Nana ナナ - Kuroi Namida

di 7vite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 85 ***
Capitolo 2: *** Chapter 86 ***
Capitolo 3: *** Chapter 87 ***
Capitolo 4: *** Chapter 88 ***
Capitolo 5: *** Chapter 89 ***
Capitolo 6: *** Chapter 90 ***
Capitolo 7: *** Chapter 91 ***



Capitolo 1
*** Chapter 85 ***


Chapter 85


Nana

Le parole di Asami mi tamburellavano in testa riecheggiando sordamente.
«Pare che Nana stia meglio, non ha più bisogno della moglie di Takumi.»
Ma lei si sbagliava profondamente, avevo un grandissimo bisogno di Hachi. Però la verità era che lei non avesse più alcun bisogno di me. Lei aveva Takumi al suo fianco e presto sarebbe arrivato anche il loro bambino, non c'era alcun posto per me nel suo futuro e questa consapevolezza mi ferì più del commento acido di Asami.
Avrei voluto con tutto il cuore che Hachi scegliesse me, ma forse il mio desiderio era dettato dal mio egoismo. Volevo che qualcuno, per la prima volta, mi anteponesse al resto. Ero stanca di venire costantemente accantonata.


***

 

Nobu aveva afferrato il braccio di Asami e l aveva trascinata nel corridoio, lontana dagli altri.
«Come hai potuto essere così insensibile nei confronti di Nana?»
Le disse non appena si fermarono, senza neanche voltarsi a guardarla. Gli occhi di lei si inumidirono di lacrime.
«E come puoi essere tu così insensibile nei miei confronti, Nobu?»
Chiese con voce tremante e la pena che le sue parole esprimevano costrinsero Nobu a voltarsi.
«Di che parli?»
Domandò, ma sapeva bene a cosa si riferisse.
«Smettila di prendermi in giro, sai di cosa parlo! Sei ancora innamorato di lei e la sua presenza qui al dormitorio é come una mina vagante per il nostro rapporto!»
«Ti sbagli.»
Disse, ma fu arduo persino per lui credere alle sue stesse parole.
«Tra di noi é tutto finito.»
Lo disse con una punta di rammarico che non sfuggì ad Asami, però almeno quella non era una bugia. Aveva provato a baciare Hachi e lei si era scansata, rifiutandolo. Si sentiva così stupido, incapace di accettare la fine di quella breve ma intensa relazione. Perché non riusciva a lasciarsi Hachi alle spalle?
«Bugiardo, bugiardo!»
Urlò Asami col volto rigato di lacrime.
«Non sto mentendo!»
Disse con voce placida, poggiando i polpastrelli sotto i suoi occhi castani e asciugandole le lacrime. Sapeva che l'amore di Asami era sincero e si odiò per non essere in grado di farselo bastare.
«Credi che Nana sia guarita, ma la ferita che ha nel cuore é molto profonda e ci sarà bisogno di tempo prima che si risani del tutto.»
Le disse afferrandole il braccio per condurla verso la sua stanza, ma lei si scansò.
«Farà bene a guarire in fretta, hai capito cos'ho detto? Quelli della Shikai vi sbatteranno tutti fuori dal dormitorio se continuerete a non lavorare, il vostro futuro é appeso a un filo sottilissimo! Nobu, perché non capisci che mi preoccupo per te? Non voglio che ti buttino fuori.» 
Piagnucolò e Nobu la strinse tra le sue braccia.
«Lo so bene Asami. Sei una donna molto buona.»
Inizialmente la donna si dibatté per sottrarsi a quell'abbraccio, ma più lei lottava più stretta Nobu la cingeva e alla fine si arrese e si lasciò stringere.
«Torniamo in camera.»
Suggerì lui, deciso ad abbandonarsi al corpo di Asami per scacciare il profumo di Hachi che ancora gli impregnava prepotentemente le narici.

 

***

 

Hachi fissò Shin con incredulità. Le aveva appena consigliato di non fare visita a Reira, che la sua presenza avrebbe potuto turbarla, dal momento che era irrimediabilmente innamorata di Takumi.
«Ma... Shin come puoi dirlo? Lei era persino disposta a vederti, lo avrebbe fatto se tu glielo avessi permesso...»
Lo sguardo di lui era spento e triste e Hachi provò ancora più empatia nei suoi confronti.
«Mi ha usato nel disperato tentativo di superare la sua ossessione per Takumi. Lei è fatta così, Yasu, io... Noi non abbiamo davvero significato nulla per Reira, eravamo una mera distrazione.»
«Non dire così.»
Lo pregò Hachi con gli occhi lucidi.
«Mi rifiuto di crederlo.»
Lo disse con un sussurro e Shin volle correre ad abbracciarla. Le faceva una gran pena Hachi, ma era sempre stata conscia della situazione in cui si era cacciata, era stata lei a scegliere Takumi invece di Nobu.
«Credi che sia da lei perché la ama?»
Il tono della sua voce supplicava una risposta negativa, che Shin le diede, ma non per farla stare meglio.
«Takumi in questo momento è mosso solo dai sensi di colpa. Sa bene il dolore che le ha causato, ma ha dovuto farlo per il bene dei Trapnest.»
Hachi non lo chiese direttamente, ma Shin parve leggerle nel pensiero.
«Non so se è davvero arrivata la fine per il gruppo, ma so che adesso Reira ha bisogno di sostegno, e la sola persona che può alleviare il suo dolore è proprio Takumi, e lo sa anche lui. Se tu adesso andassi a trovarla, rischieresti di ostacolare la sua guarigione.»
«Ma allora cosa dovrei fare? Farmi da parte e lasciare che mio marito si prenda cura di un'altra donna? Shin, non sono così forte da sopportarlo.»
Shin non rispose, capiva bene le motivazioni della sua amica, ma conosceva Reira, e Takumi ancora meglio di lui.
“Se non canto, non valgo nulla.”
Quelle parole gli riecheggiavano nella mente. Privarla della sua sola ragione di vita significava condannare Reira all'infelicità. Persino un uomo egoista come Takumi non poteva rimanere indifferente davanti a quella verità.

 

***
 

Reira fissava fuori dalla finestra, la sua mente vagava lontana e cercava di raggiungere Ren, ovunque lui fosse.
«Reira, hai mangiato?»
Chiese Takumi, entrando in quella che era stata la vecchia camera da letto di Reira, prima che si trasferissero a Tokyo. Il suo indice puntava un piatto ancora quasi integro di ramen al pollo che lei non era stata in grado di ingerire.
«Ma io non ho fame.»
Si passò una mano sulla fronte e si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«É irrilevante, non devi mangiare per saziarti, bensì per rimetterti in forze.»
Reira lo ignorò e riportò la vista al di là della sua finestra.
«Sai? Temo proprio che abbia ragione» 
Sussurrò appena e Takumi sbuffò lasciandosi cadere sulla poltrona di fianco al letto.
«Certo che ho ragione.»
«Ma io non parlo di te.»
Takumi sollevò un sopracciglio con scetticismo.
«Ah no? E allora di chi?»
«Di Shin.»
Rispose con noncuranza, senza distogliere lo sguardo dai rami che danzavano mossi da vento.
«Che diavolo c´entra Shin adesso?»
«Lui ha detto che sono un´egoista.»
«Non dovresti dare retta a ciò che dice Shin, soprattutto se consideriamo le sue azioni...»
«Ma é vero, Takumi. Io sono un´egoista.»
Lo sguardo del giovane si fece severo, non sopportava più il vittimismo di Reira, era diventato ormai intollerabile.
«Ti ho già detto che non hai nessuna colpa se Ren é morto! Avrebbe dovuto rinunciare a quella roba molto tempo fa. E, soprattutto, avrebbe dovuto avere il buonsenso di non mettersi alla guida in quelle condizioni! Il solo responsabile é Ren.»
Lo disse con rabbia, perché in fondo al cuore Takumi non riusciva a perdonare l´amico per essersi ammazzato. Era così in collera che avrebbe voluto urlare, ma non poteva turbare Reira, già così fragile e pronta a sgretolarsi.
«Ma io adesso non penso a Ren.»
Disse con voce calma.
«Ah no? E a chi?»
Si voltò lentamente e fissò i suoi grandi occhi scuri.
«A te, Takumi. Sono così egoista da rifiutarmi di guarire, poiché so che non appena starò bene tornerai a casa da tua moglie.»
L´uomo impallidì, totalmente sconvolto da quella confessione. Prima ancora che potesse parlare, Reira venne scossa da una forte tosse che si trasformò presto in conati e vomitò quel po' di pollo misto a succhi gastrici.
Takumi corse verso di lei e le sostenne la testa.
«Dobbiamo andare in ospedale, non puoi continuare a stare così. Li obbligherò a farti una flebo, così da poterti nutrire. Non vedi come ti stai riducendo? Non riesco a vederti in questo stato, non potresti mostrare un po' di gratitudine per questa vita che ti è stata concessa?»
La sgridò e gli occhi di lei si riempirono di lacrime. Ren se n'era andato, i Trapnest erano finiti, che senso aveva continuare a vivere?
 

Sai Hachi?
A quei tempi ero troppo egocentrica per accettare di ricoprire un posto marginale nel tuo cuore.
Ma oggi mi basterebbe starti vicina.
Anche se non fossi la tua priorità

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Capitolo 2
*** Chapter 86 ***


Chapter 86


Nana

Quando Hachi tornò nella mia stanza aveva gli occhi rossi, doveva aver pianto. Nobu, dopo essersene andato con Asami, non tornò.
L'atmosfera festosa era stata rovinata.
La voglia di cantare mi passò.

***

 

Hachi

Mi lavai il viso accuratamente prima di tornare in camera di Nana, volevo nasconderle la mia tristezza ed evitare di trasmettergliela, ora che aveva trovato la voglia di parlare, però quando tornai lei aveva smesso di cantare e con un debole sorriso mi disse che non voleva affaticare le sue corde vocali, dato che erano rimaste a riposo così a lungo.
Le credetti, ma qualcosa nelle espressioni di Yasu e Miu esprimeva preoccupazione.
Stupidamente, pensai che Nana avesse discusso con Nobu, dato che era sparito e non mi interrogai a lungo di quella faccenda.

 

***
 

Asami dormiva profondamente, dopo essere rientrati in camera lei e Nobu avevano fatto l'amore a lungo e alla fine, spossata da una lunga giornata di riprese e dall'attività fisica, era sprofondata in un sonno pacifico sul petto di Nobu, cullata dal pulsare ritmico del suo cuore. Anche lui avrebbe voluto abbandonarsi al sonno e distogliere la mente dagli avvenimenti di quel giorno, ma per quanto ci provasse, non riusciva a scacciare il volto di Hachi dalla sua mente.
Solo poche ore prima l'aveva di nuovo cinta tra le sue braccia, l'aveva consolata dal suo pianto ininterrotto, e allo stesso modo si era lasciato confortare, piangendo tutta la propria tristezza tra quelle braccia che sentiva come un porto sicuro.
E poi i loro sguardi si erano di nuovo incontrati, i loro respiri si erano fusi, da quanto tempo non le stava così vicino? Spinto dalla stupida convinzione di poter tornare indietro nel tempo aveva trovato il coraggio di slanciarsi verso di lei, desideroso di sfiorare ancora una volta le sue morbide labbra.
Ma lei lo aveva schivato.
Gli faceva ancora male.
Perché continuava a permetterle di prenderlo in giro? Non era stato ferito abbastanza? Quanto ancora voleva soffrire a causa sua?
Hachi era la donna di Takumi e non poteva fare proprio nulla per riconquistarla, semplicemente perché lei aveva scelto un altro al suo posto.
Si girò di lato, facendo scivolare la testa di Asami sul materasso.
Doveva smetterla di pensare ad Hachi, doveva accettare una volta e per tutte la loro rottura e concentrare tutte le sue attenzioni verso la donna che giaceva al suo fianco.
Ma Asami aveva ragione, averla intorno non era per nulla facile, alla prima occasione che si era presentata era caduto in tentazione, come una mosca in una ragnatela.
Voleva disperatamente fuggire via.

 

***
 

«Quando hai intenzione di dirglielo?»
Chiese Miu a Yasu poco dopo essere rientrati in camera.
«Volevo farlo subito dopo essere rientrato al dormitorio, ma poi l'ho vista così felice e non volevo rovinare tutto quanto.»
«Ma alla fine l'atmosfera si è raffreddata anche senza il tuo intervento.»
Gli fece notare, sfilandogli gli occhiali.
«Lo farò domani, Nana ha il diritto di sapere.»
Miu rimase in silenzio, ma un dubbio le ronzava in testa dal pomeriggio: credeva che Yasu, semplicemente, volesse risparmiare a Nana l'ennesima sofferenza, e per quanto apprezzava quel sentimento altruista, non riusciva a non essere gelosa. Si sentì sciocca a pensarlo, ma ora che Ren non c'era più, doveva temere per il futuro della propria relazione?
«A cosa pensi?»
Le chiese lui, osservandola avvolta nei propri pensieri.
«Alla reazione di Nana. E immagino ci pensi anche tu.»
«Sì beh, confesso che mi sono chiesto come potrebbe reagire a una simile richiesta, ma in tutta onestà non riesco a darmi una risposta. Nana è molto orgogliosa e non escludo che possa rifiutarsi di incontrare Misuzu, ma forse avere un confronto diretto con lei l'aiuterà finalmente a superare il trauma dell'abbandono.»
«Ma... Immagino che per lei sarà dura da mandare giù.»
Yasu capì immediatamente dove volesse andare a parare.
«Infatti vorrei chiedere a Nobu di starle vicino in un momento delicato come questo.»
«E tu...?»
«Io credo d'aver già fatto abbastanza.»
Lo disse con decisione, con un tono che non ammetteva repliche e Miu si sentì sollevata.
Yasu era diventato molto importante per lei e non voleva rinunciare a lui proprio ora che si era innamorata.

***

Nana

Il giorno dopo venni svegliata dal profumino della colazione. Hachi sembrava aver dimenticato il malumore del giorno precedente e mi salutò con un sorriso smagliante.
«Buongiorno Nana!»
«Smettila di abbaiare!»
Le dissi lanciandole in cuscino e iniziammo a ridere.
«Ho appena finito di preparare la colazione, serviti pure, vado a chiamare Shin.»
Non me lo feci ripetere due volte e affondai i denti in una delle sue frittelle, era deliziosa!
Adesso che avevo ricominciato a parlare non potevo più sottrarmi ai miei impegni, soprattutto dopo aver udito la minaccia della Shikai.
Sarei tornata a cantare quanto prima, gettarmi a capofitto nel lavoro mi avrebbe fatto bene, dopotutto nelle settimane precedenti essere stata super impegnata mi aveva impedito di pensare alla lite con...
Sentì un nodo stringermi il petto, perché deve tornarmi in mente proprio adesso, perché?
Iniziai a respirare affannosamente, questa non ci voleva proprio, la trachea si stava chiudendo impedendo ai miei polmoni di prendere aria.
La porta si aprì e come per miracolo il mio respiro si regolarizzò.
Hachi era tornata seguita a ruota da Shin.
É incredibile il potere della sua presenza, Hachi, se solo ti rendessi conto del tuo valore...
«Sei un'ingorda, hai cominciato a mangiare senza nemmeno aspettarci!»
Si lamentò Shin riempiendosi il piatto.
«Perché mai dovrei aspettarti? E poi Hachi ha detto che potevo servirmi.»
«Sei proprio un caso perso.»
«Io? Da che pulpito viene la predica, proprio tu faresti meglio a tacere...»
Hachi rise di cuore assistendo a quella scenetta e il mio cuore si riempì di gioia, vorrei che fosse sempre felice come adesso.
Permettimi di renderti felice, Hachi, ti prego.

 

***
 

«Oh Nobu, cercavo proprio te.»
Disse Yasu entrando nella lavanderia, dove l'amico attendeva pazientemente che il suo bucato fosse pronto.
«E perché mi cercavi?»
Chiese il biondo mentre l'altro svuotava la cesta dentro una delle lavatrici.
«Hai delle monetine?»
«Certo, ecco qua. Volevi solamente questo?»
Yasu inserì i centesimi e girò la manopola dell'elettrodomestico.
«No, a dire il vero ho bisogno che tu mi faccia un favore. Voglio che tu stia accanto a Nana.»
«Eeeeh? E perché mai?»
«Devo comunicarle una notizia e non so bene come lei possa prenderla, ho bisogno che tu stia al suo fianco, nel caso in cui lei dovesse piangere.»
Dopo quelle parole si accese una sigaretta, Nobu lo fissava con aria interrogativa.
«Ma scusa, perché io?»
Chiese, ma Yasu non rispose, si limitò ad aspirare una boccata della sua paglia.
«Voglio dire...
É già la seconda volta che mi chiedi di sostenere Nana semmai dovesse avere una crisi di pianto, la prima volta è successo quando Search ha pubblicato l'articolo sulla sua presunta madre. Da quando in qua mi deleghi i compiti che la riguardano?»
Yasu non rispose subito, i soli rumori erano causati dal cestello della lavatrice che roteava senza sosta.
«Credo tu abbia notato che ultimamente Nana si è affidata troppo alle mie cure, ho persino l'impressione che sia regredita.»
Il biondo fissò l'amico, non si era aspettato quella risposta.
«Ma scusa, che c'è di male?»
«C'è di male che Miu non è molto entusiasta della sua dipendenza affettiva nei miei confronti. Già quando Ren era ancora in vita la sua assuefazione era insana, adesso poi...»
Nobu tacque, sapeva che Nana nutriva dei sentimenti per Yasu -  anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce - e aveva ragione di credere che lui li ricambiasse, altrimenti non avrebbe avuto nessun motivo per prendere le distanze da lei. Se prima si era allontanato per rispetto nei confronti di Ren, adesso lo faceva per Miu. Si chiese, se quei due non si fossero mai messi insieme, adesso Yasu starebbe consolandola? No, scosse la testa desideroso di scacciare quel pensiero, non era corretto.
«Puoi chiederlo a Nana, d
opotutto se ne sta sempre in camera sua.»
Disse infine con noncuranza, ma Yasu aveva notato che si era riferito a lei come "Nana" e non come "Hachi", qualcosa non tornava. 
«É per caso successo qualcosa con Nana?»
Chiese con sincero interesse sollevando un sopracciglio. Non era poi così inusuale, era evidente che Nobu provasse ancora dei sentimenti per lei, nonostante Asami alleviasse le sue pulsioni quasi ogni sera. E Miu gli aveva espresso dubbi in merito alla fedeltà di Nana nei confronti di Takumi, affermando di aver notato un certo riavvicinamento con Nobu, nonostante lei lo negasse.
«Cosa vuoi che sia successo? Tra me e Hachi è tutto finito, lo sai. Ma, come la tua ragazza, anche Asami non ama che passi troppo tempo in sua compagnia, e la capisco perfettamente. Dopotutto non è poi così grave, no? L'importante è trovare qualcuno che la consoli, che sia io o qualcun altro fa poca differenza, giusto?»
Il più vecchio annuì e spense la sigaretta consumata nell'unico posacenere a loro disposizione.
«Già, credo tu abbia ragione.»
Disse infine, alzandosi.
«Ma aspetta un momento...»
Chiese Nobu un attimo prima che varcasse la soglia del corridoio.
«Esattamente di che cosa si tratta? Cosa potrebbe turbare Nana ancora più della morte di Ren?»

 

***
 

I medici le avevano prelevato del sangue e poi le avevano iniettato una flebo per nutrirla e ripristinare i liquidi che aveva perso vomitando.
Le sue condizioni erano stabili, avevano decretato, probabilmente si trattava di reflusso causato dall'ansia.
Takumi si era allontanato dalla sua brandina solamente per colloquiare col primario che l'aveva presa in cura.
«La signorina Serizawa è vittima di un grande choc, mi sorprenderebbe se non avesse alcuna reazione! Ho ragione di credere che si tratti di problemi psicosomatici legati al forte stress, se davvero non ha mangiato nulla escluderei un'indigestione alimentare. Ad ogni modo le saprò dire con certezza non appena otterremo gli esiti delle analisi.»
Lo aveva informato, prima di congedarsi.
Takumi si appoggiò sull'uscio della sua stanza e l'osservò da lontano. Le pareva così fragile in quel frangente. Aveva perso molto peso in poco tempo, era denutrita e la clavicola sporgeva in modo quasi spaventoso sotto il suo esile collo. Era tutta colpa sua se Reira versava in questo stato e lo sapeva bene, aveva tentato di proteggerla, ma l'aveva fatto nel modo sbagliato. Quella era forse la punizione divina per il suo egoismo?
La sua priorità era quella di salvaguardare i Trapnest a ogni costo, ma così facendo non si era curato abbastanza dei propri membri, Ren con la sua dipendenza da cocaina e Reira con le sue pene amorose.
Tutto ciò che cercava di salvare si stava lentamente sgretolando tra le sue dita, come un castello di sabbia.
Non si era mai sentito più impotente.

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Capitolo 3
*** Chapter 87 ***


Chapter 87

Quattro anni dopo


Hachi
La tua presenza, Nana, si avverte in qualsiasi angolo dell’appartamento 707, quasi come se tu fossi rimasta intrappolata tra gli infissi, sulle pareti, appesa alle travi.
A volte ho persino l’illusione di vederti seduta davanti alla finestra che consumi le tue amate seven stars.
Ma basta un battito di ciglia a farti scomparire.
E qui rimane solo il vuoto.


Le vacanze di primavera inizieranno presto, ma io non ho ancora deciso cosa fare.
Vorrei tornare in Inghilterra, desidero rivedere Ren e Takumi, e di sicuro anche Satsuki prova il mio stesso desiderio.
Ma mentirei se affermassi che è tutto qui…
La verità è che non riesco a smettere di pensare a Nana. Quelle foto hanno fatto rinascere in me la speranza, ora che so che Nana è viva e che si trova in Inghilterra, sento l’esigenza di correre a cercarla.
Però in fondo, che diritto ne ho?

***

Yasu spense l’ennesima Black Stone e il piccolo monte di cicche che si era accumulato nel posacenere cadde rovesciandosi sul tavolino da caffè. Ultimamente fumava più del solito.
Si alzò per prendere un panno e raccogliere la cenere, Miu si era data tanto da fare per ripulire l’intero appartamento.
La verità è che la vista di quelle foto l’aveva sconvolto. Quella donna era proprio Nana, rivedere il suo viso era stato un duro colpo.
In fondo era stato lui il vero responsabile della sua scomparsa e lo sapeva bene.


Il presente


«Dici sul serio? Sua madre?»
Hachi si portò le mani di fronte alla bocca. Yasu si era aspettato una reazione del genere.
«Già, devo ammettere di essere sorpreso anch’io.»
«Ma… Perché?»
L’uomo sollevò un sopracciglio, quella domanda non se l’era proprio aspettata.
Hachi ripensò al giorno in cui si era recata a Osaka per conoscere quella donna, Misuzu, e avvertirla di stare in guardia, poiché lo staff di Search aveva intenzione di scrivere un articolo sulla sua famiglia, ma lei aveva risposto di essere assolutamente estranea ai fatti e l’aveva cacciata pregandola di non farsi più vedere. Ricordò quanto quelle parole l’avessero ferita, non credeva possibile che una madre potesse rimanere indifferente alla vista della propria figlia, eppure Misuzu aveva mantenuto il sangue freddo.
«Voglio dire, è scomparsa dalla vita di Nana quand’era appena una bambina, cosa può averla spinta adesso a volerla incontrare? Non so se sia il momento migliore, Yasu, Nana è ancora molto provata per la morte di Ren.»
Yasu sorrise.
«Capisco le tue preoccupazioni Nana, e sono felice che tu abbia così a cuore la salute di Nana, però temo sarebbe scorretto da parte nostra scegliere per lei. Nana ha il diritto di conoscere la verità e di scegliere per conto suo.»
Hachi sollevò il capo fissandolo in faccia e poi chinò la testa verso il basso.
«Mi dispiace.»
L’uomo sorrise impercettibilmente.
«Non devi scusarti, non era certo mia intenzione sgridarti.»
Hachi avrebbe voluto dire tante cose, ma ripensò a Shin e alle sue dure parole “avrei preferito non nascere”. Forse Nana provava quella stessa sensazione, in fondo era stata lei a dirle che sarebbe meglio non mettere al mondo figli di cui non ci si poteva prendere cura. Forse Misuzu avrebbe saputo spiegarle perché era dovuta sparire, magari lo aveva fatto proprio per proteggerla. O almeno lo sperò con tutta sé stessa.

***

Hachi
Quando tornai verso camera di Nana rimasi per un lungo lasso di tempo dietro alla porta, cercando di trovare le parole migliori per darle quella notizia, ma per quanto mi arrovellassi il cervello, non riuscivo a trovare un modo semplice per dirlo.
La porta si aprì di scatto ed io ebbi un brivido – che imbarazzo!
«E tu che ci fai qui?»
Mi chiese Nana, che come me era balzata dallo spavento.
«Sono appena tornata.»
Mentii.
«Era ora, sto morendo di fame! Si può sapere dove sei stata?»
Rimasi in silenzio, cercando di inventarmi una scusa plausibile.
«Non sarai mica stata di nuovo soggiogata da Nobu? Quel ragazzo è incorreggibile, gli farò una bella lavata di capo!»
Agitai le mani davanti a me mentre una gocciolina di sudore cadeva dalla mia testa.
«Ma no, cosa dici? Sono solo andata a fare una passeggiata, sai il medico mi ha consigliato di camminare a lungo, soprattutto perché sto mettendo su parecchio peso.»
Nana guardò il mio ventre.
«Che razza di sciocchezze, l’aumento di peso significa che il bambino gode di ottima salute, non lasciarti ingannare da quella fanfarona, Hachi!»
Sorrisi, Nana era sempre pronta a stare dalla mia parte.
«Ascoltami Nana, c’è qualcosa di cui devo parlarti.»
Le dissi con espressione seria e il suo sguardo si fece guardingo. Si spostò quel poco che bastò a lasciarmi passare, poi chiuse la porta.

Nana
Ascoltai la storia di Hachi con attenzione, le parole scorrevano fuori velocemente, era come un fiume in piena e non mi azzardai a interromperla.
Mia madre, Misuzu, voleva incontrarmi. A quanto pareva, l’articolo di Search era veritiero e mia madre aveva deciso, dopo una lunga riflessione, di voler incontrarmi.
Mi chiesi cosa mai avesse da dirmi una donna che non vedevo da diciassette anni, una donna che mi aveva abbandonata con la falsa promessa di tornare a prendermi per occuparsi di me, una donna che non si era mai preoccupata di scrivermi una lettera ogni tanto.
Se aveva scoperto chi fossi, significava forse che aveva seguito la mia carriera?
Ma in fondo che importanza aveva?
Hachi smise di parlare e mi fissò con aria speranzosa, attendendo una risposta.
Ma io cosa avrei dovuto dire?
«Nana, stai bene?»
Mi chiese con espressione preoccupata, ho davvero un’aria così pietosa?
«Da chi l’hai saputo?»
Era la sola domanda sensata che mi fosse venuta in mente.
«Me l’ha detto Yasu.»
Con la mente ancora annebbiata mi alzai di scatto e mi diressi al corridoio, incapace di realizzare se stessi camminando o correndo. Ad un certo punto mi trovai davanti alla porta della stanza di Yasu e battei i pugni con veemenza, fino a quando la porta non si spalancò. Lui mi fissò in silenzio ed io non riuscii a reprimere la rabbia.
«Si può sapere perché non me lo hai detto personalmente?»
Non finse nemmeno di essere sorpreso, e questa cosa mi fece infuriare ancora di più.
«Dammi una dannata risposta!»
Urlai e sentii i miei occhi inumidirsi, ma non avrei ceduto alle lacrime in sua presenza, non avrei mai più pianto davanti a Yasu.
Yasu perché ti comporti così? Mi sono sempre fidata di te, ti sei preso cura di me più di chiunque altro, persino più di Ren, ti prego non abbandonarmi anche tu.
«Devi smetterla di affidarti a me Nana.»
Lo disse con un sussurro, con una calma disarmante che mi colpì in pieno petto e fece quasi più male dell’apnea stessa.
Sapevo bene cosa significavano queste parole, mi stava abbandonando. Anche lui.
Le lacrime che un attimo prima minacciavano di sgorgare dai miei occhi si arrestarono, non avevo più alcuna voglia di piangere, a dire il vero, non riuscivo neanche a provare tristezza.
Sentii un rumore di passi avvicinarsi e poco dopo Hachi ci raggiunse, aveva il fiatone e mi resi conto che non dovrebbe correre in questo stato.
«Nana, occupati di lei per favore.»
Le disse, e improvvisamente il divario che si era creato tra di noi si fece più grande e sentii di non poter più raggiungerlo. 

***

Shin sedeva da solo nella stanza ricreazione strimpellando il basso, chiedendosi se avesse senso esercitarsi, i Blast avevano ancora un futuro?
Un rumore di passi lo costrinse ad alzare lo sguardo, Misato si era avvicinata e l’osservava con un sorriso amaro.
«Spero di non averti disturbato, sono stata attratta dalla tua musica.»
Shin sorrise a sua volta.
«Immagino tu abbia parecchio tempo libero, ora che non devi occuparti di Nana, o almeno, lo spero.»
«Sei sempre così enigmatico Shin. Che cosa intendi esattamente?»
Gli chiese con espressione interrogativa.
«Si mormora che ci sia qualcosa tra te e il presidente della compagnia, mi auguro siano solo voci di corridoio.»
La sua espressione si rabbuiò e lui capì che non si trattava di un pettegolezzo infondato. Immediatamente assunse un’espressione seria e preoccupata.
«Misato, che cosa succede?»
La giovane donna si morse le labbra e Shin notò i suoi occhi castani inumidirsi di lacrime.
«Ti ha fatto qualcosa, quel verme schifoso?»
Domandò con voce grave, pronto a correre a cercarlo e a riempirgli il volto di cazzotti.
«Non è come pensi. Lui… Io…»
Iniziò a dire, ma la sua voce si incrinò e lei iniziò a piangere. Non voleva che la voce si spargesse, ma era inevitabile in fondo. Si vergognava così tanto, avrebbe voluto sprofondare.
«Io ci tenevo così tanto a farvi da assistente!»
Shin avvertì una sensazione strana, fu come se il cuore gli fosse precipitato giù dal petto.
Allora era vero, anche se aveva sperato con tutto il cuore che si trattasse di una maldicenza generata dall’invidia.
Misato era una bella ragazza, questo era innegabile, era chiaro che attirasse l’attenzione degli uomini, ma quello era troppo.
«È colpa mia!»
Bisbigliò con voce rotta, Shin corse verso di lei e l’abbracciò.
«Non dirlo nemmeno Misato, non hai proprio nessuna colpa. Quell’uomo non avrebbe dovuto abusare del suo potere, si è servito di te perché sapeva quanto ci tenessi ai Blast.»
Il corpo di lei era scosso dai singhiozzi, forse aveva ragione, ma non riusciva a non sentirsi ugualmente colpevole, dopotutto si era lasciata trarre in inganno e ribellarsi era divenuto sempre più difficile, soprattutto perché il presidente aveva minacciato di raccontare a tutto il dormitorio della loro tresca e lei non poteva accettare che la notizia giungesse alle orecchie di Nana o degli altri membri dei Blast.
«Ha detto che se mi fossi opposta… Avrebbe detto…»
«Era un bluff Misato, non avrebbe mai potuto raccontare di voi, avrebbe rischiato la reputazione.»
Misato pianse ancora più forte tra le braccia del ragazzo.
«Sono… una… sciocca!»
«Shh, non dirlo nemmeno per scherzo, tu non hai proprio nessuna colpa.»
Per quanto lo ripetesse, lei non riusciva a credere di essere innocente. Rimase abbracciata a lui per un lasso lunghissimo di tempo, fino a che non esaurì tutte le sue lacrime.
«Non dovrai più farlo, d’accordo?»
Misato lo guardò e aprì bocca per rispondere, ma Shin l’anticipò.
«Noi tutti desideriamo che sia tu la nostra manager e nessuno potrà negarcelo; dunque, non hai più alcun motivo per soddisfare le richieste di quella bestia schifosa.»
La ragazza lo fissò con occhi pieni di gratitudine.

 
***

Reira quella mattina era riuscita a ingurgitare la metà della propria colazione. La notte prima le era stato somministrato un potente sonnifero che le aveva garantito un sonno lungo e privo di sogni che le aveva riaperto l’appetito.
Takumi confidava che presto si sarebbe rimessa, anche se non poteva essere sicuro che non gli giocasse qualche brutto scherzo per puro sadismo.
«Ti trovo in forma.»
Commentò avvicinandosi al suo letto per sprimacciarle il cuscino.
«Già, ti fa piacere.»
«Non essere sciocca Reira, lo sai che mi preoccupo per la tua salute.»
Lei gli rivolse un sorriso triste.
«Aspetti che io stia meglio così da potertene tornare a casa senza sensi di colpa.»
«Sai che non è vero, lo dici solo per ferirmi.»
Lei non parlò.
«Sai che prima o poi dovrò tornare da Nana, non è vero? Devo prendermi cura di lei e del nostro bambino.»
Lo disse a voce bassa e Reira dubitò che parlasse più a sé stesso che a lei.
Rimasero in silenzio fino a quando un’infermiera entrò in camera per misurarle la pressione e auscultarle il cuore.
«Buone notizie signorina Serizawa, è tutto regolare, se continua così sarà presto fuori, non è contenta?»
Non lo era. Non aveva alcuna voglia di tornarsene a casa, sua madre era spesso fuori per lavoro e lei non aveva alcuna voglia di rimanere sola coi propri pensieri, ma non era così disperata da pregare Takumi di tenerle compagnia, sapeva di essere solo una scocciatura per lui.
Pochi minuti dopo il primario entrò in camera con gli occhi fissi sulla cartella clinica.
«Signorina Serizawa, ho qui i risultati dei suoi esami del sangue. Ha carenze di ferro, le ho prescritto una cura per ripristinare i suoi valori.»
«È fantastico, per un attimo mi ero preoccupato che fosse qualcosa di peggio.»
Commentò Takumi sollevato.
«C’è dell’altro… Dagli esami è emerso che la signorina è incinta. Congratulazioni.» 

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Capitolo 4
*** Chapter 88 ***


Chapter 88

4 anni dopo

Il cellulare vibrò nella sua tasca proprio mentre salvia in macchina, aveva dimenticato di riattivare la suoneria. L’afferrò, e senza nemmeno leggere il nome o il numero, premette il tasto verde.
«Pronto? Parla Naoki.»
Disse con voce allegra che fece sorridere Hachi dall’altro capo della linea. Le piaceva Naoki, era sempre gioioso ed era in grado di trasmettere la sua positività anche a coloro che lo circondavano.
«Ciao Naoki, sono Nana.»
«Eh? Hachi, che piacere sentirti! Y»
«Volevo ringraziarti di cuore personalmente per l’impegno che hai messo nel cercare l’Agorad.»
Naoki infilò le chiavi nello sterzo e le girò, attivando il motore.
«Ah, è per quello? Credevo volessi chiedermi un appuntamento! Non devi ringraziarmi, sai bene che per me è un piacere aiutarvi.»
«Ti sei messo alla guida?»
Chiese Hachi in tono preoccupato, riconoscendo l’inconfondibile rumore della messa in moto.
«Sì, sono appena stato a visitare Reira.»
«Ti prego non farlo, non telefonare mentre guidi!»
Lo disse con tono apprensivo e lui comprese bene perché la cosa la preoccupasse.
«Hai ragione, scusami.»
A quelle parole seguì il silenzio e la donna seppe che aveva spento l’auto e gliene fu molto grata.
«Come sta Reira?»
«È più allegra del solito, credo che dipenda dalla presenza di Ren, quel bambino ha uno strano potere su di lei.»
Sorrise, era lieta di sentire quelle parole.
«Hachi, a proposito, quando ti deciderai a trasferirti in Inghilterra?»
Il tono dell’uomo era cambiato, divenendo più grave. Odiava quella domanda, ma non poteva evitarla.
«Metà della tua famiglia è qui, questa lontananza non fa bene a nessuno, soprattutto ai bambini. A Takumi manca Satsuki, io non riesco a immaginare di passare anche solo un giorno senza la mia Momo.»
Avrebbe voluto poter rispondere qualcosa, ma non poteva esternare i suoi pensieri. Le dinamiche della sua famiglia erano troppo complicate per essere districate con un semplice trasferimento, e poi non aveva nessuna intenzione di lasciare Tokyo. Aveva faticato tanto per riuscire a guadagnarsi la propria indipendenza, tornare tra le braccia di Takumi significava ricominciare a dipendere totalmente da lui e non ne aveva alcuna voglia. Non voleva lasciare il suo lavoro, grazie a Miu era diventata molto brava nell’arte del Kitsuke e non aveva aluna voglia di separarsi dai propri amici. Yasu, Miu, Shin, Nobu e Misato le erano stati accanto durante un momento molto difficile della sua vita, i mesi che erano seguiti alla fuga di Nana e al parto. Si rese conto che avrebbe tranquillamente potuto fare a meno di Takumi, ma non di quelle cinque persone.
«…E poi non saresti del tutto sola, ora che abbiamo scoperto dove si trova Nana. Southend-On-Sea dista appena un’ora da Londra, potreste incontrarvi quasi ogni giorno.»
Avrebbe voluto crederci anche lei, ma in realtà non aveva idea di come Nana avrebbe potuto reagire. L’avrebbe accolta con un sorriso? Stretta a sé come ai vecchi tempi? O le avrebbe urlato di sparire per sempre dalla sua vita?
«Dai, torna almeno a trovarci, sentiamo tutti la tua mancanza, soprattutto io!»
Fu inevitabile sorridere a quella richiesta dal suono quasi piagnucoloso.
«Ti prometto che ci penserò su.»
Ormai mancava solo una settimana alle vacanze di primavera, doveva decidere in fretta. 

***

Il presente

«Come sarebbe a dire che lo sapevi già?»
Chiese Nobu allarmato a Shin, che era entrato poco prima nella stanza dell’altare per rivolgere una preghiera a Ren.
«Me lo ha detto Chikage, l’amica di Misato Uehara. Ci siamo conosciuti al party di Natale, ricordi?»
Nobu si portò un dito sul mento, tentando di rammentare il volto della ragazza.
«Ma certo, è quella ragazza carina a cui hai dato il tuo biglietto da visita e persino un bacio! Vuol dire che vi siete scritti?»
«Sì, ci siamo scambiati numerose e-mail dopo che Serach ha scritto l’articolo sulla signora M., la presunta madre di Nana.»
«Beh, a quanto pare non è poi così “presunta”.»
«Infatti. I giornalisti si sono appostati sotto casa loro alla ricerca di uno scoop, costringendoli a trasferirsi altrove. Ma la madre… È fuggita via.»
Gli occhi del biondino si spalancarono.
«Allora è proprio un vizio, il suo. Come ha potuto...?»
«Non demoralizzarti, alla fine è andato tutto bene: Misato è fuggita a Tokyo e Shion si è presa cura di lei fin quando Misuzu non è tornata a prenderla.»
«Davvero? Uff ma perché sono sempre l’ultimo a sapere le cose?»
Si lamentò Nobu sbuffando sonoramente.
«Guarda che non sei affatto l’ultimo. Nana ancora non lo sa.»
Il suo sguardo si aprì, era vero, lei era ancora all’oscuro di tutto. Come avrebbe reagito a quelle notizie? Era tutto troppo da mandare giù.
«Dici che Yasu l’ha già informata?»
Shin socchiuse un occhio fissandolo in tralice. Quanto avrebbe voluto accendersi una sigaretta!
«Se sei così preoccupato per lei, valle a parlare.»
Il chitarrista fece per muoversi e correre da Nana, ma il suo corpo si immobilizzò
«Non posso farlo.»
«Perché no?»
«Hachi...»
Con disperazione, Nobu si portò le mani sui capelli, il cuore gli martellava nel petto, perché doveva essere sempre tutto così difficile?
«Che significa? Nobu, è successo qualcosa tra voi due in questa stanza?»
L’amico si inginocchiò di nuovo al suo fianco, proprio fronte alla foto di Ren. Una minuscola gocciolina d sudore gli scivolò dalle tempie.
«Ma certo che no.»
«Sono bugie!»
Esclamò Shin, issandosi in piedi.
«Sono stanco di tutte queste menzogne, è ovvio che ami ancora Hachi, così com’è ovvio che lei ricambi i tuoi sentimenti.»
«Ti sbagli.»
Il tono con cui aveva replicato era mesto e privo di speranze.
«Lei ha ormai superato la nostra storia, e come darle torto? Nel grembo porta il suo futuro con Takumi. Non prova più nulla per me.»
«Non essere sciocco! Si vede anche a chilometri di distanza che Hachi ti ama ancora.»
«E io ti dico che ti sbagli.»
Obiettò fissando i suoi intensi occhi nocciola in quelli azzurri del bassista.
«Sono stanco anch’io di tutte queste menzogne Shin, quindi per favore, smettiamo di raccontarcele.»
Il più giovane aprì la bocca per parlare, ma Nobu aveva giunto le mani davanti al mento cominciando a recitare una preghiera tra sé e sé.
“Ti prego Ren, aiuta Nana a superare questo momento, dalle la forza di sopportare il dolore. Anche se si ostina a negarlo, la tua improvvisa mancanza l’ha profondamente ferita. Il suo cuore non è più in grado di incassare colpi. Voglio solo che lei impari a convivere con le sue sofferenze e la smetta di farsi sopraffare da esse. Aiutala tu.”
Shin imitò il gesto.
“Ren, aiutaci a metabolizzare la tua assenza. Andandotene, hai lasciato un gran casino dietro di te. Siamo tutti molto provati, nessuno di noi riesce sovrastare la tristezza e ci lasciamo pervadere dalla negatività. Ci manchi profondamente.”

***

 
«Che cosa diavolo significa che sei incinta?»
Urlò Takumi a Reira dopo che fossero rimasti da soli in camera. Lei era rimasta impassibile, quella notizia l’aveva sconvolta profondamente, come poteva essere rimasta incinta?
«Sto parlando con te!»
Takumi la scosse fortemente costringendola a tornare alla realtà, ma lei semplicemente non sapeva cosa dire, era rimasta di sasso tanto quanto lui.
«È di Ren?»
Chiese nuovamente e quelle parole riuscirono a scrollare Reira dallo stato di trance in cui era scivolata. Fissò Takumi con indignazione.
«Come diavolo può venirti in mente una cosa del genere?»
Si accorse di urlare, ma non importava.
«Tra me e Ren non c’è mai stato nulla!»
L’uomo sbuffò sonoramente, come poteva essere così ingenua? Davvero non si era accorta che Ren si fosse innamorato di lei? Decise di tacerlo, non aveva alcun desiderio di conficcare il pugnale ancora più in profondità. Ma se quel bambino non era di Ren…
«Shin.»
Bisbigliò e Reira fu scossa da un brivido. Era ovvio, di chi altrimenti? Ma come era potuto succedere? Erano stati attenti.
«La tua cartella clinica dice che sei già al quarto mese, come mai non te ne sei accorta?»
Quattro mesi? Ma allora quel bambino doveva essere stato concepito l’ultima volta che erano stati insieme, poco dopo la festa del loro compleanno, a novembre. Takumi aveva ragione, come aveva fatto a non accorgersene? Il suo ciclo era sempre stato irregolare, vi erano stati delle volte in cui era saltato a causa dello stress che provava, e con tutto quello che era successo in quei mesi…
«Vuoi rispondermi?»
Disse l’uomo con irritazione, non gli piaceva essere ignorato. Gli occhi di Reira si riempirono di lacrime, era incinta di Shin!
«Smettila!»
Lo pregò mentre calde lacrime le rigavano il viso, come poteva non capire che non era il momento di farle la ramanzina? Questa volta non si trattava di uno scatto rubato da una rivista, o di mettere a repentaglio la reputazione dei Trapnest, questa cosa era molto più grande: c’era di mezzo una nuova vita, un feto che cresceva dentro di lei.
Ma lei non lo voleva.
«Voglio abortire.»
Lo supplicò con lo sguardo, aspettandosi d vederlo annuire, ma lui rimase impassibile e il suo sguardo si rabbuiò ancora di più.
«Sei proprio stupida Reira. A questo punto è troppo tardi per valutare questa possibilità.»
Le lacrime si fecero ancora più copiose, Reira batté i pugni sulle proprie ginocchia.
«Lo dici solo per farmi stare peggio.»
«A questo punto il bambino è in gran parte formato, abortire sarebbe illegale.»
Le urlò contro, stanco della sua irresponsabilità.
«Quindi… io…»
Non riuscì a terminare la frase. Si lasciò cadere contro il proprio guanciale posando una mano sul ventre ancora piatto. Takumi l’osservò di sbieco, Reira non era in grado di occuparsi di un figlio, a malapena sapeva badare a sé stessa, e quella era una prova della propria incompetenza.
«Come diavolo hai potuto essere così sciocca?»
Sibilò a denti stretti, desiderando ardentemente una sigaretta. Gli occhi della donna si ridussero a due fessure e lanciarono all’uomo uno sguardo carico d d’odio.
«Ma fammi il favore!»
Pronunciò con voce rabbiosa.
«Non venirmi a fare la predica proprio tu.»
Fu costretto a mordersi la lingua, dopotutto aveva ragione, anche lui era stato sbadato e aveva ingravidato Nana.
Ma era diverso., lui era in grado di affrontare le conseguenze di quella situazione, a differenza di Reira. E poi lui aveva prontamente rimediato convolando a nozze, lei non avrebbe potuto sposare Shin anche se lo avesse voluto, dal momento che lui era ancora minorenne.
E comunque, dubitò fortemente che lei volesse informarlo, ma decise di chiederglielo.
«A proposito di Shin…»
«Lui non deve saperlo!»
Replicò Reira prontamente.
«Lui mi disprezza.»
Confessò sottovoce, più a sé stessa che al proprio interlocutore. Shin l'aveva definita egoista al funerale di Ren, avrebbe fatto volentieri a meno di una persona come lei e non voleva obbligarlo a stare con lei solo a causa di quel bambino che nessuno dei due aveva desiderato.
Takumi uscì dalla stanza per prendere una boccata d’aria e fumarsi una sigaretta. Si era ripromesso di starle vicino e aiutarle a superare quel momento, ma adesso si era complicato tutto.
Doveva assolutamente sbrigarsi a trovare una soluzione a quel problema, ma come?

 
***

Nana 
Ero sdraiata sul letto consumando l’ennesima seven star. Hachi e Misato, rimaste a farmi compagnia, chiacchieravano delle sorti dei Blast. Non volevano lasciarmi da sola, forse temevano che potessi commettere qualche follia.
Chiusi gli occhi e la mia mente di nuovo richiamò l’immagine di quella sera nevosa, quella in cui Misuzu mi aveva voltato le spalle e si era allontanata da me sino a sparire. Ultimamente ci ripensavo spesso.
Scossi la testa scacciando quel pensiero e mi obbligai a concentrarmi sulla conversazione che stavano sostenendo le mie due amiche.
«Capisco che il signor Sugimura sia in pensiero dopo tutto ciò che è successo, ma dovrebbe avere un po’ di empatia»
«Hachi, purtroppo lui non vede le singole persone, per lui i Blast sono un semplice prodotto, ha investito in loro solamente per avere un guadagno maggiore in futuro.»
«Ma non può aspettarsi certo che i ragazzi tornino a suonare come se nulla fosse.»
«E perché no?»
M’intromisi spegnendo la cicca sul cumulo di cenere.
«Ma Nana…»
I grandi occhi di Hachi vibrarono lievemente, sapevo cosa stava pensando, anche se non lo disse ad alta voce.
Avrei dovuto essere in lutto per Ren, invece di pensare al futuro della mia band, ma solo concentrandomi intensamente sulla musica riuscivo a tenere a bada i miei pensieri. Ren, mia madre, Yasu e persino la stessa Hachi… Tutti coloro che avrebbero dovuto occuparsi di me finivano per abbandonarmi e non riuscivo a scacciare quel pensiero.
«Voglio tornare a cantare.»
Dichiarai con voce arrochita dalle sigarette.
Vi prego non toglietemi l’unica cosa in grado di tenermi a galla.
«Se anche a loro preme che ci rimettiamo in carreggiata quanto prima, allora che organizzino un concerto! Misato, parlane con Kanemoto o anche con Sugimura se necessario.»
Notai lo sguardo di Misato spegnersi, ma pensai che fosse solamente delusa dal mio comportamento, dopotutto per lei ero sempre stata un’eroina e in quel momento non mi stavo comportando da tale.
«Avete sentito Kosaka no? Se continuiamo a non lavorare e a pesare sulle loro tasche, sarà la volta buona che ci cacciano dal dormitorio.»
Mi fissarono in silenzio, perché non lo capivano?
«È la nostra ultima possibilità.»
Lo stavo dicendo a loro o a me stessa? Non potevo accettare la fine dei Blast, quello sarebbe stato il colpo decisivo. Tutte le mie certezze stavano vacillando pericolosamente, i capisaldi della mia stabilità stavano cedendo, mi rimaneva soltanto quel sogno a cui aggrapparmi con tutta me stessa, e avevo bisogno dei Blast per realizzarlo.
Avevo bisogno di loro…?

Mi tornò in mente le ultime parole che mi rivolse Ren “le persone che reputi amiche quando tutto va bene smettono di essere tali quando le cose si mettono male? Allora non vorrei mai far parte della tua band.” Stavo di nuovo sfruttando i miei amici per raggiungere il mio scopo?

Perché ero così?
Un lampo improvviso mi diede la risposta, era così ovvio.
«Voglio incontrare mia madre.»
Dissi con voce meccanica, come se fossi un automa. Hachi e Misato si scambiarono un’occhiata preoccupata, forse credevano che fossi impazzita.
«Nana, sei sicura…?»
Mi chiese Hachi con compassione e non riuscii a non sorridere davanti al suo stupore. Sicuramente stava pensando che mi sia totalmente ammattita, ma volevo davvero incontrare quella donna, perché solo lei avrebbe saputo darmi le risposte che cercavo disperatamente.


 
Sai Hachi?
Se avessi rinunciato a Takumi per sempre, io avrei fatto da padre al tuo bambino, l’avrei cresciuto come se fosse stato figlio mio, anche se io di figli non ne volevo.
Avrei fatto di tutto per tenerti al mio fianco, ma la paura di perderti era più forte del resto.
Io ti volevo completamente devota a me. 

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Capitolo 5
*** Chapter 89 ***


Chapter 89


Quattro anni dopo

Hachi controllò la buca lettere prima di salire le sette rampe di scale che la separavano dall’appartamento 707. Ultimamente si recava lì più spesso del solito, perché da quando aveva trovato quegli indizi su Nana si era riaccesa una scintilla di speranza che, si rese conto, cresceva giorno dopo giorno. Quando infilò la chiave nella toppa per uno sciocco istante credette che una volta varcata la soglia si sarebbe trovata dinnanzi alla sua amica. Riguardò le polaroid sparpagliate sul tavolo della cucina e si soffermò sul volto della donna: era ancora molto bella, seppure le parve di scorgere un velo di malinconia attorno ai suoi occhi. Era davvero triste?  Un risultato del gioco di luci? O si trattava del frutto della propria immaginazione?
Si ricordò le sue ultime parole “voglio vedere il mare”, adesso viveva in una cittadina quasi completamente bagnata dal mare, Southend-On-Sea, a un'ora di distanza da Londra.
Riguardando la foto con attenzione, notò che Nana continuava a portare al dito l’anello di Ren, la promessa mai mantenuta di un felice matrimonio. D’istinto guardò la propria mano, anche lei continuava a portare la fede nuziale, ma in fondo non era poi così inusuale. Dopotutto lei continuava ad essere la moglie di Takumi, a dispetto di tutto quello che si era frapposto tra loro due. La voce severa di Jun riecheggiò nelle sue orecchie “quando ti deciderai a divorziare?” ma lei non ne aveva alcuna intenzione. Anche se suo marito si trovava all’altro capo del mondo, si occupava di un’altra donna e faceva da padre ad un bambino non suo, questo non rendeva il loro legame meno concreto.
Dopo quattro anni, Hachi si era abituata a quelle dinamiche e, dopotutto, se le faceva andare bene, seppure non fosse esattamente ciò che una donna si augura per il proprio futuro.
Pensò a Nana, neanche lei aveva mai avuto ciò che si aspettava da quel futuro e si chiese se adesso che poteva finalmente cantare si sentiva almeno un po’ più felice.

 

***

Il presente

Reira continuava a toccarsi il ventre ancora piatto, non riusciva a metabolizzare la notizia della propria gravidanza. Non aveva mai neppure pensato all’eventualità di diventare madre e questa novità la spaventava, soprattutto perché il padre del bambino che portava in grembo oltre ad essere un minorenne era anche completamente all’oscuro di tutto, e così doveva restare.
Shin l’aveva definita egoista e quelle parole le vorticavano incessantemente nella testa. Qualsiasi cosa avesse fatto, avrebbe rischiato di apparire ancora più egoista: se glie l'avesse detto, lui avrebbe potuto vedere quel gesto come una richiesta d’aiuto, un invito a prendersi le proprie responsabilità, anche se probabilmente non ne aveva alcuna voglia. Tacere la verità, invece, significava mentirgli, privarlo della possibilità di crescere il proprio figlio. Ma in fondo a lui interessava? Certo, Shin era molto maturo per la sua età, ma si sarebbe sobbarcato il peso di crescere un bambino?
Questi pensieri le provocavano ansia, i medici le suggerivano di stare a riposo e di distogliere la mente dalle negatività, ma era così semplice a parole! Come poteva allontanare i pensieri pessimistici se erano gli unici che riusciva a generare?
Avrebbe voluto poterne parlare con Ren, lui l’avrebbe ascoltata senza giudicarla e avrebbe saputo consigliarle la cosa giusta da fare, invece accanto a lei c’era solo Takumi. Si sentì in colpa a pensare una cosa tanto crudele, Takumi le era rimasto al fianco dalla morte di Ren e non si era allontanato neppure per un secondo, nonostante a casa avesse una moglie incinta di cui prendersi cura. Forse Shin non aveva tutti i torti, era una persona egoista e anche irriconoscente.
Si chiese perché Takumi si prendesse il disturbo di accudirla, prima d’allora era sempre stato felice di poter delegare quel compito a chiunque altro, e invece adesso era quasi impossibile sbarazzarsi di lui. Le aveva ordinato di non fare parola con nessuno della propria gravidanza, come se lei avesse avuto degli amici con cui poterne parlare. La sola persona che le restava, a parte Takumi, era Naoki. Una parte di sé avrebbe desiderato poter sfogarsi con lui, forse il suo entusiasmo sarebbe riuscito in qualche modo ad alleggerire il peso che le bloccava lo stomaco, ma non osava disobbedire a Takumi, non era mai stata in grado di ribellarsi a lui.
Quando quel pomeriggio tornò in ospedale aveva una pessima cera, Reira ipotizzò che non avesse chiuso occhio. Si vergognò di sé stessa per tutte le grane che gli stava causando, avrebbe volentieri fatto a meno di quel bambino, se solo ci fosse stato un modo per disfarsene…
«Stai meglio oggi?»
Le chiese in tono distratto, come se pensasse a qualcos’altro e lei per tutta risposta annuì.
Rimasero per un secondo in silenzio, fino a quando Reira non trovò il coraggio di porgli la domanda che da tempo le ronzava in testa
«Quando pensi di tornare a casa?»
Takumi non le rispose.
«Hai mangiato?»
«Sì.»
«Bevi abbastanza? In gravidanza bisogna tenersi idratate, lo sai, vero?»
Sollevò un sopracciglio con scetticismo, come se dubitasse che Reira potesse sapere una cosa tanto semplice.
«Non lo sapevo.»
Gli confessò a mezza voce.
«Ecco, è per questo che sono qui, invece di tornare da Nana. Se non ci fossi io con te, rischieresti di ammalarti più di prima, e con te anche il bambino.»
Le spiegò con semplicità, ma Reira batté i pugni contro il tavolino d’ospedale.
«Ma cosa diavolo t’importa di questo bambino? Non è tuo, né tanto meno di Ren! É di Shin!»
Disse con gli occhi lucidi. Non vi era alcun legame tra lui e quella creatura non ancora formata, persino lei provava indifferenza nei suoi confronti, quindi perché a lui pareva interessare tanto? La fissò con serietà.
«M’importa perché è figlio tuo.»
Rimase interdetta di fronte a quell’esclamazione, che cosa significava? Takumi provava forse qualcosa per lei? Ma no, che sciocchezza, non poteva essere. Aveva sperato per tutta la vita che un giorno si sarebbe innamorato di lei, aveva sperato di restare per sempre al suo fianco, di essere la sua compagna di vita, di diventare per lui come l’ossigeno, qualcosa di cui non potesse fare a meno. Voleva che l’amasse con la stessa intensità con cui lo amava lei.
«Reira, quando hai iniziato a trattarmi così male?»
«E tu Takumi, quando hai iniziato a trattarmi così bene?»
Lo disse con le lacrime agli occhi, incapace di continuare a tenere quel pensiero fra sé e sé.
«Ma cosa dici? Ti ho sempre trattato come una principessa!»
«Già, l’intoccabile principessa del canto, non è vero? Ma lo facevi solo perché ero il prezioso diamante dei Trapnest, non è così? Tu ami solamente la mia voce.»
L’uomo le rivolse un’occhiata torva.
«È davvero questo che pensi?»
Reira annuì tirando su col naso.
«Perché credi che continuassi a cantare?»
Quelle parole lo colpirono come lame affilate. Non avrebbe avuto alcun senso fingere, l’aveva sempre saputo.
«Ma adesso non canterò mai più.»
Lo avvisò con aria di sfida. Takumi resse lo sguardo e rilanciò la provocazione.
«Non servirà a tenermi lontano.»
Disse, prima di alzarsi e uscire dalla stanza, sul volto un’espressione indecifrabile. Quando fu rimasta sola, Reira pianse. Pianse perché lo amava più di qualsiasi altra cosa al mondo, perché le sue parole – pronunciate con intimidazione – suonavano dolci come una serenata. Pianse perché avrebbe desiderato che il bimbo nel suo grembo fosse suo. Pianse perché voleva allontanarlo dalla propria vita, ma non sapeva rinunciare a lui. Pianse perché lui aveva sposato un’altra donna.
Non gli bastava la sua presenza, se non era totale.

 

***
 

Takumi si accese una sigaretta, ne aveva proprio bisogno.
Doveva trovare un modo per occuparsi di Reira e Nana in contemporanea, ma non era cosa facile, in Giappone gli harem non erano permessi, che paese bigotto!
Non aveva chiuso occhio pensando a una soluzione accettabile, e quando il sole stava finalmente per sorgere era riuscito a partorire una mezza idea, ma attuarla gli avrebbe causato non pochi problemi: riconoscere il figlio di Reira come suo. Certo, sembrava una cosa da niente, ma non rivelare a Nana la verità significava sottintendere che il padre fosse lui, e per quanto sua moglie gli fosse totalmente dedita, dubitò che potesse accettare un tradimento così scandaloso.
Ma se avesse confessato la verità, Nana sarebbe corsa da Shin a spifferargli tutto quanto e non poteva permetterlo.
Per molti anni si era approfittato dell’amore di Reira, lei ne era così invaghita da aver accettato senza batter ciglio di divenire una delle sue amanti, e proprio per questo non poteva continuare a sfruttare i suoi sentimenti.
Voleva sinceramente bene a Reira, in un certo modo l’amava, ma non nel modo in cui sperava lei, il suo era un amore fraterno. Nonostante fosse bellissima e affascinante, non riusciva proprio a vederla con quegli occhi. Come aveva fatto Ren a innamorarsene?

 

***

Nana

«Sei proprio sicura di voler andare da sola?»
Mi chiese Hachi con occhi preoccupati e intuii dal tono della sua voce che vorrebbe accompagnarmi e stari vicina durante quel colloquio. Una parte di me – quella infantile e desiderosa di attenzioni – vorrebbe far cedere il muro invisibile i sono cerata attorno, ma l’altra parte – quella razionale e logica – ha già deciso che incontrare Misuzu è una cosa che devo fare da sola.
Non ho alcuna intenzione di perdonare quella donna, né tanto meno di riaccoglierla nella mia vita a braccia aperte, per me lei è e rimarrà una completa estranea, ma magari scoprire qualcosa su di lei potrà aiutarmi a comprendere meglio me stessa.
«Pensa piuttosto a comprare la carne per stasera, ci sarà da festeggiare.»
Hachi rimase in silenzio e mi fissò con espressione interrogativa che mi fece sorridere.
«Ma come, non lo sai? Misato è andata a parlare col presidente della Shikai per chiedergli di organizzare il nostro prossimo concerto, i Blast tornano in carreggiata!»
Anche se si preoccupò di celare la propria apprensione con un sorriso incoraggiante, notai il suo iniziale tentennamento e in parte mi sentii colpevole. Hachi, come molti atri, riteneva che fosse ancora troppo presto per rilanciarci, ma le non capiva, io avevo un disperato bisogno di cantare, di riprendere in mano la mia vita. Non potevo abbandonare i miei sogni solamente a causa di Ren, dovevo andare avanti e proseguire i miei obiettivi, lo dovevo alla Gaia, alla Shikai, alla mia band, ai nostri fan e, soprattutto, a me stessa.
«Preparerò il miglior sukiyaki del mondo!»
Mi promise con un sorriso incoraggiante e, forte del suo appoggio, scesi dall’auto e mi diressi verso il bar dove Misuzu aveva scelto di incontrarmi. Era un caffè tranquillo e anonimo con molti tavoli liberi. Feci scorrere lo sguardo sui pochi avventori e la riconobbi immediatamente, anche se non la vedevo da ben diciassette anni. Misuzu alzò il capo dal menu che stava leggendo e ricambiò il mio sguardo, ma niente nel suo viso mi suggerì i suoi pensieri.
Mi avvicinai lentamente al tavolino, tenendo le mani nella tasca della mia felpa. Più mi avvicinavo, più il nodo alla gola si stringeva, che diavolo ci facevo lì? Perché diavolo avevo accettato di incontrare quella donna? Cosa avrei dovuto dirle? Cosa avrei potuto ascoltare? Avrei dovuto credere alle sue parole? E se nessuna delle due avesse proferito parola? Se fossimo rimaste immobili a fissarci in silenzio?
Il breve percorso mi parve immenso, Misuzu mi osservava severamente e il suo cipiglio mi ricordò quello di mia nonna. Quando giunsi al tavolo la fissai dall’alto verso il basso.
«Misuzu?»
Domandai e lei annuì, facendo un segno per indicare il posto vuoto dinnanzi a sé.
«È bello rivederti, Nana.»
Disse con espressione indecifrabile. Mi tolsi la giacca e afferrai il pacchetto di sigarette, ficcandomene una in bocca.
«È un pessimo vizio, quello del fumo, specie per una cantante.»
«Ma non eri una fumatrice accanita?»
Dissi senza pensarci su, pentendomene quasi subito.
«Come fai a ricordarlo ancora?»
Proprio quello che volevo evitare. Feci spallucce e accesi la paglia.
«Ad ogni modo, ho smesso molto tempo fa, quando…»
S’interruppe per un istante, guardandomi di sottecchi.
«Quando sono rimasta incinta per la seconda volta.»
Forse si aspettava una mia reazione, ma decisi di restare imperturbabile.
«Beh, buon per te.»
In realtà quelle parole mi avevano colpita come un pugno. Significava che avevo un fratello o una sorella minore?
«Sai, sei cambiata molto.»
«Lo credo bene, sono passati diciassette anni dall’ultima volta che mi hai vista.»
Avrei voluto rimangiarmi quelle parole un attimo dopo averle pronunciate. Misuzu per la prima volta parve avere una reazione, quell'accusa l’aveva scossa.
«Ciò che voglio dire è che…»
Mi affrettai ad aggiungere imbarazzata, ma non trovai niente da dire. Lei mi rivolse un’occhiataccia torva.
«Non devi scusarti, so cosa volevi dire. Ma è inutile girarci attorno, no? Non siamo qui per questo?»
Il suo tono era accaldato dall’emozione.
«Ti ho abbandonata, è vero.»
Chissà perché udire quelle parole mi provocò male fisico, proprio in mezzo al petto.
«E vorrei dire di aver avuto ottime ragioni per farlo, ma la verità è che non è vero.»
I suoi occhi parvero inumidirsi, ma forse fu una mia impressione, poiché Misuzu continuò a parlare senza avere la voce incrinata.
«Se fossi una bugiarda ti direi che è stata tutta colpa di quell'uomo che non amava i bambini, ma non sarebbe giusto continuare a mentirti. Nana, la verità è che io non ero pronta a prendermi cura di te.»
Avrei dovuto sentirmi meglio, finalmente la coltre di bugie e dubbi era stata spazzata via, ma in realtà la sua onestà non mi appagò per nulla.
«Ero molto giovane quando rimasi incinta di te. Tuo padre non seppe mai della tua esistenza, stavamo insieme da poco tempo e ci lasciammo poco prima che scoprissi la gravidanza, non ebbi mai il coraggio di rivelarglielo perché ero intenzionata ad abortire, ma mia madre lo scoprì e mi obbligò a tenerti.»
La sua voce divenne lievemente acuta mentre lo disse e i suoi occhi si spostarono sulla sigaretta che bruciava lentamente tra le mie dita.
«Lei… Era una donna all’antica, credeva nei valori con cui era stata educata, ma non credo di doverlo spiegare a te.»
Scossi impercettibilmente la testa in un movimento meccanico.
«Non mi pentii della scelta di tenerti, non fraintendere.»
Si affrettò a dire incrociando il mio sguardo vacuo.
«Ma sentivo di star rinunciando alla mia giovinezza. Avevo molti sogni e progetti che volevo realizzare e… Suonerà egoista, ma non ero pronta a rinunciarvi.»
“E così rinunciasti a me.”
Pensai, colmando il silenzio. Avvertii un pizzico alla mano, la sigaretta si era consumata sino al filtro e mi aveva scottato la punta delle dita. Di riflesso la lasciai cadere sul tavolo, sulla cenere che aveva provocato.
«Sarà meglio chiedere un panno.»
Disse Misuzu alzandosi dalla sua sedia. I pensieri mi vorticavano in testa come un uragano, sentivo come se nella mia mente fosse esploso un violento temporale, le informazioni che avevo ricevuto si rincorrevano in circolo mentre avvertii il mio torace gonfiarsi per tentare di respirare meglio.
«Va tutto bene?»
Mi chiese la voce di Misuzu, non mi ero accorta che fosse tornata. Stringeva in mano uno strofinaccio nuovo di zecca con cui pulì la cenere.
«Perché non l’hai chiesto a un cameriere?»
«Ci sono abituata, è il mio lavoro.»
Disse semplicemente, facendo spallucce.
«Sei una cameriera?»
«Sono la proprietaria di un ristorante.»
Mi corresse.
«Facciamo gli okonomiyaki migliori di Osaka. Beh, adesso a dire il vero abbiamo chiuso i battenti, ma contiamo di riaprire presto. In realtà è mio marito che si occupa della cucina, il ristorante porta il suo nome, Uehara.»
Qualcosa fece un crash assurdo nella mia testa: un ristorante di okonomiyaki a Osaka, signor Uehara.
Mi alzai di scatto, facendo strusciare la sedia sul pavimento e l’indicai con un dito.
«Ma tua figlia non sarà mica Misato Uehara?»
Il volto di quella ragazzina apparve davanti ai miei occhi, la mia fan accanita che era stata invitata al nostro party di Natale e che avevo stretto tra le braccia. Misuzu sorrise per la prima volta, un sorriso appena abbozzato.
«È una tua grande fan, certo che il destino è proprio beffardo a volte.»
Mi sentii mancare il terreno sotto ai piedi, ecco come mai mi somigliava tanto
«Lei lo sa?»
Le domandai e mi accorsi solo dopo di aver pronunciato quelle domande con tono grave. Poteva essere vero? Lo sapeva e aveva fatto finta di nulla?
«Lo ha scoperto solo dopo la pubblicazione dell'articolo di Search, avevamo i giornalisti appostati sotto casa. Vi conoscete, non è vero?»
Annuii, la conoscevo, ma non potevo minimamente immaginare che fosse mia sorella.
Un brivido mi percorse la schiena, dato che Misato era una fan sfegatata dei Blast, sicuramente Misuzu aveva già sentito parlare di me, per tutto il tempo avrebbe potuto correre a cercarmi, semmai ne avesse avuto voglia, ma non era mai successo.
«Perché hai voluto incontrarmi?»
Le chiesi infine, accorgendomi di avere un groppo alla gola.
Mi squadrò in silenzio, forse cercò una scusa plausibile, forse le parole migliori, forse non aveva una risposta, ma io seppi immediatamente che qualsiasi cosa avesse detto, non mi sarebbe bastata.
«Credo che sia finalmente arrivato il momento di sciogliere i nodi al pettine.»
«Sono tutte menzogne.»
Le parole uscirono velocemente, non avrei potuto fermarle neanche se avessi voluto.
«Hai avuto diciassette lunghi anni per tornare nella mia vita, per riprendermi con te e crescermi, ma ti fai viva solamente adesso che i giornalisti ti hanno smascherata e portato a galla i tuoi segreti.»
Mi alzai di scatto e corsi verso l'uscita, ma Misuzu mi afferrò per un polso.
«Nana ti sbagli, io...»
La fissai intensamente negli occhi, provavo solo rabbia e rancore nei suoi confronti.
«Sai che ti dico? Adesso sono io a non voler più rivederti, quindi fammi un favore e sparisci dalla mia vita»
Pronunciai con un filo di voce, poi riuscii a sottrarmi alla sua presa e uscii di fretta dal locale. La pungente aria serale mi pizzicò il viso.
Avrei tanto voluto che Hachi fosse lì con me per consolarmi.
Però essere sola era liberatorio poiché potei piangere tutte le mie lacrime senza dovermi nascondere.

 

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Capitolo 6
*** Chapter 90 ***


Chapter 90


Quattro anni dopo

Hachi guardò l’orologio, erano quasi le sette e presto i suoi ospiti sarebbero arrivati. Aveva deciso di organizzare una cena per festeggiare l’inizio delle vacanze di primavera e aveva invitato tutti quanti nell’appartamento 707. Yasu e Nobu si erano stupiti di quella celebrazione, di solito quella non era una ricorrenza da festeggiare, ma Hachi doveva dar loro una notizia importante.
«Ha tutto quanto un aspetto delizioso!»
Esclamò Nobu con l’acquolina alla bocca facendo scorrere lo sguardo sulle numerose portate che Hachi aveva adagiato tavola imbandita a festa. Shin si trovò subito d’accordo, fissando i piatti come un lupo famelico mentre il suo stomaco brontolava sonoramente.
«Nana, temo che tu abbia dato il via ad una tradizione.»
Commentò Yasu con un sorriso osservando gli sguardi rapiti dei suoi due amici.
«Già, guarda come sono gasati quei due, come se non toccassero cibo da secoli!»
Fece notare Miu.
«In effetti, Shin non mangia da stamattina. Purtroppo le riprese sono durate più del previsto e il regista li fa sgobbare come muli per poter terminare per tempo. Pensate che non ha neppure avuto il tempo di pranzare oggi.»
Spiegò Misato con semplicità, unendosi alla conversazione.
«Ma è terribile! Allora devi necessariamente nutrirti.» 
Hachi si portò le mani davanti alla bocca con espressione preoccupata e gli porse un piatto. 
«Non temere, tra massimo una settimana avremo finito. E poi poco male, vorrà dire che mi sfamerò con questo ben di Dio!»
«Sai Shin? Ho aiutato io la mamma a preparare tutto quanto!»
S’intromise Satsuki con le guance rosse, senza riuscire a guardare il ragazzo in viso.
«E allora sarà tutto ancora più gustoso.»
Il giovane diede un buffetto amichevole sulla testa della bambina, che divenne color vermiglio, prima di riempirsi il piatto con un po’ di tutto.
«Ehi cosa pensi di fare Shin? Qui c’è altra gente affamata, non papparti tutto quanto!»
Gli urlò contro Nobu agitando un pugno.
«Ma come, non hai sentito? Devo necessariamente nutrirmi!»
E, con quelle parole, fico le bacchette nel piatto di Nobu, rubandogli un appetitoso pezzo di pesce fermentato.

«La cena era ottima come sempre. Grazie mamma!»
  Esclamò Shin con un sonoro sospiro asciugandosi gli angoli della bocca.
«Concordo.»
Aggiunsero all’unisono Nobu e Misato.
Hachi rispose al complimento con un sorriso, le faceva piacere cucinare per i suoi amici.
«A cosa dobbiamo questa cena?»
Domandò Yasu accendendosi una sigaretta e passando l’accendino a Shin, che aveva estratto una Black Stone dal suo pacchetto ancora intatto. L’espressione di Hachi si fece seria e solenne, era arrivato il momento di parlarne chiaramente.
«Ho deciso di partire per Londra e sono intenzionata a cercare Nana.»
Disse facendo scorrere lo sguardo tra i presenti.
«Chi viene con me?»
Domandò allegramente sollevando un pugno in alto, ma nessuno condivise il suo entusiasmo. Il silenzio era rotto solo dal respiro regolare di Satsuki, che si era appisolata subito dopo cena. Miu si avvicinò alla bambina e la prese in braccio.
«La porto a letto, è molto stanca e il divanetto non è per nulla comodo.»
«Aspetto, ti aiuto.»
Si offrì Yasu, ma lei scosse la testa.
«No, voi avete di che parlare. Non preoccuparti, non è pesante, ce la faccio da sola.»
E, con quelle parole, sparì nella stanza che una volta era stata la camera da letto di Hachi.
«Non so se è una buona idea.»
Fu Shin il primo a rispondere, catturando l'attenzione dei presenti. «Dubito che Nana voglia farsi trovare.»
Concluse, tamburellando un dito sulla sigaretta per far cadere la cenere.
«Sono d'accordo con Shin.»
Gli fece eco Yasu, aspirando una boccata di fumo.
«Credo dovremmo rispettare la sua scelta, dopotutto non abbiamo alcun diritto di piombare nella sua nuova vita se lei non ci desidera.»
Quelle parole suonarono dure pronunciate da lui.
«Ma io credevo che...»
Cominciò a dire Hachi, delusa dalla reazione dei suoi amici.
«Non fraintendermi, conosco le tue intenzioni e so che sono buone, ma temo che Nana si rifiuterebbe di incontrarci.»
Concluse Yasu, spegnendo la cicca.
«Non sono d’accordo!»
Aggiunse Nobu battendo le mani aperte sul tavolino, facendo trasalire la donna al suo fianco.
«Credo che Nana abbia sofferto molto e sono sicuro che rivederci le farebbe piacere, solo che…»
S’interruppe, cercando le parole giuste.
«Deve essere stata dura per lei da mandare giù. Prima Ren, poi sua madre, e infine il declino della band. Credo che sia fuggita divorata dai sensi di colpa. Scommetto che se sapesse che non l’abbiamo mai colpevolizzata, tornerebbe sui suoi passi.»
Gli occhi di Hachi brillarono, Nobu la pensava esattamente come lei.
«Sei sempre il solito romantico Nobu, hai la tendenza a credere che prima o poi tutto si risolverà per il meglio e non pensi mai che le cose possano persino peggiorare.»
Gli fece notare Shin.
«E come potrebbero peggiorare? Dopo tutti questi anni di silenzio, credo sia giusto fare almeno un tentativo, ora che sappiamo dove si trova.»
«Sono dello stesso avviso.»
Si intromise Misato, rivolgendo un’occhiata complice al biondo. Hachi sapeva che si sentiva responsabile della fuga di Nana.
«Bisogna almeno provarci, ci sono stati molti fraintendimenti che sarebbe giusto chiarire.»
«Non saprei, Misato…»
Tentennò Yasu, accendendosi un’altra sigaretta.
«Perché sei così restio?»
Chiese Misato col viso accaldato. Yasu rimase in silenzio per un attimo e quando parlò nuovamente, la sua voce era calma.
«Non sono mica restio, però sapete quanto sia testarda e orgogliosa Nana.»
«Ma sono passati quattro anni, potrebbe anche essere cambiata.»
Concluse Nobu.
Quattro anni, a Yasu sembrava fosse passato appena un giorno da quella sera…
«Ci penserò su.»
Disse infine dopo un lungo silenzio. La porta della camera si aprì e Miu tornò in cucina con aria turbata.

***

Il presente

Nana

Il cellulare squillò ripetutamente, ma io non volli rispondere. Mi dispiaceva far preoccupare Hachi, che si era sicuramente data un gran da fare per preparare la cena, ma non avevo alcun desiderio di tornare al dormitorio, non me la sentivo ancora di affrontare quella conversazione, di ripetere le parole che il mio cervello cercava ancora di elaborare.
Incontrare quella donna era stato un grande sbaglio, perché diavolo avevo accettato? Per lei ero sempre stata solo un peso e il solo motivo che l’aveva spinta a cercarmi era il disperato tentativo di recuperare il rispetto della sua seconda figlia, Misato, quella che aveva desiderato.
Ma io per lei non contavo nulla.
Avrei voluto chiedere a quella giovane che tipo di madre fosse: severa? Dolce? Apprensiva? Io non potevo certo saperlo, dei miei primi anni assieme a lei ricordavo poco e nulla: l’odore delle sigarette intriso nei suoi abiti e le impronte delle sue scarpe sulla neve, mentre si allontanava. Perché, perché non mi ha ripresa con sé? Se era capace di essere una comune madre, perché non ha potuto esserlo con me? Perché non è venuta a riprendermi dopo aver conosciuto il signor Uehara, che non aveva nulla contro i bambini? Perché mi ha abbandonata? Perché non ero degna del suo amore?
Avrebbe voluto abortirmi.
Quelle parole suonavano velenose, mia nonna avrebbe dovuto permetterle di sbarazzarsi di me prima che venissi al mondo, mi avrebbe risparmiato questa sofferenza.
Il tempo si annuvolò e la pioggia cominciò a cadermi addosso, scivolandomi sul viso, mischiandosi alle lacrime. Il cellulare vibrava insistentemente nella mia tasca, ma non avevo la forza di afferrarlo e rispondere. Camminai sotto la pioggia vagando senza meta, sentendomi per la prima volta sola in quella città dove vivevo già da un anno. I miei progetti sembravano così lontani, eppure quando arrivai ero piena di aspettative. Il sogno di restare al fianco di Ren si era sgretolato il giorno in cui era partito per Tokyo, e per quanto sperassi che tornare indietro fosse possibile, la verità era ben altra: non c’era spazio per me nella sua nuova vita.
Come Misuzu, anche Ren aveva anteposto i propri obiettivi a me: la sua priorità erano i Trapnest, scrivere musica per la regina del canto, impegnarsi duramente nel proprio lavoro per permettere alle luci della ribalta di illuminare il cammino della sua band. Perché aveva scelto di percorrere quella strada? Perché non era rimasto al mio fianco? Lì, in quella minuscola casa vicino al porto dove regnava l’armonia. Lì su quel letto a due piazze dove consumavamo il nostro amore e dove mi aveva resa donna, dove condividevamo il sonno e forse persino i sogni. Lì, su palchi improvvisati in miseri bar provinciali, dove le corde della sua chitarra accompagnavano la mia voce, fondendosi in una magia punk. Ma lui aveva rinunciato a tutto questo.  
E io, costretta ancora su questa terra, dovevo convivere col dolore causato da quei ricordi, dove la presenza di Ren era una costante, consapevole che nulla al mondo mi avrebbe mai restituito un briciolo di ciò che era stato, che quella felicità ormai era svanita per sempre. Di nuovo il cellulare suonò insistentemente, quando lessi il nome rimasi sorpresa, non si trattava di Hachi.  
«Pronto, Shin?»
«Certo che sei proprio una bella egoista!»
Le sue parole, pronunciate con rabbia, mi colpirono.
«Di che diavolo parli?»
«Come hai potuto costringere Misato a parlare con Sugimura, sapendo ciò che ha subito?»
I miei occhi si spalancarono. Avevo udito le voci di corridoio, ma credevo si trattasse di una maldicenza infondata messa in giro da qualche invidiosa assistente a cui Misato aveva fatto le scarpe. Udii la sua voce attraverso il cellulare, la sentii pregare di Shin di riattaccare, di non dire nulla.
«Quel porco schifoso ha fatto qualcosa a Misato?»
Domandai preoccupata, ma Shin mi rispose con aggressività.
«Non trovi sia tardi per preoccuparsene? Il tuo interesse è solamente quello di poter tornare a cantare, senza curarti degli altri attorno a te. Non te ne rendi neanche conto, vero?»
Provai male fisico, come se fossi stata schiaffeggiata.
«Io non ho proprio nessuna intenzione di continuare a lavorare per certa gente, mi chiamo fuori.»
Prima che riattaccasse sentii la voce della ragazza pregarlo di non parlare così, poi il silenzio.
Infuriata e delusa, lanciai il cellulare sull’asfalto, osservandolo andare in mille pezzi, evidentemente l’avevo scagliato con troppa violenza. Non appena mi resi conto di ciò che avevo fatto provai una sensazione crescente di ansia, aveva ragione Shin? Ero veramente così egoista, come Misuzu? Ma certo che lo ero, proprio come lei, stavo anteponendo i miei bisogni quelli di tutti gli altri. Mi sentii mancare quando realizzai quest’amara verità. Purtroppo avevo in comune con quella donna molto più di quanto riuscissi a tollerare, e forse questo mi ferì più delle parole di Shin.
Eppure sentivo che se non mi fossi concentrata sul canto avrei finito per impazzire.  
 
Tornai al dormitorio quando era ormai notte inoltrata. Ero bagnata fradicia, i vestiti mi si incollavano alla pelle e tremavo dal freddo. Mi intrufolai al dormitorio come un gatto randagio alla ricerca di un riparo, il guardiano sonnecchiava indisturbato sulla sedia e non si accorse nemmeno della mia presenza. Era ridicolo il modo in cui la Shikai tentava di proteggere i propri protetti!
Salii le scale e mi trovai di fronte alla porta della mia camera, pronta a girare la maniglia per entrare quando mi bloccai. Hachi stava sicuramente dormendo profondamente e non volevo disturbarla. Mi ricordai del mio appartamento insieme a Ren, per qualche motivo mi ero totalmente dimenticata di quel luogo.
Tornai sui miei passi e percorsi il corridoio al contrario, la stanza dove era stato disposto l’altare per Ren era aperta, come sempre, ma per la prima volta decisi di entrarci. La luce era spenta, ma i lampioni sulla strada illuminavano l’ambiente quel poco che bastava a riconoscerne i contorni. Osservai il volto di Ren impresso per sempre su quella fotografia e iniziai a singhiozzare sommessamente.
Perché era andato tutto sorto?
Sentii una mano posarsi sulla mia testa e arrestai il mio pianto disperato. Yasu mi fissava con un sorriso triste. Non mi ero accorta del suo arrivo. «Sono felice che ti sia finalmente decisa a fargli visita.» Mi disse porgendomi un fazzoletto, poi si accomodò proprio di fianco a me.  
«E ne è felice anche Ren, credimi.»
Soffiandomi il naso pensai “tutte balle, Ren è morto” ma ebbi il buonsenso di non dirlo ad alta voce.  
«Devo supporre che con Misuzu non è andata benissimo.»  
Disse con tono noncurante accendendosi una Black Stone.
«Come se te ne fregasse qualcosa!»
La mia voce era più rauca del solito, forse perché non parlavo da ore o forse perché ero adirata, ma Yasu non parve stupirsi.
«Guarda che sei stata proprio tu a chiedermi di farmi da parte.»
Era vero, gli avevo detto “se non hai intenzione di tradire Ren, non penetrare nel mio cuore più di quanto tu non abbia già fatto” e da quel momento le cose tra noi erano precipitate.
Forse una parte di me desiderava che lo facesse, che tradisse Ren, che mi rendesse sua una volta e per tutte, solo così sarei stata in grado di liberarmi di Ren, ma Yasu non l’aveva fatto, era troppo corretto per giocare un tiro così mancino al suo amico, e alla fine aveva preferito allontanarmi.
«Allora forse è meglio che te ne vada, non posso garantirti che non scoppierò nuovamente in lacrime, anche se farò di tutto per trattenermi.»
Gli dissi afferrando le mie Seven Star, che però erano umide e rovinate. Imprecai lanciando il pacchetto contro la parete e Yasu mi porse una Black Stone.
«Odio queste sigarette.»
Esclamai accettando il suo omaggio, mentre lui si chinava verso di me facendo scattare il suo accendino. Le fiamme danzarono impercettibilmente tra le sue mani ed io aspirai una lunga boccata di fumo, tutto intorno si levò il profumo dolciastro che avevo imparato ad associare a Yasu.
«Se piangerai, non potrò fare a meno di consolarti.»
Non so se fu a causa delle sue parole, della sua gentilezza, dell’immagine immobile di Ren che ci osservava, de pensieri che mi vorticavano in testa, ma piangere fu inevitabile. Le lacrime mi offuscarono la vista e scivolarono silenziose sulle mie guance.
Yasu non disse nulla, ma mi strinse tra le sue braccia. Quanto mi era mancato!
Negli ultimi anni mi ero affidata a lui più di quanto avrei dovuto, ne ero conscia, ma non riuscivo a smetterla. Allungai le braccia sul suo collo ricambiando l'abbraccio senza smettere di piangere sulla sua spalla. Quel luogo era così comodo! Avrei voluto restare così per sempre, il suo corpo mi scaldava e proteggeva allo stesso tempo. Mi sentivo sola e indifesa, ma la sua presenza aveva alleggerito il mio peso, Yasu aveva questo straordinario potere di rimettere insieme tutti i miei pezzi quando questi crollavano, una capacità che nemmeno Ren aveva mai avuto.
Perché insieme a lui mi sentivo così bene?
Girai il volto quel poco che bastò a fissarlo in viso e in un atto tanto coraggioso quanto stupido allungai il collo e gli sfiorai le labbra con le mie. Fu un attimo che durò un’eternità. Le sue labbra erano morbide e asciutte e il suo fiato sapeva di Black Stone e primavera. Non saprei dire per quanto restammo in quella posizione, e potrei giurare che lui lo volesse quanto me, ma all'improvviso si allontanò e mi fissò con un’espressione indecifrabile. 
«Cosa credi di fare, Nana?»
Quelle parole, pronunciate con voce dura che non gli apparteneva, mi ferirono profondamente.
«Io...»  
Io cosa? Cosa volevo dire? Come potevo giustificare il mio comportamento?
«Credo tu abbia frainteso le mie intenzioni, non ho alcuna intenzione di reclamare il posto di Ren!»
Si alzò di scatto e uscì dalla stanza, lasciandomi inginocchiata al pavimento. Che cosa avevo fatto?
Osservai l’immagine di Ren e mi sentii ancora peggio.
Adesso sì che avevo perso Yasu per sempre. Cosa mi aveva spinto a compiere quel gesto? Forse il bisogno di sentirmi amata? Ero stata una vera carogna, mi ero approfittata dell’affetto di Yasu per soddisfare il mio ego. Ero sempre stata consapevole dei suoi sentimenti nei miei confronti e avevo sinceramente creduto di ricambiarli, ma la verità era diversa: io avevo bisogno di lui. Perché lui, a differenza di Ren, Hachi e Misuzu, mi aveva sempre posta in primo piano davanti al resto. Lui mi aveva seguita a Tokyo ed era sempre stato presente per me, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Il suo amore incondizionato e senza fini era qualcosa di cui non potevo fare a meno.
Ma avevo rovinato tutto.

Quando tornai in camera mia era sorto il sole, Hachi scattò in piedi non appena udì la porta aprirsi.
«Nana!»
Urlò stropicciandosi gli occhi e poi mi corse incontro, come un cagnolino addomesticato.
«Cos’è successo? Perché sei tornata così tardi?» 
Non potevo dirle cosa fosse accaduto, quindi mi limitai a fissarla con sguardo pietoso, sperando che capisse il mio umore senza porre alcuna domanda. Il suo viso passò da preoccupato a triste.
«Hai saputo di Misato, vero?» 
Alzai lo sguardo, me ne ero completamente dimenticata, che donna egoista!
«Era chiaro che tu non lo sapessi o non l’avresti mai incoraggiata a parlare a Sugimura, lo sa anche lei e non te ne fa una colpa.» 
Perché continuavano a prendere le mie difese? Perché si ostinavano a credermi migliore di quanto non fossi?
«Per fortuna Shin è intervenuto per tempo, non appena ha scoperto che Misato si trovava nel suo ufficio. Però…»
Però cosa?
«Oh Nana, mi dispiace così tanto.»
Hachi mi abbracciò e inizio a singhiozzare e in quel momento capii. Fu come una doccia gelata, tutto ciò per cui avevo lottato aveva cessato di esistere: Ren era morto, Yasu non mi avrebbe mai più rivolto la parola, Hachi sarebbe presto tornata nella sua casa di Shirokane con Takumi e suo figlio e la band era stata tagliata fuori dal contratto.
Non mi rimaneva più nulla.
«Voglio vedere il mare.» 
Dissi con voce calma che non rispecchiava il mio stato d’animo. 
«Il mare?»
Chiese Hachi confusa, staccandosi dall’abbraccio e guardandomi dritto negli occhi. Non riuscii a dire altro, annuii appena.
Volevo vedere il mare, perché il mare aveva accompagnato i miei anni insieme a Ren.
Il suono della risacca dell’oceano concitava il mio sonno quando poggiavo la testa sul suo petto nudo e il profumo di salsedine mi si intrappolava nelle narici, fondendosi insieme all’odore della sua pelle.
Il mare aveva fatto da sfondo al periodo più felice della mia vita.
E chissà, magari se ne avessi avuto il coraggio, mi avrebbe presa con sé, restituendomi all’uomo che amavo. 

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Capitolo 7
*** Chapter 91 ***


Chapter 91


Quattro anni dopo

 

Yasu e Miu salirono sull’auto diretti verso casa, non si erano rivolti la parola dopo aver lasciato l’appartamento 707 e il silenzio era rotto solamente dalla musica proveniente dallo stereo.
«Domattina dovrò incontrare un cliente, però a pranzo sarò libero, che ne dici di venire a trovarmi in ufficio? Potremmo andare in quel nuovo locale che ha aperto all’angolo.»
Propose l’uomo con un sorriso incoraggiante.
«No, domani non posso mi spiace.»
Fu la breve risposta di Miu.
«Allora andiamoci per cena, ho sentito dire che si mangia molto bene.»
Insistette Yasu, quando la donna si voltò verso di lui rivolgendogli un’occhiata torva.
«Smettila di fare finta di niente, mi infastidisce. Ho sentito ciò che vi siete detti.»
Yasu non si scompose, era ovvio che li avesse uditi.
«Quindi perché non mi dici cos’hai intenzione di fare?»
Soppesò la domanda, anche se in cuor suo aveva già preso una decisione.
«Non andrò in Inghilterra»
Miu parve delusa da quella risposta.
«Quindi provi ancora dei sentimenti per Nana.»
Sentire quelle parole lo sconvolse e quasi non perse il controllo del veicolo allargandosi verso la corsia opposta, beccandosi un sonoro colpo di clacson da parte dell´autista dietro di lui. Una gocciolina di sudore gli inumidì la testa.
«Ma cosa ti viene in mente? Quando mai ti avrei fatto una simile confidenza?»
«Non vi era alcun bisogno, era chiaro. Non credermi così ingenua.»
Yasu non rispose. Uno dei motivi per cui si era allontanato da Nana era proprio da attribuire a Miu. Quando la sua amica aveva cominciato ad essere gelosa della sua ragazza, Yasu aveva compreso che era arrivato il momento di cedere il suo ruolo di confidente a Ren, ma questo Miu non poteva saperlo, così come non aveva mai saputo di quel bacio rubato in una notte piovosa di quattro anni prima.
«Dopo quattro anni insieme continui a non fidarti di me?»
Chiese improvvisamente, inducendo la ragazza a fissarlo.
«Mi fido di te, ma quando c’è di mezzo Nana…»
Non riuscì a finire. Yasu decise di prendere in mano la questione.
«Le ho voluto bene come a chiunque altro, ma era anche la cantante della mia band e la donna del mio migliore amico.»
«Allora perché non vuoi rivederla?»
«Perché temo che rivederci potrebbe farle male.»
«Dopo tutti questi anni ti ostini ancora a proteggerla.»
La verità era che Yasu aveva paura della possibile reazione di Nana alla sua vista. Da quella sera era cambiato tutto, lei era fuggita via senza lasciare alcuna traccia e lui sapeva che uno dei motivi che l’avevano spinta a compiere quel gesto era causato proprio dalla sua reazione a quel bacio.
Ma ciò che Nana non poteva sapere era che lui l’aveva perdonata molto tempo fa.
«Davvero non ti importa più nulla di lei?»
Il tono di Miu supplicava una risposta onesta, quindi Yasu gliela diede.
«No. Mi importa, invece.»
Inaspettatamente Miu sorrise quando udì quella confessione.
«E allora va’ a trovarla. Se non ti accerterai di persona che sta bene, lo rimpiangerai per sempre. Sono sicura che ne sarà felice, è come ha detto Nana, vale fare un tentativo.»
L’uomo abbozzò un sorriso. Miu aveva ragione, aveva ancora un conto in sospeso con Nana che andava chiuso una volta per tutte.
«Verrai con noi, vero?»
Seppur sorridesse, Miu scosse il capo.
«Nana non ha mai provato alcuna simpatia per me, sarebbe inappropriato. Voi siete i suoi amici.»
Aveva ragione ancora una volta. Gli dispiaceva lasciarla a Tokyo, ma concordava con la sua visione e, dopotutto, sapeva bene che Miu era una donna forte e determinata, e nulla di ciò che avrebbe potuto dire le avrebbe fatto cambiare idea.

***

Il presente

Hachi

«Voglio vedere il mare.»
Mi disse Nana con sguardo spento. Vederla in quello stato i faceva stare male, ma potevo capire il suo umore. La verità era che stavo male anch’io, ma non potevo opprimere la mia amica con le mie preoccupazioni, non adesso.
Il giorno prima, quando Shin aveva saputo che Misato si trovava nell’ufficio di Sugimura era impallidito. Pensai che riferirglielo gli avrebbe fatto piacere, che sarebbe stato felice di appurare che il suo gruppo si stesse dando da fare per rilanciare le sorti dei Blast ma quelle parole ebbero l’effetto opposto: Shin era corso via urlando “quel bastardo me la pagherà cara” e il mio pancione ormai ingombrante mi impedì di corrergli dietro. Ero preoccupata, non avevo mai visto Shin così livido di rabbia e temetti che potesse compiere qualche follia. Non volevo che si mettesse di nuovo nei guai, non dopo il suo breve soggiorno in prigione.
Chiamai Nana, ma il suo cellulare era irraggiungibile e alla fine dovetti chiedere aiuto alla persona fisicamente più vicina, Nobu, che occupava la stanza accanto a quella di Nana. Bussai violentemente e quando la porta si aprì di scatto per poco non colpii il petto del ragazzo. Mi fissò con rammarico, non avrei voluto rivolgermi a lui, ma mi tremavano le gambe e non avevo la forza di scendere al piano di sotto da Yasu.
«Nobu ti prego ferma Shin!»
Dal mio sguardo, o forse dal tono della mia voce, Nobu dovette intuire la gravità della situazione perché mi posò le mani sulle spalle fissandomi negli occhi.
«Che succede? Dov’è Shin?»
«Sta andando nell’ufficio di Sugimura. Io non… Non so cos’abbia in mente, ma devi fermarlo o rischierà di cacciarsi in qualche altro guaio, ti prego!»
Si infilò velocemente le scarpe e seguì la scia del ragazzo, il cuore mi tamburellava velocemente nel petto, avevo un’orribile sensazione. Perché Shin aveva avuto quella reazione?
Quando riuscii a calmarmi scesi al piano di sotto per avvertire Yasu, ma la porta di camera sua era spalancata e non vi era nessuno all’interno, forse Nobu mi aveva anticipata. Scesi le scale il più velocemente possibile, udendo urla miste che si sovrapponevano. Quando finalmente fui di sotto mi trovai di fronte una scena surreale: Il signor Sugimura giaceva sul pavimento con lo zigomo gonfio e arrossato, Nobu e Yasu fronteggiavano Shin tentando di calmarlo, Misato piangeva in un angolo coprendosi con le mani il seno libero da qualsiasi indumento e Miu, al suo fianco, tentava di nasconderla alla vista degli altri.
«Che cosa succede?»
Domandai confusa e preoccupata, ma in realtà era ben chiaro cosa stesse accadendo.
«Siete solo degli inutili vandali senza alcun talento! Vi voglio fuori di qui domattina, il vostro contratto con la Shikai Corporation termina in questo preciso istante. Non ci avete causato altro che guai.»
Pronunciò il signor Sugimura con voce rotta dal dolore.
«In quanto a te…»
Aggiunse, puntando il dito indice verso Misato.
«Sei licenziata con effetto immediato, non voglio mai più rivederti.»
Si lasciò aiutare dal guardiano a sollevarsi in piedi e uscì dalla stanza, solo allora mi resi conto che aveva i pantaloni slacciati. Provai un forte senso di nausea e corsi ad afferrare la magliettina di Misato, che giaceva sulla sedia di Sugimura.
«Tornate in camera voi tre.»
Ordinai ai ragazzi, c´erano cose più urgenti di cui discutere in quel momento.

«Nana, non so come dirtelo.»
Annunciai con voce rotta dall’apprensione, ripensare agli avvenimenti del giorno prima mi aveva rattristata.
«È necessario che raduni tutti i tuoi averi… Dovete lasciare il dormitorio.»
Nana non ebbe alcuna reazione, non seppi se non avesse udito o se non avesse compreso il reale significato di quelle parole. Rimase immobile a fissare il pavimento.
«Nana…»
La chiamai, ma lei ripeté nuovamente quella frase.
«Voglio vedere il mare.»
Avvertii una morsa al cuore, povera Nana, chissà come si sentiva! Tentai di calmarmi, la mia amica in quel momento aveva bisogno di me.
«A Tokyo non c’è il mare.»
Le dissi con voce rassicurante.
«Voglio tornare al mio paese natale.»
Dichiarò fissandomi negli occhi e per un istante non vidi la donna forte e risoluta che conoscevo, ma una bambina fragile e indifesa. Quello doveva essere il peggior momento della sua vita, erano accadute troppe cose in poco tempo: la morte di Ren, l’improvviso ritorno di sua madre e adesso la fine dei Blast. Aveva bisogno di una pausa.
«Suppongo che sia possibile.»
Dissi con un filo di voce, in effetti adesso non aveva più alcun impegno.
«Io ti accompagnerò.»
Scosse impercettibilmente la testa.
«È una cosa che devo fare da sola.»
Pensai immediatamente che volesse disperdere le ceneri di Ren nel mare, dopotutto lui era cresciuto in un piccolo magazzino vicino al porto, il mare aveva accompagnato la sua intera esistenza.
«Non posso lasciarti andare in questo stato.»
Dissi con un filo di voce, sentendomi inutile. Nana sollevò il viso e mi rivolse un radioso sorriso, era bella come il bocciolo di un fiore colto troppo presto, immaturo e delicato. In quel momento mi lasciai ingannare dal suo sorriso e non notai il velo di tristezza che le appannava gli occhi.
«Sto bene Hachi, piuttosto pensa a riguardarti, ormai sei prossima al parto. Io ho solo bisogno di un po´di riposo, e Tokyo è una città troppo frenetica. Voglio fare un salto al mio paese, voglio vedere il mare.»
Mi lasciai convincere, l’aiutai a cercare un biglietto ferroviario e mi assunsi il compito di portare tutta la tua roba nell’appartamento che condivideva con Ren, quello a poche fermate di distanza dal mio, quello dove avevo creduto che Nana e Ren avrebbero potuto crescere i loro bambini e passato tanti giorni felici.

***
«Come sarebbe a dire?»
Domandò Asami a gran voce quando udì il racconto di Nobu.
«Per colpa di quella ragazzina avete perso il contratto con la Shikai?»
Era furiosa e triste al contempo, non voleva che Nobu se ne andasse dal dormitorio.
«Non è mica colpa di Misato, quello schifoso di un Sugimura…»
«Oh per favore Nobu, smettila di prendere le sue difese! Misato è abbastanza adulta da sapere come funzionano certe cose e mi pare di capire che fosse consenziente! È già tanto che Sugimura abbia scelto di non sporgere denuncia verso Shin!»
«Ma di che parli? Quel verme si è approfittato dei timori della povera Misato! Non te ne rendi conto? L’ha manipolata, come ha fatto con te…»
La donna gli mollò uno schiaffo sulla guancia. Nobu si toccò il viso che aveva cominciato a pulsare. La ragazza lo fissava con odio e sdegno e tremava di rabbia.
«Guarda che proprio nessuno si è approfittato di me! Ciò che ho fatto è stato tutto frutto della mia volontà. A differenza di Misato, io non mi nascondo, né colpevolizzo gli altri, mi assumo tutta la responsabilità delle mie azioni. Non azzardarti mai più a parlarmi così.»
Gli occhi di Nobu vibrarono impercettibilmente, in quelle parole avvertiva tutto il suo dolore.
«Mi dispiace Asami.»
Disse abbracciandola, ma lei cercò di scansarsi dalla sua presa.
«Non voglio andarmene da qui, non so proprio come farei ad andare avanti senza di te.»
Quelle parole riuscirono a calmarla e si lasciò finalmente coccolare.
«Oh Nobu!»
Ricambiò l’abbraccio, stringendolo più forte. Non voleva allontanarsi da Nobu, era solo grazie a lui che riusciva a dare il meglio di sé al lavoro, l’idea di tornare in dormitorio tra le sue braccia le dava la forza che ultimamente le era mancata. Temeva che una volta lontano, non avrebbe faticato a dimenticarsi di lei, forse si sarebbe addirittura trovato una nuova donna.
Lo baciò intensamente slacciandogli i pantaloni. Gli avrebbe dato un buon motivo per non cercare attenzioni altrove.

***

Yasu aveva radunato Shin e Misato in camera sua, doveva assolutamente parlare con quei due a proposito delle loro sorti. Lui non avrebbe faticato a trovare un nuovo appartamento a Tokyo, Nobu poteva tranquillamente tornarsene al paese e prendere finalmente in mano le redini della pensione familiare e Nana aveva il suo appartamento con Ren. Le sole due persone a non avere un piano per il futuro erano quei due scapestrati: Shin non sarebbe mai tornato dal padre e Misato era scappata di casa. Doveva preoccuparsi di loro prima che incappassero su una brutta strada, e vi erano buone probabilità che entrambi si cacciassero nei guai, dati i loro precedenti.
«Ora che siamo stati espulsi dal dormitorio, cosa credete di fare?»
Chiese loro direttamente, senza preamboli, aspirando una lunga boccata della sua sigaretta.
«Sei gentile a preoccuparti per noi, Yasu, ma non devi più farlo.»
Lo ringraziò Shin con un sorriso.
«Non dire sciocchezze, credi che mi importasse di te in quanto componente della band? Ti sbagli di grosso Shin, mi importa di te perché sei mio amico. E lo stesso vale per Misato.»
Quelle parole lo colpirono in pieno petto, nessuno prima d’allora gli aveva mai parlato in quel modo. Nessuno si era mai preoccupato per lui, soprattutto senza avere un secondo fine. Non era abituato alla gentilezza disinteressata e si sentì in colpa. Abbandonò la propria arroganza osservando il pavimento con occhi spaventati, come un cucciolo rimasto orfano prima di imparare a camminare sulle proprie gambe.
«Non lo so.»
Disse semplicemente, sul viso di Misato era dipinta la stessa espressione affranta.
«Stavo pensando che potreste restare per un po’ nell´appartamento 707, se le due Nana sono d’accordo.»
Disse il più anziano togliendosi gli occhiali e massaggiandosi la radice nel naso.
«Il tempo necessario a rimettervi in sesto, a cercare un lavoro.»
Shin provò l’insano desiderio di correre ad abbracciarlo. Yasu non aveva proprio alcun motivo di preoccuparsi per loro, ma prendersi cura degli altri gli veniva così naturale. Era senza alcun dubbio la persona più altruista che conoscesse.
«Sarebbe gentile. Ti ringrazio profondamente.»
Shin decise di ingoiare il proprio orgoglio accettando quella proposta.
Misato inizio a piangere silenziosamente.
«Mi dispiace così tanto.»
Riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro.
«È tutta colpa mia se siete stati cacciati.»
Shin spalancò gli occhi azzurri fissando il volto della ragazza con apprensione.
«Ma cosa dici Misato! La colpa è mia, sono stato io ad aggredire Sugimura.»
«Ma lo hai fatto solamente per proteggere me!»
Urlò la giovane, affondando il viso tra le mani. Yasu rimase per un attimo sbalordito, poi sorrise e afferrò dal taschino della sua giacca un fazzoletto.
«Non siate sciocchi.»
Disse, porgendo il pezzo di stoffa alla ragazza.
«Nessuno di voi ha alcuna colpa.»
I due si voltarono a fissarlo.
«Misato, ti sei sacrificata per il bene della band, e tu Shin, non hai fatto proprio nulla che non avrei fatto anch’io.»
Misato smise di piangere e Shin arrossì lievemente.
«Siete due persone buone e altruiste e nessuno di noi vi colpevolizza per quanto è accaduto.»
Shin abbozzò un sorriso imbarazzato, ma Misato era ancora scossa da tremori.
«E Nana?»
Udendo quel nome, Yasu avvertì il suo stomaco contorcersi. Non voleva occuparsi di Nana, ma confidò che l’altra Nana l’avesse informata sugli ultimi avvenimenti.
«Non ho ancora avuto modo di parlarle, ma sono certo che capirà.»
Lo disse solo per confortarla, in realtà era sicuro che quella sarebbe stata una grande batosta per lei e dubitò che fosse in grado di perdonarli per la fine della propria carriera. Nana era una donna egoista e lo sapeva perché la conosceva bene. Nella propria scala di valori, lei era sempre al primo posto e tutte le sue decisioni erano mirate a recarle vantaggio, era sempre stato così. E nel suo egoismo, esigeva che anche gli altri la ponessero in cima al resto, lo aveva preteso da Ren, da Hachi e persino da lui.
Ma quella volta, lui ne sarebbe stato fuori.
Da adesso, Nana non era più un suo problema. 

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