Changing Seasons

di Dani85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Oh and ain't life unkind ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 - I'm lost in a dream ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 - Breathin' in and breathin' out ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 - I'm all confused ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 - I can tell you the truth ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 - Time keeps moving forward ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 - I will help you out ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 - It's hard to figure out ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 - Between taking a risk and playing safe ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 - Here Again ***



Capitolo 1
*** Prologo - Oh and ain't life unkind ***


NdA: La mia ultima storia nel fandom di Distretto di Polizia risale a 9 anni fa, praticamente una vita. All'inizio dell'estate, Simone Corrente è tornato in tv e io sono ripiombata nel tunnel senza uscita che erano DdP e, soprattutto, Luca Benvenuto. Lo spunto di questa storia è ispirato alla fiction "Una mamma all'improvviso", solo con un contesto meno leggero. Nessuna pretesa, solo il piacere di scivere di nuovo di questi personaggi, anche perché dopo tanti anni c'ho perso la mano. Spero quindi, che siano almeno un po' simili agli originali.
Se fa schifo prendetevela con Katia e Cristina che mi hanno incitato a scrivere, io non volevo XD
La storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me

Prologo - Oh and ain't life unkind

 

Oh and don't it feel sometimes
Like the whole damn world is conspiring against you

And ain't justice blind

Oh and ain't life unkind
[Got You - Noah Reid]

 

Pietro sta impazzendo, e non è colpa sua. La penna a scatto che picchia ogni due secondi sulla scrivania è ormai un tarlo nel suo cervello, fastidioso come il rintocco di un orologio impazzito, nefasto come il countdown di una bomba ad orologeria.

«Oh, la pianti?» chiede finalmente, un attimo prima che ad esplodere sia lui.

Barbara ferma la penna a mezz'aria, l'ultimo clic che si spegne nella quiete dell'ufficio.

«Scusa, è che sono preoccupata.»

«Eh, questo l'avevo capito. Ancora nessuna notizia di Luca?»

Barbara scuote la testa perché no, non ha nessuna notizia di Luca. Niente, zero, non una telefonata né un messaggio. Alla faccia del "mi tengo in contatto io" con cui l'aveva salutata quel pomeriggio. E non è servito a nulla nemmeno tempestarlo di telefonate, visto che sono andate tutte a vuoto, squillo dopo squillo perso nei meandri di una segreteria telefonica. Barbara non sa spiegarsi il perché, ma quel silenzio la inquieta, è come un formicolare dietro il collo, il presentimento fisico di qualcosa che sta per andare molto molto male.

«Vado a cercarlo!»

Pietro vorrebbe poterle dire che sta esagerando ma non ne ha il tempo né il coraggio perché, ed odia anche solo ammetterlo a sé stesso, c'è davvero qualcosa di molto sbagliato quando un poliziotto sparisce nel nulla nel corso di un'indagine. Così la segue e basta, colmo all'improvviso del suo stesso brutto presentimento.

Quante regole puoi infrangere sulla base di una semplice sensazione? A quanto pare abbastanza da localizzare l'auto di un vice questore di polizia senza un apparente motivo e solo perché non risponde ad un dannato telefono. Pietro lo scopre nel tempo che basta a Barbara per chiedere ad Ugo di cercare Luca. Il dubbio che sia totalmente inopportuno - e la certezza che sia illegale - è un silenzio che dura una manciata di secondi, quanti ne servono al computer per sputare fuori l'informazione. Poi è una corsa ad ostacoli tra le strade di Roma ad inseguire le riprese delle telecamere, mentre tutto intorno la notte alimenta l'ansia. Quando l'auto di Luca spunta di fronte a loro è ferma e vuota come la mostrava l'ultima ripresa video, del poliziotto nessuna traccia.

Barbara e Pietro scendono dall'auto e si guardano intorno, il sospetto che ci sia qualcosa di sbagliato ormai è una certezza e gli pesa sullo stomaco come un macigno. La notte è silenziosa, il buio interrotto solo dalla luce arancione di un paio di lampioni. E dal rumore di uno sparo. E da un altro ancora.

Barbara sussulta e corre, la pistola impugnata d'istinto, Pietro un passo dietro di lei. Devono scavalcare un cancello e capire dove diamine sono finiti e, intanto che si orientano, degli spari non è rimasto più nemmeno l'eco, dissolti nell'aria come se non fossero nemmeno esistiti. Come se non fossero esplosi, prima l'uno e poi l'altro, contro Luca. Come se non si fossero incastrati nella sua carne e nelle sue ossa a tirargli fuori tutto il sangue dal corpo. Come se quell' immagine - Luca a terra con due fori di proiettile addosso - fosse solo un brutto sogno, un incubo di Barbara un po' troppo vivido. Lei ci spera, chiude gli occhi e li strizza, "svegliati, svegliati, svegliati" si dice sottovoce, come se davvero fosse solo un parto malato della sua mente, un modo un po' morboso per ammettere che cazzo, no, non voleva che Luca se ne andasse. Ci spera con tutta se stessa. E invece, quando riapre gli occhi, Luca è ancora lì, sanguinante ed immobile, e Pietro è inginocchiato accanto a lui, due dita premute contro il suo collo.

«Chiama un'ambulanza.»

Pietro lo urla ma Barbara lo sente come se fosse sott'acqua. La chiamata al 118, quella al 112, sono puro istinto, Barbara non ha idea di cosa abbia detto o di come sia arrivata lì, a terra, una mano tra i capelli di Luca, l'altra a cercarne il battito sul collo, mentre Pietro cerca di fermare il sangue, le mani e il suo stesso peso contro le ferite fiorite di rosso. Perché ce n'è così tanto? Barbara vorrebbe piangere e le lacrime la soffocano quando non trova il battito di Luca sotto le dita. Non lo trova, il battito non c'è, e il panico è fiele sul fondo della gola.

«Non c'è battito», Barbara lo dice ad alta voce e Pietro scuote la testa bianco come un fantasma. Quando si china con il viso ad un soffio dalle labbra dell'amico, la realtà è peggiore di qualsiasi incubo immaginabile, ma lui scuote la testa ostinato. Non possono aver perduto Luca qui, così, non esiste che sia questa la loro realtà.

«Fai il massaggio cardiaco, veloce, veloce.»

Barbara incrocia le mani sul petto di Luca, spinge e conta e soffia l'aria nei suoi polmoni e spera che l'ambulanza si muova. Perché che bene può fare lei se ad ogni compressione del cuore corrisponde altro sangue che scorre tra le dita di Pietro e sul pavimento? Che bene può fare lei se ad ogni insufflo d'aria i suoi occhi rimangono testardamente chiusi? Che bene possono fare loro, da soli e senza mezzi, in una notte da incubi e con la morte così vicina da fare paura? La sirena dell'ambulanza riempie finalmente la notte.

L'ospedale è un incubo ad occhi aperti. Le porte della sala operatoria si sono chiuse dietro a Luca e al nugolo di medici intorno a lui. E in faccia alla paura e alla speranza di chi è rimasto da quest'altro lato, in un mondo a parte in cui le lancette dell'orologio sembrano ferme sempre allo stesso punto, a scandire i secondi di un'attesa impossibile e paralizzante.

Barbara è così tesa che basterebbe niente a spezzare quanto resta della sua compostezza e Pietro le gira intorno, protettivo e preoccupato, la sua stessa paura una linea profonda scavata sulla fronte. Barbara si tormenta le mani, il sangue di Luca ormai non c'è più ma lei continua a vederlo, denso e scuro scorrere tra le sue dita e quelle di Pietro, troppo abbondante perché le cose stessero davvero andando bene sul tavolo operatorio lì, dall'altra parte di quelle porte chiuse.

Pietro batte la punta della scarpa con la sua, un colpetto appena che ha il merito di tirarla fuori da quella spirale di pensieri negativi. Dura quanto un piccolo sospiro di sollievo, poi Barbara vede Ugo, rannicchiato su una sediolina d'acciaio scomoda tanto quanto la sua, le lacrime sul viso e il telefono premuto all'orecchio, e la disperazione la invade di nuovo. Ad Ugo sono toccate le telefonate per avvertire gli altri - Vittoria, Giuseppe, Antonio -, il cuore del vecchio Decimo Tuscolano, quello in cui Luca è cresciuto. Quello di adesso è un'altra cosa, non lo conosce nemmeno Luca. Barbara non può pretendere nulla dai nuovi colleghi, e forse un po' li invidia, loro e il distacco che gli consente di non sentirsi divorati dalla paura.

Ugo, dalla fila di sedie di fronte, singhiozza contro il pugno chiuso, dall'altra parte del telefono la voce ovattata ed isterica di un uomo che cerca risposte che nessuno ha.

Barbara guarda di nuovo l'orologio, è passato un tempo lunghissimo e le porte del blocco operatorio non si sono ancora aperte. Lo fanno poco dopo e tutti trattengono il respiro, come per farsi coraggio.

«Buone e cattive notizie,» esordisce il medico, «il vice questore Benvenuto è vivo… ma è in coma».

Negli anni che seguiranno, Barbara si chiederà spesso quale delle due fosse davvero la cattiva notizia.

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Capitolo 2
*** Cap. 1 - I'm lost in a dream ***


NdA: La storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me
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Cap. 1 - Lost in a dream

I'm lost in a dream
My thoughts are all tangled up
I've come apart at the seams
[Jacob's Dream - Noah Reid]

Vittoria si chiude la porta della stanza alle spalle, ingoia a vuoto un paio di volte e si obbliga a sorridere. Lo stesso incipit di ogni visita.

Appoggia la borsa sulla sedia, la giacca sulla spalliera, il telefono sul comodino. Gli stessi gesti di sempre, come un copione mandato a memoria.

Si guarda intorno con occhi critici, come sempre, perché c'è sempre qualcosa che non va. Ed è la finestra, ogni volta la finestra - chiusa quando dovrebbe essere aperta, aperta quando dovrebbe essere chiusa. E le coperte, sempre storte, a penzolare male da un lato. Vittoria sospira, apre la finestra e aggiusta la coperta. Lo sa che nulla è davvero fuori posto, è solo un rituale, il modo che le regala quel lungo preziosissimo minuto per prepararsi. O per illudersi di essere preparata a quello che vedrà in quel letto occupato che rimane sempre lo stesso. Come da dieci anni a questa parte.

«Ciao Luca.»

Il sorriso vacilla, la voce trema un po' e Vittoria ha voglia di piangere. Come ogni volta che lo vede e si accorge che niente è cambiato.

Luca è sempre immobile, gli occhi sempre chiusi, sempre meno simile al ragazzo che le sorride dal fondo dei suoi ricordi.

Vittoria scaccia con rabbia le lacrime che le rigano il viso, anche quelle sempre le stesse, anno dopo anno, giorno dopo giorno, a tradire quell'istintivo momento di debolezza in cui pensa che tutto sia perduto e che questo - l'attesa che si snoda senza cambiamenti - sia tutto inutile. Ultimamente il pensiero ci mette un po' più del solito a scomparire e persiste fastidioso anche adesso, ad avvelenare la carezza e il bacio con cui Vittoria saluta Luca.

Il buio è irreale, solido e senza via di scampo. È un sogno senza colori, un posto senza niente, dove tutto si estingue ancora prima di esistere, dove ogni sensazione è appena un lampo di luce, troppo debole e troppo breve perché lui ci si possa aggrappare. C'è una carezza forse dall'altro lato del buio, e una lucina si accende nel vuoto. Che strano però, stavolta non si spegne.

«Allora, sei pronto per il nostro appuntamento?»

Vittoria si sforza di suonare allegra, e chi se ne frega se il tono è di una falsità tale da accapponare la pelle, da qualche parte dovrà pure trovare il coraggio per tenersi insieme. Altrimenti finirà per andare in pezzi, soccombendo alla crisi di nervi che le brucia sottopelle ogni volta che si trova in questa stanza. Quindi, va benissimo così, che benedetta sia questa allegria di carta straccia.

«Nina ha preparato una playlist nuova, me l'ha messa sul telefono, aspetta,» Vittoria smanetta un po' col cellulare finché la musica non parte, bassa e delicata. «Mmm, ok, a quanto pare abbiamo cambiato genere e meno male, no? Ti ricordi quella dell'altra volta? Mammamia.»

Vittoria rabbrividisce, i gusti musicali di Nina sono in perenne cambiamento e completamente imprevedibili. La scorsa settimana, per esempio, dallo speaker del telefono è partita una roba in tedesco così furiosa che un paio di infermiere sono accorse in camera spaventate. Ecco perché, oggi, il volume è basso e la musica è un sottofondo gentile.

Vittoria ascolta per qualche istante, e poi l'espressione stupita diventa curiosa. «Secondo te, questo cambio musicale è solo incertezza adolescenziale o c'è di mezzo una cottarella?»

Il puntino di luce è sempre là, una macchiolina a sinistra del niente. Perché ci sarà pure una sinistra in questa oscurità, giusto? Lui pensa di sì, ammesso che quello che sta facendo sia effettivamente pensare. Magari, se non lo è, è almeno qualcosa di simile, qualcosa a cui può finalmente aggrapparsi. Il puntino di luce inizia a pulsare, onde diafane che si allargano nel buio pigre come la musica che sente. No, scusa, la musica che sente?

«Secondo me è una cotta e sai chi può essere? Mattia, il compagno di scuola, quello che c'ha il padre con la concessionaria d'auto. Te ne ho parlato, vero? È quello che Ingargiola non sopporta perché dice che guarda troppo Nina. Di solito Giuseppe è scemo su ste cose eh, ma forse forse, stavolta c'ha ragione.»

Vittoria si siede accanto al letto e lascia che le sue parole galleggino sulla musica, lente e cadenzate. Non ha nessuna fretta di finire il discorso, in fondo un argomento vale l'altro, l'importante è riempire il silenzio. A volte è difficile però, perché la tristezza è una presenza tangibile in questa stanza e ogni tanto le parole non si fanno nemmeno trovare, si arrendono da qualche parte tra il cuore e la mente. Oggi, però, Vittoria parla e lascia andare la musica e riempie il silenzio di mille altri suoni. La sedia che stride sul pavimento, le chiavi che tintinnano nella borsa mentre ci rovista, un sacchetto di carta che si stropiccia, un tappo che si svita ruotando su sé stesso.

«Ho portato la crema per le mani, Lu'!»

C'è davvero della musica in questo strano posto e tanti piccoli altri suoni che si rincorrono come gocce da un rubinetto difettoso. È fastidioso all'inizio e, per un attimo, l'oscurità sembra una prospettiva così allettante con il suo niente e la sua quiete. Il punto è che, da qualche parte, c'è un bip insistente, regolare, impossibile da ignorare. E Luca sente che deve prestare attenzione. Luca? Oh…

«Ugo ha deciso che deve imbiancare casa e a chi ha chiesto aiuto? A Giuseppe, ovvio. Ma io dico, ti sembra una buona idea?»

Vittoria se lo chiede davvero mentre spalma la crema sulla mano di Luca e lui, dalla sua mente, la asseconda "non lo è?"

No, non lo è. «È una bischerata, ecco che cos'è! Cioè, ma dove vogliono andare? Quelli già erano vecchi a vent'anni, figurati mo'. Già me li vedo, incriccati dopo la prima passata di pennello.» Il Luca dei suoi ricordi scuote la testa con lei. «Che testoni che sono.»

Nonostante tutto, il commento suona pieno d'affetto. Se è per i due testoni o per il ragazzo nella sua mente, Vittoria preferisce non chiederselo. Anche perché, se lo facesse, sa già quale sarebbe la risposta e non è sicura che le piacerebbe. Dovrebbe ripetersi di nuovo - per l'ennesima, inutile, dolorosa volta - che Luca è la figura immobile in quel letto d'ospedale, non l'immagine piena di vita riproposta continuamente dalla sua memoria. Allora meglio non chiedersi niente, dieci anni sono stati utilissimi a perfezionare l'arte del far finta di niente.

«E adesso l'altra mano.» Vittoria posa delicatamente la mano destra di Luca sul lenzuolo e afferra la sinistra. Le vene sono ombre azzurre sotto la pelle sottile del polso, le dita una fila di nocche dolorosamente visibili. «Sei troppo magro, Lu'.»

Luca. Lu'... Ok, si tratta di lui. Lui è Luca. Fin qui ci siamo, c'ha messo un po' a rendersene conto ma è tutto così difficile in questo posto. E pensare è la cosa più difficile di tutte. C'è un tale caos adesso. Suoni e sensazioni si sovrappongono e litigano per imporsi. È una fatica mettere ordine, ma poi il buio comincia a ritirarsi ed è come trovare il bandolo della matassa. La luce è ormai ovunque e la musica ha ceduto il posto d'onore ad una voce. Rassicurante. Familiare. È il centro della luce, il punto più luminoso di tutti e Luca ne è attratto - una falena nella notte.

«Ecco fatto, adesso va meglio.»

Vittoria lascia scivolare la mano sul lenzuolo con un'ultima piccola pacca sul dorso. «Bello liscio e pure profumato di fiori d'arancio e vaniglia.» Ridacchia, sente che, se potesse, Luca la guarderebbe a sopracciglia inarcate. «Oh, la crema me l'ha data Nina, e l'ha pure scelta apposta per te, perché è la sua preferita o qualcosa del genere. A Ingargiola ne ha rifilato una al geranio che puzza solo a guardarla». E infatti, la faccia di Giuseppe era stata tutto un programma, a metà tra il disgusto e l'amore paterno, così indeciso che anche il suo "grazie, bell' 'e papà" era venuto fuori come se avesse un punto interrogativo alla fine. Vittoria sorride mentre mette via la crema, anche le sue mani che profumano come un pomeriggio di maggio. «Oh, però Nina ha ragione, questa è buona davvero. Però, se non ti piace, puoi sempre dirmelo Lu', non mi offendo mica.»

Aspetta, Vittoria. C'è sempre un momento nella liturgia di queste visite, in cui lei si ferma ed aspetta. Cosa di preciso non lo sa bene neppure lei. Sospetta che, a questo punto, andrebbe bene tutto. Il movimento di una palpebra o di un dito, anche solo uno sfarfallamento di ciglia, una risposta qualsiasi. Ci spera ancora, Vittoria, in modo ostinato e cocciuto, senza nulla a sostenerla davvero se non le sue convinzioni. Perché lei Luca lo conosce bene e sente - sa - che c'è un motivo se il suo cuore continua a battere nonostante tutto.

Vittoria ha smesso di fare questi discorsi con gli altri - con Barbara e Pietro, con Elena, con Ugo, persino con Ingargiola - perché si è accorta che loro cominciano a dubitare, stanchi ed addolorati. Ma lei ha imparato ad ignorare le cose che non le piacciono, arte meravigliosa proprio come il far finta di niente. Non sarà un comportamento salutare, va bene, non ha problemi ad ammetterlo ma, finché funziona, è quello che continuerà a fare. Anche adesso, in questo preciso momento. Ignora il nulla che c'è ed insiste.

«Coraggio Lu', perché non apri gli occhi e mi dici qualcosa?»

La luce adesso è accecante e lui è proprio nel centro, il buio così lontano che sembra non essere mai esistito. E la voce… la voce ormai lo circonda, così familiare da starci male. Lo avvolge da ogni angolo, ed è calda come mani che si stringono, profumata come aranci in fiore. E poi c'è il modo in cui pronuncia il suo nome… come se ci fosse una preghiera impressa tra le lettere, una supplica, anche quella familiare, come se Luca l'avesse già sentita mille e mille volte ma solo adesso l'avesse compresa.

«Perché non ti svegli, eh? Hai dormito abbastanza, adesso basta, no? Dai, apri gli occhi, Lu'.»

La luce esplode in un attimo di folgorante consapevolezza. C'è Vittoria al centro di quell'esplosione, la sua voce e quella preghiera che palpita impazzita dal fondo di giorni, mesi e anni. E quando mai lui le ha detto di no?

Aspetta ancora, Vittoria. Spera. E Luca apre gli occhi.

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Capitolo 3
*** Cap. 2 - Breathin' in and breathin' out ***


NdA: Nuovo capitolo e le cose cominciano a svilupparsi. Chiedo scusa per qualunque imprecisione medica, non sono assolutamente un'esperta ma spero il tutto sia quantomeno sufficientemente credibile. La storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me
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Cap. 2 - Breathin' in and breathin' out

And I guess there's no changin'
What's come and gone

So I guess I'll just lie here

Breathin' in and breathin' out
[I Guess I'll Just Lie Here - Noah reid]

 

Nella vita reale non è come al cinema, in cui il protagonista è in coma per tutto il film e poi si risveglia come se niente fosse. Nella vita reale non si risolve tutto con un paio d'occhi che si aprono e il peggio non svanisce con un colpo di spugna come se non fosse nemmeno esistito.

Nella realtà, aprire gli occhi è l'inizio della parte più difficile, perché non hai idea di quello che ti aspetta davvero da lì in poi. Non sai quanto sarà faticosa la ripresa e non sai quanto impegno ci vorrà, se sarai davvero in grado di riprenderti dall'incubo. Non sai un bel niente, non sai nemmeno se la tua vita te la riprenderei davvero. Aprire gli occhi, dunque, è accettare il dubbio, fare dell'incertezza il sottofondo della tua vita.

In una tiepida mattina di maggio, Luca ha finalmente riaperto gli occhi ed è atterrato da quest'altra parte del dubbio, passando dal "chissà se si sveglierà mai" al "chissà se si riprenderà mai". Fa schifo comunque ed è una delle poche cose che Luca ha davvero capito, anche nel caos dei primi giorni quando non riusciva a rimanere sveglio e il rischio di tornare in coma era ancora una spada di Damocle sulla sua testa.

Adesso, Luca apre gli occhi su una stanza vuota, a fargli compagnia solo il bip delle macchine a cui è ancora collegato. Non gli dispiace essere da solo, anzi ne è contento, perché così ha il tempo per mettere ordine tra i suoi pensieri disordinati e, soprattutto, per gestire la sensazione di panico del risveglio. C'è sempre un primo, confuso, momento in cui non sa dove si trova e tutto gli sembra fuori posto, a cominciare da se stesso. È un sollievo però, accorgersi che non è più Io shock devastante dei primi giorni e che, poco a poco, la sua coscienza si fa più chiara e più forte, capace di dare una risposta a qualcuna delle domande che gli ingolfano la mente. Perché, obiettivamente, è meno spaventoso svegliarsi in un mondo che non si conosce - che non si conosce più - se almeno sa chi è e dove si trova.

Luca si trova in ospedale - almeno questo lo ha capito abbastanza in fretta - e ha imparato che fare un primo, sommario, inventario delle cose che lo circondano lo aiuta a ritrovare la calma. È la stessa cosa che fa anche stamattina. Registra le lenzuola ruvide sotto le mani, l'odore di chiuso nella stanza, il battito del suo cuore nel bip del macchinario… e le voci fuori dalla porta.

Luca sospira, una delle poche cose che riesce davvero a fare bloccato lì in quel letto d'ospedale dove un po' tutto il suo corpo ha dimenticato come ubbidirgli. Vuole muovere una mano? No, a quanto pare la mano non è d'accordo. Vuole alzare la testa dal cuscino? Una fatica immane. Parlare? Non pensiamoci nemmeno.

Luca è sconsolato. Non ha capito molto della situazione in cui si trova. I ricordi sono così offuscati che non sa nemmeno bene come c'è finito lì e quanto tempo è passato. Sa solo che c'è qualcosa di strano e che è molto più grave di come sembra perché, siamo onesti, di tempo deve esserne passato parecchio se il suo corpo si rifiuta di collaborare e se non riesce più a parlare e se le persone della sua vita sono così palesemente cambiate. Non sa spiegarselo con precisione, ecco, ma sa che il tempo è passato. Ha visto Vittoria quando si è svegliato e ha visto Pietro e Giuseppe ed è abbastanza lucido da ammettere che sono invecchiati. È questione di logica, prendi Pietro per esempio. L'ultima volta che l'ha visto, aveva i capelli grigi, adesso sono completamente candidi. Luca dubita seriamente che possa essere successo nel giro di due mesi, quindi cosa è successo veramente? Quanto tempo è passato? Perché lui è bloccato lì? E perché nessuno dei suoi amici riesce a guardarlo in faccia senza piangere?

A Luca fa male la testa. Pensare è faticoso quasi quanto lo era nel buio dove stava prima. Ci sono così tante cose da sapere, così tante domande da fare e lui non riesce a farne nemmeno una.

Le voci fuori dalla sua stanza si fanno più vicine. Luca riconosce da qualche parte l'accento toscano di Vittoria, un mormorio appena oltre la porta chiusa, qualcosa di sussurrato come se stesse rimproverando qualcuno. Per un attimo il ronzio delle altre voci si ferma. Oh, il silenzio. Luca spera che rimanga così. È ingiusto, lo sa, ma c'è una parte di lui che vuole sottrarsi alla processione di medici che fa avanti e indietro dalla sua stanza a tutte le ore del giorno e che lo tormenta con analisi e test e visite. Luca ha perso il conto di quanti medici ha visto in questi giorni e ha la sensazione che ne vedrà ancora tantissimi ma, in questo momento, vorrebbe davvero farne a meno.

E, cosa ancora più ingiusta da ammettere, vorrebbe anche fare a meno dei suoi amici, che sono sempre lì, chi va e chi viene. Quasi un servizio di guardia o un picchetto d'onore, dove si danno il cambio fuori dalla porta con perfetto tempismo, roba che nemmeno coi turni al Decimo erano così precisi. Luca però non ce la fa, è a disagio, è spaventato, è arrabbiato, è frustrato. I suoi amici sono una presenza consolante, certo, una specie di rassicurazione vivente che non tutto è cambiato, ma c'è una tristezza nei loro occhi che lo confonde. È una specie di dolorosa compassione che alimenta il panico e che gli fa pensare che la realtà sia ben peggiore di quella che lui teme.

Le voci riprendono al di là della porta chiusa. Luca affonda un po' di più nel cuscino e respira. Dentro e fuori. Dentro e fuori. Il disagio è un peso sullo stomaco.

Pietro e Ugo si incrociano a metà del corridoio. Non è la prima volta che succede stamattina e di certo non sarà l'ultima. Questo andirivieni senza meta, questo su e giù, davanti alle camere dalle porte chiuse e sotto gli sguardi accigliati di Barbara e Vittoria è una specie di tic nervoso. È l'ansia dell'attesa, lo sanno tutti. E la scena si ripete uguale ed identica a se stessa da ormai una settimana. Il problema è che la pazienza ormai si sta esaurendo e quel poco che ne rimane si consuma qui, sulle sedioline scomode del corridoio o a macinare chilometri lungo le mattonelle chiare aspettando che un medico si degni di spiegargli come stanno le le cose.

«Allora? Ma 'sto medico oggi non passa?»

È Pietro a chiederlo e Barbara è sicura che abbia già fatto la stessa domanda almeno un paio di volte. Lei guarda l'ora sul telefono e gli risponde che sì, il medico deve passare, bisogna aspettare. Anche la sua è una risposta ripetuta almeno un altro paio di volte e comincia a suonare un po' insofferente anche alle sue stesse orecchie. Se glielo chiede di nuovo, sa già che Pietro finirà per essere mandato a quel paese.

«Eh, se si sbriga…» è il commento di Ugo ed è un po' quello che pensano tutti. Perché il medico non si sbriga? Perché proprio stamattina ci deve mettere tanto per fare il giro visite? È vero che loro sono un po' agitati - impazienti in modo fastidioso - ma davvero, non c'è un medico in vista neanche a pagarlo oro.

Giuseppe appare dal fondo del corridoio come una sorta di visione mistica, le mani ingombre di salvifico caffè. Quando si ferma a guardarli sospira sconsolato.

«E vabbuò, lo sapevo che vi dovevo prendere la camomilla, altro che caffè. Qua, un altro po' e ricoverano anche a voi.»

Pietro si ferma di colpo a metà della sua instancabile marcia e Ugo quasi gli va a sbattere contro. Sulla faccia ha un'espressione indignata che a Barbara pare un po' patetica. Ingargiola deve pensarla come lei perché rincara la dose, incurante del pericolo di infastidire l'amico.

«Guardatevi, un altro po' e ci fate i fossi in questo pavimento. Tenete certe facce, e ja. Cioè ragazzi, lo so che è tutto confuso ma il peggio è passato. Luca è sveglio! Qualunque cosa adesso va bene, anche aspettare.»

Vittoria si alza dalla sedia con cui sembrava essere diventata un tutt'uno ormai, le spalle rigide e lo sguardo serio. «Non è vero che il peggio è passato Giuse' e lo sai anche tu.»

Ovvio che Ingargiola lo sa ma, in un certo senso, crede però che davvero il peggio sia passato, perché quando il peggio è la morte tutto il resto sembra un miracolo.

«Vitto', Luca è sveglio,» ripete Giuseppe e Barbara ha l'impressione che anche quella sia una frase già ripetuta mille volte, magari l'ultimo atto di notti insonni piene di discorsi e di dubbi e di rassicurazioni. Lo sguardo che Vittoria e Giuseppe si scambiano glielo conferma e, non sa perché, la cosa rassicura anche lei, come se quelle parole e quell'occhiata rimettessero in prospettiva tutto.

«Sì, va bene, Luca è sveglio. E allora perché non lo possiamo vedere?»

Ugo interrompe il momento e qualunque impressione di Barbara si schianta contro la frustrazione dei colleghi.

«Ecco, appunto, perché non lo possiamo vedere? 'ndo sta il medico per chiederglielo?»

Pietro è d'accordo con Ugo e, davvero, Barbara deve trovare un modo per tenerli separati perché, insieme, mettono ansia in un modo terribile.

«Fatela finita voi due! Lo sapete perché non possiamo vederlo. Lui è confuso e non ha bisogno di noi che peggioriamo la situazione assillandolo tutti insieme.»

Vittoria si pianta in mezzo ai due e parla veloce, quasi un sussurro, ed è un rimprovero che ha il pregio di zittire gli altri due. È vero, è troppo presto perché tutti loro facciano avanti e indietro dalla camera di Luca come se niente fosse. Lo hanno fatto all'inizio spinti dall'entusiasmo e dal bisogno di vederlo, di parlare e di stare con lui. E il risultato è stato disastroso. Barbara chiude gli occhi contro il ricordo dell'attacco di panico peggiore che abbia mai visto. Il terrore senza fiato negli occhi sbarrati di Luca è qualcosa che ancora la tormenta. Pur di non rivedere quella espressione nei suoi occhi, lei è disposta a fare tutto il necessario. Luca ne ha già passate così tante, che lei non ha la minima voglia di complicargli ancora di più la vita. Quindi, se il prezzo per tornare a vederlo è aspettare che le cose migliorino e che il tempo faccia il suo corso, allora lei aspetterà. E aspetteranno anche Pietro e Ugo, a costo di legarli da qualche parte. D'altronde, Barbara non è mai stata una persona particolarmente accondiscendente, certo non comincerà a farsi scrupoli adesso, soprattutto se serve per far star bene Luca.

«Dovete avere pazienza,» il dottore compare tra di loro ed interrompe le fantasie punitive di Barbara ed il silenzio colpevole di Pietro e Ugo.

«Allora, dottore?» e Pietro a prendere la parola, una domanda che rimane lì, sospesa, a chiedere tutto e niente.

Il dottore sorride comprensivo, ne ha visti tanti di amici e familiari faticare così con l'ansia dell'incertezza.

«Allora signori, Luca è sveglio e finalmente riesce a restarlo per tempi sempre più lunghi. È un buon segno, soprattutto se consideriamo che nei momenti di veglia sembra lucido. Sta gradualmente prendendo coscienza di sé e dell'ambiente che lo circonda e riconosce le persone intorno a lui. Ripeto, è un buon segno. Questo per quanto riguarda le sue funzioni cognitive.» Il medico tira il fiato, una pausa per attutire il colpo delle sue prossime parole. «La situazione è diversa se parliamo di funzioni motorie e linguistiche. Al momento, sono entrambe fortemente compromesse ma è inevitabile in un paziente con dieci anni di coma alle spalle. Non mi aspettavo niente di diverso e, onestamente, la situazione complessiva è migliore di quanto chiunque di noi potesse sperare.»

Un sospiro di sollievo collettivo accoglie le parole del medico.

«Se i controlli di oggi vanno bene, possiamo iniziare quanto prima il percorso di riabilitazione fisica e psicologica, perché non abbiamo tempo da perdere. Prima iniziamo, meglio è.»

«E allora potremo cominciare a vederlo?» è Pietro a chiederlo, di nuovo, perché sì, insomma, il discorso del dottore è incoraggiante. Sembra prospettare la luce alla fine del tunnel e allora, se la situazione è quella, perché non possono vederlo e stargli accanto in questo percorso?

Il dottore sospira, ci pensa un attimo e poi annuisce piano. «Possiamo provarci. Adesso entriamo insieme in camera e vediamo come reagisce. Però mi raccomando, nessuna pressione e qualunque cosa accada, ricordatevi che la priorità è Luca.»

Il dottore apre la porta della stanza e tutti trattengono il fiato.

Dentro e fuori, dentro e fuori. Concentrato sulla respirazione, Luca quasi non si accorge della maniglia che si abbassa e della porta che si apre. Qualcuno bussa appena sullo stipite, due colpi e Luca ripiomba nella realtà.

Il medico è fermo ai piedi del letto e, dietro di lui, i suoi amici sono schierati a ventaglio, un campionario assortito di mani in tasca, sorrisi titubanti e occhi speranzosi. Luca registra ognuno di quei dettagli e sente l'ansia sbocciare da qualche parte nel petto. Brutto segno, pensa. Ingoia a forza un paio di volte e cerca di schiarirsi la gola, come per trovare la voce che in realtà non c'è. Il silenzio che segue è un affare così pieno di imbarazzo che Luca vorrebbe scomparire. Quanto è incasinato davvero se non riesce nemmeno a scollarsi un buongiorno dalle labbra? Quanto è veramente messo male se il meglio che gli riesce è impantanarsi in un ingorgo di pensieri? E poi, come se non bastasse, c'è sempre lo sguardo degli altri a peggiorare le cose, come se si aspettassero qualcosa e lui continuasse sistematicamente a deluderli. Magari non è proprio vero, ma la sensazione è quella. Anche adesso, per esempio, il dottore lo osserva come se quei minuti di silenzio fossero stati un test e lui lo avesse appena fallito. Di nuovo.

«Allora,» esordisce «i tuoi amici volevano salutarti» e gli altri partono a macchinetta. Si accavallano e si parlano addosso in una sfilza di saluti che sono confusi e rumorosi. Lui vorrebbe rispondere e davvero ci prova. Le parole sono nitide nella sua mente ma il pensiero si inceppa da qualche parte prima di arrivare alle labbra e, allora, finisce come sempre, con lui in silenzio. L'ansia comincia a riempirsi di rabbia. Brutto, brutto segno.

Vittoria fa un passo avanti, lascia scivolare la borsa dal braccio a terra, e si siede sul bordo del letto. Arroccata accanto ad una gamba di Luca, gli prende delicatamente la mano tra le sue. «Va tutto bene» gli mormora, come fosse una specie di Segreto, e Luca le crede in modo istintivo. Chiude gli occhi per un istante e quando li riapre la stanza è di nuovo silenziosa. Il medico ha una mano alzata e deve essere stato quel gesto ad aver zittito i suoi amici. Luca è grato per il silenzio, peccato che non abbia migliorato la situazione, però. Anzi, ha solo trasformato il timido entusiasmo del gruppo in una sorta di triste desolazione. In fondo, nessuno di loro è un idiota ed è da idioti far finta che vada tutto davvero bene, che qualcosa in quella situazione si avvicini anche solo lontanamente alla normalità. Lo sa Luca, lo sa il dottore e, di certo, lo sanno anche gli altri. Il punto è che quello che sai e quello che speri non sempre sono la stessa cosa ed è più facile ignorare la cosa che farci i conti.

«Lo so che è frustrante il fatto di non riuscire a parlare,» il dottore è l'unico ad avere il coraggio di dire le cose come stanno e Luca deve ammettere che non gli dispiace. «È assolutamente normale avere delle difficoltà…»

Luca inarca un sopracciglio. Wow, non pensava di doversi ricredere così velocemente. Altro che dire le cose come stanno, difficoltà è un eufemismo se non una bugia bella e buona.

«Va bene, forse difficoltà può sembrarle un termine riduttivo ma…»

Luca inarca anche l'altro sopracciglio, non ci siamo per niente qua. Ancora appollaiata accanto a lui sul letto, Vittoria scoppia a ridere. Luca sposta veloce gli occhi su di lei, uno sguardo di traverso che è tutto un programma perché, siamo onesti, che caspita c'è da ridere ora?

Vittoria gli punta un dito contro. «Adesso ho assolutamente la certezza che tutto andrà bene. Quel sopracciglio, Lu'... Oh, mamma mia, il sarcasmo che c'hai messo dentro… Eri tu al cento per cento, ed è un buon segno, Lu'.»

Luca non è proprio convinto ma, se lo dice Vittoria, una specie di verità dovrà pur esserci, no? Alla fine, sempre più dubbioso che convinto, si stringe nelle spalle o almeno lo fa nella sua mente. Non sa se il suo corpo l'ha seguito nel gesto e non ha nemmeno intenzione di starci a pensare troppo. Non ha il tempo per andare in crisi anche su questo, almeno non adesso.

«La signora ha ragione» si intromette il medico, «i test che abbiamo effettuato fino a questo momento ci fanno ben sperare. Lei è cosciente ed appare sufficientemente lucido per capire tutto ciò che la circonda. Il vero problema è il collegamento tra il cervello e il resto del suo corpo. Noi dobbiamo lavorare sul ripristino di quel collegamento. Mi segue fino a qui?»

Luca annuisce, un po' offeso che si metta in dubbio la sua capacità di seguire un semplice discorso. Va bene, suppone che il dubbio ci possa stare se hai a che fare con uno che ha passato gli ultimi dieci anni della propria vita in coma, ma a lui dà fastidio lo stesso. Meglio non pensarci troppo però, il rischio di avallare quel dubbio è ancora troppo alto. Per buona misura, quindi, annuisce di nuovo ed è una buona idea perché il dottore sembra esserne soddisfatto.

«Allora, già da domani inizieremo il percorso di riabilitazione. Sarà lungo e faticoso. Ci vorrà del tempo per ottenere risultati, ma io sono davvero fiducioso. D'altronde, lei si è svegliato dopo dieci anni di coma ed ha già dimostrato di poter ribaltare qualunque aspettativa, cosa vuole che sia la riabilitazione.»

Già, cosa vuoi che sia, pensa Luca. Si è risvegliato dopo dieci anni, quando ormai era più probabile che vegetasse lentamente fino alla morte, cosa vuoi che sia imparare di nuovo a camminare e a parlare? Una passeggiata, roba da ragazzini.

«Andrà tutto bene» mormora Vittoria. Luca la guarda. E respira. Dentro e fuori. Si sforza di crederci.

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Capitolo 4
*** Cap. 3 - I'm all confused ***


NdA: Da questo punto in poi, per quanto riguarda l'aspetto medico della storia, metto le mani non avanti ma avantissimo lol Chiedo scusa per le sicure imprecisioni mediche. Siamo più o meno a sei mesi dal risveglio di Luca e spero che continui ad avere sufficiente credibilità anche se sembra che tutto avanzi e migliori troppo in fretta. La storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me
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Cap. 3 - I'm all confused

What do I do
Now that everything's fine
When everything I knew
Was from the back of the line
And now I'm all confused
Playin' over in my mind

What am I gonna do
[Everything is Fine - Noah Reid]

 

Ha già dimostrato di poter ribaltare qualsiasi aspettativa, cosa vuole che sia la riabilitazione? Era così che gli aveva detto il dottore, giusto? Che grandissima cazzata! Luca lo pensa praticamente ogni giorno e almeno un paio di volte al giorno. Più precisamente alla fine di ogni seduta di fisioterapia e di logopedia. A questo punto non sa quale delle due odi di più, forse fisioterapia. Sì, decisamente fisioterapia. Perché Marcello, il suo fisioterapista, è sadico in modo spaventoso. Bravissimo eh, ma sadico. Luca non sa se il suo obiettivo è rimetterlo in piedi o abbatterlo una volta per tutte e nel modo più doloroso possibile. In giornate come questa, Luca propende per la seconda ipotesi.

La seduta in palestra è stata brutale e lui ne è uscito a pezzi, nel fisico e nel morale. Non c'è un muscolo che non gli vada a fuoco.

«Ottimo lavoro, Luca! Bravo!»

Ma tu sentilo, fa pure lo spiritoso. Che gle possino! Luca lo fulmina con l'occhiata peggiore di cui è capace.

«Lo so che non mi credi mai ma, davvero, sei stato bravo. È stata una buona seduta.»

Come no, un successone. In pratica tutto il suo essere sguazza nell'acido lattico ma, ehi, se Marcello dice che è andata bene, è andata bene. Davvero, se il suo sguardo trasuda sarcasmo è solo una coincidenza.

«Luca, stai lavorando benissimo, stai facendo un sacco di progressi.»

Una piccola parte di Luca si sente soddisfatto per il complimento, lo accoglie come un tonico per la sua fatica. Il resto di sé però, quello che crede che stia migliorando ancora troppo lentamente, si sente un po' preso in giro perché, guardiamo in faccia la realtà: ha ancora le stampelle, l'equilibrio continua a fare abbastanza schifo e starsene in piedi è sfiancante come fare una settimana di turni di notte.

«Ti odio, Marce'» gli brontola contro e Marcello ride, così di cuore che sembra un po' meno sadico del solito.

«Oh, buongiorno! Disturbo?» Pietro fa capolino dalla porta. Evidentemente oggi è il suo turno. Memori di quelle prime disastrose visite di gruppo, i suoi amici si sono organizzati e hanno stilato dei veri e propri turni, precisi come se fossero in commissariato. Due visite al giorno, tutti i giorni. Ecco, ora Luca non sa se quelle visite avvengono negli orari consentiti, a volte ne dubita fortemente perché sembrano entrare ed uscire dalla clinica un po' come vogliono. O non ci sono proprio orari - improbabile - o loro si giocano la carta del distintivo - probabile. Prima o poi quando riuscirà a pensare a tutta questa situazione senza impanicarsi, dovrà farsi dire cosa è davvero successo in questi lunghi dieci anni e se davvero è bastato sventolare in massa un distintivo per conquistare un intero ospedale, con tanto di infermiere che chiudono un occhio ed ammiccano complici. Per oggi, però, gli basterebbe capire come affrontare il resto della giornata perché, se non si fosse capito, lui si sente abbastanza uno schifo.

«Nessun disturbo, noi abbiamo finito.»

Marcello dà una pacca sul braccio di Luca, sorride - manco fossero amiconi - ed esce dalla stanza.

«Allora, come va? Com'è andata la fisioterapia?»

«'Na meraviglia,» borbotta Luca e poi scuote la testa davanti allo sguardo dubbioso di Pietro. «Lascia stare.»

Si vede che Pietro è in apprensione e che vorrebbe fare mille domande, ma ha imparato, così come gli altri, che è meglio non forzarlo e che lasciargli i suoi spazi è la cosa più utile che possano fare per lui. Se ha qualcosa da dire, lo farà con i suoi modi e i suoi tempi. Peccato che, trattandosi di Luca, quei tempi possono essere infiniti. Insomma, già prima non è che fosse uno di molte parole, per quello non possono dare tutta la colpa al coma e allo shock del risveglio.

«Luca, è successo qualcosa col fisioterapista?» Pietro ci prova, è più forte di lui, perché va bene rispettare i suoi tempi e i suoi silenzi ma non se è successo qualcosa. Luca scuote di nuovo la testa, stavolta in modo più deciso. Come glielo spiega che è una giornata no, dopo molte altre giornate no, e che si sente uno schifo senza risultare patetico?

«Vado a fare la doccia.» Luca decide che la fuga è la migliore soluzione. Non certo la più nobile, ma di sicuro la più efficace. Quando la porta del bagno si chiude alle sue spalle, la solitudine che lo avvolge è un sospiro di sollievo.

 

Il bagno è piccolo e fare la doccia vuol dire trasformarlo in una sauna, col vapore che ristagna caldo e oppressivo nell'aria. Luca si puntella con le mani sul bordo del lavandino, l'asciugamano stretto sui fianchi e i capelli bagnati. Il suo riflesso nello specchio appannato è un contorno indistinto ed è l'unica immagine di sé che lui riesca a riconoscere al momento, indefinito ed incerto come si sente. A voler essere onesti, si sente pure un po' stupido perché si è appena accorto di non essersi portato dietro i vestiti di ricambio. Ottimo, bravo Luca. Ora le cose sono due, o ciabatta fuori di qui e rischia di rimanere nudo a metà del percorso o chiede aiuto. Il suo orgoglio sceglie il male minore. Afferra una stampella e batte con la punta contro la porta. Esattamente cinque secondi dopo, Pietro è dall'altra parte della porta.

«Tutto a posto, Lu'?»

«Sì sì, mi prendi dei vestiti puliti, per favore?»

«Subito!» Pietro si muove rapido e sicuro e recupera un cambio completo di vestiti. Poi bussa piano alla porta e la apre quanto basta per passarli a Luca. «Ecco qui!»

«Grazie!» Luca sospira e inizia a vestirsi. È un processo noioso, dove ogni gesto è fatto con attenzione e lentezza. Finalmente, quando anche la maglietta è al suo posto, Luca prende coraggio e passa una mano sullo specchio, la condensa che scivola via in rivoli e goccioline. Il suo riflesso, adesso, è nitido e Luca lo odia. La persona che lo fissa dal fondo del vetro è un estraneo, un accozzaglia di parti che sono invecchiate senza di lui. I capelli sono lunghi e la barba, che si è lasciato crescere nelle ultime settimane, è fuori controllo. Ovunque tracce di grigio e bianco che lo destabilizzano oltre ogni limite. Fino ad ora ha tentato di gestire il disagio guardandosi allo specchio lo stretto indispensabile, ma non basta più. Soprattutto oggi, in cui tutto acuisce la sensazione di sconforto di una giornata orribile. Così non va, bisogna fare qualcosa.

Luca si sposta cauto con le stampelle e torna in camera. Pietro è appoggiato contro la finestra, il cellulare in mano.

«Senti Pie', una domanda…»

«Dimmi tutto!»

«Sai dove trovare un barbiere?»

Il sorriso di Pietro è così euforico da essere inquietante.

La seduta di psicomotricità del pomeriggio priva Luca di qualsiasi energia residua. Gli esercizi di concentrazione e di coordinazione lo hanno completamente svuotato e, adesso, la sua mente fatica a stare al passo. Risponde alle domande della dottoressa con una lentezza che lo spaventa, come se fosse tornato indietro nel tempo alle prime settimane di riabilitazione, quando niente aveva senso. È una sensazione terribile e gli si deve leggere in faccia, perché la dottoressa si affanna a tranquillizzarlo.

«Sei stanco, Luca. È normale andare in difficoltà quando si è stanchi, non c'è nulla di cui preoccuparsi. Respira.»

Respira? Non lo sta già facendo? Mmm no, a quanto pare sta trattenendo il fiato. Pessima idea.

«Respira!»

Eh, ci sta provando, solo che ci vogliono un paio di tentativi perché ci riesca. Non lo sa se è per colpa dei suoi riflessi rallentati o perché sente un attacco di panico pericolosamente vicino. Quando ci riesce, il cuore gli batte furioso nelle orecchie: un'altra sensazione terribile da aggiungere alla lista.

«Ecco, così va meglio!» la dottoressa gli sorride incoraggiante. «La stanchezza è il tuo peggior nemico Luca, ne abbiamo già discusso, no? Quando sei stanco hai più difficoltà a concentrarti e a trovare le parole, è normale. E quando succede così, non è un passo indietro, al di là di quello che puoi pensare tu.»

Lei ha ragione e Luca lo sa, solo che non è sempre così semplice ricordarsene.

«Per oggi va bene così, hai semplicemente bisogno di riposo.»

Luca ha bisogno che le cose tornino a posto, ecco quello di cui ha davvero bisogno. Ma non lo dice e non lo borbotta e non lo scrive da nessuna parte, perché è convinto che farlo voglia dire dover ammettere che niente tornerà mai a posto. Il come prima è un'illusione che non ha voglia di distruggere. Allora si tiene il pensiero per sé e accetta il verdetto della dottoressa come fosse verità inoppugnabile.

Prima che lei sia completamente fuori dalla stanza, lui si è già steso a letto e ha chiuso gli occhi. Sa che non dormirà - per assurdo è troppo stanco per quello - ma spera di recuperare energie sufficienti a schiarirsi la mente, quanto basta per mettere in prospettiva questa giornataccia e trovare la voglia di ricominciare tutto da capo domani. Sempre uguale. La fisioterapia di mattina e la psicomotricità di pomeriggio, e in mezzo le domande a cui i suoi amici non risponderanno. Luca si gira e affonda la faccia nel cuscino, gli occhi così strizzati da vedere sprazzi di luci bianca nel buio delle palpebre chiuse. Sospira contro la federa ruvida e decide che ne ha abbastanza. Finalmente, ne ha abbastanza. Almeno di quello, ne ha abbastanza. I silenzi, le cose non dette, le domande aggirate o bellamente ignorate, basta. Avrà pure mille problemi ma non è stupido, il suo cervello funziona abbastanza bene da capire che ci sono delle cose che non tornano e lui avrà pure il diritto di conoscere i dettagli della sua situazione, no? Quali sono gli aspetti tecnici e quelli economici e perché alcune persone ci sono e altre no e cosa c'è davvero per lui fuori da queste mura. Ha il diritto di sapere e loro non potranno nascondersi all'infinito dietro la scusa dello stress da evitargli. Luca va a braccetto col panico, il dubbio e l'ignoto, non può essere molto meglio dello stress da cui loro si illudono di proteggerlo.

Luca torna a girarsi sulla schiena e riapre gli occhi. L'orologio alla parete segna cinque minuti alle sei di sera. Tra poco, uno dei suoi amici comparirà nella sua camera per la consueta visita serale. E infatti, come volevasi dimostrare, la porta si apre subito dopo. Stasera tocca a Barbara.

«Ehi, buona-», il saluto si blocca a metà e Barbara rimane pietrificata, il sorriso che muta lentamente in un'espressione di scioccato stupore. Il Luca che si trova davanti è diverso da quello che si è abituata a vedere e lei non se lo aspettava. I capelli sono corti, così come la barba, e sembra un déjà vu riemerso dritto dritto dai suoi primi tempi al Decimo Tuscolano. È come se un altro tassello scivolasse al suo posto in questo scombinato puzzle che è la vita di Luca e che un po' la vita di tutti loro. A Barbara sembra una cosa positiva ma l'espressione sul viso di Luca dice l'esatto opposto. C'è sofferenza nei suoi occhi e tanta stanchezza e a lei è chiaro che sono il preludio di una tempesta in cui qualcuno si farà molto male.

«Ciao!» lo saluta quando finalmente riesce a controllare l'emozione e l'inquietudine. Luca le fa un segno con la mano e le rivolge un mezzo sorriso. Okay, non è il saluto più caloroso del mondo ma Barbara se lo fa andare bene lo stesso. «Tutto a posto?» chiede e Luca si stringe nelle spalle perché non sa bene da dove cominciare. Anche perché questa cosa qui dei discorsi e delle conversazioni ultimamente non gli riesce proprio benissimo. Deve pensarci, mettere in ordine le parole, capire per bene cosa e come vuole dirlo… Ci vuole un sacco di tempo e a lui viene l'ansia ad essere al centro dell'attenzione del suo interlocutore di turno.

«Stai bene così» gli dice Barbara, un po' perché proprio non può farne a meno, e un po' per alleggerire l'atmosfera. Luca accoglie il complimento con un'altra alzata di spalle, la mano che tormenta i capelli corti sulla nuca. «Lunghi non mi piacevano più» mormora in un tono di voce basso ed incolore. «Mi ha aiutato Pietro.»

«Ah sì? Non mi ha detto niente.»

«Sorpresa!» dice lui con un'altra - l'ennesima - alzata di spalle, come se tutto avesse avuto un significato e adesso non ne avesse più. Luca potrebbe sforzarsi e raccontarle piano piano di Pietro che ha vagato dentro e fuori dalla clinica per cercare un barbiere e che gli è stato appiccicato come una zia possessiva a valutare se stava tagliando bene i capelli e a dirgli che no, Luca la barba non la portava così, doveva tagliare un altro poco lì e un altro poco qua. Se non avesse altro per la testa, Luca proverebbe a raccontarle di quanto si sia sentito più leggero dopo, quando si è guardato allo specchio e finalmente, per la prima volta in tutti questi mesi, si è riconosciuto e l'immagine davanti ai suoi occhi ha fatto pace con quella della sua mente. Ma lui ha altro per la testa e non può permettersi di sprecare energie e parole in discorsi frivoli. Guarda Barbara e si tira a sedere sul letto.

«Sono stanco!» e Luca cerca di calcare le parole il più possibile, perché lei capisca il significato vero della sua stanchezza. «Ho bisogno di sapere.»

Barbara sbuffa. Non ha bisogno di chiarimenti perché sa dove Luca vuole andare a parare e cosa le chiederà. Il punto è che lei non sa come rispondergli e, soprattutto, non ha voglia di litigare con lui. «Luca…», il suo nome suona fastidiosamente condiscendente e le mani tese di Barbara, allungate a rabbonirlo, lo fanno solamente incazzare di più.

«No! Non ci provare! Oggi parli.»

Tanti anni fa, al tono autoritario di Luca, Barbara avrebbe risposto con un lampo di sfida negli occhi. Oggi, non gli riserva che un no con la testa. «Lo sai cosa ha detto il dottore…»

«Non me ne frega niente!» Luca sente la rabbia montargli dentro ma cerca di calmarsi, perché lo sa che se perde la pazienza poi parlare sarà praticamente impossibile e lui ha bisogno di farsi capire. «Voglio sapere.»

Barbara sospira, gli occhi al cielo e le mani sui fianchi. Ci pensa un attimo e capisce che non è più il tempo delle scuse. Per quanto tutti loro si appiglino alla richiesta del medico di andarci piano con informazioni e visite, la loro reticenza è ormai fuori luogo. Anche perché, di questo passo, Luca potrebbe essere fuori dalla clinica nel giro di poche settimane e allora chi e cosa potrebbe davvero fermarlo dall'andare a cercare da solo le informazioni che gli servono? Luca ha bisogno della verità e ha bisogno di riprendere il controllo sulla sua vita. Barbara sospira di nuovo.

«Va bene, hai ragione! Hai il diritto di sapere, però, secondo me, è meglio se ne parli con Vittoria.» Luca non fa in tempo a replicare in nessun modo perché Barbara lo anticipa. «Senti, possiamo raccontarci tutte le balle che vuoi ma non puoi negare che con lei sei più calmo, in generale proprio. Quindi, qualunque cosa tu voglia sapere, chiedi a Vittoria. È arrivato il momento di parlare e sono sicura che lo ha già capito anche lei. Fidati!»

E Luca si fida, perché cos'altro può fare di diverso?
 

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Capitolo 5
*** Cap. 4 - I can tell you the truth ***


NdA: Siamo più o meno a metà della storia ed è arrivato il momento delle domande e delle risposte. La storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me


Cap. 4 - I can tell you the truth

And you could say it's not true
You can tell me I'm lyin'

And I can tell you the truth
Well the truth ain't kind
[Everything is Fine - Noah Reid]

 

Luca guarda l'orologio sulla parete contare i minuti che sembrano non passare mai e, intanto, tamburella sul bordo del tavolino con un foglietto piegato in due. Stamattina, subito dopo colazione - e prima della quotidiana sessione di tortura con Marcello - Luca ha strappato una pagina dalla Settimana Enigmistica che giaceva sul suo comodino e ci ha scarabocchiato sopra tre nomi con altrettanti punti interrogativi. Non è che gli serva un promemoria, le domande gli sono sin troppo chiare, da settimane ormai ospiti fissi nella sua mente, è solo che lo fa sentire un po' più se stesso quello appuntarsi le cose, mettere nero su bianco le idee come quando era un poliziotto e preparava le domande di un interrogatorio o stilava i punti di un'indagine. Non è la stessa cosa, adesso, ne è consapevole: è solo una piccola innocua illusione di cui rivestire le sue ansie. Hai voglia a dire e ridire che in fondo sono solo domande e che lui ne ha fatte già a migliaia nella sua vita, la sua ansia se ne frega bellamente. Le risposte che spera di ottenere sono ancora un grumo di apprensione che non lo fa respirare. Una meraviglia, insomma. Il fatto che questa constatazione, poi, risuoni nella sua mente con il tono di voce e il sarcasmo di Elena è una cosa su cui Luca dovrebbe interrogarsi. Gli manca giusto sentire le voci, come se non avesse già abbastanza problemi così come sta. E magari non è un'allucinazione post coma ma solo assuefazione ai troppi vocali audio che lei gli manda. In ogni caso, che casino!

Luca è in questo meraviglioso e pacifico stato d'animo quando Vittoria entra nella sua camera senza il suo solito caloroso sorriso, al suo posto una smorfia che di sorriso ha ben poco. Un po' se lo aspettava.

«Buongiorno, Luca.» Vittoria è sempre calma, tranquilla, ma oggi il suo tono sembra quasi guardingo, come se si trovasse davanti un animale selvatico da non spaventare. A lui non sembra un inizio promettente ma, per ora, decide che non è importante.

«Ciao, Vittoria» e, nonostante tutto, il suo sorriso è quello di sempre, sincero e malinconico.

«Allora, come va?»

Luca sa qual è il rituale di questi incontri, conosce a memoria le domande di routine, le frasi di circostanza e le piccole inutili chiacchiere spese a riempire il suo silenzio. Ogni tanto, tutto quello gli dà fastidio ma mai con Vittoria. No, con lei è come entrare in una dimensione alternativa in cui tutte le sue ansie si ritraggono sottopelle e in superficie resta solo la calma degli occhi allegri di Vittoria e i suoi gesti pacati e tutto il bene che gli vuole.

«Va bene» le dice, e anche quello fa parte della routine. Certe volte è un po' una frase fatta, altre è una specie di verità.

«Mmm, che va bene fisicamente lo vedo» precisa lei, le mani che gli si infilano tra i capelli corti e poi gli stringono il viso in una carezza. «Ma qui dentro come va?» chiede ancora e gli picchietta un dito contro la tempia.

Luca ride, colto di sorpresa dal gesto. «C'è una gran confusione,» ammette e Vittoria lo guarda comprensiva, come se non si aspettasse nulla di diverso.

«È il momento delle domande, eh? Oggi non scappa mi sa»

«Te lo ha detto Barbara?»

«Certo che me lo ha detto Barbara, Lu'! Ha pensato che servisse anche a me un po' di tempo per prepararmi a questa conversazione.»

Luca la studia con attenzione cercando un segnale qualsiasi per farsi un'idea di quanto sarà doloroso parlare. «E ti è servito davvero questo tempo?»

«Ovvio che sì! Sono passati più di dieci anni Luca e, che noi lo ammettiamo o no, sono successe tantissime cose. È normale che tu voglia sapere ma è anche normale che per noi sia difficile parlare.»

«Perché?» si intromette Luca, breve e diretto.

«Perché la verità è difficile da dire e da accettare» Vittoria è altrettanto diretta e Luca accetta la cosa con gratitudine. Finalmente un po' di chiarezza.

Vittoria appoggia la borsa sul letto, trascina una sedia accanto a quella di Luca e si ritrovano così ai due lati opposti del tavolino.

«Avanti, chiedi pure.»

Luca aspetta questo momento da settimane, eppure è strano adesso avere il via libera. Ci mette qualche secondo a trovare il punto da cui partire. Apre il bigliettino di carta giusto per avere qualcosa da fare e scorre con gli occhi i tre nomi, poi lo richiude con una piega in più facendolo diventare un quadratino di carta stretto nel pugno. Annuisce piano a sé stesso, da qualche parte deve pur cominciare, tanto vale farlo da quello che gli sembra il minore dei mali.

«Mia madre.»

«Tua madre…» Vittoria gli fa eco con un'espressione di stupore che a Luca sembra fuori posto. Cioè, a lui sembra inevitabile chiederne vista la sua situazione. Non è stupido, sa benissimo che quando una persona non è capace di decidere per sé, c'è bisogno di qualcuno che lo faccia al suo posto. Per esempio il marito, o la moglie, o i genitori. Luca non ha né marito né moglie quindi è chiaro che la responsabilità deve essere ricaduta su sua madre, l'unico genitore che gli resta. È solo che c'è una parte di lui - quella che lei non ha accettato quando lui era solo un ragazzino - che non si spiega come l'abbiano convinta. Quindi via il dente, via il dolore, no?

«È lei che paga per tutto questo?» e tutto questo sottintende la clinica e i dieci anni passati ad aspettare che lui si decidesse a vivere o a morire una volta per tutte.

«Perché vuoi parlare di soldi, Luca?»

Luca si stringe nelle spalle. Non sa bene come chiedere tutto il resto, ovvero se a sua madre importa di lui oppure no. Quindi perché non buttarla sui soldi? È impersonale quanto basta perché lui riesca a parlarne. Vittoria sospira e ha la sensazione che lo farà ancora un sacco di volte prima che questa giornata sia finita.

«Luca, sei stato ferito sul lavoro. Lo so che non ti sei dimenticato come funzionano le cose nel nostro campo. Lo sai che c'è l'equo indennizzo e la pensione privilegiata e altre mille cose quando viene riconosciuta la causa di servizio. Ecco come tutto questo, come lo definisci tu, vieni pagato. Non devi niente a nessuno, tanto meno a tua madre.» Vittoria si ferma per riprendere fiato. «Chiedi cosa vuoi sapere davvero.»

«Mi ha messo lei qui dentro?»

«Si, è lei che ha deciso di portarti qui. C'era bisogno di un familiare che decidesse per te e lei è tua madre.»

«È mai venuta a trovarmi?» Luca sa già la risposta, ha solo bisogno di sentirselo dire da qualcun altro. Forse è un po' masochista o magari è solo la ricerca di qualcosa che sia rimasto uguale. Anche se fa schifo.

«Senti Lu', tu vuoi la verità e io ti dirò la verità, ma non mi piace per niente, voglio che questo sia chiaro. Quest'intera discussione non mi piace, l'idea di vederti stare male non mi piace, ci siamo capiti?»

Vittoria mette le mani avanti e Luca annuisce, pronto alla prima batosta della giornata.

«È venuta in ospedale una volta, quando bisognava prendere decisioni su di te e i nostri distintivi non bastavano più. Nessuno di noi sapeva cosa fare con lei, è stato strano ed imbarazzante, perché noi eravamo disperati e lei si chiedeva se tu fossi ancora "malato" come quando sei andato via da casa.»

Luca sbuffa una mezza risata tra i denti, tipico di sua madre mai brillare per tatto e delicatezza. Gli occhi di Vittoria sono inquieti ma lui le fa un cenno con la mano e la incita a proseguire. Non è nulla di nuovo per lui.

«Non è stato facile avere a che fare con lei e abbiamo odiato l'idea che fosse lei a decidere per te.» Non ha intenzione di raccontargli di com'è andato davvero quell'incontro con la madre, tutto quello che lei ha detto e come lo ha detto, piena di disgustosa omofobia e crudele distacco. Non ha intenzione di dirgli come Ingargiola sia stato a tanto così dal cacciarla via a calci e che non l'ha fatto solo perché temevano che fosse lei a cacciare loro. No, tutto questo non glielo racconterà. Anche perché sospetta che lui in fondo lo sappia già. Il sorriso di Luca è il più amaro del mondo. «Alla fine l'abbiamo convinta a delegare la responsabilità a me e a Giuseppe. Siamo stati noi a prenderci cura di te, Luca. Noi e basta.» Luca sente le lacrime premere ai lati degli occhi, il cuore riempirsi d'affetto. Va bene così. Il primo nome sul bigliettino è andato.

«Seconda domanda.»

«Vai!» Vittoria si sistema meglio sulla sedia, pronta al secondo round.

«Anna.»

«Anna?»

«Anna, sì!» Sembrano due pappagalli mentre si palleggiano quel nome e cosa vogliono ricavarne non lo sa nessuno dei due. Forse Vittoria vuole guadagnare tempo ma Luca non ha chissà che aspettative su quella questione. Vuole solo togliersi un dubbio, piccolo ma insistente.

«Sa quello che è successo? Ha mai chiesto qualcosa di me a qualcuno?» Luca lo chiede masticando le parole, la frase quasi si accartoccia su se stessa, un po' come se l'avesse fatta contro la sua volontà.

«Sì che lo sa, Luca e sì, ha chiesto di te. Ovvio!»

Ovvio? Luca sgrana gli occhi ed inarca un sopracciglio, più stupito di così non si potrebbe. Ovvio è l'ultima parola che avrebbe mai usato per descrivere il suo rapporto con Anna, o almeno quello che restava del loro rapporto morto più di dieci anni fa tra una segreteria telefonica e una lettera.

«Ma ovvio de che, Vitto'?» Luca è talmente stupito da suonare divertito.

«Ovvio, sì, Luca! È Anna! Come puoi pensare che non si preoccupi per te?»

«Ho la mente un po' incasinata, eh, lo ammetto, ma la mia vita di prima me la ricordo Vittoria. Mi ricordo com'è finita con Anna. Non c'era più niente alla fine. Non so nemmeno perché te lo sto chiedendo, forse solo per farmi del male o per capire se c'è ancora qualcosa uguale a dieci anni fa. Non lo so, magari sono solo masochista e visto che la mia prima domanda è stata su mia madre, potrebbe essere.»

È il discorso più lungo ed articolato che Vittoria gli abbia sentito fare da quando si è risvegliato ad oggi. Non la stupisce che il soggetto sia Anna e, d'altronde, anche lei si ricorda qual era il loro rapporto. Non ha mai saputo tutti i dettagli della fine, solo che da qualche parte si erano interrotti in modo brusco e doloroso. Ricordava chiaramente come ad un certo punto Luca fosse diventato ruvido e scostante e, poi, solo molto, molto triste. Ma da qui a pensare che, in questi anni, lei si se ne sia fregata ce ne passa.

«Quando ti hanno sparato sono stata io stessa a chiamarla. Non mi sono fatta domande, Luca, se vi parlavate ancora, se non lo facevate più… Non lo sapevo e non mi interessava. Sapevo solo che dovevo avvertirla perché lei aveva il diritto di sapere e, per mettere le cose in chiaro, ero convinta che chiunque ti volesse bene avesse il diritto di sapere. Così, esattamente come Barbara aveva avvertito noi ex Decimo Tuscolano ancora qui a Roma, io ho chiamato Elena, ho chiamato Raffaele e ho chiamato Anna.»

Luca ascolta in silenzio immaginando quei primi attimi di frenetica attesa. Lui ricordava giusto il rumore lontano degli spari e l'impatto dei colpi contro il suo corpo, poi più niente, ma non è difficile immaginare come deve essere stato per i suoi amici. C'era passato anche lui e ricordava il disagio di un corridoio d'ospedale quando l'unica cosa che puoi fare è condividere la paura dell'ignoto. «E poi?» chiede, giusto per far andare il discorso da qualche parte, mica perché è curioso.

«E poi abbiamo pianto, Luca! È arrivata due giorni dopo. Stava a pezzi… Si è fermata quanto ha potuto, poi è tornata a Trieste ma ha continuato a tenersi informata su di te fino ad oggi.»

Luca proprio non ce la fa a non apparire dubbioso. Perché come si fa a riconciliare questa verità con quella che ha vissuto lui? Con quelle telefonate a vuoto e una lettera che era stata una porta in faccia e una felicità di cui lui non poteva più fare parte in nessun modo? Non ha senso.

«Fino ad oggi, sì! Nessuno di noi ha fatto un passo indietro in questi anni, Luca. Nemmeno lei.»

«E allora dov'è lei, adesso? In questi mesi ho sentito tutti o quasi e lei non c'è mai stata, quindi c'è qualcosa che non torna nella tua storia.»

«All'inizio è stato perché i medici avevano detto di non assillarti. Eravamo troppi ed eravamo sconclusionati ed ingestibili. Non ti faceva bene averci tutti intorno, te lo ricordi? Cioè, giustamente, tu andavi in panico perché era tutto un gran casino e noi andavamo in panico perché ti facevano star peggio, quindi siamo diventati tutti molto bravi a seguire quello che dicevano i medici. Dopo, a mente fredda, non lo so, forse lei non ha trovato più il coraggio di venire a trovarti o di chiamarti o di contattarti in qualche modo. Anche perché, se te lo ricordi tu come avete chiuso dieci anni fa, se lo ricorda anche lei. Forse è solo in imbarazzo e non sa da che parte cominciare.»

Luca non sa cosa pensare, figuriamoci cosa dire. Non si aspettava una risposta del genere quando ha chiesto di Anna. Voleva solo togliersi un dubbio e confermare un altro piccolo pezzetto della sua vita e, invece, una delle poche certezze con cui si è risvegliato, ovvero la sua assenza, si è appena disfatta in modo rovinoso.

Vittoria lo osserva come se stesse valutando se è il caso di continuare a parlare, come se ci fosse qualcos'altro da dirgli ma non ne fosse proprio sicura. Deve però leggere qualcosa nei suoi occhi e nella confusione del suo viso perché alla fine si decide. Si allunga verso il letto, afferra la borsa e comincia a frugarci dentro finché non ne tira fuori un un mucchietto di buste. Lettere tenute insieme da un nastrino colorato.

«Sono di Anna. Ti ha scritto una lettera ogni anno, a volte era per il tuo compleanno, a volte per Natale. Credo fosse un modo per mantenere un contatto diretto con te.»

Luca ride ma un po' vorrebbe piangere, la frustrazione è un nodo alla gola. Perché che razza di circo è la sua vita? Lettere, ancora lettere. Ci deve essere un'ironia da qualche parte o il divertimento perverso dell'universo, non lo sa, fatto sta che Luca ricorda perfettamente l'ultima lettera di Anna e non muore dalla voglia di replicare l'esperienza.

«Secondo me, dovresti leggerle. Poi, decidi cosa vuoi fare: se vuoi lasciare le cose così come stanno, aspettare che lei trovi il coraggio di fare il primo passo o magari farlo tu, il primo passo. Non lo so.» Vittoria si stringe nelle spalle. Gli ha detto la verità è gli ha anche detto come la pensa, ora devono vedersela loro. Lei non può fare nulla, anche se vorrebbe tanto chiuderli dentro una stanza e obbligarli a parlare. Peccato però che sia qualificabile come sequestro di persona e, veramente, meglio evitare.

Le lettere sono appoggiate sul tavolino e Vittoria le spinge con un dito verso Luca e le sue mani incrociate. Lui le guarda. Non le prende ma nemmeno le allontana. Vittoria lo conta come un successo e Luca fa lo stesso. In fin dei conti, anche il secondo nome del bigliettino può essere depennato.

Vittoria aspetta paziente l'arrivo di un'altra domanda. Se ha fatto bene i suoi conti manca la peggiore di tutte. Un po' vorrebbe finirla qua ed evitare così di dover affrontare quel discorso, ma Luca è deciso ad andare fino in fondo. Si schiarisce la gola, spiega il foglietto davanti a sé - le pieghe che si disfano una dopo l'altra - e accarezza l'ultimo nome scritto.

«Lo sai di chi voglio chiederti.»

«Lo so! Antonio?»

«Antonio» conferma Luca e la sua voce è un pigolio dismesso, come se una parte di lui sapesse già cosa lo aspetta e ne fosse terrorizzato.

«Luca, se in questi mesi non non hai mai visto né sentito Antonio c'è un unico motivo possibile, lo sai, vero?»

«Antonio è morto.» Non è una domanda ma un'affermazione, una verità che Luca si scolla a fatica del palato con parole che bruciano come acido sulla sue labbra.

«Sì, Antonio è morto due anni fa.»

A Luca manca la terra sotto i piedi e, se non fosse seduto, sarebbe crollato a terra lungo disteso. Perché una cosa è immaginare il peggio, un'altra è vederselo confermare. Vittoria si allunga sul tavolino e gli afferra le mani tra le sue e lo ancora ad una realtà che improvvisamente fa più schifo del solito.

«Va tutto bene,» gli dice stringendo la presa, «respira.»

È come all'inizio, con lo stesso senso di panico che gli monta nel petto ma, stavolta, le parole di Vittoria non servono a nulla. Stavolta non ha idea di come le cose possano andare bene. Antonio è morto, come si risolve questa cosa? Come ci si rassegna a questa assenza? Come può giustificarla quando il suo ultimo ricordo è una telefonata in cui gli dice del suo trasferimento a Torino e gli chiede che ne pensa cercando rassicurazioni ed incoraggiamenti? Come fa a dare un senso ad una mancanza che sarà per sempre, quando per lui il tempo non è avanzato che di sei mesi? Come può accettare che Antonio non ci sia più quando deve ancora accettare tutto il resto? E come fa a rimettersi in piedi in un mondo che è andato avanti senza di lui e che si è preso il suo tempo e una delle pochissime persone che gli aveva donato? Semplicemente, come fa?

Panico e confusione battagliano nella mente di Luca: domande, dubbi ed incertezze che si affastellano e che diventano lacrime agli angoli degli occhi. Lui non fa niente per bloccarle e piovono lente e disperate a bagnare il foglietto di carta, il nome di Antonio e le sue mani in quelle di Vittoria. È una disperazione così profonda che si pente di aver chiesto. Si pente di aver voluto sapere. A volte, l'ignoranza è più misericordiosa. Invece no, lui si è intestardito e ha voluto la verità a tutti i costi. Bell'affare.

«Non è giusto» riesce a dire, un sibilo sofferente attraverso i denti stretti, «non è giusto.»

«No, Lu', non è giusto. Questi ultimi dieci anni non sono stati giusti… perché come può esserlo un ragazzo di trent'anni che rischia di morire solo perché sta facendo il suo lavoro? Non lo è e non è giusto che tu ci abbia rimesso dieci anni della tua vita e che niente sia più davvero come te lo ricordi. Mi spezza il cuore vederti soffrire, Lu' e, credimi, se potessi fare qualcosa per cambiare questa realtà lo farei. Ma non posso cambiare il fatto che Antonio è morto e non posso riportartelo indietro. Però, posso raccontarti di tutto il tempo che ha passato con te. Posso raccontarti delle ore che ha passato qui seduto accanto al tuo letto a ricordare i giorni felici del Decimo e i tuoi primi tempi da poliziotto e tutto quello che abbiamo passato insieme. Posso raccontarti il modo in cui ti salutava ogni volta che se ne andava, di come ti ripetesse sempre - sempre - che ti voleva bene e che credeva in te. Posso raccontarti questo, sì, posso dirti che lui ha creduto in te dal primo all'ultimo giorno e che è sempre stato sicuro che ti saresti svegliato. Ne era assolutamente certo e aveva ragione. Ti sei svegliato, no? Ora devi ricominciare a vivere e devi riprenderti la tua vita. Lo devi fare anche per lui. Devi fare pace con tutto quello che hai perso.»

Le parole di Vittoria sono un lungo e accorato flusso di pensiero, sensazioni e ricordi ed emozioni. C'è dentro di tutto ma, adesso, Luca è troppo addolorato per dare un senso alle cose. Riesce solo a pensare, ancora e ancora, che Antonio non c'è più, che un'altra persona se n'è andata dalla sua vita senza che lui potesse fare nulla per impedirlo. All'improvviso il mondo fa così schifo, e lui è così stanco, che il pensiero di farla finita è pericolosamente confortante. Le mani di Vittoria che lo tengono fermamente nel qui ed ora sono allo stesso tempo un'ancora di salvezza e la più terribile delle torture.
 

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Capitolo 6
*** Cap. 5 - Time keeps moving forward ***


NdA: Vecchie conoscenze riappaiono XD Consueto reminder, la storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me

Cap. 5 - Time keeps moving forward

 

You say this won't last forever
Just give it time

But time keeps movin' forward
And you mostly come around
[Mostly to Yourself - Noah Reid]

Il taxi rimane imbottigliato nel traffico dell'ora di punta con le auto incolonnate, gli autisti scocciati e i soliti motocicli che sgusciano tra un mezzo e l'altro come se per loro il codice della strada non valesse. Elena sprofonda un po' più comoda sul sedile posteriore e sorride. Ah, il caro vecchio caos di Roma. Un po' le è mancato anche questo negli ultimi anni, come una specie di cugino fastidioso che in fin dei conti ti sta simpatico comunque. La realtà è che le è mancata proprio Roma, molto più di quanto sia a suo agio ad ammettere e, non per la prima volta, si chiede cosa le impedisca di tornare, cosa la tenga davvero legata a Genova anche oggi che non ha più niente da spartire con la città.

Elena studia distratta il traffico fuori dal finestrino, le auto che avanzano a passo d'uomo, e ci pensa seriamente. Più ci pensa, però, più non sa darsi una risposta. A Genova non ha più legami, la sua storia con Davide è morta e sepolta ormai da anni, e allora perché sta ancora lì? Ha il lavoro, va bene, ma lei il suo lavoro lo può fare ovunque, anche e soprattutto a Roma. Quindi no veramente, perché sta ancora lì? Perché non ha chiesto un trasferimento? Perché si ostina a rimanere in un posto in cui nulla più le è familiare?

Elena distoglie lo sguardo quando l'auto riprende a filare veloce per le strade di Roma e le domande tornano in lista d'attesa, ad aspettare tempi migliori. Quando il taxi si ferma, però, è quasi sicura che prima della fine di questa vacanza romana avrà trovato una risposta. Quando si infila in clinica poi, diretta alla stanza di Luca, ne è assolutamente certa. Non sa ancora che tipo di risposta sarà, è solo convinta che qui, adesso, ne troverà una.

Per ora è sufficiente che trovi la camera di Luca e che ci arrivi prima che qualcuno le sguinzagli dietro l'intero corpo di sicurezza a scortarla fuori. Insomma, sta girando per il corridoio di una clinica con un borsone e una valigia gigante al seguito e forse avrebbe fatto meglio a passare prima da casa di Vittoria per lasciare i bagagli. Forse eh, solo che il suo raziocinio è andato a farsi benedire alla prospettiva di rivedere Luca e si è precipitata in clinica direttamente dalla stazione. Non il suo momento migliore, no, ma ampiamente giustificato, sì. Cerca di muoversi il più silenziosamente possibile e l'aria dubbiosa delle infermiere che la incontrano si trasforma in un sorriso affezionato quando gli chiede di Luca. Elena bussa alla porta con il cuore a mille. Entra prima ancora di sentire una risposta, troppo impaziente per aspettare, e Luca è lì, seduto sul bordo del letto, così uguale e così diverso da sé stesso.

C'è un attimo di calma assoluta, di silenzio perfetto, poi il tempo ricomincia a scorrere ed Elena non sa cosa fare. Litiga con la tracolla del borsone, sbatte con la valigia contro lo stipite della porta, inciampa sui suoi stessi piedi e Luca ridacchia incredulo, le spalle che sussultano. Non ci crede che è proprio lei lì, davanti ai suoi occhi ma, poi, gli si precipita incontro e lui si ritrova con le sue braccia strette intorno al collo, il viso premuto contro il suo.

«Ciao Luca, ciao, ciao…» Elena continua a ripetere la parola all'infinito contro il suo collo, il respiro umido e carico di pianto.

«Ciao, Ele.» Lui ricambia il sorriso e la stretta e l'abbraccio dura tanto da diventare vagamente imbarazzante. «Non piangere,» le sussurra e le batte piano una mano sulla schiena per tranquillizzarla. Elena prende un respiro profondo e si stacca da lui. Si passa le mani sotto gli occhi a scacciare via le lacrime e poi si tira i capelli dietro le orecchie. Ha gli occhi lucidi ma per il resto ha ripreso il controllo di sé.

«Perché non mi hai detto che saresti arrivata?»

«No, casomai perché non sono arrivata prima. Perché non mi hai detto che stai passando un brutto momento?»

«Te l'ha detto Vittoria?» Luca non sa se essere infastidito dalla cosa oppure no.

«E chi se no? E menomale che me l'ha detto Lu', se no stavo ancora qua a dar retta a te e ai tuoi "ma no, non c'è fretta, aspetta".»

Elena gli fa il verso e questo un po' di fastidio glielo dà. Soprattutto perché ha ragione lui, no?

«E infatti che fretta c'è? Tanto quello che doveva succedere è successo e il brutto momento non va da nessuna parte.»

Elena incrocia le braccia al petto, sperava che Vittoria avesse esagerato quando le ha descritto lo scoramento di Luca. Invece, è esattamente come aveva detto lei.

«Luca, ascoltami, non puoi cambiare quello che è successo ma puoi riprenderti la tua vita.»

Luca sbuffa, non ha voglia di un altro discorso di incoraggiamento. «Se sei venuta fin qui per farmi anche tu la predica..»

«Sono venuta fin qui per vederti. E perché penso ti serva un'amica.»

«Amica? Non bastano quelli che sono qui?»

«Sì, certo, ma loro sono troppo coinvolti e non riescono a dirti le cose come stanno.»

«Ovvero?»

«Che è arrivato il momento di darti una mossa.»

Luca incassa il colpo, ferito nell'amor proprio. Che vuol dire che deve darsi una mossa? Sono sei mesi che non si è fermato un attimo: è fisicamente e psicologicamente esausto. Pensava fosse evidente e invece, a quanto pare, nessuno se ne accorge. Anzi!

«Cioè, fammi capire, tu e tutti gli altri pensate cosa? che io non stia facendo nulla e che stia qui a perdere tempo?»

«No. Non mi riferisco alla riabilitazione e, secondo me, lo sai anche tu. Il problema è l'atteggiamento, Lu'. È vero io non ero qui e non l'ho visto di persona ma davvero vuoi dirmi che le ultime settimane sono andate bene?»

Luca non le ride in faccia solo per quel briciolo di istinto di sopravvivenza che ancora esiste in lui e che gli ricorda che fare incazzare Elena non è una buona idea. La sua mente è terra senza padroni però, e la risata che risuona tra i suoi pensieri sa di follia. Perché cosa è andato davvero bene in questi sei mesi? O in tutta la sua vita? Niente e, a costo di suonare vittimista, lo dice ad alta voce.

«Ultime settimane? Perché prima? Quando mai qualcosa è andata bene? Ora è solo peggio perché nulla di quello che sto vivendo mi piace.»

«Ok, tutto giusto e comprensibile. Ma tu, cosa stai facendo per cambiare le cose? Visto che non ti piace nulla, dico.»

«Dite tutti la stessa cosa, ma cosa dovrei fare? Tu puoi riportare una persona in vita o far cambiare idea a chi non vuole più vedermi? Puoi rimandare indietro il tempo? No, perché io non posso.» Ogni parola è intrisa di frustrazione, la stessa in cui si crogiola da quando ha parlato con Vittoria.

«No, Luca, non lo posso fare neanche io. Ma di sicuro tu puoi smettere di auto commiserarti e puoi cominciare a pensare a cosa fare quando uscirai di qui.» Ecco, Elena l'ha detto. La promessa che si era fatta di andarci cauta si è infranta prima di quanto si aspettasse. Oh beh, pazienza!

Intanto, Luca si rigira la frase in testa e cerca di darle un senso. È difficile però, perché lui ha attivamente evitato di pensarci, soprattutto dopo il discorso con Vittoria e la tristezza in cui si è trovato ad annaspare senza appigli. Però, che lui lo voglia o no, è vero e tra una decina di giorni sarà fuori dalla clinica. E cosa farà quando succederà? Dove andrà?

«Okay, quindi tu se sei qui per fare cosa? Rimettermi in riga e trovarmi una casa?»

Elena si stringe nelle spalle ed inclina la testa a guardarlo. Un'occhiata di sbieco che è una sfida a contraddirla.

«Sì, anche! Luca mi sono presa tre settimane di ferie per venire qui a Roma, tre settimane tutte per te. Quindi, mettiti l'anima in pace ed abituati all'idea che mi avrai tra i piedi per un po'.»

«Per trovarmi una casa.» Per qualche ragione, Luca trova la cosa assolutamente esilarante.

«Assolutamente! Pensavo ad una bella casa comoda e funzionale, moderna ma non troppo, e con almeno una una camera degli ospiti…»

Elena congiura l'agente immobiliare che è in lei mentre Luca sospira e si rassegna anche a questo. In fondo, è abituato ad avere gli altri che decidono per lui e con Elena non poteva essere diversamente. Con lei era così anche prima.

«Tre settimane tutte per me, eh?»

«Già!» Elena si dondola sui piedi, così tanto soddisfatta di sé che di più non si può. E per Luca è come essere investito in pieno da una ventata d'aria nuova. Forse è vero che Vittoria e gli altri sono troppo coinvolti - troppo addolorati e affaticati da tutto quello che è successo - per dargli una scossa, mentre lei ha quel pizzico di sano distacco che le permette di essere diretta e senza filtri. È una mano tesa, l'ennesima, e Luca è comunque abbastanza intelligente da accettarla.

«Voglio una casa con un sacco di luce,» una richiesta piccola, giusto per darle corda, quanto basta per smuoversi dall'apatia in cui è piombato nelle ultime due settimane.

«Lo aggiungo alla lista dei requisiti ma, intanto, posso darti un altro abbraccio?»

Dire di sì è la cosa più semplice del mondo, finire stritolato nella presa affettuosa di Elena quella più piacevole.

Elena si è appollaiata sulla cima della valigia, i piedi allungati davanti a sé e il borsone tra le caviglie. È una sistemazione precaria, lo sa anche lei che se si muove rischia di spiattellarsi a terra, però almeno sta comoda. Guarda le macchine sfilare davanti alla clinica nel pigro traffico del tardo pomeriggio e, mentre aspetta, rimugina sulle ore appena trascorse con Luca. L’averlo finalmente rivisto, così vivo e concreto, è una sorta di inspiegabile calore al centro del petto, come se qualcosa che è stato dormiente per un sacco di tempo si fosse finalmente risvegliata con lui. È una sensazione piacevole e lei ci si culla dentro come se non potesse averne mai abbastanza, come se si sentisse un po' più viva di quando è partita. La cosa la elettrizza. Aspetta che Ingargiola la passi a prendere per portarla a casa da lui e Vittoria e intanto riflette sulle sue prossime mosse. Tira fuori dalla tasca dei jeans un'agendina ed una penna, inforca gli occhiali e comincia a scarabocchiare. Perché lei ha un piano, non è certo venuta qui ad improvvisare. No, lei ha programmato tutto, dall'incontro con Luca a cosa dirgli e cosa fare. Adesso depenna le prime voci perché il primo obiettivo - quello di ottenere la collaborazione di Luca - è stato raggiunto, ora deve pensare a tutto il resto.

Elena sfila gli occhiali e comincia a masticare la punta di un'astina. Pensa a quello che gli ha raccontato Vittoria e alle assenze che pesano nella vita di Luca. È vero non può fare nulla per riportare Antonio indietro, e non può far nulla per ricucire il rapporto di Luca con la madre - anche perché finirebbe, come minimo, per prenderla a male parole. La questione Anna però, è tutto un altro discorso. Per quello, forse, qualcosa può farla. Certo, vorrà dire mettersi in mezzo e immischiarsi in cose che non la riguardano, ma quando mai questi dettagli l'hanno fermata? Lo sanno tutti che sotto sotto è un'impicciona. Seria, precisa e leale ma impicciona fino al midollo. Quindi sì, si metterà in mezzo senza nessuno scrupolo di coscienza.

A distrarla dalle sue macchinazioni arriva Giuseppe a caricare lei e i suoi bagagli. «Allora, come l'hai trovato?» è la prima domanda che le fa dopo gli abbracci e i sorrisi e la gioia di rivedersi.

«Speravo che Vittoria esagerasse quando mi ha detto quanto stava giù, invece…»

«Eh, è sofferente e confuso. Ha passato mesi a chiedersi cosa è veramente successo mentre tutti facevamo finta di niente. Un po' perché ce lo avevano consigliato i medici, un po' perché come glielo spieghi tutto quello che è cambiato in dieci anni?»

È una domanda trita e ritrita che ciascuno di loro si è posto più e più volte in questi mesi. Vittoria ha stretto i denti e alla fine ha scelto la verità, senza abbellimenti e senza giri di parole. Ha fatto del male a tutti quanti ma era la soluzione più onesta.

«Okay, ormai lo sa. Il peggio, da questo punto di vista, è passato. Adesso dobbiamo concentrarci sul futuro e dobbiamo aiutarlo a ritrovare l'entusiasmo. E qui entro in gioco io.»

«Che hai in mente, Elenu'?» Giuseppe è curioso ed intrigato.

«Tanto per iniziare, due cose: sistemare Luca fuori da quella clinica e poi fare due chiacchiere con una persona.»

Giuseppe non ha idea di dove l'amica voglia andare a parare ma è affascinato dalla sua aria diabolica. La ragazza tira fuori il cellulare, scorre la rubrica e fa partire una chiamata. Uno, due, tre squilli, poi dall'altra parte «Pronto?»

«Annina bella, dobbiamo parlare di un po' di cose.»

«Buonasera anche a te Elena, eh.»

«Sì sì, non fare la furba però.»

«Ma di che stai parlando?» Andare dietro ad Elena non è mai stata la cosa più semplice del mondo, se poi non le dà nessun indizio, per Anna diventa proprio impossibile.

«Te lo dico subito. Ho una domanda per te, una sola ma importante, quindi rifletti prima di rispondere.»

«Tu sei pazza, ma va bene, sentiamo.»

«Perché non sei ancora venuta a trovare Luca?»

Dall'altra parte Il silenzio è agghiacciante. Se fossero faccia a faccia Elena potrebbe vedere gli occhi sbarrati di Anna e la sua faccia stupita. Balbetta qualcosa che si perde incompiuto ed incomprensibile lungo la linea telefonica.

«Allora?» la incalza Elena.

«Boh, Ele, non so nemmeno se vuole vedermi, non so cosa dirgli, non so da dove cominciare.»

«Cominciamo dalle basi, proprio. Fai il primo passo e vieni qui. Non mi interessa se sei in difficoltà o se sei in imbarazzo, dieci anni sono passati anche per te ma, fidati, per Luca è peggio. Le nostre vite sono andate avanti, la sua invece è finita in pausa, non puoi aspettare che sia lui a venire da te.»

Anna si maledice all'altro capo del telefono, perché lo sa che in questi mesi ha semplicemente rimandato l'inevitabile e che si è fatta forte di mille scuse che hanno smesso di essere tali già da un pezzo. Lo sa che in realtà le manca il coraggio di affrontare le conseguenze della sua scelte, il tempo che è passato, l'incognita di quello che si troverà davanti e tutto quello che potrebbe essere.

«Non so se me la sento.» Anna si scopre improvvisamente vulnerabile ed inaspettatamente sincera. Tutto ad un tratto sembra così facile dire all'amica quello che non ha ammesso nemmeno a sé stessa.

«Ti capisco Anna, ma a 'sto giro tocca a noi essere forti per Luca. Ha fatto un lavoro enorme per rimettersi in piedi, ma ha bisogno che chi gli vuole bene lo aiuti a rimettere insieme i pezzi. E tu gli vuoi ancora bene, no?» È una domanda strategica, Anna lo sa, eppure cade dritta dritta nella provocazione dell'amica. C'è un singhiozzo oltraggiato piantato nella sua gola. È assolutamente ridicolo che Elena le chieda una cosa simile, anche se il dubbio lo ha creato da sola.

«Certo che gli voglio bene.» Non ho mai smesso.

«Ecco! Allora smuovi il tuo bel sederino da Trieste, prendi il primo aereo disponibile e vieni a Roma.»

«Ele…»

«No no, niente scuse. Vieni a Roma e gli chiedi scusa per come è andata tra voi dieci anni fa, gli dici che ti è mancato e che gli vuoi bene.»

«Sì, ma Ele…»

«Anna!»

Elena comincia a suonare esasperata, Ingargiola inarca un sopracciglio al suo tono scocciato, Anna sospira.

«Non sto cercando scuse, Ele.»

«E allora che c'è?»

«C'è che non sono a Trieste. Sono a Roma.»

«Che c**** vuol dire che sei a Roma?»

Elena si china in avanti, sbatte una mano contro il cruscotto e Giuseppe sussulta. Il fatto che la macchina resti dritta è un piccolo miracolo, tutto il resto ha il potenziale di un disastro.

 

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Capitolo 7
*** Cap. 6 - I will help you out ***


NdA: In questo capitolo abbiamo ancora cambiamenti e ritorni e un primo necessario confronto XD Tanti cuoricini per Katia che commenta sia qui che sul forum <3 Consueto reminder, la storia è completamente scritta, i capitoli saranno pubblicati il sabato e il mercoledì. Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me

Cap 6 - I will help you out

But don't you ever doubt
Don't you ever question my love for you
I will help you out

If you let me
[Got You - Noah Reid]

 

Elena ha attraversato una complicata sequenza di emozioni nelle ultime ore. Contentezza, euforia, sgomento e frustrazione si sono date il cambio con disinvolta velocità e lei si sente un po' sottosopra, come quando scendi dalle montagne russe e non sai se vuoi vomitare anche gli organi interni oppure rifare tutto da capo. Lei è costretta a rifare tutto da capo perché la sua vita è una barzelletta e lei si è scelta amici che sono emotivamente costipati ed assolutamente incapaci di prendere le decisioni giuste al momento giusto. Lei ormai ci ha preso la mano a gestirli, solo che stavolta è stata presa in contropiede. È arrivata a Roma conscia di dover battagliare con Luca ma non aveva messo in conto di doverlo fare anche con Anna e, soprattutto, che tra i due sarebbe stata lei a darle più filo da torcere. È talmente una testona.

Elena scuote la testa, inzuppa un biscotto nel caffè con un pizzico di cattiveria di troppo e lo mastica come se gli avesse fatto un torto personale. «Che capocciona…» borbotta con la bocca piena. Giuseppe si affretta a finire la colazione e se la svigna. Ufficialmente deve accompagnare Nina a scuola, in realtà se la dà a gambe prima che lei lo possa reclutare in qualcuna delle sue follie. E chi può biasimarlo? Tra l'altro, ha già dato quando ha fatto il terzo incomodo durante il suo incontro con Anna, prima al telefono e poi di persona nella piccola graziosa casetta che l'amica occupa. Vittoria gliene ha cantato di tutti i colori per essersi fatto coinvolgere ma che doveva fare? Che poi, non sono già tutti troppo coinvolti l'uno nei fatti degli altri? I limiti e i paletti della comune decenza hanno smesso di esistere più o meno da una ventina di anni ormai, da quando il Decimo si è trasformato da un comune distretto di polizia ad una famiglia in perenne cambiamento. Vittoria poi, si illude di poterne restare fuori, e può provarci quanto vuole, ma non funziona. Vedi stamattina, per esempio: Giuseppe è riuscito a fuggire ma lei è stata precettata per una mattinata di impegni. Abbiamo mille cose da fare, le ha detto Elena. Giuseppe ha mimato un esagerato non farti coinvolgere e lei gli ha tirato uno strofinaccio in faccia. Ha ragione, okay, mica deve farglielo notare però.

«Allora, mi dici di preciso che cosa hai in mente per oggi?» Vittoria non ha intenzione di andare in giro a vuoto o di seguire la ragazza a scatola chiusa.

«Beh, prima di tutto andiamo a recuperare Barbara e poi andiamo a fare shopping.»

«Shopping,» Vittoria le fa eco trascinando ciascuna singola lettera della parola. «Ma seriamente?»

«Sì, ma mica per me. Andiamo a rifare il guardaroba a Luca.»

«Ti sembra una buona idea?» Vittoria ha mille dubbi, come sempre in questi ultimi mesi con Luca. Pensa e ripensa ad ogni gesto che fa con lui, a come lo fa, a come lui prenderà quella decisione o questa parola. Ecco perché non sa se rivestirlo da capo a piedi è una buona idea, se gli possa far piacere o meno, se vedrà il gesto affettuoso di un'amica o il trattarlo come un bambino che non sa decidere da sé. Vittoria si odia per questi pensieri, ma negli ultimi tempi ha imparato a contemplare anche la peggiore delle ipotesi. Perché quello che c'era prima - la facilità dei modi, la conoscenza, la comprensione - è un qualcosa che va ricostruito giorno dopo giorno e non dato per scontato. Vittoria si tiene stretti i suoi dubbi e, intanto, guarda Elena negli occhi, la determinazione evidente sul suo viso. È chiaro che anche lei si è già chiesta se sia la scelta giusta, ed è altrettanto chiaro che ha deciso di sì. Appare così sicura di sé che Vittoria si ritrova a condividere il suo entusiasmo senza nemmeno volerlo. «Vitto', lo so benissimo che all'inizio farà storie e che attaccherà con tutti i suoi "ma non ce n'è bisogno, non dovevi, non me lo merito e bla bla bla". È pur sempre Luca, mica pretendo che accetti un gesto carino senza fare storie.» Elena dà una scrollata di spalle, agita una mano e sparge briciole di biscotti tutto intorno a sé. «Alla fine se ne farà una ragione e apprezzerà, stai tranquilla. Anche perché lo sa già che in questi giorni si fa quello che dico io.»

Vittoria ride, per un attimo le sembra di essere tornata indietro a prima che tutto succedesse, quando erano tutti insieme al Decimo e chiacchierare davanti ad un caffè era la normalità.

«Va bene, facciamo come dici tu!»

«Perfetto! Allora shopping e dopo ce ne andiamo a vedere case. Ne ho selezionate tre, belle, comode e luminose come voleva Luca. Una andrà bene, no? Cioè, deve, per forza. Dobbiamo assolutamente trovargli una casa, deve uscire da quella clinica. C'è stato fin troppo, ora ha bisogno di un posto suo con i suoi spazi.»

Vittoria annuisce perché Elena ha ragione. Pensano un po' tutti la stessa cosa.

«Okay, andiamo!» Vittoria si alza dal tavolo, prende la borsa e il cappotto e si avvia alla porta. Elena è un po' meno aggraziata. Afferra il pacco dei biscotti con una mano e raccatta le sue cose con l'altra, poi corre dietro all'amica fuori dalla porta e lungo le scale.

Luca ha provato ad opporsi. No, seriamente, ci ha provato davvero ad allontanare da sé le buste piene di vestiti, camicie e maglioni che non finivano più. Il punto è che la sua resistenza si è arenata contro tre dittatrici. Sì, tre dittatrici, e non solo l'ha pensato ma l'ha anche detto ad alta voce. Vittoria ha ridacchiato, Barbara ha alzato gli occhi al cielo esasperata, ed Elena semplicemente l'ha girato a forza e - attenta a dove gli faceva mettere i piedi - l'ha spinto in bagno. Praticamente l'ha obbligato a mettere su una sfilata di moda. Luca ha provato a rifiutarsi ancora, armato di ogni briciolo d'orgoglio possibile ma è stato tutto futile. Si è ritrovato a fare dentro e fuori dal bagno per mezz'ora, con i vestiti che venivano approvati o bocciati senza che nessuna delle tre chiedesse a lui cosa ne pensava. Anche adesso, Elena e Barbara stanno litigando - proprio così, litigando - per un maglione che ad una piace e all'altra no e Luca è come se non fosse nemmeno lì. Un manichino riceverebbe più considerazione di lui. È un po' offeso ma anche segretamente divertito, perché non sa se aver fatto incontrare quelle due sia un bene oppure un male per l'umanità. Fatto sta che battibeccano neanche fossero due vecchie zie che devono decidere come vestire il nipotino. E lui, non lo ammetterà mai, ma sotto sotto si sta divertendo.

«A me piace.» È la prima volta che Luca apre la bocca quella mattina, lamentele a parte, e ha il potere di zittire tutti.

«Ma veramente?» Elena è dubbiosa perché, per quanto lei stessa volesse aggiungere un tocco di stravaganza ai loro acquisti, alla fine ha scelto per Luca tutte cose blu e azzurre e bianche. Colori familiari, quelli che lui indossava di più. Barbara invece se n'è uscita con un maglione bordeaux e un "Secondo me gli sta bene". E in effetti…

«Okay, allora prendiamo anche questo. Anzi, tienilo su.» Barbara festeggia il successo staccando l'etichetta e concedendo a Luca un gran sorriso.

«Toh!» Elena gli allunga un giubbotto di pelle, come quelli che Luca indossava prima che il suo guardaroba diventasse esageratamente formale. È qualcosa che sarebbe stato bene all'agente e poi Ispettore Benvenuto. Luca guarda Vittoria e sa che l'ha scelto lei, l'unica delle tre che può ricordare quel ragazzo. «Grazie!» le dice con sorriso piccolo e grato.

Elena sbuffa. «Cioè, con Vittoria sei tutto dolce e carino, con noi invece fai il polemico su ogni cosa. E che palle, Lu'.»

Luca la guarda male ma poi scoppiano tutti a ridere. È strano ritrovarsi in una situazione come questa, sentirsi così leggero da poter semplicemente ridere. È come se qualcosa stesse cambiando nell'aria. Luca non sa se è davvero merito di Elena e della ventata d'aria nuova che ha portato, ma ci spera abbastanza da andarle dietro. Anche se si lamenta, anche se ha mille dubbi. Alla fine si è lasciato rivestire da capo a piedi e deve ammettere che non vedersi più in tuta e magliette informi aiuta. Evidentemente serve anche questo per ricostruire un pezzettino alla volta l'immagine che ha di sé. Guardarsi allo specchio è ancora un esercizio complicato ma la direzione è quella giusta.

«Perfetto!» esclama Elena, che ha uno sguardo fin troppo soddisfatto mentre gli aggiusta il colletto del giubbotto. Intanto, Barbara ha messo a posto il caos che regnava in camera, con i vestiti nuovi in ordine sul letto e quelli da restituire di nuovo nelle buste. Vittoria controlla che sia tutto a posto e poi guida il gruppetto fuori dalla stanza e dalla clinica. Direzione, tour immobiliare.

Luca sa dall'inizio che il vero clou della giornata di oggi è trovargli casa. Quello che non sa è come si sente davvero in merito. Sa che non può vivere all'infinito in clinica e sa che ha bisogno di un posto suo. Solo non ha idea di cosa cercare perché non sa cosa gli serve e cosa vuole. È come se, insieme a questi dieci anni che gli mancano, lui avesse smarrito anche solo il ricordo di come fare a vivere. Luca osserva il mondo fuori dal finestrino e sospira. Forse è un bene che sia arrivata Elena a prendere in mano le cose. Ovviamente non ha la minima intenzione di dirglielo, il suo ego non ha bisogno di incentivi, ma ammette che è più semplice avanzare in un mondo che non si riconosce quando è qualcun'altro ad indicare la via.

Quando l'auto si ferma,però, Luca è tentato di rivalutare le sue considerazioni su Elena. Davvero crede che quella casa abbia una possibilità? È al quinto piano di un condominio che sembra aver visto giorni migliori e l'ascensore sembra una specie di trappola mortale. Ne sono usciti vivi e la sensazione è stata quella di aver fatto un terno al Lotto. L'agente immobiliare si spertica in lodi ma Luca dubita che la casa abbia mai avuto tutte quelle qualità. In più, non se la sente di rischiare la vita ogni volta che entra ed esce di casa e le scale non sono ancora il suo migliore amico... È un no ancora prima che il giro finisca. La discesa in ascensore è uno sferragliare inquietante da cuore in gola. Quando sono di nuovo in strada, si abbandonano tutti ad un collettivo sospiro di sollievo.

«Ma come le hai scelte le case, Elena? Cioè, non è che basta che stiano in piedi…» Barbara dà voce al pensiero comune.

«E io che ne so? Cioè, dall'annuncio sembrava perfetta, come facevo a sape' che è pronta per la demolizione… Mica so' Nostradamus col dono della preveggenza. E su, abbiate pazienza.» Elena borbotta, personalmente offesa e profondamente indignata. La prima casa viene depennata violentemente dall'agendina. Un inizio col botto, senza dubbio.

Un quarto d'ora e un'infinità di borbottii dopo, il gruppetto si ritrova davanti ad un altro edificio. Ed è un salto di categoria da brividi. Il condominio è evidentemente nuovo e l'ascensore è un piccolo gioiellino, la perfezione fatta ingranaggi e cromature. L'appartamento, al secondo piano, è spazioso e pieno di luce è ha il vantaggio non indifferente di essere arredato. Certo, c'è giusto l'essenziale e forse in generale è un po' scarno, ma è pronto per essere abitato ed è quello che serve a loro. D'altronde, il tempo non è dalla loro parte e l'uscita dalla clinica è questione di giorni. Luca si affaccia ad ogni balcone e finestra e si riempie gli occhi con lo spettacolo della sua Roma che brulica di vita. Un bel cambiamento se pensa all'insipido panorama su cui si affaccia la sua camera alla clinica: un pezzetto di giardino, la facciata di un edificio e niente più.

«Questa?» chiede Elena, le mani incrociate dietro la schiena.

«Questa!» conferma Luca ed è la prima vera decisione che prende per sé da un sacco di tempo. È un po' spaventato ma è felice. Elena lo abbraccia, Barbara ride e Vittoria ha le lacrime agli occhi. Le cose cominciano a girare nel verso giusto.

Elena ha rintronato di chiacchiere l'agente immobiliare, è riuscita a farsi dare il numero del proprietario di casa ed ha stordito anche lui di parole, tanto efficacemente che ha ottenuto che la casa fosse subito disponibile. Così, da oggi stesso, Luca ha un nuovo appartamento e può praticamente andarci quando vuole. Elena si è meritata un premio ed è quello che ha sostenuto quando ha mandato Barbara e Vittoria a recuperare qualcosa da bere per tutti. Intanto, lei e Luca le aspettano al parco dietro il nuovo appartamento, seduti vicini su una panchina di pietra. È uno spazio piccolo ma ordinato e lui pensa che un domani potrebbe venirci a passeggiare, magari portarci un cagnolino. A Luca piace la fantasia e gli piace anche l'aria fredda di novembre, lì seduto con le guance arrossate e le mani in tasca per tenerle al caldo. Elena gli sta accoccolata vicino, la testa appoggiata sulla sua spalla. Ci sarebbero mille cose di cui parlare ma per adesso va bene così, va bene godersi il momento e lo scricchiolio delle foglie sotto i piedi e le nuvole grigie in cielo.

«Elena?» Luca rompe il silenzio e l'amica alza la testa a guardarlo. «Grazie di tutto.» E dentro quel grazie ci sono mille cose diverse. È un grazie soprattutto per essere piombata di nuovo nella sua vita, impulsiva e casinara come sempre.

«Non devi ringraziarmi, Lu',» Elena scuote la testa, «nulla di tutto questo funzionerebbe se tu non volessi. Sei tu che stai facendo tutto il lavoro e lo so che non è facile, che a volte niente di tutto questo ha il minimo senso… non riesco nemmeno a immaginare come sia davvero risvegliarsi in un mondo che non riconosci, bloccato in un corpo che non è più il tuo… Sei stato così bravo, Luca, e così coraggioso… noi siamo solo un piccolo aiuto lungo la strada, tutto qua.»

«Ma che piccolo aiuto… senza di voi non credo proprio che ce l'avrei fatta, avrei ceduto al primo attacco di panico.» È non è un modo di dire. Davvero, se Vittoria non fosse stata vicino a lui a tenergli la mano, con il resto del gruppo appena un passo indietro ad aspettare il momento giusto, lui è sicuro che quel primo violento attacco di panico sarebbe stata la fine dei giochi. Invece, il suo personalissimo gruppo di supporto era lì per restare e non era scontato.

«Cerco di non pensarci ma lo so che sono passati dieci anni, non era mica scontato ritrovarvi tutti qui. Voglio dire, niente e nessuno vi obbligava a restare nella mia vita e a prendervi tutte queste responsabilità. Quindi, grazie anche per questo.»

Elena lo lascia parlare ma lo guarda con gli occhi che luccicano di lacrime… e una mezza smorfia che è la cosa più ridicola del mondo.

«Per carità, non farti sentire da Vittoria dire una cosa simile, le spezzeresti il cuore. Il Decimo è una famiglia, no?» Sì, lo è ed è difficile non essere sopraffatti da tutti i sentimenti e le complicazioni di una consapevolezza del genere.

«Luca, proprio per il fatto che siamo una famiglia e, soprattutto, perché tu mi vuoi bene, ti prego, non ti arrabbiare con me.» Quando Elena se ne esce con frasi così poi, essere emotivamente sopraffatti smette di essere possibilità e diventa certezza. E Luca lo sa. Guarda prima Elena e poi il parco che li circonda e la vede subito.

Anna è a venti metri da loro, tutta la sua figura un'unica linea di tensione. È come se fosse già pronta al peggio. E cosa può aspettarsi di diverso quando si ritrova addosso gli occhi agitati di Luca? Elena intercetta il suo sguardo e gli afferra le spalle, la presa ferrea perché lui si concentri su quello che sta per dirgli, perché si accorga che quello che sta provando adesso non è solo rabbia e frustrazione e disagio.

«Lo so, okay?» gli dice. «Lo so che non volevi succedesse così e che molto probabilmente mi odi per essermi messa in mezzo in questa cosa, ma era necessario, credimi. È il discorso di prima, no? Un piccolo aiutino da parte nostra lungo la strada.» Elena ha le migliori intenzioni del mondo e ha ragione ma, su certe cose, Luca può essere la persona più complicata che esista. Quindi continua a guardarla male. Se fossero in un cartone animato, ci sarebbero le fiamme a spuntargli dagli occhi.

«Andiamo Lu', ragiona. Lo sai anche tu che se aspettavo che vi decideste voi due, qua ci facevo la muffa. A 'na certa, bisogna darsi 'na mossa.»

Luca riderebbe se non si sentisse vagamente offeso.

«E tu potresti dirmi "e che vordì Elenu', ognuno c'ha i suoi tempi" e okay, sì, ma se 'sti tempi so' biblici qualcuno che vi dà 'na svegliata ci deve pur stare, no?»

«Elena, stai a fa' tutto tu.»

«Dici?»

«Eh, più o meno.»

Surreale, Luca non pensa ci sia termine migliore per descrivere la situazione. Anna è sempre immobile lì davanti a loro, Elena sciorina il suo repertorio di giustificazioni e lui si chiede perché deve sempre essere tutto così difficile e assurdo e imbarazzante. Tutto così surreale, vedi?

«Quello che intendo dire è che è arrivato il momento di risolvere le cose lasciate in sospeso. E se è vero che non possiamo riparare a certe assenze e che certi dolori sono per sempre e nessuno di noi può farci nulla, è altrettanto vero che ci sono delle cose che si possono sistemare. Siamo tutti grandi e vaccinati, Luca, possiamo dirci le cose come stanno, no? Che ce ne facciamo delle cose non dette? Non servono a niente.»

«Quanta saggezza...»

«È la vecchiaia, lascia sta'.»

Luca sorride. È tutto un po' incerto ma in tempo di necessità non si butta via niente. È appena uno spiraglio di disponibilità ma Elena ci si fa largo a forza.

«Dammi retta, Lu', davvero. Basta con le cose non dette. Tu per primo. Smetti di tenerti tutto dentro, parla di quello che provi e di come ti senti. Non importa con chi lo fai, ma parla.» C'è un sottotesto in quelle parole e Luca non ha problemi a coglierlo. A seguire il consiglio ne ha tantissimi ma questo sarà qualcosa a cui pensare in futuro. Per ora annuisce piano, giusto perché Elena sappia che la sta ascoltando, non solo sentendo.

«Va bene, un'ultima cosa e poi ti lascio in pace, giuro. Dai una possibilità ad Anna. Ascoltala, lascia che si spieghi.»

Elena rimane in attesa e si azzarda a sperare. Luca rimane incollato alla panchina invece, un po' controvoglia, alla faccia di qualunque istinto di preservazione che gli urla di andarsene, perché non è pronto, perché sarà anche passato un sacco di tempo ma certe cose per lui è come se fossero successe ieri. Però… Vale davvero la pena di continuare a vivere nel passato? Come può abituarsi a questo presente se nemmeno ci prova? All'improvviso la richiesta di Elena non gli sembra così folle. Può ascoltare, no? Può fare lo sforzo di stare a sentire. Anche - soprattutto - se si tratta di Anna. E se dovesse andar male potrà sempre dire che è colpa di Elena.

«Va bene.» concede ed Elena salta su come fosse un pupazzetto a molla. Intercetta Barbara e Vittoria di ritorno dalla loro spedizione al bar, afferra due tazze da asporto e le caccia in mano ad Anna, svegliandola di fatto dalla paralisi terrificante in cui sembrava essere caduta. «Forza!» le sussurra e Anna si arma di tutto il coraggio che riesce a trovare e avanza, un passo dopo l'altro, verso l'ignoto che ha gli occhi agitati di Luca e la sua faccia seria.

«Ciao!»

Il silenzio si allunga scomodo tra di loro e Luca riflette che ha già fatto tanti di quei salti nel vuoto da quando si è svegliato che, uno in più uno in meno, non è davvero la fine del mondo darsi un'altra possibilità. Anche se si tratta di calpestare un po' il proprio orgoglio, tanto per lui quanto per lei. Cos'hanno da perdere che non hanno già perso?

«Ciao!» le risponde e qualcosa si smuove. È come togliere il freno a mano e buttarsi giù a capofitto lungo una discesa. Anna non sa in che condizioni arriverà alla fine ma, intanto, si lancia.

«Io… mmm io non so se vuoi davvero vedermi oppure no, ecco, ma è davvero meraviglioso rivederti Luca, e sono così arrabbiata con me stessa per aver aspettato così tanto e…»

«Guarda che non sei obbligata a dire nulla. Se sei qui perché te l'ha chiesto Elena, non c'è bisogno di…»

«Non sono qui perché mi ha obbligato qualcuno.»

Luca interrompe Anna e lei interrompe lui, per togliere di mezzo il dubbio più ingombrante.

«Sono qui perché volevo vederti. Elena non mi ha obbligato, mi ha solo fatto gentilmente capire perché stavo rimandando.»

Luca sbuffa una risata che è una mezza pernacchia, il "gentilmente" di Elena di solito è ruvido come carta vetrata.

«E perché stavi rimandando?»

«Mi mancava il coraggio.»

«Di vedere me?»

Lui suona ferito e lei si fa piccola piccola, la testa che fa no.

«Mi mancava il coraggio di rivangare il passato.»

«E ora?»

«Sono qui, no?»

Luca la guarda negli occhi e quello che vede deve piacergli. Indicare il posto vuoto sulla panchina sembra la cosa più normale da fare, tanto quanto accettare la tazza che lei gli passa. Le loro mani che si sfiorano, invece, hanno la consistenza dei nuovi inizi.
 

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Capitolo 8
*** Cap. 7 - It's hard to figure out ***


NdA: A Luca continuano a dire che deve parlare, e lui ha deciso di farlo in questo capitolo XD Tante grazie a chi commenta, spero che continui ad essere una piacevole lettura <3 A sabato con il penultimo capitolo!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me.

Cap. 7 - It's hard to figure out

Oh I know it’s hard to figure out
If you belong here

If we belong here
[River Underground - Noah reid]

 

Luca ha una nuova casa e una routine che è più o meno la stessa degli ultimi sei mesi. È una specie di nuova vita a metà, quando anche quello che hai sempre fatto ti sembra improvvisamente una novità. Ogni mattina, al posto delle sedute di fisioterapia ora gli tocca la palestra. Ha lo stesso obiettivo della riabilitazione ma ha il potenziale di essere un po' più divertente se si esclude Sergio, il suo personal trainer, fatto ad immagine e somiglianza dell'adorabile Marcello, sadico esattamente come lui.

Stamattina Luca ha compagnia. Pietro si è presentato di buon'ora a casa sua, l'ha caricato in auto e adesso eccolo qui, strizzato in una tuta verde fosforescente.

«È un po' esagerato, vero?» Pietro si osserva critico alla parete di specchi, sembra uscito direttamente da una video di fitness anni '80. Gli mancano giusto i polsini e la fascia per la fronte in spugna e poi è perfetto.

«Io ho una sola domanda, Pie'... perché quel colore?» Adesso, Luca può soprassedere su tutto ma su quel colore improponibile no.

«Boh, mi sembrava adatto.»

«Ma a cosa? Mica stai a cambia' 'na ruota a mezzanotte in tangenziale. È catarifrangente, Pietro, ti vedono pure dal raccordo anulare così.»

«Almeno mi distinguo.»

«Ah, su quello non ci sono dubbi.»

In tutta la sua unicità, Pietro si avvicina ai pesi. Non sa se è una buona idea come inizio ma, per quel che ne sa lui, una cosa vale l'altra. O almeno crede.

«Io non lo farei, se fossi in te.» È Sergio che si intromette e Pietro resta piegato a metà strada verso i pesi. Ecco, come volevasi dimostrare. «Se è la prima volta in palestra, io farei un po' di riscaldamento a corpo libero, e poi magari il tapis roulant. Giusto per prenderci la mano.»

Pietro guarda Luca e Luca annuisce più e più volte. Okay, sembra esserci un consenso generale, forse è il caso di fidarsi. Anche perché, onestamente, che ne sa lui di allenamenti e roba simile? Il più che riesce a fare è ripescare dalla memoria gli esercizi di educazione fisica della scuola media, le torsioni del busto e gli allungamenti vari e i saltelli "apri e chiudi". Andranno bene, no? Sergio lo osserva un paio di minuti e non gli dice niente, quindi Pietro si sente autorizzato a continuare, anche se Luca sghignazza senza ritegno di lui e delle sue mosse.

Sono a metà dell'allenamento e Pietro è sul tapis roulant: la respirazione è normale, il battito anche, e lui non è ancora svenuto. Tutto sommato, è un successone. Luca è ai pesi invece, impegnato nell'ennesima noiosa ripetizione, e vorrebbe non farlo ma deve chiederglielo, perché il dubbio lo tormenta da stamattina.

«Pietro?» lo chiama, «Di' un po', sei qui perché mi stai facendo da baby-sitter? No, perché magari non ve ne siete resi conto, ma sono in grado di venire in palestra da solo, eh.» Cioè, non è ancora al massimo e lo sa, ha piena consapevolezza dei suoi limiti, quindi magari non se la sente di affrontare i mezzi pubblici ma un taxi è capace di prenderlo. Pietro lo guarda da sopra la spalla mentre continua a camminare. Dà l'idea di pensare che Luca abbia detto una scemenza.

«Ma che baby-sitter e baby-sitter, ti pare? È un modo come un altro per passare del tempo insieme.»

Mmm, non è che Luca non ci creda, è solo che le tendenze iperprotettive dei suoi amici sono palesi, anche perché nessuno di loro fa nulla per nasconderle.

«Luca, le ragazze in questi giorni ti hanno monopolizzato, tra la casa nuova e tutto il resto. Ho solo pensato che potevamo approfittare della palestra, vedere se riesco a rimettermi un po' in forma e intanto, magari, parlare un po'. Tanto per, eh, così per passare il tempo.»

Luca sbuffa. «C'avete tutti 'sta mania di parlare, è 'na fissazione.»

Pietro coglie la palla al balzo. «Perché, chi altro c'è che vuole parlare?»

«Fai prima a chiedermi se c'è qualcuno che non vuole parlare.»

«Vabbè, quello è pure il fascino del bel misterioso che c'hai e che fa venire voglia agli altri di farti parlare e di scoprire i tuoi segreti.»

«Sei serio?»

«Guarda che io di 'ste cose me ne intendo.» Luca ha serissimi dubbi in merito, ma Pietro è lanciatissimo. «Secondo me, è comprensibile che gli altri-»

«Voi!»

«…che gli altri ti spronino a parlare. Non va bene tenersi tutto dentro, una valvola di sfogo ci deve essere.»

«Prima dell'incidente la mia valvola di sfogo era la boxe. Prendere a pugni il sacco funzionava benissimo.»

A Sergio si illuminano gli occhi. «Se lavoriamo bene e non ci sono problemi, posso farti tornare alla boxe nel giro di qualche settimana.»

Luca si pente di averlo anche solo paragonato a Marcello. Sergio è un angelo sceso in terra.

Pietro, dal suo angolino di rotolante passeggiata, però non molla l'osso. Anzi, rinsalda la presa, sia mai che Luca non afferri tutti i messaggi sottintesi che Barbara e compagnia bella gli hanno detto di comunicare.

«Sì, tutto bellissimo, ma mentre aspetti di poter fare di nuovo boxe, io un pensierino al parlare lo farei comunque. Non mi sembra malaccio come idea, no?»

No, non lo è e non ha mai pensato davvero che lo fosse. Tutto il contrario. Parlare va benissimo e lui è sempre stato bravissimo ad ascoltare. Il ruolo della spalla su cui piangere gli è sempre venuto alla perfezione. Il problema è quando deve parlare lui. Lì la questione si complica perché, detta in parole povere, lui non è capace di parlare di sé e dei suoi sentimenti. Semplicemente, aprirsi agli altri è una scelta che lui deve compiere consapevolmente ogni volta, non è qualcosa che gli venga spontaneo.

«Senti, ho capito cosa intendi. Mi ripetete tutti le stesse cose da settimane ormai, ho afferrato il concetto. So di dover parlare con qualcuno, in generale proprio, e ci sto lavorando, okay? Puoi spargere la voce ed informare il resto del gruppo.»

«Oh, bene! Non è tanto Barbara, ma Elena è terrificante quando si impunta su una cosa.» Il sollievo di Pietro è così evidente che si dimentica del tutto di dissimulare il suo ruolo di ambasciatore. Luca ride tra sé e sé, che gabbia di matti. Lui adora i suoi amici, gli vuole un bene dell'anima e non li ringrazierà mai abbastanza per tutto quello che stanno facendo per lui, ma certe volte sono proprio assurdi. Ed invadenti. E pettegoli. C'è un motivo se non ha ancora detto a nessuno quello che ha intenzione di fare, come e con chi parlerà. Avrà pure diritto ad un po' di privacy, no?

«Ultimi cinque minuti di allenamento.» Sergio ricompare tra loro e l'atmosfera si alleggerisce di colpo. Luca torna a concentrarsi sui pesi e Pietro si raddrizza, un evidenziatore formato gigante sul tapis roulant. Sergio gli si avvicina, tocca qualche pulsante e improvvisamente il rullo sotto i suoi piedi comincia ad andare più veloce e in salita. Pietro annaspa, quasi scivola e si aggrappa per miracolo alle maniglie.

«Aiuto!» borbotta, mentre si sforza di ritrovare il ritmo. «Ma sei pazzo?»

«Hai fatto camminata semplice per mezz'ora, almeno cinque minuti di salita non vuoi farli? Cioè, fammi vedere di cosa sei capace. Mica vorrai fare il tapis all'infinito?»

Pietro ci pensa su seriamente, chissà se… «Dici che possiamo fare qualcosa per gli addominali?»

«Perché tu c'hai gli addominali?»

«Oh bello, io avevo dei grandi addominali, una tartaruga che tu te la sogni… sta ancora qua eh, sta messa al contrario ma sta qua, quindi che possiamo fare per girarla?»

Luca sente che amerà venire in palestra.

C'è una fila di scatoloni in corridoio che Luca evita accuratamente. Dentro c'è quel che resta del prima - prima dell'incidente, prima di questi dieci anni, prima che fosse tutto così diverso. Si tratta più che altro di vestiti e lui sta ancora decidendo se conservarli e aspettare di vedere se tornano a stargli bene, o semplicemente darli via e cancellare quell'immagine di sé con una bella passata di spugna. I suoi libri, invece, occupano già la libreria sul muro di fondo del soggiorno. Sono messi un po' a casaccio perché li ha ordinati Pietro e lui dovrà rimetterci mano ma per adesso può andare bene così. Sul ripiano più basso, nell'angolo a destra, c'è una scatola piena di fotografie, ricordi incorniciati che lui ancora non ha trovato il coraggio di guardare, tanto meno di esporre. Il divano, in casa prima di lui, è tutto cuscini grigi e plaid colorati, al momento è il suo posto preferito. Tutto il resto sembra ancora troppo estraneo per essere davvero considerato "casa" ma avere un posticino del cuore e una libreria piena di libri è già un buon punto di partenza.

Luca sospira, ultimamente la sua vita sembra un lungo susseguirsi di punti di partenza. Sinceramente, comincia ad essere un po' stanco, ha bisogno che qualcosa arrivi da qualche parte, non solo che parta. È per questo che ha deciso di "darsi una mossa", come direbbe Elena, e di parlare. Sembra così semplice, messa giù così. Che ci sarà mai di così complicato nell'avere un pensiero e nell'esternarlo? Apparentemente tutto ma lui ha deciso che, per oggi, diventa la cosa più facile del mondo. Ha lavorato di auto-convinzione e, per il momento, ci crede. E spera che sia abbastanza per affrontare questo pomeriggio e tutte le discussioni e le decisioni che ci saranno.

Il bollitore per il tè fischia dalla cucina nello stesso istante in cui il campanello suona. Non c'è più tempo per rivalutare le proprie scelte o per rimuginare troppo. Quello che sarà, sarà. Luca prende un paio di profondi respiri e va ad aprire. Dall'altra parte della porta c'è Anna con il suo cappottino nero e un sorriso impacciato. Si salutano incespicando in "ciao" e "prego, entra pure" e tutta la solita litania di chiacchiere di circostanza. Luca lo trova ridicolo. Neanche i primi tempi da colleghi, quando a malapena si parlavano, erano così imbarazzati ed imbarazzanti.

«Ho portato dei biscotti,» dice Anna e la frase ha il merito di spezzare la tensione. Luca espira e le spalle si rilassano.

«Io ho messo su l'acqua per il tè.»

«Perfetto!»

Lui sparisce in cucina e lei si guarda intorno. La libreria sembra un'istantanea riemersa dritta dritta dal passato, identica, solo in una casa diversa, quella che loro due condividevano quando ancora non avevano incasinato tutto. Luca torna in sala maneggiando con cura due tazze di tè, gliene allunga una e sembra un ramoscello d'ulivo, una sorta di offerta di pace tiepida e profumata. Tutto d'un tratto, l'intero affare non sembra più così difficile. Si siedono sul divano, la scatola di biscotti tra di loro, e per qualche secondo condividono un confortante silenzio.

«Cosa prevede l'etichetta in questi casi? Ti chiedo direttamente scusa o prima ti ringrazio perché hai accettato di parlarmi di nuovo o cosa? Come funziona?» Anna parla per prima e fa la domanda giusta. Come funziona?

«Ah, non ne ho la minima idea. Io avanzo a vista, ho zero certezze, cerco solo di fare meno danni possibili.» Luca spera che lei apprezzi l'onestà, perché se si aspetta che lui abbia qualche soluzione a portata di mano per districare il casino in cui sono, rimarrà delusa. «Non so cosa verrà fuori da questa discussione, Anna, so solo che mi serve sapere se una determinata pagina del mio passato va chiusa del tutto oppure no.»

«Io non mi aspetto niente da questa discussione Luca, voglio solo potermi spiegare.»

«Okay, spiegati.» È da quando si sono rivisti la prima volta al parco una settimana fa, con il trio delle pettegole a guardarli da lontano, che Luca si prepara mentalmente a questa spiegazione. Come se dovesse risolvere tutto, come se bastasse a rimettere ogni cosa al suo posto.

«Mi ricordo come ho chiuso i rapporti tra di noi, Lu', e non ti biasimo se sei arrabbiato con me, so di essermelo meritato.»

«Non sono arrabbiato, Anna, quello ad un certo punto mi è passato. È che sono deluso.» Il che è molto peggio ed Anna incassa il colpo nascondendosi nel suo tè. «Prima mi dici che non sarei mai stato roba vecchia e poi, nel giro di qualche mese, divento esattamente quello. E il modo… quella stupida lettera e le telefonate a vuoto… mi hai deluso.»

Non c'è un modo per dirlo che faccia meno male e una parte di Anna scalpita per dirgli che non è giusto. Il resto di sé però sa che i sentimenti di Luca sono validi e che se si è sentito deluso aveva ragione. È tentata di dirglielo ma ha paura che lui lo prenda come un contentino, quindi si sforza di spiegare meglio che può.

«Quando ho detto quella frase lì, ero seria. Era la verità e lo è sempre stata. Ho scritto quella lettera perché pensavo che alla lunga avrebbe fatto meno male chiudere così rispetto a sperare che potesse succedere qualcosa tra di noi. Lo so che è brutto da dire ma avevo bisogno che tu non fossi lì se volevo dare un'occasione a quella nuova relazione.» Eccola la verità, pura e semplice.

«Non mi sarei mai intromesso nella tua felicità, Anna, non ti avrei mai messo i bastoni fra le ruote.» Luca è ferito, non credeva di essere diventato un tale peso per lei.

«È proprio questo il punto, Luca. Tu non ti saresti mai messo in mezzo, io avrei continuato inconsciamente a sperare in qualcosa in più e alla fine avremmo sofferto tutti di più. E per qualcosa che magari non ci sarebbe stato mai.»

«Questo non puoi saperlo. E non fare quella faccia.»

Anna non sa bene che faccia ha fatto, probabilmente quella di una che non ci sta capendo un granché. Perché che vuol dire "non puoi saperlo"? Lei ricorda bene l'ultimo periodo e il modo in cui lui aveva fatto capire che non sarebbero mai stati più che amici.

«Anna, noi una vera possibilità non ce la siamo mai data. Il periodo tra il matrimonio saltato con Carlo e tutto il casino dei russi per me è stato il più incasinato di tutta la mia vita. Ero così confuso che nulla aveva più senso… niente di quello che provavo o la persona per cui lo provavo e tu lo sapevi. Te l'avevo detto che avevo paura di rovinare il nostro rapporto. Esserti amico o amarti mi sembravano cose troppo piccole rispetto a quello che provavo e non potevo rischiare di perderti. Avevo bisogno di tempo per fare chiarezza ma tu non mi hai dato tempo per fare nulla. Prima il russo, poi Trieste e poi quest'altra persona, tu ti sei presa quello che hai voluto e io mi sono ritrovato senza niente.»

Anna lascia che lo sfogo di Luca le si abbatta addosso e che riporti a galla tutto quel doloroso periodo. Adesso è chiaro che si sono persi perché, quando serviva davvero, non si sono capiti. Per una volta, un'unica volta, tanto tempo fa, si erano parlati e non si erano capiti. Forse sarebbe bastato un po' di chiarezza in più, ma ormai…

«Non voglio giustificazioni, Luca. Abbiamo sbagliato, entrambi, perché all'epoca non ci siamo parlati così, e forse sarebbe bastato. Invece c'abbiamo girato intorno, perché avevamo paura di perderci e guarda com'è finita…» Anna spalanca le braccia, la tazza vuota che trema in una mano. «Possiamo stare qui ad analizzare ogni singolo errore, i miei e i tuoi, e comunque non servirebbe a niente. Ormai quello che è stato, è stato.»

Anna ha ragione ma dal punto in cui si trova Luca le cose non stanno proprio nello stesso modo.

«Anna, tu hai avuto il tempo per arrivare a questa conclusione, hai avuto dieci anni per elaborare e mettere tutto in prospettiva. Per me non è stato così. Per me quei dieci anni non esistono, nella mia testa e nel mio cuore è passato un anno e mezzo al massimo. Non è così semplice razionalizzare.»

Anna vorrebbe poterlo abbracciare, è tutto così ingiusto. Sospira.

«Questa cosa del tempo che è passato è assurda e immagino che non ti aiuti a chiarire le cose. Ciò non toglie però, che la realtà è questa. Sono passati dieci anni, che lo vogliamo o no, siamo persone diverse. So di aver sbagliato con te, so quali errori ho fatto e, soprattutto, so che oggi non li rifarei. Mi piacerebbe avere una possibilità per dimostrartelo, tutto qui.»

«Tutto qui?»

«Sì! Nessuna pressione e nessuna aspettativa, solo la possibilità di riconquistare la tua fiducia.» E di riavere indietro il mio migliore amico.

«Okay.»

«Okay?»

Luca sospira e si stringe nelle spalle. «Sì, proviamoci, vediamo cosa viene fuori. Sono stanco di essere triste e sono stanco di essere arrabbiato e deluso, ho bisogno che qualcosa cambi. Vediamo dove andiamo da qui.»

È più di quello che Anna si aspettasse e il cuore minaccia di sfuggirle dal petto, impazzita di felicità com'è.

«Su, dimmi qualcosa di te.»

«Allora, alla fine mi sono laureata in biologia marina e da tre mesi lavoro al bioparco qui a Roma. Ammetto che ogni tanto mi mancano i tempi del Decimo, ma sono felice della scelta che ho fatto. Poi, ecco, sì, ho una figlia di 11 anni. Si chiama Elisa, è bravissima in matematica ed ha una passione sfrenata per il cioccolato.»

L'entusiasmo di Anna è contagioso e Luca si ritrova a pendere dalle sua labbra come succedeva una volta. È sconcertante e familiare insieme.

«E siamo a Roma da sole.»

Luca afferra la frase quasi non volendo, troppo distratto per impedirsi di chiedere «E il padre?»

«Io e lui non stiamo più insieme da cinque anni ormai. È un ottimo padre eh, ma io e lui non funzionavamo. Quando ce ne siamo accorti, abbiamo capito che era meglio andare ognuno per la propria strada.»

«Mi dispiace.»

Anna sorride. Il solito dolce Luca. Può essere arrabbiato quanto vuole ed essere deluso oltre ogni limite, ma mai, mai, vorrebbe vederla soffrire. Ma con quella scelta sbagliata lei aveva fatto pace subito. «Un po' me lo aspettavo. Era stata stata una scelta impulsiva e io, con quelle, sono sempre stata una frana.»

E sì, ne aveva fatte tante di scelte impulsive nella sua vita lei, cose di cuore e di pancia che erano sbagliate già prima di essere fatte. Stavolta è diverso però, perché la testa e il cuore sono dalla stessa parte e vogliono la stessa cosa. Luca.

«Biscotto?»

E che non si dica che Anna non sa dissimulare l'imbarazzo.

E anche questa è fatta. Luca sospira sollevato. Ha fatto anche la telefonata che tanto temeva e il risultato lo fissa sotto forma di data, ora e indirizzo dal block notes che ha tra le mani.

"Ho preso appuntamento con una psicoterapeuta. Vediamo se funziona tutta quella cosa del parlare con qualcuno."

Luca manda un messaggio ad Elena, un po' per condividere l'enormità della decisione appena presa, un po' per farle capire che adesso può smetterla di assillarlo con l'argomento.

"È la decisione giusta. Sono così orgogliosa di te!" La risposta è un'iniezione di fiducia inaspettata che trasforma la sottile ansia dei suoi pensieri in una specie di euforia dove tutto ciò che cambia non ha più le sembianze del panico. È una cosa positiva, ma Luca si sente lo stesso un po' sopraffatto. Oggi ha preso abbastanza decisioni importanti da bastargli da qui all'anno nuovo e adesso è stanco, fisicamente ed emotivamente. Forse dipende da questo, forse è solo che troppe emozioni stancano. In TV, l'audio bassissimo, parte il TG delle 20 e Luca non sa com'è che si è fatto così tardi. È evidente che la giornata gli è un po' sfuggita di mano e che forse dovrebbe prendersi un po' di tempo per riflettere su tutto - Anna e la terapia soprattutto - ma quello vorrebbe dire dover pensare, e lui ha pensato fin troppo oggi. Non ce la fa, ha bisogno di una serata tranquilla buttato sul divano a fare niente, qualcosa da mangiare e un film stupido per spegnere il cervello. Crede proprio di esserselo meritato. Il cellulare gli vibra tra le mani e un nuovo messaggio di Elena occupa lo schermo. "Sono qua sotto. Apri! Ho le pizze e un regalo." Luca scuote la testa, se avesse saputo che si era autoinvitata a cena si sarebbe risparmiato il primo sms.

Cinque minuti dopo Luca è il padrone di una capricciosa e di una nuova lampada da terra e di quella avrebbe volentieri fatto a meno. Per capirsi, non è che sia brutta, è che è estremamente moderna e stilizzata e Luca non sa davvero se gli piace o no. Si tratta di entrare in sintonia con lo stile di tutto ciò che adesso è di moda e che dieci anni fa non lo era. Anche quello, mica facile. Prova anche a dirlo ad Elena e gli sembra un modo carino per esprimere i suoi dubbi ma lei praticamente non lo lascia nemmeno parlare.

«Non è brutta! È moderna! È pure ispirata ad una linea di lusso, non capisci niente, lascia sta'! Comunque, guarda, qua è perfetta! La metti qui nell'angolino, la giri un po' e ti illumina anche le piante.»

«Sì, ma io non ho detto niente eh.»

«No, non hai detto niente ma l'hai pensato.»

Ora vogliamo fargliene una colpa se quando una cosa non gli piace, a Luca si legge in faccia?

«Vabbè, grazie per la pizza… e per la lampada.»

Luca le schiocca un bacio sulla guancia ed Elena si lascia abbindolare senza la minima difficoltà.

«Certo che sei un ruffiano quando ti ci metti…»

Le pizze sono deliziose e loro le mangiano mezzi stravaccati sul divano. Tra un fetta e l'altra, Elena si diverte, figurativamente parlando, a rivoluzionargli casa. Nelle sue parole l'ha già sfatta e rifatta almeno tre volte. Luca la lascia parlare a ruota libera perché le sue chiacchiere sono un piacevole sottofondo e perché c'è un qualcosa di divertente nell'immaginare come potrebbe cambiare lo spazio intorno a sé. Nulla di drastico, come progetta Elena, solo renderla un po' più sua e togliere di mezzo tutto quel bianco che c'è. La sua ultima casa, quella in cui aveva vissuto da solo dopo la partenza di Anna per Trieste, era più o meno così, bianco ovunque e muri spogli, impersonale ed estranea.

«È tutto così bianco, non mi piace un granché onestamente, magari se ci fosse un po' più di colore, non so…»

Luca lo dice ad alta voce ed interrompe la fantasia - l'ennesima - di Elena. L'amica valuta l'idea, la testa inclinata su una spalla, perché oltre che agente immobiliare, lei è anche un po' arredatrice d'interni. Una donna che contiene moltitudini.

«Sai cos'è? È che il minimalismo va tanto di moda ultimamente, però, in effetti un tocco di colore qua e là ci starebbe bene. Vabbè che tra un po' è Natale, quindi la casa l'addobbi, ci metti l'albero e le luci, e per qualche settimana sei a posto così. Poi tanto, ci sono io e vediamo cosa si può fare.»

«Perché, che fai? Tra un mese scendi di nuovo?»

«Certo che scendo di nuovo, Luca.»

No che non gli faccia piacere ma a Luca sembra un po' scomodo questo su e giù, oltre che non propriamente fattibile. Lavorativamente parlando, si intende.

«Magari è cambiato pure questo, ma se hai appena fatto tre settimane di ferie, a Natale non dovresti lavorare?»

«Ma va', sapessi quante vacanze arretrate che ho, potrei tirare fino all'anno nuovo se volessi.»

«Elena! Vuoi dirmi che fai casa e lavoro e basta? Cose da pazzi…»

Luca odia quello che significa e la solitudine che la cosa implica. Elena, invece, quasi si strozza con l'ultimo pezzo della sua pizza.

«Questa cazziata da parte tua è assolutamente comica. No, perché io mi ricordo come si comportava Lei, signor commissario, in pratica ci dormivi in ufficio.»

«Mai detto che fosse un comportamento giusto, tutto il contrario.»

Luca non ha mai preteso di far passare per normale quel suo modo di fare, era solo che ogni tanto era più facile starsene al Decimo a lavorare che andarsene a casa a far finta di pensare ad altro. Questioni di convenienza. E poi com'è che si dice? Fate come dico e non come faccio io. Qualcosa di simile. Sembra essere la stessa cosa per Elena.

«Okay, probabilmente non è giusto ma non è che abbia poi così tanto da fare a Genova, quindi… meglio lavorare.»

«Faccio domande o è meglio di no?»

«È meglio di no, Lu', anche perché non c'è nulla da dire. È così e basta.»

«Senti, a questo punto se è così perché stai ancora lì?»

Ottima domanda, la stessa che Elena si fa da un'infinità di tempo.

«Se è solo per il lavoro, quello puoi farlo ovunque. Anche qui a Roma. Magari è un po' egoistico da parte mia perché mi piacerebbe se tu tornassi qua, non lo nego, ma, in senso generale, pensaci. Se lì non sei felice e, a quanto pare lo non sei, che ci stai a fa'?»

«Eccolo qua, il Luca che si preoccupa sempre per gli altri. Bentornato, tesoro!»

Luca ridacchia, imbarazzato, e sprofonda tra i cuscini del divano. C'è una certa piacevole soddisfazione a rimettere insieme i pezzi del vecchio sé. In fin dei conti, non era tutto da buttar via.

 

 

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Capitolo 9
*** Cap. 8 - Between taking a risk and playing safe ***


NdA: Ecco il penultimo capitolo, siamo in dirittura d'arrivo! Buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me.

Cap. 8 - Between taking a risk and playing safe

So what would you pick if you had to choose
Between taking a risk and playin' safe
'Cause I would say
That I don't want to play if I'm gonna lose

But I don't want to lose 'cause I didn't play
[False Alarms - Noah Reid]

 

Fuori piove e la pioggia picchietta insistente contro i vetri delle finestre. Luca ne segue il ritmo battendo la punta della penna contro il quaderno e lasciandosi dietro una miriade di puntini neri. La pagina è piena per metà e lui si trova in un'impasse. Cosa deve scrivere ancora? Non è che gli manchino i pensieri, anzi di quelli ne ha fin troppi per la testa, è che non sa come tradurli in qualcosa di più comprensibile della confusione di cui sono fatti. A pochi passi da lui, appoggiata al tavolino da caffè, Elisa sta facendo i compiti delle vacanze e Luca non sa dire se la cosa contribuisce o meno alla sua confusione. È tentato di pensare di sì, perché fino a qualche settimana fa non pensava che Anna sarebbe mai tornata a far parte della sua vita, figuriamoci se immaginava possibile passare giornate intere insieme. E invece, eccoli qui: lei che traffica in cucina, la bambina che studia e lui raggomitolato in un angolino del divano che cerca di capire come ci sono finiti in questa situazione, come hanno fatto a passare dal niente al tutto così in fretta, com'è che sembra che giochino alla famigliola felice quando lui non sa nemmeno cosa stanno facendo davvero.

Elisa lo guarda da sopra il quaderno di italiano, la penna ferma a mezz'aria, i compiti momentaneamente abbandonati.

«Tutto a posto?»

«Sì, sto solo pensando.»

«Tu passi un sacco di tempo a pensare.» dice Elisa e lo fa con la faccia dubbiosa di chi ancora non ha ben chiaro se questa cosa del pensare sia una faccenda positiva o negativa. Ogni tanto Luca ha la stessa faccia e si chiede esattamente la stessa cosa.

«Eeeh, è che ho un sacco di pensieri per la testa e non è facile metterli in ordine.»

«Ed è quello che dovresti fare sul quaderno?»

Luca annuisce perché sì, è precisamente quello che dovrebbe fare col quaderno. Secondo la sua psicoterapeuta, quello che davvero gli serve è un approfondito esame di coscienza. E proprio per questo, oggi, è uscito dalla seduta con i suoi personalissimi compiti per casa. Tema da svolgere. Traccia: chi sei? Cosa vuoi dalla vita? Cambieresti qualcosa del tuo passato? Se sì, cosa? A Luca non dispiace la terapia e deve ammettere che è utile avere qualcuno che mette le cose in prospettiva al posto suo, solo che certe volte lo disorienta. Quelle domande per esempio, a lui sembrano prese pari pari da un'intervista di Marzullo e lo ha anche fatto notare alla dottoressa, ma lei lo ha guardato male e gli ha borbottato contro un "e io che speravo suonassero filosofiche e basta". A quel punto, Luca ha accettato il suo destino e si è rassegnato all'ingrato compito di mettere nero su bianco i propri pensieri, senza remore e senza filtri, in una specie di flusso di pensiero che lui si augura abbia un qualche senso.

Elisa lo sta ancora guardando, gli stessi occhi grandi e scuri di Anna. È una ragazzina sveglia ed intelligente e a Luca è stata simpatica fin dal primo istante in cui l'ha conosciuta, una specie di colpo di fulmine affettivo che lei sembra ricambiare a giudicare dalla naturalezza con cui lo ha accettato nella sua vita. È una specie di inaspettato dono in questo periodo turbolento, una di quelle cose che sta ancora cercando di capire per bene. Intanto, lei sta ancora aspettando una risposta vera e propria perché lui, perso nei suoi pensieri, continua a fare scena muta.

«Dovrei scrivere…» riesce a dire quando si rende conto che un con la testa - seguito da un personale ragionamento interiore - è troppo ermetico anche per i suoi standard.

«E non sai cosa scrivere?» Domanda lecita, forse un pelino scontata ma lecita.

«Non è così facile.»

Elisa inclina la testa da un lato, riflette un momento e poi si illumina, come se avesse finalmente capito qual è il vero problema.

«Il problema» dice, «è l'inizio, è quella la parte difficile. Una volta che hai iniziato poi, diventa tutto più facile. Per me è sempre così quando faccio i temi.»

Luca non pensa che funzioni così ma apprezza il suggerimento.

«Forse il vero problema è che io non scrivo da tantissimo tempo. Credo di averci perso un po' la mano.» E anche quando scriveva, si trattava di rapporti e verbali, tutte cose impossibili da essere considerate alla stregua di alta letteratura. Che poi, lo sa che il problema non è la forma e che basterebbe anche il più sconclusionato flusso di pensiero. No, il problema è un altro, ed è sempre lo stesso. Si tratta di capire come imbrigliare tutti i suoi dubbi e le sue confusioni in qualcosa di sensato. Ormai sta diventando noioso.

«Vuoi una mano? Magari posso aiutarti con l'inizio.»

Luca è grato per l'offerta e la valuterebbe anche, se non gli sembrasse alquanto fuori luogo chiedere ad una ragazzina di undici anni di aiutarlo a capire perché è tutto così incasinato.

«Grazie, ma questa cosa la devo fare da solo. Devo farmi le domande giuste e trovare le risposte, poi forse saprò cosa scrivere e come farlo.» Elisa continua a non essere molto convinta, ha la sensazione che in realtà lei e Luca stiano parlando di cose totalmente diverse. «Sono cose noiosissime da adulti, non ci pensare.» Lui risolve la cosa con una battuta ed Elisa ridacchia. Torna per un attimo a concentrarsi sul suo quaderno ma poi rialza la testa. Sul viso ha un sorrisino impertinente, uno di quelli che ti mettono sul chi va là perché è chiaro che è lo stesso di chi sta architettando qualcosa.

«Ma di preciso, cos'è che dovresti scrivere?»

«Dovrei rispondere a qualche domanda.»

«Tipo?»

«Tipo… cosa voglio dalla vita.» A Luca sembra sufficiente citare quella per spiegare tutto il suo disagio.

«Cosa vuoi dalla vita… non è complicato.»

Beata lei, a Luca sembra complicatissimo. È per questo che decide di darle corda, per guadagnare tempo. Certe volte, procrastinare gli viene meravigliosamente bene.

«Sentiamo, perché tu sai cosa vuoi dalla vita?»

«Certo! Allora, vorrei un cane - e ci sto già lavorando eh, sono quasi sicura che per il prossimo compleanno riuscirò a convincere la mamma - e poi vorrei diventare un matematico famoso da grande e avere una famiglia con cui essere felice.»

Luca non può negare che messa giù così la domanda sia semplice e la risposta ancora di più. O almeno lo è se non sei lui, perché se sei lui vuol dire che sei in crisi esistenziale praticamente da sempre e allora è solo un gran casino. Elisa lo guarda, l'aspettativa chiara nei suoi occhi, e allora Luca si sente in dovere di abbozzare una risposta anche lui.

«Allora, vediamo… tu vorresti un cane, ti dirò che ne vorrei uno anch'io. Per quanto riguarda il lavoro non lo so, nella mia vita di prima ero un poliziotto-»

«Mamma dice che eri bravissimo.»

«Bravissimo è un parolone, diciamo che cercavo di fare del mio meglio anche perché il lavoro mi piaceva, ora non so proprio… E per il resto, per quella cosa dell'essere felice con qualcuno, non so quanto sia possibile, se ci sarà mai una persona…»

Luca confessa l'ultimo pensiero spinto da un impeto di totale sincerità e lo rimpiange quasi subito. Non lo sa se è stata l'innocenza di Elisa ad ispirargli questo livello di onestà ma, di sicuro, sa che è stata una pessima idea. Se ne rende conto subito quando il sorriso di Elisa si trasforma da impertinente a diabolico.

«C'è mia mamma!»

«Tua mamma?»

«Sì! Mamma ti piace, no?, e tu piaci a lei, quindi potreste essere felici insieme.»

Luca rimane imbambolato, la bocca aperta, perché davvero - e non ripeterà mai la cosa abbastanza - ma come ci sono arrivati a questo? Come sono passati dai tentativi impacciati dei primi incontri a questo livello di confidenza?

«Che succede?» Anna arriva dalla cucina giusto in tempo per essere testimone di quell'inconsueto silenzio.

«Niente, mamma,» risponde Elisa, angelica ed innocente. «Stavamo solo parlando un po'.»

Anna è un po' dubbiosa, conosce la figlia e, di solito, quando le rifila quell'espressione e quel tono di voce ci sono guai in vista. «Vai a lavarti le mani, va', che tra 10 minuti si cena.»

Elisa riordina in fretta i quaderni, la penna lasciata tra le pagine a tenere il segno, e sgattaiola via ma, prima, lancia un ultimo sguardo a Luca, le mani puntate verso la madre come a dire Guarda che ho ragione io. Anna intercetta la fine del gesto e dello scambio di sguardi e adesso è molto più che confusa, comincia ad esserci una puntina di paura qua e là.

«Che ha combinato? Cosa ti ha detto?»

Luca scuote la testa divertito, un po' spaesato, appena appena imbarazzato. «Non ti preoccupare, non ha combinato nulla. Ha ragione, stavamo solo parlando. Sono io che non mi aspettavo che il discorso prendesse quella piega, tutto qui.»

«Che piega? Ha fatto qualche domanda strana, Lu'? Ti ha dato fastidio? No, perché ultimamente dice tutto quello che le passa per la testa e la diplomazia non sa nemmeno dove sta' di casa.»

C'è una preoccupazione nelle parole di Anna che è assolutamente inutile e Luca scuote la testa per tranquillizzarla.

«No no, non ha detto nulla di male, anzi, ha detto una cosa intelligente. Così tanto che dovrei davvero rifletterci su.»

Anna accetta la risposta e il silenzio che segue senza indagare oltre e senza sentirsi offesa per la spiegazione striminzita. Una volta si sarebbe tormentata chiedendosi cosa le nascondesse in realtà, ora ha imparato che è questione di tempi, che ognuno ha i suoi e che si parla quando si è pronti. Vale per tutti, per Luca e il suo cuore tormentato vale però un po' di più.

Elisa torna in sala e comincia ad accendere la valanga di lucine che ha preso residenza in casa di Luca. Prima l'albero di Natale, accanto alla libreria, e poi tutto il resto, i festoni, il villaggio innevato sulla consolle all'ingresso e le stringhe che luccicano tra le pieghe delle tende. Anna la osserva muoversi come se quella fosse casa sua e la cosa è uno sfarfallio di emozione che si impone di non analizzare.

«Ehi, perché non apparecchi?»

Elisa sbuffa un po' ma poi gira su stessa e va in cucina.

«Hai fatto progressi con i compiti?» Anna accompagna la domanda con il gesto delle virgolette, Luca ride e il discorso riprende.

«A livello teorico, sì.»

«E a livello pratico?»

«A livello pratico boh, mi sento bloccato. Non lo so, è che, in astratto, quello che la dottoressa mi ha chiesto ha una risposta facile, e in questo senso ha ragione Elisa.»

«Ma in pratica?» Anna insiste solo perché Luca sembra aver voglia di parlare, cosa che succede di rado.

«In pratica il problema è che sono terrorizzato da quello che voglio.»

«Cosa vuoi Luca?»

Luca si sente messo alle strette, come se il fatto che a chiederglielo sia Anna voglia dire dover rispondere per forza.

«Voglio un po' di normalità. Voglio un lavoro - perché se penso di continuare così senza fare niente, impazzisco - e vorrei qualcuno accanto… non ne posso più della solitudine.»

«Ecco, hai visto che che non era poi così difficile?»

Luca si abbandona all'indietro sul divano, gli occhi chiusi, altri mille nuovi pensieri che si rincorrono nella sua testa.

«La cosa difficile è essere me, Anna. Perché posso pure riconoscere i miei desideri, ma ciò non toglie che l'idea di realizzarli mi terrorizzi.»

«Perché?»

«Ma come perché? Si tratta di mettere in discussione tutta la mia vita e tu lo sai - lo sai! - quanto mi è costato fare il lavoro che volevo e amare chi volevo. È una vita intera di battaglie e di sacrifici e non so se ho il coraggio di buttare tutto all'aria. Non lo so se ne vale la pena.»

Luca non si è mai sentito così vulnerabile come in questo momento, con la verità che gli sfugge via in un mormorio affilato.

«Per il lavoro possiamo cercare che soluzioni ci sono, se è possibile o no rientrare in servizio e tutto il resto. O trovare qualcos'altro.» Anna si stringe nelle spalle, Luca ha titoli di studio, competenze ed esperienza, si sente abbastanza fiduciosa da pensare che siano un buon punto di partenza anche in un mercato del lavoro pessimo come quello italiano. Il resto è un argomento spinoso per loro ma non più intoccabile. «Per l'amore… qualunque cosa scegli sarebbe ancora amare chi vuoi e basta, no?»

Luca si sente morire, perché se è così semplice come dice Anna vuol dire che lui si è complicato la vita senza motivo. Vuol dire che ha buttato via anni interi per cosa? Un principio? L'idea è spaventosa perché, se è davvero così, non è solo questione di mettere in discussione la sua identità ma di disfarla completamente e ricostruirla secondo un punto di vista tutto diverso. E il semplice torna ad essere complicato. Luca è esausto. Ride, non sa se per la stanchezza o per il nervoso.

«Sembra tutto così facile a sentir parlare voi e se è così, allora io non mi spiego com'è che non riesco ad uscire da questo circolo vizioso di pensieri per cui se scelgo una determinata cosa vuol dire che rinnego tutto quello che ho vissuto finora e non è così. Non è così, Anna!» Luca calca le parole perché ha bisogno che lei capisca, che veda tutto il caos di cui è fatto. «Io non rimpiango né le relazioni che ho avuto né le persone con cui sono stato. So che non sono state un errore e, tornassi indietro, rifarei esattamente tutto quello che ho fatto. Non rinnego nulla. È che poi sei capitata tu…»

«E ti ho incasinato tutto.» Anna non sa se sentirsi in colpa o vagamente lusingata per essere riuscita a mettere sottosopra tutto il mondo di Luca semplicemente comparendo nella sua vita.

«E hai incasinato tutto.» Luca sorride, quasi fosse più forte di lui. «Il problema è che non è una sbandata. Non è semplicemente bisogno di affetto e, sicuramente, non è un'amicizia fraintesa. È qualcosa di più grande, così grande che non so se sono all'altezza del sentimento e se sono capace di prometterti quello che meriti. Vedi? È passato un mucchio di tempo ma i casini nella mia testa sono sempre gli stessi.» Il tono di Luca è dimesso ed abbattuto e ad Anna sembra di essere tornata indietro di oltre un decennio, ad un'altra casa, un altro tavolo apparecchiato, un altro discorso così tanto simile da essere doloroso. Allora erano entrambi troppo spaventati per sfidare le loro incertezze e si erano rifugiati dentro una bugia. Non cambierà niente. Oggi non hanno nulla da perdere, tanto vale provare con la verità.

«Forse abbiamo tutti e due bisogno di dirci come stanno le cose, ammettere che siamo ancora a questo punto perché proviamo qualcosa l'uno per l'altra.»

«Non l'ho appena fatto?»

«Sì, ma nello stesso modo in cui lo hai fatto l'altra volta. E non ci ha portato a niente.»

Anna ha ragione, forse il cambiamento deve iniziare dalle parole. E Luca deve trovare il coraggio per dirle senza girarci intorno.

«Provo qualcosa per te!»

«E allora diamoci una possibilità, come hai detto tu quando abbiamo ripreso a parlarci. Siamo sempre noi, quello che proviamo è ancora qui, quindi perché non vediamo come va a finire? Non ti chiedo nulla, Luca. Io ti voglio bene, indipendentemente da quello che succederà tra di noi. Ci ho provato a tagliarti fuori dalla mia vita e non ha funzionato. Non ho nessuna intenzione di ripetere l'esperienza, in nessun caso. Quindi, te lo chiedo un'altra volta, cosa vuoi?»

Luca ci pensa, gli occhi di Anna addosso, Elisa che fa rumore in cucina e il suo cuore un tamburo impazzito. All'improvviso, tutto sembra facile per davvero.

«Voglio una possibilità.»

Lo dice ad Anna e, per buona misura, lo scrive anche sul quaderno. Ed è un proposito per il nuovo anno.

 

 

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Capitolo 10
*** Cap. 9 - Here Again ***


NdA: Ed eccoci all'ultimo capitolo! Che dire, è stato un piacevole ritorno a questo fandom che mi ha fatto capire che un po' ho perso la mano con i suoi personaggi e con lo scrivere in generale e che, anche oggi, Luca Benvenuto resta uno dei miei personaggi televisivi preferiti in assoluto (fanno tanti remake e reboot, cosa non darei per un nuovo DdP dove scopriamo che non è davvero morto... ah *sospira*). Per un'ultima volta, buona lettura!
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me.

Cap. 9 - Here again

Il nuovo anno è lontano una manciata di ore e il conto alla rovescia di Luca è un'attesa che ribolle di euforia ed entusiasmo. Per la prima volta, forse da sempre, aspetta la mezzanotte e non vede l'ora che arrivi. È una cosa metaforica, ha a che fare con questa sua seconda opportunità di vita e le occasioni da cogliere e i nuovi inizi da afferrare. È uno spartiacque e lui si sente fiducioso abbastanza da attraversarlo sperando per il meglio. La casa, tutto intorno a lui, gli restituisce il suo stesso stato d'animo, le sue stesse emozioni amplificate dalle risate e dalle chiacchiere dei suoi amici. Ingargiola sta sistemando il necessario per la tombola sul tavolo, la tovaglia ripiegata malamente nell'angolino più lontano, Vittoria che lo guarda con la pazienza di un santo. Quante tombolate ha già dovuto sopportare in queste feste? Elisa ha il compito di distribuire le cartelle, Ugo quello di raccogliere i soldi che andranno a formare il montepremi.

«Due euro a cartella? Che so' 'sti prezzi Giuse'?»

«E che vuoi da me? È l'inflazione.»

Pietro si lamenta ma Ingargiola lo liquida con un'alzata di spalle, troppo preso a sistemarsi a capotavola per condurre il gioco. Un re e il suo regno di numeri. Un uomo felice. Luca capisce perché Vittoria deve armarsi di pazienza. Elena, da sopra la sua spalla, osserva la situazione e decide che questa deve essere la sua serata.

«Sei cartelle, Ingargio'. Ho voglia di vincere!»

Pietro riprende a lamentarsi stavolta perché, apparentemente, è scorretto comprare così tante cartelle e non è giusto perché diventa questione di probabilità e diventa sbilanciato e sì, insomma, non è giusto. Lo dice e lo ripete un paio di volte ancora, a mo' di rafforzativo. Barbara lo lascia parlare poi, con tutta la calma del mondo, gli rifila uno scappellotto e gli dice di comprarsi anche lui sei cartelle. Così sono pari, no?

«Sì, ma so' dodici euro» insiste, offeso nel profondo, ma c'è poco da fare. Ingargiola ha fissato il prezzo e quello è. Pietro tira fuori le monete con una tale sofferenza che sembra lo si stia derubando di tutti i suoi averi. Saggiamente, Barbara e Vittoria rimangono fuori da questa partita che si preannuncia all'ultimo sangue mentre Ugo si butta nella mischia sventolando quattro cartelle.

Elisa si spiaccica contro Anna, tre cartelle aperte a ventaglio tra le mani. «Mamma, posso giocare anch'io?»

Anna butta un'occhiata distratta verso la tavola, immagina il delirio che da lì a poco si scatenerà e guarda sua figlia negli occhi, seria.

«Vuoi davvero giocare con quelli là? Ti avverto, amore, verrà fuori una cosa molto molto disagiata.»

«Sì, sì! A me fanno ridere.»

«Contenta tu!»

Anna va a recuperare i soldi dalla borsa e Luca ne approfitta per andare a rovistare nello svuotatasche all'ingresso. Ci sono le chiavi e un variegato assortimento di monetine e lui ci rovista finché non riesce a mettere insieme i sei euro necessari per altre tre cartelle. Mortalmente serio, li aggiunge a quelli che Anna ha appena dato ad Elisa.

«Prendi sei cartelle anche tu. Quelli sono giocatori senza scrupoli, non puoi partire svantaggiata.»

Anna ride perché sembra tutto così tanto solenne che è ridicolo. Solo loro possono trasformare una semplicissima tombolata in una questione di vita o morte. Elisa accetta i soldi, li ringrazia con un sorriso che le va da un orecchio all'altro e si accomoda a tavola tra Elena e Pietro. La ragazzina ha il gusto del pericolo, non c'è che dire.

Ingargiola comincia a chiamare i numeri e a Luca niente potrebbe sembrare più perfetto: i suoi amici nella sua casa, le luci dell'albero di Natale, il concertone di capodanno in sottofondo alla tv, il tono argentino di Elisa che sovrasta tutto e Anna seduta accanto a lui, un unico punto di contatto dalla spalla al ginocchio, come se non avessero tutto il divano a loro disposizione. Tutto converge in una speranza per il futuro che non ricorda di aver mai avuto. È una sensazione piacevolmente strana.

I numeri della tombola si susseguono in rapida successione uno dopo l'altro accompagnati dall'interpretazione della smorfia e i giocatori non si risparmiano. Delusione e soddisfazione si alternano ad ogni chiamata: un ambo per Ugo, un terno per Elisa, Pietro ed Elena che si parlano addosso borbottando come pentole di fagioli, Barbara e Vittoria che sgranocchiano frutta secca e intanto fanno a gara a chi ha il marito più fuori di testa. Secondo Luca è una bella gara anche se, in questo momento, la sua preferenza andrebbe a Pietro che sembra davvero stralunato, mentre Giuseppe continua ad estrarre i numeri tutto felice. Lui, invece, se ne sta sul divano e si gode l'immagine spensierata dei suoi amici e il calore di Anna al suo fianco. È come se negli ultimi giorni - nelle ultime settimane - tutto fosse andato lentamente al proprio posto e lui avesse finalmente riacquistato il proprio ruolo nel mondo, i suoi sogni e i suoi pensieri e le sue volontà finalmente in prospettiva. Luca non è così ingenuo da pensare che qualche settimana di terapia possa risolvergli i problemi di una vita intera ma sa che il percorso è quello giusto e che non c'è nulla di male a godersi i risultati ottenuti. Niente è perfetto, non fosse altro perché la perfezione non esiste, ma sarebbe pura ipocrisia far finta che le cose non sono cambiate, e in meglio. Quindi, riconosce il lavoro che sta facendo, i buoni risultati lungo il percorso e l'esaltante sensazione che prova ad essere sé stesso. Per una volta nella vita.

Accanto a lui, Anna tira su le gambe sul divano e appoggia la testa sulla sua spalla e intanto esulta ad ogni numero che Elisa segna sulle sue cartelle. Luca la sente ridacchiare contro di sé e non riesce a non pensare a quello che gli ha detto la dottoressa durante l'ultima sessione un paio di giorni fa. Se senti che è giusto averla accanto perché non dare un nome e quello che c'è tra di voi? Luca non ha più voglia di appiccicarsi addosso etichette ma pensa che per lui ed Anna debba fare un'eccezione. Tanti anni fa ha avuto paura di mandare tutto all'aria ma ora è arrivato il momento di fare il passo decisivo. Luca gira la testa e le sue labbra sfiorano i capelli di Anna.

«Ricordi quando mi hai chiesto cosa volevo dalla vita e da noi?»

Anna lo guarda. Si ricorda perfettamente la discussione che hanno avuto qualche giorno fa quando lui cercava risposte agli interrogativi della terapista. «Hai detto che volevi una possibilità.» Il suo tono di voce è un sussurro per fingere di essere da soli quando tutto intorno c'è rumore.

«Esatto, una possibilità! Ci ho pensato tanto e ne ho parlato ancora di più, e sono arrivato alla conclusione che va bene parlarne ma, più che altro, dovrei cominciare a crearmela questa possibilità.» Luca intende un sacco di cose con quelle parole, intende loro due e il fatto di tornare al lavoro e tutta quanta la piega da dare alla sua vita. Dentro c'è di tutto, decisioni importanti, cambiamenti da innescare, discorsi da riprendere. Paradossalmente, la cosa che gli è sempre apparsa più complicata è in realtà la più semplice di tutte. Anche se resta un salto nel buio. Anche se non ci sono certezze. Anche se i dubbi di prima sono ancora tutti qui. Luca non sa se sta promettendo cose che non potrà mantenere e non sa come andrà a finire però, a differenza di quando tutto questo appariva insormontabile, ora si è reso conto che non è un problema della sua storia con Anna. Ora sa che sarebbe così in qualunque caso, anche se dall'altra parte ci fosse un uomo, perché non si tratta di darsi etichette o di fare una graduatoria e decidere se gli piacciono di più gli uomini o solo gli uomini. Più che altro si tratta di riconoscere la sua verità e la sua verità è che Anna gli è piombata tra capo e collo, unica nel suo genere, e ha mandato all'aria qualunque convinzione avesse. E allora, se è così e se l'amore è amore sempre, cosa c'è di così difficile nel provarci almeno? Luca decide di farlo in quel preciso istante. Allunga una mano verso Anna, il palmo verso l'alto.

«Vogliamo darci una possibilità e vedere come va?»

«Tanto per essere chiari, quando dici di darci una possibilità, intendi essere più che amici?»

Anna ha bisogno di capire bene quello che lui le sta chiedendo perché è disposta a tutto, anche a lanciarsi nel vuoto con lui, ma non può più esserci spazio per fraintendimenti. È per questo che chiede e accetta il rischio di passare per una ragazzina che non capisce.

«È esattamente quello che intendo, sì, più che amici… se provi ancora qualcosa del genere per me.»

Prima o poi riusciranno a dirselo che si amano, prima o poi ci riusciranno a dare il nome corretto a questo sentimento che li lega l'uno all'altro, nonostante tutto, nonostante la crudeltà della vita e tutte le scelte sbagliate e i tempi sfasati. Prima o poi ci riusciranno, non stasera certo, non su questo divano l'ultimo dell'anno di un anno che ha rimesso a posto tutto e che poi lo ha sconvolto di nuovo. Prima o poi useranno il nome giusto, per ora non ce la fanno ancora a chiamarlo amore anche se è esattamente quello, lo sanno entrambi, e quando Anna lascia scivolare la mano in quella di Luca è più o meno come dirselo. Il resto della risposta di lei è un sì con la testa annegato in un sorriso bellissimo, la capacità di parlare naufragata nella felicità che le stringe la gola.

«20, 'a festa!» chiama Ingargiola.

«Tombola!» esclama Ugo e il caos discende sulla cucina.

Pietro ed Elena cominciano a contestare tutto - ci manca poco che mettano in discussione la stessa napoletanità di Giuseppe, - Elisa ride perché sono tutti pazzi e Ugo sventola in aria la cartella vincente. Anna e Luca rimangono sospesi in un bacio mancato, qualcosa di inebriante che si deposita sul fondo dello stomaco - come essere ubriachi senza aver bevuto niente, come ragazzini ebbri delle prime vere emozioni. Vittoria li guarda di sottecchi con il sorriso di chi sa già tutto e che trabocca di un'approvazione così palese che Anna e Luca devono distogliere lo sguardo dall'amica e allontanarsi un po' l'uno dall'altro. È un po' uno shock rendersi conto che non sono davvero soli nell'ultimo scampolo di quel 31 dicembre che torna improvvisamente reale. E rumoroso.

Attorno alla tombola le proteste continuano: Pietro invoca la rivincita, Elena parla di cartelle truccate e Barbara alza gli occhi al cielo nella occhiata più scocciata che sia mai esistita.

Vittoria li lascia borbottare un altro po' e poi scaccia i litiganti dal tavolo. Al posto delle cartelle e dei numeri sistema l'ennesimo panettone, la bottiglia di spumante da stappare, l'uva da mangiare allo scoccare della mezzanotte per buon augurio, come il cotechino e le lenticchie, come il melograno e la frutta secca, come i cornetti rossi che Ingargiola ha appeso un po' ovunque. Luca non sa se è un'esagerazione tutta quella scaramanzia ma male non fa. Ha finalmente imparato che ogni aiuto è ben accetto, anche se non c'è nulla di vero ed è solo suggestione. Poco più di mezz'ora li separa dalla mezzanotte quando Anna sgattaiola via dal divano. Elisa le corre dietro e quando tornano in sala hanno una scatola infiocchettata e due identici sorrisi impertinenti.

«Per te!» esclama Elisa e gli appoggia la scatola sulle ginocchia. Incuriosito, Luca ricambia istintivamente il sorriso della bambina. Quando apre la scatola, dentro ci trova due piccole latte di vernice gialla e verde. Luca se le rigira fra le mani mentre occhi curiosi si puntano su Anna. Lei si stringe nelle spalle.

«Nell'altra casa, quella che io e Luca abbiamo condiviso tanti anni fa, c'era un angolino vicino al balcone dove c'erano le impronte delle nostre mani fatte con la vernice colorata ed era una delle mie cose preferite. Non lo so, ho pensato che poteva essere una bella idea fare qualcosa di simile anche qui.» Anna fa di nuovo spallucce, come se non fosse tutto sto granché come idea, come se Luca non la fissasse dal divano con gli occhi pericolosamente lucidi. «Vabbè, poi Luca si lamenta sempre che la casa è troppo bianca, quindi pensavo che potesse essere un modo come un altro per renderla un po' più allegra.»

Elena, che sta annegando la sua sconfitta a tombola in una fetta di panettone grande come la sua faccia, annuisce a bocca piena e si gira a guardare la parete accanto al balcone come per studiare quale può essere il posto migliore. Luca, semplicemente, non ha parole. Anche lui ricorda le impronte delle loro mani in quella prima casa insieme, il simbolo di ciò che c'era stato e che, ad un certo punto, non c'era stato più. Il rimpianto dura il tempo che serve alla prima macchia di colore per apparire sulla parete bianca. A cavallo tra il vecchio e il nuovo anno, tutto ricomincia un'impronta alla volta - Giuseppe, Vittoria, Ugo, Pietro, Barbara, Elena, - le rocce che lo hanno aiutato a rimettersi in piedi. Al centro di quel piccolo mondo, Luca preme la sua mano, verde come la speranza, e accanto alla sua, gialle come spicchi di sole, si posano le mani di Anna ed Elisa, uno sbuffo di cielo blu dove le tre impronte si sovrappongono.

In TV parte il countdown.

10, 9, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, 1.

Fuori da quella casa piena di amore esplodono i fuochi d'artificio, lì tra pareti colorate di giallo e verde, il tappo dello spumante salta per aria, Elisa ride, qualcuno urla buon anno nuovo e Luca fa il suo personalissimo salto nel vuoto.

Luca bacia Anna e le dice «Ti amo!»

And I just had this feeling
That we'd be here again

And that you were always gonna be the one
[I Had a Dream Last Night - Noah Reid]

 

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