Vita decomposta

di io_sono_piu_forte
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** . ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 39: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** . ***


 





 

A me stessa.

 A te. 

A Bradley e Joel, che sono un po' parte della mia vita.

E alle mie parole, a cui auguro tanto amore da parte di chi leggerà.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Il volto di Bradley era corrugato a causa del sole insistente puntato sul suo viso, al quale il ragazzo non era più abituato. Delilah lo aveva costretto a mettere finalmente piede fuori dal suo appartamento, diventato ormai la tana di Bradley da più tempo di quanto potesse calcolare. Lei era l'unica persona rimastagli vicino capace di insistere con lui e di non infastidirsi mai del suo silenzio remissivo. Il rumore dei veicoli in movimento lungo le strade di Brooklyn non facevano altro che nutrire l'espressione di malcontento che Bradley continuava a mostrare per quell'imposizione ormai impossibile da evitare. Lo tramortivano tutti quei rumori, quegli odori, quella folla di gente in continua agitazione per pensieri troppo superficiali. Delilah evitava di toccarlo, faceva sempre un'enorme attenzione a quanta distanza mantenere tra lei e la presenza di Bradley, senza però perderlo di vista.

Camminare senza inciampare per Bradley richiedeva un immenso spreco di energie. 

Inspira ed espira. Ingoia e inumidisci la gola secca. Tacco e punta sull'asfalto. Tacco punta, respira ancora.

Ecco la sua storia: lui si chiamava Bradley Wolfe, conosciuto dai pochi come Brad, diminutivo che odiava poiché gli sembrava appartenere ad un grasso uomo patriottico con dei folti baffi scuri e una croce d'oro al collo, testimonianza dei suoi incoerenti principi religiosi. Il padre non era una persona molto diversa da quella che Bradley disprezzava nella sua immaginazione. Si rendeva conto che in realtà non sopportava farsi chiamare Brad perché aveva il terrore di essere anche in minima parte simile a suo padre, ma quel pensiero veniva sempre allontanato, come se Bradley cercasse di scappare anche da quella cruda e disdicevole verità. Sua madre invece non aveva nulla da raccontare. Bradley sapeva solamente che lei lo odiava da sempre, per il semplice fatto di non essersi abortito quando lei aveva provato a mandar giù delle pillole nel tentativo di staccarlo dal suo utero. Le motivazioni di quel tremendo tentativo di sbarazzarsi di lui erano semplici, sua madre non aveva mai veramente amato suo padre e per colpa sua, per via di suo figlio Bradley, era stata costretta a sposarsi. Se solo Bradley fosse stato un embrione debole, proprio come lo era adesso, forse sua madre sarebbe riuscita ad amare un figlio migliore.

Trovò un po' d'ombra sotto il ponteggio di un palazzo, polveroso e avvolto con nastri di strisce arancioni catarifrangenti. Bradley teneva gli occhi bassi per terra, continuando maniacalmente ad osservare i propri piedi andare avanti, prima uno e poi l'altro, destra e sinistra, con moderata velocità, seguendo la ragazza sua amica. I jeans strappati sulle ginocchia gli stavano larghi come al solito. Bradley si era dimagrito troppo in quelle ultime settimane, un po' per la mancanza di cibo, avendo più difficoltà del solito a comperarlo, un po' per il suo umore in generale. La pesante felpa nera con una tasca larga al centro del ventre gli calzava molto più grande di come avrebbe dovuto, in questo caso il capo d'abbigliamento era stato scelto di proposito di una o addirittura due taglie più grandi, e pur essendo maggio inoltrato con il caldo alle porte che cuoceva l'asfalto della città lui indossava quell'indumento invernale e scuro con le mani cacciate in tasca. Gli serviva, a costo di rischiare un calo di pressione o altri piccoli incidenti di percorso simili dovuti alla caloria. Bradley non poteva permettersi di tenere le braccia scoperte, o almeno, di scoprire quel braccio

Il viso era solcato dalla stanchezza che gli deturpava in maniera affascinante e misteriosa gli occhi, gli zigomi e persino la fronte. Le carnose labbra dal colore dei petali di un fiore estremamente simili a quelle di una donna erano però incorniciate da una barbetta scura ed incolta lungo tutto il volto, che rendeva l'aspetto di Bradley ancora più sciupato e triste. Era proprio quel sentimento che traspariva da ogni sua parte, la più silenziosa e misteriosa delle tristezze. I capelli castano scuro cadevano ai lati delle guance con naturalezza, lunghi e morbidi con una compostezza non imposta. Nonostante la malinconia evidente gli occhi di Bradley continuavano ad essere ricchi di colore, grandi e chiari come se il sole continuasse a riflettere i propri raggi su di essi di proposito, scaturendo lo stesso effetto che dà all'acqua cristallina. La motivazione di tale uscita era alquanto comprensibile, Delilah era andata a trovarlo frequentemente nelle ultime due settimane, portandogli molto spesso la spesa che a Bradley mancava. La ragazza l'aveva ammonito con il suo solito fare superiore ma amorevole, dicendogli che stava davvero esagerando, che aveva ormai toccato il fondo e che era così al verde da non potersi permettere di pagare né l'affitto né quel poco cibo in scatola che lui chiamava pasto. Bradley aveva bisogno di un lavoro, qualsiasi tipo di lavoro. Delilah lo aveva preso pure in giro proponendogli persino di fare il gigolò con qualche bel ragazzo ricco. Bradley aveva simulato una risata stanca, rabbrividendo all’assurda idea di doversi presentare a braccia scoperte di fronte a qualcuno. Così la giovane donna dopo giorni interi di ricerche aveva finalmente trovato un lavoro per il suo tanto affezionato amico. Tramite un conoscente Delilah era venuta a sapere che un suo vecchio compagno di college, in passato suo grande amico, aveva aperto uno studio di tatuaggi in periferia, un posticino piccolo ma pieno di clienti, così, tramite suppliche sconvenevoli, la ragazza era riuscita ad ottenere, se poteva definirsi tale, un colloquio per Bradley. Certo, la sua mansione consisteva nel rispondere al telefono e segnare gli appuntamenti; quello gli sembrò già un compito ricco di responsabilità fuori dalla sua portata, invece disinfettare da cima a fondo ogni tipo di attrezzatura presente in negozio non era un grande motivo di ansie, ma considerando tutta la premura e la fatica che ci aveva messo Delilah e lo stipendio più o meno sufficiente per saldare i debiti prioritari che Bradley aveva in sospeso, non poteva di certo rifiutare l'occasione. La situazione economica di Bradley era disastrosa, continuava a vivere in quel piccolissimo appartamento cupo solamente grazie alla pazienza del proprietario, che si limitava a mandargli per posta avvisi di sfratto sempre più minacciosi senza mai avere il coraggio di buttarlo sul serio in strada. In fondo, tutti conoscevano la situazione di Bradley, tutti sapevano che il semplice fatto che fosse ancora vivo era un enorme privilegio. E lui odiava che la gente sapesse la sua storia, che tutti provassero pietà sapendo della sua situazione. E' pazzo poveretto, chissà quanti lo avevano esclamato alle sue spalle, provando a compatirlo e trattandolo come un malato incurabile.

Bradley aveva dichiarato la propria omosessualità alla sua famiglia alla giovane età di diciassette anni; il padre lo aveva sbattuto fuori di casa, spintonato e quasi picchiato, mentre la madre non aveva fatto nulla per fermarlo, dopotutto non la biasimava, aveva pensato Bradley, era stato un pessimo figlio, aveva già causato troppe difficoltò alla propria famiglia e forse dichiararsi gay era stato solo un semplice pretesto per tutti di levare di torno il problema, che era lui.

A Bradley era stato diagnosticato il BIID, meglio catalogato come Body Integrity Identity Disorder, una condizione psicologica assimilabile al disordine dell'identità di genere, nella quale il soggetto sente di abitare un corpo che non corrisponde all'immagine idealizzata che ha di sé stesso. Non pensate assolutamente che Bradley avesse tendenze, per così dire, transessuali, il suo disturbo era alquanto diverso e molto più minuzioso, se vogliamo. La particolarità di questo disturbo, infatti, risiede nel fatto che il corpo immaginato e desiderato è un corpo amputato: i pazienti chiedono infatti di poter farsi amputare gambe o braccia per raggiungere una completezza che sentono di non possedere. Queste sensazioni di estraneità con il proprio corpo e questi desideri di amputazione insorgono in età preadolescenziale. È praticamente impossibile stimare quante persone soffrano di questo disturbo, anche se qualche medico ha suggerito a Bradley che potrebbe essere più frequente del prevedibile, e nascondersi nei casi di amputazioni accidentali degli arti avvenute in circostanze non chiare. L'informazione non lo consolava, provava sempre più paura soprattutto perché nessuno era stato in grado di dirgli quale era il motivo del suo vizio, come lo definiva sua madre agli esordi dei sintomi. Delle cause infatti non si sa praticamente nulla, anche se sono state proposte diverse teorie, come ad esempio l'incomprensione in età infantile, oppure una condizione neuropsicologica nata da un'anomalia strutturale o funzionale della corteccia cerebrale che collega gli arti. No, Bradley non avrebbe mai ammesso di essere pazzo. Sapeva di non esserlo.

Non era pazzo.

I sintomi del disturbo erano anch'essi molteplici, e Bradley li aveva manifestati tutti, all'inizio e durante tutta la sua condizione. All'età di sei anni aveva provato una strana ed insolita sensazione di incompletezza e disabilità simile a quella che potrebbe sperimentare un individuo normale dopo aver subìto un'amputazione. Avvertiva un formicolio eccitante che iniziava dalle punta delle dita e terminava poco prima della spalla. A dieci anni aveva drasticamente dato sfogo alla sua ossessione, ovvero quell'idea fissa concerne l'arto e il livello di amputazione richiesto, manifestatosi in Bradley nel braccio sinistro. Bradley vedeva dei film alla TV, horror soprattutto a notte fonda, provando un altro scioccante stimolo, ovvero, un sentimento di intensa gelosia alla vista di un amputato, e subito dopo un'enorme vergogna per questi ultimi sentimenti. Sentiva di essere sporco e sadico, come l'assassino che riduce in pezzi le giovani donne con una motosega. Ma se lui avesse avuto una motosega cosa avrebbe fatto se non tagliare di netto quel magro braccino? Dai quindici ai sedici anni poi un ennesimo sintomo si era aggiunto alla sua infinita lista, attraverso episodi di depressione e qualche volta pensieri suicidi, nutriti anche dalla confusione per quanto riguardava il proprio orientamento sessuale. Fu in quel periodo che cominciò a sperimentare l'autolesionismo. Non aveva mai provato paura nell'infliggersi quei tagli sottili e orizzontali sulla pelle interna del gomito, il dolore poi andava via, le ferite si cicatrizzavano ma quegli sfregi parevano avvicinarlo sempre di più all'amputazione. Pensava che un giorno, tagliuzzando sempre più in profondità con le lamette del rasoio di suo padre, sarebbe arrivato all'osso, la parte più difficile da spezzare per separarsi dal braccio.

La diagnosi era stata formulata quando Bradley aveva avuto undici anni, dopo continue visite in diversi specialisti di qualsiasi tipo. La sua famiglia aveva cercato di accettare questa strana patologia spacciata sin dall'inizio come un capriccio, aggravandosi quando Bradley aveva iniziato a ferirsi più frequentemente.

Prima di utilizzare le lamette si era graffiato con le unghie quasi per caso in una crisi di rabbia, e lo aveva fatto a lungo, fino a far diventare quei segni arrossati dei veri e propri lividi sanguinolenti, mordendoli poi con tutta la forza che aveva e successivamente, quando aveva la possibilità di stare solo in casa, rubava con timore le lamette dal bagno di suo padre e iniziava a tagliuzzare ripetutamente lembi diversi di pelle, più vasti ad ogni seduta. Le ferite le fasciavano e ricucivano, ma Bradley non gli dava mai il tempo di guarire.

Non era una forma di autolesionismo basata sul punirsi o nel tentativo di togliersi di dosso tutta la frustrazione e il dolore, non lo faceva per sfogarsi o cercare aiuto, semplicemente era la sua testa che glielo imponeva, l'unico mezzo che aveva per sbarazzarsi in tutti i modi di quel braccio non suo era solamente tagliare, ogni singolo giorno. Lo aveva sempre pensato ma mai detto, che gli faceva più male quando non sanguinava piuttosto che quando le cicatrici iniziavano a rimarginarsi. Quando i suoi lo avevano sbattuto fuori di casa chiamandolo frocio, non si preoccuparono né di cosa avrebbe fatto per cavarsela da solo né di come la sua condizione avrebbe avuto libero sfogo nella totale solitudine, anche perché in casa sua madre aveva controllato in tutti i modi l'autolesionismo di Bradley, nascondendo quanto possinile gli oggetti affilati e contundenti. Poi era arrivata Delilah, una compagna di scuola che aveva saputo dell'accaduto, soprattutto dopo che Bradley aveva deciso di ritirarsi dal liceo. La ragazza gli era andata dietro per qualche settimana avvicinandosi con cautela quasi fosse un animale selvaggio, infine riuscendo a conquistare la fredda fiducia del ragazzo sempre a maniche lunghe, facendosi raccontare a poco a poco tutta la sua storia. Delilah era stata la prima a non giudicarlo, a non dargli torto o ad aggredirlo sulle sue motivazioni -ne era certo- più che logiche. Lei era stata l'unica a comprenderlo e a dargli ragione e per questo Bradley si era fidato a tal punto da raccontarle più di quanto volesse dire in fondo.

 

Il campanello sopra la propria testa tintinnò quando Delilah aprì la porta di vetro dello studio di tatuaggi, invaso da un odore di incenso. Il piccolo ambiente dalle mura ricoperte di disegni ben incorniciati aveva un bancone pieno di album e candele, affiancato da un divano in pelle nera. Bradley osservò attentamente ogni dettaglio di quel posto, non facendo caso nemmeno a Delilah davanti a lui che stava parlando con un ragazzo afroamericano. Bradley scrollò la testa, richiamato dallo sguardo dell'amica.

«Sam ti presento Bradley, il ragazzo di cui vi ho parlato, Bradley lui è Samuel.» disse Delilah sorridendo, indicando con le braccia i due l'uno all'altro. Samuel sorrise a labbra serrate, porgendo la mano destra a Bradley, che con fare impacciato ricambiò debolmente la stretta, ritirandosi immediatamente. La mano sinistra, martoriata, era ben cacciata nella grande tasca della felpa, mentre ringraziò mentalmente il ragazzo di avergli porto l'altra mano, dandogli l’opportunità di ricambiare con la parte buona di sé. La voce cauta di Delilah continuò a parlare nel vano tentativo di inserire Bradley nel cordiale discorso tra lei e Samuel, che cercò di non tenere troppo il proprio sguardo sul ragazzo; la donna aveva avvisato i pochi dipendenti del negozio dei problemi economici di Bradley, senza approfondire troppo sul resto, e di quanto quel lavoro sarebbe stato di vitale importanza per lui. Bradley non riuscì nemmeno a sorridere con gentilezza, limitandosi ad annuire con fare stanco e lento, ignorando ciò che i presenti a fianco a lui sapevano tramite Delilah. La musica rock che faceva da colonna sonora nello studio parve abbassarsi di volume, regolata dal ragazzo alto che si presentò davanti a loro. Ampie spalle bilanciavano armoniosamente il suo fisico atletico e ben impostato; il collo spesso e le braccia fasciate dalla medesima massa muscolare poco contratta, cosparsa su ogni centimetro roseo di pelle da centinaia di tatuaggi colorati e grigi. Bradley non poté fare a meno di soffermare la propria attenzione sugli arti superiori del ragazzo, tenuti scoperti grazie alla t-shirt nera aderente che accentuava la vita stretta. Quell'uomo intrigante aveva una miriade incalcolabile di tatuaggi che dalle mani salivano alle spalle nascoste dalla maglietta, continuando fino al collo, per terminare con qualche piccolo contorno stilizzato sul viso. Una lunga barba castana gli incorniciava il volto chiaro, del medesimo colore dei capelli morbidi tirati indietro in un ciuffo voluminoso. Gli occhi blu accendevano tutta la creatività che teneva in mente, e il suo sorriso gentile trovò immediatamente motivo sull'immagine di Bradley.

«Devi essere la nuova recluta, l'amico di Delilah. Molto piacere, Joel Hall.» disse il tatuatore, porgendo la mano sinistra a Bradley. Quest'ultimo deglutì stringendo il pugno sinistro dentro la tasca, iniziando a percepire un lieve stimolo di panico dentro di sé, irrigidendosi con espressione seria. Bradley annuì, guardandolo negli occhi e accennandogli un sorriso insofferente per cercare di essere meno scortese possibile mentre rifiutò quella stretta data con il lato sbagliato.

«Il piacere è mio, sono Bradley.» rispose, cercando di trasmettere simpatia per farsi perdonare della maleducazione del suo saluto negato, tenendo la mano in tasca che scaturì una leggera curiosità in Joel. Il ragazzo dalla pelle colorata non diede peso a quella strana reazione, sorrise ancora grazie agli occhi vitrei di Bradley, che lo trovò di un fascino unico. Oppresso da quelle occhiate insistenti che sembravano quasi esaminare Bradley chinò il viso in maniera imbarazzata, accorgendosi di tutto l'interesse che Joel nutriva nei suoi riguardi. Come se avesse potuto farsi regalare un cenno confidenziale di Brad, Joel gli sorrise ancora, ammiccandogli d'improvviso. Bradley aggrottò la fronte, irrigidito da uno scatto confuso avuto con il capo, ricambiando quel segnale alquanto fraintendibile ed imbarazzante da parte di Joel con una smorfia stranita.

«Mi fido ciecamente di tutto ciò che ha detto Delilah sulle tue capacità, quindi da domani puoi iniziare qui da noi. Ti tratteremo bene, sta tranquillo, ci serviva proprio una mano! Sam lascia un porcile in giro quando finisce di tatuare, ed è una frana con l'agenda!» disse Joel sorridendo, avvicinandosi di più a Bradley con gentilezza allegra, facendolo indietreggiare istintivamente di due passi.

«Oh, davvero? Cercherò di fare del mio meglio...» si limitò a rispondere lui con voce bassa, tenendo comunque gli occhi sulle punte delle sue scarpe. Joel si permise ancora una volta di scrutarlo, approfittando di un movimento lento verso il bancone per odorare il profumo fresco che stava sulla pelle di Bradley. Anche se il suo aspetto era alquanto cupo e trascurato l'odore di Bradley sapeva di zucchero filato, a parer di Joel. Un'essenza delicata e impercettibile che di sicuro soltanto lui poteva sentire. Si dice che chi riesce a distinguere così nitidamente il profumo di una persona sia destinato a stare insieme a quest'ultima, una bella teoria ipotizzata sicuramente da qualche diceria, ma di una cosa era certo Bradley, che di quegli occhi cerulei non sarebbe riuscito a sbarazzarsi tanto facilmente.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


«Andrà bene, vedrai!» disse il fidanzato di Delilah. Il suo nome era Bruno, un eccentrico ragazzo dalla visione del mondo tutta a modo suo con una strana passione per il tiro al bersaglio. Lui e Delilah si erano conosciuti a Budapest durante una gita scolastica all'ultimo anno di liceo. 

Delilah la mattina dopo la presentazione di Bradley al negozio di tatuaggi si era svegliata di buon'ora assieme al compagno, così da poter aiutare l’amico a prepararsi e soprattutto ad arrivare puntuale al suo primo giorno di lavoro. Con sollievo di Bradley la coppia era venuta ad accompagnarlo in auto, cosicché il moro non avrebbe dovuto camminare per la città come il giorno precedente. Seduto sul sedile posteriore con le spalle appoggiate sullo schienale e le mani a penzoloni tra le ginocchia a distanza tra loro, Bradley, con lo sguardo basso e spento, annuì all'incoraggiamento di Bruno con il suo solito silenzio.

«Oh già, andrà alla grande! Impugnerà il possente mocio con il suo braccio speciale e ripulirà da cima a fondo quel posto, così si potrà persino mangiare sui pavimenti!» quel commento sarcastico arrivò dal ragazzo seduto accanto a Bradley, quello stesso personaggio che reputava suo amico. I lunghi e morbidi capelli neri quel giorno erano legati indietro da una forcina scura e tirati ai lati in maniera affascinante. La pelle pallida e i lineamenti corvini che accentuavano le sottili labbra rosee e gli occhi di un azzurro sgargiante.

«Ma sta un po' zitto Leif, non sei per nulla divertente.» Delilah si voltò di scatto verso i due amici dal sedile del passeggero avanti, minacciando il ragazzo poco simpatico con uno sguardo in cagnesco. Bruno sorrise sotto i baffi alla reazione della ragazza, giusto perché già di suo non sopportava Leif. Quest'ultimo sbuffò con nonchalance, rivolgendole il profilo così da guardare Bradley.

«Scommetto che Bradley pensa la stessa cosa. Potresti almeno dire qualcosa? Ti stiamo persino accompagnando al tuo primo giorno di lavoro.» gli disse con fare ammaliatore.

«Siete imbarazzanti. Non sono un bambino, non c'era alcun bisogno di fare tutta questa sceneggiata.» rispose Bradley pentitosi di aver accettato quel passaggio in auto, stupendo un po' tutti per la lunghezza della sua frase che di solito era composta da parole solamente per un quarto. Delilah ritornò a sedersi più comoda sul proprio sedile, sorridendo serenamente. Era una grande soddisfazione ogni volta sentir parlare Bradley così loquacemente.

«Tutte le famiglie sono imbarazzanti altrimenti non sarebbero tali.» gli rispose Delilah, con espressione da superiore. Bradley sbuffò, stuzzicando ancora di più la provocazione di Leif.

«Quindi, ho saputo che lavori per quel certo Joel. Cioè, non trovi sia sexy?» domandò con sfacciataggine l'amico. Bruno dovette portarsi una mano alla bocca per non scoppiare a ridere, distraendosi dalla guida. Bradley si voltò improvvisamente verso Leif guardandolo con sdegno in viso e con l'imbarazzo di chi veniva colto sul fatto.

«Smetti di dire cose da gay.» gli rispose con lo sguardo basso.

«Scusami tanto se ti cerco il ragazzo.» Leif si finse offeso, incrociando le braccia.

«Non ho bisogno di un ragazzo, ho solo bisogno di soldi.» mormorò lui con contraddizione.

«Io ve l'avevo detto che avremmo dovuto trovargli un posto in un night club, avrebbe avuto sia soldi che ragazzi. Fiocco di neve, hai urgente bisogno di scopare.»

«Sei disgustoso.» commentò Delilah arricciando il naso all'insù.

«Dico solo quello che penso, sono una persona senza peli sulla lingua.» si giustificò Leif.

«Smettetela, la prossima volta vado a piedi.» Bradley si voltò verso il finestrino sporco di alcune gocce d'acqua secche ormai ingiallite. Leif assunse la sua solita postura sarcastica facendo silenzio, così da dare spazio solamente alla voce del giornale orario alla radio messa a volume abbastanza basso. Gli occhi azzurri di Leif, quasi sapessero esattamente dove guardare, si abbassarono lungo la mano sinistra di Bradley. Lo controllavano spesso, lui e Delilah. Spesso lo costringevano anche a mostrargli per intero tutto l'arto, così da poter constatare la gravità delle ferite. Bradley non voleva mai andare in ospedale, nemmeno in quelle terribili volte in cui le sue ferite si trasformavano in vere e proprie emorragie ed avevano bisogno di punti. Odiava i dottori perché non potevano guarirlo così, quando Leif, Delilah o persino Bruno, si accorgevano di qualche terribile lacerazione su quel braccio loro stessi provvedevano a medicarlo. Delilah aveva persino imparato a suturare alcuni dei tagli più profondi alla spalla, anche perché non era poi così faticoso partendo dal fatto che Bradley non emetteva un solo lamento di dolore per tutto il tempo.

Leif si accorse subito di quel profondo taglio sanguinolento sul dorso della mano di Bradley, inutilmente tenuta nascosta dalla manica della felpa scura troppo allungata verso quel preciso lato del corpo. Era una ferita lunga circa quattro centimetri, in diagonale sul dorso solcato da vecchie cicatrici bianche e rialzate. Di sicuro Bradley aveva cercato di fermare il sangue per molto tempo durante la notte, riuscendo però soltanto a pulirne i lati e a non esagerare con la stretta del laccio emostatico per creare ulteriori problemi. Non aveva trovato nessuna benda pulita capace di fasciare quella nuova pennellata di rosso così, frettolosamente, per colpa degli amici sotto casa impazienti di aspettarlo, era uscito con la ferita scoperta senza preoccuparsene troppo.

Leif sospirò amareggiato, prendendogli la mano incriminata con dolcezza ma senza preavviso, alzando il polsino della felpa fino a metà del braccio in modo tale da avere tutta la visuale della ferita. Dalla tasca della sua giacca di pelle nera prese un fazzoletto, tamponando forte quel profondo marchio sulla pelle di Bradle, che continuò a guardare la strada sfrecciare fuori dall'auto, con i sensi di colpa a fior di pelle.

L'amico, sempre in paziente silenzio, prese da sotto il sedile di fronte a sé una piccola cassetta medica d'emergenza, usando ciò che vi era all’interno per disinfettare la lacerazione ed applicare una garza candida. Velocemente, sapendo quanto Bradley si sentisse a disagio ad avere così tanta porzione di pelle maciullata scoperta, ricoprì il tutto con la manica. Leif replicò la sua postura disinvolta sul posto, come se non fosse successo assolutamente nulla.

«La prossima volta avvertici di aver finito i cerotti.» gli disse Leif severamente, non riuscendo a guardarlo negli occhi. Non ci riusciva mai in quelle circostanze. Bradley fece silenzio per poco, mordendosi l'interno della guancia per la frustrazione.

«D'accordo.» gli rispose con un filo di voce, accorgendosi subito dopo che Bruno aveva parcheggiato l’auto proprio a destinazione.

Delilah si voltò ancora una volta in direzione dell'amico fingendo un sorriso sereno come per cercare di nascondere la verità appena scoperta sulla nuova ferita. Si sporse in avanti, rischiando di dare una pedata al povero Bruno. Delilah si avvicinò alla meglio a Bradley, scostandogli una ciocca di capelli dietro l'orecchio, gli sistemò poi la felpa per renderlo più composto possibile.

«Fai il bravo.» gli disse dolcemente, ammiccandogli.

«D'accordo.» annuì lui imbarazzato.

Leif gli prese la nuca con una mano arricchita da anelli dorati, avvicinando così il proprio viso a quello di Bradley per baciargli la guancia barbuta. Bradley arricciò il naso, anche se quel saluto non gli dispiaceva mai come faceva apparire. Aprì la portiera chiudendola subito dopo che Leif gli disse:

«Cerca di essere attraente.»

Bradley sbuffò seccato ma con un debole sorriso imbarazzato in volto, sentendo come ultima voce quella di Bruno che in lontananza gli augurava buona fortuna.

La campanella sopra la porta suonò proprio come il giorno precedente quando Bradley entrò nello studio, con le mani nella tasca della felpa ed un'espressione tesa. Si era ripromesso di mettere da parte il proprio silenzio sofferente durante le ore di lavoro, sotto consiglio di Delilah soprattutto, che lo aveva tenuto al telefono per quasi un'ora la sera prima, un po' per fargli compagnia, un po' per ritardare quella sua terribile iniziativa di ferirsi. Subito Samuel lo accolse, voltandosi verso il ragazzo.

«Buongiorno! Puoi andare nell'altra stanza, Joel ti dirà cosa fare. Finisco con la cliente e ti raggiungo.» gli disse con tono gentile e allegro, indicandogli con un gesto svelto la direzione che avrebbe dovuto prendere per raggiungere il capo. Bradley annuì in silenzio con espressione ingenua, incamminandosi nella stanza in fondo al piccolo corridoio tappezzato di cornici.

Avrebbe voluto bussare per avvisare della propria presenza, ma al posto di una porta trovò una tenda fatta di perline verdi a dividere gli ambienti, costringendolo così ad entrare quasi di soprassalto. Con timidezza si schiarì la voce, entrando nella stanza dal parquet lucido.

«È permesso?» domandò imbarazzato. Il rumore elettrico della macchinetta cessò ed il ragazzo a lavoro seduto sullo sgabello si voltò, quasi avesse riconosciuto immediatamente quella voce. 

«Oh, ciao Bradley! Entra pure, sei arrivato giusto in tempo!» Joel sorrise come se avesse aspettato quella visita per tutta la mattina. Sdraiato a pancia in giù sul lettino sterile c’era un uomo dalle spalle muscolose e a petto nudo. Il cliente parve sospirare di sollievo quando Joel tolse dalla sua pelle l'ago per tatuare, che di sicuro gli stava causando dolore tutto intorno alle spalle tinte di disegni. Bradley si avvicinò a Joel, attendendo un suo ordine, se così poteva definirsi.

«Il nostro amico è alla terza seduta, ha scelto proprio un bel lavoraccio! Che ne dici di passargli un bicchiere d'acqua? E magari se ci riesci cerca di distrarlo, sono quasi due ore che piagnucola.» disse spiritosamente Joel. Bradley si affrettò ad eseguire quella richiesta, porgendo il bicchiere di vetro all'uomo rosso in volto, che rispose a Joel: «Non è vero, non sento nulla Jo!»

Il tatuatore rise ancora, assecondato dalla spiritosaggine del cliente. 

«Prendi quello sgabello e siediti vicino a noi, coraggio.»

Bradley si irrigidì in maniera impacciata, seguendo la proposta di Joel. Si sentì a disagio, e pensò soprattutto che quello non era il genere di lavoro per cui era stato ingaggiato.

«Noto che sei di poche parole.» la voce serena di Joel lo distolse dai propri pensieri. Bradley alzò lo sguardo in direzione di Joel, sperando insolitamente di guardarlo negli occhi. Non fu così fortunato, dovendosi accontentare soltanto del suo profilo bellissimo piegato con concentrazione sulla schiena dell'uomo. Le sue parole erano attutite dal fastidioso rumore elettrico riavviato.

«Più o meno.» rispose Bradley assicurandosi di tenere ben stretto il pugno sinistro in tasca.

«È un nuovo alunno?» domandò con sofferenza il cliente sul lettino sottoposto all'arte di Joel. Questo scosse piano la testa e mugugnò serenamente, rispondendo: «No, è qui per aiutare me e Sam a tenere ordinato questo porcile. Però ho fatto un pensierino sul fatto di insegnargli a tatuare...»

Bradley si irrigidì di soppiatto, contrario all'idea; «Oh no, non so assolutamente disegnare, non fa per me.»

«Impossibile, tutti ci riescono, basta soltanto fare pratica.» rispose Joel leccandosi le labbra con concentrazione. Bradley non rispose, esponendo il silenzio che tanto si era ripromesso di evitare, senza nemmeno accorgersene.

«Se proprio non ti piace disegnare potresti considerare i piercing.» propose Joel con la stessa dolcezza. Lavorare tutto il giorno con aghi e bisturi a portata di mano, pensò Bradley, non era affatto una buona idea.

«Non mi piacciono gli aghi...» rispose timidamente, quasi mortificato.

«Secondo me hai solamente bisogno di fumare un po' di roba, ragazzo.» aggiunse improvvisamente il cliente di Joel.

«Ma sta zitto, quella la lasciamo tutta a te, non è così Bradley?» Joel fermò per un breve momento il suo lavoro, rivolgendosi a Bradley che non poté fare a meno di entrare in collisione con i suoi occhi chiari.

La voce di Joel formulava il suo nome quasi fosse una canzone, il titolo di una melodia intraducibile e perfetta. Bradley rischió di rispondere ancora con il proprio silenzio, solo che quel sorriso roseo nel volto scarlatto di Joel lo smosse improvvisamente. Focalizzò più attentamente i nuovi particolari del suo viso, scrutando il tatuaggio di piccole dimensioni sotto l'occhio sinistro, una lacrima grigia dal contorno leggero.

«Già.» gli si pose sorridendo, per la prima volta dopo un'infinità di tempo, senza fingere la propria debole serenità. Le loro labbra sollevate aspettarono ancora un po' prima di spegnersi, guardandosi con tutti gli occhi del mondo. Joel gli ammiccò con l'occhio sinistro, quello che possedeva la cornice della lacrima d'inchiostro, ritornando al lavoro minuzioso nel disegnare quei contorni sulla pelle ampia dell'uomo. Bradley deglutì abbassando di poco il capo con timidezza, annebbiato dall'effetto che quel tatuaggio sul viso di Joel continuò a suscitare in lui per tutto il giorno. Il negozio si riempì del profumo candido di Bradley che soltanto Joel, però, riuscì a sentire.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Il fatto che Leif si offrisse spesso di accompagnare Bradley al lavoro era, come già detto e ripensato mille e mille volte, un agio prezioso. Bradley non ringraziava l'amico, rimaneva nella propria riservatezza muta e fredda, scambiando solo con gli occhi un eccentrico segnale di gratitudine a Leif, poco prima di scendere dall'auto ed entrare nello studio di tatuaggi. Tutta quella premura da parte degli unici due amici del moro, ergo, Delilah e il ragazzo dalle fattezze corvine, era scaturita da una motivazione non di certo trascurabile. Lo notavano ormai a vista d'occhio, senza aver nemmeno bisogno di gettare attenzionare troppo il braccio sinistro di Bradley. Le nocche ed i polpastrelli colorati di un rosso cremisi dal sangue bollente avvampato per colpa delle medicazioni troppe strette all'altezza del polso e del dorso della mano, difficili da nascondere persino con la felpa larga. Bradley stava peggiorando troppo velocemente, gli capitavano spesso periodi simili di ricaduta, dove per aiutare la sua testa a sbarazzarsi di quell'arto bastavano anche semplicemente i denti, o le unghie. Capitava non molto di frequente però che si martoriasse a tal punto da rischiare serie infezioni o lacerazioni profonde, e quando ciò accadeva devastando ancor peggio quella pelle sottile e bianca di vecchie cicatrici nessuno era in grado di attenuare il calvario di Bradley. Già gestirlo normalmente, tutti i giorni, quando si limitava -per così dire- a tagliuzzare qualche lembo di pelle un po' lì, qualche pezzetto sulla spalla, un taglio sul gomito, era estremamente complicato, figuriamoci quando traboccava di impeto violento in modi simili. Delilah aveva contattato parecchie volte la famiglia di Bradley per pregarla di aiutare il figlio, per spiegare ai genitori le condizioni di salute del ragazzo e soprattutto della sua precaria situazione mentale. Aveva provato in tutti i modi a far riavvicinare perlomeno la madre, perché sapeva che il solo aiuto di Leif ed il suo non sarebbe stato sufficiente. Ma i coniugi Wolfe si limitavano ad arricciare il naso in un'espressione sdegnata, facendo increspare la fronte rugosa e percossa dalla stanchezza del tempo e dalle disgrazie vissute. Delilah aveva tentato di insistere quanto poteva, fino a quando l'uomo dagli occhi scuri che aveva dato il cognome a Bradley, alzando la voce con rabbia ringhiò in cagnesco una frase del tipo: «Non voglio più avere quel frocio malato tra i piedi!»

Delilah era passata sopra quel tipo di risposta per due volte soltanto, la terza, e anche l'ultima in cui si era presentata alla loro porta mandandoli categoricamente al diavolo. Qualche imprecazione, un insulto poco cordiale e alla fine di tutto un calcio alla siepe ben curata della signora Wolfe, e poi Delilah aveva sbattuto la portiera della sua auto, messo in moto e abbandonato per sempre i tentativi di un nuovo tipo di rapporto tra genitori e figlio.

Quando, appunto, Bradley aveva le sue gravi ricadute, né Delilah né Leif erano in grado di trovarne un’effettiva ragione, un fattore scatenante che avrebbe potuto innescare quell'improvviso peggioramento. Si limitavano quindi a tenerlo d'occhio più spesso possibile, così da accorgersi tempestivamente delle ferite gravi, seppur difficili da individuare.

Il sesto giorno di lavoro di Bradley iniziò con un saluto in auto da parte di Leif, e poi un altro ancora da Samuel allo studio, e come ultimo quello di Joel. Quest’ultimo però non dava il benvenuto, ormai abituale, a Bradley con un semplice sorriso e un'alzata di mano da lontano, così da lasciarlo subito al suo lavoro; Joel lo sentiva arrivare quando la porta di vetro del negozio si chiudeva, sempre allo stesso orario, esattamente alle nove meno dieci della mattina. Non un minuto più non un minuto meno. Dalla prima stanza del corridoio, quella in cui lavorava agli stencil al computer, Joel aveva immediatamente imparato il rumore dei passi di Bradley. Le sue vans un po' consumate e sporche, di un colore blu scuro strisciavano appena sul parquet, picchiettando il tallone sulla soglia della porta, nell'atto di chiuderla. Bradley non rispondeva al saluto di Sam a parole, ma semplicemente sorrideva e annuiva, certe volte accennando un gesto timido e amichevole con il capo. Il ragazzo afroamericano non se la prendeva, aveva capito che quello era il carattere di Bradley e che in quel silenzioso ventitreenne, educato e sempre sulle sue, non c'era segno di antipatia o sgarbo. Così, anche senza sentire la sua voce, Joel lo riconosceva, ed in quei sei giorni di permanenza al negozio non aveva mai sbagliato una volta a riconoscere i passi di Bradley.

Poi si alzava dalla sua postazione comoda, circondata da piccoli soprammobili raffiguranti teschi e bizzarri pupazzi dall'aspetto macabro, tutti collezionati da Samuel. Joel abbandonava il proprio lavoro senza dimenticare il punto preciso e minuzioso a cui era arrivato; chiudeva la porta scorrevole della piccola stanza e subito si immetteva nell'entrata abbastanza ampia in cui si era appena presentato Bradley. Lo abbozzava per un istante esaminando ogni suo dettaglio, che fossero i capelli lunghi sciolti o raccolti in un piccolo chignon, la felpa larga e scura, i jeans strappati sulle ginocchia o sulle cosce, o addirittura le scarpe che di solito erano sempre le stesse. Bradley gli sorrideva con i denti bianchi e perfetti, arricciando di poco il naso si sforzava a non strizzare troppo gli occhi, colmi di tenero entusiasmo. La barba un po' chiara nascondeva le fossette sulle sue guance, così Joel poteva permettersi di sorridergli liberamente senza doversi preoccupare di apparire troppo buffo con quei solchi sul viso. Si avvicinava a Bradley, allungava una mano per poggiarla sulla spalla del ragazzo e lo salutava porgendogli entrambe le guance. Aveva immediatamente fatto caso alla minuziosa attenzione che Bradley riservava al lato sinistro del proprio corpo, sempre attento a proteggerlo, ad evitare spigoli e ad allontanare qualsiasi tipo di contatto fisico con le persone. Joel era l'unico ad essersene accorto, perché lo guardava attentamente come se avesse dovuto disegnarlo e imparare meglio ogni sua linea. Guardava Bradley quando entrava, quando si dirigeva discretamente verso lo stanzino per prendere i prodotti disinfettanti per le macchinette per tatuare, quando facevano la pausa pranzo e allora il moro si sedeva timidamente per i fatti propri e mangiava un sandwich in silenzio. Lo guardava, poi, prima che se ne andasse, che finisse di lavorare e di pulire. In quel momento Joel lo guardava meglio negli occhi piuttosto che addosso. Perciò in sei giorni aveva imparato a non sfiorare Bradley dalla parte sinistra del corpo senza rinunciare a quel gentile gesto di saluto, anche se osare una carezza d'affetto sul braccio destro indisponeva il moro, Joel lo faceva comunque, già che aveva capito che da quella parte poteva farlo.

 

Era quasi trascorsa una settimana da quando Bradley si destreggiava senza fiatare tra i lavori di pulizia e l’agenda dello studio. Joel, come si era ormai preso d'abitudine, appena lo sentì entrare gli andò incontro salutandolo con due baci sulla guancia, educati e amichevoli, e quella pacca gentile sulla spalla di Bradley diventò invece una flebile carezza attraverso il tessuto caldo della felpa. Bradley se ne accorse, lo guardò corrugando le sopracciglia e senza nemmeno avere il tempo di mettere a fuoco gli occhi azzurri di quello davanti, ricevette da lui un gesto ammiccante notevolmente provocatorio. Bradley si morse l'interno della guancia, sforzandosi di sorridere, ma soprattutto di far non trasparire imbarazzo impacciato. Abbassò immediatamente lo sguardo, scavalcando Joel abbastanza velocemente, con le mani cacciate nella tasca della felpa. Samuel assaporò con divertimento tutta la scena, pensando alle battute scherzose che avrebbe fatto a Joel più tardi, che in quel momento era troppo impegnato a seguire Bradley.

«Se ti va oggi per la pausa pranzo possiamo andare a mangiare qualcosa qui vicino.» propose a Bradley da dietro, sorridendo nella speranza di essere guardato dal ragazzo sportosi sulle mensole del piccolo sgabuzzino, alla ricerca di un prodotto chimico, ormai dimenticato per colpa della presenza ambigua del biondo.

«Ti ringrazio, ma non posso.» gli rispose con voce rauca, continuando a dargli le spalle.

Per tutta la sua breve permanenza in negozio loro due avevano scambiato sì e no qualche saluto o chiacchiera breve, sempre su iniziativa di Joel. A Bradley quella proposta fece raggelare il sangue per il timore e l'insicurezza ormai cronica nel suo carattere.

«Spero di non averti frainteso, ti infastidisco?» continuò Joel con voce serena.

Bradley si voltò verso di lui mortificato, quasi a dover chiedere scusa per avergli fatto pensare una cosa simile. Joel gli si era avvicinato troppo e gli occhi di Bradley non dovettero nemmeno indirizzarsi al viso dell'altro, a pochissimi centimetri di distanza da lui. Stringeva al petto in entrambe le mani il contenitore trasparente di pomata disinfettante da sistemare nel tavolino da lavoro, mettendo così in evidenza senza farci proprio caso la mano sinistra, ferita e arrossata da un lungo taglio. Iniziava la sua diagonale dallo spazio molle tra l'indice e il medio fino al dorso, all'altezza del polso.

Joel non poté fare a meno di accorgersene, preoccupandosi di quella brutta ferita così vistosa e fresca, priva di medicazioni.

«Ti sei tagliato, lì sulla mano. Ti fa male?» gli chiese preoccupato, avvicinandosi con premura. Bradley avrebbe voluto scomparire, si sentì pervaso dal terrore e dalla mortificazione, pietrificato, sudò freddo. Era riuscito fino a quel momento a non far accorgere delle ferite alla mano, aveva tentato in tutti i modi di evitare di ferirsi in quel preciso punto, spostando tutta la propria attenzione sul bicipite, ma la sera prima si era sentito sull'orlo di un attacco di panico e con la lama di una forbice da cucina, nascosta tra i panni sporchi per non farsela confiscare da Delilah, si era tagliato in quel preciso punto. Si sarebbe staccato le dita in quel momento, voleva togliere gran parte di quel braccio, almeno le prime falangi, con il polso non vi sarebbe mai riuscito solamente con quello strumento, ma provarci con un dito avrebbe dato i suoi frutti. Con l'indice magari? Oppure con il miglio, così piccolo e delicato. Un pezzetto alla volta, iniziando dalle dita magari sarebbe riuscito a disfarsi della mano, e poi del braccio, e poi ancora dell'avambraccio. Cristo, quanto lo odiava quel dannato arto, pensare e ripensare di tagliarlo, di rimuoverlo, di bruciarlo e farlo a pezzetti era era la sua mania peggiore, la notte non poteva che sognare di annegare nel suo stesso sangue, senza più quella parte della sua malattia, ma con il sorriso in volto.

Alla constatazione di Joel si ficcò immediatamente la mano incriminata in tasca, con gli occhi lucidi dal panico. Spinse piano con la spalla destra quella di Joel, per passare, per divincolarsi da quel muro fatto dal corpo del ragazzo ed essere in grado di poter fuggire da lui e prendere aria.

«Tutto bene?» gli chiese ancora Joel preoccupato, voltandosi verso di lui ma senza seguirlo.

«Si, mi sono soltanto tagliato mentre preparavo la cena, niente di grave.» gli rispose velocemente.

«D'accordo. Allora oggi, per il pranzo?»

«Ti ringrazio ancora, ma non posso accettare, davvero, sarà per la prossima volta.» ripeté ancora Bradley a distanza, per rispondergli senza essere più scortese di quanto non lo fosse già stato. Deluso, ma con sguardo tenero, il ragazzo pieno di tatuaggi gli annuì, sorridendogli ancora;

«D'accordo, sarà per la prossima volta.»

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 

Bradley entrò in negozio come ormai stava diventando d'abitudine; dal temuto episodio della scoperta della propria ferita Joel e Bradley non avevano avuto altre occasioni di rivolgersi anche una sola di quelle poche parole che, sotto sforzo, il tatuatore tirava fuori per attaccare bottone e che a suo malgrado non avevano avuto l'esito da lui sperato. Bradley ritornò all'ingresso dopo essere andato a prendere il disinfettante spray per iniziare il proprio lavoro, accorgendosi della prolungata assenza di Samuel alla reception. Era entrato senza trovarlo alla sua solita postazione, immaginando che il ragazzo fosse indaffarato a tatuare qualche cliente che di buon'ora si era presentato allo studio, ma la presenza di Joel alle sue spalle smentì tutto.

«Buongiorno Bradley. Oggi Sam si è preso un giorno libero, gli appuntamenti sono dimezzati quindi potrai tornare a casa prima.» disse Joel sorridendo, prevenendo la domanda del ragazzo nell'accorgersi di quell'assenza. Non pensò di essere stato troppo diretto, ogni ripensamento banale venne cacciato via dall'espressione gentilmente silenziosa del moro.

«Bene.» rispose Bradley sforzandosi di sorridere, con le mani basse e ben nascoste. Joel si avvicinò a lui con due passi, accompagnato da movimenti leggeri, mentre i suoi occhi chiari rimasero incollati a quelli indispettiti di Bradley. Il ragazzo dalla felpa scura aggrottò le sopracciglia buffamente, sorridendo piano con le labbra carnose e scarlatte. Joel deglutì alla vista di quella sorprendente reazione, scaturita soltanto da un suo gesto involontario che lo portava sempre più vicino al moro. In solitudine, solamente tra loro due, parve che Bradley fosse più a suo agio, in una maniera che Joel durante tutti i giorni che si erano susseguiti in quel posticino vivace non aveva mai visto.

«I primi clienti arriveranno dopo la pausa pranzo, così ne approfitterò per lavorare agli stencil, e chissà, anche per fare due chiacchiere con te.» gli disse Joel, forse troppo vicino al viso di Bradley che indietreggiò lievemente.

«Hai per caso qualche problema agli occhi?» gli domandò ridendo Bradley, con ingenuità quasi infantile. Joel storse il naso divertito, scrollando la testa con fare spiritoso.

«Perché?» gli chiese aprendo le braccia con dolce goffaggine, alzando il tono di voce con irresistibile dolcezza. Bradley strinse le labbra, trattenendosi dal non ridere e voltando di poco il capo verso l'alto roteando gli occhi.

«Perché ogni volta che mi guardi te ne esci con qualche occhiolino sghembo, oppure gli occhi ti iniziano a brillare.» rispose Bradley sghignazzando sotto i baffi.

«Oh beh, la colpa è tua, è perché sei bello.» Joel sussurrò quella frase senza malizia o solito ammaliamento che metteva in atto nella speranza di conquistare qualcuno. Le sue parole nacquero con sincerità, dolcemente. Solitamente Bradley avrebbe evitato di percepire una risposta simile, si sarebbe imbronciato nel silenzio e sarebbe andato via, ma davanti a Joel, che con la sua espressione docile e gioiosa colorata dai tatuaggi a disegnare tutto il suo collo, non potè fare a meno di tenersi ancorato vicino a quel ragazzo.

«E questa frase dove l'hai letta? Su qualche libro per adolescenti?» lo canzonò Bradley senza offenderlo, al contrario con un pizzico di dolcezza ancora in voce, quella stessa che appariva rauca e profonda ma ricca di omonime tenerezze cortesi. Con lo sguardo basso Bradley superò Joel dirigendosi verso l'ultima stanza, dove lo attendeva il suo lavoro di pulizia poco impegnativo. Lasciò da solo Joel nel proprio entusiasmo ingenuo e spropositato per essere riuscito a scambiare qualche parola con lui. Pregò mentalmente Samuel di prendere più giorni feriali così da poter rimanere solo con Bradley ancora e ancora.

Senza pensarci due volte Joel lo seguì con la scusa di lavorare ad un bozzetto proprio lì in quella stanza che stava per essere profumata, seduto sullo sgabello di pelle nera con le spalle contro il muro e le gambe accavallate così da poter tenere fermo l'album da disegno all'interno del ginocchio piegato.

«Mi hai seguito di proposito? Di solito non disegni qui.» disse Bradley come se nulla fosse, continuando a pulire con minuziosa attenzione il carrello metallico su cui erano poggiati i vari tubetti di inchiostro colorato, usando esclusivamente la mano destra, lasciando la sinistra in basso a tenere il disinfettante.

«Sei loquace oggi. In ogni caso io mi metto all'opera dove mi porta la mia ispirazione.» rispose Joel alzando il mento con voce scherzosa.

Bradley si voltò verso di lui, dritto al centro della stanza, con i capelli poco in disordine davanti agli occhi.

«E dove la trovi l'ispirazione qui dentro? Nell'odore di primavera della pezza umida?» lo canzonò Bradley senza rendersi conto della fluidità in cui il loro discorso si stava immergendo, non facendo caso alla naturalezza con la quale stesse dialogando con Joel, che senza troppe pretese lo aveva messo a proprio agio con una spontaneità tale da far credere a chiunque fosse entrato in quella stanza che i due si conoscessero da tutta la vita.

Joel donò tutta la propria attenzione a Bradley, alzando il capo verso di lui con espressione fiera e calma, l'album dalla copertina rigida ancora in mano e una matita tra le dita.

«Da te, tu ispiri la mia arte.» gli rispose, facendo improvvisamente calare il silenzio.

Tra di loro in quel particolare giorno fatto di dialogo amichevole tutto aveva preso una strada dritta e priva di ostacoli finché quella risposta svoltò in un burrone, in cui Bradley cadde portando con sé anche Joel.

Joel sorrise, mordendosi il labbro inferiore e picchiettando l'estremità della matita sul blocco schizzi, in attesa di un'altra sorprendente risposta da parte di Bradley. Il moro deglutì, poggiando i propri attrezzi per pulire sul tavolo splendete. Tirò con se un altro sgabello nero con le ruote, trascinandolo sotto di se fino a quando non si fermò difronte a Joel, sedendosi abbastanza lontano. La schiena ricurva in avanti verso il tatuatore, il peso del busto sostenuto dal braccio destro poggiato sul ginocchio con il gomito e la mano a penzoloni tra le gambe, mentre il sinistro rimase flesso con la mano nella tasca della felpa.

«Tu ci stai provando come me cazzo.» gli disse aggrottando la fronte, con tono scherzoso ma seccato.

«Cosa te lo fa pensare?» gli domandò vagamente Joel, con spiritosaggine.

«Che ti ha detto Delilah su di me? Che sono gay? Ti ha parlato di Wolfgang? Della mia famiglia? Ti ha per caso raccontato la tragica storia di un ragazzo con gravi problemi di...»

«Stai calmo, stai dicendo tutto tu, Delilah non mi ha raccontato niente di tutto questo.» Joel lo interruppe per calmare la rapidità con la quale Bradley sbottò quell'elenco di informazioni a lui sconosciute, notando immediatamente il suo nervosismo. Bradley quasi arrossì, sentendosi un vero idiota a sbandierare nel giro di pochi istanti tutta la sua vita, il suo passato e i suoi problemi. Per una volta Delilah gli aveva dato retta e non aveva impietosito nessuno con la triste storia della sua vita.

«Scusami, è che non sono molto socievole con le persone, è sempre complicato per me approcciarmi.» mormorò Bradley vagamente, stanco.

«Questo l'ho notato, sta tranquillo. Non ho bisogno di sapere i tuoi problemi per conoscerti, almeno non per il momento.» rispose Joel con naturalezza.

«Grazie.» borbottò il moro, abbassando lo sguardo. Joel sospirò con il naso, piano, in maniera felice e comprensiva. Portò la matita in bocca poggiandola tra i denti per pochi secondi, una scusa perfetta per guardare meglio Bradley, solo che questa volta Joel non era il solo ad esaminare quel qualcuno di fronte a lui. Bradley fece lo stesso con il tatuatore. Non poté fare a meno di notare il vistoso tatuaggio che abbelliva il dorso della mano destra di Joel, che teneva la matita sulle sue labbra. Un teschio ben sfumato con gli incavi oculari scuri, ombreggiato da marcate sfumature. Tutt'intorno ad esso, accentuato dai particolari dettagliati sul cranio crepato, una composizione di colore rosso riempiva tutta la pelle fermandosi sulle nocche e sul polso dove iniziavano altri disegni. Sulle falangi aveva dei piccoli tratteggi stilizzati di oggetti che apparivano schiariti, tanto che Bradley non riuscì a distinguerli bene, soprattutto per la distanza della sua visuale. Joel indossava una canotta larga nera, con il logo dei Nirvana stampato su in giallo. Lui le mostrava con vanto, le sue braccia. Ettari interi di pelle dipinta per sempre da mille e mille ancora disegni. L'attenzione di Bradley stava per esaminare il susseguirsi di tatuaggi che scendevano dal braccio destro, quando Joel lo abbassò con naturalezza, tenendo la matita ancora tra l'indice e il medio.

«Ora sei tu quello che ci prova, mi stai squadrando da capo a piedi.» gli disse richiamando la sua attenzione con un sorriso provocatorio. Bradley trasalì, mettendosi dritto sul posto e facendo fatica a non apparire imbarazzato.

«Stavo solo guardando tutti quei disegni che hai addosso.» rispose quasi freddamente.

«Ti piacciono?» gli domandò Joel.

Braley emise un verso d'approvazione vago, dicendo: «Sono ben fatti.»

Joel sorrise solleticandosi la gola, scuotendo il capo con tenerezza.

«Non pensare che io sia come la maggior parte dei tatuatori che si riempiono di tatuaggi a casaccio, magari per esercitarsi o per estetica. Tutti i miei tatuaggi hanno un significato.» Joel se ne vantò con dolcezza.

«Non ci credo.» disse Bradley serrando le labbra.

«Te lo giuro!» fece lui scherzosamente, portandosi una mano sul cuore. Bradley lo guardò con disappunto divertito, alzando un sopracciglio.

«D'accordo, uno soltanto me lo ha fatto Sam mentre eravamo fatti, ma è piccolissimo.» ammise Joel ridendo.

«E quanti tatuaggi hai?» domandò curioso Bradley, tenendosi sempre un po’ sulle sue.

«Duecentosette.» rispose lui soddisfatto. Bradley rimase sorpreso da quel numero esatto, non riuscendo ad immaginare la proporzione reale di tutti quei tatuaggi su un corpo, non riuscendo a classificarli in quantità come tanti o eccessivi. Ne immaginò le dimensioni, i soggetti, i colori e la datazione, tutti addosso a Joel, che aveva fatto del proprio corpo una tela.

«Wow, sono tanti.» gli rispose pensieroso.

«Vuoi vederli?»

«Vedi! Ci stai provando di nuovo!» sbottò Bradley divertito, mettendosi dritto e facendo ridere sonoramente Joel.

«Allora che ne dici di andare a cena fuori domani sera? Così potrò provarci con te tutto il tempo, se vuoi.» propose Joel con coraggio. Bradley rimase con il fiato sospeso a quella proposta, forse stava correndo troppo, forse stava dando improvvisamente un’eccessiva confidenza a quel ragazzo. Eppure si trovava così bene con lui, Joel era talmente spontaneo e sincero che Bradley non vide alcun tipo di malizia o scusa per approfittarsi di lui. Pensò ai consigli di Delilah e Leif e si ammonì di doverli ascoltare, di dare una nuova svolta alla propria vita e di riprenderla in mano, anche se con molti sforzi. Bradley annuì sicuro, rispondendo: «D'accordo, vada per domani sera, ma ciò significa che oggi dobbiamo continuare a comportarci amichevolmente.» si alzò in piedi e riprese i propri attrezzi per lavorare.

«È troppo sdolcinato presentarmi all’appuntamento con un mazzo di fiori?» gli domandò Joel con una felicità innata nel petto che sfociò nella sua espressione gioiosa.

«Per prima cosa non è un appuntamento, e poi con dei fiori saresti il principe azzurro più smielato di Brooklyn.» rise Bradley imbarazzato.

«Come dovrei chiamarlo allora?»

«Direi più cena tra dipendente e capo, una cosa tra amici.» rispose vagamente il moro.

«Vada per i fiori allora!» gioì Joel saltando in piedi per andare nel suo studio. Non diede il tempo a Bradley nemmeno di controbattere quella risposta allegra, lasciando il ragazzo da solo nella stanza a sorridere. Per un attimo Bradley si rese conto di non aver minimamente pensato al suo braccio e a quanto il martirio recato da esso lo divorasse secondo dopo secondo. Era stato soltanto grazie a Joel, tutto merito delle sue parole, dei suoi sorrisi, se quel dannato arto aveva fatto silenzio nella mente di Bradley.

Il ragazzo ebbe quasi paura quando constatò che Joel era stato più prepotente della sua malattia.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


L'acqua sgorgò gelida dal lavello della sua spoglia cucina mentre Bradley imprecò a bassa voce, con le mani infreddolite dal getto debole sulle mani; quella destra si limitò ad irrigidirsi, la sinistra prese a bruciare nelle ferite più recenti ancora sanguinolente e sull'inizio di deboli infezioni.

Quel fine settimana parve assumere un'atmosfera più calma e quasi piacevole, al contrario della solita routine cupa e triste che il silenzio di Bradley alimentava. Sembrava un film in cui in una scena breve e monotona il sottofondo musicale basso intona una melodia da ascoltare in pace. Bradley indossava una t-shirt di almeno due taglie più grandi, straordinariamente a maniche corte. In casa azzardava a liberarsi delle sue enormi felpe che gli coprivano del tutto il braccio maldestro. Era sabato, ciò stava a significare che lo studio di tatuaggi non avrebbe riaperto fino a lunedì, dato che gli affari permettevano ai due proprietari di poter prendere due giorni di riposo. Joel e Samuel non si dispiacevano affatto di poter prendere il weekend intero per staccare un po', e dei loro orari lavorativi anche Bradley ne approfittava, per stare in casa e isolarsi nuovamente nella propria malinconia. 

Dopo aver lavato un piatto di ceramica scheggiato Bradley lo ripose nella credenza ancora gocciolante, come se fosse di fretta. Aveva trascorso la mattinata a letto dormendo fino all'ora di pranzo, dopo una notte insonne passata a gestire la propria depressione che alla fine aveva avuto la meglio lasciandolo in uno stato di autocommiserazione tale da non dargli neanche la forza per mettere in atto altri tentativi di rimozione del braccio. Quando si era svegliato si era trascinato in bagno, a piedi scalzi anneriti dal suolo sporco. Vide il proprio riflesso sul piccolo specchio lercio da qualche schizzo d'acqua asciutto, che non fece altro che gravare l’intorpidimento del suo volto stanco. Enormi occhiaie gli scavavano il viso, la barba poco lunga e scura, i capelli scompigliati e attaccati sulle tempie da un po' di sudore freddo per l'agitazione che i continui incubi gli avevano recato quella notte. Bradley sospirò, abbassò gli occhi per allontanarsi il più possibile da quel riflesso, nel tentativo di distaccarsi da se stesso. Si spogliò velocemente con agitazione, infilandosi sotto il getto più o meno caldo della doccia. L'acqua colò lungo tutta la faccia, i capelli spinti indietro, fradici e poco insaponati ancora. Il corpo nudo lievemente puntellato dalla pelle d'oca per il debole freddo sulla spina dorsale, e il braccio sinistro disteso lungo il fianco quasi fosse già morto. Lo alzò di riflesso per risciacquare lo shampoo rimasto sulla testa, quando una ferita al bicipite lo fece trasalire dal dolore. Era una reazione a catena, le sue ferite gli facevano male, il dolore lo tormentava anche se Bradley riusciva a sopportarlo, ma quel continuo assillo lo faceva uscire di testa e scaturiva ancora di più il suo intento, la sua disperata ricerca dell'amputazione. Lo aveva detto a Leif; «Visto?» si era lamentato nervosamente con le lacrime agli occhi, le mani sporche di sangue e la disperazione nella voce; «Visto? Mi faccio male, è sempre tutto peggio, è colpa del braccio se devo stare così male, quindi perché non posso toglierlo? Sarebbe tutto perfetto se non ci fosse, davvero, perfetto.»

Ma perfetto non lo sarebbe mai stato, e Bradley lo sapeva perché per anni si era rivolto a diversi medici per provare ad autorizzare l'amputazione, ma nessuno aveva mai accettato una tale responsabilità. Dopotutto era un paziente clinicamente sano, il suo disturbo era a livello mentale, non avrebbero mai eseguito un simile intervento senza una motivazione specifica, quale fosse una cancrena o altre complicazioni altrettanto gravi da portare ad una decisione talmente estrema. Avevano affidato il caso di Bradley a diversi psichiatri, che non videro mai presentare alle loro sedute il paziente.

E mentre rifletteva su quegli spezzoni di vita in rivolta Bradley guardò il proprio arto bagnato dalle gocce d'acqua tremare per la frustrazione. La gola gli si chiuse in preda alla disperazione e alla sua bocca si avvicinò il braccio. Uno scatto con la mascella e il sangue iniziò a colare nello scarico del piatto doccia, proveniente da quel morso ripetitivo. E Bradley aveva stretto forte i denti intorno alla propria carne quel sabato, da solo, nel suo appartamento. Il sapore metallico tra le gengive scendeva giù per la trachea e la dentatura tra la pelle, scavata, percossa, come la sua vita decomposta lasciava un nuovo segno. Era l'unico modo per definire la sua esistenza, Bradley era un corpo con una parte in decomposizione sin dall'infanzia. Era vivo per metà, ma non nel senso in cui molte persone intendono, con il dolore interiore o altro; Bradley sentiva di appartenere allo stadio biologicamente terminale del corpo, anche se solamente un pezzo stava marcendo per colpa di quel braccio, e vige una sostanziale differenza tra vivere e sopravvivere. Si morse fino a quando non sentì più dolore perché il lembo di pelle toccato dalla sua lingua perse del tutto la sensibilità diventando bianco. I segni profondissimi e sanguinolenti dei canini e degli incisivi creavano delle pieghe quasi armoniose. Bradley singhiozzò, tirando il capo indietro facendo ricadere l'acqua della doccia lungo il collo, reggendo il braccio ferito e teso leggermente verso l'alto, immobile. Eccola lì la differenza: sopravvivere lo portava allo sfinimento.

 

L'acqua del lavello gli aveva quasi fatto raggrinzire i polpastrelli a furia di ripensare a quanto accaduto quel giorno sotto la doccia, ma il profumo del detersivo al limone per i piatti gli mise addosso uno strano senso di serenità, seppur l'odore fosse pungente e nauseabondo. Si sedette sul vecchio divano del piccolo salotto, con qualche molla fuori posto che emetteva un cigolio fastidioso. Al suo fianco stava una piccola cassetta di latta con una croce rossa stampata sopra poco sbiadita. Bradley la aprì con la mano destra, tenendo quella sinistra sulle gambe in bella vista, muovendo lentamente le dita che formicolavano. Oltre alla miriade di sfregi scuri sulla pelle la sua svogliata attenzione dovette concentrarsi sul morso dato quella tarda mattinata, che dopo quasi tutto il pomeriggio passato a lasciarlo riposare, distraendosi davanti al televisore che recepiva scarso segnale, e a mangiare qualche avanzo, non era migliorato. Per miglioramento Bradley intendeva una colorazione più rosea della carne compromessa, eppure i segni profondi di quel morso erano ancora troppo evidenti, e il rossore sanguinolento aveva preso una tonalità gialla e grigiastra tra i lividi. Sospirò seccato, gettando con noncuranza un bel po' di disinfettante sulle altre escoriazioni, che bruciarono fastidiosamente. Ne tamponò le parti più umide con un batuffolo di cotone ed infine applicò su tutta la superficie un grosso cerotto ospedaliero bianco. L'operazione svelta fu non poco dolorosa, e Bradley si rese conto che il cerchio di pelle bianca al centro della cornice di denti era ancora poco sensibile e pallido. Tutto quello spettacolo non gli fece tanto piacere, aumentando la sua graduale depressione che presto lo avrebbe portato ai suoi abitudinari peggioramenti. Avrebbe dovuto chiamare Leif e Delilah, sarebbe dovuto andare in ospedale e farsi medicare non solo quella più recente ferita, ma anche alcune profonde e non del tutto rimarginate. Si morse il labbro inferiore e sospirò dal naso, sommerso dai propri pensieri, quando guardò il display del suo vecchio smartphone nero e lesse un messaggio da parte di Joel.

Aveva completamente messo in secondo piano il vero intento di quella doccia, programmata per darsi una ripulita per l'invito a cena di Joel. Bradley voleva radersi la barba, rendere più presentabili i propri capelli e scegliere qualche felpa meno scolorita, ma quel morso lo aveva annullato. Il suo braccio, la sua malattia, lo avevano intrappolato ancora. Si era completamente dimenticato della sua vita, l'aveva messa da parte per il dolore ancora una volta.

E Joel probabilmente lo aveva sentito soffrire, Bradley non sapeva come spiegarselo; il tatuatore nutriva una particolare attenzione nei suoi confronti, e ogni qualvolta che Bradley nella sua solitudine commetteva un atto di autolesionismo a Joel arrivava il pensiero concreto di quel misterioso ragazzo. Nessuno dei due era in contatto, nessuno dei due parlava, si guardava o si toccava, però Joel arrivava sempre a prendere per mano il dolore di Bradley e farlo allontanare. E Bradley lo assecondava, senza nemmeno rendersene conto. Chissà, magari tra loro c’era davvero un legame spirituale creato dall’universo a loro insaputa. 

Bradley mise da parte il disinfettante e lo scatolino di carta dei cerotti, e con un sorriso serrato afferrò il cellulare. Sbloccò velocemente lo schermo così da visualizzare il messaggio che gli diceva;

 

-Ti a spetto sempre per il solito orario

È una domanda?-

 

-Non proprio, ma se non hai nulla di meglio da fare io sono già di fronte al locale.

 

Bradley sgranò gli occhi, sorpreso e quasi imbarazzato.

 

Sul serio?-

 

-Mi piace arrivare in anticipo.

-Allora, sei soltanto puntuale o anche a te piace anticipare?

 

Bradley si guardò intorno, il suo piccolo appartamento in disordine era un buco in cui regnava il caos più totale, e addosso aveva uno straccio qualsiasi preso a casaccio dal misero guardaroba. Ebbe dei veloci ripensamenti, il timore e l'insicurezza gli si sedettero accanto per scoraggarlo, ma alla fine si diede una smossa. Non avrebbe lasciato andare a rotoli le cose per il suo maledetto disturbo, avrebbe invece cercato di passare una piacevole serata in compagnia di quel mezzo estraneo, così gentile e disponibile verso i suoi confronti, e perché no, anche un bel po' carino.

Con il pollice della mano detersa digitò velocemente la sua risposta, che arrivò a Joel;

 

Metto qualcosa di più presentabile e sono da te.-

 

Persisteva un piacevole odore di pane caldo mentre Bradley camminava a passo svelto nel tramonto della città. Sui marciapiedi grigi centinaia di persone gli passarono accanto, tante facce tutte diverse che la memoria di Bradley avrebbe cancellato all'istante. Le sue mani erano sempre nascoste nelle tasche della felpa, questa volta non esageratamente larga, ma scolorita poiché costretta a continui lavaggi per smacchiare il sangue in alcuni punti. Gliel'aveva regalata Leif per il compleanno e per tale motivo la utilizzava per le occasioni più importanti. Gli calzava a pennello quasi fosse un capo davvero elegante; dopotutto Bradley era una bellezza rara, seppur trascurato e indebolito dal dolore presentava sempre dei tratti affascinanti, sia nel viso spigoloso che sul fisico snello e scolpito. Il suo corpo non era di certo un tempio, a suo malgrado lo definiva un cimitero, che comunque è un luogo sacro ma privo di grazia.

 

 Pochi isolati più avanti avrebbe raggiunto il locale in cui Joel lo stava aspettando chissà da quanto tempo. Tuttavia la mente di Bradley aveva l'impellente necessità di concentrarsi su qualcosa, qualsiasi cosa, perché quando i suoi pensieri si rilassavano e non infuriavano tra mille ragionamenti frivoli il tormento sul suo braccio veniva a soffocarlo. Per non perdere la calma e distrarre l'iniziativa di sbattere il braccio contro uno cesto dell’immondizia arrugginito, Bradley guardò ancora il flusso di gente che continuava a camminare per i fatti propri. Socchiuse leggermente le labbra carnose respirando piano, riuscendo a sentire intorno a sé non più il vocio flebile della città ma il proprio fiato. Il suo pensiero ormai era totalmente rivolto a quei visi estranei e sulla loro pelle. Quanti avrebbero potuto avere dei tatuaggi simili a quelli di Joel? In mezzo a quelle persone doveva pur esserci qualcuno che aveva una lacrima nascosta sotto gli occhiali da sole, o un teschio sbiadito sul dorso della mano che rovistava nello zaino. Rischiava di uscire di testa più del necessario pensando a tutti i tatuaggi del mondo che potessero prestargli un pezzetto di Joel. Ed era tutta colpa di quest’ultimo, dei suoi duecentosette tatuaggi che Bradley bramava di osservare. Voleva sapere ogni loro significato, voleva analizzarne i dettagli o imperfezioni, capire quali gli piacessero e quali no. Joel lo aveva accolto nel suo mondo dove l'oceano era inchiostro e la terra pelle. Bradley era sopraffatto da quella dimensione in cui era riuscito a scorgere i primi particolari nello studio in cui lavorava, e proprio con Joel voleva ampliare i propri orizzonti.

Camminando in silenzio pensò ancora una volta ai milioni di disegni nel mondo paragonati al numero delle stelle nell'universo, e pensò a tutte quelle stelle sul corpo di Joel che sostituivano i suoi duecentosette tatuaggi. Batté le palpebre per ritornare alla realtà quando sentì chiamare il suo nome da lontano. Il silenzio che si era creato svanì, l'attenzione di Bradley si rivolse alla voce sempre più vicina, e poi lo vide. Semplicemente Joel, vestito con una camicia bianca ben abbottonata, dei pantaloni da cerimonia blu scuro sorretti da delle bretelle del medesimo colore con in mano un mazzo di rose. Gli sorrise avvicinandosi a lui e Bradley rimase fermo a ricambiare l’allegria senza fare ancora rumore, guardando i suoi occhi che racchiudevano la creatività e la bellezza di tutti e duecentosette i suoi tatuaggi.

 

Timidamente Bradley trasalì camminando verso Joel, già venutogli incontro abbastanza vicino. I capelli castano chiaro tirati indietro con del gel, la barba scura ben sfoltita sul viso e le labbra color della primavera ad evidenziare la sua tenerezza. Con la mano non occupata a tenere la composizione di fiori Joel accarezzò la nuca di Bradley tastando la lunghezza dei suoi capelli morbidi. Si spinse verso il suo viso senza essere insistente o persuasivo e lo salutò come era solito fare, con un bacio per guancia poggiando le labbra sulla pelle pallida di Bradley. Lui rimase impietrito per l’imbarazzo finché Joel non si allontanò dal suo volto e con gentilezza lo invitò ad entrare nel locale in cui avrebbero cenato. In fin dei conti non era un ristorante di lusso, anzi, una semplice tavola calda con vista sulla strada della città. 

 «Qui fanno i migliori hamburger di tutta Brooklyn!» gli disse scherzosamente Bradley una volta seduti intorno ad un tavolo per due, uno di fronte all'altro in attesa del proprio ordine. Sul piccolo tavolo era appoggiato il mazzo di rose bianche legate da fiocco rosso. Bradley abbassò lo sguardo imbarazzato quando gli occhi di Joel si concentrarono sempre di più su di lui.

«Te l'avevo detto che non avresti dovuto.» disse Bradley riguardo le rose, con timidezza divertita.

«Troppo sdolcinato?» imitò Joel con tono scherzoso, ringraziando con un sorriso la cameriera che aveva portato i vassoi con i loro ordini.

«Già.» annuì Bradley in una debole risata, mentre afferrava con la mano destra il proprio panino.

Joel masticando allegramente alzò un sopracciglio, quello il cui l'occhio era decorato con la lacrima grigia, facendosi osservare bene da Bradley.

«Usi solo una mano, l'altra è morta per caso?» la domanda di Joel fu ingenua e priva di cattiveria, anzi, un tentativo di rompere il ghiaccio, ma Bradley si irrigidì. Cambiò subito espressione ingoiando la porzione di quello che stava masticando. Strinse il pugno sinistro tra le gambe, il braccio era poggiato sul corpo con fastidioso dolore e alla domanda di Joel le parole quasi rischiarono di sfuggirgli dalla bocca, trattenute solo dall'enorme angoscia che lo aveva inghiottito. Gli avrebbe riposto volentieri: «Magari fosse morta, sto facendo di tutto per ucciderla.» Ma i suoi occhi persero l'attenzione serena che avevano acquistato grazie alla presenza di Joel, che era stato capace anche di renderlo il solito groviglio di silenzio e freddezza. Joel notò immediatamente l'umore drasticamente mutato di Bradley, che a quella domanda non proferì riposta. Smise di mangiare e con voce seria e rammaricata gli disse:

«Ho detto qualcosa di stupido, non è vero?»

«Oh no, sta tranquillo.» gli rispose Bradley velocemente, scrollando il capo con la fronte corrugata. Il fatto di far sentire colpevole Joel per qualcosa di cui non era a conoscenza e di lasciarlo in balìa dei suoi personali demoni fece sentire Bradley ancora più insignificante, ma non abbastanza da rovinare quell’appuntamento così piacevole.

«Ti chiedo scusa per qualsiasi cosa io abbia detto senza capire di averti ferito. Ecco, per questo non ti ho ascoltato quando mi hai detto di non portare i fiori, già sapevo che mi sarei dovuto far perdonare per una figura di merda!» gli disse Joel corrugando le sopracciglia con rammarico.

Bradley sorrise, cancellando un po' di amarezza.

«A te capita mai di pensare ad un universo parallelo?» gli domandò Joel bevendo con la cannuccia la propria cola.

«Scusa?»

«Intendo, immaginare una realtà parallela dove sta accadendo tutt’altra cosa.»

«Guardi troppi film.» gli rispose divertito Bradley, pulendosi le labbra con un tovagliolo.

«No, davvero, immagina un universo dove in questo momento i suoi rispettivi Bradley e Joel sono insieme, proprio come noi adesso. Immagina che quel Joel non abbia messo a disagio il povero Bradley...» la pronuncia di Joel affibbiò una cadenza elegante ed irresistibile al nome del moro.

«E’ tutto okay davvero.» ripeté Bradley.

«D’accordo, ma riflettici un attimo! Magari stanno facendo un picnic nell’incantevole giardino di Monet a Giverny!»

«Non credo di averlo presente.» gli fece notare Bradley, divertito e curioso di sapere altro su quel racconto.

«Non temere -disse Joel ridendo, e continuò- immagina d’essere a soli settanta chilometri circa da Parigi, seduto sulle sponde di un lago attraversato da un ponte giapponese. Intorno a te si ergono maestosi salici piangenti, e tu stai seduto proprio all’ombra della loro chioma.»

Quel paesaggio onirico ben presto si materializzò nella fantasia di Bradley, che tese l’udito e continuò ad ascoltare Joel; «Il Joel di questo universo parallelo fa notare a quel Bradley l’odore umido della peonia, ma soprattutto dei gigli cresciuti proprio lì vicino a loro.»

«E cosa ci sarebbe di così eccezionale tra questi Joel e Bradley? Il privilegio di stare nel giardino di un vecchio pittore?» chiese il moro per stare al gioco.

«No, l'attrazione che li unisce. In questo universo parallelo loro esplorano i segreti della natura e dell’arte, ma nessuno può comprenderli. Solamente loro custodiscono le scoperte fatte. Altrimenti per quale motivo Joel avrebbe portato Bradley fin lì?»

«Perciò stai dicendo che anche noi siamo attratti, cioè secondo la tua teoria i Joel e i Bradley di tutti gli universi hanno un legame.» la voce di Bradley non fece terminare la frase con una cadenza interrogativa. Jole annuì con dolcezza, sorridendogli quasi si fosse vergognato.

«È bello da pensare. Magari tre quarti di loro vive nell'idillio dell’arte mentre il resto, in cui siamo compresi noi, ancora si regala dei fiori. E in questo momento, nell'universo parallelo del giardino di Monet magari Bradley e Joel stanno mangiando rane e lumache chiacchierando.» 

«Tu sei matto.» mormorò Bradley, non riuscendo a smettere di manifestare il proprio entusiasmo divertito come una nuvola soffice tutta intorno a loro. 

«Diciamo che mi piace viaggiare con la fantasia.» Joel fece spallucce poggiando i gomiti sul tavolo. Bradley abbassò lo sguardo e si concentrò sulle sue mani. Joel aveva un tatuaggio per ogni falange, scolorito dalle tonalità tra il grigio e il verde. Le unghie delle dita medie erano tinte da smalto nero mangiucchiato ai bordi con i denti. Bradley studiò con attenzione i dieci tatuaggi su ogni falange. Si soffermò troppo tempo su quei piccoli scarabocchi consumati, distraendosi dall'altro disegno sul palmo della mano, vistoso a tal punto da poter vederlo soltanto con la coda dell'occhio. Poi si accorse che proprio quelle mani si stavano avvicinando di più a lui. Bradley non credeva che Joel fosse fuori luogo o ridicolo. Che il tutto fosse alimentato da un palese interesse nei suoi confronti era quasi divertente, solitamente certi comportamenti infastidivano Bradley, gli ricordavano di mantenere le distanze in modo da non creare legami, per poter mandare via chiunque dai suoi comportamenti e soprattutto per la sua malattia. Lei allontanava sempre chiunque, ma non stava riuscendo a fare lo stesso con Joel. Per quanto Joel provasse ad avvicinarsi in maniera esasperatamente carina a Bradley non ricevette subito un rifiuto dalla personalità fredda e distaccata del moro.

La comfort zone di Bradley fu di molto oltrepassata, e ciò lo portò a nascondere anche la mano destra sotto il tavolo, e a stringere il polso di quella sinistra, sorreggendola perché stanca e indolenzita. La nascose dalla vista di Joel per evitare che, magari, il tatuatore fosse così sfacciato da allungare una delle sue e toccarlo. Le rose erano sufficienti per rendere il tutto egregiamente romantico, Bradley si sarebbe trovato troppo in imbarazzo a rimanere mano nella mano con Joel.

«Joel Hall credo che per questa sera lei ci abbia provato abbastanza con me.» gli disse scherzosamente Bradley con voce flebile.

«Come desidera signore, posso accompagnarla fuori?» lo imitò Joel alzandosi in piedi e porgendogli la mano con fare buffo. Bradley abbassò il capo ridendo a bassa voce. Guardò Joel negli occhi, vividi di dolce contentezza. Gli sorrise con i denti bianchi e le labbra piene, increspò le sopracciglia teneramente e seguì le indicazioni di Joel.

Fuori per le strade l'aria fresca della sera accompagnava il rumore di sottofondo del traffico e della corrente di gente che continuava a camminare sui marciapiedi, ad attraversare le strade, ad intrattenersi dentro i locali. Bradley, con le mani ben strette in tasca, mantenne il passo sicuro e allegro di Joel, standogli di fianco.

«Ti va qualcosa da bere?» gli domandò Joel voltandosi a guardarlo.

«Evito di bere.» mormorò Bradley non mostrando nessuna espressione, nascosta dalla penombra della strada.

«Oh no, intendevo qualcosa come un milkshake al cioccolato, o un frozen yogurt.» sorrise il tatuatore.

«Il frozen yogurt si beve?» chiese divertito il moro.

Joel fece spallucce in maniera quasi infantile, tendendo il labbro con innato fascino; «Dipende, se lo lasci sciogliere puoi berlo con la cannuccia! Te ne prenderò una rossa, per il tuo milkshake.»

«Non sapevo che le cannucce avessero un colore preciso per ogni cliente.» Bradley stranito si voltò verso Joel piegandosi di poco più vicino alla sua spalla.

«Stai parlando con un tatuatore, io abbino qualsiasi colore a qualsiasi cosa per rendere la composizione più armoniosa.»

«Sei strano.» commentò Bradley guardando dritto un lampione in fondo alla strada.

«Senza la stranezza il mondo sarebbe tutto bianco, immagina che apatia. Ci sono io a mettere un po' d'inchiostro colorato qua e là. Nella mia vita ho tatuato centinaia e centinaia di persone, che rimarranno colorate per sempre. Ci pensi?» Joel rallentò il passo e indicò con il braccio teso un uomo dall'altra parte della strada, intento a lavorare con i fili di un piccolo generatore di un negozio. L'uomo sul punto di imprecare si voltò per sbaglio verso la strada, notando quasi immediatamente Joel. Lo sconosciuto sorrise e salutandolo con un gesto della mano.

«Lui è Paul, gli ho tatuato il nome di sua figlia sul braccio e qualche tempo dopo una falena sulla schiena.» disse Joel.

«Perché una falena?» chiese Bradley.

«Che posso dirti, gli piacciono gli insetti.» Joel salutò un'ultima volta Paul e ritornò a camminare, seguito da Bradley. 

«Visto? Tantissime persone come Paul prima erano tutte bianche, grazie a me nella loro monotonia c'è un po' di colore.»

«È un bel pensiero.» commentò Bradley con un filo di voce. Joel gli sorrise con le labbra serrate, strizzando gli occhi in maniera dolce. Bradley si bagnò le labbra, sfilò dalla tasca la mano destra e si portò una ciocca di capelli lunghi dietro l'orecchio. Joel trasportava con premura il mazzo di rose, mantenendo la distanza tra le loro braccia in modo da non essere né troppo lontano e né troppo vicino. Percepiva il bisogno di Bradley di avere una certa distanza ma allo stesso tempo poteva sentire la debole voglia del ragazzo di assecondare un sottile contatto. Joel attraversò la strada, lasciando in silenzio Bradley. La meta misteriosa scelta da Joel lo incuriosì come fosse un ragazzino.

Concentrato a seguire Joel, a stargli dietro e a non perdere di vista la schiena del ragazzo, suo punto di riferimento, Bradley non si accorse della strada da lui imboccata, ritrovandosi in un parco buio illuminato solamente da qualche lampione. Era deserto; le poche panchine di legno lasciate vuote, gli alberi verdi rigogliosi mossi piano dal vento ad accarezzare le foglie. Joel lo chiamò in piedi qualche metro più avanti, mentre Bradley era rimasto fermo a guardare intorno per orientarsi e soddisfare le proprie manie di controllo. Se non riusciva a gestire il proprio corpo si era ripromesso almeno di concentrarsi su ciò che lo circondava.

«Andiamo Bradley, seguimi!» lo chiamò ad alta voce, facendogli segno con la mano di percorrere quel breve tratto di sentiero in mezzo al verde. Bradley si trovò in un fascio di aria fresca e lievemente umida, con le scarpe che calpestavano l'erba bagnata. Vide Joel seduto su di una panchina di cemento priva di schienale, di un colore chiaro ma puntellata di mille parole scritte sulla superficie con un pennarello indelebile di colore nero. Joel gli sorrise con estrema tenerezza, invitandolo ancora una volta a fidarsi di lui. Bradley deglutì e si sedette accanto al ragazzo. A separarli c'era una distanza che ricopriva tre volte la mano di Joel tra di loro. L'aveva scelta Bradley quella precisa precauzione, anche se il suo braccio sinistro era al sicuro sul lato dell'estremità opposta della panchina non riusciva a sentirsi a suo agio a star troppo vicino a Joel, specialmente da fermo.

Joel si chinò verso il terreno, allungò una mano sotto la lastra di cemento e poi ritornò subito dopo a sedersi dritto, attirando l'attenzione sempre più curiosa del moro. Tra le mani Joel teneva una moleskine con la copertina rigida un po' rovinata ai bordi. I fogli ingialliti erano rovinati e spiegazzati da qualche orecchione, l'umidità aveva fatto raggrinzire la carta, rendendo così maggiore lo spessore irregolare del piccolo blocco per disegni. Joel lo aprì direttamente sulla pagina bianca a cui era arrivato dopo l'ultimo lavoro, superando tutti gli altri numerosi schizzi che Bradley riuscì ad intravedere di sfuggita. Dalla copertina posteriore Joel prese una piccola penna bic spezzata a metà e se la mise tra le dita.

«Cos'è?» Chiese Bradley, non riuscendo a tenere per sé quella curiosa domanda.

«Un piccolo angolo di disegno. Quando sono in giro e improvvisamente ho un lampo di ispirazione corro qui e mi metto a disegnare. Non sono un tipo che porta sempre dietro una sacca con degli album e delle matite colorate, perciò ho scelto questo mio personale posto silenzioso dove stare in tranquillità.» spiegò Joel voltandosi con il capo nella sua direzione. Vide il profilo perfetto di Bradley delineato da un sottile contorno della luce dei lampioni, che ne accentuò anche la profondità degli occhi e il colorito delle labbra. Alcuni capelli gli ricaddero sulla guancia ruvida per la barba corta, così castamente che Joel dovette fermarsi per non allungare una mano e portare via da quel quadro perfetto le ciocche marroni.

«Ti ho già detto che sei un tipo strano?» scherzò Bradley a bassa voce, guardando in terra e sorridendo raucamente. Joel scosse la testa e si unì a quel breve istante di serenità, incapace di allontanare gli occhi da Bradley. 

«E che ispirazione hai avuto in questo momento per venire qui?» fece Bradley con espressione sarcastica ma stanca, rivolgendosi finalmente verso Joel che trasalì quando lo vide frontalmente. Si bagnò le labbra, picchiettò la penna di plastica contro il quaderno e lo studiò.

«Credevo di averti già detto che riesci ad ispirarmi in una maniera quasi incontrollabile.» disse.

«Non cambi proprio, sei sempre troppo smielato.» aggiunse Bradley. Joel poggiò il mazzo di rose nello spazio tra di loro, come un confine delicato e naturale che nonostante la sua bellezza ingenua e ipnotica non avrebbe mai dovuto essere superato.

Joel non rispose all'affermazione di Bradley, concentrandosi insistentemente sulla pagina bianca della piccola tela tra le sue mani. Il moro lo guardò mettersi all'opera ma la mano di Joel creava così velocemente quelle linee di inchiostro nero da non riuscire a capire, nell'oscurità della sera, quale fosse esattamente il soggetto del disegno. Dopo un paio di minuti Joel si calmò, rinvenuto come da un ipnosi che lo aveva del tutto incantato nel proprio lavoro. Guardò Bradley che alzò lo sguardo sul suo viso.

I loro occhi erano galassie blu che si collidevano nello spazio.

Joel sorrise timidamente, chinando il capo verso le sue mani dove stava il quaderno aperto. Con cautela, come se stesse porgendo un pezzo di pane ad un cane impaurito, diede a Bradley il cumulo di fogli disegnati, che vennero presi con insicurezza gentile dalla mano destra del moro. Bradley socchiuse le labbra e si lasciò attrarre dal disegno sotto i suoi occhi, composto in maniera orizzontale.

C’erano due volti in miniatura ma perfettamente in proporzione, rigorosamente incastonati e obbligati a seguire le regole del realismo anatomico. Erano profili, uno dei quali ritratto dal vero, sul momento. Il primo era certamente Joel, lo si capiva dalla forma del naso, dalla barba folta, dall'ombreggiatura leggera delle labbra e dal taglio degli occhi semichiusi, brillanti per un leggero tocco di inchiostro che donava lucentezza all'iride. Di fronte a lui, distanze in maniera quasi vuota e bisognosa, il secondo soggetto, che era Bradley. Tutto era perfettamente fedele alla realtà, di una bellezza singolare e magnifica. La spigolosità della mascella, la rotondità del mento, la piega del labbro e la linea del naso perfetta. L'increspatura della fronte dolce, innocente e tenera, dava spazio un po' più giù, dopo la forma delle sopracciglia, agli occhi chiusi di Bradley, allungati dalle ciglia morbide. I capelli erano corti ed il viso liscio, privo di barba, ma cosa più importante fu l'espressione serena. Era Bradley ma non veramente era lui; Joel lo aveva ritratto come appariva nel suo ideale, senza conoscere il particolare più importante, ovvero la sua malattia. Joel aveva rappresentato Bradley senza la sua malattia, e per la prima volta dopo anni Bradley riuscì a riconoscere se stesso, ad avere malinconia per come sarebbe potuto essere se la decomposizione non lo avesse inghiottito.

Nello spazio che divideva i loro visi perfettamente in equilibrio con la linea d'orizzonte, in prospettiva e da lontano si potevano notare due mani, estremamente particolarizzate, perfettamente sfumate, una meravigliosa rappresentazione. Quella sinistra appartenente Bradley era morbida, rivolta delicatamente verso il soggetto di fronte a sé, con i polpastrelli verso l'alto, e le dita armoniose. Quella di Joel invece si accingeva a sfiorare il palmo dal basso, senza stringere la mano di Bradley.

Bradley rimase con le labbra ancora semichiuse, la gola secca e gli occhi incollati al disegno. Joel si godette ogni impercettibile emozione suscitata dal suo lavoro su di Bradley, in silenzio senza disturbarlo. Indicò il disegno con gli occhi, anche se Bradley non lo stava guardando in viso.

«Questi sono Bradley e Joel dell'universo parallelo. Stasera loro si sono presi per mano, noi no, ma non fa nulla, perché su questo disegno è come se fosse davvero successo.» disse Joel, di nuovo oggetto dell'attenzione emozionata e timida di Bradley.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Il sangue continuava a colare sui piedi. Lunghe scie calde impossibili da fermare. Bradley aveva chiamato Delilah, lei glielo aveva raccomandato mille volte di dirle quando la situazione gli sfuggiva di mano proprio come in quel momento. I sedili posteriori dell'auto della donna erano imbrattati di rosso, chiazze larghe come sulla maglietta di Bradley, gocce schizzate persino sul suo viso, a tingerli il petto e a colorargli i pantaloni.

Delilah parcheggiò l'auto di fronte all'entrata del pronto soccorso, mentre Leif continuò a premere forte il groviglio di stoffa sporca, che era la sua giacca, sulla ferita dell’amico.

Il ragazzo c'era ricaduto ancora, d'altronde, come avrebbe potuto smettere?

Era sempre colpa di quello specchio in bagno, scheggiato ai bordi e offuscato dal calore. Quando Bradley lavava il viso con l'acqua fredda o spazzolava i capelli, o ancora, accorciava di poco la barba, non puntava gli occhi sul suo viso, immediatamente questi vagavano più in basso, sulla spalla incriminata.

Quella sera sul lavello dai bordi bagnati, vicino al dentifricio, era poggiata una lima per unghie in metallo dalla punta affilata. La mano destra l'aveva stretta dal liscio manico di plastica azzurro, fino a coprire quasi del tutto la lunghezza piatta e sottile. Avrebbe potuto fermarsi, se solo avesse ragionato, sarebbe bastato semplicemente posare il piccolo oggetto e scappare via da quello specchio. Ma attraverso il riflesso, in quell'altra dimensione, Bradley vedeva se stesso fatto a malattia. Ventisette pugnalate alla spalla, ripetute, cariche di forza e isteria. Ventisette singhiozzi, ventisette paure, ventisette vergogne, ventisette colpe.

Altri ventisette secondi da sopportare della propria vita.

Aveva colpito così in profondità, sempre nello stesso punto, da aver reso la ferita di una larghezza più o meno sottile, ma dalla profondità pericolosa. Alla fine, dopo ventisette colpi dati con una forza immonda, la lima si era spezzata in due, e la parte superiore di questa era rimasta incastrata nel profondo squarcio annacquato di sangue. Bradley si percosse altre due volte ancora prima di capire che l'attrezzo si era rotto, sentendo la lama muoversi nella profondità del muscolo. Urlò a denti stretti per la collera ed il nervosismo, gettando il manico della lima dentro al lavandino, facendo schizzare così varie gocce di sangue tutte sulla parete. Si aggrappò al bordo del servizio liscio con la mano sinistra stringendo con il massimo delle sue forze la superficie. La sua razionalità gli fece capire che quell'oggetto non sarebbe potuto rimanere lì dentro, e che in un modo o nell'altro avrebbe dovuto tirarlo fuori. Bradley conficcò due dita nella ferita, allargandola gradualmente così da aumentare la copiosa perdita di sangue che ormai gli aveva imbrattato tutto il braccio. Spinse le dita più in fondo, le serrò quando la durezza della lima gli scivolò sui polpastrelli, ma ogni volta che gli pareva di averla finalmente afferrata, in procinto di tirarla fuori, a Bradley scivolava via per rimanere ancora incastrata dentro di lui. Bollente di frustrazione, con gli occhi lucidi e le labbra martoriate dai morsi il ragazzo si precipitò in cucina, sedendosi a capo tavola con un coltello in mano. Poggiò il braccio sinistro sulla tavola, accanto ad un pacco di sandwich ancora lì sopra dalla cena. Strinse il pugno, incollò il mento sulla spalla e con quello strumento da cucina lucido e poco affilato riprese a scavarsi la carne, per allargare la ferita così da poter arrivare meglio al pezzo della lima per unghie. Fatto ciò lavorò ancora tra la propria carne, ad infilarci dentro quasi tutte le dita, fino a quando non fu in grado di togliere quel corpo estraneo. Tirò un sospiro di sollievo quasi felice quando osservò tra le proprie mani quel ferretto arrugginito intriso di sangue.

Di sangue però la casa era piena, più del solito.

Per terra, tutto sotto il tavolo, sulla tovaglia, sui suoi abiti, sulla sedia, e poi continuava a uscire fuori come se provenisse da una fonte. Bradley ne lasciò uscire ancora un po', con un sorriso stanco e speranzoso in viso. La prima cosa che pensò fu quella di far scorrere l'emorragia, magari qualche terminazione nervosa non avrebbe retto, non si sarebbe potuta riparare così finalmente avrebbero tolto via quel braccio.

Però squillò il cellulare, dimenticato poco prima proprio sul tavolo. Bradley scorse il nome di Delilah sul display ed impallidì di colpo. Era come se la ragazza sapesse esattamente quando cercalo al momento più opportuno. Lasciò squillare a vuoto il proprio cellulare, più volte l’amica lo telefonò mentre Bradley rimase inerme a fissare un punto indistinto di fronte a sé. Il sangue scendeva ancora, tanto, ma lui non cercava di rimediare nemmeno premendo con il palmo sulla ferita. 

Quando Delilah smise di tentare a rintracciarlo, e il suo braccio sinistro divenne del tutto rosso come se fosse avvolto da una manica brillante, Bradley trasalì e si rese conto di ciò che aveva fatto.

Prese il cellulare, chiamò Delilah e le spiegò per telefono tutto ciò che era successo, con voce apparentemente calma e immune al dolore, lievemente frastornata dal rimorso e dalla sofferenza dei continui errori. Il morso al braccio non era ancora guarito, i tagli profondi sulla mano si mostravano rosei e sbalzati, mentre i diversi lividi gli coloravano ancora il gomito e il bicipite. Soltanto che tutto era sporco di sangue, e non si vedeva più.

Era sempre la solita storia, che si ripeteva in continuazione.

Una squadra di infermieri che lo accoglieva all'entrata del pronto soccorso; due o quattro quando era più grave. Facevano sdraiare Bradley su di una barella, anche se lui diceva di poter camminare da solo, che ce la faceva a stare in piedi. Pulivano il sangue su tutto l'arto, gli infilavano qualche ago nelle vene per le analisi e gli stringevano al polso un braccialetto di plastica con i propri dati personali.

Bradley Wolfe: condannato a morte ma non ancora processato.

Era stato sottoposto ad un antitetanica, avrebbe dovuto subire un intervento in anestesia locale per riparare le lesioni più profonde al muscolo, ma Bradley si era rifiutato, e così gli infermieri del pronto soccorso si erano adoperati a medicarlo lì sul momento, su un lettino nascosto da tende bianche.

Una vistosa benda gli avvolgeva la parte alta del braccio fatto a brandelli; il centro della candida medicazione era rosso, mentre il resto della pelle più o meno pulita dal sangue ormai secco, e sfregiata dalle cicatrici, era tinta di un colore arancione e puzzava di disinfettante scuro. Delilah era entrata e uscita dalla piccola stanza almeno una ventina di volte, durante e dopo l'applicazione dei punti, per parlare con i medici della patologia di Bradley e per spiegare la sua storia clinica, facendo le veci di un familiare pronto a gestire la situazione. Leif invece era rimasto con l'amico. Le due infermiere di mezza età passate a controllare Bradley avevano lasciato soli i due, così il ragazzo dai lunghi capelli neri si era alzato dal proprio sgabello vicino al letto di Bradley, porgendosi verso di lui.

Bradley era sdraiato supino con i capelli scompigliati lungo il cuscino bianco, coperto fino al petto con un lenzuolo leggero e il braccio sinistro disteso lungo il materasso.

«Ti rendi conto di quello che stai facendo?» disse Leif rompendo il silenzio.

«Non ho bisogno che tu mi faccia la predica.» mormorò in risposta Bradley, voltando il capo da un lato.

«Porca puttana, davvero, non so più cosa fare con te.» imprecò l'amico, passandosi una mano tra i capelli e agitandosi sul posto.

«Non voglio essere un peso per nessuno, ve l'ho già ripetuto mille volte, potete benissimo allontanarvi da me.»

«Credi davvero che ne saremo capaci? Stupido coglione, lasciarti da solo mentre ti riduci a brandelli quel fottutto braccio e aspetti di morire. Cristo Brad, perché non ti lasci aiutare? Perché non possiamo accompagnarti da uno psichiatra? Perché non puoi cercare di vivere?»

«Tutto sarebbe diverso senza il braccio.»

Leif fu sul punto di rispondergli, ma si limitò a mimare delle parole senza voce, nervoso ed esasperato, consapevole del fatto che qualsiasi cosa avrebbe potuto dire era già stata detta in passato, e che prendersela con Bradley non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose. Sospirò sonoramente, avvicinandosi di nuovo al letto, vicinissimo, si sedette su di uno sgabello e poggiò i gomiti sul materasso prendendo la mano destra di Bradley tra le sue.

«Ti prego Brady, ti prego smettila, non possiamo più vederti così.» sussurrò Leif, portandosi le mani alle labbra, tra cui era racchiusa quella di Bradley. Il moro lo guardò negli occhi celesti, un nodo alla gola quasi lo strozzò.

«Lo so, e vi chiedo perdono, ogni singolo giorno di questa vita io spero di ottenere il vostro perdono.» rispose con un filo di voce rauca e abbattuta dal dispiacere.

«Non c'è nulla da perdonare, tu non hai nessuna colpa, ma ti scongiuro smettila, provaci almeno, noi non ti abbandoneremo mai. Lasciati aiutare, lasciacelo fare.» lo pregò Leif increspando la fronte con tenerezza apprensiva. Bradley si inumidì le labbra screpolate con la punta della lingua, alzando gli occhi verso l'alto per trattenere le lacrime.

«È difficile Leif, sul serio, lo è da morire.» 

Quando il ragazzo si accorse che la resistenza di Bradley stava per crollare si sporse verso il suo viso, stringendogli le guance tra le mani morbide e ossute adornate con qualche anello in argento. Gli avvicinò le labbra sottili alla fronte sudata e poi gliela baciò con amorevole affetto, facendo sorride l’amico sotto di lui.

«Lo so tesoro, lo so.» Leif gli si allontanò, continuando a tenere l'attenzione di Bradley verso di sé con le mani ancora sul viso; «Però tu sei forte, sei tanto forte. Come pensi di far colpo su quel bel partito di Joel se continui così?» scherzò con il suo solito fascino brillante, facendo appassire ancora di più Bradley.

Quel suo impulsivo attacco era stato parecchio più invasivo e grave delle sue solite crisi autolesioniste. Bradley aveva ricevuto una trasfusione di sangue per stabilizzare i valori e permettere la somministrazione dei medicinali per prevenire il tetano, visto che complessivamente aveva perso quasi due litri di sangue. Non sarebbe potuto tornare al lavoro prima di quattro giorni, senza contare la cura per punti e la cautela per le infezioni. Una ferita tanto grave per uno come Bradley era più pericolosa in fase di guarigione che appena inflitta. Qualcuno avrebbe dovuto tenerlo sotto controllo notte e giorno per impedirgli di togliere i punti o infettare la ferita, evitando di prolungare il suo calvario. 

E Joel?

Da quando lui e Bradley erano stati a cena fuori e Joel gli aveva parlato con la sua solita dolcezza di universi paralleli, Bradley proprio non era riuscito a toglierselo dalla testa. Era uno di quei pensieri esclusivi che a pensarci lo facevano sorridere piano.

Bradley non era innamorato di lui, tantomeno il suo scopo era di portarselo a letto oppure giocare a flirtare come un ragazzino. Non aveva certezze nel suo disastro di vita, però aveva Joel, e adesso avrebbe dovuto spiegargli il motivo della sua assenza e del suo infortunio.

 

«Non voglio far colpo su nessuno, sai benissimo com'è andata a finire con Wolfgang.» rispose Bradley fissando severamente l'amico negli occhi.

«Oh ti prego, pensi ancora a quello stronzo?» si lamentò Leif, infuriato.

«Conosci la storia...»

«Quel bastardo, giuro che...»

«Cosa? Sta calmo, ormai non c'è più nulla che tu possa fare.»

Leif annuì in silenzio, con gli occhi assottigliati e l'espressione sospetta, preoccupato e allo stesso tempo pieno di rabbia. Il discorso riguardante Wolfgang, l'ex ragazzo di Bradley, era tabù, peggio persino della sua malattia. Il loro rapporto era stato malsano, marcio e violento e né Leif né Delilah avevano mai amato particolarmente quell'uomo. Il ragazzo dai capelli lunghi lanciò un'occhiata minacciosa a Bradley, per poi essere distratto dalla presenza di Delilah che finalmente era riuscita a raggiungere l'amico.

Gli si precipitò incontro, preoccupata e stanca. Anche lei, in un gesto protettivo come aveva fatto poco prima Leif, strinse tra le mani il viso di Bradley e gli lasciò un bacio rumoroso su una guancia. Il moro chiuse gli occhi quasi fosse un bambino e poi si lasciò squadrare da capo a piedi.

«Ti fa male?» domandò la ragazza, le labbra carnose ed il naso all'insù, pallida dallo spavento. Bradley scosse la testa in risposta, ma lei parve star peggio.

«Avresti dovuto rispondere prima alle mie chiamate.» aggiunse, sedendosi ai piedi del letto.

«Non ho sentito il telefono squillare.» mentì.

Delilah si passò una mano tra i folti capelli lunghi fino alle spalle. Roteò gli occhi scuri e tornò a rivolgersi al moro;

«Bruno sta sistemando la stanza degli ospiti, tra poche ore verrai dimesso e i medici mi hanno raccomandato di tenerti sotto controllo.» spiegò Delilah.

«Non voglio disturbare te e Bruno.» la voce di Bradley aveva un tono amaro e mortificato.

«Disturbarci? Sei sempre silenzioso, forse saremo noi a disturbare te.» la ragazza sorrise accarezzandogli una gamba attraverso il lenzuolo.

In quei momenti di fuga dalla malattia, in cui alla fine Bradley veniva sempre sbattuto in ospedale quando le ferite venivano richiuse e il sangue smetteva di colare, i tre amici riuniti intorno ad un lettino dimenticavano tutto e tornavano ad essere complici.

Però Bradley aveva un pensiero fisso, un macigno che gli opprimeva il petto.

«Delilah, potresti spiegare tu a Joel? Per il lavoro insomma.» le disse, intimorito.

«Sta tranquillo, non c'è alcun problema.»

«Grazie.»

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Quando Bradley si lasciò sistemare le lenzuola addosso da Delilah la casa della ragazza era illuminata dal sole del tardo pomeriggio. Delilah conviveva con Bruno da pochi mesi, i due passavano le proprie giornate al lavoro ma quella casa ordinata e accogliente offriva loro ogni sera un punto di ritrovo romantico e quieto. Tutto il contrario del posto in cui Bradley alloggiava e chiamava appartamento.

Delilah a rimboccò le coperte a Bradley quasi fosse un bambino. I motivi erano due; per primo il fatto che lei volesse così bene a Bradley, che proteggesse così tanto la sua vulnerabilità, da assumere un comportamento istintivamente premuroso nei suoi confronti, e, in secondo luogo, che il desiderio di maternità della donna la spingeva ad essere maggiormente puntigliosa. Delilah reprimeva questa sofferenza con il suo carattere apparentemente forte, ma sia Bruno che Bradley sapevano perfettamente quanto lei soffrisse del fatto di non poter avere figli. Bruno la consolava sempre, le diceva che in qualsiasi altro modo l'avrebbe amata e che quella sua impossibilità non avrebbe cambiato le cose tra di loro. Ma Delilah ci stava male, era un po' come se anche lei avesse quel braccio continuamente martoriato, una zavorra tanto simile a quella di Bradley.

In fondo, tutti hanno un dolore costante ed inguaribile nella propria vita.

Delilah era sterile, Leif era stato adottato e Bradley era malato, deteriorato fino all'osso. Tra tutti però, Bradley era quello a detenere il podio per la croce più pesante.

Sdraiato su quel letto comodo nella stanza dalle pareti chiare, con i mobili distribuiti ordinatamente in quello spazio che di sicuro Delilah avrebbe tanto voluto adibire per un bambino; il profumo delle candele per ambienti si spargeva dal corridoio fino alle stanze di tutta la casa. Bradley era stato da poco dimesso dal pronto soccorso, la notte insonne in quel posto in continuo movimento lo aveva reso più nervoso e demoralizzato di quanto già non fosse. La ferita era stata bendata, cucita come fosse stoffa. Tutti si premuravano di impedire a Bradley di infettarla, riaprirla o causarsi altre contusioni, ma nessuno ascoltava le grida strazianti che il suo sguardo emetteva, pregante di aiuto.

L'amica gli sorrise, fece in modo che i cuscini morbidi su cui Bradley era poggiato con la schiena non si afflosciassero, gli scostò una ciocca di capelli lunghi dietro all'orecchio e poi lo rassicurò sul fatto che sarebbe tornata presto, che andava semplicemente a fare una doccia.

«Non ti muovere da questo letto, e soprattutto evita di farti male.» Delilah lo aveva ammonito con voce severa, pur avendo già nascosto tutti gli oggetti contundenti della casa in prossimità dell'arrivo momentaneo di Bradley, anche prendersi un momento per darsi una ripulita e lasciarlo così da solo la intimoriva. Bradley era capace di qualsiasi cosa, tranne che vivere.

«Credo che farò una dormita, tu sta tranquilla.» la rassicurò lui, fingendo un sorriso stanco. Delilah serrò le labbra rosee, aggrottò la fronte ed annuì, con la medesima stanchezza che aleggiava tra di loro. Si alzò dal letto, seduta poco prima al fianco di Bradley, e si diresse in corridoio fino ad arrivare nella propria stanza da letto dove si chiuse nel bagno privato.

Ecco che regnò nuovamente quel silenzio, quel suono graffiante che divorava la carne di Bradley.

Gli veniva da piangere, ma trattenne le lacrime. Avrebbe voluto graffiarsi fino a staccarsi le unghie, ma pensò a Delilah, Leif, e infine a Joel.

Proprio quel ragazzo gli solleticava in continuazione i pensieri. E Bradley si sentiva così stupido, così ingenuo a ricadere in quell'oblio di attrazione amorosa in cui era stato inghiottito una sola volta, e che aveva soltanto peggiorato la sua malsana esistenza.

Ma Joel era diverso, anche se Bradley pensava la stessa cosa la prima volta che conobbe Wolfgang, in quel caso sapeva perfettamente che il tatuatore era una persona completamente diversa da quell'uomo che aveva chiamato compagno, e che aveva provato ad amare. Bradley però aveva paura di tendere la mano verso Joel e provare a rapportarsi con lui, non voleva nemmeno fare un tentativo perché ne era terrorizzato. Era lui stesso a farsi spavento per le cose che poteva fare, non tanto alla sua persona, ma agli altri.

Gli altri soffrivano sempre quando lui faceva qualcosa di sbagliato, e gli errori si commettono spesso, specialmente nel suo caso.

La mano destra sgattaiolò via dal tepore rassicurante delle coperte, il braccio sinistro restò immobilizzato con la mano formicolante. Bradley evitò di guardare il lato sinistro del proprio corpo, tenne la testa dritta in avanti, le lacrime agli occhi trattenute con doloroso bruciore e la forza cruenta in procinto di scatenarsi sulla medicazione appena cambiata.

Stava per scoppiare un'ennesima guerra, la sua pelle sanguinolenta, la mente artefice di quell'istinto malato irreprimibile, tutto concentrato in quell'intento; l'unico obiettivo di Bradley era quella agognata amputazione. Voleva essere un amputato, voleva guarire tramite la sua perdita.

Respirò con fatica, già si pentiva di ciò che avrebbe fatto, con la mano ormai vicinissima alla spalla. Ma il suono del campanello di casa lo colse in flagrante, e gli impose immediatamente di fermarsi. Bradley rimase pietrificato, il petto in preda a respiri gonfi e violenti, le labbra screpolate appena aperte, circondate dalla barba pungente, scura e lunga. Chiunque fosse alla porta tentò ancora di farsi sentire, imperterrito.

Delilah non si accorse assolutamente di nulla, Bradley non ricevette nemmeno una sua raccomandazione gridata dalla doccia, del tipo "Vai alla porta!" o "Sarà Leif!".

Barcollante e debole Bradley si mise seduto, appoggiando i piedi scalzi per terra. Indossava dei pantaloncini corti, una t-shirt profumata e la vergogna di quelle ferite scoperte. Lo infastidiva persino che le vedesse Delilah, anche se sapeva che lei non gettava mai l'occhio su quelle terribili cicatrici, lui non lo sopportava.

Zoppicò leggermente verso l'entrata di casa, aiutandosi a camminare con la mano destra poggiata al muro e il braccio sinistro a penzoloni lungo il fianco. Bradley roteò il pomello dorato della maniglia aprendo la porta d'ingresso.

Abbassò gli occhi e, con ovvietà, si rivolse a Leif con il suo solito fare pacato; «Sempre il solito stronzo insistente...»

Bradley rimase senza fiato. La sua voce morì appena davanti allo stipite della porta, i suoi occhi, carcere del pianto, con la luce del sole proveniente da fuori si arrossarono maggiormente, e rimasero immobili lì di fronte a Joel. Il ragazzo dalla corporatura tanto alta che Bradley aveva quasi dimenticato, corrugò le sopracciglia, come se fosse terribilmente preoccupato ma sollevato allo stesso tempo. Si bagnò le labbra con la punta della lingua, la barba folta seguì il movimento compiuto dalla mandibola tesa in avanti, ma Joel rimase fermo, davanti a Bradley, con i suoi tatuaggi silenziosi.

Entrambi respirarono rumorosamente dalla bocca, una fessura sottile da cui le loro parole non riuscirono a passare, mentre i loro sguardi si picchiavano, litigavano per qualcosa che neanche loro sapevano spiegarsi.

«Delilah mi ha detto che hai avuto un incidente.» disse Joel con la voce bassa e gli occhi non ancora poggiati sulle ferite di Bradley, senza perdersi in saluti formali o altro imbarazzo. Il moro trasalì di terrore, il panico lo avvolse; Joel avrebbe visto quel braccio, avrebbe scoperto tutto. Bradley sarebbe morto ancora sul nome della sua malattia mentre la spiegava. Allungò il braccio destro verso l'appendiabiti accanto a lui, prese una felpa con la cerniera, evidentemente di Bruno, e la indossò in fretta e furia, ignorando il dolore dei punti, e delle cicatrici vecchie e nuove gli procurarono.

Joel lo squadrò velocemente, con timore, ma non riuscì a star dietro la prontezza di Bradley, che gli nascose tutto non dandogli il tempo di sapere, di domandarsi o di guardare, perché a Joel importavano di più i suoi occhi che le sue ferite. Joel sentiva le urla di quello sguardo, quel lamento che tutti ignoravano.

Bradley si mosse sul posto stringendosi le costole per premere più forte la felpa sbottonata al proprio corpo.

«Nulla di grave, tra qualche giorno potrò già tornare a lavoro.» gli rispose con nervosismo.

«Ero preoccupato.» ritentò Joel. Lo stava abbracciando con quell’occhiata affamata di contatto. Bradley si sentì già stretto tra le sue braccia.

«Non dovevi, sto bene.» disse il moro, tentando di abbassare lo sguardo.

«Prima quella ferita alla mano, adesso questo, sei davvero sicuro che vada tutto okay?» 

«Ovviamente, cosa credi? Sono semplicemente maldestro...» Bradley scrollò le spalle, simulando un tono ovvio e infastidito.

«Ero solo molto preoccupato.»

«L'hai già detto.» sussurrò il moro, il mento basso ma gli occhi puntati in alto verso il viso provato di Joel.

«Lo so, scusami.» con lo stesso soffio di respiro imbarazzato e timoroso Joel ammutolì definitivamente Bradley quando la sua mano, inzuppata di inchiostro indelebile sotto pelle, si poggiò sul viso del moro. Bradley indietreggiò istintivamente, paralizzandosi poi del tutto in quella carezza delicata.

Joel non lo abbracciò, sapeva esattamente che Bradley non lo voleva. Non gli prese le mani perché vide che lui le nascose, e non parlò più, non ne aveva motivo.

Gli toccò semplicemente il volto, si punse il palmo con la barba, gli accarezzò lo zigomo con il pollice e ascoltò ancora le urla dei suoi occhi, in silenzio.

Un nodo si creò tra i loro respiri che gli penetrarono nelle gole, scambiandosi un pezzetto di anima, l'uno dell'altro. Quella di Joel era colorata da mille vernici, invece quella di Bradley puzzava già di putrefazione.

«Tu non l'hai ancora capito, ma io non riesco a non pensarti, e la colpa è soltanto tua.» disse Joel corrugando le sopracciglia, la lacrima tatuata sotto l'occhio sinistro si increspò, così come il tono docile della sua voce.

«Non posso, non sono ciò che cerchi, nessuno cerca uno come me.» brontolò tristemente.

«Credevo sapessi che io metto l'inchiostro in questo mondo bianco, e che non sono quel "nessuno" che non ti cerca.» Joel sorrise, prolungando ancora un po' quella carezza.

«Non sono sentimenti, è semplice interesse, e si spegnerà anche questo.»

«L'inchiostro non si cancella.»

Bradley ebbe la consapevolezza di Joel, nella sua voce e nella sua immagine. Joel era quel tatuaggio indelebile che non se ne sarebbe mai andato via. Non poteva fare niente per toglierlo, nemmeno tentare di nasconderlo. Con le ferite gli veniva semplice ma con i disegni gli era impossibile.

«Mi stai facendo scoppiare il cuore Bradley Wolfe, sei diventato sordo per caso? Non lo senti?» Joel rise, allontanando controvoglia il proprio tatto dal volto di Bradley, che ne sentì immediatamente la mancanza.

«Sembri un ragazzino.» sbottò timidamente lui.

«Lo siamo entrambi.»

Bradley sospirò, dondolando ancora una volta sul posto. Sospirò e poi alzò gli occhi al cielo per non rischiare di far sentire il battere continuo del suo cuore anche a Joel. 

«Sarà meglio che tu vada, Delilah è sotto la doccia non credo sia presentabile per gli ospiti.» disse al tatuatore. Gli fece male doverlo cacciare, ma ne sentiva il bisogno, stava annegando nei loro battiti più rumorosi delle sue urla.

«Hai ragione, tornerò a trovarti domani.» Joel annuì e si voltò verso la strada sorridendo con ingenuità.

«Cosa?» sbottò il moro, paonazzo in viso.

«Delilah sarà contenta di vedermi, sta tranquillo la farò diventare mia complice.»

«Idiota.» imprecò Bradley con un sorriso trattenuto, guardando Joel andare via e salutare da lontano con un gesto della mano, scomparendo poi in sella alla propria moto parcheggiata poco distante dalla casa.

Bradley chiuse la porta appoggiandosi contro di essa con la schiena, liberando un sonoro sospiro sofferente.

«Chi era alla porta? Ti avevo detto di stare a letto.» domandò svogliatamente Delilah andandogli incontro, con i capelli avvolti in un asciugamano color panna e l'accappatoio indosso. 

«Era Joel.» rispose quasi sotto shock.

Delilah si voltò immediatamente verso di lui, ignorando la sua collezione di smalti posizionata sul tavolino del salotto. Diventò rossa in faccia, entusiasta e sorpresa.

«Oh Bradley.» mormorò felicemente, portandosi le mani al viso.

«Delilah credo di essere fottuto.»

«Perché?» sbottò lei entusiasta, con un sorriso incontenibile sulle labbra.            

«Perché mi sta facendo innamorare.»

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Ci sono momenti nella vita di una persona in cui per quanto essa si sforzi a raggiungere la minima pace necessaria per alleviare le proprie pene, alla fine fallisce sempre.

Bradley correva verso quel miraggio di speranza da anni e quando pensava, ormai, pensava al dolore. Quando parlava veniva ammutolito da tutti i suoi lamenti e quando agiva non trovava una ragione al suo scopo.

Era completamente inghiottito dalla depressione causa della sua malattia, non aveva nemmeno più voce per esprimersi e nemmeno lacrime da versare, gli era rimasto solo tutto quel sangue, che così tanto sognava di riversare tutto addosso a se stesso, nel tentativo di un'amputazione.

Però poi era arrivato Joel Hall, il maestro della sua stessa arte che girava intorno a Bradley. Eppure Bradley non aveva nulla da offrire a Joel, un cadavere non può far nulla per rendere felice un vivo. E questo il moro non se lo spiegava, l'increscioso desiderio del tatuatore di averlo con sé, quello schiaffo d'affetto docile che gli aveva accarezzato il volto senza essere troppo invadente.

Non lo merito, ho già fatto abbastanza. Si diceva, mimava quelle ammonizioni con il labiale, mentre la notte dormiva nel letto profumato della stanza degli ospiti di Delilah. Era inevitabile ricordare il suo passato, quando quella vecchia storia si stava ripresentando alla sua porta nello stesso modo.

I sentimenti di Bradley erano stati contaminati all'epoca, con gli stessi sguardi che gli stava lanciando Joel. Avrebbe voluto cancellare per sempre quelle memorie che si aggiungevano alla sua infezione, che gli sopprimevano sempre di più la vita.

Ricordi?

Ogni cosa.

Si chiamava Wolfgang Novikov, aveva diciannove anni mentre Bradley era ancora un diciassettenne quando si incontrarono in un locale di sabato sera. Bradley era stato trascinato fuori dal campus in cui dormiva clandestinamente da Delilah e Leif, che volevano farlo svagare a tutti i costi, ed evitare altre molteplici ferite.

Wolfgang l'aveva tenuto sott'occhio per tutta la serata, Bradley se n’era accorto subito, quasi si sentiva in imbarazzo. Sorseggiava il suo drink scadente seduto su di un gradino delle scale affollate che portavano ad un improbabile primo piano di quella specie di locale per ragazzi, e teneva gli occhi bassi pur percependo che l'attenzione di quello sconosciuto era tutta rivolta a lui.

Bradley ricordava tutto, ogni dettaglio. Le casse suonavano ad altissimo volume summertime sadness in versione remix, le luci intermittenti dei led erano viola e fucsia. Delilah era in piedi non molto distante dalla postazione di Bradley, parlava divertita con un ragazzo che teneva in mano un cocktail, mentre Leif seduto due scalini più in alto di Bradley concentrava tutto il suo divertimento in una pomiciata frenetica tra una ragazza ed un ragazzo. 

La colpa non era loro, non l'avevano lasciato solo, era stato Bradley a rifiutare la loro compagnia, a scuotere il capo e dirgli che non voleva seguirli al piano bar, o al centro della pista perché gli andava bene star seduto lì senza fiatare. Era stata solo di Bradley la colpa se Wolfgang si era avvicinato.

Ricordava il suo abbigliamento trasandato, i capelli a spazzola rasati ai lati, scuri, ed il viso dai lineamenti marcati e mascolini. 

Gli si sedette accanto senza chiedere il permesso. Bradley deviò la testa dal lato opposto e si allontanò qualche centimetro, perché Wolfgang si era sistemato proprio dal suo lato sinistro. Wolfgang possedeva dei bicipiti muscolosi, un petto ampio e forte, forse eccessivamente per la sua età. Era una presenza affascinate, l'attrazione di Bradley nei confronti del suo stesso sesso non poteva negarlo, però il timore della sua mente lo ingobbiva sempre di più.

Per la sua malattia, per il suo umore, e per il fatto che non avesse mai avuto relazioni o rapporti con qualcuno. 

Mentre i timori di Bradley lo inghiottivano in uno dei suoi nuovi e abitudinari attacchi di panico, Wolfgang incalzò con un «Vuoi?» passandogli una sigaretta rullata maldestramente.

Bradley scosse il capo voltandosi a guardarlo con le labbra socchiuse ed una visibile difficoltà. Il ragazzo più grande si poggiò la stecca contenente non di certo soltanto tabacco, accendendola in un flebile fumo che odorava in modo pungente. 

«Posso provarci con te, oppure ti piace la fica?»

Bradley si sciolse, ingenuamente, colto da un'attrazione incontrollata verso quelle attenzioni nuove, che mai nessuno gli aveva dato.

«Nah, mi piacciono i ragazzi.» gli aveva risposto con un lieve sorriso imbarazzato. Poi Wolfgang aveva sporto una mano verso il suo viso tenuto basso, con l'indice aveva costretto delicatamente Bradley ad alzare il mento più vicino possibile al suo viso. Bradley serrò le labbra carnose, pietrificato da quel gesto alquanto insolito. Wolfgang gli aprì di poco la bocca con il pollice per soffiare in quella fessura rosea il fumo dello spinello.

«Accetteresti le mie condizioni?» Wolfgang aveva quasi sussurrato, ma nonostante il rumore Bradley riuscì a leggere il labiale, trattenendosi dal tossire per il fumo passivo che gli bruciava la gola.

«Che condizioni?» Bradley era intimorito, pentito di quella vicinanza quanto dell'inizio di quel discorso.

«Io e tu che iniziamo conoscerci a modo mio.» 

«C-cosa?»

«Non aver paura, farò il bravo.»

Senza nemmeno che Bradley potesse rifiutare le mani forti e calde di Wolfgang gli presero il viso e quelle labbra che sapevano di marijuana gli inumidirono tutta la bocca. Bradley però non lo respinse, fu distaccato i primi istanti ma subito chiuse gli occhi e lo assaggiò tutto, impacciato ma disponibile. Gli piaceva, era una scarica di adrenalina che anestetizzava per un tempo incalcolabile il dolore al suo braccio.

«Hai sancito il tuo patto con il diavolo.» gli aveva detto Wolfgang, subito dopo averlo baciato con un sorriso beffardo.

«Ma sei stato tu a baciarmi.»

«Se non l'avessi fatto io te ne saresti pentito.»

Invece Bradley si era pentito. Però la colpa era stata esclusivamente sua, gli era piaciuto stare a quel gioco di complicità che per la prima volta gli aveva smosso l'adolescenza travagliata. Era una novità, la sua quotidianità era cambiata, ed in fondo si era affezionato così tanto a Wolfgang da poter affermare che i sentimenti che provava per lui erano per la maggior parte amorosi.

E poi c'era stata la repulsione, che era durata per tre interi anni.

All'inizio il rapporto tra Bradley e Wolfgang si basava sulle scorribande divertenti in giro per la città; saltavano insieme la scuola per andare a mangiare un hot dog e stare da soli nel vicolo abbandonato, centro di ritrovo per i vandali che riempivano le pareti di graffiti. Quando invece andavano a scuola mettevano sempre in secondo piano le lezioni per passare quanto più tempo possibile assieme. Bradley dipendeva esclusivamente da Wolfgang per ogni cosa, in ogni situazione il compagno aveva il comando. Bradley si era fatto trasportare completamente da quel ragazzo che con una qualche frase persuasiva a confermare il suo sentimento d'amore per lui, lo metteva nuovamente in riga.

Leif e Delilah avevano immediatamente notato l'enorme cambiamento dell'amico. Bradley stava affrontando un periodo della sua vita molto delicato; i genitori lo avevano buttato fuori di casa, lui aveva dichiarato la propria omosessualità e la sua malattia continuava a consumarlo. Wolfgang lo aveva intossicato, aveva fatto della vulnerabilità di Bradley il suo esclusivo svago.

Nulla poterono fare i consigli preoccupati dei due amici di Bradley, perché Wolfgang venne a sapere di quei suggerimenti e manifestò al suo ragazzo il primo, vero e proprio campanello d'allarme della sua possessività. 

In breve Wolfgang aveva spintonato Bradley contro il muro, gli aveva afferrato il polso dolorante del braccio sinistro e lo aveva immobilizzato sotto di sé. Gli sussurrò una minaccia del tipo: «Sono io quello a cui devi dare ascolto, non loro.» Bradley si era dimenato e aveva quasi reagito allo stesso modo dinanzi ad un gesto tanto violento, finché l'altro tornò a mettergli le mani addosso, dicendogli: «Ti conviene rompere con me? Chi altro ti vorrebbe con la tua malattia?»

Quella frase non manifestava amore o empatia nei suoi confronti, però Bradley gli diede ragione. Wolfgang lo aveva scoperto mentre gli aveva sfilato di prepotenza la felpa, e Bradley aveva trattenuto dentro tutti i suoi singhiozzi, trovando la forza di spiegare. In fondo lo amava, perché doveva essere intimorito da lui? Wolfgang non aveva capito poi granché della condizione di Bradley, o meglio, non aveva voluto capire. Era convinto che Bradley fosse un autolesionista a cui non dare corda, da ingoiare semplicemente perché in cerca di attenzioni.

Bradley era passato da un periodo di novità che lo rendevano felice, grazie a quel rapporto, ad un lungo calvario di sottomissione e altro sangue.

Wolfgang lo aveva reso dipendente dalla droga. L'andamento scolastico di Bradley era un disastro, i rapporti ristretti con le persone fidate si erano tagliati completamente e la sua malattia peggiorava ogni giorno di più.

Aveva ferite talmente infette da fargli salire ed abbassare una febbre continua, e la più o meno frequente assunzione di stupefacenti non faceva altro che peggiorare la sua salute. Psicologicamente poi Bradley era un fantasma, aveva anche smesso di parlare. Wolfgang aveva fatto di lui la sua compagnia fissa, ed il suo oggetto di desiderio sessuale sul quale approfittarne a suo piacimento. Il più grande aveva tradito molte volte Bradley, sia con ragazze che ragazzi, e con tutto ciò Bradley trova sempre una falsa motivazione per perdonarlo nonostante quella poligamia lo facesse soffrire tremendamente.

Dopo tre anni però Bradley era arrivato a raschiare il fondo. Lentamente stava allontanando il consumo di droghe, anche se con difficoltà, aveva capito di doverle abbandonare una volta per tutte. Con la sua dipendenza ci stava riuscendo ma con la sua malattia, ed il suo amore malato per Wolfgang, ci stava morendo. Ormai abitava nell'appartamento del compagno, e fu una sera che decise cosa farne della propria vita. Wolfgang era uscito con un suo amico e aveva lasciato da solo Bradley con in mano una lama incrostata di sangue secco. 

Bradley ci aveva pensato spesso al suicidio ma non con sincera convinzione, perché in fondo ci sperava in un'aspettativa di vita diversa, dove la sua malattia, il nemico più grande, era messo a tacere. Però quella situazione ormai si era fatta insostenibile, e ferirsi nella speranza di risolvere da solo il suo problema non sembrava essere più sufficiente.

E se morissi?

Che faccia avrebbe fatto Wolfgang nel vederlo privo di sensi, proprio al centro del salotto? Da morto avrebbe potuto persuaderlo e convincerlo insistentemente a fare sesso con lui? Da morto avrebbe potuto portarlo con sé in continuazione nei suoi posti preferiti dove droga e risse erano all'ordine del giorno?

Da morto il suo braccio avrebbe continuato a fargli male nella testa?

Le risposte Bradley le sapeva già, però non riuscì a togliersi la vita.

Prese il telefono e chiamò Delilah in lacrime raccontandole tutto. Era così rassicurante poter finalmente parlarne, specialmente con lei, che non vedeva o sentiva da mesi. Si erano accordati di incontrarsi da lei immediatamente. Delilah avrebbe chiamato anche Leif, e assieme si sarebbero presi cura dell'amico, aiutandolo ad abbandonare per sempre Wolfgang.

Bradley mise in uno zaino i pochi averi che gli erano rimasti, qualche maglietta sporca e due libri ingialliti. Quando però aprì la porta di casa per uscire si trovò di fronte Wolfgang, ubriaco e sotto effetto di droghe, in un visibile stato alterato.

«Dove vai?» gli aveva domandato squadrando lo zaino in spalla a Bradley, che, timoroso, nascose l’espressione spaventata dietro le ciocche castane più lunghe davanti agli occhi. Dovette accumulare tutto il coraggio che aveva nel petto per rispondergli;

«Via da qui, sono stanco di stare con te.»

Wolfgang iniziò a ridere istericamente, impedendo a Bradley di varcare la soglia della porta. Lo afferrò per la spalla sinistra, viola di lividi, come se si sentisse in diritto di poter controllare Bradley in base alle sue debolezze. Lo strattonò più vicino a sé, così il ragazzo poté anche sentire l'odore forte di alcol e fumo che proveniva dalla sua bocca.

«Tu non vai da nessuna parte, ora vieni con me in auto e andiamo a farci una bella scopata assieme ai miei amici.» lo minacciò con un sussurro.

A Bradley mancò il fiato per la forza bruta ed invasiva che Wolfgang mise nello stringergli il braccio malato. Si pietrificò, e senza nemmeno poter controbattere venne portato fino alla macchina di Wolfgang già precedentemente incidentata. Il più grande si mise alla guida del veicolo, mentre Bradley fu costretto a sedersi al lato del passeggero. Si raggomitolò su se stesso quasi per proteggersi, con le braccia strette al petto, in un abbraccio di cui aveva bisogno. Bradley si morse il labbro con forza trattenendo le lacrime che gli offuscarono la vista, e gli fecero pulsare le orecchie. Wolfgang imboccò l'autostrada, la velocità del contachilometri era ben oltre il limite d'obbligo e il suo stato confusionale non faceva che peggiorare la guida spericolata. Poggiò una mano sulla gamba di Bradley, salendo con insistenza lungo l'interno coscia. Il ragazzo si irrigidì, cacciandolo via con uno strattone violento.

Wolfgang poggiò nuovamente entrambe le mani sul volante, e con la coda dell'occhio guardò in cagnesco il compagno.

«Che significa?» gli domandò aggrottando la propria espressione.

«Significa che non devi toccarmi, non devi farlo mai più.» rispose Bradley, autoritario.

«Cosa? Vuoi fare la parte della donnetta molestata? Dacci un taglio Bradley, chi ti ha riempito il cervello di merda? La tua amica Delilah, quella puttana?» Wolfgang sbottò quelle domande con frustrazione, accelerando.

«Ferma questa macchina e fammi scendere immediatamente.» ringhiò Bradley, guardandolo.

«Altrimenti? Salterai fuori mentre sono in corsa? Non farmi ridere!»

L'atmosfera tra la loro discussione si fece talmente opprimente da mettere in difficoltà persino Wolfgang. Lui continuò a spingere l'auto alla massima velocità, superando le macchine che al buio e con il suo stato confusionale sembravano tutte tanto lontane.

Tutte, tranne una.

Bradley non ricordava molto dell'incidente, aveva chiuso gli occhi e l'urto lo aveva spintonato da una parte all'altra dell'abitacolo. Sembrava quasi di essere su di una montagna russa. Bradley non perse i sensi, reagì subito quando capì che l'auto si era fermata. Non sentì nulla, se non un fischio acuto ai timpani. Era seduto ancora al suo posto con la cintura allacciata mentre il sangue gli colava da una ferita alla fronte. Era schiacciato dalle lamiere della macchina che gli impedivano quasi di respirare. Ironia della sorte, in quell'incidente, per la propria portata catastrofica, Bradley ne uscì straordinariamente quasi illeso, con qualche frattura da poco e due costole ammaccate. Il suo braccio, che avrebbe potuto saltare in aria o fratturarsi gravemente, non riportò nessuna ferita.

Per Wolfgang invece quell'incidente fu letale. Non venne stroncato sul colpo, i soccorsi lo estrassero da ciò che rimaneva dell’automobile, con gravi ustioni su tutto il corpo e danni agli organi interni che lo portarono alla morte solo dopo due giorni di ricovero in terapia intensiva. 

Bradley non andò a trovarlo in ospedale, fu assente persino al suo funerale, per il semplice fatto che il suo addio a quell'uomo lo aveva già dato. Entrambi erano rimasti coscienti ed intrappolati in quella gabbia accartocciata. L’incidente era stato causato da una seconda auto arrivatagli addosso dalla corsia di sorpasso.

Wolfgang aveva iniziato a piangere, urlando finché Bradley non gli aveva preso la mano. Proprio la mano sinistra strinse quella del ragazzo moribondo e sofferente di fianco a Bradley.

Quel gesto di pietà non fece altro che incrementare il desiderio morboso di Bradley su quell'arto. Aveva accompagnato il suo amore aguzzino alla morte proprio con quella mano maledetta in continuazione con i tagli. 

Wolfgang non aveva in bocca parole, soltanto mugugni terrorizzati, in uno stato di shock.

«Non mi lasciare ti prego, Ley ti supplico non mi abbandonare.» gli disse tra le lacrime, tremando come una foglia.

«No, sono qui, andrà tutto bene. Starò con te per sempre, sono qui.» gli sussurrò Bradley, trovando difficile voltare la testa verso di lui per colpa di un dolore al collo.

Wolfgang era morto e l'ultima volta che vide Bradley fu in quell'auto. In fondo si erano amati, in una maniera malsana e deteriorante ma tre anni di errori avevano comunque rappresentato il primo amore di Bradley, l'unico che avesse mai avuto. E quindi aveva paura di Joel, si sentiva già fottuto da quel sentimento d'interesse cento volte più grande di quello che aveva provato inizialmente con Wolfgang. Non faceva di tutta l'erba un fascio, a sbagliare in quella relazione nata in adolescenza era stato proprio Bradley con le sue decisioni, ma era comunque rimasto segnato da quell'incidente, che non era stato in auto, ma tra le labbra di Wolfgang. E non riusciva nemmeno a dimenticarlo, perché quel ragazzo gli era rimasto attaccato all'anima come un parassita. Wolfgang sarebbe stato per sempre con lui. Per sempre, finché quel braccio non se ne fosse andato, ricordo indelebile dell'ultimo contatto con Wolfgang.

Era un disastro, tutta la sua vita andava in rovina, non voleva iniziare qualcosa con Joel, non voleva affatto distruggere anche la sua di esistenza.

Joel però non sembrava spaventato da quel pericolo imminente che si annidava in Bradley. Joel era uno spirito folle, e con ciò non temeva la stranezza di Bradley. Delilah aveva incoraggiato l'amico a dare un'occasione alle dolci gesta di Joel, gli aveva detto che per quanto lo conosceva lei il tatuatore era un ragazzo straordinario. Leif, che li aveva raggiunti a casa di Delilah, immediatamente era diventato euforico per la novità. 

Una volta tanto forse Bradley avrebbe dovuto ascoltare i suoi amici, dopotutto erano le uniche due persone di cui poteva fidarsi.

 

Bradley si coprì bene abbottonando le felpa fino al collo. Il braccio ancora debole e indolenzito stava leggermente flesso con la mano in tasca. Delilah lo accompagnò al luogo in cui Joel gli aveva dato appuntamento, dandogli un buffetto dolce sulla guancia ed augurandogli buona fortuna. Non avevano portato anche Leif perché il ragazzo era troppo euforico per i gusti di Bradley, che si trovava già in enorme difficoltà ad accettare l'invito tramite messaggio di Joel. Bradley lo vide già in lontananza, in piedi e voltato di spalle. Ricordava la strada di quel parco in cui erano stati la sera del loro primo appuntamento, anche se con la luce del pomeriggio sembrava tutto ancora più quieto e piacevole. Il moro sospirò per scaricare la tensione, e affiancò Joel dal proprio lato destro. Avrebbe voluto salutarlo immediatamente ma il timore era troppo, e Joel fu più veloce delle sue parole.

Gli prese la nuca e lo spinse verso di se. L'altra mano di Joel però si poggiò sulle labbra di Bradley così da creare un muro di calore tra le loro bocche, che non si baciarono. Bradley si irrigidì con stupore, rimanendo con le braccia lievemente allargate mentre Joel continuò quella vicinanza per pochi altri secondi ancora. Quando si lasciarono entrambi ripresero fiato, specialmente Bradley, del tutto scioccato.

«Cos'era?» gli domandò Bradley con un filo di voce. Erano soltanto due giorni che non si vedevano e Joel se n’era uscito con un gesto simile.

«Un bacio con le dovute precauzioni, giusto perché ho capito che vuoi andarci piano.» rispose sorridendogli, la barba folta e ordinata sul volto.

«I-io non...mi confondi, davvero.» borbottò con un sorriso nervoso.

Joel allungò nuovamente la mano verso Bradley in un gesto gentile. Gli porse un foglio di carta che Bradley prese con insicurezza timida.

Quando osservò con attenzione il disegno su quel sottile foglio bianco Bradley sentì nuovamente quella sensazione di piena commozione che lo avvolgeva. Lo emozionavano come nient'altro al mondo.

Una rosa era disegnata con i bordi doppi, neri, e poi i petali che si intersecavano all'interno erano delineati da tracce sottili. Dentro il disegno della rosa ne era articolato un altro, a penna rossa. Un volto di profilo stilizzato e che prolungava i propri lineamenti all'interno del fiore. Quella persona somigliava tanto a Bradley.

«I fiori ti sembrano troppo sdolcinati, però io sono un tradizionalista e voglio regalartene quanti più possibile. Ho ideato questa soluzione. Ti piacciono i miei fiori d'inchiostro?» disse Joel sorridendogli.

Bradley si bagnò le labbra guardandolo negli occhi, anche se con difficoltà estrema per via del velo di lacrime commosse che cercava di trattenere.

«Li trovo speciali e bellissimi.» annuì.

Bradley non si pentì di Joel, però continuò a maledirsi per quel dannato incidente che non gli aveva strappato via il braccio.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Bradley non riusciva a credere di averlo fatto davvero; cercare Joel nei contatti del proprio cellulare era stato facile e doveva esserlo ancora di più telefonargli senza attendere o avere ripensamenti.

Si morse il labbro con buffa espressione, camminando lentamente ma con nervosismo da una parte all'altra del disordinato salotto del suo angusto appartamento. Il telefono squillò quattro volte, così tante per Bradley da spingerlo ad allontanare lo smartphone dall'orecchio e staccare la linea.

Poi la voce di Joel lo fece sobbalzare quasi come se non se lo aspettasse. 

«Pronto? Bradley?» domandò il tatuatore con tono sorpreso ed entusiasta.

«Hey Joel, tutto okay?» con un tremito nella voce Bradley rispose senza pensare lucidamente a qualcosa di più sensato da dire, e sinceramente si sentì andare nel pallone per aver iniziato lui quella specie di conversazione. Per fortuna che Joel aveva la capacità di conoscerlo anche senza averlo vissuto.

«Si, non immaginavo che mi avresti chiamato sul serio, sono felice di sentirti.» erano a malapena due giorni che non si vedevano. Joel aveva tentato di alleggerire ogni timore di Bradley dicendogli di poterlo cercare in qualsiasi momento ritenuto più opportuno per lui, anche solo per chiacchierare telefonicamente. Bradley sarebbe ritornato al suo lavoro al negozio di tatuaggi a giorni, mentre le sue condizioni andavano via via migliorando quella ferita alla spalla ormai non più così profonda.

«Già, neanche io lo credevo...» mormorò Bradley con un sorrisetto nervoso.

«Quindi, come stai oggi? Come mai mi hai chiamato?» incalzò dolcemente Joel, nutrendo la sua voce di serena felicità.

Bradley massaggiò l'indice con il pollice, le dita della mano sinistra lievemente intorpidite e violette sulle punte per colpa di una cintura usata a mo' di laccio emostatico appena sopra il polso, che era stata stretta per un brevissimo lasso di tempo, ma che aveva già fermato una notevole quantità di circolazione sanguigna. Da un bel po' studiava quel metodo abbastanza efficace per quanto riguardasse l'amputazione, come quello dei pastori quando devono far cadere ad uno dei loro animali una qualche parte infetta della coda o dei genitali. Bradley non abitava in campagna e non aveva mai visto direttamente quella pratica maggiormente usata dai veterinari, però aveva fatto delle ricerche su internet, così di rado la metteva in atto sul suo braccio.

Faceva dei lenti progressi, quasi fosse una cavia. Piccole distanze dalla punta delle dita alla spalla, aumentando la resistenza ad ogni nuovo tentativo.

Aveva notato, quel tardo pomeriggio, che il polso stava iniziando a gonfiare; si sentì sporadicamente felice, ma subito dopo, con disgustosa ferocia, il pensiero di Joel lo aveva annebbiato quasi fosse stato colpito alla testa.

Non ci aveva pensato, a lui, di sua spontanea volontà. Quando si feriva tutta la realtà intorno a lui si cristallizzava e il mondo girava in base all’orbita delle sue ferite, che lo accecavano di pazzia. Eppure Joel era venuto nei suoi pensieri slegando quella cinta dal braccio, che aveva lasciato un vistoso segno rosso e 

abbastanza profondo. Per tale ragione lo aveva telefonato. In verità era stato Joel ad aver iniziato a rintracciarlo col pensiero.

«Sto meglio.» mentì, guardando i movimenti limitati delle dita formicolanti. Fece per rispondere alla seconda domanda di Joel quando l'imbarazzo lo fece balbettare come un ragazzino timido. Bradley sospirò, scrollando la testa e sorridendo, sperando che Joel percepisse la sua espressione anche attraverso il telefono.

«Scusa, divento un idiota quando parlo con te.» se ne uscì con quella frase sincera, arrossendo.

«Tu? Vedessi me in questo momento, ho iniziato a disegnare cuoricini sulla scrivania con il pennarello indelebile.» entrambi risero, scacciando definitivamente la loro difficoltà nel parlare, quasi fosse stata la prima volta.

Bradley possedeva l'ingenuità silenziosa di chi per anni aveva continuato a sentire dolore, con la spudorata sopportazione ormai arresa alla malattia era divenuto quasi una creatura fragile ed estremamente vulnerabile.

Joel invece combinava l'enorme educazione con cui era stato cresciuto al carattere gentile e docile che facevano nascere i suoi disegni.

Insieme, tutti e due, creavano l'ingrediente perfetto di statica emozione che faceva ancora fatica a mettersi in piedi. Ad entrambi erano più che limpidi nei propri sentimenti, ma li vedevano ancora troppo lontani per consumarli.

«Comunque...volevo sentirti perché ti pensavo, e perché quando mi tieni compagnia ho voglia di fare tante cose.» Bradley si sedette sul divano, alleggerendo il suo tono di voce e sentendosi libero nell’aver ammesso i suoi reali pensieri. Quasi percepì il vuoto d'aria creato dal respiro di Joel, rimasto un istante senza parole per la sua risposta, che da parte della riservatezza di Bradley il ragazzo non si sarebbe mai aspettato.

Schiarì la voce resa vibrante dalla linea telefonica e poi parlò ancora;

«Hai voglia di vederci?» chiese Joel dolcemente.

«Beh ecco, devi darmi cinque minuti per prepararmi.» sbuffò divertito il moro.

«D'accordo, fai con calma, io metto in ordine il caos che ho in camera e ti raggiungo. Ti va?» domandò ancora.

Bradley sorrise radiosamente, abbattendo buona parte di tutta quella malattia che lo soffocava di fumo nero. Strinse più forte il cellulare in mano e rispose a Joel: «Sì, mi andrebbe davvero tanto.»

«Allora a tra poco.» cinguettò il tatuatore con entusiasmo.

«A tra poco.» la voce di Bradley si assottigliò, ed il telefono si allontanò dal suo orecchio. Fece ricadere l'oggetto sul cuscino del divano, mentre si gettò sulla spalliera con la schiena. La mano destra a coprirgli il viso imbarazzato, mentre il braccio sinistro abbandonato da un lato, pulsante e debole.

Riordinò i pensieri e con un sorriso sfaticato si alzò, dirigendosi verso il bagno.

Bradley impiegò pochissimo tempo a lavarsi il viso, sistemare i capelli e scegliere quale delle sue poche felpe nere indossare. Si sentì al sicuro sapendo che Joel non avrebbe potuto vedere -come al solito- la carne macellata del suo braccio sinistro coperta dagli abiti, mentre fu meno entusiasta di avere la mano scoperta. Tutta arrossata sul dorso e rastrellata da sottili graffi e profonde cicatrici, sporgenti e bianche. Faceva troppo caldo per usare la scusa di un paio di guanti, e coprire i segni con una medicazione avrebbe scatenato ancora di più l'attenzione e la preoccupazione di Joel. 

Senza darla vinta alla propria ansia Bradley si decise di tenere la mano nascosta nella tasca larga sulla felpa, senza dare troppo all'occhio.

Il tempo di controllare il cellulare e una chiamata da parte di Joel lo invitò a scendere giù, perché già arrivato sotto casa sua.

La scalinata parve lunghissima, abitava ai primi piani della palazzina eppure con il suo passo veloce si sentì affaticato a scendere quell'infinità di scale. Cacciò la mano sinistra in tasca e quando uscì fuori davanti al marciapiede vide una motocicletta bianca perlata, su cui a cavallo c'era un insolito motociclista dalle mani tatuate. Bradley rimase sorpreso dall'apparizione di Joel su quel veicolo, prendendo tra le mani il casco nero che il ragazzo gli aveva passato.

«Non immaginavo saresti venuto in moto.» disse Bradley con un sorriso leggero, allacciando il caso. Quello di Joel era dello stesso scuro colore, con dei drappeggi moderni tutti dietro di colore bianco, sicuramente fatti da lui.

«Sono una persona dalle mille risorse.» Joel scrollò le spalle e guardò Bradley con espressione buffa.

«Salta in sella, coraggio.» con un cenno del capo fece ruggire la marmitta già calda. Lievemente impacciato Bradley cavalcò il due ruote nuovo di zecca. Il fatto che la motocicletta potesse raggiungere alte velocità mise parecchia ansia a Bradley. Dall'incidente avuto assieme a Wolfgang essere un passeggero su di un veicolo veloce lo innervosiva parecchio. Non che quello fosse un trauma, Bradley era convinto di non averne, non se ne poteva permettere, però tutta quella storia passata correlata alla strada lo faceva sentire a disagio. Notando il silenzio del moro Joel alzò la voce per farsi sentire oltre il rumore della motocicletta, iniziando ad imboccare la strada con velocità costante.

«Ho riflettuto in fretta su dove potevamo andare e mi sono un po' confuso.» rise guardando dritto, le mani ben salde sul manubrio, due dita sempre poggiate sul freno.

Bradley per resistere alla spinta del vento e per tenersi in equilibrio si trovò costretto ad avvolgere le mani intorno alla vita di Joel.

«Ci sono tanti posti in cui andare qui a Brooklyn.» disse il passeggero, messo alla prova da quel contatto.

«Già, soltanto che mi piace essere originale, lo sai.» fu l'ultima frase che si scambiarono, per poi continuare la guida nelle strade affollate e rumorose. 

Joel fece intendere a Bradley che lo avrebbe portato in un luogo scelto da lui, in poche parole, sorprenderlo ancora.

E per tutto il viaggio Bradley respirò dalla bocca, con le labbra semiaperte. Aveva il petto appoggiato sulla schiena massiccia e lievemente ricurva di Joel, che profumava di dopobarba. Entrambe le braccia a cingere quel busto contratto e perfettamente scolpito, tutto imbrattato di inchiostro che Bradley non aveva ancora visto. Dal tatto, però, attraverso gli abiti, senza insistere con le mani ma esclusivamente sentendo con imbarazzo quelle forme, poté ribollire di voglia davanti a quel fisico statuario che aveva guardato per tutto il tempo. Avvertì così tanta sicurezza e serenità a stare su quella persona da non preoccuparsi neanche più della mano nuda sul ventre di Joel, o del braccio che toccava il suo corpo. Avrebbe dovuto rendersi conto del suo preoccupante livello psichico che lo convinceva di quella malattia, avrebbe dovuto pensare a farsi prescrivere dei medicinali o di farsi aiutare da un medico competente per migliorare la propria salute mentale, eppure riuscì solo a respirare in quel vento veloce e accasciare l'anima sulla schiena di Joel.

Puzzavano leggermente per colpa del gas di scarico della marmitta argentea; Joel disse di abbandonare i propri caschi all'ingresso, mentre chiamava l'ascensore pigiando il pulsante illuminato da una luce rossa.

Joel aveva parcheggiato la motocicletta appena davanti il palazzo in cui aveva portato Bradley, che appariva ristrutturato ma con dei tocchi retrò all'interno del grande pianerottolo. Joel e Bradley salirono al piano più alto, guardando con imbarazzo il riflesso dei propri corpi vicini nel grande specchio dell'ascensore. Quando la salita terminò una breve melodia allegra lasciò che le porte si aprissero, così l'aria fresca e la vastità del cielo annuvolato colpirono Bradley.

 

Era un grande terrazzo arredato con divani e tavolini. Il bancone bar posto al centro dello spazio veniva illuminato da fili di luci bianche che si accendevano e spegnevano quasi fosse già natale. Bradley osservò con attenzione i dettagli di quel posto accogliente, e la prima cosa che gli saltò all’occhio fu il barista giovane dietro il banco che asciugava i bicchieri chiacchierando spiritosamente con dei clienti. Joel affiancò Bradley, camminandogli vicino fino a farlo accomodare in uno dei piccoli divani poco distanti dal piano bar.

«Non mi aspettavo un locale come questo.» Bradley sorrise per la stravaganza colorata dei cuscini su cui era seduto.

«Un posticino carino in cui vengo spesso. Il proprietario è un vecchio amico, frequentavamo lo stesso corso per tatuatori.» indicò con l'indice il barista, un ragazzo apparentemente simpatico e allegro con una matassa arruffata di capelli rossi sulla testa.

«Lui è Peter “l'astronauta”.» aggiunse Joel salutando l'amico con un gesto della mano. 

«Astronauta?» ripeté Bradley divertito.

«La prima cosa che ha tatuato è stata un'astronave sulla sua coscia. Un po' mediocre a livello di composizione ma con ottimi contorni.» spiegò l'altro accanto a lui.

«E adesso perché lavora in un bar?» Bradley chiese ancora, meno per curiosità, più per mantenere un discorso con Joel senza essere imbarazzato.

«E’ troppo pigro per star dietro alle richieste dei clienti, preferisce farli ubriacare.» Joel gesticolò, alzando un sopracciglio.

Bradley sorrise e abbassò il capo, aggiudicandosi tutta la smisurata attenzione di Joel ormai succube alla sua introversa presenza.

Una cameriera si presentò a loro con in mano un taccuino ed una penna glitterata. La ragazza dalla pelle scura scrollò il capo per allontanare dal viso scarnito i capelli lunghi, neri e tinti di un viola acceso fino a metà della spalla. La sua magrezza la rendeva quasi infantile nel suo completo casual da cameriera.

«Pronti per ordinare?» domandò. Aveva un tono disponibile ma in viso appariva severa allo stesso tempo.

«Per me un negroni sbagliato, come al solito.» Joel parlò alla ragazza e poi tornò a voltarsi verso Bradley.

«Per me...»

«No tesoro tu sei amico di Joel, e se non sbaglio è la prima volta che ti vedo da noi. Per te offre la casa, la specialità del barman.» lei sorrise.

«Oh...grazie.» Bradley restò in un silenzioso stato di imbarazzo, annuendo. Tenne la mano sinistra stretta nella tasca e si rivolse al ragazzo vicino a lui, mentre la donna si era già allontanata.

«È davvero gentile, non doveva scomodarsi così.» disse con premura.

«Nova è fatta così non preoccuparti, sembra una bestia minacciosa ma alla fine è un angelo.» Joel parve improvvisamente colto da un lampo di genio. Sfilò con delicatezza qualcosa dalla tasca della sua giacca blu davanti lo sguardo di Bradley. Sorresse tra le dita un foglio piegato su se stesso almeno per quattro volte con all’interno una lunga piuma nera di quello che doveva essere un grosso uccello.

«Quasi dimenticavo, ho portato un altro dei miei fiori e poi questa che è di Spiritum.» il palmo di Bradley accolse i due regali. Nemmeno la vergogna di quella mano ferita gli impedì di aprire la carta su cui un altro disegno a penna rappresentava il suo personale germoglio. Una margherita dai lunghi petali, con un'altra posa del volto stilizzato di Bradley.

«Chi è Spiritum?» domandò stupefatto dal particolare colore nero della grossa piuma morbida.

«Il mio pappagallo, te lo farò conoscere se vorrai. Il suo nome significa "soffio" in latino.» spiegò Joel. Bradley si morse il labbro e abbassò velocemente la mano sinistra tra le ginocchia così da nasconderla ancora.

«Mi porti in un altro dei posti più romantici della città, mi regali ancora i bellissimi disegni che paragoni ai fiori, e adesso te ne esci con questo nome in latino per un insolito animale domestico.» Bradley parve risplendere in viso, i suoi occhi vermigli brillarono come le piccole lampadine dorate nel buio della sera. Ebbe la piena attenzione di Joel che aggrottò la fronte con immensa devozione.

«Posso dire che sei irresistibilmente affascinante?» Bradley non ci pensò due volte a formulare quella domanda con tono di voce più basso, ma non meno entusiasta. Joel rise rilassando le ampie spalle mettendo in risalto i numerosi tatuaggi sul collo. 

«È la stessa domanda che volevo farti io.» ammise con sguardo tenero.

«Io non sono affascinante, sotto nessuna luce. E nemmeno romantico come te, davvero, mi stai alzando i livelli di zucchero nel sangue.» rise Bradley, spostandosi con il corpo più vicino a Joel.

«Scusami se sono uno smielato ragazzone con un uccello gigante.» ironizzò il tatuatore, facendo quasi piangere Bradley dal ridere.

«Okay, forse dovrei aspettare ancora un po' prima di conoscere questo Spiritum.» annuì il ragazzo più grande, con il viso ancora teso dal divertimento.

Nova gli servì i drink.

«Mi piace davvero tanto passare il mio tempo con te.» Bradley arrossì lievemente, con la bocca addolcita dalla specialità offerta.

«Anche a me, non vedo l'ora che tu ritorni a lavoro, sono stato così preoccupato per la tua salute.» Joel sollevò le sopracciglia, arricciando anche il piccolo tatuaggio sotto l'occhio sinistro.

Se solo sapessi il mio vero stato di salute, pensò Bradley con amarezza, capiresti perché non mi concedo delle possibilità con te.

«Tornerò presto.» si inumidì le labbra serrandole verso l'interno, con tono rammaricato che imitava dolcezza.

Joel si avvicinò a Bradley accarezzandogli un ginocchio per tenerlo fermo vicino a lui e sentire quanto il suo corpo si irrigidisse a quell'invasione. Gli lasciò il volto assente dalle carezze, le mani Joel le tenne basse e distanti. Con le labbra matite di alcool il ragazzo baciò una guancia a Bradley, rimasto fermo con il respiro corto. La lunghezza della barba di lui gli solleticò tutta la faccia, facendogli salire un brivido lungo la schiena. 

«Torna e rimani finché non smetterò di disegnare, per favore.» gli sussurrò mettendo sulla pelle di Bradley altri tremiti.

«Non ci riusciresti mai a smettere.» aggiunse il moro a bassa voce, stregato da quel respiro vicinissimo.

«Appunto.»

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Tornare a lavorare, per Bradley, fu un misto tra entusiasmo ed ansia. Dopo giorni di riposo raccomandato dal medico a causa della sua ferita al braccio, più grave di quelle degli ultimi mesi, il ragazzo con tendenze autolesioniste sentiva non di poco la mancanza del proprio lavoretto allo studio di tatuaggi.

Gli piaceva l'atmosfera da rockettari educati che allestivano i due proprietari, sentiva l'enorme vuoto dalle tante persone, tutte diverse, che ogni giorno pagavano per farsi imbrattare la pelle di tatuaggi; e si sentiva giù di morale all'idea di non aver potuto vedere il simpatico Sam per tutto quel tempo.

Più di tutti, però, sentiva la mancanza di Joel. Senza nemmeno rendersene conto era diventato dipendente della quotidiana presenza di quell'uomo, anche se si trattava di attimi, senza soffermarsi troppo su di lui. Averlo incontrato qualche sera per uscire assieme non era stato sufficiente, affatto.

A Bradley il cuore pareva fermarsi quando osava pensare a cosa in verità fossero lui e Joel. Perché aveva quel pensiero in continuazione nella testa, anche la notte, gli capitava di sognarlo. Joel in quel locale all'ultimo piano, con il vento fresco dell'altezza che non gli spettinava per nulla i voluminosi capelli castano chiaro, lucidi dal gel.

Sognava quegli occhi celesti vicini ai suoi, e tutti quei disegni grigi sulla pelle rosea. Sognava semplicemente la presenza di Joel nei propri pensieri, o meglio, faceva girare tutto il suo sonno intorno a quel soggetto. Il protagonista preferito del suo dormire, l'unica immagine in grado di annebbiare gli incubi di incidenti, sangue e braccia di troppo.

Raccolse distrattamente i capelli di media lunghezza in un piccolo chignon; le ciocche castane tirate indietro accentuarono i bei lineamenti di Bradley, che fece il suo ingresso al lavoro con occhi timidi ed espressione gioiosa. Il ragazzo di colore al bancone, intento a trafficare nel tentativo di rollare una sigaretta, borbottò qualcosa simile ad un’imprecazione. Bradley si avvicinò a lui lentamente, e solo dopo aver distolto lo sguardo dal tabacco quasi sbriciolato ed aver fatto cadere il filtro bianco dalla bocca estorta dalla sorpresa Samuel si rese conto di chi avesse davanti.

Andò incontro a Bradley e lo salutò con una pacca affettuosa -fortunatamente- sulla spalla destra, lasciando comunque il ragazzo rigido e impacciato.

Samuel lo squadrò ancora un istante, muovendosi sul posto;

«Finalmente sei tornato amico, come stai? Siamo stati un disastro senza di te.» ironizzò il ragazzo.

«Sto meglio, grazie. Non immaginavo che avreste sentito la mia mancanza.» rispose Bradley.

«Eccome, è stata dura soprattutto per quella povera stellina tatuata di Joel.» Samuel tornò dietro il bancone dove aveva lasciato l’occorrente per fumare. 

Bradley sentì quella sensazione di imbarazzo dolce tappargli le orecchie, avvicinandosi a Samuel con un istante di timore in gola prima di parlare nuovamente a voce bassa.

«Già. Adesso dov'è?» gli chiese, impaziente di vederlo.

Sam si riappropriò della propria sigaretta incompleta, con espressione imbronciata. Si leccò la punta delle labbra e disse: «Il capo è al lavoro nella stanza in fondo. Il cliente è alla sua seconda seduta per terminare quel grosso drago tutto nero che ha al centro del petto, Joel lo finirà a breve, ma intanto meglio non disturbarlo. Ti va un caffè?»

Bradley rimase lievemente deluso, anche se stupidamente, dato che in un modo o nell'altro nel giro di poco tempo quello stesso giorno avrebbe visto Joel, l'idea di averlo così vicino e di non poterlo almeno guardare gli metteva una specie di vibrante ansia ed impazienza addosso, che non riusciva a spiegarsi.

Cosa più importante che non aveva confessato né a Delilah né a Leif erano state le sue sensazioni in ambito amoroso; con Wolfgang non era mai riuscito a provare quella valanga di emozioni tutte diverse che invece lo stritolavano quando si trattava anche solo di pensare a Joel.

Tra di loro correva una forte attrazione, un interesse insormontabile che non si era poi sbilanciato oltre una vicinanza estrema divisa dalle mani e qualche opera d'arte trasformata in fiore.

Per il momento a Bradley bastava, ma contemporaneamente sperava in un approccio futuro ben più affinato. E ciò lo stordiva con commossa autocommiserazione, perché con Joel era la prima volta in tutta la sua intera vita che pensava al proprio futuro, seppur astratto.

Bradley scosse il capo lievemente limitandosi a rispondere all'offerta di Samuel con un «No, grazie.»

«Allora siediti, al lavoro ci penserai quando Joel avrà finito.»

«Oh...» Bradley rimase sorpreso, quasi imbarazzato dal non dover far nulla dopo una così lunga assenza.

«Sta tranquillo, fammi compagnia durante la pausa sigaretta.» Samuel lo rassicurò spiritosamente, sedendosi sul divano dell'ingresso con la sigaretta finalmente arrotolata tra le labbra. Si affondò completamente in mezzo alla spalliera, comodo quando scomposto, accendendosi la stecca odorosa con un clipper rosso che fece ricadere sul divano. Rilassato e con un bel po' di fumo dentro i polmoni Samuel accolse Bradley accanto a sé.

Il tatuatore dalla pelle scura allontanò la sigaretta dalla bocca tenendola tra l'indice ed il medio, espirando il fumo che odorava pesantemente.

«Joel non ha fatto altro che parlare di te in questi giorni, vi state frequentando voi due?» Samuel abbozzò un sorriso sarcastico facendo impallidire Bradley che poté solo mormorare qualcosa di confuso, preso alla sprovvista.

«Non direi proprio così...» balbettò stringendo la mano sinistra nella tasca della felpa.

«Conosco Joel da quando io, lui e Peter ci sballavamo nelle scale d’emergenza al liceo, ed è sempre stato un ragazzino fermamente convinto di ciò che sentiva. Ha passato una fase da vegetariano incallito, si è improvvisato attivista per i diritti civili finita la scuola e alla fine si è deciso a usare la sua capacità nel disegno come lavoro. Cioè, è l'amico migliore che io abbia e da quando sei arrivato tu vedo che qualcosa in lui è cambiato.» Samuel fece un altro tiro, socchiudendo gli occhi. 

«Sono passati anni forse dall'ultima volta che mi ha parlato di una persona come parla di te. Insomma, che resti tra di noi, però l'unica vera relazione seria che ha avuto è stata con una ragazza ai tempi del liceo, per il resto non si è mai spinto più in là di qualche scopata occasionale.» terminò, facendo cadere qualche granello di cenere in un piattino metallico dal fondo annerito. Il fumo gli sfiorò il viso con movenze leggiadre, emanando quel forte odore di erba a cui l'olfatto di Bradley si era quasi abituato.

«Perché mi parli di certe cose?» incalzò il moro, pallido in volto quanto imbarazzato.

Samuel si lasciò scappare una risata rauca voltandosi a guardare Bradley con lo spinello quasi terminato.

«Semplice chiacchierata tra amici, tutto qui.» scrollò le spalle e lasciò Bradley ammutolito. Sentì quasi cadere la faccia per terra per il discorso di quel ragazzo. Da un lato si sentiva oppresso dalla verità rivelata da Samuel su Joel, dall'altro desiderava che Joel pensasse a lui in maniera ancora più intensa.

Lasciando un velo di silenzio tra di loro Samuel incalzò, porgendogli la stecca fumante che gli impuzzolentiva le dita; «Vuoi fare un tiro?» domandò.

«Come se avessi accettato.» altra risposta diretta, altra difficoltà nel sapersi esprimere.

Forse Samuel stava per uscirsene con qualche altra frase provocatoria, ma per fortuna la sua attenzione venne distratta dall’ingresso di Nova in negozio. Samuel cambiò completamente espressione, gettando il mozzicone fumato e alzandosi in piedi per salutarla.

Per quanto ingenuo e riservato fosse Bradley capì subito dallo sguardo di Samuel quanto quella bella ragazza gli interessasse. Lei era vestita molto più ordinata in confronto all'ultima volta che Bradley l'aveva vista al locale sul terrazzo. I capelli lunghi e scurissimi erano tirati dietro la schiena, e la pelle nera brillava sotto un leggero strato di trucco agli occhi. Le gambe snelle, il petto piatto e la vita sottile, tutta avvolta in un completo dai colori elettrici abbinati agli anelli che teneva a metà delle dita.

Samuel e Nova si salutarono, poi la ragazza si avvicinò subito a Bradley con cordialità.

«Anche tu qui per uno scarabocchio di Joel?» gli chiese lei dopo averlo salutato.

«Lui lavora da noi, però non fa tatuaggi.» Samuel rispose al posto di Bradley, notando la timidezza eccessiva del collega.

«Non faccio altre domande per non farmi i fatti vostri, comunque, felice di sapere che la nuova fiamma di Joel lavori qui.» Nova si avvicinò al bancone per sfogliare un grosso raccoglitore pieno di disegni, facendo ridere Samuel sotto i baffi e sprofondare Bradley nell’imbarazzo più profondo.

«Hai frainteso...» borbottò Bradley con il viso paonazzo, seguendo la sua figura snella con lo sguardo.

«Con te Joel è tonto come quell'idiota di Sam nei miei confronti. Se vuoi un parere personale hai addescato il migliore tra i due.» gli rispose Nova.

Samuel trasformò aspramente la propria espressione, rispondendo alla ragazza con un verso incredulo. Bradley riuscì a sentirsi lievemente a proprio agio, concedendo un debole sorriso divertito a Nova.

«Credo che sia l'unico tatuatore al mondo ad avere un solo tatuaggio.» aggiunse lei, appoggiandosi al bancone con i gomiti.

«Unico, appunto.» aggiunse soddisfatto Sam.

«E di quale pezzo d’arte unico stiamo parlando?» domandò piano Bradley sorridendo con quelle due persone che a poco a poco stavano facendo ritornare l'atmosfera meno tesa.

«Una frase sulle costole. Dice "non ho mai dipinto i sogni, ho dipinto la mia realtà".» recitò con fierezza.

«Di Frida Kahlo, la regina.» aggiunse Nova assottigliando le labbra.

Bradley corrugò lo sguardo con interesse, attratto dal nome di quella donna già sentita nominare.

«È stato Joel a farmela conoscere portandomi ad una sua mostra.» Samuel si avvicinò a Nova, che rise.

«Ricordi quel pomeriggio? Aveva trascinato anche me e Peter con voi. Da quel momento in poi ci siamo quasi ammazzati a furia di studiare tutte le sfaccettature della sua storia. Frida ha una tale potenza da mettere vita nelle persone pur essendo morta, e Joel ha sempre saputo raccontare di lei nel migliore dei modi. Samuel ricordi quella specie di quaderno che teneva sempre nella cartella?» sorrise Nova guardando l'amico dal basso verso l'alto, mostrando a Bradley il suo delicato profilo.

«Aveva scritto sulla prima pagina una frase del tipo "Gesù Cristo sono io, e questa è la mia bibbia, il Vangelo che nessuno conosce". Era una specie di taccuino rettangolare dalla copertina celeste, le pagine erano prive di righe e di un color crema.» Samuel prolungò il suo sorriso felice e quasi malinconico, sovrastato da Nova che si morse un unghia prima di parlare.

«Era pieno zeppo di frasi quel cosetto colorato. Le prendeva dalle canzoni, dai libri, dai film, dai testi di scuola e certe volte se le inventava lui di sana pianta. Se lo portava sempre appresso ma era gelosissimo di chi lo maneggiasse.»

«Una cosa davvero bella da fare.» commentò dolcemente Bradley muovendosi piano sul posto. Provò amarezza e anche una lieve invidia ascoltando quel racconto di un'adolescenza felice, di amicizie unite, e di ricordi di una vita normale. Certo, lui non poteva sapere se e quali problemi possedessero in realtà quelle persone, magari prigioniere di demoni simili al suo, ma anche se questi ipotetici mostri fossero stati tanto malvagi come i suoi personali lui non sapeva tirar fuori dal proprio passato episodi così rosei come i loro.

Bradley era sempre stato troppo impegnato a scavare una fossa dove seppellire il proprio dolore, senza rendersi conto di aver perso troppo tempo in quel lavoro e che alla fine in quel profondo buco ci avrebbe messo la sua vita.

Lui non era l'unico a star male, altre persone ridotte nelle sue stesse condizioni, o peggio, cercavano di lottare per tirare avanti e costruirsi una felicità esclusiva, eppure lui aveva troppo dolore, e quel braccio non poteva ignorarlo.

Le chiacchiere tra il tatuatore con un solo tatuaggio e la ragazza sottile e magra come una bambina si divulgarono in altre formalità, che riguardavano la loro serata, il lavoro al bar, e Peter eccentrico come al solito. Bradley andò dietro quei discorsi annuendo e sorridendo alle occhiate che i due gli mandavano per inserirlo nelle loro parole, finché dal corridoio non si presentò Joel.

Oh

Fu come essere soffocato da acqua gelida e avere le nuvole in mezzo agli occhi. Quella mattina Bradley si era svegliato con la voglia di vedere Joel, e finalmente lui era lì. Sempre così bello, non sapeva dove guardarlo. La barba folta, il collo avvolto da disegni, gli occhi chiari, i capelli morbidi e sempre ordinari, e poi il busto possente e vigoroso. 

Bradley lo scorse subito, non appena uscì dal corridoio, e volle imporre a se stesso il divieto di andargli incontro e abbracciarlo. Poteva stringere qualcuno con un solo braccio? Si riformulò la domanda: poteva manifestare affetto a qualcuno come Joel senza essere toccato?

No, finché quell’arto malato non sarebbe sparito. 

Joel sorrise vedendo i vecchi amici intenti a chiacchierare, ma scaltro e attento individuò all’istante Bradley, dato che anche lui lo sognava da ore intere.

In breve Joel e Bradley si videro e sulle costole strisciarono tutte quelle dita che ancora non si erano messi addosso.

Bradley si lasciò trascinare dal proprio stupore dolce, avanzando di due passi mentre Joel velocemente lo travolse con gli occhi, sorridendo radiosamente. Lui lo salutò senza alcun bacio, abbraccio o formalità più o meno imbarazzante. Con delicatezza allungò di poco il braccio prendendo con il mignolo l'indice della mano destra di Bradley.

Rimasero attaccati in quella combinazione di falangi e pelle per un lasso di tempo calcolabile in una manciata di secondi, che si congelarono sulle loro bocche insoddisfatte.

«Buongiorno.» disse Joel con tono lieve.

«A te.» bisbigliò il moro.

Non riuscirono a capire se facesse più male ai loro cuori guardarsi negli occhi e attendere qualcosa nel silenzio o non permettere alle mani di aggrapparsi ai lombi bollenti.

Ci pensarono Sam e Nova a scoppiare la bolla che i due si erano creati intorno.

Li osservarono con malizia, stuzzicandoli con lo sguardo arguto, specialmente Samuel che però -probabilmente sotto avvertimento di Joel- si mantenne silenzioso.

Il tatuatore e il ragazzo malato risero calorosamente abbassando lo sguardo, così da voltarsi verso gli altri due presenti in quella stanza.

«Non stavo più nella pelle a furia di aspettare il tuo ritorno.» sbottò Joel. Ci mise così tanto entusiasmo in voce che quasi Bradley poté riconoscere il ragazzino gioioso che trasformava tutti e duecentosette quei tatuaggi in disegni da colorare. Straordinariamente Bradley continuò a sorridere, allontanando di malavoglia la mano destra da quella di Joel con la scusa di scostarsi dietro l'orecchio una piccola ciocca di capelli sfuggita dall'acconciatura.

«Anch'io non vedevo l'ora.» gli rispose.

«Stavamo giusto parlando a Bradley della tua ossessione per Frida Kahlo, e di quante volte hai disegnato il monociglio a me, Peter e Nova al dormitorio.» Samuel si fece avanti per abbattere il muro di incertezze ancora troppo alto tra l'amico e il ragazzo stanco.

Joel con dolcissima sorpresa sgranò gli occhi e aprì la bocca così da creare un ovale; guardò prima i suoi amici e poi Bradley, domandandogli quasi sotto shock: «Conosci Frida Kahlo, non è così?»

Bradley trattenne una risata e scosse il capo aggrottando la fronte.

«A dire il vero l'ho soltanto sentita nominare qualche volta.»

Joel parve impallidire, con la sua indelebile esuberanza allegra in viso. Fece ridere Nova che aveva predetto quella reazione. Joel con vivacità si rigirò le mani forti e piene di tatuaggi, piegandosi lievemente verso Joel.

«Caro Bradley direi che oggi non riceverai soltanto un fiore di carta o una piuma. Oggi il sottoscritto ti racconterà la vita di Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón.» poggiò una mano sul petto e socchiuse gli occhi con superiorità scherzosa.

Bradley lo guardò in tutto quel tripudio di bellezza luminosa, stringendosi il braccio sinistro con una mano e bilanciando il peso del proprio corpo sulla gamba opposta.

«Sarei davvero felice di conoscere quello che sai su di lei.» gli disse, sereno.

Joel parve risplendere ancor di più, forse persino sorpreso da una risposta simile da parte di Bradley. Gli fece un gesto con la testa che lo invitò a seguirlo nell'ultima stanza, quella dove il suo povero cliente con il famigerato drago nel petto si era preso una pausa dal suo grosso tatuaggio.

I due amici di Joel rimasero al bancone con un sorriso malizioso, soddisfatti per il trionfo amoroso dei ragazzi.

«Io finisco quel tattoo, tu puoi sederti vicino a me e ascoltare cosa ho da dire.» gli disse Joel prima di entrare nella stanza.

«E il mio lavoro?» domandò Bradley preoccupato.

«Il tuo lavoro per oggi è imparare l'arte migliore che ho da suggerirti, e star fermo a farti contemplare. Hai un profumo bellissimo, sai? Quasi quasi riesco a sentire la marijuana che Samuel ti ha fumato addosso.»

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


 

Frida Kahlo era nata a Coyoacán il 6 luglio 1907. Pittrice, figlia di un fotografo tedesco, ebbe una vita travagliata. Le piaceva dire di essere nata nel 1910 poiché si sentiva profondamente figlia della rivoluzione messicana di quell'anno. Affetta da spina bifida, scambiata per poliomielite, fin dall'adolescenza aveva manifestato una personalità molto forte, combinata con un singolare talento artistico e uno spirito passionale, riluttante verso ogni convenzione sociale. Frida fu vittima di un terribile incidente all'età di diciotto anni, che le cambiò drasticamente la vita. Prigioniera del suo corpo scuoiato dal dolore l'unica finestra verso la libertà per lei era stata l'arte. L'autobus su cui viaggiava finì schiacciato contro un muro e le conseguenze dell'incidente furono gravissime per la pittrice; la colonna vertebrale le si spezzò in tre punti della regione lombare. Si frantumò il collo del femore e le costole; il piede destro rimase slogato e schiacciato, mentre la spalla sinistra restò lussata e l'osso pelvico spezzato in tre punti. Inoltre, il corrimano dell'autobus le entrò nel fianco e le uscì dalla vagina. Nel corso della sua vita subì ben trentadue operazioni chirurgiche. 

Joel raccontò l'inizio di quella storia sotto il rumore elettrico della macchina per tatuare. Bradley rimase in silenzio ascoltandolo come fosse la melodia più soave del mondo.

L'amore tormentato con Diego Rivera, i numerosi aborti, gli amanti, la sua bisessualità, gli idoli precolombiani, le mostre, i dipinti, Joel parlò di ogni cosa, quasi stesse raccontando la storia della sua vita stessa. E Bradley iniziò ad essere percorso dai brividi ad ogni singola parola, da un lato perché era proprio la voce di Joel a pronunciarla, dall'altro, per la scioccante storia di quella donna.

Furono tantissime le cose che lo colpirono, ma più di tutte l'amputazione della gamba destra poco prima della morte di Kahlo. Joel gliela descrisse come un lunghissimo calvario di disperazione, rabbia e dolore.

«Frida ormai era dipendente dagli antidolorifici, non capitava mai che fosse in se'.» gli disse, definendo meglio il bordo del disegno sulla pelle del suo cliente.

«Fu un'enorme perdita per lei, che mai riuscì ad accettare, anche se la protesi a cui lavorò per rimpiazzare la gamba la rese alquanto fiera.»

Le sue sopracciglia descritte come lunghe ali di gabbiano nere marchiarono l'immagine che Bradley si era fatto di quel viso intravisto rare volte su qualche disegno, tutto contornato da fiori. 

Joel si definiva un suo allievo, diceva di appartenere a lei come figlio, fratello e amante. Los fridos era il nome che gli alunni di Frida si erano dati, e Joel mostrò a Bradley uno dei suoi duecentosette tatuaggi posto sopra il gomito. Aveva tatuato in un corsivo sottile e fluente quelle due brevi parole, che spiccavano in mezzo alla cornice di colore degli altri disegni.

Bradley lo guardò con stupore, sicuro che tra tutti i tatuaggi che aveva visto fino a quel momento su di Joel quello fosse il più bello. Il ragazzo si sfilò i guanti neri di plastica strappando un pezzetto di carta dal suo album da disegno poggiato su di uno sgabello. Con una sottile penna a china nera ne ricopiò i caratteri, consegnando nelle mani di Bradley il ritaglio bianco su cui era stato trascritto lo stesso tatuaggio di lettere sulla sua pelle.

 

Los fridos

 

Joel gli sorrise, passando -con le mani disinfettate- una pomata sul grosso ed arrossato tatuaggio del ragazzo sdraiato sul lettino. In fine, dopo quella lunga sessione di colore nero Joel concluse il suo riassunto della storia con una frase tratta dal diario di Frida.

«"Spero che la fine sia gioiosa e spero di non tornare mai più" furono le ultime parole che scrisse sul suo diario.»

Bradley sentì un pesantissimo nodo alla gola scendere poi al centro del petto. Increspò la fronte e riuscì per miracolo a regolarizzare il respiro, tramortito dal significato che per lui avevano quelle parole. Fece passare tra le dita il sottile pezzetto di carta datogli da Joel, che dovette prestare attenzione al suo cliente, fortunatamente per Bradley non accorgendosi così del sottile squilibrio emotivo suscitato in lui.

«Deve avere un grande significato quest'artista per te.» Bradley gli si avvicinò mentre Joel salutò il ragazzo eccitatissimo per il nuovo tatuaggio. 

«L'ho conosciuta durante un viaggio in aereo, un suo autoritratto era sulla copertina di una rivista. L'ho notata immediatamente, come ho fatto con te. Tutti e due avete quella tendenza di colore unica che mi dà alla testa.» gli rispose con mezzo sorriso.

«Posso prendere un pezzo di lei anche io?» gli domandò il moro, timido e angoscioso.

«Naturalmente, Arte è ciò che tutti possono sentire.» Joel corrugò la fronte.

«È normale che in questo momento, però, riesco a sentire più te che lei?»

Joel sorrise, allungando appena una mano su di una guancia ruvida di Bradley. Rimasti nella solitudine di quella piccola stanza per tatuare Joel si permise di accarezzargli il viso dolcemente.

«Direi proprio di sì. Io poi sono in carne ed ossa davanti a te.» gli rispose con tono di voce basso e sereno.

«È un invito a far qualcosa?» il moro si insospettì, tentato con sfrontatezza dal suo istinto ma al contempo imbarazzato e rallentato dal braccio sinistro teso e distante dal resto del corpo di Joel.

«Può darsi.» l'unica cosa che si limitò a rispondere fu quella. Bradley si aspettò da un momento all'altro il viso di lui spinto contro il proprio, ma con sua indiscussa delusione Joel si tenne sulle sue, e fece durare quella bellissima carezza giusto il tempo di un battito di ciglia.

Dirigendosi verso lo stretto corridoio che portava all'ingresso dello studio Bradley si tenne due passi indietro alla corporatura massiccia di Joel.

Nova, magrissima, ostentava verso la porta aspettando che Samuel la seguisse. Si era tutta attorcigliata in uno sciarpone di lana prestatogli dal ragazzo, che con il suo giubbotto di pelle indosso sistemava le ultime riviste in disordine sul bancone.

«Andate già via?» gli domandò Joel scherzosamente.

«Esatto capo, sono le diciotto  passate, ricordi l'orario di chiusura di questa catapecchia o no? Riaccompagno la signorina a casa e faccio un salto da Peter per accordarci su alcune bozze per il tatuaggio che ha prenotato la settimana scorsa.» Samuel tirò su la cerniera del giubbotto scuro facendo rendere conto a Bradley della fioca luce per le strade della città. La sera era quasi del tutto giunta, il rosso del tramonto che si internava nei palazzi si stava via via dissolvendo. 

«Allora andate, ci vediamo domani. Io e Bradley resteremo a disinfettare gli attrezzi. Salutatemi Peter!» Joel diede una pacca amichevole sulla spalla di Samuel, che sorrise con in volto un cenno di provocazione.

«Mi raccomando voi due, non fatevi un tatuaggio di coppia...» a quella frase Nova gracchiò una risata difficilissima da trattenere, portandosi una mano sulle labbra. Joel tentò di controbattere quella provocazione buffa ma i due amici erano già sgattaiolati via dal negozio, salutando con un gesto della mano.

Il cartello appeso alla porta di vetro venne voltato verso “closed”.

Bradley aprì e chiuse il pugno della mano sinistra, sudò sentendola formicolare. Si sentiva tremendamente nervoso anche se non era di certo la prima volta che lui e Joel si trovavano insieme da soli.

Si aspettò un secondo tentativo di avvicinamento alle sue labbra vedendo Joel andargli incontro. Con un fortissimo batticuore Bradley se lo vide passare accanto a contare il gruzzoletto di soldi incassato quella giornata.

Bradley sospirò ritenendo che fosse l'ora di riprendere il lavoro per cui era effettivamente lì. Si armò di guanti in lattice, pezze pulite e prodotti dall'odore pungente. Fu felice con quel paio di guanti usa e getta, si sentì al sicuro nel poter nascondere con quel guscio sottile tutte le ferite sulla mano.

Con olio di gomito e attenzione minuziosa passò la pezza inumidita di disinfettante tutta tra i tubetti di inchiostro colorato. Joel gli fece compagnia con la scusa di catalogare i diversi piercing esposti in una teca, in ordine di grandezza e non più di modello.

Sentirlo alle proprie spalle mentre i capelli lunghi gli andavano davanti agli occhi fece sorridere Bradley. Gli piaceva la presenza di Joel, a dire il vero tutto di lui gli piaceva, e aveva avuto abbastanza tempo per capirlo e ammetterlo a se stesso.

Joel, in tensione, stette di profilo con il capo basso a guardare i brillanti argentei tra le dita non riuscendo a cedere alla tentazione di voltare lo sguardo verso Bradley, di spalle. Tutti e due sorrisero senza guardarsi, capendo comunque di avere la stessa espressione.

«Sai qual è il mio dipinto preferito di Frida?» domandò improvvisamente Joel posando il lungo ago incartato nella confezione medica. Bradley smise di pulire voltandosi verso di lui come se fosse stato attirato da un dolce richiamo.

«Quello della ragazza gettatasi da un palazzo?» quell'ipotesi da parte del moro fece sorridere il ragazzo tatuato, che gli si avvicinò con mascolina sensualità.

«No, anche se trovo Il suicidio di Dorothy Hale una delle sue opere più macabre e crude, quello che amo di più è Ricordo di una ferita aperta.» rispose. Parve illuminarsi ad un pensiero improvviso; Joel accelerò il passo e invitò Bradley a seguirlo nel suo studio, il piccolo stanzino da lavoro. Il tatuatore alzò lo sguardo ed indicò al ragazzo una tela incorniciata dalle piccole dimensioni.

Bradley socchiuse le labbra e restò immobile a fissare la copia identica di un piccolo fotogramma in bianco e nero appeso accanto al quadro.

Il soggetto, che era proprio Frida Kahlo, stava seduta su una sedia a gambe larghe, in maniera quasi sfrontata e perversa. Sollevava la balza bianca della sua gonna per mostrare due ferite, la prima al piede bendato e poggiato su uno sgabello e la seconda, un lungo taglio sanguinante sulla parte interna della coscia. Frida guardava Bradley dritto negli occhi, con brutale imprudenza. I colori che riempivano quella tela risultavano lirici e brillanti, simili alla tradizione messicana: rosso, rosa, arancione e nero.

«Quello originale andò perso durante un incidendo, è rimasta solo una fotografia in bianco e nero. È il mio preferito proprio perché è andato via, è morto. Sappiamo che c'è stato ma adesso possiamo solo immaginarci i colori. Ho cercato di ricrearlo come descritto dai critici d'arte, anche se mai nessuno sarà capace di realizzare una copia all'altezza dell’originale. Vedi la mano sotto la gonna? Frida disse schiettamente ad un suo amico che la ritraeva nell'atto di masturbarsi.» Joel spiegò ancora i particolari di quell'artista.

Bradley si sentì sommerso da emozioni tutte paragonabili alle corone di fiori di Frida. Vive ed enfatiche. Rimandò alla vita di quella pittrice tutti i suoi martiri, e fu quasi felice di poter paragonare i loro dolori senza però dirlo ad alta voce. In poco più di due ore Joel era riuscito a fargli da insegnante, e a urlargli contro quasi tutta l'importanza che aveva riguardo Frida.

Bradley si sentì come la diciottenne messicana tra le lamiere dell'autobus, nuda e coperta di sangue, con il dolore che le mangiava la carne e la morte che le danzava intorno. Solo che il suo personale scenario apocalittico non aveva mai smesso di durare, perché nessuno era giunto in soccorso.

Però forse era arrivato Joel.

Joel era come Diego Rivera e Bradley l'ossessiva e innamorata Frida.

«Mi lasci senza parole.» mormorò, voltandosi lentamente a guardare Joel. Lui gli sorrise, ma un'ipotetica risposta venne ammutolita sul nascere da un forte tuono proveniente da fuori. Entrambi si voltarono dirigendosi all'entrata dello studio dove dalla vetrata principale, oscurata dal buio, un acquazzone si scatenava per le strade.

L'espressione di Joel parve quella di un bambino emozionato, il suo sorriso divenne euforico e buffo, mentre alzava le spalle. Bradley lo guardò divertito, con timidezza strinse la mano sinistra in tasca, senza il guanto.

«Merda, guarda un po' che diluvio!» esclamò il tatuatore, guardando ancora fuori.

«Una gran scocciatura tornare a casa a piedi.» commentò Bradley con meno entusiasmo.

«Cosa?! È stupendo!» 

«Per te che sei in auto.» Bradley quasi si sentì a disagio a dover ammettere lui la macchina non l'aveva e che non poteva nemmeno permettersela.

«Auto? Quale auto? Non ho nemmeno l'ombrello!» Joel scoppiò in una risata divertita, che contagiò anche Bradley.

«E quindi come si fa?» domandò il moro.

Joel sorrise. Spalancò la porta e accolse all’interno lo scrosciante rumore della pioggia violenta, Bradley avvertì una sensazione di rinvigorimento quando la brezza fredda del temporale lo investì.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Il suono dei piedi affondati dentro le pozzanghere si unì al fruscio veloce della pioggia, che a goccioloni quasi allagava le strade. Poco più che le otto di sera e già si era fatto buio pesto con la temperatura abbassatasi improvvisamente. Solo alcune macchine veloci illuminavano e animavano le vie, tutto il resto della gente aveva già chiuso i propri negozi addormentando i quartieri di periferia.

E poi a correre da un marciapiede all'altro c'erano Joel e Braley. 

Il tatuatore sgambettava molto più velocemente, avanti a Bradley, che con il fiato pesante riuscì però a tenergli testa. L'acqua gli aveva ormai inzuppato tutti i vestiti, i capelli completamente bagnati erano appiccicati alle tempie e alla fronte. Le ciglia umide simulavano lacrime impersonate dalla pioggia, che scendevano giù dal viso, fino al collo. Risero talmente tanto che Bradley faticò addirittura a respirare. Come due ragazzini spensierati, ingenui e folli, lavarono via ogni pensiero con l'acqua piovana come benedizione divina.

Si fermarono davanti ad un semaforo rosso, stanchi ma in trepidazione sul posto. Si guardarono negli occhi, l'espressione storpiata dalla fatica e dall'acqua. L'entusiasmo, però, rimase ben visibile sulle loro labbra.

«E adesso che idea hai?» domandò Bradley ad alta voce per colpa del rumore insistente della pioggia, e di qualche tuono lontano.

«Se voltiamo l'angolo a questo isolato» disse Joel indicando una strada con l'indice «possiamo ripararci a casa mia. Peter mi ha lasciato gli avanzi di ieri sera, riscaldiamo la pizza e guardiamo un film.»

«Che film?» chiese Bradley divertito.

«Puoi scegliere tra un horror oppure una commedia romantica!»

Bradley annuì con le mani raccolte per riscaldarsi.

Inizialmente il moro mantenne tutto l'entusiasmo che quella corsa spensierata gli aveva messo addosso, ma quando si rese conto di essere proprio davanti alla porta dell'appartamento di Joel iniziò a pentirsi e ad agitarsi per l’ansia. Avrebbe tanto voluto riuscire a star calmo, a non dover pensare esclusivamente ai più disparati modi per nascondere la propria mano sinistra. Il rigido protocollo venne stilato a memoria nella sua mente, e tra i primi punti da rispettare c’era quello di stare a debita distanza da Joel per non farsi toccare. Nonostante i suoi battiti aumentassero per l’agitazione non la diede vinta al suo cuore nel panico. Salì le scale velocemente, che lo portarono al terzo piano in cui era l’appartamento di Joel. Con le mani bagnate il proprietario di casa fece un po' fatica ad infilare la chiave nella serratura lucida. Bradley si tenne indietro anche dopo che Joel entrò spedito all'interno della dimora accogliente. Bradley asciugò i piedi sullo zerbino e poi si decise ad entrare.

Si strinse le spalle rigido ed infreddolito, battendo le labbra quasi viola per il freddo degli abiti zuppi in dosso. Il suo sguardo vagò velocemente per la casa; le pareti erano bianchissime, decorate con dei graffiti e altri disegni a tempera tutti realizzati esclusivamente dalla mano di Joel; cornici di fotografie e dipinti non stonavano affatto con il resto dell'arredamento. I particolari che più saltarono all'occhio di Bradley furono i libri e i colori sparsi su ogni mobile e mensola, e poi una gabbia per uccelli con le sbarre nere. Era enorme, alta quasi un metro, ricca all’interno di corde colorate e ciotole con frutta fresca e rami. Bradley vi si avvicinò con curiosa lentezza, incantato dall'animale che stava riposando cautamente all'interno della grande voliera. Si chinò in avanti e vide un pappagallo completamente nero a macchie dorate, grosso quanto un cagnolino di piccola taglia. L'uccello parve sbadigliare, spalancano il becco ad occhi chiusi. La cresta scura si alzò lievemente sul suo capo e Bradley riconobbe come le penne brillassero sotto la luce delle lampade.

«Lui è Spiritum. Te ne ho già parlato, la piuma che ti ho regalato è caduta dalla sua coda.» Bradley si voltò con uno scatto veloce alle sue spalle, dove Joel aveva parlato.

«Non lo immaginavo per nulla in questo modo.» commentò abbassando lo sguardo.

«Ha quasi dieci anni ed è ancora nel fiore della sua giovinezza. Quando è particolarmente felice chiacchiera un po' e dice un sacco di parolacce che gli ha insegnato Sam.» Joel rise, infilando le dita tra tre sbarre della gabbia. Spiritum allungò il collo verso di lui e gli pizzicò leggermente i polpastrelli.

Bradley lasciò che il movimento ipnotico dell’animale lo cullasse, invadendo le parvenze più esposte dei suoi pensieri sanguinosi. Talmente era incantato dalla pace di quella creatura da non curarsi più del fatto di star tremando di freddo. 

Joel invece ci fece caso eccome. Abbandonò Spiritum e corse nell’altra stanza a prendere un asciugamano caldo per sé e per il suo ospite. 

 

«Tieni, usala. Fradicio per come sei rischi di prendere l'influenza.» Joel gli passò con delicatezza la salvietta che profumava ancora di ammorbidente.

Bradley la prese e la usò per nascondere e riscaldare le proprie mani; «Hai ragione, sto congelando.» rispose con un sorriso.

Erano in armoniosa e schietta sintonia, talmente evidente che entrambi concordavano sul fatto che fosse assolutamente inspiegabile. Ne discussero con la voce dei pensieri, e in silenzio soltanto le microespressioni dei loro visi comunicavano tale constatazione. Joel, asciugandosi con enfasi il capo, camminò in direzione del salotto invitando Bradley a seguirlo.

Entrambi si sedettero sul morbido divano color sabbia, uno accanto all'altro ma a debita distanza. L’ansia di Bradley stava già invadendo i suoi vasi sanguigni.

 

Joel increspò le sopracciglia e gli spinse i capelli bagnati dietro alle orecchie con una naturalezza priva di ogni provocazione.

Bradley rise, contento per quella vicinanza che pochi istanti prima aveva inutilmente temuto. Si riscaldò le mani, ancora, e poi guardò negli occhi di Joel. Accanto a lui il tatuatore aveva poggiato dei vestiti puliti e ben piegati. 

Bradley li osservò con repulsione.

«Indossa qualcosa di asciutto, se vuoi per stanotte puoi anche restare da me.» gli propose gentilmente Joel, da bravo padrone di casa.

Bradley impallidì, terrorizzato dal semplice fatto di doversi spogliare in quella casa, rischiando di essere visto da Joel.

«N-no, davvero, ti ringrazio.» balbettò in risposta.

«Fuori il tempo è un inferno, probabilmente pioverà per tutta la notte. Ho una camera per gli ospiti più che accogliente, per favore, rimani.» Joel tentò di prendergli le mani, ma con un movimento brusco e terrorizzato Bradley le ritrasse.

«Perdonami, ti prego, ma non posso...io non posso.»

«Pensi che io abbia strane intenzioni? Merda, non volevo farti sentire a disagio.» Joel sospirò con una mano sul capo bagnato.

«No, non è affatto così. Sei gentilissimo, sono io che...sono io quello che rovina tutto.» gli occhi di Bradley si fecero lucidi, si allontanò da Joel.

«Cosa? Che stai dicendo?» Joel simulò un sorriso severo, stranito.

Bradley fu convinto di star già piangendo, anche se dai suoi occhi trapelava soltanto l'enorme angoscia e vulnerabilità che in quel momento lo afferrarono. Si portò la mano destra sulle labbra, ne morse piano il dito per la frustrazione, e sentì pulsare le orecchie.

Era quello il momento, non aveva via d'uscita, ogni parte di lui lo obbligava a parlarne con Joel, ad essere estremamente sincero, eppure...

«C'è una cosa che devi sapere, su di me.» mormorò, deglutendo.

«È grave?» Joel si allarmò quasi quanto Bradley, lui lo capì, vide quanto fosse terrorizzato.

«Direi di sì.»

Joel gesticolò con insicurezza, tentando di accarezzare le spalle di Bradley ma tenendosi ben lontano per non metterlo in ulteriore difficoltà.

«Voglio che tu sappia che a me puoi dire qualsiasi cosa.» si limitò a sussurrare il tatuatore, adesso un fascio di nervi tesi.

Bradley trasse un profondo respiro. Chiuse gli occhi ma li riaprì quasi subito, era la prima volta in vita sua che prendeva l'iniziativa di parlarne e raccontare della propria malattia. Delilah e Leif lo sapevano già, a scuola tutti parlavano dello strano tipo gay che si maciullava il braccio, con il tempo erano stati proprio gli amici a spronarlo nel confessarsi, e a capire davvero la gravità della situazione, dopo anni di intensi tentativi e cofnidenze. Con Joel invece erano passate poco più che un cumulo di settimane, senza che un segnale significativo lo turbasse e gli desse modo di sospettare che ci fosse una cosa tanto grave, eppure Bradley doveva dirglielo, sentiva l’impulso di aprirsi con lui. Le estremità del suo corpo formicolavano per l’impazienza di sbottare ogni cosa, magari avrebbe persino goduto dell'espressione sconcertata di Joel nel sentire ogni minuzioso dettaglio che aveva da raccontargli. Bradley deglutì, un misto di saliva e ansia.

«Sono affetto da una rara patologia…» quel breve interludio fu seguito da una lunga pausa. Era tutto inutile, non poteva sul serio sbandierare il suo vergognoso morbo con così tanta leggerezza. Cosa cazzo avrebbe pensato Joel di lui? Lo avrebbe temuto? Si sarebbe impressionato a tal punto da non riuscire più a guardarlo? O l’avrebbe trattato con compassione, dato che per tutto questo tempo aveva avuto a che fare con un bugiardo psicopatico.

«Ecco, io-» ritentò, ma per Bradley emettere qualsiasi suono che somigliasse ad una parola era impossibile. Quella adrenalinica sensazione di impazienza era svanita, adesso una assai più familiare aveva preso il sopravvento. Sull’orlo di un attacco di panico dovette togliere gli occhi da Joel.

«Bradley, ti prego sta calmo. Ascolterò qualsiasi cosa tu voglia dirmi, ma solamente quando ti sentirai di farlo. E se così non fosse allora puoi anche rimangiarti ciò che hai detto fino ad ora ed io non ti domanderò nulla, mai più.»

Joel non sbagliò nemmeno stavolta, ma Bradley incanalò quelle dolci rassicurazioni e le convertì in un ammasso di rimorso e paura. A quel punto Joel non seppe più che fare, se non farsi avanti per primo; magari questo avrebbe  aiutato Bradley a sentirsi meglio.

«Io non posso paragonare il mio passato al tuo, anche se lo conoscessi a memoria, e non voglio parlarti di ciò che ho da dire per fare un paragone, assolutamente no. Ognuno deve vivere il proprio dolore con un personalissimo rispetto, non mi perdonerei mai se mi fraintendessi, ma magari la mia storia può farti sentire meno solo.» sbottò Joel. Lui, al contrario di Bradley, non aveva esitazioni. Bradley rilassò i muscoli del volto e provò a dar retta a quella premessa.

«Quando ero adolescente mia madre venne a mancare per colpa di una brutta malattia. All’inizio non ho metabolizzato affatto ciò che era successo, addirittura passò più di un anno prima che io crollassi. Ho sofferto per lungo tempo di attacchi di panico, anche se al liceo apparivo come il ragazzo più socievole e allegro di tutta l’intera scuola. Sono stato seguito per diversi anni da uno psicoterapeuta, e nella fase più buia del mio lutto ho dovuto assumere persino alcuni farmaci. Quasi ogni sera era una corsa al pronto soccorso per via di uno dei miei attacchi di panico, e tutt’oggi faccio uno sforzo enorme a controllare le ansie che mi colgono di sorpresa senza un apparente motivo. Ora, sono certo che averti raccontato la mia triste storia ti abbia fatto pensare di certo: “oh quel povero diavolo di Joel”»

Bradley lo interruppe di getto, nervosamente: «Non l’ho pensato affatto, e non lo penserei mai.»

Un lungo silenzio riempì nuovamente la stanza. Questa volta però aveva un peso diverso, sapeva di consapevolezza. E Bradley trovò il coraggio di dire ciò che voleva;

«Si chiama Body Integrity Identity Disorder, è abbastanza difficile da spiegare...» la sua voce fu un una lama brillante che squarciò l'attenzione di Joel.

«In cosa consiste, cioè, potresti spiegare...?» Joel si mangiò le sue stesse parole, nervoso.

«Innanzitutto non posso curarla, soltanto trattarla. E’ una condizione perlopiù psicologia, non significa che io sia pazzo, è qualcosa di involontario, una vera e propria malattia. Non so proprio da dove cominciare.» Bradley abbandonò tutta la forza che lo teneva lucido, sul punto di cadere in quel profondo crepaccio dove il suo arto rimaneva sempre integro.

«Prova a spiegare, cercherò di capire in qualsiasi modo.»

Il viso colpito da un pugno di angoscia, gli occhi rossi e i capelli tutti bagnati che gli appesantivano l'immagine;

«Tu ci credi, al Diavolo? Perché io sono stato toccato da lui.»

Bradley si sfilò piano la felpa pesante, che a strizzarla avrebbe gocciolato acqua sul pavimento. Il corpo lucido e contratto dal freddo furono l'anestetico alla paura di Joel. Bello, possente, giovane e mascolino, il busto nudo di Bradley si contraeva senza troppi timori dinanzi a Joel, che per un istante non si accorse dei segni dell'omicidio rude e scioccante sulla pelle dell'arto sinistro.

Il braccio, dalla spalla alle dita, mostrava una tonalità di colorito completamente diversa dal resto del corpo. Profondissime cicatrici rosee sfiguravano i muscoli, lividi e segni differenti di oggetti contundenti creavano macchie sanguinolente di capillari infranti, e tessuto cicatriziale continuamente riaperto.

Nessuno sarebbe stato capace di descrivere quella mattanza, nemmeno l'artista che era Joel, capace di riprodurre dipinti bruciati. Fece silenzio e Bradley iniziò ad andare nel panico.  Era in assoluto la prima volta che si mostrava così a nudo davanti a qualcuno, nemmeno con Wolfgang era stato tanto diretto. Quando facevano sesso Bradley nascondeva sempre quel braccio sotto alle lenzuola.

Anche se in quel momento desiderò ardentemente di essere morto in quell'incidente non trovò il coraggio di mentire a se stesso e dichiararsi pentito su ciò che aveva mostrato a Joel. A lui doveva dirlo, doveva farlo vedere, doveva e basta.

«Adesso ne sarai di certo disgustato, spaventato e turbato. Non avrei dovuto essere tanto diretto.» Bradley si coprì il braccio con l'asciugamano, autocommiserandosi con aggressività.

«Oh no» Joel non fu in pena, non finse che tutto andasse bene; «Io penso che la tua persona sia molto più importante, la tua malattia è soltanto un’aggiunta, non ti definisce. Aspetta, forse non riesco a spiegarmi bene; tutti sono malati, nessuno è clinicamente sano nel corso della propria vita, ma ancor di più, tutti siamo malati nell'anima. Sto dicendo una marea di stronzate, ma il dolore fisico e mentale vanno all'unisono, fidati io l’ho provato sulla mia pelle. Tu per me non sei "disgustoso", cazzo, tu sei Bradley, la bellissima persona che porta i capelli dietro le orecchie e che quelle rare volte che sorride strizza gli occhi e gli si disegnano sotto dei raggi di sole. E per la cronaca -so che è così- se pensavi che non ci avrei più provato con te per questa sorpresa, ti sbagli di grosso.» Joel sorrise, come se non fosse successo nulla.

Bradley smise di respirare, l'asciugamano gli cadde di dosso, ma lui la lasciò sulle gambe.

«A questo punto, dato che dici che tutti sono malati, lo sei anche tu.» Bradley si angosciò ancora di più.

«Sì.» rispose Joel.

«E di cosa? Di cosa soffri tu?» replicò Bradley con insistenza bisognosa.

«La mia malattia sei tu, ma non fraintendermi, è una cosa fantastica. Ci sei sempre, sotto la mia pelle, non te ne vai mai. Mi causi problemi al cuore, allo stomaco, alla testa, ai polmoni, persino al movimento. In poche parole, tu sei quell'insopportabile sintomo che domina il mio corpo. Per me, però, non è una sofferenza, anzi, sei allo stesso tempo persino una cura.»

Bradley non ricordò molto gli istanti che precedettero quelle parole. Ebbe in testa l'immagine di tre lacrime sulle sue guance, di cui una fatta d'inchiostro. L'iniziativa del suo corpo di avvicinarsi, le sue mani che strinsero delle braccia forti, senza il timore di toccarle con la parte malata di se'.

Non ci furono altre parole, solo bocche, incastonate, saldate e bagnate.

Lingue che si toccarono con innocenza spedita, e occhi al buio che non videro altra cosa se non amore.

Joel quando accolse il bacio di Bradley non imitò i suoi gesti, non gli toccò il braccio sinistro, perché sapeva che non era ancora il momento. Gli toccò invece la vita nuda che si contrasse scaturendo un formicolio bellissimo.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Bradely si aspettava chissà quale difficoltà insuperabile nel parlare della propria malattia a Joel ed invece era finito con il riuscire a spiegarsi abbastanza serenamente, sentendosi persino a proprio agio. Era la prima volta, da quando la propria condizione lo tormentava, che Bradley aveva raccontato quella parte di sé senza escludere alcun dettaglio. A Joel spiegò la sintomatologia e le ipotetiche cause della BID, il disturbo dell'identità dell'integrità corporea; gli parlò della durata di quel calvario, e in sintesi di come era stato il rapporto con la propria famiglia, di quanto Delilah e Leif avessero svolto un ruolo importantissimo per lui.  Fu canonica l'intensità con la quale Bradley prese le redini di narratore e Joel di ascoltatore irremovibile di tutto quel dolore. Fu proprio quella presenza tutta piena di disegni a districare le parole di Bradley tenute ingabbiate tra le corde vocali da tantissimi anni. Improvvisamente, nel bel mezzo del racconto, Bradley si ricordò di essere proprio a petto nudo, lì, seduto sul divano a casa di Joel, con Joel e davanti a Joel. Le cicatrici larghe e rosee, dalla pelle poco elastica e cheloidea, parevano enormi branchie di uno squalo. Con la mano destra si sfiorò la spalla, per coprirla, ma poi una vecchia poesia letta da ragazzo lo destò e smise di nascondersi. Era stata una coincidenza davvero inquietante, trovarsi in una piccola libreria insieme a Leif, un pomeriggio, e sfogliare un sottile libro di poesie del quale non ricordava nemmeno il titolo. Non sapeva affatto di cosa trattasse nello specifico, ma erano raccolti diversi nomi di disturbi psicotici. Tra questi gli rimasero impresse nella memoria nove righe in nero sul foglio color crema.

 

Il mio più grande sogno è restare offeso

Non potete immaginare quanto ci pensi spesso 

Ma il mio desiderio nessuno lo accetta

Nessuno brandisce per me un'accetta 

Levatemi almeno un arto

Non vi chiedo tanto 

Per me è un torto

avere due leve

E non sapere cosa toccare

 

Bradley non comprò quel libro, non aveva denaro abbastanza. Però ormai quei caratteri sottili gli si erano incastrati tra le pieghe del cervello. Se la ripeteva spesso, quella poesia, quasi fosse una preghiera. E in quel momento, davanti a Joel, la pensò così intensamente da non avere più timore di censurare quelle ferite. 

 

Bradley aveva solo bisogno di non provare nulla, di non bruciare, di non essere una cometa soltanto per un istante. 

Qualcuno lo stava ascoltando? -Si.-

Fatelo smettere, avrebbe voluto urlare, mi fa sempre così male.

Ma c'era Joel, proprio davanti a lui. Aveva gli occhi tristi, ma non impietositi o spaventati. La notte piovosa, fuori dalle finestre, ruggì con qualche tuono, mentre la pelle d'inchiostro di Joel si puntellò per dei brividi. La barba folta gli brillava, ancora un poco umida, mentre i capelli rimasero straordinariamente composti. Quando arrivò il momento di concludere il racconto teorico di quella situazione Bradley seppe riassumere tutti quei sentimenti in una semplice frase;

«Non mi sento bene.»

Joel a quel punto, dopo averlo baciato piano, assaggiando il sapore amaro che le sue labbra e le sue parole gli avevano lasciato sotto la lingua, non perse occasione per allungare una mano e stringere quella di Bradley, la destra.

«Tu sei speciale, non malgrado il tuo braccio, ma grazie ad esso.» Joel glielo disse increspando le sopracciglia, sporgendosi verso di lui.

Bradley perse la capacità di regolarizzare il respiro. Aveva un nodo alla gola così grande che scioglierlo avrebbe fatto male alle dita.

«Non voglio assolutamente che esso influenzi quella cosa nuova che c'è tra di noi. Tu vedi bellezza, io vedo dolore. Probabilmente tu vedi amore mentre io disprezzo; come facciamo a parlare tutti e due della stessa cosa in questo caso?» Bradley storpiò il proprio tono di voce con aspra autocommiserazione. Ma non lasciò la mano di Joel.

Il tatuatore con un lento gesto di carezza sul suo viso pose le labbra su quelle di Bradley. Ecco, lo avevano fatto ancora. Si erano ustionati in un semplice bacio dal sapore acre. Joel lo guardò negli occhi, non appena smise di inumidire le labbra del moro, rispondendo alla sua domanda disperata.

«Così. Lo facciamo in questo modo.»

Velocemente, Joel si tolse dal petto la maglia. La gettò con incuria alle sue spalle, mettendosi meglio di fronte all'imbarazzo e alla sorpresa di Bradley. Tirò il petto in fuori, modellando il viso con espressione buffa e serena. Bradley non seppe davvero da dove cominciare, quel corpo pareva una galleria d'arte.

Oltre al fatto che la fisicità possente e perfetta che incalzava sui muscoli di Joel risvegliò in lui certi istinti ormai addormentati, ogni tonalità di colore e continuità di curve nere gli entrarono nelle iridi. Joel gli sorrise, indicandogli con l'indice un tatuaggio sul costato del lato destro del proprio corpo. La pelle ingrigita da tantissime sfumature faceva da cornice ad un ritratto di Frida Kahlo, tatuata nella sua bellezza di fiori, proprio sul corpo di Joel.

«A te sembrano davvero così brutte le tue cicatrici, quindi guarda quello che ho io sul corpo.Vorrei che tu non trovassi alcuna differenza.» Joel sorrise, con tono gentile e ingenuo.

Lo stesso fece Bradley, con gli occhi brillanti.

«Grazie» disse «sono meravigliosi.»

Joel si sporse sulla spalliera del divano, prendendo una coperta in pile. Era di colore viola e odorava di ammorbidente. La spiegò in tutta la sua grandezza e la usò per avvolgere il corpo infreddolito e fragile di Bradley. Lui la strinse forte sulle spalle, con entrambe le mani portare al petto e riscaldate sotto il tessuto morbido. Joel gli sistemò i capelli umidi e di media lunghezza dietro il collo, approfittandone per sfiorarlo con qualche carezza sugli zigomi, adesso più caldi. Quando sorrisero, timidi nel guardarsi direttamente in viso, Joel decise di parlare ancora. Bradley aveva detto così tanto che anche lui si sentiva pieno di parole.

«Non siamo altro che delle tele fatte di organi e sentimenti. Ciò che proviamo non aspetta altro che trovare abbastanza inchiostro capace di rappresentare in qualunque forma d'arte le nostre anime. Ci macchiamo il corpo indelebilmente, con disegni fatti di sfumature e parole che ci rendo libri. Non siamo gente contorta o da evitare, non siamo la moda o la stranezza, noi siamo arte. Dopotutto possiamo essere il capolavoro più bello che il mondo possa avere l'onore di vedere.» mostrò a Bradley le braccia, avvicinando i polsi al suo sguardo, per vedere meglio i tatuaggi che spiccavano di più tra rosso e blu. «Ed è per questo che io, qui, adesso, farò una promessa.» 

Con sorriso beffardo Joel scomparì nel corridoio buio, tornando quasi subito con in mano una scatola. Trafficò qualche minuto con ciò che essa conteneva, collegando cavi elettrici a prolunghe, e disinfettando vari aghi. Mise in un piccolo cilindro qualche goccia di inchiostro nero, passando un pezzo di carta da cucina umida sulla parte interna del suo braccio, in un pezzetto di pelle ancora libera. Il punto esatto era proprio lì, alla fine del braccio, che si fletteva verso l'interno arrivati all'articolazione del gomito. 

In mano teneva la macchina per tatuare, l'ago già bagnato nell'inchiostro, e il piede poggiato su un pedale per terra.

«Cos'hai in mente di fare?» domandò confuso il moro.

«Sancisco questa promessa adesso, che fino alla fine io proverò a farti stare meglio.» Joel aveva già iniziato a disegnarsi sulla pelle, senza nemmeno un abbozzo iniziale.

«Cosa?! Joel smettila, che fai, il tatuaggio rimarrà per sempre.» Bradley si avvicinò a lui, con l'intento di fermarlo ma senza toccarlo, per non rischiare di farlo sbagliare.

«E allora?» domandò quello tra il rumore elettrico della macchinetta.

«Allora non puoi tatuarti...Cristo, ti stai tatuando il mio nome! Sei pazzo?! Non stiamo insieme nemmeno da, quanto? Mezz'ora? E poi, stiamo insieme noi due?»

«Brady, che ti importa del futuro?! Pensa ad adesso, a me che mi tatuato in salotto. Pensa alla mia promessa. Poi, qualsiasi cosa strana il futuro ci riserverà, a me non importa, io non rimpiango mai il passato.» Joel ripassò meglio la punta della B all’inizio del nome.

«La promessa...quella che guarirò? Mi pare di avertelo detto, io non posso guarire.» mormorò Bradley con amarezza.

«Lo dici solo perché non ci hai ancora provato.» Joel sorrise, il rumore della macchina cessò, e sul tatuaggio dal carattere sottile vi passò una schiuma bianca. «Sta tranquillo adesso, c'è la mia promessa, e tu sei su di me.» 

Bradley non seppe davvero più cosa rispondere. Si sentì quasi in colpa di aver fatto venire in mente a Joel di tatuarsi una cosa simile. Il suo nome non seguiva un carattere definito, anzi, era la semplice e schematica calligrafia di Joel, che aveva mantenuto un rigo dritto ed una distanza ordinata. Il tatuatore impregnò di vasellina il tatuaggio, avvolto poi dalla pellicola da cucina trasparente.

Joel tornò a sedere accanto a Bradley, coprendosi il petto nudo leggermente infreddolito, rivestendosi con la maglia spiegazzata. Lo squadrò da capo a piedi, guardandolo di profilo. Lo sguardo crucciato per l'imbarazzo, quasi arrabbiato per il suo gesto. Qualche ciocca castana gli andò sul viso, mentre stava chinato un po' di più in avanti. Bradley teneva le braccia incrociate e la coperta stretta addosso. A vederlo in quel modo Joel rise e scosse il capo, per tutta quella tenerezza. Era la verità, la sua, non vedeva soltanto un ragazzo malato come credeva Bradley. Lui gli piaceva, davvero tantissimo.

Si avvicinò di più al suo fianco appoggiandogli una mano sul ginocchio, gli baciò la testa con amorevole cura.

«Tu stanotte rimani a casa da me. Ti preparo qualcosa di caldo e appetitoso da mangiare, e guarderemo film finché non ci addormentiamo, d'accordo?» ammonì Joel, cercando i suoi occhi.

«D'accordo.» annuì lui a bassa voce.

«Direi che il mio primo tentativo di farti sentire meglio è riempirti lo stomaco. Scegli tu cosa guardare.» Jole gli porse il telecomando e si diresse in cucina.

L'unica cosa che davvero agiva da medicinale a quel suo male era il fortissimo profumo di Joel in quella casa. Così tanto tutto in una volta da penetrare nelle ferite e raggiungere le ossa. Era lì che lo avrebbe conservato, come Joel aveva fatto con lui con quel tatuaggio.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Come argento sulla pelle, era così che a Bradley piaceva immaginare quell'involucro invisibile che ricopriva il suo arto malato. Distingueva benissimo i molteplici solchi del luccicante metallo, minaccioso e protettivo, come una corazza preziosa, una protesi fatta su misura per rimpiazzare la causa del suo male. E, dato che Joel era un gran chiacchierone e che quella notte piovosa la passarono a parlare e mangiare squisitezze, Bradley riuscì a confessare anche quello strano disegno che aveva fatto di sé.

«Però, da quanto ho capito, tu saresti completo soltanto senza il braccio, giusto?» gli domandò Joel corrugando la fronte.

Bradley annuì, con voce sottile e timorosa; «Già.» se ne vergognava sempre tanto ad ammetterlo ma non poteva farci nulla. Spiritum gracchiò una parola che Bradley non riuscì a capire. 

«Potrei realizzare dei disegni su di te?» il tatuatore si mise seduto alla meglio sul divano, per loro un comodo giaciglio rassicurante.

Bradley rise; «Non c'è bisogno che tu me lo chieda, dopo che ti sei tatuato il mio nome senza permesso puoi disegnare ciò che vuoi.»

Joel si fece scappare una risata timida che gli mutò la tonalità del volto, molto più rosso dall'imbarazzo. 

«Dammi qualche ora, vedrai che domani sarà già tutto pronto.» sbottò con fierezza.

«Se mi dici così mi metti tantissima curiosità addosso.» Bradley lo imitò, sfiorandosi la spalla sinistra.

Non seppero più cosa dirsi, anche se le parole che avevano per la testa avrebbero potuto riempire le pagine di dozzine di libri. Parlarono le labbra rimanendo mute. Si socchiusero piano, in un intreccio mascolino di peluria e bellezza. Gli occhi di cielo trovarono la notte nelle palpebre calate, mentre i respiri si arrestarono. Amavano baciarsi, anche se era presto, lo adoravano. Che ci mettessero la punta della lingua o un debole massaggio superficiale, Bradley si dimenticava di essere malato e Joel si sentiva denudato dai propri tatuaggi. Avevano già imparato a memoria i loro sapori e per questo non riuscivano più a saziarsi.

La mattina seguente tutto quel brutto tempo era svanito, lasciando alla città qualche macchia d'acqua sull'asfalto e umidità nei palazzi. Bradley si svegliò sul divano, avvolto dalla calda coperta di Joel. Però lui non c'era. Stranito e confuso, il moro fece un veloce giro perlustrando la cucina e sostando al bagno, rendendosi infine conto che sul tavolino del salotto c'era un biglietto firmato da Joel. Era uno di quei disegni floreali fatti solo per Bradley. Un garofano, tutto solcato da motivi riferiti allo stile del mandala. In un angolino del foglio Joel gli diceva di mangiare la colazione che gli aveva preparato in cucina, sistemarsi, e di raggiungerlo allo studio di tatuaggi. Lì gli avrebbe mostrato quella commissione a cui aveva lavorato tutta la notte, instancabilmente. Aveva iniziato quando, sfinito, Bradley si era addormentato sul suo petto, iniziando a progettare con il proprio tablet l'abbozzo principale. Bradley, dormiente sulle sue gambe, si fuse nelle ossa e nei muscoli di Joel che aveva disegnato senza nemmeno bisogno di concentrarsi.

Bradley iniziò a sorridere nella solitudine accogliente di quella casa, che lo rese di un umore straordinariamente pacato. Quella mattina, appena sveglio e con lo stomaco pieno, davanti allo specchio del moderno bagno di Joel Bradley guardò le cicatrici al braccio e poi il rasoio poggiato sul lavello, non sentendo quell'impulso disperato di ferirsi. Respirò profondamente e si passò l'acqua fresca sul viso, annientando l'idea di aprirsi la carne con insolita facilità.

Ne approfittò anche per perlustrare timidamente quell'appartamento. Con indosso gli abiti profumati che Joel si era premurato di lasciargli in bagno ed i capelli raccolti in una piccola coda alta, si diresse per prima cosa verso la gabbia del pappagallo. Questo cinguettò in maniera confusionaria, facendolo sorridere. Bradley si voltò e si accorse di una lavagna appesa alla parete. Piena di frasi affollate e scarabocchi molto belli, venne persuaso dalla voglia di aggiungere qualcosa di suo. Impugnò il gesso bianco e lungo, sporcandosi i polpastrelli di polvere. Rifletté un instante su cosa lasciare in quello sfondo nero, convito, infine, di scrivergli: "Che poi le tue labbra sapevano di zucchero. Sei fortunato che ne vada pazzo."

 

Il tragitto verso il negozio di Joel gli parve lunghissimo, ma comunque una piacevole passeggiata. Quasi gli veniva da piangere rendendosi conto che quel braccio stava tacendo, per il momento aveva smesso di torturarlo.

Aveva spesso pensato alla morte come una novella di quiete buia, senza temerla poi tanto, ma da quando c'era Joel andarsene era diventato uno spiacevole contrattempo. Quante cose avrebbe perso se fosse sparito? Che spreco. Aveva voglia di reagire, finalmente, voleva farlo per lui e per tutto ciò che aveva da scoprire.

Anni interi passati a provarci, a lottare contro la propria solitudine, l'amore malato con Wolfgang, l'incidente, la sua malattia. Troppo tempo senza una persona come Joel che in poco più di qualche settimana l'aveva motivato in quel modo. Per lui era una persona impossibile da catalogare, perché non aveva mai avuto a che fare con uno spirito tanto intenso. Bradley non sapeva molto di normalità, non era mai stato bravo a tenersela, ma si era fatto un'idea in cosa consistesse e ciò che provava per Joel non era affatto banale.

Il suono della campanella sopra la porta di vetro, Sam di buonumore alla reception e poi Joel che subito si precipitò verso di lui.

«Vieni» gli disse prendendolo per mano -la destra- «è tutto pronto, guarda nel mio studio.»

Bradley venne accompagnato a sedersi sulla sedia rossa e girevole in quel piccolo stanzino con il ritratto di Frida Kahlo. C'era un forte odore d'erba. Poggiò la mano sana sulla scrivania mentre Joel aprì davanti a lui il portatile.

«Sta a vedere, ho finito gli ultimi dettagli proprio stamattina.» con voce entusiasta Joel gli presentò la prima immagine.

Bradley sentì le lacrime agli occhi, mai nessuno aveva fatto una cosa talmente bella per lui. Joel stava facendo davvero troppe cose preziose nei suoi confronti.

 

Lo sfondo azzurro e sfumato graficamente presentava al centro il soggetto che riempiva l'immagine. Era Bradley, proprio lui. I lunghi capelli castani fluttuavano come se fossero accarezzati dall'acqua, oppure spinti da una caduta vorticosa nel cielo. Vestito di verde, con una maglia trasandata aveva il dettaglio di una collana larga che gli si poggiava quasi sulle spalle. Negli occhi sofferenti il bianco sgargiante di qualche lacrima, con le labbra scure e semiaperte, stanche, disperate. Però c'era grazia in quella figura.

«Questo sei tu adesso. Negli occhi hai tutto il colore che c'è sullo sfondo, ma si mischia anche a quella brutta bestia che ti sfigura il viso.» con il dito sul display Joel gli indicò la mascella contornata in maniera fina; «Vedi? Però sei bellissimo, veramente bello.»

Dalla tastiera mandò avanti la seconda immagine. Bradley non credeva che si potesse trattare di più disegni.

 

«Così è come vorresti essere tu.» Joel aveva disegnato ancora Bradley ma più in lontananza. Si poteva vedere metà del torso in una canotta bianca sfumata dal viola, il celeste e l'arancione. I colori che aveva usato erano abbastanza cangianti sul viso, mentre tra il castano dei capelli spinti da un lato dal vento si vedevano linee blu e color arancio. Dal lato sinistro del corpo partiva, sullo sfondo, un azzurro uniforme. Non c'era il braccio, solo un pezzetto, un moncherino. In quel disegno Bradley aveva gli occhi chiusi, come se stesse dormendo e sognando qualcosa di bello.

«E questo...» Joel si sporse sopra Bradley, pigiando un ultima volta il tasto del portatile. «Ecco, questo sei ancora tu, ma come dovresti essere.»

 

Serenità. È così che Bradley avrebbe potuto descrivere semplicemente quel disegno. Lui con i capelli più corti, spinti indietro sempre da quel vento onirico che poteva benissimo essere Joel. Gli occhi socchiusi, il naso rosso, le labbra morbide, sorridenti. Pareva quasi più giovane. Vestito con una canottiera nera e ben sfumata dalle pieghe della stoffa, si vedevano le clavicole, le spalle e poi tutt'e due le braccia. Annegava in uno sfondo azzurro e arancio, un tramonto di mare. E sul lato sinistro del corpo, sul petto, Joel aveva messo una frase con un carattere a stampatello maiuscolo, in neretto: "Quando non avevo niente avevo Bradley."

Bradley restò a fissare quell'ultimo disegno digitale portandosi una mano alla bocca, respirando lentamente per non rischiare di far traboccare dagli occhi le lacrime. Era una sensazione davvero controversa, sentirsi amati. Perché ormai Joel lo amava, non era per caso così? 

«Ehi non fare così. Ti piacciono?» Joel si piegò alla sua altezza, prendendogli piano le spalle e voltandosi verso di lui con il capo, quasi stesse parlando ad un bambino. La voce dolce e i tatuaggi sul collo vividi come ustioni.

Bradley annuì di fretta, tirando su con il naso.

«Io voglio trasmetterti le cose belle della vita, perché anche se esiste tantissimo dolore puoi pur sempre provare a distrarti da lui. Ad esempio, io voglio farti assaporare la sensazione di camminare a piedi scalzi sulla sabbia, oppure correre ad alta velocità con la motocicletta, con il vento che ti solletica la faccia.» Joel catturò tutta l'attenzione di Bradley su di sé. «Voglio farti provare il vuoto di un salto nel mare e il punzecchiare di un ago che ti tatua la pelle. Leggere sotto le coperte, sentire volare un uccello sopra la testa, correre in mezzo alla tempesta, dormire mentre il sole ti abbronza e fare un giro su una giostra.»

Bradley cercò la mano di Joel con la sua destra. Si trovarono e non riuscirono a scucirsi.

«Voglio che quando tu mi veda riesca a sentire tutto questo, e guarire dal dolore anche per un solo secondo.»

«In poche parole, mi stai chiedendo di amarti?» domandò Bradley assottigliando lo sguardo.

«Si» gli rispose Joel «ma più forte che puoi.»

Bradley sorrise, stringendo ancora quella mano d'inchiostro.

«Tu sei completamente fuori di testa. Credevo facessi il tatuatore, non il poeta, o la crocerossina, o...»

«Non sono nulla di tutto questo! Voglio solo che tu ti goda la vita che meriti.»

Il moro annuì con sarcasmo: «Si, certo.»

Senza troppo preavviso il ragazzo tatuato si spinse in avanti e con una carezza sul viso baciò le labbra di Bradley. Si strinsero con le mani e con le lingue.

Joel gli accarezzò una guancia con le nocche, portandogli qualche ciocca ribelle di capelli dietro all'orecchio. Lo guardò negli occhi e con un filo di voce gli disse: «Ti porterò a cantare.»

«Cosa?!» sbottò con sorpresa il ragazzo ancora seduto.

«Ad un fottuto concerto dove voglio sentirti gridare a squarciagola.» scattò in piedi ed uscì dalla piccola stanza, lasciando ridere Bradley su quella comoda sedia, felice talmente tanto da sentire male allo sterno.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Bradley non era mai stato ad un concerto. Da adolescente aveva avuto diversi gruppi e cantanti preferiti, ma contrariamente ad alcuni dei suoi coetanei non era mai stato in vena di trascorrere le serate ascoltando musica dal vivo.

Joel era passato a prenderlo circa  alle venti e un quarto, tutto eccitato ed entusiasta come un ragazzino. Prima di mettere in moto l'auto verso il concerto si scambiarono una veloce occhiata buffa, scoppiando a ridere dalla contentezza che quella notte gli prospettava.

La fila per accedere allo spettacolo parve immensa, Bradley non ricordò di aver mai visto così tanta confusione in un solo posto. Si era incappucciato nella sua felpa più larga, per evitare che chiunque potesse anche solo accorgersi delle sue cicatrici. Però, da quasi un giorno, si era limitato soltanto a mordersi le dita e a renderle rosse, con segni di denti a formare semicerchi. Per lui quello non era ferirsi, l'aveva soltanto preso a vizio, e più ci pensava, a quella magia di libertà dal suo dolore, e più rimaneva incredulo da se stesso.

Joel gli prese la mano -destra- per non perderlo in mezzo alla confusione. Una scusa più che valida per permettere ad entrambi di stare vicini e toccarsi. 

La luce soffusa di quel luogo aveva i colori verdi e blu, enormi raggi di questi provenivano dal palco non molto lontano da loro. Erano in piedi in mezzo a quell'oceano di gente tutta diversa. Bradley tenne lo sguardo fisso sul palco ancora vuoto, con il fiato sospeso e il cuore che batteva forte per l'ansia di cominciare.

 

I tre disegni che aveva realizzato Joel per lui se li era fatti stampare appendendoli nella disordinata camera da letto del suo appartamento. Così li guardava, prima di andare a dormire; incorniciati con quel tocco personale che soltanto Joel sapeva dargli, ridimensionando gli scenari dei sogni di Bradley.

 

L'artista che si esibì di fronte a tutta quella gente fu Lorde, la cantautrice neozelandese abbastanza conosciuta da Bradley. Ascoltando i suoi testi il ragazzo si accorse di quanta bellezza si fosse perso sottovalutando ogni cosa intorno a sé. 

Guardò Joel con stupore degenere, gli occhi enormi e i capelli scompigliati. Il tatuatore rise con un velo di commozione nello sguardo, annuendo a Bradley come per dirgli che era proprio ciò che voleva fargli provare.

La cantante aprì la serata con Royals, proseguendo con gli altri pezzi del suo album Melodrama che presentarono canzoni come The Louvre, Perfect Place, Green Light, continuando fino a che Joel si ritrovò senza voce, e Bradley con tutti i sensi sbranati dalla bellezza.

Non smise nemmeno un attimo di provare tutto quel bene che gli era mancato durante la sua vita, ma in fondo si rese conto che tra quel magico mondo che lo fece diventare sordo per la musica troppo alta, guardare spesso il profilo di Joel fu la parte più bella della sua serata.

L'adrenalina percosse ogni sua fibra nervosa, costringendolo a muoversi a ritmo di strumentazione. Bradley lasciò i capelli arruffarsi per il calore di quel posto al coperto, aggiungendo la propria voce alla folla a creare un caos perfettamente uniforme in cui rimanere immerso per quell'ora circa di assoluta vita.

Quando la cantante concluse lo spettacolo con un discorso di ringraziamento incentrato maggiormente sull'amore, Bradley si voltò verso Joel prendendogli una spalla. Lo costrinse a girarsi di fronte a lui, assopito dalla confusione rumorosa ancora nelle orecchie. Bradley non poté fare a meno di sorridere, prendergli il viso con entrambe le mani per baciarlo, con le labbra umide e la gola secca. Joel non si aspettava minimamente quell'iniziativa da parte della riservatezza timida di Bradley, ciò gli fece godere con maggiore intensità il gusto di quel bacio. La mano sinistra ruvida da cicatrici bianche che parevano luci a neon e tratteggi violacei di denti, si confusero nell'ispida barba castana di Joel. E non ci fu vergogna, tanto che un pezzetto di manica gli scese lungo il braccio e gli scoprì il polso inciso con segni più profondi. Bradley non se ne accorse nemmeno.

Uscire fu molto più facile che entrare, alla fine della serata la gente si liquidò quasi frettolosamente da quel posto troppo affollato e caldo. Joel e Bradley risero ancora un po' per l'eccitazione di tutta quella musica cantata per loro, dirigendosi verso l'auto parcheggiata.

«È stata davvero una bellissima serata.» gli confessò il moro, corrugando la fronte, contento.

«Oh no, non è ancora finita.» Joel gli ammiccò. Chiuse la portiera dell'auto e la mise in moto.

Appeso allo specchietto retrovisore il tatuatore aveva messo un unicorno celeste tempestato di glitter che piovevano dall'oggetto finendo per ricoprire tutto il cruscotto di luccichio. Bradley prese in giro quel bizzarro portachiavi, di cui Joel si vantò fieramente. L'auto era disordinata senza sembrare troppo affollata; c'erano portapenne pieni di matite colorate nei sedili posteriori, assieme a qualche album da disegno dalla copertina rigida e due libri scoloriti dal sole, vecchi e dalle pagine ingiallite.

Bradley si fece carico di tutti i particolari di Joel, impossibili da non notare, in quell'insieme di bellezza che gli faceva chiudere lo stomaco.

La strada davanti a sé sfrecciò tra le luci delle auto in corsa, non domandando a Joel nemmeno la loro prossima meta. Ovunque l'avrebbe portato, Bradley sarebbe stato bene.

 

Capì di trovarsi a casa di Sam quando, dalla finestra di quell'appartamento al terzo piano, Peter si affacciò con fare gioioso per aver sentito il rumore del clacson della macchina di Joel.

Bradley immaginò di trovarsi davanti ad una grande festa piena di coppie spinte e alcol a fiumi, ma quando Sam accolse i suoi due ospiti il moro annullò tutti i pensieri fatti. La casa era invasa da un tepore caldo di luci soffuse. Gli ospiti comprendevano Peter, Nova e quella che sembrava essere la scorbutica sorella dell'ultima. Tutti salutarono Bradley con frenesia simpatica. Sul divano, Nova e la sorella Niky discutevano per qualche battibecco frivolo. Niky aveva la carnagione mulatta; i capelli rasati cortissimi e su di un braccio così tanti tatuaggi da crearle come un guanto da cerimonia elegante.

Sam si sedette accanto a Nova, circondandole il collo con un braccio. Peter teneva sulle labbra una sigaretta che non conteneva assolutamente tabacco, mentre sul piccolo tavolino qualche bicchiere ormai vuoto odorava di amaro. Però nessuno sembrava essere ubriaco o sotto effetto di droghe, tutti parvero tranquilli, come Bradley li conosceva quel poco che bastasse. Joel rubò lo spinello dalle dita di Peter e fece due tiri. Si sedette per terra, sul tappeto rosso e marrone. Bradley si trovò seduto accanto a Niky, che lo liquidò con un unico sguardo irritato. Peter seguì l'amico tatuatore, mettendosi a gambe incrociate accanto a lui.

«Vuoi qualcosa da bere Brad?» Sam volle offrirgli un bicchierino, ma l'ospite rifiutò ringraziandolo.

«Com'è stato il concerto?» domandò Nova eccitata. 

«Meraviglioso, domani mi sveglierò senza voce.» rispose Joel entusiasta.

«Credo che Bradley l'abbia già persa.» ironizzò Sam. Bradley sorrise, sentendosi in lieve imbarazzo.

«Ragazzi stavamo aspettando giusto voi due!» Peter bevve l'ultimo goccio dalla bottiglia di vetro. Arricciò il naso e scosse la testa per il bruciore caldo dell'alcol alla gola. «Giochiamo a obbligo o verità.»

«Cazzo, ti sembriamo al college?» lamentò Nova.

«Se ti va possiamo giocare alla versione hot.» continuò Peter.

«Credo che quella originale vada più che bene.» Nova rise, gesticolando con le mani. Sam sbarazzò il tavolino su cui al centro poggiarono la bottiglia.

«Bellezza, obbligo o verità?» 

«Non sono tanto stupida, scelgo verità.»

Peter buttò la cenere dello spinello quasi finito sul posacenere dai colori accesi. Nel suo viso Bradley scrutò un lampo di genio; «Tra me e Sam, chi ti porteresti a letto?»

«Non stiamo giocando alla versione hot.» disse Nova.

Peter scrollò le spalle e attese una risposta.

«Sinceramente preferirei mettermi in mezzo a qualcosa tra Joel e Bradley.» 

Joel scoppiò a ridere, mentre Bradley arrossì di colpo.

Niky rise sotto i baffi, notando la delusione sconvolta nei volti dei due contendenti delle ragazza.

«Non vale!» sbottò Peter.

«Non fai tu le regole.» Nova allungò il braccio e fece girare nuovamente la bottiglia.

Stavolta si fermò in direzione di Joel.

«Cosa scegli, piccolo?» la ragazza lo prese in giro.

«Verità.» affermò lui sarcastico.

«Dunque, restando in tema, nomina tre persone con cui hai avuto una relazione impotente.»

Joel fece spallucce, indifferente; «Sono soltanto due, mi dispiace.»

«Joy è un ragazzo per bene!» Sam lo prese in giro amichevolmente.

Joel scosse il capo continuando a sorridere, lievemente imbarazzato. Gli occhi degli amici addosso, che sapevano già la risposta; tutto era stato pianificato da loro per scoprire più dettagli sulla nuova fiamma dell’amico.

«Due soltanto, dicevo» Joel sollevò due dita, coperte di tatuaggi «Rosy Carter, la mia ragazza ai tempi della scuola, e Bradley.»

Bradley sentì il cuore esplodere nel petto. Guardò Joel perché non trovò altro modo di controllarsi.

«Bradley però è imparagonabile a chiunque altro.» con un filo di voce Joel disse la propria verità che probabilmente pensò accidentalmente ad alta voce.

Le ragazze sollevarono un esclamazione di dolcezza tra di loro, mentre in quella stanza accogliente le pareti si sorreggevano soltanto per gli sguardi di Joel e Bradley.

«A quando le nozze?» scherzò Sam sporgendosi a far ruotare nuovamente la bottiglia.

«Di certo tu non sarai invitato.» Joel rise, ricevendo un bell'insulto amichevole da parte del collega e amico.

Bradley nascose la mano sinistra tra le gambe quando il collo della bottiglia di vetro si fermò davanti a lui.

«Obbligo o verità?» gli chiese Sam.

Impacciato, Bradley non volle far scena muta o far aspettare troppo per una risposta. Escluse a prescindere la verità, per le numerose domande che avrebbero potuto fargli, a partire dal suo strano comportamento con quel braccio e finire su qualche stupido repertorio riguardo il suo passato amoroso e vecchie confessioni piccanti. Se ne pentì immediatamente, ma fu la prima cosa che gli sfuggì dalla bocca; «Obbligo.»

Un coro di sorpresa eccitata lo fece irrigidire ancora di più, mentre addosso portava il timore dello sguardo di Joel.

Tutti si scambiarono una fugace occhiata ricca di malizia, impazienti. 

«Dunque, ti obblighiamo ad avvicinarti a Joel, insomma, ad accavallarti sopra di lui e a sfilarti la felpa.» alla frase di Sam Bradley si pietrificò.

Joel diventò improvvisamente serio facendosi avanti.

«La levo io la maglietta, al posto suo.» disse a Sam severamente.

«Così non vale.» Peter si aggiunse.

«Ho detto, che mi spoglio io.» gli occhi di Joel parvero uccidere chiunque li incontrasse.

«Qualcuno qui è in piena tempesta ormonale.» Niky si mangiò un'unghia, prendendo il proprio cellulare. Mise play ad una canzone adatta al contesto, che quasi li catapultò in un nightclub.

Bradley si mise in piedi scavalcando le gambe che ostacolavano il suo tragitto verso Joel. Deglutì, espirando con nervosismo dal naso. Joel, rimasto a terra, gli fece cenno con la testa di tornare a sedersi, di non doverlo fare per forza. Ma a Bradley iniziava a piacere la sensazione del potere su Joel. Con sfrontatezza, l'idea di avvicinarsi tanto al tatuatore non lo metteva così tanto in imbarazzo.

Bradley si inginocchiò davanti a lui, con il petto in fuori. Il viso poco più calmo, ma silenzioso e timoroso. Joel gli prese timidamente la vita, accompagnandolo a spostarsi su di sé.

«Non sei obbligato a farlo.» gli sussurrò Joel serio e preoccupato.

«E’ okay, fa parte del gioco.» Bradley abbozzò un mezzo sorriso, guardandolo dall'alto verso il basso, con qualche ciocca di capelli sul viso.

Bradley si flesse più dritto con le ginocchia poggiate in terra, spingendo istintivamente il bacino contro la vita di Joel. Il ragazzo sotto di lui serrò le labbra con improvvisa sorpresa, diventando rosso quasi come l'inchiostro colorato sulla sua pelle. Gli tenne le mani sul bacino accarezzandolo amorevolmente, senza essere per nulla volgare.

Bradley gli prese i bordi della maglia ed esitando la tirò su, sfilandogliela. Gli spettatori, i loro occhi addosso, fecero silenzio per lo stupore di quella scena che non immaginavano potesse realizzarsi in una maniera simile.

Joel alzò le braccia lasciandosi spogliare. Era la seconda volta in breve tempo che Bradley vedeva quel petto perfetto decorato da opere d'arte ad inchiostro. Joel lo guardò negli occhi cogliendo improvviso imbarazzo, per la veloce occhiata che Bradley aveva dato al suo corpo, e poi giù, al basso ventre flesso.

Joel poggiò la fronte contro la sua e si appropriò nuovamente di lui dal bacino, facendolo cadere sopra di sé in una catasta di risate. Entrambi scoppiarono a ridere rendendosi conto di quanto fossero ridicoli e disastrosi, mentre il gruppo di amici applaudì esultando per l'esibizione.

Joel si sorresse con un braccio, tentando di rimettersi dritto, non lasciando Bradley. Le gambe all'aria raccoglievano la posizione inginocchiata di Bradley sopra di lui, nel tentativo di stare composto.

«Non sono poi così bravo a fare lo spogliarellista.» disse Bradley con le lacrime agli occhi per la forte risata ancora in viso.

«Oh no, direi che te la cavi piuttosto bene.» Joel annuì. Lo fissò pieno di adorazione e divertimento. Bradley si sentì avvampare a quel semplice sguardo.

«Bene voi due, adesso basta!Trovatevi almeno un posto appartato!» Nova gesticolò con le braccia, facendoli allontanare quasi immediatamente dall'imbarazzo.

«Voi tutti siete degli stronzi.» gli disse Joel  ridendo, mentre si apprestò a rivestirsi.

«Dovresti ringraziarci.» Peter gli ammiccò, gettando la sigaretta ormai finita.

Durante il resto della serata Bradley non provò alcuno stimolo di mordersi le dita o strappare via le unghie. Sulla sua felpa non fu versata nemmeno una goccia di sangue, perché tutto il suo sistema nervoso si concentrò su Joel.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Più di tutti Bradley non poteva smettere di sognare di fare l'amore con Joel. Chiudeva gli occhi e immaginava di vederselo addosso, tra le gambe, che si spingeva contro la sua eccitazione. Pregustava già la consistenza dei suoi baci sul collo, e le mani che lo riscaldavano toccandolo dolcemente un po' ovunque. L'argomento sessualità per Bradley era una zona grigia e controversa, soprattutto nell’ultimo periodo di forte depressione in cui aveva anche preso l'abitudine praticare l’autoerotismo. Imbarazzante, forse, per un ragazzo della sua età. L'ultima volta che invece aveva fatto sesso con qualcuno era stato con Wolfgang, e nemmeno con lui si era mai sentito ispirato masturbandosi. Con Joel il desiderio era troppo, e quando dava sollievo alla propria durezza la notte, o nella doccia la mattina, chiudeva gli occhi e immaginava la bellissima sagoma di Joel poco distante dal suo corpo formicolante di desiderio.

Ormai lo sguardo gli cadeva spesso e volentieri al cavallo dei pantaloni del tatuatore, o al suo bel fondoschiena. Bradley aveva un forte istinto che però aveva il terrore di assecondare. Prendere anche solo l'iniziativa era qualcosa che non sarebbe mai riuscito a gestire. Ma la immaginava sempre in mille modi diversi, la loro prima volta. In auto o a casa di Joel, in bagno, ad una festa, oppure sul suo letto disfatto. In ogni caso, il suo sogno più grande in quel momento era farsi rubare un orgasmo da Joel.

Evitò di pensarci ulteriormente intanto che percorreva la strada verso il negozio di tatuaggi. Ci lavorava ancora, ma con un riguardo diverso visto che le cose tra lui e Joel avevano preso una piega del tutto nuova.

Sorrise nell'impazienza di arrivare da lui, con la mano sinistra in tasca e i capelli raccolti con qualche forcina. 

 

Bradley, distratto dai propri pensieri, non ebbe il tempo di scansarsi dal ragazzo alto e imponente che andò a sbattere contro la sua spalla più debole. Bradley gemette forte, sul punto di cadere rovinosamente in una fossa di panico e terrore. Subito si strinse la parte colpita con l'altra mano. Quel contatto così invasivo gli aveva tolto dalla testa tutti quei bei pensieri accumulati durante la mattina. Lo sconosciuto non si voltò nemmeno per scusarsi, che fosse di fretta a Bradley poco importò. Gli bastò un solo colpo distratto da parte di un corpo qualsiasi a far tornare in lui la consapevolezza di ciò che mai avrebbe allontanato dal suo io. Il peso del braccio a gravare sull’equilibrio del suo corpo gli restituì la disgustosa sensazione di avere qualcosa di innaturale attaccato addosso attraverso lembi e ossa. Bradley, atterrito, strinse il polso con l’altra mano e lasciò che tutta la sua paura vergesse in quella stretta violentissima. Quella mattina un bracciale di lividi fu la ricompensa che pensò di meritare per essersi illuso che qualcosa di astratto come l’amore potesse farlo stare meglio.

 

Sam lo salutò con il suo abituale buonumore sarcastico, dietro al bancone. Bradley, con l'acconciatura scompigliata, gli sorrise nascondendo l'amarezza portata sulle spalle. Joel si sfilò i guanti in nitrile neri, appallottolandoli per lanciarli nel cesto dell'immondizia. Il suo sguardo si illuminò non appena si mosse per andare incontro a Bradley. Gli accarezzò una guancia con la mano, baciandolo dolcemente sulle labbra. Bradley arrossì, quasi dimenticandosi del suo brutto umore.

«Come stai oggi?» era il pensiero che più tra tutti tormentava Joel. Evitava di chiederglielo troppo spesso, anche se lo si poteva benissimo leggere in faccia. Quella domanda persisteva in continuazione. Joel non aveva ben realizzato come fosse complessa la malattia di Bradley; sapeva ancora poco, e documentarsi da solo sul web non aveva fatto altro che incasinargli di più le idee. Però era tremendamente preoccupato per Bradley, ogni singolo istante, specialmente quando non erano assieme.

Assopito dal gusto delle labbra rosse di Bradley Joel non fu abbastanza attento da accorgersi di quello che il suo ragazzo gli teneva nascosto. Non che fosse una scusa, ma a mettere Joel in difficoltà fu la bravura di Bradley a non far penetrate nessuno nei propri sentimenti.

«Come al solito, è okay.» Bradley gli annuì timidamente, abbassando lo sguardo. Joel gli sorrise ancora avvicinandolo a sé per baciargli più volte il capo, amorevolmente. Con una mano Bradley gli si appoggiò al petto approfittandone per accarezzarlo delicatamente.

«Non mentirmi, altrimenti ti licenzio.» Joel si allontanò da lui canzonandolo, tenendogli l'indice addosso. Bradley rise toccandosi la fronte con timidezza.

Tutti vennero improvvisamente ammutoliti. Un consistente gruppo di adolescenti rischiò di sfondare la fragile porta a vetri del negozio. 

A contarli erano almeno sei. Si presentarono tutti senza farsi memorizzare bene. Uno dei ragazzi si rivolse a Joel entusiasta nel mostrarsi maturo e sicuro. Tra di loro, il più grande sembrava avere sedici anni.

«Volevamo dei tatuaggi.» disse.

«Credevo foste venuti qui per comprare il latte in polvere.» aggiunse Sam provocatorio, ricevendo un'occhiata non molto divertita da quelli.

«Mi dispiace, ma se siete minorenni ho bisogno dell'autorizzazione dei vostri genitori.» Joel fece spallucce, sorridendo.

«Ma cos'è, una gita delle scuole medie?» Sam parlò più piano facendosi sentire solamente da Bradley che rise in silenzio. Prese la sua canna appena accesa e sparì nell'ufficio di Joel. 

 

I ragazzi parvero sconvolti alla vista di quella sigaretta dall'odore forte, e le ragazze non poterono fare a meno di guardare tutti quei tatuaggi sulle braccia di Joel. Quest’ultimo sedette sul divano della reception accavallando le gambe e incitando Bradley a raggiungerlo. Con imbarazzo, soprattutto dopo ciò che gli era capitato quella mattina, il moro gli sedette accanto. Prese Bradley per la vita e lo fece poggiare di fianco di sé, con un braccio che gli avvolse le spalle. Tutti i clienti si misero in riga a guardarli, silenziosi e stupiti.

«Vi posso mettere addosso soltanto gli stencil oppure, nell'altra stanza, dovrei avere un set completo di penne colorate. Vi piacerebbe?» Joel alzò il mento.

Uno di loro con un tatuaggio dallo stile maori sul braccio sbuffò di controvoglia; «Il mio amico che lavora in nero non si fa problemi a tatuarci. Siamo venuti qui perché sappiamo che sei bravo, non mandarci via!»

Joel scosse ancora il capo, Bradley sotto di lui parve tranquillizzarsi.

«Mi dispiace, non voglio nessuna denuncia da parte dei vostri genitori. Però posso offrivi un brownie all’erba. Lo volete?» il tatuatore si portò sulle labbra la sigaretta che aveva dietro l’orecchio, tirando fuori dalla tasca un vecchio accendino. Bradley pensò, divertito, che Sam si sarebbe davvero incazzato.

Due ragazzine si scambiarono una veloce occhiata.

«Ce l'hai al cioccolato?» domandò la prima.

Joel sorrise soddisfatto; «Certo tesoro.»

Fortunatamente nessun altro si presentò in negozio prima che gli adolescenti se ne andassero. Joel scarabocchiò qualche bel disegno sui polsi delle ragazze, mentre Sam ripassò più volte a penna sagome di peni e dediche non molto romantiche sulle braccia dei minacciosi ragazzi. 

A Bradley ritornò un debole buonumore. La vivacità amichevole di Joel gli concedeva la possibilità di restare in quel posto tutto suo in cui tacere e stare in disparte. Tutta quella confusione gli fece mancare l’aria, Bradley sentì il bisogno di allontanarsi immediatamente da tutti loro.

Scattò in piedi e andò in bagno con passo veloce.

Sam guardò Joel con serietà, preoccupato per quell'improvvisa reazione. Joel aveva vagamente parlato della malattia di Bradley ai propri amici, perlopiù trovando uno sfogo nel raccontare quella cosa che tanto lo intimoriva, senza entrare nel dettaglio. Entrambi immaginarono lo scenario peggiore.

Nel vociferare curioso e confuso dei ragazzi Joel ne approfittò e corse appresso al compagno. Bussò due volte alla porta del bagno, chiamando Bradley a bassa voce, intimorito. All'interno sentì il rumore di svariati colpi contro la parete. Come se Bradley stesse martellando o battendo un qualche oggetto sul muro. Joel non attese una risposta da Bradley, forzando la maniglia ed entrando in bagno. Richiuse la porta alle proprie spalle per non rischiare l'invadenza dei presenti nella stanza accanto. Bradley si fermò di colpo. Nonostante avesse già sentito Joel oltre la porta non era riuscito a frenare la sua compulsione.

Rimasto di spalle si era lievemente piegato in avanti, con il braccio sinistro lasciato pendere lungo il corpo. Batterlo con forza contro il muro non era stata una grande idea, non gli avrebbe lasciato le ferite da lui desiderate. Sbattuto forte, con il gomito che scricchiolava e i muscoli tutti indolenziti per i forti colpi. Niente, però, gli aveva fatto più male degli occhi di Joel.

Quella era la prima volta che qualcuno lo coglieva in flagrante durante uno dei propri attacchi, e l'onore di essere l'unico suo spettatore lo ebbe Joel. Farsi guardare da lui mentre le sue precarie certezze si sgretolavano mischiava diverse sensazioni di riluttanza e vergogna. Bradley ne era talmente pieno da sentire la nausea affiorare in bocca.

Continuò a dare le spalle a Joel, con quel braccio nascosto. Gli occhi lucidi gli bruciarono la vista. Avrebbe tanto voluto scappare ma Joel stava davanti alla porta e lo teneva intrappolato lì dentro. Joel rimase in silenzio con il cuore fatto piccolo piccolo. Sospirò con le labbra che tremarono, sentendo per un istante tutti i muscoli del corpo tremare. Bradley si poggiò con la testa contro la parete mordendosi l'interno della guancia per trattenere qualche lamento.

«Bradley?» la voce di Joel lo chiamò piano, gentilmente. Bradley però non si voltò. I passi di Joel erano ben distinguibili in quel piccolo spazio. Bradley capì che si stava avvicinando a lui, ma non poté far nulla per sparire. Farlo all'improvviso senza il ricordo di un solo respiro, togliersi dai piedi, come quel braccio. Già, togliere lui era l'unica soluzione, ne era sempre più convinto.

«Bradley.» non fu più una domanda, Joel ormai era alle sue spalle. Il moro strizzò gli occhi, allontanandosi dalla parete gelida. Non aveva niente da dire a Joel, così fece silenzio nella propria mortificazione.

«Bradley» Joel si alterò, preoccupato. Gli prese le spalle e lo costrinse a voltarsi verso di lui; «guardami quando ti parlo.»

Bradley alzò gli occhi verso Joel, in quella circostanza sembrò molto più alto di lui. Corrugò le sopracciglia e tenne la bocca semiaperta, in quell'umore che era di tutti i colori. Assieme creavano il grigio, smorto e confusionario. 

«Non farlo, sta calmo.» Joel cedette alla propria paura, iniziando a toccare nervosamente le braccia di Bradley per farlo smettere.

«Scusa.» sussurrò lui, con lo sguardo fisso nel vuoto. Da una parte la reazione di Joel lo aveva meravigliato. Si sentiva estremamente in colpa per aver creato in lui così tanta preoccupazione e dargli dispiacere.

Joel gli prese il viso ruvido tra le mani, squadrandolo ancora un po' per assicurarsi che non si stesse facendo più del male. Chiuse gli occhi e con amore gli baciò la fronte. Ad ogni lungo bacio Bradley percepì i cattivi pensieri andar via, venir mangiati dalle labbra di Joel che senza paura lo benedirono ancora.

Bradley si aggrappò dolcemente al suo braccio, lasciando il suo arto ferito lungo il corpo.

«Non voglio che tu lo faccia.» bisbigliò Joel. Lo strinse tra le proprie braccia, facendo poggiare Bradley al petto.

«Te l'ho già detto, è complicato.» si giustificò lui.

«Lo so...devo ancora capire e abituarmici, però» Joel gli massaggiò la schiena, guardandolo dritto in viso «non credo di poter farmelo piacere.» rise, l'amaro in bocca. Anche Bradley si sforzò di sorridere, chinando il capo; «Già, non piace proprio a nessuno.»

Joel annuì, portandogli i capelli dietro alle orecchie. Si morse il labbro e gli accarezzò gli zigomi ancora. Velocemente fece scorrere dal lavello l'acqua fresca, che usò per bagnare un pezzo dell'asciugamano di carta. Porse una mano a Bradley aspettando che lui gli concedesse la propria. Insicuro, Bradley poggiò il palmo rosso e dolorante su quello di Joel. Piano, per dargli sollievo, il tatuatore tamponò le escoriazioni rosse delle nocche con il panno zuppo, rinfrescandogli la pelle. Gli alzò la manica della felpa fin sopra il gomito e ciò gli bastò per ricordarsi ancora di quelle ferite nascoste. Non avevano lo stesso effetto di quando le aveva viste la prima volta, affatto. Qualcuno maggiormente sensibile avrebbe potuto benissimo sentirsi male davanti a quelle cicatrici. Bradley tenne la testa bassa, martoriandosi il labbro.

«Vuoi che ti accompagni a casa?» gli chiese, smettendo di toccargli la mano. Joel aveva capito all'istante il disagio nel volto di Bradley per quel contatto così lungo.

«No, non ce n'è di bisogno.» rispose, scuotendo la testa.

«Dimmi che ti prende, avanti. Lo capisco quando c'è qualcosa che non va'.» Joel strinse tra le mani la pezza umida, avvicinando il viso a Bradley. In silenzio lui evitò i suoi occhi.

«Dimmelo Brady, coraggio. O devo spezzartelo io quel braccino?» il tono scherzoso e cauto di Joel lo fecero sorridere, incoraggiando il tatuatore stesso a continuare. «Sai che con me puoi parlare di qualsiasi cosa.»

«Joel non voglio che tu ti convinca troppo con tutta questa storia della guarigione grazie alle cose belle. Per me i tuoi gesti sono meravigliosi, ma dentro di me c’è qualcosa di molto più complicato di quanto immagini…»

«E’ questo che ti turba? Lascia fare a me, dammi fiducia.»

Bradley lo interruppe; «Io ho piena fiducia in te, ma non vorrei che tu restassi deluso. Non ti aspettare il miracolo.»

«Io non credo nei miracoli, ma credo in te Brad, perché anch’io ho incontrato qualcuno che mi ha fatto stare meglio nel mio momento più buio. Ti ricordi la ragazza che ho nominato a casa di Sam? Rosy?»

Bradley annuì, gli occhi stanchi e la testa che gli pulsava; «Sì.»

«Lei c’è stata per me quando non pensavo che ce l’avrei fatta, dopo la morte di mia madre. Se non l’avessi avuta accanto di sicuro non ne sarei uscito e ad oggi chissà dove sarei finito.»

Tutte quelle chiacchiere motivazionali stavano iniziando a infastidire Bradley.

«E com’è andata a finire con Rosy?» gli domandò con una punta di provocazione in voce.

«Lei ha sposato un altro.»

Bradley abbassò la testa e la scosse come se avesse davanti la prova lampante di quello che stava cercando di dire a Joel.

«Appunto.»

Joel si agitò, come se fosse stato appena ferito; «Questo non significa niente! Nonostante tutto io oggi sono una persona diversa.»

«Joel io ti adoro. Lo capisci? Per me è estremamente difficile dire certe cose ad alta voce, ma è importante che tu lo sappia, e per questo motivo io voglio essere quanto più sincero possibile con te. Siamo due persone diverse con due storie diverse, lo hai detto anche tu ricordi? Il tuo obiettivo di vita non deve essere quello di salvarmi, a me basta che tu sia te stesso e basta.»

Bradley decise che per il momento fosse meglio per entrambi che lui non aggiungesse altro. Non voleva ferire Joel con le sue parole dure e intrattabili, e discutere gli aumentava il mal di testa. Bradley aspettò che Joel reagisse in qualsiasi modo, nervoso come mai lo aveva visto. Addolcì quindi il silenzio con una carezza sul collo tatuato di Joel, sforzandosi di sorridere.

«Ti adoro anch’io idiota che non sei altro.» mugugnò Joel. Bradley sorrise cautamente, sfiorando i baffi morbidi di Joel. Adorava passarci le dita con dedizione. 

«Torniamo dai ragazzi.» propose a Joel.

«Ne sei sicuro?»

«Si, andiamo a vedere come se la cava Sam con tutti quei ragazzini.»

«Potrebbe farti tornare il buonumore.»

Bradley mentì, ma fu abbastanza bravo da non farlo capire a Joel. «Certo.»

Uscirono dal bagno con molti dubbi lasciati in sospeso, facendosi trascinare per inerzia dalla menzogna di voler star meglio.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Joel era il suo sinonimo di serenità.

Da poco più di tre mesi dalla loro conoscenza Bradley aveva ricominciato a prendere gli psicofarmaci prescritti dal medico, abbandonati ormai da tempo. Quando Delilah lo vide ingoiare la pasticca davanti ai suoi occhi quasi rischiò di piangere.

Erano anni che Bradley si era lasciato scivolare nel baratro della propria malattia senza nessun aiuto clinico, dato che la terapia avrebbe solamente contenuto i sintomi senza purtroppo guarirlo. Per lui si trattava di un percorso vano. E c'era sempre stato un problema piuttosto preoccupante, perlopiù da parte di Delilah e Leif, che avevano instaurato un rapporto quasi parentale con Bradley, rimasto solo. Il loro terrore si basava su come Bradley avrebbe spiegato la propria condizione alle altre persone e come queste l'avrebbero pensata. La gente tende spesso ad aver paura di ciò che è diverso, credendo di avere il potere di etichettare qualcosa che non rientra nella propria cerchia di pensiero. Spaventati dall'ignoto di quella strana patologia, estranei alle vere problematiche della situazione, molti non avrebbero fatto altro che giudicare Bradley come un folle. Okay, Bradley era malato, ma questo non giustificava l’emarginazione da parte della collettività. No, lui non si serviva della compassione. Non agognava pena per se stesso, sognava solamente di nascondere quel suo enorme difetto e riuscire a far parte di quella normalità che evidentemente era di molti ma non per tutti. Delilah gli aveva spesso impartito nozioni che avrebbero preparato Bradley ad affrontare il lerciume della società.

«Non tutti sono tolleranti come me e Leif, o Bruno, gli altri non ti conoscono. Avranno paura di te, ma tu non dovrai vederti come un mostro o un reietto. Si allontaneranno perché crederanno che infetterai anche la loro di vita. Lasciali andare, sono già contagiati da qualcosa di più orrendo. E se parlassero di te? Se si lasciassero suggestionare da voci, timori, verità? Non portare rancore nei loro confronti, perdonali. Perdonali perché hanno paura e sono deboli.» gli aveva detto la ragazza. Bradley aveva aperto gli occhi davanti a quelle parole pungenti e dirette. Quindi si era preparato a tutto, persino con Joel. Pensava in continuazione che da un momento all'altro questi avrebbe ceduto e sarebbe andato via alla ricerca di un riparo da quella brutta cosa chiamata malattia.

In sostanza la questione era piuttosto delicata, e anche se pensarci dopo tutto quel tempo insieme probabilmente pareva inappropriato, la coppia di amici non smettevano di tornare con la testa a quella preoccupazione.

Joel non era un tipo che si sarebbe fatto suggestionare da certe cose, e questo Bradley lo aveva capito bene. Ma il ripensamento e la paura sono due emozioni tremendamente facili da assecondare. Non tutti riuscivano a capire, e le cicatrici erano il fulcro dell’incertezza, facevano sembrare quel braccio carne da macello. Joel non aveva ancora guardato bene, a quell'orrore mai sarebbe riuscito ad abituarsi.

Però le dita illese di Bradley sfioravano quel collo d'inchiostro, la luce della luna sostituita da neon colorati. I timpani chiusi in una bolla coatta di musica troppo alta e tantissime persone senza identità che si dondolavano a ritmo non curandosi del buio. Bradley non si era fatto pregare troppo quando Joel lo aveva invitato ad una festa a tema nel locale di Peter. A quell'evento erano venuti persino Delilah, Bruno e Leif. Entusiasti come ragazzini per il tema in maschera, si erano scervellati per trovare un costume adatto. Delilah aveva trovato una tuta nera da agente segreto, con tanto di pistola di plastica, mentre il suo compagno si era armato di arco e frecce da bravo Robin Hood, ed infine Leif aveva osato con un sensuale e particolare abito verde dai richiami d'oro, più simile a qualcosa da usare per una sfilata carnevalesca. Bradley si sorprese quando li vide arrivare conciati in quel modo, lui che a confronto si era solamente limitato ad indossare un cerchietto troppo stretto che si illuminava a ripetizioni con piccole lucine verdi.  Rise, non ne poté farne a meno. Probabilmente erano quelle disgustose pasticche che in qualche modo riuscivano a rendere il suo umore più stabile. In fondo al proprio cuore quella sera sembrò sentire il calore autentico della felicità. Circondato dalle persone che davvero riteneva importanti in uno sfondo di musica e festeggiamenti. Nova servì ai clienti i cocktail straripanti nei bicchieri di vetro, accolta da esultanti cori di persone già belle che brille. Bradley ballava insieme a Joel tenendosi al suo collo con delicatezza, lasciando andare tutto se stesso. Solitamente non avrebbe mai nemmeno osato avvicinarsi alla mischia.

Joel e Sam si erano vestiti da donna, l'attrazione principale della festa, un vero mix di comicità e seria fierezza. Joel in gonnella e calze a rete sembrava un vero schianto, specialmente con quei tatuaggi ai polpacci che per la maggior parte lo facevano apparire una specie di prostituta. Bradley si domandò dove avesse trovato quel top aderente con una scollatura simile e la lunga parrucca bionda con la frangia. Sam a confronto era un’elegante ragazza del liceo.

Bradley scoppiò a ridere vedendolo andargli incontro, non avendo nessun tipo di timore a prendergli il viso truccato e baciarlo sulle labbra. Un po' di rossetto gli restò al lato della bocca, mentre la folta barba di Joel tradì il suo personaggio. E si erano trovati a ballare tra la musica senza troppe parole, martellante e confusionaria, fatta apposta per renderli selvaggi. Affiatati e romantici, senza traccia di volgarità. Joel e Bradley erano abbracciati in una tale empatia che chiunque si sarebbe accorto di quante cose avevano ancora da dirsi. Parlare ore e ore di qualsiasi cosa senza mai stancarsi, e non gli bastava mai. Baci riservati ed insicuri da parte di Bradley e dolce quiete di Joel che non aveva nessuna fretta. Dopo qualche altra sghemba coreografia i due si trovarono a stringersi la mano.

«Seguimi.» gli disse Bradley all'orecchio, ma probabilmente Joel non riuscì a sentirlo. Il moro lo trascinò con sé più lontano possibile da quella baraonda, riuscendo a sentire il rumore dei tacchi a spillo di Joel contro il pavimento. Il suo scopo era chiaro o almeno lo sembrava nella sua testa. Bradley non si sentiva poi così nervoso, ma il cuore continuava a battergli dentro alle orecchie e in quel modo non poteva riuscire a sentire la voce di Joel. Lo trascinò con sé fino ai bagni, un grande specchio li colse in flagrante in quella solitudine insolita, in cui senza perdere troppo tempo nemmeno per richiudere la porta, Bradley prese a baciare con foga Joel.

Lo trasse a sé spingendolo per il collo, ansimando velocemente, passando la lingua su quella del tatuatore rubandogli ogni sapore che aveva assaggiato quella sera. Il dannato rossetto li rese uno scarabocchio di colore sfavillante, ma loro non se ne curarono. Bradley indietreggiò quando Joel prese a trascinarlo dentro ad uno dei servizi. Lo scatto della serratura fece il resto, in quel piccolo spazio angusto continuarono la festa.

La ruvida barba di entrambi non riuscì a disturbare la frenetica morsa delle loro labbra, e le lingue calde si alternarono in un'altalena continua. Prima quella di Joel tra il morso di Bradley e viceversa.

Joel gli respirò su una guancia, gli occhi socchiusi in quell'universo infinito che si attanagliava su ogni parte dei loro corpi. Raggiunse il collo di Bradley, che strinse fortissimo le sue spalle.  Era davvero da tanto tempo che la bellissima sensazione dell'eccitazione non gli scagliava una tempesta di goduria addosso. Come una di quelle estive, con l'afa insopportabile ma la frescura della pioggia sulla pelle. E come gli pulsava tra le gambe, tanto vicino alla coscia di Joel. Bradley si sforzò con tutto se stesso per trattenere un gemito, per diversi stupidi timori.

Ringraziò ancora una volta le pillole tanto odiate che rifiutava di dover prendere, perché senza di loro non sarebbe mai riuscito ad abbassare una mano lungo la schiena di Joel e palpare con vigore le sue natiche.

Con fluente tenerezza continuarono in quel modo. I baci troppo sensuali divennero via via battiti d'ali di farfalle. Ciò che avrebbe potuto proseguire al culmine andò lentamente ritraendosi, in una collisione di sguardi chiari e sorrisi indicibili. Bradley gli scostò i crespi capelli della parrucca dietro alle spalle, ridendo.

«Non avrei mai pensato di pomiciare con una ragazza.» scherzò il moro.

«Non diresti lo stesso se vedessi cosa ci sta sotto la gonna.» 

«Mi stai per caso provocando?» domandò Bradley con tono divertito. Ondeggiarono ancora assieme, le braccia strette ai corpi.

«Hai iniziato tu.» Joel gli lasciò un buffetto leggero sulla bocca, riprendo a baciare delicatamente Bradley.

«Ho solo voluto provare.» rispose lui sorridendo.

«Mi sembra giusto avere un piccolo assaggio.» Joel gli accarezzò uno zigomo, sistemandogli il cerchietto sulla testa. Gli prese la punta del naso tra due dita e gli scosse piano in viso in un gesto dolce.

Il silenzio questa volta non creò imbarazzo. Si studiarono gli occhi come se dovessero imparare una poesia a memoria, cogliendo tanti nuovi dettagli mai notati prima di allora. Bradley era pieno di coraggio in quel momento. Stava rincorrendo la sua vita e finalmente la vedeva vicino, ancora di spalle, ma quando allungava una mano poteva sfiorarla seppur con difficoltà. Non era mai stato tanto vicino ad essa fino a quel momento.

Deglutì, appoggiandosi con la schiena contro la parete piastrellata.

«Hai fatto una cosa davvero straordinaria.» disse Bradley abbassando la voce.

«Cosa? Mi sono spinto troppo su di te?»

Bradley rise, abbassando gli occhi e scuotendo la testa; «No, non parlo di questo...» tornò a guardargli il viso, alla stessa altezza «Joel mi hai fatto pensare tanto, più di chiunque altro.»

«E...?» Joel percepì l'ansia alla gola, la sua testa metabolizzò un groviglio di pensieri preoccupati.

«Ed io non troverò mai un modo di ringraziarti, perché mi sento motivato a star meglio. Ho ricominciato a prendere le mie medicine, dopo tanto, ma tanto tempo. E non so se ti importi di una cosa simile, ma ci tenevo a fartelo sapere perché ti sono riconoscente con ogni parte di me.»

«Anche con quel braccio capriccioso?» Joel increspò le sopracciglia.

«Dimmelo. Ogni parte di te comprende anche quello. Voglio sentirtelo dire.» insistette il tatuatore.

Bradley sospirò, sentì la bocca secca e i polmoni restringersi. Non voleva dire una bugia, confessare quello che Joel voleva sarebbe stato un torto a se stesso. Ogni parte di lui non includeva il braccio sinistro.

«Mi dispiace, lo sai.» si limitò a rispondere.

«Lo so.» sussurrò l'altro con amarezza.

«Perdonami.» gli occhi di Bradley luccicarono per qualche lacrima di delusione trattenuta. La musica in lontananza si sentiva martellare e le pillole non riuscivano ancora a fermare quel disgusto nei propri confronti.

«Non devi chiedere scusa a nessuno.» Joel lo strinse fra le sue braccia, graffiandogli il collo con il proprio respiro.

«Come puoi anche solo guardare uno come me?» Bradley gli strinse il top con una mano sulla schiena. Joel si mise di scatto di fronte a lui pietrificandolo con il proprio sguardo ostinato.

«Posso dirlo?» gli chiese.

«Che cosa?» Bradley aggrottò la fronte, confuso.

«Dammi il permesso.»

«Okay...dimmelo.»

«Io ti amo. Come credi che ti guardi? Pensi davvero che tu sia un mostro impressionante? Ti sei almeno reso conto dell'effetto che mi fai? Bradley, io il tuo profumo non riesco togliermelo di dosso in nessun modo.» Joel poggiò le proprie mani tatuate sulla vita di Bradley, che tremò tra il suo calore rassicurante. 

«Posso dirtelo, no? È lo stesso anche per te spero. Io ti amo. E ad essere sincero sei la prima persona a cui lo dico.»

«Non l'hai nemmeno detto alla tua ex ragazza?» gli chiese Bradley.

«Tu l'hai fatto con il tuo?»

«Forse. Ma non lo pensavo davvero.» ammise il moro.

«Perciò diciamolo.» Joel rise, oscillando in una vicinanza di corpi simile ad una danza.

«Ti amo.» Bradley arrossì, la voce bassa.

«Ti amo.» Joel gli passò una mano tra i capelli folti.

«Non te ne sei accorto, ma la mia riconoscenza significava questo sin dall'inizio.» gli disse Bradley dopo averlo baciato piano.

«Allora abbiamo frainteso tutti e due, siamo degli idioti. Io ho cercato di dirtelo con ogni mio fiore di carta.»

Gli amici avevano abbandonato la pista da ballo. Non che fosse deserta, il resto della clientela si scatenava spensierata a ritmo di musica. Delilah e Bruno stavano seduti sul divanetto di paglia abbracciati l'un l'altro. Leif, con sguardo beffardo, lanciava frecciatine ad un ragazzo non molto lontano dalla propria visuale. Nova si era presa un momento di pausa per raggiungere Sam intorno alla postazione del tavolo di quel gruppo. Che tra loro due non fosse scappato almeno un bacio nessuno dei presenti poteva negarlo.

Joel e Bradley tornarono dagli altri facendosi spazio per trovare un posto comodo in cui sedersi. Fischi e provocazioni spiritose li accolsero. Nessuno dei presenti sembrava apparentemente lucido, i cocktail di Peter erano stati molto apprezzati. Joel vestito da spogliarellista e Bradley con un cerchietto da topo con le luci quasi scariche, risero con imbarazzo accettando tutti i commenti degli amici.

«Avete avuto un gran bel da fare al bagno, non è così?» disse Leif.

«Ci hanno dato dentro i nostri ragazzi!» Sam applaudì, alzando la voce un po' troppo.

Joel accavallò le gambe sorseggiando un goccio di alcol dal bicchierino di vetro lasciato incustodito sul tavolino. La gola gli bruciò, il rossetto macchiò il boccale. Scosse di scatto la testa scomponendosi la parrucca. Bradley rimase stretto al suo braccio.

«Gli affari nostri non veniamo di certo a raccontarli a voi.» disse Joel.

«Non vedo cosa ci sia di male.» Leif fece spallucce con superbia provocatoria. La musica era alta ma Peter aveva più o meno calmato gli animi a tal punto da permettere un dialogo senza urlare per sovrastare il rumore.

«Se siete così curiosi posso raccontarvi quello che hanno fatto Joel e Bradley di un universo parallelo.»

«Raccontaci una delle tue fottute fantasie, coraggio!» Sam allungò il proprio bicchiere, incitando ad una sorta di brindisi.

«Joel e Bradley dell'universo parallelo più banale sono corsi in bagno come abbiamo fatto noi. Si sono baciati facendo tantissimo rumore ed iniziando a toccarsi sotto i vestiti. Naturalmente, è Bradley ad indossare un vestito da puttana, Joel invece ha il suo fantastico cerchietto.»

«Vai così, piccante!» Delilah rise, i capelli scompigliati.

Joel abbassò gli occhi con divertimento, tirando su col naso.

«Joel gli ha abbassato i pantaloni...no, un secondo! La gonna, mi correggo!»

Bradley quasi sentì le costole rompersi per il troppo ridere, poggiando la testa sulla spalla di Joel.

«La biancheria intima di Bradley era davvero molto molto sexy! L'elastico stretto del perizoma...» Joel si girò verso Bradley, così vicino da sentire il sapore di un loro bacio senza sfiorarsi; «Hai proprio un bel culo in ogni universo, su questo non c'è nulla da ridire.»

«Eccitante Joel, per favore continua» disse Nova porgendosi in avanti.

«Vuoi sapere com'è andato il pompino o mi posso anche omettere i dettagli?» gesticolò Joel.

Un coro di risate coinvolse il gruppo. Bradley avrebbe potuto provare vergogna per quel racconto inventato, o arrabbiarsi per il modo di fare troppo esplicito, ma stranamente ne andò fiero. Non era successo nulla di quello che Joel aveva raccontato, ma improvvisamente sperò che la storia del suo ragazzo si avverasse il prima possibile.

«Sei bravo a fare un pompino?» gli domandò Bradley all'orecchio, provocandolo.

«Direi. E tu?» imitò Joel.

«Vuoi per caso sfidarmi?»

La lingua di Joel gli leccò l'orecchio. Purtroppo Bradley non riuscì a trattenere quel gemito fuggiasco.

«Mi piacerebbe tantissimo.»

 

Bradley non fu per niente pronto al bacio pesante che Joel gli marchiò sulla bocca. Gli si gettò quasi addosso, costringendo Bradley a sdraiarsi sul divanetto appartato su cui aveva trovato posto. Ormai in quel posto non era rimasto quasi nessuno, e nonostante ciò la musica suonava ad altissima intensità.

L'intimità di Joel venne spinta d'istinto tra le gambe aperte di Bradley, con un colpo di reni leggero. Bradley gli si aggrappò al collo con entrambe le mani, distaccando le loro labbra per respirare ed evitare di far rumore, anche se in quel caos nessuno ci avrebbe mai fatto caso.

Joel non continuò a prendere altre iniziative o ad opprimerlo troppo. Fu gentile e posato, specialmente nel rimettersi a sedere più composto, sistemando quella scomoda gonna del suo ridicolo travestimento. Bradley si sorresse qualche istante solo sul gomito destro, guardando Joel con incredulità.

«E questo?» gli chiese gridando, sedendosi vicino a lui.

«Non riesco più a trattenermi.» Joel scattò in piedi, sgattaiolando via dal locale senza attendere Bradley. Sapeva che lui lo avrebbe seguito.

Si infilarono nella macchina di Joel senza nemmeno preoccuparsi di salutare gli altri. Bradley sapeva che non sarebbero ritornati alla festa. Joel poggiò la schiena contro il sedile del conducente, sospirando forte con fare allegro. Bradley non gli tolse lo sguardo di dosso.

«Credo di essere diventato sordo.» disse, con il tono di voce ancora un po' alto.

Bradley rise, annuendo «Anch'io.»

Joel iniziò a sfilarsi gli abiti dal corpo marmoreo e sudato. Prima di tutti tolse quella maglia troppo aderente, facendo finalmente respirare il petto grigio di tatuaggi. Una perfezione così piena di bellezza che nemmeno tutta l'arte del mondo avrebbe potuto imitare un capolavoro simile. Alzò i fianchi spingendosi con le spalle contro il poggiaschiena, per sfilare via la gonna corta e le calze. Bradley non provò poi così tanto imbarazzo nel guardarlo, anzi, al contrario, lo pregustava pezzo per pezzo con compiacimento silenzioso.

«Se ti imbarazzo troppo distolgo lo sguardo.» scherzò Bradley sorridendo con provocazione.

«Oh no, affatto.» rispose Joel disinvolto.

Si allungò verso i sedili posteriore dai quali prese una larga t-shirt sporca di vernice ed un paio di jeans troppo strappati sulle ginocchia.

Bradley avrebbe voluto baciare ogni parte del suo corpo, in quel momento. Il collo con linee ombreggiate, il petto disseminato da volti e parole, le mani piene di colore, i fianchi usati come pareti su cui creare graffiti, e le ginocchia tatuate da fantasie che quasi potevano ricordare i pomelli di una reggia borghese.

Quasi lo detestava per come il suo profumo lo possedesse in quel modo. I polmoni di Bradley erano anneriti come quelli di un fumatore, ma tra i tessuti ci stava l'inchiostro a renderli così scuri, e l'essenza di Joel.

Si maledì perché non prese alcuna iniziativa, rimanendo fermo a riempirsi gli occhi. Joel si rivestì troppo presto per i gusti di Bradley.

Joel si passò una mano tra i capelli per metterli in ordine pulendosi i lati della bocca con i pollici, nel tentativo di togliere anche dalla barba ben curata e folta le ultime tracce di rossetto. Mise in moto l'auto e abbassò completamente il volume della radio.

«Troppa musica, per stanotte ne ho abbastanza.» disse tenendo gli occhi sulla strada ma l'attenzione su Bradley.

«Quindi, la festa è finita?» domandò il moro rilassandosi.

«Scherzi? Forse è appena cominciata.» 

«E cosa vorresti fare ancora?» Bradley gli rivolse un'altra domanda, incuriosito.

«Ti porto in giro tutta la notte e, se facciamo troppo tardi, vieni a casa da me e ti lascio dormire nel mio letto.» rispose Joel entusiasta.

«Dormire?» sbottò lui, divertito.

«Sarai stanco.» disse Joel ingenuamente.

Bradley percepì improvvisamente quell'euforia iniziata nel bagno del pub, e poi leggermente sgusciata fuori in quel divano, nell'oscurità. Non si accontentava più dei sogni in cui Joel faceva l'amore con lui. Bradley, senza troppi preamboli, era veramente arrapato.

«Stai certo che nel tuo letto dormire è l'ultima cosa che voglio fare.» Bradley si voltò da un lato a guardarlo, con sguardo malizioso. Joel rimase senza fiato, socchiudendo le labbra in un sorriso incredulo, e leccandosi il labbro superiore. 

Entrambi scoppiarono a ridere, mentre l'auto accelerò la propria corsa, e Joel portò Bradley in posti che solo alla vista stimolarono i preliminari di quel sesso impaziente.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Una notte così, impreziosita da diamanti, oro e baci, Bradley non l'avrebbe mai dimenticata. A partire dalla calma atmosfera in auto, senza musica alla radio e il vento fresco della notte a creare correnti d'aria entrando dai finestrini abbassati. Risate perfette e impazienza, quella di due giovani innamorati che desiderano fare ogni cosa nel minor tempo possibile, anche se potrebbero pentirsene e rimanere insoddisfatti. Sfrecciarono sul ponte di Brooklyn ad alta velocità, nella strada quasi completamente deserta. Erano le tre di notte quando parcheggiarono l'auto in una corsia d'emergenza e si affacciarono, come due matti a guardare giù dal ponte. Altissimo, spaventoso, illuminato non abbastanza da poter far distinguere l'altezza che portava fino all'acqua. Bradley ebbe un leggero senso di vertigine, perché quando metteva a fuoco pareva che le onde annerite si muovessero davanti al suo naso, mentre nel vedere sotto di se' con meno attenzione si immaginava una caduta lunga chilometri.

Joel gli tenne la mano tutto il tempo. La brezza che arrivava dalle onde scompigliò i capelli a Bradley, che per evitare di farli andare tutti davanti al viso si voltò a guardare Joel. La lacrima tatuata sotto l'occhio sembrò reale, brillante come se fosse liquida. Joel si sentiva santificato da quella presenza, dalla semplicissima concessione dello sguardo di Bradley. E si vedeva da lontanissimo, dallo spazio stesso. Da ognuna delle quattro lune di Giove addirittura. Joel sapeva che la più piccola si chiamava Europa, screziata di viola e celeste, poi c'era Io, dalle mille tonalità di azzurro e Callisto, tutta bianca a chiazze blu. Lo poteva testimoniare anche Ganimede, la luna più grande, viola e grigia, come se fosse saggia. Ogni angolo infinito dell'universo vedeva quanto Bradley fosse innamorato di Joel e viceversa.

Bradley si rese conto che nell'incavato del suo collo avrebbe potuto morirci, crollare dissanguato nell'estasi dell'amputazione senza provare dolore. Perché il profumo di Joel sarebbe stato il suo paradiso eterno.

Sul ponte non si baciarono, si strinsero solamente in un abbraccio talmente lungo che la marea sotto di loro si alzò. Servì ad entrambi per avere un'overdose della loro essenza. Ne sarebbero rimasti intossicati per giorni interi.

Poi Joel gli baciò la fronte, accompagnandolo nuovamente alla macchina. Ripresero il loro viaggio a notte fonda oltre il ponte. Bradley non riuscì a capire quale fosse la meta di Joel, e glielo chiese diverse volte. Quando il tatuatore si decise a rispondergli disse;

«Ti porto ad una mostra.»

«A quest'ora della notte?» 

«Si.» annuì ostinato, le mani strette al volante.

«Quale galleria è aperta alle quattro meno venti di mattina?» il tono di Bradley era incredulo.

«Quella di Francis Bacon, di cui guarda caso ho due biglietti.»

«E da dove saltano fuori?»

«Non ti è dato saperlo, l'unica cosa di cui dovresti essere informato è che li ho presi soltanto per noi.»

Bradley non fece nessun'altra domanda. Seguì Joel nei corridoi di quella mostra poco illuminata e deserta, guardandosi intorno con fare curioso.

Le tele di questo pittore erano davvero grandi e impressionanti. Al contrario di Frida Kahlo, Joel non si espresse con particolari biografici sulla vita di Francis Bacon. Le opere in questione, però, squarciarono la mente di Bradley. E per quanto fossero macabre e spaventose, con tutte quelle bocche urlanti e i colori pastosi, Bradley trovò solamente enorme bellezza.

Fu lui a fare da guida a Joel, a camminare avanti, ed esitare minuti interi davanti alle numerose tele. Le fissava e si assopiva, pieno di stupore.

Per quanto potesse ricordare, non aveva visitato molti musei, ed era certo di non aver mai visto una mostra come quella.

Sotto ad un dipinto, intitolato Two figures c'era una didascalia che scorreva su un display. Bradley capì perché Joel lo avesse voluto portare proprio lì, a presentargli quell'altro artista.

 

Il punto è che Francis non aveva paure. Non aveva limiti di nessun genere. Era la personificazione di tutto ciò che c'era di vantaggioso nell'essere omosessuale e bisogna ammettere che questo di frequente dava valore e al tempo stesso un'ombra sulle nostre vite. Anche se da giovane poteva essere stato effemminato, si trattava dell'effemminatezza del cuoio. Nonostante il suo esagerato manierismo, nessuno lo chiamò mai finocchio. Si muoveva da solo, lungo la sua personale scia di caos calcolato, e la sua omosessualità era una componente irreversibile sia della sua vita sia della sua arte.”

 

Bradley alzò lo sguardo quando smise di leggere. Puntò gli occhi sul dipinto e perse il fiato. Joel accanto a lui era il tocco di perfetta armonia che la sua mente ricercava. Aveva visto già la maggior parte delle tele esposte, ma senza esitare o essere troppo avventato disse:

«È questo.»

«Cosa?» domandò Joel a voce bassa.

«Il mio quadro preferito.»

Lo sfondo era una stanza, e la stanza era tutta nera con sottili pennellate bianche, trasparenti, che fungevano da ombre di fantasmi che davano profondità alle pareti. E al centro un letto, orizzontale, disfatto e bianco, caotico. Su di esso due figure, apparentemente due uomini. Nudi e dal viso astratto, sfocato. Uno sdraiato su di un fianco sotto al secondo, piegato su questo in una posizione che richiamava ad un atto sessuale.

I corpi erano tinti di viola chiaro, come i lividi sulla spalla di Bradley.

Erano due uomini che facevano l'amore e l'unica cosa che sembrava censurata erano le loro identità.

«Ero sicuro che ti avrebbe colpito.» gli disse Joel avvicinandosi al suo orecchio. Rimanendo ancora lì davanti Bradley fu in grado di guardarsi intorno e notare qualcos'altro. Lo indicò con l'indice sinistro, guidando lo sguardo di Joel.

«E quelli?» chiese, sorpreso e angosciato.

Joel capì a cosa si riferisse, percependo il senso di paura che quelle figure gli trasmettevano ogni volta che le vedeva; «Three studies for figures at the base of a crucifixion. Forse i quadri più famosi di Bacon.»

Avvicinandosi distinsero meglio le cornici dorate in cui erano poste le tele. Tre quadri collocati uno accanto all'altro, tutti dallo sfondo rosso. Quello di sinistra, però, aveva qualche traccia di marrone sparsa come per imbrattare il resto. Non erano sagome umane, e nemmeno animali. Figure raccapriccianti posti su tre piedi e cavalletti. Grigi, tozzi, fasciati e con bocche terribilmente oscene. 

L'ultima, con il corpo simile a quello di un animale, sorretta da una sola, magra e appuntita zampa, con il collo lungo e teso in avanti, un solo orecchio e una bocca enorme spalancata in un urlo mostruoso, fece sorridere Bradley.

«E questo, invece,» iniziò, attirando l'attenzione di Joel «questo è il mio dolore. Gridano tutti qui dentro, e mi sembra di riuscire a sentirli solamente io.»

La cosa più romantica di quella nottata fu la visita al museo, molto più intensa e intima del sesso stesso. Pensarono entrambi a questo, durante il tragitto in macchina per andare a casa di Joel. Scoppiarono a ridere con complicità, scherzando su esilaranti posizioni e imprevisti bizzarri, canzonandosi l'un l'altro; "spero tu abbia i preservativi!" oppure "sei in astinenza da un bel po', non è così?"

Invece di aver il magone addosso, ed un senso di malinconia e inquietudine alla vista di tutti quei quadri Bradley si sentì affascinato e libero in una maniera tale da alterare visibilmente il suo umore. Le cose stavano andando di bene in meglio e lui non c'era abituato per niente.

Quando si ritirarono nell'appartamento, però, tutto quel fremito e i progetti fatti con eclatante desiderio rimasero alienati nei loro silenzi.

Tesi e tremanti, si resero conto di essere nervosi come due ragazzini ancora vergini. Un conto era parlare e scherzare con leggerezza su un argomento ripetitivo come quello del sesso, un altro era mettere in atto quell'atto così fisico e personale.

Accecato dalla luce accesa da Joel Spiritum emise un cinguettio coatto, quasi fosse infastidito del fatto che quel chiasso a tarda ora avesse disturbato il suo sonno. Fu Joel il più coraggioso, da bravo padrone di casa, condusse Bradley in camera da letto senza dargli la vera e propria sensazione di voler arrivare ad un unico scopo. In verità, tesi per com'erano, continuando in quel modo non avrebbero realizzato granché.

Invece di ingigantire il suo nervosismo entrando in quella camera così privata Bradley riuscì a trovare la prima porzione della calma semplicemente assopendosi con il profumo di Joel, che riempiva ogni angolo delle pareti.

Si sedette ai piedi del letto, con le mani incrociate simili ad un segno di preghiera tra le gambe aperte. Seguì Joel con lo sguardo, che sistemò le imposte delle finestre e qualche oggetto in disordine che in fondo non lo era, trovandone una scusa per stare in movimento e smaniare.

Lo stupore prese il sopravvento quando si resero conto di essere impacciati in quel momento buffo. Erano grandi e maturi, cosa gli stava prendendo?

E non era il fatto di non sentirsi pronti, di non voler fare l'amore, al contrario; era il desiderarlo così tanto a fargli avere timore di sciuparsi.

Joel si sedette vicino a Bradley, con un piccolo grinder trasparente. Lo ruotò in senso orario per sbriciolare meglio l'erba contenuta al suo interno. La depose ordinatamente sulla cartina opaca e sistemò con cura il filtrino bianco. Leccò velocemente la carta, impaziente di portarsela sulle labbra per poterla fumare.

L'odore delle sigarette nauseava Bradley, il tabacco puzzava tremendamente, e gli ricordava malvolentieri il vizio di Wolfgang. Invece il fumo dello spinello -ogni singola canna che fumava Joel- profumava pungentemente, come volesse tentarlo. Già al terzo tiro l'umore di Joel era migliorato notevolmente. Si rilassò con il corpo seduto comodamente sul materasso, socchiudendo gli occhi e portando la testa indietro per buttare fuori il fumo dalla bocca.

Bradley sorrise, trovandolo dolcissimo e buffo.

«Posso?» gli chiese, allungando la mano destra verso lo spinello.

La faccia di Joel lo fece ridere ancor di più per lo shock della sua domanda. 

«Un tiro? Con le medicine che prendi?» si preoccupò.

«Non morirò di certo per una volta, sta tranquillo.» Bradley lo rassicurò, prendendogli dalle dita la sigaretta quasi giunta a metà.

Inspirò a fondo riempiendosi i polmoni di fumo dal retrogusto pungente, tossendo quando gli ultimi residui di vapore gli uscirono dalle narici. Rise, fiero di essere in una qualche maniera strafottente.

«Sicuro che non ti accadrà nulla, vero?» continuò Joel, gli occhi stanchi a quell'ora tarda dopo una notte movimentata.

Bradley annuì, sorridendo amorevolmente. Trasse un secondo tiro d'erba e tenne il fumo in gola. Si attaccò senza rimorsi alla bocca di Joel mescolando ad un bacio lo scambio di sballo così rassicurante. Fu una reazione a catena, da quel momento in poi. E le carezze furono così magiche da togliere dai loro corpi ogni peso. Bradley reagì d'istinto, montando a cavalcioni sul bacino di Joel. Il più grande, continuando a baciarlo, assecondò quei suoi primi e deboli movimenti ad istigare un galoppo, osando toccargli le cosce e il sedere, scendendo di sfuggita fino all'interno coscia. Poi però, quel momento di estrema foga si arrestò improvvisamente. Sospesi i baci e le lingue, la barba ruvida sui loro visi, le mani ad accarezzare tutta la schiena e le spalle, e il bacino a muoversi vertiginosamente in una simulazione di sesso nudo e crudo.

Fu Bradley a fermarsi, perché si distrasse a pensare se fosse più opportuno sfilarsi la maglia o meno. Eppure doveva farlo, se davvero voleva fare l'amore con Joel. L'amore si fa senza vestiti, non sarebbe riuscito ad immaginare una cosa simile con indosso qualcosa per nascondere quel braccio.

La colpa era sempre sua.

Si innervosì perché non riuscì a trovare un modo veloce per mordersi qualsiasi parte del braccio. Joel gli prese il viso tra le mani, quasi a costringerlo a non tenere la testa bassa per la frustrazione.

Bradley aveva fatto appena due tiri da quello spinello ormai spento e già si sentiva in uno stato difficile per lui da controllare.

«Brady.» Joel lo chiamò, autoritario e comprensivo.

Bradley si morse il labbro, gli occhi lucidi e arrossati iniettati di collera.

«Non sei costretto a far nulla che tu non voglia fare.» disse Joel.

«Faccio ciò che sento, non credi?» rispose con una domanda amareggiata.

«Certo.»

Sostarono nel loro silenzio e si guardarono negli occhi. In fondo non avevano bisogno di spiegare troppi drammi con le parole. Joel aveva capito ogni cosa.

Gli accarezzò i capelli castani, sorridendogli con attenta leggerezza. Bradley lasciò le mani lungo i propri fianchi, lontani da ogni cosa.

«Scusa, ma è tutto un fottuto casino...cioè...» mormorò Bradley.

«Lo so, lo so.» Joel rispose con tono calmo e dolce.

«Non è solo la storia del braccio! Almeno, è soprattutto per quello, ma non riesco a smettere di pensare.» si portò i palmi delle mani alle tempie per alleviare il pulsare alla testa.

«A cosa?» domandò Joel.

Bradley si bagnò le labbra aggrottando le sopracciglia. Si convinse che se non avesse fumato quell'erba non avrebbe mai avuto il coraggio di dire una cosa simile.

«Al mio ex.» finalmente trovò una scusa per portare il polso alla bocca, per mascherare un singhiozzo. Lo morse forte, appena uno strato superficiale di pelle che tirò quasi fosse elastica. Joel, con disinvoltura, riaccompagnò quel braccio al proprio posto facendo smettere Bradley di mordersi.

Quel gesto spiazzò Bradley, che iniziò a tremare.

«Non devi pensarlo se non conta più nulla. È ancora importante per te?»

«No! Cristo...» imprecò. Le lacrime iniziarono a scendere sul suo viso, maledicendosi di aver rovinato ogni cosa. Ma ciò che più li lasciò convinti di quell'amore imprescindibile fu il fatto di rimanere uno sopra l'altro, senza sentire il bisogno di allontanarsi.

«Ti hanno raccontato qualcosa su di lui?» chiese, notando lo smarrimento nello sguardo di Joel. Era evidente che non sapeva nulla.

In risposta lui scosse la testa; «Perché, cosa dovrei sapere?»

«È morto.» 

Silenzio, forse era stato troppo cruento a dirlo in quel modo.

«È stato il mio primo e unico ragazzo, ma era violento, e non avendo un posto in cui andare ho vissuto con lui.»

«Stai scherzando, vero?» gli occhi di Joel erano un oceano in tempesta, sfumati in un azzurro pieno di rabbia, incredulità e dolore. 

Gli prese la vita con parsimoniosa delicatezza, per sentirlo tutto suo.

«È tutto vero.» il tono di Bradley assunse qualcosa di macabro e rancoroso; «Abbiamo avuto un incidente in auto, in cui lui ha perso la vita.»

«Cazzo, non avrei dovuto coinvolgerti in un contesto simile.» Joel fece per alzarsi e mettere Bradley in condizioni migliori, ma questo non gli diede possibilità di sbarazzarsi di lui.

«No, non pensarlo nemmeno. Per me c'è stato solamente lui per anni, anche se a pensarci bene non credo di averlo mai amato. Ero solo e non avevo niente, e lui è stato l'unico affetto importante che mi ha reso parte della sua vita. Ma io sono stato troppo stupido, mi sono lasciato sottomettere. Non ho molti bei ricordi del sesso con lui, e non voglio assolutamente paragonarlo a te, perché tu sei oro in confronto a lui, pace alla sua fottuta anima.» Bradley assunse una posizione più sicura, toccandogli il viso barbuto e avvicinandolo al suo; «Ma sono così malato Joel, dappertutto. E non so più come comportarmi, perché ogni cosa non mi sembra sicura.»

«Bradley capisco perfettamente cosa senti. Vivi con questa consapevolezza ma credi di essere già spacciato, morto. Morto come lo è un cadavere, ecco, esatto tu sei come uno di loro. Il tuo processo biologico si è fermato, le tue cellule si sono spente, la tua attività cerebrale è ferma, tu ormai non senti più niente. Io lo capisco, anche se per gli altri sei ancora effettivamente vivo, benché respiri, cammini, osservi, ascolti, ti nutri; io però riesco a guardare meglio. Perché ti vedo che soffri amore mio, tu lo sai, io anche, allora che ne dici di attraversare questa morte insieme?» fece Joel.

Bradley scosse il capo; «Mi avevi detto che avresti cercato di consolarmi.»

«Esatto, ma per farlo devo capire il dolore con te. Morti ma circondati da fiori, fino a che non riesco a farti resuscitare.»

«Mi hai chiamato amore mio.» bisbigliò Bradley, il cuore che galoppava velocissimo.

«Perché è quello che sei per me.»

Bradley lo baciò, prendere l'iniziativa di farlo era la cosa che di più preferiva al mondo. Joel lo strinse fortissimo tra le braccia.

«Basta dolore, almeno per un po'.» gli disse Joel, respirandogli sulla bocca.

«E cosa vorresti fare?» domandò il moro, aggrappato alle sue spalle.

Joel sorrise con moderato divertimento, baciandolo a stampo sulle labbra per poi rispondergli; «L'amore, fino a quando non guarisci.»

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Poesia.

Joel aveva sognato tante volte quel momento, aveva reso Bradley oggetto delle sue fantasie erotiche senza mai cadere nella frivola volgarità. Ovviamente per Bradley era lo stesso. La sua malattia aveva un nome? Non lo ricordava. Su quel letto, tra i baci, ogni cosa era stata dimenticata. 

Bradley rischiò di piangere, questa volta per la commozione; il gesto di Joel fu azzardato ma profondamente simbolico. Prima lo spogliò, delicatamente, baciandogli il collo, carezzandogli i morbidi capelli scuri, tenendolo in bilico tra la punta della lingua e lo spazio tra le dita. Bradley rimase ad occhi chiusi e si fece cullare dalle mani di Joel, che tra i due fu quello a mantenere il controllo. E quando il moro riuscì a riaprire gli occhi e a guardare l’interezza di Joel sopra di se, ansimando già in una posizione piuttosto impaziente ed esposta, chiese al tatuatore come mai stesse spogliando prima lui.

Joel sorrise, negli occhi si leggeva tutta l'estrema voglia di ammirare il ragazzo sotto di sé. Ne era perdutamente attratto.

«Perché una bellezza come la tua non può essere messa a paragone con la mia, deve uscire fuori per prima.»

«Idiota.» Bradley rise dall'imbarazzo di quelle parole sempre dolci, porgendosi in avanti e baciandolo.

Quando la sua armatura, quella fatta di stoffa per nascondere il campo di battaglia sul suo braccio, venne tolta e appallottolata per finire in terra, Bradley si impose di trattenere il respiro. Lo fece per tenere duro e non avere un crollo, come quando ci si tuffa da un dirupo per poi finire in acqua; d'istinto si trae una boccata d'aria ancora prima del salto.

Joel non si accanì a guardare le ferite, quelle potevano anche essere definite belle in quanto parte della vita di Bradley, ma non era ciò che veramente gli interessasse. Si sentì ad un'esposizione d'arte, in cui l'unico pensiero era fermarsi a guardare quell'opera preferita rivista un milione di volte solamente sui libri. Per Joel gli occhi, le labbra e il petto, in quel momento, erano l'unica parte significativa di cui farsi padrone. Gli strinse la mano destra, distesa con il dorso sulle lenzuola. 

Bradley non c'era più; non si spiegava ciò che stava accadendo o che stava provando. Anche volendo non ci sarebbe riuscito. Era impossibile descriverlo, lo si poteva sentire solo sulla lingua. Via dicendo i loro baci raggiunsero un ritmo sincronizzato, tra respiri e saliva. Muovendosi selvaggiamente quasi volessero divorarsi come predatori.

Joel poggiò le mani sulla vita robusta di Bradley. In tutta la sua mascolina bellezza il moro flesse l'addome scolpito. Le mani di Joel, anche se avevano le dita rosse, erano più fredde rispetto a quella zona del corpo di Bradley.

E Bradley cosa fece?

Quella era vita. Fottuta vita esageratamente sopportabile. Bradley non avrebbe potuto ammetterlo facilmente, ma fu la prima vera e propria volta in cui non pensò che nella sua esistenza ci fosse solamente rassegnazione e sofferenza.

Non potevano bastargli solo i baci, e nemmeno quelle carezze leggere sulla parte bassa del ventre, appena sopra l'inguine.

Bradley gli afferrò l'orlo della maglia sfilandogliela di soprassalto. Joel si mise dritto sopra di lui, sulle ginocchia. Respirò profondamente, con le spalle ampie e il petto in fuori. Le braccia distese dolcemente sui fianchi e in viso l'espressione di chi ha rubato tutta la felicità esistente nel mondo.

Un attimo intenso di sguardi muti, distanti sì, ma scintillanti e impazienti. Le labbra umide dai baci brillarono nella luce della stanza. No, non volevano il buio, Bradley non voleva farlo alla cieca. Non si vergognava, forse un bel po' affrettato da dire, ma voleva farsi guardare dappertutto.

Esatto, voleva lasciarsi mangiare dalla memoria di Joel completamente nudo, con il braccio sfregiato dalle cicatrici, viola dai lividi e rosso per i tagli. Lo stesso voleva, però, fare lui con Joel. Appena gli focalizzò il torso nudo rimase senza alcuna parola, persino reagire fu complicato. Credeva di ricordare bene i tatuaggi sulla sua pelle, da quella volta in cui si erano baciati per la prima volta ed erano stati costretti a cambiarsi per la pioggia che gli aveva bagnato i vestiti. Bradley si era illuso, tutti quei particolari sembravano nuovi.

Né Frida né Francis potevano eguagliarlo, Joel era la sua opera d'arte preferita.

E tutte quelle sfumature, quei volti, forme, parole e colori; chi avrebbe potuto donargli una meraviglia simile? Anche se non ci credeva Bradley pensò che un simile privilegio glielo avesse mandato qualcosa di davvero vicina a Dio.

Joel gli si sdraiò sopra. Bradley divaricò meglio le gambe, assecondando le deboli spinte che i fianchi del tatuatore stavano esercitando sulla sua erezione. Nonostante i pantaloni e l'intimo -due strati di stoffa- riuscivano e sentirsi tutti e due duri fino all'esasperazione.

Mille baci, non se ne poteva tenere il conto. Joel gli martoriò il collo con soffici succhiotti e Bradley gli accarezzò gelosamente le spalle ingrigite dall'inchiostro.

«Sei come gli angeli àpteri di Michelangelo.» gli sussurrò Joel tra uno di quegli intervalli tra baci e sguardi. Non avevano poi così tanta fretta, avrebbero potuto rimanere in quella stanza anche per giorni interi.

«Come?» domandò Bradley sotto di lui, confuso ed estasiato.

«Privo di ali. La massima perfezione dell'anatomia umana, divino.»

Bradley scoppiò a ridere, le guance rosse dall'imbarazzo. Quando Joel se ne usciva con complimenti simili lui si trovava sempre in grande difficoltà a rispondergli. Joel era un inguaribile romantico, un appassionato d'arte capace di nominarla in ogni contesto. Bradley  doveva ammetterlo, lo amava, e la sua cultura sentimentalistica era una delle cose che poneva al primo posto di ciò che adorava di lui.

Joel gli sfilò i jeans, tirando giù senza troppi problemi anche i boxer. Bradley portò il mento al petto e gemette sul capo di Joel.

Fu un sollievo non sentire più il sesso eccitato oppresso dai vestiti, fu una grazia afrodisiaca percepire Joel così vicino.

Lo voleva, voleva tutto senza restrizioni. Avrebbe ucciso, usato tutta la forza bruta e spietata che di solito impiegava per ferirsi al braccio, pur di arrivare al meglio. Aveva la voglia matta di fottere e farsi fottere da Joel.

Rise con malizia, fuori controllo a pensare una cosa simile. Joel sul suo petto, la barba lunga che gli solleticava il collo e i movimenti fluenti del corpo curvilineo sul suo. Finirono per trovarsi nudi entrambi, bellissimi e senza fiato.

Joel aveva tatuato sul bacino proprio sulla punta delle ossa sporgenti due triangoli con la punta verso il basso, e questi triangoli erano formati da tre ossa (femori probabilmente, ipotizzò Bradley), resi più vividi da una scura sfumatura.

Proprio così, in quel lunghissimo frangente di tempo in cui fecero l'amore Bradley imparò, una volta per tutte, ogni suo tatuaggio a memoria.

Li elencò nei pensieri, mentre l'eccitazione lo stava portando ad uno stato di totale frenesia. Su un piede, il destro, Joel aveva tatuata l'anatomia ossea di quel preciso piede, con tutte le falangi e le articolazioni minuziosamente elaborate.

Ai lati delle cosce lo avvolgevano un serpente tutto nero, arrotolato su se stesso e sottile, enorme ma allo stesso tempo proporzionato, posto sulla sinistra. Nella destra, invece, il ritratto perfetto di un corvo completamente nero. Il resto erano dettagli piccolissimi a confronto con il lavoro più grande. Piccole frasi, date, sottili linee e soggetti stilizzati con qualche macchia di colore scolorita e accesa rispetto alla pesante sfumatura scura.

E sulla schiena, oh, Bradley ci vide il paradiso. Quando Joel si piegò e gli diede le spalle per concedersi a lui non avrebbe mai pensato che Bradley esitasse su di lui per meravigliarsi davanti agli altri disegni.

Il tatuaggio più vistoso, laborioso e grande era posto al centro esatto della schiena, sia che si parlasse di verticalità che di orizzontalità. In sostanza, anche se persino un critico d'arte avrebbe trovato difficoltà a descriverlo, si trattava di due volti maschili, anonimi ma perfettamente definiti. E questi si sfioravano con le labbra, avvolti da una cornice di altre dozzine di disegni completamente fuori tema, ma in perfetta armonia ed equilibrio in una composizione studiata nei minimi dettagli. Ma non era soltanto la particolarità di quei tatuaggi che Bradley si godette durante quella passione. Assolutamente, la cosa più importante gli bagnava la fronte e gli faceva gorgogliare lo stomaco.

L'odore dello spinello fece intossicare la stanza, e i loro gemiti rischiarono di far crollare le pareti. Joel percosse con la lingua il corpo di Bradley, scendono dal collo, in cui si era fermato un secondo a baciargli piano il pomo d'Adamo, fino ad attraversare il petto e l'addome. Prese finalmente in mano il suo sesso, tenendolo fermo alla base per poterlo assaggiare con lle labbra. Bradley soffocò un urlo rauco; gettò la testa indietro e inarcò la schiena, tenendogli la testa con la mano sinistra.

Se solo si fosse guardato, come un terzo spettatore invisibile Bradley sarebbe scoppiato a piangere, perché di dolore in quella scena non ne vedeva, non ce n'era. Ed era bellissimo pensare realmente a lui e Joel attaccati insieme, completamente nudi a morire in un qualcosa di così intimo. Solo a pensare al suo braccio malato che accarezzava il viso di Joel, che si avvolgeva sulla sua schiena tatuata, come se fosse effettivamente normale gli fece scendere due lacrime silenziose sulle guance.

E se il braccio non ci fosse stato, come lui desiderava tanto? Sarebbe stato perfetto.

E quelle lacrime si trasformarono in amarezza, piuttosto che in emozione. Perché era felice, questo sì, ma non completo come agognava.

I fianchi agili di Joel, dondolando, trucidarono quel terribile senso di inquietudine. Bradley mandò a 'fanculo ogni lacrima nera e si fece ammazzare a sangue freddo dal calore teso tra le sue gambe.

I gemiti parsimoniosi di Joel gli scottarono la pelle sul viso, la sua barba folta lo solleticò con eccessiva caloria. Bradley emise versi striduli, senza più voce in gola. Ogni reazione di tutti i suoi sensi era concentrata allo sfregamento dei due sessi duri spinti vicinissimi, bisognosi.

Bradley gli strinse le natiche con ferocia, spingendolo verso di sé con più forza per invitarlo a continuare. Joel scese con la bocca, per l'ennesima volta. A Bradley morse sottili lembi di pelle dell'interno coscia, avvicinandosi tremendamente ai testicoli, premendo con le dita sempre più in profondità per raggiungere la stretta fessura del moro, sdraiato.

Bradley flesse le ginocchia, piantando i piedi sul materasso. Si aggrappò alle lenzuola con ogni mezzo possibile. Poteva cadere, rischiava di sprofondare senza più ritorno se non fosse riuscito a trovare qualcosa a cui stringersi.

Da un cassetto del comodino vicino al letto Joel tirò fuori, velocemente, un tubetto di lubrificante oleoso. Non si fecero domande l'uno con l'altro, non soffrirono nemmeno la troppa distanza, dato che Joel la fece durare un brevissimo momento. Con il contenitore in una mano e due dita già umide da quell'unguento odoroso nell'altra, Joel e Bradley si guardarono negli occhi brillanti di eccitazione, ridendo pieni di gioia e divertimento. Cos'altro avrebbe potuto renderli così felici?

Quando ci si trova nudi, nel proprio amore e nel piacere utopico scatenato da esso, cos'altro si può desiderare? E ciò che veniva dopo, ancora di più poteva reputarsi mozzafiato, quando si è stanchi e si rimane sdraiati tra le braccia a guardarsi e sonnecchiare.

Mentre Bradley pensava a tutto l'amore che sentiva nella cartilagine di ogni osso, nella fibra nervosa di ogni tessuto, e si disperava nel tentativo vano di raccoglierlo tutto e riordinarlo, Joel aveva già fatto sgusciare quelle dita gelide più vicine alle sue gambe.

Chiedere chi avrebbe fatto cosa era un'enorme perdita di tempo, inutile. Il permesso lo avevano accordato già da quando Bradley era rimasto a petto nudo. Non si sarebbero posti dei limiti quella notte.

In un turbinio di scatti muscolari e lamenti frenetici i due si ritrovarono a cambiare posizione. Joel si sedette dietro di Bradley, poggiato con la schiena sul corpo forte e rassicurante del tatuatore. La mano ormai bella che umida di lubrificante massaggiò velocemente l'erezione di Bradley che aprì completamente le anche, poggiando il viso nell'incavato del collo grigio di Joel. Questo lo fece piegare lievemente in avanti, mettendolo in ginocchio con la schiena dritta. In tal modo riuscì a spingere la prima falange all'interno di Bradley con estrema cautela, muovendo il dito con costante provocazione. Bradley emise un sussulto violentissimo; tirò il petto in fuori e si alzò sulle ginocchia con un gemito che gli impastò le labbra. Il corpo gli diceva di spostarsi e spingersi più in basso allo stesso tempo. Voleva che andasse in fondo, ma poi faceva male, e allora poteva anche accontentarsi di quel poco.

Joel gli strinse il petto con la mano libera, accarezzandolo e stuzzicando i suoi capezzoli turgidi. 

Strillando, Bradley lasciò che Joel lo persuadesse completamente. Infatti lui gli spinse dentro due dita, con una forza tale da provocare forti scossoni al corpo di Bradley, come se fosse stato effettivamente penetrato dal suo sesso stesso.

 

Le dita calde e bagnate di Joel gli si poggiarono sulle costole. Voltatosi di fronte a lui Bradley lo spinse sul letto e gli si accavallò sopra le cosce, spingendo con provocazione la propria virilità contro quella pulsante di Joel. 

Baci. Quasi fino ad avere la nausea.

Bradley gli afferrò le cosce, Joel rise, il viso paonazzo e l'espressione indescrivibile. Bradley si chinò per baciarlo, accarezzandogli i capelli, probabilmente con troppa forza. Si accarezzarono i visi, non allontanarono i respiri nemmeno nel tentativo alla cieca di unirsi in un contatto più che doloroso.

Bradley si aiutò con la mano destra, mentre con quella sinistra si lasciò stringere forte dalle dita di Joel per trovare conforto. Poco a poco, forse con troppa foga e una preparazione assente, Bradley penetrò Joel tra lamenti di dolore e grida di incoraggiamento. Accresceva la regolarità degli affondi, dei versi, delle pelli attaccate e di qualsiasi altra cosa concreta e astratta personificata in loro. Finirono per inselvatichirsi come animali.

Joel si piegò a Bradley in diversi modi; mettendosi a quattro zampe, standogli di sopra, ma alla fine la maniera migliore per raggiungere l'orgasmo fu stare stretti in un abbraccio, completamente amalgamati assieme.

Schizzarono all'unisono, Joel strillò contorcendosi in sintonia con le ultime spinte di Bradley.

Scoppiarono a ridere quando si collassarono uno sull'altro, sfiniti. Era stata una fatica immane venire, pareva che i loro corpi non volessero più smetterla di agitarsi. Joel prese la mano sinistra di Bradley con entusiasmo amorevole. Se la portò alle labbra e la baciò con devozione. Il moro rimase pietrificato per pochi secondi, ricambiando la dolce moina amorosa con qualche carezza sul viso di Joel.

«Abbiamo qualcosa da dire?» gli chiese il tatuatore, voltando il viso verso quello di Bradley. Lui si morse il labbro, fissando i suoi occhi. Scosse il capo e sorrise, usando quella loro stupenda reazione piena di gioia come effetto stupefacente, ciò che nemmeno l'erba sarebbe riuscito a causargli.

Eppure a Joel venne in mente una strana fantasia mentre guardava Bradley in tutta la vulnerabilità nuda e vergognosa per via delle ferite.

Ebbe paura, come se fosse già perfettamente consapevole del destino irreversibile di Bradley. I suoi sforzi, per quanto duri, non sarebbero mai stati sufficienti.

Recitò nella propria mente, come fosse una preghiera, il canto del Purgatorio di Dante dedicato a Casella. Lo fece accarezzando i capelli di Bradley che poco a poco stava prendendo sonno.

Dante e Virgilio, usciti dall'Inferno arrivano al Purgatorio, l'angelo nocchiero traghetta le anime destinate alla salvezza fino alla spiaggia. Lì, tra quelle entità accalcate per la foga e la curiosità di vedere dei vivi nel regno dei morti, Dante riceve l'abbraccio di un'anima che non riconosce subito. La stringe, ma non riesce a tenerla a se'. Questa era Casella, un compositore e cantautore italiano, suo amico.

 

-Io vidi una di lor trarresi avante

per abbracciarmi, con sì grande affetto,

che mosse me a far lo somigliante.

Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!

Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,

e tante mi tornai con esse al petto.

Di maraviglia, credo, mi dipinsi;

per che l'ombra sorrise e si ritrasse,

e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.

Soavemente disse ch'io posasse;

allor conobbi chi era, e pregai

che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.

Rispuosemi: «Così com'io t'amai

nel mortal corpo, così t'amo sciolta:

però m'arresto; ma tu perché vai?»

[...]-

 

Joel poteva descrivere la sua preoccupazione proprio come nella poesia; abbracciare l'anima tanto amata ma non riuscire a tenerla stretta, perché morta.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


«Anche Joel e Bradley di un universo parallelo hanno fatto l'amore.» disse Joel accarezzandogli i lunghi capelli scuri.

«Quelli nel giardino di Monet?» domandò Bradley spensierato. La testa sul petto nudo del tatuatore.

«Già» Joel si inumidì le labbra con la punta della lingua «hanno trovato un posto isolato nella radura. Riesci ad immaginarli?»

«Scommetto che Bradley ha fatto godere per bene Joel.» ironizzò il moro, ridendo spiritosamente.

«Direi proprio di sì!» fece eco l'altro.

«E poi cosa hanno fatto?» continuò Bradley alzando il viso per guardare Joel negli occhi.

«Quando hanno gridato all'orgasmo ancora, ancora e ancora, si sono seduti sotto ad un albero e hanno guardato le stelle. Per fortuna Joel aveva con sé la sua sacca, lì dentro c'era un taccuino di pelle. Allora con una matita non poco più grande del suo mignolo ha iniziato a disegnare il viso di Bradley, stanco e felice.»

«Dovresti scrivere un libro.» Bradley si voltò su un fianco, poggiando una gamba sulle cosce di Joel. Era mattina, e loro stavano ancora sdraiati su quel letto diventato la loro tomba del piacere, accaldati e completamente nudi. 

«Sono più bravo a disegnare che a scrivere.» rispose Joel, abbracciandolo forte tra un sorriso e un sogno ad occhi aperti.

Bradley protese le labbra contro quelle di Joel e lo baciò con indiscussa bellezza.

«Già, su quello non ci sono dubbi.»

Joel iniziò a prolungare le affettuose carezze sulla pelle di Bradley. Con le punte delle dita gli aveva reso il viso caldo e rosso, mandandogli sotto la pelle una sensazione di pace afrodisiaca.

Poi però quel tatto aveva iniziato a scendere, e non nella direzione in cui Bradley aveva voglia -ancora- ma di lato alla clavicola sinistra. Voltato sul fianco destro, accucciato a cucchiaio con la schiena rivolta a Joel Bradley si strinse entrambe le mani al petto, tenendo quella ferita stretta nell'altra.

Poggiarsi sul lato del braccio malato non se ne parlava per niente, evitata di dormirci persino sopra, semplicemente perché detestava la sensazione di averne la sensibilità, di appoggiarsi su qualcosa che non avrebbe dovuto esserci.

Bradley non aveva nemmeno considerato il fatto che esporre il braccio forte e ferito di conseguenza avrebbe portato ad una reazione da parte di Joel. Era logico, doveva aspettarselo, ma non voleva ammetterlo fino in fondo.

Joel gli sfiorò la spalla, levigata dalle larghe e profonde cicatrici gonfie. Alcune erano ancora rosee, come se non riuscissero più a guarire, la pelle in quei punti era molto spessa e per nulla elastica.

Un tremendo brivido alla base della schiena fece irrigidire Bradley velocemente, mentre la mano di Joel andava via via a toccargli l'avambraccio con l'intero palmo. Bradley gemette, rimase immobilizzato a regolarizzare il respiro e a cercare di non avere un attacco di panico. Detestava essere toccato in quel preciso punto, anche se si trattava di Joel non lo sopportava affatto.

Lì si ripresentava un altro difetto, se così si poteva chiamare, quello che possiedono le persone con addosso una sofferenza. Forse nel caso di Bradley era più difficile da giustificare, dopotutto il suo non era altro che un disturbo puramente psichico, a parer di molti poteva essere visto con meno importanza rispetto alle “vere malattie”.

Ma prendiamo un altro esempio allora, quello di una persona qualsiasi, vittima di un incidente magari; quest'ultima ha riportato gravi ferite ad una specifica articolazione (es. nº 2, un'anca), con la quale ha dovuto passare un doloroso e lungo calvario per portarla ad una guarigione più o meno buona. Ecco, se qualcuno provasse anche solo a dare una pacca scherzosa su quel preciso punto così sensibile e intimo il soggetto preso in causa come cavia reagirebbe in una maniera non poco singolare.

Bradley si raggomitolò con le ginocchia più vicine al mento, affondando quasi di prepotenza il viso tra le lenzuola.

«Anche i tatuaggi provocano ferite. Il sangue si confonde con l'inchiostro, le piccole cicatrici si richiudono e sono sensibili al tatto.» bisbigliò Joel all'orecchio di Bradley. Da dietro, gli prese la mano sinistra e la strinse forte alla sua, ignorando i tentativi di Bradley nel cercare di metterla da parte quasi fosse un oggetto indesiderato.

«Io e te» tentennò Joel con voce calda «abbiamo le stesse ossa. Questo non puoi negarlo.»

Bradley esitò in un silenzio di rimorso e timore. Deglutì e ricambiò con debolezza la stretta di mano.

«Ciò non fa sì che io mi detesti di meno.» rispose.

«Tu non ti detesti.» gli disse Joel alzando le sopracciglia.

«Ah no?» Bradley parve innervosirsi, indicando il braccio malridotto alzando piano il gomito.

«È proprio perché ti ami che desideri qualcosa di così drastico.»

Di colpo il moro si voltò sul letto, mettendosi di fronte a Joel. Si sedette e per una frazione di secondo gli guardò il viso raggiante e sereno.

«Quando dici certe cose» bisbigliò Bradley sdraiandosi sul tatuatore; il contatto delle loro intimità nude riaccese le voglie «mi spezzi tutte le fottute ossa, uguali e diverse che siano.»

Joel gli prese il capo con entrambe le mani e lo accompagnò su di sé, in un bacio. E le mani, ancora intontite dall'effetto del piacere, non persero occasione per farsi strada lungo schiena, gambe e natiche.

Ridendo, nuovamente annebbiati dalla voglia di sesso, rotolarono e dondolarono su quel letto che ne aveva abbastanza, e poi si spostarono a piedi scalzi e con entusiasmo nel bagno profumato di Joel.

L'acqua troppo calda della doccia subito gli bagnò la pelle; chiusero le ante di vetro trasparenti che iniziarono ad appannarsi in basso, e le gocce che puntellavano le piastrelle, qua e là.

Joel spinse Bradley con le spalle alla parete. Gli prese i fianchi umidi ed impazienti, facendo lamentare Bradley per il contatto quasi impercettibile dei sessi.

Quei baci bagnati, che sapevano d'acqua dolce e tiepida, fecero così tanto rumore da essere paragonati alle urla degli orgasmi avuti non molto tempo prima, tra le lenzuola.

Joel si sostenne con un braccio contro la parete per circondare e tener fermo sotto di sé Bradley. Poggiò la fronte contro la propria, respirando pesantemente sul suo viso con gli occhi socchiusi, mentre l'acqua colava sui volti di entrambi seguendo il percorso delle lacrime.

«Tu vivrai per sempre, come gli amanti nei sonetti di Shakespeare, io ci riuscirò, ti farò restare per sempre vivo.» sussurrò Joel con Bradley che pendeva dalle sue labbra.

Caro lettore cerca di tenere ben a mente questa confessione, questa promessa, perché sarà importante per la fine;

 

"Nor shall Death brag thou wander'st in his shade, when in eternal lines to time thou grow'st. So long sa men can breathe or eyes can see, so long lives this and this gives life to thee."1
 

Joel non si riuscì a spiegare perché gli fosse venuto in mente un altro passo di letteratura in un momento simile. Forse era una fantasia erotica che lo eccitava di più, ripetere a mente le poesie? Non ne era certo, l'unica cosa capace di rendere più dura la sua erezione erano le mani di Bradley e nient'altro.

Non rimase con la mente ferma a meditare su quei versi che aveva imparato a memoria e scritto sul quaderno colorato che aveva quando frequentava la scuola. Lo sussurrò a Bradley come un lunghissimo e duraturo ti amo, che gli strappò via un gemito intenso.

Joel perse entrambe le loro erezioni in una mano, strofinandole velocemente, in un teso e doloroso contatto. Bradley gli si avvinghiò al collo, gemendo forte. Le cosce gli tremarono, il bacino spinto in avanti istintivamente per assecondare il piacere sul sesso. Bradley chiuse gli occhi e perse ogni riferimento terreno ai sensi. Il suo corpo era sbranato da Joel ma il suo spirito -se davvero esisteva- viaggiava tra gli astri, come se fosse morto e intrappolato nell'eternità.

Entrambi si sentivano ancora bruciare all'interno, ma l'istinto di spingersi e penetrarsi sovrastò quel piccolo e fastidioso dolore.

Vennero, bagnati dal getto d'acqua, ad occhi chiusi. Le ciglia dalle quali scendevano gocce piccole, le mani affondate nei lembi e le bocche fatte a pezzi dai denti.

Sì, era proprio stupendo.


[1] Tratto dal diciottesimo sonetto di Shakespeare "Shall I compare thee to a summer's day?"; «Nè Morte si vanterà di coprirti con la sua ombra, poiché tu cresci nel tempo in versi eterni. Finché uomini respireranno e occhi vedranno, vivranno questi miei versi e daranno vita a te.»

 

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Capitolo 22
*** 21 ***


Sto arrivando

per tutti i mostri 

che lo abbiano mai toccato.

Sto arrivando 

per tutti quelli che hanno trasformato le sue stelle in ombre;

lo hanno trasformato in un incubo, 

quindi io sarò il loro.

Diventerò presto

il loro peggiore martirio

per aver ucciso l’uomo 

che ha preso il mio amore

e lo ha tenuto al sicuro nelle sue tasche,

e che potrei anche amare 

come se fosse una donna

o meglio 

come riesce ad amare una donna.

Dovrei, ancora, proteggerlo

dalla morte

e da ciò che è peggiore

come ho promesso a me stesso

ed invece ho lasciato che lo deturpassero

rendendo il mio amore immenso, 

dal profumo di lavanda,

in corpo fatto di dolore.

Ed io

nato per amarlo

-per amare Bradley-

uso ogni singolo giorno della mia vita

per onorarlo.

Lui che è la mia casa

il mio baricentro 

il mio sistema solare

la carne sulle mie ossa

tutte le canzoni d'amore

il mio stesso nome

il cuore del mio cuore

il mio peccato

e la mia assoluzione.

Troppa vita

la nostra

per poter essere raccontata.

Ma io sto arrivando

per rimediare e mantenere quella promessa egoista.

Sto arrivando per permettergli di rivedere le stelle

e non gli incubi.

Torno da lui per riviverlo da bambino

per trasgredire da adolescente 

per piangere con lui da uomo

per proteggerlo da marito

per salvarlo da eroe

per baciarlo nella libertà,

per invecchiare con lui.

Sto arrivando 

così che il mio nome venga chiamato ogni giorno

dalla sua bocca,

che è la mia stessa bocca.

Sarò finalmente Joel

per Bradley

oltre il tempo e il dolore.

Sto arrivando Bradley.

 

Una poesia di lacrime scritta da Joel

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Il pavimento era fresco. La sensazione che emanava sotto i calcagni, sui polpacci, le cosce, la schiena e le spalle, un tiepido intorpidimento che lasciava il capo dolorante per la scomoda posizione.

Joel e Bradley erano distesi per terra, nel salotto del primo. Completamente nudi, ad occhi socchiusi e nel silenzio armonizzato solamente dai deboli versi di Spiritum. Si accarezzavano le mani in un circolo vizioso di lunghe effusioni amorose. Bradley gli porse la destra, con la sinistra aveva già superato limiti di contatto che non credeva possibili.

Avevano dormito poco e niente, trascorrendo il tempo fino all'ora di pranzo a fare l'amore, ad abbracciarsi e venire in continuazione accartocciati su loro stessi. E adesso, stremati, erano nudi sul pavimento, sdraiati a pancia in su.

L'idea era stata di Joel, come ogni trovata stravagante e bizzarra. Aveva parlato a Bradley con voce rauca e stanca, lisciandogli la pelle delle dita.

Stare nudi -impuntò- era il modo migliore per abbandonare la vergogna. Il fatto di spogliarsi davanti ad una persona effettivamente estranea era il gesto più importante e intimo che si potesse decidere di fare. Inizialmente c'era stata la voglia d'amore a nascondere il pudore ma al termine di ciò, pur chiacchierando e abbandonandosi a qualche ultima moina, l'incertezza implorava di rivestirsi.

Joel vi si opponeva; per Bradley soprattutto rimanere nudo con le ferite accarezzate dall'aria si poteva paragonare ad un immenso sforzo fondamentale per la sua psiche.

«Non c'è vergogna» disse quando Bradley cercò di contraddirlo «è come se io fossi il tuo riflesso in uno specchio. Non devi provare vergogna davanti a me, e tu specialmente, annulla le ferite, sono insignificanti.»

«Semplifichi troppo ogni cosa.»

«Ti sbagli Brady, e se lo faccio è perché tu sei più forte di ogni paura e contraddizione. Tu hai il controllo.»

Quell'ultima frase aveva fatto abboccare un bacio, che si era concluso nell'ennesimo orgasmo mozzafiato. Quel discorso era avvenuto prima del silenzio che adesso li stava cullando, in una sorta di nirvana.

Bradley si sentiva annegare in quella bolla di essenza emanata dal corpo di Joel. Si poggiò sul fianco destro e fece di tutto per avvicinarsi al collo di Joel.

I succhiotti sulla pelle di Joel si confondevano tra l'inchiostro grigio, mentre quelli di Bradley erano visibili quasi più delle cicatrici al braccio. 

Una mano si avvolse intorno al bicipite di Joel, l'altra invece gli accarezzò il viso barbuto. Bradley affondò il naso tra la spalla di Joel e inspirò la sua essenza ormai divenuta per lui una droga fortissima.

Baciò ripetutamente le labbra calde di Joel sfiorandole appena, facendolo quasi innervosire tanto che alla fine lui gli prese il capo e lo spinse contro la propria bocca per leccargli gravemente la lingua.

Bradley lo guardò ridere, radioso anche lui in volto. Con il pollice toccò la lacrima tatuata sotto l'occhio sinistro di Joel, arricciando il naso.

«Non ti ho mai chiesto che significato ha questo tatuaggio.» disse Bradley scuotendo il capo.

Joel rise, toccandosi i denti con la lingua.

«La lacrima è un tatuaggio molto delicato da spiegare.» iniziò, lasciandosi accarezzare il volto da Bradley; «è uno dei più recenti. È un simbolo usato dai carcerati e sta a significare il pianto per una persona assassinata, o la complicità ad un omicidio.»

Bradley rimase sbalordito da quel significato così inquietante per un tipo come Joel.

«Ho deciso di tatuarmela il giorno in cui ho ammazzato le mie paure.»

«Tu ne avevi? Sul serio? E poi perché mai dovresti piangere per una cosa simile.» l'ultima frase di Bradley ebbe una fonetica molto simile ad una domanda, ma non lo fu.

«Tutti hanno paura, non si può negare, io però ho cercato di mettere un punto ad essa e tenerla lontana. La perdita di qualcosa, bella o brutta che sia, porta sempre qualche lacrima, anche se noi non lo vorremo.» spiegò disinvolto il ragazzo sdraiato in terra.

Gli occhi di Bradley si assottigliarono con amarezza, in un certo modo poteva sentirsi fiero di ciò che stava per dire a Joel.

«Secondo me adesso potresti cambiare il suo significato e dedicarla a me.»

«Perché?»

«Joel che tu ci provi o meno, che tu lo voglia o no, io ucciderò il mio braccio, e tu sarai complice di questo omicidio.»

Joel si innervosì di colpo, stringendogli la schiena con una mano e avvicinandosi pericolosamente al viso di Bradley.

«No, non lo farai.» mormorò Joel, incantando il ragazzo sopra di se a furia di fissarlo negli occhi con tanta insistenza.

Joel fece passare le dita tra i capelli bruni di Bradley, intaccando in qualche nodo. Lo coccolò con la leggerezza di chi è completamente devoto, mentre Bradley chiuse gli occhi e assaporò il silenzio.

«Lo vorresti anche tu un tatuaggio?» chiese di scatto Joel, con il suo solito tono sereno.

«Come scusa?» 

«Un tatuaggio, ciò che più ti rappresenta.»

«Così mi prendi alla sprovvista, non mi viene in mente nulla.»

«Coraggio pensaci bene! Ci sarà pur qualcosa!» lo incoraggiò Joel mentre si rimettevano seduti a guardarsi l'uno di fronte all'altro.

«Intanto partirei dal colore, che è il rosso.» disse Bradley chinando il capo da un lato.

«Rosso come il sangue?» ironizzò il tatuatore.

«Esatto.»

«Dovevo immaginarlo...»

Bradley, portandosi i capelli dietro alle orecchie, ritornò alla sua descrizione: «Direi che l'unica cosa che preferisco è una stella, ecco, dieci centimetri al massimo di dimensione, tutta rossa all'interno.» il moro gesticolò cercando di creare una stella invisibile nell'aria.

«Mmh, mi piace come idea.»

«Una stella, come quelle che cadono e realizzano i desideri. La collegherei ad un cambiamento significativo della mia vita.»

«Sarei io?» Joel rimase colpito da quel significato più o meno ottimista.

«Si. Dobbiamo fare questo tatuaggio? Allora così sia! E non mi importa se noi due non dureremo, se potrebbe rimanermi sulla pelle qualcosa che mi hai fatto tu, non me ne pentirò. Perché sei qualcosa di veramente significativo per me Joel, sul serio, è difficile persino a spiegarlo.»

Joel lo baciò e gli accarezzò una guancia con il pollice; «Non ho bisogno che tu mi spieghi più nulla.»

Bradley scoppiò a ridere, entusiasta come un ragazzino; «Non posso credere che tu mi abbia convinto a farlo!»

Joel si era già armato del suo personale kit per tatuare che teneva in casa, lo stesso che aveva utilizzato per tatuarsi il nome di Bradley sul braccio. Seduti sul divano, coperti da una morbida traversa di pile a fantasie natalizie che gli nascondeva le intimità nude, si prepararono per il primo tatuaggio di Bradley.

«Io non ti costringo, tu puoi pur sempre cambiare idea prima che inizi!» Joel imitò il tono contento del compagno. Bradley scosse la testa, serrando le labbra con espressione raggiante.

Con uno stencil già in mano Joel aveva terminato di disinfettare il piano di lavoro e mettere in mostra gli aghi ancora impacchettati e sterili. Con i guanti neri in lattice prese una piccola quantità di vaselina e la tenne sul mignolo.

«Dove vuoi farlo?» gli chiese Joel.

«Credo sul braccio, qui a destra.» Bradley si voltò da quel lato del corpo, indicandogli il muscolo ben rifinito.

«Che ne diresti del sinistro?»

«Stai scherzando non è vero?» Bradley aggrottò le sopracciglia, scioccato.

«No, affatto. Se ci pensi il vero significato del tatuaggio si riflette su questo braccio in particolare. Perché non dovresti farlo a sinistra?»

«Ti posso elencare davvero un miliardo di motivi...» rispose Bradley con un sorriso nervoso.

«Per le cicatrici non devi preoccuparti, non accadrà nulla. Non credo proprio che ti spaventi il dolore, ed esteticamente non apparirà per niente sbilenco.» spiegò Joel tentando di convincerlo.

Bradley lo guardò con timore, corrugando la fronte. Si morse il labbro e decise di fidarsi di Joel.

«D'accordo.»

Bradley evitò di guardare l’ago rumoroso che gli pizzicò la pelle. Joel aveva ragione, anche quando l'inchiostro veniva passato in mezzo alle vecchie cicatrici non causava alcun dolore. Bradley aveva una soglia del dolore molto alta, e la mano di Joel era davvero leggera e precisa.

La stella aveva cinque punte, posizionata al centro della parte alta del braccio, non aveva contorni. Il colore rosso acceso era omogeneo e sfavillante, lucido per la vaselina che Joel continuava a spalmargli sopra subito dopo aver tolto l'inchiostro in eccesso con la carta da cucina.

Non era il lavoro più originale di Joel ma era ciò che Bradley desiderava e aveva in mente. Quando il rumore fastidioso della macchina comandata da un pedale cessò Bradley ne fu quasi deluso.

Era così emozionante pensare di star ricevendo un qualcosa che avrebbe per sempre distinto la propria persona e che racchiudesse un significato completamente personale. Forse, erano più indelebili i pensieri legati ad esso che l'inchiostro stesso.

Joel pulì l'opera terminata con un sapone neutro, applicando la pellicola trasparente tutt'intorno al braccio di Bradley, naturalmente nel punto interessato al tatuaggio.

Bradley portò il mento alla spalla e guardò con estrema felicità il disegno fresco e perfetto.

«Ti piace?» gli domandò Joel sorridendo.

Bradley boccheggiò, ridendo come se avesse appena ricevuto un tesoro di inestimabile valore; «Se mi piace? Lo adoro!»

Adesso capì perché Joel fosse tappezzato di disegni, una volta provato il primo scarabocchio non ci si poteva più fermare. Bradley desiderò immediatamente di fare un secondo tatuaggio, e poi un terzo, un altro ancora.

L'unica convinzione, o meglio dire speranza, che Joel nutriva era una stupida e gioiosa fantasia nascosta. Magari regalare a Bradley i tatuaggi più belli da distribuire lungo il braccio sinistro avrebbe attenuato il suo istinto di autolesionismo e amputazione. Joel pregò tra le lacrime invisibili nel suo petto di portare avanti quel tentativo. Sarebbe stato un vero peccato se con tutte quelle nuove sfumature Bradley avesse voluto comunque tagliare via un pezzo fondamentale, la tela stessa.

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Gli piaceva talmente tanto che non poteva smettere di pensare al suo odore. Lo amava così incondizionatamente da canonizzare ogni suo pensiero o azione intima e cruda davanti a lui come qualcosa di normale. E allo stesso tempo lo odiava oltremodo da quanto lo amava, perché lo tramortiva tutto, come la sua malattia.

Bradley amava Joel, e la loro intimità faceva da legame indissolubile tra i nuovi sentieri della loro storia. Ne sentiva l'estremo bisogno, di tutto.

C'erano le carezze e la morbidezza delle dita. Poi veniva la secchezza delle labbra rosse, e in diversi casi il dolce sapore pastoso della sua lingua. C'era il calore del suo viso contro la pelle e il solleticare dei suoi capelli sul naso quando li annusava. Come poteva poi escludere il respiro sul collo o l'ondata insormontabile della pienezza che sentiva dentro quando facevano l'amore, di Joel che si muoveva in base all'impeto di Bradley.

Oh Dio, lo amava talmente tanto da prendere a morsi la sua stessa anima.

E in quelle settimane di travolgente passione, un giorno qualunque, Bradley scrisse una lettera a Joel, che dalle pareti si accasciò al pavimento.

Bradley non sapeva usare matite o pennelli, e nemmeno una giusta densità dei colori, oppure una fermezza particolare nel tracciare contorni e linee. Però sapeva scrivere, usava benissimo le parole.

E prima di iniziare a fare l'amore, visto che quella sera di tempo ne avevano a volontà, Bradley venne investito dai pensieri, che gli fecero osare di scrivere sulle pareti invece che su di un foglio. Lo avrebbe fatto perché sapeva che Joel non si sarebbe mai arrabbiato.

Joel rimase a guardarlo sdraiato sul letto, con le gambe stirate e la schiena contro il muro. Strinse le mani sul ventre e aguzzò meglio la vista per leggere parola per parola la calligrafia grossolana e sbilenca di Bradley tingere la parete bianca.

Iniziò con un pennarello indelebile dalla punta grossa, che andò ad assottigliare via via le lettere successive.

 

La Luna ci sta benedendo

le stelle cadono coprendo il viso

e noi ricorderemo per sempre 

queste notti interminabili.

Vorrei che questa la tenessi tu.

 

Le parole brillarono sotto la lucida freschezza del colore nero, che imbrattava il muro e cercava di mantenere una riga più o meno dritta ed una distanza ad occhio. Joel scese dal letto per leggere anche quella parte di frasi che Bradley stava creando.

Sentì tutto il tremore delle viscere rapirgli un respiro flebile, per la meraviglia e lo stupore. Sarebbero ascesi, sarebbero diventati cenere un giorno, ma in quel luogo l'arte di tutti e due avrebbe regnato per sempre, assieme a tutto quel sesso che imbrattava lo spazio.

Lo fecero anche quel giorno, tra parole e disegni a fissarli.

Molti si sarebbero chiesti come facesse la loro relazione ad andare avanti con un ostacolo tanto spaventoso come quello di Bradley; ebbene loro si erano innamorati voracemente, avevano imparato l'amore tutto in una volta ed era stato quasi doloroso perché apprendere tutto ciò che c'è da sapere in così poco tempo scombussolava ogni cosa.

Non sapevano molte cose su come funzionasse la pace però si sapevano baciare, Joel voleva essere bello per Bradley e Bradley tremava tra i suoi battiti accelerati quando vedeva Joel. E la cosa migliore di tutte era che sapevano fare l'amore. Divinamente, spropositatamente.

Iniziarono con una carezza, che si cucì sulle mani; movimenti continui di strette e bisogno calore. Sopra di Joel Bradley si sorresse sul letto con le ginocchia, facendosi coccolare l'addome con la mano libera del tatuatore sdraiato sul letto. 

Furono quasi del tutto nudi, l'unico ostacolo alla loro veloce eccitazione era l'intimo.

In una tempesta di baci insonorizzati dai loro respiri forti si dondolarono in piedi, uno fra le braccia dell'altro, barcollando verso la parete con le mani ancora veloci e i baci più fondati.

Infine fu Joel a fermarsi con la schiena contro muro, appena vicinissimo alle grosse parole scritte da Bradley ancora lievemente umide. Mentre baciò Joel lui gli delineò con i polpastrelli la fronte, gli zigomi, il mento e poi, quando gli respirò sul naso, toccò le sue gonfie labbra lucide.

La bocca di Bradley era di Joel, i suoi occhi erano suoi, così come le mani. Ma lui non era suo, apparteneva solamente alla malattia. Joel spinse il bacino tutto in avanti, tenendo solamente le spalle contro il muro; abbassò il mento verso il petto e si leccò le labbra, voglioso e malizioso, con lo sguardo a graffiare Bradley. Questo si affrettò a palpargli l'erezione e poi ad abbassargli le mutande con altrettanta serena dolcezza. Gli si avvicinò nuovamente al viso, per baciarlo sempre, stavolta da nudo. Entrambi non si abituavano mai a quei baci, era una cosa molto più grande di loro. Sapevano come muovere le labbra, come premere la lingua e come accarezzarsi, eppure ogni singola e numerosa volta, ci cascavano, vinti in quel gesto. Gli annullava ogni senso, sopprimendo tutta la loro lucidità.

Si passarono le lingue tra le bocche e poi si annusarono profondamente, con il viso a contatto stretto e caldo. Socchiusero gli occhi e poi Bradley strinse dolcemente le braccia di Joel. Gli fece compiere un mezzo giro che lo portò a sorreggersi con le mani sul muro e a poggiare il capo contro di esso, nell'impero di piacere donatogli da Bradley nel toccarlo sul membro eretto.

Il moro spinse la propria eccitazione contro il sedere nudo di Joel, che sentì il calore di quella durezza. Bradley simulò una qualche debole spinta, sorridendo nel sentire i gemiti dell’altro. Gli prese una delle due mani, contro il muro, così da stringerla delicatamente ed accarezzarla con le dita.

«Che ne pensi della mia lettera per te?» gli domandò all'orecchio, ondeggiando provocatorio ancora su di lui.

«Ah!» Joel gli stritolò la mano, abbandonandosi all'impeto di quel copro dietro di lui, sentendo già la punta del sesso umida.

«Credo di averla già imparata a memoria, tanto è bella.» sorrise, assecondando quella malizia, con la voce bassa e affaticata. Deviò il volto da un lato per accarezzare con una guancia il viso giovane del compagno.

Bradley sorrise, baciandogli il collo e iniziando a stuzzicare con le dita la stretta fessura tra le natiche di Joel.

«Vorrei poter vivere per sempre in questo attimo, con te.» fu un sussurro, la lingua Bradley inumidì la curva della spalla tatuata. Joel usò la mano libera per stringergli i capelli scuri e scompigliare quelle ciocche ribelli e setose. 

«Anch'io.»

Le mani di Bradley si distaccarono per un solo istante. Subito dopo si videro costrette a stringere il bacino sporgente e bollente di Joel, che incurvò la schiena in dentro, trattenendo il respiro. Bradley si inginocchiò dietro di lui, tenendosi in equilibrio con le punte dei piedi. Passò il proprio tatto tutto intorno a quel corpo, e poi strinse le natiche sode così da allargarle abbastanza da poterci affondare il viso. La lingua inumidì l'interno di Joel, che urlò forse anche troppo forte per quella inebriante sensazione di gelo elettrico che gli smosse tutti i nervi.

La saliva fu talmente esagerata che Joel la sentì colare sottile ed umidiccia tra le cosce. Dopo quel nutrirsi ingordo da parte di Bradley, terminatosi abbastanza in ritardo. Joel respirò affannosamente, con le labbra aperte e le gambe tremanti.

«Credi che sia abbastanza?» gli domandò Bradley baciandogli delicatamente una guancia. Joel si morse il labbro e corrugò la fronte.

«Diavolo, si, fai in fretta.»

Entrambi abbozzarono un sorriso sottile e caparbio, preparandosi al piacere enorme che nemmeno poteva paragonarsi a quel leggero assaggio. Bradley si spinse contro Joel. Tutti e due risaltarono sul posto, strozzati da un forte gemito.

Joel trasse un grosso respiro per cauterizzare la sua frenesia, poggiando il petto contro il muro e spingendo il sedere in fuori, più attaccato a Bradley.

La forza gentile e sicura di questo sorresse e tenne fermo Joel, nel momento in cui lui vi entrò dentro. Quasi si seviziò il labbro a sangue a furia di morderlo per tenersi concentrato, proprio Joel, sul punto di esplodere, in un'altalena tra dolore intenso e piacere estremo.

Bradley fu tutto dentro, e rimase fermo. Fermo a far abituare il suo ragazzo, fermo per regolarizzare il proprio controllo, e soprattutto, per avere un momento di tregua in cui i loro corpi avrebbero avuto l'occasione di mescolarsi.

Succedeva sempre, che i cuori, i polmoni, i muscoli, e tutta la carne dei loro corpi si ingarbugliasse in un solo, grande, e unico ammasso di calore.

In piedi, avvinghiati quasi come animali, Joel e Bradley erano pronti per ondeggiare in preda al piacere impersonificando i disegni e le parole in quella stanza. Bradley poi, grazie ad una forte stretta al dorso della mano da parte di Joel, capì di poter iniziare a muoversi. I suoi affondi decisi resero quell'immagine di loro due che facevano l'amore qualcosa di eroticamente romantico. Impetuoso e forte, lo scenario di due ragazzi che pompavano piacere nelle loro vene. A Joel non servì nemmeno essere toccato per godere abbastanza; la profondità delle spinte di Bradley lo toccavano proprio in quel punto che gli faceva ribollire tutto l'inguine. Poi la velocità che aumentava gradualmente, le mani di Bradley a sorreggerlo perché altrimenti sarebbe caduto, troppo colpito da quel grandissimo piacere per resistere in piedi.

A Joel tremavano le gambe, ad ogni spinta dentro di lui percepiva che se la sicurezza premurosa di Bradley non l'avesse tenuto si sarebbe ritrovato caduto in ginocchio. Quello avanti urlò forte, aumentando la vocalità di quel suono quando Bradley gli venne dentro, sprizzando tutta la sua essenza fino al suo fondo, calda e gelida, indescrivibile. Fu grazie all'orgasmo di Bradley che un secondo dopo anche Joel venne.

Ricaddero contro la parete, esausti, faticando immensamente a tenersi ancora in piedi. Terminarono il loro fare l'amore tra dolci carezze sulla schiena e leggere labbra sul viso. Talmente teneri e romantici da cancellare l'enorme erotismo di qualche minuto prima. Bradley purtroppo non aveva le forze per continuare a scrivere in quella stanza, e nemmeno per sussurrare ciò che aveva in mente all'orecchio di Joel.

Non era ancora esplosa quella catastrofe che li avrebbe divisi e che avrebbe modificato drasticamente la loro storia, eppure Bradley lo sentiva. Lo sapevano entrambi, comunque, che il sangue marcisce ma le parole rimangono sui muri.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


 

Potrebbe sembrare un vero peccato annunciarlo, rendere ufficiosa la notizia. Con fare quasi comico Joel avrebbe detto che si trattava dell'inizio della fine.

Invece era una fine e basta, quella di Bradley che finito c'era nato.

Non ci fu un fattore scatenante ben preciso a far capire subito a Joel che qualcosa non andava. Bradley era stato muto e aveva lasciato che quel veleno risvegliato nel suo inconscio lo intossicasse del tutto.

Una tragedia avvenuta per sbaglio, un pomeriggio nella cupa casa di Bradley, Joel si era offerto di aiutarlo a dare una ripulita all'appartamento del compagno, concentrandosi -nel momento della tragedia- a gettare via scartoffie accumulate nei cassetti. Joel li svuotava del proprio contenuto e porgeva quest'ultimo a Bradley che decideva cosa buttar via e cosa riordinare. Tra un cumulo di buste bianche contenenti referti medici e ricette di farmaci mai assunti Bradley si trovò tra le mani una piccola bustina quadrata.

Si rese conto del colpo doloroso al petto solamente quando, senza prestare troppa attenzione a quell'inutile cartaccia ancora chiusa, il pacchetto contenente una salvietta disinfettante finì nel cesto dei rifiuti.

Bradley dovette sedersi ai piedi del letto, nel disperato tentativo di regolarizzare il respiro. Una nausea incontrollata lo violò alla bocca dello stomaco, e la testa prese a girare come se potesse svenire da un momento all'altro.

Joel nemmeno si accorse di quel leggero e profondo shock interiore che Bradley fu bravo a nascondere. Quella bustina vecchia e ingiallita conteneva le salviette disinfettanti che Wolfgang gli passava sulle ferite quando Bradley esagerava con le forbici e i rasoi. Ne sentì immediatamente la puzza nauseabonda dentro alle narici, e il bruciore fastidioso contro la pelle. Non avrebbe mai potuto immaginare di rimanere vittima di un simile ricordo insignificante.

La malattia di Bradley ritornò ad essere un terribile gigante che spazzò via ogni cosa. Pareva una canzone quella che gli ronzava nella testa e continuava a ripetergli che era fottuto; proprio così caro Bradley, fottuto, dilaniato, condannato senza via d'uscita. C'era ricaduto, o forse non ne era mai uscito?

Tutto l'amore che aveva fatto con Joel durante quel breve periodo di spensieratezza aveva ormai le gambe rotte dalla selvaggia malattia, e i sorrisi, i colori sulla pelle, tutte le altre cose vive usate come medicina dalla tenacia di Joel erano risultati inutili.

Bradley aveva smesso del tutto di prendere i suoi farmaci. Era riuscito a nascondere quella recidiva i primi due, tre giorni al massimo, poi però i suoi occhi lo avevano tradito, parlavano molto più della sua bocca. Ma Joel non riuscì ad accorgersene subito.

Questo particolare il tatuatore non se lo sarebbe mai perdonato.

Bradley più di qualunque altra cosa era maestro di furbizia, e riuscì ad escogitare nuovi ed efficaci metodi per impedire che Joel facesse caso alle nuove ferite. Solitamente si mangiava le unghie fino a farle sanguinare copiosamente e staccarne pezzi interi che tra i suoi denti si spezzettavano quasi fossero croccanti porzioni di cibo. Tutti hanno un vizio simile, cosa c'era di male? Il suo modo preferito, però, rimaneva quello del ghiaccio. Impugnava tre cubetti tirati fuori dal freezer finché la pelle del palmo arrossato non si spaccava a sangue, e il punto in cui il ghiaccio si incollava alla sua carne diventava bianco ed insensibile per molto tempo. I polpastrelli bagnati si arrossavano e delle volte tendevano al colore viola.

Ma a tradirlo, a farlo scoprire dal timore ingenuo di Joel, fu quella sua forza troppo cruenta e incontrollata. Il polso, il gomito e la spalla subivano quotidianamente un ciclo ripetitivo di colpi violenti. Delle volte sbatteva la spalla contro il muro, altre volte il polso sul tavolo della cucina, ed il vizio più grave di tutti era quello di chiudere il gomito nella porta, sbattuta con inaudita violenza. Lo fece così spesso e con una forza tale da rovinare in maniera grave l'articolazione, ma non così tanto come desiderava. Non riusciva proprio a rompere quelle ossa dannatamente robuste.

 

Joel lo baciò con enfasi, sorridendo tra la sua bocca umida per la frenesia della voglia. Spinse Bradley contro la parete e fece per sfilargli la felpa.

Bradley si irrigidì gemendo di dolore al semplice tocco di Joel, che lo aveva costretto ad alzare leggermente le braccia.

«Cosa c'è? Che ti fa male?» domandò subito il tatuatore, guardandolo bene dappertutto senza toccarlo ancora.

«Niente.» ammonì lui con un sorriso falso, porgendosi a baciarlo nuovamente per distrarlo.

«Non dirmi stronzate, sono tre giorni che non riesci a distendere il braccio sinistro. Che hai fatto? Non ho notato ferite recenti...»

«Sei il mio medico adesso?» Bradley lo trafisse con sguardo ostile e aggressivo.

«Non fare il cretino e fammi vedere.» Joel lo ignorò, porgendogli le mani e aspettando che Bradley si lasciasse toccare.

«No, non c'è nulla che devi vedere.» protestò lui.

«Bene, visto che è tutto okay allora non ti dispiacerà lasciarti toccare.» la voce di Joel assunse un'intonazione provocatoria. In fondo era piena di preoccupazione e timore, e Bradley provò quasi pena per il suo sguardo estremamente vulnerabile. Il moro sospirò, mostrandogli il profilo in un gesto che lo allontanò dai suoi occhi chiari.

«Ho il gomito un po' indolenzito, niente di grave.» mentre Bradley iniziò a parlare con voce meno minacciosa Joel gli aveva già alzato la manica della felpa. Bradley strinse i denti e non riuscì a distendere nemmeno per metà il braccio. Il gomito era gonfio e tumefatto, incredibilmente arrossato. I segni dei colpi della porta in cui era rimasto chiuso si estendevano con evidenza, ed il movimento dell'arto era molto limitato.

«Non ha per niente un bell'aspetto.» disse Joel sfiorandolo, il gomito era incredibilmente caldo.

«E quindi?» fu come se Bradley avesse diverse personalità. Improvvisamente divenne spiritoso e sereno.

«Quindi andiamo al pronto soccorso per vedere cos'hai combinato. Ti conviene dirmelo adesso, verrò a saperlo in ogni caso.» Joel si fece seguire, uscendo di casa con Bradley alle calcagna.

«Io? Io non ho fatto nulla.»

«Bradley non negare l’evidenza» Joel gli si fermò di fronte, guardandolo dritto negli occhi «lasciati aiutare.»

 

In lacrime Joel avrebbe ammesso che Bradley non si sarebbe mai fatto salvare da lui. In lacrime, per così dire, in un disegno immaginario proiettato nei fogli bianchi di Joel, Bradley sarebbe stato raffigurato tutto rosso e con gli occhi chiusi.

Morto.

Povero condannato, immane peccato della mente malata. Malattia? Qualcuno riesce a pronunciarla senza avere terrore?

Però perché nessuno riusciva a capirlo? Una bestemmia infrange il singhiozzo di disperazione; Bradley non voleva morire, la sua sgomentata brama era quella di vivere come chiunque altro. Lui non tollerava il suo braccio, questo concetto oramai avrebbe dovuto essere chiarissimo.

Che orrenda tragedia, che meschina delizia per il palato del dolore.

E Joel, povero innamorato con il cuore infranto.

Immediatamente i medici del pronto soccorso in cui Joel aveva portato Bradley si erano preoccupati ad indagare su quell'evidente gonfiore al gomito. Qualcuno ipotizzò un'infiammazione all'articolazione, che venne accertata dagli esiti delle analisi e da un'ecografia.

I traumi ricevuti avevano fatto sviluppare un versamento di liquido sinoviale articolare. Era questo a causargli dolore, gonfiore e limitazione nel movimento. Se avesse trascurato quel disturbo avrebbe potuto consumare la cartilagine dell'osso. Joel sentì tutti peli rizzarsi sul collo quando Bradley sorrise con estrema gioia al referto del medico.

L’equipe era stata messa al corrente precedentemente della condizione delicata di Bradley, come se fosse un bigliettino da visita che avvisava della sorpresa celata dietro le cicatrici.

«Signor Wolfe la soluzione più ovvia ed efficiente è un'infiltrazione alla parte interessata. Una procedura semplicissima e immediata.» suggerì il medico.

Il signor Bradley Wolfe scosse il capo; «Non lo ritengo necessario.»

«Sia coscienzioso, ragioni. È la prassi da seguire nelle sue condizioni.»

Un sorrisetto nervoso macchiò l'espressione di Bradley: «Io ragiono, perfettamente.»

Joel gli poggiò una mano sul ginocchio. Erano seduti dietro alla scrivania del medico in camice bianco, ad ascoltare ciò che aveva da dire. Joel percepì immediatamente la tensione del compagno. Avrebbe voluto dirgli che lì dentro tutti volevano solamente aiutarlo e che nessuno pensava che fosse un malato di mente incapace di intendere e di volere.

L'uomo di fronte a loro picchiettò una penna stilo contro la scrivania, tentando ancora di convincere Bradley a prendere la decisione giusta.

Al termine dell'incontro Bradley ne uscì vincitore.

Joel lo portò a casa con sé per tenerlo sott'occhio e occuparsi di lui con premura. Il braccio era bloccato come se fosse ingessato, piegato contro il petto per la rigidità. Gonfio e dall'aspetto preoccupante, Joel aveva persuaso Bradley ad applicargli su del ghiaccio, sotto consiglio del medico come rimedio temporaneo.

Bradley era irremovibile, perché quel dolore gli causava gioia. Quello era l'inizio del suo abbandono; si convinse che distruggersi dall'interno lo avrebbe presto condotto al suo persistente scopo.

Seduto in tavola, cenando con Joel, fissò un punto indistinto alle spalle dell'amante e sorrise con malsano sdegno.

Finalmente se ne sarebbe sbarazzato.

Oh povero Joel. Disperato innamorato in lacrime.

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Joel aveva continuato a provarci ma Bradley lo prendeva a morsi e vomitava copiosamente ogni suo tentativo di trovare una soluzione.

Ormai Bradley era andato via, nessun concerto, disegno o bacio lo avrebbero riportato da Joel. Leif e Delilah erano ammutoliti, Samuel rispettava il silenzio pur non comprendendo del tutto la storia.

 

Stavano correndo troppo, approfittando della difficile situazione, ma sia Joel che Bradley trovarono più giusto andar a vivere assieme nell'appartamento del tatuatore. Per Bradley era una soluzione perfetta dato che ormai non riusciva più a pagare le rate dell'affitto arretrato. Andare a convivere con il proprio compagno lo inquietò non poco, ma almeno su questo ragionò; Joel non era Wolfgang, non avrebbe mai potuto ripetersi la stessa storia.

 

Erano quasi cinque giorni che Bradley non aveva nemmeno la voglia di recarsi al negozio di tatuaggi. Joel era incupito da quella preoccupazione così amara. Lasciare solo Bradley significava tornare a casa e trovarlo con qualche nuovo segnale di dolore sul braccio, e trascorrere la giornata al lavoro sapendo ciò gravava sul suo umore.

Cosa diavolo lo spingeva a star dietro a Bradley in quel modo?

«E perdonami ma sono innamorato di te. Non voglio giustificarmi, ma te lo giuro sul cielo di maggio che non è tutta colpa mia. È anche, e soprattutto, tua. Il dolce narcotico sulla tua bocca, l'elettricità delle tue dita che corrono sui miei fianchi; l'oppio che diventa il tuo profumo quando mi intossica i polmoni. E il tuo nome, Bradley. Quando lo pronuncio mi viene da piangere. Ti chiedo pietà, ma ti amo. Per te diventerei tutte le donne del mondo e tutti gli uomini. Vorrei trasformarmi in medicina, diventare il coltello che vuole ucciderti e il paradiso in cui vorresti finire. Mi trasformerei in tutto ciò che il buono allontana, ma io, di allontanarmi da te non posso riuscirci. L'insieme è divino non trovi? Allora fatti salvare.» 

Questa era la risposta a tutti i travagli di Joel.

Il fottuto, maledetto, disgustoso amore.

 

Bradley scrollava il capo. Aveva il volto grigiastro, evidentemente sofferente. Il gomito era davvero tanto gonfio, non compiva ormai più nessun movimento. Le dita erano piene di cerotti che Joel si premurava ad applicare sui nuovi tagli, e il braccio scarlatto di lividi.

«Anche io sono innamorato di te Joel, ma non rendere tutto più difficile. Non piangere per me, posso dirti solamente questo.»

Con cattiverie simili da parte di Bradley Joel lanciava delle maledizioni, per la collera del suo dolore e della disperazione. Pregava che un giorno il suo ricordo avrebbe ucciso Bradley. Almeno il merito della causa della sua morte sarebbe toccato a lui e non alla malattia.

Un pomeriggio Joel domandò a Leif e Delilah di venire a casa da lui e Bradley per parlare con l'amico. Joel era arrivato ad un punto critico in cui nemmeno la sua tenacia e il suo sangue freddo riuscivano ad attenuare la situazione. Dovette chiedere disperatamente aiuto quando Bradley si tagliò via la prima falange del mignolo chiudendola nel cassetto della cucina, e l'artrite al suo braccio era ormai diventata quasi patologica.

Bradley non si aspettava quella visita. Era una cosa un bel po' patetica, ormai era come se Joel fosse il suo badante e Bradley lo scarto della depressione. Ma Joel non voleva vedere la catastrofe in quel modo; lui aveva speranza, e quella era l'unica cosa che Bradley non avrebbe scalfito.

Quando Leif vide Bradley seduto sul divano con il braccio raggomitolato al petto, vestito con una felpa larga e scura non riuscì a mascherare la sua espressione di rammarico e amarezza. Delilah invece fu più discreta.

La barba scura di Bradley gli invecchiava i tratti stanchi e magri, i capelli lunghi invece si mostravano lucenti e ordinati. Leif gli si sedette vicino, appoggiandogli una mano sul ginocchio.

I due si guardarono negli occhi per un istante e poi Leif non si trattenne più stringendo Bradley tra le proprie braccia. Bradley gemette per il dolore al gomito, non ricambiando l'abbraccio.

«Brutto coglione cosa combini? Non rovinare tutto.» gli sussurrò Leif all'orecchio, solleticandogli il lobo con il respiro caldo.

«Cosa vuoi che ti dica? Che sto meglio?» si allontanò da Leif, con sguardo di rimprovero «non sono bravo a dire bugie.»

«Bradley, ti è già capitato in passato ma lo hai superato. Adesso hai Joel vicino, con un po' di impegno riusciresti a riprenderti in fretta.» Delilah si portò i capelli dietro le spalle avvicinandosi a Bradley.

«Tu li hai fatti venire qui per farmi fare la predica?» Bradley guardò Joel con aggressività, arrabbiato.

«No.» rispose lui incrociando le braccia «Per il momento non voglio guarirti, desidero solo darti sollievo al gomito.»

L'espressione di Bradley si quietò. Quando Joel nominò quella fonte di dolore il suo inconscio cercò un attimo di tregua da quell'insopportabile tormento all'articolazione che ormai lo privava pure del sonno.

«Ascoltami, te lo chiedo per favore.» Joel rimase in piedi distante da Bradley, che disperatamente gli implorò con lo sguardo di avvicinarsi.

Joel non lo fece, lo lasciò soffrire per la lontananza.

«Forse...» mormorò massaggiandosi il gomito bollente.

«Fidati di noi, fidati di me. Non mi credi? Andrà meglio se ci provi.» disse il tatuatore.

Bradley ci pensò per qualche secondo con gli occhi lucidi e le labbra tremanti. Sospirò tirando il petto in fuori. Acconsentì, ma sempre alle sue condizioni.

Non avrebbe comunque dato il consenso per l’infiltrazione, trattando il dolore con una cura farmacologica. Il medico gli prescrisse semplicemente del cortisone in pastiglie. Per Joel quella  non era una vittoria, ma almeno erano giunti ad un compromesso. Joel continuava a soffrire per la sofferenza che aveva quel povero fantasma, il suo Bradley, dannato eternamente anche nel sentiero di una cura. L'infiammazione al gomito migliorava lentamente, ma non abbastanza.

Bradley trascorreva le proprie giornate sul divano o a letto, dormendo per la maggior parte del tempo. Joel gli teneva una piacevole compagnia, così come il tanto affezionato pappagallo del tatuatore. L'unica cosa bella di quel calvario erano i baci di Joel e la morbidezza del piumaggio del pennuto docile. Ma nemmeno l'inferno del gomito era capace di reprimere l'istinto. Bradley aveva sviluppato una sorta di arte nel mordersi l'avambraccio e percuotere in continuazione la falange mancante del mignolo. La sensazione di estasi che aveva provato quando quel piccolo pezzetto di carne si era distaccato dal resto del dito era paragonabile ad un orgasmo.

Seduti sul divano dopo aver finito di cenare, anche se quella di Bradley poteva definirsi uno spuntino più che una cena, lui e Joel stavano cercando di appassionarsi ad un noioso film alla TV. Joel per quanto fosse provato, percependo il distacco di Bradley, non aveva mai smesso di cingerlo tra un braccio e lasciare che la testa stanca del moro gli si posasse sul petto.

Senza dire una parola, restando muti per ore; Joel lo trovava snervante.

Dov'era finita tutta la frenesia che li aveva fatti unire?

E Joel, oltre ad essere un tatuatore, era un poeta, un artista da ogni punto di vista. Accarezzò i capelli di Bradley e gli baciò la fronte. Disse piano: «Ci pensi mai all'inverno?»

«Come?» replicò Bradley con tono coatto.

«All'inverno. Non alla primavera dove tutto rinasce, non l'estate dove maturano i frutti e nemmeno all'autunno quando cadono le foglie. Pensa all'inverno dove tutto dorme. Tutto è bianco, un telo di anima, un soffice gelo che ferma il tempo.» 

Bradley lo adora quando Joel si incasinava in quei suoi sermoni. I suoi occhi pendevano dalle labbra che continuarono a parlare.

«Fai caso anche ai soldati, a quelli che hanno combattuto in mezzo alla neve, loro senza dubbio ci avranno pensato all'inverno. Quindi, tu che sei un soldato, non ti passa mai per la testa l'idea dell'inverno? Dove si muore di freddo e l'unica cosa che puoi fare è toglierti la neve dai capelli e respirare l’ossigeno puro.»

«Tu cosa vuoi farci nell'inverno?» gli chiese Bradley.

«In questo momento?» 

«Sì.» affermò Bradley.

«Ad essere sincero?»

«Sì.»

«L'amore con te.» disse Joel.

Bradley sorrise «Con me?»

«Con te.»

Bradley gli carezzò un lato del viso con la mano destra porgendosi per baciarlo sulle labbra. Non lo leccò, non lo voleva. Danzarono con i visi quasi fossero inquieti in un momento di tenerezza. Fecero sfiorare in loro nasi, le guance si solleticarono, le fronti si congiunsero. Bradley sospirò poggiando sul sesso di Joel quella stessa mano adoperata alle carezze sul collo tatuato. La sottigliezza del pigiama gli diede l'opportunità di sentirlo immediatamente.

Nello spezzarsi di un gemito Joel gli sussurrò: «Dimmelo.»

Bradley rispose che avrebbe potuto essere influenzato dalla vicinanza.

In prima persona -ti ho implorato- «Non importa.»

E quando Bradley glielo disse Joel avrebbe quasi voluto piangere, annegato in un bacio.

«Ti amo.»

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Piccoli baci, i primi, come le solite effusioni tenere e curiose. E poi Joel non ci riuscì più e lo fece suo, accavallandosi sopra il corpo di Bradley per sentirne ogni caloria. Quindi se ne parlerà con diversa dialettica, perché -proprio così- Joel e Bradley hanno fatto l'amore e nella riservatezza intima del loro atto tutti e nessuno dovevano saperlo.

Masticarsi con un accenno sfizioso dei denti sbollentava i loro sessi; era una sfida ardua tra le loro lingue in guerra tra loro, invaditrici alla ricerca di un territorio per cui combattere. Vinse Joel, per il modo in cui gli affondò completamente in bocca -a Bradley- leccandogli tutte le labbra come se stesse truccato una giovane ragazza. Bradley increspò le sopracciglia soffocato da un sospiro molto più profondo di quelli frettolosi ed impazienti che lo avevano dominato.

Che cos'era l'arte in confronto a quel sesso?

Nulla.

Nulla.

Un piccolo lavoretto di poco conto.

Bradley accarezzò la schiena tesa di Joel, seduto sopra il suo bacino. Lo scoppio di un petardo, ecco come fu spogliarlo della maglia.

Una constatazione astratta della bellezza di Joel tolse la voce a Bradley, che la lasciò tutta sui tatuaggi del ragazzo imponente di fronte a lui. 

Adesso era Bradley quello a cui veniva da piangere; nel ritratto fisiognomico del viso di Joel lo ama. E se ne parla proprio al presente perché ciò rimane in un attimo continuo nell'universo che non si estingue mai.

Tutta quella situazione grigia che alienava da settimane tra di loro, che sembrava aver appassito il loro rapporto, morì nell'ennesimo bacio divinatorio che gli sporcò gli angoli della bocca di saliva luccicante.

Bradley apriva anche gli occhi mentre il naso di Joel gli sfiorava il suo, e poi le guance. Lo voleva vedere così da vicino, il più possibile, il suo sogno d'ebano, la scia del rancore e la passione che sostituiva la paura.

Piangere, pensò, sarebbe stata la reazione migliore per manifestare il suo amore ballerino. Joel si ritrasse in preda al solleticare delle dita di Bradley lungo tutta la sua schiena inarcata. Quasi non lo toccò, ma Joel andò a fuoco.

Ondeggiando con i fianchi, tensione contro tensione, attraverso la stoffa leggera, Joel cinse le spalle di Bradley in un abbraccio e iniziò a baciarlo. Lividi privi di sofferenza gli sfregiarono la pelle; era passato troppo tempo dall'ultima volta, Bradley necessitava di quei colori violetti e rossi uguali ai segni sul braccio ma con un significato completamente differente. Ne andava fiero, avrebbe voluto mostrarli a chiunque; fotografare quei succhiotti per crearne una gigantografia da esporre nei musei di tutto il mondo.

Un gemito e le labbra di Bradley si piegarono. Lasciò che Joel continuasse a mordicchiarlo, leccarlo, succhiarlo, baciarlo tutto tutto. Stretti in un abbraccio leggero, con i visi poco distanti, Bradley guardò negli occhi di Joel implorandogli di non fermarsi. 

Ti prego fa' sesso con me, stava strillando, sono disperato.

Si trovarono ad un concerto pieno di respiri pesanti, in cui i direttori d'orchestra erano loro due. Accomodatevi pure, benvenuti a teatro, lo spettacolo si intitola "Orgasmo".

Joel fece sdraiare Bradley sulla lunghezza del divano. Gli prese le gambe e lo spinse contro il suo bacino, possente, inginocchiato con fierezza al centro dell'inguine di Bradley. Joel gli tolse i pantaloni e l'intimo assieme. Bradley si inarcò stringendo i cuscini tra le mani. Joel lo baciò nuovamente sulle labbra, avvicinandosi con tutto se stesso all'erezione nuda di Bradley.

Poi gli alzò la felpa larga, non togliendogliela del tutto, ma issandola fino a sotto il mento di Bradley per poterlo leccare a partire dal centro del petto fino all'inguine. Caproni, con il viso tra le gambe di Bradley, Joel rise e lo guardò dal basso verso l'alto. Bradley ebbe solamente la razionalità di sciogliersi sull'immagine di Joel e respirare rumorosamente dalla bocca semiaperta.

Joel gli leccò il membro a partire dalla base, carezzandogli i testicoli con il palmo della mano. Bradley di scatto irrigidì le anche e fece per chiuderle.

Il tatuatore salì fino al glande dalla pelle sottile, lisciandone la punta con la lingua umida. Lo succhiò poggiandogli sopra appena le labbra, allungando la lingua per arrivare più in fondo e bagnarlo ancora di più.

Bradley gemette, cercando frettolosamente una delle mani di Joel. Dapprima la strinse tra la sua (quella destra), e poi se la portò alle labbra per baciarla, prendere il dito indice di Joel e succhiarlo, morderlo, usarlo come anestetico per ammutolire tutto il piacere del suo assaggio.

Joel abbassò il collo e prese completamente in bocca la virilità di Bradley, facendosela arrivare fino alla gola. La velocità dei suoi affondi andò ad aumentare, e più Bradley dava segni di immonda goduria nel mordergli le dita, maggiori erano i risucchi compiuti dalla bocca di Joel.

Joel spinse la lingua al centro del glande, continuando a muoversi con veloce impeto, mentre Bradley gli masticava le falangi concedendosi un assaggio di ciò di cui moriva dalla voglia di divorare.

Bradley tentò di allontanare Joel dal suo schizzo sordo, ma la perversa voglia di questo non gli diede scampo. Joel ingoiò continuando a succhiare tutta l'eccitazione pulsante del moro, raggiungendo velocemente al suo viso, dove vi premette le labbra salate dal suo sperma e con una mano continuò a farlo urlare disperatamente toccandolo fino a che Bradley non si svuotò con svergognata disperazione.

Gli strillò di fermarsi, senza poter intervenire e opporsi alla presa di Joel, che aveva ripreso a baciargli il collo.

«Fermati!» il verso reale fu incomprensibile nel gemito. Joel ascoltò le sue preghiere e si distaccò con delicatezza.

Si sdraiò accanto al corpo sfinito del compagno, portandoselo sul petto. Soltanto accarezzandogli l'addome Joel capì che Bradley sarebbe potuto morire di quell'orgasmo. Non esisteva, però, oblio migliore che esalare i respiri sfiniti nel piacere del corpo.

Con un amore indefinito, impossibile da descrivere, Joel lo trasse a se' come fosse la creatura più fragile sulla terra, insofferente nel respiro, Bradley stava ancora cercando di ricomporsi. L'orgasmo però era stato troppo forte, se lo sentiva ancora bruciare tra le cosce.

Le mani di Joel gli accarezzarono i capelli, il viso, il petto e le gambe. Lo baciò in fronte, consolandolo.

«Shh» gli mormorò dolcemente.

«Trasformi il mio corpo in droga.» gli rispose Bradley con un filo di voce.

«Allora dovremo disintossicarci.» ironizzò Joel.

«Per me va bene, se vuoi posso smetterla anche adesso.» ribatté Bradley.

Joel rise, scuotendo il capo e abbracciandolo più forte; «Non puoi divertirti soltanto tu, non è giusto.»

Impertinente e provocatorio Bradley ritrovò tutte le forze che gli necessitavano. Spinse Joel a mettersi seduto di fronte a se, graffiandogli la schiena. Lo scuoiò con il suo sguardo squisito. Povero Joel, rimase senza respiro e abiti.

«Allora vorrà dire che ti mostrerò di cosa sono capace.» gli disse Bradley.

«Sì?»

«Si. So essere molto più bravo di te.» Bradley quasi si vantò.

Joel si passò la lingua tra i denti, il sapore pungente di Bradley gli aveva invaso il palato. Bradley alzò il mento e gli toccò le clavicole tatuate con le dita bollenti.

«Allora fammi vedere.» il tono di voce di Joel fu basso, una supplica, una richiesta esasperata. Il pappagallo emise un verso quasi allegro, la pubblicità alla televisione fece da sottofondo, ma i loro gemiti furono comunque più forti di tutti quei piccoli rumori.

Bradley aprì le gambe e lasciò che Joel si facesse spazio dentro di lui con un dito alla volta, fino ad arrivare allo spessore di tre. Inumidite dalla stessa saliva di Bradley che aveva usato un movimento estremante erotico nell'infilarsi in bocca le dita di Joel, smise di essere rigido quando si abituò con fatica a quel solito bruciore fastidioso che si spingeva via via sempre più in fondo.

Joel gli graffiò i fianchi, spingendosi dopo, con vigore ,dentro di lui, gradualmente e lentamente, con il lieve timore di fargli troppo male. Per le condizioni in cui vigeva Bradley in quel periodo causargli altro dolore era l'ultima cosa che Joel voleva. Bradley si accorse di questa premura di troppo da parte dell'attivo, snervato e sempre più eccitato. Il suo unico obiettivo era quello di far impazzire Joel. Con forza lo spinse sul petto, costringendolo a star sdraiato. Si posizionò sopra Joel e di colpo si lasciò penetrare, abbandonandosi completamente con il peso del proprio corpo.

Joel sgranò gli occhi estremamente sorpreso, e Bradley rise pieno di furore con la soddisfazione di averlo reso suo schiavo.

Ondeggiò sopra di lui con forza, spingendosi su e giù con le anche, più veloce che poté. Bradley gemette, gridando di godimento e facendo aumentare sempre di più il climax di Joel.

Il ragazzo sdraiato sotto gli strinse con forza le natiche, aiutando Bradley a persistere nei movimenti sotto la guida delle sue braccia. Joel lo assecondò affondando con qualche colpo di reni, vendendogli dentro in un rauco lamento senza ossigeno, che a sua volta fece rabbrividire Bradley.

La stella rossa sul suo braccio venne allo scoperto nel frangente di tempo in cui Joel lo spogliò del tutto, ed entrambi rimasero nella bellezza del nudo accarezzandosi stretti.

Ma quanto sarebbe durato ancora quel momento?

Joel massaggiò il gomito meno indolenzito di Bradley -grazie alle medicine- ma pur sempre bloccato ad una posizione costretta tra le aderenze delle ossa.

Guardò il suo amore e con dilaniante strazio doloroso si rese conto di quanto Bradley fosse malato. Oltre alle cicatrici e alle ferite a cui quasi si era abituato, comprese quanto il suo corpo andasse ad indebolirsi giorno per giorno.

Il farmaco prescrittogli dal medico aveva reso Bradley di un colorito pallido, i suoi muscoli si erano asciugati in una magrezza malsana e gonfia allo stesso tempo. La lunga barba ad increspargli il viso spossato, e poi Joel gli accarezzò i capelli e rimase impietrito.

Quelle lunghe ciocche ondulate e splendenti si stavano assottigliando sempre di più. Troppi capelli rimasero tra le dita di Joel, che ne fu mortificato, quasi sentendosi lui la causa di quel disastro. Bradley si accorse del suo sconcerto inaspettato. La rassegnazione lo aveva indurito solo per amore di Joel, per mostrarsi più forte davanti ai suoi occhi.

«Ho notato che già da qualche giorno hanno iniziato a cadermene tanti.» disse, riferendosi ai capelli.

«Non capisco...» mormorò Joel guardandolo negli occhi.

«È il cortisone Joel, uno dei tanti effetti collaterali.»

Joel non esitò un solo attimo; strinse forte tra le braccia il corpo di Bradley ignorando la sua riluttanza nel tenere vicino il braccio sinistro.

«Mi dispiace.» gli sussurrò Joel amareggiato.

«Per cosa?» domandò Bradley svogliatamente.

«Per tutto questo male che ti è toccato.»

L'amore appena consumato passò da essere arte a diventare lutto.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Al massimo cento parole da usare ancora, per Bradley la storia poteva benissimo finire in mezzo al suo sangue senza troppe moine.

La convivenza stava pegiorando il suo enorme buco nero di apatia che lo intrappolava nello stato d'animo insopportabile dalla malattia. A volte era un bene vivere nella stessa casa con Joel, per non sentirsi solo, mentre altre era un terribile ed insopportabile calvario che metteva Bradley nelle condizioni di voler realmente andarsene via, non perché non amasse Joel ma proprio perché lo amava troppo.

L'amore è uno stupratore dalle fattezze bellissime, altro non fa che svuotare le proprie vittime. Bradley finiva sempre per esitare sul ciglio della porta con una sacca in spalla e la convinzione di andare via mentre Joel era a lavoro. Poi però il profumo dell'amante scappava dalle pareti e dai mobili, invadeva l'aria e Bradley non poteva assolutamente tagliare quel sottilissimo filo che lo teneva ancora attaccato alla vita.

Leif e Delilah andavano spesso a trovarlo, e altrettante volte Bradley non apriva loro la porta di casa. Pregava che non se la prendessero con lui, che lo comprendessero; doveva stare da solo, lui e il suo veleno. Si innervosiva con le lacrime agli occhi quando l'amore si materializzava nella stanza ed interrompeva il suo spettacolo di ferite. Il pensiero di Joel gli dava la nausea per il senso di colpa nei suoi confronti, ed un pesantissimo macigno sul petto gli opprimeva lo sterno a furia di ripensare a quanto diavolo lo amava.

Stava sdraiato sul loro letto a guardare il soffitto bianco, ore intere mentre Joel era allo studio. Parlava con lui ma in realtà era da solo.

 

«Tu non te lo meriti uno come me, che cazzo ci faccio io qui?»

«Lo sapevo, non avevo dubbi. Dovrei lasciarti. Anzi, lo farò oggi stesso. Smetti di assimilare il mio dolore, quello lo merito solamente io, non tu, non tu che sei buono Joel.»

«Eppure ti amo, non lo dico con superbia, ma tu nemmeno lo immagini quanto ti amo. È proprio perché ti amo che soffro così tanto. Unisci il numero di tutte le stelle della galassia e di tutti i granelli di sabbia del mondo; ecco, io ti amo tanto così ed il doppio.»

Joel ritornava a casa con uno dei suoi soliti fiori di carta collezionati da Bradley in un raccoglitore ormai pieno. Lo baciava con dolcezza, lo viziava con le prelibatezze più gustose per sostenerlo e gli raccontava tanto, tantissimo, pur di tirarlo fuori dal suo fottuto silenzio. E tutte le parole che Bradley aveva disperatamente detto ad alta voce guardano il soffitto gli restavano incastrate nei capelli fragili e sfibrati. Ne aveva sempre di meno, ormai li trovava sul cuscino.

Joel aveva provato in tutti i modi a non lasciare Bradley a casa da solo, di riportarlo al lavoro, di farlo svagare, ma non poteva opporsi alla sua volontà. Bradley era un uomo grande e maturo, se si rifiutava di far una cosa nessuno poteva costringerlo. Era un rinnegato, detenuto nella sua personale prigione, giudice della sua stessa pena.

 

«Quello è nuovo?» gli domandò Joel. Stava portando il cesto della biancheria sporca in lavanderia quando si accorse svogliatamente del grosso taglio ancora sanguinante lungo la spalla di Bradley. Il moro stava cercando di tamponarlo con della carta assorbente, la ferita era appena sotto il tatuaggio.

«Mmh.» mugugnò in riposta. Era enormemente imbarazzato, non c'era nulla da dire al riguardo di quel disastro.

Joel lo guardò di sfuggita, sospirando. Sparì nella lavanderia per più di venti minuti. Bradley non andò da lui, la sua paura più grande era quella di trovarlo a piangere di nascosto e iniziare una discussione che non avrebbe potuto sostenere. Ansioso, Bradley vide riapparie Joel come se nulla fosse. Sul polso destro, nella parte del dorso, aveva la pellicola trasparente avvolta intorno, a coprire un nuovo tatuaggio.

Bradley aggrottò la fronte, confuso, avvicinandosi a lui per vedere meglio.

Prese dolcemente il braccio di Joel e si concesse tutto il tempo necessario per capire il significato di quel nuovo tatuaggio appena fatto. Era la data del giorno odierno, scritta schematicamente, gelida.

«Che significa?» gli chiese Bradley scrollando il capo.

«Ogni volta che ti lascerai dei segni sul braccio lo farò anch'io, sul destro però.»

«Smettila.»

«Vorresti impedirmelo tu?» incalzò Joel con un sorriso provocatorio.

«Non puoi fare una cosa del genere.»

«Il corpo è mio e ci disegno sopra ciò che voglio. Chi impedisce a te di ferirti? Mica qualcuno ti taglia le mani per fartela finire. Ad ognuno i suoi scarabocchi.»

«Quindi tu vorresti tatuarti la data del giorno in cui mi ferisco? Vuoi farmi un dispetto?» Bradley si era ritrovato estremamente vicino alle labbra di Joel, guardandolo negli occhi con fare di sfida.

Bradley sapeva che Joel avrebbe sostenuto quella sua nuova pazzia, ma non voleva crederci fino in fondo; dopotutto non c’era più spazio per altri tatuaggi su quel braccio, con tutti quei numeri avrebbe rovinato la sua perfetta composizione di disegni.

«Non è un dispetto. Hai fatto prendere anche a me un'abitudine simile.» continuò il tatuatore.

Bradley si ritrasse dall'imminente bacio di Joel e rise amaramente.

«Credi che il mio sia un vizio? Davvero? E poi non riuscirai mai a contare perfettamente tutte le ferite che mi infliggo ogni giorno.»

«Tu ne sei davvero così sicuro? Credi che non ti controlli? Che non lo percepisca?»

Il silenzio pieno di colpa, ormai loro fedele amico, tornò ad incombere sul dialogo.

«Vorrei tanto andarmene.» e con ciò Bradley intendeva andare via da quella casa, da Brooklyn, dalle persone, andare e morire.

«E dove, senza di me?» gli chiese Joel amorevolmente, avvicinandosi per abbracciarlo da dietro.

«È proprio questo il problema. Per colpa tua non ci riesco.»

L'espressione di Joel si tramutò in una maschera di rabbia. Bradley ebbe il terrore che presto sarebbe iniziata una litigata per causa sua. Continuava a premere la carta assorbente contro la ferita, ormai zuppa di sangue. Joel setacciò la casa prendendo uno zaino e cacciandoci dentro con foga vestiti estivi, una bottiglia d'acqua e qualche sandwich avanzato dalla sera prima.

Bradley pensò che fosse giunto il momento, che Joel sarebbe andato via da casa o che avrebbe cacciato lui. Joel prese le chiavi dell'auto e spalancò la porta d'ingresso.

«Forza, andiamo.» ammonì.

«Dove?» chiese Bradley avanzando verso di lui.

«Al mare. Coraggio, dobbiamo andare in spiaggia.» Joel scese le scale, facendosi seguire velocemente da Bradley, che richiuse la porta alle proprie spalle.

«E perché?» un'altra domanda confusa e preoccupata.

«Che domanda è? Andiamo al mare e basta, fanculo tutta questa merda. Andiamo.»

 

A Coney Island Bradley  non c'era mai stato, Joel invece ci aveva trascorso l'infanzia e l'adolescenza. I loro viaggi in macchina erano una di quelle cose che Bradley adorava docilmente. Avevano l'opportunità di parlare ma anche di stare in silenzio, ascoltando la musica alla radio. In ogni caso erano costretti a star assieme, e concepire assieme l'idea limpida di sorridere per la vicinanza.

Grazie a quel tipo di percorsi Bradley aveva quasi del tutto rimosso la paura delle automobili, fobia rimasta dall'incidente con Wolfgang.

Bradley avrebbe voluto raccogliere i capelli in una molletta, come solitamente faceva con soddisfatta sistemazione, ma erano troppo pochi. Solo a toccarli nel tentativo di legarli ne strappava una dozzina.

Quel particolare causato inizialmente dalla medicina che aveva alleviato l'infiammazione al suo gomito stava continuando a devastarlo. 

Bradley tenne il finestrino dell'auto chiuso per non permettere all'aria della velocità di scompigliare ancora di più quel disastro di capelli che gli erano rimasti sulla testa. Sentiva caldo ma lo sopportò.

Nemmeno il mare lo poteva curare, Bradley non stava bene. Joel era disperato, avrebbe dato la sua vita, adesso, pur di trovare un modo sicuro per dare serenità al suo amore. Un sorriso strappò il volto stanco di Bradley. Alzò il capo e guardò tutte le attrazioni illuminate sull'enorme molo in riva al mare, e la musica nelle orecchie, le urla entusiaste dei bambini, il profumo di caramello e hot dog. La felicità gli sfiorò piano la mano.

 

Passeggiarono più vicini alla vista dell'acqua calma, con in mano un panino e la luce del tramonto, arancione e rosa, che faceva da sfondo. Joel e Bradley erano così vicini da poter sentire i loro odori.

«Grazie per avermi portato qui.» disse Bradley riconoscente. Mangiò piano per non peggiorare i crampi al suo stomaco affamato dal cortisone. Lui e Joel avevano giocato al tiro al bersaglio e Bradley, molto più bravo del tatuatore e fare il cecchino, aveva vinto un gruzzoletto di punti da poter usare su quante più attrazioni possibili. Ancora non ne avevano fatto un giro su nessuna.

«Qualsiasi cosa per il mio Brady.» gli rispose, al lato della bocca aveva un po' di maionese che gli sporcava la barba folta.

«Non devi. Non sei costretto a fare qualsiasi cosa.» replicò il moro con lo stesso tono.

«Allora non hai capito proprio niente.» Joel si voltò verso di lui, continuando a camminare.

«Si che ho capito, e anche bene. Fai tutto questo per amore, inutilmente, perché io non posso gestirlo.»

Joel gli prese il viso fra le mani, gettando sbadatamente per terra la carta del proprio panino ormai finito. Richiese un diretto contatto tra i loro occhi che fece appassire lo spettacolo del tramonto. Bradley rilassò le spalle, respirando dalle labbra semiaperte.

«Tu almeno un po' mi ami?» Joel aveva nella voce una nota di paura e tristezza.

Bradley gli afferrò un fianco con la mano destra, un gesto che fece capire ad entrambi a chi appartenesse davvero quel corpo.

«Pensi che sarei qui se fosse il contrario?» il sorriso che Bradley trasmise a Joel fu il più sincero degli ultimi venti giorni. Joel ne fu quasi commosso, rasserenato da una piccola illusione momentanea.

Entrambi si andarono in contro per baciarsi lì, nel chiasso della confusione, davanti a chiunque e senza vergogna. Belli e basta, bellissimi.

Joel gli strinse la mano vergine dalle ferite e a passo veloce, per non affaticare la stanchezza del corpo di Bradley, lo condusse in spiaggia.

Lì vi rimasero fino a notte fonda, immuni dal freddo e dalla condensa. Accasciati tra la sabbia e coperti dal suono delle onde. 

Bradley chiuse gli occhi sotto il cielo pieno di stelle, con la mano nella mano di Joel.

«Quando morirò devi portare il mio corpo su questa spiaggia, in questo esatto punto. Sdraiati come hai fatto oggi e tienimi stretto come adesso. In un'urna, in una scatola di legno, in una bustina, non importa, basta che mi porti con te. È questo il mio aldilà, il mio paradiso.» sussurrò Bradley con un sorriso sereno.

«Ma tu non morirai, quante volte devo dirtelo?» ribatté l'altro nervosamente.

Bradley rafforzò la stretta nella sua mano, sospirando. La salsedine gli aveva imbiancato i capelli.

«Non essere egoista Joel, non privarmi dell'unica serenità che mi è stata concessa.»

«È come ti ho detto, tu non hai capito niente. Io sono la tua serenità.»

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Un'aria fresca attenuava il calore del sole rovente. Peter stava pulendo il bancone umido da gocce di acqua e caffè, con i suoi amici come unici clienti, poco prima dell'orario di riapertura dopo la pausa pranzo.

Sam stava sonnecchiando sdraiato alla meglio su una poltrona per metà all'ombra, con indosso degli occhiali da sole scuri per nascondere il suo pisolino. Nova chiacchierava con Peter in una discussione provocatoria e dolcemente attraente. Joel invece era seduto a gambe incrociate sullo sgabello del bancone, a disegnare diverse angolazioni di Bradley. Indisturbato, il ragazzo non si accorse di essere usato come soggetto, troppo impegnato ad immagazzinare energia nel tepore piacevole del sole.

Tutti i presenti erano consapevoli del periodo di difficoltà che Bradley stava affondando, ma nessuno osava permettersi di dire qualcosa. Tranne Nova. Lei che non aveva mai avuto peli sulla lingua lesse nei gesti stanchi di Joel la sua supplica, quella di stare vicino a Bradley e cercare di dirgli qualcosa, però senza lasciar trasparire l'iniziativa che veniva proprio da lui.

La ragazza deglutì, camminando sulle sue gambe magre. Si sedette con noncuranza accanto a Bradley distraendolo con la sua improvvisa presenza troppo vicino al braccio sinistro.

«Bradley» disse lei sorridendo con sarcasmo gentile, incurvando la schiena per poggiarsi con i gomiti sopra le ginocchia.

«Nova» replicò lui con fare quasi interrogativo.

«Sai, sto cercando di mettere su qualche chilo nonostante la mia fottuta fissazione con le calorie.» rise lei.

Bradley non capì il perché di quel discorso così diretto e quasi insensato, però annuì, contento per Nova.

«L'importante è che tu mangi e che questo ti faccia stare meglio.» 

«E tu?» gli chiese Nova porgendosi con tenerezza. I lunghi capelli ondulati le coprirono le braccia sottili.

«Io?» 

«Esattamente. Tu, che cazzo combini?»

«Niente.»

«Non ti credo.» Nova assottigliò lo sguardo.

«Solita storia.» Bradley tagliò corto il discorso, evitando di guardarla in viso.

«Mi è stato di enorme aiuto iniziare a pensare a quante cose desiderassi fare se solo fossi stata meglio. Ho pensato ad una passeggiata al parco, una lunga camminata senza rischiare di svenire. Mi sono venuti in mente tutti i bei vestiti che avrei potuto indossare senza che mi scivolassero di dosso, e anche a quante cene avrei accettato senza impietrirmi con terrore davanti al cibo. Ho riflettuto su tantissime altre motivazioni e ho trovato la forza dal desiderio di essere felice. E piano a piano credo di poterci riuscire. Invece Bradley Wolfe cosa vorrebbe fare per provare a star bene?» l'ottimismo di Nova coinvolse il resto dei presenti, che però si tennero a distanza da quella discussione. Era certa che Bradley l'avrebbe ascoltata.

Lui si portò i capelli sfibrati dietro alle orecchie, erano talmente pochi che si potevano vedere i vuoti in mezzo al capo, dove abbondanti ciocche erano completamente assenti.

Bradley tese le labbra e raddrizzò la schiena prima di parlare;

«L'unica cosa che desidero è quella di essere amputato.»

Nova rimase zitta.

«È così semplice, nessuno lo capisce. Un po' di sangue, un seghetto per troncare l'osso ed una bella sutura. Tutto perfetto, facilissimo.»

«Bradley tu prendi atto di ciò che dici?» domandò Nova preoccupata.

Lui sbatté tre volte le palpebre velocemente, si leccò il labbro superiore con la punta della lingua e poi rise, in una maniera talmente radiosa da mettere inquietudine.

«Ovviamente. Lo farei io stesso se solo avessi i mezzi.» rispose sorridendo.

«Pensa lucidamente.» Nova si innervosì, spaventata.

«Io sono molto più che lucido. Mi fa così male adesso per colpa del gomito, Nova ora come non mai lo staccherei a morsi fino all'osso. Tu hai trovato la tua cura, e anch'io ho la mia, ma nessuno mi permette di guarire.»

«È la maniera sbagliata di guarire.»

Bradley scosse il capo con espressione angosciata, espirando rumorosamente dal naso; «No. Di sbagliato c'è soltanto vivere in questo modo.»

La demoralizzazione e lo spavento per quelle parole trasformarono quel bel sole in petrolio bollente sui corpi di chi aveva ascoltato bene.

 

Una fotografia immaginaria fu sviluppata dalle fantasie di Bradley; c'era una bella ragazza, con il seno scoperto e la pelle chiara. I capezzoli sporgenti in una sfumatura ambrata, il collo a mostrare la giovane muscolatura. Le braccia tese in direzione del volto pulito, ma al termine di esse, sulla punta, le mani erano mancanti. Si trattava di un'amputata con una corona di spine sul capo e gli occhi anneriti dalla stanchezza. Un'immagine del genere Bradley l'avrebbe incorniciata con entusiasmo ed appesa alla parete della propria stanza.

I nuovi tatuaggi che Joel aveva fatto da quella gita in spiaggia erano aumentati di numero ad una velocità notevolmente spaventosa. Per fare una statistica, in una settimana Joel aveva collezionato tredici nuove date, molte di esse composte dalla stessa sezione di numeri.

Di questa iniziativa di Joel Bradley ne era furibondo, e si meravigliava di come il compagno riuscisse a tenere il conto perfetto di tutte le sue ferite. Bradley arrivò a pensare che Joel lo controllasse la notte, mentre dormiva. Non aveva altre spiegazioni al riguardo.

L'amore più forte che avrebbero ricordato entrambi, però, quello che teneva aggressivamente il primo posto tra tutti i loro gesti (i fiori di carta, i tatuaggi, i luoghi, i disegni) fu cantato tra le strofe di una canzone e una pioggia di capelli.

 

Mattina: Bradley aveva quasi finito di fare la doccia mentre Joel si radeva con cura, definendo la barba folta davanti allo specchio poco appannato dal calore rilassante in bagno. Il tatuatore era incorniciato nello specchio con il petto nudo ed i tatuaggi inumiditi da qualche goccia d'acqua, coperto da un asciugamano bianca avvolto alla vita.

Dal cellulare di Joel la sua playlist di musica rock stava scorrendo casualmente.

Bradley mise un piede fuori dalla doccia, poi l'altro, affrettandosi ad indossare l'accappatoio per nascondere il braccio, lasciandola però aperta così che gli scoprisse il corpo in una linea retta dal collo al sesso.

Joel lo guardò senza voltarsi, con discrezione soddisfatta ammirò Bradley  riflesso allo specchio.

Bradley tentò di alzare entrambe le braccia ma il gomito troppo indolenzito ancora non gli permetteva un movimento completo. Esitò nel prendere i capelli tra le mani per strizzarli e asciugarli. Nei palmi gli rimasero piccole ma numerose ciocche. Bradley restò fermo a guardare quell'inconveniente. Ne fu stupidamente sorpreso e ferito. In cosa si stava trasformando? 

Strinse i pugni in cui il fastidio dei sottili e numerosi capelli bagnati vi si attorcigliarono. Joel si voltò verso di lui cercando di consolarlo accarezzandogli la spalla destra, mentre Bradley gli andava incontro dirigendosi verso il lavandino. Prese dalle mani di Joel il rasoio elettrico che immediatamente accese. Joel si tenne pronto a strapparglielo via, il suo unico timore era quello che Bradley lo usasse per ferirsi in qualche modo. Gli occhi rossi fissi sul proprio rifletto; Bradley respirò velocemente dalle labbra semiaperte, tirando su con il naso. 

Non contò nemmeno fino a tre per trovarne il coraggio, si rasò i capelli senza guardarsi troppo, mentre quelle poche reliquie che gli erano rimaste sul capo si accumulavano sul fondo del lavello bianco, e Joel lo guardava con una manciata di nodi che dal petto gli salivano fino alla gola.

Bradley non si rasò completamente a zero. Lasciò quel colorito castano che gli dava un aspetto simile a quello di un soldato sottoposto all'addestramento in caserma. Aveva sembianze completamente diverse, ma sembrava più ordinato e leggero, come se avesse abbandonato una parte minuscola del suo macigno.

Joel gli passò una mano sulla testa rasata, partendo dalla nuca e salendo dolcemente. Quel contatto così intimo e privo di qualsiasi parola fu paragonabile al respiro di un angelo contro la pelle.

«Sono peggio di quanto immaginassi.» farfugliò Bradley continuando a guardarsi allo specchio con shock. Joel alle sue spalle sorrise.

«Sei uno stupido, un fottuto idiota.» gli disse ridendo ancora; «Sei sempre bellissimo, da togliere il fiato. Per la forza che hai sei bello come la luce.»

Stranamente, Bradley sorrise. Non conosceva nessun modo per spiegare quanto amasse i complimenti di Joel.

«Joel devo confessarti una cosa, ma giurami che non ti arrabbierai.»

«Per caso sei andato a letto con un altro?» sbottò scherzosamente Joel.

Bradley scosse il capo; «Ma no idiota.» il suo sorriso stanco si appassì «Non è stato solamente il farmaco che mi hanno prescritto a ridurre i miei capelli in questo modo. Cioè in parte magari, soprattutto all’inizio, ma col tempo ho contribuito anch’io.»

«Li hai strappati, non è così?»

«Già… ero così stressato e frustrato, non so cosa mi sia preso ma è stato un susseguirsi di sintomi troppo simili a quelli per il mio braccio, e quindi ho deciso di darci un taglio.»

«Letteralmente.» constatò Joel. Non se la sentì di aggiungere altro, pensava che forse continuare a consolare Bradley per non farlo sentire sbagliato gli avrebbe dato l’agio di cullarsi sulle sue giustificazioni.

La canzone che seguì quella sorda colonna sonora fatta di silenzio era dei Nirvana, gruppo da cui Bradley era diventato da poco fan. Heart-shaped box gli fece accapponare la pelle. Ma ciò che accadde prima di questa parentesi svoltasi lontana dal bagno fu più importante e coinciso. Joel e Bradley fecero l'amore, per poi rigenerarsi sotto la doccia assieme.

L'ultimo amore prima dell'abbandono, descritto a parole di Bradley:

«Potrei scrivere una poesia e buttare tra i versi la parola "casa" -che è la chiave- ma a comporre un qualcosa di pressoché artistico ci pensano già i nostri corpi. Poco tempo ed è già accaduto troppe volte da contarle sulle dita delle mani. Cosa? Oh, non provo vergogna nel dirlo; l'amore, il sesso, una scopata, chiamalo come preferisci. Per me è sempre arte, quella di cui tu ti nutri. Penso che tu mi abbia lasciato tutti i tuoi disegni e le tue storie, le tue poesie e la tua musica nel grido del coito. Ti ricordi quanti orgasmi mi hai rubato? Hai tenuto il conto Joel? Il mio nome è sulla lingua del sesso, che in quella casa diventi tu, o noi, o i baci. Mi dissoci dall'universo, te e quella tua lingua frizzante, le tue dita e il tuo fiato. Ma adesso basta usare parole per te, se tu sei il sesso -l'amore- io sono il peccato. Vestito di cristalli nella mia nuda figura ammirata dai tuoi occhi. Lo sai? La lacrima tatuata sul tuo viso si increspa e diventa una specie di petalo essiccato quando vieni. Sono bravo a notare i dettagli e, senza offesa, ma questo l'ho fatto mio, come chi trova un raro pezzo d'arte scomparso. Dentro alla casa abbiamo accumulato una quantità di lamenti pari a tutta la superficie terrestre, e non esagero, giuro. Non sono tuo e tu non sei mio. Non sono in possesso nemmeno del mio braccio figuriamoci di te. Però è un bel disegno, io e te, dopo il piacere, abbracciati e basta, perché da dire non c'è un cazzo. Bello, bellissimo.»

(Bradley tutte queste parole non le disse mai a Joel.)

 

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Capitolo 30
*** 29 ***


Se proprio devi andare

 

abbandonami portando con te il mio odore.

 

Se devi piangere

 

piangi in mezzo al mio collo.

 

Se dobbiamo piangere, amore mio

 

facciamolo con la luna e le stelle là sopra a giudicarci.

 

Se devi stare male

 

non permettermi di lasciarti solo.

 

E se devi proprio andare

 

vai via come se il fuoco della mia mancanza bruciasse i tuoi piedi.

 

Se devo farti morire, Joel,

 

muori sapendo che la tua vita è stata la parte migliore della mia.

 

Siccome hai deciso di sparire

 

ricordati di me.

 

Oggi sono io ad avere il terrore

 

che tu mi abbia dimenticato.

 

Ma se hai deciso di vivere lontano da me,

 

se devi vivere, tesoro mio unico,

 

vivi e basta.

 

Anche se io non sarò lì di fianco a te

 

ti ho lasciato la mia esistenza

 

dentro le membra consumate dal sesso.

 

Siamo stati ogni cosa

 

io e te.

 

Siamo stati innocenza

 

peccato

 

schiavi incoscienti

 

fantasmi

 

il vuoto assoluto

 

e poi

 

a persistere fino alla fine

 

dolore soprattutto.

 

Ma siamo anche stati tanto amore.

 

Un amore a cui non si riesce a credere.

 

Dunque Joel

 

se davvero questa è la fine

 

finisci ogni cosa

 

con gli stessi occhi che avevi quel giorno al mare.

 

Per me

 

quelli sono la parte migliore della mia vita.


Una poesia di sangue scritta da Bradley

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


Adesso basta parlare solamente di Bradley. Chiamiamo Joel in causa.

Joel e il suo amore che penava più della malattia di Bradley, e le sue ansie che avevano incominciato ad approfittarsene del suo malessere.

Pensò ad una frase di Frida Kahlo in cui metteva in discussione il suo amore, dicendo che nella vita lei aveva avuto due grandi incidenti: quello che l'aveva resa sofferente e Diego, il tormento continuo al suo amore troppo buono.

Al suo amore di troppo.

Se Bradley lo amava paragonandolo al numero infinito di granelli, per quello stesso sentimento troppo martoriato Joel vi soffriva senza ordine di paragone.

Quanto erano pesanti le lacrime di Joel nei pensieri di Bradley?

Il primo ci avrebbe scommesso l'anima sul fatto che Bradley non le notasse nemmeno, d'altronde in quel suo segreto di nascondere i singhiozzi Joel era molto più che bravo, ci sarebbe voluto un indovino per scoprire quanto aveva pianto per Bradley.

Il petto si atrofizza, dal lato sinistro, quasi Joel percepiva una contrazione tra la carne che arrivava al collo e alla spalla. Non aveva mai assolutamente creduto all'espressione "cuore spezzato", e tutt'ora bocciava quella tesi. Il suo, di cuore, si era fermato. Era rimasto ben intatto, senza perdere nessun frammento, non era un puzzle. Però con le parole di Bradley e con ciò che gli aveva lasciato intendere in bilico tra il prezioso ed il distacco aveva dato il permesso a denti acuminati e versi fugaci di smembrare l'organo pulsante di Joel.

Ma il tautuatore lo sapeva che non lo faceva di proposito, Bradley non l'avrebbe mai fatto per ferirlo intenzionalmente. Era la sua sofferenza, così diceva a Joel. La sua solitudine in cui nessuno (compreso Joel) doveva insediarsi.

Joel ci moriva -scusa-

Era da idioti mettere Joel dalla parte della vittima, di quello insofferente, anche perché non esistevano né martiri né carnefici in questa storia, dunque non vi era motivo per il quale Joel avrebbe dovuto cercare il perdono di Bradley.

Le lacrime di Joel probabilmente erano eccessive, ma non le poteva trattenere. Come non poteva trattenersi dall'amarlo in modo così naturale e disinvolto. E forse il pianto era una legittima conseguenza di quel suo amore sofferto.

Joel lo sapeva che nella vita avrebbe sempre patito, non ne faceva una colpa a Bradley in questo caso, solo, gli chiedeva di ascoltare le sue lacrime. Sapevano rispondere a qualsiasi dubbio lui avesse.

Che terribile oggetto, l'amore.

 

«Non preoccuparti, stai bene, ti ricresceranno ancora più lunghi di prima.» Joel glielo disse con un sorriso incoraggiante, in merito ai capelli. Bradley non lo degnò di una risposta, sospirando. Affacciato alla finestra della cucina si godeva un attimo di soleggiata quiete pomeridiana. Poi però quel giorno scoppiò un temporale inaspettato a Brooklyn, una pioggia che entrò solo nella casa di Joel e Bradley.

«Perché ridi?» gli chiese Bradley. Aveva fatto caso all'umore di Joel, che si era tramutato nell'attimo in cui lui gli aveva negato una risposta a quell'incoraggiamento. Che poi era anche la verità, Bradley non aveva perso la propria bellezza assieme ai capelli.

Joel non riuscì a rispondergli immediatamente. Bradley lo guardò silenzioso, stranito da quella reazione, cullandosi sulla sicurezza che la sua risata flebile gli avrebbe fatto bene.

Solo quando Joel rispose Bradley egli capì di essere stato rotto in due metà; «Rido perché so che mi farai soffrire da morire.»

«Come fai a dirmi una cosa del genere? Sai quanto sto soffrendo io invece.» Bradley si tirò sulla difensiva, porgendosi in avanti con mortificazione.

«Sei un povero egoista, non capisci mai nulla, non comprendi un cazzo. Mi sono stancato di farti capire quanto sto male anch'io in questo momento, come se i miei problemi con l’ansia contassero meno dei tuoi.» incalzò Joel, serio e gelido.

«Io non penso assolutamente che i tuoi problemi siano meno importanti dei miei.» Bradley si mosse sul posto, incrociando le braccia.

«Ovviamente.»

Entrambi capirono che l'intenzione dei loro pensieri era la stessa. Finirla sarebbe stata una soluzione, se solo l'amore non fosse stato così prepotente.

«Cosa vuoi dire con questo? Qui, quello stronzo non sono io ma tu. Continui a insistere da quando ci siamo conosciuti con questa cazzo di storiella che l’amore guarirà ogni mio problema, ma ti assicuro che ti basta guardare poco oltre il tuo naso per realizzare che non ha mai funzionato.»

«Sul serio Bradley? Pensi che io viva in un'altra casa fottendomene di quello che accade ogni giorno? Scusa se faccio tutto questo per amore.»

Bradley iniziò a gesticolare con agitazione; «Vedi? Sei sempre tu quello a dire e fare la cosa giusta mentre fai passare me per l’ingrato che non apprezza quello che fai per me. Ma lo capisci o no che la mia malattia è reale e tu non sei la crocerossina che mi salverà la vita?!»

Disgustoso parlare sempre del ripetitivo sentimento d’amore tra i due. Sembrò quasi patetico.

 

«Io sono esausto Bradley, quindi sai che c'è? Ti servo l’occasione su un piatto d’argento.» Joel era davvero al limite. Dato che a casa aveva nascosto tutti gli oggetti potenzialmente pericolosi per Bradley Joel estrasse dalla tasca dei suoi pantaloni l’unica arma a sua disposizione. Lanciò a Bradley un coltellino svizzero d’epoca, un regalo del nonno a Joel, e lo incitò:

«Fallo davanti a me, coraggio, fallo!»

Bradley osservò incantato l’oggetto tra le sue mani.

«Dato che non te ne frega un cazzo dell’aiuto che ti è stato dato fammi vedere come fai!» Joel continuò a provocarlo alzando sempre di più il tono della voce. Il fatto che Bradley non stesse ancora facendo nulla di male con quella piccola lama lo agitò in un enorme tornado di ansie.

«Se non farai niente per cambiare di questo passo morirai, perciò meglio che ti dai una mossa! Fallo ora, proprio qui, ucciditi! Forza sto aspettando, facciamola finita. Preferisco risparmiarmi questo calvario e darci un taglio immediatamente.» Joel stava esagerando, ma le sue emozioni non erano più le sue. Se Rosy fosse stata lì avrebbe saputo perfettamente cosa fare per calmare quella sua crisi. 

Da quel momento Bradley si spense. Venne persuaso da un impulso disperatamente bisognoso, ovvero quello di non nascondersi più. Lasciò scivolare il coltellino in terra e si avvicinò alla credenza della cucina, frugandoci frettolosamente in fondo. Nascosto in un angolo Bradley aveva tenuto lontano dalla prevenzione di Joel un taglierino dalla lama scintillante. Joel aveva stilato un severo regolamento per quanto riguardava armi o oggetti contundenti, come se Bradley fosse un bambino. Ogni coltello o lama, spigolo e accendino, erano stati messi sotto precauzione.

Però Bradley era furbo e disperato. Joel rimase sorpreso e profondamente ferito da quella scoperta improvvisamente gettata sotto i propri occhi.

Bradley si sedette con ostinazione al tavolo, proprio di fronte a Joel che rimase muto e lo lasciò fare, come a dirgli di prendersi da solo tutte le proprie responsabilità.

Bradley stese il braccio sinistro lungo la superficie del tavolo, alzandosi sbadatamente la manica della felpa fino a sopra il gomito. Battendo troppo forte l'articolazione contro la superficie dura gemette per il fortissimo dolore inaspettato.

Joel sgranò gli occhi ma tenne le labbra serrate, che presero a tremare. In cuor suo sperava che Bradley non l'avrebbe fatto, pregava che, sul serio, non lo facesse.

Eppure il sangue colò sulla tovaglia plastificata. Una profonda ferita ne riaprì altre più vecchie e più recenti. In diagonale, senza seguire una traiettoria regolare, la lama affondò poco più in basso del polso, allungandosi fino a che Bradley non dovette fermarsi per aver incontrato il tavolo.

Non emise nemmeno un lamento.

«Tu non l'hai mai visto fare, vero?»

Joel scosse la testa. Era totalmente impietrito, sotto shock. 

«Il sangue ha un colore scurissimo, e scappa subito fuori quando lo chiami.»

«Smettila.» Joel lo rimproverò con inerzia, stringendo i pugni. Bradley non l'aveva mai visto così arrabbiato e minaccioso.

«Dovevo mostrartelo, devi capire delle cose su di me che non ti sono ancora chiare.» Bradley si mostrò disperato, il sangue gli sporcò la pelle.

Joel, infuriato e deluso dallo sfregio che Bradley gli aveva fatto nascondendo quell'arma, da quello che aveva appena fatto seguendo le sue provocazioni, si alzò furiosamente dalla sedia e strappò via l'arma dalla presa di Bradley.

Ci fu un attimo di totale tensione. Sguardi severi e catastrofici, una catena fragile come un capello.

«Chiamo un’ambulanza, stai sanguinando troppo.» disse Joel camminando a passo pesante verso il suo cellulare.

Bradley battè un pugno contro il tavolo. Joel sobbalzò dallo spavento mentre lo sguardo di Bradley iniettato di sangue cercava di distruggerlo; «Prova anche solo a comporre il numero e mi uccido, adesso, proprio davanti a te, così sarai anche contento finalmente.»

«Basta.» disse Joel posando la lama insanguinata sul tavolo, con meno ira possibile.

«Sai che non posso.» Bradley aggrottò la fronte mostrandosi vulnerabile e disperato.

«Non intendo solo per te. Basta anche per noi.»

«Cosa?» a Bradley il cuore smise di battere.

«Forse sono la prima persona a farti rendere conto di quanto sia grave tutta questa storia, anzi, a farti prendere coscienza sul fatto di trovare una soluzione.»

«Joel che intendi?» in tutta la sua misera vita Bradley non era mai stato così terrorizzato, nemmeno il giorno dell'incidente in auto.

«Intendo dire che ho bisogno di tempo per riflettere su questa storia. E credo che serva anche a te.» disse Joel, sperando che Bradley non cogliesse il dolore che cercava di mascherare nell'ammettere ciò.

«No, no, a me non serve tempo. No Joel, a me servi tu.» Bradley si avvicinò al compagno sull’orlo di un mare di lacrime.

Il sangue che gli colava dal braccio gli sporcò i vestiti, cadde sul pavimento tracciando il percorso brevissimo dal suo posto a Joel. Joel si fece forza e soppresse l'istinto di prendere qualsiasi cosa sotto tiro e tamponare la ferita di Bradley. Indietreggiò e allontanandosi innescò in Bradley un pianto insormontabile.

Joel non poteva sputargli in faccia una sentenza simile, ma quasi in cuor suo provava soddisfazione; Bradley stava capendo come ci si sentiva, come si soffriva disgustosamente per amore.

«Joel» bisbigliò incredulo. Bradley lo fece somigliare più ad un richiamo dolce nel suo sorriso pieno di terrore.

«Credimi, ci ho provato in tutti i modi, spero almeno che te ne sia accorto. Evidentemente non ci sono riuscito.»

«Mi avevi promesso che avresti fatto qualsiasi cosa per consolarmi, che saresti stato la mia medicina, che mi amavi! Erano tutte fottute bugie quelle?!» Bradley alzò la voce.

«Adesso hanno senso i miei tentativi? E comunque no. Non ti ho mai mentito su nulla.» sentenziò Joel. Sarebbe crollato presto, quel suo atteggiamento severo e ostinato lo stava soffocando pericolosamente.

«E allora perché dici queste cose?! Perché?!» nemmeno le mura capirono quale fosse la peggiore manifestazione del dolore di Bradley: se attraverso sangue o le lacrime. 

Joel non rispose. Bradley non si alterò con scenate isteriche o ira incontrollata. Lui sapeva di aver portato tutti e due al limite, e l'unica emozione che riuscì a manifestare fu il rammarico e il pentimento. Prese le mani di Joel che rimase indifferente a quel contatto. Il tatuatore si morse la lingua tenendo gli occhi bassi, in maniera indistinta su Bradley. Lui gli accarezzò i dorsi tatuati e percosse dei movimenti concentrici all'interno dei palmi sudati.

Un bacio a partire dal pollice e un sussurro che diceva «Ti amo».

Quella dichiarazione svergognata si ripeté altre nove volte su ogni polpastrello delle dita di Joel. Il ragazzo tatuato ne rimase spiazzato.

«Scusa se non te l'ho mai detto abbastanza, ora però te l'ho lasciato dieci volte, un ti amo per ogni dito.» Bradley sorrise guardando Joel negli occhi «Nelle mani, così puoi toccarli tutte le volte che vuoi.»

«Bradley non peggiorare le cose.» Joel sospirò, allontanando le mani dalla presa.

Bradley si pietrificò senza riuscire a parlare.

«È la cosa più giusta da fare in questo momento. Ho bisogno di pensare.» Joel mormorò già pieno di sensi di colpa. Fece due passi indietro, poi andò verso la camera da letto.

Bradley gli corse appresso, rischiando un crollo emotivo alla vista di Joel che infilava biancheria dentro ad un borsone.

«Pensare?! A cosa?! A che cazzo devi pensare Joel? Al fatto che non mi ami più?! Non mi ami più?!» pieno di isteria Bradley alzò la voce. Tutto quel sangue fece un gran casino per terra.

Joel si voltò di scatto, una maglia tenuta stropicciata nel pugno pieno di nervosismo. 

«È proprio perché ti amo cazzo!»

Silenzio.

Joel ultimò i propri bagagli; due borse in tutto. Una in spalla ed una in mano, frettolosamente, raccolse la sua copia delle chiavi di casa e quelle dell'auto.

«Dove stai andando?!» gli chiese in lacrime Bradley, fermo sullo stipite della porta.

«Vado a stare da Sam.»

«Per quanto tempo?»

«Il tempo che mi serve. Non potrei mai lasciarti per strada, questa è la mia casa e le decisioni le prendo io. Sta qui, chiama Delilah o Sam per informarti sul lavoro. Dovrai iniziare a mettere da parte qualche risparmio.»

Bradley balbettò dei respiri soffocati, non capendo, non volendo credere a ciò che Joel gli stava dicendo. Non voleva prenderlo sul serio. Avevano davvero esagerato, di certo non si sarebbe esaltato tanto se avesse saputo che non si trattava di una discussione qualunque. Con Wolfgang ce ne erano state persino di peggiori, eppure non erano mai giunti ad un punto di rottura.

Mentre Joel scendeva le scale Bradley si fermò al centro del pianerottolo, disperandosi sul posto.

Pianse istericamente, alzando la voce per farsi sentire un'ultima volta in quella lite;

«Il mio braccio non è una parte di me, ma tu si!»

Joel sentì il dolore di mille coltellate sulla schiena, ma continuò a scendere i gradini.

«Tu sei parte di me Joel!» il tono di Bradley andò ad affievolirsi fino a diventare singhiozzo.

Tornò dentro l'appartamento chiudendo la porta non troppo violentemente. Non seppe dove insediarsi per piangere, non riuscì a star fermo. 

Era rimasto solo ed il pensiero lo violentava.

Troppe domande da fare a Joel che non gli aveva dato l'opportunità di porre, troppi pensieri ed ipotesi in sospeso, e troppa precarietà in quel vuoto improvviso. Bradley aveva sbagliato? Si, si e si, se lo rimproverò battendo una mano sul petto. Come gli era venuto in mente di ferirsi di proposito davanti a Joel nonostante le sue provocazioni?

Si piantò un gran morso al braccio, incastrando i denti dell'arcata superiore proprio in mezzo all'apertura della ferita. Il risultato fu il finale del disastro.

Cadde in terra, seduto con le spalle contro il muro.

Però ebbe almeno un pensiero lucido, ascoltò le migliaia di raccomandazioni fatte dai suoi amici. Cercò alla cieca il telefono e chiamò Leif prima di compiere azioni troppo avventate.

«Pronto?» rispose Leif.

«Leif...» la voce di Bradley quasi non si riconobbe.

«Bradley sei tu? Tesoro cosa succede?» Leif glielo chiese pieno di preoccupazione.

«Joel è andato, mi ha lasciato qui nel sangue.»

 

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


 Gli occhi di Joel di fronte a te brillano nella penombra grazie alla luce bianca proveniente da fuori le finestre. La notte è inoltrata e silenziosa, e presto le strade ed i palazzi sentiranno il vostro fornicare come un canto frenetico. Il tuo respiro si arresta per qualche istante quando Joel si avvicina ancora di più al tuo corpo in tensione e persuaso dai brividi. Incredulo e disperato, questo è ciò che dimostri di essere Bradley. Attesti di esserlo senza preoccuparti delle lacrime sul tuo viso. Bramavi Joel da così tanto tempo che soltanto sentir toccare il tuo viso dalle sue mani ti causa piacere. Ti stupisce la sua indomabile iniziativa, non riesci a realizzare con quanto desiderio stia per baciarti.

Resti con gli occhi spalancati per paura che l'immagine di Joel sparisca nel buio convocato dalle tue palpebre. Gemi piacevolmente dentro e tra le sue labbra affamate, sentendo la punta del suo naso sfregare e premere contro l'incavo del tuo zigomo. Hai ancora gli occhi aperti, e lo guardi. Mordi il labbro inferiore a Joel e gli avvolgi con forza la schiena, sorridendo ancora con una felicità amara in fondo alla gola. Non sta svanendo, non è andato via, Joel è proprio qui; il suo cuore batte all'impazzata contro il tuo, o forse è il tuo che palpita così forte da sembrare due cuori?

Sul collo percepisci una caloria morbida e movimentata, ed a quel punto non riesci più ad avere il controllo su te stesso. Chiudi gli occhi e lasci che Joel ti accarezzi con devozione il collo e le spalle, sale poi dalla nuca e raggiunge il capo. Sembra che il tuo nuovo taglio di capelli corto e ordinato gli piaccia, anche se scompiglia dolcemente la rasatura bruna con le dita.

Nel frattempo, Bradley, riapri gli occhi e ritorni ad essere vigile e attento. No, il tuo attimo di distrazione non ha fatto andar via Joel. Lo abbagli con la patina spessa e lucida di lacrime aggrappata ai tuoi occhi. Lo ammiri come se fosse un bambino, come se avessi tenuto per la prima volta tra le braccia tuo figlio.

Joel smette di baciarti e ti sorride, commosso. Con quelle dannate mani incantatrici ti solleva il viso, e tu deglutisci tentando di ingoiare il nodo amaro alla tua gola.

Joel starà sicuramente pensando che il modo in cui lo guardi sia esclusivamente riflesso di amore, tu invece cerchi di nascondere tutta la nostalgia e il dolore che corrompono il romanticismo velato. Il conforto però arriva tempestivamente. Joel ha sempre avuto la capacità di recuperarti. Caro Bradley, la tensione che preme sotto i tuoi boxer non si è attenuata nonostante tu ti senta combattuto. E' stato Joel a mantenerla vogliosa e vigorosa, strusciandosi su di essa con la propria, altrettanto sporgente. A quel punto crolli, il tuo corpo e la tua mente sono stanchi di opporre resistenza. Ti abbandoni completamente alle intenzioni di Joel, qualunque esse siano, ovunque ti porteranno. Tu brami ardentemente un momento simile, e non lo condividi con Joel da così tanto...

In un attimo è tempesta. Rilassi le braccia, compreso quello offeso, e indietreggi alla cieca verso il letto matrimoniale già sfatto. E' Joel a indicarti i passi giusti da compiere, è sempre lui a spingerti a sedere ai piedi del materasso in cui non riesci mai a dormire.  E' Joel a spogliarti. Ti sfila la t-shirt nera con gentilezza, nonostante il climax pesante tra di voi. Tu gli porgi il viso in avanti, corrugando le sopracciglia quasi fossi dispiaciuto. Non sei più il giovane e bel ragazzo che vorresti per Joel. Sei cambiato Bradley, hai il volto stanco e scavato, la gioventù fresca è stata offuscata dalla barba scura, ed il corpo ti si è snellito, accentuando di più la muscolatura pallida. Le tue cicatrici bianche sembrano brillare come il metallo argenteo. Ricordi la storia di ognuna di esse, da quelle lasciate dalle lame, alle fiamme, alle pugnalate e ai morsi. E poi ti senti talmente umiliato, sospiri tremando; la cornice del braccio che comprende anche la spalla è rimasta arrossata dalle cicatrici più violente. Hanno uno spessore rilevante, sono rialzate e credi che avranno per sempre, ormai, quella tonalità rosea che le fa sembrare ancora non rimarginate.  Lunghi e profondi graffi rigano quella parte esterna del braccio.

«Vai bene anche così.» dice Joel come se ti avesse letto nel pensiero. Ti lascia sorpreso mentre ripensi velocemente a tutte le volte in cui durante la tua ricaduta hai tentato di riaprire certe cicatrici, ferendoti fino in profondità con le unghie. Alcune ti si erano persino staccate. Abbassi lo sguardo e ti mostri vulnerabile. Joel parla ancora una volta, tiene entrambe le tue mani tra le sue; «Neanche tutto questo dolore ti ha scalfito.»

La tua mano ferita viene posata da Joel sul petto bellissimo. Ti stringe il polso gelido mentre respira a fondo come se avesse uno stetoscopio sulla pelle. Ha ancora indosso la maglia ma è di un tessuto abbastanza sottile da fargli percepire la pesantezza del tuo tocco. Tu lo fissi con agitazione, lottando contro l'istinto di ritrarti e toccarlo con la parte vera e buona di te. Joel non merita il tuo arto in cancrena puntato contro il cuore, ed hai ragione Bradley. 

Lui non sembra pensarla come te. E' quasi assuefatto dal tuo palmo ampio su di lui.

«Riesci a sentirlo?» ti chiede con un filo di voce. 

Joel è in piedi di fronte a te tra le tue gambe divaricate. E' ingobbito per chinarsi più vicino all'altezza della tua visuale. Trovi piacevole l'odore leggero del suo respiro. Capisci che Joel si riferisce ai battiti del suo cuore. Tu serri gli occhi e provi a concentrarti essendo tristemente cosciente del fatto che non sarai mai capace di percepire le pulsazioni di quell'amato organo con sentimenti di dolcezza. Il tuo braccio ovatta ogni sensazione. Scrolli il capo, nervoso. Non riesci davvero a percepire nulla.

«Joel, mi dispiace...» mormori ritraendo il braccio. Il tuo interlocutore, ostinato e quasi arrabbiato, non ti lascia andare e riporta la tua mano su di sé.

«Sta più attento.» Joel ritenta. Ti sprona e allora tu gli dai una possibilità. Stai al suo gioco, e con un sorriso lieve e volutamente spiritoso condividi il silenzio con lui e fingi concentrazione. All'improvviso un rimbombo sbatte sulla conca del tuo palmo. Per lo spavento inaspettato sobbalzi e richiudi le dita. La risata di Joel ti da parecchie spiegazioni, ma tu ancora rimani incredulo.

Dischiudi le labbra e ti avvicini al busto di Joel, quasi ti sentissi pazzo.

Trattieni il fiato e lo percepisci ancora.

 

TUM TUM...TUM TUM...TUM TUM...

 

Il rumore è molto più nitido, lo senti percorrere tutto il braccio fino ad arrivarti sotto la pelle cicatrizzata. Non è possibile, non è reale. Joel si porta quella stessa mano gelida sul viso attraente e lascia che le tue dita gonfie lo accarezzino delicatamente. Assopito sulla sua espressione estasiata senti nuovamente il vigore crescere tra le tue gambe. Oseresti massaggiare l'erezione evidente di Joel all'altezza del tuo petto, ma esiti credendo che sia una mossa troppo avventata. Niente paura, all'erotismo ci pensa Joel. Fa insinuare l'indice ricoperto di escoriazioni tra le sue labbra, battendo con un rumore squillante i denti sulle falagi, simulando un morso. Ti si accappona ogni millimetro di pelle Bradley. Infili il tuo dito fino in fondo alla gola di Joel. Lo succhia e lo stringe con la cavità orale, e come se tu avessi una nuova pelle, senti vivamente la lingua di Joel leccarti e massaggiarti. La gola gli si stringe, è come se fossi all'interno di un sesso femminile. E' tutto così umido e caldo...

Hai per caso acquistato un nuovo senso del tatto?

Le ciglia di Joel sono lunghe, è talmente bello in volto che non hai più respiri per contemplarlo. 

La simulazione dell'affellatio sul tuo dito è breve, lui sa cosa fare. Come prima cosa si spoglia anche lui della maglia e noti per la prima volta che la peluria scura gli ricopre il petto tra i tatuaggi. Dannati pantaloni, pensi, si stanno facendo troppo stretti.

Joel si inginocchia continuando a guardarti con bramosia e seduzione. Farà di te ciò che vuole, e tu non vedi l'ora. Lasci che ti sfili quei maledetti pantaloni portando via anche l'intimo. Te li toglie dalle caviglie e li appallottola, gettandoli distanti. Sorridete insieme, tutto sembra normale e vero. Abbassi la visuale e con estrema eccitazione ti delizi gli occhi con Joel in basso a te. Le sue forti mani si posato all'interno delle tue cosce, allargandole. Ti sorreggi con il braccio destro sul materasso certo che non ti stancherai facilmente di quella posizione. Joel respira piano sulla pelle che ancora riveste il tuo sesso eretto, e con impressionante delicatezza usa il pugno chiuso per massaggiarti il membro. 

Gemi; ti senti già al limite della sopportazione.

Ti contorci e ti irrigidisci, fuori di te. Joel ti sta solamente appoggiando le labbra sul glande e tu senti di morire. Scatti in avanti e ti sporgi verso di lui. Gli accarezzi il viso con la mano sinistra e lo guardi per la millesima volta negli occhi. Un silenzio complice ed erotico precede la voce di Joel. Il tuo petto si alza e si abbassa comandato dai respiri affannati.

«Dì il mio nome quando la mia umidità stringe il tuo vigore.» senti dire a Joel. Quella frase suscita in te piacere anche senza ricevere stimolazioni fisiche.

Afferri con forza le guance di Joel tra le dita e ti pieghi tutto in avanti fino a baciarlo sulla bocca. Lo ami con la violenza selvaggia, la fragilità più pura, la disperazione immonda e la tenerezza infantile. Ti concedi a lui e al piacere nel tuo corpo. Altro paradiso non esiste quando si parla della lingua di Joel che si posa insopportabilmente e con provocatoria lentezza sulla superficie fisica dei tuoi orgasmi. Le melodie più belle che il genere umano possa mai ascoltare le conosci solo tu quando le canti all'impazzata con Joel tra le tue gambe. Lui un maestro e tu l'orchestra intera di gemiti intonati. Dopo averti tormentato con l'umidità della punta della sua lingua, sfinendoti, finalmente lascia che tutta la tua lunghezza venga stretta dalla sua gola. Joel ti assaggia nella tua rosea parte più sensibile, e ciò gli lascia in bocca un sapore piacevolmente salato. Proprio quel gusto sulla lingua gli regala volontariamente un senso di potere nel causarti godimento, da essere esso stesso la causa del suo personale piacere. 

Gli prendi i capelli lunghi e morbidi, chiami davvero il suo nome e stringi le dita dei piedi perché senti che ormai verrai tremendamente. Non vuoi che lui si sposti, e nemmeno lui vuole allontanarsi. Accompagni con la mano la sua testa a muoversi su e giù sempre più veloce, e la tua virilità sempre più affondo nella sua bocca. La tua polpa dolciastra, infine, gli scivola in gola calda, con le pulsazioni del tuo orgasmo che gli battono sulla lingua. Quasi arrivi a sentirti potente come Cleopatra, e dolce come il più amato degli amanti.

Avevi la testa all'indietro, adesso ritorni a rilassare la nervatura ed i muscoli. Joel non ti sta più ingoiando, però è ancora inginocchiato in terra tra le tue ginocchia. Riapri gli occhi e impietrisci.

«Sei bellissimo.» gli dici con un filo di voce. Stai per piangere ma non vuoi spaventare Joel.

Ora le sue braccia sono sparite, sostituite da due moncherini sopra il gomito. Il suo viso è sempre lo stesso, ma liscio e ben colorito. E' come una trasfigurazione di te stesso, è lo stesso Joel con cui hai provato per la prima volta quegli spettacolari orgasmi ma senza gli arti. E' il giovane Joel di cui ti sei innamorato, la persona più importante della tua vita.

Si alza in piedi; è slanciato, la sua presenza pare gigantesca. Le spalle sono ossute e spigolose eppure sembra che siano ampie il doppio delle tue.

Bradley hai il respiro corto, allarghi le braccia e lo accogli sul tuo petto nudo. Cingi i suoi fianchi con i gomiti e poggi il viso sul suo sterno tatuato.

 

Chiudi ancora una volta gli occhi....

 

La viscosità della saliva calda di Joel ti riempie la bocca. I suoi denti bianchi afferrano le tue labbra secche, sollecitando senza pietà il desiderio ancora ardente. Aver gli occhi chiusi nel frangente di quel lungo bacio è come inoltrarsi in un'esperienza extracorporea. Hai affidato il tuo piacere fisico e spirituale ai gesti di Joel, Bradley, come credevi di riuscire a disintossicarti da lui?

Sollevi le palpebre: ora Joel ha di nuovo entrambe le sue braccia piene di disegni ad inchiostro. Sei un po' deluso, ma comunque innamorato.

Gli fai capire che adesso sei con tutto te stesso alla sua mercé. Joel è attento, recepisce i tuoi pensieri muti attraverso i gesti.

Ti spinge a sdraiarti con la schiena al letto spingendosi sopra di te. Strisciate insieme più in alto, raggiungendo con la testa la spalliera. I vostri baci sono intensi ed esagerati, si spostano al collo e al pomo d'Adamo, di sicuro vi lascerete dei segni violacei. Sfili con foga i pantaloni a Joel, e non trattieni un forte gemito quando il suo sesso nudo finalmente tocca il tuo.

Al buio ti senti spaesato, e le lenzuola le calci via perché addosso vuoi solo il peso e la pelle di Joel. Le sue rotule sbattono con la loro durezza ossea contro il letto troppo rigido e troppo poco comodo all'esigenza qui descritta. La schiena inarcata, sintomo di un piacere particolarmente minuzioso. L'attrito tra le articolazioni e il materasso crea addirittura una nuova formula fisica.

Porti le gambe sulle sue spalle, Bradley, e vedi meglio quello spettacolo degno di un Caravaggio. Lui è incollato a te, petto contro petto. Non ti basta sentirlo dentro, è necessario che tu lo veda, proprio Joel. La peluria inguinale scura risale quasi con superbia da quell'angolo di intimità nascosta dentro te, e quindi invisibile agli occhi. Tu ansimi; hai le sue mani che ti immobilizzano i polsi in alto.

Lo senti, non è così?

Ti sei già liberato da ciò che Joel brama nel suo concerto di movimenti decisi e via via sempre più veloci. E lo capisci, proprio così, dalle pareti del tuo interno, dalle tue cellule che ormai hanno inghiottito l'organismo di Joel che lui sta per giungere alla fine della corsa.

Guardi il tuo corpo allo specchio grande al lato del letto e non riesci a capire se in quell'istante ti ecciti di più la fisionomia bellissima di Joel o la sinuosità che la tua figura ha assunto nell'essersi donata a lui.

E' maggiormente erotico Joel che penetra Bradley o Bradley che lo accoglie?

Difficile è in quel momento anche far combaciare amore e trasgressione. Joel però con stupore è pieno di iniziativa, senza ristrettezze e ricco di risorse.

Volti il capo e lui subito vi si poggia con il viso barbuto e affaticato, quasi come se lo stessi accarezzando in tutto il corpo con la guancia, ad occhi semichiusi.

«Ti amo.» gli bisbigli quindi all'orecchio per ricordargli la sensazione che poco prima ti ha dato baciandoti e respirandoti in quel punto sensibile ancora in erezione. Joel ti prende il collo con la mano e risponde che sì, anche lui ti ama. Subito dopo sei consapevole del fatto che Joel deve venire, ormai non ce la fa più. Avverti che sta per riversarsi con tutto il suo candore da strappargli i tendini, grazie all'effetto del tuo corpo.

Coraggio, anche tu non vedi l'ora che si liberi, che diventi tutte le galassie nello spazio, e i magma bollenti nel nucleo terrestre. Si trasformerà in scarabeo e lince, da dolce anguria in gustosa castagna, sarà tutto tuo, completamente tuo, voce del mondo intero. Proprio quando capisci che Joel sarà orgasmo puro da mangiarsi le labbra attui la tua combinazione di erotismo e amore.

«Afferrami più forte Joel» gli dici accentuando la cadenza sul suo nome «spingi ancora, di più.»

A suon di reni che muovono la parte bassa del corpo di Joel lui ti afferra con le unghie il sedere sollevandoti dal materasso, e tu vorresti che esagerasse, che non smettesse mai più di fermarsi, che arrivasse fino in fondo…

Un gemito sbocciato dalla gola lascia a Joel la forza di muoversi in avanti due o tre volte al massimo, in modo assestato per soddisfare quell'ultima parte dell'orgasmo lasciato in custodia a te. Si accascia su di te in un abbraccio da far piangere. Cerchi le sue labbra mentre gli sfiori la schiena ed il suo respiro affannato ti solletica un'orecchio.

Joel schiarisce la voce, sta per dirti qualcosa di davvero importante.

Apri gli occhi ancora Bradley…

 

Ti svegli di soppiatto sudato, nel bel mezzo della notte. Sei seduto sul pavimento del soggiorno, solamente un lenzuolo copre le tue gambe. Il petto nudo e sudato vorresti graffiartelo per il caldo, abbassi lo sguardo verso l'inguine e noti che i tuoi boxer scuri sono umidi e macchiati di sperma.

Non piangere Bradley, non questa volta almeno.

Ti prendi la testa tra le mani e poggi i gomiti sulle ginocchia.

Vorresti tanto guardare Joel negli occhi, lo vorresti davvero lì al tuo fianco nella penombra mentre sono le due e un quarto di notte e la sensazione di faticoso piacere dipinto sulla fronte fosse motivato da qualcosa di più, da quel qualcosa che hai appena sognato.

Invece Joel ti ha lasciato ormai, mentre tu lo pensi incessantemente e ti concedi al piacere facendo l'amore con i tuoi sogni. Questa sembrerebbe pura e perversa fantasia, quella di un povero innamorato che muore di sesso. Bradley che ama follemente Joel.

 

Erotico.

 

Quale dolce suono accompagna questo vocabolo che si cristallizza nei tuoi respiri tenui? Proprio tu Bradley che delle volte ti sei proiettato nei loschi pensieri peccaminosi cedendo al piacere di te stesso. Un po' per solitudine, un po' per istinto. Tutto questo per colpa della mancanza del tuo puro amore.

Spaesato da questo nuovo e incredibile sogno cerchi furiosamente il piccolo quaderno dalla copertina rossa che Joel ti ha lasciato come sua unica eredità. Era suo, aveva disegnato tutti i ritratti tuoi. Custodisci le pagine in cui ha scritto titoli di canzoni e appunti come se fossero una reliquia. Non appena trovi il piccolo oggetto un po' malandato di fianco a te ti affretti ad aprirlo ed impugnare una penna nera che hai masticato dal nervoso. Tremi mentre annoti quelle parole sghembe, ancora ripensi al calore del fiato di Joel dentro ai tuoi timpani.

"Ti ho sognato un'altra volta" scrivi "Provi ancora ad attenuare i miei incubi anche se non sei più in questa casa. Non riesco a dimenticarti, mi manchi più di ogni altra cosa Joel. Ho davvero bisogno di te."

Ti mordi il labbro e lasci ricadere il quaderno tra le tue gambe. Trattieni un singhiozzo con scarsi risultati, per non lasciarla vinta alle lacrime prima che cadano strofini le palpebre con le dita di carne sana.

Nemmeno stanotte riuscirai a dormire.

Ripensi alle parole di Leif: «Joel tornerà.»

Annuisci sempre quando l'amico ti ricorda la remota possibilità. La cosa ti darebbe pace se solo non sapessi quante occasioni avete sprecato a non fare l'amore. In questa vita hai avuto troppi pochi suoi baci ed esagerato dolore.

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


Era stata la giornata più bella della sua vita. Il miglior ricordo che Bradley possedesse. Perchè certe cose belle vengono alla mente in momenti tristi, peggiorando così tutto il resto?

Tra le braccia di Leif l'unica cosa a cui Bradley riusciva a pensare era il giorno più bello di sempre, quello trascorso assieme a Joel.

Era successo tutto nel periodo breve e felice in cui Joel aveva lanciato la sua promessa di consolazione. Bradley prendeva le sue medicine, le giornate erano fresche e i capelli lunghi. Un viaggio non molto lontano in una città vicina, forse nemmeno poteva chiamarsi viaggio qualche ora di macchina, piuttosto un'avventura. Era un evento in cui le casse rimbombavano di musica da ballare, un dj dirigeva il delirio sotto il sole cocente e colori a tempera piovevano sui corpi in movimento delle numerosissime persone. 

Bradley non aveva mai visto una cosa del genere, e per di più non ne aveva nemmeno sentito parlare. Joel gli aveva detto che era una giornata dedicata all'arte, in cui musica e colori animavano la festa.

Due ragazzi che si rincorrevano sfrecciarono accanto a Joel e Bradley rigandogli le magliette con una scia sottile di colore verde.  Non c'era una sola persona che non fosse ricoperta di tempera dalla testa ai piedi.

Quanta vita poteva ancora contenere Joel? Come faceva a sopportarla, a non straripare?

Per Bradley tutto quello era impensabile, oltre a qualche distrazione ogni tanto non era mai stato testimone di una simile vitalità. Joel era quella parte desiderata di sopravvivenza che Bradley non riusciva a tenere viva, anzi, che la malattia ammazzava. 

Joel si impadronì di una bottiglia di colore rosso, lasciata in fila assieme ad altre su di una specie di tavolino sbilenco, verniciato da mille chiazze e gocce di colore. Inaspettatamente attaccò Bradley con l'entusiasmo di un bambino. Si riempì una mano di fresco colore e pasticciò il viso barbuto e ruvido di Bradley, che si trovò tracce di rosso fino alle orecchie.

Entrambi scoppiarono a ridere, specialmente Bradley che, sentendosi quasi tradito, guardò Joel con la bocca spalancata in una smorfia di pura contentezza.

Joel si leccò le labbra e ripartì all'attacco, stappando la bottiglia così da lanciare con un colpo secco del braccio una grossa quantità di liquido tutto addosso a Bradley. Da quell'altro attacco anche Bradley si munì di colore (azzurro), proseguendo un gioco identico a quello di tutti gli altri partecipanti lì presenti a far numero, ma singolo, soltanto suo e di Joel.

I capelli, le ciglia, il mento, le spalle, i vestiti, le scarpe, la schiena, il nervo scherzoso, l'unghia rotta. Tutto era stato coperto di colore.

«Conciati in questo modo dove pensi di andare?» domandò Bradley, sedutosi all'ombra di un albero dopo aver ballato vicino alle casse assieme a Joel.

Le tempere si erano indurite nei loro capelli, che presero quasi la forma del marmo delle statue di Michelangelo. Erano un disastro sporco e ridicolo, ma nell'insieme bello a vedersi.

«Andiamo a pranzare in un fast food e dopo corriamo al mare.» gli rispose Joel, i suoi tatuaggi erano stati ricoperti dai colori.

«Sei serio?» sbottò Bradley pieno di entusiasmo.

«Naturalmente!»

Gli occhi curiosi e straniti delle persone parvero aumentare lo strato di colore sulla pelle dei due. Seguirono quei progetti stilati con enfasi, riempiendosi lo stomaco con un sostanzioso pasto e correndo in spiaggia, non molto distante dal punto in cui avevano sostato.

Il molo eretto sulla spiaggia era molto alto, in alcune parti sporgeva su degli scogli visibili grazie all'acqua cristallina.

Faceva un caldo tremendo, e il sole rendeva le loro teste bollenti.

Joel si sporse sulla ringhiera per scrutare meglio il fondale. Bradley lo guardò con curiosità, cercando la stessa direzione del ragazzo tatuato.

«Tuffati con me.» gli disse Joel.

«Da qui?» Bradley aggrottò la fronte.

«Basta arrivare con i piedi uniti, non ci faremo male.»

«Io mi fido.» Bradley gli sorrise. Joel sentì una scarica elettrica al petto.

«Allora osiamo.»

Abbandonando le magliette per terra, ormai rovinate dalla pittura, si sfilarono persino i pantaloni e tennero l'equilibrio per reggersi in piedi sul corrimano del molo. Già pieni di risa, si guardarono velocemente negli occhi, gettandosi nella corrente quieta nello stesso attimo.

Il rumore dell'acqua era impossibile descriverlo a parole, Bradley e Joel sentirono un freddo improvviso, alleviato immediatamente dal sole che li riscaldò una volta riemersi. E i baci nel mare, cosa di cui non si riesce a parlare. Il fondale lontano dai piedi che si dibattono per fluttuare nel rumore delle onde, gocce che scivolano sui visi e poi le bocche e le lingue che hanno il sapore della salsedine. Intorno a loro, abbracciati, si creò una chiazza di colore disciolto.

Sdraiati al sole Joel e Bradley riportarono sui corpi i segni ancora visibili dei colori più consistenti. Bradley non diede troppo peso al fatto di aver il braccio sinistro scoperto. Sulla pelle si confondevano i veri lividi e le vere ferite tra quelli falsi creati dalla sporcizia della pittura.

Con le mani indurite dal colore, tempere miste sulla pelle secca, ascoltavano la stessa musica, quella delle onde, e quelle dita ruvide per l'arte si accarezzavano con riservato sentimento.

Felice, Bradley guardò il profilo bellissimo di Joel, i suoi occhi perseguivano una velocità ipnotica. Bradley pensò che per Joel tutti i suoi dolori potevano essere sopportati.

Joel, un solo battito di ciglia.

 

Però tutto era finito nel fallimento. Bradley ricordava quel bellissimo giorno tra le lacrime e la solitudine. Aveva fallito, lo faceva sempre.

Ciò che sentiva in quel momento, che gli stava rivoltando le interiora, era il dolore più grande del mondo. Bradley ne fu terrorizzato, non credeva che si potesse provare una simile sensazione in vita sua. Amare era decisamente tremendo. Ma non poteva smettere di farlo, ormai era contro la sua volontà, come la malattia. Non riuscì a ricordare un dolore fisico da paragonare a quell'emozione di pieno cordoglio che lo stava piegando sempre più su se stesso.

Le braccia di Leif erano un dolce narcotico, ma non abbastanza forte. Soltanto quelle di Joel sarebbero state in grado di far qualcosa. Gli mancavano le sue attenzioni e le sue carezze, la sua voce ed il suo odore. Voleva baciarlo, toccargli i capelli, leccarlo, morderlo, fotterlo, abbracciarlo; improvvisamente tutto ciò che avevano fatto assieme si riversò sul pensiero di Bradley e sulla sua nostalgia. Joel lo aveva lasciato da poco più di due settimane e già Bradley non aveva più nessuna forza per andare avanti.

Avrebbe voluto piangere sopra Joel e ripetergli "ti amo" fino a rimanere senza voce.

 

Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.

Continua fino a quando non finisce il foglio, e poi ricomincia con un altro, ancora, una pila intera di carta.

Leif lo strinse con forza esagerata al proprio petto, poggiandogli una mano dietro il capo rasato.

«Non fare così, sono certo che Joel ha soltanto bisogno di tempo. Lui ti ama, lo si capisce da miglia di distanza.» l'amico tentò di consolarlo.

Bradley si portò una mano alla bocca emettendo un singhiozzo violento. Trasse abbastanza ossigeno da poter sibilare una debolissima risposta:

«Non ne sono così sicuro adesso.»

Leif gli baciò la fronte.

«Dai retta a me, fidati.» disse a Bradley cercando di sorridere.

«Io mi fidavo solamente di lui. È lui la mia fiducia, è lui tutte le mie lacrime, e le mie gioie, e le mie canzoni.»

Leif sospirò, scrollando poco il capo. Seduti sul divano, Bradley sembrava un bambino rannicchiato nella protezione di Leif.

«Joel è ancora tutte queste cose. Le canzoni non si dimenticano, le lacrime cadono sempre e le gioie arrivano quando meno te lo aspetti. Bradley stammi a sentire, lascia che anche lui si riprenda.»

Leif aveva riferito Delilah di quello che era successo. Lui pensava a consolare Bradley ed accertarsi che non facesse scherzi con il suo difetto della malattia, mentre Delilah avrebbe cercato di parlare con Joel.

 

Quando la donna suonò all'appartamento di Sam Joel aveva un aspetto orribile.

Si salutarono abbracciandosi con il sorriso di due amici che nonostante il tempo ed i cambiamenti tornano sempre ad essere quei ragazzini conosciutisi a scuola.

«Cos'è successo Joy?» domandò lei, porgendosi a consolare Joel con una stretta alla spalla. Lui sospirò, abbassando il capo.

«Voglio che Bradley capisca quanto sia grave la situazione. La mia decisione mi fa soffrire da morire, ma è l'unica cosa a cui ho pensato per dare una svolta definitiva a questa storia. Bradley deve capire: o reagisce e sceglie me, o si arrende e decide la malattia .»

«Non credi di essere stato troppo duro con lui e con te stesso?» Delilah corrugò le sopracciglia. In fondo non riuscì a dar torto a Joel, chiunque nella sua situazione sarebbe arrivato a quel punto.

«Sì, e so di aver esagerato. Però era una cosa che pensavo di fare da un po', e credimi Delilah quando ti dico che mi sono sentito morire nel vederlo tagliarsi davanti ai miei occhi. Come ha potuto fare una cosa del genere? Come?» gli occhi di Joel erano rossi per colpa delle lacrime trattenute.

«Se soffriamo per lui io e Leif che gli vogliamo bene non oso nemmeno immaginare come ti senta tu che lo ami.» Delilah si morse il labbro, angosciosa.

«Mi dai torto?» le domandò.

«Forse. Però non perderlo di vista, ti sei reso conto di quanto può essere pericoloso per se stesso quando è da solo.»

 

Leif quella notte dormì da Bradley, ma già dalla mattina seguente il ragazzo non voleva più averlo tra i piedi. Come dargli torto? 

Leif cercò di insistere ancora una volta, ma alla fine ascoltò la richiesta di Bradley. Lui voleva stare da solo e piangere per se stesso senza altre consolazioni.

Quello fu il danno.

Il corpo umano possiede dai 4,5 a 5,5 litri di sangue, eppure sembrano almeno il doppio di più quando iniziano a sgorgare.

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 33 ***


 

Melodrama era l'album di canzoni cantate da Lorde. I brani erano dodici, e Bradley e Joel sapevano a memoria ognuno dei testi. Specialmente Bradley che, dopo essere stato al concerto della suddetta cantante, aveva iniziato ad ascoltare la sua musica. Bradley però era da solo l'ultima volta che lasciò partire la riproduzione casuale di Lorde. Joel non c'era da quindici giorni e la casa era estremamente vuota. Se non fosse stato per il maestoso pappagallo dalle piume scure Bradley avrebbe tenuto il silenzio per infinite ore, uscendo ancor di più fuori di testa. Avrebbe voluto bruciare tutti i libri sulle mensole, quelli in cui lui e Joel avevano attaccato un post it sulla prima pagina scrivendo una frase adatta alla determinata storia.

"È sottile il filo conduttore che unisce amore e malattia" era spettato a Lolita di Vladimir Nabokov. 

"E nei miei progetti, tu e il mare" per Chiamami col tuo nome di André Aciman.

Camere separate di Pier Vittorio Tondelli era il loro preferito, tanto che era bastato solo scrivere un introduzione "con questo io ti spiego amore:"

Ed il piccolo libro su Frida Kahlo -¡Viva la vida!- teneva l'espressione migliore dell'anima di Joel: "Vita, eccoti. Qualche fiore in testa e il sangue alle gambe".

Bradley voleva annullare tutto. I disegni sui fogli bianchi raccolti nei cassetti, i vestiti condivisi, le lenzuola che profumavano di creazione (quella di Joel), le foto nelle cornici, i regali, piccoli e semplici, dannatamente amati e odiati.

Poi però Bradley singhiozzava di colpo e capiva: nella sua testa sarebbe rimasto tutto invariato, nessun oggetto distrutto avrebbe cancellato il suo amore, il suo dolore.

 

Melodrama

 

Ad un certo punto Bradley non mise a ricaricare nemmeno il telefono, così da usare la batteria scarica come scusa per non ascoltare ancora quelle canzoni o ricevere telefonate dagli amici.

Moriva, ma non abbastanza. Perché era così attaccato alla sopravvivenza? Perché dopo tutto quel dolore alla mente, al braccio, ai sentimenti e alle paure, il suo organismo non cedeva in balìa della stanchezza?

Però per morire bisogna far fermare il cuore, e Bradley non poteva di certo spegnersi quando il suo organo gonfio e contratto continuava a reagire per inerzia del sentimento di Joel e per Joel. Ma amore non è possesso, né forzatura. È fatto di equilibrio e spazio, anche quando si ama senza ragionare, è indispensabile ma non preteso. Forse è un concetto troppo difficile da capire, ma Bradley non cercò mai Joel per chiedergli scusa, pregarlo o piangere anche solo per telefono, lo lasciò libero, così come si erano costruiti insieme. Liberi ma bisognosi per guarire, facendosi comunque male per la distanza.

Bradley pianse per tantissime cose, che però non includevano affatto la sua malattia. A quella nemmeno ci pensò.

Solo per poco tempo.

 

Bradley rise, sdraiato per terra, alzando il braccio sinistro verso l'alto per guardarsi meglio il dorso della mano. Indossava solamente degli shorts larghi e comodi, il petto nudo sudava lievemente per il nervosismo, mentre il collo era bagnato dalle lacrime che erano colate copiosamente lungo tutto il viso.

Sorrise con i denti bianchi e dritti in mostra, il viso contratto per una falsa contentezza, preludio di pazzia.

Con una ferita così grande che tatuaggio avrebbe escogitato Joel per segnare su se stesso quello sfregio?

Risa, tante ed incontrollate.

Che bellezza, quale meraviglia, sarebbe stato uno spettacolo. 

Il negozio di ferramenta non distava molto a piedi da casa di Joel, ed una sega circolare da impugnare bene con una mano costava quella cifra perfetta che Joel gli aveva lasciato in casa. Che lieto evento quello così vicino alle fantasie di Bradley, la scatola dell'oggetto era davvero pesante.

 

Adesso che avete letto la storia di Bradley fino a questo punto sapete quale pensiero scrivere sul post it da attaccare alla prima pagina?

Bradley sì, anzi, se Joel fosse stato con lui gli avrebbe chiesto di farsi tatuare quella frase.

Disintegrato dalla stanchezza, che prevale il dolore.

Tutto si poté dire a Bradley, tranne che fosse disorganizzato e frettoloso. Impaziente si, e anche tanto, ma fece le cose con una maestria impeccabile, di quelle che le persone applicano quando ci si prepara ad una cosa da tutta la vita.

Bradley decise di farlo in bagno, così da avere acqua corrente subito a disposizione. Distese un telo largo e candido per terra, sul quale prese posto, poggiando la schiena a muro.

Non poteva crederci che stava per farlo davvero, e amava ancora di più Joel perché lo aveva lasciato solo. Aveva capito, a Bradley serviva la solitudine per guarire da sé. Usò la cintura preferita di Joel come laccio emostatico, stretta fortissimo appena sotto la spalla, al limite del braccio. Scelse proprio quella per sentir più vicino il suo amore.

No, Joel non si sarebbe arrabbiato, pensò Bradley con ottimismo influenzato dalla sua estrema felicità ed euforia. La sega elettrica era davvero così bella e nuova, la lama brillava, inutilizzata, vergine solamente per lui.

La pena che uno spettatore estraneo avrebbe provato nel vedere quella reazione in Bradley poteva paragonarsi ad un profondissimo buco nel terreno per seppellirci il suo cadavere. Impugnando la sua arma tanto pericolosa, con un sorriso ironico Bradley ripensò a sua madre e a suo padre. Forse da guarito lo avrebbero cercato di nuovo, forse con la malattia venuta meno avrebbero potuto accettare il solo fatto che fosse gay. Quella era sempre stata la soluzione a tutto, l'amputazione, l'unica cura. Ogni cosa si sarebbe risolta, Bradley ne era certo, avrebbe riavuto l'affetto della sua famiglia, non avrebbe più deluso i suoi amici, sarebbe riuscito a recarsi alla tomba di Wolfgang dopo tutto quel tempo, e soprattutto ad riavere Joel.

Quel suo agognato obiettivo era così vicino che quasi non ci credeva.

Avviò lo strumento che iniziò ad azionare la velocità della lama laccata, con un rumore continuo simile ad un ronzio. Bradley si leccò il labbro, respirando rumorosamente con l'adrenalina iniettata negli occhi.

Sapeva perfettamente ciò che stava per fare. Alla fine di tutto, quando avrebbe spezzato l'osso si sarebbe affrettato immediatamente a chiamare i soccorsi, che si occupassero loro della ferita e tutto il resto, pensò. Tutti quei dottori che della sua vera cura non si erano mai premurati.

E il dolore?

Ecco, riguardo a quello Bradley era stato un'idiota. Doveva aspettarsi un dolore simile, imparagonabile a qualsiasi tipo di taglio, morso o scottatura.

Il bruciore alla pelle iniziò non appena la lama velocissima venne spinta contro la carne molla del braccio. Bradley strinse i denti e gemette trattenendo il respiro, non potendo però controllare il lamento graffiante in gola mano a mano che la profondità della ferita aumentava. E oltre a dover sopportare quel dolore dovette star anche attento al sangue che aveva iniziato a sgorgare. Bradley aveva l'obbligo di tener lucido il suo movimento fermo nel tentare almeno di amputarsi alla meglio.

C'era puzza di carne bruciata e sangue bollente tutto sul pavimento.

Bradley urlò, ma non troppo forte. Un ultimo sforzo e poi tutto sarebbe finito, solo l'osso, doveva romperlo con un colpo secco, qualche manciata di coraggio in più. Usò più forza per tentare di non svenire che per terminare quel suo intervento. Il rumore dell'omero segato in due metà frantumate fu sordo e pungente, da lì una forte pressione al sottile lembo di pelle macellata rimasta ancora attaccata al suo corpo. Un gesto fugace Bradley ormai non poté più resistere al dolore insopportabile. Il peso dell'altro morto fece in modo di strappare i tendini rimasti.

Il suo fardello cadde per terra, sfiorandogli una gamba.

Bradley era guarito, però sanguinava. E sudava.

Gemeva, non riusciva a respirare. Gli formicolava ciò che rimaneva della sua carne, pulsava, bruciava, faceva tantissimo male. Somigliava ad un cumulo di carne macinata che si trovava al supermercato, ma ancora immersa nel lucido sangue. E quella era soltanto la parte di ferita meno impressionante, frammenti di ossa erano incastrati nel muscolo e la parte insanguinata dell'omero sporgente si presentava scanalata per la violenza con cui il seghetto l'aveva spezzata.

Impressionante altrettanto era quel braccio pieno di ferite immobile, morto. Il tatuaggio della stella rossa era stato diviso in due metà; la parte superiore era ancora sul corpo di Bradley, quella inferiore era stata assassinata assieme all'arto amputato.

Quante angherie aveva inflitto a quel braccio. Però la colpa era stata tutta della malattia, si meritava ogni ferita.

Bradley poggiò la testa al muro e respirò ancora, per calmarsi, inutilmente. Eccome se gli faceva male, la cinghia troppo stretta sotto la spalla, zuppa di sangue. Era su ogni angolo del telo da bagno, del pavimento, sul muro, ovunque. Continuava a piovere senza trovare sosta. Bradley iniziò ad aver paura, perché non riuscì a gestire tutto quel dolore. Più di tutti aveva bisogno di Joel. Amore torna e fa qualcosa, mi sento così solo, pensò.

Spiragli di lucidità e oblii di pazzia gli lampeggiavano davanti agli occhi come quando guardi il sole ed abbassi di colpo le palpebre, immergendoti in un buio fatto di lampi viola e rossi.

Bradley iniziò a tremare, moriva di freddo ma allo stesso tempo sudava. Uno spasmo veloce al labbro lo aiutò a renderlo ancora più violaceo; Bradley era pallido, sporco di sangue e senza un braccio.

Cercò di allungarsi per prendere il telefono e chiamare i soccorsi, come aveva pianificato, ma il suo cellulare scarico si era spento e la linea fissa che avrebbe potuto usare si vide irraggiungibile per via della sua debolezza.

E nel frattempo erano passati giorni da quando non vedeva Joel. L’unica sua speranza di sopravvivere erano Leif e Delilah, ma come avrebbero fatto ad arrivare in tempo?

Il telefono di casa poggiato sopra il lavandino continuava a squillare, probabilmente a chiamarlo con insistenza e preoccupazione erano gli amici. Bradley tentò ancora di allungare il braccio destro verso l'alto, ma la vista gli si annebbiava ad ogni vano sforzo e i muscoli tremavano orribilmente.

Sarà stata la forza delle loro anime, ormai sciolte in un'ampolla figurativa che soltanto i loro occhi e le loro bocche potevano idealizzare, a far intervenire il caso. Questo difatti volle che Joel tornasse a casa per prendere altri vestiti e, con la scusa, di vedere Bradley e magari trovare un punto di incontro per parlare meglio. Il destino capriccioso decretò che fosse Joel a trovarlo in quello stato soltanto un quarto d'ora dopo il terribile gesto.

Joel avrebbe salvato la vita di Bradley.

 

«Bradley?» Joel lo chiamò con voce rotta. La casa sembrava deserta; Spiritum gracchiò, dispiegando la cresta scura.

Joel camminò verso il corridoio guidandosi con una mano a sfiorare le pareti. Aveva una terribile sensazione, si respirava un'aria di astio e pesantezza.

Poi passò davanti alla porta del bagno, chiusa. La puzza del sangue stagnava in quella determinata zona dell'appartamento.

Joel non percepì nessun segnale che potesse farlo sospettare di qualcosa di tanto orribile, seguì il suo istinto che, contro la sua volontà, lo costrinse ad aprire la porta e guardare quell'oscenità.

Per poco non svenne. La testa di Joel girò vertiginosamente, ciò che provò non poteva nemmeno definirsi shock.

Bradley era seduto per terra, con le spalle al muro, abbandonato a se stesso privo di forze ma cosciente. Una grande asciugamano bianca era inzuppata di sangue, e su di essa il braccio sfregiato ed insensibile riposava morto, staccato dal corpo. La ferita di Bradley era stretta nella sua cinghia, ma il sangue continuava a colare e schizzare creando una pozza scura vicino al suo fianco.

Quando Bradley vide Joel sorrise, nel volto un'espressione così felice da ridargli colorito per un istante.

Joel, nel panico, si inginocchiò accanto al corpo di Bradley sporcandosi i pantaloni di sangue caldo. Le mani di Joel si agitarono sul viso e sulle spalle di Bradley. Lo toccarono, ma lo fecero così piano da non farsi sentire nemmeno.

Ansimando il ragazzo tatuato si sporse di più nel tentativo di far qualcosa o perlomeno di capire la gravità del tutto.

«L'hai fatto, l'hai fatto sul serio.» borbottò Joel, la voce non gli usciva nemmeno. Gli occhi enormi sul viso sereno e debole di Bradley. Lui gli sorrise ancora, socchiudendo le labbra. Guardò Joel con così tanta devozione e amore, sicuro di averlo con sé in quel momento che si sentì abbracciato tra le ali di un angelo. Era quello che aveva cercato da tutta una vita; niente braccio, libero dalla sua catena, con le mani del suo amore sulla pelle e gli occhi colmi di serenità.

«Ho finalmente ucciso una parte di me per tenere vivo te.» disse Bradley assottigliando lo sguardo.

Joel imprecò diverse volte, guardandosi intorno per cercare qualcosa con cui tamponare la ferita estesa e sanguinolenta. Prese il telefono dalla tasca dei suoi pantaloni affrettandosi a comporre il numero di emergenza per chiamare i soccorsi. Sbottò al centralino la via in cui l'ambulanza doveva recarsi, le condizioni apparenti di Bradley e alcune suppliche che chiedevano di fare più in fretta possibile.

Il sangue che Joel aveva sulle dita sporcò lo schermo del cellulare.

Joel riagganciò, gettando l’apparecchio per terra.

Non riusciva a guardare il braccio lì abbandonato come se nulla fosse, anche se il suo sguardo pieno di orrore lo attirava con una sorta di curiosità spaventosa sempre lì. Solo a vederne la sagoma Joel si sentiva svenire.

Prese il capo di Bradley e lo spinse contro il suo petto, poggiando le labbra sul suo capo ispido e rasato. Bradley usò il braccio rimasto per avvinghiarsi alla sua schiena e sorreggersi con il pugno nella maglia profumata di Joel.

«Non avrei dovuto lasciarti da solo, è tutta colpa mia.» Joel pianse, soffocandosi nella presenza di Bradley.

«No, in parte devo ringraziarti. Mi hai dato la possibilità di guarire.» sussurrò Bradley sorridendo ancora.

«Porca puttana Bradley, cazzo!» 

«Hai sempre lo stesso profumo. Avevo il terrore di dimenticarlo.»

«Non morire Bradley, non ti azzardare a morire.» Joel tremò, stringendo più forte Bradley per non lasciarlo andare in alcun modo. Con tutta quella forza nemmeno la sua anima avrebbe potuto liberarsi e abbandonare il corpo stremato. Però uno dei due sicuramente sarebbe morto, e questo qualcuno era Joel, per il senso di colpa.

«Ho sognato che facevamo l’amore.» Bradley iniziò a farfugliare con le labbra sul petto di Joel, teso dai singhiozzi «Ti ho sentito dentro che quasi crepavo.»

«Bradley resta qui con me, non chiudere gli occhi.» disse Joel nel pieno di un attacco di panico, con le lacrime sul viso ad annegarlo.

E Bradley rafforzò quel legame ma non la voce, che via via parve spegnersi; «Non ho paura di morire con te.»

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 34 ***


La camera d'ospedale assegnata a Bradley era la più bella che ci fosse in quella struttura brulicante di persone. Il motivo era Joel; aveva riempito le mura di fogli su cui erano disegnati centinaia di fiori, i regali che preferiva fare a Bradley. Non erano solamente neri, tutti di inchiostro, Joel continuava a lavorare anche quando tornava a casa e aveva a disposizione matite, tempere e pennarelli per crearne di ogni specie e colore. Doveva in qualche modo distrarsi dall'immagine orrenda che ormai si era incisa in quelle pareti un tempo sicure e familiari, si concentrava sui fiori per utilizzarli come simbolo di celebrazione e non come pegno da portare al cimitero. 

Joel era tornato ad abitare nel proprio appartamento, da solo. Bradley avrebbe passato ancora molto tempo in ospedale. Per fortuna con tutti quei disegni di fiori che invadevano la stanza immacolata Bradley manteneva l’umore alto, sentendosi come nel giardino di Monet. Ignorava persino alcune infermiere severe che riprendevano in continuazione il fioraio di carta, dicendogli di smetterla con tutta quella roba, ormai non c'era più su cui attaccarla.

«Lasciatelo stare. Sono bellissimi.» Bradley interveniva con calma serena, allora le critiche si ritiravano.

Joel rimaneva con l'amputato dall'inizio dell'orario di visita fino alla fine, continuando a raccontargli storie infinite sugli universi paralleli in cui vivevano lui e Bradley. Era un bel modo per evadere e scandire il tempo. Costruire quei racconti teneva la memoria di Joel lontana dal ritrovamento di Bradley in fin di vita. Bradley invece sorrideva per tutto il tempo, adorando la fantasia di Joel ed il modo in cui sviluppava quelle trame tutte diverse tra di loro. Amava il modo in cui Joel si impegnava ad intrattenerlo, era il suo libro ed il suo film preferito.

Certe sere Joel si nascondeva nel bagno della stanza di Bradley così da poter rimanere qualche ora in più con lui fino a che non scadevano i quindici minuti dopo la mezzanotte, e allora, come un delinquente, baciava Bradley sulle labbra e faceva di tutto per sgattaiolare fuori dalla struttura senza farsi beccare.

 

Ricordare quel giorno di orrore non era bello, ma inevitabile, tornava sempre a galla per trascinare Joel nell’abisso e annegarlo.

I soccorsi erano giunti quasi immediatamente ma Bradley aveva già perso i sensi tra le braccia di Joel, in stato di shock. 

L'intervento salvavita di Bradley era durato tante ore, catalogato come codice rosso. A dare sostegno a Joel nella sala d’attesa erano accorsi gli amici più cari. Leif non la smetteva di piangere, e quindi non fu di grande aiuto. Delilah restò tra le braccia di Bruno cercando di influire forza agli altri, ma il terrore nel suo sguardo vanificò ogni tentativo. Sam non si era separato dal fianco di Joel nemmeno per un attimo, aiutandolo a lavar via dalle mani il sangue secco di Bradley. Joel, povero, tremò per ore con le unghie annerite dal sangue difficile da scrostare. La sua maglia si era talmente inzuppata che il liquido viscoso e caldo diventò freddo invece che asciugarsi, facendo gelare Joel come fosse in ipotermia. Sam gli portò abiti di ricambio lavando lui stesso l’addome contratto di Joel. Ma la sensazione del sangue morto addosso lo perseguitò per giorni.

Alla fine Bradley aveva avuto ragione. La lacrima tatuata sotto l’occhio non era per l’omicidio delle paure di Joel ma per quello del braccio dell’amato. 

Il capo d’accusa sulle spalle tatuate di Joel rischiava di frattuargli le vertebre e le nervature dell’anima.

 

L’intervento era andato bene e a Bradley non restava che affrontare la lunga convalescenza raccomandata dai medici. Drenaggi alla ferita e medicazioni continue erano necessarie per la giusta guarigione da quel forte trauma fisico.

Non appena Bradley fu in grado di parlare, smaltendo gli effetti della morfina, uno psichiatra accompagnato da uno psicoterapeuta lo seguirono in un percorso di terapia. Non gli prescrissero nessun farmaco perché già dopo non molte sedute entrambi gli specialisti avevano riscontrato che lo stato psicologico e psichiatrico di Bradley era notevolmente migliorato. 

Bradley era più sereno, sintetizzando i referti psicologici addirittura “normale”. Lo si capiva dal viso, probabilmente Joel era stato il primo a rendersene conto; aveva l'espressione di qualcuno veramente felice. Da questa incontrollata contentezza Joel trovò il coraggio di non estinguere il suo amore, e di tornare ad amarlo come aveva fatto dall'inizio.

Joel aveva conosciuto Bradley da malato, ormai aveva appreso abbastanza da saper come approcciarsi nei suoi confronti e adesso che Bradley sembrava essere in qualche modo guarito Joel avrebbe dovuto abituarsi ad una persona nuova. Alcuna malattia, ferita e pianto potevano far arrendere Joel dal momento in cui amava Bradley. L'amore si spiega con difficoltà, per questo esiste l'arte. Quella di Frida Kahlo, di Francis Bacon, di Canova, e perché no, anche di Joel, che faceva semplicemente tatuaggi.

L'amore è un'esplosione nello spazio, fortissima, atomica, ma così lontana dalle forme di vita sulla terra che non si fa notare nemmeno.

Amore, per Bradley, aveva il suono del nome di Joel. Sarebbe potuto finire tutto, venire mille o uno soltanto, uomini e donne dopo di lui. Ma il primo sarebbe rimasto eternamente Joel.

Il suo nome era Amore.

 

«Dovremmo fare un funerale.» disse Joel arzillo, seduto ai piedi del letto di Bradley di fronte a lui.

«A chi?» domandò Bradley stranito.

«Al tuo braccio.»

«Spiegati meglio, lo sai che per capirti devo fare attenzione anche a come ti si illuminano gli occhi.» Bradley sorrise. Per Dio, quanto lo amava.

«Quando esci da questa camera di fiori e carta, senza i tubi nel braccio e con la cicatrice guarita, finiti gli antibiotici e tutto il resto, facciamo una veglia per dare l’ultimo saluto al tuo braccio. Lo diciamo a Delilah, Bruno, Leif, Sam, Peter, Nova, a chi vuoi. Diciamo addio e vaffanculo a quello stronzo.»

Entrambi sorrisero, l'idea era da matti ma geniale. Bradley adorava il modo in cui Joel lo assecondava non facendolo mai sentire dalla parte del torto.

 

Il percorso di ripresa fu lento e attenzionato minuziosamente. Quando i drenaggi furono tolti dal moncherino rimasto a Bradley fu opportuno prendere precauzioni per evitare infezioni di qualsiasi tipo. Dopodiché, quando su quel pezzetto di carne di forma ovale rimase solamente una bella garza bianca priva di macchie di sangue scuro Bradley poté ricominciare a camminare. Non che non l'avesse fatto fino a quel momento, ma i suoi percorsi erano stati brevi, e riprendere equilibrio in assenza del proprio arto fu un lavoro complicato ma per nulla sofferto. Bradley reagì benissimo alla mancata presenza del braccio, come se senza di esso ci fosse già nato.

Quando fu dimesso dal ricovero Joel dovette portare una cartella vuota dove riporre tutti i fiori che aveva appeso all’ospedale. I capelli di Bradley avevano ricominciato a crescere, nessuna medicina o mania li avrebbe cancellati ormai.

 

Quando finalmente Bradley tornò a casa, in quella di Joel in cui avevano convissuto, venne accolto dagli amici tutti. La festa era stata un’idea di Joel, sapeva che avrebbe reso Bradley felice come un bambino, e per lui fu un bene avere gente intorno per tenersi lontano dal silenzio spaventoso del ricordo del sangue.

Tutti vollero abbracciare Bradley ma nessuno si permise di stringerlo troppo forte, per paura di fargli male, non capendo che invece lui voleva finalmente essere afferrato con tutta la forza del mondo.

Nova fu l'eccezione. Abbracciò Bradley con tutta la propria magrezza debole, che si mostrò intensa come quella di un combattente.

«Adesso sei felice?» gli domandò lei, il mento poggiato sulla sua spalla destra.

«Sì, finalmente.»

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 35 ***


I festeggiamenti per le dimissioni di Bradley non perdurarono fino a tardi. Gli ospiti, commossi dalla gioia, rifiutarono l’invito di Joel a rimanere per la cena. Bradley aveva bisogno di riposare, gli amici più fidati avrebbero avuto altri centinaia di momenti simili in quel futuro prospero di buoni propositi.

Gli ultimi ad andare furono Delilah e Leif, Bradley li accompagnò alla porta. Delilah aveva alzato un po’ il gomito, come se ne avesse avuto bisogno per scaricare tutta la tensione accumulata fino a quel momento, e venne accompagnata giù per le scale da Bruno. Leif esitò. Guardò il volto di Bradley plumbeo e morbido. Non una ruga che lo facesse apparire insofferente, nei suoi occhi limpidi sfavillava una luce nuova. La sua malattia era evaporata come un frivolo incantesimo. Doveva davvero arrivare ad un punto tanto estremo per stare bene.

Leif prese il capo di Bradley tra le mani e gli stampò sulle labbra un bacio deciso, proseguendo sulle guance, nella punta del naso e sulla fronte. Bradley iniziò a ridere. Conosceva l’amico da anni e sapeva che il suo era semplicemente un modo espansivo per esprimere affetto e felicità, privo di qualsiasi malizia. Non era di certo la prima volta che Leif lo baciava anche solo per gioco.

Bradley, con un sorriso immenso, lo guardò gioioso come a dirgli eccomi, adesso mi vedi? Leif iniziò a piangere, proprio non poté trattenere la commozione. Lo abbracciò dal collo con delicatezza, stando sempre ben lontano dalla fasciatura dell'arto amputato.

«Promettimi che adesso vivrai la vita che hai sempre meritato.» gli disse Leif piangendo contro il suo collo. Bradley trattenne l’emozione accarezzandogli la schiena con la mano destra; «Certo Leif, te lo prometto.»

Joel alle sue spalle osservò la scena sorridendo. Aspettò che Bradley salutasse l’amico ancora una volta e poi, quando la porta fu chiusa, gli si avvicinò per baciarlo con dolcezza su una guancia.

«Non fargli prendere mai più uno spavento del genere, quel povero diavolo ne morirebbe.» Joel si recò verso il tavolo raccogliendo i bicchieri usati dagli ospiti. Non avrebbe mai potuto essere geloso del rapporto tra Bradley e Leif, in alcun modo. Bradley si piegò per terra per raccogliere un tovagliolo appallottolato, tenendosi in equilibrio con la spalla sinistra. Joel si precipitò da lui aiutandolo a rimettersi in piedi con cautela.

«Ehi cosa fai, niente sforzi. Torna a sedere coraggio.» lo rimproverò.

Bradley sbuffò con provocazione, chinandosi con un movimento veloce afferrando il batuffolo di carta bianca; «Sono stato a riposo abbastanza Joy.»

Joel lo ignorò volutamente mascherando lo sguardo severo in un’espressione sarcastica. Continuò a riordinare la cucina lavando le stoviglie che Bradley gli porgeva chiacchierando allegramente. Joel lo sentiva ma non riusciva ad ascoltarlo. Era molto stanco, emotivamente e fisicamente. Aveva continuato a lavorare assiduamente per coprire soprattutto le spese mediche di Bradley, e non c’era cosa peggiore per Joel di dedicarsi ai tatuaggi quando il suo umore non era dei migliori. La sua arte si chiudeva a riccio in un bozzolo impenetrabile ed era incredibilmente snervante mantenere la sua bravura nonostante l'ispirazione andata al diavolo. Quella festa di bentornato per Bradley era stata fantastica ma dopo tutto quel vociferare di persone desiderava disperatamente il silenzio per i suoi pensieri. Non aveva ancora metabolizzato cosa era successo -o meglio- cosa aveva fatto Bradley. Joel aveva combattuto il terrore di quei momenti disegnando maniacalmente fiori per Bradley nel tentativo di tenerlo vivo, per paura che si spegnesse ancora. Per Joel era inconcepibile che Bradley fosse riuscito ad amputarsi; un conto era pensarlo, immaginarlo, avrebbe accettato persino che fosse arrivato al punto di provarci, con la segha elettrica in mano e tutto il resto, ma Bradley non aveva avuto alcuna esitazione. Lo aveva fatto e basta. Mentre Joel pensava ai momenti di solitudine precedenti all’amputazione Bradley faceva apprezzamenti sul nuovo taglio di Delilah.

Joel fissava la schiuma bianca sui bicchieri, nelle sue mani si scioglieva per via dei movimenti irrequieti che la portavano a contatto con l’acqua. Per abitudine il suo sguardo ricadde sul polso alla ricerca dell’orologio.

«Dove avrò lasciato l’orologio?» più che una domanda a Bradley fu un pensiero espresso ad alta voce.

Bradley chinò il capo da un lato riflettendoci su; «Forse quando sei andato in bagno lo hai lasciato lì.»

Joel abbandonò il suo lavoro di pulizie asciugandosi le mani; «Hai ragione.»

«Vuoi che vada a prendertelo?» gli domandò con gentilezza Bradley.

Il tatuatore aveva già iniziato a dirigersi verso il bagno.

«No grazie, vado io.» gli rispose frettolosamente.

Aveva bisogno di restare da solo, tutto ad un tratto la realtà gli stava crollando addosso, ed anche se aveva vissuto con tutto se stesso la convalescenza di Bradley una parte di Joel lo aveva tenuto distaccato da certi eventi traumatici. Accettare che Bradley avesse fatto una cosa così violenta e dolorosa, e che fosse stato in grado di realizzarla grazie a lui, grazie a Joel che lo aveva abbandonato alla mercé del suo declino psicologico, ecco tutto ciò era inaccettabile. Sgattaiolò in bagno e chiuse la porta. Aprì il getto freddo del lavandino e raccolse nelle mani giunte a formare una conca l’acqua gelida. Si sciacquò due volte il viso e respirò dalla bocca. La barba rimase bagnata, il suo riflesso allo specchio somigliava ad un fantasma. Con le dita tremanti provò a raggiungere alla cieca l’orologio sul bordo del lavabo. Continuava a fissarsi allo specchio con un paio di occhi tanto accusatori che si immaginò impiccato pubblicamente. Era quello il processo che si meritava. 

E in quella stanza pulita e disinfettata, le piastrelle tanto lucide da potercisi specchiare, si ripeteva all’infinito il delitto crudele che aveva quasi portato via la vita di Bradley. Joel non riuscì più a respirare. Si graffiò il collo, la gola gli si era chiusa. Nelle sue narici sentì l’odore metallico del sangue, stagnato sul pavimento a litri. Ormai non c’era più traccia nemmeno di una sola goccia ma i suoi ricordi avevano memorizzato il fetore umido di tutto quel liquido organico.

Continuò a guardarsi allo specchio, concentrato sulla sua sagoma per non perdere il contatto con la realtà ma alla sue spalle vide il sangue grondare dalla parete, la stessa in cui Bradley aveva poggiato la schiena quasi privo di sensi, amputato. La nausea aumentò, un violento conato lo fece rimettere dentro al lavandino di ceramica. Si aggrappò ai bordi di questo mentre i tremori alle gambe gli resero difficile stare in piedi. Era da molto tempo che quella sensazione al cuore, come se gli stesse per esplodere nel petto, non lo reclamava. Bradley, allarmato dai versi di Joel, fece irruzione in bagno.

«Joel stai male?» gli domandò preoccupato appoggiandogli la mano sulla schiena ricurva. Joel aveva gli occhi fuori dalle orbite, un rivolo di saliva gli colava dal lato della bocca e le mani a correre senza controllo tra il petto e la gola.

Ansimò, emise dei gargarismi strozzati barcollando sul posto.

«N-non-» soffocando cercò di emettere un suono: «Non riesco a r-respirare» 

Bradley lo fece piegare verso il getto d’acqua e con la mano lo aiutò a bere. Joel tossì, ne spuntò un po’ per pulirsi la bocca ed ingoiò il resto. La trachea si rilassò e lui finalmente trasse un profondo respiro. 

Bradley lo avvolse con il braccio intorno alla vita, un fascio di nervi scossi dai brividi. 

«Vieni, devi sdraiarti. Te la senti?» Bradley lo aiutò ad adagiarsi al letto. Joel annuì più volte serrando le labbra per controllare l’aria nei suoi polmoni.

Bradley gli asciugò la fronte con un lembo delle lenzuola. Si sedette al suo fianco sul bordo del letto accarezzandogli il viso dolcemente.

«Hai avuto un attacco di panico.» constatò Bradley.

«Temo di sì.» sussurrò Joel.

Bradley si sollevò dal posto mettendosi più comodo. Era così preoccupato, poggiò il palmo aperto al centro del petto di Joel percependo il battito del suo cuore ancora molto accelerato.

«Come mai? Cosa ti turba?» provò a chiedergli in cerca di spiegazioni.

Joel si coprì il viso con l’interno del gomito e scoppiò in un pianto inconsolabile. Tutta la tensione e la paura che aveva tenuto dentro gli squarciò il corpo a metà; fu un’esplosione violentissima.

Bradley, disperato, provò a scoprirgli il volto, invano.

«Joel ti prego calmati, dimmi cos’hai.»

«Scusa Bradley, perdonami.» piagnucolò incomprensibilmente.

Bradley, confuso, esitò; «Perdonarti? Joel ti riferisci ancora alla storia del braccio? Ne abbiamo già parlato in ospedale, molte volte anche, non è di certo colpa tua.»

Joel scosse il capo sul cuscino bruscamente; «Ti ho lasciato da solo per settimane, avrei dovuto starti accanto e invece ti ho urlato contro e me ne sono andato.»

Con forza Bradley riuscì finalmente a toglierli il braccio dal viso. I singhiozzi di Joel sembravano davvero dolorosi.

«Quante volte ancora dobbiamo parlarne, credevo avessimo risolto.» disse Bradley in una supplica.

«No! No invece -Joel si mise a sedere- non riuscirò mai a perdonarmi. Sei quasi morto, e poi quello che hai fatto… Dio Bradley, il medico ha detto che il dolore sarà stato atroce! Hai fatto una cosa simile perché io ti ho fatto sentire solo al mondo, sono un vile!»

Bradley gli strinse un polso con la mano e lo guardò fisso negli occhi; «Guardami, porca puttana, adesso devi starmi bene a sentire.» mosse piano il moncherino, avanti e indietro come a mostrarglielo; «L’avrei fatto comunque prima o poi, anche se tu fossi stato qui, io avrei trovato il modo di tagliarmi quel maledetto braccio. Era soltanto questione di tempo.»

Joel scosse la testa piangendo; «Io non lo posso accettare.»

Bradley gli prese la nuca lo trattenne a se.

«Non sarò mai tanto pretenzioso da chiederti di accettare il mio gesto, sei sconvolto e sotto shock. Hai assistito a qualcosa che avrei dovuto risparmiarti in qualunque modo, sono io quello che deve domandare a te perdono»

«Bradley cazzo…»

«No Joel, fammi finire. Non è una cosa facile quella in cui ti ho trascinato, avresti dovuto capirlo sin dall’inizio, da quel giorno in cui sono entrato nel tuo negozio per la prima volta. So esattamente che per te è impossibile da credere ma sono uscito fuori da tutta quella merda che mi portavo appresso da anni, e per farlo ho dovuto davvero commettere una cosa terribile. Tu non devi pagare per le mie azioni, voglio che ti prenda il tuo tempo e pensi alla tua di salute ora. Intesi?»

Joel raggiunse la mano di Bradley con la sua;

«Ho bisogno di tempo Bradley.»

«Tutto quello che vorrai amore. Ci sei stato sempre per me, anche se credi di avermi abbandonato. Io ti starò accanto, te lo prometto.»

Joel aveva smesso di piangere, il suo corpo sembrava essersi rilassato e si abbandonò contro la fronte di Bradley.

«Ho avuto tanta paura di perderti.» gli confessò ad occhi chiusi.

Bradley gli prese il mento con il pollice e lo divorò con gli occhi lucidi dalla commozione; «Ho lottato per restare. Non ti avrei mai dato un dolore tanto grande.»

La tensione tra i loro respiri fece vibrare l’aria. Joel, bisognoso di un contatto, si spinse sinuosamente con le labbra a quelle di Bradley. Iniziarono a baciarsi in un preludio di rovente passione, dissezionata e poi divorata.

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 36 ***


 

Così il tuo fallo meraviglioso 

mi ha dato una cicatrice nell'anima

che mi ferirà a morte

 

Alda Merini



 

Stavano bruciando così tanto che Joel desiderò di essere avvolto soltanto dal ghiaccio. Mentre si stringeva abbracciato a Bradley con cautela altri versi non uscirono dalla sua bocca se non lamenti di piacere. 

Bradley avrebbe scommesso che Joel si fosse pentito di aver baciato uno scrittore come lui. Sorrise a quel suo pensiero, mentre avvinghiava la mano al tatuatore. Bradley era uno scrittore eccome, di lettere soprattutto, fogli di carta pieni di parole che Joel non avrebbe letto mai.

I loro corpi erano già nudi, si esponevano all'intimità esclusiva di quelle pareti quasi fossero statue di marmo in un museo. Quando iniziavano a fare l'amore, ogni infinita e ripetitiva volta, socchiudevano gli occhi e nel mentre che la loro pelle si surriscaldava vicinissima il loro bacio non riusciva ad interrompersi per nulla.

Quel primo approccio dopo l’amputazione di Bradley non poteva presentarsi in altro modo se non con tenerezza romantica e silenziosa. Non ci fu la foga delle volte precedenti, anzi, si recarono nel loro animo in cerca di guarigione, come ad una messa. Bradley rimase sopra Joel, sdraiato sul letto, per un tempo di pochi minuti che si rivelarono estremamente piacevoli e per nulla impazienti. Passarono il tempo a baciarsi, a toccarsi il viso e a strusciare le nudità come se da un momento all'altro potessero accendere un fuoco.

Infine, senza fiato per l'umidità intensa e duratura di quelle labbra gonfie, Bradley distaccò il viso da quello di Joel, che socchiuse gli occhi paonazzo. A baciarsi furono i respiri, che perseguirono quell'unione di sapori rumorosi. Bradley si mise a sedere, avvicinando di fronte a sé anche Joel. Era impressionante come sapesse muoversi sinuosamente e agilmente con un braccio solo a distanza di così poco tempo. Bradley lo prese con dolcezza da un braccio e lo fece mettere dritto in una posizione rilassata della schiena, così da guardarsi direttamente l'uno verso l'altro. 

Avevano le gambe allargate, incastonate tra di esse, polpacci, cosce e bacini, tutti stretti sul letto, senza forza. Avevano i muscoli rilassati, le gambe distese dolcemente ai lati dei loro corpi e i sessi vicini, tanto da alzare la temperatura del piccolo spazio concavo tra di loro.

Joel gemette con tono sofferto, mordendosi il labbro. Bradley gli accarezzò il collo spingendolo poi verso di sé, quando si piegò su di lui e prese a baciare anche quella porzione di pelle tatuata in cui le ecchimosi causate dalle sue labbra si sarebbero confuse con l’inchiostro.

Ci fu cautela però, poiché Joel non riusciva a togliersi di dosso il manto della colpa, per lui imperdonabile, di aver lasciato solo Bradley nel momento in cui avrebbe dovuto stargli accanto ogni istante. Nella sua mente continuavano a sfrecciare istantanee di piccoli dettagli, come ad esempio le gocce di sangue schizzate nella parte alta del muro in bagno, o l’odore di carne bruciata emanato ancora dalla lama della segha elettrica. 

Non si sentiva degno di poter toccare Bradley dopo quello che gli aveva fatto.

In quel frangente di agonia Bradley abbassò la mano tra i loro inguini, dove le erezioni si scontravano di già. Bradley aveva il respiro soffocato dall'odore della pelle di Joel, era cieco in mezzo al suo profumo, e non decise lucidamente il da farsi. Ebbe solo voglia di piacere, di condividerlo con Joel, un vizio di cui non potevano sbarazzarsi tanto facilmente. Il moro avvicinò il proprio corpo al ragazzo tatuato, si aiutò a tirarsi in avanti con i piedi, la distanza esatta che gli serviva per lasciar toccare i loro sessi talmente tanto pulsanti che Joel gli graffiò la schiena bronzea con le unghie, gemendo con la testa gettata all'indietro. Bradley con la mano congiunse i due membri, stringendoli con tutto il palmo; con i polpacci avvinghiati alla vita di Joel gli spinse la schiena a se, per tenerlo al sicuro e per sorreggerlo in quell'onda di piacere che sapeva ancora di lacrime.

«Bradley aspetta.» Joel si allontanò. Serrò le labbra e respirò di nuovo rumorosamente.

«Cosa c’é? E’ di nuovo un attacco di panico?» Bradley interruppe tutto quello che stava facendo. Voleva che Joel si sentisse completamente a suo agio, non avrebbe permesso che ripiombasse nel suo malessere per colpa della sua superficialità.

«I-io… per me è difficile Brady.»

Bradley, dispiaciuto e preoccupato gli sfiorò il viso con le dita;

«Oh Joel prenditi un momento, anzi, tutto il tempo che ti serve. Se ti turba la mia ferita te l’ho già detto non ho dolore, a dire il vero non mi sono mai sentito così bene in tutta la mia vita.»

«Penso di capirlo, eppure...»

«Vuoi che ci fermiano?»

«No cazzo, io ti voglio, eccome se ti voglio, ma tutto quello che è successo mi ha profondamente toccato.»

Bradley sentì una fitta al cuore. Era vero che Joel gli aveva salvato la vita, senza di lui qualsiasi altro tentativo di soccorso non tempestivo sarebbe stato oramai vano, ma quell’evento aveva causato profondi traumi dentro Joel.

Uno scambio: la vita di Bradley per quella di Joel, inevitabilmente quei ricordi di cruda brutalità avrebbero alterato l’esistenza di Joel per sempre. Un baratto non propriamente equo, e Bradley riguardo a ciò sentiva altrettante colpe sullo stomaco.

«Anche se in quel momento averti accanto era il mio desiderio più grande ad oggi penso che non avresti mai dovuto assistere a… non voglio nemmeno dirlo perché non voglio farti star peggio.»

Joel lo incalzò: «Al contrario di me tu non hai colpe.»

Bradley, esasperato da quella punizione che Joel continuava ad autoinfliggersi, gli strinse il volto nella mano con una forza di due e gli si avvicinò con sguardo di supplica. Senza il braccio l’espressività di Bradley era molto più viva e trasparente;

«Ti prego basta, smettila di addossarti colpe che non hai. Non posso più sopportare che tu ti prenda la responsabilità della mia malattia, dobbiamo mettere un punto a questa cosa Joel. Capiscilo, ti supplico, nessuno di noi due ha delle colpe.»

Per nascondere le lacrime da Bradley Joel gli si fiondò sul petto e lo abbracciò stretto. Boccheggiò, colpa di qualche singhiozzo, e folle di amore trovato in quelle parole, stavolta senza paura di causargli dolore, prese Bradley per le spalle e lo baciò ardentemente.

Non sapevano come espiare i peccati eppure fecero l'amore come se dipendessero da ciò sin dalla nascita. Bradley prese a masturbare se stesso e Joel con gli stessi affondi difficoltosi di una sola mano. Il piacere era una scala, ogni gradino lasciava vedere in lontananza l'orizzonte sempre più dettagliato, così loro salivano, lentamente ma assieme, e scoprivano altro e altro ancora.

Era così diverso, Joel si sentiva formicolare tutto, Bradley si muoveva velocemente, e poi troppo lentamente. Perché era rischioso esplodere così in fretta, non ne sarebbe valsa la pena. Loro volevano godere, più a lungo possibile, volevano fare l'amore e farlo durare per sempre.

Gemettero all'unisono, ogni scossa del membro era simultanea in entrambi, e le mani di Joel lo cercavano. Erano veleni dolci che escoriavano l'epidermide, gli faceva male a toccargli tutto il corpo, eppure il dolore causato da quelle mani era talmente tanto appagante.

Joel lo abbracciò forte, gli si attaccò al collo e si lasciò sopraffare dai lamenti di piacere, incollato a Bradley dalla sua mano stretta ai loro sessi. Di tutte le volte che avevano fatto l'amore abbracciati assieme quella fu indimenticabile, perché rimasero così vicini che per un istante divennero un unico individuo, con le medesime sensazioni e le solite reazioni. A Joel parve di fare l’amore con Bradley per la prima volta, con quel suo corpo profanato dalla guarigione, vergine nuovamente.

Era eccitante perché avevano congiunto i sessi brulicanti di calore, cacciatori di appagamento. Bradley sentì di aver perso il controllo e se ancora riusciva in minima parte a stare con i piedi per terra, capiva di stare per esaurirsi.

Joel era la sua città, il suo letto caldo, la sua fame e la sua sete. Era quel tutto e quel niente che gli serviva.

Avrebbero scritto il continuo della loro storia su quelle pareti, l'avrebbero illustrata con le tempere e i pennelli e ne avrebbero lasciato i reperti tra le mensole. E Bradley continuò a toccare entrambi, fusi come metalli incandescenti in lavorazione. La scena non è molto difficile da immaginare; due ragazzi seduti su di un letto, con i petti e i sessi messi a contatto con soffocamento e il loro abbraccio che si fortificava tra i baci e i versi di piacere. Erano talmente belli che il piacere in mezzo alle loro gambe parve avere un sussulto di fronte a quell'eccessivo conato di amore.

Le unghie graffiarono la pelle e le corde vocali si tesero quando entrambi, quasi contemporaneamente, vennero nella mano di Bradley bagnandosi le virilità l'uno con il seme dell'altro. Non si lasciarono scivolare sul letto, stanchi e con il respiro corto; dovettero rimanere abbracciati in quella posizione perché la bellezza non voleva finire e l'odore del sesso li annebbiava completamente.

Una delle cose che più adoravano era quella fragranza di intimo che gli restava sulle mani il giorno successivo e non se ne andava perché subito dopo ricominciavano a fare l'amore.

Era quell'impercettibile profumo che sulla pelle rimaneva incastrato e che entrambi avevano come vizio di passare sotto il naso di sfuggita. Era un odore che gli ricordava densità, gli riportava un retrogusto di pelle salata sul palato.

Facevano spesso l'amore esclusivamente toccandosi proprio per tenersi quell'odore sulle mani, e adesso più che mai sentivano di doverselo tenere stretto in pugno, quel sentimento di inchiostro e sangue. Solo grazie ad esso sarebbero stati in grado di curare tutte le loro dolorose ferite.

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Capitolo 38
*** Capitolo 37 ***


«Il nostro rapporto ovviamente non finirebbe nell’indifferenza.» Joel stava raccogliendo quadrati di carta colorata su cui erano disegnati i suoi fiori per Bradley.

«Potrei comunque lavorare al negozio?» gli chiese Bradley infilando in una busta di carta i ritagli di carta di margherite nere.

«Ovviamente, fosse per me potresti rimanere anche a vivere qui.» disse Joel corrugando le sopracciglia.

«Sai benissimo che non sapremmo resistere, finiremo per scoparci all’infinito.» Bradley gli rispose con un mezzo sorriso amaro. La busta di carta marrone con i manici era poggiata sul letto sfatto, lui e Joel l’avevano riempita di disegni di fiori già per metà. Joel vi gettò dentro un’altra pila di fogli.

«Che differenza farebbe? Rischieremo di scopare anche allo studio di tatuaggi.»

«A questo punto forse sarebbe meglio non vederci affatto, almeno per un po’.» provò a proporre Bradley.

«Morirei. Non lo permetterò mai più, non dopo quello che è successo…»

«Oh Joel, ancora…»

«E’ okay Bradley, te lo prometto. Lasciamoci, ma con l’amore ancora vivo tra noi è impossibile proibirci di incontrarci.»

Bradley sospirò; «Non mi amputerei l’altro braccio se è questa la tua preoccupazione, ti assicuro che sarebbe impossibile con una mano sola!»

Stranamente Joel rise a quella battuta. Per Bradley fu un enorme sollievo.

«Ho ricominciato a dormire la notte da quando sei tornato dall’ospedale e sei qui nel letto con me.» ammise Joel aprendo un cassetto del comodino in cui c’era un altro mazzo di carta disegnata con dei fiori.

«Joel decidi tu a questo punto, per te sono disposto a tutto. Comprendo il tuo smarrimento e sono pronto questa volta a gestire un momento di pausa. Quello che ho fatto ha danneggiato irreparabilmente le cose tra di noi e sarò pronto ad accettare la distanza che ti è necessaria per pesare quello che provi dentro di te.»

«Bradley quello che provo è solamente un incolmabile lutto.» ammise Joel ponendo il resto dei disegni dentro la busta.

Bradley gli prese una mano accarezzandogli le nocche con il pollice; «Pensi che finiremo col distruggerci l’un l’altro?»

Joel scosse il capo: «No, non l’ho mai pensato. Ma ora sono cambiato, e questo lo devo a te. Forse è stato un cambiamento in negativo, non saprei dirlo. E’ chiaro che ormai non sono più tutto cuore. Sto iniziando a pensare con razionalità e per me è del tutto nuovo. Quindi adesso ho bisogno di chiederlo a te. Credi che l’amore sarà in grado di risolvere ogni cosa?»

Bradley si prese un momento per riflettere sulla propria risposta «No, non sono mai stato dell’idea che un sentimento, pur essendo fortissimo, potesse guarire le ferite. Al massimo le consola, le abbraccia.»

«Io però voglio abbracciarti per sempre. Dio, nonostante tutto ti amo terribilmente. Sarà una tortura costingermi a starti lontano.»

«Joel»

«Sì Bradley?»

«Vogliamo davvero lasciarci? Dopo tutto quello che abbiamo passato? Anche se fosse la scelta giusta, a cosa servirebbe?» Bradley stava venendo meno a ciò che aveva detto poco prima. Se Joel avesse deciso che fosse stato più opportuno per lui lasciarsi, Bradley -di comune accordo- l’avrebbe fatto, ma non poteva trattenersi dall’esprimere il suo desiderio di rimanere in quella relazione travagliata.

«Forse non dovrei cercare altro silenzio, forse, e dico forse, dovremmo parlare di tutto anche se mi farà male.”»

«A costo di litigare. E se certi ricordi ti bruceranno troppo ci scotteremo entrambi.» Bradley prese la busta dal manico, pronto ad andare.

Joel gli si avvicinò lentamente. Avevano fatto l’amore da poche ore dopo tantissimo tempo e non era stato ancora in grado di toccare il moncherino amputato di Bradley. Avvolto in una calza di tessuto grigio l’estremità della carne sbucava fuori dalle maniche corte della maglia. Bradley guardò l’arto guarito che Joel stava fissando con così tanta attenzione. Mosse la spalla e tese verso l’amato ciò che restava.

«Toccalo.»

Joel allungò una mano tremante; «Non credo di riuscirci…»

«Non ho più nessun dolore, te lo assicuro. Ti prego Joel toccami, non avere paura.»

«Mi dispiace così tanto Bradley, avrei voluto prendere io tutto il tuo male.» la voce di Joel era rotta ma lui non pianse. Bradley sollevò il mento, il suo viso roseo era ormai raggiante di una bellezza matura e libera. Compì un passo in avanti in modo da andare incontro al tocco incerto di Joel.

«Ti supplico Joel toccami.» la sua richiesta fu quasi un gemito.

Joel deglutì con nervosismo e armandosi di coraggio raccolse la base del braccio amputato nel suo palmo a conca. Bradley sospirò per via della piacevole sensazione di quella incerta carezza. Joel rilassò le spalle concedendo alla sua curiosità di esaminare attentamente la superfice dell’amputazione. Attraverso la protezione riuscì comunque a sentire lo spessore lungo della cicatrice. La sua espressione si indurì per la concentrazione; stava analizzando il nuovo braccio di Bradley come se fosse una scultura. 

«E’ meno spaventoso di quanto immaginassi.» affermò.

Bradley rise sbottando fuori un debole pianto commosso.

«Quindi cosa vogliamo fare?» domandò Bradley mentre l’altro continuava ad accarezzargli dolcemente il moncherino.

Joel lo guardò negli occhi stringendo piano i resti vivi di quel braccio martoriato. Con l’altra mano toccò il collo di Bradley che non riuscì a evitare di avvicinarsi al suo viso.

«Anche volendo è impossibile. Io ti amo Bradley, voglio starti accanto…»

Con gli occhi lucidi Bradley lo interruppe: «Ti prometto che non ti farò soffrire mai più, e che non sarò egoista. Farò attenzione a tutto ciò che provi e ti aiuterò con ogni mezzo possibile perché tu hai messo da parte persino te stesso quando io ero un relitto. Ti amo anch’io, non immagini quanto.»

Joel gli donò un bellissimo sorriso. Sembrava quasi quello di un tempo. Baciò Bradley intensamente e poi gli tolse dalla mano la busta piena dei suoi disegni.

«Andiamo, abbiamo un funerale a cui presenziare.»

«Non lo diciamo anche agli altri?» chiese Bradley mentre i due uscirono da casa.

«Tu vuoi aspettare ancora? Siamo perseguitati da questo fantasma, liberiamocene il prima possibile.»

Bradley continuò a salire le scale del palazzo; «No. E’ questo il momento giusto.»

 

Salirono sul vasto terrazzo del loro condominio. La sera stava per calare, tutta la città all'orizzonte si tinse di arancio. Un venticello fresco ravvivò il colorito delle loro guance. Joel riversò il contenuto della borsa sulle griglie di un vecchio barbecue dismesso. Bradley si assicurò che nessun bigliettino di carta volasse via dal cumulo, riparandolo con l’unica mano rimastagli.

Joel prese l’accendino dalla tasca dei suoi pantaloni e guardò Bradley.

«Sei pronto?» gli domandò.

«Sì. Il mio braccio merita questo funerale, o meglio, sono io ad averne bisogno. Potremmo spargere le ceneri dei tuoi fiori a Coney Island?»

Joel si commosse abbracciando Bradley con un braccio e baciandogli la testa; «Certamente amore.»

Entrambi si guardarono negli occhi e con un gesto d’approvazione Joel appiccò il fuoco. Le fiamme divamparono velocemente. Nessun fiore di inchiostro si salvò da quel rogo, ognuno di essi si incenerì nel fumo grigio. Seppellirono così tutto il sangue e il dolore, eliminando la memoria della carta che aveva assorbito le mura dell’ospedale. Quei fiori bellissimi, nell’atto della liberazione tra le fiamme, ridiedero a Joel il dono della sua arte e asciugarono a Bradley tutte le lacrime che aveva versato per un tormento durato tutta una vita. I due innamorati stanchi, stretti tra loro, assistettero alla cerimonia finché il fuoco non si spense nella sera più scura.

«Dobbiamo tentare di ritornare ad una vita normale adesso.» Joel usò un tono serio e autoritario. Erano stravolti, in piedi al freddo a contemplare la cenere.

«Più che altro per me questo è un punto di partenza.» gli rispose Bradley.

«Allora cancellerai quando siamo iniziati noi?» improvvisamente fu Joel quello pieno di insicurezze tra di loro. Bradley gli strinse la mano, quanto era bello sentirsi così vicini con un gesto talmente flebile.

«Amore il mio unico e solo inizio sei stato tu, non dimenticarlo mai.» Bradley guardò Joel negli occhi mentre gli sussurrò quel sibilo stanco.

Joel, pieno di inchiostro e parole, si assopì nel silenzio ed esplose nello sguardo di Bradley.

Adesso, lettore, cosa scriveresti nel post-it dedicato a questa storia?



 

 

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Capitolo 39
*** Epilogo ***


A Bradley

da Joel

per la sua rinascita.

Tatuato sulla schiena

 

Tutto quello che voglio augurarti 

è di avere sempre un sogno.

Piccolo o grande

vicino o lontano non importa 

siamo fatti di sogni 

e tu

sei uno dei miei.

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