Stop crying your heart out

di Cassandra Moon F451
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Home ***
Capitolo 2: *** Stop crying your heart out ***
Capitolo 3: *** Hands ***



Capitolo 1
*** Home ***


And I thank you,
For bringing me here,
For showing me home,
For singing these tears,
Finally I've found,
That I belong here.

 

Il nuovo gruppo dei Guardiani era rientrato a Knowhere da una manciata di ore. Erano stati accolti festosamente dagli abitanti, come eroi rincasati dopo un lungo viaggio, era stato piacevole, aveva pensato Rocket, sarebbe riuscito a considerarlo famigliare, se avesse dato fiducia al futuro, ancora una volta. Groot aveva lasciato che una ventina di ragazzini si dondolassero sulle sue braccia, era parso sereno quanto un bambino, mentre Phyla aveva cercato Nebula per riferire i dettagli della missione.
«Ottimo lavoro.» aveva commentato la donna, andando ad affiancare la giovane. «Siamo molto orgogliosi di te.» era un’aggiunta importante per la figlia di Thanos, infatti, Rocket aveva annuito ad entrambe. Phyla aveva rivolto un sorriso raggiante al suo capitano, in cui traspariva la sua totale innocenza e Rocket aveva trattenuto il fiato, perché non poteva mostrare il timore di perderla, di osservare la sua vivacità sbriciolarsi contro la violenza esterna a Knowhere.
Il cerimoniale dei saluti era perdurato per buona parte della giornata: i Guardiani erano stati rifocillati, erano stati messi al corrente delle novità; Rocket si era concesso una visita ai cuccioli, ai procioni che aveva liberato da una gabbia, una simile a quella in cui sua la vita era iniziata. 
Gli edifici destinati agli animali erano ampi, ben illuminati, non c’erano sbarre, bensì porte, cuscini, giocattoli, trespoli, ciotole di acqua e di cibo. Era ciò di Rocket avrebbe sentito il bisogno, non fosse stato scelto, ma era andato oltre quel rimpianto, era riuscito ad accettare la propria consapevolezza, benché artificiale.
I cuccioli erano stati coccolati, vezzeggiati dai ragazzini, dagli adulti, Rocket aveva constatato come avessero iniziato a sembrare capricciosi, ma era stato inevitabile, si era ripetuto, all’ennesimo graffio di uno dei piccoli.
Rocket si era incamminato verso uscita, mentre un felino, anzi un gatto domestico, dal folto pelo nero era arrivato nella direzione opposta, aveva un incedere elegante, gli occhi gialli emanavano un tenue lucore. Aveva già visto il gatto, ma non riusciva a ricordare la circostanza.
«Signore.» l’aveva salutato qualcuna, il tono senza sfumature, la voce morbida. Rocket aveva pensato al gatto, appena incrociato, poi aveva intravisto i capelli biondi di una creatura umanoide, avanti a lui, gli era parsa più matura di Phyla,ma non abbastanza da definirla adulta.
«Rocket.» l’aveva corretta, senza asprezza, la sua voce era diventata ruvida con un’eco metallica, forse era sempre stata una sua impressione, non aveva interesse a indagare, non aveva alcun desiderio di cambiare.
La ragazza aveva abbassato il capo, Rocket era riuscito a vedere una cascata di lunghi boccoli, il colore era simile al biondo che aveva sfoggiato Natasha, due anni prima della Missione; aveva intravisto le mani rosee intrecciate all’altezza del grembo, gli era sembrata gracile per gli scontri, ma aveva creduto lo fosse Mantis e si era reso conto del grande errore. Aveva alzato il braccio destro per congedarsi e si era lasciato le due creature alle spalle.

Rocket non era stupito dai rapidi cambiamenti subiti dalla stazione spaziale, adesso, che Nebula e Drax avevano deciso di farne una casa per la variopinta, chiassosa comunità riversatasi a Knowhere; le difese esterne erano migliorate ed erano comparse le barriere interne, onde evitare incidenti con esseri giovani, curiosi di scoprire nuovi luoghi. Rocket si era messo a disposizione degli amici, aveva ideato un sistema d’illuminazione capace di simulare l’alternasi del giorno con la notte, indispensabile per organizzare le attività dei bambini, secondo il parere di Drax.
Era atteso al bar, ormai convertito nella “Caffetteria 3”, aveva scambiato qualche parola con Kraglin e Cosmo, prima di entrare, un lento respiro, mentre il peso della giornata iniziava a cadere sui muscoli.
L’arredamento era cambiato: c’erano tre ordinate file di tavoli rettangolari, sedie con lo schienale imbottito, un paio di poltrone bordeaux, sgabelli più bassi, cuscini e recipienti per animali, anche la luce era divenuta soffusa, accompagnata da un lieve sottofondo musicale.
Rocket notò Nebula appoggiata alla parete sinistra, le braccia incrociate sotto al seno, il volto serio, lo sguardo pensoso, Drax era più rilassato, seduto ad uno dei tavoli, guardava il proprio pad.
«Gamora ha localizzato Mantis. » esordì Nebula, senza alcuna introduzione, lasciò all’immaginazione altrui il motivo che spingesse Gamora a monitorare la Galassia, in cerca di Mantis e perché tenesse informata la sorella: «È rimasta su di un pianeta per alcune settimane, la popolazione era mite e non ha incontrato ostacoli.» terminò, senza specificare quanto fossero “miti”, gli indigeni, prima dell’arrivo della ragazza. 
«Bene.» disse Rocket, si avviò al frigorifero per cercare una bibita fresca. «Se inviasse altri messaggi, deviali pure sulla nave.» aggiunse, estrasse uno dei contenitori squadrati e vi inserì una cannuccia. 
Nebula acconsentì, attese un’esternazione di Drax, che non arrivò. 
La musica cullò una sensazione di quiete mescolata alla nostalgia di serate meno tranquille, eppure, ugualmente piacevoli. 
«Vogliamo fare una scuola per i bimbi.» esordì Drax, cambiando argomento con voce profonda, appena più seria del consueto. «Abbiamo già una lista di cosa può servire.» 
Nebula rilassò le braccia lungo i fianchi. «Il sistema didattico dovrà prendere in considerazione quattro differenti fasce di età.» illustrò con voce ferma, non gesticolava, non era espressiva, ma Rocket sapeva riconoscere ogni suo stato d’animo ed era tranquilla, anzi, era soddisfatta. «Sono stati individuati gli edifici in cui raggruppare le tipologie di studenti, esamineremo i candidati al ruolo di tutori.» 
«Maestri.» corresse Drax.
Nebula, bloccata nella sua fluida spiegazione, serrò i denti. «E renderemo i locali adatti all’apprendimento. Il materiale è costoso.» si rivolse a Rocket, inclinando impercettibilmente il capo.
Lui non si scompose, dopo l’aver annuito, staccò le labbra dalla cannuccia, deglutì il liquido amaro. «Abbiamo pad e console, non più in uso, posso riconvertirle.» disse con un' alzata di spalle. «Dovrete passarmi i dati da inserire.» 
«Sì.» Nebula abbozzò un sorriso. «Gamora ci farà arrivare un centinaio di console intatte, fra tre giorni.» anche tale informazione non ebbe una spiegazione, quasi che Gamora passasse le giornate a rubare console e riferire gli spostamenti di Mantis a Nebula. 
Rocket si soffermò a valutare la mole di lavoro che lo attendeva, oltre ai progetti sulla sicurezza interna, inviati al terminale nel suo alloggio. 
Fu allora che Drax pose una domanda specifica e scaraventò Rocket in un territorio oscuro, che non aveva intenzione di esplorare, specialmente, dopo la sua prima missione da capitano.
«Sei tu, il padre.» replicò più aspramente di quanto avesse desiderato, cercò il volto di Drax. «Groot non mi ha causato guai di quel tipo.» soggiunse con maggiore ironia.
Nessuno menzionò Kamaria, nessuno l’avrebbe mai fatto, eppure Drax la ricordò, un bagliore di limpida sofferenza attraversò lo sguardo dei suoi occhi più sereni, dopo il ritorno dall’Oblio dello Schiocco.
Rocket trattenne la lingua fra i denti,si pentì di essere stato ruvido, non si scusò, perché non poteva rimediare; appoggiò il contenitore sulla seduta di uno sgabello, aspettò.
Nebula fu la prima a spezzare il silenzio, si avvicinò ai due. «Sono mammiferi, Rocket.» sentenziò, rivolgendosi al procione e distogliendo l’attenzione dall’altro. «Sai cosa può significare.» abbassò la voce, il volto atteggiato a una gravità solenne, quasi drammatica.
Rocket allargò le braccia. «Il numero di uova non aumenterà.» disse scrollando la testa.
Nebula si volse in direzione della porta, osservò Cosmo sollevare dal suolo Illyzia; la bimba estasiata agitò la mano in segno di saluto. Kraglin, Nebula, Drax e Rocket ricambiarono, quasi fosse un gesto naturale, qualcosa di famigliare. Rocket era incerto su cosa significasse per lui, su come avrebbe influito sull’equilibrio raggiunto.
«I loro organi sessuali muteranno. » proseguì Nebula, deglutì turbata; era a disagio con l’argomento, desiderava affrontarlo, chiuderlo e scordarlo. L’espressione sorpresa di Drax confermò il sospetto di Rocket: nessuno l’aveva udita pronunciare la parola “sessuali” .
«Loro vorranno scoprirli, comprendere come unirsi.» scostò il viso, fissando un punto indistinto sulla parete.
Rocket e Drax erano immobili, pietrificati dall’imbarazzo o dalla straordinarietà del discorso, il procione sentì la gola secca, non era sete, era la sgradevole idea di aver perso smalto con la chiosa cinica, che ammutoliva l’uditorio. Era stato battuto da Nebula.
«Quill non dovrà saperlo.» mormorò fra sé e sé.
«Sa che sono mammiferi.» rilevò Drax, socchiudendo appena le labbra.
Nebula arretrò di qualche passo. «Thanos ci diede alcuni documenti da studiare, perché mia sorella ed io avevamo delle differenze a livello riproduttivo.» rivelò la cura paterna per l’intimità delle figliole, non ebbe altro da dire. 
Drax non condivise esperienze personali. Rocket rimase a fissare lo spazio tra i due amici, scacciando dei quesiti posti molto, troppo tempo addietro.
«Scoprite come crescono questi poppanti.» intervenne Kraglin con la grazia di un meteorite in collisione con un pianeta. «Quanto lo saprete, insegnatelo pure a loro.» si alzò in piedi, soffocò uno sbadiglio.
Nebula e Drax convennero in un rapido scambio di battute.
«Ne abbiamo una. » Nebula riacquistò sicurezza. «Va bloccata e interrogata.» disse.
Drax non parve d’accordo, aggiunge delle notizie sulla mammifera in questione. «È molto chiusa.» replicò protettivo.
Rocket comprese di aver incontrato la sventurata, verso cui provò grande compassione.
«La ragazzetta con il gatto.» s’intromise Kraglin. «Quella che Adam fissava manco avesse avuto tre… » non finì la frase, tirò su col naso. «Lei non si ricorda chi sia, mi sa.» sogghignò. «Ci passiamo tutti. »
«Dannazione.» sbottò Rocket, pensando a come affrontare la faccenda con il bambino d'oro.
Illyzia volteggiava ad un metro dal pavimento, Cosmo non scostava gli occhi da lei, scodinzolava per i continui complimenti, le risate, le gambe agitate per aria.
«Io sono stata sterilizzata, prima di partire.» la voce pacata di Cosmo divenne un boato nella testa di Rocket.
Kraglin s’accigliò, rammaricato, Cosmo era un’amica, forse sperava incontrasse l’amore o qualcosa che gli somigliasse, anche gli altri due erano in rispettoso silenzio.
Rocket era esausto, la testa pulsava di ombre, di sussurri provenienti dal passato, salutò i suoi amici, prima che potessero intuire il suo stato d’animo ed uscì.
La bambina aveva disteso il braccio, perché Rocket le sfiorasse le dita: «Mi piace volare.» esclamò al capitano e l’esternazione genuina, innocente, gli strappò un sorriso, si conficcò nell’anima insieme a ogni anelito di tenerezza. Era facile affezionarsi ai piccoli, desiderare di proteggerli, era così doloroso per lui ed altrettanto inevitabile. Rocket avvertì il peso degli assenti franargli addosso. Decise di andare via, negli alloggi, solo con i suoi morti.

 
Feels like home,
I should have known,
From my first breath.

{Home - Depeche Mode}
 
Kamaria: figlia di Drax e di Ovette, uccisa dagli uomini di Thanos.
Phyla: Appartenente all'ultima specie manipolata dall'Alto Evoluzionario, fa parte dei Guardiani della Galassia.

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Capitolo 2
*** Stop crying your heart out ***


Hold up,
Hold on,
Don't be scared,
You'll never change what's been and gone,
May your smile (may your smile),
Shine on (shine on),
Don't be scared (don't be scared),
Your destiny may keep you warm.

 

Rocket socchiuse le palpebre, era disteso supino sul pavimento, osservò il soffitto metallico, non sapeva quanto avesse dormito, era assonnato e percepiva la vicinanza dei suoi amici, Floor aveva il respiro più leggero, muoveva le zampe meccaniche involontariamente, sfiorando il procione di tanto in tanto, mentre Teef aveva la tendenza ad emettere sbuffi pesanti, simili a dei sospiri, Lylla era solita cambiare spesso posizione, ma non quella notte.
Era stata una giornata strana, perché gli assistenti del Sire erano arrivati per prelevare Lylla, non Rocket, l’avevano agguantata per la collottola, mentre Teef aveva tentato di raggiungerla.
«Dove vai? Dove vai? » aveva domandato allarmata Floor. «Portami con te. Dove vai?»
«È tutto okay.» aveva detto Lylla, la sua voce era riuscita a rasserenare gli altri, ma non Rocket, che era rimasto davanti alle sbarre della propria gabbia, aveva cercato una risposta diversa per lui, l’aveva cercata negli occhi miti della lontra, ma lei si era limitata a volgergli un sorriso stanco, tristemente consapevole, ma di cosa, Rocket non l’ aveva capito.
Teef, Floor e Rocket avevano atteso, si erano scambiati frasi d’incoraggiamento, erano sobbalzati ad ogni rumore, quante ore fossero passate era stato impossibile da stabile, era state troppe, aveva sentenziato Floor.
Uno degli assistenti aveva riportato Lylla, aperta la porta, l’aveva adagiata di malagrazia accanto a Teef, mentre Rocket aveva guardato l’uomo, aveva impresso la sua fisionomia nella memoria con l’ astio che aveva sentito crescere, quando aveva scoperto di avere degli amici rinchiusi, come lui, che avevano sofferto, quanto o più di lui. Aveva soffiato dalle fauci, non aveva intenzione di attirare l’attenzione, anzi voleva che Lylla avesse modo di stare tranquilla con lui, con Teef, con Floor.
«Sono ancora un po’ stanca.» aveva risposto a Rocket. «Non è niente di grave.»
Lylla aveva sempre cercato di allontanare la paura, la tristezza dai suoi amici, la sua voce gentile era diventato il suono che Rocket aveva preferito alle melodie del Sire, era il suono che aveva desiderato sentire al risveglio, un attimo prima di cedere al sonno, dopo le visite del Sire, mentre giocava o soltanto immaginava il cielo.
Teef aveva indietreggiato, lasciando maggiore spazio a Lylla, che si era distesa sul fianco sinistro, aveva incurvato leggermente la schiena ed i suoi occhi erano rimasti su Floor, come se avesse qualcosa da comunicare alla coniglietta.
«Cos’è?» aveva chiesto Floor, aveva allungato una zampa in direzione di Lylla, anzi del suo grembo. «Perché?»
Rocket aveva alternato lo sguardo su entrambe, si era sentito confuso, proprio come Teef.
Lylla era stata operata: il grembo era stato rasato, una ferita era stata chiusa con tre punti di sutura. Rocket non aveva idea di cosa chiedere, era stato un taglio minuscolo, in una parte del corpo di cui Rocket aveva ignorato l’utilità. Aveva cercato degli indizi da Floor, ma questa si era dedicata a Lylla, le aveva accarezzato la testa, aveva mormorato che presto sarebbe tornata in salute.
«Cerca di stare ferma. » aveva aggiunto bonario Teef. «Cerca di riposare. Ti porto l’acqua.»
Rocket era rimasto a guardare Lylla, non aveva intenzione di farla affaticare, aveva sentito un peso all’altezza del cuore, si stava impegnando a farlo svanire, le aveva sorriso.
Lylla aveva le palpebre pesanti, la voce era più roca del solito, ma aveva mormorato. «Rocket, va tutto bene.»
Era stata la prima e ultima bugia che Lylla gli aveva detto.  Rocket aveva annuito, aveva fatto ciò che lei avrebbe desiderato: confortare Teef e Floor, fare loro compagnia, addormentarsi quando loro si erano già assopiti.
Era stata una giornata strana, ma Rocket si era persuaso fosse conclusa.

Lylla era una sagoma raggomitolata, scorgeva la sua schiena, le cicatrici e parte della spalla meccanica. Era poco distante dalle sbarre, brevi respiri si susseguivano ad una velocità superiore al normale. Rocket capì che Lylla stava singhiozzando, malgrado la ferita appena richiusa, senza consentire ai suoi amici di confortarla; socchiuse le fauci, si chiese quante volte avesse pianto da sola, sfoggiando il suo splendido sorriso al mattino, scosse la testa per scacciare il quesito, tanto inopportuno e un nodo invisibile serrò la gola.
«Vieni qui.» sussurrò a Lylla, senza preamboli.
Lylla aveva scosso la testa, un gesto appena visibile, reso incerto dal pianto.
«Non sei sola. » disse Rocket, affatto persuaso a lasciare l’altra in lacrime. «Io sono tuo amico.» la voce era bassa, gli occhi fissi sulla schiena di lei.
«Lo so.» Lylla parlò con una tristezza profonda, sconosciuta a Rocket.
«Sono qui con te.» proseguì lui, allungò il braccio, ma non riuscì ad accarezzarla. «Lylla.» chiamò di nuovo, avrebbe voluto sfuggire a quelle barriere, cingerla a sé, cullarla mentre viveva un dolore a lui incomprensibile, ma non poteva farlo, la rabbia era indistinguibile dagli altri sentimenti, li riuniva tutti nella frustrazione.
Lylla sospirò, emise un breve lamento, infine, si volse e il suo muso era bagnato di lacrime, gli occhi gentili congestionati, le braccia portate a celare il grembo, qualcosa che avrebbe voluto dire svanì nell’immensità di un secondo.
Rocket e Lylla si fissarono, non era la prima volta o forse, lo era; entrambi strappati dal mondo per essere le marionette di un pazzo, convinto che il suo potere di infliggere dolore, morte, vita, speranza fosse legittimo. Rocket e Lylla erano vivi, erano reali, erano capaci di amare, di odiare, eppure, non avevano il potere di sfiorarsi, non avevano il diritto di desiderare un contatto fisico, se pure l’avessero avuto, a nessuno sarebbe importato di quel che erano, di quel che sentivano.
Erano le vive marionette di un pazzo, ma chi mai avrebbe ascoltato la voce di esseri come loro?
Rocket digrignò i denti, avrebbe voluto azzannare la verità, ridurla a brandelli, portare i suoi amici nel Nuovo Mondo, ovunque fosse, renderli liberi, perché non lo era mai stati, perché qualcuno aveva deciso non meritassero di scegliere come e dove passare la loro esistenza.
Lylla lasciò scorrere le lacrime, la bocca socchiusa in un’espressione mesta, non arresa, soltanto delusa. «Avremo la nostra ricompensa.» sembrò sicura nel tono, ma non nello sguardo.
Amorevole, tenera, Lylla, che voleva portare la speranza anche nelle anime di chi aveva più metallo che carne nel corpo, perché Lylla sapeva cosa dava dignità ad una creatura e non era la bellezza, non era potenza, era la sua stessa esistenza, l’essere arrivato alla vita con paura e meraviglia. Lylla era così bella, era così preziosa, Rocket non riusciva a formulare una parola che potesse rendere la straordinaria forza di Lylla.
«Vieni qui.» ripeté, il braccio teso verso di lei. «Starai meglio.»
Lylla si mosse cautamente, sino al punto in cui Rocket poté sfiorare il muso dal pelo umido, le dita scesero dalle tempie al suo collo, un movimento ripetuto, una carezza gentile.
«Se potessi… » Rocket si zittì.
Lylla era più calma, quella dolcezza stava rilassando i suoi muscoli, anche i respiri erano regolari. «Se potessi… » lo incoraggiò.
Lui rilasciò l’aria dal naso, fece una smorfia. «Se potessi star male io, al posto tuo.» gli parve un pensiero senza logica, perciò sciocco, però era vero.
Lylla abbozzò un sorriso. «Io non lo vorrei, mai.» il tono divenne morbido, mentre Rocket tornava con le dita sotto i suoi occhi. «Tu sei importante, Rocket. Sei nato per volare nel cielo, per vedere il Nuovo Mondo, per avere quello che ti hanno strappato.Tu costruirai macchine meravigliose. Tu sarai un razzo nello spazio infinito.» era così amorevole, che Rocket pensò di non desiderare altro che lei e ciò che lei avrebbe voluto concedergli.
«Noi tutti siamo nati per questo.» la corresse, sperando di consolarla un poco. Una lacrima cadde sul dito del procione, era tiepida, carica di mille ferite.
«Ricordi la tua mamma, Rocket?» domandò Lylla.
Rocket restò spiazzato, la guardò in cerca di ricordi, percepì un tepore rassicurante ed una sagoma dalla coda lunga, morbida, altre figure più piccole a circondarlo, ma non riuscì a trovare altro. «Non proprio, ma ricordo come stavo.» ammise alla fine. Non pose la domanda, diede per scontato che Lylla non fosse rimasta a lungo con la mamma.
Lei fece un cenno di assenso. «Come stavi?» spostò lo sguardo su Floor, addormentata, poi si concentrò su Rocket.
«Bene.» fu la replica naturale, ma incompleta. «Mi sentivo.» fu lui a distogliere il muso. «Ero amato.» corresse. Adesso, aveva degli amici, c’era Lylla, ma era una sensazione differente, connessa alla sicurezza. Non aveva più provato nulla di simile.
«Tu sei amato.» Lylla non cambiò tono, aveva compreso il senso della sua frase. «Era lo stesso per me, la mia mamma era così bella, Rocket!» la voce era un refolo d’aria impregnato di amore. «Dormivo sulla sua schiena, insieme a mia sorella.» tacque per qualche secondo, riprese fiato, abbassando lo sguardo sulle braccia. «Io non potròaverlo.» confessò.
Rocket sentì un nuovo singhiozzo, ma non capì il motivo: lui stesso sapeva di aver perduto la sua mamma, i suoi fratelli, forse Lylla credeva di rivederli, cercò di sporgersi per cingerle la spalla, per avvicinarsi qualche millimetro in più.
«Ci saremo noi.» la confortò, mentre il senso d’impotenza diveniva dolente, diveniva un istinto rabbioso. «Sei amata, Lylla. Sei la nostra amica.»
Lylla annuì, lo sapeva, c’era dell’altro, Rocket non riusciva ad arrivare alla questione, né poteva sollevarle il muso con le zampe, asciugare il suo pianto. «Ti aiuteremo, Lylla. Io cercherò la tua mamma.»
Lylla alzò la testa, confusa, poi allungò il braccio sinistro, la sua zampa non aveva dita, era fredda, arrivò sino alla  guancia, in un tocco lieve, poi si ritrasse.
Rocket sentì un’emozione totalizzante, che lo estraniava dal presente, che riempieva il suo essere di affetto, di premura, di gioia, di pace, come il tepore perduto di sua madre, come la felicità nel ricorrere i fratellini. «Tu mi hai ridato quello che avevo perso.» riuscì a confessare. «Lylla.» avrebbe voluto ripete quel nome altre mille volte.
«Rocket.» Lylla si fissò il grembo, sin quando non fu imitata da lui. «Non dirlo, non pensarlo.» disse. «Oggi, mi hanno tolto la possibilità di essere mamma. Non avrò dei cuccioli a dormire sulla schiena. Non sentirò le loro zampe contro la pancia. Non esisteranno mai.» pianse e non c’era una sola parola che Rocket trovasse adatta alla situazione.
«Floor sapeva. » fu quasi un pensiero, ma Lylla annuì.
Entrambe non avrebbero avuto cuccioli, però il Nuovo Mondo non prometteva l’immortalità, Rocket era sicuro che sarebbero nati dei cuccioli, ma chi li avrebbe partoriti, chi li avrebbe nutriti, se non fossero divenute mamme?
Era una domanda che portò Rocket a pensare, a fondere la rabbia con la tenerezza, perché non conosceva un modo per aiutare Lylla. Guardò il soffitto, accettando il dolore della sua amata.
«Ho detto la verità.» ribadì con voce ferma, il tono deciso. «Tu mi hai dato quello che avevo perduto. Io sono amato. Tu sei amata. Vorrei prendere il tuo dolore, portarlo sulle mie spalle. Ti starei vicino… Più vicino.» sbottò istintivamente. «Quando ti senti male. Quando ti fanno del male, vorrei strappare la carne da quei musi senza pelo.» prese tempo, ispirò ed espirò. «Lo dico. Lo penso.» si volse verso di lei. «Lylla, tu mi hai dato quello che volevo. Io voglio quello che tu vuoi darmi.» la sua vista si appannò, morse la lingua. «Cresceremo quei cuccioli senza la mamma, lo faremo, noi due.»  ed il futuro sembrava un sogno, era la realtà perfetta, che non osava immaginare, sino al momento in cui non aveva guardato Lylla. «Floor e Teef ci aiuteranno, troveranno dei cuccioli anche loro.» sorrise «Avrai dei cuccioli. Avremo dei cuccioli.» Non aggiunse nulla, quando cercò di ritrarre la zampa, Lylla, lo bloccò con la propria.
Il silenziò cullò i minuti, il sonno dei loro amici, il cuore di Rocket smise di battere forsennatamente, scorse quel piccolo taglio sul grembo, ma Lylla non aveva niente di sterile in sé, lei creava le stelle in un cielo di metallo.
Era così speciale, Lylla.
«Voglio stare con te.» disse, il resto non aveva importanza. «Smetti di piangere.»
Lylla appoggiò la testa ad una delle sbarre, non era calma, strofinò il naso sul suo collo, strinse la zampa sul cuore, senza dire una parola, ma Rocket seppe che Lylla era felice.

 
“Mia amata, mia splendida, mia compagna, Lylla.
È al mio cuore che ha sparato, Lylla. È il mio cuore che ha rischiato di morire, ma tu vi avevi infuso talmente tanta speranza, tanta dolcezza, che  è sopravvissuto, duro e pieno di ferite, vive ancora per me e per te.”

Rocket si svegliò di soprassalto, volse gli occhi sul comodino, dove aveva posato le armi. Era notte, c’era un pacifico silenzio nella sua camera da letto, disteso su di un materasso dal lenzuolo pulito.
Non era in una gabbia. Non c’era Floor. Non c’era Teef. Non c’era Lylla. C’era lui.
Rocket levò a sedere, non avrebbe mai scordato il giorno in cui avevano sterilizzato Lylla, stroncando i suoi sogni, persuadendola di non avere una famiglia, di non suscitare altro amore, se non quello fraterno e lui, Rocket, che sarebbe vissuto e morto per lei, che sognava di vederla cullare Groot Jr e di giocare sui suoi rami, che poteva scorgerla consolare Peter, rassicurare Mantis e piangere Gamora,  proprio lui, non aveva saputo dire la verità. La ripeteva nei sogni, la sentiva nei suo cuore, la teneva stretta nei momenti più bui, quando uno Schiocco di dita lo privava di una famiglia non cercata, amatissima, quando Tasha e Tony sacrificavano tutto per lui, per tutti i giorni che avrebbe vissuto con i Guardiani, con gli abitanti di Knowhere. La verità, una frase breve e devastante, forse intuibile, ma non palesata.
«Ti amo, Lylla. » disse Rocket alle tenebre. «Ti amo con tutto me stesso.» volle prendere fiato, invece, singhiozzò con i denti scoperti, il suo cuore sapeva dare, perché aveva ricevuto, il suo rimpianto era non averlo detto a Lylla. «Ti amo, Lylla.»

 

Just try not to worry, you'll see us some day,
Just take what you need, and be on your way,
And stop crying your heart out.
Stop crying your heart out.
Stop crying your heart out.
{Sto cryning your haert out - Oasis}

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Capitolo 3
*** Hands ***


If I could tell the world just one thing,
It would be that we're all ok,
And not to worry because worry is wasteful,
And useless in times like these,
I will not be made useless,
I won't be idled with despair.

 

Rocket asciugò il muso nel bagno, l’acqua fredda dissipò la sonnolenza, indossò degli indumenti puliti, afferrò lo Zune ed uscì dall’ alloggio. Il quartiere era tranquillo, tutte le porte sbarrate, anche quella di Cosmo e di Groot.
Rocket respirò a fondo, benché Knowhere fosse ospitale, non poteva competere con un pianeta abitabile. Groot non era a suo agio nella Base Spaziale, lontano da un contatto diretto con la Natura, ritornava per stare con la famiglia. Era un gesto così genuinamente altruistico, da riempierlo d’orgoglio ed era sicuro, lo fosse anche la loro Gamora. 
Rocket aveva bisogno di stare solo, desiderava schiarire la mente, cacciare le ipotesi di un’esistenza impossibile; era andato lontano, senza avere alcuna speranza di raggiungere dei traguardi importanti: aveva una famiglia, era un padre, perché tale lo riteneva Groot, era il capitano dei Guardiani della Galassia, era un Avenger, stimato per la sua intelligenza, per la tenacia con cui aveva combattuto Thanos, sino alla vittoria. 
«Sei nato per volare nel cielo, per vedere il Nuovo Mondo, per avere quello che ti hanno strappato» 
Lylla non sarebbe rimasta sorpresa, perché riusciva a leggere nella sua anima, meglio di quanto facesse lui. Lylla sapeva che doveva continuare a vivere, non per gli altri, ma per sé stesso. Rocket non era mai stanco di scoprire pianeti, d'imparare, di volare nel cielo con la sua nave.
In un'esistenza così bella, piena di affetti, però, Lylla era perduta. 
Rocket capia Peter, innamorato di una donna morta, sapeva cosa lo tormentava, perché aveva imparato a conviverci: amare chi esiste nella memoria era doloroso;  avrebbe dovuto parlarne, ma non aveva trovato il coraggio di affrontare Quill. Aveva fatto finta di dover essere duro, di mostrare tutta la sua forza, anche se la sua amica, Gamora, gli mancava, né poteva essere altrimenti.
«Mamma è morta.» Groot non aveva più fatto menzione a Gamora, si era chiuso in una barriera di rami per due settimane, ignorando il tocco di Mantis, le parole di Drax, la presenza costante di Nebula, gli appelli strazianti di Peter. Rocket aveva atteso, era giovane, aveva diritto di vivere il lutto e di respingere ogni consolazione.

Rocket alzò la testa dal display dello Zune, essere davanti alla Caffetteria Tre non gli spiaceva: avrebbe trovato qualcosa da bere, sprofondato in una delle poltrone, mentre la musica si diffondeva nell’ambiente. Salì i gradini, si arrestò, perplesso: la porta era socchiusa, una dimenticanza inaccettabile per Nebula, Drax stesso era divenuto più attento; percepì il consueto marasma di odori differenti, notò la fenditura di luce proveniente dall’interno. Qualcuno era furtivamente entrato.
Serrò i denti, contrariato. Era il momento di girarsi, scegliere una playlist, cambiare direzione, tornare nel suo letto, ma non entrare nella Caffetteria Tre.
Era adulto, aveva un gruppo non perfettamente coeso da guidare, aveva lasciato la popolazione di Knowhere nelle mani esperte di Drax e di Nebula, il suo compito era garantire la sicurezza della Base, quel che riguardava gli altri non era di sua competenza. 
Rocket non era fatto per provare molta empatia, per mostrare compassione, pazienza, bonarietà; lui era scontroso, aggressivo, malfidente, non abbassava mai la guardia, se non con la sua famiglia, e con tutte le accortezze necessarie per un procione ricercato dall’ Alto Evoluzionario, con un’irresistibile attrazione per il furto, un talento innato per i piani di fuga, una sincera curiosità per la tecnologia, poteva dirsi fortunato ad essere intero.
Non era il tipo che tendeva la zampa, sorrideva, parlava della bellezza della vita. 
«Cazzo!» esordì torvo, scansando il battente. «È guasto.» constatò. 
Fu raggiunto dal' odore del felino e da una mistura bizzarra, nella sua assenza di una nota selvatica, si voltò alla sinistra del locale.
Il gatto era su di un tavolino, il pelo nero e folto, la colonna vertebrale arcuata, gli artigli metallici estratti, le fauci spalancate in un soffio aggressivo, era un avvertimento: gli occhi erano di un giallo più chiaro, il bagliore dell’iride pulsava, quasi si stesse caricando dell’adrenalina in circolo. 
«Capitano.» Rocket spostò lo sguardo sulla ragazza, la voce non aveva una sfumatura emotiva, era seduta in modo composto: la schiena dritta, la testa alta, le mani intrecciate all’altezza del grembo. 
«Rocket.» corresse lui.
Il gatto sbatté le palpebre, rilassò la figura, non ritrasse gli artigli e gli occhi rimasero luminosi, intenti a seguire il procione verso il frigo. 
«Scusa.» riprese l’altra, dopo un breve silenzio, azzardò: «Rocket.» la voce non mutò, però gli stati d’animo avevano un sentore specifico, che un  animale percepiva.
Prese un cartone, contenente una bevanda zuccherina ed un dolce, si strinse nelle spalle. «Bene.» non ammorbidì la voce, né cercò di essere conciliante. «Tranquilla, non l’hai rotta tu, quella.» sbottò. Era una brutta abitudine di Drax, e spesso Cosmo esagerava con la psicocinesi.
Rocket decise di guardala meglio: era umanoide, aveva la pelle molto chiara, senza traccia di efelidi, i lunghi boccoli biondi erano trattenuti in una treccia, il viso a forma di cuore possedeva lineamenti armoniosi, gli zigomi enfatizzavano il taglio allungato degli occhi verdi, forse troppo grandi, il naso era sottile, mentre la curva morbida delle labbra piene addolciva un poco l’espressione distaccata. Aveva qualcosa dei Sovereign, non appariva altera, né distaccata, eppure il suo aspetto non ispirava tenerezza, forse neppure simpatia, vedeva una traccia umana,  nell'epidermide, nella sua conformazione interna. Era un ibrido, pensò. Indossava una maglia blu a maniche corte, un paio di pantaloni di una tonalità più scura, aveva scarpe sportive ai piedi. Dedusse fosse uscita dai suoi alloggi, insieme al suo amico con dei raggi laser innescati nei bulbi oculari.
Il procione notò una tazza rossa, sul tavolino, da cui si sollevava una spira di fumo,  il liquido era Ipnocha: un infuso naturale che mitigava i dolori mestruali. Rocket ricordò quanto Gamora e Mantis l’apprezzassero, trasse un respiro, come ed espellere la malinconia, insieme al profumo aromatico, ma fallì. 
Un dettaglio, gli giunse alle narici, si diede dello stupido ad averlo ignorato: «Signorine, con chi ho l'onore? » domandò, si pentì immediatamente, era una richiesta spinosa per gli esperimenti dell’Alto Evoluzionario, una disattenzione a cui non poteva porre rimedio.
La ragazza fissò Rocket, rimase immobile, tutti i muscoli erano tesi, preparata a ricevere un colpo, a rannicchiarsi in un angolo.
Conosceva quelle sensazioni, era affondato nell’abisso di sofferenza, di umiliazione che gli occhi di lei non riuscivano a celare, Rocket non si allontanò, non si avvicinò, attese.
«Effe.» un mormorio le uscì dalla bocca socchiusa, si arrestò di colpo.
I nuovi arrivati avevano iniziato a scegliere i propri nomi, Nebula non era stata entusiasta, a differenza di Drax, nel giro di poche settimane, si erano trovati a chiamare: Phyla, Daria, Cuspide, Yellow. 
«Floor, Teef, Lylla e io… Rocket.»
«Cassandra Moon.» affermò, non era sicura, non era a suo agio, ma aveva deciso di essere qualcuno ed era un buon inizio, indicò la gatta, seduta sulle zampe posteriori: «Spark.» aggiunse. Cassandra osservò la folta coda di Spark. «È stata lei a scegliere, mi è spiaciuto per Light.» puntualizzò, in un sussurro mite.
Rocket non indagò su come Spark avesse deciso o quali polemiche fossero sorte con Light, annuì accostandosi al tavolo, sedette sullo sgabello, davanti a Cassandra: «Nebula e Drax vorrebbero parlarti.» spezzò il silenzio con l’affermazione più imbarazzante; la prima che aveva mentalmente scartato, gli era tornata nella gola, non ne sapeva la ragione, strinse i denti attorno alla cannuccia.
Cassandra serrò le labbra, sciolse l’intreccio di dita per sollevare la tazza, era ancora molto calda, ma non sembrò provare fastidio, la risposta fu: «Sì.» deglutì un sorso. «L’avevo immaginato, non sono sicura di poter essere una risorsa.» aggiunse, al monosillabo, la frase più lunga che le avesse sentito pronunciare.
Rocket posò lo snack e l’allungò verso la ragazza, non c’era alcun commento pertinente, se pure ne avesse trovato uno, sarebbe rimasto zitto, perché era un argomento a lui estraneo, perché lo riportava alle lacrime di Lylla ed al suo passato.
Spark scrutò la sua amica, non la raggiunse, ma riusciva a percepire la difficoltà con cui l’altra cercava di comunicare, di adattarsi a quel mondo, Rocket poteva sentire i respiri, il disagio di non conoscere parole adatte a sé. 
Erano differenti, eppure simili. 
«Tu sei me.» erano state le parole di Yondu, Rocket non aveva mai dubitato che avesse ragione, che avesse parlato per scuoterlo e ricordargli che avvelenava la sua vita e metteva in pericolo chi amava per la paura di ottenere di meglio.
«Senti.» prese la parola lui, si schiarì la gola. «Domani, faccio quattro chiacchiere con Drax, mentre riparo la ca… » ingoiò un’oscenità. «La porta.» le sorrise. 
Cassandra era pensierosa. «Grazie.» disse educata. Rimase immobile dei minuti interi, sfarfallava le ciglia, il torace di alzava ed abbassava, ma nessun muscolo esterno si muoveva, somigliava ad una bambola e nella posa innaturale, vide il segno del loro creatore: l’Alto Evoluzionario.
«La nostra casa doveva essere un pianeta.» la voce di Cassandra si alzò un poco. «Era lontano, quando saremmo arrivati, avremmo gestito l’intero ecosistema, creando una società pacifica, in cui avrebbe regnato la giustizia. » cercò gli occhi di Rocket e questi annuì.
«Un personaggio come Thanos, nel Nuovo Mondo, non sarebbe esistito. » proseguì Cassandra e nella sicurezza che lasciava trasparire dal viso, composto a gran calma, Rocket intuì stesse recitando un brano imparato, poi assimilato, sino ad divenire un tassello della mente, brutalmente estirpato. «La gestione delle risorse sarebbe stata oculata, avremmo impiegato le nostre capacità per garantire il progresso tecnologico e la prosperità dell’ambiente. Avremmo messo a disposizione della comunità i mezzi per crescere a livello culturale.» fece una pausa, abbassò la tazza, le mani libere s’intrecciarono di nuovo. «Gli uni degli altri guardiani e fratelli.» si raddrizzò sulla seduta, l’ultima affermazione cadde nel vuoto.
Non esisteva un Nuovo Mondo, anzi ne erano esistiti tanti, cancellati dalla stessa volontà che li aveva forgiati.
Rocket non ebbe alcun dubbio: Cassandra Moon ne era consapevole. Era una verità pesante, gravitava tra loro, senza palesarsi nelle parole.
Cassandra lanciò un’occhiata allo snack, interrogativa.
«Mangia.» disse il procione. «Devo scartarlo io, Miss C?» chiese ed era ironico, un pessimo tentativo di alleggerire l’atmosfera, sbuffò. «Sì, puoi, se ti va.» si passò le zampe sul muso.
Cassandra attese alcuni minuti, il tempo di mettere ordine nei pensieri, di non cedere alle emozioni, immobile, imperscrutabile, se non nello sguardo triste. «Grazie.» concluse, tornando ai modi cortesi.
Rocket fissò con curiosità Cassandra studiare l’incarto, strappare con leggiadria il lato destro e fermarsi, indecisa su come consumare il cibo, senza sporcarsi le dita, avvolse la carta ad un’estremità del dolce, lo sollevò ma non lo addentò.
«Sono stata plasmata per ricoprire il ruolo di guida spirituale e morale della comunità.» lo ammise con candore, come fosse normale. «Non devo interagire con il mio popolo, non mi è concesso preferire la compagnia di un individuo.» elencò scrupolosa. «Sono state scelte sette persone per assistermi nelle incombenze quotidiane, quali indossare gli abiti, far pervenire miei messaggi alla comunità. Io non devo rivolgermi ad un singolo, fatta eccezione per coloro che sono dedicati al mio servizio. Se parlassi ad uno, compirei un’ingiustizia, anche se cercassi di consolare o di punire. Sarebbe un errore, perciò sono i Sette a portare la mia parola al popolo. È un compromesso.» Cassandra masticò un pezzetto di dolce, un minuscolo angolo, ci mise un bel po’ a deglutire e poi tacque. «Sette altri sarebbero diventate guardie armate per difendermi da qualsivoglia pericolo.» ci fu un’altra pausa. «Phyla è una di loro.» svelò il mistero sulle abilità della Guardiana più giovane.
Rocket distolse il muso, non volle replicare, non volle pensare a come fosse stata addestrata Cassandra, a chi avesse convinto una bambina che l’ isolamento e la completa anafettività, fossero dei valori.
«Avrei prodotto una discendenza.» Cassandra non mise alcun accento sulla frase. «Il Sire sapeva che il più virtuoso serbava il germe dell’ingratitudine, nel cuore.» sospirò.
Rocket cercò il biasimo in lei, non lo trovò, i suoi occhi erano più inquieti, non cercavano un confronto e lui si limitò ad ascoltare, forse, era ciò di cui aveva bisogno.
«La mia discendenza doveva possedere dei requisiti specifici. La mia discendenza non doveva essere mescolata con il popolo che avrebbe guidato.» bevve un sorso, continuò a spiegare. «Io devo astenermi dall’unirmi con chi non può garantire la successione di rango. Devo astenermi dall'offendere il mio posto e chi mi ha preparato per esso.»  il nesso logico era crudele, più tragico di quanto già non sembrasse.
L’Alto Evoluzionario avrebbe deciso quando Cassandra fosse stata pronta per una gravidanza, le avrebbe imposto la gestazione e sottratto il bambino, perché fosse “perfetto per il suo ruolo”, come i genitori.
«Il Sire aveva fiducia nel mio buon senso.» precisò, un’ombra di agitazione attraversò il volto di Cassandra, le frasi erano meno fluide nella sua bocca. «Sapeva che avrei avuto quattordici alleati, fidati, ma cosa sarebbe accaduto, se avessi desiderato provare un’esperienza, a me preclusa? » domandò, posò il dolce, le dita si mossero nell’aria, sopra al tavolo. «Quanto avrei resistito?»
Rocket sperò di aver frainteso.
«Io ho i sensi ben sviluppati, perché ne faccia saggio uso, non perché decida di sporcare il lavoro del Sire.» si affrettò a dire, affondata nel suo passato, spaventata da cosa significasse nel presente. «Non devo cedere agli istinti più bassi, ma devo donare al Nuovo Mondo, un’ eredità adeguata. Il Sire giunse ad un compromesso.» si arrestò di nuovo.
Rocket poté quasi avvertire il dolore, ingiusto quanto una lama spinta nella parte più intima dell'anima..
«Oggi, mi hanno tolto la possibilità di essere mamma.» Lylla piangeva i suoi cuccioli mai nati.
Cassandra portò l’indice destro alla punta del naso, cercò di riprendere il discorso, fallì entrambe le volte, le spalle erano incurvate.
«È okay, Cassandra Moon.» Rocket balzò sullo sgabello, reggendosi sulle zampe anteriori. «Sei al sicuro. Sei con noi.» mormorò comprensivo.
Lei sorrise, in un oceano di delusione, si aggrappò alle sue parole, deglutì e volle terminare la sua storia e Rocket acconsentì.
«C’era un minuscolo organo, in me.» raccontò senza imbarazzo. «I miei bassi istinti sarebbero stati amplificati e soddisfatti da esso. Il Sire, allora, lo rimosse. Io non avrei desiderato provare certe cose e non avrei insozzato il suo…» spalancò gli occhi, conscia di tutto l'orrore compiuto su di lei. «Il mio corpo. » parve un urlo, nella lacerante angoscia, chiuse gli occhi ; tacque, spaventata da come avrebbe reagito il Capitano dei Guardiani. La gatta tornò a fissarlo torva.
«Stronzo.» sibilò lui,  spostò il muso per nascondere il ghigno rabbioso.
«Scusa. » la voce di Cassandra era un tremolio dolente, cercò di alzarsi, ma le gambe erano deboli. «Scusa.» ripeté, sedette e Spark le saltò sul grembo.
Rocket sollevò le braccia. «Ehi, no. Non dirlo.» tentò di guardare la ragazza. Sapeva a che mutilazione era stata sottoposta. «Adesso, noi abbiamo cura di voi. Troveremo una soluzione. » disse, la speranza di confortarla era fioca.
Cassandra Moon emise un singhiozzo, un suono basso, espulso dal corpo con un sussulto, gli occhi chiusi lasciarono cadere le lacrime, la mano destra nascose la bocca, la sinistra carezzò Spark, che miagolò afflitta.
Rocket ascoltò il pianto, Cassandra non era isterica, era straziata, forse aveva compreso l’enormità della mutilazione, proprio parlandone e lui non sapeva cosa dirle, come era accaduto con Lylla.
«Cassandra Moon. » la chiamò, distese le braccia verso la testa della ragazza, che non si ritrasse alla carezza gentile di Rocket. «So che fa male.» la zampa affondò nei capelli. «Qualcuno che amavo.» confidò. «Fu presa, operata perché non avesse dei figli. Pianse tutta la notte, io non avevo niente per aiutarla, solo quello che provavo, che sognavo per lei e per noi. » ebbe l’impressione di essere stremato, ma non poteva cedere, doveva essere forte, portare il peso di Cassandra.
Portare il peso di Lylla. Portare il peso di Floor. Portare il peso di Teef. Portare il peso di Groot. Portare il peso di Yondu. Portare il peso di Gamora.
«Porta l’amore, butta il resto.» gli aveva detto Mantis.
Un giorno, l’avrebbe fatto.
«Cosa volevi?» chiese Cassandra, sollevò la testa, il volto arrossato dal pianto, le lacrime scivolavano sino al collo. 
«Vivere con lei.» rispose Rocket con un mezzo sorriso. «Abitare in un pianeta lontano, pacifico. Volare nel cielo, azzurro e infinito. Ritornare per crescere dei piccoli e stare insieme. Amarci. Essere una famiglia. Non c’era altro.» e non ci sarebbe mai stato.
Cassandra cercò di prendere la tazza, ma era ancora incerta. «Sembra così bello. » commentò. «Io non ho mai visto il cielo.» 
Rocket usò la zampa libera per prendere il recipiente, avvicinandolo un poco a Cassandra. «Lo vedrai. » promise.
Cassandra bevve un sorso, non era calma, ma la vicinanza di Spark e di Rocket sembrava aiutarla. «Io non potrò amare.» 
«Troveremo una soluzione, Cassandra Moon. » anche questa era una promessa. «O mi stai dicendo che non vuoi bene a nessuno? » chiese retorico, una punta smussata d'ironia.
Lei comprese, fece un cenno di assenso, qualche lacrima sfuggiva dalle ciglia, ma doveva aver passato di peggio e aveva imparato che poteva esserci di meglio. 
Rocket le accarezzò la testa, sentì che aveva qualche linea di febbre. «Compassione significa condividere il peso.» disse, posò la tazzina. «Ecco, tu puoi condividere il peso con Nebula, con Drax e… Con me, Rocket. » la guardò: «Lo sai?»
Lei annuì, non parlò per diverso tempo, abbastanza per far iniziare la simulazione dell’alba, pianse a tratti ed in altri, rimase meditabonda, finì l’infuso, mangiò il dolce, Spark non si mosse, prestandosi alle sue carezze.
«Andiamo a riposare. » propose Rocket, sedutosi sul bordo del tavolino. «Vi accompagno.» non era una proposta.
Cassandra parve acconsentire, prima di alzarsi, lasciò scendere la gatta dalle ginocchia.
«Lei come si chiamava?.» domandò, la voce era affaticata, un po’ roca e gentile.
Rocket rivide quel muso dolce, gli occhi scuri pieni di vita e di amore, avvertì un sollievo inaspettato, come se lei fosse al suo fianco e l'avesse accarezzato.: 
«Il suo nome era Lylla..» rispose. 
«Lei è Lylla.»
 un suono leggero, luminoso come i primi raggi di luce.

 

My hands are small, I know,
But they're not yours they are my own,
And I am never broken.
In the end only kindness matters.

{Jewels - Hands}

 

 

Ipnocha: una tisana di mia invenzione, suppongo esistano infusi calmanti anche nell'MCU. 
Daria, Cuspide, Yellow, Light: esempi di nomi scelti dai ragazzini. Sì, il mio preferito è Cuspide.

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