Progetto Servitrici d'Allinie - Fase di incremento produttivo

di Cinnepete
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Materia prima ***
Capitolo 2: *** Trasformazione ***



Capitolo 1
*** Materia prima ***


1

Materia prima


 
 
Riunione

Dieci persone stavano dietro a un lungo tavolo, nella sala con sobrie decorazioni. Teto Murran aveva giustamente insistito sull’importanza di limitare gli sprechi in un’azienda, indipendentemente da cosa vendesse. Un ufficio ben tenuto e di un minimo di gusto era adatto a parlare d’affari e a garantire un’atmosfera di professionalità. Anche nel loro caso, lo sfarzo andava solo dove necessario.
Certo, la scoperta di quella che veniva chiamata, la “Stella Ven”, era stato per loro una grandissima fortuna! Altri avevano pensato di sfruttarla, più che altro per prodotti di salute e cosmesi, ma era stata dei fondatori della da poco nata Recluserv l’idea geniale per fruttare ciò che la Stella Ven aveva da offrire. Il forgiatore di artefatti e l’intagliatrice di pietre avevano subito suggerito di brevettare il procedimento.
Inizialmente alcuni avevano pensato che i guadagni sarebbero potuti arrivare semplicemente in quel modo, ma fortunatamente la maggioranza aveva capito che occorresse controllare tutta la filiera produttiva per arrivare al successo.
Finalmente erano arrivati a formare il consiglio esecutivo e avrebbero potuto portare la produzione a un maggior livello di disponibilità per i clienti. I primi prodotti erano andati a ruba, a dispetto del prezzo elevato, e ciò aveva aiutato non poco l’azienda a procurarsi il necessario per aumentare la capacità produttiva. L’aiuto finale però era arrivato da quelli che il loro esperto di finanza, aveva chiamato “finanziamenti di prenotazione”. Un’idea a dir poco geniale. Chiedere un prestito sarebbe stato oneroso e la loro filosofia di non far debiti aveva sempre dato i propri frutti.
In quel modo i clienti pagavano in anticipo il prodotto, permettendo loro di aver liquidità e una volta che l’attività fosse stata potenziata, avrebbero potuto ritirare il loro prodotto quando avrebbero voluto, avendo ottimi margini di scelta. Quindi non avrebbero dovuto mettere in bilancio interessi onerosi, anzi i finanziatori avrebbero avuto tutto l’interesse affinché avessero successo.
«Sto parlando di tre classi.»
Altro elemento fondamentale era la Terra, un pianeta dove non vi era la magia.
«Tre intere classi di studenti.»
Propose l’uomo, che aveva domandato loro appuntamento.
«Signor Woln, intende persone che sono cresciute insieme, che hanno legami, affiatamento?»
Domandò una donna. Ciò voleva dire maggior qualità, ma anche doverlo pagare di più.
«Precisamente e posso assicurare i ragazzi sono a posto e molti strettamente legati l’uno all’altro.»
Lei rimase scettica.
«Età e luogo che frequentano?»
Domanda banale, sperava in qualcosa di meglio, per stupirli.
«Intorno a diciott’anni. Liceo cittadino a classi miste. Perlopiù gente di città, ma alcuni vengono dalla campagna circostante.»
Le schede di ognuno di loro le avrebbe presentate nella prima fase del lavoro.
«Lei ci dice che intende portare qui quelle classi in occasione di una gita scolastica. Precisamente come intende fare?»
Questa domanda se l’aspettava.
«Semplice. I ragazzi avranno un’uscita di tre giorni e verranno portati tramite tre corriere. Mi basta prendere le sembianze del conducente e potrò decidere io dove sto andando. Utilizzerò una magia illusoria applicata ai vetri, così da far credere che stia seguendo la strada giusta. Poi prenderò una strada chiusa e mi infilerò in una galleria dismessa e sarò da voi, senza che nessuno veda niente. Ovviamente avrò bisogno di due sottoposti e ciò andrà a influire sulla paga.»
Allora prese la parola un uomo.
«Mi scusi, ma far sparire tutte quelle persone attirerà senza dubbio l’attenzione di molti.»
Osservazione giusta!
«Quelle persone risulteranno morte in un crollo della galleria, per via di tre autisti sconsiderati che hanno portato i loro mezzi in una strada chiusa.»
I membri del consiglio esecutivo si guardarono l’un l’altro.
«Ho già pensato al crollo controllato, come ai pezzi di lamiera da far trovare. Qui c’è il mio preventivo.»
E mostrò i documenti con i costi e il piano.
«Il costo è alto, ma stiamo parlando di 75 terrestri, perdipiù affiatati.»
Commentò uno dei membri.
«Ha detto 75? Vorrà dire 81. Gli studenti saranno accompagnati.»
Il gruppo fu stupito. Alina però rimase scettica, cogliendo che ci dovesse essere qualcosa che non trovava nel preventivo.
«Mi dica, ha pensato ai palliativi psichici per i familiari, più eventuali sigilli?»
Quello fu una cosa che non si aspettava!
“Vede, come ha fatto notare la mia collega, noi vendiamo prodotti che rientrano nella categoria A1. Dobbiamo badare alla nostra reputazione.»
E pensare che ci fossero delle famiglie distrutte dal dolore non era certo un bel biglietto da visita!
Woln fu colto alla sprovvista. Un palliativo psichico, specie se applicato a un terrestre, non costava molto, un sigillo ancor meno. Tuttavia, visto il gran numero di persone, avrebbe dovuto acquistarne molti, Anche se forse gli avrebbero fatto un prezzo di favore, per un acquisto in blocco.
Non poteva dire di no. Sostenere quella spesa non avrebbe rovinato tutto. Certo, lo avrebbe limitato in alcuni dei progetti che aveva nel breve termine. Ma cosa poteva fare? Alzare il prezzo per acquistarli? Forse, ma ciò avrebbe potuto portare a un ripensamento dei presenti o a non fare una bella impressione. Sapeva che quella sarebbe stata una grande occasione e non se la sarebbe fatta sfuggire.
«Certamente. Palliativi e sigilli di riserva sono inclusi nel prezzo.»
Doveva fare una piccola rinuncia per avere un domani radioso.
I membri al tavolo sorrisero e firmarono il preventivo. Poi compilarono l’ordine e lo diedero all’uomo da firmare, così che confermasse il proprio impegno a fare quelle cose.


 
cornicetta
 
Enzo e Margherita

La felicità era durata più o meno mezz’ora, poi Margherita era stata preda dell’ansia. Già da prima si era chiesta se avesse fatto bene a lasciare quella lettera; il giorno prima aveva ripensato alle cose scritte e le aveva trovate via via più imbarazzanti. Ora però che aveva ricevuto quel messaggio era totalmente inutile e non vedeva l’ora di farla sparire!
Aveva scritto una lettera in cui vi era ciò che provava per Enzo e l’aveva messa nell’armadietto personale del ragazzo, dove teneva il materiale di disegno tecnico, così che la trovasse alla prossima lezione di quella disciplina. Ci sarebbero voluti alcuni giorni, vista la gita, ma poteva aspettare; anche perché temeva la sua risposta. La mattina successiva però aveva ricevuto da lui un messaggio sul cellulare in cui le si era dichiarato.
Era stata felice in un primo momento: i sentimenti erano reciproci. Poi però erano arrivate le preoccupazioni.
Come poteva togliere la lettera? Se il ragazzo l’avesse letta sarebbe sprofondata dall’imbarazzo! Cosa poteva fare? Fiondarsi in aula di disegno e prenderla? No, dato che non poteva allontanarsi dall’ingresso della scuola: le corriere sarebbero arrivate a breve.
Certo, però che Enzo non era stato molto coraggioso: avrebbe potuto dirglielo di persona, anziché lasciarle un messaggio. Ma che diceva? Parlava lei che, per il timore di parlargli della cosa, gli aveva scritto una lettera, dietro suggerimento di un’amica? Il problema era che la sua compagna di classe aveva visto troppi film e letto troppi fumetti e lei, in un momento di difficoltà, aveva finito per darle bada!
Però, perché proprio quel giorno le aveva mandato il messaggio? Che Enzo avesse trovato la busta e l’sms fosse la sua risposta? No, si ricordava bene: il giorno precedente lui se ne era andato a casa e lei era stata l’ultima a lasciare l’aula. Era sola quando aveva infilato la busta nello scompartimento. Dubitava che il ragazzo potesse essere tornato nel pomeriggio ed aver guardato negli armadi adibiti al materiale lasciato sempre a scuola.
Che quella dichiarazione fosse una fortunata coincidenza che le avrebbe risparmiato la figuraccia? Forse, ma avrebbe fatto meglio a raggiungere l’aula prima di lui e far sparire quella maledetta lettera d’amore, una volta tornata a scuola.
Chiuse un attimo gli occhi. Forse, il fatto che le avesse scritto un messaggio, non era un male. Avrebbe potuto conservarlo e leggere quella dichiarazione quante volte voleva! Probabilmente si sentiva scontenta al pensiero che la sua, imbarazzantissima, lettera fosse ancora nell’armadio.
 
Proprio allora, uno degli insegnanti chiamò la classe e la invitò ad uscire. I bus erano già nella piazzola scolastica. Enzo fu uno dei primi a salire, Margherita fece lo stesso poco dopo.
Il trasporto aveva quattro file di sedili per i passeggeri, separati da uno spazio centrale percorribile dai presenti, che li disponeva a due a due, a destra e a sinistra di esso. Il ragazzo aveva già preso posto ad un sedile alla sua destra, vicino al finestrino, più vicino a al retro della corriera, che alla parte davanti.
Margerita gli si avvicinò, venendo subito notata da lui.
«Enzo, ho letto il messaggio che mi hai mandato questa mattina.»
Lui prese a guardarla negli occhi.
«Ci devo pensare.»
Disse lei. Se avesse accettato subito e poi lui avesse trovato la sua lettera, sarebbe stato proprio il colmo!
«Certo. Pensaci pure.»
Rispose sorridendo. In realtà era preoccupato. Il fatto che stesse prendendo tempo, secondo lui, non era un buon segno!
«Spero di poterti rispondere dopo la gita.»
O meglio, per il tempo necessario per arrivare prima lei alla busta.
«Grazie.»
Rispose lui, quindi Margherita saluto e andò a sedersi vicino all’amica che le aveva consigliato quella stupita idea.
Quindi la corriera si mise in moto e partì, seguita dalle altre due.
Il viaggio sarebbe stato lungo e nonostante l’amica parlasse molto, gli occhi di Margherita tornavano spesso su Enzo. Era seduto abbastanza dietro rispetto a lei e avendo preso posto a sinistra rispetto allo spazio che delimitava i due gruppi di sedili, le era facile gettare un occhio.
Era seduto da solo. I suoi amici si erano messi subito dietro di lui, essendo però il suo gruppo in numero dispari, qualcuno doveva stare da solo. Era lì, con la spalla poggiata sul finestrino e il suo viso da quella parte. Forse dormiva o più probabilmente era immerso nei suoi pensieri.
Lei si sentì in colpa di averlo lasciato lì e presto disse alla compagna di classe avrebbe cambiato posto, andando verso di lui. Durante le gite scolastiche avevano viaggiato abbastanza spesso a fianco.
Solo quando lei le fu abbastanza vicino lui la notò e distolse il suo sguardo dall’esterno. Margherita era una delle ragazze più carine della sua classe, ma lo aveva notato solo ultimamente. I due si conoscevano da prima del liceo, anche se in certi periodi si erano persi di vista.
«Non ce la facci proprio a lasciarti da solo!»
Disse, mentre lo guardava col suo tipico sguardo, caratterizzato da una lieve vivacità.
«Posso sedermi?»
Lui sorrise impertinente.
«No.»
Quasi volesse ricacciarla e farle ripercorrere quel breve tratto. Non facile da attraversare, visto che la corriera era in moto; come si poteva capire da come si tenesse aggrappata lei a uno schienale e suo come venissero mosse le sue lunghe chiome nere.
Il tono scherzoso del ragazzo faceva però intendere quale fosse la sua vera risposta.
«Scemo!»
Ribatté lei, per poi sedersi.
«Però non si parla di quella cosa lì. Si fa come al solito.»
Specificò, prima che lui potesse prendere la parola.
Lui si grattò i capelli castani.
«Sicuro.»
Anche se non sapeva come le avrebbe risposto alla fine, di certo sarebbe stato più piacevole fare quel viaggio con lei vicina.


 
cornicetta
 
 
Consegna

Woln stava continuando a condurre la corriera, sotto l’aspetto di un autista ordinario. Un uomo non più giovane, dal profilo leggermente trasandato e una barba un po’ corta, non perfettamente rasata. Forse lo stereotipo di chi di solito svolgeva quel lavoro. Ciò che a lui interessava era che fosse un aspetto a cui nessuno avrebbe prestato attenzione, non certo fare l’originale, e soprattutto che corrispondesse a quello di cui aveva preso in prestito l’identità. Non conosceva bene le sue abitudini, ma di certo neppure gli insegnanti sapessero che tipo fosse.
I suoi due sottoposti avevano preso il profilo di due conducenti più giovani e avvenenti. Forse per vanità personale. Woln gliel’aveva ceduto volentieri: le sembianze che stava assumendo lasciavano intuire che avesse esperienza, ma soprattutto corrispondevano all’uomo che avrebbe guidato la corriera davanti e quindi gli sarebbe stato più facile coordinare i due.
La prima parte del percorso era effettivamente quella prevista per la gita, ma di lì a poco sarebbe avvenuto il bello.
«Ci fermiamo un quarto d’ora per far benzina. Se volete prendere qualcosa da mangiare c’è un locale a fianco, ma siate puntuali a tornare.»
Disse ai ragazzi, per poi deviare verso il parcheggio, seguito dalle altre due corriere. Era comune che in viaggi del genere vi fossero delle soste, anche perché era previsto dalla legge che gli autisti facessero delle pause per motivi di sicurezza, dato che la concentrazione tendeva a diminuire, in attesa di riposo.
Il vero scopo della sosta era però permettere a uno dei due sottoposti di raggiungere la sbarra che bloccava l’accesso a una strada dismessa più avanti e alzarla.
Come previsto, molti dei ragazzi scesero, mentre alcuni rimasero a bordo, forse perché infastiditi dalla temperatura all’esterno. Alcuni arrivarono qualche minuto in ritardo, ma Woln ne fu contento, dato che l’aiutante ci aveva messo leggermente di più del previsto, ma non era stato notato grazie a quel fatto.
Aspettò che gli insegnanti facessero di nuovo l’appello. Aveva tutto l’interesse che non fossero rimasti dei ragazzi fuori, tanto che chiese alla radio ai due se anche da loro fossero rientrati tutti. Sentita la risposta ripartì.
Ora era arrivato il momento di usare le illusioni. Utilizzare la magia era sempre difficile sulla Terra, anche per coloro che erano nati fuori da essa. Per questo dovevano limitarsi dai finestrini. Tuttavia potevano usare poteri illusori di scarso livello, dato che i terrestri non se ne sarebbero accorti, non essendo abituati alla magia.
La prima illusione si manifestò come un cartello che diceva che la strada principale era chiusa e che si doveva deviare verso un’altra, che in realtà era quella dismessa. L’autista curvò come se niente fosse e gli altri due lo seguirono. Gli insegnanti non sembravano aver notato niente di strano. Perfetto!
Trecento metri dopo aver imboccato la strada Woln ricevette, come da programma, una comunicazione dagli altri. Quindi accostò su una piazzola, seguito dagli altri.
«Scusatemi, uno dei miei colleghi dice che forse ha un problema. Ci fermiamo un attimo.»
Il vero motivo era che doveva scendere e andare a sistemare la sbarra. Non voleva che altri imboccassero quella strada.
Dallo specchietto vide il sottoposto uscire e chiudere le porte. Se fossero usciti non avrebbero più visto le cose attraverso i vetri. Woln comunque riteneva eccessivo questo scrupolo, dato che difficilmente sarebbero scesi e comunque non avrebbero visto qualcosa di strano. Infatti la segnaletica che indicava che la strada non era percorribile era stata ormai superata.
Vide l’uomo correre, fino a che svotò dietro a un gruppo di alberi, per poi riapparire alcuni minuti dopo, presumibilmente dopo aver abbassato la sbarra. Tornò a bordo della corriera, ancora con fiatone e disse che potevano procedere.
«Possiamo riprendere, alla fine andava tutto bene. Si era sbagliato lui.»
Spiegò Woln, guardando la strada e abbozzando un breve ghigno.
Quindi arrivarono alle gallerie e le imboccarono. Tutti e tre accesero i fari. Anche se per i terrestri, dai finestrini il passaggio era ben illuminato, chi guidava vedeva come fossero le cose in realtà e la realtà era che le luci alle sommità e ai lati fossero spente e che dovessero affidarsi solo ai propri fari. Quindi arrivarono al tratto rettilineo. Perfetto, era quello il momento in cui avrebbero dovuto agire, essendo la parte più sicura. Tutti e tre spensero i fari, dai vetri non passò più la luce delle lampade illusorie e anche le luci interne alla corriera si spensero. Furono pochi secondi, poi tutto tornò a illuminarsi. Le luci interne, i fari e poi quelle che sembravano appartenere alla galleria.
Il fatto era che quei secondi di buio servivano a non far notare ai terrestri l’incantesimo. Anche se erano effettivamente dentro una galleria, erano stati portati da tutt’altra parte. Il periodo di buio era stato comunque abbastanza breve, così che nessuno si spaventasse. Solo un insegnante della seconda corriera fece una domanda e l’autista la rassicurò, dicendo che simili cose fossero frequenti.
Quindi uscirono di nuovo all’aperto. Era fondamentale che le illusioni funzionassero bene e che facessero credere che fossero ancora sulla strada prevista. Il percorso però sarebbe stato abbastanza diverso, ciò però non preoccupava però Woln: il mondo dove si trovavano in quel momento non era ricchissimo di magia, ma la sua presenza era tremendamente più grande se paragonata a quella della Terra; quindi potevano alzare il livello illusorio senza problemi.
Il viaggio non riservò altri particolari problemi, fino a quando non giunsero nei pressi della struttura. Quella che, attraverso i finestrini, sembrava l’albergo che avrebbe ospitato la comitiva scolastica.
Una volta giunti nella piazza del posto, una persona fece segno a Wlon di portare la corriera nei parcheggi sottoterra.
«Non mi risultava che l’albergo avesse dei parcheggi sotterranei.»
Commentò una professoressa, mentre scendevano. Forse nel sito vi erano informazioni parziali o non aggiornate. Comunque non cambiava molto. Wlon sapeva che così le cose sarebbero state molto più semplici. Infatti non ci sarebbe stato bisogno di usare magie illusorie in un garage sotterraneo.
Le tre corriere parcheggiarono e le porte da cui erano arrivate si chiusero. I ragazzi uscirono, seguiti dagli insegnati. Ad attenderli vi era un uomo, probabilmente un cameriere.
«Allora ragazzi, ci fermiamo solo perché mettiate giù i bagagli poi andiamo a piedi a visitare il sito. Dopo di che penseremo al pranzo.»
Spigò una degli insegnanti, prima che l’ipotetico cameriere facesse segno a tutti. Quindi le tre classi seguirono l’uomo, salendo le scale.
Solo quando furono soli i tre conducenti scesero a sua volta.
«Capo, non capisco però. Perché non ha consegnato anche gli autisti di cui abbiamo preso l’aspetto?»
Domandò un sottoposto a Wlon.
«Vedi, non hai grande fiuto per gli affari. Forse avrei potuto consegnare anche loro e magari avrei potuto guadagnarci un po’ di più. Invece ho deciso di farli cadere in un sonno profondo e metterli in un posto sicuro. Poco a poco accumulerò altri terrestri a cui nessuno interesserà la sparizione o che potrà essere spiegata in qualche modo. Quando li avrò accumulati una cinquantina aspetterò il mento giusto per venderli alla Recluserv.»
I suoi pensieri erano, perlopiù, altrove. Tra palliativi e sigilli se ne era andato poco più dei guadagni dei sei accompagnatori dei ragazzi!
«Ma capo, se sono tanti e sfusi non li dovrebbe venderle a prezzo più basso?»
L’altro sottoposto, saggiamente non diceva niente.
«Vero, ma quando avranno bisogno di nuovi terrestri io ne potrò offrirne cinquanta subito. In questo modo si rivolgeranno ancora a me e presto diventerò un loro fornitore fisso.»
Aveva capito che la Recluserv avrebbe fatto strada. Era certo che alle prossime volte avrebbe potuto chiedere che i palliativi e i sigilli fossero a loro spese.
«Comunque, non che mi dispiaccia che tu mi chiami capo, ma non farti illusioni. Semmai ti richiamerò per un incarico, sarà sempre a chiamata.»
L’altro ci rimase male e non fu bravo a nasconderlo.
«Ah, capisco.»
Allora, però, Wlon si sentì in colpa. Cercò di mettersi nei panni di quel giovane, immaginando la sua situazione e di quanto fossero importanti le prime esperienze di lavoro.
«Però è pur vero che potrei aver bisogno di qualcuno che stia nel posto dove tengo i terrestri addormentati. Si tratta di un lavoro più semplice e quindi meno retribuito giornalmente, però è pur sempre qualcosa e avere due persone che si possono scambiare il turno sarebbero l’ideale. Sempre assunti a contratto a chiamata, s’intende.»
Il sottoposto sorrise.
«Grazie capo.»
Anche al secondo collega non dispiacque la cosa e Wlon fu contento di non essersi scordato di pensare agli altri.
In ogni caso avrebbero avuto qualche ora per riposarsi, prima di dover lasciare il posto. Se l’erano meritato!

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Capitolo 2
*** Trasformazione ***


2

Trasformazione


 
Ambra d’Allinie
 
Avevano sostenuto che si sarebbero trattenuti lì giusto il tempo per mettere giù i bagagli. Le cose però sembravano andare per le lunghe: alla reception gli addetti all’accoglienza avevano spiegato ai professori che all’ufficio della direzione volessero parlare con loro. La porta era giusto a lato dello sportello dove stavano gli addetti e probabilmente si trattava di formalità burocratiche o qualche raccomandazione. Fatto stava che erano già dieci minuti che erano dentro e anche se alcuni ragazzi avrebbero avuto piacere a riposarsi dopo il viaggio, avrebbero preferito farlo in una stanza, anziché in piedi.
Due insegnanti erano rimasti fuori, a badare a loro. Per i quattro che erano andati nell’ufficio, evidentemente le pratiche non erano state immediate.
Finalmente i quattro uscirono dalla porta andando verso i colleghi.
«Signora Mavella, ci sono delle cose ancora da fare.»
La collega la guardò, sbigottita.
«Fabrizia, va tutto bene?»
Domandò, notando la stranezza dei suoi modi.
«Scusami, Lorenza. In direzione vogliono parlare anche con voi due. Non è niente di preoccupante, ma è meglio se ascoltate di persona.»
Rispose, quasi si fosse ricordata del rapporto confidenziale che aveva con lei.
I due colleghi attraversarono la porta, prontamente chiusa da uno degli addetti. Anche questa volta ci misero un po’, per poi uscire.
Una professoressa si mise a lato della porta, tenendo in mano un blocco note con scritti tutti i nomi degli alunni della classe che seguiva.
«Allora, vi chiameremo uno alla volta o a piccoli gruppi. Entrerete in direzione e lì vi daranno le chiavi delle vostre stanze.»
Spiegò.
«Iniziamo. Mirilli Enzo e Stefanina Margherita.»
Enzo notò subito la stranezza della cosa, che consisteva non tanto per il fatto che non stesse seguendo l’ordine alfabetico, ma per come stesse facendo l’appello.
Ormai l’insegnante conosceva i suoi alunni e li avrebbe chiamati in maniera diversa; cercandoli con lo sguardo, facendo segno loro di venire. Adesso, invece, si limitava a chiamare e a leggere nomi, aspettando che qualcuno si facesse avanti, come se non fosse in grado di riconoscere le persone che aveva appena chiamato. Come se non li conoscesse!
Bah, era una semplice stranezze e magari solo una sua impressione.
Iniziò ad avanzare verso l’ufficio, con Margherita alla sua destra. I due aprirono le porte, le quali vennero chiuse subito dopo alle loro spalle. Davanti a loro vi era un lungo tavolo con tre persone. Un uomo e due donne.
«Buongiorno, mi chiamo Alina.»
Disse colei che sedeva in mezzo. Indossava un tailleur sopra una camicia bianca. Portava i capelli lunghi, raccolti a coda di cavallo. Era una bella donna.
I due si avvicinarono.
«Per favore, rimanete a qualche metro dal tavolo.»
I due si fermarono, solo il ragazzo fu un po’ curioso di conoscerne il motivo, ma non disse niente. Il collega le passò due fogli e lei ripassò brevemente le schede conoscitive.
«Allora, Enzo e Margherita se non sbaglio. Ho già qui le vostre ambre di Allinie.»
Disse, abbassando i fogli e indicando un vassoio d’argento sul tavolo, alla sua destra.
«Sono le chiavi delle nostre stanze?»
Disse lui, osservandole. Da lì sembravano delle specie di pietre lisce e lucenti, di un colore tra il rosso e il porpora, a forma di cuore.
«No, più che altro sono un regalo.»
Margherita non fu stupita. Era frequente che gli alberghi lasciassero piccoli pensierini, specie quando si andava via.
«Che genere di regalo?»
Domandò il ragazzo, non capendo cosa fossero. Aline sorrise.
«Oh, te lo mostrerò all’istante.»
Prese quindi una delle gemme e la pose sulla propria mano. Questa iniziò a cambiare colore, iniziando a brillare di una lieve luce rosata. Poi fluttuò a pochi centimetri dalla mano della donna. Il ragazzo fu sorpreso da un simile effetto, forse riconducibile a un gioco di prestigio. Ad un cenno della donna, però, la pietra schizzò verso Enzo, cambiando presto forma, come se fosse composta di pura energia. Andò contro il ragazzo, penetrando al suo interno, in ogni singola cellula, legandosi a lei e cambiandola.
«Ma cosa?»
Domandò lui, non rendendosi conto di cosa fosse appena successo e di che stesse per accadere!
 La prima cosa che sperimentò fu un dolore in mezzo alle gambe, come se qualcosa si fosse appena ritirato all’interno del suo corpo. Si piegò sulle ginocchia, in uno spasmo.
«Enzo, tutto bene?»
Domandò Margherita preoccupata.
Lui sentì come una scossa passargli lungo il petto e poi diffondersi in tutta la pelle. Poi avvertì una stretta alle costole. Fece uno spasmo, in risposta alla sua gabbia toracica che stava iniziando a cambiare forma. Era partita a farlo a scatti. Anche le spalle iniziarono a restringersi, quasi a volerlo comprimere.
«Enzo!»
Urlò l’amica. Lui uno poté rispondere. Sembrava che tutte le sue avessero preso a muoversi. Il tronco aveva preso a diventare più piccolo, il bacino ad allargarsi, i fianchi a restringersi. Con essi anche la carne vicino a loro. I muscoli si ridussero di spessore. Gli abiti che indossava stavano iniziando a stargli larghi. Anche il collo prese a cambiare e le sillabe che uscivano dalla sua bocca si fecero via via meno profonde.
Quando poi iniziarono a cambiare i tratti del volto Alina fece un cenno e i vestiti si dissolsero.
«Ti sei voltato?»
Domandò al collega.
A quel punto gli abiti erano di intrigo alla trasformazione e non vi era più niente da scandalizzarsi, almeno non per lei.
Margherita era esterrefatta. Non riusciva più a dire una parola. I capelli del ragazzo caddero poco dopo, ma sulla testa ne iniziarono subito a crescere altri, di un colore differente. E sui pettorali iniziò a vedere una cosa. Ma era un seno? Stava crescendo a vista d’occhio!
Non riuscendo più a tenersi in piedi, cadde seduto a terra, mentre il suo copro sembrava non voler smettere, i capelli crescevano, le sopracciglia venivano sostituite da altre di un diverso colore e le due forme si facevano dolci e curvilinee.
Quando tutto finì Margherita vide una ragazza supina sul pavimento, assieme ai brandelli di vestiti, i vecchi capelli e il resto della peluria caduta, con dei lunghissimi capelli rosa. Ansimava.
Solo allora l’amica si riprese dal panico e riuscì di nuovo a parlare.
«Che è successo? Che gli avete fatto?»
Domandò atterrita.
«Semplicemente il piccolo regalo.»
Rispose Alina beffarda.
«Cosa c’è Margherita? Sei gelosa? Temi di essere lasciata indietro? Non temere, ho l’ambra d’Allinie anche per te.»
La gemma si comportò in maniera analoga e schizzò verso la povera Margherita, fondendosi con lei. Subito dopo anche la ragazza sentì le proprie parti del corpo iniziare a muoversi in maniera stana e sebbene in maniera meno radicale rispetto a Enzo, le fece male e fu faticoso.
Anche lei vide i propri abiti frantumarsi e i suoi capelli cadere, sostituiti però da altri sempre neri, ma un po’ diversi. Presto non ce la fece più a stare in piedi e si accasciò a terra, fino a che il suo corpo non decise anch’esso di darle tregua.
«Vediamo un po’.»
Disse Alina, facendo un cenno e facendo fluttuare le due ragazze, ansimanti.
«Direi che ci siamo.»
Si volse verso la collega.
«Metri, per favore.»
Quindi l’altra tirò fuori dei metri da sarto, che presero a volare, per avvolgersi attorno ad ognuna delle due fanciulle. Presero quindi a brillare di luce, registrando le prime misurazioni.
«Non preoccupatevi, adesso vi teletrasportiamo alla sala della sartoria. State tranquille, non vi è nulla si cui preoccuparsi.»
Quindi, le nuove arrivate, scomparvero in un lampo di luce.
«Puoi tornare.»
Disse Alina al collega, che si era messo da parte.
«Vedi di pulire»
Indicando i lembi di stoffa e la peluria sul pavimento. Dovevano rendere presentabile la stanza per i prossimi, o meglio il prossimo, dato che era previsto che fosse solo uno ad entrare.



 
Vestizione

Le due fanciulle vennero teletrasportate in una grande sala, sedute sul freddo pavimento. Alle parteti della stanza vi erano diversi scaffali con riposti rotoli di stoffa, bottoni e altro materiale da sartoria, ma anche altre cose, come spazzole. Poco più avanti, verso il centro, vi erano dei tavoli da lavoro.
Dopo alcuni secondi, i metri di prima, iniziarono a staccarsi da loro, muovendosi per conto proprio. Misurando ogni singola parte. Le due, troppo confuse e stanche per capire che stesse succedendo e porre un qualche tipo di resistenza, li lasciarono fare.
Una volta prese tutte le misure, i due strumenti brillarono di nuovo, questa volta di luce bianca, e andarono verso gli scaffali, iniziando a toccare i veri materiali e compiendo una traiettoria a cerchio, per poi perdere la propria luminosità e riporsi, arrotolati, su uno dei tavolini.
Fu allora che i rotoli di stoffa, perlopiù rossi chiaro e banchi, uscirono dagli scaffali e presero a volare in una sorta di vortice, attorno alla stanza.
Fili ed aghi andarono seguite dai lembi, che iniziarono ad essere lavorati.
Le due si guardarono attorno. Capendo solo di essere in mezzo a una sorta di vortice.
I primi indumenti che arrivarono furono la biancheria, che si infilò loro da sola, quasi fosse animata. Anzi, un paio di volte le strattonò, così da far cambiare loro posizione e venir indossata correttamente. Poi una gonna venne infilata attorno a Margherita e la portò di prepotenza verso i tavoli, per altre rifiniture. Enzo dovette vedersela con una spazzola, decisa a sistemare i suoi nuovi capelli.
Vennero sballottolate di qua e di là, dai vari capi d’abbigliamento che si ritrovarono, mano a mano, addosso. Iniziarono a tentare ad appigliarsi a qualcosa, piuttosto che venire travolte, fallendo però. Durante l’ennesima volta, in cui Enzo stava venendo portata in chissà quale parte della stanza, non vedendo più chiaramente, a causa di quello che pareva essere un cappello messo male, che le copriva la vista, cercò di afferrare qualcosa alla cieca. Ci riuscì: era la mano di Margerita! Le due cercarono di afferrare anche l’altra mano dell’altra. Non che fosse chissà quale appiglio, ma almeno dava loro una certa stabilità.
Presero quindi a volteggiare come delle trottole, mentre tutti gli altri abiti arrivarono, finendo di vestirle.
Quando il lavoro fu completato, tutti i materiali tornarono al loro posto e l’ambiente si calmò. Le due lasciarono la presa e caddero di nuovo sedute, al centro della stanza.
Comparvero dei grandi specchi che presero a circondarle da ogni lato, quasi a mostrare come fossero state preparate. Inutile dire che alle due girasse talmente la testa che non furono in grado di associare a loro stesse le molteplici ragazze in un abito rosso e bianco, dai capelli neri e rosa; prodotte dagli specchi, che riflettevano ripetutamente quelle immagini.
Poi gli oggetti riflettenti se ne andarono e l’ambiente attorno a loro prese a deformarsi. Si era attivato nuovamente un teletrasporto!
Si trovarono in un’altra stanza, priva di porte e finestre e dove vi erano già due persone.
Le nuove arrivate però erano troppo stordite per notare la cosa e avrebbero avuto bisogno di qualche minuto perché la testa smettesse loro di girare e potessero pensare nuovamente.



 
Riconoscersi
 
Enzo aprì gli occhi. I giramenti di testa erano passati e si sentiva decisamente meno intontito. Ci mise un po’ a mettere a fuoco. Quanto era passato? Qualche minuto? Sembrava essere dentro a una stanza illuminata da alcune lampadine sul soffitto. Distolse lo sguardo dalle luci, guardandosi intorno.
Davanti sembrava esserci una persona. Era in piedi.
«Enzo? Sei tu?»
Si mise a sedere. Era una ragazza, quella che aveva vicinp.
«Per favore, rispondimi!»
Disse lei, piegandosi leggermente in avanti. Enzo continuò a fissarla con aria confusa.
Chi aveva davanti indossava un cappello rosso chiaro, col frontino nero, simile a quello delle forze dell’ordine o di alcuni ufficiali della marina. Aveva un abito chiusa da una doppia fila di bottoni, con le spalle scoperte. La parte inferiore era rossa, mentre dalla parte finale del petto diventava bianco. Le sue mani erano avvolte in dei guanti corti, stretti da un fiocco. Risaltava poi un grande e vaporoso fiocco, che teneva chiuso un colletto che cingeva la parte inferiore del suo collo. Indossava anche una gonna a plissé, di un rosso leggermente più scuro.
Doveva averla già incontrata da qualche parte!
«Sei in grado i parlare?»
Chiese l’altra, preoccupata. Finalmente la persona interrogata si decise a rispondere.
«Sì, sì, sono io.»
Ma che aveva alla voce?
«Grazie al cielo!»
Esclamò la fanciulla dall’aria familiare. Dopo però un po’ di preoccupazione sembrò tornarle.
«Non mi riconosci?»
Riconoscerla? La guardò con attenzione. I tratti ricordavano quelli di Margherita, pure la sua voce le ricordava quella dell’amica, ma era più carina, terribilmente più carina! Era lo sguardo, in particolare a ricordare ad Enzo la persona così tanto cara. Iniziò, allora, a mettere insieme i pezzi, della confusa serie di avvenimenti. Così fece il primo collegamento.
«Margherita?»
L’altra parve più rilassata.
«Sì, sono io.»
Però era diversa: i tratti, i capelli più lunghi, seppur sempre neri, erano decisamente più belli!
«Che è successo?»
Di domande ne aveva molte. Che posto era quello? Cosa aveva la sua voce? Che cosa aveva addosso? Chi erano le altre due persone nella sala?
«Non so bene come spiegartelo! Sei diventato una ragazza…»
Lei stessa stentava a crederlo, ma aveva messo i pezzi insieme più velocemente dell’altra. L’aveva visto cambiare davanti ai suoi occhi e, nonostante credesse ciò assurdo, quella era l’unica spiegazione plausibile.
«Cosa?»
Rispose Enzo, ancora incredula. Per un attimo credette venire preso in giro. Eppure sentiva che ci fossero delle stranezze!
«Che tu ci creda o no è così.»
Le disse l’amica, avvicinandosi.
«Ce la fai ad alzarti?»
Disse, porgendole la mano. L’altra accettò di buon grado l’aiuto, ma appena fu in piedi rischiò di cadere in avanti, tanto che l’amica dovette sorreggerla.
«Attenta che cadi.»
Enzo non doveva essere abituata alle scarpe col tacco. A dire il vero non lo era anche l’amica, ma per l’altra era sicuramente la prima volta che le indossava.
Poco dopo aver ricevuto l’aiuto, l’attenzione dell’altra fu attirata da due cose che sentiva dietro la schiena. Ne afferrò una e provò a guardarla. Era qualcosa di rosa, intrecciato e lungo.
«Questo cos’è?»
Margherita rispose.
«Sono i tuoi capelli. Ora li tieni in trecce.»
Tra le altre stranezze vi era anche il colore!
Enzo avrebbe voluto dire qualcosa, ma uno strano suono volse altrove il loro sguardo. Quindi videro, in una zona, le immagini come deformarsi. Si aprì una sorta di finestra, ricordante un po’ i portali magici, nei videogiochi. Da esso uscì una ragazza dai lunghi capelli marroni, leggermente ondulati. Era vestita come Margherita… ora che ci pensava, anche come le due ragazze lì prima di loro, rannicchiate in un angolo.
La nuova arrivata cadde prona sul pavimento e le sue le si avvicinarono per assicurarsi che non si fosse fatta male. Era stanca e confusa e le due seppero di dover aspettare prima di interagire con lei.
«Stai bene?»
Domandò Margherita, quando le sembrò che si fosse ripresa. Dovette ripetere una seconda volta la domanda, prima che l’altra le rispondesse.
«Si, credo.»
Doveva sapere di più.
«Scusami, puoi dirmi il tuo nome.»
L’altra, ancora a terra, la guardò pigramente.
«Chi sei? Dove mi trovo.»
Domandò, col fiato che le rimaneva. Enzo iniziò a pensare di essere di troppo; forse era meglio che ci fosse solo l’amica a parlare con lei. Avrebbe provato ad avvicinarsi alle fanciulle sull’angolo, magari avrebbe scoperto di più. Quindi andò verso di esse, stando attenta a non cadere.
«Ti spiego tutto dopo. Prima devi dirmi il tuo nome.»
Continuò Margherita.
«Lucio.»
Proprio come sospettava! Un loro compagno di classe aveva quel nome e pensava proprio di aver davanti quella persona!
 
L’uomo guardò dal dispositivo, cosa stesse accadendo nella stanza.
«Iniziano ad essere abbastanza lì. Non c’è il rischio che si facciano male finché siamo occupati a distribuire le ambre?»
Alina si voltò, dal tavolo a cui era.
«Mettile a nanna, allora.»
Effettivamente era una precauzione.
«Buona idea.»
Rispose il collega.
 
Margherita provò a spiegare a Lucio.
«Non ci crederai.»
Stava per aiutarla ad alzarsi. Eppure si sentiva meno sveglia e preferì non farlo.
«Vedi.»
Sbadigliò.
«Vedi.»
Sentì il suo corpo più pesante e preso si ritrovò seduta a terra.
«Ti è successo qualcosa…»
Un altro sbadiglio. Gli occhi le si chiusero da soli e dovette faticare per aprirli. Tutt’un tratto le era venuto sonno! Si ritrovò con la faccia sul pavimento e gli occhi le si chiusero varie volte, fino a che non si addormentò.



 
Fermacapelli

Quando le due fanciulle si svegliarono, erano assieme a molte altre. Presto Enzo aveva confermato il proprio sospetto di essere vestita come il resto del gruppo. Così come che le presenti fossero i suoi e le sue compagne di classe. Vi era stata anche stata una scoperta, diciamo, strana: quando aveva deciso di togliersi quelle maledette scarpe, sulle quali era così difficile rimanere in equilibrio, pochi secondi dopo se le era ritrovate addosso! Ci aveva riprovato alcune volte e il risultato era stato lo stesso. Analogo esperimento era stato tentato da un’altra ragazza, che aveva gettato via il proprio cappello e pochi istanti le era ricomparso in testa.
Enzo allora si era impegnata a capire chi fossero le due ragazze in più; quelle che se ne erano state in disparte nell’angolo.
«Per favore, dovete parlare. Siamo tutti nella stessa barca, ma dovete dirci chi siete.»
Le due non risposero, rimanendo accovacciate per terra.
«Perché eravate qui prima di noi? Sapete qualcosa in più? Dovete parlare, altrimenti non potremo fidarci di voi.»
Insistette. Una delle due finalmente alzò la testa.
«Forse ha ragione. Non ce ne facciamo niente dell’orgoglio; diciamo loro chi siamo.»
Quindi la classe constatò che fossero il professore e la professoressa che li stavano accompagnando in gita. L’imbarazzo generale fu tanto, anche tenendo conto della situazione in cui si trovavano: a vederle sembravano due ragazze, all’incirca della loro età. Non riuscivano proprio a vederle come i due insegnanti che li avevano accompagnati e da cui sarebbero dipesi! Come si sarebbero dovute comportare con loro? Come prima? Come fossero compagne di classe?
Mentre si guardavano l’una con l’altra, Enzo cercò di focalizzare l’attenzione di tutte. Ora che sapevano chi fossero, dovevano pensare ad altro.
«Ho capito. Ora che lo sappiamo dobbiamo cercare di uscire di qui. Non sembrano esserci né porte né finestre qui, solo muri. Non possiamo però averne la certezza. Dobbiamo scoprire se in un qualche punto si celi un passaggio o se ci sia un muro sfondabile.»
Lentamente le ragazze iniziarono mano a mano a tastare sulle pareti, a battere contro di esse per sentire se in un qualche punto venisse prodotto un suono diverso. Alcune provarono a colpire, nella speranza di romperle, ma si fecero solo male e un gruppo propose persino che il passaggio fosse sul soffitto e di provare a salire una sull’altra per poterlo toccare e aprirlo.
Mentre però stavano iniziando a darsi da fare, una voce femminile proveniente dall’alto attirò la loro attenzione.
«Ben svegliate ragazze. Vi invito a stare tranquille. Abbiamo finito con tutte e possiamo passare alla fase successiva. Se collaborerete faremo tutto più in fretta.»
Non sembravano però affatto collaborative, ma questo la donna se lo aspettava.
«Non spaventatevi adesso. Vogliamo solo che non facciate scemenze.»
Poco dopo, vicino al pavimento, iniziarono a comparire dei fiocchi lunghi e stetti. Presto iniziarono a muoversi, annodandosi in un fiocco e legando i piedi delle fanciulle. Altri fecero lo stesso con le loro mani, portandole dietro la schiena e legandole l’una vicina all’altra. Per quanto i nastri sembrassero di semplice stoffa e il fiocco desse l’idea di potersi sciogliere facilmente, nessuna fu in grado di liberarsi. Neanche con l’aiuto altrui.
Dietro ad ogni ragazza comparve uno sgabello in legno, sul quale ognuna finì per sedersi. Alcuno provarono ad alzarsi, senza successo.
Quindi accadde una cosa che alcune avevano già imparato a riconoscere: ciò che vedevano attorno a loro iniziò a distorcersi. Subito dopo si ritrovarono teletrasportate in una sala più grande, sempre con le tre persone al tavolo. Questo era a ridosso di un lato del salone, mentre le ventisette stavano su un lato alla loro sinistra.
«Bene, direi di iniziare e non perdere tempo. Vieni tu.»
Disse Alina, facendo segno ad Enzo di venire. Lo sgabello su cui era seduta si alzò da terra e, quasi avesse spiccato un balzo, andò velocemente verso il tavolo per poi atterrare bruscamente presso esso, mentre la fanciulla gridava.
I due colleghi e sottoposti lasciarono le sedie per avvicinarsi a lei, mentre la fanciulla prese a dimenarsi. Forse per paura, forse nel tentativo di scappare.
«Puoi alzarti.»
Disse la donna e lo sgabello la liberò. Il primo impulso della fanciulla fu quello di fuggire, nonostante mani e piedi legati. I due però, preparati a una simile reazione, la presero ognuno per una spalla, magari per impedirle di fuggire, sicuramente per sostenerla, dato che sarebbe, quasi sicuramente, caduta.
«Lasciatemi!»
Urlò lei, dimenandosi, mentre i due la avvicinarono ad Alina. Costei prese una sorta di molletta dorata, con una gemma a forma di cuore, da una custodia in cui ve ne erano molte altre; disposte ordinatamente.
«Su dai, è solo questione di un attimo.»
Disse Alina, dolce e sorridente, per poi tenere con una mano il volto di Enzo, nel tentativo tenerla ferma. Dovette attendere qualche secondo, visti i movimenti dell’altra, ma appena colse l’occasione le infilò il fermacapelli con la stessa rapidità con cui una dottoressa fa un’iniezione a una bambina spaventata, appena sta un attimo ferma.
Subito i muscoli della ragazza si rilassarono e lei smise di dimenarsi. Le due persone finalmente la lasciarono e i fiocchi che le bloccavano mani e piedi si sciolsero, cadendo a terra. Avrebbe potuto scappare e forse quello era il momento opportuno, eppure non lo fece! Aveva un incredibile desiderio di farlo, eppure era come se non riuscisse più a prendere una simile iniziativa! Rimase in silenzio davanti ad Alina, fissandola sbigottita.
La donna prese da una scatola lignea una sorta di bigliettino in una custodia di plastica e lo pose sul tavolo, davanti a lei.
«Prendi il tuo tesserino di riconoscimento.»
Come se le fosse dato un ordine a cui non le era possibile disubbidire, la fanciulla lo fece. Vi erano diverse voci, tra cui il nome, il gruppo e la classe, ma tutte erano vuote. Poi però delle scritte iniziarono a comparire, assieme a una foto di una ragazza, a sinistra, che presumibilmente la ritraeva.
La donna pose due dita sulla tessera, così che l’altra la abbassasse e potesse leggere anche lei, mentre l’uomo tornò al tavolo, aprendo un registro.
«Gruppo: Marida. Nome: Elarina.»
Pronunciò Alina ad alta voce, così che l’altro la sentisse. Poi si rivolse nuovamente alla ragazza.
«Vai pure a sederti lì, mentre aspetti le altre.»
Spiegò, sorridendo, e indicando dei divani alla sua destra, presso il muro della sala.
La fanciulla dai capelli rosa si avviò al posto con calma. Di nuovo era come se le fosse dato un ordine a cui non le era possibile disubbidire. Avrebbe fatto ben altro ed era tutt’altro che tranquilla, ma non riusciva a non assecondare quella richiesta!
«Una cosa molto importante: usate il nome che vi è stato dato qui. Se il vecchio è diverso da quello che vi è stato dato, non dovete più usarlo.»
Per lo meno per tutta la loro permanenza lì.
«Ricordatevi inoltre di parlare di voi e rivolgervi alle altre al femminile. Non importa se alcune di voi, fino ad oggi, erano dei maschietti.»
Spiegò, mentre la prima ragazza si avvicinò al divano, per poi raggiungerlo e sedersi.
«Dunque, vediamo la prossima.»
Disse, cercandola tra le presenti, mentre l’uomo spostava il prima sgabello. Quindi la trovò.
«Tu.»
Disse, facendo cenno di venire.
Se fino ad allora Margherita era stata messa a dura prova da quello che aveva visto e vissuto, quando il proprio sgabello balzò la paura che si era sommata fu troppa e scoppiò a piangere. Appena atterrata, di nuovo le due persone la presero per le spalle delicatamente, per avvicinarla ad Alina, mentre lei piangeva sempre più forte.
Anche questa volta la donna le infilò il fermacapelli. I muscoli le si rilassarono e i nastri si sciolsero. I due non la lasciarono subito, assicurandosi prima che non cadesse a terra. Presto smise di piangere. Le lacrime le scendevano ancora copiose dagli occhi, ma esternava meno la propria agitazione. Di nuovo la donna prese l’altro oggetto.
«Tesserino.»
Disse, con fare complice. Difficile dire se stesse cercando un qualche modo di tranquillizzarla. utilizzando un tono amichevole, o se la stesse prendendo in giro.
Lei lo prese e di nuovo, mentre ce l’aveva in mano, le informazioni comparvero.
«Stesso gruppo.»
Quello era ovvio.
«Nome: Myrillina.»
Comunicò, affinché venisse annotato nel registro. Quello invece era meno ovvio. Se per coloro che il giorno prima erano maschi, bisognava cambiare nome per necessità, per le femminucce era probabile che venisse conservato il nome precedente. Era pur vero che cambi di nomi, anche in quel caso, potevano esserci per le più svariate ragioni: sebbene diversi nomi terrestri avessero un che di esotico e fossero apprezzati, alcuni potevano suonare come provinciali e quindi veniva assegnato alla ragazza un nome più vicino alla cultura di dove avrebbero prestato servizio. Qualcosa che rimanesse nell’ambito delle sicurezze di quelle persone e non sembrasse brutto.
Nel caso della fanciulla che aveva davanti Alina credeva di aver capito perché l’incantesimo le avesse cambiato nome: Margherita era un bel nome, corrispondente a un fiore grazioso, che cresceva comunemente sulla Terra e su altri pianeti. Il problema era che fosse sin troppo comune e solo grazioso, loro miravano a renderla ben di più!
La myrillina era un fiore assai più bello, che cresceva sul pianeta Ginareo. In particolare di notte, quando la luce che emetteva illuminavano i prati e i sottoboschi, per attirare le Lucciole Azzurre e le Scie Violacee, affinché le impollinassero.
Le aveva viste una volta, ai margini di una foresta. Vedere le myrilline fiorite dopo il tramonto era qualcosa che valeva il viaggio su Ginareo!
«Dai, non hai motivo di essere triste; anche se posso capire che tu sia ancora spaventata.»
Provò a rincuorarla Alina, vedendo ancora le lacrime scenderle. Dubitava però che sarebbero bastate semplici parole a tirarla su.
«Vai a prendere posto su uno dei divani.»
Per il momento era il caso solo di passare avanti. La ragazza seguì le istruzioni, andandosi a sedere a fianco di quella che si era seduta per prima. Forse starle accanto l’avrebbe confortata. Le due però non si dissero niente. Le lacrime dell’amica continuarono a scendere, l’altra la guardava, di tento in tanto volgendo l’attenzione al tavolo dove stavano i tre.
Le due donne e l’uomo avevano ancora parecchio da fare: dopo quella classe ce ne erano altre due. Da svegliare, far riprendere un attimo, prima della distribuzione dei fermagli e della registrazione. Loro avevano appena iniziato con la prima!


 
Buonanotte
 
Dopo la registrazione della prima classe, i membri erano stati lasciati in corridoio ad aspettare. Non vi era stato nessuno a sorvegliarle, eppure avevano aspettato pazientemente lì. Alcune poggiandosi sul muro, stanche di stare in piedi, altre parlando tra loro, chiedendosi l’un l’altra cosa stesse succedendo e talvolta confortandosi a vicenda.
Era poi uscita la seconda classe e un uomo era arrivato per farle spostare un due zone diverse, per evitare affollamenti e dove potessero sedersi. La seconda venne indirizzata, temporaneamente ad una piccola sala conferenze, la prima classe direttamente a una sorta di portineria.
Le ragazze gradirono le varie poltrone, sedie e sofà e molte non esitarono ad usufruirne. Dovettero ancora aspettare abbastanza. Fuori si era fatto buio, quando una giovane donna, coi capelli a caschetto, arrivò.
«Buonasera ragazze.»
Esordì lei, portandosi dietro al tavolino della portineria.
«Perdonate l’attesa, ma hanno finito appena adesso la registrazione della terza classe.»
Spiegò.
«Benvenute nel vostro dormitorio. Finché siete qui, se avete domande o richieste potete recarvi qui in portineria. Troverete me o i miei colleghi.»
Le altre la guardarono con attenzione. Avevano capito che non fossero loro amici, ma era essenziale ascoltare quella gente per capire di più riguardo a dove si trovassero.
«Sono qui per consegnarvi le chiavi delle vostre stanze. Questa volta, davvero.»
Disse ridacchiando, sapendo cosa fosse successo in tarda mattinata. Per motivi pratici, avevano fatto entrare in portineria una classe alla volta.
Aprì allora un quaderno.
«Dunque, vediamo; Elarina e Myrillina.»
Pronunciò, prendendo dalla rastrelliera due mazzi di chiavi, mentre Enzo e Margherita le si avvicinarono. Ora che ci pensavano, erano stati sempre chiamati per primi quel giorno.
«Stanza 253.»
Spiegò lei, passandoglieli. Non avrebbero mandato contemporaneamente tutte le coinquiline di ogni stanza, né si sarebbero attenute a un ordine di riempimento. L’appello seguiva un’altra logica.
«Saprete da sole come trovarla.»
Effettivamente l’intuizione arrivò spontaneamente. Le due capirono presto di dover prendere una scala che avevano visto prima, ma a cui non avevano fatto caso. Si avviarono verso essa, prima però l’addetta si ricordò una cosa.
«Ah, una cosa importante per tutte: se questa sera desiderate scendere per la cena, sappiate che è fissata tra un’ora.»
Sapeva, però, che poche lo facessero al primo giorno.
Enzo e l’amica proseguirono e salirono i piani. Ancora una volta seguendo le istruzioni senza fiatare, come se fosse diventato loro impossibile tentare una fuga o opporsi in qualche modo. Come fossero divenuti incapaci di tradurre in azioni ciò che desideravano.
Percorsero i corridoi a dire il vero spartani dell’edificio, ma adornati dalla magia illusoria che faceva apparire più bello il posto di quanto realmente fosse. Non avendo né esperienza di arti magiche, né avendo ormai avuto poteri, non avrebbero notato che si trattasse di un’illusione, per giunta di basso livello, o almeno non se ne sarebbero rese conto per un bel pezzo. Come prevedeva la politica dell’azienda: risparmiare il più possibile per arrivare agli stessi standard di qualità. Infatti c’era un motivo per cui avessero deciso di far sembrare l’edificio bello e in alcuni punti persino sfarzoso. Poche scelte, lì, erano lasciate al caso, ma le ragazze ne avrebbero compreso le motivazioni solo più avanti.
Le due fanciulle non posero però attenzione all’ambiente. La paura, la rabbia, la malinconia e le preoccupazioni stavano rapidamente cedendo il passo a una crescente stanchezza. Una volta raggiunto il piano giusto proseguirono spedite verso la stanza, non avendo al alcun dubbio dove andare le due volte che si trovarono ad un bivio. Era come se una vocina nelle loro teste suggerisse loro la direzione giusta.
Dopo aver raggiunto la stanza e acceso la luce Enzo si trovò davanti a uno specchio. In esso vide due ragazze stupende! I suoi capelli erano raccolti in due lunghe trecce, che le arrivavano fin oltre le ginocchia, tenute ordinate con due nastri, alla fine. Erano vaporose e lucenti! Margherita non era da meno: era come se la sua avvenenza fosse stata moltiplicata!
Non restò troppo tempo a guardare. L’unica cosa che voleva fare in quel momento era non pensarci. Mentre l’amica chiudeva la porta, lei osservò la camera. Alla sua destra vi erano cinque letti a baldacchino, con le tele rosate. Semplici nel design, ma sembravano comodi.
Dopo il primo vi era uno spazio, con una finestra alla parete. Dopo ve ne erano due, posti attaccati l’uno all’altro. Quindi altri tre, tutti separati e una finestra tra in quarto e il quinto. Dal lato opposto vi erano degli armadietti, succeduti da una porta. Davanti a lei una scrivania con due sedie e due finestre alle pareti.
Quasi attirata, questa volta per suo desiderio, si avvicinò ai giacigli. Ai piedi di ogni letto vi erano scritti dei nomi. Proprio a quelli attaccati vi era scritto “Myrillina”, su quello più vicino all’entrata ed “Elarina”. Il suo istinto fu quello di gettarsi semplicemente su di esso. Essendosi presentata la possibilità di riposare, tutti gli altri pensieri se ne andarono e si rese conto che le fossero rimaste davvero poche energie.
«Se desiderate dormire, nei vostri armadietti vi sono dei pigiami. Vi basterà aprirli e toccarli.»
Suggerì loro la vocina che rimbombava nelle loro teste. Anche sugli armadietti vi erano scritti i nomi. Margherita fu la prima a raggiungere il suo, anche lei desiderosa di coricarsi. La seguì Enzo lentamente, muovendosi come una zombie. Aprì il proprio, vi era solo un indumento all’interno, appunto un pigiamino rosa, col colletto ondulato. Fece per prenderlo, ma appena lo toccò questo scomparve. Le ci vollero una ventina di secondi per capire di avercelo addosso e che l’abito indossato fino a quel momento fosse su un attaccapanni. Pure le sue trecce erano state sciolte!
Chiuse pigramente la porticina.
Non le importava più niente per il momento; faceva pesino fatica a tenere aperti gli occhi rosati. Con gli ultimi passi raggiunse il proprio letto e si gettò su esso. Margherita spense la luce, sciolse i teli del proprio baldacchino e si distese a sua volta. Chiusero gli occhi. Erano talmente stanche!
«Buonanotte.»
Disse loro la vocina.
Dopo poco, Elarina e Myrillina presero sonno.

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