La Divina Commedia e il gatto di Schrodinger

di MollyTheMole
(/viewuser.php?uid=1191145)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Il folle volo ***
Capitolo 2: *** 2. E dopo il pasto ha più fame che prima ***
Capitolo 3: *** 3. Quel giorno più non vi leggemmo avante ***



Capitolo 1
*** 1. Il folle volo ***


La divina commedia e il gatto di Schrodinger

 

1. IL FOLLE VOLO

 

Dante l’aveva avvisata. 

- Sei proprio sicura di volerlo fare?-

- Che cosa intendi?-

- Mi sembra un viaggio bello lungo. Te la senti?-

- Ho fatto di peggio. La fatica non mi spaventa.-

Ed era vero. Aveva fatto di peggio. Come quella volta, in cui aveva volato direttamente da Sydney a Tel Aviv, recuperato un titano e da lì era tornata direttamente a Rotterdam senza fare nemmeno una sosta.

Per questo motivo non aveva proprio capito, sulle prime, l’insistenza di Dante, il quale al telefono l’aveva invitata più volte a fare una scelta diversa.

- Vedi, Zhalia, devi sapere che l’Italia è un paese bellissimo. Ci sono nato, è casa mia e non lo cambierei per nulla al mondo. Ha tanti pregi e purtroppo, anche tanti difetti.- 

… ok.

- Noi italiani abbiamo il potere innato di complicare le cose che nascono geneticamente semplici. Ormai è una filosofia di vita. Prendiamo i mezzi con la consapevolezza che avremo un certo margine di tempo da mettere in conto per i ritardi. Andiamo in un ufficio pubblico con la consapevolezza che ci vorrà un mese per far passare un documento dalla porta di un ufficio all’altra.-

- Stai cercando di dirmi che potrebbe succedere qualcosa?-

- Non sto cercando di dirtelo, Zhalia. Io sono sicuro che succederà qualcosa. E’ il venticinque d’aprile, da noi è festa nazionale. E a Venezia è il santo patrono. Ci saranno turisti a bizzeffe. E’ scontato. Matematico.-

A quel punto gli aveva chiesto sarcastica se anche essere catastrofici e fatalisti fosse nel DNA degli italiani. Per tutta risposta Dante aveva riso, le aveva augurato buona fortuna ed aveva chiuso la telefonata.

Klaus era stato categorico. Nessun intoppo, nessun ritardo, niente perdite di tempo. La sua missione sarebbe dovuta andare liscia come l’olio. 

Step numero uno: infiltrarsi con profitto nella Fondazione Huntik.

Fatto.

Step numero due: avvicinare Dante Vale.

Fatto.

Step numero tre: localizzare la sua casa e mapparne l’interno.

Stava andando in Italia per questo motivo.

Step numero quattro - e il più complicato della check list: far innamorare Dante Vale, farlo fesso e poi farlo secco.

Su questo stava ancora lavorando.

La loro missione a Ginevra era capitata proprio a fagiolo. Guggenheim aveva affidato loro un compito facile facile: recuperare un titano minore. Quella volpe di Dante Vale aveva giustamente considerato quella sortita come un’occasione d’oro per conoscerla meglio, e Zhalia aveva sperato che fossero i giusti segnali per procedere allo step numero quattro.

Non le erano sfuggite le occhiate che le aveva lanciato in diverse occasioni al cimitero di Praga.

Si era fatta l’idea che i maschi, sotto sotto, fossero tutti uguali. Sì, c’erano quelli più o meno razionali, più o meno intelligenti, più o meno farfalloni, ma alla fine erano tutti quanti soggiogati dallo stesso, identico fattore. Manipolarli era tremendamente facile. Il trucco giusto, l’abbigliamento giusto, il giusto ammiccamento ed il gioco era fatto. 

Sarà anche stato il grande e potente Dante Vale, il geniale cercatore della Fondazione Huntik, il Mago di Oz, ma sotto sotto era un maschio come tutti gli altri, attratto dalle stesse, medesime cose da cui erano attratti quelli della sua specie.

Se non altro era gentile, ma anche in questo caso Zhalia sapeva che si trattava di apparenza, uno strumento per circuirla. Aveva capito che ai maschi piaceva sentirsi in controllo, erano animali da caccia, stimolati dall’idea di inseguire una preda, facile o meno che fosse. Durante questi approcci non passava loro nemmeno per l’anticamera del cervello che, in verità, lei era altrettanto brava a giocare a quel gioco. 

Così, lo aveva lasciato fare. Gli aveva permesso di mettersi in mostra. Che facesse pure il pavone. Chi era lei per impedirgli di sentirsi figo? 

Legarsi a Metagolem era stato davvero un colpo dal maestro.

Per lo meno, ha stile.

Poi, gli aveva permesso di fare la prima mossa chiedendole - professionalmente, ovvio - il numero di cellulare in caso di necessità per missioni future.

Sì, come no.

Infine, gli aveva consentito di fare il carino quando, sempre nel tentativo di fare il pavone, le aveva proposto di fermarsi a Venezia una notte prima di partire per Ginevra, per non stancarsi troppo.

Zhalia era rimasta entusiasta dell’invito, ed era convinta che lo fosse anche Dante, anche se per ragioni completamente diverse dalle sue. 

Così, per una volta fiduciosa verso il futuro e con la mente piena di sogni di gloria, aveva preso il biglietto aereo con il quale avrebbe volato verso l’Italia direttamente da New York. Otto ore di volo filato fino a Francoforte, dove avrebbe fatto scalo. 

Tenendo conto del fuso orario, sarebbe arrivata in Germania alle sei e trenta del mattino.

Arrivo a Milano Malpensa dopo un’ora e mezza di volo. 

Poi, aveva deciso di prenotare il biglietto per il treno navetta che l’avrebbe portata alla stazione di Milano Centrale. Da lì, avrebbe preso un Treno Alta Velocità per Venezia… Aspetta, quale stazione?

Mestre. Venezia Mestre.

A quel punto, si sarebbe addentrata nella parte storica di Venezia alla ricerca della prestigiosa villa di Dante Vale. Si sarebbe appostata, mappando il perimetro con l’Olotomo, e poi avrebbe bussato alla porta, pantera come soltanto lei sapeva essere. Sarebbe entrata e, fingendo interesse per l’arredamento, avrebbe mappato anche l’interno della villa. Avrebbe passato il resto del pomeriggio a convincere Dante Vale della sua buona fede e del suo sincero interesse per lui ed il giorno dopo sarebbero partiti per Ginevra

Facile facile. 

Nel suo piccolo bagaglio a mano aveva riposto tutto il necessario per l’operazione. Aveva scelto accuratamente la gonna, rossa, che si sollevava con il vento. La maglietta bianca a sottili righe blu, che le lasciava scoperte le spalle. Il profumo, non troppo aggressivo né troppo dolce, floreale e seducente al punto giusto. Il trucco al naturale, senza esagerazioni. Il sandalo senza pretese, il cappello a tesa larga sui lunghi capelli neri. L’occhiale da sole.

L’amuleto di Gareon al collo. 

Era stato tutto finemente calcolato.  

In quel momento, però, seduta sul sedile del suo volo Alitalia, stava cominciando a riconsiderare tutte le parole di Dante Vale, l’istrionico bellimbusto investigatore italiano.

La partenza dal JFK di New York era stata da manuale. 

L’atterraggio a Francoforte pure, alle sei e trenta precise precise.

La ripartenza, invece, era andata a rilento. Il suo volo era già in ritardo di mezz’ora, esattamente il tempo che aveva calcolato per uscire dall’aeroporto di Milano Malpensa e prendere la navetta per Milano Centrale.

Ergo, aveva praticamente perso il treno in Italia quando ancora si trovava a Francoforte.

Per non parlare del resto.

Zhalia sbuffò, la testa poggiata sul vetro del finestrino mentre osservava scocciata il paesaggio sotto di lei.

L’aereo stava continuando a girare in tondo sopra l’aeroporto. 

Uno, due, tre giri. 

Un quarto d’ora, mezz’ora, quarantacinque minuti.

Sommati ai trenta minuti accumulati alla partenza, poteva annoverare la bellezza di un’ora e mezzo di ritardo sulla sua tabella di marcia. 

- Mi scusi!- disse, avvicinando un’assistente di volo.- Per quale motivo non stiamo atterrando?-

La ragazza - una bella bionda dal forte accento italiano - cercò di spiegarle il motivo in un inglese tendenzialmente corretto, con qualche imperfezione maccheronica.

- C’è sciopero del personale di volo a terra. Non segnalano le posizioni, per questo motivo possiamo atterrare soltanto quando il poco personale disponibile ci dà il permesso di farlo.-

Un’anziana signora nella fila accanto, italiana anch’essa, replicò, piccata:

- Capisco il bisogno di creare disagio, ma non era proibito fare sciopero nei giorni festivi?-

La giovane hostess alzò le mani.

- Era quello che sapevo anche io, ma a quanto pare hanno preferito correre il rischio di una sanzione. E pensate pure che è uno sciopero nazionale! Lo stesso problema che abbiamo noi adesso su Milano Malpensa, ce l’hanno gli aeroporti di tutta Italia e anche le stazioni ferroviarie!-

Zhalia alzò gli occhi al cielo.

Fantastico.

 

Davanti al carrello bagagli c’era una coda infinita. Dall’altra parte della sala, una coppia di turisti tedeschi stava brontolando ad alta voce perché non riusciva più a trovare la propria valigia, ormai perduta chissà dove.

Zhalia ringraziò il cielo per aver scelto di viaggiare con il solo bagaglio a mano. 

Si incamminò lungo il corridoio seguendo le indicazioni per l’uscita.

Girò a destra, poi a sinistra. Destra alla biforcazione. Si trovò al ristorante. Tornò indietro. Prese a sinistra. Proseguì per un po’ e si ritrovò completamente da sola in un’ala riservata al personale addetto alle pulizie.

Tornò indietro, grattandosi il capo. Prese a destra dove aveva inizialmente girato a sinistra.

Vagò per circa mezz’ora, alla ricerca dell’uscita giusta, senza trovarla. 

All’ennesima deviazione, giunse alla conclusione di essersi persa.

Guardò l’orologio. Le nove e quarantacinque. 

La navetta e la coincidenza erano andate a farsi benedire da un pezzo.

Sospirò, passandosi una mano nei capelli.

Scorse l’indicazione per il bagno e ci si infilò dentro per rinfrescarsi e cambiarsi d’abito. La gonna rossa e la maglietta a righe attendevano ormai da troppo tempo.

Cercò di vedere il lato positivo delle cose, anche se stentava a trovarne uno. 

Il suo piano, anche se ritardato, era ancora valido. Aveva ancora tempo per appostarsi fuori dalla casa di Dante Vale.

Chiusa in bagno, prese a togliersi i pantaloni per infilarsi la gonna. Poi il top e tutto il resto. Controllò il telefono e rimosse la modalità aereo, cercando eventuali messaggi di Klaus.

Ben presto, però, il suo cellulare si trasformò in un vero e proprio motore a reazione, vibrando all’impazzata sopra il bagaglio a mano mentre Zhalia era impegnata ad allacciarsi i sandali. 

Alzò un sopracciglio, infastidita.

Ben sedici messaggi, e nemmeno uno da Klaus.

Sedici messaggi, tutti - nessuno escluso - da parte di Dante Vale.

 

 

Buongiorno. Com’è andato il viaggio?

 

Sei ancora in volo?

 

Accidenti Zhalia, dimmi che sei ancora a Francoforte.

 

Davvero, se sei ancora in tempo fermati lì

Ci vediamo direttamente a Ginevra domani.

 

Zhalia se puoi rispondimi, ho appena scoperto una cosa molto importante.

Hanno indetto uno sciopero, oggi sarà un inferno.

 

Mi rendo conto che tu non conosci benissimo il concetto di mezzo pubblico in Italia, ma fidati di me

Non vuoi trovartici.

E’ il venticinque d’aprile, è la festa della Liberazione

Ed è pure San Marco

Ci saranno orde di turisti

Frotte di Giapponesi con la valigia

Tutti bloccati lì assieme a te

Dammi retta, se puoi non partire!

 

Mi sa che ormai è andata. Se ti serve qualcosa, chiamami.

 

Se non si fosse trovata in quella situazione paradossale avrebbe detto che sì, gli italiani sono proprio dei melodrammatici.

Per una volta, però, si disse che accogliere il suggerimento di Dante Vale non le avrebbe potuto fare altro che bene.

Ticchettò sulla tastiera.

 

Sì, orami è tardi. Sono a Milano e credo 

non ridere

di essermi persa all’aeroporto.

 

Lo schermo rimase vuoto per un po’. Zhalia immaginò che quel sapientone se la stesse ridendo di gusto dall’altra parte della cornetta per la sua ingenuità e la cosa le diede sui nervi.

 

Dove sei atterrata? Linate?

 

Zhalia si grattò la testa, pensierosa.

Linate? Che cos’è Linate?

 

No, sono a Malpensa.

 

Lo schermo rimase vuoto, stavolta solo per una frazione di secondo.

 

Ah.

 

Non seppe leggere nulla di buono in quel messaggio.

Decise di approfittare pesantemente del suo aiuto, mentre usciva dal bagno con tutto il suo armamentario.

 

A proposito, mi piacerebbe sapere chi è quel genio di architetto che ha progettato questo posto.

Non so più dove sono e ho estremo bisogno di cambiare i biglietti del treno.

 

 

Mandami una foto del punto in cui ti trovi.

E da già che ci sono ti do anche una brutta notizia: stanno scioperando pure i taxi. 

 

 

Seriamente?

Zhalia provò con tutta sé stessa a vedere il lato positivo di quella situazione. 

Fallì miseramente.

Gli mandò la fotografia del corridoio ed attese che l’investigatore bellimbusto facesse lo splendido ancora una volta.

 

Svolta a sinistra e vai sempre dritto.

Arriverai direttamente alla stazione delle navette.

 

 

Zhalia non sapeva se crederci o meno, ma dal momento che non aveva nient’altro da fare prese la sua valigia e cominciò ad incamminarsi. 

 

Immagino che tu abbia solo un ottimo senso dell’orientamento.

 

 

Al contrario. Ormai mi sono perso a Malpensa talmente tante di quelle volte da conoscere l’aeroporto meglio dell’architetto.

Che era dotato di notevole fantasia, ma tant’è.

 

Era istrionico, ma almeno aveva senso dell’umorismo. 

 

Una volta arrivata alla stazione notò immediatamente la lunga, lunghissima coda che si era formata davanti agli sportelli automatici. Ce n’erano dieci in tutta la sala. Due erano guasti. Uno non dava il resto. Gli altri sette avevano almeno otto persone in attesa.

Si approcciò direttamente allo sportello per fare il biglietto.

Incautamente, non si chiese il motivo per cui nessuno tra i suoi compagni di sventura avesse scelto di rivolgersi ad una persona fisica per acquistare il biglietto. 

Arrivò presto a svelare l’arcano, quando si accorse che gli addetti sarebbero dovuti essere tre.

Scoprì che una di essi era filata in bagno di corsa, forse per scappare cinque minuti - che poi erano diventati cinquanta - da quella situazione infernale. Uno era in malattia da un mese e non era stato sostituito. L’unico rimasto era un signore anziano con una discreta pelata, un po’ sudaticcio, faticosamente incastrato su una sedia girevole. Zhalia non sapeva dire se sudasse per il caldo - quanto caldo faceva quel giorno? Troppo, per essere aprile - o per la terribile schermata di cancellazioni e ritardi chilometrici che aveva davanti agli occhi.

La guardò quasi implorandola di portar pietà.

- Buongiorno. Ho bisogno di prendere una navetta per Milano Centrale.-

- Vuole anche prenotare il treno?-

- Sì. Devo andare a Venezia Mestre.-

L’operatore ticchettò un poco sui tasti.  

Infine, alzò lo sguardo su di lei e sembrò farsi piccolo piccolo nella sua sedia troppo stretta.

- Signorina, per Venezia Mestre c’è un treno Frecciarossa alle quattro di questo pomeriggio.-

Zhalia sbatté le palpebre per un momento.

No, non può essere reale. 

- Come sarebbe a dire alle quattro del pomeriggio?-

- Purtroppo ci sono state delle cancellazioni e l’unico treno disponibile è in ritardo di quarantacinque minuti. Anche prendendo la navetta adesso, immediatamente, è destinata a perdere comunque la coincidenza.-

Zhalia sospirò, esausta. Si vergognò ad ammettere che aveva bisogno di riposo, non tanto per il viaggio in sé, ma per quelle ore terribili che aveva passato in rotta tra Francoforte e Malpensa.

- Senta.- fece, cercando di mantenere la calma.- Comprendo la situazione, ma ho estrema necessità di raggiungere Venezia, in particolare Venezia Mestre, e di farlo in mattinata. Quindi, se conosce un qualsiasi altro modo per raggiungerla, per favore mi faccia il biglietto. O mi prenoti il passaggio. Insomma, mi faccia arrivare là. Per favore.- 

L’ometto la guardò con una certa empatia, quasi a ringraziarla per non averlo sbranato vivo, e prese a ticchettare di nuovo sui tasti.

- Senta, ho due soluzioni da proporle. Veda lei quale le può andare bene.-

Per farla breve, la giovane cercatrice aveva due alternative.

La prima era saltare sull’unica auto disponibile di una compagnia di noleggio con conducente e raggiungere Venezia Mestre, con la consapevolezza, però, che il servizio costava ben più di una corsa in taxi - il cui costo sfiorava i tre euro al chilometro - e considerato che tra Malpensa e Mestre c'erano circa duecentottanta chilometri significava spendere più di cinquecento euro.

Anche la disponibilità di fondi di Klaus ha un limite di budget, ed Alitalia non mi ha regalato i biglietti. 

La seconda, era prendere il taxi - ancora, l’unico disponibile - fino a Milano Porta Garibaldi. Da lì, sarebbe dovuta saltare su un treno di una compagnia chiamata Trenord, che l’avrebbe portata fino a Verona. Da lì, avrebbe dovuto prendere uno scomodissimo Flixbus che l’avrebbe scaricata a Venezia Santa Lucia, non a Mestre. 

Almeno, però, sarebbe stata a Venezia, forse anche più vicina di quanto avesse sperato.

Il tutto costava meno della metà.

- Vada per Flixbus.-

- Senta, io non dovrei dirlo, ma è sicura di volerlo fare?-

- Non ho alternative.-

- Deve essere davvero un’urgenza e la capisco. E’ una bella sfacchinata. Le dico anche che avrà a che fare con dei treni regionali, in particolare della compagnia Trenord. E’ consapevole di questo?-

Zhalia si chiese dove stesse l’inghippo, ma concluse di non avere tempo. Annuì più volte, pagò in contanti, prese i biglietti e se ne andò verso la stazione dei taxi, ticchettando sui tasti del telefono.

 

Scusa, Dante, sai per caso se c’è qualche problema con una compagnia chiamata Trenord?

 

Dante Vale sta scrivendo… comparve sullo schermo.

 

Perché Trenord? Non arrivi con le Frecce?

 

No, l’unico disponibile è alle quattro di questo pomeriggio.

Mi hanno dato un biglietto per una compagnia che si chiama Trenord. 

L’ometto alla biglietteria non sembrava molto convinto di volermelo vendere, però.

 

Il silenzio del telefono si fece stranamente inquietante e Zhalia ebbe un brutto, bruttissimo presentimento.

 

Se ti trovi persa, chiama. Ti vengo a prendere.

 

LA TANA DELLA TALPA

 

Buongiorno e bentrovati!

Ho ricominciato a guardare questo cartone poco tempo fa, dopo anni in cui, purtroppo, era finito nel dimenticatoio. Un vero peccato perché, al di là dei cliché che sono sempre presenti nei cartoni che abbiamo tutti guardato da bambini, era davvero un prodotto di qualità con tantissimo potenziale. 

Mentre il rapporto tra Lok e Sophie era sempre stato palese, quello tra Dante e Zhalia è sempre rimasto sullo sfondo. Come è anche giusto che sia, data la maturità e l’età. 

Mi ero sempre chiesta che cosa fosse successo in quella missione menzionata casualmente da Guggenheim nell’episodio 1x04. Non ho le conoscenze né la fantasia per addentrarmi nei dettagli della saga e del cartone, ma ne ho abbastanza da immaginare che cosa sia successo prima di quella missione. Questa e la mia versione dei fatti, un piccolo prodromo romantico che spero servirà a riempire un vuoto. 

Sperando che vi piaccia, vi auguro buona lettura.

E che non me ne vogliano Alitalia - o ciò che resta di essa - né Trenitalia, come Trenord e Flixbus. La situazione descritta è volutamente paradossale.

E poi, andiamo. Siamo italiani. Sappiamo tutti come funziona.

Ah, e nemmeno i Giapponesi. Giapponesi che state leggendo, non ve la prendete. Io amo il Giappone. Chi viene dalle città d’arte sa, però, come funzionano certe gite organizzate e i veri e proprio tour de force che i malcapitati devono fare.

Quindi, tutta la mia solidarietà. 

Vostra,

 

Molly.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. E dopo il pasto ha più fame che prima ***


2. E dopo il pasto ha più fame che pria

 

Fu un inferno.

La periferia, complice lo sciopero dei mezzi pubblici, era completamente intasata dal traffico, e per uscire dallo svincolo e dirigersi a tutta birra verso Milano Porta Garibaldi il povero tassista aveva dovuto sgomitare.

Che poi, povero non era proprio, anzi. Se gli sguardi di Zhalia avessero potuto mandare fulmini, dopo averle presentato il conto del tassista sarebbe rimasta soltanto la polvere.

Seduta al suo posto sul suo treno regionale, Zhalia continuava a rigirarsi tra le dita lo scontrino astronomico della sua trasferta in taxi.

Da tre euro al chilometro, la tariffa era clamorosamente lievitata fino a quattro euro e cinquanta.

Oh, lo avrebbe incenerito volentieri, il povero tassista. 

Almeno guidasse rispettando la segnaletica orizzontale! 

La sua guida spericolata, però, le aveva permesso di arrivare a Milano Porta Garibaldi con ben cinque minuti di anticipo su Trenord, costringendola a correre quanto bastava per salire sul treno, sedersi, prendere fiato e sentire la locomotiva mettersi in moto.

Il treno non era nemmeno malaccio. Sembrava di essere saltati su una macchina del tempo. 

Innanzitutto, non c’erano sedili. Solamente panche. 

Non c’erano schienali, solo travi imbottite e rivestite di finta pelle marrone che si sfaldava sugli angoli.

Non c’erano i servizi, se non si volevano considerare tali certi buchi intagliati nel telaio, sulla cui porta qualcuno aveva apposto il cartello del WC.

Il treno, però, era a due piani. Zhalia non azzardò uno sguardo di sopra, principalmente per il terrore di ammazzarsi sulla scala, dal corrimano in legno e la balaustra in vetro satinato giallognolo. O forse era trasparente, ma rifletteva il giallognolo del treno.

Cioè, in vetro. Una lastra di vetro spessa pochi millimetri che viaggia su un treno civile lanciato a duecento chilometri orari. 

C’era stato di buono che aveva avuto qualche minuto per scambiare due parole con Klaus, che dopo ore senza sentirla si era fatto vivo con un banalissimo dove sei.

Era abituata ad avere pochissimi scambi con lui. Era un uomo di poche parole, a cui piaceva avere il controllo. Zhalia sapeva che non lo faceva apposta. Semplicemente non contemplava nemmeno l’ipotesi che le cose potessero andare diversamente da come lui le aveva programmate. L’unica risposta ammessa era un sì Klaus, oppure esattamente come avevamo concordato, Klaus. Nulla di vagamente diverso era accettabile. 

A modo suo, l’uomo che considerava un padre le voleva bene davvero. Non le aveva mai fatto mancare nulla. L’aveva portata a scuola, presentandosi agli insegnanti come il signor Moon. L’aveva trascinata in giro per il mondo facendole scoprire tutto ciò che era importante nella sua vita. L’aveva fatta dormire a casa delle sue amiche e aveva persino assistito ad un suo saggio di danza. Era rimasto per tutta la durata dello spettacolo, mentre altri padri sicuramente più tradizionali di lui avevano preferito il buffet nel foyer del teatro alle figlie in tutù. Per il suo tredicesimo compleanno le aveva regalato un grosso acquario dopo aver scoperto che le sarebbe piaciuto avere un animale domestico ed aveva buttato non sapeva nemmeno lei quanti soldi in mangime per pesci. 

Aveva terrorizzato quel viscido di DeFoe quando aveva scoperto che aveva pensieri non esattamente casti e pii su di lei. 

Eppure le mancava qualcosa. Detestava essere sempre sotto scrutinio. Klaus la trattava come se fosse un mero strumento attraverso il quale raggiungere i propri scopi. E non era la prima volta. Dopo tutto quello che aveva passato in quelle ore infernali, non le aveva nemmeno chiesto come stesse, per quale motivo non lo avesse chiamato. Magari si era schiantato l’aereo, o qualche pazzo l’aveva messa sotto con la macchina sulle strisce pedonali fuori da Milano Malpensa. Che ne sapeva lui? Insomma, un genitore certi pensieri se li dovrebbe fare. 

O almeno così credeva. Lei, di genitori, non ne aveva mai avuto nemmeno l’ombra. L’unico era stato Klaus, e Zhalia si era sentita sbagliata per anni perché percepiva di avere bisogno di qualcosa che quell’uomo non riusciva a darle. Anche se le aveva dato tutto. Tutto ciò di cui aveva bisogno. 

Si sentiva in colpa anche in quel momento perché era irritata con lui, perché invece di chiederle come stesse e se tutto fosse andato bene si era semplicemente limitato a sapere se la missione stesse andando bene e se lei stesse rispettando la tabella di marcia.

Stava fornendo una vaghissima spiegazione quando ricevette un nuovo messaggio da parte di Dante Vale.

 

 

Viva?

 

 

Zhalia pensò che quell’uomo fosse tutto l’opposto di suo padre. Forse era fin troppo apprensivo. 

Pensò anche di dargli una risposta secca, di quelle che gli avrebbero fatto capire che la stava soffocando. Poi, concluse che avrebbe sabotato la missione, così lasciò perdere.

E poi, diamine, non gliene andava proprio bene una. Stava lì a mordersi il labbro perché suo padre non la considerava e si indignava quando una persona gentile la considerava troppo.

Doveva far pace col cervello.

 

 

Più o meno. 

Sono su un treno che sembra un residuato bellico.

 

 

Gli descrisse la sua vettura per filo e per segno e - nemmeno a dirlo - non ottenne la risposta desiderata.

 

 

Io di treni ne ho presi tanti, ma questo proprio non l’ho mai visto.

 

 

Ecco fatto.

Venne fuori che, più che altro, il bellimbusto italiano voleva fare il pavone un’altra volta e venirla a prendere a Verona per evitarle il viaggio in Flixbus fino a Venezia Santa Lucia.

Zhalia pensò che ci fosse un limite a tutto e preferì declinare l’offerta, ma Dante parve cogliere il sospetto nei suoi messaggi.

 

 

Non vorrei che tu pensassi male.

Non ci sto provando con te.

 

 

Le venne da ridere.

Figurarsi. Quando mai.

E poi, se mi vieni a prendere, addio mappatura della tua casa. 

 

 

Conosco bene queste situazioni, e questa è ancora più eccezionale delle altre.

Vorrei poterti dare una mano. Hai fatto un viaggio lunghissimo.

 

 

Pensò anche che, se non era genuinamente bendisposto, sapeva vendere bene il ghiaccio agli Eschimesi.

Preferì comunque declinare l’offerta.

 

 

No, tranquillo, non darti disturbo.

Però se dovesse succedere qualcosa, ti prometto che ti chiamo.

 

 

In fondo, farlo sognare un po’ non costava assolutamente nulla.

Chiuse il telefono e prese a guardare fuori, pensando che tutto sommato quel ragazzo che avevano mandato ad uccidere sapeva davvero essere gentile. 

Se non fosse stata del tutto certa che si trattasse dell’ennesima maschera, insomma, una fregatura, avrebbe considerato la sua esecuzione come un totale spreco di talento e di genetica. 

La foto profilo associata al suo numero privato era molto carina. Semplice, pulita, probabilmente tagliata da un’immagine più grande con più persone attorno a lui. Poteva distinguere una porzione di braccio avvolto in una giacca scura, che gli circondava le spalle con fare amichevole. Dante Vale sorrideva allo schermo, ignaro del fatto che stava sorridendo in faccia a quella che sarebbe stata la sua assassina, un luccichio spensierato negli occhi illuminati dalla luce calda di un pub. 

Chiuse il telefono e prese a guardare fuori. Era sudata. L’impianto di ventilazione del treno continuava a sbuffare aria calda. Aprì un finestrino per far circolare l’aria e le sue orecchie furono presto assordate dallo stridio della locomotiva sulle rotaie. 

Un raro momento di pace da quando era partita.

In quel momento non avrebbe mai pensato che avrebbe profondamente rimpianto di aver rifiutato l’offerta del giovane cercatore della Fondazione Huntik.

 

 A Verona aveva trovato esattamente ciò che Dante le aveva preannunciato.

Turbe di Giapponesi con la valigia in coda alla stazione dell’autobus.

L’idea dell’ometto della stazione, quello sudaticcio che le aveva fatto il biglietto, era stata molto intelligente. Si era rivelato duttile e versatile. In un altro momento, Zhalia avrebbe davvero apprezzato la sua capacità di problem solving.

Peccato che la stessa idea - ovvero l’unica possibile - fosse venuta in mente anche a molte altre persone.

Un gruppo di turisti italiani aveva rischiato la rissa con una famiglia in trasferta per un posto su uno dei pochi autobus rimasti, mentre i turisti stranieri, forti dei loro bus prenotati con largo anticipo, erano sciamati uno ad uno fuori dalla stazione degli autobus di Verona, imbottigliandosi tra i mezzi pubblici fermi in sciopero nel parcheggio.

Zhalia aveva zigzagato senza troppe cerimonie fra valigie abbandonate e lingue sconosciute ed era saltata al volo sul suo Flixbus. Si era accomodata al suo posto, accuratamente prenotato, ed era stata sommersa da un gruppo organizzato che parlava una strana lingua che pareva italiano. 

Forse è un dialetto. 

L’ora successiva l’aveva trascorsa con la testa appoggiata contro il vetro nel tentativo di restare fresca, immersa in un caldo soffocante, seduta su un sedile duro e soprattutto a portata d’ascella di un signore di mezza età che probabilmente non si faceva la doccia da una settimana.

Ma che ho fatto di male?

Il panorama, però, era meraviglioso. Farsi il viaggio in autobus non aveva avuto alcun pregio particolare se non quello di mostrarle la bellissima laguna da lontano, le guglie di Venezia che si stagliavano contro il cielo blu e terso come solo il cielo di aprile in Italia sapeva essere.

Era rimasta incantata a guardare fuori dal finestrino e si era ripresa solo quando si era resa conto che l’autobus stava imboccando un ponte sospeso sulla laguna e la stava portando da qualche parte in mezzo al mare.

Considerata la tendenza di quella giornata ad andare completamente storta e temendo che finisse anche peggio di come era partita, Zhalia non ci pensò due volte ed agguantò il cellulare.

 

 

Perché sono in mezzo al mare?

 

 

La spunta blu comparve immediatamente, come se Dante Vale avesse atteso un suo messaggio con il telefono in mano.

Alla faccia. Sapevo di avere una certa influenza sui maschi, ma non sapevo di fare questo effetto.

 

 

… in che senso?

 

 

Nel senso proprio del termine. 

Sono su Flixbus su una specie di autostrada in mezzo al mare.

 

 

Zhalia pensò che se non le avesse dato presto una risposta decente si sarebbe buttata in mare ed avrebbe raggiunto la riva di Venezia a nuoto.

 

 

Ah, ma stai andando a Santa Lucia?

 

 

Sì, perché?

 

 

Beh, per una volta oggi ti è andata bene.

Quando sarai fuori dalla stazione, segui le indicazioni per San Marco, Rio dei Barcaroli

Poi dirigiti verso il Teatro la Fenice, cerca Ramo dei Callegheri e poi Calle Caotorta.

La mia casa è in una piazzetta sul rio. Ci vorrà circa mezz’ora a piedi.

Pensi di farcela? 

 

 

Per un glorioso momento, Zhalia credette che la sua giornata fosse finalmente ad una svolta.

Anche perché, era quasi l’una e mezza e lei aveva una fame da lupi.

 

 

Tranquillo, ci metterò un attimo.

 

 

Vagava ormai da quasi un’ora per il centro di Venezia, trascinandosi dietro il piccolo trolley, quando si dette definitivamente per vinta. 

Si era tenuta lungo un canale dalle acque ferme e un poco maleodoranti. Almeno da quello che aveva capito, la casa di Dante Vale era esattamente sull’angolo, all’incrocio di uno di quei piccoli rigagnoli palustri che, con il caldo che faceva, non avevano fatto altro che peggiorare la sua già scarsa tolleranza all’umidità.

Zhalia si passò una mano sulla fronte sudata, maledicendosi per non essersi portata niente per legare i capelli. Il caldo le aveva fatto colare il trucco, poteva sentire il rivolo appiccicoso del mascara sulla palpebra inferiore.

Di sicuro non sarebbe riuscita a far innamorare Dante Vale con i capelli da topo muschiato e il trucco colato.  

Si guardò attorno, cercando di cavarsi d’impaccio. 

Aveva fatto come il giovane cercatore le aveva detto di fare, ed infatti era arrivata nel quartiere San Marco in un battibaleno.

Poi, si era messa a cercare il Rio dei Barcaroli e l’aveva trovato subito. Tutta contenta, si era messa a girare per le calli di Venezia, imboccandone una che - era assolutamente sicura - suonava più o meno come il nome che lui le aveva scritto.

Quando era stata in fondo al calle, rischiando di cadere nella laguna, aveva chiesto informazioni per scoprire che aveva preso a sinistra quando, in verità, avrebbe dovuto prendere a destra.

Così, era tornata indietro ed era finita trascinata verso il teatro dell’opera da una sfilza di Giapponesi con la valigia, la cui guida turistica girava per la città con una bandierina sollevata in aria.

Invece di arrivare all’agenzia investigativa in un quarto d’ora, aveva vagato senza meta per quasi un’ora. 

Si era districata dalla folla non appena aveva potuto ed era passata dietro il teatro in un’astrusa viuzza, giusto per prendere fiato.

Ma dove accidenti è?

E poi, aveva fame.

C’era quel profumo di buono nell’aria, quell’odore di pesce al forno che le stuzzicava lo stomaco, e questo Zhalia proprio non riusciva a sopportarlo. 

Accidenti a lui, a Malpensa, a Trenitalia, Trenord o come cavolo si chiama, a Flixbus, ai turisti, all’italiano che non capisco, all’acqua alta, a Venezia e a tutti i santi del calendario. Accidenti pure a Klaus.

Accidenti, accidenti, accidenti!

Presa dalla disperazione, fermò un uomo che stava percorrendo la sua stessa strada con una scala di legno su una spalla, sperando di ottenere informazioni.

Pensò che fosse un addetto del teatro e pregò che parlasse un po’ d’inglese. 

- Mi scusi, sto cercando l’agenzia di investigazione di Dante Vale.- esordì, nel suo perfetto inglese.

Il tizio si voltò verso di lei con aria stralunata, come se avesse appena sentito parlare in un idioma che non aveva udito da secoli. Sbatté le palpebre sugli occhi cerulei, le ciglia brizzolate come i suoi capelli a spazzola, ritti sulla testa.

Istintivamente, Zhalia sentì di non avere avuto una grande idea. 

- Ostrega, che bèla toxa!-

… Eh?

- No, mi scusi, non ci siamo capiti. Dicevo, Dante Vale, private eye, investigations…- 

Per tutta risposta l’uomo disse qualcosa in quella lingua piena di s e sfoderò un sorriso sdentato.

Comprendendo che non c’era dialogo, l’ometto bislacco parve ripensarci e si grattò il capo brizzolato.

- Chel mèzo pulizziòto, co el cavejo rosso?- 

Zhalia si batté il palmo sulla fronte e l’uomo parve averne pietà. Si infilò la mano nei capelli a sua volta e ce la passò dentro ripetutamente mentre continuava a ripetere quelle parole, come ad indicarne il colore.

- Dante?-

- Sì!- fece lei, annuendo con forza.- Dante, coi capelli rossi!-

- Ti te vèdi sto òmo, lu el tàse tuto e po’ xe càta na bèla toxa cussì, de scondòn!- 

- Non ho capito nulla, ma va bene lo stesso purché mi dica l’indirizzo. Address, house…- e prese a fare gesti con le mani. 

- Stà de casa vizzìn, drìto, ti te strapassi il destùro e po’ vàrdi a zànca. Còri drìo a l’odore di pesse che el cati!-  

Poi aggiunse, provando a fare spallucce sotto la scala.

- Però xe el vintisinque d’aprìle, par questo mi no sò se xe!- 

Zhalia intuì che l’odore di pesce al forno c’entrava qualcosa ma, visto il suo interlocutore, decise di desistere.

L’uomo allargò la bocca sdentata e prese a mulinare pericolosamente lo scaleo a destra e a sinistra mentre le dava di nuovo le indicazioni. Zhalia sorrise, trattenendo lo stupore e facendo attenzione ad evitare la scala impazzita.

- La ringrazio dell’aiuto!- gli disse, anche se in cuor suo non sapeva se fidarsi o meno di lui. 

Poi, come un lampo, una domanda le attraversò la mente.

Tanto, masochista come sono, posso fare un tentativo.

- Scusi! A che cosa le serve la scala?-

- Mi?- rispose quello, puntandosi un dito lungo e nodoso contro il petto e inarcando le sopracciglia su per la pelata. - Me ocòre per tajare la verza!-

- Ah.- e decise che tanto le bastava.

 

Onde evitare di perdersi di nuovo, seguì pedissequamente le indicazioni dello strano tipo con la scala che - Zhalia aveva dedotto, ma avrebbe anche potuto sbagliarsi - parlava solo uno strano dialetto locale. Proseguì dritto, attraversò il canale su di uno stretto ponticello e tenne rigorosamente la sinistra fino a che non si trovò quasi per caso dentro un bel cortile protetto da un discreto muricciolo. 

Sull’angolo vi era una bella casa cinquecentesca dall’aria austera. Un’irta rampa di scale conduceva ad un portone di legno massello ben tenuto, lucido, accanto al quale brillava una semplice targa d’ottone con un campanello.

 

Agenzia investigativa

Dante Vale

Investigatore privato

 

Quella era forse una delle agenzie investigative più sobrie che Zhalia avesse mai visto. Niente Holmes e Watson inclusi nel nome, niente foto di Sean Connery in versione James Bond, niente insegne di stampo newyorkese e soprattutto niente ufficio polveroso all’ultimo piano di una palazzina in odore di abuso edilizio.  

Il ragazzo ha classe.

Se la casa all’interno era bella tanto quanto lo era all’esterno, Zhalia dovette ammettere che - forse - ucciderlo avrebbe significato una grossa caduta di stile per il mondo intero.

Si appostò dietro il muro, si guardò in giro alla ricerca di eventuali telecamere di sorveglianza e non ne trovò. 

Aprì l’Olotomo e prese a fare una scansione del vicinato. 

Il cortile era in comunione con altri due appartamenti, che condividevano anche l’isola ecologica. Uno apparteneva ad un’anziana circondata da gatti, mentre l’altro era stato acquistato da un ricco magnate americano che, però, non ci viveva quasi mai. I segni dell’abbandono erano piuttosto evidenti e alcuni ponteggi avvolgevano la facciata in attesa di ristrutturazione. 

Si poteva praticamente dire che Dante Vale vivesse in quell’angolo di Venezia tutto da solo, se non si volevano contare i gatti che prendevano il sole tutto il giorno sulle scale di casa sua. 

Mentre l’Olotomo faceva il suo lavoro e mappava il perimetro, Zhalia notò un paio di dettagli. 

Il primo fu che la casa era molto grande per una persona sola. Il piano terra sembrava già vasto di per sé, e la struttura di piani ne aveva due, più un sottotetto e quasi certamente una taverna. 

Se la casa era di sua proprietà, questo significava che l’aveva ereditata, oppure era pieno di talleri per potersela comprare. 

Il secondo curioso dettaglio era che Dante Vale aveva sistemato sotto la rampa di scale, protette dalla calda luce del giorno, una collezione di almeno cinque ciotole colme d’acqua e forse anche di croccantini.

Le sfuggiva del tutto il motivo per cui il celebre investigatore della Fondazione Huntik nutrisse i gatti della vicina di casa. 

Il suo stomaco brontolò e protestò sonoramente per l’assenza di cibo. Il buon profumo di pesce al forno la tormentava. 

Zhalia chiuse l’Olotomo e si affacciò nel cortile. Non c’era nessuno. Tutto ciò che vide fu l’ombra di un uomo, probabilmente lo stesso Vale, alla finestra, indaffarato in qualcosa che, dal luogo in cui Zhalia si trovava, non riusciva a comprendere. 

Si rassettò alla bell’e meglio, anche se non riusciva ad immaginare come potesse portare a compimento il suo piano. Era praticamente sicura di essere sul punto di sentirsi male. Aveva fatto colazione all’aeroporto di Francoforte ormai quasi sei ore prima e da quel momento non aveva più messo nulla sotto i denti. Già qualche giorno prima della partenza aveva cominciato ad accusare un po’ di malessere, ma aveva dato la colpa ad altre evenienze. Da quella mattina il suo corpo aveva cominciato ad accusare i sintomi di quella che, a parer suo, era stanchezza accumulata. Aveva fame, ma non voleva mangiare. Il caldo le faceva girare la testa e, ora che era sul punto di cominciare a lavorare, sentiva di non essere pronta.

Adesso l’odore del pesce arrosto che tanto aveva agognato le dava la nausea. 

Fece un paio di respiri profondi e cercò di ignorare la strana sensazione che l’aveva pervasa. 

Non posso più tornare indietro.

Devo portare a compimento la missione di oggi.

Se tutto va bene, guadagnerò gloria, stima e rispetto.

Devo farmi passare questa cosa, adesso.

Si raddrizzò, tirò i capelli dietro l’orecchio, sfregò le dita sotto le palpebre per rimuovere il trucco colato e attraversò il cortile diretta verso la casa di Dante Vale.

Se possibile, l’ultimo tratto tra la scala e il portone, nonostante fosse protetto dal portico, la fece sudare più di quanto avesse sudato attraversando mezza Venezia. 

Che mi sta prendendo?

Maledetto colui che sta cucinando il pesce.

Inspirò, espirò, e suonò il campanello.

Era certa di essere sull’orlo di un colpo di calore quando il portone si aprì.

- Zhalia!- 

Dante Vale l’accolse letteralmente a braccia aperte. Le fece largo sulla soglia, sorridendo, mentre lei si reggeva al muro come se avesse appena corso la maratona. 

Aveva programmato una bellissima entrata in scena come era successo a Praga ed invece si era ritrovata senza fiato. Riuscì solo ad emettere un flebile ciao. 

- Sei riuscita ad arrivare, finalmente. Giornate come questa sono un incubo.-

- Eh, sì.-

Il cercatore dovette accorgersi che qualcosa non stava andando per il verso giusto, perché si fece da parte sulla soglia per farla entrare e le chiese subito come stesse.

- Me la caverò, grazie.- commentò lei, passandosi una mano nei capelli appicciati. - Fa sempre così caldo qua?-

- E’ molto caldo per essere aprile, sì.- commentò lui, passandole davanti e dirigendosi verso la cucina.

L’odore di pesce era diventato intensissimo.

- Spero tu abbia fame. Il pescivendolo ha esagerato con le porzioni.-

Sulle prime, Zhalia non registrò le implicazioni di quella frase.

Aspetta. Pesce?

Il bastardo che mi ha fatto venire la nausea è lui?

Deve morire. Assolutamente.

Si schiarì la voce, mentre notava con gioia che il giramento di testa le stava passando.

- Scusa, ma avevo capito che saremmo andati a pranzo fuori.-

- In effetti il programma era quello, solo che non arrivavi più e il ristorante, considerato l’afflusso di turisti, mi ha chiamato per chiedermi di confermare la prenotazione. Ho cancellato e ho rimediato in questo modo, così siamo tutti più liberi. Spero che non ti dispiaccia.-

Zhalia lo liquidò con un banalissimo no no, figurati e pensò che, in quel modo, avrebbe avuto più tempo per mappare l’interno della casa.

Il signor Vale era appena caduto nella sua trappola senza nemmeno saperlo. 

Una vocina dentro la sua testa le fece presente che il bel cercatore l’aveva aspettata fin quasi alle tre del pomeriggio per consumare il pranzo con lei, ma in quel momento Zhalia era troppo impegnata in altre mansioni per poterci badare. 

Lo vide uscire dalla cucina mentre si sfilava un grosso guanto di spugna e le lanciava un’occhiata perplessa.

- Sei sicura di stare bene?-

- Sì, certo. Perché?-

Zhalia pensò che Dante Vale sapeva fare bene il pavone. Oltre a sapere quando arruffare le piume, sceglieva con accortezza i momenti in cui essere ironico, divertente, persino gentile. Doveva aver percepito il suo disagio e stava cercando di utilizzarlo a proprio vantaggio per rendersi più attraente ai suoi occhi.

Sarebbe rimasta molto stupita se avesse saputo la verità, ovvero che il cercatore aveva visto soltanto una ragazza sudata fradicia - troppo, indipendentemente dal caldo fuori stagione - eccessivamente pallida e con il trucco impastato agli angoli degli occhi, con un profondo paio di occhiaie malcelate sotto il trucco e un carciofo di capelli neri in testa. 

Insomma, una che aveva chiaramente bisogno d’aiuto e che sembrava sul punto di svenire nel suo corridoio.

- Se vuoi, il bagno è là in fondo. Perché non ti dai una rinfrescata? Venezia sa essere estremamente umida, quando fa così caldo.-

- Volentieri, grazie. Hai detto in fondo al corridoio?-

- Sì, in fondo a destra!-

Banale. Il bagno è sempre in fondo a destra.

Si guardò alle spalle giusto in tempo per vederlo di nuovo scomparire in cucina e si infilò in bagno, chiudendosi rapidamente la porta alle spalle. 

Inspirò ed espirò, cercando di calmare i battiti impazziti del suo cuore.

Aveva già avuto quelle crisi in passato. Spesso le capitava di non avere alcun pensiero, di essere del tutto serena, salvo poi trovarsi improvvisamente in una pozza di sudore con la gran voglia di vomitare.

Aveva sempre dato la colpa a qualcosa: il caldo, un’intossicazione da cibo, lo stress di dover sempre essere performante per non essere giudicata. 

Klaus aveva provato a suggerirle, in uno dei suoi rari slanci di tenerezza, che potesse trattarsi di un problema psicologico, ma all’epoca Zhalia l’aveva allontanato quasi subito, credendo che stesse mettendo in dubbio la veridicità delle sue affermazioni se non addirittura lei stessa e le sue capacità.

Si sciacquò la faccia e lasciò che le gocce cadessero ritmicamente nel lavandino prima di guardarsi allo specchio.

Bontà divina.

Aveva programmato un’entrata alla Marilyn Monroe, e invece pareva Maga Magò.

- Hai bisogno di qualcosa?- gridò Dante direttamente dall’angolo cottura.

- No, tranquillo. Un secondo e arrivo.-

- Gli asciugamani puliti sono nel mobile sotto il lavandino.-

- Grazie!- 

Mentre lasciava che l’acqua fresca facesse effetto, Zhalia aprì l’Olotomo e gli ordinò di mappare l’interno della casa.

Si rassettò come meglio potè. Si rifece il trucco e pettinò i capelli fino a che non ritenne di essere nuovamente presentabile. Per le occhiaie scoprì di non poter fare nulla, come per le brutte macchie di sudore sulla maglietta.

Asciugherà, prima o poi.

Quando l’Olotomo ebbe finito di lavorare, emettendo un flebile beep, Zhalia infilò di nuovo i suoi effetti personali nel piccolo trolley ed uscì dal bagno.

Step tre della check list: completato.

Il problema era il resto. 

Era tutto sbagliato. Tutto da rifare.

Adesso, avrebbe dovuto rimediare.

 

- Non era esattamente il tipo di entrata che mi ero immaginata.- disse sinceramente, sedendosi su uno sgabello vicino a lui nella cucina tinello.

- Non preoccuparti. A Venezia capita spesso. Caldo, umido e zanzare che sembrano elicotteri. Sono le uniche cose brutte di questo posto.- replicò.

Lo osservò mentre riponeva una caraffa piena di vino bianco frizzante sulla tavola apparecchiata. Era un bel pezzo d’arredamento - il tavolo, non lui - che mostrava i segni dell’uso, ma era nel complesso ben tenuto. 

La caraffa finì accanto ad una sua gemella colma d’acqua, circondata da due piatti, un paio di posate e quattro bicchieri, un set rigato da acqua e vino che sembrava appena uscito dalla lavastoviglie. 

La casa nel complesso era un essenziale mix di antico e moderno. L’arredamento era liscio, pulito e funzionale. Anche la cucina era moderna e spaziosa, con superfici metalliche antigraffio e antimacchia pronte all’uso. Solo il tavolo in legno poteva essere considerato un pezzo davvero pregevole, forse uno dei resti dell’arredamento antico originale. 

- Ti sei dato un sacco di disturbo e tutto per colpa mia. Non c’era bisogno.-

- Non fartene un problema. In giornate come questa muoversi è davvero complicato. Anche se fossi venuto a prenderti, saremmo probabilmente rimasti imbottigliati nel traffico. Almeno sei riuscita ad arrivare, anche se in ritardo, e riuscirai a pranzare decentemente senza che il ristoratore ti chieda di lasciare il tavolo per qualche turista straniero.-

- In aereo ho sentito una signora dire che non si possono fare scioperi nei giorni di festa.-

- E’ vero. Hanno rischiato grosso stavolta. Hanno precettato tutti gli aderenti, ma ormai il danno era fatto. Il servizio riprenderà agevolmente soltanto nel tardo pomeriggio. Scusa le spalle - le disse, mentre divideva le porzioni - ma se non sto attento finirò col buttare tutto per terra.-

- Tu che sbagli qualcosa? Non vedo l’ora di vederla, questa!-

Forse stava esagerando. Va bene che agli uomini piace essere lodati e che lei aveva bisogno di rimediare ad una terribile entrata in scena, ma in quel modo il flirt rischiava di essere troppo esplicito e di mandare all’aria la copertura. 

Dante sorrise mentre toglieva le lische dal piatto. 

- Ti stupirebbe sapere quanti casini combino da quando mi alzo dal letto a quando ci ritorno.-

- La tua fama ti precede.-

- Non hai fornelli. E giustamente, anche. Spero che ti accontenterai.- 

Zhalia pensò che un pranzo del genere fosse decisamente più intimo e romantico di qualche ora passata in un ristorante affollato, e che per questa ragione Dante Vale non avrebbe mai rischiato se non fosse stato sicuro di essere almeno passabile con pentole e padelle. 

Era davvero bastato fare fuori tutte le finestre di una stanza d’albergo per farlo cadere ai suoi piedi?

Se sì, si era fatto prendere per il naso per benino.

E quello sarebbe stato il miglior cercatore della Fondazione Huntik?

Magari non ha voluto spendere perché è tirchio.

Considerate le belle orate al forno con le patate che aveva appena cotto - e che doveva aver pagato un occhio della testa - Zhalia era propensa ad escludere quella possibilità. 

Le questioni erano due, dunque: o Zhalia sapeva fare dannatamente bene il suo lavoro e il bel cercatore dai capelli rosso mogano ci era già caduto con tutte le scarpe, oppure era Dante a saper fare dannatamente bene il suo, di lavori, e stava cercando di far crollare lei. 

Povero illuso.

 

Dante si passò una mano nei capelli rossi come se si stesse trovando in imbarazzo. 

- Il pescivendolo ha davvero abbondato, stavolta.-

Zhalia mostrò i dentini di perla, mentre lui le serviva il pesce sul tavolo apparecchiato. 

In verità la ragazza si sentiva morire dentro soltanto a guardare il pesce aperto nel piatto, sormontato da una piccola montagna di patate al forno. Chiunque la conoscesse davvero - ovvero Klaus e forse un altro paio di persone - avrebbe potuto dire che Zhalia fosse una di quelle che mangiava perché il corpo non poteva andare avanti senza cibo, ma che ne avrebbe volentieri fatto a meno, fosse anche solo per evitare di incappare in quel piccolo ed occasionale incidente, quella ingiustificata serratura allo stomaco che le causava un fastidioso senso di nausea. 

Quanto le dava ai nervi quella situazione. Aveva fame, avrebbe mangiato un elefante e poi, di fronte ad un bel piatto di qualsiasi cosa, non riusciva a mandare giù nemmeno un boccone. Il suo corpo desiderava il cibo, ma allo stesso tempo lo rifiutava. Di solito finiva con il mangiare poco e spesso, in modo tendenzialmente irregolare, spiluccando tutto ciò che trovava, anche cose che non la soddisfacevano. 

Da che aveva memoria, Zhalia non aveva mai avuto un buon rapporto con il cibo. Anche in quell’occasione Klaus aveva provato a suggerirle che potesse essere un malessere psicologico, che il rifiuto del cibo fosse il riflesso di un problema più profondo, ma Zhalia non aveva mai voluto sentire parlare di queste cose e aveva continuato per la sua strada. Mangiare poco poi l’aiutava a mantenere la linea. A volte nelle missioni non c’era nemmeno il tempo di mettere qualcosa sotto i denti. Del resto, il destino aveva voluto che, fin da bambina, fosse abituata a sopportare i morsi della fame, quindi, poco male.

Dante le aveva riservato il posto capotavola. Si sedette accanto a lei e le riempì il bicchiere di vino.

Poi, sollevò il calice in aria.

- Salute.-

Zhalia ricambiò il gesto e sospirò, mentre fissava il pesce nel piatto.

Prese la forchetta, cercando di mostrarsi entusiasta. Affondò la punta nella carne bianca del pesce e diede il primo morso.

Sbatté le palpebre per un secondo, attendendo che la sensazione di nausea si facesse più forte.

Invece, niente.

Tentò con la seconda forchettata.

Ancora niente.

Sentì Dante cercare di coinvolgerla in una conversazione e Zhalia prese ad andargli dietro. 

Ad un certo punto, sentì come se un interruttore fosse scattato nella sua testa, come se qualcosa nel suo cervello si fosse sbloccato.

Si fermò soltanto per rendersi conto che aveva trangugiato l’intera orata nella metà del tempo in cui il cercatore era riuscito a finire la propria. Patate incluse. 

Si lanciò un’occhiata intorno, come per cercare di capire dove fosse andato a finire tutto il cibo.

Nel suo stomaco, no di certo.

Forse lo ha mangiato uno dei gatti della vicina. 

Certo, quelle patate nella teglia, guarda che bel colore che hanno…

- Nei vuoi ancora?-

- Come, scusa?-

- Le patate. Ne vuoi ancora?-

Zhalia non seppe che cosa rispondere.

- Non vorrei fare l’ingorda…-

- Assolutamente. Io mi servo di nuovo. Vuoi dividere?-

E Zhalia finì anche quella porzione, insieme a due fette di pane e due bicchieri di vino bianco.

Mentre si puliva la bocca col tovagliolo, potè scorgere lo sguardo mezzo stupito e mezzo soddisfatto di Dante, che evidentemente si stava congratulando con sé stesso per la riuscita di quel pranzo.

Un evento che, chiaramente, non si era aspettato nemmeno lui.

- Se vuoi- aggiunse - C’è anche il dolce in frigo.-

Ma che simpaticone.

Era fermamente convinta che la stesse prendendo per i fondelli, quasi a voler sottolineare che aveva appena mangiato come un minatore di fronte all’uomo che stava cercando di conquistare con classe e grazia.

- Sono abbastanza piena, grazie, ma se lo vuoi tu, io lo assaggio.-

Vale alzò le mani e le offrì il caffè.

- Quello lo prendo volentieri, grazie.-

- E’ caffè vero, quello italiano. Mica come quella brodaglia che si beve all’estero.-

Zhalia sogghignò.

- Anche il cibo è nel DNA di voi italiani, insieme al melodramma?-

Dante Vale aveva una bella risata. Sonora, squillante, un bel gorgoglio che veniva dal cuore. Ascoltarla era piacevole.

Lasciamolo pure credere che sfoderare le sue fascinose armi possa essere sufficiente a distrarmi.

- Soprattutto il cibo. Abbiamo una tradizione molto forte in proposito. Puoi dire qualsiasi cosa sul nostro paese e sulle nostre abitudini, ma nulla sarà mai preso peggio di un insulto gratuito al cibo.-  

- Vedo che ti sai trattare bene, scherzi a parte.-

- Mi piace mangiare bene quando non sono in missione. Quando non siamo di corsa conviene. E poi, cucinare è un buon cambio di passo rispetto al tran-tran quotidiano.-

- Non mangi mai fuori?-

- Voglio molto bene a questa città - disse Dante, ridendo - ma, oltre alle zanzare, all’umidità e al calore, Venezia ha un altro grande difetto: è molto costosa. Una volta ogni tanto si può fare, posso decidere di trattarmi particolarmente bene, ma se dovessi farlo sempre andrei fallito.-

Zhalia ne approfittò nuovamente per guardarsi intorno. Cucina tappezzata di maioliche. Forno, frigorifero, lavastoviglie ed elettrodomestici di ultima generazione. Penisola in materiale isolante. 

Dante aveva disposto le tazzine su un vassoio e la stava accompagnando in salotto, una bella stanza fatta di mobili bassi in legno e anche qualcosa in vetro. C’era un televisore gigantesco, con cui probabilmente comunicava con la Fondazione. Musica jazz proveniva dal giradischi d’epoca in un angolo del salotto. Insomma, lo stesso stile formato da un miscuglio di antico e moderno, caratterizzato da un incredibile quantitativo di oggetti etnici ed ornamentali originali.

Il gigantesco bonsai sulla parete di fondo, da solo, doveva valere diverse migliaia di euro.

- Beh, uno che vive in una casa come questa potrebbe anche permettersi di mangiare fuori tutti i giorni a colazione, pranzo e cena.-

Dante le lanciò un’occhiata in tralice e Zhalia si chiese se non avesse parlato troppo.

Che si fosse accorto del pesantissimo flirt?

Dal canto suo, le era sembrato che il bel cercatore dagli occhi di miele fosse più che propenso a risponderle, quindi decise di infischiarsene.

- L’unico vero investimento è la cucina e la palestra.- disse, posando il vassoio su un tavolino da fumo - Il resto era già qui, in parte. Quello che vedi attorno a te invece sono tutti souvenir che ho, come dire? Sgraffignato durante le mie missioni.-

Zhalia fece tanto d’occhi.

- Stai dicendo che li hai rubati?-

Dante Vale, il paladino dell’onestà e sfolgorante stella della Fondazione Huntik, a difesa dei poveri e dei deboli, era in realtà un tombarolo professionista?

- Adesso non esageriamo.- ribatté, l’ombra del suo solito sorriso sornione sul volto. - Alcuni di questi cimeli non hanno nessun valore. Vedi quella roccia lì? Viene dalla vetta di Uluru.-

- Sei stato in cima ad Ayers Rock?-

- Sì. Un luogo davvero magico, in tutti i sensi.- commentò, mentre lo sguardo si perdeva dietro ai ricordi.- Non ha nessun valore, ripeto. E’ solo un sasso. Lo acquista dal momento in cui io racconto la storia. La katana, invece, è della Fondazione, ma ho chiesto di poterla tenere, naturalmente per ragioni di studio, e la metto a disposizione tutte le volte che la chiedono. L’idolo di legno mi è stato donato da un capotribù nel bel mezzo dell’Africa nera.-  

- Allora perché hai detto di averli sgraffignati?-

- Perché se mi avessero beccato all’aeroporto mi avrebbero rifatto nuovo, ma per fortuna non sono mai stato costretto a fare dei controlli extra al check-in.- 

Zhalia affondò il naso nella sua tazzina di caffè, cercando di soffocare il pensiero che quello fosse effettivamente il miglior caffè che avesse mai bevuto in vita sua.

Ma guardatelo, lì seduto sul suo bel divano con le braccia sullo schienale, quasi a volersi mostrare grosso, mentre si vanta delle sue eccellenti abilità di cercatore, di archeologo e di ladro tutte assieme. 

Già, il divano.

Quel bel, grosso divano dai cuscini comodi comodi.

No, Zhalia. Non puoi schiacciare un pisolino.

Anche quello, no.

Dante seguì il suo sguardo e gli scappò da ridere.

- Lasciamo perdere, non voglio annoiarti con la storia dei miei viaggi. Perché non riposi un po’? Lavo i piatti e poi, se vuoi, possiamo fare il giro di Venezia. Caldo a parte, è il venticinque d’aprile. La basilica di San Marco è aperta e diciamo che ho un pass speciale per raggiungere le cupole. Ah, e dobbiamo andare a ritirare il materiale sulla missione che il Consiglio Huntik ha spedito stamattina. La sede della Fondazione è qua vicino, saremo di strada. Sbrighiamo quelle noiosissime pratiche e siamo liberi.-

- Sei certo di non volere una mano?- disse, cercando di essere gentile. Pensò di sorridere, ma aveva paura che le fosse rimasto qualcosa tra i denti.

E poi, il divano…

- Ti invito e poi ti faccio lavare i piatti? Mai e poi mai. Torno subito. Se vuoi, puoi accendere la televisione.-

- Tranquillo, va bene così.- disse, ondeggiando la mano come per scacciare un pensiero molesto e accomodandosi meglio sul divano.

 

La guardò accomodarsi meglio ed accavallare le gambe.

Già, le gambe.

Da dove vieni, bella straniera?

E soprattutto, chi sei davvero?

Parliamoci chiaro. Se Dante veniva considerato il miglior cercatore della Fondazione c’era un motivo. 

La comparsa di quella splendida cercatrice - sì, splendida. Dante non aveva occhio soltanto per i sassi di Ayers Rock - così, all’improvviso, nel bel mezzo di un assalto dell’Organizzazione ad un hotel della Fondazione puzzava di bruciato e non poco. 

Così, poco dopo la loro sortita al cimitero di Praga, Dante aveva fatto le sue ricerche ed aveva scoperto che la ragazza aveva un curriculum di tutto rispetto sotto il vessillo della Fondazione Huntik.

C’era addirittura una missione svolta con successo per il ritrovamento del titano Chancegiver, il titano della sorte andato perduto da secoli.

Il tutto rigorosamente da sola, al punto tale che la giovane cercatrice si era guadagnata l’appellativo di lupo solitario

Peccato che Dante, che sapeva tutto di tutte le missioni, fosse certo che Chancegiver fosse ancora disperso, e che una spedizione del genere la Fondazione non l’avesse mai effettuata.

Altrimenti, sarebbe stato il primo a saperlo.

Da ciò discendeva che Zhalia Moon non era chi diceva di essere.

Dante si era ormai persuaso che la giovane e bellissima cercatrice avesse una missione: farlo innamorare, farlo fesso ed infine farlo secco. 

Chi l’avesse progettata, quella missione, non lo sapeva, ma era pronto a riconoscere che era stato bravo.

Anche perché, lui c’era cascato con tutte le scarpe.

Dante non era un farfallone, no, ma sapeva godersi la vita. Era cresciuto con Metz, il suo mentore, che invece aveva un debole per le gonnelle. Aveva imparato dal migliore in assoluto in quel senso, eppure non abusava mai del suo fascino o della sua posizione da cercatore numero uno della Fondazione. Preferiva le relazioni personali costruite sulla fiducia reciproca e sullo scambio emotivo, non sul vicendevole sfruttamento.

Questo non voleva nemmeno dire che non sapesse dove guardare quando ce n’era bisogno. Di sicuro sapeva individuare target molto più interessanti del sasso di una montagna sacra. 

Così, quando una fascinosa ragazza dagli occhi di brace e dai capelli neri come la pece si era fatta strada tra i nemici distruggendo dodici finestre - con un solo Touchram! - e facendo fuori sei agenti praticamente da sola con l’eleganza di una farfalla, era rimasto incantato a guardare quella bella figura sinuosa.

Bella e talentuosa.

Poi, le aveva stretto la mano, l’aveva guardata negli occhi e l’aveva vista.

Non guardata. Vista

Ed aveva avuto la conferma di tutti i suoi dubbi proprio quel giorno a tavola.

L’aveva guardata mangiare, aveva osservato il modo svogliato con cui aveva preso la forchetta e la foga con cui aveva trangugiato l’intero piatto nel giro di poco. Dante non sapeva perché, ma aveva la sensazione che la ragazza avesse della fame arretrata. 

Un evento che aveva dell’innaturale, considerato che a Praga, a cena con la squadra, aveva praticamente giocato con il cibo tutta la sera senza nemmeno toccarlo. 

Lei stessa, in quel confuso venticinque aprile, sembrava essersi stupita per quanto avesse mangiato.

Sperò che si trattasse solo del paragone - a suo dire impietoso - fra il cibo italiano e quello austriaco, che la magia della cucina mediterranea avesse fatto ancora una volta un miracolo e che non si trattasse invece di un segnale di qualcosa di più profondo. 

Magari, il motivo per cui c’era una tempesta dentro i suoi occhi. Una tempesta fatta di sofferenza, rabbia, rancore e tanta, tanta tristezza. 

La vita è dura, era solita dire. L’aveva ripetuto così tante volte in così poco tempo da far giungere Dante alla conclusione che dovesse avere un significato profondo per lei.

Non solo la sua vita era dura al momento, ma doveva esserlo stata anche in passato.

L’aveva vista sbattere le ciglia da farfalla una volta di troppo e rimpiangerlo. Aveva letto nel suo flirt il desiderio di affermarsi, ma allo stesso tempo la voglia di allontanarsi da un uomo che non amava.

Almeno, non ancora.

Insomma, era più che evidente che Zhalia Moon, oltre a nascondere la propria identità, trasudava un profondo senso di insoddisfazione, ansia e insicurezza. 

L’unica che sembrava essersi accorta di qualcosa era Sophie Casterwill, che avrebbe dato un occhio della testa per vedere Zhalia scomparire dalla faccia del pianeta.

Ma Dante, per la bella mora che stazionava in attesa sul suo divano, aveva altri piani.

Sapeva di essere un passo avanti a lei. Era sempre stato bravo in queste cose. Dante ne andava fiero. 

Era certo che lei, se le avesse dato una chance, avrebbe scelto la vita.

Poggiò l’ultimo piatto lavato sul piano della cucina e si voltò a guardarla. 

Era ancora lì, seduta sull’angolo del divano, pronta a tenerlo d’occhio, con le gambe accavallate. 

Peccato che stesse dormendo come un sasso, con la bocca leggermente aperta e il capo reclinato di lato.

Gli scappò da ridere, scuotendo la testa e poggiandosi al piano.

Era bella. Forse la più bella creatura che avesse mai visto.

Ed era anche certo che dentro il suo cuore ci fosse un universo ancora tutto da scoprire.

Tu non mi ucciderai mai, Zhalia Moon. 

Almeno, non se fosse riuscito nel suo intento.

Di qualcosa dovrò pur morire. A questo punto, preferisco che a facilitarmi il trapasso sia una bella donna come te.

 

TRADUZIONI DAL VENETO

 

Ostrega, che bèla toxa!: Accidenti che bella ragazza! 

 

Chel mèzo pulizziòto, co el cavejo rosso?: Quel mezzo poliziotto con i capelli rossi?

 

Ti te vèdi sto òmo, lu el tàse tuto e po’ xe càta na bèla toxa cussì, de scondòn!: Tu guarda quest’uomo, sta tutto zitto e poi si trova una bella ragazza così, alla chetichella!

 

Stà de casa vizzìn, drìto, ti te strapassi il destùro e po’ vàrdi a zànca. Còri drìo a l’odore di pesse che el cati!: Abita vicino, a dritto, oltrepassi il canale e poi guardi a sinistra. Corri dietro al profumo di pesce che lo trovi!

 

Però xe el vintisinque d’aprìle, par questo mi no sò se xe!: Però è il venticinque aprile, perciò non so se c’è (in casa). 

 

Mi? Me ocòre per tajare la verza!: (Dici) A me? Mi serve per potare i cavoli!

 

LA TANA DELLA TALPA

 

Chiedo venia a tutti gli amici veneti che leggono questa storia. Immagino che si sia capito che io non sono veneta. Per rendere meglio dunque il surreale dialogo con lo strano tipo con la scala - che tornerà in seguito - mi sono avvalsa dei potenti mezzi del Consiglio Regionale del Veneto, che consistono in un sito internet contenete un manuale di grammatica veneta e un dizionario. Ho controllato e credo di aver reso il senso delle frasi in modo abbastanza fedele, ma sono apertissima a correzioni. Sperando di non avere offeso nessuno nel frattempo.

Ringraziandovi per il calore con cui seguite questa storia, vi saluto e ci vediamo prossimamente.

 

Vostra,

 

Molly.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. Quel giorno più non vi leggemmo avante ***


3. Quel giorno più non vi leggemmo avante

 

Zhalia era seduta su un aereo.

Non avrebbe mai creduto di poter definire un aereo il posto più surreale che avesse mai visto, ma scoprì di essere a corto di altri appellativi. 

Di fronte a lei c’era Dante Vale, in bermuda a fiori, che sorseggiava una bevanda con tanto di ombrellino e con i piedi poggiati sullo schienale del sedile di fronte.

- Non sai che è maleducazione? Disturbi i passeggeri e i tuoi piedi di sicuro non profumano di acqua di colonia!-

Per tutta risposta, quello si tirò su gli occhiali da sole e le tese il bicchiere.

- Goditi la vita, Zhalia! Trattati bene tra una missione e l’altra!-

La ragazza roteò gli occhi, biasimando ogni singola fibra del corpo del cercatore seduto di fronte a lei e decise di guardare fuori.

Con suo grandissimo sconcerto, stavano volando sul nulla, in mare aperto, e non c’era traccia di terra all’orizzonte.

L’assistente di volo con il carrello del pranzo sfrecciò in corridoio passando tutti i sedili senza nemmeno calcolarli, mentre borbottava tra sé, come se fosse in stato di shock:

- Non possiamo atterrare. Non c’è personale. C’è sciopero.-

Zhalia le fece presente che stavano volando sopra l’oceano, ma quella non la considerò neppure.

- Non possiamo atterrare. Non c’è personale. C’è sciopero.-

Bah.

Poi, d’un tratto, sentì qualcuno ridere in modo strano, una risata stridula con uno strano soffio, come di aria che passa da un grosso foro tra i denti. 

Si voltò per guardarsi alle spalle e rimase a bocca aperta quando scorse lo strano uomo con la scala che aveva incontrato a Venezia, mentre borbottava in quella lingua strana:

- De corsa, che mi me tòca tajare la verza!- 

Tanto ci capivo prima, tanto ci capisco adesso.

Poi, ad un tratto, una forte turbolenza prese a far tremare l’aereo. Zhalia si tenne stretta al sedile e cominciò seriamente a pensare di star precipitando. Sentiva la testa pesante, come se fosse pericolosamente inclinata in avanti e in balìa della gravità.

  • Zhalia?-

La voce di Dante le giunse alle orecchie, e lo osservò mentre, seduto sul sedile con i piedi nudi e i bermuda a fiori, la fissava e la chiamava.

  • Zhalia!-

Ma che accidenti…

 

- Non sto dormendo!- disse, aprendo gli occhi di botto e trovando inginocchiato di fronte a lei un Dante Vale tutto sorridente, che teneva una mano sulla sua spalla e una sulla sua gamba e la faceva dondolare lentamente cercando di svegliarla.

- Non ne dubito.- disse, con quella sua solita malizia negli occhi.- Hai tenuto soltanto gli occhi a riposo per un’ora.-

Un’ora?

Guardò l’orologio digitale del televisore e notò con rammarico che segnava le quattro e mezza del pomeriggio. 

Si era veramente addormentata per un’ora filata?

Stava sbagliando tutto.

Mai addormentarsi con la propria vittima ad un tiro di schioppo.

Che accidenti mi sta succedendo?

Abbassò lo sguardo con aria colpevole.

- Scusa.- mormorò, sincera.- Saremo in ritardo, immagino.-

- Dipende da cosa intendi per ritardo. La sede della Fondazione chiude alle sette quindi immagino che no, non siamo in ritardo. Hai ancora un po’ di tempo per svegliarti ben bene. Ah, giusto, non stavi dormendo, vero?-

Zhalia si strofinò gli occhi con il dorso della mano, cercando di riprendere gradualmente conoscenza ed ignorando volutamente la battuta di quel maramaldo da strapazzo. 

Ancora lo vedeva con i bermuda a fiori.

All’improvviso, uno strano senso di freddo si impadronì di lei, come se avesse avuto la febbre, o come se si fosse appena tolta una coperta di dosso e ne sentisse la mancanza. Si guardò attorno, spaesata, accorgendosi di essere in un luogo che non le era affatto familiare - in una casa di cui conosceva solo due stanze, se si escludeva il bagno - e soprattutto di essere vicina al suo nemico numero uno, un uomo che le era stato insegnato di dover temere. 

Sotto sotto, chi non era un pericolo per lei? Tutti quanti hanno degli interessi, tutti sono pronti a tradire i loro cari per conseguirli. Le era bastato accompagnare un’amica avvocato - cioè, un’informatrice - in tribunale per rendersi conto di quanta gente c’era che aveva voglia di litigare, e per delle piccolezze per di più, a fronte delle quali le parti in causa si facevano i peggiori dispetti.

Zhalia era sola. Non aveva nessuno, a parte Klaus, del quale non si fidava per ovvi motivi. Non appena aveva potuto, se ne era andata da quella libreria scura in Via degli Alchimisti ed aveva preso un appartamentino tutto per sé nella sua Rotterdam, la città che le era stata familiare e che allo stesso tempo le aveva rovinato la vita. Non era niente di speciale. Una stanza con soppalco in pieno centro, all’interno di un condominio ultramoderno. Un buco piccolo ma avvolgente e soprattutto molto luminoso. 

Aveva tutta la luce che le era mancata, chiusa per anni in quel bunker sotto la strana libreria di colui che chiamava padre.

Essere soli aveva i suoi vantaggi. Poteva fare qualunque cosa senza dover rendere conto a nessuno. Poteva fare colazione a letto e restare un pomeriggio intero a guardare Gareon acchiappare le mosche invece di allenarsi. Poteva cenare di fronte ad un film strappalacrime con i toast e la cioccolata. Tanto Klaus non lo sapeva. Quando la chiamava, bastava dirgli sì sì, ho fatto tutto, tranquillo, e lui era contento.

La solitudine, però, aveva anche i suoi difetti, e non erano pochi. Quando sei da solo, nessuno ti aiuta se ti senti male. Dal medico ci devi andare con le tue gambe, in farmacia anche. Se il portinaio non c’è i pacchi tornano al mittente. Le spese del vitto e dell’alloggio, le tasse non sono condivise. E uno ogni tanto soffoca.

A volte, per strada, si sentiva vuota, sola. Si guardava attorno e si domandava che cosa ci facesse in quel posto affollato di gente in cui non conosceva nessuno, nessuno parlava, nessuno staccava gli occhi dallo schermo del telefono, nessuno si sfilava le cuffie dalle orecchie quando chiedeva un’informazione.  

Ecco, in quei momenti in cui il vuoto si impadroniva di lei, si stringeva le braccia attorno al corpo ed andava avanti. Alla fine, si va sempre avanti, anche se non si vorrebbe. Anche se si vorrebbe urlare. Anche se ci si sente male.

Quella non era decisamente casa sua. C’era una bella differenza tra la sua tana in un quartiere di una metropoli affollata e la villa del Cinquecento dai colori caldi in cui viveva il suo nemico numero uno. 

- Stai bene?-

- Come?-

Dante la stava guardando, con le spalle incastrate nell’angolo, l’aria di chi aveva capito tutto stampata sul volto.

Quanto mi fa imbestialire quest’uomo, convinto di sapere tutto ciò che in verità non sa.

- Ti ho chiesto se stai bene.-

- Certo.-

- Non voglio farmi gli affari tuoi né metterti a disagio, ma questo tuo stringerti nelle spalle…- e mimò il gesto di avvolgersi le braccia attorno al corpo. - Ecco, è da quando sei arrivata che ti comporti in modo strano. Se non ti senti bene ti capisco, dev’essere stata davvero una pessima giornata per te. Possiamo dire al Consiglio che ci prendiamo un giorno in più prima di partire, se ne hai bisogno.-

- Ti ho detto che sto bene, anzi, andiamo?- concluse, balzando in piedi.

Non voleva continuare quella conversazione.

Decise che la causa del sul torpore e dei suoi sogni strani dovesse essere stato il vino. Di solito non beveva molto.

Le sarebbe passato presto.

- Se lo dici tu.- concluse Dante, afferrando l’impermeabile. 

La seguì fuori dal portone e lungo le scale. Era ancora caldo, nonostante il sole avesse passato lo zenit. Posò lo sguardo sulle increspature dell’acqua del canale. Un gondoliere era appena passato. Dei piccioni si erano levati alti nel cielo lontano, direttamente dalle cupole di San Marco.

Sogghignò, malizioso.

Aveva in mente un bel piano, che avrebbe attuato dopo la loro scampagnata alla sede della Fondazione. Un piano che aveva accuratamente progettato nei giorni precedenti e che Milano Malpensa aveva quasi rischiato di mandare a monte. Per fortuna non c’era riuscita. 

Oggi desisterai dal tuo intento, Zhalia Moon.

 

Per strada il silenzio si era fatto di piombo. Zhalia si guardava attorno, godendosi finalmente il bellissimo panorama che offriva la città di Venezia. I luoghi turistici ed affollati erano bellissimi, ma lei aveva sempre avuto una passione sfegatata per i luoghi dimenticati, i piccoli scorci, quegli sprazzi di artisticità che emergevano in contesti di assoluta normalità. Quell’angolo di Venezia regalava perle bellissime, come il ponticello vicino al cortile della casa di Dante. 

Lo stesso cercatore che non le aveva mai tolto gli occhi di dosso mentre le camminava a fianco, tenendosi appena dietro di lei. Non sapeva spiegarsi per quale motivo non la affiancasse definitivamente. Poteva percepire il suo sguardo sulla nuca e si sentiva esposta, scoperta, vulnerabile. 

Tossicchiò ed attaccò il discorso con la prima domanda che le venne in mente pur di rompere quel silenzio imbarazzante e costringere il giovanotto ad accelerare il passo.

- Sei nato a Venezia?-

- No, a Firenze. A Venezia ci sono piovuto anni fa.-

- Esigenze della Fondazione?-

- Anche. C’è stato un periodo in cui ho avuto spesso bisogno di passare il confine dello Stato italiano, così ho preferito un luogo più di frontiera alla mia città natia. Doveva trattarsi di una soluzione temporanea, poi è diventata stabile e posso dire di essere contento così.-

Zhalia potè percepire una nota di malinconia nel suo linguaggio, verbale e non verbale. Intuì che oltre confine dovesse esserci qualcuno a cui voleva molto bene e prese nota di questo fatto. 

Avrebbe dovuto indagare a fondo quell’aspetto.

- E tu, invece?-

Presa in contropiede, Zhalia trasalì. 

- Che mi dici di te?-

- Io?- fece, passandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. - Non saprei da dove cominciare.-

- Magari dal posto in cui sei nata?-

- Il punto è che non lo conosco. Credo che sia Rotterdam, ma non ne sono certa.- 

Sentì gli ingranaggi nella mente di Dante ponderare bene le parole.

- Ho toccato un tasto dolente?-

- No. Non ho mai conosciuto la mia famiglia. Tutto quello che ho è un atto di ammissione in orfanotrofio. Nulla di più. Potrei anche essere nata ad Anderlecht ed essere stata abbandonata lì. Chi lo sa. Però ho vissuto per gran parte della mia vita a Rotterdam e l’olandese è la mia lingua madre, quindi…-

- Capisco. Se avessi anche solo immaginato, non avrei chiesto.-

- No, va bene.-

Il primo approccio era sempre il più imbarazzante. Del resto, Zhalia faceva cilecca proprio sui convenevoli di rito per cominciare un’amicizia o una frequentazione qualsiasi che potesse dirsi normale. La gente di norma chiede nome, cognome, origine, interessi…

Nome: Zhalia. Forse. Chissà chi me lo ha dato e perché.

Che lingua è? Bah, non l’ho mai capito. Forse greco. Forse no.

Cognome: Moon. E’ davvero il mio? Bah, nessuno me lo ha mai davvero spiegato.

Età: ventisette anni, ammesso e non concesso che abbiano contato bene quando mi hanno ammessa in orfanotrofio.

Origini: forse olandesi. Forse no. Forse sono di Rotterdam, se non spunta qualcosa di diverso. 

Interessi: risolvere misteri per un’Organizzazione che sta cercando di dominare il mondo con l’ausilio di poteri magici ed antiche creature. 

E tu, che fai nella vita?

Meno male che aveva imparato presto a svicolare. 

- Ho capito che non sei originario di qui dall’accento. Non parli come le persone a cui ho chiesto indicazioni.-

- Vuoi dire che non parlo con le vocali pronunciate e le esse da tutte le parti?-

Fece ancora quella bella risata calda e gorgogliante, che veniva dal cuore. 

Zhalia fu costretta ad ammettere che sapeva fare buon uso del suo fascino.

- Il veneto è una lingua bellissima, ma l’italiano nasce dal fiorentino, è normale che il mio modo di parlare ti suoni più familiare.-

- Aspetta, non sei inglese?-

- Mio nonno lo era. Io sono italiano, nato e cresciuto qui. Cioè, a Firenze. Veneziano d’adozione. Ormai parlo anche un po’ di veneto, anche se non sono un asso. Strano, però, che ti abbiano parlato in dialetto. Soprattutto in posti turistici come questo l’inglese è di pubblico dominio, ormai.-

Zhalia allontanò dal viso i capelli mossi dal vento.

Ma perché non li ho legati stamattina?

- Ho chiesto informazioni ad un tizio curioso che girava vicino al teatro con una scala sulla spalla. Pensavo che fosse un artigiano che lavora lì, invece mi ha detto qualcosa - almeno credo, spiccico giusto due parole di italiano - a proposito di tagliare un oggetto che si chiama verza…-

Dante trasecolò e scoppiò a ridere di gusto, proprio di cuore.

- Non ci credo! Di tutti i veneziani che potevi incontrare hai chiesto informazioni turistiche a Domè del ponte?- 

Zhalia alzò le sopracciglia senza capire.

- Non saprei. Forse?-

- Direi di sì. Verza in veneto significa cavolo, e Domenico è famoso per la sua strana mania di fare l’orto in alto. Abita in una viuzza laterale piuttosto buia attraversata da un canale, che più che un canale è un rigagnolo. Casa sua è collegata alla casa di fronte da un piccolo ponticello. E’ convinto che il tetto sia l’unico posto in cui le verdure prendono il sole e, soprattutto, in cui nessuno della soprintendenza e delle belle arti verrà mai a dirgli qualcosa perché ha fatto l’orto. Peccato che adesso ce l’abbia coi piccioni. Ha rischiato più di una volta di cadere di sotto. Una volta lo hanno trovato appeso per la salopette al ponte perché era caduto dal tetto, e da quel giorno si è munito di scala. Per questo lo chiamano Domè del ponte. Ci sono voluti tre gondolieri con le picche per tirarlo giù senza farlo cadere nel canale.- 

Zhalia rise di gusto.

- E poi, se ti ha parlato in una lingua simile al serpentese, poteva essere soltanto lui, perché non ha i denti…-

Un attimo.

Aveva riso.

Di sua spontanea volontà.

Non lo aveva fatto per fargli credere di essere pazza di lui.

L’aveva fatto sul serio!

Mi devo riprendere, accidenti!

- Sì, direi che serpentese è la definizione giusta! Però, anche se a gesti, fino a casa tua mi ci ha portato, e credo di doverti riferire che ce l’ha con te. Non ho capito per quale motivo, ma credo che si aspettasse che tu gli dicessi qualcosa che non gli hai detto.- 

- Lascialo perdere, fa sempre così quando vede una donna aggirarsi nei pressi di casa mia. Mi vuole accasare da anni, ormai, specialmente da quando l’ho aiutato a montare i mobili dell’Ikea. Aveva perso tutte le brugole, non si sa come le aveva spedite quando sotto il divano, quando sotto la cucina. Alcune le ho trovate persino sotto il vecchio mobile del bagno.-

Quindi, se quel pazzerello voleva vederlo sposato a tutti i costi e gli andava bene qualsiasi donna gli passasse vicino, c’erano ottime possibilità che il bel cercatore fosse ancora scapolo.

Il che le avrebbe spianato definitivamente la strada.

- Dici che mi ha scambiata per la tua fidanzata?- 

- Scambia chiunque per la mia fidanzata. Anche Antonella, la mia vicina con i gatti.-

- E lei è d’accordo?-

Dante alzò visibilmente un sopracciglio e Zhalia si lasciò intimidire, nonostante l’evidente ironia della situazione.

- Antonella non lo sa, per fortuna. La mia fidanzata? Se ce l’avessi, non credo che lo sarebbe, ma dal momento che non esiste penso che il problema non si ponga.- 

Zhalia si trovò a corto di argomenti un’altra volta e questo significava trovarsi in imbarazzo.

- E’ molto lontano?-

- Cosa, la Fondazione? No, solo un paio di strade. Non ci metteremo molto. Ah, a questo proposito, hai un posto dove dormire?- 

Zhalia sentì una brutta sensazione di freddo pervaderle lo stomaco. 

Non poteva essere. Va bene, Dante Vale era un volgare farfallone capace di far cadere ogni donna ai suoi piedi utilizzando tutto il suo charme, ma non poteva davvero credere che lei si sarebbe prestata al suo gioco praticamente subito, qualche ora dopo essersi incontrati. 

Doveva essere chiaro che lei non avrebbe mai e poi mai dormito a casa sua quella sera. 

- Ci sarà un albergo in tutta Venezia che abbia una camera libera per me.-

- Dato il periodo sinceramente ne dubito, ed anche se tu trovassi qualcosa, temo che ti svuoterebbe il portafogli.- 

Zhalia sentì all’improvviso il bisogno di allontanarsi da lì e scappare lontano. 

Al diavolo Klaus e la sua missione. Era evidente che lei era ancora debole e forse lo sarebbe sempre stata. Non avrebbe avuto tutta la gloria che voleva. Lei non era nient’altro che una goccia in un mare di altre gocce e non avrebbe mai mosso i fili della propria vita per il semplice fatto che non era disposta a fare qualsiasi cosa per ottenere il potere di farlo. 

Non avrebbe mai sacrificato la sua dignità per una missione. 

- Non penso di avere alternative, non trovi?-

Doveva essere stata molto fredda e sulla difensiva, perché potè notare un certo irrigidimento nel corpo del giovane cercatore.

- Ho preparato la stanza degli ospiti. Se vuoi, stanotte puoi stare da me. Ammesso che la cosa non ti metta a disagio, naturalmente.-

Diamine, il ragazzo sa flirtare pesante.

Zhalia era consapevole che rifiutare quell’offerta le avrebbe complicato immensamente la vita, soprattutto in quella giornata in cui tutto sembrava andare storto, ma l’idea di condividere la stanza con quell’uomo che conosceva a mala pena la soffocava. 

- Vedremo.-

Dante abbozzò un sorriso malizioso e Zhalia ebbe la conferma che quella giornata, già cominciata male, sarebbe andata a finire ancora peggio.

Se il giovane cercatore aveva voluto confermare la sua ipotesi - ovvero che la bella signorina Moon era in realtà una creatura fragile invischiata in una trama più grande di lei, le cui conseguenze non voleva del tutto - aveva appena trovato la sua conferma. Qualunque compito le fosse stato affidato la terrorizzava. Era evidente che Zhalia non voleva rimanere da sola con lui, nemmeno sotto tortura, nemmeno se questo avesse significato dover riprendere un aereo quella sera stessa. 

Parte del suo comportamento, però, lo faceva ben sperare. C’erano momenti in cui Zhalia perdeva genuinamente ogni freno inibitore. 

A meno che non stia recitando. In tal caso, dovrebbero darle un Oscar.

Dormire con la propria - probabile - aguzzina nelle vicinanze era un azzardo bell’e buono, ma rideva alle sue battute, di una risata genuina e saporita che gli faceva dubitare delle sue capacità drammatiche. 

Parte di tutta questa sceneggiata è reale.

Così, aveva sfruttato la situazione ed aveva cercato di metterla a proprio agio, facendola sentire apprezzata e al sicuro, magari anche un po’ corteggiata. La sua reazione, fino a quel momento, era andata ben oltre ogni previsione, forse finanche oltre ogni previsione della stessa Zhalia. 

Gli era sembrata sinceramente interessata quando aveva cercato di informarsi sulla sua fantomatica fidanzata. 

Non poteva rovinare tutto, se voleva portare a termine il suo piano. L’aveva fatta sentire esposta e avrebbe dovuto rimediare.

- Se preferisci, c’è una locanda piuttosto comoda un paio di incroci più in là. Altrimenti puoi usare la foresteria della Fondazione, anche se non te lo consiglio. Le pareti sono di carta velina e gli agenti vanno e vengono a tutte le ore. Rischi di non chiudere occhio per tutta la notte.- 

Dante osservò il volto della ragazza rischiararsi in un’espressione di sollievo e si domandò che cosa potesse terrorizzarla tanto, che cosa ci fosse di così scandaloso nell’ospitarla una notte a casa sua. 

Dal canto suo, Zhalia cominciava a sospettare di star proiettando i propri fantasmi là dove non ve ne erano.

- Ti ringrazio. Magari dopo do un’occhiata.-

 

Ciò che il Consiglio Huntik aveva loro inviato non era altro che una manciata di fogli pinzati e chiusi dentro una cartellina sottile. Per sbrigare la pratica ci misero giusto qualche minuto. Il custode li stava aspettando e salutò Dante con gioia quando lo vide arrivare. Fece un saluto caloroso a Zhalia e poi ammiccò alle sue spalle rivolto al cercatore. 

Ancora? Questo Dante Vale, nonostante i suoi talenti, deve essere scapolo da tanto se tutti gli stanno cercando una fidanzata.

Le venne da ridere al pensiero che il genio della Fondazione in realtà non riuscisse a battere chiodo. 

Con sua grande sorpresa, scorse Dante riflesso nella finestra fare un gesto amichevole al custode, invitandolo a non commentare oltre e a tagliare corto.

Forse, Zhalia stava davvero proiettando i propri fantasmi in contesti in cui non ve ne erano.

Si promise di rimanere più razionale per quel che restava della giornata.

Seduta alla scrivania, osservò Dante firmare un po’ di carte. Gli fece eco pochi secondi dopo. Un paio di strette di mani e tante buone cose. 

Si trovarono fuori in men che non si dica, immersi in un imbarazzante silenzio.

E ora che si fa?

Non dovette pensare a lungo, però, perché il bel cercatore aveva evidentemente qualcosa in serbo per lei.

Zhalia non sapeva se esserne felice o meno.

- Bene, quindi…-

- Quindi abbiamo tutto il resto del pomeriggio davanti. Per farci un bel giro è più che sufficiente. Sei mai stata a Venezia prima d’ora?-

- Onestamente no.-

- Bene. Allora vieni con me.-

E prima che Zhalia potesse replicare, Dante Vale l’afferrò per mano e la trascinò al riparo di un antico porticato, camminando spedito verso un luogo a lei del tutto ignoto.

Dal canto suo, il giovane cercatore aveva tutta l’intenzione di giocarsi il tutto e per tutto.

Del resto, quello era proprio il caso di dire che si trattava di una questione di vita o di morte.

Se fosse riuscito a vincere la sua resistenza - non a farla innamorare, sarebbe stato chiedere troppo; era sufficiente che si fidasse di lui, magari ciecamente - non gli avrebbe mai fatto del male. 

In fondo, lei era buona.

Tra lui e la carriera, avrebbe scelto lui.

O almeno, sperava.

Zhalia invece aveva una boccia di pesci rossi piena d’acqua al posto del cervello. Il contatto con la sua mano era stato fugace. Aveva sentito le dita del bel cercatore serrarsi per una frazione di secondo attorno alle sue, il tempo necessario per spingerla sotto il portico e farla camminare di fronte a lui. Nulla di più che un mero contatto funzionale, ma tanto era bastato per annullare il controllo della cercatrice sulle sue emozioni. 

Aveva istintivamente ritratto la mano per allontanarsi il più possibile da lui. 

Non essere sciocca, è un ottimo segnale. Significa che, nonostante tutti gli intoppi, il tuo piano sta funzionando.

A Zhalia, però, faceva ribrezzo quel piano. 

Quando avevano deciso, si erano riuniti in una stanza Klaus, il Professore e Rassimov. Zhalia non si fidava di nessuno dei tre. Klaus era l’uomo che considerava un padre, ma che a tratti la trattava come un utile strumento e niente di più. Il Professore, il capo indiscusso dell’Organizzazione, era noto per avere poteri di manipolazione mentale.

Non era un caso se gli incantesimi di protezione della mente erano stati i primi che Zhalia aveva imparato. 

Per quanto riguardava Rassimov, di lui non si fidava nemmeno Klaus. Non ne aveva fatto un ritratto molto invitante. Com’era che lo aveva definito? 

Ah, sì.

Un uomo spietato e senza scrupoli. Tutti lavoriamo per nostro tornaconto, ma Rassimov ha una personalità talmente doppia che non gli affiderei nemmeno i tuoi pesci rossi.

Alla fine di quell’incontro, Klaus era tornato a casa illustrandole il piano.

Zhalia era stata d’accordo solo in parte.

Insomma, finalmente qualcuno si prende la briga di sistemare quella spina nel fianco che è Dante Vale, ma devo farlo proprio così? Insomma, Klaus, conosci la mia storia. Non è che impazzisca all’idea.

Da quella discussione, però, non era riuscita a cavare un ragno dal buco e si era conclusa con una solida ribadita.

Quindi la mia opinione non conta nulla?

Beh, tecnicamente no.

Per quanto Zhalia stesse dunque cercando disperatamente un modo per risolvere la situazione, ormai la strada era tracciata e non vi era una consistente via d’uscita.

E’ solo che non sono abituata al contatto fisico.

Era una scusa da poco. Non era vero che Zhalia non era abituata al contatto fisico, era lei stessa a rifuggirlo come la peste.

C’era di buono che, nonostante diffidasse profondamente di Dante Vale, non era aggressivo né volgare. Aveva messo in chiaro con classe che ci stava provando ed aveva negato con tutto sé stesso l’evidenza per rendere la pantomima ancora più credibile. Non aveva mai esagerato. Aveva lasciato che fosse lei a dettare i tempi. Per ogni proposta avanzata, il giovane cercatore aveva in serbo un’alternativa eticamente più accettabile, e per ogni avance mossa le lasciava lo spazio per replicare, prendere l’iniziativa o nessuna delle due. Si era tenuto su una forma di corteggiamento galante, fatta di buon cibo, buon vino, fugace contatto fisico e soprattutto spiccato umorismo, a modo suo talmente serio che poteva quasi piacerle.

Quasi.  

Dante non le piaceva e non poteva piacerle. Sotto questo profilo, era un povero illuso, lui e tutta la sua combriccola di amicizie e conoscenze veneziane che da un pezzo a questa parte gli stavano cercando moglie. 

Come avrebbe potuto ucciderlo, altrimenti?

Doveva ammettere, però, che con le donne ci sapeva fare.

- Dante, dove stiamo andando?-

- In piazza San Marco, ovviamente. Non puoi andare via senza averla vista.-

E Zhalia capì che aveva intenzione di conquistare il premio di quella sera facendole fare il giro romantico di Venezia.

Solito cliché. Che caduta di stile. 

Pensare che bastasse un bel pranzo cucinato con le sue belle manine, una bella statua, magari un giro in gondola per vincere la sua incertezza mandava la cercatrice su tutte le furie, e si convinse ancora di più che no, quella sera lei  avrebbe dormito da un altra parte. 

- Magari possiamo dare un’occhiata a qualche hotel nei paraggi?-

Il sorriso sul volto di Dante non si spense.

- Ovviamente.-

Se credeva davvero di riuscirci, il ragazzo si stava decisamente sopravvalutando.

All’andata, Zhalia aveva attraversato piazza San Marco quasi di corsa. Non si era concessa il lusso di fermarsi a guardare. Lo scorcio, però, era stato suggestivo anche così. Adesso, Dante le stava offrendo la possibilità di ammirare con calma nella colorata luce della sera incipiente un vero e proprio capolavoro di arte e storia. La basilica sembrava un palazzo uscito dalle fiabe che galleggiava senza peso, nel niente, scivolando sull’acqua. Zhalia rimase incantata dalle cupole dorate e dal rumore dei gabbiani, dallo sciabordio leggero dell’acqua e soprattutto dal sole, che scintillava abbagliante sulle guglie.

- E’ magnifica.- disse, e lo pensava davvero.

- Dentro è ancora meglio. Vuoi entrare? Oggi che si festeggia lasciano aperta la cattedrale per le visite qualche ora in più.-

Fu così che Dante Vale l’accompagnò in un piacevole giro turistico della basilica. Piacevole, sì, perché per una volta Zhalia fu accompagnata da uno chaperon che stava zitto. Dante non fiatava, mentre sfilava al suo fianco attraverso le navate ed ammiravano con il naso all’insù i bellissimi mosaici dorati. Non sentiva evidentemente il bisogno di mostrarle quanto fosse bello, bravo e talentuoso facendo sfoggio di tutte le sue conoscenze. Zhalia apprezzò molto questo suo comportamento. Era perfettamente in grado di distinguere la maggioranza degli artefatti antichi presenti dentro la cattedrale senza che lui sentisse il bisogno di insegnarle il mestiere. 

Solo di tanto in tanto il bel cercatore raccontava qualche aneddoto curioso nel tentativo di farla ridere. Suo malgrado ci riuscì quando raccontò di un parroco che, rimasto attaccato all’incensiere, finì a gambe all’aria e puzzò di incenso per due settimane, oppure quando le riferì che una volta un incauto consigliere comunale si lasciò sfuggire che, in verità, uno dei calici in pietra dura del tesoro di San Marco era il Sacro Graal.

- E lo era?-

- Figuriamoci. Doveva essere una battuta per prendere in giro i complottisti, ed invece ha dovuto spingere il Sindaco a fare un’ordinanza per tenerli lontani.-

La fece passeggiare anche sulle guglie, sotto le cupole, ammirando la città dall’alto e guardando i piccioni volare verso il sole. Dante aveva ragione quando diceva che era dotato di un pass speciale, che consisteva in nientemeno che un bell’Hyperstride diretto sulla vetta della basilica.

Quello sarebbe stato un ottimo momento per tentare un approccio. Il posto era bello, l’atmosfera era romantica e non avevano il lavoro ad impedire loro di comportarsi come due persone normali. 

Il pensiero la innervosì e Dante se ne accorse. Per questo motivo preferì dirottare la sua attenzione su altro.

Anche questa volta Zhalia dovette riconoscere che il ragazzo aveva classe e sensibilità.

- Vedi quel palazzo laggiù? E’ la sede distaccata del Comune. Lì lavora l’attendente del Sindaco che riferisce alla Fondazione Huntik. E’ un cretino di prima categoria, un certo Moscardini.-

- Come l’animale?-

- Sì, come il polipo. Come lo sai?-

- Me ne hanno offerto un piatto una volta a Capri.-

- Sicuramente erano meglio di questo qui. Siccome nessuno vuole averci a che fare, indovina chi ci hanno mandato?-

- Te?-

Dante fece un gesto con le mani come a dire e certo.

- Quello là invece è il molo dove attraccano le navi, anche quelle da crociera. In molti ne hanno fatto una battaglia, dicono che sono pericolose e deturpano il paesaggio.-

- E tu che ne pensi?-

- Preferisco tenermi fuori dalla politica locale, ma una volta ho visto uno di quei giganti triturare un peschereccio in porto perché aveva calcolato male la velocità d’attracco. Meno male che non c’era nessuno a bordo. Tragedie del genere si possono sicuramente evitare. Che dici, scendiamo? Tra poco calerà il vento e quassù farà troppo caldo per restare.-

Mentre si mescolavano alla folla e si apprestavano ad uscire dalla basilica come dei normalissimi turisti, Dante decise di stupirla ancora una volta. 

- Sembrerò un disco rotto, ma non posso fare a meno di notare che ti senti a disagio, e mi dispiace se proponendoti di fermarti da me ti ho messo in una brutta posizione. Non vorrei che tu male interpretassi la mia proposta. Davvero ho preparato la camera degli ospiti. Forse l’hai vista, è la stanza di fronte al bagno. E’ tua per stanotte, se vuoi. Se ciò che ti impensierisce è quello che penso io, sei completamente fuori strada. Non sono quel tipo di persona.-

Zhalia non sapeva che dire.

Veramente aveva intenzione di lasciarla dormire?

Soltanto dormire?

Nella sua esperienza di spia, in tal caso, Dante era forse il primo uomo a farle una proposta simile in completa buona fede. Questo lo portava immediatamente al primo posto della lista. 

Dei buoni o dei fessi, questo ancora non lo sapeva.

Ma a lei non piaceva, eh. Assolutamente no.

In piazza centinaia di turisti vagavano nei dintorni, armati di macchina fotografica, cercando di catturare i ricordi.

Cercarono di attraversare la piazza, ma con un colpo di vento tutti i piccioni si alzarono in volo, investendoli in uno stormo scuro che sembrava senza fine.

Dante la guardò ripararsi la testa con le mani e cercare di evitare i piccioni. La guardò ondeggiare sui piedi, incerta. Vide il vento sollevarle un poco la gonna e spettinarle i capelli. Poi la guardò ridere di gusto mentre gli uccelli le volavano attorno, persa nella magia di quello stormo nero che si librava nella luce di un sole che ormai stava cominciando a tramontare, e si disse che era bella, troppo bella per essere reale, forse la creatura più bella che avesse mai visto, e quella risata, cristallina, pulita, genuina, le si addiceva molto di più di quell’espressione sempre seria ed imbronciata che aveva la maggior parte delle volte. 

Si chiese che cosa le fosse capitato per renderla così triste e cupa, e si disse che forse non voleva saperlo.

Zhalia era rimasta nel mezzo alla piazza, a guardare lo stormo di piccioni che diventava sempre più piccolo. Un refolo di brezza, uno dei pochi e degli ultimi di quella giornata afosa, le fece oscillare ancora la gonna. Dante la guardò togliersi i capelli dal viso, con ancora l’ombra di un sorriso sulle labbra, e si chiese se veramente un angelo come lei potesse essere cattivo. 

Si vergognò un po’, anche solo per aver dubitato di lei.

- Pensi che l’albergo possa aspettare qualche minuto?-

La ragazza, con una mano dietro l’orecchio per sistemarsi i capelli, parve non capire.

- Vieni con me, c’è qualcos’altro che mi piacerebbe farti vedere.-

E, sfiorandole di nuovo la mano, la trascinò via tra la folla.

 

Avevano camminato per qualche minuto lungo uno dei tanti canali di Venezia, alla ricerca di qualcosa che Zhalia non aveva ben capito. Dante, in proposito, aveva la bocca cucita e i pochi tentativi che la ragazza aveva fatto per riuscire a capire dove la stesse portando erano andati completamente a vuoto. Il bel cercatore aveva eluso le sue domande con i suoi soliti sorrisi maliziosi e qualche aleatorio vedrai

- Non mi piacciono le sorprese.- 

- L’ho notato.-

Si accorse che stavano girando attorno all’area di San Marco. Zhalia non aveva avuto molto tempo per studiare la mappa di Venezia, ed anche se ci fosse riuscita in breve tempo avrebbe dimenticato l’innumerevole quantitativo di meraviglie che quella città sapeva nascondere. Ovunque si girasse spuntavano capolavori e scorci mozzafiato. 

Fu presa dalla disperazione quando si accorse che Dante la stava conducendo su un ponte affollatissimo di turisti. L’idea di restare a contatto con un sacco di gente sudaticcia e maleducata, dopo il viaggio che aveva fatto quel giorno, la disturbava. Con sua grande soddisfazione, però, il giovane cercatore la fece svoltare in una strada laterale.

- Dove stiamo andando?-

- Siamo arrivati, Miss Impazienza.-

Zhalia si trovò ben presto su un tetto umido e coperto di muschio. L’incredibile agilità di Dante Vale gli permettevano di restare in piedi su quella superficie scivolosa e stretta senza cadere nel canale, nonché di sparire al momento giusto, prima che qualcuno potesse vederlo, raggiungerlo e multarlo. 

Lei, forse, non era altrettanto capace, ed osservò con sospetto l’acqua maleodorante sotto di loro. Voltò lo sguardo a destra e a sinistra dentro quella gola stretta tra due palazzi, soltanto per accorgersi che il bellimbusto italiano l’aveva portata nel posto più romantico di tutta Venezia.

- Il Ponte dei Sospiri?-

- Esattamente.-

Le venne da ridere.

- Tu sei proprio sicuro che non ci stai provando con me?-

Dante le restituì il sorriso.

- In verità, c’è ben poco di romantico nel Ponte dei Sospiri. Collega il Palazzo Ducale alle Prigioni Nuove. Fu Lord Byron, rifugiatosi a Venezia per scappare dai creditori, a dargli questo nome. Non si tratta di sospiri romantici, bensì di quelli dei carcerati che guardavano per l’ultima volta la luce del sole dalle finestre del ponte. Puoi scegliere, dunque, se credere che stia cercando di provarci con te portandoti in uno dei luoghi più famosi e romantici di Venezia, o se credere che io stia cercando di provarci con te portandoti in carcere. Con la seconda avresti sicuramente un aneddoto da raccontare!-

Nonostante l’allusione infelice - se fosse stata scoperta il suo destino, in qualità di spia, non sarebbe probabilmente stato difforme da quello dei detenuti veneziani di secoli prima - Zhalia non si sentiva a disagio, anzi, era elettrizzata, eccitata. Tutto sommato si stava divertendo un mondo. Dante Vale non poteva sapere della sua doppia identità, o almeno così credeva. Per questo motivo la prese solo come l’ennesima battuta fatta col suo umorismo nero e cinico, un umorismo che le andava a genio. 

Va bene che è bravo, ma non così tanto. 

Arrivò persino a pensare che forse Dante Vale non meritava di essere ucciso, se era veramente così buono - cioè, ingenuo - come aveva dimostrato di essere quel pomeriggio. 

Si sedettero sul tetto e Zhalia si tolse i sandali, il muschio che le solleticava i piedi. Essere una cercatrice le dava un’enorme senso di libertà. Poteva andare dove nessun altro poteva, anche sul tetto di un grande palazzo storico di fronte ad uno dei ponti più famosi del mondo.

Anche se aveva paura di finire a mollo in quel canale composto dal novanta per cento di nafta e dal cinque per cento d’acqua.

- Qua vicino c’è un’ottima gelateria, se ti va di fare merenda.-

- Devo ancora buttar giù tutto il pesce che ho mangiato oggi. Non sono neanche sicura di cenare, stasera.- 

- Ad essere sincero, sono pieno anche io. Posso offrirti una tazza di tè?-

- Volentieri.-

Restarono sul tetto mentre la brezza scemava e l’aria diventava più fresca. Il sole stava ormai calando e riempiva la laguna di una tenue caligine azzurrina. 

Il paragone con il suo appartamento a Rotterdam era impietoso, davvero. La città era bellissima, ma era ultramoderna, almeno nel quartiere dove abitava lei. Per cercare uno scorcio storico doveva spostarsi davvero tantissimo e per una cercatrice come lei, naturalmente attratta dalle antichità, era una vera e propria tortura. 

Svernava nei musei, quando poteva.

A Venezia tutto era storia. Persino il cercatore seduto vicino a lei sembrava essere uscito da un museo, tanto era capace di fondersi con l’ambiente. Quando si era immaginata l’Italia, aveva visto la Fontana di Trevi, il Colosseo, il Cupolone del Brunelleschi e i ponti di Venezia. Nonostante il suo cognome e le sue origini, Zhalia non riusciva ad immaginarsi niente che sapesse più di italiano di Dante Vale.  

- Mi spieghi una cosa?-

- Spara.-

- Come mai Defoe ce l’ha così tanto con te?-

Sul viso del ragazzo passò un’ombra scura nell’azzurro della sera. Non c’era rabbia né rancore nei suoi occhi, soltanto profonda delusione.

- Non saprei. Non abbiamo mai avuto screzi che andassero oltre il mero rapporto professionale. Credo che sia una questione di pelle. Lui odia tutto quello che faccio e io faccio davvero tanta fatica a non restituirgli la cortesia. Non ho mai incontrato nessuno capace di rivoltarmi lo stomaco come Defoe.-  

Zhalia ammiccò.

Sapessi a me…

- E’ un uomo meschino.- continuò Dante, fissando il vuoto. O forse stava fissando le dita dei piedi di Zhalia che accarezzavano il muschio? - Vuole il potere tutto per sé e sarebbe disposto a vendere anche sua madre, pur di ottenerlo.-

Una fitta al petto la fece trasalire.

Klaus le aveva promesso il potere, la fama, la gloria, se avesse ucciso Dante Vale.

E lei Defoe lo conosceva bene. Era per questo, del resto, che lo odiava con tutta sé stessa.

Dante lo aveva descritto bene. Faceva rivoltare lo stomaco. Viscido, untuoso e perverso. Le veniva voglia di scappare via ogni volta che lo incrociava e doveva farsi una buona dose di violenza per non seguire il proprio istinto e mantenere la faccia di bronzo.

Lei non era uguale a Defoe, vero?

No. Tu sei diversa.

In effetti, non era una predatrice.

Forse.

Quello che stava facendo con Dante Vale, allora, che cos’era se non predare? 

Scoprì di non riuscire ad immaginare in che cosa fosse diversa da Defoe e la cosa la disgustò.

- Non ha freni, limiti alcuni. E’ la personificazione dell’eccesso. Non ha rispetto né per le cose, ed eventualmente potrei capire, né per le persone, cosa che invece non posso proprio condividere. E’ un membro dell’Organizzazione, per cui non dovrei stupirmi…-

Un’altra fitta al petto che le fece abbassare lo sguardo sulle tegole del tetto.

- Fa un uso del tutto strumentale dei manufatti che trova o dei titani che usa. E’… Non so come definirlo, se non meschino.-

- Viscido?-

Dante sorrise.

- E’ un valido sinonimo, sì.-

- Certo, tu gli stai dando del filo da torcere.- 

- Faccio solo il mio lavoro. L’ho incrociato un paio di volte in qualche missione, gli ho messo i bastoni tra le ruote. Da quando si trova contro di me, non ha più portato a termine un compito che fosse uno.-

- Però, la modestia fatta persona, eh?- ironizzò Zhalia, aggiustandosi quella ciocca di capelli che proprio non ci voleva stare, dietro l’orecchio.

Aveva disperatamente bisogno di cambiare argomento. 

- Non c’entra la modestia o meno, purtroppo è un dato di fatto, e temo che non gli stiano facendo passare dei bei quarti d’ora all’Organizzazione. E’ uno dei motivi per cui mi odia, suppongo. Sospetto che anche i suoi non siano contenti. Grier è un uomo tutto d’un pezzo dal viso di pietra, non si capisce bene quali siano le sue intenzioni, ma non penso sia felice. L’ho visto insofferente ultimamente.-

Zhalia avrebbe voluto poter dire la sua. In effetti, a Grier, come a tutti i membri dell’Organizzazione da un pezzo a quella parte, il boccone Defoe proprio non andava giù. Con il tempo tutti quanti avevano imparato a conoscerlo per quello che era, un elemento davvero ributtante. Per certi versi, Zhalia rimaneva stupita ogni volta che incrociava la strana coppia. Il cercatore mingherlino e il luogotenente ben piantato che prendeva ordini in continuazione.

Com’era che Grier non aveva ancora fatto fuori Defoe, nonostante il suo vergognoso atteggiamento?

- Deve essergli molto fedele, se non l’ha ancora strangolato con le sue mani.- disse, fingendo di essere ironica.

Non seppe perché, ma quel sorriso malizioso sulle labbra di Dante proprio non le piaceva.

- Zhalia, posso farti una domanda personale?-

La giovane cercatrice sentì il tetto aprirsi sotto i suoi piedi e fu seriamente tentata di rispondere di no.

Si limitò a fare spallucce.

- Perché lavori sempre da sola?-

Ah, meno male. A questo ho una risposta. 

- Le persone sono… Come dire? Complesse. Poco sincere. Se vai a restringere il campo, ti rendi conto che tutti quanti hanno un movente per fare quello che fanno. Per perseguire quell’interesse superiore sarebbero disposti a fare qualsiasi cosa, anche tradirti. Da sola è diverso. Su di me posso sempre contare.-

- Tranne quando non puoi.- commentò il cercatore, allungando le gambe sul tetto e stirandosi come un gatto.- Ad esempio, se in uno scontro con Grier tu dovessi farti male, come potresti difenderti da sola? Dovresti perdere o arrenderti, ed in certe circostanze significa morte certa.-

Zhalia fu costretta ad ammettere che non aveva tutti i torti.

- Non importa, comunque. Sono abituata a cavarmela da sola.- 

- Questo me lo immagino. Continui a ripetere che la vita è dura.-

- In orfanotrofio non ti aiuta nessuno, ammesso e non concesso che il ricordarti che sei uno scarto della società possa essere considerato un aiuto.-

- Non ci sono leggi in proposito? Trattati internazionali?-

- Certo che ci sono. In certi posti, però, la legge non entra. Il mio era uno di quelli.-

Zhalia non amava parlare di sé. Lo trovava imbarazzante e per ovvi motivi, anche. Parlarne con lui, però, non la faceva sentire a disagio. Si sentiva ascoltata e non le sembrava di piangersi addosso.

Ecco, sarebbe stato proprio ciò che le avrebbe detto Klaus. Le pareva di sentire la sua voce nella testa mentre le diceva di piantarla di piagnucolare e tirare fuori gli attributi, che è il tempo di riscattarsi. 

- Ci sono esperienze che non posso comprendere, me ne rendo conto.- proruppe Dante, distraendola dai suoi pensieri.- Confronto alla tua, la mia è stata una vita nella bambagia. Stare da soli, però, non va bene. La vera forza di un cercatore è la squadra. Unire menti e poteri, talenti diversi: è così che si diventa i migliori.-

- Tu sei diventato il migliore da solo.-

- Assolutamente no. Ho avuto un grande mentore che ha saputo vedere il mio talento, ammesso che ne abbia uno, e lo ha potenziato. Senza di lui non sarei nulla. Ho avuto una famiglia che mi ha seguito nelle mie scorribande quando ha potuto. Ho avuto amici fidati, sfidanti onesti. Tanta fortuna, insomma. Eppure coi ragazzi lavoro bene. So che Sophie Casterwill non ti ispira molta fiducia, ma dalle il tempo di abituarsi. Ti renderai conto di non saper stare senza una squadra.- 

- Lei mi odia perché ci prova con te, è chiaro.-

- E’ un’adolescente, sono fatti così. E poi, sono convinto che in verità abbia un debole per Lok Lambert.-

- Chi, l’imbranato?-

- E’ bravo. Praticamente ha cominciato l’altro ieri. Dai tempo al tempo.- 

Zhalia rimase a fissare un gabbiano ritardatario mentre sfrecciava sulla laguna al tramonto. 

Non aveva avuto la sua stessa fortuna. Nell’Organizzazione fare squadra non esisteva. 

Era un gioco al massacro in cui l’ultimo che restava in piedi conquistava il potere. 

- Il mio maestro diceva sempre che un cercatore solo è un cercatore incompleto. Lo è di nome, lo è nei fatti, ma gli manca qualcosa.-

Le venne da ridere.

- E’ cercatore, ma allo stesso tempo non lo è. Una situazione da gatto di Schrodinger!-

- Eh?-

- Non conosci il paradosso del gatto di Schrodinger?-

Dante si guardò in giro, spaesato, come se questo Schrodinger fosse da qualche parte nei paraggi.

- Dovrei?-

No, effettivamente non avrebbe dovuto. Zhalia sapeva di essere particolarmente nerd per quel genere di cose. Crescere con Klaus l’aveva portata a vivere a cavallo tra due mondi: quello delle belle arti e quello della scienza. Amava gli oggetti antichi - in quanto cercatrice sarebbe stato un problema il contrario - ma con il tempo si era resa conto di avere un approccio diverso alle cose. 

Approccio che l’aveva portata a divertirsi con argomenti che non erano esattamente all’ordine del giorno.

- E’ un esperimento mentale ideato nel 1935 da Erwin Schrodinger per spiegare come la meccanica quantistica fornisca risultati paradossali se applicata ad un sistema fisico macroscopico.-

Dante aveva le ciglia lunghe e scure. Di un rosso intenso. 

Aveva delle pagliuzze color ebano dentro l’iride d’ambra. 

E le lentiggini attorno al naso, a piccoli spruzzi. 

Sapeva di buono. C’era odore di dopobarba nell’aria. 

Zhalia pensò che era proprio un bell’uomo.

E nei suoi occhi non c’era niente di cattivo.

Occhi che, in quel momento, la guardavano con l’aria più perplessa e più buffa del mondo.

- Entanglement quantistico?-

Sopracciglio inarcato.

- Principio di sovrapposizione? Equazione di Schrodinger?-

- Per me è ostrogoto.-

E prima che potesse anche solo pensare di essere socialmente imbarazzante e che forse le sarebbe convenuto stare zitta, Zhalia si lanciò in una spiegazione assolutamente non richiesta del paradosso.

- In buona sostanza, Schrodinger e molti altri scienziati avevano dei dubbi riguardo all’interpretazione di Copenhagen su un aspetto della meccanica quantistica che si chiama entanglement - ma non ci entriamo. In particolare avevano espresso dei dubbi sul fatto che ogni stato quantistico possa essere validamente presentato come somma di due o più stati. Ad esempio, prendi un sistema fisico, cioè prendi due particelle. Il loro stato quantico può essere la somma di due stati differenti. Secondo Schrodinger, questo poteva creare situazioni al limite del paradossale, e per questo si è inventato l’ipotesi del gatto. Metti un gatto dentro una scatola chiusa, in cui c’è un meccanismo a molla che, se attivato, finirà con il rompere una capsula radioattiva causando la morte del gatto. Prima o poi, il gatto finirà col giocare con il meccanismo e lo farà scattare, di fatto suicidandosi. Per te che sei fuori dalla scatola, però, è impossibile stabilire se il gatto sia vivo o morto, perché non lo vedi.-

- E fin qui…-

- Per ovviare al problema, tu affermi che il gatto è sia vivo che morto allo stesso tempo. E non è possibile.-

Dante si grattò la barba.

- Quindi tu mi stai dicendo che una particella può essere sia viva che morta allo stesso tempo in meccanica quantistica?-

Zhalia annuì.

- Più o meno sì.-

- E mi stai anche dicendo che l’esploratore solitario sarebbe, al momento del verificarsi dell’evento scatenante, sia cercatore che comune esploratore perché, da una parte, ha i poteri tipici dei cercatori ma, dall’altra, è senza una squadra?- 

- Esatto.-

- Seguendo la tua linea di pensiero, questo non sarebbe possibile.-

Zhalia allargò le braccia.

- E come potrebbe essere diversamente? Non si può essere vivi e morti allo stesso tempo, no?-

La sera stava calando e con essa la quiete. Dalla loro posizione sopraelevata potevano vedere Venezia che si accendeva di mille luci, mentre i turisti scemavano diretti ad occupazioni più conviviali. I gabbiani ormai non strepitavano più. Attorno a loro c’era solo silenzio e il leggero brusio della gente in strada.

- E com’è finita?- proruppe Dante, interrompendo il loro attimo di contemplazione.

Zhalia sbatté le palpebre, perplessa.

- Che cosa?-

- La diatriba sull’entanglement. Com’è finita? Aveva ragione Schrodinger?-

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4054943