso.
«Certamente.» Spera di non essere
stato troppo precipitoso, l’ultima cosa che vuole è che qualcuno
scopra il vero motivo per cui, tra tutti i professori di Durmstrang,
il rektor abbia deciso di scomodare proprio lui,
trascinandolo fin nelle Highlands.
«Può tornare al suo posto. Spero non
si sia fatto male.» gli sorride, nella tinta nocciola dell’iride si
accende una sottile traccia di divertimento appena visibile, messa
in mostra perché l’altro lo noti.
E il ragazzo per un momento non fa
nulla se non fissarlo – se ne è accorto, lo sa che se ne è accorto,
ha l’occhio lungo quel Barnes, e un cervello che sembra lavorare più
velocemente della media dei suoi compagni.
Sarebbe stato un ottimo studente di
Durmstrang.
Zemo lo guarda riprendersi, tirarsi un
paio di pacche sui pantaloni, distendendone le pieghe, e sorridergli
con una sfacciataggine da dito medio alzato, che non c’è, ma si
sente.
«Sono un Campione del Torneo, ci vuole
più di un passo di danza per spezzarmi, professore.»
Davvero un ottimo studente.
⍣
Nei cieli delle Highlands si ammassano
nuvole cariche di neve. Clint lo sente nell’aria, nell’odore
pungente che si respira dagli Anelli del campo di Quidditch, dove se
ne sta semi-sdraiato, in equilibrio con la schiena e le gambe
all’interno dell’Anello più basso e la sua scopa incastrata sotto
l’ascella.
Si gode la quiete dell’altezza e la
vittoria di una partita d’allenamento, che da quando il Torneo è
iniziato, sono diventate più uniche che rare. Il loro Cercatore di
riserva è un disastro su tutta la linea e giocare con la squadra al
completo è stato un miracolo di Natale anticipato.
Devono ringraziare il cielo che oggi
Bucky li abbia degnati della sua presenza.
A cavalcioni sulla sua scopa, un paio
di metri più in basso di Barton, Barnes se ne sta con il mento
poggiato sulle braccia incrociate in cima al manico, attardandosi a
lasciare il campo e puntando invece lo sguardo sulla porta che
conduce agli spogliatoi rosso-oro.
Sulla bacheca, subito dopo i
tassorosso, era segnata la prenotazione del campo da parte dei
grifondoro, e poter guardare il loro Capitano che vola sudato e
concentrato su una sgargiante Mark-2000 – made in Stark –,
sarebbe la distrazione perfetta da quanto accaduto quella mattina.
Clint, però, non sembra della stessa
idea.
«Pensi che quel Barone di Durmstrang
ti chiederà di andare al Ballo del Ceppo con lui?» gli chiede,
inquadrandolo con la coda dell’occhio.
Bucky scioglie l’incrocio delle
braccia, si tiene aggrappato con una mano sola, si dà slancio con
una gamba, e appoggia la caviglia davanti a sé, sul manico. Quando
solleva il pantalone della tuta, lì agganciata si trova la bacchetta
che quando non gioca tiene invece agganciata alla cintura.
«Devo ricordarti che ho una bacchetta
e so come usarla?»
Clint scrolla le spalle, la sua l’ha
lasciata negli spogliatoi. A parte Bucky e Rogers, non conosce
nessuno che se la porti dietro quando giocano, senza timore che voli
via o si rompa per una botta da bolide.
«Era tanto per dire. Nonostante tutte
le richieste che hai avuto in questi giorni sei ancora senza
partner.»
«Magari chiederò a Nat di
accompagnarmi.»
Clint ruota il capo, inquadra il
sorrisetto malizioso di Bucky con entrambi gli occhi.
«O magari ti ucciderò durante il
sonno, facendolo sembrare un incidente.»
Bucky ride, ma se c’è qualcuno che
potrebbe riuscirci quello è sicuramente Clint. Ha sentito che
perfino l’Agente Coulson, del dipartimento segreto degli Auror, ha
messo gli occhi su di lui offrendogli un posto come tirocinante una
volta conclusi i suoi M.A.G.O.
«Ma seriamente, quando pensi di
chiederglielo?» Clint si fa scivolare di lato in caduta libera. Non
che rischi di schiantarsi, ha la scopa con sé, l’agilità di un falco
a caccia e la stessa vista acuta – gli serve mezzo secondo per
mettercisi a cavalcioni e fermarsi di fronte al compagno.
Non precisa di chi si parli, ma sanno
entrambi che Natasha non c’entra niente – e con tutte le ragazze che
ci sono al Castello, l’ultima cosa che desidera è che lo chieda
proprio alla sua!
«Avrei voluto chiederglielo oggi, ma
dopo quello che è successo preferirei nascondermi in dormitorio fino
a capodanno. All’idea di cosa potrebbe aver pensato Steve, vorrei
potermi auto-schiantare.»
«Guarda che ormai lo sa tutto il
Castello che non hai occhi che per Rogers; solo lui non l’ha ancora
capito, ma non brilla esattamente per furbizia.»
Bucky storce il naso infastidito e con
una virata stretta incrocia il manico contro la scopa del compagno,
facendolo traballare appena. «Hai iniziato a passare il tuo tempo
con Stark?»
Clint serra la presa, reclina il busto
e mantiene l’equilibrio senza sforzo – e Bucky sa benissimo che non
basta un colpetto a disarcionarlo, Barton non è una preda, ma un
Cacciatore nato. Natasha è l’unica che potrebbe eguagliarne la
bravura in quel ruolo, ma per fortuna non ha mai avuto interesse per
il Quidditch.
«No, ma per una volta devo dargli
ragione» gli risponde.
«Steve non è stupido.»
«Allora chiamiamolo miope. Meglio?»
Bucky raddrizza il busto e scuote il
capo per nulla convinto. «In confronto a te chiunque sembra cieco,
Occhio di Falco.»
«Non faccio io le regole, Barnes.» Si
gratta il mento, trattenendo un sorrisetto divertito. «O devo
iniziare a chiamarti anch’io Beorn dei tassorosso.»
«Fallo ed è la volta buona che
convinco Sam a buttarti fuori dalla squadra.»
«Lo sai che sei l’unico che vorrebbe
buttare fuori, vero?»
«Maledizione. Avrei dovuto accettare
il posto di Capitano, invece di proporre lui.»
«Eh già. Un errore da pivello,
bucko[6].»
Ma la verità è che quelle di Clint non
sono chiacchiere a vuoto. Questo potrebbe essere un giorno buono
come un altro per confessare a Steve quello che prova per lui,
perché un conto è addormentarsi nello stesso letto, come facevano da
bambini, un altro invece è tirare fuori le palle e dirgli una volta
per tutte che non è la sua amicizia che vuole, ma il suo amore.
Può farcela.
Si tratta di Steve, in fondo, il
suo prezioso Stevie; cosa potrebbe mai andare storto?
⍣
La risposta è tutto.
Tutto può andare storto e tutto è
andato storto.
Le scale davanti a Bucky continuano a
cambiare, si muovono collegando e scollegando corridoi, mentre il
ragazzo guarda in alto, un pianerottolo che non porta da nessuna
parte, al cui muro è appoggiata la schiena di Steve. Inginocchiato
di fronte a lui, con il volto esattamente all’altezza del cavallo
dei suoi pantaloni, c’è un ragazzo dal riconoscibilissimo guanto di
pelle e placche in metallo rosso: Tony Stark.
Bucky è tentato di mangialumacarlo
all’istante, se non fosse che non vuole che quel bastardo playboy e
traditore vomiti lumache nei pantaloni di Steve, o sul suo…
«…cazzo…»
Indietreggia di un passo, si volta, e
si allontana dalle scala con l’impellente voglia di sciacquarsi gli
occhi con l’acido.
⍣
Steve ha l’impressione che Bucky lo
eviti dal giorno della lezione speciale sul Ballo del Ceppo.
È fin da quando era uno scheletro di
bambino, un Asticello d’altezza e trenta chili scarsi, che sogna di
poter chiedere un ballo a Bucky Barnes – non conosce strega che non
abbia volteggiato con lui sulle note di un valzer, ma non pensava
che perfino un professore di Durmstrang sarebbe riuscito a fregarlo
sul tempo.
L’ha invidiato – anche se forse
invidiato non è la parola giusta – e quando ha visto il casqué
con cui hanno chiuso la danza, Steve non ha desiderato altro se non
di strappare l’amico dalle braccia di quell’uomo. Non gli piace il
modo in cui lo guarda, è un professore per amor di Merlino!,
dovrebbe tenere i suoi occhi rivolti da ben altra parte che non
sugli studenti.
«Sei sicuro di non essertelo solo
immaginato? Lo sai che James ti adora.» Natasha Romanoff
sfarfalla le lunghe ciglia scure e ruota gli occhi al soffitto.
Ha preso in giro Clint per essersi
accollato le pare del compagno tassorosso, e il destino beffardo la
punisce facendole subire la stessa pena con Steve – e pensare che
tutto quello che gli aveva chiesto era di farle compagnia fino alla
porta della sala comune Serpeverde.
È proprio davanti alle scale che
portano ai sotterranei che trovano Bucky e il ragazzo di Durmstrang
con cui sta discutendo.
«Parli del diavolo.» Natasha si
sofferma a studiare il ragazzo sconosciuto: poco più basso di
Barnes, ma con un fisico ben piazzato che lo rende più muscoloso, e
nel modo in cui tira fuori il petto e si atteggia a gallo del
pollaio, deve esserne perfettamente conscio anche lui.
Se non ricorda male è uno dei Campioni
del Torneo, Brock Qualcosa – un nome che sembra creato
apposta per un bulletto da young adult, di quelli che non
stanno mai simpatici a nessuno.
Steve alza la mano in saluto e si
posiziona al fianco destro di Barnes; Natasha invece sceglie il
sinistro, gli tira una pacca leggera sul braccio e sospira in
una recita delusa. «Ero convinta che quelli di Durmstrang avrebbero
fatto la corte a Loki, e invece li trovo sempre in tua compagnia.»
«Non fraintendere, dolcezza, stavo
spiegando a questo sfigato che è meglio che rinunci al Torneo. Con
quei piedini da tip-tap potrebbe giusto fare carriera come
spogliarellista in un nightclub babbano.» Brock – Brock Rumlow – si
mette in mezzo, spintona indietro Bucky e prende il suo posto al
fianco di Natasha.
Il tassorosso non oppone resistenza.
Il primo istinto è quello di tirargli un calcio là dove non batte il
sole, per punirlo della troppa confidenza che si sta prendendo, ma
se c’è una cosa che ha imparato dell’amica è che sa badare
perfettamente a se stessa.
Loki sarà anche l’immagine da
copertina del perfetto serpeverde: ambizioso, infame, bugiardo e
velenoso; lo guardi e pensi che è così che dovrebbe essere un mago
da lato oscuro, bello e maledetto. Quelli di Natasha invece non sono
lati, ma curve voluttuose, lei dei serpeverde è la nota sexy, la
femme fatale con la bellezza da Veela ma il cuore di ragno.
Lunghi capelli rossi come il sangue, occhi verdi incorniciati da un
pizzo di ciglia lunghe, una bocca piena e carnosa e un corpo che è
un peccato di lussuria.
«Ne hai di cose da dire in relazione
ai babbani, per uno che frequenta una scuola di purosangue» scherza
lei con voce di velluto.
Brock la guarda ed è già perso.
«Questo è perché noi di Durmstrang
sappiamo bene che il sapere è potere.»
Natasha si lecca le labbra e finge
ammirazione. «Sei così intelligente~»
«E vuoi sapere cos’altro sono?»
«Qualcosa mi dice che me lo mostrerai
tu.»
«Ci puoi scommettere, tesoro.» Le
circonda la vita con un braccio, la tira a sé, e quando i due
ragazzi di Hogwarts si limitano a starsene imbambolati come le
armature vuote del corridoio al terzo piano, sa di averli in pugno.
«Andiamocene altrove e molliamo qui questi idioti, che guardare le
loro facce da perdenti mi dà il voltastomaco.»
Con la punta di due dita Natasha
picchietta la linea dei pettorali di Brock, una lenta camminata che
si ferma alla base del collo e con le unghie lunghe ne solletica la
pelle esposta. È una carezza elettrizzante, in un cui mescola
pericolo e seduzione e che fa aumentare la salivazione di Rumlow e
ne appesantisce il respiro.
«Non così in fretta, tesoro»
gli fa il verso.
Dietro di lei, Bucky si volta dalla
parte opposta cercando di mantenere il cipiglio serio, nonostante il
tremore delle spalle che tradiscono la beffa, mentre Steve solleva
gli occhi al soffitto alto del corridoio e fissa l’intonaco con le
guance gonfie di risa.
«Prima devi avere l’approvazione di
Rasputin, diventa geloso con gli estranei.»
«E chi sarebbe?»
«Il suo famiglio» risponde Bucky, le
labbra incurvate in un’espressione che Brock fallisce a decifrare.
«Non vedo dove sia il problema.
Portami al tuo dormitorio, così prima faccio amicizia col tuo
famiglio e poi mi faccio la sua padrona.»
La risata di Natasha è una colata di
miele fuso, che Brock sarebbe disposto a bere direttamente dalla sua
bocca, ma quando si spegne, al fascino da sirena si sostituisce
quello dell’aracnide.
«Non preoccuparti, non dovrai andare
da nessuna parte, lui è già qui.» La serpeverde si sistema una
ciocca rossa dietro l’orecchio, affila lo sguardo e lo studente di
Durmstrang ha un tremito. «Saluta, Rasputin.»
Da sotto la chioma sanguigna si
muovono le zampe di un famiglio grosso quanto il palmo di due mani –
otto arti pelosi che scivolano fuori dal loro nascondiglio,
mostrando un terribile muso altrettanto ricoperto di peli irti, tra
i cheliceri spalancati scivolano fili di bava e il volto di Brock si
riflette su più occhi di quanti lo studente sia disposto a
sopportare.
Spaventato, balza lontano.
«Che cos’è quell’affare?!»
Natasha reclina il capo, strofinando
la guancia sul carapace del famiglio come fosse un docile gattino.
«Rasputin è una Vedova Nera. Avevo capito fossi quello intelligente
della tua scuola.»
«Voi di Hogwarts siete tutti fuori di
testa!» urla Rumlow, spostando lo sguardo tra lei, l’enorme ragno e
gli altri due ragazzi. «Tenetevale, sai che me ne faccio di una
ibrida puttana!»
Steve inarca un sopracciglio, ma prima
che possa fare qualcosa, è la vedova nera di Natasha a muovere le
zampe nervosamente davanti ai cheliceri, sputando un bolo di seta che
manca Brock di poco, ma lo costringe alla fuga.
«Bravo, scappa, in quello sembri
bravissimo.» Natasha accarezza la testa del ragno. «È troppo facile
con voi ragazzi, quasi non c’è gusto.»
Né lei, né Steve, però, si sono
accorti del silenzio improvviso di Bucky.
Rigido e fermo a un paio di passi di
distanza, il tassorosso cerca di non guardare la spalla di Natasha.
È allora che Steve si ricorda della
sua paura dei ragni. Con un sorriso, si sposta di fronte a lui e lo
rinchiude in un abbraccio protettivo che lo nasconde alla vista del
ragno e viceversa.
«Ti proteggo io, Buck» dice
scherzosamente, ma non ha dimenticato di essersi proclamato sua
guardia del corpo personale.
Eppure Bucky prima si scioglie e poi
si ricompone, tiene le mani contro il petto di Steve e lo allontana
delicatamente con un sorriso stropicciato.
«Scusate, ma devo andare, ho promesso
al nostro cercatore di riserva che gli avrei insegnato qualche
trucco.»
Si defila sotto lo sguardo stupito
degli altri due.
«Avevi ragione,» conclude Natasha «ti
sta definitivamente evitando.»
⍣
Peter ha gambe molli e palpitazioni
così veloci che non gli sembrerebbe strano, se ora, Fury spuntasse
dal nulla e lo multasse per eccesso di velocità e sudorazione.
Strofina le mani sudate contro i
calzoni, inspira ed espira un paio di volte.
«Ehi, MJ! Se partecipi al Ballo del
Ceppo… cioè, lo so che ci vai, perché tutti ci vanno, beh, non
tutti-tutti, ma tutti quelli che dovrebbero andarci ci vanno e, ehm,
volevo chiederti, se ti va, se non hai già accettato l’invito di
nessun altro, magari, ecco…» Strizza gli occhi e deglutisce
rumorosamente, per buttar fuori tutto d’un fiato:
«Quellochestocercandodidirtièchemipiacidaimpazzire!»
A occhi chiusi rimane immobile.
Intorno a lui, solo silenzio, rotto
dallo scandire di passi in avvicinamento.
«Signor Parker, quale che sia il
motivo che l’ha spinta a dichiararsi alla porta della mia aula,
desista. Posso già dirle da ora che non verrà con lei al Ballo del
Ceppo, né da nessuna altra parte.» Avvolto nel mantello della
levitazione, il professor Stephen Strange aggrotta le sopracciglia alla
vista del ragazzo fermo di fronte alla porta che conduce all’aula di
Antiche Rune.
Peter quasi si disintegra. «Ha
ragione…»
«Raramente non ce l’ho.»
«Insomma, perché dovrebbe venirci con
uno come me?»
Il professore si sfiora la fronte con
la punta delle dita, scongiurando il mal di testa che è sempre
dietro l’angolo quando ha a che fare con gli adolescenti – e
considerato che insegna in una scuola di ragazzi, sarebbe più facile
cambiare mestiere.
«Perché è una porta, Signor Parker.»
Non può credere di averglielo dovuto
specificare.
Di colpo Peter si rianima e
arrossisce. «Oh, intendeva quello!»
«Sì, quello.»
«Quindi crede abbia delle possibilità
con MJ? Insomma, lei è un professore di rune, quindi magari, se ne
lancia qualcuna adesso…»
«Non interpellerò le mie rune per
predire il suo futuro in amore.»
«Giusto, giusto, lo capisco. È solo
che—»
«Buon pomeriggio, Parker.» Strange calca la voce sul saluto e spera che basti a chiudere il
discorso.
«Messaggio ricevuto. Buon
pomeriggio anche a lei.»
Eppure, nessuno dei due sembra
muoversi.
Imbarazzato, Peter si stropiccia la
manica del maglione e risolleva lo sguardo sul professore.
«Uhm, aveva bisogno di me?»
Ma quando lo vede indicare spazientito
la porta dell’aula davanti a cui si è piazzato, si rende conto di
stargli bloccando il passaggio e scatta di lato con un balzello.
«Mi scusi, non mi ero accorto di—»
Il resto viene mozzato da una porta
chiusa in faccia.
⍣
L’arrivo imminente del Ballo del Ceppo
ha portato ad Hogwarts una ventata romantica che fa ingarbugliare lo
stomaco di Loki.
«MJ! Ti stavo cercando. Ho incontrato
il professor Strange e mi ha convinto a lasciar perdere la porta
della sua aula e a venire a parlare direttamente con te.»
«Parlami di cosa? Alle volte sei
proprio strano, Peter.»
«Ed è una buona cosa?»
«Dipende. Vuoi venire al Ballo del
Ceppo con me?»
«Eh?»
«È un no? Se non vuoi non fa niente.»
«Stai... Stai scherzando?! Certo che
voglio! È da giorni che cerco di trovare il coraggio di
chiedertelo!»
«In questo caso sì, vengo.»
«Ahaaa! Grazie! Grazie! Grazie!»
«Pre— Waaa! Pe-Peter… ora puoi
mettermi giù!»
Seduto tra le radici del Platano
Picchiatore, assiste a ogni tipo di ridicola dichiarazione, allocchi
su gambe convinti che un bacio di vero amore sia la soluzione a
tutti i mali e che la loro storia finirà con un e vissero per
sempre felici e contenti.
Esiste cosa più ridicola?
«Loki!»
La voce tonante di Thor lo raggiunge
ancor prima che il grifondoro si palesi in giardino.
Loki inarca un sopracciglio, curioso
sfrega la punta dei denti sulla mandorla dell’unghia del pollice.
Si chiede se…
Solleva il braccio, fa cenno al
fratello perché lo noti all’ombra del grosso albero, e quando Thor
lo vede non esita nemmeno per un secondo a corrergli in contro
gridando soddisfatto: «Eccoti, finalmente!»
Se solo fosse un po’ più portato per
erbologia o un po’ più informato sui luoghi pericolosi di Hogwarts,
non sarebbe così veloce a dimenticare la vera natura di Loki e a
fidarsi di un suo gesto gentile. Invece non riesce a compiere
nemmeno un paio di metri, che uno dei pesanti rami nodosi
dell’albero si abbatte con violenza contro di lui, scagliandolo
lontano.
«Ops.» Loki riabbassa la mano con cui
l’ha attirato. «Quello deve aver fatto male» commenta sottovoce per
non indispettire il Platano.
Deve ricredersi, esiste eccome
qualcosa di più ridicolo!
Sorride, si rialza in piedi portando
sottobraccio il libro di Pozioni che gli ha fatto compagnia fino a
quel momento, e lascia Thor al suo destino.
Non va molto lontano.
Pochi minuti dopo, Thor è di nuovo
alle sue calcagna, con il mantello stropicciato, la divisa sporca di
terra, ma la solita maledetta testardaggine da asino che non capisce
mai quando è l’ora di darsi per vinto. È forse l’unica cosa in cui
si somigliano, un difetto che il biondo direbbe essere di famiglia;
ma Loki conosce la verità e “famiglia” per lui è una parola ormai
vuota.
Prima che possa sfuggirgli, il polso
gli viene intrappolato da una presa ferrea, che lo obbliga a
voltarsi, ritrovandosi faccia a faccia con lui.
«Si può sapere perché è fin
dall’inizio del Torneo che mi eviti?» gli domanda il grifondoro.
Loki sorride ma non lo guarda,
l’occhiata svia di lato, lontano dal volto serio del fratello.
«Perché non abbiamo niente da dirci e
perché non ho voglia di sentirti frignare per non essere stato
scelto dal Calice. Per quanto divertente, dopo un po’ diventa
patetico» dice, colpendo l’orgoglio con una stoccata di lingua e
veleno.
Thor però non vacilla, conosce Loki da
una vita ed è immune a quella sua lingua biforcuta. Sa come
afferrare la biscia per la testa ed impedire che lo morda.
«Sicuro non sia invece perché temi che
ti accusi di aver barato come tuo solito?»
«Giusto, invece del mio nome ci
sarebbe dovuto essere il tuo, non è così? Perché il figlio di Odino
è così degno.»
«Guarda che anche tu—»
«Grazie per la chiacchierata» taglia
corto il serpeverde, liberandosi con uno strattone. «Ci vediamo in
giro, ma se sono fortunato no.»
«Aspetta, non ti ho cercato per
litigare.» Per quanto Loki lo desideri, Thor non demorde. «Non
guardarmi con quegli occhi, Fratello, sono sincero. Ero venuto a
complimentarmi visto che non me ne hai mai dato occasione.»
«Molto bene. Allora complimentati.»
Forse sarebbe stato meglio continuare
a non dargliene modo: Thor spalanca le braccia e cala su di lui,
sollevandolo di peso in un abbraccio che lo stritola e gli toglie il
respiro.
«Cosa. Stai. Facendo.» Il tono
interrogativo perso nel sibilo.
«Ti sto esprimendo la mia gioia.»
«Mi stai spaccando le ossa, inetto!»
Il grifondoro ride di gusto e stringe
più forte, e perfino quando Loki lo colpisce con una ginocchiata
infantile che a poco serve contro i suoi muscoli, lo abbraccia e non
lo lascia.
Non ha la minima idea.
«Questo è per ringraziarti dello
scherzetto con il Platano, adesso siamo pari.»
Quando lo mette giù e se ne va, Loki
ha un motivo nuovo per odiarlo – Thor lo ha obbligato a indossare il
suo profumo sulla pelle e il suo calore intorno al cuore.
E non ha la minima idea dell’effetto
che gli fa.
⍣
Le mattine in Sala Grande sono
caotiche, piene di chiacchiere, tintinnii di posate e battiti d’ali.
Il giorno del Ballo del Ceppo non è da meno – con l’inizio delle
vacanze natalizie il Castello si è svuotato degli studenti del primo
e secondo anno, ma per tutti gli altri è un giorno speciale e il
soffitto incantato è pieno di gufi che lanciano pacchi pieni di
accessori dell’ultimo momento. Insieme a loro, un traffico aereo di
aeroplanini di pergamena incantata continua a volare (e a
precipitare) sulla testa di Bucky, qualcuno si affloscia tra le sue
mani una volta che la magia si estingue, altri invece finiscono
inesorabilmente nel suo bicchiere di succo di zucca o nella sua
colazione, ma in tutti è scritta la stessa cosa: “Ti prego, sii
il mio cavaliere stasera” con tanto di cuoricini finali o
l’impronta a rossetto di un bacio stampato su carta.
A meno di una manciata di ore
dall’inizio dei festeggiamenti, non ha ancora deciso chi portare a
quel maledetto Ballo. E in quanto Campione del Torneo è costretto a
partecipare e aprire le danze con gli altri otto.
Abbattuto, sospira accarezzando il
piccolo Alpine accoccolato sulle sue gambe.
«Era ora!» Dalla tavolata rosso-oro,
la voce di Stark si fa raggiante quando dalle finestre entrano due
grosse civette che trasportano un pacco su cui il suo cognome
risplende in eleganti lettere dorate.
«Finalmente i miei domestici si sono
dati una svegliata!» commenta afferrandolo.
Virginia Potts, che ha scambiato il
posto con Steve, per poter sedere alla tavolata dei Grifondoro, lo guarda
perplessa.
«Intendi dire elfi domestici.»
«No, intendo dire
domestici-domestici.» Risposta che solleva sguardi confusi anche
dalle tavolate vicino. «Ancora non vi è ancora arrivato il memo in
cui si diceva che la Torre Stark si trova a Babbanoland?»
Tra i suoi genitori, è sua madre
infatti la strega che gli ha trasmesso la magia, e suo padre il
babbano che ha saputo trarne vantaggio.
Senza perdere altro tempo, si alza e
si dirige dai tassorosso. Punta spedito Steve, che ha
preso posto accanto a Bucky, e sbatte il pacco davanti al compagno
di Casa, obbligandolo a liberare in fretta il passaggio.
«Cap, mi sei debitore e dopo questo mi
aspetto uno di quei biglietti raffinati di ringraziamento scritti a
mano o a punto croce, così come vuole il galateo!»
«Pure…» bisbiglia Bucky e questa volta
che Merlino lo assista, perché non è disposto a sopportare ancora la
vista di quei due insieme. Con un colpetto sul sedere del gattino
ordina: «Alpine attacca.»
«Cos’hai detto?» chiede allarmato
Steve.
La risposta è un cucciolo agguerrito
che si getta in avanti e balza ad artiglietti spianati e fauci
spalancate sul volto di Stark, contro cui scatena tutta la sua
minuscola ira pelosa. E Tony avrà pur sconfitto da solo una Creatura
Magica di livello XXXXX, ma questa è tutt’altra bestia!
«Ma che cazz… Barnes! Richiama il
Kraken! Richiama il Kraken!» urla il ragazzo.
A notare come Bucky non sembri avere
alcuna intenzione di fare qualcosa, è Steve a mettersi in mezzo:
allunga una mano e acciuffa il felino per la collottola,
allontanandolo dal compagno di Casa.
Lo sguardo che rifila a Bucky sa di
rimprovero; quello di Tony si gonfia d’irritazione: «Si può sapere
che diavolo ti è preso?! Odinson ha affatturato i tassorosso e ha
fatto di te il suo assassino personale?»
«Io non ho fatto niente» si lamenta
Thor.
«L’altro Thor!» ribatte Tony.
Dai tavoli serpeverde Loki finge di
non sentire, anche se gode del caos appena nato.
Bucky invece risponde senza enfasi.
«Scusa, mi è scivolato il gatto.»
«Sì, certo. E ora vuoi vedere come il
mio pugno scivola sulla tua faccia, Barnes?»
«Nello stesso modo in cui la tua bocca
è scivolata sul pacco di Steve?»
Quello è il momento in cui tutti i
nodi vengono al pettine. Un momento di stasi in cui Steve si guarda
stupidamente intorno, alla ricerca di pacchi e regali che invece di
quello di Stark dovrebbero avere il suo nome, ma che ovviamente non
trova.
Tony impallidisce, apre e chiude la
bocca, in preda a un reflusso gastrico.
Pepper lo guarda incredula, con una
mano sulle labbra.
E quando anche Steve realizza
cosa voglia dire la frase dell’amico, arrossisce di botto, scuote il
capo e getta le mani in avanti a negare ogni cosa.
«Stai parlando di quando eravamo sulle
scale? Ci hai visti? Hai frainteso! Non stavo… non mi stava… non
stavamo…»
Al suo imbarazzo gli viene in soccorso
Tony: «Ho la faccia di uno che succhia uccelli sulle scale, Barnes?»
«Dimmelo tu, Stark. Che diavolo ci
facevi lì in basso? Avevi perso uno degli orecchini che non
indossi?»
«Ah-ah, sei un comico nato.» Stende il
braccio, sbattendo più volte la mano sul pacco rimasto tra vassoi di
cibo, bicchieri e piatti stracolmi. «Stavo prendendo le misure di
Rogers! Quel Rocco Siffredi dei poveri non ha fatto altro che
lamentarsi per settimane di non avere l’abito adatto per il Ballo e
si vergognava ad andarci vestito come uno straccione CON TE!»
A quella rivelazione, l’intera Sala
Grande si volta a fissare Steve.
Un paio di ragazze tassorosso piangono
e fuggono via in corridoio.
All’improvviso tutto sembra più
chiaro, più logico, e se Bucky ripercorre con la mente quel
momento, riesce a ricordare di aver notato di sfuggita un metro da
sarta tra le mani di Stark.
Che stupido è stato.
«N-non lo sapevo…»
«Già, è per questo che non dovresti
lanciare gatti volanti in faccia alla gente! E, senza tralasciare il
particolare che la mia bocca appartiene solo a Pepper, – non può
vederla, ma dietro le dita Virginia nasconde un sorriso dolciastro – lo hai visto il suo “pacco”?» Mima
le virgolette con le dita. «Un affare del genere potrebbe
soffocarmi, come minimo l’hanno messo come Seconda Prova al Torneo,
e ti ricordo che io ho già dato!»
All’apice dell’imbarazzo, Steve sposta
una mano tra le gambe e si chiude nell’abbraccio del mantello.
«Avete finito di parlare di cose di
cui non sapete niente?» sibila piccato, rosso come i colori dello
stemma di grifondoro.
Tony nemmeno lo guarda. «Seah, come se
fosse roba nuova per il tuo amichetto del cuore.»
«Perché non dovrebbe?»
Lentamente, Tony si volta a fissarlo –
ha il volto pieno di piccoli taglietti, se quello di Barnes fosse
stato un gatto adulto gli avrebbe fatto davvero male, ma nonostante
l’istinto del serial killer in miniatura il danno è stato contenuto.
«Cioè, tu e gatto pazzo non…»
Lo sguardo confuso di Rogers gli
blocca la domanda in bocca.
«Per la miseria, Rogers! Per forza il
suo cervello perverso gli suggerisce male, con te uno fa tempo a
farsi venire le ragnatele!»
Dopo questa scoperta non ha la forza
di prendersela con il tassorosso, che al momento compatisce e non
invidia. Senza contare che in fondo ha raccolto ciò che ha seminato:
ha sempre dipinto il famiglio dell’amico come un Mangiamorte in
incognito aizzandolo contro Steve per puro divertimento, e oggi ne
ha pagato le conseguenze.
«Mi siete debitori a vita. Tutti e
due.»
Almeno tutto è bene quel che finisce
bene.
O quasi.
«Si può sapere chi è Rocco Siffredi?»
«Oh, Peter…»
⍣
«Ti fa ancora male?»
Pepper è bellissima nel suo abito blu
navy; tinteggiato di cristalli diamantini, è come se indossasse
l’intero firmamento questa sera. Con un sorriso morbido pizzica la
guancia liscia di Tony, completamente guarita dopo un giro in
infermeria.
Sotto un cielo magico da cui cadono
fiocchi di neve incantata, che a ogni contatto esplodono in polvere
d’argento, la conduce con sé in un lento, insieme agli altri otto
Campioni che come lui stanno aprendo le danze.
«Se ti dico di sì, mi dai un bacio
sulla bua?»
Stark scherza, ma la tassorosso gli
sorride e reclina il capo, baciandolo sulla guancia e poi sulle
labbra, con una morbidezza dolce che coglie di sorpresa perfino
Tony.
«È il tuo premio per essere stato così
romantico oggi.»
Non è sicuro di capire a cosa si
riferisca, ma chi è furbo, davanti ai baci di Pepper, non si fa
domande, chiude gli occhi e in quella bocca dipinta di rosso ci si
perde all’infinito.
Fili d’argento, nastri di seta e
campanelle di cristallo riempiono le pareti della Sala Grande,
mentre il pavimento si piastrella di lastre di vetro incantate, a
ricreare l’immagine di uno specchio d’acqua. A ogni passo si
allargano cerchi concentrici e di quando in quando intorno alle
gambe dei ragazzi si levano spruzzate di bolle azzurrine o piccoli
pesciolini d’acqua che circondano le coppie e scoppiano in una
colata di petali bianchi e blu.
Bucky non crede di essere mai stato
così felice come in questo momento, ballando tra le braccia di Steve
di fronte a tutto il Castello.
L’abito che Stark ha fatto cucire su
misura per lui è semplicemente perfetto, e anche se il grifondoro
si muove rigidamente, con la paura di rovinarlo, quando le sue mani
gli stringono la vita e si incrociano a quelle di Barnes, è come se
tutto fosse tornato al posto a cui appartiene.
«Mi dispiace che Tony ti abbia
obbligato ad accettare il mio invito davanti a tutti in Sala Grande»
gli bisbiglia Steve, all’orecchio.
Sapeva che le scuse non sarebbero
bastate con il grifondoro, ma Bucky sorride e pensa che dopotutto
Stark potrà anche essere un pessimo compagno, ma a modo suo sa
sempre come dimostrarsi un buon amico.
«È proprio vero, lo sai? Sei una
talpa, Stevie.»
Prima che il ragazzo apra la bocca,
Bucky gliela tappa e con un bacio conquista le sue labbra.
Di Steve conosce l’ostinazione, il
coraggio, il cuore grande e generoso. Conosce la sua luce e le sue
ombre, i suoi difetti e i suoi pregi, la sua magia e il suo
sangue.
Di Steve, ora, conosce anche il
sapore.
[ 6.638w ] |
[1] Forse mi
sbaglio, ma non credo che esista un giornale scolastico ad Hogwarts, quindi
l'ho inventato io perché un certo amichevole ragnetto di quartiere aveva
bisogno di "lavorare" per il giornale nei suoi anni da teenager! A presto
con il resto della sua origin story! (#no)
[2] Premetto che non mi piace il calcio e ancor
meno ho una vaga idea di come si giochi a Fantacalcio, ma ho pensato che
sarebbe stato divertente avere una versione di quel gioco anche ad Hogwarts.
Per chi proprio non sa di cosa si tratta, l'internet mi suggerisce che: Il
fantacalcio è un gioco sociale del tipo fantasport basato sul calcio,
consistente nell'organizzare e gestire per svago squadre virtuali formate da
calciatori reali, scelti fra quelli che giocano il torneo cui il gioco si
riferisce. In questo caso Tony non è un giocatore di Quidditch
professionista ma visto che la fic è mia, le regole le decido io!
[3] C'è più di
una teoria sull'origine del cognome "Barnes". Il più delle volte viene
suggerito sia di origine anglosassone, norrena o irlandese. Secondo una
teoria il nome deriverebbe dall'inglese antico beorn – che significa
guerriero – e che a sua volta è di origine norrena. (Per chi è interessato,
secondo un'altra teoria, era la
parola usata per indicare chi di professione lavorava, viveva o possedeva un
granaio (barn).)
[4] Figura di
danza, caratteristica del tango: la dama si piega sulle reni rovesciandosi
all’indietro fin quasi a toccare terra, sostenuta dietro la schiena dal
braccio sinistro del cavaliere.
[5] Preside
[6] Non sta storpiando il nome di Bucky, ma è un
termine inglese slang che significa "amico" (alle volte inteso in senso perculatorio, altre amichevole, altre offensivo, a seconda di chi lo dice e
come)
Cosa? Doveva essere un
capitolo dedicato al Ballo del Ceppo e il Ballo del Ceppo dura a
malapena venti righi? Ops. *__*"
La verità è che feste,
party e balli li ho sempre trovati di una noia mortale, senza
contare che avevo tante di quelle cose da inserire prima, che
arrivati alla fine, il capitolo si era già fatto troppo lungo.
Comunque è arrivato il momento in
cui Fuuma aggiunge la tw age difference! All'inizio come
figure adulte di Durmstrang doveva comparire soltanto il preside ed
era con lui, in realtà, che puntavo alla ship oneside con Bucky; ma
considerato i personaggi (il nome del preside non è ancora uscito,
ma chi mi conosce può ben intuire chi possa essere) c'era il rischio che i toni si facessero
troppo seri e angoscianti, e questa non è la fic adatta. C'è già
Loki che mi uccide il mood! E quindi ho optato per infilarci Zemo ...
perché la soluzione al problema "infilarci un uomo adulto che si
interessa a Bucky è troppo complicato" è "infilarci DUE uomini
adulti che si interessano a lui"! Logico! Comunque a parte il
fatto che in realtà la ZemoxBucky c'è solo per chi la vuole vedere
(perché lo stesso Zemo ammette di avere un secondo fine) non
aspettatevi molto altro sulla ship – che già in questo capitolo il
suo personaggio mi è sfuggito di
mano e mi ha allargato una sottotrama che non prevedevo così
importante e non ho idea di come risolverò, ma quello è un problema
di future me, e ci penserò quando sarà il momento.
Veniamo invece alle cose
importanti: i famigli! Sì, Nat ha una vedova nera e non me ne pento, il pensiero
mi disgusta e quando ho descritto la scena volevo piangere, ma così
è e così rimarrà! Non credo ci sia bisogno di spiegare perché l'ho
chiamato Rasputin, insomma, Natasha si chiama Romanoff non ci vuole
molto a capire da dove arriva quel cognome, senza contare che il suo
vero cognome effettivamente è Romanova. Quindi, yeha,
Rasputin è stata un po' una scelta obbligata XD
Un'ultima nota riguarda il
titolo: stavo disperando perché non avevo idea di come intitolare il
capitolo, poi alla ricerca di una certa informazione mi è capitata
la scena in italiano in cui la McGranit introduce il Ballo del Ceppo
per la prima volta e le "ben educate frivolezze" sono una sua
citazione che non potevo non utilizzare. Come al solito, quella
donna, è sempre la più utile tra tutti i personaggi!
Non c'entra nulla, ma per
chi sta seguendo la long "Bucky
through the looking glass", mi spiace ma questo mese salterà
l'aggiornamento, se ne riparlerà il 15 di aprile. Spero.
---
Scritta per
Torneo Tremaghi - Multifandom edition @L'angolo
di Madama Rosmerta
( pss,
pss, la volete vedere una cosa carina?
BlueBell
ha creato un banner per la storia e potete trovarlo
here
♥
)
|
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Capitolo 4 *** Un Torneo da lunedì ***
pairing
pairing:
Steve/Bucky { stucky }; Tony/Pepper { pepperony }; Thor/Loki
{
thorki }; Peter/MJ { spideychelle}; Zemo/Bucky {
winterbaron - accenni oneside }; Clint/Natasha { clintasha }
warnings: slash, incest, post-siero Steve, au (hogwartsverse),
age difference
I
personaggi appartengono a chi di diritto. |
We are the Brave
______________________________
IV
|
Un Torneo da lunedì
«La sua non è una storia d’amore, ma
il primo atto di una tragedia, signor Barnes.»
Bucky scatta seduto nel letto a
baldacchino del dormitorio; tra le coperte la mano vaga d’istinto,
alla ricerca di una bacchetta che sa non esserci. Si volta nervoso a
cercarla sul comodino, ma qualcosa al suo fianco lo ferma prima: una
mano grande e calda che gli sfiora l’addome sotto il pigiama,
pizzicandogli i muscoli, solleticandogli la pelle.
Steve lo ha cercato nel sonno e ora lo
abbraccia, rendendogli difficile anche solo pensare di abbandonare
quel caldo giaciglio che condivide con lui.
«È già ora?» gli biascica il
grifondoro.
Bucky sorride, cerca oltre l’orizzonte
della finestra un’alba che per fortuna è ancora lontana e si lascia
ricadere sdraiato nel letto.
«No, fuori è ancora buio» risponde in
un bisbiglio. E poi che se ne fa dell’alba di fuori, quando il sole
ce l’ha nel letto, che sbadiglia e strofina la guancia sull’unico
cuscino in comune.
Steve ha un occhio aperto e uno chiuso
e lunghe ciglia bionde ad adombrarli, mentre ogni traccia di sonno
sparisce tra le lenzuola. È sempre stato un tipo mattiniero –
jogging, doccia, colazione e studio degli incanti è la sua routine
preferita prima dell’inizio delle lezioni, ma non oggi.
«Allora perché sei già sveglio? Sei
preoccupato per la Prova?»
Oggi è il giorno della Seconda Prova.
Oggi è il giorno di Bucky.
O così doveva essere.
Il tassorosso scuote il capo con
un’occhiata ironica. «Vuoi dire se sono preoccupato perché Odinson
ha deciso di prendere il mio posto all’ultimo minuto, senza alcuna
spiegazione, in una prova che prevede di andare nelle fogne? No,
cosa te lo fa pensare?»
Allunga le gambe sotto alle lenzuola,
le incrocia intorno ad una di Steve e la tiene per sé.
L’altro ride, insinua il braccio sotto
il collo, gli raccoglie la nuca tra le dita e lo tira a sé, per
averlo contro il petto, incollato al proprio corpo, con un’intimità
nuova che hanno ritrovato dal giorno del Ballo del Ceppo.
«Forse ha scoperto che la Terza Prova
sarà perfino peggio e preferisce affrontare il minore dei mali.»
«Già…»
«Ma non era quello il motivo per cui
sei sveglio.» A Steve basta uno sguardo per capirlo, per leggere tra
le interlinee del suo sospiro e nel morso con cui tortura il labbro
inferiore. «Qual è il problema, Buck?»
Bucky si stringe nelle spalle.
«Ho solo fatto un brutto sogno, uno di
quelli che non facevo da quando avevo undici anni.»
«Non sarà di nuovo quello in cui mia
madre ci rincorre per tutta Hogsmade con un mattarello engorgiato
perché abbiamo lasciato la mia stanza in disordine?»
La risata di Bucky è un suono soffuso,
che copre con la mano per evitare di svegliare i suoi compagni di
stanza. «Me ne ero dimenticato, è vero. Anche se a ben pensarci era
un mortaio, non un mattarello, ma posso capire la confusione visto
le tue scarse doti culinarie e pozionistiche.»
«Ne parli come se anche tu non facessi
pena in Pozioni.»
«Touché. Comunque no, era un altro
sogno stupido, non vale nemmeno la pena di raccontartelo.»
«Sicuro?»
Bucky annuisce e sorride.
Ha sognato di Diagon Alley, della
prima volta che l’ha visitata insieme a Steve, entrambi eccitati
dall’idea di frequentare Hogwarts, di poter stare ancora insieme,
nonostante la condizione di Rogers. Ha sognato il negozio di
Olivander e le parole che il vecchio mago gli ha detto il giorno in
cui lui e Steve hanno acquistato la loro prima bacchetta – un futuro
confezionato, una profezia che sembrava appena uscita da un biscotto
della fortuna andato a male. Una storiella per spaventare i bambini.
«Sicurissimo» afferma accoccolandosi
meglio contro il grifondoro.
«D’accordo.»
La mano di Steve si chiude più forte
alla sua vita e a quella stretta, bussa alla sua porta il ricordo
delle dita del professore di Durmstrang, la loro stretta, la loro
carezza.
Ruota il capo a inquadrare con lo
sguardo il comodino, là dove il piccolo Alpine dorme tranquillo su
un cuscino colorato, stringendo tra le zampette una bacchetta in
legno di quercia rossa, come un piccolo guardiano peloso.
«Non c’è davvero nulla di cui
preoccuparsi.»
⍣
A Tony non piace, non piace per niente
tutta quella situazione.
Chi è il genio che ha pensato che un
lunedì mattina fosse adatto per una prova del Torneo Tremaghi? Se è
vero che il settimo giorno perfino Dio si riposò, è anche vero che
il lunedì era riuscito a malapena ad accendere una luce – e loro
dovrebbero uscire sani, salvi e vincitori da una prova del torneo
più importante della storia delle Scuole di magie e stregoneria?!
«E siamo pure bloccati qui dentro»
borbotta, senza avere la più pallida idea di dove precisamente sia
“qui dentro”.
È un’aula dismessa del Castello e qui
finiscono le informazioni in suo possesso.
Le finestre sono chiuse da un
Colloportus, coperte da un incantesimo oscurante che rende
l’ambiente ancora più cupo di quanto sia necessario. Una parte di sé
si aspetta che, dall’armadietto traballante pieno di tarli
nell’angolo, faccia il suo ingresso un Molliccio, o che le travi di
legno del pavimento si aprano in una voragine, che li farà finire
tra le spire di un Basilisco – perché è sicuro che ce ne sia uno
nascosto da qualche parte lì dentro, alla faccia del “non c’è luogo
più sicuro al mondo di Hogwarts”.
La porta è chiusa a chiave, sul legno
è incisa una delle rune di Strange: Manaz, la runa della
prudenza e dell’umiltà – a Stark viene già da ridere –, in
combinazione con un simbolo che non ricorda di aver mai studiato, ma
che non promette niente di buono.
Quando hanno decifrato l’indizio che
ha recuperato nella Prima Prova, non si aspettava un’arena tutta per
loro, ma almeno un palchetto. Una pedana. Un pubblico!
Invece, dopo il fischio d’inizio,
tutti i nove Campioni sono stati invitati a toccare una Passaporta e
lui e Barnes si sono ritrovati bloccati in una stanza che puzza
d’ascella, senza nessuno a fare il tifo e nessuno a cui chiedere
spiegazioni.
L’unica cosa presente, che non faccia
parte del menù dei tarli, è una lavagna con uno scarabocchio di
linee a gesso colorato e una scheggia di vetro abbandonata su una
cattedra.
Se già questo basterebbe ad
accendergli una spia d’allarme, c’è anche la questione della
bacchetta.
Si tasta le tasche, assicurandosi di
avere ancora la propria, per quanto dubita potrà essergli d’aiuto.
Sotto le dita, percepisce la rotondità del legnetto di noce. C’è, è
ancora in mano sua, lo stesso però non può dire di Odinson – prima
che il suo corpo venisse risucchiato dalla Passaporta, è certo di
aver visto un bagliore illuminarsi intorno alla tasca del serpeverde
e la sua bacchetta rimanere a terra.
Che se lo sia immaginato?
«Qualcosa non torna, questa prova non
ha senso, come dovremmo superarla secondo loro?» continua a
lamentarsi, e visto che non è stato dato loro nemmeno il numero del
servizio reclami, è a Barnes che rivolge ogni lagnanza, come se il
ragazzo non si trovasse nella sua stessa situazione.
Bucky non lo guarda nemmeno, stanco di
sentirlo, afferra il frammento di vetro che ruota e osserva, alla
ricerca di un indizio sulla sua utilità. «Questo dev’essere per me.
Sanno che sono bloccato qui con te e mi hanno concesso un modo per
farla finita.»
Tony schiocca la lingua contro il
palato.
«In questo caso non lasciare che ti
distragga, Barnes, procedi pure.» Ma sulla lavagna, tra gli
scarabocchi di linee colorate, si aggiunge un nuovo colore. «Ehi,
quel puntino giallo c’era anche prima?»
Bucky alza la testa a controllare e
no, è sicuro che non ci fosse alcun puntino tra quelle linee.
«Cosa credi che sia?»
Tony tende la mano al tassorosso e si
fa consegnare il frammento di vetro; non appena è tra le sue dita,
un puntino rosso brillante si aggiunge a quello giallo.
«Siamo noi» afferma.
Lo scarabocchio ora prende senso, le
linee che si intersecano, gli spazi vuoti, l’area del disegno.
«Silente, vecchio pazzo…» mormora tra
sé. «È la mappatura dell’impianto fognario di Hogwarts. Guarda, se
ne tracci il perimetro, questo diventa l’ingresso del castello,
quelle zone in cui le linee aumentano sono le Serre e il Lago Nero e
i due puntini siamo noi. Mentre Odinson… a-ah, eccolo qui!» Batte
l’indice sulla lavagna, nel punto preciso in cui un puntino verde
smeraldo ha iniziato a brillare, proprio al centro della mappa, tra
linee che si intersecano in labirinti di gallerie che conducono
chissà dove.
Sceglie un gessetto rosso, tra quelli
colorati sparpagliati sul ripiano della lavagna, e fuori dai bordi
dell’impianto, e con una scrittura elegante che non ti aspetti da
chi preferisce battere a computer o delegare il piacere a una piuma
auto-inchiostrante, mette per iscritto i quattro punti cardinali.
«Se diamo retta a questa mappa, noi ci
troviamo a sud rispetto a Odinson, mentre l’uscita più vicina
dovrebbe essere questa, quella che sbocca a nord-ovest, sul Ponte
del Viadotto.»
Bucky lo osserva pensieroso, si poggia
con il sedere contro il bordo della cattedra e incrocia le braccia
al petto.
«Ti ricordi ancora le parole
dell’indizio che hai trovato nel cilindro?» chiede.
Stark la prende come un’offesa – sul
suo curriculum c’è scritto genio, playboy e filantropo, nessun
accenno alla sua ottima memoria, ma non ha preso dodici
Eccezionali ai G.U.F.O. per mera grazia divina.
«Iniziamo con le domande stupide,
davvero Barnes? È il tuo modo di gestire le emozioni nelle
situazioni stressanti?»
«Sì o no, Stark.»
«Ovvio che sì, per chi mi hai preso,
per uno dei tuoi amichetti tassorosso? O per Rogers?»
«Non mettere in mezzo Steve, ha una
memoria di ferro. Ok?»
«Quindi ammetti che per i tassorosso
invece non c’è speranza?»
Bucky non risponde, inala pesantemente
dal naso e rimane a guardarlo, in attesa che smetta con i vanti e le
perculate e gli conceda la grazia di un commento utile.
Il sorrisetto di Tony sembra suggerire
che ne abbia ancora da dire, ma lo sguardo di Barnes è una fiocina
puntata alla tempia che inizia a pesare e renderlo nervoso, non c’è
da stupirsi che Rogers sia pronto a scattare sull’attenti ogni volta
che Begli Occhi gli si rivolge.
«“Tic-tac – inizia a recitare – tre
ore batte il tempo; tac-tic, scopri l’uscita nel frattempo. Il
labirinto è infradiciato; nessun incanto avrai come alleato. I tuoi
compagni ascoltare dovrai, o da solo lontano non andrai. Loro
saranno il tuo unico aiuto.”»
«E non ti sembra sia strana?»
«Mi prendi in giro? Da dove partire:
dal sadismo di Silente? Dalla costruzione mediocre delle frasi?
Dall’uso di suoni onomatopeici che compaiono a caso senza che venga
creata una struttura coesa? Dalla superficialità con cui non si sono
nemmeno degnati di finire l’ultimo verso con la rima baciata? Dal
divieto di usare la magia in un torneo di Magia? È la fiera delle
assurdità assurdità, Barnes!»
«Eppure Silente non è uno
sprovveduto.»
«Meh, questo è tutto da dimostrare.»
«Sono serio, Stark.»
«Ok, ok, cos’hai in mente? E voglio
sperare non c’entri con pacchi, salsicce o piselli, perché porto
ancora i segni dell’ultima volta.»
«La tua faccia sta benissimo.»
«Non tutti i traumi sono visibili,
Barnes. Non tutti i traumi.»
Bucky si chiede se sia troppo tardi
cambiare squadra e chiedere asilo a quelli di Beauxbatons. Conosce
poco e male il francese, ma impara in fretta ed è sempre stato
portato per le lingue.
«Quello che voglio dire è che non
sembra un indovinello ideato da Silente.»
Tony deve dargli ragione, il loro
preside è una volpe travestita d’agnello, ma tutto ciò che fa è per
il bene dei suoi studenti – o perché ciò che non ti uccide ti
fortifica, se però ti uccide non c’è alcun insegnamento.
«Credi che qualcuno abbia modificato
la filastrocca, per cancellare un indizio utile al superamento della
Prova?»
Bucky annuisce. «È possibile, no? Lo
hai detto tu stesso, un Torneo di Magia senza la magia è quanto di
più improbabile esista. Ci dev’essere una rosa di incanti che non
rientra nel divieto di utilizzo, qualcosa a cui di solito non
penseresti mai.»
«Giusto, qualcosa che testi
l’intelligenza dei Campioni.» concorda Tony. Lascia cadere sulla
scrivania il gesso che ha torturato finora tra le dita, e che gli ha
lasciato una macchia rossa sui polpastrelli, e prendendo slancio
balza seduto sulla cattedra, sfidando la sorte e le quattro gambe
sgangherate che non si rompono per puro miracolo. «L’unico problema
è che non solo non sappiamo di cosa si tratta, ma Odinson non
avrebbe comunque modo di eseguirli perché non ha la sua bacchetta.
Di bene in meglio.»
E non c’è bisogno di tirare a
indovinare chi possa essere il colpevole di quello scherzetto per
nulla divertente.
«Hai avuto problemi con Durmstrang?»
chiede a Barnes.
«Sì, Brock Rumlow, uno dei loro
Campioni, mi ha preso in antipatia senza motivo. Perché?»
«CVD.» Come volevasi dimostrare.
«Perché anche Loki ha fatto colpo. O è più giusto dire che il colpo
l’ha messo a segno lui sul Monte Everest ambulante della Prima
Prova, ma qualcosa mi dice che nemmeno prima le cose tra loro non
fossero tutte rose e fiori.»
Tipico di Odinson, riuscire a seminare
nemici e odio ovunque punti lo sguardo.
«Ora che ci penso, prima che Nat ci
interrompesse, Rumlow ha fatto un commento strano. A lei ha detto
che voleva mi ritirassi dal torneo, ma in realtà la sua era stata
una battuta sulla Seconda Prova, come se fosse sicuro che l’avrei
affrontata io. In quel momento non ci ho pensato, perché abbiamo
sempre dato tutti per scontato che sarei stato io ad affrontarla, ma
non ha senso che lui lo sapesse.»
«A quanto pare ci tenevano d’occhio.
Devono averlo scoperto quando ne abbiamo parlato. Anche se non vedo
il motivo di darsi la pena di scoprirlo, un mago senza bacchetta è
fregato comunque, a prescindere da chi sia.»
Per Bucky invece il motivo inizia a
prendere forma: il Torneo, Durmstrang, Rumlow, la Prova e Baron Zemo.
Scivola con la mano sinistra alla
vita, ricalcando le impronte che erano state del professore di
Durmstrang, scivolando verso la cintura così come è successo durante
la lezione, in una carezza che intima non è mai stata, ma che ha
sempre e solo puntato a—
«Maledizione!» Tony scatta in piedi di
colpo.
Bucky allontana la mano da sé, come se
si fosse scottato.
«Non dovremo avvertire il preside?»
domanda, ma la sua mente corre altrove, a Steve – avrebbe dovuto
raccontargli il suo sogno quella mattina e metterlo in guardia.
Tony però solleva le spalle in una
scrollata nervosa. «Siamo bloccati qui e dall’aspetto di quelle
Rune, scommetto che se dovessimo uscire da quella porta prima del
tempo, perderemmo la prova. Che lo vogliamo o no, la nostra unica
speranza risiede nelle mani squamose di un serpente traditore con
daddy issues e un odio per l’umanità.»
Ah, non c’è più dubbio, è proprio un
maledetto lunedì!
⍣
Loki apre gli occhi e affonda in
un’oscurità umida, che puzza di scarico e gocciola sulla sua testa.
Lo sguardo si abitua lentamente al buio, distingue il poco che lo
circonda: pareti melmose che curvano verso il soffitto e quattro
sbocchi che danno accesso a quattro direzioni diverse.
Si trova seduto in una pozza d’acqua
sporca dell’impianto fognario di Hogwarts, una delle possibilità che
aveva valutato insieme agli altri due cosiddetti compagni di squadra
– e se respirare, ora, non gli creasse tanti problemi, riderebbe
all’assurdità di essere costretto a fare gioco di squadra con gente
di cui a malapena riconosce l’esistenza.
È immerso in un lezzo da cui non può
sfuggire, che gli accartoccia lo stomaco con la voglia di vomitare.
Se c’è mai stato un momento adatto per rivalutare le proprie scelte
di vita, questo è quel momento; al diavolo il Torneo, al diavolo
Silente, Fury, il resto degli organizzatori e, soprattutto, al
diavolo Durmstrang – se non fosse per loro non si troverebbe
sommerso dagli scarichi di un intero Castello.
È anche vero, che se non fosse per
quegli inetti grossi come un Thor e stupidi altrettanto, non avrebbe
mai nemmeno scoperto che uno degli oggetti più potenti mai creati al
mondo si trova proprio ad Hogwarts.
La divinazione runica è un’arte
complessa, che non accetta compromessi; è un rituale sacro in cui
ogni dettaglio influisce e ogni minuzia può modificarne l’esito, c’è
un tempo e un luogo per ogni lettura. La notte di luna piena di
pochi giorni addietro è stato il momento perfetto per Loki per
interrogare le sue Rune.
Le sua fidate Rune gli hanno
raccontato della vittoria di Hogwarts nel Torneo Tremaghi, ma del
dominio di Durmstrang sul mondo; gli hanno detto che una reliquia
potente sarebbe caduta nelle mani sbagliate e che sarebbe stata la
causa di una guerra oscura.
Tutto perché Durmstrang ha scoperto il
segreto di Rogers e Barnes e vuole sfruttarlo per i suoi scopi.
Ma ora, quel segreto, lo conosce anche
lui.
Loki si solleva in piedi ed è
finalmente pronto ad affrontare la prova. Non è uno sprovveduto, non
è venuto impreparato: spalanca la bocca, infila due dita sino alla
gola e afferra sotto le unghie la sottile membrana umida che gli
ricopre la lingua di un blu traslucido.
Sono ali di Billywig intinte di
polvere di pietra del sole. È un artificio per bambini quello, un
trucco che ogni pozionista con un minimo di conoscenza ha provato
almeno una volta; e se Thor da piccolo si divertiva a guardare i
suoi pupazzi esplodere sotto il bombarda di suo padre, Loki
preferiva passatempi più stimolanti, come leggere i tomi di alchimia
e pozioni nella biblioteca di loro madre e scoprire le proprietà
magiche delle ali di Billywig. Se essicate e messe a contatto con la
polvere di pietra del sole, le ali riacquistano il loro moto
originario – è una semplice reazioni magica, le ali volano perché
cercano la luce del sole, ovunque si trovino, e, nel caso di Loki,
la luce del sole corrisponde anche all’uscita di quel labirinto
fognario.
Sul palmo della mano, però, le ali
rimangono immobili, morte come la creatura magica a cui sono state
strappate.
Loki sospira e sa che non sarebbe
stato così semplice.
Osserva le pareti che lo circondano,
notando i segni asciutti sulla pietra, intoccati dall’umidità e
dall’ambiente – simboli runici che formano un potente incanto che
blocca ogni utilizzo della magia.
Con la mano libera sfiora una delle
rune. Una scintilla rossa si accende nel punto in cui l’ha toccata e
una stilla di dolore lo costringe a ritirare la mano.
Sono opera del professor Strange,
nemmeno uno studente dotato come Loki può pensare di romperle, ed è
in fondo ciò di cui Silente gli ha avvertiti, quando ha annunciato
l’inizio della seconda prova:
«Finché il blocco degli incanti è
attivo, la magia sarà vietata. Avete tempo tre ore, per trovare
l’uscita, buona fortuna!»
«Questo lo vedremo…» mormora Loki, e
anche se per ora le ali di Billywig sono inutili, non ha fretta, la
Prova è appena cominciata e ciò che gli serve è solo l’occasione
giusta.
«Torre di controllo a Maggiore Tom!»
Qualcuno parla, la voce viene dal
basso, ovattata, sommersa.
Loki guarda in basso e si accorge che
c’è qualcosa immerso nella poltiglia liquida in cui era seduto: un
pezzo di vetro che si è appena attivato e in cui compare la
metà superiore del volto di un ragazzo.
«Torre di controllo a Maggiore Tom, mi
ricevi[1]?»
ripetono dal frammento.
Loki è quasi tentato di far finta di
niente e lasciarlo lì dov’è.
«Guarda che ti vedo che mi stai
ignorando, Odinson!»
«E puoi biasimarmi, Stark?»
Di malavoglia, si china ad afferrare
quello che più avanti scoprirà essere un Frammento di Specchio
Gemello, su cui si riflette il volto di Tony che si tira indietro,
quel che basta per inquadrare lo sfondo di quella che sembra un’aula
abbandonata.
«Perché ti trovi in una cassa da
morto?» domanda.
Tony storce il naso. «Parla quello che
si trova nella valle incantata degli scarichi.»
E Loki torna a considerare l’idea di
gettare il frammento di specchio a terra e romperlo sotto al tacco
della scarpa, se non fosse che ha bisogno di quel grifondoro del suo
aiuto per poter uscire di lì il prima possibile.
Barnes, però, strappa di mano il
frammento a Tony ed è suo, questa volta, il riflesso che Loki vede
nello specchio.
«Qualcuno sta sabotando le nostre
prove. Pensiamo che tu sia l’unico dei campioni a cui non è stata
lasciata la bacchetta.»
«“Qualcuno”. Tanto vale fare nomi e
cognomi: “idioti” di nome e “di Durmstrang” di cognome!» si
inserisce di nuovo Tony.
Il serpeverde inarca un sopracciglio.
«E ci siete arrivati soltanto adesso?»
«Tu lo sapevi e non hai detto niente?»
«Perché dovrei dire qualcosa su una
prova che tanto incerò?»
Tony torna ad avvicinarsi allo
specchio, premendo la guancia contro quella del compagno tassorosso
finché a fissare Loki non rimangono che occhi nocciola incorniciati
da lunghe ciglia: «Che cos’hai fatto, Odinson?»
«Voi preoccupatevi di darmi le
indicazioni corrette, il resto è cosa mia.»
«Wo, wo, wo, non ti sarai portato
dietro qualcuna delle tue pozioni, vero? Come? Sei stato controllato
all’inizio della prova!»
Loki sorride, finalmente qualcuno che
riconosca la sua astuzia.
«Eww, non dirmi che l’hai nascosta
come si fa in prigione!»
Loki non sorride più.
E ora di che diavolo sta parlando?
«Insomma, su per il…» non contento
Stark gesticola con l’indice in un’esposizione visiva di cui non
c’era assolutamente bisogno.
«Appena riavrò la mia bacchetta, sarà
il primo posto in cui ti lancerò i miei incanti.»
«Non se ti lascio lì ad affogare nella
merda. Letteralmente.»
E questo è uno dei motivi per cui Loki
non ama il gioco di squadra; preferisce la sudditanza all’amicizia,
i servi ai compagni di squadra, sono più utili, meno rumorosi e a
differenza di Stark non riconoscono il vantaggio quando ce l’hanno.
«L’uscita, Stark. Non è a questo che
servite?» sibila in un tono che arriva forte e chiaro anche
dall’altra parte del vetro.
Bucky spintona via Tony, riprendendo
pieno possesso del frammento di Specchio gemello e della propria
guancia, su cui passa il dorso della mano, infastidito dalla troppa
vicinanza col ragazzo – quasi fosse un tradimento a Steve.
«C’è una mappa qui nell’aula, ti
abbiamo localizzato e dovresti essere da qualche parte al centro
dell’impianto fognario. Se è tutto corretto dovrebbe esserci uno
sbocco a nord, lo vedi?»
Loki osserva la grata aperta di fronte
a lui. Dal fondo arriva un gorgogliare poco invitante e suoni che lo
tormenteranno a lungo nei suoi peggiori incubi, ma all’idea di
vincere la prova si è aggiunta la delizia di poter strappare la
lingua a Tony Stark e quella è una motivazione più che sufficiente
per convincerlo.
«Lo vedo.»
«Perfetto. Il condotto, si dirama in
due direzioni, ma tu prosegui finché non—»
Bucky tace all’improvviso e quando
Loki riabbassa lo sguardo sul vetro che ha tra le mani, il riflesso
allo specchio è il suo e il serpeverde scopre che la loro
connessione ha un tempo massimo.
Il tempo scorre in maniera diversa
quando a circondarti è un tanfo così pesante che senti fino in
bocca, un gusto oleoso che impasta la lingua di Loki e gli arrossa
gli occhi.
Sta camminando da parecchio ormai,
abbastanza da trovarsi davanti alla diramazione di cui i due
compagni gli hanno parlato.
Continua dritto, prosegue, con le
scarpe che non vede l’ora di bruciare e che lasciano dietro di lui
rumori di passi umidi, una colonna sonora di “plotch – plotch”
che fa schifo al solo pensarci.
A quel rumore se ne aggiunge un altro
e Loki ferma il passo.
Guarda il frammento di Specchio
Gemello; occhi di smeraldo lo fissano di rimando con aria seccata e,
nascosto nell’angolo, dove lo sguardo non arriva, riconosce la
paura.
Qualcosa si muove tra le fogne e lui è
disarmato.
Se vestisse i panni di Thor non
avrebbe il minimo timore – un pugno basterebbe a schiacciare ogni
minaccia, ma le mani di suo fratello sono grosse e dure, quelle di
Loki invece sono dita sottili ed eleganti che a fare a pugni hanno
sempre perso.
Si guarda intorno, cercando qualcosa
che possa usare come l’arma, finché non scorge l’ombra di una
creatura e poi i suoi tentacoli. È un Avvincino, dalla statura
leggermente più grossa della media, la pelle color melma, rotondi
occhi gialli tranciati a metà dall’ovale orizzontale della pupilla e
piccoli denti aguzzi che mette in mostra non appena adocchia il
serpeverde.
È un verso graffiante e acuto quello
della creatura, come unghie che grattano sulla lavagna. Striscia
lungo la pavimentazione di pietra e cemento, prendendo velocità dove
lo strato di acqua putrida è più alto.
Dita puntute, unite da una membrana di
pelle si tendono con cattiveria verso gli occhi di Loki e l’Avvincino
attacca – si aggrappa a un polso, lo stritola in una presa di ferro
che non ci si aspetta da una creatura così piccola, e con l’altra
mano spazza verso il suo volto, graffiandolo a una guancia, appena
sotto l’occhio.
«Piccolo miserabile…»
Gocce cremisi rotolano lungo gli
zigomi di Loki, sente la consistenza densa del sangue macchiargli la
pelle. È stato fortunato, ha tirato indietro la testa appena in
tempo e con uno scatto della mano ha afferrato le tre lunghe dita
della creatura. Sono viscide, dalle ossa così sottili che a Loki
basta stringere un po’ di più la presa, per spezzarle in un colpo
solo.
L’Avvincino urla e si dimena e quando
la sua presa viene meno, striscia via, immergendosi nella melma ai
loro piedi e scomparendo sul fondo del condotto da cui il serpeverde
è arrivato.
«E se tu e i tuoi compagni volete
vendicarvi, venitemi pure a cercare nella Torre Grifondoro, il letto
è quello di Thor Odinson!»
Ridacchia sottovoce, maligno e
vittorioso.
«Dimmi che non erano ratti, Odinson.
No, dimmi che non hai mandato un branco di ratti alla Torre
Grifondoro!»
Lo specchio gemello ha ripreso vita e
Tony ha sentito le sue ultime parole rivolte all’Avvincino.
«Non erano ratti.» Dovrebbe suonare
come una rassicurazione, ma la bocca di Loki non conosce conforto e
quel che ne esce ha l’intonazione fredda di una minaccia.
Tony rabbrividisce e vorrebbe non
averlo mai chiesto.
«E allora cos’erano?»
«Dammi quello specchio!» Bucky
interviene a gamba tesa, col tono seccato di un fratello maggiore
alle prese con le due pesti più piccole. «Possiamo collegarci con
Odinson per un tempo limitato, smettete di farvi la guerra e perdere
minuti preziosi.»
«Ha cominciato lui.»
«Vuoi vedere come ti finisco io,
Stark?»
«Scusa tanto mamma~»
Lo ignora, si concentra su Loki e ne
scorge la ferita alla guancia.
«Tutto bene, Odinson?»
«Starò bene quando tornerò a respirare
aria pulita.»
«In questo caso, al prossimo bivio
prendi il canale alla tua sinistra, dovrebbe portarti a nord-est,
appena sotto l’aula di pozioni. Lì però le cose si fanno complicate,
c’è un simbolo sulla mappa che non riusciamo a decifrare; pochi
minuti fa ne è comparso uno simile proprio prima che riuscissimo a
contattarti.»
«Fammi vedere.»
Bucky ruota il frammento verso la
lavagna, riflette la mappa, le linee colorate, il punto verde di
Loki così vicino ai puntini luminosi che simboleggiano i due
compagni di squadra, eppure così lontano. E poi troppo piccolo
perché possa riuscire a decifrarlo, un simbolo scuro si muove avanti
e indietro lungo il condotto che dovrebbe trovarsi sotto l’aula di
pozioni.
«Potrebbe essere un altro Avvincino, è
la creatura che mi ha attaccato prima» commenta pensieroso,
iniziando ad avviarsi verso la direzione che gli è stata suggerita.
A quel punto non c’è molto altro da
dirsi, il loro non è un gruppo di amici con cui confidarsi e quella
non è una scampagnata tra i boschi. A tenergli compagnia, oltre lo
sguardo di Barnes che vaga dallo specchio alla mappa, ci sono gli
sbuffi annoiati e rumorosi di Stark che provengono da qualche parte
dell’aula dismessa.
«Quindi, se dovessimo vincere la
coppa, posso tenere il trofeo?» lo sente domandare.
Sullo specchio si riflette la nuca del
tassorosso, quando si gira a puntare lo sguardo sul fondo dell’aula.
«No che non puoi.»
«Quel trofeo ha già il mio
nome» annuncia Loki, non ha alcuna intenzione di dividere la gloria
con quei due inetti.
«Vi ricordo che esiste un’intera
stanza dei trofei nel Castello, cosa vi fa credere che lo lasceranno
proprio a voi?»
Tony torna a sbuffare. «Era tanto per
chiedere, in cambio ero disposto a rinunciare al premio in denaro.»
«Com’è generoso da parte tua. E
ricordami, a quanto ammonta il patrimonio degli Stark?»
«Non per vantarmi ma…» c’è una lunga
pausa prima che pronunci «…due.» e la vanità di Tony si chiude su
uno sguardo confuso in direzione della lavagna.
C’è un altro momento di silenzio.
Loki guarda lo specchio, dove il
riflesso di Barnes sobbalza, come se il tassorosso stesse
camminando.
«Che diavolo… Si sono sdoppiati» gli
sente dire e non capisce cosa stia succedendo, sa solo che se ha
fatto bene i calcoli, dovrebbe essere arrivato in prossimità del
condotto che passa sotto l’aula di pozioni.
«I simboli si sovrappongono…» riprende
il tassorosso.
E poi.
«Merda! Odinson, torna indietro!»
l’urlo di Tony è improvviso, il tono spaventato mentre realizza
finalmente l’orrore della situazione.
«Come sarebbe a dire indietro?»
«Togliti immediatamente da lì!»
Ma è troppo tardi e prima che il
ragazzo possa spiegargli che non è un solo simbolo quello che hanno
visto, che non sono due, ma almeno un centinaio, tutti ammassati
nello stesso punto che si muovono come uno sciame nero, il
collegamento con lo Specchio Gemello si perde.
Loki è di nuovo solo, solo con
centinaia di zampette e cheliceri e occhi a palla che gli stanno
puntando addosso: un centinaio di Chizpurfle che per qualche oscuro
motivo sono grossi quanto granchi e formano un’orrenda macchia nera
e semovente lungo tutte le pareti.
Dietro di sé corre una linea ritta e
nessun posto in cui nascondersi, il bivio che ha intrapreso troppo
lontano, non lo raggiungerebbe mai in tempo, ma le gambe si
rifiutano di muoversi e nelle orecchie rimbomba l’orrido suono di
cento bocche che masticano e centinaia di zampe che battono sulla
pietra umida.
La prima reazione istintiva è un
calcio contro le creature, li lancia lontani, a fracassare il
carapace contro le pareti umide di un condotto che puzza di merda e
di trappola.
«Non osate avvicinarvi!»
Ma Loki possiede solo due gambe e i
Chizpurfle continuano ad avanzare, si aggrappano ai suoi calzoni, si
arrampicano pinzandogli le cosce tra le chele. Ad un Chizpurfle se
ne somma un secondo e poi un terzo e un quarto e quando infine
decine di quegli affari gli pesano addosso, viene trascinato in
ginocchio.
Avete una qualche idea di chi
sono io? Vorrebbe gridare loro, perché
nessuno ha il diritto il metterlo in ginocchio! Eppure ricade su se
stesso, con le braccia incrociate a proteggere la testa, mentre la
macchia nera lo inghiotte e centinaia di quelle creature gli
camminano addosso, ruminandogli tra i capelli, sui vestiti, affamati
di magia. Lontano, in un altro condotto, sente l’eco di un grido
disperato – qualcuno che ha probabilmente subito la sua stessa
sorte, ma che a differenza di Loki possiede qualcosa che i
Chizpurfle vogliono: una bacchetta.
Loki strizza gli occhi, agita un
braccio intorno a sé per liberarsi di quelle creature, ma non
finiscono mai, come riesce a scacciarne uno altri dieci prendono il
suo posto, finché non ne è completamente sommerso.
Si chiude a bozzo, la fronte quasi
immersa nella melma ai suoi piedi e una verità che pesa ora più che
mai. È solo, di quella solitudine che da bambino gli riempiva gli
occhi d’invidia mentre guardava alla schiena di Thor e non osava
tendere la mano, di quella solitudine in cui suo padre lo ha
costretto, quando ha scoperto di non essere suo figlio, ma solo la
mossa arguta di un politico. E se prima aveva almeno la magia, le
sue conoscenze, il suo potere, in quelle fogne rimane solo
l’umiliazione di un pantano di melma.
Loki serra i denti e come quando era
piccolo, chiama l’unica persona che lo abbia mai amato senza
chiedere nulla in cambio.
«Ma… madre…»
Al di là dei cheliceri che masticano
l’aria, il gocciolio dell’acqua muta, dapprima è un suono lieve, una
nota che sale e rimbalza tra le pareti, che scivola sotto il pelo
dell’acqua sporca e si allarga, si moltiplica e la nota diventa
musica e allora tutto si ferma.
I Chizpurfle, come ratti sotto il
giogo in un pifferaio, si allontanano in una scia ondeggiante, che
si muove da un lato all’altro del condotto e ne lascia libero il
mezzo.
Il corpo di Loki torna alla luce – o
al semibuio di una fogna, ma quel che conta è che le creature che
prima lo attaccavano ora non ci sono più. E lui si tira sulle
ginocchia, i capelli gocciolanti e una nenia di tanti anni addietro
che gli entra nelle orecchie e si deposita nel cuore, insieme alla
voce di sua madre e al sue gentili braccia quando lo cullavano
contro il petto.
Sulla guancia cola una lacrime sporca,
che forse è acqua o forse è sua, ma che di certo sa di una calda
nostalgia, che lo riporta alle giornate di sole con sua madre in
giardino o a quelle di pioggia in biblioteca. Con lei. Che c'era
sempre. Con lei. Che non può più chiamare madre.
Quando il canto smette, Loki si
risveglia dalla trance in cui è caduto e si guarda intorno.
«C’è… c’è qualcuno?» domanda al nulla.
«Finalmente!» E il nulla gli risponde
con la voce di Tony Stark.
Con una smorfia cerca il frammento di
Specchio Gemello caduto lì vicino. Si aspettava qualcosa di diverso,
un Maride probabilmente o forse è stata solo la sua immaginazione,
ma quando fa per alzarsi le gambe formicolano addormentate.
Quanto è rimasto fermo in quel
condotto?
«Sei ancora intero, Odinson?» gli
chiede il grifondoro.
Loki massaggia le cosce con una
smorfia. «Non certo per merito vostro. Quanto manca allo scadere del
tempo?»
«Circa quarantacinque minuti, ma se
corri dovresti farcela, rimangono soltanto tre condotti da
percorrere. Il primo dovresti incontrarlo a breve, è a pochi metri
davanti a te. Assicurati di prendere quello che va in direzione nord
ovest.»
Guarda davanti a sé ed è vero, a una
decina di metri di sé si dirama un nuovo bivio.
Si rialza a fatica, con la voglia di
porre fine a quella maledetta prova che lo sta testando molto più di
quanto è disposto ad ammettere. Sta per imboccare il condotto alla
sua sinistra, quello che si dirige a nord ovest, ma si ferma, guarda
alle proprie spalle e rimane in ascolto.
Il canto del Maride ormai tace, ma non
molto distante l’acqua gorgoglia e sotto ai suoi piedi il livello si
è alzato, fin quasi ad arrivargli alle ginocchia.
«Dove conduce l’altro condotto?»
Dopo un paio di secondi di silenzio in
cui Stark sta ricontrollando la mappa, il ragazzo gli risponde: «Da
nessuna parte.»
«Siete sicuri?»
«È una mappa fatta di stanghette
colorate, quanto credi sia difficile da leggere? Sì, siamo sicuri! E
ora imbocca la maledetta strada di sinis… Odinson?» Tony lo chiama,
ma Loki non risponde e riprende la sua strada.
È ora di farla finita.
«Perché la mappa mi indica che stai
andando a destra? Odinson? Odinson!»
Lo specchio cade a terra.
Sbarre di ferro grosse come un braccio
gli bloccano il passaggio.
Loki le stringe tra le mani, respira a
bocca aperta, gonfiando i polmoni, col fiato ancora pesante per aver
corso.
Si guarda intorno, circondato da rune
che riesce a notare a malapena sulla nuda pietra, tra le crepe da
cui l’acqua spilla senza fine. Ha gambe lunghe Loki, è un corpo alto
e slanciato, ma l’acqua sale fino a raggiungergli le ginocchia. Non
è un condotto, ma una trappola mortale e quando le crepe si aprono
sotto la pressione di un lago che si trova dall’altra parte del
muro, l’acqua si riversa nel condotto a secchiate.
Il primo getto lo travolge in una
doccia gelata, che gli lava via la stanchezza e gli pompa adrenalina
in tutto il corpo. Cade, stare in piedi è impossibile, ma invece di
finire a terra, finisce sbattuto da un’ondata contro la parete
opposta del condotto, tra rune che si accendono di barbagli rossi e
gli pizzicano la pelle.
Pochi istanti, un condotto
allagato e Loki si ritrova sommerso, con la mano premuta alla bocca
e al naso per combattere contro l’istinto di sopravvivenza che gli
urla di respirare – una boccata, solo
quella, non deve fare altro...
Il corpo si dimena alla disperata
ricerca d’aria, di bolle d’ossigeno da rincorrere o di una via di
fuga. Intorno a lui, le rune si accendono di un colore rosato,
illuminano l’intero condotto come luci al neon in un acquario, con
l’unica differenza che lui non è un pesce e che non possiede
branchie.
Poi, le rune si spengono.
Le rune svaniscono.
E Loki stringe le dita intorno ad ali
che frullano nella tasca.
⍣
Il Ponte del Viadotto dove i Campioni
hanno ancora una lunga mezz’ora prima di riuscire a trovare l’uscita
«Fatemi passare!»
Thor Odinson è voce tonante e un corpo
gettato in avanti a testa bassa, un toro che carica, pronto a buttar
la schiera di presidi e professori come birilli in carne e ossa.
«Non pensarci nemmeno!» A Fury
mancherà un occhio, ma con quello che gli rimane ci vede lungo e
bene ed è il primo ad afferrare il braccio del grifondoro, per
trascinarlo lontano dal professor Strange occupato nel controllo
delle sue rune. «Fatti da parte e lascia fare agli adulti! I
professori stanno già intervenendo e disattivando le rune di quel
condotto.»
Il ragazzo è un bestione, ha capelli
d’oro e sorriso d’estate, ma muscoli forti quanto un maledetto
orango e ci vuole tutta la forza dell’Auror e quella di due compagni
per riuscire a tenerlo lontano all’imboccatura del condotto.
«È troppo lento e mio fratello è
ancora lì dentro! Non lascerò che anneghi!» bercia Thor e con uno
spintone ben assestato al petto di Fury si libera, costringendolo a
mettere mano alla bacchetta.
L’Auror sta prendendo la mira quando,
poco prima che pronunci l’incanto, il rumore di un cielo che si
spezza interrompe i pensieri di tutti.
Nell’aria si apre una crepa e dalla
crepa viene rigurgitato il corpo di un ragazzo.
«Lo… Loki?»
Piegato in due e con le mani sulle
ginocchia, Loki tossisce e sputa acqua. Intorno a lui professori,
ragazzi e auror lo guardano come se avessero assistito all’arrivo di
un gigante di ghiaccio e quando finalmente i polmoni tornano
riempiti d’aria, si solleva e curva le labbra in un sorriso sottile,
bello e vittorioso. Giusto un po’ zuppo, ma per quello conosce
l’incantesimo adatto.
«Ora sarebbe il momento adatto di
ridarmi la mia bacchetta e riconoscere il mio primo posto» afferma
nel tono arrogante di un principe che dà ordini alla servitù. E
benché il palmo della mano sia rivolto a Silente, lo sguardo
s’affila sul preside di Durmstrang e Baron Zemo che nascondono
dietro una maschera di silenzio ogni loro pensiero.
Avevano un piano ed è fallito.
Al contrario di quello di Loki, che
s’affretta a nascondere l’altra mano in tasca e spezzare nel pugno
le ali di Billywig e l’incanto che lo hanno condotto alla luce del
giorno, permettendogli di smaterializzarsi fino al Ponte del
Viadotto senza quasi doversi nemmeno concentrare. È bastato cercare
la luce.
«Tu!» Thor gli piomba addosso con
grazia elefantiaca e la stessa pesantezza nei grossi palmi che gli
batte sulle spalle «Credevo saresti morto!»
Loki si lecca le labbra, ma quando
sulla lingua rimane il sapore di lago – e di qualcos’altro a cui non
vuole pensare – smorfieggia disgustato.
«E io credevo avessi un cervello sotto
a quella chioma dorata, ma non facciamone un dramma.»
«Maledetta serpe bugiarda!» Thor lo
afferra per le spalle, in scossoni che basterebbero a finire il
lavoro lasciato a metà con Nick Senzatesta, staccandogliela di
netto, e che per miracolo non la staccano anche a Loki.
«Ora basta!» urla il Campione.
Puzza di fogna, ha passato due ore e
mezzo nella melma e si è quasi lasciato affogare; quel maledetto
fratello acquisito e imbecille potrebbe avere più riguardo!
Ma tanto è bravo a leggere la gente,
quanto poco lo è a vederne l’affetto, è così abituato a ingannare
che cerca sempre un significato dietro ogni gesto, quando invece
quelli di Thor sono sinceri, limpidi come il suo animo. E il
grifondoro lo stringe in un abbraccio, lasciando che la sua risata
coli nell’orecchio del serpeverde.
«Perfino la morte riesci ad ingannare,
fratello!» esclama, con una fierezza rara che ha il potere di
mettere a tacere perfino Loki.
Non passerà molto perché anche il
resto dei campioni raggiunga l’uscita del viadotto, contenti di
poter respirare finalmente aria pulita.
Un incanto disinfestante, uno
rinfrescante e un “Gratta&netta” dopo, a raggiungere il serpeverde è
anche Stark, che si avvicina con l’aria di chi è invecchiato dieci
anni in un solo colpo.
Lo trova ancora accanto a Thor, il
grifondoro a intrappolargli le spalle con un braccio, con nessuna
intenzione di volerlo lasciare andare tanto presto – ha avuto paura
di perderlo, ma non basterà una Cruciatus a farglielo ammettere.
«Il tuo piano era barare, Odinson?»
chiede Tony a bassa voce, anche se i professori sono troppo occupati
a discutere tra loro sul calcolo dei punteggi per dar bado alle
chiacchiere dei ragazzi.
Loki solleva il mento.
La menzogna è il suo credo, barare è
quello che fa, perché una vita onesta è noiosa e banale e perché la
sua è troppo preziosa per essere sprecata dietro a regole decise
dagli altri.
«Le regole prevedevano che non avrei
potuto utilizzare la magia finché le rune anti-mago fossero attive,
non è mia la colpa se le hanno disattivate prima che il tempo della
prova terminasse» afferma mellifluo, passando una mano su lunghi
capelli corvini finalmente liberi dal pantano melmoso delle fogne.
Tony non può negare una certa
ammirazione, a quanto pare tentare il suicidio durante la Prova è la
via per la vittoria.
Poco distante da loro, invece, il
Terzo Campione si trova accanto a Rogers.
Alla cintura del tassorosso, penzola
la fondina di pelle che ospita la sua bacchetta, un legnetto di
quercia rossa, dalle venature rosso sangue che ora acquistano tutto
un nuovo significato.
Loki lo ha visto nelle Rune,
una notte di luna piena: la magia di quei due è nata dal sangue e
nel sangue, un giorno a l’altro, cesserà d’esistere.
[ 7.075w ] |
[1] fa parte del testo della canzone
Space oddity – David
Bowie
Lo confesso,
sono colpevole, Vostro Onore, colpevole di aver piegato la consegna
della Seconda Prova ai miei porci comodi; ma ho pensato che,
tecnicamente (un tecnicamente preso con le pinze), le istruzioni le ho seguite;
insomma, gli ostacoli che dovevano comparire sono comparsi... poi io
li ho interpretati nel modo che più mi conveniva, sue me! y_y
Senza contare che ho anche fatto in modo che Loki barasse, ma è
Loki, non poteva fare una prova senza barare, sarebbe stato
offensivo nei suoi confronti!
A parte gli scherzi, la
verità è che non
sono per niente brava con questo genere di prompt, purtroppo si
vede e la narrazione ne ha risentito parecchio. Forse, quando il
Torneo sarà finito, rivedrò completamente questo capitolo e
modificherò tutte le parti che non mi piacciono, ma considerando la
mia pigrizia per ora rimane un bel sogno per il futuro.
Ma passiamo alle cose
importanti che in questo capitolo sono principalmente due:
1. Il formato della prova non
appartiene a me, ma è stato deciso da chi si è occupato della
challenge e sotto trovate tutte le indicazioni che dovevano essere seguite.
2. mi sono presa la
libertà di modificare in parte la filastrocca (che comunque mantiene il medesimo significato
di quella originale), è stato solo perché mi
sembrava brutto avere Tony che diceva peste e corna di qualcosa
creato da altri, in questo modo quindi spero nessuno si offenda.
[..]
Questa volta la Prova si svolgerà all’interno dell’impianto
idraulico di Hogwarts, diverse decine di metri sottoterra.
I vostri Campioni si sveglieranno al centro di un condotto. Saranno
sprovvisti di bacchetta, avranno con sé solo la pergamena contenente
l’indizio e il frammento di specchio.
L’obiettivo è quello di riuscire a trovare l’uscita senza utilizzare
la magia. Non è consentito utilizzare abilità magiche, si dovranno
comportare come semplici Babbani.
Che cosa incontreranno nel tentativo di trovare l’uscita?
Nelle tre ore i vostri Campioni dovranno affrontare necessariamente
questi ostacoli:
strada senza via d’uscita;
allagamento improvviso di un condotto*;
incontro con un Avvincino*. Sarà uno solo e si scontrerà con il
vostro Campione;
incontro con un centinaio di Chizpurfle (saranno privi di sostanze
magiche). Attaccheranno il vostro Campione, che dovrà difendersi;
canto dei Maridi che distrarrà il vostro Campione, impedendogli di
concentrarsi sul trovare l’uscita. Sta a voi decidere come,
l’importante è che venga mostrato quanto il Campione sia scosso.
* Solo in questi casi è consentito l’utilizzo di Magia Accidentale
come Smaterializzazione o incantesimi difensivi.
Ricordatevi che avete a disposizione un solo colpo. Se, ad esempio,
decidete di utilizzare la magia contro l’Avvincino, non vi sarà
possibile usarla durante l’allagamento del condotto e viceversa.
Se decidete di utilizzare la Smaterializzazione, i vostri Campioni
non potranno spostarsi all’esterno dell’impianto idraulico. Potranno
solo tornare indietro, decidendo di imboccare un’altra tubatura
invece che quella che aveva precedentemente scelto.
A cosa serve il frammento dello Specchio Gemello?
Privato del senso dell’orientamento, il Campione che affronta la
Seconda Prova dovrà farsi guidare dai suoi compagni.
Questi due si troveranno in un’aula in disuso all’interno di
Hogwarts, dove troveranno una mappa dell’impianto idraulico del
Castello e avranno la possibilità di localizzare il proprio compagno
ma… attenzione! Potranno parlare con il Campione designato solo due
volte all’ora, per dieci minuti ciascuna.
Sei volte in totale, quindi.
Inoltre, mentre il Campione affronterà le avversità segnate con *,
la comunicazione sarà assente o interrotta.
I Campioni presenti all’interno dell’aula non avranno a disposizione
libri scolastici, oggetti o altri materiale. Non possono inviare al
loro compagno nessun tipo di aiuto, solo parlarci.
Allo scoccare delle tre ore, se il vostro Campione avrà trovato
l’uscita, si troverà l’indizio per la prova successiva nella tasca
della divisa. Si tratta di un foglio di pergamena piegato in
quattro.
Come al solito, grazie a chi
ancora sta seguendo questa minilong e un grazie speciale a chi si è
ritagliato un po' di tempo anche per commentarla, you da best!
♥
---
Scritta per
Torneo Tremaghi - Multifandom edition @L'angolo
di Madama Rosmerta
– Seconda Prova
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