16 maggio 2023

di nikita82roma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Era un martedì mattina che sembrava domenica.

[la sera prima]

Elizabeth, Richard e James, per tutti Lily, Reece e Jake, fecero i salti di gioia quando era stato detto loro che l’indomani non sarebbero andati a scuola, anche se all’inizio pensavano fosse uno dei soliti scherzi del loro padre burlone.
Invece era proprio così, Castle lo aveva confermato alla sua figlia maggiore quando la vide intenta a preparare diligentemente il suo zaino la sera precedente.
“Mamma è d’accordo?” Gli chiese dubbiosa.
“Lo sarà.” Le rispose dandole un bacio tra i capelli.
“Quindi non lo sa ancora.” Lo guardò dal basso all’alto con quello sguardo a metà tra il severo e l’interrogativo che aveva ripreso tutto da sua madre.
“Non ti preoccupare.” Le fece l’occhiolino cercando complicità, ma non sembrava cedere facilmente
“Glielo dirai?” Chiese ancora cercando rassicurazioni.
“Certo. Ma domani abbiamo una giornata speciale. Quindi con l’autorità di padre che mi è concessa ho sancito che domani tu e i tuoi fratelli non andrete a scuola.” Disse con una solenne voce impostata facendo sorridere sua figlia che a questo punto aveva abbandonato lo zaino per dirigersi a letto.
“Che vuol dire sancito?” Gli chiese mentre lui le rimboccava le coperte.
“Deciso.” Le sussurrò all’orecchio dandole un altro bacio mentre la sua piccola si ripeteva la nuova parola appena imparata. “Dormi bene piccola.”
Uscì da quella che un tempo era la camera di sua madre diventata ora la stanza di Lily per andare nella vecchia stanza di Alexis, dove i gemelli stavano, come al solito, facendo una lotta con i cuscini saltando da un letto all’altro.
Non si fermarono nemmeno quando l’imponente figura del loro padre fece capolino dalla porta schiarendosi la voce.
“Richard Johan Castle! James Martin Castle!”
Pronunciò i nomi dei suoi figli scandendo bene ogni sillaba e uno dopo l’altro si fermarono lasciando cadere i cuscini e continuando a molleggiarsi incerti sul materasso.
“È ora di dormire.”
“Niente scuola papà!” Disse Jake allargando le braccia a giustificarsi.
“A letto!” Replicò il genitore non facendosi intenerire dalla faccia malandrina del figlio.
Reece nel frattempo era sceso andando ad eseguire quanto chiesto dal padre, lasciando solo suo fratello a perorare la loro causa, ma dopo uno sguardo più severo anche Jake si lasciò convincere.
Così come aveva fatto con Lily, rimboccò anche a loro le coperte, baciando prima Jake e poi Reece che prima che se ne andasse gli prese la mano.
“Chiamiamo mamma?” Gli chiese con la voce tremolante e gli occhi che stavano per riempirsi di lacrime.
“Mamma adesso sta lavorando. Non possiamo chiamarla. Lo facciamo domani mattina, ok?” Passò la mano tra i suoi capelli e annuì, con poca convinzione. Reece tra tutti i suoi figli era quello che di più soffriva la mancanza di Kate quando non c’era. Lei gli diceva sorridendo che era colpa del nome e se Reece aveva preso tutto il lato del suo carattere romantico e il suo amore viscerale per Kate, Jake invece aveva tutta la sua sfacciataggine e intraprendenza che lo aiutava a celare spesso le sue emozioni. Il piccolo annuì e Rick rimase ancora un po’ con lui, prima di andare a salutare anche Jake che fantasticava raccontandogli storie apparentemente senza senso a cui Rick cercava, invece, di dare risposte sensate: in nessun modo avrebbe limitato la fantasia e l’immaginazione dei suoi figli. Quando li vide entrambi tranquilli e pressoché addormentati, abbassò la luce sul comodino lasciando appena un leggero chiarore e se ne andò chiudendo piano la porta. Se c’era una cosa che lo faceva ritenere molto fortunato era che i gemelli una volta addormentati non si svegliavano fino alla mattina successiva, persi in un sonno profondo, proprio come era lui quando era piccolo.

Castle scese le scale del loft dopo aver controllata ancora una volta che tutti i suoi figli dormissero tranquilli. Era un padre a tempo pieno impegnato e preoccupato di assicurare a tre piccoli Castle tutto quello di cui avessero bisogno, con lo stesso entusiasmo che aveva avuto con Alexis e in più la consapevolezza di un’età più matura e anche la fatica che questo comportato. Tutto moltiplicato per tre.
Ma non era solo questa volta. C’era Beckett con cui condividere tutte le gioie e le preoccupazioni. Perché lei c’era sempre, anche quando non era a casa. Passavano ore al telefono a parlare di loro e dei loro figli, per decidere ogni aspetto della loro vita e della loro educazione, dalle piccole alle grandi cose: Kate non voleva perdersi nulla a Rick faceva in modo che non accadesse.
“Mi manchi”. Le scrisse di getto un messaggio mentre attraversava il loft, dove pupazzi, giochi e peluche avevano preso il sopravvento su tutto il resto. Guardava la spunta che non diventarono due. Sapeva che non poteva leggere, ma aveva bisogno in quel momento di scriverglielo, voleva che fosse la prima cosa che avrebbe letto quando avrebbe acceso di nuovo il suo telefono.
Raccolse alcune delle macchine dei gemelli lasciate pericolosamente in mezzo alla stanza e le mise nella cesta con gli altri giochi, spostò tricicli e monopattini appoggiandoli vicino al grande orso appoggiato alla libreria, controllò l’ora, era sono le nove di sera, mancavano ancora almeno 4 ore prima che Kate sarebbe tornata. Andò a sciacquare le tazze lasciate sul tavolo, pulì le tracce dei biscotti che erano rimaste in giro e quando stava per sedersi sul divano vide la luce dello schermo del suo telefono accendersi. 
Pensò che fossero i ragazzi del distretto che gli chiedevano qualche consulenza, come ancora ogni tanto facevano e invece trasalì nel vedere che era sua moglie.
“Anche tu. Anticipato il volo. Atterrata adesso. Tra poco arrivo.” Sorrise per il suo modo sempre più contratto di scrivere per la fretta con cui faceva tutto, ma non si piegava a mandare quei messaggi audio che tanto odiava.
Sentì le farfalle nello stomaco come un adolescente ai primi appuntamenti. Aveva più di 50 anni, era sposato da otto e aveva tre figli. L’amava come il primo giorno, forse di più. 

Avevano continuato a mandarsi messaggi per tutto il tragitto di Kate dall’aeroporto a casa. Come due ragazzini si scrivevano cose stupide e sdolcinate, aggiornandosi su quanti minuti sarebbero passati prima di vedersi.
“Sto scendendo dall’auto” gli scrisse e lui si precipitò dietro la porta del loft che aveva socchiuso, ascoltando nel silenzio della notte ogni rumore che proveniva da fuori. 
Sentì l’ascensore arrivare al piano e scostò appena la porta per guardare fuori. Non c’era bisogno che la vedesse, riconosceva perfettamente il rumore dei suoi tacchi nel corridoio che si mischiava a quello delle ruote del trolley che strusciava e appena la sentì ferma davanti all’entrata fu lui ad aprire la porta cogliendola di sorpresa.
La avvinghiò in un abbraccio possessivo trascinandola dentro. Riuscì a chiudere la porta senza fare troppo rumore e appena dentro Kate abbandonò la presa dal suo bagaglio per ricambiare anche lei l’abbraccio del marito. 
“Mi sei mancata terribilmente” le disse tra un bacio e l’altro mentre la teneva appoggiata con le spalle alla porta.
“Anche tu, amore mio.” Ricambiò i suoi baci accarezzandogli il volto fino a quando non divenne più audace, scendendo a baciarle il collo, lì dove sapeva essere più sensibile. “Castle…” sussurrò scossa da un brivido.
“Dormono tutti e tre.” La tranquillizzò prima che potesse chiedergli altro, già sapendo cosa gli avrebbe chiesto.

Le labbra e le mani divennero sempre più intraprendenti mentre erano ancora all’entrata di casa. Era sempre uno dei loro posti preferiti, come la prima volta, come ogni volta.
Senza mai separarsi arrivarono in camera da letto dove i vestiti divennero presto di troppo tra loro ed il letto il loro rifugio dove lasciarsi andare, dove erano solo marito e moglie, amanti, Rick e Kate, Castle e Beckett. Dove erano solo loro, con i loro baci, le carezze, i sospiri, i gemiti, i corpi che si intrecciavano, l’odore che si mischiava e il sapore che si confondeva sulla labbra. E tutto il mondo fuori, mentre abbracciati respiravano affannati ancora attraversati dal piacere.

Non si erano addormentati subito. Kate era stanca del viaggio, del fuso orario, di quei 5 giorni di lavoro intenso dall’altra parte del paese che si erano aggiunti ad altrettanti a Washington, di incontri, comizi e tutto quello che proprio non riusciva a farsi piacere del suo lavoro di senatrice. Ma si stava impegnando per fare la differenza, per fare del bene e nonostante tutto si sentiva appagata. Kate era stanca, ma non abbastanza stanca per privarsi di quei momenti con suo marito, di quegli abbracci, di poter essere cullata sul suo petto che si alzava e abbassava, di ascoltare il suo respiro e il battito del suo cuore. Era lì che era a casa, tra le sue braccia.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Si era svegliata presto la mattina e ancora era abbracciata a lui, indolenzita nella stessa posizione in cui si era addormentata: Rick non l’aveva lasciata mai. Gli dava dei piccoli baci silenziosi sul petto e alla base collo, amava il sapore della sua pelle sulle labbra, amava tutto di lui e ormai non riusciva più ad immaginare la sua vita senza di lui. Castle l’aveva cambiata, stravolta, resa migliore. Le aveva aperto gli occhi e il cuore a tutto il bello del mondo che cominciava da lui: tutto quello che di bello aveva e che era si rendeva conto che era per lui e gliene era grata ogni giorno. Non sarebbe nemmeno stata viva se non fosse stato per lui. Erano passati esattamente dodici anni da quel giorno. Dodici anni dalla prima volta che le aveva detto “ti amo”. Dodici anni da quando aveva inconsciamente capito che lui era la ragione per cui vivere e resistere. Dodici anni, un matrimonio, tre figli, tanti guai e tanto amore dopo erano lì, abbracciati all’alba di quel martedì che profumava di domenica.
Si accarezzava senza pensarci la cicatrice in mezzo al seno, solo una delle tante, non la più recente, non la più visibile, eppure quella che aveva cambiato tutto, più di quelle più presenti e più recenti. Erano solo sette anni prima e in quella casa avevano rischiato di morire entrambi. Ma ce l’avevano fatta e la loro vita era cambiata ancora. 
La mano di Rick prese la sua e poi fu lui ad accarezzarla piano. Come quella notte, come quella prima volta, lei fermò la mano di lui sul suo cuore.
“Troppi pensieri oggi eh…” le sussurrò tirando si sù ancora insonnolito.
“Avevo bisogno di essere a casa oggi. Con te.” Ammise candidamente. Non nascondeva più i suoi sentimenti e le sue paure. Era una delle cose che in questi anni aveva imparato a fare.
“Io ho sempre bisogno di stare con te.” Precisò lui sorridendo.
“Sei convinto che venire tutti a Washington sia la cosa migliore per i bambini?” Gli chiese ancora dubbiosa.
“Sempre, amore. Per loro, per me e per te.”
“Non ti mancherà qui?”
“Possiamo tornare quando vogliamo.”
Kate annuì. Forse quel posto sarebbe mancato più a lei, pensava. Era sempre così, lasciare un posto con tutti i ricordi che portava dietro era sempre difficile, soprattutto se quel posto era parte della sua vita con Rick e i suoi figli. Lo era stato per il suo appartamento, a cui non era ancora riuscita a dire addio e dove ogni tanto tornava per respirare i ricordi e lo sarebbe stato anche per il loft, anche se sarebbe sempre stata la loro casa a New York. Quella casa non era solo il luogo dove aveva rischiato di morire con suo marito, era dove si era dichiarata a lui, dove avevano fatto per la prima volta l’amore, dove lo aveva aspettato due mesi quando era sparito, dove aveva scoperto di essere incinta la prima volta, dove aveva fatto crescere tutti i suoi figli, doveva aveva festeggiato la prima volta il Natale dopo anni. Era casa.
Avrebbero creato altri ricordi a Washington e poi le sarebbe dispiaciuto anche andare via da lì, quando sarebbe stato il momento, perché loro erano di New York ed erano già d’accordo che era lì che poi sarebbero tornati.
Rick la osservava mentre era persa nei suoi pensieri e quando se ne rese conto lo baciò prima di alzarsi.
“Credo che qualcuno muoia dalla voglia di vederti al piano di sopra.” Le disse mentre la osservava vestirsi.
“Anche io non vedo l’ora.” Erano passati poco più di dieci giorni da quando li aveva salutati eppure le sembrava un secolo. Ecco perché avevano deciso di trasferirsi a Washington perché in realtà anche a lei questa situazione cominciava a pesare, per quanto volesse nasconderlo, soprattutto quando nelle loro interminabili videochiamate non poteva non notare come i suoi figli diventassero tristi quando doveva interrompere la comunicazione e soprattutto negli ultimi tempi, quando poteva, rimaneva in linea con loro fino a quando non si erano addormentati, e poteva solo osservarli dormire al di là del tablet.

Salì piano le scale e senza fare rumore aprì la porta di camera dei gemelli che dormivano ancora profondamente, quindi andò da Lily che appena sentì la posta scostarsi e percepì la luce filtrare si svegliò.
“Papà avevi detto niente scuola!” si lamentò ancora mezza addormenta.
“Niente scuola tesoro.” Le disse Kate ormai vicino al suo letto e sentendo la voce di sua madre Lily si svegliò immediatamente illuminandosi.
Beckett si sedette sul bordo del letto prima di sdraiarsi vicino a sua figlia che la abbracciò venendo subito ricoperta di baci dalla madre.
Più passava il tempo più quella piccola donna le assomigliava nell’aspetto e nei modi. Castle le diceva che non poteva essere più uguale a lei nemmeno se l’avesse clonata e se all’inizio lo prendeva in giro per questo, ora non poteva che dargli ragione. Si rivedeva totalmente in sua figlia, che era ancora più decisa e perspicace di quanto lei non fosse alla sua età, ma avevano le stesse espressioni, lo stesso sguardo, gli stessi occhi, le stesse smorfie. Ma soprattutto avevano entrambe la capacità di far fare a Castle qualsiasi cosa volessero, incapace di dire di non quando lo guardavano con quello sguardo che solo loro potevano fare.
Dopo il momento degli abbracci e delle coccole, ci fu quello di Lily e dei suoi racconti. Le parlava a bassa voce per non correre il rischio che i suoi fratelli si svegliassero e avere la mamma ancora un po’ tutta per sé. Le fece un resoconto dettagliato di tutti i giorni che avevano trascorso lontane, pieno di quei dettagli inusuali per una bambina della sua età ma che lei giudicava importantissimi. Kate ascoltava attenta e divertita quando passava da cosa aveva imparato a scuola a tutte le volte che secondo lei suo padre aveva fatto delle cose che l’avrebbero fatta arrabbiare se lo avesse visto, sottolineando come lei lo aveva ripreso facendogli presente che a Kate non sarebbe piaciuto. Li aveva visti più volte battibeccare e riprenderlo bonariamente, ma evidentemente Lily prendeva tutto troppo sul serio e non aveva ancora capito quanto ai suoi giocatori piacesse punzecchiarsi e giocare tra loro. Avrebbero dovuto spiegarglielo meglio, anche se non sapeva come.

Aveva controllato l’orario e si accorse che quella era più o meno l’ora che i gemelli si svegliavano se non avevano scuola. Disse a Lily di prepararsi di di andare ad aiutare Rick per la colazione che lei sarebbe andata da Reece e Jake che avevano ancora bisogno di aiuto per la loro routine mattutina. Ubbidì a sua madre, non prima di un’altra generosa razione di baci e coccole che Kate fu ben felice di dare a quella bimba che per prima le aveva insegnato cosa volesse dire essere madre, che le aveva fatto scoppiare il cuore di felicità e paura quando aveva scoperto della sua esistenza così inaspettata e improvvisa e di amore pure appena l’aveva vista e stretta a sé. Lily era stata la bussola che aveva riportato la vita sua e di Castle sulla retta via dopo mesi di paure e dubbi. Era stata il loro faro verso un futuro possibile, verso quell’idea di famiglia che dopo l’attentato al loft credevano potesse essere solo un’utopia.

Entrò nella stanza dei gemelli ed ancora dormivano incuranti della sorpresa che era lì per loro. Avevano evitato di dire ai loro figli che Kate sarebbe arrivata quel giorno per non generare in loro false speranze: negli ultimi mesi era già accaduto due volte che Kate aveva dovuto cancellare o rinviare il ritorno a casa per impegni improvvisi in senato e quindi avevano deciso che non avrebbero annunciato il suo ritorno, soprattutto quando di mezzo c’erano riunioni e voli da una costa all’altra del paese.
Quando aveva scoperto la seconda volta di essere incinta non era stata una sorpresa e non era stato nemmeno inatteso, lei e Castle avevano deciso che avrebbero voluto un altro figlio. Non per questo fu meno spaventata perché si chiedeva se era possibile riuscire a dividere il suo amore e le sue attenzioni in maniera equa tra il bambino che sarebbe nato e Lily, che fino a quel momento aveva catalizzato tutte le loro attenzioni, e Castle. Aveva già sperimentato con la nascita della prima figlia che quell’amore in realtà non si divideva ma si moltiplicava ma non sapeva in ogni caso come avrebbe fatto. Poi la scoperta ed il terrore di sapere che non erano uno ma due bambini, due maschi per la gioia di Castle che in tutti i modi provava a rassicurarla che sarebbe stato splendido e loro l’avrebbero fatto funzionare, come tutto il resto. Ed aveva ragione, come sempre, funzionava tutto, anche se non era facile, e il suo amore continuava a moltiplicarsi tra i quattro Castle che rendevano splendida la sua vita.
Prese in braccio Reece e lo portò con sé nel letto di Jake. Aveva studiato un modo tutto suo per tenere i suoi due bambini, ma più crescevano e più era complicato, ma mentre Jake preferiva abbracciarla e stringerla, Reece voleva essere abbracciato, così lo faceva adagiare su di lei, mentre suo fratello si stringeva al suo fianco. Continuarono a dormire ancora per un po’, mentre lei posava lo sguardo alternandosi, meravigliandosi ogni volta di come fossero così uguali e diversi, due ometti con due personalità ben distinte e complementari. Adorava la loro complicità così come il loro ricercare i loro spazi, che avevano dimostrato fin da subito.
Reece si svegliò per primo, spalancando la bocca in un sorriso enorme quando si rese conto che sua madre lo stringeva e gli sorrideva. Reclamò quindi i suoi baci e voleva che lo abbracciasse più stretto nascondendo poi il viso tra i suoi capelli e accarezzandola. Reece era indubbiamente il più mammone dei tre, quello che aveva meno problemi a dimostrare il suo amore incondizionato, il suo bisogno di lei e a Kate questa cosa riempiva il cuore e metteva paura allo stesso tempo nel rendersi conto, ogni volta, di quanto lei fosse importante per loro. Era stato anche per questo motivo che aveva deciso, anche se non senza qualche dubbio, di lasciare la Polizia. Non era più in prima linea, ma quello che era accaduto sette anni prima era la dimostrazione che non poteva essere al sicuro perché lei era consapevole che avrebbe avuto difficoltà a fermarsi se si fosse trovata davanti a situazioni difficili. Sapeva che nemmeno la carriera politica la metteva al riparo al 100%, ma era diverso e se la sicurezza totale era impossibile da raggiungere per chiunque, almeno non sarebbe andata a cercarsi situazioni ad alto rischio.
Con le sue dimissioni da Capitano del dodicesimo distretto era arrivata anche un’altra novità per lei del tutto inaspettata. Castle le aveva detto che avrebbe finito il libro che stava scrivendo su Nikki Heat e che quello sarebbe stato l’ultimo, perché sarebbe stato giusto così. Si era fatta assicurare che non sarebbe morta, perché ormai al suo alter ego con il nome da spogliarellista si era affezionata. Castle la rassicurò, dicendole che non avrebbe mai potuto farlo, ma continuava a sembrare più preoccupata lei della fine di questa saga che lui. Nikki era stato il motivo per cui lui era rimasto al distretto, per cui loro si erano conosciuti, innamorati e avevano costruito la loro vita insieme. “Noi siamo molto più di Nikki Heat e non sto con te solo per l’ispirazione, dovresti averlo capito!” Le aveva ripetuto di continuo, eppure la sua paura iniziale era stata costante. Tanti cambiamenti, forse troppi. Ma poi tutto era andato bene, anche per Castle. Aveva cambiato casa editrice, aveva cominciato a scrivere, non senza qualche scetticismo da parte della critica che lo aveva dato per finito all’annuncio della fine della saga di Heat, romanzi impegnati, dei triller politici che, invece, avevano riscosso subito un grande successo non solo di pubblico inaspettatamente ma di critica. Aveva già pubblicato tre best seller, vincendo numerosi premi e sbancando nelle vendite. Stava andando tutto bene. Alcune volte Kate pensava che stava andando tutto troppo bene e che ci sarebbe dovuto essere un inghippo nascosto da qualche parte. Ma adesso si godeva la sua famiglia e tutta la gioia che le dava.

Anche Jake si era svegliato. Si era accorta perché la stretta era diventata silenziosamente più forte. I gemelli rimasero per un po’, un bel po’, nelle loro posizioni, godendosi semplicemente la presenza della mamma, fino a quando il loro status di bambini di nemmeno tre anni non prese il sopravvento scatenando un gioioso caos che la invase. E così improvvisamente cominciò ad essere reclamata da entrambi che la tiravano verso uno o verso l’altro, che le parlavano contemporaneamente e che volevano tutti e due la propria dose di attenzioni esclusive. Erano questi i momenti in cui pensava di poter diventare matta e doveva far ricorso a tutta la sua serietà e rigore per rimettere in riga i due ometti che tanto la amavano quanto temevano la sua voce autorevole. 
Riuscì prepararli e vestirli in tempi relativamente rapidi e appena sentirono la voce di Castle che li chiamava dal fondo delle scale, i suoi bimbi temerari, si precipitarono senza paura al piano di sotto.
Correvano nel loft e Kate riuscì a prendere al volo Jake che aveva inciampato in un pupazzo lasciato in giro proprio poco prima che cadesse e poi facendolo ondeggiare in aria lo portò direttamente a tavola dove Rick e Lily avevano già apparecchiato la tavola. 
Brindarono con succo d’arancia e caffellatte, mangiarono cupcake che Rick aveva comprato di nascosto il pomeriggio precedente, i pancake caldi e le uova con bacon croccante. 
Alla fine della scuola si sarebbero trasferiti a Washington, nei prossimi giorni avrebbero spedito le prime cose nella loro nuova casa, quella casa che Rick aveva comprato anni prima quando lei lavorava all’FBI e che non aveva mai venduto. Si era innamorato di quella casa e sentiva che avrebbero passato lì una parte del loro futuro. Non sbagliava. Mentre si erano persi uno negli occhi dell’altro, incuranti delle chiacchiere dei loro figli che mangiavo impiastricciandosi di cioccolata, Rick prese la mano di sua moglie sotto il tavolo. L’altra mano, in tasca, stringeva quel proiettile che dodici anni prima le aveva trapassato il petto. Lei non sapeva che lui lo aveva, forse un giorno glielo avrebbe detto o forse mai. Gli serviva per esorcizzare la paura di perderla, anche quando ancora non era sua. Ma ora lo era e lui era perdutamente di lei. Per sempre. 

Era un martedì mattina che sembrava domenica, ma loro avevano impararo a ritagliarsi i momenti belli quando potevano, quando capitava, quando volevano. Perché avevano capito che nella vita non c'erano momenti giusti, c'erano solo i momenti che loro rendevano giusti, ed anche un martedì poteva essere un giorno giusto per la colazione della domenica. 
Tutto era cominciato con uno scrittore che era rimasto folgorato da quella che sarebbe diventata la sua musa, ora erano una famiglia e sarebbe durato per sempre.


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Finchè qualcuno scriverà di loro, Castle e i Caskett non finiranno mai. Always.

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