Aconito e Sangue di Drago

di EmmaJTurner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Asfodelo ***
Capitolo 3: *** Artemisia ***
Capitolo 4: *** Achillea ***
Capitolo 5: *** Sambuco ***
Capitolo 6: *** Lavanda ***
Capitolo 7: *** Verbena ***
Capitolo 8: *** Ruta ***
Capitolo 9: *** Belladonna ***
Capitolo 10: *** Stramonio ***
Capitolo 11: *** Aconito ***
Capitolo 12: *** Sangue di Drago ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Anja vide il drago troppo tardi, e ciò accadde per due motivi. 

Primo: Anja era scesa lungo il fiume invece che dalla strada maestra. Sapeva che nel bosco di faggi nella valle tra i monti del Costoia e del Jau avrebbe trovato potentilla in abbondanza, e aveva ragione: ora la sella di Miles, il suo attuale cavallo, traboccava di mazzi di piccoli fiori gialli che, una volta venduti a Berg, le avrebbero gonfiato le tasche di qualche gradito navok in più.

Secondo: Anja era distratta. Mancavano solo due giorni alla luna piena e lei non aveva ancora trovato uno straccio di ammazzamostri che le facesse da scorta alla raccolta di sambuco; di conseguenza stava rimuginando su dove recuperare un accompagnatore decente. Non le andava per niente di dover aspettare un altro ciclo lunare.

Era quindi scesa lungo il fiume, il fiume si era tramutato in lago e puff: il drago era lì, seminascosto tra gli alberi a bere l’acqua della sponda opposta, enorme e maestoso come solo i draghi di montagna sanno essere.

Dopo un primo momento di ragionevole spavento, Anja si disse che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Certo, era inusuale trovare un drago delle montagne così in basso nella valle, ma gli attacchi alle persone erano rari - e perlopiù giustificati, si disse. Lei non aveva nessuna intenzione di derubare un drago di montagna del suo sangue o del suo oro - era più furba di così - quindi poteva procedere senza timore. Giusto? Giusto.

Anja si lambiccò osservando il drago che beveva dal lago. Doveva essere alto almeno quattro metri. Il corpo imponente era coperto di scaglie bianco-grigie, lo stesso colore della pietra di quelle montagne, e l’enorme testa con quattro corna era immersa per metà nell’acqua color smeraldo. Al momento non la stava guardando, grazie al cielo.

Il cavallo le diede un gentile colpo sulla schiena, invitandola a proseguire. Anja si convinse che se Miles era placido, poteva esserlo anche lei. 

Studiò il cielo azzurro tra le fronde sopra di loro e prese una decisione: drago o non drago, non c’era tempo da perdere. Doveva arrivare a Berg prima del tramonto. Afferrò le briglie del cavallo e, fiduciosa, avanzò di un passo.

Un ramoscello si ruppe. Il drago sollevò la possente testa dall’acqua e guardò nella sua direzione. 

Anja si raggelò. Ma, invece del terrore, un inadatto senso di pace la invase, scaldandole le punta delle dita. Stralunata, sbatté gli occhi mentre sentiva i muscoli distendersi e sciogliersi come sotto i raggi del sole dopo una nuotata nell’acqua fredda. La testa le si fece leggera e inconsistente; i pensieri vorticarono e si disfarono come sabbia. 

Aveva sentito dire che a volte le bestie magiche potevano fare quell’effetto. La vista le sfavillò ai lati del campo visivo, mettendo a fuoco solo il drago che la fissava con occhi verde chiaro - da gatto, più che da rettile. La sensazione si fece più intensa. Una sensazione di bevanda calda dopo una lunga giornata nella neve, di confortante nebbioso torpore, di leggerezza e pienezza insieme.

Anja intuì che quella poteva essere un’ottima strategia di caccia, ma non provò paura. Era troppo tardi: si sentiva intorpidita, leggera e piena di luce. Almeno, sarebbe morta felice.

Ma non accadde nulla. Dopo quelle che parvero ore, il drago scosse la testa e si ritirò nel bosco. 

Lentamente, il piacevole calore l’abbandonò, e i pensieri tornarono a fluire con ordine. Un brivido ruvido le corse lungo la schiena. Che diavolo era successo? Anja si passò una mano sul viso e si alzò. Non si era nemmeno accorta di essersi seduta.

Si mise in ascolto, ma nulla di minaccioso sembrava muoversi nel bosco. Solo il quieto cantare degli uccelli, e il lontano rumore del fiume che saltava in piccole cascate.

“Ce la siamo rischiata grossa qui, Miles” disse al cavallo, dandogli un colpetto affettuoso sul collo. 

Anja rimontò in sella e si avviò in silenzio, senza riuscire a scrollarsi di dosso la sensazione di essere osservata.

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Capitolo 2
*** Asfodelo ***


Asfodelo

Asfodelo: pianta erbacea commestibile alta circa un metro, con un fiore bianco a forma di spiga. Fiorisce in primavera e cresce felice nei prati soleggiati. La sua radice è la base per le pozioni rinvigorenti e con le foglie si ottiene un mediocre disintossicante.

I campi da pascolo attorno a Berg erano ottimi per raccogliere l’asfodelo: Anja ne aveva legati grandi mazzi sulla sella di Miles e ora si godeva il sole sdraiata sull’erba tiepida di fronte ad uno stagno per le vacche. Masticava foglie di pimpinella e osservava le montagne.

I monti della Catena Bianca si ergevano diritti contro il cielo perfettamente limpido, così vicini che si poteva vedere la poca neve rimasta congelata all’ombra dei canaloni. Alla base delle pareti rocciose partivano ripidi ghiaioni che si perdevano in un susseguirsi di colline boscose e pascoli erbosi. Il sole, ancora alto nel cielo, colpiva le vette pallide facendole scintillare di un bianco accecante.

Anja, piacevolmente abbronzata e soddisfatta, si mise a sedere e tirò fuori la lista. Asfodelo, artemisia, achillea, sambuco, stramonio, verbena, belladonna, aconito, sangue di drago. 

Asfodelo, c’è. Artemisia, c’è. 

Si stiracchiò e rificcò la lista dentro una delle mille tasche della sua gonna. Fece per alzarsi, ma qualcosa si mosse nello stagno davanti a lei. Anja inclinò la testa e studiò sospettosa la superficie ricoperta di alghe verdi. C’era una specie di protuberanza, come un corno. Era forse…?

Due occhi gialli spuntarono dall’acqua opaca. 

Oh merda.

Anja incespicò e cadde all’indietro mentre l’enorme rosperonte emergeva dallo stagno. Era un rospo immenso, dalla pelle marrone e butterata, con un corno coriaceo in mezzo al brutto muso imbronciato. Il mostro sbatté gli umidi occhi gialli. Anja si alzò rapida e se la diede a gambe.

Non vide Miles, ma non se ne preoccupò: il cavallo aveva un istinto di autoconservazione molto più pronunciato del suo, quindi probabilmente si era già volatilizzato da un pezzo.

Udì lo sciabordio di una poderosa massa d’acqua che si spostava. Non fu necessario voltarsi per sapere che era il rospo gigante che stava uscendo dallo stagno. Anja corse più veloce, ma cadde faccia a terra: qualcosa le aveva afferrato la caviglia.

Merda, merda, merda.

Anja estrasse il piccolo coltello da erbe e infilzò con decisione la lunghissima lingua rosa che le avviluppava la gamba.

Ma la lingua non sanguinò e non mollò la presa. Il rospo emise un cavernoso gracidio infastidito che non prometteva nulla di buono. Anja afferrò la lingua viscida con entrambe le mani, ma non riuscì a liberarsi. Venne trascinata velocemente verso il mostro. Tentò di aggrapparsi alle rocce del declivio erboso, ma la bava del rospo le aveva reso le mani inutilmente scivolose.

A pochi metri dalla bocca spalancata del rosperonte, pronta a diventare la sua cena, Anja chiuse gli occhi. E tutto fu buio.

***

Dentro la bocca mostro c’era un tanfo ributtante. Ora libera dalla lingua prensile, Anja piantò i piedi sul fondo umidiccio e trafisse il rospo sul palato prima che la ingoiasse. Un fiotto di liquido caldo le schizzò addosso, e il mostro emise un gorgoglio dolorante che le fece vibrare le dita strette al manico del coltello. Poi Anja si accovacciò e si scagliò contro le labbra mollicce. Il mostro sobbalzò e la sputò con forza.

Anja rotolò sulla collina erbosa e ricadde sulla schiena, ansante. Il rosperonte gracidò rabbioso e la seguì con incedere flaccido e pesante.

La donna si rialzò e si voltò ad affrontarlo. Era chiaro che non avrebbe potuto correre via abbastanza in fretta… maledetta lingua lunga. Pulendosi le mani viscide sulla gonna per non perdere la presa sul coltello, Anja si mise in posizione.

Schivò il primo attacco di lingua, poi il secondo; fece tre rapidi passi e saltò sopra il muso della bestia. Si aggrappò al corno e infilò il coltello nell’occhio di destra. Il mostro, trillando di dolore, si dibatté e la scagliò all’indietro.

Per un attimo senza peso, Anja perse la percezione del sotto e del sopra. L’impatto con l’acqua dello stagno fu doloroso. Anja sprofondò per parecchi metri prima di riuscire a ritrovare la forza di dibattersi e risalire. Riemerse tossendo e lacrimando, con la bocca piena di acqua fangosa.

Il rosperonte avanzava ora minaccioso verso lo stagno. La pelle grassa e orribile gli ballonzolava addosso. La fissava truce con l’unico occhio buono; nell’altro era rimasto conficcato il coltello.

Anja prese un respiro ansioso e cercò di avvicinarsi alla riva. Se quel mostro riusciva a entrare in acqua, per lei era la fine.

Un orrendo rumore di carne lacerata la bloccò nel bel mezzo di una bracciata. Si fermò e vide il rospo voltarsi verso qualcosa - Miles? - no, era qualcuno.

Anja riprese a nuotare con rinnovato rigore. Pregò Dio e, nel dubbio, anche gli altri dèi. Forse non sarebbe morta nemmeno quel giorno.

Strisciò in ginocchio fino alla riva fangosa e vide un uomo armato di spada schivare un attacco del rosperonte. Lo sconosciuto saltò di lato e tranciò di netto la lunga lingua rosa che era saettata verso di lui. Il mostro gracidò inferocito, scosse l’enorme corpo molliccio e lo caricò; l’uomo scartò di lato con eleganza, piegando la lama di lato e squarciando il fianco del rospo gigante.

Anja lo ammirò immagata. Da dove era spuntato fuori, quello? L’agilità, la tecnica. Era perfetto. Esattamente quello che le serviva.

Lo sconosciuto balzò agile sopra la testa del mostro proprio come aveva fatto Anja: ma la spada fu decisamente più efficace del piccolo coltello da erbe della botanica. La donna si fece un appunto mentale per cominciare a tirare di scherma.

Infilzato nel cervello, il rosperonte gorgogliò, si dibatté e, infine, si accasciò allargandosi al suolo in una massa flaccida e informe.

L’uomo estrasse la spada lorda di sangue viola e tornò con un agile salto sulla collina erbosa. 

Ricoperta di fango e bava, Anja si tirò in piedi. Si sentiva ammaccata, dolorante, e aveva in bocca un sapore ferroso.

Lo sconosciuto la studiò dalla testa ai piedi con espressione diffidente. Anja sentì i muscoli rilassarsi a quell’ispezione, e ricambiò lo studio. L’uomo aveva i capelli grigi, ma un viso sbarbato e senza rughe. Diversi orecchini d’oro gli brillavano su entrambi i lobi. Gli occhi erano chiari, seri, scrutatori; la bocca una linea dritta e severa. Non doveva avere più di trent’anni. Indossava abiti semplici: un farsetto da viaggiatore, pantaloni e stivali. Ma ad Anja non sfuggì l’elsa dorata della spada.

“Non sei ferita”. Non era una domanda.

“No” confermò Anja, incerta. “E... grazie”.

L’uomo annuì e si chinò per pulire la spada insanguinata sull’erba. 

La mente di Anja corse veloce. Era un ranger? Un cacciatore, magari? Un mezzelfo prezzolato? Di certo non era la prima volta che accoppava bestie grosse come carri: su questo ci avrebbe scommesso. Ma allo stesso tempo aveva un’aria aristocratica atipica per un furfante di strada, e non la stava fissando con gli occhi avidi di un cane affamato. Decise che era un rischio che poteva correre.

“È il tuo lavoro?” chiese. 

Lo sconosciuto non la guardò. “Cosa?”.

“Uccidere mostri”.

“No”.

Anja aveva forti dubbi al riguardo. L’aveva visto combattere. Era ben impostato, aveva una tecnica precisa, ed era veloce: pareva proprio un ammazzamostri coi controcazzi. 

“Posso pagarti”.

Per un attimo, l’uomo smise di pulire la spada. Poi riprese: “Non voglio i tuoi soldi”.

“No, intendo: voglio assumerti.” 

Lo sconosciuto alzò gli occhi, stupito. “Cosa?”

“Assumerti. Ho delle… cose da fare, nei prossimi giorni. E per farle mi serve protezione. Di solito assumo un ammazzamostri locale; costa caro, ma conosco i miei limiti. E i licantropi sono molto al di là delle mie capacità. Capacità che tu…” fece un gesto verso la spada “chiaramente hai”.

“Licantropi”. 

“Sì. Sono in calore. Difficili da prevedere”.

L’uomo non disse nulla. Fissava un punto imprecisato alla sinistra di Anja, meditabondo. Anja osservò la spada con l’elsa d’oro, le gambe muscolose, le spalle larghe. Sì, lui sarebbe andato benissimo. 

“Ti pagherò” continuò. “Non oggi, ma tra tre giorni sono attesa da una mia cliente, una strega che vive a Oswald. Se verrai con me avrò allora abbastanza soldi per pagarti tutti i giorni di servizio…” Anja fece un ampio gesto a indicare il fango che la ricopriva “oggi compreso”.

Questo sembrò convincerlo. Si accordarono per il pagamento e per la strada da percorrere fino alla città.

È stato facile, rifletté Anja, scegliendo di ignorare la celerità sospettosa con cui l’uomo aveva ceduto alla sua richiesta. Le serviva un ammazzamostri, e le serviva in fretta: avrebbe dovuto farselo andare bene.

Si udì un lieve sbuffare e Anja si voltò per vedere ricomparire Miles in cima alla collina. Il cavallo, rilassato e soddisfatto, si mise a brucare l’erba vicino all’ammasso del rosperonte morto. Inutile cavallo. 

Se Miles era ricomparso, il coltello che Anja aveva conficcato nell’occhio del mostro invece era sparito; doveva essere saltato via nella colluttazione con il nuovo arrivato. Peccato, era il suo preferito. La donna sospirò e tirò fuori un secondo coltello, più piccolo. Chiedendosi distrattamente come diavolo fosse arrivando un rosperonte lì alle porte di Berg, Anja si avvicinò alla carcassa. Con perizia chirurgica estrasse dall’orbita molliccia l’occhio buono e lo avvolse in un panno pulito. Lo mise con cura nello zaino pensando che tutto sommato non le era andata male: un occhio di rosperonte Victor gliel’avrebbe pagato bene.

Poi si tolse la gonna e si lavò alla bell'e meglio nello stagno delle vacche. Immerse i capelli nell’acqua verdognola e cambiò gli abiti luridi con gli unici altri che aveva a disposizione nel suo bagaglio. Non doveva essere un bel vedere, ma sempre meglio che tenersi addosso il tanfo di rospo morto.

Lo sconosciuto l’aveva aspettata di fianco al proprio destriero, un bel cavallo baio, senza mai guardare nella sua direzione. Anja lo osservò di soppiatto e pregò di non aver riposto male la sua fiducia.

“Come ti posso chiamare?” gli chiese, salendo a cavallo.

L’uomo parve sorpreso da quella domanda, fece un colpo di tosse, e poi pronunciò un insieme di suoni e sillabe incomprensibili. Colse subito il dilemma nell’espressione della ragazza. “Le lingue del nord sono complesse" concesse. Montò anche lui la sua cavalcatura. “Una traduzione approssimativa potrebbe essere “Colui che segue le tracce”.

Anja rifletté. “Come si dice “tracce” nella tua lingua?”

Lo sconosciuto disse qualcosa che suonava come “Rivensheghedre”.

“Uhm, no. Ancora troppo lungo. Che ne dici di Riv? Riven?”

“Riven andrà bene, immagino”.

Il sole stava tramontando dietro le colline. Non ci avrebbero messo molto ad arrivare alla Croxera, la locanda all’incrocio prima di Berg, ma dovevano darsi una mossa.

Mentre osservava il cielo farsi lilla e arancione, e il vento profumato di abete rosso le asciugava i capelli, Anja pensò che era piacevole essere ancora vivi. 

I due neo compagni di viaggio si incamminarono, fianco a fianco, lungo la strada.

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Capitolo 3
*** Artemisia ***


Artemisia

Anja cominciava a sospettare che Riven non fosse del tutto umano. Alla locanda lo fissavano tutti e, in effetti, c’era di che fissare.

Intanto, nonostante i capelli grigi tagliati male, Riven era bello. Il suo viso era regolare, senza una macchia, un brufolo, una cicatrice. E la cosa si notava particolarmente in confronto alla gentaglia butterata che frequentava la taverna. 

Secondo, Riven indossava un’eccessiva quantità di oro per essere un normale viandante. Cerchietti d’oro e pietre preziose alle orecchie, catenine d’oro che si intravedevano sotto il colletto aperto della camicia e, Anja lo notò quando si tolse i guanti per mangiare, indossava anelli d’oro in quasi tutte le dita.

Infine, Riven non guardava nessuno. Il suo sguardo era perennemente fisso a destra o a sinistra della faccia del suo interlocutore. Il che, pensava Anja, poteva farlo rientrare nella categoria di certi incantatori, delle driadi o delle sirene.

Durante il viaggio verso la locanda, Riven era riuscito nella sottile arte di rispondere a tutte le sue domande senza rispondere veramente, il che aveva divertito e infastidito Anja in egual misura.

Da dove veniva? Dal nord. Che lavoro faceva? Quello che capitava.

Il rumore di un vetro in frantumi la riportò al presente. La locanda all'incrocio era il solito guazzabuglio di mercanti, viaggiatori e prostitute. C’era un gruppo di elfi oscuri in un angolo, i loro occhi truccati di nero, e al tavolo di fianco uno stregone discuteva con un tizio con un furetto attorno al collo. Il solito, insomma.

Anja bevve un sorso di birra e riportò l’attenzione sull’uomo di fronte a lei.

“Allora. Ci sono cose utili che dovrei sapere su di te?”. 

Riven non si mosse. Guardava un punto imprecisato tra la testa di Anja e il corridoio. “Dipende da che cosa vuoi sapere”.

Ovviamente. Sia mai farla facile.

“Come te la cavi con piccoli incantesimi? Hai già affrontato fantasmi, vampiri o licantropi?”

Riven ci pensò su. “Me la cavo. E so come trattare la maggior parte delle creature magiche”. 

Anja osservò lo scintillare dei suoi anelli, cercando un emblema, un simbolo, qualcosa che le dicesse di più su quell’uomo che giocava a fare il misterioso. “Sai guarire ferite magiche?”.

“Non bene come una persona addestrata a farlo, ma sì”.

“Incantesimi di protezione?”.

“Solo di piccolo raggio”.

“Arco e frecce?”.

“Non è la mia dote migliore”.

“Qual è la tua dote migliore?”.

“Non rivelare qual è la mia dote migliore”.

Aspetta aspetta. Era forse una battuta? Anja si morse l’interno della guancia. Riven non la guardò, ovviamente, ma fece un mezzo sorriso verso il bancone della taverna. 

Ah, ma allora ce l’ha un’anima! Anja, soddisfatta, nascose il suo, di sorriso.

“Olalà, ma chi si vede!” il garzone del locale, Eric, si parò di fronte al loro tavolo con le mani sui fianchi, alto e compiaciuto. Studiò Anja e fece una smorfia. “Ma che hai fatto ai capelli? Sei orrenda”.

“Come sempre, Eric, non sono fatti tuoi”. 

Non si meritava la storia della sua avventurosa discesa nel vulcano di Hekla, che le aveva bruciato capelli, sopracciglia e una parte consistente del suo bagaglio. Grazie a Dio adesso le sopracciglia erano ricresciute, ma i capelli raggiungevano a malapena le spalle in ciocche scomposte.

“Bè, quando ti cresceranno di nuovo, fai un fischio. Il mio letto è freddo e vuoto senza di te” le fece l’occhiolino e le diede un buffetto sulla guancia. 

Anja si ritrasse con un naturale moto di disgusto. Lo guardò allontanarsi baldanzoso per andare a importunare altri clienti. “Blah” commentò. 

Guardò Riven. Se anche lui aveva dei commenti onomatopeici da fare in proposito, non li fece; ma il sorriso di poco prima era sparito. 

***

La sua camera in quella bettola era sempre la stessa: seconda porta a destra, quattro letti di paglia, un focolare, un tavolino con due sedie. Una reggia, in confronto ad altre topaie in cui era solita dormire.

Chiese a Riven di accendere il fuoco mentre lei si cambiava. Dopo qualche minuto però, lo trovò ancora a fissare il focolare spento.

“Tutto a posto?”.

Silenzio. Riven sembrò alle prese con una lotta interiore. “Non so come fare” ammise infine.

Anja nascose un sorriso e non disse nulla per non ferire il suo ego. Prese la piccola pietra focaia in dotazione, le sterpaglie secche posate in un angolo, e attizzò il fuoco.

In silenzio, guardarono le fiammelle prendere vita.

Anja si voltò verso di lui e cercò di metterla giù nel modo più delicato e meno razzista possibile. “Tu non frequenti molto… queste zone, vero?” 

Lui parve ancora più irritato di essere stato colto in fallo. Fissò le fiamme, poi il muro. “No. Non frequento… queste zone” rimarcò. 

Anja colse l’innuendo, e capì che lui aveva capito che lei aveva capito. Alzò le mani in segno di pace. “Ok, ok. Non è un problema”. Gli sorrise incoraggiante. “Ti guiderò io per le cose essenziali”. L’irritazione non lasciò il suo viso, ma le parve un po’ meno preoccupato.

Si misero d’accordo per un paio di consegne che Anja doveva fare il giorno seguente e si infilarono nei due letti più vicini al calore del fuoco. 

“Buonanotte” disse Anja. 

Lui non rispose. Fissava il soffitto; Anja vedeva il suo profilo rosseggiante alla fiamma del camino.

Anja apprezzò molto che lui non la considerasse nemmeno. In genere gli altri ammazzamostri ci provavano a recuperare una sveltina, e lei doveva rimetterli al loro posto a ginocchiate sui genitali. Questa era un’interessante novità.

Anja, sentendosi estremamente rilassata, si addormentò.

***

“Non pagherò più di sei navok per questa robaccia”.

Anja richiamò a sé tutta la pazienza di cui era capace. Studiò per un lungo momento la donna davanti a sé: i dreadlocks biondo sporco annodati in cima alla testa, i piercing sul naso e sul labbro inferiore, i tatuaggi sul collo e sulle mani che indicavano la sua appartenenza al clan di Neo, le unghie affilate. Tutto in lei gridava: attenzione, vampiro.

Anja serrò la mascella in un sorriso cordiale che non raggiunse gli occhi. “Allora non abbiamo un accordo”. Agguantò le fiale allineate sul tavolo e le rificcò nella borsa con malcelato fastidio. 

La vampira non si mosse, lo sguardo sdegnoso. 

Anja non si premurò di salutare e si avviò verso l’uscita. Non vedeva l’ora di andarsene, in realtà: la comune in cui viveva il clan dei vampiri di Berg era male illuminata e odorava di muffa. Oltre ad essere intrinsecamente inquietante, essendo il domicilio di una decina di creature che si nutrivano di sangue umano.

“Non badare a Clio” la fermò una voce suadente. 

Anja, una mano già sulla maniglia, alzò gli occhi al cielo e si voltò.

Un vampiro alto, scuro e spettinato si fece avanti. Barba lunga, occhi spiritati, un sorriso indolente e tatuaggi dal collo in giù: Neo.

“Ecco i tuoi dodici navok” le disse, allungandole i soldi.

“Era ora”. Anja afferrò i soldi e consegnò la merce: sei fiale di liquore di artemisia. Il liquido rosso scuro sbandò e ondeggiò quando Neo ne sollevò una davanti al viso. Alla ragazza non sfuggì la patina opaca che copriva le iridi del vampiro. Si era fatto da poco.

“Clio non è… in questo stato” le sorrise Neo, i canini scintillanti nella semioscurità “da abbastanza tempo da saper riconoscere un distillato fatto come si deve. Ma io sì”. Il vampiro si mosse verso di lei. “E so bene che la nostra piccola Anja è tra le migliori a procurare… quello che serve” scandì, faccia a faccia. Un fetore metallico le colpì le narici, ma Anja non indietreggiò.

“Grazie, Neo. È sempre un piacere fare affari con voi”.

Neo le sorrise, lento e indolente come un gatto. “Piacere mio. E mi serviranno altre fiale per il prossimo mese”.

“Puoi contare su di me”.

“Splendido. Sai che sono sempre felice di averti qui. Il tuo sangue ha un odore delizioso”.

“Non è la prima volta che me lo dicono”.

“Splendido”.

Una volta fuori, Anja si scrollò di dosso il senso di disagio come un cane bagnato. Riven la stava aspettando appoggiato al muro, braccia incrociate e sguardo fisso sul selciato.

“Fatto?” le chiese.

Anja gettò un’occhiata a Neo che la salutava pigramente dall’uscio. “Fatto”.

Anche Riven guardò verso la comune. “Che se ne fanno i vampiri dell’artemisia?”

“Con l’artemisia si fa un liquore vagamente neurostimolante che i vampiri usano per allungare il sangue umano, che costa molto caro - e che io non vendo, ovviamente; non sono ancora così disperata” spiegò lei, scansionando la sua lista. 

“Ottimo” disse Anja. “Ora dobbiamo andare da Victor. Da questa parte”.

Si incamminarono verso il centro del paese. Berg era un piccolo paesotto di montagna, con case bianche, spioventi tetti di legno e vasi di gerani alle finestre. Essendo al centro di una valle stretta e lunga, era tappa obbligata per gli uomini e le donne che scendevano regolarmente dal nord, nonché rifugio per molti non-umani stufi di vagare per le montagne limitrofe. 

Passando per il centro, furono obbligati ad attraversare il mercato. Anja ne approfittò per comprare il pranzo e occhieggiare alcune collane in vendita. Riven quasi si lasciò convincere da una vecchia driade incappucciata ad acquistare un amuleto contro il malocchio. Anja lo trascinò via. 

Victor era il farmacista e chimico locale, un grazioso vecchietto con gli occhiali tondi e una passione per le bestie in salamoia, che teneva in esposizione sullo scaffale dietro il bancone del negozio. 

“Hey, Victor” salutò Anja al suono della campanella d’ingresso; Riven entrò dietro di lei.

Victor era seduto dietro il bancone. Alzò gli occhi lattiginosi dal taccuino che stava compilando e le fece un flebile sorriso. “Anja carissima! Che piacere rivederti”.

Il negozio era stipato di ogni genere di strumenti e ingredienti utili per uno speziale. Oltre i barattoli con le bestie in salamoia - vipere, rane, uova di dubbia provenienza - Victor teneva in bella vista vasi, mortai, torchi, bilance, scartole, ceste di vimini, bottiglie, alambicchi, spatole; e poi barattoli ricolmi di spezie, mazzi di erbe essiccate, succhi e sciroppi e oli, pozioni e unguenti, funghi secchi e frutta disidratata. 

Anja strinse la mano che l’uomo le porgeva. “Ti ho portato l’asfodelo che mi hai chiesto - e ho anche una sorpresa". Anja tirò fuori l’occhio di rospedonte avvolto nel fazzoletto e lo porse all’uomo. 

Victor si aggiustò gli occhiali sul naso e prese il pacchetto. 

“Oh. Oh. È assolutamente perfetto” disse dopo averlo svolto e osservato controluce. “Dove l’hai trovato?”

“Sai che non rivelo i miei segreti. E poi…” Anja guardò in modo eloquente Riven al suo fianco “non è un luogo in cui consiglierei di andare da soli”.

Victor posò l’occhio sul bancone e studiò Riven da sopra gli occhiali. “Un nuovo ammazzamostri, eh?”.

Riven fece un cortese cenno di capo.

“Bene, bene. Sono contento che prendi le tue precauzioni, Anja. Se ne sentono sempre di peggio, ultimamente”. Trafficò un po’ alla cassa per prelevare i soldi.

“Sono quattro per l’asfodelo, e… quindici per l’occhio di rospedonte?”

“Un occhio di rospedonte perfetto”.

“E venti sia. Tieni, ventiquattro navok”.

Anja consegnò l’asfodelo e arraffò i soldi, che infilò nel borsello che teneva sotto il corsetto.

Victor osservò i grossi mazzi e annuì soddisfatto. “Bene, bene. Tu sì che sai cosa vuol dire lavorare, Anja. Non come quello scellerato di La Mora, che ha tentato di rifilarmi del crocus sativus al posto dello zafferano”.

“Lascia perdere La Mora, è un idiota e un truffatore”.

Victor scosse la testa. “Ah, non avere più le gambe per raccogliere io stesso le erbe come quando ero giovane!”

“Sono io le tue gambe” replicò Anja “E le tue mani, e i tuoi occhi. Basta che mi dici cosa ti serve, e io te lo porterò”.

Victor le sorrise e posò una mano rugosa sulla sua. Poi si rivolse a Riven: “Tienicela al sicuro, ammazzamostri. Anja è una persona perbene. Una delle ultime rimaste, temo”. 

La porta sul retro si aprì con un cigolio. Una testa sbucò dall’uscio, guardò dentro il negozio e subito si ritrasse.

“Jolene, tesoro, entra” disse Victor con voce dolce. “È solo Anja con il suo accompagnatore”.

La testa apparve di nuovo, seguita dal corpo di una ragazzina vestita alla montanara. Teneva gli occhi bassi e un folto ciuffo di capelli castani le copriva la parte sinistra del viso. 

Victor frugò sotto il bancone. Ci fu un tintinnio di vetri spostati. “Ecco qui” disse infine, rialzandosi. Porse alla fanciulla un’ampolla con un liquido giallo chiaro all’interno.

Anja sapeva cos’era quell’ampolla. Lanciò un’occhiata discreta alla ragazza che stava già nascondendo la bottiglia sotto il mantello, e lo vide. Il marchio dei licantropi le segnava la guancia sinistra, una grossa X che le deturpava il viso dallo zigomo alle labbra.

La ragazzina mormorò un ringraziamento e si dileguò da dove era arrivata.

Victor scosse la testa “Che disgrazia”. 

Anja non commentò. Acquistò dell’unguento di achillea e chiese se aveva ancora disponibile del sangue di drago.

“Sangue di drago? No, mi spiace cara. Rogart non me l’ha più portato. Introvabile ultimamente, dice”.

“Non fa niente”. Anja salutò Victor e uscì dal negozio. 

***

Anja aveva terminato le sue consegne a Berg. Recuperarono cavalli e bagagli e si avviarono lungo la strada principale che costeggiava il fiume al centro della vallata.

Finalmente lontani dal rumore e dall’odore della gente, Anja inspirò l’aria profumata di pino e di acqua di sorgente e si sentì subito meglio. Accarezzò la criniera grigia di Miles e gli fece pat pat sul collo.

“Quindi, è questo che fai?” la sorprese Riven. Stava diventando sempre più ciarliero, pensò Anja. Il che era positivo; lei amava parlare. Poteva parlare per ore.

Anja lo guardò. “Che intendi?”

“È questo il tuo lavoro?” chiarì lui.

“Ah. Bè… sì. Sono una botanica. Raccolgo erbe magiche e officiali e le vendo a chi ha soldi per comprarle. Maghi, streghe, guaritori, chimici, vampiri - ormai ho una lista di clienti abituali piuttosto lunga”.

“E ti piace”. Non era una domanda.

“Mi piace” rispose comunque Anja.

Riven annuì, pensoso. Anja cercò di interpretare il suo silenzio e fallì. Non capiva niente di quell’uomo. Nascondeva qualcosa, era chiaro, ma Anja non aveva idea di dove partire per sbrogliare quella particolare matassa di capelli grigi e orecchini d’oro. E sì che di persone strambe, in vita sua, ne aveva incontrate parecchie.

“E il tuo, di lavoro?” tentò, poco fiduciosa di scoprire qualcosa di utile.

“Al momento sono impiegato come ammazzamostri per tenere al sicuro una persona perbene”.

Anja, suo malgrado, ridacchiò. “Ah, capisco. Nobile causa. Spero che sia altrettanto di tuo gradimento”.

“La paga è buona. E finora ho dovuto solo infilzare un rospo gigante e fare una passeggiata al mercato”.

“Un sogno. Fammi sapere se si aprono nuove posizioni”.

“Lo farò”.

Anja, stupita, sorrise di nuovo. Aveva apprezzato il sommesso tentativo di scambio di battute. 

Riven la guardò - no, non negli occhi, ovviamente: perlopiù nella zona mento/collo - per un attimo. Aveva un mezzo sorriso sulle labbra.

Le chiacchiere, lo scroscio del fiume, il profumo del bosco d’estate. Anja si sentì di buon umore.

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Capitolo 4
*** Achillea ***


Achillea

“Senti che ti stai guadagnando la paga, ammazzamostri?”

Anja sorrise tra sé nel sentire Riven sbuffare e imprecare sottovoce. Ci fu uno sbattere d’ali e un orrendo rumore di carne tranciata.

Anja saggiò la parete di roccia a cui era appesa in precario equilibrio. Non avrebbe detto a Riven che aveva scelto quel dungeon esclusivamente per valutare il suo potenziale sul campo. Non che il rosperonte non fosse stata una prova sufficiente, ma Anja preferiva essere certa che non si fosse trattato di uno sfacciato colpo di fortuna.

E il primo livello del dungeon di Lavik, gremito di chiropti rossi, faceva al caso suo. Che poi fosse anche pieno di agaricus rosa delle grotte, piccoli funghi eduli fondamentali per la creazione del famoso unguento, era solo un piacevole plus.

Un fendente mosse l’aria nel buio. Un tonfo. “Comincio a pensare che avrei dovuto contrattare il salario” borbottò Riven tra i denti. 

“Per due pipistrelli…” lo stuzzicò lei, frugando tra gli interstizi delle rocce sopra la sua testa. Trovò i funghi che cercava; li colse con delicatezza e li infilò nello zaino che teneva legato alle spalle.

Con un frullio di ali e uno strepito, Anja sentì un’altra bestia cadere sotto la spada di Riven. Si disse che poteva considerarsi soddisfatta. Nessun mostro volante e non era riuscito ad avvicinarsi a lei.

“Ho finito” annunciò la ragazza, lo zaino pieno e pesante sulla sua schiena; scese dalla parete di roccia e balzò a terra. Il pavimento della grotta era ricoperto di cadaveri di creature rosse con ali di pipistrello e grossi musi da zanzara. Anja li saltò via e si diresse verso l’uscita dal dungeon.

Una volta fuori, nel bosco, Riven si mise a pulire la spada. Aveva schizzi di sangue sul viso e sulla camicia, in netto contrasto con il chiarore della sua pelle e il grigio argento dei capelli.

Anja pensò che quell’aspetto impetuoso gli donava. Soffocò quel pensiero con forza e cercò con sguardo una roccia che poteva fare al caso suo. Vi si abbarbicò sopra e studiò il suo bottino di funghi rosa. Non male, non male. Canticchiando, estrasse un coltello da erbe e si mise a curare i funghi.

“Merda”.

“Cosa?”.

“Mi sono tagliata”.

Riven le si avvicinò. “Mi stai dicendo che ho assassinato quattro generazioni di chiropti per proteggerti, e tu sei riuscita a farti male lo stesso?”.

Anja fece un colpo di tosse simile ad una risata. “Questo coltello fa schifo”.

“Usane uno che non fa schifo”.

“Quello che non fa schifo è rimasto dentro il cadavere di un rospo gigante”.

Entrambi osservarono in silenzio il sangue che scorreva cremisi dal suo pollice, imbrattando il coltello e il fungo rosa che aveva in mano.

“Fammi vedere” sospirò Riven, prendendole la mano ferita tra le sue. I guanti di pelle che indossava erano lisci e freddi al tocco.

Riven osservò la ferita per un lungo momento. Anja non disse niente, incerta su cosa lui volesse fare. Sembrava star combattendo una difficile battaglia interiore. Anja sentiva l’ombra del suo sguardo inquieto sul palmo della mano. 

Con un altro sospiro, Riven si tolse il guanto destro e, in un baluginio di anelli d’oro, posò le dita sulla ferita. Un brivido caldo risalì il braccio di Anja. I muscoli di tutto il corpo si distesero. 

Poi Riven mormorò una parola e Anja sobbalzò. Una scossa di energia le aveva attraversato la mano.

“Ma cos…”

Il taglio si era richiuso. 

“Oh. Oh”.

Riven si rinfilò il guanto.

Anja rigirò la mano e mosse le dite. Non sentiva più nulla. Era come se il taglio non ci fosse mai stato. “Questo che è una dote degna di nota!”  gli disse, sinceramente colpita.

Lui non rispose; fissava il bosco con espressione indecifrabile. Anja sentì di nuovo il morso della curiosità. Chi era quell’uomo?!

“Sai Riv, comincio a pensare che tu sia un tipo utile da avere attorno” buttò lì, cercando di provocare una risposta polposa.

“E io comincio a pensare di aver accettato questo incarico con troppa leggerezza, visto la mole di guai che sembri attrarre”.

Anja si inalberò. “Io non attraggo…” 

Riven fece un mezzo sorriso e la lasciò cianciare e insultarlo finché non fu esausta. 

***

Si rimisero in viaggio verso sud. Anja aveva decine di domande affastellate sulla lingua, ma si impedì di parlare ancora.

La mente continuava a tornarle a quella sensazione di calore lungo il braccio. Checché ne dicesse lui, quella non era magia da principianti.

Di sottecchi guardò Riven che cavalcava di fianco a lei. Aveva studiato da incantatore? Era forse… Anja scosse la testa, scacciando quei pensieri, e tornò a guardare davanti a sé. Non doveva importarle. La sua vita era sua. Avrebbe potuto essere un unicorno o una fata dei boschi, per quel che la riguardava.

Riven si accorse dei suoi pensieri tumultuosi e le lanciò un’occhiata. Anja sentì il suo sguardo bruciarle sul collo. Il nervosismo le scivolò via di dosso.

Aspetta un attimo. 

Questo non era normale. Si voltò verso Riven, che aveva già distolto lo sguardo. Ma la sensazione di calore e - leggerezza? - aleggiò ancora tra di loro. Anja aprì la bocca per parlare e la richiuse, non sapendo cosa chiedere.

Anja fece ruotare le rotelle del cervello. Più lo guardava e più c’era qualcosa di misterioso in lui che la attraeva con la forza di una cascata. 

Riven tossicchiò. Era chiaro che non apprezzava quello studio così intenso. 

Anja stava per dirgli che era cento per cento colpa sua e non avrebbe dovuto essere così maledettamente intrigante, quando fu Riven a parlare.

“La ragazza di ieri” iniziò Riven “al negozio. Cosa aveva in faccia?”.

Anja sbatté gli occhi. Non avrebbe potuto scegliere un argomento più desolante di quello. “È il marchio che portano i licantropi che vivono in comunità civili” spiegò. “Se una persona che ha subito un morso da un licantropo vuole continuare a vivere con la sua famiglia, bisogna mettere in pratica alcune accortezze. Primo, prendere regolarmente una pozione antilupo realizzata da un farmacista o da uno stregone - l’ampolla gialla che hai visto. Secondo, avere un luogo sicuro - una cantina, un grotta - in cui poter essere rinchiuso o rinchiusa al sicuro durante la luna piena”.

Anja sospirò. “Quella povera ragazza deve essere stata aggredita di recente: il segno che aveva era fresco. A volte sono perfino i parenti a marchiare le persone che amano. È per la sicurezza di tutti, capisci. Una tragedia, in realtà”.

Si chiuse in un silenzio dolente. Avrebbe voluto aggiungere qual era il vero motivo per cui stavano andando a rischiare la pelle, ma non osò. I fiori di sambuco raccolti durante la luna piena erano un ingrediente fondamentale della pozione antilupo, ma raccoglierli era pericoloso, il che li rendeva preziosissimi e ben pagati. Non molti osavano fare quello che lei tentava ogni mese da molti anni. Si fermò lì. I soldi. I soldi erano la sua forza propulsiva. Il fatto che, senza pozione, quei poveracci avrebbero sofferto le pene dell’inferno e attentato inconsapevoli alla vita dei loro cari, non la toccava. Non doveva toccarla. Anja soffocò vecchi ricordi e sospirò.

Riven non rispose né chiese altro. Cavalcarono in silenzio fino al loro alloggio per la notte.

***

“Ridimmi perché siamo qui”.

Anja, scollandosi i capelli sudati dalla fronte, rispose paziente: “Perché l’achillea raccolta al tempio di Leti è la migliore per realizzare unguenti cicatrizzanti e pozioni curative. E quindi me la pagheranno di più”.

“E perché questo tempio l’hanno fatto in cima a una dannata montagna?”.

“Ti avevo detto che potevi anche non venire. Non ci saranno mostri qui”.

Era una stupenda giornata di sole. I cavalli erano rimasti a valle a godersi il bel tempo e l’erba fresca; Anja e Riv erano invece abbarbicati sul sentiero sud della montagna, sentiero che somigliava ormai sempre di più a una ferrata con pendenza all’ottanta per cento.

Sentendo Riven imprecare per l’ennesima volta dietro di sé, Anja sorrise. Evidentemente, l’arrampicata non era tra le sue specialità.

“L’ideale sarebbe venire qui a raccogliere l’achillea allo zenit del solstizio d’estate” continuò lei, allegra “ma me la farò andare bene lo stesso. Tornerò più avanti”.

“Cioè, rifarai volontariamente questo…” seguirono imprecazioni varie “... di nuovo?”

Anja rise. Forse Riven non era divertente come quella mezza driade che aveva assunto l’anno prima, né sexy come il ranger che l’aveva accompagnata alla necropoli a Ostara, ma era simpatico. “Lo faccio almeno tre volte l’anno” rispose divertita.

Arrivarono in cima senza fiato e grondanti di sudore. Riven aveva finito le imprecazioni da almeno un’ora, decidendo saggiamente di razionare il fiato per riuscire a vedere la vetta. 

Dietro l’ultima sporgenza rocciosa, apparve il tempio. 

L’antico tempio di Leti era ormai solo un rettangolo di colonne spezzate dimenticato tra le rocce e le erbacce montane. Solo l’altare di marmo al centro del colonnato faceva intuire che ci si trovava in un ex terreno sacro. Al di là di esso, centinaia di metri sotto di loro, si estendeva l’intera valle di campi coltivati e colline verdeggianti; e all’orizzonte, stringendo un po’ gli occhi, si poteva vedere lo scintillio del mare. 

Come sempre, Anja pensò che la vista da lassù fosse pazzesca. 

Riven si lasciò cadere a terra, esausto, e osservò il panorama. 

Di ottimo umore, Anja si mise lesta al lavoro. 

L’achillea millefoglie è una pianta erbacea perenne dalle caratteristiche foglie frastagliate, con piccoli fiori bianchi disposti a ombrello e un profumo che ricorda la camomilla. Era utile come cicatrizzante per piccole ferite e, come aveva già spiegato a Riven con eccessivi dettagli, necessaria per fare delle decenti pozioni curative. Raccoglierla nel tempio di Leti, una dea pagana della salute ormai dimenticata, era funzionale per ottenere le piante con più potere magico. Non che Anja avesse la minima idea di come funzionasse la cosa, ma più di qualche stregone glielo aveva confermato e - soprattutto - era disposto a pagare un notevole sovrapprezzo.

Anja frugò tra le colonne bianche e trovò diverse piante al perfetto stadio di fioritura, che raccolse in mazzi ordinati e si legò alla cintura.

Una sensazione di quieto benessere la avvolse. Anja capì di essere osservata. Alzò lo sguardo verso Riven, ma lui aveva già rivolto gli occhi altrove. Ma stavolta Anja era pronta. “Sei mezzo sirena?” gli chiese, avvicinandosi con nonchalance.

Riven corrugò la fronte, ma mantenne lo sguardo davanti a sé. “Sirena? No. Come mai lo pensi?”.

“Quando mi guardi mi sento strana”.

Anja colse un’espressione di quieto panico attraversargli il viso. “Strana?”.

“Sì. Leggera. Una sensazione di positività, di benessere”.

Riven non rispose, la mascella serrata e lo sguardo fisso nel blu del cielo.

“È ok se non vuoi dirmelo” continuò Anja, fingendo di non stare bruciando di curiosità. “Non è un problema”.

Anja si chinò a raccogliere l’achillea poco più in là.

“Potrebbe essere… un problema” buttò lì lui dopo un po’. C’era un’espressione ambigua sul suo viso.

Anja rise. “Pensi che non abbia valutato il rischio? L’ho fatto. E ti ho già assunto”.

Riven non rispose, quindi Anja continuò. “La mia vita è piena di rischi. Si tratta solo di scegliere bene quali vale la pena prendere” annunciò, pomposa.

Fu un divertente scherzo del destino che Anja scelse proprio quel momento per mettere un piede in fallo e rotolare giù da un versante della montagna. 

“Ma che…? Anja!”.

Una decina di metri più sotto, Anja si ritrovò incastrata in un cespuglio di rosa canina, confusa ma perlopiù indenne. 

Riven scese veloce dal dirupo e le tese una mano guantata. Anja registrò distrattamente la facilità con cui lui la tirò fuori, come se fosse senza peso; archiviò questa informazione per analisi successive. 

“Quando si parla di scegliere bene i propri rischi” rimbrottò lui, facendole strada di nuovo verso il tempio. Arrivati in cima, lui si voltò ad analizzare i danni. Corrugò la fronte. “Sei ferita”.

Non era una domanda. Anja era conscia di un vago bruciore sulla fronte e sulle braccia, ma sotto lo sguardo di Riven le pareva che tutto fosse ok. Si toccò la testa e si osservò le dita macchiate di sangue.

“Ah, non è niente, e solo un taglio superfic- wowowow che stai facendo?”.

Riven l’aveva afferrata per una spalla e la stava guardando negli occhi. Una sensazione di calda fascinazione l’avvolse, l’udito divenne ovattato, la svista sbiadì e sfarfallò intorno ai contorni di Riven. Vedeva solo lui e i suoi occhi. Erano verde chiaro, notò.

“Che-che mi stai facendo?” riuscì ad articolare.

“Mettiti calma” le ordinò. 

Riven si tolse i guanti e le sfiorò con la punta delle dita la ferita sulla fronte. Dove la toccava, Anja sentiva la pelle calda e elettrica. Una sensazione di benessere diffuso la fece rilassare. Sbatté le palpebre a rallentatore.

“Qualunque cosa sia, non smettere” sorrise, strafatta.

Riven bofonchiò qualcosa e continuò a sfiorare i tagli sulla fronte e sulle braccia. Dopo qualche minuto si ritenne soddisfatto e si allontanò di qualche passo. Distolse lo sguardo. La sensazione di pace scivolò via piano da Anja, che rimase con la pelle d’oca.

“Wow” sospirò Anja. “Che roba è? Come fai a farlo? Hai studiato da guaritore?”.

SIlenzio. 

“Bè, è stato fico. Mi sento molto meglio. Grazie”. 

Riven si infilò di nuovo i guanti. “Non è fico” mormorò “è… il problema”.

“Che intendi dire?”

Riven non rispose a quella domanda, né a quelle successive; e per quanto Anja si impegnò a essere pedante lungo tutta la discesa della montagna, da Riven non cavò un’altra parola.

Una volta arrivati a valle, silenziosi e carichi di achillea, si rimisero in viaggio verso sud. Anja si sentiva ancora incredibilmente bene. E se il signor mi-piace-fare-il-misterioso non voleva parlare con lei, poco male. Era soddisfatta del suo raccolto. 

E quella notte ci sarebbe stata la luna piena. 

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Capitolo 5
*** Sambuco ***


Sambuco 

“Il sambuco è un albero protettore. Ha un tronco cavo, che risucchia gli spiriti maligni e li seppellisce sottoterra. Per questo motivo viene piantato un sambuco di fianco ad ogni nuova casa; per buon auspicio. Lo sapevi?”

Riv disse che non lo sapeva.

“Ci sono diversi tipi di sambuco, ed è essenziale sapere distinguere il Sambuco Nero, la varietà commestibile, dal Sambuco Ebolo, che invece è tossico. Fiorisce in primavera ed è meglio raccogliere i fiori appena sbocciati. Se raccolti in una notte di luna piena e poi immersi in una mistura di zucchero e aceto, i fiori si possono utilizzare per un decotto che allevia i sintomi più spiacevoli della licantropia. Ma se li secchi e li macini ci fai anche un’ottima farina per i biscotti.”

Anja avrebbe potuto continuare a blaterare di varietà botaniche fino alla meta, ma ebbe pietà del suo compagno di viaggio e si zittì.

Fu Riven a spezzare il silenzio. “Parlami dei licantropi”.

Anja apprezzò lo sforzo di fare conversazione. “Oh. Bè. Le persone che soffrono di licantropia - per essere politicamente corretta - cominciano a avere sintomi verso il venticinquesimo giorno del ciclo lunare. Nella notte di luna piena avviene la trasformazione completa che, senza nessun palliativo, rende la persona completamente fuori di sé. I sintomi sono peggiori nei periodi degli accoppiamenti: tarda primavera - cioè adesso - e inizio inverno. Ma è un periodo favorevole per me: i licantropi sono così presi dall’ingropparsi l’un l’altro - il che è abbastanza assurdo, visto che i licantropi sono quasi tutti sterili - che di solito mi lasciano lavorare in pace. Certo il rischio è comunque molto alto; ed ecco che qui entri in gioco tu”.

Entrambi si persero nei loro pensieri per un po’. Il sentiero che stavano percorrendo era piacevole, ampio e ombroso, fiancheggiato da alberi di noce e rigogliosi cespugli di more. Il sole filtrava su di loro in oblique lame di luce.

“Perché lo fai?”

“Cosa?”

“Questo lavoro”

Anja lo guardò in tralice con un’espressione che diceva ma secondo te?. “Per i soldi, ovviamente. E perché non mi piace passare l’inverno a chiedere l’elemosina sul sagrato del tempio. Questo è il lavoro più redditizio che so fare”.

Lui parve meditabondo. Anja non poteva perdere un’occasione come quella. Ormai era tradizione.

“E tu?”.

“Io cosa?”.

“Perché, tra tutte le cose che potresti fare al mondo, vieni a licantropi con me?”.

Come si aspettava, Riven non rispose. 

***

Arrivarono all’alloggio nel tardo pomeriggio. Era una locanda di seconda mano, con solo due camere, vicino ad un lago. Più che sufficiente per dormire un paio d’ore e poi raccogliere fiori di sambuco cercando di non farsi ammazzare da canidi in calore.

Lasciarono i cavalli davanti alla locanda e avvisarono il padrone del loro arrivo.

Anja si defilò veloce verso il lago e si tolse borsello, cintura, gonna, stivali, calze e corsetto, restando in camicia e sottogonna bianca. Si immerse nell’acqua gelida con un gridolino di gioia. Si strofinò via lo sporco alla meglio, fece alcune bracciate e uscì gocciolante, rabbrividendo soddisfatta.

Colpita da una sensazione ormai conosciuta, si voltò. Riven la stava guardando.

Lo fissò battagliera. “Cosa c’è?”.

Riven non rispose, ma Anja vide il suo sguardo scorrere dalle numerose contusioni viola che esibiva sulle gambe, ai tagli nuovi e vecchi sulle braccia, al sangue incrostato sulla fronte.

La sua espressione di biasimo era eloquente. Il guaritore-non-guaritore che era in lui soffriva a quella vista.

“So badare a me stessa” replicò Anja.

“Tendi a farti parecchio male, per essere una che sa badare a se stessa”.

Anja decise di non raccontare mai a Riven dell’incidente dentro il vulcano. “Sarei comunque sopravvissuta” rimbrottò, infastidita.

“Forse non al rosperonte”.

Anja ci pensò su. “Forse non al rosperonte” concesse. Si stese ad asciugare al sole, e guardò Riven che a sua volta si spogliava e si tuffava nel lago.

***

Anja si era appostata sotto i sambuchi più carichi di boccioli. Era nervosa. Il sole, una palla di fuoco arancione sull’orizzonte, era pronto a nascondersi dietro le montagne. La luna era già alta nel cielo ancora chiaro, perfettamente rotonda.

Quando avevano avvertito il proprietario della locanda dei loro piani per la notte, lui aveva berciato che erano dei pazzi furiosi e aveva reclamato i soldi in anticipo. Non poteva biasimarlo.

Anja giocherellò con la catenina d’oro che aveva al collo, il metallo tiepido estraneo sulla sua pelle. Riven gliel’aveva agganciata a tradimento, e al suo stupore aveva risposto solo “così saprò dove ti trovi”. Enigmatico figlio di buona donna. 

Anja si augurò che Riven fosse all’altezza della situazione, o quella sarebbe stata una brutta notte per tutti e due. Anja sentiva il suo sguardo dietro il collo e la pelle d’oca sulle braccia. Pensò che dal non guardarla mai neanche per sbaglio, adesso la fissava pure troppo; ma tutto sommato era piacevole, quindi non si lamentava.

Anja osservò le onde arancioni create del tramonto che si specchiava sul lago e ripensò a quella mattina al tempio, quando Riven l’aveva guardata negli occhi e aveva tradito per la prima volta l’intensità della sua magia. Non aveva mai sentito parlare di guaritori che facevano questo effetto con il solo sguardo. E non doveva essere un dono comune: le aveva detto che poteva essere un problema.

All’improvviso, con il lago davanti, le tornò alla mente che aveva già provato quella stessa sensazione. Occhi negli occhi. Leggerezza e pienezza insieme, la testa piena di luce. Gli stessi occhi verdi… in riva ad un altro lago. 

Oh, merda.

Il primo ululato la riportò al presente con violenza. Il sole era calato dietro le montagne.

Anja osservò il cielo indaco farsi sempre più blu. Era quasi l’ora. Lanciò un’occhiata a Riven, appostato su un albero poco lontano da lei, e annuì. 

Quando il primo raggio di luna accarezzò le foglie più alte degli alberi, Anja iniziò a staccare i primi fiori di sambuco. Altri ululati risuonarono nella notte. Lontani. Per ora. 

Anja si spostò all’albero successivo, raccogliendo i grossi fiori con entrambe le mani e infilandoli nel sacco di iuta che aveva assicurato alla cintura. I suoi movimenti erano rapidi e metodici. 

Aveva riempito il sacco per un terzo quando Riven schioccò la lingua. Anja si immobilizzò. Qualcosa di grosso si mosse alla sua sinistra, saltò un cespuglio e sparì nel buio. Anja attese un lungo momento prima di riprendere a staccare i fiori. Le mani le tremavano, ma nulla di grave.

Continuò a raccogliere sambuco fino a riempire la sacca. Rumori di foglie spostate e rami spezzati la circondavano nel buio. Gli ululati si facevano più frequenti e intensi.

Anja chiuse il sacco con un nodo. Con un fremito di speranza, si disse che ce l’aveva fatta. Esaminò le fronde nel buio per segnalare a Riven che potevano andare.

Riven schioccò la lingua in contemporanea ad un ringhio basso che la ghiacciò sul posto. 

Anja si voltò con cautela. Riconobbe una femmina, più piccola e maligna dei maschi. 

“Non ucciderli, se puoi” aveva detto a Riven poco prima di appostarsi. “Senza luna piena sono persone con famiglia, amici e sogni. Non hanno colpe”. Sperò di non doversi pentire della sua generosità. Perché Anja sapeva che quella notte non poteva contare sulla generosità di nessuna di quelle creature. Non c’era pietà, né altro sentimento umano, in quegli occhi mutati scuri di sangue. 

Anja posò la mano sul piccolo pugnale che portava alla cintura e si mise in posizione.

La lupa, una bestia ossuta dalla pelliccia grigio-marrone, fece un passo verso di lei.

Anja indietreggiò facendo un lento mezzo giro.

La lupa specchiò il suo movimento, osservandola con curiosità minacciosa. Anja udì, impercettibile, il tendersi di una corda. Poi un ululato - vicino, troppo vicino - la fece fremere. Attratta dal richiamo irresistibile, la bestia la superò con un balzo e sparì nella vegetazione.

Anja tenne la posizione a lungo, ascoltando con attenzione i fruscii del bosco. 

Fece il segnale a Riven, che scese rapido dall’albero di posta. Aveva arco e frecce pronte all’uso; la spada al fianco.

“Possiamo…”

Ma Anja non seppe mai cosa potevano fare, perché in quel momento furono travolti da un gran baccano di ringhi e latrati. Un albero al loro fianco si sradicò e cadde con un gran fracasso; le radici una nera silhouette intrecciata contro la luna piena.

Tre enormi licantropi maschi si stavano azzuffando a meno di cinque metri tra loro. La bianca luce lunare rischiarava appena gli artigli sguainati e le zanne gialle luccicanti di sangue.

Anja indietreggiò, gli occhi spalancati nel buio. Questo non andava bene. Questo non andava bene per niente. 

“Via!” urlò Riven, spingendola lontano dalla colluttazione proprio mentre un secondo albero si abbatteva al suolo. Caddero e rotolarono entrambi. 

Uno dei lupi riuscì a affondare i denti sul collo del rivale e lo scaraventò nella loro direzione. Il lupo ferito si abbatté su di loro, schiacciandoli a terra. Uggiolava di dolore.

Riven spinse via la bestia di peso e si alzò. Anja si sentì tirare in piedi e seguì Riven in una corsa cieca tra latrati e suoni ripugnanti di carne strappata. 

Corsero fino ad uno spiazzo libero da alberi, dove si fermarono ansimanti. La luna piena brillava sopra di loro, beffarda. L’aria aveva un odore metallico. 

“Dobbiamo andarcene da qui”.

Anja non ritenne necessario confermare che era d’accordo. Il respiro le usciva tremulo e irregolare. I rumori della rissa bestiale erano ancora troppo vicini per i suoi gusti.

“Anja”.

“Cosa?”

Rumore di corda tesa. “Non ti muovere”.

Anja non ascoltò. Si voltò di scatto e vide un enorme ghigno giallo torreggiare su di lei. Sentì un sibilo e un rumore di impatto. La freccia si conficcò nell’albero alle spalle del mostro. Riven imprecò nel buio.

E poi la bestia le fu addosso. 

Con le fauci spalancate, il lupo mirò dritto al collo. Anja non glielo permise. Ficcò il coltello a fondo nel petto peloso e lo trascinò verso il basso, aprendo uno squarcio che la inondò di sangue. La bestia guaì e si ritrasse. Si udì un altro sibilare di freccia, e Anja ne approfittò per sferrare un calcio all'addome del lupo agonizzante.

L’animale, furioso, calò un'enorme zampa verso la sua faccia. Anja si diede una spinta all’indietro. Un dolore atroce le si aprì sul petto, poco sotto la giugulare.

Ci fu un suono di lama sguainata e il lupo cadde a terra, raggomitolandosi e ruggendo di dolore.

Riven le si fece subito accanto. Anja, ricoperta di sangue, vide il suo panico specchiato negli occhi di lui. 

Cercò di parlare, ma ne uscì un rantolo soffocato. La vista cominciava ad annebbiarsi. Pensò alla ragazzina sfregiata, ai suoi occhi bassi, al viso nascosto dai capelli. Combatté contro il buio che calava su di lei. No, cazzo, no. Anja aveva raccolto il sambuco e non aveva nessuna intenzione di morire quella notte.

Si attaccò al collo della camicia di Riven. 

“Riv. Portami via di qui”.

***

Erano riusciti ad arrivare al loro alloggio sul lago. Il proprietario li aveva guardati entrare in un misto di orrore e ve-l-avevo-detto-io. Poi si era messo a pulire il lago di sangue che avevano lasciato per terra, avvisandoli con un tono aggressivo che nessun medico o guaritore si sarebbe mosso quella notte. Erano soli.

Una volta in camera, Riven si era concesso esattamente sessanta secondi di panico. “Ti avevo detto che non sapevo tirare” le aveva farfugliato addosso inferocito.

“Quello che tu hai detto Anja aveva rantolato “è che non era la tua dote migliore. Se avessi saputo che eri una tale mezza sega, avrei organizzato questa cosa diversamente!”.

Poi Riven deglutì, sospirò, si passò una mano tra i capelli e tornò ad essere pragmatico ed efficiente.

Le tolse i vestiti insanguinati e lavò la ferita con acqua calda e una fiala di calendula. Su indicazione di Anja applicò un impiastro di achillea su una ferita probabilmente troppo grande per tutta l’achillea del mondo, ma entrambi finsero che andasse bene così. Poi recuperò delle garze dal bagaglio di Anja e eseguì un bendaggio che definire da principiante sarebbe stato un eufemismo.

“Questa ferita è al di là delle mie capacità” sentenziò, afflitto, osservando la benda impregnarsi di sangue.

Anja valutò di andare da Thalia all’alba. Lo disse a Riven. Ma era più di un giorno di viaggio di distanza, e non era nemmeno certa di poter stare in piedi, figuriamoci cavalcare.

Il respiro le usciva in rantoli irregolari. Chiuse gli occhi cercando di resistere al desiderio di vomitare. 

Poi le venne in mente una cosa importante.

“I fiori di sambuco! Vanno immersi in zucchero e aceto”.

“Mi prendi in giro?”.

“No! E se non lo faccio, sarà stato tutto inutile”.

La guardò come se fosse pazza.

“Per favore”.

Riven, borbottando scandalizzato, eseguì gli ordini della ragazza e, una volta finito, si sedette accanto a lei.

Anja respirava piano, combattendo le lacrime e il bruciore intenso. La ferita magica pulsava come una scheggia dolorosa, gonfia e grezza sotto la fasciatura.

Riven la stava fissando ancora; Anja percepiva il suo sguardo indugiare sulla benda ormai cremisi. 

“Starò qui stanotte” disse lui, cominciando a sfilarsi il farsetto. 

Anja spalancò gli occhi e lo guardò con un misto di preoccupazione e sorpresa.

 “Tu… io… mi posso fidare, vero?” gli chiese, una malcelata nota di paura nella voce. 

Riven si bloccò a metà del movimento. Fu come se gli avesse tirato uno schiaffo. “Stai scherzando?”

Lei non rispose, irrequieta. Lentamente, Riven distolse lo sguardo dal suo viso. “Non ti farò del male, Anja. Semplicemente, non posso aiutarti a distanza: la mia magia non è così potente. E se non facciamo nulla, con una ferita magica del genere… c’è una discreta possibilità che non arrivi a domattina”.

Anja lo fissò. Non più soggiogata dai suoi occhi, il dolore al petto tornò a morderla forte, ma poté analizzare la situazione con maggiore lucidità. Riven sembrava sinceramente preoccupato e, qualunque cosa lui fosse, aveva decenti poteri da guaritore. E, porca merda, lei rischiava davvero di non superare la notte.

Fece un flebile cenno di assenso. “Va bene”.

Riven finì di togliersi gli abiti più ingombranti e si sdraiò su un fianco accanto a lei. Con estrema delicatezza, posò la mano destra sopra la ferita. Anja sussultò di dolore. Riven cominciò a recitare incantesimi a bassa voce, la bocca contro i suoi capelli.

Anja si irrigidì e pensò che non avrebbe mai potuto rilassarsi in una situazione del genere, con un ammazzamostri praticamente sconosciuto che le sussurrava addosso formule magiche e una ferita da licantropo aperta e pulsante poco sotto la giugulare.

Ma piano piano sentì i battiti del cuore rallentare, i muscoli distendersi, e una tranquillità pigra discendere su di lei. Suo malgrado, il calore di Riven al suo fianco la faceva sentire al sicuro. 

Anja chiuse gli occhi e si addormentò.

***

Quando si svegliò il mattino dopo, fu sinceramente colpita di essere ancora viva. Non ci avrebbe scommesso. 

Riven dormiva al suo fianco, il respiro lento e regolare contro la sua tempia. La sua mano era rimasta stabile sopra la ferita, che doleva sotto le bende. 

Anja si sentiva debole e senza fiato come dopo una lunga febbre. Si mosse piano cercando di capire se poteva alzarsi.

Riven fece un mugugno assonnato e aprì gli occhi. 

Anja si voltò e lo guardò da sotto in su. La forza del suo sguardo verde la colpì come un ariete. Sentì la testa vorticare e richiuse gli occhi. 

“Scusa, mi hai colto di sorpresa” mormorò lui, la voce impastata dal sonno. Tolse la mano dalla ferita e si sedette sul letto. “Come ti senti?”

“Stordita” rispose lei, le palpebre ancora serrate, al sicuro.

“Poteva andare peggio” disse lui.

“Potevo morire” disse lei.

“È esattamente quello che intendevo”.

Anja fece un flebile suono di gola, la cosa più vicina ad una risata che aveva la forza di fare.

Riven si alzò, lasciando un freddo vuoto al suo fianco. Anja provò una spiacevole sensazione di abbandono, e fu sorpresa dalla tentazione di chiedergli di rimettersi giù con lei. Per ragioni strettamente mediche. 

Lo guardò rivestirsi. Riven colse il suo sguardo; non gli piacque quello che vi lesse dentro. Anja scattò a fissare il soffitto, imbarazzata dei suoi pensieri e con il ragionevole dubbio di esservi stata colta in flagrante.

Lui finì di allacciarsi il farsetto. “Riesci ad alzarti?”.

“Credo di sì”.

Anja si mosse cautamente nel letto, facendo scivolare le gambe fuori dal bordo e poi sollevando il busto. Aculei di dolore esplosero dalla ferita, facendola sussultare. Si morse il labbro per non frignare. Appoggiò una mano al muro e si alzò sulle gambe. Gambe che ressero per esattezza tre secondi prima di piegarsi e cedere, facendola capitolare di nuovo sul materasso imbottito. Anja vide le stelle e gemette piano.

Riven torreggiò nel suo campo visivo con espressione corrucciata. “Credo che abbiamo un problema” sentenziò.

“Credo che ne abbiamo più di uno” replicò lei, cercando di suonare arguta.

Riven la fissò con attenzione. Anja si sentì ancora più frastornata.

“Dobbiamo andare dalla tua strega” disse infine lui.

***

Ci volle un intero giorno di cavallo per arrivare a Oswald. Anja si sentiva svenire a intervalli regolari, e perse il conto delle imprecazioni lanciate da Riven mentre le impediva di cadere dall’arcione. La ragazza cercò di dare indicazioni più precise possibili per arrivare alla dimora della strega, ma continuava a sbagliare, confusa di febbre. Anja sentiva spilli di dolore diramarsi dal petto e attraversare tutti i nervi del corpo. Ansimava e schiumava dalla bocca quando Riven la tirò giù da Miles e la trascinò a forza verso una casetta di mattoni rossi che, grazie a Dio, conosceva bene. Erano nel posto giusto.

Ci fu un veemente ringhiare e menare alla porta, e il viso pallido e cauto di Thalia sbucò da dietro il battente di legno scuro. La strega guardò entrambi, prima con sorpresa, poi con crescente sgomento. Anja, per nulla rassicurata, svenne.

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Capitolo 6
*** Lavanda ***


Lavanda

Thalia aveva fatto le cose per bene, pensò Anja, tastando la benda spessa e pulita che le avvolgeva il torso. Fece un respiro profondo, allargando i muscoli del petto; la ferita tirò e pulsò, ma era sopportabile.

“Non pensarci neanche”.

Thalia si avvicinò, portando un vassoio che appoggiò su una credenza di fianco al letto. La guardò con espressione severa. “Non puoi ancora alzarti. Ho ripulito la ferita dal suo potere magico, ma i punti sono freschi e potrebbero riaprirsi. E non ho nessuna intenzione di rifare questa bendatura. Sarebbe la terza volta”.

Thalia era come Anja la ricordava. Una giovane strega avvolta in strati di lana spessa e scialli informi da contadina, i riccioli rossi tenuti a bada da una bandana marrone e due occhi acquamarina incastonati in un viso molto bello, ma pallido e stanco.

Anja le fece un enorme sorriso. “Sono molto molto felice di vederti, Thalia”.

Suo malgrado, Thalia ricambiò, e poi cominciò a fare tutte quelle cose che faceva sempre quando aveva un nuovo paziente sotto il suo tetto. Le auscultò il cuore, le osservò le pupille, le massaggiò la gola e le ascelle, le analizzò i denti e le gengive. 

Anja adorava quel trattamento e la lasciò fare, godendosi i tocchi delicati di lei.

“Ottimo” disse infine la strega, scombinandole i capelli dopo aver controllato che non avesse i pidocchi. “Se ignoriamo l’insignificante dettaglio che poche ore fa stavi per morire dissanguata e avvelenata da una ferita magica, mi sembra che tu sia un fiore”. 

Thalia fece un profondo sospiro, si sedette e le prese una mano tra le sue. “Ero molto preoccupata per te” confessò “non ero certa che il tuo amico ti avesse portato qui in tempo”.

Il lampo di divertimento attraversò Anja - “Il tuo amico” - ma perlopiù provò un moto di sincero affetto per la sua amica. La ringraziò e ricambiò la stretta, le mani della strega fredde e pallide contro la sua. 

“A proposito, è qui fuori. Vado a chiamarlo”. Thalia si alzò e sparì oltre la porta.

Anja sprofondò nel materasso, sospirando di piacere. La casa era sempre come la ricordava: il letto imbottito di lana di pecora, le trapunte multicolore, l’odore di libri e di erbe aromatiche. La stanza in cui si trovava, lo studio-laboratorio-atelier, aveva tre pareti ricoperte di scaffali storti ricolmi di libri. Accanto alla finestra c’erano un cavalletto con una tela nera e un tavolino con candele in vari stadi di vita, la cera sciolta sulla tovaglia verde trifoglio punteggiata di provette e utensili affilati.

Anja stava studiando degli apparecchi medici particolarmente minacciosi quando Thalia rientrò seguita da Riven.

“…siete arrivati giusti in tempo. Ancora qualche ora e non sarebbe stato più niente da fare”. 

Riven si fermò ai piedi del letto e la studiò per un lungo momento. Anja accolse con piacere la sensazione di serenità che scese su di lei. Gli sorrise: “Ciao”.

L’uomo fece solo un breve cenno con la testa, ma i suoi occhi erano lieti.

“La ferita lascerà solo una cicatrice” continuò Thalia, sempre rivolta a Riven “e, se siamo fortunati, non dovrebbe avere nessun effetto collaterale a lungo termine. Non è un morso, grazie a Dio”.

“Perfetto” si intromise Anja. “Significa che già domani potrò…”

“Domani?” trillò Thalia, voltandosi. “Domani? Sei impazzita? Tu non ti muovi di qui per almeno due settimane”.

Anja la guardò inebetita. “Due sett…? stai scherzando? Non posso aspettare…”

“Tre settimane”

“Ma…”

Quattro settimane?”

Anja lanciò un’occhiata trepidante a Riven sperando di trovare in lui un alleato, ma la sua espressione era inflessibile. Anja cedette, abbassò la testa, e tacque.

Thalia alzò il mento soddisfatta come una regina benevolente.

“Starete qui da me, nessuna discussione. Certo non è una reggia…” fece un gesto al caos domestico attorno a sé “ma non vi mancherà niente”.

Riven provò a aprire la bocca per ribattere, ma Thalia lo zittì: “Insisto. Siete miei ospiti”. E, in uno svolazzare di gonne viola e capelli rossi, lasciò la stanza.

Ci fu un attimo di silenzio.

“Hai conosciuto Thalia”.

“Donna da non contraddire”.

“Impari in fretta” sorrise Anja. “La seccatura è che molto spesso ha ragione”.

“Non oso dubitarne" replicò lui cordiale, un sorriso appena accennato sulle labbra.

Riven si aggirò per la stanza, studiando la lavanda appesa ad essiccare, le boccette allineate sullo scaffale, i tomi di incantesimi aperti sulla credenza e sul tavolino. Si soffermò a lungo sul dipinto ad olio sul cavalletto vicino alla finestra, con un’espressione indecifrabile in volto. 

Anja trovò bizzarro vedere Riven a casa di Thalia, un luogo per lei così familiare e intimo. Ma, con i suoi orecchini d’oro, i suoi anelli e i suoi capelli strani, in realtà ci stava perfetto.

“I ringraziamenti sono d’obbligo, temo proprio che tu mi abbia salvato la vita” cominciò Anja.

Riven continuò a fissare il dipinto, ma la sua voce era morbida quando rispose: “Io ho fatto quello che mi hai assunto per fare. La strega ha fatto il resto”.

“Vero. E i soldi sono qui. Sei libero di andare quando vuoi, ovviamente. Thalia può trattenere me, ma non ti incatenerà in questo studio”.

Riven la guardò per una verdissima frazione di secondo. “Non saprei. Mi sento piuttosto incatenato, in realtà”. Cos’era quel tono? E quello sguardo?

Anja balbettò, disorientata. “Non guardarmi così, mi gira la testa”.

Riven tornò a fissare il dipinto, mormorando una scusa.

Occhi verdi al di là del lago. Anja non aveva dimenticato. Cercò di riordinare i pensieri per formulare una domanda precisa ma che non sembrasse invadente, quando Thalia rientrò con tre grosse tazze di bevanda fumante.

Riven bevve tre sorsi e si congedò subito dopo, dicendo qualcosa riguardo il cavallo e i bagagli. Se ne sarebbe andato? Anja provò una certa riluttanza all’idea. Si concentrò controvoglia sulla tazza bollente che le era appena stata affidata.

Thalia si avvicinò alla finestra e aspettò che l’uomo uscisse di casa prima di prendere un sorso.

“Tu sai che te ne vai in giro con un drago, vero?”.

Anja sputò il tè caldo sulla trapunta a fiori. “Non ne ero certa” farfugliò “Ma grazie per la conferma”.

La strega la guardò da sopra il bordo della tazza, poi tornò a rivolgersi alla finestra. “È curioso” ammise. “Molto curioso”.

Anja attese che lei elaborasse, ma invece cambiò argomento.

“Stanotte” confessò Thalia “mi ha detto che poteva aiutarti, se toccava la ferita. Dopo averla lavata e ricucita, gliel’ho lasciato fare”. Lo disse quasi con vergogna.

Anja sbatté le palpebre e annuì.

“Era… preoccupato”.

“Riven ha un potere curativo. Basta che ti guardi e ti senti bene”.

A quell’affermazione la strega si fece attenta. Le chiese di spiegarsi meglio. Anja le raccontò quanto sapeva. Thalia la ascoltò e bevve il suo tè, pensosa.

Anja la incalzò: “Non dici nulla? È strano secondo te? Che significa?”. 

“Bè” cominciò la strega, incerta “A volte le bestie magiche benigne fanno questo effetto. Unicorni, fate, draghi… generano sensazione di benessere nelle persone di buon cuore. Ma, in tutta sincerità, non ne ho idea. Non ho mai incontrato un caso del genere. I draghi che scelgono di vivere in forma umana sono rari”.

Anja si rigirò la bevanda calda tra le mani, rimuginando su questa nuova e inaspettata catena di informazioni. 

***

Anja rimase bloccata a letto tutto il giorno leggendo libri di botanica. Aveva chiesto a Thalia di occuparsi dei fiori di sambuco - non dovevano prendere aria, e dovevano essere mescolati in senso antiorario due volte al giorno - mentre Riven scaricava i bagagli. Il piacere inopportuno che aveva provato nel comprendere che lui sarebbe rimasto, anche se “solo per qualche giorno”, l’aveva fatta arrossire. Di certo era solo perché temeva di contraddire Thalia, si era detta poi, tranquillizzandosi.

La strega le portò da mangiare e la fece ridere sparlando dei vicini maghi. Verso sera le controllò di nuovo la ferita e con uno sguardo strano le chiese se Riven poteva riprovare uno dei suoi incantesimi. Ignorando il calore che le saliva lungo il collo, Anja disse sì, certamente.

Riven si sedette sulla sedia accanto al letto e posò la mano sulla benda. Thalia osservava con attenzione. Gli incantesimi di Riven erano efficaci, ma lenti e ineleganti; la strega probabilmente riusciva a intuire che era un principiante. 

Anja si sentì di nuovo frastornata, calda e leggera, e si agitò a disagio sotto quello doppio sguardo. Si voltò verso la libreria per evitare gli occhi di Riven.

Finito l’incanto, l’uomo si alzò e si voltò verso Thalia. “Sta guarendo molto bene. Non sento più traccia della magia del licantropo. Hai fatto un lavoro incredibile”.

Thalia chinò la testa con sincera modestia, poi tirò fuori un sacchetto da una tasca.

“E tu non sei stato da meno” cominciò Thalia, tirando fuori un sacchettino di lino. “Se non fosse stato per te, non saremmo qui. Anja ti ringrazierà come riterrà più opportuno, ma questo è il mio obolo; un ringraziamento per aver salvato una cara amica”.

Dall’umile sacchetto beige scivolò fuori un anello con un enorme rubino scintillante. Lo sguardo di Riven si fece fisso e intenso, avido come mai prima. Sembrò farsi violenza per riuscire a dire, la voce rauca: “Non posso accettare”. Se Anja avesse avuto ancora qualche dubbio sulla natura di Riven, fu risolto in quel momento.

“Per favore” pregò dolce Thalia, mettendo il gioiello nella mano dell’uomo; lui cedette e lo accettò molto a disagio, gli occhi infuocati fissi sul pavimento. 

Bene. Almeno questo era stabilito. Riven era un drago.

Ma Anja si accorse solo di avere ancora più domande di prima, e quella notte sognò occhi verdi e rubini scintillanti.

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Capitolo 7
*** Verbena ***


Verbena 

Anja si era rimessa in fretta e Thalia, rassicurata ormai che la sua amica non sarebbe schiattata da un momento all’altro, era tornata a essere la maga silenziosa e affaccendata di sempre. Passava le giornate a borbottare sul suo calderone e a curare l’orto, a dipingere quadri di dubbio gusto e a scrivere chissà cosa in uno dei suoi mille taccuini rilegati di pelle.

Esattamente quattro giorno dopo l’imprevisto - come le piaceva chiamarlo -, Anja si presentò davanti alla strega con un foglio di pergamena in pugno e un’espressione truffaldina negli occhi.

“Thalia. Tu sai che giorno è oggi”.

La strega non alzò il naso dal suo libro. “Lo so”.

“Devi lasciarmi andare. È la vigilia di Litha. La mia ferita è praticamente guarita. E so per certo che hai finito la verbena, perché è scritta proprio qui nella mia lista”. Anja sventolò il pezzo di carta incriminato. “Devi lasciarmi andare”.

Thalia si impegnò a mantenere un’espressione indifferente. “Non ti sei ancora rimessa del tutto. È un miracolo che la ferita sia guarita così in fretta, ma questo non significa che tu possa camminare per ore per i boschi così presto. Stavi per morire, accidentaccio a te”.

“Thalia. È Lithe. Il solstizio. La verbena del solstizio”.

La strega si morse un labbro. Stava cedendo, Anja lo sapeva. Giocò la sua carta vincente.

“Riven verrà con me”.

“D’accordo!” cedette la strega, chiudendo il libro di scatto. “D’accordo. Ma non farmene pentire”.

Anja fece un verso di vittoria, disse che avrebbe preso le rose dalla serra e corse a informare Riven. Si sarebbero mossi al tramonto; non c’era tempo da perdere.

***

Anja e Riven camminavano da ormai due ore. Le stelle brillavano alte sopra di loro, disinteressate, e un profumo di pini e di estate riempiva loro le narici. Anja, esaltata di essere finalmente libera, ciarlava senza freni.

“I maghi e le streghe, sai, a causa dei loro poteri eccezionali, spesso non sono benvoluti nelle celebrazioni del piccolo popolo” stava dicendo “per questioni di interferenze magiche, pare. Ma fanno un’eccezione per gli umani - e non”. Buttò lì. “Tu…” Anja fece una pausa. “Non sei un mago”. 

“No”.

Gli lasciò una pausa incoraggiante per aggiungere altro, ma quando si trascinò fino a diventare imbarazzante, Anja fece finta di niente. 

“Gli umani possono osservare i riti - non parteciparvi attivamente, ovvio - se portano un dono gradito al piccolo popolo” continuò. Porse a Riven una delle due rose che teneva in mano, quella bianca. “Le fate sono vanitose e amano le cose belle”. Riven osservò i petali candidi davanti al suo naso e afferrò con cautela il gambo spinato. “Questo è il tuo dono per loro” gli spiegò.

Anja tornò a recitare il passo del libro di botanica che ormai aveva imparato a memoria. “I riti del piccolo popolo si tengono durante i sabbat dell’anno pagano in luoghi specifici che si caricano di energia. Per questo motivo, le erbe officinali raccolte in seguito a questi eventi possiedono poteri magici e curativi in misura maggiore, garantendo al mago o alla strega che le utilizzerà incanti di eccezionale efficacia”.

Anja si bloccò in mezzo al sentiero, guardò a sinistra, e si incamminò sicura tra gli alberi. Riven la seguì.

 “Ah, e potresti sentirti strano quando tutto sarà finito. È normale, e gli effetti non durano molto” aggiunse Anja.

“Di che effetti stiamo parlando?”.

“Lo scoprirai”. Anja si concesse di essere lei, per una volta, quella enigmatica. “Tu non toccare niente, non dire niente, e fai quello che faccio io”.

Arrivarono ad una piccola radura ricoperta di trifoglio. Al centro spiccava una quercia nana, le lucenti foglie lobate color del verde chiaro, sul cui tronco ricurvo si arrampicava uno splendido roseto in fiore. L’albero era circondato da un perfetto anello di rocce piatte. 

“Siamo arrivati” disse Anja.

Si sentiva un’energia diversa, in quel luogo. Anja, seppur umana, la percepiva come una tenue corrente calda sui peli delle braccia.

Indicò le rocce. “Qualunque cosa succeda, non entrare nel cerchio” lo avvertì in un sussurro. Riven stava per replicare, quando il primo colpo riecheggiò nel bosco.

“È ora” disse Anja, sedendosi. “Silenzio”.

Seguì una lunga pausa, poi un secondo colpo riverberò da sotto di loro, dal manto di trifogli, dalla terra stessa.

Lentamente, lucciole gialle e verdi si mossero verso la piccola quercia. Un soffio di vento accarezzò la chioma dell’albero, che parve muoversi di vita ultraterrena. La cascata di rose bianche perve, per un attimo, l’abito di una dea dei boschi, una dea fatta di foglie e legno vivente.

Il tempo parve fremere e stirarsi, assottigliarsi, allungandosi in infiniti minuti e ore millenarie. Terzo colpo. Anja fremette di anticipazione.

Infine comparvero le fate. Erano piccole creature vestite di fiori con ali di farfalla, alte meno di un palmo, con guance rosa e nasini all’insù. La loro pelle emanava un alone di luce dorata. Le fate si salutarono, fecero la riverenza, risero e si abbracciarono. 

Anja si alzò, fece un inchino e posò la rosa a terra, fuori dal cerchio di pietre. Quando due fatine smisero di ridere dietro le manine e ricambiarono l’inchino, Anja si portò una mano sul cuore e si sedette di nuovo. Con la coda dell’occhio vide Riven fare lo stesso.

Le fatine, tutte sorrisi e risate dorate, si lisciarono i vestitini di petali e si presero per mano. Le lucciole si posarono sulla quercia sacra al centro del cerchio; una melodia di flauti e campanelle d’argento risalì dagli alberi. 

E le fate cominciarono a danzare.

Anja lo sentì subito alla testa, come quando beveva troppo vino troppo in fretta: una sorta di sbandamento, di debolezza piacevole e sgradevole insieme. Scivolò lentamente in uno stato di quieta euforia.

Le fate girarono, tenendosi per mano, lungo il sentiero di pietra; i loro piedini ripetevano lo stesso movimento da migliaia di anni, marchiando la roccia viva di rune incantate. Una catena di luce illuminava ora la piccola radura, e la quercia sacra, vestita di rose, parve distendere i rami verso il cielo.

La musica ondeggiò e crebbe, la danza si fece più ammaliante e veloce. Anja non riusciva più a muoversi, rapita, intontita, in estasi.

La musica si innalzò in un crescendo inadatto a orecchie umane; in un trillo che faceva fischiare le orecchie, le fate vorticarono in un ultimo folle giro di ali e leggerezza, un riverbero di risate e di luce ultraterrena. 

E poi, tutto fu buio.

Anja si riscosse dopo quelli che sembrarono pochi minuti e un’eternità. Riven, accanto a lei, dormiva.

Era l’alba. La radura luccicava di rugiada. Le fatine, sorridenti e ubriache, dormivano sotto i funghi e dentro le corolle dei fiori.

Anja si alzò. Era l’ora precisa per raccogliere le piante della radura, traboccanti di straordinario potere magico. Con i muscoli indolenziti e un sorriso inebetito in faccia, Anja raccolse i lunghi steli di verbena, facendo attenzione utilizzare solo la mano destra. Lavorò con lentezza, il cervello annegato in un dolce torpore. A lungo si godette la serenità di quel momento di solitudine; il fruscio dei fiori sulla gonna; i colori dell’alba sopra le chiome.

“Riven, svegliati. Abbiamo finito” gli sussurrò, sfiorandogli la spalla.

Riven aprì gli occhi. 

Anja, stremata dal recente effluvio di potere magico di quel luogo, fu scossa dal suo sguardo fin dentro l’anima. Boccheggiò e barcollò, cadendo seduta. Si mise a ridere. Lui rise con lei. In quello stato di intorpidimento e ubriachezza, Anja pensò di volerlo baciare. 

Tornarono a casa con la ridarella e addosso un senso di lenta euforia. Anja depositò la verbena sul tavolo in cucina e, ancora con le mani sulla bocca per celare il rumore delle risate, crollò a letto.

***

Si svegliò in una piacevole sensazione di calore. Con la mente annebbiata, Anja registrò che non era sola nel suo letto; era abbracciata contro la schiena di qualcuno, il viso posato proprio in mezzo alle scapole. Con un lentissimo, faticosissimo sforzo mentale, capì che quel qualcuno era Riven. Il suo cervello piatto non registrò nessun problema al riguardo. Si strinse di più a lui, allargando le mani sul suo petto.

Riven, destato, si districò dall’abbraccio e si voltò. Di nuovo, il potere dei suoi occhi fu un colpo difficile da assorbire. 

Lui la guardò a lungo, disorientato. 

Era vicino, troppo vicino, pensò Anja. Allo stesso tempo, non lo era abbastanza. Sollevò il viso in una domanda silenziosa, ma lui si ritrasse e si alzò dal letto. Il suo viso era turbato.

Separata dal suo sguardo e dal suo tocco, la realtà colpì Anja come un secchio di acqua gelata. Deglutì e arrossì. Lo aveva appena molestato? 

“Io… ehm… scusami, non…”.

Riven si passò una mano sulla faccia e tra i capelli. Una crescente consapevolezza si stava facendo strada nella sua espressione.

“Non dire niente” la interruppe, costernato. 

Thalia scelse quel momento per bussare alla porta della camera.

“Avanti” dissero Riven e Anja all’unisono.

Thalia entrò e si bloccò; aveva percepito l’atmosfera della stanza. Non era una strega mica per niente.

Riven, con una nota di ansia nella voce, fece un passo verso di lei: “Strega. Posso parlarti un momento?” 

Thalia, le sopracciglia rosse sollevate, annuì.

Anja, confusa, curiosa e gelosa, li guardò dalla finestra uscire dal cottage. Di cosa dovevano parlare, così tutt'a un tratto? Doveva origliare? Voleva origliare? No, non poteva. Infilò la testa sotto la trapunta e affogò nel suo imbarazzo.

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Capitolo 8
*** Ruta ***


Ruta 

Non ebbe molto tempo per affogare. La porta si aprì di botto e Thalia piombò nella sua stanza in un turbinio di gonne e capelli rossi. “Dobbiamo parlare”.

Anja si sedette sul letto, pronta a difendersi. Ma poi anche Riven entrò. La sua espressione era grave e il cervello di Anja divenne di nuovo un’inutile poltiglia.

“Riven mi hai detto che stavi per baciarlo” disse Thalia a bruciapelo.

Anjò si sentì arrossire sotto il colletto della camicia. “Sì, bè, non…”.

La voce della strega di fece più dolce. “Tu non vuoi baciare uomini che conosci da una settimana, Anja”. La guardò con espressione eloquente, ma Anja non capì. Cos’era quel tono? Aprì la bocca per replicare, ma Thalia la anticipò.

“Il legame che avete… non è sicuro”.

Anja inarcò le sopracciglia, certa di aver capito male. “Il legame…?”.

Thalia cominciò a camminare per la stanza con passi vigorosi. “Quando siete arrivati, ho fatto subito le mie ricerche. Non è comune incontrare un drago in forma umana - Riven, tu lo sai meglio di noi - ma non è poi così raro. Ma un drago che guarisce con gli occhi? Mai letto, mai sentito nulla del genere. Quello che tu mi hai descritto, Anja, quello che provi - che provate - non è affatto comune. E io, in qualità di strega assegnata alla città, nonché di tua amica, mi sono sentita in dovere di indagare.” Thalia si inchiodò in mezzo alla stanza.

“Ho scritto a Zachary perfino - a Zachary, quell’idiota, tra tutti - e lui… ha una teoria. Io non ci potevo, non ci volevo credere, ma adesso Riven mi dice che questa cosa…” la voce le si spense in un singulto angosciato.

Anja sentì una vena di ansia insinuarsi sotto la pelle. Thalia non si agitava mai. 

“Anja” continuò brusca la strega. “Credi che sia possibile che tu abbia sangue di drago? Qualche avo? Zio? Lontano parente?”.

Anja sbatté gli occhi, frastornata da quel cambio di argomento. “Se ho…? Intendi, che mi scorre nelle vene?”.

La strega annuì.

“Oh, bè, come posso saperlo? Conosci mia madre. Tra me e le mie sorelle, potremmo essere figlie di mezzo continente”. Anja cercò di buttarla in ridere, ma la risposta non piacque a Thalia. Stava macinando qualcosa, dietro quegli occhi acquamarina, e Anja cominciava a preoccuparsi.

“Il sangue di drago potrebbe essersi tramandato per molte generazioni” mormorò la strega. “...allungato, sopito… ma non sparito” continuò. 

Anja non rispose. Non stava capendo un accidente. 

“Questo confermerebbe la teoria di Zachary - quell’idiota…!” concesse infine le strega, alzando le braccia al cielo per la frustrazione.

“Thalia” si intromise Anja. “Pensi di spiegarmi di cosa state parlando, o continuerai a fare allusioni criptiche fino a farmi ammattire?”.

“Tu e Riven avete un legame. Un legame pericoloso, che va spezzato”.

Anja sollevò un sopracciglio sarcastico. “Questo, ti faccio notare, non spiega assolutamente nulla”.

Thalia le lanciò un’occhiataccia. “C’è un termine preciso nella lingua dei draghi, che però io non so pronunciare”.

Riven lo pronunciò. Non fu di aiuto. 

Thalia fece un cenno stanco all’uomo, invitandolo a proseguire al posto suo. 

Riven si schiarì la voce e guardò Anja. “Tu sai cosa sono”. Nei suoi occhi chiari c’era un buon equilibrio di preoccupazione e senso di colpa.

Anja annuì. “Thalia me l’ha detto il primo giorno che siamo arrivati qui. Ma se posso autoassegnarmi un punto di arguzia, l’avevo già capito quando mi hai guardato al tempio di Leti. Tu sei il drago che ho visto al lago sotto al Jau”.

“Sì. Temevo che lo avessi già capito lassù. È stata una leggerezza imperdonabile da parte mia, ma non ho potuto - saputo… trattenermi”. Anja notò un leggero rossore sulle sue guance. 

“E…” Riven pronunciò di nuovo la parola incomprensibile “potrebbe essere tradotto nella vostra lingua come “I predestinati”. C’è la possibilità che noi, io e te, siamo… predestinati”.

Non suonava bene. “E questo che vorrebbe dire?” sbottò Anja, più brusca di quanto avrebbe voluto.

Riven si agitò sotto il suo sguardo. “Due draghi predestinati diventano compagni di vita millenaria”. Prese un respiro. “L’ho sentito subito, quando ti ho vista sul lago sotto il Jau. Per questo ti ho seguito. Ero sconvolto dal fatto che tu non fossi, bè… come me. Però non ho potuto farne a meno. Il…” di nuovo, Riven pronunciò quella parola assurda “è una forza magica potente”.

“Non volevo coinvolgerti in nessun modo, all’inizio; pensavo di poterti tenere d’occhio da lontano, e intanto in autonomia capire come risolvere questo… equivoco. Ma poi c’è stato il rosperonte, e quando mi hai detto che saresti andata da una maga di tua conoscenza, ho pensato che avrebbe potuto aiutarmi a disfare la cosa senza irrompere troppo nella tua vita. E hai proposto tu di assumermi, il che è stato un comodo espediente per poterti stare accanto senza destare sospetti”.

Anja lo fissò a bocca aperta. Thalia si era seduta e si teneva la testa tra le mani. Dalla finestra arrivava una brezza lieve e un forte frinire di imperturbabili cicale.

Anja fece un verso strozzato a metà tra un singulto e una risata. “Predestinati” ripeté. Lei? Con lui? Un drago? Ridicolo. Assurdo.

“È una teoria plausibile, purtroppo” si intromise Thalia, massaggiandosi le tempie. “Come ti ho detto, ho fatto le mie ricerche. E i segni, ad oggi, ci sono tutti”.

Anja rielaborò l’intera conversazione nella sua testa. Era senza parole. “E perché… cosa… e cosa significa? Cioè…” riuscì ad articolare.

Thalia sbottò. “Significa che, se tu fossi un drago, avresti trovato il tuo compagno per la vita, e avreste potuto vivere felici e contenti nascosti tra le montagne e contare il vostro oro fino alla fine dei tempi. Ma oh guarda: tu non sei un drago. Questa è una falla del tessuto magico di cui io non ho mai sentito parlare e di cui non si sa un’accidente, quindi non ho idea di come si debba procedere!” 

Il tono isterico di Thalia la rassicurò: trovava la cosa assurda e ridicola quanto lei. Anja si sentì un po’ meglio. Giocherellò con la trapunta sotto le sue mani. “Ok. Va bene. Credo di aver capito. Ma non possiamo semplicemente… ignorare la cosa? Andare per vie separate, e tanti saluti?”.

Riven fece uno sbuffo divertito. “Oh, decisamente no”. Si mosse verso di lei e, in un gesto fluido, le prese la mano posata sul copriletto e le si inginocchiò davanti. Quando la guardò negli occhi l’aria tra loro si strappò e esplose; la vista sfarfallò in tante schegge di luce bianca, e Anja si sentì sciogliere in rivoli di lava bollente. D’improvviso, il termine “predestinati” assunse un altro significato. Boccheggiò. “Oh.”

“Esatto”.

Questo è un problema”.

Riven le lasciò la mano e si alzò. “Te l’avevo detto che era un problema”. Anja, accaldata e confusa, si accorse di avere le dita contratte e le unghie artigliate sulla trapunta. 

Thalia agitò una mano come per scartare quella piccolezza. “Certo, certo, quello è un problema. Ma non è il problema”. Thalia li fissò con attenzione. “Sapete meglio di me che il sangue di drago è un ingrediente raro e richiestissimo. Ma se il mago sbagliato dovesse mettere le mani sul sangue di due draghi predestinati tra loro… si potrebbero fare cose sbagliate”. 

“Cosa sbagliate?” mormorò Anja, ancora frastornata.

“Pozioni di indicibile potenza. Incantesimi proibiti”.

Anja corrugò la fronte. “Ma… cosa… quale mago conosce questa cosa? A chi dovrebbe interessare?”.

Thalia aveva un’espressione risoluta. “Come ci sono fattucchiere che aspettano l’intera vita la caduta di una stella per imbottigliare una pozione di giovinezza, così ce ne sono altre che battono i dungeon e le montagne per trovare due draghi gemelli. E tu non puoi difenderti come un drago. Non puoi fidarti di nessuno”.

“Ok, ma ci sarà pure un modo per spezzare… questa cosa, no?”.

“Il legame si spezza solo con la morte di uno dei due predestinati” si intromise Riven.

“Non ho intenzione di lasciare questo mondo, grazie” replicò veloce Anja.

Riven roteò gli occhi. “Non era quello che intendevo, ovviamente. Intendo che non c’è altro modo riconosciuto per spezzare l’incantesimo. Non so nemmeno se qualcuno ci abbia mai provato. Non ce n’è motivo, tra i draghi”.

“Alcuni maghi potrebbero essere in grado di farlo” propose cauta Thalia. Si era seduta sulla sedia al tavolo davanti alla finestra. “Di spezzare il legame, intendo. Maghi molto più abili e molto più esperti di me”.

Anja la guardò. “Hai già un nome in mente”.

“Ho già un nome in mente” confermò la strega. “Orion Delacourt potrebbe farlo. È il sovraintendente della gilda dei maghi della regione. Lui potrebbe sapere cosa fare, e saprà mantenere il riserbo. Al momento lo sappiamo solo noi e Zachary - e se quel coglione osa aprire bocca, sa cosa lo aspetta” sibilò.

Anja li guardò con espressione disorientata e cercò di incanalare i ragionamenti nel verso giusto. Capiva cosa le stavano dicendo, ma il suo cervello non aveva ancora accettato questa incomprensibile svolta nella sua vita. Draghi predestinati? Lei raccoglieva e vendeva erbe, perdio! Ma se Thalia era una donna da non contraddire, era perché di rado aveva torto. Anja si fidava dell’amica, e se lei le diceva che era in pericolo, era in pericolo. Non aveva nessuna intenzione di farsi braccare da qualche mago pazzoide; se qualcuno si fosse messo sulle sue tracce per avere il suo sangue, Anja non avrebbe avuto nessuna possibilità. Insomma, se c’era la speranza di una soluzione, perché non tentarla?

La risposta emerse limpida nella sua mente. “Per me va bene” disse. “Andiamo da Delacourt. Spezziamo il legame”. Si girò verso Riven. “Riv? Che dici? Va bene per te?”.

Riven la guardò. Anja si sentì liquefare sotto quegli occhi di giada, ma si costrinse a non abbassare lo sguardo. Lui era incerto, afflitto, e preoccupato. Ma disse comunque: “Va bene”.

***

Orion Delacourt viveva nella zona di Alega, a due giorni di viaggio da lì. Thalia disse che lo avrebbe avvisato del loro arrivo tramite “i suoi mezzi”, che Anja sapeva essere delle speciali rocce di quarzo incantate allo scopo di inviare e ricevere messaggi.

Anja, nella piccola stalla accanto al cottage della strega, agganciò il bagaglio sulla sella di Miles. Poi si chinò a prendere lo zaino e se lo infilò con un gemito. Si saggiò la ferita sul petto; tirava appena, ma ancora bruciava.

Uscì dalla stalla nell’aria fresca del mattino. Ammirò il giardino di Thalia, racchiuso da una deliziosa staccionata di legno scuro e traboccante di ortaggi e erbe aromatiche. Un arco di piante di melone invitava ad avventurarsi lungo lo stretto sentiero di corteccia che si snodava tra le piante di zucchine e pomodori; tagete, calendula e alte zinnie punteggiavano di colore il verde acceso del fogliame. Anja provò una punta di invidia. Thalia ci sapeva fare, con il suo orto.

Stava per incamminarsi quando notò un vaso di terracotta traboccante di fiori gialli. Era una piantina di ruta: un’erba scacciadiavoli il cui profumo intenso era ritenuto in grado di allontanare gli spiriti maligni e le energie negative. Anja ne spezzò un rametto e se lo infilò in tasca. Qualcosa le diceva che avrebbero avuto bisogno di tutta la fortuna possibile.

“Riven, posso chiederti un enorme favore?”. La voce di Thalia risuonò dallo studio. Quando Anja entrò nel cottage, Riven era già lì. 

Thalia, vergognosa, chiese a Riven se poteva approfittare di lui per prelevare due boccette di sangue di drago, introvabile in quel periodo. “So che ho detto che è pericoloso, nella vostra situazione. Ma preleverò solo il tuo, e ne farò buon uso, te lo garantisco”. Riv acconsentì senza fare domande.

Thalia tirò fuori un tubicino d’argento e una lunga cannula trasparente. Anja sapeva che non erano in molti, maghi o guaritori, che sapevano come effettuare quella procedura. La strega chiese a Riven di arrotolare le maniche della camicia per mostrare l’incavo del braccio sinistro; trovata la vena, infilò con delicatezza il tubicino d’argento, che aveva già collegato alla cannula. Il sangue scorse veloce lungo il suo percorso trasparente fino a riempire la fiala predisposta.

Anja osservava affascinata. La strega le aveva spiegato che la procedura si chiamava “estrazione” di sangue. Sapeva anche che si erano tentate diverse “infusioni” il sangue tra una persona all’altra, ma a volte i pazienti morivano e a volte no, e non si capiva bene il perché.

Una volta finito il prelievo, Thalia si sperticò in ringraziamenti e li ricoprì di raccomandazioni per il viaggio. Sulla porta diede ad Anja i soldi per la verbena e la strinse a lungo tra le braccia. “Mi raccomando” le disse, baciandola sulla fronte.

Una volta a cavallo lungo la via, Anja allungò parte dei soldi a Riven.

Lui scosse la testa. “Ho abbastanza oro nella mia grotta da seppellirmici”.

Anja inarcò un sopracciglio. “Mi hai salvato la vita, due volte. Non mi interessa quanto è grande il tuo tesoro nella montagna”. Gli cacciò in mano i navok e lo vide deglutire. Era un’enorme difficoltà per lui rifiutare tutto ciò che era prezioso. Ad Anja venne da ridere. Era proprio un drago.

“Tienili” gli disse ridendo “te li sei meritati. Guarda in che razza di faccenda ti sei cacciato, con la predestinazione e tutto il resto”. 

Non ci furono altre obiezioni; Riven incassò il denaro e tornò a guardare la strada davanti a sé.  

Ma ad Anja venne in mente che c’era un’altra cosa che doveva consegnargli. “Ah, aspetta. Io ho ancora la tua collana”. Si sganciò la catenina e gliela porse. L’oro giallo luccicò al sole.

Riven fissò il gioiello che dondolava tra di loro. “Preferisco che la tenga tu”.

“Perché?”.

Lui si umettò le labbra e le fece un sorriso che le provocò uno spasmo nel bassoventre. “Un drago sa sempre dov’è il suo tesoro”.

Dio. Anja strinse il ramoscello di ruta che teneva in tasca. Sarebbe stato un lungo viaggio.

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Capitolo 9
*** Belladonna ***


Belladonna 

Oswald, come tutte le città di Zolden con più di diecimila abitanti, aveva due maghi ufficialmente assegnati: la prima era Thalia, all’anagrafe Nathalia Marie-Odile de Boyer; il secondo era Zachary Cleremont. 

Anja aveva già avvisato Riven che avrebbero dovuto fare una breve deviazione alla dimora del mago: era lui, infatti, il mandante dei maledetti fiori di sambuco. Furono da lui in appena mezz’ora di cavallo. Anja non dovette nemmeno avvertire Riven quando arrivarono a destinazione: Zachary, a differenza di Thalia e al suo anonimo cottage di mattoni rossi, ci teneva a rendere evidente il suo status di mago a chiunque passasse davanti alla sua residenza. 

Zachary Cleremont, mago patentato di Oswald, viveva in una torre incantata appena fuori dalla città, sul limitare del bosco. Edera rossa e fiori rampicanti avvolgevano le pietre grigio-viola dell’edificio in spire graziosamente accordate, salendo quasi fino al tetto spiovente di coppi rosso carminio. Da tutti i lati si potevano ammirare finestre con vetri colorati; un portone di legno intagliato e dipinto d’oro sprangava l’ingresso. Il giardino era circondato da una recinzione di radici magiche che impediva agli ospiti non graditi di avvicinarsi alla torre.

Anja e Riven smontarono da cavallo e si avvicinarono al cancello, anch’esso di radici intrecciate. Un merlo di pietra, incastonato sulla sommità di una piccolo colonna di sassi, girò la testa verso di loro. 

“Botanica e ammazzamostri. Siamo qui per Zachary” scandì Anja ad alta voce. 

Il merlo spalancò il becco di pietra. Non uscì alcun suono, ma un lampo di magia rossa guizzò appena lungo il cancello, che si districò in un fruscio erbaceo, arricciandosi ai lati di un sentiero di ciottoli neri. Anja e Riv avanzarono sui ciottoli verso la porta della torre, che si spalancò senza che dovessero bussare. Senza una parola, i due entrarono nella casa del mago.

Anja, nel suo peregrinare, aveva visitato le dimore di maghi e streghe di tutta la regione, ma doveva ammetterlo: nessuna aveva lo stile di Zachary. Il mago curava la sua casa come un museo in cui esibire i frutti del suo lavoro e i ritrovamenti dei suoi viaggi; viaggi che tutt’ora, Anja sapeva, lo tenevano occupato per molti mesi l’anno. 

I bagliori del fuoco danzavano sulle pareti di pietra della stanza rotonda della torre, coperte di arazzi e cartine geografiche color seppia. Armi, maschere e feticci misteriosi riempivano i mobili; sulle mensole erano allineate decine di boccette e ampolle di colori diversi. Cornici con farfalle infilzate decoravano la parete est; la parete ovest era invece occupata da enorme camino di marmo, in cui scoppiettava un fuoco di un rosso troppo intenso per essere naturale. Un calderone sobbolliva sulle braci, riempiendo la stanza di un profumo pungente di curcuma e cumino. Tavoli di diverse misure e poltrone scompagnate ingombravano la stanza. Un merlo - vero, stavolta - li fissava da una gabbia dorata appesa al soffitto, da cui pendevano anche diversi mazzi di aglio e erbe essiccate. Un senso di calore e di sensualità esotica permeava ogni oggetto di quella stanza. 

Zachary, flamboyant come sempre, li accolse con un gran sorriso e braccia spalancate. “Oh, Anja!” esclamò con sincera sorpresa. “Non ti aspettavo più ormai!”.

Alto e slanciato, il mago indossava pantaloni rossi e un farsetto viola slacciato sul petto, su cui baluginava un pendente d’oro con incastonato uno smeraldo grosso come una noce. Sotto i capelli ricci e scuri, il suo viso color del bronzo splendeva nella luce rossa del focolare, evidenziando le piccole rughe di espressione degli occhi a mandorla, che parevano sempre arcuati in un sorriso segreto.

“Ho saputo del tuo… imprevisto” continuò lui. Gli occhi scuri del mago saettarono tra lei e Riven. Anja non riuscì a leggere la sua espressione. Cosa gli aveva riferito Thalia, di preciso? Non le piaceva non saperlo. Zachary era un buon cliente, ma un personaggio imprevedibile.

Anja assentì. Il mago sorrise e diede loro il benvenuto; poi fece un gesto verso il tavolo più vicino al camino scoppiettante. “Non statevene lì sulla porta, su; accomodatevi, accomodatevi. Posso offrirvi da bere?” chiosò, trafficando con un vassoio che levitò fino a loro.

Anja e Riven si sedettero sulle poltrone imbottite e osservarono due bicchieri riempirsi in autonomia di liquido di colore legnoso.

Il mago si sedette a sua volta, le lunghe gambe accavallate con grazia, il bicchiere trattenuto appena con tre dita. Con la mano libera si accarezzava la corta barba curata.

“Allora. Una storia bizzarra, eh?” esordì, la voce trasudante di una malizia esagerata. I suoi occhi saltavano tra lei e Riven, studiandone ogni movimento.

Anja registrò Riv muoversi a disagio sulla sedia. La ragazza prese la parola. “Thalia ci ha detto della tua… teoria” fece un pausa. “E potrebbe essere corretta”.

Il viso di Zachary si aprì in un sorriso soddisfatto. “Certo che è corretta. Gli indizi erano chiari, e adesso che vi ho qui nella stessa stanza, vi dico che chiunque mago di un certo livello potrebbe capirlo solo guardandovi. Di certo, per me è evidente: fa decisamente più caldo da quando siete entrati”.

Anja si allarmò. Lei e Riven erano stati attentissimi a non guardarsi per tutto il giorno, ma se la cosa era comunque così evidente a chiunque avesse del potere magico, Thalia aveva ragione: non potevano andarsene in giro indisturbati.

Zachary parve divertito dalla sua espressione. “E, se posso chiedere” continuò, uno scintillio avido negli occhi “cosa avete intenzione di fare, ora?”.

Anja lanciò un’occhiata a Riven e valutò rapida cosa rivelare a Zachary. Coglione o no, Thalia si era fidata di lui, giusto? Si morse il labbro e prese una decisione. “Andiamo da Delacourt”.

“Orion, Delacourt?” Zachary non riuscì a nascondere la sua sorpresa. “Nathalia vi ha indirizzato da lui?”.

“Sì”.

Zachary riassorbì la sorpresa nel suo solito sorriso. “Lei saprà sicuramente cosa è meglio fare”.

Con la coda dell’occhio Anja vide una penna alzarsi e scribacchiare su una pergamena. Non disse niente.

“Molto bene. Ma è chiaro che non siete qui per chiacchierare con me. Avete delle cose interessanti da mostrarmi, non è così?”.

Anja tirò fuori le ampolle di aceto in cui marinavano i fiori di sambuco e le posò con delicatezza di fianco al vassoio con i bicchieri. “I fiori che hai chiesto”.

“Ottimo. Cento navok per tutte le fiale”.

“Cento?” rise Anja. “Sai bene che valgono il doppio. Sono fiori di sambuco raccolti alla luna piena. Ho rischiato la pelle per averli”.

Lo sguardo di Zachary cadde sul bendaggio che le spuntava sopra il corsetto. “E io ti ammiro moltissimo per questo; ma sono tempi duri per tutti, e duecento navok sono, francamente, un’esagerazione”.

“Posso partire ora e venderli a Victor per trecento”.

Zachary la fissò per sventare il suo bluff. Quando vide che era seria, fece un rapido cenno di capo. “Vada per duecento”.

Con un pigro movimento di dita, Zachary aprì un cassetto e il denaro volò dritto nel grembo di Anja. Allo stesso tempo, le ampolle si alzarono dal tavolo e corsero a nascondersi in una credenza.

Il mago prese un sorso del suo drink. “Come sta la mia cara Nat?”.

Anja pensò al conato di vomito che avrebbe avuto Thalia a sentirsi chiamare “la mia cara Nat” da Zachary Cleremont. “Sta bene. Devo ringraziare lei se ora sono qui a parlare con te”.

“Ah sì, la magia curativa è sempre stata il suo forte; anche quando eravamo a scuola, era la migliore. Avrebbe potuto fare grandi cose, grandi cose davvero” disse il mago, pensoso. 

Anja, distratta da una collana di denti umani esposta su una mensola, non fece commenti. Né toccò il suo bicchiere. Non beveva mai dai suoi clienti.

Zachary si riscosse dai suoi ricordi dell’accademia e tornò a chiacchierare. Dopo essersi accordati di incontrarsi tra due mesi per altri fiori di sambuco e aver ricevuto un ambiguo buona fortuna, Anja e RIven uscirono dalla casa del mago.

Appena le radici magiche si richiusero dietro di loro e il merlo di pietra riprese la sua posizione originaria, Riven disse: “Lui non mi piace”.

Anja inarcò le sopracciglia. “Zachary? Di certo gli piace fare scena, ma non è cattivo. Thalia lo conosce dai tempi della scuola e lo detesta con passione, ma si fida abbastanza di lui da avergli chiesto aiuto per… il nostro caso. Possiamo fidarci anche noi”.

Riven disse qualcosa che suonava come “mphf”.

***

“La belladonna cresce un po’ dappertutto in queste zone di montagna, soprattutto ai margini dei boschi di faggio. È questa qui, vedi? Questa con le bacche scure e la corona a stella. È una pianta della famiglia delle solanacee, come i pomodori e le patate. Si chiama così perché in passato il succo delle bacche veniva usato dalle dame di corte per abbellirsi: applicato sugli occhi fa dilatare la pupilla, donando un aspetto piacevole, suppongo. Non la proverei, comunque: nonostante l'aspetto invitante e il sapore dolce, le bacche sono velenose. L'ingestione provoca sete, nausea, delirio, allucinazioni, convulsioni e morte. Però, siccome agisce sul sistema nervoso, può essere usata anche come afrodisiaco e come rilassante in caso di interventi chirurgici”. 

C'erano due giorni di viaggio tra loro e la cittadina di Alega, dove avrebbero trovato Delacourt nel suo castello fuori mano. Quindi Anja, ovviamente, ne aveva approfittato per raccogliere belladonna. Era la stagione perfetta ed era bastata una piccola deviazione per trovare il posto in cui ne cresceva in abbondanza.

Inoltre, Anja aveva bisogno una distrazione. Con Riven così vicino, da soli, ora che sapeva quello che sapeva, si sentiva perennemente sull’orlo di qualcosa. Non poteva fissarlo tutto il tempo come un cazzo di girasole. Preferiva di gran lunga trovarsi qualcosa di utile con cui occupare occhi e mani. Ergo, la belladonna.

Ma Riven non sembrava intenzionato a lasciarla da sola nemmeno per un minuto. Mentre lei raccoglieva grosse manciate di bacche nere, lui si era appoggiato ad un tronco d’albero e la guardava.

Il faggeto era rigoglioso a quella altitudine. Anja non si stancava mai di ammirare la luce che filtrava tra le fronde. Inspirò il profumo di bosco a pieni polmoni e cercò di ignorare la sensazione di inusuale benessere che le scivolava lungo il collo.

“Duecento navok per il sambuco” disse Riven con tono meditabondo “e ne dai cento alla tua scorta. Un magro bottino per rischiare la vita ogni luna piena”.

Anja continuò a pizzicare le grosse bacche di belladonna e a depositarle nel suo cestino triangolare. “Raccogliere artemisia per i vampiri è poco al di sopra dello spaccio di droga; raccogliere sambuco per la pozione antilupo perlomeno mi permette di illudermi che quello che faccio è utile”. 

Riven non parve troppo colpito dalla risposta. Anja roteò gli occhi e gli concesse un barlume di sincerità. “Una persona a me cara ha sofferto molto a causa di un morso di licantropo. Non sempre la pozione antilupo era disponibile per alleviare i sintomi. Quindi ora mi fa sentire meglio raccoglierlo per altri. È il mio modo per affrontare il dolore”.

Riven tornò a fissare un punto imprecisato tra gli alberi. “E a questa persona, cosa è successo?”

“È morta. Uccisa da un ranger di passaggio durante la trasformazione della luna piena”.

“Mi dispiace” disse Riven. Per un po’ nessuno dei due parlò. 

“So che, di fatto, rischiare la vita ora è inutile” disse Anja. “Ma era un caro amico d’infanzia, e gli esseri umani sono complesse creature sentimentali”. Accennò un sorriso malinconico; aveva già versato lacrime a sufficienza. Raccolse altre bacche di belladonna.

Un’intensa sensazione di affetto la pervase. Riven la stava guardando di nuovo. Anja deglutì. “Per favore, Riv… smettila di guardarmi”.

La sensazione svanì. Anja aveva riempito il cestino. Dopo una serie di “scusa” “grazie” e “andiamo?”, si riavviarono verso il sentiero.

Anja si chiese se i draghi provavano il loro stesso senso di perdita e di amore nei confronti dei loro simili. Si disse che probabilmente era così. 

“Com’è essere un drago?” chiese. I loro passi erano silenziosi sul tappeto di foglie e felci.

“Non male. A parte i paladini che ogni tanto arrivano alla mia porta con l’idea di uccidermi”.

Anja, sorpresa dalla piega inusuale la conversazione, ridacchiò. “Per avere il tuo oro?”.

Riven si strinse nelle spalle. “Oro, gloria, eventuale principessa che potrei aver rapito…”

“Hai rapito una principessa?”.

“Non ancora”.

 Anja sorrise divertita. “Devo dire che sono delusa. E a rubare il tuo tesoro? Qualcuno ci è mai riuscito?”.

“Solo una volta. Come saprai, un drago sa sempre se il suo tesoro viene spostato o rubato; e se succede, sa sempre dove ritrovarlo”.

Anja pensò alla catenina che portava al collo. “E cosa è accaduto a questo sventurato ladro?”.

“Ladra. Aveva preso solo un anello. Se l’è cavata con una bella ramanzina e qualche bruciatura. Non l’ho più rivista”.

“Sei un drago magnanimo”.

“Come la maggior parte della mia specie”.

Anja fece un altro risolino. Sentì di nuovo il suo sguardo su di lei, ma cercò di sopportarlo. Era, purtroppo, maledettamente piacevole da sopportare.

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Capitolo 10
*** Stramonio ***


Stramonio

Camminarono e cavalcarono fino al tramontare del sole. Non era sicuro dormire nel bosco in quella zona, ma non avevano molta scelta. Almeno non era una notte di luna piena. 

Una volta legati i cavalli e preparati i giacigli, Anja si arrabattò per accendere il fuoco senza successo. Si voltò verso Riven, che si inginocchiò e soffiò sul mucchietto di rametti secchi. Dopo poco una fiammella vivace prese il sopravvento. “Comodo” commentò Anja. Riven sorrise, probabilmente ricordando l’ultima volta che, a ruoli invertiti, avevano acceso un fuoco. Era stato alla locanda all’incrocio? Pareva ieri e una vita fa.

Mangiarono e parlarono del più e del meno. Il fuoco scoppiettava allegro mentre il cielo si tingeva di blu. Anja, sdraiata con le braccia sotto le testa, riuscì a vedere le prime timide stelle sbucare tra le foglie dei faggi. La notte profumava di bosco e di funghi. 

Anja lanciò un’occhiata a Riven, seduto di fronte a lei dall’altra parte del falò. Fissava il fuoco; le fiamme danzavano sul suo viso immobile, gli occhi come tizzoni verdi nell’oscurità. 

“Sei preoccupato”.

Riven parve riemergere da un luogo lontano. Sbatté le palpebre e prese un profondo respiro. “Come?”.

“Sei preoccupato” ripeté Anja. 

Riven tornò a guardare le fiamme. “Credo che spezzare il legame sia una buona idea” disse infine. “Al momento, io non posso tornare a vivere la mia vita… senza di te. Sarebbe indicibilmente doloroso. Ma tu non sei un drago; non mi aspetto e non desidero che tu cambi nulla della tua, di vita. Ho invaso il tuo spazio solo perché hai proposto tu di assumermi, e all’epoca mi era parsa una buona idea. Ma non avevo valutato l’aspetto umano della cosa”.

“Che intendi?”.

“In questa forma, quello che provo è più difficile da controllare”.

Le parole rotolarono fuori dalla bocca di Anja prima che potesse mordersi la lingua. “Cosa provi?”.

Riven sembrò in dubbio, ma poi roteò gli occhi in un’espressione esasperata e la guardò. Al di là delle fiamme, i loro occhi si incontrarono. 

Anja all’inizio si sentì, come sempre, estremamente rilassata. Ma c’era dell’altro. Cominciò a sentire un gran caldo, e una lenta, controllata frenesia le inondò le vene. Il respiro le si fece rapido e irregolare. Un basso ronzio le obnubilò il cervello. Si sentì spaventata, tramortita… ammaliata.

Anja si lasciò scappare un singulto. “Questo… lo senti anche tu?”.

“Tutto il tempo”.

Dio”.

“Lo so”.

“Mi spiace”.

“Non è colpa tua”.

Riven abbassò lo sguardo. Anja, stravolta, si sentì ancora più motivata nella loro missione. “Spezzeremo questa… cosa impronunciabile. Il legame. Così sarai libero”.

Riven fece un sorriso a metà tra lo speranzoso e l’afflitto. “Penso davvero che sia la soluzione migliore per entrambi. La più sicura. Ma devo ammettere che mi spaventa l’idea di… perderti”.

Anja si sentì a disagio. Le dispiaceva per Riven, ovviamente. Che sfiga incredibile era essere assegnati come compagno di vita ad un individuo di un’altra specie? Era davvero un brutto tiro del destino, quello. Doveva aver fatto incazzare qualche divinità, in questa vita o nell’altra.

Riven si passò una mano sul viso. Anja intuì che stava combattendo una faticosa battaglia interiore.

L’uomo lasciò ricadere la mano e fece un respiro tremulo. “Posso solo, magari…?” le chiese, e allargò le braccia in un invito silenzioso. “Per allentare la tensione” si affrettò a specificare.

Anja sapeva che era un errore. Un errore epico. Ma come poteva rifiutare? Lo sguardo triste e perso di Riven era una forza gravitazionale ineluttabile. Per allentare la tensione, si disse Anja. Si alzò dal suo giaciglio e fece i tre passi che la separavano da Riven. Si sedette accanto a lui e, con delicatezza, si infilò tra le sue braccia, posando la testa sulla sua spalla. Lui sospirò come se gli fosse stato tolto un enorme peso dal petto, e la strinse a sé con un braccio. 

Stettero lì un po’ a godersi il calore l’uno dell’altra. Anja pensò che tutto sommato era piacevole. Lo scoppiettio delle braci, il profumo di legno bruciato, la frescura della notte montana. Si rilassò contro la spalla di Riven, mentre la mano di lui le accarezzava il braccio. Era per lui, si disse. Per placare il suo dolore. Per la sfiga cosmica del destino. Anja galleggiava in una bolla di calda beatitudine.

Lieta e inconsistente come una nuvola, Anja sorrise e alzò il viso verso di lui. I loro sguardi si incrociarono. E il mondo si frantumò in mille schegge di vetro. 

Cazzo.

Altro che rilassatezza, altro che leggerezza e luce. Sotto gli occhi verdi di Riven, così vicini, Anja si sentì fatta di lava infuocata. Un’eccitazione feroce la aggredì facendola gemere. Lo sguardo di Riven passò da spaventato, a sorpreso, a rovente, a affamato. Il cervello di Anja andò in cortocircuito. Voleva solo farsi prendere ripetutamente, qui e ora.

Si separarono ansimando. 

“È stata una brutta idea”.

“È stata una pessima idea”.

Si voltarono a fissare i lati opposti del bosco.

“E adesso?” chiese Anja. Il cuore le martellava nelle orecchie. Era tutta sudata.

La voce di Riven era a metà tra l’eccitazione e il panico. “Non ho soluzioni. Si può combattere o cedere, immagino”.

“Cedere sembra un’ottima opzione in questo momento”. Anja si stupì della smania della sua stessa voce.

“Dio, sono d’accordo” gemette Riven.

Lentamente, ansanti e dubbiosi, si voltarono di nuovo a guardarsi. Il falò languiva, un’ultima fiammella ad attendere la loro decisione. Anja si morse il labbro. Vide gli occhi di Riven saettare famelici sulla sua bocca.

“Oh, fanculo” disse, e si gettò su di lui. Il fuoco si spense in uno sbuffo di fumo.

***

Anja si svegliò in un bozzolo di lieto tepore. Era intrappolata tra le braccia di Riv con il viso contro il suo petto. Emanava un calore adorabile, e il suo cuore batteva stabile e lento, molto più lento di quello di un essere umano. Uscendo a fatica dal torpore, Anja si chiese che ora fosse. Il fuoco era spento da tempo, le braci fredde. 

Lui aprì gli occhi e la guardò. Lei arrossì nel vedere il pigro affetto che gli scaldava il viso; sapeva benissimo che c’era un’espressione analoga sulla sua faccia. 

Riven le baciò la fronte. Stettero così un’eternità, con lui che le accarezzava piano i capelli e la schiena. Anja pensò che quel singolo momento fosse il più bello della sua vita. Si sentiva al sicuro e in pace con il mondo come mai si era sentita prima. Per un rapido, egoista momento, desiderò che non finisse mai.

E perché doveva finire, poi…? Ah già: il sangue di drago, la predestinazione, la sfiga cosmica, pericolo mortale, eccetera. Anja ritrovò la lucidità e cercò di districarsi dall’abbraccio, ma un dolore noto la fece gemere.

“La ferita?” chiese Riven.

“Sì. Non brucia più ormai; tira solo un po’”.

Senza parlare, lui spostò la mano dalla sua schiena fino a sfiorarle la benda sopra il seno. Mormorò un incanto ormai conosciuto e un flusso fresco di piacere le invase il petto.

Anja pensò che avrebbe potuto morire felice così.

Si alzarono silenziosi e frastornati. Caricarono i loro effetti sui cavalli e fecero sparire i resti del falò. 

Da un lato, Anja era lieta che non avessero parlato di quello che era successo quella notte; dall’altro ora non desiderava altro che ributtarsi tra le sue braccia. 

No, Anja, no. Non ci pensare nemmeno. Ingoiò l’egoismo e spinse i talloni sui fianchi del cavallo, che si incamminò docile lungo il sentiero.

***

 

Orion Delacourt, sovrintendente della gilda dei maghi della regione, viveva in un cazzo di castello in cima ad una cazzo montagna. Anja si segnò di insultare Thalia per non averle specificato il dislivello di ottocento metri che separava la città di Alega dalla residenza “fuori mano” del mago.

Avevano dovuto lasciare i cavalli in una malga prima di inoltrarsi nel fitto susseguirsi di tornanti rocciosi che portavano alla vetta, dove i faggi avevano lasciato il posto a larici e abeti rossi sempre più radi.

Dopo due ore intense di sudore e imprecazioni, arrivarono ad un pianoro erboso. Tra la roccia e un piccolo lago tondo color zaffiro era incastonato un castello di pietra bianca, alto e sottile, come a sfidare i picchi innevati che si stagliavano in lontananza.

Quando si avvicinarono all’edificio, Anja notò a terra le foglie frastagliate e irregolari dello stramonio. Quei fiori bianchi a imbuto, ora chiusi - si aprivano solo di notte -, crescevano floridi nei campi incolti, ai margini delle strade, soprattutto in vicinanza dei luoghi carichi di energia magica, come i ritrovi del piccolo popolo, terreni consacrati e, non a caso, le case dei maghi. Conosciuto anche come “erba del diavolo” o “erba delle streghe”, lo stramonio è una pianta velenosa usata per omicidi e suicidi dalla notte dei tempi. Grazie alle sue proprietà narcotiche, sedative ed allucinogene viene utilizzato per stimolare preesistenti doti di chiaroveggenza e per rivelare incantesimi nascosti.

Dalla quantità di fiori di stramonio che cresceva attorno al castello, Anja non ebbe più dubbi. La magia di Orion Delacourt scorreva potente in quel luogo.

E si fece un appunto mentale di raccoglierne un po’ prima di andarsene, dopo aver risolto tutta quella faccenda.

Bussarono al pesante portone di legno. Nessuno rispose, ma il chiavistello brillò di azzurro e si aprì con un clunk. Anja e Riven si scambiarono un’occhiata e entrarono nel castello.

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Capitolo 11
*** Aconito ***


Aconito

Orion Delacourt era un mago molto magro, pelato, con un corto pizzetto bianco e occhi gentili. La prima impressione che ne ebbe Anja fu positiva. Lo conosceva di fama, ovviamente, ma non era mai stato un suo cliente diretto: a volte, per richieste specifiche, era stato Zachary a fare da tramite tra loro due. Anja gli diede una sessantina d’anni, ma probabilmente erano molti di più. Indossava una tunica verde e blu lunga fino a terra e un mantello bordato di pelliccia che strisciava sui tappeti e sul pavimento di pietra. 

Dopo i leciti convenevoli, Orion si disse molto sorpreso nell'apprendere che Thalia non aveva preso un abbaglio: lei e Riv erano davvero un anomalo caso interrazziale di draghi predestinati. “In tutta onestà” ammise “ero convinto che Nathalia si fosse sbagliata. E invece eccovi qui, in carne ed ossa, un caso magico che non avrei mai immaginato di incontrare in tutta la mia vita”.

L’ospitalità di Delacourt fu spiccia ma gradevole. Anja fece appena in tempo a registrare gli interni spogli e rigidi del castello, che il mago li condusse nel suo studio, una stanza squadrata con un’enorme scrivania in mezzo e una mole di attrezzatura degna di un laboratorio di chimica. Li fece accomodare e si sedette su una poltrona imbottita al di là della scrivania, da dove li studiò con occhi attenti. Anja riconobbe perspicacia e intelligenza fuori dal comune in quelle fessure azzurre.

“Orbene. Nathalia mi ha spiegato che vi siete incontrati per caso e che, come un improbabile scherzo del destino, è scattato il legame magico. E siete qui per capire come risolvere la cosa. Ditemi quindi: come vorreste procedere?”.

Anja, sentendosi molto uno scherzo del destino, rispose: "Speravamo che ce lo dicesse lei, signore. Thalia ci ha detto che avere questo legame è pericoloso a causa di… magie? Che si potrebbero fare con il sangue di due draghi predestinati. Noi non vogliamo rogne, quindi vorremmo spezzare il legame.”

Anja vide Orion allargare gli occhi per la sorpresa, e subito riprendere controllo di sé.  “Spezzarlo? Oh. Ok. E chi dei due vuole morire?”

Riven sollevò un sopracciglio. Anja sbatté gli occhi. “... nessuno?”.

“Ah. Bè, questo complica le cose”.

Li stava prendendo in giro? Anja non ne era certa.

Il mago si rilassò contro lo schienale della sedia imbottita, unì i polpastrelli delle due mani e posò gli indici davanti alla bocca. “Mmm. D’altronde, non essendo il legame attivo tra due draghi di sangue puro, forse… potrebbe essere fattibile. Mi serviranno un giorno o due per fare le opportune ricerche. È comunque mio dovere avvisarvi che potrebbe trattarsi di una procedura lunga e difficile. Possibilmente dolorosa. Sicuramente estenuante. E non ci sono garanzie di successo. Volete comunque procedere?”.

Anja e Riven si lanciarono un’occhiata. Un effluvio di pace tranquillizzò la ragazza. “Va bene. Procediamo”

“D’accordo allora. Vi avviserò non appena avrò raccolto tutte le informazioni necessarie. Nel frattempo, siete benvenuti a passare la notte qui”.

***

A quella altitudine anche le notti di giugno erano gelide. Anja si strinse nella sua coperta di pelliccia, incapace di prendere sonno. Era nervosa. E sola.

A lei e Riven erano state assegnate due stanze separate al secondo piano, ma la forza invisibile che la attraeva a lui non le dava tregua. E sapeva che, con solo due porte e un corridoio a separarli, non avrebbe resistito molto. 

Rossa in viso, si ritrovò a bussare alla sua porta. Quando Riven le aprì, Anja fu certa che nemmeno lui aveva chiuso occhio. Il suo sguardo era fosco dietro le iridi verdi, e i capelli grigi scompigliati come se si fosse rigirato troppo sul cuscino. Anja pensò che fosse bellissimo. Voleva baciarlo di nuovo. Era una tortura.

Gli disse che non riusciva a dormire. Lui la fece entrare senza fare domande. Anja si appoggiò al cornicione della finestra e guardò fuori. Era una notte fredda e limpida: la luna calante illuminava le poche nuvole e i picchi bianchissimi in lontananza; i fiori candidi di stramonio punteggiavano il prato sotto di loro, quasi fluorescenti nell’oscurità.

Riven, anche lui attratto dalla stessa forza invisibile, si appoggiò alla finestra accanto a lei e le accarezzò distrattamente la mano posata sul cornicione. Parlarono dell’incontro appena avvenuto, concordando sul fatto di essere in buone mani e condividendo la speranza che tutto sarebbe finito presto. Anja ingoiò la sua preoccupazione e fissò le loro mani unite.

“E cosa farai… dopo?” gli chiese lei.

“Tornerò a casa, suppongo”.

“Al tuo tesoro”.

“Al mio tesoro”.

Lei sentì una punta di tristezza. Ma si disse che era un sentimento falso e immaginario, dovuto alla loro condizione fuori dall’ordinario, e di cui presto si sarebbero liberati.

Questo non le impedì di aggiungere: “Puoi abbracciarmi?”.

Riven eseguì senza esitare. Si spostò dietro di lei e la abbracciò da dietro, petto contro schiena. Anja si sentì sciogliere e, ormai senza remore, strusciò la testa contro il suo collo. “Perché è così maledettamente bello?”.

Sentì Riven ridere sui suoi capelli. “È questo il punto. Deve essere bello. Meraviglioso. Irripetibile”.

“E noi lo stiamo per distruggere”.

“Per il bene di entrambi. Sappiamo che è pericoloso. Niente ripensamenti, Anja”.

“Hai ragione. Maledizione, perché devono avere tutti ragione tranne me?”.

Riven rise di nuovo, un suono basso e dolce contro la sua tempia. “Preferiresti che ti rapissi e ti rinchiudessi per sempre nel mio antro dentro la montagna?”.

“Mm. Suona molto molto bene, in realtà”.

“Smettila” disse, baciandole la tempia “di provocarmi”.

“Non sto facendo niente”.

“Ah no? Chi è venuto a bussare alla mia porta nel cuore della notte?”.

Anja si morse un labbro. “È molto difficile resistere”.

Riven si irrigidì appena. “Lo so”.

Anja si voltò verso di lui. “Dovremmo…?”.

Gli occhi di Riven erano verdi e serissimi. “Non dovremmo”.

“Lo faremo lo stesso?”.

“Probabilmente sì”. Riven abbassò il viso su di lei e la baciò.

Anja non aspettava altro. Ricambiò con irruenza, lanciandogli le braccia al collo e facendo aderire il torace a quello di lui. La stanza attorno a loro vorticò e smise di esistere mentre labbra morbide prima, e lingue impertinenti poi, si esploravano con dolcezza. Annegata nell’estasi di quel bacio fuori dal tempo e dallo spazio, confusa, ansimante e con le vertigini, Anja si staccò un istante per riprendere fiato. Riven aveva le braccia agganciate attorno alla sua vita e la guardava con occhi appannati da un sentimento a cui era impossibile dare un nome. Il respiro rapido e spezzato contro le sue labbra le confermò che era su di giri quanto lei. Era incredibile. Era pazzesco. 

Era una sfiga indecente.

Anja si rigettò nel bacio. E tutto sparì di nuovo.

***

Il giorno seguente non parlarono del fatto che quella notte avevano di nuovo dormito abbracciati come due ragazzini innamorati. Era tutto assolutamente ridicolo, e bellissimo, e disgraziato. E presto, auspicabilmente, sarebbe finito.

Anja tornò nella sua stanza per vestirsi. Una volta pronta bloccò Riven nel corridoio e gli porse un pugno chiuso. 

“Da oggi” gli disse con un sorriso incoraggiante “non ti servirà più sapere dove sono”. Aprì le dita: sul palmo giaceva la sua catenina d’oro. Con espressione accigliata, Riv prese la collana e scese le scale che portavano alla sala principale.

Lei lo seguì giù per le scale e lungo il corridoio male illuminato. Il castello di Delacour era buio e spoglio, soprattutto se confrontato con il caldo e stipatissimo arredamento della torre di Zachary. Pochi oggetti sobri e funzionali, qualche candelabro, qualche tappeto di lana intrecciata, le pareti di nuda pietra gelide al tatto. Era chiaro che a Orion Delacourt non interessava fare colpo sugli ospiti. Il che, ragionò Anja, aveva perfettamente senso: dopotutto, viveva in un eremo a quasi duemila metri. Un ottimo modo per evitare la gente nella sua interezza.

Orion li attendeva sul lungo tavolo da pranzo. La colazione era pronta, calda e abbondante. Il mago fece loro un gran sorriso.

“Siamo pronti?”.

***

Anja fissava l’aconito sulla credenza. Gli splendidi fiori a grappolo erano stati posati distrattamente su una mensola. Senza vaso né acqua ormai pendevano flosci, ma erano ancora di un viola intenso.

Anja sapeva che bastavano sei grammi di aconito per uccidere un uomo adulto. L’ingestione di una qualsiasi parte della pianta causava perdita di sensibilità, senso di angoscia, rallentamento della respirazione, indebolimento cardiaco, formicolio al viso, ronzio alle orecchie, disturbi della vista. Poteva anche causare contrazioni della gola e, come sgradevole effetto collaterale, portare alla morte per asfissia.

Anja pensò, in un guizzo di isteria, che le sembrava di avere tutti i sintomi.

Non era vero, ovviamente. Guardò il mago seduto sulla scrivania di fronte a lei. Erano passati due giorni, e da Orion Delacourt si erano subito sentiti i benvenuti. Avevano dormito e mangiato secondo le sacre regole dell’ospitalità. E molti chimici e maghi tenevano l’aconito nella loro dispensa, in quanto utile in diverse preparazioni. Non tutte legali, certo; ma tant’è. 

Anja tornò a concentrarsi su quello che il mago stava dicendo.

“...il problema sta nel sangue, quindi sul sangue bisogna agire. Partiremo con un incantesimo per rivelare il gene del sangue colpevole di questo legame - il gene del drago” fece un cenno verso Riven. “E poi ritrovare lo stesso gene - o antigene - nel tuo sangue, ragazzina” concluse, guardandola.

Anja incassò il “ragazzina” con un moto di stizza, ma non disse nulla.

“Credo che nessun mago al mondo possa fare molto sul sangue puro di un drago. Per questo motivo cercheremo di spezzare l’incantesimo dalla tua parte…”

“Anja”.

“...Anja. Una volta individuati i due geni gemelli, potremmo effettuare un incantesimo di mutazione e poi eliminarli dal tuo flusso sanguigno con un buon salasso alla vecchia maniera. La procedura sarà possibile tramite il macchinario che vedete qui” indicò con un gesto una scatola di ottone con tre rotelle dentate. “E sarà forse necessario assumere delle erbe miorilassanti per evitare contrazioni involontarie durante l’operazione”.

Seguì un silenzio imbarazzante.

“Non credo di aver capito bene. Lei vorrebbe… cambiare il mio sangue?”

“Quasi. Si tratterebbe di individuare gli elementi magici e di tentare di… smorzarli”

Anja deglutì. “E questo cosa comporterebbe?”

“Difficile da prevedere con certezza, ma oserei dire che non ci saranno effetti collaterali a lungo termine. O funziona, e il legame di spezza, o non funziona, e tutto resterà esattamente come è ora. Ovviamente, sarà un incanto complesso, lungo e doloroso, come tutte le magie di mutazione. E, che io sappia, mai eseguito prima per questo caso specifico: non ci sono quindi garanzie di successo. Volete comunque procedere?”.

Niente ripensamenti. Anja annuì. Il suo sguardo corse però ai fiori viola sulla mensola. Ad Orion la cosa non sfuggì. “Aconito, eh? L’ho raccolto proprio ieri. Uno dei veleni più tossici presenti in natura, come immagino ben saprai. Potremmo contrapporlo al sangue di drago, che è invece una delle cure più potenti”.

Delacourt si alzò e sollevò il misterioso marchingegno quadrato che aveva posato sulla scrivania. Nello stesso momento, un fiore di aconito si staccò dal gambo floscio e volò a terra.

“Molto bene. Seguitemi”.

***

In linea teorica, ad Anja stava bene tutto. In pratica, quando scesero la ripida scala a chiocciola e sbucarono nel laboratorio sotterraneo del mago, si sentì molto meno convinta della sua decisione.

Il laboratorio era una bassa stanza di pietra affollata di strumenti e macchinari dall’aria sinistra. Un calderone sobbolliva nel camino emettendo una pulsante luce violetta. Orion rianimò le fiamme con un guizzo delle dita e la stanza si fece più luminosa. Due lettini con legacci di cuoio erano stati preparati ai lati di un tavolo su cui era stesa una stuoia di pinze, bisturi, aghi e coltelli. 

Orion li fece accomodare sui due diversi lettini e, con la stessa procedura che avevano visto da Thalia, praticò l’estrazione di sangue prima a Riven, poi a lei. Anja osservò ansiosamente il sangue scorrere nella cannula trasparente fino a colare dentro al preposto contenitore di vetro. Due fiale furono riempite molto velocemente. 

Tenendo un pezzo di garza nell'incavo del braccio per fermare l'emorragia, Anja scrutò le due boccette affiancate sul tavolo. Parevano identiche, con lo stesso liquido rosso intrappolato immobile nel vetro. Era tutto lì, il loro problema; la sfiga cosmica; lo scherzo del destino. Due maledette fiale di vetro.

Orion afferrò la fiala con il sangue di Riven e ne versò due gocce in una voluminosa ampolla piena di vapore bianco. Il vapore divenne oro con uno sfrigolio. Prese poi la fiala di Anja e fece lo stesso in una seconda ampolla; il vapore sfrigolò allo stesso modo, ma si tinse dapprima di un giallo pallido, e poi di rosa intenso.

“La conferma” mormorò il mago, guardando fisso entrambe le ampolle vaporose. Stringeva ancora in mano la fiala con il suo sangue. Anja notò che ticchettava nervosamente con il pollice sul tappo.

“Possiamo procedere. Stenditi qui” disse ad Anja. Lei si allungò sul lettino. Il mago prelevò un ago d’argento dalla stuoia sul tavolo. “Ora ti inietterò un miorilassante. Poi procederò con l’incantesimo di rilevazione” le spiegò, gentile. 

Anja annuì. Cercò rassicurazione da Riven, ma gli occhi dell’uomo erano fissi sull’ago che le stava bucando di nuovo l’avambraccio. Il mago afferrò uno strumento tubolare in vetro e metallo con una vite e un liquido viola all’interno, lo agganciò all’ago e cominciò a far ruotare la vite tramite una farfalla. Era un sistema a pistone, capì Anja, che premeva il liquido dallo strumento di vetro verso l’ago d’argento, e da lì dentro il suo corpo. Si sforzò di interessarsi alla meccanica della cosa per non pensare con inquietudine al liquido misterioso che veniva pompato dentro di lei.

Si sentì molto flaccida molto in fretta. Delacourt borbottava tra sé. Riven non parlava, ma Anja percepiva il suo sguardo preoccupato.

L’ago venne rimosso. “Ora, l’incantesimo di rilevazione” disse Orion. “Non dovrebbe essere doloroso, ma potrebbe darti fastidio”. Sollevò entrambe le mani e le avvicinò al suo viso, senza toccarlo. I palmi si illuminarono di azzurro e Anja percepì un pizzicore partire da in mezzo agli occhi e diffondersi sulla fronte, sulle guance, su tutto il cuoio capelluto. Con lo spostarsi delle mani del mago sopra il suo corpo, il pizzicore si spostò lungo il collo, le spalle, il petto. Anja gemette quando arrivò alla ferita. Bruciava.

“Ferita magica?” chiese il mago. Anja annuì. Orion proseguì la sua analisi su tutto il corpo. Anche quando la luce azzurra si spense, ai piedi di Anja, il pizzicore rimase intenso e fastidioso. Le sembrava di avere centinaia di formiche che le camminavano sottopelle.

“Bene. La rilevazione è chiara. Ora dovrò procedere con la mutazione. Questo… potrebbe fare male” disse Orion. Afferrò le cinghie di cuoio e iniziò a legarle i polsi ai lati del lettino. Quando passò a tapparle la bocca con un canovaccio, Riven si allarmò. “È proprio necessario?” 

“È per il suo bene” confermò Delacourt.

Legata, imbavagliata, con le membra flaccide e mille formiche immaginarie addosso, Anja stava cominciando a preoccuparsi.

Orion Delacourt disegnò un intricato gesto con entrambe le mani. “Pronta?”

Anja guardò Riven; le diede quel poco di coraggio che le mancava. Annuì. 

Il dolore le schiacciò i polmoni e le tolse il fiato. Il pizzicore diventò un bruciore feroce, denso come lava nelle sue vene straziate. La vista si fece opaca, e un rumore continuo e rombante le riempì le orecchie. Anja urlò e urlò, la voce soffocata nella stoffa del bavaglio. Durò un’eternità.

Poi Orion abbassò le mani e il dolore si prosciugò, lasciandola svuotata e ansante.

“Molto bene” sentì dire.

Ci fu un trafficare di oggetti di vetro e metallo. Sentì due aghi bucarle di nuovo la pelle, uno per ogni braccio. Due cannula trasparenti vennero collegate ad un macchinario con tre rotelle dentate e una sacca a imbuto.

Anja sentì che stava entrando nel panico. Sull’orlo delle lacrime, guardò Riv. Riven ricambiò il suo sguardo preoccupato.

In una serie di sbuffi e scricchiolii di ingranaggi, la macchina entrò in azione. Le cannule trasparenti cominciarono a risucchiare il sangue dalle vene. La sacca a imbuto divenne verde, poi rossa, poi viola. 

Anja sentì le forze abbandonarla. Cercò di parlare, ma lo straccio glielo impediva. 

Le mani del mago crearono di nuovo un simbolo arcano. Anja roteò gli occhi dentro la testa e urlò il suo strazio nel bavaglio intriso di bava. 

La seconda sessione, se possibile, durò più della prima. Quando il dolore si spense, Anja pensò di galleggiare in una bolla di acqua tiepida, senza suono, senza peso. Non capiva più niente.

Nel girare delle rotelle dentate, le cannule continuavano a succhiare. “Troppo sangue” mormorò Riv. “Sta togliendo troppo sangue” disse al mago. Anja percepì il timore nella sua voce. Le si stavano chiudendo gli occhi. Il sangue si era fatto acqua gelida nelle sue vene.

“È solo parte drago” disse il mago. “Probabilmente, perché funzioni…” Orion le si avvicinò e la fissò con quei suoi intelligenti occhi azzurri. Anja ormai non sentiva quasi più nulla. 

“...dovremo dissanguarla”.

Anja intravide il baluginio di un coltello e un nuovo dolore la colpì sul polso destro. Le cinghie tirarono e si spaccarono sotto la ferocia di unghie affilate. La macchina si fermò in un baccano di fischi e ingranaggi spaccati. 

Orion urlò: “Fermo! Così rovinerai tutto!”

“Non erano questi gli accordi!” ruggì più forte Riven.

Anja si sentì strattonare e sollevare. Ora occhi verdi la fissavano. “Stai con me. Stai con me, Anja”. Nel dolore, nel freddo e nel vuoto, Anja si sentì di nuovo leggera.

In un battito di ciglia, Riv non era più lì. Al suo posto c’era un enorme drago grigio, che abbatté il soffitto di pietra e con un ruggito spiccò il volo.

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Capitolo 12
*** Sangue di Drago ***


Sangue di Drago

Anja sentiva voci concitate vicino a lei, ma non riusciva a collegarle a dei volti. Aveva ogni muscolo del corpo in fiamme e la gola secca. Invocò dell’acqua, che gli fu porsa subito in un boccale di peltro. Bevve e vomitò. Un mal di testa micidiale le strangolava i pensieri. E poi il buio calò di nuovo, spegnendo ogni cosa.

***

Con un discreto senso di deja-vu, Anja riconobbe il profumo di lavanda della trapunta patchwork che la copriva fin sotto il mento. Non aprì gli occhi. Sentiva la testa orribilmente vuota, e gli arti prosciugati e deboli contro il materasso.

Udì delle voci soffocate nel corridoio subito fuori dalla stanza.

“Vi ho messo in pericolo”. Era la voce di Thalia, rapida e spezzata dal senso di colpa. “Pensavo di potermi fidare di Delacourt. Dio, che stupida sono stata. Dovete stare nascosti qui finché Anja non sarà guarita da… da… da qualunque cose quello schifoso le abbia fatto”.

Anja si mosse cercando di fare rumore per attirare la loro attenzione, ma era così debole che non ci riuscì. Sconfitta, si rassegnò ad origliare.

“Mai, mai avrei pensato che Orion potesse osare” la voce della strega si perse lungo il corridoio in quelli che sembravano insulti. Con un avvicinarsi di passi, la voce tornò. “L’idea, la possibilità… deve avergli dato alla testa. Deve aver ceduto all’egoismo e pensato di poter avere il sangue per sé… per utilizzarlo, o venderlo al miglior offerente”.

“Ha tirato fuori un coltello, strega. Ha cercato di ucciderla mentre io ero lì”.

La voce di Thalia uscì grave e monotona. “Dopo aver prelevato il sangue di entrambi, deve aver pensato che uccidendo uno di voi il suo bottino due avrebbe avuto valore maggiore. Le uniche due fiale di draghi predestinati in tutto il mondo, probabilmente”.

Silenzio.

“Oppure… quando siete scappati dal laboratorio… le avete distrutte? Le fiale?” chiese Thalia speranzosa.

Ci fu una lunga pausa. “No. Non posso esserne certo, ovviamente. Molte cose sono andate distrutte. Ma temo di no”.

Anja, sprofondata nel tepore delle coperte, assorbì quello scambio con la lestezza di una spugna bagnata. Le pareva di capire quello che si stavano dicendo, eppure anche solo registrare quelle informazioni le spappolava il cervello. 

Con uno sforzo enorme tirò fuori un braccio da sotto il copriletto patchwork e lo allungò sul comodino. Diede un debole colpo al boccale che era lì posato, che cadde sul pavimento con un dolce thud. Fu sufficiente.

Thali spalancò la porta della stanza e fu subito al suo fianco. “Anja! Sei sveglia. Dio grazie. Come ti senti? Riesci a muoverti?”.

Riusciva a muoversi. Per come si sentiva… “Prosciugata” articolò a stento.

“Vado a prenderti un altro bicchiere d’acqua”. Thalia raccolse il boccale a terra e sparì in cucina.

Riven prese il suo posto sulla sedia accanto al letto. Anja, con la testa affondata sul cuscino, lo guardò.

E… niente. Niente lava bollente, niente senso di beatitudine. Niente di niente. Solo due occhi verde chiaro con la pupilla leggermente verticale, notò Anja per la prima volta. 

Dall’espressione di Riven, fu chiaro che lui era sorpreso quanto lei. “Ha funzionato” mormorò. 

Anja accennò un sorriso che lui non ricambiò. Era accigliato. E insoddisfatto. E, nonostante tutto, ancora maledettamente molto bello.

Thalia tornò con il bicchiere d’acqua, che Anja ingollò in tanti piccoli sorsi. Il suo sguardo passò da lei e lui. La consapevolezza si fece strada nella sua espressione. “Il legame…”.

“È spezzato” disse Riven, definitivo. “Il mago ci è riuscito”.

Thalia si massaggiò le tempie. “Ma come…? L’incantesimo, la macchina… in effetti Anja ha perso molto sangue… Dio, non lo so” mormorò.

Thalia lasciò ricadere le mani e, ripresasi dallo shock, si adoperò attorno a Anja. Le disse che aveva dovuto effettuare una trasfusione di emergenza con il sangue di Riven che, grazie a Dio, aveva funzionato. E che non c’erano indicazioni che gli incantesimi di Orion Delacourt avrebbero avuto effetti permanenti su di lei. Le chiese se sentiva dolore. Anja annuì.

“Lascia fare a me”.

Un’ora dopo, Anja galleggiava in dormiveglia felice sotto l’effetto di un generoso dosaggio di oppiacei. Riven rimase sempre con lei, un po’ seduto sulla sedia accanto al letto, un po’ studiando il paesaggio fuori dalla finestra. Anja lo guardava senza ritegno, ammirandone il profilo incorniciato dalla luce che filtrava dal vetro. Era bello poterlo guardare e basta, provando solo un accenno di quieto e autentico affetto. Dopotutto, le aveva salvato la vita. Di nuovo. E poi era simpatico.

Quando si sentì abbastanza in forze per sostenere una conversazione. Anja non resistette. “Riv”. chiamò.

“Dimmi”.

“Ti sei trasformato in un drago”.

“Sì”.

“Hai distrutto il laboratorio malvagio di Delacourt”.

“Sì”.

Anja, ebbra di oppiacei, ridacchiò. “Hai sputato fuoco?”.

“No”.

Anja chiuse gli occhi. “Peccato. Sarebbe stato fico”.

“Come fai a prendere tutto così alla leggera?” chiese Riven, il tono a metà tra l’infastidito e il divertito.

“Sono fatta così. E forse la droga sta ancora facendo effetto”.

Anja sentì la mano di Riv stringersi sulla sua. Il tuo tocco era caldo e asciutto. “Sono felice che tu stia bene” mormorò lui. “Molto felice”.

Anja ricambiò la stretta e sorrise. Tornò a guardarlo. “Grazie a te. Per la terza volta, se non ho fatto male i conti. Ma ora che il legame è spezzato puoi finalmente tornare al tuo antro segreto nella montagna e smettere di preoccuparti di salvare la vita ad una - com’è che mi avevi chiamato? - attiraguai come me. Sei ufficialmente licenziato”.

Riven alzò gli occhi al cielo e fece un falso sospiro afflitto. Anja, ignorando la stretta che sentiva petto e la piacevole sensazione delle loro mani unite, si obbligò a fare un enorme sorriso. “Sei libero di andare”.

***

Orion Delacourt era sparito. Thalia aveva inviato a Alega il suo ranger più fidato, che era tornato con un resoconto del castello distrutto dalle fondamenta e nessun segno di vita. Delle fiale, nessuna traccia. C’erano i segni del loro tafferuglio, sangue alle pareti; ma nessun cadavere, e alcune cose mancavano all’appello. Secondo il ranger, Orion Delacourt se l’era svignata.

Thalia pianse e si accusò numerose volte in quei giorni. Anja si limitava a farle degli incoraggianti colpetti sulla schiena, incapace di consolarla in altro modo. Se Delacourt aveva le fiale - e le aveva, Anja se lo sentiva sottopelle - allora qualche cosa di molto brutto incombeva su tutti loro. Secondo Thalia, perlomeno. Ma cosa potevano farci, esattamente? Un bel nulla di nulla.

Nel frattempo Anja si era rimessa completamente. In quell’ultimo mese aveva passato più giorni a letto che in tutta la sua vita. Non ne poteva più. Non vedeva l’ora di tornare ai suoi boschi, ai suoi viaggi, alle sue erbe. Le mancavano terribilmente.

Riven se n’era andato. Si era trasformato in un drago fuori dal cottage e se n’era volato via, facendo cadere i pomodori di Thalia con lo spostamento d’aria delle sue enormi ali.

I saluti erano stati brevi e imbarazzanti. Anja arrossiva solo a ripensarci. In quelle settimane assurde, si era un po’ affezionata a lui. Le sarebbe mancato, ma non poteva dirglielo. Avrebbe sopportato. Alla fine, senza la predestinazione e stronzate varie, stare senza di lui sarebbe stato facile. In teoria.

Fu sistemando i bagagli per tornare in città che Anja trovò la collana. Era la stessa che Riven le aveva allacciato prima di quella terribile notte di luna piena. L’aveva dimenticata lì? L’aveva lasciata per lei? Nel dubbio, la posò sul comodino di fianco al letto. E fu lì che vide il biglietto. Era strappato e accartocciato, ma Anja riconobbe la grafia delle liste di Zachary. Il messaggio pieno di svolazzi recitava: “Delacourt? Sei impazzita, Nat?.

Ah, vedi. Qualcuno che ci aveva visto lungo c’era stato. Anja piegò il biglietto e lo rimise al suo posto.

Salutò una Thalia ancora piena di sensi di colpa e furiosa con se stessa. La abbracciò forte e le assicurò che sarebbe passata di lì entro due settimane.

Anja saltò in groppa a Miles e si avviò lungo il sentiero per Oswald. Con la luce del sole che filtrava tra le fronde dei faggi, prese una boccata d’aria fresca che profumava di bosco. E sorrise. 

***

Cercasi AMMAZZAMOSTRI

per raccolta di sambuco 

la prossima luna piena.

Pagamento 100 nk

50% in anticipo, 50% a lavoro ultimato.

Per info chiedere di Anja

 

Anja stava inchiodando il nuovo volantino alla porta della locanda, con la lingua tra i denti per la concentrazione, quando una voce la fece sussultare.

“Vorrei candidarmi per la posizione”.

Anja non si voltò nemmeno. “Fantasmi, vampiri, licantropi?”.

“Me la cavo con tutte le creature magiche”.

Anja sorrise contro la porta. “Ferite magiche?”.

“Ho acquisito una certa esperienza sul campo”.

“Incantesimi di protezione?”.

“Solo di piccolo raggio”.

“Arco e frecce?”.

“Non è la mia dote migliore”.

Anja soffiò fuori una risata e si voltò.

Erano passati sei mesi, ma Riven era esattamente come lo ricordava. Era in piedi in mezzo alla strada davanti alla locanda, e sorrideva. Con i suoi capelli d’argento e i gioielli d’oro in mezzo al paesaggio innevato, scintillava al sole come un diamante. Era una visione. Anja sentì il cuore accelerare i battiti. 

Perché era lì? Temeva a chiederlo. “Ce ne hai messo di tempo a trovarmi” lo provocò giocosa.

“È colpa tua che continui a spostarti. Ero a Oswald ieri e a Berg stamattina, e ogni volta tu già eri sparita”.

“Mi stai seguendo?”.

“Sì” rispose lui senza esitazione. Ci fu una lunga pausa. “Non hai preso la collana”.

Anja si morse il labbro. “Non ero certa di cosa significasse”.

Lui annuì. “Capisco. Devo essere più chiaro”.

Riven le si avvicinò. Anja deglutì. Gli occhi verdi del drago non la scombussolavano più come prima, eppure… non le erano indifferenti. 

“Sono sei maledetti mesi che penso a te ogni giorno” annunciò lui, deciso. “E so che il legame è spezzato. E che mi hai detto di andarmene. E che non hai preso la collana. Ho colto i segnali e ci ho provato, davvero, a tornare alla mia vita; ma mi è…” fece un pausa, e un luccichio avido gli guizzò negli occhi verdi “impossibile stare senza di te. Mi manchi, Anja. Ho bisogno di averti vicina. E voglio stare con te, se tu mi vorrai”.

Anja spalancò gli occhi. Era esattamente quello che aveva voluto sentirsi dire, ma non aveva mai creduto che sarebbe potuto succedere veramente. Si trovò senza una risposta da dare. “Cosa? Ma io…bè, certo, sì, ma tu… che cosa faremo?”.

Riven sorrise e alzò le spalle. “Onestamente, non ne ho la minima idea”.

Era assurdo e ridicolo e bellissimo. Anja era senza parole, e non riuscì a pensare a niente di più adatto per loro due. Lo afferrò per il colletto e lo baciò con così tanto entusiasmo che lui fece un passo indietro.

Anja si staccò ansimando. “Aspetta. Senza la tua collana, come hai fatto a trovarmi?”.

Riven rifletté, come indeciso se rivelare qualcosa di molto personale. Infine, con un guizzo negli occhi verdi, disse: “Un drago sa sempre dov’è il suo tesoro”.

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


Epilogo

L’aveva trovato.

Era alle sue calcagna da mesi, ma quel tipo era sgusciante come un’anguilla. Scivolò come un’ombra tra gli abeti, si nascose dietro una roccia e osservò.

Un’invisibile tana di terra e pietre era stata scavata sul declivio tra le curve del sentiero. Invisibile, se non fosse stato per quel bozzolo informe di coperte che ora vi si agitava nel sonno. Un falò era spento poco lontano, freddo e grigio.

Tirò fuori il coltello da caccia e si avvicinò. I suoi passi erano silenziosi sul tappeto di aghi. Il bosco, in attesa della prima neve, era immobile e umido. C’era profumo di terra bagnata.

Percepì la prima barriera come uno schermo di aria gelida. La disarmò con un movimento fluido della mano destra, che non brandiva il coltello. Avanzò di qualche passo.

La seconda barriera era più complessa, ma niente che potesse fermarlo. La scollegò con un incantesimo di secondo livello.

Infine torreggiò sull’uomo dormiente. Allungò una mano, ma un ultimo incantesimo di protezione quasi gli bruciò le dita. Questo era proprio bastardo. Imprecò mentalmente, utilizzando entrambe le mani per spezzare l’incantesimo nel modo corretto.

Fatto. Era finita. Provò un intenso senso di soddisfazione.

La lama calò silenziosa, e il sangue zampillò a lungo. L’uomo gorgogliò appena prima di morire.

Frugò veloce tra i suoi abiti e trovò quello che cercava. Spinse il cadavere nel buco nel terreno e lo ricoprì di terra e frasche. Calciò via i resti del falò, disperdendo la cenere. 

Montò a cavallo e cavalcò nel buio. Solo dopo aver messo distanza a sufficienza tra lui e la scena del delitto, si fermò. Tirò fuori il suo bottino e lo aprì. La luce bianca della luna illuminò l’interno del cofanetto.

Su un cuscino di velluto, due fiale di liquido rosso.







 

Spazio dell’autrice

Ciao! Sei hai seguito fino alla fine questa breve novella, ti ringrazio moltissimo: spero ti sia piaciuto leggerla come a me è piaciuto scriverla. Se hai delle critiche, dei dubbi, o dei commenti da fare, ti prego di scrivermi una recensione, così potrò ringraziarti personalmente di essere passato di qua.

Buona avventura!
Emma

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