Dolceamaro

di TaliaAckerman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chioma fulva, occhi rossi ***
Capitolo 2: *** Neve d'estate ***
Capitolo 3: *** Ves'dyn'doev ***
Capitolo 4: *** Non sarai mai più sola ***
Capitolo 5: *** Sephirt ***



Capitolo 1
*** Chioma fulva, occhi rossi ***


Dolceamaro


 
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Mal Ennon non aveva mai amato Città dei Re. 
La capitale di Fheriea era per lui quanto di più caotico e invivibile si potesse immaginare, così lontana dalle steppe innevate del Nord e dall'austera tranquillità di Amaria. 
Benché nelle sue vene scorresse sangue degli Uomini Reali sia da parte di padre che di madre, non aveva mai percepito alcun senso di vicinanza o appartenenza verso quella gente. Fatta eccezione per i tratti somatici Reali - occhi e capelli scuri, lineamenti duri - Mal si sarebbe potuto considerare un ineccepibile uomo del Nord. Essendo nato e cresciuto ad Amaria ne aveva assimilato costumi e tradizioni ben più dei suoi genitori, e il sentimento di devozione che lo legava alla sua terra natale era più forte di qualunque altra propensione in lui. 
Nonostante questo, la sua formazione nelle arti magiche lo aveva tenuto a lungo lontano dalla città che tanto amava e che solo negli ultimi anni aveva potuto iniziare a servire davvero. 
Mal era stato selezionato da Janor Camosh, lui tra decine di altri giovani aspiranti, come suo apprendista quando aveva dieci anni. A quell'epoca, Nathaniel Theor, divenuto maestro delle Terre del Nord da un paio d'anni, era impegnato nell'addestramento di un altro ragazzo, Samuel Veras, che aveva qualche anno in più di lui. Era stata la sorte a condurre le strade sue e del maestro dello Stato dei Re ad incrociarsi: Mal aveva incontrato per la prima volta Camosh durante una sua visita diplomatica ad Amaria. A quel tempo, colui che già all'epoca era considerato il più grande mago della propria generazione aveva da poco deciso di prendere sotto la sua ala protettiva un apprendista, dopo alcuni anni in cui si era dedicato solamente alle proprie mansioni politiche al servizio della Corona delle Cinque Terre.
Ora, che si ritrovava a tornare nella città che per quasi quindici anni era stata la sua casa – con l'eccezione di sporadici periodi di licenza in cui gli era stato permesso tornare a trascorrere del tempo con i suoi genitori – Mal si chiedeva come potesse avervi vissuto così a lungo. Ogni volta che se lo domandava, la risposta che si affacciava alla sua mente era una sola: ambizione. L'ambizione di diventare un grande mago, di far rimpiangere a Theor di non averlo scelto come apprendista, la volontà di diventare qualcuno che potesse fare la differenza per la sua terra.
Erano passati due anni dal termine del suo addestramento, due anni in cui aveva consolidato la propria posizione all'interno del Consiglio delle Terre del Nord. Era tornato ad Amaria come un uomo nuovo, un mago ormai versato nella stregoneria con una nomea importante sulle spalle. Durante il primo incontro con Theor, nel quale aveva fatto richiesta di poter essere ammesso al gabinetto di Re Robyn I, il maestro nordico aveva mosso una sola obiezione: sarebbe stata solo questione di tempo prima che Janor Camosh reclamasse le sue doti al servizio dello Stato dei Re. E, in effetti, era stato necessario più tempo del previsto ma, alla fine, Mal era stato convocato nuovamente a Città dei Re da Camosh in persona. 
Il loro colloquio si era concluso da una decina di minuti.
Come si era aspettato, e come Theor aveva profetizzato, il maestro gli aveva offerto un'opportunità che in molti avrebbero giudicato folle rifiutare: rinunciare al proprio posto nel Consiglio delle Terre del Nord ed entrare a far parte di quello dello Stato dei Re. Non solo: nel caso avesse accettato, Camosh gli aveva anche garantito l'accesso al Gran Consiglio delle Cinque Terre come suo successore designato a prendere il suo posto di maestro.
Mal rispettava il suo antico mentore come nessun altro al mondo e gli era grato per quanto gli aveva insegnato, ma aveva rifiutato senza bisogno di prendersi del tempo per pensare. Dopotutto, aveva riflettuto su quella possibilità per l'interezza dei due anni appena trascorsi ed era arrivato a una decisione. Lo Stato dei Re era la nazione più ricca e potente di Fheriea; il suo ruolo di guida rispetto agli altri stati facenti parte delle Cinque Terre non era solo suggellato simbolicamente dal fatto che il suo sovrano fosse anche la massima carica istituzionale dell'intera confederazione. C'erano schiere di maghi e streghe che avrebbero potuto, un giorno, prendere il posto di Janor Camosh essendo all'altezza di quel ruolo. Ma per le Terre del Nord, la sua vera casa, le cose stavano diversamente. E fin dal momento in cui aveva intrapreso il proprio addestramento nella magia, Mal aveva promesso a se stesso che, se mai avesse prestato i propri servigi a qualcuno o qualcosa, sarebbero state le Terre del Nord.
Il giovane uomo percorse il tragitto che lo separava dalla locanda dove aveva alloggiato quella notte con uno strano senso di leggerezza nel cuore: era come se, rifiutando di persona di sottomettersi al volere del suo vecchio maestro, un peso si fosse sollevato dal suo animo. In quel momento desiderava solo scrivere a Theor di essere riuscito a superare la propria prova più difficile e affidare la lettera a un corvo che potesse portargli la notizia più rapidamente di lui; lasciare quella città opulenta, eppure anche così misera e sudicia, per tornare a casa. Brindare insieme a Ferlon fino a ubriacarsi, infilarsi nel letto di Derya e fare l'amore con lei per tutta la notte...
Non più di venti metri lo separavano dall'ingresso della locanda "Antica Torre", quando una percezione anomala lo attraversò come un fulmine a ciel sereno. 
Colto totalmente alla sprovvista, Mal boccheggiò e si guardò intorno alla ricerca della fonte di quell'inaspettato quanto prorompente flusso di magia. Eppure, quella sensazione era durata un istante per poi estinguersi. Diverse decine di persone si avvicendavano lungo l'ampia strada, ma da nessuna di esse proveniva niente di anomalo.
Proprio allora l'occhio gli cadde su un vicoletto che separava la schiera di edifici sul lato destro della via. Un tugurio ampio neanche un metro che, probabilmente, fungeva anche da canale di scolo per le scorie che provenivano dalle abitazioni.
A poche spanne da lui si ergeva un mucchio di stracci all'interno del quale il mago riconobbe una figura umana.
Per un attimo Mal credette di star fissando un corpo morto, tanto era sottile ed emaciato; poi si rese conto che, seppur debolmente, il petto della creatura si alzava e si abbassava ancora.
Era alquanto curioso che si fosse sbagliato. Un mago del suo calibro doveva essere particolarmente attento nel rilevare fonti inaspettate di magia e quello che aveva percepito nell'istante di pochi secondi prima non era stato un potere qualunque. 
Mosse un paio di passi verso quel mucchietto tutto pelle e ossa. Sotto due dita di sporcizia e polvere si intravedeva una chioma fulva e indomabile.
Senza nemmeno domandarsi quanto potesse essere saggio, il giovane mago si avvicinò. Prima di ogni altra cosa esercitò una lieve pressione nel punto della gola dove si trovava la carotide. Pulsava regolarmente. 
Prese fra due dita il mento di quella craturina e lo voltò nella propria direzione: era una bambina. Non poteva esserne sicuro, ma non poteva avere più di dodici anni. Il suo corpo scheletrico e la totale assenza di seno avrebbero potuto rendere difficile distinguere se si trattasse di un maschio o una femmina, ma il suo viso dagli occhi chiusi, nonostante il sudiciume che lo copriva a tratti, rivelava una grazia tutta femminile.
Mal si rialzò e rimase a fissarla per alcuni, lunghi istanti. Non era la prima volta volta che si imbatteva in bambini di strada o senza tetto, ma la sensazione che l'aveva colpito, attraversandolo come un fulmine, quella volta lo aveva costretto a volgere lo sguardo su di lei e soffermavisi.
Era comunque troppo poco per perdere tempo con una bambina mezza morta. L'uomo si voltò e fece per tornare sui propri passi avvertendo appena un fremito di senso di colpa.
In quel momento accadde di nuovo.
Poteva capitare che si sbagliasse una volta, non due.
Quella che aveva avvertito, la perturbazione nell'equilibrio del flusso di magia che governava tutte le cose, proveniva dall'ammasso di ossa e stracci rannicchiato nel vicoletto.
Qualunque altro pensiero svanì dalla sua mente e, istintivamente, Mal si voltò nuovamente nella sua direzione. Questa volta, però, al suo sguardo rispose quello di due vividi, sgranati occhi rossi. La bambina aveva ripreso conoscenza. 
Per un attimo Mal fu tentato di arretrare di un passo, tanto erano incavati quegli occhi: due iridi color rubino attorniate da un bianco iniettato di sangue. Se fosse stato uno di coloro che credevano alle leggende su demoni e spiriti delle tenebre, avrebbe forse fatto davvero un passo indietro; ma Mal Ennon non era decisamente un uomo di quella specie e, al contrario, si riavvicinò alla bambina. Questa, istintivamente, si ritrasse.
C'era una cosa sola che contava: quali che fossero le condizioni che l'avevano ridotta in quello stato, quella piccola creatura possedeva un potenziale magico immenso, forse paragonabile a quello di un Ves'dyn'doev. 
«Come ti chiami?» chiese Mal tenendosi a distanza di sicurezza, per farle capire che non intendeva farle nulla di male.
La bambina non rispose.
Non era nemmeno sicuro che comprendesse la lingua comune: i capelli fiammeggianti facevano pensare che provenisse dalla nazione di Tharia, ma gli occhi rossi erano una particolarità che si manifestava solo nell'etnia degli Uomini Reali. Una mezzosangue, probabilmente.
Decise di fare un altro tentativo.
«Capisci quello che dico?»
Questa volta, quasi impercettibilmente, lei annuì.
Era quanto bastava. Mal decise di andare dritto al punto: era sicuro di aver appena rinvenuto un tesoro di raro pregio e non vi avrebbe rinunciato tanto facilmente. Porse la mano destra alla bambina.
«Posso salvarti, se vuoi» disse in tono fermo. «Posso portarti via dalla strada, offrirti un pasto caldo e un tetto sopra la testa».
Per un attimo pensò che la bambina non avesse capito una sola parola di quanto aveva proferito, perché non emise suono né si produsse in alcun cenno. Si limitò a squadrarlo, gli occhi fissi spalancati.
Paziente, il mago allungò ulteriormente la mano – forse la gestualità l'avrebbe aiutata a capire meglio.
«Io mi chiamo Mal» si presentò. «Non voglio farti del male. Posso portarti via da qui».
Ancora nessuna reazione. 
Mal sospirò, sedendosi sulla strada lastricata, e si grattò la nuca. Forse era una causa persa. Potente o no, se la miseria, la fame o gli abusi avevano distrutto la mente di quella bambina, non c'era nulla che lui o chiunque altro potesse fare.
Fu proprio nel momento in cui l'uomo cominciava a raddrizzarsi sulle gambe per rimettersi in piedi che accadde: la bambina si liberò degli stracci che la ricoprivano e, letteralmente, si tuffò fra le sue braccia, stringendolo come colui che, sballottato dalle rapide di un fiume in piena, si aggrappa a un ramo d'albero sufficientemente robusto per tenersi a galla.
E Mal capì che per lei c'era speranza.







Note dell'autrice: questa storia – che in realtà non so ancora se si svilupperà come una multicapitolo o come una one shot che aggiornerò volta per volta – fa parte della serie del II ciclo di Fheriea. Tuttavia, può essere tranquillamente letta anche da chi non avesse mai sbirciato la trilogia principale, in quanto costituisce una sorta di prequel/spin-off delle vicente raccontatate in quella sede. Se dovessero esserci capitoli contenenti spoiler nei confronti della saga principale non mancherò di avvertire (non ho ancora deciso fin dove mi spingerò cronologicamente con questa fiction). L'idea di scrivere qualcosa sulla storia di Mal e Sephirt si era affacciata nella mia mente già diversi anni fa, all'epoca della stesura del terzo volume della trilogia e, in seguito, anche visto l'interessamento dimostrato da alcuni recensori verso questi due personaggi, il progetto sta diventando realtà. Che siate nuovi sulle mie pagine o che abbiate già dimestichezza con il mio mondo, spero che la storia vi abbia incuriositi e che continuerete la lettura. Un saluto a tutti i lettori, 

~TaliaAckerman

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Capitolo 2
*** Neve d'estate ***


Dolceamaro



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Come prima cosa, Mal pagò un'inserviente della "Antica Torre" affinché la lavasse, le tagliasse i capelli e le procurasse dei vestiti puliti.
Per tutto il tempo che la bambina trascorse nella sua stanza insieme donna che lavorava presso la locanda, il mago rimase seduto a un tavolo della sala da pranzo, pensieroso.
Davanti a lui giaceva, srotolata, una pergamena ancora intonsa.
La prima notizia di cui informare Theor non era cambiata: aveva rifiutato l'incarico offertogli dal maestro Camosh e avrebbe fatto ritorno nelle Terre del Nord in pochi giorni. Eppure, la sua penna d'oca era ancora inutilizzata, intinta nel piccolo calamaio che si era portato dietro da Amaria. La verità era che non riusciva a trovare le parole giuste per spiegare al suo signore ciò che era accaduto quel giorno.
Lord Theor, mentre ero di stanza a Città dei Re ho percepito un'imponente flusso di magia provenire dal corpo di una bambina di strada in stato di incoscienza. Vorrei sottoporla alla vostra attenzione e farne la mia apprendista.
Persino nella sua mente, quelle parole suonavano ridicole.
Certo, era ancora in tempo per abbandonare il progetto: aveva evitato il colera a una piccola stracciona, per il momento, e le avrebbe anche offerto un pasto caldo; questo non significava che da quel momento dovesse portarsela dietro come una zavorra. Anzi, era piuttosto sicuro che anche se l'avesse abbandonata il giorno seguente, la bambina gli sarebbe rimasta grata per tutta la vita. Sempre che disponesse ancora delle facoltà mentali per farlo.
Mal avrebbe comunicato a Theor la sua decisione, come da programma, e sarebbe tornato nella capitale nordica da solo, riprendendo la vita di sempre, partecipando alle riunioni del Consiglio e svolgendo missioni diplomatiche presso i lord dell'Ariador settentrionale. Se pensava fosse giunto il momento di guardarsi intorno per cercare un apprendista, nulla gli impediva di farlo ad Amaria.
«Del vos, mio signore?»
Un uomo dalla folta barba scura che indossava un ampio grembiule macchiato qua e là di sudicio gli si era avvicinato.
«No, grazie» rispose Mal meccanicamente. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era di annebbiarsi la mente con quell'insopportabile liquore dal gusto affumicato.
«Qualcosa da mangiare, allora» insistette il proprietario della locanda.
«Sto aspettando una persona» fu la risposta di Mal. «Per ora mi basterà una mezza pinta di birra scura».
«Subito» bofonchiò il locandiere avviandosi verso il bancone.
Mal si passò una mano sugli occhi.
Quella sensazione. Quella vibrazione. Il sentore di essersi imbattuto in qualcosa di unico e irripetibile...
Esitò ancora qualche istante, poi prese tra due dita la propria penna d'oca e la intinse nel calamaio. 

Mio signore Theor,
le intenzioni del maestro Camosh erano quelle che avevate prospettato. Mi è stato offerto un posto nel Gran Consiglio di Grimal come candidato a ricoprire in futuro il ruolo di maestro dello Stato dei Re. Inutile specificare che ho rifiutato senza esitazione. Tuttavia, prima che potessi lasciare la capitale è accaduto un episodio di cui vorrei informarvi...

Mal continuò a scrivere anche quando una giovane cameriera gli posò sul tavolo un boccale colmo di schiumante birra di malto. Più volte dovette cassare parole o intere frasi, alla ricerca del modo più consono per spiegare la situazione. Quando ebbe finito, la pergamena appariva come un campo di battaglia dove l'inchiostro aveva preso il posto del sangue. Mal non era del tutto soddisfatto di quanto aveva scritto, ma se non altro era riuscito ad arrivare al punto: chiedeva a Theor un incontro in cui il maestro delle Terre del Nord esaminasse la ragazzina per accertarsi che fosse davvero un toccata dalla magia.
L'uomo bevve un ampio sorso di birra, si asciugò la bocca con la manica della camicia e fece per estrarre dalla tasca del mantello estivo una seconda pergamena per redarre la bella copia della lettera da inviare a Theor.
«Mio signore».
Una voce esitante interruppe il suo lavoro sul nascere. Mal alzò lo sguardo e si ritrovò a fissare il volto della donna a cui aveva affidato la bambina.
«Ho fatto quanto mi avete chiesto» proseguì questa. «L'ho lavata e rivestita. All'inizio non voleva che tagliassi i capelli, ma alla fine sono riuscita a convincerla».
La bambina era appena dietro di lei, gli occhi vergognosi piantati sul pavimento. Indossava una blusa bianca di lino e un paio di calzoni leggeri. La chioma di capelli rossi aveva lasciato il posto a una zazzera disordinata ma pulita. Ora che non era più incrostato da polvere e sporcizia di ogni tipo, il suo viso appariva diafano come quello di una bambola di porcellana. Mal rimase a fissarla per alcuni lunghi istanti: anche se era evidentemente vittima di denutrizione, non aveva un'aria malata, anzi, sembrava stranamente sana.
«Ha parlato?» chiese con curiosità alla donna.
Lei scosse la testa.
«Non una parola».
Come si era aspettato.
«Ti ringrazio, Meredith, – era così che l'inserviente aveva detto di chiamarsi – per quello che hai fatto». Mal abbassò la voce ed estrasse dalla tasca dei pantaloni un sacchetto di monete per depositare uno hire d'argento sul legno del tavolo. «Per il disturbo. Non dire al tuo capo di questo piccolo omaggio».
Meredith arrossì, senza riuscire a celare la gioia per quella mancia inaspettata, e in un attimo fece sparire la moneta d'argento nel decoltè del suo abito per poi allontanarsi in fretta.
Mal rimase a guardare la bambina in piedi davanti a lui e le fece cenno di accomodarsi sulla panca di fronte a lui. Guardinga, come una animale selvatico che valuta il pericolo di una situazione, lei si sedette.
Mal sapeva che il modo migliore per aprire un canale di contatto con lei sarebbe stato prenderla per la gola.
«Hai fame?» le chiese con un sorriso.
Nonostante la risposta alla sua domanda fosse più che ovvia, l'uomo attese che la ragazzina annuisse prima di schioccare le dita richiamando l'attenzione di un'altra cameriera che proprio in quel momento stava passando accanto al loro tavolo.
«Due scodelle di minestrone e un bicchiere di latte per mia figlia, grazie» ordinò.
«Certamente» la giovane donna girò sui tacchi senza fare altre domande – la locanda cominciava a riempirsi – e si affrettò a dirigersi verso la cucina.
Mal bevve un'altro ampio sorso di birra.
La bambina lo osservava immobile, gli occhi perennemente spalancati, quasi senza battere le ciglia. Nonostante fosse difficile interpretare qualunque emozione in quello sguardo rosso sangue, era evidente che per lei quello in cui si trovavano fosse un mondo del tutto nuovo. Chissà da quanto tempo non toccava cibo che non fosse rubato o raccolto dalla spazzatura. Chissà da quanto non aveva modo di dormire in un letto morbido, avvolta da lenzuola lisce...
Mal decise di aspettare che il loro pasto fosse consumato prima di tentare nuovamente di comunicare con lei. Quando la stessa cameriera di poco prima posò davanti a lei il bicchiere di latte, la bambina vi si avventò come un rapace e bevve come una spugna uno, due, tre sorsi, fino a farselo andare di traverso; mollò la presa sul bicchiere e, sotto i suoi colpi di tosse, questo si rovesciò sul tavolo spargendone il liquido bianco sulla superficie.
«Non preoccuparti» Mal anticipò l'inserviente che, allarmata, stava ancora reggendo in mano il vassoio con le due ciotole di zuppa. «Mi occupo io di pulire».
«Vi ringrazio» rispose questa in fretta; era piuttosto sudata. «È sera di pienone, questa». Appoggiò le due porzioni di minestra sul tavolo e schizzò via, richiamata dall'apostrofe non proprio cordiale di un altro avventore.
Sporca di latte sulle labbra e sui vestiti, la bambina ora fissava il minestrone con aria sospetta.
Mal intinse il proprio cucchiaio in quel misto brodoso di fagioli, patate e chicchi di farro; se lo portò alla bocca e vi soffiò delicatamente sopra, sperando che la sua piccola commensale lo imitasse. Alla fine lo mandò giù e dovette riconoscere che il sapore, reso meno neutro da una decisa spruzzata di pepe, non era affatto male.
La bambina di fronte a lui non si era ancora mossa.
Non conosceva neanche il suo nome, realizzò Mal con un sussulto.
Ma c'era tempo per questo e, una volta che si fosse riempita la pancia, il giovane mago era sicuro che sarebbe stata più propensa a far uscire la voce da quelle labbra secche e screpolate.
«Avanti, mangia» la invitò gentilmente. «Sono sicuro che non vedi l'ora di assaggiare quella delizia».
La ragazzina continuò a fissarlo ancora per qualche secondo, come se stesse valutando fosse il caso di fidarsi oppure no. O, almeno, questa era l'impressione che ne ebbe Mal poiché, in realtà, non aveva modo alcuno di comprendere cosa stesse passando per la sua testa in quel momento.
Alla fine dovette convincersi che il cibo non fosse avvelenato o qualcos'altro del genere, perché si avventò sulla ciotola di zuppa portandosela direttamente alla bocca con le mani e trangugiandola avidamente come aveva fatto con il latte poco prima. Questa volta, però, il liquido bollente non le andò di traverso.
Mal la osservò rifocillarsi senza riuscire a impedirsi di provare un lieve senso di tenerezza nei suoi confronti: sembrava davvero di guardare un animaletto fragile e diffidente del mondo intero.
Quando ebbe finito, la bambina appoggiò la ciotola vuota sul tavolo e si asciugò la bocca con una manica.
Le sue gote sembravano aver ripreso un minimo di colore.
Mal rifletté attentamente su dove fosse meglio cominciare. L'unica certezza che aveva era che non avrebbe avuto alcun senso, in quel momento, tentare di spiegarle la situazione. Doveva darle tempo per abituarsi a quella nuova condizione, sempre che l'avesse accettata – fatta eccezione per la totale afasia non sembrava che le sue facoltà intellettive fossero danneggiate, ma non poteva esserne sicuro. Per quanto ne sapeva, sarebbe potuta essere capace di sgattaiolare via quella notte stessa, magari portandosi via anche le monete d'oro che l'uomo aveva riposto in un cassetto della propria stanza. In effetti, non poteva nemmeno escludere che tutto quel teatrino fosse solamente una farsa messa in piedi per derubarlo. Eppure, qualcosa nel suo animo gli impediva di credere a qualunque intenzione fraudolenta da parte della ragazzina.
La prima cosa da fare era portarla via da lì e tornare a casa.
Alla fine, Mal proferì le uniche parole che gli sorsero spontanee in quel momento.
«Hai mai visto la neve in estate?»





 

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Capitolo 3
*** Ves'dyn'doev ***


Dolceamaro



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Mal sedeva impaziente sulla lunga panca che percorreva la parete di fronte allo studio di Nathaniel Theor.
Le spesse mura del palazzo reale di Amaria impedivano a qualunque tepore di infiltrarsi tra i corridoi e le sale del vasto edificio; appena uno spiraglio di luce aranciata filtrava dalla finestra al fondo del corridoio, gettando sul pavimento un ventaglio che rifletteva i colori del tramonto. Non era ancora ora di cena, ma le ombre avevano già cominciato a calare sulla capitale delle Terre del Nord anche in quel periodo dell'anno.
Seduta a poche spanne da lui, Raisa sedeva in silenzio, avvolta da un mantello troppo grande per lei: rovistando nel proprio guardaroba, Mal ne aveva rinvenuto uno dei tempi dell'inizio del suo apprendistato. Era comunque abbondante per la scheletrica ragazzina, ma era quanto di meglio l'uomo avesse trovato. Doveva essere stato piuttosto scioccante, per lei, passare dal caldo torrido dello Stato dei Re al clima delle Terre del Nord, fresco anche in estate. Amaria sorgeva a poche miglia dal confine meridionale del regno, separata dall'Ariador dalla vasta piana di Dárenlas, e di certo non poteva considerarsi la più fredda tra le città nordiche. Se non altro, almeno nelle ore centrali della giornata, il sole avvolgeva la capitale e i suoi abitanti in caldi raggi dorati, mitigati dalla brezza che quasi ogni giorno soffiava dalle montagne a occidente.
Mal guardò Raisa e, per l'ennesima volta, si chiese se avesse fatto la scelta giusta a prenderla con sé. Dal momento che la bambina non aveva ancora spiccicato una sola parola, nemmeno durante i cinque giorni di viaggio che avevano impiegato per raggiungere Amaria, Mal aveva deciso di darle un nome di propria iniziativa. Raisa significava "fiamma" nell'antico idioma delle Terre del Nord, parlato dagli abitanti di quella regione prima della diffusione della lingua comune. Non era stato solamente il colore degli occhi e dei capelli a suggerirglielo, ma la sensazione stessa che lo aveva indotto a posare gli occhi su di lei, in quel vicolo di Città dei Re. La magia che aveva percepito in lei si era innalzata come una fiammata che divampa verso il cielo per ben due volte a distanza di pochi istanti. Mal sperava che quel nome fosse di buon auspicio, anche perché dal loro primo incontro non aveva più rilevato nulla del genere. Se poi la ragazzina avesse finalmente deciso di aprir bocca per far qualcosa che non fosse bere o mangiare e gli avesse rivelato il nome con cui era venuta al mondo, Mal avrebbe dimenticato Raisa e l'avrebbe chiamata con il suo vero nome. Ma le speranze che quel silenzio, prima o poi, avrebbe avuto fine, si assottigliavano ogni giorno di più: forse Raisa aveva perso l'uso della parola o, semplicemente, era nata priva di quella facoltà.
Il mago aveva anche tentato di scoprire se la bambina fosse in grado di leggere e scrivere, senza nutrire molte aspettative, e aveva immediatamente compreso che quella sventurata non doveva aver ricevuto un'educazione di alcun tipo. Non che questo fosse un problema irrisolvibile: avrebbe assunto un precettore che glielo insegnasse. Forse, a quel punto, la ragazzina avrebbe potuto svelargli il suo vero nome.
Il suono di una porta che si apriva con uno scatto destò improvvisamente Mal dai suoi pensieri: sulla soglia, in controluce, Nemion Wesh gli rivolse un cenno di saluto.
«Ennon» proferì con la consueta voce roca. «È un piacere rivederti così presto. Lord Theor mi ha informato del vostro rifiuto all'offerta del maestro Camosh».
«Era arrivato il momento di chiudere i rapporti con lo Stato dei Re una volta per tutte» rispose Mal affabile. «È tempo che mi dedichi a servire la mia patria a tempo pieno».
L'uomo gli rivolse un sorriso che celava un certo compiacimento, quando notò Raisa; davanti alla sua fronte aggrottata, Mal cercò di sbrigarsela in fretta.
«Un'interessante scoperta frutto del mio ultimo viaggio. Sono qui per chiedere a Lord Theor di esaminarla».
«Hai deciso di prendere con te un'apprendista, dunque» commentò il mago interessato. Squadrò Raisa da capo a piedi con curiosità, al che lei immediatamente si appiattì contro la parete, timorosa. Mal allungò una mano e strinse quella della bambina.
«Deve possedere un potenziale magico immenso per aver attirato la tua attenzione, Ennon» sentenziò Wesh decidendosi finalmente a uscire dallo studio. «Ferlon mi disse che non avresti scelto un apprendista fino al giorno in cui avresti trovato qualcuno che valesse davvero il tuo tempo».
Ferlon. Mai che che il suo amico tenesse la bocca chiusa.
«Sono qui proprio per scoprirlo» rispose Mal sorridendo a sua volta, sperando di chiudere così la conversazione.
«Allora presto mi aggiornerai sulla situazione e sulla tua piccola, nuova amica» concluse Wesh allontanandosi.
Mal lasciò la presa sulla mano di Raisa e gli rivolse un cenno di rispetto – l'attempato ometto con cui aveva appena parlato era pur sempre colui che aveva ricoperto la carica di maestro delle Terre del Nord prima di Theor.
Dalla porta rimasta aperta emerse un valletto in livrea.
«Mio signore, il maestro Theor è pronto a ricevervi».
I lineamenti delicati e la voce ancora lievemente acuta suggerivano che non fosse ancora uscito dalla pubertà.
Mal si alzò e con un cenno ordinò a Raisa di fare altrettanto; questa, docilmente, obbedì.
Lo studio di Nathaniel Theor era un ambiente elegante, più luminoso della maggior parte delle sale del palazzo poiché esposto a nord. Tre ampie finestre che culminavano con un'arco a sesto acuto occupavano la parete di fondo. In ogni cosa, nella stanza, regnava la simmetria, riflesso esteriore del rigore e della razionalità del suo proprietario: a ridosso delle pareti laterali – la stanza si sviluppava orizzontalmente – si stagliavano due imponenti librerie nei cui vani i codici conservati erano ordinati con cura quasi maniacale; ai lati della porta da cui erano entrati erano posizionate due credenze identiche l'una all'altra e la fredda monocromia delle pareti che le sormontavano era interrotta da due arazzi splendidamente ricamati. Quello sulla destra raffigurava una stilizzata ma vivida scena di battaglia, tutta realizzata all'insegna del contrasto tra le tonalità scure del blu e del nero e quelle del rosso aranciato; quello a sinistra era invece un tripudio di racemi e motivi floreali, fra i quali si scorgevano le figure di diversi terkil dalle ali nere.
A dominare la stanza, una scrivania in legno di mogano lunga più di tre metri.
«Ti sei deciso a prendere con te un apprendista, infine» constatò senza inutili preamboli l'uomo che sedeva sullo scranno di fronte a loro.
Theor era ancora relativamente giovane per occupare la carica di maestro da quasi dieci anni. Era stato designato come suo successore da Wesh in persona, quando per motivi di salute l'allora maestro delle Terre del Nord aveva abdicato al suo posto nel Gran Consiglio.
A poca distanza da lui sedeva un giovanotto dai capelli piuttosto scuri per essere un Uomo del Nord; i suoi occhi si muovevano concentrati sul testo recato sulla prima di una serie di pergamene che giacevano arrotolate davanti a lui. Mal sapeva chi era: Hareis Von Hilsen, divenuto apprendista di Theor qualche anno prima.
Quando anche Raisa entrò nello studio, il ragazzino interruppe un istante il suo lavoro e fissò quella bambina dall'aspetto così insolito.
«Niente distrazioni, Hareis» lo rimbeccò Theor pigramente, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione a Mal e Raisa. L'apprendista si affrettò a tuffare nuovamente il naso nella pergamena, anche se Mal era sicuro che non si sarebbe perso una parola del discorso che si sarebbe tenuto di lì a poco.
«E così è questa la bambina ti cui mi hai parlato nella tua lettera» esordì Theor. «Se questo è il suo aspetto attuale non oso immaginare come dovesse presentarsi quando l'hai trovata».
Fece gentilmente segno a Raisa di avvicinarsi; questa volse lo sguardo verso Mal, cercando conferme, e l'uomo annuì piano. La ragazzina mosse un paio di passi in avanti.
Theor la osservò da capo a piedi, poi socchiuse gli occhi e rughe di concentrazione incresparono il suo volto.
Nervoso, Mal osservò il mago in ogni sua mossa. La piega che l'incontro aveva preso già non era incoraggiante: se la magia di Raisa fosse stata percepibile in quel momento, un intuito fine come quello di Theor lo avrebbe avvertito nel momento stesso in cui la bambina aveva messo piede nella stanza.
Quando infine Theor riaprì gli occhi, la sua espressione era imperscrutabile. Si rivolse alla bambina.
«Qual è il tuo nome?»
«Raisa» rispose Mal per lei. «Ho deciso di chiamarla così».
«Oh» fu il commento, piuttosto tiepido, di Theor. «Dunque non è in grado di parlare. Ci sono altri fattori che hai omesso nella tua lettera?»
Mal avvampò, ma quando parlò lo fece con voce ferma.
«Nossignore. Quello che ho scritto è tutto ciò che sono riuscito a scoprire su di lei».
«Quindi non hai la minima idea di chi sia, da dove provenga, se la magia si sia effettivamente manifestata in lei... per farla breve, non sai nulla di lei».
A quelle parole, pronunciate in un tono che cominciava a lasciar trasparire anche una certa irritazione, Mal non seppe come replicare.
Cogliendolo così di sorpresa da farlo sobbalzare, Theor batté sonoramente le mani.
«Hareis, Sifer, lasciateci».
Se il valletto obbedì a quell'ordine all'istante, il giovane apprendista si alzò controvoglia, fece il giro della scrivania, poi lanciò un'ultima occhiata dubbiosa che si posò prima su Theor, poi su Mal e infine su Raisa. Prima che il suo maestro avesse tempo di apostrofarlo ancora, però, voltò loro le spalle e uscì chiudendo la porta.
Theor tornò a rivolgersi a Mal.
«Come mai non hai provato a leggere la sua mente?» domandò, con un sopracciglio alzato.
«Non ero sicuro degli effetti che questo avrebbe avuto su di lei» ripose lui, esitante. «Era già debole e denutrita, temevo che non avrebbe retto a una mia incursione nella sua mente».
«In questo caso» sospirò l'uomo di fronte a lui «suppongo ci sia una sola cosa da fare».
Protese una mano in avanti in direzione della fronte della bambina per attuare l'incantesimo della lettura della mente, tuttavia, qualcosa lo fermò, lasciando il suo braccio destro proteso a mezz'aria. Mal aveva agito d'istinto, afferrando il polso del maestro delle Terre del Nord.
Per un attimo, i suoi occhi incrociarono quelli dorati di Theor, che per un istante non riuscirono a mascherare la sorpresa. Pochi secondi dopo, Mal avvertì una forza incontrollabile investirlo e scagliarlo all'indietro; rovinò addosso alla parete di fianco alla porta.
Quando riaprì gli occhi, stentò a credere alla scena che gli si parò davanti: dopo che Theor lo aveva attaccato, Raisa era balzata sulla scrivania e, a quattro zampe, fissava il mago emettendo un verso simile al soffio di un felino inferocito.
Attorno a lei si levava uno strano alone, una specie di aura che alla vista deformava e rendeva opachi gli oggetti intorno a lei. E, nonostante tutto, Mal sorrise trionfante tra sé e sé. Non c'erano più dubbi: quella era una pura e limpida manifestazione di magia che si estrinseca da un individuo non ancora in grado di controllarla.
L'espressione freddamente composta che Theor aveva mantenuto fino a quel momento aveva lasciato spazio a uno sguardo sì contrariato, ma anche, in qualche modo, brillante: lo sguardo di chi ha appena posato gli occhi su un tesoro.
«Si è lanciata su di me non appena ti ho colpito» mormorò, rivolto più a se stesso che a Mal il quale, lentamente, si stava rimettendo in piedi. «Non mi ha inferto attacchi, ma non sono stato in grado di colpirla a mia volta».
«È una Ves'dyn'doev» ansimò Mal avvicinandosi. «È come vi ho detto. La magia scorre in lei come il sangue nelle sue vene, più pura di quanto abbia mai percepito in nessun altro».
Anche se non era sicuro che fosse la scelta giusta, immerse la mano nello strana barriera che Raisa aveva eretto attorno a sé e le posò il palmo sulla schiena. Al contatto con la sua pelle, l'alone di magia venne meno e la ragazzina crollò a carponi sulla scrivania di Theor.
«Sono impressionato» commentò il maestro delle Terre del Nord recuperando la solita compostezza, mentre Mal afferrava da sotto le spalle la bambina e la sollevava dal tavolo per deporla delicatamente a terra. Era svenuta. «Ma questo non significa che la tua scoperta sia un successo. Ves'dyn'doev o meno, non ha alcun controllo sulla sua magia. Per quanto ne sappiamo, potrebbe essere la prima e l'ultima volta in cui essa si manifesterà».
«Mio signore!» Mal non riusciva più a contenersi. «L'avete visto anche voi! L'avete sentito anche voi. Questa bambina ha il potenziale per diventare la strega più potente della sua generazione, forse anche di più!»
«Non ne discuto il potenziale, Mal» rispose Theor tornando a sedersi. «Ma non abbiamo alcuna garanzia e, come immagino avrai già appurato di persona, è ingestibile».
«È fedele a me».
«Certo» affermò Theor con un sorriso sprezzante. «Come un cane è fedele alla mano che lo nutre».
Mal afferrò lo schienale della sedia su cui si era accomodato all'inizio del colloquio e vi si lasciò cadere, respirando profondamente. Ribolliva di rabbia nei confronti dell'uomo che aveva davanti in quel momento, ma doveva ammettere che c'era del vero nelle sue parole. E, se avesse compiuto anche solo un'altro gesto avventato nei suoi confronti, non era sicuro che avrebbe lasciato quella stanza con tutte le ossa ancora al loro posto; questo senza contare la certa fine della sua carriera politica.
«Non posso ignorare quello a cui ho assistito oggi» proseguì Theor intrecciando le dita sotto il mento, i gomiti poggiati sul mogano della scrivania. «La ragazzina ha del potenziale, questo non si può negare, ma questo non è l'unico aspetto da prendere in considerazione. È instabile, non parla, probabilmente ha subito traumi e abusi di ogni tipo. Dubito che riuscirai a cavare qualcosa di buono da lei».
Una sola parola del suo discorso aveva catturato l'attenzione di Mal.
«Riuscirai?» ripeté. «Significa che ho il vostro consenso?»
«Non ti proibirò di prendere questa bambina come tua apprendista. Sarebbe uno spreco non fare neanche un tentativo. E, come sai, ho sempre tenuto in alta considerazione la tua opinione».
Un senso di vittoria si impadronì del giovane mago nel sentire Theor pronunciare quelle parole, un piacevole calore che si dipanava dal petto per diffondersi lungo gli arti.
«Ma non credere che dimenticherò quanto è accaduto oggi, e quelli che sono gli elementi a tuo sfavore. Monitorerò con sommo interesse il lavoro che svolgerai con questa piccola belva».
Mal pensò che quelle parole suonassero almeno come un avvertimento, se non come una minaccia.
«E se per prima cosa non sarai in grado di impartirle disciplina» continuò l'uomo scoccandogli uno sguardo severo. «Non conterà quanto potente possa essere la sua magia. La toglierò dalla tua custodia e ne farò ciò che riterrò più opportuno».
Mal strinse i denti.
«Non fallirò» proferì, deciso. «Vi dimostrerò che la vostra fiducia in me è ben riposta».
«Non è di te che dubito, Mal» rispose Theor. «È lei a preoccuparmi».
Gli occhi di entrambi si posarono sul corpo addormentato di Raisa. I capelli rossi sparsi a ciuffi sul pavimento creavano un contrasto con il marmo che faceva pensare a una pozza di sangue.
Quanta oscurità si nascondeva dietro quelle palpebre abbassate, dietro quel viso magro ma angelico?
«Ti consiglio di iniziare subito a lavorare» alluse il maestro delle Terre del Nord. «Ho idea che ti costerà parecchia fatica. Questo senza dimenticare i tuoi impegni di consigliere...»
Mal sapeva che il suo signore lo stava mettendo alla prova e ignorò le sue provocazioni. Si inginocchiò davanti a Raisa e, infilandole un braccio sotto la schiena e l'altro sotto le ginocchia, la sollevò da terra.
«Per prima cosa la porterò a casa mia» affermò.
Theor annuì.
«Mi sono sempre aspettato grandi cose da te, Mal. Questo azzardo potrebbe essere il tuo maggiore successo o la tua maggiore rovina». 
Con la bambina svenuta tra le braccia, il giovane mago si esibì nel miglior inchino che il peso di Raisa gli permetteva.
«Vi ringrazio, mio signore, per l'opportunità che mi avete concesso».
Detto questo, si congedò, intenzionato a mettere tra sé e l'ufficio di Theor più distanza nel minor tempo possibile.
Uscendo, si ritrovò di fronte Hareis, seduto sulla stessa panca dove lui e Raisa avevano atteso di essere ricevuti; il ragazzino alzò stupito lo sguardo, gli occhi ambrati sgranati come punti interrogativi, ma Mal lo ignorò e passò oltre.
Perché, perché stava mettendo a rischio tutto se stesso per quella bambina che conosceva da meno di una settimana e che mai gli aveva rivolto parola?
Era solamente ambizione, ringhiò una voce nella sua testa. Se fosse riuscito a dimostrare che quella ragazzina poteva essere uno strumento non solo utile, ma sopraffino, per le Terre del Nord, Theor e chiunque altro non avrebbe più potuto ignorare colui che l'aveva scoperta e condotta nella loro patria. A quel punto, Theor non avrebbe più potuto ignorare il suo operato. Forse, gli sarebbe stato così riconoscente da sceglierlo come suo successore...
Raisa si era scagliata contro Theor quando lui l'aveva colpito, senza preoccuparsi delle conseguenze. Aveva evocato la propria magia senza rendersene conto e l'aveva fatto per proteggere lui, Mal.
Un groppo alla gola lo colse, indesiderato, mentre percorreva i corridoi che l'avrebbero riportato all'esterno.
Ambizione.
Sicuramente, quando aveva avvertito la magia della bambina per la prima volta.
Senza dubbio, quando aveva deciso di chiedere a Theor udienza per ottenere il permesso di addestrarla.
Anche in quello stesso momento, l'idea di guadagnarsi un posto d'onore nel Consiglio grazie ai risultati che avrebbe potuto ottenere con Raisa lo faceva fremere di trepidazione.
Eppure, inequivocabile, qualcosa cominciava a farsi strada nel suo cuore, un sentimento che non aveva mai provato prima e che credeva potesse essere sperimentato solo da un genitore. Affetto, il desiderio di prendersi cura, di mettersi in gioco per lei. Era questo che stava cominciando a provare verso la creatura selvaggia e indomita che ora giaceva inerte fra le sue braccia.
L'aveva trovata, l'aveva tolta dalla strada, l'aveva rivestita e nutrita.
Era una sua responsabilità ora e lui l'avrebbe protetta.





 

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Capitolo 4
*** Non sarai mai più sola ***


Dolceamaro



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Raisa non dormiva mai nella brandina che Mal aveva predisposto per lei.
Al contrario, la ragazzina preferiva raggomitolarsi sul tappeto del salotto, davanti al camino, per prendere sonno. Un cuscino e una coperta di lana erano tutto ciò che le serviva per poter trovare il proprio giaciglio soddisfacente.
All'inizio Mal aveva tentato di "addomesticarla" in quel particolare frangente, ma poi aveva dovuto arrendersi: non capiva in quale modo la bambina potesse essere stata traumatizzata dai letti tanto da non riuscire a prendervi sonno e, probabilmente, non avrebbe mai ottenuto risposta, ma non era una questione prioritaria. Forse, dopotutto, si trattava solamente di abitudine: Raisa doveva aver dormito così a lungo su superfici dure da trovare innaturale la morbidezza di un materasso imbottito di piume.
I grattacapi che lo affliggevano al momento erano ben altri.
Era trascorsa quasi una settimana dal loro arrivo ad Amaria e dal colloquio con Theor, ma non si erano registrati progressi dal punto di vista dell'addestramento della bambina. Mal non era ancora riuscito a trovare un modo per penetrare lo scudo che la sua giovane apprendista sembrava erigere in modo istintivo ogni volta che provava ad avvicinarsi, anche per vie traverse, all'argomento "magia".
Tutto ciò che per il momento era riuscito ad ottenere era stato contattare un precettore che le insegnasse a leggere e a scrivere. Janus Ortiz era un uomo gentile, più vicino ai sessant'anni che ai cinquanta; Mal era risalito al suo nome attraverso una coppia di vecchi amici di famiglia che lo avevano assunto per impartire un'educazione ai propri figli una decina di anni prima. Ortiz era il tipico uomo del ceto medio, un precettore sufficientemente abile ma anche economico, non particolarmente acculturato, ma efficace nel trasmettere ai propri allievi le poche cose in cui eccelleva: imparare a recitare e scrivere l'alfabeto, a leggere frasi prima elementari, poi sempre più complesse, a tirare di conto.
Anche aldilà della promessa fatta a Theor e della sfida che nel profondo Mal aveva lanciato a a se stesso – riuscire a trasformare quella creatura selvatica in una giovane donna versata nelle arti magiche – , l'uomo desiderava che Raisa apprendesse almeno le nozioni fondamentali per riuscire a condurre una vita dignitosa anche senza eccellere nella magia.
Questo senza contare che, una volta che la ragazzina avesse acquisito una capacità di scrittura ampia a sufficienza, la comunicazione tra loro avrebbe fatto un deciso passo in avanti.
Tutto sommato, la prima lezione non era stata il disastro che Mal si era aspettato. Raisa si era mostrata inizialmente ritrosa con lo sconosciuto maestro, rifiutandosi di sedere al tavolo di fronte a lui e, quando finalmente Mal era riuscito a convincerla, aveva dimostrato di non sapere nemmeno come si reggesse in mano una penna d'oca; certo che la bambina non avrebbe permesso a nessuno che non fosse lui di toccarla, Mal le aveva preso la mano e aveva guidato le sue dita fino al momento in cui si erano chiuse nella presa giusta. Ortiz, informato quanto bastava sui problemi della ragazzina, si era limitato ad osservare la scena in silenzio. In seguito, iniziata la lezione vera e propria, era stato necessario che Mal desse il suo consenso dopo pressoché qualunque istruzione elargita dal precettore; ogni volta Raisa si voltava nella sua direzione con sguardo sperso, come se necessitasse del suo permesso per fare quanto Ortiz le stava insegnando.
Inutile a dirsi, Mal era dovuto rimanere presente lungo l'intera lezione e questo rappresentava un problema. Era stata una fortuna che quel giorno non fossero previste riunioni a palazzo, ma non era solo quello il tipo di impegni cui l'uomo si sarebbe dovuto prestare: incarichi che presupponevano viaggi entro e fuori dai confini delle Terre del Nord, relazioni da stendere, missive da spedire...
Finché Raisa avesse avuto bisogno della sua presenza per svolgere qualunque ordine o qualunque mansione, sarebbe stato alquanto difficile vestire entrambi i propri ruoli in modo soddisfacente, quello di consigliere e quello di mentore. Eppure, nonostante tutto, Mal nutriva buone speranze: Raisa aveva dimostrato di saper imparare in fretta e, dopo sole tre lezioni, aveva imparato tutti i caratteri dell'alfabeto e cominciava a leggere qualcosa di più rispetto a semplici parole isolate, iniziando a confrontarsi con periodi più o meno lunghi.
Dal secondo giorno Mal aveva tentato la strategia di fare la spola tra il salotto e la sua camera per appurare come avrebbe reagito Raisa; e se la prima volta il tentativo si era rivelato fallimentare – ogni volta in cui la ragazzina si era voltata per cercare lo sguardo di Mal senza trovarlo, aveva dato segno di agitarsi perdendo la concentrazione – la seconda il tempo che aveva impiegato per riprendersi era diminuito man mano.
Alla quarta lezione, poi – e questa fu la conquista più grande per Mal – cominciò a non avere più bisogno della sua presenza per ascoltare ed eseguire le istruzioni di Ortiz. La bambina sembrava andare d'accordo con i modi pacati ma rigorosi del maestro, a modo suo.
Mal era fiducioso, tanto che alla quinta lezione chiese a Ortiz di recarsi a casa sua in concomitanza con una riunione indetta da Theor. Non che fosse l'idea di lasciare Raisa a casa da sola qualche ora a preoccuparlo, lo aveva già fatto un paio di volte; il problema era lasciarla in compagnia di qualcun altro senza che lui, Mal, fosse presente.
Ma gli uccellini dovevano spiccare il volto, si disse il mago mentre usciva di casa per recarsi a palazzo, anche se, in quel caso, Raisa avrebbe dovuto imparare a volare in soli cinque giorni. Il pensiero gli strappò una lieve, nervosa risata mentre si accingeva a percorrere la via lastricata che lo avrebbe condotto alla reggia di Amaria.

 

***
 

Appena un filo di luce filtrava attraverso le tende tirate.
Il silenzio nell'angusta camera era rotto solo dai gemiti sommessi di Derya, stesa sul materasso fra i cuscini di piume, le gambe avvinghiate attorno all'addome dell'uomo che la sfiniva dolcemente.
Si conoscevano da troppo tempo perché la giovane donna avesse bisogno di fingere durante i loro incontri. Nella casa di piacere spesso si levavano languidi lamenti e, talvolta, vere e proprie grida di finto piacere, nient'altro che prove attoriali più o meno mediocri da parte delle ragazze che vi lavoravano come prostitute.
Anche Derya aveva fatto altrettanto con lui e, le prime volte, Mal era stato così ingenuo da credere di essere lui stesso il motivo di tanta enfasi. Dopotutto, era il compito di ogni buona puttana che si rispettasse, si era detto in seguito il mago con il senno di poi: far pensare, almeno per il tempo trascorso con il proprio cliente, che questi fosse il più attraente, il più desiderabile e, soprattutto, il più virile tra gli uomini.
Ma dopo tanti anni trascorsi a fare l'amore insieme, Mal aveva imparato a riconoscere quando Derya fingeva, quando aveva la testa altrove e quando invece i suoi gemiti acuti erano davvero espressione di un piacere intenso.
Benché quel giorno non facesse più caldo del solito, la schiena dell'uomo era imperlata di piccole gocce di sudore e ogni suo affondo nel corpo della donna era accompagnato da un lieve ansito da parte di entrambi. Quando infine l'uomo cominciò ad avvertire di essere vicino al culmine, accelerò i movimenti e avvertì la stretta di Derya intorno ai suoi fianchi farsi più forte, mentre il suo corpo era scosso da fremiti di piacere.
Quando ebbe finito, Mal si abbandonò su di lei.
La stretta delle gambe della ragazza su di lui si allentò in pochi secondi e in un attimo si ritrovarono semplicemente stesi l'uno sull'altra. Mal, con il volto affondato nel cuscino, sentì le sue mani correre sulla sua schiena, accarezzandolo fino alla nuca per poi perdersi fra i suoi folti capelli castani.
L'uomo si concesse quel tanto di tempo che bastasse a riprendere fiato, poi si puntellò con i gomiti sul materasso e si sollevò, ricadendo di fianco a lei. Derya aveva gli occhi chiusi, le gote arrossate, ma sul suo volto si leggeva una strana espressione, quasi di disappunto.
Mal non aveva alcuna intenzione di indagare, anzi, ora che si era sfogato rimpiangeva di averle chiesto di incontrarsi e desiderava solo tornare a casa al più presto. Buttò le gambe giù dal letto e agguantò i calzoni che aveva appoggiato sullo schienale di una sedia.
«Mi sei sembrato assente» commentò Derya di lì a poco, raggomitolata fra le lenzuola, con un lembo di stoffa che le copriva parte del seno sinistro.«Da quando sei tornato da Città dei Re sembri un'altra persona».
«Dici?» chiese Mal, seduto sul bordo del letto, mentre si accingeva a rinfilarsi anche la camicia. «Non mi sembra di averti trascurata in nessun modo».
«Non parlo di questo» la donna si mise a sedere e una cascata di capelli biondo chiaro le scivolò sulle spalle, cosparse di lentiggini come il suo viso. «Ci vediamo con la frequenza di sempre, ma non mi scopi più come prima. È come se ti mancasse la passione, come se la tua mente fosse occupata da qualcos'altro».
«Sai che non sono il tipo da avere più di un'amante» affermò l'uomo schiettamente. «E ti assicuro che sei l'unica donna con cui vado a letto».
In effetti, Derya era l'unica prostituta con cui Mal avesse mai avuto rapporti sessuali o, meglio, l'unica prostituta con cui avesse avuto rapporti in generale. L'aveva conosciuta appena sedicenne, durante uno dei periodi di licenza che Camosh gli concedeva semestralmente. Come sempre quando si trattava di qualcosa di quel genere, andare a cacciarsi in un bordello era stata un'idea di Ferlon: per festeggiare il suo ritorno ad Amaria dopo tanto tempo, il diciottenne allievo di Wesh aveva letteralmente spinto un Mal ubriaco e totalmente privo di freni inibitori fra le braccia della giovane. Derya aveva cinque anni più di lui ed era stata venduta a una delle case di piacere di Amaria da i suoi genitori, sommersi dai debiti, quando ne aveva quattordici.
Mal non ricordava granché della sua prima volta se non che, la mattina dopo, si era svegliato con una guancia della ragazza adagiata sul suo petto e un mal di testa martellante.
«Sai che cosa penso?» disse la donna con un sorriso malizioso rivolto nella sua direzione.
Anche se temeva di aver intuito dove Derya volesse andare a parare, Mal fece spallucce.
«Dimmi pure».
La donna si liberò delle lenzuola e, ancora completamente nuda, gli si accostò da dietro, mordicchiandogli il lobo dell'orecchio destro.
«Ho saputo della ragazzina che ti porti appresso da un po' di tempo a questa parte» cinguettò. «La piccola mezzosangue con gli occhi rossi. In giro dicono che te la sei portata fin dentro casa. Ma, sinceramente, non pensavo che avessi gusti di quel tipo...»
Per la prima volta nella sua vita, Mal provò il forte istinto di schiaffeggiare una donna.
«Tu sei più che sufficiente per soddisfare i miei desideri» rispose invece, imponendosi di rimanere calmo. «Non so quali voci tu abbia sentito in giro, ma ti confesso che mi delude appurare che tu mi creda capace di simili bassezze».
L'altra fece per replicare, ma il mago la anticipò: «Tuttavia, non ti nasconderò che la bambina che ho trovato a Città dei Re rappresenta un problema, per me».
Si voltò completamente verso Derya, che ora lo squadrava dal basso verso l'alto, appoggiata con i gomiti sul materasso.
«Theor nutre forti dubbi verso di lei e il suo valore. Non mi ha vietato di prenderla come mia allieva, ma terrà d'occhio ogni mio progresso. Se non otterrò risultati soddisfacenti con lei in breve tempo perderò molta della credibilità che ho ai suoi occhi».
«Questi politici...» Derya alzò gli occhi al cielo. «Che cosa deve fare una donna per avere le piene attenzioni del suo amante?»
Per tutta risposta, Mal la attirò a sé e la baciò con foga, costringendola a socchiudere le labbra per intrecciare la lingua con la sua.
Quando si separarono, la giovane sembrava soddisfatta.
«Avrai sempre piene attenzioni da me».
Mal si allacciò la cintura e, completamente rivestito, si alzò.
Sperava che il suo ultimo gesto e le sue parole bastassero a chiudere quella conversazione.
Ma la verità era che non era più il ragazzo che aveva perso la verginità proprio in quella stanza, fra quelle coperte, disteso sul corpo flessuoso della donna cui ora stava dando le spalle. Non era più nemmeno il giovane uomo che, periodicamente, si presentava da lei avido di sfogare pulsioni, frustrazioni e angosce a furia di baci e amplessi.
Non che fosse mai stato realmente innamorato di lei, e di questo anche Derya doveva essere ben consapevole. Ma, per anni, la giovane aveva goduto del suo favore, della sua preferenza: tra tante puttane qualunque era da lei che Mal tornava ogni volta, era lei la sola con cui l'altero, devoto Mal Ennon si concedeva il vizio del sesso.
Raggiunse la porta della stanza con passo lento, appoggiò la mano sulla maniglia ma poi si bloccò. Anche se era da anni ormai che la giovane non gli chiedeva di pagarla dopo un appuntamento, quella volta estrasse dalla tasca uno york d'oro e lo appoggiò sulla credenza a ridosso della parete.
Derya sgranò gli occhi ambrati nel vedere il suo gesto e Mal ebbe la certezza che avesse compreso.
Aprì la porta e sparì all'esterno.
Addio, Derya.

 

***
 

Un urlo squarciò la silenziosa oscurità notturna della casa.
Mal si tirò a sedere di scatto, il cuore in gola; senza che se ne rendesse conto, si era messo in posizione di guardia, i sensi vigili, la mente perfettamente lucida. La magia percorreva già le sue membra, generandogli un lieve formicolio, pronta a scaturire nel caso ce ne fosse stato bisogno. Era un'abilità che aveva acquisito durante l'addestramento con il maestro Camosh.
Ci vollero solo pochi istanti perché l'uomo si rendesse conto della situazione e si rilassasse. Dal salotto provenivano singhiozzi inframmentati.
Un'altro incubo, si disse mentre scivolava giù dal letto a baldacchino e si avvolgeva nella vestaglia. Non era la prima volta che Raisa lo svegliava in piena notte e, come sempre, Mal si chiese quali immagini tormentassero il sonno della piccola.
Trovò Raisa rannicchiata contro il muro adiacente a quello dove torreggiava il camino, le ginocchia avvolte fra le braccia. Si dondolava avanti e indietro. Con uno schiocco di dita, il mago generò una piccola fiamma e la indirizzò verso la candela più vicina. La bambina non reagì all'improvviso rischiararsi dell'ambiente. Mal le si avvicinò. I suoi occhi erano spalancati, fissi su qualcosa che lui non poteva vedere, ma nel suo sguardo si leggeva il terrore più puro. Grandi lacrime rigavano i suo volto, ma i singhiozzi si erano già esauriti.
«Raisa» la chiamò con dolcezza, inginocchiandosi accanto a lei. «Raisa, sei al sicuro. Non c'è niente qui che ti possa fare del male. Siamo solo io e te».
La ragazzina si stava mordendo il labbro inferiore con tanta forza che per un attimo Mal temette che se lo squarciasse. Con circospezione, appoggiò una mano sulla sua spalla sinistra: Raisa aveva sempre reagito positivamente al contatto fisico con lui, come se il suo tocco avesse avuto il potere istantaneo di calmarla.
Anche quella volta, dopo il sobbalzo iniziale, il suo respiro si fece via via più regolare.
«Era solo un incubo» proseguì Mal in tono calmo. «Non so cosa tu abbia visto, ma ora è finita. Era solo un incubo».
Raisa si lasciò scivolare lungo la parete, fino a ricadere di schiena sul pavimento.
Le altre volte le reazioni ai brutti sogni erano state meno violente. Guardandola in quello stato, Mal si chiese che cosa diavolo sperasse ancora di ottenere da lei: Theor aveva ragione, quella creatura era spezzata nella mente e nello spirito, non c'era speranza di...
Allontanò con rabbia quei pensieri. Non era il momento di pensare a quel genere di cose.
Fu tentato di agire come le altre volte in cui Raisa aveva avuto problemi a dormire: premerle una mano sulla fronte e farla ricadere in un sonno artificiale senza sogni, così che il suo corpo si rilassasse automaticamente riportando battiti e respiro a un livello normale; eppure, qualcosa gli fece cambiare idea. Forse non era quello l'approccio giusto, e nemmeno il più proficuo. Quelle lunghe dormite rese possibili dalla magia non avrebbero giovato alla sua psiche. No, doveva provare ad aiutarla come avrebbe fatto un comune essere umano, rassicurarla, parlarle, proprio come un... un...
«Genitore» mormorò Mal fra i denti.
Solo una decina di giorni prima era stato a un passo dall'iniziare una nuova, eccitante fase della sua vita. Aveva affrontato il suo vecchio maestro e aveva vinto, avrebbe potuto servire le Terre del Nord a tempo pieno, guadagnarsi il rispetto di Theor e apprendere da lui qualunque cosa potesse essere utile per diventare il miglior mago e politico possibile. Era bastata una manciata di minuti perché tutto cambiasse, e l'aspetto più ironico era che era stato proprio lui, Mal, a fare in modo che ciò accadesse. Quella bambina gli era capitata fra capo e collo e, se in un primo momento aveva pensato che sarebbe stata una sicura chiave per il successo, ora non ne era più affatto sicuro. Anzi, era probabile che sarebbe stata la sua rovina, proprio come aveva detto Theor.
Porse la mano a Raisa invitandola a rialzarsi.
«Vuoi dormire nel mio letto, stanotte? Posso mettermi io sul tappeto».
Lei scosse la testa con forza, al che Mal sospirò e la trascinò con delicatezza verso il suo solito giaciglio.
Due forze si scontravano furiose nel suo animo. Da una parte la seccatura, il fastidio, l'umiliazione di sentirsi ridotto da delfino del più grande mago di Fheriea a tutore di una bambina pazza; dall'altra l'irrefrenabile desiderio di aiutarla, di farle del bene, aldilà di qualunque profitto e carriera politica. Raisa aveva messo a nudo in lui una contraddizione che lo stava facendo impazzire.
La bambina si distese sul tappeto ancora tremando come una foglia. Mal le sistemò la coperta.
«Io sono nella stanza qui accanto. Se hai bisogno di qualcosa, di qualunque cosa...»
Si rese conto in ritardo della stupidità di quelle parole. Avrebbe voluto terminare la frase dicendo "chiamami". Aggiustò il tiro.
«... batti un colpo sul pavimento, o vieni anche di persona a svegliarmi. Ci sono io qui, non può accaderti nulla di male».
Raisa non annuì, né dette segno di aver ascoltato le sue ultime parole.
Mal si passò una mano sul viso: non c'era molto altro che potesse fare. Si era già avviato nuovamente verso la sua stanza, gli occhi gonfi di sonno, quando accadde.
«Non lasciarmi sola».
Mal fu così sorpreso da non riuscire a manifestare alcuna reazione. Si limitò a immobilizzarsi, dandole la schiena, l'animo percorso da emozioni contrastanti. Aveva aspettato talmente tanto tempo di udire per la prima volta la sua voce che ormai aveva quasi perso le speranze; non si era mai interrogato su come potesse suonare, ma di sicuro si sarebbe aspettato un suono flebile e infantile.
Le parole che la ragazzina aveva pronunciato in quel momento, invece, sembravano appartenere a una persona molto più grande. Il tono era sì rotto, ma anche velato da una sorta di amarezza stranamente matura.
Si voltò verso Raisa e, per la prima volta dopo molto tempo, sentì le lacrime pungergli gli occhi ed ebbe l'impressione di non riuscire a trattenerle.
Gli aveva parlato.
Aveva infranto il muro di silenzio che li separava.
Senza nemmeno pensare a ciò che faceva, tornò dalla ragazzina e la abbracciò. La strinse a sé, tenendo le labbra premute su quella testolina dalla chioma fulva, e sentì le braccia della piccola circondare il suo torace a loro volta.
E, finalmente, lacrime che dovevano aver atteso anni per sgorgare come una cascata dai suoi occhi cominciarono a inondarle il viso, bagnando le sue guance e il petto nudo di Mal sotto la vestaglia. Raisa piangeva con una tale foga che l'uomo ebbe l'impressione che in quello sfogo stesse riversando il dolore di tutta una vita, quasi quell'esternazione potesse avere il potere di prosciugarla, svuotarla da tutto il male che si portava dentro, distruggere con violenza le barriere che aveva eretto tra sé e il mondo esterno.
Pianse fino a non avere più lacrime, fino a non avere più forze.
Pianse fino a che, sempre stretta dalle braccia forti di Mal, non si accasciò sfinita contro di lui, cadendo nuovamente nell'incoscienza.
Eppure, questa volta, Mal era sicuro che non ci sarebbero stati incubi a infestare il suo sonno.
La depose delicatamente con la testa sul cuscino e si coricò di fianco a lei, cingendole la vita con un braccio.
Non lasciarmi sola, l'aveva supplicato la bambina.
«Non sarai mai più sola» mormorò Mal, anche sapendo che in quel momento lei non poteva sentirlo.





 

 

 

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Capitolo 5
*** Sephirt ***


Dolceamaro



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Le onde che si infrangevano sulle pareti rocciose a strapiombo del fiordo di Gax si succedevano senza sosta, in un ciclo infinito, tanto che ogni frammento di costa sembrava assediato da uno strato di spuma impetuosa e bianca.
Bianca, come il sottile strato di neve che ricopriva i prati intorno alla città. Se per le vie dell'agglomerato urbano non era rimasto altro che qualche mucchietto di neve dura e sporca, nei campi che lo separavano dal fiordo aveva resistito stoicamente, scomparendo solo lungo la stradina sterrata che collegava Gax al suo piccolo porto.
Raisa ammirava l'inconsueto spettacolo con genuino senso di spaesamento negli occhi mentre Mal, al suo fianco, sorrideva tra sé e sé. Era felice di essere riuscito a sorprenderla.
«Te l'avevo detto che avresti visto la neve in estate» commentò a pochi passi di distanza dalla sua apprendista.
La ragazzina si chinò e strinse nel proprio pugno una manciata di neve ghiacciata.
«Neve in estate» ripeté assorta, riaprendo la mano e osservando i frammenti di ghiaccio che si erano parzialmente sciolti a contatto con il calore della sua pelle. «Non avevo mai visto una cosa del genere».
Quella parole si limitavano a confermare l'ovvio, ma ogni suono emesso dalla gola di Raisa era per Mal un motivo di buonumore.
Da quando l'aveva supplicato di non lasciarla sola, stesa sul pavimento davanti al camino spento, la ragazzina non aveva implementato più di tanto il dialogo con il suo mentore. Parlava di rado, quasi mai se non interpellata, e le sue frasi erano spesso semplici e banali, come quella che aveva appena proferito.
Eppure, paragonate alla possibilità – che giorno dopo giorno si era trasformata pressoché in certezza – che la bambina non fosse in grado di emettere suono che non fosse un ringhio o un singhiozzo, quelle sporadiche frasi assumevano un valore inestimabile.
Mal aveva approfittato di un incarico affidatogli da Re Robyn da svolgere a Gax per mostrare a Raisa la propria città natale. Aveva quasi accarezzato l'idea di farle conoscere i suoi genitori, ma era stata questione di poco perché si rendesse conto che non fosse il caso: lei non era la sua figlia adottiva, non era parte della famiglia, non era una bella sorpresa da presentare a una coppia di individui appena divenuti nonni. Era la sua apprendista, una prerogativa che spettava a lui soltanto. Ed era per questo che aveva preferito prendere una camera in una locanda poco distante dalla residenza del signore della città, evitando di farsi ospitare dai suoi genitori.
«Il sole sta per tramontare» Mal indicò l'astro che andava rapidamente calando, dando l'impressione di stare per venire inghiottito dall'orizzonte del Mare del Nord. «Ci conviene tornare al caldo, qui di notte ghiaccia per tutto l'anno».
Ma Raisa non sembrava essere intenzionata a muoversi dal suo posto, così Mal colmò la distanza che li separava e si sedette a a meno di un metro da lei. Pareva che il panorama del fiordo l'avesse totalmente catturata; se quella visione aveva il potere da dare una qualche pace al suo animo, anche solo per pochi minuti, Mal non si sentiva in diritto di sottrargliela per evitarle un raffreddore.
La palla di fuoco che brillava all'orizzonte si rifletteva negli occhi rossi della bambina e accendeva i suoi capelli corti e arruffati di riflessi ramati.
Aveva messo su peso rispetto a quando si erano incontrati: il suo volto non era più scavato, le costole e scapole meno sporgenti sulla pelle. Pur rimanendo di costituzione esile, appariva come una persona quasi perfettamente in forze.
«Da dove vieni, Raisa?»
Quelle parole aleggiarono nel silenzio della sera.
Lei continuò a fissare il mare, come ipnotizzata dal moto ondoso che si consumava contro gli scogli. Mal attese, paziente, dandole il suo tempo, finché le labbra della bambina non si mossero nuovamente.
«Da un luogo molto diverso» disse senza guardarlo. «Vengo da un luogo verde e pieno di fiumi, vicino dalla grande foresta».
La grande foresta... che si riferisse al Bosco Hardist, l'immensa macchia di alberi che si estendeva per miglia e miglia tra il territorio dello Stato dei Re e quello di Tharia?
Nelle aree limitrofe era più frequente che in qualunque altro luogo trovare persone di etnie estranee che abitassero dalla parte opposta del confine, questo anche a causa della guerra territoriale consumatasi tra Uomini Reali e Thariani quasi trecento anni prima; un elemento che rinforzava la teoria che Raisa potesse essere una mezzosangue.
Dopo qualche istante di silenzio in cui attese, senza venire soddisfatto, che la ragazzina continuasse a parlare, l'uomo tentò di scavare un poco più a fondo.
«Quindi abitavi vicino alla grande foresta... io ti ho trovata a Città dei Re, però» osservò, cauto. «Come mai ti trovavi nella più grande città di Fheriea?»
Gli occhi della bambina si velarono immediatamente di tristezza, forse di un sottile velo di lacrime, e Mal si insultò mentalmente.
Doveva sondare il terreno con delicatezza, essendo capace di cambiare approccio laddove si fosse trovato a incorrere in un vicolo cieco, ma tenendosi sempre a debita distanza. Se Raisa avesse percepito un intento indagatorio nelle sue parole o, ancor di più, se si fosse sentita forzata a rievocare cose che per il momento dovevano rimanere nascoste nel suo animo, Mal temeva ciò sarebbe potuto accadere. Un solo passo falso, un eccesso di confidenza mal riposta, e la bambina sarebbe potuta tornare a nascondersi dietro il muro di silenzio che aveva eretto intorno a sé per quelli che dovevano essere stati anni.
Guardarono il sole tramontare in silenzio, protetti dagli spessi mantelli con cui Mal aveva saggiamente sostituito quelli estivi durante quella trasferta. In pochi minuti, tutto quel che restava del giorno era una luce aranciata che si irradiava da occidente, aldilà del mare, verso l'ignoto. Presto anche quella luce avrebbe lasciato spazio al crepuscolo e, poi, solamente la fredda luminosità delle stelle stagliate sul cielo color indaco.
«Io sono un mostro» dichiarò ad un tratto Raisa a bassa voce, come se il nesso tra quelle parole e la precedente domanda di Mal fosse chiaro e lampante. Per un attimo, il mago si limitò a guardarla, confuso. Poi, con una stretta al cuore, capì: senza volerlo, la bambina aveva risposto anche a un'altra delle domande che desiderava rivolgerle da quando l'aveva incontrata.
Aveva già praticato la magia.
Si era manifestata molto prima del momento in cui era balzata sulla scrivania di Theor per difenderlo.
Per quanto ne sapeva Mal, il rapporto tra le persone che possedevano il dono era di circa un individuo su cento. Questo nelle Terre del Nord e, in linea di massima, negli altri stati maggiori di Fheriea. Solo nel Bianco Reame la percentuale si alzava leggermente ma, anche così, il numero di coloro che erano in grado di praticare la magia rimaneva in netta minoranza rispetto a coloro che non ne erano capaci.
Io sono un mostro.
Quella frase poteva significare una cosa sola.
Una bambina mezzosangue, forse una bastarda, che proveniva da uno sperduto villaggio tra il confine dello Stato dei Re e la nazione di Tharia. Una bambina che non aveva ricevuto un'educazione, che fino a poche settimane prima non era in grado nemmeno di scrivere il proprio nome. Una bambina figlia di agricoltori, allevatori o, nella migliore delle ipotesi, piccoli artigiani.
Nei piccoli centri urbani, le famiglie più abbienti e acculturate tendevano a inviare nelle città i figli che avessero manifestato il dono della magia, affinché ricevessero un addestramento. Ma la gente comune, molto spesso, ignorava persino l'esistenza della magia stessa; e un potenziale grande come quello di Raisa doveva essersi palesato in maniera dirompente, facendola apparire agli ottusi occhi della sua gente come uno scherzo della natura, un'anomalia, un mostro.
Mal si avvicinò alla ragazzina fino a portarsi a non più di una spanna da lei.
«Raisa...» cominciò, esitante. «Tu sai che cos'è la magia?»
Lei tremò.
«Credo di sì» rispose laconica.
Mal si morse il labbro; non era il caso di lanciarsi in una lezione su cosa fosse esattamente la magia, su come la sua energia fluisse costantemente in ogni cosa, animata e non, e su come l'equilibrio su cui si reggeva il mondo dipendesse da quello stesso flusso. L'unica cosa che contava era farle capire di non essere sola.
«Vedi, anche io ho a che fare con la magia» spiegò in ton calmo. «Tutte le cose strane che mi vedi fare, le cose che non riesci a spiegarti, sono frutto della mia magia o del modo in cui interagisco con la magia del mondo esterno».
No, si stava spingendo in un campo troppo complesso, per il momento. La verità era che era molto più difficile di quanto non avesse mai pensato: che parole aveva usato Camosh per spiegargli cosa fosse la magia? No, si disse, non era stato Camosh a farlo entrare in contatto con essa. Fin dai propri primi ricordi, Mal percepiva la magia come qualcosa che faceva parte del suo mondo. Chi era stato il primo a parlargliene? Suo padre, sua madre, l'anziano insegnante dell'accademia di Amaria?
Alla fine decise di cambiare totalmente approccio.
«Il fatto è che tutte queste cose sono assolutamente naturali» disse, dopo aver preso un ampio respiro. Cercava in tutti i modi di incrociare lo sguardo della sua apprendista, ma questo rimaneva apparentemente lontano, fisso sui flutti che si infrangevano sulle rocce e sulla piccola spiaggia ghiaiosa. «Molte delle persone che conosco ne sono capaci. Gli uomini con cui abbiamo parlato a palazzo, ad esempio. Persino quel ragazzino che hai visto tutto intento a studiare, nella stanza in cui ti ho presentata al maestro Theor. Ci definiresti tutti dei mostri?»
Raisa aggrottò le sopracciglia.
«No» disse incerta.
«Visto?» sorrise l'uomo. «Le cose straordinarie che sai fare, ciò che ti rende diversa dalla maggior parte delle persone, non ti rende affatto un mostro. Ti rende speciale».
«No» ripeté la ragazzina, ma questa volta lo fece con tutt'altra intonazione nella voce. Si voltò verso di lui e Mal scorse nuovamente nei suoi occhi lo sguardo fisso e spiritato di quando si svegliava terrorizzata nel cuore della notte. «Io sono un mostro, sono un mostro che ha fatto del male» le sue mani presero a tremare in maniera incontrollata mentre proferiva quelle parole. «Io mi merito quello che è successo, quello che mi hanno fatto, sono un mostro e...»
Mal le afferrò il polsi con delicata fermezza.
Come riscuotendosi da uno stato alterato di coscienza, Raisa si interruppe e sollevò su di lui i grandi occhi rossi; dalle sue ciglia ora pendevano grandi lacrime, pronte a staccarsi lasciando strisce umide e salate sulle sue guance.
«Tu non sei un mostro» disse Mal con forza. «Qualunque cosa sia successa, qualunque cosa tu abbia fatto, non è stata colpa tua».
Proprio in quel momento, all'imbocco dell'insenatura apparvero una dopo l'altra alcune piccole luci, segno che i pescatori stavano tornando a casa dopo la giornata di lavoro. Presto avrebbero raggiunto il porticciolo poco distante dal luogo in cui Mal e Raisa si trovavano in quel momento.
«Tu non sei un mostro» ripeté un'ultima volta l'uomo.
Per quel giorno era abbastanza; le aveva procurato dolore a sufficienza, inducendola a soffermarsi su quei ricordi dolorosi, di qualunque cosa si trattasse effettivamente. D'altra parte, quel primo sfogo poteva significare una svolta importante nel blocco che sembrava affliggere la ragazzina per quanto riguardava l'utilizzo della magia. E, chissà, forse, nel momento in cui si fosse sentita pronta per raccontare cosa le fosse accaduto di così terribile, parlarne sarebbe stato liberatorio per lei.
Dal canto suo, Mal poteva dirsi soddisfatto: quelle che aveva ricavato quella sera erano le prime, vere informazioni che riusciva a ottenere sulla sua apprendista, sulla strega martoriata e reietta che ormai da settimane viveva sotto il suo tetto senza che lui conoscesse anche solo il suo vero nome.
«Ora dobbiamo proprio andare» disse sorridendo, invitandola ad alzarsi. «Ci aspettano un pasto caldo e una bella dormita».
Mentre percorrevano al contrario la strada che nel pomeriggio li aveva condotti fin quasi in riva al mare, Mal non riuscì a impedirsi di tornare col pensiero a una frase in particolare che Raisa aveva pronunciato.
Ho fatto del male.
Solitamente, i poteri dei bambini che possedevano il dono si manifestavano per la prima volta in piccole cose: un oggetto spostato senza bisogno di toccarlo, una ferita che guariva più in fretta del previsto; al massimo, una fiamma del camino che per un attimo si innalzava più alta del dovuto o un piccolo vortice che si generava in acque quiete senza un apparente motivo. Che incantesimo poteva aver generato una bambina dell'età di Raisa, alla sua prima esternazione della magia, per arrivare a ferire – forse addirittura uccidere – qualcuno?
Varcarono i portoni di Gax poco prima che il guardiano provvedesse a chiuderli per la notte. La città non disponeva di muraglioni in pietra, non aveva mai avuto bisogno di difendersi da assedi e, pur essendo la seconda città delle Terre del Nord, rimaneva un centro da poche migliaia di abitanti. Una semplice palizzata in legno percorreva i confini della città, interrotta ogni tanto da un pilastro al cui apice era assicurata una torcia.
Anche la strada principale che si accingevano a percorrere era illuminata da fiaccole assicurate ai muri delle abitazioni.
Mal, assorto nei suoi pensieri, non si accorse che Raisa dietro di lui si era fermata. Il suo sguardo era chino, la sua espressione – per quanto abbattuta – molto più vicina a quella di una persona normale rispetto a quelle che era solita mostrare.
«Davvero io sono come te?» chiese ad un tratto. «E se invece in me ci fosse qualcosa di sbagliato, se io fossi cattiva, diversa dagli altri come te?»
Mal avrebbe voluto andarle incontro e scuoterla per le spalle, scrollarle di dosso quei timori ingiusti, farle capire una volta per tutte che non era sola al mondo.
Invece rimase fermo, a una decina scarsa di metri da lei.
«Le persone avranno sempre paura di ciò che è diverso da loro, di ciò che non comprendono» disse asciutto. «Ma, soprattutto, avranno sempre paura di chi è più forte di loro».
Raisa sollevò lo sguardo, stupita da quelle parole.
«Più forte?» ripeté sconcertata.
Mal fece un passo verso di lei. Era il momento, il momento di tentare una volta per tutte: quella sera, forse, sarebbe potuta essere il punto di partenza del suo addestramento.
«Io non so che cosa tu abbia fatto esattamente e non ti costringerò mai a dirmelo. Ma voglio che tu sappia che posso insegnarti a controllare quella forza che vive dentro di te».
La bambina davanti a lui sembrava essere nuovamente sull'orlo di scoppiare in lacrime; tuttavia, dovette imporsi di controllarsi, perché non una goccia si staccò dalle sue ciglia.
«È possibile?» gli chiese con voce tremula, come se le sue parole rappresentassero un'esile corda di salvataggio a cui aggrapparsi. «Credi che io ne sia capace?»
«Non lo credo» rispose Mal deciso. «Ne sono convinto».
Un altro passo. Ancora qualche metro e avrebbe potuto poggiarle una mano sulla spalla.
«Ma se desideri questo, devi anche sapere che non potrò aiutarti in alcun modo se prima non sarai tu stessa ad accettare la fiamma che brucia dentro di te e a perdonarti per ciò che hai fatto, qualunque cosa sia».
Raisa contrasse le labbra e strinse i pugni, come se il suo intero corpo fosse percorso da scariche dolorose e contrastanti. Ma Mal non avvertì nulla che avesse a che fare con la magia, questa volta: si trattava del semplice, primordiale conflitto interiore di un essere umano. Rimorso, rabbia, speranza, paura... chissà quante emozioni stavano scuotendo il corpicino esile della ragazzina e il suo animo in quel momento.
Mal rimase a fissarla, impietoso, anche se in realtà avrebbe desiderato abbracciarla ancora una volta e confortarla. Ma quella era la sua battaglia ed era fondamentale che riuscisse a vincerle con le sue sole forze.
«Voglio farlo» soffiò alla fine la ragazzina tra i denti, serrati come in una morsa. Sembrava che ogni parola che proferiva le procurasse una fitta di dolore. «Voglio che mi insegni. Voglio imparare a controllare la mia... la mia magia».
Era la prima volta che pronunciava quella parola.
Mal percepì un brivido di vittoria percorrergli la schiena. Non aveva garanzie su come avrebbe reagito la ragazzina ai primi allenamenti, non sapeva nemmeno quanto tempo ci sarebbe voluto prima che riuscisse a utilizzare la magia a comando, ma quello che stava vivendo in quel momento era un nuovo inizio per entrambi.
Prima, però, c'era una cosa di cui voleva essere sicuro. Negli ultimi tempi si riconosceva a stento, talvolta.
L'addestramento nelle arti magiche era un percorso lungo e tortuoso, specie per coloro che, all'età di Raisa, ancora non avevano ricevuto alcun tipo di preparazione a riguardo. L'età media di dieci anni del momento in cui i bambini e le bambine venivano scelti dai grandi maghi come loro apprendisti non rappresentava quasi mai il loro primo contatto consapevole con la magia. Raisa doveva essere anche più grande e fino al giorno prima non aveva mai dato prova anche solo di poter arrivare ad accettare il fatto di essere dotata di simili poteri. Insegnarle tutto partendo da zero e, soprattutto, farlo con il fiato di Theor sul collo non sarebbe stato facile per entrambi. Chiunque decidesse di dedicare la propria vita allo studio e alla pratica delle arti magiche si accingeva a percorrere una strada irta di difficoltà.
Mal non desiderava imporre una simile scelta a quella bambina che aveva già sofferto così tanto ma, più di ogni altra cosa, doveva essere sicuro che fosse...
«Sei felice qui con me, Raisa?»
Lei parve esitare ma poi, lentamente, annuì. Ma non era ciò che Mal voleva; non bastava.
«Voglio sentirtelo dire» proferì con fermezza. «E voglio che mi guardi bene in volto mentre lo fai. Te lo chiedo ancora: sei felice qui, Raisa?»
La ragazzina alzò il volto e, cogliendolo completamente alla sprovvista, si aprì in un sorriso che parve a Mal la cosa più bella che avesse mai visto.
«Sephirt» rispose solo. «Mi chiamo Sephirt».







Note dell'autrice: ed eccoci arrivati al termine di questa breve avventura. Come avrete notato, tutti e cinque i capitoli sono narrati dal punto di vista di Mal: all'inizio avevo pensato di inserire anche il pov di Raisa/Sephirt, ma alla fine ho deciso che fosse più giusto così. Per chiunque fosse rimasto incuriosito e volesse leggere di più su di lei, e attraverso i suoi occhi, consiglio la lettura della storia principale. A onor del vero, del secondo volume della storia principale (La missione di Jel), perché è lì che Sephirt fa la sua prima apparizione; la storia può essere tranquillamente letta anche senza aver letto il primo volume, in quanto segue un arco narrativo del tutto differente. Detto questo, spero che questo piccolo spaccato sul rapporto tra questi due personaggi vi sia piaciuto. Personalmente ho amato scriverlo e non è detto che prima o poi torni a trattare di loro; ma sopratutto, mi ha permesso di capire che ciò di cui amo maggiormente scrivere in questo momento sono l'introspezione e i rapporti interpersonali, anche aldilà della dimensione dinamica e fantasy della narrazione.
Un saluto a tutti e lettori e grazie per essere arrivati fino qui,

~TaliaAckerman  

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