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[Partecipante alla “May I write” challenge del
gruppo Facebook “Non solo Sherlock”]
Note
Buon salve!
Mi sono
decisa a pubblicare questa raccolta dopo un po’ fuori dal gruppo fb per il quale
è stata scritta; spero vi piaccia quanto io ho amato scriverla.
Prima di lasciarvi
alla lettura una piccola precisione: la raccolta è composta sia da Flashfic, piccole
one shot, e anche drabble. E’ divisa in due parti, l’altra parte, se vi
interessa la troverete presto nel fandom di Naruto.
“Stai ferma ok?” disse Shoyo con l’elastico tra i denti.
Separò una parte dei capelli di sua sorella per formare un codino basso. Non
era un operazione semplice: Nastu aveva i capelli mossi e non troppo lunghi,
rischiava sempre di farle male, ma orami era diventato bravissimo. Tenne il
codino con una mano e con l’altra prese elastico e lo legò introno ai capelli e
strinse con delicatezza. Sistemò il fiorellino giallo in modo che si vedesse
bene.
Tutte le volte che Nastu dormiva nella sua stanza, la mattina
toccava a Shoyo pettinarla. Sua sorella si sedeva paziente sul suo letto e si
lasciava acconciare i capelli.
Shoyo afferrò la spazzola e cercò di districare le ciocche
ribelli, poi prese l’altro elastico.
In quel momento il suo cellulare prese a squillare.
“Rispondo io!” trillò felice Nastu, “Pronto!”
“Nii-chan non può parlare adesso, mi sta pettinando!” spiegò
felice lei, “mi sta facendo le codine.”
Shoyo si affrettò a finire il suo lavoro, intanto ascoltava
la sorella spiattellare tutti i suoi segreti. “Ho finto! Ridammi il cellulare”
chiese. Nastu glielo porse.
“Ciao!” La risatina di Kenma lo fece morire di imbarazzo.
“Sai fare le code Shoyo?” chiese il suo amico.
Hinata sospirò. “Non hai sorelle più piccole vero?”
“Sono figlio unico,” rispose Kenma.
Shoyo guardò sua sorella muovere le gambe ritmicamente;
presto gli avrebbe chiesto di giocare con lei, strepitando ed arrabbiandosi se
tardava. Un sorriso gli comparve spontaneo.
“Beh, non sai quante cose sappiamo fare noi fratelli
maggiori.”
Il secondo capitolo è una KageHina AU. Ho preso ispirazione da una vecchia canzone
che si intitola “M’innamorai” dei “Giardino dei semplici. E’ anche connessa ad una altra challenge
sempre indetta dal gruppo Non solo “Sherlock.” Spero vi piaccia!
Un ultima cosa
riguardo gli aggiornamenti: pubblicherò un girono si uno no.
Kiss
Risa
3
maggio
Giorno 3 #MayIwrite2023
#Bingospring #fuorichallenge- con questa faccio Bingo!
Prompt: “E’ uno spettacolo!” + “dove sono i…” + immagine (mare) + @ClauAlbertini
Voleva dirgli quanto lo amava ma…
Genere: Romantico
Avvertimenti: AU, Flashfic
Tw:
arancione
M’innamorai
La casetta si trovava dall’altra parte della spiaggia. Era
così vicina che Kageyama Tobio poteva sentire il rumore delle onde infrangersi
sul bagnasciuga.
Tobio si destò al movimenti frenetici alla sua destra. Si
puntellò sui gomiti fissando la figura spettinata che si muoveva agitato cercando
qualcosa.
“Che fai stai facendo?” chiese sfregandosi gli occhi. Shoyo
Hinata si voltò e sorrise: “voglio andare in spiaggia.”
“Ma è l’alba!”
“E’ bellissimo vedere il sole uscire dall’acqua,” rispose,
“dove sono i…” Shoyo si guardò introno, poi, i suoi occhi si illuminarono.
“Eccoli!”
Afferrò i suoi pantaloncini e se li l’infilò; gli occhi di
Tobio percorse il torso, indugiarono sulla parte bassa dell’addome dove i muscoli
ben definititi formavano una v invitante, fino a fermarsi sulla scia peluria
rossa che si intravedeva al di sopra dell’elastico.
Shoyo continuò a vestirsi: scelse di indossare la sua camicia
abbottonando solo i primi bottoni. Su di lui era così grande che lo faceva
assomigliare ad un pulcino senza piume. Kageyama trattenne una risata e la voglia di
trascinarlo di nuovo nel letto.
“Che fai, non vieni?”
Tobio si grattò la testa. “Come faccio hai preso la mia
camicia!” non finì la frase che il ragazzo era già uscito dalla stanza.
Tobio sbuffò; si vestì con quello che trovò e lo seguì
all’esterno.
Shoyo si era fermato sulla riva e osservava il discetto d’oro
spuntare dal blu del mare, tingere il cielo di rosso e arancione. La spiaggia
era diserta, gli ombrelloni chiusi, e l’aria era fresca sulla pelle, l’acqua
gelida gli fece arricciare le dita piedi.
“Ti Piace?” chiese Hinata con lo sguardo rapito
dall’orizzonte quanto Tobio era, invece, rapito dal suo profilo, dal naso e le
labbra carnose.
“E’ uno spettacolo!” rispose.
Ma non stava parlando dell’alba: l’unico sole che gli
interessava era quello che gli aveva invaso la vita. Voleva dirgli quanto lo
amava, lì in quel momento, le parole sulle labbra, ma…
Shoyo chiuse gli occhi e respirò l’aria a pieni polmoni. “E’
già settembre…”
Hinata se ne sarebbe andato con l’estate, chissà dove e
chissà con chi; mentre Kageyama sarebbe tornato a casa, al suo lavoro, al suo
uomo, che ormai amava di meno…
Tobio gli afferrò il braccio e se lo trascinò addosso, e lo
strinse forte tra le sue braccia, con il naso immerso nei suoi capelli, l’odore
nelle narici.
“Ti amo! Fai l’amore con me, adesso.”
Shoyo rise, lo spinse sulla spiaggia e gli si mise a
cavalcioni. “Dobbiamo fare in fretta, o qualcuno potrebbe vederci.”
A Tobio non importava nulla. “Che vedano.”
Shoyo sorrise. “Ti amo anche io.”
Mentre Shoyo lentamente si chinava verso di lui, Tobio pensò
che quell’estate non sarebbe finita, perché non poteva più vivere senza.
Avrebbe fatto di tutto per tenere quell’unico raggio di sole con sé, per
sempre.
Okay ho voluto provare ad inserire un narratore onnisciente
di secondo livello, cioè colui che parla ai lettori, mi è piaciuta così tanto
l’idea, che ho voluto provare. E’ un esperimento spero di esserci riuscita ma
mi accontento di avervi strappato un sorriso.
Anche la punteggiatura dei dialoghi è diversa, volevo provare
a usare altre forme, ditemi quale preferite.
Mi scuso di eventuali errori grammaticali o ortografici, ho
corretto in fretta.
Fandom: Haikyuu!!
Personaggi: Nishinoya Yuu, Azumane Asahi, Karasuno volley club
Prompt: Imbranato + Immagine
Genere: Comico, commedia
Avvertimenti: //
Le gite estive non sono mai pericolose o spaventose, di
solito sono momenti divertenti in cui trascorrere il tempo in attività
rilassanti come passeggiare all’aria pulita in mezzo al bosco il giorno e alla
sera relax alle terme. Durante le gite
non si visitavano palazzi abbandonati, Asahi ne era certissimo. Eppure, la sua
ultima vacanza da liceale sembrò trasformarsi in uno di quei brutti film dell’orrore.
-Non credo che sia legale, Noya.
- Diamo solo un occhiata- continuò imperterrito Nishinoya –
magari è infestata!
Ci mancava solo i fantasmi e Asahi avrebbe raggiunto la
vecchia tipo mai. Riprovò, se la paura di essere arrestato per effrazione di
proprietà privata non fosse stata sufficiente, la furia del loro capitano,
sarebbe stato un ottimo deterrente.
-Se Daichi ci scopre, sono guai!
- Se ci sbrighiamo, non lo scopre e se non lo sa non potrà arrabbiarsi-
disse Yuu, strizzando un occhio.
Dopo aver superato i preliminari, ai ragazzi del club di
pallavolo rimanevano qualche giorno di vacanza prima del rientro a scuola, e
avevano deciso di fare una piccola vacanza come premio per la vittoria e
rilassarsi prima di tornare a lavorare sodo per prepararsi alle qualificazioni.
Tutto normale se non per un piccolo particolare. La sfortuna
aveva voluto che, poco fuori del paese in cui soggiornavano, c’era una casa di
cura per malattie mentali ormai in stato di abbadando da quando avevano deciso
di chiuderla.
- Il giornalaio ha detto che sono ci sono state delle morti misteriose,
- bisbigliò Yuu con gli occhi che gli brillavano, - e che, ancora ogni tanto,
dall’edifico provengono strani rumori e lamenti molto sospetti. -
- s-me-ti-la! Non sono…ahi- Asahi inciampò in un sasso e, a
momenti, non finiva disteso per terra.
Nishinoya scoppiò a ridere sguaiatamente: - Non fare il
fifone, Asahi! -
Non ci poteva fare nulla, le cose paurose non gli piacevano
per niente. Gli bastava la paura che il muro incuteva, l’ansia prima di ogni
singola partita: non aveva nessun senso fare cose per il solo gusto di provare
il brivido.
Yuu si puntò un pungo in petto: - ci sono io con te!
La capacità di Noya di dargli coraggio e fiducia era
incalcolabile; avrebbe dovuto vergognarsi, grande e grosso, di farsi consolare
da un ragazzo alto un barattolo che non pensava neanche la metà di quanto pesava
lui.
- Sei sempre dietro di me…
- Proprio dietro di te, a copriti le spalle- continuò Nishinoya.
Gli afferrò la mano trucidandolo di penso, Yuu era più forte di quanto immaginasse,
a caccia di fantasmi. E Asahi non può che seguirlo.
L’edificio è in condizioni davvero pietose: l’intonaco delle
pareti è scrostato, porte ed infissi sporchi di pareti, per non parlare della
giungla intorno che rendeva difficoltoso arrivare fino al portone principale.
-Mi ricorda li castello di Aurora…
- Chi? - chiese perplesso Yuu mentre rendeva un bastone lungo
e nodoso.
- La bella addormentata, il suo castello è circondato da rovi
dalla strega cattiva…- spiegò Asahi, - cosa stai facendo con quel ramo?
Noya aveva cominciato a battere il bastone a terra prima di
procedere. Avete presente come fanno i cechi per capire se davanti a loro c’è
un ostacolo? Ecco uguale.
-Faccio scappare le serpi.
Asahi pensò fosse stato meglio non chiedere.
Arrivati alla enorme portone d’ingresso, scrostato e sporco,
scoprirono che entrare era abbastanza facile: un anta era completamente divelta
dai suoi cardini. L’ultima speranza di Asahi morì.
Nishinoya gli fece segno di seguilo prima di entrare senza
esitazione. Sconsolato, il gigante dal cuore di vetro lo seguì. La luce filtrava
dalle innumerevoli finestre rendendo quel posto ancora più enorme e desolante.
Iniziarono girare per i corridoi lunghi pieni di calcinacci e polvere, ma a
parte qualche mobile dimenticato non c’era assolutamente nulla. Un semplice
luogo abbandonato.
-Forse dovremmo venire di notte – rifletté Yuu; i capelli sulla
nuca alla sola idea. -Sei forse impazzito?! È una pessima…- non riuscì a finire
la frase che dei rumori alle loro spalle li fece sussultare.
-Fantasmi! - esultò Noya, mentre Asahi molto meno ottimista, urlò:
-Moriremo!
Per ben tre volte, Asahi rischiò di inciampare in uno dei
pezzi di legno che giacevano sul pavimento, e riuscì a raggiungere l’atrio per
puro miracolo.
-Ragazzi siete voi!
Tanaka, Hinata e Kageyama si stavano guardando in torno
letteralmente estasiati. Asahi si rese conto che, lì in mezzo, era l’unico
dotato di buon senso ed era tutto dire.
-Chi pesavate fossimo? - chiese Tanaka – vi abbiamo visto
entrare così vi abbiamo seguiti. –
Yuu si mise a spiegare la storia dei fantasmi e il suo
brillante piano agli altri tre idioti. Convincere Tanaka fu una bazzecola, ma
Noya riuscì a convincere anche Hinata, nonostante anche lui tendesse a farsi
spaventare dalle cose paurose. Kageyama non ci fu bisogno di convincerlo:
andava dove Shoyo andava.
Quando ormai aveva perso ogni speranza di sottrarsi alla
notte peggiore immaginabile, arrivò il suo salvatore, il suo eroe.
-Dove siete stati tutto questo tempo? - chiese Daichi quando
li vide rientrare sporchi di polvere e calcinacci.
Il branco di idioti provò a mentire pietosamente senza
ottenere nessun risultato.
Gli occhi scuri del capitano si fecero subito taglienti. -
State forse pensando di andare alla casa abbandonata questa notte?
Tutti negarono con forza.
-Bene, perché dovrete passare sul mio cadavere- disse poi si
rivolse ad Asahi: - e tu dovresti impedirgli di fare stupidaggini!
Azumane Asahi, alto 1, 86 cm e 75 kg di peso, si sciolse come
neve al sole. -Grazie Daichi, grazie!
Premessa:Quando
l’avevo pensata mi sembrava una buona idea, ma adesso conclusa non ne sono
molto certa del risultato. Comunque, volevo scrivere qualcosa di diverso, con
personaggi che di solito non uso, per mettermi alla prova.
Il piano non era perfetto. C’erano delle falle ma non aveva
scelta; Kei non doveva assolutamente accorgersi della sostituzione.Kuroo aveva portato con sé anche un pezzo di vetro
per cercare un lampadario della stessa identica tonalità, nella speranza di
trovarne uno uguale.
“Sei sicuro che il negozio sia questo?” chiese guardando
Kenji dallo specchietto retrovisore.
“Sono sicuro, l’ho accompagnato io a comprarlo.”
Bokuto, seduto accanto
a lui, riprese a protestare come già aveva fatto prima di partire. “Non capisco
perché mentire a Tsukki, è stato un incidente!”
Kuroo svoltò ed entrò nel parcheggio dell’enorme ingrosso che
vendeva i lampadari. “Invece io non capisco perché sei voluto venire pure te se
ti lamenti tanto.”
Bokuto si slacciò la cintura. “Non ti lascio solo con Kenji!”
Kuroo sbuffò alla ridicola gelosia di Kotaro, non aveva certo
tempo per certe ridicolaggini. Doveva acquistare un lampadario nuovo per
sostituire quello che aveva inavvertitamente rotto, e Kei non doveva saperlo.
“Comunque, quello che ha detto Kotaro è vero; non credo che Kei
sia il tipo da prendersela per una cosa del genere,” disse Kenji mentre
aspettavano il loro turno a essere serviti. “Inoltre credi davvero di riuscire
a fregarlo?”
“Lo so questo,” rispose tra i denti Kuroo, “ma è il fatto è che…
mi ha espressamente detto di non distruggere la casa quando è partito.”
“Perché mai?”
Non era qualcosa facile da a mettere, ma era un imbranato
cronico con le faccende domestiche. Kei aveva preparato ogni cosa in modo tale
che lui potesse fare il meno possibile.
“Quindi ti sei sentito ferito nell’orgoglio e hai deciso di
provare a Tsukki di non essere completamente inutile in casa.”
Akaashi aveva riassunto alla perfezione la situazione, ed era
stato anche gentile nel sottolineare quanto avesse miseramente fallito. Invece,
Bokuto scoppiò a ridere senza trattenersi. Bell’amico!
“Kotaro non sei messo bene neanche tu.”
“Ma Kenji…”
Kuroo non prestò più attenzione ai suoi amici perché il cellulare
squillò.
“Ciao Kei!Va tutto
bene?”
“Ciao, tutto bene. Prendo il treno delle 15:00. Sarò a casa per
le 17:00,” disse, “la casa è ancora in piedi?”
Kuroo sorrise nervosamente al cellulare: “assolutamente sì,
non ha neanche un graffio.”
Si scambiarono poche altre informazioni e chiusero la
chiamata.
“wow certo che è bravo,” esclamò Bokuto, “un attore
consumato!”
“Sbrighiamoci a comprare questo maledetto lampadario!”
La fortuna sembrò girare dalla sua parte perché il commesso
riuscì a trovargli un pezzo molto simile al loro. Fu così gentile da fargli un
prezzo di favore, forse mosso a pietà da quel gatto più furbo di una volpe.
Kuroo montò il lampadario e fece sparire il cadavere di
quello vecchio il più in fretta possibile: tutte le prove cancellate.
Il piano sembrò funzionare fino all’ora di cena quando Kei
accese la luce della cucina. “Tetsuro perché abbiamo un lampadario nuovo?”
Kuroo fece finta di cadere dalle nuvole. “Lampadario nuovo? Ma
è quello di sempre!”
Kei si sistemò gli occhiali. “Questi sono pezzi unici, il
vetro è temperato a mano, ed ogni striatura è diversa.” Indicò le venature nel
vetro, le quali, in effetti, sembravano più scure rispetto a quello vecchio. Ma
a Kuroo sembravano delle differenze talmente impercettibili che, lì per lì, non
ci aveva neanche fatto caso.
“Tu dici?”
A Kei bastò quello. “Lo hai rotto.” Non era una domanda era
un affermazione pura e semplice.
“Non è vero!” Kei lo guardò scettico, una delle sue occhiate
al vetriolo e Kuroo cedette, “si va bene! Sperano che non te ne saresti
accorto, sono praticamente identici!”
Tsukishima sorrise. “Non è grave, poteva andare peggio.
Potevi dare fuoco alla casa, allagarla…”
Kei non ci andava mai leggero con la lingua, andava dritto al
punto, là dove faceva più male, e se avesse potuto, avrebbe rigirato il
coltello nella piaga. Ma Kuroo lo amava lo stesso.
Non importa quanto fosse saccente, irritante, quella era una
maschera dietro alla quale si nascondeva un ragazzo intelligente con una grande
capacità di amare; che dimostrava a modo suo, ma era davvero attento con le
persone a cui voleva veramente bene.
“Non avrei mai …” Kei lo interruppe, “Lo so. Non devi
dimostrami niente.”
Gli slacciò il gilet: prova inconfutabile che non era davvero
arrabbiato, e che avrebbero cenato molto più tardi.
Prompt: Scusa se mi intrometto + Taglio di capelli + Immagine
Genere: Commedia.
Avvertimenti:Flashfic [129 parole]
Hajime non sapeva cosa avesse fatto male nella sua vita,
eppure eccolo lì a soffrire.
“Non fare il bambino, Iwa-chan!”
“No se ne parla…”Un
colpo di tosse colse Hajime alla sprovvista.
“La tua gola è troppo gonfia per riuscire a ingoiare!”insistette Tooru.Gli avvicinò il cucchiaio con la medicina
ridotta in polvere fino alla bocca. Quando Hajime provò a parlare, lo stronzo
lo imboccò a tradimento e fu costretto ad ingoiare tutto il contenuto.
“Scusa se mi intrometto ma hai proprio bisogno di un taglio
di capelli,” notò a casaccio Tooru.
Con ancora in bocca il sapore orribile della medicina,
Iwazumi prese la sua decisione; se fosse dovuto andare all’inferno, sarebbe
stato meglio andarci a modo suo.
“Prima o poi ti ucciderò, fosse l’ultima cosa che faccio Medakawa!”
“Oggi è proprio una giornata da dimenticare!” esclamò Tooru
appena entrato dalla porta di casa. Buttò il giacchetto su una sedia, prima di
sedersi al bancone della cucina di Wakatoshi.
“E’ iniziata proprio male, stamattina il nervo sciatico mi
faceva un male cane!”
Ushijima lo ascoltava distrattamente troppo intento con
l’impasto che aveva tra le mani.
L’insegnate gli aveva detto di dividerlo in pallette più o
meno uguale, e non era un operazione così facile come poteva sembrare.
Intanto Oikawa continuava: “sono andato a trovare Nastu e Takeru,
quel moccioso del loro figlio, sai come ha avuto il coraggio di chiamarmi?”
Wakatoshi si voltò solo un attimo, per tornare al suo lavoro.
Mise le pallette su una teglia, e poi le coprì con uno strofinaccio.
“Mi ha chiamato Ojīchan, quel moccioso di merda!”
“Potresti anche esserlo”, notò Wakatoshi. Mise la teglia in
un posto caldo e asciutto, prima di voltarsi a guardare di nuovo Tooru. “Come
la vuoi la pizza?”
Oikawa boccheggiò incredulo: “come sarebbe a dire?!”
“Dovremmo condirla con qualche cosa.”
“Non parlavo della pizza, parlavo del fatto che tu mi ritenga
un nonnino!”
“Hai 48 anni, potresti esserlo. Inoltre, stiamo palando del figlio di tuo nipote,
a sua volta figlio di tua sorella. Ai suoi occhi sei come suo nonno, no?” osservò
Ushijima.
“Però, ad essere precisi,
sei il suo prozio.”
“Tu…”Oikawa sussurrò
“come fai ad essere così?”
“Non capisco…”
Tooru sorrise e scosse la testa. Si avvicinò e lo baciò.Erano lontani i giorni in cui erano una
coppia giovane e felice, ma piano piano, tutto stava tornado al posto giusto.
“Non fa niente. Vediamo di concentrasi sulla nostra cena, mica
posso lasciare fare tutto a te.”
“Non era proprio così il detto ma d’altronde…” pensò Kenji
mentre cercava di concentrasi sulla revisione della consegna di Udai-senesi
avrebbe dovuto completare entro una settimana. La sua attuale situazione non gli permetteva
distrazione alcuna e nemmeno cinque minuti da dedicare a Kotaro, il quale si
stava lagnando, di annoiarsi da circa… un’ora e mezza.
Kenji doveva trovare qualcosa che lo stimolasse ad uscire e a
lasciarlo lavorare in pace, il più infetta possibile altrimenti sarebbero mai
riusciti a consegnare in tempo. Così perese una cartella di carta e vi inserì
un malloppo di fogli bianchi.
Mandò un messaggio al suo amico in tipografia poi si rivolse
al suo fidanzato. «Bokuto-san ho un favore da chiederti,
è della massima importanza.»
Bokuto si voltò già eccitato.
«Devo consegnare questo plico a Maruma-san
il più infetta possibile, ma io non posso, vai tu per favore!» chiese con il tono più disperato che riuscisse a fare.
La tipografia era abbastanza lontana da casa loro, e con il
traffico Bokuto avrebbe impiegato un’ora per raggiungerla. A quel punto, Maruma-san avrebbe tenuto Bokuto impegnato, per il resto
del pomeriggio, con un giro alla tipografia. E Akaashi avrebbe potuto respirare
e finire il suo lavoro per l’ora di cena.
“Conta su di me! Kenji” esclamò Bokuto, afferrò la cartella e
corse fuori di casa.
Possono dire quello che vogliono, ma
Ushijima Wakatoshi è il miglior fidanzato del mondo.
E’ un tipo concreto, odia le
smancerie e non è interessato a fare tutte quelle cose tipiche dei fidanzati: rose,
pasticceria raffinate, parole sdolcinate, lui va sul pratico.
Per esempio, mi compra un nuovo libro
sull’alimentazione, oppure qualsiasi cosa serva per giocare.
E a me sta benissimo così.
La porta di casa si apre. “Sono a casa,” la sua voce profonda si
disperde nell’ambiente e sento un brivido lungo la schiena. Mi fa sempre un
certo sentire la sua voce per casa mia.
“Sono qui!” esclamo.
Sciolgo le game intrecciate: ho appena finito
la mia ora di yoga e mi alzo dal tappetino.
“Ciao! Come va a Tokyo?” chiedo quando lo vedo
entrare nella stanza con un mano una scatoletta bianca. “Cos’è?”
“Pasticcini.”
Inclino la testa curioso; Wakatoshi ripete
sempre che i dolci vanno mangiati in rare occasioni perché non si addicono alla
dieta di un atleta. “Cosa festeggiamo?”
“Sono tre mesi adesso.”
Tre mesi… inizio a ragionare su cosa sia successo, ma mi
vengono in mente soltanto date di partite, convocazioni per la nazionale…
“Ah! Sono tre mesi che conviviamo!”
Proprio non me lo aspettavo, è così diverso da
come lo immaginavo, vivere insieme a lui.
È sempre attento, protettivo ma è anche capace
di lasciarmi spazio e rimanere in un angolo sempre pronto a sostenermi se per
caso sbaglio e cado.
Wakatoshi piega le labbra in un sorriso lieve.
Mi stringe in un abbraccio lieve e mi sussurra tra i capelli: “mi ha sconvolto
la vita come non avrei immaginato, grazie.”
Il sapore del suo bacio è wow, e poi sbam! Non mi stanco mai di assaggiarlo.
Sono costretto ad alzarmi per riuscire a
stringere le sue spalle, dannata altezza! Così è lui che mi afferra e mi
solleva, così che io possa stringere le medie gambe intorno alla sua vita.
“Devo fare la doccia…” Wakatoshi mi morde il labbro e riprende a
baciarmi. Una danza sensuale di lingua e denti,
“dopo…” mi fa.
“Potresti venire insieme a me.”
“Hmm…” dice, “è una buona idea.” Senza
lasciarmi andare si avvia verso il bagno.
Nessuno avrebbe scommesso uno yen su di noi;
troppo differenti per poter durare. Invece, stiamo insieme da tre anni ed ora viviamo
insieme e è la scelta migliori che potessi fare.
Lasciatemi dare un consiglio: quando vi dicono
che non durerà, che siete troppe differenze, non fidatevi di chi per invidia vi
dice di lasciar perdere, che non fa per voi e finirete per pentirvene, non
ascoltateli e andare per la vostra strada.
Ti aspetto nell’aula tre finite le
lezioni, non fare tardi!
Kageyama lesse due volte il messaggio che, durante le lezioni
pomeridiane, Hinata gli aveva inviato. Già che c'era, lo lesse una terza volta.
Non perché non capisse cosa ci fosse scritto ma perché non capiva il motivo di
fargli una richiesta simile. Si erano visti durante gli allenamenti mattutini e
Shoyo non gli aveva detto nulla. Se questo non bastasse, si sarebbero rivisti
dopo le lezioni, per quale ragione non aspettare di paragli durante gli
allenamenti?
Doveva essere accaduto qualcosa di grave, il messaggio era un
SOS.
Appena la campanella suonò, Tobio buttò i libri alla rifusa
nella borsa e corse fuori dalla sua alula per raggiungere la classe di Shoyo.
Si era fatto male: l’idiota, sempre esagitato, aveva sbattuto
o inciampato da qualche parte, o peggio! Qualche bullo lo aveva picchiato sul
tetto della scuola!
Non gli veniva in mente altro se non... Oh! voleva rompere
con lui!
Alla sola idea, Kageyama si mise a correre investendo e
spintonando con mala grazia qualche studente, la cui sola colpa era di essersi
trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
La porta dell’aula tre era aperta e gli ultimi studenti
stavano uscendo. Aspettò impaziente che se ne andassero e si precipitò dentro.
“Ehi Boke, che diavolo succede?”
Shoyo sedeva su un baco, le gambe a penzoloni, gli sorrise.
“Ehi, Kageyama, ti devo parlare da solo.”
Brutto segno…
“Mi vuoi lasciare?”
Hinata scosse la testa energicamente. “No! Non è quello!”
“Allora che cosa devi dirmi di così importante da non poterlo
fare al club?”
Hinata prese coraggio e raccontò tutto. “Il coach
Washijō mi ha trovato un insegnate di Beach volley. Imparerò le basi per
un anno qui in Giappone, ma dopo dovrò trascorrere due anni in Brasile. Ho
accettato la proposta.”
Kageyama annuì meccanicamente. Dov’era il Brasile? Si poteva
raggiungere in treno? Certo che no! Era dall’altra parte del mondo!
Hinata strinse la presa sul baco tanto forte che le sue
nocchie impallidirono ancora di più. “Lo devo fare! Non sono come te, mi serve
imparare tutto!” esclamò disperato perché gli pesava lasciarlo ma d’altronde
non poteva fare a meno. Voleva che Tobio comprendesse, ma non c’era una persona
che potesse capire più di lui.
“Lo so!” Tobio gli afferrò il collo e inclinò il viso verso
di lui, accarezzò la pelle lisca, lì dove era coperta di macchioline dorate.
Quando amava le lentiggini di Shoyo, quanto amava tutto di lui. “Lo so che
devi. Ma dammi il tempo di digerire, cretino!”
Kageyama poggiò la sua fronte contro quella di Hinata. “Mi
hai promesso che saresti stato con me sulla cima del mondo, e visto che fai
schifo, mi tocca aspettare.”
Lentamente spostò il volto verso le labbra di Shoyo. “Ti
aspetterò tutto il tempo di cui hai bisogno, Ti amo Boke.”
“Un giorno di raggiungerò, lo giro!” Tra un singhiozzo e una
risata Shoyo ricambiò il bacio.
Il punto finale contro la Shiratorizawa era un ricordo
confuso. Asahi e Daichi erano stati troppo stanchi, troppo concentrarsi per
realizzare, al momento, la vittoria.Quando Koshi li abbracciò, svegliandoli dal torpore, piansero.
Quella vittoria gli aveva fatto guadagnare un biglietto per
il torneo di Primavera.
“Cosa facciamo?” chiese Suga mentre tronavano a casa,
“dobbiamo festeggiare!”
“Adiamo a riposarci,” rispose Daichi inamovibile.
Asahi si grattò il pizzetto. “beh, mi piacerebbe festeggiare
con voi, ma ho esaurito le energie…”
“Guastafeste…”
“Questo è solo una tappa Suga,” alzò gli occhi al cielo, “lo
faremo quando vinceremo i nazionali.”
Soltanto arrivati al punto più alto, allora si, avrebbero
festeggiato.