The one where they made it.

di ester_potter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Hunger Games!AU ***
Capitolo 2: *** 2. Little Women!Verse - What If? ***
Capitolo 3: *** 3. Western!AU ***
Capitolo 4: *** +1. Soulmates!AU ***



Capitolo 1
*** 1. Hunger Games!AU ***


Distretto 12, 3009

 

 

Theodore Lawrence non è mai stato coraggioso. Del resto, la vita che conduce nel Distretto 12 di Panem non è mai stata un incentivo ad esserlo. Per come la vede lui, non esistono persone coraggiose: solo disperati che tentano di arrampicarsi su una parete senza appigli in cerca di una via d’uscita che non troveranno mai.

Ad essere onesti, non gli è mai neanche importato di essere coraggioso. Vuole solo prendersi cura di suo nonno, che lo ha tirato su da solo fin da quando l’incidente in miniera che ha portato via i suoi genitori. Laurie ha quindici anni, e provvede ad entrambi da quando ne aveva quattordici, ma la cosa non gli pesa.

Soprattutto quando incontra Jo March, il cui padre ha subito la stessa sorte del suo. A scuola non avevano mai avuto modo di scambiarsi neanche una parola e, la prima volta che si incontrano al di fuori di quel contesto, per poco non si uccidono a vicenda: si imbattono l’uno nell’altra nel bosco ai limiti del distretto, litigano per chi debba prendersi il coniglio che hanno puntato e alla fine decidono di dividerselo – con Laurie che finisce per concederle la parte più grande, dato che, folle anche solo a pensarci, Jo ha ben altre tre persone di cui occuparsi.

Il tempo di tornare a casa insieme e sono già diventati migliori amici. Il tempo di diventare migliori amici e Laurie realizza di essere innamorato. Non gli era mai capitato prima, ma lo capisce subito. Non glielo dice, ma sa che è così.

La prima volta che entra in casa March l’ansia da prestazione lo divora, neanche fosse lì per chiedere la mano di Jo a sua madre – donna che per altro appare subito bendisposta e accogliente nei suoi confronti, e nella sua figura Laurie ritrova quella di sua madre.

Di fratelli non ne ha, ma fra le sorelle di Jo trova comunque il suo posto: Meg guadagna aiutando Marmee – o Signora Madre, come adora chiamarla Laurie a metà tra il rispetto e l’ironia – a cucire, e insieme rammendano vestiti e scarpe di chiunque possa permetterselo all’interno del distretto, che sono ben poche persone. È oggettivamente la ragazza più bella che Laurie abbia visto nella sua breve vita, con quella bellezza semplice ma stoica, innocente ma senza ingenuità alcuna. A quasi diciassette anni, Meg ha visto e assorbito quanto di più crudele il mondo abbia da offrire, ma non ha permesso che questo la distruggesse. È la confidente di sua madre e sua compagna nell’educare le sorelle. Niente sembra turbarla o, se succede, non lo dà a vedere. Porta avanti la sua vita, inflessibile nell’affrontare i sacrifici e riconoscente nei rari miracoli a cui assiste.

Ma il vero gioiello della famiglia è Amy, di appena dodici anni. Piccola che Laurie potrebbe mettersela in tasca, ma implacabile come un uragano e testarda come nessun’altro che abbia mai conosciuto. Come tutti i bambini del distretto 12 è cresciuta in fretta, imparando a reprimere capricci e ingenuità con una rabbia che trattiene allo stesso modo, ma che Laurie riesce a vedere lo stesso dietro i suoi occhi chiari, quasi trasparenti. A volte gli fa quasi paura. Basta ascoltarla per capire che in un’altra vita avrebbe trionfato. Si sarebbe presa ogni cosa.

È l’unica delle sue sorelle ad andare ancora a scuola, e ha un sacco di spasimanti. Tra lei e Jo è una lite continua per dividersi la poca carta che riescono a permettersi dato che, se Jo è appassionata di scrittura – Laurie le ha chiesto di poter leggere la raccolta di racconti che sta scrivendo, ma lei glielo ha negato dicendo che “Dovrà aspettare che sia completa” –, Amy disegna dalla mattina alla sera.

I ritratti di suo padre li tiene in un cassetto del suo comodino.

“Continuo a disegnarlo,” spiega un giorno a Laurie, “per essere sicura di non dimenticare mai la sua faccia”

A Laurie si era stretto il cuore.

Scopre solo in seguito che in principio erano quattro. È Meg a dirglielo: Beth, la terza figlia, è morta solo pochi mesi prima, portata via da una malattia.

“Non tentare di parlarne a Jo” lo avverte Meg in tono piatto, nonostante il velo di dolore calato sui suoi occhi. “Non ce la fa ancora. È rimasta più segnata di tutte noi”

Sebbene abbiano perso prematuramente due membri, la famiglia di Jo irradia un calore che gli dà dipendenza; perfino le sue sorelle gli si affezionano con una naturalezza inaspettata e lui, d’altro canto, non può che affezionarsi a sua volta.

Passano due anni, e lui e Jo diventano inseparabili: cacciano insieme, vanno al mercato nero insieme, si mettono nei guai insieme. Rubano, all’occorrenza. Jo si scopre essere un’influenza dannatamente difficile da debellare, ma Laurie realizza che non gli dispiace. Realizza che, al contrario di quanto ha sempre creduto, le persone coraggiose esistono, e che lei ne fa parte, e che persino lui potrebbe.

Finché un giorno non oltrepassano il limite.

Sanno entrambi che la fitta vegetazione aldilà della recinzione nasconde prede più grosse, ma finora non hanno mai osato addentrarvisi. L’idea di scavalcare, come sempre, è di Jo.

“Solo per una mezz’ora” insiste. “Il tempo di vedere se riusciamo a prendere qualcosa e torniamo a casa”

Laurie prova a dissuaderla il più lungo possibile, pur sapendo di non avere possibilità di successo. Escono dal distretto senza sapere che, da quando il capo dei Pacificatori è diventato Romulus Thread, ce n’è sempre almeno una mezza dozzina che sorveglia il confine dall’esterno, a un tot di chilometri. Tipico di Thread, posizionare dei Pacificatori fuori dalla recinzione così da cogliere i “colpevoli” nell’atto, senza dare loro possibilità di accampare scuse. Così tipico che Laurie, dopo quel giorno, si chiederà per sempre come hanno fatto a non pensarci prima.

Il tempo di scorgere le divise nere tra gli alberi e sanno di essere stati notati a loro volta. Potrebbero consultarsi rapidamente per trovare una scusa, o fare finta di niente e sperare in un miracolo, o ancora consegnarsi subito e implorare pietà. Come sempre, gli basta uno sguardo per decidere, ma non hanno il tempo: un ramoscello a terra fa crac, spezzandosi sotto il piede di un Pacificatore, e Laurie e Jo stanno già correndo.

No, letteralmente volano fra gli alberi. Sono sempre stati veloci – forse i più veloci del distretto – e, per di più, i Pacificatori corrono imbracciando le armi. È impossibile che li raggiungano.

Uno sparo, un fischio rapido come un fulmine che sferza l’aria e alcune gocce di sangue macchiano l’erba. Laurie continua a correre.

 

 

Quella notte il corpo di Jo viene appeso in piazza assieme a quello di un uomo che aveva tentato di rubare del pane, e l’unica cosa che Laurie riesce a fare nel frattempo è recarsi a casa della famiglia March per dare loro la notizia di persona.

Il viso di Marmee viene deformato da un’espressione di rassegnato dolore, barcolla all’indietro e si lascia cadere su una sedia, prendendosi la testa fra le mani. Resta così, immobile. Non emette un suono. Quasi come se se lo aspettasse. Non tanto per l’avventatezza di Jo, quanto più per quel destino spietato che sembra aver preso di mira la sua famiglia ormai da anni. È la prima volta che vede la facciata stoica di Meg crollare, mentre si china per cingere le spalle di sua madre da dietro e scoppia a piangere. Amy entra nella stanza per ultima, attirata dal rumore. Getta un rapido sguardo a Marmee e Meg, poi incrocia quello di Laurie.

“No”, è tutto quello che dice, il respiro affannoso e gli occhi che si riempiono di lacrime ancora fissi nei suoi. “No, no, no—”

Senza neanche accorgersi di essersi mosso, Laurie la raggiunge in soli due passi e la stringe a sé. Lascia che gli singhiozzi addosso. E alla fine, solo alla fine, cede anche lui.

 

 

Dopo pochi giorni, Amy, Marmee e Meg iniziano a creare un nuovo equilibrio, proprio come avevano fatto a seguito della morte di Beth e del signor March. Nessuno nomina più Jo; si limitano ad accarezzare le sue foto in giro per casa o a sospirare quando si imbattono in uno dei suoi quaderni, riposti in una pila intoccabile come un insieme di reliquie sacre.

Laurie, d’altra parte, fa una fatica inimmaginabile, aggravato dal senso di colpa. L’ha lasciata indietro senza neanche voltarsi. Sa che non ha senso, che non sarebbe stato in grado di salvarla neanche se avesse competenze mediche – che non ha. Non avrebbe potuto fare niente per lei, se non morire a sua volta. Eppure vorrebbe averlo fatto. Vorrebbe essersi fermato per lei. O, in alternativa, essere morto.

Cerca di appianare il rimorso e il lutto andando a caccia ogni mattina per Marmee, Amy e Meg, nonostante loro continuino a dirgli che non è costretto. Il pomeriggio, mentre Marmee e Meg vanno al mercato, Laurie aspetta che Amy torni da scuola per farle un po’ compagnia.

Passano solo pochi giorni prima che se ne esca con:

“Mi insegni a cacciare?”

Laurie la guarda come se gli avesse appena proposto una gita a Capitol City.

“Ti ha dato di volta il cervello? Sei troppo piccola”

“Jo aveva la mia età quando ha iniziato. E anche tu”

“L’abbiamo fatto per necessità”

“E secondo te io lo faccio per sport?”

Laurie ammutolisce. La sua risoluzione a tenere qualunque altra sorella March lontana da contesti potenzialmente pericolosi crolla sotto le pressioni di Amy. Tutto sommato, sa che ha ragione. Deve saper cacciare, nel caso un giorno succeda qualcosa a lui. Così ogni pomeriggio la accontenta, ed Amy lo aiuta a tenere le tracce degli animali che puntano: impara a riconoscerne i versi e le orme, affina i suoi sensi e, nel giro di poco, impara ad usare arco e frecce.

“Non perdi un colpo” le fa notare un giorno, impressionato dal suo talento.

“Quando stanno fermi” precisa lei scocciata, legando due lepri insieme e issandosele in spalla. “Voglio imparare a colpire animali in movimento”

“È presto, Amy. Ci arriverai”

Malgrado tutto, le giornate con lei volano. Laurie non ricorda un solo periodo della sua vita in cui ha riso così tanto. Forse quando c’era Jo. Comunque, sono buffe in modi diversi: Jo era solita fare un sacco di imitazioni e smorfie, Amy è buffa senza volerlo. Il broncio infantile che mette su quando qualcosa non le va a genio, in contrasto col tono maturo e spesso forzatamente altezzoso, non fallisce mai di farlo ridere.

“Ehi, che credi di fare con quello?” le dice un giorno, mentre Amy gli ruba il pugnale da sotto il naso.

“Mi limo le unghie, Laurie. Secondo te che voglio farci?” Appoggia una carcassa a terra e fa per incidere la carne. “Mi serve per fare pratica”

“Ferma, prima di tagliarti via le dita”

Glielo strappa di mano con sguardo severo.

“Un passo alla volta, ho detto. Altrimenti te ne resti a casa”

Ecco. Quella è l’espressione che lo fa piegare in due dalle risate. Non cerca neanche più di nasconderlo, ormai.

“Smettila di ridere!” borbotta Amy. “E comunque non decidi tu”

“Oh, invece credo proprio di sì”

“Quando fai così non ti sopporto”

“Mi adori. Sono il tuo dio”

“Ti piacerebbe”

“Inchinati”

“Fottiti”

“Via, Amy, non essere volgare. Chiamami Vostra Altezza”

“Il massimo che posso concederti è milord

“Mhm… Un po’ poco, non ti pare?”

“A me sembra anche troppo”

“Come osi? Ti sei resa conto che sei nella mia tenuta? Guarda, qui prendo il tè, là tengo i cavalli…”

La schermaglia termina con Amy che gli dà una gomitata.

 

 

Arrivato alla sua ultima Mietitura, Laurie si concede un sospiro di sollievo. Sa che non dovrebbe – almeno non finché non avrà sentito i nomi dei tributi –, ma questa è la prima volta che si sente vicino alla “libertà”. Come ogni anno, lui ed Amy hanno passato le settimane prima della Mietitura a cacciare il doppio del solito, stipando provviste per le loro famiglie nel caso in cui dovessero uscire i loro nomi.

Laurie getta uno sguardo al di sopra della moltitudine di teste che lo circondano, e individua subito Amy che, dopo pochi secondi, si volta verso di lui come se avesse percepito il suo sguardo. Si scambiano un sorriso tirato per poi voltarsi di nuovo verso Effie Trinket, sgargiante nel suo abito giallo sul palco.

“Come sempre,” annuncia al microfono, “prima le signore”

La sua mano guantata indugia sopra una delle due bocce di vetro contenente i foglietti, compie un paio di giri e si tuffa in mezzo a quel mare di carta. Ne tira fuori uno, lo apre e si schiarisce la voce.

“Amy Curtis March”

Il cuore di Laurie sprofonda. Resta impalato a fissare Effie, la mascella aperta per lo shock, e quando infine si riprende, il suo primo istinto è quello di guardare Amy. Si stupisce nel vederla avviarsi verso il palco – come se avesse alternative – con passo fermo e il viso sbiancato del tutto, mentre avanza fra gli sguardi compassionevoli e al contempo sollevati delle ragazze intorno a lei, fino a prendere posto sul palco alla sinistra di Effie.

Non è giusto. Ha quindici anni. La sua famiglia ha già perso tre membri. Non può accadere di nuovo. Non a lei.

E lo show ricomincia. Effie fruga a fondo nell’altra boccia. Tira fuori un foglietto e lo apre.

“Fred—”

“Mi offro volontario”

Un sussulto scuote l’intera piazza, e Laurie si ritrova con centinaia di paia di occhi addosso. Ma lui non li guarda. Non si rende neanche conto di quello che sta facendo. Non ci pensa. Non ha deciso di offrirsi volontario. Lo ha fatto e basta.

“Mi offro volontario… come tributo” ripete a voce straordinariamente calma. Azzarda qualche passo incerto verso il palco, e la folla si apre al suo passaggio.

Raggiunge il suo posto a testa bassa, alla destra di Effie. Non si azzarda neanche a guardare Amy, per paura di ciò che possa trovarci. Del resto, ormai è troppo tardi. Amy è troppo piccola per affrontare da sola un inferno del genere. Si accaniranno tutti su di lei e non le lasceranno scampo. Qualcuno deve proteggerla. Qualcuno deve andare con lei e assicurarsi che ne esca vincitrice. No, che ne esca viva.

Non ha avuto modo di dire addio a Jo, ma si è recato più volte alla sua tomba da solo e ciascuna volta, prima di andarsene, le ha promesso che si sarebbe preso cura della sua famiglia. E, di nuovo, non è mai stato coraggioso.

Ma ha preso un impegno.

 

 

Nelle settimane prima dei Giochi, Laurie passa tutto il tempo ad insegnarle quello che non aveva fatto prima: colpire bersagli in movimento, l’uso del pugnale, le tecniche di mimetizzazione. È fiero di ciò che riesce a fare, ma dentro di sé sa che non basterà. A volte gli capita di guardare i tributi degli altri distretti: sembrano usciti da un addestramento militare, soprattutto i Favoriti. Non hanno la minima speranza, e sa che anche Amy se n’è resa conto, anche se non ne parlano. Si limitano a divorare voraci tutto quello che la capitale offre loro, come due condannati a morte a cui non resta che godersi l’ultimo pasto – l’ultimo ma anche il primo vero cibo che abbiano mai assaggiato in vita loro.

La notte prima della fine, si siedono l’uno davanti all’altra a una finestra. Amy si circonda le ginocchia con le braccia.

“Qui non si vedono le stelle” osserva. “Ci hai fatto caso? Io sì. Appena siamo arrivati”

“È per via delle luci della città” risponde Laurie, la testa appoggiata all’indietro contro il muro. “Siamo molto lontani da casa”

Seguono alcuni minuti di silenzio.

“Sta’ lontano dal mucchio, domani” dice Laurie a un tratto. “Appena il conto alla rovescia finisce, scappa. Io ti raggiungerò”

“E le armi?”

“Le prendo io”

“Tutte?”

“Ci bastano un arco, le frecce e un pugnale”

“Auguri, allora”

“Dico sul serio”

“Anch’io. Non ce la farai mai, è impossibile”

“E tu sì?”

“Dobbiamo stare uniti”

Lo dice in tono così perentorio – quasi ferito – che l’attenzione di Laurie abbandona le strade trafficate sotto di loro e si sposta interamente su di lei.

“Non ho più undici anni”

“Me ne sono accorto”

“Continui a trattarmi come se li avessi. Mi hai sempre trattata come se li avessi”

Non ha bisogno di alzare la voce, perché la rabbia che quelle parole tradiscono è innegabile.

Si guardano in silenzio per un po’, poi Laurie sospira fra sé e si volta di nuovo verso la finestra.

“Appena il conto alla rovescia finisce,” ripete senza guardarla, “scappa”

 

 

Non se lo sarebbe mai aspettato, ma Amy obbedisce.

Passano due settimane e nonostante nessuno, nessuno avrebbe mai scommesso su di loro, arrivano alla fine dei Giochi: gli strateghi ricorrono ad ogni mezzo pur di “movimentare” lo spettacolo, per cui a volte capita che i due si trovino a scappare da incendi scoppiati a caso nelle vicinanze, nidi di aghi inseguitori che sembrano cadere dagli alberi dal nulla e altri tributi che riescono a scovarli. Si nutrono di quello che trovano, centellinano l’acqua finché un giorno miracolosamente non trovano una fonte e mettono in pratica tutto ciò che hanno imparato sulla caccia. Scappano, si nascondono, si arrampicano. Uccidono, anche. Per difendersi. Per rimanere vivi.

E aspettano.

Finché anche l’ultimo tributo muore e restano solo loro due. Sanno che è solo questione di tempo prima che la fine dei giochi abbia inizio, ma non hanno il tempo di escogitare niente: un giorno, all’alba, gli ibridi vengono sguinzagliati nell’arena. Laurie ed Amy sentono i loro latrati da lontano e non perdono tempo ad aspettare di essere scovati; scappano verso il centro dell’arena, dove sanno che ad attenderli ci sarà una piattaforma di metallo sulla quale potranno arrampicarsi e avere un po’ di tregua… Finché non qualcosa non li spingerà a cadere, o peggio, a lottare l’uno contro l’altra. Sono i Giochi. Scappando stanno solo rimandando l’inevitabile, e Laurie non lascerà che finisca così. Non lascerà che Capitol li costringa a perdere quel briciolo di umanità che gli è rimasta.

Si guarda alle spalle. Sono ancora lontani. All'improvviso ha un déjà vu. Ma stavolta non farà errori. Può farcela. Afferra la mano di Amy e si ferma di colpo, le lascia appena il tempo di voltarsi e la prende per le spalle. Punta gli occhi dritto nei suoi, spaventati e con le pupille dilatate per l’adrenalina e quel contorno ceruleo dove annegherebbe chiunque.

“Tu va’ avanti”

“Cosa?”

“Li fermo io”

“No”

Immaginava che avrebbe reagito così.

“Amy, ascolta, non abbiamo tempo. Fra poco ci raggiungeranno. Sai che questi giochi hanno solo un vincitore”

“Ho detto no” ribatte lei implacabile. “Andiamo a casa insieme

“Amy…”

“È inutile. Tanto non me ne vado. Dico sul serio, Laurie. Sta’ zitto”

“Ascolta bene”

“No, no e n–”

Laurie fa la prima cosa che gli dice l’istinto e le molla uno schiaffo – non troppo forte perché non ne ha il cuore, ma abbastanza da farle voltare la faccia. Amy si porta una mano al viso con sguardo allucinato, e per un attimo Laurie si aspetta che glielo ridia. Invece deve aver sortito l’effetto sperato, perché tutta la determinazione cocciuta scivola via dagli occhi di Amy per lasciare posto al senso di colpa, misto a sollievo, dolore e a qualcos’altro a cui Laurie non sa dare un nome.

Fatto sta che il suo cuore si riempie di tenerezza. Ha sempre conosciuto e adorato Amy come sorella di Jo, ma nelle ultime settimane nell’arena ha imparato a conoscerla come persona a sé. E ha imparato che forse, col senno di poi, la bambina viziata e capricciosa che Amy ha sempre repressa è proprio ciò che le ha permesso di avere fino a qui. Forse, col senno di poi, Laurie non avrebbe neanche avuto bisogno di offrirsi volontario. Amy avrebbe vinto anche da sola.

Si abbassa appena di qualche centimetro verso di lei e sorride, quindi preme le labbra sulla sua fronte a lungo, la presa ancora salda sulle sue spalle come se Amy avesse bisogno di lui per restare in piedi. Non è così.

“Fa’ la brava” dice contro la sua pelle. Poi si abbassa ulteriormente per incollarci la sua. Per qualche secondo si guardano e basta, occhi castani che ridono contro occhi chiari che dichiarano guerra, ma non a lui.

Una volta staccatosi gli basta dire “Vai”, ed Amy corre.

Laurie si guarda indietro, mentre i latrati degli ibridi si fanno sempre più vicini. Li aspetta lì, in piedi in mezzo alla foresta, gli occhi rivolti al cielo per un po’ prima di chiuderli e respirare a fondo. Se è fortunato morirà in pochi minuti e il cielo artificiale dell’arena proietterà il suo viso, per poi annunciare la vittoria di Amy.

Oh, beh, ha fatto del suo meglio. Non è mai stato coraggioso, ma ha fatto del suo meglio.

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Capitolo 2
*** 2. Little Women!Verse - What If? ***


Parigi, 1865

 

 

“Non sposarlo”

Il sangue di Amy si gela. Alza lo sguardo dal suo quaderno dei ritratti e lo punta verso Laurie, in piedi sul prato a qualche passo da lei: guarda all’orizzonte verso un punto lontano chissà dove e, pian piano, il flusso nelle sue vene riprende a scorrere. Spera che la voce non le tremi, quando finalmente riesce a parlare.

“… Cosa?” È tutto ciò che riesce a chiedere. “Perché?”

“Perché? Lo sai il perché”

Adesso Laurie la sta guardando, e il terreno le si squarcia sotto i piedi. Sta precipitando. Le tremano le gambe. Sì che lo sa. E lo sa anche lui. Lo sanno da quando si sono imbattuti l’uno nell’altra nel Giardino delle Tuileries e, in modo o nell’altro, Amy l’ha sentito.

Una parte di lei è terrorizzata alla sola idea di ciò che Laurie possa dirle, ma l’altra… Oh, l’altra invece lo vuole sentire, lo vuole con tutta sé stessa. Che lui la ama come lei ama lui, che magari non l’ha amata subito ma ora sì, ora ha aperto gli occhi, ha capito che quello che hanno è raro e…

… E qualcosa nello sguardo di Laurie cambia. Qualunque cosa Amy vi avesse letto, o credeva di avervi letto, non c’è più. C’è stato per un breve attimo, in cui entrambi – Amy ne è certa – hanno valutato quella possibilità. Ma non può essere. Loro non possono essere. E non certo per colpa di Fred Vaughn. È questo che fa più male.

Laurie le si avvicina, serio ma con quel fondo di ilarità nello sguardo che Amy ha imparato a riconoscere fin da bambina, e la fissa in silenzio per un po’. Quindi si abbassa appena verso di lei e a malapena riesce a trattenere il suo solito ghigno mentre risponde:

“Perché ti rapirà e ti condurrà nella fredda, piovosa e grigia Inghilterra dove invecchierai triste e sola”

“Oh, smettila, Laurie!” ribatte Amy, respingendolo con un cenno della mano, uno di quelli snob che Laurie ha sempre odiato. Si complimenta con sé stessa per la prontezza di reazione che ha avuto, riuscendo a sembrare solo vagamente seccata dalle sue parole e non arrabbiata, triste, delusa per ciò che è successo – che non è successo. Per quella via d’uscita verso la felicità che avevano lì, fra le loro mani, e non hanno colto. È stato solo una manciata di secondi fa ed è già troppo tardi.

“Dico sul serio” insiste lui. “Ti piacerebbe davvero, quella vita?”

“E quale alternativa avrei, di grazia?”

“Non so…” Laurie si guarda intorno con fare casuale, ma Amy sa che è tutta scena. Laurie sa esattamente cosa sta per dire. “Provare a dipingere ancora un po’”

“Ne abbiamo già discusso” replica Amy in tono perentorio. Chiude in fretta il quaderno e gli volta le spalle, dirigendosi verso l’ombrello che ha lasciato nel punto in cui erano distesi prima. Si illude di aver vinto, finché poco dopo non lo sente rispondere da dietro.

“Discutere quando si ha già preso una decisione non vale”

Amy si ferma sul posto, chiude gli occhi e caccia un sospiro esasperato. Non apre gli occhi.

“Proprio perché l’ho già presa è inutile discuterne”

Passi sull’erba che si avvicinano. Amy riapre gli occhi e raccoglie ombrello e scialle. Le si annoda la gola.

“È davvero questo che vuoi?”

Ad ogni parola di Laurie, la rabbia monta dentro di lei. Dannato Laurie. “Non vorresti…”

“Cosa?” sbotta Amy a un tratto, voltandosi a guardarlo.

La faccia da cane bastonato dipinta sul viso del giovane è sempre sufficiente a farla vacillare, lei e tutte le sue convinzioni radicate in sé da quando non aveva ancora neanche fatto il suo ingresso in società. Stavolta non sortisce lo stesso effetto. Lo guarda come se volesse sfidarlo e, anche se non lo ammetterebbe mai neanche a sé stessa, un po’ lo vuole davvero.

“Tu non—” ritenta Laurie, guardando in basso come se si vergognasse “Non dovresti accontentarti”

“Non mi sto accontentando” precisa Amy in tono perentorio. Aspetta che Laurie ricambi il suo sguardo prima di proseguire, e si assicura si metterci più astio di quanto provi. “Ho scelto Fred nel momento in cui l’ho incontrato su quella spiaggia. Mi rispetta, e mi fa ridere. E io lo stimo come uomo e come essere umano. È già più di quanto capiti alla maggior parte dei matrimoni”

La parte più intima e infantile di lei gioisce nel vedere un lampo di gelosia in fondo alle pupille scure di Laurie – un lampo che si presenta sempre, ogni volta che Amy parla di Fred.

“Infine,” conclude senza scomporsi, “la sua rendita mi permetterà di provvedere alla mia famiglia. Io non ho bisogno di altre motivazioni. E tu?”

Se su tutto il resto Laurie poteva avere da ridire, quest’ultima affermazione non è altrettanto opinabile. Amy sa di aver vinto. Laurie stringe le labbra come se volesse trattenere una risata, ma non c’è più la minima traccia di allegria in lui. Infine schiocca la lingua e caccia un sospiro tra sé.

“Se lo dici tu, Amy” dice.

Amy reprime l’ondata di vergogna che la travolge di colpo, chissà per quale motivo, apre l’ombrello per ripararsi dal sole e si avvia verso la carrozza.

 

 

Per quanto le costi ammetterlo, forse Laurie aveva ragione, dopotutto. Forse l’amore è davvero una cosa che capita e basta, e non c’è molto che si possa fare per tentare di spegnere o almeno attutire quella sensazione. Quando le esce detto con la zia March, non è una cosa che ha deciso lei. La voce se ne esce per conto suo:

“Sto pensando di rifiutare Fred”

Non aveva la minima intenzione di dirlo ad alta voce, men che meno alla zia, seduta a pochi passi da lei nel salotto. Ha semplicemente tirato fuori l’unica cosa che frulla in testa senza tregua, da qualche giorno a questa parte. Conta i giorni che mancano all’arrivo di Fred e il pensiero si fa sempre più insistente.

Non osa guardarla, mentre si prepara a ricevere una pioggia di lamentele. Più di tutto, le dispiace averla delusa dopo che aveva riposto così tante aspettative su di lei.

Dopo un silenzio che sembra durare ore, la sua voce giunge alle orecchie di Amy:

“Lo immaginavo”

Amy si volta di scatto verso zia March. La trova intenta a lisciarsi l’abito con aria pensierosa ma neutra. Amy deglutisce e prende coraggio.

“Non siete arrabbiata?”

Zia March sospira con fastidio, ma è solo quello che fa di solito quando vuole nascondere il profondo affetto che nutre per la sua famiglia. “Siete tutte così, in famiglia”

Vorrebbe chiederle cosa intende, ma ci arriva da sola. Che ci sia un pattern è innegabile: Meg ha scelto l’amore e ha sposato un uomo quasi in rovina, Jo è partita alla volta di New York per seguire la sua passione e tentare la fortuna e lei… Lei sta davvero pensando di mandare all’aria tutto ciò che le permetterebbe di avere la vita che ha sempre voluto. E per cosa? Per un uomo che l’ha sempre vista come una sorellina o al massimo, da quando si sono trovati a Parigi, come una cara amica?

Poi zia March si gira a guardarla, mortalmente seria, con quello sguardo penetrante che la spaventava a morte quando era piccola, malgrado la sua ammirazione per lei.

“È per quello squattrinato di Lawrence, vero?”

Amy si sente avvampare; il suo cuore perde un battito. È la prima volta che qualcuno affronta i suoi sentimenti per Laurie e se lo sarebbe aspettato da sua zia chiunque, meno che da lei. Non era preparata. Non è mai stata granché a mentire, e oggi è peggio del solito.

Rinuncia all’idea di rifilarle una scusa o cambiare argomento, com’è abituata a fare con qualunque uomo ai suoi piedi, quando le vengono rivolte scomode o maleducate, e si obbliga a mantenere lo sguardo fisso su sua zia, sia per orgoglio che per rispetto. Spera sia sufficiente come risposta.

Per sua fortuna, lo è.

Zia March chiude gli occhi come per raccogliere tutta la calma di cui è dotata e inspira a fondo dal naso. Dopodiché riapre gli occhi e sposta la sua attenzione al cielo al di fuori della finestra.

“Oh, povera me” borbotta in tono teatrale. “Beh, almeno è ricco”

Amy non riesce a non sorridere.

 

 

Il viaggio di Fred subisce un prolungamento di una settimana, e benché Amy sia sempre più convinta a rifiutarlo, la cosa la riempie di sollievo. Gli si è affezionata tanto, e non nega di sentirsi a pezzi al solo immaginare il suo viso quando dira di no. Una voce insidiosa nella sua testa continua a chiederle: 'Quindi è questo il piano? Rifiutare qualunque scapolo ricco ti chiederà la mano d’ora in poi in attesa che quello scemo di Laurie si svegli dal letargo e capisca cosa vuole?'

Non esattamente l’idea migliore che le sia mai venuta in mente, in effetti. Eppure, è davvero convinta sia la cosa giusta. Va avanti giorno per giorno in trepidante attesa, ed è tanto estenuante quanto eccitante. Cammina leggiadra, canticchia fra sé per casa quando sa di essere sola, fa più schizzi e ritratti di quanti ne abbia mai fatti in vita sua.

Poi arriva una lettera da Marmee. Una lettera che cambia tutto.

Insieme a Beth, muore tutto.

 

 

Laurie si precipita da Amy, devastato come non lo ha mai visto, e comunque meno di quanto lo sia lei. Lei gli si getta tra le braccia senza compostezza alcuna, senza preoccuparsi né scusarsi per come gli stia bagnando la giacca di lacrime e lui, d’altro canto, non dà neanche segno di accorgersene. Non sa per quanto tempo restino abbracciati, sotto lo stipite della porta di casa di zia March, a letto per una febbre lieve ma che sta subendo un peggioramento per via della tragica notizia ricevuta.

“Mi dispiace” mormora lui con voce debole. “Non ci sono parole”

Amy non risponde. Non è mai stata così addolorata in tutta la sua vita, e a peggiorare tutto c’è il senso di colpa: verso Beth per non averle potuto neanche dire addio, verso la sua famiglia per non esserci stata in quegli ultimi mesi, nonostante siano stati loro stessi a dirle di non tornare, ogni qual volta lei aveva ripetuto che sarebbe salpata seduta stante in caso avessero avuto bisogno di lei.

Ma il dolore vero la colpisce una volta tornata a casa, davanti a quel pianoforte silente che – Amy lo sa per certo – nessuno ha più toccato, e che nessuno toccherà più. Le bambole preferite di Beth sul letto, impregnate del suo odore delicato, di casa. E poi il posto vuoto a tavola, quello tra Jo e la mamma. E il libro lasciato a metà sul comodino, di cui Beth non conoscerà il finale.

Si siedono a mangiare tutti insieme per la prima volta da quando aveva lasciato il nido per Parigi e il cibo ha un sapore diverso, più debole. Demi e Daisy riescono a strappare un sorriso agli adulti solo ogni tanto, con la loro spontaneità innocente e buffa. Non chiedono dove sia la zia Beth, ma sembrano rendersi conto del terribile cambiamento che ha colpito la loro famiglia.

Amy era partita con l’intento di trascorrere due mesi a casa prima di tornare a Parigi, il tempo di dare la possibilità alla zia March di guarire dalla febbre, e alla sua famiglia di guarire dal lutto. Laurie invece non manifesta alcuna intenzione di ripartire.

Il filo che sembrava essersi spezzato tra lui e Jo sembra rigenerarsi pian piano e, sebbene Amy non lo avrebbe creduto possibile fino a pochi giorni fa, la cosa non la tocca minimamente. Non è né stupita né delusa. È come se il tempo si sia fermato al momento della partenza di Laurie mesi addietro e abbia ripreso a scorrere ora, al suo ritorno; nel mezzo non c’è stato nient’altro che un’oasi in cui Amy ha vissuto momenti indimenticabili sola con lui, che le hanno permesso di conoscerlo e farsi conoscere meglio che nei quattro anni precedenti. Ma tutto qui. È stata stupida anche solo a pensare che potesse essere suo.

L’ultima sera prima del suo ritorno a Parigi, li vede tornare dalla loro passeggiata quotidiana mano nella mano. Sa che non avrebbe mai potuto competere con lei, e va bene così. Conosce e ama sua sorella più di sé stessa e, dopo tutto, dopo i continui rifiuti della casa editrice che hanno spezzato per sempre il suo sogno di diventare scrittrice, costringendola a tornare a casa per sempre – decisione da lei presa e comunicata in famiglia giusto poco dopo la morte di Beth –, e quest’ultima batosta infinitamente più dura, sua sorella se lo merita. Laurie la farà stare meglio, e su questo Amy non ha dubbi. Va tutto bene. Poteva andare meglio, ma va tutto bene.

 

 

Una settimana dopo il suo ritorno a Parigi, Fred le chiede di sposarlo. Amy accetta.

Una volta tornata definitivamente a Boston e sistematasi in casa Vaughn, fa una cosa che si era ripromessa di non fare più: riprende a disegnare.

 

 

2 anni dopo

 

 

“Quanto manca?” le chiede Jo, stesa accanto a lei sulla spiaggia, con un cenno del capo verso la pancia di Amy.

“Oh, ci siamo quasi” replica lei con un sorriso, accarezzandosela. “Ancora due o tre mesi”

Voltano lo sguardo all’orizzonte, dove Laurie e Fred passeggiano lungo la spiaggia a piedi nudi, con Demi e Daisy che corrono davanti a loro sull’acqua, i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia.

“Tu non ne vuoi?”

“Te l’ha detto mamma di chiedermelo?” butta lì Jo, guardandola con un ghigno. “Guarda che non cambierò idea solo perché insistete”

Amy ostenta il solito sguardo di rimprovero che è solito rivolgere a sua sorella maggiore, chiude gli occhi e inspira a fondo l’aria di mare.

“So che non ne hai mai voluti” dice.

“E non è cambiato niente”

“Pensavo che…”

Amy si interrompe. Già, cosa pensava? Che con Laurie sarebbe stato diverso? Jo non è una che cambia. O perlomeno, non cambia per nessuno se non per sé stessa. Neanche può arrivare a tanto.

“Niente” mormora, la voce così bassa che Jo deve sporgersi verso di lei. “L’amore non basta”

“A tanto cosa?” domanda Jo, aggrottando la fronte.

Amy riapre gli occhi.

“A far cambiare una persona” risponde. “Fin da piccole ci hanno riempito di facile, su come il matrimonio e l’amore risolvano magicamente tutto, portandoci alla condizione di massima felicità a cui una donna possa aspirare. Ma sai una cosa?” Non ha mai parlato a nessuno con così tanta franchezza, nemmeno a Meg, che da sempre la sua preferita. Eppure non riesce a fermarsi. È così facile tirare fuori quella piccola – ma pur sempre presente – quantità di bile che si è accumulata in lei e in qualunque altra donna si sia trovata nella sua situazione. “Per me non è stato così. Amo Fred e amo già il nostro bambino più di qualunque cosa… Ma il massimo della felicità lo raggiungo quando dipingo. Non quando adempio ai miei doveri di moglie e futura madre”

Per una manciata di minuti, nessuna delle due dice niente.

“Ricominciare a dipingere è stata la cosa migliore che potessi fare” aggiunge Amy, piano.

“Provavo le stesse cose quando scrivevo”

La voce di Jo è neutra, quasi insensibile, ma Amy percepisce tutto ciò che c’è dietro, e stringe le labbra.

“Non dovevi smettere”

“Troppe delusioni. Non ce la facevo più”

“Puoi ricominciare quando vuoi. Lo sai, vero?”

Si volta a guardarla speranzosa, quasi si aspetti di vedere Jo animarsi tutt’a un tratto e tornare la vecchia sé stessa, quella di due anni prima. Ma il fuoco di Jo si è spento, e nessuno può riaccenderlo se non lei stessa.

Jo guarda fisso in lontananza, quasi riuscisse a vedere qualcosa là dove il mare incontra il cielo. Amy non le stacca gli occhi di dosso.

“Quell’amore di cui hai parlato” dice Jo. “Quello di cui tutti parlano… Io non sono nemmeno sicura che esista”

Amy sente una fitta al cuore. Aggrotta la fronte e ingoia la saliva.

“Come sarebbe?” domanda con voce incerta. “E Laurie?”

Non è nemmeno sicura di voler ascoltare la risposta, ma al contempo sente che potrebbe impazzire se non la avrà. Jo solleva appena un angolo della bocca e si lascia uscire una risatina sarcastica. Giusto un secondo, prima di tornare seria – aggettivo che nessuno si sarebbe mai sognato di attribuirle, un tempo.

“Mi sentivo sola” confessa, senza guardarla. “Pensavo che con il tempo avrei imparato ad amarlo come voleva lui, ma… Non è successo”

Ed è come se perfino le onde del mare si fossero fermate. Non c’è più alcun rumore intorno a loro.

Jo abbassa lo sguardo e, per la prima volta, mostra segni di cedimento.

“E pensavo che sposandolo avrei fatto la cosa giusta, reso felice lui e provveduto alla mia famiglia…” continua. “Ma la verità è che aveva ragione Meg. Ha sempre avuto ragione. Un matrimonio non è solo convenienza. È una promessa di unione, di fedeltà… e soprattutto di amore”

Le lacrime che Jo ricaccia indietro, tirando su col naso, Amy invece le sente arrivare. Non avrebbe mai neanche pensato che la verità fosse questa. Col senno di poi, avrebbe dovuto capirlo: bastava guardare Jo e Laurie insieme per capire che, al contrario di quando erano solo amici, quella spontaneità e quella complicità non c’erano più. Il matrimonio, paradossalmente, li aveva divisi invece che unirli.

“E tu non ti sei sentita così quando tu e Laurie vi sei sposati” mormora Amy.

Jo scuote la testa. “No. Anzi…” Si ferma, caccia un sospiro tremolante e si volta verso di lei. “Non si sentiva così nemmeno lui”

La mandibola di Amy si allenta e lei si ritrova a fissare sua sorella a bocca semi-aperta e un accenno di affanno. Jo fissa negli occhi nei suoi e continua:

“Mi sono ributtata tra le sue braccia nel momento più buio della mia vita e lui mi ha accolto perché è Laurie, e non ha mai saputo negarmi niente… Ma non mi voleva veramente”

Voleva te. Non lo dice a parole, ma il suo sguardo parla da solo.

Amy sente una lacrima rigarle la guancia. Jo le stringe una mano.

“Avevo bisogno di lui, Amy” aggiunge, quasi implorando il suo perdono. “Tu no”

Ma Amy l’ha già perdonata. Non è neanche mai stata arrabbiata. Stringe la mano di sua sorella a sua volta, mentre con l’altra si copre gli occhi e si lascia sciogliere in singhiozzi, pregando il Cielo affinché Laurie e Fred, sempre più lontani da loro, non decidano di voltarsi proprio in quel momento.

E piange per sé stessa e per quello che ha perso – perché quello che ha provato in quei mesi a Parigi e nei quattro anni precedenti non lo proverà mai più –, per la sofferenza in cui Jo è sprofondata e per Laurie e la vita in solitudine a cui è condannato.

Quando si salutano, al termine di quel pomeriggio, Amy abbraccia sia Jo che Laurie, che si offrono di riportare i bambini a casa, quindi saluta Daisy e Demi; mentre si passano gli ombrelloni, la sua mano e quella di Laurie si sfiorano. Un brivido le corre per tutto il corpo, ma non osa alzare gli occhi su di lui.

Una volta salita in carrozza, però, si volta a guardare Jo e Laurie dirigersi a piedi dalla parte opposta, e per una frazione di secondo è di nuovo a Parigi, seduta accanto a zia March sulla carrozza mentre guarda Laurie camminare per il Giardino delle Tuileries. Non è cambiato niente, dentro di lei.

Solo che, stavolta, anche Laurie si volta a guardarla.

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Capitolo 3
*** 3. Western!AU ***


Boulder, Colorado, 1880

 

 

Laurie si rigira fra le dita la collana Choctaw1, unico legame che lo tiene ancora in qualche modo ancorato al suo passato. L’unico legame che ha scelto di non recidere.

Protezione. Ecco cosa significa l’amuleto, secondo colui che gliel’ha donato. Gli mancherà Chashwi, il suo unico vero amico. Gli mancheranno il caldo e il Mississippi. Ma ha scelto lui di andarsene. Non si è mai guardato indietro, e non ha intenzione di farlo ora, arrivato a metà strada.

Seattle è ancora lontana, ma una volta arrivato potrà riposare per qualche giorno, prima di imbarcarsi. Per dove, non lo sa ancora. La prospettiva di non sapere in quale letto si sveglierà domani – né cosa mangerà, se mangerà, dove sarà di qui ad un anno – non lo spaventa minimamente. Niente lo spaventa.

Ha già vissuto l’incubo della guerra civile, costretto a combattere per una fazione di cui ha sempre odiato e ripudiato gli ideali – non gli è mai andato a genio il termine “ideale”, se riferito alla piaga della schiavitù –, così come ha vissuto l’incubo di appartenere a una società in cui non si rivede, in cui stona. A lui non interessa di portare avanti la tenuta dei Lawrence a Jackson, Mississippi, schiacciare i pochi afroamericani rimasti nel sud e finanziare spedizioni alla ricerca del petrolio e dell’oro a scapito delle popolazioni native. Quel mondo gli dà il voltastomaco.

E non si è mai sentito così vivo come quando, cinque giorni fa, è montato a cavallo e se n’è andato nella notte, come un ladro, senza salutare nessuno se non Chashwi. Un po’ prova vergogna, se ci pensa. Ma poi gli viene in mente che non deve niente a quella gente. I suoi genitori non lo hanno mai capito, non lo ha mai amato. L’unico a farlo era stato suo nonno, morto troppo presto per tubercolosi. Ma se anche fosse sopravvissuto abbastanza da vederlo crescere, Laurie se ne sarebbe andato comunque. Altrimenti sarebbe morto lui, suicida, come un uccellino in gabbia inizia a sbattere la testa per uscire.

Adesso, seduto al bancone di un saloon di Boulder il cui nome non ha neanche letto, è libero.

Ripone di nuovo la collana dentro la camicia quando il bicchiere di scotch che aveva chiesto gli viene appoggiato davanti con un rumore secco. Beve con avidità, tanto per brindare a sé stesso. Si guarda intorno a destra e a sinistra, aldilà delle spalle. Ci deve essere appena una dozzina di persone, lui incluso. Fuori è giorno, ma il locale è buio e le luci tenui. Gli unici rumori sono il chiacchiericcio, il tintinnio dei bicchieri e le risate sguaiate degli scommettitori intenti a giocare e delle loro donne. Non proprio il luogo in cui si sarebbe mai immaginato di finire. Se la sua famiglia lo vedesse ora, lo disconoscerebbe seduta stante – come se non l’avesse già fatto. Il pensiero lo fa ridere fra sé.

Ordina un altro bicchiere.

Getto un altro rapido sguardo alla sua destra. L’uomo seduto in un angolo al buio, con una sola bottiglia tutta per sé al tavolo, ha un’aria familiare. Non riesce a togliersi di dosso la sensazione di averlo già visto prima, sebbene sia certo che non sia possibile. Si darebbe un mandriano qualsiasi, a guardarlo. Eppure c’è qualcosa che gli sfugge...

Ci sta ancora rimuginando su, quando mette a fuoco la persona seduta da sola al tavolo a metà strada tra lui e il mandriano. Laurie strabuzza gli occhi: ecco, questa potrebbe essere facilmente la creatura più bella su cui abbia mai posato gli occhi. Dal suo portamento e dal vestiario, Laurie si domanda che accidenti ci faccia una come lei in un posto del genere, ma qualunque ragionamento in cui il suo cervello possa avventurarsi va a farsi benedire in favore di un’osservazione meticolosa del suo viso.

Deve avere circa la sua stessa età, o forse è poco più giovane. Capelli biondi, occhi azzurri che risaltano con il vestito azzurro che indossa, guance piene e naso all’insù. Aggraziata e composta, con la schiena dritta e lo sguardo algido, ma con un fondo di dolcezza nascosto – di quelli nascosti di proposito... Sguardo che ora è rivolto proprio verso di lui.

La donna lo guarda dapprima stupita, poi confusa, e infine seccata. Preso del tutto alla sprovvista, Laurie non può far altro se non distogliere lo sguardo in fretta e furia e portarlo ancora all’uomo seduto all’angolo. Lei se ne accorge, segue lo sguardo di Laurie fino al povero uomo vittima dei suoi sguardi indiscreti, e poi guarda di nuovo lui. Se non altro, sembra aver perso l’espressione di stizza di poco fa.

Laurie si aspetta di tutto, meno che si rivolga direttamente a lui:

“Sto forse ostruendo la vostra visuale?”

Laurie quasi sobbalza.

“No!” esclama, dopo qualche secondo di incertezza. “N-No, certo che no...”

Sente di aver attirato la sua curiosità, nonostante l’aria di superiorità che quegli occhi emanano.

“Vi prego di scusarmi” si decide a dire alla fine. “Vi offro qualcosa”

La donna sembra pensarci su, ma qualcosa gli dice che è tutta scena. In effetti, impiega molto meno tempo di quanto servirebbe a una qualunque signora d’alta società per valutare e accettare un invito del genere da uno sconosciuto in un saloon. Si alza e lo raggiunge sullo sgabello accanto al suo.

“È un vostro amico?” domanda con un vago cenno del capo verso l’uomo infondo all’angolo.

Laurie apre la bocca e indugia: a confonderlo la curiosa situazione in cui si trova, ma i penetranti occhi blu che minacciano di ingoiarlo per non risputarlo mai più fuori. Alla fine, decide di limitarsi a dire la pura e semplice verità:

“… Non ho proprio idea di chi sia”

La donna solleva le sopracciglia, ma non indaga oltre.

“Cosa prendete?” chiede Laurie.

“Whiskey con ghiaccio”

Laurie la guarda come se fosse appena caduta dal cielo accanto a lui. La donna rotea gli occhi.

“Oh, per favore” sbuffa. “Avete detto che mi avreste offerto qualcosa. I giudizi non sono compresi. Forza, sto aspettando”

Laurie non ci prova neanche a nascondere l’espressione scandalizzata che deve avere in volto: ingoia la saliva e obbedisce, ordinando lo stesso anche per sé. Da quel momento, nessuno dei due fiata più. Solo dopo i primi sorsi Laurie riesce ad aprire bocca di nuovo, quasi rinfrancato dall’alcol.

“Siete sola?”

Amy inarca un sopracciglio.

“Se dico di sì mi risparmierete la lezioncina sui pericoli che corre una donna sola in un posto del genere? Perché la mia famiglia me l’ha già riassunta alla perfezione in una lettera di cinque pagine”

Laurie reprime a stento una risata. “Non mi sarei mai permesso”

Lei sorride come a dire “sarà meglio per voi”, e prende un altro sorso di whiskey. Già che ha iniziato, Laurie decide di rischiare e proseguire

“Da dove arrivate?” domanda.

“San Francisco”

“E dove siete diretta?”

“Chicago”

“È lunga”

“Non così tanto. Sono più le soste ad allungare il viaggio. Senza quelle sarei arrivata in una manciata di giorni”

Laurie scuote la testa e aggrotta la fronte in un’espressione confusa, quasi non riuscisse a credere alle sue orecchie – e in effetti, un po’ è così. L’occhio gli cade sull’anello al suo anulare sinistro. Glielo deve chiedere.

“Non voglio ripetermi,” inizia, mettendoci tutto il tatto di cui è provvisto, “e sono consapevole che la cosa non mi riguardi, ma permettetemi un po’ di impertinenza: viaggiate da sola?”

“Mio marito è a New York per affari. Sarebbe stato uno spreco di tempo per me e di denaro per lui se fosse tornato a casa e poi fossimo partiti insieme per Chicago. E no, ovviamente non è contento della mia scelta, ma non gli ho lasciato molte alternative: gli ho scritto le mie intenzioni in una lettera e il giorno stesso mi sono messa in viaggio”

Laurie non sa se essere più colpito dal coraggio di questa donna che sembra un fiore del deserto, o dalla sconsideratezza che ha dimostrato intraprendendo un viaggio del genere, per di più sfidando l’autorità della sua famiglia e di suo marito. L’interesse che ha iniziato a nutrire nei suoi confronti fin dal momento in cui l’ha vista si fa indomabile ma, per fortuna, nonostante sia ormai un reietto, sa ancora come si comporta in società, e sa quando è il momento di tenere a freno la lingua.

“Ditemi almeno che siete in carrozza” tenta, quasi esasperato.

“In effetti stavo per farlo, avrei viaggiato più comoda” conviene lei con un sospiro. “Però no. Viaggio in treno. Almeno arriverò più in fretta. Ho preso una camera qui sopra, domattina partirò per Lincoln, Nebraska. Ultima tappa prima di arrivare a casa”

Laurie guarda fisso il fondo del suo bicchiere, muovendolo in cerchio sul bancone e lasciando aloni umidi sul legno ad ogni movimento. Questa donna non è reale.

“Soddisfatto?”

La sua voce lo riporta alla realtà e lo costringe a guardarla.

“Come?”

“Vi vedo abbastanza sconvolto. Ho risposto a tutto ciò che volevate sapere?”

Laurie si agita sulla sedia.

“Non volevo essere invadente…”

“Signore” lo interrompe lei in tono deciso ma morbido. Laurie si ritrova perforato dai suoi occhi, e all’improvviso, ha di nuovo dodici anni e sta arrossendo davanti alla sua compagna di classe delle medie per cui si era preso una cotta. “Scherzavo”

A quelle parole, il corpo di Laurie si rilassa. La donna ride. Ride e il tempo si ferma: cancella tutto con una risata, il passato e il futuro. Ci sono solo loro.

“Diamine,” esclama poi, “non solo non siete abituato a vedere donne che viaggiano da sole, ma neanche a donne che fanno dell’ironia! A questo punto mi costringere a domandarvi dove abbiate vissuto finora”

Laurie sorride.

“Ora che me lo fate notare,” concede, “devo avervi fatto l’impressione del petroliere sudista che non è mai uscito dal suo giardino dorato”

“E lo siete?”

“Non sono né un petroliere né un sudista”

Però è la prima volta che uscite dal vostro giardino dorato”

“Touché”

Lei gli porge la mano con il dorso verso l’alto. “Sono Amy Vaughn”

Amy. Amy. Amy. Ora che Laurie sa che è il suo nome, non gliene viene in mente nessuno di più adatto a lei. Ed è bellissimo. Le sfiora appena la mano con le labbra come si confà a un gentiluomo e, giusto prima di usare il suo vecchio nome – quello che si era ripromesso di non usare più, sia per liberazione personale sia per evitare di attirare attenzione su di sé, essendo la sua famiglia una delle più prestigiose del Sud... O almeno, così era prima della guerra –, riesce a fermarsi e correggersi.

“Sawyer” dice. “Sawyer Alcott2. Vengo da Jackson, Mississippi. E vado a Seattle”

“Santo Cielo, Signor Alcott” Amy assume un’aria esageratamente sconvolta e si appoggia la mano sul petto. “E viaggiate da solo?”

Laurie ride di cuore. “È una lunga storia”

Gli occhi su di lei lo fissano vispi, carichi di aspettative. Laurie sa cosa vogliono. Per fortuna, però, Amy non gli domanda altro.

“Un altro giro di whiskey?” propone invece.

Laurie sbatte le palpebre, a metà tra l’incredulo e l’oltraggiato, facendola ridere – deve essersi bevuto il cervello, ma giura di non aver mai sentito suono più celestiale di quello.

“Comincio a pensare che il problema non sia io, che non sono abituato alle donne come voi” borbotta, facendo cenno al cameriere di servirli di nuovo. “Siete voi che siete diversa dalle altre”

“Oh, no, sono molto ordinaria, invece. Se mi vedeste in società, non spiccherei per alcun particolare fisico o comportamentale. So qual è il mio posto e lo rispetto. Mi sto solo concedendo un po’ di spontaneità in assenza di conoscenti che possano malgiudicare il mio comportamento”

“L’opinione altrui è così importante per voi?”

“Non faccia il bambino” lo rimbrotta Amy. “Deve esserlo. Altrimenti sarei ancora a casa dei miei genitori a pasticciare con i pennelli, nubile, e povera”

“E sarebbe un male?”

“Per voi è facile, siete un uomo”

“E questo che c’entra?”

“C’entra, invece”

Lo sguardo di Amy si fa serio, ma non glaciale come Laurie si sarebbe aspettato. È solo triste.

“Non intendo certo che per voi uomini la strada sia tutta in discesa dal momento in cui nascete,” prosegue, “ma almeno non dovete preoccuparvi di elemosinare l’attenzione di sconosciuti sperando che restino affascinati da voi e pregando che la vostra dote, per quanto modesta, non sia un problema che gli impedisca di da prendervi in casa, sposarvi e mantenere voi e la vostra famiglia. Non dovete preoccuparvi di dare a suddetti sconosciuti degli eredi e rinunciare a qualunque sogno o ambizione per mantenere il vostro ruolo di moglie, relegata in casa ed esibita in società. Sempre gli stessi eventi, le stesse persone, le stesse chiacchiere insensate” Abbassa lo sguardo e velo che sembra senso di colpa le oscura il viso. “Non fraintendetemi, quando ero bambina amavo quel mondo… O almeno, credevo di amarlo. Finché non ho iniziato a farne parte”

Laurie resta di stucco. Si sarebbe aspettato un discorso qualunque, fatto di lamentele superficiali e infondate com’era abituato a sentirne a Jackson. Non ha mai, mai ritenuto le donne stupide o creature inferiori, ma ha avuto abbastanza occasioni di constatare quanto si costringessero ad abbassarsi di livello per non mettere in ombra i loro mariti, quanto si forzassero a mettere su una facciata che non stonasse con l’ambiente di cui si circondavano, tutto per assicurarsi di non essere mai niente di più di ciò che la gente si aspetta da loro.

Ma la cosa che più lo sconvolge è che, per la prima volta da quando ha lasciato Jackson – per la prima volta in tutta la sua vita –, si sente compreso da qualcuno.

Laurie si fa coraggio e si schiarisce la voce.

“Perdonatemi. Non pretendo di conoscere le sfide che vi si pongono davanti in quanto donne. Ma la routine, l’ipocrisia... Sono tutte cose da cui rifuggo anche io”

“Non l’avrei mai detto” confessa Amy, guardandolo piena di riconoscenza. “Ma grazie per avermi capito”

Laurie fa un mezzo sorriso. “Siete sposata da molto?”

“Appena un anno”

“E lo conoscete da?”

“Sei mesi”

“Perfino più della media” si complimenta Laurie. “La maggior parte delle coppie di mia conoscenza non arriva ai tre mesi”

Amy ridacchia. “Confermo. Anche da noi nel Midwest è così”

“E lo amate?”

Amy sembra accigliarsi, seppur con un ghigno ironico.

“Innamorata…” mormora.

Laurie sbatte le palpebre.

“Ammetto che non mi aspettavo una simile risposta,” confessa, “sebbene mi fossi già fatto l’idea di avere davanti una donna alquanto...”

Si interrompe, temendo di essere andato troppo oltre, ma Amy viene in suo soccorso.

“Cinica. Potete dirlo”

Laurie ci pensa un po’ su, prima di annuire con aria noncurante. Amy ride.

“Beh, signor Alcott,” annuncia in tono solenne, “sono convinta che, con una giusta frequentazione e una buona dose di autoconvincimento, si possa arrivare ad ottenere un legame saldo e duraturo, fatto di fiducia e rispetto. Ma credo anche che non sia impossibile ottenere più di così”

“L’amore non è contemplato nell’equazione?”

“No, davvero”

“E io che pensavo che esistesse, e soprattutto che fosse un sentimento spontaneo”

“Sì, magari nelle favole che ci raccontano da bambini!”

Con quelle parole, Amy sembra di perdere di colpo tutta la voglia di scherzare che sembrava avere. Si fa di nuovo seria, ma nel suo viso c’è un briciolo di incertezza. Guarda Laurie quasi come fosse disperata di ricevere una conferma a ciò che sta per dire.

“No, non è così. Non credo alle favole, a quel tipo di amore di cui parlano… Voglio dire, una cosa del genere non può esistere, giusto?”

Prima di rispondere, Laurie si prende il suo tempo. Vorrebbe poterle dire il contrario, ma in effetti non ha neanche idea di cosa sia l’amore familiare, figurarsi quello romantico.

“Non lo so” sospira. “Lo chiedete alla persona sbagliata. Credo di non aver mai amato nessuna donna in tutta la vita”

“Quindi mi date ragione”

“Sì, può darsi. Però…” La guarda di sottecchi. “Siete almeno felice?”

Amy alza un angolo della bocca.

“Sì” risponde sinceramente. “Sì, lo sono. Anche se... ammetto che avrei gradito un altro tipo di vita”

“Cioè?”

“Mi sarebbe piaciuto dipingere”

Dal modo in cui Amy aggrotta la fronte, subito dopo aver dato voce ai suoi desideri, si direbbe non sappia da dove le sia uscita una cosa del genere. Laurie sorride fra sé.

“È la prima volta che lo dico a qualcuno al di fuori della mia famiglia” osserva, confusa. In tutta la sua ingenuità infantile, Laurie non può fare a meno di sentirsi onorato. Ma invece di rassicurarla che può confessargli tutto, assolutamente tutto, e che sarebbe ben felice di farle da custode per sempre, decide di attenersi a quell’autocontrollo che gli è stato imposto sin da piccolo e appoggia un gomito sul tavolo, sostenendosi il mento con la mano.

“Andate avanti” dice.

Amy arrossisce appena. Guarda ovunque meno che verso di lui.

“Credetemi, so che è assurdo” inizia. “Però è così. Mi sarebbe piaciuto vivere di arte. Ma è complicato persino per gli uomini che hanno la fortuna di nascere in Europa, fra luoghi incredibili e pieni di storia, ritrovi con persone stimolanti e anime a loro affini... Io sono solo una donna. Di Chicago. Non avrei avuto possibilità comunque. E poi, per quanto mi secchi ammetterlo, mi mancava il genio”

Laurie aggrotta le sopracciglia. “Il genio?”

“Sì, quella scintilla, sapete? Quel qualcosa che ti rende superiore agli altri. Ecco, a me mancava. Avevo talento, ma non il genio. E non importa quanto una persona si impegni, certi risultati non si possono ottenere neanche con lo studio più duro e costante. È una dote innata. Perciò ho mollato”

“È davvero andata così?” domanda Laurie, quasi dispiaciuto. “Avete rinunciato al vostro sogno per questo? Solo perché... non avevate il genio?”

Amy alza le spalle.

“Non volevo essere la seconda” afferma. “O la terza. Voglio essere la migliore o niente3. Sarebbe bello avere un’indole più... pacifica, se così si può dire. Ma ahimè, non mi appartiene. Se non altro, diventando un ornamento per la società, supporterò la mia famiglia. Qualcuno deve pur farlo, dato che tutte le mie sorelle hanno sposato uomini con da una rendita misera”4

Il suo viso assume una sfumatura di mestizia. “Eravamo in quattro... eppure ho sempre saputo che la responsabilità sarebbe ricaduta su di me. Lo so da quando ho dodici anni”

Laurie reprime l’istinto di prenderle una mano.

“Conosco a menadito la pressione sociale che deve esservi stata imposta fin da piccola,” le confessa in tono rassicurante, “perché ci sono cresciuto anche io, seppur in modo diverso. Ma almeno siete stata coerente con voi stessa: piuttosto che vivere un sogno a metà, mai del tutto appagata, avete scelto di aiutare la vostra famiglia. Non tutti l’avrebbero fatto. Non c’è niente di spregevole in questo. Anzi, direi che è ammirevole”

Per un fugace secondo, gli occhi di Amy sembrano inumidirsi. Ma qualunque istinto primordiale l’abbia attanagliata, lei lo schiaccia. Non c’è da stupirsi che sia così forte. Deve aver imparato ad esserlo sin da piccola.

“Grazie, signor Alcott” dice, aprendosi in un sorriso lieve. “Mi piace parlare con voi”

Laurie rotea gli occhi. “Oh, lo dite solo perché vi sto lusingando”

“Ovviamente”

Ridono insieme. È una cosa da niente, ma ha un che di magico.

“Dico sul serio, però” insiste Amy tra una risata e l’altra. “Mi sarebbe piaciuto avere un fratello o un amico come voi a casa”

“Con le vostre sorelle non siete unite?”

“Lo siamo” precisa Amy dopo un ultimo sorso dal bicchiere. Si passa la lingua sulle labbra e continua: “Voi avete fratelli?”

“Purtroppo no. Ma mi sarebbe piaciuto averne. Forse mi sarei sentito meno solo”

Amy abbassa gli occhi, lo sguardo intenerito di chi sta rivangando fra i ricordi.

“Tra noi c’è un legame inspiegabile” mormora con fermezza. “Ma come ho già detto, abbiamo preso strade diverse crescendo. Con loro non posso parlare così. Sia chiaro, né io né mia madre ci siamo mai sentite di rimproverare Meg e Jo per le loro scelte. Hanno fatto ciò che dovevano per essere felici, punto”

“Credete non possano capirvi?”

“Credo possano malgiudicarmi”

“E perché lo dite a me?”

“Voi siete un estraneo”

Sembra che Amy voglia aggiungere qualcos’altro, ma si interrompe e ripiega su:

“E non mi date l’idea di un uomo che mi sta giudicando. A parte quando vi ho detto di essere in viaggio da sola, ovvio. In quel frangente mi avete dato mentalmente della folle e dell’irresponsabile”

“Assolutamente no”

“Oh, sì che l’avete fatto”

“Non mi permetterei mai!”

“A voce forse no, ma dentro di voi...”

“Oh, Santo Cielo…”

Ridono ancora, ma stavolta ad interromperli c’è il rumore delle ante in legno che si aprono. Laurie si gira d’istinto verso la porta e vede entrare un uomo alto e robusto, che si siede lontano dal resto della clientela senza ordinare nulla, il cappello a coprirgli la faccia. L’attenzione di Laurie viene di nuovo rapita dalla voce di Amy.

“Però, davvero” sta dicendo, facendo ruotare la fede intorno all’anulare, “malgrado tutto, sono felice. Fred è un amico. Mi rispetta, mi tratta bene. Si prende cura di me. E soprattutto, chiede sempre la mia opinione. Credetemi, non è scontato in un matrimonio”

Laurie non ha certo bisogno che sia lei a dirglielo: basta la memoria degli scambi fra i suoi genitori – i pochi a cui ha assistito prima di imparare a chiudere le orecchie e fingere di non essere in stanza con loro.

“Già” mormora, scacciando quei ricordi dalla sua mente. Guarda Amy, girata di tre quarti verso di lui nella flebile luce del locale, gli sembra quasi di conoscerla. Una sensazione di déjà vu tale da provocargli le vertigini.

“Voi ve la caverete” afferma con convinzione. Non sa da dove gli venga una certezza simile, ma sa che deve pronunciarla, o passerà il resto della vita a pentirsene. “Starete bene”

“Come fate a saperlo?”

“Perché voi…”

Già. Voi cosa? La conosce da dieci minuti. Cosa potrebbe mai dirle per convincerla di ciò che sente nel profondo. Impiega decisamente troppo tempo a cercare le parole giuste, ma Amy non li mette fretta alcuna – si limita a guardarlo con una vulnerabilità che non credeva gli avrebbe mai mostrato, ed è proprio questo ad aiutarlo a trovarle.

“Mi date l’idea di una persona che potrebbe fare tutto ciò che vuole nella vita, e potrebbe farlo bene”

Amy ammutolisce, lo sguardo fermo sul suo – dietro di lei, sullo sfondo, il mandriano sembra tutt’a un tratto animarsi e guardarsi intorno con fare agitato, ma in tutta onestà, a Laurie non potrebbe importare di meno.

“Vi ringrazio” La voce di Amy è un soffio.

Un ultimo dubbio si intrufola insidioso nella mente di Laurie. Decide che sarà l’ultima domanda con cui la assillerà, ma all’improvviso ha bisogno di saperlo.

“Miss Vaughn” chiede, piano. “Perché state tornando a casa con questa fretta? Cos’è successo di così importante... da farvi decidere di attraversare sette stati da sola, senza aspettare il ritorno di vostro marito e farvi accompagnare?”

Le lacrime che si erano affacciate in precedenza fanno ritorno, ma stavolta Amy non trova la forza – la voglia – di ricacciarle indietro. Ingoia rumorosamente e stringe le labbra.

“Vi ho detto che eravamo in quattro” butta fuori con voce debole e tremante. “Io e le mie sorelle”

Eravamo in quattro... eppure ho sempre saputo che la responsabilità sarebbe ricaduta su di me

Così gli ha detto Amy poco fa. Però, parlando dei loro matrimoni, ha nominato solo due di loro. Di una terza sorella, neanche l’ombra. Non ha bisogno di aggiungere altro. Si lascia andare ad una smorfia di dolore e soffoca un singhiozzo con una mano davanti alla bocca.

 “Oh, Signore, scusatemi...” piagnucola, agitandosi sullo sgabello in cerca di un fazzoletto mentre le lacrime le inondano le guance. Laurie tira fuori il suo dal taschino e glielo porge. “Non avevo idea... Di solito non piango mai…”

“Avete perso una sorella” obietta Laurie con delicatezza. “Mi sembra reazione più che normale”

Amy si prende il suo tempo per ricomporsi. Tira su col naso un paio di volte.

“Non avevo ancora pianto da quando me lo hanno detto” tenta di giustificarsi ancora. “Mi dispiace che sia toccato a voi assistere a un simile spettacolo…”

“Miss Vaughn” la interrompe Laurie, afferrando la mano all’improvviso, senza più un briciolo di paura. “Amy. Puoi piangere”

Amy lo fissa sconcertata. Realizzano nello stesso momento quanto i loro visi si siano avvicinati man mano, ma nessuno dei due sembra intenzionato ad allontanarsi. Restano fermi a guardarsi per quella che a Laurie sembra un’eternità. In questo momento, è convinto che potrebbe aprirsi una voragine a pochi passi da loro e inghiottire parte del saloon; lui non se ne accorgerebbe comunque.

O almeno, è questo che pensa finché non coglie con la coda dell’occhio un movimento fulmineo dietro di Amy. Il mandriano, fino a quel momento seduto all’ombra in disparte, senza fiatare con nessuno, si è alzato in piedi con uno scatto: Laurie ringrazia Dio, la Vergine Maria e tutti gli angeli e i santi del paradiso per i suoi riflessi, che gli permettono di afferrare Amy per le spalle e buttarsi a terra con lei mentre il mandriano tira fuori la pistola dalla cintura e spara proprio nella loro direzione. Qualcuno – sicuramente lo sceriffo – risponde al fuoco dalla parte opposta, mentre le urla si levano da tutte le direzioni e i vetri scoppiano da dietro il bancone.

Il tutto dura una manciata di secondi, dopodiché Laurie sente un tonfo. Alza piano la testa, quel tanto che basta per vedere il corpo del mandriano a terra, contorto dal dolore. Si guarda intorno: nessuno sembra essere rimasto ferito, e l’intera clientela esce di corsa urlando. Amy alza la testa a sua volta, e la prima cosa che vede sono gli occhi preoccupati di Laurie.

“State bene, vero?”

Troppo sotto shock per riuscire a parlare, Amy si limita ad annuire, mentre lascia che Laurie la aiuti ad alzarsi prendendole entrambe le mani tremanti; si guarda intorno stralunata a bocca semi-aperta, come se temesse di vedere qualcun altro armarsi e ricominciare a sparare. Laurie si rimette il cappello che aveva abbandonato il bancone, afferra il soprabito di Amy che era finito a terra e se lo sistema sul braccio.

“È tutto a posto” le dice. “Venite, andiamocene”

Escono dal saloon di corsa. Laurie constata con immensa gratitudine che il suo cavallo non si è lasciato spaventare dal rumore, ed è rimasto dove l’aveva legato. Si volta istintivamente verso Amy. Non ha ancora lasciato la sua mano. Lei sembra aver recuperato un minimo di controllo sul suo respiro, sebbene le mani le tremino ancora.

Ha lo sguardo carico di gratitudine e, masochista com’è, a Laurie viene in mente di fare qualcosa affinché quella gratitudine svanisca – ma forse è solo la voglia improvvisa di farsi conoscere davvero da lei, che lo spinge a vuotare il sacco:

“Il mio nome non è Sawyer Alcott” butta fuori. “Mi chiamo Theodore Lawrence”

La gratitudine in effetti se ne va, ma non del tutto: Amy lo guarda come fosse un angelo sceso in terra e un imbroglione della peggior specie al tempo stesso.

“Mi avete mentito”, la sua non è una domanda o un ringhio di rabbia, ma una constatazione.

“Vi ho anche salvato la vita, ma di quello non mi sembra vi stiate lamentando”

A quel punto, si aspetta uno schiaffo: Amy lo stupisce ancora, per l’ennesima volta, incassando il colpo senza alcun capriccio.

“Non mi chiamo Amy Vaughn”

Oh.

“Vaughn è il cognome di mio marito. È March”

E gli stringe la mano. Il calore che Laurie sente allo stomaco minaccia di inghiottirlo. Forse è perfino arrossito, ma non può e non vuole saperlo.

“Dovete andare” dice, invece.

“Cosa?”

“Quello era John Ruth”5

Lo sguardo totalmente perso e confuso di Amy lascia intendere che non abbia idea di chi sia, cosa abbastanza prevedibile, in effetti.

“Un cacciatore di taglie” spiega. “Avete appena assistito alla cattura… All’uccisione di un ricercato. Resta il fatto che fra poco arriverà lo sceriffo. Domani ne parleranno tutti i giornali, dalla costa ovest a quella est. E se dovesse uscire il vostro nome sui giornali sarà uno scandalo”

Mentre Laurie si preoccupa di lei e di come possa essere ricevuta in società dopo una storia simile – sempre ammesso che qualcuno si prenda la briga di riceverla –, con una sola occhiata ad Amy e capisce che sta pensando alla sua famiglia, ma soprattutto a Fred, e alle cattiverie che i giornali direbbero su di lui. Lo accuserebbero di essere un eunuco sprovvisto del benché minimo potere su sua moglie, lasciata libera di girovagare per il west senza nessuno a proteggerla. Il loro matrimonio diverrebbe una beffa, e lei non se la sente di fare questo a Fred. Ha già sfidato abbastanza la sorte scegliendo di partire da sola; non può permettersi anche di umiliarlo così.

“Prendete il mio cavallo” dice. “E andatevene”

“E voi?”

“Sarò lontano da qui. Non preoccupatevi”

Amy sembra sul punto di dissuaderlo, ma evidente deve leggergli la mente, perché sembra capire all’istante che non ci riuscirà. Quel briciolo di speranza che albergava sul suo viso si dissipa. Il cuore di Laurie si stringe.

“Come posso ringraziarvi?” gli domanda.

“Arrivate a casa sana e salva. Ne sarei molto felice. Anzi…”

Si sfila la collana Choctaw senza pensarci troppo e gliela porge. “Prendete questo. È di un popolo di nativi delle mie parti. Vi proteggerà”

Amy lo guarda ammaliata senza prenderlo per qualche secondo.

“Tenetelo voi” dice infine. “Ho la sensazione che ne avrete più bisogno di me”

Beh, su questo non può darle torto. La aiuta a salire a cavallo, le affida le briglie e si sofferma a guardarla.

“Siete proprio sicuro” domanda Amy con un respiro profondo, “di non voler venire?”

Laurie fa un ghigno.

“Ho imparato a mie spese la follia di cercare di entrare in quel mondo”

“Pensateci” insiste Amy, con una punta di disperazione. “Non dovete tornare a casa. Potreste fermarvi a Chicago. O dove vi pare” Tentenna, come se temesse di andare troppo oltre. “A me sembrate uno che se la caverebbe, sapete? Un po’ pigro, certo… E indolente” sottolinea in tono severo, facendolo ridere. “Ma se vi impegnaste, se vi metteste in gioco davvero… Potreste essere qualunque cosa. Potreste fare qualunque cosa. E potreste farla bene”

Laurie riconosce il tono e le parole che lui stesso ha usato poco nei confronti di Amy e, adesso più che mai, riesce a vedersi proiettato nel futuro insieme a lei. Li vede insieme, sposati e con una famiglia – sa che Amy non gli sta affatto proponendo questo, ma la visione esplode lo stesso nella sua mente –, e non gli sembra né folle né ridicolo. Ha senso, immaginarsi così con lei. È giusto. Sente che lo è e basta.

Ma non è la verità.

Laurie scuote la testa, le prende la mano e ne sfiora il dorso con le labbra. Se non la lascia andare ora, non lo farà più.

“Miss March” dice, con voce più decisa di quanto si sarebbe aspettato. “È stato bello conoscervi”

Il viso di Amy cambia: non sa se più offesa dal suo rifiuto o da come ha scelto di salutarla. Sembra quasi deluso, come se si aspettasse di più. Ma forse è solo la parte più ingenua di Laurie che lo induce a pensare questo, credendosi più importante di quanto in realtà non sia, per lei. Amy lo guarda dapprima indignata, poi furiosa e poi, con tutta la disciplina che ha imparato a usare in società, azzera tutto trasformandolo in un’indifferenza così fredda da gelargli il sangue nelle vene.

“Ossequi, signor Lawrence”, è tutto ciò che gli concede, prima di scuotere le briglie e andarsene al trotto. Laurie resta impalato a guardarla finché non sparisce dalla sua visuale.

Sente lo sceriffo e i suoi arrivare al galoppo dalla parte opposta, gli indica l’interno del saloon con un cenno del capo e si siede sui gradini fuori. Si accende un sigaro e lascia che il fumo gli bruci la gola.

 

 

 

NOTE

1 I Choctaw sono un popolo di nativi americani originari del sud degli USA

2 Per il nome fittizio di Laurie ho scelto il cognome di Louisa May Alcott (pensavo fosse carino farle una specie di “tributo”), mentre per il nome mi piace pensare che Laurie abbia letto Le Avventure di Tom Sawyer (pubblicato nel 1876) e abbia scelto il nome del protagonista

3 Citazione dal film del 2019 di Greta Gerwig. Ho sempre trovato geniale questa battuta, rende Amy ancora più Amy

4 In questo universo Meg ha sposato John come nel canon, mentre Jo è rimasta a Berlino per Friedrich, si sono sposati lì e lavorano come insegnanti nello stesso istituto, ma non hanno figli

5 Altro tributo, stavolta a Quentin Tarantino e al suo The Hateful Eight, fra i cui personaggi c’è appunto un John Ruth che fa il cacciatore di taglie (era dovuto, dato che è uno dei miei film preferiti non solo fra la sua filmografia, ma in generale nella vita)

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Capitolo 4
*** +1. Soulmates!AU ***


Boston, giovedì 4 luglio 2013

 

 

“Non mi sento molto a mio agio in questo momento…”

La voce di Beth è appena percettibile sotto le casse che pompano le migliori hit anni ’90 e gli schiamazzi della folla scatenata intorno a loro, ma Amy la sente lo stesso. Solo, sceglie di ignorarla: ondeggia a ritmo di musica, con i piedi che sollevano la sabbia ad ogni mossa, stringe il bicchiere in mano e chiude gli occhi.

La scuola è finita, il sole sta tramontando sul mare e la vita va alla grande.

“E dai, Lizzie, balla!” urla, prendendo Beth per mano.

“E come si fa?”

“Lasciati andare e basta!”

“Ah, eccovi”

La voce severa di Jo, che si avvicina alle sorelle sgomitando fra la folla, è allo stesso tempo un sollievo per Beth e una seccatura per Amy. “Vi ho chiamato dieci volte. A testa” dichiara in tono duro, una volta giunta davanti alle sorelle. “Forza, andiamo a casa”

“Ma la vera festa inizia adesso!” protesta Amy.

“Non ci provare, Amy. Lo sai che oggi abbiamo il barbecue dalla zia, e papà si è raccomandato mille volte di non fare tardi”

“Ancora mezz’ora, ti prego!”

“Scordatelo, mi sono scomodata fin qui apposta per venirvi a prendere”

“Allora io e Beth torneremo in autobus—”

L’urto da dietro è brusco e fulmineo, al punto che Amy riesce a malapena a controbilanciarlo, inciampando in avanti e sbattendosi il bicchiere addosso. Buona metà dell’analcolico tropicale, incluso il ghiaccio, fuoriesce dal bicchiere e le inonda il top bianco facendola rabbrividire. Un po’ per il freddo improvviso, un po’ perché sa già che non ci sarà verso di salvare il suo indumento, Amy si lascia istintivamente uscire un sussulto prolungato che chiunque definirebbe teatrale – ma che, per come la vede lei, è il minimo che chiunque farebbe di fronte ad un simile sgarbo, grazie –, mentre si fissa la macchia arancione che si allarga su di lei. Arancione su bianco.

È lì che realizza. Aggrotta le sopracciglia e alza lo sguardo, la bocca spalancata ma da cui non esce un suono. Davanti a lei c’è Jo, che l’ha tenuta per le braccia per sorreggerla e non l’ha ancora lasciata.

“Tutto bene, Amy?” urla sopra la musica. Dietro di lei, Beth guarda fisso la macchia sul top nuovo di zecca con le mani davanti alla bocca e il viso carico di quell’apprensione che è solita mostrare quando sa che sta per arrivare un capriccio da parte della minore.

Capriccio che non arriva.

Amy si ritrova sovrastata da ciò che la circonda, come fosse venuta al mondo solo ora, all’età di diciotto anni: dietro il grosso paio di occhi grigi di Jo, familiari e nuovi al tempo stesso, il rosa del cielo al tramonto, con le sue mille sfumature di viola e celeste, che in lontananza incontra il blu scuro dell’oceano. Perfino i suoni e gli odori le sembrano amplificati – cosa che sa per certo non essere possibile, perché quando tocchi per la prima volta la tua anima gemella vedi i colori, ma gli altri sensi non subiscono alcuna variazione…

Ah, già. L’anima gemella.

Amy si volta di scatto e tra la gente, alzandosi sulle punte nel tentativo di guardare più lontano, sperando di scorgerlo da qualche parte. Sente Jo da dietro domandarle che cos’abbia, ma non ha tempo di risponderle.

“Hai visto chi mi è venuto addosso?” le chiede invece, senza voltarsi a guardarla.

“Non ne ho avuto il tempo,” replica Jo in tono stanco, “ma ti prego, Amy, lascia stare e non attaccare briga per questo, ok? È solo un top…”

In altre circostanze, Amy le avrebbe risposto per le rime, ma non oggi. Non ora, perché finalmente lo vede: non è molto distante da lei, ma si allontana a passo svelto in mezzo alla folla, spingendo un altro ragazzo barcollante davanti a sé. È lui. Sa che è lui.

“Aspetta!” prova a urlare, come se la sua voce potesse qualcosa contro il beat dei Black Eyed Peas.

Così lo guarda sparire, impotente, e lascia cadere le braccia lungo i fianchi mentre la scarica di adrenalina scivola via dal suo corpo. Jo e Beth si affacciano oltre le sue spalle da dietro, seguendo lo sguardo della sorella.

“Chi hai visto?” chiede Beth.

“Quella,” risponde Amy, a metà tra la meraviglia e la rassegnazione, “era la mia anima gemella”

 

 

Laurie si sveglia con lo stomaco sotto sopra, un alito spaventoso e un’emicrania lancinante, come se qualcuno cercasse di infilargli a forza dei chiodi nelle tempie. Con un lamento di dolore tenta di tirarsi su dal letto, per poi lasciarsi ricadere giù quasi subito. Si volta di lato quanto basta per accorgersi del secchio appoggiato a terra accanto a letto – secchio il cui contenuto non fatica ad identificare, seppur con una smorfia di disgusto.

Si stropiccia a lungo gli occhi e prende mentalmente nota di ringraziare Fred per averlo accompagnato a casa. È borioso in modo quasi insopportabile, a volte, ma è un buon amico. Poi, con un sospiro, si decide ad aprirli, piano. La sua memoria si ferma al terzo drink, dopodiché tutto ciò che è successo la sera prima scompare in un buco nero.

L’unica cosa di cui ha un vago ricordo sono due occhi grigi che…

Laurie balza su con la schiena, scioccato come se si fosse svegliando con . Si guarda intorno quasi sospettoso, mentre raccoglie ogni colore che lo circonda e lo scandaglia, lo esamina. Sbatte più volte le palpebre, quasi cercasse di svegliarsi da un sogno e, giusto per avere la certezza matematica che non lo sia, si pizzica un braccio. Senza neanche rendersene conto il suo viso si distende, e Laurie sorride. Poi si lascia uscire un sogghigno. Poi inizia a ridere.

E si ferma di colpo, sbattendosi un palmo davanti alla bocca per soffocare un conato. Deve essersi tirato su decisamente troppo in fretta per il suo stato attuale.

Salta giù dal letto, corre in bagno e il primo pensiero che formula, mentre si lascia cadere in ginocchio davanti al water, è quanto sia stato idiota ad arrivare fin lì pur avendo un secchio proprio accanto al letto.

Il secondo pensiero che formula – e che continuerà ad albergare nella sua mente nei giorni a venire – sono di nuovo quegli occhi. E con essi, poco per volta, scavando nella memoria con tutte le sue forze, il resto del viso a cui appartengono.

 

 

Il matrimonio di John e Meg si tiene cinque giorni dopo nel giardino di casa March. È felice ed intimo, malgrado la mescolanza fra parenti e amici che non si sono mai visti prima. Durante la funzione, le sorelle minori se ne stanno in piedi accanto a Meg, a testimoniare l’unione della sorella con la sua anima gemella, eleganti nella loro semplicità e sorridenti com’erano ad ogni Natale da bambine. Solo, se possibile, ancor più felici.

Meg e John si erano conosciuti due anni prima, entrando in contatto con un semplice e casuale tocco delle mani: passavano uno accanto all’altra lungo una corsia del supermercato, quando John aveva sfiorato le dita di Meg per prendere dei noodles. Un banale “scusi” mormorato senza guardarsi e aveva già gettato il prodotto nel carrello, per poi darle le spalle; Meg, d’altro canto, aveva risposto con altrettanta noncuranza “scusi lei”, aveva afferrato la salsa di soia e si era diretta dalla parte opposta.

Il tempo di fare tre passi e si era fermata in mezzo al corridoio, lasciando cadere la salsa a terra con un rumore di vetri rotti che l’aveva fatta sobbalzare. Invece di correre a chiamare qualcuno per scusarsi e offrirsi di ripagare il danno, si era voltata verso John con uno scatto, trovandolo già girato a guardarlo, rosso in viso e occhi stralunati.

Quella stessa sera, i noddles con salsa di soia li avevano mangiati insieme.

Malgrado la sua indole fredda e cinica, Amy ha sempre sognato un incontro del genere, romantico e dirompente. Perciò non riesce a credere alla sua fortuna quando, tra gli invitati dalla parte di John, scorge lui. Il sussulto che si lascia sfuggire fa girare sia Jo che Beth, che la guardando stranite. Amy si ricompone, scuote la testa brevemente come a lasciar intendere di stare bene e passa il resto della cerimonia a controllare il respiro, sbirciando di tanto in tanto verso la sua anima gemella. Oggi potrebbe essere la sua ultima occasione, e deve riuscire a parlarci.

Non sa nemmeno lei come riesce ad arrivare al termine del pranzo senza impazzire, fatto sta che il momento che ha aspettato con trepidanza per ore finalmente arriva. Poco prima del taglio della torta, John corre ad abbracciare proprio la sua anima gemella – e un altro ragazzo che era seduto accanto a lui durante la funzione.

I due si sfogano scherzosamente su John, tempestandolo di pugni e scompigliandogli i capelli fino a farlo ridere, con la familiarità che solo amici di vecchia data possono avere.

“Chi sono quelli?” chiede Amy, chinandosi verso Meg in tono piatto.

“Theodore Lawrence e Fred Vaughn”, spiega Meg guardando la scena intenerita, “sono amici di famiglia di John. È un po’ come fossero cugini alla lontana. Venite, ve li presento”

“Non mi aspettavo di trovarvi qui” sta dicendo John tra una risata e l’altra nel frattempo. “Vi credevo a Parigi, bastardi che non siete altro! Vi sembrano scherzi da fare?”

“Ma dai, Johnny-boy, non avrai pensato davvero che ce lo saremmo perso!” ribatte Laurie in tono scherzoso.

“Siamo tornati da una settimana, ma volevamo farti una sorpresa” soggiunge Fred.

Il discorso si interrompe con l’arrivo di Meg, che attira subito l’attenzione e i complimenti di entrambi gli invitati, finché non decide di procedere con le presentazioni. “Le mie sorelle: Amy, Beth e Jo”

Jo stringe la mano ad entrambi, subito imitata da Beth; Amy riesce a malapena a tenere ferme le gambe, mentre si prepara e sentire di nuovo il contatto con la sua anima gemella – un contatto più diretto, migliore… E invece non può ignorare la lieve punta di delusione che avverte nella mancanza del luccichio che avrebbe sperato di vedere negli occhi di lui. Non c’è elettricità nell’aria, nessun brivido che avrebbe potuto farle capire che anche lui sa chi è lei. Fred si limita a sorriderle con un occhiolino e a stringerle la mano.

‘Forse non mi ha visto in faccia’ si dice Amy, tentando di mascherare la confusione. ‘Forse non si è reso conto di vedere i colori finché non è stato troppo tardi’

È ancora impegnata a trovare scuse per il comportamento di Fred, quando arriva davanti a Laurie, che tiene lo sguardo fisso come un ebete alle spalle di lei – forse Beth o Jo, ma la cosa non le interessa – e, più per educazione che per reale interesse, si infila tra lui e l’oggetto della sua attenzione per stringerli la mano.

“Piacere” dice sbrigativa, sperando che in qualche modo si scanti e sbrighi a ricambiare, in modo da poter tornare a concentrarsi su Fred.

Ed è come prendere la scossa: alza gli occhi sui suoi, Laurie li abbassa a sua volta e… Wow. Solo… wow. Questo è ciò che Amy si sarebbe aspettata di sentire. Stringe le labbra, mentre si sente prendere fuoco da capo a piedi e osserva le pupille di Laurie dilatarsi e inghiottire le sue. Ci annega dentro per un tempo che le sembra un’eternità. Invece sono solo pochi secondi.

Per il resto della serata, Amy si impone di restare il più vicino possibile a Fred per studiare il suo comportamento e, se possibile, riuscire a “scuoterlo” un po’. Inutile dire che fallisce miseramente, ma nonostante ciò ammette di esserne affascinate. Le piace giocare a rincorrerlo e provocarlo, così come lui sembra divertirsi a fare altrettanto con lei. Chiacchierano, ridono e ballano perfino insieme. Ogni tanto le capita di gettare un’occhiata verso Laurie, immerso da tutta la sera in una profonda conversazione con Jo, lontano da balli e gossip.

Si chiede cosa diavolo sia stata quella cosa che ha sentito entrando in contatto con lui.

 

 

La stessa cosa si chiede Laurie, nei giorni successivi al matrimonio. Non si era mai sentito così prima, il che è strano, perché non aveva mai visto Amy March in vita sua. Comunque si distrae in fretta e, nelle due settimane a venire, riesce a frequentare Jo proprio come si era imposto di fare, tentando di capire se lei lo abbia riconosciuto. Dal modo in cui lo ha salutato al matrimonio si direbbe di no, ma poi tra loro è scattato qualcosa, un idem sentire che li ha portati a scambiarsi i numeri la stessa sera, dopo aver passato circa tre ore a parlare, isolati dal trambusto della festa.

A volte gli sembra di impazzire, a starle dietro. Lo tratta come fossero amici da una vita – e in un certo senso, anche lui la sente tale, come se le loro anime si fossero toccate in altre vite precedenti e abbiano condiviso tanto –, senza dare il minimo segno di voler portare la loro relazione ad un altro livello. E oltre a non capire lei, Laurie fatica a capire sé stesso: ci sono giorni in cui sta così bene con lei, nella loro bolla di comprensione reciproca e amicizia sincera, che si ritrova a pensare che forse le anime gemelle non rientrino solo nella sfera romantica, ma anche in quella platonica; altri giorni invece si riscuote da quella che gli sembra una visione del mondo alquanto improbabile e si ricorda dei colori, si ricorda che li vede, e li vede da quando ha incontrato lei e gli sembra assurdo che lei non tiri fuori l’argomento. Deve saperlo, chi è lui.

Ma Laurie, da vero codardo quale è sempre stato, non affronta l’argomento per primo.

Prima o poi, quando si sentirà pronta, sarà Jo a farlo. Ma fino ad allora, lui aspetterà.

Quando una mattina lui e Jo decidono di andare in biblioteca insieme – così che lei possa lavorare al suo libro e lui fingere di tenersi occupato a leggere mentre in realtà osserva lei –, Jo recupera quello che le serve dalla scrivania, invitando Laurie ad aspettarla di sotto e a prendersi qualcosa da bere. Laurie obbedisce, arriva di sotto e, seduta al tavolo della cucina, trova Amy, con una fetta biscottata a mezz’aria e una matita nell’altra mano, gli occhi fissi sul quaderno, finché non lo sente entrare.

Laurie si ferma di botto, temendo di averla interrotta nel mezzo di qualcosa di importante. “Scusami!” esclama.

“Tranquillo” risponde subito Amy, mollando la matita e afferrando il cartone di succo. “Ne vuoi un po’? Fa caldo fuori”

“Sì, grazie” conviene Laurie. Amy si alza per prendergli un bicchiere e Laurie sorride alla vestita del suo pigiama rosa con i conigli. “Grazie, davvero. Aspetto che Jo scenda”

“Lo so, è sempre in ritardo” mugugna Amy con la bocca piena.

Laurie beve avidamente il succo ancora freddo di frigorifero e sciocca le labbra. Amy balza a sedere sul ripiano della cucina e dondola le gambe avanti e indietro con un sorriso. La luce che filtra dalla finestra rende i suoi capelli biondo cenere quali bianchi, gli occhi azzurri brillano vispi. Lo stomaco di Laurie fa una capriola. Cerca di dissimulare guardandosi intorno: sul tavolo, accanto a lui, c’è una bacinella con acqua e sapone. Gli sembra di vedere un top all’interno, ma non volendo sembra inopportuno distoglie in fretta lo sguardo. Amy se ne accorge comunque.

“È la quarta volta in due settimane che lavo quel top” sospira con mestizia. “Non tornerà più come nuovo”

“Che gli è successo?” ridacchia Laurie.

“Lascia stare” Amy scuote la testa, come se il ricordo da solo fosse sufficiente a mandarla in depressione. Laurie getta un’ultima occhiata alla bacinella. Gli sembra di averlo già visto, ma non vale la pena rimuginarci troppo su.

“Che classe fai, Amy?”

“Tra un mese andrò al college”

“Ah, bene. E dove?”

“NYU. Ho vinto una borsa di studio”

“Beh, complimenti! Emozionata?”

“È una domanda retorica, vero?” ride Amy. “E tu cosa fai?”

“Mi sono laureato giusto due mesi fa. Economia” Laurie rotea gli occhi. “Non proprio uno spasso, in effetti”

“Perché l’hai fatto se non ti piaceva?”

La domanda lo spiazza. Non perché non gli sia già stata fatta dozzine di volte negli ultimi quattro anni. Semplicemente, è la prima volta che qualcuno glielo chiede senza malizia alcuna. C’è solo pura, sincera curiosità nel tono di Amy. Per questo non gli pesa affatto risponderle.

“Ho avuto la sfortuna di nascere in una famiglia in cui le aspettative avevano un certo peso” ammette in tono rassegnato. “E poi, qualcuno doveva mandare avanti gli affari dopo mio padre. Ed essendo figlio unico…”

“Tocca a te” conclude Amy per lui, con un velo di dispiacere. “È un peccato. Cosa avresti fatto, se avessi potuto scegliere?”

“Beh, un sogno ce l’avrei, ma purtroppo non può essere un lavoro”

“Guarda che le due cose non devono per forza coincidere” puntualizza Amy.

È incredibile come un’osservazione così ovvia, detta da una diciottenne semi-sconosciuta, riesca a farlo sentire così leggero. Forse era solo questo che aspettava di sentirsi dire da qualcuno. Trattiene un sorriso e abbassa gli occhi. È la prima volta che lo dice ad alta voce, e si stupisce di quanto sia bello poterlo fare:

“Io avrei girato il mondo” confessa. “Intendo, in lungo e in largo. Senza sosta. E senza dover rendere conto a nessuno”

Amy sbatte le palpebre, sinceramente colpita.

“Wow” esclama. Poi, con un’alzata di spalle: “Beh, puoi sempre farlo. Nel senso, potresti lavorare per qualche anno, come tutti si aspettano che tu faccia… E intanto metti da parte per viaggiare. Poi un giorno mandi tutti al diavolo e parti”

Laurie si lascia scappare un risolino.

“Avevo quasi in mente di farlo, ma sai...” indugia qualche secondo, prima di condividere un ultimo, piccolo particolare. “Poi ho incontrato una persona”

Amy sembra capire subito e sorride con aria furba. “Ho capito” dice.

Per un attimo Laurie teme di aver detto troppo, e che Amy possa aver capito a chi si stava riferendo, ma viene smentito subito dopo.

“Beh, non indagherò oltre” concede Amy con il solito sorriso sornione, balzando giù dal ripiano. “Ma una cosa te la devo chiedere: perché non portarla con te, a questo punto?”

Laurie incassa il colpo. Già. Viaggiare è sempre stato il suo sogno, ma farlo con la sua anima gemella sarebbe un idillio irraggiungibile. Gli è bastato poco per conoscere Jo abbastanza da sapere che non intraprenderebbe mai una scelta di vita simile, se significasse rinunciare o rallentare il suo processo creativo. Come lei stessa gli ha detto durante una delle loro chiacchierate, scrivere è un lavoro immensamente solitario. Per non parlare dei corsi di scrittura creativa che sta tenendo a New York, dove dovrà tornare in autunno per la ripresa dell’anno accademico. Solo a pensarci, gli viene da sbattere la testa contro il muro.

“Non credo di poterlo fare” replica con un sorriso forzato. “Anche lei ha un sogno e… Diciamo che cozza con il mio”

È solo in quel momento che la sua attenzione viene rapita dal quaderno sul tavolo.

“Ah” esclama, avvicinandosi. “Ti alleni per il college?”

Amy si avvicina al tavolo saltellando. “Uh-uh” risponde, aprendo il quaderno per intero e piantandolo a un palmo dalla faccia di Laurie. “Guarda”

Laurie lo afferra e lo sfoglia partendo dall’inizio. Chissà per quale motivo, la vicinanza fisica di Amy gli fa quasi sudare le mani, perciò si focalizza sui disegni. Sono perlopiù ritratti della sua famiglia e altre ragazze che Laurie suppone siano le sue amiche, nature morte e paesaggi. Ma la cosa che più lo fa sorridere è che, da un giorno all’altro, Amy inizia ad usare i colori.

“Deduco ci sia stato un cambiamento importante nella tua vita” butta lì in tono noncurante.

Amy gli dà una gomitata. “Come sei sveglio” ribatte, ridendo. “Beh, come sono?”

“Molto belli” risponde Laurie sinceramente. “Sei un talento molto promettente”

“Lo so” sospira Amy con fare teatrale. “Ma mi mancano le basi teoriche. E poi dovrò trovare il mio stile, affinare la tecnica… Ma per questo c’è il college, immagino. Sai, mi piacerebbe entrare nel campo dell’illustrazione di libri per bambini. Con Jo abbiamo un progetto futuro insieme: lei scriverà i libri e mi occuperò dei disegni”

“Mi sembra un bel piano!”

“Sì, beh, ci vorranno anni prima che io raggiunga quel livello ma ci arriverò”

“Eccome se ci arriverai…” Laurie si ferma, ci pensa un po’ e su e infine, riprendendo a sfogliare il quaderno. “Tua sorella…” Si morde la lingua e assume un tono casuale. “Cioè, le tue sorelle vedono tutte i colori, giusto? A parte Meg, ovvio”

Una parte di lui si vergogna di quello che le ha appena chiesto. Non dovrebbe avere dubbi su sé stesso e Jo. Nessuno dovrebbe averli sulla propria anima gemella… Ma non c’è niente di male ad esserne sicuri. Amy per fortuna non dà segno di aver notato la sua lotta interiore, e annuisce.

“Jo li vede, Beth ancora no”

Laurie fa un vago cenno assentivo del capo.

“Sai, ho sempre pensato che le persone che vedono i colori si riconoscano dallo sguardo” osserva. “Hanno un qualcosa”

Amy lo guarda fisso negli occhi, in equilibrio perfetto tra il derisorio e l’innocente; Laurie ricambia lo sguardo.

“Sei sempre così romantico, Laurie?” ridacchia Amy.

“Che male c’è? Possiamo permettercelo” ribatte lui. “Ti immagini vivere in un universo in cui queste cose non esistono?”

“Le anime gemelle, intendi?”

“Beh, sì. Anzi, no, peggio: le anime gemelle esistono, ma non c’è modo di riconoscerle”

Questo sembra turbare davvero Amy.

“Non farmici nemmeno pensare!” esclama, rubandogli il quaderno dalle mani e chiudendolo con uno scatto. “Sarebbe un universo di merda!”

“Già, vero?”

 

 

Al suono del campanello, Amy scende le scale di corsa, per non costringere Beth ad interrompere gli esercizi di pianoforte. Ancora stenta a credere che Beth abbia vinto una borsa di studio per la Juilliard, seppur con un anno di ritardo per via della sua salute cagionevole, che l’ha costretta a passare metà della sua infanzia in ospedale e l’altra metà, inclusa la preadolescenza, istruita a casa lontana dai suoi coetanei. Ha iniziato ad andare a scuola dal liceo, nella stessa classe di Amy sotto insistenza di Marmee, per facilitarle le cose, e così è stato. Il prossimo autunno raggiungeranno entrambe Jo a New York, e le cose non potrebbero andare meglio…

Se solo Fred si sforzasse di darle un segnale. Sono già usciti insieme un paio di volte, ma niente. Amy è sempre stata sicura di sé, e non ha certo paura di fargli capire ciò che vuole – anzi, le sembra di averlo reso abbastanza palese –, ma da qui al decidere di fare lei la prima mossa ce ne passa. Andrebbe contro i suoi principi, e non ha intenzione di cedere per facilitare la vita a un uomo che non si sta dimostrando abbastanza coraggioso per i suoi standard. A volte si ritrova perfino a gonfiare i pregi di Fred per essere sicura che ne sovrastino i difetti, quasi volesse assicurarsi che va tutto bene, la sua anima gemella è perfetta come se l’era immaginata… Ma non dovrebbe costringersi giusto? I suoi pregi dovrebbero apparirle evidenti, o almeno, così ha sentito dire da chiunque abbia trovato l’anima gemella.

Ci sta ancora pensando quando apre la porta di casa e si ritrova davanti Laurie. Come succede ogni volta che si ritrova in sua presenza, il suo stupido cuore manca un battito.

“Miss March” annuncia lui con un mezzo inchino. Lei risponde allo stesso modo.

“Milord”

È uno stupido saluto che hanno iniziato a fare qualche giorno dopo essersi conosciuti – iniziato da Laurie, ovviamente, per prendere in giro i modi di Amy che, a detta sua, gli ricordavano quelli di una dama dell’ottocento.

“La carrozza è qui per la principessa numero 2” la informa in tono solenne.

Amy aggrotta le sopracciglia. “Jo non te l’ha detto?”

“Che cosa?”

“Ieri è tornata a New York. È dovuta partire all’ultimo per sostituire un insegnante, non tornerà prima di tre settimane”

Laurie si aspetta un dolore innominabile, non tanto per la cosa in sé – del resto è partita per lavoro, tre settimane sono poche e New York non è neanche così lontana –, quanto più per essere stato lasciato indietro senza avvertimento. Si aspetta rabbia, tristezza. Delusione, più di tutto. E invece niente. Letteralmente niente, zero.

Amy sembra perfino più dispiaciuta di lui. “Oh, Laurie, mi dispiace! È stato così improvviso… Non avrà fatto in tempo a—”

“Ma no, non preoccuparti!” taglia corto lui. “Non fa niente”

Indugia un po’ sulla porta, e proprio quando Amy decide in un impeto di farlo entrare in casa, se ne esce con:

“Beh, senti, avremmo dovuto andare a mangiarci un hamburger e poi al cinema. Ti va di venire?”

Amy sente uno strano timore attanagliarla. Non sa neanche lei di cosa. È uscita con altri ragazzi prima di vedere i colori – diamine, è uscita con Fred, ci sta ancora uscendo –, ma non si è mai sentita così prima. È quasi difficile mantenere un contegno e non iniziare a saltellare per casa, di fronte a quella proposta.

“Davvero?” chiede, quasi balbettando.

“Certo” risponde Laurie stringendosi nelle spalle. “Beh, dovevamo andare a vedere The Conjuring, ma se vuoi possiamo cambiare”

“Cosa ti fa pensare che io non voglia vederlo?” domanda Amy con una punta di offesa.

Laurie non si lascia intimorire e inarca un sopracciglio. Le viene voglia di togliergli quel ghigno dalla faccia con uno schiaffo.

“Sai che è un horror, vero?”

“Certo che lo so, Laurie” Amy rotea gli occhi. “Nel caso tu non l’abbia notato, ho diciotto anni. Rientro perfettamente nel target”

“Pensavo solo non fossi la tipa”

“Lo sono eccome!” ribatte lei, più arrabbiata di quanto la situazione meriti. “Mi vesto e arrivo”

“Ok”

“Ok”

Gli sbatte la porta in faccia – lo sente ridacchiare da fuori – e corre su per le scale. Si ferma. Riscende.

Apre nuovamente la porta, affacciandosi solo con la testa. Laurie ha sceso i gradini e guarda la strada, quindi quando la sente arrivare si volta.

“Non sono un ripiego, vero?” chiede, senza neanche preoccuparsi di non sembrare patetica come in realtà le sembra di essere. “Cioè, hai ancora voglia di mangiare fuori, eccetera? O non vuoi stare da solo e basta?”

“Sì che mi va” ribatte Laurie in tono ovvio. E poi, di seguito, quasi lo dicesse neanche rifletterci. “Mi va di andarci con te

Amy si sente avvampare dalla testa ai piedi.

“Oh. Okay. Bene”

E richiude la porta con uno scatto.

 

 

“Muoviti, Amy, andiamo!” chiama Robert March in tono stanco, appoggiandosi al corrimano delle scale. “Sei stata tu a insistere a voler andare a fare shopping, non farmi cambiare idea!”

“Ovvio, papà, sto per andare al college!” ribatte Amy, prendendosi tutto il tempo per scendere mentre fissa lo schermo del cellulare con un mezzo sorriso. “Mi serve roba nuova. E serve anche a Lizzie!”

“Io non vengo” risponde la sorella quasi con timore, premurandosi di suonare un breve ritornello qualsiasi al pianoforte, nella speranza che basti ad Amy per capire che non vuole essere disturbata per una cosa inutile come la moda.

“Tranquilla, farò shopping anche per te, tanto portiamo la stessa taglia–”

Nel finire la frase va a sbattere contro il petto di suo padre, e solo a quel punto alza gli occhi dal telefono, incontrando lo sguardo severo di Robert, al quale risponde scoprendo i denti con un sorriso furbo. Robert stringe le labbra per qualche secondo, prende fiato e infine cede, lasciandosi andare in una risata esasperata ma divertita, scuote la testa e si avvia verso la porta. Funziona sempre.

“E di’ a Fred o come si chiama che vi sentite più tardi,” aggiunge, sforzandosi di assumere di nuovo un tono serio, “così una volta tanto ti staccherai da quel coso”

“Non sto parlando con Fred”

Robert si volta a guardarla confuso, ma prima che possa chiederle spiegazioni Amy gli è già passata accanto ed è uscita di casa. “Eddai, papi, andiamo!”

L’uomo la guarda stranito, per rivolgersi a Beth, i cui occhi vispi spuntano da dietro lo spartito aperto. Si affaccia aldilà delle pagine così che suo padre possa leggerle il labiale mentre sussurra: “Laurie!”

Robert spalanca gli occhi, la bocca-semiaperta a ritrarre la più totale confusione.

“Ma…” balbetta. “Ma io credevo che...”

Beth scuote la testa e si stringe nelle spalle con un sorriso arreso.

“Non ci sto capendo niente nemmeno io” dice.

 

 

Laurie non se ne rende neanche conto, ma tra un’uscita e l’altra con Amy, le tre settimane che lo separavano dal ritorno di Jo passano alla velocità della luce. È felice di rivederla, felice di riprendere i loro pomeriggi insieme e le serate al pub a bere birra, ruttare e cantare a squarciagola in macchina. Ma è ancora più felice quando riprendono a fare picnic sulla spiaggia, perché ci sono anche Amy, Beth, e John e Meg. Soprattutto Amy. È felice quando Jo lo invita a cena da loro e può passare il tempo a guardare Amy mangiare la pizza con una foga che quasi non le si addice – ma la rende buffa –, pulendosi la bocca col dorso della mano e attaccarsi direttamente alla lattina di Coca. È ancora più felice quando le invita a casa sua a guardare un film horror – giusto per fare dispetto ad Amy, dopo l’indimenticabile serata al cinema in cui ha passato tutto il tempo con la faccia nascosta nella sua camicia e Laurie cercava di tenere a bada i battiti accelerati del suo cuore – e può stuzzicarla su quanto sia credulona e paurosa. Lo è ancora di più quando vanno al luna park tutti insieme e Jo si offre di salire in coppia con Beth per farla sentire sicura, permettendogli di stringersi Amy addosso e urlare con lei, ridere con lei.

Non ha più molti dubbi sui suoi sentimenti quando Amy gli regala un ritratto che gli ha fatto in spiaggia di nascosto.

“Così non ti dimenticherai di me quando sarò a New York” annuncia.

Come se fosse possibile dimenticarla.

Laurie appende il disegno in camera.

 

 

Manca una settimana alla partenza delle sorelle March per New York e, mentre la prospettiva della lontananza da Jo lo intristisce, quella della lontananza da Amy lo deprime. Ci pensa da settimane. Perfino ora, mentre se ne sta seduto a gambe incrociate sul pavimento di Jo, ascoltandola mentre gli legge il suo ultimo racconto. A questo punto, tante vale rivelarle che sono anime gemelle. Del resto, ha aspettato per tutto questo tempo un segno da parte sua che non è mai arrivato. Gli è perfino capitato di pensare che forse Jo non abbia mai voluto affrontare l’argomento proprio perché sapeva di dover ripartire. Ma all’improvviso, stranamente, non gli importa più granché.

“E questa è la fine” annuncia Jo, chiudendo il quaderno. “Devo ancora revisionare il tutto per intero, ma tra una settimana sarà pronto. Andrà bene”

Laurie le sorride con ammirazione. Certo che andrà bene. Jo ha un dono.

“È bello che tu abbia trovato la tua passione” dice. “Ed è bello che tu possa farne un lavoro. Non tutti hanno questa fortuna”

“Lo so” Jo ripone il libro sulla scrivania e si siede con un sospiro. “Ma ti assicuro che è tanto una benedizione quanto una condanna. Come tutte le cose della vita, è un’arma a doppio taglio”

“Perché dici così?”

Di colpo, Jo si fa mortalmente seria. Non è un aggettivo che Laurie avrebbe mai usato per descriverla, perché non le si addice, non le appartiene, eppure in questo momento non potrebbe usare altro termine.

“Lo dico a te perché sei il mio migliore amico e... Beh, chiamami pazza, ma anche se ci conosciamo da poco, ti considero un fratello”

Laurie annuisce riconoscente, senza nemmeno più stupirsi della delusione che non sente a quelle parole. Jo prende fiato.

“Io vedo i colori. Da un po’, in effetti”

“Un po’ quanto?”

“Due anni”

Il sollievo travolge Laurie come un fiume. Non la delusione, non la disperazione. Il sollievo. E tutti i puntini vanno al loro posto: gli è sempre sembrato così forzato cercare di portare la sua relazione con Jo a qualcosa di più di un’amicizia, e gli è sembrato impossibile immaginarsi una vita con lei.

“E chi era?”

“Il mio professore di scrittura creativa. Il college mi diede l’opportunità di andare a Berlino per nove mesi. E ci conoscemmo lì. Non successe mai niente. Non provò neanche mai a toccarmi. Eccetto quando ci incontrammo per la prima volta, ovvio: io entravo, lui usciva. Ci scontrammo fuori dalla porta. Ci chinammo a raccogliere i fogli volanti che mi erano caduti a terra, il tempo di rialzare lo sguardo e vedevamo i colori” Guarda fuori dalla finestra con il viso disteso, come se riuscisse a vedere da qualche porto molto lontano. “Ma sapevamo che non poteva durare. Non tanto per la differenza di età –al tempo avevo diciannove anni, e lui trentadue –, quanto più per le nostre carriere”

“E non hai mai pensato di rimanere là?”

“In realtà, fu lui a valutare di trasferirsi. Sistemarsi qui una volta ottenuta una cattedra in qualche scuola, prendere casa e aspettare che io mi fossi realizzata. Sposarci”

Di tutto i momenti in cui poteva iniziare ad accusare il colpo, Laurie inizia adesso. Non riesce a credere che due persone che hanno avuto la fortuna di incontrarsi e riconoscersi al primo colpo scelgano di andare contro il destino di loro spontanea volontà.

“E allora cosa vi ha fermato?” chiede con un filo di voce.

Jo abbassa gli occhi, quasi si sentisse in colpa per qualcosa.

“Io” Si interrompe, incerta. “So che quello che sto per dirti ti sembrerà assurdo, ma... Quando hai una passione, non puoi relegarla a hobby. Devi prendertene cura. Altrimenti sprecheresti la tua vita. Io ho sempre saputo cosa volevo fare... e non avevo intenzione di sprecare la mia”

Laurie scuote la testa, in preda alla confusione. Non può credere che Jo abbia fatto un simile sbaglio. Non è possibile, non è giusto. Non se lo merita.

“Ma nessuno ti impedisce di essere amata” protesta. “Puoi avere entrambe le cose, no? Amore e arte”

“Non è così semplice” concorda Jo, guardandolo fisso. “Essere amata sì. Sono io che non posso amare nessuno. Non nella stessa misura in cui lui amava me. Vedi, Teddy...” Si abbassa sul pavimento davanti a lui e gli prende le mani. “Io ho amato tante cose, nella mia vita. E continuerò a farlo. Scoprirò nuovi hobby, nuovi posti, nuove persone... Ma non amerò mai niente come amo scrivere. E per questo sarò sempre un’egoista. Un’egoista e sola

Laurie stringe le labbra. Adesso capisce tutto. È triste, ma capisce.

“Non posso avere entrambe le cose” continua lei. “Una delle due finirà sempre per sovrastare l’altra. Non ci sarà mai un equilibrio. Alla fine si riduce tutto alla scelta del singolo... E io ho scelto l’arte. La prospettiva di vivere senza di lui era deprimente... Ma quella di vivere senza l’arte è spaventosa. Innaturale”

Laurie si prende il suo tempo per assorbire a dovere quelle parole. Jo lo lascia fare.

“Ho capito” dice alla fine. Jo lo abbraccia d’istinto. Lui ricambia. Quando sente la maglietta inumidirsi sulla sua spalla, capisce che deve stare piangendo, e la lascia fare accarezzandole i capelli con dolcezza. Decide che può permettersi di lasciarsi andare anche lui, per una volta. Così si lascia sfuggire un paio di lacrime, per poi asciugarle in fretta con rabbia. Si ripete che deve aver semplicemente urtato una ragazza a caso in mezzo alla folla, quella sera di due mesi fa in spiaggia, e che Jo sia stata la prima a cui si è trovato davanti. Deve essere per forza così.

Adesso rimane solo da accettare che, chiunque sia la sua anima gemella, non la troverà mai più.

 

 

“No, dico, ma ti rendi conto?”

“Oh, non farla tanto tragica, Amy” tenta di consolarla Meg in tono annoiato, stravaccandosi sul divano. “A tutti è capitato almeno una volta nella vita di prendersi una sbandata totale per qualcuno, solo scoprire che non è la nostra anima gemella una volta entrati in contatto fisico”

“Sì, ma per me è stato diverso!” puntualizza Amy in tono drammatico, stendendosi accanto a lei e allungando le gambe sopra quelle della sorella. “Prima ho visto i colori, poi ho saputo che non era la mia anima gemella! Questa cosa non è reversibile… Insomma, non posso tornare a non vederli… E poi il modo! Il modo dannatamente imbarazzante e penoso in cui l’ho scoperto! E fortuna che gli ho chiesto un parere su che colore avrei dovuto usare per finire! Mi ha guardato come fossi matta, dovevi vederlo… ‘Quello che vuoi, Amy, tanto non noterò mica la differenza!’ Non so neanche come ho fatto a fare finta di niente…’

Amy va avanti a lamentarsi per venti minuti buoni e, malgrado lei e Meg abbiano occupato abusivamente il suo studio, John Brooke non osa interromperla, limitandosi ad alzare gli occhi dal PC di tanto in tanto per scambiare un’occhiata divertita con sua moglie. Un po’ gli dispiace: se avesse saputo che Fred non vedeva i colori – o che Amy fosse convinta di essere la sua anima gemella – glielo avrebbe detto prima. In effetti, non ricorda di aver mai menzionato l’argomento “colori”, tra amici, se non per qualche battuta smielata o cinica. È solo che prima di incontrare Meg la cosa non gli era mai interessata. Adesso, però, si domanda quanti dei suoi amici li vedano – se li vedono – e da quanto.

A un tratto gli viene in mente una cosa. Ci mette un secondo a collegare i puntini. Una volta fatto ciò, il sorrisetto gli esce spontaneo.

“Amy” dice senza smettere di sorridere, guardandola da dietro gli occhiali. “Perdonami se interrompo il tuo sfogo, ma in tutto questo non ti pare di esserti dimenticata qualcosa?”

“Cos’altro, di grazia?” ribatte Amy, con la faccia di chi sta per essere informato un’apocalisse zombie in arrivo.

“Chi altro c’era quel giorno in spiaggia?”

“Con Fred, intendi?”

“È vero” conviene Meg, aggrottando la fronte. “Al matrimonio Laurie me l’aveva accennato… Diceva che fino all’ultimo lui e Fred sono stati indecisi se andarci o no, per paura che ci fossimo anche John ed io e che lui li vedesse, rovinando la sorpresa che poi ci hanno fatto al matrimonio…”

Vedere la realizzazione farsi largo sul volto di Meg è impagabile, ma lo è ancora di più vederla in quello di Amy.

“Hai provato a controllare Laurie?” le chiede John.

“Eh?”

“Hai provato a chiedere da quant’è che li vede Laurie?”

“Laurie vede già i colori”

“Sì, ma da quanto?”

Meg copre il sorriso enorme che le si apre in viso con le mani, cercando di nascondere una commozione che John, conoscendola meglio di chiunque, coglie lo stesso. Non è mai stata così bella.

“Oh, mio Dio, Amy” esclama la maggiore. “Ce l’hai avuto sotto il naso tutto questo tempo! Solo che non era Fred”

Amy ci pensa giusto un paio di secondi. Prima che chiunque possa aggiungere altro, si è alzata di scatto dal divano, scattando verso la porta.

“Prendo in prestito la tua bici!” urla, con un piede già fuori.

È così felice e leggera, mentre sfreccia verso casa di Laurie, che potrebbe iniziare a volare e non ci troverebbe niente di strano.

 

 

“Pronto?”

“Laurie, dove sei?”

“… A casa, perché?”

“Ecco, bravo: restaci”

“… Ti senti bene, Johnny-boy?”

“Ti spiegherà tutto Amy, sta venendo da te. Tu non muoverti, ok?”

“E dove vuoi che vada?”

“Già. Pigro che non sei altro”

“John—”

La chiamata si interrompe. Laurie guarda stranito il cellulare.

‘Ma che accidenti gli è preso?’ si chiede.

Ha giusto il tempo di rallegrarsi al pensiero di vedere Amy, seppure all’improvviso e senza un motivo preciso, quando un lampo gli attraversa il cervello. E se…?

No, impossibile.

Però…

Dopo essere rimasto in piedi in mezzo alla stanza per cinque minuti, si decide a chiamare Jo. Se le cose stanno davvero come crede, dopo tutto questo macello, il minimo sarebbe sbattere la testa contro il muro fino a sfondarlo.

“Laurie, che c’è?” sibila nervosamente Jo al telefono. “Sono in biblioteca, non posso parlare...”

“Ricordi la festa in spiaggia del quattro luglio?”

“Sì, ma che c’entra?”

“Con chi eri?”

“Mica ci sono andata. Mi sono solo intrufolata a cercare Beth ed Amy”

“Per caso ricordi se…” Respira a fondo, cercando di non far tremare la voce. “Se Amy è andata a sbattere contro qualcuno?”

“A sbattere contro… Uhm, sì, ora che mi ci fai pensare in effetti è successo. Qualcuno l’ha urtata da dietro, ma non ho visto chi, c’era un sacco di gente... Oh, insomma, ma che vuoi, Laurie?”

Laurie guarda fisso davanti a sé, lasciando scendere pian piano la mano che regge il telefono. Qualcuno si attacca al campanello senza sosta. Laurie sobbalza per la sorpresa, lascia cadere il cellulare e corre alla porta.

Quando si ritrova davanti Amy, rossa in viso e col fiatone, non ha più dubbi.

“Ehi” butta fuori lei a corto di fiato.

“Ehi”

Non sa chi dei due si muova per primo, fatto sta che si ritrova le braccia di Amy intorno al collo e le loro labbra premute insieme e tutta la fatica, la solitudine e la confusione si sciolgono. Era questo che stava aspettando.

Continua a baciarsi per un’infinità di tempo, finché non sono costretti a separarsi per riprendere fiato, fronte contro fronte. Laurie cerca qualcosa di brillante da dire, o di romantica, in alternativa. La sua testa è completamente vuota.

“Mi dispiace di averti fatto cadere il drink addosso”, è l’unica cosa che riesce a dire.

Amy ride, accarezzandogli la guancia.

“Mi devi un top”

Laurie fa per riprendere a baciarla, ma Amy gli copre la bocca con la mano.

“Quando avrò finito il college” dice, guardandolo fisso negli occhi, “voglio che viaggiamo. Voglio che realizzi il tuo sogno... E voglio esserci anch’io quando lo farai”

Laurie sorride contro la sua mano. Gli sembra di aver aspettato cent’anni. Ma finalmente, eccoli lì.

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